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Filosofia della scienza Collana diretta da Ludovico Geymonat
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Filosofia della scienza Collana diretta da Ludovico Geymonat
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(Copyright
©,
Titolo dell'opera originale The Structure of Science 1961, by Harcourt, Brace & World, Inc.) Traduzione dall'inglese di Carla Sborgi per i cc. 1-10 Aurelia Monti per i cc. 11-15
Prima edizione italiana: gennaio 1968 Quarta edizione: gennaio 1981 Copyright by
© Giangiacomo Feltrinelli Editore
Milano
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Ernest Nagel
•
La struttura della sctenza Problemi di logica della spiegazione scientifica
Prefazione di Aurelia Monti
Feltrinelli Editore Milano
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Avvertenza I capitoli dal I al X sono stati tradotti da Carla Sborgi, i capitoli dall'Xl al XV da Aurelia Monti. Le citazioni delle opere contenute nelle note sono quelle fatte dall'Autore; le traduttrici però, oltre a segnalare l'eventuale esistenza di traduzioni italiane delle opere stesse, hanno anche sostituito, quando possibile, alle traduzioni inglesi di cui si serve l'Autore, i titoli e le indicazioni relative all'edizione delle opere stesse in lingua originale.
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Introduzione
L'opera di Ernest Nagel "The Structure of Science", di cui presentiamo ora la traduzione italiana, si colloca nel filone della critica della scienza, che si è vigorosamente sviluppato a partire dalla fine del secolo scorso, sotto la duplice influenza della crisi del vecchio positivismo e dei nuovi problemi sorti nell'ambito stesso della ricerca scientifica in relazione ai fondamenti della matematica e della fisica. Per quanto riguarda i problemi sorti nell'ambito stesso della scienza, ricordiamo che essi risultano connessi: 1) allo sviluppo di nuove ricerche e di nuove teorie, specie nella fisica, le quali dimostrano la insufficienza degli strumenti concettuali tradizionali e la necessità di elaborarne di nuovij 2) al radicalizzarsi della 'esigenza del rigore', già operante da tempo nella matematica, che impose una totale revisione dei fondamenti stessi di tale disciplina, provocando l'estensione delle indagini dalla matematica alla logica, con un conseguente impulso anche allo sviluppo di quest'ultima disciplina. I primi indirizzi filosofici scaturiti da tale movimento di pensiero possono, come è noto, essere ricondotti a due atteggiamenti di fondo abbastanza costanti: l'atteggiam.ento speculativo e l'atteggiamento critico-metodologico. Un esempio significativo del primo atteggiamento è costituito da quelle forme di neokantismo tedesco, che impostano l'indagine intorno alla natura della scienza, trasferendo/a su un piano piu ampio, dove debbono venir definite le possibilità e le forme della conoscenza in genere nonché la costituzione del suo oggetto. Le istanze critiche, cui si è poco sopra accennato, vengono da alcuni autori appartenenti a questo indirizzo soddisfatte sostenendo, da un lato che la conoscenza, in generale, e pertanto anche quella scientifica, è rivolta verso una oggettività intellegibile pura, distinta da quella empirica, considerata dai positivisti l'unico fondamento di ogni conoscenza valida, e dall'altro che è necessario conferire alla filosofia il carattere di scienza rigorosa, assumente come modello le strutture formali della matematica e della logica.
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La struttura della scienza
L'indirizzo critico-metodologico, invece, ha avuto una sua espressione tipica nel convenzionalismo, il quale reagi alla concezione positivistica, secondo cui la conoscenza costituisce un rispecchiamento dell'oggettività empirica, respingendo ogni garanzia oggettiva per le leggi e le teorie. Queste ultime vengono sottoposte ad un sottile esame critico, che prosegue per la strada già percorsa dal Mach e che si conclude con l'affermazione che la natura di esse è puramente convenzionale e che il criterio della loro applicazione all'esperienza è ancora quello machiano della comodità. La finezza critica delle loro analisi ed il prestigio di alcuni di essi, come il Poincaré che fu celebre matematico oltreché filosofo, guadagnarono ai convenzionalisti larghi consensi fra gli scienziati. Questi ultimi infatti avevano direttamente sperimentato nei settori di punta della ricerca la necessità di una profonda revisione critica dei loro strumenti concettuali e di una nuova visione della scienza. La consapevolezza critica nei confronti della scienza veniva inoltre accresciuta ad opera di altri scienziati che, senza inserirsi direttamente nell'indirizzo convenzionalistico, affermavano per mere esigenze tecniche la necessità di eliminare dalla scienza ogni riferimento ad entità inverijicahili ttanché a problemi che apparivano di principio insolubili. Questo tipo di analisi esercitò una profonda influenza sul costituirsi del positivismo logico, o neopositivismo, il movimento filosofico che sorse verso gli anni trenta a Vienna, e che in seguito si diffuse e sviluppò rinnovandosi nel mondo culturale angloamericano. Tale movimento si propose inizialmente di dare una fisionomia organica ed uno sviluppo coerente ai propositi critici già manifestati all'interno della scienza. Dotato di una forte carica antimetafisica, il positivismo logico rifiuta ogni definizione preliminare della realtà e assegna alla filosofia un compito eminentemente critico, che essa deve svolgere attraverso l'uso di un rigoroso metodo di analisi logica. Il fine di tale metodo è quello di operare la distinzione di tutte· le proposizioni in due tipi fondamentali: proposizioni scientificamente valide, e proposizioni prive di senso, che fanno riferimento ad entità inverificabili ed a problemi per principio insolubili, come tutti i problemi metafisici. Le proposizioni scientificamente valide si distinguono a loro volta in proposizoni logiche, la cui verità o falsità dipende dal rispetto di regole sintattiche convenzionali previamente stipulate, e proposizioni fattuali, che sole possono essere verificate o falsificate dalla esperienza. Fondare la scienza, significa quindi rendere rigorose le sue asserzioni, eliminando da essa le proposizioni prive di senso. Il presupposto su cui si regge tale tesi è di natura fenomenistica; è cioè la convinzione che, una volta esposte in forma rigorosa le leggi e le teorie scientifiche, il loro contenuto risulti essere una descrizione di ciò che risulta immediatamente osservabile. Ed è su tali basi che viene formulato uno dei programmi piu tipici
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Introduzione
del positivismo logico, quello fisicalista il quale afferma la riducibilità di tutte le proposizioni scientifiche non prettamente logiche a proposizioni 'fisiche' e si pone come obiettivo l'unità della scienza che sarebbe per l'appunto raggiungibile attraverso la costruzione di un linguaggio costituito da proposizioni siffatte. È alla !ematica elaborata dal positivismo logico che si ricollega Ernest Nagel nell'opera che qui presentiamo al pubblico italiano: opera in cui il modo preciso, sottile, esauriente di condurre le analisi delle diverse procedure adottate dalla scienza contemporanea rivela l'influenza dei migliori insegnamenti attinti dal positivismo logico. Tali qualità vennero già messe efficacemente in rilievo da Nicola Abbagnano in una nota' che ha segnalato in Italia la pubblicazione di questo libro, da lui definito una '"summa' della filosofia della scienza" del nostro secolo, riconoscendo all'Autore anche il merito di una prospettiva unitaria nello sviluppo delle sue analisi. Vi è però un altro aspetto del libro che ci sembra meritevole di attenzione: esso consiste nel fatto che il tipo di visione unitaria proposta dal Nagel si viene delineando nel corso del libro, attraverso un distacco abbastanza netto dal suo primitivo orientamento, maturato nel clima neopositivistico, e rivela aperture verso posizioni diverse e assai interessanti, anche se non ancora esattamente definite. Per determinare la complessa funzione conoscitiva assolta dalla scienza, secondo il Nagel, non è sufficiente precisare in qual modo si configurino separatamente l'aspetto formale e quello sperimentale delle leggi e delle teorie, è necessario allargare la prospettiva, tenendo presente anche il loro processo di formazione. Un esame della scienza che voglia cogliere tutti gli elementi costitutivi di essa deve innanzi tutto prendere atto che è l'esperienza quotidiana stessa a spingere l'uomo non solo alla costruzione ma anche al coordinamento degli strumenti necessari per soddisfare i suoi bisogni pratici. Questi ultimi costituiscono quindi un incentivo fondamentale per la nascita di un atteggiamento scientifico nei confronti della realtà circostante. Tutto ciò non basta tuttavia a dirci che cosa sia la scienza; la definizione di essa come "senso comune classificato e organizzato" non ci permette in/atti di cogliere certi suoi requisiti distintivi. In aperto contrasto con il senso comune, assai poco incline a porsi il problema dei limiti di validità delle proprie convinzioni, la scienza si presenta come "desiderio di spiegazioni che siano nello stesso tempo sistematiche e controllabili dalla prova dei fatti" (v. p. 10). Essa ha dunque come interesse caratteristico quello per i limiti delle proprie teorie ed è spinta a sfidare continuamente i fatti per rendere piu precisi e determinati i propri enunciati, elaborando a questo scopo tecniche e strumenti adeguati. 1
V. "Rivista di Filosofia", 1962, n. 2, aprile, pp. 198-203.
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La struttura della scienza
La preoccupazione per la propria coerenza interna impone alla scienza non solo di rendere rigoroso il proprio linguaggio e sistematico il proprio modo di procedere, ma anche di esporre deliberatamente - si tratta infatti della 'politica' della scienza- i risultati che essa consegue al rischio di venir falsificati. Lo sviluppo della scienza è caratterizzato dal costante insorgere di contrasti e di conflitti che rendono difficile e precaria la vita delle teorie e che possono venir superati solo esercitando il piu rigoroso controllo dei concetti e dei metodi. La scienza possiede dunque una dinamica interna da cui traggono origine le sue strutture logiche e i suoi mezzi conoscitivi. Ed è ancora a questa sua storia interna che è necessario fare riferimento per comprendere appieno la funzione e la fecondità delle teorie e delle leggi scientifiche. Solo tenendo presente tutto questo si può evitare di assumere nei confronti della scienza un atteggiamento astratto e scarsamente comprensivo, quale è stato quello di certi metodologi, che pretendono di valutare concetti e teorie isolandoli dal contesto conoscitivo in cui sono inseriti. Essi li commisurano infatti ad un modello di scientificità ritenuto perentoriamente valido esclusivamente in base al rigore nella formulazione e alla verificabilità incontestabile degli enunciati. Rigore e verificabilità sono certamente requisiti indispensabili per la scienza, ma sarebbe assai pericoloso ritenere di averne fissato i criteri oggi e una volta per tutte. Una simile convinzione può facilmente fare da schermo a pregiudizi dogmatici e soffocare ogni possibilità di comprensione critica dei risultati nuovi e dei problemi generali. Cosf, il Nagel non contesta l'importanza dell'analisi del linguaggio e la sua utilità per eliminare oscurità ed equivoci connessi alla formulazione di taluni concetti scientifici, ma ritiene che si'a necessario, anche quando si opera con questo strumento, tenere presente la storia che quei concetti portano con sé. Intesa in questo senso l'analisi linguistica acquista una portata critica e comprensiva, ad essa altrimenti sconosciuta. Un altro carattere costitutivo della scienza consiste, come si è visto, secondo il nostro Autore, nel suo essere fondamentalmente spiegazione. L'insistenza su questo punto sta ad indicare il suo dissenso nei confronti della tesi - "historically influential", come egli la definisce - secondo la quale la funzione della scienza sarebbe invece meramente descrittiva e non verterebbe in alcun modo sul perché del verificarsi degli eventi indagati. Dare una risposta a domande di questo tipo - dicono i sostenitori delle tesi suddette - significa fatalmente esulare dal dominio della scienza ed appellarsi in una forma o nell'altra ad ordini di necessità sottostanti ai fenomeni, che invece debbono essere considerati come il solo oggetto di ogni indagine scientifica. Il Nagel non ha difficoltà ad ammettere che tale tesi nasce da due esigenze, entrambe del tutto giustificate: 1) estromettere dalla scienza nozioni e categorie usate acriticamente e prive di autentico significato
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Introduzione
conoscitivo; 2) liquidare ogni pretesa di codificare un ordine necessario dei fenomeni. Egli sostiene però che da premesse di questo tipo non segue necessariamente, come conclusione dimostrata, il carattere descrittivo e solo descrittivo del discorso scientifico. Per difendere la tesi ora accennata, il Nagel ricava alcuni importanti argomenti dall'esame delle strutture specifiche delle leggi e delle teorie. In primo lupgo egli osserva che per conferire ad un'assunzione il titolo di legge scientifica non sono sufficienti né la forma del suo enunciato né il carattere non ristretto della sua universalità. La precisazione dei requisiti formali è senza dubbio indispensabile per determinare la struttura della legge scientifica, ma ciò che il Nagel qui sottolinea è il fatto che a tale scopo bisogna anche considerare la legge in relazione alla funzione che essa svolge concretamente nell'indagine. Una pezza d'appoggio assai convincente a questo proposito viene dal Nagel offerta attraverso l'esame del cosiddetto condizionale contro/attuale, in cui si è spesso tentato di ravvisare la condizione sufficiente per contraddistinguere dal punto di vista formale l'universalità nomica. L'inadeguatezza di tali tentativi, a giudizio del nostro Autore, risulta però palese quando si consideri che la soddisfacibilità di un condizionale contra/attuale non dipende dall'universale validità del singolo enunciato nomico, ma dalle assunzioni, sotto le quali tale enunciato viene asserito. Un condizionale contra/attuale opera quindi come un criterio metalinguistico sulle relazioni logiche intercorrenti fra il singolo enunciato nomico e le assunzioni ad esso inerenti;" la sua applicabilità dipende dalla nostra conoscenza di tali assunzioni e cioè dallo "status" dell'indagine scientifica relativa al contesto considerato: in altre parole un condizionale contra/attuale non è affatto una "formula" capace di assicurarci che, se un certo enunciato la soddisfa, esso è una legge scientifica. La necessità di evitare il ricorso a schemi astrattamente normativi è ribadita a proposito dell'importante distinzione fra leggi sperimentali e teorie. Tale distinzione deve venir formulata in base ad una considerazione dinamico-dialettica, la quale tenga conto del modo in cui si articola tutto il processo della ricerca scientifica e caratterizzi leggi sperimentali e teorie soprattutto attraverso le loro rispettive funzioni. L'impostazione ora accennata si rivela efficace particolarmente nella analisi della natura delle teorie e del loro valore conoscitivo, che l'Autore affronta allo scopo di stabilire "in qual modo esse (le teorie)' siano connesse a materie che nella pratica scientifica normale vengono considerate oggetti di osservazione e di esperimento" (v. p. 97). Perché una teoria abbia valore nell'ambito dell'esperienza non basta che i suoi termini siano definiti implicitamente per via sintattica, è ne2
Il tondo è del traduttore.
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La struttura della scienza
cessario anche che essa venga riferita agli osservabili. La funzione di collegamento fra le assunzioni primitive di una teoria e gli osservabili viene espletata dalle regole di corrispondenza, le quali sono difficilmente definibili in termini rigorosi; si potrebbe addirittura dire, non senza buone ragioni, che sarebbe erroneo volerle rendere piu precise di quanto esse ordinariamente sono. Malgrado ciò, tentativi molteplici sono stati compiuti per ottenere una definizione rigorosa di tali regole - tentativi che il Nagel esamina in dettaglio mostrandone le insufficienze e prendendo posizione specialmente contro la tesi che sta alla loro base, per cui, sarebbe possibile dimostrare la completa traducibilità degli enunciati teorici in termini di osservabili. L'esame di numerosi esempi tratti dalla effettiva pratica scientifica porta il Nagel a concludere che la funzione primaria di molti termini teorici è quella di fornire alla formulazione della teoria stessa un piu alto grado di generalità e di "rendere possibili e relativamente semplici le trasformazioni logiche e matematiche oppure di costituire uno strumento euristico per l'estensione delle applicazioni delle teorie" (v.
p. 110-111). Anche per quanto concerne l'uso dei modelli è difficile secondo il nostro Autore dare una definizione precisa ed univoca come pretenderebbero taluni neopositivisti. In via generale il modello postula l'esistenza di enti che godono delle proprietà enunciate dai postulati di una teoria e fa appello ad idee che sono già familiari; esso non fornisce schemi di enunciati ma enunciati veri e propri con un contenuto che visualizza la teoria. Da un punto di vista meramente sintattico, quzndi, non sembra necessario fare ricorso ai modelli; le scienze piu rigorosamente sintatticizzate tendono infatti a rinunciarvi, mentre in generale le altre discipline ne fanno largo consumo. Questa considerazione meramente sintattica non esaurisce però il problema. In realtà secondo il nostro Autore lo sviluppo dei sistemi di spiegazione è largamente determinato in via generale dalla ricerca di analogie strutturali fra l'argomento in esame ed argomenti già familiari. Come spiegare questo incontestabile stato di cose? La presenza di modelli nell'ambito di una teoria viene dal Nagel ricondotta in primo luogo a due tipi di analogie (analogie "sostanziali" e analogie "formali") che possono influire tanto sulla costruzione quanto sullo sviluppo delle teorie. Il prendere in considerazione un concetto cosi compromesso con la metafisica come quello di analogia appare forse un atto alquanto rischioso da parte del Nagel. Il concetto di analogia infatti è perentoriamente respinto da quei critici che ne hanno visto piu gli aspetti speculativi che non quelli scientifici. L'Autore condivide senz'altro le loro riserve antimetafisiche ma è sostanzialmente del parere che eliminare dalla scienza ogni residuo metafisica non significhi per ciò stesso rinunciare a spiegare problemi o semplificar/i artificiosamente. Lo sviluppo
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Introduzione
della scienza offre infatti ripetute conferme dell'influenza dei due tipi anzidetti di analogia sulla formazione di autentiche teorie scientifiche, nonché ripetute conferme della loro importanza per estendere l'ambito di applicazione di tali teorie. Una funzione fondamentale dei modelli inoltre è quella di contribuire "al conseguimento di sistemi di spiegazione di vasta portata" (v. p. 122). Certamente il loro impiego non è esente da pericoli, specie se si tratta di modelli "sostanziali". Può accadere infatti che qualche tratto inessenziale di un modello venga erroneamente assunto come essenziale per la teoria, che esso deve servire ad interpretare, o addirittura che venga scambiato con la teoria stessa, dando luogo a falsi problemi. Per poter valutare adeguatamente una teoria come strumento di spiegazione sistematica e di previsione si devono ancora stabilire con chiarezza due punti fondamentali: si dovrà innanzi tutto decidere che cosa si intende per realtà fisica di ogni aspetto del modello sostanzialistico in termini del quale la teoria può venire interpretata e inoltre si dovrà indagare "la questione se si possa a buon diritto ritenere che le teorie asseriscano addirittura alcunché e, in caso affermativo, che cosa asseriscano e se sia opportuno caratterizzare le teorie come enunciati veri o falsi" (v. p. 125). Il problema sopra esposto impegna l'Autore in un esame approfondito dello "status conoscitivo delle teorie". In questa discussione egli distingue l'esistenza di tre posizioni fondamentali. La prima è quella secondo cui la funzione di una teoria sarebbe eminentemente descrittiva; si ritiene cioè, in particolare, come già abbiamo accennato, che i termini teorici siano suscettibili di verifica solo in quanto risultino traducibili in un linguaggio costituito esclusivamente di termini osservativi. Non si può dire tuttavia, obietta il Nagel, che tale traducibilità sia stata sinora provata. Un linguaggio costruito in modo rigorosamente fenomenistico, sulla base di puri dati di senso non sembra infatti poter esistere in modo autonomo; esso in effetti risulterebbe costituito da una parte assai limitata del linguaggio comune, il quale - preso nella sua interezza - dà per scontate delle assunzioni sorte da un rapporto con l'esperienza tanto complesso che il puro linguaggio osservalivo non è in grado di esprimerlo. Né, d'altro lato, il problema della traducibilità può ritenersi risolto facendo ricorso ad un linguaggio piu ricco costruito sul modello di una scienza sperimentale come la fisica. I sostenitori di questa via hanno elaborato raffinate tecniche logiche per giungere alla eliminazione dei termini meramente teorici, ma è assai dubbio che i risultati da essi conseguiti confermino effettivamente l'interpretazione descrittiva delle teorie. Gli esempi di traduzione delle teorie fino ad ora realizzati per mezzo di queste tecniche - osserva il Nagel - raramente sono ricavati dalla scienza vera e propria e,
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La struttura della scienza
quando lo sono, le traduzioni in questione non vanno al di là di un semplice abbozzo. La seconda posizione esaminata è invece legata ad un'interpretazione di tipo strumentalistico delle teorie. Sec'òndo quest'ultima le teorie sarebbero essenzialmente criteri di organizzazione dell'esperienza nonché strumenti per operare su di essa. In altre parole le teorie vengono considerate "principi-guida" che non riflettono dati di fatto, ma funzionano da regole "in accordo con le quali si analizzano materiali empirici o si deducono conseguenze anziché da premesse dalle quali si traggano conclusioni fattuali" (v. p. 126). A sostegno di questa loro concezione gli strumentalisti possono certamente addurre il comportamento dei fisici, i quali ammettono l'uso di piu teorie per la comprensione dello stesso fenomeno e si ritengono in diritto di servirsi di volta in volta di quella fra esse che si rivela piu comoda e piu utile per il fine che si propongono di ottenere. Possono inoltre addurre il fatto che le teorie contengono spesso espressioni non associate con nozioni sperimentali, mostrando con ciò di dover venire interpretate "in termini della loro funzione mediatrice e strumentale nell'indagine piuttosto che in termini della loro adeguatezza quali resoconti fedeli di un qualche argomento esaminato (v. p. 141). Qualora però questa caratterizzazione delle teorie dovesse portarci alla conclusione che non ha senso chiedersi se esse siano letteralmente vere o false ma solo se siano utili, si potrebbe obiettare, secondo il nostro Autore, che tale criterio di utilità non è sufficiente per valutare la funzione di una teoria nell'ambito della scienza. È doveroso in effetti rilevare che non esiste incompatibilità fra il dire che una teoria è vera ed il sostenere che essa svolge un importante compito nell'indagine. V a inoltre osservato che uno stesso enunciato teorico può essere impiegato come premessa in un contesto e come principio-guida o regola di inferenza in un altro contesto. Ed infine molta parte della ricerca sperimentale è di fatto determinata dalla volontà di verificare se le entità ~otetiche dei processi postulati da una teoria si realizzano effettivamente nelle relazioni e nelle circostanze previste dalla teoria stessa. Né la logica né l'effettiva prassi scientifica - conclude il Nagel a questo riguardo - giustificano quindi la tesi strumentalistica secondo la quale non esiste un'alternativa valida all'interpretazione delle teorie come mere tecniche di inferenza; si può anzi dire che nel complesso esiste solo una differenza verbale fra il chiedersi se una teoria è soddisfacente (come tecnica di inferenza) e il chiedersi se una teoria è vera (come premessa). La concezione strumentalistica non escluderebbe quindi, secondo il Nagel la terza posizione, apparentemente antitetica, la quale ammette una portata oggettiva delle teorie scientifiche; egli sostiene al contrario la possibilità di un'integrazione reciproca fra le due concezioni. Gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di tale obiettivo dipen-
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Introduzione derebbero soprattutto da "tradizioni culturali", che hanno fatto sorgere in numerosi scienziati e filosofi grande diffidenza verso parole come realtà ed esistenza, le quali sono spesso usate "in maniera onorifica per esprimere un giudizio di valore e per attribuire uno status 'superiore' alle cose, di cui asserivano la realtà" (v. p. 159 ). Nell'ambito della scienza, se invece prescindiamo da siffatte "tradizioni culturali", constateremo senza difficoltà che la funzione strumentale di un concetto o di una teoria e la loro oggettività possono venire conciliate fra loro. È significativo a tale proposito lo status dei concetti-limite; per loro natura questi concetti non trovano corrispondenza piena nel mondo dell'esperienza e si può pertanto sostenere a buon diritto che essi fungono essenzialmente da principi direttivi dell'indagine; ma - come è facile dimostrare - ciò non esclude che essi trovino effettivamente conferma della loro oggettività proprio come concetti-limite. Se da un lato il nostro Autore sembra proporre una seria mediazione fra una visione strumentalistica ed una visione sostanzialmente realistica della scienza, d'altro lato però egli sembra giungere alla conclusione poco convincente che la loro differenza si riduce in ultima analisi ad un mero contrasto "over preferred modes of speech ". Tale conclusione si basa fondamentalmente su un'analisi linguistica del problema, analisi che in generale non appare mai decisiva nemmeno allo stesso Nagel. Per la verità non si può dire che egli non indichi anche questa volta argomentazioni diverse, alcune di natura logica altre ricavate dai criteri in base ai quali si parla di esistenza ed in particolare di esistenza fisica nell'ambito della scienza. Si tratta, comunque, di argomentazioni piu accennate che non approfondite. Uno sviluppo piu ampio di esse, a nostro parere, avrebbe forse messo in luce con maggiore chiarezza il fatto assai importante che la piu recente indagine sulla scienza tende a recuperare certe istanze del realismo, che il Nagel non riesce ad approfondire proprio a causa dello spostamento della questione sul terreno della mera analisi linguistica. Certamente anche in questo caso l'Autore rileva l'importanza dei differenti condizionamenti storici inerenti al contrasto fra la concezione strumentalistica e quella realistica della natura delle teorie, ma l'impprtanza di tali condizionamenti non può venire colta in tutto il suo peso, se ci si limita agli aspetti puramente linguistici di essi. Occorrerebbe fare qualche cosa di piu, ad esempio mettere in discussione anche il presupposto convenzionalistico che sta alla base della concezione strumentalistica delle teorie. Se, come abbiamo testé sottolineato, il nostro Autore non approfondisce quanto sarebbe desiderabile il problema anzidetto in sede generale, e cioè nella discussione sullo "status" conoscitivo delle teorie, lo affronta invece molto bene in un settore limitato ma assai importante: l'analisi di una teoria fondamentale della fisica - la meccanica
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La struttura della scienza
- che ha costituito il primo obiettivo della critica della scienza e da cui si è appunto sviluppato il convenzionalismo. L'acume e la precisione mostrati dal Nagel nel condurre la sua analisi della meccanica e del tipo di spiegazioni che essa fornisce, rendono il capitolo 7 di questo libro di grande interesse, non solo per i filosofi e i metodologi, ma anche per gli scienziati, preoccupati di acquisire una maggiore consapevolezza intorno agli strumenti concettuali di cui essi stessi sono soliti servirsi. Secondo il nostro Autore l'esame dei fondamenti della meccanica compiuto dal Mach e dai convenzionalisti era inteso in primo luogo a scalzare tutte le presupposizioni dogmatiche che lo stesso Newton aveva posto alla base delle assunzioni fondamentali di questa scienza; e, cosi interpretato, tale esame conserva tutta la sua efficacia. Egli ritiene tuttavia che le conclusioni ultime tratte dai convenzionalisti siano soggette a fortissime riserve. Il sostenere, per esempio, come essi fanno, che i concetti primitivi della meccanica debbano venire assunti come mere definizioni implicite di per sé inverificabili, urta contro la situazione, che di fatto si presenta quando analizziamo il procedere di questa scienza ed il tipo di spiegazione che essa ci offre per i fenomeni trattati dalle sue leggi e dai suoi principi. Cosi, si può vedere che la massa, la cui definizione dal punto di vista in questione dovrebbe risultare meramente convenzionale, si dimostra empiricamente invariante e questo ci autorizza a pensare che la convenzione stipulata nel definirla non è poi tanto libera quanto si pretende che sia. Analogamente per il principio di inerzia, se è vero che esso può venire assunto come pura definizione implicita del 'moto uniforme' o di 'intervalli di tempo uguali', vero è però che molti sono i corpi che lo verificano per approssimazione, il che contraddice la sua natura di definizione implicita. I critici convenzionalisti hanno ben ragione di sostenere che gli assiomi newtoniani non sono né verità apriori - univocamente definibili - né mere generalizzazioni induttive, ricavate dal comportamento di tutti i corpi; al di là di queste caratterizzazioni negative però non si può fare a meno di ammettere che tali assiomi funzionino anche come schemi per analizzare i moti dei corpi o come stipulazioni atte a definire certe nozioni sperimentali e che possono quindi essere "intesi come enunciati in possesso di un contenuto empirico definito" (v. p. 21 O). Un altro fattore di grande importanza per il problema della validità e dei limiti della spiegazione meccanica dei fenomeni è costituito dallo sviluppo di nuove teorie fisiche, in particolare della teoria quantistica. Tale sviluppo ha messo sotto inchiesta principi forniti di prestigio ormai secolare come quello di causalità impiegato in meccanica, onde calcolare, una volta conosciute la posizione e la velocità delle parti-
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Introduzione
celle in un istante, la posizione e la velocità di esse in un altro istante qualunque. I fisici del XIX secolo che accettavano il determinismo come un "articolo di fede scientifica" assunsero per l'appunto la definizione di stato di un sistema fisico, che è propria della meccanica delle particelle, e la estesero arbitrariamente a tutto l'universo, considerato come un sistema isolato, nel quale le leggi della meccanica codificano un ordine necessario. Il Nagel è d'accordo con i critici convenzionalisti della meccanica classica nel denunciare l'arbitrarietà di questa estensione. Egli ritiene però che il principio di causalità non debba necessariamente venir identificato con quel suo uso dogmatico. Se lo interpretiamo come principio regolativo, esso si limita ad affermare che lo stato teorico di un sistema in un certo istante determina logicamente in modo univoco lo stato di un sistema in qualunque altro istante e quindi il suo impiego continua ad essere legittimo in meccanica. Inteso nel senso anzidetto il principio di causalità, secondo il Nagel, assume essenzialmente il carattere di una norma per l'indagine scientifica e non può ritenersi sconfessato nemmeno dalle conseguenze della teoria quantistica. Secondo certe interpretazioni di tale teoria si dovrebbe ammettere l'esistenza di fenomeni assolutamente casuali, in quanto a livello submicroscopico la particella presenta una sua indeterminazione e non ha quindi senso parlare di un ordine dei fenomeni in quell'ambito, dove pertanto il principio di causalità non troverebbe alcuna applicazione. Se analizziamo accuratamente il linguaggio della fisica quantistica vediamo però, a giudizio del Nagel, che in esso con il termine casualità non si intende affatto indicare l'assoluta inesistenza di un ordine e quindi di condizioni determinanti per il presentarsi di certi eventi. In quel linguaggio il termine casualità sta invece ad indicare che a livello submicroscopico si può parlare soltanto di un ordine statistico che lascia indeterminata la posizione della singola particella. Ma in questo tipo di meccanica, si chiede il Nagel, ha senso parlare di singole particelle? Ciò che è effettivamente cambiato rispetto alla meccanica classica è la struttura del linguaggio; nel nuovo contesto non ha senso parlare di determinazione rispetto alla singola particella, ha tuttavia senso parlarne rispetto alla funzione indicante la probabilità che i vari costituenti elementari del sistema si trovino in certi punti dello spazio. Il Nagel ne conclude che non è lecito parlare di un sovvertimento radicale o di una frattura insanabile nell'ambito della meccanica. In altre parole, nulla ci costringe a porre alternative radicali al legittimo uso di principi come quello di causalità, purché lo si intenda come principio regolativo e come massima per la ricerca. Molte critiche contro la meccanica classica diffuse fra i moderni metodologi, sono viziate secondo il nostro Autore, da grossi equivoci;
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assai feconde furono invece le critiche rivolte ad abbattere le pretese metafisiche dei 'meccanicisti' i quali giustificavano l'egemonia di questa scienza nel mondo naturale, sostenendo che le sue leggi codificherebbero l'ordine necessario dei fenomeni e che pertanto le altre scienze dovrebbero riconoscere in essa il loro fondamento ultimo. L'insostenibilità del meccanismo cosi inteso non autorizza però alcuna proposta di sostituire questa egemonia della meccanica con quella di altre scienze né autorizza d'altra parte l'affermazione dell'esistenza di confini invalicabili fra scienze considerate irriducibili le une alle altre. Una proposta di questo tipo è stata avanzata attraverso il rilancio della concezione vitalistica della natura. L'assunto fondamentale di tale concezione, come si è ripresentata nei primi decenni di questo secolo, è che la spiegazione meccanicistica della natura si mostrerebbe inadeguata per quei sistemi trattati ad esempio dalla biologia che non sarebbero riducibili ai loro costituenti elementari e che pertanto non sarebbero suscettibili di analisi di tipo additivo, come i sistemi di cui tratta la fisica. Tali sistemi irriducibili sarebbero esplicabili solo come risultato del piu alto livello di organizzazione raggiunto dal processo creativo della natura, la quale darebbe origine a strutture sempre imprevedibili ed 'emergenti'; essi costituirebbero pertanto la conferma decisiva del fatto eh~ la natura si sottrae all'ordine deterministico e si esprime nella sua forma piu piena come libera attività creatrice. In questo caso, però, le argomentazioni addotte a sostegno dell'inadeguatezza della spiegazione deterministica dei fenomeni si basano su presupposti non meno arbitrari c metafisici di quelli che erano tipici del meccanicismo ottocentesco, in quanto si fondano sulla pretesa di aver colto l'essenza profonda della realtà naturale. Limitandosi alla considerazione della particolare struttura dei processi biologici e della necessità di fare uso per essi di categorie specifiche, alcuni studiosi difendono l'autonomia della biologia contro ogni tentativo di riduzione dei suoi processi ad una spiegazione piu generale (di tipo fisico-chimico). La giustificazione di tale autonomia viene da essi ricercata non in base ad una pretesa conoscenza della "natura ultima delle cose", bensi attraverso la particolare struttura dei processi biologici, richiedenti una spiegazione teleologica o funzionale oppure l'uso di particolari concetti, quale quello di totalità. La logica della spiegazione biologica risulterebbe pertanto radicalmente differenziata da quelle valide per altre scienze che si possono costruire per mezzo di concetti 'meccanici'. Merita senza dubbio un'attenta considerazione il modo in cui il Nagel conduce la confutazione dell'ultima tesi, cui si è accennato. Egli infatti non intraprende alcun tentativo di limitare pregiudizialmente la legittimità scientifica della spiegazione teleologica o del concetto di to-
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Introduzione talità. Al contrario, svolge un'ampia indagine che mette in luce la vastità della loro applicazione ed il fatto che essa non è ristretta ad un settore dell'indagine scientifica, come quello biologico. La spiegazione teleologica risulta adeguata non solo per i sistemi organici e per le loro strutture,· è possibile infatti fornire piu di un esempio in cui uno stesso sistema, sia esso fisico o biologico, è suscettibile tanto di spiegazione funzionale quanto di spiegazione 'meccanica'. Una scienza fra le piu recenti, la cibernetica, offre in questo senso gli esempi piu interessanti. L'adozione di un tipo di spiegazione o di un altro non viene perciò determinata di principio, né dalla struttura di una disciplina scientifica, né dalla natura dei suoi oggetti, ma solo dalla maggiore o minore efficacia dell'uno o dell'altra spiegazione, e può essere decisa solo in base ad una saggia strategia della ricerca. Tutto ciò non pregiudica affatto la possibilità di individuare un tipo di spiegazione generale capace di unificare vari settori della ricerca. L'indagine compiuta dall'Autore sui metodi e sui concetti adottati dalla biologia mostra infatti che la loro portata esplicativa è generale ed estendibile ad altri campi oltre a quello biologico. Proprio il fatto che non si riscontrino rigidi confini fra le varie discipline permette che si avanzi l'esigenza della loro unificazione. Tale esigenza è senza dubbio antica e ha sempre rappresentato uno degli stimoli maggiori alla riflessione filosofica sulla scienza. Essa tuttavia ha favorito anche molte soluzioni dogmatiche, nate da definizioni aprioristiche della scienza e della sua funzione o dalla arbitraria generalizzazione di leggi e di principi, appartenenti ad una disciplina particolare. (Uno degli esempi piu caratteristici in questo senso fu costituito appunto dal meccanicismo che ha dominato la visione della natura sino alla fine del secolo scorso.) La recente critica della scienza, come si è visto, ha demolito quelle soluzioni dogmatiche, escludendo la possibilità che nuove prospettive unitarie della scienza si basino su di esse. L'esigenza unitaria si deve quindi prospettare oggi in una forma nuova, che prenda le mosse dall'esame della struttura della scienza e porti ad un progresso nell'organizzazione del sapere scientifico. In questa prospettiva si inserisce, secondo il Nagel, quel tipo di unificazione del sapere scientifico che si realizza attraverso la riduzione delle teorie, unificazione che è di grande interesse per gli scienziati. L'Autore dedica al problema della riduzione un'ampia, accuratissima indagine, che costituisce una parte fra le piu convincenti dell'intero volume. In un senso molto generale si parla di riduzione, quando la spiegazione di un insieme di leggi sperimentali, inerenti ad un particolare settore della ricerca, o la spiegazione di una particolare teoria viene ottenuta per mezzo di una teoria formulata per un diverso settore della ricerca. Alcuni tipi di riduzione si ottengono per cosi dire attraverso
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il naturale sviluppo della scienza; la loro analisi non presenta particolari difficoltà. Problemi molto piu complessi vengono invece sollevati quando, attraverso la riduzione, un insieme di tratti distintivi di una certa disciplina deve venire assimilato ad un insieme di tratti distintivi palesemente dissimili. In questo caso i tratti distintivi della scienza secondaria, quella che viene ridotta, vanno ridefiniti nell'ambito di una teoria relativa ad un argomento diverso, che, proprio per la sua diversità, non comprende parecchi termini descrittivi caratteristici della scienza secondaria. Andranno quindi, in primo luogo, definite le condizioni formali in ordine alle quali le leggi sperimentali della scienza secondaria ed eventualmente la sua teoria, se ne possiede una adeguata, debbono risultar conseguenze logiche delle assunzioni teoriche della scienza primaria. Tali condizioni possono anche venir integrate da assunzioni supplementari, che rendano possibile la connessione fra particolari termini della scienza secondaria, privi di riscontro nella scienza primaria, e certi tratti caratteristici espressi dalle assunzioni teoriche di quest'ultima. L'introduzione di tali assunzioni non risulterà tuttavia sufficiente di per sé a garantire un'effettiva distinzione fra una riduzione significativa ed una che sia una mera esercitazione formale. Per loro mezzo noi otteniamo infatti non già leggi aventi lo stesso significato e la stessa funzione di quelle da cui siamo partiti, ma solamente delle espressioni simili ad esse nella struttura sintattica. Perché una riduzione possa essere ritenuta valida, essa deve fornire una spiegazione unitaria delle leggi sulle quali è stata operata ed inoltre il complesso di prove globalmente disponibili per ciascuna di queste deve soddisfare i postulati teorici della scienza primaria. Oltre alle condizioni formali ed empiriche, che devono essere soddisfatte per operare una riduzione valida, il Nagel insiste infine sulla funzione specifica che una riduzione è tenuta ad assolvere. A tale scopo è necessario, secondo lui, tenere presente che "le scienze hanno una storia e che la riducibilità di una scienza ad un'altra o l' irriducibilità di una scienza ad un'altra è contingente e dipende dalla teoria specifica utilizzata dalla seconda disciplina in un momento ben definito" (v. p. 3 73). Se tale situazione non viene tenuta nel debito conto, si corre ancora il rischio di discutere del problema come se riguardasse "una qualche struttura ultima ed immutabile dell'universo" (v. p. 373). Il problema della riduzione, che è eminentemente logico ed empirico, si trasformerebbe allora in una forma di speculazione sulle presunte proprietà od essenze, di cui tratta la scienza. La possibilità di una riduzione deve perciò venir discussa in relazione ad uno stadio ben determinato di sviluppo delle discipline in questione e solo in tal modo essa può risultare feconda di nuovi risultati. Le ultime considerazioni testé accennate a proposito della riducibili-
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Introduzione
tà delle teorie trovano conferma anche nell'esame che l'Autore compie della struttura delle scienze sociali e della logica della spiegazione storica. L'interesse dell'uomo per i fenomeni sociali è certo antico, ma il costituirsi delle ricerche attorno a tali fenomeni in forma organica è invece un fatto piuttosto recente e non si può dire che fino ad ora sia stata costruita una teoria generale empiricamente garantita capace di spiegare questi fenomeni in termini di un sistema unitario di assunzioni. Questa particolare situazione comporta fra gli studiosi atteggiamenti assai discordi su questioni metodologiche di fondo: una fra le piu importanti è quella relativa alla possibilità o meno di determinare leggi generali per i fenomeni sociali, tenuto conto che secondo taluni interpreti la struttura complessa di tali fenomeni non permetterebbe di individuarne tutte le variabili e quindi di determinare le condizioni precise da · cui dipendono. Argomentazioni di questo tipo vengono frequentemente addotte da coloro che tendono a stabilire una partizione netta fra scienze naturali e scienze umane e a sostenere il carattere specifico e irriducibile dei metodi di indagine di cui queste ultime si servono. Un'analisi di tali metodi di indagine svincolata da preconcetti e da convinzioni aprioristiche circa la natura dei fenomeni sociali mette tuttavia in luce il fatto che le scienze che ne trattano hanno il carattere di ricerca empirica controllata e danno luogo a generalizzazioni costanti capaci di determinare le condizioni da cui quei fenomeni dipendono. Né dal punto di vista logico né dal punto di vista empirico quindi, osserva il Nagel, si attingono prove definitive del carattere specifico e inconfrontabile dei metodi adottati dalle scienze sociali. Per chiarire problemi di fondo come quelli testé accennati si rivela ancora una volta di capitale importanza il fatto che la nostra valutazione sia sempre riferita allo stadio di sviluppo raggiunto dalle discipline di cui vogliamo indagare la struttura. Soltanto con un atteggiamento di questo tipo, conclude il Nagel, ci si rende conto che l'uso di metodi e di tecniche particolari in una disciplina scientifica dipende dall'applicazione corretta di una strategia della ricerca, che indica gli strumenti adatti al grado di sviluppo di ogni particolare indagine, e non dipende invece dall'aver definitivamente fissato la natura degli enti e dei processi indagati. Neppure dall'analisi della logica della spiegazione storica, a giudizio del Nagel, viene messo in luce alcun elemento che permetta di considerarla un tipo di spiegazione sui generis non confrontabile con quelle fornite dalle altre discipline scientifiche. . Il fine cui tende la spiegazione storica è infatti per il Nagel quello di identificare il complesso di fattori determinante gli eventi di cui tratta. Affermare ciò non significa, tuttavia, ammettere l'esistenza di leggi a priori che governino la storia né attestare la presenza nel corso degli
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eventi storici di una necessità "ineluttabile", capace di travolgere la libera iniziativa dell'uomo. Né significa l'imposizione artificiosa alla storia di tecniche logiche ed empiriche nonché di schemi di spiegazioni ritenuti aprioristicamente piu validi o piu rigorosi. Né la struttura delle scienze sociali né la logica della spiegazione storica escludono però, secondo il Nagel, la funzione regolativa ed euristica del determinismo sullo sviluppo della ricerca scientifica, quando per determinismo si intenda una norma per la ricerca che esprima in forma generale "uno dei principali obiettivi della scienza positiva, vale a dire la scoperta delle determinanti per il verificarsi di eventi" (v. p. 623 ). Se l'esigenza di teorie sempre piu generali e di spiegazioni sempre piu unitarie ha un senso, e per il Nagel certo ne ha, lo si può tuttavia giudicare solo tenendo presente la situazione concreta in cui si muovono le varie discipline. Tale situazione concreta risulta comprensibile, solo alla luce di un'analisi dei loro metodi e delle loro strutture, non pregiudicata da ideali precostituiti di scientificità, ma sempre diretta a stabilire la portata oggettiva dei risultati conseguiti dalla scienza e il loro contributo al processo di organizzazione del sapere. Questo libro, come risulta ormai chiaro, presenta una circostanziata denuncia delle molteplici insufficienze della recente critica della scienza: insufficienze che sembrano al Nagel causate principalmente da un'analisi non adeguata delle sue basi logiche e sperimentali, nonché da un'angustia nelle prospettive entro le quali viene situato il discorso generale sul significato e sulla funzione della scienza. Le riserve del Nagel sono principalmente indirizzate, come già si è visto, alla critica della scienza che si è andata sviluppando nell'ambito del neopositivismo. Ciò non significa però che egli si orienti verso un atteggiamento di recupero di certe istanze pregiudiziali circa la necessità di una definizione preliminare della scienza e del suo oggetto, tipico di correnti filosofiche cui il Nagel rimane estraneo. Si inserisce invece deliberatamente nello stesso filone critico-metodologico in cui è innestato il neopositivismo, pur cercando di delinearne nuovi sviluppi. Le insufficienze del neopositivismo denunciate dal Nagel nascono dalla pretesa di aver fornito un modello definitivo di scientificità e quindi di aver definito anche il compito critico della filosofia nei confronti della scienza, facendolo consistere in un'azione di controllo pressoché meccanico degli enunciati scientifici per mezzo di schemi di verifica fissati una volta per tutte. Tale atteggiamento ha avuto origine dall'irrigidirsi di alcune esigenze, che all'inizio furono di rinnovamento, manifestate dal processo della scienza in una certa fase del suo sviluppo, durante la quale, sono .entrati in crisi i metodi e addirittura i criteri tradizionali della verità scientifica. L'irrigidimento, secondo il Nagel, è nato soprattutto dalla mancata
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Introduzione
consapevolezza del fatto che la crisi denunciava la inadeguatezza di una concezione statica della scienza. Dietro la crisi di certezza manifestata dalla scienza, stava senza dub· bio la giusta insofferenza nei confronti della tradizionale assegnazione alle leggi e alle teorie scientifiche del compito di rispecchiare una pretesa necessità oggettiva dei fenomeni, assegnazione che non sapeva piu rendere conto delle molteplici forme in cui le nuove teorie li organizzavano e che mostrava ormai chiaramente il suo riferimento a entità inverificabili. Tale situazione venne interpretata dai neopositivisti come indicante la necessità di fissare alla scienza dei criteri di verifica incontrovertibili, facendo ricorso da un lato alla immediatezza sensibile, non pregiudicata da alcuna condizione che ne vincolasse la disponibilità, dall'altro alla libera organizzazione di essa secondo schemi vincolati solo dal rispetto di regole convenzionalmente fissate. La scienza, per cosz dire, militante, venne allora presa in considerazione non in se stessa ma solo allo scopo di estrapolarne quelle proposizioni che resisterebbero al vaglio dei criteri di verifica incontrovertibili sopra ricordati e che dovrebbero servire alla ricostruzione dell'edificio del sapere rigoroso. Un'analisi della struttura della scienza obbediente a tali schemi, finisce però oggi fatalmente con il fornire un'immagine astratta e artificiosa di essa. La vera fisionomia della scienza deve invece venire cercata secondo l'Autore attraverso una considerazione dinamico-dialettica del suo sviluppo, che sola permette di tenere conto dei numerosi fattori che intervengono nell'elaborazione di nuove teorie, di vedere a quali problemi dia adito la comparsa di queste ultime ed inoltre di comprendere quale sia la complessa funzione, e quale la garanzia propria della conoscenza scientifica. È per l'appunto sul terreno specifico della discussione circa le garanzie della conoscenza scientifica che il Nagel vede manifestarsi il sintomo forse piu indicativo dei limiti della concezione neopositivistica della scienza. Il neopositivismo ha indicato quelle garanzie nella funzione meramente descrittiva delle teorie e nell'assenza in esse di termini teorici che non risultino traducibili in linguaggio di osservabili. L'aver ora mostrato l'inadeguatezza di tale concezione rimette in discussione il problema della verità delle teorie scientifiche, nonché quello della loro portata oggettiva. Le insufficienze del neopositivismo su questo specifico terreno sono già state denunciate da vari autori e si può anzi dire che il dibattito è aperto specie nel modo filosofico americano, che continua a dimostrarsi il piu sensibile alla problematica filosofica riguardante la scienza. Il Nagel però non si limita come altri hanno fatto ad auspicare o a proporre una 'liberalizzazione' degli schemi in cui il neopositivismo ha rinchiuso la scienza e le sue teorie: egli rivendica alla scienza il compito di
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fornire 'spiegazioni sistematiche e controllabili alla prova dei fatti' e impernia la sua tesi su un rigetto del convenzionalismo nonché di tutte le sue implicanze soggettivistiche giungendo a riproporre alla filosofia un attento esame del realismo. Una proposta come questa di E. Nagel ha senza dubbio un certo sapore di scandalo specie per la cultura italiana. Se infatti il realismo può legittimamente aspirare a vedersi riconosciuta una dignità filosofica nella cultura anglosassone - potendo invocare in sua difesa pensatori come G. E. Moore, che tanta influenza esercitò su filosofi contemporanei fortemente impegnati nella riflessione sulla scienza (basterà a questo proposito ricordare B. Russell), e come Ch. S. Peirce che dichiarò apertamente il suo realismo logico - in Italia invece il realismo viene solitamente considerato la piu squalificata fra le posizioni filosofiche, sinonimo senz'altro di metafisica della specie piu dogmatica. È convinzione diffusa che l'idealismo abbia fatto giustizia di esso in modo definitivo attraverso una critica risultata accettabile anche a quei pensatori che non si sono professati seguaci dell'idealismo e che è talora servita di rincalzo, per cosi dire, all'adesione di molti filosofi italiani al convenzionalismo scientifico affermato dal neopositivismo. Tale processo di esclusione del realismo dal no vero delle prospettive filosofiche degne di considerazione non può tuttavia non suscitare qualche perplessità circa la adeguatezza delle sue motivazioni. Proprio perciò è lecito pensare che la proposta, contenuta nel libro del Nagel, possa venir accolta nella nostra cultura come una seria occasione per riprendere in attento esame quelle motivazioni e per riflettere senza pregiudizi di sorta se una nuova impostazione realistica del problema della scienza non possa aiutarci, piu di una idealistico-convenzionalistica, a comprendere nella sua concreta e complessa effettività l'autentico lavoro degli scienziati. Aurelia Monti
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A Edith
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Prefazione dell'autore
La scienza come forma istituzionalizzata di ricerca ha prodotto molteplici frutti. Fra i suoi prodotti quelli che generalmente godono di migliore stampa sono gli strumenti tecnologici che hanno trasformato le forme tradizionali dell'economia umana ad una velocità sempre maggiore. Essa è inoltre responsabile di molte altre cose che non stanno al centro della pubblica attenzione al presente, per quanto alcune di esse siano state e continuino ad essere apprezzate come la piu preziosa messe della ricerca scientifica. Fra queste le piu importanti sono: il conseguimento di una conoscenza teoretica generalizzata riguardante le fondamentali condizioni determinanti per il presentarsi di svariati tipi di processi e di eventi; la emancipazione della mente umana da antiche superstizioni nelle quali assai spesso sono radicati usi primitivi e timori ossessivi; l'aver minato le fondamenta intellettuali di dogmi religiosi e morali, con un conseguente indebolimento del margine di copertura che la dura scorza creata dalla irrazionalità del costume fornisce alla con_til!uazione_-~èile ingiu-stiZie sq~iaìT;--e;pfliiri generafe,ilgraduale. e sempre piu diffuso sviluppo di un atteggiamento intellettuale di critica delle credenze tradizionali, sviluppo che è frequentemente accompagnato dalla adozione, in domini da cui in passato era escluso il pensiero critico sistematico, di metodi logici per valutare, sulla base di dati di osservazione attendibili, i meriti di differenti assunzioni concernenti questioni di fatto o di scelte tattiche. Malgrado la brevità di questo elenco parziale, risulta sufficientemente evidente il contributo della impresa scientifica non solo alla articolazione ma anche alla realizzazione di aspirazioni generalmente associate alla idea di una forma liberale di civiltà~ Basta questo solo fatto a impedire che ci si -meravigli cheTa-sdenza. possa essere, in quanto modo per acquisire un dominio pratico ed intellettuale sugli eventi, oggetto di continuo ed attento studio. Comunque sia, la registrazione delle riflessioni sulla natura della indagine scientifica, e sul suo significato per la vita umana risale ai primordi della scienza teoretica nel mondo greco; e sono poche le figure di rilievo nella storia della filosofia occidentale
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che non si sono profondamente impegnate a riflettere sui problemi suscitati dalle scienze del loro tempo. Di conseguenza, per quanto il nome "filosofia ,de1la scienza", per una speciale branca di studio, sia relativamente recente, il nome designa indagini che proseguono senza soluzione di continuità quelle che sono state compiute per secoli e catalogate sotto le distinzioni tradizionali della filosofia quali "logica", "teoria della conoscenza", "metafisica" e "filosofia morale e sociale". Inoltre, malgrado l'impressione talora suscitata dal frequente ricorrere del termine in titoli dati a libri, corsi di studio e società di cultura, l'impressione cioè che esso denoti una disciplina chiaramente delimitata che tratta di un gruppo di questioni strettamente connesse, la filosofia della scienza come viene di solito coltivata non è un settore di analisi ben delimitato. Al contrario coloro che si dedicano a tale settore usano spesso metodi e perseguono fini fortemente divergenti; e le discussioni comunemente classificate come appartenenti al settore in questione spaziano nel loro complesso sopra la maggior parte di quell'insieme eterogeneo di problemi che ha costituito l'ambito tradizionale della filosofia. Il presente libro, per quanto sia un saggio di filosofia della scienza, tratta di un gruppo di problemi piu omogeneo, ed il suo ambito è con. trollato dall'obiettivo di analizzare la struttura logica dell'indagine scientifica nonché la struttura logica dei suoi prodotti intellettuali. Esso -è in primo luogo un esame degli schemi logici che emergono nella organizzazione della conoscenza scientifica ed anche dei metodi logici il cui impiego (malgrado i frequenti mutamenti nelle sue tecniche speciali e le rivoluzioni concernenti il suo supporto teorico) è il tratto distintivo piu costante della scienza moderna. Il libro pertanto non prende in considerazione molti risultati spesso discussi estesamente in lavori istituzionali ed in corsi di filosofia della scienza, che a me non sembrano rilevanti per il fine che il libro stesso si propone - per esempio, risultati conseguiti nella epistemologia della percezione sensoriale, oppure in sintesi cosmiche che mirano a rendere "intelligibile" la totalità dei risultati scientifici specialistici. Non ho invece esitato a prendere in considerazione risultati che possono apparire connessi in modo remoto alla effettiva pr~i scientifica, se la loro discussione poteva contribuire ad una comprensione piu chiara del metodo scientifico e dei suoi frutti per esempio questioni concernenti la traducibilità delle teorie scientifiche in enunciati relativi ai dati dell'osservazione sensoriale o la portata della credenza nel determinismo universale in rapporto alle attribuzioni della responsabilità morale. L'ordine secondo il quale i problemi sono trattati riflette in parte la importanza che io attribuisco al raggiungimento di spiegazioni ben fondate come ideale scientifico essenziale e caratteristico della scienza. A prescindere da tale importanza però lo studio della logica della scienza può venire diviso ai fini della analisi e della esposizione in tre parti
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Prefazione dell'Autore
essenziali. La prima è dedicata a problemi che trattano in primo luogo della natura delle spiegazioni scientifiche: le loro strutture logiche, le loro reciproche relazioni, le loro funzioni nell'indagine ed i loro mezzi per sistematizzare la conoscenza. La seconda parte si incentra .su questioni concernenti la struttura logica dei concetti scientifici: la loro articolazione per mezzo delle diverse tecniche di definizione e di misurazione, i loro legami con i dati osservativi, e le condizioni sotto le quali essi sono scientificamente significativi. La terza parte è diretta verso problemi che trattano della valutazione delle tesi conoscitive tipiche delle varie scienze, la struttura della inferenza probabile, i principi impiegati nel valutare le prove, e la conferma delle argomentazioni induttive. Questi tre gruppi di problemi in parte coincidenti costituiscono _lo_g!~a,_g~llll. l'orizzonte di uno SJ.l:J.9i2. sisteJ:IJ.ati_camente unifica tg_ c:lt!l~ _ scienza; nondimeno, ciascun gruppo di questioni può venir esplorato con dei riferimenti solo occasionali agli argomenti sussunti sotto gli altri gruppi di questioni. Per conseguenza, sebbene questo libro sia dedicato eminentemente alle questioni che cadono sotto la prima delle suddette parti - i problemi trattati nelle altre due verranno discussi dettagliatamente in un volume che è in corso di preparazione - il pre· sente volume è del tutto autonomo e completo; ed in esso temi centrali per le altre due parti che richiedono però un riferimento immediato, sono fatti oggetto di una sia pur breve considerazione. Ho cercato di scrivere questo libro per un pubblico piu vasto di quello degli studiosi professionisti di filosofia, nella convinzione che anche se alcuni problemi discussi in esso hanno interesse solo per gli studiosi di professione il libro nel suo complesso tratta di questioni che presentano un interesse che supera l'ambito strettamente professionale. Ho perciò evitato la presentazione di analisi in veste altamente formalizzata o l'uso della speciale notazione simbolica della moderna logica formale, per quanto un formalismo rigoroso sia altamente apprezzabile per la risoluzione di certi problemi tecnici. Sarebbe stato incoerente con il fine centrale di questo libro escludere tutti i riferimenti a difficoltà tecniche riguardanti le nozioni impiegate in speciali branche della scienza; d'altro lato il libro si sforza di spiegare tali nozioni quando esse non sembrano facilmente accessibili a molti dei lettori che io desidero con questo libro avvicinare. Ho anche cercato di illustrare il carattere del metodo scientifico in vari concreti domini della scienza - nelle scienze sia biologiche che fisiche. Ho cercato di fare ciò, anche se ho omesso la trattazione di varie altre discipline speciali che in origine avevo l'intenzione di analizzare, in parte per rendere chiaro ad un pubblico di vario tipo il fatto che, malgrado importanti differenze, vi è una continuità logica di fondo nelle operazioni della intelligenza scientifica, ed in parte per fornirgli una larga base per valutare con senno e prudenza la marea che oggi si rovescia (spesso ad opera di un sapere piu elevato) contro il lavoro della ragione scientifica.
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Vari capitoli in questo volume includono in una forma ampiamente rielaborata materiale pubblicato in precedenza. Desidero ringraziare gli editori dei seguenti articoli per avermi gentilmente concesso di servirmene nel presente volume "The Causai Character of Modern Physical Theory" in Freedom and Reason (a cura di S. Baron, E. Nagel, e K. S. Pinson), The Free Press, Glencoe, Ili., 1951; "The Meaning of Reduction in the Natura! Sciences" in Science and Civilization (a cura di R. C. Stauffer), The University of Wisconsin Press, 1949, con l'autorizzazione .dei Rettori della Università del Winsconsin; "Teleological Explanation and Teleological Systems", 1954; "Wholes, Sums and Organic Unities", Philosophical Studies, 1952; "Mechanistic Explanation and Organismic Biology" e "Determinism in History", Phylosophy and Phenomenological Research, 1951 e 1960; e "Some Issues in the Logic of Historical Analysis", Scientific Monthly, 1952, con l'autorizzazione della American Association for the Advancement of Science. È un privilegio dell'autore riconoscere i debiti personali che egli ha contratto nello scrivere il suo libro, e per quanto non mi sia possibile elencare tutte le persone che io annovero fra i miei creditori citerò le principali. Il mio interesse per la filosofia della scienza fu suscitato per la prima volta dal mio maestro Morris R. Cohen, ed io conservo gratitudine per lui a motivo dell'indirizzo che egli diede al mio pensiero nonché per il continuo stimolo fornitomi dai suoi insegnamenti. Rudolph Carnap e Philip Frank non sono stati formalmente miei maestri ma io ho tratto grande profitto dalle numerose discussioni avute con entrambi sin dal 19.34 sulla logica della scienza; analogamente dalle illuminanti conversazioni avute con Paul F. Lazarslfeld durante molti anni ho ricevuto preziosi insegnamenti relativi ai problemi metodologici della ricerca empirica nelle scienze sociali. Ho ricevuto molti aiuti ed incoraggiamenti anche da altri amici; Abraham Edel, Albert Hofstadter, Sydney Hook: con tutti costoro sin dalla giovinezza ho potuto tenere discussioni fìlòsofiche di alto valore, e ho tratto inoltre grande vantaggio dalle loro critiche sulle varie parti del mio lavoro nel corso della sua elaborazione; John C. Cooley, Paul Edwards, Herbert Feigl, Charles Fraenkel, John Gregg, Cari G. Hempel, Sydney Morgenbesser, Meyer Schapiro e Patrick Suppes hanno fortemente contribuito alla chiarificazione delle mie idee durante le molte discussioni che ho avuto con loro; mia moglie, alla quale il volume è dedicato, che ha servito pazientemente come pietra di paragone per la comprensibilità di molte delle cose dette nel libro. Sono profondamente grato alla John Simon Guggenheim Memoria! Foundation, alla Rockefeller Foundation, ed al Center for Advanced Study in the Behavioral Scien:ces per avermi dato la possibilità di studiare e di scrivere. E. N. South Wardsboro, Vermont Agosto 1960.
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Capitolo primo
Introduzione: scienza e senso comune
Molto prima dell'inizio della civiltà moderna, gli uomini acquisirono un vasto bagaglio di informazioni sull'ambiente che li circondava. Impararono a riconosdere le sostanze che li nutrivano; scoprirono l'uso del fuoco e svilupparono delle abilità tecniche per trasformare le materie prime in ripari, indumenti e utensili. Inventarono l'arte di coltivare il suolo, e quelle di comunicare e di governarsi. Alcuni di loro scoprirono che gli oggetti vengono trasportati piu facilmente se posti su un carro munito di ruote, che le estensioni dei campi risultano confrontabili con maggiore attendibilità quando si ricorra a sistemi fissi di misura, e che le stagioni, come pure molti fenomeni celesti, si succedono con una certa regolarità. L'ir,onica osservazione rivolta da Locke ad ·. Aristotele - che Dio non fu poi cosi avaro con gli uomini da crearli semplicemente dotati di due gambe, lasciando poi ad Aristotele il compito di rendierli razionali - sembra potersi ovviamente applicare anche alla scienza moderna. La conquista di conoscenze attendibili, relative a molti aspetti del mondo, certamente non attese l'avvento della scienza moderna e l'uso consapevole dei suoi metodi. Di fatto, a questo riguardo, vi sono in ogni generazione molti uomini che ripetono nella propria vita la storia della razza cui appartengono; essi si procurano capacità tecniche e informazioni competenti, senza beneficiare dell'insegnamento della scienza e senza adottare consapevolmente i suoi modi di procedere. Se si può giungere cosi avanti sulla via della conoscenza con un acuto esercizio dei doni naturali e dei metodi del "senso comune", qual è la particolare eccellenza posseduta dalla scienza, e in che cosa contribuiscono all'acquisizione della conoscenza i suoi elaborati strumenti intellettuali e materiali? La domanda richiede una risposta accurata, se si vuole associare alla parola 'scienza' un significato definito. Certamente questa parola e le sue varianti linguistiche non sono sempre adoperate con discernimento; spesso vengono usate al semplice scopo di conferire una distinzione onorifica a questa o a quella cosa. Molti uomini sono orgogliosi di essere "scientifici" nelle loro credenze 7
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e di vivere in "un'epoca scientifica". Tuttavia, molto spesso l'unico fondamento che si possa trovare a un tale orgoglio è la loro convinzione di essere, a differenza dei propri avi e dei vicini, in possesso di qualche pretesa verità definitiva. È in questo spirito che teorie correntemente accettate nei campi della fisica e della biologia sono talvolta descritte come scientifiche, mentre si rifiuta con feqnezza questa etichetta a tutte le teorie precedentemente sostenute negli stessi campi, ma oggi non piu accreditate. In modo analogo, alcuni tipi di procedimenti, come tecniche agricole e industriali, che risultano vantaggiosi nelle condizioni fisiche e sociali predominanti vengono talora contrapposti a procedimenti cosiddetti "non scientifici" di altri tempi e di altri luoghi. Forse una forma estrema della tendenza a destituire il termine 'scientifico' di ogni contenuto definito è illustrata dall'uso pubblicitario di frasi come le seguenti: 'taglio scientifico dei capelli', 'pulitura scientifica dei tappeti' e perfino 'astrologia scientifica'. È chiaro tuttavia che in nessuno degli esempi ora citati si può rintracciare a prima vista una caratteristica ben identificabile e differenziante di credenze e di procedimenti associati con il termine 'scienza'. D'altra parte sarebbe certamente erroneo accogliere il suggerimento, implicito nel primo esempio, di limitare l'applicazione dell'aggettivo 'scientifico' a quelle credenze che sono vere in modo incontrovertibile - se non altro per il fatto che garanzie infallibili di verità mancano nella maggior parte, se non in tutti i campi, di ricerca, cosicché l'adozione di tale suggerimento equivarrebbe in realtà a privare l'aggettivo in esame di qualsiasi uso appropriato. Ciononostante le parole 'scienza' e 'scientifico' non sono cosi vuote di un contenuto determinato quanto potrebbero far pensare i loro usi spesso banalizzati; di fatto queste parole servono per designare sia un'opera identificabile e continua di ricerca, sia i suoi prodotti intellettuali, e vengono spesso impiegate per indicare quei tratti caratteristici ·che li distinguono da altri oggetti. In questo capitolo faremo perciò una rapida rassegna di alcuni degli aspetti per cui la conoscenza "prescientifica" o "del senso comune" differisce dai prodotti intellettuali della scienza moderna. Certamente, non esiste una linea precisa di demarcazione tra quelle credenze generalmente raccolte sotto il titolo familiare ma vago di "senso comune" e gli enunciati conoscitivi riconosciuti come "scientifici". Tuttavia, come accade per altre parole i cui campi di prevista applicazione hanno frontiere notoriamente incerte (ad es. per la •parola 'democrazia'), l'assenza di precise linee divisorie non è incompa. tibile con la presenza di almeno un nucleo di significato sicuro per eia~scuna delle parole in questione. In ogni caso infatti si riscontra che nei loro usi piu sobri queste parole implicano differenze importanti e ben riconoscibili. Sono appunto queste differenze ciò che dobbiamo cercare di identificare, a costo di accentuarne qualcuna, per rendere piu chiara ed evi·dente la nostra esposizione.
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l. Nessuno mette seriamente in discussione il fatto che molte delle scienze particolari esistenti sono nate da necessità pratiche della vita quotidiana: la geometria è sorta da problemi di misurazione e di valutazione dei campi, la meccanica da problemi nati nell'arte militare e in architettura, la biologia da problemi relativi alla salute degli ess·eri umani e all'allevamento degli animali, la chimica da problemi incontrati nelle industrie metallurgiche e dei coloranti, l'economia da problemi di governo e di amministrazione, e cosi via. Certamente altri stimoli, oltre a quelli suscitati da problemi di natura pratica, hanno contribuito allo sviluppo delle scienze; tuttavia questi ultimi hanno avuto, e continuano tuttora ad avere, un ruolo importante nella storia della ricerca scientifica. In ogni caso, vi sono stati dei critici della scienza i quali, particolarmente colpiti dalla continuità storica tra le convinzioni del senso comune e le conclusioni scientifiche, hanno proposto di distinguere le une dalle altre per mezzo della seguente formula: le scienze non .sono altro che senso comune "organizzato" o "classificato". Non c'è alcun dubbio che le scienze sono corpi di conoscenza organizzati e che in ognuna di esse è inderogabilmente necessaria una classificazione degli oggetti studiati in tipi o generi significativi (come, in biologia, la classificazione degli esseri viventi in specie). È chiaro tuttavia che la formula proposta non esprime adeguatamente le differenze caratteristiche tra scienza e senso comune. Le osservazioni di un conferenziere sui suoi viaggi in Africa possono essere organizzate benissimo ai fini di comunicare informazioni in modo interessante ed efficace, senza tuttavia che questo trasformi tali informazioni in ciò che è stato storicamente chiamato una scienza. Un catalogo librario rappresenta una importantissima classificazione di libri, ma nessuno, il quale conosca le implicazioni storiche della parola scienza, sosterrebbe che il catalogo è una scienza. La difficoltà sta evidentemente nel fatto che la formula proposta non specifica il genere di organizzazione o di classificazione caratteristico della scienza. Rivolgiamo perciò la nostra attenzione su questo punto. Una caratteristica molto importante della maggior parte dell'informazione acquisita nel corso dell'esperienza ordinaria è che tale informazione, benché possa essere, entro certi limiti, sufficientemente precisa, raramente è accompagnata da una spiegazione delle cause per cui i fatti stanno nel modo descritto. Cosi società che hanno scoperto l'uso della ruota generalmente non sanno nulla sulle forze d'attrito, né sulle ragioni per cui è piu facile trasportare delle merci caricandole su veicoli dotati di ruote che non trascinandole per terra. Molti popoli hanno scoperto la convenienza dell'uso dei concimi, ma soltanto pochi si sono occupati delle ragioni di essa. Le proprietà medicinali di piante del tipo della digitale sono state note per secoli, senza che in genere si desse alcuna ragione delle loro proprietà benefiche. Anzi, quando il "senso comune" ha cercato di fornire qualche spiegazione di tali fatti - per esempio
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quando si è spiegato il potere della digitale come cardiotonico mediante la somiglianza tra la forma del fiore e quella del cuore umano - tali spiegazioni in genere non erano accompagnate da alcun controllo critico del loro reale rapporto con i fatti in questione. Il senso comune meriterebbe spesso di ricevere il ben noto consiglio dato da Lord Mansfield a quel governatore di colonia nominato di fresco e poco versato nel di;' ritto: "Non vi è nessuna difficoltà nel giudicare un caso - basta che ascoltiate pazientemente ambo le parti, poi consideriate quello che sei condo voi è richiesto dalla giustizia, quindi decidiate di conseguenza; · ma non fornite mai le vostre ragioni, perché il giudizio che pronunciate sarà probabilmente giusto, ma le vostre ragioni saranno certamente sbagliate." È il desiderio di spiegazioni che siano nello stesso tempo sistematiche e controllabili dalla prova dei fatti ciò che genera la scienza; ed ~I'organizzazione e la classificazione della conoscenza sulla base di principi esplicativi lo scopo distintivo delle scienze! Piu specificatamente, le scienze cercano di scoprire e formulare in termini generali le condizioni in cui si compiono eventi di vario genere; l'enunciazione di tali condizioni determinanti costituisce la spiegazione dei relativi eventi. Tale scopo può venir raggiunto solo distinguendo o isolando certe proprietà nell'oggetto che si sta studiando, e accertando i__t_?l?Q!:!L!:!.P~_t:i bili di dipendenza in cui stanno tra loro tali proprietà. Di conseguenza, ·quando tale ricerca ha raggiunto lo scopo, proposizioni che prima sembravano del tutto prive di relazioni reciproche sono presentate come reciprocamente connesse in modo ben definito, in virtu del posto da esse occupato entro_ un sistema di spie~azioni. In alcuni casi accade di fatto che tale ricerca possa venir notevo mente estesa. Si possono scoprire schemi di relazioni che pervadono vaste .~,gioni di f~tJ:}_, cosi che per mezzo di un numero limitato di principi esplicativi si può dimostrare che un numero indefinitamente grande di proposizioni relative a tali fatti costituisce un corpo di conoscenze logicamente unificato. In alcuni casi l'unificazione prende la forma di un sistema deduttivo, come accade per la geometria e per la meccanica razionale. Cosi un numero limitato di principi, quali quelli formulati da Newton, sono sufficienti a dimostrare che proposizioni relative al moto della Luna, al comportamento delle maree, alla traiettoria dei proiettili e alla salita dei liquidi in tubi sottili risultano intimamente collegate, e che tutte queste proposizioni possono venir rigorosamente dedotte da quei principi combinati con alcune particolari assunzioni di fatto. In tal modo si raggiunge per i diversi fenomeni una spiegazione sistematica esprimendoli in proposizioni logicamente derivate. Non tutte le scienze esistenti presentano la forma altamente completa di spiegazione sistematica posseduta dalla meccanica, benché per molte di queste scienze - tanto nel campo della ricerca sociale quanto nelle varie branche della scienza naturale - l'idea di una simile siste-
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matizzazione logica rigorosa persista ad avere la funzione di ideale. Ma anche per quelle particolari branche di ricerca che non perseguono tale ideale, come la maggior parte delle ricerche storiche, lo scopo di trovare spiegazioni di fatti è solitamente sempre presente. Gli uomini vogliono sapere perché le tredici colonie americane si ribellarono all'Inghilterra mentre il Canada non si ribellò, perché gli antichi greci seppero respingere i persiani, ma soccombettero di fronte alle armate romane, e perché nell'Europa medioevale le attività urbane e commerciali si svilupparono nel X secolo e non prima. Lo spiegare, lo stabilire relazionf\ ~ di interdipendenza tra proposizioni che apparentemente non ne hanno, il mostrare l'esistenza sistematica di collegamenti tra contenuti di informazione apparentemente riuniti senza un ordine, sono le caratteristiche distintive della ricerca scientifica. 2. Un certo numero di ulteriori differenze tra il senso comune e la conoscenza scientifica sono conseguenze pressoché dirette del carattere sistematico di quest'ultima. Una caratteristica ben definita del senso comune è costituita dal fatto che esso, qualunque sia l'esattezza della conoscenza che offre, raramente è conscio dei limiti entro cui sono valide le sue credenze ed efficienti i suoi metodi pratici. Una comunità, la quale segua la regola che la concimazione conserva la fertilità del suolo, può in molti casi seguitare a mettere in pratica con successo il suo sistema di agricoltura; ma può anche darsi che continui a seguire questa regola ciecamente, nonostante l'evidente de, teriorarsi del terreno, e si trovi cosi impotente di fronte a una crisi delle sue risorse alimentari. Quando invece sono state comprese le ragioni dell'efficacia del concime come fertilizzante, in modo che la regola è messa in relazione a principi di biologia e di chimica del terreno, si riconosce che essa possiede solo una validità ristretta, in quanto si scopre che l'efficacia della concimazione dipende dalla persistenza di condizioni abitualmente ignorate dal senso comune. Pochi, tra quanti li conoscono, possono rifiutare la loro ammirazione alla solida indipendenza di quei coltivatori che, con una scarsa cultura formale, si sono muniti di una grandissima abilità e di solide informazioni su tutto quanto concerne l'ambiente che immediatamente li circonda. Tuttavia, anche la tradizionale inesauribile capacità di risorse del coltivatore ha limiti angusti; spesso accade che egli sia impotente di fronte a qualcosa che ha spezzato la normale routine; perché le sue risorse sono frutto dell'abitudine e della tradizione, e non sono sostenute dalla conoscenza delle ragioni del loro successo. Piu generalmente parlando, la conoscenza fornita dal senso comune èpiu adeguata a quelle situazioni in cui rimane praticamente immutato un certo numero di fattori. Ma poiché normalmente non viene riconosciuto il fatto che tale adeguatezza dipenda dalla costanza di quer, fattori - anzi, può essere addirittura ignorata l'esistenza dei fattori
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pertinenti - la conoscenza fornita dal senso comune soffre di una vera e propria incompletezza. Scopo della scienza sistematica è quello di togliere questa incompletezza, anche se tale scopo viene spesso realizzato solo parzialmente. Le scienze in tal modo raffinano le concezioni ordinarie proprio attraverso il procedimento di stabilire le relazioni sistematiche esistenti tra le proposizioni relative alle materie di conoscenza comune. Con tale sistema non soltanto accade che pratiche familiari si dimostrino spieg~bili in termini di principi i quali formulano relazioni tra argomenti che si trovano in vaste regioni di fatti, ma tali principi forniscono pure indicazioni per alterare e correggere i modi abituali di comportamento, rendendoli piu adeguati alle situazioni familiari e piu adattabili a situazioni del tutto nuove. Il che non equivale a dire, tuttavia, che le credenze comuni siano necessariamente sbagliate, o che esse risultino per loro stessa natura piu soggette a cambiare sotto la pressione dell'esperienza di quanto non lo siano le proposizioni della scienza. Di fatto la stabilità, già provata e garantita dal tempo, delle convinzioni del senso comune, per esempio di quella che le querce non si sviluppano da un giorno all'altro dalle ghiande o che l'acqua solidifica se sufficientemente raffreddata, può sostenere con vantaggio il confronto con la vita relativamente breve di molte teorie scientifiche. Il punto essenziale da osservarsi è che, dato che il senso comune mostra uno scarso interesse nello spiegare sistematicamente i fatti che osserva, il campo di applicazione valido delle sue credenze, sebbene effettivamente molto circoscritto, non rappresenta per il senso comune stesso un fattore di rilievo. 3. È stata spesso oggetto di commenti ironici la facilità con cui l'uomo comune, come pure l'uomo d'affari, sostiene punti di vista incompatibili e perfino contraddittori. Cosf, si sente talvolta richiedere un forte aumento della quantità di moneta in circolazione e contemporaneamente la stabilità del corso monetario; vi sono persone che insistono sul rimborso dei debiti da parte dei paesi stranieri e nello stesso tempo fanno passi per prevenire l'importazione di merci dall'estero; analoghe considerazioni contraddittqrie si sentiranno fare sugli effetti dei cibi consumati, sulle dimensioni dei corpi visti, sulla temperatura dei liquidi, sulla violenza dei rumori. Questi giudizi in coaflitto sono spesso il risultato di una preoccupazione quasi esclusiva per le qualità e le conseguenze immediate degli eventi osservati. La maggior parte di quella che passa per conoscenza del senso comune riguarda indubbiamente gli effetti che gli oggetti familiari hanno su ciò che di volta in volta gli uomini considerano degno di nota; le relazioni reciproche tra eventi, indipendentemente dalle conseguenze che essi possono avere per gli affari umani, non vengono sistematicamente osservate né studiate.
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di conflitti _entroj_g!11di2;i è uno_9egli_stjmqJi allo svi-
JyQPg__Q._ell~_scie~ Introducendo una spiegazione sistematica dei fatti,
accertando le condizioni e le conseguenze degli eventi, mettendo in luce le relazioni logiche tra le proposizioni, la scienza colpisce le radici di tali conflitti. Di fatto, un gran numero di menti straordinariamente capaci ha delineato le conseguenze logiche dei principi fondamentali di varie scienze; ed un numero ancora piu grande di ricercatori ha ripetutamente confrontato tali conseguenze con altre proposizioni ottenute come risultato dell'osservazione critica e dell'esperimento. A dispetto di tutto ciò, non esiste una garanzia assoluta che siano eliminate dalle scienze tutte le contraddizioni. Anzi, ipotesi tra loro incompatibili servono talvolta come base di ricerca in branche diverse di una stessa scienza. Per esempio, in alcune parti della fisica si è supposto ad un certo punto che gli atomi fossero corpi perfettamente elastici, mentre in altre branche della fisica stessa rwn veniva attribuita agli atomi una perfetta elasticità. Tuttavia simili contraddizioni sono talvolta solo apparenti, poiché l'impressione di contraddizione nasce dal non aver osservato che si stanno adoperando ipotesi differenti per la soluzione di classi di problemi del tutto diverse. Inoltre, anche quando tali contraddizioni sussistono veramente, esse sono spesso solo temporanee, in quanto ipotesi contraddittorie vengono impiegate soltanto perché non si è ancora in grado di formulare una teoria logicamente coerente che svolga la complessa funzione per cui si è dovuto originariamente introdurre quelle ipotesi. In ogni caso, le flagranti contraddizioni che cosi spesso contraddistinguono le credenze del senso comune, sono assenti in misura notevole da quelle scienze in cui la ricerca di sistemi unificati di spiegazione abbia già fatto considerevoli passi. 4. Come si è già notato, molte credenze quotidiane sono sopravvissute a secoli di esperienza, in contrapposizione alla vita relativamente breve che è spesso toccata in sorte a conclusioni avanzate in parecchi rami della scienza moderna. Una delle ragioni di questo fatto merita particolare attenzione. Consideriamo un esempio di credenza del senso comune, come quella che l'acqua solidifica quando sia sufficientemente raffreddata; e domandiamoci che cosa si intende con i termini 'acqua' e 'sufficientemente' in questo contesto. È un fatto acquisito che la parola 'acqua', quando è usata da persone che non sono familiari con le scienze moderne, generalmente non ha un significato ben delimitato. È infatti sovente adoperata come nome di una quantità di liquidi diversi nonostante essi rivelino tra loro notevoli differenze fisico chimiche, mentre se ne rifiuta spesso l'impiego per designare altri liquidi, benché questi ultimi non presentino nelle caratteristiche essenziali fisico chimiche differenze maggiori di quelle esistenti per i liquidi precedenti. Cosi, può darsi che la parola venga usata per designare i liquidi che
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cadono dal cielo sotto forma di pioggia, che scaturiscono dalla terra nelle sorgenti, che scorrono in fiumi e in canali di scarico, e che costituiscono i mari e gli oceani; ma verrà impiegata assai piu raramente o niente affatto per liquidi spremuti dalle frutta, contenuti in minestre e in bevande, o eliminati attraverso i pori della pelle umana. Analogamente, la parola 'sufficientemente' adoperata per caratterizzare un processo di raffreddamento può talvolta significare una differenza pari a quella tra la temperatura massima di una giornata di piena estate e la temperatura minima di una giornata di pieno inverno; mentre in altri casi la parola può stare a indicare una differenza non maggiore di quella tra le temperature di mezzogiorno e del tramonto in una giornata invernale. In breve, nell'uso del senso comune per caratterizzare variazioni di temperatura, la parola 'sufficientemente' non è associata ad alcuna specificazione precisa dell'intervallo tra il massimo e il minimo. Se questo esempio può considerarsi come tipico, il linguaggio in cui è formulato e trasmesso il senso comune può mostrare due importanti tipi di indeterminatezza. lnnanzitutto, i termini del discorso ordinario possono essere del tutto vaghi, nel senso che la classe di cose designate da un termine non è nettamente e chiaramente separata dalla classe· delle cose non designate dal termine stesso, anzi le due classi possono di fatto sovrapporsi in misura notevole. Di conseguenza, il raggio della validità presunta per le affermazioni che usano tali termini non ha limiti determinati. In secondo luogo, i termini del discorso ordinario possono mancare di un grado sufficientemente alto di specificità, nel senso che le piu vaste distinzioni da essi termini costruite non bastano a caratterizzare differenze meno ampie ma pur tuttavia importanti tra le cose denotate dai termini. Di conseguenza, relazioni di dipendenza tra eventi non sono formulate in maniera precisamente determinata da affermazioni che usino tali termini. Come conseguenza di queste caratteristiche del discorso ordinario, è spesso difficile la verifica sperimentale delle credenze del senso comune, in quanto per esse non si può facilmente stabilire una linea divisoria tra le prove che confermano e le prove che contraddicono tali credenze. Cosi, la credenza che "in generale" l'acqua solidifica quando viene sufficientemente raffreddata, può rispondere alle necessità di coloro il cui interesse al fenomeno del congelamento non va al di là della preoccupazione di raggiungere gli scopi abituali della loro vita quotidiana, anche se il linguaggio adoperato per codificare tale credenza è vago e manca di specificità. Tali persone possono perciò non vedere nessuna ragione per modificare la loro convinzione, anche qualora notino che l'acqua dell'oceano non si congela sebbene la sua temperatura sia sensibilmente la stessa di quella di un pozzo in cui l'acqua cominci a solidificare, o che alcuni liquidi devono venir raffreddati piu di altri prima di passare allo stato solido. Se costretti a giustificare la loro credenza di fronte a tali fatti, può darsi che costoro escludano arbitrariamente l'oceano
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dalla classe delle cose cui attribuiscono il nome di acqua; oppure, che esprimano rinnovata fede nella credenza sostenuta, senza tener conto della misura del raffreddamento che può essere nece_ssario basandosi sul fatto che i liquidi classificati come acqua finiranno in realtà per solidificare quando raffreddati. La scienza invece 1 nell~ sua ricerca di sQjegaziq_l}i_~jg~ma!iche, dev~ rid_!!rre_j'ing{!tetm!_natezzl! _cle.Llingt}~ggio ordinario t:P1a,.~!lla~d~<:J.:. Per esempio, la chimica fisica non si accontenta della generaiTzzazione formulata in modo non rigoroso che l'acqua solidifica se sufficientemente raffreddata, perché lo scopo di questa disciplina è quello di spiegare, tra l'altro, perché l'acqua che beviamo e il latte congelano a certe temperature a cui l'acqua dell'oceano non congela. Per raggiungere questo scopo, la chimica fisica deve quindi introdurre chiare distinzioni tra varie specie di acqua e tra varie quantità di raffreddamento. Per ridurre _I' igge.te_tQ!tga_t:_~~:?il_~---~~_g-~s_c~E~ J~ __ ~t>~ci~!~_j_elk_ espressioni lin_g_1,;1j_g_Lçhe_ esist_on~ diyerse tecniche. Tra queste i1 contare e il misurare sono per molti scopi le piu efficaci, e forse anche le piu familiari. I poeti possono cantare l'infinità delle stelle fisse in cielo, ma l'astronomo vorrà specificare il loro numero esatto. L'artigiano che lavora i metalli potrà accontentarsi di sapere che il ferro è piu duro del piombo, ma il fisico che desidera spiegare questo fatto richiederà una esatta misura della differenza di durezza. Del pari, una conseguenza ovvia ma importante della precisione in tal modo introdotta è che le asserzioni diventano suscettibili di una verifica sperimentale piu completa e critica. Le asserzioni prescientifiche spesso non sono tali da permettere una verifica sperimentale definita, per la semplice ragione che le credenze da esse espresse possono risultare vagamente compatibili con una classe indeterminata di fatti non analizzati. Le asserzioni scientifiche, poiché si pretende che risultino in accordo con dati d'osservazione piu rigorosamente specificati, sono aperte a un rischio maggiore di venire da essi confutate. Questa differenza tra conoscenza scientifica e conoscenza comune è approssimativamente analoga alle differenze tra i livelli di bravura che si possono assumere per il maneggio delle armi da fuoco. Molti saranno qualificati esperti tiratori se si assume come livello di perizia la capacità di colpire il fianco di una baracca da una distanza di una trentina di metri. Ma un numero molto inferiore di individui potrà soddisfare il requisito piu rigoroso di centrare i colpi su un bersaglio di otto centimetri a una distanza doppia. Analogamente, la previsione che una eclisse solare avrà luogo entro i mesi autunnali è piu facile da avverarsi di quella che l'eclisse avverrà in un momento preciso di un determinato giorno di autunno. La prima previsione verrà confermata se l'eclisse si verifica in uno qualsiasi di circa cento giorni; per smentire la seconda basterà invece che l'eclisse non si verifichi entro un intervallo che differisce per meno di un minuto dal tempo fissato. La seconda previsione
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può risultare falsa senza che lo sia la prima, ma non inversamente; essa deve perciò soddisfare un livello di verifica sperimentale piu rigoroso di quello richiesto per l'altra. Questa maggior determinatezza del linguaggio scientifico aiuta a comprendere la ragione per cui tante credenze del senso comune hanno una stabilità, spesso protraentesi per parecchi secoli, che ben poche teorie scientifiche posseggono. È assai piu difficile ideare una teoria che non rimanga scossa dal ripetuto confronto con i risultati di un'accurata osservazione sperimentale quando si sia fissato un alto livello di concordanza fra tali dati sperimentali e le previsioni dedotte dalla teoria, che non quando tale livello sia inesatto e non si richieda che la prova sperimentale, per essere considerata valida, vada stabilita con procedure accuratamente controllate. In effetti, le scienze piu avanzate specificano quasi invariabilmente la misura in cui le previsioni basate sulla teoria possono scostarsi dai risultati ottenuti sperimentalmente, senza che la teoria ne venga invalidata. I limiti degli scarti ammessi sono generalmente molto stretti, cosicché discrepanze tra teoria ed esperienza che il senso comune considererebbe prive di importanza sono valutate come fatali per l'adeguatezza della teoria. D'altra parte, benché la maggior determinatezza delle asserzioni scientifiche le esponga ad un rischio maggiore di essere trovate in errore di quanto avvenga per le affermazioni formulate con minor precisione dal senso comune, tuttavia le prime hanno un importante vantaggio su queste ultime. Esse presentano una maggior possibilità di venire incorporate in sistemi di spiegazione ampi ma chiaramente articolati. Tali sistemi, se adeguatamente confermati dai dati sperimentali, codificano spesso interrelazioni insospettate tra svariate specie di fatti sperimentalmente identificabili ma ben distinte. Di conseguenza, le prove che confermano le asserzioni appartenenti a tali sistemi possono spesso venir raccolte piu rapidamente e in maggior quantità di quelle non appartenenti ai sistemi stessi, come è il caso per le credenze del senso comune. Ciò accade perché le prove per le affermazioni di un sistema di questo tipo possono essere ottenute osservando una classe molto ampia di eventi, parecchi dei quali possono non comparire neppure esplicitamente in tali affermazioni, pur costituendo per esse importanti fonti di conferma, e ciò in virtu delle relazioni di dipendenza che il sistema stesso ha stabilito come valide tra gli eventi di quella classe. Per esempio, i dati dell'analisi spettroscopica sono usati nella fisica moderna per la verifica di ipotesi sulla struttura chimica di varie sostanze; mentre esperimenti su proprietà termiche dei solidi servono di argomento a favore di certe teorie sulla luce. In breve, aumentando la determinatezza delle sue asserzioni e incorporandole entro sistemi di spiegazione logicamente integrati, la scienza moderna affina i poteri discriminanti della sua procedura di verifica e accresce le fonti di valida prova per le conclusioni cui giunge.
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5. È già stato menzionato di sfuggita il fatto che, mentre la conoscenza del senso comune si occupa in larga misura dell'incidenza di eventi su materie che hanno un'importanza particolare per gli uomini, la scienza teorica in generale non è cosi limitata. La ricerca di spiegazioni sistematiche esige che l'esame sia diretto alle relazioni di dipendenza tra le cose, prescindendo dalla loro influenza su ciò che ha valore per gli uomini. Cosi, per prendere un caso estremo, l'astrologia si occupa delle posizioni relative delle stelle e dei pianeti con lo scopo di determinare le ripercussioni di tali congiunzioni sui destini umani; l'astronomia invece studia le posizioni relative e i moti dei corpi celesti senza alcun riferimento alla sorte degli esseri umani. In modo simile, gli allevatori di cavalli e di altri animali hanno acquistato abilità e nozioni relative al problema di sviluppare razze utili per certi scopi umani; i biologi, invece, si occupano di tali problemi solo incidentalmente, mentre sono interessati all'analisi, tra l'altro, del meccanismo dell'ereditarietà, nonché al raggiungimento di leggi sullo sviluppo genetico. Una conseguenza importante di questo diverso orientamento tra conoscenza teorica e conoscenza del senso comune è quella che la scienza teorica trascura deliberatamente il valore immediato delle cose, cosi che le sue affermazioni spesso appaiono di scarso rilievo dal punto di vista degli avvenimenti normali e degli elementi della vita quotidiana. Per molte persone, ad esempio, esiste un invalicabile abisso tra la teoria elettromagnetica, che fornisce una spiegazione sistematica dei fenomeni ottici, e i colori vivaci che si possono ammirare in un tramonto; e la chimica dei colloidi, che offre un contributo alla comprensione dell'organizzazione della materia vivente, appare altrettanto distante dai molteplici aspetti offerti da una personalità umana. Si deve certamente ammettere che le asserzioni della scienza fanno __!:!_!>O di_s()l1C~t!! altamente astratti, ·la cui pertinenza con gli elementi familiari, manifestati dalle cose nei loro aspetti abituali, non è affatto evidente. Tuttavia, è altrettanto indiscutibile l'importanza che le asserzioni della scienza rivestono in materie che si incontrano nelle normali faccende della vita. È bene aver sempre presente che il carattere inusitatamente astratto delle nozioni scientifiche, come pure la loro pretesa "lontananza" dai tratti delle cose quali appaiono nell'esperienza normale, vanno inevitabilmente di pari passo con la ricerca di spiegazioni sistematiche e generali. Tali spiegazioni si possono costruire solo quando si può dimostrare che le qualità e le relazioni familiari delle cose, nei cui termini vengono di solito identificati e differenziati i singoli oggetti ed eventi, dipendono, per il loro manifestarsi, dalla presenza di certe altre proprietà generali di relazione o di struttura che caratterizzano in diversi modi una classe estensiva di oggetti e di processi. Nello stesso modo, perché sia raggiunta la generalità nella spiegazione di cose qualitativamente diverse, tali proprietà strutturali devono venir formu-
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late senza fare riferimento alle qualità e alle relazioni individualizzanti proprie dell'esperienza comune, ed anzi astraendo da esse. È allo scopo di raggiungere tale generalità che, per esempio, ,Ja temperatura dei corpi viene definita in fisica non in termini di differenze di calore direttamente percepite, ma in termini di certe relazioni formulate astrattamente e caratterizzanti una classe estensiva di cicli termici reversibili. Tuttavia, benché l'astrattezza della formulazione sia un'indubbia caratteristica della conoscenza scientifica, sarebbe evidentemente un errore il credere che la conoscenza del senso comune non comprenda l'uso di concetti astratti. Chiunque crede che l'uomo sia una creatura '""mortale adopera senza dubbio le nozioni astratte di umanità e di mortalità. Le concezioni della scienza non differiscono da quelle del senso comune solo per il fatto di essere astratte. Esse ne differiscono per essere formulaz-ioni di proprietà strutturali generali che abitualmente vengono astratte dai tratti familiari manifestati da classi limitate di cose solo in condizioni particolarmente specializzate, condizioni che vengono riferite a materie aperte alla osservazione diretta solo per mezzo di complesse procedure logiche e sperimentali, e sono articolate in modo da permettere di sviluppare un sistema di spiegazioni per campi estensivi di fenomeni diversi. 6. Implicita nei contrasti g1a notati tra scienza moderna e senso comune è l'importante differenza che deriva dall'atteggiamento deliberatamente assunto dalla scienza, consistente nell'esporre i suoi pretesi contenuti conoscitivi alla prova del fuoco ripetuta del confronto con i dati osservativi, raccolti in condizioni accuratamente controllate. Come già abbiamo avuto occasione di accennare, ciò non significa tuttavia che le credenze del senso comune siano invariabilmente erronee e che non abbiano fondamento in fatti empiricamente verificabili; significa soltanto che le credenze del senso comune non vengono soggette per principio a uno scrutinio sistematico alla luce di dati raccolti allo scopo di determinare l'accuratezza di tali credenze e il campo della loro validità. Significa altresf che la prova ammessa come valida nella scienza deve essere ottenuta per mezzo di procedure istituite allo scopo di eliminare le fonti note di errore; e significa inoltre che il peso della prova ottenibile per ogni ipotesi proposta come soluzione di un dato problema è assegnato con l'aiuto di canoni di valutazione la cui autorità è essa stessa basata sull'uso di tali canoni in un'ampia classe di indagini. La ricerca di una spiegazione da parte della scienza non è quindi semplicemente la ricerca di alcuni "principi primi" forniti di immediata plausibilità, che possano in qualche modo rendere conto dei "fatti" familiari dell'esperienza convenzionale. Al contrario, essa è la ricerca di ipotesi esplicative che siano genuinamente sottoponibili a prova, perché si esige che da tali ipotesi discendano conseguenze logiche
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Introduzione: scienza e senso comune
sufficientemente precise da non risultare1compatibili con una situazione
di fatto qualsiasi comunque immaginabile. Tali ipotesi devono perciò essere suscettibili di venir respinte, il che dipenderà dal risultato di procedure di critica, che costituiscono parte integrante della ricerca scientifica stessa, volte a determinare la realtà dei fatti. La differenza che abbiamo descritto si può esprimere affermando che~ le conclusioni della scienza, contrariamente alle credenze del senso comune, sono il prodotto del metodo scientifico. Non bisogna tuttavia sviare il senso di questa breve formula. Non si deve intendere che essa· . asserisca, ad esempio, che la pratica del metodo scientifico consiste nel seguire certe regole prescritte al fine di compiere scoperte sperimentali e di trovare spiegazioni soddisfacenti per determinate situazioni di fatto. Non esistono r~e ~r la scoperta e l'invenzione scientifiche, ~lt!~!!anto come non esistono -regole ~Lt!iiiL!ieli'::l_r1~-p;-neppure st deve equivocare sul senso della formula credendo che la pratica del metodo scientifico consista nell'uso, in qualsiasi ricerca, della tecnica di qualche ricerca particolare (per esempio delle tecniche di misura impiegate dalla fisica) indipendentemente dalla materia o dal problema in esame. Una simile interpretazione sarebbe una caricatura del reale significato della formula che diverrebbe cosi un non senso. Né, infine, si deve interpretare la formula come avente la pretesa di affermare che, applicando il metodo scientifico, si elimini efficacemente ogni forma di influenza soggettiva e ogni fonte di errori che altrimenti potrebbero infirmare i risultati della ricerca, e piu generalmente che essa formula garantisca la verità di ogni conclusione a cui sia giunta una ricerca che si avvalga del metodo scientifico. Al contrario, simili garanzie non possono assolutamente essere date; né esiste sistema in precedenza fissato di regole che possa servire da automatica salvaguardia contro pregiudizi insospettati e contro altre cause di errore che potrebbero interferire negativa-, mente nel corso delle indagini. L'applicazione del metodo scientifico consiste nella continua critica degli argomenti, alla luce di sperimentati canoni per giudicare la fondatezza delle procedure mediante cui si sono ottenuti i dati probativi, e per fissare la forza dimostrativa della prova su cui si sono basate le conclusioni. In quanto valutata in base alle norme prescritte da tali canoni, una data ipotesi può essere fortemente confermata dalle prove dichiarate. Ma questo fatto non garantisce la verità delle ipotesi, anche se si ammettono come vere le affermazioni probative - a meno che, contrariamente alle norme comunemente adottate per i dati osservativi nelle scienze sperimentali, il grado di conferma sia quello che le premesse di una valida argomentazione deduttiva danno alle proprie conclusioni. Del pari, la differenza tra le pretese conoscitive della scienza e quelle del senso comune, differenza proveniente dal fatto che le prime sono il prodotto del metodo scientifico, non implica che queste siano invariabilmente vere. Implica soltanto che, mentre le credenze del
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senso comune sono generalmente accettate senza una valutazione critica delle prove disponibili, per le conclusioni della scienza la prova risponde a norme tali che una porzione notevole di conclusioni che poggiano su dimostrazioni strutturalmente simili rimane in sostanziale accordo con gli ulteriori dati di fatto quando se ne aggiungano dei nuovi. Dobbiamo rimandare al seguito una discussione supplementare su queste considerazioni. Tuttavia, è necessario aggiungere a questo punto una breve osservazione. Se le conclusioni della scienza sono il prodotto di ricerche condotte in accordo con una ben definita tattica per ottenere e stabilire la prova, il giudizio per poter considerare tali conclusioni come garantite deve essere fondato sui meriti della tattica stessa. E bisogna ammettere che i canoni adottati per stabilire la prova, e che definiscono tale tattica sono stati, nella migliore delle ipotesi, esplicitamente codificati solo in parte, mentre nel maggior numero dei casi operano solo come abiti intellettuali che i ricercatori competenti manifestano nella condotta delle loro ricerche. Ma, nonostante ciò, la storia di quanto è stato raggiunto mediante questa tattica sulla strada della conoscenza fondata e sistematicamente ordinata non lascia la possibilità diserfJùblJf sul1a--super1or1tà-dCtafe--taùTè-a. rispetto ad altre. Questa breve rassegna delle caratteristiche che distinguono, genericamente parlando, la pretesa conoscitiva e il metodo logico della scienza moderna suggerisce una quantità di domande da esaminarsi in dettaglio. Le conclusioni della scienza sono il frutto di un sistema istituzionalizzato di ricerca che giuoca un ruolo sempre piu importante per la vita degli uomini. Ed infatti sociologi, economisti, storici e moralisti hanno fatto oggetto di ripetuti studi l'organizzazione di questa istituzione sociale, le circostanze e gli stadi del suo sviluppo e del suo influsso, e le conseguenze della sua espansione. Tuttavia, se si vuoi pienamente comprendere la natura dell'opera scientifica e il suo posto nella società contemporanea, occorre dedicare un'accurata analisi anche ai tipi ed alla articolazione delle affermazioni scientifiche, come pure alla logica con cui vengono stabilite le conclusioni scientifiche. È questo un compito - uno dei piu grandi anche se non l'unico - intrapreso dalla filosofia della scienza. Tre ampie zone di questa analisi risultano di fatto suggerite dalla rassegna testé compiuta: l) gli schemi logici presentati dalle spiegazioni della scienza; 1la costruzione dei concetti scientifici ;J)la convalida delle conclusioni scientifiche. I capitoli che seguono trattano ampiamente, benché non esclusivamente, di problemi inerenti alla struttura delle spiegazioni scientifiche.
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Capitolo secondo
Schemi di spiegazione scientifica
Nel capitolo precedente si è detto che lo scopo carattensttco dell'opera scientifica è di fornire spiegazioni sistematiche e fondate. Come vedremo, queste spiegazioni potranno esser date per casi singoli, per processi ricorrenti, o per fenomeni regolari che si presentino sia invariabilmente sia statisticamente. Questo compito non è la sola cura della scienza, se non altro per tutto lo sforzo che essa deve dedicare nell'accertare i fatti in zone nuove dell'esperienza, per le quali si penserà in seguito alle spiegazioni. È evidente che in ogni tempo le varie scienze differiscono tra loro nell'importanza che attribuiscono allo sviluppo di spiegazioni sistematiche, come pure nel grado di completezza raggiunto dal sistema stesso. Tuttavia, la ricerca di queste spiegazioni sistematiche non manca mai in maniera totale in nessuna delle discipline scientifiche riconosciute. Comprendere i requisiti e la struttura delle spiegazioni scientifiche significa perciò comprendere una caratteristica comune a tutte le opere scientifiche. Il capitolo presente cerca di preparare il terreno per tale comprensione, annotando in via preliminare le forme palesemente diverse di spiegazioni che si incontrano nelle varie scienze.
I. Esempi di spiegazione scientifica Le spiegazioni sono risposte alla domanda 'perché?' Tuttavia, è sufficiente una breve riflessione per rilevare che la parola 'perché' non è priva di ambiguità, e che, in contesti diversi, diversi tipi di risposte costituiscono risposte significanti. Il breve elenco che segue contiene esempi dell'uso del termine 'perché', alcuni dei quali impongono certe restrizioni distintive circa le risposte ammissibili alle domande poste per mezzo di tale termine. l. Perché la somma di qualsiasi numero di interi dispari consecutivi a iniziare da l è sempre un quadrato perfetto (per esempio, l + 3 + 21
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+5+7=
16 = 42 )? Qui il fatto da spiegarsi (chiamato I'explican-
dum) sembra poter pretendere alla etichetta, familiare se pur non
trasparentemente chiara, di "verità necessaria", nel senso che il negarla è autocontraddittorio. Una risposta significante alla domanda è perciò una dimostrazione che stabilisce non soltanto la "verità necessaria", ma anche la Jleçe~,~a~iet~, ~cj~JI~~PlicaggJJm, Ciò sarà compiuto dalla spiegazione se i passi della dimostrazione soddisferanno i requisiti formali della prova logica, e se, inoltre, le premesse della dimostrazione saranno esse stesse necessarie in qualche senso. Presumibilmente, tali premesse saranno postulati dell'aritmetica; e il loro carattere di necessità sarà assicurato se, per esempio, esse potranno esser spiegate come vere in virtu dei significati associati alle espressioni che compaiono nella formulazione. 2. Perché ieri si è formata dell'umidità sulla superficie esterna del bicchiere quando lo si è riempito di acqua ghiaccia? Qui il fatto da spiegarsi è il verificarsi di un singolo evento. La sua spiegazione, per sommi capi, può essere di questo tipo: la temperatura del bicchiere dopo che lo si è riempito di acqua ghiaccia era considerevolmente piu bassa della temperatura dell'aria ambiente; l'aria conteneva vapor acqueo; e il vapor acqueo si condensa generalmente in liquido ogniqualvolta l'aria venga a contatto con una superficie sufficientemente fredda. In questo esempio, come in quello precedente, lo schema formale della spiegazione sembra essere quello della deduzione. Di fatto, se le premesse della spiegazione fossero formulat~Piu completamente e con maggior precisione, la forma deduttiva sarebbe inconfondibile. Ma in questo caso l'explicandum .non è una verità necessaria, né lo sono, rispetto ad esso, le premesse della spiegazione; al contrario, esse sono affermazioni che risultano basate presumibilmente su prove osservative o sperimentali in materia.
3. Perché c'è stata una percentuale minore di suicidi tra i cattolici che tra i protestanti nei paesi europei nell'ultimo quarto del XIX secolo? Una risposta ben nota è che le istituzioni sotto cui vivevano i cattolici creavano un grado maggiore di "coesione sociale" di quello creato dalle organizzazioni sociali dei protestanti, e che in generale l'esistenza di legami sociali piu stretti fra membri di una comunità contribuisce a sostenere gli esseri umani nei periodi di crisi personali. In questo caso l'explicandum è un fenomeno storico descritto statisticamente, invece di un evento singolo come nel caso precedente; e perciò la spiegazione proposta non cerca di rendere conto del caso individuale di suicidio nel periodo in esame. Di fatto, benché le premesse esplicative non siano stabilite né con precisione né con completezza, è chiaro che alcune di esse sono a contenuto statistico, precisamente come l'explicandum. Ma, dato che le premesse non sono formulate in modo compie-
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to, non è del tutto chiaro quale sia la struttura logica della spiegazione. Possiamo tuttavia supporre che le premesse implicite si possano'l esplicitare e che, inoltre, la spiegazione riveli allora uno schema \ deduttivo. 1
4. Perchè il ghiaccio galleggia sull'acqua? In questo caso l'explicandum non è un fatto storico, singolo o statistico, ma una legge universale che asserisce un'associazione immutabile di certi tratti fisici. Generalmente si spiega il fatto mostrandolo come la conseguenza logica di altre leggi - la legge che la densità del ghiaccio è minore di quella dell'acqua, la legge di Archimede per cui un fluido spinge verso l'alto un corpo immerso in esso con una forza uguale al peso del fluido spostato dal corpo, e altre leggi relative alle condizioni di equilibrio dei corpi soggetti a forze. È degno di nota il fatto che, contrariamente a quanto accadeva nei due esempi immediatamente precedenti, le premesse esplicative sono affermazioni di leggi universali. 5. Perché l'aggiunta di sale all'acqua ne abbassa il punto di congelamento? L'explicandum in questo caso è ancora una legge, per cui da questo punto di vista questo esempio non differisce dal precedente. Inoltre, la sua spiegazione corrente consiste nel dedurre tale legge dai principi della termodinamica combinati con determinate ipotesi sulla composizione dei miscugli eterogenei; e di conseguenza questo esempio concorda col precedente anche rispetto allo schema formale della spiegazione. Ciononostante si è incluso questo esempio per potervisi riferire piu avanti, e ciò perché le premesse esplicative offrono certe caratteristiche prima facie distintive, aventi un considerevole interesse metodologico. Infatti i principi della termodinamica, inclusi tra le premesse esplicative di questo esempio, sono ipotesi che abbracciano un campo molto piu vasto di quello abbracciato da qualsiasi delle leggi degli esempi precedenti. A differenza di queste ultime, le ipotesi in questione fanno uso di nozioni "teoriche" come quelle di energia e di entropia, che non appaiono associate a nessuna procedura sperimentale esplicitamente fissata per identifcare o misurare le proprietà fisiche presumibilmente rappresentate da tali nozioni. Ipotesi di questo genere sono spesso chiamate "..t~.Qrie~'. e talvolta n{!tt!!_l_I?._(!n!_~ ..
6. Perché nella discendenza di piselli ibridi, ottenuta incrociando genitori lisci e rugosi, circa i 3/4 dei piselli sono sempre lisci mentre quelli del rimanente quarto sono rugosi? L'explicandum è corrente-
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mente spiegato deducendolo dai principi generali della teoria mendeliana dell'ereditarietà, in combinazione con alcune ulteriori assunzioni sulla costituzione genetica dei piselli. È evidente che qui il fatto spiegato consiste in una regolarità statistica, e non in un'associazione invariabile di attributi, ed è formulato come frequenza relativa di un certo tratto caratteristico in una certa popolazione di elementi. Inoltre, come diventa evidente quando si stabiliscono con esattezza le premesse esplicative, anche alcune delle premesse hanno un contenuto statistico, in quanto formulano la probabilità (nel senso di una frequenza relativa) con cui i piselli genitori trasmettono alla loro discendenza i determinanti di dati tratti genetici. Questo esempio è simile al precedente per il fatto che illustra uno schema deduttivo di spiegazione contenente ipotesi teoriche tra le premesse; differisce invece da ogni esempio precedente, per il fatto che tanto l'explicandum quanto alcune delle premesse sono manifestamente leggi statistiche, che affermano regolarità statistiche anziché invariabili. 7. Perchè Cassio tramò la morte di Cesare? Il fatto da spiegarsi è di nuovo un singolo avvenimento. Se dobbiamo credere a Plutarco, la spiegazione va trovata nell'odio innato di Cassio contro i tiranni. Tuttavia, questa risposta è evidentemente incompleta senza un certo numero di ulteriori assunzioni generali, come quella sul modo in cui l'odio viene manifestato in una data civiltà da persone di un certo rango sociale. È tuttavia improbabile che tali assunzioni, per essere credibili, possano venir asserite in un senso rigorosamente universale. Perché l'assunzione risulti in accordo con i fatti noti, essa potrà, nella migliore delle ipotesi, essere una generalizzazione statistica. Per esempio, una generalizzazione credibile asserirà che la maggior parte degli uomini (o una certa percentuale di uomini) di un certo genere in un certo tipo di società si comporterà in un certo modo. Di conseguenza, poiché in questo esempio il fatto da spiegarsi è un singolo avvenimento storico, mentre l'assunzione esplicativa cruciale è sotto forma statistica, l'explicandum non è una conseguenza deduttiva delle • premesse esplicative. Al contrario, l'explicandum in questo caso è semplicemente reso "probabile" da queste ultime. Questa è una caratte"ristica distintiva del presente esempio, che lo colloca in una categoria a parte rispetto ai precedenti, dai quali inoltre esso differisce anche per la importante circostanza che le sue premesse esplicative fanno menzione di una disposizione psicologica (cioè uno stato o un modo di essere emozionale) come di una delle molle dell'azione. E se la domanda 'perché?' è sollevata con lo scopo di ottenere una risposta in termini di disposizioni psicologiche, la domanda stessa è significante solo se vi è qualche seria garanzia per supporre che tali disposizioni effettivamente si presentino nell'argomento in considerazione.
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8. Perché Enrico VIII di Inghilterra cercò di annullare il suo matrimonio con Caterina di Aragona? Una comune spiegazione per questo avvenimento storico consiste nell'attribuire ad Enrico uno scopo coscientemente perseguito piuttosto che una disposizione psicologica, come era invece il caso dell'esempio precedente. Cosi gli storici spesso spiegano gli sforzi di Enrico per annullare il suo matrimonio con Cate· rina citando il fatto che, non avendogli dato figli, egli desiderava risposarsi per avere un erede maschio. Senza dubbio Enrico aveva molte disposizioni psicologiche che possono essere state parzialmente responsabili del suo comportamento verso Caterina. Tuttavia, nella spiegazione quale l'abbiamo or ora formulata, tali "molle d'azione" psicologiche non compaiono, e i suoi sforzi per ottenere l'annullamento vengono spiegati come mezzi deliberatamente adottati per realizzare uno scopo consapevole (ovvero un fine-in-vista). Quindi la differenza tra questo esempio e il precedente sta nella distinzione tra una disposizione psicologica o molla di azione (di cui un individuo può non essere consapevole anche se essa controlla le sue azioni) e un fine coscientemente perseguito (per il quale un individuo può adottare certi mezzi). Questa distinzione viene correntemente riconosciuta. Il comportamento di un uomo viene talvolta spiegato in termini di moventi all'azione, appunto quando egli non abbia per quel comportamento un corrispondente fine. Invece, per una certa classe di azioni umane, non viene considerata soddisfacente una spiegazione che non si riferisca a qualche scopo consapevole per la realizzazione del quale tali azioni vengono compiute. Di conseguenza, in certi contesti un requisito per la intelligibilità di domande introdotte da 'perché?' è che in essi si possano a'serire degli obiettivi esplicitamente perseguiti. 9. Perché gli esseri umani hanno i polmoni? La domanda posta cosi è ambigua, perché può venir interpretata sia come rivolta a sollevare un problema di evoluzione storica della specie umana, sia come rivolta a chieder conto della funzione dei polmoni nel corpo umano al suo attuale stadio di sviluppo evolutivo. È in quest'ultimo senso che la domanda viene intesa qui. In tal caso, la risposta abituale fornita dalla fisiologia corrente richiama l'attenzione sulla indispensabilità dell'ossigeno per la combustione delle sostanze alimentari del corpo, e sulla funzione strumentale dei polmoni per il passaggio di ossigeno dall'aria al sangue e di H alle varie cellule dell'organismo. Quindi la spiegazione descrive il funzionamento dei polmoni come essenziale per il mantenimento di certe attività biologiche e mostra cosi una forma prima facie distintiva; essa non menziona esplicitamente le condizioni in cui si verificano i complessi eventi chiamati "il funzionamento dei polmoni", ma piuttosto stabilisce in qual modo i polmoni, in qualità di parte specificatamente organizzata del corpo umlino, contribuiscono alla continuità di alcune tra le altre attività del corpo.
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10. Perché la lingua inglese nella sua forma corrente ha tante parole di origine latina? Il fatto storico di cui qui si richiede la spiegazione è una serie complessa di costumi linguistici, manifestati da uomini in varie parti del mondo durante un periodo storico delimitato piuttosto imprecisamente. È anche importante notare che la domanda 'perché?' in questo esempio, a differenza che nei precedenti, chiede tacitamente conto di come un certo sistema si sia sviluppato nella sua forma corrente da uno stadio precedente. Per il sistema in considerazione, tuttavia, non siamo in possesso di "leggi dinamiche di sviluppo" generali, come ve ne sono in fisica, per esempio, per lo sviluppo di una massa gassosa rotante. Una spiegazione accettabile del fatto storico in questione dovrà perciò menzionare variazioni consecutive per un certo periodo di tempo, e non semplicemente una serie di avvenimenti in un qualche tempo antecedente iniziale. Infatti, la spiegazione abituale per questo fatto comprende il riferimento alla conquista normanna dell'Inghilterra, al liguaggio usato dai vincitori e dai vinti prima della conquista, e ai suoi sviluppi in Inghilterra e altrove dopo la conquista. Inoltre, la spiegazione comprende un certo numero di generalizzazioni piu o meno vaghe (non sempre stabilite esplicitamente, e, per alcune di esse, indubbiamente a contenuto statistico) sul modo in cui i costumi linguistici di comunità liguisticamente differenti si alterano quando tali comunità entrano in date relazioni reciproche. In breve, la spiegazione richiesta nell'esempio presente è di tipo genetico, con struttura palesemente piu complessa di quella delle spiegazioni esemplificate sopra. Non si deve attribuire tale complessità al fatto che qui l'explicandum è un fatto di comportamento umano; ed invero una complessità simile si trova pure in una spiegazione genetica del fatto che il contenuto salino degli oceani attualmente è circa il 3% del volume.
II. Quattro tipi di spiegazioni L'elenco precedente non esaurisce i tipi di risposte che possono venir chiamate "spiegazioni". È comunque abbastanza lungo perché si possa stabilire il seguente punto di notevole importanza: neppure le risposte alla limitata classe di domande, introdotte dal termine, 'perché?', appartengono allo stesso genere. L'elenco infatti suggerisce chiaramente che le spiegazioni offerte dalle varie scienze in risposta a tali domande possono differire nel modo in cui le ipotesi esplicative sono correlate ai loro explicanda, cosi che le spiegazioni stesse cadono entro schemi logici distinti. Seguendo tale suggerimento, caratterizzeremo quelli che appaiono essere i tipi distinti di spiegazioni in cui si possono classificare gli esempi dell'elenco precedente. Né a questo punto ci occuperemo della questione se quelli che sembrano essere schemi logici di spiegazione
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diversi siano in realtà solo varianti imperfettamente formulate o casi limiti di qualche schema comune. Per il momento, ad ogni modo, identifichiamo quattro schemi di spiegazione principali e visibilmente distinti. · l. [f[_modello dedutti1(QJ- Un tipo di spiegazione che si incontra comunemente nelle scienze naturali, benché non esclusivamente in esse, ha la struttura formale di un argomento deduttivo, in cui l'explicandum è una conseguenza logicamente necessaria delle premesse esplicative. Infatti, nelle spiegazioni di questo tipo le premesse stabiliscono una condizione sufficiente (e talora, ma non sempre, necessaria) per la verità dell'explicandum. Questo tipo è stato ampiamente studiato fin dall'antichità; esso è stato considerato come il paradigma di ogni spiegazione "genuina", e spesso è stato adottato come forma ideale a cui far tendere tutti gli sforzi diretti a una spiegazione. I primi sei esempi nell'elenco precedente sono, come si scorge a prima vista, illustrazioni di questo tipo. Vi sono tuttavia tra loro delle differenze significative che val la pena di rilevare. Nel primo esempio, tanto l'explicandum quanto le premesse sono verità necessarie. Tuttavia, benché questo sia un punto da discutere ulteriormente, pochi se non nessuno -tra i cultori della scienza sperimentale pensano, oggi, si possa dimostrare che i loro explicanda sono intrinsecamente necessari. Ed infatti, proprio perché le proposizioni, tanto singolari quanto generali, investigate dalle scienze empiriche possono venir negate senza cadere in un assurdo logico, è necessario sostenerle mediante prove osservative. Del pari, la giustificazione della tesi della necessarietà di talune proposizioni, come pure la spiegazione del perché tali proposizioni siano necessarie, compete a discipline formali come la logica e la matematica, e non alla ricerca sperimentale. Negli esempi secondo e terzo, l'explicandum è un fatto storico. Nel secondo però si tratta di un evento individuale, mentre nel terzo si tratta di un fenomeno statistico. In entrambi gli esempi le premesse contengono almeno un'assunzione avente la struttura di legge, cioè generale quanto alla forma, e almeno un'asserzione singolare (sia essa individuale o statistica). Invece, la spiegazione dei fenomeni statistici è contraddistinta dalla presenza di una generalizzazione statistica nelle premesse. Negli esempi quarto, quinto e sesto l'explicandum è una legge nei casi quarto e quinto un'asserzione strettamente universale circa una associazione invariabile di certi tratti, nel sesto caso una legge statistica. Nel quarto esempio però la legge viene spiegata deducendola da assunzioni ciascuna delle quali è un "legge sperimentale" nel senso già brevemente indicato; negli esempi quinto e sesto, invece, le premesse esplicative includono affermazioni cosiddette "teoriche"; nel sesto, in
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cui l'explicandum è una legge statistica, la teoria esplicativa stessa contiene assunzioni di forma statistica. Le differenze ora notate tra spiegazioni conformi al modello deduttivo sono state descritte solo in modo schematico; in seguito ne renderemo conto in modo piu completo. Inoltre, i requisiti puramente formali che devono essere presenti nelle spiegazioni deduttive non esauriscono la totalità delle condizioni che spesso ci si attende siano possedute da spiegazioni soddisfacenti del tipo in questione; sarà necessaria una discussione su varie condìzioni ulteriori. In particolare, benché si sia brevemente accennato all'importante ruolo delle leggi generali nelle spiegazioni deduttive, rimane la questione dibatt.utissima se le leggi possono venir caratterizzate semplicemente come asserzioni universali presumibilmente vere, oppure se un'asserzione universale, per funzionare come premessa in una spiegazione soddisfacente, debba in piu possedere un tipo distintivo di struttura relazionale. Inoltre mentre si è menzionato il fatto che la scienza, mediante l'uso delle cosiddette assunzioni "teoriche", raggiunge sistemi di spiegazione altamente integrati ed estesi, sarà necessario indagare piu profondamente quali siano i tratti che distinguono le teorie dalle altre leggi, quali siano le caratteristiche che le rendono capaci di spiegare in maniera sistematica una ampia varietà di fatti, e quale status conoscitivo possa venir loro assegnato. 2. Spiegazioni probabilistiche. - Molte spiegazioni, praticamente in tutte le discipline scientifiche, non posseggono a prima vista una forma deduttiva, in quanto le loro premesse esplicative non implicano formalmente i loro explicanda. Purtuttavia, benché le premesse siano logicamente insufficienti ad assicurare la verità dell'explicandum, si dice che esse lo rendono "probabile". Generalmente si incontrano spiegazioni probabilistiche quando le premesse esplicative contengono un'assunzione statistica concernente qualche classe di elementi, mentre l'explicandum è un'asserzione singola che riguarda un dato membro individuale di quella classe. Questo tipo di spiegazione è illustrato dagli esempi settimo e decimo dell'elenco precedente, ma piu chiaramente dal settimo. Quando si formuli questo ultimo un po' piu esplicitamente, esso suona cosf: nell'antica Roma era alta (per esempio, maggiore di 1/2) la frequenza relativa (o probabilità) che un individuo, appartenente agli strati superiori della società e in preda ad un grande odio per la tirannia, tramasse la morte di uomini che fossero nella possibilità di procacciarsi un potere tirannico. Cassio era un romano in tali condizioni e Cesare era un tale tiranno potenziale. Quindi, benché non ne segua che Cassio abbia tramato la morte di Cesare, ciò è altamente probabile. Alcune osservazioni sono qui opportune. Talora si sostiene che le spiegazioni probabilistiche sono solo tappe intermedie sulla stra-
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da dell'ideale deduttivo, e che quindi non costituiscono un tipo distinto. Tutto quanto occorre fare, cosi viene suggerito, è di sostituire le assunzioni statistiche nelle premesse delle spiegazioni probabilistiche con un'asserzione rigorosamente universale -per esempio, nel caso di cui sopra, con un'asserzione che stabilisca un'associazione invariabile tra certi tratti psicosociologici delimitati con precisione (e che Cassio presumibilmente possedeva) e la partecipazione a congiure di assassinio. Ma, benché tale suggerimento non sia privo di merito e possa costituire un buono stimolo per un'ulteriore indagine, di fatto è estremamente difficile in molti argomenti asserire, con plausibilità sia pure moderata, leggi rigorosamente universali che non siano banali e quindi oziose. Spesso, il meglio che si possa stabilire con una certa garanzia è una regolarità statistica. Di conseguenza non si possono ignorare le spiegazioni probabilistiche senza escludere dalla discussione della logica della spiegazione, importanti zone di indagine. È essenziale non confondere il problema, se le premesse di una spiegazione sono note come vere, con quello, se una spiegazione sia di tipo probabilistico. Può darsi benissimo che in nessuna spiegazione scientifica le ipotesi generali contenute nelle premesse siano note come vere, e che ognuna di tale ipotesi possa venir dichiarata solo come "probabile". Tuttavia, anche in questo caso, non viene abolita la distinzione tra tipo deduttivo e tipo probabilistico di spiegazione, perché tale distinzione si basa su palesi differenze circa il modo in cui sono in relazione reciproca le premesse e gli explicanda, e non già su supposte differenze circa la nostra conoscenza delle premesse. Si noterà infìne che è tuttora una questione non definita se per essere probabilistica una spiegazione debba contenere un'assunzione statistica, oppure se da premesse non statistiche possa derivare un explicandum che, in un senso non statistico della parola, sia "probabile". Gli studiosi dell'argomento non sono d'accordo neppure sul modo in cui vada analizzata la relazione tra premesse e explicanda anche in quelle spiegazioni probabilistiche in cui le premesse sono statistiche e gli explicanda sono asserzioni che riguardano casi individuali. Su ciò torneremo in seguito. 3. Spiegazioni funzionali o teleologiche. - In molti contesti di ricerca - specialmente, ma non esclusivamente, in biologia e nello studio delle cose umane - le spiegazioni prendono la forma di indicazioni di una o piu funzioni (od anche disfunzioni) svolte da una unità nel mantenere o nel realizzare certi tratti di un sistema a cui essa appartiene, oppure stabiliscono il ruolo strumentale svolto da un'azione nel conseguimento di qualche scopo. Tali spiegazioni sono comunemente chiamate "funzionali" o "teleologiche". È caratteristico delle spiegazioni funzionali l'impiego di locuzioni tipiche, come "al fìne di", "con lo scopo di", e simili. Inoltre, in molte spiegazioni funzionali
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vi è un riferimento esplicito a qualche stato o evento ancora a venire, in termini del quale sono resi intelligibili l'esistenza di una cosa o il verificarsi di un atto. È implicito in quanto si è detto che si possono distinguere due sottocasi di spiegazione funzionale. Si può cercare una spiegazione funzionale per una cosa, stato o atto particolari veri:6.cantisi ad un dato tempo. Questo caso è illustrato dall'esempio ottavo nell'elenco precedente. Oppure, si può dare una spiegazione funzionale per una caratteristica che è presente in tutti i sistemi di un certo tipo, in qualsiasi tempo essi esistano. Questo caso è illustrato dall'esempio nono. Entrambi gli esempi mostrano le caratteristiche delle spiegazioni funzionali. Cosf, gli sforzi di Enrico VIII per annullare il suo primo matrimonio sono spiegati dall'indicazione che essi furono intrapresi allo scopo di avere in futuro un erede maschio; e l'esistenza dei polmoni nel corpo umano è spiegata mostrando che essi operano in una determinata maniera allo scopo di mantenere un certo processo chimico e in tal modo assicurare la continuità della vita del corpo nel futuro. Quale sia la dettagliata struttura delle spiegazioni funzionali, quale sia il loro rapporto con quelle non teleologiche e perché le spiegazioni teleologiche siano piu frequenti in certi campi di indagine e rare in altri, sono tutte questioni che rinviamo ad una discussione piu avanti. Tuttavia, è necessario accennare immediatamente a due equivoci comuni riguardo alle spiegazioni teleologiche. È supposizione errata quella che le spiegazioni teleologiche siano intelligibili solo se le cose e le attività spiegate da esse sono agenti consapevoli o i prodotti di tali agenti. Cosf, nella spiegazione funzionale dei polmoni, non si fa nessuna supposizione, esplicita o implicita, sul fatto che i polmoni abbiano uno scopo consapevole in vista, e siano stati progettati da un qualche agente per uno scopo definito. In breve, I._~sistef!~~-j_n_p~l_qgia -~-aJ tro_v-~__g_L~~gaziol!L !f!]eQlo_gLche non è necessariamente un ~~Q- di__ant!:QP_sl!l:l()~~-s_l!l:~· D'altra parte, alcune spiegazioni teleologiche suppongono apertamente l'esistenza di deliberati piani e di scopi consapevoli; ma tale supposizione non è illegittima quando, come nel caso delle spiegazioni teleologiche di certi aspetti del comportamento umano, viene garantita dai fatti. È anche erroneo supporre che, per il fatto che le spiegazioni teleologiche contengono riferimenti al futuro nel rendere conto di ciò che già esiste, esse debbano tacitamente assumere che il futuro agisca causalmente sul presente. Cosf, nel rendere conto degli sforzi di Enrico VIII per ottenere l'annullamento del suo matrimonio, non si suppone che lo stato futuro e non ancora realizzato di possedere un erede maschio abbia fatto sf. che egli abbia intrapreso certe azioni. Al contrario, la spiegazione del comportamento di Enrico VIII è completamente compatibile col punto di vista secondo cui i desideri in lui presenti per un certo tipo di futuro, e non il futuro stesso, furono cau30
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Schemi di spiegazione scientifica
salmentè responsabili della sua condotta. Similmente, nella spiegazione junzionale dei polmoni dell'uomo non si suppone che sia la futura ossidazione degli alimenti nel corpo ciò che fa esistere i polmoni o li fa agire; e questa spiegazione non si basa sulla negazione che l'attività dei polmoni sia causalmente determinata dalla costituzione esistente del corpo e del suo ambiente. Il dare una spiegazione teleolo- Ì gica non significa perciò necessariamente fornire garanzie alla dottrina : · che il futuro è un agente della propria realizzazione. _4. Spiegazioni genetiche. - Resta da menzionare un altro tipo di spiegazione, benché sia irrisolta la questione se esso costituisca un tipo distinto. Le ricerche storiche spesso si propongono di spiegare perché un dato soggetto di studio abbia certe caratteristiche, col descrivere come il soggetto si sia evoluto da un altro precedente. Tali spiegazioni vengono comunemente chiamate "genetiche"; ne sono state date per cose tanto animate quanto inanimate, tanto per tratti di un individuo quanto per caratteristiche di un gruppo. L'esempio decimo dell'elenco precedente illustra questo tipo. Il compito delle spiegazioni genetiche consiste nel mostrare la sequenza dei principali eventi attraverso cui un sistema anteriore si è trasformato in uno posteriore. Le premesse esplicative di tali spiegazioni conterranno perciò necessariamente un gran numero di asserzioni singole su eventi passati del sistema in esame. Occorre notare altri due punti circa le premesse esplicative delle spiegazioni genetiche. Il primo è quello ovvio che non verranno menzionati tutti gli eventi passati nello sviluppo del sistema. Il secondo è quello che gli eventi menzionati sono scelti sulla base di assunzioni (spesso tacite) circa la specie di eventi che sono causalmente rilevanti per lo sviluppo del sistema. Quindi, oltre alle asserzioni singole, le premesse includeranno (esplicitamente o implicitamente) delle assunzioni generali circa le dipendenze causali delle varie specie di eventi. Tali assunzioni generali possono essere leggi di sviluppo ben precise, per le quali sono ottenibili prove induttive indipendenti. (Questo può verificarsi quando il sistema allo studio può essere considerato, per gli scopi preposti come membro di una classe di sistemi simili che subiscono una simile evoluzione - per esempio, nello studio dello sviluppo dei tratti biologici di un membro individuale di qualche specie, perché in tal caso è spesso possibile impiegare metodi di analisi comparata per stabilire tali leggi di sviluppo.) In altri casi, le assunzioni generali possono essere soltanto vaghe generalizzazioni, magari a contenuto statistico, e non contenere alcun riferimento a qualcuna delle caratteristiche altamente specifiche dell'argomento allo studio. (Ciò accade spesso quando il sistema esaminato è relativamente unico - per esempio, quando si indaghi intorno allo sviluppo di qualche istituzione di una particolare civiltà.) Tuttavia, in nessun caso le
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La struttura della sciem::a
premesse esplicative negli esempi familiari delle spiegazioni genetiche stabiliscono le condizioni sufficienti per il verificarsi del fatto stabilito nell'explicandum, benché spesso tali premesse stabiliscano alcune delle condizioni che, nelle circostanze generalmente considerate come sicure, sono necessarie per quanto detto sopra. È quindi una conclusio1 ne ragionevole quella che k spiegazioni genetiche siano nel complesso !_2!Qbabilistiche. Dobbiamo tuttavia rinviare al seguito ulteriori consi'-"derazioni sulla struttura delle spiegazioni genetiche - e piu generalmente sulle spiegazioni storiche.
III. Le scienze forniscono effettivamente delle spiegazioni? Si sono distinti questi quattro tipi principali di spiegazione, perché sembra che essi corrispondano a reali differenze di struttura negli esempi di spiegazione presi in esame, e perché tale classificazione provvede un inquadramento opportuno per l'esame di importanti punti nella costruzione delle spiegazioni sistematiche. Il prossimo capitolo considererà in modo particolare, ma non esclusivo, alcuni dei problemi connessi con le spiegazioni deduttive. Prima però di chiudere il quadro degli schemi esplicativi tracciato in questo capitolo, occorre commentare brevemente un'obiezione storicamente importante sollevata contro la pretesa che la scienza fornisca effettivamente delle spiegazioni. Secondo tale obiezione, nessuna scienza (e certamente non la fisica) risponde veramente alle domande sul perché si verifichi un qualsiasi evento, o perché le cose siano in certe relazioni. A tali domande si risponderebbe soltanto se si potesse mostrare che gli eventi che si verificano devono verificarsi e che le relazioni esistenti tra le cose devono esistere. Invece, i metodi sperimentali della scienza non possono scoprire alcuna necessità assoluta o logica nei fenomeni che sono gli oggetti ultimi di ogni ricerca empirica; e, anche se le leggi e le teorie della scienza sono vere, non sono niente di piu che verità logicamente contingenti intorno alle relazioni di concomitanza o all'ordine di successione dei fenomeni. Di conseguenza, le domande a cui la scienza risponde sono domande relative al come (in quale maniera o in quali circostanze) si verificano gli eventi o sono relazionate le cose. Le scienze perciò raggiungono solo, nella migliore delle ipotesi, dei sistemi, precisi e ad ampio raggio, di descrizione, non di spiegazione! 1 "L'idea molto comune che sia funzione della scienza naturale spiegare i fenomeni fisici non può venire accettata come vera, a meno di usare la parola 'spiegare' in un senso molto limitato. Non essendo applicabili al mondo dei fenomeni fisici le nozioni di causa efficiente e di necessità logica, la funzione della scienza naturale è di descrivere concettualmente le successioni di eventi che vengono osservati in natura; ma la scienza naturale non può render conto dell'esistenza di tali successioni, e perciò non può spiegare i fenomeni del mondo fisico, nel senso piu stretto in cui si può usare il termine spie-
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Schemi di spiegazione scientifica
Questo argomento solleva phi questioni di quante se ne possano discutere con profitto a questo punto; in particolare, meriterebbe piu attenzione di quanta si possa ora dargliene la questione se le leggi e le teorie siano semplicemente formulazioni di relazioni di concomitanza e di successione tra fenomeru. Ma anche mantenendo tale concezione delle leggi e delle teorie, è evidente che l'argomento poggia in una certa misura su una questione verbale. Infatti esso suppone che vi sia un solo senso corretto in cui si possano sollevare le domande 'perché?' - e cioè, il senso in cui la risposta corretta alla domanda è una prova della necessità inerente della proposizione. Questa è però una supposizione errata, come è ampiamente testimoniato dall'elFnco nrecedente di esempi. Quindi una risposta sufficiente all'argomento, quando esso sia presentato come sorretto da tale supposizione, è che di fatto esistono usi ben stabiliti per le parole 'perché?' e 'spiegazione', tali che è del tutto corretto designare una risposta a una domanda 'perché?' come spiegazione, anche quando la risposta non fornisce ragioni per considerare l'explicandum come intrinsecamente necessario. E succede infatti che anche scrittori che ufficialmente respingono la tesi che la scienza possa mai spiegare alcunché, cadono talvolta in un linguaggio che descrive certe scoperte scientifiche come "spiegazioni"! Fin quando l'argomento riposa esclusivamente su assunziom mtorno all'uso linguistico, esso non è né importante né interessante. In realtà però esso ha maggiore sostanza. Esso esprime un'obiezione che era diretta in origine contro vari betsagli. Uno di questi era il sopravvivere nella fisica e nella biologia di antropomorfismi. alcuni dei quali annidati nei significati che normalmente si associano perfino a nozioni tecniche come forza ed energia, altri invece manifesti nell'uso acritico delle categorie teleologiche. Sotto questo aspetto, l'obiezione era una richiesta di chiarimento intellettuale, e ha agito come stimolo di un programma di accurata analisi delle idee scientìfiche, programma che rimane tuttora attivo. Un secondo bersaglio dell'obiezione era costituito da una particolare concezione della scienza, una volta ampiamente diffusa e che continua oggi a riscuotere sotto varie forme adesioni non prive di importanza. Secondo tale concezione, sarebbe compito della scienza spiegare i fenomeni sulla base di leggi di natura che codificano un ordine necessario delle cose, e perciò sono vere in modo piu che contingente. L'obiezione è cosi una negazione della pretesa gazione. Cosi la scienza naturale descrive, fin dove può, come i fenomeni si verificano, e secondo quali regole, ma è del tutto incompetente a rispondere alla domanda perché si verifichino" (E. W. HossoN, The Domain o/ Natura! Science, London, 1923, pp. 81-82). 2 Per esempio, Mach descrive l'analisi galileiana dell'equilibrio del piano inclinato in termini del principio della leva, come una spiegazione di tale equilibrio. (E. MACH, Die Mechanik in ihrer Entwicklung histotrisch-kritisch dargestellt, Leipzig, 1883, c. l, sez. l"; trad. it. a cura di D. Gambioli, 1909.)
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La struttura della scienza
che le leggi di natura possiedano piu che una universalità de facto, negazione che coincide con una delle principali conclusioni dell'analisi della causalità fatta da Hume. Il reale contenuto di questo argomento non è certamente una banale questione circa un uso linguistico, bensi una questione sostanziale circa l'adeguatezza di un punto di vista sulla legge scientifica essenzialmente conforme a quello di Hume. Di ciò ci occuperemo al capitolo quarto.
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Capitolo terzo
Lo schema deduttivo di spiegazione
Da quando Aristotele ha analizzato la struttura di quello che egli reputava essere l'ideale della scienza, è stato ampiamente accolto il punto di vista secondo cui le spiegazioni scientifiche debbono sempre esser poste in forma di deduzioni logiche. Benché si possa mettere in discussione l'universalità dello schema deduttivo, anche quando lo si proietti come un ideale, difficilmente si può mettere in dubbio il fatto che molte spiegazioni scientifiche - e per certo i sistemi di spiegazione piu ampi e importanti - hanno tale forma. Inoltre, molte spiegazioni che non la raggiungono in maniera manifesta, possono esservi riportate esplicando le ipotesi sottintese nelle spiegazioni; né tali casi vanno considerati come eccezioni al modello deduttivo, bensl. come illustrazioni dell'uso frequente di argomenti entimematici.' Dobbiamo tuttavia chiederci se, oltre al requisito essenziale per definizione, secondo cui nei tipi deduttivi di spiegazione l'explicandum segue logicamente dalle premesse esplicative, sussistano altre condizioni cui debbano sottostare le spiegazioni di questo tipo onde essere soddisfacenti. È infatti evidente che non basta che una spiegazione proposta abbia struttura deduttiva perché sia accettabile. Per esempio, nessuno considererà soddisfacente che per spiegare il fatto che Giove ha almeno un satellite si proponga di riferirsi all'altro fatto, che Giove ha otto lune - anche se la prima asserzione consegue logicamente dalla seconda. Le discussioni intorno a questa questione risalgono agli antichi greci; sono state suggerite condizioni aggiuntive in gran quantità. Tali condizioni possono venir raggruppate per convenienza in tre tipi: logiche, che specificano vari requisiti formali per le premesse esplicative; episte7 mologiche. che stabiliscono quali relazioni conoscitive si debbano avere 1 Per esempio, la dilatazione di un pezzo di filo metallico in un certo caso può venir spiegata facendo ricorso al fatto che esso era appena stato scaldato; è evidente che l'explicandum non segue logicamente dalla premessa esplicativa nella forma in cui è stata formulata. Tuttavia è plausibile considerare che la spiegazione proposta assuma tacitamente altre premesse - per esempio quella che il filo metallico fosse di rame e che il rame quando viene riscaldato si dilati sempre; con l'esplicitazione di tali assunzioni addizionali, la spiegazione è conforme al modello deduttivo.
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con le premesse; e di sQstanza, che prescrivono quale tipo di contenuto (empirico od altro) debbano avere le premesse. Risulterà chiaro in s~ guito il significato di tali definizioni. Sarebbe difficile e richiederebbe interminabili ripetizioni il discutere separatamente intorno a ciascun tipo di condizione, per cui non verrà neanche tentata una tale analisi rigidamente suddivisa. Tuttavia in questo capitolo si prenderà in considerazione la maggior parte delle condizioni logiche che richiedono di venir esaminate.
I. Spiegazione di eventi singoli Cominciamo con un esempio di spiegazione deduttiva in cui l'explicandum sia il verificarsi di un evento singolo. Consideriamo la descrizione, menzionata nel capitolo precedente, dell'umidità formatasi sulla superficie di un bicchiere in un certo giorno. La spiegazione, formulata in modo piu preciso di prima, benché piu pedante, può venir enunciata come segue: Ogniqualvolta la temperatura di qualsiasi volume d'aria contenente vapor acqueo viene portata al di sotto del punto in cui la densità del vapor acqueo nell'aria è maggiore della densità di saturazione del vapor acqueo nell'aria a quella temperatura, il vapore contenuto nel volume d'aria considerato si condensa in acqua liquida in quei punti in cui la temparatura dell'aria è discesa sotto al punto di saturazione. Il volume di aria che ieri circondava il bicchiere conteneva vapor acqueo. La temperatura dello strato d'aria immediatamente adiacente al bicchiere si è abbassata quando è stata versata acqua ghiacciata nel bicchiere. La densità effettiva del vapore in questo strato di aria, quando la sua temperatura si è abbassata, era pertanto maggiore della densità di saturazione alla nuova temperatura. Di conseguenza il vapore in questo strato adiacente di aria si è condensato sulla superficie del bicchiere sotto forma di acqua liquida: in breve, sul bicchiere si è formata dell'umidità.
Il primo punfo da -osservarsi in questo esempio è che le premesse contengono un'asserzione che è universale dal punto di vista formale e che afferma una connessione invariabile di certe proprietà. In altri esempi nelle premesse vi possono essere piu di una di tali leggi universali. 2 Se 2 Di fatto, anche nell'esempio presente vi sono altre leggi tacitamente ammesse. Una di esse è che l'aria ha una ben determinata densità di saturazione per ogni temperatura. Altre leggi che facilmente sfuggono all'osservazione a causa della loro familiarità si nascondono nella caratterizzazione di varie cose come acqua, bicchiere, ecc. Queste leggi effettivamente affermano che vi sono tipi distinti di sostanze, ognuna delle quali offre certi concatenamenti fissi di tratti e di modi di comportamento. Per esempio. l'asserzione che alcunché è acqua afferma implicitamente che sono associate uniformemente tra loro certe proprietà (un certo stato di aggregazione, un certo colore, un certo punto di congelamento e di ebollizione, certe affinità ad entrare in reazione chimica con al-
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Lo schema deduttivo di spiegazione
ora generalizziamo partendo da questo esempio, appare manifesto che almeno una delle premesse in una spiegazione deduttiva di un singolo explicandum deve essere una legge universale, e per di piu una premessa che non rivesta una parte secondaria, ma essenziale nella derivazione dell'explicandum.' È evidente che il porre questa condizione è sufficiente per escludere come caso di genuina spiegazione la deduzione sopra menzionata del fatto che Giove ha almeno un satellite dal fatto che il pianeta ne ha otto. Ma oltre ad una legge universale, le premesse di cui sopra contengono anche un certo numero di asserzioni singole, o riguardanti il caso particolare, le quali affermano che certi eventi si sono verificati in determinati tempi e luoghi o che certi oggetti hanno determinate proprietà. Tali asserzioni singole verranno denominate "a.sse!"_Zioni __Ql--fQ11..: diziQ.!!L iniziali_" (o piu brevemente "collc!i~i<;>!!i.Jn!~ill,H_"). Piu generalmente, le condizioni iniziali costituiscono le circostanze speciali a cui sono applicate le leggi incluse nelle premesse esplicative. Non è tuttavia possibile stabilire in termini generali quali circostanze vadano scelte per fungere appropriatamente da condizioni iniziali, perché la risposta alla questione dipende tanto dal contenuto specifico delle leggi usate quanto dai problemi speciali per la soluzione dei quali si invocano tali leggi. La indispensabilità di condizioni .iniziali per la spiegazione deduttiva tre sostanze, ecc.). La scoperta e la classificazione delle specie è uno stadio remoto ma indispensabile nello sviluppo di una conoscenza sistematica; e tutte le scienze, compreso la fisica e la chimica, accettano, come pure continuamente perfezionano e modificano, le distinzioni delle specie inizialmente riconosciute dall'esperienza comune. Di fatto, · lo sviluppo di sistemi teorici estesi sembra essere possibile solo dopo una classificazione preliminare delle specie, e la storia della scienza conferma ripetutamente il punto di vista che il prender nota e l'ordinare le varie specie - uno stadio di ricerca spesso definito "storia naturale" - sia un prerequisito per la scoperta di tipi di leggi piu comunemente riconosciute e per la costruzione di teorie a lungo raggio. La fisica e la chimica moderne non nacquero se non dopo il compimento di tali classificazioni preliminari delle specie (il cui inizio si è perso nella piu primitiva antichità); la botanica e la zoologia tradizionali consistono in gran parte di specificazioni e subordinazioni di specie; ed alcune tra le scienze sociali sono ancora in una fase di tentativi per trovare delle formulazioni utilizzabili e attendibili delle specie degli esseri umani e delle istituzioni sociali. Il riconoscimento di specie diverse va di pari passo con la subordinazione e l'inclusione di una specie in un'altra. Cosi la chimica distingue non soltanto tra la specie rame e la specie zolfo, ma anche tra metalli e non-metalli, includendo il rame tra i metalli e lo zolfo tra i non-metalli. Analogamente la biologia include la specie tigre e leone nel genere comune felini, questo nell'ordine dei carnivori, di piu vasta. estensione, i carnivori nella classe dei mammiferi, e cosi via. Quando si è stabilito un sistema di inclusione tra specie, è possible spiegare (sia pure in maniera schematica) perché una determinata cosa è membro di una data specie, mostrando che l'individuo è membro di una specie subordinata (per esempio, il micio di casa appartiene ai mammiferi perché è un gatto e i gatti sono mammiferi). Queste spiegazioni sono evidentemente assai lontane dalla sorta di spiegazioni a cui ci ha abituato la moderna scienza teorica; eppure costituiscono i primi passi sulla strada che conduce a quest'ultima. 3 Questa clausola viene introdotta per eliminare delle banali eccezioni. Per esempio, benché l'asserto "Brown è piu vecchio di Smith" sia deducibile dalle due premesse "Smith è piu giovane di Brown" e "Tutti i mammiferi sono vertebrati" ciò non varrà come spiegazione, anche se le premesse comprendono una legge generai~ smplicemente perché la seconda premessa non è richiesta per la deduzione. '
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La struttura della scienza
del verificarsi di fatti singoli è ovvia quale punto della logica formale. È infatti logicamente impossibile dedurre una asserzione che abbia la
forma di caso particolare da un'asserzione avente la forma di un condizionale universale. (Per esempio, è impossibile far derivare un'asserzione particolare della forma 'x è B' da un condizionale universale della forma 'per ogni x, se x è A, allora x è B'.) Ma benché tale punto possa essere ovvio, esso ha la sua importanza, mentre nelle discussioni sulle procedure scientifiche viene spesso trascurato, il che è almeno parzialmente responsabile della maniera disinvolta con cui talora si ricorre ad ampie generalizzazioni per rendere conto di dettagliate materie di fatto (specialmente nello studio delle cose umane), nonché della scarsa stima che talvolta si riscontra da parte degli osservatori verso laboriose investigazioni di come stiano i fatti. Tuttavia spesso è difficile far un uso concreto di leggi e teorie, semplicemente perché le condizioni iniziali specifiche per la loro applicazione sono inaccessibili e restano pertanto sconosciute. Reciprocamente, spesso vengono proposte spiegazioni errate e previsioni false, perché le ipotesi generali impiegate, benché sufficientemente fondate per se stesse, vengono applicate a situazioni che non costituiscono condizioni iniziali appropriate per tali ipotesi. Benché per le spiegazioni scientifiche del reale corso degli eventi siano indispensabili leggi, di un tipo o di un altro, tuttavia ciò che realmente avviene non può venir spiegato riferendosi esclusivamente alle leggi. Nel corso della comprensione scientifica, cosi come nello svolgersi delle discussioni legali, i principi generali da soli non determinano nessun caso singolo. Una spiegazione deduttiva scientifica, il cui explicandum sia il verificarsi di qualche evento o il fatto che un dato oggetto possieda una da( ta proprietà, deve dunque soddisfare due condizioni logiche. Le premes: se devono contenere almeno una legge universale, la cui inclusione nelle r premesse stesse sia essenziale per la deduzione dell'explicandum; e deb: bono contenere inoltre un numero convenzionale di condizioni iniziali:
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4 Benché la spiegazione di un fatto singolo richieda l'inclusione nelle premesse tanto di asserzioni di leggi quanto di asserzioni di condizioni iniziali, la ricerca può essere diversa a seconda che sia diretta verso la scoperta e l'affermazione di uno o dell'altro tipo di premesse. Cosf, possiamo notare il verificarsi di un evento, indi cercare di spiegarlo scoprendo un qualche altro evento che, sulla base di una legge già stabilita, venga assunto come condizione per il verificarsi dell'evento dato. Per esempio, se una gomma di automobile va a terra, possiamo metterei a cercare una foratura, basandoci sulla supposizione generale che le gomme a terra siano la conseguenza di forature nelle camere d'aria. Possiamo invece notare il verificarsi di due o piu eventi, sospettare che siano in relazione in modo significativo e cercare di scoprire le leggi che form_!!lano le modalità specifiche di dipendenza tra eventi di quel carattere. Cosf può capitarci di osservare che il ritmo delle pulsazioni di una persona cresce dopo che questa si è impegnata in qualche esercizio vigoroso; e, dopo che ci è venuto il sospetto che il ritmo del polso sia in qualche modo legato con l'esercizio fisico, possiamo metterei a cercare la precisa modalità di relazione tra le due attività, in modo da arrivare a una formula generale per la loro relazione di dipendenza. In piu, nel tentativo di spiegare qualche evento, possiamo dirigere la ricerca verso la scoperta di entrambi i tipi di premesse esplicative convenienti. Per esempio, può darsi che non conosciamo nessuna legge intorno all'apparire di una certa crescita cancerosa, e possiamo anche essere all'oscuro
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IL Spiegazione di leggi I trattati dedicati all'esposizione sistematica di alcuni rami della scienza organizzata in modo deduttivo non contengono di solito spiegazioni di accadimenti singoli o di fatti particolari; e, quando le contengono, spesso ciò accade solo nell'illustrare applicazioni di leggi e teorie. Nelle scienze fisiche piu avanzate, in ogni modo, l'oggetto principale di studio riguarda la spiegazione di leggi e, di conseguenza, la loro sistematica interrelazione. Tutte le spiegazioni di leggi sembrano essere del tipo deduttivo,• e noi dobbiamo esaminare quali siano le loro caratteristiche particolari. Considereremo per prima la spiegazione delle leggi universali. Anzi, per il momento ignoreremo non solo le leggi statistiche ma anche la distinzione fatta piu sopra tra spiegazioni in cui tutte le premesse sono "leggi sperimentali" e spiegazioni in cui le premesse includono ipotesi "teoriche". Riprendiamo perciò l'esempio, di cui si è parlato nel paragrafo precedente, della spiegazione della legge che il ghiaccio galleggia sull'acqua. Sarebbe laborioso, tuttavia, elencare dettagliatamente la deduzione rigorosa di questa legge dalle premesse da cui partono generalmente i fisici per spiegarla. I cenni che già abbiamo dato circa l'identità di queste premesse possono bastare per i nostri scopi.• sugli eventi specifici nel corso dei quali tale crescita si è verificata. Dobbiamo perciò cercare di scoprire tanto le circostanze particolari che dettero inizio al cancro quanto . le leggi che stabiliscono il nesso tra tali circostanze e la crescita del cancro. 5 Ciò non significa, tuttavia, che le leggi siano sempre stabilite per la sola via de- i:t duttiva. È stato rilevato che la maggior parte delle leggi trae la sua garanzia da prove osservative. 6 Una prima approssimazione di tale deduzione è la seguente: la spinta che un liquido esercita su un corpo immerso in esso è in direzione perpendicolare alla superficie del liquido, ed è uguale, ma diretta in senso opposto, al peso del liquido spostato dal corpo. [Perciò, la forza che da parte dell'acqua fa galleggiare il ghiaccio immerso in essa è in direzione perpendicolare alla superficie dell'acqua, ed è uguale al peso dell'acqua spostata dal ghiaccio.] Un corpo è in equilibrio se, e solo se, la somma vettoriale delle forze che agiscono su di esso è zero. [Quindi, il ghiaccio immerso in acqua è in equilibrio se, e solo se, la somma vettoriale delle forze che agiscono sul ghiaccio è zero.] La somma vettoriale delle forze che agiscono su un corpo immerso in un liquido in una direzione parallela alla superficie del liquido, è zero. Ogni forza è la somma vettoriale di due forze (chiamate le "componenti" della forza data) le cui direzioni sono tra loro ad angolo retto. [Perciò, il ghiaccio immerso nell'acqua è in equilibrio se, e solo se, la somma vettoriale delle forze che agiscono sul ghiaccio in direzione perpendicolare alla superficie dell'acqua è zero. Perciò, anche se le sole forze che agiscono sul ghiaccio immerso in acqua sono la spinta dell'acqua e la forzapeso del ghiaccio, il ghiaccio immerso in acqua è in equilibrio se, e solo se, la spinta dell'acqua è uguale, ma diretta in senso opposto, al peso totale del ghiaccio.] La densità dell'acqua è maggiore della densità del ghiaccio. [Perciò, il peso di un dato volume di acqua è maggiore del peso di un ugual volume di ghiaccio.] Quindi, se le sole forze che agiscono sul ghiaccio immerso in acqua sono la spinta dell'acqua e il proprio peso, il ghiaccio immerso in acqua è in equilibrio se, e solo se, una porzione di ghiaccio non è sommersa, e la spinta dell'acqua è uguale e opposta al peso dell'acqua spostata dalla porzione sommersa di ghiaccio. In breve, il ghiaccio immerso in acqua (e sotto l'azione di nessuna forza oltre a quelle "normali") è in equilibrio se, e ·solo se, galleggia.
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In questa spiegazione tre punti sono immediatamente evidenti; tutte le premesse sono asserzioni universali; vi è piu di una premessa, ciascuna delle quali risulta essenziale per la derivazione dell'explicandum; 7 e le premesse, prese singolarmente o in congiunzione, non conseguono logicamente dall'explicandum. Il primo punto non richiede commento, essendo logicamente inevitabile, in quanto l'explicandum stesso è una legge universale. Quindi l'introduzione di condizioni iniziali nelle premesse sarebbe gratuita in una spiegazione di leggi universali. Ma il secondo punto fa sorgere la questione se la presenza di piu di una legge universale nelle premesse sia soltanto una particolarità dell'esempio usato o sia un tratto essenziale per tutte le spiegazioni accettabili. La questione non può venir risolta definitivamente, poiché non vi è un criterio preciso per distinguere tra spiegazioni soddisfacenti e non soddisfacenti. È tuttavia pertinente il chiedersi se la deduzione di una legge universale da una premessa singola verrebbe normalmente considerata come spiegazione della legge stessa. Per fissare le idee, consideriamo la legge di Archimede, la quale dice che la spinta di un liquido su un corpo in esso immerso è uguale al peso del liquido spostato dal corpo. Da ciò segue come caso particolare che la spinta dell'acqua sul ghiaccio immerso in essa è uguale al peso dell'acqua spostata dal ghiaccio.• Sembra però improbabile che i fisici, nella maggioranza, trovino che in tal modo risulti spiegata questa particolare legge; e certamente poche persone "sentirebbero" come una spiegazione questa deduzione della legge particolare. Se si può prendere come tipico questo esempio, e se sono fondate le congetture sulla reazione degli scienziati, sembra essere una condizione logica ragionevolmente esigibile nella spiegazione di leggi quella che le ipotesi esplicative contengano almeno due premesse formalmente indipendenti. Un'ulteriore considerazione parla in favore di tale richiesta, anche se si tratti di un punto per se stesso di non molto peso. Noi riserviamo spesso la parola "spiegazione" per l'esame di leggi in uno dei due casi seguenti. Nel primo di essi, il "fenomeno" formulato dalla legge compare come risultante di vari fattori indipendenti che entrano in qualche se7 È sempre possibile ottenere una sola premessa, formando la congiunzione di diverse premesse. Ciò che si intende nel testo è che, se ci fosse solo una singola premessa costituita da una congiunzione, essa equivarrebbe a una classe di premesse, logicamente indipendenti, ove la classe conterrebbe piu di un elemento. ' La deduzione è effettivamente ottenuta sostituendo valori particolari delle "variabili" implicite nella formulazione della legge di Archimede. La forma schematica della .deduzione è la seguente: Per tutte le proprietà P che sono in K 1 e per tutte le proprietà Q che sono in K 2 , tutti i P sono Q. A è in K., e B è in K2 , ex vi terminorum. Quindi tutti gli A sono B. La deduzione è del tutto analoga alle derivazione della legge di Boyle, la quale .dice che per ogni gas ideale il prodotto della pressione e del volume del gas è costante, dalla legge di Boyle-Charles, la quale dice che per ogni gas ideale il prodotto· della pressione Per il volume è proporzionale alla temperatura del gas.
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rie speciale di relazioni. Nel secondo caso, l'associazione invariabile tra i tratti asserita dalla legge compare come il prodotto di due o piu associazioni, di cui l'ultima connette i tratti menzionati dalla legge a vari altri che sono maglie intermedie in una catena o rete. Ciò che si intende con queste alternative risulterà forse piu chiaramente dalle seguenti illustrazioni schematiche. Supponiamo che una legge universale abbia la forma di un semplice condizionale universale: 'per ogni x, se x è A, allora x è B' (oppure: 'tutti gli A sono B'), dove 'A' e 'B' designano determinate proprietà. Supponiamo che la proprietà A si verifichi solo se si verificano congiuntamente le proprietà A1 e A2; e supponiamo analogamente che B si verifichi solo se si verificano congiuntamente B1 e B2. Supponiamo inoltre che tutti gli A1 siano B1 e tutti gli A2 siano B2. Ne segue che tutti gli A sono B, cosicché questa legge è ora spiegata. Questo schema illustra la prima delle due alternative sopra accennate. Un esempio concreto è la spiegazione della legge che il ghiaccio galleggia sull'acqua, in quanto il comportamento del ghiaccio nell'acqua è mostrato come il risultato di varie forze indipendenti che agiscono sul corpo immerso. L'effettiva struttura logica di questa spiegazione è tuttavia molto piu complessa di quella esemplificata dal semplice schematismo or ora esposto. Un'illustrazione schematica della seconda alternativa è fornita dalla spiegazione di una legge che ha la forma: 'tutti gli A sono B', quando essa sia dettata dalle due leggi aventi la forma, rispettivamente, 'tutti gli A sono C' e 'tutti i C sono B'. Un esempio pratico di questo caso è la spiegazione della legge: "quando dei gas contenenti vapore acqueo si sono sufficientemente espansi senza cambiamento della quantità di calore contenuta in essi, il vapore si çondensa ", se la si deduce dalle due leggi seguenti: "quando dei gas si espandono senza cambiamento della loro quantità di calore, la loro temperatura si abbassa" e "quando la temperatura di un gas che contiene vapore acqueo viene abbassata, la densità di saturazione del vapore diminuisce". È evidente che le spiegazioni raggruppabili in entrambi questi schemi impiegano almeno due premesse. Ma si accetti o no la condizione che nelle spiegazioni soddisfacenti debbano essere presenti almeno due premesse, possiamo essere ragionevolmente certi di non trovare nella scienza molte spiegazioni che le vengono meno. Il terzo punto, notato sopra a proposito dell'esempio del ghiaccio - quello cioè che l'explicandum non implichi logicamente le premesse - è meno discutibile come condizione generale nelle spiegazioni. Se infatti tale condizione non venisse soddisfatta, la congiunzione delle premesse equivarrebbe logicamente all'explicandum, ed in tal caso esse non farebbero che formulare nuovamente la legge per cui viene proposta una spiegazione. Prendiamo per esempio la legge secondo cui un corpo che cade liberamente richiede, onde percorrere una certa distanza, un tempo proporzionale alla radice quadrata del valore di tale distanza;
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questa legge segue logicamente da quella secondo cui la distanza percorsa da un corpo che cade liberamente è proporzionale al quadrato della durata della caduta. Tuttavia, nessuno dirà che quest'ultima costituisce una spiegazione della legge precedente, in quanto la premessa altro non è che un equivalente matematico dell'explicandum. (Questo esempio viene meno alla condizione secondo la quale una spiegazione deve avere piu di una premessa. Esempi che non vengano meno a questa condizione ma in cui le premesse e l'explicandum siano logicamente equivalenti- come quelli! costituite dalla formulazione newtoniana della meccanica, ben nota a tutti gli studenti che iniziano lo studio della fisica, e dalla meno nota perché matematicamente meno elementare, ma piu generale, formulazione della medesima teoria data nel XVIII secolo da Giuseppe Luigi Lagrange - sono troppo complessi da esporsi in dettaglio.) Se qualcuno poi chiamasse spiegazione quella testé accennata, potrebbe altrettanto bene prendere lo stesso explicandum come spiegazione. È dunque chiaro che in una spiegazione soddisfacente ci aspettiamo che le premesse esplicative asseriscano qualcosa di piu di quanto viene i asserito dall'explicandum. Detto in maniera piu completa, ciò che ci '-aspettiamo è che almeno una delle premesse della spiegazione di una data legge soddisfi la seguente condizione: congiunta a convenienti ipotesi addizionali, la premessa sia in grado di spiegare altre leggi oltre quella data; d'altra parte, non sia inversamente possibile spiegare la premessa con la legge data, anche quando la si congiunge con quelle ipotesi addizionali. Se nessuna delle premesse di una spiegazione soddisfa questa condizione, ne seguiranno due conseguenze indesiderabili: sarà impossibile ottenere per le premesse una prova oltre a quella fornita dall'explicandum stesso; la spiegazione poi non porterà un contributo significativo all'organizzazione dell'argomento trattato in sistema in quanto, eccetto casi isolati, ~ fatti conosciuti resteranno privi di interrelazioni, come pure quelli ancora da scoprirsi. La C::Qt:lcl!zjone che le p~emesse non siano equivalenti all'explicandum è suffici~nte ~~-~!!!li~_a..!:~_ll1~l!~_j>~(;!l1d()~~ei~K~Zi()_.t:A~..}n cui le premesse ribattezzano semplicemente i fatti da spiegarsi coniando per essi nuovi nomi. Un esempio classico di queste pseudo-spiegazioni è il passo della satira di Molière in cui vengono messi in ridicolo coloro i quali vorrebbero spiegare il fatto che l'oppio provoca il sonno invocando il detto che l'oppio possiede una virtu dormitiva. Un esempio meno ovvio, e che si trova in certe volgarizzazioni scientifiche, è la pretesa di spiegare la legge secondo cui la velocità di un corpo rimane costante se esso non viene sottoposto ad una forza esterna non equilibrata ricavandola dal fatto che tutti i corpi possiedono una intrinseca forza d'inerzia. Questa è una pseudo-spiegazione, in quanto la parola "inerzia" non è altro che un'etichetta per il fatto stesso asserito dalla legge.
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III. La generalità nelle spiegazioni Viene spesso avanzata anche un'altra condizione perché una spiegazione di leggi sia soddisfacente, condizione strettamente collegata a quella testé considerata.9 Secondo tale condizione, almeno una delle premesse deve essere "piu generale" della legge che si deve spiegare. Cosi, la legge di Archimede (che compare nelle premesse dell'esempio del ghiaccio che galleggia) vien detta piu generale di quella secondo cui il ghiaccio galleggia sull'acqua, perché la prima afferma qualcosa su tutti i liquidi e non soltanto sull'acqua, e su tutti i corpi immersi nei liquidi e non soltanto sul ghiaccio. In modo analogo, la legge della leva viene considerata piu generale di quanto siano quelle sui movimenti dei vertebrati; in modo piu inclusivo, benché forse in un senso meno rigido, viene spesso affermato che le leggi della fisica sono piu generali di quelle della biologia. Tuttavia, benché il significato dell'espressione "piu generale" possa essere abbastanza chiaro in particolari esempi del suo uso, non è facile dare una spiegazione precisa di tale nozione. Dobbiamo nondimeno tentarlo, e osservare le difficoltà che ne sorgono. Quando si afferma che un'asserzione 5t è piu generale di una seconda asserzione 52, presumibilmente non si intende che 5t debba implicare logicamente 52; infatti tale implicazione non sussiste tra la legge di Archimede e quella secondo cui il ghiaccio galleggia sull'acqua, malgrado che la prima sia considerata piu generale della seconda. È quindi plausibile stabilire il significato dell'espressione "piu generale" in modo tale che 5 1 venga detto piu generale di 52 non semplicemente perché 5t implica logicamente 52. Per esempio, l'asserzione: 'tutti i pianeti si muovono su orbite ellittiche' implica logicamente: 'tutti i pianeti si muovono su orbite che sono sezioni coniche', ma presumibilmente la prima non è piu generale della seconda. Quindi perché 5t sia piu generale di 52 sembra non essere né necessario né sufficiente che 5t implichi logicamente 52. Se ci limitiamo ad una speciale classe di asserzioni che possono venir confrontate rispetto alla loro "generalità" relativa, una maniera ovvia per definire tale relazione è la seguente: 10 si considerino solo leggi che si possano formulare come condizionali universali della forma piu semplice. Sia 5t un'asserzione della forma: 'per ogni x, se x è A, allora x è B' (oppure, seguendo il modo piu tradizionale di esprimersi, della forma: 'tutti gli A sono B'), e sia 52 della forma: 'tutti i C sono D'. Allora si dirà che 5t è piu generale di 52 se, e solo se: 'tutti i C sono A' è logicamente vera, ma il suo reciproco: 'tutti gli A sono C' non lo è. Inoltre, si dirà che 5t è tanto generale quanto 52, se, e solo se: 'tutti gli 9 Cfr. ]OHN STUART MILL, A System of Logic, London, 1879, libro 3, c. 12, sez. 4; NoRMAN R. CAMPBELL, Physics, The Elements, Cambridge, England, 1920, pp. 114 e sgg.; KARL PoPPER, Logik der Forschung, Wien, 1935, p. 75. 1 K. PoPPER, ibid.
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A sono C' e 'tutti i C sono A' sono entrambe logicamente vere. Se nessuna delle due asserzioni aventi una delle due ultime forme è logicamente vera, allora si dirà che St e S2 non sono confrontabili rispetto alla loro generalità. Per esempio, la legge che tutti gli oggetti immersi in un liquido sono spinti da una forza uguale al peso del liquido spostato dall'oggetto (legge di Archimede) è piu generale, in base a questa definizione, della legge che il ghiaccio immerso nell'acqua galleggia, perché l'asserzione 'il ghiaccio immerso nell'acqua è un oggetto immerso in un liquido' è vera in virtu dei significati associati ai suoi termini, mentre manifestamente il suo reciproco non lo è. Benché a prima vista sembri che questa definizione fornisca una spiegazione soddisfacente di ciò che presumibilmente si intende dicendo che un'asserzione è piu generale di un'altra, essa conduce tuttavia a certe difficoltà. Infatti, la condizione che due asserzioni logicamente equivalenti debbano essere ugualmente generali sembrerebbe ragionevole, cosi che, se St è piu generale di S2, e S2 è logicamente equivalente ad una terza asserzione S3, allora S1 è anche piu generale di S3. Invece, questa condizione non è soddisfatta quando si intende 'piu generale' in accordo alla definizione proposta. Cosi, si supponga che: 'tutti gli A sono B' sia piu generale di 'tutti i C sono D' (cosi che 'tutti i C sono A' è logicamente vera, ma non lo è la sua reciproca). Ma 'tutti i non-B sono non-A' è logicamente equivalente a 'tutti gli A sono B', e secondo la condizione suggerita dovrebbe perciò esser piu generale di 'tutti i C sono D'. Perché cosi fosse in base alla definizione proposta dovrebbe essere logicamente vero che 'tutti i C sono non-B', benché di fatto ciò normalmente non accada. Per esempio: 'tutti gli organismi viventi sono mortali' è piu generale, secondo la definizione proposta, di 'tutti gli esseri umani sono mortali' (perché 'tutti gli esseri umani sono organismi viventi' è una verità logica, ma non cosi la sua reciproca); e 'tutti gli organismi viventi sono mortali' è anche logicamente equivalente a: 'tutti i non-mortali sono organismi non-viventi'. Ma dato che 'tutti gli esseri umani sono non-mortali' evidentemente non è una verità logica, l'asserzione: 'tutti i non-mortali sono organismi non-viventi' non è piu generale, se giudicata in accordo alla definizione proposta, di quella. 'tutti gli esseri umani sono mortali'." Queste difficoltà non sono necessariamente fatali alla spiegazione pro11 Si possono trovare altre difficoltà di natura simile, usando altre equivalenze di cui si dimostra la validità nella logica formale. Per esempio: 'tutti gli A sono B' è piu generale di 'tutti gli AE sono B', perchè 'tutti gli AE sono A' è una verità logica, mentre 'tutti gli A sono AE' non lo è. Però 'tutti gli AB sono B' è logicamente equivalente a 'tutti gli A sono o B e non-E'. Ma 'tutti gli A sono B' non è piu generale di un'asserzione logicamente equivalente a quest'ultima. A queste difficoltà non si può ovviare modificando il requisito richiesto nell'esposizione iniziale delle condizioni necessarie e sufficienti per una generalità maggiore (secondo cui 'tutti i C sono A' deve essere una verità logica, senza che lo sia la sua reciproca) col sostituirgli la condizione piu debole che 'tutti i C sono A' sia vera solo contingentemente (o di fatto), ma non lo sia la sua reciproca.
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posta per la nozione di generalità maggiore; per evitarle, però, si è costretti ad abbandonare il requisito, apparentemente plausibile, che as- • serzioni logicamente equivalenti debbano essere ugualmente generali, e 1 adottare il punto di vista secondo cui la generalità rispettiva delle varie leggi dipende dal modo in cui queste ultime vengono formulate. Si potrebbe obiettare, tuttavia, che in tal modo si apre la porta a una illimitata arbitrarietà nella classificazione delle leggi secondo la loro generalità, dal momento che per una data affermazione vi è un numero indefinito di equivalenti logici che differiscono per la loro formulazione. Ma tale arbitrarietà può risultare meno seria di quanto appaia a prima vista, perché l'effettiva formulazione di una legge spesso indica quale sia il campo delle cose che costituiscono i soggetti di cui si parla nei contesti dati, dove questa identificazione della portata che si intende attribuire alla legge è controllata dalla natura della particolare ricerca. Ma in questo non vi è nulla di particolarmente arbitrario, oltre all'arbitrarietà propria al fatto che si abbia a che fare con una piuttosto che con un'altra serie di problemi. Quindi, nella misura in cui il soggetto contenuto nell'enunciato di una legge indica la portata che si intende dare a tale legge nel contesto concreto (o nella classe di contesti) del suo uso, l'asserzione che una legge è piu generale di un'altra non risulta inevitabilmente arbitraria - anche se possa esservi un altro contesto in cui valga un giudizio diverso. Per esempio, la legge che il ghiaccio galleggia sull'acqua è comunemente usata in modo che il suo campo di applicazione è la classe indefinitamente larga di casi in cui c'è (o c'è stato o ci sarà) del ghiaccio immerso nell'acqua. Raramente o addirittura mai si usa tale legge in modo che il suo campo di applicazione sia l'insieme composito di cose che non galleggiano sull'acqua (nel passato, o nel presente, o nel futuro). Di fatto, sarebbe una legittima richiesta che, se la legge venisse usata in quest'ultimo modo in qualche contesto, la sua formulazione abituale venisse in tale contesto adeguatamente modificata. In ogni modo nella formulazione concreta delle leggi sembra esserci un tacito riferimento ai contesti a cui tali leggi serviranno. Ma, se è cosi, la spiegazione proposta per la nozione di generalità maggiore è irrimediabilmente inadeguata. Occorre tuttavia prestare ulteriore attenzione alla questione, in quanto la spiegazione sin qui discussa non coglie un senso piu particolare, benché piu vago, dell'espressione "piu generale". Questo senso compare per esempio quando si dice che la fisica è una scienza piu generale della biologia, o, piu in particolare, quando si afferma che la legge della leva è piu generale di quella- poniamo- che genitori con occhi azzurri hanno solo figli con occhi azzurri. Ciò che si intende talora con tali affermazioni è forse che i fenomeni biologici possono venir spiegati in base alle leggi della fisica, ma non reciprocamente. Ma a parte la verità di questa affermazione, essa esprime scarsamente il senso in cui generalmente si enunciano le asserzioni di cui sopra, in quanto è da du-
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bitarsi che qualcuno abbia mai sostenuto che la legge della leva possa spiegare le leggi dell'ereditarietà. Forse il senso piu frequentemente associato a quelle asserzioni si avvicina di piu al seguente: la legge della leva (e, piu in generale, la fisica) formula certe caratteristiche delle cose senza tener conto del fatto che esse siano animate o inanimate. Invece, la legge sul colore degli occhi (e, piu in generale, la biologia) afferma qualcosa su tratti che si ritrovano solo in una speciale classe di sistemi, alcuni (benché non necessariamente tutti) dei quali manifestano anche quelle caratteristiche formulate dalla legge della leva. Cosf la legge della leva astrae da molte caratteristiche delle cose che sono considerate dalla legge biologica, e quindi le espressioni descrittive che compaiono nella legge della leva si riferiscono a una classe di sistemi piu vasta di quanto non facciano le espressioni descrittive che compaiono nella legge biologica. Cerchiamo di render conto di questa interpretazione di uno dei significati di "piu generale", in un modo formalmente piu preciso. Sia L, una legge (o un insieme di leggi e teorie che costituiscano una scienza particolare, come la fisica) e sia 'P,', 'Pz', ... , 'Pn' un insieme di predicati "primitivi" in termini dei quali è possibile in qualche senso definire i predicati che si presentano in L,. (Per semplificare, e senza perdere nulla nella generalità di quanto si afferma, supporremo che i predicati siano tutti aggettivi, o predicati "monadici", come 'rigido', e 'pesante', e non includano espressioni di relazione, come 'piu lungo di' o 'ascendente di'. Di conseguenza i predicati possono servire a costruire asserzioni della forma 'x è rigido', che contengano soltanto un nome.) Analogamente, sia 'Q,', 'Qz', ... , 'Qs' l'insieme corrispondente di primitivi per una legge Lz. Infine, sia K una classe di oggetti, ciascuno dei quali possa venir caratterizzato, in modo vero o falso, ma comunque provvisto di significato, dai predicati di entrambi gli insiemi. Cosf, se 'pesante' è un predicato che appartiene al primo insieme, e 'mammifero' ·un predicato del secondo insieme, K conterrà soltanto elementi (come rocce, tavoli, animali) per ciascuno dei quali abbia senso il dire (anche se eventualmente sia falso) che esso è pesante e mammifero. Diremo anche che un oggetto di K soddisfa "non-a-vuoto" una legge L, solo se l'oggetto possiede effettivamente i vari tratti menzionati nella legge, e, inoltre, se i tratti stanno tra loro nella relazione asserita dalla legge. Oggetti che non possiedono tutti i tratti menzionati in L, cosf da non poter costituire casi che smentiscano L, sono detti soddisfare la legge "a-vuoto". Per esempio, un sistema consistente in un oggetto pesante sospeso a una corda di peso trascurabile soddisfa non-a-vuoto la legge del periodo di un pendolo semplice. Invece, la legge è soddisfatta solo a-vuoto da un sistema consistente in un libro posto su un tavolo, perché, anche se normalmente non si dirà che la legge sia falsificata da tale sistema, esso di fatto non possiede i tratti le cui relazioni sono formulate dalla legge - in breve, il sistema non è un pendolo semplice.
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Ammettiamo adesso le seguenti condizioni: l) Alcuni predicati (e forse tutti) del primo insieme compaiono nel secondo, ma alcuni predicati del secondo insieme non appartengono al primo. 2) Ogni oggetto di K ha almeno una proprietà P, cioè una proprietà designata da un predicato del primo insieme. 3) Esiste una sottoclasse A non vuota di oggetti di K che hanno soltanto proprietà P. 4) Esiste una sottoclasse A non vuota di oggetti di K, ciascuno dei quali possiede almeno una proprietà Q che non è una proprietà P. (Come conseguenza di queste convenzioni, il campo degli oggetti a cui è applicabile l'uno o l'altro dei predicati del primo insieme è piu vasto di quello corrispondente per il secondo insieme.) 5) Esiste una sottoclasse B non vuota (ma non necessariamente propria) di oggetti di K, ciascuno dei quali soddisfa non-a-vuoto LI, e tale che alcuni oggetti di B appartengono ad A mentre altri appartengono ad A. (Di conseguenza, quando LI è soddisfatto non-a-vuoto, esso vale indipendentemente dal fatto che un oggetto possieda o no soltanto proprietà P.) 6) Esiste una sottoclasse C non vuota di oggetti di A per i quali L2 vale non-a-vuoto, e tale che alcuni oggetti di C (ed eventualmente tutti) appartengono anche a B. (Quindi L2, a differenza di LI, è soddisfatta non-a-vuoto solo da quegli oggetti che possiedono qualche proprietà Q che non sia una proprietà P. Non è tuttavia escluso che L2 valga non-a-vuoto solo per quegli oggetti per i quali anche LI vale non-a-vuoto.) Quando queste sei condizioni sono soddisfatte, si può dire che LI è piu generale di L2 in K (nel senso piu lato dell'espressione "piu generale" che stiamo discutendo). Se nella sesta condizione si introduce anche la clausola piu forte che C debba essere completamente incluso in B, il senso presente di "piu generale" ne viene limitato e si approssima al senso piu stretto antecedentemente discusso. Questo resoconto formale di un significato completo dell'espressione "piu generale" richiede di venir elaborata in varie direzioni, se si vuole renderla interamente soddisfacente. Per esempio, la natura delle "definizioni" assunte per i predicati di LI e di L2 richiede una discussione; il senso in cui si suppone che gli L "valgano" come oggetti deve venir chiarito; come pure occorre fare delle restrizioni sui tipi di oggetti che possono essere elementi di K, e sulla distribuzione tra di essi delle proprietà P. Ma non possiamo occuparci qui di tali problemi; si è tuttavia detto quanto basta, agli scopi della presente discussione, a indicare che si possono distinguere almeno due sensi abbastanza chiari di "piu generale", e che le asserzioni universali sono frequentemente confrontabili rispetto alla loro relativa generalità, tanto nel significato piu ampio che in quello piu ristretto dell'espressione. La ragione per soffermarsi su questo punto è che le premesse delle spiegazioni soddisfacenti appaiono invero essere piu generali degli explicanda; tale maggiore generalità delle premesse esplicative è di grande importanza, perché que-
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La struttura deUa scienza
sta caratteristica contribuisce al raggiungimento di sistemi completi di spiegazione. Esamineremo ora un importante mezzo col quale le asserzioni universali di alcune scienze acquistano una generalità molto estesa.
IV. Requisiti epistemologici delle spiegazioni I requisiti per le spiegazioni fino a qui considerati sono cons1st1t1 quasi esclusivamente in condizioni logiche. Ma è ovvio che si devono riscontrare anche altri requisiti. Se, per esempio, una condizione iniziale di una spiegazione proposta per il verificarsi di un evento singolo fosse nota come falsa, la proposta verrebbe immediatamente respinta come non soddisfacente. Occupiamoci quindi brevemente di alcuni requisiti epistemologici per le spiegazioni adeguate. Nella discussione di questo problema, Aristotele sosteneva che le premesse di una spiegazione deduttiva debbono, tra l'altro, essere vere; che debbano essere note come vere, e che debbano essere "meglio conosciute" dell'explicandum. 11 Esamineremo una dopo l'altra queste condizioni e ne discuteremo alcune altre ad esse correlate. l. Qualsiasi valutazione del suggerimento che le premesse di una spiegazione debbano essere vere è resa complicata da una circostanza importante. Spesso tra le premesse esplicite delle spiegazioni scientifiche si presentano delle affermazioni universali che fanno parte di qualche estesa teoria scientifica. Ma gli studiosi della materia non si trovano d'accordo sulla questione se tali affermazioni (e addirittura, ogni teoria scientifica) possano venir appropriatamente caratterizzate come vere o false. Quindi, chi sottoscrive il punto di vista secondo cui simili caratterizzazioni sono fuor di luogo se usate per quelle affermazioni, rifiuterà automaticamente il requisito che le premesse esplicite di una spiegazione soddisfacente debbano esser vere. Cosi il respingere tale requisito dipende dal modo in cui viene risolta la questione sopra menzionata, di cui però noi ci occuperemo piu avanti; per ora, supporremo che ogni affermazione che può comparire come premessa di una spiegazione sia o vera o falsa. Una volta fatta questa supposizione, sembra inevitabile pretendere che le premesse di una spiegazione soddisfacente siano vere. È sempre relativamente facile inventare un gruppo arbitrario di premesse che soddisfino le condizioni logiche delle spiegazioni deduttive; e, se non si richiedessero per le premesse ulteriori condizioni restrittive, basterebbe una modesta abilità logica e matematica per spiegare qualsiasi fatto dell'universo senza lasciare la propria poltrona. Ma in via di fatto, invece, tutte queste spiegazioni costruite arbitrariamente verrebbero abbando12
Analitici secondi, libro l, c. 2.
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Lo schema deduttivo di spiegazione
nate quali inadeguate se si sapesse che qualcuna delle premesse è falsa. La verità delle premesse è senza dubbio una condizione desiderabile perché una spiegazione sia soddisfacente. 2. Questo requisito tuttavia non ci porta molto avanti nel giudizio sull'adeguatezza di una spiegazione proposta, se non siamo in grado di dire se le premesse siano o no false. Il requisito richiesto da Aristotele, che deve essere nota la verità delle premesse, provvede in tal modo un criterio apparentemente efficiente per eliminare come non soddisfacenti molte spiegazioni proposte. Tuttavia __q_u_e§_~:l--~ una condizione tropp~l~ forte. Se essa fosse adottata, ben poche, o forse nessuna, aeiieSpiega- i zioni della scienza moderna potrebbero essere accettate come soddisfa- i centi. In pratica, infatti, non_ sappiamo se le premesse incondizionata-~,' mente universali, ipotizzate nelle spiegazioni delle scienze empiriche, siano effettivamente vere; cosf che, se si accettase tale condizione, la maggior parte delle spiegazioni largamente accettate nella scienza corrente dovrebbero venir respinte come non soddisfacenti. Questa è di fatto una reductio ad absurdum del requisito. In pratica ciò porterebbe semplicemente ad introdurre un altro termine, magari coniato di fresco per lo scopo, onde distinguere quelle spiegazioni giudicate come meritevoli dalla comunità scientifica - malgrado il loro carattere nominalmente "insoddisfacente" dal punto di vista dell'anzidetto requisito- da quelle giudicate differentemente. Quindi non c'è ragione per adottare rigidi requisiti aristotelici per l'adeguatezza delle spiegazioni. ~urtuttayia è rr_ecessari~ un!!__<.::Ql1_\'~Z!()ne_ di qualche g~n_e_!:eLmagari J?iu 4~bo..l~_c!i_cn!~S.t~_?!l_~Q!~liç?J_she. rigllard_i lo status conoscitivo delle E!_e_tp.ess~_~splicative,_ Una condizione che si può ragionevolmente prendere in esame per tale ufficio è quella che le premesse esplicative siano compatibili con fatti empirici stabiliti e siano inoltre "adeguatamente sost~llute" (o rese "probabili") da prove basate su dati diversi dai dati osservati vi su cui è basata l'accettazione dell' explicandum. La prima parte del requisito ora richiesto è semplicemente la domanda che non vi siano ragioni per considerare false le premesse. La seconda parte cerca non soltanto di escludere le premesse cosiddette ad hoc, per le quali non vi è nessuna prova, ma anche, tra l'altro, di eliminare le spiegazioni che sono in un certo senso circolari e perciò banali per il fatto che una o piu premesse sono stabilite (e forse possono esser stabilite) solo per mezzo delle prove usate per stabilire l'explicandum. Supponiamo, per esempio, di esserci proposti di spiegare i disturbi, emessi da un apparecchio radio in un dato giorno; e supponiamo che una delle premesse esplicative stabilisse la condizione iniziale che in quel giorno vi fossero sul Sole delle violente tempeste magnetiche. Tuttavia, se l'unica prova del verificarsi di queste tempeste fossero gli anzidetti rumori della radio, la spiegazione soffrirebbe di una specie di circolarità e verrebbe in generale considerata difettosa. In questo esempio, però, la prova della 1
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premessa riguardante il caso particolare potrebbe esser stata di fatto ottenuta indipendentemente dai rumori provenienti dalla radio. La spiegazione avrebbe avuto una validità molto opinabile se non si fosse potuta fornire questa prova indipendente." Questa condizione piu debole per lo status conoscitivo delle premesse nelle spiegazioni è senza dubbio vaga. Non esiste in effetti al presente una norma precisa e generalmente accettata per giudicare se un'assunzione sia davvero "adeguatamente sostenuta" da una data prova. Nonostante questa imprecisione, però, i competenti in un dato campo di ricerca sono spesso in buon accordo tra di loro riguardo l'adeguatezza di una prova che sostenga una determinata assunzione. Nella pratica, in ogni modo, l'adozione di questa condizione piu debole porta a un discreto accordo sull'adeguatezza di una spiegazione proposta. Contro questa condizione si può tuttavia sollevare l'obiezione che, dal momento che la prova di una legge supposta universale non rimane costante nel tempo, una spiegazione che includa la legge nelle sue premesse e che a un certo tempo sia soddisfacente può cessare di esserlo quando si vengano a scoprire prove non favorevoli alla legge. L'obiezione non preoccupa, a meno che si faccia la discutibile supposizione che nel giudicare soddisfacente una spiegazione si debba pretendere dalla spiegazione stessa una proprietà indipendente dal tempo. Non sembra quindi irragionevole adottare l'accennata condizione quale requisito epistemologico richiesto per l'adeguatezza della spiegazione. 3. Il requisito richiesto da Aristotele, che le premesse di una spiegazione scientifica siano "meglio conosciute" dell'explicandum, è intimamente legato alla concezione aristotelica di ciò che costituisce il vero e proprio oggetto della conoscenza scientifica; egli intendeva che tale requisito valesse esclusivamente per la spiegazione delle leggi scientifiche. Secondo tale concezione è possibile l'autentica conoscenza scientiEssenzialmente lo stesso punto è stato trattato in modo piu formale da C. G. e PAUL · 0PPENHEIMi · Studies in the Logic of Eplanation, -,'Philosophy of Science", vol. 15 (1948), pp. 135-78. Questi autori sostengono che, se non si accetta la condizione restrittiva menzionata nel testo, ogni explicandum particolare può venir "spiegato" con l'aiuto di qualsiasi premessa universale arbitrariamente scelta e di una "condizione iniziale" appropriatamente costruita. Cosi sia E un qualsiasi explicandum; L la legge per cui, per ogni x, se x è A, allora x è B; e C la condizione iniziale la quale dice che o un dato individuo i è A, ma non B, oppure si ha E. Allora E segue logicamente dalle premesse L e C. Infatti da L possiamo dedurre la conseguenza che non si tratta del caso che un individuo i sia A ma non B; e, combinando questo con C, si ottiene E. Se però chiediamo come si possa stabilire C, è chiaro che l'unico modo di farlo partendo dall'ipotesi che L sia vera, e ragionare come segue: E è vero, per ipotesi; quindi o E è vero o l'individuo i è A ma non B. Di conseguenza, C può venir stabilito solo stabilendo prima E. Hempel e Oppenheim propongono perciò la condizione che la verità della legge L non debba implicare che ogni classe di asserzioni probative vere da cui è deducibile C porti anche ad E - oppure, alternativamente, che vi deve essere almeno una classe di asserzioni probative tali che la condizione iniziale C sia deducibile da essa, mentre non ne sia deducibile né la negazione di L. Cfr. specialmente pp. 13
HEMPEL
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fica solo di ciò che non può essere altrimenti da come è. Quindi non vi può essere conoscenza scientifica di eventi particolari; e le leggi universali che riguardano certe zone della natura, in cui esse non sono immediatamente riconoscibili come intrinsecamente "necessarie", devono venir spiegate mostrando che esse sono conseguenze dei "principi primi" di quella zona, i quali possono venir direttamente afferrati come in possesso di tale necessarietà. Questi principi primi sono perciò le premesse ultime delle spiegazioni scientifiche; essi sono inoltre "meglio conosciuti" di qualsiasi explicandum, perché la loro necessarietà è intrinseca e trasparente all'intelletto. La branca della conoscenza che senz; d~bbi~ servi di modello a questa concezione della scienza è la geometria razionale. Infatti, secondo il punto di vista generalmente accettato sulla geometria fino a poco tempo fa, ciascuno dei suoi teoremi stabilisce quanto deve essere in modo universale; ed anche se possono non essere immediatamente evidenti tale necessità e tale universalità, esse vengono entrambe stabilite nel dedurre il teorema dagli assiomi piu generali o primi principi, la cui universalità è "di per sé evidente". Nel sostenere che le premesse di una spiegazione devono essere "meglio conosciute" dall'explicandum, Aristotele non faceva quindi altro che rendere esplicita la sua concezione sulla natura della scienza. Questa concezione non risulta vera per niente di quanto si può identificare come facente parte del contenuto della moderna scienza sperimentale. Quindi il requisito richiesto da Aristotele secondo cui le premesse esplicative devono esser meglio conosciute dell'explicandum è del tutto irrilevante come condizione per qualsiasi cosa che oggi si possa considerare quale adeguata spiegazione scientifica. Varie versioni sul piano psicologico del requisito richiesto da Aristotele hanno avuto invece ampia diffusione e sono state spesso avanzate da eminenti uomini di scienza come condizioni essenziali perché una spiegazione sia soddisfacente. La sostanza di queste condizioni cosi suggerite è la seguente: poi'ché normalmente ciò che richiede una spiegazione è qualcosa di strano e di inaspettato, una spiegazione potrà dare una genuina soddisfazione intellettuale solo se renderà ciò che non è familiare intellegibile in termini di ciò che è familiare. Per esempio, un eminente fisico contemporaneo sostiene che "una spiegazione consiste semplicemente nell'analizzare i nostri (, complicati sistemi entro sistemi piu semplici in modo tale che noi possiamo riconoscere nel sistema complicato il gioco reciproco di elementi già cosi familiari per noi che li accettiamo come non aventi bisogno di una spiegazione"." E di conseguenza, poiché la corrente teoria quanti-. stica non mostra come i sistemi fisici che cadono entro il suo dominio siano le risultanti di azioni familiari tra specie familiari di costituenti egli sostiene che la teoria stessa non ci dà la sensazione di spiegare alcun14
P. W.
BRIDGMAN,
The Nature o! Physical Theory, Princeton, 1936, p. 36.
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ché, malgrado le sue conquiste senza dubbio rimarchevoli dal punto di vista della sistemazione. Simili punti di vista sono stati espressi da molti altri pensatori, sia nelle scienze naturali che in quelle sociali. Sarebbe negare l'evidenza il negare che importanti sviluppi nella storia della scienza sono dipesi dal desiderio di spiegare nuovi domini di fatti in termini di qualcosa già familiare. Per riconoscere l'influenza di questa concezione della spiegazione, basti solo ricordare l'uso persistente di familiari modelli meccanici nella costruzione di spiegazioni dei fenomeni del calore, della luce, della elettricità, e perfino del comportamento umano. Purtuttavia, le spiegazioni vengono talvolta giudicate soddisfacenti anche se non effettuano una riduzione al familiare del non-familiare. Quando si spiega l'effetto di sbiadimento dei colori ad opera del sole in termini di ragionamenti fisici e chimici sulla composizione della luce e delle sostanze colorate, la spiegazione non viene respinta come insoddisfacente, anche se qui è il familiare ciò di cui si rende conto servendosi di nozioni che per la maggior parte degli uomini sono del tutto non familiari. Di piu, la concezione della spiegazione che stiamo discutendo è in palese disaccordo col fatto che in tutta la storia della scienza sono state spesso introdotte ipotesi esplicative che postulano interrelazioni tra certi elementi, ove interrelazioni ed elementi sono originariamente strani e talvolta perfino appaiono paradossali. Si devono tuttavia notare due brevi punti. Se una spiegazione soddisfa la condizione epistemologica testé discussa, allora, anche se le sue premesse esplicative possono essere state ad un certo momento non familiari, esse devono avere alla fine raggiunto lo stato di supposizioni ben sostenute da prove. Di conseguenza, anche se la spiegazione non riduce il non familiare a ciò che in origine era familiare, essa è accettabile perché le premesse sono fondate fermamente su prove che hanno cessato di essere non familiari per una certa parte della comunità scientifica. In secondo luogo, anche se le premesse esplicative possono far uso di idee del tutto non familiari, tali idee offrono spesso analogie importanti con nozioni impiegate in relazione ad argomenti già diventati familiari. Le apalogie servono ad assimilare il nuovo al vecchio, e fanno in modo che le nuove premesse esplicative non appaiano radicalmente non familiari. Ma dobbiamo rimandare a un altro capitolo una piu completa discussione sul ruolo dell'analogia nello sviluppo di estesi sistemi di spiegazione.
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Capitolo quarto
La struttura logica delle leggi scientifiche
I requisiti necessari considerati fin qui, per l'adeguatezza delle spiegazioni, sono stati discussi riferendoci solo incidentalmente alla natura delle relazioni asserite dalle leggi o dalle teorie scientifiche. Si è generalmente supposto che le leggi abbiano la forma di condizionali generalizzati, nel caso piu semplice rappresentati dallo schema: 'per ogni x, se x è A, allora x è B' (o, come alternativa, 'tutti gli A sono B'). 1 Non è però assolutamente il caso di considerare ogni affermazione vera avente tale forma come una legge di natura. In ogni modo, una spiegazione proposta, anche se sia conforme ai requisiti già detti, viene frequentemente respinta come non soddisfacente per almeno due ragioni: 1 L'assunzione che questo semplice schema sia una rappresentazione adeguata della forma logica delle leggi scientifiche è stata ripetutamente fatta nei capitoli precedenti, e verrà frequentemente fatta in tutto il volume. Tale assunzione tuttavia è adottata soprattutto allo scopo di evitare complessità che sorgerebbero se si adottasse uno schema meno semplice ma piu realistico - complessità che sono di scarsissimo rilievo per i punti principali in discussione. Vi sono senza dubbio q1olte leggi scientifiche che mostrano la semplice struttura formale sopra indicata. Ma vi sono anche molte leggi la cui forma logica è piu complicata - fatto di considerevole importanza nell'analisi della struttura razionale dei procedimenti induttivi e verificatorii nella scienza, ma solo di interesse secondario nel presente contesto della discussione. Un tipo di complessità nella struttura formale delle leggi è illustrato dai due esempi seguenti. Il contenuto della legge che il rame riscaldato si dilata è reso piu esplicito se la si formula cosi: 'per ogni x e per ogni y, se x è il rame e se x è riscaldato al tempo y, allora x si dilata al tempo y'. Come in altri condizionali (o formulazioni "se-allora"), la clausola introdotta dal 'se' è nota come "antecedente", e quella introdotta da 'allora' come "conseguente". Il presente esempio contiene anche come "prefissi" le due espressioni 'per ogni x' e 'per ogni y' (tecnicamente note come "quantificatori univesali"), a differenza del semplice schema del testo, che contiene un solo quantificatore universale. Cosi, la cosiddetta "legge della biogenesi", per cui la vita proviene sempre da vita preesistente, può venir espressa come segue: 'per ogni x, vi è un y, tale che, se x è un organismo vivente, allora y è un genitore di x'. In questo caso, l'asserzione non contiene solo il quantificatore universale 'per ogni x', ma anche l'espressione 'esiste un y' (chiamata "quantificatore esistenziale"). Questa asserzione contiene piu di un quantificatore, e per di piu i quantificatori in essa contenuti sono di tipo diverso (o "misto"). Una gran parte di leggi quantitative, specialmente in fisica teorica. contengono vari quantificatori, spesso di tipo misto. Non appare tuttavia verosimile che~,1 una asserzione normalmente possa venir considerata una legge, se non contiene almeno ! un quantificatore universale, di solito come prefisso iniziale. È per questa ragione che / si può ritenere che la supposizione adottata nel testo non risulti eccessivamente sempli- ì ficatrice.
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le premesse universali di una spiegazione, malgrado possano esser riconosciute come vere, possono per una ragione o per l'altra essere giudicate "leggi" non genuine; e, malgrado possano esser state ammesse come leggi scientifiche, possono non presentare qualche ulteriore condizione, come quella di essere leggi "causali". Si supponga, per esempio, che, in risposta alla domanda perche una certa vite v sia arrugginita, venga detto che tutte le viti dell'automobile di Tizio sono arrugginite e che v è una vite dell'automobile di Tizio. È probabile che tale spiegazione venga respinta come del tutto insoddisfacente, per la ragione che la premessa universale non è neanche una legge di natura, per non dir niente del fatto che non è una legge causale. Sotto l'obiezione alla spiegazione proposta si trova quindi una distinzione prima facie tra affermazione universale "avente il tipo di una legge" (cioè affermazione che, se vera, possa essere qualificata con la designazione "legge di natura") e affermazione universale non considerabile come una legge. D'altra parte, una spiegazione proposta per il fatto che un dato uccello u è nero, consistente nel dire che tutti i corvi sono neri e che u è un corvo, viene talvolta scartata come inadeguata per la ragione che anche se la premessa universale viene considerata come legge di natura, essa non spiega "realmente" perché u è nero. Ora, questa obiezione, in una sua interpretazione, mostra di confondere due cose differenti: la spiegazione del fatto che u è nero, e la spiegazione, distinta dalla precedente, della legge che tutti i corvi sono neri. All'obiezione può quindi essere data la seguente risposta decisiva: mentre la spiegazione in esame non spiega perché tutti i corvi siano neri, essa spiega perché u è nero; la spiegazione infatti dimostra almeno che il colore delle piume di u non è una peculiarità di u, bensf un tratto che u ha in comune con qualsiasi altro uccello che, come lui, sia un corvo. L'obiezione può però venir intesa anche come una espressione di insoddisfazione per la spiegazione proposta circa il fatto che le piume di u sono nere, sulla base che la legge ipotizzata non rende conto causalmente del colore dell'uccello. Questi esempi, che illustrano una vasta anche se tacita accettazione di condizioni perché le spiegazioni risultino soddisfacenti in aggiunta a quelle già discusse, invitano cosf a considerare alcune delle caratteristiche che si suppone distinguano le leggi naturali da altri condizionali universali, e le leggi causali da quelle non causali. Dobbiamo esaminare diverse questioni, che conducono molto lontano, generate da queste distinzioni.
I. Universalità accidentale e universalità nomica La denominazione 'legge di natura' (o altre simili, come 'legge scientifica', 'legge naturale', o semplicemente 'legge') non è un termine tec-
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nico che abbia la sua definizione in qualche scienza sperimentale; essa viene spesso usata, specialmente nel discorso comune, con un senso altamente onorifico ma senza un contenuto preciso. Indubbiamente esistono molte asserzioni che sono caratterizzate senza esitazione come 'leggi' dalla maggior parte degli appartenenti alla comunità scientifica, proprio come esiste una classe ancora piu grande di asserzioni a cui tale denominazione è applicata raramente o addirittura mai. Gli scienziati sono invece in disaccordo sull'opportunità di attribuire a molte asserzioni il titolo di 'legge di natura', e perfino l'opinione di uno stesso individuo sul fatto che una data asserzione sia una legge può variare. Questo è in modo evidente il caso di varie affermazioni teoriche, di cui si è parlato nel capitolo precedente, che vengono talvolta intese \çQ!11~ _s_~ '~v= fossero in fondo s.e>l() reg()le_proç~cl_uraJ.i ~-P~J:cj.Q !l~Y~t.~ !lé _fals_e, benché da altri siano considerate come esempi per eccellenza di leggi di natura. Le opinioni sono divergenti anche sulla questione se asserzioni di regolarità che contengono riferimenti a individui particolari (o a gruppi di tali individui) meritino il titolo di 'legge'. Per esempio, alcuni scrittori hanno discusso se sia appropriata tale designazione per l'asserzione che i pianeti si muovono su orbite ellittiche intorno al Sole, per il fatto che tale asserzione fa menzione di un corpo particolare. Dubbi simili sorgono sull'uso della denominazione per asserzioni intorno a regolarità statistiche; ed è anche stato messo in dubbio se le formulazioni riguardanti delle uniformità di comportamento sociale umano (per esempio in economia o in linguistica) possano venir chiamate propriamente 'leggi'. L'espressione 'legge di natura' è indubbiamente vaga. _Quinclidqual_s~_s_L~~aÉQ.!!~__4t:!L~l1~--~~!li~cato che proJ>()f!g__~~na netta demarcazione tra asserzion.i _considerabili come leggi e asserzioni non considerabili come tali è arbitraria. perciò qiiaié:osadi pi;ra;.~·-un. aspetto-di inutilità nei tentativi ricorrenti di definire con grande precisione logica che cosa sia una legge di natura: tentativi spesso basati sulla tacita premessa che un'asserzione sia una legge per il fatto che possiede una "essenza" intrinseca, che la definizione deve rendere articolata. Infatti non solo il termine 'legge' è vago nel suo uso corrente, ma anche il suo significato storico ha subito molti mutamenti. Siamo certamente liberi di designare come legge di natura qualsiasi asserzione vogliamo. Spesso vi è poca coerenza nel modo in cui applichiamo questa denominazione, e il fatto che un'asserzione venga o no chiamata una legge porta ben poca differenza al modo in cui essa può venir usata nella ricerca scientifica. Pur tuttavia, i membri della comunità scientifica si accordano abbastanza bene sulla applicabilità del termine a una classe di asserzioni universali considerevole, benché vagamente delimitata. Vi è quindi una certa base per supporre che quando si applica tale denominazione, almeno in quei casi in cui il consenso è sicuro, ciò sia regolato dalla sensazione di una differenza nello status e nella funzione :!!;obiettivi~ di quella classe di asserzioni. Sarebbe ve-
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ramente sciocco tentare di dare una definizione ferrea e rigorosamente esclusiva di 'legge naturale'; non è irragionevole indicare alcune delle piu importanti ragioni basandosi sulle quali si assegna comunemente a una numerosa classe di asserzioni uno status particolare. La differenza a prima vista riscontrabile tra condizionali universali considerabili o non considerabili come leggi può venir rileva_ta in vari modi. Un modo efficiente consiste nel richiamare prima di tutto in quale maniera la moderna logica formale interpreta le asserzioni che hanno la forma di condizionali universali. A questo proposito vanno notati due punti. Secondo la logica moderna, tali asserzioni affermano solo quanto segue: ogni individuo, che soddisfi le condizioni descritte nella clausola dell'antecedente del condizionale, soddisfa anche, in via di fatto, le condizioni descritte nella clausola del conseguente. Per esempio, in questa interpretazione l'asserzione: 'tutti i corvi sono neri' (che di solito viene trascritta cosi: 'per ogni x, se x è un corvo, allora x è nero') dice semplicemente che qualsiasi singola cosa a cui capiti di esistere nel passato, nel presente, o nel futuro e che soddisfi le condizioni di essere un corvo è di fatto anche nera. Quindi il significato dato all'asserzione da questa interpretazione è anche contenuto nelle asserzioni equivalenti che non c'è mai stato un corvo che non fosse nero, che non c'è al presente un simile corvo, e che non ci sarà mai. Si dice talvolta che i condizionali universali interpretati in questo modo, cioè in modo tale da asserire solo collegamenti di dati di fatto, formulano solo una "congiunzione costante" di tratti ed esprimono universalità " acct'dental'" 1 o de lacta. Il secondo punto da notarsi in questa interpretazione è una conseguenza immediata del primo. Secondo questa interpretazione un condizionale universale è senz'altro vero, nel caso che non vi siano cose (nel significato onnitemporale di 'siano') che soddisfano le condizioni stabilite nella clausola dell'antecedente. Cosi, se non esistono unicorni, allora tutti gli unicorni sono neri; ma anche, se non esistono unicorni, allora tutti gli unicorni sono rossi. 2 Quindi, nella costruzione elevata su di essa nella logica formale, un condizionale universale de facto è vero, indipendentemente dal contenuto della sua clausola conseguente, se di fatto si dà il caso che non vi sia niente che soddisfa la sua clausola antecedente. Un simile condizionale universale viene detto vero "a-vuoto" (o "soddisfatto a-vuoto"). 2 Ciò risulta evidente da quanto segue: se non vi è un x tale che x sia un unicorno, allora è chiaro che non vi è un x, tale che x sia un unicorno il quale non sia nero. Ma secondo l'interpretazione comune del condizionale universale, quest'ultima asserzione porta immediatamente alla conclusione che per ogni x, se x è un unicorno, allora x è nero. Quindi, se non vi sono unicorni, allora tutti gli unicorni sono neri. Si può anche dimostrare che un condizionale universale è vero indipendentemente da quale possa essere la sua clausola antecedente, purché qualsiasi cosa di cui si possa con significato affermare quanto dice la clausola conseguente soddisfi quest'ultima. Ma noi ignoreremo le difficoltà che sorgono da quest'ultimo aspetto dei condizionali universali.
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Una legge di natura non asserisce nulla di piu che una universalità accidentale? La risposta data comunemente è negativa. Infatti si ritiene spesso che una legge esprima tra antecedente e conseguente un nesso "piu forte" di una semplice concomitanza in via di fatto. Frequentemente si dice che tale nesso implica qualche elemento di "necessità", benché questa pretesa necessità venga concepita in varì modi e venga descritta con aggettivi qualificativi come 'logica', 'causale', 'fisica' o 'reale'.' Ecco l'argomento portato: il dire che 'il rame si dilata sempre se riscaldato' è una legge di natura, significa affermare qualcosa di piu che il fatto che non vi è mai stato né mai ci sarà un pezzo di rame scaldato il quale non si dilati. Nel rivendicare per quella affermazione lo status di legge, per esempio, non si asserisce semplicemente che non si dà il caso che esista un tale pezzo di rame, ma si asserisce che è "fisicamente impossibile" per un tale pezzo di rame di esistere. Quando si ammette che una tale affermazione è una legge di natura, si intende asserire che il riscaldare un pezzo di rame "rende fisicamente necessaria" la sua espansione. I condizionali universali intesi in tal modo vengono frequentemente descritti come "universali di leggi' o "universali nomologici':, in quanto esprimenti una universalità "nomica". Si può tracciare in un altro modo la distinzione tra universalità accidentale e universalità nomica. Si supponga che si porti alla nostra attenzione un pezzo di rame r che non sia mai stato scaldato, e che poi venga distrutto in modo che non potrà mai venire scaldato. Si supponga inoltre che dopo la distruzione ci venga domandato se r si sarebbe dilatato se fosse stato scaldato, e che la nostra risposta sia affermativa. E si supponga infine che ci si richieda di dare ragione della nostra risposta. Quale ragione potremmo dare? Una ragione che verrebbe generalmente accettata come irrefutabile è che la legge naturale: 'il rame se scaldato si dilata' garantisce il condizionale controfattuale: 'se r fosse stato scaldato, si sarebbe dilatato'. In realtà molti andrebbero ancora piu avanti, sostenendo che l'universale nomologico garantisce il condizionale congiuntivo: 'per ogni x, se x fosse rame e venisse scaldato, allora x si dilaterebbe'. In effetti le leggi di natura vengonq~!_Ilune.!Jlef.l!~ .11sate per giust~ ficare condizionali congiuntivi e controfattuali, e questo uso è caratte!!_~tJ<::? ·~~:tÙ!v gli_universali. norriologkl_. Inoltre, questa. fùnzione degli universali di egge suggerisce pure che il semplice non darsi il caso che esista alcunché (nel senso onnitemporale) che soddisfi la clausola dell'antecedente di un condizionale nomologico, non è sufficiente a stabilirne la verità. Cosf, l'ipotesi che l'universo non contenga corpi, i quali non siano sottoposti all'azione di forze esterne, non è sufficiente per stabilire né il condizionale congiuntivo che, se tali corpi esistessero, le loro 3 Cfr. A. C. EwrNG, Idealism, London, 1934, p. 167; C. l. LEWIS, An Analysis of Knowledge and Valuation, La Salle, 111., 1946, p, 228; ARTHUR W. BuRKs, The Logic o/ Causa[ Propositions, "Mind", vol. 60 (1951), pp. 363-82.
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velocità rimarrebbero costanti, né l'universale nomologico che ogni corpo non sottoposto all'azione di forze esterne non mantenga una velocità
costante. Invece l'universale palesemente accidentale 'tutte le viti dell'automobile di Tizio sono arrugginite' non giustifica il condizionale congiuntivo 'per ogni x, se x fosse una vite dell'automobile di Tizio, x sarebbe arrugginita': Certamente nessuno potrebbe sostenere sulla base di questo universale de facto che, se venisse inserita nell'automobile di Tizio una particolare vite di ottone che in questo momento stesse sullo scaffale di un negozio, questa vite sarebbe arrugginita. Questa differenza prima facie tra universalità accidentale e nomica può venir brevemente riassunta nella formula: !!!l__!:!_niv~~s_al~:: 4_i legge "sorregge" un condizionale ~11gh!ntivo, mentre un universale accide_!l_tal~l1_0.
II. Le leggi sono logicamente necessarie? Nessuno seriamente mette in discussione che nel discorso comune e nell'azione pratica si riconosca una distinzione simile a quella indicata con le denominazioni universalità 'accidentale' e universalità 'nomica'. La questione in discussione è se le differenze riscontrabili a prima vista, da noi notate, richiedano che si accetti la "necessità" associata agli universali di legge come qualcosa di originario o se l'universalità nomica possa venir svolta in termini di nozioni meno oscure. Se, come è stato fatto, si interpreta questa necessità come una forma di necessità logica, il significato di 'necessario' in tal senso è del tutto trasparente; in verità la teoria logica fornisce un'analisi sistematica e generalmente accettata di tale necessità. Quindi, il punto di vista che gli universali nomologici siano logicamente necessari, benché debba affrontare gravi difficoltà, come vedremo tra breve, ha per lo meno il merito della chiarezza. Invece, quelli che sostengono che la necessità degli universali di legge è sui generis, e in fondo non ulteriormente analizzabile, postulano una proprietà la cui natura è essenzialmente oscura. Questa oscurità non viene rischiarata ma semplicemente riceve un nome da denominazioni del tipo di 'necessità fisica' o 'necessità reale'. Inoltre poiché generalmente si suppone che questo presunto tipo speciale di necessità sia riconoscibile solo da qualche "apprendimento intuitivo ", l'attribuire questa necessità (sia per le asserzioni sia per le relazioni tra eventi) è soggetto a tutte le indeterminatezze dei giudizi intuitivi. Senza 4 Questo condizionale congiuntivo non va inteso come se dicesse che se una qualsiasi vite fosse identica a una delle viti dell'automobile di Tizio sarebbe arrugginita. Quest'ultimo condizionale congiuntivo è chiaramente vero se davvero tutte le viti dell'aumobile di Tizio sono arrugginite. Il condizionale congiuntivo del testo va invece inteso nel senso di affermare che per ogni oggetto x - sia o non sia identico ad una vite che si trovi ora nell'automobile di Tizio - se x fosse una vite di quella automobile sarebbe arrugginita.
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dubbio la necessità che caratterizza palesemente gli universali di legge può essere davvero unica e non analizzabile, ma per le ragioni notate è consigliabile accettare questa conclusione solo come l'ultima a cui ricorrere. Si è spesso avanzato il punto di vista secondo cui gli universali di legge in generale e le leggi causali in particolare enuncerebbero una necessità logica. Quelli tuttavia che adottano questa posizione, di solito non pretendono che in ogni caso venga effettivamente stabilita la necessità logica degli universali nomologici. Essi sostengono solo che gli autentici universali nomologici sono logicamente necessari e che "per principio" si potrebbero dimostrare tali anche se per la maggior parte manca una dimostrazione della necessità. Per esempio, nel discutere la natura della causalità uno scrittore contemporaneo sostiene che "la causa implica logicamente l'effetto in modo tale che in via di principio sarebbe possibile, con sufficiente acume, vedere quale genere di effetto debba seguire esaminando la sola causa, senza aver appreso dalle esperienze precedenti quali siano stati gli effetti di cause simili". 5 In alcuni casi questa posizione è basata su una percezione, che si pretende diretta, della necessità logica di almeno un certo numero di universali nomologici, e sull'ipotesi che anche tutti gli altri debbano conseguentemente condividere questa caratteristica; in altri casi, questa posizione viene presa perché si ritiene che da essa dipenda la validità dell'induzione scientifica;• e almeno uno tra coloro che propongono questo punto di vista ha ammesso francamente che gli argomenti principali a suo favore sono le obiezioni a tutti gli altri punti di vista. 7 Le difficoltà di questa posizione ~ono tuttavia enormi. In primo luogo, t1~.§sun~ _çleJk . a§SS!r~ioni __g~Q~!'alme_n.~--g~pom_i!!_~J~. J~ggL g~IJ~ ~arj~ __s_çi_~E~!'!- positiv:e è_ eli f!!tto logicf!rn.t:!f!..t.~ ..n~c~s~a,Ii~,. l?9..!..e.n:d_o?i 9i.rnostrare che la sua negazione formale non è auto-contraddittoria. Di conseguenza coloro- che propongono il punto dl v1stache-stlamo esaminando devono o rifiutare tutte queste asserzioni come non costituenti casi di "autentiche'' leggi (sostenendo cosi che non è stata ancora scoperta neppure una legge in nessuna scienza sperimentale) oppure rifiutare le prove secondo cui queste asserzioni non sono logicamente necessarie (e in tal modo sfidare la validità delle tecniche già stabilite per la prova logica). Nessuno dei corni del dilemma è invitante. In secondo luogo, se le leggi di natura sono logicamente necessarie, le 5 A. C. EwrNG, Mechanical and Teleological Causation, "Aristotelian Society", Suppl. vol. 14 (1935), p. 66. Cfr. anche G. F. STOUT: "Se avessimo una conoscenza sufficientemente vasta ed esatta di quanto realmente accade, potremmo vedere come e perché l'effetto segue dalla causa con necessità logica", "Aristotelian Society", Suppl. vol. 14 ( 1935), p. 46. ' A. C. EwrNG, Mechanical and Teleological Causation, "Aristotelian Society", Suppl. vol. 14 (1935), p. 77. 1 C. D. BROAD, "Aristotelian Society", Suppl. vol. 14 (1935), p. 94.
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scienze positive sono impegnate in uno sforzo incongruo quando vanno in cerca di prove sperimentali ed osservative per una legge ipotizzata. Il procedimento appropriato per stabilire la necessità logica di una data asserzione è quello di costruirne una prova dimostrativa al modo della matematica e non della sperimentazione. Oggi nessuno sa se la congettura di Goldbach (che ·ogni numero pari è la somma di due numeri primi) sia logicamente necessaria; ma anche nessuno, che comprenda il problema, tenterà di stabilire la necessità logica della supposizione eseguendo degli esperimenti fisici. È tuttavia impensabile il suggerire che quando è dubbia la verità di una legge fisica proposta, per esempio sulla luce, il fisico debba procedere come fa il matematico. Infine, anche se non si sa se le asserzioni, che si credono leggi di natura, siano logicamente necessarie, esse adempiono con successo i compiti che si son loro assegnati nelle scienze. È perciò gratuito sostenere che, se non fossero logicamente necessarie, queste asserzioni non potrebbero adempiere i compiti che manifestamente svolgono. L'asserzione nota come legge di Archimede, per esempio, ci permette di spiegare e predire un'ampia classe di fenomeni, anche se vi sono ragioni eccellenti per credere che la legge non sia logicamente necessaria; ma la supposizione che la legge debba veramente esser necessaria non segue dal fatto che essa viene usata con successo per spiegare e predire; e quindi postula una caratteristica che non gioca una parte identificabile nell'uso che effettivamente vien fatto della legge. Non è tuttavia difficile comprendere perché qualche volta le leggi di natura appaiono come logicamente necessarie. Infatti una data frase può venir associata a significati del tutto differenti, cosi: che, mentre in un contesto viene usata per esprimere una verità logicamente contingente, in un altro contesto la stessa frase può enunciare qualcosa che è logicamente necessario. Per esempio, un tempo il rame veniva identificato in base a proprietà che non includevano quelle elettriche. Dopo la scoperta dell'elettricità, la frase 'il rame è un buon conduttore elettrico' fu enunciata come legge di natura su basi sperimentali. Ma accadde anche che l'alta conduttività venisse introdotta tra le proprietà che definiscono il rame, cosi: che la frase 'il rame è un buon conduttore elettrico' acquistò un nuovo uso e significato. Nel suo nuovo uso, la frase non esprimeva piu soltanto una verità logicamente contingente, come prima, ma serviva anche per esprimere una verità logicamente necessaria. Senza dubbio non esiste una netta linea di demarcazione tra quei contesti in cui il rame viene identificato senza riferimento alle proprietà della conduttività e quelli in cui si considera che l'alta conduttività appartenga alla "natura " del rame. Di conseguenza, non sempre è chiaro lo status di ciò che si asserisce con la frase 'il rame è un buon conduttore elettrico', in modo che il carattere logico dell'asserzione che ne risulta in un contesto può facilmente venir confuso con il carattere
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dell'asserzione che ne risulta in un altro contesto. 8 Questo uso variabile della stessa frase aiuta a spiegare perché il punto di vista secondo cui le leggi di natura sono logicamente necessarie sembri cosf plausibile a molti pensatori. Da tale uso variabile scaturisce la convinzione, manifesta in dichiarazioni come quella che segue, che ogni altro punto di vista sia assurdo: "non posso attribuire nessun significato a una causazione, in cui l'effetto non sia necessariamente determinato, e non posso attribuire nessun significato a una determinazione necessaria, che lasci perfettamente possibile che l'evento necessariamente determinato risulti diverso, senza contraddire o la propria natura o quella di ciò che lo determina".' In ogni caso, le variazioni di significato a cui vanno soggetti i giudizi come conseguenza del progresso della conoscenza sono una caratteristica importante nello sviluppo di estesi sistemi di spiegazione. Questo punto verrà ulteriormente considerato nei prossimi capitoli. La questione sullà natura della necessità dimostrabile degli universali nomologici ha occupato molti pensatori da quando Hume propose un'analisi delle asserzioni causali in termini di congiunzioni costanti e di uniformità de facto. Ignorando pur importanti dettagli nella tesi di Hume sulle relazioni spazio-temporali di eventi che vengono considerati in relazione causale, la sostanza della posizione di Hume può esser riassunta come segue. Il contenuto obiettivo dell'asserzione che un dato evento c è la causa di un altro evento e, è semplicemente che c costituisce un esempio di una proprietà C, e un esempio di una proprietà E (proprietà che possono essere molto complesse), ed ogni C ' Un altro esempio può contribuire a render piu chiaro questo punto. Si consideri la legge della leva nella seguente forma: se pesi uguali vengono posti alle estremità di una sbarra rigida omogenea sospesa per il suo punto di mezzo, la leva è in equilibrio; e si supponga che nessuna delle espressioni usate nella formulazione della legge sia definita in un modo che implichi ipotesi sul comportamento della leva. In questo caso, l'asserzione è chiaramente una legge empirica e non un'asserzione logicamente necessaria. Si supponga, invece, che due corpi siano definiti come uguali di peso se una leva è in equilibrio quando essi sono posti alle estremità dei suoi bracci uguali. Nei contesti in cui si impieghi tale definizione di "uguaglianza di peso", l'anzidetta frase concernente la leva non può venir negata senza autocontraddizione, in modo che essa non esprime una legge empirica per cui è decisiva una prova sperimentale, bensf stabilisce una verità logicamente necessaria. Frasi che appaiono come formulazioni di leggi ma che vengono di fatto adoperate come definizioni sono comunemente chiamate "convenzioni"; discuteremo in seguito piu a lungo l'ufficio di tali convenzioni e la loro articolazione rispetto alle leggi. ' A. C. EwiNG, opera citata nella nota 5. È solo una omissione a permetterei di dire che gli effetti possono venir desunti dalle cause, dato che dall'asserzione che si è verificata una data causa non segue di fatto logicamente l'asserzione circa il verificarsi dell'effetto corrispondente. Per desumere quest'ultima, bisogna completare l'asserzione sulla causa con una legge generale. Cosi, l'asserzione che una data palla da biliardo collide con un'altra non comporta logicamente nessuna asserzione sul susseguente comportamento della seconda; si può derivare tale ulteriore asserzione solo se si aggiunge all'asserzione iniziale qualche legge (per esempio riguardante la conservazione del momento) . .1JL_tesi secondo cui le asserzioni sulle cause implicano logicamente quelle sugli effetti confonde _qtgndi la relazione di necessità logica, che sussiste tra una serie di premesse esplicative c:.J~~!iiii
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è, come dato di fatto, anche E. In questa analisi la "necessità" che dovrebbe caratterizzare la relazione tra c ed e non sta nelle relazioni obiettive degli eventi di per se stessi. La necessità risiede altrove secondo Hume nelle abitudini di aspettativa che si sono sviluppate come conseguenza della congiunzione uniforme ma de facto di C con E. La spiegazione data da Hume sulla necessità casuale è stata ripetutamente oggetto di critica, in parte per il fatto che essa poggia su una psicologia dubbia; oggi sono generalmente riconosciuti i meriti di tale critica. Tuttavia le concezioni psicologiche premesse da Hume non sono essenziali alla sua tesi centrale - quella cioé che gli universali di legge possano spiegarsi senza impiegare nozioni modali irriducibili come quelle di "necessità fisica" o "possibilità fisica". Di conseguenza la maggior parte delle critiche correnti all'analisi di Hume si appuntano sul fatto che l'uso di tali categorie modali è inevitabile in ogni analisi adeguata dell'universalità nomica. La questione resta aperta e si seguita a discuterla; alcuni dei problemi ad essa collegati sono stati dibattuti ad un livello tecnico molto elevato. Non è il caso di esaminare tutti questi dettagli tecnici;' 0 svilupperemo solo per sommi capi un'interpretazione dell'universalità nomica essenzialmente consona a Hume.
III. La natura della universalità nomica Con tal fine in vista, consideriamo se, imponendo un certo numero di condizioni logiche ed epistemologiche ai condizionali universali (intesi, come spiegato sopra, alla maniera della logica formale moderna), i condizionali che soddisfino ad esse possano venir plausibilmente intesi quali asserzioni considerabili come leggi. Sarà di aiuto cominciare dal confronto tra un universale palesemente accidentale ('tutte le viti dell'automobile di Tizio sono arrugginite' o, in una forma piu estesa: 'per ogni x, se x è una vite dell'automobile di Tizio durante l'intervallo di tempo a, allora x è arrugginito durante a', dove a designa un intervallo di tempo definito) e un esempio riconosciuto comunemente quale universale di legge ('il rame si dilata se scaldato', o, piu esplicitamente per ogni x e per ogni t, se x è scaldato al tempo t, allora x si dilata al tempo t'). 10 Alcuni di questi dettagli tecnici sono importanti solo in seguito ad una ipotesi che non appare ragionevole, e cioè che, a meno di adottare come ultime alcune nozioni modali, se si vuole ottenere una spiegazione adeguata dell'universalità nomica, si deve trattare ciascuna legge universale come un'unità e dimostrare che essa può venir tradotta in un universale de facto costruito appropriatamente e trattato esso pure come un'unità completa. Ma c'è sicuramente un'alternativa a questa ipotesi, e cioè quella di g>içgare ..KU_\lfliversali nomologici indicando alcune delle condizioni logiche ed epistemolo~cui gli JID!J©:.sall de_ facto_: v!:.l}gg_no. acéettati çol)le universali .di legge, lnollie; alcuni dettagli tecnici nascono dal proposito di escludere qualsiasi possibile caso "strano" che potesse sorgere teoricamente, anche se essi sorgono raramente e forse mai nella pratica scientifica.
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l. Forse la prima cosa che ci colpisce è che l'universale accidentale contiene designazioni per un particolare oggetto singolo e per una data o un periodo di tempo definiti, a differenza dell'universale nomologico. È questa la differenza decisiva? No, se vogliamo annoverare tra le leggi di natura un certo numero di asserzioni che vengono frequentemente classificate in tal modo: per esempio, le leggi di Keplero sul moto dei pianeti, o anche l'asserzione che la velocità della luce nel vuoto è di 300.000 chilometri al secondo. Infatti le leggi di Keplero menzionano il Sole (la prima delle tre, per esempio, afferma che i pianeti si muovono su orbite ellittiche con il Sole nel fuoco di ciascuna ellisse); e la legge sulla velocità della luce fa tacita menzione della Terra, in quanto le unità di lunghezza e di tempo usate sono definite riferendosi alle dimensioni della Terra e al periodo della sua rotazione. Possiamo si escludere queste asserzioni dalla classe delle leggi, ma sarebbe molto arbitrario il farlo. Inoltre, se ci si rifiuta di annoverare tra le leggi queste asserzioni, si è portati alla conclusione che esistono pochissime - forse nessuna - leggi, se si deve dar credito all'idea (discussa nel c. XI in modo piu completo) che le relazioni di dipendenza codificate come leggi sono sottoposte a cambiamenti evolutivi. Secondo tale idea, diverse epoche cosmiche sono caratterizzate da regolarità diverse in natura, in modo che ogni asserzione che formuli appropriatamente una regolarità deve contenere una indicazione di un determinato periodo di tempo. Tuttavia nessuna asserzione che contenga una indicazione simile potrebbe venir considerata come legge da coloro che trovano incompatibile la presenza di un nome proprio in un'asserzione con il fatto che tale asserzione sia un universale nomologico. In varie discussioni recenti sulle asserzioni considerabili come leggi si è proposto un modo per aggirare tale difficoltà. In primo luogo, si distingue tra predicati che sono "puramente qualitativi" e predicati che non lo sono, dove un predicato è detto puramente qualitativo se "per stabilire il suo significato non occorre riferirsi a nessun oggetto particolare o collocamento spazio-temporale". 11 Cosi, 'rame' e 'maggiore intensità di corrente' sono esempi di predicati puramente qualitativi, mentre non lo sono 'lunare' e 'piu grande del Sole'. In secondo luogo, si distingue tra asserzioni considerabili come leggi "fondamentali" e "derivate". A parte casi piu sottili, si dice che un condizionale universale è fondamentale se non contiene nomi individuali (o "costanti individuali") e se tutti i suoi predicati sono puramente qualitativi; e si dice che è derivato se è una conseguenza logica di qualche serie di asserzioni fondamentali considerabili come leggi; e, finalmente, un condizionale universale si dice "considerabile come legge" se è o fondamentale o derivato. Quindi, gli enunciati di Keplero possono venir 11 CARL G. HEMPEL e PAUL 0PPENHEIM, Studies in tbe Logic of Explanation, "Philosophy of Scicnce", vol. 15 (1948), p. 156.
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annoverati tra le leggi di natura se sono le conseguenze logiche di leggi fondamentali presumibilmente vere, come la teoria newtoniana. Su questa base, la spiegazione proposta è piu attraente, e riflette una tendenza indubitabile della fisica teorica corrente verso la formulazione delle sue ipotesi di base esclusivamente in termini di predicati qualitativi. La proposta incorre però in due difficoltà irrisolte. Prima di tutto, accade che condizionali universali contenenti predicati che non sono puramente qualitativi siano talvolta chiamati leggi, anche se non risulti che seguano logicamente da qualche insieme di leggi fondamentali. Era il caso, per esempio, delle leggi di Keplero prima dell'epoca di Newton; e se chiamiamo "legge" (come fanno alcuni) l'asserzione che i pianeti girano intorno al Sole tutti nella stessa direzione, è anche il caso di questa legge. Ma in secondo luogo è tutt'altro che certo che asserzioni come quelle di Keplero siano di fatto derivabili logicamente anche oggi da sole leggi fondamentali (come è richiesto dalla proposta in discussione perché tali asserzioni possano venir classificate come leggi). Sembra non vi sia modo di dedurre le leggi di Keplero dalla meccanica newtoniana e dalla teoria gravitazionale, con la semplice sostituzione di termini costanti alle variabili che si presentano in questa ultima e senza usare premesse addizionali i cui predicati non siano puramente qualitativi. E se è cosi, la spiegazione proposta annullerebbe dalla classe delle asserzioni considerabili come leggi un numero indefinito di asserzioni che comunemente vengono chiamate leggi. 1' In effetti quindi la spiegazione proposta è troppo restrittiva e non riesce a render giustizia a talune delle importanti ragioni che ci inducono a caratterizzare un'asserzione come legge di natura. Confrontiamo perciò questo paradigma di universalità accidentale: 'per ogni x, se x è una vite dell'automobile di Tizio durante l'intervallo di tempo a, allora x è arrugginito durante a', con la prima legge di Keplero: 'tutti i pianeti si muovono su orbite ellittiche con il Sole in un fuoco di ciascuna ellisse' (o, in forma logica simile, 'per ogni x e per ogni intervallo di tempo t, se x è un pianeta, allora x si muove su una orbita elittica durante t e il Sole è in un fuoco di questa ellisse'). Entrambi gli enunciati contengono nomi di individui e predicati che 12 Se invece si lascia cadere la condizione che tutte le premesse da cui deve venir dedotta una legge derivata siano fondamentali, bisognerebbe considerare come leggi degli enunciati che palesemente non ne hanno il tipo, come quello sulle viti dell'automobile di Tizio. Infatti questo enunciato segue dalla legge, presumibilmente fondamentale, che tutte le viti di ferro esposte all'ossigeno arrugginiscono, combinata con le premesse addizionali che tutte le viti dell'automobile di Tizio siano di ferro e siano state esposte all'ossigeno. È invero possibile dedurre dalla teoria di Newton che un corpo che è sotto l'azione della legge dell'inverso del quadrato si muoverà su un'orbita che è una sezione conica con un fuoco nell'origine della forza centrale. Ma per ottenere l'ulteriore conclusione che tale conica è un'ellisse, appaiono inevitabili delle premesse addizionali - premesse che stabili,·ono le masse relative e le velocità relative dei pianeti e del Sole. Questa circostanza è una ragione per dubitare del fatto che le leggi di Keplero siano deducibili da premesse che contengano soltanto leggi fondamentali.
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non sono puramente qualitativi; vi è tuttavia differenza tra loro. Nell'universale accidentale, gli oggetti dei quali è affermato il predicato 'arrugginito durante l'intervallo di tempo a' (chiamiamo la classe di tali oggetti il'' campQ predk~!vo~u<:l,(!ll'unl_y~r~le) sono severamente ristretti a cose che cadono entro una specifica regione spazio-temporale. Invece nell'enunciato considerabile come legge, il campo predicativo piuttosto complesso 'che si muove su un'orbita ellittica durante l'intervallo di tempo t e il Sole in un fuoco di questa ellisse' non è altrettanto ristretto: non si richiede che i pianeti e le loro orbite siano situati in un volume fisso di spazio o in un dato intervallo di tempo. Per conve:_ nienza, _c_hiamiamo '!universale ii91iri.strett_o'Lun universakil cqj çamp_Q ~ l'!'t!dicativo non ~~a ristretto a oggett~ <:h~_ca,dorHJetnro_un_(l d_ata regio-. _ ne dellg spazio. g_,ig_~!_l.....Q_a_nic:_olar(!_P~!'i.29:. .4Uçm_2_o._ È plausibile pre-( tendere che gli enunciati considerabili come leggi siano universali non \ ristretti. j Si deve tuttavia notare che la decisione se un condizionale universale sia o no ristretto non può sempre essere raggiunta sulla base della struttura puramente grammaticale (o sin tattica) della frase usata per stabilire il condizionale stesso, anche se la struttura grammaticale può esser spesso una guida abbastanza sicura. Per esempio, si potrebbe coniare la parola "auto-vite" per sostituire l'espressione 'vite nell'automobile di Tizio durante l'intervallo a' e quindi rendere l'universale accidentale con l'espressione 'tutte le autoviti sono arrugginite'; ma la struttura sintattica di questa nuova frase non rivela che il suo campo predicativo sia ristretto a oggetti che soddisfano una data condizione solo durante un intervallo di tempo· limitato. Si deve quindi diventar familiari con l'uso o il significato delle espressioni che si presentano nella frase, per decidere se l'asserzione contenuta in essa sia un universale non ristretto. Si deve pure notare che, anche se un condizionale universale non è ristretto, può effettivamente avere un campo predicativo finito. D'altra parte, anche se il campo è finito, la sua finitezza non deve essere inferibile dal termine del condizionale universale e che formula il campo predicativo, e deve quindi venir stabilita in base a prove empiriche indipendenti. Per esempio, anche se il numero dei pianeti noti è finito, ed anche se abbiamo qualche prova per credere che sia finito il numero di giri dei pianeti intorno al Sole (tanto nel passato che nel lontano futuro), questi sono fatti che non possono venire dedotti dalla prima legge di Keplero. 2. Benché l'universalità non ristretta sia spesso presa come condizione necessaria perché un'asserzione sia una legge, essa non è però sufficiente. Un condizionale universale non ristretto può essere vero, semplicemente perché è vero a-vuoto (cioè non vi è nulla che soddisfi la clausola del suo antecedente). Ma se un condizionale viene accettato solo per questa ragione, è improbabile che qualcuno lo annoveri tra le
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leggi di natura. Per esempio se supponiamo (cosa per cui abbiamo buone ragioni) che non vi siano affatto degli unicorni, le regole della logica esigono che accettiamo anche come vero che tutti gli unicorni sono lesti di piede. Nonostante ciò, tuttavia, anche coloro che sono familiari con la logica esiteranno a classificare quest'ultima asserzione come legge di natura - specialmente in quanto la logica ci richiede anche di accettare come vero, in base alla stessa supposizione iniziale, che tutti gli unicorni corrono molto lentamente. La maggior parte della gente infatti considererebbe nella migliore delle ipotesi uno scherzo il considerare un condizionale universale come una legge perché è vero-a-vuoto. La ragione di ciò sta in buona parte nell'uso che normalmente si fa delle leggi, che consiste nello spiegare fenomeni e altre leggi, nel predire eventi e in generale nel servire come strumenti per trarre inferenze in una ricerca. Ma se si accetta un condizionale universale in base al fatto che esso è vero-a-vuoto, non lo si può applicare a niente, e perciò non può compiere le funzioni inferenziali che ci si aspetta da una legge. Talvolta può sembrare plausibile che un condizionale universale non si chiami legge se non si sa che esiste almeno un oggetto che soddisfi il suo antecedente. Ma questa condizione appare troppo restrittiva, perché non sempre si è in grado di saperlo, anche se si è preparati a chiamare legge una data asserzione. Per esempio, possiamo non sapere se di fatto esista del filo di rame a - 270 oc, ed ugualmente voler classificare come legge l'asserzione che tutti i fili di rame a - 270 oc sono buoni conduttori di elettricità. Ma se accettiamo questa asserzione come legge, in base a quale prova lo facciamo? Per ipotesi non ne abbiamo prove dirette, in quanto abbiamo suppòsto di non sapere se esista del filo di rame a temperature vicino allo zero assoluto, e quindi non abbiamo eseguito nessun esperimento su quel filo di rame. La prova deve perciò essere indiretta: l'asserzione viene accettata come legge, presumibilmente perché è la conseguenza di qualche altra legge ipotizzata e per la quale esiste una prova di qualche genere. Per esempio, l' asserzione è una conseguenza della legge ben chiara che tutto il rame è un buon conduttore elettrico, legge per cui vi sono prove considerevoli. i Possiamo quindi formulare nel modo seguente una condizione addizionale come requisito implicito per classificare come legge di natura un universale non ristretto; la verità-a-vuoto di un universale non ristretto non è sufficiente perché lo si consideri una legge: esso vale come legge solo se esiste una serie di altre leggi ipotizzate da cui l'universale sia . logicamente derivabile. ·~.._ Gli universali non ristretti delle cui clausole antecedenti si sa che non sono soddisfatte da nulla nell'universo acquistano in tal modo il loro status di leggi, perché fanno parte di un sistema di leggi in relazione deduttiva e sono sostenuti dalla prova empirica - spesso assai vasta e varia - che sostiene il sistema stesso. È tuttavia pertinente il
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chiedere perché un'asserzione universale, anche se sostenuta in tal modo, debba venir classificata come legge se è anche risaputo che è vera-a-vuoto. Vi sono due ragioni possibili per ritenere che un'asserzione è vera-a-vuoto. Una è che non si siano trovati esempi che soddisfino la clausola dell'antecedente della legge, nonostante le ricerche piu accurate. Malgrado che questa prova negativa possa talvolta esser rilevante, frequentemente non risulta conclusiva, potendosi sempre dare che gli esempi si presentino in zone ove si è trascurata la ricerca o in circostanze speciali. In tal caso si può adoperare la legge per calcolare le conseguenze logiche della supposizione che esistano di fatto degli esempi positivi in qualche regione inesplorata o in condizioni immaginate; questo calcolo può suggerire come si possa restringere la zona dell'ulteriore ricerca di esempi positivi, o quali manipolazioni sperimentali si possano intraprendere per generare tali esempi. La seconda ragione, generalmente piu decisiva, per credere che una legge sia vera-a-vuoto è una prova che l'accettazione dell'esistenza di un esempio positivo per la legge sia logicamente incompatibile con altre leggi che appartengono al sistema. La legge vera-a-vuoto può quindi essere davvero oziosa, e costituire un peso morto perché non ha funzione inferenziale. D'altra parte, se le leggi usate per stabilire tale verità-a-vuoto sono esse stesse sospette, la legge già nota come vera-a-vuoto può venir usata come base per ottenere ulteriori prove critiche riguardo tali leggi. Ci sono senza dubbio altri possibili usi delle leggi vere-a-vuoto; l'importante è che esse non vengano incluse in corpi codificati di conoscenza, a meno che abbiano qualche uso. Occorre a questo punto dedicare attenzione, sia pur brevemente, ad un'altra questione. Spesso viene sostenuto che alcune leggi della fisica (e di altre discipline, per esempio dell'economia), accettate come almeno temporaneamente originarie, sono notoriamente vere-a-vuoto. Di conseguenza i ragionamenti or ora fatti non appaiono adeguati, in quanto vengono chiamati "leggi" certi universali non ristretti, nonostante che non siano derivati da altre leggi. Un esempio familiare di una simile legge originaria e vera-a-vuoto è la prima legge del moto, di Newton, secondo la quale un corpo che non sia sotto l'azione di forze esterne mantiene una velocità costante; e l'obiezione familiare è che di fatto non esistono corpi simili, dato che la supposizione che esistano è incompatibile con la teoria newtoniana della gravitazione. Per il momento parleremo assai in breve su questo esempio, poiché gli dedicheremo una considerevole attenzione in seguito; ma due punti possono venir esaminati speditamente. Anche se è fondata l'obiezione che la legge di Newton sia vera-a-vuoto, non è questa la ragione per cui essa viene accettata come legge. Perché allora viene accettata? Tralasciando la questione sull'interpretazione da darsi all'asserzione di Newton (per esempio se essa sia o no un'asserzizone definitoria di cosa debba intendersi per corpo non sottoposto all'azione di forze esterne) e tralasciando
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anche la questione se essa sia o non sia deducibile da qualche altra legge accettata (per esempio la seconda legge del moto di Newton), un esame del suo uso mostra che quando si analizzano i moti dei corpi in termini delle componenti vettoriali dei moti, le loro velocità sono costanti nelle direzioni lungo le quali non vi sono forze effettive che agiscono sui corpi stessi. In breve, è una semplificazione eccessiva e grossolana il sostenere che la legge è vera-a-vuoto, perché essa è un elemento in un sistema di leggi per le quali esistono con certezza esempi confermanti. Piu in generale, se una legge "originaria" fosse soddisfatta a-vuoto, sarebbe ben difficile comprendere la sua utilità entro il sistema di cui facesse parte. 3. È plausibile il supporre che le asserzioni candidate al titolo di "leggi di natura" debbano soddisfare un'altra condizione, suggerita dalle considerazioni a cui si è accennato. A parte il fatto che l'universale accidentale usato come paradigma, sulle viti arrugginite dell' atuomobile di Tizio, non è un universale non ristretto, esso mostra un'ulteriore caratteristica. Questo condizionale universale (chiamiamolo S) può essere inteso come una maniera riassuntiva di asserire una congiunzione finita di asserzioni, ciascun elemento della congiunzione essendo un'asserzione relativa a una vite particolare in una classe finita di viti. Cosf S è equivalente alla congiunzione: 'se Si è una vite dell'automobile di Tizio durante l'intervallo di tempo a, allora Si è arrugginito durante a, e se sz è una vite dell'automobile di Tizio durante l'intervallo a, allora sz è arrugginito, durante a, e ... , e se sn è una vite dell'automobile di Tizio durante l'intervallo a, allora Sn è arrugginito durante a', essendo n un numero finito. S può quindi venir stabilito stabilendo la verità di un numero finito di asserzioni della forma: 's; è una vite dell'automobile di Tizio durante l'intervallo a es; è arrugginito durante tale intervallo'. Di conseguenza se accettiamo S, lo facciamo perché abbiamo esaminato un certo numero fisso di viti che abbiamo ragione di credere esauriscano il campo predicativo di S. Se avessimo ragioni per sospettare che le viti esaminate non esauriscono il totale delle viti nell'automobile di Tizio, ma che anzi vi sia in tale automobile un numero indefinito di altre viti che non sono state esaminate, non saremmo in grado di asserire che S è vero. Infatti nell'asserire S noi asseriamo in effetti che ciascuna delle viti esaminate è arrugginita e che le viti esaminate sono tutte le viti esistenti nell'automobile di Tizio. È però importante comprendere con chiarezza quale sia il punto in questione. In primo luogo, S potrebbe essere accettato come vero, non già perché ogni vite dell'automobile di Tizio è risultata arrugginita, bensf per esser stato dedotto da qualche altra ipotesi. Per esempio, potremmo dedurre S dalle premesse che tutte le viti dell'automobile di Tizio sono di ferro, che esse sono state esposte all'ossigeno libero, e che il ferro in presenza di ossigeno arrugginisce sempre. Ma anche in questo caso l'accettazione di
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S dipende dal fatto che abbiamo stabilito un numero fisso di asserzioni aventi la forma 's; è una vite di ferro dell'automobile di Tizio ed essa è stata esposta all'ossigeno', dove le viti esaminate esauriscono il campo di applicazione di S. In secondo luogo, S potrebbe venir accettato in base al fatto che abbiamo esaminato un campione presumibilmente esauriente di viti dell'automobile di Tizio, e abbiamo dedotto il carattere delle viti non esaminate dal carattere osservato nelle viti del campione. Ma anche qui la deduzione presuppone che le viti del campione provengano da una classe di viti completa e non suscettibile di aumento. Per esempio, presuppone che nessuno toglierà una vite dalla automobile sostituendola con un'altra, e che nessuno praticherà nell'automobile un nuovo foro in cui inserire una nuova vite. Se accettiamo S come vero in base a quanto abbiamo trovato nel campione, lo facciamo in parte supponendo che il campione sia stato ottenuto da una popolazione di viti che non cesserà né verrà alterata durante l'intervallo di tempo menzionato in S. Viceversa, non risulta che si faccia una supposizione analoga riguardo alle prove in base alle quali vengono accettate le asserzioni chiamate leggi. Cosf, benché la legge che il ferro in presenza di ossigeno libero arrugginisce sia stata una volta basata esclusivamente sulla prova desunta dall'esame di un numero finito di oggetti di ferro che erano stati esposti all'ossigeno, non si assumeva tale prova come capace di esaurire il campo predicativo della legge. Inoltre, se ci fosse stata ragione di supporre che questo numero finito di oggetti e~aurisse la classe di oggetti di ferro esposti all'ossigeno che siano mai esistiti e che mai esisteranno in futuro, è assai dubbio se si sarebbe chiamato legge il condizionale universale; al contrario, se si fosse creduto che i casi osservati esaurissero il campo di applicazione del condizionale, è probabile che l'asserzione sarebbe stata classificata semplicemente come una notizia storica. Quando i chiamiamo legge un'asserzione, noi asseriamo, a quanto pare, almeno! tacitamente, che per quel che sappiamo i casi esaminati non costituiscono tutta la classe degli esempi dell'asserzione. Quindi perché un universale, non ristretto venga chiamato legge, è plausibile pretendere che non si ~appia che le s~e pr~ve co~ncidano con ~l su.o ca~po predicativo e l Inoltre che non s1 sapp1a che d suo campo s1a chmso nspetto ad un ulte- · riore ampliamento. La giustificazione di questo requisito è da trovarsi l'tnche qui negli usi inferenziali a cui normalmente vengono adibite le asserzioni chiamate leggi. L_a funzione primaria di tali asserzioni è di fSpTeg-are l e di /!?!~ire:-~ Ma se un'asserzione non afferma in effetti di piu di quanto viene affermato dalle sue prove, è leggermente assurdo da parte nostra adoperare l'asserzione stessa per spiegare o predire qualcosa contenuto in queste prove, ed è contraddittorio usarla per spiegare o predire qualcosa non contenuto in esse. Il chiamare legge un'asserzione è perciò dire qualcosa di piu che dire che è un universale non ristretto presumibilmen-
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te vero. Chiamare legge un'asserzione è assegnarle una certa funzione, e in tal modo è dire in effetti che si suppone che la prova su cui essa è basata non costituisca il suo campo predicativo totale. Questa condizione appare sufficiente per rifiutare il titolo di "legge" a una certa classe di asserzioni appositamente manipolate che normalmente non verrebbero classificate come tali, ma che evidentemente soadisfano la condizione discussa sopra. Consideriamo l'asserzione: 'tutti gli uomini che sono i primi a vedere una retina umana vivente contribuiscono a stabilire il principio della conservazione dell'energia'. Supponiamo che l'asserzione non sia vera a-vuoto e che sia un universale non ristretto, cosi che lo si possa trascrivere come segue: 'per ogni x ed ogni t, se x è un uomo che vede una retina umana vivente al tempo t e nessun uomo vede una retina umana vivente in qualsiasi tempo prima di t, allora x contribuisce a stabilire il principio di conservazione dell'energia'. 13 Chi ha presente la storia della scienza riconoscerà il riferimento ad Helmholtz che fu tanto il primo a vedere una retina umana vivente quanto uno dei fondatori del principio di conservazione dell'energia. Quindi l'asserzione anzidetta è vera, e per ipotesi soddisfa la condizione dell'universalità non ristretta. È tuttavia plausibile supporre che la maggior parte delle persone sarebbero restie a chiamarla legge. La ragione di questa supposta riluttanza diventa chiara quando si esamini quale prova è necessaria per stabilire l'asserzione. Per stabilirne la verità è sufficiente mostrare che Helmholtz fu effettivamente il primo essere umano che vide una retina umana vivente, e che egli contribui a stabilire il principio di conservazione. Ma, se Helmholtz fu tale, allora nel nostro caso, logicamente non vi può essere un altro essere umano che soddisfi le condizioni descritte nella clausola antecedente dell'asserzione di cui sopra; in breve, sappiamo in questo caso che la prova in base alla quale l'asserzione viene accettata coincide con il suo campo predicativo. L'asserzione non può servire per spiegare o predire nulla che non sia incluso nella prova stessa, e quindi non le si può attribuire lo status di legge di natura. 4. Occorre notare un ulteriore punto riguardante le asserzioni che comunemente vengono designate come leggi, anche se è difficile formulare a questo proposito qualcosa del tipo di un "requisito" che debb_a venir invariabilmente soddisfatto dalle asserzioni considerabili come leggi. Questo punto verte sulla posizione che hanno le leggi nel corpus della nostra conoscenza, e sull'atteggiamento conoscitivo che spesso manifestiamo nei loro riguardi. La prova in forza della quale un'asserzione L viene chiamata una legge può venir distinta in "diretta" o "indiretta". a) Può essere una 13
HANS REICHENBACH,
Nomological Statements and Admissible Operations, Amster-
dam, 1954, p. 35.
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prova diretta, nel senso familiare e cioè che consista di casi i quali cadono nel campo predicativo di L, dove tutti i càsi esaminati siano in possesso della proprietà predicata da L. Per esempio, per la legge che il rame riscaldato si dilata, la prova diretta viene fornita dai chilometri di filo di rame che si dilatano per riscaldamento. h) La prova di L può essere "indiretta" in due sensi. Può accadere che L sia derivabile insieme ad altre leggi Lt, Lz, ecc. da qualche legge piu generale M (una o piu), in modo che la prova diretta per queste altre leggi vale come prova (indiretta) per L. Per esempio, la legge che il periodo di un pendolo semplice è proporzionale alla radice quadrata della sua lunghezza, e la legge che la distanza percorsa da un corpo che cade liberamente è proporzionale al quadrato del tempo di caduta sono congiuntamente derivabili dalle ipotesi della meccanica newtoniana. È uso far valere la prova diretta che conferma la prima di queste leggi come prova che conferma, sia pure solo "indirettamente", la seconda. Tuttavia la prova di L può essere "indiretta" in un senso un po' diverso, e cioé che L possa esser composto da una varietà di ipotesi particolari che conducono ad altre leggi, ciascuna in possesso di un campo predicativo distinto, cosf che la prova diretta per tali leggi derivate valga come prova "indiretta" per L. Per esempio, congiungendo le leggi di Newton sul moto con varie ipotesi particolari, si possono dedurre le leggi di Keplero, la legge sul periodo del pendolo, la legge sulla libera caduta dei gravi e le leggi sulle forme delle masse rotanti. Quindi la prova diretta per queste leggi derivate serve da prova indiretta per le leggi di Newton. Si supponga ora che vi sia per L, oltre a una certa prova diretta, anche una considerevole prova indiretta (in entrambi i sensi di "indiretta"). Ma si supponga pure che si incontrino alcune eccezioni apparenti ad L. Possiamo ugualmente esser molto riluttanti ad abbandonare L, nonostante l'esistenza di queste eccezioni, e ciò per almeno due ragioni. Prima di tutto, il peso della prova, diretta e indiretta, che conferma L può esser maggiore di quello della prova apparentemente negativa. In secondo luogo, in virtu delle sue relazioni con altre leggi e con la prova in loro favore, L non è sola, bensf la sua sorte influenza quella del sistema di leggi a cui appartiene. Quindi il respingere L richiederebbe una seria riorganizzazione di certe parti delle nostre conoscenze. Ma può darsi che non si possa effettuare tale riorganizzazione perché al momento non vi sia modo di sostituire opportunamente il sistema fino ad oggi adeguato; e può darsi pure che si possa evitare la riorganizzazione dando una nuova interpretazione alle apparenti eccezioni ad L, in modo che esse risultino come eccezioni in definitiva non "genuine". In questo modo si potranno salvare sia L sia il sistema a cui esso appartiene, nonostante le prove palesemente negative per la legge. Si ha un esempio di questo caso quando si interpreta un apparente venir meno di una legge come il risultato di osservazioni imprecise o di inesperienza nell'esecuzione di un esperimento. Ma può anche essere illustrata da esempi piu imponenti.
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( Cosi, la legge (o principio) della conservazione dell'energia venne messa in serio pericolo dagli esperimenti sul decadimento dei raggi beta i cui risultati non potevano venir negati. Tuttavia la legge non fu abbandonata, e venne supposta l'esistenza di un nuovo tipo di entità (chiamata ~'neutrino"), allo scopo di far concordare la legge con i dati sperimentali. La giustificazione di questa ipotesi è che rigettando la legge della conservazione si sarebbe privata una gran parte delle nostre conoscenze scientifiche della sua coerenza sistematica. Invece la legge (o principio) della conservazione della parità nella meccanica quantistica (che afferma che, per esempio, in certi tipi di interazioni i nuclei atomici orientati in una direzione e quelli orientati nella direzione opposta emettono particelle beta di uguale intensità) è stata recentemente respinta, anche se all'inizio erano relativamente pochi gli esperimenti che indicavano che la legge non era valida in generale. Questa netta differenza tra le sorti della legge dell'energia e di quella della parità indica la differenza tra le posizioni che queste ipotesi occupano a un dato tempo nel sistema delle conoscenze fisiche, e la superiorità del danno intellettuale che in quello stadio seguirebbe dall'abbandono della prima teoria rispetto all' abbandono della seconda. Piu in generale, siamo abitualmente ben preparati ad abbandonare una legge per cui la prova sia esclusivamente di tipo diretto, appena si scoprano eccezioni prima facie ad essa. Vi è infatti una forte inclinazione a negare la denominazione di "legge di natura" a un condizionale universale L, anche se soddisfi le varie condizioni già discusse, se l'unica prova disponibile per L è una prova diretta. È ancora piu probabile che -si rifiuti come "legge" un siffatto L, se, essendo L della forma 'tutti gli A sono B', esiste una classe di oggetti C che non sono A, i quali però rassomigliano, sotto qualche aspetto considerato "importante", a oggetti che sono A, cosi che, mentre alcuni elementi di C hanno la proprietà B, tuttavia B non caratterizza invariabilmente gli elementi di C. Per esempio benché tutte le prove a disposizione confermino l'asserzione universale che tutti i corvi sono neri, non risulta esservi per essa una prova indiretta. Ma se l'asserzione viene accettata come una "legge", quelli che la accettano probabilmente non esiterebbero a rifiutarla come falsa e a ritirarle in tal modo la denominazione data, se fosse trovato un uccello che fosse evidentemente un corvo ma che avesse le piume bianche. Inoltre, è noto che il colore delle piume è una caratteristica variabile negli uccelli in generale; e di fatto si sono trovate specie di uccelli simili ai corvi per caratteristiche biologiche molto importanti, senza tuttavia che le loro piume fossero completamente nere; quindi, in assenza di leggi note in termini delle quali si possa spiegare il colore nero dei corvi, con la conseguente assenza di una estesa varietà di prova indiretta per l'asserzione che tutti i corvi sono neri, il nostro atteggiamento verso questa asserzione è stato stabilito in modo meno fermo che verso asserzioni chiamate leggi per le quali vi sia una prova indiretta.
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Queste differenze nel nostro esser pronti ad abbandonare un condizionale universale di fronte a una prova che apparentemente lo contraddica, è talora riflesso nel modo in cui adoperiamo le leggi nell'inferenza scientifica. Finora abbiamo supposto che le leggi vengano usate come premesse dalle quali si derivino conseguenze in accordo con le regole della logica formale. Ma quando una legge è considerata come stabilita ' con sicurezza e tale da occupare una salda posizione entro il corpus delle nostre conoscenze, la legge stessa può venir usata come un principio empirico in accordo con il quale vengono ricavate deduzioni. Questa differenza tra premesse e regole di deduzione può venir illustrata con un ragionamento sillogistico elementare. La conclusione che un dato pezzo di filo a è un buon conduttore dell'elettricità può venir derivata dalle due premesse che a è rame e che il rame è sempre un buon conduttore dell'elettricità, in accordo con la regola di logica formale nota come dictum de amni. Ma la stessa conclusione può essere ottenuta anche dalla sola premessa che a è rame, se si accetta come un principio deduttivo la regola che un'asserzione della forma 'x è un buon conduttore dell'elettricità' è derivabile da un'asserzione della forma 'x è rame'. Questa è una differenza solamente tecnica; da un punto di vista puramente formale è sempre possibile eliminare una premessa universale senza invalidare un argomento deduttivo, purché si adotti un'appropriata regola deduttiva per sostituire la premessa. Tuttavia in pratica si ricorre a questo artificio tecnico solo quando la premessa universale ha lo status di una legge che non siamo disposti ad abbandonare solo a causa di alcune apparenti eccezioni che occasionalmente siano emerse. E ciò perché quando si sostituisce questa premessa con una regola deduttiva, si è sulla strada di trasformare i significati di alcuni dei termini impiegati nella premessa, onde il suo contenuto empirico viene gradualmente assorbito dai significati di quei termini. Cosf, nell'esempio precedente, l'asserzione che il rame è un buon conduttore dell'elettricità viene supposta di tipo fattuale, nel senso che il possesso di un'alta conduttività non è uno dei tratti che servono a definire cosa debba essere il rame, in modo che per stabilire l'asserzione è necessaria una prova empirica. Invece, quando si sostituisce questa asserzione con una regola di inferenza, si tende a considerare la conduttività elettrica come un tratto piu o meno "essenziale" del rame, in modo che alla fine non si potrà classificare come rame nessun oggetto che non sia un buon conduttore. Come abbiamo già notato, questa tendenza va a favore del punto di vista secondo cui le leggi genuine esprimono relazioni di necessità logica. Ma in ogni caso, quando questa tendenza sia completamente invalsa, la scoperta di una sostanza scarsamente conduttrice che sotto altri aspetti fosse simile al rame, richiederebbe una nuova classificazione delle sostanze con una revisione corrispondente dei significati associati con termini come quello di 'rame'. È questa la ragione per cui la trasformazione di una legge evidentemente empirica in una regola di inferenza si
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effettua di solito solo quando si suppone che la legge sia stabilita tanto fermamente che per spodestarla occorrerebbe una prova schiacciante. Di conseguenza, anche se per chiamare legge un condizionale universale non è richiesto che si sia disposti a reinterpretare la prova apparentemente negativa pur di conservare l'asserzione come parte integrante della nostra conoscenza, molte asserzioni vengono classificate come leggi parzialmente perché abbiamo verso di loro un simile atteggiamento.
IV. Universali contro/attuali Esistono quattro tipi di considerazioni che appaiono di rilievo per classificare gli enunciati come leggi di natura: l) considerazioni sintattiche che si riferiscono alla forma degli enunciati considerabili come leggi; 2) relazioni logiche tra gli enunciati dati ed altri enunciati entro un sistema di spiegazioni; 3) le funzioni assegnate nella ricerca scientifica agli enunciati considerabili come leggi; e 4) gli atteggiamenti conoscitivi manifestati verso un enunciato per la natura della prova disponibile. Queste considerazioni in parte si sovrappongono, in quanto, -per esempio, la posizione logica di un enunciato in un sistema è in relazione tanto con il ruolo che esso può svolgere in una ricerca, quanto con il tipo di prova che ci si può procurare per esso. In piu, non si può asserire che le condizioni menzionate in queste considerazioni siano sufficienti (né forse qualche volta neppure necessarie) per applicare ad un enunciato l'etichetta "legge di natura". Indubbiamente si possono costruire ad arte enunciati che soddisfino queste condizioni, ma che generalmente non verrebbero chiamati leggi, cosi come si possono trovare enunciati chiamati talvolta leggi, che non soddisfano una o piu di · queste condizioni. Per ragioni già esposte ciò è inevitabile, perché non è possibile una spiegazione precisa del significato di "legge di natura" che sia in accordo con tutti i modi in cui viene usata questa espressione vaga. Tuttavia risulta che gli enunciati che soddisfano queste condizioni sembrano sfuggire alle obiezioni sollevate dai critici dell'analisi humiana della universalità nomica; quest'ultima affermazione richiede di essere sostenuta da qualche argomentazione; come pure occorre dire qualcosa sul problema connesso dello status logico dei condizionali controfattuali. l. Forse la critica corrente piu forte all;analisi humiana dell'universalità nomica è costituita dall'argomento che gli universali de facto non possono reggere i condizionali co~iuntivi. Supponiamo di sapere che non è mai esistito un corvo che non fosse nero, che non esiste al presente un corvo che non sia nero e che non esisterà mai un corvo che non sia nero. Siamo in tal caso autorizzati ad asserire come vero l'universale accidentale non ristretto S: 'tutti i corvi sono neri'. È stato obiettato, tmtavia, che S non esprime ciò che normalmente chiameremmo una
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legge di natura. 14 Si supponga invero che in via di fatto nessun corvo sia mai vissuto né vivrà nelle regioni polari. E supponiamo inoltre di non sapere se il dimorare nelle regioni polari abbia o no una influenza sul colore dei corvi, cosicché, per quel che ne sappiamo, può darsi che nella discendenza di corvi che emigrassero in quelle regioni si sviluppi un piumaggio bianco. Quindi, benché S sia vero, tale verità può essere soltanto una conseguenza dell'" accidente storico" che nessun corvo è mai vissuto nelle regioni polari. Di conseguenza l'universale accidentale S non regge il condizionale congiuntivo che corvi, che abitassero le regioni polari, sarebbero neri; e poiché una legge di natura deve, per ipotesi, reggere tali condizionali, S non può valere come legge. In breve, l'universalità non ristretta non mostra le caratteristiche di ciò che intendiamo con universalità nomica. Ma, sebbene l'argomentazione sia in grado di stabilire quest'ultimo punto, non ne segue che S non è una legge di natura perché non riesce ad esprimere una necessità nomica irriducibile. Infatti si può negare ad S lo status di legge, nonostante la sua accettata verità, per almeno due ragioni, nessuna delle quali ha nulla a che fare con la questione di tale necessità. In primo luogo, può darsi che la prova di S coincida con il suo campo predicativo, cosicché S non può svolgere, per chi è familiare con quella prova, le funzioni che ci si aspetta dagli enunciati classificati come leggi. In secondo luogo la prova di S, sebbene per ipotesi sia logicamente sufficiente per stabilire che S è vero, può essere esclusivamente una prova diretta; allora si può rifiutare la denominazione di legge ad S, in base al fatto che possono avanzare pretese per tale denominazione solo gli enunciati per i quali è disponibile una prova indiretta (in modo che tali enunciati debbano occupare un certo posto logico entro il corpus della nostra conoscenza). Ma a questo proposito un'altra considerazione è non meno pertinente. La succitata incapacità di S a sostenere il condizionale congiuntivo è una conseguenza del fatto che S è asserito come vero entro un contesto , di assunzioni che esse stesse rendono dubbio il condizionale congiuntivo. Per esempio, S viene asserito sapendo che nessun corvo abita le regionf polari. Ma abbiamo già accennato al fatto che sappiamo abbastanza intorno agli uccelli per sapere che il colore delle loro penne non è invariante in ogni specie di uccelli. E sebbene non conosciamo al presente i precisi fattori da cui dipende il colore delle penne, abbiamo ragioni per credere che il colore dipenda almeno in parte dalla costituzione genetica 14 WrLLIAM KNEALE, Natura! Laws and Contrary-to-Fact Conditionals, "Analisis", vol. 10 (1950), p. 123. Cfr. anche WILLIAM KNEALE, Probability and Induction, Oxford, 1949, p. 75. L'impulso alla piu recente discussione sugli universali nomologici e sui condizionali soggiuntivi e controfattuali è stato dato da RonERICK M. CHISHOLM, The Contrary-to-Fact Conditional, "Mind", vol. 55 (1946), pp. 289-307, e NELSON GoonMAN, The Problem of Counterfactual Conditionals, "Journal of Phisolophy", vol. 44 (1947), pp. 113-28; quest'ultimo anche ristampato in NELSON GooDMAN, Fact, Fiction, and Forecast, Cambridge, Mass., 1955.
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degli uccelli; e sappiamo pure che tale costituzione può venire influenzata dalla presenza di certi fattori (per esempio radiazioni ad alta energia), che possono essere presenti in particolari ambienti. Quindi S non regge il condizionale congiuntivo citato, non perché S non sia capace di reggere nessun condizionale di tal tipo, ma perché la totalità delle conoscenze a nostra disposizione (e non la sola prova per S stesso) non garantisce questo particolare condizionale. Potrebbe esser plausibile il supporre che S convalidi il condizionale congiuntivo che, se ci fosse un corvo abitante nelle regioni polari non esposto ai raggi X, quel corvo sarebbe nero. Il punto da notarsi, quindi, è che il fatto che S regga o non regga un dato condizionale congiuntivo dipende non soltanto dalla verità di S ma anche dalle altre cognizioni di cui possiamo essere in possesso - in effetti dallo stato dell'indagine scientifica. Per vedere questo punto piu chiaramente, applichiamo la critica in questione a un enunciato generalmente considerato come legge di natura. Supponiamo che non esistano (onnitemporalmente) oggetti fisici che non si attraggano reciprocamente in ragione inversa del quadrato della loro distanza. Siamo allora autorizzati a asserire come vero l'universale non ristretto S': 'tutti i corpi fisici si attraggono reciprocamente in ragione inversa del quadrato delle loro distanze'. Ma supponiamo anche che le dimensioni dell'universo siano finite, e che non esistano corpi fisici separati da una distanza maggiore, per esempio, di cinquanta trilioni di anni luce. È S' in grado di reggere il condizionale congiuntivo secondo cui, se esistessero corpi fisici che distassero tra loro piu di 50 trilioni di anni luce, essi si attrarrebbero reciprocamente in ragione inversa del quadrato della loro distanza? Secondo l'argomentazione di cui ci stiamo occupando, è presumibile che la risposta sarebbe negativa. Ma è veramente plausibile tale risposta? Non è piu giustificato il dire che nessuna risposta è possibile - nè affermativa nè negativa - a meno che si formuli di fatto qualche ulteriore assunzione? Infatti, senza tale ulteriore assunzione, come si può esprimere un giudizio su una qualsiasi eventuale risposta? Viceversa, se fossero formulate tali ulteriori assunzioni - per esempio, se si supponesse che la forza di gravità è indipendente dalla massa totale dell'universo - non è da escludersi che la risposta corretta potrebbe essere in senso affermativo. In breve, la çritica g_i_c1,1_i ci s~iamo occupando non indebolisce l'analisi hum_iana dell'universalità nomica, ma mette in maggior luce il pulito importanteciieun-eminda-to generalmente viene classificato come legge di natura perché occupa una posizione caratteristica nel sistema di spiegazioni in qualche regione della conoscenza e perché è sostenuto da prove che soddisfano determinati requisiti. 2. Quando facciamo progetti per il futuro o consideriamo il passato. spesso conduciamo avanti le nostre deliberazioni facendo ipotesi che
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sono contrarie ai fatti noti. I risultati di tali riflessioni sono quindi spesso formulati come condizionali controfattuali aventi la forma: 'se a fosse P, allora b sarebbe Q', oppure 'se a fosse stato P, allora b sarebbe stato (o sarebbe) Q'. Per esempio, un fisico che stia progettando un esperimento può a un certo punto dei suoi calcoli asserire il controfattuale C: 'se la lunghezza del pendolo a fosse ridotta a un quarto della sua lunghezza attuale, il suo periodo sarebbe la metà di quello attuale'. In modo simile, si può immaginare che un fisico, il quale stia cercando le ragioni dell'insucesso di un esperimento già eseguito, asserisca il controfattuale C': 'se la lunghezza del pendolo a fosse stata ridotta a un quarto della sua lunghezza attuale, il suo periodo sarebbe stato la metà di quello attuale'. In entrambi i condizionali, le clausole antecedenti e conseguenti descrivono supposizioni presumibilmente note come false. Quello che ha preso il nome di "problema di controfattuali" è il problema di rendere esplicita la struttura logica degli enunciati di questo tipo e di analizzare su quali basi si possa decidere della loro verità o falsità. Il problema è strettamente connesso a quello di esplicare la nozione di universalità nomica. Infatti non si può tradurre un controfattuale direttamente in una congiunzione di enunciati all'indicativo facendo uso solamente dei soliti connettivi non-modali della logica formale. Per esempio, il contrafattuale C' asserisce tacitamente che la lunghezza del pendolo a di fatto non è stata ridotta ad un quarto della sua reale lunghezza. Tuttavia, non si può rendere C' con il seguente enunciato: 'la lunghezza di a non è stata ridotta ad un quarto della sua reale lunghezza e se la lunghezza di a era ridotta ad un quarto della sua presente lunghezza allora il suo periodo era metà del suo periodo presente'. La traduzione proposta non è soddisfacente, perché, dato che la clausola antecedente del condizionale indicativo è falsa, segue dalle leggi della logica formale che se la lunghezza di a era ridotta ad un quarto della sua presente lunghezza, il suo periodo non era metà del periodo presente - conclusione certamente non accettabile per chi asserisca C'. 15 Di conseguenza, i critici dell'analisi humiana dell'universalità nomica hanno sollevato l'argomentazione che non soltanto negli universali di legge, ma anche nei condizionali controfattuali, è contenuto un tipo distintivo di necessità non logica. JL CQ!lt~n_uto___c;!_~i CQ!ltt;ofattuali può nondimeno venir messo in iJ~ce in maniera plausibile senza . dover ricorrere ad alcuna nozione modale nonanalizzabile. Infatti si può rendere ciò che sta dicendo il :iìsicoche-asserisce C', nel modo seguente, piu chiaro anche se piu indiretto: l'enunciato 'il periodo del pendolo a era la metà del suo periodo 15 Questa conclusione segue in virtu della regola logica che governa l'uso del connettivo "se-allora". Secondo tale regola supposto che S1 sia falso sono veri tanto l'enunciato della forma 'se S1 allora S,' quanto quello della forma 'se S1 allora non S,', qualunque possa essere S2•
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attuale' segue logicamente dall'ipotesi 'la lunghezza di a era un quarto della sua lunghezza attuale', quando tale ipotesi venga congiunta con la legge che il periodo di un pendolo semplice è proporzionale alla radice quadrata della sua lunghezza, unitamente ad un certo numero di ulteriori assunzioni sulle condizioni iniziali rispetto alla legge (ad esempio, che a sia un pendolo semplice, che la resistenza dell'aria sia trascurabile). Di piu, sebbene tanto l'ipotesi testé riferita quanto l'enunciato da essa dedotto con I'aiuto delle assunzioni citate siano riconosciutamente false, la loro falsità non è inclusa tra le premesse della deduzione. Pertanto non deriva da tali premesse che se la lunghezza di a era un quarto della sua lunghezza attuale, allora, il periodo di a era la metà di quello attuale. In breve, il controfattuale C' risulta asserito entro un certo contesto di assunzioni e supposizioni particolari; e quando queste vengono messe a nudo, è del tutto gratuita l'introduzione di categorie modali che non siano quelle della logica formale. Piu in generale, 1Jl1 . controfattl!ale Pll_èl_y~pi~ .i!l~.!l~.re~to _çom_~!l __~t1Q!l:9-.l1!<:>_me !f1lifigf:t.jstico implicito_( cioè un enunciato su altri enunciati, e in particolare sulle relazioni logiche di questi ultimi), il quale afferma che la forma indicativa della sua clausola conseguente segue logicamente dalla forma indicativa della sua clausola antecedente, quando quest'ultima venga congiunta con una legge e con le condizioni iniziali richieste per tale legge." Di conseguenza le discussioni intorno alla verità o non verità di un dato controfattuale possono giung'ere a una soluzione solo quando sono rese esplicite le assunzioni e le supposizioni su cui esso è basato. Un controfattuale che sia indiscutibilmente vero in base a un certo gruppo di tali premesse può esser falso in base ad un altro e può non avere un valore di verità determinato in base ad un terzo. Cosi, un fisico potrebbe respingere C' in favore del controfattuale: 'se la lunghezza del pendolo a fosse stata ridotta a un quarto della sua lunghezza attuale, il periodo di a sarebbe stato maggiore in maniera significante della metà del suo periodo attuale'. Tale asserzione sarebbe giustificata se quel fisico ammettesse, ad esempio, che l'arco di oscillazione del pendolo accorciato fosse maggiore di 60°, e ammettesse altresi una forma modificata della legge sopra enunciata circa i periodi del pendolo (legge che viene asserita solo per i pendoli aventi piccoli archi di oscillazione). Ancora, un principiante in progettazione degli esperimenti potrebbe dichiarare vera C', pur supponendo, tra l'altro, non soltanto che il pendaglio circolare del pendolo abbia un diametro di una decina 16 Sebbene la posizione adottata qui sia stata raggiunta in modo indipendente, la sua formulazione presente è debitrice ai punti di vista espressi in HENRY HIZ, On the In/erential Sense o/ Contrary-to-Fact Conditionals, "Journal of Philosophy", vol. 48 (1951 ), pp. 586-87; Juuus R. WEINBERG, Contrary-to-Fact Conditionals, "Journal of Philosophy", vol. 48 (1951), pp. 17-22; RonERICK M. CHISHOLM, Law Statements and Counterfactual In/erence, "Analysis ", vol. 15 (1955), pp. 97-105; e ]oHN C. CooLEY, Professar Goodman's 'Fact, Fiction, and Forecast', "Journal of Philosophy", vol. 54 (1957), pp. 293-311.
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di centimetri, ma anche che l'apparecchiatura contenente il pendolo abbia un'apertura di pochissimo superiore ai dieci centimetri nel punto in cui si trova il centro del pendaglio del pendolo accorciato. Eppure è evidente che in tal caso C' è falso, perché con tali assunzioni il pendolo accorciato non oscillerebbe affatto. Le varie assunzioni sotto cui viene asserito un controfattuale non vengono enunciate nel controfattuale stesso. Può quindi risultare molto difficile la valutazione della validità del controfattuale - qualche volta perché non conosciamo tali assunzioni o perché non abbiamo chiaro in mente quali tacite assunzioni stiamo facendo, qualche altra volta semplicemente perché non siamo capaci di valutare il peso logico delle assunzioni che rendiamo esplicite. Spesso ci troviamo di fronte a difficoltà di questo genere, specialmente nel caso di controfattuali asseriti riguardo a questioni della vita di tutti i giorni o anche negli scritti degli storici. Si consideri, ad esempio, il controfattuale; 'se il Trattato di Versaglia non avesse imposto alla Germania delle indennità gravose, Hitler non sarebbe salito al potere'. Questa asserzione è stata molto controversa, non soltanto perché coloro che partecipano alla sua discussione adottano delle assunzioni esplicite diverse, ma anche perché una buona parte di tale discussione è stata condotta in base a premesse implicite che nessuno ha portato completamente in luce. In ogni caso, certamente non è possibile costruire una formula generale che prescriva precisamente cosa debba esser incluso nelle assunzioni su cui si possa adeguatamente basare un controfattuale. I tentativi di costruire una simile formula sono invariabilmente falliti, e coloro che vedono il problema dei controfattuali come quello di costruire tale formula sono destinati a lottare con un Pt:.l:?.l~m_a-jn~ol1.1.bil~!
V. Leggi causali Occorrerà dire qualcosa sulle leggi causali. Sarebbe un compito ingrato e inutile dibattere anche parzialmente gli svariati significati che sono stati annessi alla parola 'causa' - che vanno dalle antiche accezioni giuridiche della parola, attraverso la concezione popolare delle cause come agenti efficienti, fino alle piu sofisticate nozioni moderne di causa come dipendenza funzionale invariabile. II fatto stesso che la ' parola abbia uno spettro di applicazioni cosi ampio esclude immedia- , tamente la possibilità che ne esista una spiegazione unica corretta e , privilegiata. È tuttavia tanto possibile quanto utile identificare un signi- j ficato abbastanza definito associato a questa parola in molte zone della scienza come pure nel discorso ordinario, con l'intento di ottenere da tale prospettiva una grossolana classificazione di leggi che servano come premesse nelle spiegazioni. Sarebbe invece erroneo supporre che, per il fatto che la nozione di causa, in uno dei significati della parola,
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riveste una parte importante in qualche campo di indagine, la nozione stessa sia indispensabile in tutti gli altri campi - proprio come sarebbe erroneo sostenere che questa nozione, per essere priva di utilità in certe zone della scienza, non possa avere un ruolo legittimo in altre sezioni dello studio scientifico. Il significato di 'causa' che desideriamo identificare è illustrato dal seguente esempio. Una scintilla elettrica viene fatta passare attraverso una miscela gassosa di idrogeno e ossigeno; l'esplosione che segue il passaggio della scintilla è accompagnata dalla scomparsa dei gas e dalla condensazione di vapor acqueo. Si dice comunemente che in questo esperimento la scomparsa dei gas e la formazione di acqua sono gli effetti che vengono causati dalla scintilla. Di piu, la generalizzazione basata su tali esperimenti (cioé, 'ogniqual volta una scintilla passa attraverso una miscela gassosa di idrogeno e di ossigeno, i gas scompaiono e si forma acqua') è detta "legge causale". Evidentemente si dice che la legge è causale perché la relazione da essa formulata tra gli eventi menzionati soddisfa per ipotesi quattro condizioni. In primo luogo J.iL!:~l!lZiQQe è invariabile o uniforme, nel senso che ogniqualvolta si presenta la causa addotta si presenta anche l'effetto addotto. Vi è tuttavia la tacita e comune supposizione che la causa costituisca una condizione necessaria e sufficiente per il verificarsi dell'effetto. In via di fatto, tuttavia, la maggior parte delle attribuzioni causali fatte nelle faccende quotidiane, cosi come la maggior parte delle leggi causali citate frequentemente, non stabiliscono le condizioni sufficienti per il verificarsi dell'effetto. Cosi, spesso diciamo che lo strofinio di un fiammifero è la causa della sua combustione e tacitamente supponiamo che siano presenti altre condizioni, senza le quali l'effetto non si verificherebbe (ad es., la presenza di ossigeno, il fatto che il fiammifero sia asciutto). Spesso l'evento scelto come causa è normalmente un evento che completa l'insieme di condizioni sufficienti per il verificarsi dell'effetto, e che viene considerato per varie ragioni come "importante". In secondo luogo, è unJlirelazione tra eventi spazialmente contigui, nel senso che la scintilla e la formazione di acqua avvengono approssimativamente nella stessa regione spaziale. Di conseguenza, quando degli eventi spazialmente lontani tra loro vengono presentati come in relazione causale, si suppone tacitamente che essi non siano altro che termini in una catena di cause ed effetti formata da eventi, dove gli eventi che costituiscono gli anelli sono spazialmente contigui. In terzo luogo,cìla relazio~~ ha__ll_l! C.::l_l::~!tere temporale! nel senso che l'evento che vien detto essere la causa precede l'effetto ed è anche "continuo" con quest'ultimo. Di conseguenza, quando si dice che eventi separati da un intervallo temporale sono in relazione causale, si suppone anche che essi siano collegati da una serie di eventi temporalmente adiacenti ed in relazione causale tra loro. Infine1 ò:la relazione è asimmetrica, nel senso che il passaggio della
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scintilla attraverso la miscela di gas è la causa della loro trasformazione in acqua, ma la formazione di acqua non è la causa del passaggio della scintilla. . Le idee nei cui termini è stabilita questa nozione di causa sono state spesso oggetto di critica per la loro imprecisione, e obiezioni efficaci sono state sollevate in particolare contro le concezioni del senso comune di continuità spaziale e temporale, accusate di essere un focolaio di confusioni. È indubbiamente vero, d'altronde, che in alcune ~ienze progredite come la fisica matematica questa nozione è def tutto_ ~l:!P.~.tfl1,1:~; ed è pure discutibile che le quattro condizioni or ora elencate vengano effettivamente soddisfatte negli esempi addotti per questa nozione di causa (come quello di cui sopra), quando si analizzino in termini delle teorie della fisica moderna. Tuttavia, anche se questa nozione di causa può risultare inadeguata per gli scopi della fisica teorica, essa continua a svolgere un compito in molte altre branche di ricerca. È una nozione fermamente incorporatasi nel linguaggio che adoperiamo, anche quando le teorie astratte della fisica vengano usate sia in laboratorio sia nelle faccende pratiche per ottenere vari risultati attraverso la manipolazione di apparecchiature appropriate. È infatti perché alcune cose possono venir manipolate in modo da produrne delle altre, ma non inversamente, che jl linguaggio causale_ è _un modo legittimo e conveniente per descrivere molte relazioni tra eventi. Viceversa, non tutte le leggi di natura sono causali, nel senso ora indicato per questo termine. Ciò sarà reso evidente da una breve rassegna dei tipi di leggi che vengono usate come premesse esplicative in varie scienze. l. Come si è già accennato, nella supposiZIOne che esistano delle "specie naturali" o "sostanze" è contenuto un tipo di legge fondamentale e molto diffuso. Si chiami un "_c!~~~!:!r.l1t:~ElJ?ile" una proprietà come il colore o la densità, che ha un certo numero di forme particolari o "determinate". Cosf, tra le forme determinate del "determinabile" colore vi sono il rosso, il blu, il verde, il giallo, ecc.; tra le forme determinate del "determinabile" densità vi sono la densità di grandezza 0,06 (misurata in qualche sistema fissato), la densità di grandezza 2, quella di grandezza 12, ecc. Le forme determinate di un dato determinabile costituiscono cosf una "famiglia apparentata" di proprietà tali, che ogni individuo di cui si possa affermare in modo significante la proprietà determinabile, deve, per necessità logica, avere una ed una sola delle forme determinate del determinabile." Una legge del tipo considerato (ad es., 'esiste la sostanza salgemma') asserisce quindi che esistono oggetti di varie specie, tali che ogni oggetto di una data specie 17 Per questa terminologia, cfr. W. E. JoHNsoN, Logic, vol. l, Cambridge, England, 1921, c. 11; e RUDOLF CARNAP, Logica/ Foundations o/ Probability, Chicago, 1950, vol. l, p. 75.
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è caratterizzato da determinate forme di un gruppo di proprietà determinabili, e tali che oggetti appartenenti a specie diverse devono differire per almeno una (ma generalmente piu di una) forma determinata di un determinabile comune. Per esempio, dire che un dato oggetto a è del salgemma equivale a dire che esiste un gruppo di proprietà determinabili (struttura cristallina, colore, punto di fusione, durezza, ecc.) tali che in certe condizioni fissate a ha una forma determinata per ciascuno di tali determinabili (a ha cristalli cubici, è incolore, ha densità 2,163, punto di fusione di 804 oc, grado di durezza 2 della scala di Mohs, ecc.). Inoltre, a differisce da un oggetto che appartiene ad una specie differente, per esempio dal talco, per almeno una forma determinata (e di fatto per piu) di questi determinabili. Quindi, le leggi di questo tipo asseriscono che c'è una concomitanza invariabile di proprietà determinate in ogni oggetto che sia di una certa specie. Risulta tuttavia chiaro che le leggi di questo tipo non sono leggi causali - non asseriscono, per esempio, che la densità del salgemma precede (o segue) il suo grado di durezza. 2. Un secondo tipo di leggi asserisce un ordine sequenziale e invariabile di dipendenza tra eventi o proprietà. Se ne possono distinguere due sottotipi. Uno è costituito dalla classe delle leggi causali, come quella sull'effetto della scintilla in una miscela di idrogeno e ossigeno, o quella che i sassi gettati nell'acqua provocano una serie di increspatute concentriche che si allargano. Un secondo sottotipo è costituito dalla classe delle leggi "di sviluppo" (o "storiche"), come la legge: 'la formazione dei polmoni nell'embrione umano non precede mai la formazione del sistema circolatorio' oppure la legge: 'il consumo di alcool è sempre seguito da dilatazione dei vasi sanguigni'. Questi due sottotipi sono frequenti in quei campi di studio in cui i metodi quantitativi non sono stati introdotti in misura notevole, benché, come mostrano gli esempi testé addotti, essi si possano benissimo incontrare in qualsiasi campo. Le leggi di sviluppo possono venir costruite nella seguente forma: 'se x ha la proprietà P al tempo t, allora x ha la proprietà Q al tempo t' posteriore a t'. Comunemente non vengono considerate come causali, evidentemente per due ragioni. In primo luogo, esse, benché possano enunciare una condizione necessaria per il verificarsi di un evento (o di un insieme di eventi), non ne enunciano le condizioni sufficienti. In effetti, abbiamo solitamente una nozione vaghissima su quali siano tali condizioni sufficienti. In secondo luogo, le leggi di sviluppo generalmente enunciano relazioni di ordine sequenziale tra eventi separati da un intervallo temporale di una certa durata. Conseguentemente tali leggi sono talvolta considerate come rappresentanti solo una analisi incompleta dei fatti, per la ragione che, dal momento che può intervenire qualche avvenimento dopo il realizzarsi dell'evento anteriore a prevenire il realizzarsi di quello posteriore,
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l'ordine sequenziale degli eventi non appare come invariabile. Tuttavia, quali che siano i limiti delle leggi di sviluppo e per quanto desiderabile possa essere il loro completamento mediante leggi di un genere diverso, tanto le leggi causali quanto quelle di sviluppo sono largamente usate nei sistemi esplicativi della scienza corrente. 3. Un terzo tipo di legge, comune tanto nelle scienze biologiche e sociali quanto in fisica, afferma l'esistenza di relazioni invariabili statistiche (o probabilistiche) tra eventi o tra proprietà. Un esempio di questo tipo di leggi è il seguente: 'se si lancia ripetutamente un dado simmetrico dai punti di vista geometrico e fisico, la probabilità (o frequenza relativa) che esso si arresti con una faccia prefissata rivolta verso l'alto è l/ 6'; altri esempi sono stati fatti in precedenza. Le leggi statistiche non affermano che il presentarsi di un evento è invariabilmente accompagnato dal presentarsi di un altro. Asseriscono solo che, in una serie di prove sufficientemente grandi, il verificarsi di un certo evento è accompagnato dal verificarsi di un altro con una frequenza relativa invariabile. Simili leggi sono evidentemente non causali, anche se non incompatibili con una giustificazione causale dei fatti intorno a cui si pronunciano. In effetti, la legge statistica or ora citata sul comportamento di un dado può venir dedotta da leggi che talvolta vengono dette di tipo causale, se opportune ipotesi sulla distribuzione statistica delle condizioni iniziali vengono fatte per l'applicazione di tali leggi causali. Viceversa, esistono anche in fisica leggi statistiche per le quali al presente non si conoscono spiegazioni causali. Inoltre, anche se si ammette che "per principio" tutte le leggi statistiche siano conseguenze di qualche "ordine causale" sottostante, ci sono zone di indagine tanto in fisica quanto nelle scienze biologiche e sociali - in cui non è probabilmente realizzabile in pratica la spiegazione di molti fenomeni in termini di leggi causali strettamente universali. È ragionevole presumere che, per quanto la nostra conoscenza possa accrescersi notevolmente, si continuerà ad usare leggi statistiche come le premesse immediate per la spiegazione e la previsione di numerosi fenomeni. 4. Un quarto tipo di leggi, caratteristiche della fisica moderna, asserisce una relazione di dipendenza funzionale (nel senso matematico di "funzione") tra due o piu grandezze variabili associate con determinate caratteristiche o processi. Se ne possono distinguere due sottotipi. a) In primo luogo, esistono delle leggi numeriche che stabiliscono una interdipendenza tra grandezze, tale che una variazione in una di esse è concomitante con variazioni neUe altre. Un esempio di una legge di questo genere è la legge dei gas ideali, di Boyle-Charles, che pV = aT, dove p è la pressione del gas, V il suo volume, T la sua temperatura assoluta, ed a una costante che dipende dalla massa e dalla natura del
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gas considerato. Questa legge non è causale. Non asserisce, per esempio, che un cambiamento della temperatura è seguito (o preceduto) da un cambiamento del volume o della pressione; asserisce soltanto che un cambiamento di T è concomitante con cambiamenti di p o di V o di entrambi. In modo simile, si deve distinguere fra la relazione stabilita dalla legge e l'ordine sequenziale degli eventi che può aver luogo nel corso degli esperimenti di verifica della legge o quando la si usi per fare delle previsioni. Per esempio, nel verificare la legge in laboratorio, si può diminuire il volume di un gas ideale in modo tale che la sua temperatura resti costante, e quindi notare che la sua pressione aumenta. Ma la legge non dice nulla sull'ordine in cui le grandezze vanno variate, né sulla successione temporale con cui si possono osservare i cambiamenti. Ciononostante leggi di questo sottotipo possono venir usate tanto per esprimere previsioni quanto a scopo esplicativo. Per esempio, se, nel caso di un sistema appropriatamente "isolato", le grandezze nominate nella legge soddisfano ad un dato istante la relazione indicata che le lega, esse la soddisferanno in un istante futuro, anche se nel frattempo abbiano subito delle variazioni. b) Un secondo sottotipo consiste di leggi numeriche che asseriscono in quale modo una grandezza vari col tempo, e piu generalmente come un cambiamento di grandezza per unità di tempo sia in relazione con altre grandezze (in alcuni casi, ma non sempre, con durate temporali). Un esempio di queste leggi è costituito dalla legge di Galileo sulla caduta libera dei corpi nel vuoto. Essa dice che lo spazio s percorso da un corpo che cade liberamente è uguale a gf/2, dove g è una costante e t è la durata della caduta. Un modo equivalente per esprimere la legge di Galileo è dire che la variazione dello spazio percorso nell'unità di tempo per un corpo che cade liberamente è uguale a gt. In questa formulazione, è evidente che la variazione rispetto al tempo di una grandezza vien riferita ad un intervallo temporale. Un altro esempio di una legge che appartiene a questo sottotipo è la legge della velocità del pendaglio di un pendolo semplice lungo il suo cammino di moto. Tale legge dice che, se vo è la velocità del pendaglia nel punto piu basso del suo moto, h l'altezza del pendaglio sull'orizzontale condotta per tale punto e k una costante, allora, in ogni punto appartenente all'arco del suo moto, il pendaglio ha una velocità v tale che v2 = vo2 - kh 2• E poiché la velocità v è la variazione dello spazio nell'unità di tempo, la legge viene ad asserire in tal modo che la variazione della distanza del pendaglio lungo il suo cammino per unità di tempo è una certa funzione matematica della sua altezza e della velocità che esso possiede nel punto piu basso della sua oscillazione. In questo caso, la variazione rispetto al tempo di una grandezza non è data come funzione del tempo. Le leggi appartenenti a questo sottotipo sono spesso chiamate "Jeggi dinamiche_", perché formulano
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La struttura logica delle leggi scientifiche
la struttura di un processo temporale e sono generalmente spiegate in base all'ipotesi che nel sistema in considerazione agisca una ti forza". Tali leggi vengono talvolta assimilate a quelle causali, sebbene di fatto non lo siano nel senso particolare _distinto sopra in questa sezione. Infatti la relazione di dipendenza tra le variabili espressa dalla legge è simmetrica, in modo che Io stato del sistema a un dato tempo è determinato altrettanto completamente tanto da uno stato precedente quanto da uno seguente. Cosi, se conosciamo la velocità del pendaglio di un pendolo semplice in un dato istante, allora, sempre che non ci siano interferenze esterne col sistema, la legge sopra citata ci permette di calcolare la velocità in ogni altro tempo, anteriore o posteriore all'istante dato. La classificazione di leggi testé accennata non viene proposta come esauriente; e, comunque, nei capitoli successivi si discuterà in modo piu completo sulle strutture di certi tipi di leggi. La classificazione indica, tuttavia, che non tutte le leggi che si incontrano nelle scienze sono di un unico tipo, e che spesso si considera come soddisfacente una spiegazione scientifica anche se le leggi citate nelle premesse non sono ti casuali" in nessuno dei significati abituali della parola.
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Capitolo quinto
Leggi sperimentali e teorie
II pensiero scientifico ha il suo punto eli partenza in problemi suggeriti dall'osservazione di cose e di eventi incontrati nell'esperienza comune; esso tende a comprendere tali osservabili scoprendovi un ordine sistematico; per esso il controllo finale delle leggi che servono da strumenti di spiegazione e di previsione risiede nel loro accordo con tali osservazioni. In effetti, numerose leggi scientifiche formulano relazioni tra oggetti o fra tratti caratteristici eli oggetti, detti comunemente essi stessi osservabili, sia direttamente con i sensi sia con l'aiuto di particolari strumenti di osservazione. È di questa specie la legge che l'acqua in un recipiente scoperto, se riscaldata, può evaporare; altrettanto dicasi della legge che il piombo fonde a 327 °C, o di quella che il periodo di un pendolo semplice è proporzionale alla radice quadrata della sua lunghezza. Ma non tutte le leggi scientifiche sono di questa specie. Al contrario, molte leggi impiegate in alcuni tra i sistemi esplicativi della fisica, di piu imponente estensione, riguardano notoriamente materie che non verrebbero di solito caratterizzate come "osservabili ", anche quando la parola "osservabile" fosse usata in un senso lato quanto quello degli esempi precedenti. Leggi di quest'ultima specie appaiono tra le premesse esplicative quando, ad esempio, si spiega l'evaporazione dell'acqua riscaldata in termini di ipotesi sulla costituzione molecolare dell'acqua. Benché si possano avere per queste ipotesi soddisfacenti prove osservative, tuttavia non è possibile osservare né le molecole né i loro moti nel senso in cui, ad esempio, si dice che è osservabile la temperatura dell'acqua bollente o il punto di fusione del piombo. Battezzeremo la differenza immediatamente percepibile tra leggi, or ora notata, chiamando "leggi sperimentali" quelle della prima specie, e "leggi teoriche" (o semplicemente "teorie") quella della seconda specie. In accordo con questa stipulazione terminologica e con la distinzione da essa designata, vengono classificate come leggi sperimentali: quella secondo cui la pressione di un gas ideale a temperatura costante varia inversamente al volume; quella secondo cui il peso
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Leggi sperimentali e teorie
dell'ossigeno che si combina con l'idrogeno per formare acqua è (approssimativamente) otto volte il peso dell'idrogeno; e quella secondo cui i bambini di genitori aventi gli occhi azzurri hanno essi pure gli occhi azzurri. Vengono invece classificate come teorie: il gruppo di ipotesi affermanti che i diversi elementi chimici sono comgosti di diverse specie di atomi i quali restano indivisi nel corso delle trasformazioni chimiche, ed il gruppo di ipotesi affermanti che i cromosomi sono composti di tipi diversi di geni i quali sono in relazione con i tratti ereditari degli organismi.' Tali etichette non vanno esenti da associazioni ingannevoli. Questa terminologia è tuttavia stabilita saldamente nella letteratura scientifica, ove si tratti di caratterizzare la distinzione di cui stiamo parlando tra specie di leggi; in ogni modo, non abbiamo a disposizione etichette migliori. Due brevi richiami possono essere di aiuto per prevenire interpretazioni erronee di queste denominazioni. Quando un'asserziOne (ad es.: 'tutte le balene allattano i loro piccoli') è classificata come legge sperimentale, ciò non va inteso come se affermassimo che la legge sia basata su esperimenti di laboratorio o sia una di quelle per cui non esiste finora spiegazione. La denominazione "legge sperimentale" significa semplicemente che l'asserzione caratterizzata in tal modo formula una relazione tra oggetti (o loro tratti caratteristici) che sono osservabili, nel senso, manifestatamente ampio, di "osservabile" illustrato negli esempi precedenti, e che la legge può venir convalidata (anche se soltanto con qualche "grado di probabilità") attraverso l'osservazione controllata degli oggetti in essa menzionati. Analogamente, quando si chiama "teoria" il gruppo di ipotesi sulla costituzione molecolare dei liquidi, ciò non va inteso come se asserissimo che tali ipotesi siano interamente speculative e non sostenute da prove convincenti. Con tale caratterizzazione si intende semplicemente che quelle ipotesi usano termini come 'molecola', che evidentemente non designano niente di osservabile (nel senso indicato prima) e che esse non possono venir confermate da esperimenti o da osservazioni su ciò a cui tali termini si riferiscono. Ciò nonostante, anche se la distinzione tra leggi sperimentali e teorie vien fatta di frequente e appare, almeno inizialmente, come plausibile, alla luce di alcuni degli esempi usati per illustrarla, essa genera problemi di considerevole importanza, che non possono venir ignorati. Una volta concessa la sua plausibilità iniziale, risulterà tale distinzione solidamente basata su differenze chiaramente identificabili tra due specie di leggi scientifiche? Di piu, anche se si possono precisare alcune basi indiscutibili per tale distinzione, risulta essa cosi netta come 1 Il presente capitolo poggia in misura notevole sulla discussione contenuta in Pbysics, the Elements, di NoRMAN R. CAMPBELL, Cambridge, England, 1920, particolarmente nel capitolo 6. Il trattato, non ultimAto, di Campbell non ha avuto il riconoscimento che le sue analisi, generalmente ammirevoli, meriterebbero in misura cosi notevole.
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talora si pretende, o si tratta solo di una differenza di grado? In ogni modo, ed ammettendo come difficilmente negabile che le ipotesi chiamate "teorie" conducano a sistemi di spiegazione e predizione molto piu vasti di quanto non siano i sistemi le cui premesse sono caratterizzate come "leggi sperimentali", quali lineamenti distintivi possiedono le teorie, che rendano conto di questa differenza? Il presente capitolo è dedicato a queste domande.
I. Fondamenti della distinzione La ragione sopra addotta per la distinzione tra leggi sperimentali e teorie è basata sull'opinione che le leggi raccolte sotto la prima di tali denominazioni, a differenza di quelle raccolte sotto l'altraJ formulano relazioni tra tratti caratteristici osservabili (o determinabili sperimentalmente) dell'argomento in esame. Conseguentemente tale distinzione soffre della ben nota mancanza di chiarezza attribuibile alla paro~~'g_?servabile'': vT ènin-effetti un-sensodCq~esta paroii~--tafeche, se d atteniamo ad esso, nessuna delle scienze familiari (con la sola eccezione possibile di alcune branche della psicologia) asserisce leggi che stabiliscano relazioni tra oggetti osservabili, esattamente come ne esiste un altro attenendoci al quale anche le ipotesi chiamate "teorie" trattano di argomenti osservabili. Sarebbe certamente erroneo il sostenere che gli enunciati scientifici citati comunemente come esempi tipici di leggi sperimentali asseriscano relazioni tra dati appresi, come si pretende, direttamente o in maniera non inferenziale, attraverso vari organi di senso; cioè, tra i cosiddetti "dati sensoriali" delle discussioni epistemologiche. Anche trascurando le ben note difficoltà riguardo alla possibilità di identificare i "puri" dati sensoriali (cioè quelli categorizzati in maniera non inferenziale), è evidente che questi dati si presentano nella migliore delle ipotesi solo in modo intermittente e secondo schemi dotati di un ordine di successione e di concomitanza, che può (quando può) venir formulato da leggi universali solo con grandissime difficoltà. Comunque sia, nessuno degli esempi abituali di leggi sperimentali riguarda in effetti dati sensoriali, in quanto tutti impiegano nozioni ed implicano ipotesi che vanno molto al di là di quanto venga fornito direttamente dai sensi. Si consideri, ad esempio, la legge sperimentale secondo cui la velocità del suono è maggiore nei gas meno densi che in quelli piu densi. Questa legge suppone evidentemente che esiste uno stato di aggregazione della materia noto come "gas", che va distinto da altri stati di aggregazione come quello liquido e quello solido; che i gas in determinate condizioni abbiano densità differenti, tali che, in condizioni specificate, il rapporto tra il peso e il volume di un gas rimane costante; che gli strumenti di misura dei pesi e dei volumi, delle distanze e dei tempi,
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Leggi sperimentali e teorie
mostrino certe regolarità, codificabili in leggi definite, come quelle sulle proprietà meccaniche, termiche e ottiche di varie specie di materiali; e cosi di seguito. È perciò chiaro che i veri significati dei termini che dompaiono nella legge di ,cui sopra (ad esempio, il termine "densità") e, di conseguenza, il significato della legge stessa suppongono tacitamente una congerie di altre leggi. Per di piu, altre ipotesi diventano evidenti quando consideriamo cosa accade allorché si adducono prove a sostegno della legge. Ad esempio, quando si misura la velocità del suono in un dato gas, in genere si ottengono, ripetendo piu volte la misurazione, valori numerici differenti. Quindi, se si deve assegnare alla velocità un valore numerico definitivo, occorre in qualche modo "fare la media" dei diversi numeri a disposizione, solitamente in accordo con una legge assunta per gli errori sperimentali. In breve, la legge sulla velocità del suono nei gas non formula relazioni tra dati immediati dei sensi, bensi tratta di oggetti che possono venir identificati solo per mezzo di procedure che implicano catene di inferenze altamente complesse, nonché svariate assunzioni generali. Viceversa, benché gli esempi di teorie citati solitamente consistano in enunciati intorno a oggetti che, in un senso ovvio, sono inosservabili, spesso è possibile per mezzo di inferenze tratte da dati dell'esperienza in accordo con certe regole, determinare indirettamente caratteristiche importanti di ciò che manifestamente è non osservabile. Da questo punto di vista, perciò, leggi sperimentali e teorie non appaiono differire radicalmente rispetto allo status "osservabile" (o determinabile sperimentalmente) dei rispettivi argomenti in esame. Ad esempio, le molecole assunte dalla teoria cinetica della materia come costituenti i gas sono effettivamente non osservabili, nel senso in cui è osservabile una parte dell'apparecchiatura di laboratorio o anche il nucleo di una cellula vivente vista al microscopio; tuttavia il numero di molecole nell'unità di volume del gas, come pure le loro masse e velocità medie, possono venir calcolate partendo da grandezze accertate sperimentalmente; né è logicamente assurdo supporre che alla fine tutti i termini di una teoria relativa a soggetti inosservabili (come le posizioni delle molecole in un dato istante) possano venir associati in modo analogo a dati sperimentali. Similmente, le tracce nella camera di Wilson delle particelle alfa postulate dalle attuali teorie sulla struttura atomica sono certamente visibili, anche se le particelle alfa stesse sono non osservabili nel senso in cui lo è, in linea di principio, l'altra faccia della Luna. È pertinente inoltre osservàre, a questo proposito, che spesso quanto è comunemente considerato osservazione sperimentale vien riferito esprimendosi nel linguaggio di quella che viene riconosciuta come una teoria. Ad esempio, esperimenti eseguiti su fasci di luce che passano da un dato mezzo ad un altro piu denso mostrano che l'indice di rifrazione varia con il tipo di luce del fascio. Cosi, un raggio uscente dal rosso dello spettro solare, ha un indice di rifrazione diverso di quello di un raggio
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La struttura della scienza
proveniente dal violetto. Tuttavia la legge sperimentale basata su questi esperimenti non è formulata in termini indiscutibilmente osservadvi (ad es., in termini dei colori visibili dei raggi luminosi) bensi in termini della relazione tra l'indice di rifrazione di un raggio luminoso e la sua frequenza. In tal modo l'enunciato di una legge presumibilmente sperimentale assorbe i concetti della teoria ondulatoria della luce. Piu in generale, molti enunciati di leggi, che si pretende siano sperimentali, non solo danno per sicure altre leggi che si pretende siano sperimentali, ma sembrano includere come facenti parte del loro significato delle assunzioni che sono manifestamente teoriche. -- Per tali molteplici ragioni numerosi studiosi della questione hanno concluso che le etichette 'leggi sperimentali' e 'teoria' non designano leggi di specie fondamentalmente diversa, ma indicano ciò che è, nella migliore delle ipotesi, soltanto una differenza di grado. Secondo il parere di questi studiosi, quindi, la distinzione ha una importanza metodologica scarsa o nulla. È dubbio se si possa assegnare utilmente alla parola "osservabile" un senso rigorosamente preciso; e nella misura in cui la distinzione tra leggi sperimentali e teorie è basata su un contrasto tra quanto è osservabile e quanto non lo è, essa risulta palesemente una distinzione non netta. In ogni caso, non si dispone di nessun criterio rigoroso per distinguere tra leggi sperimentali e teorie, né qui ne verrà proposto alcuno. Non ne segue però che la distinzione, per il fatto di essere vaga, sia spuria, piu di quanto non segua che non esiste differenza tra la parte anteriore e quella posteriore della testa umana per il fatto che non vi è una netta linea di demarcazione tra di esse. In effetti esistono molte caratteristiche ben delineate che differenziano le leggi che seguiteremo a chiamare "sperimentali" da altre assunzioni generali che designamo come "teoria"; procederemo pertanto all'esame di tali caratteristiche. A dispetto della riconosciuta imprecisione della distinzione che stiamo discutendo, vedremo che tale distinzione riveste una grande importanza. l. Forse la caratteristica che pone piu in risalto la distinzione tra leggi sperimentali e teorie, è quella che ogni termine costante "descrittivo" (ossia non logico) delle prime - e in generale non delle seconde - è associato ad almeno una procedura palese per attribuire a tale termine qualche tratto identificabile per via osservativa quando si realizzino certe circostanze specificate. La procedura associata ad un termine in una legge sperimentale fissa quindi un suo significato definito, anche se solo parziale. Di conseguenza una legge sperimentale, a differenza di un enunciato teorico, possiede invariabilmente un contenuto empirico determinabile, che per principio può venir sempre controllato per mezzo di una prova osservativa ottenuta con tali procedure. Questo punto è illustrato chiaramente dalla legge
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Leggi sperimentali e teorie
summenzionata relativa alla velocità del suono nei gas. Esistono procedure ben stabilite per accertare la densità di un gas e per misurare la velocità del suono nei gas; tali procedure determinano i sensi in cui vanno intesi i corrispondenti termini della legge, che può quindi venir provata alla luce dei dati acquisiti per mezzo delle procedure stesse. Ogni !e_tmine desçrit_tjyQ_di_qna l(!gge sperimentale L ha quindi un signi_fi.,E.~g>_fh~ ~_fiss~Q_È!! _I;IJ?.~__Qr()_c:edura osse~v:~ti.Y~. o di laboratorio: Se inoltre si suppone che una legge L abbia un contenuto genuinamente empirico (a differenza di un enunciato il quale di fatto definisce semplicemente alcuni termini che compaiono in esso), le procedure associate ai termini di L possono in generale venir istituite senza impiegare tacitamente L. Cosi, la densità di un gas e la velocità del suono nei gas possono venir accertati per mezzo di procedure che non fanno ricorso alla legge sulla dipendenza della velocità del suono in un gas dalla densità del gas. Di conseguenza, benché il significato operativo di un dato termine P possa venir accresciuto a causa delle relazioni che, secondo quanto asserito da L, P ha con altri termini della legge, in generale P possiede un significato determinato, indipendente dal suo figurare in L e distinguibile da ogni ulteriore significato che il termine può acquistare per il fatto di figurare in L. È quindi possibile ottenere, per una legge sperimentale, una prova diretta (una prova cioè basata sull'esame dei casi che cadono entro il campo predicativo della legge), sempre che non interferiscano difficoltà inerenti ai normali limiti della tecnologia sperimentale. Si dà tuttavia frequentemente il caso che sia disponibile piu di una procedura per applicare un termine, che compare in una legge sperimentale, a un argomento concreto. Ciò si verifica generalmente quando un termine compare in piu di una legge sperimentale. Per esempio, il termine 'corrente elettrica' entra almeno in tre distinte leggi sperimentali, che lo mettono in relazione a fenomeni rispettivamente magnetici, chimici e termici. E infatti l'intensità di una corrente elettrica può esser misurata dalla deviazione di un ago magnetico, dalla quantità di un elemento, ad esempio l'argento, depositato da una soluzione in un tempo dato, o dall'aumento della temperatura di una sostanza standard durante un intervallo di tempo determinato. Tuttavia la tacita assunzione che sottostà all'uso di queste diverse procedure è che esse portino a risultati concordi. Cosi, due correnti che risultano di uguale intensità in seguito alla determinazione effettuata per mezzo di una procedura sono (almeno approssimativamente) di uguale intensità anche secondo le altre procedure. Inoltre, quando esistono parecchie di tali palesi procedure per un termine di una legge sperimentale, spesso, in molti campi scientifici, accade che una di esse venga prescelta come standard per "definire" il termine e misurare la proprietà da esso designata.
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A differenza di quanto avviene uniformemente per i termini descrittivi delle leggi sperimentali, i significati di molti termini descrittivi (se non di tutti) che compaiono nelle teorie non sono specificati da siffatte palesi procedure sperimentali. Certamente, le teorie sono spesso costruite in analogia a qualche materia familiare, cosi che la maggior parte dei termini teorici è associata a concetti e immagini derivati dalle analogie di partenza. Tuttavia i significati operativi della maggior parte dei termini teorici sono definiti solo implicitamente dai postulati teorici in cui tali termini compaiono, oppure sono fissati solo indirettamente alla luce delle eventuali applicazioni della teoria. Cosf, benché termini teorici come 'elettrone', 'neutrino', o 'gene' possano venir intesi come "particelle" in possesso di alcune proprietà (benché non necessariamente di tutte) che caratterizzano piccole porzioni di materia, non esistono procedure palesi per l'applicazione di tali termini. a loro casi singoli sperimentalmente identificabili. Ci diffonderemo ora su 'f.. questi punti. Per il momento notiamo semplicemente la conseguenza importante che, essendo i termini fondamentali di una teoria generalmente non associati a definite procedure sperimentali per la loro applicazione non si possono identificare per via osservativa i casi che cadono entro il campo predicativo ostensibile di una teoria, cosf che quest'ultima (a differenza di una legge sperimentale) non può venir sottoposta a un controllo sperimentale diretto. \._
2. Un corollario immediato della differenza testé esaminata tra leggi sperimentali e teorie è che, mentre le prime potrebbero, in linea di principio, venir proposte ed asserite quali generalizzazioni induttive fondate su relazioni riscontrate valide nei dati osservati, per le ultime ciò non potrà mai verificarsi. Per esempio, Boyle fondò la legge che prese il nome da lui su osservazioni ottenute attraverso l'esame delle variazioni dei volumi dei gas a temperatura costante quando vengano fatte variare le pressioni; e poté asserire la validità generale della proporzionalità inversa tra pressioni e volumi, in base all'assunzione che quanto era vero per i campioni osservati fosse vero universalmente. Indubbiamente è spesso possibile suffragare una legge sperimentale non solo attraverso la convalidazione di dati diretti, ma anche attraverso una prova indiretta; è anzi quest'ultima la maniera in cui può spesso venir suffragata una legge sperimentale, quando sia incorporata entro un sistema completo di leggi. Cosf, la legge di Galileo sulla caduta libera dei gravi può venir confermata direttamente dai dati sugli spazi percorsi da essi in vari tempi, e indirettamente da esperimenti sui periodi dei pendoli semplici, e ciò in quanto la legge di Galileo e quella dei pendoli semplici sono intimamente connesse in virtu del loro far parte del sistema della meccanica newtoniana. Ed è ugualmente innegabile che alcune leggi sperimentali (come quella relativa alla rifrazione conica della luce nei cristalli biassiali) sono state all'origine
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suggerite da considerazioni teoriche, e solo in seguito furono confermate dall'esperienza diretta. Il punto cruciale resta tuttavia quello che non si può ritenere stabilita una legge sperimentale, finché non si dispone 1 per essa di una prova diretta sperimentale. / Una teoria, invece, per la sua natura stessa, non può essere una generalizzazione empirica di dati osservativi, in quanto in genere non vi sono casi identificati sperimentalmente che cadono entro il campo predicativo estensibile della teoria. Scienziati eminenti hanno ripetutamente rivendicato per le teorie il carattere di "libere creazioni della mente". Una simile rivendicazione non significa, evidentemente, che le teorie non possano venir suggerite da materiale osservativo o che non richiedano conferma dalla prova osservativa. Ciò che tale rivendicazione, a buon diritto, vuole affermare, è che non è necessario che i termini fondamentali di una teoria possiedano significati fissati da procedure sperimentali ben determinate, e che una teoria può risultare adeguata e feconda sebbene la sua prova sia necessariamente indiretta. E di fatto vi sono nella storia della scienza moderna teorie che vennero accolte da molti scienziati in un'epoca in cui non erano disponibili recenti conferme sperimentali per tali assunzioni esplicative; epoca in cui l'unica ragione per accettarle era quella che esse potevano spiegare certe leggi sperimentali considerate come stabilite in base a dati osservativi previamente accumulati in epoca precedente. Questo fu, a un determinato momento, lo status della teoria copernicana del sistema solare, della teoria corpuscolare della luce, della teoria atomica in chimica, e della teoria cinetica dei gas.1 Quindi, anche quando una legge sperimentale viene spiegata con una data teoria, ed in tal modo è incorporata nel quadro delle idee di quest'ultima (e ciò in una maniera che ora analizzeremo), essa continua a presentare due caratteristiche. Conserva un significato che può venir formulato indipendentemente dalla teoria; ed è basata su prove osservative che possono metterla in grado di sopravvivere ad un eventuale venir meno della teoria. Cosf, la legge di Wien (che asserisce che la lunghezza d'onda corrispondente al massimo di energia nello spettro della radiazione emessa da un corpo nero è inversamente proporzionale alla temperatura assoluta del corpo radiante) non venne respinta allorquando l'elettrodinamica classica, che forniva una spiegazione della legge, fu 1 Quando nel 1923 Sir Arthur Eddington pubblicò il suo libro sulla relatività gene; rale, osservò che la diffusione dell'interesse per tale teoria era dovuta alla verità sperimentale di certe piccole deviazioni dalle leggi newtoniane, che la teoria aveva previsto. Egli però aggiungeva: "Per quelli che sono tuttora dubbiosi ed esitanti nell'abball,donare la vecchia fede, queste deviazioni rimarranno il centro principale di interesse; ma per coloro che hanno colto lo spirito delle nuove idee, le previsioni osservative costituiscono solo la parte meno importante dell'argomento. È questa una teoria della quale si afferma che conduca ad una comprensione del mondo della fisica piu chiara e piu penetrante di quella raggiunta in precedenza, ed è stato mio scopo svolgere la teoria in forma tale da illuminare il piu possibile l'origine e il significato delle grandi leggi della fisica". A. S. EDDINGTON, The Mathematical Theory of Relativity, Cambridge, England, 1924.
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modificata con l'introduzione dell'ipotesi quantistica di Planck. Né fu abbandonata la legge di Balmer (secondo cui le frequenze delle onde corrispondenti alle righe dell'idrogeno e degli altri elementi nello spettro sono termini di una serie secondo una formula numerica piuttosto semplice) quando la teoria dell'atomo di Bohr, che spiegava la legge, fu sostituita dalla nuova meccanica quantistica. Tali fatti mostrano che una legge sperimentale ha, per cosi dire, una vita propria, non dipendente dalla continuazione della vita di una particolare teoria che possa spiegare la legge stessa. Nonostante ciò che appare come un completo assorbimento di una legge sperimentale da parte di una data teoria, al punto che si possa perfino impiegare, per enunciare la legge, lo speciale linguaggio tecnico della teoria, la legge deve essere intelligibile (nonché deve poter venir stabilita) senza far ricorso ai significati ad essa associati in virtu del suo risultare spiegata da quella teoria. E infatti, se cosi non fosse per le leggi che una data teoria intende spiegare, alla teoria non rimarrebbe nulla da spiegare. Alla peggio, quindi, ed a costo di una fatale circolarità, anche se i termini che figurano in una legge sperimentale hanno significati in parte derivanti da altre teorie, essi devono avere determinati significati specificabili (quantunque solo in parte) indipendentemente dalla particolare teoria adottata per spiegare la legge. Viceversa, le nozioni teoriche non possono venir comprese fuori dalla particolare teoria che le definisce implicitamente. Ciò deriva dal fatto che, anche se ai termini teorici non è assegnato dai postulati della teoria un insieme unico di significati determinati, i significati possibili sono limitati a quelli che soddisfano la struttura delle interrelazioni in cui i postulati stessi pongono i termini. Quindi, quando vengano alterati i postulati fondamentali della teoria, cambiano pure i significati dei suoi termini fondamentali, anche se (come spesso accade) si continuano ad adoperare nella teoria modificata le stesse espressioni linguistiche di quella originaria. Presumibilmente la nuova teoria continuerà a spiegare tutte quelle leggi sperimentali che la teoria precedente poteva spiegare, e in piu spiegherà leggi sperimentali di cui l'altra non poteva render conto. Ma in conseguenza del cambiamento del contenuto teoretico della nuova teoria, le regolarità identificabili per via osservativa formulate dalle leggi sperimentali e spiegate tanto dalla teoria vecchia quanto da quella nuova, riceveranno in effetti delle interpretazioni teoriche diverse dall'una all'altra. Onesti punti meritano una illustrazione piu completa. Consideriamo a questo scopo il famoso esperimento di Millikan della goccia d'olio. Esso (eseguito per la prima volta nel 1911 e ripetuto parecchie volte con tecniche perfezionate) fu condotto entro il quadro di una teoria che postulava l'esistenza di particelle inosservabili chiamate "elettroni". Si supponeva che gli elettroni possedessero il corredo usuale di caratteristiche delle particelle (come posizioni spaziali determinate in dati
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istanti, velocità determinate negli stessi istanti, e masse), e in piu fossero i portatori di una carica elettrica elementare. L'obiettivo dell'esperimento di Millikan era quello di determinare il valore numerico e della carica elementare. L'esperimento consiste essenzialmente nel confrontare la velocità di una gocciolina d'olio quando si muove tra due piastre orizzontali di metallo sotto l'azione della sola gravità, con la velocità della stessa gocciolina quando si muove (in conseguenza della carica in essa indotta dalle cariche elettriche delle piastre) sotto l'azione tanto delle forze gravitazionali quanto di quelle elettrostatiche. L'esperimento mostra che variando la carica delle piastre, varia anche la velocità della goccia d'olio. Facendo ricorso a leggi sperimentali ben note, è possibile calcolare la grandezza delle cariche indotte sulla goccia e in tal modo render conto della differenza rilevata nel suo moto. Millikan trovò che, entro i limiti dell'errore sperimentale, le cariche sulla goccia sono sempre multipli interi di una carica elementare e ( 4,77 X IQ- 10 unità elettrostatiche); ne concluse che e è la carica elettrica minima, e la identificò con la carica di un elettrone. È importante notare che abbiamo descritto (anche se solo per sommi capi) l'esperimento della goccia d'olio senza far riferimento agli elettroni. In modo simile si potrebbe svolgere una descrizione piu dettagliata dell'esperimento. È quindi evidente che si può effettuare l'esperimento e riferire il suo svolgimento senza assumere la teoria degli elettroni, la quale in effetti suggerf l'esperimento stesso ed offre un'interpretazione chiarificatrice e feconda dei suoi risultati. La teoria degli elettroni ha tuttavia subito importanti modifiche da quando Millikan eseguf per la prima volta l'esperimento, ed è perfettamente concepibile (anche se attualmente non è probabile) che tale teoria possa venir un giorno completamente abbandonata. Tuttavia, la verità della legge sperimentale che Millikan contribui a stabilire (e cioè, che tutte le cariche elettriche sono multipli interi di una certa carica elementare) non dipende dal destino della teoria; e, purché le sue prove osservative dirette continuino a confermare la legge, questa può sopravvivere a una lunga serie di teorie eventualmente accettate in futuro per spiegarla. Viceversa, cosa debba essere un elettrone è enunciato da una teoria in cui compare la parola 'elettrone'; quando tale teoria venga alterata, il significato della parola subirà una modificazione. In particolare, benché la stessa parola 'elettrone' sia usata nelle teorie prequantistiche sulla costituzione elettronica della materia, nella teoria di Bohr e nelle teorie posteriori, il significato di tale parola non è lo stesso in tutte queste teorie. I fatti stabiliti dall'esperimento della goccia d'olio ricevono quindi dalle varie teorie diverse interpretazioni, anche se in tutti i casi sono formulati attraverso l'affermazione che la carica elementare determinata dall'esperimento è la carica "dell'elettrone".
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.3. Vi è un'altra cospicua differenza degna di nota tra leggi sperimentali e teorie. Una legge sperimentale è formulata, senza eccezioni, in un enunciato singolo; una teoria è, quasi senza eccezioni, un sistema di piu enunciati connessi. Questa differenza ovvia è però soltanto l'indicazione di qualcosa di piu importante e piu significativo, e precisamente della maggior generalità delle teorie e del fatto che il loro potere esplicativo è relativamente piu ampio. Come si è già notato, le leggi sperimentali possono esser usate tanto per spiegare e prevedere il verificarsi di eventi singoli, quanto per spiegare altre leggi sperimentali. Tuttavia, le materie di cui le leggi sperimentali possono fornire una spiegazione sono, sotto certi aspetti facilmente identificabili, qualitativamente simili, e costituiscono una classe di cose abbastanza determinata. Per esempio, la legge di Archimede sulla spinta dei liquidi rende possibile la spiegazione di svariate altre leggi sperimentali, come quella che il ghiaccio galleggia sull'acqua, che una sfera di piombo piena posta in acqua affonda mentre se è cava e ha uno spessore conveniente galleggia, oppure la legge che tutto ciò che galleggia sull'olio galleggia anche sull'acqua. Ma queste leggi, nonostante le differenze tra gli argomenti che rientrano nei loro campi, riguardano tutte fenomeni di galleggiamento. Il dominio delle cose che possono venir spiegate mediante la legge di Archimede è quindi piuttosto ristretto. Altre leggi sperimentali partecipano della stessa caratteristica. Ciò è di fatto inevitabile, dal momento che i termini che compaiono in una legge sperimentale sono associati ad un piccolo numero di procedure palesi che fissano i significati e i campi di applica~ione di tali termini. Invece, molte delle principali teorie scientifiche sono in grado di spiegare una varietà molto maggiore di leggi sperimentali e quindi possono aver a che fare con un campo piu esteso di materie, qualitativamente molto dissimili. Questo carattere delle teorie è in relazione tanto al fatto che le nozioni teoriche non sono legate a un determinato materiale osservativo per mezzo di un insieme fisso di procedure sperimentali, quanto a quello che esse godono, in virtu della loro complessa struttura simbolica, di un numero maggiore di gradi di libertà nel venir estese a diverse regioni. Abbiamo già notato come la legge di Newton riesca a spiegare le leggi dei moti dei pianeti, della caduta libera dei gravi, dell'azione delle maree, delle forme delle masse rotanti; a queste possiamo aggiungere le leggi sul galleggiamento dei liquidi e dei gas, sui fenomeni di capillarità, sulle proprietà termiche dei gas, nonché varie altre. Similmente, l'attuale teoria dei quanti può spiegare le leggi sperimentali dei fenomeni spettrali, delle proprietà termiche dei solidi e dei gas, della radioattività, delle interazioni chimiche e di molti altri fenomeni. È infatti una delle funzioni piu importanti di una teoria quella di mettere in evidenza le connessioni sistematiche tra leggi sperimentali che riguardano argomen,ti qualitativamente disparati. Sotto questo 96
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aspetto sono specialmente degne di nota le teorie delle scienze naturali, particolarmente della fisica, anche se entro quest'ultima non tutte le teorie siano pari nel raggiungere tale obiettivo. Tuttavia la spiegazione di leggi sperimentali già stabilite non è la sola funzione che ci si aspetta da parte delle teorie. Un'altra funzione assolta dalle teorie e che le differenzia dalle leggi sperimentali è quella di offrire spunti per nuove leggi sperimentali. Per esempio, la teoria dell'elettrone, con la sua ipotesi che gli elettroni siano i portatori di una carica elementare, ha suscitato il problema della possibilità di accertare sperimentalmente la grandezza di tale carica. È improbabile che Millikan (o chiunque altro) avrebbe escogitato l'esperimento della goccia d'olio, se una qualche teoria atomistica dell'elettricità non avesse già suggerito un problema che appariva importante alla luce della teoria stessa e che tale esperimento intendeva risolvere. Cosi nessuno, sembra, ha preso l'iniziativa di stabilire per via sperimentale se quantità misurabili di calore sono tutte multipli interi di un "quanto di calore" elementare. È almeno plausibile il supporre che non si siano eseguiti esperimenti di questo genere perché non sono sorte teorie del calore che suppongano l'esistenza di quanti di calore, onde non è apparso interessante intraprendere un'indagine sperimentale nella direzione di tale ipotesi.
II. Tre componenti principali delle teorie Si può dunque fare una distinzione tra leggi sperimentali e teorie su una base ragionevolmente buona, anche se non si tratta di una distinzione precisa. In ogni modo la adotteremo, in larga misura per le ragioni già esposte, ma in parte anche perché essa ci permette di riunire entro una categoria conveniente degli importanti problemi che riguardano soprattutto le ipotesi esplicative aventi le caratteristiche generiche di quelle che stiamo chiamando "teorie". Considereremo ora piu da vicino l'articolazione delle teorie, esaminando in quale modo esse siano connesse a materie che nella pratica scientifica normale vengono considerate come oggetti di osservazione e di esperimento. A scopo di analisi, risulta conveniente distinguere tre componenti in una teoria: l) un calcolo astratto che è lo scheletro logico del sistema esplicativo, e che "definisce implicitamente" le nozioni fondamentali del sistema; 2) un insieme di regole che assegna effettivamente un contenuto empirico al calcolo astratto, col metterlo in relazione a materie concrete di osservazione e di esperimento; e 3) un'interpreta· zione o modello del calcolo astratto, che fornisce per cosi dire la carne alla struttura scheletrica, in termini di materie concettuali o visuali piu o meno familiari. Svolgeremo queste distinzioni nell'ordine in cui sono state enunciate. Esse, tuttavia, assai di rado vengono formulate esplicitamente nella prassi scientifica attuale, né corrispondono ad effettive
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fasi nella costruzione delle spiegazioni teoriche. Non si deve quindi credere che l'ordine di esposizione adottato qui rispecchi l'ordine temporale secondo cui nascono le teorie nelle menti dei singoli scienziati. l. Una teoria scientifica (come la teoria cinetica dei gas) è spesso suggerita da materia di esperienza familiare o da certe caratteristiche notate in altre teorie. Infatti le teorie sono solitamente formulate in modo che varie nozioni, piu o meno visualizzabili, siano associate con la espressioni non logiche in esse presenti, cioè con termini "descrittivi" o "relativi al contenuto", come 'molecole', o 'velocità', che, a differenza delle particelle logiche del tipo di 'se-allora' e 'ogni', non appartengono al vocabolario della logica formale, bensf sono termini particolari di un discorso relativo a uno specifico contenuto. Tuttavia, i termini non logici di una teoria possono sempre venir dissociati dai concetti e dalle immagini che normalmente li accompagnano con l'ignorare questi ultimi, in modo che l'attenzione è diretta esclusivamente alle relazioni logiche in cui i termini stanno tra loro. Quando si sia fatto cosi, e quando una teoria sia stata codificata con esattezza in modo da aver acquistato la forma di un sistema deduttivo (compito sempre realizzabile in linea di principio, quantunque spesso difficile nella pratica), le assunzioni fondamentali della teoria altro non formulano che una struttura relazionale astratta. Da questo punto di vista, quindi, le assunzioni fondamentali di una teoria costituiscono un insieme di postulati astratti o non interpretati, i cui termini costitutivi non logici non hanno altri significati che quelli che ad essi derivano dalla loro posizione entro i postulati, cosi che i termini di base della teoria sono "implicitamente definiti" dai suoi postulati. Inoltre, dal momento che i termini teorici di base sono definiti solo implicitamente dai postulati della teoria, questi ultimi non asseriscono nulla, in quanto sono piuttosto schemi di enunciati che enunciati veri e propri (ciò significa che sono espressioni aventi la forma di enunciati senza esserlo), e possono venir esaminati solo con l'intenzione di derivarne altre forme di enunciati conformemente alle regole della deduzione logica. In breve, una teoria scientifica completamente articolata contiene entro se stessa un calcolo astratto che costituisce la struttura scheletrica della teoria. Qualche esempio aiuterà a rendere chiaro cosa si intenda dicendo che i postulati di una teoria definiscono implicitamente i suoi termini. Un esempio familiare di calcolo astratto è dato dalla geometria euclidea, in quanto dimostrata dal sistema dei suoi postulati. Tali postulati vengono spesso formulati per mezzo delle espressioni 'punto', 'retta', 'piano', 'giace tra', 'congruente' e altre, che costituiscono i termini di base. Benché tali espressioni siano di uso comune per caratterizzare configurazioni e relazioni spaziali, e siano quindi impiegati generalmente con significati associati alla nostra esperienza spaziale, tali significati sono irrilevanti per l'elaborazione deduttiva dei postulati ed è preferibile
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ignorarli. Di fatto, per evitare che i significati familiari ma vaghi di quelle espressioni compromettano il rigore delle prove entro il sistema, i postulati della geometria sono spesso formulati ricorrendo all'uso di variabili effettivamente predicative come 'P' e 'R' al posto dei predicati descrittivi, piu intuitivi ma anche piu facilmente fuorvianti, 'punto' e 'retta'. In ogni caso, alla domanda: "cos'è un punto?" e "cos'è una retta?" (o, analogamente, "che tipo di cose sono P e R?"), l'unica risposta che si può dare in una geometria dimostrata a partire da postulati è che qualsiasi cosa che soddisfi le condizioni stabilite dai postulati è rispettivamente un punto o una retta. È in questo senso che le parole 'punto' e 'retta' sono implicitamente dt>finite dai postulatì. In modo analogo, le assunzioni che formulano una teoria fisica, ad esempio quella cinetica dei gas, forniscono soltanto una definizione implicita di termini come 'molecola' o 'energia cinetica delle molecole'. Infatti queste assunzioni enunciano solo la struttura delle relazioni in cui compaiono gli anzidetti termini, stipulando in tal modo le condi· zioni formali da soddisfarsi da qualsiasi cosa cui tali termini possano applicarsi come etichette. Senza dubbio, essi sono comunemente associati a un insieme di immagini e di nozioni familiari, soddisfacenti dal punto di vista intuitivo e hanno di conseguenza un potere di suggestione che li fa apparire dotati di significato indipendentemente dai postulati in cui figurano. Tuttavia, sono le assunzioni della teoria a prescrivere, ad esempio, cosa debba essere una molecola; né c'è, in effetti, modo per accertare cosa sia la "natura" delle molecole, fuorché quello di esaminare la teoria molecolare. Ed è, in ogni modo, la nozione di 'molecola', quale viene implicitamente definita dai postulati, quella che assolve il compito che ci si aspetta dalla teoria. A causa della loro importanza, è desiderabile chiarire ancora piu a fondo il carattere delle definizioni implicite. Il calcolo geometrico è però troppo complesso perché lo si possa presentare dettagliatamente qui; ed ancor maggiore è la complessità dei calcoli che fan parte delle piu importanti teorie scientifiche. Un esempio abbastanza semplice di definizioni implicite è fornito dal seguente gruppo di postulati astratti, in cui, oltre alla terminologia dell'aritmetica, è adoperato il linguaggio del calcolo delle classi. Se A e B sono due classi qualsiasi, la loro somma logica A V B è la classe i cui elementi appartengono o ad A, o a B, o ad entrambe; il loro prodotto logico A • B, invece, è la classe i cui elementi appartengono tanto ad A quanto k B; il complemento -A della classe A è la classe i cui elementi non appartengono ad A; e la classe nulla 1\ è la classe che non contiene elementi. Il sistema ha quattro postulati: l) K è una classe, e F è la classe delle sottoclassi di K tali che, se A è un elemento di F, lo è anche -A; e se B è pure un elemento di F, lo sono anche A V B e A · B. (In linguaggio tecnico, F è chiamato il"campo delle classi su K".)
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2) Per ogni A di F, esiste un numero reale p associato ad A in modo che p (A) ~ O. 3) p(K)=l.
4) Se A e B appartengono a F, e A· B p (A)+ p (B).
= 1\,
allora p (A V B)=
Da questo insieme è possibile derivare un gran numero di teoremi, per esempio quello che per ogni A di F, O ~ p (A) ~ l, o il teorema che per ogni A e B di F, p (A V B) = p (A) + p (B)- p (A • B). Qui però non ci interessano i teoremi, ma le definizioni implicite fornite dai postulati (e quindi anche dai teoremi). I postulati lasciano completamente all'oscuro quali siano le classi specifiche sulle quali si sta discutendo e su quale sia il significato del numero p associato ad ogni classe; tuttavia, essi impongono certe condizioni ad ogni insieme di classi e ad ogni insieme di numeri associati, perché questi ultimi soddisfino i postulati. In particolare, benché i postulati non enuncino quali proprietà determinate delle classi vengano misurate dai numeri associati p, questi devono giacere nell'intervallo da O a l; inoltre, devono esser tali che il numero associato alla somma logica delle classi non sia mai minore di quello associato all'uno o all'altro degi addendi. La proprietà delle classi misurate dal numero p è quindi definita solo implicitamente. I postulati specificano solo la struttura dei sistemi di classi e dei numeri ad esse associati, non il carattere sostanziale di un particolare sistema. 2. ~ chiaro tuttavia che se una teoria deve spiegare delle leggi sperimentali, non è sufficiente che i suoi termini siano definiti solo implicitamente. Se non si aggiunge qualcosa che indichi in qual modo i suoi termini implicitamente definiti siano in rapporto con le idee che compaiono nelle leggi sperimentali, una teoria non può venire ::lfiermata o negata con significato né, ad ogni modo, può risultare utile dal punto di vista scientifico. Ovviamente è privo di senso domandare se, per esempio, l'insieme di postulati enunciati al paragrafo precedente è vero o falso, oppure se p (A) ha un certo valore - mettiamo Y2. Infatti i postulati, cosf come sono stati enunciati, non rivelano quale sia il contenuto del discorso - qualora esista - per il quale si è supposto che valgano, o quale proprietà delle classi si supponga misurata dai numeri associati. Analogamente, i postulati della teoria cinetica dei gas non forniscono alcun suggerimento riguardante le materie, sperimentalmente determinabili, di cui trattino i termini implicitamente definiti - anche quando si assuma, per esempio, il significato di particella impercettibile per il termine molecola. Perché la teoria possa venir usata come strumento di spiegazione e di previsione, è necessario che essa venga collegata in qualche modo con oggetti osservabili. La indispensabilità di simili collegamenti è stata ripetuta~ente sot-
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tolineata nella recente letteratura, e per essi sono stati coniatt 1 pm diversi nomi: definizioni coordinatrici, definizioni operative, regole semantiche, regole di corrispondenza, correlazioni epistemologiche e regole di interpretazione.' I modi secondo cui sono in relazione le nozioni teoriche e le procedure osservative sono spesso complessi, cosf che non sembra possibile rappresentarli tutti mediante un unico schema. Un esempio contribuirà tuttavia a mettere in evidenza alcuni caratteri importanti di queste regole di corrispondenza. La teoria dell'atomo di Bohr fu ideata per spiegare, tra l'altro, le leggi sperimentali sugli spettri di vari elementi chimici. Per sommi capi la teoria postula quanto segue. Essa assume che esistano gli atomi, e che ciascuno di essi sia composto di un nucleo relativamente pesante che trasporta una carica elettrica positiva, e di un certo numero di elettroni, caricati negativamente, dotati di massa minore, e in moto su orbite approssimativamente ellittiche, con il nucleo in uno dei fuochi. Il numero di elettroni che circola intorno al nucleo varia secondo l'elemento chimico. La teoria inoltre suppone che vi sia soltanto una serie discreta di orbite ammissibili per gli elettroni, e che i diametri di tali orbite siano proporzionali ad h2n2, dove h è la costante di Planck (il valore del quanto indivisibile di energia postulato nella teoria della radiazione di Planck) e n è un numero intero. Inoltre, l'energia elettromagnetica di un elettrone in un'orbita dipende dal diametro dell'orbita. Tuttavia tale energia resta costante per tutto il tempo in cui un elettrone rimane in un'orbita, qualunque essa sia, e l'atomo non emette radiazioni. Viceversa, un elettrone può "saltare" da un'orbita avente un livello di energia piu alto ad un'orbita avente un livello di energia piu basso; quando ciò accade, l'atomo non emette una radiazione elettromagnetica, la cui lunghezza d'onda è funzione di queste differenze d'energia. 3 Cfr. HANS REICHENBACH, Philosopbie der Raum-Zeit Lehre, Berlin, 1928, pp. 23 sgg., trad. it. a cura di A. Carugo, Milano, 1977 e The Rise of Scienti/i.c Philosophy, Berkeley, Calif., 1951, c. 8, trad. it. a cura di A. Pasquinelli, Bologna, 1961; P. W. BRIDGMANN, Th~ Logic of Modern Physics, New York, 1927, c. l; trad. it. a cura di V. Somenzi, Torino, 1952, e Ref/ections of a Physicist, New York, 1950, c. l; RunoLF CARNAP, 'Foundations o/ Logic and Mathematics, International Encyclopaedia of Unified Science, vol. l, n. 3, Chicago, 1955, c. 3; trad. it. a cura di G. Preti, Torino, 1956; HENRY MARGENAU, The Nature of Physical Reality, New York, 1950, pp. 60 sgg.; F. S. C. NoRTHRoP, The Logic o/ the Sciences and the Humanities, New York, 1947 c. 7. La tesi di Eddington secondo cui la teoria generale della relatività di Einstein è un "sistema chiuso" che contiene se stesso, i cui concetti sono definiti ciclicamente l'uno in termini dell'altro, è viziata dal fatto che in Eddington manca la distinzione tra teorie e leggi sperimentali, e dal suo riconoscimento, piuttosto disinvolto, della necessità di tali legami aflinchè una teoria abbia non soltanto un significato logico ma anche una importanza dal punto di vista dei contenuti sperimentali. Eddington riconosce tale necessità quando si riferisce alla "consapevolezza "(consciousness) come punto di contatto tra la teoria e il suo contenuto. Questo riferimento induce tuttavia in errore, in quanto non è a qualcç>sa di "interno alla consapevolezza" che le teorie sono collegate, bens1 a caratteristiche sperimentalmente identificabili del loro contenuto. Vedi A. S. EDDINGTON, The Domain of Natural Science, in "Science, Religion and Reality" (a cura di }oseph Needham), London, 1925, pp. 203 sgg., e The Nature o! Physical World, New York, 1928, c. 12; trad. it. a cura di C. de Bosis e L. Gialanella, Bari, 1935.
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La teoria di Bohr è una fusione eclettica dell'ipotesi quantlstlca di Planck con idee prese a prestito dalla teoria dell'elettrodinamica classica, ed oggi è stata sostituita da una teoria piu soddisfacente. Ciò nonostante, la teoria riusciva a spiegare varie leggi sperimentali di spettroscopia, e per un certo tempo fu una guida feconda alla scoperta di nuove leggi. Ma come fu messa in relazione la teoria di Bohr con quanto può venire osservato in laboratorio? Evidentemente gli elettroni, il loro moto circolare su orbite, i loro salti da un'orbita all'altra, ecc., sono tutti concetti non applicabili ad alcunché di manifestamente osservabile. È quindi necessario introdurre dei collegamenti tra tali nozioni teoriche e quanto può venir identificato attraverso procedure di laboratorio. In via di fatto collegamenti di questo genere sono in certo modo stabiliti come segue. In base alla teoria elettromagnetica della luce, una riga dello spettro di un elemento è associata ad un'onda elettromagnetica la cui lunghezza d'onda può venir calcolata, secondo le ipotesi della teoria stessa, da dati sperimentali relativi alla posizione della riga spettrale. D'altra parte, la teoria di Bohr associa la lunghezza d'onda d! un raggio luminoso emesso da un atomo a un salto di un elettrone da una delle sue orbite ammissibili ad un'altra. Di conse~uenza la nozione teorica del salto di un elettrone è collegata alla nozione sperimentale di . una riga spettrale. Una volta introdotte corrispondenze di questo genere, le leggi sperimentali relative alla serie di righe che compaiono nello spettro di un elemento si possono dedurre dalle assunzioni teoriche sui passaggi di un elettrone da una all'altra delle sue orbite ammissibili. 3. Questo esempio di regola di corrispondenza illustra anche cosa si intenda per interpretazione o modello di una teoria. La teoria di Bohr normalmente non viene presentata come un insieme astratto di postulati, con l'aggiunta di un numero appropriato di regole di corrispondenza per i termini non logici non interpretati e definiti implicitamente dai postulati. Solitamente viene spiegata, come nello schema sopra accennato, per mezzo di nozioni relativamente familiari, cosi che i suoi postulati, anziché essere schemi di enunciati, appaiono come enunciati il cui contenuto, almeno in parte, può esser immaginato visualizzandolo. Tra le altre ragioni, si ricorre ad una presentazione di questo genere perché è comprensibile con maggior facilità rispetto ad una esposizione puramente formale, che risulterebbe inevitabilmente piu lunga e piu complicata. In ogni caso, però, i postulati della teoria, in un'esposizione di questo tipo, sono inquadrati entro un modello o entro un'interpretazione. Deve esser ben chiaro, tuttavia, che le ipotesi fondamentali di una teoria, anche se questa è stabilita facendo ricorso ad un modello, forniscono solo definizioni implicite delle nozioni teoriche che in essa compaiono. Per esempio, un elettrone, secondo la teoria di Bohr, è appunto quella specie di "entità", che, malgrado sia carica elettricamente
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e sia in moto, non produce effetti elettromagnetici fintantoché rimane in un'orbita, qualunque essa sia. Inoltre, il fatto che una teoria sia presentata mediante un modello non rende meno imperiosa la necessità di regole di corrispondenza che connettano la teoria stessa a concetti sperimentali. Benché i modelli delle teorie abbiano funzioni importanti nell'indagine scientifica, come verrà mostrato nel capitolo che segue, essi non sostituiscono le regole di corrispondenza. La distinzione tra un mo~ dello (o interpretazione) di una teoria e le regole di corrispondenza per i suoi termini è cruciale, e richiede quindi un'ulteriore disamina. ./ Per fissare le idee, procuriamoci un modello per i postulati astratti enunciati piu sopra per le classi K e F. Si supponga che vi siano esattamente dieci molecole entro un gene G di un dato organismo biologico, e che la loro massa totale sia di m grammi; ed il rapporto tra la inassa di una molecola (o dell'insieme di molecole) ed m venga chiamato 'massa relativa' (o piu brevemente 'r') della molecola (o di un insieme di molecole). Nei postulati sostituiamo alla lettera variabile K l'espressione 'le molecole nel gene G', espressione per la quale adotteremo come abbreviazione la lettera G; al posto della lettera F, poniamo l'espressione 'l'insieme di tutte le sottoclassi delle molecole nel gene G', abbreviata mediante S. Comprendendo la classe nulla (o vuota), S contiene evidentemente 1024 elementi. Infine, all'espressione p (A) dei postulati astratti, sostituiamo la frase 'la massa relativa di A' [o, in forma abbreviata, 'r (A)']. Con tali sostituzioni l'insieme astratto di postulati è trasformato nell'insieme di effettivi enunciato su G, S e r. Per esempio, l'ultimo postulato viene a leggersi cos1: se A e B appartengono ad S e A • B = 1\, allora r (A V B) = r (a) + r (b), cioè per due insiemi di molecole A e B di S, che non abbiano molecole in comune, la massa relativa delle molecole contenute in A o in B è uguale alla massa relativa delle molecole di A piu la massa relativa delle molecole di B. Tali enunciati (oppure il sistema delle "cose " G, S e r, piuttosto che gli enunciati) costituiscono ciò che intenderemo come un "modello" dei postulati. Questa spiegazione di cosa si intenda per modello può venir facilmente generalizzata.' L'esempio in se stesso comunque è sufficiente per mettere in luce alcuni punti utili. In base all'ipotesi che ogni espressione impiegata nella formulazione di un modello sia in qualche senso "dotata di significato", una teoria fornita di un modello è completa4 La formulazione generale è, schematicamente, la seguente: Sia P un insieme di postulati; sia P* un insieme di enunciati ottenuti sostituendo ad ogni variabile predicativa di P un predicato che sia significante per una data classe di elementi K; e, infine, P* sia formato soltanto da effettivi enunciati su elementi di K. Intendiamo con modello di P, gli enunciati P*, oppure il sistema di elementi K caratterizzato dalle proprietà e dalle relazioni che sono designate dai predicati di P*. Per una esauriente precisazione delle nozioni di 'interpretazione' e di 'modello', si veda RunOLF CARNAP, Introduction to Semanties, Cambridge, Mass., 1942, pp. 202 e sgg.; PATRICK SuPPES. Introduction to Log,ic, Princeton, 1957, pp. 64 e sgg.; ALFRED TARSKI, Logic, Semantics, Metamathematics, Oxford, 1956, c. 12.
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mente interpretata - nel senso che ogni sua frase è, di conseguenza, un enunciato dotato di significato. Benché un modello possa essere di inestimabile valore nel suggerire nuove direzioni di indagine, che potrebbero non venirci mai in mente se la teoria venisse presentata in una forma completamente astratta, tuttavia si corre il rischio, con la presentazione di una teoria in termini di un modello, che caratteri contingenti del modello ci fuorviino rispetto all'effettivo contenuto della teoria stessa. Una teoria infatti può ricevere da modelli diversi diverse interpretazioni; ed i modelli possono differire non soltanto per i particolari oggetti da cui sono ricavati, ma anche per importanti proprietà strutturali. (Per esempio, si ottiene per i postulati di cui sopra un modello strutturalmente diverso, se si suppone che il gene G contenga 100 anziché 10 molecole. Per gli stessi postulati, si ha un modello ancora diverso mediante le relazioni di probabilità tra classi di eventi.) Infine, e questo è il punto centrale che ci interessa nel contesto di cui ci stiamo occupando, dal fatto che una teoria sia presentata in termini di modello non consegue assolutamente che essa sia connessa automaticamente a concetti sperimentali e a procedure osservative. Una connessione di tal sorta dipende dal carattere del modello impiegato. Cosf, l'enunciato testé riferito del modello molecolare per un insieme di postulati non fornisce alcuna regola per coordinare le sue espressioni non logiche (come l'espressione 'la massa relativa di un insieme di molecole del gene G') con nozioni sperimentali significanti. Nonostante sia stato dato un modello per i postulati, non sono date regole di corrispondenza. In breve, quindi, stabilire un modello di una teoria, tale che tutti i suoi termini descrittivi ne ricevano un'interpretazione, non è in generale sufficiente per dedurre dalla teoria leggi sperimentali.
III. Regole di corrispondenza Dobbiamo ora richiamare l'attenzione su alcuni tratti carattenstlci delle regole di corrispondenza che fino ad ora non sono stati menzionati esplicitamente.
l. Un buon punto di partenza per notare uno di tali tratti è dato dalla teoria dell'atomo di Bohr. Come risulta evidente, la regola citata in quell'esempio non fornisce una definizione esplicita di alcuna delle nozioni teoriche della teoria di Bohr, in termini dei predicati usati per caratterizzare materie considerate normalmente come osservabili. L'esempio suggerisce quindi che in generale le regole di corrispondenza non forniscono definizioni di tal sorta. Rendiamo piu chiaro cosa sia contenuto in tale suggerimento. Quando si dice che un'espressione è "definita esplicitamente", essa può venir sempre eliminata da qualsiasi contesto in cui compaia, in quanto può
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venire sostituita dall'espressione che costituisce la definizione, senza che
il senso del contesto ne sia alterato. Cosf l'espressione 'x è un triangolo' è definita esplicitamente dall'espressione 'x è una figura piana chiusa limitata da tre segmenti di retta'. La prima espressione (o espressione definita) può quindi venir eliminata da ogni contesto in favore della seconda espressione (o espressione definiente); per esempio l'enunciato 'l'area di un triangolo è uguale a metà del prodotto della sua base per la sua altezza' può venir sostituito dall'enunciato logicamente equivalente 'l'area di una figura piana chiusa limitata da tre segmenti di retta è uguale alla metà del prodotto della sua base per la sua altezza'. Invece l'espressione teorica della teoria di Bohr 'x è la lun· ghezza d'onda della radiazione emessa quando un elettrone salta alla piu piccola orbita ammissibile dalla sua orbita contigua nell'atomo di idrogeno' non viene definita esplicitamente quando la coordiniamo con un'espressione avente approssimativamente la forma 'y è la riga che compare in una certa posizione dello spettro dell'idrogeno'. È evidente, infatti, che le due espressioni hanno contenuti del tutto diversi. Quindi, anche se la regola di corrispondenza stabilisce un nesso determinato tra le due espressioni, la prima non può venir sostituita dall'ultima in enunciati del tipo 'le transizioni di elettroni alle loro orbite ammissibili piu piccole da quelle contigue si' verificano circa nel 10% degli atomi di idrogeno'. Se si tentasse di effettuare la sostituzione indicata, si avrebbe come risultato un non senso. Non esiste, né forse è possibile, una prova inoppugnabilmente conclusiva del fatto che le nozioni teoriche impiegate dalla scienza attuale non possano venir esplicitamente definite in termini di idee sperimentali. Discuteremo piu a fondo nel prossimo capitolo l'argomento ora accennato. È tuttavia pertinente l'osservazione che finora nessuno ha costruito con successo definizioni di tal genere. Yi son_ç_jp.oltre Q.uo1_1_~ .ragioni per !"i!e11~re che le_regqle di__çogi~p()gd~gza, nel loro uso effettjvo, non costituiscano definizioni esplicite_ delle_ nozioni teoriche in_ trrmi!li _di. concetti sperimentali, Si è già notata una di queste ragioni. Quando si formula una teoria mediante un modello, il linguaggio che si usa per enunciare il modello ha generalmente contenuti non posseduti dal linguaggio della procedura sperimentale. Cosf, come già si è detto, l'espressione relativa alle transizioni degli elettroni nella teoria di Bohr non è equivalente come significato all'espressione che si riferisce alle righe spettrali. In casi simili, quindi, dato che, nelle definizioni esplicative vi è equivalenza di significato tra l'espressione definita e quella che definisce, è piuttosto improbabile che le regole di corrispondenza provvedano simili definizioni.' 5 Se non si osserva che il linguaggio della fisica teorica non ha un significato equivalente a quello in cui vengono formulate le procedure sperimentali, si va incontro alle
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Un'altra ragione, avente forse un peso anche maggiore, è quella che le nozioni teoriche sono spesso coordinate da regole di corrispondenza a piu di un concetto sperimentale. Come già si è detto, le nozioni teoriche sono definite solo implicitamente dai postulati della teoria (anche quando la teoria è presentata mediante un modello). Perciò il numero di concetti sperimentali a cui, come possibilità logica, si può far corrispondere una nozione te<;>rica, è illimitato. Per esempio, la nozione teorica del salto degli elettroni nella teoria di Bohr corrisponde alla nozione empirica di riga spettrale; ma tale nozione teorica può anche venir coordinata (attraverso la legge dell'irraggiamento di Planck,• deducibile dalla teoria di Bohr) alle variazioni di temperatura dell 'irraggiamento di un corpo nero, che sono sperimentalmente determinabili. In quei casi quindi in cui si fa corrispondere una data nozione teorica a due o piu idee sperimentali (benché, presumibilmente, in occasioni diverse e nel contesto di problemi diversi), sarebbe assurdo sostenere che il concetto teorico è definito esplicitamente di volta in volta da ciascuno dei due concetti sperimentali. Questa mancanza di unicità di corrispondenza tra nozioni teoriche e sperimentali merita ulteriormente commento e illustrazione. È un fatto noto che le teorie scientifiche (e in modo speciale, quantunque non esclusivo, quelle della fisica matematica) sono generalmente formulate con diligente accuratezza, e che le relazioni reciproche delle nozioni teoriche (siano esse in quel sistema primitive oppure definite in termini delle primitive) sono enunciate con grande precisione. Tale accuratezza e precisione sono essenziali se si deve esplorare con rigore le conseguenze deduttive delle assunzioni teoriche. Invece, le regole di corrispondenza che confusioni piu imbarazzanti. Fu proprio perché non osservò questo punto che Eddington poté sollevare la questione di quale dei due tavoli che stavano di fronte a lui mentre egli sedeva a scrivere il suo libro fosse quello "reale" - il solito tavolo dell'esperienza di ogni giorno, fatto di sostanza, oppure il tavolo scientifico che è per la maggior parte vuoto e che consiste di cariche elettriche distribuite ad intervalli e moventesi a forti velocità (A. S. EnmNGTON, The Nature of the Physical World, pp. IX e sgg.; trad. it. cit.). In effetti, però, Eddington non si trovava per niente di fronte a due tavoli. Infatti, la parola "tavolo" esprime un'idea sperimentale che non si presenta nel linguaggio della teoria elettronica; e la parola "elettrone" esprime una nozione teorica che non è definita nel linguaggio impiegato per formulare osservazioni e esperimenti. Questi due linguaggi, anche se sono suscettibili di coordinamenti in certi punti, non sono traducibili l'uno nell'altro. Cosi, dato che c'è un solo tavolo, non c'è questione su quale sia quello "reale", qualsiasi cosa si intenda con tale onorifica etichetta. Per una critica ampia ed energica alla filosofia della scienza di Eddington, si legga L. SusAN STEBBING, Philosophy and the Physicists, London, 1937. 6 La legge dell'irraggiamento, formulata nei termini teorici della fisica matematica, stabilisce che
be' (
E~= ")1'
l
e•c;•n.-1
)
dove E~ è l'energia della radiazione di lunghezza d'onda )., h è la costante di Planck, c è la velocità della luce, T la temperatura assoluta, k la costante di Boltzmann (cioè la costante di proporzionalità nell'equazione della teoria cinetica dei gas che mette in rapporto la temperatura assoluta di un gas con l'energia cinetica media delle sue molecole).
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collegano le idee teoriche con quelle sperimentali non sono, in genere, formulate esplicitamente; cosf che in pratica i coordinamenti sono, in confronto, approssimativi ed imprecisi. Con qualche esempio si chiarirà Io scopo di queste osservazioni generali. Nelle assiomatizzazioni moderne della geometria (come in quella del matematico tedesco David Hilbert) un certo numero di termini primitivi (per esempio 'punto', 'retta', 'piano', 'congruenza') è definito implicitamente mediante i postulati del sistema; i termini ulteriori (come 'cerchio', 'cubo') sono definiti esplicitamente facendo ricorso a quelli primitivi. Entro la geometria assiomatica quindi esistono relazioni enunciate con precisione tra le nozioni teoriche del sistema. Ma quando si passa ad usare il calcolo geometrico in qualche regione dell'indagine empirica, il coordinamento di queste nozioni con le idee sperimentali è in genere tutt'altro che esatto. Per esempio, la parola 'piano', come viene usata nei contesti dell'indagine empirica, non è un termine definito con precisione. Viene specificato quali superficie debbano venir considerate come piano: qualche volta per mezzo di regole per piallare i corpi, in modo che le loro superficie finiscano per aderire perfettamente quando siano poste una adiacente all'altra; altre volte per mezzo di regole che implicano semplicemente giudizi percettivi basati sull'uso dell'occhio nudo; ed infine in altri casi per mezzo di regole che richiedono l'uso di complicati strumenti ottici. In tal modo la corrispondenza tra la nozione teorica di piano e quella sperimentale non è né univoca né precisa. Analogamente, benché la distanza teorica tra due punti sia sempre un numero unico (che può essere di fatto un cosiddetto numero "irrazionale"), la distanza effettivamente misurata tra due corpi è quasi sempre una gamma di grandezze che cadono entro un certo intervallo. In tale ordine di idee, consideriamo nuovamente, ma piu da vicino, la corrispondenza tra la nozione di lunghezza d'onda nella teoria elettromagnetica della luce e la nozione sperimentale di riga spettrale. Anche da un esame affrettato risulta che la corrispondenza non è univoca. Infatti le righe spettrali hanno tutte ampiezza finita, ed il potere risolvente degli strumenti ottici è limitato. Di conseguenza, ciò che sperimentalmente viene identificato come riga spettrale corrisponde non già ad un'unica lunghezza d'onda, ma ad una gamma di lunghezze d'onda vagamente delimitata. Reciprocamente un fascio di luce teoricamente monocromatico (cioè un fascio di radiazioni composto di raggi aventi la stessa lunghezza d'onda) è coordinato in pratica con righe spettrali sperimentalmente determinabili che hanno un'ampiezza distinguibile e che perciò sono prodotte, dal punto di vista teorico, da radiazioni policromatiche. ]l punto generale che emerge da questi esempi è quello che, seb- .:fQ!'!Il~ iconcetti J~oriçj._ poss_~llO__ eS!!(!r articolati_çoQ_ up.. alto grado di pre_~isiol)._(!,le regole _di corrispondenza li coordinano con idee sperimentali
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assai meno definite. La nebulosità che circonda tali regole di corrispondenza è inevitabile, poiché le idee sperimentali non hanno la nitidezza di contorni posseduta dalle nozioni teoriche. E questa è una ragione fondamentale dell'impossibilità di formalizzare con buona precisione le regole (o gli usi) che stabiliscono una corrispondenza tra idee teoriche e sperimentali. Se domandiamo quindi quale schema formale mostrino le regole di corrispondenza, è difficile rispondere direttamente. In alcuni casi, le regole sembrano enunciare condizioni necessarie e sufficienti per descrivere una situazione sperimentale in linguaggio teorico. Cosf, se 'T' è un predicato teorico ed 'S' uno sperimentale, le regole possono avere la forma 'x è T se e solo se y è S'. Questo sembra essere un modo plausibile di descrivere la regola che coordina la nozione teorica del salto di un elettrone e il presentarsi di una riga spettrale. In altri casi, la regola può enunciare solo una condizione sufficiente per l'uso di una nozione teorica. La regola in tal caso ha la forma schematica 'se y è S, allora x è T'. Tale sembra essere la forma della regola implicita nell'applicazione della nozione teorica di 'piano' ad una superficie effettiva che si conformi alle specificazioni sperimentali su che cosa debba essere un piano. In altri casi ancora, la regola può fornire solo la condizione necessaria per l'uso di un termine teorico: 'se x è T, allora y è S'. Per esempio, nelle condizioni sperimentali della camera di Wilson, la condensazione del vapor acqueo in linee sottili appare come la condizione necessaria per descrivere questo effetto in termini della nozione teorica del passaggio di particelle alfa. Le regole di corrispondenza possono avere ancora altre forme. Si può aver dato loro una formulazione metalinguistica, che coordini tra loro esplicitamente delle espressioni piuttosto che quanto è designato dalle espressioni (come nella discussione che precede); e può anche darsi che abbiano forme piu complesse di quelle citate. Per esempio, una regola può dire che da un enunciato della forma 'x è T' si possa dedurre un enunciato della forma 'y è S', ed inversamente; oppure una regola può coordinare non soltanto una ma piu nozioni teoriche simultaneamente con un insieme di idee sperimentali: un tipo di regola questa che appare implicata quando si stabilisce il modo in cui si devono usare in contesti sperimentali concreti i termini geometrici 'punto', 'retta', 'piano', ecc. Per il nostro scopo non vi sarebbe alcuna utilità nel dilungarsi oltre su questo argomento. Si è detto tuttavia abbastanza per poter sostenere la tesi che_je~~r~s:>le di CQ!I!~p_ondenza non forniscono definizioni _e_slili_c!t~
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tivi allo status conoscitivo delle teorie. Nel prossimo capitolo indagheremo su qualcuno di questi problemi. 2. È opportuno qui aggiungere un'osservazione sul modo in cui le regole di corrispondenza servono da legami tra idee teoriche ed idee sperimentali. La sommaria descrizione della teoria dell'atomo di Bohr, data piu sopra, ci farà nuovamente da spunto introduttivo della questione. Secondo quella descrizione, benché esistano regole di corrispon· denza per alcune delle nozioni impiegate dalla teoria, non tutte le nozioni teoriche sono collegate a idee sperimentali. Per esempio, c'è una regola di corrispondenza per la nozione teorica degli elettroni che passano da un'orbita ammissibile ad un'altra; ma non c'è una regola di questo genere per la nozione di elettroni che si muovono con velocità accelerate su un'orbita. Analogamente, nella teoria cinetica dei gas, non c'è una regola di corrispondenza per la nozione teorica della velocità istantanea delle singole molecole, benché una regola siffatta ci sia per la nozione, teoricamente definita, dell'energia cinetica media delle molecole. Inoltre, vi è attualmente una regola di corrispondenza per la nozione del numero di molecole in un volume standard di gas in con· dizioni standard di temperatura e di pressione (numero di Avogadro); ma il numero di Avogadro non fu determinato per via sperimentale fino ad un'epoca relativamente recente nella storia della teoria cinetica, e fino ad allora non c'era una regola di corrispondenza per tale nozione teorica. La caratteristica notata nelle teorie citate ad esempio può venir espressa in modo piu generale, benché schematico, come segue. Si supponga che i postulati di una teoria T impieghino n termini primitivi non logici 'P 1', 'P/, . . . , 'Pn', per mezzo dei quali si possa definire esplicitamente un dato numero di altri termini teorici 'Q1', 'Qz', ... , 'Qr'. (Per illustrare questa formulazione generale, si supponga che i termini primitivi della teoria siano 'lunghezza', 'massa' e 'tempo', e che la 'velocità' e 'l'energia cinetica' possano venir definite esplicita· mente in base a questi primitivi.) Tuttavia, sebbene sia necessario che si aggiungano delle regole di corrispondenza ai postulati perché T possa venir applicato scientificamente, simili regole non vengono introdotte per tutti i P o per tutti i Q. È anche possibile che vi siano regole di corrispondenza per alcuni Q solamente, ma per nessuno dei P. Le nozioni teoriche di T non son dunque tutte collegate una volta per sempre ai concetti sperimentali. La maggior parte delle teorie delle scienze naturali - o addirittura tutte - hanno questa caratteristica. In ogni modo, una teoria che la abbia possiede una flessibilità che ne permette l'estensione a zone nuove di ricerca, talvolta decisamente diverse dall'argomento per il quale in origine la teoria era stata ideata. Come già si è notato, la spiegazione sistematica di una gran varietà di leggi sperimentali riguardanti materie
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qualitativamente diverse è una meta distintiva di tali teorie. Una delle vie per raggiungerla è quella che la teoria introduca nuove regole di corrispondenza per nozioni per cui non ne erano state ancora istituite, quando ciò sia reso possibile dal progresso nella ricerca sperimentale e nella tecnica. Al contrario di quanto accade per le alterazioni dei postulati di una teoria, che in effetti costituiscono una modificazione delle definizioni implicite delle nozioni teoriche, l'introduzione di nuove regole di corrispondenza non cambia né la struttura formale né il significato della teoria, benché nuove regole possano allargare il suo campo di applicazione. Cosi, la determinazione sperimentale del numero di Avogadro (che ebbe per conseguenza il collegamento di questa nozione teorica con un concetto sperimentale) non implicò alcuna modificazione dei postulati della teoria cinetica dei gas; ma portò al risultato di mettere in relazione con la teoria l'indagine sperimentale della struttura cristallina per mezzo dei raggi X. È importante inoltre ricordare che una teoria è un prodotto umano. Come gli altri prodotti umani, essa presumibilmente contiene elementi • i quali altro non sono che espressioni degli scopi particolari e delle idio. sincrasie dei suoi umani inventori, piuttosto che simboli aventi anzitutto una funzione di riferimento o rappresentativa. Su tale punto insi-sté Heinrich Hertz nella sua rassegna dei requisiti che dovrebbero esser soddisfatti dalle teorie fisiche. Hertz sostenne che l'unico compito della fisica è quello di costruire "immagini o simboli di oggetti esterni" in modo tale che le conseguenze logiche dei simboli (cioè della nostra concezione delle cose) siano sempre le "immagini" dei "conseguenti necessari in natura delle cose rappresentate". Hertz in tal modo rese centrale il ruolo della teoria come strumento che ci permette di inferire eventi osservabili da altri eventi osservabili. Egli tuttavia riconobbe chiaramente che questo requisito strumentale non determina in modo unico il simbolismo (o la teoria) che sia in grado di raggiungere quell'obbiettivo. In particolare, egli osservò che una teoria inevitabilmente conterrà ciò che egli chiamò "rela~19.!!U!l.Q_erflue, o vuote" - simboli che non rappresentano niente dell'argomento di cui la teoria si occupa. Secondo Hertz, tali "relazioni vuote" entrano nelle nostre teorie semplicemente perché queste sono simbolismi complicati, "immagini prodotte dalle nostre menti e necessariamente affette dalle caratteristiche delle loro modalità di rappresentazione". 7 Considerazioni di natura generale ci conducono cosi ad aspettarci che non tutte le idee che costituiscono una teoria siano collegate con idee sperimentali da regole di corrispondenza. In ogni caso il compito principale di molti simboli presenti nelle teorie è quello di facilitare la formulazione di una teoria dotata di grande generalità, di rendere possi7
HEINRICH HERTZ,
The Principles of Mechanics, London, 1899 (ristampa New York,
1956), p, 2.
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bili e relativamente semplici le trasformazioni logiche e matematiche, oppure di costituire uno strumento euristico per l'estensione delle applicazioni della teoria. Esempi di simboli che assolvono un compito siffatto sono le variabili continue e i quozienti differenziali della fisica matematica; le une e gli altri sono ampiamente usati, sebbene le nozioni teoriche del tipo delle funzioni di densità matematicamente continue o delle velocità istantanee, strettamente intese, non corrispondano ad alcun concetto sperimentale. Si possono trovare quanti si vogliano altri esempi di simboli di questo genere nelle locuzioni che sono usate quando una teoria è inserita in un modello conveniente - per esempio nella terminologia dei punti-massa nella meccanica analitica, o in quella dell'etere nella teoria elettromagnetica del XIX secolo, in quella dei legami di valenza nella chimica analitica, o in quella delle "ondeparticelle" della attuale teoria quantistica. Poiché le teorie sono costruite con l'intento di spiegare una grande varietà di leggi sperimentali, è chiaro che in generale si può raggiungere tale fine solo se una teoria è formulata in modo da non contenere alcun riferimento ad un insieme di concetti sperimentali specializzati. Altrimenti la sua applicazione verrebbe limitata a quelle situazioni per cui proprio quei concetti sono di rilievo. In effetti, piu esteso è il campo delle applicazioni possibili di una teoria, piu ristretto è il suo contenuto esplicitamente formulato rispetto ai particolari di un argomento specifico. Si lascia che a tali particolari provvedano ulteriori assunzioni e regole di corrispondenza, introdotte secondo le varie esigenze quando si usa la teoria in contesti sperimentali differenti." Ciò non significa però che le teorie scientifiche tendano a diventare, al limite, vuote di contenuto via via che il loro campo di applicazione diventa piu esteso. Significa piuttosto che una teoria tende a formulare una struttura di re-' f !azioni che abbia grande generalità, invariante in un'ampia varietà di . situazioni sperimentalmente differenti, ma suscettibile di specializza-: zione mediante l'aggiunta ai suoi postulati fondamentali di ipotesi piu '. restrittive, in modo che se ne ricavi sistematicamente una serie di ' strutture subordinate differenziate. Due esempi, anche se non del tutto tipici delle teorie scientifiche, illustreranno questo punto, rendendo piu chiara l'architettura di almeno alcune teorie. Il primo è preso dalla geometria analitica. I vi si dimostra che la biquadratica ax2 + 2bxy + cy2 + 2dx + 2ey + f = O è l'equazione di una sezione conica, dove x ed y sono le coordinate (ovvero le distanze minime da due rette fisse, perpendicolari tra loro, prese come sistema di riferimento) di ogni punto della conica, e i coefficienti (o "costanti arbitrarie") hanno valori fissi senza essere ulteriormente 8 Cfr. W. F. G. SwANN, The Significance of Scientific Theories, "Philosophy of Science", vol. 7 (1940), pp. 273-87, e The Relation of Theory to Experiment in Physics, "Reviews of Modern Physics", vol. 13 (1941), pp. 190-196; anche L. SrLBERSTEIN, The Theory of Relativity, London, 1924, pp. 296 e segg.
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specificati (eccetto che dalla condizione che non siano tutti uguali a zero). Da questa equazione si possono dedurre tutte le proprietà comuni a tutte le coniche - per esempio, che una retta incontra la conica al massimo in due punti, o che due coniche hanno al massimo quattro punti in comune. La struttura comune a tutte le coniche può però venir differenziata in strutture piu specializzate con l'imporre condizioni aggiuntive ai coefficienti dell'equazione. Cosi, nell'ipotesi che a, b e c non siano tutti uguali a zero, e con la stipulazione che b2 - ac < O, l'equazione formula le proprietà strutturali dell'ellisse, e, se b = O e a = c, del cerchio come caso speciale dell'ellisse. Con la condizione che b2 - ac = O, l'equazione rappresenta una parabola. Con la condizione che b2 - ac > O, l'equazione rappresenta un'iperbole. Infine, se (b 2 - ac) l + (ae 2 + cJ2- 2bde) = O, l'equazione rappresenta la "conica degenere", consistente in una coppia di rette. Specializzando dunque le costanti arbitrarie, si ottengono strutture particolari diverse, delle quali si possono indagare le caratteristiche distintive. Il secondo esempio è preso dalla teoria newtoniana della meccanica. Secondo tale teoria, una variazione del momento di un corpo (riferito ad un adeguato sistema spaziale di riferimento) è uguale alla forza che agisce sul corpo. Ciò può venir scritto nella forma ma = F, dove 'm' è la massa del corpo, 'a' la sua accelerazione in un dato istante, ed 'F' è la forza. Un buon numero di conseguenze molto generali sui moti dei corpi può venir derivato formalmente da questo postulato fondamentale, anche se non è specificata la natura della forza che può agire sul corpo. Tuttavia, dall'equazione non si può inferire nulla sull'effettivo moto di un corpo, a meno che non si introducano, tra l'altro, ulteriori ipotesi sulla forza che si suppone agire - ipotesi che in certi casi includono in ogni modo una regola di corrispondenza tra la nozione teorica di forza e certe idee sperimentali. I postulati fondamentali della teoria di Newton pongono pochissime restrizioni formali al genere di funzioni matematiche che si possono usare per esprimere il carattere delle forze. In pratica però le funzioni sono di un genere relativamente semplice. Per esempio, nello studio dei moti vibratori, la forma gene· rale della funzione-forza è: F = Ar + Br + C? + Dv +El (t), dove 'r' è la distanza del corpo da qualche punto specificato, 'v' è la velocità del corpo lungo la retta in tal modo determinata, 'l (t)' è una funzione del tempo t, e 'A', 'B', 'C', 'D' ed 'E' sono costanti arbitrarie per cui si assegnano valori numerici diversi a seconda del problema considerato. Cosf, se A è negativo e le altre costanti sono uguali a zero, il corpo è soggetto a un moto armonico semplice senza resistenze di attrito; se A e D sono entrambi negativi e le altre costanti sono uguali a zero, il corpo è sottoposto a moto armo.nico smorzato; se A e D sono entrambi negativi, E non è uguale a zero, B e C sono entrambi uguali a zero, e l (t) è una funzione periodica del tempo, il corpo è sottoposto a vibrazione forzata; e cosf via. In generale, dando ad F in vari modi
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Leggi sperimentali e teorie
valori particolari, si possono dedurre leggi sperimentali diverse dalle equazioni fondamentali della meccanica newtoniana. Benché questi esempi non siano rappresentativi di tutte le teorie - in quanto non tutte le teorie contengono parametri che siano specializzati nel modo ora indicato - essi illustrano un aspetto importante della differenza tra teorie e leggi sperimentali, nonché una tecnica per mezzo della quale le teorie raggiungono una estesa generalità. Infatti, a differenza dei termini che compaiono nelle leggi sperimentali, le nozioni teoriche impiegate nelle ipotesi fondamentali di una teoria possono o non essere associate ad alcuna idea sperimentale, oppure essere associate ad idee sperimentali che variano da un contesto all'altro. La possibilità di estendere una teoria a nuovi argomenti dipende in misura considerevole da questo tratto caratteristico delle teorie. Gli esempi portati contribuiscono anche a dar forza alla tesi che una teoria rimane ' inutile dal punto di vista dell'indagine scientifica finché non sia legata da qualche regola di corrispondenza a proprietà sperimentalmente identificabili di un particolare argomento.
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Capitolo sesto
Lo status conoscitivo delle teorie
Nel capitolo precedente si è constatato che non esiste una netta distinzione tra leggi sperimentali e teorie, né si dispone di un criterio formulato con esattezza che identifichi quali enunciati vadano posti in tali categorie. È stato tuttavia dimostrato che con l'aiuto di quel genere di assunzioni .designate come teorie si costruiscono sistemi di spiegazioni indubbiamente piu comprensivi di quelli ottenuti mediante l'uso di un altro genere di assunzioni, chiamate leggi sperimentali; da questa ragione si è stati spinti alla conclusione che le teorie meritino un'attenzione speciale. Si sono quindi discusse con una certa diffusione due caratteristiche delle teorie. Abbiamo osservato, in primo luogo, che le nozioni teoriche sono definite in generale solo implicitamente dalle premesse fondamentali di una teoria, siano esse formulate come postulati astratti o facendo riferimento a qualche modello. In secondo luogo, abbiamo di conseguenza sottolineato la necessità. di avere regole di corrispondenza che colleghino le idee teoriche ai concetti sperimentali. D'altra parte si è voluto in modo particolare chiarire che le tre componenti menzionate come abitualmente presenti in una teoria (e cioè un insieme astratto di postulati che definiscono implicitamente i termini fondamentali della teoria, un modello, o interpretazione, dei postulati, e talune regole di corrispondenza per i termini dei postulati o dei teoremi da essi derivati) non vanno intese come unità separate, introdotte in varie fasi successive nel corso dell'effettiva costruzione delle teorie, ma come semplici caratteristiche isolabili a puro scopo di analisi. Spesso infatti risulta piuttosto difficile enunciare in modo completo ed esatto i postulati astratti, liberi da ogni interpretazione, che si trovano incorporati in una teoria, o formulare in dettaglio le regole di corrispondenza tacitamente usate. La maggior parte delle teorie, in ogni modo, sono generate entro la matrice di qualche modello e sono codificate riferendosi ad un'interpretazione delle loro premesse fondamentali, con la menzione solo casuale, nella migliore delle ipotesi, di qualche regola di corrispondenza.
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Lo status conoscitivo delle teorie
Il quadro presentato sin qui riguardo alle teorie è tuttavia incompleto almeno sotto due aspetti importanti. Si è detto a sufficienza, forse, per chiarire che cosa si debba intendere per modello (o interpretazione) di una teoria; si è però fatto appena un cenno al fondamento razionale necessario perché vi siano modelli, o all'ufficio svolto dai modelli nella costruzione di teorie e nell'ampliamento del loro campo di applicazione. Inoltre, si è insistito sul punto che le regole di corrispondenza non associano, in generale, ogni concetto teorico, impiegato in una spiegazione teorica, ad una nozione sperimentale. Tuttavia, non si è detto niente sull'importanza di questa circostanza per la dibattuta questione dello status conoscitivo delle teorie, ed in particolare per il punto di vista comunemente accettato, secondo cui le teorie, per il fatto di comparire abitualmente come premesse nelle spiegazioni, rappresentano assunzioni della cui verità o falsità è opportuno indagare; il presente capitolo è dedicato alla disamina di questi due gruppi di questioni.
I. Il compito dell'analogia La pretesa che una spiegazione scientifica genuinamente soddisfacente debba "ridurre" ciò che non risulta familiare a quanto già lo risulta è stata giudicata ne: capitolo III come dubbia, se intesa superficialmente; si è riconosciuto però che tale pretesa, se propria~ente interpretata, non è priva di merito, bensi asserisce qualcosa di generalmente legittimo. Si mggeri allora in modo sommario che le spiegazioni possono esser considerate come tentativi di comprendere il non familiare in termini del familiare, e!'tro i limiti in cui lo sviluppo e la costruzione di sistemi di spieg::l'T.ioni sono governati - come spesso accade effettivamente - dal desiderio di trovare e di sfruttare delle analogie strutturali tra l'argomento in esame e materie già note. Dobbiamo ora sviluppare il suggerimento, esaminando alcuni tipi di analogie che possono influenzare tanto la costruzione quanto le successive applicazioni delle teorie. Il discorso comune è pieno di espressioni che inizialmente erano adoperate in un senso metaforico piu o meno consapevole, benché molte di esse abbiano pressoché perso il significato originario e siano usate correntemente senza alcun richiamo a metafore. Ci viene in mente raramente, oggi, quando usiamo, per esempio, l'espressione "to foot the bill",' che essa un tempo esprimeva una somiglianza percepita tra la somma di una colonna di numeri e le estremità inferiori del corpo umano. L'estensione dell'uso di metafore, morte o vive che siano, testimonia della diffusione di una facoltà umana di trovar somiglianze tra espe1 Frase idiomatica, soìitamente usata nel senso di "pagare il conto," contenente le Parole "foot," piede, e "bill," conto. [N.d.T.]
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rienze nuove e fatti familiari, in modo che quanto è nuovo viene di conseguenza dominato col farlo rientrare in distinzioni già stabilite. In ogni caso, gli uomini tendono a impiegare sistemi familiari di relazioni come modelli in termini dei quali vengono intellettualmente assimilati campi di esperienza inizialmente insoliti. In molti casi pratici, questo procedimento non è sempre consapevolmente deliberato. Le somiglianze tra il vecchio e il nuovo sono spesso apprese solo vagamente, senza venir articolate con esattezza. Inoltre, si dedica pochissima, o nessuna, attenzione ai limiti entro i quali sono valide le rassomiglianze percepite. Di conseguenza allorché si estendono delle nozioni familiari ad argomenti nuovi, in base a somiglianze non analizzate, si possono facilmente commettere dei gravi errori. Le spiegazioni animistiche degli eventi fisici sono esempi ben noti di simili estensioni ingiustificate di concezioni da un dominio in cui il loro uso è legittimo ad altri in cui non lo è. Anche nelle scienze naturali moderne termini come 'forza', 'legge' e 'causa' sono talvolta usati ancora in tono decisamente antropomorfico, che è un'eco della loro origine. Tuttavia, la percezione di somiglianze, anche vaghe, tra il nuovo e il vecchio è spesso il punto di partenza per importanti progressi della conoscenza. Quando la riflessione diventa criticamente autoconsapevole, tali percezioni possono venir sviluppate in analogie formulate con precisione ed in ipotesi che servono da strumenti fecondi in una ricerca sistematica. In ogni modo, la storia della scienza teorica offre una quantità di esempi dell'influenza delle analogie sulla formazione di idee teoriche; e numerosi ed eminenti scienziati si sono espressi esplicitamente sull'importanza del compito svolto dai modelli nella costruzione di nuove teorie. Per esempio, Huygens sviluppò la sua teoria ondulatoria della luce con l'aiuto di suggerimenti presi a prestito dalla concezione già familiare del suono come fenomeno ondulatorio; le scoperte sperimentali di Black sul calore furono suggerite dalla sua concezione del calore come fluido, e la teoria di Fourier sulla conduzione del calore fu costruita in analogia alle note leggi del fluire dei liquidi; la teoria cinetica dei gas fu modellata sul comportamento di un immenso numero di particelle elastiche, i cui moti seguono le note leggi della meccanica; il concetto di funzione potenziale, prima sviluppato nella meccanica dei puntimassa, fu esteso per analogia alle teorie dell'idrodinamica, della termodinamica, e dell'elettromagnetismo; e le teorie del XIX secolo dell'elettricità e del magnetismo furono costruite in analogia alla meccanica degli sforzi e delle tensioni in un solido elastico. In ciascuno di questi esempi, come in molti altri che si potrebbero addurre, il modello è servito tanto come guida per erigere le assunzioni fondamentali di una teoria, quanto come fonte di suggerimenti per estendere il suo campo di applicazione. Forse nessun fisico di primo piano fu convinto quanto Maxwell del posto che occupano le analogie nello svolgimento della ricerca in fisica
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t~orie
e nelle formulazioni delle teorie. Nelle osservazioni con cui inizia il suo scritto nel quale per la prima volta egli propose una formulazione matematica delle idee di Faraday sulle linee di forza, Maxwell dava un resoconto istruttivo del modo in cui si possono sfruttare le analogie nelle scienze. Egli descrisse ".!:!.l1_g__l1l1l1lo_giLfuka~', come "quella somiglianza., parziale tra le leggi di una scienza e quelle di un'altra la quale fa si , che ognuna illustri l'altra". Per esempio, osservava che il cambiamento · della direzione della luce quando essa passa da un mezzo all'altro è· identico all'alterazione di direzione di una particella che passi attraverso una stretta apertura in cui agiscano forze di elevata intensità. Benché tale analogia valga soltanto per la direzione, e non per la velocità del moto, tuttavia egli la considerò utile "come metodo artificiale" per la soluzione di una certa classe di problemi! Maxwell citava anche l'analogia tra la teoria della gravitazione e quella della conduzione del calor,e, analogia su cui per primo richiamò l'attenzione William Thomson (divenuto poi Lord Kelvin). Maxwell spiegava che: le leggi sulla conduzione del calore dei mezzi uniformi a prima vista appaiono tra le piu diverse, quanto a relazioni fisiche, dalle leggi sulle attrazioni. Le grandezze che compaiono in tali leggi sono: temperatura, flusso di calore, conduttività. La parola forza è estranea all'argomento. Eppure troviamo che le leggi matematiche del moto uniforme del calore in mezzi omogenei sono identiche formalmente a quelle delle attrazioni che variano in ragione inversa al quadrato della distanza. Dobbiamo soltanto sostituire ovunque fonte di calore a centro di attrazione, flusso di calore a effetto accelerante dell'attrazione e temperatura a potenziale, e la soluzione di un problema di attrazioni viene trasformata in quella di un problema di calore.
Egli osserva perciò che: si suppone che la conduzione del calore proceda attraverso un'azione tra parti contigue di un mezzo, e che la forza di attrazione sia una relazione tra i corpi distanti; eppure, se non sapessimo null'altro che quanto è espresso nelle formule matematiche, non avremmo a disposizione nulla per distinguere tra un gruppo di fenomeni e l'altro.
Le due materie di studio assumono di fatto aspetti piuttosto diversi se si introducono ulteriori fatti. Maxwell tuttavia era convinto che la rassomiglianza, nella forma matematica, di alcune leggi riguardanti queste due materie ben distinte fosse utile "per eccitare idee matematiche adatte al caso" .3 Egli proseguiva affermando che appunto mediante l'uso di analogie di questo genere egli aveva sviluppato la rappresentazione matematica dei fenomeni dell'elettricità, adoperando come 2 ]AMES CLERK MAXWELL, On Faraday's Lines o/ Force, in "The Scientific Papers of James Clerk Maxwell," vol. l, p. 156. 3 Ibid., p. 157.
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modello a tal fine l'analisi matematica dei moti dei fluidi incomprimibili. Gli esempi precedenti e le parole di Maxwell suggeriscono una classificazione delle analogie entro due ampi tipi, che si possono chiamare rispettivamente delle analogie 11 SOSt§l.l}Ziali 11 e delle a_nalogie_ "for!?,!~_u''. Nelle analogie del primo tipo, un sistema di elementi che possiedano certe proprietà già note, di cui si suppone siano relazionate in modo conosciuto come viene enunciato da un gruppo di leggi del sistema, vien preso a modello per la costruzione della teoria di un secondo sistema. Quest'ultimo può differire da quello iniziale soltanto per il fatto di contenere un insieme piu vasto di elementi, aventi tutti proprietà simili a quelle del modello; oppure in modo piu radicale, in quanto gli elementi che lo costituiscono hanno proprietà che non si ritrovano nel modello (o comunque non menzionate nelle leggi enunciate per il modello). Le varie teorie atomistiche della materia illustrano l'utilizzazione di questo tipo di analogia. Le ipotesi fondamentali della teoria cinetica dei gas, per esempio, sono costruite sul modello delle leggi conosciute per i moti di sfere elastiche macroscopiche, come le palle da biliardo. In modo simile, parte della teoria elettronica è costruita in analogia alle leggi già stabilite per il comportamento di corpi elettricamente carichi. In questo tipo di analogia, il sistema che funge da modello è spesso un insieme di oggetti macroscopici visualizzabile. In effetti, quando i fisici parlano di modello di una teoria, quasi sempre hanno in mente un sistema di cose che sono diverse soprattutto nella dimensione da quelle che sono realizzabili, almeno approssimativamente, nell'esperienza comune, cosi che un modello in un tal senso è rappresentabile solo mediante un disegno o con l'immaginazione. Nel secondo tipo di analogia, cioè nelle analogie formali, il sistema che serve da modello per la costruzione di una teoria è costituito da qualche struttura familiare di relazioni astratte, piuttosto che - come accade nelle analogie sostanziali - da un insieme piu o meno visualizzabile di elementi che siano tra loro in relazione già nota. La matematica impiega spesso tali modelli formali per sviluppare qualche sua nuova branca. Un semplice esempio è offerto dal mcdo in cui sono enunciate in algebra le regole per eseguire operazioni con esponenti frazionari e negativi, regole specificate in modo che le leggi per operare con tali esponenti siano formalmente le stesse che per esponenti interi a3+ 2, e (a 3)2 azx 3; si ha pure che: positivi. Cosi dato che: a3 • ti a-5 • tJlf3 a-5+2/3 e (a-5)2/3 a2f3 x (-5); e, in generale, am • an am+n, e (am)n = anxm, a prescindere dal fatto che m e n siano positivi, negativi, interi o frazionari. In effetti si ottengono altrettanto bene leggi formalmente identiche per esponenti irrazionali e complessi. L'esempio citato è forse banale, tuttavia illustra un modo di procedere importante che è stato ampiamente usato nel creare nuove regioni di
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=
Lo status conoscitivo delle
teori~
studi matematici - nella costruzione di geometrie a n dimensioni, di molti rami dell'algebra superiore, di parti della moderna teoria delle funzioni, ecc. I modelli formali assolvono un compito non meno importante nella fisica matematica. L'esempio di Maxwell sull'identità di struttura tra la matematica della teoria gravitazionale e le equazioni della conduzione del calore è uno di questi casi. Esempi piu recenti sono offerti dall'articolazione della teoria della relatività e della meccanica quantistica, in entrambe le quali sono stati introdotti modelli di relazioni in stretta analogia ad importanti equazioni della meccanica classica. Secondo la meccanica newtoniana, per esempio, il momento lineare di un sistema isolato è costante, essendo il momento, per definizione, la somma dei prodotti massa per velocità relativi a ciascun corpo del sistema, ed avendo supposto che la massa di un corpo sia indipendente dalla sua velocità. Ma esperimenti eseguiti al principio del XX secolo mostrarono che la massa di una particella che si muove a gran velocità varia con la velocità stessa, cosf che il principio della conservazione del momento non appare piu valido per particelle in queste condizioni, e la nozione di "massa" è stata opportunamente ridefinita nella teoria della relatività. Di conseguenza, si può asserire un principio che formalmente è uguale a quello classico anche per corpi ad alte velocità. Piu in particolare, la nozione di "massa relativistica" è stata introdotta in modo tale che la massa relativistica di un corpo sia funzione della velocità del corpo, della sua "massa a riposo" (cioè della sua massa a velocità zero), e della velocità della luce.' Tuttavia la massa relativistica di un corpo, benché non sia indipendente dalla sua velocità, è uguale, come la massa newtoniana, al rapporto tra la forza che agisce sul corpo e la sua accelerazione. Inoltre il principio di conservazione, quando sia riformulato in termini della massa relativistica, è in accordo con i risultati sperimentali. In breve, sotto la guida di un'analogia formale si sono introdotti nella teoria della relatività una nuova nozione di massa e, in corrispondenza, un nuovo principio di conservazione del momento. L'esempio mostra come il formalismo matematico di una teoria possa servire da modello per la costruzione di un'altra teoria, dotata di un campo di applicazione maggiore di quello della teoria originaria. Di conseguenza, la vecchia teoria risulta un caso particolare della nuova, mentre la nuova mostra caratteristiche che sono "continue" (in quanto formalmente identiche) rispetto a determinate ipotesi fondamentali della vecchia teoria. 5 Fino a qui, si è diretta l'attenzione esclusivamente sul ruolo dd
=
4 La massa relativistica m di un corpo è data dalla formula m m0/yl- y v'le' dove m0 è la massa a riposo, v la velocità del corpo, e c la velocità della luce. 5 L'equazione di Schrodinger della meccanica quantistica è un altro importante esem· pio di uso di analogia formale. Secondo l'hami!toniana delle equazioni del moto nella
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modelli nell'articolazione di una nuova teoria. Sarebbe erroneo conclu· dere, tuttavia, che una volta formulata la nuova teoria il modello abbia svolto la sua parte e non abbia piu nessuna funzione nel corso dell'applicazione della teoria. In primo luogo, il compito dello scienziato teorico non si esaurisce nella semplice formulazione delle ipotesi principali di una teoria. T ali ipotesi vanno indagate per quel che riguarda le conseguenze che esse possono avere nella spiegazione sistematica di varie leggi sperimentali, i suggerimenti relativi a nuove direzioni da seguirsi in nuovi campi di ricerca sperimentale e l'indicazione di modificazioni nella formulazione di leggi sperimentali per allargarne il campo dell'applicazione valida. Fintantoché la conoscenza sperimentale è incompleta e una teoria continua ad esser feconda come guida della meccanica classica, l'energia totale W di un sistema è uguale alla somma dell'energia ci· netica T e dell'energia potenziale V, cos{ che H(p, q)
= T(p) + V(q) = W
dove p è il momento e q è la posizione della particella. Per una particella singola, ne deriva H(p, q)
= p'/2m + V(q) = W.
L'equazione di Schrodinger si ottiene sostituendo il momento p con l'operatore differen. le h w con 21ti h . ·'+'1• ( q, t ) a cui• vanno apzia e mtroducen do la f unzwne 27ti aq e plicati questi operatori. Si ottiene allora:
a
H (( 2~;
a . at
)(-:q-) q] 4J (q,
t)=- [ (
8 ;,~ )(a~~')]+ V4J = -( 2!; )( ~:)
1\ interessante, per quanto si sta esaminando qui, il seguente commento a questa equazione: "Si deve riconoscere che questa correlazione tra l'equazione delle onde e l'equazione classica dell'energia ... ha significato soltanto formale. Essa costituisce un mezzo conveniente per la descrizione del sistema di cui stiamo stabilendo un'equazione delle onde, facendo uso della terminologia sviluppata in un esteso periodo di tempo da parte dei cultori della dinamica classica, In tal modo la nostra riserva di conoscenze dirette sulla natura del sistema noto come atomo di idrogeno consiste nei risultati di un grande numero di esperimenti - spettroscopici, clùmici, ecc. Si è trovato che tutti i fatti noti di questo sistema possono venir correlati e sistematizzati (e, noi diciamo, spiegati) con l'associare al sistema stesso una data equazione delle onde. La nostra fiducia nel fatto che tale associazione abbia significato aumenta quando previsioni relative a proprietà non ancora studiate dell'atomo di idrogeno vengono successivamente verificate con la sperimentazione. Potremmo quindi descrivere l'atomo di idrogeno dandone l'equazione d'on· da; sarebbe una descrizione completa. Essa risulta tuttavia insoddisfacente, perché è poco maneggevole. Osservando che esiste una relazione formale tra l'equazione d'onda e quella classica dell'energia di un sistema di due particelle di masse e cariche elettriche diverse, ce ne serviamo in quanto ci offre un mezzo semplice, facile e familiare, per descrivere il sistema, e diciamo che l'atomo di idrogeno consiste di due particelle, l'elettrone e il protone, che si attraggono reciprocamente secondo la legge di Coulomb. In realtà noi non sappiamo se l'elettrone e il protone si attraggono nello stesso modo di due corpi macroscopici carichi elettricamente, in quanto non è mai stata direttamente misurata la forza tra le due particelle nell'atomo di idrogeno. Tutto quanto sappiamo è che l'equazione d'onda dell'atomo di idrogeno presenta una certa relazione formale con le equazioni della dinamica classica per un sistema di due particelle che si attraggano in questo modo". LINus C. PAULING e E. BRIGHT WILSON, Introduction to Quantum Mechanics, New York, 1935, pp. 55-56, citate per cortese concessione dell'editore, McGraw-Hill Book Company, Inc.
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ricerca futura, questi son tutti compiti non ancora pienamente svolti, ed in tutti questi compiti i modelli seguitano a svolgere un ruolo importante. Nello sviluppo storico della teoria cinetica dei gas, per esempio, il modello della teoria fece nascere dei problemi relativi ai rapporti tra i diametri delle molecole e le distanze tra molecole, alle varie specie di forze che agiscono sulle molecole, alle proprietà elastiche delle molecole, alla distribuzione delle velocità delle molecole, ecc. Tali problemi non avrebbero forse mai potuto essere sollevati se la teoria fosse stata formulata come un insieme non interpretato di postulati. In ogni modo però questi problemi portarono alla deduzione dalla teoria di numerose conseguenze; alcune di esse dettero l'avvio alla riformulazione delle leggi sperimentali dei gas e al riconoscimento di nuove leggi. Il modello offerto dallo schema astratto di relazioni associato alla meccanica newtoniana svolse una funzione simile nello sviluppo delle teorie del XIX secolo sulla trasmissione della luce attraverso un ipotetico etere.6 Piu in generale, un modello può avere un valore euristico in quanto suggerisce direzioni di espansione alla teoria , che esso inquadra. Ma, in secondo luogo, i modelli di una teoria servono anche a suggerire in quali punti possano venir introdotte regole che stabiliscano delle corrispondenze tra nozioni teoriche e nozioni sperimentali. Se una teoria fosse enunciata come un insieme di postulati non interpretati, che non mostrassero neppure un'analogia formale con qualche sistema già noto di relazioni astratte, la formulazione non offrirebbe indicazioni sul modo in cui la teoria potrebbe venir applicata a problemi fisici concreti. L'esempio di un calcolo astratto dato nel capitolo precedente rende evidenti le difficoltà che quasi chiunque incontrerebbe nel trarre utile frutto da quel calcolo, se fosse del tutto privo di qualsiasi modello per i postulati. Ma benché, come si è già notato, un modello di per se stesso non stabilisca regole di corrispondenza per i termini di un calcolo, esso può spesso suggerire quali termini teorici si possano associare alle idee sperimentali. Per esempio, l'interpretazione normale dei postulati della teoria cinetica dei gas porta in modo del tutto naturale alla associazione dell'espressione teorica 'variazione del momento totale delle molecole che colpiscono una unità di superficie' con la nozione sperimentale di pressione; similmente, il modello suggerisce che la espressione teorica 'prodotto della massa di ogni molecola e del numero totale delle molecole' si possa far corrispondere alla nozione sperimentale di massa di un gas; e cosf via. Ancora, l'interpretazione della teoria ottica in termini di onde che si propagano in un mezzo invita all'associazione delle espressioni teoriche che si riferiscono all'ampiezza delle onde del modello con l'intensità di illuminazione; l'interpretazione 6 Cfr. MARY B. RESSE, Models in Physics, "British Journal for the Philosophy of Science", vol. 4 (1953 ), pp. 198-214.
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ondulatoria suggerisce anche il legame tra le espressioni teoriche che si riferiscono ali 'interferenza tra onde, e le righe nere (o assenza di illu· minazione) osservate in certi schemi di luci ed ombre ottenuti appositamente in via sperimentale. Infine, il modello dell'atomo di Bohr suggerisce che le espressioni, che nel formalismo matematico della teoria sono interpretate come rappresentanti i salti degli elettroni, vengano fatte corrispondere a righe spettrali determinabili sperimentalmente. Si potrebbe proseguire pressoché indefinitamente con l'elenco degli esempi di questa funzione dei modelli, ma i pochi casi citati bastano a mostrare come il modello continui, anche quando con il suo aiuto sia stata compiuta la formulazione della teoria, a prestare importanti servizi tanto per quel che riguarda l'estensione quanto l'applicazione della teoria. Si è finora sottolineato il valore euristico dei modelli per la costruzione e l'uso di teorie. Non va trascurato tuttavia il contributo dato dai modelli anche al conseguimento di sistemi di spiegazione di vasta portata. Una teoria che sia articolata alla luce di un modello familiare assomiglia sotto importanti aspetti alle leggi o alle teorie che, per ipotesi, valgono per il modello stesso; in conseguenza la nuova teoria non soltanto viene assimilata a ciò che già è familiare, ma può anche venir spesso considerata come estensione e generalizzazione di una teoria anteriore che in origine aveva un campo piu limitato. Da questo punto di vista un'analogia tra una teoria vecchia ed una nuova non rappresenta solo un aiuto per sfruttare quest'ultima, ma costituisce anche un'aspirazione tacitamente perseguita da molti scienziati nel corso della costruzione di sistemi esplicativi. In effetti, per alcuni scienziati I'esistenza di una simile analogia è diventata un requisito esplicito ed indispensabile perché una spiegazione teorica di leggi sperimentali sia soddisfacente.' Reciprocamente, anche se una nuova teoria organizza sistematicamente un gran numero di fatti sperimentali, talvolta la mancanza di una marcata analogia tra la teoria e qualche modello familiare vien data come ragione per l'affermazione che la nuova teoria non offre una spiegazione "realmente soddisfacente" di quei fatti. La straordinaria passione di Lord Kelvin per i modelli meccanici è un ben noto esempio di un atteggiamento di questo genere; egli infatti non si trovò mai completamente a sao agio con la teoria elettromagnetica della luce di Maxwell perché li~n era in grado di indicarne un modello meccanico soddisfacente. Piu recentemente, un noto fisico ha sostenuto che una teoria, di cui non si possano fornire modelli visualizzabili, vale quanto una per cui siano disponibili tali modelli, purché entrambe ci permettano ugualmente bene di fronteg!fiare problemi sperimentali; egli ha inoltre messo in luce come da quest'ultimo punto 7 Cfr. NoRMAN R. CAMPBELL, Physics, the Elements, Cambridge, England, 1920, pp. 129·30.
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di vista il formalismo matematico della corrente teoria quantistica, per il quale non si conosce alcun modello soddisfacente di questo tipo, è insolitamente produttivo. Tuttavia egli prendeva pure atto dello sgradevole senso di vuoto condiviso da molti fisici di fronte al fatto che la teoria quantistica non offre "spiegazione" dei fatti sperimentali sensazione che egli attribuisce alle circostanze che non possiamo costruire per questa teoria alcun modello fisico in cui "il gioco reciproco degli elementi ci [sia] già cosi familiare da poterlo accettare senza che ciò esiga una spiegazione". 8 È un fatto storico che esiste una moda fra scienziati per quel che riguarda i vari tipi di modelli, siano di genere sostanziale o puramente formale. Teorie basate su modelli non familiari incontrano spesso forti resistenze finché la novità delle idee ha perso la sua stranezza, cosf che una nuova generazione accetterà spesso come cosa normale un tipo di modello che risultava insoddisfacente per la generazione precedente perché non le era familiare. Ciò che resta indubbio è comunque il fatto che modelli di qualsiasi tipo, sia esso sostanziale o formale, hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo di capitale importanza nello sviluppo delle teorie scientifiche. La formulazione di una teoria in termini di un qualche modello non va tuttavia esente da pericoli; un modello, infatti, può rappresentare tanto una trappola potenziale quanto uno strumento intellettuale di gran valore. I pericoli principali sono di due tipi: qualche aspetto non essenziale del modello (specialmente se è di tipo sostanziale) può erroneamente venir preso come indispensabile per la teoria inquadrata nel modello stesso; oppure si può confondere il modello con la teoria. Di conseguenza, può darsi che si diriga lo sfruttamento della teoria in direzioni infeconde, e che si perseguano pseudo-problemi, i quali distraggano l'attenzione dal significato operativo della teoria. Cosi, la teoria dell'emissione della luce fu costruita sull'immagine dei proiettili moventisi lungo una retta uniformemente omogenea; e vi sono ragioni per ritenere che questa immagine abbia ritardato la scoperta della natura periodica della luce. Viceversa, la teoria ondulatoria della luce all'inizio era basata sul modello delle onde sonore; e la concezione che la luce sia, come il suono, un moto ondoso longitudinale impedf, a quanto sembra, per almeno un secolo, altre estensioni della teoria ondulatoria della luce, finché non si fece l'assunzione, adottando un altro modello, che le onde luminose fossero trasversali. Ancora: la sensazione di fatica nello sforzo muscolare fu all'origine della nozione di forza; e questo modello divenne la fonte di interpretazioni errate cosf numerose che è stato necessario un lungo lavoro per liberare quella nozione dalle sue associazioni antropomorfiche. Analogamente, alcune difficoltà che si incontrano nella comprensione dell'attuale teoria quantistica dipendono dal fatto che nell'enunciare la teoria viene usato un 1
P. W.
BRIDGMAN,
The Nature of Physical Theory, Princeton, 1936, p. 63.
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modello particolare. Le particelle considerate dal modello sono particelle "classiche", aventi cioè ciascuna una data posizione e velocità in ogni dato istante. Ma, secondo la teoria stessa, non si possono assegnare contemporaneamente "posizione" e "velocità" ad una delle "particelle" subatomiche postulate dalla teoria. Queste "particelle" teoriche, perciò, non sono particelle classiche, cosicché il modello, a questo punto, non è più di aiuto, anzi, costituisce frequentemente una fonte di interpretazioni errate sulla portata della teoria quantistica. Si deve tuttavia riconoscere che non vi è modo per decidere in anticipo se un dato modello risulterà di ostacolo ad un fecondo sviluppo della teoria, dato che, solitamente, è soltanto dopo averlo messo alla prova che si può dire quali dei suoi aspetti suggeriscano ricerche che portino in vicoli ciechi e quali invece siano di valore euristico. L'unico punto che si può affermare con sicurezza è che il modello di una teoria non è la teoria stessa; l'adeguatezza quindi di una teoria quale strumento di spiegazione sistematica e di previsione non può ~ essere accertata se non con un'ulteriore indagine che stabilisca la realtà • fisica di ogni aspetto del modello sostanziale in termini del quale la _Jeoria stessa può venir interpretata. Ciò è evidente quando per la stessa teoria si conoscono piu modelli, ma è ugualmente vero quando ve ne sia uno solo.• Per esempio, l'interpretazione della teoria elettromagnetica, proposta durante il XIX secolo in termini di sforzi meccanici e di vortici entro un etere luminifero, in genere non veniva considerata, 1
• Henry Poincaré diede una famosa dimostrazione del fatto che, se per un fenomeno si può dare una spiegazione meccanica, se ne possono costruire infinite altre. La dimostrazione consiste nell'osservazione che il numero di equazioni che mettono in relazione le coordinate della posizione e del momento delle masse nel modello ipotetico con i parametri sperimentalmente determinabili del fenomeno è maggiore del numero di tali parametri. Ne consegue che le coordinate del modello possono esser scelte a piacere, con il solo requisito che soddisfino una legge per esse assunta e che non sia in contraddizione con le equazioni. Il ragionamento, nei suoi particolari, è il seguente: Siano ql> q 2 , ... , q. i parametri determinabili sperimentalmente e che descrivono il fenomeno considerato. Questi parametri sono posti in relazione tra loro e con il tempo t da leggi che possiamo supporre espresse da equazioni differenziali. Si supponga ora che vi sia un modello il quale consista di un numero molto grande p di molecole, le cui masse sono m, e le coordinate di posizione sono x 1, y 1, z1 (i l, 2, ... , p). Supponiamo pure che valga per il modello il principio di conservazione dell'energia, e quindi ci sia una funzione potenziale V delle 3p coordinate x 1, y 1, z1; le 3p equazioni del moto delle molecole sara;L.o allora
=
d'x,
m,--;[t> = con equazioni analoghe per
y
e per T
z;
av 1ft
e l'energia cinetica del sistema sarà
= ! ~ m,(;ir;' + y + .f) 2
in modo che T
+ V = costante.
Il fenomeno avrà allora una spiegazione meccanica, se si può determinare la funzione po-
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neppure dai fisici di allora, paragonabile all'effettivo contenuto della teoria. Anzi, nonostante il suo innegabile successo nello spiegare un gran numero di leggi sperimentali diverse e nel prevedere con esattezza una vasta classe di fenomeni, secondo il giudizio dei fisici piu noti essa non arrivava a stabilire la "realtà fisica" dell'etere. Quest'ultimo esempio mette in luce chiaramente che le prove di una teoria, anche se abbondantissime, possono tuttavia non venir ritenute sufficienti per asserire l'esistenza fisica dei vari elementi del modello sostanziale in termini del quale essa è formulata. L'esempio però invita anche a considerare se si possa a buon diritto ritenere che le teorie asseriscano addirittura alcunché, e, in caso affermativo, che cosa asseriscano, e se sia opportuno caratterizzare le teorie come enunciati veri o falsi. È questo il problema di cui ora ci occuperemo.
Il. La concezione descrittiva delle teorie Lo status conoscitivo degli enunciati universali in generale, e delle teorie scientifiche in particolare, è stato a lungo dibattuto senza che si raggiungesse alcuna conclusione. Gli argomenti sollevati nel corso di questa controversia sono complessi e comprendono non soltanto problemi altamente tecnici nei campi della logica e della scienza, ma anche profonde considerazioni filosofiche sulla natura del significato e della tenziale V e se si possono esprimere le 3p coordinate x, y, z come funzioni dei parametri q. Ma se supponiamo che esistano tali funzioni, cosl che x, y,
z,
= cl>, (q., ... 'q.) = l)i,(q., ... ,q.) = e, (q., ... , q.J
la funzione potenziale V può venire espressa come funzione delle sole q., l'energia cinetica T sarà una funzione quadratica omogenea delle q, e delle loro derivate prime q1, e le leggi del moto delle molecole si possono esprimere con le equazioni di Lagrange:
d ( -a aT. ) -a--:-+ aT -a av
d t
q.
qk
qk
= o(k = l, 2, ... '
n).
Quindi, la condizione necessaria e sufficiente per una spiegazione meccanica del fenomeno è che esistano due funzioni V (q., ... , q.) e T (q" ... , q., q., ... , q.) che soddisfino queste condizioni, con l'ovvia clausola che le leggi del fenomeno possano esser trasformate in modo da assumere la forma lagrangiana indicata. Tali funzioni possono venir specificate, se e solo se dove
ci> 1 -- q,.
(~) + qz. (~) . (~) aq, aqz + q. aq.
e,.
e similmente per 1)1, e Ma dato che si può prendere il numero p grande a piacere, questa condizione può sempre venir soddisfatta, ed anzi in un numero infinito di modi diversi (parafrasato da H. POINCARÉ, Electricité et Optique, Paris, 1890, pp. IX-XIV).
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conoscenza. Non cercheremo perciò di trattare qui in modo esauriente tale questione. Faremo convergere la discussione degli argomenti su tre posizioni principali che sono state assunte circa lo status conoscitivo delle teorie nella fisica - riguardo il problema se ed in quale senso le teorie possano venir considerate come enunciati veri o falsi. Secondo la prima e piu antica concezione, _l1na teoria è letteralme{lte vera gJa,lsa; e, benché una teoria possa, al piu, venir considerata soltanto "probabile", il domandare se una teoria è vera o falsa ha altrettanto significato che fare la stessa domanda riguardo a un enunciato su qualche singolo fatto, come l'enunciato 'Krakatoa fu distrutta da un'eruzione vulcanica nel 1883'. Da questa concezione si fa spesso discendere il corollario che, quando una teoria è ben sostenuta da prove empiriche, gli oggetti postulati dalla teoria (per esempio, gli atomi, nel caso della teoria atomica) devono venir considerati come in possesso di una realtà fisica almeno pari a quella comunemente attribuita ad oggetti familiari come bastoni e pietre. "f . Una seconda posizione (storicamente la piu recente) sullo status v \'1: '.; ~ conoscitivo delle teorie sostiene che le teorie sono in primo luogo strumenti logici per organizzare le nostre esperienze e per ordinare le leggi sperimentali. Anche se alcune teorie sono piu adatte di altre al raggiungimento di questi fini, kteod~_!}Ql}._SQ11.Q_enunciati, ed appartengono ad una categoria di espressioni linguistiche diversa da quella degli enunciati. Infatti le teorie fungo11o _piuttosto da regole,_ 9 .. pripçipi_, in accordo con le quali si analizzano materiali empirici o si deducono conseguenze, anziché da premesse dalle quali si traggano conclusioni fattuali; _non posson() quindi, con util~tà, venir caratterizzate com_e. _yere .9. f!tl§~, e neanche come probabilmente vere o probabilmente false. Coloro che adottano questa posizione, però, non sempre concordano nella risposta alla domanda se si debba o no assegnare una realtà fisica a entità teoriche del tipo degli atomi. 3) ~nfin~, la .t~rza p_osizione _sullo status conoscitivo delle teorie è un~ specie di postz1one mtermedia tra le altre due. Secondo questa posizione, .J!D~.- tem:ia è una Jol'mula.zi9n.e concisa, ma. ellittica, di relazioni _çlj_ ciip~_11genza j:ra _~Y.~l1tL e proprietà osservabili. Benché le asserzionf di una teoria non possano propriamente venir caratterizzate come vere o false quando se ne considera il valore corrente, si può tuttavia attribuire tale caratterizzazione ad una teoria se essa è traducibile in enunciati riguardanti materia di osservazione. I sostenitori di questa concezione affermano quindi che, nel senso in cui si può dire che una teoria (ad esempio quella atomica) è vera, i termini teorici come "atomo" sono solo una notazione abbreviativa per un complesso di eventi e caratteristiche osservabili, non significando quindi essi alcuna realtà inaccessibile all'osservazione. Questo terzo punto di vista, che considereremo per primo, è associato alla concezione, dotata di un suo peso storico, che le scienze non
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"spiegano" niente, ma semplicemente "descrivono" in modo "semplice", o "economico", la successione e la concomitanza di eventi. Già si è accennato a questa concezione, che tuttavia merita un'ulteriore attenzione. Essa fu sostenuta a fondo da molti scienziati del XIX secolo, in reazione allo sviluppo delle teorie atomistiche nella fisica e nella chimica, perché sembrava loro che tali teorie non solo non fossero necessarie per la sistemazione dei fatti sperimentali, ma anche per assegnare una priorità ingiustificata alla meccanica newtoniana. 10 Inoltre, l'idea della descrittività della scienza fu sposata da molti pensatori che rifiutavano le assunzioni del razionalismo classico e miravano ad emancipare la scienza da ogni dipendenza da impegni "metafisici" inverificabili. All'inizio, comunque, la tesi descrittiva veniva considerata tanto come una fine analisi della natura della scienza fisica, quanto come un'arma nella lotta contro le filosofie che venivano considerate una remora allo sviluppo della scienza. Come già si è notato, in buona parte la discussione sull'adeguatezza! della concezione descrittiva è stata di natura verbale, e dò a causa i dell'ambiguità del termine "descrizione". Questo termine è dotato di : vari significati, nessuno dei quali è privilegiato; alcuni critici di questa·· concezione, a quel che sembra, non hanno mai preso in seria considerazione l'osservazione di Humpty Dumpty ad Alice nel Paese delle Mera-::;1: viglie, osservazione secondo la quale una parola significa precisamente ciò che vogliono che significhi coloro i quali la usano. Ciononostante, alcuni dei significati di tale parola vengono confusi con facilità, e non sempre i sostenitori della tesi descrittiva li hanno tenuti distinti." Ciò 10 Questi furono gli argomenti che ebbero la parte principale nello sviluppo di ciò che fu chiamata la "scienza energetica". 11 Basterà illustrare due di tali significati, spesso non distinti. Si consideri la legge sperimentale che il periodo di un pendolo semplice avente piccolo arco di oscillazione è proporzionale alla radice quadrata della lunghezza del pendolo. Se un fisico dovesse verificare tale legge con un esperimento, la relazione dei risultati da lui ottenuti comprenderebbe probabilmente almeno le seguenti cose: una specificazione del cronometro adoperato e delle piu importanti caratteristiche del pendolo usato, nonché del modo in cui furono osservati i periodi del pendolo, piu una serie finita di numeri, rappresentati forse da punti su un diagramma, ciascuno dei quali rappresenta la misura effettiva di un periodo per una data lunghezza del pendolo. Per quanto tecnico ed altamente riassuntivo possa essere il linguaggio di questa relazione, essa non contiene che descrizioni nel senso normale della parola. Invece, la legge del pendolo semplice, sebbene la si possa chiamare una descrizione, lo è in un senso un poco differente. Infatti, la legge asserisce un'associazione universale tra periodo e lunghezza, non soltanto per i periodi e le lunghezze del pendolo all'esame, ma per qualsivoglia pendolo. Anche se non si costruissero mai pendoli di lunghezze rispettivamente di 30 e di 120 metri, la legge afferma che il periodo del primo pendolo sarebbe la metà del periodo del secondo. In piu, la legge viene asserita nell'ipotesi che il peso del filo che sostiene il pendaglio sia trascurabile, e che Io siano pure altre variabili, come la resistenza dell'aria o l'attrito tra il filo e il punto di sospensione. Queste assunzioni però non sono realizzabili negli esperimenti reali con pendoli, cosi che la legge implica una deliberata "idealizzazione", o schematizzazione, di quando accade effettivamente. Quindi, se si sostiene che la legge è una descrizione, si deve sostenere chel lo è in un senso diverso da quello in cui è una descrizione la relazione di un esperimento effettuato, perché la legge, a differenza della relazione, "descrive" qualcosa che può non accadere mai. .J
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che ci interessa ora, però, non riguarda questa questione, ma soltanto il punto di vista descrittivo in quanto inteso come tesi relativa alla traducibilità di enunciati teorici in enunciati su osservabili. Nella sua forma piu radicale la tesi descrittiva è semplicemente l'estensione coerente della teoria fenomenistica della conoscenza agli argomenti scientifici. Secondo questa teoria, gli oggetti di conoscenza indubitabili e psicologicamente primitivi sono le "impressioni" immediate, o "contenuti dei sensi" dell'esperienza introspettiva e sensoriale. Per evitare inoltre di postulare cose intrinsecamente inconoscibili (perché inaccessibili all'osservazione), tutte le espressioni che si riferiscono in modo evidente a tali cose ipotetiche (che includono gli oggetti fisici del senso comune) devono venir definite in termini di questi dati immediati. Di conseguenza, tutti gli enunciati empirici che contengano espressioni diverse da quelle che designano tali dati, o insiemi di dati, debbono, per principio, poter essere tradotti, senza perdita di significato verificabile, in enunciati sulla successione o sulla coesistenza di oggetti di esperienza immediata. Proprio come un enunciato relativo ad una nazione (per esempio, 'la Germania nel 1870 invase la Francia') può venir tradotto in un insieme di enunciati sul comportamento di singoli individui, cosi un enunciato relativo al Sole (per esempio: 'la temperatura della superficie del Sole è di 3000 oC') è traducibile, secondo questo aspetto della tesi fenomenistica, in una classe di enunciati riguardanti contenuti dei sensi." Una forma affine ma sotto qualche aspetto meno radicale del punto 12 Questa forma di fenomenismo ha le sue radici storiche negli scritti di Berkeley, Hume e ]. S. Mill. Al gruppo appartiene anche Ernst Mach, almeno secondo quanto egli afferma nei suoi scritti, e Karl Pearson, Bertrand Russell (in una fase del suo sviluppo), P. M. Bridgman e Herbert Dingle. Un enunciato abbastanza rappresentativo e sintetico delle vedute di Mach è il seguente: " Il mondo consiste di colori, suoni, temperature, pressioni, spazi, tempi e cosi via, che ora non chiameremo né sensazioni, né fenomeni, perché in ognuno di questi termini è già contenuta una teoria arbitraria e unilaterale, ma chiameremo semplicemente elementi. Il vero e proprio oggetto della ricerca fisica è di fissare il fluire di questi elementi, in modo mediato o in modo immediato". (ERNsT MAcH, Popular Scienti/ic Lectures, Chicago, 1898, p. 209. L'opera usci prima in inglese, 1895, e l'anno successivo in tedesco; trad. it. a cura di A. Bongioanni, 1900). La formulazione piu completa dell'epistemologia fenomenistica di Mach è contenuta nella sua Die Analyse der Empfindungen und das Verhiiltnis des Physischen zum Psychyschen, del 1886. Pearson fu molto meno sottile di Mach nel formulare tale punto di vista, e non esitò ad accettare una formulazione direttamente "soggettivistica", che Mach rifiutò esplicitamente. "Non vi è miglior esercizio per la mente che lo sforzo di ridurre la percezione che abbiamo delle 'cose esterne' alle semplici impressioni dei sensi per mezzo di cui noi le conosciamo... Oltre le impressioni dei sensi, oltre i terminali cerebrali dei nervi sensori, non possiamo andare. Di cosa vi sia al di là di ciò, delle 'cose-in-se-stesse' ... non possiamo conoscere che una caratteristica... la capacità di produrre impressioni sensorie. Non vi è necessarietà, anzi, vi è mancanza di logica, nell'asserzione che dietro le impressioni dei sensi vi siano 'le-cose-in-se-stesse' che producono le impressioni dei sensi" (KARL PEARSON, Grammar and Science, Everyman Ed., London, 1937, pp. 60-62). Per una formulazione piu recente ed una difesa del fenomenismo, cfr. A. J. AYER, Language, Truth and Logic, 2• ed., New York, 1950, cc. 7 e 8; trad. it. a cura di G. de Toni, Milano, 1961.
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di vista descrittivo si stacca dalla psicologia atomistica che accompagna cosi spesso il fenomenismo, come pure dall'assunzione che le qualità elementari sensoriali siano gli elementi ultimi in cui vada analizzato tutto il resto. Questa versione della teoria accetta la nozione del senso comune, secondo cui noi di norma osserviamo direttamente bastoni e pietre e animali, i moti dei corpi e le azioni degli uomini, e simili. Essa prende dunque come punto di partenza per le sue analisi la "esperienza ordinaria", pur riconoscendo che i giudizi basati su tale esperienza sono spesso erronei e devono venir corretti alla luce di ulteriori riflessioni. La tesi sostenuta dalla versione della dottrina di cui ci stiamo occupando è che tutti gli enunciati teorici sono in linea di principio traducibili, sempre senza perdere in contenuto significante, in enunciati del cosiddetto "linguaggio fìsicalistico delle cose" - cioè, in enunciati intorno agli eventi osservabili, alle cose, alla proprietà e alle relazioni del senso comune e dell'esperienza ordinaria. Quindi, anche in questa concezione della teoria, la rivendicazione che le teorie siano semplicemente descrizioni convenientemente riassuntive è ancora una volta una tesi che riguarda la traducibilità degli enunciati teorici, benché questa volta tale traducibilità sia pubblicamente verificabile nella direzione del linguaggio familiare che formula il materiale di • 13 espenenza. Entrambe le versioni del punto di vista descrittivo, come le abbiamo qui interpretate, presentano tuttavia seri problemi. l. La prima versione è insidiata dalle difficoltà insite nel fenomenismo: cioè dal fatto che, se esiste una tesi sulla traducibilità degli enunciati teorici in "linguaggio" dei dati di senso, non esiste in effetti un linguaggio autonomo di puri contenuti sensoriali, e neppure la prospettiva di costruirlo si presenta semplice. Come dato di fatto psicologico, i dati elementari dei sensi non sono le materie prime àell'espeu Quest'ultima versione della tesi descrittiva è suggerita in qualche punto da Mach. Cosi: "La comunicazione della conoscenza scientifica implica sempre una descri· zione, cioè una riproduzione mimetica dei fatti nel pensiero, il cui oggetto è di sostituire ed evitare la fatica di una nuova esperienza. In piu, una descrizione concisa e riassuntiva è utile per risparmiare lavoro nell'istruzione e nell'acquisizione. Le leggi naturali non sono altro che questo. Conoscendo il valore dell'accelerazione di gravità, e le leggi di Galileo sulla caduta dei gravi, possediamo delle direttive semplici e riassuntive per riprodurre nel pensiero tutti i possibili moti dei corpi che cadono. Una formula di questo genere è un completo sostituto di una intera tabella dei moti di caduta, perché per mezzo della formula i dati di una simile tabella possono venir facilmente costruiti secondo quanto si osserva sul momento, senza il minimo sovraccarico della memoria" (Popular Scienti/ic Lectures, cit., pp. 192-93). Ma un'enunciazione piu esplicita di questa concezione si può trovare tra gli scrittori a noi contemporanei che sottoscrivono la dottrina nota come "fìsicalismo". Cfr. OTTo NEURATH, Vniversal ]argon and Terminology, "Proceedings of the Aristotelian Society", vol. 41, pp. 127-48; Protokollsaetze, "Erkenntnis", vol. 3, pp. 204-14; Radikaler Physikalismus und wirklische Welt, "Erkenntis", vol. 4, pp. 346-62. Vedi anche RuooLF CARNAP, Testability and Meaning, "Philosophy of Science", vol. 3 (1936) e vol. 4 (1937); Carnap ha però cambiato le sue vedute su molti punti dopo la pubblicazione di questo articolo.
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rienza, dalle quali tutte le nostre idee vengano costruite come le case sono costruite con mattoni inizialmente isolati l'uno dall'altro. Al contrario, normalmente r~sperienza c!eLs~p~i-~ l!.!la_!!sposta _a sch_emi . complessi e non analizzati di quantà e di relazioni; risposta che solita. mente implica l'esercizio di abitudini di interpretazione e di riconosci. mento, basate su tacite credenze e inferenze, e non garantibili da una singola esperienza momentanea. In modo simile il linguaggio che 'normalmente usiamo per descrivere anche le nostre esperienze immediate è il comune linguaggio di comunicazione sociale, il quale contiene distinzioni ed assunzioni affondate in una vasta esperienza collettiva, e non già un linguaggio il cui significato sia, secondo quanto si suppone, fissato dal riferimento ad atomi di sensazione concettualmente non interpretati. Qualche volta, effettivamente, è possibile, in condizioni controllate con cura, identificare le qualità elementari che vengono apprese direttamente attraverso gli organi di senso; ma tale identificazione è il punto di arrivo di un processo di isolamento e di astrazione deliberato e spesso difficile, che si sia intrapreso per fini di analisi; né sussistono prove le quali dimostrino che le qualità sensoriali vengano apprese sotto forma di elementi atomici piuttosto che come risultato di un tale processo. Inoltre, anche se possiamo battezzare questi prodotti chiamandoli dati dei sensi e assegnare denominazioni diverse a diverse classi di tali dati, non è possibile stabilire l'uso e il significato di tali nomi se non come direttive per istituire procedimenti che implicano attività decisamente corporali; quindi i significati dei termini dei dati sensoriali sono comprensibili soltanto quando siano prese per valide le distinzioni e le assunzioni del nostro rapporto con gli oggetti dell'esperienza ordinaria. Pertanto quei termini possono in effetti venir usati ed applicati soltanto come parte del vocabolario del linguaggio del senso comune. In breve, il "linguaggio" dei dati sensoriali non è autonomo, né alcuno finora è riuscito a costruire un linguaggio di tal fatta. Ma se un tal linguaggio non esiste, la tesi che tutti gli enunciati teorici siano per principio traducibili nel linguaggio dei puri contenuti dei sensi va messa in dubbio fin dall'inizio. 2. Comunque ciò sia, ulteriori difficoltà emergono in relazione alla nozione di traducibilità. Nel senso familiare della parola "traducibile ", un enunciato di un linguaggio è traducibile in un altro linguaggio solo se esiste in quest'ultimo un enunciato (o una combinazione finita di enunciati) equivalente per significato (o logicamente) all'enunciato dato. In questo senso le traduzioni da un linguaggio naturale ad un altra sono moltissime, malgrado occasionati dissensi sull'adeguatezza di una traduzione proposta. Per esempio, nessuno che comprenda il francese e l'italiano metterà seriamente in dubbio che l'enunciato italiano "a temperatura costante, il volume di una data massa di un
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gas è inversamente proporzionale alla sua pressione" sia la traduzione dell'enunciato francese a une meme température, les volumes occupés par une meme masse de gaz sont en raison inverse des pressions qu'elle supporte". Esiste una prova che assicuri che ogni enunciato scientifico, ed in particolare ogni enunciato teorico, sia traducibile, in tale senso, o in un linguaggio fenomenico o nel linguaggio dell'esperienza ordinaria? La prova sarebbe decisiva, se ogni termine che esprime un argomento e che viene impiegato nelle scienze fosse effettivamente introdotto per mezzo di una definizione esplicita (o per mezzo di qualche altra variante della definizione sostitutiva), le cui espressioni relative agli argomenti trattati appartengano tutte al linguaggio osservativo. In tal caso, infatti, tutti i termini delle scienze i quali non compaiono nel linguaggio osservativo verrebbero eliminati in favore di termini che vi compaiono. Ma, come si è già notato, in via di fatto non è in questo modo che vengono introdotte le nozioni teoriche, e di conseguenza la realtà della pratica scientifica non fornisce elementi immediati a favore di nessuna delle versioni della concezione descrittiva della scienza. Rimane il problema se, a dispetto di questa situazione effettiva, i termini teorici non possano in linea di principio venir eliminati in accordo con quanto sostiene la tesi descrittiva. Coloro che avanzano questa tesi hanno tentato di dimostrare che la risposta è affermativa, e che le eliminazioni sono effettuabili con l'aiuto di varie tecniche moderne di logica, che comprendono, tra le altre, gli artifizi associati con le cosiddette definizioni in uso di Bertrand Russel e con la sua nozione di simboli incompleti, la maggior parte dei quali ha trovato un utile impiego nella logica formale e nella fondazione della matematica pura. È tuttavia molto dubitativo se l'uso di queste tecniche nell'analisi degli enunciati della scienza empirica abbia portato fino ad oggi a qualche risultato che possa confermare o una o l'altra versione della tesi descrittiva. Raramente gli esempi di traduzione che siano effettuabili con l'aiuto di tali tecniche sono presi dal materiale concreto delle scienze naturali; ed anche quando questo accade, le traduzioni vengono svolte solo schematicamente. È difficile sfuggire alla conclusione che la tesi descrittiva non possa venir sostenuta relativamente a quanto già è stato raggiunto ma che, nella migliore delle ipotesi, essa costituisca soltanto un programma per l'analisi futura, la cui possibilità di realizzazione è dubbia." Il
14 Forse il tentativo piu ambizioso di stabilire questa tesi entro il quadro di una teoria fenomenistica della conoscenza si trova in RuooLF CARNAP, Der logiscbe Aufbau der Welt, Berlin, -1928, tr. it.,. La costruzione. logica- del mondo, a cura di E. Severino. Ma anche qui le desiderate definizioni delle espressioni che si presentano nelle scienze naturali vengono solo delineate. In seguito Carnap ha abbandonato non solo il suo primitivo fenomenismo, ma anche la tesi che gli enunciati teorici siano traducibili in un linguaggio fisicalistico. Cfr. il suo Methodological Character o! Theoretical Concepts, "Minnesota Studies in the Philosophy of Science", (a cura di Herbert Felgl e Michael Scriven), Minneapolis, 1956, vol. l. Per un tentativo piu recente
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3. Di fatto è generalmente riconosciuto che la prospettiva per stabilire la tesi è debole, quando si intenda la parola "traducibile" nel senso ordinario. In ogni modo nelle discussioni correnti questa tesi si è molto indebolita. Essa non viene asserita nella forma menzionata qui sopra, bensi nel senso che per ogni enunciato teorico esiste una classe di enunciati osservativi, logicamente equivalente all'enunciato dato, lasciando cosi impregiudicato se la classe sia o no finita. Il punto importante di tale emendamento, e la portata delle sue conseguenze, risulterà evidente da un esempio. Si supponga che l'espressione 'corrente elettrica' sia un termine teorico per il quale siano state stabilite appropriate regole di corrispondenza. Tutti saranno d'accordo nel riconoscere che l'enunciato 'in questo filo passa ora corrente elettrica', (asserito in un dato istante per un dato filo) non è, per esempio, equivalente, quanto a contenuto, al seguente enunciato osservativo condizionale 'se in questo circuito venisse inserito quel galvanometro l'indice dello strumento si sposterebbe dalla sua posizione attuale'. Non sussiste equivalenza per almeno due ragioni. Nell'ipotesi che l'enunciato teorico implichi alcunché relativamente al comportamento di un qualche galvanometro, esso implica non solo un singolo enunciato su un particolare galvanometro, ma una classe indefinitamente ampia di enunciati simili su tutti gli altri galvanometri. Quindi, se l'enunciato originario sul filo è davvero equivalente ad enunciati sul comportamento di galvanometri, esso deve essere equivalente a una classe indefinitamente grande (forse infinitamente grande) di tali enunciati. In secondo luogo, la presenza di corrente elettrica nel filo è associata ad altri fenomeni osservabili oltre al comportamento dei galvanometri. Come è ben noto, fenomeni ottici, termici, chimici, ed altri fenomeni magnetici potrebbero pure venir usati come prove in base alle quali decidere se il filo stia o no conducendo corrente. Di conseguenza, la classe degli enunciati che si suppone equivalga all'enunciato teorico deve includere parimenti anche gli enunciati relativi a questi altri fenomeni. D'altra parte, è difficile fissare l'insieme degli elementi di questa ipotetica classe, e comunque è certamente impossibile specificarlo una volta per tutte e in dettaglio. Non possiamo infatti prevedere le scoperte sperimentali che potranno essere fatte in avvenire, alcune delle quali possono offrire altri modi (oggi insospettati) per rilevare la presenza di corrente in un filo. Cosi nella classe equivalente all'enunciato teorico devono esser inclusi anche gli enunciati relativi a questi fenomeni ancora non conosciuti ma ipoteticamente importanti, in modo che la varietà ed il numero degli enunciati appartenenti alla classe predetta possano esser maggiori di quelli che possiamo specificare in qualsiasi istante dato. Quindi l'emendamento suggerito per la di realizzare il programma di Carnap, si veda NELSON GooDMAN, The Structure of Appearance, Cambridge, Mass., 1651. Una critica dettagliata al tentativo di Russell di stabilire tale tesi si trova in ERNEST NAGEL, Sovereign Reason, Glencoe, Ili., 1954, c. 10.
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tesi della traducibilità va di pari passo con la possibilità che l'ipotetica classe sia non soltanto infinitamente numerosa, ma anche tale che non la si possa specificare in modo preciso. 15 È una questione puramente verbale se sia lecito chiamare processo d.:. "traduzione" di un enunciato teorico una procedura, eventualmente senza fine, con cui specificare una classe di enunciati osservativi, che si suppone equivalente ma per altro indefinita. In ogni modo una procedura siffatta differisce da quanto generalmente si intende con "traduzione" e dal significato in cui tale termine è stato usato all'inizio della presente discussione. Infatti, sebbene la classe di enunciati osservativi in cui una teoria scientifica risulta in tal modo "traducibile" sia per postulato logicamente equivalente alla teoria stessa, si tratta però di una classe i cui elementi non possono mai venir stabiliti con completa certezza, sia per quel che riguarda la loro varietà sia per quel che riguarda il loro numero. 4. Talvolta si effettua una distinzione, avente un certo peso per la presente discussione, tra due tipi di teorie. Essa fu formulata esplicitamente per la prima volta, pare, nel 1855 da W. J. M. Rankine, uno dei fondatori di quella scuola di fisica che mirava a sviluppare la termodinamica come base di un sistema unificato di scienze naturali (chiamato "energetica"). Rankine sosteneva che esistono due modi di dar forma ad una teoria fisica. La teorie costruite secondo quello che egli chiamava il metodQ "di astrazion~" formulano dichiaratamente relazioni tra proprietà comuni e classi èli oggetti o fenomeni "percepiti dai sensi", e non postulano nulla di "ipotetico" o congetturale. Esempi di questo tipo di teorie (designate in vari modi, come "astrattive", "fenomenologiche" o "macroscopiche") sono la meccanica newtoniana e la teoria della gravitazione, la teoria di Fourier sulla conduzione del calore e la termodinamica classica. Le teorie invece costruite in base al 15 L'emendamento avente lo scopo di permettere la traduzione di un enunciato teorico in una classe infinita di altri enunciati è stato in parte ispirato da un procedimento analogo in matematica. :fl. pertanto istruttivo vedere in qual modo operi in quel dominio tale procedimento. Si può dimostrare dettagliatamente che gli enunciati sui numeri reali sono traducibili in enunciati su classi infinite di numeri razionali. Per esempio, il numero reale y2 può venir definito come l'insieme dei numeri razionali x tali che 2, il numero reale y3 come l'insieme dei numeri razionali y tali che Y2 3, il numero reale y6 come l'insieme dei numeri razionali z tali che z' < 6. Inoltre, il prodotto Y 2 X y 3 è definito come l'insieme di tutti i numeri razionali w tali che w xy, dove x è un numero razionale tale che 2 e y un numero razionale tale che y 2 3. L'enunciato che y2 X y3 y6, che riguarda numeri reali, può allora venir tradotto in un enunciato che riguarda classi infinite di numeri razionali: "L'insieme di tutti i numeri razionali ciascuno dei quali è il prodotto di un numero razionale il cui quadrato è minore di 2 e di un altro numero razionale il cui quadrato è minore di 3 è identico all'insieme di rutti i numeri razionali i cui quadrati sono minori di 6". :fl. tuttavia chiaro che in questo caso le classi infinite sono completamente determinate, cosi che sotto questo aspetto c'è una marcata differenza tra l'esempio matematico e la traduzione proposta di enunciati teorici in classi di enunciati osservativi. Il modello matematico non è una guida adeguata per l'analisi degli enunciati teorici della scienza empirica.
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La struttura della scienza
secondo metodo, o _Jpetodo ~ "ipotetico", asseriscono relazioni tra entità ipotetiche che non "appaiono ai sensi"; e la loro validità empirica può venir giudicata solo indirettamente, in funzione dell'accordo tra le loro conseguenze ed i risultati dell'osservazione e degli esperimenti. Esempi familiari delle teorie di questo tipo (per cui sono spesso usate le denominazioni "ipotetiche", "trascendenti" e "microscopiche••) sono la teoria molecolare dei gas, la teoria ondulatoria della luce e !e varie teorie atomiche dell'interazione chimica. Il famoso detto di Newton "hypotheses non fingo" vien spesso inteso nel senso che egli si rifiutasse di occuparsi di teorie di quest'ultimo tipo. Rankine riconosceva il valore euristico delle teorie ipotetiche, ma considerava il loro uso come uno stadio preliminare nello sviluppo delle teorie astrattive. Infatti egli pensava che le teorie astrattive possiedano vantaggi che le distinguano da quelle ipotetiche, consistenti nella loro libertà da egni assunzione sulle componenti "occulte" dei fenomeni fisici, nella loro capacità di raggiungere "quel grado di certezza che appartiene ai fatti osservati" e nella loro possibilità di promettere in misura maggiore il confluire "di tutte le branche della fisica in un unico sistema" :• La storia successiva della fisica non ha confermato le convinzioni di ~Rankine su! meriti · superiori delle teoriè astrattive. In-effetti, gli impressionanti successi delle teorie atomistiche sulla materia nel prevedere nuovi fenomeni e nell'unificare in modo sistematico vasti settori della fisica e della chimica hanno convinto molti eminenti scienziati che ci si deve volgere dalle teorie astrattive a quelle microscopiche se si vuoi raggiungere una comprensione "piu profonda" dei fenomeni fisici e delle concezioni piu adeguate "su come le cose effettivamente vanno"." Eppure i sostenitori della tesi descrittiva della scienza generalmente considerano la teoria astrattiva come la forma ideale di teoria scientifica, in base all'ipotesi che la tesi della traducibilità sia valida, per teorie di questo tipo, anche se non lo è per le teorie microscopiche." È quindi desiderabile esaminare brevemente in cosa differiscano i 16 W. ]. M. RANKINE, Outlines of the Science o/ Energetics, "Miscellaneous Scientific Papers", London, 1881, pp. 209-28, prima pubblicato in "Proceedings of the Phylosophical Society of Glasgow", vol. 3, n. 6. 17 Cfr. GEORG Joos, Theoretical Physics, New York, 1934, p. 457, e ENRICO FERMI, Thermodynamics, New York, 1937, p. X; trad. it. a cura di A. Scotti, Torino, 1958, p. 4. Per una presentazione ad alto contenuto informativo di molto materiale interessante a sostegno di questa tesi, si veda ÉMILE MEYERSON, Identité et realité, Paris, 1926, 3" ed. 18 l, Per esempio, Ernst Mach enunciò molto esplicitamente questa posizione nella sua Die Geschichte und die W urzel des Satzes der Erhaltung der Arbeit, Prag, 1872 (le pagine citate corrispondono all'edizione della traduzione inglese, Chicago, 1911). "Nell'investigare la natura, abbiamo a che fare soltanto con la conoscenza della connessione delle apparenze tra loro. Ciò che ci rappresentiamo dietro le apparenze esiste solo nel nostro modo di comprendere, e ha per noi solo il valore di una memoria technica o formula, la cui forma, proprio perché arbitraria e irrilevante, varia molto facilmente secondo il punto di vista della nostra cultura" (p. 49). Si veda in seguito, alle pagine 54-55, ed anche l'asserzione: "Gli ultimi inintelligibili [cioè, 'i fatti piu semplici a cui noi riduciamo quelli piu complicati'] su cui la scienza è fondata devono essere dei fatti, o, se sono delle ipotesi, devono essere capaci di diventare fatti. Se le ipotesi sono scelte in modo che
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due t1p1, e dare una valutazione dell'affermazione che la tesi della traducibilità sia valida per almeno uno di essi. Che una differenza prima facie esista tra questi due tipi è innegabile. Per esempio, teorie astrattive quali la meccanica newtoniana e la teoria gravitazionale (asserite per oggetti macroscopici) sembrano, stando alle apparenze, non postulare meccanismi congetturali "nascosti", come invece fa, in maniera evidente, la teoria molecolare del calore; esse inoltre appaiono "piu vicine" ai fatti osservati vi e sperimentali di quanto non lo sia la teoria molecolare. Sarebbe tuttavia un errore concludere che la teoria newtoniana non sia realmente una "teoria", nel senso discusso nel capitolo precedente, e sia invece un insieme di leggi sperimentali. Infatti le nozioni fondamentali della meccanica newtoniana non sono idee sperimentali, anche se sono suggerite da, e corrispondono a, idee sperimentali; e sono solo implicitamente definite dai postulati della teoria. Ciò è manifesto nel caso delle nozioni di spazio e tempo assoluti, che sono fondamentali per la formulazione della teoria data da Newton e che egli distinse nettamente dalle idee sperimentali di spazio e tempo relativi. Ma questo punto è valido anche per altri termini impiegati nella teoria di Newton, come quelli di 'punto-massa', 'velocità istantanea', 'accelerazione istantanea' e 'forza'. Cosi l'espressione 'velocità istantanea di un punto-massa', se intesa in modo rigoroso, si riferisce al limite di una successione infinita di rapporti, in modo che la velocità istantanea di un punto-massa non può venir determinata con espliciti mezzi sperimentali. 19 Si trovano uguali conferme a tale punto analizzando altri esempi tipici di teorie astrattive, come la teoria di Fourier sulla conduzione del calore o la termodinamica classica. Le teorie astrattive, quindi, hanno in comune con le teorie ipotetiche quelle stesse caratteristiche che distinguono le teorie dalle leggi sperimentali. La differenza tra teorie astrattive e teorie ipotetiche appare risiedere altrove.'" Si interpreti o meno una teoria ipotetica a mezzo di qualche modello visualizzabile, non tutti i suoi termini fondamentali risultano associati a nozioni sperimentali da regole di corrispondenza. Viceversa, in una teoria astrattiva ogni termine definito a mezzo di postulati il loro oggetto ( Gegenstand) non può mai cadere sotto i sensi e quindi non può mai venir sottoposto a prova, come accade per la teoria meccanica delle molecole, il ricercatore ha fatto di piu di quanto la scienza, il cui fine sono i fatti, richiedesse da lui e questo lavoro in piu è peccato... In una teoria completa, devono corrispondere a tutti i dettagli dei fenomeni dettagli delle ipotesi, e tutte le regole valide per questi oggetti ipotetici devono pure essere direttamente trasferibili ai fenomeni. Ma allora le molecole sono una semplice immagine priva di valore" (p. 57). 19 Un esame piu dettagliato delle nozioni fondamentali della meccanica verrà fatto nel capitolo seguente. 20 Questa differenza vien suggerita dalla penultima frase della citazione da Mach nella nota 18. Essa è stata elaborata indipendentemente da NoRMAN R. CAMPBELL nel suo Pbysics, the Elements, c. 6, e in What is Science?, London, 1921, cc. 5 e 7. Per una analisi sotto qualche aspetto simile, ma sviluppata sullo sfondo di una diversa filosofia, cfr. HENRY MARGENAU, The Nature o/ Physical Reality, New York, 1950, c. 5.
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appare coordinato da regole di corrispondenza a qualche idea sperimentale. Cosf, la teoria di Fourier sulla conduzione del calore è formulata a mezzo di un'equazione differenziale alle derivate parziali, che contiene, con notazione matematica, le seguenti espressioni: 'coordinate di un punto arbitrario di una sbarra infinitamente lunga', 'tempo', 'temperatura in un punto', 'densità in un punto', 'conduttività termica' e 'calore specifico'.'' Ognuno di questi termini teorici corrisponde ad una nozione sperimentale. In modo simile, la teoria gravitazionale di Newton impiega le idee di massa, distanza, tempo e accelerazione istantanea, ciascuna delle quali è associata con qualche grandezza determinabile sperimentalmente. È questa circostanza a far sf che le teorie astrattive sembrino essere semplicemente delle leggi sperimentali, rendendo relativamente facile il provvederle di un modello visualizzabile. In piu, nel passato le teorie astrattive sono state generalmente concepite in stretta analogia a leggi sperimentali già stabilite in limitati campi di indagine. Per esempio, studi sperimentali sulla conduzione del calore avevano preceduto la teoria analitica del calore di Fourier; e le leggi ed idee sperimentali sviluppate in antecedenza finirono per suggerire le nozioni teoriche e la formulazione matematica della teoria. Un rapporto storico simile si riscontra anche tra altre teorie astrattive (come la meccanica newtoniana o la teoria di Maxwell del campo elettromagnetico) e i ritrovati di anteriori ricerche sperimentali.'' Tuttavia, nonostante siano forti le analogie tra teorie astrattive e leggi sperimentali, le analogie non autorizzano per le ragioni già stabilite, a sostenere che quelle teorie siano semplicemente leggi sperimentali. Le teorie astrattive e quelle ipotetiche si trovano dunque negli stessi guai, per quel che riguarda la loro traducibilità nel linguaggio osservativo. In ogni modo, nessuno fino ad oggi è riuscito a mostrare in qual modo per l'uno o per l'altro tipo si possa effettuare tale traduzione, neppure in linea di principio; e la tesi della traducibjlità _!_i_t:Q.ane pe~; ~!~y_ambi_j_ tipi, _f1()_f! _!ll:!!!_de~r!zion{! ci~!k 11a!_url! già stagjlita di una .s.Ll,lals!!!§.L~ff~UJya t~.ori~,_t>ensf t!J:l ...Prc.>gramm.a~_ mqho _opina_bile, di;maJisi di_ ermnciati teorici. Ne consegue che, dal punto di vista che stiamo considerando e che riguarda lo status conoscitivo delle teorie, non si 21
L'equazione è
ae ) = À.(~ +~ + ~) òx' i)y' az' c il calore specifico, e la temperatura, t il tempo, pc (
òt
À.
dove p è la densità, la conduttività termica, e x, y, e z le coordinate del punto. 22 Una critica vigorosa contro la tesi che le teorie astrattive non introducano assunzioni "ipotetiche" o congetturali ed una difesa del punto di vista che le teorie astrattive e quelle ipotetiche non differi~cono essenzialmente in quanto teorie, è contenuta nei saggi di LunwiG BoLTZMANN, Ein Wort der Mathematik an die Energetik e Ueber die Unentbehrlichkeit der Atomistik in der Naturwissenscha/t, entrambi inclusi nei suoi Populiire Schri/ten, Leipzig, 1905.
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Lo status conoscitivo delle teorie
può correttamente asserire la verità o falsità di nessuna delle teorie fisiche correnti - almeno fintantoché non sia stabilita questa loro pretesa traducibilità in linguaggio osservativo. In effetti, quindi, il punto ì< di vista di cui stiamo parlando coincide con la seconda posizione menzionata piu sopra, secondo la quale è preferibile considerare le teorie come strumenti di indagine, piuttosto che come enunciati a proposito dei quali possa venir sollevato in modo fruttuoso la questione della loro verità o falsità.
III. La concezione strumentalistica delle teorie La posizione che chiameremo, per ragioni di brevità, "strumentalistica" rispetto al problema dello status delle teorie scientifiche è stata formulata in moltissimi modi. 23 Pur essendovi importanti differenze tra alcuni di essi, una considerazione delle singole formulazioni non è rilevante ai fini del presente esame. Comunque, i meriti di questa posizione non appartengono in modo esclusivo a nessuna formulazione particolare. La sua forza deriva dal suo rapporto con la effettiva funzione di una teoria nell'indagine scientifica, e dalla sua conseguente capacità di sfuggire ad un certo numero di difficoltà che mettono in imbarazzo altre posizioni. La tesi centrale dello strumentalismo è che una teoria non è nè una descrizione sommaria nè un enunciato generalizzato di relazioni tra dati osserva bili. Al contrario, si sostieqe che !!Pil__!:~()ria .~ }l:!l~....r~Qlg {) un principio per analizzare e rapEresentare simbolicamente certi oggetti . den·~~denza-ordinaria, e~cO:~t~m_E2ù~~~tiienie l!r!Qj!ruQ!~ilto_ru_ una tecnica _avente lo SC()jJO di inferire enun~i!lti _ osserv~t!vJ da -~tri ..t:.t?-lJ11ciati osservativi. Per esempio, la teoria che un gas è un sistema di molecole in rapido movimento non è una descrizione di qualcosa che sia stato osservato o che possa essere osservato, bensf è piuttosto una regola che prescrive un modo di rappresentare simbolicamente, per determinati scopi, cose come la pressione e la temperatura di un gas, entrambi osservabili; e la teoria mostra, tra l'altro, in qual modo si possa calcolare, quando certi dati empirici sul gas siano stati forniti e incorporati nella rappresentazione, la quantità di calore richiesta per innalzare la temperatura del gas di un numero fissato di gradi (cioè, in qual modo si possa calcolare il calore specifico di un gas). La teoria 23 Cfr. C. S. PEIRCE, Collected Papers, Cambridge, Mass., 1923, vol. 2, p. 354; 1933, vol. 3, pp. 104-06; 1934, vol. 5, pp. 226-28; FRANK P. RAMSEY, The Foundations of Mathematics, New York, 1931, pp. 194 e sgg., 237-55; trad. it. a cura di E. Belli-Nicoletti e M. Valente, Milano, 1964; MoRITZ SCHLICK, Gesammelte Aufsiitze, Wien, 1938, pp. 67-68; }ONHN DEWEY, The Quest /or Certainty, New York, 1929, c. 8; W. H. WATSON, On Understanding Physics, London, 1938, c. 3; GILBERT RYLE, The Concept o/ Mind, New York, 1949, pp. 120-125; STEPHEN TouLMIN, The Philosophy o/ Science, London, 1953, cc. 3 e 4.
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molecolare dei gas non è quindi logicamente implicata da nessun enunciato riguardante materia di osservazione, né (secondo alcuni sostenitori dello strumentalismo) logicamente ne implica alcuno. La raison d'étre della teoria è di servire da regola, o da guida, per eseguire dei passaggi logici da un insieme di dati sperimentali ad un altro. Piu in generale, una teoria funziona come "principio .guida" o "lasciapassare per interferenza", in acco_rdo al quale si possono dedurre, da date premesse fattuali, delle conclusioni intorno ad osservabili, e non già come premessa da cui ottenere tali conclusioni. Da questo punto di vista derivano direttamente parecchie conseguenze. l. Il punto di vista secondo cui una teoria è una "comoda notazione stenografica" per una classe di enunciati osservativi (finita od infinita), e la tesi corrispondente che una teoria debba essere traducibile in un linguaggio osservativo costituiscono entrambi impostazioni irrilevanti e fuorvianti per la comprensione del ruolo delle teorie. Il valore di una teoria ai fini dello svolgimento di un'indagine non verrebbe affatto aumentato se per caso si potesse dimostrare che tale teoria è logicamente equivalente ad una classe di enunciati osservativi; né il fatto che non si sia riusciti a stabilire tale equivalenza per nessuna delle teorie della fisica diminuisce la loro importanza come strumenti per analizzare i materiali dell'esperienza in vista della soluzione di concreti problemi sperimentali e della sistematica correlazione delle leggi sperimentali. Dal punto di vista della tesi strumentalistica", inoltre, è non meno gratuito il domandare se una teoria abbia "significato in piu", o quale sia il suo "riferimento fattuale", al di sopra ed oltre il significato ed il riferimento che risulta dal suo ruolo organizzativo nella ricerca. Infatti domande di questo genere implicano tacitamente una versione modificata della tesi della traducibilità, secondo la quale una teoria, anche se non equivalga per significato ad una classe di enunciati osservativi, deve tuttavia venir intesa come equivalente a qualche altra classe di enunciati fattuali, distinta dalla teoria stessa. In questo modo tali domande invitano a cercare delle risposte fuori strada non già entro il contesto effettivo dell'indagine in cui la teoria svolge le sue funzioni, bens{ in termini di preconcetti arbitrari sul modo in cui va accertata la portata di una teoria. Forse la posizione in proposito dello strumentalismo risulterà piu chiara da un semplice esempio. Un martello è un arnese deliberatamente congegnato, con l'aiuto del quale svariate "materie prime" possono venir poste tra loro in determinate relazioni, in modo da produrre oggetti come casse da imballaggio, mobili ed edifici. Non si possono specificare una volta per tutte gli impieghi a cui può essere adibito un martello, cosicché i prodotti che risultano dal suo uso possono crescere in numero ed in specie. In ogni modo, troveremmo
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privo di senso il dire che un martello è li equivalente", in qualsiasi significato normale, agli oggetti prodotti o producibili per mezzo di esso: e troveremmo pure curiosa la domanda se un martello "rappresenti" adeguatamente i prodotti già ottenuti col suo aiuto, o quella se, oltre a tali prodotti, il martello designi un insieme li in piu" di altri oggetti, che esso potrebbe aiutare a produrre. Secondo il punto di vista strumentalistico le teorie sono, per alcuni importanti aspetti, come martelli e come altri attrezzi fisici, anche se tale analogia, ovviamente, non regge in molti punti. Le teorie sono attrezzi non fisici, ma intellettuali. Sono, altrettanto bene, intelaiature concettuali deliberatamente studiate per poter dirigere l'indagine sperimentale, e mostrare nessi tra materie di osservazione che altrimenti verrebbero considerate come prive di interrelazioni. È quindi inutile perfino il tentativo di tradurre una teoria in una classe determinata di enunciati osservativi, perchè la funzione di una teoria, come quella di un attrezzo fisico, consiste nell'organizzare i "dati grezzi", anziché nel riassumerli o farne un duplicato. Da questo punto di vista le teorie, come gli altri strumenti, hanno veramente un li riferimento fattuale"- cioè un riferimento al soggetto specifico per esplorare il quale sono state costruite e rispetto al quale hanno un ruolo effettivo. Inoltre, se una teoria ha un li significato in piu" al di sopra ed oltre i significati che ad essa sono associati in virtu dei particolari usi per cui venne già adoperata, essa ha tale significato in uno dei due sensi seguenti: o nel senso che essa è interpretata in termini di qualche modello familiare, o nel senso piu pregnante che, come per gli altri strumenti, le sue ulteriori utilizzazioni, anche se solo vagamente immaginate, possono essere piu estese di quelle assegnatele di fatto in qualsiasi tempo dato. L'attuale teoria quantistica, per esempio, raccoglie in un ordine sistematico una vasta gamma di fenomeni diversi fisici e chimici; ma i fisici non credono, sembra, che l'uso della teoria in relazione a tali fenomeni esaurisca la sua capacità di servire da principio guida per l'analisi e l'organizzazione di materie ancora inesplorate. Al contrario, essi seguitano ad ampliare tale uso, in base a suggerimenti piu o meno vaghi offerti dalla teoria stessa; e, a prescindere dai vari modelli adoperati per l'interpretazione del formalismo della meccanica quantistica, sono questi suggerimenti che costituiscono i significati operativi "in piu" della teoria. 2. È comune, o addirittura normale, che una teoria sia formulata in termini di concetti ideali, come quelli geometrici di retta e di cerchio, o quelli piu specificatamente fisici di velocità istantanea, vuoto assoluto, espansione infinitamente lenta, elasticità perfetta, e simili. Benché tali nozioni "ideali" o "al limite" possano venir suggerite da qualche argomento empirico, per la maggior parte esse non descrivono qualcosa di sperimentalmente osservabile. In effetti, nel caso di alcune di esse,
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sembra del tutto impossibile che, quando siano intese in senso letterale, possano essere usate per caratterizzare qualcosa di esistente. Per esempio, si può attribuire una velocità ad un corpo fisico solo se esso si muove per uno spazio finito e che non si annulli, durante un intervallo di tempo finito che a sua volta non si annulli. Ma la velocità istantanea è definita come il limite dei rapporti tra spazio e tempo per il tendere a zero dell'intervallo di tempo; di conseguenza, è difficile vedere come il valore numerico di tale limite possa mai essere la misura di una reale velocità. Vi è tuttavia una ragione per l'uso dei concetti al limite nella costruzione di una teoria. Con il loro aiuto una teoria si presta a una formulazione relativamente semplice - abbastanza semplice, in ogni modo, perché la si renda trattabile coi metodi a disposizione dell'analisi matematica. Certamente, la valutazione della semplicità è vaga, legata com'è in parte alle mode intellettuali e al clima generale delle opinioni, e soggetta a variare col progredire delle tecniche matematiche. In ogni modo, è indubbio che nella formulazione delle teorie abbiano parte considerazioni sulla semplicità. Nonostante faccia uso di concetti semplificati, una teoria verrà in generale preferita ad un'altra che usa nozioni piu "realistiche" se risponde agli scopi di una determinata indagine e se può venir maneggiata in maniera piu conveniente. Viceversa, l'uso dei concetti al limite nella formulazione di una teoria presenta difficoltà rispetto al punto di vista secondo cui è possibile pronunciarsi con significato intorno alla verità o alla falsità fattuale di una teoria, in quanto normalmente si dice che un enunciato fattuale è vero se esso formula qualche relazione indicata, o tra cose esistenti ed eventi (nel senso onnitemporale di "esistenti"), o tra proprietà di cose esistenti e di eventi. Ma se una teoria formula relazioni tra proprietà che manifestamente non caratterizzano (o non possono caratterizzare) cose esistenti, non è chiaro in qual senso si possa dire che la teoria è fattualmente vera o falsa. Analoghe difficoltà per il punto di vista in questione sorgono per la circostanza che una teoria contiene in genere dei termini per i quali non sono date regole di corrispondenza, sia o no data un'interpretazione alla teoria sulla base di qualche modello. Di conseguenza tali termini non sono associati a nessuna nozione sperimentale, e fungono quindi da variabili; nondimeno, benché entrino a far parte di espressioni aventi la forma grammaticale degli enunciati, molte di tali espressioni di fatto non sono assolutamente enunciati, bensf solo schemi di enunciati. Si consideri, per esempio, l'espressione: 'per ogni x, se x è un animale e x è P, allora x è un vertebrato'. Essa ha la forma grammaticale dell'enunciato, ma, contenendo il predicato variabile 'P', non altrimenti specificato, è uno schema di enunciato, non già un enunciato, e non può venir caratterizzato né come vero né come falso. Lo schema di enunciato produce un enunciato se per esempio, il predicato definito
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'mammifero' vien sostituito (o associato) al predicato variabile." Si può illustrare questo punto con esempi presi dalle teorie della fisica moderna. Abbiamo già notato che nella teoria molecolare dei gas non c'è regola di corrispondenza per l'espressione 'la velocità di una singola molecola', benché tale regola esista per l'espressione 'il valor medio delle velocità di tutte le molecole'. In modo simile, nella meccanica quantistica per caratterizzare lo stato di un elettrone viene impiegata, nell'equazione di Schrodinger, l'espressione ~ (x, t). In effetti, c'è una regola di corrispondenza per l'espressione ~ (x, t) ~* (x, t), (dove ~* è il complesso coniugato di ~), ma non per ~ (x, t) da solo. Sotto questo riguardo, dunque, le teorie che contengono questi termini sono schemi di enunciati, e non se ne può asserire né la verità né la falsità. Queste difficoltà, ed altre simili, non sorgono con il punto di vista strumentalistico, in quanto in esso la domanda pertinente intorno alle teorie non è se esse siano vere o false, ma se siano tecniche efficienti di rappresentazione e di inferenza di fenomeni sperimentali. Il fatto che ,' le teorie contengano espressioni che non designano o descrivono nulla' di realmente esistente, o espressioni che non siano associate a nozioni sperimentali, viene infatti considerato come una conferma della tesi che le teorie vadano intese in termini della loro funzione mediatrice e strumentale nell'indagine, piuttosto che in termini della loro adeguatezza quali resoconti fedeli di un qualche argomento esaminato. Da questo angolo visuale, non è una pecca della teoria molecolare dei gas, ad esempio, l'impiego di concetti al limite come le nozioni di punti-particelle, di velocità istantanea, o di elasticità perfetta, poiché il compito della teoria non è quello di fornire un ritratto fedele di quanto accade entro il gas, ma di provvedere un metodo per analizzare e simbolizzare certe proprietà del gas, cosi che, quando si dispone di informazioni relative a qualcuna di tali proprietà in situazioni sperimentali concrete, la teoria permetta di inferirne informazioni, dotate del desiderato grado di precisione, relative ad altre proprietà. Analogamente, per la posizione strumentalistica non è fonte di imbarazzo il fatto che nella ricerca sulle proprietà termiche di un gas si usi una teoria che lo analizza come aggregato di particelle discrete, mentre quando si studiano i fenomeni acustici in relazione ai gas si impiega una teoria che rappresenta il gas come un mezzo continuo. Concepite come enunciati che siano o veri o falsi, le due teorie sono, sotto ·questo aspetto, incompatibili. Ma intese come tecniche o principi guida di inferenza, le due teorie sono semplicemente strumenti diversi, benché complementari, ciascuno dei quali è un effettivo arnese intellettuale per trattare un gruppo particolare di problemi. In ogni modo, i fisici non mostrano molta perplessità nell'usare una teoria per trattare 24 Un altro sistema per ottenere un enunciato da uno schema di enunciato consiste nel "quantificare" la variabile predicativa, ottenendo, per esempio, l'enunciato "Vi è una proprietà P, tale che per ogni x, se x è un animale e x è P, allora x è un vertebrato".
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una classe di problemi, ed una teoria apparentemente discorde per trattarne un'altra; essi adoperano la teoria ondulatoria della luce, secondo la quale i fenomeni ottici sono rappresentati in termini di moti ondulatori periodici, quando hanno a che fare con problemi di diffrazione e di polarizzazione; ma seguitano ad adoperare la teoria relativamente piu semplice dell'ottica geometrica, secondo cui la luce è considerata come propagantesi in linea retta, quando trattano questioni di riflessione e di rifrazione. Introducono considerazioni basate sulla teoria della relatività nell'applicare la meccanica quantistica all'analisi delle strut~ ture fini delle righe spettrali; ignorano le stesse considerazioni quando la teoria quantistica è applicata all'analisi del legame chimico. Si potrebbero moltiplicare simili esempi; e, se non altro, essi mostrano che la verità letterale delle teorie non è la preoccupazione principale quando le teorie vengono usate nell'indagine sperimentale. Non ne segue, tuttavia, che secondo il punto di vista strumentalistico le teorie siano "finzioni", se non nell'innocente senso che le teorie sono creazioni umane. Infatti, nel senso peggiorativo del termine, il '-dire che una teoria è una finzione equivale ad affermare che essa non è vera rispetto ai fatti; e una simile affermazione non è coerente con la posizione strumentalistica, secondo cui la verità e la falsità sono caratterizzazioni non appropriate per una teoria. È invece possibile sostenere, senza contraddire quella posizione, che molti dei modelli in termini dei quali sono state interpretate le teorie sono finzioni (in alcuni casi introdotte perfino esplicitamente quali finzioni, come accadde per alcuni dei modelli meccanici dell'etere di Lord Kelvin). Sostenendo ciò non si fa altro che asserire semplicemente o che non vi sono prove empiriche soddisfacenti un dato criterio, a sostegno della realtà fisica di quei modelli, o che, rispetto a quel criterio, le prove a disposizione rlsono negative. Viceversa risulta pure coerente con la posizione strumentalistica il riconoscere la superiorità di una teoria su un'altra - o perché essa funziona come un efficiente principio guida per un campo di ricerca piu vasto dell'altra, o perché fornisce un metodo di analisi l e di rappresentazione che permetta inferenze piu precise e dettagliate di quanto non faccia l'altra teoria. Comunque, una teoria è un effettivo strumento di ricerca solo se cose ed eventi sono di fatto in rapporto reciproco tale che le conclusioni che la teoria ci permette di inferire da determinati dati sperimentali sono generalmente in buon accordo con ulteriore materiale di fatti osservati. Come per gli altri strumenti, l'efficienza di una teoria come taie, o la sua superiorità su qualche altra teoria, risulta quindi dipendente da caratteristiche obiettive della materia trattata, e da qualcosa di diverso dal capriccio o dalla preferenza personali.
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3. La concezione strumentalistica delle teorie viene illuminata ed in una certa misura sostenuta da un interessante teorema di logica
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formale, noto come teorema di Craig." Ne renderemo conto, omettendo le complicazioni tecniche e le questioni piu sottili. Sia L un "linguaggio", come quello della fisica, che contenga non solo locuzioni abitualmente incluse nel vocabolario della logica formale (come 'se-allora', 'non' e 'per ogni x'), ma anche una classe O di espressioni che designano cose e proprietà considerate come "osservabili" in un qualche senso che si sia assunto per tale termine (ad esempio, 'filo di rame', 'verde' e 'piu lungo di') e una classe T di espressioni considerate come "teoriche" (ad esempio, 'elettrone' o 'onda luminosa'). Per stipulazione, ogni espressione non logica di L deve appartenere ad una delle due classi O e T. Inoltre, è supposto che L sia un "sistema formale", cioè che soddisfi un dato numero di condizioni che di fatto non sono soddisfatte dal linguaggio corrente della fisica. In primo luogo, il vocabolario di L è interamente specificato, e sono stabilite delle regole esplicite per costruire enunciati con tale vocabolario. Un enunciato le cui espressioni componenti non logiche appartengano tutte ad O è chiamato un "enunciato osservativo "; un enunciato che contenga almeno un'espressione appartenente a T vien detto "teorico". In secondo luogo, le inferenze lecite entro L sono codificate in un insieme fissato R di regole di inferenza logica. In terzo luogo, L è assiomatizzato, nel modo reso familiare dalla geometria. Occorre qualche altra precisazione su questa assiomatizzazione. Sia W la classe di tutti gli enunciati di L che sono di fatto veri, o perché siano logicamente necessari o perché formulino correttamente ciò di cui si dà il caso solo in modo contingente; e sia w o l'insieme di enunciati osservativi di W di cui non si possa attestare la verità logica, mentre Wr è l'insieme analogo di enunciati teorici di W. Gli assiomi A di L in genere saranno una sottoclasse propria di W, in modo che esistono in W degli enunciati che non sono logicamente equivalenti a qualche assioma del sistema A. Inoltre, dato che L è una rappresentazione ragionevolmente fedele, anche se idealizzata, del linguaggio reale della fisica, è ormai evidente che gli assiomi conterranno tanto enunciati teorici quanto enunciati osservativi; essi comprenderanno anche qualche enunciato osservativo, perché non tutti gli enunciati osservativi veri sono derivabili da soli enunciati teorici. D'altra parte, dovranno essere inclusi anche degli enunciati teorici, perché molti enunciati osservativi non possono venir asseriti come veri in base ad esperienza diretta (per esempio, quelli relativi ad eventi del passato), né possono venir derivati logicamente da altre osservazioni note come vere, se non con l'ausilio di qualche teoria. Comunque, gli assiomi A, insieme a tutti gli enunciati da essi derivabili in accordo alle regole di inferenza R, costituiranno la classe W di enunciati veri di L. Siccome 25 WILLIAM CRAIG, On Axiomatization witbin a System, "Journal of Symbolic Logic", vol. 18 (1953), pp. 30-32; in forma meno tecnica, Replacement o! Auxiliary Espressions, "Philosophical Review", vol. 65 (1956), pp. 38-55.
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però per ipotesi solo gli enunciati di W o riguardano materia di osservazione, stipuleremo che il "contenuto empirico" di L sia codificato dalla classe di enunciati W o - classe questa che può essere finita o infinita. Infatti, a parità di tutto il resto, i dati fattuali relativi alle materie essenziali per esempio della fisica non possono fornire la base per effettuare la scelta tra due linguaggi che abbiano un identico contenuto empirico. È perciò naturale il chiedersi se non potrebbe essere possibile dopo tutto costruire un linguaggio avente lo stesso contenuto empirico di L, ma che non contenga enunciati teorici. Abbiamo già considerato questa domanda in relazione alla tesi che le teorie siano traducibili in enuciati osservativi, ed abbiamo concluso che tale tesi non poteva considerarsi stabilita. Ciò però non preclude la possibilità che si concepisca qualche altro sistema per eliminare teorie senza con ciò ridurre il contenuto empirico di un linguaggio. È da questo punto di vista che è rilevante il teorema di Craig. Infatti il suo modo di impostare la questione differisce da quello dei sostenitori della tesi della traducibilità. Egli non propone di tradurre le teorie in enunciati osservativi, ma in effetti di sostituire un sistema linguistico formale contenente espressioni teoriche con un altro sistema , formale che non abbia termini teorici e che pure abbia lo stesso conte' nuto empirico del sistema iniziale. Piu precisamente, Craig mostra come '-costruire un linguaggio formale L* nel seguente modo: le espressioni non logiche di L* sono i termini osservativi O di L; le regole di inferenza R* di L* sono le stesse R (salvo modificazioni non essenziali); i soli enunciati non logicamente veri inclusi negli assiomi A* di L* sono enunciati osservati vi, specificati con una procedura effettiva (troppo complicata perché la si riporti qui) eseguita sugli enunciati osservativi veri W o di L. Si può quindi dimostrare che un enunciato osservativo S è un teorema di L se, e solo se, S è un teorema di V', cosi che il contenuto empirico di L* è Io stesso di quello di L. Di conseguenza, qualsiasi sistematizzazione di enunciati osservativi si raggiunga in L con l'aiuto di teorie, essa appare raggiungibile in L* senza teorie. Sembra dunque che, dal punto di vista della logica formale, le teorie non siano strumenti essenziali per l'organizzazione della fisica. Tuttavia la scoperta di Craig non autorizza una simile conclusione, come egli stesso ebbe a rilevare. Infatti, a prescindere dalla difficoltà consistente nel fatto che il linguaggio della fisica non è un sistema formale, né è probabile che lo diventi, a causa della sua natura soggetta a mutamenti imprevedibili, due caratteristiche del metodo di Craig per costruire il linguaggio L* diminuiscono seriamente il significato del suo teorema per l'indagine scientifica. In primo luogo, benché il metodo mostri in qual modo possano venir effettivamente specificati gli assiomi A* di L*, non garantisce che tali assiomi saranno in numero finito (a meno che la classe W o di enunciati osservati vi veri di L sia
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finita). Il metodo non garantisce neppure che, quando A* sia numericamente infinita o contenga un numero finito ma molto grande di assiomi, gli assiomi siano specificati in un modo che renda psicologicamente possibile per chiunque l'usarli efficientemente per scopi deduttivi. È pertinente qui il richiamo al fatto che l'abituale assiomatizzazione di vari oggetti non solo contiene un numero finito di assiomi, ma addirittura ne contiene un numero relativamente piccolo. Se il numero di assiomi di tipo ordinario fosse anche di poco maggiore (per esempìo, se per la geometria piana occorresse un milione di assiomi), sarebbe umanamente impossibile il tenerli a mente, ed è dubbio se in tal caso sarebbe possibile stabilire dei teoremi significanti." In pari modo, gli assiomi di L* specificati dal metodo di Craig potrebbero essere cosi ingombranti da non poterne in effetti fare un uso logico. In secondo luogo, il metodo di Craig procede in modo tale che, per ogni enunciato S di W o, c'è in L* un assioma logicamente equivalente ad S. Per esempio, se S è un enunciato osservativo vero di L, allora la congiunzione S ed S e ... e S (in cui S è ripetuto un certo numero di volte, calcolabile) è un assioma di L*. In breve, tutti gli enunciati veri di L* saranno in effetti assiomi di L*. Questa particolarità del metodo basta per renderlo del tutto inutilizzabile per scopi di ricerca scientifica. Un tal insieme di assiomi per L* non offre una formulazione semplificata del contenuto empirico di L*, ed in realtà si limita a riformularlo, in modo che gli assiomi non offrono nessun vantaggio rispetto ad un semplice elenco di tutti gli enunciati osservadvi veri. Per di piu, per poter specificare gli assiomi di L* dovremmo già sapere, ancor prima di averne tratto alcuna deduzione, tutti gli enunciati veri di L* - in altre parole, il metodo di Craig ci mostra come costruire il linguaggio L* solo dopo che si sia compiuta ogni possibile indagine nell'argomento di L*. Le conseguenze di ciò sulla concezione strumentalistica delle teorie sono palesi, in quanto vien messo l'accento sul fatto che le teorie scientifiche sono soprattutto importanti non per la loro possibilità di essere vere, ma perché servono da guida all'indagine, alla formulazione e all'organizzazione di materie di fatti osservabili ancor prima che si sia stabilita la verità (o la probabile verità) di tutti gli enunciati osservativi. Una morale che si può trarre dal teorema di Craig è che, sia o no predicabile correttamente la verità o la falsità delle teorie, questa non è in ogni modo la sola questione importante nell'assegnazione del posto spettante alle teorie nella scienza. 26 Questo punto non perde 11 suo valore per il fatto che vari sistemi formali sono stati costruiti sulla base di assiomi in numero infinito. Infatti, tali sistemi impiegano quelli che vengono chiamati gli "schemi di assiomi", ciascuno dei quali descrive una forma distintiva di un assioma, realizzabile in un numero infinito di enunciati specifici. Ma, pur essendo infinito il numero di assiomi di questi, il numero degli schemi di assiomi è finito ed assai ridotto.
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4. È tempo però di osservare alcuni limiti della tesi strumentalistica. Coloro che la sostengono sembrano spesso credere che, una volta stabilito il ruolo strumentale delle teorie, quest'ultime si dimostrino con ciò inadatte alla caratterizzazione di "vero "o "falso". Non c'è però necessariamente incompatibilità tra l'affermare che una teoria è vera e I'affermare che la teoria svolge un compito importante nella ricerca. Pochi negheranno che enunciati del tipo "la distanza tra New York e Washington è di circa 225 miglia" possano esser veri ed egualmente avere una parte importante nei progetti umani. In realtà molti enunciati che per comune assenso possono venir dichiarati significativamente o veri o falsi, possono anche venir studiati rispetto all'uso che di essi si fa. In breve, dal fatto che una teoria ha delle funzioni indispensabili nell'indagine, non consegue che essa non possa venir considerata come un "enunciato genuino" e quindi esaminata rispetto alla sua verità o falsità. Inoltre, coloro che caratterizzano le teorie come principi guida, come regole dalle quali trarre inferenze, piuttosto che come premesse da cui derivare conclusioni, trascurano spesso la natura contestuale della distinzione. È oggi conoscenza comune che un'inferenza del tipo di quella familiare che procede dalle premesse: 'tutti gli uomini sono mortali' e 'il Duca di Wellington è un uomo' alla conclusione 'il Duca di Wellington è mortale', fa tacito uso della regola di inferenza puramente logica (o principio guida) noto come principio del sillogismo (un enunciato della forma 'x è P' è derivabile da due enunciati della forma 'tutti gli S sono P' e 'x è 5'). Il principio guida non è una premessa dell'inferenza, e la conclusione non vien tratta da esso, bens{ in accordo con esso. Il principio inoltre è un principio formale, dato che si riferisce soltanto alla forma degli enunciati, prescindendo da quali argomenti possano essere contenuti nei suoi termini. Tuttavia oggi è anche riconosciuto da tutti che un argomento sanzionato da una regola formale di inferenza può venir ricostruito in modo che le stesse conclusioni siano ottenute da un sottoinsieme delle premesse originarie in accordo con un principio guida materiale che compensi la eliminazione delle premesse. Cosf, è lecito inferire: 'il Duca di Wellington è mortale' dalla sola premessa 'il Duca di Wellington è un uomo', purchè si adotti la regola materiale di inferenza "ogni enunciato della forma 'x è mortale' è derivabile da un enunciato della forma 'x è un uomo"'. Si dice che il principio guida in questo caso è materiale, perché esso fa menzione di termini relativi a un argomento specifico che debbono comparire nella classe delle inferenze sancite dal principio stesso. D'altra parte, questa procedura può venir generalmente usata reciprocamente, nel senso cioè di eliminare un principio guida materiale relativo ad un argomento, sostituendolo con la premessa corrispondente. Per esempio la conclusione 'questo pezzo di filo di rame si
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dilaterà' - che si ricava dal principio guida materiale "un enunciato della forma 'x si dilaterà' è derivabile da un enunciato della forma 'x è di rame e verrà riscaldato'" -può anche venir ottenuta senza ricorso a tale principio guida, se aggiungiamo alla premessa originaria l'enunciato 'il rame si dilata sempre in seguito a riscaldamento'. Evidentemente la scelta tra i due tipi di costruzioni è soltanto questione di convenienza. Quindi, benché la distinzione tra premesse e regole di ·X inferenza sia fondata ed importante, un dato enunciato può funzionare come premessa in un contesto e venir usato come principio guida in un altro, e viceversa. II punto illustrato in questi semplici esempi vale ovviamente per gli argomenti piu complessi nei quali le teorie svolgono un ruolo fondamentale. È, si può dire, fuori dubbio, che la teoria ondulatoria, per esempio, possa venir concepita in molti casi come principio guida o tecnica per inferire enunciati concernenti dati identificabili sperimentalmente da altri dati dello stesso tipo. Ed è parimenti indubitabile che il concepire la teoria in tal modo mette in evidenza un ufficio, che altrimenti forse verrebbe trascurato, svolto dalla teoria stessa nell'indagine, e che questo modo di intendere le teorie è un antidoto salutare alle affermazioni dogmatiche sulla verità definitiva circa "la natura ultima" delle cose, rappresentata da questa o quella teoria. Ma da ciò non segue che le teorie non servano o non possano servire come premesse di spiegazioni scientifiche e di previsioni, proprio come degli autentici enunciati, rispetto ai quali è dunque legittimo sollevare problemi di verità o falsità. · In via di fatto, le teorie, in genere, vengono presentate ed usate come premesse piuttosto che come principi guida, tanto nei trattati scientifici quanto nelle relazioni dei risultati della ricerca teorica o sperimentale. Alcuni tra i piu illustri scienziati, viventi o morti, hanno certamente considerato le teorie come enunciati sulla costituzione e sulla struttura di un dato soggetto, ed hanno condotto le loro riceréhe partendo dall'idea che un teoria sia piuttosto una mappa disegnata di un certo dominio della natura, anziché un insieme dei principi con cui si costruisce la mappa. Una vasta parte della ricerca sperimentale è certamente ispirata dal desiderio di accertare se veramente varie entità e processi ipotetici postulati da una teoria (ad esempio i neutroni, i mesoni e i neutrini della fisica atomica attuale) si presentino effettivamente nelle circostanze e nelle relazioni che la teoria stessa afferma. Ma la ricerca che è diretta in modo evidente al controllo di una teoria procede sull'assunzione prima facie che una teoria affermi qualcosa e neghi qualcos'altro. In breve, né la logica, né i fatti della pratica scientifica, né la testimonianza spesso esplicita di coloro che esercitano tale pratica, sono a favore dell'affermazione che non ci sia un'alternativa valida all'interpretazione delle teorie come semplici tecniche di inferenza.
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In pm, come s1 e già accennato, quando si consideri una teoria come principio guida, si possono sollevare alcune domande sulla teoria stessa, che sono sostanzialmente quelle stesse che sorgono quando si usa la teoria come una premessa. Infatti, un principio guida materiale, sia o non sia una teoria, risulta fondato solo se le conclusioni tratte da premesse vere in accordo con il principio stesso sono concordi, in certa misura prima stabilita, con i fatti osservativi. Quindi nel complesso c'è solo una differenza verbale tra il chiedersi se una teoria sia soddisfacente (come tecnica di inferenza) e il chiedersi se una teoria sia vera (come premessa). In modo simile va giudicata la tesi avanzata da alcuni sostenitori del punto di vista strumentalistico che nessuna teoria implichi logicamente enunciati su fatti osservativi. È una tesi ovviamente fondata se si concepisce una teoria come principio guida, in quanto una regola di inferenza non è una premessa di indagini fattuali, e neppure è il tipo di cosa di cui si possa dire che implichi conclusioni fattuali. La tesi risulta pure fondata qualora la si intenda come se asserisse che anche quando si usi una teoria come premessa, da essa sola non seguono conclusioni riguardanti casi specifici, bensf queste seguono quando si forniscano per la teoria delle regole di corrispondenza appropriate e si aggiungano come premesse dei convenienti enunciati sulle condizioni iniziali. La tesi risulta invece chiaramente errata se intende sostenere che, anche quando queste condizioni siano soddisfatte, in una teoria non sono affatto implicati enunciati riguardanti materie di fatto osservabili; tale opinione viene infatti smentita ogniqualvolta si usi una teoria nel modo indicato - per esempio, quando si usi la teoria ondulatoria per render conto delle aberrazioni cromatiche delle lenti ottiche. Infin~, occorre formulare un ultimo commento sulla tesi strumentalistica. Si è già brevemente osservato come i sostenitori di questa tesi non considerino nello stesso modo i vari "oggetti scientifici" (quali gli elettroni o le onde luminose) che sono notoriamente postulati dalle teorie microscopiche. Si deve ora aggiungere che è tutt'altro che chiaro come si possa sostenere, da quel punto di vista, che questi "oggetti scientifici" siano cose dotate di esistenza fisica. Infatti se una teoria è soltanto un principio guida - una tecnica di inferenza basata su un metodo di rappresentazione dei fenomeni - termini come 'elettrone' e 'onda luminosa' presumibilmente funzionano solo da legami concettuali in regole di rappresentazione e di inferenza. Di conseguenza il significato di tali termini si esaurisce nei compiti che essi svolgono nella guida delle indagini e nell'ordinare le materie di osservazione; in tale ordine di idee sembra da escludersi la supposizione che tali termini possano riferirsi a cose e a processi fisicamente esistenti e che non siano fenomeni nel senso stretto dell'espressione. E di fatto i sostenitori dello strumentalismo talvolta si sono nettamente contraddetti su
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questo punto. Cosi alcuni scrittori, mentre sostenevano che la teoria atomica della materia è semplicemente una tecnica di inferenza, hanno ciononostante seriamente discusso sull'esistenza degli atomi affermando che vi sono prove sufficienti per dimostrare che essi esistono realmente. Altri hanno esplicitamente asserito che gli atomi e gli altri "oggetti scientifici" sono enunciati generalizzati di relazioni tra gruppi di mutamenti, e non possono essere cose esistenti individualmente, ma hanno anche dichiarato che gli atomi sono in moto e possiedono una massa. Tali contraddizioni suggeriscono che coloro i quali vi cadono non sono realmente preparati ad escludere come improprie le domande di verità e falsità al riguardo di una teoria. In ogni caso, risulta chiara-l mente che non è contraddittorio l'ammettere l'appropriatezza logica di: quelle domande, e nel contempo riconoscere l'importante funzione 1i strumentale svolta dalle teorie. )
IV. La concezione realistica delle teorie Son dunque le teorie "realmente" degli enunciati, dei quali si possa predicare con significato la verità o la falsità, nonostante le difficoltà che, come abbiamo già osservato, si incontrano in questa direzione? :È stato detto abbastanza per poter pensare che una risposta, sia positiva sia negativa, a tale domanda può non essere l'unica plausibile. Coloro infatti che rispondono in modi diversi non sono spesso in disaccordo né su questioni comprese nella regione dell'indagine sperimentale, né su punti di logica formale, né su ciò che concerne la procedura scientifica. Spesso a dividerli sono, in parte, la fedeltà a tradizioni intellettuali differenti, in parte preferenze ingiudicabili riguardo alla maniera appropriata di adeguare il nostro linguaggio a fatti generalmente ammessi. :È una realtà storica che, mentre molte personalità eminenti tanto nelle scienze quanto nella filosofia hanno adottato come l'unica adeguata la caratterizzazione delle teorie quali enunciati veri o falsi, un gruppo non meno illustre di altri scienziati e filosofi pone la stessa rivendicazione per la descrizione delle teorie come strumenti di indagine. Comunque, un difensore dell'una o dell'altra tesi può non soltanto citare a sostegno della propria posizione eminenti autorità, ma di solito può anche, con- un po' di ingegnosità dialettica, estrarre l'aculeo da obiezioni apparentemente gravi alla sua posizione. La già lunga controversia su quale sia tra i due il modo appropriato di concepire le teorie può quindi venir prolungata indefinitamente; la ovvia morale da trarsi dal dibattito è quindi la seguente: una volta che entrambe le posizioni siano stabilite in modo che ciascuna di esse possa superare le difficoltà a prima vista incontrate, la questione su quale di esse sia la "posizione corretta" non ha piu che un interesse terminologico.
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l. Consideriamo i principali ostacoli a ciascuna delle due tes1 m esame, cominciando con quelli che si oppongono alla concezione delle teorie quali enunciati veri o falsi. a) C'è in primo luogo la difficoltà puramente formale che una teoria non è un enunciato, ma è soltanto uno schema di enunciato. Se infatti, come spesso accade, alcuni termini della teoria non sono associati con alcuna regola di corrispondenza, essi in effetti sono delle variabili, cosi che sotto questo aspetto la teoria non soddisfa i requisiti grammaticali degli enunciati. Si può superare questa difficoltà con un artifizio formale, proposto per la prima volta in modo esplicito da Ramsey." L'artifizio consiste semplicemente nell'introduzione di quelli che sono chiamati "quantificatori esistenziali" come prefissi degli schemi di enunciati, in modo che l'espressione che ne risulta sarà formalmente un enunciato. Per esempio, l'espressione 'se un essere umano presenta il tratto P, allora tale persona ha gli occhi azzurri' è uno schema di enunciato; ma aggiungendo il prefisso 'esiste un tratto P', ne otteniamo l'enunciato 'esiste un tratto P tale che, se un essere umano presenta questo tratto, allora tale persona ha gli occhi azzurri'. Si supponga, in modo simile, che sebbene i termini 'massa' e 'accelerazione' siano associati a regole di corrispondenza, il termine 'forza' non lo sia. L'espressione 'se un corpo subisce delle variazioni di moto, allora il prodotto della sua massa e della sua accelerazione è uguale alla forza F che agisce su di esso', è in effetti uno schema di enunciato, dal quale possiamo ottenere l'enunciato 'se un corpo subisce variazioni di moto, allora vi è una proprietà F (misurabile), tale che il prodotto della massa e dell'accelerazione del corpo è uguale ad F'. Piu in generale, sia 'T (M, N, P, Q)' una teoria, i cui termini teorici 'M' e 'N' siano associati a regole di corrispondenza, mentre i suoi termini teorici 'P' e 'Q' non lo sono, in modo che 'T (M, N, P, Q)' per ipotesi è uno schema di enunciato. Allora, 'esiste un P ed esiste un Q, tale che T (M, N, P, Q)' sarà un enunciato. Quindi, dato che usando l'artifizio di Ramsey non si alterano le conseguenze osservative che si possono trarre da una teoria, esso è sufficiente per aggirare la difficoltà formale in esame. b) In secondo luogo c'è l'obiezione già menzionata secondo la quale le teorie sono comunemente formulate in termini di concetti allimite, che non caratterizzano nulla di realmente esistente, cosi che non si può assolutamente pretendere per tali teorie una verità fattuale non-avuoto. Si può girare questa obiezione in parecchi modi. Una mossa familiare è quella di mettere in dubbio l'opinione che i concetti al limite non si riferiscano a cose esistenti. Senza dubbio non possiamo accertare, per esempio, con una misurazione palese il valore di una velocità istantanea o la grandezza di una lunghezza il cui valore teorico sia per stipulazione 27
FRANK
P.
RAMSEY,
op. cit., pp. 212-36.
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uguale alla radice quadrata di 2. Ma, a meno che si prenda come criterio dell'esistenza fisica, come talvolta si dice, l'accessibilità di una misurazione palese (o piu generalmente l'accessibilità all'osservazione), ciò non dimostra che i corpi non possono avere una velocità istantanea o una lunghezza con valori rappresentati da numeri reali. Al contrario, se una teoria che postula tali valori è sostenuta da prove pertinenti, allora, secondo la risposta in esame, ci sono buone ragioni per affermare che questi concetti al limite designino effettivamente certe fasi delle cose e dei processi. Dato che, controllando una teoria, si controllano le sue assunzioni, se si considera come ben fondata una teoria in base alle prove disponibili, si devono considerare alla stessa stregua ben fondate anche tutte le assunzioni che la compongono. Quindi, a meno che si introducano delle distinzioni del tutto arbitrarie, non si può fare una cernita tra le assunzioni componenti, considerandone alcune comi" descrizione di quanto esiste ed altre no. Vi è un altro modo in cui talora si fronteggia l'obiezione di cui ci stiamo occupando; la replica consiste nell'ammettere che i concetti al limite siano artifìzi semplifìcatori, e che una teoria che li impieghi non asserisca in genere nulla di cui si possa ragionevolmente rivendicare la verità letterale. Purtuttavia, le cose esistenti esibiscono tratti che spesso o sono indistinguibili dai tratti "ideali" menzionati in una teoria, oppure ne differiscono per un fattore trascurabile. Di conseguenza, secondo questa replica all'obiezione in esame, si dice che una teoria è vera nel senso che la discrepanza tra quanto la teoria asserisce e quanto può scoprire l'osservazione, anche la piu raffinata, è tanto piccola da poterla considerare derivante da un errore sperimentale. c) Un terzo tipo di difficoltà per la concezione delle teorie come enunciati veri o falsi deriva dal fatto, sul quale abbiamo già rivolto l'attenzione, che talvolta per lo stesso argomento si adoprano teorie apparentemente incompatibili. Per esempio, un liquido non può essere tanto un sistema di particelle discrete quanto un mezzo continuo, benché le teorie che trattano le proprietà dei liquidi adottino in alcuni casi un'assunzione ed in altri quella opposta. La replica abituale a tale obiezione consiste di due parti. Una di esse è essenzialmente una ripetizione della risposta riportata nel paragrafo precedente. Una teoria può venir impiegata in una data zona di indagine, anche se essa è apparentemente incompatibile con qualche altra teoria pure usata, perché la prima è piu semplice della seconda, e perché, per i problemi all'esame, la teoria piu complessa non porta a conclusioni che si accordino meglio con i fatti di quanto non facciano le conclusioni della teoria piu semplice. Questa ultima, quindi, può venir considerata, in un certo senso, come un caso particolare della teoria piu complessa, piuttosto che come una teoria contraria. La seconda parte della risposta è che, sebbene si possano usare per
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un certo tempo teorie incompatibili, il loro uso non è che un espediente temporaneo, da abbandonarsi appena sia stata sviluppata una teoria internamente coerente, piu comprensiva di ciascuna delle due precedenti. Cosi, anche se vi erano serie discrepanze tra le teorie dell'atomo adoperate all'inizio del secolo per render conto di molti fatti sia in fisica sia in chimica, queste teorie in conflitto sono state sostituite da una sola teoria della struttura atomica, correntemente usata in entrambe ' le scienze. In effetti, incompatibilità tra teorie, ciascuna delle quali sia ! tuttavia utile in qualche dominio limitato di indagine, sono spesso un ; potente incentivo per la costruzione di una struttura teorica piu inclu~_siva, ma coerente. Un sostenitore quindi della tesi che le teorie sono enunciati veri o falsi può sfuggire ad ogni imbarazzo che venga alla sua posizione dalla circostanza che talvolta nella scienza si impiegano teorie incompatibili; egli può insistere sul carattere emendabile di ogni teoria e negare di pretendere per qualsiasi teoria una verità definitiva. Egli può liberamente ammettere che anche una teoria falsa può essere perfettamente utile per trattare molti problemi; e può aggiungere a questa ammissione la rivendicazione che la successione di teorie in certi rami della scienza è una serie di approssimazioni progressivamente migliori all'ideale irraggiungibile ma valido di una teoria definitivamente vera. d) Vi è infine l'obiezione, correntemente sollevata contro la posizione in esame, che si basa sulle difficoltà incontrate nell'intepretare la meccanica quantistica in termini di un modello familiare. Per esempio, considerazioni tanto teoriche quanto sperimentali hanno condotto i fisici ad ascrivere agli elettroni (e ad altre entità postulate dalla teoria quantistica) caratteristiche apparentemente incompatibili, e comunque sconcertanti. Cosi, gli elettroni sono intesi come aventi caratteristiche che rendono appropriato il pensare ad essi come ad un sistema di onde; d'altra parte, gli elettroni presentano anche tratti che ci portano a pensare ad essi come a particelle, ciascuna delle quali abbia una localizzazione ed una velocità, sebbene, per principio, non si possa assegnare a nessuno di essi simultaneamente una determinata posizione ed una determinata velocità. Molti fisici hanno quindi concluso che la teoria quantistica non può venir considerata come un enunciato riguardante un dominio di cose e di processi "dotato di esistenza obiettiva", né come una mappa che schizzi, sia pure in modo approssimativo, la costituzione microscopica della materia. Al contrario, la teoria va considerata semplicemente come uno schema concettuale o una tattica per guidare e coordinare esperimenti. La risposta a questa obiezione segue uno schema familiare. Il fatto che per la teoria quantistica non si possa fornire un modello visualizzabile come quello che incarna le regole della fisica classica non è una ragione suffiCiente per negare che la teoria quantistica formuli effettiva-
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mente le proprietà strutturali dei processi subatomici. È senza dubbio desiderabile disporre di un modello soddisfacente della teoria; ma il tipo di modello che vien considerato soddisfacente in un dato tempo è funzione del clima intellettuale prevalente. Anche se i modelli correnti della teoria quantistica ci possono colpire come strani e perfino come "inintelliggibili ", non esistono ragioni che ci costringano a credere che la stranezza non sia destinata a scomparire col crescere della familiarità, o che alla fine non verrà trovata un'interpretazione piu soddisfacente. Di piu la pretesa inintelligibilità del presente modello discende in buona parte dall'incapacità di comprendere che termini quali "onda" e "particella", impiegati nella descrizione del modello, vengono ivi usati in maniera analogica. È solo in un senso alla Pickwick che un elettrone è una particella (nel significato abituale del termine), proprio come è in senso lato che -v=-f è un numero (nel significato in cui è un numero il cardinale intero 3 ). Si dice che un elettrone è una particella (o, alternativamente, un'onda), perché alcune delle proprietà attribuite agli elettroni sono analoghe a certe proprietà associate alle particelle classiche, o, alternativamente, alle familiari onde dell'acqua, anche se l'analogia viene meno per altre proprietà. Quando si intenda il linguaggio di "particelle" ed "onde" in funzione del modo in cui tali termini sono effettivamente usati nel contesto della meccanica quantistica, non nasce neppure l'ombra della contraddittorietà nelle caratterizzazioni degli elettroni operate dalla teoria quantistica. L'argomento fondamentale non è se un particolare modello dei processi subatomici sia soddisfacente, bensf se le relazioni tra i costituenti elementari dei processi e degli oggetti fisici siano stabilite in modo piu adeguato dal formalismo matematico della meccanica quantistica piuttosto che da un qualsiasi altro modello disponibile al presente. Su questo punto, non c'è divergenza tra i piu qualificati studiosi nel dare risposta affermativa. Questo breve saggio delle obiezioni alla tesi che le teorie siano enunciati veri o falsi basta a dimostrare che essa dispone di risorse dialettiche le quali le permettono di resistere all'attacco di una critica severa. Senza dubbio le repliche alle critiche testé accennate possono a lor volta venir ribattute da altre contro-repliche, nessuna delle quali, però, è tale che ad essa non si possa dare, da parte dei difensori della tesi, una risposta almeno superficialmente soddisfacente. Non vale quindi la pena di proseguire questa fase della discussione. Volgiamoci invece ad alcune delle critiche contro la posizione strumentalistica. 2. Si sono notate due difficoltà principali nella posizione strumentalistica quale viene formulata generalmente. La prima è che la maggior parte delle indagini sperimentali è volta alla ricerca di prove pro o contro una teoria - lavoro apparentemente inutile se una teoria
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non è un enunciato vero e proprio ma semplicemente la formulazione di un modo di operare o di una regola di procedura. Questa obiezione però può esser resa innocua facilmente. È infatti sufficiente rispondere che una teoria può in effetti venir sottoposta a "controlli" in cerca di prove che la "confermino" o la "smentiscano", ma solo nel senso che si cerchino prove pro o contro le conclusioni osservative dedotte dalle premesse osservative in accordo con la teoria. Come si è visto, la sola questione che nasce in conseguenza di questo modo di impostare il problema riguarda la convenienza relativa dell'uso di principi guida materiali piuttosto che puramente formali nel ricostruire le inferenze deduttive. La seconda difficoltà, piu seria, è che una tesi strumentalistica sostenuta coerentemente sembra precludere ai suoi aderenti di ammettere la "realtà fisica" (o "esistenza fisica") di qualsiasi "oggetto scientifico" apertamente postulato dalla teoria. Infatti se una teoria che adoperi termini come 'atomo' o 'elettrone' è soltanto un principio guida, è incoerente il chiedersi se gli atomi "esistano realmente"; e lascia molto perplessi il sentir dire, come accade da parte di alcuni fisici, che, a causa delle prove sperimentali che oggi testimoniano degli atomi, "siamo convinti della loro esistenza fisica tanto quanto di quella delle nostre mani e dei nostri piedi". Purtuttavia la forza di questa obiezione non è chiara, e ciò per la ben nota ambiguità, se non oscurità, delle espressioni 'realtà fisica' o 'esistenza fisica'. In ogni modo, gli scrittori che le adoperano in genere non le intendono nello stesso senso. Sarà quindi utile considerare alcuni diversi criteri che vengono comunemente impiegati, esplicitamente o tacitamente, quando si afferma o si nega la realtà fisica di oggetti scientifici quali gli elettroni, gli atomi, i campi elettrici, e simili. a) Per tutto ciò che va considerato come fisicamente reale, il requisito forse piu familiare è che la cosa o l'evento venga pubblicamente percepito quando si verifichino le condizioni adatte per la sua osservazione. Secondo questo criterio, si può dire che esistano fisicamente i bastoni, le pietre, il balenio del lampo,' gli odori di cucina e cose simili, ma non il dolore sentito da un uomo che si sloga una caviglia, né gli elefanti rosa che un ubriaco può percepire nel suo delirio. La maggior parte degli oggetti scientifici, però, non sono fisicamente reali in questo senso. Cosf, benché le superfici illuminate siano, secondo tale criterio, fisicamente reali, le onde luminose non lo sono; e, benché le condensazioni di vapor acqueo che formano tracce visibili in una camera di Wilson siano reali, non lo sono le particelle alfa che (secondo la teoria fisica corrente) producono tali tracce. Non è certo in base a questo modo di interpretare l'espressione "fisicamente reale", che siamo convinti della realtà fisica degli atomi come di quella delle nostre mani e dei nostri piedi. D'altra parte, se anche qualche ogget-
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to scientifico ipotetico fosse fisicamente reale in questo stesso senso per esempio, se diventassero visibili i geni postulati dall'attuale teoria biologica dell'ereditariatà - non ne verrebbe alterato il compito svolto nella scienza dalle nozioni teoriche nei cui termini quegli oggetti sono specificati. È naturalmente del tutto possibile che se potessimo percepire le molecole molte domande che le riguardano troverebbero risposta, cosi che la teoria molecolare riceverebbe una migliore formulazione; tuttavia essa continuerà a formulare le caratteristiche delle molecole in termini re/azionali - in termini delle relazioni delle molecole tra loro e delle mclecole con altre cose - e non i termini di qualcuna di quelle qualità che potessero venir direttamente colte attraverso gli organi dei sensi. Infatti la raison d' etre della teoria molecolare non è quella di fornire informazioni sulle qualità sensibili delle molecole, ma è quella di permetterei di comprendere (e prevedere) il verificarsi di eventi e le relazioni della loro interdipendenza in termini dei modelli strutturali generali di cui le molecole fan parte. In questo significato della frase, quindi, la realtà fisica delle entità teoriche non ha grande importanza per la scienza. h) Un secondo criterio di realtà fisica largamente accettato è quasi al polo opposto del primo; ne abbiamo già accennato di passaggio. Secondo questo criterio, ogni termine non logico di una legge assunta (teorica o sperimentale) designa qualcosa che è fisicamente reale, purché la legge sia ben sostenuta da prove empiriche e sia generalmente accettata come probabilmente vera da parte della comunità scientifica. Secondo tale criterio, quindi, viene attribuita una realtà fisica non soltanto a entità sperimentalmente identificabili come l'energia cinetica di un proiettile, lo sforzo di un corpo soggetto a tensione, la viscosità di un liquido o la resistenza elettrica di un filo metallico, ma anche ad oggetti teorici come le onde luminose, gli atomi, i neutrini e le onde di probabilità. Chiunque adotti questo criterio sosterrà conseguentemente che molti oggetti postulati da qualche teoria accettata sono cose fisicamente esistenti, anche prima che siano disponibili le prove empiriche che confermino assunzioni specifiche dettagliate su quegli oggetti. Questo sembra essere stato il criterio adottato da molti fisici contemporanei, che hanno creduto nell'esistenza fisica dell'antiprotone, secondo quanto postulava la teoria quantistica, anche se mancava, fino a poco tempo fa, la prova sperimentale ad essa relativa. Viceversa, coloro che impiegano questo criterio negheranno la realtà fisica di un oggetto scientifico che un tempo era caratterizzato come tale (per esempio il flogisto della teoria flogistica della combustione), quando venga abbandonata come insoddisfacente la teoria che postula quell'oggetto- a meno che, naturalmente, una teoria diversa ma accettabile, postuli un oggetto quasi analogo. c) Un terzo criterio di realtà fisica che qualche volta viene adot-
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tato è quello secondo cui un termine che designi qualcosa di fisicamente reale deve entrare a far parte di piu di una legge sperimentale, con la clausola che le leggi siano logicamente indipendenti tra loro e che nessuna di esse sia logicamente equivalente a un insieme di due o piu leggi. Tale clausola può venir evidentemente rafforzata se si richiede ·. che il numero di tali leggi sperimentali sia considerevole. La ragione :di questa richiesta sta nel caratterizzare come fisicamente reale soltanto cose che possono essere identificate per vie diverse e indipendenti dalle procedure usate per definirle. Per esempio, il valore della forza gravitazionale terrestre su un corpo appare nella legge di Galileo sulla caduta libera dei gravi come la costante 'g'. Se questa fosse l'unica legge in cui si presenta 'g', allora, secondo il criterio testé illustrato, l'espressione 'forza gravitazionale' non designerebbe una realtà fisica . .Ma 'g' compare in molte altre leggi sperimentali, come quella sul periodo di un pendolo semplice; di conseguenza, si può attribuire alla forza gravitazionale terrestre una realtà fisica. Viceversa, la situazione appare differente nel caso della nozione di campo elettrico. Possiamo determinare l'intensità di un campo elettrico in una regione introducendovi un corpo campione, di cui siano note massa e carica elettrica, e misurando la forza esercitata su questo corpo. L'intensità del campo è allora definita come rapporto tra tale forza e la carica del corpo; ed è una legge sperimentale quella che, in determinate condizioni, tale rapporto sia costante per ogni corpo campione di dimensioni relativamente piccole. L'espressione 'campo elettrico' compare quindi in una legge sperimentale; ma è questa, sembra, l'unica legge sperimentale in cui l'espressione figura. Se è cosf, allora, secondo il presente criterio, non si può attribuire al campo elettrico una realtà fisica. L'applicazione del criterio agli oggetti scientifici postulati dalle teorie microscopiche comporta alcune complicazioni, dato che negli enunciati delle leggi sperimentali non compaiono termini teorici. Ci porterebbe troppo lontano il chiarire in ogni dettaglio queste complicazioni. In ogni modo, per i nostri scopi basterà interpretare il criterio relativo alla realtà fisica delle entità teoriche dicendo che il termine teorico riferentesi manifestamente a tali entità deve essere associato a concetti sperimentali per mezzo di regole di corrispondenza, e inoltre che questi concetti sperimentali devono comparire in almeno due leggi sperimentali logicamente indipendenti, derivabili dalla teoria. Per esempio, nella teoria cinetica dei gas espressioni teoriche come la 'massa di una molecola', l" energia cinetica media della molecola', il 'numero di molecole' e simili sono associate a concetti sperimentali quali la 'massa di un gas', la 'temperatura di un gas', ed il 'rapporto tra il prodotto della pressione per il volume di un gas e la sua temperatura'. Queste ultime espressioni compaiono in piu leggi sperimentali, come la legge di Boyle-Charles, quella di Dalton sulle pressioni parziali, o la legge secondo cui a una data temperatura e a una data pressione
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la differenza dei due calori specifici per unità di volume è la stessa per tutti i gas - leggi tutte derivabili dalla teoria. Valla pena di notare che secondo il presente criterio di realtà fisica, in generale non si attribuirà l'esistenza a qualsiasi entità postulata da una teoria, anche se la teoria nel suo insieme è ben confermata sperimentalmente ed è accettata come probabilmente vera. Cosi, un tempo alcuni fisici dubitavano dell'esistenza fisica del neutrino, che in origine era stato postulato per salvare il principio della conservazione dell'energia nella teoria quantistica; ed è possibile che questo dubbio fosse basato sul fatto che il termine 'neutrino' non soddisfaceva i requisiti di questo criterio. In modo simile, quando Planck introdusse per la prima volta la nozione teorica di quanti discreti di energia per riuscire a render conto della distribuzione dell'energia dello spettro di radiazioni di un corpo nero, i fisici (compreso lo stesso Planck) dubitavano dell'esistenza di questi quanti. La situazione mutò quando la nozione dei quanti di energia fu associata alla costante 'h' che compariva non soltanto nella legge di Planck, ma anche in altre leggi sperimentali relative all'effetto fotoelettrico, agli spettri a righe degli elementi, al calore specifico dei solidi, ecc., leggi tutte che sono derivate da teorie contenenti, tra le assunzioni che le compongono, l'ipotesi quantistica. d) Spesso viene adottato un quarto criterio di realtà fisica, sotto alcuni aspetti piu restrittivo. Secondo questo criterio, un termine significa qualcosa di fisicamente reale, se esso compare in una "legge causale" (teorica o sperimentale) ben fondata, intendendosi l'espressione "causale" in un senso che sia stato specificato. Secondo una versione piu particolare del criterio, il termine deve descrivere ciò che tecnicamente viene detto lo "stato di un sistema fisico", cosi che se 'At' è la descrizione-di-stato del sistema all'istante t, la legge causale asserisce che lo stato dato è invariabilmente seguito (o preceduto) dallo stato 'At•' all'istante t'posteriore (o precedente) a t.u Per esempio, in meccanica lo stato di un sistema di particelle è descritto dall'insieme di numeri che specificano le posizioni e le velocità delle particelle. Le leggi causali della meccanica ci permettono, date le posizioni e le velocità di un insieme di particelle in qualsiasi istante iniziale, di determinarne le posizioni e le velocità in qualsiasi altro istante. Di conseguenza lo stato meccanico di un sistema è fisicamente reale. Similmente lo stato di un sistema nella teoria quantistica è descritto da una certa funzione (nota come la funzione d'onda o funzione ~) delle posizioni e delle energie delle particelle elementari, dove la funzione è una soluzione dell'equazione d'onda fondamentale della teoria. L'equazione in effetti afferma che lo stato ~ del sistema in un 28
La nozione di "stato" verrà discussa piu a fondo nel capitolo che segue.
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dato istante è invariabilmente seguito dallo stato ~ del sistema calcolabile in qualsiasi determinato istante futuro. Quindi, secondo il presente criterio, lo stato ~ è fisicamente reale. Viceversa, le coordinate della posizione e della veloci~à di una particella elementare individuale della meccanica quantistica, per esempio di un elettrone, non descrivono qualcosa che sia fisicamente reale, perché non costituiscono la descrizione-di-stato della particella. Stando all'opinione di almeno alcuni fisici, non si può quindi attribuire realtà fisica ai singoli elettroni e ad altre entità subatomiche simili.29 e) È degno di nota un ultimo criterio di realtà fisica, secondo cui
il reale è ciò che è invariante rispetto a un insieme stipulato di trasformazioni, variazioni, proiezioni o prospettive. Un esempio preso - dalla geometria elementare illustrerà l'idea generale che sottosta a questo criterio. Si immagini un cerchio dipinto su una lastra di vetro su un piano orizzontale ed una piccola sorgente di luce posta perpendicolarmente sopra al centro, ad una certa distanza. Indi si proietti il cerchio, la cui ombra venga raccolta su uno schermo posto parallelamente al vetro; anche l'ombra sarà un cerchio. Si supponga però di far ruotare il vetro intorno ad un asse che passi per il vetro e sia parallelo allo schermo, mentre la sorgente luminosa e lo schermo rimangono nelle loro posizioni iniziali. Le ombre sullo schermo non saranno piu dei cerchi, ma assumeranno la forma, prima, di ellissi, infine di parabole. In questa proiezione, non verranno conservate nell'ombra del cerchio né la sua forma, né il suo contorno, né la sua area; queste non sono proprietà invarianti del cerchio rispetto alla proiezione. Tuttavia, alcune proprietà del cerchio sono invarianti rispetto a questa proiezione: per esempio, se si dipinge sul vetro una retta che seghi il cerchio l'ombra della retta segherà sempre l'ombra del cerchio in due punti. Se applicassimo a questo esempio il criterio in questione, dovremmo dire che né la forma, né il contorno, né l'area della figura sul vetro sono una realtà fisica, ma che soltanto le proprietà invarianti per la proiezione (come l'ultima proprietà menzionata) sono fisicamente reali. È evidente che secondo questo criterio si possono caratterizzare come realtà fisiche differenti tipi di cose, a seconda dell'insieme di trasformazioni che si prescelga. In questo modo alcuni autori hanno negato realtà fisica alle qualità sensorie immediate, perché variano secondo le condizioni fisiche, fisiologiche e perfino psicologiche; essi hanno riservato il diritto al titolo di reale alle cosiddette "qualità primarie" delle cose, le cui interrelazioni sono indipendenti da variazioni 29 Cfr. la discussione su questo punto tra due capiscuola dei fisici contemporanei, ERWIN ScHRODINGER, Are there Quartum Jumps? "British }ournal for the Philosophy of Science", vol. 3 (1952), pp. 109-23, 233-42; e MAX BoRN, The Interpretation of Quantum Mechanics, "British }ournal for the Philosophy of Science", vol. 4 (1953), pp. 95·106.
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Lo status conoscitivo delle teorie
fisiologiche e psicologiche, e sono formulate da leggi fisiche. Analogamente il valore numerico della velocità di un corpo rion è invariante quando il moto del corpo venga riferito a diversi sistemi di riferimento, cosi che secondo il presente criterio la velocità relativa non è una realtà fisica. Molti studiosi che hanno scritto sulla teoria della relatività hanno infatti sostenuto che le distanze spaziali e le durate temporali come sono concepite nella fisica prerelativistica non sono fisicamente reali, in quanto non sono invarianti per tutti i sistemi che si muovono .uno rispetto all'altro con velocità relative costanti. Secondo questi scrittori, si deve attribuire realtà fisica soltanto a quelle caratteristiche delle cose che sono formulate da leggi invarianti della fisica relativistica (come l'energia cineHca relativistica di un corpo, o il suo momento relativistico ). Similmente, si è attribuita realtà fisica a entità teoriche come gli atomi, gli elettroni, i mesoni, le onde di probabilità e simili, perché soddisfano alcune condizioni indicate di invarianza. Per evitare possibili equivoci, val forse la pena di sottolineare che i criteri menzionati nella precedente discussione vogliono essere esplicativi di ciò che per ipotesi si intende significare in contesti in cui viene affermato che qualcosa è fisicamente reale. Non va quindi male interpretata l'attribuzione di realtà fisica in ognuno dei sensi che abbiamo distinto. Non la si deve intendere come implicante che una cosa in tal modo caratterizzata abbia posto nello schema di cose da contrapporre a certe altre aventi l'ingrata etichetta di Il pure apparenze"' o che la cosa, oltre a soddisfare i requisiti specificati dal criterio corrispondente, sia in qualche modo di maggior valore o piu fondamentale che qualsiasi altra la quale non goda di questa caratterizzazione. Molti scienziati e molti filosofi, in effetti, hanno spesso usato il termine "reale" in maniera onorifica, per esprimere un giudizio di valore e per attribuire uno status "superiore" alle cose di cui asserivano la realtà. C'è forse, tutte le volte che si adopra la parola "reale", una simile aura di designazione onorifica, nonostante le esplicite dichiarazioni in contrario, e certamente a detrimento della chiarezza. Per questa ragione sarebbe desiderabile bandirne del tutto l'uso. Ma al punto in cui stanno le cose le abitudini linguistiche sono troppo profondamente radicate e troppo ampiamente diffuse perché ciò risulti possibile. Pertanto queste osservazioni precauzionali sono state aggiunte per chiarire che ogni infelice contrapposizione che possa sorgere in relazione alla parola "reale" non ha peso ai fini del presente esame. In ogni modo, il breve elenco di criteri che precede non esaurisce i significati di reale' e di esistere' distinguibili nelle discussioni sulla realtà degli oggetti scientifici. Esso comunque è sufficiente a mostrare come un sostenitore del punto di vista strumentalistico non possa dare una risposta esente di ambiguità alla domanda ambigua se sia coerente con la sua posizione accettare la realtà fisica di cose come gli atomi e 1
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gli elettroni; è però anche sufficiente a suggerire che vi sono almeno alcuni sensi delle espressioni 'fisicamente reale' e 'fisicamente esistente', nei quali uno strumentalista, in vena di fare dell'ironia, può riconoscere la realtà fisica o l'esistenza di molte entità teoriche. Piu in particolare, se si adotta il terzo dei criteri menzionati per specificare il senso dell'espressione 'fisicamente reale', è del tutto evidente che la tesi strumentalistica è interamente compatibile con la tesi che gli atomi, per esempio, siano davvero fisicamente reali. In via di fatto, molti tra gli strumentalisti fan valere questa tesi, il che equivale ad asserire che esistono numerose leggi sperimentali ben fondate, ·che sono in una certa relazione tra loro e con altre leggi in virtu di una data teoria atomistica. In breve, asserendo che, in questo senso, gli atomi esistono, si afferma che le prove empiriche a disposizione sono sufficienti a stabilire l'adeguatezza della teoria come principio guida per un esteso dominio di ricerca. Ma, come si è già osservato, ciò risulta in effetti, solo verbalmente diverso dal dire che la teoria è tanto bene confermata dalle prove che la si può, in via provvisoria, accettare come vera. I sostenitori del punto di vista strumentalistico possono, naturalmente, riservarsi la facoltà di giudicare se altre entità teoriche postulate dalla teoria esistano realmente, poiché può darsi che non siano chiaramente soddisfatti i requisiti per la loro realtà fisica quali sono stabiliti dal criterio. Ma su questo particolare punto possono avere esitazioni consimili anche i sostenitori della tesi della verità o falsità delle teorie. È quindi difficile sfuggire alla conclusione che, quando si formuli con una certa cautela ciascuno dei due punti di vista, apparentemente opposti, sullo status conoscitivo delle teorie, ognuno di essi può assimilare nella sua formulazione non soltanto i fatti riguardanti l'argomento principale studiato dall'indagine sperimentale, ma anche tutti i fatti di rilievo che riguardano la logica e la procedura della scienza. In breve, l'oppqsi.zion_~_!.r~_ i due puntL.dLvista è un _c()ntlittq di prefere:nze su._ modi di e~~.PJin.!~!'§L
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Capitolo settimo
La meccanica e le spiegazioni di tipo meccanico
I capitoli precedenti sono stati dedicati quasi esclusivamente ad alcune questioni generali, che occupano una posizione focale nelle analisi passate e presenti del carattere delle spiegazioni conformi allo schema deduttivo. Quando però si esamina la struttura delle spiegazioni in campi particolari delle scienze, pur mantenendo l'attenzione ristretta alle spiegazioni di tipo deduttivo, si incontrano parecchie altre questioni. Vogliamo considerarne alcune, ma dovremo discuterle nel contesto dei sistemi esplicativi particolari in cui esse vengono generate. Uno di tali sistemi è la meccanica teorica classica. La meccanica classica continua ad essere una parte fondamentale della fisica moderna ed a fornirci l'esempio di un importante tipo di spiegazione fisica, nonostante i grandi cambiamenti avvenuti nella fisica fin dall'inizio del secolo. Per tali ragioni in questo capitolo viene discusso che cosa si intenda per spiegazione di tipo meccanico e vengono esaminati alcuni argomenti metodologici critici sollevati dagli assiomi della meccanica.
I. Cosa è una spiegazione di tipo meccanico? La meccanica è la prima tra le scienze naturali che ha raggiunto un sistema unificato per spiegare quei fenomeni che essa rivendica al proprio dominio. Ancora in tempi preistorici gli uomini hanno appreso l'uso di macchine semplici, come leve e ruote, per alleggerire la fatica e per realizzare nell'architettura e nell'industria imprese altrimenti impossibili. Per mezzo di un'acuta osservazione e per tentativi successivi, si !!f.fUfl.!..!IJ~tQ[lQ per ogni evento molte informazioni sulle proprietà meccaniche degli oggetti fisici. Tuttavia la formulazione esplicita delle leggi meccaniche, basata su un'analisi sistematica di relazioni meccaniche generali, pare non abbia avuto inizio prima dell'antichità classica. Un ramo della meccanica, la statica, raggiunse un avanzato stadio di sviluppo al tempo di Archimede, nel terzo secolo a. C. Ma i tentativi di estendere analisi del genere ai moti dei corpi non irì equilibrio non
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ebbero un vero successo fino alle grandi conquiste di Galileo e di Newton. In seguito una lunga serie di studiosi - D'Alembert, Lagrange, Laplace, Gauss, Hamilton, per citare solo alcuni tra i nomi piu illustri - rifuse ed elaborò i principi fondamentali di questa scienza, applicandoli ad una quantità straordinariamente grande di campi diversi. Alla metà del XIX secolo la meccanica era generalmente riconosciuta come la scienza fisica piu perfetta, incarnante l'ideale verso cui dovevano aspirare tutti gli altri rami di indagine. Era infatti assunzione comune di eminenti studiosi, fisici o filosofi, che la meccanica fosse la scienza fondamentale ed ultima, in termini delle cui nozioni fondamentali potessero e dovessero esser spiegati i fenomeni studiati da tutte le altre scienze naturali. "Nella vera filosofia" dichiarava Huygens nel XVII secolo "le cause di tutti gli effetti naturali sono concepite meccanicisticamente. E, a meno di non rinunciare per sempre ad ogni speranza di comprendere alcunché in Fisica, questo è ciò che a mio parere si deve fare". Durante i successivi 250 anni i principali scienziati fecero ripetutamente eco alla convinzione di Huygens; cosi Hertz dichiarava che: "Tutti i fisici all'unanimità ritengono che il compito della fisica sia quello di ridurre i fenomeni della natura alle semplici leggi della meccanica".1 Ancora, recentemente, nel 1909 Painlevé, illustre matematico francese, sosteneva che "la meccanica è il fondamento necessario delle altre scienze, nella misura almeno in cui queste ultime desiderano essere esatte" .2 Huygens era portavoce della convinzione, condivisa da buona parte degli scienziati moderni, che le spiegazioni in termini della meccanica siano l'unica alternativa alla filosofia oscurantista e alla fisica verbale di uno scolasticismo decadente. L'importanza storica della meccanica basterebbe da sola a giustificarne uno studio approfondito; vi sono comunque ulteriori ragioni perché le si dedichi una speciale attenzione. In primo luogo, essa presenta in un modo relativamente semplice il tipo di integrazione logica che rappresenta la meta da raggiungersi per le altre branche della 1 CHRISTIAN HuYGENS, Traité de la Lumière, Leida 1690, c. 5; (trad. it. a cu· re di C. Pighetti, Firenze, 1963); HEINRICH HERTZ, Die Prinzipien der Mechanik, Leipzig, 1910, p. XXIX. 2 PAUL PAINLELÈ, Les Axiomes de la mécanique, Parigi, 1922, p. 3. Saggio che comparve per la prima volta nel 1909. Per illustrare questa opinione filosofica, si può citare la tesi di Wundt che " la meccanica è il principio e il fondamento di tutta la scienza naturale impegnata in un compito esplicativo. È la piu generale tra le scienze naturali per quel che riguarda il tentativo di ridurre, in forza del postulato della permanenza della sostanza materiale, tutti i fenomeni naturali dati ai sensi esterni a fenomeni studiati dalla meccanica, cioè a moti dei corpi e delle loro parti" (WrLHELM WVNDT, Logik, 3• ed., vol. 2, p. 274). Si notino anche le idee di Kirchhoff e di Helmholtz. Kirchhoff dichiarava che "l'obiettivo piu alto a cui devono mirare le scienze naturali, ma che esse non raggiungeranno mai, è... in una parola, la riduzione di tutti i fenomeni della natura alla meccanica" (citato da }.-B. STALLO, Concepts o! Modern Physics, New York, 1884, p, 18). Helmholtz sosteneva che "l'obiettivo delle scienze naturali è il trovare i moti su cui sono basati tutti gli altri mutamenti, e le corrispondenti forze motrici - per risolverli, quindi, nella meccanica" (ibid.).
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scienza; per tale ragione costituisce l'esempio di distinzioni di logica e di metodo che nelle altre scienze si ritrovano solo in forme sovraccariche di complicazioni tecniche maggiori. In secondo luogo, il fatto che essa abbia in un certo periodo occupato un posto preminente come la scienza piu universale e perfetta, e poi sia declinata da tale posizione, ha provocato una vigorosa controversia sull'adeguatezza del metodo scientifico quale è concepito e praticato tradizionalmente; ma per comprendere le relative discussioni occorre avere una chiara nozione della natura e dei limiti delle spiegazioni della meccanica. Cosf, si sente spesso ripetere la tesi che molte delle assunzioni e dei modi di analisi associati alla meccanica classica per esempio, le assunzioni che riguardano il carattere "strettamente causale" o "rigorosamente deterministico" dei processi naturali, oppure la possibilità di sviluppare adeguate teorie che interpretino processi complessi in termini di processi piu elementari - non sono piu sostenuti dagli sviluppi recenti delle scienze naturali, e devono venir abbandonati in favore di altre concezioni del metodo scientifico. In terzo luogo, mentre la meccanica è decaduta dalla posizione preminente che occupava una volta, sono apparsi nuovi pretendenti alla posizione di scienza universale della natura, a cui vadano "ridotte" tutte le altre scienze. Ma queste varie tesi possono essere intese solo se siano almeno relativamente chiari i tratti distintivi delle spiegazioni in "termini meccanici", e solo se si siano rese evidenti le condizioni in cui una teoria può servire come sistema universale di spiegazione. Un esame del carattere delle spiegazioni di tipo meccanico promette quindi importanti risultati; è questo il compito a cui ora ci rivolgeremo. l. Che cosa è, dunque, una spiegazione di tipo meccanico? Benché i termini "meccanico" e "meccanismo" siano stati impiegati da Huygens e dai suoi successori in un significato abbastanza preciso, essi vengono usati in modo ambiguo in molte discussioni divulgative e perfino tecniche, e sono termini definiti nella migliore delle ipotesi solo vagamente. Sarà opportuno osservare brevemente fin dall'inizio la varietà di contesti in cui tali termini compaiono, e specificare in seguito il loro significato riferito alla scienza della meccanica. Questi termini ricorrono spesso in discussioni su leve, pulegge, orologi a pendolo, ma non sono meno comuni quando si stia trattando di moderne automobili, orologi elettrici e apparecchi fotografici. Innumerevoli libri poi assumono come loro argomento specifico la meccanica di processi diversi, com~ l'udire, il respirare, la trasmissione dei caratteri ereditari, o il modo di operare di organizzazioni politiche; e quelle ricerche che procedono in base all'assunto che gli organismi biologici siano composti fisico chimici vengono spesso caratterizzati come esempi di "materialismo meccanicista ". Inoltre, certe risposte automatiche degli esseri umani a varie situazioni sociali in cui si possono venire a trovare sono pure talora
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descritte come "meccaniche"; e certe composizioni musicali e poetiche, come certe teorie sulla musica e sulla poesia, vengono spesso descritte allo stesso modo. Si può tranquillamente dire che non esiste un nucleo di un esatto significato comune a questi svariati usi dei termini "meccanico" e "meccanismo". È infatti ovvio che il significato di "operazione meccanica" quando si usi il termine in giudizi di valutazione del comportamento è del tutto diverso da quello assunto dal termine "meccanico" in contesti di analisi teorica nelle scienze naturali. Per di piu, anche in questi ultimi contesti non sempre viene convogliato il significato che associamo al termine entro la scienza della meccanica. Come risulta chiaramente dagli esempi precedenti, il termine viene comunemente impiegato non soltanto in analisi di problemi studiati in modo specifico da tale scienza, ma anche in analisi di processi termici, elettromagnetici, ottici, chimici, fisiologici e sociali, i quali, in genere, non vengono spiegati mediante le nozioni caratteristiche della meccanica. Ogni risposta a domande del tipo di "Come funziona?" o "Come vien fatto?" è apparentemente una spiegazione di tipo meccanico, qualunque possano essere i fattori determinanti dei processi in esame sui quali la domanda richiama l'attenzione. Quindi in questo senso lato del termine tutte le scienze della natura provvedono spiegazioni di tipo meccanico, nella misura, in cui tutte le scienze particolari cercano di scoprire le condizioni in cui avvengono cose ed eventi e di formulare le leggi che esprimono tali relazioni di dipendenza. Quando il termine però viene usato in questo modo generale, l'espressione di Huygens sopra riportata costituisce poco piu che un truismo. Infatti, anche nei contesti delle ricerche sul comportamento umano, è probabile che gli unici a non essere d'accordo con quella interpretazione saranno coloro che pensano che il significato viene distrutto dalla spiegazione ogniqualvolta si cercano le varie condizioni da cui dipende la "vita interiore dell'uomo". Per apprezzare quindi ciò che intendeva Huygens e ciò che avevano in mente gli storici delle idee nel caratterizzare certi periodi dello sviluppo scientifico come dominati dall'ideale della spiegazione di tipo meccanico, dobbiamo esaminare il senso del termine "meccanico" entro la scienza classica della meccanica. Tuttavia, sebbene le definizioni standard della meccanica forniscano degli spunti importantissimi per la comprensione di tale significato, essi non sono gran che rivelatori se non si procede ad un'ulteriore e approfondita analisi. Le definizioni abituali sono varianti della definizione della meccanica, data da Maxwell, come scienza della materia e del moto,' il che certamente delimita il campo della scienza in un modo 3 Matter and Motion è il titolo del libro di J, C. Maxwell, pubblicato per la prima volta nel 1877. Ecco ora alcune definizioni tipiche di altri autori: "La meccanica pura ... è la scienza di quei fenomeni, nei quali sono da prendersi in considerazione esclusivamente dei moti, in quanto tali fenomeni si occupano del moto
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generale; per esempio, le reazioni chimiche vengono prima facie escluse dal suo dominio. Tuttavia, sono poche, se pure esistono, le branche della fisica che non possano venir considerate come indagini sul moto della materia. Per esempio, la limatura di ferro in presenza di una sbarra di magnete assume certe posizioni definite, cosf come fa un ago magnetizzato in presenza di un filo percorso da corrente elettrica. Ma anche se questi esempi mostrano materia in moto, cosf che, in base alla definizione di Maxwell, dovrebbero cadere entro il dominio della meccanica, in effetti essi ne sono esclusi. La definizione proposta, perciò, non chiarisce interamente i limiti effettivi della scienza della meccanica - ed invero il termine "materia" è ben troppo impreciso per poter definire con chiarezza alcunché - in modo che dobbiamo cercare piu in profondità per avere un adeguato resoconto del carattere delle spiegazioni di tipo meccanico.' 2. Il metodo piu diretto e soddisfacente per accertare la portata di una scienza e il carattere distintivo delle sue spiegazioni è quello di rivolgersi alle leggi e alle teorie generali - quando vi siano - che costituiscono ad un dato stadio di sviluppo le premesse ultime delle sue spiegazioni. Fortunatamente, ciò è appunto possibile nel caso della meccanica classica, perché il contenuto di questa scienza si può soddisfacentemente sistemare entro l'inquadramento offerto dagli "assiomi" fondamentali, o "leggi", del moto, dovuti a Newton. Sarà quindi sufficiente esaminarli ed estrarne i caratteri essenziali delle spiegazioni di tipo meccanico. 5 di punti materiali, di corpi rigidi, fluidi e di solidi elastici" (GusTAV KIRCHHOFF, Vorlesungen uber Mathematische Physik, Mechanik, 3" ed., Leipzig, 1883, p. III). "La meccanica è la scienza dei moti dei corpi naturali, cioè dei loro... cambiamenti di posto, che non siano accompagnati da alcuna variazione delle loro altre proprietà" (LuowiG BOLTZMANN, Vorlesungen uber die Prinzipien der Mechanik, Leipzig, 1897, vol. I, p. 1). "La meccanica è la scienza del moto" (A. Voss, Grundlegung der Mechanik, in "Enciclopaedie der mathem. Wissenschaften", Leipzig, 1901, vol. 4, parte l, p. 12). "La meccanica è la scienza delle leggi del moto dei corpi materiali" (MAx PLANCK, Ein/uhrung in der Allgemeinen Mechanik, Leipzig, 1921, p. l) "La meccanica ... è definita specificatamente come lo studio delle leggi del moto dei corpi materiali, cioè dei cambiamenti relativi di posizione di tali corpi nel tempo" (NATHIANEL H. FRANK, Introduction to Mechanics and Heat, New York, 1939, p. 3). 4 Un buon suggerimento sull'effettivo oggetto della meccanica è fornito dall'etimologia della parola stessa. Essa è derivata dall'espressione greca di congegno, essendo congegni gli apparati per sollevare e spostare pesi, come le leve, i piani inclinati, i cunei e le carrucole. Lo studio di queste macchine, con lo scopo di scoprire i vantaggi che offrono, è ancor oggi considerato un compito distintivo della scienza della meccanica. 5 È necessario un breve commento in relazione alla scelta della formulazione newtoniana come base del presente esame. Esistono, naturalmente, altre formulazioni della teoria della meccanica oltre a quella di Newton, per esempio quelle di Lagrange e di Hamilton, che permettono di analizzare molti complessi problemi con agio e flessibilità maggiori di quanto non possa esser fatto in termini della teoria di Newton. Queste alternative sono tuttavia matematicamente equivalenti allo schema newtoniano, e non si guadagnerebbe nulla usando come punto di partenza una di tali alternative generalmente meno familiari. In piu, alcune di queste altre sistematizzazioni della meccanica adottano come primitive delle nozioni teoriche che sono differenti da quelle usate da Newton. Per esempio, nel sistema newtoniano le nozioni fondamentali sono quelle di spazio, tempo,
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La struttura della scienza
I tre assiomi o leggi del moto di Newton furono da lui enunciati nel seguente modo: I. Legge. Ciascun corpo persevera nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, a meno che sia costretto a mutare tale stato da forze ad esso impresse. II. Legge. La variazione di moto è sempre proporzionale alla forza motrice impressa ed avviene lungo la linea retta secondo la quale la forza è stata impressa. III. Legge. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: ossia, le azioni reciproche di due corpi sono sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte. Quando si traducono questi assiomi nella terminologia e nelle notazioni correnti nell'analisi matematica, la teoria della meccanica newtoniana asserisce che: a) Se le forze esterne F che agiscono su un corpo (il cui momento lungo una data retta è m v) sono uguali a zero, allora anche la variazione di mv rispetto al tempo è zero. (Si osservi che mv può essere uguale a zero nel caso limite, cosi che il corpo è in quiete rispetto alla retta.)
. ' se F = O, aIlora d(mv) C10e, dt
= O, dove v e' un vettore, o gran-
dezza dotata di direzione, ed m è la massa. Nella meccanica classica, si assume che la massa di un corpo, che Newton chiamò la sua "quantità di materia", sia una proprietà invariabile del corpo e non sia influenzata dal suo moto. La formula quindi del primo assioma si può scrivere forza e massa; nel sistema proposto dagli esponenti dell'energetica, le idee fondamentali sono quelle di spazio, tempo, energia e massa; nella presentazione hertziana della meccanica, le nozioni fondamentali sono quelle di spazio, tempo e massa. Sembra dunque che ci sia una mancanza di unanimità tra gli stessi fisici su quali siano le idee cardini della meccanica; e, in misura di questo disaccordo, ci possono anche essere delle divergenze su cosa costituisca il carattere essenzjale della spiegazione meccanica. In effetti, però, tale mancanza di unanimità per i nostri scopi non è grave; essa sorge da circostanze analoghe alle dillerenze tra le varie formulazioni della geometria euclidea, che adoperano idee primitive diverse per costruire i loro sistemi. Infatti, anche se un sistema di meccanica può rifiutare la nozione di forza, come idea teorica primitiva, e perfino eliminare completamente il termine 'forza', è sempre possibile introdurre tale termine nel sistema con una definizione nominale. Inoltre, come sarà subito evidente, le differenze del tipo ora indicato tra le varie formulazioni della meccanica non pregiudicano in alcun modo i risultati principali dell'analisi della spiegazione meccanica. Infine, esistono formulazioni della teoria della meccanica che aderiscono piuttosto bene allo schema di Newton, ma che (come quella di Boltzmann) rendono piu esplicite di quanto non fece Newton le varie assunzioni sulle quali il sistema è sviluppato. Sembrerebbe quindi opportuno prendere come base del presente esame una di tali formulazioni piu esatte; tuttavia, mentre questi modi piu recenti di enunciare la teoria della meccanica sono di grandissimo valore per la discussione di certe questioni che la scienza stessa fa sorgere, le sottigliezze da essi introdotte non sono ovviamente pertinenti ai problemi di cui ci stiamo occupando; quando comunque sarà necessario, si farà ricorso ad essi. Vi sono parecchi tentativi recenti di introdurre il rigore dei sistemi moderni nelle assiomatizzazioni della meccanica di Newton. Cfr. ]. C. C. McKrNSEY, A. C. SuGAR e PATRICK SuPPES, Axiomatic Foudations of Classica! Mecbanics, "Journal of Rational Mechanics and Analysis", vol. 2 (1953), pp. 253-72; HERBERT A. SrMON, Tbe Axioms of Newtonian Mecbanics, "Philosophical Magazine", vol. 33 (1947), pp. 888-905.
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La meccanica e le spiegazioni di tipo meccanico
cosf: se F = O, allora m dv
dv
dt
= O; o, infine, cosf: se F -
O, allora
Tt" =o.
b) Se la forza esterna che agisce su un corpo di massa m è F, allora la variazione rispetto al tempo del momento mv del corpo è proporzionale alla grandezza di F, e la sua direzione si trova sulla stessa retta in cui giace F. Cioè, · l "1ta ' e F e proporziOna
d(mv)
d(mv) dt
dt
=kF, dove 'k' è una costante di
sono vetton· aventl"l a stessa di· "rez10ne.
(La formula del secondo assioma si può trasformare nella seguente: m
~~
= kF. Con un'opportuna scelta delle unità, si può porre k
l;
e se si chiama accelerazione la variazione della velocità rispetto al tempo, e la si rappresenta come il vettore a, la seconda legge può venire espressa nella forma familiare ma = F).6 c) Se F AB è la forza che un corpo B esercita su un corpo A, allora vi è una forza FBA che A esercita su B, tale che FBA è uguale per grandezza ed opposta per direzione a FAB· Cioè, FAB = - FBA, dove le F sono vettori o grandezze dotate di direzione. Due importanti gruppi di domande sorgono immediatamente in relazione a questi assiomi: l) Come si devono intendere i vari termini chiave della formulazione? Quando si dice che un corpo è in quiete o in moto lungo una retta, che cosa sono le "rette" rispetto alle quali si suppone che il corpo sia in quiete o in moto, e come è specificato il "tempo" del moto? 2) Qual è lo status di questi assiomi? Sono essi "generalizzazioni" ricavati dall'esperienza, sono proposizioni la cui verità può essere stabilita a priori, o sono "definizioni" di una specie o dell'altra? Non possiamo occuparci a fondo per il momento di nessuno di questi problemi, ma essi verranno trattati con attenzione tra breve. Li abbiamo menzionati qui solo per indicare quale difficile terreno si debba attraversare, se si vuoi raggiungere una visione ragionevolmente completa della struttura della meccanica. Occorre tuttavia fare qui due osservazioni al proposito. Newton asserisce nella seconda legge che la direzione dell'accelerazione di un corpo sottoposto all'azione di una forza coincide con la retta su cui agisce la forza stessa. Se un corpo però ha dimensioni spaziali apprez6 Per essere completamente esaurienti a questo proposito, il moto di un corpo, secondo Newton, subisce un'alterazione se c'è una variazione o nella sua velocità lungo una retta, o nella direzione in cui si muove. Quindi, un corpo sta subendo un'accelerazione in un qualsiasi periodo di tempo se la sua velocità aumenta o diminuisce, oppure se la direzione del suo moto viene alterata. (Se la sua velocità diminuisce, il corpo subisce un'accelerazione negativa.)
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zabili, e se la forza agisce sul suo complesso, non esiste un'unica retta che determini la direzione dell'accelerazione - perché la diverse parti del corpo sono in questo caso accelerate lungo rette distinte. Si deve quindi supporre che gli assiomi del moto siano formulati per i cosiddetti "punti-massa"- per corpi le cui masse sono in teoria concentrate in un "punto". L'applicazione degli assiomi al moto dei corpi fisici reali, che chiaramente non sono punti-massa, suppone quindi un'estensione della teoria fondamentale, che copra il caso dei moti di sistemi di punti-massa soggetti a sforzi reciproci piu o meno rigidi. Tale estensione implica una trattazione matematica non semplice, sebbene non richieda idee teoriche nuove: la meccanica teorica dei corpi solidi, dei fluidi e dei gas può venir sviluppata sul fondamento fornito dalla meccanica dei punti-massa, con la clausola che i corpi dotati di apprezzabili volumi siano considerati come sistemi di un numero indefinitamente grande di punti-massa. Ma i fatti osservati rendono evidente che gli assiomi del moto sono enunciati teorici, nel senso di "teoria" che abbiamo già discusso; non sono enunciati su relazioni tra proprietà specificate sperimentalmente, ma sono postulati i quali definiscono implicitamente un certo numero di nozioni fondamentali non altrimenti specificate dai postulati della teoria. La seconda osservazione rinforza quanto abbiamo or ora notato. Sebbene gli assiomi di Newton non lo dicano esplicitamente, essi assumono tacitamente che le dimensioni spaziali e i periodi temporali possano essere suddivisi indefinitamente, cosi che le grandezze ad essi associate possono diventare piccole · a piacere. Assumono pure che le velocità· e le accelerazioni attribuite ai punti-massa siano quelle che i punti-massa possiedono nel caso limite in cui i periodi temporali assunti tendono a zero - in breve, gli anzidetti assiomi assumono per i punti-massa velocità e accelerazioni istantanee. Cerchiamo di chiarire la ragione della necessità di tali assunzioni. Supponiamo di voler determinare la velocità di un'automobile che si muova su una strada diritta e orizzontale; e supponiamo di misurare la distanza che essa percorre in un'ora e di trovare che è di 50 chilometri, concludendone che la velocità è di 50 chilometri all'ora. È però evidente che l'automobile può essersi mossa durante quell'ora con velocità variabile, cosi che la velocità effettiva può non essere stata mai quella indicata. La velocità di 50 chilometri all'ora può dunque rappresentare quella che è soltanto la velocità media del veicolo. Se desideriamo avere una rappresentazione piu dettagliata del comportamento dell'automobile, dovremo misurare la velocità in periodi di tempo piu brevi, per esempio di un minuto ciascuno; possiamo allora trovare che durante un determinato minuto la velocità è di 2 chilometri al minuto, mentre durante un altro minuto la velocità è di 500 metri al minuto. Ma l'osservazione fatta sulla possibilità di variazione della velocità dell'automobile durante un'ora si può evidente-
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La meccanica e le spiegazioni di tipo meccanico
mente ripetere per gli intervalli temporali di un minuto; si possono allora prendere intervalli di tempo ancora piu piccoli - per esempio di un secondo l'uno - durante i quali determinare le successive velocità. Ora, nella realtà empirica, non si può continuare indefinitamente questa procedura di prendere periodi sempre piu brevi per misurare le velocità, perché esiste un limite inferiore alla discriminazione raggiungibile sperimentalmente per gli intervalli tanto spaziali che temporali. Ma la teoria della meccanica vuoi provvedere un'analisi completamente generale dei moti dei corpi, indipendente dallo stato concreto della tecnologia sperimentale, e ha come scopo la formulazione della struttura delle relazioni che caratterizzano i corpi in tutti i punti dei loro moti. Pertanto Newton ignorò il limite inferiore stabilito dalla pratica alla suddivisione delle distanze e dei periodi, e formulò la sua teoria in base all'assunzione che i punti-massa abbiano velocità ed accelerazioni limiti (o istantanee) al diminuire illimitato degli intervalli di tempo. E di fatto Newton ideò il suo "metodo delle flussioni" - oggi chiamato calcolo differenziale ed integrale - per poter maneggiare questi aspetti "istantanei" dei moti dei corpi; ed i suoi assiomi del moto, quando vengono stabiliti nel linguaggio dell'analisi matematica, assumono la forma di equazioni differenziali del secondo ordine.' Questi fatti però non fanno che confermare le osservazioni dei 7 A questo punto sono necessarie ulteriori spiegazioni per il lettore che non ha familiarità con i concetti del calcolo differenziale ed integrale. La nozione fondamentale di questo calcolo è quella di limite di una serie infinita, sia di numeri sia di funzioni. La nozione di limite di una serie infinita di numeri si può illustrare come segue. Si consideri la serie infinita: 30, 22Y2, 20, 18-jq, ... , i cui termini si ottengono dalla formula 15(1 + lln) assegnando a n i valori l, 2, 3, 4, ... , successivamente. Per visualizzare il concetto, possiamo supporre che ciascun termine della serie sia la velocità media di un'automobile, quando gli intervalli di tempo durante i quali la si misura siano successivamente di l ora, 30 minuti, 15 minuti, 7Y2 minuti e cosf via. Qualunque sia il valore di n, il termine che gli corrisponde nella serie differirà da 15 a non piu di 15l n. Cosf, se n ha il valore 10, il termine corrispondente 16Y2 differisce da 15 di 15IlO; se n ha il valore 1000, il termine corrispondente 153 l 200 differisce da 15 di 1511000, e cosf via. Quindi, se si prende per n un valore sufficientemente grande, tutti i termini della serle dopo che si sia raggiunto un certo termine differiranno da 15 meno di una quantità positiva prefissata piccola a piacere. Cosf, se vogliamo trovare un termine della serie tale che tutti i termini che lo seguono differiscano da 15 meno di 111.000.000, dobbiamo prendere n uguale o maggiore di 15.000.000. In questo esempio, 15 è il limite di una serie infinita, cioè è il numero tale che le differenze tra esso e i successivi termini della serie sono progressivamente minori di un numero positivo prefissato piccolo a piacere. La definizione generale del limite di una serie di numeri viene formulata come segue: Sia X~o x, ... , x., ... una serie infinita di numeri, e sia E un numero piccolo qualsiasi. Si dice allora che l è il limite della serie se, per ogni E assegnato, esiste un termine x N della serie, tale che tutti i termini che lo seguono (cioè tutti i termini x., con n > N) differiscano da l meno di E. Sia ora s lo spazio percorso da un'automobile, e per fissare le idee supponiamo che lo spazio sia messo in relazione al tempo t dalla funzione s t', il che equivale a supporre che dopo t secondi l'automobile ha viaggiato s t' metri. Aumentiamo ora il tempo di un intervallo !::.t (si legga "delta t"), in modo che lo spazio percorso dall'automobile sia aumentato di !::.s. L'automobile avrà perciò percorso uno spazio totale s + !::.s metri in t + !::.t secondi. E evidente che deve essere s + !::.s (t + !::.t'l ==t' 2t !::.t (!::.t)2• È anche evidente che lo spazio 1:.s in piu percorso dall'automobile
=
+
=
=
+
=
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paragrafi precedenti, secondo le quali gli assiomi del moto, quando siano asseriti con rigorosa universalità, non sono leggi sperimentafi, bensf postulati teorici per i quali è necessario fornire regole di corrispondenza perché si possa dire che abbiano un contenuto empirico definito. 3. Consideriamo finalmente quale luce portino gli assiomi del moto al problema che stiamo trattando, quello cioè dei tratti distintivi in conseguenza del fatto che essa ha viaggiato per il tempo ilt in piu, è dato dall'equazione: il.s == 2t il.t (ll.t) 2• Per avere la velocità dell'automobile durante questa parte
+
aggiuntiva del suo viaggio dobbiamo solo dividere il.s per il.t, e avere
~ == 2t
il. t Questa relazione varrà indipendentemente dalla grandezza dell'intervallo di prescelto; assegnando a il.t valori numerici diversi otterremo una serie infinita il.s/ ilt. Se si fa però diventare ilt progressivamente minore in modo che si limite zero, anche il rapporto !::,s si avvicinerà ad un limite - nel nostro /::,.t
~
+ il.t.
tempo il.t di velocità avvicini al caso 2t. Il
ds e viene chiamato il primo coefficiente il.t dt differenziale (o la derivata prima) di s rispetto a t. Esso è la velocità istantanea del corpo. Va osservato attentamente che il coefficiente differenziale ds non è una frazione nord! male con numeratore 'ds' e denominatore 'dt'; l'espressione va considerata come un semplice simbolo che rappresenta il limite di una serie infinita di rapporti. Proprio come la velocità istantanea di un corpo è il limite di una serie infinita di velocità (ed è rappresentata dal primo coefficiente differenziale dello spazio rispetto al tempo), cosi l'accelerazione istantanea di un corpo è il limite di una serie infinita di accelerazioni. Ma l'accelerazione di un corpo nell'unità di tempo è la quantità di mutamento di velocità nell'unità di tempo; quindi, se consideriamo le velocità istantanee di un corpo in istanti diversi, l'accelerazione istantanea sarà il limite della quantità di mutamento delle velocità istantanee quando gli intervalli tra gli istanti in cui vengono considerate tali velocità diventano progressivamente piu piccoli. Cosi l'accelerazione istantanea di un corpo sarà rappresentata dal primo coefficiente differenziale della velocità istantanea rispetto al tempo; di conseguenza l'accelerazione istantanea sarà rappresentata dal secondo coefficiente differenziale dello spazio rispetto al tempo. Cosi l'accelerazione istantanea si . d 2s scnve di' . Lo scopo del calcolo differenziale è di sviluppare le regole per ottenere i coefficienti differenziali di ogni funzione. Cosi, abbiamo già visto che la derivata prima rispetto al
valore limite di
tempo di s
==
i' è
viene rappresentato con
~; ==
. ds nspetto al tempo d'1dt
d's dt'-
=
2t; si potrebbe facilmente dimostrare che la derivata seconda
==
2t e' df d's
== 2. c·1ascuna
d'1 queste equaztom, . . dt ds
==
2t e
2 e' ch'tamata un ' equaz10ne · d'ff · le, semp l'1cemente pereh'e contiene · 1 erenz1a un coef-
fidente differenziale. La prima di esse è detta equazione differenziale del primo ordine, l'altra equazione differenziale del secondo ordine, mentre si dice che l'equazione differenziale
~~
è del terzo ordine. L'ordine di un'equazione differenziale è dunque l'ordine del
coefficiente differenziale piu elevato che essa contiene. Le equazioni fondamentali della scienza della meccanica sono equazioni differenziali del secondo ordine. Come abbiamo già detto, il compito del calcolo differenziale è quello di trovare il coefficiente differenziale di ogni funzione rispetto ad una variabile indicata. C'è però il problema inverso: data un'equazione differenziale, trovare la relazione funzionale tra le variabili in essa contenute, in modo che l'espressione della funzione non contenga piu
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delle spiegazioni della meccanica. Si possono esaminare gli assiomi tanto dal punto di vista della loro forma matematica, quanto da quello del genere di termini che essi mettono in relazione; la nostra discussione si conformerà a questa distinzione. È piu facile esemplificare che formulare che cosa si intenda per forma di un enunciato espresso matematicamente; ci serviremo quindi di alcuni esempi. La legge della dilatazione termica lineare dei solidi viene comunemente espressa con l = lo[ l + k(T- T 0 )], dove lo è la lunghezza del solido ad una certa temperatura assoluta iniziale T 0 , l è la sua lunghezza ad una certa temperatura arbitraria T, e k è il coefficiente di dilatazione lineare, costante per tutti i corpi di uguale sostanza, ma variabile da sostanza a sostanza. La equazione può anche venir scritta come l-lokT- (lo -l0kTo) = O, ed è un'equazione lineare nelle due variabili 'l' e 'T'. La legge di Galileo sulla caduta libera dei gravi, che mette in relazione la velocità v posseduta da un corpo, dopo t secondi di caduta con la sua velocità iniziale vo, è v- vo = gt, dove 'g' è una costante. Questa equazione può venire anche scritta nella forma v- gt- vo = O, ed è anch'essa un'equazione lineare nelle due variabili 'v' e 't'. Queste due leggi, ciascuna delle quali è espressa come una relazione tra due variabili, hanno la stessa forma matematica; sono ovviamente entrambe casi particolari della "matrice" lineare in due variabili ax + by + c = O, dove 'x' e 'y' sono le due variabili, ed 'a', 'b' e 'c'le cosiddette "costanti arbitrarie". Si noterà che tutte queste equazioni, oltre a contenere le variabili, il numero zero e le "costanti arbitrarie", contengono anche certe espressioni costanti che rappresentano operazioni e relazioni numeriche specifiche cioè il segno di relazione '= ', il segno di addizione algebrica '+ ', ed il segno di moltiplicazione 'X' (soppresso). Si può dire dunque che due enunciati mostrano la stessa forma matematica rispetto a un determinato insieme di variabili, se entrambi si possono ottenere da una matrice comune, sostituendo le variabili e le particolari costanti arbitrarie corrispondenti, in luogo di quelle che compaiono nella matrice. Si consideri poi la legge di Boyle, che mette in relazione il volume V e la pressione p di un gas ideale a temperatura costante: pV = k, con 'k' costante. Questa è un'equazione quadratica nelle due coefficienti differenziali. Questo problema inverso implica il processo di integrazione, e in generale solleva problemi matematici piu difficili di quelli sollevati dal problema originario di differenziare una funzione. Non possiamo accennarvi neppure schematicamente; ci accontenteremo di qualche esempio. Data l'equazione differenziale
~i
= 2t, la rela= f + a, ~:~ = 2 è data
zione tra le variabili s e t che soddisfa l'equazione è data dalla funzione s dove a è una costante arbitraria. La soluzione dell'equazione differenziale
dall'equazione s t' + at + b, dove a e b sono costanti arbitrarie. La soluzione di una equazione differenziale del primo ordine contiene una costante arbitraria, mentre quella di una equazione differenziale del secondo ordine ne contiene due.
=
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variabili 'p' e 'V', e ha una forma diversa dalle equazioni considerate nel capoverso precedente. Ma si consideri anche, nel suo caso piu semplice, la legge economica generale della domanda, secondo la quale la domanda di un bene di consumo cresce col diminuire del suo prezzo e diminuisce col crescere del suo prezzo; tale caso piu semplice è quello in cui si assume che la domanda D e il prezzo P varino inversamente.' Esso può venir scritto come segue: DP = c, dove 'c' è una costante; ovviamente questa è la stessa forma di quella della legge di Boyl~. Entrambe le leggi infatti sono casi di sostituzione della matrice generale xy = a, dove 'x' e 'y' sono variabili e 'a' è una costante arbitraria. Orbene, questi vari esempi di leggi aventi la stessa forma bastano a rendere del tutto chiaro un punto - che due leggi possono avere la stessa forma, senza che tale fatto implichi che una delle due possa servire come premessa esplicativa per l'altra. Il fatto che la legge della dilatazione termica ha la stessa forma della legge della caduta libera dei gravi non offre la minima ragione per supporre che la prima possa venir spiegata con l'aiuto della seconda. Naturalmente, è possibile in via astratta che una legge di una data forma possa spiegare un'altra legge della stessa forma, ma, se si desse questo caso, ciò non sarebbe una conseguenza semplicemente della loro somiglianza formale. Questa osservazione suggerisce l'ulteriore conclusione che il tratto distintivo delle spiegazioni meccaniche non sia da trovarsi nella forma matematica degli assiomi del moto. Dobbiamo tuttavia dare a tale suggerimento l'attenzione che si merita. A differenza degli esempi precedenti di leggi sperimentali, gli assiomi del moto devono esser formulati come equazioni differenziali, come si è già notato. Basterà per il nostro scopo !imitarci all'esame del secondo assioma. Supponiamo quindi che un singolo punto-massa sia sottoposto all'azione di una forza F, che le coordinate spaziali 'x', 'y' e 'z' specifichino la sua posizione rispetto a tre assi di riferimento perpendicolari tra loro, e che le componenti della forza lungo tali assi siano F., F1 e F... Si può allora scrivere il secondo assioma con m
~t~ · =
F"' con equazioni ana-
loghe per le altre componenti della forza. L'assioma può cosi venire enunciato come insieme di equazioni differenziali lineari del secondo ordine. Sarà questo il fatto che distingue come "di tipo meccanico" una spiegazione di cui l'assioma sia la premessa? Dal momento che l'assioma non dice niente sul carattere particolare della forza che può agire sui punti-massa, supponiamo per il momento che la funzione-forza F possa venir specificata in un numero qualsiasi di modi, secondo la natura del problema esaminato, e possa quindi implicare riferimenti a un certo numero di grandezze. Ora, 8
Cfr.
ALFRED MARSHALL,
Principles o/ Economics,
s•
ed., London, 1930, p. 99.
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esistono nella fisica teorie la cui forma matematica è identica a quella del secondo assioma della meccanica, ma che tuttavia vengono talora distinte dalla meccanica. Per esempio, la teoria dell'elettrostatica ha la forma di equazioni differenziali lineari del secondo ordine, eppure le spiegazioni in termini di tale teoria non sempre son considerate come spiegazioni di tipo meccanico. Cosi pure, Maxwell riusd a trasformare le equazioni fondamentali della teoria elettromagnetica in modo che esse assumessero la forma delle equazioni lagrangiane della meccanica, che costituiscono un'altra formulazione degli assiomi di Newton. Dal fatto che tale trasformazione sia possibile, non segue però, e nessun fisico lo pensa, che le leggi dell'elettricità e del magnetismo siano state per questo spiegate dalla teoria della meccanica. In effetti, si può fare l'osservazione piu generale che esistono alcune equazioni differenziali le quali svolgono un ruolo fondamentale in varie branche della fisica, benché in generale non si consideri che per tale ragione queste diverse zone di ricerca cadano nel dominio di una teoria comune. Per esempio, l'equazione differenziale alle derivate parziali nota come equazione di Fourier
au - ( azu
a~- a
au 2
au ) 2
a>! + ay2 + az2
può venir usata per formulare la teoria fondamentale dell'idrodinamica, della conduzione del calore, dell'elettricità statica e dinamica e del magnetismo. Ciò non indica però che queste diverse materie mostrino strutture di relazioni che siano astrattamente o formalmente indistinguibili. Né significa che ciò che è distintivo per le varie teorie di ciascuno di questi domini sia reso esaurientemente dalla struttura formale della teoria. L'identità formale di teorie distinte è naturalmente una loro importantissima caratteristica. Essa rende possibile impiegare tecniche matematiche sviluppate in una zona di ricerca, applicandole in molte altre zone; come pure le analogie formali tra teorie diverse e il contributo rafligurativo associabile al formalismo possono essere di immenso valore euristico nel condurre le indagini." È qui opportuna un'osservazione finale. Benché gli assiomi del moto abbiano la forma di equazioni differenziali lineari del secondo ordine, è interessante il chiederci se i fisici considererebbero un semplice mutamento di questa forma come una ragione sufficiente per dichiarare che una teoria, cosi modificata, non sia piu una teoria meccanica. Si supponga per esempio che Newton sbagliasse nell'assumere che il moto dei corpi possa venir analizzato in termini delle variazioni dei loro momenti rispetto al tempo, e che si possa sviluppare una teoria 9 Cfr. ERNST MAcH, On the Principles of Comparison in Physics, in "Popular Scientific Lectures", cit., pp. 236-58; anche il suo Die Aehnlichkeit und die Analogie als Leitmotiv der Forschung, in "Erkenntnis und lrrtum", Leipzig, 1920, pp. 230-31 (2' ed. 1905).
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piu soddisfacente in termini delle variazioni delle accelerazioni rispetto al tempo. Le equazioni fondamentali del moto sarebbero allora equazioni differenziali del terzo ordine. Sembra tuttavia improbabile che, se questa fosse la differenza essenziale tra la teoria vecchia e quella nuova, quest'ultima cesserebbe di venir considerata come una teoria della meccanica. E di fatto la modificazione nella forma delle equazioni del moto che è stata richiesta dalla teoria generale della relatività è molto piu radicale di quella suggerita da questo esempio ipotetico, e tuttavia la maggior parte dei fisici continua a considerare come spiegazioni di tipo meccanico le spiegazioni in termini della teoria modificata. 4. Alla luce di quanto abbiamo visto, sembra ragionevole concludere che non è in conseguenza della loro forma matematica che gli assiomi del moto vanno considerati come premesse di una sdenza anziché di un'altra. Dobbiamo quindi ricorrere alla seconda alternativa sopra menzionata, ed esaminare i generi di termini messi in relazione dagli assiomi, sempre allo scopo di individuare i tratti caratteristici delle spiegazioni meccaniche. Ci troviamo però ora di fronte a una grossa difficoltà. Essa sorge dal fatto che, benché gli assiomi (o il testo che abitualmente li accompagna) stabiliscano esplicitamente quale sia il carattere generale di qualcuno dei termini che essi pongono in relazione, tuttavia non fanno altrettanto per tutti i termini. Cosi, il secondo assioma asserisce che la variazione rispetto al tempo del momento di un corpo è proporzionale alla forza applicata; e dalla formulazione è chiaro che si asserisce che esiste una certa relazione tra la massa e l'accelerazione di un corpo da una parte, e la forza applicata dall'altra. Ma se non viene aggiunto altro sulla forza, il secondo assioma non può portare nessun contributo all'analisi dei moti reali. Per dare il via a tale analisi, si devono introdurre assunzioni particolari, come quella che si fa nella teoria gravitazionale di Newton, le quali riguardino la funzione-forza. Ora, la difficoltà sta nel fatto che né gli assiomi, né il testo esplicativo con cui Newton li corredò, indicano, sia pure genericamente, quali eventuali limitazioni vadano imposte alla funzione-forza; tale informazione, che è cruciale per fissare i tratti distintivi della meccanica, si può ottenere soltanto da un esame dei principali tipi di problemi a cui tradizionalmente sono stati applicati gli assiomi. È per questa ragione forse che non si può rispondere direttamente alla domanda: "Cosa è una spiegazione di tipo meccanico?". Abbiamo già notato che due dei termini menzionati negli assiomi del moto sono la massa e l'accelerazione instantanea di un corpo. Secondo la meccanica classica, la massa è semplicemente una proprietà "in piu" dei corpi, e non viene alterata dalle variazioni dei loro moti; essa si manifesta come la resistenza opposta da un corpo alle variazioni di velocità. Supponiamo che la nozione di massa sia sufficien-
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temente chiara, e che si disponga di metodi appropriati per assegnare alle masse valori numerici. Si consideri poi la nozione di accelerazione istantanea. Questa è definita come limite di una serie, ciascun termine della quale è il rapporto tra la differenza di due velocità istantanee ed un intervallo di tempo; una velocità istantanea poi è definita come il limite di una serie, ciascun termine della quale è il rapporto tra una distanza calcolata su una retta ed un tempo. Ignoriamo per il momento qualsiasi problema su come vadano specificate rette, distanze e tempi, supponendo che anche queste nozioni siano sufficientemente chiare; ma in ogni caso accelerazioni e velocità istantanee non presuppongono altro che certe operazioni matematiche sulle misure di relazioni spaziali e temporali. Il primo frutto quindi della nostra analisi è che gli assiomi del moto implicano riferimenti ad almeno tre generi di grandezze, e precisamente JLml~_JJt:J:!_ çli §P1l.?iQ__ (che_ co!J1prf!~cl()no distanze, angoli, superfiçie e volumi), di tempo e di massa. Rimane il problema piu difficile, di chiarire cioè di qual sorta siano le caratteristiche implicate nella nozione di forza. Newton stesso nominò tre diverse "origini" per le forze applicate: 2_ercussioni, _pressioni e forze centripete (forze centrali); questo breve elenco suggerisce il genedCfunzi~nnorza- eh~- S~Jl tipiche della scienza della meccanica. Possiamo tuttavia ottenere una rassegna in certo senso migliore dei tipi di funzioni-forza impiegate nella meccanica classica, esaminando alcuni tra i piu ampi trattati moderni in materia.'0 In genere sono divisi in quattro parti: a) la meccanica dei punti-massa, che è il fondamento di tutto il resto; b) la meccanica dei corpi rigidi; c) la meccanica dei corpi elastici o deformabili; d) la meccanica dei liquidi e dei gas.
re
a) Nella meccanica dei punti~massa sono adoperati due tipi principali di funzioni-forza: forze posizionati, che dipendono solo dalle posizioni relative e dalle masse dei punti-massa del sistema in esame, ma che spesso dipendono anche da certi coefficienti che caratterizzano gli elementi del sistema; e forze non posizionati, che sono funzioni non soltanto delle posizioni relative, delle masse e di quei coefficienti, ma anche delle velocità relative dei punti-massa e di certi periodi temporali. Consideriamole entrambe. Le forze posizionali si possono suddividere in due sottogruppi: forze centrali, in cui le accelerazioni tra qualsiasi coppia di corpi sono sempre dirette verso un punto fissato; e forze sottoposte a vincoli, in cui i punti-massa sono obbligati a muoversi su qualche superficie o curva specificata. Forse l'esempio piu noto di forza centrale è dato dalla forza gravitazionale di Newton. Esempi familiari di forze sottoposte a vincoli sono le forze che agiscono su un pendolo semplice; in questo caso 10 Per esempio, A. G. WEBSTER, The Dynamics of Particles, and o/ Rigid, Elastic and Fluid Bodies, New York, 1922; e GEORG ]oos, Theoretical Physics, New York, 1934.
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La struttura della scienza
la funzione-forza è specificata in termini di una distanza variabile e di un coefficiente, il cui valore può venir calcolato dalla costante gravitazionale e da certe grandezze puramente geometriche. Nel caso di forze non posizionati si usano vari tipi di funzioni-forza. Lo studio delle vibrazioni smorzate (che è esemplificato da un pendolo che si muova in un mezzo resistente, come l'aria) richiede una funzioneforza che dipende dalla variabile distanza e dalla variabile velocità di un corpo, e da due coefficienti costanti. Uno di essi può venir calcolato dalla costante gravitazionale e dalla geometria del sistema fisico; l'altro è il coefficiente di smorzamento, il cui valore dipende dal mezzo particolare in cui avviene la vibrazione. La funzione-forza impiegata nello studio delle vibrazioni forzate (o risonanza) è specificata in termini dei fattori menzionati a proposito dello studio delle vibrazioni smorzate, ai quali si deve aggiungere una variabile tempo e certe altre costanti che sono funzioni della geometria e della periodicità del sistema fisico. b) Giungiamo poi alla meccanica dei corpi rigidi, che tratta di materie come la rotazione dei solidi di varie forme intorno a punti ed assi fissi, la vibrazione di pendoli composti, lo slittamento e il rotolamento di corpi su superficie. Dato che, ai fini dell'analisi teorica, un corpo rigido è considerato come un aggregato infinito di punti-massa le cui reciproche distanze sono costanti, la meccanica dei corpi rigidi può venir sviluppata dalla meccanica dei punti-massa; e le funzioniforza dei corpi rigidi si possono considerare come composte da quelle impiegate nella meccanica dei punti-massa, con l'ausilio di varie operazioni matematiche. Però, oltre alle variabili e alle costanti del tipo che abbiamo già menzionato, le funzioni-forza della meccanica dei corpi rigidi contengono solitamente anche un coefficiente di attrito. Esso è costante per una coppia data di corpi, ma il suo valore varia con i tipi di superficie con cui i corpi possono venire a contatto durante i loro moti. c) Ancora altri tipi di coefficienti sono necessari nella meccanica dei corpi deformabili, corpi cioè i cui punti-massa costituenti sono suscettibili di spostamenti relativi. Questa parte della meccanica analizza, tra l'altro, gli urti tra corpi, la loro compressione sotto l'effetto della pressione, il loro allungamento sotto sforzo. Il piu familiare di questi coefficienti addizionali è il coefficiente lineare di elasticità (modulo di Young), il cui valore varia per i diversi materiali. Diversi altri coefficienti di tipo analogo sono tuttavia richiesti nei problemi piu complessi sulle deformazioni. d) Infine, due coefficienti che svolgono uffici importanti nella meccanica dei fluidi e dei gas sono i coefficienti di viscosità e di tensione superficiale, entrambi variabili per le varie sostanze.
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Anche se ora abbiamo sommariamente descritto gli argomenti di cui generalmente si occupano i trattati dedicati in modo specifico alla meccanica, non abbiamo assolutamente esaurito le applicazioni dell'analisi newtoniana dei moti. Per esempio, un corpo che trasporta una carica elettrica si muove sotto l'influenza di un altro corpo caricato elettricamente in maniera formulabile dalle equazioni di Newton. Sebbene in questo caso la funzione-forza contenga termini che si riferiscono alle grandezze delle cariche elettriche (in accordo con le leggi dell'elettricità), anche le spiegazioni di moti simili son spesso chiamate spiegazioni di tipo meccanico. Una osservazione simile vale per corpi magnetizzabili che si muovano sotto l'influenza dei magneti. Pertanto, oltre le grandezze già citate, le funzioni-forza che compaiono in quelle che spesso vengono considerate come spiegazioni di tipo meccanico possono anche menzionare come fattori determinanti, la carica elettrica, la forza magnetica, ed altre. In breve, una rassegna della pratica della fisica mostra che si possono con successo aggredire svariati problemi in termini delle equazioni newtoniane del moto, e che nella specificazione della funzione-forza. può entrare un considerevole numero di fattori distinti. Di conseguenza, le etichette "meccanica" e "spiegazione di tipo meccanico" hanno un i campo di applicazione vasto ma assolutamente non preciso. Si può tut- ) tavia, come vedremo tra poco, dar loro un significato piu ristretto o piu ampio, imponendo restrizioni diverse alla composizione delle funzioniforza, qualora queste debbano valere come funzioni-forza "meccaniche". 5. Vogliamo però prima riassumere quanto è emerso dalla nostra indagine. Le funzioni-forza impiegate nella meccanica sono specificate in termini di alcuni o di un insieme di "parametri", che sono o variabili o coefficienti costanti. Le variabili sono, in tutti i casi, grandezze spaziotemporali: distanze, angoli, intervalli di tempo, velocità e simili. I coefficienti costanti sono di tre tipi principali: costanti universali, come la costante gravitazionale, che ha lo stesso valore per qualsiasi sostanza si consideri; costanti che hanno valori differenti in problemi differenti, ma che (come le costanti richieste nell'analisi dei moti sottoposti a vincoli) possono per principio venir calcolati dalle costanti universali e dalla geometria del sistema fisico considerato; e coefficienti come quelli della massa, dell'elasticità, della viscosità, della carica elettrica e della forza magnetica, che hanno valori differenti per corpi o materiali differenti, ma le cui grandezze non possono, in generale venir calcolate in base a considerazioni geometriche, e devono quindi diventar note in qualche altro modo. Sembra che nelle meccanica non sia impiegata che una sola costante universale. Nella meccanica classica la massa di un corpo (che è una costante del terzo tipo) è la massa newtoniana. Essa costituisce una proprietà "intrinseca" del corpo e non dipende dalla sua velocità. Inoltre, se m 1 e m~ sono le masse rispettivamente di due corpi, la massa del siste-
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La struttura della scienza
ma che consiste di quei due corpi è m1 + mz. Invece nella teoria della relatività la massa di un corpo non è piu costante, bensf è una funzione della sua velocità relativa, e non è nemmeno piu "additiva" nel senso testé indicato. Per semplificare supporremo che, in quanto stiamo per dire, ci si riferisca alla massa newtoniana, ma il discorso non verrebbe alterato nella sua sostanza se intendessimo con "massa" la massa relativistica di un corpo. È difficile fare un elenco completo delle costanti del terzo tipo; supponendo tuttavia che sia costruito un elenco di tali costanti," è possibile stabilire qual è la caratteristica di una spiegazione di tipo meccanico, nel senso della meccanica classica. Nel suo senso piu completo, una spiegazione di tipo meccanico è una spiegazione che soddisfa le seguenti tre condizioni, che designiamo come M: a) Le sue premesse di base asseriscono che la variazione rispetto al tempo del momento di un sistema fisico è funzione della grandezza e della direzione delle forze che agiscono su di esso. b) La direzione della variazione del momento di un corpo è la direzione della forza applicata; la direzione di tale variazione, nel caso di piu forze, è la direzione della somma vettoriale delle forze componenti. c) Le forze sono specificate esclusivamente in termini di relazioni e grandezze spazio-temporali dei corpi, di una costante universale e di un certo numero di coefficienti costanti (di cui si suppone esista un elenco completo), i cui valori dipendono dalle proprietà individuali di un dato sistema di corpi." In effetti, tuttavia, sono state talvolta proposte condizioni piu restrittive perché una spiegazione possa venir qualificata come di tipo meccanico. Consideriamone alcune tra quelle storicamente piu importanti. Newton, benché avesse egli stesso avanzato la teoria della gravitazione, non la considerava come compiutamente soddisfacente, perché essa conteneva la nozione di "azione a distanza" - nozione che egli considerava "una tale assurdità che io credo che nessuno, il quale abbia la facoltà di pensare in modo competente in materia di filosofia, potrebbe mai cadervi". Infatti egli sosteneva che "è inconcepibile che la bruta materia inanimata, possa, senza la mediazione di qualche altra cosa che 11 L'Handbook o! Chemistry and Pbysics, di Charles D. Hodgman e Norbert A. Lange, in varie edizioni, fornisce tavole dei valori di otto coefficienti che rienu-ano evidentemente in questa categoria. 12 Questo modo di render conto della natura della spiegazione di tipo meccanico non differisce nella sostanza dalla definizione tradizionale della meccanica come scienza della materia e del moto, o dalla frequente caratterizzazione della meccanica come scienza che tratta di quelle proprietà delle cose che sono "definibili" in termini di massa, lunghezza e tempo. Questo modo cerca però di rendere esplicito quanto viene asserito da quelle formulazioni piu convenziJnali e piu concise, e di correggere nello stesso tempo alcuni degli ovvii difetti di quelle formulazioni. Non è sufficiente, per esempio, il dire che la meccanica si occupa esclusivamente di proprietà definibili in termini di massa, lunghezza e tempo, perché non c'è una ragione prima facie per sostenere che, poniamo, il coefficiente lineare di elasticità è definibile in tal modo, e il coefficiente di dilatazione termica lineare o quello di resistenza elettrica no. Potrebbe benissimo accadere che sul piano dell'esplicita procedura di laboratorio i coefficienti di tutte le cosiddette proprietà della materia fossero definiti in base a relazioni tra lunghezze, masse e tempi; non per questa ragione J?erò tutte le branche della fisica diventeranno J?arti delhi meccanica.
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non sia materiale, operare su altra materia ed influenzarla senza un mutuo contatto". 13 Ciò che Newton manifestamente desiderava, e che fu reso! x del tutto esplicito da Descartes e dai suoi seguaci, era una teoria della meccanica che impiegasse solo funzioni-forza corrispondenti ad azioni di contatto. Se si vuoi dunque prendere in considerazione la insoddisfazione di Newton per l'azione a distanza, occorre imporre una restrizioné ·· particolare alle spiegazioni da considerarsi come "genuinamente" meccaniche. Eppure, la funzione-forza gravitazionale è interamente specificata in termini della costante universale di gravitazione, di distanze e di coefficienti di massa; è quindi piu economica, dal punto di vista dell'uso di parametri, di quanto non lo siano le funzioni-forza per l'azione di contatto. Queste ultime, infatti, generalmente implicano non soltanto delle variabili spaziali e dei coefficienti di massa, ma anche coefficienti di elasticità, di attrito e di viscosità. Coloro invece che hanno cercato di restringere le spiegazioni "genuinamente" meccaniche a quelle in termini di azioni di contatto, hanno talora sostenuto che le varie differenze specifiche tra le sostanze (che sono rappresentate da questi coefficienti di varia specie nelle funzioni-forza dell'azione di contatto) debbono esse stesse in ultima analisi venir spiegate esclusivamente in termini di differenze spazio-temporali nelle loro strutture microscopiche (o, al piu, in termini di simili differenze congiuntamente a differenze nella distribuzione delle masse). E la fisica cartesiana, infatti, è un'espressione di questo ideale estremo. "La nozione di corpo" sosteneva _çar~ "non consiste né nel peso, né nella durezza, né nel colore e simili, ma soltanto nell'estensione ... Non esiste, quindi, che ùn'unica materia in tutto l'universo, e noi ne siamo a conoscenza per il semplice fatto del suo essere estesa. Tutte le variazioni della materia, o la diversità delle sue forme, ··-* dipendono dal moto ... Il moto è il trasferirsi di una parte di materia, o di un corpo, dalla prossimità di quei corpi che sono ad essa immediata- · mente a contatto con essa, e che noi consideriamo in riposo, alla prossimità di altri. "14 E in effetti un'importante parte della storia della fisica . teorica moderna consiste nei tentativi di dimostrare che le costanti parti-colari della materia, come i coefficienti di viscosità, possono venir spiegate in termini di una teoria della meccanica di questo tipo piu ristretto. Possiamo dunque distinguere nella letteratura storica deila fisica almeno tre sensi dell'espressione "spiegazione di tipo meccanico"; facilmente si potrebbe procedere ad ulteriori distinzioni. Enunceremo questi tre sensi in ordine crescente di restrittività. 1' 13 Isaac Newton's Papers and Letters on Natura[ Philosophy (a cura di l. Bernard Cohen), Cambridge, Mass., 1958, pp. 302-03. 14 RENÉ DESCARTES, Principia philosophiae, parte 2", principi 4, 23 e 25, in Oeuvres des Descartes, Parigi, 1905, vol. VIII, pp. 42, 52 e 53. 15 Cfr. C. D. BROAD, Mech.mical Explanation and Its Alternatives, "Proceedings of the Aristotelian Society", London, 1919, vol. 19, pp. 85-124. La discussione in questa prima parte del presente capitolo si appoggia in misura considerevole sull'articolo di Broad.
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a) I requisiti meno restrittivi perché una spiegazione sia da considerarsi come di tipo meccanico sono le tre condizioni M stabilite sopra (v. p. 178); esse non richiedono né escludono che, per spiegare i moti del fenomeni macroscopici, si postulino particelle o processi submicroscopici (come atomi, o vortici in un mezzo ipotetico). Poiché in generale i parametri che si incontrano nelle premesse teoriche delle spiegazioni che soddisfano queste condizioni sono di vario genere (per esempio, i coefficienti costanti possono essere coefficienti di massa, di carica elettrica, di elasticità, di attrito, ecc.), chiameremo queste teorie J.!.!!!ÙL meccanifke__1}Q_11; ..!il!,'..f.~{_(!,:, Per la maggior parte, le spiegazioni meccaniche della fisica sono di tipo non ristretto. b) Uri requisito piu esigente nei confronti di una spiegazione di tipo meccanico è quello che essa soddisfi le prime due condizioni M, ma che la funzione-forza sia specificata esclusivamente in termini di variabili spazio-temporali, della costante universale di gravitazione e dei coefficienti di massa. La teoria newtoniana della gravitazione offre spiegazioni di questo tipo. È tuttavia evidente che, perché una teoria che soddisfa questo requisito risulti adeguata ai problemi normalmente trattati nella meccanica classica, essa deve postulare particelle e processi submicroscopici. Tali entità postulate debbono venir analizzate mediante gli assiomi del moto; e le organizzazioni spazio-temporali delle loro masse debbono fornire la spiegazione delle differenze particolari tra le proprietà dei corpi macroscopici. Invece, una teoria che soddisfi il presente requisito non necessariamente deve impiegare funzioni-forza aventi un'identica forma in ogni problema. Essa può adottare, per trattare un certo gruppo di problemi, una funzione-forza simile a quella della teoria gravitazionale di Newton, e per un altro gruppo una funzione-forza avente un'altra forma. E poiché i parametri che si incontrano in teorie conformi al presente requisito sono strettamente limitati a quelli che spesso vengono considerati come specificamente meccanici, chiameremo queste teorie teorie meccaniche .12!:!!!!.· La definizione comune della meccanica quale scienza le cui grandezze fondamentali sono spazio, tempo e massa può quindi venir considerata come una formulazione ellittica dei tratti che definiscono tali teorie. La concezione tradizionale della meccanica come scienza universale della natura sembra aver adottato le teorie meccaniche pure come ideale che le scienze devono cercare di realizzare. c) Infine, si impone una condizione ancora piu restrittiva se si richiede che una teoria meccanica, oltre a soddisfare i requisiti richiesti per le teorie meccaniche pure, impieghi soltanto funzioni-forza aventi un'unica forma, prefissata. Per esempio, la funzione-forza può venir limitata alla forma associata alle forze centrali (come quella dell'inverso del quadrato nella teoria gravitazionale di Newton), oppure a quella delle forze di contatto tra corpi perfettamente elastici. Possiamo chiamare tali teorifl..H2T_~(!_'!.!_(!çfç_a1Jicheu__f!itqrje. La fisica di Cartesio sognava una mec-
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canica abbastanza simile a quelle di questo tipo, benché, come già s1 e notato, l'ideale cartesiano ponesse condizioni ancora piu restrittive, in quanto considerava i parametri spazio-temporali come gli unici veramente leciti in una teoria completamente soddisfacente. Durante il XIX secolo tanto Helmholtz quanto Kelvin cercarono, sebbene con successo limitato, di sviluppare dettagliatamente teorie meccaniche unitarie. Ciò che gli storici delle idee chiamano la "concezione meccanicistica della natura" appare come il punto di vista, una volta largamente seguito, secondo cui tutti i fenomeni della natura fisica, se non addirittura di quella animata, possono venir spiegati da una teoria meccanica unitaria. Il lungo esame che precede mostra dunque che si possono dare parecchie risposte alla domanda "Che cosa è una spiegazione di tipo meccanico? " Alcune di queste risposte sono meno precise delle altre, perché, come abbiamo visto, non è possibile definire in modo netto la classe delle teorie meccaniche non ristrette, se non si è in precedenza fornito un elenco esauriente delle varie costanti che possono comparire in tali teorie, vale a dire senza una rassegna esauriente di tutte le branche della scienza in cui gli assiomi di Newton (o loro equivalenti) svolgono un ruolo esplicativo. Questa discussione fa pensare che domande analoghe, poste per altri rami della scienza- ad esempio: "Che cosa è una spiegazione di tipo biologico? " oppure "Che cosa è una spiegazione di tipo sociologico?" non riceverebbero con tutta probabilità risposte piu precise o meno ricche di distinzioni. La discussione mette tuttavia in chiaro che esiste un nucleo di significato comune a tutti i sensi da noi distinti dell'espressione "spiegazione di tipo meccanico" ed illustra un modo di impostare il problema della caratterizzazione di ciò che distingue i vari sistemi esplicativi di varie branche della scienza, attraverso cui esaminare importanti problemi metodologici riguardanti le relazioni di dipendenza tra i diversi sistemi esplicativi. Prima di considerare tali problemi, però, dovremo occuparci di alcune questioni cruciali sollevate dagli assiomi della meccanica.
II. Lo status logico della meccanica La teoria meccanica di Newton ha avuto una storia lunga e ricca di successo, una storia certamente piu lunga di quella di altre teorie fisiche moderne di portata paragonabile. Oggi è un luogo comune l'affermazione che il campo del suo potere esplicativo è meno esteso di quanto non si supponeva una volta, e che le analisi da essa fornite sono in effetti non corrette se applicate a corpi aventi velocità relative dell'ordine di grandezza della velocità della luce. Con tutto ciò, la meccanica newtoniana seguiterà indubbiamente ad essere accettata nel futuro prevedibile, almeno come una prima approssimazione notevolmente buona per un'ac-
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curata teoria che renda conto di una ampia classe di fenomeni, nonché come base per molte applicazioni tecniche. importanti. Nonostante il compito assolutamente fuor dal comune e ricco di successi svolto dalla meccanica newtoniana nella storia della scienza moderna, i suoi fondamenti sono stati oggetto di accanite discussioni fin da quando Newton formulò per la prima volta gli assiomi del moto. Anzi, benché tali assiomi siano stati per piu di due secoli al centro dell' attenzione critica di eminenti fisici e filosofi, vi è tuttora una grande disparità di opinioni su che cosa essi asseriscano e su quale sia il loro status logico. È stato detto che essi (o i loro equivalenti logici) sono verità a priori, che possono venir asserite con certezza apodittica; che sono presupposizioni necessarie della scienza sperimentale, sebbene non possano né venir dimostrati dalla logica né venir confutati dall'osservazione; che sono generalizzazioni empiriche, "ricavate induttivamente dai fenomeni"; che sono ipotesi generali suggerite da fatti di osservazione, ma non piu che congetture probabili, relativamente alle prove sperimentali che li confermano; che sono definizioni o convenzioni camuffate, senza nessun contenuto empirico; oppure principi guida per l'acquisizione e l'organizzazione della conoscenza empirica, ma non esempi per se stessi genuini di tale conoscenza. Il numero di tali diverse interpretazioni dello status degli assiomi del moto è impressionante e sconcertante; infatti, anche se si abbandonano subito talune di queste alternative come non piu sostenibili, ne rimangono a sufficienza per suggerire che sono in gioco questioni di importanza rilevante non soltanto per la meccanica, ma per la logica in generale. Ci proponiamo nei paragrafi seguenti di esaminare alcune di queste diverse tesi sugli assiomi del moto, con lo scopo in parte di afferrare meglio i problemi logici che sorgono nella meccanica, ma soprattutto di raggiungere una migliore chiarificazione sulla struttura generale delle spiegazioni teoriche. l. Il primo assioma del moto. Non è difficile rilevare come il primo assioma del moto, isolato da una necessaria spiegazione contestuale, sia seriamente incompleto come enunciato inteso ad avere un contenuto empirico. Il dire che un corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto uniforme rettilineo, a meno che sia costretto a cambiare il suo stato da forze ad esso applicate, equivale a non dire niente di definito, se non si stabilisce in piu qualcosa relativamente a: a) quale è il sistema spaziale di riferimento a cui vien riferito il moto del corpo; b) qual è il sistema cronometrico usato nella misurazione delle velocità; c) quali sono i segni da cui si desume la presenza o l'assenza di forze applicate. Per esempio, un corpo che si muove di moto uniforme rispetto ad un certo sistema di riferimento spazio-temporale, possederà invece un moto accelerato rispetto ad un sistema di riferimento diverso opportunamente
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scelto. Ciascuna di tali questioni è stata quindi oggetto di lunghe discussioni, e per ognuna sono state proposte diverse soluzioni. a) Si supponga ora che sia stato reso sufficientemente esplicito
il sistema di riferimento spaziale a cui è riferito il moto del corpo - sia esso sistema lo "spazio assoluto" di Newton, o "le stelle fisse" o qualsivoglia altra cosa; ci occuperemo in particolare della questione nel capitolo IX. Allo scopo di illustrare alcune delle difficoltà implicate nelle questioni rimanenti, si consideri uno degli argomenti storicamente famosi e importanti, il cui oggetto era di stabilire il primo assioma del moto a mezzo di un ragionamento a priori. 1' Nel suo importante Traité de dynamique, pubblicato per la prima volta nel XVIII secolo, D'Alembert dichiarava: Un corpo in quiete rimarrà in quiete, finché una causa esterna non lo muova. Un corpo infatti non può mettersi in moto da se stesso, in quanto non c'è ragione perché esso si muova in una direzione piuttosto che in un'altra. Ne segue che, una volta che il corpo sia stato messo in moto da una causa qualsiasi, non può di per se stesso né accelerare né ritardare il suo moto ... Un corpo messo in moto da qualche causa deve continuare a muoversi di moto uniforme rettilineo, purché nessun'altra causa, diversa da quella che lo ha posto in moto, agisca su di esso. Ciò equivale a dire che, fintantoché nessuna nuova causa, diversa da quella che ha iniziato il moto, agisca sul corpo, esso continuerà per sempre a muoversi in linea retta e a percorrere spazi uguali in tempi uguali. Infatti, o l'azione indivisibile ed istantanea della forza all'inizio del moto è sufficiente per far si che il corpo percorra una certa distanza, oppure al corpo necessita, per il suo moto, l'azione continuata della forza motrice. Nel primo caso, è chiaro che lo spazio percorso può essere soltanto una linea retta descritta uniformemente dal corpo. Infatti, passato che sia il primo istante, l'azione della forza motrice non esiste piu (per ipotesi) eppure il moto continua. Dovrà quindi di necessità essere un moto uniforme, dato che un corpo non può di per se stesso accelerare o ritardare il proprio moto. Non vi è, inoltre, ragione, perché il corpo debba deviare a destra piuttosto che a sinistra. Nel primo caso quindi (in cui assumiamo che il corpo sia capace di muoversi da se stesso per un certo tempo, indipendentemente dalla forza motrice), esso si muoverà da se stesso durante questo tempo uniformemente e in linea retta. Ma un corpo che si può muovere cosi per un certo tempo deve continuare a muoversi sempre nello stesso modo, se niente gli impedisce di farlo. Si supponga infatti che un corpo cominci a muoversi nel punto A e sia capace da se stesso di percorrere la porzione di retta AB.
A
c
D
B
G
16 Ci sono stati parecchi argomenti di questo genere, proposti, tra gli altri, da Eulero, Kant, Laplace e Ma>.:well. Quello discusso nel testo è stato scelto perché è formulato in modo piu esplicito di quanto non lo siano quelli piu familiari. Per una recente rassegna delle discussioni sulla prima legge, vedi G. J. WHITROW, On tbe Foundations of Dynamics, "British Journal for the Philosophy of Science", vol. l (1951), pp. 92-107.
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Prendiamo due punti qualsiasi C e D su questa retta, che giacciano tra A e B. Ora il corpo, in D, si trova precisamente nello stesso stato di quando era in C, salvo il fatto che occupa un posto diverso. Quindi deve accadere al corpo D lo stesso di quanto gli è accaduto in C. Ma in C esso è, per ipotesi, capace di muoversi di moto uniforme fino a B. Quindi in D esso sarà capace di muoversi di moto uniforme fino a G, dove DG = CB, e cosi via. Se dunque l'azione iniziale ed istantanea della causa motrice può far muovere il corpo, esso si muoverà uniformemente e in linea retta, se una nuova causa non interviene ad impedire tale moto. Nel secondo caso, poiché si è assunto che nessuna nuova causa, diversa dalla motrice, agisca sul corpo, niente determinerà la causa motrice ad aumentare o a diminuire. Ne segue che l'azione continua della causa motrice sarà uniforme e costante, cosi che, nel tempo in cui tale causa è in azione, il corpo si muoverà uniformemente ed in linea retta. Ma per la stessa ragione per cui la causa motrice agisce uniformemente e costantemente per un certo tempo, continuando per sempre fintantoché nulla impedisca la sua azione, è chiaro che questa azione deve sempre rimanere la stessa e produrre costantemente lo stesso effetto. 17
L'argomento, tuttavia, crolla in un punto cruciale, anche se vogliamo trascurare le difficoltà insite nella tacita supposizione di d'Alembert che le nozioni di quiete assoluta e di velocità assoluta siano fisicamente significanti. D'Alembert assume semplicemente che sia necessaria una forza per render conto dei cambiamenti della velocità uniforme di un corpo (dove lo stato di quiete è un caso particolare di velocità uniforme), ma che non ci sia questa necessità per render conto dei cambiamenti della semplice posizione di un corpo. Ma ciò equivale a una petizione di principio. Perché si dovrebbe scegliere la velocità uniforme come lo stato di un corpo che non richiede spiegazioni in termini di azione di forze, piuttosto che la quiete uniforme o l'accelerazione uniforme (come il moto su un'orbita circolare con velocità costante), o qualche altro stato, ancora diverso, di moto del corpo (per esempio, la costanza della variazione dell'accelerazione rispetto al tempo)? Su un terr~l_lQ_p_uramente .@X!QJ:istiçg_gueste alternative hanno tutte uguale _valore, e nessuna di esse è logicamente autocontraddittoria; la meccanica aristotelica dei moti sublunari fu in effetti basata sulla prima di queste alternative, mentre la teoria dei moti celesti fu basata sulla seconda. Oppure, si consideri l'uso fatto da d'Alembert del cosiddetto "principio di ragion sufficiente" (o principio di simmetria}, per stabilire la conclusione che un corpo non può mettersi in movimento da solo, né può da solo accelerare o ritardare un qualsiasi moto che già possegga, perché, se esso potesse farlo, non vi sarebbe "ragione" per le asimmetrie che verrebbero prodotte in tal modo. Ma un ragionamento analogo sulla simmetria potrebbe venir usato per dimostrare che, quando un corpo che è stato in moto sotto l'azione di certe forze viene liberato dalla loro 17
]EAN D'ALEMBERT,
Traité de dynamique, Paris, 1758, pp. 3-6.
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influenza, esso continuerà a muoversi in modo accelerato. Si supponga, per esempio, che un corpo si muova con velocità costante lungo un'orbita circolare, in modo da esser sottoposto ad accelerazione. Secondo la teoria newtoniana il corpo deve quindi esser soggetto ad una forza diretta verso il centro del cerchio. Si supponga adesso che tale forza centrale sia eliminata. Secondo la teoria di Newton il corpo deve continuare a muoversi con la stessa velocità lungo la tangente del cerchio. Si potrebbe però arrivare ad una conclusione diversa in base a considerazioni di simmetria. Quale "ragione" c'è perché il corpo cambi il carattere del suo moto? Perché si dovrebbe muovere lungo la tangente, piuttosto che, per esempio, lungo il raggio del punto di tangenza? Infatti, se esso si muove lungo la tangente, si muoverà verso la sinistra (o la destra) delle posizioni che avrebbe occupato se fosse rimasto sulla circonferenza, e analogamente per qualsiasi altra traiettoria. Il corpo, quindi, deve seguitare a circolare sulla sua orbita originaria. Questo argomento è, naturalmente, privo di valore. Infatti, si può sempre semplicemente esibire, in un dato stato di moto di un corpo, una varietà di simmetrie e asimmetrie distinte; e considerazioni puramente logiche non bastano a determinare quali di queste simmetrie costituiscano le effettive determinazioni del moto del corpo. b) Ma l'argomento di d'Alembert, anche se non riusd a stabilire quanto egli credeva stabilisse, può venir adoperato (ed in effetti lo fu) per stabilire qualche altra cosa. Qual è il criterio, ci si può chiedere, per asserire che un corpo non è sotto l'azione di alcuna forza? Si supponga che la risposta sia: la perseveranza del corpo nel suo stato di quiete o di moto uniforme rettilineo. Se questo è il criterio adottato per l'assenza di forze, allora in effetti l'argomento di d'Alembert stabilisce il primo assioma del moto per mezzo di un ragionamento a priori. Ma allora l'assioma è una definizione mascherata, una convenzione che specifica le condizioni in cui si dice che non vi sono forze applicate che agiscono su un corpo. L'argomento di d'Alembert è in questo senso una pleonastica e forse ingannevole prova del truismo: "ogni corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, a meno che non vi perseveri"." Un'altra ragione è stata talvolta avanzata per sostenere che il primo assioma è semplicemente una definizione. Infatti, come già si è notato, nella sua formulazione normale l'assioma, oltre a supporre un sistema di riferimento spaziale definito, dà per sicuro un sistema definito di misurazione del tempo e un criterio per l'assenza di forze. Se quindi si dispone di qualche metodo, che non implichi l'uso esplicito o tacito dell'assioma, per identificare l'assenza di forze, l'assioma può esser inteso come defini18 Cfr. A. S. EDDINGTON, The Nature o/ the Physical World, New York, 1928, p, 124 (trad. it. cit.). Anche se Newton non suppose che il suo primo assioma avesse carattere di definizione, sembra talvolta che la sua esposizione lo conduca a un simile punto di vista. Su questo punto vedi piu avanti.
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zione implicita di "moto uniforme" o di "intervalli uguali di tempo". Questa è precisamente la posizione adottata da alcuni fisici, per esempio da Kelvin e Tait quando diedero un'altra formulazione della legge, asserendo: "i tempi durante i quali un particolare corpo, non costretto da alcuna forza ad alterare le velocità del suo moto, percorre spazi ugu.ali, sono uguali" .19 È proprio vero che le precedenti considerazioni portano alla conclusione che il primo assioma non "sia veramente niente altro" se non una definizione camuffata? Tale punto di vista non fu certamente condiviso da Newton, da D'Alembert e da altri insigni scienziati che portarono il loro contributo alla costruzione della meccanica. Dobbiamo quindi prender in considerazione quanto si può dire a sostegno della interpretazione del primo assioma come enunciato avente, in qualche senso, un contenuto empirico. Una simile interpretazione è possibile soltanto se si può validamente sostenere la possibilità di identificare l'assenza di forze e la uguaglianza dei tempi senza far ricorso al primo assioma. Tale tesi poggia in parte su considerazioni storiche, in parte su considerazioni relative all'effettiva pratica scientifica. I fautori della tesi sostengono giustamente che assai prima di quando venne formulato il primo assioma del moto, gli uomini impiegavano la nozione di forza e di uguaglianza tra tempi, e svilupparono perfino dei metodi onde misurarli, per indefiniti e rozzi che tali nozioni e tali metodi potessero essere. È, per lo meno, plausibile, che l'idea di forza abbia avuto origine nello sforzo avvertito nei muscoli durante qualche prestazione fisica, e sia successivamente stata associata al comportamento di travi, liquidi, funi .e molle esposte a vari pesi e pressioni; 20 e la storia della cronometria offre molteplici esempi di meccanismi adoperati per definire e misurare uguaglianze di durate - per esempio, orologi ad acqua, clessidre, candele standard - tutti costruiti o valutati non certo in base all'assioma del moto. Vi sono quindi prove in abbondanza contro la tesi secondo cui l'assenza di forze e l'uguaglianza di tempi possa venir determinata soltanto in base al primo assioma. Dobbiamo rimandare fino alla considerazione del secondo assioma ogni ulteriore discussione sulla definizione e sulla misurazione delle forze. Ma a questo punto la nostra attenzione è richiamata da una caratteristica generale esibita dalla storia e dalla pratica delle misurazioni del tempo. Apparirà forse come evidente di per se stesso che, qualora il primo assioma non si riduca ad una definizione, deve esservi un modo per misurare il tempo indipendente dall'uso della legge. È comunque chiaro che, se si sceglie un qualsiasi processo periodico come orologio in funzione del quale si debba definire l'uguaglianza degli intervalli di tempo, 19 WrLLIAM THOMSON (Lord Kelvin) e P. G. TAIT, Treatise an Natura! Philosophy, Cambridge, England, 1893. 20 Cfr. MAX ]AMMER, Concepts o/ Force, Cambridge, Mass., 1957.
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sorge il problema della scelta di questo processo. Meccanismi periodici diversi, infatti, non risultano ugualmente convenienti come orologi, poiché alcuni scandiscono i propri periodi piu "regolarmente" o "uniformemente" di altri. Sorge quindi naturale la domanda se esista un sistema per identificare orologi che siano "assolutamente regolari", o se in definitiva una "vera uguaglianza" di tempi non debba forse venir definita in termini del primo assioma (o di qualche altro postulato teorico), cosi che, dopo tutto, il primo assioma diventa una definizione. Fu una difficoltà di questo genere che guidò Newton alla distinzione tra tempo "assoluto" e "relativo"; la sua definizione del tempo assoluto, però, è inutilizzabile come base per la misurazione del tempo, a prescindere dalla questione se sia o no, addirittura, fornita di significato!1 c) Dal momento però che la fisica è una scienza in piena fioritura, è chiaro che la difficoltà di cui si è parlato può venir risolta in qualche modo; dobbiamo ora indicare schematicamente come si arrivi a risolverla. Per fissare le idee, si supponga che si cominci con lo specificare un orologio ad acqua costruito in un dato modo quale mezzo per la misura del tempo. Con il suo aiuto possiamo quindi cercare di stabilire leggi che mettano in relazione vari processi con il tempo in cui essi si svolgono, essendo il tempo definito in termini dell'orologio ad acqua preso come campione; e può darsi che si trovi che esiste, grosso modo, una regolarità nello svolgersi di tali processi. Per esempio, possiamo scoprire che un pendolo richiede approssimativamente lo stesso numero di unità t~mporali (dell'orologio ad acqua), per compiere un'oscillazione completa, e che lo spazio percorso da una palla che cade lungo un piano inclinato è sempre approssimativamente proporzionale al quadrato del tempo (dell'orologio ad acqua). Ma può darsi che troviamo pure che, benché esista questa regolarità approssimativa, il pendolo, in certe occasioni, richieda un tempo maggiore (deli'orologio ad acqua) per compiere qualcuna delle sue oscillazioni rispetto alle altre, e ciò anche se conduciamo il nostro esperimento con la massima precisione e perfino dopo che si siano identificati e ridotti al minimo vari fattori che possono esercitare un'azione di disturbo sul moto di un pendolo (come l'attrito nel punto di sospensione, la resistenza dell'aria ed altri); qualcosa di analogo può accadere nel caso della palla che rotola lungo il piano inclinato. Potremmo allora lasciare la questione a questo punto, concludendo che questi processi fisici mostrano un comportamento solo approssimativamente uniforme, cosi che le relative leggi che noi formulia21 La definizione di Newton è: "Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello relativo, apparente e volgare, è una misura (esatta o inesatta) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali l'ora, il giorno, il mese, l'anno" (Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (Definizioni, Scolio), trad. it. a cura di A. Pala, Torino, 1965, pp. 101-102).
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mo sono vere solo approssimativamente. Ci resta però aperta un'altra alternativa: quella di dichiarare che l'orologio ad acqua non è "preciso", e di adottare come campione un altro tipo di orologio. Ma cosa diciamo in realtà quando asseriamo che l'orologio ad acqua non è "preciso", se, come abbiamo accettato per ipotesi, non esiste uno strumento per misurare il "tempo assoluto"? E in quale direzione potremo cercare un nuovo orologio, nel caso che decidiamo di abbandonare l'orologio ad acqua come campione? La risposta generale alla prima domanda è che l'orologio ad acqua non è preciso nel senso che, da una parte, se lo si prende come campione, si deve giudicare che un'ampia classe di processi mostra delle irregolarità nel tempo richiesto per lo svolgimento dei relativi cicli - irregolarità apparentemente non addebitabili a fattori identificabili di disturbo - e, d'altra parte, se si adotta come campione qualche altro orologio, tali irregolarità scompaiono, o diminuiscono in modo apprezzabile. La risposta alla seconda domanda è che cercheremo come orologi dei meccanismi periodici i quali rendano possibile confrontare e differenziare rispetto ai loro periodi un numero sempre maggiore di processi, e ci permettano di stabilire, con precisione sempre crescente, delle leggi generali sulla durata e lo sviluppo di tali processi. Per vedere la cosa ancora piu chiaramente, supponiamo di abbandonare l'orologio ad acqua come misura campione del tempo, e di adottare per tale scopo un pendolo di costruzione specificata. Supponiamo anche che vari processi (come la caduta di una palla lungo un piano inclinato, la trasmissione del suono, la rotazione della Terra, varie trasformazioni chimiche, ecc.), che apparivano irregolari quando impiegavamo come campione l'orologio ad acqua, mostrino ora una regolarità, se non perfetta, per lo meno maggiore di prima. Si è cosf ottenuto un ben preciso vantaggio dall'adozione di un nuovo strumento per la misura del tempo. In conseguenza di questo cambiamento, infatti, si scoprono dipendenze tra i periodi dei vari processi, che avrebbero potuto sfuggirei completamente se avessimo conservato il precedente orologio, o che avrebbero richiesto delle formulazioni cosf complesse da essere praticamente inutilizzabili. È ovvio però che non vi è di necessità un limite in questo procedimento di abbandonare una misuracampione di tempo in favore di un'altra, e che si possono ottenere ulteriori vantaggi se si sostituisca il pendolo con, ad esempio, la Terra in rotazione quale orologio-campione. Il procedimento che abbiamo sommariamente. mostrato illustra quello che è stato chiamato_ il_proçedimento di "definizione successiva", un procedimento che si incontra rlpetutà-mente nella storia della scienza moderna." 22 Per una discussione che illumina questo procedimento in relazione ali' adozione di orologi, cfr. LuowiG SILBERSTEIN, The Theory o! Relativity, z• ed., London, 1924, c. l. Vedi anche VICTOR F. LENZEN, Procedures of Empirica! Science, International Encyclopedia of Unified Science, Chicago, 1938, vol. l, n. 5.
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C'è però un punto finale degno ora di attenzione, un punto che verte direttamente sullo status logico del primo assioma del moto. Si supponga infatti che si sia adottato come orologio campione la Terra in rotazione, e che il primo assioma venga ripetutamente confermato, con precisione crescente, da esperimenti e osservazioni adeguati, condotti in molte zone diverse - sempre assumendo, naturalmente, che si possa identificare in modo indipendente l'assenza di forze. Può darsi tuttavia che risultino alcune deviazioni da quanto ci aspetteremmo in base all'assioma, deviazioni non imputabili ad errori casuali di osservazione, né attribuibili ad alcun identificabile fattore di disturbo. Anche qui ci si presenta una scelta. Possiamo concludere che il primo assioma e le sue conseguenze sono veri solo approssimativamente, e forse potremmo modificare l'assioma in qualche modo opportuno; può darsi però che tale modificazione richieda a sua volta una considerevole revisione di altre parti della teoria, portando a una complicazione della formulazione di molte leggi. Oppure, possiamo accettare il primo assioma come completamente esatto, attribuendo le deviazioni sperimentali da esso a leggere "imprecisioni" della Terra in rotazione quale cronometro. Ma invece di specificare ancora un altro meccanismo periodico perché serva da orologio-campione, possiamo adottare ora il primo assioma come un criterio di uguaglianza di periodi temporali - definendo come uguali due tempi durante cui un corpo che si muova senza essere sottoposto all'azione di alcuna forza, percorre su una retta spazi uguali. Secondo questo ultimo modo di procedere, quindi, il primo assioma-; X benché all'inizio fosse stato accettato su basi sperimentali, sembra aver acquistato la natura di un principio di interpretazione dei dati speri- . mentali, o di una convenzione che definisca implicitamente l'uguaglianza .· dei tempi. Supponiamo di aver adottato questa seconda alternativa. Ciò significa forse che il primo assioma cessa di avere un contenuto empirico ed è semplicemente una stipulazione arbitraria per misurare il tempo? Non si può dare a tale domanda una risposta generale diretta e semplice, perché essa, cosi posta, è essenzialmente incompleta. È una domanda che solleva una questione che può venir risolta solo quando si sia assunta una formulazione definita della teoria della meccanica; formulazione che deve comprendere non soltanto gli assiomi del moto, ma anche una precisa specificazione delle definizioni di correlazione adottate per i suoi termini fondamentali. Infatti, come è stato ripetutamente osservato, finché non si sia associato un appropriato numero di termini fondamentali della teoria a concetti sperimentalmente specificabili, tutte le assunzioni teoriche sono definizioni astratte aventi la natura di postulati in possesso di una rilevanza empirica soltanto prolettica. Orbene, è certamente possibile sviluppare la teoria della meccanica sotto forma postulativa, in modo che, in simile formulazione, il primo assioma risulti una definizione arbitraria implicita dell'ugua-
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glianza di tempi; ma è ugualmente possibile formulare la teoria in modo che il primo assioma abbia un contenuto empirico. Tuttavia non sempre è facile riconoscere in relazione a quale formulazione della teoria della meccanica si stia discutendo lo status dell'assioma. Non esiste una formulazione ufficiale della teoria e, in contesti differenti, si possono assumere modi differenti di articolarla. Accade in effetti che anche entro uno stesso trattato si impieghino tacitamente, per problemi diversi, i due diversi modi di interpretare il fondamento della teoria. Né questo fatto dimostra necessariamente una condizione di confusione; esso può illustrare semplicemente la flessibilità con cui si possono scambiare tra loro definizioni ed enunciati empirici, entro un corpo di conoscenza altamente sistematizzato e concatenato. In pratica tuttavia anche in quelle formulazioni della teoria della meccanica in cui il primo assioma sembra presentare uno status puramente di definizione, il fatto che esso venga ascritto a tale ruolo dipende da importanti (benché spesso trascurate) assunzioni empiriche. In definitiva, anche quando si definisce l'uguaglianza dei tempi in base alla rotazione terrestre anziché in base all'assioma, le discrepanze tra quanto ci aspetteremmo in base all'assioma e quanto in effetti troviamo non sono enormi. In un gran numero di casi che fan parte del campo delle applicazioni della meccanica, il risultato delle osservazioni effettivamente compiute è lo stesso, tanto se si prende come cronometro la Terra, quanto se si "corregge" il periodo osservato per la sua rotazione alla luce della definizione di uguaglianza dei tempi fornita dall'assioma. Inoltre, e questo è il punto cruciale, per quanto l'assioma possa veramente funzionare come convenzione per definire l'uguaglianza dei tempi in termini del comportamento di un dato sistema fisico (sul quale, per ipotesi, non agiscano forze esterne), non è certo per convenzione che altri sistemi fisici mostrano regolarità simili durante intervalli di tempo definiti come uguali dal moto del primo sistema. Si supponga, ad esempio, che si sia adottato come orologio campione un dato corpo A, che non si trova sotto l'azione di alcuna forza, e che, per definizione, si dicano uguali due periodi temporali quando A percorre durante ciascuno di essi spazi uguali su una retta. Fin qui abbiamo usato il primo assioma solo come convenzione, cosi che l'enunciato che A si muove a velocità uniforme è "vero per definizione". Ma supponiamo poi che un altro corpo B si muova anch'esso su una retta, in assenza di forze ad esso applicate. È chiaro che non sarà in base ad una convenzione che stabiliremo se a B occorrono tempi uguali (come definiti dal moto di A) per percorrere distanze uguali, perché solo dall'osservazione del moto di B si potrà arrivare alla conclusione se sia effettivamente cosi. Si può quindi dire che il primo assioma è una convenzione solo nel senso limitato che esso può venir usato per definire l'uguaglianza dei tempi nel contesto di un moto di un sistema fisico particolare. Non si può invece correttamente dire che l'assioma sia una semplice conven-
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zione nel caso che, una volta adottata questa definizione, una classe indefinitamente grande di sistemi mostri periodicità di moto essenzialmente uguali alle periodicità del sistema preso come campione, per cui ne consegue che ognuno di questi sistemi è altrettanto adatto del primo per il ruolo di orologio campione. In breve, una volta definita dal moto di un dato corpo l'uguaglianza dei tempi, l'assioma non è "vero per convenzione" se in via di fatto si trova un gran numero di corpi che si muovono in conformità all'assioma stesso. Indubbiamente le scienze teoriche debbono contenere delle convenzioni, per evitare che i termini siano definiti da se stessi. Inoltre, può non esser fissato il loro posto esatto nell'articolazione della teoria, ed anzi esso può variare con la particolare formulazione che ad essa viene conferita. Quindi una frase che in una formulazione di una teoria o in un contesto del suo uso è adoperata come convenzione o forma di definizione può fungere, in un'altra formulazione o in un altro contesto, da enunciato su fatti empirici. È tuttavia palesemente un errore concludere che tale frase (un'esemplificazione della quale può essere l'enunciato del primo assioma del moto) non sia altro che una convenzione in tutti i contesti, o che un enunciato non sia altro che una convenzione perché una parte del suo contenuto empirico è fissato per convenzione. d) Resta tuttavia la domanda se, anche non usando deliberatamente il primo assioma come convenzione, esso possa venir a buon diritto considerato come un enunciato in possesso di un contenuto empirico. Spesso è stato sostenuto chè l'assioma non possiede tale contenuto, e ciò prescindendo dal fatto che esso è formulato in termini delle nozioni di punto-massa e velocità istantanea. La discussione spesso si fonda sull'argomento che non esistono corpi esenti dall'azione di forze, e che non si sono mai osservati in pratica corpi che si muovano con velocità invariata per spazi indefinitamente grandi." È un argomento indubbiamente valido, che risulta fatale alla tesi che il primo assioma sia una generalizzazione induttiva tratta da casi osservati 23 Cfr. HENRY PorNCARÉ, I..a Science et l'Hypothése, Paris, 1902. "Molti scrittori di trattati elementari si accontentano di osservare che quando un disco da hockey scivola sul ghiaccio, esso va tanto piu lontano prima di fermarsi, a parità di colpo applicatogli, quanto piu il ghiaccio è levigato. Quindi suggeriscono di immaginare che il ghiaccio diventi, al limite, perfettamente levigato - una superficie ideale che non abbia nessun effetto sul disco. A questo punto asseriscono che il disco proseguirà indefinitamente in linea retta con velocità costante. Come esempio suggestivo non si può criticare questo modo di esporre la cosa, benché &ia bene il far notare che la superficie deve venir idealizzata oltre al limite richiesto, cioè deve esser resa di estensione infinita e, cosa ancor piu importante, deve essere piana, cioè non può stare sulla superficie terrestre. Uno strato di ghiaccio perfettamente liscio steso sulla terra non risponderebbe allo scopo, perché in questo caso la traiettoria non sarebbe una linea retta, e neppure un circolo massimo, considerata la combinazione degli effetti della gravità e della rotazione terrestre. In altre parole, l'esempio, che al primo momento non sembra cosi inadeguato, ad un'analisi piu approfondita risulta assai infelice. Probabilmente accadrebbe lo stesso per qualsiasi esempio fenomenico su vasta scala della prima legge di Newton ".
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allo stesso modo in cui, per esempio, l'enunciato "tutti i corvi sono neri" è una generalizzazione basata sull'osservazione di un certo numero di corvi neri. Tuttavia: anche se l'assioma non è una generalizzazione induttiva nel senso illustrato da questo esempio, non può darsi che esso abbia ciò nondimeno un contenuto empirico, e che si basi su prove sperimentali di un genere piu indiretto? Gli argomenti dati talvolta a sostegno di una risposta affermativa a queste domande si svolgono in due direzioni. La prima, in breve, è la seguente. Può esser vero che i corpi sono sempre sotto l'azione di qualche forza, e che non è stato mai osservato un corpo che conservi indefinitamente una velocità costante. Però, è possibile trovare dei corpi che rispetto ad altri sono soggetti a un numero inferiore di forze, o a forze di minore intensità; e alcuni corpi possono essere isolati progressivamente, se non completamente, dall'influenza di forze. Se si pensano tali corpi come disposti in una successione secondo il loro grado di isolamento, allora i moti dei corpi che occupano in tale serie i posti piu avanzati si scostano dallo stato di velocità uniforme meno di quelli dei corpi che occupano i posti precedenti nella serie. Il primo assioma formula tale complesso di fatti in termini di un moto postulato al limite immaginando la serie prolungata indefinitamente. Non si deve però leggere l'assioma letteralmente, in modo miope; esso non va inteso come se asserisse l'effettiva esistenza di corpi che non sono sotto l'azione di nessuna forza, o come se richiedesse, per esser valido, l'esistenza di corpi in tali condizioni. Il linguaggio dei limiti, come è noto, va maneggiato con cura. In fisica, come in matematica, l'asserire che una successione di termini possiede un limite è spesso piu correttamente inteso come un semplice modo per enunciare una proprietà relazionale che caratterizza gli elementi della successione, senza dubbio esistenti, piuttosto che come un enunciato che affermi l'esi-~ stenza - probabilmente dubbia - di qualche termine che non era stato inizialmente assunto come elemento della successione. Il primo assioma ha dunque un contenuto empirico, perché formula cert~ caratteristiche relazionali, identificabili, dei moti effettivi di corpi, tutti sotto l'azione di forze, quando si ordinino tali corpi in una successione. La seconda direzione di argomenti è, in parte, una critica implicita della prima. Comincia con l'osservazione che, in generale, è impossibile specificare il contenuto di una parte di una teoria indipendentemente dalla teoria nel suo insieme. In particolare, sostiene che non si può verificare sperimentalmente il primo assioma isolatamente da tutta la teoria della meccanica, se non altro per la ragione che ogni verifica all'uopo proposta implica assunzioni riguardanti le forze che possono star agendo sui corpi, e quindi implica l'uso di altre parti della teoria della meccanica. Il modo corretto di porre la domanda è quindi quello di chiedere se la teoria della meccanica ha contenuto empirico, dove si deve intendere che "la teoria della meccanica" non include solo i tre
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assiomi del moto unitamente alle definizioni coordinatrici dei suoi vari termini, ma include anche delle assunzioni particolari che solitamente vengono fatte riguardo alla funzione-forza. Ma quando la domanda è posta in tal modo, la risposta è, chiaramente, affermativa, in quanto nessuno può seriamente mettere in dubbio che la teoria ha molto da dire riguardo alla costituzione dei moti reali; quindi dato che nell'analisi dei moti svolta dalla teoria il primo assioma è implicato in modo essenziale, esso pure ha contenuto empirico. Per esempio, la teoria analizza il moto di un pianeta attribuito alla forza gravitazionale del Sole risolvendo la forza in due componenti, una lungo la tangente alla sua orbita e l'altra lungo una retta in direzione di un punto fisso, il centro della massa Sole-pianeta. In conformità alla teoria, però, si assume poi che il moto lungo la tangente sia in accordo con il primo assioma, cosf che le accelerazioni del moto del pianeta, in ogni punto della sua orbita teorica, debbano esser dirette verso il centro della massa del sistema. Poiché tale analisi risulta altamente soddisfacente, nel senso che l'orbita teorica dedotta conformemente a queste assunzioni è in buon accordo con le posizioni osservate del pianeta, la prova che viene in tal modo a confermare la teoria nel suo insieme conferma altrettanto bene il primo assioma. La tesi che il primo assioma sia un'ipotesi generale, che richiede la conferma sperimentale, e che esso abbia perciò contenuto empirico, non è priva, per lo meno prima facie, di fondamento. Ma noi non enunceremo il nostro giudizio su questa tesi, né esamineremo in che rapporto essa stia con i vari argomenti contrari già riportati, prima di aver considerato gli altri assiomi del moto. 2. Il secondo e il terzo assioma del moto. È opportuno considerare insieme i due rimanenti assiomi. Come per il primo, assumeremo che il sistema di riferimento spaziale a cui riferire i moti dei corpi sia stato specificato in modo soddisfacente. Siccome poi si è già a sufficienza discusso sulla misura del tempo nella meccanica classica, rimangono da esaminare soltanto altre due nozioni, quella di forza e quella di massa. a) Nella fondazione della meccanica la nozione di forza è stata fonte di molte difficoltà. Come già si è osservato (v. p. 186), tale nozione ebbe senza dubbio origine dalle esperienze familiari dello sforzo umano; gran parte del linguaggio degli ordinari trattati di fisica suggerisce che, quando si dice che i corpi "si attraggono" o "si respingono", o che "esercitano forze" uno sull'altro, si sta attribuendo alle operazioni dinamiche della natura inorganica qualcosa che è simile agli sforzi che noi sentiamo nel nostro organismo. La suggestione del linguaggio fisico ordinario va anzi ancora oltre, ed espressioni come "azione di forze" sembrano considerare le forze come "entità" sostanziali, dotate di un "essere", o modo di esistenza loro propria, indipen-
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dente dai corpi sui quali possono venir ad agire. Una gran parte del lavoro critico sui fondamenti della scienza, specialmente del XIX secolo, è stato rivolto all'eliminazione dalla fisica di tali nozioni antropomorfiche; e probabilmente oggi nessun fisico, anche quando usa un linguaggio antropomorfico, intende che esso vada preso sul serio e interpretato come qualcosa di piu che un comodo modo di esprimersi. Questo repulisti critico mise in chiaro che forze concepite come sforzi avvertiti o come agenti sostanziali non hanno un ruolo identificabile nella teoria della meccanica, e possono quindi esserne banditi, mediante il famoso rasoio di Occam, come inutile cianfrusaglia. Un requisito essenziale per un concetto di una disciplina quantitativa è quello che esso sia associato a qualche mezzo di riconoscimento e di misura della proprietà che formula; e una nozione antropomorfica di forza soddisfa la prima parte di questa condizione solo entro limiti molto ristretti, e non soddisfa affatto la seconda parte. Ma, benché ci sia tra i fisici completa unanimità quanto alla necessità e all'efficacia del repulisti, vi è un accordo assai minore riguardo a che cosa, se pur esiste, possa rimpiazzare nella meccanica l'idea bandita. Lo stesso esame da parte di Newton della nozione di forza presenta una curiosa confusione. La sua definizione esplicita di "forza impressa" afferma che essa "è un'azione esercitata sul corpo, al fine di mutare il suo stato di quiete, o di moto rettilineo uniforme" .24 Questa formulazione non stabilisce un'equivalenza, attraverso tante parole, tra "forze impresse" e "mutamento nello stato di moto di un corpo"; al contrario, associa le forze ad azioni (o cause) che cambiano i momenti dei corpi, in modo che tali variazioni appaiono come semplici effetti delle forze. Newton però non offre una misura generale per le forze, se non in termini di variazioni di momenti; ed anche ammesso che si possano identificare forze di altro genere, esse dovranno venir misurate in termini dell'accelerazione a cui danno luogo. Invece, il secondo assioma asserisce che una variazione del momento è proporzionale alla forza applicata. Ma è chiaro che, se si misurano le forze applicate in termini di variazioni di momenti, allora ciò che l'assioma viene a dire è semplicemente che la variazione del momento di un corpo è proporzionale alla variazione del momento. Lungi dall'essere un assioma del moto, il secondo assioma si riduce in base a questa analisi ad un vistoso truismo logico. È fuori dubbio che Newton non intendeva con il suo assioma niente del genere. Ma qualsiasi cosa egli intendesse asserire con esso, sta di fatto che la tesi che il secondo assioma sia soltanto una definizione nominale del termine "forza" è stata largamente adottata, specialmente da quei fisici che pensano che tale definizione di "forza" sia l'unica alternativa ad una spiegazione "antropomorfica" e "metafisica" di tale 24
!SAAC NEWTON,
op. cit., Definizione IV, p. 95.
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nozione. 25 Questa tesi è favorita dall'abitudine comunemente diffusa di stabilire il secondo assioma nella forma F = ma, la quale suggerisce che ciò che si sta asserendo sia un'identità, e che quindi la formula esprima una verità analitica. È ovvio, naturalmente, che coloro i quali definiscono in tal modo la "forza" debbono fornire una definizione indipendente di "massa", che non adoperi il secondo assioma; infatti la definizione talora proposta della "massa" come il rapporto tra forza e accelerazione renderebbe circolare la spiegazione della "forza" come prodotto di massa e accelerazione. È pure chiaro che, se si considera il secondo assioma come una definizione, si deve anche considerare il primo come una convenzione, dato che non vi è modo di riconoscere l'assenza di forze applicate salvo che in termini di moti uniformi di corpi. Cosa si deve dire della tesi che il secondo assioma non sia altro che una definizione? Alcuni punti tra quelli notati a proposito dell'esame della natura del primo assioma si dimostrano rilevanti per la domanda posta qui. Non vi è dubbio che si può dare una formulazione non contraddittoria della teoria della meccanica, tale che, tanto se si prendono 'massa' ed 'accelerazione' come termini primitivi del sistema quanto se si definiscono senza riferirsi alle forze, il termine 'forza' risulta definito come il 'prodotto della massa per l'accelerazione'.26 In tale formulazione non vi è invero ragione per conservare la parola 'forza' se non come comoda abbreviazione al posto di un'espressione piu lunga, dato che ogni volta che si presenta tale parola essa può venir sostituita, senza perdita alcuna di significato, dall'equivalente definito. Secondo questa formulazione della teoria, il secondo assioma di Newton può venir omesso senza conseguenze, dato che in tal caso esso viene a stabilire una verità analitica. Se quindi la tesi che il secondo assioma non è che una definizione non vuoi sostenere nulla piu che il fatto 25 Sembra che Ernst Mach sia stato il primo a proporre esplicitamente questa tesi. Vedi il suo articolo Ueber die Definition der Masse, apparso nel 1868 e incluso nella sua Die Gescbichte un d di e W urzel d es Satzes der Erhaltung der Arbeit ( trad. ingl. ci t., pp. 180-185). Anche Kirchhoff ildottò un punto di vista analogo, come pure Boltzmann. 26 Per esempio Mach, nella sua riformulazione della meccanica (Die Mechanik in ibrer Entwicklung bistoriscb-kritiscb dargestellt, cit., c. II, sez. 7'), sostituisce nel modo seguente le definizioni e gli assiomi di Newton: a) Preposizione sperime'ttale. Corpi opposti l'uno all'altro imprimono l'uno all'altro, sotto certe condizioni da specificarsi dalla fisica sperimentale, accelerazioni contrarie nella direzione della loro congiungente. b) Definizione. Il rapporto delle masse di due corpi qualsiasi è l'inverso del rapporto cambiato di segno, delle accelerazioni reciprocamente impresse a quei due corpi. c) Proposizione sperimentale. I rapporti tra le masse dei corpi sono indipendenti dal carattere degli stati fisici (dei corpi) che determinano le accelerazioni reciproche siano essi degli stati elettrici, magnetici, o di altro genere; e rimangono, inoltre, gli stessi, comunque si pervenga ad essi, in modo mediato e immediato. d) Proposizione sperimentale. Le accelerazioni che un numero qualsiasi di corpi A, B, C, ... imprimono ad un corpo K sono indipendenti tra loro. (Ne consegue immediatamente il principio del parallelogramma delle forze.) e) Definizione. La forza motrice è il prodotto del valore della massa di un corpo per l'accelerazione ad esso impressa.
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che la teoria della meccanica può venir formulata nel modo indicato, essa è basata su solidi fondamenti. Ma quelli che interpretano il secondo assioma come definizione hanno spesso in animo di sostenere qualcosa di piu. Essi sostengono sovente che non esiste alternativa a detta interpretazione, pena l'incorrere in una concezione "metafisica" della forza. È ora questa tesi piu radicale che va esaminata; tenteremo di dimostrare che essa è errata. Coloro che abbracciano la tesi che il secondo assioma, cosi come si presenta nella formulazione newtoniana della meccanica, ha contenuto empirico, debbono far fronte a due domande: l) È possibile fornire una misura generale di forza, che sia indipendente dall'uso del secondo assioma? 2) E in ogni caso, è possibile intendere l'assioma in modo che esso non si riduca ad una definizione, senza introdurre un significato antropomorfico o sospetto per il termine 'forza'? Una risposta affermativa alla prima domanda implica una risposta affermativa alla seconda; ma, come vedremo, una risposta negativa alla prima domanda (come, per esempio, nel caso in cui risulti che non è sempre possibile misurare le forze senza servirsi del secondo assioma) non richiede necessariamente una risposta negativa alla seconda domanda. Guardiamo dunque che cosa si può sostenere su ciascuna delle due questioni. l) Abbiamo già notato che ancor prima di Newton gli uomini avevano riconosciuto l'esistenza di forze statiche - di forze, cioè, associate a corpi in equilibrio - e avevano elaborato metodi per misurarle. Per esempio la primitiva nozione di peso è quella di una forza, ed i pesi possono esser misurati con l'aiuto di leve e molle, senza che occorra assumere il secondo assioma del moto. In alcuni casi è possibile adoperare la nozione di forza statica in situazioni in cui i corpi non sono in equilibrio e investigare sperimentalmente le relazioni tra le grandezze di una forza siffatta e le accelerazioni da esse prodotte. Un esempio familiare è quello di un piccolo peso mosso da una lunga molla a spirale a cui sia attaccato; la tensione (o forza statica) nella molla può venir misurata dalla sua estensione, e si possono misurare anche le variazioni del momento del peso in punti diversi dello spazio da esso percorso. È quindi possibile, in linea di principio, determinare sperimentalmente se l'accelerazione del peso, in diversi punti del suo cammino, sia o no proporzionale alla estensione corrispondenlte della molla (e quindi alla forza statica da essa esercitata). 27 Esisto/ no dunque casi in cui è possibile identificare e misurare le forze, !indipendentemente dal secondo assioma, e quindi avere una prova spei..... rimentale per esso . _ " Questo esempio vien dato da NoRMAN CAMPBELL, Physics, the Elements, Cambridge, England, pp. 559-60. Cfr. anche OTTo HoLDER, Die Mathematische Methode, Berlin, 1924, p. 410, per un esempio consimile.
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Ma in genere ciò non è possibile, sia perché non si hanno a disposizione i mezzi tecnici per misurare le forze statiche che si assume siano presenti in un dato caso, sia perché non è possibile estendere in modo significante la nozione di forze statiche a molti casi implicanti moti dei corpi. La prima di queste due alternative non richiede la nostra attenzione, perché non solleva problemi fondamentali; ma la seconda ne solleva. Se imputiamo il moto accelerato di un pianeta a una forza che agisca su di esso, sembra che non ci sia modo di identificare tale forza con una forza centrale che risulti misurabile, anche in linea di principio, con mezzi sperimentali che non si basino sull'assunzione del secondo assioma. È secondo la fantasia, non secondo la fisica, il pensare di misurare la forza in questione, che agisce su un pianeta, per mezzo di una molla tesa che colleghi il pianeta al Sole. In casi del genere - e questi costituiscono la grande maggioranza dei casi analizzati dalla teoria della meccanica - la grandezza e la direzione delle ipotetiche forze agenti su certi corpi vengono calcolate , dalle accelerazioni che esse inducono in tali corpi. La risposta alla : ,', prima domanda è dunque negativa: la fisica, per lo meno fino ad oggi, ' non ha trovato che sia possibile, fornire una misura generale della forza che sia indipendente dal secondo assioma del moto. 2) Si ricava però da quanto precede che l'assioma debba venir con-· siderato come una semplice definizione di "forza", in quei casi in cui non si dispone di una misura indipendente della forza? La supposizione che esso vada considerato in tal modo nasce in parte dal fatto che nella formulazione esplicita dell'assioma abitualmente non si dice nulla di piu per quel che riguarda la funzione-forza F, anche se, in pratica, si assume tacitamente che la funzione sia di tipo ristretto e soddisfi certe condizioni implicite. Come si è notato nella prima parte di questo capitolo, quando si usa in pratica l'assioma per l'analisi di un problema, si deve adottare una funzione.forza particolare, che abbia una forza definita e contenga variabili e costanti esplicitamente dichiarate. L'assioma non prescrive in modo esplicito il carattere particolare della funzione, che può variare da una classe di problemi ad un'altra; il fisico che lavora ad un problema deve contare sulla propria inventiva e fortuna per trovare una funzione appropriata per il caso che ha in mano. Tuttavia, la scelta del fisico è tacitamente confinata entro una classe di funzioni abbastanza ristretta, per vaghi che possano essere i suoi confini. La funzione-forza dipenderà in genere esclusivamente dalle distanze relative fra il sistema fisico allo studio e altri sistemi fisici, da certe costanti della materia (che possono essere o costanti universali o costanti particolari di un dato sistema), e forse dalle velocità relative dei sistemi o dalle grandezze di certi intervalli tempor~li. La funzione inoltre avrà in genere una forma tale che il suo valore numerico tenda a diminuire con il crescere delle distanze relative che figura-
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no in essa. Infine, si richiederà, solitamente, che la funzione abbia una forma relativamente "semplice", anche se non si può definire con precisione questa "semplicità" tacitamente richiesta, che può anche essere una questione puramente psicologica, e che probabilmente è destinata a cambiare via via che migliorano le tecniche di risoluzione delle equazioni differenziali. Infatti, se non si impone alla funzione-forza una certa condizione di semplicità, sia pur vagamente definita, l'assioma corre il rischio di essere banalmente vero; si può infatti facilmente dimostrare che, se non si impongono delle restrizioni alla complessità della funzione matematica, si può sempre costruire una funzione-forza i cui valori numerici siano uguali alle variazioni dei momenti dei corpi. In breve, quanto si può intendere come asserito dall'assioma è che esistono delle determinanti delle variazioni dei momenti, le quali possono venir formulate in maniera relativamente semplice e possono venir specificate in termini di configurazioni spaziali e di certe proprietà fisiche dei corpi. Quindi, se si designa con 'K' la classe di funzioni alle quali è ristretta F, allora, invece di enunciare l'assioma nella forma che gli dà l'aspetto di una equivalenza definitoria (cioè: "la forza F è uguale al prodotto della massa per l'accelerazione"), è piu chiaro e meno fuorviante formularlo, secondo la presente interpretazione, come segue: "per ogni variazione del momento di un corpo, c'è una forza F tale cheF è un membro di K, e cheF= ma". Occorre tuttavia notare altri due punti connessi a questa interpretazione. In primo luogo, vi è un senso ovvio in cui la nozione di forza riveste in meccanica soltanto un ruolo ausiliario. Secondo la presente interpretazione, come pure secondo la tesi per cui il secondo assioma non è che una definizione, il termine 'forza' è solo un comodo mezzo per formulare enunciati generali. Infatti, anche nella formulazione emendata sopra esposta, l'assioma, cosf com'è, non b@sta per risolvere problemi meccanici; la soluzione si può trovare solo dopo che si sia adottata una ben determinata funzione-forza. Di conseguenza le equazioni differenziali dalle quali dipende in effetti la sòluzione dei problemi collegano semplicemente variazioni dei momenti da una parte e un certo numero di grandezze variabili e di costanti, in una data relazione tra loro, dall'altra; tali equazioni differenziali fanno del tutto a meno del termine 'forza'. Cosf, se le coordinate cartesiane di un pianeta di massa m sono Xt, y1, Z1 e quelle del Sole, avente massa M, sono x2, y2, Z2 e se la distanza variabile tra i due corpi è r, le equazioni differenziali del moto prendono la forma:
J2x1 _ G mM(xt- x2) m·dt2 r3 con equazioni simili per le altre due coordinate. Queste equazioni asseriscono che la variazione rispetto al tempo del momento di ciascuno
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dei due corpi è proporzionale al prodoto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato delle loro distanze; e non menzionano il termine 'forza', né lo presuppongono. Da questo punto di vista, quindi, non vi è, nel risultato finale, una differenza fondamentale tra la presente interpretazione del secondo assioma e la tesi che esso sia solo una definizione nominale del termine 'forza'. È comunque indubbiamente conveniente il mantenere l'uso di tale termine nell'esposizione della teoria generale della meccanica. È infatti utile avere una espressione che comprende le diverse funzioni-forza che possono essere impiegate in problemi diversi, specialmente dato che la classe di tali funzioni è delimitata solo in modo vago e non può venir enumerata in modo esauriente. Con l'aiuto di tale termine, inoltre, è possibile stabilire molti teoremi generali che sono validi per molte class~ di sistemi fisici a cui è applicabile la teoria della meccanica, del tutto indipendentemente dal carattere particolare delle forze assunte: per esempio, si può stabilire il teorema che, se su un sistema di corpi non agiscono forze, la somma dei loro momenti è costante attraverso i loro moti. In secondo luogo, benché secondo la presente interpretazione la seconda legge abbia contenuto empirico, essa non può tuttavia venir mai decisamente confutata da qualsivoglia esperimento concepibile. In-_ fatti l'assioma non specifica una forza definita che renda conto di una accelerazione data; esso non fa che asserire che esiste una forza la quale soddisfa certe condizioni tacitamente assunte; è poi compito del fisico lo specificarla in dettaglio. Ma un enunciato della forma: 'esiste una forza F tale che .. .' può esser dimostrato falso solo se è possibile stabilire il suo contrario, cioè un enunciato della forma: 'per tutte le forze F, non esiste .. .'; e, generalmente, per stabilire quest'ultimo enunciato occorrerebbe esaminare esaustivamente tutte le funzioni-forza possibili che soddisfano le condizioni stipulate. Ma è chiaro che non si potrà mai completare un simile esame, perché il numero delle funzioni-forza astrattamente possibili non è fisso, e può superare ogni limite finito. Quindi l'assioma, benché possa venir confermato dalla scoperta di funzioni-forza appropriate che rendano soddisfacentemente conto dell'accelerazione dei corpi, non può mai venir dimostrato come falso. È proprio per questa ragione che spesso si considera il secondo assioma non principalmente come un'asserzione sulle condizioni in cui avvengono accelerazioni, ma piuttosto come formulazione concisa di una guida specializzata per la ricerca, come regola metodologica per dirigere il fisico verso ciò che deve cercare quando analizza il moto dei corpi. Per quel che riguarda infatti la caratteristica di non essere confutabile in modo conclusivo, il secondo assioma somiglia assai ad una regola di quel tipo. Qualunque sia il numero di casi in cui il fisico non riesce a trovare ciò verso cui l'assioma lo indirizza, questo
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non rende necessario abbandonare la ricerca e scartare la regola. La regola infatti può ugualmente esser buona, perché le ricerche condotte in accordo ad essa son state solitamente coronate dal successo, e anche perché perfino una regola che risulti utile solo qualche volta può esser preferibile all'assenza totale di regole. In pratica, il secondo assioma, considerato come un principio regolativo, è stato soprattutto fruttuoso nella guida alla costruzione di un corpo sistematico di conoscenze garantite; e se lo si seguita ad accettare come regola di procedura, evidentemente ciò non accade perché sia una regola arbitraria e infondata per investigare i moti dei corpi. Invece, anche se l'assio. ma, letteralmente, non può venir confutato da nessuna indagine, se in certi campi si riscontrassero ripetutamente degli insuccessi nella scoperta di ciò verso il cui ritrovamento l'assioma ci indirizza, tali insuccessi potrebbero render consigliabile abbandonare l'assioma quale regola metodologica, permanentemente o temporaneamente, e sostituirlo con una direttiva piu utile. E questo è stato in effetti il destino del secondo assioma. b) Occupiamoci infine della nozione di massa e del terzo assioma. Newton si preoccupò particolarmente di indicare quella che egli credeva la base sperimentale di questo assioma. Egli citò un gran numero di esperimenti, suoi e di altri, che confermavano la tesi che, quando un corpo subisce l'azione di un altro corpo, la variazione del momento del primo è uguale in grandezza e opposta in direzione alla variazione del momento del secondo. Ma, ovviamente, la determinazione sperimentale di queste grandezze presuppone la misura della massa, e notoriamente l'apporto di Newton su questo punto è insoddisfacente. Egli defini la 'massa' di un corpo (o la sua 'quantità di materia') come il prodotto della sua densità per il suo volume; ma dato che non indicò in alcun punto come si debba misurare la densità, e dato che la densità di un corpo comunemente è definita e misurata in termini della massa e del volume di quel corpo, la sua spiegazione della massa è del tutto inutilizzabile.28 Che cosa si. deve intendere, dunque, per 'massa' (che deve esser distinta chiaramente dal 'peso'), e come si devono misurare le masse? Talora si dice che per 'masse dei corpi' non si deve intendere nulla di piu che l'insieme dei coefficienti numerici che soddisfano l'equazione esprimente il terzo assioma, cosi che, secondo tale tesi, l'assioma è semplicemente un'altra convenzione - questa volta per definire le masse relative dei corpi. Cosi, se due corpi A e B inducono l'uno sull' altro le accelerazioni relative aAB e aBA (essendo aAB l'accelerazione 28 Ma, anche se questa definizione non è utilizzabile come mezzo per misurare la massa, c'è un punto a suo favore. Newton cercava di distinguere la massa dal peso, perché la massa è una proprietà, che, a differenza dal peso, è invariante rispetto al moto dei corpi. La definizione da lui proposta può venir considerata come un tentativo di formulare la invarianza di tale proprietà.
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indotta da B· su A, e asA l'accelerazione indotta da A su B), allora, secondo la tesi che stiamo considerando, le masse di A e di B sono due numeri mA e ms, scelti in modo che mAaAn =- msaBA· Se questa tesi è corretta, allora è chiaro che Newton si impegnò in una ricerca inutile quando tentò di fornire un fondamento sperimentale al suo terzo assioma. Ora comunque conosciamo abbastanza bene le limitazioni della interpretazione convenzionalistica dei primi due assiomi per esser prudenti nella considerazione del terzo. E invero, benché in effetti esso contenga una componente definitoria, non è questa che ne costituisce la parte centrale. E certamente possibile procedere nel modo che abbiamo indicato, cioè introdurre due numeri mA e mn tali che per un dato insieme di mutue accelerazioni dei due corpi sia soddisfatta la equazione mAaAn = - msanA, e chiamare questi due numeri 'le masse' dei due corpi. Ma come possiamo esser sicuri che questi due numeri saranno sempre positivi; o che il loro rapporto sarà costante qualunque siano le posizioni e velocità relative dei corpi; o che i coefficienti di massa cosi definiti saranno indipendenti da tutte le proprietà particolari dei corpi (come quelle chimiche, termiche o magnetiche); o che le masse saranno additive; o che le masse in questo modo assegnate ai due corpi A e B risulteranno in pieno accordo con le masse assegnate - con il medesimo metodo - alla coppia di corpi A e C come pure alla coppia B e C? La risposta immediatamente ovvia è che non possiamo esser sicuri di nessuna di queste cose, se la 'massa' è definita nel modo proposto. Quindi, la definizione proposta di 'massa' non ·; attribuisce a tale parola un senso come quello effettivamente associatole dalla meccanica; e il terzo assioma non è semplicemente una convenzione riguardante tale definizione. Per scorgere piu chiaramente le assunzioni empiriche che sono coinvolte nell'uso del termine 'massa' in meccanica, vogliamo ora accennare brevemente alla definizione di 'massa' che è ormai diventata quella standard e che, se mal interpretata, sembra stabilire il carattere completamente convenzionale del terzo assioma."' Si supponga ancora di avere due corpi A e B, che siano isolati dall'influenza di tutti gli altri corpi (possibilmente con l'esser stati portati a distanze "sufficientemente grandi" da tutti gli altri corpi) e che inducano l'uno sull'altro le mutue accelerazioni a,1n e asA. Ma supponiamo che questa volta sia un fatto sperimentale (e non una definizione) che il rapporto di tali accelerazioni sia negativo, che sia costante per quella data coppia di corpi per qualsiasi loro posizione e velocità, e che non dipenda da particolari proprietà della materia dei due corpi. Supponiamo che il "' Mach fu il primo a proporre questa definizione (op. cit., nella nota 25 precedente), che fu poi adottata largamente, sebbene all'inizio sia stata rifiutata a Mach la pubblicazione dell'articolo.
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valore di questa costante sia -hA, in modo che aBA = - k 8 A aBA; e supponiamo inoltre che, quando si confronta l'accelerazione di un terzo corpo C con quella di B, in analoghe condizioni sperimentali, il rapporto costante di tali accelerazioni sia - kcB, in modo che acB -kcB aBc. A questo punto sorge la questione se sia possibile dedurre da questi dati sperimentali la costante - kcA, che è il rapporto delle accelerazioni dei due corpi A e C; la questione cioè se acA = kcA aAc segua dalle altre equazioni. La risposta è decisamente negativa, perché ogni valore di kcA è logicamente compatibile con i valori delle altre due costanti. Vogliamo, tuttavia, assumere come un ulteriore fatto sperimentale che le costanti ottenute nel modo indicato per qualsiasi gruppo di tre corpi siano sempre in relazione tale che kcA = = kcB kBA, cioè che il rapporto fra le at.:celerazioni dei corpi C ed A sia sempre uguale al prodotto del rapporto fra le accelerazioni di C e di B per il rapporto fra le accelerazioni di B e di A. Ma si supponga anche che B e C siano combinati in modo da formare un unico sistema (B*C). Quale relazione ci sarà allora tra il rapporto costante delle accelerazioni mutuamente indotte di questo sistema e del corpo A (cioè, tra la costante dell'equazione a(B*C)A = k (B*C)Aa A(B*C) e le altre costanti menzionate? Anche qui può decidere soltanto la sperimentazione, e non la logica formale; supponiamo però, come terzo ed ultimo fatto sperimentale, che in generale k(B*C)A = kBA + kcA. Siamo ora pronti per definire la 'massa'. Chiamiamo 'masse relative' dei corpi B ed A, C ed A, ecc. le costanti 'kBA', 'kcA' ... ; questa è una pura questione di definizione. Ma, in virtu del primo gruppo di fatti sperimentali assunti nel capoverso precedente, le masse relative dei corpi sono invariabilmente indipendenti dai loro moti, e sono sempre positive. Poi designiamo un corpo arbitrariamente scelto, ad esempio A, come corpo campione di massa mA, dove mA è un numero positivo; si può, per esempio, assegnare ad mA il valore unitario l. Anche questa è completamente questione di convenzione. Però, in conseguenza del primo gruppo di fatti sperimentali, tutti gli altri corpi B, C, ... saranno allora associati ad un unico insieme di numeri positivi mB, mc, ... , che saranno chiamati i 'coefficienti di massa', o semplicemente le 'masse' di questi corpi. Il chiamare questi numeri masse dei corpi è naturalmente una questione di definizione; ma non è una questione di definizione il fatto che, relativamente alla scelta iniziale del corpo campione e all'assegnazione di un valore numerico alla sua massa, questi numeri non variano con il moto dei corpi. Inoltre, in virtu del secondo gruppo di fatti sperimentali menzionati nel capoverso precedente, l'unica differenza che nascerebbe se si scegliesse come campione di massa un altro corpo al posto di A sarebbe un cambiamento di scala. Per esempio, si supponga di aver assegnato ad A la massa unitaria, e che in conseguenza B abbia una massa 3 e C una massa 6; se si sostituisse B ad A come unità di massa, A avrebbe massa 1/3 e C avrebbe massa 2. Infine,
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come conseguenza del terzo gruppo di assunzioni sperimentali, le masse sono additive, cioè la massa del sistema (B*C) formato dai due corpi B e C è uguale a mB + mc.)(J Se ora sostituiamo le costanti nell'equazione che esprime il primo gruppo di assunzioni sperimentali con i rapporti delle masse come li abbiamo definiti, otteniamo, per ogni coppia di accelerazioni mutuamente indotte, equazioni della forma mAaAB = - mBaBA- Ma · questa altro non è che l'espressione del terzo assioma. Qual è, dunque, lo status di questo assioma? È esso semplicemente la conseguenza della definizione di massa? È una convenzione per tale definizione? La risposta è adesso chiara. La particolare forma matematica dell'assioma è proprio una conseguenza della definizione. Invece di definire i coefficienti di màssa del modo indicato, sarebbe infatti possibile definirli come funzioni dei numeri m: per esempio, assegnando, come coefficiente di massa di A, mi o l/mA. Per ciascuno di questi altri modi di assegnare valori numerici come misure della massa, l'assioma avrebbe ricevuto una formulazione matematica un poco diversa; per esempio, per i valori menzionati sopra, le equazioni corrispondenti sarebbero rispettivamente mia AB = - miaBA e mB aAB = - mA aBA, anziché mAaAB = - mBaBA· Tuttavia, l'assioma non è una conseguenza soltanto della definizione di 'massa', bensf anche dell'assunzione fattuale che per ogni coppia di corpi il rapporto delle accelerazioni mutuamente indotte sia una costante negativa, che è indipendente dalle posizioni, velocità e proprietà particolari dei corpi. In modo simile, l'assioma nella sua formulazione tra-_. dizionale è senza dubbio servito da guida per costruire una definizione soddisfacente di 'massa', perché la definizione è costruita in modo da render possibile una formulazione dell'assioma esente da oscurità. Ma l'assioma non è letteralmente la definizione di 'massa': in effetti la definizione dl 'massa', di cui abbiamo dato sopra lo schema, eguaglia le 'masse relative' dei corpi ai 'rapporti inversi negativi del~e loro accelerazioni mutuamente indotte'. Ma, come si è sottolineato ripetutamente, la costanza di questo rapporto non è materia di definizione; 1
1
"' Questo modo di definire la 'massa' è basato sull'assunzione di poter assegnare le masse dei corpi due a due, "upponendo che tutti gli altri corpi, salvo i due considerati in un dato istante, siano stati portati a grandi distanze. Questa assunzione è chiaramente contraria alla realtà; per esempio, i corpi che costituiscono il sistema solare non possono essere portati qua e là per venir incontro alle nostre necessità, benché le loro masse possano in effetti venir determinate. La procedura di Mach per assegnare i coefficienti di massa, quale l'abbiamo descrtita nel testo, incorre in difficoltà e deve venir modificata qualora venga usata per assegnare i coefficienti di massa ad un numero arbitrario di corpi che non possano venir considerati due a due. Per i nostri scopi comunque è sufficiente la descrizione semplificata data nel testo, i cui risultati non vengono essenzialmente alterati quando si usa come base per la discussione un metodo adeguato a casi piu complessi. Per una discussione su alcune delle limitazioni della procedura di Mach, cfr. C. G. PENDSEN, A Note on the De/inition and Determination of Mass in Newtonian Mechanics, "Philosophical Magazine", sez. 7, vol. 24 (1937); A Further Note ... , op. cit., vol. 27 (1939); On Mass and Force in Newtonian Mechanics, "op. cit.," vol. 29 (1940); H. A. SrMoN, loc. cit., e Discussion: The Axiomatization of Mechanics, "Philosophy of Science", vol. 21 (1954).
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ed è nell'affermazione di tale costanza che consiste il peso principale del terzo assioma. 3. Conclusioni. Dobbiamo ora riassumere i punti principali emersi nella disamina dello status logico degli assiomi del moto, e presentare alcune conclusioni.
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a) Abbiamo esaminato un argomento tendente a stabilire il primo assioma per mezzo di un ragionamento a priori, e lo abbiamo trovato seriamente in errore. Esistono altri argomenti tendenti allo stesso scopo per gli altri assiomi del moto, ma un esame mostrerebbe che nessuno di essi è maggiormente persuasivo di quello che abbiamo esplicitamente discusso. 31 Ed invero, alla luce degli importanti emendamenti operati sugli assiomi di Newton dalla teoria della relatività generale, si può concludere che nessun argomento di questo genere potrebbe raggiungere il suo scopo. Si può estendere questa conclusione alle assunzioni fondamentali di altre teorie, in altre branche della fisica come in altri campi scientifici. ]..(l_sjgria della s_çiel.}?:_g~ _g>~cie _queUa __ cl~gli ~!timi anJ:li, _()jf!:~-Q~()y_~_apb()ncl~r:ttLdella tesi, del tutto generale, che nesSl}!ll!_t~~ri~_ 4.<:1!<'!__ sc:ienze posi tiv~ abbia lo status di una verità a mori._ Dobbiamo, tuttavia, considerare brevemente alcuni argomenti i quali vogliono dimostrare, non già che un particolare gruppo di assiomi del moto diano verità necessarie, ma che la meccanica - intesa, in un senso piuttosto largo e generale, come teoria dei moti dei corpi - è il presupposto inevitabile di tutte le altre scienze. La tesi che qualsivoglia cambiamento "non possa essere niente altro che moto di parti del corpo che è cambiato" fu avanzata già fin da Hobbes. Anche Leibniz sostenne questa tesi, che fu poi resa assiomatica dai fondatori della meccanica, e conti·,uò a dominare le menti dei fisici e dei filosofi anche quando la mecc.wlca di Newton aveva ormai perso il suo prestigio come scienza universale della natura. 32 Fu una tesi difesa sia su basi aprioristiche sia in conseguenza a considerazioni empiriche generali. Una forma di un argomento aprioristico fu avanzata da Wilhelm Wundt, filosofo e psicologo. La sostanza del suo ragionamento è la seguente. Supponiamn di vedere un oggetto che subisca un cambiamento " Altre pretese prove della necessità a priori del primo assioma sono state date da EuLER, Lettres a une princesse d'Allemagne, 1770; trad. it. a cura di G. Cantelli, Torino, 1958; l. KANT, Metapbysiscben Anfangsgriinden der Naturwissenscba/t; trad. it. a cura di L. Galvani, Urbino, 1959; ]. C. MAXWELL, Matter and Motion. Una pretesa prova del carattere a priori del secondo assioma si può trovare in PAUL NATORP, Die Logiscbe Grundlagen der exakten Wissenscba/ten, Leipzig, 1923, pp. 367-72, e del terzo assioma nell'opera di Kant già citata. 32 THOMAS HoBBES, Elements o/ Pbilosopby concerning Body, in Tbe Metapbysical System o/ Hobbes, se!. di Mary W. Ca!kins, Chicago, 1910, p. 75; G. W. LEIBNIZ, Hauptscbri/te :r.ur Grundle&Uni der Pbilosopbie (a cura di Buchanau-Cassirer), Leipzig, vol. l, p. 236.
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qualitativo, ad esempio che cambi di colore o di temperatura. Tuttavia, pur percependo il cambiamento, noi assumiamo che l'oggetto, in qualche senso, rimanga lo stesso oggetto. Fin dove si tratta della nostra intuizione di quanto è successo, il cambiamento - continua a sostenere Wundt - è reso manifesto semplicemente dalla scomparsa di un oggetto caratterizzato da un gruppo di qualità, e dalla comparsa di un altro oggetto che possiede un altro gruppo di qualità. Quindi il nostro convincimento che i due oggetti siano identici deve poggiare su una qualche relazione concettuale che noi stabiliamo tra i due gruppi di qualità. Cosi, la nostra intuizione di cambiamento porta a due oggetti, mentre la nostra concezione di cambiamento ne postula uno. Come dunque si possono riconciliare la nostra intuizione con la nostra concezione? La conciliazione tentata col postulare una sottostante sostanza, che non subisca variazioni, non è soddisfacente; perché allora tale sostanza è qualcosa di inconoscibile, che trascende la nostra esperienza. Si deve dunque cercare entro l'esperienza stessa una soluzione alla difficoltà, e ciò col trovare qualche caratteristica fenomenica degli oggetti che possa venir intuita come suscettibile di cambiamento e che ciononostante lasci inalterati gli oggetti. Ma secondo Wundt, l'unico aspetto per il quale si possa percepire un oggetto in atto di cambiare e purtuttavia lo si percepisca anche come identico a se stesso è il suo moto. "I cambiamenti di posizione sono gli unici cambiamenti intuibili delle cose, nonostante i quali le cose rimangono identiche a se stesse." Di conseguenza, ogni cambiamento va riportato al moto. Una volta stabilito questo punto, è un gioco da bambini confezionare una veste prima facie plausibile alla priorità della meccanica su ogni altra branca delle scienze naturali." L'argomento di Wundt è assai curioso. Benché apparentemente sia basato su una supposta incompatibilità tra la nostra intuizione percettiva e la nostra concezione del cambiamento, in effetti l'argomento deriva interamente da una confusione tra concezioni (o tacite definizioni) diverse della "autoidentità" degli oggetti. Ha forse senso contrapporre la nostra intuizione di cambiamento alla nostra concezione, dato che, per ipotesi, le intuizioni non implicano nessuna concettualizzazione di quanto viene sperimentato con immediatezza? Possiamo asserire con significato che le nostre intuizioni dei cambiamenti qualitativi rivelano semplicemente la sostituzione di un "oggetto" con un altro "oggetto", senza che si intuiscano o si percepiscano tali oggetti in termini di qualche schema concettuale? Per esempio, quando vediamo che un "oggetto" cambia il suo colore da blu a rosso, cos'è !"'oggetto" che vediamo? È una cartina al tornasole? Ma se si tratta di questo, è lo stesso oggetto che noi percepiamo prima e dopo il cambiamento di 33 WrLHELM WuNDT, Die Prinzipien der Mechanischen Naturlehre, 1910, pp. 177-80; anche Logik, vol. 2, p. 274.
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ed., Stuttgart,
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colore, e non già due oggetti, dato che, nel suo significato abituale, la nozione di una cartina al tornasole non richiede l'invarianza del colore. Se invece l'oggetto che si suppone sia stato visto è caratterizzato come una cartina al tornasole blu, è un altro oggetto quello che vediamo dopo il cambiamento. Quindi la risposta alla domanda se l'oggetto sia cambiato dipende dallo schema categoriale implicitamente adoprato per caratterizzare la situazione percepita. Ma se invece si sostiene che non è stato usato schema concettuale di sorta, allora è improprio descrivere la percezione del cambiamento in termini di cambiamenti di oggetti. In piu, è soltanto una petitio principii il sostenere che percepiamo che un oggetto conserva la sua identità quando percepiamo solo un cambiamento della sua posizione: un pezzo di filo metallico che sia visto in un momento come rettilineo e in un altro momento come circolare, oppure una superficie che a un dato momento sia vista contro uno sfondo bianco e ad un altro contro uno sfondo blu, non possono in realtà venir percepiti come identici attraverso il moto. Quindi, se si può prendere l'argomento di Wundt come un buon esempio dei tentativi fatti per provare aprioristicamente la priorità della meccanica, si devono considerare come falliti tali tentativi. Ma la priorità della meccanica è anche stata sostenuta in base a considerazioni piu empiriche. Forse l'argomento di questo genere piu forte e piu interessante che sia stato avanzato è quello basato sulla tesi che in definitiva le prove sperimentali di tutte le teorie sono ottenute usando strumenti, la cui costruzione e il cui impiego possono venir compresi soltanto in termini della meccanica. Strumenti come la bilancia e gli orologi a pendolo illustrano chiaramente tale tesi; ma anche strumenti come i voltmetri e i termometri, che possono venir adoperati per il controllo di leggi che non cadono entro la scienza della meccanica, coinvolgono nella loro costruzione principi meccanici; ad esempio la meccanica dei corpi rigidi è coinvolta nel progettare voltmetri o nell'ottenere tubi di vetro di diametro uniforme, oppure la meccanica elementare ipotizzata nella geometria fisica è necessaria per ottenere intervalli equidistanti sulle scale degli strumenti. Si può anzi senz'altro ammettere che fors·e leggi meccaniche sono tacitamente assunte in tutti gli apparecchi impiegati nelle scienze naturali. Ma le leggi meccaniche sono le uniche ad esservi implicate? L'impiego di un voltmetro non implica anche leggi elettromagnetiche particolari? Ed anche nel caso di strumenti che appaiono come congegni esclusivamente meccanici (come nel caso della bilancia), non è spesso essenziale analizzare il loro funzionamento in termini dell'influenza di variazioni magnetiche di temperatura, cioè in termini di leggi, che, prima facie, non sono leggi meccaniche? Nella storia della fisica, la meccanica è la branca della scienza che si è sviluppata per prima e che per prima ha raggiunto la maturità; e gli strumenti impiegati nella piu remota storia della indagine fisica erano analizzati esclusivamente in termini della meccanica;
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eppure si trovò, alla fine, che le leggi meccaniche non fornivano una base sufficiente per la comprensione e per il controllo del comportamento di quegli strumenti. -~a priorità storica della meccanic~. non sta~· bilisce una priorità logica per questa disciplina. ---Di ·conseguenza,· dobbiamo cÒncludere ·che· n~n si possono dimostrare mediante ragionamenti a priori né gli assiomi del moto né una intrinseca priorità della meccanica. b) È stata ripetutamente avanzata la tesi che l'uno o l'altro assioma non fosse che una definizione, ovvero una "verità" certificabile semplicemente facendo ricorso a definizioni. Anzi, la tesi convenzionalistica è stata talora radicalmente estesa, cosf da concepire tutte le teorie e perfino le leggi manifestamente sperimentali semplicemente come "definizioni travestite", o, nella migliore delle ipotesi, come regole pratiche piuttosto che come enunciati della cui verità o falsità giudicare alla luce delle prove sperimentali. Per esempio, l'enunciato secondo cui il piombo fonde a 327 oc viene comunemente considerato come una legge sperimentale, né vi è dubbio che sia stato accettato in base a un gran numero di esperimenti eseguiti con gran precisione. Supponiamo, però, che un chimico venga a trovare una sostanza le cui proprietà non siano distinguibili da quelle del piombo, salvo per il fatto che essa ha un punto di fusione diverso; una simile scoperta, presumibilmente, invaliderebbe la legge. Ma secondo il piu radicale convenzionalismo, si potrebbe ugualmente conservare la legge, nonostante la sua evidente incompatibilità con i fatti osservati. Il chimico infatti potrebbe rifiutarsi di classificare quella sostanza come piombo, darle un altro nome, e salvare in tal modo la legge. Se il chimico cosf facesse, sarebbe chiaro che la "legge" altro non è che una definizione (o una parte di definizione) per il termine "piombo". Inoltre, continua questa argomentazione, anche se il chimico non procedesse in pratica cosf, la mera possibilità di procedere cosf basta a dimostrare che è interamente questione di stipulazione o di convenzione se un enunciato sul punto di fusione del piombo vada incluso nella classe delle "leggi vere". Non si tratta di un esempio completamente immaginario, e studiato appositamente per soddisfare le necessità della tesi. Quando si scoprirono delle sostanze che possedevano tutte le proprietà chimiche del piombo ma che avevano densità diverse, i fisici non abbandonarono la legge che il piombo ha una densità uniformemente costante in date condizioni. Al contrario, queste varie sostanze "simili al piombo" furono classificate come "isotopi" del piombo, ciascuno in possesso di una densità definita e costante, dicendosi, in generale, che un elemento chimico ha due o piu isotopi se i suoi nuclei atomici differiscono nel numero di neutroni. Si conservò in tal modo la legge, ricorrendo sostanzialmente all'artificio di ridefinire il termine "piombo". Rimandiamo al seguito una considerazione generale sulla tesi con-
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venzionalistica, volendo prima esaminarne gli argomenti in relazione all'adozione di un sistema di geometria; potremo cosi discutere la tesi entro il contesto particolare in cui si sviluppò in origine. Per adesso la valuteremo in relazione agli assiomi del moto. l. Gli assiomi, fintantoché son considerati come un semplice gruppo di postulati formali, i cui termini non logici non sono né interpretati né associati a nozioni sperimentali per mezzo di regole di corrispondenza, non possono propriamente venir detti né veri né falsi. In questo caso gli assiomi non sono altro che parti di un calcolo astratto, da manipelarsi in accordo a regole che tengon conto solo delle caratteristiche puramente sintattiche di un dato sistema di segni. Inoltre, anche se vien data un'interpretazione degli assiomi, essa può avere luogo in termini di nozioni che a loro volta sono definite mediante processi limitativi ideali; in tale eventualità gli assiomi interpretati non sono asserzioni su relazioni sperimentalmente accertabili tra corpi fisici. In entrambi i casi, gli assiomi sono solo un'intelaiatura entro cui si possono sistemare i concetti sperimentali. Se non si fa altro, la tesi che gli assiomi siano "convenzioni" è corretta.
2. Anche però quando siano fornite adeguate regole di corrispondenza per i termini teorici della meccanica, adottando gli assiomi noi adottiamo un certo modo di analizzare i moti dei corpi, ed ignoriamo altri punti di vista, logicamente possibili, da cui far partire lo studio dei moti. Per esempio, gli assiomi ci richiedono di trovare delle determinanti per le accelerazioni dei corpi, e non per le loro velocità. Ma i moti osservati dei corpi si possono analizzare in svariati modi, e la diretta osservazione dei moti non ce ne prescrive uno in particolare, mentre è necessario adottare un "@alsiasi _schema di concettualizzazione se si vuoi formulare le leggi sperimentali del moto. Gli assiomi di , Newton costituiscono uno schema simile, benché altri ne siano astrattamente possibili, come mostra la storia della scienza. In effetti, i · moti dei corpi praticamente osservati non seguono con precisione perfetta le leggi sperimentali della meccanica classica; e si possono formulare altre assunzioni generali, logicamente distinte da quelle di Newton, che concordano con i fatti osservati entro gli stessi limiti di precisione che caratterizzano le leggi accettate. Quindi gli assiomi chiaramente non sono formulazioni di quanto viene osservato in pratica; indubbiamente essi fungono nella ricerca quali principi generali per l'interpretazione di quanto viene osservato. La tesi convenzionalistica si trova dunque su terreno solido quando nega che gli assiomi siano generalizzazioni induttive dei fatti osservati, e li considera come uno schema tra altri per l'analisi di quanto spesso appare come moto complesso ed irregolare - con l'intenzione di raggiungere un sistema di leggi relativamente semplice sui moti dei corpi.
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3. Non soltan_t() gli assiomi non SOt}() generalizzazioni induttive; essi non possono venir confutati_ con _certezza dimostrativa da ritrqvati ~efÌtn~l!!~lJ.. Infatti, introducendo assunzioni particolari, sia pure ad hoc, è sempre possibile in linea di principio riaffermare gli assiomi come validi, contro qualsiasi prova apparentemente contraria. Sotto questo aspetto gli assiomi appaiono anche simili ai principi guida, in quanto possono venir abbandonati quando la guida da essi offerta manca ripetutamente di successo nella risoluzione di una cl~sse di problemi. Essi però possono venir conservati anche di fronte a tali fallimenti, in base al ragionamento logicamente impeccabile che fallimenti passati non implicano continuazione di fallimenti nel futuro. 4. D'altra parte, benché vi siano modi di formulare la teoria della meccanica secondo i quali uno o piu degli assiomi di Newton diventino effettivamente delle definizioni, è anche possibile enunciare la teoria in modo che gli assiomi possiedano un contenuto empirico. In pratica abbiamo concepito gli assiomi in quest'ultimo modo, senza tuttavia rifiutare come illegittimi altri modi di intenderli. Abbiamo osservato, in relazione al primo assioma, che, mentre l'assioma può fungere, rispetto a un corpo particolare, come convenzione per definire l'uguaglianza di periodi temporali, esso è un fatto empirico e non una convenzione se i moti di altri corpi sono conformi all'assioma. In relazione al secondo assioma abbiamo notato che, sebbene in generale non sia possibile misurare le forze direttamente, e quindi in molti problemi la grandezza delle forze possa venir calcolata solo per mezzo dell'assioma, pure l'assioma asserisce che esistono de'terminanti (o forze) di un certo tipo per ogni cambiamento del momento dei corpi. Anche se questa asserzione non può venir confutata in modo conclusivo dall'osservazione, l'assioma, secondo questo modo di intenderlo, non è una definizione. Infine, in relazione al terzo assioma abbiamo sostenuto che, sebbene esso possa venir adoperato per definire i coefficienti di massa dei corpi, i coefficienti cosi definiti sono in relazione tra loro in una maniera che riflette certe caratteristiche empiriche dei moti dei corpi formulati dall'assioma. _La tesi che gli assioii1i _siano semplici convenzioni non può quindi t esser sostenuta senza serie restrizioni. Certamente, nell'articolazione delle teori~ .scienÙfich~ ;;-n~--~~cessarie convenzioni e definizioni. Ma esistono svariate maniere di articolare la teoria della meccanica in modo che formulazioni diverse siano logicamente equivalenti. Ogni diversa formulazione può richiedere l'introduzione di convenzioni in punti che sono peculiari di quella particolare formulazione. Può quindi accadere che una frase usata in una formulazione della teoria per stabilire dati di fatto contingenti sia impiegata in un'altra formulazione come convenzione definitoria. Ma il passaggio di una frase dallo stato di enunciato di una legge in un contesto a quello di codificazione di una convenzione
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in un altro contesto può avvenire, generalmente, solo se ad un'altra frase, che inizialmente aveva il ruolo di esprimere una definizione, si dà ora l'ufficio di enunciare una legge. In ogni modo non è possibile accertare se e quale contenuto empirico abbia uno qualsiasi degli assiomi della meccanica, senza riferirsi agli altri assiomi e al modo in cui è codificata la teoria a cui essi appartengono come parti componenti. È il sistema di assunzioni teoriche nel suo insieme che :fissa i significati dei termini che in esso compaiono, e che determina se una data frase della teoria abbia lo status di convenzione o di enunciato su dati di fatto. In breve, se uno degli assiomi possiede un contenuto empirico, lo possiede non come assioma isolato, bensf per il fatto di essere una parte componente della teoria totale, e solo nel senso che, qualora siano date le necessarie regole di corrispondenza di un numero sufficiente di nozioni teoriche menzionate nei postulati o nei teoremi del sistema, si possono sottoporre a controllo sperimentale vari enunciati generali che discendono dalla teoria. Diviene in tal modo evidente che non si può dare una risposta succinta e semplice alla domanda: qual è lo status logico degli assiomi newtoniani del moto? È senz'altro sicuro che essi non sono verità a priori a cui non vi siano alternative logiche; ed è ugualmente chiaro che nessuno di essi è una generalizzazione induttiva, nel senso di una generalizzazione che sia stata ottenuta estrapolando a tutti i corpi interrelazioni di caratteristiche riscontrate valide in casi osservati. Ma, 'oltre queste caratterizzazioni negative degli assiomi, per avere una risposta soddisfacente alla domanda, occorre far riferimento al posto occupato dagli assiomi in qualche codificazione particolare della teoria della meccanica, ed al fine in cui vengono usati gli assiomi in vari contesti particolari. Ciò che forse si può asserire in maniera generale è che, da una parte, gli assiomi di Newton possono spesso svolgere il ruolo di schema per analizzare i moti dei corpi o di stipulazioni per definire certe nozioni sperimentali, e dall'altra, quando siano accoppiati ad assunzioni addizionali (tra le altre, ad assunzioni riguardanti le funzioni-forza), gli assiomi possono venir correttamente intesi come enunciati in possesso di un contenuto empirico definito.
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Capitolo ottavo
Spazio e geometria
Anche da un esame superficiale degli assiomi di Newton risulta chiaro che si deve stipulare un sistema di riferimento spaziale prima di poter impiegare gli assiomi per analizzare i moti dei corpi. Il primo assioma asserisce che un corpo persiste nel suo moto rettilineo uniforme, a meno che gli si applichi qualche forza. Il secondo assioma afferma che l'accelerazione di un corpo (cioè la sua variazione di velocità su una retta oppure la sua deviazione dal moto rettilineo) è proporzionale alla forza applicata. Che cosa si deve però intendere, in tali enunciati, per "rettilineo", e rispetto a quali sistemi di riferimento si può giudicare se un moto è rettilineo? Dobbiamo ora dibattere tali questioni, già sollevate nel capitolo precedente, ma di cui si rinviò la discussione. Sono questioni che furono sottoposte a esame critico sin dal tempo di Newton, e infine le difficoltà presenti nelle risposte newtoniane han portato, nel nostro secolo, allo E~_tppo di una meccanica non-newtoniana. Tuttavia esse implicano argomenti logici che interessano TaSìruttùra della spiegazione in generale e non soltanto nella meccanica. Anche se prenderemo come punto di partenza della discussione gli assiomi della meccanica, in definitiva ci occuperemo di queste considerazioni piu generali. I. La soluzione di Newton
Né Newton né i suoi contemporanei avevano alcuna ragione di supporre che potesse sorgere un dubbio su cosa si debba intendere per "rettilineo" nella formulazione newtoniana degli assiomi del moto, perché l'unica geometria allora nota era il sistema di Euclide. Era quindi considerato sicuro che una linea è retta se risponde alle condizioni specificate nella geometria euclidea. Supponiamo per il momento che tale geometria non presenti difficoltà; torneremo in questo capitolo e nel seguente sui problemi che si annidano in tale ipotesi. Ma la stessa unanimità non sussisteva per quanto riguarda il sistema
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di riferimento spaziale a cui si debbono riferire i moti dei corpi. Già al tempo di Newton ebbero luogo su tale questione dibattiti vivacissimi. A prima vista sembrerebbe che si possa scegliere qualsiasi sistema di riferimento, e che la scelta debba venir dettata solo dalla convenienza inerente al modo di trattare un particolare problema. Ma un esame piu accurato della teoria di Newton rivela che questo modo di pensare è errato. È esatto, naturalmente, che nella pratica si fa uso di svariati sistemi di riferimento differenti fra loro, la cui scelta dipende da considerazioni di convenienza. Cosf in alcuni problemi è conveniente prendere la Terra come sistema di riferimento, in altri il Sole o le stelle fisse; in ognuno di questi casi, inoltre, l'analisi dei moti effettuata usando gli assiomi di Newton può risultare, entro i limiti di precisione richiesti nel particolare problema, in buon accordo con i risultati sperimentali. Però, dal punto di vista della teoria newtoniana, questi vari sistemi di riferimento adottati in pratica non risultano ugualmente soddisfacenti, e nessuno di essi è del tutto conveniente. Dobbiamo intenderne con chiarezza le ragioni. Per fissare le idee, supponiamo di esaminare il moto di un corpo lasciato cadere dalla sua posizione iniziale di riposo rispetto alla Terra, e che cada liberamente nel campo gravitazionale terrestre in qualche punto a nord dell'equatore. Supponendo che la Terra sia un sistema di riferimento permesso dalla teoria di Newton, allora, secondo la teoria, il corpo dovrebbe cadere con velocità accelerata lungo una retta diretta verso il baricentro della Terra. Prendendo il Sole come sistema di riferimento che può venire teoricamente scelto per descrivere il moto del corpo, la traiettoria teorica non sarà una retta ma una curva piu complessa. Ora infatti si deve considerare il corpo come partecipe della rotazione quotidiana della Terra e della sua rivoluzione annuale intorno al Sole, e quindi, anziché cadere lungo la retta testé indicata, esso si muoverà su una curva che generalmente si trova ad est rispetto alla retta. Se poi si adotta come possibile sistema di riferimento una delle stelle fisse, la traiettoria teorica del corpo sarà ancora diversa e piu complessa. Infatti, il corpo non soltanto fa parte di un sistema fisico (la Terra) che ruota intorno a un asse e compie una rivoluzione intorno al Sole, ma fa anche parte del sistema solare, che è accelerato rispetto ad alcune delle stelle fisse. Ma anche le stelle sono "fisse" solo per cosf dire, onde la traiettoria teorica del corpo varierà in generale secondo la stella (o il sistema di stelle) impiegata come sistema di riferimento. Certamente le differenze tra queste varie traiettorie sono spesso soltanto piccole e, potendo venir trascurate in molti problemi pratici, non ha, in tali casi, una grande importanza quale sistema di riferimento si sia scelto. Rimane tuttavia il punto che in teoria, e talvolta in pratica, non è indifferente quale sistema di riferimento sia stato adottato per lo studio del moto. Infatti il valore dell'accelerazione subita da un sistema fisico, e quindi le forze che (d'accordo con
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il secondo assioma) si devono supporre agenti sul sistema, dipendono essenzialmente dal sistema di riferimento rispetto al quale è specificata l'accelerazione. Vogliamo essere ancora piu espliciti. Se si prende la Terra come un sistema fisso di riferimento, allora la forza che si suppone sia responsabile del moto di un corpo che cada liberamente deve essere proporzionale all'accelerazione di quel corpo rispetto alla Terra. Se si suppone che la forza sia solamente la forza gravitazionale della Terra, la traiettoria del corpo deve essere una retta diretta verso il baricentro della Terra. Ma in realtà il corpo è deviato da tale cammino, e finché si considera la Terra come "fissa", non sembra possibile spiegare tale circostanza, a meno di introdurre "forze devianti" ad hoc. Ma la situazione cambia se si prende il Sole come sistema di riferimento, perché allora la deviazione di cui si è parlato viene immediatamente spiegata in termini di accelerazione dovuta alla rotazione della Terra. La conclusione generale da dedursi da questo esempio è la seguente: quando si adotta un certo sistema di riferimento spaziale, gli assiomi di Newton sono sufficienti per l'analisi di molti tipi di moti di corpi, assumendo come determinanti dell'accelerazione forze di una forma relativamente semplice. Se invece si adotta un sistema di riferimento arbitrario, le forze che si devono assumere sono in generale enormemente complesse, variano in modo non facilmente specificabile da caso a caso, ed hanno il contrassegno di ipotesi ad hoc. Quindi, se le forze non vanno introdotte in maniera arbitraria, se le determinanti dell'accelerazione debbono venir specificate in un modo uniforme per classi estensive di moti piuttosto che postulate in modi diversi per ogni problema particolare, deve esserci un sistema di riferimento privilegiato, o "assoluto", a cui riferire i moti dei corpi. Per lo meno cosi pensava Newton, e il notevole successo del suo sistema di meccanica convinse molte generazioni di fisici che egli aveva ragione. Quanto abbiamo or ora osservato può venir espresso in maniera piu tecnica. Dato che tale formulazione tecnica fa uso di una nozione che riveste un ruolo fondamentale nella costruzione delle teorie fisiche, è desiderabile tracciarne lo schema. Si supponga che il moto dei corpi sia riferito ad un sistema di riferimento spaziale S, tale che le distanze di un qualsiasi punto-massa dai tre assi perpendicolari determinati da S siano x, y e z. Allora le equazioni differenziali del moto di un punto. . s1m1 . ·1·1 per le aItre massa di massa m sono m tfx dt'- = F"' con equazrom coordinate, essendo Fx una delle componenti di una funzione-forza definita. Per esempio, se il punto-massa m è nel campo gravitazionale di un corpo di massa M e di coordinate spaziali X1, y1, Z1, allora
Fx
=
G m M~x- xi) , essendo
r
(il quadrato della distanza tra i
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due corpi) = (x- xd2 + (y- Yt? + (z- zd. Sia ora S' un altro sistema di riferimento che si muova rispetto ad S in modo arbitrario qualunque; per esempio, ruoti rispetto ad S, oppure si muova con velocità accelerata. Siano x', y', z', ecc. la coordinate dei corpi riferiti ad S'. Le coordinate di S saranno allora legate a quelle di S' da equazioni di trasformazione nelle quali in genere comparirà il tempo. Per fissare le idee, supponiamo che S' si muova rispetto ad S con velocità costantemente accelerata, in modo che le coordinate dei due sistemi siano legate dall'equazione: , X
axf
=X+ Vxf
+2
(con equazioni simili per le altre coordinate), dove Vx è la componente secondo l'asse x della velocità di S' rispetto ad S al tempo t = O, e a" è la componente rispetto ad x dell'accelerazione costante di S'. Un semplice calcolo mostra che le equazioni differenziali del moto del corpo riferito ad S' hanno la forma:
G m M (x'- xt') r
,3
=m
Jlx d"•
+ a"m
È quindi chiaro che in S' la forza che agisce sul punto-massa m differisce dalla forza in S di una quantità proporzionale alla accelerazione i'~costante di S' rispetto ad S. In breve, le equazioni del moto in genei rale non sono invarianti rispetto ad una trasformazione di coordinate ! da un sistema di riferimento ad un altro; e in particolare non sono in~arianti per d~e ~iste~i di ~iferimen~o ~he. siano a~celer~ti uno rispe~to L all altro. Se qmnd1 S e un sistema d1 nfenmento m cm, per esemp10, il primo assioma è soddisfatto da un certo corpo, lo stesso corpo non soddisferà l'assioma quando si riferisca il suo moto ad S'. Supponiamo cosi che un corpo, per esempio la stella Arturo, si trovi molto distante dall'influenza di altri corpi, cosi che, quando si riferisca il suo moto ad un sistema di riferimento, diciamo quello definito dalla costellazione di Orione, il suo moto risulti rettilineo e di velocità costante. Se però si riferisce Arturo ad assi coordinati fissati in Terra, il suo moto non è piu rettilineo uniforme, bensi accelerato; e per ipotesi, non esiste una forza identificabile che renda conto del suo moto quando sia riferito al sistema indicato sopra. Furono considerazioni di questo genere, inclusa la non invarianza generale delle equazioni del moto rispetto alle trasformazioni per sistemi di riferimento arbitrari, a convincere Newton che si debbono riferire i moti a un sistema di riferimento privilegiato, che egli chiamò "spazio ,, assoluto". Secondo le sue stesse parole, "Io spazio assoluto, per sua propria- natura e senza riferimento a nulla di esterno, rimane sempre simile ed immobile ". Lo spazio assoluto è dunque non sensibile, non
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è un oggetto materiale né una relazione tra oggetti materiali. È uo ricettacolo amorfo in cui tutti i processi fisici avvengono, e a cui si devono riferire i moti fisici se si vuole intenderli secondo gli assiomi della meccanica. Invece, secondo quanto dichiarò Newton lo 3?azio relativo è una dimensione mobile o misura dello spazio assolutò-;-cneTnostfi sensr defimscono in re1aziollè--arra--sua posiz1one -tiSpef. to ai corpi; ed è comunemente preso come lo spazio immobile ... Il moto assoluto è la traslazione di un corpo da un luogo assoluto in un luogo assoluto; e il moto relativo, la traslazione da un luogo relativo in un altro ... Vero è che, in quanto queste parti dello spazio non possono essere viste e distinte fra loro mediante i nostri sensi ... invece dei luoghi el dei moti assoluti usiamo i relativi; né ciò riesce scomodo nelle cose umane; ma nella filosofia occorre astrarre dai sensi. Potrebbe anche essere che non vi sia alcun corpo in quiete, a cui possano venire riferiti sia i luoghi che moti.' In effetti, Newton era preparato ad ammettere che dal punto di vista cinematico tutti i moti sono relativi, ma sosteneva che, considerati dinamicamente ed in termini delle forze che li determinano, i moti vanno riferiti allo spazio assoluto come sistema di riferimento. A sostegno della sua assunzione di uno spazio assoluto Newton avanzava argomenti teologici e filosofici in senso generale, ma addusse anche quelle che egli credeva fossero prove sperimentali incontrovertibili a favore della propria tesi. Egli riconobbe in modo esplicito che è impossibile accertare a mezzo di esperimenti meccanici se un corpo sia realmente in quiete o si muova con velocità uniforme rispetto allo spazio assoluto. Infatti le equazioni differenziali del moto sono inva-' rianti (cioè mantengono la stessa forma) in tutti i sistemi di riferimento che abbiano velocità uniforme (con la quiete come caso limite) rispetto allo spazio assoluto. Di conseguenza, non è possibile distinguere in via sperimentale tra velocità uniforme relativa ed assoluta! Invece New-~ ton sostenne che è possibile distinguere mediante esperimenti meccanici tra accelerazione assoluta e relativa, e quindi decidere sperimentalmente se un corpo abbia o no un moto accelerato rispetto allo spazio assoluto. Le prove da lui fornite a questo scopo includevano l'esperi1 lsAAC NEWTON, Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (Definizioni, Scolio), trad. it. a cura di A. Pala, Torino, 1965. 2 Ciò segue direttamente da quanto è già stato detto. Se nell'esame che precede S è il sistema di riferimento fornito dallo spazio assoluto, e S' è un qualsiasi sistema di riferimento che si muova con velocità uniforme rispetto ad S, allora le equazioni di trasformazione da S ad S' sono: x' =x + Vxf + x 0 , dove x 0 è la componente lungo l'asse x della distanza tra le origini dei due sistemi all'istante t O, con equazioni simili per le altre coordinate. Ma con tali trasformazioni le equazioni differenziali del moto sono invarianti, ed è quindi impossibile determinare se un corpo è in quiete o in moto uniforme rispetto ad S. Il fatto che le equazioni del moto siano invarianti in tutti i sistemi di riferimento che si muovono con velocità uniforme l'uno rispetto all'altro è comunemente chiamato "il principio di relatività di Newton".
=
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mento oggi famoso del secchio, che descriveremo perché l'interpretazione datane da Newton è stata il bersaglio di molte critiche successive. Un secchio pieno di acqua è sospeso ad una fune, cosf che la fune, quando si torce, diventa l'asse di rotazione deL secchio. All'inizio, l'acqua e le pareti del secchio sono in quiete l'una rispetto alle altre, e la superficie dell'acqua è (approssimativamente) piana. Indi il secchio ruota. L'acqua non comincia a ruotare immediatamente, cosf che per un certo tempo il secchio ha un moto accelerato rispetto all'acqua; la superficie dell'acqua, durante tale intervallo di tempo, resta tuttavia piana. Alla fine, però, anche l'acqua acquista un moto rotatorio, cosi che finisce per essere in quiete rispetto alle pareti del secchio. Ora però la superficie dell'acqua non è piu piana, ma concava. Si arresta poi la rotazione del secchio bruscamente. Ma l'acqua non cessa immediatamente la sua rotazione, e per un certo tempo ha un moto accelerato relativo rispetto alle pareti del secchio. Tuttavia, durante tale periodo la superficie dell'acqua continua a rimanere di forma concava. Finalmente, quando anche l'acqua smette di ruotare e diventa in quiete rispetto alle pareti del secchio, la sua superficie ridiventa piana. Quindi, nel modo in cui Newton concepf l'esperimento, la superficie dell'acqua può esser piana, tanto nel caso in cui essa sia in quiete rispetto alle pareti del secchio quanto in quello in cui sia rispetto ad esse in moto accelerato. Analogamente, la superficie dell'acqua può presentare una forma parabolica, in entrambi i casi. Newton ne concluse che la forma della superficie è indipendente dal suo stato di moto rispetto al secchio. D'altra parte egli considera la superficie parabolica come una deformazione della superficie normale e quindi come una conseguenza di forze agenti sull'acqua. In base al secondo assioma, tuttavia, queste forze debbono venir accompagnate da moti accelerati. Dato che si è già eliminato come irrilevante lo stato di moto dell'acqua rispetto al secchio, Newton concluse che il manifestarsi di forze deformanti agenti sull'acqua deve venir considerato come un'accelerazione rispetto allo spazio assoluto. L'argomento di Newton è quindi nelle sue linee essenziali il seguente: le deformazioni delle superficie sono la prova dell'esistenza di forze applicate; forze applicate producono moti accelerati; ma le deformazioni delle superficie sono indipendenti dalle accelerazioni relative dei corpi; quindi le accelerazioni in questione debbono essere accelerazioni assolute. Poiché è possibile stabilire mediante esperimenti meccanici se i corpi subiscono delle deformazioni, è possibile distinguere sperimentalmente tra accelerazioni assolute e accelerazioni relative, e in tal modo identificare sperimentalmente moti che sono accelerati rispetto allo spazio assoluto. Vi è però qualcosa di estremamente sconcertante nell'assumere che sia impossibile per principio scoprire con mezzi meccanici se un corpo è in quiete o è dotato di velocità uniforme rispetto ad un sistema di riferimento, mentre si dichiara possibile accertare se il corpo abbia un
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moto accelerato rispetto al sistema di riferimento. Infatti, se un corpo ha un'accelerazione rispetto a un dato sistema di coordinate, ne segue che esso deve avere anche una velocità relativa. Se è possibile identificare la prima sperimentalmente, non si riesce a capire perché non sia possibile identificare anche quest'ultima. Un'assunzione che riguardi il mondo e che porti ad una conseguenza che è intrinsecamente non suscettibile di verifica sperimentale, appare a molte menti del tutto insoddisfacente e paradossale. Alcuni scrittori hanno quindi concluso che la nozione di spazio assoluto è fisicamente "priva di senso". In ogni modo, la soluzione data da Newton al problema dei sistemi di riferimento dei moti fu generalmente considerata come una specie di tallone di Achille nel suo sistema della meccanica. Anche se il sistema fu accettato per piu di due secoli, lo fu in primo luogo perché non esisteva un'altra soluzione piu soddisfacente. Ma esaminiamo l'interpretazione di Newton dell'esperimento del secchia. La sua argomentazione venne sottoposta a una critica severa da parte di Ernst Mach, il quale mostrò che essa conteneva un serio non sequitur. Newton fece un'osservazione corretta nel notare che le variazioni di forma della superficie dell'acqua non sono connesse con la rotazione dell'acqua rispetto alle pareti del secchia. Ma ne concluse che le deformazioni della superficie debbano essere attribuite alla rotazione relativa allo spazio assoluto. Tale conclusione però non segue dai dati sperimentali e dalle altre ipotesi di Newton; esistono infatti due alternative nell'interpretare tali dati; il cambiamento di forma della superficie dell'acqua può essere una conseguenza o di una rotazione relativa allo spazio assoluto, o di una rotazione relativa ad un altro sistema di corpi diverso dal secchia. Newton adottò la prima alternativa, nell'assunzione generale che l'inerzia (la tendenza cioè di un corpo a persistere nel suo moto uniforme su "una retta") sia una proprietà intrinseca dei corpi, che essi seguiterebbero ad avere anche se il resto dell'universo fisico si annullasse. Mach richiamò l'attenzione sulla seconda alternativa, sostenendo in sostanza che le proprietà inerziali dipendono dall'effettiva distribuzione dei corpi nell'universo, cosf che non si può affermare significantemente nulla sul moto di un corpo se si suppone che il resto dell'universo svanisca. Perciò egli dichiarò completamente gratuita l'invocazione di una rotazione relativa allo spazio assoluto per rendere conto della deformazione della superficie dell'acqua, ed affermò che al contrario è sufficiente prendere un sistema di coordinate definito dalle stelle fisse come sistema di riferimento della rotazione. Quindi, se si adotta l'impostazione di Mach, e se si può costruire conformemente ad essa un'adeguata teoria della meccanica, non è necessarie assumere la imbarazzante asimmetria tra velocità assoluta e accelerazione assoluta, che costituisce un punto cosf centrale nella teoria di Newton. Secondo l'impostazione di Mach, possono ancora esserci dif-
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ferenze fondamentali tra i vari sistemi di riferimento. Cosf, gli assiomi di Newton possono essere validi quando si riferiscano i moti dei corpi ad alcuni sistemi di riferimento, ma non piu validi per altri. Può quindi esservi una classe di sistemi di riferimento "privilegiati" anche secondo il punto di vista di Mach, cosf che i moti ad essi riferiti si possono chiamare "assoluti" mentre altri sono soltanto "relativi." Tuttavia, in questo senso la velocità assoluta è per principio altrettanto verificabile dell'accelerazione assoluta.' Vi è un altro modo di analizzare l'esperimento del secchia che aiuta a chiarire quale sia precisamente il punto in questione e getta maggiore luce sullo status logico delle teorie. Si supponga di adottare un sistema di riferimento S, che ruoti rispetto alla Terra in modo tale che il suo asse di rotazione sia parallelo all'asse di rotazione del secchia, e che la sua velocità angolare costante sia uguale alla velocità angolare massima del secchia. Allora i dati osservati nell'esperimento sono i seguenti: all'inizio, l'acqua ha rispetto ad S una rotazione accelerata, e la sua superficie è piana. In seguito però l'acqua non ha piu questa accelerazione, e la sua superficie è ora quella di un paraboloide. Indi, quando si è bruscamente arrestata la rotazione del secchia rispetto alla Terra cosf che l'acqua risulta finalmente in quiete rispetto al secchia, essa è di nuovo accelerata rispetto ad S e ha di nuovo una superficie piana. Quindi la superficie è parabolica solo quan· do è in quiete rispetto a S, ed è piana solo quando è accelerata rispetto ad S. Il carattere della superficie dell'acqua è dunque indipendente dal suo stato di moto rispetto al secchia, ma non dal suo stato di moto relativo ad S. Secondo tale analisi quindi una superficie piana è associata al moto accelerato (rispetto ad S), mentre una superficie concava si accompagna ad uno stato di quiete (rispetto ad S)." Perché non ammettere, alla luce di queste osservazioni, che la superficie "normale" dell'acqua sia parabolica, e che sia invece la superficie piana "anormale" ad essere quella "deformata"? La risposta è che, qualora si adotti questa soluzione, dovremmo anche complicare in modo serio le equazioni newtoniane del moto. Se S venisse generalmente scelto come sistema di riferimento per tutti i moti, la velocità angolare di S rispetto ad un dato sistema in esame - qualunque esso sia - entrerebbe nella legge che regge quest'ultimo. Poiché sistemi differenti posseggono generalmente velocità angolari diffe3 Cfr. ERNST MACH, Die Mechanik in ihrer Entwicklung historisch-kritisch dargestellt, op. cit., c. 2, sez. 4. I sistemi di riferimento che appartengono alla classe
privilegiata sono chiamati comunemente "inerziali" o "galileiani". Come è ben noto, la critica fatta da Mach a Newton influenzò profondamente Einstein, preparando la strada per la sua teoria generale della relatività. • Per questo modo di analizzare l'esperimento v. PETER BERGMANN, Introduction to the Theory o/ Relativity, New York, 1942, p. XIV. Per un'analisi simile, ma adoperata come argomento per il moto assoluto della Terra, v. }. C. MAxwELL, Matter and Motion, art. 105, pp. 84-86.
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tenti rispetto ad S, nessuna formula semplice potrebbe includere queste varie leggi speciali. Il campo di invarianza delle equazioni differenziali del moto sarebbe in effetti estremamente limitato. Secondo il sistema di riferimento proposto da Newton, o secondo l'alternativa proposta da Mach, le equazioni del moto sono invarianti per tutti i cosiddetti "sistemi galileiani". Cioè, se le equazioni sono soddisfatte quando i moti sono riferiti a qualche sistema di riferimento particolare, esse saranno soddisfatte in tutti i sistemi di riferimento aventi una velocità costante rispetto al primo. Invece, se le equazioni sono soddisfatte quando i moti sono riferiti ad S, esse saranno soddisfatte solo in quei sistemi di riferimento che risultano in quiete rispetto ad S. In breve, con S come sistema di riferimento di tutti i moti, le funzioni-forza particolari che si dovrebbero adottare per analizzare i moti in termini degli assiomi di Newton sarebbero diverse per quasi ogni problema particolare e dovrebbero venir inventate ad hoc di caso in caso. Si può tuttavia chiedere se non sia una supposizione assurda quella secondo cui l'acqua è in una condizione di deformazione quando la sua superficie è piana. Non si presentano infatti deformazioni solo sotto l'azione di forze? Non è dunque un fatto sperimentale che la superficie parabolica è conseguenza di tali forze, e quindi della rotazione dell'acqua rispetto a qualche sistema di riferimento, piuttosto che del suo stato di quiete rispetto ad S? Similmente, la rotazione del piano del pendolo di Foucault e dell'asse del giroscopio non è una prova sperimentale della rotazione terrestre? E non lo sono altresf l'appiattimento della Terra ai poli, o il fatto che un corpo in libera caduta devii da un cammino rettilineo verso il centro della Terra? Non è quindi del tutto insostenibile quanto abbiamo suggerito nel capoverso precedente, cioè l'ipotesi che l'acqua del secchia e la Terra stessa sono accelerate "in via assoluta" semplicemente perché le equazioni del moto acquistano una forma semplice ed invariante quando si facciano tali assunzioni? Queste domande ci portano al punto cruciale della presente discussione. Il punto fondamentale che si deve aver presente contmuamente è che, anche se si dichiara che l'acqua del secchio ha una "accelerazione assoluta" quando la sua superficie è concava, non è affatto necessario assumere, come fece Newton, che tale rotazione (o la rotazione della Terra) abbia luogo rispetto ad uno spazio assoluto. Su questo punto la critica di Mach a Newton è conclusiva. Il sistema di riferimento rispetto a cui si dice che c'è accelerazione può venir considerato come definito dal sistema delle stelle fisse, o da qualche altro sistema di corpi fisici, come effettivamente è in pratica. La rotazione del piano del pendolo di Foucault, per esempio, non stabilisce la rotazione della Terra rispetto allo spazio assoluto, ma solo rispetto alle stelle fisse. Se le stelle ci fossero nascoste da nuvole che circondassero
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permanentemente la superficie terrestre, cosi che non potessimo sospettare la loro esistenza, l'esperimento di Foucault dimostrerebbe soltanto che la Terra ruota rispetto al piano del pendolo. È tuttavia concepibile (ed invero, si dà il caso che le cose stiano proprio cosf) che, quando si riferiscano i moti dei corpi a sistemi di · coordinate fornite da corpi fisici, i moti non seguano con completa ~precisione gli assiomi del moto. Per dirla in altre parole, è concepibile che nessun sistema fisico di coordinate sia un sistema galileiano o "inerziale". Se decidiamo di conservare gli assiomi di Newton nella loro forma originaria, possiamo allora introdurre un "sistema di riferimento ideale" rispetto al quale i moti dei corpi seguano perfettamente gli assiomi, ma di cui i sistemi di riferimento fisici siano, nel migliore dei casi, solo delle buone approssimazioni. Il fondamento per procedere in tale modo sta nel fatto che, se non si adottassero sistemi inerziali per l'analisi dei moti dei corpi in termini degli assiomi di Newton, le leggi sperimentali del moto sarebbero indubbiamente piu complesse e meno maneggevoli di quelle che si ottengono impiegando sistemi inerziali. Il primo scopo quindi per cui si usano sistemi inerziali, vuoi che essi siano in effetti realizzati· da sistemi fisici, vuoi che siano pure costruzioni ideali, è quello di semplificare la ·formulazione delle leggi. È un caso fortunato che vi siano in effetti realizzazioni approssimate di sistemi inerziali. Se non si desse questo caso, la meccanica avrebbe anche potuto non svilupparsi. Niente tuttavia di quanto si è detto va inteso nel senso che le leggi stabilite per il moto in riferimento a sistemi inerziali siano "piu vere" o "piu obiettive" rispetto alle leggi, meno semplici e non invarianti, che si potrebbero stabilire se non si facesse ricorso a tali sistemi di riferimento. Si può dimostrare, al contrario, che se si può affermare la validità di un sistema di relazioni per un sistema di corpi quando i loro moti siano riferiti a un sistema inerziale, allora devono sussistere tra gli stessi corpi delle relazioni definite quando i moti siano considerati rispetto a sistemi non inerziali, anche se la formulazione di queste ultime relazioni fosse piu complessa e piu difficoltosa da raggiungersi che la formulazione nel primo caso. Per esempio, è spesso conveniente in geometria analitica il rappresentare le curve mediante le cosiddette "equazioni parametriche ", in cui le coordinate dei punti di una curva sono espresse come funzioni di una variabile ausiliaria. Tali equazioni parametriche spesso rendono possibile analizzare le proprietà di una curva con molto meno fatica che se la curva fosse rappresentata da una equazione in cui le coordinate dipendono direttamente l'una dall'altra. Sarebbe tuttavia assurdo sostenere che le equazioni parametriche siano "piu corrette" o "piu vere" delle equazioni che pongono direttamente in relazione le coordinate, o che queste ultime equazioni formulino la curva in una maniera piu "obiettiva" (o, secondo il caso, meno "obietti-
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va") di quanto non facciano le equazioni parametriche. Cosf, una curva piana le cui equazioni parametriche in termini della variabile ausiliaria 't' siano x = f- 2t, y = t 4 + P- 2t può venir rappresentata anche da una equazione che lega direttamente le coordinate, cioè (y- x2- 9x- 8)2 = (x + l) (4x + 8)2• In molti problemi le prime equa· zioni risultano assai piu maneggevoli di quest'ultima, anche se i due modi di rappresentazione hanno lo stesso contenuto geometrico. Analogamente, le equazioni differenziali che danno il moto di un pianeta nel campo gravitazionale del Sole, quando il moto sia riferito al sistema di coordinate costituito dalle stelle fisse, assumono la forma familiare che contiene l'inverso del quadrato della distanza tra il Sole e i pianeti. È tuttavia una conseguenza matematica di ciò il fatto che il moto possa venir riferito, per esempio, alla Terra come sistema di riferimento, cosi che in linea di principio si possono stabilire equazioni differenziali per il moto del pianeta studiandolo in tal modo. In genere si avranno equazioni differenziali proibitivamente complesse, che non pertanto formuleranno il moto del pianeta in maniera altrettanto obiettiva e completa delle altre equazioni. L'introduzione di sistemi inerziali come base per l'analisi dei moti dei corpi richiese una grande immaginazione creativa, perché i moti dei corpi non mostrano all'osservazione diretta tipi di variazioni che richiedano ovviamente l'uso di tali sistemi. La nozione di inerzia non è dunque il prodotto di un'" astrazione" operata su caratteristiche manifeste dell'esperienza dei sensi, nel modo in cui si suppone comunemente che sia prodotta l'idea di cerchio. D'altra parte, la nozione di inerzia è diventata talmente una parte della nostra eredità e del nostro bagaglio intellettuale che, a meno di fare un considerevole sforzo, è difficile concepire un altro modo di interpretazione dei "fatti osservati" riguardo al moto. In piu, l'idea dei sistemi inerziali è indissolubilmente legata nella meccanica di Newton all'invarianza delle equazioni del moto nella trasformazione da un sistema inerziale all'altro. Ma ciò che è invariante viene spesso tacitamente identificato con ciò che è "obiettivamente reale", con ciò che è permanente e non soggetto a limitazioni spazio-temporali, con ciò che è universale.' E per questo che la invarianza delle equazioni del moto quando i moti sono riferiti a sistemi inerziali conferisce a questi ultimi un grado di importanza al di sopra di quello ad essi conferito dal fatto che rendon possibile l'analisi dei fenomeni meccanici in termini di un gruppo di funzioni-forza relativamente semplici. È, per lo meno, plausibile che il senso di disagio intellettuale, che talvolta è provocato dalla supposizione che l'acqua nell'esperimento del secchio sia "deformata" quando la sua superficie è piana, nasca in parte da una resistenza ad adots Cfr. per esempio la Etica di Spinoza, parte 2, prop. 38: "Illa, quae omnibus communia, quaeque aeque in parte ac in toto sunt, non possunt concipi nisi adaequate".
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sci~nza
tare sistemi di riferimento che restringerebbero enormemente il raggio di invarianza - e quindi la "obiettività" - delle equazioni del moto. È infine il caso di richiamare alla mente il fatto che le forze postulate dal secondo assioma di Newton quali determinanti delle accelerazioni non possono in genere venir misurate indipendentemente dalle accelerazioni stesse. Come fu notato nel capitolo precedente, le funzioni-forza impiegate nella meccanica di Newton sono per lo piu assunte in via ipotetica; esse sono esplicitamente caratterizzate solo dalla condizione generale che le loro grandezze siano proporzionali alle variazioni nei momenti dei corpi, e che abbiano le stesse direzioni di tali variazioni. Lo stimolo quindi che in genere porta alla ricerca di tali forze ed alla costruzione di funzioni-forza è il fatto che un sistema fisico stia subendo un moto accelerato. È dunque mettere il carro avanti ai buoi il pretendere che possiamo sempre decidere se un corpo sia accelerato o deformato accertando con mezzi sperimentali indipendenti quali forze gli siano applicate. Molto spesso si dà proprio il contrario. Tuttavia, se dobbiamo per prima cosa decidere se un corpo sia o no accelerato o deformato, prima di avere gli elementi per pensare che una forza agisca su di esso, allora, almeno in simili casi, si deve adottare un sistema di riferimento per i moti e un sistema di geometria per la loro misurazione, prima ancora di poter ricercare se il corpo sia accelerato o deformato. Il procedimento di Newton di assegnare una priorità logica alla scelta di un sistema di riferimento rispetto a cui analizzare i moti in termini del suo assioma si dimostra quindi del tutto convincente, comunque possano esser stati erronei i suoi argomenti a favore di uno spazio assoluto. Abbiamo ora indicato abbastanza diffusamente perché sia cos{ importante nella meccanica di Newton la questione dell'adozione di un sistema di riferimento spaziale, ed abbiamo anche discusso le ragioni della soluzione data da Newton al problema. Dobbiamo ora occuparci di argomenti non meno importanti, che nascono considerando l'uso della geometria come sistema di misurazione spaziale.
Il. Geometria pura ed applicata Se desideriamo determinare la lunghezza di una stanza o l'altezza di una casa di dimensioni medie, la procedura normale consiste nello stendere un regolo misuratore (ad esempio una canna graduata o un metro metallico) lungo l'oggetto da misurare, ed in tal modo venir a sapere il numero di volte in cui l'unità di lunghezza è contenuta nello spazio che si sta esaminando. Questo metodo normale suppone evidentemente che il regolo misuratore sia già stato calibrato secondo certe regole, che il suo bordo sia diritto, e che esso non subisca nessuna
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rilevante influenza mentre viene ripetutamente spostato durante il procedimento di misurazione. Tali assunzioni sollevano delle difficili questioni, che per il momento ignoreremo. Ma è chiaro che non sempre è attuabile questo metodo di misurazione. Solitamente non possiamo valutare, con questo sistema, l'ampiezza di grandi fiumi o le distanze di luoghi separati da alte montagne. E certamente non possiamo adoperare tale metodo per misurare le distanze fra le stelle, o le dimensioni degli atomi e di altri oggetti submicroscopici. In molti problemi pratici e nella maggior parte di quelli scientifici, la misura delle grandezze spaziali non può quindi effettuarsi per mezzo della procedura "diretta" che abbiamo descritto. In generale, le misurazioni spaziali vengono eseguite solo indirettamente, e richiedono, tra l'altro, l'uso della teoria geometrica. Per esempio, se vogliamo determinare la lunghezza del filo metallico occorrente per congiungere le sommità di due edifici che distino 24 metri, l'uno alto 15 metri e l'altro alto 9 metri, dovremo in genere calcolarla per mezzo del teorema di Pitagora; infatti la lunghezza richiesta è l'ipotenusa di un triangolo rettangolo, gli altri due lati del quale misurano rispettivamente 24 e 6 metri, e quindi essa è uguale alla radice quadrata di 24 2 + 62, cioè approssimativamente a 24,73 metri. Ma che cosa ci autorizza in questo esempio ad usare il teorema di Pitagora? La risposta ovvia è che esso costituisce una conseguenza logica degli assiomi delle geometria euclidea, e che quindi, se si accettano quegli assiomi, il teorema è sicuramente valido. Ma questa risposta non risolve completamente il problema. Infatti si deve ripetere l'identica domanda riguardo agli assiomi. La formulazione assiomatica e lo sviluppo deduttivo della geometria euclidea hanno il grande vantaggio che, una volta assicurata una risposta soddisfacente per gli assiomi, la domanda non deve venir piu ripetuta per alcun teorema. Tuttavia, si tratta di una domanda da affrontarsi seriamente. In base a quali motivi, dunque, accettiamo gli assiomi? Esaminando tali motivi saremo costretti ad esaminare argomenti che vertono direttamente sullo status logico delle teorie in generale e non soltanto sullo status della geometria. l. Ricapitoliamo brevemente le opinioni che si sono avute sulla questione. È ben noto che la geometria ebbe origine dalla tecnica della misurazione del terreno tra gli antichi egizi. Essi scoprirono una quantità di formule utili, che permettevano ai loro agrimensori, gli &.p1tdìo\lcX1t'ta~, di fissare confini precisi tra i campi e di calcolarne le aree. Tali formule erano semplicemente una collezione di regole pratiche indipendenti, e la scoperta che esse fossero collegate da relazioni di implicazione logica fu, a quanto risulta, una conquista degli antichi greci. Furono analizzate le formule egiziane, furono definite alcune figure geometriche in termini di altre figure, e si stabilirono altre relazioni tra le superficie e i lati che delimitano i corpi. Indi, dopo molti
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secoli di questo lavoro, si dimostrò che, se si accetta senza prove un numero limitato di proposizioni tra grandezze in generale, e tra figure geometriche in particolare, se ne può dedurre un numero indefinito di altre proposizioni - incluse quelle stabilite in precedenza. Gli Elementi di Euclide furono dunque una codificazione teorica dell'arte della misurazione, che affonda le sue radici in pratiche dotate di una lunga storia anteriore, e per secoli Euclide venne accolto come modello di rigore logico e come forma ideale di scienza teorica: La geometria fu applicata, anche prima dell'avvento completo della scienza moderna, come base non soltanto dell'agrimensura, ma anche dell'astronomia, dell'architettura, della costruzione di strumenti, e di parte dell'ingegneria e delle belle arti. Fu cosf che Newton poté considerare la geometria come un semplice ramo della meccanica universale. Come egli stesso si espresse: descrivere rette e cerchi è un problema, ma non geometrico. La sua soluzione è richiesta alla meccanica; in geometria si insegna l'uso delle risoluzioni. E la geometria si gloria del fatto che con cosf pochi principi presi altrove produca tante cose. La geometria dunque si fonda sulla prassi della meccanica e non è nient'altro che quella parte della meccanica universale che propone e dimostra l'arte di misurare accuratissimamente. Poiché infatti le arti manuali sono interessate soprattutto ai corpi in movimento, accade di solito che la geometria viene riferita alla grandezza, e la meccanica al moto! Dunque, secondo questo punto. di vista, gli assiomi della geometria sono degli enunciati veri riguardanti certe caratteristiche dei corpi fisici, caratteristiche delle quali si assume che siano specificabili in termini di procedure fisiche ben definite. La geometria è dunque una disciplina ipotetico-deduttiva, la quale asserisce che, se certe configurazioni sono rette, cerchi, ecc., allora esse debbono possedere quelle certe proprietà enunciate nei vari teoremi. Eppure, due domande in proposito si impongono qui alla nostra attenzione; e su di esse Newton non ha niente di esplicito da dirci. Quali sono esattamente le procedure che servono a specificare, e se è necessario a costruire, rette, piani, cerchi e le altre figure che costituiscono l'argomento riconosciuto della geometria? Ed in ogni modo, in base a che cosa possiamo sostenere che gli assiomi e i teoremi della geometria sono veri per le figure cosf identificate? Newton si limitò ad
t 6 Oggi è ben noto che gli Elementi di Euclide non soddisfano le esigenze moderne di rigore logico, perché molti dei suoi teoremi non possono essere dedotti dai suoi assiomi, e altri ne vanno aggiunti. 7 NEWTON, op. cit., p. 56 (Prefazione dell'Autore). In un passaggio che precede quello citato, Newton asseriva che "la geometria non insegna a descrivere queste linee (rette e cerchi, su cui è fondata la meccanica), ma le postula. Postula .infatti che il novizio, prima di giungere al confine della geometria, apprenda a descrivere accuratissimamente le medesime".
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assegnare la prima questione alla "meccanica pratica", e non considerò affatto la seconda. Ma a nessuna delle due è facile rispondere, e ciascuna va incontro a difficoltà che sembrano insuperabili. Si possono facilmente costruire delle rette se si dispone di una riga, e dei cerchi se si usa un compasso, le cui punte mantengano una distanza costante. Ma in qual modo stabiliamo che una riga è "rettilinea", oppure che la distanza tra le punte di un compasso è costante? In base a che cosa sosteniamo che le assunzioni riguardanti rette e cerchi contenute negli assiomi di Euclide valgono effettivamente per le figure ottenute nel modo sopra indicato? Non si può semplicemente dire: "eseguite delle misurazioni su queste figure, e constatate se soddisfano i requisiti di Euclide". Infatti, per eseguire misurazioni, dobbiamo possedere strumenti che abbiano bordi rettilinei e posseggano distanze costanti tra le loro parti. A quanto pare siamo cosi prigionieri di un regresso all'infinito, senza speranza di uscirne. E non risulta neppure soddisfacente ripiegare su di un'ispezione diretta della riga per determinare se essa è rettilinea, anche se si adotta la procedura, leggermente complicata, di "sogguardare" alla maniera dei carpentieri che piallano un pezzo di legno. Infatti si può ricorrere all'ispezione diretta solo quando si considerano piccoli segmenti di retta o piccole parti di superficie; le conclusioni che si raggiungono con questo procedimento non sono uniformi per osservatori diversi o per lo stesso osservatore in tempi diversi, ed esso può anche portare al tipo di regresso già incontrato prima; infatti, quando si sia giudicato per ispezione diretta che un bordo è rettilineo, a quale norma si è ricorsi per emettere tale giudizio? Se si tratta di qualche immagine di rettilinearità, sembra che il problema originario si presenti di nuovo rispetto a tale immagine. Se invece a tale conclusione si è giunti sogguardando lungo la riga, il giudizio non poggia sul tacito postulato che i raggi ottici sono rettilinei? Sembra quindi inevitabile un regresso all'infinito. Ed invero, esso non può venir evitato fintantoché non si riconosca che, come vedremo, le questioni che lo generano sono ambigue, e confondono argomenti concernenti materie di fatti empirici con ar:••enti concernenti materie di definizioni. Comunque stiano le cose, la concezione di Newton, che la geometria sia una semplice branca di una scienza empirica, la meccanica, è ben !ungi dal costituire l'unico punto di vista che si sia avuto su tale soggetto. Nell'antichità classica la maggior parte degli assiomi erano considerati come verità necessarie di per se stesse evidenti, tanto che la mancanza di "evidenza" del postulato delle parallele fu per secoli lo stimolo principale a intraprendere sforzi tendenti a dimostrarlo partendo da premesse di per se stesse evidenti. Leibniz, che era contemporaneo di Newton, sostenne esplicitamente la dottrina platonica secondo cui delle "verità della geometria", come di quelle dell'aritmetica, si può asserire la necessarietà senza bisogno di ricorrere all'esperienza dei sensi. Secondo Leibniz le verità geometriche sono "innate,
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e sono in noi in modo virtuale, sicché è possibile trovarle considerando attentamente e ordinando quel che si ha già nello spirito, senza servirsi di alcuna verità appresa dall'esperienza o dalla tradizione altrui" .• Tuttavia, salvo qualche dubbia eccezione, gli antichi consideravano che la geometria avesse a che fare con le proprietà spaziali dei corpi materiali, anche se Platone e i suoi seguaci sostenevano che tali proprietà son soltanto realizzazioni imperfette degli oggetti eterni studiati dalla geometria. Non è risolta la questione storica di quando precisamente fu proposta per la prima volta la tesi che la geometria sia la scienza della struttura dello spazio (o della "estensione pura"), piuttosto che delle proprietà spaziali dei corpi materiali. Ma ai tempi di Newton tale tesi godeva già credito. Questa concezione ricevette una esplicita enunciazione nel XVIII secolo da parte di Euleroy che dichiarava: L'estensione è l'oggetto proprio della geometria, che considera i corpi solo in quanto estesi, astraendo dalla loro impenetrabilità ed inerzia; l'oggetto della geometria è dunque una nozione molto piu generale che quella di corpo, poiché comprende non soltanto i corpi, ma tutti gli esseri semplicemente estesi senza impenetrabilità, se ve ne fossero. Ne segue che tutte le proprietà che nella geometria si deducono dalla nozione di estensione devono valere anche per i corpi, in quanto essi sono estesi. La concezione della geometria come scienza a priori della struttura dello spazio fu ripresa in modo diverso da Kant, nel suo tentativo di trovare una via di mezzo tra il razionalismo aprioristico di Leibniz e l'empirismo sensista di Hume. Benché sussista la possibilità di alcuni dubbi nell'interpretazione di molti dettagli della dottrina kantiana, il suo senso generale è che la geometria euclidea enuncia la struttura della forma della nostra intuizione esterna. Quindi gli assiomi di Euclide e le loro conseguenze sono verità apodittiche sulla forma spaziale di tutta l'esperienza possibile. Il punto di vista di Kant sulla natura della geometria ha esercitato una profonda influenza non soltanto sui filosofi ma anche sui matematici e sui fisici. E benché importanti correnti di pensiero filosofico del XIX secolo abbiano rifiutato la concezione di Kant, argomentando a favore di un'interpretazione empirica dello status della geometria, l'influenza di Kant non diminui finché il suo punto di vista non divenne progressivamente piu difficile a sostenersi di fronte ai successivi sviluppi della logica, della matematica e della fisica. Infatti la tesi della geometria come sistema di conoscenza a priori dello spazio aveva, rispetto ad altre tesi, l'incomparabile vantaggio che sembrava spiegare, perché quello di Euclide fosse l'unico sistema noto di geometria, e perché la meccanica (che a quei tempi era ancora 1 G. W. LEIBNIZ, Nouveaux essais sur l'entendement humain; trad. it. a cura di A. Guzzo, Torino, 1944, p. 55. 9 L. EuLER, Lettres a une princesse d'Allemagne, 1770; trad. it. a cura di G. Cantelli, Torino, 1958, p. 428.
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la branca piu perfettamente sviluppata della fisica teorica) dipendesse da quel sistema in modo tanto inestricabile. 2. Prima però di occuparci di questi ultimi sviluppi e delle loro conseguenze per la filosofia della geometria, dobbiamo rendere esplicita una distinzione che è già stata brevemente osservata e che è di importanza capitale per quanto segue. In geometria, come in ogni ragionamento deduttivo ed in ogni disciplina formulata deduttivamente, si devono tenere assolutamente distinti due quesiti. Il primo è: quelli che vengono dichiarati teoremi del sistema seguono logicamente dagli assiomi? Uno degli scopi principali dei matematici è di rispondere a tale domanda e di scoprire nuovi teoremi implicati dagli assiomi. E per questo non occorrono esperimenti di laboratorio o altri esami empirici; l'unico apparato necessario è la tecnica della dimostrazione logica. Il secondo quesito è: qualcuno degli assiomi o dei teoremi è fattualmente o materialmente vero? Questo quesito non rientra nella giurisdizione del matematico in quanto tale; inoltre le risposte al primo quesito non dipendono dalle risposte al secondo. Queste ultime in genere possono venir fornite solo dal fisico o da un altro cultore di una scienza sperimentale, purché assiomi e teoremi trattino di soggetti empirici identificabili; condizione questa cruciale, che dobbiamo quindi esaminare piu in particolare. Fin dal tempo di Aristotele era comunemente riconosciuto che la validità di una dimostrazione sill9gistica non dipende dai significati particolari dei termini che compaiono nelle sue premesse e conclusioni. Se dunque un ragionamento sillogistico è valido, esso resta tale quando si sostituiscano i suoi termini con altri. Nel valutare la validità di un sillogismo, è quindi possibile ignorare completamente i significati dei termini di quel particolare argomento e considerare solo la struttura formale degli enunciati che lo costituiscono, la qual cosa si può fare piu semplicemente ed efficacemente sostituendo i termini del particolare argomento con delle variabili. Le espressioni che risultano conterranno allora solo quelle parole o simboli che indicano relazioni logiche o operazioni logiche. Cosf, quando si operi tale sostituzione nell'enunciato: 'tutti gli uomini sono mortali', l'espressione risultante è: 'tutti gli A sono B', espressione in cui i termini 'tutti' e 'sono' mantengono i loro significati abituali, mentre non si attribuiscono significati particolari alle variabili 'A' e 'B'.'" Tuttavia, l'espressione: 'tutti gli A sono B' evidentemente non è piu un enunciato del quale abbia significato domandare la verità o la falsità. L'espressione ha soltanto la forma di un 10 In realtà è possibile portare piu avanti il procedimento di astrazione dal significato, sostituendo termini quali 'tutti' e 'sono' ed altre particelle logiche con segni governati da regole operative stabilite. Non è però pertinente al nostro esame il seguire tale possibilità, anche se alcune delle principali conquiste dei piu recenti studi logici sono conseguenza di uno sviluppo in questa direzione.
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enunciato, e Io diventa quando alle variabili si sostituiscano termini di significato definito. Chiameremo queste espressioni "schemi di enunciati". Per i nostri scopi si può definire uno schema di enunciato come un'espressione contenente una o piu variabili, tali che, se si sostituiscono alle variabili dei termini relativi ad un dato argomento, l'espressione che ne risulta è un enunciato, cioè un'espressione rispetto alla quale ha significato parlare di verità o di falsità. Per giudicare quindi la vàlidità di un sillogismo è sufficiente considerare schemi di enunciati di cui le sue premesse e conclusioni siano esempi. È dunque chiaro che quando ci occupiamo di stabilire se la conclusione di un sillogismo segua logicamente dalle sue premesse, non ha importanza la questiom della verità o falsità dell'enunciato. Quanto si è testé detto sul sillogismo si può ovviamente applicare ad ogni ragionamento deduttivo. In particolare, quando si esamina la geometria euclidea in quanto disciplina dimostrativa, possiamo ignorare i significati dei termini geometrici particolari contenuti negli assiomi e teoremi del sistema, sostituirli con variabili, e perseguire lo scopo di provare i teoremi tenendo conto solo delle relazioni logiche tra schemi di enunciati risultanti. Nonostante la elementarità di tale punto, esso non venne in mente a nessuno degli antichi matematici e filosofi, malgrado fossero perfettamente familiari con questa possibilità a proposito di ragionamenti sillogistici. È in ogni modo di importanza basilare distinguere tra la geometria come disciplina il cui unico scopo è la scoperta di quanto risulta logicamente implicato dagli assiomi e dai postulati; e la geometria come disciplina che cerca di rendere materialmente vere asserzioni intorno a soggetti empirici particolari. Nel primo caso, i matematici esplorano le relazioni logiche tra enunciati in quanto questi sono esempi di schemi di enunciati, cosi che i significati dei termini di un particolare argomento sono per principio non rilevanti. Nel secondo caso, si devono associare i termini non logici che compaiono negli assiomi e nei teoremi con elementi definiti di qualche argomento, in modo che si possa opportunamente indagare sulla verità o la falsità dei vari enunciati appartenenti al sistema. Quando si studia la geometria nel primo senso, semplicemente come un sistema deduttivo, la si chiama spesso "geometria pura"; quando la si studia nel secondo senso, come sistema di verità fattuale, la si chiama comunemente "geometria applicata" o "geometria fisica". Vogliamo esemplificare il punto principale della questione considerando una formulazione della geometria euclidea che soddisfi i requisiti di rigore logico oggi richiesti, per esempio la assiomatizzazione di Oswald Veblen." Veblen assume una classe di oggetti chiamati "punti", una relazione triadica tra punti chiamata relazione di "giacere 11 Vedi il suo saggio, The Foundations o/ Geometry, in "Monographs on Topics of Modern Mathematics" (a cura di J. W. A. Young), New York, 1911.
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tra", ed una relazione diadica tra coppie di punti chiamata "congruenza". Indi egli impone a tali oggetti e relazioni un certo numero di condizioni accuratamente formulate sotto forma di sedici assunzioni o assiomi. Inoltre definisce, servendosi delle espressioni iniziali (o primitive) degli oggetti in esame, un certo numero di altre espressioni, come quella di "linea", "piano", "angolo" e "cerchio", impiegando in tale procedimento idee appartenenti alla logica generale (come l'idea di insieme o di classe). Le espressioni cosf definite vengono introdotte soprattutto per convenienza, e si possono eliminare in favore dei termini primitivi; esse si possono quindi ignorare in quanto segue. Congiungiamo ora i sedici assiomi, in modo che risultino componenti di un enunciato singolo ma molto complesso. Si possono poi rappresentare gli assiomi mediante l'abbreviazione A (punto, tra, congruente). Rappresentiamo invece con T (punto, tra, congruente) ogni enunciato che si possa formulare servendosi delle espressioni primitive del sistema, senza però che, in genere, tali termini primitivi compaiano tutti in ognuno di tali enunciati. Si può allora dire che lo scopo della geometria razionale o pura è quello di trovare enunciati 'T', tali che 'T' (punto, tra, congruente) sia una conseguenza logica di 'A' (punto, tra, congruente). La deducibilità di 'T' da 'A', tuttavia, non può dipendere da significati particolari attribuiti alle espressioni 'punto', 'tra' e 'congruente'. Tali termini possono quindi venir sostituiti da variabili alle quali non occorre associare significato di sorta. I postulati congiunti della geometria pura secondo l'assiomatizzazione di Veblen potrebbero, in linea di principio, venir stipulati come lo schema di enunciato 'A(Rt, R3, R2)' dove Rt è una variabile predicativa (o variabile di relazione monadica), 'R/ una variabile di relazione triadica e 'R/ una variabile di relazione diadica. Il compito della geometria pura sarà allora quello di accertare quali schemi di enunciati 'T(Rt, R3, R2)' siano conseguenze logiche dello schema di enunciato 'A(Rt, RJ, R2)'. Invece né il geometra puro né il fisico possono ricercare la verità o falsità degli schemi di enunciati 'A' e 'T', per la ragione evidente che, dal momento che essi non sono enunciati, non ha neppure significato la domanda se siano veri o falsi. In piu - ed è questo il punto principale di quanto stiamo esaminando - sarebbe parimenti impossibile ricercare la verità o la falsità degli assiomi di Veblen, anche se questi fossero formulati in termini delle espressioni familiari 'punto', 'tra' e 'congruente' anziché come variabili, a meno di associare tali espressioni familiari a oggetti fisici definiti, ed empiricamente identificabili, oppure a relazioni tra oggetti di questo genere. In realtà i matematici adoperano spesso tali espressioni familiari senza con ciò attribuir loro alcun significato particolare che implichi un riferimento ad oggetti empirici. Cosf Veblen, anche se usa nella sua formulazione degli assiomi della geometria quelle espressioni, ha cura di osservare che il lettore può associar
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loro "qualsiasi significato" o "qualsiasi immagine" a piacere, purché tali significati od immagini siano compatibili con le condizioni imposte dagli assiomi circa l'uso delle espressioni stesse. La condizione dunque a cui si è accennato a pagina 227 a proposito delle risposte al quesito --se gli assiomi della geometria siano fattualmente veri, è la seguente: si può ricercare la verità o falsità materiale degli assiomi e dei teoremi della geometria, solo se si forniscano per i termini non logici che compaiono negli assiomi e nei teoremi delle regole di corrispondenza o delle definizioni di coordinamento che associno a tali termini degli elementi di qualche specifico oggetto che siano identificabili empiricamente. 3. Alla luce della distinzione fatta tra geometria pura e geometria applicata, possiamo ora riprendere in considerazione alcune delle tesi già citate riguardo lo status logico della geometria. a) La tesi che le proposizioni della geometria siano verità a priori, logicamente necessarie, è una tesi ambigua, che può venir intesa almeno in tre sensi. E precisamente nel senso che essa affermi: l) che gli enunciati della geometria pura sono enunciati a priori e logicamente necessari, dove un enunciato della geometria pura abbia la forma: se A(R1, R3, R2), allora T(R1, R3, R2); oppure 2) che tale carattere è posseduto da ciascuno dei postulati e dei teoremi della geometria pura; o infine 3) che gli enunciati della geometria applicata, siano essi assiomi o teoremi, risultano a priori e logicamente necessari. La tesi interpretata nel primo modo è ovviamente corretta. Essa però è anche banale, dato che ogni volta che una conclusione segue in modo dimostrabile da una premessa, l'enunciato condizionale il cui antecedente è la premessa e il cui conseguente è la conclusione è sempre una verità logicamente necessaria. Se invece si intende la tesi nel secondo senso, essa è assurda, perché se si considerano postulati e teoremi della geometria come schemi di enunciati essi non possono piu venire considerati come veri o falsi, e a fortiori né come necessariamente veri né come necessariamente falsi. Resta da considerarsi solo il terzo modo di interpretare la tesi. La questione si trasforma quindi in quella se i postulati di Veblen siano verità necessarie per qualsiasi interpretazione dei termini primitivi, o soltanto per qualcuna, e, in quest'ultimo caso, quale sia il carattere di tale interpretazione. Il punto risulta piu chiaro se confrontiamo due schemi di enunciati: quello 'se nessun S è P, allora nessun P è S', con quello 'nessun S è P'. È evidente che, indipendentemente da quali siano i termini che indicano oggetti particolari sostituiti alle variabili 'S' e 'P' nel primo schema di enunciato, l'enunciato che otteniamo sarà invariabilmente una verità logicamente necessaria, per esempio la se· guente: 'se nessun triangolo è una figura equilatera, allora nessuna
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Spazio e grometria
:figura equilatera è un triangolo', anche se in questo caso l'antecedente è falso. Il secondo schema di enunciato, invece, conduce a una verità necessaria per alcune sostituzioni operate sulle variabili con termini che indicano oggetti particolari, mentre per altre sostituzioni no; per esempio, l'enunciato 'nessun triangolo è un cerchio' è una verità necessaria, mentre non lo è l'enunciato 'nessun triangolo i cui vertici siano tre stelle fisse qualsiasi è una figura avente un'area minore di 5 km2 '. Analogamente esaminando i postulati di V el ben (oppure qualsiasi degli altri postulati della geometria euclidea) si trova che nessuno di essi formula una verità necessaria per un'interpretazione qualsiasi dei termini primitivi. Per esempio il secondo assioma di Veblen postula che per tre punti qualsiasi x, y e z, se y giace tra x e z, allora z non giace tra x e y. Se sostituiamo ora al termine 'punto' il termine 'numero', e all'espressione relazionale 'y giace tra x e z' sostituiamo quella 'y è maggiore della differenza tra x e z' otteniamo l'enunciato: 'per tre numeri qualsiasi x, y e z, se y è maggiore della differenza tra x e z, allora z non è maggiore della differenza tra x e y'. E questo è certamente falso (dato che, per esempio, benché 4 sia maggiore della differenza tra 7 e 5, 5 è maggiore della differenza tra 7 e 4 ), e non è quindi una verità necessaria. Se gli assiomi dunque sono verità necessarie, lo sono solo__Q_e_I:___cle- -*' terminate interpretazioni dei loro. termini_.I~!!_mitivi. e non per_ altre. ~saminiamo allOra-- -à1ctiné. delle--interpretàzioni proposte gli assiomi della geometria, cominciando dall'interpretazione contenuta negli elementi di Euclide. Euclide premette allo sviluppo formale del suo sistema un gran numero di "definizioni". Alcune sono definizioni di termini quali 'triangolo' e 'cerchio' in base a quelli che ovviamente costituiscono i termini primitivi del sistema, quali 'punto' e 'linea'; le altre definizioni sono spiegazioni di questi termini primitivi. In effetti, tuttavia, tali spiegazioni sono interpretazioni proposte per i primitivi, presumibilmente fornite con lo scopo di informarci sugli oggetti o sulle relazioni designati dai primitivi. Per esempio, si dice che un punto è "ciò che non ha parti", si afferma che una linea è una lunghezza "priva di larghezza", e si spiega la retta come "una linea che giace egualmente rispetto ai suoi punti". Tali spiegazioni suggeriscono senza dubbio in maniera vaga a qual sorta di cose vadano applicati i vari termini, ma non sono abbastanza esplicite da permetterei di identificare le cose designate dai termini corrispondenti senza che sorgano delle serie difficoltà. Cosa è, per esempio, ciò che non ha parti? Non può essere nessun oggetto materiale ordinario, ma potrebbe, per esempio, essere il vertice di un solido a spigoli acuti, o perfino forse un dolore provato per breve tempo. Proseguendo, anche se si suppone di sapere quali cose vadano considerate come "lunghezze prive di larghezza", quando accade che una di tali cose giaccia egualmente rispetto ai suoi
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punti? Sembra quindi inutile il chiedersi se gli assiomi di Euclide, secondo la sua stessa interpretazione, siano veri. Si può tuttavia obiettare che tutto ciò è un ozioso spaccare un capello in quattro, dato che sappiamo benissimo cosa si intenda per 'punto' e per 'retta'. Punti e rette, si può sostenere, naturalmente non sono cose materiali, ma sono limiti di oggetti fisici che possono purtuttavia venir concepiti e considerati dalla immaginazione. E sempre con l'immaginazione possiamo eseguire esperimenti con punti, linee ed altri oggetti geometrici; ed eseguendoli, troviamo che non possiamo formare queste immagini se non in conformità agli assiomi di Euclide. Si è sostenuto, per esempio, che l'enunciato: 'due rette non si possono incontrare in piu che un punto' non si può stabilire mediante osservazione percettiva, ma solo esercitando l'immaginazione. Ecco come uno scrittore ha espresso tale opinione: In primo luogo infatti è soltanto mediante l'immaginazione che possiamo rappresentare una linea che parta da un dato punto e si estenda indefinitamente in una data direzione; e in secondo luogo, non possiamo rappresentarci percettivamente l'infinito numero di inclinazioni, od angoli, diversi formati con una retta data da un'altra retta che ruoti; possiamo, però rappresentarci con un rapido atto di movimento dell'occhio una retta che ruoti di 360" partendo da una direzione e tornando alla stessa. In tale rappresentazione immaginativa si può completamente visualizzare l'intero campo di variazioni, che copre un numero di valori infinito, e ciò in virtu. della continuità che caratterizza il movimento. È soltanto quando sia possibile un simile processo di immaginazione che possiamo dire che l'assioma nella sua universalità ci si presenta come una verità di per se stessa evidente. 12 Si devono fare due commenti a tale pos1z1one generale. In primo luogo, se si considerano gli oggetti geometrici come puramente concettuali o appartenenti all'immaginazione, non si è neppure sfiorato il problema fondamentale di cui ci stiamo occupando. Esso infatti riguarda il modo in cui la struttura concettuale della geometria pura può diventare utilizzabile in fisica e nelle varie tecniche. Non si porta nessun contributo alla soluzione di tale problema ripetendo che punti e linee sono concetti o identificandoli con immagini. Quale può essere l'importanza di linee considerate dall'immaginazione per l'astronomia o per la costruzione di strumenti di precisione, campi entrambi in cui si fa un ampio uso della geometria? In secondo luogo, l'argomentazione ricavata citando fatti relativi agli esperimenti mentali non ha forza alcuna. Quando eseguiamo nella immaginazione esperimenti su rette, in quale modo immaginiamo tali linee? Non possiamo far uso nell'esperimento di una qualsiasi immagine arbitraria di linea. Dobbiamo costruire le nostre immagini in un certo 12
W. E.
]OHNSON,
Logic, vol. 2, Londra, 1922, p. 202.
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modo. Ma se esaminiamo la modalità della costruzione di linee in quei casi in cui diciamo di intuire le figure immaginate come euclidee, troviamo subito che sono proprio state tacitamente usate come regole di costruzione le assunzioni euclidee. Per esempio, possiamo certamente immaginare due linee distinte con due punti in comune; tali linee però non valgono come linee rette, semplicemente perché non soddisfano i requisiti euclidei per la rettilinearità, per cui noi cerchiamo di formare le nostre immagini in modo che soddisfino tali requisiti. Oppure, per fare un altro esempio, è possibile "provare" che tutti i triangoli sono isosceli risultato notoriamente incompatibile con i postulati di Euclide - aiutandosi con disegni condotti in modo opportuno. Tuttavia la pretesa dimostrazione è spuria, perché (cosi abitualmente ci esprimiamo) i disegni non son stati fatti "correttamente" - dove le regole di correttezza sono fornite dalla stessa geometria euclidea. Se dunque i postulatj di Euclide servono come regole di costruzione dei nostri esperimenti mentali, non c'è assolutamente nulla di sorprendente che tali esperimenti risultino invariabilmente conformi alle regole. In breve, se si usano gli assiomi di Euclide come definizioni implicite, essi sono davvero a priori e necessari perché specificano quale sorta ! di cose vadano considerate come loro esempi. _j
b) La concezione della geometria come branca della scienza sperimentale appare come altamente plausibile, se non altro per il fatto che la geometria ebbe le sue origini nell'arte pratica della misurazione. Tale plausibilità non vien diminuita dalle difficoltà che abbiamo or ora vagliate esaminando la tesi che la geometria sia un corpo di conoscenze a priori sulla struttura dello spazio. La misurazione, infatti, può venir eseguita solo mediante strumenti materiali e non mediante parti di spazio. Non è quindi da considerarsi adeguato nessun modo di considerare la geometria applicata il quale crei un problema imbarazzante per il fatto che la geometria funziona come teoria di misurazione. D'altra parte, come abbiamo già osservato, la tesi newtoniana secondo cui la geometria è la branca piu semplice della meccanica dà luogo per proprio conto a delle difficoltà; dobbiamo ora cercare di decidere se tali difficoltà sono cosi insuperabili come sembrano. Sarà utile distinguere due maniere generali di adoperare la geometria nella scienza sperimentale: l) la prima impostazione, che è anche storicamente anteriore, consiste nello specificare, indipendentemente dalla geometria euclidea, certi bordi, superfici e altre configurazioni dei corpi materiali, e nel mostrare poi, come dato di fatto osservato, che le cose specificate in tal modo soddisfano gli assiomi di Euclide entro i limiti dell'errore sperimentale; 2) la seconda impostazione consiste nell'usare i postulati di Euclide come definizioni implicite, in modo che nessuna configurazione fisica (sia essa scoperta o deliberatamente escogitata) venga chiamata "punto", "linea", ecc., se non soddisfa i postulati entro
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certi limiti di approssimazione. Entrambe le impostazioni debbono affrontare problemi logici ed empirici simili, ma ognuna di esse dà un accento distinto alla discussione ed assegna un valore diverso alla geometria euclidea. l. Consideriamo piu da v1cmo la prima impostazione. La geometria euclidea e la fisica teorica non hanno certamente piu di 3000 anni di vita. Ci fu dunque sicuramente un tempo in cui gli uomini che avevano da risolvere svariati problemi di natura pratica non disponevano della conoscenza che è contenuta in questi due sistemi. Immaginiamo di trovarci noi stessi nelle situazioni che dovettero affrontare quegli uomini. Anche senza aver neppure il sospetto della geometria, potremmo tuttavia cogliere una distinzione tra forme differenti di superfici forse all'inizio solo per mezzo della vlsta e del tatto, senza altri ausilii; ma in seguito forse per mezzo di procedimenti piu attendibili. Per esempio, alcune superfici sono notevolmente incurvate in una o piu direzioni, altre lo sono meno, ed altre ancora appaiono come del tutto piatte. Queste discriminazioni sono però piuttosto grossolane, e può capitare che non ci si trovi d'accordo tra di noi riguardo a quali siano le superfici piu piatte; e inoltre, finché mancano le tecniche appropriate, è solo per caso che ci imbattiamo in superficie di questo genere. Ma supponiamo che si sviluppino delle capacità meccaniche, che impariamo ad affilare e a tagliare i corpi, cosf che sia possibile ridurre la superficie di un corpo in modo tale che si adatti senza sforzo alla superficie di un. altro corpo. Può infine capitarci di prendere tre corpi e di polirne le superfici finché uno di essi si adatti senza sforzo su ciascuno degli altri due. Questa procedura· offre quello che appare come un buon criterio obiettivo per individuare le superficie aventi la massima planearità, e comunque decidiamo di chiamare 'superficie piane' quelle che soddisfano tale criterio. È chiaro che non avrebbe alcun senso domandarsi se tali superficie siano "realmente" piane, perché esse sono piane~r definizione, e per ipotesi non vi è un'altra regola oltre a quella ora stabilita per cui una superficie sia piana. È anche il caso di osservare che per giudicare se due superfici combaciano perfettamente dobbiamo esercitare un controllo ottico, per esempio quello che quando esse siano poste l'una contro l'altra in modo da aderire bene non lascino filtrare la luce. Tuttavia, anche se possiamo far ricorso a questo controllo ottico, cosi facendo non staremo assumendo, né tacitamente né in altro modo, che la propagazione della luce sia "rettilinea"; altrimenti procederemmo in modo circolare. Cosf facendo non avremo fatto altro che adoperare un tipo di fatti osservabili come condizione per dire che le superfici combaciano bene. È essenziale quindi osservare che fino a qui l'unico dato di fatto in gioco, nel dichiarare se una superficie sia piana, è quello che la superficie soddisfi la condizione indicata relativa al suo combaciare con un'altra superficie. In particolare, è da notarsi
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che nell'assegnare la denominazione di 'piane' a superfici che soddisfino tale condizione non è implicata alcuna assunzione associata alla geometria euclidea. Possiamo ora procedere in modo analogo e costruire tipi di regoli che chiameremo 'regoli retti' o 'righe', per esempio affilando due superfici piane di un corpo in modo che abbiano un bordo in comune. Di piu, aiutandoci con i piani e con le rette possiamo costruire altre figure, ed introdurre per esse denominazioni quali 'punto', 'triangolo', 'quadrilatero' e simili. Si può poi definire che due righe hanno lunghezza uguale quando è possibile far coincidere i rispettivi estremi, e si può specificare una unità di lunghezza scegliendo allo scopo una riga in particolare." È ora possibile costruire delle scale supplementari per le lunghezze, per gli angoli, per le superficie e per i volumi. Salvo che per un punto, ometteremo i dettagli di queste costruzioni. Nello specificare una scala di lunghezza, come pure nell'eseguire misurazioni servendosi di tale scala, sarà in genere necessario il trasportare piu volte l'unità di lunghezza. Può sorgere quindi la questione se quest'ultima non possa subire un mutamento di lunghezza nel corso del proprio moto. "Come sappiamo" si può domandare "che la lunghezza di una riga rimane la stessa quando si trasporta la riga da un posto all'altro? Come sappiamo che, se due righe hanno uguale lunghezza in un luogo e si trasporta una di esse in un altto luogo, esse persisteranno ad avere uguale lunghezza?" Vale la pena di prendere qui in esame queste domande, perché esse costituiscono casi tipici di una frequente confusione tra quelli che sono dati di fatto e ciò che è materia di definizione. È una questione di dato di fatto quella se due righe, che in un dato luogo abbiano lunghezza uguale (cioè sia possibile far coincidere i loro estremi) e che vengano poi trasportate in un altro luogo facendo lo stesso percorso o percorsi diversi, abbiano ancora lunghezza uguale nel nuovo luogo. Supponiamo che in generale ciò accada. Non è invece una questione di fatto empirico quella se due righe, che in un dato posto hanno uguale lunghezza, seguitino ad avere la stessa lunghezza quando una di esse venga cambiata di posto. Nei termini della procedura che abbiamo adottato si può rispondere a questo quesito solo prendendo una decisione ed introducendo una definizione. In particolare, non si tratta di sapere (cioè di avere prove osservative che ci permettano di stabilire) se il campione di unità di lunghezza alteri la propria lunghezza quando vien trasportato da un posto all'altro; questo quesito, entro il quadro di assunzioni che abbiamo adottato, può venir risolto solo per mezzo di una stip·ulazione. 13 Il metodo descritto per la definizione di superficie piane e di linee rette è sviluppato da W. K. CLIFFORD, The Common Sense of the Exact Sciences, New York, 1946, c. 2; nonché da N. R. CAMPBELL, Measurements and Calculation, London, 1928, pp. 271-78.
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È dunque una distinzione essenziale quella tra la questione se due ri-
ghe che in un dato posto hanno la stessa lunghezza seguitino ad averla anche dopo -che entrambe siano state trasportate in un altro posto mediante percorsi uguali o diversi, e la questione se due righe che abbiano la stessa lunghezza in un dato luogo la mantengano uguale quando una soltanto di esse venga trasportata in un altro luogo, oppure se la lunghezza del campione unitario risulti invariante rispetto al moto. La prima questione può venir risolta facendo appello all'osservazione, ed implica quindi una questione di conoscenza, mentre la seconda non può venir risolta in tal modo, ed implica una questione di definizione. "Ma non si dà il caso" potrebbe riprendere il nostro critico immaginario "che si attribuisca frequentemente una variazione di lunghezza a un corpo dopo che questo sia stato trasportato, e si prendano spesso precauzioni per evitare tale variazione? Anzi, noi attribuiamo simili variazioni perfino ai corpi che restano nello stesso posto, e cerchiamo di prevenire alterazioni di lunghezza (come nel caso del metro campione, o di una stecca graduata) conservando i corpi in ambienti accuratamente controllati". La risposta a tale interrogativo è ovviamente affermativa, ma per darla occorre respingere l'assunzione fattuale semplificatrice fatta nel capoverso precedente, secondo la quale due righe che abbiano in un luogo la stessa lunghezza (giudicata tale per la possibilità di far coincidere i rispettivi estremi) la conservano ugualmente in ogni altro luogo, a prescindere dal particolare percorso con cui siano trasportate da un luogo all'altro. Dobbiamo dunque abbandonare questa assunzione, e quindi rendere piu complessa la discussione. Dobbiamo ora supporre di aver imparato a distinguere tra varie specie di corpi, per esempio tra tipi diversi di legni, di metalli e di pietre. Ammetteremo anche di saper come identificare varie origini fisiche di mutamento nelle forme e nelle corrispondenti dimensioni dei corpi, origini quali la compressione o la variazione di temperatura. Per fissare le idee, supponiamo che all'istante !1 nel posto P1 due righe a e b abbiano lunghezza uguale, e che a sia fatta di acero e b di rame. Supponiamo inoltre che, in un istante successivo !2, la riga b sia piu lunga della riga a, ma che nel frattempo ci sia stato un aumento di temperatura in tutti e due i corpi. Supponiamo pure che, dopo molte esperienze, siamo arrivati a riconoscere che quando si espongano sostanze diverse a una stessa variazione di temperatura, le loro rispettive lunghezze si alterano, in misura diversa per coppie diverse di sostanze. Quindi, nell'ipotesi che l'unica origine identificabile di mutamento sia stata un aumento della temperatura in P1, attribuiamo l'alterazione delle rispettive lunghezze di a e di b al loro aumento di temperatura. Non stiamo· dicendo, si noti, che la lunghezza di a è rimasta costante e che solo quella di b è aumentata; stiamo dicendo soltanto che b è diventata piu lunga rispetto ad a. Si supponga poi che, pur restando a e b di uguale lunghezza mentre
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sono in P1, esse abbiano lunghezze diverse quando vengono trasportate in P2, facendo percorsi diversi od uguali. Anche questo mutamento delle rispettive lunghezze può venir spiegato in termini di variazioni di temperatura subite da uno o da entrambi i corpi. Abbiamo fatto uso di variazioni di temperatura come origine di alterazione delle lunghezze relative delle righe, ma quanto è stato detto riguardo alla temperatura può evidentemente venir ripetuto per altre origini di mutamento sperimentalmente individuate. Comunque, si deve ora emendare l'assunzione fatta in precedenza, che due righe aventi in un posto la stessa lunghezza la conservino tale quando vengano trasportate in un altro posto. Nella sua forma emendata l'assunzione fattuale contiene la clausola, che, quando si trasportano le righe da un posto all'altro, si mantengano costanti tutte le origini note di mutamento delle lunghezze relative, in modo che nelle posizioni iniziali delle righe e in quelle finali siano uguali quelle condizioni ambientali di cui è sperimentalmente noto che provocano alterazione delle lunghezze e forme relative dei corpi. Entro il quadro dell'assunzione cosi emendata, ha ora senso l'affermare che nel trasporto da Pt a P2 la lunghezza di un corpo cambia (rispetto a un altro corpo appositamente indicato), oppure che due corpi che in Pt hanno lunghezze uguali non le abbiano piu quando uno di essi, e non l'altro, venga portato in P2. Vi è un altro punto in questo emendamento dell'impostazione del problema delle misurazioni spaziali che merita un breve cenno. Si potrebbe avanzare l'obiezione che la discussione è basata su una procedura circolare, che si annulla da sola. Abbiamo schematicamente descritto un modo di istituire una scala di lunghezze, dichiarando di non aver fatto uso di alcuna assunzione della geometria euclidea; ed abbiamo indicato la necessità di stipulare le condizioni in cui si dice che due righe hanno la stessa lunghezza. Abbiamo tuttavia supposto che sia possibile scoprire se si diano o no variazioni in tali condizioni, ad esempio se le temperature delle due righe siano o no uguali e se rimangano costanti. Dovremo dunque essere in possesso di termometri, e di conseguenza di scale di lunghezza, prima di aver rilevato tali variazioni o tale costanza? Non assume quindi la costruzione proposta di una scala di lunghezza che il prodotto finale della costruzione sia a disposizione prima della costruzione stessa? E se è cosi, non si tratta di una procedura palesemente circolare? Nonostante sembri che le cose stiano proprio cosi, tale circolarità non sussiste. In realtà, infatti, è possibile determinare se vi siano variazioni delle temperature dei çorpi (e piu in generale, se vi siano variazioni di qualsiasi delle condizioni fisiche dalle quali dipendono le variazioni delle lunghezze relative dei corpi), senza usare strumenti del tipo del termometro, che impiega una scala di lunghezze precostituita. Per esempio, ad un livello primitivo di ricerca potremmo basarci completamente sulla sensibilità dei nostri stessi corpi ai cambiamenti di
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temperatura entro certi limiti. Ad uno stadio piu avanzato di conoscenza potremmo usare per rilevare variazioni di temperatura le diverse espansioni o contrazioni- di due .sbarre diritte costituite di sostanze differenti. È essenziale osservare che in tale caso faremmo uso non già di una misura quantitativa di espansione o contrazione lineare (il che ci porterebbe davvero in .una argomentazione circolare), bensf solo del fatto qualitativo che due di tali sbarre, inizialmente aventi la stessa lunghezza, acquistano lunghezze diverse se i campi termici variano. Ad un livello di conoscenza ancora piu elevato, potremmo riconoscere le variazioni di temperatura mercé il fatto che un ago magnetico posto nelle vicinanze di un circuito chiuso formato da due metalli diversi subisce una variazione quando viene alterata la temperatura nella saldatura tra i due metalli. La costruzione e l'impiego di questi rivelatori piu complicati comporta dettagli in cui non ci addentreremo; già l'accenno schematico datone basta tuttavia ad indicare che è possibile costruire una scala ausiliaria di lunghezze senza circolarità e senza impiegare una teoria geometrica precedente. Una volta costruita una scala ausiliaria di lunghezze, essendoci sbarazzati di tutte le difficoltà, possiamo costruire certe figure che verranno chiamate 'cerchi', e, per mezzo loro, una scala di misure angolari. 1Abbiamo perciò sottolineato come, in via di principio, si possano speci. ficare una classe di figure e le loro misure senza far ricorso a nessuna delle assunzioni della geometria euclidea. Il problema che resta è quel·to se tali figure (e le altre che si possono costruire in modo analogo) soddisfino gli assiomi e i teoremi della geometria euclidea; oppure, reciprocamente, se la geometria euclidea, quando si interpretano i termini 'punto', 'linea' ecc. come riferiti alle figure costruite e che portano gli stessi nomi, ne risulti verificata. Il problema, però, è decisamente empirico, cosf che non è possibile conoscerne la soluzione prima di aver effettuato la indagine empirica. ! inoltre chiaro che le prove che possono emergere da una simile indagine nel migliore dei casi indicheranno solo un accordo approssimato tra gli enunciati di Euclide e le figure costruite. In primo luogo infatti fattori di disturbo incontrollabili interverranno sempre nella condotta delle misurazioni, cosf che c'è molta probabilità di "errori" casuali o sperimentali. In secondo luogo, gli strumenti di misura hanno una capacità di discriminazione limitata. Per esempio, ad un dato stadio dello sviluppo tecnologico non siamo in grado di distinguere tra lunghezze che cadono al di sotto di un certo minimo di estensione. La geometria euclidea invece postula una possibilità di discriminazione illimitata delle lunghezze quando asserisce che certe lunghezze hanno grandezze relative esprimibili solo con numeri irrazionali. Ma nessun modo palese di misurazione può determinare se il valore di certe lunghezze è veramente irrazionale, come richiederebbe la teoria della geometria. Infine, gli enunciati di Euclide contengono talora asserzioni delle quali non è possibile dimo-
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strare la validità su figure effettive a mezzo di misure dirette. È, per esempio, un enunciato del genere quello secondo cui, se gli angoli alterni interni formati da due rette di un piano tagliate da una trasversale sono uguali, le rette non si incontrano mai; infatti noi non possiamo costruire altro che piani di limitata estensione, e non siamo quindi in grado di determinare per osservazione o per misurazione palese se due rette si incontrino o no, quando vengano prolungate. Tuttavia, entro le regioni accessibili all'esperienza e soggette alle qualificazioni menzionate, l'accordo tra le figure costruite nel modo sopra descritto e gli ' enunciati della geometria euclidea applicata è di fatto eccellente. Di conseguenza, e fino a poco tempo fa, la teoria della meccanica e lè altre branche della fisica hanno avuto una solida base nell'assumere che la geometria euclidea sia vera per una classe di configurazioni fisiche costruite in un modo piu o meno analogo a quello che abbiamo sopra delineato. C'è di piu: anche se nella teoria einsteniana della relatività', x si adopera un sistema di geometria differente, l'ingegneria e tutta la strumentazione di laboratorio continueranno indubbiamente, per quanto riguarda il futuro prevedibile, a basarsi su tale assunzione. 2. Abbiamo cosi completato il nostro esame del primo modo di impostare il problema della geometria, menzionato a pagina 233. Ci resta ora da esaminare l'altra alternativa, secondo la quale si fa uso dei postulati di Euclide come di definizioni implicite per certe figure che costituiscono il dominio di applicazione dei postulati stessi. Il nostro esame non sarà lungo, visto che son. già stati discussi i problemi di maggior peso. La differenza essenziale tra i due diversi modi di impostare il problema consiste nel fatto che, mentre nel primo modo espressioni quali 'punto', 'linea' e cosi via vengono applicate a configurazioni fisiche costruite o identificate in accordo a regole specificabili indipendentemente dagli assiomi di Euclide, nel secondo modo le stesse espressioni sono applicate solo a configurazioni che soddisfano i requisiti euclidei. Nel primo caso, quindi, siamo per principio impegnati ad abbandonare la geometria euclidea se da osservazioni e misurazioni effettivamente eseguite su linee, angoli, cerchi, ecc., specificati per via indipendente, risulta una discrepanza rilevante tra le proprietà delle figure e quanto la geometria euclidea ci farebbe prevedere. Nel secondo caso, invece, siamo per principio impegnati a mantenere ad ogni costo la geometria euclidea, e ad alterare i nostri metodi di costruzione delle figure qualora essi non ci dessero configurazioni conformi ad Euclide. Nelle prima alternativa,t)la geometria euclidea è un sistema di enunciati contingenti, a posteriori, riguardanti proprietà spaziali di corpi antecedentemente classificate e denominate:':,Nella seconda alternativa, la geometria euclidea è un sistema di re{ole a priori per classificare e denominare tali proprietà.
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fnel Indicheremo ora in breve come si possa usare la geometria euclidea modo indicato dalla seconda alternativa. Se accettiamo i postulati di Euclide come definizioni implicite, dobbiamo trovare o costruire delle figure che soddisfino le condizioni stabilite dai postulati stessi. Supponiamo quindi che' si cominci dal costruire superfici, spigoli, ecc., nella maniera proposta \nel corso della discussione sul primo modo di impostare il problema. ~on siamo tuttavia ancora autorizzati a chiamare 'piani', 'rette' e simili tali configurazioni, e dobbiamo prima eseguire su di esse osservazioni e misurazioni. Possiamo trovare come risultato della nostra indagine che le figure sono in possesso di proprietà in buon accordo con quanto la geometria euclidea richiede per i piani, le rette, ecc. In tale eventualità, siamo autorizzati a formulare l'ipotesi che quelle figure siano piani, rette, ecc. Si supponga invece che dall'indagine risulti che le figure possiedono caratteristiche che si allontanano in modo considerevole dai requisiti di Euclide. Per esempio, si supponga che la somma degli angoli di certe figure di tre lati differisca da due angoli retti (definiti dalla scala accettata per le grandezze angolari) di piu di 10", differenza molto maggiore di un errore sperimentale possibile. In questo caso le figure costruite non riceveranno le familiari denominazioni della geometria, ed in particolare la figura di tre lati non verrà chiamata "triangolo". Modificheremo anzi le nostre regole di costruzione delle figure e di misurazione della loro grandezza spaziale finché si ottengano configurazioni che almeno approssimativamente siano euclidee. Può darsi tuttavia che risulti estremamente difficile costruire figure euclidee, e che, qualunque siano le alterazioni apportate alle regole per costruire materialmente i tipi richiesti di superficie e di righe, non riusciamo ad ottenere niente che si approssimi ai piani e alle rette euclidee. Questa situazione non dimostra ancora la non validità della geometria euclidea, anche se potrebbe rendere molto poco conveniente la conservazione della geometria euclidea come teoria di misurazione. Potremmo, naturalmente, rassegnarci alla mancanza di convenienza, ed accettare il fatto che i calcoli sulle dimensioni spaziali eseguiti basandosi su quella teoria sono raramente, o addirittura mai, in accordo con i risultati della misurazione vera e propria. Ci sarebbero tuttavia aperte altre due alternative. Potremmo riuscire a sviluppare delle teorie fisiche basate sulla geometria euclidea, in modo che il nostro persistente insuccesso nel tentativo di costruire (o trovare) configura· zioni euclidee venga sistematicamente spiegato da tali teorie, mentre nello stesso tempo le grandezze spaziali dei corpi determinati dalle misure pratiche risultino in buon accordo con i valori numerici calcolati a partire da quelle teorie. Oppure, potremmo abbandonare la geometria euclidea come sistema a priori di regole per classificare e denominare le configurazioni spaziali, e ideare un altro sistema di geometria pura con lo stesso scopo.
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Spazio e geometria
La discussione ci ha cosf indicato che le concezioni apparentemente -\inc01lll'atibili ~~Il~ ge()gi_etti_l!_J!llclidea_c2_.rp~__ scien~a empirica da una ~~~~~e come sistema di regole a prior!_~g:_~ltra p()ssono venir entramb~ accetta~_~ol!le .legi_tt.i_rpe:__ La geometria è una branca della scienza empirica quando piani, rette, ecc. sono costruiti e identificati quali caratteristiche di corpi fisici in accordo a regole che possono venir formulate ed applicate senza far ricorso alla geometria euclidea. La geometria euclidea è un sistema di regole a priori quando la costruzione o l'identificazione delle configurazioni destinate ad esser chiamate euclidee è guidata e controllata dai postulati euclidei. In entrambi i modi di accostare la geometria intervengono tanto assunzioni empiriche quanto assunzioni a priori. Nel primo caso le regole di costruzione delle figure designate come 'piani', 'rette' ecc. sono a priori, e gli enunciati di Euclide sono empirici. Nel secondo caso i postulati di Euclide sono a priori, mentre sono empiriche le asserzioni che certe figure (costruite o identificate in accordo a regole specificate) sono piani, rette, ecc. In breve, la differenza tra le due alternative riguarda il luogo ove si collocano convenzioni e definizioni entro un corpo di conoscenze.
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Capitolo nono
Geometria e fisica
La concezione newtoniana della geometria come della branca pm semplice della meccanica era basata sulla tacita assunzione che la geometria euclidea fosse l'unica teoria di relazioni spaziali capace di fornire una teoria della misurazione. Dal tempo di Newton, tuttavia, è stato costruito un gran numero di altre geometrie pure. L'assunzione, quindi, che la geometria euclidea sia l'unica analisi corretta delle relazioni spaziali non 1 è piu sostenibile, e infatti si è giunti ad impiegare alcune di tali geometrie . non euclidee nello sviluppo di meccaniche non newtoniane. È quindi necessario approfondire l'esame dello status logico della geometria, già discusso nel capitolo precedente partendo dall'ipotesi newtoniana che non vi fossero alternative al sistema euclideo. Il presente capitolo è dedicato all'ulteriore esame del peso portato da questioni di fatto e da questioni di stipulazioni definitorie nella scelta di una geometria come teoria della misurazione in fisica. Esporremo dapprima le principali alternative alla geometria euclidea, e le loro relazioni una con l'altra nonché con il sistema euclideo. Per far ciò dovremo ricorrere ad alcuni dettagli tecnici matematici inevitabili. Esamineremo poi le considerazioni che entrano in gioco nella scelta di una geometria al fine di sviluppare una teoria fisica, e discuteremo i meriti della tesi che un sistema di geometria è in fondo soltanto un insieme di convenzioni per l'esecuzione di misurazioni spaziali. L Le geometrie non euclidee e le loro interrelazioni La costruzione di sistemi non euclidei di geometria pura fu la conseguenza diretta dei tentativi rivolti a provare il postulato euclideo delle parallele mostrando che esso sarebbe una conseguenza delle altre assunzioni di Euclide. Secondo la formulazione di Euclide, il postulato delle parallele, che, a differenza di quanto si sostiene per gli altri postulati, non appare di per sé come evidente, asserisce quanto segue: se due rette di un piano sono tagliate da una terza, in modo tale che la somma degli
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Geometria e fisica
angoli interni situati dalla stessa parte della trasversale sia minore di due angoli retti, le due rette, qualora siano sufficientemente prolungate, si incontreranno da quella parte. La inclusione di questo postulato tra gli assiomi fu considerata solitamente come .il grande "scandalo" della geometria di Euclide, ma invariabilmente falli ogni sforzo per dimostrarlo senza assumere qualcosa di equivalente. Ma il semplice fatto di non essere riusciti a dedurlo dagli altri postulati del sistema non costituisce una prova che ciò sia impossibile. Quando tale prova di impossibilità venne finalmente data, fu per la matematica una vera rivoluzione. Tale prova segnò non soltanto la fine di piu di due millenni di sforzi vani, ma anche l'inizio delle geometrie non-euclidee - cioè, di geometrie che negano uno o piu postulati di Euclide - e infine l'inizio della meccanica non newtoniana. In questo paragrafo descriveremo brevemente due delle geometrie pure non euclidee ed esamineremo le loro relazioni con il sistema di Euclide.' l) a) Esiste una tecnica elementare per stabilire l'indipendenza logica di un dato enunciato da certi altri. Sia 'A1', 'A/, ... , 'A,' un insieme di assiomi delle geometria euclidea, e supponiamo che si desideri dimostrare che è impossibile dedurre l'assioma 'A1' dagli altri. Poiché, come si è già notato, la deducibilità di un enunciato in generale non dipende da significati particolari dei suoi termini aventi un contenuto specifico, ma solo dalla loro struttura formale, possiamo supporre che gli assiomi siano un insieme di schemi di enunciati. Orbene, o 'A1' è deducibile dagli altri postulati, o non lo è. Se lo è, allora sostituendo 'A1' con un postulato 'A1*', formalmente incompatibile con 'A1' (per esempio, con il contraddittorio o con un contrario di 'A 1'), allora il nuovo insieme di postulati sarebbe un insieme contraddittorio, cioè porterebbe a conseguenze incompatibili .. Se invece 'A 1' è logicamente indipendente dagli altri postulati, allora il nuovo insieme 'A1*', 'Az', ... , 'An' darà luogo ad un sistema di conseguenze non contraddittorie. Per quanti teoremi si stabiliscano nel nuovo sistema, nessuno di essi sarà formalmente incompatibile sia con il nuovo postulato sia con ogni altro teorema dedotto da tutto l'insieme. Il problema quindi se 'A1' sia logicamente indipendente da 'A/, 'A3', ... , 'An' è ridotto al problema se l'insieme di postulati 'A1*', 'Az', ... , 'An' sia un insieme contraddittorio, dove At 1' è il contraddittorio o un contrario di 'At'. Ma come si deve stabilire la non contraddittorietà di un insieme di 1 Diverse direzioni d'indagine matematica contribuirono allo sviluppo della geometria non euclidea, e ciascuna di esse getta una luce particolare sulla struttura interna e sulle interrelazioni di questi altri sistemi geometrici. Un modo di affrontare l'argomento è quello del metodo gssiomatico; un altro è il metodo degli invarianti differenziali, sviluppato da Riemann come generalizzazione di certe idee fondamentali introdotte da Gauss; un terzo metodo è quello della definizione proiettiva della distanza, legato ai nomi di Cayley e di Klein. Tutti questi metodi, però, salvo quello assiomatico, richiedono una considerevole preparazione matematica. Ci occuperemo quindi soprattutto del metodo assiomatico, pur dicendo' naturalmente qualcosa anche sugli altri.
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La struttura della scienza
postulati? Non si tratta affatto di un problema facile; anzi per risolverlo in alcuni casi particolari possono esser necessarie tecniche logiche e matematiche piuttosto complesse. Per aggredire tale problema si sono sviluppate due direzioni principali di attacco. Il primo metodo, storicamente anteriore, è di trovare un'interpretazione delle variabili predicative che compaiono nei postulati, e per mezzo di tale interpretazione convertire gli schemi di enunciati in enunciati veri. Cosi, se è possibile convertire gli schemi di enunciati 'A1*', 'A/, ... , 'An' in enunciati veri mediante un'opportuna sostituzione di termini a contenuto particolare al posto delle variabili predicative, si è dimostrato che l'insieme è non contraddittorio; di conseguenza resta provato che 'A1' è indipendente dagli altri postulati. Il secondo metodo è piu formale. Esso consiste nel dimostrare che un dato insieme di postulati è altrettanto non contraddittorio quanto un altro insieme di cui si considera sicura la non contraddittorietà. La dimostrazione vien fatta mettendo in correlazione gli schemi di enunciati del primo insieme con quelli del secondo, in modo tale che, se nel primo insieme si potesse dedurre una contraddizione, dovrebbe comparire una contraddizione anche nel secondo insieme. Rimandiamo a pagina 257 un'ulteriore disamina di quest'ultimo metodo; per il momento illustreremo e discuteremo soltanto il primo. A questo scopo consideriamo il seguente insieme di tre enunciati: S,: per due qualsiasi interi distinti, o il primo è maggiore del secondo, oppure il secondo è maggiore del primo. S,: per due interi qualsiasi, se il primo è maggiore del secondo, allora il secondo non è maggiore del primo. S,: per tre interi qualsiasi, se il primo è maggiore del secondo, e il secondo è maggiore del terzo, allora il primo è maggiore del terzo.
Sono tre enunciati aritmetici veri. Potrebbe tuttavia darsi che volessimo sapere se il primo è deducibile dagli altri due. Allo scopo di rispondere a tale quesito, sostituiamo in essi i termini a contenuto specifico, ottenendo i tre seguenti schemi di enunciati: A1 : per due qualsiasi elementi distinti x e y appartenenti alla classe K, o x ha la relazione R con y, oppure y ha la relazione R con x. A,: per due qualsiasi elementi x, y di K, se x ha la relazione R con y, allora y non ha la relazione R con x. A,: per tre elementi qualsiasi x, y, z di K, se x ha la relazione R con y e y ha la relazione R con z, allora x ha la relazione R con z.
Costruiamo ora uno schema di enunciato A 1* che sia formalmente incompatibile con A1. Per esempio possiamo scegliere come A1 * il seguente: A,*: ci sono almeno due elementi distinti x, y di K, tali che x non ha la relazione R con y e y non l'ha con x.
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Geometria e fisica
Quindi, se l'insieme di schemi di enunciati (A 1*, A2 , A3 ) è un insieme non contraddittorio, A1 sarà indipendente da A2 e da A 3 (per cui ogni esemplificazione di A~, come S1, sarà formalmente indipendente dalle corrispondenti esemplificazioni di Az e di A3, come S2 e S3). Per stabilirne la non contraddittorietà cerchiamo un'interpretazione delle variabili predicative K' e R', tale che gli schemi di enunciati dell'insieme siano convertiti in enunciati che abbiamo buone ragioni di credere veri. Cosf, sostituiamo alla variabile predicativa 1 K' il predicato 1 essere umano', e alla variabile predicativa 1 R' il termine relazionale 1 essere un antenato di'. Con tale sostituzione l'enunciato ottenuto da A1* sarà: esistono almeno due esseri umani tali che nessuno di essi è l'antenato dell'altro. L'enunciato che palesemente è vero. Anche gli enunciati che si ottengono dagli altri schemi di enunciati sono chiaramente veri. Ne segue che l'insieme (A1*, Az, A3} è non contraddittorio, cosf che A1 non può venir dedotto dagli altri due schemi di enunciati - e quindi St non può venir dedotto da S2 e S3. 1
1
h} Fu appunto usando tecniche come quella ora descritta che venne costruito il primo sistema di geometria pura non euclidea. Nella terza decade del XIX secolo, Lobacevskij e Bolyai, due matematici che lavoravano l'uno indipendentemente dall'altro, svilupparono un sistema di geometria basato su un contrario del postulato delle parallele di Euclide. La versione di questo postulato data da Euclide è equivalente al piu familiare assioma di Playfair, il quale dice che per un punto dato passa un'unica retta parallela ad una retta data. Discuteremo quindi l'innovazione di Lobacevskij supponendo di usare l'assioma di Playfair al posto della formulazione di Euclide per il postulato delle parallele nella geometria euclidea. Lobacevskij sostituf il postulato delle parallele con l'assunzione che per un punto dato passano due parallele ad una retta data. Da questo nuovo insieme di postulati egli dedusse un gran numero di teoremi reciprocamente compatibili, molti dei quali sono prima facie incompatibili con i teoremi di Euclide con cui possono venir confrontati. Per esempio, nella geometria di Lobacevskij, la somma degli angoli di un triangolo non è costante per tutti i triangoli (come accade nella geometria euclidea}, è sempre minore di due angoli retti, e diminuisce con l'aumentare dell'area dei triangoli.' Inoltre, non sono mai simili dei triangoli che abbiano aree disuguali. Il rapporto poi tra la circonferenza di un cerchio e il suo diametro non è costante per tutti i cerchi, è sempre maggiore di 1t e aumenta con l'area. Né Lobacevskij né Bolyai stabilirono la non contraddittorietà interna della nuova geometria, e tale non contraddittorietà rimase per un certo periodo una questione aperta. Infine nel 1869 Beltrami assegnò dei significati ai 2 Infatti la differenza (comunemente detta il "difetto") tra due angoli retti e la somma degli ~o-ngoli è proporzionale all'area.
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La struttura della scienza
predicati geometnc1 del sistema, e i postulati di Loba.Cevskij furono quindi interpretati come enunciati su rette e curve di certe superficie a sella.' D'altra parte si poteva dimostrare che tali enunciati erano ·-veri entro la geometria euclidea. Con ciò risultò stabilita, al di là di '-ogni ragionevole dubbio, la possibilità di una geometria non euclidea altrettanto non contraddittoria internamente quanto il sistema di Euclide. Non diremo nient'altro sull'interpretazione di Beltrami, perché essa non si presta ad un'esposizione semplice. Ci sarà tuttavia utile avere dinanzi a noi sufficientemente in dettaglio un'altra interpretazione dei postulati di Lobacevskij, proposta per primo da Poincaré, per la geometria lobacevskijana a due dimensioni (o piana). Si considerino i punti interni (chiamati 'punti-L') di un dato circolo O di raggio k
D
in un piano euclideo. Tutti gli altri punti del piano, tanto quelli sulla circonferenza di O quanto quelli esterni ad essa, sono esclusi dalla classe dei punti-L. Per due punti-L qualsiasi esiste un unico cerchio ortogonale (cioè ad angoli retti) con O. Chiameremo 'linee L' gli archi entro O di tali cerchi. Per un punto-L qualsiasi esterno ad una data linea-L passano due linee-L che incontrano la linea-L data sulla circonferenza di O; tali linee verranno chiamate le 'parallele-L' alla linea data. Cosi, nel disegno, P e Q sono due punti-L qualsiasi che determinano un'unica linea-L, 11. Da ogni punto-L, R, non su l1 si possono condurre due linee-L che incontrano l1 sulla circonferenza di O nei punti non-L A e B; queste sono le parallele-L ad l1 passanti per R. È chiaro che 3 Queste superficie sono le superficie di rivoluzione ottenute facendo ruotare la curva piana chiamata "trattrice" intorno all'asintoto come asse di rotazione. La trattrice è definita come la curva tale che sia costante la lunghezza del segmento di utngente compreso tra il punto di contatto e la intersezione della tangente con una retta data.
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Geometria e fisica
~ea-L
ogni passante per R e che cada entro l'angolo ARB taglierà 11, mentre ogni linea-L passante per R e che cada entro l'angolo BRC non taglierà lt. (Definiamo pure la 'distanza-L' tra due punti-L come una certa funzione di quei punti e dei punti di intersezione con O della linea-L determinata dai punti-L dati. 4 'L'angolo-L' tra due linee-L che si intersecano è definito come l'angolo tra le tangenti alle due lineeL nelle loro intersezioni). Inoltre, si chiamerà 'triangolo-L' una figura chiusa formata da tre linee-L; e si chiamerà 'cerchio-L' una figura chiusa, tutti i punti-L della quale abbiano una distanza-L costante da un dato punto-L. In maniera analoga si possono definire altre figure-L. Si può tuttavia dimostrare che se nei postulati di Lobacevskij, sostituiamo al termine 'punto' l'espressione 'punto-L', e al termine 'linea retta' l'espressione 'linea-L', e cosi via, tutti gli enunciati che si vengono ad ottenere sono dimostrabili nella geometria euclidea. Per esempio, in seguito a tale sostituzione, il teorema di Lobacevskij sulla somma degli angoli di un triangolo di cui si è parlato a pagina 245 viene ad asserire quanto segue: la somma degli angoli di una figura euclidea limitata dagli archi dei cerchi ortogonali ad un dato circolo è minore di due angoli retti, essendo il difetto proporzionale all'area della figura. Ma si può dimostrare che tale asserzione è vera nella geometria euclidea. Ne segue che i!_ sistell!a di !:-obacevskij è non contr~~dittorio ::-::-. o per lo _.Q!eQQ_ç_}:t(!J2...L!~-~.12 quanto l~ometria ~ucl.ldea. Infatti, se il primo fosse contraddittorio, si troverebbe una contraddizione anche in quella parte della geometria euclidea che tratta le proprietà degli archi di cerchio ortogonali ad un dato circolo. Questa interpretazione piuttosto scheletrica della geometria piana di Lobacevskij si può rivestire in modo abbastanza fantasioso di carne. Immaginiamo che l'interno del cerchio O sia abitato da esseri a due dimensioni, il cui mondo sia limitato dalla circonferenza di O. Supponiamo inoltre che in tale universo la temperatura assoluta abbia un massimo nel centro di O, decrescendo poi con la distanza r dal centro, cosi che la temperatura assoluta T in un punto qualsiasi risulti data dalla formula T = c(Jel- r), essendo c una costante di proporzionalità. Supponiamo anche che tutti i corpi di questo universo abbiano lo stesso coefficiente di espansione termica, e che quando un corpo si sposta da un punto all'altro l'equilibrio termico tra esso e il suo contorno si stabilisca istantaneamente. Ne segue che la lunghezza di 4 Questa funzione è proporzionale al logaritmo del rapporto anarmonico dei quattro punti menzionati. Cosf, se P e Q sono due punti-L qualsiasi, ed A e B sono le intersezioni con O della linea-L determinata da P e da Q, allora la distanza-L tra P e Q è per definizione uguale a:
k
2
n evidente
1
X log
PA
QA)
~ PB : QB '
che la distanza-L tra un punto-L e qualsiasi punto sulla circonferenza di O è
infinita.
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La struttura della scienza
qualsiasi regolo misuratore sarà proporzionale alla sua temperatura assoluta. A uno spettatore quindi che non faccia parte di questo curioso mondo un regolo che venga trasportato verso la circonferenza di O apparirà come se si restringesse progressivamente. Un abitante di questo mondo non potrebbe mai perciò raggiungerne i confini; infatti, secondo quanto apparirebbe al giudizio dello spettatore, il corpo e i passi dell'abitante diventano piu piccoli via via che esso si muove verso la circonferenza; egli tuttavia non si accorgerebbe di questa contrazione. In effetti, dunque, per un abitante tutti i punti sulla circonferenza di O sono a una "distanza infinita" da qualsiasi punto entro l'universo. In piu, come si può dimostrare, per gli abitanti la "distanza minore" tra due punti qualsiasi del loro universo non sarebbe il segmento di retta euclidea congiungente i due punti, bensil'arco del cerchio passante per quei punti ed ortogonale al cerchio O. (Se poi facciamo l'ulteriore supposizione che la velocità della luce in qualsiasi punto di questo universo sia anch'essa proporzionale alla .temperatura assoluta in quel punto, la luce viaggerà lungo tali archi.) Infine, per un punto che non si trovi su una data retta di questo universo, si possono condurre infinite rette che non incontrano la retta data. Invece, tutte e due le linee passanti per quel punto e intersecanti la linea data sulla circonferenza di O saranno parallele alla linea data, perché la incontrano in punti "infinitamente remoti". In breve, in un universo simile gli abitanti troveranno che la geometria dei corpi è una geometria lobacevskijana. c) Come alternativa alla geometria euclidea non vi è soltanto la geometria pura di Lobacevskij-Bolyai. Infatti al postulato delle parallele di Euclide si può sostituire un contrario diverso da quello adottato nel sistema di Lobacevskij. Si ottiene una geometria noneuclidea distinta se si sostituisce il postulato di Euclide con l'assunzione che per un punto esterno ad una retta data non passa alcuna parallela ad essa. In tal caso però si devono apportare emendamenti anche ad altri postulati euclidei, per esempio al postulato che una retta possa venir prolungata indefinitamente, e che due punti determinano sempre un'unica retta. La geometria pura ottenuta quando si fanno tali alterazioni è chiamata "riemanniana ", anche se Riemann vi arrivò sviluppando le nozioni di Gauss di curvatura e di geodetica anziché usando il metodo assiomatico. I seguenti sono esempi di teoremi della geometria di Riemann: la somma degli angoli di un triangolo è sempre maggiore di due angoli retti, e l'eccesso è proporzionale all'area del triangolo; tutte le rette sono di lunghezza finita, e due rette racchiudono sempre una superficie; il rapporto della circonferenza di un cerchio e del suo diametro è sempre minore di 1t ed aumenta col diminuire dell'area del cerchio. È molto facile fornire un'interpretazione reale della geometria di
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Geometria e fisica
Riemann, e stabilire quindi la non contraddittorietà interna del sistema. A questo fine, si consideri la superficie di una sfera euclidea S, e si chiamino i suoi punti 'punti-R'. Gli archi dei cerchi massimi su S si chiameranno 'linee-R'; una figura chiusa su S limitata da tre linee-R si chiamerà un 'triangolo-R'; ed una figura chiusa su S tale che siano uguali tutte le linee-R condotte da ogni punto del contorno della figura a un punto-R fisso si chiamerà un 'cerchio-R'. Se ora sostituiamo nei postulati di Riemann all'espressione 'punto' quella di 'punto-R', alla espressione 'linea retta' quella di 'linea-R' e cosi via, otteniamo degli enunciati dimostrabili nella geometria euclidea della sfera. Per esempio il primo dei summenzionati teoremi della geometria pura di Riemann vien convertito nell'enunciato che la somma degli angoli di un triangolo sferico è maggiore di due angoli retti, di una quantità proporzionale all'area del triangolo, il che è un ben noto teorema della geometria sferica euclidea. Ne segue che la geometria di Riemann è non contraddittoria, o ad ogni modo Io è altrettanto quanto il sistema di Euclide. d) Ma le geometrie di Lobacevskij e di Riemann non esauriscono le possibilità di costruzione di geometrie diverse da quella di Euclide. Esse sono i due tipi piu familiari di sistemi non euclidei; per la descrizione di altri tipi occorrerebbe una preparazione matematica maggiore di quella che abbiamo supposta nel lettore. Per comprendere tuttavia adeguadatamente alcuni dei problemi di logica sollevati dalla fisica moderna è desiderabile almeno una conoscenza superficiale delle altre impostazioni della geometria non euclidea. Ne daremo quindi un resoconto altamente semplificato. . Come abbiamo già accennato, il metodo usato da Riemann per costruire il suo tipo di geometria non euclidea (e dopo di lui, ma in modo indipendente, costruito da Helmholtz) era basato su certe idee già sviluppate da Gauss nei suoi studi su varie specie di superficie e sulle loro proprietà intrinseche. Gauss dimostrò innanzi tutto che, data una superficie qualsiasi è possibile esprimere l'equazione di una figura qualunque su di essa in funzione di un sistema di coordinate contenute completamente in tale superficie. Dimostrò poi come la nozione di 'linea retta', considerata come equivalente al 'percorso piu breve tra due punti' si può generalizzare in modo da poter essere applicata a curve giacenti su superficie scelte ad arbitrio. I percorsi piu brevi sono chiamati le 'geodetiche'. Se dunque sono definite le geodetiche di una superficie, si hanno con ciò le regole per misurare le lunghezze su tale superficie. Su un piano euclideo, ad esempio, le geodetiche sono rette euclidee, e le lunghezze vengono misurate con le righe. Sulla superficie di una sfera, le geodetiche sono archi di cerchi massimi, e le lunghezze vanno misurate con righe che siano piccoli archi di cerchi massimi. Sulla superficie di un cilindro retto, invece, la situazione è piu complessa,
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La struttura della scienza
perché le geodetiche sono di vario tipo, e differiscono secondo la direzione in cui ci si sposta da un punto dato. Cosf, da un punto arbitrario in una direzione parallela all'asse del cilindro la geodetica è una retta euclidea; in una direzione perpendicolare all'asse la geodetica è un cerchio; in una direzione intermedia è una spirale. La situazione è ancora piu complicata nel caso di superficie piu complesse, come quella di un uovo o di una ciambella. In generale, la natura delle geodetiche di una superficie è diversa per i vari punti della superficie e per direzioni diverse passanti per uno stesso punto. Risulta tuttavia che il carattere delle geodetiche dipende intimamente da una certa proprietà "intrinseca" della superficie. Tale proprietà può variare da punto a punto della superficie, ma resta inalterata (e cioè invariante) quando la superficie venga deformata senza che la si sottoponga a tensione o a lacerazione. Cosf, nel caso di un piano, tale proprietà resta inalterata quando si arrotoli il piano in modo da formare un cilindro o un cono. Si dice che tale proprietà è "intrinseca" alla superficie, nel senso che è definibile esclusivamente in termini di sistemi di coordinate giacenti interamente sulla superficie e che non necessitano riferimento a niente all'esterno della superficie stessa. Per ragioni di analogia, Gauss chiamò tale proprietà la 'curvatura' della superficie in un punto - denominazione che finf per trarre in inganno i non matematici. Il tipo di relazione che sussiste tra geodetiche e curvatura è tale che, data la forma delle geodetiche che passano per un punto della superficie, si può dedurre la curvatura della superficie in quel punto. Se quindi siamo in· grado di misurare le distanze lungo i percorsi piu brevi che passano per un punto della superficie, possiamo calcolare la curvatura della superficie in quel punto. Di conseguenza, se si adottano regole differenti per la misurazione delle lunghezze (e quindi per la specificazione delle geodetiche), si ottengono valori differenti della curvatura della superficie. Esaminiamo l'analogia che condusse Gauss a introdurre la nozione di curvatura per le superficie. Consideriamo prima la curvatura delle curve. Si dice che un cerchio di raggio R ha una curvatura 1/R, poiché tale valore serve a misurare quanto la circonferenza si distacca dalla tangente in ogni punto. È chiaro che ogni cerchio ha una curvatura costante. Per altre curve, la curvatura in ogni punto è definita come la curvatura di quello che vien chiamato il "cerchio osculatore" in quel punto. Il cerchio osculatore in un punto di una curva è il cerchio che passa per quel punto e per due punti "adiacenti". Una definizione piu precisa di tale cerchio è la seguente: sia P un punto dato di una curva, e M e N due altri punti su di essa; questi tre punti determinano un unico cerchio. Si tenga ora fisso P e si facciano muovere M e N verso P. I cerchi determinati da questi tre punti saranno, in generale, diversi tra loro. Quando infine M e N coincidono con P, si otterrà un cerchio limite, che è il cerchio osculatore in P.
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l!leometria e fisica
È utile distinguere tra direzione positiva e direzione negativa in cui risulta tracciato il raggio del cerchio osculatore al punto di contatto con la curva; di conseguenza, la curvatura di una curva in un suo punto può essere negativa o positiva, o anche nulla. Per esempio, un'ellisse ha una curvatura positiva variabile, perché i raggi dei cerchi osculatori in vari punti dell'ellisse non sono di grandezza costante, ma son tutti diretti verso l'interno dell'ellisse. Una spirale equiangola ha una curvatura positiva costante. Una retta ha una curvatura costante uguale a zero (una retta può venir concepita come un cerchio di raggio infinito, cosi che la curvatura, essendo il reciproco del raggio, è uguale a zero). Una parabola cubica ha una curvatura variabile, che qualche volta è positiva, qualche altra volta è negativa e qualche altra volta ancora è nulla. Consideriamo quindi una superficie scelta ad arbitrio. Si conduca una retta normale alla superficie in un suo punto qualsiasi, e si immagini un piano che contenga la normale e che intersechi la superficie. Si faccia ruotare tale piano intorno a un asse costituito dalla normale. In ognuna delle sue posizioni il piano in genere intersecherà la superficie secondo una curva. I segmenti delle curve nella immediata vicinanza del piede della normale saranno le geodetiche della superficie in quel punto. Ora si può dimostrare che in generale la curvatura C1 ·di una certa geodetica è la massima fra le curvatura delle geodetiche passanti per quel punto, mentre la curvatura Cz di un'altra geodetica è la minima. Gauss chiamò il prodotto K = CtC2 la 'curvatura di una superficie in un suo punto'; ed è facile vedere che K può essere positivo, negativo, o nullo, e può avere un valore costante per tutti i punti della superficie oppure diverso da punto a punto. Cosf, una sfera avente raggio R ha una curvatura costante positiva 1/R2 • Un piano ha una curvatura costante uguale a zero, ma tale l'ha pure un cilindro retto o un cono retto. La superficie a sella ottenuta facendo ruotare una trattrice intorno al suo asintoto ha una curvatura negativa costante uguale a - 1/R2, dove R è il raggio della sezione circolare maggiore della superficie. La superficie di un uovo ha una curvatura positiva variabile, che è maggiore nei punti prossimi alla estremità piu affusolata dell'uovo e minore nei punti prossimi all'altra estremità. Esistono anche superficie a sella che hanno una curvatura negativa variabile. Un notevole risultato dell'analisi di Gauss consiste nell'importante teorema il quale dice che due superficie hanno la stessa geometria in regioni "non troppo grandi", se e solo se in tali regioni le superficie hanno la stessa curvatura. Per esempio, se per "linea retta" intendiamo "geodetica su una superficie", allora la geometria del piano euclideo è identica alla geometria di una porzione limitata di cilindro retto. Cosi, per entrambe tali superficie la somma degli angoli di un triangolo è uguale a due angoli retti, e il rapporto della circonferenza di un
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La struttura della scienza
cerchio e del suo diametro è uguale a 1t. Invece, la geometria della superficie di una sfera è diversa da quella di un piano o di una superficie a sella; quindi, la somma degli angoli di un triangolo sferico è maggiore di due angoli retti, mentre la somma degli angoli di un triangolo piano è sempre uguale a due angoli retti. La spiegazione testé accennata della nozione di curvatura, tanto per una curva che per una superficie, può facilmente portare a credere che una curva (o una superficie) abbia una curvatura solo in quanto essa è una figura in uno "spazio" avente un numero di dimensioni maggiore del proprio. Per esempio si è definita la curvatura di un cerchio come il reciproco del suo raggio, cosi che sembra a tal fine necessario uscire dalla circonferenza, unidimensionale, per entrare nel piano, bidimensionale. Analogamente la curvatura di una superficie a due dimensioni è stata spiegata in termini di un piano passante per una normale alla superficie, onde appare che la nozione della sua curvatura implichi il riferimento ad una terza dimensione. In effetti non vi è dubbio che Gauss fu condotto alla sua analisi della curvatura dalla considerazione delle curve e delle superficie in quanto contenute in spazi a maggior numero di dimensioni; e questo modo di presentare alcune delle idee gaussiane offre indubbiamente vantaggi euristici e pedagogici. Purtuttavia, sarebbe un grave errore quello di credere che l'unico modo di definire la curvatura di una curva o di una superficie sia quello che si vale del riferimento a uno spazio contenitore avente una dimensionalità superiore. Al contrario, si può definire la curvatura di una curva (e similmente quella di una superficie) esclusivamente in termini di relazioni tra grandezze che appartengono alla curva (o alla superficie) stessa. La nozione di èurvatura è quindi completamente indipendente dal riferimento anche implicito a spazi a maggior numero di dimensioni. Non è però possibile dare qui la precisa definizione di curvatura enunciata interamente in termini di relazioni tra grandezze appartenenti ad una figura e senza l'implicazione del riferimento, neppure tacito, a qualcosa di esterno alla figura; occorrerebbe infatti, per tale definizione, far ricorso a tecniche matematiche piu avanzate di quelle familiari alla maggior parte dei lettori. Dovremo perciò accontentarci di asserire come dato di fatto che tale definizione si può dare.' Al proposito può tuttavia risultare utile un'analogia. Un ellissoide è spesso definito come la superficie generata da un'ellisse che ruoti intorno al suo asse maggiore. Non ne segue, tuttavia, che questo sia l'unico modo in cui si possa definire un ellissoide; per esempio lo si può definire come una superficie > La struttura generale della definizione è la seguente: sia S una superficie a piacere, e siano u e v le coordinate di un suo punto rispetto ad un sistema di coordinate che giaccia interamente sulla superficie stessa. Allora la distanza elementare ds tra due Edu' + 2Fdudv + Gdv', dove E, F punti qualsiasi di S molto prossimi è definita da ds'G sono certe funzioni delle coordinate che dipendono dal metodo di misurare le distanze
=
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Geometria e fisica
i cui punti soddisfino, in una rappresentazione in un certo sistema di coordinate cartesiane, l'equazione x2/a 2 + y 2/b 2 + z2/c 2 = l. Sarebbe inoltre un grossolano errore il concludere che un oggetto, poniamo un confetto, per il fatto di essere un ellissoide, debba esser stato prodotto ruotando un'ellisse. Similmente quella che nella filosofia politica è nota come "teoria del contratto sociale" è abitualmente formulata in termini di una supposta formazione di organizzazioni politiche in qualche epoca storicamente remota, come se prima di allora gli uomini vivessero senza istituzioni sociali. Ma lo scopo di tale teoria non è quello di avanzare una tesi storica, bensi di analizzare la struttura degli obblighi politici. Il linguaggio storico in cui è espressa la teoria del contratto sociale è quindi un espediente espositivo, ed è perciò errato valutare l'adeguatezza della teoria come se essa fosse un enunciato riguardo alle origini storiche. L'esposizione sopra accennata della nozione di curvatura va considerata esattamente nello stesso modo, cioè come un'esposizione che si vale di una forma di enunciazione euristicamente preziosa, ma da non intendersi in senso letterale. Il punto fondamentale da osservare comunque è che la curvatura di una curva o di una superficie può venir definita senza l'introduzione di considerazioni riguardanti dimensioni di uno spazio maggiori di quelle rispettivamente delle curve e delle superficie. L'analisi gaussiana della curvatura non oltrepassò la curvatura delle superficie. Fu il merito principale di Riemann l'aver generalizzato le idee di Gauss, in modo che si possano impiegare le nozioni di geodetica e di curvatura a proposito di spazi aventi un numero qualsiasi di dimensioni. In particolare, l'opera di Riemann ha reso possibile definire le geodetiche e le curvature di varietà o continui tridimensionali, senza supporre che queste varietà siano contenute in uno spazio a quattro dimensioni. Come nel caso delle superficie a due dimensioni, la curvatura di Riemann dei continui tridimensionali può essere positiva, negativa, o nulla, e può essere costante per tutti i punti o variare da punto a punto. C'è poi una intima connessione tra la geometria di uno spazio e la sua curvatura. La geometria infatti soddisfa i requisiti del tipo riemanniano di geometria non euclidea quando la curvatura dello spazio adottato per S. Se L, N e M sono certe funzioni di E, F e G e quindi delle coordinate, allora la curvatura K di S in un punto dato è definita come (LN-M2 ) K (EG- P)
=
Si può anche seguire la seguente via. Le aree della superficie di una piccolf sfera, e il suo volume V, sono date dalle formule
dove r è il raggio della sfera e k la curvatura dello "spazio". Cfr. H. P. RaBERTSON, Geometry as a Branch of Physics, in Alberi Einstein: Philosopher-Scientist (a cura di Pau! A. Schilpp), Evanston, III., 1949; trad. it. a cura di A. Gamba, Torino, 1958.
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La struttura della scienza
è costante e positiva; è lobacevskijana quando la curvatura è costante e negativa; è essenzialmente euclidea quando la curvatura è uniformemente uguale a zero. Poiché la curvatura di una varietà dipende da quali sue linee siano definite come geodetiche, essa dipende dalle regole adottate per la misura delle lunghezze. Il punto di interesse fondamentale che emerge dalla maniera in cui Riemann impostò la costruzione di geometrie non euclidee è quindi il seguente; _il__!~~- 9:Lg~<::>~e tria !ic~iest~-~ -~_a __~()p_seg'l,l_e!l~l1_delle re_g_2l~ 11c!ottate (o tacit11men1~ impiegate) per eseguire misurazioni s~aziali. L'importanza di tale punto diventeràsubito evìdente--:--··------ -~--- -----· e) Fin qui abbiamo indicato due modi di impostare la costruzione di geometrie non euclidee; quello assiomatico e quello riemanniano, in termini di geodetiche, curvature e misurazioni. C'è tuttavia un terzo metodo cui sarà bene dedicare un breve cenno. Esso sottolinea le differenze nelle trasformazioni in cui è invariante nelle diverse geometrie ciò che vien definito come "distanza" tra due punti. Questo terzo metodo, sviluppato da Cayley e Klein nell'ultimo terzo del XIX secolo, vede le varie geometrie fin qui considerate dal punto di vista della ~metti-l!___E_rQi~!tivll. Queste geometrie, inclusa quella euclidea, sono caratterizzate come "metriche", perché fanno tutte un uso essenziale della nozione di congruenza, cioè dell'uguaglianza di segmenti, di angoli, di aree e di volumi. La geometria proiettiva invece fa completamente a meno di tale nozione, e studia solo quelle proprietà delle figure che sono invarianti rispetto alla proiezione. Per esempio, si proietti un triangolo da un piano ad un altro, cioè da un punto esterno ad entrambi i piani si conducano delle rette attraverso i punti del triangolo e si prolunghino fino ad incontrare l'altro piano, cosf che su quest'ultimo si formi un'immagine del triangolo dato. In generale, né le lunghezze dei lati, né le ampiezze degli angoli, né l'area del secondo triangolo saranno uguali ai corrispondenti elementi del primo triangolo. Tuttavia, alcune proprietà della figura data rimangono invarianti in questa trasformazione per proiezione. Per esempio, ad ogni gruppo di punti che sono allineati nella prima figura corrisponderà un gruppo di punti allineati nella seconda, e a tutte le rette che sono concorrenti in un punto della prima figura corrisponderanno rette concorrenti nella seconda. Come secondo esempio, si consideri la proiezione di un cerchio da un piano a un altro. La figura del secondo piano corrispondente al cerchio del primo piano non sarà in generale un cerchio, ma sarà una sezione conica; e le rette che si incontrano sulla circonferenza del cerchio saranno trasformate in rette che si incontrano sul contorno della seconda figura. È possibile stabilire in modo piu generale il contenuto della geometria proiettiva pura, e per i nostri fini ciò è indispensabile. Dati quattro punti qualsiasi le cui posizioni su una retta siano specificate
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Geometria e firica
dalle quattro coordinate Xt, x2, X3, X4 nell'ordine dato, si può formare con le differenze di tali coordinate un rapporto particolare, chiamato "rapporto anarmonico" dei punti dati. Tale rapporto è il birapporto:
Le coordinate tJossono venir introdotte in modo puramente proiettivo, senza far uso della nozione di congruenza o di distanza. La differenza nninrli tra coorclin::~te ( oer esemnio. x1 - x,) non va intesa come mi~11ra rll'll>t rli~t::~nza tra i ounti corri~nonrlenti. In modo analOQ'o è oossihile definire il r~mnorto f!narmonirn di anattro rette concorrenti P-iacenti sullo stesso ni"nn. come nme anello di anllttro oiani che hanno una retta in comnne. Ri~11lta innltre che i tf!nnorti >tnarmonici sono invarianti nelle trasformM~ioni nrniettive. e~sendo t" li trasforma7ioni rannresentabili e~~e stesse aloehrir::~mente net meno eli trasformazioni line~ri omoq-enee delle coorclinate_ La PPometri::~ nroiettiva nuò dunoue venir caratterizzata come la teoria di quelle trasformazioni che lasciano invarianti i rapporti anarmonici. La p-eometria oroiettiva può a sua volta venir sviluppata in via assiomatica, in modo che i suoi oostulati non contengano assunzioni relative alla congruenza o al parallelismo. Essa è quindi neutrale risoetto aiie tre geometrie metriche che abbiamo consirlerato, ed i snoi ~ssio mi e teoremi sono compatibili con mmuna di tali geometrie. In effettì'l la geometria tJroiettiva è piu generale di ciascun~ di esse, in quanto l verte su stmtture di relazioni comuni a tutti e tre i sistemi metrici. 1 Sorge anindi naturale la domanda se si tJOssa dimostrare che le trP.~ geometrie metriche sono tre casi particolari della teoria generale. e cin a mezzo di opportune specializ:z:azioni delle trasformazioni generali adonerate nella geometria proiettiva. La risposta è affermativa; e in realtà il noc;tro interesse per la geometria proiettiva si limita qui a rendere evidenti in un modo generale le basi di tale risposta. Un gruppo sufficiente di postulati della geometria proiettiva può venir esnosto in modi diversi. ciascuno dei quali impiega certi termini come nrimitivi o non definiti. A questo proposito non entreremo in dettaP"li. Sunooniamo comunque che si sia adottato un certo s:mmno di postuhti. che impieghi come termini orimitivi le espressioni ~x è un nunto', 'y è una linea', 'x giace su y' e 'x si trova tra w e z'. Con l'aiuto di questi termini e dei oostulati si possono definire altri termini. come 'piano', 'triangolo' e 'rapporto anarmonico'; in particolare !'i oossono dare definizioni puramente proiettive di certe struttnte di nunti, lineP e piani. che son designati come 'coniche' e 'auadrkhe' (cioè superficie come l'ellissoide, in uno spazio tridimensionale). Inoltre. h~nch~ in geometria proiettiva non sia possibile distingnere tra gli abituali tipi di sezioni coniche (cioè tra cerchi, ellissi, iperboli e para-
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bole), è possibile distinguere tra coniche "reali" e "immaginarie". Sono reali quelle coniche le cui coordinate sono numeri reali; sono immaginarie quelle le cui coordinate possono essere solo numeri complessi. Si può anche dimostrare che una retta arbitraria incontra una conica, sia essa reale o immaginaria, in due punti. Vogliamo ora !imitarci alla geometria proiettiva piana, stipulando che una conica data (in un piano) - conica che chiameremo I"' assoluto" - deve rimanere invariante rispetto a tutte le trasformazioni proiettive (cioè rispetto a tutte le trasformazioni lineari omogenee). Ciò equivale a dire che punti della conica devono esser trasformati in punti della conica stessa. Siano inoltre x1 e xz Ie coordinate di due punti qualsiasi di una retta che interseca l'assoluto nei punti di coordinate a e b. Il rapporto anarmonico di questi quattro punti sarà allora invariante rispetto alle trasformazioni proiettive. Definiamo infine come "distanza" tra i due punti X1 e xz il prodotto di una certa costante k e del logaritmo di tale rapporto anarmonico. Si può dimostrare che la distanza cosi definita ha le abituali proprietà additive della distanza quale è ordinariamente intesa. Per esempio, se A, B e C sono tre punti qualsiasi su una retta, tali che B si trovi tra gli altri due, allora la distanza definita proiettivamente tra A e C è uguale alla somma della distanza tra A e B e della distanza tra B e C. In modo analogo si può definire l'ampiezza dell'angolo formato da due rette. Veniamo finalmente al risultato piu importante dell'impostazione proiettiva. Le misure di distanza e di angolo, definite proiettivamente, soddisfano i requisiti dell'una o dell'altra delle tre geometrie metriche, a seconda del carattere particolare della conica assunta come assoluto. Se essa è immaginaria, la geometria è riemanniana; se è immaginaria ma degenera in una coppia di rette immaginarie, la geometria è euclidea; .; r se essa è reale, la geometria è lobacevskijana. Le tre geometrie metri, che si possono dunque effettivamente considerare quali specializzazioni di una geometria proiettiva che le comprende tutte, cosicché le differenze tra le geometrie metriche possono considerarsi generate da definizioni diverse di distanza.• 2. Abbiamo fìn qui descritto alcune delle caratteristiche distintive delle tre geometrie metriche, ma ben poco abbiamo detto a propo6 Per una trattazione completa dell'impostazione proiettiva, v. FELIX KLEIN, Vorlesungen Uber Nicht-Euklidische Geometrie, Berlin, 1928. Allo stesso proposito è degno di nota un punto importante. Le formule proiettive che definiscono la distanza e la mi-
sura di un angolo hanno la stessa forma algebrica in ciascuna delle tre geometrie metriche. Queste formule ci permettono quindi di stabilire una corrispondenza biunivoca tra gli enunciati di una geometria e quelli di ciascuna delle altre, in modo tale che le relazioni deduttive tra enunciati di un sistema sono le stesse di quelle tra i corrispondenti enuncati di ciascuno degli altri sistemi. La contraddittorietà o non contraddittorietà di un sistema (ad esempio della geometria euclidea) porta quindi con sé la contraddittorietà o non contraddittorietà di ciascuno degli altri. L'impostazione proiettiva illustra cosi il secondo metodo per stabilire la non contraddittorietà, a cui si è accennato nel testo a pagina 244.
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sito delle relazioni tra di esse. Potrebbe sembrare a prima vista che ci sia poco da dire al proposito, dato che ciascuno dei tre sistemi è incompatibile con ciascuno degli altri, e che ciò esaurisca l'argomento. La situazione è però piu complessa e richiede un esame piu approfondito. a) Prima di tutto va messo in chiaro in quale senso le tre geometrie metriche siano reciprocamente incompatibili. Si supponga che i termini primitivi della geometria euclidea pura E siano Pl, P1, ... , P~ (cioè, 'punto', 'linea', 'piano', 'giace su', 'si trova tra'), e che con il loro aiuto si definisca un numero indefinito di altri termini DT, D1, .... Similmente, siano Pf, Pt .... e Df, D! ... rispettivamente i termini primitivi e quelli definiti della geometria lobacevskijana pura L, e analogamente siano Pt Pt ... e D1, Dt ... i termini della geometria riemanniana pura R. Chiameremo primitivi "corrispondenti" i termini primitivi dei tre sistemi aventi gli stessi indici in basso. Si supponga che anche i termini definiti in ciascuno dei tre sistemi siano definiti in modo precisamente analogo in base ai termini primitivi del sistema corrispondente! Assumiamo ora che uno degli assiomi di E, diciamo Al, sia il seguente schema di enunciato: se x è e y è P1, c'è un solo z che sia un P1, tale che z giaccia su x ed abbia con y la relazione Dt. Invece l'assioma Af è quest'altro schema di enunciato: se x è un Pf e y è un P!, ci sono esattamente due z che sono P! tali che ciascun z giaccia su x ed abbia la relazione Df con y. L'assioma At poi, è lo schema di enunciato: s~ x è un Pf e y è un Pt. non esiste alcuno z che sia un P~ tale che z giaccia su x ed abbia la relazione Df con y. Risulta allora ovvio da un esame delle strutture formali di questi tre postulati che se si assegna la stessa interpretazione a termini corrispondenti dei tre sistemi, è impossibile che un'interpretazione soddisfi piu di un sistema. Piu in generale, siano 5 1 e 52 due qualsiasi sistemi basati su postu--/ lati, e si facciano corrispondere i termini primitivi e definiti di uno in maniera biunivoca ai termini primitivi e definiti dell'altro. Ora, se un postulato A o un teorema T di S1 è formalmente incompatibile con un postulato A' o con un teorema T' di S2, allora non si può dare nessuna interpretazione vera di entrambi i sistemi che interpreti nello stess<.> modo i termini corrispondenti.
Pr
b) È tuttavia essenziale l'osservare che le tre geometrie metriche pure sono incompatibili solo a condizione che si dia ai termini corrispondenti la stessa interpretazione. Esse non sono invece affatto necessariamente incompatibili se si danno ai termini corrispondenti inter7 Cosf, si supponga che 'x ha D 1E con y' sia definito come 'x e y sono entrambi P,E; e che esista un v che sia un P,E tale che x e y giacciano entrambi su v; e che non esista un w che sia un P1E tale che w giaccia tanto su x quanto su y'. Quindi D 1E è definito in maniera analoga a quella della abituale definizione di 'parallela'.
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pretazioni differenti, oppure se si dà la stessa interpretazione a termini che non sono corrispondenti. Prima di applicare tale osservazione alle tre geometrie metriche, vogliamo usarla a proposito della sola geometria euclidea. Come è ben noto, esistono vari gruppi diversi di postulati della geometria euclidea, ciascuno dei quali adopera come primitivi dei termini differenti. Per esempio i postulati dati da Veblen (chiamiamoli Ev) son formulati con l'aiuto dei termini primitivi 'punto', 'tra' e 'congruente'. I postulati invece dati da Huntington (chiamiamoli EH) son formulati per mezzo dei termini primitivi 'sfera' e 'inclusione'." Tuttavia, nonostante le differenze dei postulati e dei primitivi di Ev e di EH, i sistemi sviluppati sulle basi di questi diversi fondamenti sono logicamente equivalenti, tanto che essi son poi i fondamenti di uno stesso sistema di geometria. Cosf, è possibile definire in Ev alcuni termini 'sferav' e 'inclusionev' aventi le stesse proprietà formali in Ev possedute in EH dai termini 'sferaH' e 'inclusioneH'; reciprocamente e analogamente per certi termini definibili in EH. Quando dunque si stabilisca un'opportuna corrispondenza tra i termini di Ev e quelli di EH, si può dedurre da ciascun gruppo di postulati l'altro gruppo. Invece, quando si fa corrispondere il termine 'punto' di Ev al termine, per esempio, 'sfera' di EH, non soltanto i due sistemi non saranno equivalenti, ma addirittura saranno incompatibili. È chiaro dunque che la domanda se due sistemi di geometria pura sono compatibili dipende dal modo in cui si stabilisce una corrispondenza tra i rispettivi termini. Torniamo ora alle tre geometrie metriche pure. Basterà considerarne due, ad esempio i sistemi euclideo e riemanniano. Abbiamo già dimostrato che il sistema riemanniano è altrettanto non contraddittorio quanto quello euclideo, col dare ai termini primitivi della geometria riemanniana un'interpretazione che trasformava i suoi postulati in teoremi della geometria sferica euclidea. Domandiamoci ora che cosa si sia fatto dando tale interpretazione, alla luce della disamina del paragrafo precedente. Nelle loro formulazioni tradizionali, tanto la geometria pura euclidea quanto quella riemanniana contengono il termine 'retta', il quale funziona in entrambe tali geometrie pure come termine non interpretato, sebbene gli si possano associare certe immagini. In realtà le proprietà formali di una cosa qualsiasi, che risulti una linea retta come stipulata dagli assiomi della geometria euclidea, sono completamente diverse dalle proprietà formali delle linee rette riemanniane. Ne segue che se si prendessero come termini corrispondenti ai quali dare la stessa interpretazione la 'retta' (di Euclide) e la 'retta' (di Riemann), 8 Cfr. E. V. HuNTINGTON, A Set o! Postulates /or Abstract Geometry, "Mathematische Annalen", vol. 73 (1913), pp. 522-59. Il primo postulato di Huntington si legge come segue: Se x, y, z sono sfere, e x è inclusa in y ed y in z, allora x è inclusa in z. Ciò rende impossibile interpretare la relazione di "inclusione" come la relazione di Veblen "x giace su y", perché quest'ultima non è transitiva.
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sarebbe logicamente impossibile dar loro un'interpretazione soddisfacente per entrambi i sistemi. È evidente, quindi, che si stabilisce la non contraddittorietà del sistema riemanniano non prendendo come termini corrispondenti nei due sistemi 'rettaE' e 'rettaR', ma trovando qualche altro termine in Euclide (e precisamente 'arco di cerchio massimo di una sfera') come termine corrispondente di 'rettaR'· Una volta compreso questo punto, diventa chiaro che il passo essenziale per provare la non contraddittorietà dei postulati di Riemann non è adeguatamente stabilito coll'affermare che la prova consiste nel dare un'interpretazione geometrica che conduca a un teorema euclideo valido. Infatti tale prova riposa in ultima istanza sulla possibilità di definire un termine per mezzo di primitivi euclidei, in modo tale che esso possieda entro il sistema euclideo le stesse proprietà formali della 'retta' entro il sistema riemanniano. L'argomentazione quindi a prova della non contraddittorietà della geometria riemanniana può venir enunciata in modo puramente formale. Ciò che vien stabilito da tale argomentazione è che, dato un qualsiasi postulato riemanniano avente una certa struttura logica e in cui entrino a far parte i termini primitivi del sistema, si può trovare uno schema di enunciato entro il sistema di Euclide che ha la stessa struttura logica del postulato riemanniano, ma di cui fanno parte dei termini, primitivi o definiti, di Euclide. Ne segue immediatamente che se ai termini dei due sistemi fatti in tal modo corrispondere si dà un'interpretazione comune, un'interpretazione che trasformi i postulati euclidei in enunciati veri trasformerà automaticamente i postulati di Riemann in enunciati veri. c) È comunque chiaro che una simile procedura può venire invertita, fornendo un'interpretazione dei postulati di Euclide che li trasformi in teoremi riemanniani. In /tale procedura invertita il termine euclideo 'linea retta' non corrisponderà, naturalmente, alla 'retta' riemanniana, perché, se cosf. fosse, il teorema euclideo 'la somma degli angoli di un triangolo è uguale a due angoli retti' verrebbe trasformato nell'espressione riemanniana equivalente, la quale è incompatibile con i postulati riemanniani. Tuttavia, anche se non possono esistere triangoli riemanniani la cui somma degli angoli, come risulta definita dalle regole riemanniane per la misurazione degli angoli, sia uguale a due angoli retti, esistono altre figure riemanniane, limitate da linee che non sono rette riemanniane, e che hanno tale somma degli angoli. _, Ne segue che le geometrie pure euclidea e riemanniana non sonò "intrinsecamente" incompatibili. Al contrario, sono formalmente traducibili l'una nell'altra, nel senso del tutto generale che segue. Siano 5 1 e 5 2 dùe sistemi deduttivi. Il primo impieghi i p termini primitivi:P}, P!, ... , Pb, mentre il secondo impiega i q termini primitivi: P~, Pt ... ,P~, potendo p non essere uguale a q. Il primo inoltre sia basato
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sugli m postulati: A} (P}, P}, ... , P1), ... , A~ (P}, ... , P1), mentre il secondo sia basato sugli n postulati: A] (P], ... , P~), ... , A~ (P], ... , P~), anche qui potendo m non essere uguale a n. Si supponga pure che sia possibile definire in Sz un insieme di termini D], ... , D~, tale che gli schemi di enunciati A} (D], ... , D~), ... , A~ (D], ... , D~) siano deducibili dai postulati di Sz; e si supponga infine che sia possibile definire in S, un insieme di termini D}, ... , D~, tale che gli schemi di enunciati A] (D}, ... , D~), ... , A~ (D}, ... , siano deducibili dai postulati di S,. Si dirà che i due sistemi S, e Sz per i quali si sono fatte tali assunzioni, sono "formalmente traducibili l'uno nell'altro"." In tale senso quindi sono formalmente traducibili l'una nell'altra non solo le geometrie euclidea e riemanniana, ma anche quelle euclidea e lobacevski j an a.
m)
d) Tale conclusione è infatti illustrata dagli altri modi, cui abbiamo accennato, di sviluppare geometrie non-euclidee. Cosi, l'impostazione che si vale delle nozioni di geodetica e di curvatura mette in luce il carattere metrico delle differenze tra le tre geometrie, in modo che la mutua incompatibilità prima facie dei sistemi risulta la conseguenza dell'adozione di regole diverse o di metriche diverse per la misurazione delle grandezze spaziali. L'impostazione attraverso la geometria proiettiva aggiunge forza a tale punto, fornendoci inoltre quelle che in effetti sono formule di traduzione, tali che per loro mezzo si può stabilire tra i termini dei tre sistemi una corrispondenza per tradurre ciascuno di essi in uno degli altri. 'i: Possiamo quindi concludere che le differenze fra i tre sist<;mi_.4i geometria pura che abbiamo considerato SOl1_Q__f.Hfff;l~!l~~-9i_~tQlq_zione. Abbiamo perciò a che fare con tre sistemi che codificano le stesse cose in modi diversi, oppure cose diverse nello stesso modo. Cosi, in tutti e tre i sistemi viene adoperato il termine 'triangolo'. Tuttavia, quelle cose che vengono correttamente designate come triangoli in base ai requisiti di uno dei sistemi, in un altro dei sistemi verranno correttamente designate da un termine diverso; d'altra parte, le cose correttamente descritte come triangoli entro il quadro di un sistema, non saranno cose correttamente descritte come triangoli in un altro dei sistemi. È quindi indubbiamente possibile considerare le tre geometrie pure come sistemi alternativi di regole per impiegare termini come 'triangolo', 'cerchio', 'distanza', e simili. Ma se tale è il risultato del nostro esame, non si tratta forse di un risultato banale, il quale indica che le geometrie pure non euclidee non hanno importanza scientifica? La risposta al quesito è completamente negativa. La costruzione di "grammatiche" o sistemi alternativi per l'uso delle locuzioni geometriche familiari ha di fatto permes9 Naturalmente nel corso di questa analisi si è assunto che i principi logici impiegati per la deduzione siano gli stessi in 5 1 e in 52 •
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so l'analisi e l'organizzazione delle relazioni spaziali da prospettive differenti. Tali possibilità poi non solo son diventate la base per far progredire la nostra conoscenza di varie strutture spaziali in cui entrano a far parte i corpi, ma hanno pure fornito delle valide strutture·. concettuali per lo sviluppo di teorie fisiche piu inclusive e maggior- · mente unificate. Esamineremo ora, sia pure per sommi capi, in quale modo tali teorie fisiche piu unificate siano state in effetti fondate su sistemi di misurazione non euclidei.
II. La scelta della geometria Alla luce di quanto precede, possiamo assumere che sono a nostra disposizione almeno tre sistemi diversi di geometria pura. Ciascuno di essi, quando sia opportunamente interpretato in termini di certe caratteristiche e di certi comportamenti degli oggetti fisici, può servire da teoria di misurazione spaziale.'" Come effettueremo la scelta tra tali alternative, e in base a quali ragioni, se ve ne sono, adotteremo un sistema a preferenza di un altro? Occorre a questo punto chiarire che la domanda investe due argomenti distinti. Dato che i tre tipi principali di geometrie pure sono traducibili l'uno nell'altro, non è possibile che una interpretazione che trasforma gli schemi di enunciato di un sistema in enunciati veri non faccia altrettanto per gli altri due sistemi. L'unica differenza tra i tre sistemi di enunciati ottenuti in tal modo è che gli stessi fatti ricevono formulazioni diverse. Se quindi si intende la domanda come se significasse: "Data una certa classe di proprietà e relazioni spaziali tra corpi, quale linguaggio dobbiamo adottare per formularle, e quale ragione vi è per preferire un linguaggio ad un altro?", la risposta è evidente. "Per quel che riguarda i fatti empirici da codificare e prevedere" siamo obbligati a rispondere "l'adozione di un linguaggio piuttosto che un altro non porterà la minima differenza". Potremo però, eventualmente, trovare che un linguaggio è piu conveniente di un altro, e forse per piu di una ragione. Possiamo per esempio trovare il linguaggio euclideo psicologicamente piu semplice di un altro, se non altro perché vi siamo piu abituati. Può anche darsi che constatiamo di aver bisogno di riferirei a certi tratti spaziali dei corpi piu frequentemente che ad altri, e che la loro formulazione analitica euclidea sia piu economica e implichi un numero minore di calcoli che quella dei sistemi non euclidei. Le ragioni, comunque, per adottare una geometria a preferenza di un'altra non vanno ricercate nelle strutture spa10 Queste diverse possibilità comprendono non soltanto le tre geometrie metriche che abbiamo esaminato, ma anche geometrie metriche che trattano di curvature variabili. Per maggior semplicità ci limiteremo alle prime.
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ziali o fisiche dei corpi, ma nei maggiori vantaggi pratici che un sistema di notazione e di analisi può presentare rispetto agli altri." Un simile modo di rispondere e di intendere la domanda sopra enunciata costituisce una fase della filosofia della scienza nota come "convenzionalismo", e di cui fu grande sostenitore Poincaré; esamineremo ora la sua tesi. La suddetta domanda può però venir intesa in un senso un po' diverso, e anche la risposta ne risulta modificata. Supponiamo di occuparci di una classe di spigoli, superficie, volumi e simili, che decidiamo di chiamare "rette", "piani", "sfere" ecc. Si supponga inoltre di aver stabilito una corrispondenza biunivoca tra i termini contenutistici delle tre geometrie pure, in modo che, quando si sostituiscano alle espressioni già dotate di significato "retta", "piano", "sfera" ecc. i termini corrispondenti delle geometrie pure, i tre sistemi di enunciati che risultano siano mutuamente incompatibili. La domanda posta piu sopra può ora venire interpretata come se significasse "dato che le diverse geometrie, una volta _m_licate, non possono essere tutte vere, esiste un modo per operare una scelta tra di esse, ed esistono considerazioni basate su fatti empirici che possano obbligare all'adozione di uno dei sistemi?" Intesa in tal senso, la domanda non dà luogo ad una risposta spedita come nel caso precedente. Dovremo esaminare alcuni dei complessi problemi che sorgono in connessione a questo nuovo senso in cui la si può intendere. l. A prima vista, la domanda volta a stabilire quale dei tre sistemi
di geometria applicata sia vero appare interamente decidibile in base a dati di fatto empirici. Tuttavia, come si è già osservato, il problema si complica per la circostanza che ha senso discutere della verità di una geometria solo se si sono in precedenza istituite due procedure. In primo luogo, è necessario che sian stati costruiti o identificati vari oggetti, chiamati "rette", "piani", ecc. mediante regole di costruzione o di identificazione specificabili indipendentemente dall'uno o dall'altro dei sistemi di geometria. Se ciò non è stato fatto, allora, o non esiste una materia da indagare attraverso i metodi empirici, oppure essa consiste di configurazioni che soddisfano per stipulazione iniziale l'una o l'altra delle tre geometrie. In secondo luogo, occorre che sia specificata una procedura esplicita ed empirica per effettuare misurazioni spaziali, in modo che, in particolare, si sian stabilite regole che definiscano quali corpi vadano considerati "rigidi". Se ciò non è stato fatto, è impossibile attribuire valori numerici alle grandezze spaziali, e quindi controllare sperimentalmente una qualsiasi delle geometrie metriche applicate. Già si è accennato nel capitolo precedente a entrambe tali condizioni richieste, ma occorre dedicare un approfondimento alla questione della rigidità dei corpi. a) La nozione di rigidità è completamente implicata in qualsiasi teoria di misurazione spaziale. Nell'eseguire tali misurazioni, i corpi
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devono venir spostati o orientati nuovamente nelle loro pos1z10ni; si deve quindi tener conto della possibilità che le relative grandezze spaziali (cioè, le loro relative lunghezze) possano venir alterate per effetto di varie influenze fisiche. Nasce cosi il problema se la riga adottata come unità standard di lunghezza subisca deformazioni nel corso della procedura di misurazione. Infatti, a meno che ci si premunisca opportunamente contro tali deformazioni, in genere i valori numerici assegnati alle grandezze spaziali nella procedura di misurazione dipendono tanto dal momento particolare in cui la misurazione stessa è stata eseguita, quanto dai particolari materiali usati nella costruzione degli strumenti di misura. Per esempio, se si effettuano le misurazioni in regioni aventi temperature non uniformi, le proprietà geometriche che risulteranno per i corpi varieranno a seconda che il regolo misuratore sia di acciaio o di ottone. Per evitare una non soddisfacente molteplicità di risultati incompatibili e per assicurare gruppi di valori misurati indipendenti dalle sostanze particolari usate per la costruzione degli strumenti di misura, occorre fare una o l'altra delle .seguenti cose. O si mantengono tanto gli strumenti di misura quanto gli oggetti misurati in certe condizioni standard per tutto il tempo della loro esistenza, oppure si introducono dei fattori di correzione nei valori ottenuti dalle misurazioni pratiche, tali da compensare gli effetti delle varie forze deformanti che agiscono sui corpi. Ognuna di tali precauzioni implica tacitamente la nozione di corpo rigido, che in teoria è isolato da qualsiasi influenza capace di alterare le lunghezze relative degli oggetti fisici, e che per definizione ha quindi una lunghezza invariabile. A tale proposito va osservato un punto fondamentale. Se si deve specificare la nozione di rigidità in termini sperimentali, ma anteriori all'istituzione di un sistema di geometria, le influenze da considerarsi come cause di deformazioni dei corpi debbono necessariamente essere influenze riscontrabili in base ai loro effetti differenziali su diverse specie di sostanze. Di conseguenza, se esistesse una "forza" deformante incapace di venir schermata o isolata e agente nello stesso modo su tutti i corpi a prescindere dalla loro composizione, non vi sarebbe modo di riconoscere la sua presenza per via sperimentale. Per esempio, se due sbarre, una di legno e l'altra di metallo, avessero in un certo ambiente la stessa lunghezza, e si trovasse che rimangono congruenti dopo esser state trasportate in prossimità di una siffatta forza, tali sbarre non potrebbero servire per identificare sperimentalmente la presenza di detta forza; cosi dicasi per qualsiasi altra coppia di oggetti formati di altre sostanze. Forze supposte di tale genere son state denominate "forze universali", per distinguerle dalle piu familiari "forze differenziatrici" di esperienza comune e adoperate nella pratica di laboratorio. Vedremo ben presto se esistano ragioni addirittura per l'assunzione di forze universali. Per il momento però potremo ignorare la possibilità di tali forze, dedicandoci invece a definire la "rigidità". Abitualmente
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si dice che un corpo è rigido se, e solo se, esso è isolato da tutte le forze differenziatrici. Non vi è, naturalmente, una vera e propria necessità di definire la "rigidità" proprio in tal modo. Sarebbe possibile, per esempio, chiamare rigido un corpo che sia isolato solo rispetto agli effetti delle variazioni di temperatura, ma non rispetto a quelli dell'umidità e degli sforzi meccanici. In realtà, anche se conosciamo molte influenze fisiche che causano variazioni delle lunghezze relative dei corpi, non possiamo esser completamente sicuri di aver scoperto la totalità di tali cause. Se adottiamo la definizione di "rigidità" proposta al termine del capoverso precedente, lo facciamo in vista di determinati scopi: per ottenere un sistema di misurazione indipendente dalle sostanze particolari impiegate per la costruzione degli strumenti di misura, e per formulare leggi numeriche in modo piu generale di quanto sarebbe altrimenti possibile. All'atto quindi della scoperta di nuove forze differenziatrici rivedremo i nostri criteri di rigidità, soprattutto per assicurare la generaltà dell'enunciato. In breve, benché la definizione di rigidità sia indubbiamente suggerita da fatti sperimentali, essa non è obbligatoriamente determinata da essi; la sua adozione poggia su decisioni che prendiamo con lo scopo di raggiungere certi obiettivi scientifici. Comunque, quando nella fisica si deve ideare uno schema di misurazione spaziale, è norma comune di astrarre dalla gran massa di proprietà fisiche e chimiche che differenziano i corpi. Inoltre, lo schema è costruito supponendo che i valori da assegnarsi alle grandezze spaziali siano ottenuti mediante l'uso di strumenti di misurazione idealmente rigidi. Di conseguenza, sono sistematicamente scontati gli effetti delle forze variabili differenziatrici tanto sugli oggetti quanto sugli strumenti di misura. Le regole che in effetti adottiamo per la costruzione di scale di misurazione spaziale e per eseguire i procedimenti di misurazione sono cosf basate su numerose assunzioni fattuali - assunzioni su relazioni direttamente osservabili di congruenza tra superficie o tra spigoli di corpi e assunzioni su un'ampia varietà di loro proprietà fisiche." Ne segue che i valori numerici che vengono infine assegnati alle 11 Helmholtz vide questo punto con chiarezza. Egli affermava: "Gli assiomi della geometria non sono semplicemente principi che riguardino solo relazioni puramente spaziali. Essi si riferiscono a grandezze. Ma si può parlare di grandezze soltanto se si specifica una procedura definita, secondo cui si confrontino le grandezze, le si analizzi in parte e le si misuri. Tutte le misurazioni spaziali, e quindi tutte le grandezze basate sullo spazio, presuppongono perciò la possibilità del moto delle configurazioni spaziali, le forme e le grandezze delle quali sono supposte invarianti rispetto al moto. Tali configurazioni spaziali vengono abitualmente designate in geometria come corpi, superficie, angoli e linee geometriche, perché si astrae dalle differenze fisiche e chimiche esibite dai corpi materiali. Si assume come loro unica proprietà fisica la rigidità. Ma non abbiamo alcun criterio per la rigidità, fuorché quello che le relazioni di congruenza siano invarianti in qualsiasi momento rispetto al trasferimento e alla rotazione ... Gli assiomi della geometria, quindi, esprimono non solo delle relazioni spaziali, ma nello stesso tempo stabiliscono qualcosa riguardo alle relazioni meccaniche dei corpi rigidi che subiscono i moti. Si può considerare la nozione di una configurazione spaziale
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grandezze spaziali non saranno in genere i "dati numerici grezzi" della misurazione diretta. Questi ultimi richiedono un'analisi, col fine di correggerli alla luce degli effetti prodotti dalle forze differenziatrici sugli strumenti e sugli oggetti di misura che vengono assunti. Per riassumere, quindi, le proprietà geometriche attribuite ad una figura in base a misurazione diretta (per esempio, quella che una figura triangolare abbia una somma degli angoli prossima a due angoli retti) sono appunto attribuite in base all'assunzione che siano state eliminate per principio tutte le deformazioni prodotte da qualsiasi forza differenziatrice. b) Occupiamoci di nuovo brevemente del problema della costruzione o dell'identificazione di rette, piani ed altre figure che costituiscono la materia della geometria. La procedura discussa nel capitolo precedente per la costruzione di tali figure ha soltanto un uso molto limitato, dato che non può essere adoperata eccetto che per la fabbricazione di configurazioni fisiche di modeste dimensioni sulla superficie della Terra. È una procedura che evidentemente non ci basta come base per un sistema di misurazione che ci permetta di determinare le altezze delle montagne, l'ampiezza degli oceani, o la grandezza di distanze e di aree astronomiche. Essa va quindi integrata con regole supplementari, che specifichino in maniera piu circostanziata quali figure siano da considerarsi come rette, come piani, ecc. Una regola siffatta di adozione generale in fisica identifica in pratica le rette con i cammini dei raggi luminosi entro mezzi otticamente omogenei. Tale regola è implicita nell'uso di teodoliti e di telescopi per la misurazione di distanze e di angoli. L'adozione di questa regola rende però seriamente piu complesso il problema di mostrare le ragioni in base alle quali si possa eseguire una scelta tra le varie geometrie. È per esempio evidente che l'espressione 'cammino del raggio luminoso' codifica una nozione teorica, non già sperimentale. Ciò che osserviamo rigida come un concetto trascendentale, costruito indipendentemente da qualsiasi esperienza, e che non corrisponde necessariamente all'esperienza cosf come le nostre nozioni di corpo materiale non corrispondono precisamente ai concetti che otteniamo per via induttiva. Se assumiamo una rigidità avente un carattere cosf ideale, un seguace di Kant potrebbe considerare gli assiomi della geometria come dati a priori in una intuizione trascendentale, che non può venire né confermata né smentita dall'esperienza - dato che solo in termini di tali assiomi potremmo decidere se un certo corpo sia da giudicarsi come rigido o no. In tale caso, però, gli assiomi della geometria non sarebbero piu proposizioni sintetiche nel senso kantiano. Essi infatti in tal caso non farebbero altro che asserire quanto è analiticamente implicato dal concetto di corpo rigido adottato per la misurazione, dal momento che sarebbero da considerarsi come rigide solo quelle configurazioni che soddisfano gli assiomi. Se invece completiamo gli assiomi della geometria con le altre proposizioni riguardanti le proprietà meccaniche dei corpi - sia pure con la sola legge d'inerzia, o con la proposizione che in condizioni costanti sotto rutti gli altri aspetti le proprietà meccaniche e fisiche dei corpi sono indipendenti dalle loro posizioni - il sistema di proposizioni cosf ottenuto ha allora un contenuto genuino, che l'esperienza deve confermare o smentire" (Ueber den Ursprung und die Bedeutung der Geometrischen Axiome, "Vortriige und Reden", 3" ed., Brunswick, 1884, vol. 2, pp. 28-30).
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sono corpi illuminati, non raggi luminosi; e il concetto di raggio luminoso fa parte di una teoria introdotta per spiegare i fatti visivi osservabili. La regola che identifica rette e cammini dei raggi luminosi fa quindi parte della teoria ottica. Ma in genere non è possibile verificare sperimentalmente le singole assunzioni particolari delle teorie, l'una separatamente dalle altre; la prova sperimentale abitualmente conferma o smentisce la teoria nel suo complesso, piuttosto che una sua parte in particolare. L'assunzione particolare, quindi, che la luce si propaga, per esempio, secondo rette euclidee non può venir controllata eseguendo un esperimento che si possa considerare come cruciale. Quella parte dell'ottica nota come "ottica geometrica" opera indubbiamente con un numero ridotto di assunzioni, tra le quali ha un ruolo fondamentale quella sul carattere euclideo dei cammini ottici entro mezzi omogenei. Esistono in effetti prove in abbondanza, tra le altre quelle ottenute dallo studio delle lenti, che rendono praticamente inevitabile questa particolare assunzione - almeno entro il campo di ricerca in cui è rilevante l'ottica geometrica. C'è inoltre in una certa misura una sovrapposizione tra le cose che chiamiamo "rette" in accordo alle regole per la fabbricazione di regoli costruiti con corpi rigidi e quelle che chiamiamo "rette" in accordo alle regole che le identificano con determinati cammini ottici. Cosf, una linea che è retta perché è spigolo di una superficie costruita in un certo modo è anche retta (entro i limiti dell'errore sperimentale) nel senso che corrisponde alla linea di mira. È tuttavia evidente che ci sono raggi ottici - per esempio, un raggio luminoso da una stella alla Terra- che non possono venir confrontati direttamente con spigoli di solidi. Di conseguenza, i valori numerici ottenuti dalla misurazione pratica della maggior parte delle figure ottiche (come il valore ottenuto per la somma degli angoli di un triangolo stellare) sono aperti a svariate interpretazioni. Non è facile separare le componenti di tali valori numerici che rappresentano caratteristiche da considerarsi come proprietà "realmente" geometriche da quelle che rappresentano gli effetti di qualche influenza fisica deformante. Questa difficoltà d'altra parte non è in linea di principio diversa dal problema di decidere in base a prove sperimentali se la luce sia un processo vibratorio o corpuscolare. È in effetti possibile introdurre correzioni nei dati per compensare gli effetti delle forze differenziatrici. Per certi gruppi di grandezze stellari, ed entro i limiti delle assunzioni sostenute da prova sperimentale, è quindi possibile determinare se una data classe di figure ottiche sia o no euclidea. Fino alla seconda decade di questo secolo, sembrava che le prove a favore del carattere euclideo dei cammini luminosi fossero decisamente conclusive. Anche oggi cammini relativamente brevi, o cammini ottici molto distanti dai campi gravitazionali, vengono generalmente accettati come eccellenti approssimazioni alle condizioni euclidee. Salvo qualche eccezione cui accenneremo, la concezione secondo la
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quale la geometria applicata è una branca della scienza naturale e va considerata come vera o falsa in base alla prova empirica appare soddisfacentemente fondata. c) È istruttivo prendere a questo punto in esame un'obiezione talvolta . sollevata contro la sola idea che la misurazione possa venir concepita come una base per sostenere che le figure ottiche, od altre figure, risultino non euclidee. L'obiezione prende lo spunto dalla fondata osservazione che tutti gli strumenti di misura (come i metri, i goniometri, i telescopi) sono in realtà costruiti in modo che le loro parti piu importanti appaiono in ottimo accordo con Euclide, e che essi sono usati entro un insieme di assunzioni teoriche (come l'ottica geometrica) che prende per valida la geometria euclidea. Ma, continua l'obiezione, se cosi è, si confuta da sé la supposizione che i valori numerici ottenuti per mezzo di tali strumenti possano servire eventualmente come prova del carattere non euclideo di una qualsiasi configurazione fisica. In particolare, è autocontraddittorio sostenere che da misurazioni eseguite per mezzo di tali strumenti "euclidei" possa risultare che parti importanti degli strumenti stessi sono in possesso di una struttura non euclidea. 12 In effetti, però, non vi è nulla di incoerente nella supposizione contro cui è diretta l'obiezione. Stando a tale supposizione, non c'è· niente di paradossale nel sostenere che uno strumento la cui geometria sia per ipotesi euclidea, conduca ciò malgrado, quando venga usato per misurare le grandezze spaziali di qualche altra configurazione, a valori numerici tali da dimostrare che quest'altra figura possiede una struttura non euclidea. C'è di piu: anche se le tre geometrie metriche possono essere formalmente incompatibili in base a una data interpretazione dei loro termini primitivi, le discrepanze tra quanto esse possono asserire riguardo a configurazioni di dimensioni "relativamente piccole" possono in pratica cadere al di sotto della soglia di quanto è osservabile empiricamente. Abbiamo per esempio già osservato che la: somma degli angoli di un triangolo fisico è minore, uguale, o maggiore di due angoli retti, secondo che la figura sia un triangolo lobaçevskijano, euclideo o riemanniano, come pure abbiamo visto che il difetto o l'eccesso nella somma degli angoli è proporzionale all'area della figura. Tuttavia, se il triangolo non è troppo grande, il difetto o eccesso teorico può essere cosf piccolo che l'effettiva misurazione può non rjsultare in grado di trovare un quale che sia scarto significante dallo zero. E perciò, quando anche si trattino questioni riguardanti la possibile azione di forze deformanti sul triangolo, le misurazioni sperimentali su un triangolo sufficientemente piccolo non potranno determinare se si abbia a che fare con una figura euclidea o non euclidea. In breve,_k u Cfr.
HuGO DrNGLER,
Das Experiment, Miinchen, 1928, pp. 86 e sgg.
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_llli_St1!_l1Zioni effettive possono d!~cr!!Jlir1are trll_ i_!pj_g~Q_l_!!etr~ia cui appartie_ne J?_f!g11ra,_ §()]!.~!lJQ_ §~ essa è di dimef}sioni dell' ordin_e astronomico. · . · . · -- ····---N-esegue che, anche se in base a dati sperimentali un determinato strumento (ad esempio un metro lineare), può a buon diritto venir giudicato in possesso di una struttura euclidea, questa prova è del tutto compatibile, in virtu delle dimensioni ridotte dello strumento, con l'assunzione che la sua struttura sia non euclidea. Invece estendendo le indagini a configurazioni di dimensioni molto elevate si possono trovare dati difficilmente conciliabili con l'ipotesi che tali figure siano euclidee. Si può quindi rivedere l'assunzione iniziale che attribuiva allo strumento di misura una struttura euclidea, senza tuttavia impugnare i dati sperimentali su cui in origine fu basata tale assunzione. Piu in generale, perciò, si può correttamente considerare uno strumento come un'eccellente prima approssimazione alle norme euclidee, e ciononostante giudicare, in base a prove piu ampie e secondo i requisiti delle non contraddittorietà teorica, che esso sia in possesso di una struttura non euclidea. Insomma, non è autocontraddittorio il supporre che i nostri strumenti di misura, pur essendo costruiti in accordo alle specificazioni euclidee, possano, in seguito a misurazioni, risultare non euclidei. 2. Infine dobbiamo esaminare la tesi secondo cui un sistema di geometria applicata ~arebbe solamente un insieme di "definizioni mascherate", o "convenzioni", per la misurazione di relazioni spaziali, e non già una scienza empirica. Tale tesi fu sostenuta vivacemente soprattutto da Poincaré, che di fatto avanzò la tesi ancor piu generale che la maggior parte (o addirittura la totalità) dei "principi" generali della fisica (come il principio di inerzia) siano convenzioni." Ci limiteremo qui a discutere le tesi di Poincaré solo per quel che riguarda esplicitamente la geometria; tuttavia tale analisi, e le conclusioni che raggiungeremo, possono venire estese senza modificazioni essenziali alla forma piu generale della tesi convenzionalistica. a) L'argomentazione di Poincaré sullo status definitorio della geometria è in certa misura ottenebrata dal fatto che egli non distingue chiaramente tra geometria pura e geometria applicata. In piu, egli assumeva che il soggetto della geometria (presumibilmente di quella pura) fosse uno "spazio" ideale, sul quale, per la sua stessa natura, non fosse possibile effettuare esperimenti; è del resto incerto se con ciò egli volesse semplicemente intendere che gli enunciati geometrici puri sono formulati in termini di concetti "limiti", come linee prive di spes13 H. PorNCARÉ, La Science et l'Hypothèse, Paris, 1912; trad. it. a cura di Fr. Albergamo, Firenze, 1950; La Valeur de la Science, Paris, 1905; trad. it. a cura di Fr. Albergamo, Firenze, 1947.
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Geometria e fisica sore e curve matematicamente continue. Comunque, egli sostenne che, dato che le varie geometrie metriche pure sono traducibili l'una nell'altra, siamo liberi di sceglierne una qualsiasi come mezzo di codificazione delle relazioni spaziali, cosi che la nostra scelta, in effetti, è una scelta tra varie convenzioni sulla denominazione di tali relazioni. Poincaré dichiarava: Nello spazio conosciamo dei triangoli rettilinei in cui la somma degli angoli è uguale a due retti; ma conosciamo altresf dei triangoli curvilinei in cui la somma degli angoli è minore di due retti. L'esistenza degli uni non è piu discutibile di quella degli altri. Dare ai lati dei primi il nome di rette significa adottare la geometria non euclidea. Sf che, domandare quale geometria convenga adottare vale come domandare: a quale linea conviene dare il nome di retta? 14 Questa parte dell'argomentazione di Poincaré rivendica dunque solo la reciproca traducibilità formale dei tre sistemi di schemi di enunciati che costituiscono i tre sistemi di geometria pura. La tesi che egli in tal modo enuncia è semplicemente quella che la scelta della notazione nel formulare un sistema di geometria pura è una convenzione. Abbiamo già riconosciuto che, intesa in tal modo, la tesi convenzionalistica è indubbiamente corretta. Ma Poincaré sostenne lo status definitorio anche della geometria applicata, oltre che della geometria pura. Secondo il suo punto di vista, anche quando sia stata data un'interpretazione dei termini primitivi di una geometria pura, in modo che il sistema ne sia trasformato in enunciati relativi a certe configurazioni fisiche (per esempio interpretando che 'linea retta' significhi il cammino di un raggio luminoso), nessun esperimento di geometria fisica potrà mai decidere a sfavore di uno dei vari sistemi di geometria fisica e a favore di un altro. Le ragioni tuttavia addotte da Poincaré a sostegno di tale tesi sonò tutt'altro che chiare. Talvolta egli scrisse come se tali ragioni fossero identiche a quelle a sostegno della stessa tesi rispetto alla geometria pura. "Si può sostenere" egli domanda "che certi fenomeni, possibili nello spazio euclideo, siano impossibili nello spazio non euclideo, si che l'esperienza, constatando questi fenomeni, possa contraddire direttamente l'ipotesi non euclidea?" Secondo Poincaré, tuttavia tale domanda equivale esattamente alla seguente: "Ci sono lunghezze esprimibili in metri e centimetri, ma non in tese, piedi e pollici, si che l'esperienza, constatando l'esistenza di tali lunghezze, possa contraddire direttamente l'ipotesi che vi siano tese divise in sei piedi? ms La sua risposta era che le supposizioni avanzate da entrambe le domande sono ovviamente assurde, e 14
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H. H.
POINCARÉ, PorNCARÉ,
La Valeur de la Science, trad. it. cit., pp. 69-70. La Science et l'Hypothèse, trad. it. cit., pp. 81-82.
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che è "impossibile immaginare un esperimento concreto interpretabile nel sistema euclideo" e non in uno non euclideo. D'altra parte, sembra talvolta che Poincaré faccia poggiare su considerazioni differenti la sua tesi circa la geometria :fisica. In tali occasioni egli fa osservare la difficoltà, se non addirittura l'impossibilità, di sottoporre ad un esperimento cruciale di verifica un singolo componente di un complesso corpo di teoria. Egli per esempio dichiara che se gli astronomi trovassero che alcune stelle hanno parallasse negativa (uno stato di cose prima facie incompatibile con la geometria euclidea, ma in accordo con quella riemanniana), ci si aprirebbero due vie: "Potremmo rinunciare alla geometria euclidea, oppure potremmo modificare le leggi dell'ottica e ammettere che la luce non si propaghi rigorosamente in linea retta". Poincaré riteneva che chiunque avrebbe considerato la seconda alternativa "come la piu comoda". Secondo lui, quindi, una decisione tra le varie geometrie non può venir presa in base a prove relative alla loro verità o falsità, bens1 deve poggiare su considerazioni che riguardino la loro rispettiva convenienza e semplicità. La sua conclusione era quindi che "la geometria euclidea è e resterà la piu comoda", a causa della sua maggior "semplicità" e dell'accordo che in genere essa presenta con le proprietà dei solidi naturali.16 b) Quanto risulta decisiva l'argomentazione di Poincaré? Indubbiamente era corretto da parte sua sostenere che, se si usa la geometria pura come un sistema di definizioni implicite, atto a fornire lo schema e la nomenclatura per classificare le relàzioni spaziali, tale sistema potrà venir mantenuto di fronte a qualsiasi risultato sperimentale. Per loro propria natura le definizioni implicite non possono venir caratterizzate come vere o false; Poincaré riteneva dunque a buon diritto che la loro valutazione debba avvenire per altra via da quella del ricorso ai fatti sperimentali relativi alle proprietà spaziali dei corpi. Ma tale fondato punto non costituisce l'unico argomento sollevato e risolto dall'analisi di Poincaré circa lo status della geometria. Vi è anche la domanda, fondamentale, se, una volta data un'interpretazione ai termini primitivi di una geometria pura, che in tal modo viene a costituire un sistema di geometria fisica, quest'ultima non sia nulla piu che una "definizione mascherata". Poincaré non distinse costantemente tale domanda da quella sullo status della geometria pura; la sua discussione sulla geometria fisica lascia di conseguenza molto a desiderare. Commentando il punto di vista convenzionalistico di Poincaré sulla geometria, Einstein osservava che, benché il giudizio di Poincaré fosse giusto considerato sub specie aeternitatis, la sua analisi, nella prospettiva storica effettiva, deve venir mitigata e che una geometria fisica 16 Ibid.,
p. 59.
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Geometria e fisica
in realtà richiede di venir valutata alla luce di prove empiriche." Accenneremo brevemente alle ragioni che rendono necessarie tali mitigazioni, mostrando come Poincaré non avesse dalla sua né la logica né la storia nel sostenere che la geometria euclidea non sarebbe mai stata abbandonata. Immaginiamo un risoluto sostenitore della geometria euclidea, e prendiamo in considerazione il prezzo che egli sarebbe obbligato a pagare per insistere nel conservare a tutti i costi Euclide. Poiché l'Euclide che egli vuoi difendere è quello della geometria applicata o fisica, egli costruirà o troverà configurazioni fisiche che soddisfano i requisiti di Euclide entro i limiti dell'errore sperimentale. Supponiamo che egli non incontri difficoltà nel fare cosf, fin tanto che abbia a trattare corpi di dimensioni ridotte; ma supponiamo che per effettuare misurazioni su configurazioni di dimensioni astronomiche, egli adotti l'ipotesi che i percorsi dei raggi luminosi siano rette euclidee. Supponiamo però che i triangoli ottici aventi dimensioni molto elevate non riescano coerentemente a soddisfare le aspettative di Euclide, per esempio in quanto la somma degli angoli di tali triangoli sia invariabilmente maggiore di due angoli retti. Il difensore di Euclide naturalmente non per questo abbandonerà la geometria euclidea, ma senza dubbio cercherà di dare una spiegazione di tale discrepanza. Egli vi può riuscire solo sostenendo che i lati dei triangoli stellari non sono proprio delle rette euclidee, e adotterà quindi l'ipotesi che i cammini ottici siano deformati da qualche campo di forza. E in effetti potrà trovare delle prove a favore dell'esistenza di forze differenziatrici, la cui presenza identificabile spiega la deviazione dei raggi luminosi dai cammini rettilinei d'accordo con la teoria fisica accettata della luce. In tale eventualità, ogni cosa torna a posto. Si supponga inoltre che il paladino di Euclide non riesca a localizzare tali campi di forze differenziatrici. Risoluto come egli è nel suo assunto, non abbandonerà ancora Euclide. In tale alterata situazione egli postulerà forze che producono le stesse deformazioni in tutti i corpi indipendentemente dalla loro composizione, ed in tutti i raggi luminosi indipendentemente dalla loro lunghezza d'onda e dalla loro ampiezza. In breve, egli assumerà l'esistenza di forze universali, allo scopo di spiegare la discrepanza tra la somma degli angoli misurata per la figura stellare e quella euclidea. L'unica ragione tuttavia che egli avrà per credere nell'esistenza di tali forze è il fatto che, postulandole, si può spiegare tale discrepanza. Una possibile conseguenza quindi della risoluzione iniziale di mantenere la geometria euclidea a tutti i costi è quella di ricorrere all'assunzione di forze universali nell'articolazione di adeguate teorie fisiche. Se invece si esclude l'introduzione di tali forze, magari in base a qualche regola metodologica, il difensore di 17
ALBERT EINSTEIN,
Geometrie und Er/ahrung, Berlin, 1921, p. 8.
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Euclide sarà costretto, nelle circostanze che abbiamo immaginato, ad abbandonare Euclide a favore di una delle geometrie alternative." Possiamo arrivare allo stesso risultato per altra via. È un dato di fatto sperimentale che possiamo trovare o costruire corpi rigidi le cui proprietà spaziali siano con buona approssimazione conformi ai requisiti di Euclide. Tali corpi sono tuttavia di dimensioni ridotte, e la loro rigidità è definita in termini del loro essere isolati dagli effetti delle forze differenziatrici. Supponiamo che non si trovino in natura configurazioni di dimensioni elevate conformi ad Euclide entro i limiti dell'errore sperimentale, e supponiamo pure che siano infruttuosi tutti i tentativi di spiegare tale stato di cose con le azioni di forze differenziatrici. È allora ancora possibile conservare la geometria di Euclide anche per il caso di grandi configurazioni, ma solo postulando forze universali che rendan conto delle "deformazioni" sistematiche di tali configurazioni, responsabili del fatto che queste ultime non mostrino proprietà geometriche euclidee. Tuttavia, le forze universali hanno la curiosa proprietà che la loro presenza può esser riconosciuta solo in base a considerazioni geometriche. L'assumere tali forze ha quindi tutto l'aspetto di una ipotesi ad hoc, adottata al solo scopo di salvare Euclide. 19 In realtà, le "deformazioni" dei corpi da attribuirsi a forze universali se si vuoi salvare il punto di vista euclideo hanno un carattere marcatamente geometrico piuttosto che fisico. Tali deformazioni persistono anche quando siano eliminate tutte le forze differenziatrici; esse vengon concepite come "alterazioni" delle forme e delle dimensioni spaziali "naturali" dei corpi, solo perché il criterio di rigidità che ora viene tacitamente impiegato consiste nel possesso da parte del corpo appunto di quelle proprietà geometriche prescritte da Euclide. Comunque, anche ammettendo, per poter conservare Euclide, l'esistenza di forze universali, non raggiungiamo certo i nostri obiettivi scientifici semplicemente battezzando le discrepanze tra i requisiti di Euclide e le proprietà geometriche effettivamente riscontrate nei corpi come "deformazioni prodotte da forze universali". Se infatti desideriamo prevedere e spiegare in modo sistematico le effettive proprietà geometriche dei corpi, dobbiamo incorporare l'assunzione di forze universali entro il resto delle nostre teorie fisiche, anziché introdurle 18 La distinzione tra forze "universali" e forze "differenziatrici" è usata con effetto altamente chiarificatore da Hans Reichenbach nella sua Philosophie der Raum-Zeit Lehre, Berl[n, 1928 (ed. inglese, 1958; tr. it., Filosofia dello spazio e del tempo, Milano, 1977). Ma tanto la distinzione che la terminologia risalgono a un tempo precedente, essendo state usate da F. A. Lindemann nella sua introduzione alla traduzione inglese (New York, 1920) dell'opera Raum und Zeit in der gegenwiirtigen Physik, di Moritz Schlick, ed essendo implicite negli scritti di Helmholtz (nel saggio, cioè, citato, nella nota 11). 19 Non si deve considerare che l'espressione "forza universale" sia "priva di senso", perché è eyidente che viene indicata una procedura per accertare se tali forze sono o no presenti. La gravitazione della meccanica newtoniana è in effetti precisamente una forza universale, in quanto agisce su tutti i corpi nello stesso modo, e non può venir schermata.
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saltuariamente, ogniqualvolta si riscontri una "deformazione" dei corpi. Non è affatto di per sé evidente, tuttavia, che si possano sempre escogitare in effetti delle teorie fisiche entro cui siano incorporate delle clausole per tali forze. Inoltre, anche se ciò fosse possibile, non ne segue che il risultante sistema totale di teorie fisiche, benché formulato entro il quadro della "semplice" geometria euclidea, sarebbe necessariamente "piu semplice" e "piu conveniente" di un sistema totale di fisica basato su una "meno semplice" geometria non euclidea. Poincaré trascurava quindi qualcosa di molto importante supponendo che ciò che passa per la maggior "semplicità" della geometria euclidea sia l'unica considerazione da farsi nello sceglierla a preferenza delle geometrie rivali. In effetti, la storia successiva della fisica dimostra l'errore di Poincaré. La teoria generale della relatività è formulata entro una-geometria a struttura di tipo riemanniano, ma ha abbandonato quella euclidea perché cosi facendo ha potuto costruire una meccanica piu aderente e piu "semplice" di quanto non fosse possibile usando la geometria euclidea come fondamento dell'articolazione della meccanica classica .
.3. Sarà di utilità riassumere il nostro esame dello status della geometria in una serie di brevi conclusioni. a) Quando le nozioni di rigidità, di superficie piana, di spigolo e di congruenza spaziale siano adeguatamente definite in termini di esplicite procedure sperimentali, si possono costruire dei corpi rigidi, aventi dimensioni ridotte, le cui proprietà spaziali sono in un buon accordo pratico con i requisiti di Euclide.j?(!r una vasta classe__ili__çg__m_i I1!_~~~~ria -~ __qui1l_di _una sc!e_!!~~ ~~!'!ll}~ntalc;, __ un~ granc_a della meccanica elementare. T aie dominio di oggetti, benché non esaurisca il campo effettivo di applicazione della geometria, è tuttavia importante, includendo una gran parte delle misurazioni spaziali che si eseguono nelle questioni quotidiane della vita e nell'ingegneria, ed abbracciando pure la costruzione degli strumenti scientifici, la cui calibrazione richiede una qualche misurazione spaziale. Inoltre, poiché la misurazione di lunghezze, superficie, volumi, tanto grandi quanto piccoli (parecchi dei quali molto distanti dalla Terra) dipende in ultima analisi dall'uso di tali strumenti fondamentali, questo dominio - nel quale la geometria è una scienza sperimentale - possiede ovviamente una priorità rispetto ad altri campi di applicazione della teoria geometrica. In tale dominio, però, non vi è un'effettiva possibilità di scelta tra le varie geometrie metriche, perché le discrepanze tra i valori teorici delle grandezze geometriche specificate da tali diverse geometrie nel caso di configurazioni di dimensioni ridotte sono di gran lunga troppo piccole per rendere possibile una discriminazione sperimentale tra di esse. Se in tale dominio di oggetti si accetta come vera la geome-
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tria euclidea a preferenza di una delle sue rivali, ciò accade in parte per la ragione storica che essa fu la prima geometria ad essere sviluppata, ed in parte perché appare psicologicamente piu semplice delle altre. b) Vi sono tuttavia dei campi di applicazione della geometria nei quali non è in nostro potere costruire configurazioni fisiche in conformità alle regole sperimentali prescritte. In tali campi l'assunzione per esempio che certe configurazioni siano rette euclidee è un'ipotesi che non può venir controllata direttamente o in modo decisivo. Al contrario, tali ipotesi geometriche debbono venir trattate come componenti di una complessa teoria fisica, e non possono venir verificate isolatamente da altre assunzioni fisiche. La decisione quindi se una data geometria sia vera per gli oggetti di tali campi è normalmente controllata dall'adeguatezza complessiva delle varie teorie in cui quella geometria entra a far parte. - La decisione però in pratica non è arbitraria, poggiando altres1 ampiamente su considerazioni empiriche. Indubbiamente, è in astratto possibile mantenere una particolare geometria di fronte a prove empiriche apparentemente incompatibili, introducendo opportune altera. zioni in altre parti della teoria fisica. Le alterazioni necessarie, possono, (tuttavia, richiedere l'introduzione di assunzioni ad hoc, che a loro volta possono non prestarsi ad una integrazione sistematica nel resto della fisica. Un'incrollabile fedeltà ad una data geometria può quindi diventare un ostacolo allo sviluppo di sistemi piu ampi e piu integrati di teorie fisiche. c) Esiste un senso in cui innegabilmente si può a buon diritto considerare una geometria come un insieme di convenzioni. Una geometria è un insieme di convenzioni quando funziona come sistema di definizioni implicite che fissano l'uso e il campo ammissibile di applicazione di termini familiari quali 'piano', 'retta' e simili. Inoltre, dato che le tre geometrie metriche tra cui scegliere sono formalmente traducibili l'una nell'altra, tutto ciò che si può esprimere in una di esse può anche venir espresso, benché con terminologia diversa, in ciascuna delle altre due. Nessun esperimento concepibile può dunque fornire prove che dimostrino che una di tali geometrie è meno atta di un'altra a servire come veicolo per la formulazione di una teoria della misurazione ispaziale. Quando si usi una geometria in tal modo, il suo status di : "convenzione" è innanzitutto un convenzionalismo notazionale. \___ Argomenti di ordine diverso emergono invece -n."on- app;;a ci chiediamo se il tipo di analisi spaziale implicito nell'adozione di tale convenzione notazionale porti a formulazioni di relazioni geometriche che possano servire di base per teorie fisiche adeguatamente esaurienti e maneggevoli. Tali argomenti non si risolvono con l'istituzione di convenzioni, ma richiedono la considerazione di questioni di fatto.
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III. La geometria e la teoria della relatività Nella meccanica newtoniana il sistema di riferimento appropriato per il moto dei corpi è lo spazio assoluto; come teoria di misurazione spaziale si adopera la geometria euclidea. Abbiamo già osservato come la nozione newtoniana di spazio assoluto sia irta di difficoltà, e come le prove empiriche non richiedano la sua adozione quale sistema di riferimento per l'analisi dei moti. Inoltre oggi conosciamo altre alternative alla geometria euclidea, e non siamo quindi obbligati, come lo era Newton, a considerare la geometria euclidea come l'unico fondamento per una teoria della meccanica. Costituisce tuttavia un tratto caratteristico della teoria einsteiniana della relatività generale il fare a meno tanto dello spazio assoluto quanto della geometria euclidea nello sviluppo della propria analisi dei moti dei corpi. Il nostro esame della meccanica newtoniana e dello status logico della geometria verrà completato se esamineremo brevemente in qual modo la meccanica relativistica raggiunga i suoi obiettivi senza le assunzioni che occupano un posto cosi centrale nella teoria newtoniana. La denominazione "teoria della relatività" per il sistema di meccanica sviluppato da Einstein è sotto quafche aspetto poco felice, perché indubbiamente ha ingannato molte persone sull'effettiva portata della teoria. Comunque, Einstein riusd a formulare una teoria della meccanica in modo che le sue equazioni del moto siano invarianti rispetto a una classe di sistemi di riferimento piu vasta di quanto non riuscissero a fare le corrispondenti newtoniane di tali equazioni. Si ricorderà che le equazioni classiche del moto sono valide per moti riferiti a sistemi di riferimento inerziali, o galileiani, e che conservano la stessa forma quando i moti siano riferiti ad uno qualsiasi di un insieme di sistemi di riferimento che si muovano di velocità uniforme l'uno rispetto all'altro. Tuttavia le equazioni newtoniane non forniscono nel complesso un'analisi soddisfacente dei moti quando si impieghi un sistema di riferimento non inerziale, cioè - per usare un linguaggio newtoniano - quando si usi un sistema di riferimento accelerato rispetto allo spazio assoluto. Nella teoria newtoniana c'è dunque una classe di sistemi di riferimento privilegiati, rispetto ai quali le equazioni del moto sono invarianti. La conquista singolare della teoria generale della relatività einsteiniana, invece, consiste nel non assegnare a nessuna classe di sistemi di riferimento tale status privilegiato, cosi che i moti dei corpi posson venir riferiti a un sistema di coordinate spaziali scelto arbitraria- • mente. Le equazioni fondamentali del moto nella teoria di Einstein J sono invarianti per la classe di tutte le trasformazioni continue (e dif-ferenziabili) che stabiliscono correlazioni tra le coordinate di sistemi di riferimento diversi. Non ci occuperemo qui dei difficili dettagli tecnici dell'opera di Einstein, ma ci limiteremo ad indicare per sommi capi i tratti piu
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caratteristici della teoria della relatività. Einstein vi arrivò in due tempi. Nella teoria della relatività ristretta egli estese il principio di invarianza galileo-newtoniano in modo che fosse soddisfatto non solo dalle equazioni della meccanica, ma anche dalle equazioni di Maxwell per i campi elettrodinamici. Perseguendo tale fine, egli sottopose ad una rigorosa analisi le condizioni in cui sono istituite le misurazioni spaziali e temporali in fisica, e dimostrò che i valori assegnati alle lunghezze e alle durate temporali dipendono in modo essenziale dallo stato di moto relativo dei corpi da misurarsi. Giunse cosi alla conclusione che, assumendo che si impieghino segnali luminosi per eseguire le misurazioni spaziali e temporali, e che la velocità della luce sia indipendente dalla velocità della sua sorgente, se un corpo si muove con velocità uniforme relativamente ad un sistema di riferimento S, allora lunghezze e durate di quel corpo, misurate in S, sono funzioni definite di tale velocità relativa. L'analisi di Einstein rese necessaria una revisione dell'assunzione newtoniana che la massa di un corpo sia indipendente dalla sua velocità riferita al sistema in cui viene misurata la massa, e di conseguenza si dovettero apportare importanti modifiche alle equazioni newtoniane del moto. Il netto vantaggio della teoria ristretta è che le equazioni del moto modificate, come pure le equazioni maxwelliane del campo, sono invarianti in tutti i sistemi di riferimento inerziali. La teoria ristretta, però, assegna ancora una posizione di privilegio a una classe particolare di sistemi di riferimento nel formulare tanto le equazioni della meccanica quanto quelle dell'elettrodinamica. Ciò sembrò anomalo ad Einstein, perché tutti i moti sono relativi dal punto di vista cinematico (cioè quando si analizzano le variazioni di posizione dei corpi, prescindendo dalle forze quali determinanti di tali variazioni). Egli intraprese quindi lo sviluppo di una teoria della dinamica che fosse esente da tale limite e le cui equazioni fondamentali conservassero la loro forma per qualunque sistema di riferimento adottato al fine di analizzare il moto dei corpi.lQ Einstein prese come punto di partenza la distinzione fatta dalla meccanica newtoniana tra due specie di masse: la massa inerziale, che è associata ad una resistenza del corpo alle variazioni di velocità, e la massa gravitazionale, che è associata al comportamento del corpo in un campo gravitazionale e a cui generalmente ci si riferisce come peso del corpo. Tuttavia, nonostante tale differenza teorica, la sperimentazione mostra che le misure numeriche della massa inerziale e della massa gravitazionale di un corpo sono uguali fra loro. Tale uguaglianza non viene spiegata nella teoria newtoniana. Einstein non si accontentò di !asciarla come un dato di fatto bruto, e volle trovarne la ragione. Secondo la sua 2<> In linguaggio tecnico, le equazioni del moto devono essere covarianti per tutti i sistemi di riferimento.
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interpretazione, tale eguaglianza significa che un corpo non possiede due distinte specie di massa, ma che la proprietà esibita come inerzia da esso in certe condizioni si manifesta in altre condizioni come peso. Con tale interpretazione quale postulato fondamentale della sua nuova teoria, Einstein mostrò come si possa sempre concepire un campo gravitazionale (purché di dimensioni non troppo grandi) quale campo inerziale. Perciò dove la teoria newtoniana spiega il moto di un corpo con l'assunzione che esso si trovi nel campo gravitazionale di (o sia attratto da) un altro corpo, la nuova teoria spiega il moto ammettendo un'accelerazione relativa tra i due corpi, e facendo in tal modo a meno di una particolare forza gravitazionale. Einstein inoltre riusd a formulare le equazioni del moto in modo che mantengano la stessa forma, a prescindere dal sistema di coordinate prescelto come sistema di riferimento. In questa formulazione i corpi ( ed in particolare i raggi luminosi) che si muovono senza esser sottoposti a forze seguono cammini che sono sempre geodetiche (cioè cammini della "minor distanza") rispetto ad un sistema di riferimento arbitrario. Senonché la geometria richiesta per tale formulazione è una geometria metrica di tipo riemanniano, di curvatura positiva ma variabile. Nel caso limite, però, in assenza di campi gravitazionali, i cammini dei raggi luminosi e dei corpi liberamente moventisi sono rette euclidee. La teoria della relatività generale contiene quindi una fusione di geometria e meccanica piu intima di quella che aveva luogo nella teoria newtoniana. In realtà, il termine "geometria", come è adoperato nella teoria della relatività, copre un insieme di relazioni piu ampio di quanto non accada nel suo uso newtoniano. Per esempio, nella relatività gli invarianti geometrici si riferiscono tanto a caratteristiche temporali quanto a caratteristiche strettamente spaziali degli oggetti. In pratica, l'invariante fondamentale della teoria è costituito in modo che, quando si assegnano a certi parametri ivi contenuti dei valori particolari che dipendono dalla distribuzione di oggetti materiali in una data regione, le traiettorie dei raggi luminosi e dei corpi che si muovono liberamente possono venir dedotte come le geodetiche di quella regione. Per contrasto, le equazioni fondamentali del moto della meccanica classica non sono derivabili dal sistema di geometria della teoria newtoniana; e cosi pure le funzioni-forza impiegate entro tale teoria in vari problemi non sono determinate dalle proprietà geometriche degli oggetti allo studio; al contrario, l'introduzione di una data funzione-forza è l'introduzione di un'assunzione aggiuntiva e indipendente. Nella teoria della relatività generale, invece, la distribuzione dei corpi in una regione determina la geometria della regione; e le equazioni del moto sono derivabili dalla geometria cosi determinata. Risulta pertanto evidente che la piu vasta geometria della teoria della relatività generale, che contiene come caso limite la geometria della meccanica newtoniana, è una branca della fisica. Ne segue che l'adozione di questa geometria piuttosto che di una delle
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alternative ad essa non può essere una questione che richieda soltanto di decidere tra diverse convenzioni, ma deve poggiare su prove sperimentali. Alcuni commenti relativi a tre argomenti sollevati in relazione alla teoria generale della relatività possono esser di aiuto per chiarire alcuni punti della breve esposizione che precede. l. La teoria è stata criticata in quanto, a differenza della teoria della relatività ristretta, i suoi concetti fondamentali - e in particolare il suo libero uso di sistemi di coordinate spazio-temporali arbitrariamente scelti - non hanno significato sperimentale (od "operativo"). In una discussione sulle equazioni relativistiche del moto delle particelle, P. W. Bridgman ha sostenuto che la teoria non fornisce in nessun punto definizioni "operative" per l'assegnazione delle coordinate, sia a proposito di queste equazioni sia a proposito di altre questioni. Secondo Bridgman, inoltre, non sono stabiliti dalla teoria criteri operativi per decidere se gli avvenimenti fisici che si suppongono studiati da osservatori diversi, situati in sistemi di riferimento diversi, siano gli "stessi" avvenimenti. Di conseguenza la teoria è accusata di non riuscire ad analizzare gli "avvenimenti elementari intuitivamente riconoscibili" in termini dei quali essa assume che le situazioni fisiche siano suscettibili di una esauriente caratterizzazione. Bridgman ne conclude che la teoria della relatività generale non è completa, e che essa opera con assunzioni nebulose che nascondono una filosofia discutibile." Bridgman ha indubbiamente ragione nell'osservare che il mero formalismo matematico della teoria della relatività non rende conto appieno del contenuto fisico della teoria; e parimenti ha ragione nel sostenere che, se si deve considerare tale teoria come una branca della fisica, è necessario fornire adeguate definizioni di coordinamento che mettano in relazione i termini teorici con i concetti sperimentali. Purtuttavia non è ragionevole la pretesa che appare avanzata da Bridgman che ogni termine teorico sia associato ad una esplicita procedura sperimentale; ancor meno ragionevole è la richiesta che ogni assunzione che compone la teoria sia suscettibile di controllo sperimentale indipendente. Poche teorie della fisica classica soddisfano il primo di tali requisiti, e non per questo le teorie fisiche cessano di essere adeguate; quanto alla seconda condizione, forse non la adempie nessuna teoria della fisica moderna. Come ripetutamente abbiamo osservato, una condizione sufficiente perché una teoria sia controllabile e svolga la sua. funzione di ricerca, è quella che una parte sufficiente delle sue nozioni teoriche risulti associata a definizioni di coordinamento, in modo che si possa sottopporre a controllo sperimentale un certo numero di diverse conseguenze logiche dei suoi postulati. Non 21 P. W. BRIDGMAN, The Nature o/ Physical Theory, Princeton, 1936, c. 7; v. anche il suo saggio, Einstein's Theories and the Operational Point o/ View, in "Albert Einstein: Philosopher·Scientist", cit.
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vi può essere il mm1mo dubbio che la teoria della relatività generale soddisfi in pieno tale requisito. A questo proposito è necessario riflettere ancora su un altro punto. Le equazioni del moto della teoria della relatività generale sono invarianti rispetto ad una classe di trasformazioni molto piu ampia di quella rispetto a cui sono invarianti le equazioni del moto sia della meccanica classica sia della teoria della relatività ristretta. Nel caso specifico, quindi, la teoria della relatività generale formula una struttura comune per una varietà maggiore di moti di quanto non facciano queste altre teorie, astraendo da molte differenze tra sistemi fisici, che invece le altre teorie riconoscono esplicitamente. Le regole di corrispondenza quindi (o definizioni operative) per le nozioni teoriche della relatività generale, differiranno per quanto riguarda il particolare riferimento empirico, a seconda dei diversi tipi di sistemi fisici a cui è applicata la teoria. Non sarebbe possibile mantenere la stessa definizione operativa per una data nozione teorica senza ridurre il dominio di invarianza e il campo di applicazione della teoria stessa. Un semplice esempio di tali differenze tra regole di corrispondenza per la stessa nozione teorica è dato dal fatto che nella teoria generale della relatività il termine 'punto' è talora coordinato ad una zona ridotta della superficie terrestre, talora all'intero volume della Terra, altre volte a un pianeta ed altre ancora ad una galassia. Il fatto tuttavia che non sia stata stabilita una volta per tutte un'unica regola di corrispondenza per una determinata nozione teorica non sign1fica che non venga fornita una definizione di coordinamento avente uno specifico riferimento empirico per la nozione stessa, quando si applichi la teoria ad un problema concreto. 22 2. La teoria generale di Einstein è stata anche sottoposta a critica perché adopera una geometria a curvatura variabile come struttura di un sistema di meccanica. Tale critica però non si basa su una fedeltà aprioristica alla geometria euclidea, bensi sulla tesi che per analizzare e riferire sistematicamente gli eventi eterogenei che si presentano in natura sarebbe necessario adottare relazioni spazio-temporali uniformi quale sistema in cui inserire una teoria fisica. A. N. Whitehead addusse tale ragione per sviluppare un'altra teoria generale della relatività, che impiega una geometria a curvatura costante anziché variabile. Egli dichiarò che: la nostra esperienza richiede e presenta una base di uniformità, e... nel caso della natura tale base si presenta sotto l'aspetto della uniformità delle relazioni spazio-temporali. Tale conclusione elimina totalmente la ete-, rogeneità casuale di queste relazioni, essenziale nell'ultima teoria di Einstin... È caratteristico della mia teoria il mantenere la vecchia divisione 22 Cfr. A. s. Eom'NGTON, The Mathematical Theory o/ Relativity, 1924, pp. 85 e sgg.
z·
ed., London,
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tra fisica e geometria. La fisica è la scienza delle relazioni contingenti della natura e la geometria ne esprime la relazionalità uniforme.'-" Secondo Whitehead dobbiamo assumere una geometria a curvatura costante per esprimere i fatti contingenti della natura, comunque sia tale geometria, euclidea, lobacevskijana o riemanniana. Ed infatti, a meno che si postulino "relazioni di uniformità sistematica" estendentisi oltre quei casi isolati in cui è possibile l'osservazione diretta, siamo condannati a "non sapere nulla finché non sappiamo tutto". 24 I punti di dissenso avanzati da Whitehead, anche se non formulati con completa chiarezza, sollevano due questioni, una di fatto e una di logica. a) La prima questione consiste nella domanda se si possa costruire un sistema di meccanica entro la struttura di una geometria "non uniforme", caratterizzata da una curvatura variabile. La risposta a questa domanda è ovviamente affermativa, dato che Einstein ha effettivamente costruito appunto un simile sistema di meccanica. Non si può quindi dare alcun peso alla obiezione secondo cui, se non si adotta una geometria che assuma una "relazionalità uniforme", ci sarebbe preclusa la conoscenza di tutto ciò che va oltre l'evento fisico isolato direttamente osservabile. Non è tuttavia chiara la ragione per cui ci dovrebbe essere maggiore "eterogeneità casuale" in una teoria come quella di Einstein, che fa uso di una geometria a curvatura variabile, anziché in una teoria che adotti quale sistema geometrico per la sua meccanica quello euclideo. Naturalmente è vero che nella teoria di Einstein la struttura spazio-temporale di una regione è determinata dalla distribuzione (contingente) della materia in quella regione, e di conseguenza tale struttura può venir accertata solo in base a prove empiriche particolari. La teoria provvede però regole generali, in un quadro concettuale a vasto raggio, che prescrivono la maniera esatta secondo cui la geometria di una regione è funzione della materia in essa distribuita. Sotto tale aspetto la situazione di un'altra teoria, basata su una geometria a curvatura costante, non è essenzialmente diversa. Ed infatti, anche se si adotta la geometria quale sistema a priori di convenzioni di classificazione e di denominazione delle proprietà spaziali dei corpi, solo l'osservazione sperimentale p~ò decidere quali siano precisamente le proprietà geometriche effettivamente possedute dai corpi di una determinata regione. Inoltre, sebbène i fatti sperimentali possano avvalorare l'assunzione che tali proprietà siano euclidee, per far rientrare nell'analisi anche le effettive traiettorie dei corpi sarebbe necessario fare delle assunzioni aggiuntive 23 A. pp. V-VI. 24
N.
WHITEHEAD,
The Principle o/ Relativity, Cambridge, England, 1922,
Ibid., p. 29; v. anche p. 64.
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Geometria e fisica
(per esempio riguardo alla distribuzione "locale" e contingente della materia, come pure alle particolari leggi del moto). Pertanto il nostro modo di sistematizzare la nostra conoscenza fisica e geometrica - sia che in tale sistemazione facciamo della meccanica una parte integrante di un "geometria" piu ampia, sia che conserviamo la distinzione tradizionale tra geometria e meccanica - non è ciò che determina la nostra possibilità di raggiungere una conoscenza della fisica! 5 b) La seconda questione sollevata da Whitehead riapre in realtà
il problema dello status logico della geometria. Nel contesto di cui ci stiamo accupando la questione può essere posta nei termini seguenti. Ci troviamo di fronte a due teorie fisiche che costituiscono due alternative: la teoria generale della relatività di Einstein, formulata in termini di una geometria riemanniana a curvatura variabile, e la teoria di Whithead basata sulla geometria euclidea. Tali teorie non si equivalgono matematicamente, benchè fino a qui non sembri possibile decidere tra di esse su basi sperimentali. Come dobbiamo intendere le differenze tra le due teorie per quanto riguarda il loro far uso di due geometrie differenti? Sono tali geometrie, in tutti e due i casi, semplicemente delle diverse convenzioni per interpretare ed ordinare relazioni spaziali, e quindi non sono esse suscettibili di verifica sperimentale? L'esposizione, non sufficientemente sviluppata, di Whitehead della propria versione della teoria della relatività rende molto difficile dare una risposta alla domanda. Ma anche se non si può dare una risposta sicura, un esame della questione offrirà. comunque un'occasione di tiformulare e di rafforzare alcune conclusioni che abbiamo già raggiunto circa il problema dello status logico della geometria. È essenziale osservare, in primo luogo, che il termine "geometria" è usato in un senso piu vasto nella teoria della relatività di Einstein che in quella di Whitehead. Nel contesto di Einstein esso significa tanto una teoria della meccanica quanto una teoria delle relazioni spaziali; non cosi accade nella teoria di Whitehead. Esaminando quindi il problema che ci occupa dobbiamo innanzi tutto confrontare la "geometria" di Einstein con la combinazione di "geometria" e di fisica di Whitehead. Dobbiamo in piu accertare se, e, in caso affermativo, quali, regole di corrispondenza siano impiegate in ciascuno dei due sistemi, in particolare per il termine 'linea retta'. Come si è già osservato, la teoria di Einstein contiene tali regole, quando sia applicata a problemi fisici concreti; e in realtà i cammini dei raggi luminosi e dei corpi in libero movimento sono specificati quali le geodetiche della teoria. Giudicate in base a prove empiriche tali configurazioni sono in genere rette riemanniane. Date dunque le definizioni coordinatrici della teoria della relatività di Einstein, la tesi che le strutture spaziali di una regione soddisfino i requisiti di una geo25 Cfr. BERTRAND RussELL, Analysis o/ Matter, London, 1927, p. 79; trad. it. cura di L. Pavolini, Milano, 1964.
a
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metria riemanniana a curvatura variabile non è una "definizione mascherata", bens1 risulta garantita solo in virtu della natura delle prove fattuali. Non è invece completamente chiaro quali definizioni coordinatrici siano impiegate da Whitehead per i suoi termini geometrici. I motivi che determinano la sua costruzione teorica appaiono di natura filosofica piuttosto che fisica. Egli sviluppa la sua "teoria relazionale dello spazio" come un sistema di relazioni tra eventi sperimentati immediatamente dai sensi, non già tra oggetti fisici, poiché secondo il suo punto di vista questi ultimi altro non sono che complessi di eventi sperimentati dai sensi. Egli sostiene perciò che i moti dei corpi possono venir riferiti a sistemi di coordinate fissati in uno spazio "omogeneo" o "uniforme", definito in termini di relazioni direttamente apprese tra eventi sensoriali. Resta tuttavia oscuro quali siano le configurazioni di eventi sperimentati immediatamente dai sensi, che secondo Whitehead vadano identificate quali "rette"; come pure è difficile sfuggire all'impressione che per lui la geometria euclidea funzioni come un insieme di definizioni implicite per sistematizzare le qualità spaziali di eventi sperimentati direttamente. Se tuttavia tale impressione è fondata, non vi è possibilità di conflitto tra la tesi einsteiniana secondo cui le configurazioni specificate dalla sua teoria come geodetiche sono rette riemanniane, da una parte, e quella di Whitehead dall'altra, secondo cui una configurazione è una geodetica solo se essa è un retta euclidea. La tesi di Einstein è infatti una tesi fattuale, mentre quella di Whitehead è una convenzione proposta. Di conseguenza pur essendo possibile che una data configurazione (per esempio il cammino ottico in un campo esente da forze) sia caratterizzata da entrambi i sistemi come una geodetica, è ugualmente possibile che un'altra configurazione data (per esempio il cammino ottico in un forte campo gravitazionale) sia caratterizzato in modo diverso dai due sistemi. Tuttavia, mentre la geometria sembra possedere lo status di un insieme di convenzioni nel sistema di Whitehead, ma non in quello di Einstein, quest'ultimo contiene delle componenti convenzionali che non corrispondono ad analoghe componenti nel primo sistema. Per esempio, nella teoria einsteiniana è in virtu di una stipulazione che sono da considerarsi quali campi di forza gravitazionali solo quelli che soddisfano certe equa!zioni specificate dalla teoria stessa. In breve, benché la istituzione di conl venzioni rappresenti una fase essenziale nella costruzione di una teoria, rJn genere varia la localizzazione di tali convenzioni. 3. Occorre infine dire qualcosa intorno ad alcune erronee interpretazioni spesso basate sul fatto che nella teoria generale della relatività le equazioni fondamentali del moto sono invarianti rispetto a una classe molto vasta di trasformazioni da un sistema di coordinate a un altro. Il vantaggio di simili formulazioni delle leggi di natura è evidente. Esse rendono possibile riunire sotto una formula comune una gran
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varietà di leggi speciali; rendono esplicito quali siano le esatte condizioni indispensabili per il verificarsi di certi processi, e ci aiutano quindi a discriminare tra quanto è essenziale e quanto è irrilevante per la continuazione di tali processi; servono inoltre da potente guida nello svolgimento della ricerca e nella soluzione di problemi concreti. Riconoscendo la grande importanza teorica e pratica delle formulazioni invariantive, molti scrittori hanno quindi identificato l'invarianza con l'oggettività, cosf che, secondo essi, merita il titolo di "realtà genuina" solo quanto è esprimibile in tale forma invariante. L'identificazione proposta di oggettività con invarianza non presta il fianco a nessuna obiezione, qualora sia proposta come una spiegazione dei molti significati associati al termine "oggettivo" nella scienza e altrove. 26 Non appare tuttavia che questa sia l'intenzione della maggior parte di coloro che propongono tale identificazione, perché spesso essi vanno oltre, e, in base a tale concezione dell'oggettività, negano la "realtà" di sistemi fisici dotati di concreta esistenza, ed in particolare anche di sistemi che incorporano le strutture che ricevono formulazioni invariantive in una teoria fisica. Sembra quindi utile l'annotare brevemente alcune considerazioni spesso trascurate in tali dinieghi, specialmente quando questi ultimi pretendono poggiare su un'analisi della teoria generale della relatività. Le equazioni del moto della teoria della relatività sono senza dubbio invarianti per una vasta classe di trasformazioni. Tuttavia, esse non lo sono per tutte le trasformazioni possibili, ma solo per la classe limitata di quelle che sono continue e differenziabili. Secondo la proposta identificazione di oggettività con invarianza, l'oggettività delle strutturè formulate dalla teoria della relatività generale si riferisce dunque ad una classe selezionata di trasformazioni. Ma dato che esiste un numero indefinito di classi di trasformazioni che potrebbero venir scelte per definire l'invarianza, non c'è una ragione a priori che obblighi a mantenere l'aspirazione che la classe impiegata nella teoria della relatività sia intrinsecamente superiore a qualche altra, e piu fondamentale di questa ultima da un punto di vista filosofico. Spesso, inoltre, si trascura il fatto che il requisito secondo il quale le equazioni del moto possiedano una forma invariante non impone, di per se stesso, serie restrizioni alle forme assumibili dalle leggi di natura. Se in effetti non si pongono limitazioni alla complessità della formulazione, si può fare in modo che qualsiasi legge soddisfi tale requisito.27 Non è dunque la semplice invarianza delle equazioni della relatività che costituisce la fonte della loro importanza; altre considerazioni entrano 26 Cfr. l'elenco dei diversi criteri di applicazione del predicato "fisicamente reale", discusso nel capitolo 6. 27 Cfr. P. W. BRIDGMAN, The Nature o/ Physical Theory, cit., p. 81; e L. SrLBERSTEIN, The Theory o/ Relativity, 2• ed., London, 1924, pp. 296 e sgg.
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in gioco come determinanti-del loro valore, non esclusa quella pragmatica della semplicità rispetto ad altre equazioni. Esistono comunque serie ragioni per negare che quelle caratteristiche che differenziano i moti, quando essi siano riferiti a particolari sistemi di riferimento (anche se tali caratteristiche vengono ignorate nelle formulazioni invarianti delle equazioni del moto), facciano parte della natura tanto quanto le piu ampie strutture stabilite dalle equazioni? Ogniqualvolta le equazioni siano applicate a un sistema fisico concreto, il loro formalismo invariante deve venir completato da enunciati non invarianti riguardanti questioni di dettaglio. Perché dunque si dovrebbe considerare che un caso particolare delle equazioni sia meno "reale" della struttura invariante incorporata in quel caso? Vogliamo sottolineare tale punto con un semplice esempio. L'equazione algebrica generale in due variabili può venir interpretata come l'equazione generale di una sezione conica. Quando però si attribuiscono alle "costanti arbitrarie" dell'equazione generale valori numerici particolari, le varie equazioni cosi ottenute rappresentano coniche particolari, che differiscono tra loro per tipo, dimensione, o posizione rispetto a un sistema di riferimento assunto. Benché le singole coniche differiscano sotto tali aspetti, esse possiedono una struttura comune formulata dall'equazione generale delle coniche. Ma sarebbe assurdo sostenere che l'equazione rappresenta una "conica generale", che non è ne un'ellisse, nè un cerchio, né un'iperbole, né una parabola, e che è l'unica ad essere" oggettivamente reale", mentre non lo sono i suoi casi particolari. In modo analogo, le equazioni generali newtoniane del moto non fanno come tali distinzione tra le diverse traiettorie che si possono descrivere come percorse da un corpo che cada liberamente verso il centro di un campo gravitazionale, quando il moto del corpo stesso sia riferito a diversi sistemi di riferimento inerziali. Rispetto ad uno di essi, la traiettoria può avere la forma di una parabola, mentre può essere una retta rispetto ad un altro sistema di riferimento. Ma sarebbe assurdo negare che esistono tali differenze tra le traiettorie, anche se la formulazione generalizzata delle equazioni newtoniane non le menziona esplicitamente. Né c'è alcuna base per sostenere che solo le caratteristiche comuni a tutte le traiettorie possiedono un'esistenza oggettiva in natura, a meno che tale tesi risulti come semplice conseguenza di una terminologia particolare. La situazione da un punto di vista teorico non è diversa per la teoria della relatività generale. Indubbiamente non si può trovare in tale teoria ragione per negare che le caratteristiche particolari, esibite dai moti quando li analizziamo in sistemi di riferimento diversi, appartengano al mondo esplorato dalla fisica altrettanto quanto gli appartiene la comune struttura dei moti codificata dalle formulazioni invarianti della teoria.
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Capitolo decimo
Causalità e indeterminismo nelle teorie della fisica
I piu recenti sviluppi della fisica hanno messo in evidenza i limiti delle teorie della fisica intese come sistemi di spiegazione universalmente adeguati. Tali sviluppi hanno parimenti portato all'esame la validità di molti principi di ricerca scientifica per lungo tempo considerati validi. Il punto di vista che venne messo in dubbio con particolare vigore è stato quello secondo cui gli eventi di natura occorrono secondo ordini causali fissi, la scoperta dei quali è appunto il compito della scienza; frequentemente viene sostenuto che i risultati attuali della fisica non garantiscono piu la validità dell'assunzione di tali ordini, e che l'ideale di una scienza fisica costituita da teorie rigorosamente deterministiche va abbandonato come intrinsecamente irrealizzabile. Tratteremo ora proprio delle discussioni che sorgono a proposito di tali tesi. Il problema acutizzato dai progressi della fisica non è quello tradizionale riguardante un'analisi corretta del significato di "causa" nei vari usi in cui il termine viene impiegato. Se le relazioni causali affermate ordinariamente nella pratica siano ulteriormente analizzabili, o se esse mostrino in fondo una qualche specie di necessità o di identità, o se possano venir rese in termini di sequenze di eventi regolari ma contingenti, sono tutte domande che non interessano la discussione fatta sorgere dalla meccanica quantistica. Il problema corrente è generato dalla posizione dominante tenuta in un settore della ricerca fisica da una teoria molto ampia che appare differire dalle teorie della fisica classica per il fatto di avere una struttura "non-causale" o "indeterministica". La principale domanda che sorge è quindi quella sul senso preciso in cui sono deterministiche le teorie della fisica classica mentre non lo è la teoria subatomica attuale; è questo il problema di cui ci occuperemo inizialmente. Questioni meno specializzate ma piu vaghe sono state però portate sul tappeto dalle ultime innovazioni della teoria fisica: questioni che riguardano sia il significato e lo status conoscitivo del cosiddetto "principio di causalità", sia il preteso verificarsi di eventi del "puro caso", sia infine le conseguenze delle recenti innovazioni teoriche su
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La struttura della scienza
un'adeguata concezione della natura e degli scopi della scienza; dovremo quindi dedicare un po' di attenzione anche a tali questioni.
I. La struttura deterministica della meccanica classica La meccanica classica è il paradigma generalmente riconosciuto di una teoria deterministica, e le abituali discussioni sul determinismo sono largamente debitrici alla meccanica per quel che riguarda molte distinzioni e buona parte del loro linguaggio. È perciò desiderabile porre in chiaro quali tratti della meccanica classica la caratterizzino come teoria deterministica. Considerata da un punto di vista molto generale, la meccanica è un insieme di equazioni che formulano la dipendenza di certe proprietà dei corpi da altre proprietà fisiche. Nella loro forma newtoniana, le equazioni del moto asseriscono che la variazione rispetto al tempo del momento di ciascun punto-massa appartenente a un dato sistema fisico dipende da un insieme definito di altri fattori. Benché il termine "causa" non compaia in tali equazioni, talvolta si dice che esse esprimono delle "relazioni causali", semplicemente perché asseriscono una tale dipendenza funzionale della variazione rispetto al tempo di una grandezza (cioè il momento) da altre grandezze. Tuttavia il caratterizzare soltanto in base a ciò la meccanica come "causale" non rende sufficientemente chiaro il senso in cui si pretende che la meccanica quantistica non sia causale, dato che secondo detto criterio anche le equazioni della meccanica quantistica formulano relazioni causali.' Le equazioni del moto, quando siano enunciate in modo del tutto generale, contengono, come abbiamo visto, una funzione non specificata, la funzione-forza. Come pure abbiamo visto, si deve assegnare a tale funzione una struttura particolare, e si devono assegnare valori definiti a tutte le costanti arbitrarie che compaiono nelle equazioni, se si vuole che queste ultime servano come mezzi di analisi di concreti problemi fisici. Inoltre, le equazioni del moto sono equazioni differenziali lineari del secondo ordine, e per ottenere la soluzione di un determinato problema occorre integrarle. Due costanti di integrazione compaiono quindi alla fine per ogni equazione adoperata: le componenti della posizione e del momento in un certo istante iniziale, specificato, del punto-massa considerato, essendosi assunto che posizioni e velocità siano specificabili rispetto ad un appropriato sistema di riferimento. Si dice che la posizione e il momento di un punto-massa in un dato 1 Per ragioni analoghe, si usa spesso una locuzione simile in altre branche della scienza fisica. Cosf, anche delle equazioni della teoria del campo elettromagnetico si dice che sono causali, perché esse pure mettono in relazione le variazioni rispetto al tempo dei vettori dei campi elettrico e magnetico con altre grandezze. Invece non vengono designate come causali equazioni di geometria o di termodinamica (come la legge di Boyle-Charles per i gas ideali, secondo cui p V kRT), dato che non mettono in -relazione variazioni rispetto al tempo di qualche grandezza con qualche altra cosa.
=
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Causalità e indeterminismo nelle teorie della fisica
istante costituiscono lo "stato meccanico" di quel punto-massa in quell'istante, e le variabili che definiscono lo stato meccanico vengono chiamate "variabili di stato". Poiché ciascun punto-massa ha tre componenti della posizione e tre della velocità, sono sei i parametri, o coordinate, che fissano lo stato meccanico di un punto-massa in un determinato istante. Lo stato meccanico di un sistema di n punti-massa è quindi noto quando sono dati i valori in ogni istante delle corrispondenti 6n variabili di stato.' Possiamo ora formulare un'importante caratteristica della meccanica classica, servendoci della nomenclatura cosi stabilita. Assegnata là X funzione-forza di un dato sistema fisico, il suo stato meccanico in ogni istante è completamente ed univocamente determinato dallo stato meccanico in un qualsiasi istante arbitrario iniziale. È questo il tratto carat- i teristico delle equazioni del moto che contraddistinguono la meccanica : ~ classica come teoria deterministica.' Sarà opportuno soffermarci ulteriormente sulla nozione di stato meccanico, visto che essa risulta cruciale per comprendere in quale senso la meccanica classica sia una teoria deterministica. Si supponga che S sia un sistema di corpi, completamente isolato dall'influenza di tutti gli altri sistemi. Si supponga inoltre che gli elementi di S abbiano certe proprietà (come massa, velocità, distribuzione spaziale, ecc.), rientranti in una classe definita K di proprietà, e che le grandezze di tali proprietà siano rappresentate da valori di un insieme di variabili numeriche 'v 1', 'vz', 'v/, ecc. Gli elementi di S possono avere altre proprietà oltre a quelle di K, ma noi non ce ne occuperemo; cosi pure non ha interesse per noi se K includa proprietà "osservabili" e proprietà "teoriche", o in 2 Per evitare complicazioni non essenziali, la spiegazione di "stato meccanico" sopra accennata è limitata alla meccanica dei punti-massa. In modo analogo può venir definito lo stato meccanico di un sistema di corpi le cui dimensioni relative non si possono ignorare e che, oltre i moti di traslazione, presentino eventualmente moti rotatori. 3 Un semplice esempio aiuterà a rendere chiaro quanto si è detto. Si usino le equazioni del moto per analizzare il moto di un corpo che cada liberamente in prossimità della superficie terrestre. Se si fissa alla Terra un sistema di coordinate spaziali 'x', 'y' e 'z', con l'asse 'z' perpendicolare alla superficie terrestre, le equazioni del moto prendono la forma: tPy tPz mF = Fy =O m dt' F, mg.
= =
Integrando, si ottiene
dz m-di= mv,
= mgt +a,
e finalmente
mz
=
mgf 2
+ a t + b, 3
dove le 'a;' e le 'b! sono le coordinate di stato. Se dunque conosciamo i loro valori in ogni istante, possiamo in base nlle equazioni integrate calcolare i valori dello stato in ogni altro istante.
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quale modo esattamente K sia delimitata rispetto ad altre classi di tratti caratteristici; assumiamo addirittura che K sia adeguatamente specificata in un modo qualsiasi. Stabiliamo ora che i valori numerici dei tratti caratteristici di K posseduti dagli elementi di S in ogni istante dato definiscano lo stato di S in quell'istante. Assumiamo inoltre che all'istante to, S si trovi nello stato (v?, vt vg, ... ), che lo stato di S vari con il tempo, e che all'istante t1 il sistema sia nello stato (v}, v}, v!, ... ). Immaginiamo ora che S sia riportato allo stato che aveva all'istante to, che esso cambi ancora il suo stato spontaneamente, e che dopo un intervallo di tempo (t1- to) riprenda ancora lo stato che aveva all'istante t1. Assumiamo infine che S si comporti sempre nel modo indicato, per qualsiasi istante iniziale e per qualsiasi intervallo di tempo. Poiché lo stato di S in ogni istante dato determina quindi in modo univoco il suo stato in ogni altro istante, potremo dire che S è un sistema deterministico rispetto alle proprietà di K. Non assumiamo però quando S si trova nello stesso stato in due istanti diversi gli elementi di S possiedano anche, in quegli istanti, valori identici per le proprietà che non appartengono a K. Intendiamo definire ciò che significhi, per S, essere un sistema deterministico rispetto a una classe K prefissata di proprietà. Questo modello astratto esemplifica in modo generale il senso in cui la meccanica è una teoria deterministica. Ma l'esempio non è completamente soddisfacente. Almeno in potenza è tale da trarre in inganno in quanto suggerisce l'idea che ciò che vien chiamato deterministico sia un sistema di corpi, anziché una teoria che riguarda certe proprietà di un sistema di corpi. Non essendosi inoltre affatto menzionata una teoria nello stabilire il modello in questione, la discussione non illustra pienamente il senso in cui la meccanica, in qualità di teoria, vien detta deterministica. Dobbiamo quindi rendere leggermente piu complessa l'esemplificazione fatta. Assumiamo che sia stato stabilito un insieme di enunciati generali L tali che, dato lo stato di S in un istante iniziale qualsiasi, si possa dedurre con l'aiuto di L un unico stato di S per ogni altro istante. È quindi in linea di principio possibile calcolare lo stato di S in qualsiasi istante, dati L e lo stato di S in un istante iniziale. Ciò suggerisce di chiamare l'insieme di leggi L un insieme deterministico di leggi di S rispetto a K. Occorre però introdurre un'ulteriore complicazione. Se il numero di variabili necessarie per specificare lo stato di S è molto grande, non sarà in pratica possibile descrivere lo stato; in tale eventualità, è anche probabile che non si possa stabilire un insieme di leggi L. Assumiamo quindi che l'insieme totale di predicati che designano le proprietà di K sia in qualche modo definibile in termini di un numero relativamente piccolo di predicati tra loro indipendenti appartenenti all'insieme - per esser piu esatti, supponiamo che tutte
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le variabili che rappresentano grandezze di proprietà di K possano venir definite in termini delle variabili indipendenti 'v,' e 'v2'. Secondo tale ipotesi, se conosciamo i valori di queste ultime variabili di S in un dato istante, sappiamo anche Io stato di S (come ÌÒ abbiamo sopra definito) in quell'istante. L'insieme di leggi L costituisce quindi un insieme deterministico di leggi per S rispetto a K se, dato lo stato di S in un istante iniziale qualsiasi, le leggi L determinano logicamente un unico stato di S per qualsiasi altro istante. La discussione fatta può venire applicata direttamente alla meccanica. Questa studia le relazioni tra un numero elevato di proprietà che appartengono a un certo tipo o classe. Ma se si dovessero prendere in considerazione tutte queste proprietà nel descrivere lo stato meccanico di un sistema, è dubbio se si riuscirebbe mai a mettere insieme una teoria del moto utilizzabile in pratica. Fortunatamente, non è necessario tener conto esplicitamente di tutte queste proprietà, perché esiste un insieme non grande di variabili (consistente nelle coordinate della posizione e del momento di un punto-massa), in termini delle quali si possono definire le variabili delle altre proprietà meccaniche, cosi che le coordinate della posizione e del momento costituiscono le variabili di stato della meccanica. Per esempio, se sono noti la posizione e il momento di una particella, si possono calcolare le sue energie cinetica e potenziale. Quando dunque siano date la funzioneforza e lo stato meccanico di un sistema in un istante iniziale qualsiasi, le equazioni del moto determinano un unico stato meccanico del sistema per ogni altro istante, e quindi anche le grandezze di tutte le altre "proprietà meccaniche" del sistema in quell'istante. In un passo frequentemente citato, Laplace_ dichiarava che una intelligenza a cui fossero note le posizioni di tutte le particelle materiali e le forze su di esse agenti, "avrebbe dinanzi agli occhi tanto il futuro quanto il passato".< È evidente che Laplace con tali parole esponeva semplicemente quella caratteristica della meccanica che ne fa una teoria deterministica. Inoltre, quando i fisici del XIX secolo 4 L'intero passo è il seguente: "Dovremmo considerare lo stato presente dell'universo come l'effetto del suo stato antecedente e come la causa dello stato che viene a seguirlo. Un'intelligenza che conoscesse tutte le forze che agiscono in natura ad un dato istante, nonché le posizioni occupate in quell'istante da tutte le cose dell'universo, sarebbe in grado di comprendere in una unica formula i moti dei corpi piu grandi altrettanto come dei piu leggeri atomi del mondo, purché il suo intelletto fosse sufficientemente capace di sottoporre ad analisi tutti i dati; per essa nulla sarebbe incerto, il futuro come il passato sarebbero presenti ai suoi occhi. La perfezione che l'umana mente è riuscita a dare all'astronomia offre una pallida idea di una simile intelligenza. Le scoperte di meccanica e di geometria, abbinate a quelle sulla gravitazione universale, hanno portato la mente alla possibilità di comprendere nella stessa formula analitica lo stato passato e futuro del sistema dd mondo. Tutti gli sforzi della mente alla ricerca del vero tendono ad approssimarsi all'intelligenza che abbiamo or ora immaginato, pur essendo la mente destinata a restare per sempre infinitamente distante da una simile intelligenza" (Théorie analytique des probabilités, Paris, 1820, Prefazione).
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sottoscrivevano il determinismo come un articolo di fede scientifica, nella maggior parte prendevano come ideale di teoria deterministica una teoria che definisce lo stato di un sistema fisico nello stesso modo della meccanica delle particelle. Come vedremo, tale ideale persiste a · dominare in misura considerevole le attuali discussioni intorno alla causalità e al determinismo in fisica. Tuttavia prima di esaminare quale importanza possa avere per altre branche della fisica diverse dalla meccanica la nozione di "stato di un sistema fisico", dobbiamo cercare di eliminare possibili fonti di erronee concezioni del senso in cui la stessa meccanica è una teoria deterministica. l. Sarà sufficiente un breve cenno al fatto che, come ogni altra branca di indagine, la meccanica classica si occupa soltanto di un limitato insieme di proprietà e di relazioni dei corpi. È quindi essenziale ricordare che la meccanica, benché sia una teoria deterministica, lo è esclusivamente rispetto alle "proprietà meccaniche" dei sistemi fisici, e piu in particolare rispetto agli stati meccanici dei sistemi. Cosi, per fissare le idee, se è nota la funzione-forza, ma son date solamente le posizioni iniziali di un sistema di particelle (e non le loro velocità iniziali), la meccanica non ci permette di calcolare le posizioni o le energie cinetiche delle particelle in un altro istante. Cosf pure, anche quando siano date tanto la funzione-forza quanto lo stato di un sistema in un qualche istante iniziale, la meccanica classica non ci permette di prevedere le variazioni delle proprietà termiche o elettromagnetiche di un sistema - e ciò in realtà in modo del tutto ovvio, se la meccanica deve soddisfare i requisiti di quanto chiamammo una "pura teoria meccanica" nel capitolo VII. Laplace era perciò colpevole di un grave non sequitur quando dichiarava che "nulla sarebbe incerto" per un'intelligenza in possesso di una completa conoscenza degli stati meccanici delle particelle in un istante qualsiasi e delle forze agenti su di esse. Tale tesi corrisponderebbe al vero, solo se, oltre a conoscere tali cose, la divina intelligenza di Laplace fosse in grado di analizzare tutti i tratti degli oggetti fisici di qualunque genere (quali le loro proprietà ottiche, termiche, chimiche ed elettromagnetiche) come definibili in termini delle variabili che costituiscono lo stato meccanico del sistema. Ma la meccanica non si basa sull'assunzione che tale analisi sia di fatto possibile, né il determinismo della meccanica esclude la possibilità che alterazioni nello stato meccanico del sistema possano essere la conseguenza di variazioni di proprietà del sistema non analizzabili in tal modo, ad esempio di variazioni chimiche. Se quindi tali variazioni si presentassero, la meccanica non sarebbe in grado di prevedere gli stati futuri del sistema in base ad uno stato iniziale noto. In breve, jl_ _determinismo della gtelC(;!IQ!E_a_ cl~~~ic_~~ rigorosamente li.Q!:iJ~tg_ a_ un determinismo risp~t-~o agi stati meccanici.
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2. Bisogna anche far attenzione a non trascurare il punto evidente, e perciò facilmente ignorato, che la teoria della meccanica non rende complessivamente conto dell'ordine di concomitanza o di successione con cui in pratica accadono gli eventi concreti. Come abbiamo ripetutamente notato, infatti, la teoria della meccanica formula in termini generali solo degli schemi molto ampi di relazioni, e codifica tali schemi con l'aiuto di nozioni "ideali", o "al limite" (come quelle di posizione istantanea e velocità istantanea) piuttosto che mediante concetti ricavati dall'esperienza. Il determinismo della meccanica quindi vale strettamente solo per gli stati meccanici teorici dei sistemi, le cui variabili di stato sono posizioni e momenti istantanei. Non ne segue però che, se si conoscono posizioni e momenti iniziali di un sistema di corpi per averli ricavati mediante l'effettuazione di misurazioni, la teoria della meccanica renda possibile la previsione di un insieme unico di posizioni e momenti, parimenti ricavati da misurazioni, dei corpi in un istante posteriore qualsiasi. Se la meccanica ci consenta di fare tale previsione è un'altra questione, che non può venir risolta analizzando la sola struttura formale della teoria della meccanica. Questo punto merita per la sua importanza un approfondimento. Le coordinate meccaniche di stato, come son stipulate dalla teoria, non son definite in termini di una concezione o di una procedura statistica. I valori delle posizioni e dei momenti misurati sperimentalmente, invece, non sono mai valori istantanei, e sono di fatto valori medi durante un certo intervallo di tempo. Cosf, quando si accerta la velocità di un corpo misurando la distanza che esso percorre in un secondo, il valore numerico che si ottiene è semplicemente una media statistica delle velocità che, secondo il punto di vista della teoria, il corpo possiede nei vari "istanti" durante quel secondo. Anche se è possibile prendere in considerazione, anziché il secondo, un intervallo di tempo piu breve, esso non può venir diminuito illimitatamente in una misurazione sperimentale della velocità. È quindi possibile far corrispondere le variabili teoriche dello stato meccanico a grandezze sperimentalmente misurate, che in effetti sono solo coefficienti statistici, e che quindi sono associati a una "gamma" non annullantesi di grandezze riscontrabili sperimentalmente. Di conseguenza le posizioni e i momenti sperimentalmente discriminabili che costituiscono gli effet·· tivi punti di partenza e di arrivo di una procedura di previsione condotta con l'aiuto della meccanica, non sono gli unici stati meccanici del sistema previsti dalla teoria. Quello che possiamo prevedere cori')( successo è, nel migliore dei casi, solo una classe di valori per le posizioni e per i momenti che costituiscono una buona approssimazione di uno stato teorico del sistema, e non già un unico insieme di valori. 3. Considerazioni come quelle ora citate sono state talora usate per sostenere la conclusione che la meccanica classica, dopo tutto, non
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è veramente una teoria deterministica, ma solo si avv1cma ad esserlo. È stato sostenuto, per esempio, che se intendiamo per "stato meccanico di un sistema" non l'insieme di variabili teoriche di stato, ma l'insieme di valori sperimentalmente misurabili delle posizioni e dei momenti, la teoria della meccanica non asserisce piu che una correlazione altamente statistica (o "relazione di probabilità") tra gli stati meccanici, definiti sperimentalmente, dei sistemi in istanti diversi. Quindi, benché solitamente le leggi della meccanica vengano formulate come enunciati rigorosamente universali, secondo questa tesi tali formulazioni vanno intese come schematizzazioni ideali del reale stato dei fatti. Sempre secondo l'argomentazione in esame, non esistono in realtà relazioni rigorosamente universali di dipendenza tra stati meccanici sperimentalmente definiti; esistono solo relazioni di probabilità. Tali relazioni di probabilità sono codificate in termini dello schematismo costituito da enunciati strettamente universali, perché il coefficiente di probabilità si approssima al suo massimo valore, cioè alla unità; e tale codificazione è giustificata perché la discrepanza tra il valore reale della probabilità e il massimo valore è abbastanza piccolo perché in pratica la si possa trascurare. 5 Ma i ragionamenti a favore di una simile conclusione non sono del tutto convincenti~ In primo luogo, sembra che essi partano dall'assunzione che una teoria sia solo una descrizione generalizzata dell'ordine di successione di eventi osservabili. Una volta accettata tale assunzione, allora veramente si può intendere una teoria come l'affermazione di quelle che nel migliore dei casi sono soltanto relazioni altamente probabili tra classi di eventi. Abbiamo però trovato ragioni per mettere in dubbio tale assunzione, cosi che, se il ragionamento dipende in realtà effettivamente da essa, vien posta in dubbio la conclusione stessa. In secondo luogo, il ragionamento appare confondere due questioni che vanno invece tenute distinte. Da una parte, c'è una questione di analisi logica, che si riferisce alla struttura interna di una teoria, e che concerne l'identificazione delle variabili di stato teoriche che stanno in relazione di determinazione logica una con l'altra. Dall'altra parte, c'è una questione di fatto, che riguarda la adeguatezza di una teoria alla materia che essa stessa tratta, e che è collegata al problema della precisione con cui le previsioni teoriche vengono in realtà confermate dai dati sperimentali. È chiaro che entrambe le questioni sono importanti, ma che tuttavia sono due questioni ben distinte. La discussione poco sopra riportata, in cui si sostiene che la meccanica è una teoria deterministica, è evidentemente un tentativo di rispondere alla questione logica. Il sostenere che la meccanica non è una teoria del tutto deterministica costituisce una proposta di risposta alla seconda doman5 Cfr. HANS RErcHENBACH, Philosophic Foundations o/ Quantum Mechanics, Berkeley, Calif., 1944, p. 2; trad. it. a cura di A. Caracciolo, Torino, 1954, p. 18; anche Theory of Probability, dello stesso Autore, Berkeley, Calif., 1949, pp. 345-46.
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da. Le due risposte, anche se sembrano essere in disaccordo, sono evidentemente non contraddittorie. Inoltre, è pressoché un truismo il sostenere che la meccanica classica non è una teoria deterministica, se tale tesi vuol semplicemente significare che le misurazioni reali confermano le previsioni della teoria solo approssimativamente o solo entro certi limiti espressi statisticamente. Q_ualsiasi teoria . formulata, come è il caso della meccanica .Qas~jca, jn termini di gÌ:andezze suscettibili di variazione matematica-' ~nte ~~tinua deve ~~.!:_SU!!_~tessa _n~t_ura essere sta!isti~a ~lJll:. _ql1_~~ sto sens~ non_c.l~l~tto _det(!r_@_f!i_stica. I valori numerici intatti delle grandezze fisiche (come la velocità) ottenuti mediante misurazione sperimentale non formano mai una serie matematicamente continua; ed ogni insieme di valori ottenuti in tal modo mostrerà qualche dispersione intorno ai valori calcolati sulla base della teoria. Tuttavia è corretto definire deterministica una teoria se da un'analisi della sua struttura interna risulta che lo stato teorico del sistema in un istante determina logicamente un unico stato di quel sistema in ogni altro istante. In tale senso, e riferendosi agli stati meccanici, teoricamente definiti, dei sistemi, la meccanica è indiscutibilmente una teoria deterministica.•
II. Altri modi di descrivere uno stato fisico La meccanica non è l'unica branca della fisica, né è la sola teoria in possesso di una struttura deterministica. Tuttavia anche da un rapido esame delle altre teorie risulta chiaramente che non tutte impiegano definizioni dello stato fisico identiche a quella usata dalla meccanica. Benché la meccanica analitica dei punti-massa abbia dominato la mente dei fisici per due secoli come la piu qualificata aspirante al ruolo di scienza universale della natura, tale teoria veniva impiegata con totale rigore e con successo pratico solo nell'astronomia. Nella maggior parte degli altri domini scientifici l'idea laplaciana di una scienza rigorosamente deterministica, in cui è tratto l'essenziale la definizione meccanica di stato, risultò o irrealizzabile o troppo difficile da realizzare. I fisici seguitarono a onorare a parole tale ideale, ma in pratica trovarono inevitabile l'adozione di definizioni diverse (o per lo meno modificate) di stato fisico nella maggior parte dei rami della loro scienza - anche in parti della fisica, come l'idrodinamica e la teoria dell'eia6 In realtà è su questa base che nelle discussioni correnti si denominano come deterministiche o indeterministiche le teorie, e !lon già in base all'esame dei dati sperimentali che le sostengono. Ciò vale anche per l'esposizione di Reichenbach stesso della teoria quantistica; la sua analisi della meccanica quantistica mancherebbe veramente il suo scopo se egli non si fosse preoccupato di dimostrare che la teoria quantistica è indeterministica a causa della sua struttura interna.
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sticità, di cui si era pensato che rientrassero senza possibilità di_ dubbio nel settore della meccanica. Per esempio, i fisici non trovarono, in generale, attuabile I' analisi dei moti dei liquidi in base all'assunzione di forze newtoniane agenti tra punti-massa. Le difficoltà matematiche inerenti a tal modo di accostare il problema erano assolutamente troppo gravi per esser superate da mortali; solo una divina intelligenza, come quella invocata da Laplace, avrebbe potuto farlo. Quindi, anziché impiegare come variabili di stato le coordinate della posizione e del momento, i fisici introdussero a questo scopo certi altri parametri (come la densità di un liquido in un punto) che possono venir interpretati come valori medi delle variabili meccaniche di stato. Nello studio delle proprietà elastiche delle sostanze e nella teoria cinetica dei gas si resero necessarie modifiche analoghe della definizione meccanica di stato. Inoltre, dopo decenni di tentativi infruttuosi per sviluppare una teoria dell'elettromagnetismo entro il quadro dei requisiti richiesti per una teoria meccanica pura, Maxwell costru{ una teoria pienamente adeguata impiegando una forma di descrizione di stato diversa da quella meccanica. È tuttavia una testimonianza impressionante della presa esercitata dalla nozione di stato meccanico sulla mente degli scienziati cos{ come dei profani, il fatto che tanto spesso si identifichi "determinismo" con "meccanicismo ". In effetti, venne frequentemente assunto che il contrassegno caratteristico di una teoria deterministica sia l'uso che essa fa della definizione meccanica di stato. Qualsiasi innovazione nelle teorie fisiche che implichi modi di descrivere lo stato diversi da quello canonico della meccanica dei punti-massà è stata perciò segnalata come la "bancarotta" della fisica "deterministica". Un'accoglienza di tal genere è stata fatta da molti scrittori all'avvento della teoria del campo elettromagnetico, della meccanica statistica, della teoria della relatività generale e piu recentemente della teoria quantistica. Con tutto ciò, l'identificazione di determinismo con meccanicismo è erronea. Dobbiamo mostrare ora che esistono delle alternative genuine alla definizione meccanica di stato, e che una teoria fisica può essere rigorosamente deterministica anche se impiega una di tali alternative per specificare Io stato di un sistema fisico. Ci porterebbe troppo lontano I' esame dettagliato di un elenco, sia pure parziale, delle teorie che sono deterministiche ma che non fanno uso della descrizione meccanica di stato. Possiamo però indicare brevemente un modo sistematico di classificare i tipi di descrizione di stato diversi da quello della meccanica, illustrando alcuni di essi. A tale scopo, vogliamo notare qualche caratteristica generale della descrizione meccanica di stato. Si osservi innanzitutto che lo stato meccanico di un sistema è specificato da due variabili di stato. Se si riferisce un punto-massa ad un sistema cartesiano, il suo stato meccanico sarà definito da sei coordinate di stato - una per ciascuna delle tre
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componenti della posizione, ed una per ciascuna delle componenti della velocità. Quindi, dato che un sistema fisico al quale siano direttamente applicabili le tecniche di analisi della meccanica delle particelle contiene solo un numero finito (anche se eventualmente molto grande) di punti-massa, lo stato meccanico di un qualsiasi sistema sarà specificato da un numero finito di valori delle variabili di stato. In secondo luogo, ogni coordinata rappresenta un valore istantaneo della variabile di stato, cosi che lo stato meccanico è uno stato istantaneo. Infine, ogni coordinata rappresenta una proprietà o una relazione attribuita a un punto-massa individuale. Lo stato meccanico di un sistema, quindi, rappresenta quello che possiamo chiamare una proprietà individuale cioè una proprietà che può divenire significante solo per un singolo punto-massa, oppure un insieme di tali proprietà individuali, prese distributivamente piuttosto che collettivamente. Ognuna di queste tre caratteristiche della descrizione meccanica di stato è però solo una in una famiglia di caratteristiche diverse (o contrarie). Esistono di conseguenza altri modi di definire le descrizioni di stato, nei quali ogni tipo si ottiene usando una caratteristica contraria a quella che contraddistingue la descrizione meccanica di stato. Esaminiamo alcune di tali possibili descrizioni diverse. l. Una descrizione di stato potrebbe venir definita in termini di un numero infinito, anziché finito, di valori di un insieme di variabili di stato. Una descrizione di stato di tale tipo è effettivamente adoperata nelle "teorie dei campi" della fisica, come la teoria elettromagnetica di Maxwell. Lo stato di un campo elettromagnetico in un istante è fissato dai valori di due vettori - i vettori del campo elettrico e del campo magnetico - in ogni punto del campo (essendo i punti in numero infinito). Benché in questo caso lo stato del sistema sia specificato da un numero finito (due) di variabili di stato, queste ultime sono in realtà funzioni definite per ogni punto della regione; di conseguenza, lo stato di un campo elettromagnetico in un determinato istante è noto, solo se per principio siano noti gli infiniti valori delle due variabili di stato in quell'istante. Le teorie del campo furono inizialmente sviluppate in fisica nello studio dei mezzi continui, per la cui analisi sono necessarie equazioni differenziali alle derivate parziali (distinte da quelle ordinarie). Le teorie dei campi assursero però ad un'importanza particolare nelle ricerche su processi comprendenti la trasmissione di perturbazioni con velocità finita, con meccanismi che non si possono in pratica analizzare in termini di forze newtoniane agenti istantaneamente "a distanza". Le onde elettriche e magnetiche, ad esempio, si propagano con velocità finita. Inoltre, la forza esercitata da una particella in moto carica elettricamente su un polo magnetico non dipende soltanto dalla distanza tra particella e polo, ma anche dalle loro velocità relative e dal carat-
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tere del mezzo in cui essi si trovano. In piu, l'accelerazione subita da un polo magnetico a causa del moto di una carica elettrica non ha per direzione la retta che congiunge il polo e la carica - come nel caso dell'accelerazione indotta in un corpo da una forza newtoniana, quale la gravitazione, la cui sorgente si trova in un altro corpo - bensi ha una direzione perpendicolare a tale retta. La teoria del campo elettromagnetico di Maxwell offriva uno schema coerente di spiegazione dei risultati sperimentali di Coulomb, di Ampère e di Faraday, nonché uno strumento matematico soddisfacente per trattare le caratteristiche formali che distinguono i fenomeni elettromagnetici. Il modo di Maxwell di impostare il problema incontrò dapprima qualche resistenza da parte di coloro che erano riluttanti ad abbandonare la concezione meccanica di stato come base della teoria elettromagnetica. Alla fine, però, la teoria prese il suo posto accanto alla meccanica delle particelle di Newton come un sistema di idee solidamente stabilito per la comprensione di un ampio dominio di fatti sperimentali. Presto si fecero seri tentativi di mostrare che la meccanica stessa è semplicemente una branca particolare della teoria del campo elettromagnetico, cosi che la meccanica perse la sua tradizionale posizione di preminenza come scienza universale della natura. Ma il compito piu importante del nostro esame attuale è quello di mostrare che la teoria elettromagnetica classica possiede una struttura deterministica, nonostante il fatto che la descrizione elettromagnetica dello stato di un sistema sia delineata in modo diverso da quella dello stato meccanico. Cosi, se son dati i valori dei vettori elettromagnetici per ogni punto di una regione in un istante iniziale, allora, purché rimangano inalterate le condizioni al contorno del problema, i valori di tali vettori in quella regione sono univocamente determinati in ogni altro istante dalle equazioni di Maxwell. 7 Conclusioni del tutto analoghe valgono per altri esempi delle teorie del campo in fisica, come la teoria di Fourier della conduzione del calore o la teoria generale della relatività. 2. Una descrizione di stato può anche venir definita in termini dei valori delle variabili in molti istanti diversi, o in termini dei valori delle variabili durante un intervallo di tempo, anziché in termini dei valori istantanei delle variabili. Di fatto, la descrizione meccanica di stato può venir considerata in un certo senso come appartenente a questo tipo. Ed invero, anziché definire lo stato meccanico in termini dei momenti e delle posizioni simultanei delle particelle in un istan7 ~ chiaro che l'insieme infinito di coordinate necessarie per specificare lo stato elettromagnetico di un sistema non può venir conosciuto mediante una misurazione diretta in ogni punto della regione. Occorre assumere, sulla base di uno studio empirico delle condizioni al contorno di un dato problema, delle leggi particolari, che formulino i valori dei vettori del campo come funzioni delle posizioni.
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te, si ottiene una descrizione essenzialmente equivalente definendo lo stato in termini delle sole posizioni in due istanti distinti. Ci sono tuttavia esempi migliori e piu interessanti di questo tipo di descrizione di stato; esempi che non sono mere forme equivalenti di quella tipica della meccanica delle particelle. Cosi, è noto a tutti che nelle scienze biologiche, e soprattutto nella pratica medica, le previsioni sul comportamento di un organismo richiedono abitualmente la conoscenza di informazioni sulla storia dell'organismo, e non semplicemente sul suo stato momentaneo. Ma anche entro il campo della fisica ci sono zone di ricerca nelle quali è necessaria una simile conoscenza storica, almeno a certi livelli di analisi teorica. Per esempio, nello studio della fatica elastica dei metalli, o dell'isteresi elettrica o magnetica, non è sufficiente specificare i valori istantanei di alcune variabili per prevedere con successo il susseguente comportamento dei sistemi fisici esaminati. Cosi, quando si attorciglia un filo metallico elastico, le forze che si fanno agire su di esso possono apportare deformazioni permanenti, cosicché, in genere, il filo non riprenderà la sua posizione iniziale di equilibrio. I moti successivi del filo - i suoi avvolgimenti e svolgimenti - non possono quindi essere previsti se conosciamo soltanto la torsione angolare e la velocità angolare del filo in un certo istante. In questo caso dobbiamo venir informati circa i valori di tali grandezze, attraverso la storia del filo fino al momento in cui per la prima volta furono applicate ad esso le forze deformanti. Lo studio di questa classe di problemi ha condotto allo sviluppo di quella che talora viene chiamata "meccanica ereditaria"; in tale branca della fisica lo stato di un sistema fisico è definito in termini delle somme dei valori istantanei di certe funzioni durante un intervallo di tempo.• L'uso di variabili di stato non istantanee è talora considerato dai fisici matematici solo come un espediente, fintantoché i fenomeni ereditari possano venir spiegati da una teoria che impieghi descrizioni di stato istantanee. È stato detto, ad esempio, che la teoria molecolare (o qualche altra forma di teoria microscopica) è in linea di principio in grado di rendere conto dei fenomeni macroscopici associati alla fatica dei metalli. Quindi, anche se si ammettono i limiti attuali della nostra capacità tecnica di accertamento degli stati istantanei delle molecole, non possiamo accettare, è stato sostenuto, come definitiva una teoria dei fenomeni ereditari che impieghi variabili di stato non istantanee. Da parte di Painlevé è stato perfino asserito, a questo proposito, che "la nozione secondo la quale si deve conoscere l'intero passato di un sistema fisico per predire il suo futuro, è la vera negazione della scienza".' Con tutto ciò, questo rifiuto delle descrizioni di stato non 8 9
VITO VoLTERRA, PAUL PArNLEVÉ,
Tbeory o/ Functionals, London, 1930, pp. 147 e sgg. Les axiomes de la mécanique, Paris, 1922, p. 40.
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istantanee in base a un principio generale appare non maggiormente fondato della dubbia assunzione che solo le descrizioni di stato del tipo usato nella meccanica classica possano essere "definitive". Conseguentemente il rifiuto poggia sul postulato che, se non si possono spiegare i fenomeni macroscopici mediante teorie macroscopiche usando descrizioni di stato di tal genere, quei fenomeni debbono venir spiegati da una teoria microscopica che impieghi proprio un tipo di descrizione di stato, usato in meccanica. Orbene, può naturalmente essere possibile, in via astratta, che un giorno si realizzi l'ideale laplaciano di scienza, anche se l'attuale direzione dello sviluppo scientifico non lo rende probabile; né è di per se stesso assurdo perseguire tale ideale; tutt'al piu potrà essere utopistico. Viceversa, l'ideale laplaciano non rappresenta una condizione logica indispensabile cui tutte le teorie fisiche debbano sottostare. Non vi è dunque una ragione a priori per sostenere che una teoria, che non faccia uso della descrizione di stato meccanica, non possa essere altrettanto "definitiva" quanto una che ne faccia uso. In ogni caso - e questo è ora il punto per noi piu importante : una teoria può essere deterministica per quel che riguarda il suo modo \ di specificare lo stato di un sistema, anche se la descrizione di stato i è definita in termini di variabili di stato non istantanee. 3. Su un altro tipo di variabile di stato dobbiamo fermare la nostra attenzione. Una descrizione di stato potrebbe venir definita in termini di valori di una variabile che rappresenti una proprietà statistica di una classe di elementi anziché una proprietà predicabile con significato solo ad individui. Descrizioni di stato di questo tipo si incontrano nella meccanica dei mezzi continui, nella misura in cui le analisi teoriche impiegano variabili di stato (per es. funzioni di densità e vettori degli sforzi) rappresentanti valori medi di grandezze associate a proprietà dei punti-massa. Le variabili di stato di tal genere sono però particolarmente caratteristiche di teorie a contenuto piu pronunciatamente statistico, come la meccanica classica statistica e la moderna teoria quantistica. È desiderabile acquistare una familiarità generica con il carattere di queste teorie statistiche, dato che dovremo ripetutamente prenderle in considerazione. Delineeremo perciò sommariamente le caratteristiche della meccanica statistica classica. Tale teoria in origine fu sviluppata per render conto delle proprietà dei gas, anche se poi il suo campo di applicazione fu esteso in modo che vi rientrarono perfino questioni di astrofisica. Ma nella sua forma originaria la teoria assumeva che un gas fosse un aggregato di un gran numero di piccole particelle o molecole, i cui moti si possono analizzare in termini delle equazioni newtoniane della meccanica. Non è però in pratica possibile accertare lo stato meccanico di un sistema di molecole di tal genere. Inoltre, an-
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che se fosse possibile, non saremmo in grado di predire gli stati meccanici futuri del sistema a causa delle gravi difficoltà matematiche presentate dal problema di risolvere il numero enorme di equazioni differenziali simultanee del moto. Per aggirare queste difficoltà si è adottato un metodo statistico di accostare il problema, cosicché, anche se non si possono predire i moti individuali delle molecole, diventa possibile predire certi valori medi di grandezze associate a quei moti individuali. Si aggiunse quindi un'ulteriore ipotesi statistica alle abituali e non statistiche assunzioni newtoniane sui moti delle molecole. Tale nuova ipotesi affermava che durante un qualsiasi breve intervallo di tempo le molecole di un gas si trovino in vari stati meccanici con gradi di probabilità (o frequenza relativa) specificati. Si può allora dimostrare che la probabilità che le molecole si trovino nell'uno o nell'altro di tali stati meccanici è una certa funzione dell'energia cinetica media delle molecole. Ne segue pure che esiste una grandissima probabilità che le molecole si trovino in stati meccanici che cadono entro una sottoclasse ristretta dell'insieme di tutti gli stati meccanici possibili. In breve, la meccanica statistica, anche se non può predire i moti individuali delle molecole, caratterizza una condizione costante di equilibrio del sistema in termini di alcune proprietà statistiche dei moti individuali delle molecole. Queste proprietà statistiche sono rappresentate da parametri statistici; risulta che un certo numero di parametri siffatti sono associati a grandezze di proprietà macroscopiche ed osservabili del gas. Fin qui, però, l'analisi si occupa solo delle condizioni di equilibrio; essa può venir tuttavia estesa in modo da risultare applicabile a sistemi di molecole i cui stati variano col tempo, come accade nei problemi sulla diffusione dei gas o relativi ai moti browniani. A tale scopo occorre fare ulteriori assunzioni statistiche, riguardanti la probabilità con cui le molecole di un insieme di stati meccanici passano in un altro insieme di stati meccanici entro un certo intervallo di tempo. I parametri statistici impiegati in tale analisi sono le variabili di stato della teoria, .ed è possibile ricavarne i valori da dati sperimentali. Assegnati quindi i valori di queste variabili di stato statistiche in un qualsiasi istante iniziale, la teoria determinerà in modo univoco i valori delle variabili di stato in un altro qualsiasi istante. Anche se la meccanica statistica non predice gli stati meccanici individuali delle molecole di un gas, sarebbe un errore concludere che essa non è una teoria deterministica. In primo luogo, infatti, la meccanica statistica include le assunzioni della meccanica classica delle particelle, cosicché, almeno in teoria, lo stato meccanico iniziale delle singole molecole determina in modo univoco lo stato meccanico di un altro istante qualsiasi. Ma, e ciò conta ancora di piu, la descrizione di stato statistico-meccanica è definita in termini di variabili di stato statistiche, non già in termini di variabili di stato della meccanica delle
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particelle. Rispetto al proprio modo di specificazione dello stato di un sistema, la meccanica statistica è una teoria rigorosamente deterministica. Esistono dunque almeno tre coppie di aspetti generali, fra loro contrarie, che possono caratterizzare una descrizione di stato. Lo stato di un sistema può venir specificato da un numero sia finito sia infinito di valori delle variabili di stato; i valori delle variabili di stato possono tanto essere istantanei quanto essere misure che rappresentano aspetti di un sistema durante un periodo di tempo non nullo; e le variabili di stato possono essere parametri individuali o statistici. Dato che le alternative appartenenti ad una qualsiasi di tali coppie sono logicamente indipendenti dalle alternative appartenenti a un'altra coppia, ci sono almeno otto tipi logicamente possibili di descrizioni di stato. La definizione dello stato di un sistema, adoperata nella meccanica classica delle particelle, appartiene ad uno di tali tipi; già son stati dati esempi di altri tre tipi. Non sembra invece che fino ad ora siano stati usati dalla fisica moderna i tipi restanti. Questa breve rassegna delle alternative possibili alla definizione meccanica di stato è schematica ed incompleta. Basta tuttavia a rendere evidente che la meccanica classica non è la sola teoria determini~~!k~.9.~lla~tìsica moderna; l'e~ame suggerisce anzf ~iia definizione generale di "determinismo", che copre teorie diverse dalla meccanica clas-* sica delle particelle. Secondo tale definizione, una te.9J:i.a è_P,etern;lln!stica_ se, esalo s~ 9-ati)_yll_lo!L9-~k-~~Y~ll.J:!al:@ di stato per_\.1~~ riodo iniziale, la teoria_ 9-~e-~J:mina logicam~te _un _\.lnic() !!_l_§_ie_!Ile. di-~~ lari, per quelle variabili, per un altro period__Q_SI!!alsiasi, Se si adotta questa definizione, sarà scorretto negare che una teoria sia determistica in base all'una o all'altra delle due ragioni seguenti: che una teoria non stabilisca tale corrispondenza biunivoca tra i valori in istanti diversi di ogni insieme di grandezze menzionate dalla teoria; oppure che valori misurati sperimentalmente delle variabili teoriche di stato non siano in accordo esatto con quelli calcolati teoricamente. È bene infine osservare un punto di considerevole importanza. Una definizione dello 'stato di un sistema' adatta per un dato argomento empirico non può venir fornita prima di una adeguata teoria "causale" per quell'argomento.'" Si ricorderà che, nello spiegare, in questo stesso capitolo, la nozione di sistema deterministico, definimmo prima lo stato di un sistema S in termini di proprietà appartenenti ad una certa classe K. Si disse allora abbastanza per rendere evidente che K non consiste di un insieme arbitrariamente scelto di proprietà possedute da S, come pure fu messo in chiaro che K non può essere l'insieme di tutte le proprietà di S, se non altro perché una simile definizione di 10 "Causale" nel senso spiegato all'inizio di questo capitolo, cos! che una teoria è causale se mette in relazione variazioni rispetto al tempo di un insieme di grandezze con altre grandezze.
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stato sarebbe praticamente priva di utilità. Né in genere si può identificare K con l'insieme di tutte le proprietà osservabili di S. Infatti, come la storia della scienza ha ripetutamente mostrato, sarebbe rischioso assumere che, se S presenta in due istanti diversi le stesse proprietà osservabili, in quei due istanti esso si trovi nello stesso stato. Cosf, un sistema può manifestare tratti osservabili identici in due istanti distinti, eppure differire nelle sue proprietà teoriche in quei due istanti. È quindi soltanto in base ad una teoria "causale" accettata che possiamo decidere quali variabili debbano valere come variabili di stato. Ne segue che sarebbe un truismo l'affermazione che una teoria causale è deterministica rispetto alla descrizione di stato usata dalla teoria stessa. Abbiamo infatti visto che un insieme di variabili vale come classe di variabili di stato di un sistema, solo se esiste una teoria che risulta deterministica rispetto a una descrizione di stato definita da tali variabili di stato. 11 Tale affermazione però, pur costituendo un truismo, non risulta affatto inutile. Al contrario, l'enunciato che ogni teoria causale è deterministica rispetto alla propria specificazione dello stato di un sistema richiama l'attenzione sull'importante punto che, anche se una teoria causale è caratterizzata dall'esseere in qualche senso "indeterministica ", tale preteso indeterminismo deve venire spiegato in termini di qualche caratteristica particolare che distingua la descrizione di stato impiegata dalla teoria. Tale punto ci guiderà sia nell'esame della caratterizzazione della moderna teoria quantistica come indeterministica, sia nella considerazione dello status logico del cosiddetto "principio di causalità". Nel frattempo, tuttavia, possiamo riassumere la discussione fatta fin qui dicendo che esistono alternative genuine alla flefinizione meccanica dello stato di un sistema fisico, e che la possibilità di sviluppare teorie fisiche deterministiche non dipende dall'uso delle variabili meccaniche di stato.
III. Il linguaggio della meccanica quantistica Quale luce arreca l'esame testé svolto sull'indeterminismo di cui viene accusata la moderna meccanica quantistica? Ricordiamo anzitutto le ragioni abituali in base a cui viene avanzata tale accusa. l. La teoria quantistica in origine fu introdotta per render conto di un certo numero di leggi sperimentali concernenti fenomeni di ra11 Il dire che v, v 2, . . . , vk sono variabili di stato, o che l'insieme [v, . . . , vk] costituisce una descrizione di stato, corrisponde a dire che esistono delle funzioni /1
(v, . . . , vk) tali che dv / 1 (v, . . . , v.), dove i
dt
zioni formulano le relazioni postulate dalla teoria. Cfr Wien, 1932, pp. 145 e sgg.
=
l, 2, . . . , k, e che tali fun-
PHILIPP FRANK,
Das Kausalgesetz,
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diazione termica e di spettroscopia, fenomeni apparentemente inesplicabili sulla base della teoria classica dell'irradiazione. In seguito, però, la teoria quantistica fu modificata e dilatata fino a coprire fatti incontrati in ottica fisica, in cristallografia, in chimica e in molti altri campi particolari di ricerca. Nella sua forma piu recente, la teoria quantistica può venir sviluppata in due modi matematicamente equivalenti tanto in termini di algebra delle matrici, introdotta per primo da Heisenberg, quanto secondo il formalismo associato all'equazione d'onda di Schrodinger. Faremo uso di quest'ultima formulazione quale base del nostro esame, anche se praticamente non parleremo di tutti i dettagli tecnici della teoria e delle prove sperimentali a suo sostegno. La teoria viene generalmente enunciata in termini di un modello, e postulà apertamente varie specie distinte di "particelle" e "processi" subatomici. Come per tutte le teorie, in particolar modo per quelle microscopiche, le prove empiriche dei postulati della teoria quantistica sono logicamente incomplete, e sono collegate con le assunzioni fondamentali da lunghe catene di deduzioni e da molte ipotesi sussidiarie. Si aggiunga che le prove empiriche non sono in un accordo assolutamente preciso con le leggi numeriche dedotte dalla teoria, anche se in genere le discrepanze son contenute entro i limiti dell'errore sperimentale. Da questo punto di vista non vi è nulla di nuovo nella teoria quantistica. Tuttavia, l'interpretazione comune delle prove sperimentali della teoria porta alla conclusione che in certe situazioni alcuni degli elementi atomici postulati (come gli elettroni) hanno proprietà caratteristiche delle particelle, mentre in altre situazioni essi mostrano proprietà caratteristiche delle onde. Tale natura apparentemente "duale" dei suoi elementi fondamentali è un contrassegno della teoria ed è stata fonte di molte perplessità e meditazioni. Ma la caratteristica della meccanica quantistica che ha condotto alla discussione corrente sul determinismo in fisica e che costituisce la ragione abituale per considerare la meccanica quantistica come una teoria "indeterministica ", è l'insieme di formule logicamente derivabili dalle assunzioni della teoria note come "relazione di indeterminazione di Heisenberg". Una di tali relazioni è espressa dalla formula !::,. p !::,. q :;:::: h /4rc. In essa, le variabili 'p' e 'q' sono comunemente lette come' le coordinate istantanee rispettivamente del "momento" e della "posizione" di un elettrone o di un altro elemento subatomico, e 'h' è la costante universale di Planck. Invece 'l::,. p' è interpretato come il coefficiente di dispersione (o deviazione, chiamato talora anche la "indeterminazione") dal valore medio del momento in un dato istante; similmente per '!::,.q'. La formula asserisce quindi che in ogni dato istante il prodotto delle dispersioni rispettivamente del momento e della posizione di una "particella" subatomica non è mai minore , di h/4rc. Questa forma della relazione di in determinazione di Heisen'berg può qui11Ciresse!éifitert?ret:lra:~ç2Q1_e~s~affer,~aiS!!,_é~~sesCmis~ra
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nere simultaneamente__}:!f}__y_~lf!!e__!j!!f!:!J}CJ_Jj _voglia prec~t?__il~l!Lcoordi nata coniugata. Per esempio, se q tende a zero, p deve essere enormemente grande, e, agli scopi pratici, "infinito". Di conseguenza, se una misurazione ci permette di accertare con grande cura la posizione di un elettrone in un dato istante, nessuna misurazione può assegnare un valore preciso al momento (e quindi alla velocità) della particella in quell'istante. Il ragionamento in base a cui si conclude che, a causa delle relazioni di indeterminazione, la teoria quantistica è indeterministica, prende abitualmente la seguente forma. Per principio è impossibile accertare con precisione illimitata le posizioni e i momenti simultanei delle particelle elementari della fisica. In realtà, le relazioni di indeterminazione asseriscono che la posizione e il momento di una particella in un dato istante non sono indipendenti tra loro, bensi sono in una relazione tale che una localizzazione spaziale della particella delimitata con precisione è incompatibile con una delimitazione precisa della sua velocità. Le equazioni della meccanica quantistica non possono, perciò, stabilire una corrispondenza univoca tra valori esatti della posizione e del momento in un istante, e valori esatti della posizione e del momento in altri istanti. Ciononostante, la teoria risulta in grado di calcolare qual è la probabi~-. lità che una particella possegga un ben specificato momento quando si · trova in una data posizione, e viceversa. La teoria quantistigt__Q.on è quin- , di deterministica come struttura, ma è intrinsecamente statistica quanto acontenut~--eT.s'i:Jccessi indiscutibilmente grandi della teoria vannò considerati come un'indicazione che "il principio di causalità" non è applicabile nel dominio dei processi subatomici." Prima di esaminare questo ragionamento e la sua conclusione, sarebbe desiderabile menzionare brevemente alcuni dei commenti fatti dai fisici alle relazioni di indeterminazione e alla "natura duale" degli elementi subatomici. Un'interpretazione accolta da molti, e a prima vista plausibile, delle relazioni di indeterminazione è quella che esse formulino le variazioni, relativamente ingenti ma intrinsecamente non prevedibili, di certi tratti caratteristici delle particelle e dei processi subatomici, prodotte dalle interazioni di questi ultimi con gli strumenti usati per la misurazione di tali tratti. Per esempio, Heisenberg dichiarava che quando si compiono misurazioni di oggetti grandi, si possono ignorare gli effetti generati in tali oggetti dai processi di misurazione, perché le ampiezze delle perturbazioni cosi prodotte sono relativamente piccole. Nella fisica subatomica, invece _. ~.. .' 1 , v c1
c·
la interazione tra osservatore e oggetto produce cambiamenti ingenti ed incontrollabili nel sistema che si sta osservando, a causa del carattere di12
Cfr. RrcHARD
C.
TOLMAN,
The Principles o/ Statistica! Mecbanics, Oxford, 1938,
p. 187; anche P. W. BRIDGMAN, Reflections o/ a Physicist, New York, 1950, p, 135.
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scontinuo dei processi atomici. La conseguenza immediata di questa situazione è che in genere ogni esperimento eseguito per determinare una grandezza numerica rende illusoria la conoscenza di altre grandezze numeriche, dato che perturbazioni incontrollabili del sistema osservato alterano i valori delle grandezze previamente determinate.'' Invece, la dualità particella-onda attribuita ad elementi quali gli elettroni viene spesso intesa ad indicare che esistono dei limiti all'interpretazione del formalismo della meccanica quantistica in termini delle nozioni tradizionali di spazio e tempo. Si è per esempio sostenuto che è necessario rinunciare a interpretare come schema universale di analisi la pratica da tempo abituale di descrivere la natura specificando le proprietà e le relazioni di individui localizzati nello spazio e nel tempo; e si consiglia di abbandonare la speranza di spiegare "tutti i fenomeni come relazioni tra oggetti nello spazio e nel tempo". In realtà, l'inapplicabilità del principio di causalità ai processi subatomici, sempre secondo lo stesso ragionamento, nasce completamente dal fatto che, anche se i processi subatomici non si possono descrivere in questo modo, ogni applicazione del principio assume la possibilità di tale descrizione. Ma se il tipo tradizionale di descrizione e di analisi viene abbandonato nel dominio subatomico, possiamo evitare, sempre secondo la stessa argomentazione, di attribuire agli elettroni una dualità particella-onda, e nello stesso tempo possiamo conservare il principio di causalità. Cosf, sempre secondo Heisenberg, la descrizione da una parte dei processi atomici in termini spazio-temporali, e dall'altra la validità assoluta del principio di causalità per i processi atomici rappresentano aspetti complementari ed escludentisi a vicenda dei fenomeni atomici. Questa- situazione si riflette chiaramente nella teoria che si è sviluppata. Esiste un corpo di leggi matematiche esatte, ma esse non si possono interpretare come l'espressione di semplici modalità di relazioni tra oggetti esistenti nello spazio e nel tempo. Le predizioni osservabili della teoria possono venir approssimativamente descritte in tali termini, ma non già in modo univoco: le rappresentazioni ondulatoria e corpuscolare possiedono entrambe la stessa validità approssimata. Tale interdizione della rappresentazione del processo è un risultato diretto dell'indeterminazione del concetto di 'osservazione': non è possibile decidere, se non arbitrariamente, quali oggetti vadano considerati come parte del sistema osservato e quali come parte dell'apparato di osservazione. Nelle formule della 13 j.. WERNER HEISENBERG, The physical Principles of the Quantum Theory, Chicago, 1930, p. 3; trad. it. a cura di M. Ageno, Torino, 1963; v. anche NIELS BoHR: "Orbene, il postulato quantistico implica che ogni osservazione dei fenomeni atomici comprenda una interazione da non trascurarsi con l'agente dell'osservazione. Una realtà indipendente, quindi, nel senso ordinario dell'espressione, non può venir attribuita né ai fenomeni né agli agenti dell'osservazione" (Atomic Theory and The Description of Nature, London, 1934, p. 54).
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teoria tale arbitrarietà rende spesso possibile l'uso di metodi analitici completamente diversi per trattare una stessa esperienza fisica. 14 Heisenberg propose quindi il seguente dilemma~Possiamo interpre~ tare le equazioni della teoria quantistica come descrizioni di processi subatomici negli abituali termini spazio-temporali: a costo però (se teniamo conto delle relazioni di indeterminazione) di abbandonare per quei processi le spiegazioni deterministiche.)Possiamo invece conservarej f.· tali spiegazioni; a costo però di rinunciare alla possibilità di interpretare le equazioni della teoria come riferite ad individui ed a processi localizzati nello spazio e nel tempo. Entrambi i corni del dilemma implicano dunque delle radicali messe a punto dei modi tradizionali di studiare i processi fisici. , 2. Nonostante l'alta autorità di queste interpretazioni delle relazioni di indeterminazione e della ragione della dualità particella-onda attribuita agli elettroni, i commenti riportati non sono né del tutto chiari né del tutto persuasivi. a) Si consideri innanzitutto la tesi secondo cui le relazioni di indeterminazione esprimono le "in determinazioni" prodotte dalle interazioni tra oggetti misurati e strumenti di misura, con la conseguenza che la distinzione classica tra "osservato" e "osservatore" non può venir conservata nella fisica subatomica se non in modo arbitrario. Tale tesi viene talvolta ·avanzata come se le relazioni di indeterminazione fossero le conclusioni di un esame puramente fattuale di palesi misurazioni di laboratorio, eseguite allo scopo di verificare la teoria quantistica - e quindi come se esse fossero garantite su un terreno puramente induttivo, indipendentemente dal fatto che si accetti o no la teoria quantistica. In effetti, però, questa opinione mette il carro avanti i buoi. Le alterazioni "incontrollabili" ed "imprevedibili" che si dice che gli elettroni subiscano quando interagiscono con strumenti di misura, non costituiscono la prova delle relazioni di indeterminazione, ma fan parte delle. conseguenze tratte dalle relazioni stesse. Ciò risulterà chiaro se ci chie-. diamo in base a che cosa affermiamo che le alterazioni sono incontrar labili e imprevedibili, e se ci ricordiamo che le perturbazioni prodotte dagli strumenti di misura negli oggetti misurati furono ampiamente riconosciute in fisica classica. In quest'ultima, però, la portata di tali perturbazioni può di principio venire valutata con precisione mediante leggi fisiche ben stabilite, cosicché il fatto dell'esistenza di tali perturbazioni non conduce di per se stesso alle relazioni di indeterminazione. Secondo le relazioni di indeterminazione di Heisenberg, tuttavia, le alterazioni 14 HEISENBERG, op. cit. Similmente, Bohr dichiara che la rappresentazione di Schri:idinger dei processi atomici per mezzo dell'equazione d'onda implica che "è inevitabile una rinuncia fondamentale relativa alla descrizione spazio-temporale nella interpretazione delle osservazioni" (Op. cit., p. 77).
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prodotte negli elettroni dalle misurazioni su di essi effettuate, non possono venir calcolate neppure in linea di principio, perché in tal caso gli elettroni subiscono "variazioni incontrollabili ". L'affermazione che tali pretese variazioni siano davvero imprevedibili non può quindi essere semplicemente una conclusione induttiva tratta dai fatti della pratica di misurazione in laboratorio. Essa è una conclusione basata sulle relazioni di indeterminazione, e di conseguenza sulle assunzioni della teoria quantistica dalla quale sono logicamente derivate tali relazioni. Sarà bene notare inoltre che le relazioni di Heisenberg non pongono limiti alla precisione con cui, per esempio, si può misurare la coordinata di posizione di un elettrone. Tali relazioni pongono semplicemente un limite alla precisione con cui i valori simultanei di entrambe le coordinate, quella della posizione e quella del momento, possono venir accertate dalla misurazione. Quindi, _g_<:f.!~P.~ll()___ cl(!]JJn..t_f!!fl:Z!one a.ssunt~__t_t_:t_ .!!!!~~ttrone ~_[apparato per misurarlo, ciascuna delle coordinate dell'elettrone,__ pre~a-~jngolj~ente, _è suscettibile !per principiol di..!ll.!~~ta.· zione di precisione asso uta. Di conseguenza è poco persuasivo il ragionamento che posizioni e momenti simultanei degli elettroni non possano venir accertati con precisione illimitata per la ragione che negli elettroni vengono prodotte delle perturbazioni durante la misurazione. In breve, l'impossibilità di tale precisione illimitata segue dalle relazioni di indeterminazione e non, come talvolta viene sostenuto, semplicemente da fatti sperimentali ben noti riguardanti gli effetti prodotti dagli strumenti "di osservazione" sugli oggetti "osservati" nella misurazione. b) Volgiamoci ora a considerare ciò che dice Heisenberg a proposito della sorgente della "natura duale" comunemente imputata agli elettroni, ai protoni, e alle altre particelle subatomiche. Giudicando dalle apparenze, la sua opinione che le nozioni spazio-temporali non siano adatte per "descrivere" i processi subatomici lascia perplessi. Infatti si è condotti a chiedersi in quali altri termini abbiano da esser descritti i processi, se non in termini spazio-temporali. È però comunque possibile che il valore della sua osservazione sia soltanto nascosto dall'oscurità di questa formulazione. In realtà vi è ragione di sospettare che il punto importante di quanto egli afferma sia che, quando gli elettroni e simili sono detti essere "particelle" oppure "onde", tali caratterizzazioni vengano in largo senso impiegate sotto il controllo di certe analogie formali e non vadano intese letteralmente. È possibile escludere che gli elementi postulati dalla fisica subatomica possano venir descritti in termini spazio-temporali, non già perché le nozioni spazio-temporali sono inadeguate, ma perché elettroni, protoni ecc. non sono particelle o onde nel senso familiare di questi termini quale è stabilito dalla fisica classica per gli oggetti macroscopici? Tale suggerimento sembra degno di venir seguito, qualsiasi possa essere stato l'effettivo intento contenuto nella
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delucidazione di Heisenberg. Se questo suggerimento ha valore, non soltanto l'interpretazione abituale delle relazioni di indeterminazione richiede un emendamento, ma anche l'idea che la meccanica quantistica non è deterministica deve venir qualificata. Dobbiamo perciò esaminare il linguaggio della teoria quantistica piu da vicino, con l'intenzione di chiarire meglio queste questioni. l) Il formalismo matematico della meccanica quantistica è uno sviluppo e un adattamento del formalismo e della notazione sviluppati in precedenza dalla fisica classica. Di conseguenza, gli elementi subatomici postulati dalla teoria quantistica vengono spesso descritti in un linguaggio abitualmente usato per la descrizione dei punti-massa della meccanica classica. In particolare, certe coordinate associate agli elettroni nella teoria quantistica son chiamate coordinate della "posizione" e del "momento". È del tutto naturale, perciò, che l'uso del linguaggio della fisica classica per formulare le assunzioni della meccanica quantistica possa produrre spesso l'impressione che secondo la concezione degli elettroni della meccanica quantistica, un elettrone possieda tanto una posizione determinata quanto un momento determinato in ogni istante. Tenendo conto delle relazioni di indeterminazione, invece, coloro che usano tale linguaggio si sentono spesso obbligati ad aggiungere che tuttavia è impossibile determinare simultaneamente con precisione illimitata la posizione e il momento di una "particella" subatomica. Non c'è che un breve passo da ciò alla conclusione, apparentemente implicita nel linguaggio impiegato, che, anche se le particelle subatomiche possiedono in qualsiasi istante tanto una posizione determinata quanto un momento determinato, è intrinsecamente impossibile scoprire i valori esatti simultanei di tali coordinate. In ogni modo, questa conclusione contribuisce spesso a fornire le ragioni in base alle quali sostenere che la meccanica quantistica è indeterministica. Tuttavia, se la meccanica quantistica rendesse veramente necessaria questa conclusione, la situazione sarebbe ancora piu imbarazzante di quella presentata dall'assunzione dello spazio assoluto della meccanica newtoniana. Benché la meccanica newtoniana precluda la possibilità di distinguere tra riposo e velocità uniforme rispetto allo spazio assoluto in base ad un esperimento meécanico, la teoria fornisce un criterio che pretende di poter identificare i moti accelerati rispetto allo spazio assoluto. Inoltre, la teoria newtoniana non esclude in linea di principio la possibilità di ideare qualche esperimento non meccanico (ad es. ottico) per distinguere tra quiete assoluta e velocità assoluta uniforme. Viceversa, se si intende la teoria quantistica secondo la conclusione riportata sopra, si è obbligati ad asserire che, anche se un elettrone possiede in teoria posizione e momento determinati in ogni istante, quando però se ne accerta per un dato istante la posizione esatta non esiste esperimento di sorta che riesca a scoprire il valore, sia pure approssimativo, del mo-
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mento. Non c'è dunque da meravigliarsi se i commentatori che accettano questa conclusione come solidamente fondata, sostengono spesso che la meccanica quantistica richiede almeno l'abbandono parziale dell'ideale della verificabilità, che ha controllato lo sviluppo di una parte cosi grande della fisica moderna. Questa situazione cosi imbarazzante appare in buona parte il risultato del fatto che si sono caratterizzati l'elettrone, e gli altri elementi postulati, come "particelle", trascurando però il punto che tale caratterizzazione è basata su quelle che, nel migliore dei casi, sono soltanto analogie parziali tra i formalismi matematici della meccanica classica e di quella quantistica. In realtà, il linguaggio degli elettroni come "particelle" è sostituito in certi contesti dal linguaggio degli elettroni come "onde", proprio perché queste analogie non sono che parziali e vengono meno in vari punti. Ma, reciprocamente, la caratterizzazione dell'elettrone come "onda" poggia altresi su tali analogie parziali tra le strutture simboliche della meccanica classica e della meccanica quantistica. Molte presentazioni della teoria quantistica sono di conseguenza formulate mediante una mescolanza, non sempre felicemente dosata, di due diversi discorsi, nessuno dei quali è uniformemente appropriato o completamente libero da associazioni ingannevoli. Non vi è naturalmente alcun dubbio che la terminologia di "particelle" ed "onde" sia suggestiva e valida da un punto di vista euristico. Tuttavia, la sua utilità non deve nasconderei il fatto che essa è impiegata in via di analogia e non va intesa letteralmente. 2) Esaminiamo questo punto piu da vicino. Le assunzioni fondamentali della teoria quantistica sono espresse mediante un simbolismo matematico altamente complesso. Nella versione di Schrodinger della teoria gioca un ruolo centrale un'equazione differenziale avente la forma generale della classica "equazione d'onda". Come nel caso di tutte le teorie, occorre fornire definizioni di coordinamento per un certo numero dei termini non logici che compaiono in questo formalismo matematico, per poter derivare dalla teoria enunciati controllabili sperimentalmente. Una volta stabilite tali definizioni coordinatrici, è fissato per il futuro il contenuto empirico della teoria. Invece, come si è già detto in un altro capitolo, non è essenziale dal punto di vista di una logica rigorosa provvedere un "modello" della teoria, che ne illustri il contenuto strutturale in modo piu o meno "raffigurativo". Vi sono però grandi vantaggi psicologici dalla presenza di tali modelli. Di conseguenza i fisici, formulano spesso, con l'obiettivo di questi modelli, il contenuto della meccanica quantistica nel linguaggio, concepito classicamente, di onde e di particelle, a causa di certe analogie tra le strutture formali della meccanica classica e di quella quantistica." 15 Questo punto è chiarito molto bene da Linus Pauling e E. Bright Wilson nel passo della loro Introduction to Quantum Mecbanics (Op. cit.; v. nota 5 del c. VI).
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Qualsiasi modello per la teoria quantistica deve comunque soddisfare le equazioni formali della teoria. Esse definiscono implicitamente gli elementi subatomici ed i processi subatomici postulati da qualunque modello della teoria. Quindi, qualsivoglia altri tratti si possano immaginare posseduti dagli elementi postulati, questi ultimi devono avere almeno le caratteristiche strutturali stipulate dalle equazioni. Di conseguenza, tutte le formule implicate logicamente dai postulati fondamentali della teoria quantistica - per esempio, dalle relazioni di indeterminazione di Heisenberg - sono in effetti anche definizioni implicite che impongono restrizioni sugli elementi componenti di qualsiasi modello della teoria. In breve, nessun sistema fisico ipotetico può essere un modello completamente adeguato della teoria quantistica se certe caratteristiche del sistema non soddisfano le relazioni di indeterminazione. Ne segue che, se le variabili 'p' e 'q', che devono soddisfare le relazioni di indeterminazione, vengono interpretate come le misure, rispettivamente, del "momento" e della "posizione" di un elettrone, allora a dispetto dei nomi usati per questi tratti caratteristici misurabili degli elettroni, essi non possono venir identificati con le caratteristiche delle particelle denotate dai termini "momento "e "posizione" come sono usati nella fisica classica. È evidente infatti che, benché 'p' e 'q' siano chiamate in meccanica quantistica coordinate del "momento" e della "posizione", tali termini vengono ora usati in un senso non abituale. Nella meccanica classica essi sono usati in modo tale che una particella deve avere sempre una posizione determinata e simultaneamente un momento determinato, e, in teoria, posizione e momento possono venir accertati con precisione illimitata; in tale uso è privo di senso il dire che una particella ha una determinata posizione ma non ha un momento determinato, o che è logicamente impossibile lo scoprire il valore preciso di uno ma non dell'altro. Ma in meccanica quantistica gli usi resi legittimi per tali termini sono palesemente diversi. Se quindi in conformità con le assunzioni della teoria quantistica si dice che un elettrone è "una particella" in possesso delle grandezze rappresentate dai simboli 'p' e 'q' i cui valori simultanei non possono venir accertati con precisione illimitata neppure in linea di principo, allora si sta usando il termine "particella" in un senso diverso da quello ordinario, oppure questi simboli non possono rappresentare posizione e momento nel significato familiare classico di tali termini. 3) Una simile conclusione è stata piu volte proposta da Niels Bohr, in base però a considerazioni del tutto diverse.'• Accenneremo breve16 Anche altri eminenti fisici hanno difeso questa conclusione; per esempio, Heisemberg osserva che "la relazione di indeterminazione specifica i limiti entro i quali si può descrivere la particella. Qualsiasi uso dei termini 'posizione' e 'velocità' con una precisione che superi quella data dall'equazione di indeterminazione è altrettanto priva
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mente ai suoi argomenti. Chiameremo "uniformemente completa" un'interpretazione di un insieme di postulati, se a) ad ogni termine non logico impiegato nei postulati viene attribuita un'interpretazione; e b) tale interpretazione resta fissata per ogni contesto in cui si applichino' i postulati. Nel caso quindi di un'interpretazione uniformemente completa non accade mai che un termine non logico resti non interpretato in qualche contesto, oppure che riceva interpretazioni diverse in contesti differenti. Orbene, secondo Bohr un'interpretazione uniformemente completa del formalismo della meccanica quantistica, in termini di modello subatomico i cui elementi siano in possesso degli abituali tratti caratteristici degli oggetti macroscopici (come posizioni e velocità esatte), porta inevitabilmente all'imputazione di una "natura duale" paradossale a quelle entità subatomiche, in modo che queste verranno ad avere attributi tanto corpuscolari quanto ondulatori. Se si vuole evitare questo paradosso, si devono abbandonare tentativi di un'interpretazione del genere. La ragione che spinge ad assegnare agli elettroni attributi tanto corpuscolari quanto ondulatori sta nel fatto che le prove empiriche della teoria quantistica sono descritte nel modo piu conveniente possibile se si fa uso del linguaggio elaborato per parlare delle particelle e delle onde classiche. In realtà, le prove empiriche per qualsiasi teoria sono tratte inevitabilmente dal dominio macroscopico; nel descrivere qualsiasi disposizione od osservazione sperimentale, non abbiamo altra alternativa che quella di usare il linguaggio comune dell'esperienza ordinaria, opportunamente integrato dalla terminologia della fisica classica. Ciò nonostante, secondo il giudizio di Bohr ... i dati ottenuti in condizioni sperimentali diverse non si possono racchiudere in una singola immagine, ma debbono essere considerati complementari, nel senso che solo la totalità dei fenomeni esaurisce la possibilità d'informazione sugli oggetti. 17
Quindi, anche se non è possibile dare un'interpretazione soddisfacente uniformemente completa della meccanica quantistica basata su un singolo modello, la teoria può venir soddisfacentemente interpretata in ogni situazione sperimentale concreta a cui venga applicata. di senso quanto l'uso di termini di cui non si sia definito il significato" (Op. cit., p. 6, edizione inglese). In piu, von Neumann rileva che sarebbe assolutamente privo di senso distinguere tra un termine "p . q" ed un termine 'q . p', come vien fatto nella fisica quantistica, se questi sono intesi nel senso specificato dalla fisica classica [J. voN NEUMANN, Matbematicbe Grundlagen der Quantenmecbanik, Berlin, 1932, p. 6 (traduzione inglese, Matbematical Foundations o/ Quantum Mecbanics, Princeton, 1955, p. 9)]. E Schrodinger dichiarava che "l'oggetto a cui si riferisce la meccanica qauntistica... non è un punto materiale nel vecchio significato del termine... Non dovrebbe né venir messo in dubbio né passato sotto silenzio (come vien fatto da parte di certuni) che il concetto di punto materiale subisce un considerevole cambiamento che ancora non riusciamo pienamente ad intendere" (ERWIN ScHRODINGER, Science and the Human Temperament, New York, 1935, pp. 71-72). 17 NIELS BOHR, Discussion witb Eistein on Epistemologica! Problems in Atomic Physics, in Albert Einstein, Philosopber-Pbysicist, cit., p. 210; trad. it. cit., pp. 156-157.
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In modo piu specifico, il punto di vista di Bohr è che esistano situazioni sperimentali nelle quali si può dare un significato definito all'espressione 'posizione di un elettrone'; ed esistano altre situazioni sperimentali nelle quali si può impiegare in modo significante l'espressione 'momento di un elettrone', ma non esistano situazioni sperimentali nelle quali l'espressione 'posizione e momento di un elettrone' possa avere significato sperimentale. Secondo l'analisi di Bohr, quindi, l'impossibilità di attribuire valori simultanei esatti alle coordinate coniugate (cioè a quelle chiamate coordinate di "posizione" e "momento") è semplicemente una conseguenza di due fatti: il fatto che ogni coordinata può venir interpretata non già una volta per tutte ed in modo uniforme in tutti i tipi di contesti, bensf in modo diverso in ogni tipo di disposizione sperimentale a cui si può applicare la teoria quantistica; e il fatto che non esistono contesti in cui si possa assegnare simultaneamente ad entrambe le coordinate un senso sperimentalmente significante. Un tipo di situazione sperimentale adatta per effettuare la misurazione di ciò che è chiamato la "posizione" di un elettrone fissa quindi il significato della frase 'la posizione di un elettrone' entro un gruppo limitato di contesti; analogamente per l'espressione 'il momento di un elettrone'. Ma i due tipi di situazioni sperimentali non si sovrappongono, e debbono quindi venir distinti. In breve, dato che non si possono istituire disposizioni sperimentali nelle quali le due espressioni possano venir interpretate simultaneamente, consegue in modo ovvio che nessuna misurazione potrà mai assegnare simultaneamente i valori esatti ad entrambe le coordinate coniugate. Ma ne segue anche che le parole 'particella', 'posizione' e 'momento', quali vengono usate nella teoria quantistica, non possono venir intese nei sensi a loro attribuiti nella fisica classica. 18 4) Questa conclusione può venir posta in una prospettiva chiarificatrice se ricordiamo un altro adattamento storicamente importante del linguaggio familiare ad usi nuovi: l'estensione graduale del termine 'numero' dal suo contesto originario di denominazione degli interi cardinali ed ordinali al suo uso corrente di denominazione di un dominio molto piu ampio di entità matematiche. Come è ben noto, le operazioni di addizione e di moltiplicazione, e le loro inverse, furono prima sviluppate in connessione ai numeri cardinali, e poi vennero impiegate per definire varie proprietà dei cardinali (come la parità e la disparità, i numeri primi, i quadrati perfetti, ecc.). In seguito, però, il termine 'numero' venne ad essere applicato ai rapporti tra numeri cardinali (solitamente rappresentati come frazioni), soprattutto per il fatto che si possono definire per tali rapporti certe operazioni molto simili a quelle familiari per i numeri cardinali. Cosf, i rapporti possono venir "sommati" e "moltiplicati"; e queste operazioni distintive dei rapporti presentano 18
lbid.
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schemi di relazioni che, fino a un certo punto, sono astrattamente simili a quelli presentati dall'addizione e dalla moltiplicazione dei numeri cardinali. Per esempio, l'addizione e la moltiplicazione sono operazioni commutative ed associative, tanto per i numeri cardinali quanto per i rapporti; per esempio, a+ b = b +a, e a+ (b +c)= (a+ b)+ c. Invece, la moltiplicazione di rapporti ha sempre un'inversa; cioè, la divisione di qualsiasi rapporto per un altro dà ç.ome risultato sempre un terzo rapporto, con la restrizione abituale ciréa la divisione per i rapporti "zero". Non avviene cosi per la moltiplicazione di numeri cardinali; cioè, la divisione di un numero cardinale per un altro non sempre dà per risultato un terzo numero cardinale. Inoltre, benché si possano definire per i rapporti certe proprietà che sono formalmente analoghe a certe proprietà dei numeri cardinali, questi ultimi possiedono varie proprietà ben definite delle quali non esistono le analoghe per i rapporti. Per esempio, tanto i cardinali quanto i rapporti possono essere quadrati perfetti. Invece, mentre ha senso chiedere se un dato numero cardinale sia dispari, non ne ha il porre una simile domanda per i rapporti, semplicemente perché si dà il caso che il predicato 'essere dispari' non risulta definito per i rapporti. A questo proposito vale la pena osservare che la nostra incapacità di rispondere alla domanda se, per esempio 2/3 sia dispari, non nasce né da una temporanea insufficienza delle nostre conoscenze, né da qualche pretesa natura intrinsecamente inconoscibile dei rapporti; bensf dal fatto, per niente drammatico, che la domanda riferita ai rapporti è priva di senso. Queste brevi osservazioni sulle ragioni che giustificano l'estensione del termine "numero" fino a che esso comprenda tanto i rapporti quanto i numeri cardinali si applicano evidentemente ad ulteriori estensioni del "concetto di numero", in modo da comprendere ancora altre specie di entità matematiche, come i numeri irrazionali, gli immaginari ed i cosiddetti "numeri dotati di segno". Inoltre, questi commenti servono anche a valutare le ragioni per cui si son dati a certe operazioni matematiche nomi familiari provenienti dall'aritmetica, anche se tali operazioni non riguardano numeri nel significato esteso del termine, né sono formalmente simili, sotto molti aspetti, alle operazioni aritmetiche che portano lo stesso nome. Per esempio, un'operazione chiamata "moltiplicazione" è stata definita per certi tipi di insiemi ordinati di numeri, noti come "matrici". Tale operazione è associativa, ma, in generale, non è commutativa, cosicché sotto qualche aspetto somiglia alla moltiplicazione aritmetica, mentre per altri ne è diversa. La mera affermazione che la moltiplicazione non è quindi sempre commutativa può avere in realtà l'apparenza di un profondo paradosso. Ma se tale enunciazione solleva delle perplessità, esse nascono solo se si trascura il fatto che, anche se nel suo senso originario il termine "moltiplicazione" denota un'operazione commutativa, esso è stato ora adottato a nuovi usi. L'operazione denominata per mezzo di tale termine nel nuovo contesto non
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è l'operazione che esso termine denominava nel contesto vecchio; se, tuttavia, si considera il termine come esprimente entrambe le operazioni, è perché tra di esse ci sono importanti analogie, oltre ad importanti differenze. _, I termini 'posizione', 'momento', 'particella' e 'onda' nella teoria quantistica devono, in modo analogo, venir riconosciuti come presi a l prestito dalla fisica classica; la loro introduzione nella meccanica quanti- : stica è stata guidata da importanti analogie formali tra le vecchie e le ; nuove teorie; e la loro estensione al nuovo campo ha facilitato la for- \ mulazione della meccanica quantistica e ha suggerito linee vergini di ~ ricerca. Ciò nonostante, CJ!:Iando tali termini sono impiegati nel nuovo) ç_Q!1,_teStQ, _ dev5>n0 yenir . intesi in_ funzione deJle. restrizioni poste af -f: loro uso dai postulati della teoria quantistica, e non in funzione dei si._R.ni~àti pe!:,_~sj st~biliti_ dalla fisica clll,ssica. Quindi, dal che" nei due contesti non sono identiche le regole che governano l'uso dei termini, ciò che essi significano in meccanica quantistica non può coincidere con i loro significati storici piu familiari. È quindi un errore il supporre, come hanno fatto alcuni commentatori della meccanica quantistica, che migliorando la nostra tecnica sperimentale potremmo forse essere in grado di accertare i valori esatti simultanei della posizione e del momento degli elettroni, quando si accettino i significati di 'posizione' e di 'momento' fissati dalla teoria quantistica corrente. Una simile supposizione sta alla pari con la congettura che, con uno studio piu intenso, potremmo forse riuscire a scoprire se il rapporto 2/3 sia o no dispari. Tale supposizione trascura il punto cruciale che, a causa delle relazioni di indeterminazione, l'espressione 'i valori esatti simultanei della posizione e del momento di un elettrone' non ha un significato definito nella meccanica quantistica. Sebbene Heisenberg ammetta questo punto, e in realtà addirittura insista su di esso, egli riesce anche ad ignorarlo quando dichiara, nel passaggio citato sopra (v. p. 303 ), che se un esperimento determina il valore di una quantità numerica (ad esempio la posizione esatta di un elettrone) "esso rende illusoria la conoscenza di altri valori" (ad es. quello del momento dell'elettrone). Infatti, se l'espressione 'i valori esatti simultanei della posizione e del momento di un elettrone' non è definita, allora nelle circostanze considerate non esiste momento che sia da conoscersi. È quindi difficile il comprendere come possa essere "illusoria" la conoscenza di un preteso momento dell'elettrone, se in base alla nostra analisi, non esiste un qualcosa come il momento dell'elettrone che faccia da oggetto di tale conoscenza. 19
1 ••
momento
19 Simili argomenti si possono citare in risposta alla tesi di Heisenberg, che la fisica subatomica abbia messo in dubbio la distinzione classica tra "osservatore" e "osservato", o tra "soggetto" e "oggetto". Questa tesi è intelligibile solo in base all'assunzione che i termini della distinzione abbiano un significato definito nella fisica quantistica, e che tale significato sia lo stesso che nella fisica classica. Ma ora abbiamo bastanti ragioni per porre in dubbio tale assunzione.
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IV. L'indeterminismo della teoria quantistica La meccanica quantistica non può quindi venir validamente caratterizzata come indeterministica solo in base al fatto che le relazioni di indeterminazione escludono la possibilità di valori esatti per "posizioni" e "momenti" simultanei degli elettroni e di altre "particelle" subatomiche. Se le considerazioni fatte sopra sono valide, i termini ora indicati hanno in meccanica quantistica significati diversi che in fisica classica. Di conseguenza, è un non sequitur il concludere che le "posizioni" e i "momenti" di cui le relazioni di indeterminazione asseriscono che sono coniugatamente "indeterminati" siano proprio la stessa cosa che le "posizioni" e i "momenti" delle particelle soggetti a una precisa determinazione numerica, cosi che, mentre la meccanica classica ha una struttura deterministica, la meccanica quantistica non l'ha. l. C'è, in piu, un altro punto da notare nell'abituale argomento a favore della struttura indeterministica della meccanica quantistica. Tale argomento assume tacitamente che la teoria quantistica, al pari della meccanica classica delle particelle, definisca lo stato di un sistema come l'insieme dei valori istantanei della posizione e del momento per ogni particella che appartenga al sistema. Se tale assunzione risultasse fondata, riuscirebbe indubbiamente a stabilire ciò a cui mira l'argomento stesso. Infatti, dato che lo stato di un sistema cosi definito non potrebbe mai venir specificato per un qualsiasi istante, sarebbe ovviamente impossibile, anche in linea di principio, calcolare lo stato del sistema per qualsiasi altro istante. In via di fatto, però, la meccanica quantistica non definisce in questo modo lo stato di un sistema. Dunque, anche se deve venire considerato sicuro che la teoria quantistica non è deterministica rispetto a una descrizione di stato che si assuma definita in termini di posizioni e momenti quali variabili di stato, non ne segue che la teoria non sia deterministica rispetto a una descrizione di stato diversamente definita. In realtà, un esame delle equazioni fondamentali della meccanica quantistica mostra che la teoria impiega una definizione di stato del tutto diversa da quella della meccanica classica, ma che, rispetto al proprio tipo di definizione di stato, essa è deterministica nello stesso senso in cui lo è la meccanica classica rispetto alla descrizione meccanica di stato. Tuttavia, la definizione di stato adoperata nella meccanica quantistica è tremendamente astratta, e benché si possa facilmente analizzare la sua struttura formale, essa non si presta a un'esposizione non tecnica intuitivamente soddisfacente. Comunque, nella formulazione di Schrodinger, o della meccanica ondulatoria, la teoria quantistica usa come descrizione di stato di un sistema una certa funzione, cosiddetta _''funzione d'onda" o "funzione 'l'". Gli argomenti di tale funzione sono, in genere, coordinate della "posizione" e del "tempo". La funzione
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deve soddisfare l'equazione d'onda fondamentale del sistema in esame; deve essere continua, univoca e finita, per tutta la regione in cui è definita. Ma la caratteristica della funzione 'l' piu importante per il nostro esame è quella che, dati i valori della funzione per ogni punto della regione in un qualsiasi istante iniziale, l'equazione d'onda di Schrodinger determina un unico insieme di valori della funzione per qualsiasi altro istante. _l.!i_l!!eccanica quantistica è quindi ug_au!_epria pienament~ -1f c!eterfilil!istica rispet!_() ..al!~~es~!J~ion~ _d.i s_ta!9_4~U_amec:~ll.l.1JC:~_q_uanti stica definita dalla funzione 'l'. -·-Ma- cosa-rappre-senta-iafunzione 'l', e come può essere interpretata? Essa non può venir interpretata in termini di qualche modello fisico visualizzabile, le cui parti in moto siano particelle o onde classiche. Come si è già notato, tutti i tentativi di interpretazione di questo tipo della teoria quantistica portano a modelli i cui elementi componenti posseggono la "natura duale" consistente nell'essere contemporaneamente tanto corpuscoli quanto onde. Ciò nonostante, il fatto che non si disponga di un'interpretazione uniformemente completa in termini di un modello classico non è fatale all'impiego effettivo della meccanica quantistica. Come altre teorie della fisica, la meccanica quantistica formula le sue assunzioni mediante una varietà di variabili e di funzioni, la maggior parte delle quali non sono associate né a un'immagine visualizzabile né a nozioni sperimentali identificabili. Si aggiunga che, come per le altre teorie fisiche, in genere sono fornite definizioni coordinatrici in termini di fenomeni osservabili sperimentalmente non già per le variabili e le funzioni primitive della meccanica quantistica singolarmente prese, bens{ per certe loro combinazioni. In particolare, vien data un'interpretazione non per la funzione 'l' stessa, ma per una certa espressione matematica di cui essa fa parte. Per sommi capi, l'interpretazione comune della funzione 'l' è la seguente. La funzione è in genere complessa, nel significato tecnico matematico del termine, ma se ne può costruire un'espressione matematica (il quadrato del suo valore assoluto) che è reale. Il quadrato del valore assoluto di ~ è allora interpretato come la probabilità che i costituenti elementari del sistema per cui è definita~ (del sistema cioè che consiste del nucleo e dell'unico elettrone di un atomo di idrogeno) si trovino nei vari punti dello spazio. 20 Questa interpretazione della funzione 'l' è però ancora molto formale, specialmente alla luce della nostra precedente discussione secondo cui il termine 'posizione', in espressioni della meccanica quantistica del tipo di 'la posizione di un elettrone', è usato in 20 Piu esattamente, se q 11 ••• , qk sono le coordinate di posizione di un sistema, in modo che per un istante dato si possa scrivere la funzione ljJ come 'ljl(q1, • • • , qk)', e se q 11 ••• , ak è un punto definito, allora il quadrato del valore assoluto di ljl(a1 ••• , ak) è la probabilità che i costituenti elementari che si trovano nello stato lji(a11 . . . , ad siano nel punto a11 • • • , ak.
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un senso abbastanza diverso da quello ordinario. Sarà quindi bene addentrarsi nei dettagli della questione. Benché la funzione 'l' sia la definizione di stato della meccanica quantistica, tanto 'l' quanto le probabilità associate al quadrato del suo valore assoluto sono in fondo solo parametri ausiliari che giocano un ruolo intermediario nella teoria. Esse sono importanti perché permettono di calcolare varie altre probabilità. Per esempio, i postulati della teoria specificano che gli atomi si possono trovare solo in certi stati energetici e che i livelli possibili di energia degli atomi possono esser dedotti dalle equazioni d'onda fondamentali dei sistemi fisici formati dagli atomi. Mediante la funzione 'l', possiamo calcolare anche le probabilità con cui gli atomi che si trovano in un certo stato di energia hanno certi diametri medi. Inoltre la teoria specifica che un atomo passa da un livello di energia ad un altro quando emette o assorbe una radiazione di una determinata lunghezza d'onda. Sempré con l'aiuto della funzione 'l', possiamo calcolare le probabilità di tali transizioni, e dedurne la distribuzione di energie negli spettri di radiazioni emesse dagli atomi. D'altra parte, si possono fornire definizioni coordinatrici in termini di concetti provvisti di significato sperimentale, per espressioni teoriche come 'il diametro medio degli atomi' e 'la probabilità di transizione da un livello di energia ad un altro'. Di conseguenza, è possibile sottoporre a controllo sperimentale deduzioni tratte dalla teoria, come quelle già menzionate. Questa breve esposizione renderà forse evidente che la descrizione di stato teorica definita dalla funzione 'l' si riferisce alla materia di osservazione per via indiretta. La funzione 'l' stessa non viene interpretata in termini di un modello subatomico, bensi il quadrato del suo valore assoluto viene interpretato come una funzione di distribuzione di probabilità per i costituenti elementari di un modello subatomico; tali probabilità associate a 'l' entrano nel calcolo di varie altre probabilità, ed alcune di queste ultime, finalmente, vengono coordinate a certi concetti sperimentali mediante regole di corrispondenza. Domandiamoci ora come possa venir accertato lo stato di un sistema secondo la meccanica quantistica. Sarà ovvio che non possiamo compiere tale accertamento direttamente per mezzo di osservazione sperimentale, ma che si deve invertire, in un certo senso, il procedimento schematizzato sopra. Nell'assegnare ad un dato sistema una funzione 'l' dobbiamo in tutti i casi adottare un certo numero di assunzioni intermedie sulle distribuzioni delle probabilità, le quali vengono confermate da prove empiriche solo indirettamente. Quindi, mentre nella meccanica classica le variabili di stato sono associate a proprietà degli individui postulati dalJa teoria, nella meccanica quantistica la variabile di stato è associata a una proprietà statistica degli elementi postulati. In conseguenza, il fatto che le osservazioni real316
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Causalità e indeterminismo nelle teorie della fisica
mente effettuate su un sistema siano in accordo solo approssimato con le previsioni della teoria viene interpretato in modo diverso nei due casi. Nella meccanica classica la discrepanza è attribuita alla mancanza di una conoscenza precisa dello stato iniziale del sistema. Nella meccanica quantistica la discrepanza viene in parte anche spiegata in termini di errori sperimentali, ma per la parte restante la spiegazione consiste nell'osservare che le assunzioni e le regole che coordinano lo stato teorico di un sistema con i dati sperimentali contengono una componente statistica ineliminabile." Sebbene la meccanica quantistica sia deterministica rispetto alla ' descrizione di stato definita dalla funzione 'l', è questa la ragione per cui eminenti fisici sostengono che essa sia "per propria natura indeterministica, e che perciò se ne debba occupare la statistica" .22 Tale caratterizzazione è indiscutibilmente appropriata, in quanto esprime succintamente il punto fondamentale cheJa teoria qua!lti~!i.f_l:! ~-~~!!?-de termi!!i~t!ca" nell'importall_!~_ senso chela sua descrizione di stato ~ associat~_ad un'interpretazi()J1e__ statisti<:a_ ~ çhe)e sye preyisionLson() basate ~}! __ a§~~11zioni stati~tkhe. È però assolutamente necessario intendere tale caratterizzazione nel suo giusto senso, per evitare di trarre deduzioni ingiustificate. A tale scopo richiameremo brevemente alcuni fatti essenziali. In primo luogo, non è la funzione 'l' stessa, ma solo il quadrato del suo valore assoluto, a venir interpretata come una funzione di distribuzione di probabilità. La funzione 'l' non è una funzione di probabilità piu di quanto lo siano le descrizioni di stato nella teoria di Fourier sulla conduzione del calore o nella teoria di Maxwell dell'elettromagnetismo. La funzione 'l' "rappresenta" una caratteristica astratta dei sistemi fisici, caratteristica che determina rigorosamente certe probabilità associate a quei sistemi. Tuttavia, poiché essa interviene nella teoria quantistica solo attraverso la funzione data dal quadrato del valore assoluto di '1', e indi attraverso le probabilità teoriche determinate da questa funzione derivata, 'l' può venir convenientemente considerata come una variabile quasi statistica di stato. In secondo luogo, l'interpretazione del quadrato del valore assoluto di 'l' come una funzione di probabilità è intelligibile solo in base all'assunzione che certi processi subatomici formino degli aggregati statistici, ai quali sia applicabile la nozione di probabilità come frequenza relativa. La funzione 'l' deve quindi venir intesa come caratterizzante quei processi solo rispetto ad alcune delle loro proprietà statistiche. Quando, dunque, si pretende riferire una certa proprietà a costituenti elementari individuali di quegli aggregati subatomici (per es. quando si dice che un elettrone possiede un 'momento' il cui valore ca21 22
Cfr. MAx PLANCK, The Philosophy of Physics, New York, 1936, pp. 65-66. MAx BoRN, Atomic Physics, London, 1935, p. 90.
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de entro un intervallo specificato), dobbiamo intendere simili affermazioni come formulazioni ellittiche. Opportunamente ampliata ed esplicitata, l'affermazione illustrativa del momento di un elettrone asserisce di fatto che: o a) un momento avente il valore indicato si presenta con una certa frequenza relativa in un'ampia classe di elettroni; oppure b) un momento avente il valore indicato si presenta in un elettrone dato con una certa frequenza relativa durante un periodo di tempo abbastanza lungo. In breve, se l'interpretazione associata alla funzione 'l' è statistica, allora tutte le previsioni basate esclusivamente su tale interpretazione debbono pure essere statistiche, e non possono essere previsioni di proprietà non statistiche per individui. Non è quindi giustificata la conclusione che, per il fatto che la teoria quantistica non prevede i comportamenti individuali dettagliati degli elettroni e degli altri elementi subatomici, il loro comportamento sia "intrinsecamente indeterminato" e sia la manifestazione del "caso assoluto". Naturalmente è ~ero che la meccanica quantistica nella sua formulazione corrente non descrive tale comportamento dettagliato dei singoli elettroni né prevede le loro traiettorie individuali. Tuttavia, se le assunzioni fondamentali della teoria quantistica hanno un contenuto solo statistico, come accade infatti secondo la interpretazione che comunemente se ne dà, non è né sorprendente né paradossale che tutte le conclusioni derivabili da quelle assunzioni debbano esclusivamente avere esse pure solo un contenuto- statistico. Sarebbe sorprendente e paradossale se il risultato fosse diverso, a meno che si integrino quelle assunzioni con stipulazioni o con regole addizionali, in modo da permettere la deduzione di conclusioni non statistiche dall'insieme accresciuto di assunzioni. D'altra parte, la meccanica quantistica viene comunemente caratterizzata come una teoria "essenzialmente statistica", perché le sue variabili di stato, a differenza di quelle della meccanica statistica classica, non possono venir analizzate in termini di una teoria deterministica esistente, che impieghi solo descrizioni di stato non statistiche. Di conseguenza, nonostante il brillante successo della teoria quantistica nello spiegare, coordinare, e prevedere sistematicamente vaste zone di fatti sperimentali, alcuni tra i maggiori fisici (compreso Planck, Einstein, e De Broglie) hanno espressa la loro seria insoddisfazione al suo riguardo, per la ragione che nella sua forma corrente la teoria quantistica è "una rappresentazione incompleta delle cose reali". Per esempio, Einstein ha espresso come segue le sue riserve: La funzione 'l' non descrive assolutamente una condizione che potrebbe essere quella '"di un sistema singolo, ma piuttosto si riferisce a piu sistemi, ad un 'insieme di sistemi' nel senso della meccanica statistica. Se, eccetto che in certi casi speciali, la funzione 'l' fornisce solo dati statistici relativi a grandezze misurabili, la ragione non sta solo nel fatto che l'operazione di
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Causalità e indeterminismo nelle teorie della fisica misurazione introduce elementi sconosciuti, a cui si può arrivare solo stati-
sticamente, ma anche nel fatto reale che la funzione 'l' non descrive, in nessun senso, la condizione di un sistema singolo. L'equazione di Schrodinger determina le variazioni nel tempo espresse dall'insieme dei sistemi che possono esistere con o senza azione esterna sul singolo sistema ... Ma ora io domando: esiste realmente qualche fisico che crede che non raggiungeremo mai una visione all'interno di queste importanti alterazioni del sistema singolo, della loro struttura e dei loro nessi causali, e ciò, malgrado il fatto che questi avvenimenti singoli son stati portati cosi vicino a noi, grazie alle meravigliose invenzioni della camera di Wilson e del contatore Geiger? È logicamente possibile credere ciò senza cadere in contraddizione, ma è talmente contrario al mio istinto scientifico che io non posso rinunciare alla ricerca di una concezione piu completa.23 È tuttavia evidente che la preferenza manifestata da Einstein per un tipo di teoria diverso dalla meccanica quantistica non può essere materia di discussione, come non è possibile produrre prove persuasive a favore o contro la sua credenza che il tipo di teoria da lui prediletto finirà con il trionfare. Sotto questo aspetto, comunque, il futuro è imperscrutabile. È da notarsi inoltre che la qualifica di "incompletezza" per la meccanica quantistica è basata su un'assunzione che non è per niente evidente. Tale assunzione dice che è sempre possibile costruire una diversa teoria soddisfacente, per la quale possa venir fornita un'interpretazione uniformemente completa. Gli elementi componenti del modello usato in questa interpretazione possono per principio venir descritti in modo analogo a quelli impiegati in varie teorie della fisica classica, mediante variabili di stato individuali anziché statistiche. :La pretesa incompletezza della teoria quantistica corrente consiste, a quanto pare, nel fatto che la teoria formula solo certe proprietà statistiche dei processi subatomici, ma non dice niente sul comportamento dettagliato degli elementi "individuali" di quei processi. L'accusa di incompletezza appare quindi fatta dall'angolo visuale di qualche altra teoria, in generale immaginata come facente uso di variabili di stato diverse da quelle dell'attuale meccanica quantistica e piu simili a quelle della meccanica classica. Ma non vi può essere alcuna garanzia che una simile altra teoria debba obbligatoriamente venir sviluppata e finisca per rimpiazzare la teoria quantistica presente; quasi tuti i :fisici di oggi sono apertamente scettici sul fatto che in un futuro prevedibile venga realizzata questa possibilità. Con tutto ciò ci sono ragioni conclusive per sostenere, come sembra facciano molti fisici di avanguardia, che debba conservarsi in perma23 ALBERT EINSTEIN, Physik und Realitiit, "Journal of the Franklin Institute", vol. 221 (1936), ristampato tradotto nell'opera Out o/ My Later Years, New York, 1950, pp. 89-91. La enunciazione piu tecnica data da Einstein alla sua rivendicazione dell"' incompletezza" della meccanica quantistica è contenuta nell'articolo di A. EINSTEIN, B. PoDOLSKY e N. RosEN, Can Quantum-Mechanical Description o/ Physical Reality Be Considered Complete?, "Physical Review", vol. 47 (1935), pp. 777-80.
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nenza il tipo di teoria "indeterministica "di cui la meccanica- quantistica attuale è un esempio. Un argomento a favore di tale tesi consiste in un importante teorema dimostrato da John von Neumann. Secondo tale teorema, l'attuale teoria quantistica non può venir completata con l'introduzione di "parametri nascosti" aggiuntivi per la definizione dello stato del sistema, in modo da convertire la teoria in una teoria non statistica, senza che dalla teoria emendata si ottengano conseguenze incompatibili con la gran quantità di dati sperimentali che confermano in modo cosi impressionante la teoria attuale. Ma il teorema di von Neumann dimostra soltanto che, fintantoché si rimane entro la struttura fondamentale di idee della teoria quantistica presente e si interpretano i dati dell'esperienza in termini delle sue leggi, è impossibile emendare la teoria nella maniera indicata. Egli non dimostra, e non avrebbe potuto dimostrare per la natura stessa delle cose in questione, che una teoria non statistica soddisfacente, che coprisse lo stesso campo della teoria quantistica attuale ma fosse costruita secondo linee completamente diverse, sia logicamente da escludersi. Certamente, non abbiamo oggi una teoria simile, e le difficoltà implicate nell'assunto di costruirne una sono formidabili. Ma nello stesso tempo la scoperta sperimentale di una varietà di "particelle elementari" strane ed in parte inaspettate, dotate di alte energie, per le quali l'attuale teoria quantistica non fornisce una spiegazione adeguata, ha richiamato l'attenzione sui seri limiti della teoria. Stimolati da questa nuova "crisi" della fisica, i fisici hanno infatti recentemente tentato di sviluppare teorie non statistiche che sfuggano ai divieti del teorema di von Neumann. Questi tentativi trattano di materie tecniche sulle quali possono avere un'opinione competente solo i fisici professionisti. Ma il fatto che da parte di preparati studiosi di fisica vengano compiuti simili tentativi indica che la forma "essenzialmente statistica" della teoria subatomica attuale non costituisce necessariamente l'ultima parola sull'argomento.'4 2. Molti fisici si sono del tutto convinti che la teoria quantistica è la parte logicamente fondamentale della fisica, e che i risultati raggiunti in altre parti della scienza devono essere compresi mediante le idee fondamentali di tale teoria. Di conseguenza, si è diffuso il punto di vista secondo cui tutte le leggi (anche quelle riguardanti oggetti ed eventi macroscopici) sono in fondo statistiche, e tutti i processi naturali alla fine sono "acausali ". La concezione che tutte le leggi della fisica rappresentano mera24 La prova del teorema di von Neumann è data nella sua Matematische Grundlagen der Quantenmechanik, Berlin, 1932 (traduzione inglese, Mathematical Foundations of Quantum Mechanics, Princeton, 1955), c. 4, sez. 2, pp. 167-73. Un esame del teorema, come pure di altre questioni or ora accennate, si troverà in DAviD BoHM, Causality and Chance in Modern Pbysics, London, 1957; Lours DE BROGLIE, The Revolution in Physics, New York, 1953, c. 10; e Observation and Interpretation, A Symposium of Philosophers and Pbysicists (ed. a cura di S. Kèirner), New York e London, 1957.
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mente delle regolarità medie o statistiche fu sostenuta con vigore da Charles Peirce, molto prima dell'avvento della meccanica quantistica." Il lavoro di Boltzmann sull'interpretazione statistica del secondo principio della termodinamica sembrò certamente confermare tale tesi. L'idea di Peirce fu ripresa in forma indipendente dal fisico viennese Exner,>• che a sua volta stimolò Schrodinger a svilupparla alla luce delle scoperte fisiche piu recenti. 27 Ma in ogni caso la tesi che tutte le leggi fisiche siano fondamentalmente statistiche ed acausali è stata affermata da Eddington, tra gli altri, come una conseguenza diretta della moderna teoria quantistica. "Da nessuna parte esiste un comportamento strettamente causale" egli dichiarò. "È impossibile cogliere la fisica moderna nella previsione di qualcosa con perfetto determinismo, perché essa fin dall'inizio tratta di probabilità."'' Quali sono gli argomenti per una simile tesi? Essi sembrano essere i seguenti. Gli oggetti macroscopici sono strutture complesse di enti subatomici. Le proprietà e le relazioni dei primi si presentano quindi in condizioni che possono venir formulate in termini delle disposizioni e interazioni fra i secondi. Ma la teoria stabilita per gli oggetti subatomici è statistica e indeterministica; per tutto ciò che ne sappiamo, il comportamento degli oggetti subatomici mostra regolarità solamente statistiche; quindi, conclude l'argomentazione, dal momento che il comportamento degli oggetti macroscopici è composto dal comportamento dei loro costituenti subatomici, le regolarità manifestate dagli oggetti macroscopici sono esse pure soltanto statistiche. L'argomentazione non arriva però ad essere persuasiva, anche se si ignora l'ambiguità della caratterizzazione della teoria quantistica come "indeterministica ". Poiché spesso si fanno appoggiare sulle conclusioni tratte da questa argomentazione delle affermazioni filosofiche generali riguardanti la libertà e la responsabilità umane, val la pena di esaminarla con una certa cura. Comunque, la conclusione che tutte le teorie e le leggi fisiche sono "statistiche" è vera, ma banale, se intesa nel senso che i dati quantitativi ottenuti da misurazioni sperimentali confermano le leggi numeriche solo approssimativamente, e non con precisione assoluta. Abbiamo già discusso tale questione, e non è necessario considerarla ulteriormente. Ma dobbiamo richiamare la di25 CHARLES S. PEIRCE, The Doctrine o! Necissity Examined, "The Monist", vol. 2 (1892), ristampato in Collected Papers of Charles S. Peirce, Cambridge, Mass., 1935, vol. 6, pp. 28-45. 26 FRANZ ExNER, Vorlesungen iiber die Physikalischen Grundlagen der Naturwissencha/ten, Wien, 1919, pp. 657 e sgg., 696 e sgg. 27 ERWIN ScHRODINGER, What is a Law of Nature, in Science and the Human Temperament, New York, 1935, pp. 133-47. 28 ARTHUR S. EooiNGTON, The Nature o/ the Physical World, New York, 1928, p. 309, trad. it. cit.; New Pathways in Science, Cambridge, 1935, p. 105; trad. it a cura di A. M. Dell'Oro, Milano, 1936; anche J. VON NEUMANN, op. cit., p. 172 (traduzione inglese, pp. 326 e sgg.).
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stinzione fatta allora tra quanto un enunciato afferma in effetti, e la precisione con cui le prove empiriche vanno d'accordo con le affermazioni dell'enunciato." La tesi che vogliamo prendere ora in esame è quella che sostiene che quanto viene asserito da tutte le leggi fisiche ha contenuto statistico. Una tacita assunzione dell'argomentazione a favore di questa tesi è che, se una teoria (ad esempio, la meccanica quantistica) è statistica, allora ogni conclusione derivata dalla teoria deve pure essere statistica. Benché in generale tale assunzione sia fondata, vi sono anche delle eccezioni. Esse si presentano, per esempio, quando le definizioni di coordinamento relative a vari parametri statistici della teoria associano tali parametri a concetti sperimentali non statistici in modo che se ne può allora dedurre ciò che a prima vista risulta una legge sperimentale non statistica. Un esempio chiarirà la situazione. La legge dell'irraggiamento di Planck formula la distribuzione dell'energia nello spettro sperimentalmente continuo del corpo nero, ed asserisce che l'energia associata ai raggi emessi aventi una data lunghezza d'onda è una certa funzione della lunghezza d'onda e della temperatura del corpo nero.30 A prima vista, la legge non fa un'asserzione statistica. La si può sottoporre a controllo sperimentale misurando le energie in vari punti dello spettro (per es. mettendo in qualche punto dello spettro un bolometro sensibile, osservando la temperatura, quindi calcolando l'energia mediante qualche altra legge), ed accertando cosi se il valore dell'energia in ogni punto è quello richiesto dalla legge. La legge però può venir dedotta da una serie complicata di assunzioni, che includono postulati sia di meccanica quantistica che di meccanica statistica e di elettrodinamica, applicati al sistema fisico consistente nelle radiazioni provenienti dal corpo nero. La derivazione della legge sperimentale dipende, tra le altre cose, da svariate definizioni di coordinamento. Una di queste definizioni, per esempio, associa il concetto sperimentale non statistico di temperatura alla nozione teorica statistica di energia cinetica media degli oscillatori del corpo nero. Un'altra definizione coordinatrice associa la nozione sperimentale non statistica di energia alla nozione teorica di numero determinato statisticamente degli oscillatori aventi una certa lunghezza d'onda. Il punto illustrato da questo esempio merita un ulteriore esame. Come le altre teorie, una teoria microscopica statistica viene introdotta allo scopo di spiegare il presentarsi di proprietà sperimentalmente idenVedi sopra, p. 292. Se E, è l'energia associata ad un raggio la cui lunghezza d'onda è ).., T la temperatura assoluta del corpo nero radiante, h la costante di Planck, c la velocità della luce e k la costante di Boltzmann, allora la legge dell'irraggiamento di Planck è data da: 29
30
E,== ht-2 "}.1
l
ehcfkn·- l
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Causalità e indeterminismo nelle teorie della fisica
tificabili (chiamate spesso "macrostati") di oggetti macroscopici. Una teoria siffatta postula un insieme di elementi microscopici, capaci di assumere gli uni rispetto agli altri varie relazioni stipulate. Chiamiamo ogni "sistemazione" teoricamente possibile e distinguibile dei costituenti microscopici di un sistema un "microstato" del sistema. La teoria spiega il presentarsi dei macrostati di un sistema in termini di assunzioni che riguardano variazioni nei microstati, cosi che la spiegazione dipende dall'istituzione di corrispondenze tra macro- e microstati. Tuttavia, le corrispondenze sono solitamente specificate in modo che a un dato macrostato corrispondono non uno ma piu microstati distinti. Per esempio, nella teoria cinetica dei gas, la temperatura di un gas (il macrostato) corrisponde all'energia cinetica media delle molecole del gas; ma un valore dato dell'energia cinetica media è compatibile con un gran numero di microstati distinti (dove ogni microstato è descritto da un particolare insieme di valori delle posizioni e delle velocità delle molecole), in modo che un macrostato dato corrisponde a molti microstati. 31 Supponiamo che ogni macrostato M; del sistema corrisponda ad una classe di microstati m; e che queste classi m; non si sovrappongano. Supponiamo poi che il verificarsi in un dato istante t di un microstato appartenente a m; non determini il verificarsi in un istante posteriore t' di un unico microstato, bensi determini il verificarsi di un microstato appartenente ad una classe mi, dove la relazione esatta tra i e j è specificata dalla teoria microscopica. In questo caso la teoria è statistica rispetto ai microstati, ed i microstati si succedono solo con una regolarità statistica. Ma non ne segue assolutamente che anche la successione dei macrostati debba presentare soltanto una regolarità statistica; al contrario, può darsi che i macrostati del sistema siano tra loro relazionati secondo una legge strettamente universale, non statistica. È dunque un'inconseguenza il concludere che, per il fatto che la meccanica quantistica è il fondamento di tutte le altre parti della fisica ed è una teoria statistica, tutte le leggi fisiche deducibili dalla meccanica quantistica debbano esse pure essere statistiche. C'è tuttavia un'altra assunzione, benché di un genere piu vago, che appare come una tacita premessa nel ragionamento a sostegno della tesi che tutte le leggi fisiche siano statistiche. Secondo tale assunzione, se un sistema è analizzabile in una struttura di componenti elementari 31 Cosi, si supponga di avere quattro molecole, ognuna di massa unitaria, ognuna delle quali possa occupare l tra 8 posizioni, ed avere una velocità o di l o di 2 metri al secondo. Allora, il numero totale di microstati distinti è 410 = 1.048.576. Se l'energia cinetica media delle quattro molecole è
(P
+ 2 + 2 + l') 2
2
(2X4)
_
5
-4
=
ciò è compatibile con ognuno dei 6 X 48 393.212 microstati. Cosi un unico macrastato, la temperatura del gas, corrisponde a quasi 400.000 microstati distinti.
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(siano essi semplici in modo "assoluto" o solo "relativo"), i componenti sono, in un senso non molto chiaro, piu originari, o "metafisicamente antecedenti" rispetto al sistema complessivo. Ciò che forse si intende è che un carattere o una proprietà non hanno un posto indiscutibile in una spiegazione di qualsiasi cosa complessa, se tale proprietà o carattere non possono venir attribuiti anche agli elementi originari dei quali è costituita la cosa stessa. In particolare, anche se può apparire che una legge riguardante oggetti macroscopici abbia contenuto non statistico, tale contenuto "in realtà" è statistico, se la legge è deducibile da una teoria essenzialmente statistica sugli elementi fondamentali di tutti i processi naturali. Ma se questo è quanto intende l'assunzione largamente accettata, è ben difficile prenderla sul serio. In realtà, se essa fosse fondata, sarebbe inutile sviluppare spiegazioni teoriche per il comportamento degli oggetti macroscopici in termini delle loro parti elementari; infatti secondo tale assunzione gli oggetti macroscopici avrebbero proprietà indiscutibili solo se queste ultime caratterizzassero anche i costituenti elementari degli oggetti. Ma, dato che non si può rispondere alla domanda se i costituenti ipotetici microscopici degli oggetti macroscopici abbiano certi tratti caratteristici, se non facendo osservazioni sugli oggetti macroscopici e sulle loro proprietà, non si può evitare il circolo vizioso cosf generato. In piu, secondo questa assunzione, i componenti elementari degli oggetti macroscopici sarebbero semplicemente duplicati diminutivi degli oggetti macroscopici, e possederebbero tutti i tratti dei quali si cerca la spiegazione. In pratica, quando una teoria spiega il comportamento degli oggetti macroscopici in termini degli elementi microscopici, si devono assumere leggi particolari che mettono in relazione certi tratti manifesti dei primi con certi altri tratti dei secondi. Sarebbe assurdamente sciocco assumere tali leggi se quei tratti manifesti, benché non caratterizzanti i componenti elementari delle cose, non fossero caratteristiche del mondo altrettanto indiscutibili di quanto si presuma lo siano i tratti" degli elementi. Si osserverà infine che, anche se si accettano senza discutere le tesi piu estremiste sul comportamento indeterministico degli elementi subatomici postulati dalla teoria quantistica, questa indeterminatezza non si riscontra in nessun comportamento sperimentalmente osservabile degli oggetti macroscopici. In pratica, l'ind(!!~~_inis!!!_q___!:eot.:_kQ__qy~ l~ ~~ulta_dai ~lcoJLdelJ~__ll?:_~~~~!!i<::~_q_l!?J!!~!ic:a_ !J.~i _ moti perfino delle El_ole<::ole, pe_r.E_~!! __p_a_r_l~r.~ _c;l~i_çory_i ~_l! __fi1~Sse _tp~ggi_()_rjL~ ili__ gr~!J.. lunga inferiore ai limiti della ~ci~iog~_sp~rimentale._Come osservava De Broglie, l'indeterminatezza teorica dei processi subatomici non contraddice affatto il "determinismo apparente" dei fenomeni su larga scala. L'indeterminatezza infatti "è completamente mascherata dagli errori introdotti nel corso dell'esperimento, e quindi tutto accade come se non
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esistesse per niente ... In pratica, come pure nell'esperienza, tutto avviene come se ... ci fosse un rigido determinismo".32 Di conseguenza, il con!_enuto statistico della meccanica quantistica non annulla la struttura deterministica e no-n.--si:àt!stica di altre leggr fisiè11e.-Ne segue-pure chele--c-onclUsioni. libertà sulla respon: sabilità morale umane, se basate sul preteso comportamento "acausale" e "indeterministico" dei processi subatomici, sono costruite sulla sabbia. Né un esame della teoria fisica, né uno studio del contenuto della fisica, porta alla conclusione che "non esiste nulla che presenti un comportamento rigidamente causale".
sulla
e
V. Il principio di causalità Si è largamente fatto ricorso alla straordinaria fortuna della meccanica quantistica per dimostrare l'inapplicabilità ai processi subatomici della cosiddetta "legge di causalità", e per segnarne il declino dalla posizione di principio universalmente valido." È quindi opportuno un breve esame di quanto asserisce tale "legge", di quale sia la sua natura dal punto di vista logico, e della questione se siano veramente giustificati gli annunci del suo crollo totale. La legge, o principio, di causalità è solitamente distinta dalle varie leggi o teorie causali particolari, quale la teoria della meccanica classica. Non ne esiste però una formulazione standard generalmente accettata, né c'è un accordo generale su quanto essa affermi. Di solito si intende che il principio abbracci un campo maggiore di quello di ogni legge causale particolare. Alcuni autori invece lo considerano un enunciato alla pari con le asserzioni causali particolari, che però asserisce qualcosa intorno a un tratto caratteristico comune alla natura tutta e non solamente intorno ad aspetti di un argomento delimitato. Altri intendono che si tratti di un principio di rango piu elevato che non quello delle leggi causali specializzate, e sostengono che tale principio asserisca qualcosa sulle leggi e sulle teorie piuttosto che sugli argomenti trattati dalle leggi e dalle teorie. Altri scrittori ancora lo prendono come principio normativo per la ricerca piuttosto che come formulazione di nessi tra eventi e processi. Alcuni lo ritengono una generalizzazione induttiva, altri sono convinti che esso sia a priori e necessario, altri ancora sostengono che esso sia una norma conveniente e l'espressione di una scelta. Dal momento che sotto il nome di "principio di causalità" sono raccolte tante differenti nozioni, fa scarsa meraviglia che le pretese correnti sul suo "fallimento" abbiano provocato discussioni altrettanto ambigue e non conclusive delle stesse pretese. 32 33
Lours DE BROGLIE, Matière et lumière, Paris, 1937, p. 254. Cfr. W. HEISENBERG, op. cit., p. 63.
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l. Non sarebbe utile esaminare ~n dettaglio anche le piu importanti formulazioni proposte per il principio anzidetto in parecchi secoli di discussioni. Per di piu, sebbene alcuné formulazioni del principio ad opera di scrittori contemporanei abbiano il merito di possedere una relativa chiarezza, tali formulazioni sono state originariamente proposte in relazione al problema di convalidare (o "giustificare") inferenze induttive; 34 né sarebbe rilevante nel contesto presente il considerarle. Sarà invece utile esaminare brevemente il punto di vista secondo cui il principio è una generalizzazione empirica sulla costituzione della natura. Un enunciato familiare, e che ha avuto molta influenza, di tale concezione venne dato da John Stuart Mill, secondo il quale il principio dell'uniformità della natura (il nome dato da Mill al principio di causalità) asserisce che "esistono in natura dei casi paralleli; ciò che è accaduto una volta, accadrà nuovamente, iri circostanze aventi un sufficiente grado di similitudine"." Anche se Mill credeva indubbiamente che il suo enunciato fosse dotato di contenuto empirico, la sua validità o meno dipende da cosa si intende con l'espressione "circostanze aventi un sufficiente grado di similitudine". Quando accade che circostanze siano sufficientemente simili? È evidente che una rassomiglianza superficiale tra circostanze non basta. Inoltre, due gruppi di circostanze possono venir considerati simili anche da osservatori esperti e capaci di discriminazione, eppure può darsi che da un gruppo segua un effetto e da un altro no. Per esempio, due soluzioni di zucchero e acqua possono non mostrare sensibili differenze anche dopo un attento esame, eppure può darsi che una di esse faccia ruotare in senso orario il piano di polarizzazione della luce trasmessa e l'altra in senso antiorario. Deve per questo un difensore del principio di causalità abbandonarlo come non valido? Affatto. Egli potrebbe sostenere che le due soluzioni non sono effettivamente simili e che gli zuccheri differiscono nelle loro strutture atomiche, anche se non si dispone di prove indipendenti per tale pretesa diversità. Ma in questo caso, è evidente che l'espressione "circostanze aventi un sufficiente grado di similitudine" è usata in modo che due gruppi di circostanze vengon dette sufficientemente simili solo se hanno conseguenze simili. In tale ipotesi, la formulazione del principio di causalità dovuta a Mill non è in possesso di un contenuto empirico ma ha lo status di una convenzione stipulativa. Ma non si può attribuire all'espressione in questione un significato tale che il principio sia allora un'asserzione fattuale genuina sull'" ordine della natura"? I tentativi di fissare un significato di questo 34 Cfr. J. M. KEYNES, A Treatise on Probability, London, 1921, parte 3; RuooLP CARNAP, Logica! Foundations of Probability, Chicago, 1950, pp. 178 e sgg.; BERTRAND RussELL, Human Knowledge, New York, 1948, parte 6; trad. it. a cura di C. Pellizzi, Milano, 1951. 35 J. S. MILL, A System of Logic, London, 1879, libro 3, c. 3, sez. l.
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genere, senza dare al principio una forma meno generale di quanto sia la versione di Mill, non sono stati coronati dal successo. Un esempio tipico di una formulazione piu specializzata del principio è quella proposta da Laplace nel passo citato piu sopra in questo stesso capitolo. Laplace assumeva che la meccanica classica fosse la scienza universale della natura, e adottava quindi la definizione meccanica di stato nella sua formulazione delle circostanze nelle quali le cose debbono esser simili se debbono avere conseguenze simili. La versione di Laplace del principio di causalità asserisce quindi che, se un sistema fisico si trova in due istanti diversi nello stesso stato meccanico, esso attraverserà le stesse evoluzioni successivamente a quei due istanti e possederà tutte le proprietà in comune in istanti corrispondenti di quella evoluzione. Ciò nonostante, il principio di causalità incontra difficoltà anche in questa formulazione. In primo luogo, come risulta evidente dalle discussioni già accennate in questo stesso capitolo, è erroneo il credere che lo stato meccanico di un sistema determini tutte le proprietà del sistema. In secondo luogo, questa formulazione del principio è quasi altrettanto vuota di contenuto empirico quanto la versione di Mill, e, come quest'ultima, appare compatibile con qualsiasi possibile stato delle cose. Si supponga, ad esempio, che si giudichi che un sistema si trova nello stesso stato meccanico in due istanti diversi, ma che nondimeno il sistema non presenti le stesse proprietà in momenti successivi corrispondenti. Tuttavia, malgrado la sua apparente incompatibilità con i fatti, non è necessario abbandonare come falso il principio di causalità. Esso potrebbe venir conservato quale perfettamente valido, semplicemente assumendo che il sistema contiene componenti nascoste che nei due istanti iniziali non si trovavano nello stesso stato meccanico. Infine, anche se il principio appare non refutabile da alcuna prova empirica, è stato di fatto abbandonato nella costruzione delle teorie in molti campi dell'indagine fisica, e ciò perché quei tratti caratteristici delle cose (per esempio lo stato meccanico) sui quali esclusivamente mette l'accento, non son risultati adatti come base per far avanzare la nostra comprensione teorica di molti processi fisici. Se quindi il principio di causalità viene inteso nel senso stabilito dalla versione di Laplace, è evidentemente giustificata la tesi che esso sia inapplicabile nella fisica subatomica. 2. Per questa ragione è estremamente difficile, se non addirittura senza speranze, considerare il principio di causalità come una verità induttiva universalmente valida riguardante l'ordine comune agli eventi e ai processi. Consideriamo quindi se il principio si trovi in una posizione migliore se formulato come regola normativa o metodologica di ricerca. Si supponga per esempio di applicare la meccanica newtoniana allo studio dei moti relativi del Sole e della Terra, in base all'assunzione
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che la funzione-forza sia la familiare legge dell'inverso del quadrato che non menziona esplicitamente il tempo del moto e che dipende solo dalle masse dei due corpi e dalle distanze tra essi. Come è ben noto, l'orbita teorica della Terra è allora un'ellisse, con il centro di massa dei due corpi in uno dei due fuochi. Tuttavia le reali posizioni e velocità della Terra, come risultano stabilite dall'osservazione in istanti diversi, differiscono dai valori teorici di queste coordinate di stato per piu del margine dell'errore sperimentale. In realtà, secondo l'ipotesi assunta, sembra che la Terra si comporti come se la forza variasse con il tempo in modo irregolare; in certi istanti la Terra ha posizioni e velocità che differiscono da quelle teoriche in misura maggiore che in altri istanti, senza che si possa rintracciare alcuna regola nelle variazioni di tali discrepanze. La teoria newtoniana appare perciò non del tutto soddisfacente, ed è quindi concepibile che i fisici la possano respingere. Ma, come tutti sanno, i fisici non la respingono. Essi spiegano le discrepanze attribuendole al fatto che il sistema Sole-Terra non è "isolato", e che in effetti esistono corpi celesti (per esempio i pianeti noti) che producono "perturbazioni" nel moto della Terra. La procedura adottata dai fisici consiste nell'allargare il sistema iniziale che per primo apparve comportarsi in modo discordante con la teoria newtoniana. Piu specifìcatamente, i fisici lo allargarono includendovi ulteriori corpi, fintantoché nel sistema allargato la forza agente sulla Terra non apparisse piu variare col tempo in maniera inspiegabile. Questo esempio mostra un tipico modo di procedere scientifico che in passato ha portato molti validi frutti. Cosf, facendo uso di tale procedura, Adams e Leverrier per render conto delle "irregolarità" nel moto del pianeta Urano postularono l'esistenza del pianeta Nettuno, .fino ad allora sconosciuto, e in seguito identificato per mezzo del telescopio. Ma la tacita regola che governa questo modo di procedere è \ quella versione del principio di causalità, secondo cui esso costituisce : una massima per la ricerca piuttosto che un enunciato con un conte\ nuto empirico definito. Inteso come una massima, il principio ci ob' bliga ad analizzare i processi in modo tale che si possa dimostrare che la loro evoluzione è indipendente dai tempi e dai luoghi particolari in cui essi avvengono. Piu in generale, la massima ci ingiunge di cercare leggi e teorie che non contengano un riferimento esplicito ai tempi e luoghi in cui avvengono gli eventi. In via di fatto, Maxwell stabili il principio di causalità nel modo seguente: "La differenza tra un evento e un altro non dipende dalla semplice diversità di tempo o di luogo in cui essi avvengono, ma solo dalle diversità di natura, di configurazione o di moto dei corpi in esame". u Benché questa formulazione non ren-
l
"' ]. C. MAxwELL, Matter in Motion, New York, 1920, p. 13. Ma recenti sviluppi della cosmologia fisica suggeriscono la necessità di una revisione della formulazione data da Maxwell del principio di causalità.
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da del tutto esplicito il senso del principio in quanto regola metodologica, e sia enunciata avendo presenti le particolari necessità della meccanica classica, tale significato del principio non è molto lontano da quanto appare dalle parole di Maxwell. L'interpretazione del principio come massima è stata espressa piu vigorosamente in una formulazione piu recente: "Ogniqualvolta incontrate un sistema incompleto o disturbato, tentate con tutte le vostre forze di ampliarlo in un insieme. indisturbato, cercando il suo complemento prima tra le cose note, vicine e lontane. Se tra di esse non lo trovate, cercatelo tra le cose ignote" .37 Cosi inteso, il principio di causalità è una raccomandazione generalizzata. Ci obbliga a costruire teorie e trovare sistemi appropriati a cui esse si possano applicare con successo, senza restrizioni sui dettagli della forma delle teorie, salvo il requisito che, quando sia dato lo stato del sistema in un istante iniziale (definito in qualsivoglia maniera), la teoria debba per esso determinare un unico stato del sistema in un altro istante qualsiasi. Il principio però, quando è formulato in un modo cosi generale, è riconosciutamente vago, e non fornisce direttive specifiche per raggiungere gli obiettivi che indica. In pratica, a meno che si interpreti la formulazione alla luce di certe stipulazioni addizionali generalmente tacite, il principio è del tutto ridotto a qualcosa di banale. Per rendersene conto, si consideri la versione di Maxwell. Si supponga che i processi non mostrino, in qualche dominio della ricerca, una regolarità ovvia, e che dipendano dal tempo in cui si verificano in modo tale che non si possa trovare alcuna spiegazione di questa dipendenza che si riferisca solamente alla "natura, alla configurazione, o al moto dei corpi in esame". Ciò nonostante, si può dimostrare che deve esserci una funzione matematica che metta in relazione i processi con il tempo in cui si verificano; con un po' di fortuna può perfino darsi che ci si imbatta in questa funzione!" C'è di piu: se la funzione soddisfa certe condizioni matematiche molto ampie, è anche possibile eliminarne tutti i riferimenti espliciti ai tempi e ai luoghi particolari in cui avvengono i processi (soddisfacendo cosi il requisito richiesto da Maxwell), senza disturbarci ad allargare il sistema nel modo indicato sopra - sempre che si sia preparati ad impiegare nella nostra teoria equazioni differenziali di ordine arbitrariamente elevato e di qualsiasi grado di complessità." L. SrLBERSTEIN, Causality, New York, 1933, p. 71. Vedere anche ERNST CASSI· Determinismus und Indeterminismus in der modernen Physik, Goteborg, 1937; parte Il. 38 La base per la tesi che tale funzione deve esistere è semplicemente che, se qual· che grandezza x assume valori definiti per istanti diversi t, questa stessa corrispondenza tra i valori di x e t "definisce" la funzione. 39 Per esempio, nella meccanica classica le equazioni differenziali delle vibrazioni forzate hanno la forma 37
RER,
Jlx dx fl -=a. -+..,x+ycosw di' dt
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La struttura della scienza
In pratica, però, la maggior parte dei fisici solleverebbero delle obiezioni all'accettazione di questa clausola, rifiutandola per la ragione che non si può considerare come soddisfacente una legge o una teoria se la sua forma matematica è tanto complessa che non la si può usare convenientemente per scopi di calcolo e di previsione, oppure se le sue nozioni di base sono talmente poco chiare che la si possa applicare a situazioni concrete solo a prezzo di grandi difficoltà. Quindi, anche se il compito ingiunto dal principio di causalità, quando lo si formula in modo del tutto generale, può in molti casi venir eseguito quasi banalmente, di fatto vigono tacite restrizioni riguardanti la complessità ed il carattere delle teorie accettabili come soddisfacenti il "reale" scopo del principio. Tali restrizioni, espresse, quando vengono rese esplicite, in termini come "semplicità", "convenienza" e "naturalezza", evitano che il principio venga soddisfatto in modo banale; ma siccome tali termini sono vaghi e non si può attribuir loro un significato preciso, risulta impreciso il contenuto stesso delle raccomandazioni del principio. C'è tuttàvia solitamente in ogni epoca un consenso almeno approssimativo tra gli scienziati sui limiti, grosso modo intesi, entro cui si desidera stiano le teorie, anche se tali limiti sono elastici, se dipendono dallo stato corrente della scienza e possono cambiare con lo sviluppo delle tecniche matematiche e sperimentali.«) dove 'a.', '(f, 'y' sono certe costanti. Differenziando due volte queste equazioni rispetto al tempo, si ottiene: d'x d'x . d'x 2 di' a. di' ~ dt" - 'Y w cos wt
=
+
ed eliminando quindi la variabile tempo, si ha infine:
d'x _
d'x
di'- a. F
4t
+(~-w
2
d'x
2
dx
ldt' + a.w ---;;:t+ ~w'x
che non contiene esplicitamente 't'. "" La formulazione di Maxwell del principio di causalità è stata criticata da Moritz Schlick per la ragione che è troppo restri t tiva e che stabilisce una condizione sufficiente, ma non necessaria di quando si debba chiamare "causale" una legge. Schlick sostenne che è concepibile un mondo in cui tutte le leggi contengano esplicitumente il tempo, eppure possano venir considerate come completamente determinate. In un mondo del genere per esempio la carica elettrica elementare potrebbe non essere costante nel tempo, ma crescere o diminuire del 5% del suo valore in certi intervalli stabiliti (diciamo dopo 7 ore, poi di nuovo dopo 7 ore, poi ancora dopo 5 ore, ecc.), senza che fosse possibile dare altre spiegazioni di questa fluttuazione. Schlick .conclug:___g.!lj!lclL cl:u: la condizione necessaria e sufficiente __Q<:rché una le_gze sia causale è che essa renda possibile la previSione, e foimùlò !Cprincipio- dr -causallta--come l'obbligo di cercare leggi che- si accordinoal detto: "tutti gli eventi sono per principio prevedibili". MORITZ SCHLICK, Die Kausalitiit in der gegenwiirtigen Physik, nel suo Gesammelte Au/siitze, Vienna, 1938. Ma non sono pienamente soddisfacenti né la critica di Schlick alla formulazione di Maxwell, né la formulazione che egli propone in sostituzione. Come abbiamo visto nel testo, una teoria (sotto forma di equazioni differenziali) che contenga esplicitamente il tempo, può in genere venir trasformata in modo tale che la variabile tempo non compaia. Se quindi è completamente possibile formulare una teoria che stabilisca alcune relazioni tra le variazioni di un gruppo di grandezze e il tempo, i requisiti richiesti da Maxwell saranno soddisfatti - a meno che si facciano altre tacite stipulazioni riguardo alla "semplicità" della teoria. Inoltre, il criterio proposto da Schlick in termini di pre-
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Ma se il principio di causalità è inteso come una massima del tipo che si è suggerito, è chiaro che, contrariamente a quanto sostenevano ]. S. Mill e altri, il principio non è una generalizzazione empirica sulla struttura generale del mondo e non appare come la "premessa maggiore originaria" di qualsiasi spiegazione. La funzione del principio cosi inteso è di rendere esplicito uno scopo generalizzato di ricerca e di formulare in termini generali una condizione che si richiede sia soddisfatta dalle premesse proposte come spiegazioni. È inoltre chiaro come mai secondo questa interpretazione il principio non possa venir confutato da nessun esperimento o da nessuna serie di esperimenti, anche se si possano abbandonare, alla luce dell'esperienza, alcune forme particolari del principio come incaute. La ragione è che il principio è una direttiva che ~ indirizza alla ricerca di spiegazioni che posseggano certe caratteristiche delimitate in modo piuttosto ampio; né ripetuti insuccessi nella ricerca di tali spiegazioni in un dato dominio di eventi costituiscono un impedimento logico per un'ulteriore ricerca. D'altra parte, quando le direttive stabilite dal principio assumono forme particolari, può risultare una saggia strategia quella di ignorarle di fronte a ripetuti fallimenti nel raggiungimento degli obiettivi. Cosi, se il principio, come spesso accade, viene inteso come l'ingiunzione di sviluppare in ogni dominio di indagine solo quelle teorie che impiegano un tipo particolare di descrizione di stato (ad esempio, la descrizione di stato della meccanica classica), il persistere nell'aderenza al principio può alla fine diventare un ostacolo all'invenzione teorica e alla scoperta. È anche astrattamente concepibile che nulla nell'intero cosmo costituisca un sistema isolato rispetto a certi tipi di avvenimenti dei quali si cerca la spiegazione. Di conseguenza, potrebbe non essere possibile ideare spiegazioni per avvenimenti tali che implichino riferimenti solo a un gr'uppo limitato di oggetti e di proprietà, in conformità al principio. In una simile eventualità, sarebbe impossibile perseguire la conoscenza scientifica a prc;_Josito di eventi di quel tipo, ed il principio sarebbe una guida inutile. Infatti tanto la scienza teorica quanto quella sperimentale procedono in base all'assunzione che non ogni cosa abbia un'influenza su qualsiasi altra, e che avvenimenti in una parte del mondo non dipendano da quanto accade in tutte le altre parti. È un fatto storico che la ricerca di sistemi isolati (o di sistemi allargati, vedibilità, se preso strettamente, porta alla conclusione che nessuna legge o teoria è strettamente causale. Come abbiamo visto, infatti, tutte le previsioni reali fatte per mezzo di una teoria sono nella migliore delle ipotesi solo approssimate. Una legge o una teoria, poi, ci permettono di prevedere solo se siamo in condizioni di accertare le condizioni iniziali richeste; ed in molti casi può darsi che non siamo in tali condizioni, senza che per questo si debba rifiutare di qualificare una teoria come deterministica. Schlick riconosce ciò quando afferma che la previsione è possibile "per principio"; ma con tale affermazione in effetti si sposta la questione dal campo della prevedibilità a quello della strutrura delle teorie. Sul punto generale della prevedibilità come criterio per le leggi causali, cfr. MAX PLANCK, The Philosophy o/ Physics, New York, 1936, pp. 56-57, 64 e sgg.
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nel senso precisato sopra) che non coincidano con la totalità del cosmo, è stata fino ad oggi coronata da successo. In realtà, la nostra prontezza, in genere priva di esitazioni, nel condurre le ricerche in accordo al principio è indubbiamente basata sull'alta frequenza di successi che hanno compensato le nostre azioni passate, guidate dal principio stesso. Tirando le somme, dunque, il pr_i~j_g __~()..!!!_~_!ll:l!~~!.ll};t ~~itn._e_1'9-
'*- ~ji~~~~s!fdJ~:ra!~r~!~so~c.~~~-~fa~lll~e ~Aet*~~i~~tifi~ì:!i6*;zi~e~oni cui, dato lo stato di un sistema in un istante iniziale, la teoria esplicativa stabilisce logicamente un unico stato del sistema in ogni altro istante. Nella sua formulazione piu generale, il principio non prescrive una definizione particolare per la descrizione di stato (come la descrizione di stato della meccanica classica), né postula come scopo della scienza lo sviluppo di teorie che posseggano una forma logica particolare (co, ine quella di essere esprimibile con equazioni differenziali). Il principio non vieta l'uso di variabili di stato statistiche o quasi statistiche, e quindi i recenti sviluppi della fisica subatomica non sono in conflitto '--con le sue direttive. L'affermazione corrente che il principio di causalità sia inapplicabile al contenuto della meccanica quantistica è sostenibile solo se inteso come regolamentazione dell'uso di particolari tipi di descrizioni di stato, e solo se l'uso di variabili di stato statistiche da parte di una teoria è preso come contrassegno del fatto che la teoria manca di una struttura deterministica.
3. Qual è la conclusione di questo esame sullo status logico del principio di causalità? È esso una generalizzazione empirica, una verità a priori, una definizione dissimulata, una convenzione da accettarsi o rifiutarsi a piacere? La tesi che il principio sia una generalizzazione empirica, si è detto, è difficile da sostenere. Infatti, quando si formula il principio in modo interamente generale, senza menzionare quali fattori determinino l'accadere di cose e di processi, il principio non esclude assolutamente nessuno degli ordini logicamente possibili di eventi del mondo; in effetti esso si riduce ad una definizione implicita di cosa debba essere un fattore causale o determinante in un processo naturale. Se il principio, invece, vien formulato in un modo piu restrittivo, menzionando quali tratti delle cose siano causalmente determinanti nei processi naturali, il principio stesso risulta non universalmente vero, e può quindi venir asserito come valido solo per alcuni particolari argomenti. Ma se il principio è una massima, si tratta di una regola che può venir seguita o ignorata a piacere? È puramente arbitraria la questione dei fini generali perseguiti dalle scienze teoriche nel loro sviluppo? È indubbiamente un semplice fatto storicamente contingente quello che l'iniziativa nota come "scienza" miri al raggiungimento del tipo di spiegazioni prescritto dal principio; è infatti logicamente possibile che, 332
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nel loro sforzo per rendersi padroni dell'ambiente, gli uomini potessero mirare a qualcosa di completamente diverso. Quindi, le mete adottate~, dagli uomini nel perseguimento della conoscenza sono logicamente arbitrarie. Con tutto ciò, la ricerca effettivamente perseguita nei tempi moderni dalla scienza teorica è diretta verso certi fini, uno dei quali è formulato dal principio di causalità. In pratica, l'espressione "scienza teorica" appare usata in modo cosi generale che probabilmente un'iniziativa non rispondente a quei fini non cadrebbe sotto tale denominazione. È almeno plausibile sostenere quindi che l'accettazione del principio di causalità come massima per la ricerca (sia tale accettazione esplicita o solo manifesta nel modo di procedere degli scienziati, e sia il principio formulato con una certa precisione o solo in modo vago) è una conseguenza analitica di quanto comunemente si intende per "scienza teorica". Comunque si può facilmente assicurare che il principio, quando assume una forma speciale in base a cui esso prescriva per ogni teoria l'adozione di un particolare tipo di descrizione di stato, potrebbe venir abbandonato in varie zone di indagine. Ma è difficile comprendere come sarebbe possibile per la scienza teorica moderna abbandonare l'ideale generale espresso dal principio senza per questo trasformarsi in qualcosa di incomparabilmente diverso da quello che la scienza è attualmente.
VI. Caso e indeterminismo Fino a qui il nostro esame del determinismo nella fisica ha preso in considerazione i vari argomenti quasi completamente in termini della struttura logica delle teorie fisiche e dei concetti da esse impiegati. Abbiamo deliberatamente evitato la questione, di primo piano nei correnti dibattiti sui fondamenti della fisica come pure negli scritti di storia della filosofia, se gli eventi effettivi della natura non siano essi stessi, in parte o completamente, avvenimenti "casuali" o "indeterminati", e se l'uso di variabili di stato essenzialmente statistiche non sia una conseguenza del fatto che certi processi fisici si trovano nel dominio degli accadimenti fortuiti. Di questa questione ci occuperemo ora. Notoriamente il termine "caso" è tanto ambiguo quanto vago. Il nostro primo compito è quindi quello di distinguere tra vari significati di tale termine, allo scopo di decidere se in qualcuno di tali significati la caratterizzazione di un evento quale accadimento casuale sia incompatibile con la simultanea caratterizzazione dello stesso evento quale causato o determinato. l. Forse l'uso piu familiare e pm ampiamente diffuso del termine 'caso' compare in contesti in cui qualcosa accade inaspettatamente
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anziché come conseguenza di un piano deliberato. Cosf, di due amici che mentre sono a passeggio si incontrano senza previo accordo si dice che hanno avuto un incontro casuale. Cosf pure, si dice che un giardiniere, che trovi delle monete d'oro mentre sta zappando la terra nei preparativi della semina, ha trovato il tesoro per caso o accidentalmente. Tuttavia, in questi esempi non è semplicemente perché il fatto risulta inaspettato che gli applichiamo la denominazione di "caso". Se nel primo esempio uno degli amici incrocia una persona perfettamente sconosciuta esattamente cinque minuti dopo l'inizio della passeggiata, oppure se, nel secondo esempio, il giardiniere raccatta un ciottolo dopo aver zappato per dieci secondi, nessuno dei due avvenimenti viene normalmente descritto come un accadimento casuale anche se può darsi che non ci si aspettasse, letteralmente parlando, né l'evento del ritrovamento di un ciottolo dopo precisamente dieci secondi di vangatura, né quello dell'incontro con lo sconosciuto dopo cinque minuti. Per venir descritto come casuale, un evento deve solitamente avere qualche aspetto che colpisca l'immaginazione, e il suo presentarsi deve venir sentito come un'intrusione in un ben definito piano di azioni. Ma in questa accezione il termine "caso" è del tutto vago, né si possono fissare limiti esatti per la sua applicazione. D'altra parte, quando si dice, in questo senso, che un evento è casuale, solitamente non si suppone che esso sia "non causato" o che manchino condizioni determinate per il suo verificarsi. Per esempio, il giardiniere di cui parlavamo può benissimo conservare la caratterizzazione dell'avvenimento come di un avvenimento casuale anche apprendendo che le monete da lui ritrovate erano state sepolte da qualche antenato; mentre potrebbe ritirare quella quatterizzazione se venisse a scoprire che le monete erano state appositamente sepolte da un suo amico, cosf che la sua scoperta, apparentemente casuale, faceva parte di un piano definito. In ogni modo, questo significato del termine "caso" è di scarso interesse nelle discussioni sui fondamenti della fisica. 2. Il termine 'caso' viene attribuito ad un evento in un altro senso, tanto quando ci sia, in pratica, ignoranza completa sulle condizioni determinanti l'evento, quanto allorché si sappia che tali condizioni appartengano ad una classe di vari tipi di condizioni, senza sapere però a quale tipo nella classe appartengano. Fino a poco tempo fa, si considerava comunemente che il tempo meteorologico fosse una questione di caso in questo senso, come è indicato dall'espressione "il vento soffia dove vuole"; ed è tuttora un esempio tipico di evento casuale quello se una moneta, costruita in modo simmetrico, cada mostrando la faccia "testa" o la faccia "croce". Nel primo esempio, non erano ben note le cause che influenzano il tempo atmosferico; nel secondo, viene generalmente assunto che, benché sia possibile analizzare in un gruppo esauriente di possibilità la posizione iniziale della moneta e le
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forze che agiscono su di essa, in pratica non sappiamo quale di tali possibilità si realizzerà. In genere non si considera sufficiente caratterizzare un evento quale "dovuto al caso" nel senso del termine, che stiamo considerando, semplicemente perché eventi del tipo in questione accadono sotto determinate condizioni con frequenza relativa inferiore ad uno. Per esempio, si supponga che una moneta "buona" venga tirata un gran numero di volte in una maniera standard, e che in metà dei casi venga fuori "testa". Ciò nonostante, non si attribuirà al caso il risultato dei lanci se la sequenza di "testa" (T) e "croce" (C) sia dei tipi seguenti: TCTCTCTC ... ; oppure TTCCTTTCCCTTTTCCCC ... ; o anche TTCCT CCCTTTTCCTCCCTT ... In ciascuna di queste serie infatti (ed in molte altre che si possono costruire) risulta da un facile esame che testa e croce si succedono con una regolarità facilmente formulabile. Per poter venir considerati come avvenimenti casuali, i risultati dei lanci debbono mostrare un certo carattere "fortuito" o "a casaccio". Son state proposte molte diverse definizioni di ciò che si intende con la nozione di "fortuito", ma non tutte sono soddisfacenti, ed alcune sono piu rigorose delle altre. Particolarmente meritevole di considerazione è una definizione di tipo implicito, secondo la quale un gruppo di eventi ordinato linearmente è a casaccio se, e solo se, soddisfa certi postulati del calcolo delle probabilità. In questa sede dobbiamo omettere ulteriori dettagli." Il punto essenziale da notare è che, quando si dice, in questo senso, che un dato tipo di eventi è "dovuto al caso", si prende come valida qualche definizione .di avvenimento "fortuito" o "a casaccio". È anche essenziale notare, inoltre, èhe il dire, in questo senso, che un evento accade per caso non è incompatibile col sostenere che esso è causato; l'ammettere infatti di ignorare le condizioni particolari che determinano un evento, evidentemente non implica che si neghi l'esistenza di tali condizioni. 3. Nelle discussioni storiche e sociologiche comunemente si dice che Url- eventO. è Un CMO Se eSSO avviene Il all'interSeZlOne di due ierie causa]jnoipeQgenti":-s-rsupponga-ad esempio--che un ucimo~eséà di casa per comprare del tabacco, ma che per la strada venga colpito da una tegola che cada. dal tetto di una casa. Si dice allora che la disgrazia dell'uomo è un caso non perché è un avvenimento "non causato" (in realtà, la descrizione dell'evento indica la causa), ma perché l'avvenimento accade nel "luogo di incontro" di due sequenze causali indipendenti, una che termina col fatto che l'uomo in un dato momento si trova vicino all'edificio, e l'altra che termina con il fatto che la tegola si muove in quel momento. Si dice che queste due serie causali sono "indipendenti", nel senso che gli eventi dell'una non determinano 41
A p. 342 e sgg. si trovano alcune ulteriori osservazioni sul concetto di "fortuito".
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gli eventi dell'altra; se la tegola non fosse caduta l'uomo avrebbe proseguito il suo percorso fino al tabaccaio, e se l'uomo non si fosse trovato in un punto particolare la tegola sarebbe caduta fino a terra. La disgrazia dell'uomo vien quindi considerata fortuita o accidentale, dato che, per completa che possa essere la nostra conoscenza delle circostanze che portavano alla passeggiata dell'uomo o delle condizioni a cui attribuire la caduta della tegola, nessuno di questi due gruppi di conoscenze basta per se stesso a rendere prevedibile l'accidente. Il senso in cui qui è inteso il termine "caso" richiede un ulteriore chiarimento. La nozione a cui si deve prestare attenzione particolare è quella associata all'espressione "catene causali indipendenti". Essa è evidentemente basata sull'immagine di due linee (o catene) distinte che si intersecano in un punto comune. La sequenza dei punti (o delle maglie) in ciascuna linea viene supposta come determinata dal carattere "intrinseco" della linea, ma non determinata dalla "natura" dell'altra linea; ed il fatto che le due linee abbiano un punto in comune non è determinato dalla natura di nessuna di esse singolarmente presa. Ma la supposizione che gli eventi concreti siano analoghi ai punti di una linea, che siano accadimenti autocontenuti le cui "nature" sono esaurite dalle loro "posizioni" in una specifica sequenza lineare di eventi, e che l'occorrere di un evento in tale sequenza sia determinato dalla "natura" delle parti precedenti della sequenza, è nel migliore dei casi una metafora suggestiva ma poco calzante e nel peggiore una fantasia appena intelligibile. Gli accadimenti concreti non sembrano possedere tali nature intrinseche autocontenute; un dato evento infatti manifesta un numero indefinito di caratteri, e;se possiamo credere alle attuali teorie fisiche, esiste quindi un numero indefinito di determinanti causali distinte per il verificarsi di un qualsiasi evento particolare. Quindi, se si adotta l'immagine di una linea o di una catena per descrivere le relazioni causali di eventi, un evento è descritto piu appropriatamente come l'intersezione comune di un numero indefinito (se non infinito) di linee. Ma se si fa uso di questa piu complessa immagine, non appare piu chiaro cosa dobbiamo esattamente intendere per "linee causali indipendenti", dato che ora ogni evento è il nodo di moltissime influenza causali. Si può ottenere una maggiore chiarezza circa il significato discusso di 'caso' se formuliamo da capo la distinzione in termini di relazioni tra enunciati piuttosto che tra eventi e accadimenti. Sia St un enunciato che affermi l'accadere di qualche evento, per esempio un enunciato della forma 'x viene ferito da una tegola che cade all'istante t nel luogo y', e, piu in generale, della forma 'x è nella relazione R con z all'istante t e nel luogo y'. Supponiamo che T 1 sia una teoria o una legge che stabilisce in forma generale le condizioni e i modi in cui si verifica uno dei fattori che si manifestano in quell'evento, stabilendoli però senza riferirli alla presenza o all'assenza di certi altri fattori che pure sono attinenti all'evento; supponiamo inoltre che T2 compia lo stesso
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ufficio per tali altri fattori. Faremo anche l'esplicita assunzione che T1 e Tz non possano venir dedotti l'uno dall'altro. Per fissare le idee e rendere l'esame specificatamente interessante per la forma generale assunta dall'enunciato S1, supponiamo che T1 asserisca che se, date certe condizioni cl, x si trova in uno stato p all'istante t e nel luogo y, allora x è nello stato P' all'istante t' e nel luogo y'. Supponiamo che Tz asserisca che se, date le condizioni C2, z è nello stato Q all'istante t e nel luogo y, allora z è nello stato Q' a t' e y'. È allora possibile calcolare, conoscendo T1 e alcuni adeguati dati iniziali Dx riguardanti x, lo stato di x per altri istanti e per altri luoghi; lo stesso dicasi per z, avendo T2 e i dati iniziali Dz. Inoltre, in virtu delle assunzioni fatte per T1 e per T2, non è possibile calcolare lo stato di x in qualsiasi istante da T2 e Dz, né lo stato di z da T1 e Dx. Le rispettive sequenze di stati di x e di z possono quindi a buon diritto venir chiamate "catene indipendenti", essendo tale indipendenza una conseguenza dell'indipendenza logica assunta per T1 e per T2. Orbene, è chiaro che S1 stesso non è derivabile né dai soli T1 e Dx, né dai soli Tz e Dz e neppure dalla congiunzione di T1 e T2. I primi due casi sono esclusi perché 51 implica un riferimento ad entrambi gli individui x e y, nonché una certa relazione tra loro mentre cosi non fanno le premesse suggerite dalla deduzione; l'ultimo caso è poi escluso perché S1 è un semplice enunciato singolare, mentre T1 e T2 sono entrambi condizionali universali. S1 è perciò logicamente indipendente tanto da rl quanto da r2 sia che questi vengano presi singolarmente o congiuntamente, ed è anche logicamente indipendente da T1 e Dx, come da T 2 e Dz. Possiamo dire perciò che l'evento espresso da 5 1 è un "accadimento casuale" rispetto alle sequenze di stati determinati da T 1 e da Dx, ed anche rispetto alle sequenze di stati determinate da T2 e da Dz. . Invece, se le condizioni C1 e C2 menzionate tispettivamente in T 1 e T 2 sono fisicamente compatibili, e se la relazione R menzionata in 5 1 è correttamente analizzabile in termini degli stati P e Q pure menzionati in T1 e in T2, allora in generale S1 è deducibile dalla congiunzione complessa di T 1 e Dx e T 2 e Dz. Ne segue che l'evento menzionato da S1 non è un accadimento casuale rispetto alla sequenza di stati di x e di y determinata da questa complessa formula. Ne segue pure che la caratterizzazione di un evento come caso, nel senso dato ora al termine, non porta come conseguenza che l'evento non sia causato, oppure che noi siamo all'oscuro delle condizioni che determinano il suo verificarsi; e neppure la qualificazione che in tal modo si viene a predicare di un evento presenta un carattere in certo modo "soggettivo", quasi fosse semplicemente l'espressione di uno stato d'animo di colui che la predica. Quando lo si renda completamente esplicito, rinunciando ad un linguaggio ellittico, tale giudizio richiede l'uso di un predicato relazionale, ma pur tuttavia "obiettivo"- nello stesso senso in cui l'asserzione che un lato di 337
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una strada è "l'altro lato" richiede l'uso di una caratterizzazione relazionale ma obiettiva." 4. Un quarto senso del termine "caso" è intimamente connesso a quello che abbiamo testé esaminato, ma merita un'attenzione speciale. Si dice che un evento è un "caso", o un accadimento "contingente", secondo questo senso della parola, se in un dato contesto di indagine l'enunciato che asserisce il suo verificarsi non è derivato da niente altro. Cosi, se vogliamo predire una posizione e una velocità future del pianeta Marte per mezzo della teoria gravitazionale di Newton, dobbiamo fornire una posizione e una velocità iniziali del pianeta; e il fatto che in tale istante iniziale Marte si trovi in un certo luogo e si stia muovendo con una certa velocità è cosf un'occorrenza casuale. Naturalmente non si nega che un evento che è qualificato come avvenimento casuale in un contesto possa venir mostrato come la conseguenza di un altro avvenimento, o, piu precisamente, che l'enunciato che afferma il primo avvenimento possa venir derivato da altri enunciati riguardanti avvenimenti diversi, con l'aiuto di appropriate assunzioni (nell'esempio fatto sopra, un dato stato iniziale di Marte può certamente venir fatto derivare da un altro stato iniziale per mezzo della teoria newtoniana). Tuttavia, contrariamente a quanto spesso si sostiene, la possibilità di tale derivazione non cancella la distinzione tra un evento casuale e uno non casuale, nel senso inteso ora. In primo luogo, infatti, vien detto che un evento è casuale in un dato contesto; ed il fatto che in un altro contesto non sia un evento casuale -non-preclude il fatto che lo sia in quello considerato. È perciò chiaro che non c'è incompatibilità tra l'affermazione che un evento è casuale (nel senso ora in esame) e quella che ciò nonostante esistono determinate condizioni o cause per il suo verificarsi. In secondo luogo poi, anche se un evento che è casuale in un contesto può non esserlo in un altro, a qualche altro evento nel secondo contesto si deve riconoscere il carattere di casualità. Il verificarsi di un evento, infatti è formulato come un semplice enunciato; e tali enunciati possono venir dedotti da teorie e da leggi solo se per esse vengono fornite appropriate condizioni iniziali. Tuttavia, si usa caratterizzare come qçcorrenze casuali in questo senso dell'espressione non soltanto gli eventi, ma talora, per una naturale estensione, le leggi e le teorie. C'è nondimeno una leggera ambiguità in questo 42 C'è una evidente somiglianza tra questo esame del concetto di "caso" e l'analisi aristotelica del concetto di "accidente". Anche Aristotele sostenne che un predicato rappresenta o no una proprietà accidentale del soggetto a seconda della definizione di quest'ultimo. Egli adottava però un modo "assolutistico" (o "essenzialistico") di intendere la definizione, in quanto affermava che questa stabilisce !"'essenza" o "natura" fissa di una sostanza. E poiché tale affermazione poggia su assunzioni che non sono valide alla luce della conoscenza moderna e sono incompatibili con la maggior . parte di quanto è detto in questo libro, c'è un disaccordo fondamentale tra il modo di Aristo, tele di spiegare gli accidenti e l'esame da noi fatto di "caso".
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uso piu esteso. Si dice qualche volta che una legge o una teoria sia "contingente", o valga "per caso", se in un contesto dato essa non è derivata da nessun'altra premessa; c'è uno stretto parallelismo con l'uso del termine in riferimento agli eventi. Per esempio, si diceva una volta che la legge dell'espansione lineare termica dei solidi fosse solamente una verità contingente, perché allora non ne esisteva una spiegazione in termini di una teoria fisica accettata. Per tale ragione la legge veniva chiamata comunemente anche una semplice formula "empirica", perché la sua accettazione veniva basata solo su una massa di prove sperimentali dirette. Al contrario, la legge di Boyle-Charles dei gas ideali, che un tempo era considerata come una. verità empirica semplicemente fortuita, in genere oggi non viene caratterizzata cosi, dopo che è stata derivata dalle assunzioni della teoria cinetica dei gas. Cosi, una teoria come quella cinetica dei gas o quella elettromagnetica vien considerata un corpo contingente di assunzioni, perché non è spiegabile (almeno per ora) da una teoria piu ampia, e perché la sua accettazione non avviene in quanto essa sia la conseguenza logica di altre premesse stabilite. Poiché, a un dato stadio dello sviluppo della scienza, il processo esplicativo non può venir continuato indefinitamente, è chiaro che devono sempre esistere alcune teorie contingenti in questo senso della parola. Gli scienziati ed i filosofi che sostengono che le scienze non for- ( niscono "in definitiva" o "in ultima analisi", la spiegazione di niente, spesso hanno in mente solo qualcosa di questo genere; e vanno intesi · come se affermassero che le basi, per accettare le premesse di una qual- , siasi pretesa spiegazione, sono, in fondo, non puramente dimostrative.) Talora perciò si dice che una teoria o una legge è una verità contin~' gente, sia essa o no derivabile da qualche altra assunzione, solo perché non è essa stessa una verità logicamente necessaria, e può venir stabilita solo in base a prove empiriche. È naturalmente sottinteso che esistano enunciati logicamente necessari, la cui verità può venir certificata mediante la sola considerazione dei significati dei loro termini; ed altri enunciati che non sono tali. Sono esempi tipici della prima classe enunciati del tipo: 'nessun ragno è un insetto', 'la somma degli angoli di un triangolo euclideo è uguale a due angoli retti' e 'tutti i numeri primi maggiori di due sono dispari'; sono invece esempi comuni della seconda classe: 'nessun mammifero ha le branchie', 'nell'elettrolisi l'acqua si decompone in idrogeno e ossigeno' e 'un corpo elettricamente carico in moto genera un campo magnetico'. Coloro che respingono la distinzione tra enunciati logicamente necessari (o "analitici") e logicamente indeterminati (o "sintetici")- sia perché credano che tutti gli enunciati veri sono "in fondo" logicamente necessari, o anche che gli enunciati di logica formale e di aritmetica sono semplicemente generealizzazioni empiriche ben fondate, sià perché sostengano che la distinzione è in fondo una distinzione di grado piuttosto che di sostanza indubbiamente non vedono nessuna utilità nel caratterizzare un gruppo
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particolare di enunciati come verità "contingenti" .43 Ma nell'effettiva pratica scientifica la distinzione viene in genere mantenuta ed appare fermamente fondata su differenze di procedure impiegate nelle varie branche della ricerca. Se dunque si assume che le teorie e le leggi scientifiche siano solo, nella migliore delle ipotesi, contingentemente vere, nessun singolo evento in natura e nessuno schema di coesistenza o di variazione formulato da leggi e teorie è logicamente necessario. Se si identifica - come vien fatto spesso - una spiegazione "completamente razionale" con una spiegazione le cui premesse siano verità necessarie, allora non può venir data nessuna spiegazione completamente razionale né del mondo né di alcun avvenimento.
5. C'è ancora un significato del termine 'caso' da prendere in considerazione; in questo significato la parola si riferisce a un qualche carattere "assoluto", anziché relazionale degli eventi. Di un evento a cui si attribuisca il predicato di "casuale" in questo senso si ritiene talora che sia "non causato", in modo che non solo non conosceremmo le condizioni determinanti del suo verificarsi, ma tali condizioni non esisterebbero neppure. L'antica concezione di Epicuro degli atomi che spontaneamente deviano dai loro percorsi normali è un esempio di questo modo di usare la parola 'caso'. Piu recentemente, come abbiamo già osservato, Charles Peirce sviluppò una cosmogonia evolutiva speculativa sull'assunzione di un radicale tichismo, e sostenne cheJ facendo risalire quanto si vuole indietro le cause di un discostamento irregolare da qualsiasi legge fisica accettata, "si sarà costretti ad ammettere che essi sono sempre dovuti ad una determinazione arbitraria, o caso ":4 Secondo Peirce, la diversificazione è un processo continuo, e, ammettendo la "pura spontaneità" come un carattere dell'universo "che sempre e ovunque agisce, benché mantenuto entro stretti limiti dalle leggi, e continuamente produce scostamenti infinitesimali dalla legge", egli credette di poter spiegare "tutta la varietà e le diversità dell'universo".45 Anche molti fisici contemporanei sembrano sostenere che i processi subatomici siano comunque caratterizzati dal caso assoluto, coskché, per esempio, l'emissione di particelle dalle sostanze radioattive 43 Alcuni autori hanno posto in dubbio il "dualismo" della distinzione analiticosintetica. Cfr. W. V. O. QurNE, From a Logica/ Point of View, Cambridge, Mass., 1956, c. 8; MoRTON WHITE, Toward Reunion in Pbilosopby, Cambridge, Mass., 1956, c. 8. 44 CHARLES S. PEIRCE, Collected Papers, Cambridge, Mass., 1953, v. 6, p. 37. 45 Ibid., p. 41. Come Epicuro e molti scrittori di oggi, Peirce postulava il suo tichismo radicale allo scopo di spiegare il libero arbitrio dell'uomo. Cosi egli dichiarava: "Se si suppone che venga meno la rigida precisione della catena causale, non mi importa di quanto - fosse pure di una quantità infìnitesimale - si acquista il posto in cui inserire nel nostro schema la mente, mettendola là dove è necessaria, cioè nella posizione che essa nella sua qualità di unica cosa auto-intelligibile ha diritto di occupare, posizione di fonte dell'esistenza; e cosi facendo, risolviamo il problema della connessione tra anima e corpo" (Ibid., pp. 42-43).
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viene considerata come "un processo dovuto alla spontanea decomposizione dei loro atomi" .46 Talvolta, tuttavia, si dice che un evento è "assolutamente casuale", non già perché non esistono determinate condizioni del suo verificarsi, ma perché, benché tali condizioni esistano, esso mostra certe "caratteristiche nuove", incomparabilmente diverse da quelle manifestate dalle condizioni anzidette. Allora, secondo la spiegazione che talvolta si dà di questo significato del termine 'caso', anche se fossero note con la masima precisione le condizioni per il verificarsi di un evento casuale, esso non potrebbe venir previsto in base ad esse - a meno che, in realtà, si sia già osservato che eventi di quel tipo sono regolarmente associati a quelle condizioni. Cosf, spesso si sostiene che, quando per la prima volta si aggiunse acido solforico a sale da tavola, non si poteva aver effettivamente previsto il gas prodotto in tal modo, con le sue proprietà peculiari; la generazione del gas, in quelle condizioni, viene chiamata un evento casuale. È pure possibile che il tichismo di Peirce contenga tale nozione di caso come una delle sue componenti. Questo particolare significato, però, di 'caso assoluto' riveste una parte essenziale nelle dottrine correnti della "~~yq_:lg?ione ~(!~~~~gent~"; ne rimanderemo perciò un ulteriore esame fino a che non siano considerate tali dottrine, nel prossimo capitolo. Torniamo al primo senso di 'caso assoluto', quello di assenza di condizioni determinanti per il verificarsi di un evento. Questa nozione di caso è esente da contraddizioni interne, salvo le riserve di cui ci occuperemo qui di seguito; gli argomenti che vogliono dimostrare il contrario, come quelli di Bradley,47 sono certamente sbagliati. Non esistono altre ragioni a priori per scartare la possibilità di eventi casuali in questo senso. Sembra però che non esistano esempi di simili eventi la cui autenticità sia indubitabile. In pratica, per la natura stessa della questione trattata è impossibile stabilire in modo indiscutibile se un evento qualsiasi sia un avvenimento assolutamente casuale. Per dimostrare infatti oltre ogni possibilità di dubbio che un dato avvenimento (ad esempio, la decomposizione di un atomo) è spontaneo e privo di circostanze che lo determinano, sarebbe necessario dimostrare che non c'è assolutamente nulla da cui dipenda il suo verificarsi. Ma ciò sarebbe equivalente a dimostrare che non si potranno mai ideare teorie soddisfacenti, che spieghino quello che già le attuali teorie spiegano e che in piu rendano conto della cosiddetta spontaneità dell'evento. Ma, anche se si potessero produrre quante si vogliano prove a dimostrazione che il verificarsi di un dato evento non dipende da un gruppo specifico di fattori, non si escluderebbe in tal modo la possibilità che si trovino infine altri fattori capaci di determinare il verificarsi dell'evento, e che quindi si possa 46
MAx
47
F. H.
PLANCK,
The Philosophy of Physics, New York, 1936, p. 52. Appearance and Reality, London, 1920, pp. 387·94.
BRADLEY,
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costruire una teoria che faccia quanto non riescono a fare le nostre attuali teorie. L'assunzione quindi che gli eventi di un certo tipo siano assolutamente casuali non può venir convalidata in modo conclusivo, anche se le prove che si hanno possono renderla plausibile. Si deve comunque ammettere che non si sa oggi che la disintegrazione radioattiva degli atomi avvenga in particolari condizioni determinanti; potrebbe quindi darsi che tali eventi siano accadimenti 'assolutamente casuali'. D'altra parte la teoria fisica attuale, benché non sia incompatibile con l'assunzione che le disintegrazioni atomiche avvengono assolutamente per caso, non fa uso specifico di questa assunzione nelle sue formulazioni. Essa è quindi compatibile anche con l'assunzione, piu debole, che tali eventi siano avvenimenti relativamente casuali, in uno dei significati di 'caso' che abbiamo piu sopra distinti. In piu, c'è una seria difficoltà associata alla nozione di caso, che rende gratuita l'ipotesi del 'caso assoluto'. La ragione per cui generalmente si dice che certi eventi occorrono in maniera totalmente fortuita è che non vi è un "ordine" qualsiasi che appaia nella sequenza del loro accadere, e in conseguenza non è possibile stabilire relazioni funzionali tra eventi e istanti in cui essi accadono. La tesi però che qualsiasi sequenza di eventi mostra un assoluto disordine è sostenibile solo se i termini 'ordine' e 'disordine' vengono usati in un senso selettivo o qualificato, e solo se si intende che 'relazione funzionale' significhi una limitata classe di funzioni matematiche. Per fissare le idee, si considerino gli atomi di un dato pezzo di radio, e si supponga che venga registrato il tempo in cui ciascun atomo si disintegra. Ora non vi sarà certamente una formula ovvia che metta in relazione il numero di disintegrazioni con gli istanti in cui avvengono. Tuttavia, dato che per ipotesi esiste una corrispondenza tra le disintegrazioni e gli istanti, una funzione matematica che metta in relazione le une con gli altri è in tal modo definita in estensione. Non è perciò logicamente impossibile che si possa costruire una formula generale che stabilisca questa corrispondenza, anche se essa debba risultare proibitivamente complessa. Non vi è dunque disordine "assoluto" nella distribuzione delle disintegrazioni atomiche nel tempo, dal momento che chiaramente esiste un qualche ordine nella loro disposizione. In breve, -* l~ nozione di un disordine a_~olt:t!<:>,~_priv()_~di_q\lalificazioni, è contrad-dittoria. Ciò non significa che ogni evento di una serie non potrebbe accadere in maniera assolutamente casuale. Significa però che il disordine attribuito alla distribuzione di questi eventi nel tempo deve venir inteso come relativo a qualche tipo di ordine (forse delimitato solo vagamente) o classe di funzioni matematiche."' L'assunzione logicamente incoe"' Nella letteratura sulla probabilità si trovano tentativi di definire con precisione la nozione di "disordine". Cosi, Richard von Mises proponeva la seguente definizione: Sia x" x2, x3, • • • una serie illimitata di elementi, e sia Q una proprietà che ne carat-
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rente di una distribuzione assolutamente casuale deve perciò venir sostituita dall'ipotesi coerente di disordine relativo (o relativo avvenire a casaccio), secondo cui una seq~enza- di event(è-una sequenza casuale o disordinata, se gli eventi accadono in un ordine che non può venir dedotto da nessuna legge appartenente ad una particolare classe di leggi. D'altra parte, mentre il verificarsi di eventi di un certo tipo può esser casuale rispetto ad una classe di leggi, può non esserlo rispetto ad un'altra. Quindi, se la tesi che un evento è "non causato" o completamente fortuito è basata sull'argomento che la sequenza degli eventi di quel tipo non mostra un ordine nel manifestarsi degli eventi, la forza di tale argomento nel sostenere la tesi deve venir valutata alla luce del fatto che il preteso disordine è solo un disordine relativo. Il risultato piu importante del nostro esame è quello cheJ'afferma~ '#l zione_ c_he_~n _e'lento "a~cad~ p(!_r casoli ~non _è j11_ generale incompatibi: · bik_çgn l'~f!~F_!ll_~i9n~ che l'evento sia determin.::!!Q, eccetto quando si intenda che "accadere per caso" significhi che l'evento non ha condizioni determinanti per il suo verificarsi. Noi non sappiamo tuttavia effettivamente le condizioni precise in cui molti tipi di eventi si verificano, anche se possiamo reputare che tali condizioni esistano. Al posto di tale conoscenza, possiamo spesso stabilire relazioni di dipendenza tra proprietà statistiche di eventi piuttosto che tra eventi individuali o tra loro proprietà individuali. In pratica, l'uso di variabili statistiche di stato nelle teorie fisiche moderne è basato sull'assunzione che, anche se non conosciamo in dettaglio il comportamento degli elementi microscopici "individuali" postulati dalla teoria, possiamo ridurre notevolmente la nostra ignoranza considerando varie proprietà statistiche di quegli elementi. Nella fisica classica però (cioè nella meccanica classica statistica) il comportamento "a casaccio" assunto per gli elementi individuali che si postulano non viene considerato come la manifestazione di un carattere radicalmente "acausale" o "intrinsecamente fortuito" dei moti di quegli individui. Al contrario, il senso in cui si dice che i moti individuali avvengono "per caso" è esplicitamente specificato come senso in cui il termine 'caso' è relativo, cioè il secondo dei sensi che abbiamo distinti sopra per tale termine. L'uso, invece, della descrizione di stato statistica nella meccanica quantistica viene diffusamente consiterizzi alcuni. Allora il presentarsi di Q in tale serie avviene a casaccio, se sono soddisfatte due condizioni: l) la frequenza relativa di Q converge ad un limite p: e 2) la frequenza relativa di Q in tutte le seguenze parziali che possono venir scelte dalla serie originale converge allo stesso limite p. Cfr. RICHARD VON MISES, Probability, Statistics and Truth, New York, 1939, pp. 32 e sgg. M~ è stato dimostrato che la seconda condizione, che richiede l'invarianza di p in tutte le sequenze parziali (e quindi in una infinità piu che numerabile di sequenze parziali) porta ad una contraddizione. Il requisito richiesto deve venir modificato in modo che p debba essere invariante solo in una infinità numerabile di sequenze parziali. Cfr. A. WALD, Die Wiederspruchsfreiheit des Kollektivbegri/Jes der W ahrscheinlichkeitsrechnung, in Ergebnisse eines matehmatischen Kolloquiums (a cura di Karl Menger), c. 8.
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derato il riflesso della natura intrinsecamente indeterminata o assolutamente casuale di certi processi subatomici. Tuttavia, la questione se tali processi siano o no assolutamente fqrtuiti non è una questione esclusivamente scientifica, perché, come abbiamo osservato, la teoria quantistica non è incompatibile con l'una o con l'altra alternativa. I fisici i quali sostengono che la meccanica quantistica richiede soltanto la nozione di caso relativo e che hanno "istinti scientifici" ostili alla nozione di caso assoluto," potranno sviluppare in futuro una teoria essenzialmente non statistica che sostituisca l'attuale teoria quantistica. Se le loro speranze si realizzeranno, verrà refutata la credenza comune che la fisica abbia stabilito il carattere completamente fortuito dei processi subatomici. Ma finché non avremo a disposizione questa altra teoria, la questione del caso assoluto resterà il soggetto di controversie inconcludenti.
49 In una lettera a Born Einstein dichiatava che " tu credi in un Dio che gioca ai dadi e io in leggi perfette' che regolano il mondo delle cose esistenti come oggetti reali, e' che cerco ansiosamente di affertare con metodo speculativo" (Alberi Einstein, P_hilosopher Scientist, cit., p. 176; trad. it. cit., p. 123); v. anche MAx BoRN, Natural Phzlosophy o/ Cause and Chance, New York, 1949, p. 122; trad. it. a cura di V. Geymonat, Torino, 1962, p. 152.
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Capitolo undicesimo
La riduzione delle teorie
È ormai un fatto scontato che la meccanica classica non sia p1u considerata l'universale e fondamentale scienza della natura. I suoi brillanti successi nello spiegare e nel ridurre entro relazioni sistematiche una larga varietà di fenomeni furono davvero, in una certa epoca, senza precedenti. E la convinzione, un tempo ampiamente sostenuta da fisici e da filosofi, che tutti i processi della natura devono alla fine ricadere nella sfera dei principi de11la meccanica fu ripetutamente confermata dall'assorbimento in essa di vari settori della fisica. Nondimeno il periodo dell"' imperialismo" della meccanica era virtualmente concluso negli ultimi anni del XIX secolo. Le difficoltà di fronte a cui venne a trovarsi il tentativo di estendere la meccanica a territori non ancora conquistati, e in particolare al dominio dei fenomeni elettromagnetici, dovevano essere riconosciute come insuperabili. Nuove candidature, furono, però, avanzate per la funzione di scienza fisica universale, talora con il sostegno di argomenti apriori analoghi a quelli un tempo adoperati per rafforzare le pretese della meccanica. In verità, salvo poche e dubbie eccezioni, nessun serio studioso di scienza crede oggi che possa esistere una teoria fisica garantita da fondamenti apriori, né che tali fondamenti possano conferire a una teoria quella elevata funzione. Molti eminenti fisici, inoltre, sono apertamente scettici circa la possibilità di realizzare l'ideale di una teoria tanto comprensiva da integrare tutti i domini delle scienze naturali in un insieme comune di principi e da servire come fondamento per tutte le teorie meno ampie. Nondimeno quell'ideale continua a stimolare la ·speculazione scientifica attuale e, in ogni caso, il fenomeno che una teoria relativamente autonoma venga assorbita da una qualche altra teoria piu vasta, o ridotta ad essa, è innegabilmente una caratteristica ricorrente nella storia della scienza moderna. Abbiamo tutte le ragioni per credere che tale riduzione avrà luogo anche in futuro. Il presente capitolo tratta di questo fenomeno e di alcune delle questioni piu ampie ad esso connesse. Tra le riduzioni di una teoria ad un'altra, tanto quelle che non hanno avuto successo quanto quelle che ne hanno avuto,
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sono state sfruttate da scienziati e da :filosofi come occasioni per sviluppare interpretazioni di vasta portata della scienza, dei limiti della conoscenza umana e della costituzione ultima delle cose in generale. Queste interpretazioni hanno assunto forme diverse, ma qui sarà necessario ricordarne solo alcune tipiche. Le scoperte relative alla fisica e alla :fisiologia della percezione sono spesso utilizzate per sostenere la tesi che i risultati della fisica sarebbero radicalmente incompatibili con il cosiddetto "senso comune", cioè incompatibili con le convinzioni ordinarie secondo cui gli oggetti familiari dell'esperienza quotidiana possederebbero i tratti caratteristici che essi rivelano, anche se sottoposti a osservazione rigorosamente controllata. Inoltre, il successo della riduzione della termodinamica alla meccanica statistica nel XIX secolo fu assunto come prova del fatto che gli spostamenti nello spazio sarebbero l'unica forma intelligibile di mutamento, o che le diverse qualità delle cose e degli eventi, che gli uomini hanno di fronte nella loro vita di ogni giorno, non sarebbero i tratti caratteristici "ultimi" del mondo e forse non sarebbero nemmeno "teali". Per contro, però, la difficoltà di trovare modelli visualizzabili e non contraddittori per il formalismo matematico della meccanica quantistica è stata assunta come prova del carattere "misterioso" dei processi subatomici e come sostegno della tesi secondo cui dietro l'opaco simbolismo della :fisica esisterebbe una "realtà spirituale" diffusa, non indifferente ai valori umani. D'altro lato il fallimento della spiegazione dei fenomeni elettromagnetici in termini meccanici e, in generale, la decadenza della meccanica dalla sua primitiva posizione di scienza universale della natura furono interpretati come convalida della "bancarotta" della :fisica classica, e della necessità di introdurre categorie di spiegazione "organismiche" nello studio di tutti i fenomeni naturali e infine come prova per varie dottrine radicali concernenti livelli di esistenza, di emergenza e di insorgenza creativa. Noi non esamineremo le argomentazioni dettagliate che sfociano in queste discussioni e in altre simili. C'è, però, un'osservazione generale applicabile a un gran numero di queste tesi. Come è stato ripetutamente sottolineato nei capitoli precedenti, espressioni connesse con certe consuetudini o regole d'uso stabilite in un contesto di indagine, sono spesso adottate nell'esplorazione di nuovi campi di studio, a causa delle analogie assunte fra i vari domini. Nondimeno coloro che se ne servono non sempre rivelano che, quando la sfera di applicazione di una data espressione viene cosi estesa, l'espressione stessa subisce spesso una rischiosa trasformazione del suo significato acquisito. Gravi equivoci e falsi problemi si generano allora inevitabilmente a meno che non si abbia cura di intendere l'espressione nel senso pertinente e richiesto dallo speciale contesto in cui essa ha conseguito un nuovo impiego. Tali alterazioni sono particolarmente facili a verificarsi quando una teoria viene spiegata per mezzo di un'altra teoria o
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La riduzione delle teorie
ridotta ad essa; e le variazioni di significato nelle espressioni usuali, che spesso risultano come conseguenza della riduzione, non sono sempre accompagnate da una chiara consapevolezza delle condizioni logiche e sperimentali sotto le quali è stata effettuata la riduzione. Di conseguenza i tentativi, sia riusciti che non riusciti, di riduzione sono stati occasione per reinterpretazioni filosofiche della portata e della natura della scienza fisica molto vaste, come quelle ricordate nel capoverso precedente. Queste interpretazioni sono in generale estremamente discutibili, perché di solito vengono assunte con scarsa attenzione per le condizioni che devono essere soddisfatte se si vuole pervenire ad una riduzione coronata da successo. È quindi piuttosto importante chiarire accuratamente quali siano queste condizioni, sia perché la discussione di esse può gettare luce sulla struttura della spiegazione scientifica, sia perché tale discussione può aiutarci a valutare con esattezza alcune filosofie della scienza largamente diffuse. Un esame delle condizioni cui deve soddisfare la riduzione e delle loro conseguenze su alcune questioni controverse nella filosofia della scienza è il compito fondamentale dell'attuale capitolo.
I. La riduzione della termodinamica alla meccanica statistica Per riduzione, nel senso in cui la parola è qui adoperata, intendiamo la spiegazione di una teoria o di un insieme di leggi sperimentali fissate per un certo settore di indagine, mediante una teoria di solito, anche se non invariabilmente, formulata per qualche altro settore. Per brevità, chiameremo "scienza secondaria" l'insieme delle teorie o leggi Sperimentali che viene-nd-otl:o-acrun'altra teoria, e "~cj~pZ:l_P!'_!!_ll~r![t" la teoria in direzione della quale viene effettuata o proposta la riduzione. Molti casi di riduzione, però, sembrano essere tappe normali nell'espansione progressiva di una teoria scientifica e raramente generano serie perplessità o equivoci. Sarà, perciò, opportuno distinguere con l'ausilio di alcuni esempi, i due tipi di riduzione: il primo è comunemente considerato come assolutamente non problematico e per conseguenza noi lo ignoreremo, il secondo invece è spesso considerato fonte di disagio concettuale. l. Una teoria può venir inizialmente formulata per un tipo di fenomeno che si presenta in una classe di corpi abbastanza ristretta, anche se in seguito essa può venir estesa fino ad includere quel fenomeno anche quando esso si presenta in una classe piu vasta di oggetti. La teoria della meccanica, per esempio, in un primo tempo fu sviluppata per i moti dei punti-massa (vale a dire per i moti di corpi le cui dimensioni sono cosi piccole da poter venire trascurate in rapporto alle distanze fra i corpi) e fu alla fine estesa ai moti dei corpi tanto rigidi
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quanto deformabili. In tali circostanze se delle leggi sono già state stabilite entro il dominio piu ampio (eventualmente su una base puramente sperimentale e prima dello sviluppo della teoria), queste leggi sono poi ridotte alla teoria. In questi casi, però, c'è una netta somiglianza qualitativa fra i fenomeni che compaiono nell'ambito iniziale e in quello ampliato della teoria. Cosi, i moti dei punti-massa sono del tutto simili a quelli dei corpi rigidi, dal momento che in entrambi i casi i moti implicano solo mutamenti nella posizione spaziale, anche se i corpi rigidi possono presentare una forma di moto (rotazione) che i puntimassa non presentano. Tali riduzioni non suscitano di solito serie questioni rispetto a ciò che è stato realizzato per loro mezzo. Analogamente, la sfera di applicazione di una teoria macroscopica può essere estesa da un dominio ad un altro omogeneo ad essa per quanto riguarda i caratteri studiati, cosi che vengono impiegati sostanzialmente gli stessi concetti nel formulare le leggi in entrambi i domini. Per esempio i Discorsi intorno a due nuove scienze di Galileo costituiscono un contributo per la trattazione fisica della caduta libera dei gravi terrestri, disciplina questa che ai suoi tempi era ritenuta distinta dalla scienza dei moti celesti. Le leggi di Galileo furono in seguito assorbite dalla meccanica newtoniana e dalla teoria gravitazionale che venne formulata per comprendere sia i moti terrestri che quelli celesti. Per quanto le due classi di moti siano chiaramente distinte non vi è concetto, richiesto dalla descrizione dei moti in un ambito che non sia impiegato anche nell'altro. Di conseguenza la riduzione delle leggi dei moti terrestri e di quelli celesti ad un unico insieme di principi teorici ha come risultato semplicemente "la incorporazione di due classi di fenomeni qualitativamente simili in una classe piu vasta i cui elementi sono del pari qualitativamente omogenei. In ordine a questa circostanza la riduzione non genera neppure questa volta speciali difficoltà logiche, per quanto produca in effetti una rivoluzione nell'atteggiamento degli uomini verso il mondo. In riduzioni del tipo finora menzionato le leggi della scienza secondaria non utilizzano termini descrittivi diversi da quelli usati nella scienza primaria con significato pressoché simile. Riduzioni di questo tipo possono perciò venire considerate come atte a stabilire relazioni deduttive fra due insiemi di enunciati che si valgono di una terminologia dello stesso genere. Dal momento che tali riduzioni "omogenee" sono di solito accettate come fasi del normale sviluppo di una scienza e danno luogo a pochi malintesi sui risultati conseguiti da una teoria scientifica, non vi dedicheremo oltre la nostra attenzione. 2. La situazione è di solito diversa nel caso di un secondo tipo di riduzione. Si incontrano spesso delle difficoltà nel comprendere il significato di una riduzione quando essa porta alla conseguenza che un insieme di tratti distintivi di un qualche argomento viene assimilato a
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ciò che è evidentemente un insieme di tratti distintivi assolutamente diversi. In tali casi i tratti distintivi che sono materia della scienza secondaria ricadono nella giurisdizione di una teoria, che all'origine può essere stata destinata a trattare materie qualitativamente diverse e che non include neppure, nel proprio insieme di distinzioni teoriche basilari, alcuni dei termini descrittivi caratteristici della scienza secondaria. La scienza primaria sembra cosi annullare le distinzioni consuete in quanto spurie e affermare che quelle, che risultano prima facie caratteristiche indiscutibilmente differenti delle cose, sono in realtà identiche. L'impressione acuta di deformazione, che in questo modo si genera, è particolarmente frequente quando la scienza secondaria tratta di fenomeni macroscopici, mentre la scienza primaria postula una costituzione microscopica per quei processi macroscopici. Un esempio servirà a indicare il tipo di confusione che si viene a generare. La maggior parte degli adulti nella nostra società sa misurare la temperatura con un comune termometro a mercurio. Se forniti di questo strumento essi sono in grado di determinare con soddisfacente precisione la temperatura di vari corpi e, rispetto alle operazioni che si possono compiere con questo strumento, comprendono che cosa si intende con affermazioni quali: la temperatura di un bicchiere di latte è di l O °C. Buona parte di essi, però, senza dubbio non sarebbero in grado di spiegare il significato della parola "temperatura" in modo da soddisfare un esperto di termodinamica e queste stesse persone non sarebbero probabilmente in grado di esplicitare le regole implicite che determinano l'uso da essi fatto della parola. Nondimeno la maggior parte degli adulti sa come si usa la parola, anche se entro contesti limitati. Supponiamo ora che un individuo sia giunto a comprendere che cosa si intende per "temperatura" esclusivamente nel senso di manovrare un termometro a mercurio. Se a costui venisse detto che c'è una sostanza la quale fonde ad una temperatura di 15.000 oc egli si troverebbe probabilmente imbarazzato nel dare un significato a questa affermazione e potrebbe addirittura affermare che ciò che gli è stato detto è completamente privo di senso. A sostegno della sua affermazione egli potrebbe obiettare che, dal momento, che ai corpi si può assegnare una temperatura solo sulla base di un termometro a mercurio e che tali termometri evaporano se vengono accostati a corpi la cui temperatura (come è specificata da un termometro a mercurio) è di poco superiore a 350 oc, l'espressione "temperatura di 15.000 oc" non ha un senso definito ed è perciò priva di significato. Il suo imbarazzo, circa l'informazione datagli, sarebbe però facilmente rimosso con un breve studio di fisica elementare. Allora infatti, egli scoprirebbe che la parola "temperatura" è associata in fisica a una regola d'uso di piu vasta portata di quelle che controllavano l'uso da lui fatto di tale parola. In particolare
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egli imparerebbe che i fisici sperimentali impiegano tale parola in riferimento a certi stati dei corpi e che le variazioni di questi stati spesso si manifestano in altri modi, diversi dalla dilatazione del mercurio, per esempio nel mutare la resistenza elettrica dei corpi e nel generare correnti elettriche, sotto specifiche condizioni. Di conseguenza, una volta che gli siano spiegate le leggi che formulano le relazioni fra i comportamenti di strumenti come le termocoppie, che sono talora impiegate per registrare cambiamenti nello stato fisico dei corpi chiamato la loro "temperatura", il nostro individuo comprenderà come questa parola possa essere adoperata con pieno significato in situazioni diverse da quelle in cui viene usato un termometro a mercurio. L'ampliamento della sfera di applicazione della parola non appare, allora, piu imbarazzante o misterioso della estensione della parola "lunghezza" dal suo significato originario, fissato dall'uso del piede umano per determinare lunghezze, a contesti in cui un'asta di metallo di lunghezza prefissata sostituisce l'organo umano come strumento di misura. Supponiamo, però, che il profano, per cui la "temperatura" acquista in questo modo un significato piu generalizzato, prosegua ora il suo studio della fisica con la teoria cinetica dei gas. Qui egli scoprirà che la temperatura di un gas è l'energia cinetica media delle molecole che, per ipotesi, costituiscono il gas. Questa nuova informazione può generare una rinnovata perplessità, invero in forma molto acuta. Il profano, da un lato, non ha scordato la sua lezione precedente, secondo cui la temperatura di un corpo è fissata per mezzo di varie operazioni strumentali esplicitamente eseguite. D'altro lato, però, alcune autorità alle quali ora si appoggia, gli garantiscono che non è lecito dire che le singole molecole di un gas possiedono una temperatura e che invece il significato della parola risulta "per definizione" identico a "energia cinetica media delle molecole".' Messo di fronte a tali idee apparentemente contrastanti, egli può perciò scoprire una quantità di questioni tipicamente filosofiche, importanti ed inevitabili ad un tempo. Se, in vero, il termine "temperatura" ha lo stesso significato di "energia cinetica media delle molecole", di che cosa parla il semplice uomo della strada quando dice che il latte ha una temperatura di lO oc? La maggior parte dei consumatori di latte che potrebbero fare affermazioni di questo genere non hanno sicuramente l'intenzione di fare alcuna asserzione circa l'energia delle molecole; infatti, anche se comprendono e sanno usare affermazioni di questo tipo, in generale ignorano la fisica e non sanno nulla sulla composizione molecolare del latte. Per conseguenza, quando l'uomo della strada apprende l'esistenza di molecole nel latte, può darsi che sia indotto a credere di trovarsi di fronte ad un risultato importante riguardo a ciò che è "realtà autentica" e ciò che è soltanto "apparenza". Allora può forse accogliere come 1
Cfr.
BERNHARD BAVINK:
The Anatomy of Science, London, 1932, p. 99.
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persuasiva una argomentazione filosofica tradizionale, secondo cui le distinzioni abituali fra caldo e freddo (in verità anche le stesse distinzioni fra le diverse temperature dei corpi in quanto determinate per mezzo di operazioni strumentali) si riferiscono a materie che sono manifestazioni "soggettive" di una realtà fisica sottostante ma misteriosa, della quale non si può dire propriamente che possieda una temperatura, nel significato che il senso comune attribuisce alla parola. Può darsi, invece, che egli accetti la concezione, sostenuta da un tipo di ragionamento differente, secondo cui è la temperatura, definita attraverso procedimenti che implicano l'uso di termometri e di altri strumenti simili, a costituire la realtà autentica mentre le energie. molecolari, in relazione alle quali la teoria cinetica della materia "definisce" la temperatura, sono una mera finzione. Se infine il profano adotta una linea di pensiero in certo modo piu raffinata, può darsi che giunga a considerare la temperatura come un carattere "emergente", che si manifesta a certi "livelli piu elevati" della organizzazione della natura ma non a "livelli inferiori" della realtà fisica; può darsi allora che egli si chieda se la teoria cinetica, che palesemente è connessa solo con quei livelli inferiori, riesca, dopo tutto, a spiegare realmente il presentarsi di caratteri emergenti come la temperatura. Perplessità di questo tipo si generano frequentemente a causa di riduzioni come quelle di cui l'esempio precedente costituisce un caso. In tali riduzioni l'oggetto della scienza primaria appare qualitativamente discontinuo rispetto agli oggetti studiati dalla scienza secondaria. In termini un po' piu precisi, in riduzioni di questo tipo, la scienza secondaria si serve, nella sua formulazione di leggi e teorie, di alcuni predicati descrittivi specifici che non sono inclusi nei termini teorici fondamentali né nelle regole di corrispondenza relative della scienza primaria. Riduzioni del primo tipo o "omogenee" possono essere considerate come un caso speciale di riduzioni del secondo tipo o "eterogenee". È di riduzioni del secondo tipo tuttavia che ci occuperemo nelle pagine seguenti. 3. Consideriamo ora, per chiarire le nostre idee, un esempio preciso di riduzione di questo tipo. Un esempio classico, e in genere familiare, di tale riduzione è l'incorporazione della termodinamica nella meccanica o piu esattamente nella meccanica statistica e nella teoria cinetica della materia. Noi daremo perciò rilievo ad una piccola parte dell'argomentazione mediante la quale viene effettuata tale riduzione, in quanto ammettiamo che questa parte dell'argomentazione sia sufficientemente rappresentativa delle riduzioni di questo tipo e possa quindi servire come base per una discussione generalizzata della logica della riduzione nella scienza teorica. Richiamiamo brevemente alla memoria alcuni fatti storici. Lo studio dei fenomeni termici nell'età moderna risale a Galileo e alla sua
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scuola. Durante i tre secoli successivi furono stabilite numerose leggi concernenti fasi speciali del comportamento termico dei corpi; alla fine si dimostrò, con l'ausilio di pochi principi generali, che queste leggi hanno certe interrelazioni sistematiche. La termodinamica - cosi venne chiamata questa scienza - fa uso di concetti, di distinzioni e di leggi generali che sono adoperate anche in meccanica; essa si serve liberamente, per esempio, delle nozioni di volume, di peso, e di pressione, e di leggi come quelle di Hooke e della leva. In aggiunta ad esse, però, la termodinamica impiega alcune nozioni specifiche come temperatura, calore ed entropia e cosi pure alcune assunzioni generali che non sono corollari dei principi fondamentali della meccanica. Per lungo tempo, quindi, per quanto molte leggi della meccanica siano di uso costante nella indagine e nella spiegazione dei fenomeni termici, la termodinamica fu considerata una disciplina a se stante, chiaramente distinguibile dalla meccanica e non semplicemente un capitolo di quest'ultima. La termodinamica, in verità, è tuttora solitamente presentata come una teoria fisica relativamente autonoma; i suoi concetti, i suoi principi e le sue leggi possono essere compresi e verificati senza introdurre alcun riferimento a una qualche postulazione circa la struttura microscopica dei sistemi termici, e senza assumere che la termodinamica possa essere ridotta a qualche altra teoria quale la meccanica. All'inizio però le ricerche sperimentali del XIX secolo, sull'equivalente meccanico del calore, stimolarono l'indagine teorica a ricercare una connessione fra fenomeni termici e fenomeni meccanici piu intima di quelle che l'abituale formulazione delle leggi termiche sembra affermare. Furono ripresi i primi tentativi di Bernoulli in questa direzione e Maxwell e Boltzmann furono in grado di fornire una derivazione piu soddisfacente della legge di Boyle-Charles, ricavandola da assunzioni riguardanti la costituzione molecolare dei gas ideali esprimibili in termini di nozioni fondamentali della meccanica. Altre leggi termiche furono derivate in modo analogo; Boltzmann fu in grado di interpretare il principio della entropia - che è forse l'assunzione piu caratteristica della termodinamica e quella che sembra differenziare nel modo piu radicale questa dalla meccanica - come una espressione della regolarità statistica che caratterizza il comportamento meccanico aggregato delle molecole. Per conseguenza si sostenne che la termodinamica aveva perso la propria autonomia rispetto alla meccanica, ed era stata ridotta a quest'ultima branca della fisica. Come si effettua, però, questa riduzione? In base a quale ragionamento è possibile derivare enunciati contenenti termini quali "temperatura" "calore" "entropia" da un insieme di assunzioni teoriche in cui questi termini non compaiono? Non è possibile sviluppare una discussione completa, a meno di non riprodurre un intero trattato sull'argomento. Fissiamo dunque la nostra attenzione su una piccola parte della
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complicata analisi: la derivazione de11a legge di Boyle-Charles per i gas ideali dalle assunzioni della teoria cinetica de11a materia. Se noi eliminiamo la maggior parte dei dettagli che non contribuiscono alla chiarificazione del tema fondamentale, la forma semplificata de11a derivazione risulta per sommi capi la seguente. Supponiamo che un gas ideale occupi un recipiente di volume V. Tale gas, per ipotesi, sia composto da un gran numero di molecole sferiche perfettamente elastiche, uguali le une alle altre per massa e volume, ma aventi dimensioni trascurabili se confrontate con le distanze medie fra di esse. Supponiamo inoltre che le molecole siano in movimento relativo costante, soggette solo a forze di urto fra di loro e con le paretti, perfettamente elastiche, del recipiente. Si postula cosi che le molecole costituiscano un sistema isolato o conservativo, e che i movimenti molecolari siano analizzabili in termini di meccanica newtoniana. Il problema è ora di calcolare la relazione esistente fra gli altri caratteri del loro moto e la pressione (o forza per unità di area) che le molecole stesse esercitano con il loro costante bombardamento sulle pareti del recipiente. Dal momento, però, che le coordinate di stato istantanee de11e singole molecole non sono effettivamente accertabili, non possono venire applicati i soliti procedimenti della meccanica classica. Per poter proseguire è necessario introdurre un'ulteriore assunzione di carattere statistico che concerne le posizioni e i momenti delle molecole. Questa assunzione statistica prende la seguente forma: suddividiamo il volume V del gas in un numero molto grande di volumi piu piccoli, le cui dimensioni siano uguali fra loro e tuttavia considerevolmente grandi se confrontate con i diametri delle molecole; suddividiamo altresi l'intervallo delle velocità che le molecole possono avere, in un gran numero di intervalli uguali. Associamo ora tutti i possibili intervalli di velocità con ciascuno dei piccoli volumi sopra considerati e denominiamo "celletta delle fasi" ogni complesso ottenuto associando un volume con un intervallo di velocità. L'assunzione statistica sarà allora che la probabilità per una molecola di occupare una determinata celletta delle fasi risulta la stessa per tutte le molecole ed è uguale alla probabilità che una molecola ha di occupare una qualsiasi altra celletta delle fasi e inoltre (ammesse certe qualificazioni che riguardano fra l'altro l'energia totale del sistema) la probabilità che una molecola occupi una celletta è indipendente dall'esser questa celletta occupata da qualsiasi altra molecola. Se in aggiunta a queste varie assunzioni si stipula che la pressione esercitata in qualsiasi istante dalle molecole sulle pareti del recipiente sia la media dei momenti istantanei trasferiti dalle molecole alle pareti, sarà possibile dedurre che la pressione è correlata in modo ben definito con l'energia cinetica media E delle molecole, e che, di fatto, p = 2E/3V o pV = 2E/3. Un confronto di questa equazione con la
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legge di Boyle-Charles (secondo la quale pV = kT, dove k è una costante per una data massa di gas, e T la sua temperatura assoluta) suggerisce tuttavia che la legge potrebbe essere dedotta dalle assunzioni menzionate se la temperatura fosse in qualche modo in relazione con l'energia cinetica media dei movimenti molecolari. Postuliamo perciò che 2E/3 = kT, cioè che la temperatura assoluta di un gas ideale, sia proporzionale alla energia cinetica media delle molecole, da cui si assume che il gas risulti costituito. Non indagheremo per il momento quale sia in realtà il carattere di questi postulati. Ma il risultato finale da noi conseguito, è che la legge di Boyle-Charles sarà una conseguenza logica dei principi della meccanica quando si assuma che questi siano completati da un'ipotesi sulla costituzione dei gas, da un'assunzione statistica che riguarda il movimento delle molecole e da un postulato che connette la nozione (sperimentale) di temperatura con la energia cinetica media delle molecole!
II. Le condizioni formali per la riduzione Per quanto la derivazior;.e della legge di Boyle-Charles dalla teoria cinetica dei gas sia stata solo abbozzata, tale abbozzo tuttavia può servire come base per fissare le condizioni generali che devono essere soddisfatte quando si deve ridurre una scienza ad un'altra. Sarà opportuno suddividere la discussione in due parti: la prima tratterà di questioni che sono fondamentalmente di natura formale, la seconda di questioni di carattere empirico o fattuale. C~msidereremo dapprima le questioni formali. l. Che gli assiomi, le ipotesi speciali e le leggi sperimentali delle scienze implicate in una riduzione debbano essere disponibili come enunciati esplicitamente formulati, i cui vari termini costitutivi abbiano un significato esente da ambiguità, fissato da regole d'uso codificate o da procedure determinate, proprie di ogni disciplina, è una esigenza ovvia. Nella misura in cui questa esigenza elementare non fosse soddisfatta sarebbe difficilmente possibile decidere con sicurezza se una scienza (o una branca di una scienza) sia stata di fatto ridotta ad un'altra. Si deve inoltre riconoscere che questa esigenza di un massimo di chiarezza è pienamente realizzata, in poche, se pure in alcuna, delle varie discipline scientifiche in attivo sviluppo, in quanto nella normale prassi della scienza è raramente necessario esplicitare dettagliatamente tutte le assunzioni che possono essere implicate nell'affrontare un pro2 Per una esposizione dettagliata della deduzione, vedere, per esempio, }AMES RICE, Introduction to Statistical Mechanics, New York, 1930, c. 4, o ]. H. }EANS, The Dynamical Theories of Gases, Cambridge, Eng. 1925, c. 6.
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blema concreto. Questa esigenza di chiarezza è cosi un'istanza ideale piuttosto che una descrizione dello stato effettivo della questione, come essa si configura in un dato momento. Nondimeno gli enunciati all'interno di ciascuna disciplina specializzata possono essere classificati in gruppi distinti sulla base della loro funzione logica entro tale disciplina. Il seguente elenco schematico di tali gruppi di enunciati non ha la pretesa di essere esaustivo ma solo di catalogare i tipi piu importanti di enunciati che sono rilevanti per la presente discussione. a) Nella scienza S ad alto sviluppo (per esempio la meccanica, la termodinamica, o la elettrodinamica) esiste una classe T di enunciati composti dai postulati teorici fondamentali della disciplina. Questi postulati compaiono come premesse (o premesse parziali) in tutte le deduzioni all'interno di S. In una data codificazione della scienza essi non sono derivati da altre assunzioni, sebbene in una differente esposizione di S possa essere impiegato un diverso insieme di enunci&ti logicamente primitivi. Dal momento che T è adottata per rendere conto di leggi sperimentali e di eventi osservabili e per dirigere ulteriormente l'indagine su di essi, esisterà pure una classe R di definizioni coordinatrici (o regole di corrispondenza) per un numero sufficiente di nozioni teoriche che compaiono in T o in enunciati formalmente derivabili da quelli esistenti in T. Inoltre T soddisferà presumibilmente le esigenze consuete di una teoria scientifica adeguata. In particolare T sarà in grado di spiegare sistematicamente una vasta classe di leggi sperimentali appartenenti ad S; non conterrà assunzioni la cui inclusione non aumenti in modo significativo il potere esplicativo di T ma serva puramente a render conto di una o due leggi sperimentali; sarà "compendente" (com pendent) (nel senso che ogni coppia di postulati in T avrà almeno un termine teorico in comune); e i postulati in T saranno "semplici" e non troppo numerosi. Come si è osservato nel capitolo VI, talora è conveniente servirsi delle assunzioni T non quali premesse ma quali principi guida o regole metodologiche di analisi. I risultati, però, che derivano dall'accentuare il ruolo delle teorie come principi guida piuttosto che come premesse, sono stati già discussi e questi risultati non sono in ogni caso di alcun rilievo nel presente contesto. È spesso possibile stabilire una gerarchia fra gli enunciati di T rispetto alla loro generalità ("generalità" nel senso esaminato nel capitolo III). Quando questo può essere fatto, è utile distinguere la sottoclasse Tt che contiene le assunzioni teoriche piu generali di T dalla restante sottoclasse T 2 che contiene le assunzioni piu specializzate. I postulati piu generali Tt normalmente hanno una sfera di applicazione che è piu vasta di quella della teoria T presa nel suo complesso. Di conseguenza i postulati Tt sono postulati molto ampi di cui T costituisce solo un caso speciale mentre le assunzioni T2 sono ipotesi concernenti
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alcuni tipi speciali di sistemi fisici. Nella teoria cinetica dei gas, per esempio, le assunzioni teoriche piu generali sono gli assiomi newtoniani del moto; questi appartengono dunque a T1 e la loro sfera è palesemente piu ampia di quella della teoria cinetica. Il postulato, invece, secondo il quale ogni gas è un sistema di molecole perfettamente elastiche, le cui dimensioni sono trascurabili, o il postulato secondo il quale tutte le molecole hanno la stessa probabilità di occupare una data celletta delle fasi sono meno generali degli assiomi newtoniani e appartengono a Tz. Le assunzioni Tz possono cosf essere considerate come delle integrazioni variabili di quelle presenti in T 1 in quanto possono essere variate senza alterare il contenuto di quelle in T1 dal momento che queste ultime sono applicate a differenti tipi di sistemi. Gli assiomi newtoniani, per esempio, sono integrati da assunzioni specifiche che concernono la struttura molecolare dei gas, dei liquidi e dei solidi, quando tali assiomi sono impiegati in teorie che riguardano le proprietà dei diversi stati di aggregazione della materia. E ancora, per quanto la teoria cinetica dei gas conservi le assunzioni fondamentali della meccanica newtoniana quando tratta dei vari tipi di gas, tale teoria non sempre postula che le molecole dei gas abbiano delle dimensioni trascurabili; inoltre le forze assunte dalla teoria come agenti fra le molecole dipendono dal fatto che il gas si sia o meno allontanato dal suo punto di liquefazione. Sebbene non sia sempre possibile distinguere esattamente fra i postulati piu generali T1 di una teoria e le integrazioni variabili di essi meno generali, alcune di queste distinzioni sono comunemente ammesse. Cosf, malgrado il fatto che la scienza primaria alla quale la termodinamica è stata ridotta contenga altri postulati, diversi da quelli della meccanica classica, la termodinamica è spesso considerata (anche solo in senso lato) riducibile alla meccanica, presumibilmente perché gli assiomi newtoniani del moto sono le assunzioni piu generali della teoria cinetica dei gas e quindi essi formulano lo schema fondamentale di concetti entro cui sono inserite le conclusioni speciali della teoria. Inoltre, anche se la teoria cinetica dei gas fosse in grado di rendere conto di alcune delle leggi sperimentali della termodinamica semplicemente attraverso la modificazione di una o piu delle assunzioni meno generali Tz, sarebbe improbabile per chiunque voler per questo contestare la riducibilità della termodinamica alla meccanica, purché i principi della meccanica vengano conservati come le premesse esplicative piu generali della teoria rielaborata. b) Una scienza S che possieda una teoria fondamentale T avrà anche una classe di teoremi che· sono conseguenze logiche di T. Alcuni teoremi saranno derivabili formalmente solo da T (spesso in realtà dai postulati piu generali T 1 ) senza l'ausilio delle regole di corrispondenza R, mentre altri possono essere ottenuti solo usando anche R. Per
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esempio un teorema molto noto del primo tipo nella teoria planetaria è quello secondo cui se un punto-massa si muove sotto l'azione di una singola forza centrale, la sua orbita è una sezione conica; un teorema del secondo tipo è quello secondo cui se un pianeta si muove sotto l'azione della sola forza gravitazionale del Sole la sua velocità areolare è costante. Comunque, contenga S o no una teoria molto vasta, essa conterrà in generale una classe L di leggi sperimentali che si considerano convenzionalmente ricadere entro l'ambito speciale di S. Cosi le varie leggi che trattano della riflessione, della rifrazione e della diffrazione della luce costituiscono parte del contenuto sperimentale della scienza dell'ottica. Sebbene ad ogni stadio dato dello sviluppo di S la classe delle sue leggi sperimentali L sia di principio determinabile in modo non ambiguo, questa classe viene spesso allargata (e talora persino ristretta) con il progredire dell'indagine. E non vi è una linea di demarcazione stabile e permanente fra le leggi sperimentali L, che sono raggruppate assieme in quanto appartengono ad una branca della scienza S e le leggi che si considerano comprese in una branca differente. Cosi non sempre si è compreso che i fenomeni elettrici e magnetici sono intimamente connessi fra loro, e nei libri di fisica piu vecchi, non però nella maggior pute di quelli recenti, le leggi sperimentali relative a fenomeni prima facie differenti sono classificate come appartenenti a settori distinti dell'indagine sperimentale. In effeti i limiti assunti per il dominio di una data scienza e il criterio razionale operativo nella classificazione delle leggi sperimentali in differenti discipline scientifiche sono spesso basati sulla portata esplicativa delle teorie attualmente accettate. c) Ogni scienza positiva contiene una vasta classe di enunciati singoli, i quali o formulano il risultato delle osservazioni sull'argomento considerato come il campo di tale scienza, o descrivono le esplicite procedure istituite nel condurre qualche effettiva indagine nell'ambito di quella disciplina. Noi chiameremo questi singoli enunciati "enuncia_Ji eli ()~sery~zion~", sottointendendo però che nell'usare questa etichetta non facciamo riferimento ad alcuna speciale teoria psicologica o filosofica circa i "reali" dati di osservazione. In particolare gli enunciati di osservazione non devono venire identificati con enunciati intorno a "dati sensoriali" che talora si pretende siano gli oggetti esclusivi della "esperienza diretta". Cosi le affermazioni: "Ci fu una eclisse totale del Sole a Sabral nel Brasile settentrionale il 29 maggio 1919" e "L'interruttore fu spento ieri nel mio ufficio quando la temperatura della stanza precipitò a 50 •p" valgono entrambe come enunciati di osservazione, nell'uso che qui viene fatto di questa designazione. Gli enunciati di osservazione possono in certi casi formulare le condizioni iniziali o !imitatrici per una teoria o una legge; possono essere anche impiegati per confermare o confutare teorie o leggi.
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d) Molti enunciati di osservazione di una data scienza S descrivono la struttura e il comportamento dell'apparato necessario per compiere degli esperimenti in S o per controllare varie assunzioni adottate in S. Per conseguenza, l'affermazione di tali enunciati di osservazione può tacitamente implicare l'uso di leggi che concernono le caratteristiche di tipi diversi di strumenti; alcune di queste leggi possono non rientrare nel campo generalmente riconosciuto di S e possono non essere spiegate da nessuna sua teoria. Per esempio l'apparato fotografico connesso al telescopio è comunemente adoperato per controllare la teoria gravitazionale newtoniana, per modo che la costruzione di tale apparato come pure l'interpretazione dei dati ricavati per mezzo di esso danno per ammesse teorie e leggi sperimentali tanto dell'ottica quanto della chimica. Le assunzioni generali che vengono cosi date per ammesse non appartengono però alla scienza della meccanica; e la teoria gravitazionale newtoniana non ha la pretesa di spiegare o di garantire le leggi ottiche e chimiche. Perciò quando le macchine fotografiche e i telescopi sono usati per indagare i fenomeni meccanici le distinzioni e le leggi sono "prese a prestito" da altre discipline speciali. Noi faremo riferimento a tali leggi, che sono usate in una scienza S ma non spiegate o stabilite all'interno stesso di S, come leggi che S '~rende a prestito". Moltissime scienze conterranno anche degli enunciati che sono accertabili come logicamente veri, per esempio quelli della logica e della matematica. Anche se noi non ci occupiamo di questi, abbiamo però identificato quattro classi fondamentali di enunciati che possono comparire in una scienza S, sia o no richiesto per essa un qualche grado di àutonomia rispetto ad altre discipline speciali: a) i postulati teorici di S, i teoremi derivabili da essi e le definizioni coordinatrici associate con le nozioni teoriche contenute nei postulati e nei teoremi; b) le leggi sperimentali di S; c) gli enunciati di osservazione di S e d) le leggi di S prese a prestito. 2. Siamo giunti al secondo punto formale. Ogni enunciato di una scienza S può venire analizzato come una struttura linguistica, composta di piu espressioni elementari in accordo con regole di costituzione implicite o esplicite. Si ammetterà che, per quanto queste espressioni elementari possano essere imprecise in grado variabile, esse siano adoperate senza ambiguità in S, con significati fissati o dall'uso corrente o da regole esplicitamente formulate. Alcune espressioni saranno locuzioni di logica formale, di aritmetica o di altre branche dell'analisi matematica. Noi dovremo, però, occuparci principalmente delle cosiddette "espressioni descrittive", che indicano quelli che sono generalmente considerati oggetti, tratti caratteristici, relazioni o processi empirici, anziché entità puramente formali o logiche. Per quanto ci siano delle difficoltà nello sviluppare una distinzione precisa fra espressioni logi-
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che ed espressioni descrittive, queste difficoltà non gravano sull'attuale discussione. Consideriamo in ogni caso la classe D delle espressioni descrittive in S, che non compaiono nelle leggi che S prende a prestito. Molte fra le espressioni descrittive di una scienza sono semplicemente mutuate dal linguaggio ordinario e conservano il loro significato quotidiano. Ciò è spesso vero per espressioni che ricorrono negli enunciati di osservazione, dal momento che una larga parte delle procedure esplicite adottate negli esperimenti di laboratorio, anche se accuratamente elaborate, possono essere descritte nel linguaggio dell'esperienza comune. Altre espressioni descrittive, possono, invece, essere specifiche di una data scienza; possono avere un uso ristretto a contesti tecnici altamente specializzati, e i significati loro assegnati in quella scienza possono persino escludere il loro impiego al fine di descrivere oggetti identificabili attraverso l'osservazione o diretta o indiretta. Espressioni descrittive di questa sorta sono tipiche delle assunzioni teoriche di una scienza. È spesso possibile spiegare il significato di un'espressione contenuta nella classe D con l'aiuto di altre pure contenute in D, integrate da espressioni logiche. Tali spiegazioni possono talora essere fornite nella forma di esplicite definizioni convenzionali per quanto siano di solito necessarie tecniche piu complesse per fissare i significati dei termini. Qualunque siano però le tecniche formali di spiegazione che possono essere usate, chiamiamo "espressioni primitive" di S l'insieme delle espressioni in D che con l'aiuto delle locuzioni pur::!mente logiche sono sufficienti per spiegare il significato di tutte le altre espressioni in D. Esisterà sempre almeno un insieme P di espressioni primitive, dal momento che nei casi meno favorevoli, quando nessuna espressione descrittiva possa venire spiegata in termini di altre, l'insieme P risulterà identico alla classe D. Ci può essere invece piu di uno di tali insiemi P, in quanto, come è ben noto, espressioni che sono primitive in un contesto di analisi potrebbero perdere il loro status primitivo in un altro contesto; ma tale possibilità non riguarda la presente discussione. Se tuttavia S possiede tanto una teoria comprensiva quanto enunciati di osservazione e leggi sperimentali, la spiegazione di una espressione potrà procedere nell'una o nell'altra delle due direzioni, di cui ora dovremo parlare, dal momento che in generale ognuna di tali direzioni implica l'uso di un insieme distinto di espressioni primitive. a) Designamo come "espressioni di osservazione" quelle espressioni in D che si riferiscono a cose, proprietà, relazioni e processi suscettibili di essere osservati. La distinzione fra espressioni di osservazione e altre espressioni descrittive è manifestamente imprecisa, specie perché in contesti differenti possono essere usati diversi gradi di rigore nel decidere quali questioni debbano essere riconosciute come os-
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servabili. Malgrado la sua imprecisione però la distinzione è utile ed imprescindibile tanto nell'indagine scientifica quanto nella prassi quotidiana. In ogni caso molte spiegazioni mirano a specificare i significati delle espressioni descrittive in termini di quelle osservabili. Il programma (propugnato fra gli altri dal Peirce e dal Bridgman) di :fissare i significati dei termini dando per essi quelle che sono comunemente note come "definizioni operative: sembra avere per suo obiettivo spiegazioni di questo tipo. All'insieme P1 di espressioni di osservazione necessarie per spiegare in questo modo il massimo numero delle espressioni in D daremo il nome di "primitivi di osservazione" di S. Il significato di "temperatura" per esempio è spesso spiegato in fisica nei termini di dilatazione di volume dei liquidi e dei gas o nei termini di altri comportamenti osservabili dei corpi; in tali casi la spiegazione del termine "temperatura" è data per mezzo di primitivi osservabili. b) Supponiamo che S abbia una teoria capace di spiegare tutte le leggi sperimentali della scienza; daremo il nome di "espressioni teoriche" di S alle espressioni descrittive adoperate nei postulati teorici (ad esclusione delle definizioni coordinatrici) e ai teoremi formalmente derivabili da essi. Molte spiegazioni tendono a specificare i significati delle varie espressioni per mezzo delle espressioni teoriche; e noi chiameremo "primitivi teorici" di S l'insieme P delle espressioni teoriche, necessarie per spiegare in questo modo il massimo numero di espressioni in D. Nella termologia per esempio si dà una spiegazione teorica al significato di "temperatura" con l'ausilio di enunciati che descrivono il ciclo delle trasformazioni di Carnot, e perciò nei termini di primitivi teorici quali: "isolanti perfetti", "serbatoi infiniti di calore", "dilatazioni di volume infinitamente lente". Come abbiamo visto nel capitolo VI la questione se le espressioni teoriche siano esplicitamente definibili nei termini di osservabili è stata assai dibattuta. Se le espressioni teoriche fossero sempre definibili in questo modo, potrebbero venire eliminate a favore di espressioni osservabili cosi che la distinzione avrebbe poca importanza. Tutte le prove disponibili, però, anche se non è stata data per via dimostrativa una risposta negativa alla questione, vanno a sostegno di tale risposta. Vi sono infatti buone ragioni per sostenere la tesi piu forte, secondo cui le espressioni teoriche non possono in generale venire adeguatamente spiegate con il solo ausilio di quelle di osservazione, anche quando si adottino forme di spiegazione diverse dalle definizioni esplicite. Ai :lini della presente discussione non è necessario assumere posizione su tali questioni. Non dobbiamo, nondimeno, assumere come ovvio che l'insieme P 1 dei primitivi di osservazione sia sufficiente per spiegare tutte le espressioni descrittive D; dobbiamo ammettere la possibilità che la classe P delle espressioni primitive di S non coincida in generale con la classe P1. Di conseguenza sebbene in
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termologia la "temperatura" sia spiegata nei termini di pnm1tlv1 teorici e di primitivi di osservazione, non ne consegue che la parola "temperatura" abbia sempre il medesimo significato, tanto nella prima quanto nella seconda interpretazione. 3. Dobbiamo ora volgerei alla terza considerazione formale sulla riduzione. La scienza primaria e quella secondaria, implicate in una riduzione, hanno generalmente in comune un gran numero di espressioni (compresi gli enunciati) che sono associati agli stessi significati in entrambe le scienze. Enunciati accertabili nella logica formale e nella matematica sono esempi ovvi di tali espressioni comuni, ma ne esistono di solito molte altre di carattere descrittivo. Per esempio molte leggi che appartengono alla meccanica, come la legge di Hooke o le leggi della leva, compaiono anche nella termologia, sia pure solo come leggi prese a prestito; e quest'ultima scienza adotta nelle sue proprie leggi sperimentali espressioni come "volume" "pressione" e "lavoro" in senso che coincidono con il significato che tali parole hanno in meccanica. D'altro lato, prima della sua riduzione, la scienza secondaria usa generalmente espressioni ed asserisce leggi sperimentali formulate con il loro ausilio che non compaiono nella scienza primaria, eccetto, forse nelle classi di enunciati di osservazione di quest'ultima e nelle leggi prese a prestito. La meccanica, per esempio, nella sua forma classica non considera la legge di Boyle-Charles come una delle sue leggi sperimentali né il termine "temperatura" compare nelle assunzioni teoriche della meccanica, sebbene questa parola possa essere talora usata nelle sue indagini sperimentali per descrivere le circostanze in cui si adopera qualche legge di tale scienza. È tuttavia di estrema importanza che le espressioni appartenenti ad una scienza possiedano significati che sono fissati dalle sue specifiche procedure di spiegazione. In particolare espressioni distintive di una data scienza (quali la parola "temperatura" come è adoperata in termologia) sono comprensibili nei termini delle consuetudini o delle regole in uso di quella branca dell'indagine; e quando tali espressioni sono usate in quella branca di studio, devono venire intese nei sensi ivi associati ad esse, sia stata o no ridotta la scienza in esame a qualche altra disciplina. Qualche volta, naturalmente, il significato di un'espressione può essere spiegato con l'ausilio dei primitivi (sia teorici che di osservazione) di qualche altra scienza. Vi sono per esempio fondati motivi per ritenere che la parola "pressione", come viene intesa nella termodinamica, sia sinonimo del termine "pressione" come viene spiegato~ per mezzo dei primitivi teorici della meccanica. Nondimeno da ciò non ! consegue che in generale ogni espressione impiegata in una data scien- ! za, nel senso specificato dalle sue proprie regole o procedure distintive, ·, sia spiegabile nei termini di primitivi di qualche altra disciplina. · Sgombrato il campo da questi preliminari, dobbiamo ora enuncia~·
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re i requisiti formali che devono essere soddisfatti per poter ridurre una scienza ad un'altra. Come già si è accennato in questo capitolo, una riduzione risulta effettuata quando si dimostra che le leggi sperimentali della scienza secondaria (e, se possiede una teoria adeguata, anche la sua teoria) sono la conseguenza logica delle assunzioni teoriche (inclusive delle definizioni coordinatrici) della scienza primaria. Si potrebbe osservare che noi non stiamo stipulando che le leggi prese a prestito dalla scienza secondaria debbano esse pure risultare derivabili dalla teoria della scienza primaria. Se le leggi della scienza secondaria contengono però termini che non compaiono nelle assunzioni teoriche della disciplina primaria (e questo è il tipo di riduzione al quale noi abbiamo precedentemente convenuto di restringere la discussione) la derivazione logica della prima dalla seconda risulta però prima facie impossibile. La tesi che la derivazione sia impossibile è basata sul canone logico abituale secondo cui, salvo alcune eccezioni sostanzialmente irrilevanti, nessun termine può comparire nella conclusione di una dimostrazione formale a meno che esso non compaia anche nelle premesse.3 Di conseguenza quando le leggi della scienza secondaria con3 Eventuali obiezioni a questo canone logico sono fondate per la maggior parte sul fatto che, in vista di alcuni teoremi della moderna logica formale, un'argomentazione deduttiva valida può avere una conclusio::~e che contien~ termini che non compaiono nelle premesse. Esistono almeno due leggi nel calcolo degli enunciati (o logica delle proposizioni non analizzate) che permettono la deduzione di tali conclusioni. Secondo la prima, qualunque enunciato della forma: 'Se S, allora 5 1 o 52' dove 5 1 o 52 sono enunciati qualunque, è logicamente vero, cosicché S, o 52 è derivabile da 5 1• Dal momento però che 52 può essere scelto arbitrariamente, 5 1 o 52 può essere costituito in modo da contenere termini che non compaiono in S,. Conformemente ad una seconda legge logica, qualunque enunciato della forma '51 se e solo se 5 1 e (52 o non-52 )' è logicamente vero; quindi '51 e (52 o non-52 )' è derivabile da S., e vale quindi la conclusione precedente. È chiaro però che nessuno dei due tipi di inferenza deduttiva sopra ricordati può permettere di ricavare la legge di Boyle-Charles dalla teoria cinetica dei gas. Se ciò fosse possibile (per esempio sostituendo questa legge a 52 nella prima delle due leggi logicqe menzionate), allora dal momento che 52 è del tutto arbitraria la deduzione permetterebbe di ottenere anche la negazione di quella legge e questo non può accadere a meno che la teoria cinetica stessa non sia contraddittoria. L'argomentazione in questione è molto generale e trova applicazione in altri casi di riduzione. Per conseguenza, nella misura in cui le riduzioni fanno uso soltanto delle leggi logiche del calcolo enunciativo per dedurre enunciati della scienza secondaria dalla teoria della scienza primaria, è sufficiente per evitare l'obiezione al canone logico menzionato nel testo correggere quest'ultimo in modo da leggervi: In una deduzione valida non compare nella conclusione nessun termine che non compaia anche nelle premesse, a meno che nella conclusione un termine non entri attraverso le leggi logiche del calcolo enunciativo le quali permettono di introdurre qualunque termine arbitrario nella conclusione. Esistono però altre leggi logiche, sviluppate in altre parti della logica formale che rendono legittime anche conclusioni con termini che non compaiono nelle premesse. Un tipo corrente di tali inferenze è dato dalla sostituzione di variabili vincolate da un quantificatore universale. Per esempio per quanto la premessa: "per tutti gli x se x è un pianeta allora x brilla di luce riflessa" non contenga il termine 'Marte' l'enunciato: "se Matte è un pianeta allora Marte brilla di luce riflessa" può essere correttamente dedotto da quella premessa. Un altro tipo di inferenza analoga è illustrato dalla derivazione della conclusione: "tutti gli affamati sono mortali affamati" dalla premessa "tutti gli uomini sono mortali". Nondimeno, un esame della derivazione della legge di Boyle-Charles rivela che il termine 'temperatura' contenuto nella legge ma non nella teoria cinetica non viene introdotto nella derivazione per mezzo di alcun procedimento deduttivo univer-
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tengono effettivamente qualche termine "A", che è assente dalle assunzioni teoriche della scienza primaria, esistono due condizioni formali necessarie per la riduzione della prima alla seconda: l) devono *essere introdotte assunzioni di un qualche tipo le quali postulino adeguate relazioni fra ciò che può venire significato da "A" e i tratti caratteristici rappresentati dai termini teorici già presenti nella scienza primaria. La natura di tali assunzioni resta da esaminare, ma, senza pregiudicare l'esito di ulteriori discussioni, sarà opportuno far riferimento a questa condizione come alla "condizione di connettibilità"; 2) con l'ausilio di queste assunzioni supplementari, tutte le leggi della scienza secondaria, incluse quelle che contengono il termine_ "A", devono risultare logicamente derivabili dalle premesse teoriche e dalle relative definizioni coordinatrici nella disciplina primaria. Chiameremo questa la ·~_fQ_nd!?:!_one di derivabilità ": Esistono manifestamente solo tre possibilità riguardo alla natura dei legami postulati da queste assunzioni supplementari: l) la prima è che tali legami siano connessioni logiche fra significati prestabiliti dalle espressioni. Le assunzioni affermeranno allora che "A" è connesso logicamente (presumibilmente per sinonimia o per qualche altra forma di sostituzione analitica univoca) ad una espressione teorica "B" nella scienza primaria. In ordine a questa alternativa, il significato di "A", come risulta fissato dalle regole e dalle consuetudini di uso della scienza secondaria, deve essere esplicato nei termini dei significati stabiliti dei primitivi teorici nella disciplina primaria; 2) la seconda possibilità è che i legami siano convenzioni deliberatamente create. Le assunzoni sono allora delle definizioni coordinatrici che istituiscono una corrispondenza fra "A" e un certo primitivo teorico o un qualche cosalmente valido di questo tipo; e un atgomento, analogo a quello esposto nel capoverso precedente di questa nota per il caso di deduzbni nel calcolo enunciativo, può venir costruito per mostrare che tale caso può verificarsi anche nella deduzione di altre leggi, che contengano termini distintivi di una scienza secondatia, che sia riducibile ad una qualche scienza primaria. Per conseguenza le varie eccezioni al canone logico enunciato nel testo possono venir trascurate in quanto hanno scarsa attinenza con le questioni discusse. Una diversa obiezione a tale canone, a prescmdere dalla logica formale sorge dal fatto che noi spesso riconosciamo come valide delle argomentazioni anche se esse manifestamente violano quel canone. Cosi diciamo che da "lo zio di Giovanni è il padre di Matia" e da "la camicia di Smith è rossa" seguonJ rispettivamente "Giovanni è un cugino di Matia" e "la camicia di Smith è colorata" malgrado il fatto che in entrambe le conclusioni compaia un termine che non si trova nelle premesse. Questi esempi ed altri analoghi sono però inferenze entimematiche con un'assunzione tacita, nella forma o di una definizione esplicita o di qualche altro enunciato a priori. Una volta rese esplicite tali assunzioni gli esempi non appaiono piu come eccezioni al canone logico in discussione. • La condizione di connettibilità richiede che i termini teorici della scienza primaria appaiano nell'enunciato di queste assunzioni supplementari. Non sarebbe sufficiente per esempio, se queste assunzioni formulassero una spiegazione di 'A' per mezzo di primitivi di osservazione della scienza primaria, anche se i primitivi teorici fossero spiegati anche per mezzo di primitivi di osservazione. Da ciò non seguirebbe infatti che 'A' possa venir spiegato per mezzo dei primitivi teorici. Cosi, per quanto 'zio' e 'nonno' siano termini ciascuno dei quali è definibile in termini di 'maschio' e 'genitore', 'zio' non è definibile in termini di 'nonno'. Per conseguenza le assunzioni supplementati non contribuirebbero all'adempimento della condizione di derivabilità.
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strutto ricavato dai primttlvl teonct della scienza primaria. In base a questa alternativa, a differenza della precedente, il significato di "A" non viene spiegato o analizzato in termini dei significati dei primitivi teorici. Al contrario, se "A" è un termine di osservazione della scienza secondaria, le assunzioni attribuiranno in questo caso una significanza sperimentale a una certa espressione teorica della scienza primaria, non contraddittoria con altre analoghe che possono essere state fatte precedentemente; 3) la terza possibilità è che i legami siano fattuali o materiali. Le assunzioni saranno allora ipotesi fisiche, le quali asseriscono che il darsi della situazione significata da una certa espressione teorica "B" nella scienza primaria è una condizione sufficiente (o necessaria e sufficiente) per la situazione designata da "A". Risulterà evidente che in questo caso deve essere di principio raggiungibile una prova indipendente per il darsi di ciascuna delle due situazioni, cosi che le espressioni che la designano devono avere significati chiaramente differenti. In base a questa alternativa, perciò, il significato di "A" non è analiticamente correlato con il significato di "B ". Di conseguenza le assunzioni supplementari non possono essere accertate come vere soltanto per mezzo di un'analisi logica, e l'ipotesi che esse formulano deve avere a sostegno delle prove empiriche.' Alla luce di questa discussione, esaminiamo ora la derivazione della legge di Boyle-Charles dalla teoria cinetica dei gas. Per semplicità assumiamo che la parola "temperatura" sia l'unico termine in questa legge che non compare nei postulati di quella teoria. Come abbiamo già osservato, però, la deduzione della legge dalla teoria dipende dal postulato supplementare, secondo cui la temperatura di un gas è proporzionale all'energia cinetica media delle sue molecole. Il nostro 5 Ne segue che la condizione di ccnnettibilità in generale non è sufficiente per la riduzione, e deve essere integrata dalla cordizione di derivabilità. La connettibilità in effetti assicurerebbe la derivabilità se, come è st,tto osservato da ]OHN G. KF.MENY e PAUL 0PPENHEIM, On Reduction, "Philosophical Studies", vol. 7 (1956), p. 101, per ogni termine 'A' presente nella scienza secondaria, ma non nella scienza primaria, esistesse un termine teorico 'B' nella scienza primaria tale che A e B fossero legati da un bicondizionale: A se e solo se, B. Se il legame ha questa forma 'A' può venir sostituito da 'B' in qualunque legge L della scienza secondaria in cui compaia 'A' e può quindi permetterei di ricavare un postulato teorico L sicuro. Se L' non è esso stesso derivabile dalla teoria della scienza primaria che è disponibile, la teoria ha bisogno solamente di venir integrata con l'aggiunta di L' per diventare una teoria modificata, ma ciò nondimeno sempre una teoria della scienza primaria. In ogni caso L sarà deducibile dalla teoria della scienza primaria con l'ausilio dei bicondizionali. Il legame fra A e B tuttavia non deve essere necessariamente un bicondizionale, può per esempio essere semplicemnt di forma condizionale: se B, allora A. In questo caso però 'A' non è sostituibile da 'B' e la scienza secondaria quindi non sarà in generale deducibile da una teoria della disciplina primaria. Per consegutnza anche se acc~ntoniamc la questione se una riduzione sia soddisfacer.te quando venga ottenuta con l'aggiunta alla teoria della scienza primaria di un nuovo p0stulato L', il quale ha confe.-ma empirica, ma non dà nessun ulteriore contributo al potere esplicativo della teoria iniziale, la connettibilità non è in generale sufficiente per assicurare la derivabilità. La condizione di derivabilità invece è tanto necessaria quanto sufficiente per la riduzione, dal momento che la derivabilità ovviamente implica la connettività. La condizione di connettibilità è nondimeno enunciata separatamente, a causa della sua importanza nella aMlisi della riduzione.
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problema è quello di prendere una decisione circa lo status di questo postulato e di determinare quale dei tre tipi testé discussi, se pure ve ne è uno, sia quello asserito da questo postulato. Per le ragioni ricordate nel primo paragrafo di questo capitolo, non presenta rischi la conclusione secondo la quale il termine "temperatura", nel senso in cui tale parola viene adoperata nella termodinamica classica, non risulta sinonimo di "energia cinetica media delle molecole" e che il suo significato non può essere ricavato da quello di quest'ultima espressione. Certamente nessuna esposizione ordinaria della teoria cinetica dei gas ha la pretesa di stabilire il postulato attraverso l'analisi dei significati dei termini che compaiono in esso. Il legame stipulato dal postulato non può perciò essere plausibilmente considerato come un legame logico. È di gran lunga piu difficile tuttavia decidere quaie dei due restanti tipi di legame sia asserito dal postulato, perché ci sono ragioni plausibili a favore di ciascuna di queste alternative. L'argomento a sostegno della tesi che il postulato sia semplicemente una definizione coordinatrice è sostanzialmente il seguente: la teoria cinetica dei gas non può essere sottoposta a controllo sperimentale, a meno che delle regole di corrispondenza non associno in precedenza talune delle sue nozioni teoriche con il controllo sperimentale. Infatti sebbene la temperatura di un gas possa essere determinata da normali procedure di laboratorio, non esiste apparentemente alcun modo di accertare l'energia cinetica media delle ipotetiche molecole di gas - a meno che in effetti non si stipuli deliberatamente che la temperatura è una misura di questa energia. Di conseguenza il postulato non può essere altro che una delle regole di corrispondenza, che istituiscono un'associazione fra i concetti teorici e quelli sperimentali." D'altro lato anche la tesi che il postulato sia un'ipotesi fisica non è infondata e, in effetti, è in questo modo che il postulato viene introdotto in molte esposizioni tecniche dell'argomento. La ragione fondamentale a sostegno di questa tesi è che, sebbene il postulato non possa essere provato attraverso misurazioni dirette dell'energia cinetica media delle molecole di gas, il valore di questa energia può nondimeno essere accertato indirettamente, attraverso un calcolo che parte da dati sperimentali sui gas, diversi da quelli ottenuti misurando le temperature. Ne consegue che sembra effettivamente possibile determinare sperimentalmente se la temperatura di un gas sia proporzionale alla energia cinetica media delle sue molecole. Malgrado le apparenze contrarie, queste tesi diverse e le ragioni addotte per sostenerle non sono necessariamente incompatibili fra loro. Infatti le differenze illustrano quello che è un punto acquisito in proposito - cioè che lo status conoscitivo di un'assunzione dipende 6
Cfr. NoRMANN R. CAMPBELL, Physics, the Elements, Cambridge, Eng. 1930, p.
126 e sgg.
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spesso dal criterio adottato per articolare una teoria in un contesto particolare. La riduzione della termodinamica alla meccanica può senza dubbio essere presentata in modo che i postulati supplementari, circa la proporzionalità della temperatura con l'energia cinetica media delle molecole di gas, istituiscano ciò che è dapprima l'unico legame fra le nozioni teoriche della scienza primaria e i concetti sperimentali della secondaria. In un tale contesto di esposizione il postulato non può essere sottoposto a controllo sperimentale, ma funziona come una definizione coordinatrice. Sono possibili però anche modi di esposizione diversi, nei quali le definizioni coordinatrici sono introdotte per altre coppie di concetti teorici e sperimentali. Per esempio una nozione teorica può essere fatta corrispondere all'idea sperimentale di viscosità e un'altra può essere associata al concetto sperimentale di flusso di calore. Di conseguenza, dato che l'energia cinetica media delle molecole di gas è correlata, in virtu delle assunzioni della teoria cinetica, a queste altre assunzioni teoriche, può cosi venire indirettamente stabilita una connessione fra temperatura ed energia cinetica. In un tale contesto di esposizione, quindi, avrebbe pienamente senso chiedersi se la temperatura di un gas è proporzionale al valore della energia cinetica media delle molecole di gas, dove questo valore è calcolato in una qualche maniera indiretta a partire da dati sperimentali, diversi da quelli ottenuti misurando la temperatura del gas. In questo caso il postulato avrebbe lo status di un'ipotesi fisica. In generale non è quindi possibile decidere se il postulato sia una definizione coordinatrice o un'ass1:mzione fattuale, fuorché in qualche dato contesto in cui è sviluppata la riduzione della termodinamica alla meccanica. Questa circostanza, però, non annulla la distinzione fra re-gole di corrispondenza e ipotesi materiali, né distrugge l'importanza della distinzione. In ogni caso tuttavia la presente discussione non esige che si decida in merito a queste diverse interpretazioni del postulato. Il punto essenziale, in queste discussioni, è che deve essere introdotto un postulato il quale connetta temperatura ed energia cinetica dei gas nella riduzione della termodinamica alla meccanica, e che questo postulato non può essere garantito dalla semplice spiegazione dei significati delle espressioni contenute in esso. Dobbiamo infine considerare brevemente un'obiezione che può venire sollevata contro questo punto centrale. Nella storia della scienza - sostiene tale obiezione - la ridefinizione di espressioni in concomitanza con lo sviluppo della ricerca è un carattere ricorrente. Di conseguenza, per quanto si debba ammettere che in un suo uso precedente la parola "temperatura" avesse un significato esclusivamente specificato dalle regole e dai procedimenti della termometria e della termodinamica classica, ora essa è usata in modo tale che la temperatura è "identica per definizione" con l'energia molecolare. La deduzione della legge di Boyle-Charles perciò non richiede l'introduzione di un ulteriore po-
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stulato, sia pure nella forma eli una definizione coordinatrice o di un'ipotesi empirica speciale, ma fa uso semplicemente di questa identità per definizione. L'obiezione segnala il discorso inconsapevolmente ambiguo nel quale è facile cadere. Certamente è possibile ridefinire la parola 'temperatura' in modo che essa divenga sinonimo di 'energia cinetica media' delle molecole. È ugualmente certo però che, sulla base di tale uso ridefinito, la parola ha un significato differente da quello associato alla parola stessa nell'enunciato della legge di Boyle-Charles. Se però la termodinamica deve essere ridotta alla meccanica, è proprio la temperatura, nel senso che il termine assume nella termologia classica, a dover essere dichiarata proporzionale all'energia cinetica media delle molecole di gas. Ne consegue che, se la parola 'temperatura' viene ridefinita come suggerisce l'obiezione, si deve far ricorso all'ipotesi secondo cui lo stato dei corpi descritto come 'temperatura' (nel senso della termodinamica classica) è anche caratterizzato dalla 'temperatura' nel senso ridefinito del termine. In tal caso, però, questa ipotesi non potrà valere come materia di definizione e non sarà tale da permettere di far ricorso correttamente per essa alla necessità logica. A meno che si adotti tale ipotesi, non sarà la legge di Boyle-Charles quella che potrà essere derivata dalle assunzioni della teoria cinetica del gas. Ciò che è derivabile senza l'ipotesi anzidetta è una frase, simile nella struttura sintattica alla formulazione standard di quella legge, avente però un senso inequivocabilmente diverso da quello asserito da tale legge.
III. Condizioni non formali per la riduzione Ci occuperemo ora, per quanto ad alcuni di essi si sia già fatto cenno eli sfuggita, di caratteri della riduzione che non sono originariamente formali.
l. Le due condizioni formali per la riduzione discusse nel paragrafo precedente non bastano per distinguere i risultati banali da quelli scientificamente degni di nota. Se l'unico requisito per la riduzione fosse la possibilità di dedurre logicamente la scienza secondaria da premesse arbitrariamente scelte, tale requisito potrebbe essere soddisfatto, superando difficoltà relativamente scarse. Nella storia delle riduzioni importanti, però, le premesse della scienza primaria non si presentano come assunzioni ad hoc. Per conseguenza, pur ammettendo di dover ritenere una condizione troppo forte, il fatto che sia conosciuta la verità delle premesse sembra però ragionevole imporre _çs>_l!l~J~9.l!isi_!o )l()f!. formale che le. assunzioni t_eoriçhe...95!Hl:l_~c!~I1Z?_P~ima!~~-A~J?l?a.l!.() .c:!~_e_!~ çonv;lidate da una prova empiri_ca dotata d~]:_I_g_çertQ__m:-_~gsu~L~f!ìs.a.cia_ d~ mostrativa. I problemi connessi con la logica della valutazione delle prove sono complessi e, per molti punti cruciali, non ancora ri-
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solti. Le questioni sollevate da questi problemi non concernono però esclusivamente l'analisi della riduzione; qui tuttavia non esamineremo la nozione di un sostegno adeguato di P.rove fuorché per alcune rapide osservazioni riguardanti la riduzione della termodinamica alla meccanica. Per numerose assunzioni della teoria cinetica dei gas la prova si ricava da svariate ricerche, di cui solo una parte ricade nel dominio della termodinamica. Cosi l'ipotesi della costituzione molecolare della materia fu sostenuta sulla base delle relazioni quantitative rivelatesi nelle interazioni chimiche anche prima che la termodinamica fosse ridotta alla meccanica; essa fu confermata anche da numerose leggi della fisica molare originariamente non relative alle proprietà termiche dei corpi. L'adozione di questa ipotesi per un nuovo compito, quello di render conto del comportamento termico dei gas era perciò in linea con la consueta strategia della scienza: impiegare su un nuovo fronte idee e analogie rivelatesi fruttuose in altro ambito. In modo analogo gli assiomi della meccanica, che costituiscono le premesse piu generali della scienza primaria alla quale viene ridotta la termodinamica hanno a loro sostegno una prova ricavata da molti campi del tutto distinti dallo studio dei gas. L'assunzione che questi assiomi valgano anche per le ipotetiche componenti molecolari dei gas ebbe come conseguenza la estrapolazione di una teoria da domini, nei quali essa aveva già ricevuto sicura conferma, e la sua inserzione in un altro dominio, di cui si postula la omogeneità per importanti aspetti. Il punto però di maggiore importanza a questo riguardo è guello per cui le assunzioni combinate della scienza primaria, alla quale veniva ridotta la termologia, hanno reso possibile l'incorporazione, in un sistema unificato, di molte leggi tanto della termologia quanto di altre parti della fisica apparentemente prive di relazioni fra loro. Naturalmente numerose leggi sui gas erano conosciute prima di tale riduzione. Alcune di esse però risultavano solo approssimativamente valide per gas che non soddisfano a certe condizioni fortemente restrittive; la maggior parte delle leggi, inoltre, potrebbero essere affermate soltanto come altrettanti fatti indipendenti, relativi ai gas. La riduzione della termodinamica alla meccanica modificò in maniera importante lo stato della questione. Essa preparò la strada ad una riformulazione delle leggi sui gas in modo da farla accordare con i comportamenti dei gas soddisfacenti condizioni meno restrittive: forni indicazioni per la scoperta di nuove leggi; offri una base per mostrare le relazioni di dipendenza sistematica tanto fra le stesse leggi sui gas, quanto fra queste e le leggi sui corpi in altri stati di aggregazione. Quest'ultimo punto merita una breve trattazione. Se la legge di Boyle-Charles fosse la sola legge sperimentale deducibile dalla teoria cinetica dei gas sarebbe improbabile che questo risultato potesse essere considerato dalla maggior parte dei fisici come una prova decisiva per la
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teoria. Essi probabilmente farebbero propria la tesi che niente di significativo può essere ottenuto attraverso la deduzione di questa sola legge. Infatti essi potrebbero sostenere che ancor prima della sua deduzione era noto il fatto che questa legge si accordava bene con il comportamento dei soli gas "ideali", cioè di quelli a temperatura molto superiore al punto di liquefazione; e che, per ipotesi, nulla si ricava ulteriormente dalla teoria circa il comportamento dei gas a temperatura piu bassa. I fisici inoltre richiamerebbero senza dubbio la nostra attenzione sul fatto significativo che anche la deduzione di questa legge può essere effettuata soltanto con l'aiuto di uno speciale postulato che connette la temperatura con l'energia delle molecole dei gas - postulato che, date le circostanze considerate, ha lo status di una assunzione ad hoc, non sostenuta da alcuna altra prova oltre quella che garantisce la stessa legge di Boyle-Charles. In breve se questa legge fosse la sola conseguenza sperimentale della teoria cinetica, quest'ultima sarebbe un tronco secco dal quale si potrebbero cogliere frutti solo se vi venissero appesi artificialmente. Di fatto, però, con la riduzione della termodinamica alla teoria cinetica dei gas si ottiene molto di piu che con la deduzione della legge di Boyle-Charles. Noi dis&.._::-'liamo di un'altra prova che ha notevole valore per la maggior parte dei fisici come sostegno della teoria e che allontana anche il semplice sospetto di arbitrarietà dallo speciale postula_to~he connette la temperatura con l'energia molecolare. In effetti due sono gli insiemi di considerazioni correlati fra loro che fanno dell'anzidetta riduzione un risultato importante per la scienza. Uno comprende le leggi sperimentali, che vengono dedotte dalla teoria e che non sono state precedentemente fissate, o che si accordano con una sfera di fatti piu ampia, meglio di quanto non facciano le leggi precedentemente accettate. La legge di Boyle-Charles, per esempio, vale soltanto per i gas ideali ed è deducibile dalla teoria cinetica quando alcune delle assunzioni meno generali di questa abbiano la forma restrittiva corrispondente ad un gas che risulti ideale. Queste assunzioni speciali però, senza una modificazione delle idee fondamentali della teoria, possono essere sostituite da altre e in particolare da assunzioni meno semplici di quelle introdotte per i gas ideali. Cosf, invece delle stipulazioni con l'aiuto delle quali la legge di Boyle-Charles è derivabile dalla teoria, possiamo assumere che le dimensioni delle molecole di gas non siano trascurabili se confrontate alla distanza media fra loro e che oltre alle forze di urto esistano anche forze di coesione agenti su di esse. È possibile allora dedurre dalla teoria che si avvale di queste assunzioni speciali piu complesse la legge di van der Waals per i gas: legge che formula in maniera piu adeguata della legge di Boyle-Charles il comportamento dei gas, sia ideali che non ideali. Affinché una riduzione costituisca un progresso concettuale significativo non è dunque sufficiente, in generale, che le leggi precedentemente stabilite della scienza
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seco_ndaria siano rappresentate entro la teoria della scienza primaria. 'Questa deve essere anche feconda di suggerimenti utili per lo sviluppo della scienza secondaria e deve essere capace di fornire teoremi, riferentisi all'argomento di quest'ultima, atti ad incrementare o a correggere il patrimonio di leggi della scienza secondaria comunemente accettate. Il secondo insieme di considerazioni, in virtu delle quali la riduzione della termodinamica alla meccanica è generalmente considerata una conquista importante, è costituito dalle strette e spesso sorprendenti relazioni di dipendenza in tal modo dimostrabili fra varie leggi sperimentali. Un esempio molto caratteristico di questa dipendenza si ha quando le leggi fino a quel momento enunciate sulla base di prove indipendenti risultano ora deducibili da una teoria integrata come conseguenza della riduzione. Cosi tanto il secondo principio della termedinamica (in base al quale le entropia di un sistema fisico chiuso non diminuisce mai) quanto la legge di Boyle-Charles risultano derivabili dalla meccanica statistica, sebbene nella termodinamica classica que~te leggi siano enunciate come assunzioni primitive indipendenti. Un tipo di indipendenza piu efficace e piu sottile viene sotto certi aspetti esemplificato quando una qualche costante numerica, che compare in differenti leggi sperimentali della scienza secondaria, viene indicata come una funzione definita di parametri teorici nella disciplina primaria risultato particolarmente notevole allorché possono essere calcolati congrui valori numerici per quei parametri, a partire da dati sperimentali ottenuti seguendo direzioni di ricerca indipendenti. Cosi, uno dei postulati della teoria cinetica dei gas è quello secondo cui, - date certe condizioni standard di temperatura e di pressione - volumi eguali di gas contengono un eguale numero di molecole, a prescindere dalla natura chimica del gas. Il numero delle molecole in un litro di gas in condizioni standard è cosi lo stesso per tutti i gas ed è conosciuto come il numero di Avogadro. Inoltre si può mostrare che una certa costante che compare in parecchie leggi dei gas (fra gli altri nella legge di BoyleCharles e nelle leggi dei calori specifici) è una funzione di questo numero e di altri parametri teorici. Il numero di Avogadro, d'altro lato, può essere calcolato in modi differenti a partire da dati sperimentali raccolti in diversi tipi di indagine, per esempio dalla misurazione dei fenomeni termici, dei moti browniani o della struttura dei cristalli; e i valori ottenuti per tale numero da ciascuno dei diversi insiemi di dati risultano in buon accordo fra di loro. Di conseguenza si dimostra che leggi sperimentali apparentemente indipendenti (comprese quelle termiche) implicano una componente invariante comune, rappresentata da un parametro teorico che si lega strettamente di volta in volta a tipi diversi di dati sperimentali. Ne consegue che la riduzione della termodinamica alla teoria cinetica non fornisce solo una spiegazione unitaria delle leggi della prima disciplina; essa integra anche que-
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ste leggi in modo che la prova direttamente rilevante per ciascuna di esse può servire come prova indiretta per le altre, e che la prova disponibile per ognuna delle leggi rafforza cumulativamente vari postulati teorici della scienza primaria. 2. Queste osservazioni generali intorno alle considerazioni, che permettono di stabilire se una riduzione costituisce un progresso importante nell'organizzazione della conoscenza o se è soltanto una esercitazione formale, e intorno al carattere delle prove che sostengono effettivamente la teoria cinetica, dirigono la nostra attenzione su una caratteristica importante della scienza in attivo sviluppo. Come è già stato accennato, differenti branche della scienza possono talora venir delimitate sulla base delle teorie adottate come premesse esplicative e come principi guida nei loro rispettivi domini. Nondimeno le teorie non rimangono di regola inalterate nel procedere dell'indagine; e la storia della scienza fornisce molti esempi di branche speciali della conoscenza che si sono andate riorganizzando attorno a nuovi tipi di teorie. Inoltre anche se una disciplina continua a conservare i postulati piu generali di alcuni sistemi teorici, i postulati meno generali vengono spesso modificati o accresciuti da altri quando sorgano nuovi problemi. La domanda se una data scienza sia riduci bile ad un'altra non può quindi essere posta in maniera proficua in astratto, senza riferimento a qualche stadio particolare di sviluppo delle due discipline. I problemi relativi alla riducibilità possonò essere discussi proficuamente sole5 se vengono definiti, specificando il contenuto delle scienze in esame stabilito in un dato momento. Cosi probabilmente nessun fisico militante prenderebbe sul serio la tesi secondo cui la fisica nucleare contemporanea è riducibile ad una qualche variante della meccanica classica - anche se l'affermazione fosse aécompagnata da una deduzione formale delle leggi della fisica nucleare da assunzioni senz'altro puramente meccaniche, a meno che queste assunzioni fossero sostenute da prove adeguate e disponibili nel momento in cui è avanzata l'anzidetta tesi e che esse presentassero anche, in quel momento, i vantaggi euristici che di regola ci si aspetta dalla teoria appartenente alla scienza presentata come primaria. E ancora, una cosa è dire che la termodinamica è riducibile alla meccanica quando quest'ultima annovera fra i suoi postulati riconosciuti delle assunzioni (incluse quelle statistiche) relative alle molecole e ai loro modi di azione; ed una cosa completamente diversa è sostenere che la termodinamica sia riducibile ad una scienza meccanica che non accetta queste assunzioni. In particolare, per quanto la termodinamica contemporanea sia indubbiamente riducibile ad una meccanica statistica posteriore al 1866 (anno in cui Boltzmann riusd a dare un'interpretazione statistica del secondo principio della termodinamica con l'aiuto di certe ipotesi statistiche), tuttavia quella scienza secondaria non è riducibile alla meccanica del 1700. In modo
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analogo certe parti della chimica del XIX secolo (e forse questa intera scienza) sono riducibili alla fisica posteriore al 1925, ma non alla fisica di cento anni fa. Inoltre non si dovrebbe trascurare l'eventualità che si possa effettivamente realizzare uno scarso o quasi nullo guadagno di nuove conoscenze o aumento dell'efficacia della ricerca dal ridurre una scienza ad un'altra in certe fasi del loro sviluppo e possano essere invece grandi i vantaggi virtuali di tale riduzione in qualche momento successivo. Cosi una disciplina può trovarsi in una fase di attivo sviluppo in cui il compito imprenscindibile è quello di controllare e di classificare i materiali del suo dominio nella loro estensione e diversificazione. I tentativi di ridurre questa disciplina ad un'altra scienza (sia pure teoricamente piu progredita), anche se riusciti, possono poi distogliere le energie necessarie da quelli che sono i problemi cruciali in quel momento di espansione di tale disciplina senza il compenso di un'effettiva guida da parte della scienza primaria nella condotta ulteriore della ricerca. In un momento in cui per esempio l'esigenza principale della botanica fosse quella di stabilire una tipologia sistematica della vita delle piante tale disciplina ricaverebbe scarso vantaggio dall'adottare una teoria fisico chimica degli organismi viventi. Ed ancora, per quanto una scienza possa essere riducibile ad un'altra, la disciplina secondaria può progressivamente risolvere il suo gruppo particolare di problemi con l'aiuto di una teoria espressamente costruita per trattare l'argomento specifico di detta disciplina. Come base per affrontare quei problemi la teoria meno ampia può ben risultare piu soddisfacente che la teoria piu generale della scienza primaria - forse perché la scienza primaria esige l'uso di tecniche troppo raffinate e complicate per gli argomenti in esame nella scienza secondaria, o perché le condizioni iniziali richieste per applicarle a quegli argomenti non sono effettivamente presenti o semplicemente perché la sua struttura non suggerisce analogie fruttuose per trattare quei problemi. Per esempio anche se la biologia fosse riducibile all' attuàle meccanica quantistica, nella presente fase di sviluppo della scienza biologica la teoria genica dell'ereditarietà può dimostrarsi uno strumento piu soddisfacente che non la teoria dei quanti per indagare i problemi biologici dell'ereditarietà. Un sistema di spiegazione integrato per mezzo di qualche ampia teoria di una scienza primaria può rappresentare un ideale concettuale da realizzarsi alla fine. Ma non ne consegue che questo ideale possa èssere meglio raggiunto riducendo una scienza ad un'altra per mezzo di una teoria certamente comprensiva ed efficace, se la scienza secondaria, a quello stadio del suo sviluppo, non è preparata ad operare effettivamente con questa teoria. Molte delle controversie sulle interrelazioni delle scienze speciali e sui limiti del potere esplicativo delle loro teorie trascurano queste considerazioni elementari. L'irriducibilità di una scienza ad un'altra
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(per esempio della biologia fisica) è talora asserita recisamente, e senza determinazioni cronologiche. In ogni caso le argomentazioni a sostegno di tali affermazioni sembrano dimenticare che le scienze hanno una storia e che la riducibilità (o irriducibilità) di una scienza ad un'altra è contingente e dipende dalla specifica teoria utilizzata dalla seconda disciplina in un momento ben definito. D'altro lato anche le affermazioni opposte secondo le quali una qualche scienza particolare è riducibile ad una disciplina privilegiata non prestano sufficiente attenzione al fatto che le scienze considerate devono aver raggiunto livelli adeguatamente maturi di sviluppo se si vuole che la riduzione abbia rilievo scientifico. Tali affermazioni e contro affermazioni vengono interpretate forse troppo benevolmente come discussioni circa la direzione piu promettente che la ricerca sistematica dovrebbe seguire in determinate fasi di sviluppo di una scienza. Cosi i biologi - quando insistono sulla "autonomia" della loro scienza e rigettano in toto le cosiddette "teorie meccanicistiche" dei fenomeni biologici - sembrano assumere tali posizioni in quanto credono che nella attuale fase di sviluppo della teoria fisica e biologica, la biologia abbia piu da guadagnare proseguendo le proprie indagini in termini di categorie distintamente biologiche che non abbandonandole a favore di metodi di analisi tipici della fisica moderna. Analogamente si può comprendere come spesso i biologi meccanicistici difendano la riduzione della biologia alla fisica in quanto dal loro punto di vista i problemi biologici possono venire ora trattati piu efficacemente entro lo schema delle attuali teorie fisiche che non per mezzo delle teorie strettamente biologiche. Come vedremo, però, nel capitolo seguente, non è questo il modo in cui gli argomenti vengono di solito presentati da coloro che in tali discussioni si schierano dall'una o dall'altra parte. Al contrario, specialmente perché si omette di osservare che le tesi circa la riducibilità o irriducibilità di una scienza ad un'altra devono essere determinate nel tempo, i problemi che riguardano, alla base, la strategia della ricerca o le relazioni logiche fra le scienze cosi come risultano strutturate in un certo momento, vengono di solito discussi come se riguardassero una qualche struttura ultima ed immutabile dell'universo. 3. Attraverso la presente discussione ci si è sforzati di concepire la riduzione di una scienza ad un'altra come la deduzione di un in-;fem~-d;:- en-~-,;ci~tT~fi?iiliLcail1~mi -c:onf~rm-~bili partire ·da P_J? _ altro insieme _iljl_~Jggo. I risultati della riduzione, però, vengono spesso discussi come se la riduzione fosse la derivazione di proprietà di una certa materia trattata dalle proprietà di un'altra. Cosi un autore contemporaneo sostiene che la psicologia è una disciplina dimostrabilmente autonoma rispetto alla fisica e alla fisiologia perché "un mal di testa non è un assestamento o riassestamento di particelle nel cranio di un individuo" e "la nostra percezione del viola non è una modificazione
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del nervo ottico". Quindi, sebbene si dica che la mente è "misteriosamente connessa" con i processi fisici, "essa non può venire ridotta a quei processi né può venir spiegata per mezzo delle leggi di quei processi".' Un altro autore contemporaneo nel trattare della manifestazione di "novità autentiche" nella natura inorganica dichiara che "è un errore assumere che tutte le proprietà di un composto possano essere dedotte esclusivamente dalla natura dei suoi elementi". Un terzo autore contemporaneo, con analogo atteggiamento, afferma che il comportamento caratteristico di un composto chimico come l'acqua "non potrebbe, anche in teoria, essere dedotto dalla conoscenza piu completa del comportamento dei suoi componenti, - presi separatamente o in altre combinazioni -,. e delle loro proprietà e disposizioni in questo tutto".' Dovremo ora brevemente accennare al fatto che la concezione della riduzione come deduzione di proprietà da altre proprietà è potenzialmente equivoca e genera degli pseudoproblemi. Tale concezione è equivoca in quanto suggerisce di porre la questione se una scienza sia riducibile ad un'altra, indagando le "proprietà" o le pretese "nature" delle cose, invece di investigare sulle conseguenze logiche di certe teorie cioè sistemi di enunciati esplicitamente formulate. Essa perciò trascura il punto cruciale, vale a dire che le "nature" delle cose, e in particolare dei loro "costituenti elementari", non sono accessibili per ispezione diretta e che noi non possiamo definire per mezzo di una semplice ispezione che cosa questi implicano e che cosa non implicano. Tali "nature" debbono essere enunciate come teoria e non sono gli oggetti dell'osservazione; e la gamma delle possibili "nature" che può essere propria degli elementi chimici, è altrettanto varia delle differenti teorie circa le strutture atomiche che noi possiamo costruire. Proprio come la "natura fondamentale" dell'elettricità veniva un tempo espressa dalle equazioni di Maxwell, cosi la natura fondamentale delle molecole e degli atomi deve essere espressa come una teoria esplicitamente articolata intorno ad essi e alle loro strutture. L'ipotesi quindi che, per ridurre una scienza ad un'altra, alcune proprietà o "nature" debbano essere dedotte da alcune altre trasforma quella che è una questione eminentemente logica ed empirica in una questione speculativa senza speranza di soluzione. In che modo, infatti, possiamo scoprire le "nature essenziali" degli elementi chimici (o di qualsiasi altra cosa) se non costruendo delle teorie che postulano determinate caratteristiche per tali elementi, e controllando poi queste teorie nel modo consueto, confrontando le conseguenze dedotte dalle anzidette teorie con il risultato di esperimenti appropriati? E come possiamo sapere in anticipo che non può essere costruita nes7 BRAND BLANSHARD, Fact, Value and Science, in Science and Man (a cura di Ruth N. Anshen), New York, 1942, p. 203. 8 C. D. BROAD, The Mind and its Place in Nature, London, 1952, p, 39.
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suna teoria che permetta di derivare sistematicamente da essa le varie leggi della chimica? Il fatto quindi che un dato insieme di "proprietà" o di "caratteri comportamentistici" di oggetti macroscopici possa essere spiegato da "proprietà" o "caratteri comportamentistici" di atomi e di molecole o ridotto ad essi, è una funzione della teoria qualunque essa sia che viene adottata per specificare le "nature "di questi elementi. La deduzione delle "proprietà" studiate da una scienza dalle "proprietà" studiate da un'altra può risultare impossibile se la seconda scienza postula queste proprietà nei termini di una teoria, mentre tale riduzione può essere del tutto realizzabile se si adotta un diverso insieme di postulati teorici. La deduzione delle leggi della chimica (per esempio della legge secondo cui in certe condizioni l'idrogeno e l'ossigeno si combinano per formare un composto stabile, comunemente conosciuto come acqua, che a sua volta mostra certi ben determinati modi di comportamento in presenza di altre sostanze) dalle teorie fisiche sull'atomo considerate valide cinquanta anni fa, fu giustamente ritenuta impossibile. Ma ciò che era impossibile relativamente ad una certa teoria non è necessariamente impossibile relativamente ad un'altra teoria fisica. La riduzione di varie parti della chimica alla teoria quantistica della struttura atomica sembra percorrere ora un cammino sicuro anche se lento; e soltanto le straordinarie difficoltà matematiche che sono implicate nel compiere le deduzioni relative dalle assunzioni teoriche quantistiche sembra essere di ostacolo all'ulteriore proseguimento di tale compito. E ancora - per ribadire nel presente contesto un punto già rilevato in un altro - se la "natura" delle molecole è stipulata in termini di primitivi teorici della meccanica statistica classica, la riduzione della termodinamica è possibile solo se viene introdotto un postulato supplementare che mette in connessione temperatura e energia ci- , netica. L'impossibilità, però, della riduzione senza tale ipotesi speciale t segue da considerazioni puramente formali e non dalla pretesa frattura ontologica fra il meccanico e il termodinamico. Laplace era pertanto evidentemente in errore quando credeva che una Intelligenza Divinipotesse prevedere il futuro in ogni dettaglio, una volta dati tanto i momenti e le posizioni istantanee di tutte le particelle materiali quanto le grandezze e le direzioni delle forze che agiscono fra tali particelle. Egli, era ad ogni modo, in errore se concepiamo la sua Intelligenza Divina come capace di trarre inferenze in accordo con i canoni della logica, e perciò incapace di commettere l'errore di asserire un enunciato come conclusione di un'inferenza quando tale enunciato contenga termini che non compaiono nelle premesse. La riduzione di una scienza ad una seconda - per esempio della termodinamica alla meccanica statistica o della chimica alla teoria fisica contemporanea - non elimina, comunque ciò avvenga, né riduce a qualche cosa di inessenziale o di "meramente apparente", le distinzioni e i tipi di comporta-
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mento che la disciplina secondaria riconosce. Cosi, anche se venissero accertate in tutti i loro dettagli le condizioni fisiche, chimiche e fisiologiche per il verificarsi dei mali di testa, non si potrebbe provare per questa via che tali mali sono illusori. Al contrario se in conseguenza di siffatte scoperte venisse ridotta una parte della psicologia ad un'altra scienza o a una combinazione di altre scienze, si dovrebbe semplicemente dire che è stata trovata una spiegazione per il presentarsi del mal di testa. La spiegazione in questo modo ottenuta sarà tuttavia eszialmente analoga a quelle che si possono realizzare in altri settori della scienza positiva. Questa spiegazione non stabilirà una connessione logicamente necessaria fra il presentarsi dei mali di testa e il presentarsi di certi eventi o processi definiti dalla fisica dalla chimica e dalla fisiologia. Né consisterà nello stabilire la sinonimia del termine mal di testa con alcune espressioni definite per mezzo dei primitivi teorici . di queste discipline. Consisterà invece nell'enunciare le condizioni, formulate per mezzo di questi primitivi teorici, sotto le quali, e come un fatto puramente contingente, ha luogo un determinato fenomeno psicologico.
IV. La dottrina della emergenza L'analisi della riduzione -è intrinsecamente importante per molte tesi solitamente dibattute in filosofia generale, specialmente per quella conosciuta come la dottrina dell"'evoluzione emergente" od "olismo". In effetti alcuni risultati di tale analisi sono già stati applicati nel precedente paragrafo di questo capitolo ad alcuni dei problemi sollevati dalla dottrina dell'emergenza. Esamineremo ora questa dottrina piu esplicitamente, alla luce della discussione sulla riduzione. Talvolta la dottrina dell'emergenza è formulata come una tesi relativa all'organizzazione gerarchica degli enti e dei processi, e il conseguente presentarsi, a livelli "piu alti" di organizzazione, di proprietà che non sono prevedi bili in base a quelle riscontrate a livelli "piu bassi". Talvolta invece questa dottrina viene enunciata come facente parte di una cosmogonia evoluzionistica, secondo la quale le piu semplici proprietà e forme di organizzazione già esistenti contribuiscono al "progresso creativo" della natura dando origine a caratteri e strutture piu complessi e "irriducibilmente nuovi". In una delle sue forme, ad ogni modo, l'evoluzione emergente è la tesi secondo la quale l'attuale varietà degli enti nell'universo è il risultato di uno sviluppo progressivo da uno stadio primitivo del cosmo, comprendente solo elementi isolati e indifferenziati (come elettroni, protoni e simili), mentre il futuro continuerà a presentare novità imprevedibili. Questa versione evoluzionistica della dottrina dell'emergenza è indipendente dalla concezione dell'emergenza come organizzazione gerarchica irriducibile, e le due forme
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della dottrina devono venire distinte. Considereremo dapprima l'emergenza come una tesi relativa alla non prevedibilità di certe caratteristiche degli enti, e, in seguito esamineremo brevemente l'emergenza come processo temporale, cosmogonico. l. Sebbene l'emergenza sia stata invocata molto frequentemente come una categoria esplicativa in connessione con i fenomeni psicologici, sociali e biologici, questa nozione può venir formulata in maniera tanto generale da potersi applicare anche all'inorganico. Chiamiamo pertanto, O un oggetto costituito da certi elementi a1, • • • , an che stanno fra loro in una qualche relazione complessa R, e supponiamo che O possieda una classe definita di proprietà P mentre gli elementi di O possiedono proprietà appartenenti rispettivamente alle classi A1, . . . , An. Per quanto gli elementi siano numericamente distinti essi possono non essere tutti distinti quanto al genere; inoltre essi possono entrare gli uni con gli altri (o con altri elementi che non appartengono ad 0) in relazioni diverse da R, per formare delle totalità complesse diverse da O. La presenza, però, degli elementi a1, . . . , an nella relazione R è per ipotesi la condizione necessaria e sufficiente per il manifestarsi di O caratterizzato dalle proprietà P. Assumiamo ora quella che i sostenitori della dottrina della emergenza chiamano la "completa conoscenza" degli elementi di O: noi conosciamo tutte le proprietà che gli elementi possiedono quando esistono "isolati" gli uni dagli altri; e conosciamo anche tutte le proprietà presentate da complessi diversi da O, che si formano quando alcuni o tutti gli elementi stanno fra di loro (o con elementi supplementari) in relazione diverse da R, e cosf pure tutte le proprietà degli elementi in questi complessi. Secondo la dottrina della emergenza si devono distinguere due casi. Nel primo è possibile prevedere (cioè dedurre) da una tale conoscenza completa che se gli elementi a~, . . . , an compaiono nella relazione R, allora si costituirà l'oggetto O ed esso possederà le proprietà P. Nel secondo caso, esiste almeno una proprietà Pe nella classe P tale che, malgrado la completa conoscenza degli elementi, è impossibile prevedere in base a questa conoscenza che, se gli elementi stanno fra di loro nella relazione R, allora si costituirà un oggetto O fornito delle proprietà P •. In quest'ultimo caso l'oggetto O è un "oggetto emergente" e P. è una "proprietà emergente" di O. È questa la forma della dottrina dell'emergenza che sta alla base del brano di Broad citato nel paragrafo precedente di questo capitolo (v. p. 374 ). Broad illustra questa interpretazione dell'emergenza nel modo seguente:
L'ossigeno ha certe proprietà e l'idrogeno certe altre. Essi si combinano per formare l'acqua, e le loro proporzioni sono fisse. Niente di ciò che conosciamo dell'ossigeno, in sé o nelle sue combinazioni _con alcunché
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La struttura della scienza di diverso dall'idrogeno, ci potrebbe fornire il minimo motivo per supporre che esso si possa comunque combinare con l'idrogeno. Niente di quanto conosciamo sull'idrogeno in sé o unito ad alcunché di diverso dall'ossigeno, ci potrebbe fornire il minimo motivo per aspettarci che esso si possa combinare comunque con l'ossigeno. E moltissime proprietà sia fisiche che chimiche dell'acqua non hanno alcuna connessione nota, quantitativa o qualitativa, con quelle dell'ossigeno e dell'idrogeno. Abbiamo qui un chiaro esempio in cui, per quanto ne possiamo dire, le proprietà di un tutto, composto da due costituenti, non potrebbero essere previste in base alla conoscenza di quelle proprietà prese separatamente, o in base a questa conoscenza combinata con quella delle proprietà di altre totalità che contengono questi costituenti.• Numerosi sono i problemi sollevati da questa interpretazione della dottrina della emergenza, sebbene la maggior parte di essi sono già stati trattati nella precedente discussione sulla riduzione e possano venire risolti sulla base di considerazioni che sono state ivi introdotte. a) La presupposizione che sta alla base della nozione di emergenza è che, per quanto sia possibile in certi casi dedurre le proprietà di un tutto da quelle dei suoi costituenti, in altri casi questo non è possibile. Abbiamo visto però che, tanto la parte affermativa quanto quella negativa di questa tesi, si fonda su formulazioni incomplete ed equivoche dei fatti reali. È in effetti impossibile dedurre le proprietà dell'acqua (come la viscosità o translucidità) dalle proprietà del solo idrogeno (quale quella di essere nello stato gassoso in certe condizioni di pressione e di temperatura) o del solo ossigeno o di altri composti che contengono questi elementi quali costituenti (come quella dell'acido fluoridrico di sciogliere il vetro). Malgrado le frequenti affermazioni in senso contrario è tuttavia del pari impossibile dedurre il comportamento di un orologio dalle proprietà e dalla organizzazione delle sue parti costitutive. In entrambi i casi però la deduzione è impossibile -*· per le medesime ragioni: _!!OD sono P!.Qffietà ffi.!Lt!.l!~l!ci~i (() pr9PQSi.?ionj) ql}(!lle_ch~ J>LP.O~l'9J:!9.
Ibid., pp. 62-63.
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alcun insieme di enunciati relativi all'idrogeno e all'ossigeno che non contengono le espressioni "acqua" e "translucido"; questa impossibilità però deriva interamente da considerazioni puramente formali ed è relativa allo speciale insieme di enunciati adottati come premesse nel caso considerato. h) È chiaro, perciò, che il dire di una data proprietà che essa è "emergente" significa attribuirle un carattere che la proprietà può possedere relativamente ad una teoria o a un corpo di assunzioni ma che può non possedere relativamente a qualche altra teoria. La dottrina del~ l'emergenza quindi (nel senso ora discusso) deve essere intesa come l'enunciazione di certi fatti logici circa le relazioni formali fra enunciati piuttosto che di fatti sperimentali o addirittura "metafisici" relativamente ad alcuni caratteri che si pretendono "intrinseci" alle proprietà • di oggetti. .. È opportuno ripetere in questo contesto, e particolarmente quando come elementi costitutivi delle totalità complesse sono assunti particelle e processi submicroscopici, che le "proprietà" di tali costituenti non possono essere verificate mediante osservazione e che la loro "struttura" non può essere conosciuta per mezzo di alcuna forma di "percezione diretta". La natura di queste proprietà e strutture può essere formulata solo per mezzo di qualche teoria che postuli l'esistenza di quei costituenti e presume per essi varie caratteristiche. È evidente, inoltre, che la teoria è soggetta a indefinite modificazioni alla luce di prove macroscopiche. Per conseguenza, la questione se una data proprietà dei composti possa essere inferita dalle proprietà dei loro costituenti atomici non può venire risolta per mezzo di considerazioni concernenti le pretese "nature intrinseche" possedute dagli atomi e precedentemente conosciute. Questo per il fatto che, mentre una teoria sulla struttura atomica può essere inadeguata al compito di predire una data proprietà, un'altra teoria che postuli una differente struttura per gli atomi può renderlo possibile. Questa visione del problema è sostenuta dalla storia della teoria atomica. L'antica teoria atomica della materia fu ripresa da Dalton nel primo quarto del XIX secolo allo scopo di rendere conto in maniera sistematica di un ristretto numero di fenomeni chimici - inizialmente, fenomeni relativi alle costanti nelle proporzioni dei pesi tra loro combinantisi - delle sostanze che partecipano a reazioni chimiche. La forma daltoniana della teoria postulava relativamente poche proprietà per gli atomi, e non era in grado di spiegare molti aspetti delle trasformazioni chimiche; non sapeva spiegare, per esempio, la valenza chimica o i mutamenti termici che si manifestano nelle trasformazioni chimiche. La teoria di Dalton però fu alla fine modificata, cosicché un numero sempre piu grande e sempre piu vario di leggi concernenti fenomeni ottici termici ed elettromagnetici oltre che chimici poté essere
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spiegato dalle sue formulazioni ulteriori. Con questa serie di varianti della teoria però, venne trasformata anche la stessa concezione della "natura intrinseca" degli atomi; infatti ogni variante della teoria, piu esattamente ogni teoria in una certa serie di costruzioni teoriche aventi in comune un certo numero di enunciati generali postulava (o "definiva") tipi distinti di componenti submicroscopiche per gli oggetti macroscopici, con "nature" distinte per i componenti in ciascun caso. Per conseguenza gli "atomi" di Democrito, gli "atomi" di Dalton, e gli atomi della moderna teoria fisico chimica sono particelle di tipo completamente diverso; esse possono essere assunte sotto il comune nome di "atomo" soprattutto perché ci sono importanti analogie fra le varie teorie che le definiscono. Non dobbiamo perciò farci trarre in inganno dalla comoda abitudine di pensare a varie teorie atomiche considerandole come un progresso della nostra conoscenza relativa ad un insieme fisso di oggetti submicroscopici. Questo modo di descrivere la successione storica delle teorie atomiche genera facilmente la convinzione che si possa dire che gli atomi esistano e che abbiano "nature intrinseche" verificabili, indipendentemente da ogni teoria particolare la quale postuli l'esistenza degli atomi e stabilisca quali proprietà essi possiedano. In effetti, però, sostenere che vi sono atomi i quali hanno un insieme definito di caratteristiche equivale a pretendere che una certa teoria circa la costituzione degli oggetti fisici sia garantita da prove sperimentali. La successione delle teorie atomiche proposte nel corso della storia della scienza può effettivamente rappresentare non solo dei progressi nella conoscenza relativa all'ordine e alla connessione dei fenomeni macroscopici, ma anche una comprensione progressivamente piu adeguata della costituzione atomica degli oggetti fisici. Da ciò tuttavia non consegue che, a prescindere da qualche particolare teoria atomica, sia possibile stabilire proprio ciò che può e non può essere inferito dalle "nature" delle particelle atomiche. In ogni caso, ciò si verifica per le proprietà dei composti che non possono essere ricavate da certe vecchie teorie sulla struttura atomica (per esempio le proprietà chimiche e ottiche della sostanza stabile formata dall'ossigeno e dall'idrogeno combinati in certe condizioni) e che possono essere invece ricavate dall'odierna teoria elettronica sulla composizione degli atomi. Ne consegue perciò che, quando si pretende che una data proprietà di un composto sia "emergente", si fa riferimento ad una formulazione ellittica. Infatti, anche se una proprietà è effettivamente un carattere emergente relativamente ad una data teoria, essa non è necessariamente tale relativamente ad una teoria diversa. c) Se è un errore, però sostenere che una data proprietà è un elemento "intrinsecamente" o "assolutamente" emergente, è del pari un errore ritenere che il caratterizzare un elemento come emergente sia
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solo un modo per dare un nome alla nostra ignoranza. È stato sostenuto per esempio che: può darsi che non vi sia stato un :fisico chimico che abbia preveduto tutte le proprietà di ao prima di averle studiate: e sembra in realtà probabile, che questa incapacità di prevedere sia solo un'espressione dell'ignoranza della natura di H e di O. Se nella loro combinazione H e O costituiscono dell'acqua, presumibilmente conterranno in qualche modo in se stessi la potenzialità di formare acqua. In realtà appartiene all'essenza dell'evoluzione emergente che niente di nuovo si aggiunga dall'esterno, che la "emergenza" sia la conseguenza di nuovi modi di relazione fra esistenti. Si presume cioè che con sufficiente conoscenza dei componenti H e O e dei principi generali della combinazione chimica si sarebbero potute fare previsioni di alta probabilità circa le proprietà dell'acqua. In realtà, i chimici hanno predetto con successo le proprietà di composti che non avevano mai osservato e hanno proceduto di conseguenza a produrre questi "emergenti". Essi hanno predetto l'esistenza e le proprietà di elementi che non erano stati osservati.'" Obiezioni di questo tipo sminuiscono l'efficacia della dottrina dell'emergenza e sembrano annullare anche ciò che c'è di dimostrabilmente valido in essa. In primo luogo tale dottrina si serve dell'espressione "prevedere" nel senso di "dedurre con stretto rigore logico". Un sostenitore dell'emergenza potrebbe senz'altro ammettere che si possa invariabilmente o anche solo occasionalmente presagire una proprietà che si dichiara emergente per mezzo di qualche felice intuizione o caso fortunato, ma non sarebbe per questo costretto ad abbandonare la convinzione che la proprietà in questione non possa essere prevista. In secondo luogo è possibile mostrare che in certi casi una data proprietà non può essere prevista a partire da certe altre proprietà piu precisamente che un dato enunciato, relativo al verificarsi di una proprietà definita, non può essere dedotto da un determinato insieme di altri enunciati. Infatti è possibile dimostrare con l'aiuto di tecniche logiche prestabilite che l'enunciato relativo alla prima proprietà non è implicato dagli enunciati relativi alle altre proprietà; e si può facilmente produrre una tale dimostrazione, specialmente quando il primo enunciato contenga espressioni che non compaiono nella seconda classe di enunciati. In terzo e ultimo luogo la nostra dichiarata "ignoranza" o "conoscenza incompleta" circa le "nature" degli atomi è completamente priva di rilievo per il risultato in giuoco. Infatti si tratta semplicemente del problema, se un dato enunciato sia deducibile da un dato insieme di enunciati e non se l'enunciato sia deducibile da qualche altro insieme di enunciati. Come abbiamo già visto, quello che noi facciamo in effetti, quando diciamo di migliorare o ampliare la nostra conoscenza circa la "natura di H e di 0", è sostituire una teoria su H e su O con 10 WrLLIAM McDouGALL, Modern Mcterialism and Emergent Evo!ution, York, 1929; trad. ital.: a cura di C. Vicari e G. Cogni, Vèrona 1947, pp. 141-42.
New
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un'altra teoria; e il fatto che si possa dedurre dalla seconda teoria che H e O si combinano per formare l'acqua, non contraddice il fatto che tale enunciato non può essere dedotto dall'insieme iniziale di premesse. Come abbiamo osservato nella discussione sulla riduzione della termodinamica alla meccanica, la legge di Boyle-Charles non può venire dedotta dalle assunzioni della meccanica statistica se non si aggiunge un postulato che mette in relazione "temperatura" con l'espressione "energia cinetica media delle molecole". Questo postulato di per se stesso non può essere dedotto dalla meccanica statistica nella sua formulazione classica; e questo fatto, cioè che un postulato (o qualche cosa di equivalente ad esso) debba venire aggiunto alla meccanica statistica quale assunzione indipendente, se si vuole dedurre la legge sui gas, illustra quella che forse è la tesi centrale nella dottrina della emergenza, come noi l'abbiamo interpretata. d) Abbiamo cosi ammesso la sostanziale correttezza della dottrina ___della emergenza quando è it1terpretat-a--come tesi concernente la relazione logica. fra certi enunciati. Bisognerebbe osservare però che la dottrina intésa h-a ambito di applicazione ben piu ampio di quello che le attribuiscono di solito i sostenitori dell'emergenza. La dottrina è stata fatta valere per lo piu in connessione con proprietà chimiche, biologiche e psicologiche perché tali proprietà caratterizzano sistemi a "livelli superiori" di organizzazione e sono manifestamente emergenti relativamente a proprietà che si incontrano a "livelli inferiori". Tale dottrina in effetti è spesso avanzata in opposizione alle tesi, ritenute universalistiche, delle "spiegazioni di tipo meccanico" giacché, se alcune proprietà sono _
unà.
cosi
un
"f 11 Cfr. la distinzione fatta dal Mill fra il modo "meccanico" e quello "chimico" della "azione congiuntura delle cause" che costituisce la fonte classica della dottrina della emergenza: J. S. MILL, A System o/ Logic, Londnn, 1879, libro 3, c. 6.
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e della fisica in generale quanto le discussioni sulle leggi delle altre scienze. La precedente discussione sulla riduzione della termodinamica alla meccanica lo conferma con assoluta chiarezza. Per conferire tuttavia maggiore chiarezza ed efficacia a ciò, consideriamo l'esempio dell'orologio. È bene notare che il "comportamento" dell'orologio prevedibile sulla base della meccanica è solo la fase del suo comportamento che è caratterizzabile interamente nei termini delle idee primitive della meccanica - per esempio il comportamento costituito dal movimento delle lancette dell'orologio. Tutte le fasi del suo comportamento che non possono essere fatte ricadere nell'ambito di quelle idee, per esempio quel comportamento che consiste in variazioni della temperatura dell'orologio o in mutamenti delle forze magnetiche generabili dai movimenti relativi delle sue parti non possono essere spiegate o previste per mezzo della teoria meccanica. Sembra, pertanto, che solo un'arbitraria consuetudine impedisca di dare a questi caratteri "non meccanici" del comportamento dell'orologio il nome di "proprietà emergenti" in relazione alla meccanica. Tali caratteri non meccanici, d'altro lato, sono certamente spiegabili con l'aiuto delle teorie del calore e del magnetismo, cosf che rispetto ad una classe piu ampia di assunzioni teoriche, può darsi che l'orologio non manifesti caratteri emergenti. I sostenitori della dottrina dell'emergenza sono talora inclini a dare uno speciale rilievo al fatto che le cosiddette "qualità secondarie" non possono essere previste per. mezzo di teorie fisiche. Si è sostenuto, . per esempio, che una conoscenza completa della struttura microscopica degli atomi potrebbe mettere in grado un arcangelo matematico di prevedere che l'idrogeno e l'azoto si combinano quando una scarica elettrica passa attraverso una miscela dei due e formano un gas di ammoniaca solubile in acqua. Per quanto però un tale arcangelo possa essere in grado di dedurre esattamente la struttura microscopica della ammoniaca nondimeno egli sarebbe del tutto incapace di prevedere che una sostanza con questa struttura debba avere l'odore che l'ammoniaca ha quando si accosta al naso umano. Il massimo che egli potrebbe prevedere al riguardo è che si verificherebbero certe modificazioni della membrana mucosa dei nervi olfattivi e cosf via. Ma egli probabilmente non potrebbe sapere che questi cambiamenti saranno accompagnati dal manifestarsi di un odore in generale o del peculiare odore dell'ammoniaca in particolare a meno che qualcuno non glielo abbia detto o che l'abbia annusata egli stesso.u
Questa affermazione però è al massimo un'evidenza banale, e può essere fatta valere con lo stesso fondamento sia per le qualità fisiche (o "primarie") che per le qualità secondarie. È senza dubbio vero che 12
BROAD, op.
cit., p. 71.
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una teoria chimica, la quale nelle sue formulazioni non si serva di espressioni riferentesi alle proprietà olfattive delle. sostanze, non può prevedere il verificarsi degli odori. Essa tuttavia non può prevederlo allo stesso modo che la meccanica non può render conto delle proprietà ottiche o elettriche della materia - vale a dire quando una deduzione è resa formalmente esplicita, nessun enunciato che si serva di una data espressione può essere logicamente derivato da premesse che non contengano anche quella espressione. Di conseguenza se un arcangelo matematico è in effetti incapace di prevedere gli odori dalla conoscenza della struttura microscopica degli atomi, questa limitazione del suo potere è semplicemente una conseguenza del fatto che le condizioni logiche per la deducibilità sono le stesse per gli arcangeli e per gli uomini. 2. Considereremo ora brevemente la dottrina dell'emergenza come una cosmogonia evoluzionistica, la quale pone fondamentalmente l'accento sulla dichiarata "novità" delle qualità emergenti. La dottrina dell'evoluzione emergente afferma pertanto che la varietà degli individui e le loro proprietà che esistettero nel passato o che si manifestano nel presente non è completa, e che qualità, strutture e maniere di comportamento pervengono di volta in volta all'esistenza senza che esse si siano mai manifestate precedentemente in una qualunque parte dell'universo. Secondo una delle formulazioni di tale dottrina, si dice pertanto che ha avuto luogo un'evoluzione emergente se confrontando l'attuale stato del mondo (detto F.N.) con una qualunque fase anteriore - (detta F.A.), si può mostrare che uno o piu dei seguenti tratti caratteristici assenti in F.A. è presente in F.N.: 1) esempi di qualche tipo generale di mutamento... comuni a entrambe le fasi (per es. il movimento relativo di particelle), tali che le modalità e le condizioni del loro presentarsi non possono essere descritte né previste in termini di leggi che sarebbero state invece sufficienti per la descrizione e ... la previsione di tutti i mutamenti del medesimo tipo che compaiono in F.A. Un'occasione, per quanto non l'unica pensabile, di questa emergeaza evoluzionistica di leggi potrebbe essere la produzione, in accordo con un insieme di leggi, di nuove integrazioni locali nella materia, i cui movimenti e perciò anche quelli delle particelle componenti, dovrebbero perciò conformarsi a leggi vettoriali ci0è direzionali, emergenti nel senso sopra definito ... 2) Nuove qualità ... riferibili a entità già presenti in F.A., pur senza quegli accidenti in F.A. 3) Particolari entità che non possiedono tutti gli attributi essenziali e caratteristici di quelle riscontrate in F.A. e che hanno tipi specifici di attributi loro propri (non dovuti puramente alla configurazione). 4) Qualche tipo o tipi di evento o di processo irriducibilmente differente quanto al genere da tutti quelli che si verificano in F.A. 5) Una maggiore quantità o un maggior numero di esempi, non esplicabile per tra-
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sferimento dall'esterno del sistema, di uno qualsiasi o di piu tipi dell'entità primaria comune a entrambe le fasi. 13 L'evoluzione emergente come dottrina di un incessante "rinnovamento creativo" è perciò comunemente messa in opposizione con la concezione preformistica, tipica in special modo della scienza del XVII secolo, secondo la quale tutti gli eventi in natura sono semplicemente delle diverse ridistribuzioni spaziali di un insieme di "entità" semplici e originarie, di cui restano invarianti - attraverso le diverse giustapposizioni prodottesi - e numero complessivo, le qualità e le leggi di comportamento. Alcuni autori però sono andati al di là della mera asserzione di questo "rinnovamento creativo" e hanno delineato quelli che essi ritengono gli stati successivi dell'evoluzione creativa; noi però non ci addentreremo nei dettagli di queste spe.c:tJl~zioni cosmiche. a) In primo luogo bisognerebbe notare che la dottrina della evoluzione creativa non sembra implicare la concezione dell'emergenza in quanto imprevedibilità delle diverse proprietà né esserne implicata. Infatti può ben essere vero che una proprietà sia emergente rispetto ad una data teoria ma che non sia nuova in senso temporale. Per prendere un caso estremo, la proprietà per cui i corpi possiedono peso non è deducibile dalla teoria classica della geometria fisica; non vi è alcuna ragione però per credere che i corpi giungano a mostrare le proprietà gravitazionali dopo che essi hanno acquistato quelle spaziali. D'altro lato sarebbe possibile dedurre da qualche teoria della struttura atomica il fatto che l'azoto e l'ossigeno possano combinarsi per formare un gas, l'ammoniaca, solubile in acqua, per quanto, dal momento che le condizioni fisiche predominanti non permettevano la formazione di acqua allo stato liquido - cioè prima che la Terra divenisse sufficientemente fredda - non si fosse mai dato nessun esempio effettivo di ammoniaca solubile in acqua. Una successiva formazione di acqua, con soluzione in essa di ammoniaca allo stato gassoso, sarebbe allora un evento temporalmente nuovo. Per conseguenza la questione se alcune proprietà siano "emergenti" nel senso di temporalmente nuove, costituisce un problema di un ordine diverso da quello se delle proprietà siano "emergenti" nel senso di risultare imprevedibili. Quest'ultima è una questione largamente, se non interamente, connessa alle relazioni logiche degli enunciati; la precedente è fondamentalmente una questione che può essere risolta solo attraverso un'indagine empirica storica. b) Ne segue che la questione se una proprietà, un processo, o un modo di comportamento costituiscono un caso di evoluzione emergenn ARTHUR A. LoVEJOY, The Meaning o! 'Emergence' and its 'Modes', in "Proceedings of the Sixth International Congress of Philosophy" (a cura di Edgard S. Brightman), New York, 1927, pp. 26-27.
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te è un problema schiettamente empirico e può essere risolto, almeno di principio, facendo ricorso all'indagine storica. Nondimeno, ci sono delle difficoltà che si ergono di frone ai tentativi di dare una risposta e che meritano una rapida menzione. Una di queste difficoltà è di ordine pratico e sorge dal fatto che, per rispondere in maniera definitiva alla questione, dobbiamo possedere una conoscenza dettagliata di tutti gli eventi passati dell'universo (o di qualche parte di esso), cosi da essere in grado di stabilire se un carattere o un processo dichiarato emergente sia realmente tale. La nostra conoscenza del passato è però gravemente incompleta e noi possediamo prove abbastanza attendibili solo in una classe limitata di casi, che ci permettono di dimostrare che certe proprietà e certi processi non potevano essersi verificati prima di un dato tempo. Non possediamo dunque una base sufficiente per decidere, al di là di un ragionevole dubbio, se vari processi a livello atomico e subatomico, che si ritiene si verifichino attualmente abbiano sempre avuto luogo e se essi siano caratteristici dell'attuale epoca cosmica. Se invece diamo per ammessa la dipendenza degli organismi viventi da favorevoli condizioni di temperatura e se inoltre assumiamo c.he in una certa epoca la temperatura della Terra fosse troppo elevata per il funzionamento di tali organismi, diviene praticamente certo il fatto che le forme viventi non apparvero sulla Terra (o forse in nessun luogo dell'universo) prima di una certa epoca. Una seconda difficoltà ha origine dal carattere vago di certe parole come "proprietà" e "processo" e dalla mancanza di criteri precisi per giudicare se due proprietà e due processi debbano essere considerati "identici" o "diversi". Cosi la "mera" ridistribuzione spaziale di un insieme di oggetti non sembra debba essere considerata come esempio di una proprietà emergente, anche quando questa ridistribuzione specifica non si sia mai verificata in precedenza. Nondimeno è legittimo chiedersi se ogni ridistribuzione non sia sempre associata con qualche modificazione "qualitativa" cosicché i mutamenti spaziali risultano ipso facto anche alterazioni nelle proprietà degli oggetti ridistribuiti. Per esempio il modello formato da un quadrato che giace sulla sua base certamente "sembra diverso" dal modello generato dal quadrato che è fatto ruotare in modo da giacere su uno dei suoi vertici. Se la seconda figura non fosse mai esistita in precedenza, dovremmo considerare il suo presentarsi come la comparsa di una nuova proprietà? E se cosi non fosse, quale sarebbe il segno distintivo di un tratto caratteristico? Se però dovessimo considerarla come qualche cosa di nuovo, allora quasi ogni cambiamento dovrebbe essere considerato come una testimonianza della evoluzione emergente. Un dato stato di cose può infatti essere scomponibile in un insieme di tratti caratteristici, ciascuno dei quali si è già presentato nel passato. Invece nella loro manifestazione presente tali tratti caratteristici compaiono in un determinato contesto di relazioni; e, sebbene il "modello" specifico di queste relazioni sia ri-
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petibile, quei tratti possono di fatto non essere mai stati esemplificati in precedenza proprio attraverso tale modello. Di conseguenza in tale eventualità quel dato stato di cose illustrerebbe una proprietà emergente; e dal momento che ogni situazione può benissimo presentare nuovi modelli siffatti, specialmente se non vengono posti limiti all'estensione spazio-temporale di una situazione, la dottrina dell'emergenza sfugge a stento al pericolo di cadere nell'affermazione banale che le cose cambiano. Inoltre che cosa si deve effettivamente intendere con la stipulazione contenuta nel brano precedentemente citato secondo cui una particolare entità deve venir considerata come un esempio di evoluzione emergente se non possiede "tutti gli attributi essenziali" delle entità presenti nelle precedenti fasi di sviluppo? In generale il fatto che un attributo sia da considerarsi o no "essenziale" dipende dal contesto della domanda e dal problema considerato. Ma se le cose stanno davvero cosi, allora in vista di quella stipulazione la distinzione fra un tratto caratteristico emergente ed uno non emergente dovrebbe variare in relazione ai mutamenti di interesse e ai fini di una indagine. Non abbiamo sollevato queste difficoltà considerandole fatali alla dottrina della emergenza. Esse indicano, però che, a meno che tale dottrina venga formulata con cautele maggiori di quelle consuete, essa può facilmente venir interpretata come un semplice truismo. c) La tesi secondo cui esistono proprietà emergenti nel senso della evoluzione emergente è del tutto compatibile con la fiducia nella universalità del principio causale, quanto meno nella forma secondo cui esistono condizioni determinate per il presentarsi di tutti gli eventi. Alcuni sostenitori dell'evoluzione emergente associano tale dottrina a certe interpretazioni di radicale indeterminismo; altri associano invariabilmente l'emergenza con la cosiddetta causazione teleologica, attribuendo cosi l'apparire di nuove qualità e di processi all'operare di agenti intenzionali. Né la credenza nell'indeterminismo né quella nella- : causazione teleologica sono però essenziali per l'evoluzione emergente. : Ci sono infatti molti assertori dell'evoluzione emergente i quali sa~" stengono che il presentarsi di un nuovo composto chimico, per esempio, è sempre contingente rispetto alla formazione di configurazioni definite, anche se unichè, di certi elementi chimici; ed essi sostengono che, ogniqualvolta questi elementi risultino uniti in quel particolare modo, attraverso l'intervento sia di soggetti consapevoli sia di circotanze fortuite, si forma invariabilmente un composto dello stesso tipo. d) È parimenti degno di nota il fatto che, malgrado sia diffusa l'o~ pìnione contraria, le assunzioni e i procedimenti della fisica classica (e della meccanica in particolare) non implicano ma neppure contraddicono la tesi dell'evoluzione emergente. Certamente vi sono delle interpretazioni filosofiche della fisica secondo le quali le proprietà degli
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enti sono "in ultima analisi" quelle caratteristiche della meccanica e i soli mutamenti "reali" in natura sono quelli spaziali. Tali interpretazioni però sono di dubbia validità e non posono venire assunte come spiegazioni adeguate della natura della teoria fisica. Come abbiamo visto la meccanica opera in effetti con un insieme scelto e limitato di nozioni teoriche. Questo fatto, però, non implica necessariamente che tale scienza neghi né la effettiva esistenza né la possibile emergenza di caratteri degli enti diversi da quelli che riguardano fondamentalmente la meccanica. Un tal rifiuto sarebbe privo di fondamento anche se le antiche speranze dei fisicisti si fossero realizzate e la meccanica avesse continuato a mantenere la preminenza di un tempo come scienza universale della natura. Infatti la spiegazione meccanica di un evento o di un processo consiste semplicemente nell'enunciare in termini meccanici le condizioni del loro presentarsi. Siffatte spiegazioni però sarebbero chiaramente impossibili (sotto pena di dare per gli oggetti delle spiegazioni auto-annullantisi) se l'evento o il processo non fossero dapprima identificati attraverso l'osservazione delle loro caratteristiche - siano o meno tali caratteristiche proprietà puramente meccaniche, e siano esse nuove o no. In breve quando si analizza la struttura della meccanica o di qualunque altra teoria della fisica classica, risulta evidente che la efficacia operativa non dipende dall'accettazione o dal rifiuto della tesi storica secondo cui nel corso del tempo appaiono nell'universo nuovi caratteri e nuovi individui. e) Forse l'indicazione piu problematica contenuta nella dottrina dell'evoluzione emergente è quella secondo cui le stesse "leggi di natura" possono cambiare e in epoche cosmiche differenti si manifestano nuovi modelli di dipendenza fra gli eventi. Risulterà senza dubbio evidente che ciò che si intende dire non è semplicemente che la nostra conoscenza o la nostra formulazione delle strutture degli eventi può subire un'evoluzione ma che queste strutture stesse si vanno modificando con il tempo. Cosi la legge di Boyle-Charles non è una formulazione adeguata del comportamento dei gas come lo è la equazione di van der Waals; ma il fatto che abbiamo sostituito la prima con la seconda non è preso a significare che il modello di comportamento dei gas abbia subito un cambiamento. E inoltre l'indicazione non consiste solo nella supposizione che il modo di comportamento di un qualche specifico sistema fisico si stia evolvendo. È provato per esempio che il periodo della rotazione assiale della Terra è in diminuzione. Questo fatto speciale però non è spiegato in base all'assunzione che le leggi della meccanica si siano alterate ma piuttosto ricorrendo all'effetto "frenante" delle maree, prodotto dal Sole e dalla Luna in accordo con leggi presumibilmente immutabili. Di conseguenza ciò che quella indicazione contempla è la possibilità che si vengano trasformando tipi generali di strut-
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l
La riduzione, delle teorie ture, o che gli oggetti presentino nuovi modelli relazionali; può darsi, per esempio che la forza gravitazionale esistentt tra le coppie di particelle, invece di restare sempre inversamente propprzionale al quadrato della distanza, vari lentamente sicché questo ultimo esponente aumenti con il tempo; o che diversi elementi chimici presentino l'uno rispetto all'altro sempre nuove proprietà- o nuovi modi di combinazione. Tale ipotesi però non è esente da serie difficoltà alcune delle quali devono essere ora prese in considerazione. Forse la piu ovvia ma anche la piu decisiva di esse nasce dal fatto che non possiamo essere sicuri se l'apparente mutamento di una legge sia realmente tale o se esso indichi semplicemente che era incompleta la nostra conoscenza delle condizioni sotto le quali si è manifestato un certo tipo di struttura. Supponiamo, per esempio, di avere a disposizione una prova la quale sembri mostrare che qualche costante universale (per esempio la velocità della· luce in vacuo) stia cambiando, in modo che il suo valore nel secoio attuale sia piu piccolo di quello che era nelle età preistoriche. Altre cose però sono pure cambiate nel frattempo_: le posizioni relative delle galassie non sono piu le stesse; ci sono stati mutamenti interni negli astri e nella quantità di radiazione da essi emessa; e forse sono cambiati anche certi tratti caratteristici finora non scoperti dei corpi fisici, tratti caratteristici paragonabili alle proprietà elettriche della materia che sono state scoperte dagli uomini solo in tempi relativamente recenti). È quindi per lo meno ammissibile che la legge, fino ad ora ritenuta sicura, della costanza della velocità della luce sia semplicemente erronea e che questa velocità vari insieme a fattori del tipo di quelli testé menzionati. Non sarebbe certamente un compito facile quello di eliminare questa diversa interpretazione della prova; e in effetti la maggior parte degli scienziati sarebbe senz'altro piu propensa a considerare la legge fino ad ora accettata come valida solo quando siano soddisfatte certe condizioni antecedenti - e perciò a considerarla solo come un caso limite di una legge piu ampia - anziché assumere che la struttura generale degli eventi fisici sia soggetta ad evoluzione. In ogni caso, il fatto che una tale assunzione possa mai essere accettata su vasta scala dipenderà assai probabilmente da quanto essa si dimostrerà efficace e comoda nel costituire un sistema. assolutamente generale e integrato di conoscenza. Di conseguenza per quanto l'ipotesi che certe leggi possano ' evolversi non cada al di fuori dei limiti del possibile, essa è al piu una ipotesi altamente speculativa, per la quale non risulta facile fornire i prove ragionevolmente conclusive. J Un'ulteriore difficoltà di ordine differente può venir sollevata contro la dottrina secondo cui tutte le leggi mutano con il tempo. 14 Ed infatti, come riuscire a provare la tesi secondo cui una legge è soggetta 14 Cfr. HENRY PorNCARÉ, L'Evolution PASCUAL }ORDAN, Die Herkun/t der Ster'!e,
des Lois, in Dernieres Pensées, Stuttgart, 1947.
Paris,
1926;
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a mutamento? Un modello generale di relazioni non può in senso letterale essere "visto" evolversi, e il fondamento per una tale conclusione si deve ricavare dal confronto del presente con il passato. Il passato però non è accessibile all'ispezione diretta. Può essere ricostruito a partire dai dati disponibili nel presente, con l'aiuto di leggi che devono venire assunte come immutabili almeno durante l'epoca che include il passato e il presente. Supponiamo per esempio che si ammetta che la forza gravitazionale fra i corpi sia in lenta diminuzione, sulla base del fatto che nel passato le maree erano in generale piu alte che nel presente, anche se il numero e la posizione relativa dei corpi celesti erano gli stessi di oggi. Come possiamo però sapere che nel passato le cose stavano veramente cosf, senza far uso di leggi che non sono cambiate per inferire quegli eventi passati dai dati presenti? Potremo ad esempio trovare depositi di sale marino ad altitudini che ora sono al di fuori dell'influenza delle maree; in questo caso però, anche prescindendo dalla domanda se la Terra si sia elevata in seguito a fenomeni geologici piuttosto che per diminuzione dell'altezza delle maree, la conclusione che il sale sia stato depositato dall'oceano dà per ammesse diverse leggi concernenti i moti dell'acqua nelle maree e l'evaporazione dei liquidi. Per conseguenza l'assunzione che tutte le leggi siano simultaneamente implicate in un processo di mutamento si annienta da sola, in quanto che, essendo il passato del tutto inaccessibile alla conoscenza, non saremmo in grado di fornire alcuna prova per tale assunzione. La forma nella quale appare piu plausibile l'ipotesi delle leggi emergenti è quella per cui nuovi tipi di comportamento insorgono in conformità di nuovi modi di dipendenza quando si presentano combinazioni e integrazioni di materie fino ad ora inesistenti. I chimici, per esempio hanno prodotto in laboratorio sostanze che, a quanto sappiamo, non erano mai esistite prima e che presentano proprietà e modi di interazione con altre sostanze che sono nuovi e caratteristici. Quello che è avvenuto occasionalmente nel laboratorio dei chimici è accaduto senza dubbio molto piu frequentemente nel piu antico e piu vasto laboratorio della natura. Si potrebbe naturalmente dire che tali nuovi tipi di dipendenza non sono "realmente nuovi" ma sono semplicemente le realizzazioni di "virtualità" che sono state sempre presenti nelle "nature delle cose" e si potrebbe altresf dire che, con una sufficiente conoscenza di queste "nature", chiunque, in possesso degli strumenti matematici necessari sarebbe in grado di prevedere i nuovi eventi in anticipo sulla loro realizzazione. A questo punto abbiamo sufficientemente risposto alla seconda parte di questa replica e possiamo perciò liquidarla come priva di rilievo e di efficacia senza darcene pena piu oltre. Quanto alla prima parte dell'obiezione bisogna ammettere che è inconfutabile; ma sarà chiaro altresf che ciò che l'obiezione asserisce non ha contenuto fattuale e la sua inconfutabilità è quella tipica del discorso ovvio.
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V. Totalità, aggregati e unità organiche Prima di abbandonare gli argomenti della riduzione e della emergenza, sarà opportuno discutere una tesi corrente che viene frequentemente associata con questi temi. Secondo questa tesi c'è un importante tipo di totalità individuali (fisiche, biologiche, psicologiche e anche sociali) distinte dalle altre dal fatto che sono "unità organiche" e non semplicemente "aggregati" di parti e di membri indipendenti. Totalità di questo tipo vengono spesso caratterizzate mediante l'affermazione che esse possiedono un'organizzazione in virtu della quale "il tutto è piu della somma delle sue parti". Dal momento che l'esistenza di totalità organiche viene talora assunta per porre dei limiti fissi tanto alla possibilità di effettuare riduzioni nella scienza quanto alla sfera di influenza dei metodi della fisica, è consigliabile esaminare con cura tali totalità. Dobbiamo innanzi tutto osservare un punto preliminare. Nell'uso comune le parole "totalità", "somma" e i loro derivati sono eccezionalmente ambigue, metaforiche e vaghe. Spesso perciò è impossibile accertare sia il valore conoscitivo che il significato degli enunciati che le contengono cosicché alcuni dei molti sensi di quelle parole devono venire distinti e chiariti. Alcuni esempi renderanno evidente la necessità di tale chiarificazione. Un quadrilatero racchiude una superficie ed entrambe le sue diagonali lo dividono in due aree parziali la cui somma è uguale all'area della figura iniziale. In questo contesto geometrico, e cosi pure in molti analoghi, l'enunciato "il tutto è uguale alla somma delle parti" è di regola accettato come vero. Anzi l'enunciato in questo contesto è ritenuto frequentemente non solo vero ma anche necessariamente vero cosi che la sua negazione è considerata come in se stessa contraddittoria. D'altro lato discutendo del sapore dell'acetato di piombo e confrontandolo con quello dei suoi componenti chimici alcuni autori hanno sostenuto che in questo caso il tutto non è uguale alla somma delle sue parti. A questa tesi ovviamente si riconosce una portata informativa riguardo ai problemi discussi e sarebbe arbitrario il rigettarla come una semplice assurdità logica. È chiaro nondimeno che nel contesto nel quale la tesi viene formulata le parole "tutto", "parte", "somma" e forse persino "eguale" sono impiegate in sensi diversi da quelli associati ad esse nel contesto geometrico. Dobbiamo perciò assumerci il compito di distinguere tra i numerosi sensi di queste parole che sembrano avere una loro funzione in varie indagini. l. Le parole "tutto" e "parte" sono di norma usate per distinzioni correlative, per cui si dice che x è un tutto in relazione a qualche y che è un componente o una parte di x in un senso o in un altro. Sarà opportuno perciò sottoporre alla nostra analisi un breve elenco di certi "generi" correnti di totalità e di parti corrispondenti.
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a) La parola "tutto" è usata in riferimento a qualche cosa che abbia estensione nello spazio e tutto ciò che è incluso spazialmente in essa viene allora chiamato "parte" di questo tutto. Diversi significati speciali di "tutto" e di ,"'parte" rientrano però in questo ambito. In primo luogo i termini possono riferirsi a proprietà specificamente spaziali, cosicché il tutto risulta essere una qualche lunghezza o area o volume che contiene come parti lunghezze aree e volumi. In questo senso non è necessario che né il tutto né le parti siano spazialme~te continui; cosi gli stati Uniti e i loro possedimenti territoriali non sono un tutto spazialmente continuo, e il territorio continentale degli Stati Uniti contiene come una delle proprie parti spaziali delle regioni deserte anche esse non spazialmente continue. In secondo luogo "tutto" può riferirsi ad una proprietà od a uno stato non spaziale di un ente spazialmente esteso, e "parte" può designare una identica proprietà di qualche parte spaziale di esso. Cosi si dice che la carica elettrica di un corpo ha come sue parti, le cariche elettriche delle parti spaziali del corpo. In terzo luogo, per quanto talora le sole proprietà spaziali considerate come parti di un tutto spaziale siano quelle che hanno le stesse dimensioni spaziali del tutto, in altri casi l'uso dei termini è piu liberale. Cosi si dice frequentemente che la superficie di una sfera è una parte della sfera ma in altri casi sono designati cosi solo volumi all'interno della sfera. b) La parola "tutto" si riferisce a qualche periodo di tempo le cui parti sono intervalli temporali. Come nel caso del tutto e delle parti spaziali anche quelli temporali non sono necessariamente continui. c) La parola "tutto" si riferisce a qualunque classe, insieme, o aggregato di elementi e "parte" può allora designare o una qualsiasi sottoclasse propria dell'insieme di partenza o un qualsiasi elemento dell'insieme. Cosi si può intendere come parte del tutto, costituito da tutti i libri stampati negli Stati Uniti in un dato anno, o tutti i romanzi stampati in quell'anno o qualche copia particolare di un romanzo. d) La parola "tutto" si riferisce talora ad una proprietà di un oggetto o di un processo e "parte" a qualche proprietà analoga che sta con la prima in certe specifiche relazioni. Cosi si dice comunemente in fisica che una forza ha come sue parti o componenti altre forze nelle quali essa può venire scomposta secondo una nota regola. Similmente si dice talora che la luminosità fisica di una superficie illuminata da due sorgenti di luce ha come una delle sue parti la luminosità associata con una delle due sorgenti. In questa accezione dei termini una parte non è parte spaziale del tutto. e) La parola "tutto" può riferirsi a una struttura di relazioni fra <:erti specifici generi di oggetti o di eventi, una struttura che sia su-
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scettibile di realizzazione in varie occasioni e con varie modificazioni. "Parte" può allora designare però cose differenti in contesti differenti. Può riferirsi a uno qualunque degli elementi che sono correlati a quella struttura in qualche occasione della sua realizzazione. Cosi, se una melodia (per esempio "Quel mazzolin di fiori ... ") è un tutto siffatto, una delle sue parti è allora il primo tono che viene suonato quando la melodia è cantata in una particolare esecuzione. Oppure può riferirsi a una classe di elementi che occupano nella struttura posizioni corrispondenti in qualche specifico modo della sua realizzazione. Cosi una delle parti dell'anzidetta melodia sarà la classe delle prime note quando "Quel mazzolin di fiori..." è cantata in chiave di sol minore. Ovvero la parola "parte" può riferirsi a una frase subordinata nella struttura totale. In questo caso, una parte della melodia può essere la struttura tonale nelle sue prime quattro battute. f) La parola "tutto" può riferirsi ad un processo, una parte del quale sia un altro processo vale a dire una qualche fase distinta di quello piu ampio. Cosi il processo dell'inghiottire è una parte di quello del mangiare. g) La parola "tutto" può riferirsi ad un qualunque oggetto concreto e "parte" a una qualunque della sua proprietà. In questo senso la caratteristica di avere forma cilindrica e di essere malleabile è una parte di un dato pezzo di filo di rame. h) Infine la parola "tutto" è spesso usata con riferimento a un qualunque sistema le cui parti spaziali stanno l'una verso l'altra in varie relazioni di dipendenza dinamica. Molte delle cosiddette "unità organiche" appaiono come sistemi di questo tipo. Però in tale accezione di "tutto" svariate sono le cose abitualmente designate come sue parti. Cosi spesso, anche se non sempre nello stesso contesto, si dice che, un sistema in un miscuglio di due gas entro un recipiente ha come sue parti una o piu di quelle che ora elencheremo: i suoi costituenti spazialmente estesi, come i due gas e il recipiente; le proprietà o gli stati del sistema o delle sue parti spaziali, come la massa del sistema o il calore specifico di uno dei due gas; i processi che il sistema subisce per raggiungere o per conservare I'equilibrio termodinamico; e l'organizzazione spaziale o dinamica a cui le sue parti spaziali sono soggette. Questo elenco delle accezioni di "tutto" e di "parte", per quanto niente affatto completo, basterà a mostrare l'ambiguità di questi termini. Ma, cosa ben piu importante, suggerirà pure che, essendo la parola "somma" usata in numerosi contesti in cui compaiono gli anzidetti termini essa è affetta da analoga ambiguità. Esamineremo perciò alcune delle sue accezioni tipiche.
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2. Noi non indagheremo se la parola "somma" venga effettivamente adoperata in connessione con ognuna delle accezioni testé distinte di "tutto" e di "parte", e nel caso che cosi fosse quale significato sia da associare ad essa. In effetti non è facile conferire un senso chiaro a tale parola in molti contesti in cui viene comunemente usata. Ci limiteremo per conseguenza a segnalare un esiguo numero degli usi ben radicati del termine "somma" e a suggerirne delle interpretazioni in alcuni contesti in cui il suo significato è poco chiaro e il suo uso ingannevole. a) Non è molto soprendente il fatto che gli usi piu accuratamente defininti di "somma" e di "addizione" vengano fissati nella matematica e nella logica formale. Persino in questi contesti però la parola ba vari significati speciali, che dipendono dal tipo di "oggetti" logici e matematici che vengono sommati. Cosi si fa un'operazione ben nota di addizione per gli interi naturali; e vi sono anche operazioni con identico nome ma del tutto diverse per i numeri razionali, reali, complessi, per le matrici, per le classi, per le relazioni e per altre "entità" logiche o matematiche. Nel complesso non è chiaro perché tutte queste operazioni abbiano il nome comune di "addizione", per quanto vi siano certe analogie almeno formali fra molte di esse, per esempio la maggior parte sono commutative e associative. Esistono però alcune importanti eccezioni alla regola generale implicita in questo esempio, in quanto l'addizione degli insiemi "ordinati" non è uniformemente commutativa sebbene sia associativa. D'altro lato in matematica la somma di due entità è invariabilmente una certa entità unica, della stessa specie degli addendi; cosi la somma di due interi è un intero, la somma di due matrici è una matrice e cosi via. Inoltre per quanto la parola "parte" non sia sempre definita o usata in connessione con "oggetti" matematici pur tuttavia ogni volta che si adoperano, "parte" e "somma", esse sono impiegate in modo che l'enunciato "il tutto è eguale alla somma delle sue parti" risulti essere una verità analitica, e necessaria. È facile però costruire un chiaro contro-esempio a questa ultima affermazione. Sia K* l'insieme ordinato degli interi, ordinato nel modo seguente: prima gli interi dispari in ordine di grandezza crescente e poi gli interi pari in quello stesso ordine. K* può essere allora rappresentato dalla notazione: (l, 3, 5, ... , 2, 4, 6, ... ).Sia poi Kt la classe degli interi dispari e K2 la classe dei pari, e nessuna delle due classi sia un insieme ordinato. Sia poi K la classe somma di Kt e K2 tale da contenere tutti gli interi come suoi elementi: anche K non è una classe ordinata. Gli elementi di K e di K* sono però gli stessi, sebbene sia assolutamente chiaro che K e K* non sono identiche. Per conseguenza, se ne potrebbe concludere che in questo caso l'intero (cioè K*) non è uguale alla somma (K) delle sue parti. Questo esempio è istruttivo sotto tre aspetti. Esso mostra la possibilità di definire in un modo preciso la parola "tutto" e "somma" in
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maniera che l'asserto: "Il tutto è diverso dalla somma delle sue parti" risulti non solo logicamente non assurdo ma di fatto logicamente vero~ Non vi è pertanto nessuna ragione a priori per scartare tali enunciati come irrimediabilmente privi di senso; e il vero problema, quando viene fatta una tale asserzione, è quello di stabilire in qual senso, se ne hanno uno, le parole determinanti in essa contenute, sono usate nel contesto dato. L'esempio però mostra anche che, per quanto l'espressione possa essere vera in un'accezione specifica di "parte" e di "somma", è possibile conferire anche altri sensi a queste parole in modo che l'intero risulti eguale alla somma delle sue parti nel senso cosi ridefinito delle parole. In effetti non è di uso corrente in matematica chiamare Kt e Kz parti di K*. Al contrario si è soliti considerare come una parte di K* soltanto un segmento ordinato. Cosi se Kt*, è l'insieme corrispondente di interi pari, Kt* e Kz* sono allora parti di K*. K* ha anche altri parti, per esempio i segmenti ordinati indicati da: [(1, 3, 5, 7,), (9, 11, ... 2, 4,), e (6, 8, ... )]. Formiamo ora la somma ordinata di Kt* e Kz*. Questa somma genera però l'insieme ordinato K*, cosicché nei sensi sopra definiti di "parte" e di "somma" il tutto è eguale alla somma delle sue parti. Risulta dunque chiaro che, quando un dato sistema ha uno speciale tipo di organizzazione e di struttura, una definizione utile di "addizione", se una ne può essere data, deve tener conto di questo modo di organizzazione. Qualsiasi numero di operazioni può essere scelto per l'etichetta "addizione" ma non tutte sono applicabili e convenienti per far progredire un dato ambito di indagine. L'esempio infine suggerisce che .per quanto un sistema abbia una struttura che lo distingue non è di principio impossibile specificare quella struttura nei termini di relazioni fra i suoi costituenti elementari e inoltre in modo tale che la struttura possa essere caratterizzata correttamente come una "somma" le cui "parti" sono esse stesse specificate nei termini di quegli elementi e di quelle relazioni. Molti studiosi, come vedremo, negano, o sembrano 1~egare, questa possibilità di connessione con certi generi di sistemi organizzati (come i viventi). Questo esempio, perciò, mostra che, sebbene noi possiamo non essere in grado di fatto di analizzare certe unità estremamente complesse "dinamiche" (o "organiche") nei termini di una qualche teoria data, che concerna i loro costituenti originari, tale incapacità non può essere stabilita come una questione di necessità logica intrinseca. b) Se ora passiamo alle scienze positive, troviamo che anche qui esistono numerose ben definite operazioni chiamate "addizione". La distinzione fondamentale che è necessario stabilire è quella fra somme scalati e somme vettorali. Consideriamole ciascuna per suo conto. Esempi della prima sono l'addizione della cardinalità di gruppi di oggetti, l'addizione di proprietà spaziali (lunghezza, area, e volume), di intervalli temporali, di pesi, di resistenza elettrica, di carica elettrica, di capacità
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termica. Questi esempi illustrano i primi tre significati di "tutto" e "parti" che abbiamo sopra distinti; in ciascuno di essi (e in molti altri casi che potrebbero essere menzionati) la "somma" è definita in modo che l'intero risulti essere la somma di parti convenientemente scelte. Esistono invece molte grandezze quali la densità o la elasticità, per le quali non è definita né sembra suscettibile di venir definita alcuna operazione di addizione in un modo comunque utile; la maggior parte di questi casi cadono sotto le ultimi quattro delle precedenti distinzioni concernenti il "tutto" e la "parte". Esistono inoltre alcune proprietà per le quali l'addizione è indicata soltanto in condizioni altamente specializzate; per esempio la somma della luminosità di due sorgenti di luce è definita solo quando la luce emessa è monocromatica. Non ha senso perciò dire che la densità o la forma di un corpo è o meno la somma delle densità (o forme) delle sue parti per il semplice fatto che non esistono né regole esplicitamente formulate né procedure abituali e accertabili che associno in tale contesto un qualche uso alla parola Il Il somma . L'addizione delle proprietà vettoriali come forze, velocità e accelerazioni si conforma alla nota regola di composizione del parallelogramma. Cosi se un corpo è spinto da una forza di 3 chilogrammi in direzione nord e da un'altra forza di 4 chilogrammi in direzione est, esso si comporterà come se fosse spinto da una unica forza di 5 chilogrammi in direzione nord-est. Quest'unica forza è detta la "somma" e la "risultante" delle altre due forze, che sono chiamate le sue componenti: e reciprocamente ogni forza può essere concepita come la somma di un numero di componenti a piacere. Questo significato di "somma" è comunemente associato alla quarta delle precedenti distinzioni concernenti il "tutto" e la "parte"; ed è evidente che qui il senso di "somma" è completamente diverso dal senso della parola in contesti come la "somma di due lunghezze". Bertrand Russel ha sostenuto che una forza non può essere correttamente definita come somma delle sue componenti. Egli asserisce: Sian tre particelle A, B, C. Diciamo che B e C causano entrambe delle accelerazioni in A, e componiamo queste due accelerazioni con la legge del parallelogramma. Però questa composizione non è veramente un'addizione, poiché le componenti non sono parti della risultante; la risultante è un nuovo termine, altrettanto semplice quanto le sue componenti, e non è affatto la loro somma. Gli effetti attribuiti a B e a C non si producono dunque mai, ma si produce un terzo termine diverso tanto dall'uno quanto dall'altro. Possiamo dire che questo terzo termine è prodotto dalle due particelle B e C insieme, prese come un tutto. Ma possiamo scoprire l'effetto che esse producono come un tutto, soltanto supponendo che ciascuna produca un effetto separato: se non si facesse tale ipotesi, sarebbe impossibile ottenere le due accelerazioni la cui risultante è l'àccelerazione effettiva. Sembra pertanto che si raggiunga un'antinomia: il tutto non ha altro effet-
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to, salvo quello che risulta dagli effetti delle parti ma gli effetti delle parti sono non esistenti. Tutta questa argomentazione però mostra che per componente di una forza (o di un'accelerazione) noi non intendiamo niente di analogo a quello che intendiamo per componente o parte di una lunghezza - le componenti delle forze non sono parti spaziali delle forze. Questo non giustifica la tesi che l'addizione di forze "non è veramente un'addizione" a meno che la parola "addizione" venga in realtà usata cosi restrittivamente che nessuna operazione risulti cosi designata se non implica una giustapposizione di parti spaziali (o eventualmente temporali) del tutto che vien chiamato la loro somma. Ma in quest'ultimo caso molte altre operazioni che sono chiamate in fisica "addizione", come l'addizione delle capacità elettriche, dovrebbero parimenti ricevere un'etichetta diversa. Nessuna antinomia sorge inoltre dalla supposizione che, da un lato, non esista l'effetto di ciascuna forza componente presa da sola, mentre d'altro lato l'effetto reale prodotto dall'azione congiunta delle componenti sia la risultante dei loro effetti parziali. Infatti l'ipotesi esprime semplicemente quella che è la situazione in un linguaggio conforme alla definizione antecedente dell'addizione e scomposizione delle forze. Il problema sollevato da Russell è cosi al massimo d'ordine terminologico. La sua obiezione è nondimeno istruttiva. Essa infatti richiama la dovuta attenzione sul fatto che quando l'argomento è considerato astrattamente, la somma di un dato insieme di elementi è semplicemente un elemento determinato in modo univoco da qualche funzione (nel senso matematico) dell'insieme dato. A questa funzione può venir assegnata in certi casi una forma relativamente semplice e di uso corrente ed in altri casi una piu complessa e inusitata; comunque la questione se una tale funzione debba essere introdotta in un dato ambito di ricerca e, in questo caso, quale speciale forma debba esserle assegnata, non può venire decisa a priori. Il nocciolo della questione è che, quando sia indicata una tale funzione ed esista un insieme di elementi che soddisfa le condizioni prescritte dalla funzione, comunque esse siano, diventa possibile dedurre da queste premesse una classe di enunciati relativi a qualche complesso strutturale di tali elementi.'• c) Dobbiamo ora considerare un uso di "somma" associato con il quinto fra i sensi di "tutto" e "parte" sopra distinti, un uso che è anche frequentemente associato con l'affermazione che il tutto è piu della somma delle sue parti o in ogni caso non è semplicemente eguale " BERTRAND RusSELL, The Principles o/ Mathematics, Cambridge, Eng., 1903; cfr. trad. it. a cura di L. Geymonat, Milano, 1963, p. 648. 16 Un proble'lla analogo a quello sollevato dal Russell è stato sollevato in connessione con la somma delle velocità nella teoria della relatività. Siano A, B, C, tre corpi tali che la velocità di A lispetto a B sia v"" quella di B rispetto a C sia v8 c (dove la direzione di Vsc sia parallela alla direzione di vAI<) e quella di A rispetto a C sia VAC. Se-
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ad essa. Assumiamo il seguente enunciato come tipico di un tale uso: "Sebbene una melodia sia prodotta dal suono di una serie di singole note su un pianoforte, essa non è la solllma delle sue singole note". La domanda che naturalmente bisogna fare è: In che senso viene qui impiegata la parola "somma"? È evidente che l'enunciato è informativo solo se esiste una cosa come la somma delle singole note di una melodia. Infatti si può decidere che l'enunciato è vero o falso solo se è possibile confrontare una tale somma con quel tutto che è la melodia. La maggior parte delle persone inclini ad asserire un tale enunciato, non ptecisano però che cosa vuoi essere quella somma; si ha cosf una base ver supporre che o essi non hanno chiaro quello che intendono dire o non intendono dire alcunché. In quest'ultimo caso la considerazione piu generosa che si può fare di tali espressioni è quella di ritenerle delle semplici espressioni erronee della convinzione, probabilmente valida, che la nozione di sommazione è inapplicabile alle note costitutive delle melodie. Alcuni autori sembrano invece intendere per "somma" in questo contesto la classe non ordinata delle singole note e quello che sostengono è perciò che questa classe non costituisce la melodia. Questo risultato non dice niente di nuovo per quanto sia ammissibile che siano esistiti alcuni i quali pensavano altrimenti. In ogni caso non sembra esservi, al di fuori di questo, altro significato normalmente associato con l'espressione "somma di note" o altre simili. Per conseguenza se la parola somma è usata in questo senso nei contesti in cui la parola "tutto" si riferisce ad uno schema o ad una configurazione formata da elementi che stanno fra di loro in certe relazioni, è assolutamente vero, sebbene banale, dire che il tutto è piu della somma delle sue parti. Come è stato già osservato, però, questo fatto non preclude la possibilità di analizzare tali totalità in un insieme di elementi posti in relazione fra loro in modi definiti; nè esclude la possibilità di assegnare un senso diverso al termine "somma" cosicché una melodia possa essere allora interpretata come somma di parti convenientemente scelte. È evidente che vien effettuata un'analisi almeno parziale di una melodia quando questa viene rappresentata secondo l'ordinaria notazione musicale; e l'analisi potrebbe ovviamente essere resa piu completa ed esplicita e persino espressa con precisione formale."
= v + t'se· t'Ac = ___
condo la meccanica classica risulterebbe v ~c relatività speciale,
AB
Ma secondo la teoria della
v.:.::AB::....V_,sc,__·-
l+
VsA
+ Vsc
dove c è la velocità della luce. ~ stato rilevato che nel secondo caso non si ha effettivamente "somma di velocità". A questa obiezione però si può rispondere allo stesso modo che a quella di Russell. 17 Per un'interessante descrizione generale di analisi formale generalizzata di 'Gestalt' quali le melodie, cfr. KURT GRELLING e PAUL ÙPPENHEIM, Der Gestaltbegriff in Lichte der neuen Logik, "Erkenntnis", vol. 7 (1938), pp. 211-225.
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Si è però talora sostenuto a questo riguardo che è un errore sostanziale considerare le note costitutive di una melodia come parti indipendenti, a partire dalle quali la melodia può essere ricostituita. Al contrario, si è sostenuto che ciò che noi "sperimentiamo in ogni punto della melodia è una parte, essa stessa determinata dal carattere del tutto ... La carne e il sangue di una nota dipendono fin dall'inizio dal compito che essa svolge nella melodia: un si come nota sensibile è qualcosa di radicalmente diverso dal si come nota tonica.'• Come vedremo concezioni analoghe sono state avanzate in relazione con altri casi e tipi di Gestalt e di totalità "organiche". Orbene può essere del tutto vero che l'effetto prodotto da una data nota dipenda dalla sua posizione in un contesto di altre note, cosi come l'effetto prodotto da una data pressione su un corpo in generale è indipendente da quelle che sono le altre pressioni operanti. L'ammettere questo fatto però non implica che una melodia non possa essere correttamente considerata come un complesso relazionale le cui note componenti sono identificabili indipendentemente dal loro presentarsi in quel complesso. Ed infatti, se la implicazione fosse valida, sarebbe impossibile descrivere come una melodia venga costituita da note singole e sarebbe perciò impossibile stabilire come debba essere eseguita. Sarebbe allora contraddittorio dire che "un si come nota sensibile è qualcosa di radicalmente diverso da un si come nota tonica". Infatti il nome "si" nella espressione "si come nota sensibile" non potrebbe riferirsi alla stessa nota cui si riferisce il nome "si" nella espressione "si come nota tonica" e lo scopo presumibile dell'enunciato non potrebbe allora venire espresso. In breve il fatto che in connessione con tonalità che sono schemi o Gestalt di avvenimenti la parola "somma" è o indefinita o è definita in modo tale che il tutto risulta diverso dalla somma delle sue parti, non costituisce un ostacolo intrinsecamente insuperabile ad analizzare tali totalità in elementi che stanno fra loro in relazioni specifiche. d) Dobbiamo infine esaminare l'uso del termine "somma" in connessione con quelle totalità che sono sistemi organizzati di parti dinamicamente interrelate. Consideriamo come tipico di tale uso l'enunciato seguente: "Per quanto la massa di un corpo sia eguale alla somma delle masse delle sue parti spaziali, un corpo ha anche delle proprietà che non sono la somma delle proprietà possedute dalle sue parti". Le osservazioni fatte poco sopra a proposito del termine "somma" in relazione al presentarsi di schemi quali le melodie possono essere estese al presente contesto d'uso della parola; pertanto non le ripeteremo. In questo esempio, però, si può avanzare un'interpretazione supplementare del termine "somma". Quando si dice talora che il comportamento di una macchina come 18 MAX WERTHEIMER, Gestalt Theorie, in A Source Book o/ Gesta/t Psycology (a cura di Willis D. Ellis), New York, 1950, p. 5.
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l'orologio è la somma dei comportamenti delle sue parti spaziali, qual è il presumibile contenuto della nostra asserzione? È regionevole supporre che la parola "somma" non significhi qui una classe non ordinata di elementi, in quanto né l'orologio né il suo comportamento sono classi siffatte. È perciò plausibile interpretarne l'asserzione come affermante che dalla teoria della meccanica accompagnata da adeguate informazioni relative alle effettive disposizioni delle parti della macchina si possono dedurre enunciati circa i comportamenti e le conseguenti proprietà dell'intero sistema. Parimenti sembra anche plausibile interpretare in maniera analoga enunciati come quello di Stuart Mill: "Non accadrà mai che le differenti azioni di un composto chimico coincidano con la somma delle azioni delle sue parti separate" .1' Piu esplicitamente questo enunciato può venire inteso come l'attestazione del fatto che dall'avere assunto una qualche teoria concernente i costituenti dei composti chimici, anche quando essa sia accompagnata da dati adeguati circa la organizzazione di questi costituenti all'interno dei composti, non è in realtà possibile dedurre enunciati relativi a molte delle proprietà di tali composti. Se accettiamo questo suggerimento otteniamo per il termine "somma" un'interpretazione che è particolarmente conveniente per l'uso della parola in contesti in cui le totalità in discussione sono sistemi organizzati di parti interdipendenti. Sia T una teoria capace in generale di spiegare il verificarsi e i modi di interdipendenza di un insieme di proprietà P1 Pz ... Px. Piu specificatamente, supponiamo noto che quando uno o piu individui appartenenti ad un insieme K di individui si trovano in un interno E 1 e stanno l'un con l'altro in una qualche relazione appapartenente ad una classe di relazioni R~, la teoria T possa spiegare il comportamento di un tal sistema in rapporto al suo manifestare alcune o tutte le proprietà P. Assumiamo ora che alcuni o tutti gli individui appartenenti a K formino un complesso relazionale Rz non appartenente a R1 in un intorno Ez, che può essere differente da E1 e che il sistema riveli certi modi di comportamento formulati in un insieme di leggi L. Possono allora essere distinti due casi: l) da T, insieme con gli enunciati concernenti la organizzazione degli individui in Rz, è possibile dedurre le leggi L; 2) non tutte le leggi L possono essere cosi dedotte. Nel primo caso, si può dire che il comportamento del sistema Rz è la "somma" dei comportamenti degli individui che lo compongono; nel secondo caso il comportamento di Rz non è una tale somma. È evidente che nella terminologia e nelle distinzioni del presente capitolo sono soddisfatte nel primo caso entrambe le condizioni per la riducibilità di L a T; nel secondo caso, però, per quanto possa essere soddisfatta la condizione di connettibilità non lo è quella di derivabilità. Se adottiamo questa interpretazione del termine "somma" per i 19
].
S. MrLL, A System of Logic, London, 1879, libro 3, c. 6, par. 2 (vol. I, p. 432).
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contesti testé indicati del suo uso (chiamiamo questo il senso di "riducibilità" del termine) ne consegue che la distinzione fra le totalità che sono somma delle loro parti e quelle che non lo sono è relativa ad una qualche teoria T all'uopo assunta - nei cui termini viene intrapresa l'analisi di un sistema. Cosi, come abbiamo visto, la teoria cinetica della materia sviluppata durante il XIX secolo era in grado di spiegare certe proprietà termiche dei gas, incluse certe relazioni fra i calori specifici di essi. Quella teoria, però, era incapace di render conto di queste relazioni fra i calori specifici quando lo stato di aggregazione delle molecole è quello di un solido anziché di un gas. Invece la moderna teoria quantistica è in grado di spiegare i fatti concernenti il calore specifico dei solidi, e presumibilmente anche tutte le altre proprietà termiche dei solidi. Di conseguenza, per quanto relativamente alla teoria cinetica classica le proprietà termiche dei solidi non siano le somme delle proprietà delle loro parti, esse lo sono rispetto alla teoria quantistica.
3. Dobbiamo ora considerare brevemente il tratto caratteristico che distingue quei sistemi comunemente detti "unità organiche", i quali rivelano un modo di organizzazione che viene spesso dichiarato non suscettibile di analisi in termini di un "punto di vista additivo". Tuttavia, sebbene i corpi viventi siano gli esempi piu frequentemente citati di totalità organiche, noi non tratteremo ora specificatamente di tali sistemi. Infatti è cosa generalmente ammessa che i corpi viventi costituiscono soltanto una classe speciale di sistemi che possiedono una struttura di parti internamente currelate; e sarà conveniente ignorare per il momento i risultati speciali connessi con l'analisi dei fenomeni vitali. Le totalità organiche o "funzionali" sono state definite come sistemi "il cui comportamento non è determinato da quello dei loro elementi individuali, ma dove i processi parziali sono essi stessi determinati dalla intrinseca natura del tutto".'" Ciò che distingue tali sistemi, perciò, è che le loro parti non agiscono, e non possiedono caratteristiche indipendentemente una dall'altra. Si suppone al contrario, che le loro parti siano cosi correlate che ogni alterazione in una di esse causa un cambiamento in tutte le altri parti." Per conseguenza le totalità funzionali sono anche considerate sistemi che non possono essere costruiti combinando successivamente degli elementi senza produrre mutamenti in tutti questi elementi. Inoltre a tali totalità non può essere sottratta 20 MAX WERTHEIMER, op. cit., p, 2; cfr. anche quanto dice K. Koffka: "L'analisi se vuole rivelare l'universo nella sua completezza, deve arrestarsi alle totalità, di qualunque dimensione, che posseggono realtà funzionale. . . . Anziché partire dagli elementi e derivare le proprietà delle totalità da essi è necessario un processo inverso, cioè tentar di comprendere le proprietà delle parti a partire da quelle del tutto. Il contenuto fondamentale del termine Gestalt int~so come c3tegcria è questa visione della relazione di parti e tutto, che implica il riconoscimento di una intrinseca dinamica reale tutto-proprietà", K. KoFFKA, Gestalt in Encyclopedia o/ tbe Social Sciences, New York, 1931, vol. 6, p. 645, citata con il cortese permesso degli editori, Ma~Millan & Co. 21 KuRT LEWIN, Principles of Topological Psycology, New York, 1936, p. 218.
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alcuna parte senza alterare sia quella che le restanti parti del sistema." Pertanto viene spesso affermato che una totalità funzionale non può venire convenientemente analizzata da un "punto di vista additivo"; cioè, i modi caratteristici di funzionamento dei suoi costituenti devono essere studiati in situ, e la struttura delle attività del tutto non può essere ricavata dalle proprietà presentate dai suoi costituenti isolati dal tutto. Un esempio puramente fisico di tali totalità funzionali è stato reso familiare da Kohler. Consideriamo un conduttore elettrico ben isolato di forma arbitraria, per esempio, avente la forma di elissoide; e supponiamo di portare successivamente su di esso delle cariche elettriche. Le cariche si distribuiranno immediatamente da se stesse sopra la superficie del conduttore in modo tale che il potenziale elettrico risulterà il medesimo sopra tutta la superficie. La densità della carica (per es. la quantità di carica per unità di superficie) non sarà però in generale uniforme in tutti i punti della superficie. Cosf .nel conduttore elissoidale la densità della carica sarà massima nei punti di curvatura massima" e sarà minima nei punti di curvatura minima. In breve la distribuzione delle cariche mostrerà uno schema, od organizzazione, caratteristico - schema che dipende dalla forma del conduttore ma è indipendente dagli speciali materiali della sua costruzione o dalla quantità totale di carica immessa in esso. Non è possibile però costruire questo schema di distribuzione pezzo per pezzo, per esempio, portando delle cariche prima su una parte del conduttore poi su un'altra in modo che lo schema complessivo emerga solo dopo che tutte le cariche siano state disposte sul conduttore. Infatti quando viene immessa una carica su di una porzione della superficie, questa non si fermerà H ma si distribuirà da sé nel modo indicato; e di conseguenza la densità di carica in un punto non è indipendente dalle densità negli altri punti. Similmente non è possibile rimuovere alcuna parte della carica da una porzione della superficie senza alterare le densità di carica negli altri punti. Per conseguenza sebbene la carica totale su un conduttore sia la somma di cariche parziali e separabili la configurazione delle densità di carica non può essere considerata come composta da parti indipendenti. Kohler cosi dichiara: Noi descriviamo la struttura naturale assunta dalla carica totale dicendo: in questo punto la densità della carica è questa "e" in quel punto è quella ecc.; ma si potrebbe tentare una descrizione col dire invece: la densità ha un certo valore in questo punto e un altro valore in quell'altro, tutti reciprocamente interdipendenti, tanto che la presenza di una certa densità in un punto determina le densità negli altri punti.24 22 W. KoHLER, Die Physischen Gestalten im Rube und im stationiiren Zustand, Braunschweig, 1924, p. 42; vedi anche ELLIS, op. cit., p. 25. 23 Piu in generale la densità della carica sull'ellissoide è proporzionale alla radice quarta della curvatura in un punto. 24 KoHLER, op. cit., p. 58 e v. anche p. 166. Si possono citare molti altri esempi
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Potrebbero essere citati molti altri esempi - fisici, chimici, biologici, e psicologici - che hanno la stessa portata di questo. Cosi non vi è dubbio che in molti sistemi le parti costitutive e i processi sono "internamente" correlati, nel senso che questi costituenti stanno fra loro in relaIazioni di reciproca interdipendenza causale. In effetti alcuni autori hanno incontrato difficoltà nel distinguere in modo preciso fra sistemi che sono di questo tipo e sistemi che manifestamente non lo sono; e hanno sostenuto che tutti i sistemi comunque essi siano dovrebbero essere caratterizzati come totalità che risultano "organiche" o "funzionali" in un modo o nell'altro. 25 Di fatto molti i quali pretendono che esista una differenza fondamentale fra totalità funzionali e non funzionali (o "additive") ammettono tacitamente che la distinzione è basata su decisioni pratiche concernenti quelle influenze causali che possono essere ignorate per certi fini. Cosi Kohler cita come esempio di una totalità "additiva" un sistema di tre pietre, rispettivamente in Africa, Australia e Stati Uniti. Questo sistema è considerato come un raggruppamento additivo delle sue parti, in quanto Io spostamento di una delle pietre non ha influenza sulle altre e sulle loro reciproche relazioni. 26 Se vengono però accettate le odierne teorie fisiche un tal spostamento non è privo di un qualche effetto sulle altre pietre, anche se gli effetti sono cosi esigui da non poter essere scoperti con le attuali tecniche sperimentali e debbono perciò essere praticamente ignorati. Ancora, Kohler considera la carica totale in un conduttore come una totalità addittiva di parti indipendenti, sebbene non sia affatto evidente che i costituenti elettronici della carica non subiscano alcuna alterazione quando dalla carica vengano rimosse alcune parti. Per conseguenza, sebbene sia innegabile la concorrenza di sistemi che possiedano strutture distintive con parti interdipendenti, non è stato ancora avanzato alcun criterio generale che renda possibile identificare in un modo assoluto i sistemi che sono "genuinamente funzionali" come distinti da quelli che sono "meramente additivi". 27 fisici di tali totalità "funzionali". Le forme assunte da lamine saponate forniscono un'illustrazione intuitivamente evidente. Il principio generale sottostante all'analisi di tali superficie è quello per cui, con date condizioni di contorno Imposte a una superficie, la area di questa risulta essere quella minima. Cosi, trascurando la gravità, una lamina saponata limitata da un contorno chiuso di filo metallico risulterà essere una superficie pian;t; una bolla di sapone assumerà la forma di um sfera, figura che presenta la superficie minima per un dato volume. Consideriamo ora una parte della superficie di una bolla di sapone delimitata da un cerchio. Se tale parte fosse asportabile dalla superficie sferica, essa non conserverebbe piu la sua forma convessa, ma diverrebbe piana; cosi la forma assunta da una parte della lamina saponata risulta dipendere dalla totalità di cui è parte. Cfr. i resoconti di esperimenti con lamine saponate in RrcHARD CoURANT e HER· BERT ROBBINS, What is Mathmatics?, New York 1945; trad. it. a cura di L. Ragusa Gilli, Torino, 1959, pp. 567 e sgg. 25 Questo è l'as&unto della filosofia dell'organismo di A. N. WHITEHEAD, Process and Reality, New York, 1929, particolarmente parte 2, cc. 3 e 4. 26 KiiHLER, op. cit., p. 47. 27 Questa proposta secondo cui la distinzione fra totalità funzionali e non funzionali non sarebbe netta, è nata da un tentativo di enunciare piu formalmente il carattere di una totalità "org~nica". Sia S un celto sistema e K una classe di proprietà
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Inoltre è essenziale far distinzioni a questo riguardo fra la questione se un dato sistema possa essere manifestamente costruito pezzo per pezzo mediante una giustapposizione successiva di parti, e la questione che il sistema possa essere analizzato nei termini di una teoria concernente i suoi presunti costituenti e le loro interrelazioni. Ci sono indubbiamente totalità per le quali la risposta alia prima domanda è affermativa - per esempio un orologio, Yn cristaiio, o una molecola di acqua; e ci sono totalità per le quali la risposta è negativa - per esempio, il sistema solare, un atomo di carbone o un corpo vivente. Questa differenza fra sistemi non corrisponde però alla distinzione stabilita fra totalità funzionali e totalità additive; e la nostra incapacità a costruire effettivamente un sistema a partire daiie sue parti - il che può essere in certi casi solo una conseguenza di temporanee limitazioni tecnologiche non può essere presa come una prova per decidere negativamente circa la seconda deiie due precedenti questioni. Soffermiamoci però su questa seconda questione; essa infatti solleva quello che sembra essere il problema fondamentale nel presente contesto. Il problema è: se l'analisi delle "unità organiche" implica necessariamente l'adozione per tali sistemi di leggi irriducibili, e se il loro modo di organizzazione preclude la possibilità di analizzare questi sisteP" . . . , P. che 5 può presentare. Assumiamo, per semplicità, che tali proprietà siano in qualche senso misurabili e le loro forme specifiche possano venire associate ai valori di variabili numeriche; e assumiamo, ancl·ta t-er semplicità, Lhe gli enunciati relativi a tali proprietà abbiano la forma: 'nell'istante t la proprietà P, di 5 ha lo stesso valore x,' o, in forma piu compatta, 'P, (5, t) x'. Definiamo ora una proprietà in K, per esempio P,; come dipendente dalle restanti proprietà in K quando P, ha lo stesso valore in istanti diversi se le restanti proprietà hanno valori eguali in quegli istanti; cioè quando per ogni proprietà P, in K se P, (5, t 1 ) = P, (5, t 2 ) allora P1 (5, t 1 ), = P, (5, t 2 ). Diremo inoltre che la classe K, di proprietà è "interdipendente" se ciascuna proprietà in tale classe è dipendente dalle restanti proprietà in K, cioè quando per ogni P, e per ogni P 1 in K se P, (5, t d P, (5, t 2 ) allora P 1 (5, td = P 1 (5, t 2 ). Possiamo invece definire la classe K come indipendente se nessuna proprietà in K è dipendente dalle restanti proprietà in K. Allo scopo di chiarire meglio le nostre idee, sia 5 un gas, V il suo volume, p la sua pressione e T la sua temperatura assoluta. Allora secondo la legge di Boyle-Charles, V dipende da p e da T; e anche questa classe di proprietà è una classe interdipendente. Ancora se S è un conduttore isolato di forma definita, R la sua curvatoira in un punto qualunque, s la densità di carica in una qualunque regione ~nora p non dipende da R e da s e le proprietà p, R e s non formano una classe indipendente, per quanto non formano neppure una classe indipendente. Per questa analisi e per ulteriori dettagli implicati dalla sua elaborazione vedi di KuRT GRELLING A logica! Theory of Dependence e di KuRT GRELLING e PAUL 0PPENHEIM, Logica! Analysis of 'Gestalt' and 'Functional Whole', ristampato per i membri del Quinto Congresso Internazionale per l'Unità della Scienza, tenuto nel 1939 a Cambridge (Mass.) dal Journal of Unified Science, vol. 9. Tale volume del Journal non è stato mai pubblicato a causa della seconda guerra mondiale Se noi ora però definiamo un sistema S come una "totalità funzionale" rispetto a una classe K di proprietà se K è una classe interdipendente e definiamo inoltre 5 come una 'totalità addittiva' se K è una classe indipendente, è opportuno mettere in rilievo due punti. In primo luogo il fatto che si dica che una proprii!tà dipenda da certe altre, s~rà in parte condizionato dal grado di precisione sperimentale con il quale possono venir fissati i valori della proprietà in questione. Questo è il punto già sottolineato nel testo. In secondo luogo sebbene 5 possa non essere una totalità funzionale nel senso definito non ne segue necessariamente che sia una totalità addittiva; infatti alcune proprietà, anche se non tutte, in K possono dipendere dalle restanti. Per conseguenza possono esistere vari gradi di interdipendenza di un sistema.
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mi dal cosiddetto "punto di vista additivo". La difficoltà fondamentale a questo proposito è di accertare in qual modo un'analisi "additiva" differisca da una che non lo è. Il contrasto sembra imperniarsi sulla tesi secondo cui le parti di una totalità funzionale non agiscono indipendentemente l'una dall'altra, onde una qualunque legge, che può valere per tali parti quando esse sono elementi di una totalità funzionale, non può venire assunta come valida per esse, quando sono effettivamente elementi di tale totalità. Un'analisi "additiva" sembra perciò essere quella che rende conto delle proprietà di un sistema in termini di assunzioni relative ai suoi costituenti - ove però queste assunzioni non sono formulate con specifico riferimento alle caratteristiche di tali costituenti in quanto elementi del sistema. Un'analisi "non additiva" invece, sembra essere quella che formula le caratteristiche di un sistema in termini di relazioni fra certe sue parti in quanto elementi funzionanti del sistema. Tuttavia se questa è davvero la distinzione fra gli anzidetti due modi di analisi che si dichiarano diversi, la differenza non è di natura fondamentale. Noi abbiamo già osservato che non sembra possibile fare una netta distinzione fra sistemi che sono detti "unità organiche" e sistemi che non lo sono. Per conseguenza, dal momento che anche le parti delle totalità additive stanno in relazioni di interdipendenza causale, un'analisi additiva di queste totalità deve includere delle assunzioni speciali circa l'organizzazione effettiva delle parti entro dette totalità, qualora essa tenti di applicare loro qualche teoria fondamentale. Esistono certamente molti sistemi fisici - come ad esempio il sistema solare, un atomo di carbonio o un cristallo di fluorite - i quali si prestano ad un'analisi "additiva" malgrado la loro forma complessa di organizzazione; ma è egualmente certo che le odierne spiegazioni di tali sistemi in termini di teorie relative alle loro parti costituenti non possono fare a meno di integrare tale teoria con enunciati relativi alle speciali circostanze in cui i costituenti compaiono come elementi dei sistemi. In ogni caso il semplice fatto che le parti di un sistema stanno in relazione di interdipendenza causale non esclude la possibilità di un'analisi additiva del sistema. La distinzione fra analisi additiva e non additiva è talora convalidata dal contrasto comunemente posto fra la fisica delle particelle della meccanica classica e la fisica dei campi della elettrodinamica. Sarà perciò utile soffermarci per un momento su questo contrasto. Secondo la meccanica newtoniana, l'accelerazione indotta in una particella dali' azione di altri corpi è la somma vettoriale delle accelerazioni che sarebbero prodotte da ciascuno di questi corpi qualora essi agissero singolarmente; e l'assunzione che sottostà a questo principio è che la forza esercitata da uno di tali corpi è indipendente dalla forza esercitata da un qualunque altro. Per conseguenza un sistema meccanico come il sistema solare può essere analizzato additivamente. Al fine di render conto del com-
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portamento caratteristico del sistema solare come una totalità, noi abbiamo bisogno di conoscere solo la forza (come funzione della distanza) che ciascun corpo nel sistema esercita separatamente sugli altri corpi. Nella elettrodinamica la situazione invece è differente. Infatti l'azione di un corpo caricato elettricamente su di un altro dipende non solo dalle loro distanze ma anche dai loro moti relativi. Inoltre l'effetto di un mutamento del moto non si propaga istantaneamente ma con una velocità finita. Per conseguenza la forza di un corpo dotato di carica, forza dovuta alla presenza di altri corpi siffatti non è determinata dalle posizioni e dalle velocità di questi ultimi ma dalle condizioni del campo "elettromagnetico" in prossimità del primo. Pertanto, dal momento che un tale campo non può essere considerato come "somma" di campi "parziali", ciascuno dei quali dovuto ad una particella distinta dotata di carica, si dice comunemente che un sistema elettromagnetico non è suscettibile di un'analisi additiva. "Il campo può essere trattato in maniera adeguata solo come unità" cosi si è sostenuto "non come somma totale dei contributi delle singole cariche puntiformi".28 Su questo contrasto sarà necessario fare due brevi commenti. In primo luogo la nozione di campo (come è usata nella teoria elettromagnetica) rappresenta indubbiamente una tecnica matematica per analizzare fenomeni, la quale è differente sotto molti importanti aspetti della matematica impiegata nella meccanica delle particelle. Quest'ultima opera con insiemi discreti di variabili di stato, cosi che lo stato di un sistema è specificato da un numero finito di coordinate; la fisica dei campi esige che il valore di ciascuna delle sue variabili di stato sia specificato per ciascun punto di uno spazio matematicamente continuo. Ulteriori differenze che corrispondono a quelle ora accennate, esistono nei tipi di equazioni differenziali, nei tipi di variabili che vi compaiono e di limiti entro i quali sono compiute le integrazioni matematiche. In secondo luogo, sebbene sia vero che il campo elettromagnetico associato ad un insieme di particelle dotate di carica non è una "somma" di campi parziali associati separatamente a ciascuna particella, è anche vero però che il campo risulta univocamente determinato (cioè i valori di ciascuna variabile di stato per ciascun punto dello spazio sono inequivocabilmente fissati) dall'insieme delle cariche, dalle loro velocità e dalle condizioni iniziali e dal contorno nelle quali esse si presentano. In effetti in una sola tecnica impiegata entro la teoria del campo, il campo elettromagnetico è semplicemente un artificio intermediario per formulare gli effetti di particelle, elettricamente cariche, su altre particel28 PEmR G. BERGMANN, Introduction to the Tbeory o/ Relativity, New York, 1942, p. 223. Sarebbe fuor di luogo il chiedersi nel presente contesto se debba venir attribuita una qualche 'realtà fisica' ai campi elettromagnetici o se, come. alcuni autori sostengono, i campi elettromagnetici siano soltanto 'finzioni matematiche'. È sufficiente osservare che, qualunque sia il suo "status ultimo", il concetto di campo in fisica rappresenta un modo di analisi che può venir distinto dalla impostazione particellare.
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La riduzione delle teorie
le consimili. 29 Di conseguenza, sebbene possa essere opportuno trattare un campo elettromagnetico come una "unità", questa opportunità non significa che le proprietà del campo non possano essere analizzate in termini di assunzioni concernenti i suoi costituenti. E per quanto il campo possa non essere considerato una "somma" di campi parziali in uno qualunque dei sensi consueti, un sistema elettromagnetico è una "somma" nel senso speciale della parola precedentemente proposto, vale a dire, esiste una teoria relativa ai costituenti di questi sistemi tale che le leggi di rilievo concernenti il sistema possano essere dedotte dalla teoria. Di fatto, se gettiamo un'occhiata finale alla totalità funzionale illustrata dalle cariche sul conduttore isolato, la legge che formula la distribuzione delle densità di carica può essere dedotta dalle assunzioni concernenti il comportamento delle particelle dotate di carica. 30 Il risultato di questa discussione sulle unità organiche è che la domanda se esse possano venire analizzate dal punto di vista additivo non possiede una risposta generale. Alcune totalità funzionali possono certamente essere analizzate in tale modo, mentre per altre (ad esempio gli organismi viventi) non è stata ancora compiuta alcuna analisi pienamente soddisfacente. Analogamente il mero fatto che un sistema sia una struttura di parti dinamicamente intere correlate, non è sufficiente, da solo, a provare che le leggi di un tale sistema non possano essere ridotte a una qualche teoria elaborata inizialmente per certe parti assunte come costituenti del sistema. Questa conclusione può apparire misera, ma dimostra effettivamente che il problema in discussione non può essere risolto in modo aprioristico e generico come si sostiene in tanta della letteratura esistente al riguardo. ·
29 La tecnica a cui si fa riferimento è quella dei potenziali ritardati, v. le osservazioni in MAX MASON e WARREN WEAVER, The Electromagnetic Field, Chicago, 1929, Introduzione. 30 Cfr. per esempio, O. D. KELLOGG, Foundations of Potential Tbeory, Berlin, 1929, c. 7.
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Capitolo dodicesimo
Spiegazione meccanicistica e biologia organismica
I metodi analitici delle moderne scienze naturali per universale ammissione sono idonei allo studio di tutti i fenomeni non viventi, anche di quelli che non sono ancora completamente conosciuti, come i raggi cosmici o il tempo meteorologico. Sono inoltre generalmente incoraggiati e auspicati i tentativi di unificare branche speciali della fisica attraverso la riduzione dei loro svariati sistemi di spiegazione ad una teoria generale. Questi metodi sono stati fruttuosamente impiegati anche per lo studio degli organismi viventi durante gli ultimi quattro secoli; e molti tratti caratteristici dei processi vitali sono stati spiegati con successo in termini fisico chimici. Eminenti biologi e fisici sono giunti perciò alla conclusione che i metodi delle scienze fisiche sono pienamente adeguati all'oggetto della biologia, e molti di questi scienziati si sono convinti che alla fine la biologia nella sua totalità sarebbe divenuta semplicemente un capitolo della fisica e della chimica. Malgrado, però, gli innegabili successi delle spiegazioni fisico chimiche nello studio degli esseri viventi, biologi di indiscussa competenza continuano a considerare tali spiegazioni come non interamente adeguate all'oggetto della biologia. La maggior parte dei biologi concordano in generale sul fatto che tanto i processi vitali quanto quelli non vitali hanno luogo soltanto in determinate condizioni fisico chimiche e non costituiscono eccezioni rispetto alle leggi fisico chimiche. Alcuni di loro nondimeno sostengono che il tipo di analisi richiesto per comprendere i fenomeni viventi è fondamentalmente diverso da quello che si adotta nelle scienze fisiche. L'opposizione all'assorbimento sistematico della biologia nella fisica e nella chimica è talvolta basata su un motivo pratico in quanto tale assorbimento non si conforma alla corretta strategia della ricerca biologica. Tale opposizione però è spesso sostenuta da argomentazioni teoriche le quali mirano a dimostrare che la riduzione della biologia alla fisico chimica è intrinsecamente impossibile. La biologia è stata a lungo un settore in cui le questioni cruciali inerenti alla logica della spiegazione sono state oggetto di vigorose discussioni. In
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Spiegazione meccanicistica e biologia organismica
ogni caso è istruttivo l'esame di alcune delle ragioni solitamente avanzate dai biologi per sostenere che la logica dei concetti esplicativi in biologia è caratteristica di ·questa scienza la quale è pertanto una disciplina intrinsecamente autonoma. Quali sono i principali sostegni a favore di questa tesi? l. Cominciamo ad eliminarne due fra i meno rilevanti. Per quanto sia difficile formulare in termini precisi le differenze generiche fra il mondo vivente e quello non vivente nessuno dubita seriamente del fatto ovvio che tali differenze esistano. Le varie "scienze della vita" per conseguenza si occupano di questioni speciali che sono manifestamente diverse da quelle di cui trattano la fisica e la chimica. In particolare la biologia studia l'anatomia e la fisiologia degli esseri viventi e indaga sui modi e sulle condizioni della loro riproduzione, del loro sviluppo e del loro decadimento. Essa classifica gli organismi viventi in tipi o specie; e indaga sulla loro distribuzione geografica, le loro linee di discendenza, e i modi e le condizioni dei loro mutamenti evolutivi. La biologia analizza anche gli organismi come strutture di parti correlate e cerca di scoprire in che modo ciascuna parte contribuisca alla conservazione dell'organismo come un tutto. La fisica e la chimica, invece, non si occupano specificamente di tali problemi per quanto anche l'oggetto della biologia ricada entro il dominio di queste scienze. Cosi una pietra o un gatto che cadano da una certa altezza mostrano comportamenti che ricevono una formulazione comune nelle leggi della meccanica; e perciò sia i gatti che le pietre appartengono all'oggetto della fisica. I gatti nondimeno possiedono caratteristiche strutturali e si inseriscono in processi ai quali la fisica e la chimica, per lo meno nella loro odierna formulazione, non sono interessate. Volendoci esprimere in termini piu formali la biologia adotta espressioni che si riferiscono a caratteristiche identificabili dei fenomeni viventi (quali 'sesso', 'divisione cellulare', 'ereditarietà' o 'adattamento') e enuncia leggi che le comprendono (quali 'l'emofilia fra gli esseri umani è un carattere ereditario legato al sesso') le quali non si danno nelle scienze fisiche e non sono attualmente definibili a partire da queste scienze o derivabili da esse. Per conseguenza sebbene l'oggetto della biologia e delle scienze fisiche non sia disgiunto e sebbene la biologia faccia uso di distinzioni e di leggi prese a prestito dalle scienze fisiche, le due scienze attualmente non coincidono. Non meno evidente è il fatto che le tecniche di osservazione e di sperimentazione in biologia sono in generale diverse da quelle usuali nelle scienze fisiche. Certamente alcuni strumenti e alcune tecniche di osservazione di misura e di calcolo (quali le lenti, la bilancia e l'algebra) sono usati in entrambi i gruppi di discipline. La biologia però richiede anche mezzi speciali come quelli concessi alla dissezione dei tessuti organici) che non hanno alcun impiego in fisica; e la fisica adopera tecniche (come quelle che sono necessarie per trattare correnti ad alta tensione) che non sono importanti
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per la biologia di oggi. Un fisico non addestrato alle speciali tecniche della ricerca biologica non ha maggior probabilità di espletare con successo un esperimento biologico di quanta ne abbia un pianista non assuefatto agli strumenti a fiato di suonare bene un oboe. Queste differenze fra gli speciali problemi e le speciali tecniche delle scienze fisiche e biologiche sono talora citati come prova della intrinseca autonomia della biologia, e sono invocate a sostegno della tesi secondo cui i metodi analitici della fisica non sono pienamente adeguati agli obiettivi dell'indagine biologica. Per quanto le differenze siano effettive esse però non legittimano tali conclusioni. La meccanica, l'elettromagnetismo, e la chimica, per esempio, sono prima facie branche distinte della fisica, in ciascuna delle quali si affrontano problemi speciali e sono impiegate tecniche differenti. Come abbiamo visto però non vi sono ragioni sufficienti per sostenere che ciascuna di queste parti della fisica sia una disciplina autonoma. Se esiste una base fondata per la pretesa autonomia assoluta della biologia, bisogna cercarla altrove e non nelle differenze fra la biologia e quelle scienze fisiche che sono state fino a questo momento prese in considerazione. 2. Quali sono allora le ragioni di maggior peso che stanno a sostegno di quella affermazione? Le principali sembrano essere le seguenti. I processi vitali hanno prima facie un carattere finalistico; gli organismi sono suscettibili di autoregolazione, e di autoconservazione e autoriproduzione e le loro attività sembrano essere dirette verso il conseguimento di scopi situati nel futuro. Si ammette di solito che si possano studiare e formulare le caratteristiche morfologiche delle piante e degli animali in maniera paragonabile a quella in cui le scienze fisiche investigano i caratteri strutturali degli esseri non viventi. Cosi si ritiene di solito che le categorie di analisi e di spiegazione usate nella fisica risultino adeguate per lo studio dell'anatomia macroscopica e microscopica del rene umano o dell'ordine seriale del suo sviluppo. Gli studi morfologici però sono solo una parte del compito del biologo, dal momento che questo comprende anche l'indagine sulle funzioni delle strutture nel mantenere le attività dell'organismo come un tutto. Cosi la biologia studia il ruolo sostenuto dal rene e dalla sua struttura microscopica nel conservare la composizione chimica del sangue e quindi le attività caratteristiche dell'intero corpo e delle sue parti. Un tale comportamento degli esseri manifestamente diretto a un fine è quello che si ritiene spesso richiedere una distinta categoria di spiegazione in biologia. Gli esseri viventi, inoltre, sono totalità organiche, non "sistemi additivi" di parti indipendenti e il comportamento di queste parti non può essere convenientemente compreso se queste vengono considerate come altrettanti meccanismi isolabili. Le parti di un organismo devono essere considerate come elementi interamente correlati di un tutto integrato. Esse si influenzano reciprocamente e il loro comportamento regola
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le attività dell'organismo come un tutto ed a sua volta viene da esse regolato. Alcuni biologi hanno sostenuto che il comportamento coordinato e suscettibile di adattamento degli organismi viventi può essere spiegato solo facendo appello ad uno speciale agente vitalistico; altri credono che sia possibile una spiegazione nei termini dell'organizzazione gerarchica di parti internamente correlate dell'organismo. In entrambi i casi però - cosf si sostiene frequentemente - la biologia non può fare a meno della nozione di unità organica; e di conseguenza deve servirsi di modalità di analisi e di formulazione che sono senza dubbio sui generis. Per conseguenza due sono le caratteristiche principali che vengono di solito addotte per differenziare in modo essenziale la biologia dalle scienze fisiche. Una consiste nella posizione dominante occupata dalle spiegazioni teleologiche nell'indagine biologica. L'altra consiste nell'uso degli strumenti concettuali pertinenti unicamente allo studio di sistemi tali che il loro comportamento totale non è la risultante delle attività di componenti indipendenti. Dovremo ora esaminare queste tesi un poco dettagliatamente. I. La struttura delle spiegazioni teleologiche
Quasi tutti i trattati o le monografie di argomento biologico ci offrono la prova effettiva del fatto che i biologi prendono in esame le funzioni degli organi e dei processi vitali nel conservare le attività caratteristiche degli esseri viventi. Di conseguenza se si intende la "analisi teleologica" come un'indagine attorno a tali funzioni e ai processi diretti al conseguimento di certi risultati finali, allora senza dubbio le spiegazioni teleologiche sono onnipresenti in biologia. Sotto questo aspetto senza dubbio la differenza fra la biologia e le scienze fisiche sembra essere netta. Da parte di un fisico moderno sarebbe certamente una stranezza dichiarare, per esempio, che gli atomi hanno involucri esterni di elettroni allo scopo di rendere possibile la propria unione chimica con altri atomi. Nell'antica scienza aristotelica le categorie di spiegazione suggerite dallo studio degli esseri viventi e delle loro attività (e in particolare dalla tecnica umana) venivano assunte come regola per ogni indagine. Dal momento che tanto i fenomeni viventi quanto quelli non viventi furono cosf analizzati in termini teleologici - analisi che pose al centro la nozione di causa finale - la scienza greca non realizzò una fondamentale frattura fra la biologia e le altre scienze della natura. La scienza moderna, invece, considera le cause finali come delle vestali vergini e infeconde, nello studio dei fenomeni fisici e chimici; e, poiché le spiegazioni teleologiche sono associate alla dottrina che gli scopi e i fini dell'attività sarebbero agenti dinamici delle realizzazioni proprie, la scienza moderna tende a considerare tali spie-
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gazioni come dettate da una sorta di atteggiamento oscurant1st1co. La presenza delle spiegazioni teleologiche nella biologia e la loro evidente assenza dalle scienze fisiche comporta però davvero la assoluta autonomia della prima? Tenteremo di dimostrare che le cose non stanno cosL
l. Anche prescindendo completamente dalla loro assoc1az10ne con la dottrina delle cause finali, le spiegazioni teleologiche sono talora considerate sospette nelle moderne scienze naturali in quanto si assume che esse facciano appello a scopi e fini previsti in qualità di fattori causali nei processi naturali. Si ammette che i fini e gli scopi svolgano dei ruoli importanti nelle attività umane, ma non vi è alcun fondamento per la loro assunzione nello studio dei fenomeni fisico chimici e di moltissimi fenomeni biologici. Come si è già osservato però numerose spiegazioni considerate teleologiche non postulano né scopi né fini previsti; infatti le spiegazioni sono spesso dette "teleologiche" solo nel senso che esse specificano le funzioni proprie degli enti e dei processi. Gran parte dei biologi contemporanei non attribuiscono certamente dei fini alle parti organiche degli esseri viventi di cui vengono indagate le funzioni; la maggior parte di essi probabilmente negherebbe altresi che le relazioni mezzi-fini, scoperte nella organizzazione degli esseri viventi, siano il prodotto di qualche piano deliberato da parte di un agente intenzionale, sia esso divino o, in qualche altra forma, soprannaturale. Certamente ci sono biologi che postulano degli stati psichici come forze concomitanti e persinò direttrici di tutto il comportamento organico. Tali biologi sono però una minoranza e di solito sostengono il loro punto di vista attraverso considerazioni speciali che possono venir distinte dai fatti delle dipendenze funzionali o teleologiche, fatti che moltissimi biologi non esitano ad accettare. Dal momento che la parola "teleologia" è ambigua si eviterebbero senza dubbio confusioni ed equivoci se tale parola fosse eliminata dal vocabolario della biologia. I biologi però la usano, e affermano di dare una spiegazione teleologica quando, per esempio, spiegano che la funzione del canale digerente nei vertebrati è quella di preparare le sostanze ingerite per il loro assorbimento nel flusso sanguigno. È però importante rilevare che quando i biologi adottano un linguaggio teleologico essi non stanno necessariamente commettendo l'errore di attribuire alla natura situazioni umane. Assumeremo perciò che gli enunciati teleologici (o funzionali) in biologia di norma non asseriscono né presuppongono negli oggetti in discussione scopi, fini, obiettivi o mete, vuoi manifesti vuoi latenti. In effetti sembra fuor di dubbio che i biologi in generale negherebbero il fatto che essi postulino alcun fine in vista consapevole o implicito, anche quando adottano nelle loro analisi funzionali parole come "scopo" - ad esempio quando si dice che lo "scopo" (cioè la funzione)
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dei reni nel maiale è quello di eliminare vari prodotti di scarto dal flusso sanguigno dell'organismo. Noi adotteremo invece come segno caratteristico di un enunciato teleologico in biologia e come carattere che distingue tali enunciati da quelli non teleologici, il presentarsi nel primo caso ma non nel secondo di locuzioni tipiche come "la funzione di", "lo scopo di", "a motivo di", "al fine di" e simili - piu in generale la presenza di espressioni che significhino un nesso mezzo-fine. Nondimeno, - malgrado il carattere prima facie distintivo delle spiegazioni teleologiche (o funzionali) - osserveremo per prima cosa che esse possono venir riformulate, senza che si perda il contenuto asserito, per assumere la forma di spiegazioni non teleologiche, in modo che tanto le spiegazioni teleologiche quanto quelle non teleologiche diventino sostanzialmente equivalenti. A questo scopo consideriamo un enunciato tipicamente teleologico, per esempio: 'la funzione della clorofilla nelle piante è quella di permettere ad esse di realizzare la fotosintesi (cioè di formare amido da anidride carbonica e da acqua in presenza della luce solare)'. Questo enunciato rende ragione della presenza della clorofilla (una certa sostanza A) nelle piante (in ogni elemento S di una classe di sistemi, ciascuno dei quali ha una certa organizzazione C di parti componenti e di processi). Ciò vien fatto dichiarando che, quando si forniscono ad una pianta acqua, anidride carbonica e luce solare (quando S è situata in un certo ambiente E "interno" e "esterno") essa produce amido (vi si compie un certo processo P che fornisce un determinato prodotto o risultato) solo se la pianta contiene clorofilla. L'enunciato solitamente porta con sé l'implicita a'ssunzione supplementare che senza amido la pianta non può proseguire le sue attività caratteristiche, quali la crescita e la riproduzione (non può conservarsi in un certo stato G); per il momento però ignoreremo questa ulteriore assunzione. Per conseguenza l'enunciato teleologico è un ragionamento in forma abbreviata cosi che quando se ne espliciti il contenuto, esso può venir reso approssimativamente nel modo seguente: se sono fornite di acqua, di anidride carbonica e di luce solare, le piante producono amido; se non hanno clorofìlla, le piante anche se in possesso di acqua, di anidride carbonica e di luce solare, non producono amido; quindi le piante contengono clorofilla. Piu in generale un enunciato teleologico della forma 'la funzione di A in un sistema S con organizzazione C è quella di rendere possibile a S, in un ambiente E, di impegnarsi in un processo P' può essere formulato piu esplicitamente cosi: Ogni sistema S con organizzazione C in un ambiente E si impegna in un processo P; se S con organizzazione C e in un ambiente E non dispone di A allora S non si impegna in P, quindi S con organizzazione C deve disporre di A. Nel presente contesto non importa evidentemente indagare se le premesse contenute in questo ragionamento siano adeguatamente
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garantite da valide prove. Dal momento, tuttavia, che il problema viene talora sollevato nelle discussioni sulle spiegazioni teleologiche, vale la pena di fare almeno un fuggevole cenno alla questione se la clorofilla sia realmente necessaria alle piante e se esse non potrebbero produrre amido (o altre sostanze necessarie per la loro sopravvivenza) per mezzo di qualche processo differente il quale non richieda clorofilla. Infatti, se la presenza della clorofilla non è effettivamente necessaria per la produzione di amido (o se le piante possono vivere senza il meccanismo della fotosintesi) la seconda premessa, del ragionamento suddetto si è osservato - risulta insostenibile. Tale premessa dovrebbe allora venir modificata, e nella sua forma emendata dovrebbe asserire che la clorofìlla è un elemento, in un insieme di condizioni, sufficiente (ma non necessario) per la produzione di amido. In tal caso, però, il nuovo ragionamento con la premessa emendata non risulterebbe valido, e la proposta spiegazione teleologica della presenza della clorofilla nelle piante non sarebbe quindi soddisfacente. Questa obiezione è in parte ben fondata. È senza dubbio logicamente possibile che lè piante possano conservarsi senza produrre amido, o che i processi negli organismi viventi possano produrre amido senza richiedere clorofilla. In effetti esistono piante (i funghi) che possono prosperare senza clorofilla; e in generale vi è piu di un modo per "scuoiare un gatto". D'altro lato la precedente spiegazione teleologica della presenza della clorofilla nelle piante è presumibilmente connessa con gli organismi viventi che hanno certe determinate forme di organizzazione e certi modi definiti di comportamento - in breve, con le cosiddette "piante verdi". Per conseguenza, sebbene siano possibili sia astrattamente che fisicamente, organismi viventi (tanto le piante quanto gli animali) capaci di conservarsi senza processi che implichino la funzione clorofìlliana non risulta tuttavia esservi prova alcuna del fatto che- tenuto conto delle limitate capacità che le piante verdi possiedono come conseguenza del loro effettivo modo di organizzazione - tali organismi possono vivere senza clorofilla. Emergono cosf da queste considerazioni due importanti punti complementari. In primo luogo le analisi teleologiche in biologia (o in altre scienze in cui si perseguono tali analisi) non sono esplorazioni di possibilità meramente logiche, ma trattano delle effettive funzioni di componenti definiti in sistemi viventi concretamente dati. In secondo luogo, se non si vuole incorrere nel rischio di non riconoscere la possibilità di meccanismi differenti per conseguire un dato prodotto finale, e in quello di assumere inavvertitamente (e forse erroneamente) che un certo processo, riconosciuto come indispensabile in una data classe di sistemi, sia anche indispensabile in una classe piu ampia, una spiegazione teleologica deve articolare con esattezza tanto il carattere del prodotto terminale quanto i tratti defìnienti dei sistemi che li presentano, relativamente ai quali i processi indicati sono ritenuti indispensabili.
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In ogni caso, però, la precedente spiegazione teleologica della clorofilla nella sua forma estesa è semplicemente un esempio di una spiegazione che si conforma al modello deduttivo e non contiene alcuna locuzione distintiva di enunciati teleologici. Di conseguenza l'enunciato iniziale abbreviato relativo alla clorofilla sembra non asserire nulla che non sia già contenuto nell'assunzione seguente: 'le piante operano la fotosintesi solo se contengono clorofilla' o se si preferisce 'una condizione necessaria per il verificarsi della fotosintesi nelle piante è la presenza della clorofilla'. Questi ultimi enunciati non ascrivono esplicitamente una funzione alla clorofilla e in questo ~enso non sono perciò formulazioni teleologiche. Se questo esempio viene preso come paradigma, si ha che, quando viene ascritta una funzione ad un elemento costituente di un organismo, il contenuto dell'enunciato teleologico è pienamente espresso da un altro enunciato esplicitamente teleologico il quale asserisce semplicemente una condizione necessaria (o eventualmente necessaria e sufficiente) per il presentarsi di un certo carattere o di una certa attività dell'organismo. Alla luce di questa analisi, perciò, una spiegazione teleologica in biologia indica le conseguenze per un dato sistema biologico di una parte costitutiva o di un processo; la formulazione equivalente non teleologica di questa spiegazione, invece, enuncia alcune delle condizioni (talora ma non invariabilmente in termini fisico chimici) sotto le quali il sistema persiste nella sua caratteristica organizzazione e nelle sue caratteristiche attività. La differenza fra una spiegazione teleologica e la sua equivalente formulazione non teleologica è cosi paragonabile alla differenza fra il dire che Y è un effetto di X e il dire che X è una causa o una condizione di Y. In breve la differenza concerne piu l'attenzione selettiva che il contenuto di ciò che si asserisce. Questo punto può essere convalidato da un'altra considerazione. Se una spiegazione teleologica asserisce un contenuto diverso da quello di qualsiasi concepibile enunciato non teleologico, sarebbe possibile addurre procedure e prove, impiegate per fondare la prima, le quali differiscono dalle procedure e dalle prove richieste per garantire la seconda. Di fatto non risulta però che ci siano procedure e prove di questo genere. Consideriamo, per esempio, l'enunciato teleologico: 'la funzione dei leucociti nel sangue umano è quella di difendere il corpo dai microrganismi estranei'. Orbene qualsiasi possa essere la prova che garantisce questo enunciato, essa conferma anche l'enunciato non teleologico: 'se il sangue umano non contiene un numero sufficiente di leucociti, certe attività normali del corpo vengono pregiudicate' e viceversa. Se le cose stanno cosi, ci sono però buone ragioni per ritenere che i due enunciati non differiscono quanto al contenuto fattuale. Piu in generale se, come sembra in questo caso, la prova concepibile per ogni spiegazione teleologica data è identica alla prova concepibile per una certa spiegazione non teleologica, appare inevita415
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la conclusione che quegli enunciati - anche se sono distinguibili in altri modi - non possono essere distinti rispetto a ciò che essi
asseriscono. 2. La proposta equivalenza fra spiegazioni teleologiche e spiegazioni non teleologiche deve nondimento far fronte ad un'obiezione di fondo. Molti biologi ammetterebbero forse che un enunciato teleologico implichi un certo enunciato non teleologico; ma alcuni di essi, in ogni modo, sono pronti a sostenere che il secondo enunciato non implica a sua volta il primo, e che per conseguenza la asserita equivalenza fra gli enunciati non è di fatto sostenibile. La tesi secondo cui non esiste in effetti tale equivalenza può essere etticacemente introdotta nel modo seguente. Se vi fosse una tale equivalenza, non solo una spiegazione teleologica potrebbe essere sostituita da una non teleologica ma, inversamente, una spiegazione non teleologica potrebbe parimenti essere sostituita da una teleologica. Per conseguenza i consueti enunciati di leggi e le consuete teorie nelle scienze fisiche sarebbero traducibili senza modificazioni per quel che concerne il còntenuto asserito - in formulazioni teleologiche. Di fatto però la moderna scienza fisica non sembra convalidare tali riformulazioni. lnvero un gran numero di fisici si opporrebbe senz'altro all'introduzione di enunciati teleologici nelle loro discipline come ad un tentativo camuffato di restaurare il punto di vista della scienza greca e medioevale. Per esempio l'enunciato: 'il volume di un gas a temperatura costante varia in proporzione inversa alla sua pressione' è una tipica legge fisica, del tutto esente da connotazioni teleologiche. Se esso fosse equivalente ad un enunciato teleologico, tale enunciato (costruito sul modello dell'esempio adottato sopra come paradigmatico) suonerebbe presumibilmente cosf: 'la funzione di una pressione variabile in un gas a temperatura costante è quella di produrre un volume di gas che varia in proporzione inversa'; o forse: 'ogni gas a temperatura costante sotto l'effetto di una pressione variabile altera il suo volume al fine di mantenere costanti il prodotto della pressione per il volume'. La maggioranza dei fisici però considererebbe senza dubbio queste formulazioni assurde o nel migliore dei casi ingannevoli. Per conseguenza, se nessun enunciato teleologico è in grado di tradurre correttamente una legge della fisica, sembra difficilmente sostenibile la tesi secondo cui per ogni enunciato teleologico può esserne costruito uno non teleologico logicamente equivalente. Deve esistere perciò - cosf conclude l'obiezione - qualche importante differenza fra enunciati teleologici e non teleologici che la discussione fino a questo punto non è riuscita a rendere esplicita. La difficoltà ora esposta non può essere liquidata facilmente. Per valutaria adeguatamente dobbiamo considerare il tipo di argomenti per i quali sono di solito intraprese delle analisi teleologiche, e per
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i quali le spiegazioni teleologiche non vengono ostensibilmente respinte per questioni di principio. a) L'atteggiamento dei fisici verso le formulazioni teleologiche nelle loro discipline è senza dubbio quello emerso nell'obiezione testé riferita. Nondimeno questo fatto non è completamente decisivo per il punto in questione. Sono da farsi in proposito due rilievi tendenti a indebolirne l'efficacia critica. In primo luogo, non è interamente esatto sostenere che le scienze fisiche non si servono mai di formulazioni che hanno almeno l'apparenza di enunciati teleologici. Come è ben noto, alcune leggi e teorie fisiche sono spesso espresse nella cosiddetta forma "isoperimetrica" o "variazionale" invece che nella forma piu consueta delle equazioni numeriche o differenziali. Quando sono espresse in questo modo le leggi e le teorie assomigliano fortemente a formulazioni teleologiche e sono state di fatto assunte frequentemente per esprimere un ordinamento teleologico di eventi e di processi. Per esempio, una legge elementare di ottica afferma che l'angolo di incidenza di un raggio di luce riflesso da una superficie è uguale all'angolo di riflessione. Questa legge, però, può anche venire espressa affermando che un raggio di luce procede in modo tale che la lunghezza del suo effettivo percorso (dalla sorgente alla superficie riflettente fino al punto terminale) risulti il minimo di tutti i percorsi possibili. Piu in generale una parte considerevole della teoria fisica - sia classica che contemporanea - può essere enunciata nella forma di principi "estremali". Questi principi asseriscono che l'effettivo sviluppo di un sistema procede in modo tale da minimizzare e massimizzare una certa grandezza che rappresenta le configurazioni possibili del sistema.' La scoperta che i principi della meccanica possono subire tali formulazioni estremali era un tempo considerata come una prova dell'operare di un piano divino nella natura. Questa concezione assunse rilievo con Maupertuis, un pensatore del XVIII secolo che fu forse il primo a formulare la meccanica in forma variazionale; tale concezione fu largamente accettata nei secoli XVIII e XIX. Siffatte interpretazioni teleologiche dei principi estremali sono ora ritenute quasi universalmente del tutto gratuite; e i fisici odierni - salvo rare eccezioni - non accettano la vecchia tesi secondo cui i principi estremali implicano l'assunzione di un piano e di un fine che anima i processi fisici. 1 Cfr. A. D'ABRo, The Decline o/ Mechanism in Modern Physics, New York, 1939, c. 18; ADoLF KNESER, Das Prinzip der kleinsten Wirkung, Leipzig, 1928; WaLFGANG YOURGRAU e STANLEY MANDELSTAM, Variational Principles in Dynamics and Quantum Theory, London, 1955. Si può di fatto mostrare che quando siano soddisfatte certe condizioni molto generali - per tutte le leggi quantitative può essere data una formulazione "estremale".
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L'uso di tali principi nella fisica mostra nondimeno che la struttura dinamica dei sistemi fisici può venir formulata in modo da dare un rilievo centrale all'effetto degli elementi costituenti e dei processi sussidiari su certe proprietà globali del sistema preso come un tutto. Se i fisici respingono il linguaggio teleologico nelle loro discipline ciò non avviene perché essi considerino le nozioni teleologiche, intese in questo senso, come estranee al loro compito. La loro avversione scaturisce in qualche misura dal timore che, salvo quando un tale linguaggio teleologico viene reso rigorosamente preciso attraverso l'uso di formulazioni quantitative, esso si presti a venire malinteso come se denotasse l'operare di fini. In secondo luogo, le scienze fisiche, diversamente dalla biologia in generale non concernono una classe relativamente speciale di corpi organizzati, e non investigano le condizioni che tendono a far persistere un qualche sistema fisico selezionato invece di altri. Quando un biologo assegna ad un rene una funzione, egli tacitamente assume che ciò che viene messo in discussione è il contributo del rene alla conservazione dell'animale vivente; e ignora, ritenendolo irrilevante per il suo interesse primario, il contributo del rene alla conservazione di qualsiasi altro sistema di cui esso possa anche essere un costituente. Un fisico invece tende generalmente a discutere gli effetti della radiazione solare sopra una larga varietà di enti ed è restio ad assegnare una "funzione" alla radiazione del Sole perché nessun sistema fisico di cui il Sole sia parte ha per lui un interesse maggiore di un qualsiasi altro sistema. E analogamente per la legge che mette in relazione la pressione e il volume di un gas: se un fisico considera con sospetto la formulazione di questa legge in linguaggio funzionale e teleologico, ciò accade perché (in aggiunta alle ragioni che sono state o che saranno discusse) egli non considera affar suo assegnare una speciale importanza - sia pure attraverso un vago suggerimento - ad una conseguenza, piuttosto che ad un altra, del variare della pressione in un gas. h) La discussione però a questo punto può venir accusata, non senza giustificazione, di ingenuità se non di futilità, in base al fatto che si è ignorato completamente il punto fondamentale cioè il carattere "diretto ad uno scopo" dei sistemi organici. È in quanto gli esseri viventi presentano in gradi diversi strutture e attività adattative e regolative, mentre non le presentano i sistemi studiati nelle scienze fisiche - cosi frequentemente si sostiene che le spiegazioni teleologiche sono peculiarmente pertinenti ai sistemi biologici ma non a quelli fisici. Cosi, dal momento che il sistema solare, o qualsiasi altro sistema di cui il Sole fa parte, non tende a persistere in un qualche schema integrato di attività di fronte ai mutamenti ambientali, e dal momento che i costituenti del sistema non subiscono assestamenti reciproci tali da conservare questo schema in una relativa indi-
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pendenza dell'ambiente è assurdo ascrivere una qualche funzione al Sole e alle radiazioni solari. Né il fatto che la fisica possa enunciare alcune sue teorie nella forma di principi estremali - cosi prosegue l'obiezione - minimizza le differenze fra sistemi biologici e sistemi puramente fisici. È vero che un sistema fisico si sviluppa in modo tale da minimizzare o massimizzare una certa grandezza che rappresenta una proprietà del sistema inteso come un tutto; i sistemi fisici però sono organizzati per conservare, di fronte a considerevoli alterazioni nel loro ambiente, certi particolari valori estremali di tali grandezze, o per evolvere sotto condizioni largamente variabili verso la realizzazione di certi particolari valori di tali grandezze. I sistemi biologici, invece, possiedono effettivamente un' organizzazione siffatta; un solo esempio (che potrebbe essere seguito da un numero indefinito di altri) può chiaramente mostrarlo. Il corpo umano conserva molte delle sue caratteristiche in uno stato relativamente stabile (o omeostasi) per mezzo di complessi ma coordinati processi fisiologici. Cosi la temperatura interna del corpo deve mantenersi abbastanza costante altrimenti esso verrebbe irrimediabilmente danneggiato. Di fatto la temperatura dell'essere umano normale varia durante una giornata soltanto da circa 36,3 ·c a 37,3 ·c, e non può scendere molto al di sotto di 24 oc o salire molto al di sopra di 43,4 oc, senza danno permanente per il corpo. Però, la temperatura dell'ambiente esterno può variare molto piu ampiamente di questa; e risulta chiaro in base a elementari considerazioni fisiche che le attività caratteristiche del corpo sarebbero profondamente pregiudicate o ridotte se esso non fosse in grado di compensare tali mutamenti ambientali. Il corpo tuttavia è capace di fare questo; e per conseguenza le sue attività normali possono continuare, in relativa indipendenza dalla temperatura dell'ambiente - purché, naturalmente, la temperatura ambientale non cada al di fuori di un certo intervallo di grandezze. Il corpo raggiunge questa omeostasi per mezzo di alcuni meccanismi, che funzionano come una serie di difese contro le oscillazioni della temperatura interna. Cosi, la ghiandola tiroide è una fra le diverse che controllano l'indice del metabolismo basale del corpo (che è la misura del calore prodotto dalla combustione in varie cellule e in vari organi); il calore irradiato o trasmesso per conduzione attraverso la pelle dipende dalla quantità di sangue che scorre nei vasi periferici - quantità che è regolata dalla dilatazione o contrazione di quei vasi; l'intensità della respirazione e della traspirazione determinano la quantità di umidità che evapora e influenzano cosi la temperatura interna; anche l'adrenalina nel sangue stimola la combustione interna e la sua secrezione è influenzata da mutamenti della temperatura esterna; e le contrazioni muscolari automatiche che il brivido comporta sono una fonte supplementare di calore interno. Esistono cosi meccanismi fisiologici nel corpo che preservano automaticamente la
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sua temperatura interna, malgrado le condizioni di disturbo presenti nell'ambiente interno ed esterno al corpo. 2 Tre problemi distinti, frequentemente confusi, vengono sollevati da tali fatti della organizzazione biologica: l) è possibile formulare la struttura distintiva dei sistemi "diretti a uno scopo", in termini generali ma abbastanza precisi in modo tale però che l'analisi risulti neutra rispetto all'esistenza di fìni o all'operare dinamico degli scopi come strumenti della propria realizzazione. 2) il fatto, se si tratta di un fatto, che le spiegazioni teleologiche vengono abitualmente usate solo in connessione con sistemi "diretti a uno scopo" costituisce una prova adeguata per decidere il problema se una spiegazione teleologica sia equivalente a una non teleologica? 3) è possibile spiegare in termini puramente fìsico chimici - cioè esclusivamente nei termini delle leggi e delle teorie della fìsica e chimica moderne - le attività dei sistemi biologici? Questa terza domanda non ci riguarderà per il momento, dovremo però tornarvi sopra in seguito; le altre due invece esigono immediata attenzione. a) Sin dall'antichità sono stati fatti molti tentativi di costruire macchine e sistemi fìsici che imitano il comportamento degli organismi viventi in un aspetto o in un altro. Nessuno di questi tentativi ha avuto interamente successo, infatti non è stato possibile sinora fab. bricare in laboratorio e per mezzo di materiale inorganico alcun dispositivo che si comporti pienamente come un essere vivente. Nondimeno è stato possibile co.struire sistemi fìsici che risultano autoconservantisi e autoregolantisi in relazione ad alcuni dei loro tratti distintivi e che perciò assomigliano agli organismi viventi almeno per questa importante caratteristica. In un'età in cui i servomeccanismi (regolatori per motori, termostati, piloti automatici di aerei, calcolatori elettronici, dispositivi antiaerei con controllo radar ed altri) non suscitano piu meraviglia e nella quale il linguaggio cibernetico e la "retroazione negativa" sono divenuti di gran moda, I'attribuzione di un comportamento "diretto ad uno scopo" a sistemi puramente fìsici non può certamente essere respinta come un'assurdità. Che degli "scopi" possano altresi essere attribuiti a tali sistemi fìsici, come alcuni interpreti della cibernetica sosten_gono3 può essere dubbio, per quanto la questione sia in larga misura di natura semantica; e in ogni caso quest'ultimo problema non è pertinente al presente contesto 2 Cfr. WALTER B. CANNON, The Wisdom of the Body, New York, 1932, trad. it. a cura di L. Torossi, Milano, 1956, c. 12. 3 Cfr. ARTHUR RosENBLUETH, NORBERT WrENER, ]ULIAN BrNGELOW, Behavior Purpose and Teleology, "Philosophy of Science", vol. 10 (1943); NoRBERT WIENER, Cybernetics, New York, 1948; trad. it. a cura di O. Beghelli, Mibno, 1953; A. M. TURING, Computing Machines and Intel/igence, "Mind", vol. 59 (1950); RrcHARD TAYLOR, Comments on a Mechanistic Conception o! Purposefulness, "Philosophy of Science", vol. 17 (1950) e la risposta di Rosenblueth e Wiener con la replica di Taylor nello stesso volume.
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della discussione. Inoltre, è degno di nota il fatto che la possibilità di costruire sistemi fisici autoregolantisi non costituisce, per se stessa, una prova che le attività degli organismi viventi possano essere spiegate in termini esclusivamente fisico chimici. Nondimeno il fatto che tali sistemi siano stati costruiti suggerisce proprio che non esiste una netta distinzione fra le organizzazioni ·teleologiche spesso considerate come specifiche degli esseri viventi, e le organizzazioni "dirette a una meta" di molti sistemi fisici. Come minimo, tale fatto offre un forte appoggio a chi presuma che le attività teleologicamente organizzate degli organismi viventi e delle loro parti possano venire analizzate senza esigere la postulazione di fini o mete come agenti dinamici. Partendo dall'esempio della omeostasi della temperatura del corpo umano, formuliamo ora in termini generali la struttura formale dei sistemi che possiedono un'organizzazione diretta a una meta.' Il tratto caratteristico di tali sistemi è che essi continuano a manifestare un certo stato o proprietà G (o che essi mostrano una persistenza di sviluppo "nella direzione" che perviene a G) di fronte ad una classe relativamente estesa di cambiamenti nel loro ambiente esterno o in alcune delle loro parti interne - cambiamenti che, se non compensati da una modificazione interna del sistema, porterebbero alla scomparsa di G (o ad una alterazione della direzione di sviluppo dei sistemi). Lo schema astratto di organizzazione di tali sistemi può venir formulato con notevole precisione, anche se nelle pagine seguenti potremo darne soltanto un enunciato sommario. Sia S un certo sistema, E il suo ambiente esterno, e G un certo stato, proprietà o modo di comportamento che S possiede o è in grado di possedere in opportune condizioni. Si assuma per il momento (questa assunzione verrà alla fine abbandonata) che E resti costante in tutti i suoi aspetti importanti, di modo che la sua influenza sul presentarsi di G in S possa venire trascurata. Si supponga pure che S sia analizzabile in una struttura di parti o di processi, tali che le attività di un certo numero di essi (o eventualmente tutti) siano causalmente rilevanti per il presentarsi di G. Per semplicità, si assuma che tali parti siano proprio tre, ciascuna suscettibile di porsi in diverse condizioni o stati distinti. Lo stato di ciascuna parte in un qualsiasi momento dato sarà rappresentato dai predicati 'Ax', 'By' e 'Cz' rispettivamente, con valori numerici degli indici per indicare i differenti stati particolari delle parti corrispondenti. Per conseguenza, 'Ax' 'By' 'Cz' sono variabili di stato, sebbene non necessariamente variabili numeriche, giacché possono non essere disponibili delle misure numeriche per rappresentare gli 4 La seguente discussione si avvale di G. SoMMERHOFF, Analytical Biology, London, 1950; v. anche ]. LoTKA, Elements o/ Physical Biology, New York, 1926, c. 25; W. Ross ASHBY, Design /or a Brain, London, 1953, e An Introduction to Cybemetics, London, 1956; e R. B. BRAI1'HWAITE, Scientific Explanation, Cambridge, Engl., 1954; trad. it. a cura di G. Jesurum, Milano, 1966.
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stati delle parti; e Io stato di S che è causalmente rilevante per G in ogni dato istante verrà cosi espresso da una particolarizzazione della matrice '(AxByCz)'. Le variabili di stato possono, però, essere molto complesse nella forma - per esempio 'Ax' può rappresentare lo stato dei vasi sanguigni periferici nel corpo umano in un dato istante - e può trattarsi tanto di coordinate individuali quanto di coordinate statistiche. Allo scopo però di evitare complicazioni inutili, supporremo che, qualunque sia la natura delle variabili di stato relativamente agli stati che esse rappresentano, S risulta un sistema deterministico: gli stati di S variano in modo tale che, se S è nello stesso stato in due momenti distinti qualunque, anche gli stati corrispondenti di S dopo intervalli di tempo eguali a partire da quei momenti, saranno gli stessi. Dovrà pure essere resa esplicita un'ulteriore importante assunzione generale. A ciascuna variabile di stato può essere assegnato un "valore" particolare qualunque, per caratterizzare uno stato, purché tale valore sia compatibile con il carattere noto della parte di S il cui stato è rappresentato dalla variabile. In effetti, perciò, i valori di 'A...:' devono cadere entro una certa classe ristretta KA; ed esistono classi analoghe KB e Kc per tutti i valori ammissibili delle altre due variabili di stato. La ragione di queste restrizioni risulterà chiara da un esempio. Se S è il corpo umano, e 'Ax' indica il grado di dilatazione dei vasi sanguigni periferici, è ovvio che questo grado non può superare un certo valore massimo; infatti sarebbe assurdo supporre che i vasi sanguigni possano avere un diametro medio, di 150 cm, per esempio. I possibili valori di una variabile di stato in un dato istante saranno invece assunti come indipendenti dai possibili valori delle altre variabili di stato in quell'istante. Questa assunzione non deve essere malintesa. Essa non asserisce che il valore di una variabile in un certo istante è indipendente dai valori delle altre variabili in qualche altro istante; stipula semplicemente che il valore di una variabile in un certo istante specifico non è funzione dei valori delle altre variabili in quello stesso istante. L'assunzione è quella normalmente fatta per le variabili di stato, e una delle ragioni per cui viene introdotta è di evitare coordinate di stato ridondanti. Per esempio, nella meccanica classica le variabili di stato sono le coordinate della posizione e del momento di una particella in un istante. Per quanto in generale la posizione di una particella in un istante dipenda dal suo momento (e posizione) in un certo istante precedente, la posizione in un dato istante non è funzione del momento in quel dato istante. Se la posizione fosse una tale funzione del momento, è chiaro che lo stato di una particella nella meccanica classica potrebbe essere specificato da una sola variabile di stato (il momento), sicché il riferimento alla posizione diverrebbe superfluo. Nella presente discussione, noi assumiamo analogamente che nessuna delle variabili di stato sia eliminabile, per cui qualunque combinazione di valori simultanei delle variabili di stato dà luogo ad una particolariz-
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zazione ammissibile della matrice ' (AxBy(z )'; purché i valori delle variabili appartengano rispettivamente alle classi KA, Kn, e Kc. Questo equivale a dire che, a parte quest'ultima clausola, lo stato di S, che per stipulazione è causalmente rilevante per C, deve venire analizzato in modo che le variabili di stato adoperate per descrivere lo stato in un dato istante risultino reciprocamente indipendenti l'una dall'altra. Si supponga ora che se S è nello stato (AoBoCo) in un certo istante iniziale, allora S possiede la proprietà C, o in S si verificheranno una serie di cambiamenti in conseguenza dei quali S possiederà C in un certo istante successivo. Chiamiamo un tale stato iniziale di S uno "stato causalmente efficace rispetto a C" o per brevità un "C-stato". Non ogni possibile stato di S è necessariamente un C-stato, infatti una delle parti causalmente rilevanti di S può in un dato istante trovarsi in un certo stato tale che nessuna combinazione di possibili stati delle altre parti dia luogo a un C-stato per S. Cosi supponiamo che S sia il corpo umano, C la proprietà di avere una temperatura che sta fra 36,3 e 37,3 °C, A.., sia di nuovo lo stato dei vasi sanguigni periferici, By lo stato della ghiandola tiroide e Cz quello delle ghiandole surrenali. Può accadere che By ass~ma un valore (per es. corrispondente ad una intensa iperattività) tale che C non sarà realizzato per nessun possibile valore di A.., e Cz, rispettivamente_ È naturalmente pensabile che nessun possibile stato di S sia un C-stato, cosicché di fatto C non sia mai realizzato in S. Per esempio, per S è il corpo umano e C la proprietà di avere una temperatura interna che sta fra 65 e 70 oc, allora non esiste alcun C-stato per S. Può invece accadere che piu di uno fra i possibili stati di S risulti un C-stato. Ma se esiste piu di un C-stato possibile allora (dal momento che S è per assunzione un sistema deterministico) quello stato che viene realizzato in un dato istante è univocamente determinato dallo stato effettivo di S in un qualche istante precedente. Il caso in cui esista piu di un possibile C-stato per S è particolarmente importante per la presente discussione, ed ora dovremo considerarlo piu da vicino. Assumiamo ancora una volta che in un certo istante iniziale to il sistema S si trovi nel C-stato (AoBoCo). Supponiamo, però, che in S si verifichi un cambiamento tale da causare come conseguenza una variazione di Ao, con il risultato che in un istante t, susseguente a to la variabile di stato 'Ax' assuma qualche altro valore. Il valore che avrà in !t dipenderà in generale dai particolari mutamenti che hanno avuto luogo in S. Noi assumeremo, però, che S continui ad essere in un C-stato nell'istante t,, purché i valori di 'A..:' in !t siano compresi in una certa classe KA' (sottoclasse di KA) che contiene piu di un elemento, e purché abbiano luogo anche certi ulteriori cambiamenti nelle altre variabili di stato. Per fissare le nostre idee, supponiamo che A, e A2 siano i soli possibili elementi di KA'; e assumiamo inoltre che né (A, Bo
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Co) né (Az Bo Co) siano G-stati. In altre parole, se Ao fosse trasformato in A3 (elemento eli KA ma non di KA'), S non sarebbe piu un G-stato; ma quand'anche il nuovo valore di Ax cadesse entro Ki, se questo fosse il solo cambiamento in S il sistema non sarebbe piu in un G-stato nell'istante t1. Assumiamo però che S sia cosi costituito che se Ae è indotto a variare in modo che il valore di 'A,/ nel tempo t1 cada entro Ki, si verificheranno allora variazioni di compenso nei valori di alcune o di tutte le altre variabili di stato per cui S continui ad essere in un G-stato. Questi ulteriori cambiamenti sono per stipulazione del tipo seguente. Se, in concomitanza con la variazione in Ao i valori eli 'B/ e 'Cz' nell'istante !1 cadono rispettivamente entro certe classi KB' e Kc' (dove naturalmente KB' è una sottoclasse, non necessariamente propria di KB e Kc' una sottoclasse di Kc) allora ad ogni valore di Ki corrisponde un'unica coppia di valori, uno dei cui elementi appartenente a KB' e l'altro a Kc', tali che per quei valori S continua ad essere in uno G-stato nell'istante !1. Queste coppie di valori possono essere considerate elementi di una certa classe KBc. Se invece i mutati valori di 'By' e 'C/ non fossero accompagnati dalle variazioni ind1cate nel valore eli 'Ax', il sistema S non sarebbe piu in un G-stato all'istante t1. Di conseguenza adottando la notazione ora introdotta se nell'istante !1 le variabili di stato eli S hanno valori tali che due di esse sono elementi di una coppia appartenente alla classe KBc1 mentre il valore della terza variabile non è il corrispondente elemento in KA', allora S non è in un G-stato. Per esempio, supponiamo che, quando Ao si trasforma in A1, il G-stato iniziale (AoBoCo) sia trasformato nel G-stato (AIBICJ) ma che (AoB1CI) non sia un G-stato; e supponiamo altres1 che, quando Ao si trasforma in Az, il G-stato iniziale trasformato nel G-stato (AzBICz), mentre (AoBICz) non è un G-stato. In questo esempio Ki è la classe (AI, A2); KB' è la classe (BI); Kc' è la classe (CI, C2); e KBc1 è la classe delle coppie [(BI, C), (BI, C2)] dove A1 corrisponde alla coppia (BI, CI) e Az alla coppia (BI, C2). Consideriamo ora insieme questi diversi punti e introduciamo alcune definizioni. Assumiamo S come un sistema che soddisfa alle seguenti condizioni: l) S può essere analizzato in un insieme di parti correlate o eli processi, un certo numero dei quali (per es. tre, cioè A, B e C) sono causalmente rilevanti per il presentarsi in S di qualche proprietà o modo di comportamento G. Lo stato di S che è causalmente rilevante per G può venire specificato in qualunque istante assegnando valori ad un insieme di var!abili di stato 'Ax', 'By', 'C/. I valori delle variabili di stato per qualunque dato istante possono venire assegnati indipendentemente uno dall'altro; ma i possibili valori di ciascuna variabile sono ristretti, in virtu della natura di S, a certe classi di valori rispettivamente KA, KB e Kc. 2) Se S è in un G-stato all'istante iniziale dato t 0, compreso entro un certo 424
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intervallo di tempo T, una variazione in una qualunque delle variabili di stato farà in generale uscire S dal C-stato. Assumiamo che abbia inizio una variazione in una delle variabili di stato (per es. il parametro 'A') e supponiamo che di fatto i possibili valori del parametro all'istante !t compreso nell'intervallo T ma posteriore a !o cadano in una certa classe KA', con la clausola che se questo fosse il solo cambiamento nello stato di S il sistema uscirebbe dal suo C-stato. Chiamiamo questo cambiamento iniziale una 'variazione primaria' in S. 3) Però, le parti A, B, e C di S sono cosi connesse che, quando si verifica la variazione primaria in S, pure i restanti parametri variano e di fatto i loro valori nell'istante !t cadono rispettivamente in certe classi KB' e Kc'. Questi cambiamenti indotti in B e C danno cosi luogo ad uniche coppie di valori per i loro parametri in un istante !t - le quali coppie sono elementi di una classe KBc'. Se questi ultimi cambiamenti fossero i soli nel C-stato iniziale di S, e non fossero accompagnati dalla variazione primaria indicata in S, il sistema non sarebbe in un C-stato all'istante !t. 4) Di fatto, però, gli elementi di KA' e di KBc' si corrispondono biunivocamente, in modo che quando S è in uno stato specificato da questi valori, corrispondenti delle variabili di stato, il sistema è in un C-stato all'istante !t. Chiamiamo i cambiamenti nello stato di S indotti dalla variazione primaria e rappresentati dalle coppie di valori in KBc' le "variazioni adattative" di S rispetto alla variazione primaria di S (vale a dire rispetto ai possibili valori del parametro 'A' in KA'· Infine, quando un sistema S soddisfa tutte queste assunzioni per ogni coppia di istanti rispettivamente iniziale e susseguente nell'intervallo T, le parti di" S causalmente rilevanti per C saranno dette "direttivamente organizzate nell'intervallo di tempo T in rapporto a C" - o piu in breve "direttivamente organizzate" se il riferimento a C e T può essere dato per scontato. Questa discussione dei sistemi direttivamente organizzati è stata basata su parecchie assunzioni semplificatrici. L'analisi, però, può essere prontamente generalizzata per un sistema che richieda l'uso di un numero qualunque di variabili di stato (incluse quelle numeriche), per cambiamenti nello stato di un sistema che abbiano avuto inizio in piu di una delle parti causalmente rilevanti per esso e per serie sia continue che discrete di transizioni da un C-stato di un sistema ad un altro.' In effetti, non è difficile sviluppare entro questo contesto di analisi la nozione di sistema che presenta comportamenti autoregolativi rispetto a parecchi C nello stesso istante, oppure rispetto a C ' Quando si as5umono coordinate di stato numeriche è possibile formulare le condizioni per un sistema direttivamemc organizzato nel modo seguente: Sia 5 un sistema, G un tratto caratteristico di 5 e x t', x,', . . . , x.' le variabili di stato per G. Si stipula che tali variabili siano funzioni indipendenti e continue del tempo; e gli indici in alto indicheranno il loro valore in un qualunque istante dato t. a) Se 5 è un sistema deterministico rispetto a G, Io stato di 5 all'istante t è uni·
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differenti (e persino incompatibili) in istanti diversi, rispetto a un insieme di G che costituisce una gerarchia sulla base della postulnzione di una qualche scala di "importanza relativan, o piu in generale, un insieme di G i cui elementi cambiano in relazione al tempo e alle circostanze. A parte però la complessità, da tali estensioni dell'analisi non si otterrebbe nulla che abbia un interesse immediato; e le defivocamente determinato dallo stato di S in un qualche istante precedente te. Quindi ,
t - t0 )
X,. 10,
, x.'", t-10 )
,' x)•,
i_: t
0)
dove gli f sono funzioni ad un valore dei loro argomenti. Le loro derivate prime rispetto al tempo sono anche esse funzioni ad un valore dei loro argomenti e di nessun'altra fun. zione del tempo. b) Dal momento che lo speciale carattere di S impone restrizioni al valore della variabile di stato, i valori di ciascuna variabile 'x/ cadranno entro un intervallo det.:rminato da una coppia di numeri a, e b,, vale a dire:
a, dove i
~
~
x,
~
b,
, n, o alternativamente x,eAx,
l, 2,
dove Ax, è un certo intervallo definito e 't' è l'usuale simbolo di appart nenza per le classi. c) Se S è in un G-stato in un dato istante t compreso entro un dato periodo di tempo T, la variabile di stato dovrà soddisfare un insieme di condizioni o equazioni. '.~he S sia in un G-stato all'istmte t può v~nir espressQ imponendo che: , x.')= O , x.')= O
=
dove ogni g 1 (i l, 2, . . . , r) è una funzione differenziabile rispetto ad ognuna delle variabili di stato e r < n. d) I valori di ciascuna variabile di stato 'x,'' che soddisfa queste equazioni d·,finienti un G-stato di S cadono entro certi intervalli ristretti: ~
a,
a,G
~
x,'
~
b,G
~
b,
o alternativamente: dove Ax,G cade nell'intervallo Ax 1• e) Si assume che S sia in un G-stato nell'istante iniziale 10 , durante il periodo T e che abbia luogo una variazione del valore di una certa variabilità di stato 'x/, tale che nell'istante t posteriore a t 0 in T, il suo valore sia x•'· La condizione in base alla quale questa variazione conserva G è che per ogni funzione g;:
ag, - ~ ax,' + _1!< ax,r + + ag, ax; - o ax.'" - ax,' ax/ ax,r ax.' . . . ax; ax/ 0
0
-
•
f) Il sistema S è direttamente organizzato rispetto a G durante T se, quando hanno luogo tali variazioni che conservano G in una qualunque variabile di stato 'x,' ci sono variazioni di compenso in una o in piu delle altre variabili di stato. Per conseguenza deve esistere almeno una funzione g tale che nell ~ equazioni a derivata parziale sopra menzionata almeno due degli addendi non siano nulli, il che equivale a dire che esistono almeno due addendi in una o piu di queste equazioni tali che
ag, ax;' ax,' ax/
0
;o!'
o.
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mztoni schematiche e non completamente generali che sono state presentate saranno comunque sufficienti ai nostri scopi. Risulterà in ogni caso chiaro dalla precedente discussione che se S è direttivamente organizzato, la persistenza di G è indipendente in un senso importante dalle variazioni in qualunque delle parti di S causalmente rilevanti, purché queste variazioni non superino certi limiti. Infatti sebbene il verificarsi di G in S dipenda per ipotesi dal fatto che S si trovi in un C-stato, e perciò dallo stato delle parti causalmente rilevanti di S, un'alterazione nello stato di una di queste parti può essere compensata da cambiamenti indotti in una o piu delle altre parti causalmente rilevanti, in modo da mantenere S nel C-stato assunto. Il carattere prima facie distintivo dei cosiddetti sistemi "diretti ad uno scopo" o teleologici viene cosi formulato per mezzo delle condizioni enunciate per un sistema direttivamente organizzato. La precedente analisi ha perciò mostrato che la nozione di sistema teleologico può venir esplicata in una maniera che non richiede l'adozione della teleologia come una categoria fondamentale e inanalizzabile. Quello che può essere chiamato il "grado di organizzazione direttiva" di un sistema, o eventualmente il "grado di persistenza" di qualche tratto caratteristico del sistema, può venire reso esplicito anche nei termini dell'analisi precedente. Infatti la proprietà G è conservata in S (ovvero S persiste in quel suo sviluppo che conduce a G) nella misura in cui il dominio KA' delle possibili variazioni primarie è associato con quello delle variazioni di compenso indotte KBc' (vale a dire le variazioni adattative) tali che S viene mantenuto nel suo C-stato. Quanto piu esteso è il dominio KA' associato con tali variazioni di compenso tanto maggiore è la persistenza di G indipendentemente dalle variazioni nello stato di S. Di conseguenza sulla base dell'assunzione secondo cui è possibile specificare una misura per il dominio KBc', il "grado dell'organizzazione direttiva" di S rispetto alle variazioni del parametro di stato 'A' potrebbe essere definito come la misura di questo dominio. Possiamo ora abbandonare l'ipotesi che l'ambiente esterno E non abbia influenza su S. Lasciando cadere questa assunzione, però noi semplicemente complichiamo l'analisi, senza introdurre niente di nuovo in essa. Supponiamo infatti che ci sia in E qualche fattore che è causalmente rilevante per il verificarsi di G in S, e che il suo stato in un istante qualunque possa essere fissato per mezzo di qualche forma determinata della variabile di stato 'Fw'· Allora lo stato del sistema ampliato S (comprendente tanto S quanto E) che è causalmente rilevante per il verificarsi di G in S è specificato da una qualche forma determinata della matrice '(AxByCFw)', e la discussione procede come prima. Il caso in cui una variazione entro una qualunque delle parti interne di S produca una qualsiasi variazione significativa nei fattori ambientali, non è però quello generale. Quanto avviene solitamente è
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che i fattori ambientali variano in maniera del tutto indipendente dalle parti interne; tali fattori non subiscono variazioni che compensino i cambiamenti nello stato di 5; e mentre un gruppo limitato di cambiamenti in essi può venir compensato da cambiamenti in S in modo da conservare S in un qualche G-stato, la maggior parte degli stati che i fattori ambientali sono in grado di assumere non possono essere compensati da cambiamenti in S. Si è soliti, perciò, parlare del "grado di plasticità" o del "grado di adattabilità" dei sistemi organici in relazione al loro ambiente, e non viceversa. È possibile, però, definire queste nozioni senza speciale riferimento ai sistemi organici, in maniera analoga alla già proposta definizione del "grado di organizzazione direttiva" di un sistema. Cosf, supponiamo che le variazioni nella variabile di stato ambientale 'F', che per assunzione sono compensate da ulteriori cambiamenti in S in modo da mantenere S in qualche G-stato, cadano tutte entro la classe Kl. Se potesse venire ideata una misura adeguata per la grandezza di questa classe, il "grado di plasticità" di S rispetto alla conservazione di qualche G in relazione ad F potrebbe allora venire definito come eguale alla misura di Kl. Questo deve bastare come descrizione della struttura astratta dei sistemi teleologici o diretti ad uno scopo. L'esposizione fatta lascia deliberatamente fuori dalla discussione i meccanismi dettagliati implicati nell'attività di particolari sistemi teleologici; e assume semplicemente che tutti questi sistemi possano di principio essere analizzati in parti che sono causalmente rilevanti per la conservazione di alcuni tratti caratteristici in quei sistemi, e che stiano gli uni con gli altri e con i fattori ambientali in determinate relazioni suscettibili di essere formulate come leggi generali. La scoperta e l'analisi di tali meccanismi dettagliati è compito dell'indagine scientifica specializzata. Per conseguenza, dal momento che la spiegazione precedente tratta solo di ciò che viene assunto come struttura distintiva comune dei sistemi teleologici, essa non si pronuncia assolutamente su problemi essenziali come quello se le attività di tutti i sistemi teleologici possano venire spiegate in termini esclusivamente fisico chimici. Essa esige invece, se la spiegazione è almeno approssimativamente adeguata, una risposta positiva alla domanda se i tratti distintivi dei sistemi diretti ad uno scopo possano venir formulati senza invocare scopi e mete come agenti dinamici. Vi è però un'ulteriore questione che deve venire brevemente discussa. La definizione di sistemi direttivamente organizzati è stata enunciata in modo tale da poter essere adoperata per caratterizzare sistemi tanto biologici quanto abiologici. È facile infatti trovare illustrazioni della definizione in entrambi i campi. Il corpo umano in relazione alla omeostasi della sua temperatura interna è un esempio preso dalla biologia; un edificio provvisto di caldaia e di termostato è un esempio
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preso dalla fisico chimica. Nondimeno, per quanto la definizione non sia intesa a distinguere fra sistemi teleologici viventi e non viventi - infatti le differenze fra tali sistemi devono venire espresse in termini della loro specifica composizione materiale, delle loro caratteristiche e d{'lle attività manifestate - essa è però intesa a dar risalto ai sistemi che hanno un carattere prima facie "diretto ad uno scopo" rispetto a quelli che di solito non vengono cosi caratterizzati. La questione perciò è in conclusione questa: se la definizione raggiunga tale obiettivo o se al contrario risulti cosi generale da essere soddisfatta di quasi tutti i sistemi (siano essi ordinariamente considerati o non considerati come diretti ad uno scopo). Orbene, esistono certamente molti sistemi fisico chimici che non sono ordinariamente considerati come "diretti ad uno scopo" ma che nondimeno sembrano conformarsi alla definizione di sistemi direttivamente organizzati proposta poco sopra. Cosi un pendolo in quiete, un solido elastico, una corrente elettrica costante che passa attraverso un conduttore, un sistema chimico in equilibrio termodinamico, sono esempi ovvii di tali sistemi. Sembra perciò che la definizione di organizzazione direttiva - e per conseguenza la proposta analisi dei sistemi "diretti ad uno scopo" o "teleologici" - non riesca a raggiungere l'obiettivo prefissato. Due commenti, però, si rendono necessari sul punto in questione. In primo luogo, per quanto si ammetta la distinzione fra sistemi che sono diretti ad uno scopo e sistemi che non lo sono, tale distinzione è estremamente vaga, e esistono molti sistemi che non possono essere classificati in maniera definitiva come appartenenti all'un tipo o all'altro. Cosi, quel giocattolo meccanico da bambini che si volta indietro quando giunge all'orlo del tavolo e non cade giu perché interviene attraverso l'azione di una "antenna" una rotella prima non operante- può o non può venir considerato un sistema diretto a uno scopo? E un virus è un sistema di questo genere? E il sistema composto da individui di qualche specie biologica che hanno subito uno sviluppo evolutivo in una direzione costante (per es. lo sviluppo di corna gigantesche nell'alce maschio irlandese) si può considerare diretto ad uno scopo? Inoltre alcuni sistemi sono stati classificati come "teleologici" in un certo momento e in relazione ad un certo corpo di conoscenze, solo per essere piu tardi riclassificati come "non teleologici", a causa dell'allargarsi della conoscenza della fisica dei meccanismi. "La natura non fa nulla invano" era una massima comunemente accettata nella fisica prenewtoniana e sulla base della dottrina dei "luoghi naturali" anche il cadere dei gravi e il salire del fumo erano considerati diretti ad uno scopo. Di conseguenza, è per lo meno una questione aperta se la distinzione corrente fra sistemi che sono diretti ad uno scopo e sistemi che non lo sono abbia invariabilmente una base oggettiva identificabile (per es. in termini di differenze fra le organizzazioni effettive di tali sistemi) e se lo stesso sistema non possa venire classificato spesso in maniere dif-
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ferenti che dipendono dalla prospettiva entro la quale viene considerato o dalle assunzioni antecedenti adoperate per analizzarne la struttura. In secondo luogo, non è affatto certo che i sistemi fisici come il pendolo in quiete che solitamente non viene considerato come diretto ad uno scopo si conformino realmente alla definizione di sistemi "direttivamente organizzati" sopra proposta. Consideriamo un pendolo semplice che inizialmente sia in quiete e che riceva in seguito un piccolo impulso (per es. da un'improvvisa folata di vento); e assumiamo che, oltre ai vincoli del sistema e alla forza di gravità, la sola forza che agisce sul pendaglio sia l'attrito dell'aria. In base alle consuete assunzioni fisiche il pendolo compirà allora delle oscillazioni armoniche con ampiezza decrescente e assumerà infine la sua posizione iniziale di equilibro. Il sistema in questo caso è costituito dal pendolo e dalle varie forze che agiscono su di esso, mentre la proprietà G è lo stato del pendolo quando è in quiete nel punto piu basso del suo arco di oscillazione. Per ipotesi, la · sua lunghezza e la massa del pendaglio, la forza di gravitazione che agisce su di esso, e il coefficiente di smorzamento sono fissi, le variabili sono la forza della folata di vento che imprime il moto al pendolo, la forza che a questa si oppone e la forza che opera sul pendaglio come conseguenza dei vincoli del sistema e della presenza del campo gravitazionale. Però - e questo è il punto cruciale - queste due forze non sono indipendenti l'una dall'altra. Cosi, se la componente effettiva della prima ha una certa grandezza, la forza che ad essa si oppone avrà una grandezza eguale con direzione opposta. Per conseguenza, se lo stato del sistema in un dato istante fosse specificato in termini di variabili di stato che prendono come valori queste forze, tali variabili di stato non soddisferebbero una delle condizioni stipulate per le variabili dei sistemi direttivamente organizzati; infatti il valore di una di esse in un dato istante è determinato univocamente dal valore dell'altra nello stesso istante. In breve, i valori delle variabili di stato qui proposte non sono indipendenti in un qualunque istante dato.' Ne consegue perciò che il pendolo semplice non è un sistema direttivamente organizzato nel senso della definizione introdotta. Inoltre, è anche possibile in una maniera analoga mostrare che numerosi altri sistemi, generalmente considerati come non teleologici non soddisfano quella definizione. Se si possa dimostrare questo per tutti i sistemi abitualmente cosi considerati è per generale ammissione una questione aperta. Però, dal momento che esistono almeno alcuni sistemi che non sono abitualmente caratterizzati come teleologici e che tuttavia possono venire cosi caratterizzati sulla 6 Tutto ciò può essere mostrato in maniera piu analitica considerando la usuale discussione matematica del pendolo ~emplice. Se l è la lunghezza del pendolo semplice, m la massa del suo pendaglio, g la costante della forza ~ravitazionale, k il coefficiente di smorzamento dovuto alla resistenza dell'aria, t il tempo misurato a partire da un certo istante prefissato, s la distanza del pendaglio lunp la sua traiettoria dal suo punto
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base di quella definizione, l'etichetta di "sistema direttivamente organizzato" il cui significato viene esplicitato da tale definizione, non si applica a qualsivoglia oggetto, e non si limita a consacrare una distinzione senza apportarvi nulla di nuovo. Esistono perciò alcuni fondamenti per sostenere che la definizione raggiunge ciò che era designata a raggiungere, e che formula la struttura astratta comunemente ritenuta distintiva dei sistemi "diretti ad uno scopo". b) Possiamo ora sistemare molto brevemente la seconda questione; che ci accingemmo ad esaminare a pagina 420 e precisamente: se il fatto che le spiegazioni teleologiche sono solitamente proposte solo in connessione con sistemi "diretti ad uno sc.gpo" nuoccia alla tesi secondo cui, in relazione al proprio contenuto asserito, ogni spiegazione teleologica sarebbe traducibile in una spiegazione non teleologica equivalente. La risposta è chiaramente negativa, se tali sistemi sono analizzabili come direttivamente organizzati nel senso della precedente definizione. Infatti se supponiamo che la nozione di sistema diretto ad uno scopo possa venir esplicata nella maniera proposta, le caratteristiche the manifestamente distinguono tali sistemi da quelli non diretti ad uno scopo possono venir formulate interamente in un linguaggio non teleologico. Di conseguenza ogni enunciato sull'argomento di una spiegazione teleologica può di principio venir espresso in un linguaggio non teleologico, sicché tali spiegazioni insieme a tutte le asserzioni relative ai contesti del loro uso risultano traducibili in formulazioni non teleologiche logicamente equivalenti. Perché allora sembra strano tradurre degli enunciati fisici come la legge· di Boyle in forma teleologica? La risposta è semplice, se effettivamente gli enunciati teleologici (e in particolare, le spiegazioni teleologiche) sono di norma introdotte solo iniziale di equilibrio, l'equazione differenziale del movi!IIento pendolare (sulla base dell'assunzione che l'ampiezza della vibrazione sia piccola) sarà
m..!!.!_+ k ~ 2 dt
dt
+...!!'!!_
l
s =O.
Se all'istante t0 il pendolo è in quiete, tanto s0 quanto v0
[
= ( ;: )
0
]
saran-
no eguali a zero, in modo che
(m :e: )•
=O
vale a dire non vi sono forze non comriensate che agiscono sul pendaglio. Supponiamo ora che all'istante t 1 il pendaglio sia alla distanza s1 con una velocità v1; la forza di richiamo sarà allora:
( m
:;
L= -
kv1
-
~g
r1
Ma una forza impulsiva F1 comunicata al pendagHo ~n'istante t 1 determina univocamente la velocità v1 e la posizione s1 del pendaglio in quell'istante. Quindi la forza di richiamo potrà venir calcolata in quanto è determinata univocamente dalla fqp;a im• pulsiva.
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in connessione con ogg~tti che si assumono come direttivamente organizzate. La stranezza non scaturisce da alcuna differenza fra il contenuto esplicitamente asserito di una legge fisica ed il suo preteso equivalente in linguaggio teleologico. Una versione teleologica della legge di Boyle sembra strana ed inaccettabile in quanto una tale formulazione sarebbe solitamente interpretata come poggiante sull'assunzione che un gas racchiuso in un certo volume sia un sistema direttivamente organizzato, in contraddizione con l'assunzione normalmente accettata che un volume di gas non è un sistema siffatto. In un certo senso, perciò, una spiegazione teleologica implica qualche cosa di piu della sua traduzione non teleologica che appare prima facie equivalente. Infatti la prima presuppone, mentre la seconda di norma non lo fa, che il sistema considerato nella spiegazione sia direttivamente organizzato. Nondimeno se la precedente analisi è in generale valida questa "eccedenza di significato" degli enunciati teleologici può sempre venire espressa in linguaggio non teleologico. 3. Quanto all'ipotesi che una spiegazione teleologica possa sempre essere tradotta, riguardo a ciò che esplicitamente asserisce, in una equivalente non teleologica, chiariamo ora maggiormente in qual modo due spiegazioni siffatte differiscono tuttavia effettivamente. La differenza sembra essere la seguente: le spiegazioni teleologiche accentrano l'attenzione sui risultati e sui prodotti dei processi specifici, e in particolare sui contributi delle varie parti di un sistema alla conservazione delle proprietà o modi di comportamento globali. Esse considerano l'operare delle cose dal ·punto di vista di certe "totalità" scelte o di certi sistemi integrati ai quali tali cose appartengono; si interessano perciò delle caratteristiche delle parti di tali totalità, soltanto nella misura in cui i tratti distintivi delle parti sono rilevanti per i varii e complessi aspetti o attività che si considerano distintivi di quelle totalità. Le spiegazioni non teleologiche invece dirigono l'attenzione in primo luogo verso le condizioni sotto le quali sono iniziati o persistono processi specifici, e verso i fattori da cui dipendono le manifestazioni continue di certi caratteri generali di un sistema. Esse cercano di mostrare che i comportamenti integrati di sistemi complessi sono i risultati dell'azione di fattori piu elementari, frequentemente identificati come parti costitutive di quei sistemi; e considerano perciò i tratti dis.tintivi di totalità complesse quasi esclusivamente nella misura in cui questi tratti dipendono da quelle che vengono assunte come caratteristiche dei fattori elementari. In breve la differenza fra spiegazioni teleologiche e spiegazioni non teleologiche, come si è già accennato, è una questione di accentuazione e di prospettiva nella formulazione. Se questa descrizione è valida, l'uso di spiegazioni teleologiche nello studio di sistemi direttivamente organizzati è tanto in armonia con lo spirito della scienza moderna quanto lo è l'uso di quelle non teleologiche.
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Questa conclusione è confermata dall'esame di due valutazioni correntemente sostenute delle spiegazioni teleologiche, una che propone un limite al valore di tali spiegazioni, l'altra che solleva un'obiezione di principio al loro uso. a) È stata avanzata la tesi secondo cui, per quanto le spiegazioni teleologiche siano in generale legittime, esse sono utili soltanto quando la conoscenza che ci troviamo ad avere dei sistemi direttivamente organizzati è di un certo genere. 7 L'informazione di cui disponiamo circa il complesso di cambiamenti ambientali ai quali un tale sistema può fornire risposte adattative (cioè circa quella che noi abbiamo chiamato la "plasticità" dei sistemi "diretti ad uno scopo") può avere due fonti. Essa può avere semplicemente lo status di un'estrapolazione volta verso un dato sistema di generalizzazioni induttive ottenute a partire da uno studio sperimentale diretto di sistemi del tutto simili. Per esempio la conoscenza che abbiamo attualmente della plasticità di un particolaré organismo umano nel conservare la sua temperatura interna di fronte ai cambiamenti nella temperatura dell'ambiente è basata sul fatto che le risposte adattative di altri corpi umani ci sono familiari. Sulla base della concezione in esame le spiegazioni teleologiche sono effettivamente efficaci in tali casi, dal momento che ci mettono in condizione di predire certi comportamenti futuri di un dato sistema a partire dalla nostra conoscenza dei comportamenti passati di sistemi simili - comportamenti futuri che non sarebbero altrimenti predicibili nello stato attuaie della nostra conoscenza. La nostra informazione sulla plasticità di un dato sistema può invece avere lo status di un corpo di deduzioni che parte da leggi causali precedentemente stabilite, le quali concernono i meccanismi incorporati nel sistema. In tali casi, le risposte adattative di un dato sistema ai cambiamenti ambientali possono essere calcolate con l'ausilio di assunzioni generali e possono essere predette senza alcuna familiarità con i comportamenti passati di sistemi similari. Di conseguenza, le spiegazioni teleologiche in tali casi sono ritenute di scarso, o di nessun, valore. Per quanto la distinzione fra questi due tipi di fonti di conoscenza, che sono a nostra disposizione relativamente alla plasticità dei sistemi direttivamente organizzati, sia chiaramente valida, nondimeno non è evidente il motivo per cui la linea di demarcazione fra le spiegazioni effettivamente valide e quelle che non lo sono debba venire tracciata nella maniera indicata. Le questioni relative al valore di una spiegazione non sono decise con riferimento alla fonte logica delle premesse esplicative e una risposta ad esse può venir data solo esaminando il ruolo effettivo che una spiegazione svolge entro l'indagine e nella comunicazione delle idee. È in ogni caso lungi dall'esser certo che le spiegazioni 7
R. B. BRAITHWAITE, Scientific Explanation, cit. 333 e sg.
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teleologiche, per sistemi diretti ad uno scopo riguardo ai quali possediamo una conoscenza fondata su basi teoriche, siano invariabilmente o normalmente considerate oziose. Infatti esistono molti sistemi artificiali autoregolantisi (come i motori con regola tori di velocità) la cui plasticità può essere dedotta da assunzioni teoriche generali. Le spiegazioni teleologiche per vari tratti caratteristici di tali sistemi continuano nondimeno a riempire molte delle pagine dei manuali tecnici ad essi dedicati, e non vi è alcuna buona ragione per supporre che tali spiegazioni siano comunemente considerate come altrettanti inutili ferrivecchi. b) Si è talora obiettato, però, che le spiegazioni teleologiche hanno una visuale imperdonabilmente ristretta. Esse sono basate, cosf si sostiene, su un'assunzione tacita secondo la quale uno speciale insieme di sistemi complessi ha uno status privilegiato; e per conseguenza tali spiegazioni rendono centrale il ruolo svolto dagli enti e dai processi nel conservare proprio quei sistemi e nessun altro. I processi non hanno limiti intrinseci - continua l'obiezione - e non si può ragionevolmente supporre che contribuiscano esclusivamente alla conservazione di un qualche insieme unico di totalità. È perciò ingannevole il dire, per esempio, che la funzione dei globuli bianchi nel sangue umano è quella di difendere il corpo da microrganismi estranei. Questa è indubbiamente una funzione dei leucociti; e questa particolare attività può essere definita la funzione di quelle cellule dal punto di vista del corpo umano. I leucociti però sono elementi anche in altri sistemi; per esempio sono parte del flusso sanguigno considerato come isolato dal resto del corpo, del sistema composto da qualche colonia di virus e da questi globuli bianchi, o del piu complesso e ampio sistema solare. Anche questi altri sistemi sono in grado di persistere nella loro "normale" organizzazione ed attività soltanto sotto definite condizioni; e, dal punto di vista della conservazione di questi vari altri sistemi, i leucociti possiedono altre funzioni. Una risposta ovvia a questa obiezione è nella forma di un tu quoque. È altrettanto legittimo accentrare l'attenzione sulle conseguenze, sui risultati terminali, e sugli usi quanto lo è accentrarla sugli antecedenti, sui punti di partenza e sulle condizioni. I processi non hanno limiti intrinseci ma non hanno neppure cominciamenti assoluti. Enti e processi in generale non sono elementi impegnati nella conservazione di qualche totalità assolutamente unica ma neppure le totalità sono analizzabili in un insieme assolutamente unico di costituenti. È nondimeno concettualmente fecondo nelle indagini causali accentrare l'attenzione su certi stadi iniziali di un processo piuttosto che su quelli ulteriori, e su un insieme di costituenti di un sistema piuttosto che su un altro insieme. È parimenti illuminante scegliere come punto di partenza per l'indagine di alcuni problemi certe totalità complesse piuttosto che altre.
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Inoltre, come abbiamo visto, alcuni enti sono parti di sistemi direttivamente organizzati, ma non risulta che essi siano parti di piu di uno di tali sistemi. Lo studio delle funzioni uniche delle parti in tali sistemi unici direttivamente organizzati non è perciò un pregiudizio che ascriva senza garanzie un'importanza speciale a certi sistemi particolari. Al contrario si tratta di un'indagine che è sensibile alle differenze fondamentali e oggettivamente identificabili nella materia trattata. Vi è nondimeno un rilievo da fare a questa obiezione. Infatti l'influenza deformatrice di ristretti interessi umani sulla costruzione di spiegazioni teleologiche è trascurata piu spesso di quanto non avvenga nel caso delle analisi non teleologiche. Per conseguenza, certi prodotti finali dei processi e certe direzioni di cambiamento sono assunti frequentemente come intrinsecamente "naturali", "essenziali" o "propri" mentre tutti gli altri vengono poi classificati come "innaturali", "accidentali" e persino "anormali". Cosf lo sviluppo del seme di grano in pianta viene spesso considerato naturale mentre 1a sua trasformazione in carne di uccelli o di uomini viene dichiarata meramente accidentale. In un dato contesto di indagine, e alla luce del problema che le fornisce l'avvio può esservi ampia giustificazione per ignorare tutte le direzioni di possibile mutamento salvo una, e tutti i sistemi di attività salvo uno, alla cui conservazione contribuiscono enti e processi. Però tale negligenza delle altre funzioni che gli enti possono avere e delle altre totalità di cui essi possono far parte, non permette di concludere che ciò che viene ignorato è meno autentico o meno naturale di ciò che è oggetto di un' attenzione selettiva. 4. Dobbiamo brevemente considerare un ultimo punto in connessione con le spiegazioni teleologiche in biologia. Come è stato già ricordato, alcuni biologi sostengono che il carattere distintivo delle spiegazioni biologiche appare evidente nelle indagini fisiologiche, nelle quali vengono investigate le funzioni di organi e i processi vitali, anche se la maggior parte dei biologi sono del tutto disposti ad ammettere che nella morfologia e nello studio dei tratti strutturali non sono richieste speciali categorie di spiegazioni. Per conseguenza, alcuni autori hanno dato grande rilievo al contrasto fra struttura e funzione, e alle difficoltà nel valutare l'importanza relativa di ciascuna delle due quale fattore determinante dei fenomeni viventi. Si ammette in generale che "lo sviluppo delle funzioni procede di pari passo con lo sviluppo della struttura", e che l'attività vivente non si manifesta separatamente da una struttura materiale, e che la struttura vitale non esiste se non come prodotto dell'attività protoplasmatica. In questo senso, struttura e funzione sono comunemente considerate come "aspetti inseparabili" dell' organizzazione biologica. Nondimeno eminenti biologi credono che sia ancora un problema irresoluto e forse irresolubile "in qual misura le strutture pos-
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sano modificare le funzioni e le funzioni le strutture"; essi considerano il contrasto fra struttura e funzione come un "dilemma".• Ma che cosa è questo contrasto? perché i suoi termini sollevano un problema apparentemente irresolubile? e che cosa nasconde uno dei termini di questo dilemma, termine che manifestamente esige un modo di analisi e di spiegazione specifico della biologia? Cerchiamo di richiamare alla mente in qual modo uno studio morfologico di qualche organo biologico, per esempio dell'occhio umano, differisca dalla corrispondente investigazione fisiologica. Un esame strutturale dell'occhio consiste solitamente in una descrizione della sua anatomia macroscopica e microscopica. Un tale esame descrive perciò specificamente le varie parti dell'organo, le loro forme e relative disposizioni spaziali l'una rispetto all'altra e alle altre parti del corpo, e le loro composizioni cellulari e fisico chimiche. L'espressione "struttura dell'occhio" significa perciò usualmente l'organizzazione spaziale delle sue parti, unitamente alle proprietà fisico chimiche di ciascuna parte. Invece, un esame fisiologico dell'organo definisce le attività alle quali le sue singole parti possono prendere o prendono parte, e il ruolo che queste parti svolgono nella visione. Per esempio, i muscoli ciliari si dimostrano suscettibili di contrazione e di rilassamento, per cui, data la loro connessione con il legamento sospensorio, la curvatura delle lenti può essere accomodata per la visione da vicino o da lontano; e le ghiandole lacrimali sono identificate come fonti di fluidi che lubrificano e puliscono le membrane congiuntivali. In generale perciò la fisiologia si interessa del carattere, dell'ordine e delle conseguenze delle attività in cui le parti dell'occhio possono essere impegnate. Se questo esempio è tipico del modo in cui i biologi usano i termini, il contrasto fra struttura e funzione è evidentemente un contrasto fra la organizzazione spaziale delle parti anatomicamente distinguibili di un organo e la organizzazione temporale (o spazio-temporale) dei mutamenti in quelle parti. Ciò che viene investigato attraverso ciascuno dei due termini in contrasto è un modo di organizzazione o un tipo di ordine. Nell'un caso l'organizzazione è fondamentalmente se non esclusivamente spaziale, e l'oggetto dell'investigazione è quello di accertare la distribuzione spaziale delle parti organiche e i modi della loro connessione. Nell'altro caso l'organizzazione ha una dimensione temporale, e il fine dell'indagine è quello di scoprire ordini di cambiamento tanto simultanei quanto successivi nelle parti dei corpi organici spazialmente ordinate e Cfr. EnwrN G. CoNKLIN, Heredity ~nd Environmet, Princeton, 1922, p. 32, e B. WrLSON, The Celi, New York, 1925, p. 670. In un volume uscito in seguito Conklin dichiara che "la relazione fra ::neccanismo e finalismo non è dissimile "sse sono due aspetti della organizzazione. La da quell:l fra struttura e funziore COI!Cezione meccanicista della vità è principalmeilte una visione strutturale, la concezione teleologica invece guarda soprattutto alla funzion~ ultima. Questi due aspetti della vita non sono antagonistici ma complementari": Man: Real and Ideai, New York, 1943, p. 177. 8
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collegate. È evidente perciò che struttura e funzione (nel senso in cui risulta che i biologi usino questi termini) sono effettivamente "inseparabili". Infatti è difficile supporre sensatamente che un sistema di attività il quale abbia un'organizzazione temporale non sia anche un sistema di parti spazialmente strutturate che manifestano queste attività. In ogni caso, non esiste ovviamente antitesi fra un'indagine diretta alla scoperta dell'organizzazione spaziale delle parti organiche e un'indagine indirizzata verso l'accertamento delle strutture spazio-temporali che caratterizzano le attività di quelle parti. Un'analoga distinzione fra tipi di indagine può venire introdotta anche nelle scienze fisiche. La geografia fisica descrittiva, per esempio, si interessa fondamentalmente della distribuzione e delle relazioni spaziali di montagne, pianure, fiumi, e oceani; la geologia storica e la geofisica, invece, indagano gli ordini di mutamento temporali e dinamici in cui sono implicate tali caratteristiche geografiche. Per conseguenza, se le indagini sulla struttura e la funzione fossero antitetiche in biologia, un'antitesi analoga dovrebbe presentarsi anche nell'ambito delle scienze non biologiche. Ogni indagine implica una selezione discriminatrice entro la grande varietà di schemi di relazioni incorporate nella materia trattata; ed è tanto opportuno quanto inevitabile dirigere alcune indagini verso un tipo di schema e altre indagini verso tipi diversi. Non sembra esservi alcuna ragione per far nascere un enigma di fondo dal fatto che gli organismi viventi manifestano una struttura sia spaziale che temporale delle loro parti. Che cosa è, allora, il problema irresoluto o irresolubile sollevato dalla distinzione biologica fra struttura e funzione? Due questioni vanno distinte a questo proposito. Ci si può domandare, in primo luogo, quali strutture spaziali siano richieste per l'esercizio di funzioni specifiche, e se un mutamento in uno schema di attività di un organismo o delle sue parti sia associato con un qualche cambiamento nella distribuzione e nella organizzazione spaziale dei costituenti di tale sistema. Questa è ovviamente una questione che deve essere decisa attraverso una dettagliata indagine empirica, e sebbene vi siano innumerevoli problemi non risoluti a questo proposito, essi non sollevano basilari questioni di principio. Una scuola di filosofi e di teorici della biologia per esempio sostiene che lo sviluppo di certi organi confrontabili in talune specie notevolmente diverse può essere spiegato solo in base all'assunzione di uno "slancio vitale" che dirige l'evoluzione verso il conseguimento di qualche funzione futura. Cosi il fatto che gli occhi del polipo e dell'uomo siano anatomicamente simili, per quanto l'evoluzione di queste due specie a partire da progenitori privi di occhi abbia seguito linee di sviluppo differenti, è stato addotto come prova della tesi secondo cui non è possibile alcuna spiegazione di questa convergenza nei termini di meccanismi di variazione casuale e di adattamento. Tale fatto per conseguenza è stato utilizzato per sostenere il punto di vista secondo cui esi-
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ste urio "slancio vitale originario indiviso" che agisce sulla materia inerte in modo da creare organi appropriati per la funzione della vista. 9 Persino questa ipotesi, però, per quanto vaga e altrimenti insoddisfacente, coinvolge in parte questioni fattuali; e se numerosi biologi la rifiutano lo fanno in lafga misura perché la prova fattuale di cui si dispone sufiraga in maniera piu adeguata una diversa teoria dello sviluppo evolutivo. In secondo luogo, ci si può chiedere perché proprio una data struttura sia associata con un certo insieme di funzioni o viceversa. Orbene questa domanda deve essere intesa come una richiesta di spiegazioni, forse in termini fisico chimici, del fatto che quando un corpo vivente ha una data organizzazione spaziale delle sue parti esso presenta certi schemi di attività. Quando la domanda viene cosi intesa, è ben lungi dall'essere assurda. Per quanto possa darsi che non si sappia rispondere ad essa nella maggior parte dei casi, almeno in qualche altro caso si sanno dare effettivamente risposte ragionevolmente adeguate, per cui abbiamo una certa base onde presumere che la nostra ignoranza non sia necessariamente permanente. Tali spiegazioni, però, devono contenere come premesse non solo enunciati relativi alla costituzione fisico chimica delle parti di un essere vivente e alla organizzazione spaziale di queste ma anche enunciati di teorie e leggi fisico chimiche. Inoltre, almeno alcune di queste ultime premesse devono asserire connessioni fra l'organizzazione spaziale dei sistemi fisico chimici e gli schemi temporali di attività. Se si insiste però continuamente sulla domanda, e si esige una spiegazione anche per queste ultime connessioni si giunge alla fine ad un vicolo cieco. Tale domanda infatti ammette in realtà che la struttura temporale o causale dei processi fisici sia deducibile semplicemente dall'organizzazione spaziale dei sistemi fisici o viceversa; e nessuna di queste assunzioni è di fatto sostenibile. · È analogamente possibile fornire un rendiconto accurato delle relazioni spaziali in cui le varie parti di un orologio stanno l'una con l'altra. Possiamo precisare le misure delle ruote dentate, la posizione della molla principale, e cosi via. Per quanto tale conoscenza della struttura spaziale dell'orologio sia indispensabile, essa però non è sufficiente per comprendere come opererà l'orologio. Dobbiamo conoscere anche le leggi della meccanica, le quali formulano la struttura temporale del comportamento dell'orologio indicando come la distribuzione spaziale delle sue parti in un certo istante sia in relazione con la distribuzione in un istante successivo. Questa struttura temporale, però, non può essere dedotta semplicemente dalla struttura spaziale (o anatomia) dell'orologio, pro9 Cfr. H. BERGSON, L'Iivolution Créatrice, Paris 1907; trad. it. a cura di U. Segré, Milano 1936 c. I; e la breve ma incisiva critica di concezioni simili a quella di Bergson in GEORGE G. SrMPSON, The Meaning of Evolution, New Haven, 1949; trad. it. a cura di B. del Bianco, Milano 1954, c. 12). Vedi anche THEonosrus DoBZHANSKY, Evolution, Genetics and Man, New York, London 1955, c. 14.
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prio come la sua struttura spaziale in un dato istante qualunque non può venir derivata dalle leggi generali della meccanica. Di conseguenza, la ricerca del motivo per cui una data struttura anatomica sia associata con funzioni specifiche può risultare una questione insolubile, non perché sia al di fuori delle nostre possibilità, ma semplicemente perché la questione, nel senso in cui è intesa, chiede ciò che è logicamente impossibile. In breve la struttura anatomica non determina logicamente la funzione, per quanto come realtà di fatto contingente la struttura anatomica specifica, posseduta da un organismo, ponga effettivamente dei limiti al genere di attività in cui l'organismo può essere impegnato. E viceversa, Io schema di comportamento esibito dall'organismo non implica logicamente un'unica struttura anatomica, per quanto di fatto un organismo manifesti specifici modi di attività solo quando le sue parti possiedono una struttura anatomica determinata di un certo genere. Da queste varie considerazioni consegue che la distinzione fra struttura e funzione non investe nulla che differenzi la biologia dalle scienze fisiche o che renda necessario in biologia l'uso di una peculiare logica di spiegazione. Negare le patenti differenze fra la biologia e le altre scienze naturali per quel che concerne il ruolo svolto dalle analisi funzionali non era il fine della presente discussione. Né era il suo fine quello di gettare dubbi sulla legittimità di tali spiegazioni in qualunque campo in cui esse risultino adeguate per Io speciale carattere dei sistemi investigati. L'obiettivo della discussione è stato quello di mostrare soltanto che la prevalenza delle spiegazioni teleologiche in biologia non costituisce uno schema di spiegazione inconfrontabilmente diverso da quello corrente nelle scienze fisiche e che l'uso di tali spiegazioni in biologia non è un motivo sufficiente per sostenere che questa disciplina esiga una logica di indagine radicalmente distinta.
II. Il punto di vista della biologia organismica Il vitalismo di tipo sostanzialistico propugnato dal Driesch e da altri biologi nel secolo scorso e nei primi decenni dell'attuale è ormai un problema quasi totalmente superato nella filosofia della biologia. La questione ha cessato di essere centrale non tanto forse come conseguenza delle critiche filosofiche e metodologiche alle quali il vitalismo è stato assoggettato quanto a causa della sua sterilità come guida per la ricerca biologica e per il maggiore valore euristico di altri modi di affrontare lo studio dei fenomeni vitali. Nondimeno la concezione cartesiana della biologia come un semplice capitolo della fisica anche se storicamente autorevole continua ad incontrare resistenza. Molti eminenti biologi che non riconoscono alcun pregio al vitalismo sono egualmente dubbiosi circa la validità del programma cartesiano; prospettano talora quelle che essi ritengono ragioni decisive per affermare l'irriducibilità della biolo-
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gia alla fisica e la intrinseca autonomia del metodo biologico. Il punto di vista, a partire dal quale questa tesi antivitalistica e pur tuttavia antimeccanicistica viene per solito avanzata, porta comunemente l' etichetta di "biologia organismica ". T al e etichetta si riferisce a varie dottrine biologiche particolari che non sempre sono reciprocamente compatibili. Nondimeno le dottrine che cadono sotto di essa hanno generalmente in comune la premessa che le spiegazioni di tipo "meccanicistico" non sono appropriate per i fenomeni vitali. Esamineremo ora le argomentazioni fondamentali della biologia organismica.
l. Per quanto i sostenitori della biologia organismica neghino l'opportunità anche se non sempre la possibilità delle "teorie meccanicistiche" per i processi vi tali, spesso non è chiaro contro che cosa essi facciano opposizione. Tale mancanza di chiarezza tuttavia può indubbiamente fare il paio con l'ambiguità che spesso caratterizza gli enunciati relativi agli scopi e ai programmi di quanti si professano "meccanicisti" in biologia. Come abbiamo avuto occasione di osservare in un capitolo precedente, la parola "meccanicismo"" ha vari significati e sia i "meccanicisti" in biologia che i loro avversari non si danno gran pena di precisare il senso in cui la adottano. Ci sono biologi che si professano meccanicisti semplicemente nel senso lato di credere che i fenomeni vitali si presentino in determinati ordini e che le condizioni per il loro presentarsi siano strutture spazio-temporali dei corpi. Un tale punto di vista tuttavia è compatibile con tutte le tendenze in biologia ad eccezione di quella dei vitalisti e degli indeterministi radicali; e in ogni caso, quando il meccanicismo in biologia viene cosi inteso, nessuna questione divide coloro che lo professano dalla maggior parte dei sostenitori della biologia organismica. Ci furono anche biologi che si proclamarono meccanicisti nel senso di sostenere che tutti i fenomeni vitali sarebbero esplicabili esclusivamente nei termini della scienza meccanica (piu specificamente nei termini delle teorie meccaniche o pure o unitarie, secondo il significato di cui si è fatto cenno al capitolo VII) e che credettero perciò che gli esseri viventi fossero "macchine" nel significato originario di questa parola. Che vi sia oggi qualche biologo meccanicista in questo senso è però cosa dubbia. I fisici stessi hanno da lungo tempo abbandonato la speranza del XVII secolo che si potesse sviluppare una scienza universale della natura entro lo schema delle idee fondamentali della meccanica classica. Ed è indubitabile che nessun biologo contemporaneo sottoscrive letteralmente il programma cartesiano di ridurre la biologia alla scienza meccanica, e specialmente alla meccanica dell'azione di contatto. In ogni caso, la maggior parte dei biologi che oggi si definisce meccanicista professa un punto di vista che è ad un tempo molto piu specifico della tesi generale del determinismo causale, e molto meno restrittivo di quello che identifica una spiegazione meccanicistica con una spiegazione nei termini della meccanica. Noi consideriamo meccanicista in bio-
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logia colui che crede come Jacques Loeb, che tutti i processi viventi "possono inequivocabilmente essere spiegati in termini fisico chimici" ,10 cioè, in termini di teorie e di leggi che per consenso comune sono classificate come appartenenti alla fisica e alla chimica. Il meccanicismo biologico, cosf inteso, però, non può essere considerato come la regolazione della organizzazione altamente complessa dei corpi viventi. Al contrario, la maggior parte dei biologi che adottano un tale punto di vista di solito sottolineano con molta enfasi il fatto che le attività dei corpi viventi non sono esplicabili analizzando "semplicemente" la loro composizione fisica e chimica senza tener conto delle loro "strutture ordinate" o "della loro organizzazione". Cosf la caratterizzazione data dal Loeb di un corpo vivente come una "macchina chimica" è un riconoscimento ovvio di tale organizzazione. Ciò è riconosciuto anche piu esplicitamente da E. B. Wilson, il quale - dopo aver definito lo "sviluppo" del plasma germinale come la totalità delle operazioni per mezzo delle quali il germe dà origine al suo tipico prodotto - dichiara che il particolare corso di questo sviluppo è determinato (nelle condizioni normali) dall'organizzazione specifica delle cellule germinali che formano il suo punto di partenza. Finora noi non abbiamo una concezione adeguata di questa organizzazione, per quanto si sappia che una parte molto importante di essa è rappresentata dal suo nucleo ... La sua natura costituisce uno dei maggiori problemi irresoluti della natura ... Nondimeno la sola via di cui disponiamo per la sua esplorazione consiste nella concezione meccanicistica, secondo cui la organizzazione della cellula germinale deve essere riconducibile in qualche modo alle proprietà fisico chimiche delle sue sostanze componenti e alle configurazioni specifiche che esse possono assumere." Se tale è l'assunto dell'attuale meccaructsmo biologico e se i sostenitori della biologia organismica rigettano, come i meccanicisti, la postulazione di agenti "vitalistici" non materiali le cui attività dovrebbero spiegare i processi vitali, in che cosa l'impostazione e l'assunto della biologia organismica differiscono da quelli del meccanicismo? I fondamentali punti di divergenza, sottolineati dagli stessi sostenitori della biologia organismica, risultano essere i seguenti: a} È un errore supporre che la sola alternativa al vitalismo sia il meccanicismo. Ci sono settori dell'indagine biologica in cui le spiegazioni fisico chimiche hanno un ruolo limitato, o addirittura nessuno attualmente, e numerose teorie biologiche che non sono di natura fisico chimica sono state utilizzate con successo. Abbiamo per esempio a disposizione un cospicuo corpo di conoscenze sperimentali concernenti i ]ACQUES LoEB, The Mechanistic Conception of Li/e, Chicago, 1912. E. B. WILSON, op. cit., p. 1037, citata per gentile concessione della MacMillan Company, New York. 10 11
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processi embriologici, sebbene poche fra le regolarità che sono state scoperte possano al momento attuale venire spiegate in termini esclusivamente fisico chimici; né la teoria dell'evoluzione, anche nelle sue forme odierne, né la teoria genica dell'ereditarietà sono fondate su alcuna ben definita assunzione fisico chimica concernente i processi vitali. Non è certamente inevitabile che le spiegazioni meccanicistiche alla fine, prevalgano in questi domini; e dal momento che in ogni caso questi settori vengono ora fruttuosamente esplorati senza fare necessariamente ricorso alla tesi meccanicistica, i dubbi dei sostenitori della biologia organicistica circa il trbnfo finale di quella tesi in tutti i settori della biologia hanno quanto meno qualche fondamento. Infatti proprio come un fisico può sentirsi garantito nel sostenere che alcune branche della fisica (per es. l'elettrome.gnetismo) non sono riducibili a qualche altra branca della stessa scienza (per es. la meccanica) anche un biologo sostenitore dell'organicismo può sentirsi garantito nell'abbracciare un analogo punto di vista per quel che riguarda la relazione fra la biologia e la fisica. Esiste cosi in biologia un'autentica alternativa tanto al vitalismo quanto al meccanicismo: essa consiste nello sviluppo di sistemi di spiegazione i quali si servono di concetti e asseriscono relazioni che non sono né definite all'interno delle scienze fisiche né derivate da esse. b) I biologi organicisti, però, pretendono molto piu di questo. Parecchi di essi sostengono altresi che i metodi analitici delle scienze fisico chimiche sono intrinsecamente non idonei allo studio degli. organismi viventi; che i problemi centrali connessi con i processi vitali devono essere affrontati in un modo particolare; e che, dal momento che la biologia è intrinsecamente irriducibile alle scienze fisiche, le spiegazioni meccanicistiche devono essere rifiutate come meta ultima della ricerca biologica. Una ragione comunemente avanzata a difesa di questa tesi piu radica bile è quella della natura "organica" dei sistemi biologici. In effetti, il tema dominante sul quale gli scritti dei biologi organicisti svolgono pci tante variazioni è forse il carattere "integrato", "olistico" e "unificato" di un essere vivente e delle sue attività. Gli esseri viventi, in contrasto con i sistemi non viventi, non sono strutture !abilmente congiunte di parti indipendenti e separabili, non sono riunioni di tessuti e di organi che stanno fra loro in relazioni meramente estrinseche. Gli esseri viventi sono "totalità" e devono quindi venire studiati come "totalità" che non sono mete somme di parti isolabili, e le loro attività non possono essere comprese o spiegate se vengono considerate "somme" di tal genere. Al contrario le spiegazioni meccanicistiche interpretano gli organismi viventi come "macchine" le cui parti sono indipendenti, e adottano perciò un punto di vista "addittivo" nell'analizzare i fenomeni vitali. Per conseguenza, dal momento che l'azione dell'intero
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organismo "ha una certa unificazione e una certa completezza" che viene trascurata quando la si analizza nei suoi processi elementari, E. S. Russell conclude che "le attività dell'organismo come totalità devono essere considerate di un ordine diverso dalle relazioni fisico chimiche, tanto in se stesse quanto ai fini della nostra comprensione".'2 La biologia deve perciò osservare due "leggi metodologiche": "L'attività del tutto non può essere spiegata pienamente nei termini delle attività delle parti che vengono isolate mediante analisi"; e "Nessuna parte di una qualunque entità vivente e nessun singolo processo di una qualunque complessa unità organica può essere pienamente compreso isolandolo dalla struttura e dalle attività dell'organismo considerato come un tutto"." c) Aggiungiamo infine una considerazione strettamente connessa alla precedente sulla quale i biologi organicisti pongono l'accento; essa riguarda la "organizzazione gerarchica" dei corpi e dei processi viventi. Cosf, una cellula è conosciuta come una struttura con vari costituenti, quali il nucleo, i corpi di Golgi e le membrane, ciascuno dei quali può essere analizzabile in altre parti e queste a loro volta in altre ancora, cosicché l'analisi termina presumibilmente con le molecole, gli atomi, e le loro parti "originarie". Negli organismi multicellulari la cellula è anche un semplice elemento nella organizzazione di un tessuto, il tessuto è una parte di qualche organo, l'organo un membro di un sistema di organi, e il sistema di organi un costituente dell'organismo integrato. È evidente che queste varie parti non si presentano allo stesso livello di "organizzazione". Di conseguenza i biologi organicisti insistono molto sul fatto che un corpo animato non è un sistema di parti omogenee in una complessità di organizzazione, ma che al contrario le "parti" in cui un organismo è analizzato devono venire distinte secondo i differenti livelli di qualche particolare tipo di struttura gerarchica (possono esistere parecchi di questi tipi) a cui le parti appartengono. Orbene i biologi organicisti non negano che le spiegazioni fisico chimiche siano possibili per le attività delle parti ai livelli "piu bassi" di una gerarchia. E non negano che le proprietà fisico chimiche delle parti a livello p ili basso "condizionino" o "limitino" in varie maniere il presentarsi e i modi di azione dei livelli piu alti di organizzazione. Essi negano, invece, che i processi riscontrati ai livelli piu alti di una gerarchia siano "causati" da proprietà dei livelli 12 E. S. RussELL, The Interpretation o/ Development and Heredity, Oxford, 1930, pp. 171-72. " ibid. pp. 146-47. Enunciazioni analoghe dell'assunto centrale della biologia organismica si trovano in RussELL, Directiveness o! Organic Activities, Cambridge, Eng. 1945, cc. l e 7 in particolare; LuDWING VON BER1ALANFFY, Theoretische Biologie, Berlin, 1932, c. 2; dello stesso Modern Theories o/ Development, Oxford, 1933; e ancora di L. V. BERTALANFFY, Problems o/ Li/e, New York, London, 1952 cc. l e 2; W. E. AGAR, The Theory of the Living Organism, Melbourne, London, 1943.
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inferiori o siano pienamente esplicabili nei termini di esse. La biochimica è per generale ammissione lo studio delle "condizioni" sotto le quali le cellule e gli organismi agiscono nel modo in cui agiscono. La biologia organismica, invece, indaga le attività dell'intero organismo "considerato come condizionato dai modi di azione delle unità inferiori ma irriducibile ad essi"." Dobbiamo esaminare ora queste dichiarate divergenze fra l'impostazione organicistica e quella meccanicistica nei riguardi della biologia, e tentare di dare una valutazione della tesi secondo cui l'impostazione meccanicistica sarebbe in generale inadeguata all'oggetto della biologia. 2. A prima vista, i soli problemi sollevati dalla biologia organismica sono quelli che abbiamo già discusso a proposito della dottrina dell'emergenza e del problema della riduzione di una scienza ad un'altra. Di fatto, altre questioni sono pure implicate. Nella misura però in cui i problemi sono quelli della riduzione, noi possiamo liquidarli molto rapidamente. Richiamiamo per prima cosa alla nostra mente le due condizioni formali, esaminate abbastanza a lungo nel precedente capitolo - condizioni le quali sono necessarie e sufficienti per la riduzione di una scienza ad un'altra. Quando vengono enunciate con particolare riferimento alla biologia e alla fisico chimica, esse sono le seguenti: a) La condizione di connettibilità. In una legge biologica tutti i termini che non appartengono alla scienza primaria (quali "cellula", "mitosi" o "ereditarietà") devono essere "connesse" con espressioni costruite a partire dal vocabolario teoricò della fisica e della chimica (a partire da termini come "lunghezza", "carica elettrica", "energia libera" e simili). Queste connessioni possono essere di diversi tipi. I significati delle espressioni biologiche possono essere analizzabili, e forse anche esplicitamente definibili, nei termini di quelle fisico chimiche, cosicché nel caso limite le espressioni biologiche sono eliminabili in favore dei termini fisico chimici. Un modo di connessione alternativo è quello per cui le espressioni biologiche sono associate con quelle fisico chimiche per mezzo di qualche tipo di definizione coordinatrice, sicché le connessioni vengono ad avere lo status logico di convenzioni. Infine - e questo è il caso piu frequente - i termini biologici possono essere 14 RussELL, The Interpretation of Development and Heredity, p. 187. Per una analoga visione cfr. Lunwra voN BERTALANFFY e ALEX B. NovrKOFF, The Conception of Integrative Levels and Biology, "Science", vol. 101 (194.5); pp. 209-15, e la discussione di questo articolo nello stesso volume, pp. 582-85 e nel vol. 102 ( 1945) pp. 405-06. Una sobria ed accurata analisi della natura ddla organizzazione generka in biologia e del suo significato per la possibilità di una spiegazione meccanicistica si trova in J. H. WooDGER, Biologica/ Principles, New York 1929 c. 6 e in WooDGER, The Concept o! Organism and the Relation between Embriology and Genetics, "Quarterly Review of Biology," vol. 5 (1930) e vol. 6 (1931).
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Spiegazione meccanicistica e biologia organismica
connessi con quelli fisico chimici in forza di assunzioni empiriche, cosicché le condizioni sufficienti (e possibilmente anche quelle necessarie) per il presentarsi di una qualunque entità che sia designata dalle espressioni biologiche possano venire enunciate per mezzo delle esprèssioni fisico chimiche. Cosi, se il termine "cromosoma" non può venir associato in nessuno dei due modi precedenti con l'espressione costruita a partire dal vocabolario teorico della fisica e della chimica, allora deve essere possibile, alla luce di una legge all'uopo assunta, enunciare le condizioni di verità per una espressione della forma "x è un cromosoma" interamente per mezzo di una proposizione costruita a partire da quel vocabolario. b) La condizione di derivabilità. Ogni legge biologica sia teorica che sperimentale deve essere derivabile logicamente da una classe di enunciati appartenenti alla fisica e alla chimica. Le premesse in queste deduzioni conterranno tanto una conveniente selezione tratta dalle assunzioni teoriche della disciplina primaria, quanto enunciati che formulano le associazioni fra termini biologici e termini fisico chimici richieste dalla condizione di connettibilità. In generale alcune delle premesse enunceranno nel vocabolario della scienza primaria le condizioni limite, o configurazioni spazio-temporali speciali, sotto cui le assunzioni teoriche vanno applicate. Come si è mostrato nel capitolo precedente, la condizione di deri· vabilità non può venir soddisfatta a meno che non lo sia quella di connettibilità. È fuori discussione, però, che il compito di soddisfare la prima di queste condizioni per la biologia è ben lungi dall'essere stato espletato. Attualmente non conosciamo, per esempio, la composizione chimica dettagliata dei cromosomi nelle cellule viventi. Siamo perciò incapaci di enunciare in termini esclusivamente fisico chimici le condizioni per il presentarsi di quelle parti organiche, e quindi di enunciare in tali termini le condizioni di verità per I'applicazione della parola "cromosoma". Ed a fortiori non siamo in grado oggi di formulare nel linguaggio fisico chimico la struttura di uno qualunque fra i sistemi, quali il nucleo della cellula, la cellula, il tessuto, dei quali i cromosomi stessi sono parte. Per conseguenza, nello stato attuale della conoscenza biologica è logicamente impossibile dedurre la totalità delle leggi biologiche e delle teorie da assunzioni puramente fisico chimiche. In breve, la biologia non è attualmente un semplice capitolo della fisica e della chimica. I biologi organicisti perciò poggiano su un terreno solido quando sostengono che le spiegazioni meccanicistiche di tutti i fenomeni biologici sono attualmente impossibili, e resteranno tali fino a che i termini teorici e descrittivi della biologia non si mostrino capaci di soddisfare la prima condizione per la riduzione di questa scienza alla fisica e alla chimica - cioè, fino a quando la composizione di ogni parte o
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processo degli esseri viventi, e la distribuzione e la disposizione delle loro parti in qualunque momento, non possa venir esaustivamente definita in termini fisico chimici. Inoltre, anche se questa condizione fosse realizzata, il trionfo del punto di vista meccanicistico non sarebbe da ciò assicurato. Infatti, come abbiamo già mostrato, soddisfare alla condizione di connettibilità è un requisito necessario ma in generale non sufficiente per l'assorbimento della biologia nella fisica e nella chimica. Anche se la condizione di connettibilità fosse soddisfatta, resterebbe sempre la questione se tutte le leggi biologiche siano deducibili dalle attuali assunzioni teoriche di queste scienze fisiche. È comprensibile che la risposta a questa domanda sia negativa, dal momento che la teoria fisico chimica nella sua forma attuale può non essere sufficientemente potente onde permettere la derivazione di varie leggi biologiche, anche se queste leggi dovessero contenere soltanto termini rigorosamente connessi ad espressioni appartenenti a quelle discipline primarie. Si dovrebbe altresi osservare che, anche se fossero soddisfatte entrambe le condizioni formali per la riducibilità della biologia, questa riduzione potrebbe avere scarsa o forse nessuna importanza scientifica, per il motivo che alcune delle condizioni antecedentemente classificate come "non formali" potrebbero non realizzarsi in modo adeguato. D'altro lato, i fatti citati e gli argomenti finora esaminati non garantiscono la conclusione che la biologia sia di principio irriducibile alle scienze fisiche. Si ammette che il compito che sta di fronte a una tale proposta di riduzione è molto difficile; e tale compito desta senza dubbio in molti studiosi l'impressione di essere se non completamente disperato, quanto meno non meritevole di venire affrontato attualmente. Nessuna contraddizione logica, è stata tuttavia esibita nei confronti della supposizione che tanto le condizioni formali quanto quelle non formali per la riduzione della biologia potranno un giorno essere soddisfatte. Possiamo perciò concludere questa parte della discussione affermando che la questione se la biologia sia riducibile alla fisico chimica è una questione aperta, essa non può venire decisa con un argomento a priori e una risposta a tali questioni può venir fornita soltanto da un'ulteriore indagine logica e sperimentale. 3. Esamineremo ora l'argomento a favore della "autonomia" intrinseca della biologia basato sul fatto che i sistemi viventi sono gerarchicamente organizzati. Il peso di questo argomento, come abbiamo visto è dato dal fatto che le proprietà e i modi di comportamento che si presentano a un livello piu alto di una tale gerarchia non possono in generale venir spiegati come risultati dalle proprietà e dai comportamenti esibiti da parti isolabili appartenenti a livelli piu bassi della struttura di un organismo. Non esiste controversia fra i biologi sulla tesi secondo la quale le
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parti e i processi in cui gli organismi viventi sono analizzabili possono venir classificati in termini delle loro rispettive collocazioni in gerarchie di vari tipi, quale per esempio la gerarchia essenzialmente spaziale poco sopra menzionata. Né esiste disaccordo sul fatto che le parti di un organismo appartenenti ad un livello della gerarchia spesso presentino forme di correlazione e di attività non manifestate da parti organiche appartenenti ad un altro livello. Un gatto per esempio può tendere agguati e catturare topi; ma anche se il battito continuato del suo cuore è una condizione necessaria per queste attività, il cuore del gatto non può compiere tali imprese. E ancora, il cuore può pompare sangue mediante la contrazione e il rilassamento dei suoi tessuti muscolari, anche se nessun singolo tessuto può mantenere il sangue in circolazione; e nessun tessuto è in grado di dividersi per scissione, anche se le sue cellule costituenti possono avere questa proprietà. Questi esempi bastano a fondare la tesi secondo la quale i modi di comportamento che si manifestano ai livelli piu alti di un sistema gerarchicamente organizzato non sono spiegati attraverso il semplice elenco di ciascuna delle varie parti a livello piu basso e di ciascuno dei processi del sistema, considerato come un aggregato di elementi isolati e privi di relazione. I biologi organicisti non negano che il presentarsi di tratti caratteristici dei livelli piu alti in organismi viventi gerarchicamente strutturati dipenda dal manifestarsi, a differenti livelli della gerarchia, di varie parti componenti correlate in determinati modi. Essi però negano con evidenti buone ragioni che gli enunciati che formulano i tratti caratteristici manifestati dai componenti di un organismo, quando tali componenti non sono parti di un organismo effettivamente vivente, possano spiegare adeguatamente il comportamento del sistema vivente - sistema che contiene quei componenti come parti correlate in modi complessi con altri elementi in un tutto gerarchicamente strutturato. L'ammissione di questi fatti dà però effettivamente un fondamento alla tesi secondo cui le spiegazioni meccanicistiche risultano impossibili o non idonee per la materia trattata dalla biologia? Bisognerebbe osservare che anche gli oggetti della fisica e della chimica e non solo quelli della biologia mostrano varie forme di organizzazione gerarchica. Le nostre attuali teorie sulla materia assumono gli atomi come strutture di cariche elettriche, le molecole come organizzazioni di atomi, i solidi e i liquidi come complessi sistemi di molecole. Inoltre le prove di cui disponiamo mostrano che gli elementi ai diversi livelli di questa gerarchia manifestano tratti caratteristici che le loro parti componenti non posseggono invariabilmente. Però questi fatti non hanno costituito un impedimento alla fondazione di teorie generali per le particelle fisiche e i processi piu elementari, mediante le quali è stato possibile rendere conto di alcune, se non di tutte, le proprietà fisico chimiche manifestate da quegli oggetti che hanno un'organizza-
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zione piu complessa. Senza dubbio non possediamo oggi una teoria unificata e generale capace di spiegare l'intero complesso dei fenomeni puramente fisico chimici che si presentano a vari livelli di organizzazione. Se una tale teoria verrà mai conseguita è certamente una questione aperta. A questo riguardo torna a proposito l'osservazione che gli organismi biologici sono "sistemi aperti" i quali non si trovano mai in uno stato di "vero equilibrio" ma al massimo in uno stato costante di "equilibrio dinamico" con il loro ambiente, in quanto essi scambiano continuamente non solo le energie ma anche i componenti materiali con quest'ultimo." Sotto questo profilo, gli organismi viventi sono diversi dai "sistemi chiusi" abitualmente studiati dalla fisica attuale. In effetti, una teoria adeguata dei processi fisico chimici nei sistemi aperti - per esempio, una termodinamica capace di trattare tanto di sistemi in stato di equilibrio quanto di sistemi che non lo sono è attualmente solo ad uno stadio iniziale di sviluppo. Nondimeno, la situazione continua ad essere la seguente: noi possiamo attualmente spiegare alcune caratteristiche di sistemi abbastanza complessi con l'ausilio di teorie formulate in termini di relazioni fra sistemi relativamente piu semplici, per esempio possiamo spiegare i calori specifici dei solidi in termini di teoria quantistica, o i cambiamenti di fase di composti in termini di termodinamica dei miscugli. Questa circostanza deve farci riflettere prima di accettare la conclusione che la organizzazione gerarchica dei sistemi viventi precluda per se stessa una spiegazione meccanicistica dei loro tratti caratteristici. Esaminiamo però con piu cura alcune delle argomentazioni degli organicisti su questo problema. Una di esse è stata enunciata in maniera convincente da J. H. Woodger le cui analisi accurate ma benevole dei concetti organicisti costituiscono degli importanti contributi alla filosofia della biologia. W oodger sostiene che è essenziale distinguere fra entità chimiche e concetti chimici; egli crede che, se teniamo presente questa distinzione, non è piu plausibile assumere che una cosa possa essere descritta in modo soddisfacente esclusivamente in termini di concetti chimici solo perché si ritiene che essa sia composta di entità chimiche. "Un blocco di ferro" sostiene Woodger "è un'entità chimica, e la parola 'ferro' sta per un concetto chimico. Supponiamo però che il ferro abbia la forma di un attizzatoio o di un catenaccio, allora per quanto il ferro sia ancora chimicamente analizzabile negli stessi termini di prima, non può piu venir descritto adeguatamente in termini di concetti chimici. Esso ha ora un'organizazione al di sopra del livello chimico". 16 VON BERTALANFFY, Probfems of Li/e, c. 4. H. WooDGER, Biogical Principles, p. 263. Woodger prosegue: "Un organismo è nello stesso tempo un'entità fisica nel senso che è uno degli oggetti dei quali acquistiamo coscienza per mezzo dei sensi, ed una entità chimica nel senso che è suscettibile di analisi chimica esattamente come una qualunque altra entità fisica, da ciò non segue però che esso possa essere descritto in modo pieno e soddisfacente in termini chimici." 15
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Orbene non c'è dubbio che molti degli usi ai quali gli attizzatoi o i catenacci di ferro possono essere adibiti non sono e forse non potranno mai essere descritti in termini puramente fisico chimici. Il fatto però che un pezzo di ferro abbia la forma di un attizzatoio o di un catenaccio impediscono forse di spiegare una vasta classe delle sue proprietà e dei suoi modi di comportamento in termini esclusivamente fisico chimici? La rigidità, la resistenza, la trazione e le proprietà termiche dell'attizzatoio o il meccanismo e le caratteristiche di resistenza del catenaccio sono certamente spiegabili in tali termini, anche se può non essere necessario o conveniente fare appello ad una teoria di fisica microscopica per spiegare tutti questi caratteri. Per conseguenza, il semplice fatto che un pezzo di ferro abbia una certa organizzazione non esclude la possibilità di una spiegazione fisico chimica per alcune delle caratteristiche che esso manifesta come oggetto organizzato. Alcuni biologi organicisti sostengono che, anche se fossimo capaci di descrivere in tutti i suoi dettagli la composizione fisico chimica di un uovo fecondato, non saremmo tuttavia capaci di spiegare meccanicisticamente il fatto che questo uovo normalmente si segmenta. Secondo la concezione di E. S. Russell, per esempio, noi saremmo in grado di formulare in base alla supposizione enunciata le condizioni fisico chimiche per la segmentazione, ma non saremmo in grado di "spiegare il corso che tale sviluppo segue".'7 Questa tesi risolleva alcuni dei problemi precedentemente discussi in riferimento alla distinzione fra struttura e funzione. A parte questi problemi, però tale tesi sembra fondarsi su un equivoco se non addirittura su una confusione. È ben possibile sostenere che una conoscenza della composizione fisico chimica di un organismo biologico non è sufficiente a spiegare meccanicisticamente il suo modo di azione, non piu di quanto lo sia una enumerazione delle parti di un orologio, unita alla descrizione della loro distribuzione spaziale e della loro disposizione a spiegare o a predire il comportamento dell'orologio. Per dare una tale spiegazione, noi dobbiamo anche assumere qualche teoria o insieme di leggi (nel caso dell'orologio la teoria meccanica) che formuli il modo in cui certi elementi si comportano quando si presentano in qualche disposizione o distribuzione iniziale e che rende possibile il calcolo (e quindi anche la predizione) dello sviluppo successivo di quel sistema organizzato di elementi. Inoltre, è concepibile che, anche ammettendo che in un certo stadio della conoscenza scientifica, si sappia descrivere in tutti i dettagli la composizione fisico chimica di un essere vivente, noi potremmo nondimeno essere incapaci di dedurre dalle teorie fisico chimiche in quel momento valide il corso dello sviluppo dell'organismo. In breve è comprensibile che in un dato momento sia soddisfatta la prima ma non la seconda delle condizioni 17
E. S. RussELL, The Interpretation of Devolopment and Heredity, p. 186.
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per la riducibilità di una scienza ad un altra. È un equivoco però supporre che una spiegazione pienamente codificata nelle scienze naturali possa consistere soltanto di premesse relative a casi particolari, che formulano le condizioni iniziali e quelle al limite ma non contengono enunciati relativi a leggi o a teorie. È un errore grossolano pretendere che, dal momento che una teoria fisico chimica (o qualche classe di tali teorie) non è in grado di spiegare certi fenomeni vitali, sia di principio impossibile costruire e fondare una teoria meccanicistica che possa farlo. D'altro lato, sarebbe sciocco sottovalutare l'enormità del compito che sta di fronte al programma meccanicistico in biologia a causa della complicata organizzazione gerarchica degli esseri viventi. Né dovremmo lasciar da parte come infondate le proteste dei biologi organicisti contro le versioni della tesi meccanicistica che ignorano il fatto di tale organizzazione. Come biologi di tutte le tendenze hanno spesso osservato, non esiste una "sostanza vivente" omogenea e strutturalmente indifferenziata cosi come esiste la "sostanza rame". Ci sono nonàimeno dei meccanicisti che nei loro enunciati sul metodo biologico, se non nella loro effettiva prassi di ricercatori biologici, hanno in effetti asserito il contrario. Vale perciò la pena di insistere sul fatto che l'oggetto delle loro indagini ha costretto i biologi a riconoscere negli esseri viventi non un singolo tipo ma diversi tipi di organizzazione gerarchica, e che un problema centrale nell'analisi dei processi organici di sviluppo è la scoperta delle precise interrelazioni fra tali gerarchie. La gerarchia piu frequentemente citata è quella generata dalla relazione di inclusione spaziale, come nel caso di componenti cellulari, di cellule, di organi e di organismi. Però, sulla base di qualunque ragionevole criterio per far distinzione fra vari livelli di una tale gerarchia, risulta che in moltissimi organismi esistono parti corporee (quali il plasma sanguigno) che non possono essere inserite in tale gerarchia. Inoltre esistono tipi di gerarchie che non sono fondamentalmente spaziali. Esiste cosi, una "gerarchia di divisione" che ha come elementi delle cellule, e che è generata dalla divisione di uno zigote e delle cellule derivate da esso. I biologi riconoscono anche una "gerarchia di processi": la gerarchia dei processi fisico chimici in un muscolo, la contrazione del muscolo, la reazione di un sistema di muscoli, la reazione dell'organismo animale come un tutto; e altri tipi che potrebbero essere aggiunti a questo breve elenco. In ogni caso, bisognerebbe notare che nello sviluppo embriologico la gerarchia spaziale cambia, dal momento che in questo processo vengono elaborate nuove parti spaziali. Questo fatto si può esprimere dicendo che quando la gerarchia di divisione di un embrione viene messa a confronto in momenti diversi, la sua gerarchia spaziale in un momento successivo contiene elementi che non esistevano in precedenza. Per conseguenza, i biologi organicisti hanno ovviamente ragione nel pretendere che la ricerca
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biologica sia in larga misura connessa con il compito di stabilire relrzioni di interdipendenza fra varie strutture gerarchiche nei corpi vi. venti." Procediamo ora, però, ad enunciare brevemente la forma schemadca di un'organizzazione gerarchica (non necessariamente una gerarcbia spaziale) con il proposito di valutare in termini generali un asp((:tto della critica organicistica del meccanicismo biologico. Supponiamo che S sia un qualche sistema biologico analizzabile in tre costituenti fondamentali A, Be C in modo che S possa essere concepito come il complesso relazionale R (A, B, C) dove R è una qualche relazione. Assumiamo inoltre che ciascun costituente fondamentale sia a sua volta analiZzabile in costituenti subordinati (a,, az, ... a;), (b,, hz, ... bi) e (c,, cz, ... ck) rispettivamente, in modo che i costituenti fondamentali di S possano essere rappresentati come i complessi relazionali RA (a1, ••• a;), Rs (bt, ... bi) e Re (c,, ... Ck). Questi a, b e c sarebbero ulteriormente analizzabili, ma per semplicità, assumeremo soltanto due livelli per la organizzazione gerarchica di S. Stipuliamo altresf che alcuni degli a (e analogamente alcuni b e c) stiano fra loro in varie relazioni speciali, sotto la condizione che siano tutti correlati mediante RA per costituire A (e condizioni analoghe valgano per i b e per i c). Assumiamo inoltre che alcuni a possano stare in certe altre relazioni speciali che alcuni b e alcuni c, sotto la condizione che i complessi A, B e C siano correlati mediante R per costituire S. Se S costituisce una gerarchia siffatta, uno scopo dell'indagine attorno ad S sarà quello di scoprire i suoi vari costituenti e identificare le regolarità nelle relazioni che connettono questi con S e con gli altri costituenti allo stesso livello o a livelli differenti. Il perseguimento di questo scopo in generale esigerà la risoluzione di molte serie difficoltà. Per scoprire in che misura esattamente la presenza di A, per esempio, influisca sui caratteri manifestati da S considerato come un tutto, può risultare necessario stabilire come sarebbe costituito S in assenza di A, e cosi pure come A si comporta quando non è parte costitutiva di S. Possono presentarsi ardui problemi di carattere sperimentale nel tentativo di isolare e di identificare tali influenze causali. Prescindendo totalmente da essi bisogna tuttavia affrontare ad un certo punto la questione fondamentale, quella cioè di vedere se Io studio di A, quando questo si trovi in un ambiente che differisce sotto diversi aspetti da quello fornito da S stesso, possa fornire pertinenti informazioni sul comportamento di A quando si presenta come un costituente effettivo di S. Supponendo, però, di possedere una teoria T, relativa ai componenti a di A, tali che per assunzione gli a siano nella relazione RA quando si presentano in un ambiente E, è possibile mostrare con l'aiuto di T quali tratti caratte18 Cfr. gli scritti di WoooGER sopra citati e cosl pure il suo Axiomatic Metbod in Biology, Cambridge, Eng., 1937; e anche L. VON BERTALANFFY, Problems o/ Li/e, cit., c. 2.
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rizzano effettivamente A in quell'ambiente. Sulla base di questa ipotesi può risultare non necessario fare esperimenti su A isolandolo da S. Tale questione cruciale può tuttavia restare senza risposta a meno che la teoria T permetta di trarre conclusioni non solo quando gli a stanno nella relazione RA in un qualche ambiente artificiale E, ma anche quando essi stanno in quella relazione nel particolare ambiente che contiene i b e i c tutti organizzati congiuntamente secondo le relazioni RB, Re, e R. Senza una tale teoria, in generale si darà il caso che la sola maniera per accertare quale ruolo A svolga effettivamente in S, sarà quella di studiare A come un effettivo componente nel complesso relazionale R (A, B, C). Di conseguenza i biologi organicisti hanno ragione quando insistono sul principio generale che "un'entità che possieda un tipo di organizzazione gerarchica quale quella che si riscontra nell'organismo esige un'investigazione a tutti i livelli e che T'investigazione di un livello non può sostituire la necessità di investigare i livelli superiori della gerarchia.'• Questo principio, invece, non comporta l'impossibilità di spiegazioni meccanicistiche per i fenomeni vitali, per quanto i biologi organicisti sembrino talora crederlo. In particolare se gli a, i b e i c dello schema precedente sono le entità submicroscopiche della fisica e della chimica, se S è un organismo biologico e T una teoria fisico chimica, non è impossibile che le condizioni del presentarsi dei complessi relazionali A, B, C, e S possano venire specificate nei termini dei concetti fondamentali di T e che inoltre le leggi concernenti i comportamenti di A, B, C, e S possano venir dedotte da T. Tuttavia, come abbiamo sostenuto nel capitolo precedente, il fatto che una scienza (quale la biologia) sia effettivamente riduci bile a una qualche scienza primaria (quale la fisico chimica) dipende dalla natura della particolare teoria adottata nella disciplina primaria nel momento in cui la questione viene posta. 4. Dobbiamo occuparci da ultimo di quella che sembra essere la fondamentale ragione dell'atteggiamento di rifiuto assunto dai biologi organicisti nei confronti della spiegazione meccanicistica dei fenomeni vitali, vale a dire la dichiarata "unità organica" degli esseri viventi e la conseguente impossibilità di analizzare le totalità biologiche come somme di parti indipendenti. Se questa ragione sia valida, dipende ovviamente dai sensi che vengono connessi alle espressioni cruciali "unità organica" e "somma". I biologi organicisti hanno fatto poco per chiarire i significati di questi termini; una chiarificazione almeno parziale è stata però tentata nell'attuale e nel precedente capitolo del presente volume. Alla luce di queste ultime discussioni la questione ora in esame può essere liquidata in modo relativamente breve. 19
].
H. WooDGER, Biologica! Principles, cit. p. 316.
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Spiegazione meccanicistica e biologia organismica
Assumiamo, come fanno i biologi organicisti, che un essere vivente possieda una "unità organica", nel senso di essere un sistema teleologico il quale presenta un'organizzazione gerarchica di parti e di processi, in modo che le varie parti stiano una rispetto all'altra in relazioni complesse di interdipendenza causale. Supponiamo inoltre che le particelle e i processi della fisica e della chimica costituiscano gli elementi del livello piu basso di questo sistema gerarchico, e che T costituisca attualmente il corpo della teoria fisico chimica. Associamo infine alla parola "somma" nell'enunciato "un organismo vivente non è la somma delle sue parti fisico chimiche" il senso di riducibilità distinto nel capitolo precedente. L'enunciato verrà allora inteso come un'asserzione del fatto che, anche quando sono fornite opportune condizioni fisico chimiche di partenza e al limite, non è possibile dedurre da T la classe di leggi e di altri enunciati riguardanti gli esseri viventi che vengono comunemente considerati come appartenenti al dominio della biologia. L'enunciato sottoposto ad un'importante restrizione e interpretato in questa maniera può benissimo essere vero, e rappresenta probabilmente l'opinione della maggior parte fra gli studiosi dei fenomeni vitali, siano essi o meno sostenitori della biologia organismica. Tale enunciato è ampiamente accettato, malgrado il fatto che in molti casi si siano accertate le condizioni fisico chimiche per i processi biologici. Di norma l'uovo non fecondato del riccio di mare per esempio non si sviluppa in un embrione. Alcuni esperimenti però hanno mostrato che se tali uova vengono dapprima poste per circa due minuti in acqua di mare cui sia stata aggiunta una certa quantità di acido acetico e in seguito trasportate in normale acqua marina, esse poco tempo dopo cominciano a segmentare e a svilupparsi in larve. Per quanto però questo fatto costituisca una prova molto convincente della natura fisico chimica dei processi biologici, esso non è stato fino ad ora completamente spiegato in termini fisico chimici ove si intenda in senso stretto la parola 'spiegare'. Infatti nessuno ha fino ad ora dimostrato come l'enunciato che le uova di riccio di mare sono suscettibili di partenogenesi artificiale sotto le condizioni sopra indicate, sia deducibile dalle assunzioni puramente fisico chimiche T. Per conseguenza se i biologi organicisti si limitano a sostenere de facto la tesi che, per nessuno dei sistemi i quali possiedono l'unità organica degli esseri viventi, è stato provato fino ad ora che esso consista nella somma (nel senso di riducibilità) dei loro costituenti fisico chimici, tale tesi risulta ben fondata. D'altro lato, date le condizioni predominanti della nostra conoscenza, il fatto che la partenogenesi artificiale del riccio di mare non sia deducibile da T non dovrebbe costituire motivo di sorpresa. La deduzione non è possibile quanto meno perché non sono attualmente soddisfatti gli elementari requisiti logici per realizzarla. Nessuna teoria
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può spiegare le operazioni di un qualunque sistema concretamente dato a meno che non venga enunciato un insieme completo di condizioni iniziali e di condizioni limite per l'applicazione della teoria in maniera consona alle nozioni specifiche impiegate nella teoria stessa. Non è possibile per esempio dedurre la distribuzione delle cariche elettriche su un dato conduttore isolato semplicemente a partire dalle equazioni fondamentali della teoria elettrostatica. Ulteriori informazioni relative ai casi particolari devono venire fornite in una forma prescritta dalla natura della teoria - in questo caso informazioni sulla forma e sulle dimensioni del conduttore, sulle grandezze e la distribuzione delle cariche elettriche nelle vicinanze del conduttore e sul valore della costante dielettrica del mezzo in cui il conduttore si trova. Nel caso delle uova di riccio di mare però, per quanto sia presumibilmente nota la composizione fisico chimica dell'ambiente in cui le uova non fecondate si sviluppano in embrione, la composizione fisico chimica delle uova stesse non è ancora conosciuta e non può venir formulata per essere inclusa fra le indispensabili condizioni relative al caso particolare per la applicazione di T. Piu in generale, noi non conosciamo al presente la dettagliata composizione fisico chimica di un qualunque organismo vivente né le forze che possono agire fra gli elementi al livello piu basso della sua organizzazione gerarchica. Siamo perciò attualmente nell'impossibilità di enunciare in termini esclusivamente fisico chimici le condizioni iniziali e le condizioni limite richieste per l'applicazione di T ai sistemi vitali. Fino a tanto che non ci riesca di fare questo, ci è preclusa di principio la possibilità di dedurre leggi biologiche dalla teoria meccanicistica. Per conseguenza, sebbene possa effettivamente essere vero che un organismo vivente non è la somma delle sue parti fisico chimiche, le prove disponibili non ci permettono di asserire la verità o la falsità di questa affermazione. Per quanto il punto testé posto in rilievo sia basilare, i biologi organicisti sembrano spesso trascurarlo. Essi talora obiettano che, mentre le spiegazioni meccanicistiche sembrano possibili per tratti caratteristici delle parti organiche quando queste vengono studiate in "astratto" (o isolate) dall'organismo come totalità, tali spiegazioni non sono possibili quando le parti funzionano congiuntamente in reciproca dipendenza con costituenti effettivi di un essere vivente. Questa tesi però ignora il fatto cruciale che le condizioni iniziali richieste per una spiegazione meccanicistica dei tratti caratteristici delle parti organiche che si manifestano quando le parti esistono in vitro sono generalmente insufficienti per spiegare meccanicisticamente il funzionamento congiunto delle parti in un organismo biologico. È evidente infatti che una parte quando è isolata dal resto dell'organismo è situata in un ambiente che è per solito differente dal suo ambiente normale, dove essa sta in relazione di reciproca dipendenza con le altre parti dell'organismo. Ne segue perciò che le condizioni iniziali, richieste per
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Spiegazione meccanicistica e biologia organismica
poterei servire di una data teoria onde spiegare il comportamento di una parte isolata, saranno diverse anche dalle condizioni iniziali richieste per l'uso di quella teoria onde spiegare il comportamento nell'ambiente normale. Di conseguenza, sebbene probabilmente esorbiti dalle nostre effettive capacità al presente, o in un futuro prevedibile, lo specificare le condizioni relative al caso particolare richieste per una spiegazione meccanicistica del funzionamento delle parti organiche in situ, non vi è nulla nella logica della situazione che limiti tali spiegazioni di principio al comportamento delle parti organiche in vitro. Bisogna aggiungere un commento finale. È importante distinguere la questione circa la possibilità di spiegazioni meccanicistiche dei fenomeni vitali dal problema, del tutto diverso anche se ad essa connesso, della possibilità di riuscire a sintetizzare in laboratorio organismi viventi a partire da materiali non viventi. Molti biologi sembrano rifiutare la prima possibilità a causa del loro scetticismo circa la seconda. Di fatto però i due problemi sono logicamente indipendenti. In particolare, per quanto possa darsi che non diventerà mai possibile costruire artificialmente organismi viventi, non ne segue che i fenomeni vitali siano perciò non suscettibili di essere spiegati meccanicisticamente. Un'occhiata ai risultati delle scienze fisiche sarà sufficiente per fondare questa tesi. Noi non abbiamo infatti il potere di costruire nebulose o sistemi solari, e tuttavia possediamo teorie fisico chimiche nei cui termini si riescono a capire in modo abbastanza soddisfacente le nebulose e i sistemi planetari. Inoltre mentre la moderna fisica e la moderna chimica forniscono spiegazioni esaurienti delle varie proprietà degli elementi chimici in termini di struHura elettronica degli atomi, non vi sono ragioni che obblighino a credere che, per esempio, gli uomini saranno un giorno in grado di fabbricare idrogeno unendo artificialmente i componenti subatomici di tale sostanza. La specie umana d'altro lato è entrata in possesso di tecniche (per esempio, nella co• struzione di abitazioni, nella produzione di leghe, e nella preparazione dei cibi) molto tempo prima che fossero disponibili spiegazioni adeguate per i tratti caratteristici degli oggetti artificialmente costruiti. I biologi organicisti, nondimeno, sviluppano spesso la loro critica al programma meccanicista in biologia come se questo fosse equivalente all'acquisizione di tecniche per smontare letteralmente gli organismi viventi e per ricostruirli poi manifestamente a partire dalle loro parti smembrate e indipendenti. Le condizioni per conseguire una spiegazione meccanicistica dei fenomeni vitali, però, sono del tutto diverse da quelle richieste per la fabbricazione artificiale di organismi viventi. Il primo compito dipende dalla costruzione di teorie fattualmente garantite delle sostanze fisico chimiche; il secondo dipende dalla disponibilità di adeguati materiali fisico chimici e dalla escogitazione di tecniche efficaci per combinarli e controllarli. Forse è improbabile che si riesca mai a sintetizzare in laboratorio degli organismi viventi
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fuorché con l'aiuto di teorie meccanicistiche dei processi vitali; in assenza di tali teorie la fabbricazione artificiale di esseri viventi, qualora venga realizzata un giorno, sarebbe il risultato di un accidente fortunato ma improbabile. In ogni caso le condizioni per espletare questi compiti manifestamente diversi non sono identiche, e l'uno potrebbe essere un giorno realizzato senza che lo sia l'altro. Per conseguenza, un rifiuto della possibilità di spiegazioni meccanicistiche in biologia sulla base della tacita assunzione che le condizioni suddette effettivamente coincidono, non è una tesi fondata su motivi convincenti. La conclusione principale di questa discussione è che i biologi organicisti non hanno dato un fondamento all'assoluta autonomia della biologia o all'intrinseca impossibilità delle spiegazioni fisico chimiche dei fenomeni vitali. Nondimeno l'accento che essi pongono sull'organizzazione gerarchica degli esseri viventi e sulla reciproca dipendenza delle parti organiche non è fuori posto. Infatti la biologia organismica, per quanto non abbia giustificato in modo convincente tutte le sue tesi, ha dimostrato un punto importante e cioè che il conseguimento di spiegazioni meccanicistiche per i fenomeni vitali non è una condizione sine qua non per uno studio valido e fecondo di tali processi. Non c'è piu motivo per rifiutare una teoria biologica (per esempio la teoria genica della eredità) per il fatto che non è meccanicistica (nel senso in cui noi abbiamo adoperato il termine 'meccanicistico') piu di quanto ci sia motivo di scartare alcune teorie fisiche (per esempio la moderna teoria quantistica) in base al fatto che essa non è riducibile ad una teoria di un'altra branca dellà scienza fisica (per es. alla meccanica classica). Una saggia strategia di ricerca può effettivamente esigere che una data disciplina sia coltivata almeno durante un certo periodo del suo sviluppo come una branca relativamente indipendente della scienza, piuttosto che come un'appendice di qualche altra disciplina, anche se le teorie della seconda sono piu ampie e meglio fondate di quanto non lo siano i principi esplicativi della prima. La protesta della biologia organismica contro il dogmatismo che spesso accompagna il punto di vista meccanicistico in biologia è quindi salutare. C'è però un rovescio della medaglia per quel che concerne la critica fatta dagli organicisti a questo dogmatismo. I biologi seguaci di questa teoria scrivono talora, come se qualunque analisi di processi vitali in attività di parti distinguibili di esseri viventi comportasse una visione gravemente distorta di questi processi. E. S. Russell, per esempio, ha sostenuto che nell'analizzare le attività di un organismo in processi elementari "qualcosa viene perduto, in quanto l'azione del tutto ha una certa capacità di unificazione e una certa completezza che viene lasciata da parte nel processo di analisi" .20 Analogamente J. S. Haldane 20
E. S. RusSELL, The Interpretation of Development and Heredity cit. p. 171
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Spiegazione meccanicistica e biologia organismica
sostenne che noi non possiamo applicare il ragionamento matematico ai processi vitali, dal momento che la trattazione matematica ammette la separabilità degli eventi nello spazio "che non esiste per la vita come tale. Quando trattiamo della vita noi trattiamo di una totalità indi visibile"." H. W il don Carr un filosofo che accolse la concezione organicistica e ne divenne uno dei sostenitori dichiarò che "la vita è individuale; esiste solo negli esseri viventi, e ciascun essere vivente è indi visibile, esso è un tutto non costituito di parti" .22 Tali dichiarazioni rivelano un atteggiamento mentale che è di ostacolo all'avanzamento della ricerca biologica almeno quanto lo è il dogmatismo dei meccanicisti intransigenti. In biologia come nelle altre branche della scienza la conoscenza viene acquisita solo attraverso l'analisi o l'uso del cosiddetto "metodo astrattivo" - concentrandosi su un ristretto numero di proprietà godute dalle cose, mettendo tra parentesi (almeno per un certo tempo) le altre, e investigando i caratteri cosi scelti per Io studio sotto condizioni controllate. Anche i biologi organicisti procedono in questo modo, malgrado quello che possono dire, in quanto non c'è alcuna reale alternativa a questo modo di procedere. Per esempio sebbene J. S. Haldane formalmente abbia proclamato la "indivisibile unità" degli esseri viventi, i suoi studi sulla respirazione e sulla chimica del sangue non furono condotti sulla base della considerazione del corpo come un tutto indivisibile. Le sue ricerche implicavano l'esame delle relazioni fra il comportamento di una parte del corpo (per esempio la quantità di anidride carbonica assorbita dai polmoni) e il comportamento di un'altra parte (l'azione chimica dei globuli rossi del sangue). Al pari di chiunque contribuisca all'avanzamento della conoscenza, i biologi organicisti debbono essere astrattivi e analitici nelle loro procedure di ricerca. Essi devono studiare le attività di varie parti separate degli organismi viventi sotto condizioni scelte e spesso artificialmente istituite - sotto pena di confondere oscuri enunciati abbondantemente infarciti di locuzioni come "totalità", "unificazione" e "unità indivisibili" con espressioni dotate di autentico valore conoscitivo.
2t 22
J. S. HALDANE, The Philisophical Basis o! Biology, London, 1931,
p. 14. Citato in L. HoGBEN, The Nature of Living Matter, London, 1930, p. 226.
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Capitolo tredicesimo
Problemi metodologici delle scienze sociali
Lo studio delle società e del comportamento umani plasmati dalle istituzioni sociali è stato coltivato quasi quanto lo sono stati i fenomeni fisici e biologici. Gran parte della "teoria sociale" che è emersa da tale studio, però, tanto in passato quanto oggi è filosofia sociale e morale piuttosto che scienza sociale, ed è costituita in larga misura da riflessioni generali sulla "natura dell'uomo", da giustificazioni o da critiche delle diverse istituzioni sociali, o da indicazioni di stadi nel progresso e nella decadenza delle civiltà. Per quanto discussioni di questo tipo contengano spesso penetranti visioni delle funzioni delle diverse istituzioni sociali nell'economia umana, esse raramente mostrano l'esigenza di fondarsi su analisi sistematiche di dati empirici dettagliati concernenti l'effettivo operare delle società. Se mai vien fatta menzione di tali dati, la loro funzione è per lo piu anedottica, e serve a illustrare piuttosto che a documentare criticamente certe conclusioni generali. Nonostante che l'attivo interesse verso i fenomeni sociali abbia una lunga storia, la produzione sperimentale di prove e la raccolta sistematica di esse allo scopo di valutare le credenze relative a tali fenomeni sono di origine relativamente recente. In ogni caso, però, in nessun settore della ricerca sociale esiste un corpo di leggi generali ben fondate paragonabile alle teorie fondamentali delle scienze naturali quanto a vastità di potere esplicativo o a capacità di formulare predizioni precise e degne di fiducia. È ben vero naturalmente che sono stati ripetutamente costruiti sistemi generali di "fisica sociale", ispirati dagli efficaci risultati teorici della scienza della natura, e aventi lo scopo di rendere conto dell'intera gamma delle strutture sociali e dei mutamenti che si sono manifestati nel corso della storia umana. Queste ambiziose costruzioni, però, sono i prodotti di nozioni, di adeguatezza assai dubbia, intorno a ciò che costituisce una valida procedura scientifica e, per quanto alcune di esse continuino ad avere sostenitori, nessuna resiste ad un attento esame.' La maggior 1
Molti di questi sistemi sono teorie incentrate su di un "fattore singolo" o su una
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Problemi metodologici delle scienze sociali
parte degli studiosi competenti oggi non crede che si possa conseguire in un futuro prevedibile una teoria empiricamente garantita che sia in grado di spiegare, nei termini di un unico insieme di assunzioni integrate, la completa varietà dei fenomeni sociali. Molti studiosi di scienze sociali, inoltre, sono dell'opinione che i tempi non sono maturi neppure per teorie proposte alla spiegazione sistematica soltanto di ambiti del tutto limitati di fenomeni sociali. In effetti quando sono state tentate tali costruzioni teoriche con un dominio ristretto, per esempio in economia o su scala piu ristretta nello studio della mobilità sociale, il loro valore empirico è stato in generale considerato un problema non ancora definito. Per generale ammissione i problemi investigati in molti centri attuali di ricerca sociale empirica concernono, in larga misura, problemi di dimensioni modeste e spesso di scarso rilievo. Del pari si riconosce, in generale, che nelle scienze sociali non esiste nulla di realmente simile alla quasi completa unanimità che comunemente si raggiunge fra i ricercatori competenti nelle scienze naturali su quelle che sono le questioni di conferma fattuale e le spiegazioni ragionevolmente soddisfacenti (se pur ve ne sono) per i fatti assunti, e per quel che concerne alcune delle procedure valide in un'indagine ben condotta. Dissensi su tali questioni indubbiamente si manifestano anche nelle scienze naturali. Tali dissensi si riscontrano però comunemente sulle frontiere avanzanti della conoscenza, e, fatta eccezione per certi settori di ricerca che urtano fortemente contro barriere morali e religiose, il disaccordo viene generalmente superato con ragionevole celerità quando si conseguano ulteriori prove o si siano sviluppate tecniche perfezionate di analisi. Le scienze sociali, al contrario, producono spesso l'impressione di essere un campo di battaglia per scuole di pensiero eternamente in lotta fra di loro e che persino gli argomenti che sono stati oggetto di studio intenso e prolungato restino nell'instabile zona periferica della ricerca. Ad ogni modo, è di dominio pubblico il fatto che gli studiosi di scienze sociali continuano ad essere divisi sulle questioni centrali della logica della ricerca sociale che sono implicite nelle questioni sopra ricordate. In particolare c'è una divergenza di lunga data, per quanto concerne i fini scientifici dichiarati, fra coloro che considerano i sistemi esplicativi e i metodi logici delle scienze naturali come modelli da imitare nella ricerca sociale e coloro i quali pensano che sia di principio improprio per le scienze sociali ricercare teorie esplicative che impieghino distinzioni "astratte" lontane dall'esperienza quotidiana e che richiedano il sostegno di prove accessibili a tutti (o valide "intersoggettivamente" ). In breve, le scienze sociali non possiedono oggi sistemi di spiega"causa-chiave". Esse identificano una qualche "variabile", quale l'ambiente geografico, i caratteri biologici e l'organizzazione economica 0 la fede religiosa, per menzionarne solo alcune, nei cui termini debbono venir intesi gli assetti istituzionali e lo sViluppo delle società.
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La struttura della scienza
zione di vasta portata giudicati adeguati dalla maggioranza degli studiosi che ne abbiano una competenza professionale, e sono caratterizzate da gravi disaccordi tanto sulle questioni metodologiche quanto su quelle sostanziali. Per conseguenza la possibilità di designare qÙalunque branca attuale della ricerca sociale come "scienza reale" è stata ripetutamente contrastata - di solito in base al fatto che, per quanto tali ricerche abbiano offerto vasti contributi di informazioni assai spesso attendibili sui fenomeni sociali, tali contributi sono in primo luogo studi descrittivi di fatti sociali speciali in certi gruppi umani storicamente situati e non forniscono leggi rigorosamente universali per i fenomeni sociali. Comunque non sarebbe di alcun giovamento discutere un problema presentato in questo modo specialmente per il fatto che i requisiti per un'autentica scienza, tacitamente ammessi nella maggior parte delle controversie, conducono al risultato assai poco chiarificatore secondo cui, apparentemente, non vi sono che ben poche branche della ricerca fisica che meritino tale onorifica designazione. In ogni caso, per gli scopi presenti, sarà sufficiente osservare che, per quanto gli studi descrittivi di fatti sociali localizzati caretterizzino molta della ricerca sociale, questa affermazione non sintetizza adeguatamente i risultati di tale ricerca. Infatti le ricerche sul comportamento umano hanno reso evidenti (con l'aiuto progressivo, nei recenti anni, di tecniche di analisi quantitativa in rapido sviluppo) anche alcune delle relazioni di dipendenza fra componenti in vari processi sociali; e quelle indagini perciò hanno fornito assunzioni generalizzate piu o meno saldamente fondate per spiegare molti tratti distintivi della vita sociale, e cosi pure per costruire strategie sociali spesso efficaci. Le leggi e le generalizzazioni relative ai fenomeni sociali che l'attuale ricerca sociale mette a nostra disposizione sono senza dubbio di gran lunga piu ristrette quanto al loro ambito di applicazione, sono formulate in modo assai meno preciso e sono accettabili come valide fattualmente solo se si sottointende che esse siano integrate da un numero di qualificazioni ed eccezioni implicite molto maggiori, che non nel caso della piu gran parte delle leggi delle scienze fisiche comunemente citate. Sotto questo aspetto, però, le generalizzazioni dell'indagine sociale non appaiono radicalmente diverse dalle generalizzazioni correntemente proposte in domini solitamente considerati come suddivisioni senz'altro legittime della scienza della natura - per esempio nello studio dei fenomeni di turbolenza e in embriologia. Il compito importante, certamente, è quello di raggiungere un po' di chiarezza nei problemi metodologici di fondo e nella struttura delle spiegazioni nelle scienze sociali e non quelle di assegnare e rifiutare titoli onorifici. Tali tentativi di chiarificazione però incorrono in una difficoltà che forse è tipica delle scienze sociali. Sui dissensi che insorgono in queste discipline si è detto abbastanza per suscitare l'impressione che quasi tutti i prodotti della ricerca sociale, selezionati
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Problemi metodologici delle scienze sociali
per sottoporli ad analisi logica, corrano il rischio di venir giudicati da molti studiosi di professione non rappresentativi degli importanti risultati conseguiti in quel settore, anche se può accadere che altri studiosi con analoga competenza professionale giudichino diversamente la questione. Inoltre i problemi suscitati dall'analisi dei materiali scelti e cosi pure l'analisi stessa si trovano di fronte all'analogo rischio di venir condannati o come non pertinenti ai problemi logici significativi della ricerca sociale o come rivelatori di una tendenza ristretta e partigiana verso qualche particolare scuola di pensiero sociale. Malgrado questi rischi lo scopo dell'attuale capitolo e di quello successivo è di esaminare numerosi e impòr~nti problemi logici che si presentano continuamente nelle discussioni metodologiche delle scienze sociali. Questo capitolo prenderà in considerazione in primo luogo diverse difficoltà che si vorrebbero create dalla speciale materia oggetto della ricerca sociale e che sono frequentemente citate come ostacoli gravi o addirittura insormontabili per fissare leggi generali dei fenomeni sociali. Il capitolo successivo tratterà poi della questione se le spiegazioni nelle scienze sociali differiscano tanto per la forma quanto per il contenuto sostanziale da quelle delle altre branche di indagine; e certi tratti distintivi delle spiegazioni probabilistiche riceveranno una trattazione piu completa di quanto sia stata loro data finora. Il capitolo finale tratterà di problemi della conoscenza storica; vi si discuteranno ulteriori aspetti dello schema probabilistico e si esaminerà inoltre la struttura dellç spiegazioni genetiche.'
I. Forme di indagine controllata Sulla base dell'assunzione che lo scopo fondamentale della scienza sociale teorica sia quello di fissare leggi generali che possano servire come strumenti per la spiegazione sistematica e le predizioni sicure, molti studiosi di fenomeni sociali hanno tentato di render conto della relativa scarsità di leggi degne di affidamento nelle loro discipline. Esamineremo alcune delle ragioni che sono state proposte. Le ragioni che devono venir discusse richiamano l'attenzione su difficoltà che stanno di fronte alle scienze sociali, o a causa di certi dichiarati tratti distintivi intrinseci all'argomento studiato o a causa di certe supposte conseguenze del fatto che lo studio della società è parte del suo proprio argomento. Tali difficoltà non sono in generale reciprocamente indipendenti cosicché i problemi che sollevano non sempre differiscono radicalmente. Nondimeno è opportuno elencare ed esaminare separatamente tali problemi. 2 Le spiegazioni probabilistiche e genetiche vennero caratterizzate ed illustrate nel cspitolo 2, e la prima fu brevemente discussa nel capitolo 10.
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La fonte di difficoltà piu frequentemente menzionata è forse costituita dal dominio dichiaratamente ristretto di possibilità di compiere esperimenti controllati su argomenti sociali. Enunciamo in primo luogo la difficoltà in questione nella forma che essa riceve quando al termine "esperimento controllato" viene associato un senso molto rigoroso. In un esperimento controllato lo sperimentatore può manipolare a suo talento, anche se entro determinati limiti, certi tratti caratteristici in una situazione (spesso designati come "variabili" o "fattori") che vengono assunti come costitutivi delle condizioni rilevanti per il presentarsi dei fenomeni studiati, in modo che facendo variare ripetutamente alcuni di essi (nel caso ideale facendone variare uno solo) e mantenendo invece costanti gli altri, l'osservatore possa studiare gli effetti di tali cambiamenti sul fenomeno e scoprire le relazioni costanti di dipendenza fra il fenomeno e le variabili. L'esperimento controllato comprende cosi non solo i mutamenti imposti alle variabili che possono venir identificate e distinte con sicurezza dalle altre, ma anche la riproduzione degli effetti indotti da tali mutamenti sul fenomeno studiato. È noto però che, nel migliore dei casi, un esperimento in questo senso rigoroso può venir eseguito solo raramente nelle scienze sociali e forse mai in connessione con un qualunque fenomeno, il quale implichi la partecipazione di parecchie generazioni e di un gran numero di persone. Infatti gli studiosi di scienze sociali non hanno di solito la possibilità di istituire modificazioni sperimentali predisposte nella maggior parte del materiale soçiale dotato di interesse scientifico. Inoltre anche se avessero questo potere e non insorgessero scrupoli morali ad ostacolare l'assoggettamento di esseri umani a vari mutamenti con effetti imprevedibili e forse anche dannosi per la loro vita, sorgerebbero due importanti problemi i quali concernono tutti gli esperimenti che essi potrebbero realizzare. L'esercizio della facoltà di modificare le condizioni sociali per scopi sperimentali è evidentemente esso stesso una variabile sociale. Per conseguenza la maniera in cui viene esercitata tale facoltà può compromettere seriamente il significato conoscitivo di un esperimento se quell'uso di tale facoltà influenza l'esito dell'esperimento in misura non prevista. Inoltre dal momento che un dato mutamento introdotto in una situazione sociale può produrre (e di solito effettivamente produce) una modificazione irreversibile nelle variabili considerate, una ripetizione del mutamento volta a determinare se gli effetti osservati siano o non siano costanti, agirà su variabili che non si trovano nelle medesime condizioni iniziali durante ciascuno dei tentativi ripetuti. Per conseguenza dal momento che resta incerto se le invarianze o le differenze negli effetti siano da attribuirsi a differenze negli stati iniziali delle variabili o a differenze in altre circostanze dell'esperimento può risultare impossibile decidere con
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mezzi sperimentali se un data alterazione in un fenomeno sociale possa essere legittimamente imputata ad un dato tipo di mutamento in una certa variabile.' In aggiunta a tutto ciò l'ambito di sperimentazione nelle scienze sociali è fortemente limitato dalla circostanza che un esperimento controllato può venir eseguito solo se è possibile produrre modificazioni ripetutamente osservabili nel fenomeno studiato possibilità che sembra chiaramente fuori luogo per quei fenomeni sociali che sono manifestamente non ricorrenti e storicamente unici (per esempio la nascita del moderno capitalismo industriale, o l'unionismo dei sindacati in America durante il New Deal). Queste tesi relative al carattere ristretto dell'ambito di sperimentatazione nelle scienze sociali sollevano molti importanti problemi. La discussione di esse però sarà per il momento limitata ai due punti seguenti, mentre gli altri saranno oggetto di esame successivo; l) la sperimentazione controllata è una conditio sine qua non per ottenere una conoscenza fattualmente garantita, e in particolare per fissare leggi generali e 2) si dà di fatto nelle scienze sociali solo una possibilità trascurabile di applicare procedure empiriche controllate? l. Le indagini nelle quali possono venir istituiti esperimenti controllati godono di vantaggi ben noti e innegabilmente grandi. È indubbiamente poco probabile che varie branche della scienza (per esempio l'ottica, la chimica, o la genetica) avrebbero potuto raggiungere il loro attuale stato di avanzato sviluppo teorico senza una sperimentazione sistematica. Nondimeno tale congettura sarebbe ovviamente non valida se venisse estesa a tutti i domini di indagine in cui sono stati stabiliti sistemi generali di spiegazione. Né l'astronomia né l'astrofisica sono scienze sperimentali anche se entrambe adottano molte assunzioni che sono chiaramente fondate sui risultati sperimentali di altre discipline. Per quanto durante il XVIII e XIX secolo l'astronomia fosse giustamente ritenuta superiore a tutte le altre scienze per quel che concerne la stabilità della sua teoria generale e la precisione delle sue predizioni, essa certamente non raggiunse questa superiorità attraverso la manipolazione sperimentale dei corpi celesti. Inoltre anche in branche di indagine in nessun modo prossime al livello teorico dell' astronomia (per esempio la geologia, o fino ad epoca relativamente recente l'embriologia) la mancanza di occasioni per eseguire esperimenti controllati non ha impedito agli scienziati di pervenire a leggi generali ben fondate. Per conseguenza è fuori discussione il fatto che molte 3 Questa difficoltà sorge pure nelle scienze che trattano con materiali non umani. Essa può di solito venir superata in questi settori impiegando un nuovo campione in ogni prova ripetuta, purché i nuovi campioni siano omogenei - per aspetti rilevanti con i campioni iniziali. Nelle scienze sociali il problema non può venir risolto cos{ facilmente, in quanto anche se è disponibile una scelta adeguata di campioni, essi possono non essere sufficientemente simili quanto ai tratti caratteristici in questione,
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scienze hanno contribuito e continuano a contribuire all'avanzamento della conoscenza generalizzata malgrado le occasioni fortemente limitate di istituire esperimenti controllati. Ogni branca di indagine che miri al conseguimento di leggi generali attendibili concernenti argomenti empirici deve tuttavia adottare una procedura che, se non è sperimentazione rigorosamente controllata, esplica le funzioni logiche essenziali dell'esperimento nell'indagine. Questa procedura (noi la chiameremo "investigazione controllata") non richiede come fa la sperimentazione la riproduzione a piacere del fenomeno studiato né la manifesta manipolazione delle variabili; essa però assomiglia molto alla sperimentazione sotto altri aspetti. L'investigazione controllata consiste nella deliberata ricerca di occasioni in contrasto fra loro in cui il fenomeno è uniformemente manifesto (in modi sia identici che differenti) ovvero manifesto in certi casi ma non in altri, e nel successivo esame di certi fattori discriminati in tali occasioni allo scopo di accertare se le variazioni in questi fattori sono in relazione a differenze nei fenomeni - dove tanto questi fattori quanto le differenti manifestazioni del fenomeno sono scelti per un'attenta osservazione in quanto si assume che fra es:;i sussista una relazione in proposito. Dal punto di vista del ruolo logico che i dati empirici svolgono nell'indagine è chiaramente indifferente se le variazioni osservate nei fattori assunti come determinanti per i mutamenti osservati nel fenomeno vengano introdotti dallo scienziato stesso o se tali variazioni siano state prodotte "naturalmente" e siano semplicemente trovate da lui purché in ciascun caso le osservazioni siano state fatte con eguale cura e gli eventi che manifestano le variazioni nei fattori e nel fenomeno siano simili in tutti gli altri aspetti rilevanti. È questo il motivo per cui la sperimentazione viene spesso considerata come una forma limite di investigazione controllata e per cui talora le due condizioni non sono neppure distinte. Può darsi effettivamente il caso che la seconda delle due condizioni suddette venga soddisfatta piu facilmente quando gli esperimenti possono venir eseguiti che quando non possono esserlo; e può darsi altres1 che, quando l'esperimento è fattibile, alcuni fattori rilevanti possano venire sottoposti a certe variazioni che si presentano raramente in modo naturale se pur si presentano e che pur tuttavia devono essere realizzate se è necessario fissare delle leggi generali. Questi rilievi dirigono l'attenzione verso argomenti di importanza indubbiamente grande nella condotta dell'indagine, ma essi non annullano l'identità di funzione logica fra esperimento controllato e investigazione controllata. In breve per quanto sia possibile far progredire la ricerca scientifica senza esperimenti appaiono tuttavia indispensabili o la sperimentazione controllata (nel senso ristretto associato da noi a questa espressione) o la investigazione controllata (nel senso sopra indicato). Diremo che
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un'indagine che si serve dell'una o dell'altra di queste due procedure è una "indagine empirica controllata".' 2. Per conseguenza è opportuno chiedersi se nelle scienze sociali il dominio di procedure che o sono rigorosamente sperimentali o hanno la stessa funzione logica dell'esperimento sia cosi vicino ad annullarsi come viene spesso dipinto. La tesi secondo cui tale dominio è molto piccolo si fonda solitamente su alcuni equivoci che dovremo ora mettere brevemente in discussione. a) Per quanto John Stuart Mill fosse il piu importante difensore nell'Inghilterra del XIX secolo dell'impiego dei metodi logici delle scienze naturali nell'indagine sociale, egli era convinto che la sperimentazione diretta a stabilire leggi generali non fosse attuabile nelle scienze sociali. Egli sosteneva questa opinione poiché non vedeva alcuna possibilità di applicazione in queste ultime discipline né del suo "Metodo di Concordanza" né del suo "Metodo di Differenza" i due fra i suoi cinque "Metodi di Indagine Sperimentale" che secondo lui erano definitivi per stabilire che cosa debba essere un esperimento. Secondo il Metodo di Concordanza, sono richiesti due casi particolari di un fenomeno i quali siano dissimili in tutti gli aspetti eccetto uno (che può venir allora identificato come la "causa" o l'" effetto" del fenomeno); e secondo il Metodo di Differenza, sono richieste due situazioni dove il fenomeno sia presente in una ma non nell'altra, le quali siano invece simili in tutti gli aspetti eccetto uno (che può di nuovo venir identificato come la "causa" o !"'effetto" del fenomeno). Mill, a quanto pare, dava per scontato che gli esperimenti sociali teoricamente significativi debbono venir eseguiti su società storicamente date considerate nella loro completezza; e dal momento che egli riteneva ovviamente con ragione che non esistano realmente due società tali da conformarsi alle condizioni richieste dall'uno e dall'altro dei suoi due Metodi, e anche che nessun espediente avrebbe potuto renderle tali, negava la possibilità della sperimentazione sociale.' Il resoconto fatto da Mill del metodo sperimentale aveva il grave difetto di sottovalutare se non addirittura di ignorare il punto fondamentale, secondo il quale, poiché due situazioni non sono mai as4 È di una certa importanza non confondere quella che viene frequentemente detta "osservazione controllata (sensoriale)" con l'indagine empirica controllata nel senso sopracitato. Si dice di solito che le osservazioni sono "controllate" se esse non sono casuali, ma sono istituite con cura al fine di risolvere un certo problema ed alla luce di qualche concezione concernente i requisiti dell'osservazione attendibile. L'osservazione controllata, tuttavia, è soltanto una condizione necessaria ma non sufficiente per l'indagine empirica controllata. s Mill proponeva quello che egli chiamava il "Metodo Concreto Deduttivo" come il piu adatto per l'indagine sociale. Secondo questo metodo, le diverse conseguenze derivate da un certo assieme di assunzioni teoriche vengono verificate attraverso l'osservazione.
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solutamente simili o assolutamente dissimili sotto tutti gli aspetti eccetto uno, i suoi Metodi risultano applicabili soltanto entro un certo schema di assunzioni che stipulano quali tratti distintivi (o aspetti) di una situazione siano da considerarsi quelli rilevanti. Anche se l'analisi di Mill venisse corretta in questo punto, le sue ragioni per negare la possibilità della sperimentazione sociale continuerebbero però ad essere infondate. Infatti la sua argomentazione è basata in parte sul presupposto che la sperimentazione controllata (o anche la investigazione controllata per l'argomento in questione) richieda il presentarsi di una variazione in un solo fattore (rilevante) alla volta - nozione questa che è comunemente accettata ma che nondimeno costituisce una concezione eccessivamente semplificata delle condizioni per un'analisi empirica efficace. In effetti tale ipotesi enuncia un ideale di procedura sperimentale, spesso realizzata almeno approssimativamente. È bene ricordare però che la questione se soltanto un "singolo" fattore sia da variare in un esperimento o persino che cosa sia da considerarsi come fattore "singolo" sono argomenti che dipendono dalle assunzioni antecedenti che sottostanno all'esperimento. Anche nel laboratorio che funzioni nel modo piu accurato sarebbe al di là delle possibilità umane eliminare completamente le variazioni in tutte le circostanze di un esperimento eccetto una; ed è stato già posto l'accento sul fatto che le assunzioni concernenti i mutamenti che debbono venir isolati come rilevanti sono implicite in ogni indagine. Per illustrare il fatto che assunzioni speciali possono venir implicate nello stabilire che un fattore sia "singolo", basterà addurre quest'altro esempio: per quanto in molti esperimenti il cambiare la quantità (per esempio il numero di grammi) di ossigeno chimicamente puro sia da considerarsi come variazione in un fattore singolo, in altri esperimenti questo non è un modo soddisfacente per specificare che cosa sia un fattore singolo a causa dell'assunzione, rilevante in questa seconda classe di esperimenti ma non nella prima, che esistono isotopi dell'ossigeno. Infatti, dal momento che le proporzioni in cui tali isotopi sono contenuti in quantità differenti di ossigeno chimicamente puro non sono costanti, il variare la quantità di ossigeno puro può alterare le proporzioni in modo significa ti vo. In ogni caso, esistono nelle scienze naturali settori di indagine nei quali non è possibile variare uno alla volta neppure i fattori rilevanti e manifestamente "singoli" in un esperimento, e nei quali però noi non siamo da questo impossibilitati a stabilire delle leggi. Per esempio in esperimenti su sistemi fisico chimici in equilibrio termodinamico non è possibile in generale variare la pressione esercitata da un sistema senza variare la sua temperatura. È nondimeno possibile accertare quali relazioni costanti di dipendenza valgano fra queste variabili e altri fattori nel sistema, e quali siano gli effetti prodotti sul sistema da mutamenti in una sola di queste variabili. Inoltre la moderna analisi sta-
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ttstlca è sufficientemente generale per metterei in grado di far fronte a molte situazioni in cui le variabili non variano una alla volta, anche nel caso di fenomeni per i quali la teoria è molto meno avanzata di quanto non lo sia in fisica; per tali fenomeni sono disponibili solo tecniche di investigazione controllata ma non di rigorosa sperimentazione. Per esempio la quantità di grano prodotta in un dato campo di grano è influenzata tanto dai mutamenti di temperatura quanto dalle variazioni nella quantità di pioggia caduta quantunque questi fattori non possano variare in modo indipendente. L'analisi statistica di dati relativi alle loro variazioni simultanee nondimeno ci mette in grado di isolare gli effetti sulle produzioni granarie della quantità di pioggia caduta dagli effetti della temperatura." In breve la prescrizione che i fattori debbano essere variati uno alla volta rappresenta una condizione spesso auspicabile ma assolutamente non universalmente indispensabile per l'indagine controllata. b) Di conseguenza il campo per l'indagine empirica controllata nei fenomeni sociali risulta di principio assai piu vasto di quan~o facciano supporre le concezioni indebitamente ristrette di ciò che è essenziale per tale indagine. Analizziamo tuttavia brevemente le principali forme in cui lo studio empirico controllato ricorre effettivamente nelle scienze sociali. l) Malgrado le tesi largamente diffuse secondo cui la sperimentazione in senso rigoroso non è attuabile, diversi tipi di esperimenti sono di fatto adottati nelle scienze sociàli. Uno di essi è l'esperimento di laboratorio che risulta simile nelle sue linee essenziali agli esperimenti di laboratorio nelle scienze naturali. Esso consiste nel costruire una situazione artificiale che per certi aspetti assomiglia alle situazioni "reali" nella vita sociale e che soddisfa però certi requisiti di norma non soddisfatti da quest'ultima, nel senso che alcune delle variabili assunte come rilevanti per il presentarsi di un fenomeno sociale possono venir manipolate nella situazione di laboratorio mentre altre variabili rilevanti possono venir mantenute almeno approssimativamente costanti. Per esempio fu ideato un esperimento di laboratorio per determinare se i votanti vengano influenzati dalla conoscenza delle confessioni religiose dei candidati. A questo scopo furono create numerose associazioni i cui membri venivano scelti accuratamente in modo che nessuno conoscesse l'altro precedentemente. A ciascuna associazione si chiese di eleggere uno dei suoi membri ad una carica, a metà_ degli affiliati alla associazione furono fornite informazioni circa la confessione religiosa dei membri mentre all'altra metà non lo furono. I risultati dell'elezione dimostrarono che un buon numero dei votanti, cui era stata data tale informazione, furono da questa influenzati. 6
Analisi di questo tipo verranno trattate ulteriormente nel seguito di questo capitolo.
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Esperimenti di laboratorio sono stati impiegati in misura crescente in molti settori dell'indagine sociale. È evidente però che una vasta classe di fenomeni sociali non si presta a tale tipo di studio sperimentale. Inoltre, anche quando i fenomeni sociali possono venir investigati in questo modo, non è in generale possibile produrre in laboratorio mutamenti nelle variabili che siano paragonabili per ampiezza a quelli che talora si presentano in queste variabili nelle situazioni sociali naturali. Per esempio il senso dell'importanza cruciale frequentemente generato dai risultati nelle elezioni politiche non può venir facilmente provocato in oggetti che partecipano ad una elezione di laboratorio. Risulta mistificatrice la critica dell'uso di esperimenti di laboratorio nelle scienze sociali fondata sul fatto che, in quanto una situazione di laboratorio è "non reale", lo studio di essa non possa gettare alcuna luce sul comportamento sociale nella vita "reale". Al contrario molti esperimenti siffatti sono stati illuminanti; sono stati fatti per esempio numerosi esperimenti sul comportamento di bambini quando vengono variate le condizioni sotto le quali essi sono impegnati in attività di giuoco. Tuttavia è un'osservazione valida quella per cui nessuna generalizzazione riguardante i fenomeni sociali basata esclusivamente su esperimenti di laboratorio può venir accolta con sicurezza senza ulteriore indagine sul suo valore nell'ambiente sociale naturale. 2) Un secondo tipo di esperimento è il cosiddetto "esperimento di campo". In tali esperimenti, invece di una riproduzione artificiale di un sistema sociale in miniatura, .il soggetto dell'esperimento è qualche comunità "naturale" benché limitata, in cui possono venir manipolate certe variabili in modo che si possa accertare attraverso tentativi ripetuti se determinati cambiamenti in quelle variabili generino o meno determinate differenze in qualche fenomeno sociale. In un siffatto esperimento di campo, per esempio, furono operati cambiamenti nel modo in cui i lavoratori in una certa fabbrica venivano organizzati - i vari tipi di organizzazione erano definiti nell'indagine. Ne risultò che quei gruppi in cui venivano introdotte forme piu "democratiche" di organizzazione si dimostravano alla fine piu produttivi dei gruppi organizzati in modo meno democratico. La sperimentazione di campo presenta certi evidenti vantaggi sulla sperimentazione di laboratorio, ma è parimenti evidente che negli esperimenti di campo la difficoltà di mantenere costanti le variabili rilevanti è in generale piu grande. Per ovvie ragioni, inoltre, le occasioni di istituire esperimenti di campo sono state fino ad ora scarse, in effetti molti degli esperimenti compiuti sono stati intrapresi in connessione con problemi che hanno soltanto un interesse strettamente pratico. 3) Il nucleo dell'indagine empirica controllata nelle scienze sociali non è però sperimentale nel senso che abbiamo associato a questo ter-
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mine, anche se tali indagini vengono frequentemente designate come "esperimenti naturali" ("esperimenti ex post facto") o vengono qualificate in modi analoghi. Lo scopo di queste investigazioni è in generale quello di accertare se, in questo caso in qual modo, un certo evento o un certo insieme di eventi, o un certo complesso di tratti caratteristici, risulta causalmente collegato con il presentarsi di certi mutamenti sociali o certe caratteristiche in una data società. Esempi di argomenti discussi in tali indagini sono le migrazioni umane, le variazioni nel tasso delle nascite, l'atteggiamento verso le minoranze, l'adozione di nuove forme di comunicazione, le variazioni nel tasso di sconto praticato dalle banche, le differenze nella distribuzione dei diversi tratti caratteristici della personalità nei vari gruppi sociali, e gli effetti sociali dei decreti legislativi. Indagini di questo tipo possono venir suddivise in vari modi: le indagini che mirano ad accertare gli effetti sociali dei fenomeni in quanto distinte da quelle che si interessano delle loro cause; indagini rivolte verso azioni individuali in quanto distinte da quelle che investigano il comportamento di gruppo; indagini rivolte verso relazioni fra tratti caratteristici che si presentano piu o meno simultaneamente, in quanto distinti da quelli che si occupano di tratti caratteristici manifestati in una certa sequenza temporale, e cosi via. Ciascuna di queste suddivisioni è associata a speciali problemi metodologici e a speciali tecniche di indagine./ Malgrado però tali differenze, e malgrado il fatto che le variabili/ assunte come rilevanti in queste investigazioni non possono venir; manipolate a piacere e che le variazioni in tali variabili possono persino non essere state pianificate da alcuno, le investigazioni soddisfano in grado piu ampio o piu limitato i requisiti dell'indagine empirica controllata. In uno studio abbastanza rappresentativo di questo tipo, per esempio, il problema era quello di accertare l'influenza della televisione sulla frequenza alla chiesa da parte dei bambini. A tale scopo un'inchiesta campione raccolse risposte a domande concernenti la frequenza alla chiesa, l'età, e il sesso di ciascun bambino del campione, se il bambino osservava o meno la televisione, e la frequenza alla chiesa da parte dei suoi genitori. Quando le risposte venivano classificate a seconda del fatto che il bambino che frequentava la chiesa fosse o meno un telespettatore, si riscontrò che la proporzione dei bambini che frequentavano la chiesa nella classe dei telespettatori era inferiore alla proporzione dei bambini che frequentavano la chiesa nella classe di coloro che non erano telespettatori; tali proporzioni restavano sostanzialmente inalterate quando venivano messi a confronto bambini simili per sesso ed età. Quando invece le risposte campione venivano classificate tenendo anche conto della frequenza alla chiesa dei genitori allora nella classe dei bambini telespettatori con genitori che frequentavano la chiesa, la proporzione dei bambini che frequentavano la chiesa non differiva in modo signifi-
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cativo dalla proporzione dei bambini che frequentavano la chiesa nella classe di coloro che non erano telespettatori, sempre però nel caso in cui i genitori frequentassero la chiesa. L'analisi dei dati del campione forni cosi una certa prova del fatto che il frequentare la chiesa da parte dei bambini non viene influenzato dal loro essere telespettatori. Discuteremo in seguito con maggiori dettagli la struttura di tali analisi. Per il momento rendiamo esplicito che cosa in investigazioni di questo tipo qualifica queste come indagini empiriche entro certi limiti controllate. Dal momento che per ipotesi i fattori rilevanti non possono venire manifestamente manipolati in queste investigazioni il controllo deve venir effettuato in qualche altro modo. Come suggerisce l'esempio di cui sopra tale controllo viene conseguito se p~ò venir garantita un'informazione sufficiente su questi fattori, in modo che l'analisi dell'informazione possa produrre delle ricostruzioni simboliche in cui alcuni dei fattori vengono rappresentati come costanti (e quindi senza influenzare qualsiasi alterazione dei fenomeni studiati) in contrasto con le correlazioni (o la mancanza di correlazioni) fra i dati registrati sulle variazioni in altri fattori e i dati registrati sul fenomeno. Per conseguenza gli oggetti manipolati in queste investigazioni sono dati di osservazioni registrati (o simbolicamente rappresentati) su fattori rilevanti anziché i fattori stessi. Queste indagini perciò tentano di conseguire informazioni su un fenomeno e sui fattori assunti come rilevanti per il suo presentarsi, in modo che assoggettando i dati registrati alle manipolazioni dell'analisi statistica risulti possibile o eliminare alcuni fattori dal novero di quelli che determinano causalmente il fenomeno considerato o fornire argomenti per ascrivere a certi fattori un'influenza causale sul fenomeno. Le difficoltà connesse ad attribuzioni causali fatte sulla base di investigazioni di questo tipo sono, però, ben note. Non solo esistono problemi gravi e talora irresolubili di tipo tecnico generati da diversi speciali settori della ricerca sociale, per esempio problemi concernenti l'identificazione e la definizione di variabili, la scelta delle variabili rilevanti, la selezione di dati di campioni rappresentativi, e la raccolta di dati sufficienti per permettere di trarre inferenze fondate partendo dal confronto di varie classi di dati nel campione. C'è anche il fondamentale problema generale concernente la natura delle prove richieste per assegnare validamente un significato causale alle correlazioni fra dati. La storia degli studi sociali testimonia ampiamente della facilità con cui si può commettere l'errore ben noto di interpretare dati relativi ed eventi che si presentano in sequenza come indicazioni di connessioni causali. Tanto questo problema generale quanto il criterio per distinguere le correlazioni causali genuine da quelle spurie, saranno esaminati in seguito. Per il momento concluderemo con l'osservazione che molta della ricerca empirica nelle scienze sociali non
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tenta neppure di essere indagine controllata e che investigazioni di questo tipo differiscono in modo considerevole fra di loro rispetto al grado di completezza con il quale soddisfano le condizioni per tale indagine.
II. Relatività culturale e leggi sociali Una seconda difficoltà spesso ricordata come ostacolo all'istituzione di leggi generali nelle scienze sociali, e intimamente connessa alla difficoltà or ora esaminata, risiede nel fatto che i fenomeni sociali risultano "storicamente condizionati" o "determinati dalla cultura". Per quanto nel passato e nel presente la maggior parte se non tutte le società presentino numerose istituzioni analoghe - per esempio tutte le società conosciute possiedono qualche tipo di organizzazione familiare, alcune forme di educazione per i giovani, certi provvedimenti per mantenere l'ordine e cosi via - in generale queste istituzioni si sono sviluppate in risposta ad ambienti differenti e incorporano tradizioni culturali differenti, in modo che in generale sono pure diverse le strutture interne e le interrelazioni delle istituzioni corrispondenti nelle diverse società. Analogamente dal momento che le forme assunte dal comportamento umano sociale non dipendono dalle occasioni immediate che fanno scaturire il comportamento ma anche dalle abitudini istituite dalla cultura e dalle interpretazioni degli eventi implicate nella risposta a tali occasioni, gli schemi di comportamento sociale varieranno insieme alla società in cui tale comportamento si presenta e insieme al carattere delle sue istituzioni in un dato periodo storico. Non è perciò probabile che le conclusioni raggiunte attraverso J:lnO studio controllato dei dati campione ricavati da una società siano valide per un campione ricavato da un'altra società. A differenza delle leggi della chimica e della fisica, le generalizzazioni nelle scienze sociali perciò hanno quindi nel migliore dei casi, soltanto un dominio rigorosamente ristretto, limitato ai fenomeni sociali che si presentano durante un'epoca storica relativamente breve entro particolari assetti istituzionali. La legge di Snell sulla rifrazione della luce, per esempio, formula relazioni fra i fenomeni che sono manifestamente invariati in tutto l'universo. Invece la maniera in cui varia il tasso della natalità umana insieme allo status sociale entro una comunità in un dato periodo è in generale diverso dal modo in cui tali elementi sono correlati in un'altra comunità, o anche nella stessa comunità in un diverso momento. La sostanza di queste considerazioni, relative ad un serio ostacolo alla possibilità di istituire leggi sociali comprensive e generali, è innegabile. Il comportamento umano è indubbiamente modificato dal complesso delle istituzioni sociali in cui si sviluppa, malgrado il fatto che
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tutte le azioni umane implichino processi fisici e fisiologici le cui leggi operative sono invarianti in tutte le società. Persino il modo in cui i membri di un gruppo sociale soddisfano i bisogni biologici basilari - per esempio il modo in cui si procurano i mezzi di sussistenza e si costruiscono un riparo - non è determinato univocamente né dalla eredità biologica né dal carattere fisico del loro ambiente geografico, infatti l'influenza di questi fattori sull'azione umana è mediata dalla tecnologia e dalle tradizioni esistenti. Bisogna certamente ammettere la possibilità che leggi non banali e però sicuramente fondate sui fenomeni sociali abbiano sempre soltanto una generalità fortemente ristretta. I fatti in discussione, però, sono stati spesso male interpretati, e per conseguenza molti studiosi delle cose umane hanno sostenuto che le leggi "transculturali" dei fenomeni sociali (per es. le leggi sociali valide in società differenti) sarebbero di principio impossibili. Esamineremo perciò questo problema. l. Una fonte comune di scetticismo verso le possibilità di leggi sociali transculturali è costituita dalla tacita assunzione che le leggi scientifiche debbano metterei in grado di fare predizioni sicure in un futuro indefinito, a tal segno che l'astronomia viene presa come paradigma di qualunque scienza degna di questo nome. Si è sostenuto per esempio che una scienza della società se fosse una vera scienza, come lo è l'astronomia, ci permetterebbe di predire i movimenti essenziali delle cose umane nel futuro immediato e in quello indefinito, di rappresentarci la società dell'anno 2000 e dell'anno 2500 proprio come gli astronomi possono rappresentare l'aspetto dei cieli in determinati momenti del futuro. Una scienza sociale siffatta ci direbbe esattamente che cosa sta per accedere negli anni avvenire e noi saremmo nell'impossibilità di apportarvi alcuna modificazione malgrado ogni sforzo.7
Dal momento però che "a causa dello sviluppo dell'esperienza umana, le donne e gli uomini come individui, come gruppi, come razze e come nazioni crescono e mutano continuamente sicché non si possono ricavare schemi definitivi a partire dai dati delle scienze sociali", e dal momento che per conseguenza le scienze sociali non possono fare predizioni siffatte, se ne trae la conclusione che non esiste "scienza sociale in alcun senso valido del termine cosi come viene impiegato nella scienza reale". 8 Non è necessaria però un'amoia discussione per mostrare che le circostanze, che permettono predizioni di lunga portata in astronomia, non sono dominanti nelle altre branche delle scienze naturali, e che 7 8
A. BEARD, The Nature of the Social Sciences, New York, 1934, p. 29. Ibid., pp. 26, 33, 37.
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sotto questo aspetto la meccanica celeste non è una scienza fisica tipica. Predizioni del tipo ora accennato sono possibili in astronomia in quanto a tutti i fini pratici il sistema solare è un sistema isolato e c'è motivo di credere che resterà tale per un futuro indefinitamente lungo. Invece in moltissimi altri settori dell'indagine fisica i sistemi studiati non soddisfano questi requisiti per le predizioni di lunga portata. Inoltre in molti casi di indagine fisica noi siamo all'oscuro circa le condizioni iniziali relative all'impiego di teorie stabilite per compiere previsioni precise, anche se le teorie disponibili sono altrimenti del tutto adeguate per questo scopo. Noi siamo per esempio in grado di predire in modo molto preciso i movimenti di un dato pendolo fino a tanto che questo è isolato dall'influenza di vari fattori di disturbo, perché sono noti la teoria del movimento pendolare e i dati fattuali richiesti concernenti quel sistema specifico; non si possono però fare previsioni attendibili per il futuro, in quanto abbiamo ottime ragioni per ritenere che quel sistema non resterà per sempre immune da perturbazioni esterne. Non possiamo d'altro lato predire con molta precisione dove il vento trasporterà fra dieci minuti una foglia staccata da un albero; infatti per quanto la teoria fisica a nostra disposizione sia di principio capace di rispondere a tale domanda purché siano forniti i dati fattuali rilevanti per quel che riguarda il vento, la foglia e il terreno, ben raramente -- se pur ciò accade qualche volta - noi abbiamo a disposizione la conoscenza di condizioni iniziali siffatte. L'incapacità di predire il futuro indefinito non è dunque tipica soltanto dello studio delle cose umane e non è un indizio certo del fatto che le leggi generali riguardanti tali fenomeni non sono state fissate o non possono esserlo. È chiaramente un errore, inoltre, sostenere - come il passo citato poco sopra sembra suggerire - che la conoscenza teorica sia possibile solo in quei settori in cui manca un efficace controllo umano? Minerali grezzi possono venir trasformati in prodotti rifiniti, non perché non sia disponibile alcuna teoria per spiegare tali trasformazioni ma molto spesso proprio perché ve ne è una. Per contro un settore non cessa di essere un campo di conoscenza teorica se, dove si sono sviluppate delle tecniche adeguate, diventano- controllabili delle trasformazioni che prima non lo erano. Perderebbero forse la loro validità i principi della meteorologia se noi scoprissimo un giorno come manipolare il tempo? Gli uomini sono indubbiamente in grado di alterare alcuni caratteri dei loro modi di organizzazione sociale, ma questo fatto non stabilisce l'impossibilità di una scienza "reale" delle cose umane. 2. Un equivoco connesso con ciò consiste nel supporre che grosse differenze nei tratti caratteristici specifici e nelle regolarità di comportamento manifestati in una classe di sistemi escludono la possibilità che vi sia uno schema comune di relazioni sottostanti a queste diffe-
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renze e che le caratteristiche patentemente dissimili dei vari sistemi non possano perciò venir comprese nei teJ;mini di una singola teoria relativa a quei sistemi. Questa presunzione per solito trae origine dall'incapacità di distinguere fra la questione se in una classe di sistemi esista una struttura di relazioni invarianti suscettibile di venir formulata come una teoria generale (anche se in termini altamente astratti) e la questione se le condizioni iniziali idonee all'applicazione di tale teoria a uno qualunque dei sistemi anzidetti risultino identiche in tutti i sistemi. Consideriamo, per esempio, i seguenti fenomeni puramente fisici: un uragano, i movimenti di una bussola, l'apparire di un arcobaleno, e la formazione di un'immagine ottica nel telemetro di una macchina fotografica. Si tratta indubbiamente di manifestazioni del tutto dissimili, inconfrontabili sulla base delle loro qualità manifeste: e può sembrare a prima vista improbabile che esse possano costituire illustrazioni di un unico insieme di principi totalmente connessi. Nondimeno come è ben noto questi fenomeni possono venir compresi nei termini della moderna teoria elettromagnetica. Ci sono naturalmente leggi speciali differenti per ciascuno di questi fenomeni ma la teoria elettromagnetica può spiegare tutte queste leggi, in quanto da essa si possono ricavare leggi differenti quando siano fornite condizioni iniziali differenti corrispondenti alle manifeste dissimiglianze dei vari sistemi. Per conseguenza il fatto che i processi sociali varino insieme ai loro assetti istituzionali e che le uniformità specifiche riscontrate valide in una cultura non siano costitutive di tutte le società, non preclude la possibilità che queste uniformità specifiche siano delle specializzazioni di strutture relazionali invarianti per tutte le culture. Infatti le differenze riconosciute nei modi in cui le diverse società sono organizzate e le differenze nei modi di comportamento che si presentano in esse possono essere le conseguenze, non di schemi incommensurabilmente dissimili di relazioni sociali esistenti in quelle società, ma semplicemente di differenze nei valori specifici di un certo insieme di variabili che costituiscono le componenti elementari in una struttura di connessioni comuni a tutte le società. È tuttavia aezardato per chiunque asserire che una teoria sociale generale di questa sorta sia destinata a rimanere per sempre una possibilità che-è----bensf logica ma non realizzata. La presente discussione, che non intende essere un esercizio di lettura avveniristico in una sfera di cristallo, si sforza semplicemente di mettere in evidenza un malinteso che nasce quando questa possibilità viene trascurata.
3. Un'altra osservazione è connessa alla considerazione del fatto che l'ambito delle leggi sociali risulta limitato a causa del carattere "storicamente condizionato" dei fenomeni sociali. È ovvio che in un qualunque settore di indagine se una legge deve investire un ampio do-
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m1010 di fenomeni che mostrano chiaramente differenze pertinenti e importanti, la formulazione di tale legge deve ignorare queste differenze, a tal segno che i termini impiegati nelle formulazioni non fanno menzione di tratti specifici ai fenomeni che si presentano in speciali circostanze. Una formulazione siffatta può venir talora conseguita con l'uso di variabili (nel comune senso matematico di questa parola) essendo l'applicazione della legge alle situazioni particolari mediata dalla assegnazione a tali variabili di valori costanti che possono differire da situazione a situazione. Per esempio, sebbene la "costante" gravitazionale nella legge di Galileo per la caduta libera dei gravi non abbia il medesimo valore a tutte le latitudini, queste variazioni del suo valore non sono menzionate, nella formulazione consueta di questa legge e usando per essa la variabile "g" si ottiene una generalità maggiore nell'enunciato che non se fosse menzionato qualche valore particolare.• Questa tecnica per garantire generalità ad un enunciato non è tuttavia sempre opportuna e conveniente. Un diverso artificio comunemente impiegato nelle scienze naturali è quello di formulare una legge per un cosiddetto "caso ideale" in modo tale che la legge enunci una certa relazione di dipendenza che si suppone valga sotto certe condizioni limite, anche se tali condizioni si possono realizzare raramente, se pur si realizzano. La legge di Galileo per la caduta libera dei gravi, ad esempio, è formulata per corpi che si muovono nel vuoto, anche se i corpi terrestri di norma, se non sempre, si muovono attraverso qualche mezzo resistente; e la legge della leva è enunciata solo per barre perfettamente rigide e omogenee anche se le leve effettive soddisfano a questa condizione soltanto per approssimazione. Per conseguenza quando viene analizzata una situazione concretamente data con l'aiuto di una legge cosi formulata, devono essere introdotte assunzioni supplementari e postulati per colmare la lacuna fra il caso ideale per cui la legge viene enunciata e le circostanze concrete alle quali la legge viene applicata. Tali assunzioni supplementari sono spesso molto complicate; esse possono venir formulate con precisione assai minore che non la legge; e non possono venir nemmeno enunciate completamente, o perché la menzione esplicita di tutte le assunzioni sarebbe troppo onerosa (cosi che molte vengono semplicemente date per scontate) o perché manca la conoscenza di tutti i fattori che differenziano in modo rilevante il caso reale da quello ideale. Per conseguenza per quanto una legge nella sua enunciazione formale possa apparire fornita di una generalità comprensiva e di una grande semplicità, l'enunciato forma9 Si deve perciò supporre che l'enunciato della legge contenga un quantificatore logico esistenziale per la variabile 'g.' Cosi si deve intendere che la nota formula che mette in relazione la distanza s con il tempo t di una caduta libera, s = gt'- /2, asserisce che esiste almeno un valore di 'g' per cui sussiste questa relazione, e che questo valore è costante per i luoghi le cui distanze dal centro della Terra sono uguali, sebbene i valori di '1.' siano diversi per distanze disuguali dal centro della Terra.
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le può non riuscire a mettere in luce né le restrizioni nell'ambito di applicazione né la complessità del contenuto asserito cui l'enunciato è spesso assoggettato quando vengono introdotte le condizioni effettive per applicare la legge alle situazioni concrete. È perciò chiaro che il carattere "storicamente condizionato" dei fenomeni sociali non è un ostacolo intrinseco per la formulazione di leggi transculturali generali. Di fatto i due artifici logici ora menzionati sono stati usati nelle scienze sociali in vista del fine anzidetto. Queste tecniche, per esempio, sono state spesso impiegate in economia, in particolare nella costruzione di teorie economiche che implicano la nozione di competizione assoluta. fta compratori e venditori, o implicano la nozione di agenti economici che cercano semplicemente di massimizzare i loro rispettivi profitti finanziari (o altri "utili"). Certamente i tentativi di servirsi di queste tecniche per costruire leggi generali, in economia e in altri settori dell'indagine sociale hanno avuto finora nel migliore dei casi un modesto successo. È un errore tuttavia attribuire gli insuccessi di questi tentativi come viene talora fatto, a qualche difetto di base nella strategia generale della formulazione delle leggi sociali in termini di "casi ideali". La scarsità di risulta ti di questo tipo coronati da indiscutibile successo deve essere ascritta in parte alle specifiche nozioni teoriche impiegate in questi tentativi, ma forse in misura maggiore alla difficoltà di sapere come gli enunciati che si servono di nozioni ideali debbano venir modificati alla luce delle circostanze speciali che sono presenti nelle concrete situazioni sociali a cui gli enunciati possono essere applicati. Le analisi di fenomeni sociali dirette a stabilire leggi generali sono state tuttavia condotte nella maggioranza dei casi nei termini di distinzioni che gli uomini fanno nelle loro attività sociali quotidiane. Anche quando queste nozioni del senso comune ordinariamente imprecise vengono rese meno vaghe, è difficile eliminare da esse riferimenti essenziali a questioni specifiche di qualche società particolare (o particolare tradizione sociale). Inoltre le condizioni precise in cui valgono le generalizzazioni enunciate con l'ausilio di tali concetti, sono raramente conosciute completamente. Per conseguenza, spesso anzichenò, le generalizzazioni in questione o sono enunciati di correlazioni statistiche invece che di relazioni di dipendenza rigorosamente universali, o son0 "quasi generali" (nel senso che, per quanto possano venir espresse come rigorosamente universali nella forma, di fatto vengono asserite senza alcun proposito di eliminare le varie eccezioni, che vengono di fatto esplicitamente comprese nella ben nota clausola secondo cui le relazioni di dipendenza menzionate in una generalizzazione valgono solo "a parità di condizioni"). In entrambi i casi la pertinenza o la validità di una generalizzazione per gruppi sociali appartenenti a società diverse può risultare del tutto incerta. Per esempio la generalizzazione (basata su di uno studio sui soldati americani nella seconda guerra mondiale) del fatto che gli individui con
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un'istruzione superiore arruolati nelle forze armate di una nazione presentano fenomeni morbosi di tipo psicosomatico meno frequenti di coloro i quali hanno un'istruzione di grado inferiore è quasi generale nel senso di cui sopra. È infatti improbabile che tale generalizzazione venga rigettata come falsa nel caso che un qualche particolare gruppo di soldati con istruzione universitaria mostri un numero maggiore di tali fenomeni morbosi di un gruppo di soldati con istruzione elementare, se si fosse per esempio dimostrato che l'ufficiale che comandava i due gruppi aveva una particolare animosità nei confronti dei laureati e godeva nel rendere loro difficile la vita. Sebbene una costante aderenza alla generalizzazione possa essere del tutto ragionevole malgrado questa particolare eccezione, sarebbe tuttavia difficile enunciare in modo dettagliato ed esauriente i tipi di situazione che la generalizzazione non è volta a comprendere, il presentarsi delle quali non deve perciò venir inteso come un'autentica eccezione alla generalizzazione. È del pari ovvio che, per quanto la generalizzazione in esame non venga invalidata dal fatto che in numerose società (per esempio fra i guerrieri Nuer nell'Africa nordorientale) non si presentano differenze di grado nell'istruzione, tale generalizzazione è inapplicabile (perché non pertinente) alla considerazione del comportamento umano in questi sistemi sociali. In breve se le leggi sociali e le teorie debbono formulare relazioni di dipendenza che restano invarianti attraverso il vasto campo delle differenze culturali manifestate nell'azione umana, i concetti che entrano in quelle leggi non possono riferirsi a caratteristiche che si presentano solo in uno speciale gruppo di società. È chiaramente impossibile tuttavia fornire garanzie del fatto che alla fine si riescano a elaborare concetti soddisfacenti i quali non designano caratteristiche cosi particolari e nondimeno possono entrare in enunciati fattualmente garantiti di leggi sociali invarianti rispetto alla cultura. I tentativi fino ad ora compiuti per fissare leggi transculturali generali si sono serviti di vari concetti (o "variabili") che sembrano prescindere dalle differenze culturali, per esempio le variabili che si riferiscono a fattori fisici (quali il clima), a fattori biologici (quali le energie organiche), a fattori psicologici (quali le aspirazioni o le attitudini) e a fattori economici (quali le forme dei rapporti di proprietà) e cosi pure a fattori piu spiccatamente sociologici (quali la coesione sociale o la funzione sociale). Le leggi sociali che sono state forse piu spesso proposte nei termini di tali concetti sono quelle che enunciano gli ordini dei mutamenti sociali supposti inevitabili e asseriscono che le società o le istituzioni si succedono una dopo l'altra in una certa sequenza fissa di stadi di sviluppo. Nessuno di questi tentativi e di queste proposte è riuscito nel suo intento, e alla luce dei passati fallimenti e anche per ragioni fondate su un'analisi generale dei processi storici, sembra assai improbabile che una teoria sociale generale possa essere costituita da una teoria dello sviluppo storico. Si de-
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ve inoltre ammettere anche la possibilità che in confronto con le variabili impiegate in passato nelle leggi transculturali proposte, i concetti richiesti per questo scopo debbano essere molto piu "astratti", che sia necessario tenerli separati mediante un piu ampio "salto logico" dalle nozioni familiari usate nella quotidianità della vita sociale, e che si debba far ricorso alla padronanza di tecniche assai piu complicate per manipolare i concetti nell'analisi degli effettivi fenomeni sociali.
III. La conoscenza dei fenomeni sociali come variabile sociale Una terza difficoltà che sta davanti alle scienze sociali e che talora viene menzionata come la piu grave ha la sua origine nel fatto che gli esseri umani spesso modificano i loro modi abituali di comportamento sociale come conseguenza dell'aver acquisito conoscenze nuove circa gli eventi cui prendono parte e circa la società di cui sono membri. Questa difficoltà ha due aspetti, uno che si riferisce all'investigazione dei fenomeni sociali, l'altro alle conclusioni raggiunte in tali investigazioni. l. È già stato rilevato il fatto che il modo in cui vengono condotti gli esperimenti su argomenti sociali può introdurre mutamenti di ampiezza imprevista nei materiali studiati, e può quindi viziare dalle fondamenta la conclusione raggiunta sulla base di un certo esperimento. Questa osservazione può venir estesa fino a comprendere indagini non solo rigorosamente sperimentali. Per esempio l'attuale ricerca empirica su argomenti quali gli atteggiamenti verso i gruppi di minoranza, il comportamento degli elettori, o i piani di investimento finanziario, fa ampio uso di questionari e le risposte ottenute nei vari tipi di intervista impiegati nelle indagini di opinione sono i dati sui quali vengono da ultimo fondate le conclusioni relative a questi argomenti. Anche se noi ammettiamo tuttavia che gli intervistatori siano preparati adeguatamente al loro compito e non introducano grossolane distorsioni nei dati che raccolgono servendosi di tecniche di intervista palesemente inadatte allo scopo, rimane il problema se, dato che coloro i quali rispondono sanno di essere intervistati, le loro risposte effettivamente esprimano concezioni o atteggiamenti che essi avevano prima della intervista e che continueranno ad avere dopo di questa. La circostanza che chi risponde è consapevole di essere oggetto di qualche interesse per l'intervistatore, le conseguenze che egli pens:t possano avere le sue risposte su questioni che riguardano lui stesso e cosf pure il modo particolare in cui l'inchiesta viene condotta, possono rendere operanti delle influenze che possono determinare radicalmente le risposte che egli dà, sia inducendolo a dare risposte perentorie a domande sulle quali non aveva mai riflettuto prima, sia spingendolo a manifestare
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opinioni che non sono rappresentative delle sue effettive convinzioni o che non rivelano il suo comportamento abituale. Per conseguenza se il processo di raccogliere prove per una certa ipotesi su un dato argomento fornisce soltanto dati le cui caratteristiche, identificate come costitutive della prova rilevante, vengono create dal processo stesso, è manifestamente infondata la valutazione dell'ipotesi semplicemente sulla base di tali dati. Questa difficoltà è innegabilmente grave, e non esiste un criterio generale per superarla; non si tratta però di una difficoltà tipica soltanto delle scienze sociali, e non è di principio insuperabile. Cosi, gli studiosi di scienze naturali hanno da tempo familiarità con il fatto che gli strumenti usati per fare misurazioni possono produrre alterazioni proprio nell'effettiva grandezza misurata; questo fatto è stato oggetto di molta attenzione particolarmente negli ultimi anni, in connessione all'interpretazione del principio di indeterminazione di Heisenberg nella meccanica quantistica. La temperatura registrata da un termometro immerso in un liquido, per esempio, non rappresenta l'esatta temperatura del liquido prima della immersione, dato che prima della immersione di solito la temperatura del termometro è diversa da quella del liquido cosicché le due temperature iniziali cambieranno prima che il termometro e il liquido siano in equilibrio termico fra di loro. Evidentemente però ha poco senso sostenere che la grandezza di una proprietà misurata viene alterata dal processo stesso di misurazione, a meno che sia possibile addurre prove indipendenti per l'assunzione che lo strumento di misura impiegato nel processo produce in tale proprietà cambiamenti di un determinato tipo. Di conseguenza per essere accettabile una tesi siffatta deve venir accompagnata da qualche nozione (anche se vaga) circa l'entità dell'alterazione che la proprietà può subire a causa della sua interazione con lo strumento di misura. Si presenterà quindi una delle seguenti possibilità: è noto che gli effetti prodotti da una tale interazione sono conosciuti come comparativamente molto piccoli e possono perciò venire ignorati; gli effetti possono venir calcolati precisamente sulla base di leggi conosciute e della tolleranza adottata per essi quando viene assegnato un valore numerico alla grandezza della proprietà misurata; gli effetti non possono venire calcolati in modo preciso ma si può mostrare sulla base di leggi note che essi non superano determinati limiti, in modo che alla grandezza della proprietà misurata possa venir assegnato un valore approssimato; o infine a causa dell'ignoranza di varie circostanze speciali, sotto le quali avviene che si esegue il dato tipo di misura, non si può compiere alcuna valutazione degli effetti, in modo che per assegnare un valore alla proprietà misurata bisogna attendere che venga eliminata tale ignoranza o che si perfezionino strumenti di misura i cui effetti sulla proprietà possano di fatto venir valutati. La logica seguita nella trattazione della difficoltà testé discussa in re-
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!azione agli argomenti indagati dalle scienze naturali non viene alterata quando tale difficoltà viene esaminata in connessione con il materiale studiato dalle scienze naturali. In entrambi i gruppi di discipline, la difficoltà sorge per il fatto che vengono prodotti dei mutamenti in un argomento attraverso i mezzi usati per investigare quell'argomento. Per quanto nelle scienze sociali (ma non nelle scienze naturali) tali cambiamenti possano essere in parte attribuiti alla conoscenza che gli uomini possiedono del fatto di essere i soggetti di un'indagine, questa differenza però verte sul meccanismo particolare implicato nella produzione dei mutamenti in un settore; e tale differenza nel m~canismo che produce i mutamenti non ha influenza sulla natura del problema logico creato da tali mutamenti. È in generale meno facile tuttavia scontare tali mutamenti nelle scienze sociali perché -in queste ultime discipline le leggi ben fondate che possono aiutarci a valutare la portata di quei cambiamenti sono meno numerose. Le scienze sociali invece possono frequentemente impiegare tecniche di indagine per le quali l'anzidetta difficoltà o non si presenta affatto o si presenta in· forma meno acuta - per esempio vari artifici per osservare il comportamento sociale quando coloro che partecipano di quel comportamento ignorano semplicemente di essere osservati o le cosiddette "tecniche proiettive" quando i soggetti sanno di essere sottoposti a studio ma sono ignari degli obiettivi di tale studio, in modo che possono solo indovinare quale aspetto del loro comportamento è sotto inchiesta. 10 2. Il secondo aspetto della difficoltà in discussione riguarda la validità delle conclusioni raggiunte nella indagine sociale. Si è spesso osservato che, mentre le forze che conservano alle stelle il loro corso o i meccanismi che trasmettono i caratteri ereditari dell'organismo umano non vengono influenzati dai progressi nell'astrofisica o nella biologia, le relazioni di dipendenza che sono oggetto di studio nelle scienze sociali possono venire profondamente modificate come conseguenza degli sviluppi di queste ultime discipline. Infatti anche quando le generalizzazioni relative ai fenomeni sociali e le predizioni dei futuri eventi sociali sono le conclusioni di indagini innegabilmente efficaci, le conclusioni possono letteralmente venire invalidate se divengono di dominio pubblico e se alla luce di questo fatto gli uomini alterano gli schemi del loro comportamento, sullo studio dei quali sono basate quelle conclusioni. Viene quindi spesso formulata la tesi secondo cui cercare leggi sociali valide per un futuro indefinito è un'impresa disperata e la predizione del comportamento sociale è intrinsecamente inattendibile. Vengono talora distinti due tipi di tali predizioni, ciascuno dei quali illustra un modo in cui le azioni generate da credenze relative 10 Handbook o/ Social Psyco!ogy (a cura di Gardner Lindzey), Cambridge Mass., 1954, vol. l.
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alle cose umane possono influire sulla validità di queste stesse credenze. Uno di tali tipi è la cosiddetta "predizione suicida" consistente in predizioni che sono validamente fondate nel momento in cui vengono formulate e la cui conferma quindi da parte degli eventi futuri è estremamente probabile, ma che vengono tuttavia falsificate a causa delle azioni intraprese come conseguenza del fatto che le predizioni vengono annunziate. Per esempio sulla base di un'analisi che sembra essere adeguata dello stato della economia americana, gli economisti predissero una "recessione" economica negli affari per il 1947. A causa di questo avvertimento tuttavia gli uomini di affari abbassarono i prezzi di un certo numero di prodotti che occupano posizioni strategiche nelle operazioni del mercato in modo che la richiesta effettiva per queste merci fu aumentata e la recessione preannunciata non ebbe luogo. Il secondo tipo è la cosiddetta "predizione autoadempientesi ", consistente in predizioni che sono false rispetto all'effettivo stato di fatto nel momento in cui le predizioni vengono formulate ma che risultano nondimeno vere a causa delle azioni intraprese come conseguenza della fiducia nelle predizioni. Per esempio sebbene la Banca degli Stati Uniti (malgrado il suo nome essa è una banca privata di New York) non fosse affatto in difficoltà finanziarie serie nel 1928, molti di coloro che avevano depositi in essa giunsero a credere che essa fosse in gravissime difficoltà e che sarebbe presto fallita. Questa convinzione provocò un precipitoso ritiro dei denari depositati in modo che essa fu costretta a dichiarare fallimento.11 Il fatto verso il quale tali predizioni dirigono l'attenzione - cioè il fatto che le credenze relative alle cose umane possono condurre a mutamenti cruciali nelle abitudini del comportamento umano le quali sono proprio l'oggetto di quelle credenze- vien talora presentato come se la difficoltà che esso suscita all'indagine fosse tipica soltanto delle scienze sociali a causa della pretesa "libertà della volontà umana". Questa antica questione è però del tutto irrilevante per i problemi metodologici dell'indagine sociale, come risulta chiaro dal fatto che entrambi i tipi di predizione possono venire illustrati anche per mezzo di esempi tratti dall'oggetto delle scienze naturali. Per esempio, il puntare e il far fuoco con un cannone antiaereo può venir effettuato per mezzo di un meccanismo puramente fisico. Possiamo assumere che un tale meccanismo includa un radar per localizzare l'obiçttivo, un calcolatore automatico per calcolare la direzione nella quale dovrebbe venir puntato per colpire il bersaglio come indicato dal radar, un dispositivo di aggiustamento per puntare e far sparare il cannone e un qualche sistema per trasmettere i calcoli del calcolatore come una serie di segnali all'apparato di aggiustamento del tiro. Supponiamo ora che, facendo sparare 11 Cfr. RoBERT K. MERTON, Social Theory and Social Struture, ed. riv., Glencoe Il!., 1957; trad. it. a cura di V. Feratini e P. Borghieri, Bologna, 1959, c. 11.
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il cannone in accordo con i calcoli del calcolatore in una data occasione, il bersaglio venga colpito; supponiamo però anche che i segnali che trasmettono questi calcoli producano dé'gli effetti di disturbo (vuoi sull' apparato di aggiustamento vuoi sull'obiettivo) per i quali il calcolatore non ha fissato alcuna tolleranza. Per conseguenza sebbene il cannone sia stato puntato e fatto sparare secondo calcoli che erano giusti nel momento in cui vennero fatti esso nondimeno mancherà il bersaglio a causa dei mutamenti introdotti dal processo di quei calcoli. La situazione cosi descritta non differisce per aspetti essenziali dalla predizione suicida nell'indagine sociale, malgrado il fatto che in questo esempio intervengano soltanto assunzioni puramente fisiche. Un esempio fisico analogo a quello della previsione autoadempientesi nelle cose umane può venir fabbricato in modo simile. Assumiamo cosi nell'esempio precedente che o il complesso radar o il calcolatore abbiano qualche "difetto" tale che se il cannone fosse puntato e sparato secondo i calcoli del calcolatore in una data occasione, esso di fatto fallirebbe il bersaglio. È nondimeno ovviamente possibile che, per quanto il cannone venga fatto sparare secondo i calcoli che erano errati nel momento in cui vennero fatti, l'obiettivo venga colpito con successo a causa delle perturbazioni prodotte dal processo di trasmissione di quei calcoli. 11 Comunque ciò possa essere, non possiamo però negare il frequente verificarsi nelle cose umane di previsioni suicide e autoadempientesi; e nessuna teoria adeguata all'oggetto delle scienze sociali può ignorare il fatto che le azioni intraprese alla luce della conoscenza degli schemi di comportamento sociale possano spesso modificare quegli schemi. Nondimeno, come suggerisce il capoverso precedente, le interpretazioni che vengono talora fondate su questo fatto possono risultare fortemente equivoche. In particolare, per quanto questo fatto complichi indubbiamente la ricerca di generalizzazioni garantite, relative ai fenomeni sociali, esso non elimina, come viene comunemente dichiarato, la possibilità stessa di fondare leggi sociali generali. Cerchiamo di chiarire perché ciò non avvenga. a) In primo luogo coloro che fanno questa dichiarazione trascurano l'elementare questione che un enunciato, il quale aspiri ad essere una legge, è quanto alla forma logica un condizionale, anche se i particolari termini impiegati non lo rivelano esplicitamente. Tali enunciati asseriscono semplicemente che se certe condizioni vengono soddisfatte allora certe altre cose vengono pure realizzate (o invariabilmente o soltanto con una frequenza relativa piu o meno precisamente formulata). Per conseguenza, la validità fattuale di una legge sociale proposta non di11 L'esempio usato in questo capovetso è un adattamento di quello impiegato per identici scopi da AnoLF GRiiNBAUM, Historical Determinism, Social Activism and Prediction in the Social Sciences, "British Journal for the Philosophy of Science", vol. 7 (1956), pp. 236-40.
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Probl~mi m~todologici del!~ sci~nz~
sociali
pende dal fatto che sia o non sia categoricamente vero un certo caso particolare della clausola contenuta nell'antecedente del condizionale, anche se l'applicabilità della legge a una data situazione dipende effettivamente dal fatto che le condizioni menzionate nell'antecedente vengano o meno realizzate in quella situazione. Per esempio, una versione semplificata di una nota legge economica asserisce che, se il prezzo di un certo genere di consumo viene abbassato, la richiesta per quel genere aumenta. Supponiamo che in una certa società una costante caduta dei prezzi di vari generi di consumo (ed in particolare delle caramelle) durante un lungo periodo di tempo sia accompagnata da un costante aumento del consumo di tali generi, in modo che si possa concludere che l'asserzione della legge è corretta. Supponiamo però, inoltre, che allo scopo di scoraggiare il consumo di caramelle (eventualmente per ragioni dettate da studi sopra gli effetti di tale consumo sull'aumento di peso dei consumatori), siano presi in vista di questa legge alcuni provvedimenti per rovesciare l'andamento del prezzo dell'anzidetto genere di consumo sicché alla fine l'effettiva richiesta di caramelle risulti diminuita. Come è ovvio, però, la circostanza che, a causa dell'azione intrapresa alla luce di tale legge, il prezzo delle caramelle gradualmente cresca, non invalida la legge in esame. Analogamente il fatto che gli uomini generalmente evitino di esporsi ai vapori dell'acido cianidrico una volta conosciuta la legge per cui chi respira tale gas immediatamente muore, non costituisce una confutazione di questa legge. In conclusione, se l' azione basata sulla conoscenza di una data legge non è una delle condizioni che la legge menziona nel suo antecedente asserendo che si avranno certe conseguenze quando si realizzino tali condizioni, allora lo scoprire delle situazioni in cui tale azione ha luogo, senza che si presentino le conseguenze enunciate, non prova affatto che la legge sia errata. h) In secondo luogo, non vi sono valide ragioni per escludere una volta per tutte la possibilità di leggi i cui antecedenti tengano effettivamente conto della presenza di azioni deliberatamente istituite sulla base di una conoscenza dei processi sociali. Al contrario, è di fatto possibile prevedere talora, anche se solo in modo generale, quali siano le probabili conseguenze prodotte dalla acquisizione di nuove conoscenze o di nuovi strumenti su abitudini sociali già stabilite. Per esempio, la produzione di mezzi di trasporto e di comunicazione aumenta in genere con la crescente industrializzazione di una società. Vi sono invece anche prove a convalida della generalizzazione per cui, quando gli uomini scoprono i vantaggi di forme piu rapide di trasporto e di comunicazione, essi tendono a usare queste a preferenza di quelle piu vecchie ma piu lente. Quando la conoscenza di forme piu rapide si fa molto estesa la produzione delle attrezzature necessarie per le forme in uso tenderà pertanto o a decrescere nel suo complesso o ad aumentare con intensità diminuita e nello stesso tempo le risorse naturali necessarie per questa
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produzione o verranno sfruttate su scala piu ridotta o verranno impiegate per altri usi. Anche se gli effetti della conoscenza recentemente acquisita su schemi di comportamento sociale possono non essere prevedibili nei loro dettagli può talora venir fornito un rendiconto almeno sommario concernente le conseguenze probabili di tali innovazioni. In breve, se la conoscenza che gli uomini hanno dei processi sociali è una variabile che entra nella determinazione dei fenomeni sociali, non vi sono fondamenti a priori per sostenere che dei mutamenti in quella variabile e gli effetti che essi possono produrre non siano suscettibili di costituire a loro volta l'oggetto di leggi sociali. Il punto in esame non dovrebbe venir confuso con la questione completamente diversa relativa alla possibilità di predire l'acquisizione di una nuova conoscenza e la forma che essa assume. Tale predizione indubbiamente non è in generale possibile eccetto forse in quei settori dove avviene che l'avanzamento nella conoscenza dipenda dalla soluzione di qualche speciale classe di problemi, per la soluzione dei quali sono già disponibili tecniche efficaci e risorse adeguate. Il punto controverso è la questione se, quando è acquisita la conoscenza di relazioni di dipendenza fra fenomeni sociali, sia di principio possibile stabilire leggi che prendano in considerazione le conseguenze che l'uso di tale conoscenza può avere per quelle relazioni. La discussione ha cercato di chiarire le ragioni per cui è insostenibile la tesi che leggi di questo tipo sono intrinsecamente impossibili. c) Infine, per quanto l'influenza delle credenze e delle aspirazioni degli uomini sulla loro storia sia stata spesso sottovalutata, è altrettanto facile esagerare assegnando un ruolo dominante alla scelta deliberata nella determinazione degli eventi umani, anche quando la scelta è fondata su una conoscenza considerevole dei processi sociali. È un'esperienza comune per gli uomini il fatto che, malgrado si siano organizzati con cura dei piani per realizzare un certo fine, le azioni a tal fine intraprese diano luogo a difficoltà che non erano state previste e che certamente non erano state predisposte. Infatti ben raramente, per non dire mai, le azioni preordinate hanno luogo in una situazione sociale sulla quale gli uomini esercitano un controllo totale. Le conseguenze che seguono ad una scelta deliberata di condotta non sono semplicemente i prodotti di quella condotta; esse vengono determinate anche da varie circostanze concomitanti, la cui rilevanza in ordine al fine preordinato dell'azione non sempre può venir compresa, e i cui modi di operazione in ogni caso non sono completamente sotto il controllo effettivo di coloro che hanno operato quella scelta. Eli Whitney non inventò la sua macchina sgranatrice di cotone per rafforzare un sistema sociale basato sulla schiavitu; Pasteur sarebbe inorridito apprendendo che le sue ricerche sulla fermentazione sarebbero divenute la base teorica della guerra batteriologica; e l'aiuto francese alla causa delle rivoluzione americana contro
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l'Inghilterra non era inteso a creare una nazione che avrebbe alla fine reso difficile alla Francia il permanere come potenza coloniale nel Nord America. Tale ben nota incongruenza fra il fine e il risultato dell'azione sociale ha un'influenza considerevole sulla questione se il ruolo svolto dalla conoscenza dei processi sociali nella modificazione di quei processi precluda la possibilità di stabilire leggi sociali generali. I fini dell'azione sociale programmata sono indubbiamente soggetti ad un'ampia variazione, dal momento che tali fini generalmente dipendono tanto dalle caratteristiche piu o meno distintive degli individui che pianificano e agiscono quanto dalla conoscenza dei processi sociali che essi si trovano a possedere; e spesso è veramente difficile prevedere in che cosa consisteranno tali fini. D'altro lato come è stato già suggerito, i risultati effettivi conseguiti da tale azione per solito rientrano in un ambito molto piu limitato di alternative, a causa dei vincoli imposti al comportamento sociale individuale da istituzioni relativamente stabili entro cui gli individui cercano di realizzare i loro fini. Infatti sebbene lo sforzo pianificato possa senza dubbio trasformare il carattere delle istituzioni sociali, le azioni che gli uomini compiono in una certa occasione sono per la maggior parte non la manifestazione di un atteggiamento riflessivo diretto verso la risoluzione di un certo problema specifico per quella circostanza, ma piuttosto le manifestazioni di abitudini di comportamento che non possono essere mutate simultaneamente e che di solito anzi ci si può aspettare che restino immutate. Per conseguenza gli effetti prodotti da taluni sforzi, çompiuti in vista di un certo obiettivo predisposto, sono frequentemente sopraffatti dagli effetti prodotti da una condotta uniformantesi agli schemi abituali di comportamento sociale o dagli effetti prodotti da altri eventi sui quali coloro che agiscono non hanno comunque alcun controllo. Per quanto esista sempre una possibilità autentica che l'azione basata sulla conoscenza dei processi sociali alteri il carattere di tali processi, questa possibilità può venir spesso ignorata, in quanto in generale un'azione di quel tipo non trasforma radicalmente l'intero schema del comportamento sociale abituale. Per questa ragione e cosi pure per le ragioni già analizzate, quella possibilità non costituisce un ostacolo fatale alla possibilità di stabilire leggi sociali. 13 13 Negli ultimi anni la questione che noi abbiamo ora discusso è stato oggetto di numerose investigazioni teoriche e empiriche. È stato mostrato, per esempio, che un intervistatore può sempre di principio pubblicare la sua predizione di un risultato elettorale in una forma tale che, malgrado le relazioni degli elettori al pronostico, la predizione non venga falsificata da quelle reazioni. Cfr. HERBERT A. SIMON, Models of Man, New York, 1957, c. 5, che ha il titolo Bandwagon and Underdog Effects o/ Election Predictions. Inoltre è stata pure avviata recentemente una branca di indagine il cui scopo è quello di specificare, data un'azione competitiva volta al conseguimento di una certa meta, la strategia da seguire - strategia che sia in un certo senso la "migliore" - il cui risultato non sia influenzato da alcuna informazione concernente i reciproci piani,
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IV. La natura soggettiva dell'oggetto sociale Un quarto gruppo di problemi metodologici fra loro connessi è sollevato dalla nota tesi secondo cui è difficile se non impossibile pervenire a spiegazioni dei fenomeni sociali oggettivamente garantite, in quanto tali fenomeni hanno essenzialmente un aspetto "soggettivo" o "permeato di valore". L'oggetto delle scienze sociali è frequentemente identificato con l'azione umana intenzionale, diretta a conseguire diversi fini o "valori", tanto con un intento consapevole, in forza di un atteggiamento acquisito, quanto come risultato di una determinazione inconsapevole. Una caratterizzazione in certo modo piu restrittiva limita tale oggetto alle risposte che gli uomini danno alle azioni di altri uomini, alla luce di aspettazioni e di "valutazioni" relative al modo in cui questi altri a loro volta risponderanno.•• In basé tanto all'una quanto all'altra di queste delimitazioni di quell'oggetto si ritiene comunemente che lo studio di esso presupponga familiarità con le motivazioni e con gli altri elementi psicologici che costituiscono la molla del comportamento umano intenzionale, e cosi pure con gli scopi e con i valori, il conseguimento dei quali costituisce la meta implicita o esplicita di tale comportamento. Secondo molti autori però, motivazioni, disposizioni, scopi designati, e valori non sono aperti all'ispezione dei sensi e neanche possono venir resi familiari o venire identificati col solo ricorso a procedure che sono idonee ad esplorare gli argomenti intersoggettivamente osservabili delle scienze "puramente comportamentistiche" o naturali. Al contrario, questi sono argomenti dei quali acquistiamo conoscenza soltanto in base alla nostra "esperienza soggettiva". Inoltre le distinzioni che sono rilevanti per l'oggetto della scienza sociale (tanto allorché sono impiegate per caratterizzare oggetti inanimati, come nel caso di termini quali "strumento" e "proposizione", quanto allorché sono usati per designare tipi di comportamento umano, come nel caso di termini quali "delitto" e punizione") non possono venir definite se non in riferimento a "atteggiamenti mentali" e non possono venir comprese se non da coloro che hanno avuto l'esperienza soggettiva di possedere tali atteggiamenti. Dire che le parti in competizione (i "giuocatori nel giuoco") possono avere. Questa "teoria dei giuochi" fornisce cosi regole per decidere circa un modo di condotta che non deve di necessità venir alterato per raggiungere quello scopo, anche se gli altri "giuocatori" acquisiscono nuove conoscenze nel corso del "giuoco". La teoria fondamentale fu svi· luppata da }OHN voN NEUMANN e OsKAR MoRGENSTERN, The Theory of Games and Economie Behavior, Princeton, 1944. Vedere anche ]oHN C. C. McKINSEY, Introduction to the Theory o! Games, New York 1952; e R. D. LucE e H. RAIFFA, Games and Decisions, New York, 1957. 14 MAx WEBER, Wirtschaft und Gesellschaft, Tiibingen, 1922; trad. it. a cura di traduttori vari, coordinamento di P. Rossi, Milano, 1961, parte I. In base alla definizione piu restrittiva, un agricoltore che coltiva la terra semplicemente per fornire a se stesso del cibo non sarebbe impegnato in una attività sociale. Il suo comportamento sarebbe sociale solo se egli valutasse i piani atti a soddisfare i suoi bisogni personali in riferimento a quelli che si assumono come bisogni di altri uomini.
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Probl~mi
metodologici delle scienze sociali
per esempio che un oggetto è uno strumento significa manifestamente dire che da parte di coloro i quali caratterizzano in questo modo tale oggetto ci si aspetta che esso produca certi effetti. Per conseguenza, le varie "cose" che può risultare necessario menzionare per spiegare l'azione intenzionale debbono essere interpretate in termini di ciò che gli attori umani stessi credono relativamente a quelle cose, piuttosto che in termini di ciò che può venir scoperto relativamente alle cose per mezzo dei metodi oggettivi delle scienze naturali. Ecco come un sostenitore di questa tesi descrive la situazione: "Una medicina o un cosmetico, per esempio, non sono ai fini dello studio sociale ciò che rispettivamente cura una malattia o migliora l'aspetto fisico di una persona, ma ciò che la gente pensa che produrrà quell'effetto". Ed egli prosegue dicendo che, quando le scienze sociali spiegano il comportamento umano invocando la conoscenza che gli uomini hanno delle leggi di natura "ciò che è rilevante nello studio della società non è se queste leggi di natura siano vere in un qualunque senso oggettivo, ma esclusivamente se vengono credute e seguite dagli individui"." In breve, si sostiene che le categorie di spiegazione e di descrizione nelle scienze sociali sono radicalmente "soggettive" a tal punto che queste discipline sono forzatamente costrette a fondarsi su tecniche di indagine "non oggettive". Lo studioso di scienze sociali deve perciò "interpretare" gli oggetti del suo studio identificandosi idealmente con gli attori dei processi sociali, considerando le situazioni che essi affrontano come i protagonisti stessi le considerano, e costruendo "modelli di motivazione" in cui i moventi dell'azione e i condizionamenti dovuti ai diversi valori vengano imputati a questi agenti umani. Tale studioso è in grado di fare tutto ciò, solo perché è egli stesso un agente attivo nei processi sociali e perché può quindi comprendere alla luce delle proprie esperienze "soggettive" i "significati intimi" delle azioni sociali. Una scienza sociale puramente oggettiva o comportamentistica deve essere senz'altro ritenuta una vana speranza; infatti per escludere di principio ogni traccia di interpretazione soggettiva e motivazionale dallo studio delle cose umane, bisogna in realtà eliminare da tale studio la considerazione di ogni fatto autenticamente sociale. 16 Questo esame dell'oggetto delle scienze sociali solleva molti problemi ma noi ci occuperemo nel presente contesto soltanto dei seguenti tre: l) Le distinzioni richieste per esplorare tale argomento sono esclusivamente soggettive? 2) È inadeguata una spiegazione "comportamentistica" dei fenomeni sociali? 3) Le attribuzioni di stati soggettivi agli agenF. A. HAYEK, The Counter-Revolution of Science, Glencoe, III., 1952, p. 30. R. M. MAclVER, Social Causation, New York, 1942, c. 14; MAx WEBER, op. cit., c. l, in particolare sez. I; CHARLES H. CooLEY, Sociological Theory and Social Research, New York, 1930, pp. 290-308; LUDWIG VON MrsES, Theory and History, New Haven Conn, 1957, c. 11; PETER WrNCH, The Idea of a Social Science, London, 1958, in partico15
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lare c. 2.
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La struttura della scienza
ti umani cadono al di fuori del dominio dei canoni logici impiegati per indagare le proprietà oggettive? l. Che il comportamento umano sia frequentemente intenzionale è fuori discussione; ed è parimenti fuori discussione che quando tale comportamento viene descritto o spiegato, sia da studiosi di scienze sociali sia da profani, si assume comunemente che diversi tipi di stati "soggettivi" (o psicologici) sottostiano alle sue manifestazioni. Nondimeno, come risulta dalle scienze biologiche, molti aspetti di attività dirette ad uno scopo possono frequentemente venir investigati senza richiedere la postulazione di tali stati. E ciò che piu conta, anche quando i comportamenti studiati dalle scienze sociali sono indiscutibilmente diretti a un fine consapevolmente assunto, le scienze sociali non si limitano ad usare soltanto distinzioni che si riferiscono esclusivamente a stati psicologici: né è chiaro inoltre perché tali discipline dovrebbero porre a se stesse simili limitazioni. Per esempio allo scopo di rendere conto dell'adozione di certe regole di condotta da parte di una certa comunità, può essere rilevante indagare i modi in cui i membri della comunità coltivano il suolo, costtuiscono edifici, o conservano il cibo per i futuri usi; e i comportamenti manifesti che questi individui presentano nello svolgere questi compiti non possono venir descritti in termini puramente "soggettivi". Inoltre, anche se l'azione intenzionale è talora parzialmente spiegata con l'ausilio di assunzioni concernenti disposizioni, intenzioni, o credenze degli agenti, altre assunzioni concernenti situazioni che non sono nel complesso familiari agli agenti, possono altresi contribuire nei processi sociali alla spiegazione della loro azione. Cosi, come risulta chiaro dal brano citato sopra, se desideriamo render conto del comportamento di uomini che credono nelle proprietà medicinali di una data sostanza, è ovviamente importante distinguere fra la questione se quella credenza abbia una qualche influenza sulla condotta di coloro che la professano e la questione se la sostanza abbia effettivamente le proprietà medicinali assunte. D'altro lato, sembra che ci siano ottime ragioni per respingere la conclusione, che manifestamente segue da quella distinzione, secondo la quale nello spiegare il comportamento intenzionale lo studioso di scienze sociali non debba servirsi di informazioni che sono a disposizione sua ma non a disposizione di coloro che presentano il comportamento in questione." Per esempio, i piantatori di cotone degli Stati Uniti del Sud prima della guerra civile non erano certamente a conoscenza delle leggi della moderna chimica del terreno e credevano erro17 "Tutte le conoscenze che ci può capitare di possedere circa la vera natura della cesa materiale (cioè, la pretesa medicina) ma che la gente le cui nioni noi desideriamo spiegare non possiede, sono tanto poc•J rilevanti per la spiegazione delle loro azioni quanto il nostro scetticismo privato nell'efficacia di un talismano magico Io è nell'aiutarci a capire il comportamento del selvaggio che crede in esso." F. A. HAYEK, op. cit., p. 30.
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Problemi metodologici delle scienze sociali
neamente che l'uso ·del concime animale avrebbe conservato indefinitamente la fertilità delle piantagioni di cotone. Nondimeno se uno studioso di scienze sociali è a conoscenza di quelle leggi, questo fatto può aiutarlo a spiegare perché, sotto quel trattamento, il terreno sul quale il cotone era cresciuto si sia gradualmente deteriorato, e perché di conseguenza si sia avuto un crescente bisogno di terra vergine per farvi crescere il cotone se si voleva che non ne diminuisse la produzione. Senza dubbio, non risulta chiaro perché tali spiegazioni dovrebbero essere bandite dalle scienze sociali. Se esse però non vengono bandite e dal momento che implicano chiaramente nozioni che non si riferiscono agli stati "soggettivi" di agenti intenzionali, risulta chiaro che le categorie di spiegazione e di descrizione in quelle scienze non sono esclusivamente "soggettive". 2. Nelle scienze sociali la concezione nota come "comportamentismo" consiste in un adattamento del programma di ricerca accolto per la prima volta da molti psicologi nel secondo decennio di questo secolo. Quel programma rappresentava una rivolta largamente diffusa contro il carattere vago e in generale non attendibile dei dati psicologici ottenuti attraverso analisi introspettive degli stati mentali, e i sostenitori di esse presero come modello immediato per l'indagine psi-. cologica le procedure impiegate dagli studiosi del comportamento animale. Nella sua formulazione iniziale, il comportamentismo caldeggiava il rifiuto totale dell'introspezione come tecnica di indagine psicologica, e proclamava come suo fine quello di investigare il comportamento umano per mezzo di indagini analoghe a quelle operate sui processi chimici o sul comportamento animale, senza alcun appello o riferimento ai contenuti di coscienza. Inoltre, alcuni dei suoi difensori proposero concezioni caratteristiche di problemi psicologici sostanziali (per esempio sui meccanismi "condizionati" implicati nell'apprendimento e nella creazione letteraria), per quanto le ingenue teorie"meccanicistiche" da essi adottate non fossero una conseguenza necessaria del loro rifiuto dell'introspezione. È tuttavia degno di nota il fatto che persino gli esponenti di questa forma radicale di comportamentismo non negassero l'esistenza di stati mentali coscienti; e che il loro rifiuto dell'introspezione a favore dello studio del comportamento manifesto fosse dettato in primo luogo da un interesse metodologico tendente a fondare la psicologia su dati intersoggettivamente osservabili." In ogni caso però, .il comportamentismo ha subito delle importanti trasformazioni a partire dalla sua formulazione iniziale, e non esistono forse psicologi (o nella fattispecie studiosi di scienze sociali), che si 18 Cfr. J, B. WATSON, Psycology as the Behaviorist Views it, "Psycological Review", vol. 20 (1913), pp. 158-77, e Behaviorism, New York, 1930, dello stesso autore.
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definiscono attualmente comportamentisti, i quali sottoscrivono l'intransigente condanna dell'introspezione nella sua versione primitiva. Al contrario, alcuni comportamentisti dichiarati accettano oggi dei rapporti introspettivi eseguiti dai soggetti sperimentali, non come espressioni degli stati psichici individuali, ma come risposte verbali osservabili che tali soggetti danno in determinate condizioni; e per conseguenza i rapporti introspettivi sono compresi fra i dati oggettivi sui quali debbono essere fondate le generalizzazioni psicologiche. Inoltre, i comportamentisti contemporanei che operano all'interno di questo schema metodologico liberalizzato hanno investigato molti settori del comportamento umano (spesso non combacianti), tanto individuali (per esempio, le discriminazioni percettive, l'apprendimento, o la risoluzione di problemi) quanto sociali (per esempio, la comunicazione, le decisioni di gruppo, o la coesione di gruppo); e hanno proposto numerosi meccanismi che per la maggior parte differiscono fra di loro e differiscono pure sostanzialmente dai semplici meccanismi associati alle primitive esposizioni della concezione comportamentistica: nessuno però di tali meccanismi di piu recente introduzione, è ritenuto adeguato a spiegare l'intero ambito della condotta umana, cosicché il comportamentismo (come la maggior parte delle scuole psicologiche contemporanee) continua ad essere un programma ramificato di ricerca che accentua certe considerazioni metodologiche pittosto che una scuola legata a un qualche sistema particolare, minutamente articolato. Analoga è la situazione attualmente esistente fra gli studiosi di scienze sociali che dichiarano di essere comportamentisti o manifestano simpatie per un'impostazione comportamentistica. Il termine "comportamentismo" quindi, non ha una connotazione dottrinaria precisa; e gli studiosi della condotta umana che si definiscono comportamentisti lo fanno fondamentalmente a causa della loro adesione a una metodologia che conferisce un privilegio ai dati oggettivi (o intersoggettivamente osservabili)." Alla luce di questa situazione, però, non è facile valutare l'affermazione secondo cui un'impostazione "comportamentistica" nello studio dei fenomeni sociali sarebbe in sé contradittoria, in quanto non è chiaro di solito quale sia il bersaglio contro il quale si dirigono tali critiche. Gran parte di esse sono certamente dirette contro una versione deformata di quell'impostazione. Cosf, quando si asserisce che un comportamentista coerente non può parlare legittimamente delle "reazioni della gente a ciò che i nostri sensi ci indicano come oggetti 19 Cfr. KENNETH W. SPENCE, The Postulate of 'Behaviorism', "Psycological Review", vol. 55 (1948), pp. 67-78; GARDINER MuRPHY, Historical Introduction to Modern Psycology, New York, 1951, cc. 18 e 19; The Science o/ Man in the World Crisis (a cura di Ralph Luiton, New York, 1945, in particolare i capitoli di KLYDE KLUCKHOHN e WILLIAM H. KELLY, The Concept o! Culture; MELVILLE ]. HERSKOVITS, The Processes of Cultural Change; GEORGE P. MuRDOCK, The Common Denominator o/ Culture; e PAUL F. LAZARSFELD, Problems in Methodology, in Sociology Today, a cura di Robert K. Merton, Leonard Broom, e Leonard S. Cottrell }r., New York, 1959.
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simili" (per esempio cerchi rossi), ma solo delle "reazioni a stimoli che sono identici in un senso rigorosamente fisico" (per esempio degli effetti prodotti dalle ond:: luminose di una data frequenza su una parte determinata dalla retina umana)"' o quando si dice che un comportamentista non riconosce la differenza fra l'azione puramente riflessa (come il sussulto del ginocchio) e l'azione intenzionale (quale quella che si' manifesta nella costruzione di una strada ferrata)," l'attacco è in ognuno dei due casi sferrato contro un uomo di paglia, creato a immagine e somiglianza di un biofisico fuorviato da una dubbia epistemologia, e non contro una posizione sostenuta da alcun comportamentista realmente esistente. Certamente, i comportamentisti si sono mostrati talora grossolanamente insensibili a certi importanti caratteri della esperienza umana; e inoltre hanno spesso proposto spiegazioni di processi psicologici e sociali che si dimostrarono troppo elementari per trattare adeguatamente l'effettiva complessità della condotta umana. I comportamentisti però, non hanno il monopolio di entrambi i tipi di insufficienza; e come è già stato accennato l'accettazione del comportamentismo come impostazione metodologica non implica necessariamente l'accettazione di un qualunque sistema particolare. Un'assunzione che sottostà a molte delle critiche contrò il comportamentismo è quella secondo cui un comportamentista coerente deve negare l'esistenza stessa di stati mentali "privati" o "soggettivi"; è perciò opportuno discutere brevemente questa tesi. In primo luogo, tutti probabilmente riconoscono la distinzione fra la sensazione dolorosa direttamente provata, per esempio, e le manifestazioni che appartengono manifestamente al comportamento del sentire dolore (quali i lamenti o gli spasmi muscolari). In ogni caso, chiunque rigetti come non valide queste distinzioni si mette in contrasto con fatti accertati in modo troppo sicuro per dare adito a dubbi degni di attenzione. In secondo luogo, però un comportamentista non ha bisogno per essere coerente o di rinunciare a tali distinzioni familiari o di abbandonare i postulati centrali della sua posizione metodologica. Infatti, non è necessario per lui essere un "materialista riduzionista" per il quale il termine . "dolore" (o altri termini riconosciuti come "soggettivi"} è sinonimo di qualche espressione contenente soltanto termini che appartengono inequivocabilmente ai linguaggi della fisica, della fisiologia o della logica generale. Al contrario, egli sarà ben consapevole dell'opportunità di rigettare questa tesi riduzionista dal momento che essa confonde i fatti accertati della fisica o della fisiologia con i tipi del tutto diversi di fatti ·stabiliti nelle indagini logiche sulle relazioni di significato - cosicché tale tesi induce nell'errore comunemente commesso in un altro contesto quando, per esempio, il significato della :lO
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;F. A. HAYEK, op. cit., p. 45. LUDWIG VOI'! MISES, op. cit., p. 246.
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parola "rosso" (sia nell'uso attuale sia in quello fatto di essa assai prima dell'avvento della teoria elettromagnetica della luce, per designare un colore visibile) viene identificato con il significato di un'espressione come "le vibrazioni elettromagnetiche con lunghezza d'onda di circa 7100 unità Angstrom." Un comportamentista che rigetti decisamente tale tesi erronea può senza esitazione riconoscere che gli uomini sono capaci di emozioni, idee, immagini o progetti; che que~ti stati psichici sono appannaggio "privato" dell'individuo nel cui corpo hanno luogo, nel senso che solo questo individuo può sperimentare la loro presenza direttamente, a causa della relazione privilegiata che intercorre fra il suo corpo e quegli stati; e che per conseguenza un uomo può in generale dichiarare di essere in un certo stato psichico senza dover prima esaminare lo stato intersoggettivamente osservabile del suo corpo (per esempio l'espressione del proprio viso o i suoni che emette), sebbene gli altri uomini possano accertare se egli si trova in quello stato psichico soltanto in base ad un esame siffatto.23 Il comportamentista però, ammette pure che gli stati psichici avvengano soltanto in corpi aventi certi tipi di organizzazione; che tali stati siano "aggettivali" o "avverbiali" di tali corpi; e non agenti sostanziali (o "entità") che albergano nei corpi; che il presentarsi di ·• uno stato psichico in un corpo sia sempre accompagnato da certi comportamenti manifesti e intersoggettivamente osservabili (spesso a livello "molare" o macroscopico) di quel corpo; che tali comportamenti manifesti (incluse le risposte verbali) costituiscano una base sufficiente per fondare conclusioni relative all'intero ambito dell'esperienza umana; e che l'osservazione di un tale comportamento manifesto non soltanto sia l'unica fonte di informazione che un qualunque individuo possiede rispetto alle esperienze e alle azioni degli altri uomini, ma che fornisca inoltre dei dati per trarre conclusioni persino sul carattere di un individuo e sulle sue capacità in generale piu attendibili di quanto non lo sono quelli forniti dall'analisi introspettiva degli stati psichici. Per conseguenza, un comportamentista può sostenere senza contraddizione che esistono effettivamente cose come gli stati .psichici privati e d'altra parte che lo studio controllato del comportamento Cfr. la discussione di questo problema nel capitolo 11. Stabilire per l'appunto là quantità di prove a conferma di un enunciato, necessarie per garantire l'accettazione di esso è un problema difficile per il quale non vi è alcuna soluzione generale. Ci sono indubbiamente molti casi in cui un minimo di prove a favore è sufficiente, cosi che delle prove supplementari son talora considerate gratuite. Gli enunciati introspettivi frequentemente rientrano in questa classe, per quanto non rutti siano di questo tipo, dato che essi possono effettivamente essere falsi e vengono talora accettati come veri solo quando sono istiruiti elaborati controlli. Gli enunciati introspettivi ruttavia non sono gli unici ad essere accettati semplicemente sulla base di un minimo di prove a sostegno. Cosi, un chimico il quale osservi che un striscia di cartina al tornasole blu diventa rossa quando viene immersa in un certo liquido, può asserire che la cartina è effettivamente diventata rossa e che il liquido è un acido. Inoltre egli può considerare tempo perso cercare un'ulteriore prova a sostegno di queste tesi, anche se per i suoi enunciati si potrebbero trovare prove supplementari. 22
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manifesto costituisce cionondimeno la sola procedura valida per ottenere una conoscenza attendibile delle azioni sociali e individuali. Inoltre, per quanto alcuni comportamentisti contemporanei credano che si possa sviluppare una scienza dell'uomo la quale impieghi soltanto distinzioni "definibili" in termini di comportamento umano molare, non c'è nulla nell'orientamento metodologico del comportamentismo che precluda anche a tali comportamentisti la possibilità di adottare teorie psicologiche le quali postulino vari tipi di meccanismi che non sono aperti all'osservazione intersoggettiva diretta. Molti comportamentisti di questo tipo infatti sottoscrivono tali teorie. Ci sono, certamente, alcuni di essi i quali, senza negare l'esistenza di stati psichici, cercano di sviluppare teorie i cui termini si riferiscono tutti esclusivamente a stati e a processi (sia molari sia molecolari) che sono o fisici o chimici o fisiologici. I comportamentisti di questa categoria sono perciò ostili alle teorie psicologiche che mirano a spiegare il comportamento umano manifesto attraverso il riferimento a vari fenomeni "mentalistici" per esempio teorie che invocano intenzioni "soggettive" o fini per render conto dei comportamenti umani manifesti. Il comportamentismo di questo tipo però, è chiaramente un programma di ricerca teorica e sperimentale, paragonabile al programma dei meccanicisti in biologia, il quale si fonda sulla speranza di pervenire a un sistema generale di spiegazione del comportamento umano attraverso la "riduzione" della psicologia ad altre scienze. Gli obiettivi di tale programma non sono stati certamente raggiunti, e forse non lo saranno mai. Purché tuttavia tale programma non rigetti delle forme di condotta umana ben documentate considerandole in qualche senso "non reali" - e non c'è alcun motivo, intrinseco al programma, per cui ciò. debba avvenire - esso non può venir scartato come illegittimo o intrinsecamente assurdo in base a motivazioni a priori. È perciò difficile sfuggire alla conclusione che il comportamentismo, inteso come orientamento metodologico (cioè distinto dal comportamento inteso come una particolare sistematica del comportamento umano), non risulti intrinsecamente inadeguato allo studio dell'azione umana intenzionale, e per conseguenza che le reiterate asserzioni circa la essenziale inadeguatezza di un'impostazione comportamentistica dell'argomento delle scienze sociali, non risultino fondate su basi solide. 3. Comunque stiano le cose ammettiamo che lo scopo caratteristico delle scienze sociali sia quello di "comprendere" i fenomeni sociali in termini di categorie "fornite di significato" cosicchè lo studio di scienze sociali cerchi di spiegare tali fenomeni attribuendo vari stati "soggettivi" agli agenti umani, che partecipano ai processi sociali. La questione cruciale che resta cosi da esaminare è se tali attribuzioni implichino l'uso di canoni logici diversi da quelli impiegati in con-
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La struttura della scienza nessione con le attribuzioni di tratti caratteristici "oggettivi" a cose appartenenti ad altri settori di indagine. Nella discussione di questo problema sarà utile aver presente alcuni esempi di spiegazioni "fornite· di significato" di azioni umane. Comin~ ciamo da un esempio semplice, in cui l'autore accentua la differenza essenziale fra un foglio di carta incalzato dal vento e un uomo incalzato da una folla che lo insegue. Il foglio non conosce alcuna paura e il vento alcun odio, senza paura e senza odio invece l'uomo non fuggirebbe né la folla lo inseguirebbe. Se tentiamo di ridurre la paura alle sue concomitanti corporee, noi sostituiamo semplicemente le concomitanti alla realtà espressa come paura. Noi spogliamo il mondo dei significati nell'interesse della teoria, essa stessa un falso significato che ci priva di tutto il resto. Noi possiamo interpretare l'esperienza soltanto a livello dell'esperienza.24 Un' illustrazione piu complessa è fornita da uno storico, il quale sostiene che: Noi respingiamo la teoria secondo cui il movimento intellettuale del XVIII secolo fu l'unica causa della rivoluzione francese, perché sappiamo che a quell'insurrezione parteciparono grandi masse di contadini e operai, masse illetterate prive di qualsiasi conoscenza di dottrine filosofiche o politiche; e per analogia con la nostra esperienza personale riteniamo che, se noi fossimo illetterati ed ignoranti e ci rivoltassimo contro la società in cui viviamo la causa della nostra attività rivoluzionaria dovrebbe essere ricercata non in impulsi ideologici ma in altri motivi, per esempio nei nostri guai economici. D'altra parte riteniamo che fra le cause della rivoluzione francese dovrebbero essere annoverate anche le dottrine filosofiche e politiche sviluppate in Francia durante il mezzo secolo precedente la rivoluzione, perché abbiamo osservato che le classi colte invocavano continuamente tali dottrine mentre stavano distruggendo l'antico regime; e di nuovo l'analogia con la nostra esperienza personale c'induce a pensare che nessuno di noi, qualora partecipasse ad un moto rivoluzionario, professerebbe pubblicamente dottrine filosofiche e politiche che non costituissero veramente un elemento delle nostre convinzioni. Tutti i ragionamenti dello storico e del sociologo possono essere ridotti a questo comun denominatore dell'analogia con la nostra esperienza interiore, mentre allo scienziato che ha a che fare con fenomeni fisici manca l'aiuto di questa analogia.25 L'esempio, diventato il modello classico delle spiegazioni "fornite di significato" dei fenomeni sociali, è l'analisi accuratamente elaborata del sorgere del capitalismo moderno da parte di Max Weber, il quale attribuisce almeno parzialmente lo sviluppo di questo tipo di attività economica alla diffusione delle credenze religiose e dei precetti di con214
it.,
R. M. MAclVER, 4'Society", New York, 1931, p. 530. The Historian and Scientist, Cambridge, Mass., 1939; ed. Scienza, Firenze, 1948, pp. 46-7.
25 GAETANO SALVEMINI, G. SALVEMINI, Storia e
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dotta pratica associati alle forme ascetiche del Protestantesimo." L'analisi del Weber è troppo minuta perchè se ne possa fare un rapido riassunto. La struttura della sua argomentazione, però (e di altre spiegazioni "fornite di significato"), può essere rappresentata attraverso il seguente schema astratto. Supponiamo di riscontrare che un fenomeno sociale I (per esempio il sorgere della moderna impresa capitalistica) si presenti sotto un complesso insieme di condizioni sociali C (per esempio l'appartenenza assai diffusa a certi gruppi religiosi, quali quelli professanti il Calvinismo), dove certi individui che appartengono a C in genere prendono parte a I." Gli individui che prendono parte a E sono però per assunzione ossequienti a certi valori (o si trovano in certi stati "soggettivi") VI (per esempio l'onestà, la correttezza, la sobrietà nel lavoro) e gli individui che appartengono a C sono per assunzione nello stato soggettivo V c (per esempio essi credono al carattere sacro del lavoro mondano). Ve e VI sono però considerati anche connessi "in modo fornito di significato", in vista degli schemi motivazionali che troviamo nella nostra esperienza personale, per esempio, riflettendo sul modo in cui si legano fra loro le nostre emozioni, i nostri valori, le nostre credenze, e le nostre azioni, perveniamo al riconoscimento di un'intima connessione fra il credere che il compito di un individuo nel mondo sia sanzionato da un decreto divino, e il credere che la vita di un individuo non dovrebbe essere caratterizzata dalla pigrizia o dall'indulgenza verso se stesso. Per conseguenza, attribuendo stati soggettivi agli agenti impegnati in I e in C, possiamo comprendere la ragione per cui I si presenta sotto le condizioni C, non come una semplice combinazione o successione di fenomeni, ma come manifestazione di stati soggettivi, le cui interrelazioni sono ben note a partire da una considerazione dei nostri stati conoscitivi e affettivi. Questi esempi mettono in luce il fatto che tali spiegazioni "fornite di significato" impiegano invariabilmente due tipi di assunzioni che sono di particolare rilevanza per l'attuale discussione; un'assunzione, singolare nella forma, la quale caratterizza individui determinati come trovantisi in certi stati psicologici in momenti prefissati (per esempio, nella citazione di cui sopra, l'assunzione che gli individui della folla odiavano l'uomo che stavano inseguendo); e una assunzione, generale nella forma, la quale enunci i modi in cui tali stati sono connessi tanto reciprocamente quanto a certi comportamenti manifesti (per esempio l'assunzione nella seconda citazione che gli individui i quali partecipano a movimenti rivoluzionari non professano pubblicamente delle dottrine politiche a meno che non credano in esse). Nessuna di tali assunzioni però si autodimostra, e sono necessarie prove per entrambe 26 MAx WEBER, Die Protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, Tiibin· gen 1922; trad. it. a cura di P. Burresi, Roma 1945. 27 Weber tentò di mostrare che I non si verificava in assenza di C. Ma questo punto non è direttamente rilevante per il problema specifico in discussione.
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se si vuole che le spiegazioni di cui fanno parte siano qualche cosa di piu di un'espressione incontrollata della fantasia. Spesso è difficile tr<}.: vare delle prove efficaci per convalidare le assunzioni circa gli atteggiamenti e le azioni degli altri; tali prove però non si ottengono certamente attraverso l'introspezione dei propri sentimenti o attraverso l'esame delle proprie credenze relative al modo in cui tali sentimenti possano manifestarsi nell'azione esplicita - come autorevoli sostenitori delle spiegazioni "interpretative" hanno spesso affermato con enfasi (per esempio Max Weber che lo fece con vigore e acutezza). Con la fantasia noi possiamo identificarci con un commerciante di grano e fare congetture circa la linea di comportamento che adotteremmo se ci trovassimo di fronte a qualche problema che richiedesse un intervento decisivo in un mercato oscillante per questo genere di consumo. Una congettura però non è un fatto. I sentimenti o i progetti che noi possiamo attribuire al commerciante possono, o non, coincidere con quelli che egli effettivamente ha o, anche se coincidessero, potrebbero dar luogo ad una condotta da parte sua completamente differente dalla linea di azione che noi avremmo immaginato ragionevole adottare nelle circostanze assunte. La storia dell'antropologia offre ripetute testimonianze degli errori che si possono commettere quando vengono estrapolate delle categorie adeguate per descrivere i comuni processi sociali onde impiegarli senza ulteriore esame, per lo studio di una cultura estranea. Né si può ritenere ben fondata la tesi assai diffusa che le relazioni di dipendenza fra processi psicologici, di cui abbiamo personale esperienza o le relazioni fra tali processi e le azioni esplicite in cui essi possono manifestarsi, possano venir comprese con una "penetrazione" piu chiara delle ragioni del loro essere di quanto non lo siano le relazioni di dipendenza di qualunque tipo fra processi ed eventi non psicologici. Comprendiamo noi veramente le ragioni per cui un insulto tende a provocare l'ira in modo piu completo e con una certeza maggiormente garantita di quanto comprendiamo le ragioni per cui si produce l'arcobaleno allorché i raggi del Sole colpiscono le gocce di pioggia secondo un certo angolo? Inoltre, non è per nulla ovvio il fatto che uno studioso di scienze sociali non possa render conto delle azioni umane a meno che non abbia sperimentato in prima persona gli stati psichici che scrive ad altri o a meno che non sia riuscito a ricreare tali stati nella sua immaginazione. E uno psichiatra deve essere un poco matto per avere la necessaria competenza per lo studio delle malattie mentali? Uno storico è forse incapace di spiegare gli sviluppi e i mutamenti sociali effettuati da uomini come Hitler a meno di non saper ricostruire nella sua immaginazione gli odii frenetici che possono aver animato un simile individuo? E gli studiosi di scienze sociali di temperamento mite ed emotivamente stabili sono forse incapaci di comprendere le cause e le conseguenze dell'isterismo di massa, delle orgie sessuali ritualizzate, e
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le manifestazioni patologiche della volontà di potenza? L'evidenza fattuale non reca certamente conferme a queste supposizioni e ad altre analoghe. In effetti, la conoscenza discorsiva - cioè la conoscenza esprimibile in forma proposizionale, relativa alle cose del "senso comune" e cosi pure ai materiali esplorati da procedure specializzate delle scienze naturali e delle scienze sociali - non riguarda l'avere sensazioni immagini, sentimenti vividi o congiunti; ed essa non consiste né nella possibilità di identificarsi in un qualche modo ineffabile con gli oggetti della conoscenza, né nella possibilità di riprodurre l'argomento della conoscenza in una qualche forma di esperienza diretta. La conoscenza discorsiva invece è una rappresentazioe simbolica soltanto di certe fasi di un certo argomento; essa è il prodotto di un processo che mira deliberatamente alla formulazione di relazioni fra i tratti caratteristici di un argomento, cosicché un insieme di tratti menzionati in quelle formulazioni non può venir assunto come un segno attendibile di altri tratti menzionati; e implica, come condizione necessaria per il suo essere garantita, la possibilità di verificare queste formulazioni attraverso l'osservazione sensoriale controllata da parte di chiunque sia preparato allo sforzo di verificarle. Per conseguenza, noi possiamo sapere che un uomo incalzato da un folla animata da odio nei suoi confronti è in uno stato di paura, senza aver fatto esperienze di tali violente paure e di tali odii o senza aver ricreato con l'immaginazione tali emozioni in noi stessi - proprio come possiamo sapere che la temperatura di un filo metallico è in aumento perché è in aumento la velocità delle molecole che lo costituiscono, senza aver bisogno di immaginare che cosa debba essere una molecola in movimento rapido. In entrambi i casi gli "stati interni" che non sono direttamente osservabili vengono attribuiti agli oggetti menzionati nella spiegazione dei loro comportamenti. Se noi possiamo quindi sostenere a ragione di sapere che gli individui possiedono gli stati loro attribuiti e che il possesso di tali stati tende a produrre le forme di comportamento specificate, lo possiamo fare solo sulla base di prove ottenute attraverso l'osservazione di manifestaziòni "oggettive" - nell'un caso attraverso l'osservazione del comportamento umano manifesto (comprese le risposte verbali) nell'altro caso attraverso l'osservazione di mutamenti fisici. Certamente, esistono importanti differenze fra i caratteri specifici degli stati attribuiti nei due casi; nel caso di agenti umani, gli stati sono psicologici o "soggettivi", e lo studioso di scienze sociali che opera questa attribuzione può effettivamente avere un'esperienza personale di prima mano di essi, ma nel caso del filo metallico e di altri oggetti inanimati gli stati non lo sono. Nondimeno, malgrado queste differenze, il punto cruciale è che i canoni logici adottati da autorevoli studiosi di scienze sociali nel valutare le prove oggettive per l'attribuzione di stati psicologici, non appaiono differire essenzialmente (per quanto essi possano spesso venir appli-
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ca ti in modo meno rigoroso) dai canoni adottati per analoghi scopi da parte di autorevoli studiosi in altri settori di indagine. In conclusione, il fatto che lo studioso di scienze sociali, a differenza dello studioso della natura inanimata, sia in grado di identificarsi attraverso l'immaginazione nei fenomeni che cerca di comprendere, concerne la questione delle origini delle sue ipotesi esplicative ma non la questione della loro validità. La sua abilità nell'entrare in relazioni di empatia con gli agenti umani in un qualche processo sociale può effettivamente essere euristicamente importante nei suoi sforzi di escogitare ipotesi adatte a spiegare il processo. Nondimeno, la sua identificazione empatica con quegli individui non costituisce, per se stessa, conoscenza. Il fatto che egli compia tale identificazione non annulla la necessità, per suffragare la sua attribuzione di stati soggettivi a quegli agenti umani," di prove oggettive, valutate secondo i principi logici che sono comuni a tutte le indagini controllate.
V. Le tendenze valutative dell'indagine sociale Passiamo, infine, alle difficoltà che si ritiene stiano dinnanzi alle scienze sociali poiché i valori sociali da cui gli studiosi di fenomeni sociali sono condizionati non solo colorano i contenuti dei loro risultati, ma controllano anche le loro valutazioni delle prove su cui essi basano le proprie conclusioni. Dato che gli studiosi di scienze sociali generalmente differiscono per quel Ghe concerne i valori da cui sono condizionati, la "neutralità valutativa" che sembra essere cosf totale nelle scienze naturali è perciò spesso considerata irraggiungibile nell'indagine sociale. Secondo il parere di molti pensatori, è di conseguenza assurdo presumere che le scienze sociali mostrino l'unanimità-cosi comune fra gli studiosi di scienze naturali per quanto concerne quelli che sono i fatti stabiliti e le spiegazioni soddisfacenti di questt- Esaminiamo alcuni dei motivi che sono stati avanzati in queste__mspute. È opportuno distinguere quattro gruppi di tali motivi, cosicché la nostra discussione tratterà rispettivamente il ruolo riconosciuto dei giudizi di valore per quanto riguarda l) la scelta dei problemi, 2) la determinazione dei contenuti delle conclusioni, 3) la identificazione dei fatti, e 4) la valutazione delle prove. l. I motivi forse piu frequentemente addotti insistono molto sul fatto che le cose che uno studioso di scienze sociali sceglie per il proprio studio risultano determinate dal suo modo di concepire quelli che sono i valori socialmente importanti. Secondo un'autorevole concezione, per 28
La funzione euristica di tale identificazione immaginaria è discussa da
THEODORE
.ABEL, T be Operation called 'Verstehen', "American ]ournal of Sociology", vol. 54, 1948, pp. 211, 18.
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esempio, lo studioso di cose umane tratta solo di materiali a cui egli attribuisce "significanza culturale", cosicché un "orientamento valutativo" risulta intrinseco alla sua scelta del materiale da investigare. Cosi, sebbene Max Weber fosse un vigoroso fautore di una scienza sociale "avalutativa" - egli sostenne cioé che gli studiosi di scienze sociali debbono apprezzare (o "comprendere") i valori implicati nelle azioni o istituzioni che essi stanno discutendo, ma che non è loro compito come studiosi obiettivi approvare o disapprovare sia quei valori sia quelle azioni o istituzioni - egli nondimeno sostenne che: Il concetto di cultura è un concetto di valore. La realtà empirica è per noi "cultura" in quanto la poniamo in relazione con idee di valori; essa abbraccia quegli elementi della realtà che diventano per noi significativi in base a quella relazione, e soltanto questi elementi. Una ristretta parte della realtà individuale attualmente considerata è investita del nostro interesse, condizionato da quelle idee di valore; ed essa_soltanto ha signicato per noi e lo ha in quanto ci mostra delle relazioni che per noi sono importanti per la loro connessione con idee di valore. Esclusivamente in questo caso, infatti, essa è per noi degna di venir conosciuta nel suo carattere individuale. Ciò che per noi ha significato non può naturalmente essere determinato attraverso alcuna indagine del dato empirico, che sia condotta "senza presupposti"; al contrario la determinazione di ciò è il presupposto per stabilire che qualcosa diviene oggetto dell'indagine.29 È quasi un truismo dire che gli studiosi di cose umane, come gli studiosi di qualsiasi altro settore d'indagine, non investigano tutte le cose, ma dirigono la loro attenzione a certe porzioni selezionate del contenuto inesauribile della realtà concreta. Inoltre, accettiamo pure la tesi, se non altro per discuterla, che uno studioso di scienze sociali si interessa esclusivamente di questioni che egli crede siano importanti a causa della rilevanza che egli riconosce loro per i propri valori culturali.30 Non è chiaro, tuttavia, perché il fatto che chi investiga scelga i materiali di studio alla luce dei problemi che lo interessano e che gli sembrano vertere su questioni da lui considerate importanti, debba essere di maggior momento per la logica dell'indagine sociale di quanto non lo sia per la logica di qualsiasi altra branca d'indagine. Per esempio, uno studioso di scienze sociali può credere che un mercato economico libero incorpori un valore umano fondamentale, ed egli può produrre prove per mostrare che certi tipi di attività umane sono indispensabili alla perpetuazione di un mercato libero. Se egli si interessa di processi che conservano questo tipo di economia invece di un qualunque altro, come è possibile che questo fatto sia piu pertinente alla questione se egli ha adeguatamente valutato le prove necessarie ~ 29 MAx WEBER, Gesammelte Aufsiitze zur Wissenschaftslehre, Tiibingen, 1922; trad. it. a cura di P. Rossi, Torino, 1958, p. 90. 30 Questo problema è oggetto di una certa attenzione nella discussione che segue relativamente alla quarta difficoltà.
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per la sua conclusione, di quanto non sia pertinente all'analoga questione il fatto che un fisiologo può interessarsi di processi che conservano una temperatura interna costante nel corpo umano invece di interessarsi di una qualunque altra cosa? Le cose che uno studioso di scienze sociali sceglie per il suo studio con lo scopo di determinare le condizioni o le conseguenze della loro esistenza possono in effetti essere dipendenti dal fatto indiscutibile che egli è una "entità culturale". Analogamente però, se noi non fossimo esseri umani, purtuttavia capaci di condurre indagini scientifiche, potremmo concepibilmente non avere interesse né per le condizioni che conservano un libero mercato, né per i processi implicati nella omeostasi della temperatura interna nel corpo umano, né per quel che concerne i meccanismi che regolano l'altezza delle maree, la successione delle stagioni, o i moti dei pianeti. In breve, nessuna delle scienze presenta differenze riguardo al fatto che gli interessi dello studioso determinino ciò che egli sceglie per la propria investigazione. Questo fatto però, per se stesso, non rappresenta alcun ostacolo al successo di indagini oggettivamente controllate in qualsiasi branca di 3tudio. 2. Un motivo piu sostanziale comunemente addotto per giustificare il carattere valutativo dell'indagine sociale è il seguente: poiché lo studioso di scienze sociali è esso stesso influenzato dal suo modo di giudicare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, le sue proprie nozioni di ciò che costituisce un ordine sociale soddisfacente e le sue proprie norme di giustizia personale e sociale entrano, di fatto, nella sua analisi dei fenomeni sociali. Per esempio, secondo una versione di questa argomentazione, gli antropologi devono frequentemente giudicare se i mezzi adottati da qualche società raggiungono lo scopo deliberato (per esempio, se un rito religioso produce effettivamente l'aumento di fertilità, che è il motivo per cui tale rito viene eseguito}; e in molti casi l'adeguatezza dei mezzi deve essere giudicata con riferimento a norme riconosciute come "relative", cioè, nei termini dei fìni perseguiti e delle norme adottate da quella società, invece che nei termini dei criteri personali dell'antropologo. Nondimeno - cosi l'argomentazione prosegue - vi sono pure situazioni in cui noi dobbiamo applicare standard assoluti di adeguatezza, cioè valutare i risultati finali di comportamento in termini di fini nei quali noi crediamo o che postuliamo. Questo si verifica, primo, quando parliamo della soddisfazione di "bisogni" psicofisici offerta da una qualsiasi cultura; secondo, quando valutiamo l'incidenza dei fatti sociali sulla sopravvivenza; e terzo, quando ci pronunciamo sull'integrazione sociale e la stabilità sociale. In ciascun caso i nostri enunciati implicano giudizi relativi all'opportunità o meno delle azioni, alle soluzioni culturali "buone" o "cattive" dei problemi della vita, o agli stati di cose "normali" e "anormali". Questi sono giudizi fondamentali da
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cui non possiamo prescindere in un'indagine sociale e che chiaramente non esprimono una filosofia puramente personale del ricercatore e valori arbitrariamente assunti. Piuttosto tali giudizi si sviluppano a partire dalla storia del pensiero umano, da cui l'antropologo, come del resto chiunque altro, può ben poco prescindere. Tuttavia come la storia del pensiero umano ha condotto non ad una, ma a molte filosofie, cosi gli atteggiamenti valutativi impliciti nei nostri modi di pensare differiranno e talora verranno a conflitto." È stato spesso osservato, inoltre, che lo studio di fenomeni sociali riceve molto del suo impulso da un vigoroso zelo morale e riformatore, cosi che molte analisi nelle scienze sociali che si pretende siano "oggettive" sono di fatto delle proposte mascherate di strategia sociale. Secondo un'enunciazione tipica, ma moderatamente espressa di questo punto, uno studioso di scienze sociali
non può interamente isolare la struttura sociale unificatrice che guida, in quanto teoria scientifica, le sue investigazioni dettagliate sul comportamento umano, dalla struttura unificatriche che egli pensa debba prevalere, in quanto ideale politico, nelle cose umane e che spera possa un giorno essere piu pienamente realizzata. Pertanto la sua teoria sociale risulta essere essenzialmente un programma d'azione su due linee che sono mantenute in certa misura in armonia l'una con l'altra da quella teoria stessa: l'azione nell'assimilare i fatti sociali ai fini di una comprensione sistematica, e l'azione che mira a plasmare progressivamente la struttura sociale, nella misura in cui egli può influire su di essa trasformandola in ciò che egli pensa dovrebbe essere. 32 Non è neppure il caso di discutere la frequente introduzione, spesso operata di fatto dagli studiosi di scienze sociali, di valori loro propri nelle loro analisi dei fenomeni sociali. È pure indubbiamente vero che persino i pensatori i quali credono che le cose umane possano essere studiate con la neutralità etica caratterizzante le moderne indagini sulle relazioni geometriche o fisiche, e spesso si vantano dell'assenza di giudizi di valore nelle proprie analisi dei fenomeni sociali, formulano talora di fatto tali giudizi nelle loro indagini sociali.'' Non è meno evidente che studiosi di cose umane spesso sostengono valori in contrasto fra loro; che i loro disaccordi su questioni valutative sono spesso la fonte di disaccordi concernenti problemi manifestamente fattuali; e che, 31
S. F. NADEL, The Foundations of Social Anthropology. Glencoe Ili., 1951, pp.
53-54.
È stata talora proposta la tesi secondo cui l'esclusione dei giudizi di valore dalla
scienza sociale sarebbe tanto indesiderabile quanto impossibile. "Noi non possiamo ignorare tutte le questioni relative a ciò che è socialmente desiderabile senza perdere di vista la significanza di molti fatti sociali; infatti, dato che la relazione fra mezzi e fini è una forma speciale di quella fra parti e totalità, il contemplare fini sociali ci pone in grado di vedere le relazioni di interi gruppi di fatti reciproche e relative a sistemi piu ampi di cui essi sono parte." MoRRIS CoHEN, Reason and Nature, New York, 1931, p. 343. 32 EnwrN A. BuRTT, Right Thinking, New York, 1946, p. 522. 33 Per un resoconto documentato, v. GuNNAR MYRDAL, Value in Social Theory, London, 1958, pp. 134-52.
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anche se si ammette l'attribuzione di predicati che sono intrinsecamente suscettibili di dimostrazione o di refutazione per mezzo di prove oggettive, alcune almeno delle differenze fra gli studiosi di scienze sociali che implicano giudizi di valore non sono di fatto risolte dalle procedure di indagine controllata. In ogni caso, non è facile impedire nella maggior parte dei settori di indagine che le nostre preferenze, avversioni, speranze, e paure influenzino le nostre conclusioni. Sono stati necessari secoli di sforzi per sviluppare consuetudini e tecniche di investigazione che aiutino a salvaguardare le indagini nelle scienze naturali dall'intrusione di fattori personali non pertinenti; e persino in queste discipline la difesa che quelle procedure forniscono non è né infallibile né completa. Il problema è indubbiamente piu acuto nello studio delle cose umane, e si debbono ammettere le difficoltà che esso crea per il raggiungimento di una conoscenza attendibile nelle scienze sociali. Il problema, tuttavia, è comprensibile solo in base all'assunzione che vi è una distinzione relativamente chiara fra giudizi fattuali e giudizi di valore, e che per quanto possa essere talora difficile decidere se un dato enunciato ha un contenuto puramente fattuale, ciò risulta di principio possibile. La tesi secondo cui gli studiosi di scienze sociali perseguono il duplice programma menzionato nella citazione precedente ha pertanto senso, solo se è possibile distinguere, da un lato i contributi alla comprensione teorica (la cui validità fattuale presumibilmente non dipende dall'ideale sociale a cui uno studioso di tali scienze può aderire), e dall'altro i contributi alla diffusione o alla realizzazione di un certo ideale sociale (che può non essere accettato da tutti gli studiosi in questione). Di conseguenza, le innegabili difficoltà che si oppongono al conseguimento di una conoscenza attendibile delle cose umane a causa del fatto che gli studiosi di scienze sociali differiscono nei loro orientamenti valutativi sono difficoltà di ordine pratico. Esse non sono necessariamente insuperabili, perché, non essendo per ipotesi impossibile distinguere fra fatto e valore, si può procedere all'identificazione di una tendenza valutativa quando questa si presenta, e alla minimizzazione se non all'eliminazione completa dei suoi effetti perturbatori. Una contromisura di questo tipo frequentemente proposta è quella che gli studiosi di scienze sociali abbandonino la pretesa di essere liberi da ogni condizionamento e che essi invece enuncino le loro assunzioni di valore il piu possibile esplicitamente e pienamente.34 La proposta non sostiene che gli studiosi di scienze sociali si accordino sui loro ideali sociali una volta che questi ideali siano esplicitamente postulati, o che 34 Vedi per esempio, S. F. NADEL, op. cit., p. 54; vedi anche GUNNAR MYRDAL, op. cit., p. 120, e inoltre dello stesso autore, Politica! Element in tbe Development of Economie Tbeory, Cambridge, Mass., 1954, in particolare c. 8.
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i disaccordi sui valori possano essere eliminati da indagini scientifiche. Essa sostiene piuttosto che la questione del modo in cui un dato ideale debba essere realizzato, o la questione se un certo ordinamento istituzionale sia un modo efficace di raggiungere tale ideale, sia ciò malgrado non una questione di valore, ma un problema fattuale da risolversi per mezzo di metodi obiettivi di indagine scientifica - concernente l'adeguatezza dei mezzi proposti per conseguire i fini stipulati. Cosf, gli economisti possono essere in costante disaccordo sul fatto che sia auspicabile una società la quale garantisca ai suoi membri la libertà dal bisogno economico, dato che tale disaccordo può avere la sua fonte in preferenze, non suscettibili di essere discusse, per valori'sociali differenti. Quando però un'indagine economica mette a disposizione prove suflicienti, gli economisti presumibilmente si accorderanno sulla seguente proposizione fattuale: se una tale società deve essere raggiunta, allora un sistema economico puramente competitivo non sarà sufficiente. Sebbene la proposta, secondo la quale gli studiosi di scienze sociali rendono pienamente espliciti i valori cui aderiscono, sia indubbiamente salutare, e possa produrre frutti eccellenti, essa tende ad essere un consiglio difficile da seguire. Per lo piu noi non siamo consapevoli di molte assunzioni che entrano nelle nostre analisi e nelle nostre azioni, onde può accadere che malgrado i nostri sforzi risoluti per rendere espliciti i nostri preconcetti alcuni di questi che pure sono importanti, non ci siano neppure presenti. In ogni caso però, le difficoltà generate all'indagine scientifica da tendenze inconsce e taciti orientamenti valutativi sono raramente vinte dalle migliori intenzioni di eliminare tali tendenze. Esse sono di solito vinte, spesso solo gradualmente, attraverso i meccanismi autocorrettivi della scienza intesa come impresa sociale. Infatti la scienza moderna incoraggia la scoperta, il mutuo scambio, e la libera, ma responsabile critica delle idee; essa accoglie favorevolmente la competizione nella ricerca della conoscenza fra studiosi indipendenti, anche quando i loro orientamenti intellettuali sono diversi; essa attenua progressivamente gli effetti delle tendenze contrastanti accettando solo quelle conclusioni delle sue indagini che sopravvivono all'esame critico da parte di una comunità di studiosi indefinitamente ampia, quali che siano le loro preferenze valutative o i loro condizionamenti dottrinari. Sarebbe assurdo sostenere che questo meccanismo istituzionalizzato per vagliare le credenze garantite abbia operato o debba probabilmente operare nell'indagine sociale in modo cosf efficace come ha operato nelle scienze naturali. Sarebbe però non meno assurdo concludere che una conoscenza attendibile delle cose umane sia inaccessibile solamente perché l'indagine sociale è frequentemente orientata da valori. 3. Esiste un'argomentazione piu artificiosa a sostegno della concezione che le scienze sociali non possono essere avalutative. Essa sostiene
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che la distinzione fra fatto e valore assunta nella precedente discussione
è insostenibile quando venga analizzato il comportamento umano intenzionale dato che in questo contesto i giudizi di valore entrano inestricabilmente in quelli che sembrano essere degli enunciati "puramente descrittivi" (o fattuali). Di conseguenza, coloro che aderiscono a questa tesi sostengono che una scienza sociale eticamente neutra è di principio impossibile, e non semplicemente che è difficile da conseguire. Giacché se fatto e valore sono in realtà cosi fusi da non poter nemmeno venir distinti, i giudizi di valore non possono essere eliminati dalle scienze sociali a meno di eliminare da esse tutte le predicazioni e quindi a meno che queste scienze scompaiano completamente. Per esempio, si è sostenuto che lo studioso delle cose umane deve distinguere fra forme di attività sociale apprezzabili e forme indesiderabili, per non fallire nel suo "puro dovere" di presentare i fenomeni sociali in modo fedele e veritiero: Chi non riterrebbe indegno di considerazione e di ridicolo un uomo che sostenesse di aver scritto una trattazione sociologica dell'arte ma che in effetti avesse scritto una trattazione sociologica delle sciocchezze? Il sociolago della religione deve distinguere fra fenomeni che hanno un carattere religioso e fenomeni che sono areligiosi. Per essere in grado di far questo, egli deve comprendere che cosa sia la religione ... Tale comprensione lo mette in grado e lo costringe a distinguere fra religione genuina e spuria, fra religioni superiori e inferiori; sono religioni superiori quelle in cui le motivazoni specificamente religiose sono operanti ad un grado piu elevato ... Il sociologo della religione, non può fare -a meno di notare la differenza fra coloro che si sforzano di convertirsi ad essa. Può egli vedere questa differenza senza vedere nello stesso tempo la differenza fra un atteggiamento mercenario e uno non mercenario? ... Il divieto di formulare giudizi di valore nelle scienze sociali condurrebbe alla conseguenza che ci è permesso fare una descrizione rigorosamente fattuale degli atti espliciti che possono venir osservati nei campi di concentramento, e forse un'analisi ugualmente fattuale delle motivazioni degli agenti interessati: non ci sarebbe permesso parlare di crudeltà. Ogni lettore di una tale descrizione che non sia completamente stupido vedrebbe, naturalmente, che le azioni descritte sono crudeli. La descrizione fattuale sarebbe, in verità, un'amara satira. Quello che pretendeva essere un resoconto diretto sarebbe un resoconto insolitamente pieno di circonlocuzioni... È forse possibile dire qualcosa di rilevante sugli orientamenti dell'opinione pubblica ... senza realizzare il fatto che molte risposte ai questionari sono date da persone non intelligenti, non informate, menzognere, ed irrazionali, e che non poche domande vengono formulate da persone .dello stesso calibro - si può dire qualcosa di rilevante circa gli orientamenti dell'opinione pubblica senza fare appello a giudizi di valore uno dopo l'altro!' 35 LEo STRAUSS, The Social Science of Max Weber, "Measure", vol. 2 (1951), pp. 211-14. Per una discussione di questo problema in quanto connesso a problemi di filosofia del diritto, v. LoN FuLLER, Human Purpose and Natura[ Law, "Natura! Law Forum", vol. 3, 1958, pp. 68-76; ERNEST NAGEL, On the Fusion o/ Fact and Value: A Reply to Professar Fuller, op. cit., pp. 77-82; LoN L. FULLER, A Reioinder to Professor Nagel, op.
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Inoltre, l'assunzione implicita nella proposta poco sopra discussa, di conseguire una neutralità etica è spesso rifiutata come irrimediabilmente ingenua - tale assunzione, si ricorderà, consiste nell'affermare che le relazioni fra fini e mezzi possono venir fissate senza vincolarsi a questi fini, onde le conclusioni dell'indagine sociale concernenti tali relazioni sono enunciati oggettivi che fanno asserzioni condizionali piuttosto che categoriche circa i valori. Coloro i quali criticano tale assunzione sostengono che essa si fonda sulla supposizione che gli uomini riconoscano valore solo ai fini che essi perseguono e non ai mezzi per realizzare i loro scopi. Questa supposizione però, vien dichiarata grossolanamente erronea. Infatti il carattere dei mezzi che si impiegano per garantirsi una certa meta influisce sulla natura del risultato totale; e la scelta che gli uomini fanno fra mezzi diversi per ottenere un dato fine dipende dai valori che essi ascrivono a quelle alternative. Di conseguenza, si afferma che l'influenza di atteggiamenti valutativi specifici si riscontra persino in quelli che appaiono essere enunciati puramente fattuali circa le reazioni fra fini e mezzi. 36 Non cercheremo di dare una valutazione dettagliata di questa complessa argomentazione, poiché una discussione dei numerosi problemi che essa solleva ci porterebbe lontano. Tre tesi, tuttavia, emerse nel corso dell'argomentazione verranno ammesse come indiscutibilmente corrette senza ulteriore commento: che un largo numero di caratterizzazioni assunte talora come descrizioni puramente fattuali dei fenomeni sociali formulano in realtà un tipo di giudizio di valore; che è spesso difficile, e, in ogni caso di solito praticamente non conveniente distinguere fra contenuti puramente fattuali e contenuti "valutativi" di molti termini impiegati nelle scienze sociali; e che comunemente si riconoscono valori ai mezzi e non solo ai fini. Queste ammissioni, tuttavia, non implicano la conclusione che fatto e valore siano fusi al di là di ogni possibilità di distinguerli, in una maniera che è tipica dello studio del comportamento umano intenzionale che tende a scopi. Al contrario, come tenteremo di mostrare, la tesi secondo cui esisterebbe una siffatta fusione e che una scienza sociale avalutativa sarebbe perciò intrinsecamente assurda, confonde due sensi del tutto diversi del termine "giudizio di valore": il senso in cui un giudizio di valore esprime approvazione o disapprovazione o di qualche ideale morale (o sociale), o di qualche azione (o istituzione) in quanto è condizionato da un tale ideale; e il senso in cui un giudizio di valore esprime una stima del grado in cui qualche tipo di azione, oggetto, o istituzione comunemente riconosciuto (e piu o meno chiaramente definito) risulta incorporato in un dato caso particolare. cit., pp. 83-104; ERNEST NAGEL, Fact, Va!ue, and Human Purpose, "Natura! Law Forum", vol. 4 ( 1959), pp. 26-43. 36 Cfr. GuNNAR MYRDAL, Value in Social Theory, London, 1958, pp. 211-13.
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Sarà molto utile illustrare questi due sensi dell'espressione "giudizio di valore" in primo luogo con un esempio tratto dalla biologia. Gli animali dotati di circolazione sanguigna mostrano talora la condizione nota come "anemia". Un animale anemico ha un numero ridotto di globuli rossi, cosicché, fra le altre cose, egli ha capacità di mantenere una temperatura interna costante piu ridotta che non altri membri della sua specie con un quantitativo "normale" di tali globuli. Tuttavia, sebbene il significato del termine "anemia" possa esser reso del tutto chiaro, esso non è di fatto definito con precisione completa; per esempio, la nozione di numero "normale" di globuli rossi che entra nella definizione del termine è essa stessa alquanto vaga, dato che questo numero varia sia a seconda degli individui di una specie che a seconda dello stato di un dato individuo in tempi diversi (quale la sua età o l'altitudine del suo habitat). In ogni caso però, per decidere se un dato animale sia anemico, un ricercatore deve giudicare se le prove disponibili garantiscono la conclusione che l'esemplare è anemico." Egli può forse pensare all'anemia come consistente di diversi tipi (come vien fatto nella pratica medica effettiva), o può considerare l'anemia come una condizione che è realizzabile con maggiore o minore completezza (proprio come certe curve piane sono talora descritte quali approssimazioni maggiori o minori ad un cerchio come è definito in geometria); e, a seconda di quale di queste concezioni egli adotta, può decidere o che il suo esemplare ha un certo tipo di anemia o che esso è anemico solo a un certo grado. Quando il ricercatore perviene ad una conclusione, si può perciò dire che egli sta emettendo un "giudizio di valore", nel senso che egli ha in mente qualche tipo standardizzato di condizione fisiologica designato come "anemia" e che egli valuta ciò che conosce circa il suo esemplare servendosi della misura fornita da questo standard assunto. Per comodità di riferimento, chiamiamo tali valutazioni delle prove, le quali concludono che una data caratteristica è presente (o assente) in un certo grado in un dato caso particolare, "giudizi di valore caratterizzanti". Lo studioso invece può emettere un giudizio di valore di tipo del tutto diverso, il quale asserisce che, dato che un animale anemico ha diminuite possibilità di autoconservazione, l'anemia è una condizione indesiderabile. Inoltre, egli può applicare questo giudizio generale ad un caso particolare, e cosi giungere a deplorare il fatto che un dato animale sia anemico. Cataloghiamo tali valutazioni le quali concludono che qualche stato di cose contemplato o effettivo è degno di approva· 37 La prova consiste di solito in un conteggio di globuli rossi in un campione di sangue dell'animale. Bisognerebbe, tuttavia, osservare che il conteggio dei globuli rossi fornisce solo una stima del numero di globuli per una determinata unità volumeerica di sangue e non indica se il quantitativo totale dei globuli rossi del corpo è aumentato o diminuito. Vedere CHARLES H. BEsT e NoRMAN B. TAYLOR, The Physiological Basis o/ Medica! Practice, VI ed., Baltimora, 1955; trad. it. a cura di C. Foà, Milano, 1955, c. 2, pp. 10-17.
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zione o disapprovazione, "giudizi di valore stimanti".'8 Risulta chiaro, tuttavia, che un ricercatore non è logicamente costretto dal fatto di emettere un giudizio di valore caratterizzante ad affermare o a negare una corrispondente valutazione stimante. Non è meno evidente che egli non può coerentemente emettere un giudizio di valore stimante circa un dato esempio particolare (per esempio, che è indesiderabile per un dato animale continuare ad essere anemico); a meno che egli possa affermare un giudizio caratterizzante circa tale caso particolare indipendentemente da quello stimante (possa affermare per esempio, che quell'animale è anemico). Di conseguenza, sebbene i giudizi caratterizzanti siano necessariamente implicati da molti giudizi stimanti, emettere giudizi stimanti non è una condizione necessaria per emettere quelli caratterizzanti. Applichiamo ora queste distinzioni a qualcuna delle tesi avanzate nel corso dell'argomentazione sopra citata. Consideriamo per prima cosa la tesi che il sociologo della religione debbe riconoscere la differenza fra atteggiamenti mercenari e non mercenari, e di conseguenza aderisca inevitabilmente a certi valori. È fuori discussione il fatto che certi atteggiamenti vengono comunemente distinti; e può essere dato per scontato che a un sociologo della religione sia necessario capire la differenza fra essi. L'impegno del sociologo però è sotto questo riguardo affatto simile a quello dello studioso di fisiologia animale, che deve pure ragguagliarsi su certe distinzioni - anche se la distinzione del fisiologo fra, diciamo, anemico e non anemico, può risultare meno familiare al profano ed è in ogni caso molto piu precisa della distinzione fra atteggiamenti mercenari e non mercenari. Infatti, a causa della imprecisione di questi ultimi termini, il sociologo scrupoloso può trovare estremamente difficile decidere se l'atteggiamento di qualche comunità verso le divinità da essa riconosciute debba essere caratterizzato come mercenario oppure no; e se alla fine egli dovesse decidere, potrebbe fondare la sua conclusione su una certa inarticolata "impressione totale" del comportamento manifesto di quella comunità, senza essere in grado di enunciare esattamente i motivi dettagliati della sua decisione. Comunque ciò possa essere però, il sociologo il quale sostiene che un certo atteggiamento manifestato da un dato gruppo religioso è mercenario, proprio come il fisiologo il quale sostiene che un certo individuo è anemico, sta emettendo quello che è fondamentalmente un giudizio di valore caratterizzante. Nell'emettere questi giudizi, né il sociologo né il fisiologo si fanno necessariamente condizionare da 31 Per la presente discussione risulta irrilevante il tipo di concezione adottata per quel che concerne il fondamento sul quale si suppone si reggano tali giudizi - e cioè se quei fondamenti siano semplicemente preferenze arbitrarie, pretese intuizioni di valori 'obiettivi', imperativi morali catgorici, o una qualunque altra cosa proposta nella storia della teoria del valore. Infatti la distinzione operata nel testo è indipendente da qualsiasi assunzione particolare circa i fenomeni "ultimi" dei giudizi di valore stimanti.
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La struttura della scienza valori diversi da quelli dell'integrità scientifica; e sotto questo riguardo, perciò, non sembra ci sia alcuna differenza fra indagine sociale e indagine biologica (o nella fattispecie, fisica). Sarebbe invece assurdo negare che nel caratterizzare varie azioni come mercenarie, crudeli o ingannevoli, i sociologi asseriscano frequentemente (sebbene forse non sempre intenzionalmente) giudizi di valore tanto stimanti quanto caratterizzanti. Termini quali 'mercenario', 'crudele', e 'ingannevole' come comunemente vengono usati hanno una carica negativa ampiamente riconosciuta. Di conseguenza, si può di norma ammettere che chiunque impieghi tali termini per caratterizzare il comportamento umano enunci la sua disapprovazione di quel comportamento (o la sua approvazione, se egli dovesse usare termini come 'non mercenario', 'mansueto', e 'veritiero'), e non si limiti semplicemente a caratterizzarlo. Sebbene molti (ma certo non la totalità degli enunciati palesemente caratterizzanti asseriti da studiosi di scienze sociali esprimano indubbiamente condizionamenti da parte di valori diversi (non sempre compatibili), anche numerosi termini "puramente descrittivi" usati da studiosi di scienze naturali hanno talora in certi contesti una connotazione valutativa inequivocabilmente stimante. Pertanto, la tesi che uno studioso di scienze sociali emetta giudizi di valore stimanti quando caratterizza coloro che rispondono ai questionari come individui non informati, menzogneri, o irrazionali può stare sullo stesso piano della tesi, ugualmente valida, che anche un fisico emetta giudizi siffatti quando descrive un particolare cronometro come inesatto, una pompa come inefficiente, o una piattaforma di sostegno come instabile. Come lo studioso di scienze sociali nell'esempio, testé accennato, cosf il fisico sta caratterizzando certi oggetti nel suo campo di ricerca; ma, come lo studioso di scienze sociali, anche egli sta esprimendo in aggiunta la sua disapprovazione delle caratteristiche che egli attribuisce a quegli oggetti. Nondimeno - e questa è l'importanza fondamentale della presente discussione - non vi sono buoni motivi per pensare che risulti intrinsecamente impossibile distinguere fra i giudizi caratterizzanti e quelli stimanti impliciti in molti enunciati, sia che questi enunciati vengano asseriti dagli studiosi delle cose umane sia da studiosi di scienze naturali. Certamente, non è sempre facile rendere formalmente esplicita quella distinzione nelle scienze sociali - in parte perché molto del linguaggio in esse impiegato è assai vago, in parte perché i giudizi stimanti che possono essere impliciti in un enunciato tendono ad essere da noi trascurati quando si tratta di giudizi da cui siamo effettivamente condizionati pur senza essere consapevoli dei nostri condizionamenti. Né è sempre utile o conveniente eseguire questo compito. Infatti molti enunciati che contengono in forma implicita valutazioni sia caratterizzanti che stimanti, sono talora sufficientemente chiari senza venir ri-
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formulati nel modo sopra richiesto; e tali riformulazioni sarebbero di frequente troppo poco maneggevoli ai fini di una comunicazione effettiva fra gli studiosi appartenenti ad un gruppo vasto e con diverso grado di preparazione. Questi però sono problemi essenzialmente pratici piu che teorici. Le difficoltà che essi sollevano non forniscono motivi i quali costringano a sostenere la tesi che una scienza sociale eticamente neutra sia intrinsecamente impossibile. Né ha alcuna efficacia l'argomentazione secondo cui, dato che i valori sono comunemente assegnati ai mezzi e non solo ai fini, gli enunciati circa le relazioni mezzi-fini non sarebbero avalutativi. Verifichiamo l'argomentazione con un semplice esempio. Supponiamo che un uomo con urgente necessità di un'automobile, ma senza capitali sufficienti per comperarne una, possa raggiungere il suo scopo facendosi prestare una somma o da una banca o da am1ci che rinunciano al pagamento di qualsiasi interesse. Supponiamo inoltre che egli non desideri sentirsi in obbligo coi suoi amici per motivi di denaro, e preferisca il carattere anonimo di un prestito commerciale. Di conseguenza, i valori comparativi che questo individuo assegna ai mezzi alternativi che ha a disposizione per realizzare il suo scopo controllano ovviamente la scelta che e2:li fa tra essi. Ora il risultato totale che deriverebbe dalla sua adozione di una delle alternative è senz'altro diverso dal risultato totale che deriverebbe dalla sua adozione dell'altra alternativa. Nondimeno, astraendo dai valori che egli può assegnare a questi mezzi alternativi, ciascuno di essi darebbe luogo ad un esito - vale a dire, l'acquisto da parte sua dell'automobile di cui ha bisogno - che è comune a entrambi i risultati totali. La validità sia dell'enunciato secondo cui egli potrebbe acquistare l'automobile facendosi prestare denaro da una banca, sia dell'enunciato secondo cui egli potrebbe realizzare questo scopo facendosi fare un prestito da amici, non è quindi influenzata dalle valutazioni assegnate ai mezzi; cosicché nessuno dei due enunciati implica una qualsiasi particolare valutazione stimante. In breve, gli enunciati circa le relazioni mezzi fini sono avalutativi. 4. Dobbiamo ancora considerare la tesi secondo cui una scienza sociale avalutativa sarebbe impossibile, in quanto dei condizionamenti valutativi intervengono nella valutazione stessa delle prove da parte degli studiosi di scienze sociali, e non semplicemente nel contenuto delle conclusioni che essi avanzano. Questa versione della tesi stessa ha un gran numero di varianti, ma noi ne esamineremo solo tre. La forma meno radicale di tale tesi sostiene che le concezioni ritenute valide da uno studioso di scienze sociali relativamente a ciò che costituisce una prova cogente e un'esecuzione intellettuale valida sono i prodotti della sua educazione e del suo posto nella società, e sono influenzati da valori sociali trasmessi da questa educazione ed associati alla sua posizione sociale; del pari, i valori da cui lo studioso di scienze
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sociali è in questo modo condizionato determinano quali enunciati egli accetti come conclusioni ben fondate circa le cose umane. In questa forma, la tesi è fattuale, e deve essere sostenuta da prove empiriche dettagliate concernenti le influenze esercitate dai valori morali e sociali di un individuo su ciò che egli è disposto a riconoscere come analisi sociale valida. Tali prove sono effettivamente disponibili in molti casi particolari; e le differenze fra studiosi di scienze sociali riguardo a ciò che essi accettano come degno di fede possono talora essere attribuite all'influenza di tendenze nazionali, religiose, economiche o di altro genere. Questa variante della tesi, tuttavia, non esclude né la possibilità di riconoscere quali valutazioni di prove siano pregiudicate da speciali condizionamenti valutativi, né la possibilità di correggere tale pregiudizio. Essa perciò non solleva problemi che non siano già stati discussi quando esaminammo il secondo motivo a favore del presuntd carattere valutativo dell'indagine sociale (v. pp. 489-493 ). Una diversa forma della tesi è quella basata sui recenti sviluppi della statistica teorica che discute la valutazione delle prove per le cosiddette "ipotesi statistiche" - ipotesi concernenti le probabilità di eventi casuali, quali l'ipotesi che la probabilità della nascita di un essere umano maschio sia ~. Per la presente questione l'idea centrale rilevante che sottostà a questi sviluppi può essere abbozzata nei termini di un esempio. Supponiamo che, prima dell'introduzione in commercio di un gruppo di medicine di nuova fabbricazione, vengano eseguite prove su cavie per controllarne i possibili effetti tossici a causa delle impurità che non sono state eliminate nella sua fabbricazione, per esempio, aggiungendo piccole quantità del farmaco alla dieta di un centinaio di cavie. Se solo pochi animali presentano gravi danni, la medicina viene considerata come sicura, e sarà venduta sul mercato; ma se si ottiene il risultato opposto il farmaco verrà distrutto. Supponiamo ora che tre degli animali cadano di fatto gravemente ammalati. È questo risultato significativo (indica cioè che il farmaco ha effetti tossici), o è forse un accidente che si verificò a causa di qualche peculiarità negli animali colpiti? Per rispondere alla domanda, lo sperimentatore deve decidere, sulla base delle prove ottenute, fra l'ipotesi Ht: il farmaco è tossico, e l'ipotesi H 2 : il farmaco non è tossico. Ma come deve decidere, se tende ad essere "ragionevole" invece di agire ad arbitrio? L'attuale teoria statistica gli offre una regola per prendere una decisione ragionevole, e fonda la regola sulla seguente analisi. Qualunque decisione possa prendere lo sperimentatore, egli corre il rischio di commettere l'uno o l'altro di questi due tipi di errori: può rifiutare un'ipotesi sebbene di fatto essa sia vera (cioè, malgrado il fatto che Ht sia effettivamente vera, decide erroneamente contro di essa alla luce della prova di cui dispone); o può accettare un'ipotesi sebbene di fatto essa sia falsa. La sua decisione sarebbe perciò eminentemente ragionevole, se fosse basata su una regola che garantisca che nessuna
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decisione presa in accordo con la regola stessa gli farebbe commettere l'uno o l'altro tipo di errore. Putroppo, non vi sono regole di questa sorta. Il prossimo suggerimento è di trovare una regola tale che, quando le decisioni vengono prese in accordo con essa, la frequenza relativa di ciascun tipo di errore sia molto piccola. Sfortunatamente però i rischi di commettere l'uno o l'altro di questi tipi di errore non sono indipendenti; per esempio, è in generale logicamente impossibile trovare una regola tale che le decisioni basate su di essa facciano commettere l'uno o l'altro dei predetti errori con una frequenza relativa non maggiore di uno su mille. Di conseguenza, prima di poter proporre una regola ragionevole, lo sperimentatore deve confrontare l'importanza dei due tipi di errore, in relazione a se stesso e stabilire fino a che punto egli è disposto a correre il rischio di commettere il tipo di errore che giudica essere il piu importante. Cosi, se egli rifiutasse l'ipotesi H, sebbene sia vera (cioè, se egli commettesse un errore del primo tipo), tutte le medicine in questione sarebbero poste in vendita, e la vita di coloro che le usano serebbe messa in pericolo; se invece, egli dovesse commettere un errore del secondo tipo rispetto ad H,, l'intero gruppo di medicine verrebbe eliminato, ed il produttore incorrerebbe in una perdita finanziaria. La preservazione della vita umana può essere, tuttavia, di maggior importanza per lo sperimentatore del guadagno finanziario; ed egli può forse stipulare che non vuole fondare la sua decisione su una regola in base a cui il rischio di commettere un errore del primo tipo sia maggiore dell'uno per cento. Fatta questa assunzione, la teoria statistica può specificare una regola che soddisfi l'esigenza dello sperimentatore, per quanto il modo in cui ciò venga fatto, e in cui il rischio di commettere un errore del secondo tipo venga calcolato, siano questioni tecniche che non ci riguardano. Il punto principale da considerare in questa analisi è che la regola presuppone certi giudizi di valore stimanti. In breve, se questo risultato viene generalizzato, la teoria statistica si presenta come una convalida della argomentazione che i condizionamenti valutativi entrano in modo decisivo nelle regole per valutare le prove delle ipotesi statistiche.39 L'analisi teorica, sopra cui questa tesi si appoggia, non implica tuttavia la conclusione che le regole effettivamente impiegate in ogni indagine sociale per valutare delle prove comportino necessariamente alcuni condizionamenti speciali, cioè, condizionamenti quali quelli menzionati nell'esempio sopracitato, in quanto distinti da quelli generalmente impliciti nella scienza considerata come un'impresa che ha lo scopo di " L'esempio sopra citato è ricevato dalla discussione che ne fa J. NEYMANN in First Course in Probability and Statistics, New York, 1950, c. 5, dove viene presentata un'esposizione tecnica elementare degli sviluppi recenti della teoria statistica. Per una esposizione non tecnica, vedi lRwrN D. ]. BRoss, Design /or a Decision, New York, 1953, e inoltre R. B. BRAITHWAITE, Scientific Explanation, Cambridge, Engl., 1953, c. 7; trad. it. di G. Jesurum, Milano, 1956.
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perseguire una conoscenza attendibile. Infatti l'esempio sopra citato che illustra il tipo di ragionamento della corrente teoria statistica può essere ingannevole, nella misura in cui suggerisce che decisioni diverse fra certe ipotesi statistiche debbano invariabilmente condurre ad azioni diverse, aventi conseguenze pratiche immediate cui sono assegnati valori speciali diversi. Per esempio, un fisico teorico può dover decidere fra due ipotesi statistiche concernenti la probabilità di certe trasformazioni di energia in atomi; e un sociologo teorico può analogamente dover scegliere fra due ipotesi statistiche concernenti la frequenza relativa di matrimoni sterili in certe situazioni sociali. Né l'uno né l'altro di questi individui però può mettere in giuoco dei valori speciali, associati alle alternative fra cui egli deve decidere, all'infuori dei valori, ai quali egli aderisce come membro di una comunità scientifica, per condurre le sue indagini con onestà e senso di responsabilità. Di conseguenza, la questione se alcuni speciali condizionamenti di valore intervengono nelle valutazione delle prove sia nelle scienze naturali che nelle scienze sociali non è definita in un modo o nell'altro della statistica teorica; e la domanda può avere una risposta solo esaminando le indagini effettive nelle varie discipline scientifiche. Inoltre, non vi è nulla nel tipo di ragionamento della statistica teorica che dipenda da ciò che è il particolare argomento in discussione quando deve essere presa una decisione fra ipotesi statistiche alternative. Infatti il ragionamento è del tutto generale; e il riferimento a qualche argomento particolare diviene rilevante solo quando deve essere assegnato un valore numerico definito al rischio che qualche ricercatore è disposto ad assumersi di prendere una decisione erronea concernente una data ipotesi. Di conseguenza, se la teoria statistica corrente viene usata per sostenere la tesi che i condizionamenti di valore intervengono nella valutazione delle prove di ipotesi statistiche nell'indagine sociale, tale teoria può anche venire usata con uguale giustificazione per sostenere tesi analoghe per tutte le altre indagini. In breve, la tesi che noi stiamo discutendo non mette in luce alcuna difficoltà che si suppone si presenti nella ricerca di conoscenze attendibile nello studio delle cose umane la quale non si presenti anche nelle scienze naturali. Una terza forma di questa tesi è la piu radicale di tutte. Essa differisce dalla prima variante sopra menziom:ta nel sostenere che c'è una connessione logica necessaria e non meramente contingente o casuale, fra le "prospettive sociali" di uno studioso delle cose umane e i suoi standard di indagine sociale valida, e che di conseguenza l'influenza dei valori speciali ai quali egli aderisce a causa dei suoi condizionamenti sociali non è eliminabile. Questa versione della tesi è implicita nella giustificazione data da Hegel della natura "dialettica" della storia umana ed è parte integrante di molta filosofia sia marxista sia non marxista che accentua il carattere "storicamente relativo" del pensiero sociale. In ogni caso, essa per solito si fonda sulla seguente assunzione:
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dato che le istituzioni sociali e i loro prodotti culturali mutano costantemente, l'apparato intellettuale richiesto per comprenderli deve pure mutare; e ogni idea impiegata per questo scopo è perciò adeguata solo per qualche particolare stadio nello sviluppo delle cose umane. Di conseguenza, né i concetti sostanziali adottati per classificare ed interpretare i fenomeni sociali, né i canoni logici usati per stimare il valore di tali concetti, hanno una "validità illimitata nel tempo "; non c'è analisi di fenomeni sociali che non sia l'espressione di qualche particolare punto di vista sociale, o che non rifletta gli interessi e i valori dominanti in qualche settore della vicenda umana in un certo stadio del suo sviluppo storico. Di conseguenza, mentre nelle scienze naturali si può fare una distinzione valida fra l'origine delle concezioni di un individuo e la loro validità fattuale, manifestamente una tale distinzione non può venir fatta nell'indagine sociale; e eminenti fautori del "relativismo storico" hanno perciò sfidato l'adeguatezza universale della tesi per cui "la genesi di una proposizione è da tutti i punti di vista irrilevante per la sua verità". Cosi un autorevole fautore di questa posizione pone la questione, La genesi storica e sociale di un'idea sarebbe del tutto irrilevante ai fini della sua validità se le condizioni temporali e sociali non avessero effetto sul suo contenuto e sulla sua forma. Se le cose stessero cosi, due periodi nella storia dell'umana conoscenza si distinguerebbero soltanto per il fatto che uno incorre ancora in certi errori mentre l'altro se ne è completamente liberato. Questa semplice relazione fra due periodi, il primo imperfetto e il secondo completo, può in larga misura essere conveniente per le scienze ... Nella storia delle scienze morali invece gli stadi precedenti non sono cosi semplicemente assorbiti da quelli successivi, né si può affermare con tanta facilità che gli errori di prima sono stati poi corretti. Ogni epoca possiede una sua inconfondibile maniera di intendere, e di conseguenza la "stessa" realtà è osservabile da una prospettiva sempre nuova... I principi alla cui luce la conoscenza deve essere giudicata sono a loro volta condizionati socialmente e storicamente. La loro applicazione appare pertanto limitata a determinati periodi storici e a particolari tipi di conoscenza prevalenti in quel momento.40 La ricerca storica relativa all'influenza delle società sulle credenze che gli individui posseggono è di indubbia importanza per comprendere la complessa natura dell'impresa scientifica; e la sociologia della conoscenza - questo è il nome che è stato dato a tali investigazioni - ha dato molti contributi chiarificatori ad una tale comprensione. "" KARL MANNHEIM, Ideology and Utopia, New York, 1959; trad. it. a cura di A. Santucci, Bologna, 1957, pp. 273-74, 291. Il saggio da cui sono tratti i brani citati fu pubblicato per la prima volta nel 1931; e Mannheim modificò in seguito alcune delle concezioni ivi espresse. Riaf!ermò tuttavia la tesi enunciata nei passi citati fino al 1946, l'anno precedente la sua morte. Vedi la sua lettera a Kurt H. Wolff, datata 15 aprile 1946, citata in Sociology o! Knowledge and Sociological Theory di KuRT H. WoLFF, in Symposium on Sociological Theory (a cura di Llewellyn Cross), Evanston, Ili, 1959, p. 571.
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Tuttavia, tali servigi senz'altro apprezzabili della sociologia della conoscenza non convalidano la tesi radicale che noi abbiamo or ora enunciato. In primo luogo, non ci sono prove efficaci per mostrare che i principi impiegati nell'indagine sociale per valutare la produzione intellettuale siano necessariamente determinati dalla prospettiva sociale del ricercatore. Al contrario, i "fatti" di solito citati a sostegno di questa argomentazione stabiliscono nel migliore dei casi solo una relazione causale contingente fra i condizionamenti sociali di un individuo e i canoni di validità conoscitiva da lui accolti. Per esempio, la concezione una volta di moda che la "mentalità" o le operazioni logiche delle società primitive differirebbero da quelle tipiche della civiltà occidentale - discrepanza questa che fu attribuita a differenze nelle istituzioni delle società messe a confronto - viene ora generalmente considerata erronea, poiché fraintende gravemente i processi intellettuali dei popoli primitivi. Inoltre, persino i fautori estremi della sociologia della conoscenza ammettono che la maggior parte delle conclusioni asserite in matematica e nelle scienze naturali sono neutre rispetto alle differenze di prospettiva sociale di coloro che le asseriscono cosicché la genesi di queste proposizioni è irrilevante per la loro validità. Perché mai le proposizioni circa le cose umane non possono mostrare un'analoga neutralità, almeno in alcuni casi? I sociologi della conoscenza non sembrano dubitare che la verità dell'enunciato che due cavalli possono in generale trainare un carico piu pesante di quanto possa fare l'uno o l'altro cavallo separatamente, sia logicamente indipendente dallo status sociale dell'individuo che per caso compie tale affermazione. Essi però non hanno reso chiare proprio quelle che sono le considerazioni inevitabili che, a quanto si dichiara, rendono tale indipendenza intrinsecamente impossibile per l'enunciato analogo circa il comportamento umano, cioè che due lavoratori possono in generale scavare una fossa di date dimensioni piu in fretta di quanto possa farlo l'uno o l'altro separatamente. In secondo luogo, la tesi affronta una difficoltà dialettica grave e frequentemente rilevata - una difficoltà che i fautori della tesi riuscirono a superare solo abbandonando la sostanza della tesi stessa. Chiediamoci infatti qual' è lo status conoscitivo dell'argomentazione che una prospettiva sociale interviene in modo essenziale tanto nel contenuto quanto nella convalida di ogni asserzione circa le cose umane. Dovremo dire che questa argomentazione è significativa e valida solo per coloro che la sostengono e che sottoscrivono cosi a certi valori a causa dei loro condizionamenti sociali specifici? Se è cosi, nessuno con una prospettiva sociale diversa può adeguatamente comprenderla; la accettazione della sua validità è rigorosamente ristretta a coloro che possono far ciò, e gli studiosi di scienze sociali che aderiscono ad una serie diversa di valori sociali dovrebbero perciò abbandonarla giudicandola priva di senso. O forse tale argomentazione è singolarmente
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svincolata dalla classe di asserzioni a cui si applica, in modo che
il significato e la verità di essa non sono intrinsecamente connessi alle prospettive sociali di coloro che la asseriscono? Se è cosi, non è chiaro perché tale argomentazione sia cosi svincolata; ma in ogni caso, essa risulta allora essere la conclusione di un'indagine sulle cose umane che presumibilmente è "oggettivamente valida" nel senso usuale di questa espressione - e, se si può giungere a una tale conclusione, non si comprende perché non si possa giungere anche ad altre. Per superare questa difficoltà, e per sfuggire al relativismo scettico autoannullantesi al quale, come vediamo, la tesi conduce, questa viene talora interpretata come affermante che, sebbene la conoscenza "assolutamente oggettiva" delle cose umane sia irraggiungibile può nondimeno essere raggiunta una forma "relazionale" di oggettività detta "relazionismo". In base a questa interpretazione, uno studioso di scienze sociali può scoprire in che cosa consiste per l'appunto la sua prospettiva sociale; e se egli allora formula le conclusioni delle sue indagini "relazionalmente", cosi da indicare che i suoi risultati si conformano ai canoni di validità impliciti nella sua prospettiva, le sue conclusioni avranno raggiunto un'oggettività "relazionale". Ci si può aspettare allora che gli studiosi di scienze sociali che condividono la medesima prospettiva concordino nelle loro risposte ad un dato problema quando i canoni di validità caratteristici della loro prospettiva comune vengano correttamente applicati. D'altro canto, gli studiosi di fenomeni sociali che operano entro prospettive sociali non solo differenti ma incongrue fra loro possono essi pure raggiungere l'oggettività, se non altro attraverso una formulazione "relazionale" di quelli che altrimenti debbono essere considerati risultati incompatibili ottenuti nelle loro indagini fatte separatamente. Essi possono, tuttavia, raggiungere tale oggettività anche in "un modo piu indiretto", impegnandosi a trovare 'una formula con cui rapportare i risultati dell'uno e dell'altro e scoprire un denominatore comune per queste diverse prospettive'." È però difficile vedere in quale modo la "oggettività relazionale" differisca dalla "oggettività" senza l'aggettivo qualificativo e nel senso comune della parola. Per esempio, un fisico che porti a termine una investigazione giungendo alla conclusione che la velocità della luce nell'acqua ha un certo valore numerico quando è misurata nei termini di un sistema di unità enunciato, per mezzo di una procedura enunciata, e sotto condizioni sperimentali enunciate, formula la sua conclusione in un modo che è "relazionale" nel senso inteso; e la sua conclusione è contrassegnata da "oggettività", presumibilmente perché essa menziona i fattori "relazionali" da cui dipende il valore numerico assegnato alla velocità. È tuttavia, una prassi abbastanza comune nelle scienze naturali formulare certi tipi di conclusioni in questo modo. 41
KARL MANNHEIM,
trad, it., cit., p. 303.
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Di conseguenza, la proposta che le scienze sociali formulino i loro risultati in modo analogo porta con sé l'ammissione che non è di principio impossibile per queste discipline stabilire conclusioni le quali abbiano l'oggettività delle conclusioni raggiunte in altri campi d'indagine. Inoltre, se la difficoltà che noi stiamo considerando deve essere risolta per mezzo delle accennate formule di traduzione per riprodurre i "denominatori comuni" di conclusioni che scaturiscono da prospettive sociali divergenti, quelle formule non possono a loro volta essere "situazionalmente determinate" nel senso di questa espressione che stiamo discutendo. Infatti se quelle formule fossero cosi determinate, si presenterebbe di nuovo in connessione con esse la medesima difficoltà. Una ricerca di tali formule è invece una fase della ricerca di relazioni invarianti in un argomento, cosf che le formulazioni di queste relazioni sono valide indipendentemente dalla particolare prospettiva che si può scegliere entro una certa classe di prospettive su quell'argomento. Di conseguenza, nel riconoscere che la ricerca di tali invarianti nelle scienze sociali non è intrinsecamente destinata a fallire, i sostenitori della tesi testé esaminata abbandonano quella che all'inizio era la forma piu radicale di essa. In breve, i vari motivi che abbiamo esaminato circa l'intrinseca impossibilità di garantire conclusioni oggettive (cioè, avalutative e imparziali) nelle scienze sociali non stabiliscono quello che essi intendono stabilire, anche se in alcuni casi particolari dirigono l'attenzione su difficoltà pratiche indubbiamente importanti, che frequentemente s'incontrano in queste discipline.
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Capitolo quattordicesimo
Spiegazione e comprensione nelle scienze sociali
Dalla discusione del precedente capitolo risulta in modo inequivocabile che, nessuna delle difficoltà metodologiche che spesso si adducono come ostacolo alla ricerca di spiegazioni sistematiche dei fenomeni sociali, è tipica soltanto delle scienze sociali o è intrinsecamente insuperabile. D'altro canto, i problemi non vengono risolti mostrando semplicemente che essi non sono necessariamente insolubili; e lo stato attuale dell'indagine sociale indica chiaramente che alcune difficoltà da noi considerate sono realmente serie. Nondimeno, gli studiosi sono in grado di avanzare spiegazioni per un'ampia varietà di fenomeni sociali, anche se la portata delle premesse esplicative proposte è spesso limitata e il loro valore è frequentemente oggetto di discussione. Noi non esamineremo le spiegazioni proposte né discuteremo di alcune di esse dettagliatamente; non è infatti nostro scopo trattare del contenuto sostanziale dei particolari settori degli studi sociali; in conformità col nostro scopo esamineremo invece parecchie caratteristiche strutturali (o formali) che sono presentate da vari tipi di spiegazioni preminenti nell'odierna ricerca sociale.
I. Generalizzazioni statistiche e loro spiegazioni Come già è stato osservato, la maggior parte se non tutte le generalizzazioni che la ricerca sociale empirir.a è riuscita a stabilire sono formulate in termini di ben note distinzioni di "senso comune", e posseggono un campo comparativamente limitato di applicazione valida (o una generalità di ordine inferiore). Inoltre, la maggior parte se non tutte queste generalizzazioni asseriscono relazioni di dipendenza che sono valide fra fenomeni determinati, solo in una frazione (specificata in modo piu o meno preciso) dei casi particolari di quei fenomeni, invece che invariabilmente o con universalità rigorosa (per esempio): generalizzazioni come "la maggior parte dei contadini americani appartiene a qualche organizzazione religiosa" o "la percentuale
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annuale di suicidi tra protestanti è in generale piu alta che tra cattolici". Per comodità, indicheremo tali generalizzazioni come "statistiche" o "probabilistiche", anche se (come in questi esempi) non sono menzionati in esse valori numerici che esprimono coefficienti statistici o probabilistici. Le leggi statistiche non sono tipiche soltanto delle scienze sociali; assunzioni statistiche sono contenute in parecchie teorie fisiche e biologiche, e leggi statistiche sperimentali sono di uso comune in varie branche delle scienze naturali, come la meteorologia, la fisiologia, e il comportamento animale. È tuttavia degno di nota il fatto che le leggi sperimentali nelle scienze sociali sono forse esclusivamente statistiche; e quindi per prima cosa considereremo perché ciò accada, e se ciò sia inevitabile. Esamineremo poi la struttura delle spiegazioni per le generalizzazioni statistiche, rivolgendo l'attenzione principalmente a tali spiegazioni nelle scienze sociali; ma rimanderemo al prossimo capitolo la discussione del ruolo delle leggi, statistiche e non, nelle spiegazioni di particolari eventi storici. l. Due sono i motivi principali, nel complesso non privi di relazione tra di loro, che vengono comunemente presentati per giustificare la natura totalmente statistica delle generalizzazioni conseguite nell'indagine sociale empirica. Il primo attribuisce questo fatto alla intrinseca complessità dell'oggetto di studio delle scienze sociali, cosi che, a causa della nostra conseguente incapacità a identificare individualmente tutte le variabili pertinenti, non possiamo enunciare le precise condizioni da cui i diversi tipi di condotta umana invariabilmente dipendono. Il secondo motivo accentua l'elemento di volizione che entra nella determinazione della condotta umana. Questa motivazione è talvolta basata sulla tesi secondo cui la volontà umana è "libera" e le sue manifestazioni nell'attività che estrinseca sono perciò non completamente predicibili, cosicché non vi possono essere regolarità invariabili nei fenomeni sociali. Gli scrittori però che non aderiscono alla dottrina del libero arbitrio enunciano questo secondo motivo in modo alquanto differente. Questa motivazione differente consiste nel sostenere che le azioni degli uomini sono rette dalle loro interpretazioni degli stimoli esterni, anziché direttamente da tali stimoli. Di conseguenza, poiché le risposte che gli uomini danno alle situazioni sociali variano dato che le loro interpretazioni differiscono, o a causa delle differenze nel loro sviluppo individuale o nelle loro qualità innate, non possiamo stabilire generalizzazioni rigorosamente universali che collegano gli stimoli esterni e le reazioni umane ad essi. Questi motivi indubbiamente hanno qualche valore, specialmente se le questioni sollevate dalla dottrina del libero arbitrio vengono accantonate perché irrilevanti per il problema in discussione. Dire però che un argomento è complesso, è nel migliore dei casi una nozione non precisa, e i problemi che sembrano essere irrimediabilmente com-
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plessi prima che vengano scoperti mezzi efficaci per trattarli, spesso perdono questo aspetto una volta scoperti tali mezzi. Prima dell'introduzione dei numeri arabi, solamente uomini particolarmente dotati erano in grado di eseguire calcoli aritmetici che oggi un ragazzino può fare agevolmente; e dopo che fu sviluppata la meccanica newtoniana, studenti adeguatamente preparati furono in grado di analizzare moti di corpi che alcuni dei migliori intelletti delle precedenti generazioni trovavano troppo complessi per l'intelligenza umana. In ogni caso, sebbene i fenomeni sociali possano essere realmente complessi, non è affatto certo che essi siano in generale piu complessi dei fenomeni fisici e biologici, per i quali sono state stabilite leggi rigorosamente universali. Inoltre, mentre è vero che le risposte a date situazioni sociali sono mediate dalle interpretazioni variabili che gli uomini sovrappongono ad esse, questo fatto da sé solo non spiega perché non vi siano leggi universali che mettono in relazione ciascuna delle diverse interpretazioni, sovrapposte ad un dato tipo di stimolo sociale, con una particolare forma di risposta umana. In ogni caso, due ulteriori punti dovrebbero essere evidenziati, poiché essi sono metodologicamente piu essenziali nel presente contesto di quanto non lo siano le considerazioni sin qui menzionate. Entrambi i punti sono relativi alla discussione fatta nel capitolo XIII circa le leggi sociali transculturali. Il primo punto dirige l'attenzione sulla natura dei termini o distinzioni impiegati nel formulare le generalizzazioni della ricerca sociale empirica; il secondo si richiama a un artifizio logico comunemente adottato in molti rami della ricerca empirica allo scopo di rendere possibile l'asserzione di leggi rigorosamente !Jniversali. a) In primo luogo, dobbiamo ricordarci che i termini usati nelle leggi universali di molti rami della scienza hanno di solito una ben precisa connotazione, e di frequente indicano caratteristiche che sono versioni piu o meno "idealizzate" di proprietà effettivamente osservate. Ciascuno di tali termini è di conseguenza inteso a designare una certa classe di elementi che sono fortemente omogenei per certi determinati aspetti che vengono indicati; e di una legge che contiene tali termini, né si prevede che sia strettamente aderente ai dati considerati, né lo è effettivamente, se gli elementi a cui i termini sono di fatto applicati non posseggono il richiesto grado di omogeneità. Per esempio, il termine 'argento' come è impiegato nelle leggi universali della chimica e della fisica indica una classe di oggetti che soddisfa, oltre ad altre condizioni esattamente specificate, certe esigenze di purezza chimica. Leggi universali quindi come quella, per esempio, la quale dice che a una data temperatura il rapporto tra la massa dell'argento e il suo volume (cioè, la sua densità) è costante, si può presumere che siano in un rapporto solo approssimato coi dati sperimentali se i campioni di argento
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su cui gli esperimenti sono compmt1 non posseggono completamente questi requisiti di omogeneità chimica; e analoghe osservazioni si possono fare circa gli altri termini menzionati nelle leggi. I termini in uso nell'indagine sociale empirica invece sono per la maggior parte adattamenti di distinzioni impiegate in discussioni ordinarie dei problemi sociali, e sono spesso usati per formulare generalizzazioni empiriche con scarsa ridefìnizione del loro impreciso significato di senso comune. Esempi di tali termini nelle ricerche sociali empiriche sono "senso di privazione", "morale" e "ruolo". Inoltre, anche quando il significato di un termine è reso relativamente preciso, la precisione viene spesso raggiunta per mezzo di una procedura essenzialmente statistica, cosicché gli elementi che rientrano nella sua designazione convenuta possono presentare forme specifiche differenti della proprietà connotata dal termine. In questo modo, la definizione del termine "struttura familiare autoritaria" adottato nelle recenti ricerche sociali empiriche include, tra le altre cose, il riferimento alla frequenza con cui i genitori fanno uso di punizioni corporali e si intromettono nelle varie attività dei figli. Oltre a ciò, molti termini correntemente usati che sono molto precisi senza avere una connotazione statistica (per es. "nato all'estero" o "votante alle ultime elezioni") tuttavia designano classi di individui che spesso differiscono largamente per altre caratteristiche che possono essere altamente rilevanti per il problema sotto indagine. In breve, i termini impiegati nelle ricerche sociali empiriche possiedono frequentemente una connotazione indeterminata; essi codificano distinzioni meno sottili o dettagliate dei termini che ricorrono nelle leggi delle scienze naturali; e gli elementi sussunti sotto di essi sono di conseguenza per solito molto meno omogenei, per aspetti rilevanti, di quanto lo siano questi ultimi. Stando cosf le cose, è forse inevitabile che le generalizzazioni delle attuali ricerche sociali empiriche siano enunciati di relazioni di dipendenza statistiche invece che rigorosamente invariabili. Un'analogia servirà ad illustrare questo punto. Supponiamo che, dopo aver stabilito una sommaria distinzione tra metalli e metalloidi, sia stata investigata la conducibilità elettrica dei metalli, ma senza introdurre ulteriori distinzioni tra i diversi tipi di metalli. Alla luce di ciò che ora conosciamo, sarebbe sorprendente se le generalizzazioni che siamo riusciti a stabilire riguardo alla variazione di conducibilità elettrica rispetto, per esempio, alla temperatura, fossero in forma statistica? Un fisico competente ci direbbe certamente che col livello di analisi da noi adottato nient'altro ci saremmo dovuti aspettare ragionevolmente, e che se desiderassimo ottenere relazioni di dipendenza rigorosamente universali dovremmo perfezionare le nostre distinzioni basandole da ultimo su assunzioni che concernono la struttura microscopica delle sostanze metalliche. L'ovvia morale di questa analogia è che gli studiosi di scienze so-
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ciali dovrebbero parimenti sviluppare classificazioni piu discriminanti dei fenomeni sociali, se si vogliono stabilire leggi sociali rigorosamente universali. Se questo apparentemente plausibile suggerimento ha qualche valore può naturalmente essere stabilito solo alla luce dei risultati di esperimenti effettivi, e non per mezzo di ragionamenti a priori per quanti se ne facciano. Però, vi è un certo fondamento per dubitare che le scienze sociali siano destinate probabilmente a perfezionare le loro attuali distinzioni oltre un certo limite - limite fissato . dal carattere generale dei problemi che esse investigano e dal livello di analisi adatto per trattare di quei problemi - a meno che in effetti queste discipline, come ora sono costituite, si trasformino in modo da essere quasi irriconoscibili. Infatti supponiamo che allo scopo di ottenere leggi sociali universali, sia necessario classificare i fenomeni sociali, in parte riferendosi a tratti caratteristici fisici e fisiologici, analiticamente differenziati dei soggetti umani che prendono parte a quei fenomeni, e in parte sulla base di dati dettagliati che riguardano le abitudini culturalmente acquisite e le credenze che ciascuno di quei soggetti possiede. Per dar corpo a questa congettura, consideriamo un esempio immaginario e di una semplicità elementare. Supponiamo che siano noti i fattori determinanti deg~i atteggiamenti autoritari dei genitori, e che un'adeguata categorizzazione di tali atteggiamenti richieda, tra le altre cose, l'uso di variabili 1 che si riferiscono ad aspetti particolari della struttura ossea di ciascun genitore, alla quantità di calcio contenuta nelle loro articolazioni, alle differenze nella composizione chimica del loro sangue, e alle variazioni nella disttibuzione spaziale delle loro fibre nervose; e supponiamo inoltre che, qualora le suddivisioni di genitori autoritari siano istituite nei termini di queste variabili, possano essere stabilite leggi universali che riguardano gli atteggiamenti che i bambini allevati da tali genitori mostrano verso gruppi minoritari. Nondimeno, in base anche all'assunzione che senza la proposta classificazione dei fenomeni sia ottenibile solo una generalizzazione statistica riguardo agli stessi, può non risultare vantaggioso abbandonare tale generalizzazione in favore di quella rigorosamente universale basata sull'insieme altamente discriminante di categorie menzionate nell'esempio. Infatti le variabili elencate si riferiscono a caratteristiche che non rientrano nel settore specifico dell'indagine sociale corrente, dato che non sono tratti caratteristici specificamente sociali; e, a causa della preparazione che normalmente ricevono gli studiosi di scienze sociali pochi, se pur ve ne sono, sarebbero in grado di analizzare i fenomeni sociali nei termini di quelle variabili. Questa circostanza da sola militerebbe probabilmente contro l'introduzione n_egli studi sociali di un sistema di distinzioni tanto sottili quali quelle proposte nell'esempio di cui sopra. Inoltre, in base all'assunzione che la ricerca sociale empirica continui a rimanere imperniata su problemi concernenti relazioni di dipendenza fra forme di condotta sociale comunemente riconosciute
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e praticamente importanti, tali sottili distinzioni possono richiedere che i fenomeni subiscano discriminazioni molto maggiori di quelle richieste dai problemi sotto indagine, e pertanto la loro adozione può non aumentare efficacemente la nostra conoscenza delle relazioni tra i fenomeni a cui siamo realmente interessati; e, di conseguenza, le leggi universali formulate nei termini di distinzioni piu sottili di quelle necessarie per raggiungere gli obiettivi della ricerca empirica, possono risultare un inutile ingombro. Un microscopio molto potente non rapprese'lta un progresso rispetto a una semplice lente di ingrandimento in quanto strumento per leggere dei caratteri a stampa minuti. Allo stesso modo, gli studiosi di scienze sociali possono trovare piu vantaggioso stabilire delle generalizzazioni statistiche invece di quelle rigorosamente universali, se le prime risultano essere piu efficaci che non le seconde per rispondere al tipo di domande che normalmente si formulano in relazione ai fenomeni sociali. Quindi, se la natura essenzialmente "pratica" dei nostri interessi correnti nei fenomeni sociali non è radicalmente mutata, allora, sebbene leggi sociali rigorosamente universali non siano intrinsecamente impossibili, le prospettive per stabilire tali leggi, in un futuro prevedibile sulla base della ricerca empirica non sembrano brillanti. b) Il secondo punto che serve a render conto del carattere totalmente statistico delle generalizzazioni empiriche nelle scienze sociali può essere molto brevemente risolto, dato che nella sostanza è già stato enunciato precedentemente. Cominciamo con l'osservare il fatto comune che la prova sperimentale per le leggi universali della scienza fisica è raramente, 2_er non dire, mai in completo accordo con esse. Quindi, se i fisici dovessero formulare le loro leggi in stretta aderenza con ciò che l'osservazione stabilisce per i fenomeni fisici, quelle leggi avrebbero una forma statistica invece che universale. Per esempio, se Galileo avesse cercato di stabilire le leggi per la caduta libera dei gravi semplicemente ponendo in correlazione i dati osservati, avrebbe certamente trovato che la velocità di caduta dei gravi varia a seconda del loro peso e della loro forma; e avrebbe pure trovato che esiste solamente un alto grado di correlazione invece di un'invariabile proporzionalità tra le distanze che i corpi percorrono cadendo e i quadrati degli intervalli di· caduta, cosicché una generalizzazione basata interamente su questi risultati sarebbe stata di forma statistica. La forma universale che ciononostante le leggi fisiche posseggono è il risultato del successo di una strategia logica. Come è stato spiegato precedentemente è possibile in molti rami delle scienze naturali enunciare leggi universalmente valide sotto certe condizioni "ideali" e per casi "puri" dei fenomeni investigati, e spiegare sistematicamente ogni discrepanza tra ciò che le leggi asseriscono e ciò che l'osservazione rivela, in termini di divergenze piu o meno ben convalidate tra quelle
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condizioni ideali e quelle effettive sotto cui le osservazioni sono state fatte. Però, questa strategia non è di solito usata nelle scienze sociali, certamente non nelle indagini che cercano di stabilire relazioni di dipendenza tra fenomeni ponendo in· correlazione dati empirici grezzi. Forse la principale ragione di ciò è che non sono state sviluppate nozioni teoriche adeguate nella maggior parte di queste discipline, atte a suggerire in che modo leggi universalmente valide per "casi puri" di fenomeni sociali potessero essere fruttuosamente formulate. Si è in realtà tentato di usare quella strategia nelle scienze economiche. Però, la discrepanza tra le assunte condizioni ideali in ordine alle quali le leggi economiche sono state enunciate e le circostanze reali del mercato economico è cosf grande, e il problema di fornire le assunzioni supplementari necessarie per colmare questa frattura è cosf arduo, che i vantaggi della strategia in questo campo continuano ad essere posti in discussione. Quali che siano i motivi per cui la strategia non è comunemente impiegata nelle scienze sociali, questo fatto serve a spiegare perché le generalizzazioni in queste discipline siano per la maggior parte di forma statistica. Tanto la storia della scienza quanto l'esperienza comune ampiamente dimostrano, che le correlazioni tra dati empirici sono raramente perfette, e che le generalizzazioni basate esclusivamente su tali correlazioni sono quasi esclusivamente portate ad essere statistiche.' 2. Le scienze sociali riescono non solo a stabilire generalizzazioni statistiche, ma talvolta anche a spiegarle; esamineremo perciò come vengano effettuate tali spiegazioni. La disamina sarà resa piu veloce, comunque, richiamando la struttura delle spiegazioni (brevemente discusse nei capitoli X e XI) in cui le teorie fisiche che contengono assunzioni statistiche costituiscono le premesse esplicative per svariate leggi fisiche. La maggior parte delle leggi spiegate in questo modo sono esse stesse statistiche, sebbene, contrariamente a ciò che viene talora sostenuto, molte di tali leggi siano rigorosamente universali; ma lo schema delle spiegazioni per entrambi i tipi di legge è uniformemente deduttivo nella struttura. Inoltre, apparentemente non esistono esempi di spiegazioni nelle 1 Non si dovrebbe trascurare sotto questo riguardo il fatto che i nostn mteressi pratici determinano quali gentralizzazioni vengano esplicitamente formulate nelle scienze sociali. Non è eccessivamente difficile enunciare generalizzazioni universali ben fondate riguardo ai fenomeni sociali. Tali generalizzazioni però verrebbero frequentemente considerate banali sia perché asseriscono ciò che è "ovvio", sia perché non fanno distinzioni che sono ritenute "importanti". Per esempio, sembra che non ci siano eccezioni né alla generalizzazione secondo cui ogni religione ha certe forme di rituale collettivo il cui scopo è il rafforzamento dei sentimenti comuni dei suoi aderenti, nè alla generalizzazione secondo cui tutti i ragazzi delinquenti si trovino in società in cui c'è una tensione socialmente strutturata tra le mete culturali e i mezzi istituzionalizzati per raggiungerle. La prima di queste generalizzazioni è forse candidata per la classe delle banalità "ovvie", la seconda per la classe di quelle "non importanti" (dato che non distingue fra tipi di tensioni o fra tipi di mete che sono comunemente considerate della massima importanza pratica).
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scienze naturali in cui le leggi statistiche siano spiegate con l'aiuto di premesse che siano esclusivamente universali (o non statistiche). Non è perciò irragionevole aspettarsi che anche la struttura formale delle spiegazioni di generalizzazioni statistiche nelle scienze sociali sia deduttiva, e che le premesse in tali spiegazioni contengano analogamente assunzioni statistiche. Questa attesa è in effetti pienamente confermata; e di conseguenza, non è necessario dire niente di piu riguardo allo schema generale presentato dalle spiegazioni delle generalizzazioni sociali statistiche. Tuttavia, in larga misura, a causa dello stato attuale della ricerca empirica e del carattere relativamente primitivo della corrente teoria sociale, tali spiegazioni subiscono notevoli variazioni di forma nell'indagine sociale. Delineeremo brevemente perciò uno schema che codifichi in maniera chiarificatrice i principali tipi di interpretazione che gli studiosi di scienze sociali frequentemente presentano quando spiegano relazioni empiricamente stabilite di dipendenza statistica. 2 Iniziamo con un tipico esempio di ricerca sociale empirica (sebbene considerevolmente semplificato ai fini della esposizione). Supponiamo che il problema da studiare sia la percentuale di assenze tra donne che lavorano in opifici; e supponiamo, che in un campione di 205 di tali donne, 100 di esse siano sposate e le altre siano nubili, 25 delle prime siano assenti (si definisce assente chi manca dal lavoro per tre o piu giorni al mese) mentre delle seconde siano assenti solo 10. Questa informazione è convenientemente presentata nel prospetto seguente, dove S indica la classe delle donne sposate, S la classe delle donne non sposate o nubili, A la classe delle assenti, e A, la classe di quelle che non sono assenti.
s
s
A 25 10
X
75
95.
Assumeremo durante questa disamina che i campioni menzionati siano rappresentativi della popolazione da cui sono stati tratti, e che le frequenze relative con cui le varie modalità si presentano nei campioni possano essere estrapolate da essi per ottenere generalizzazioni circa le frequenze relative, o relazioni tra frequenze relative, nelle popolazioni corrispondenti. Due delle generalizzazioni implicite nel presente esem2 Questo schematismo fu per la prima volta proposto da Pau! F. Lazarsfeld, e la discussione nel testo è basata quasi interamente sul suo lavoro. Cfr. PAUL F. LAZARSFELD, Interpretations of Statistica[ Relations as a Resea•ch Operation, in Tbe Language of Social Research (a cura di Paul F. Lazarsfeld e Morris Rosenberg), Glencoe, Ili. 1955, pp. 115-25; e pure PATRICIA L. KENDALL e PAUL F. LAZARSFELD, Problems of Survey Analysis in Continuites in Social Research (a cura di Robert K. Merton e Paul F. Lazarsfeld), Glencoe, Ili., 1950, pp. 133-96. Lo schematismo di Lazarsfeld chiarisce l'importanza per lo studio della spiegazione scientifica del calcolo di associazione di Yule sviluppato in G. UDNY YuLE, Introduction to the Theory of Statistics, London, 1929, cc. 3 c 4. Un'analisi delle spiegazioni statistiche analoga sotto alcuni riguardi a quella di Lazarsfeld, si trova anche in HERBERT A. SIMON, Models o/ Man, New York, 1957, cc. l, 2 e 3.
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pio sono: "nella popolazione di donne operaie, la frequenza relativa di assenti tra quelle sposate è del 25/100 o 0,25," e "nella popolazione di donne operaie, la frequenza relativa delle assenti tra quelle nubili è 10/105 o 0,09", ciascuna di queste ha la forma: 'nella popolazione K, la frequenza relativa con cui la modalità X si presenta nella classe di quelle che hanno la modalità Y è /XY. Dato che la prima di queste frequenze relative è sensibilmente piu grande della seconda, risulta chiara, l'esistenza di una connessione definita tra lo stato coniugale delle donne e la loro percentuale di assenze. (Osserviamo inoltre, incidentalmente due altre generalizzazioni, implicite nell'esempio, utili in seguito, dato che illustrano generalizzazioni statistiche in forma lievemente differente da quelle ora menzionate. Una di tali generalizzazioni è: "nella popolazione di donne operaie, la frequenza relativa di donne operaie assenti è 35/205 o 0,17", che ha la forma 'nella popolazione K, la frequenza relativa della modalità X è fx'; l'altra generalizzazione è: "nella popolazione di donne operaie, la frequenza relativa delle sposate assenti è 25/205 o 0,12", che ha la forma 'nella popolazione K, la frequenza relativa di individui aventi entrambe le modalità X e Y è /XY'· Il fatto però che solamente una frazione delle donne sposate sia assente e che il fenomeno delle assenze si riscontri anche fra le nubili suggerisce che non è lo stato coniugale come tale ad essere il responsabile dell'assenza. Supponiamo che sia perciò fatto un tentativo per spiegare le generalizzazioni già stabilite, mostrando la dipendenza del fenomeno delle assenze da una terza variabile (o variabile test). Sia questa variabile "test" il numero di ore che una donna dedica al lavoro domestico, indicando questa quantità come "grande" se è di 6 o piu ore per settimana, e "piccola o nulla" nel caso contrario. Supponiamo inoltre che quando il campione sia "analizzato" (o "stratificato") nei termini di questa terza variabile, si sia trovato quanto segu-e: 7 6 delle donne svolgono una grande quantità di lavoro domestico (diremo che esse hanno la modalità D) e 129 non lo fanno '(5); nel primo gruppo, quelle che sono sposate (5), 24 sono assenti (A) e 33 non lo sono (.A), mentre di quelle che sono nubili (S) 8 sono assenti e 11 non lo sono; nel secondo gruppo di donne che eseguono poco o nessun lavoro domestico, l donna sposata è assente e 42 non lo sono, mentre di quelle che sono nubili 2 sono assenti e 84 non lo sono. Questi dati sono piu chiaramente presentati in forma di tabella e come segue
D
s
s
A
X
24 8
33 11
s
s
A
X
l 2
42 84
Risulterà chiaro da queste tabelle che nella sottopopolazione D la frequenza relativa delle assenti tra quelle che sono sposate è 24/57,
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ed è uguale alla frequenza relativa delle assenti tra quelle che sono nubili; e nella sottopopolazione D le corrispondenti frequenze relative sono pure uguali. Quindi, entro ciascun settore stratificato del campione (e in conformità con la nostra assunzione, entro ciascun settore stratificato dell'intera popolazione di donne operaie), lo stato coniugale e la percentuale di assenze sono statisticamente indipendenti. La dipendenza statistica tra queste modalità asserita dalle varie generalizzazioni per la popolazione non stratificata è cosi interamente spiegata in termini di dipendenza statistica tra ciascuna di queste modalità (o variabili) e la variabile test. Il punto principale illustrato da questo esempio è che la generalizzazione statistica circa le relazioni di dipendenza tra due variabili X e Y è spiegata mostrando che, se la popolazione è stratificata rispetto a una terza variabile T, non vi è relazione statistica significativa tra queste due variabili in entrambi i settori della popolazione stratificata. Però, la discussione finora non ci ha portato molto al di là dell'analisi essenzialmente contenuta nei Canans ol Experimental Inquiry [Canoni di indagine sperimentale] di John Stuart Mill. Quell'analisi però può essere resa piu generale, cosi da fornire una base per una classificazione sistematica dei tipi di situazioni in cui sono proposte interpretazioni per regolarità statistiche. A questo fine, assumiamo che siano disponibili generalizzazioni statistiche, simili a quelle dell'esempio, concernenti le frequenze relative con cui gli individui di una data popolazione K posseggono le modalità X e Y, dove lx, fy, e /xY sono le frequenze relative con cui gli individui di K possiedono le modalità X e Y e tanto X che Y rispettivamente. Si vede facilmente che le modalità X e Y non sono significativamente connesse in K quando IXY = lx • IY, e che vi è u.n certo grado di dipendenza statistica (o "associazione") tra le variabili quando questa uguaglianza non sussiste.3 Possono venir costruite per questo grado di associazione varie misure, le quali presentano vantaggi differenti. Per i nostri scopi però sarà sufficiente adottare una fra le piu semplici di tali misure - la differenza tra il primo ed il secondo membro della equazione ora enunciata per l'indipendenza statistica, o (/xy- lx • fy ), 3 Supponiamo infatti che K contenga n individui in totale, nx cç>n la modalità X, ny con la modalità Y, e nxy con entrambe queste modalità. Allora nXY/nx è la frequenza relativa degli individui con entrambe le modalità X e Y nella classe di individui con la modalità X; e similmente nyjn è la frequenza relativa con cui la modalità Y compare nell'intera popolazione. Ma se queste frequenze relative sono uguali (cioè, se nXYfnx = nyfn) è chiaro che X e Y sono statisticamente indipendenti. Questa equazione però è equivalente a nXYfn = (nx/n) (nyjn) che è semplicemente IXY = lx fy come è affermato nel testo. Sarà pure evidente che fxY.x (cioè, la frequenza relativa degli individui con la modalità X che posseggono le modalità Y) è uguale a fXYifx. Questa discussione è basata sull'ipotesi che K sia una classe finita. Se K non è ·finita, i vari "!" menzionati in questa nota cosl come quelli indicati nel testo devono essere intesi come i limiti delle frequenze relative, in base ~di'assunzione che tali limiti esistano.
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che sarà indicata col simbolo 'dXY'· La generalizzazione che nella popolazione K, il grado di dipendenza statistica tra le variabili X e Y sia dxy, sarà rappresentata con 'Sxy' (o semplicemente con 'S', quando è chiaro quali siano le variabili a cui ci si riferisce).' '· Supponiamo poi che venga introdotta una variabile "test", T, per controllare l'ipotesi che sul grado di associazione tra X e Y influisca la presenza o l'assenza della modalità T. La popolazione K è perciò divisa in due sottopopolazioni T e T reciprocamente esclusive ed esaustive; e il grado di associazione tra X e Y in ciascuna di queste sottopopolazioni è allora determinato. Sia questo grado in T (detto il grado di "associazione parziale" delle due variabili in questa sottopopolazione) misurato dalla differenza (fxYT • /r - fxr • /Yr) e indicato con il simbolo 'dxy,r'; e sia questo grado nella sottopopolazione T misurato dalla differenza (fxyf • fr- fxt • fyt) e indicato con il simbolo 'dXY,t'- dove, per esempio, /xYT è la frequenza relativa con cui gli individui K possiedono tutte e tre le modalità X, Y, e T; /Yt è la frequenza relativa con cui gli individui di K possiedono le due modalità Y e T; e cosi via. La generalizzazione statistica che nella popolazione K, il grado di associazione parziale tra X ed Y nella sottopopolazione T sia dxY,r sarà rappresentata da 'SXY,r'; e 'SXY,r' sarà usato nello stesso modo. Si può mostrare, però, che dxy = (dYX,r//r) + (dxY,t//t) + (dxr • dyrffr ·/t).' Il contenuto però di questa identità matematica diviene piu chiaro se si trascurano i denominatori dell'equazione; e le relazioni che l'identità asserisce essere valide tra le varie misure di associazione statistica sono adeguatamente rappresentate per i nostri scopi dalla formula schematica: (l) dxy = DXY,T + DXY,t + (Dxr • DYT) in cui le lettere maiuscole con gli indici in basso sostituiscono le lettere ad indici corrispondenti. Questa formula esprime il grado di associazione di X con Y in K come somma di tre termini: i primi due si riferiscono ai gradi di associazione parziale di quelle variabili quando K è stratificato rispetto a una variabile "test" T (cioè, fatta eccezione per i coefficienti che abbiamo deciso di trascurare nei denominatori dell'identità matematica, essi determi4 La misura d.n è uguale a zero quando le variabili sono statisticamente indipendenti; è positiva se la frequenza relativa degli individui di K che posseggono entrambe le modalità X e Y è superiore a quella richiesta dall'indipendenza statistica; ed è negativa se questa frequenza relativz è minore di quella richiesta da tale indipendenza. Il valore massimo di dn è 0,25, che talvolta compare quando c'è un'associa7.ione positiva perfetta fra le variabili, cioè, quando o tutte le X sono Y o tutte le Y sono X; il suo valore minimo è 0,25, possibile solo se vi è una associazione negativa perfetta cioè, quando o tutte le X non sono Y o tutte le Y non sono X. 5 Una dimostrazione di questa identità è data da Yule, op. cit., c. 4; vedi anche M. G. KENDALL, Tbe Advanced Theory of Statistics, New York, 1952, vol. L c. 13.
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nano i gradi di associazione di X e Y nelle sottopopolazioni T e f rispettivamente); l'ultimo termine è un .ptodotto, i cui fattori (comunemente detti i gradi di "associazione marginale") si riferiscono ai gradi di associazione in K rispettivamente di X con T e di Y con T. I valor-i numerici possibili di questi termini sono infiniti; ma se consideriamo soltanto alcuni valori critici, otteniamo i seguenti due tipi principali di analisi, che spiegano in qualche modo la generalizzazione statistica Sxr. Tipo l. Ciascuno dei primi due termini della (l) si annulla, onde si ha dxr = (Dxr • Drr ). In questo caso, quando la popolazione è stratificata rispetto a T, le variabili X e Y sono statisticamente indipendenti entro ciascuna parte (sottopopolazione) stratificata di K; e si mostra che la dipendenza statistica tra le variabili asserita da S è la conseguenza di un'associazione statistica tra ciascuna delle variabili e T. L'esempio sopra citato appartiene a questo tipo, come forse la maggior parte degli esempi di solito addotti per illustrare la "spiegazione" di generalizzazioni. Infatti, questo tipo include come un caso limite la spiegazione deduttiva di leggi universali per mezzo di ciò che è tradizionalmente noto come la "introduzione di un termine medio"." Dato che per questo tipo le associazioni parziali tra X e Y sono entrambe zero, il grado di associazione asserito da S tra queste variabili è esprimibile come un prodotto. Nessun grado di associazione però può avere un valore maggiore di uno, cosicché ciascuno dei fattori in questo prodotto deve riferirsi a un grado di associazione marginale il cui valore assoluto (cioè indipendente dall'essere positivo o negativo) non può a sua volta essere maggiore di uno. Ne segue perciò che in qualunque "spiegazione" di S di questo tipo, almeno una premessa statistica deve assumere che il grado di dipendenza statistica tra una delle variabili menzionate in S e la variabile "test" sia maggiore in valore assoluto del grado di dipendenza asserito da 5. Si possono distinguere due importanti varianti di questo tipo, sulla 6 Cos!, supponiamo che una legge universale della forma: 'rutti gli X sono Y' per esempio 'tutto il ghiaccio galleggia nell'acqua' sia spiegata deducendola da due altre leggi universali della forma 'tutti i T sono Y' (per esempio, 'tutti gli oggetti la cui densità è minore di quella dell'acqua galleggiano in essa') e 'tutti gli X sono T' (per esempio 'tutto il ghiaccio ha densità minore di quella dell'acqua'), dove 'T' (oggetti la cui densità è minore di quella dell'acqua) è il termine medio. Considerata formalmente, e ai fini della presente discussione, questa spiegazione consiste nel mostrare che quando la popolazione K è stratificata rispetto a T, X è statisticamente indipendente da Y in ciascuna delle sottopopolazioni T e 'f. Per fissare le nostre idee, assumiamo che in un campione di 200 oggetti, 10 siano pezzi di ghiaccio, i quali galleggiano sull'acqua; 70 siano pezzi di legno, i quali pure galleggiano sull'acqua; e gli altri 120 oggetti siano pezzi di metallo, nessuno dei quali galleggia sull'acqua. Supponiamo inoltre che, quando questo campione sia stratificato rispetto alla modalità di avere una densità minore di quella dell'acqua, i 10 pezzi d! ghiaccio e i 70 di legno abbiano questa proprietà, mentre non l'abbiano gli altri 120 oggetti. iò: immediatamente evidente che in questo caso la modalità X (ghiaccio) e Y (galleggiante su acqua) sono statisticamente indipendenti in ciascuna delle sottopopolazioni T (oggetti con densità minore di quella dell'acqua) e T (oggetti con densità non minore di quella dell'acqua).
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base dell'ordine temporale che talvolta esiste tra la variabile "test" e le due variabili menzionate in S. l) Nella prima variante, l'istante in cui gli individui conseguono la modalità T è posteriore a quello in cui essi ne acquistano una delle altre (per esempio, X), e precede l'istante in cui essi conseguono Y. In queste circostanze, T sarà detta la variabile "intermedia", e X quella "antecedente". 2) Nella seconda variante, l'istante in cui gli individui conseguono T precede l'istante in cui entrambe le altre modalità sono conseguite, cosf che ora T è detta la variabile "antecedente". Ci sono molte situazioni in cui né l'una né l'altra di queste relazioni temporali esistono, o in cui un ordine temporale può essere fissato solo arbitrariamente. Tuttavia, ciascuna delle due possibilità menzionate si verifica abbastanza spesso da meritare una breve considerazione. a) L'esempio sopra menzionato che tratta della percentuale di assenze tra donne operaie può essere interpretato come se appartenesse al tipo la, se assumiamo che lo stato coniugale preceda il fare (o il non fare) una grande quantità di lavoro domestico, e altresf che l'essere impegnate nel lavoro domestico preceda l'essere (o il non essere) assente. Come l'esempio chiarisce, il significato netto di un'analisi di questo sottotipo è che la condizione antecedente X (matrimoni) da cui, secondo la generalizzazione S, dipende in un certo modo il verificarsi di Y (percentuale di assenze), è sostituita da una condizione T del tutto diversa (effettuazione di una grande quantità di lavoro domestico) che può essere messa in una certa relazione con X, ma che comunque non è identica ad essa. La variabile intermedia, in generale, non identifica una condizione necessaria e sufficiente per il verificarsi di Y, sebbene talvolta ciò possa accadere; come l'esempio indica, alcune donne sposate non sono assenti anche se effettuano una grande quantità di lavoro domestico, e altre donne sposate sono assenti anche se effettuano poco o nessun lavoro domestico. Il compito della variabile intermedia è quello di specificare una condizione sotto la quale c'è un incremento o un decremento nella frequenza relativa di Y, in confronto alla sua frequenza relativa su cui è basata S. Nell'esempio sopra indicato, c'è un incremento nella frequenza relativa di assenti da 0,25 nella classe di operaie sposate a 0,42 nella classe ben piu ristretta delle operaie che effettuano una grande quantità di lavoro domestico, e un decremento nella frequenza relativa di assenti da 0,10 nella classe delle operaie non sposate a 0,02 nella classe delle operaie non sposate che effettuano poco o nessun lavoro domestico. b) Un'illustrazione numerica dell'analisi, del tipo lb può essere costruita col materiale fornito dall'esempio precedente. Come è stato appunto osservato, la modalità (D), cioè effettuare una grande quantità di lavoro domestico non è condizione né necessaria né sufficiente per il verificarsi delle assenze (A). Può perciò sorgere il dubbio se i fatti
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esposti nell'esempio non possano essere spiegati piu completamente nei termini di alcune variabili supplementari. Come primo passo in tale ulteriore indagine, vediamo le relazioni di dipendenza statistica tra A e D, come sono palesate da quei fatti. Un semplice calcolo ci mette in grado di esporre queste relazioni in una tabella.
A
A
D .32 44
i5 .3 126
Questa tabella mostra che mentre la frequenza relativa di assenza tra operaie che fanno una grande quantità di lavoro domestico è .32/76 (o 0,42), essa è solamente 3/129 (o 0,02) tra quelle che ne fanno poco o nessuno. Pertanto la frequenza relativa di A sembra certamente dipendere dall'assenza o dalla presenza di D. Tuttavia, la frequenza relativa del non presentarsi di A è 44/76 (o 0,57 + ), malgrado la presenza di D, e questo può darci motivo di aprire una parentesi. In ogni caso, l'apparire di una connessione significativa tra A e D è tanto degno di fede da ridurre, per esempio, le assenze tra operaie se fossero presi provvedimenti per sollevarle dalla maggior parte delle fatiche domestiche? O l'apparente dipendenza è semplicemente spuria, e maschera l'operare di qualche fattore sino ad ora non osservato, in modo da non influenzare con tali provvedimenti la frequenza relativa di assenze? Per verificare queste supposizioni, si introduce perciò una variabile "test". Supponiamo, in modo scarsamente realistico, che la variabile sia la costituzione fisica degli esseri umani geneticamente determinata; e assumiamo che sulla base di un certo criterio, connesso ai vari tipi di impiego a cui le donne si dedicano, una donna possa essere caratterizzata in virtu del suo possedere o una costituzione fisica soddisfacente (F) o una costituzione fisica non soddisfacente (F). E supponiamo infine, che, quando il campione venga stratificato rispetto a questa variabile, si trovino relazioni di dipendenza tra A e D come quelle esposte nella seguente tabella, dove come in precedenza si assume che tali relazioni sussistano per tutta la popolazione di operaie.
f
F D
A O A 44
i5
o
126
A
D .32
A o
i5 .3
o
In base a questa tabella, sebbene ci sia un grado significativo di associazione statistica tra A e D nella popolazione non stratificata, queste variabili sono statisticamente indipendenti in ciascuna delle sottopopolazioni F e F; per esempio, nel gruppo di operaie con costituzione
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fisica non soddisfacente, le assenze si verificano con la stessa frequenza relativa tanto tra coloro che effettuano una grande quantità di lavoro domestico quanto tra coloro che ne effettuano poco o nessuno. Dato che F è ovviamente una variabile antecedente, l'esempio ill!Jstra un'analisi che appartiene al tipo lb. Incidentalmente, l'esempio è stato costruito in modo che F (costituzione fisica non soddisfacente) sia una condizione necessaria e sufficiente per A (percentuale delle assenze), infatti come indica la tabella precedente, una operaia è assente se, e solo se, ha una costituzione fisica non soddisfacente (e quindi presumibilmente è affetta periodicamente da malattie), indipendente dalla quantità di lavoro domestico che effettua o dal suo stato coniugale. Come I'esempio suggerisce, una funzione delle analisi di questo tipo è quantomeno quella di correggere attribuzioni causali sbagliate (o "spurie"). Un'analisi siffatta "spiega" una generalizzazione statistica SxY, nel senso che dà i fondamenti per rifiutare l'ipotesi che X e Y siano perciò causalmente connesse, dimostrando che S è la conseguenza di assunzioni che riguardano I'associazione statistica di ciascuna di queste variabili con una variabile antecedente qualsiasi T, che può perciò essere un fattore comune alle condizioni "causali" per il verificarsi delle modalità X e Y. 7 Cosf, sarebbe evidentemente assurdo ascrivere la morte di pazienti agli interventi dei loro medici, in forza della generalizzazione ammissibilmente ben fondata che la frequenza relativa con cui i pazienti muoiono é direttamente proporzionale alla frequenza relativa con cui i medici li visitano. Infatti questa generalizzazione può molto probabilmente essere spiegata mostrando che le frequenze menzionate sono statisticamente indipendenti in ciascuna delle sottopopolazioni di pazienti, classificate in base alla variabile antecedente della gravità della loro malattia, dato che la gravità della malattia è presumibilmente causalmente connessa sia alla frequenza della morte che alla frequenza delle visite del medico.• Ma rivolgiamoci al secondo tipo fondamentale di analisi per le generalizzazioni statistiche nella scienza sociale empirica. 7 Nell'esempio sopra indicato, una costituzione fisica non soddisfacente può non solo essere un fattore nell'ambito nelle condizioni che causano cattiva salute e perciò assenze, come si è già accennato, ma anche un fatto che rientra fra gli ostacoli al matrimonio. 8 Invece, sebbene S possa in questo modo rivelarsi "spuria" con l'aiuto della variabile antecedente data T,, non ne segue che T, sia perciò causalmente connessa a una qualunque delle variabili menzionate in S, per esempio la variabile Y. Malgrado le discordanze rilevate nel capitolo 4 e circa le condizioni precise che due variabili devono soddisfare per essere causalmente connesse, si dovrebbe in generale ammettere che non è sufficiente per T 0 essere temporalmente precedente a Y e correlata con Y solo statisricamente. Secondo una certa proposta, per mostrare che T 0 è casualmente connessa a Y, è necessario mostrare che, per ogni variabile antecedente T, i gradi di correlazione parziale fra T 0 e Y non si annullano quando la popolazione è stratificata rispetto a T. Cfr.
PAUL
F.
LAZAI\SFELD,
op. cit., p.
125.
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La struttura della scienza
Tipo 2. Il terzo termine della formula schematica (l) si annulla, onde si ha che dxY = DxY,T + DxY,t. Dato che il terzo termine è il prodotto di due fattori, ne segue che in questo caso almeno uno di tali deve annullarsi; ed è ovvio che conseguentemente la variabile "test" debba essere statisticamente indipendente da almeno una delle variabili menzionate in S. Può essere facilmente dimostrato, inoltre, che uno dei gradi di parziale associazione tra X e Y (cioè, il grado di associazione tra queste variabili in una delle parti stratificate della popolazione) deve essere maggiore in valore assoluto del grado di associazione tra esse in una popolazione non stratificata. Quindi, nelle analisi di questo tipo la variabile "test" specifica una sottopopolazione )n cui la relazione di dipendenza tra X e Y si avvicina a una connessione rigorosamente universale piu di quanto non accada nell'intera
B
B
F 80 20
p 30 70
Dato che la frequenza relativa con cui i benestanti nella classe di quelli che hanno genitori benestanti è 0,80, mentre è solamente 0,30 nella classe di quelli i cui genitori non lo sono, le due variabili sono statisticamente dipendenti. Dal momento però, che risulta evidente dai dati che i figli di benestanti non sono invariabilmente benestanti, supporremo che sia fatto un tentativo per scoprire se non ci sia qualche
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modalità favorevole al raggiungimento del successo finanziario che caratterizzi alcuni figli di tali genitori e non altri figli. La popolazione di individui che hanno 30 anni o piu viene perciò stratificata in coloro che hanno una cultura universitaria (U) e coloro che non l'hanno (i}), con i risultati indicati in una nuova tabella.
u F
p
B
50
20
i3
lO
40
B
B
F
F 30
lO
lO
30
La variabile "test" è evidentemente una variabile intermedia. È anche chiaro che c'è una dipendenza statistica tra B e Fin ciascuna delle sottopopolazioni U e U, ma che questa dipendenza è piu grande in U che in U - infatti la frequenza relativa in U di coloro che sono benestanti e hanno genitori benestanti è 50/60 o 0,83, mentre è solo 30/40 o 0,75 nella sottopopolazione fJ. Inoltre, se indaghiamo le dipendenze statistiche tra la variabile "test" e ciascuna delle altre due, otteniamo per prima cosa con un semplice calcolo dai dati sopra indicati l'informazione contenuta in una terza tabella.
u B
i3
70 50
u
40 40
F
p
u
fJ
60 60
40 40
Concludiamo perciò che la proporzione di individui benestanti tra quelli con una cultura universitaria è piu ~nde che tra quelli che non l'hanno avuta, ma che F e U sono statisticamente indipendenti. L'esempio illustra cosi un'analisi che appartiene al tip~ 2, con la variabile "test" come intermedia. Un esempio non numerico di questo tipo fondamentàle con una v~iabile "test" antecedente è il seguente. Assumiamo che nella popolazione adulta la percentuale di suicidi tra le persone sposate sia minore che tra quelle non sposate, e anche che gli adulti possano essere distinti a seconda che la loro infanzia sia stata felice o no. Supponiamo che questa seconda modalità sia statisticamente indipendente dallo stato coniugale, e che venga adottata come variabile "test". Assumiamo, infine, che nella sottopopolazione di adulti che ebbero un'infanzia infelice, la percentuale di suicidi tra quelli sposati sia ancora minore che tra quelli non sposati, ma in ogni caso maggiore della corrispondente percentuale nella popolazione non stratificata. Questo esempio è ancora del tipo 2, ma la variabile "test" funge da antecedente. Entrambi gli esempi mostrano che nelle analisi di questo tipo, in contrasto con quelle del tipo l, la dipendenza di Y da X, asserita da S, non solo è confermata, ma il suo grado è persino
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aumentato nel piu ristretto gruppo di individui che soddisfano a una certa condizione T oltre che alla condizione X; cioè, è aumentato in quella speciale sottoclasse di individui con modalità X che hanno pure la modalità T. Quindi, un'analisi che appartenga a questo secondo tipo fondamentale "spiega" una generalizzazione statistica S solo nel senso di dedurre S dalle altre assunzioni statistiche le quali asseriscono, in realtà, che la dipendenza di Y da X formulata da S è vera in misura ancora maggiore in circostanze esplicitamente stabilite, circostanze che si identificano con il "raffinare" o qualificare la descrizione della condizione X data in S. Non possiamo in questa sede esaminare ulteriori dettagli della struttura delle spiegazioni delle leggi statistiche. Le caratterizzazioni generali di tali spiegazioni che la presente disamina ha cercato di stabilire, esigerebbero però scarse o forse nessuna modifica se si proseguisse oltre nell'argomento. In ogni caso, i punti principali che sono emersi nella dicsussione sono i seguenti: le spiegazioni di leggi statistiche sono di modello uniformemente deduttivo; almeno una premessa in tali spiegazioni deve risultare in forma statistica e il grado di dipendenza statistica assunto in almeno una premessa deve essere maggiore del grado di dipendenza stabilito nella generalizzazione per cui la spiegazione è proposta.
II. Funzionalismo nelle scienze sociali Secondo il parere di molti studiosi, una teoria generale dei fenomeni sociali è destinata molto probabilmente ad essere conseguita entro l'intelaiatura di analisi sistematicamente "funzionali" dei fenomeni sociali. In effetti, si sostiene talora che una teoria siffatta è già presente in varie formulazioni correnti della concezione dell'indagine sociale nota come "funzionalismo". In ogni caso, sebbene il funzionalismo sia stato oggetto di parecchie discussioni critiche molte, delle sue idee godono di una vasta influenza nelle scienze sociali contemporanee, particolarmente ma non esclusivamente nell'antropologia e nella sociologia. Esamineremo perciò un certo numero di problemi centrali sollevati dalle interpretazioni funzionali dei fenomeni sociali. Sotto nomi diversi, la maggior parte delle idee fondamentali comunemente associate al funzionalismo hanno una lunga storia; in alcuni casi bisogna risalire sino all'antichità greca. Nelle sue moderne versioni, però, l'impostazione funzionalista nelle scienze sociali fu sviluppata parzialmente, come reazione al predominare in gran parte dell'indagine sociale del XIX secolo dell'interesse per questioni concernenti l'origine delle istituzioni sociali, e in parte come reazione alle ricostruzioni in larga misura speculative della loro genesi e della loro evoluzione che costituirono frequentemente i principali risultati di questo interesse.
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Come vien formulato da alcuni suoi fautori inoltre, il funzionalismo rappresenta un tentativo esplicitamente dichiarato di spiegare i fenomeni sociali prendendo come modello lo schema (in quanto distinto dai concetti sostanziali) delle spiegazioni funzionali (o "teleologiche") della fisiologia. Per questi motivi, i suoi fautori frequentemente contrappongono alle esposizioni storico-causali dei fatti sociali nei termini dei loro antecedenti storici, le proprie analisi funzionali prima facie molto differenti. Piu in generale il funzionalismo è una concezione delle scienze sociali che, non diversamente dalla concezione della biologia organicista nella sua relazione con le impostazioni meccanicistiche delle scienze biologiche, insiste sul carattere "autonomo" di queste discipline, e si oppone alle interpretazioni "riduzioniste," dei fatti sociali in termini di tratti caratteristici di forme di comportamento non umani. Non è facile però fare una breve esposizione del nucleo fondamentale del funzionalismo. Infatti, sebbene i suoi sostenitori siano di solito d'accordo circa la sua grande fecondità, essi generalmente non concordano su quelle che sono le caratteristiche essenziali di un'analisi funzionale; e le seguenti enunciazioni di due dei suoi maggiori esponenti non sono pienamente rappresentative delle molte varietà che esso può assumere. Nondimeno, queste enunciazioni serviranno a intr~urre alcuni dei problemi generati da certe forme dell'impostazione funzionale. In un resoconto generale del funzionalismo in antropologia, Malinowski dichiarò che un'analisi funzionale della cultura mira alla spiegazione dei fatti antropologici a tutti i livelli di sviluppo per mezzo della loro funzione, attraverso il ruolo che essi esplicano entro il sistema integrale di cultura, e attraverso il modo in cui sono connessi l'uno all'altro entro tale sistema, e il modo in cui tale sistema è connesso all'ambiente naturale. ... La concezione funzionalista della cultura sostiene perciò il principio che in ogni tipo di civilizzazione, ogni consuetudine, scopo materiale, idea e credenza adempie a certe funzioni vitali, ha certi compiti da realizzare, esplica un ruolo indispensabile all'interno di una totalità operante. 3 Inoltre, secondo Malinowski le principali istituzioni della società corrispondono ai bisogni biologici primari degli esseri umani, e come questi ultimi, esse possono sopravvivere solo se viene soddisfatto un certo insieme di condizioni. Una spiegazione funzionale di un fatto sociale deve perciò indicare il valore di sopravvivenza di quel fatto, mostrando la sua funzione nel soddisfare quelle condizioni e perciò pure le primarie necessità degli esseri umani.'" 9 BRONISLAW MALINOWSKI, Anthropology, Enciclopaedia Britannica, suppl. vol. l, New York e London, 1936, pp. 132-33. 10 BaoNISLAW MALINOWSKI, The Functional Theory, in A Scientifia Theory o! Culture, Chapel Hill, N. C., 1944, pp. 147-76; e vedi inoltre la voce di MALINOWSKI, Culture nella Encyclopedia of the Social Sciences, Ncw York, 1935, vol. 4. '
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Un'enunciazione un po' diversa del funzionalismo, dovuta a Radcliffe-Brown, accentua l'analogia tra l'analisi funzionale in fisiologia e nelle scienze sociali: Se consideriamo una qualunque parte ricorrente del processo vitale [di un organismo], quale la respirazione, la digestione, ecc., la sua funzione è il ruolo che esplica in tale processo, il contributo che dà alla vita dell'organismo inteso come un tutto. Secondo i termini che qui sono usati una cellula o un organo hanno un'attività e quell'attività ha una funzione. È vero che comunemente parliamo della secrezione del succo gastrico come di una 'funzione' dello stomaco. Secondo il modo in cui le parole qui sono usate dovremmo dire che questa è un"attività' dello stomaco, la cui 'funzione' è di trasformare le proteine del cibo in modo che queste possano essere assorbite e distribuite dal sangue ai tessuti. Possiamo notare che la funzione di un ricorrente processo fisiologico è cosi una corrispondenza tra questo e le necessità (cioè, le condizioni necessarie di esistenza) dell'organismo ... Per passare dalla vita organica alla vita sociale, se esaminiamo una comunità come una tribu africana o australiana riconosciamo l'esistenza di una struttura sociale. Gli esseri umani presi individualmente, unità essenziali in questo caso particolare, sono uniti da una determinata serie di relazioni sociali in un tutto integrato. La continuità della struttura sociale, come quella di una struttura organica, non viene meno a causa dei cambiamenti nelle singole unità. Gli individui possono abbandonare la società per morte o per altri motivi; altri possono entrare in essa. La continuità della struttura è conservata dal processo di vita sociale, che consiste nelle attività e nelle interazioni degli esseri umani presi individualmente e dei gruppi organizzati in cui essi sono uniti. La vita sociale della comunità è qui definita come il funzionamento della struttura sociale. La funzione di qualsiasi attività ricorrente, per esempio la punizione di un delitto, o una cerimonia funebre, è la parte che svolge nella vita sociale intesa come un tutto e perciò il contributo che porta al mantenimento della continuità strutturale.11 Secondo Radcliffe-Brown, i due compiti principali di una scienza della società sono di accertare come i sistemi sociali si perpetuino con il mantenere la forma della loro struttura, e come essi cambino il loro tipo con il trasformare la loro forma strutturale. In entrambi i casi, il compito perciò richiede un'analisi delle funzioni dei vari modi standardizzati di comportamento o di credenza in relazione all'intero sistema sociale a cui tali modi appartengono." 11 A. R. RADCLIFFE-BROWN, Structure and Function in Primitive Society, London, 1952, pp. 179-80. 12 A. R. RADCLIFFE-BROWN, A Natura[ Sciencc of Society, Glencoe, III., 1957, parte 2. La letteratura sul funzionalismo è molto estesa. Fra le molte altre enunciazioni nonché discussioni di questo punto di vista, sono particolarmente utili le seguenti: RoBERT K. MERTilN, Social Theory and Social Structure, trad. it. cit., c. l; TALCOTT PARSONS, Essays in Sociological Theory, Glencoe, Ili., 1949, parte I, e anche dello stesso autore Social s,·stetn, Glencoe, Ili., 1951, c. 2; RAYMOND FIRTH, Functionalism, in "Yearbook of Anthropology" (a cura di William L. Thomas), New York, 1955; e GREGORY BATESON, Naven, II ed., Stanford, Calif., 1958, in particolare cc. 3 e 17.
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Sebbene queste formulazioni siano sotto alcuni aspetti simili, vi sono pure importanti differenze tra esse; queste suggeriscono che, la etichetta "funzionalismo" copre una varietà di concezioni diverse ( sebbene in alcuni casi strettamente connesse). Di fatto, anche i funzionalisti dichiarati, che esplicitamente adottano come paradigma per le spiegazioni nelle scienze sociali le analisi funzionali della biologia, non interpretano il carattere di queste analisi in modi identici, e talvolta usano in una sola discussione nozioni differenti per indicare ciò che costituisce una spiegazione funzionale. Esamineremo perciò: l) per prima cosa i diversi significati in cui l'espressione 'analisi funzionale' è comunemente impiegata; 2) considereremo poi alcune difficoltà concettuali e d'altro genere implicite nelle analisi funzionali proposte dei processi sociali. l. Il termine 'funzione' è molto ambiguo, e un elenco esaustivo dei suoi molteplici significati sarebbe assai lungo. Verranno tuttavia presi in considerazione, soltanto sei di questi, in quanto non sono sempre chiaramente distinti nelle discussioni sul funzionalismo. In primo luogo il termine è ampiamente usato per indicare relazioni di dipendenza o interdipendenza tra due o piu fattori variabili (o "variabili"), sia che questi fattori siano misurabili oppure no. Cosf un fisico il quale affermi che la pressione esercitata sopra le pareti di un recipiente da un miscuglio di vapori di alcool e di acqua è funzione della temperatura e della concentrazione di ciascun vapore, impiega il termine con questo significato, e cosf pure il sociologo che dichiara che la percentuale di suicidi in una comunità è una funzione del grado di coesione sociale in quella società. Questo è pure il significato del termine utilizzato nella matematica pura, quando il termine "funzione" è astrattamente definito come una qualunque relazione tra due classi di elementi tale che per ogni elemento di una delle classi vi sia un elemento univocamente determinato dall'altra classe." Tali relazioni "funzionali" di dipendenza o interdipendenza sono spesso istituite dai funzionalisti nelle loro analisi deì processi sociali. Però, se analisi funzionale non significa nulla piu di questo, essa non differisce nello scopo o nel carattere logico dalle analisi intraprese in un qualunque altro settore con l'obiettivo di scoprire uniformità in qualche argomento; e, se l'espressione 'analisi funzionale' viene cosf interpretata, il funzionalismo non può legittimamente essere considerato 'una forma di impostazione specifica dall'indagine sociale. In secondo luogo, il termine è talvolta impiegato per denotare una serie, piu o meno completa, di processi o di operazioni ,all'interno di una data entità (o manifestati da essa), senza l'indicazione dei vari effetti
=
" Per esempio, se y x', si dice che y è funzione di x, dato che per ogni valore della variabile "indipendente" 'x' esiste uno ed un solo valore della variabile "dipendente" 'y'.
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che queste attività producono sia su quelle entità che su qualunque altra. È con questo significato che i biologi parlano talvolta del funzionamento dello stomaco quando essi si riferiscono alle contrazioni muscolari, alle secrezioni di acidi, all'assorbimento di liquidi, ecc. che hanno luogo in quell'organo. È ancora a questo senso del termine che Radcliffe-Brown sembra riferirsi quando usa l'espressione 'il funzionamento della struttura sociale' che egli definisce nel passo sopra citato come "la vita sociale della comunità"; ed è in questo senso che qualche altro antropologo potrebbe parlare del "funzionamento del sistema postale" nella nostra società se dovesse indicare con questa espressione il complesso di svariate attività come la vendita di francobolli, la raccolta della corrispondenza o l'acquisto da parte di funzionari delle poste di sacchi per la corrispondenza. Le analisi intraprese per scoprire quali processi si sviluppino in oggetti determinati non sono tuttavia tipiche dell'indagine sociale; e non si può plausibilmente supporre che la 'analisi funzionale' cosf intesa costituisca una via particolarmente promettente per studiare le cose umane. In terzo luogo il termine è comunemente usato dai biologi (cos{ come da altri con analogo significato) nell'espressione "le funzioni vitali" per riferirsi a certi tipi generali di processi organici che si presentano negli organismi viventi, quali la riproduzone, l'assimilazione e la respirazione. Questi processi sono frequentemente considerati come se fossero ~ompiuti dall'organismo "come un tutto" piuttosto che da alcune delle sue parti anche se alcuni di questi processi sono intimamente connessi alle attività di alcune speciali parti dell'organismo. Inoltre queste funzioni sono unicamente caratteristiche dei viventi e vengono di solito dette indispensabili per la continuità della vita di un organismo (o per la continuità della sua specie). Di conseguenza, le funzioni vitali possono essere considerate come gli attributi che definiscono gli organismi viventi (o eventualmente alcuni tipi particolari di organismi viventi), cosicché se un corpo organico manca di uno di questi attributi non lo si considera come un organismo vivente (ovvero un organismo vivente di qualche tipo determinato). Quindi se la respirazione, per esempio, è un siffatto attributo defìniente, dire che la respirazione è essenziale o indispensabile per la sopravvivenza di un vivente significa pronunciare un'ovvia tautologia. Come vedremo, questo punto è importante nella valutazione di certe assunzioni fatte dai funzionalisti, tra gli altri da Malinowki quando nel brano piu sopra citato dichiara che ogni oggetto culturale "adempie a certe funzioni vitali". Quarto: il termine è largamente impiegato per indicare un certo uso o una certa utilizzazione generalmente riconosciuti di una cosa, o alcuni risultati normalmente attesi a seguito di un'azione, come negli enunciati: "la funzione di una scure è di tagliare il legno", e "la funzione di concimare un campo è di fertilizzare il terreno". Le cose
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o le azioni di cui si dice che hanno funzioni in questo senso sono spesso deliberatamente congegnate per dar luogo ai vantaggi o conseguenze attribuite alle stesse. Ciò non avviene tuttavia invariabilmente, e si dice comunemente che le cose hanno delle funzioni anche quando esse non sono prodotte dall'uomo, o quando sono state prodotte in vista di vantaggi diversi da quelli designati nell'ascrivere ad esse certe funzioni. In questo modo non è fuor dal comune parlare della funzione della Stella Polare per la determinazione delle rotte dei naviganti durante la notte; e, sebbene i libri possano non essere stati fatti allo scopo di costituire un elemento decorativo nell'arredamento, è corretto dire che in molte case questa è la loro funzione principale. Non è questo l'unico senso nel quale Malinowski impiega il termine nella precedente citazione; ma sembra che sia il senso voluto quando sostiene che, in accordo col punto di vista funzionalista, ogni oggetto culturale ha qualche compito da adempiere, o quando altrove afferma che "funzione significa sempre soddisfazione di un bisogno".•• Quando 'funzione' è usato con questo significato le analisi funzionali sono per lo piu ristrette a indagini che trattano fenomeni associati agli organismi viventi, sia umani che non umani. In questo senso del termine però, una "spiegazione" funzionale consiste nell'enunciare sia l'utilità che qualche entità (o tipo di entità) presenta per una certa classe di viventi sia le conseguenze del possedere tale utilità che ordinariamente scaturiscono da un certo tipo di azione. Una "spiegazione" di questo genere però è composta di un solo enunciato (in alcuni . casi universale, in altri no), che semplicemente asserisce una connessione fattuale tra elementi diversi, ma non mette in relazione esplicitamente questo fatto con qualche altro per mostrare perché questa particolare connessione si verfifìchi. Di conseguenza nella misura in cui il 'funzionalismo' non significa nulla di piu di una ricerca di tali "spiegazioni", esso non è né una teoria dei fenomeni sociali né una specifica impostazione teorica del loro studio. In quinto luogo, il termine 'funzione' è frequentemente impiegato (in un significato affine a quello appena discusso) per designare una serie, piu o meno completa di conseguenze che una data cosa o attività ha sia sul "sistema considerato come un tutto" a cui la cosa o l'attività si suppone che appartenga, sia su varie altre cose appartenenti al sistema. È con questo significato che il termine viene usato in enunciati quali: "una funzione del fegato è di immagazzinare zucchero nel corpo ma, questa non è la sola sua funzione"; "la funzione storica della dottrina del diritto divino dei re fu di indebolire il potere della nobiltà fe'Udale e di rendere possibile lo sviluppo di forti stati nazionali"; e "la pubblicazione di risultati di ricerca ha la funzione non solo di mettere questi risultati a disposizione di tutti, ma anche di sottoporli alla critica del mondo scientifico e cosi pure di stabilire le priorità nella scoperta". In 14
BRONISLAW MALINOWSKI,
A Scientific Theory o/ Culture, p. 159.
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questo senso del termine le funzioni di un'attività non necessariamente sono intese come effetti di tale attività, né necessariamente presentano una qualche utilità per degli esseri viventi; e le funzioni possono essere sia favorevoli sia non favorevoli al perdurare· del sistema (o di qualche parte del sistema) su cui l'attività produce vari effetti. Sembra probabile che i funzionalisti associno questo significato al termine quando insistono sull'importanza di riconoscere i "molteplici funzionamenti" di vari elementi sociologici. Ad eccezione però del linguaggio usato per descrivere ciò che si sta facendo, non risulta chiaro come l'analisi funzionale, che è diretta alla scoperta dei vari effetti che qualche elemento sociale ha su altri elementi di questo tipo, differisca dall'analisi di un fisico che è diretta a scoprire quali conseguenze derivino, per esempio, dalla radiazione di energia solare che influisce sulla costituzione del Sole stesso o dei vari pianeti. Infine, il termine 'funzione' è usato nel senso di cui ci siamo occupati nel capitolo XII e che è illustrato da espressioni come 'la funzione di battere i denti quando un essere umano è esposto al freddo' o 'la funzione del regolatore in un motore a regime stabile'. In questo significato del termine, la funzione di un certo elemento significa i contributi che esso dà (o è in grado di dare in opportune circostanze) per la conservazione di una determinata caratteristica o condizione in un dato sistema a cui si assume che quell'elemento appartenga. Questo è evidentemente il significato che il t~rmine ha per Radcliffe-Brown nel passo sopra citato e talvolta, ma certamente non sempre, forse anche per Malinowski. Tale significato è forse un po' simile a quello che altri funzionalisti associano al termine, quando propongono il funzionalismo come l'impostazione piu fruttuosa per lo studio dei fenomeni sociali. In ogni caso, è solo se il termine viene inteso approssimativamente in questo senso che spiegazioni funzionali in biologia possono essere prese come paradigmi per spiegazioni funzionali nell'indagine sociale. Nondimeno, persino i funzionalisti che formalmente aderiscono a questa interpretazione del funzionalismo non distinguono coerentemente tra il significato di 'funzione' ora in discussione e i suoi altri significati. Per esempio, fra le altre illustrazioni di analisi funzionale citate da uno di tali funzionalisti vi è uno studio secondo cui l'atteggiamento ostile che una comunità manifesta verso coloro che infrangono la legge possiede "l'unico vantaggio" di unire la comunità in una comune emozione di aggressione. In base a ciò, tuttavia, questa esposizione afferma semplicemente che l'atteggiamento ostile ha certe conseguenze che non sono volute da coloro che manifestano l'ostilità. Questo studio però non tenta nemmeno di mostrare che la solidarietà emozionale della comunità si mantiene a causa della presenza di quell'atteggiamento o delle variazioni compensatrici di esso, malgrado i vari mutamenti all'interno o al di fuori della comunità che altrimenti impedirebbero la durata o la realizzazione della solidarietà. Tale studio, quindi, si rivela tutt'al piu
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valido a stabilire una relazione di dipendenza o di interdipendenza fra due variabili (cioè, una "dipendenza funzionale" nel primo senso del termine 'funzione') oppure l'utilità determinata da una delle variabili e posseduta dall'altra variabile (una 'funzione' nel quarto senso del termine), anziché a stabilire la funzione (nel sesto senso del termine) di una delle variabili nel mantenere un dato sistema in una condizione determinata dall'altra variabile. 2. Alla prospettiva biamo ora ai tentativi
luce di questa discussione il funzionalismo non è una unitaria e chiaramente articolata nell'indagine sociale. Dobesaminare alcuni importanti problemi che si oppongono di spiegazione funzionale di processi sociali.
a) La struttura delle analisi funzionali (o "teleologiche") in biologia è già stata discussa diffusamente nel capitolo XII. Quindi nella misura in cui le spiegazioni funzionali nelle scienze sociali sono effettivamente analoghe nella forma alle spiegazioni funzionali in biologia, non è necessario aggiungere nulla circa il loro schema generale. La costruzione però di tali spiegazioni per i fenomeni sociali esige la risoluzione di seri problemi concettuali. Al fine di pervenire a tali spiegazioni, deve essere definito, in termini di nozioni applicabili all'oggetto di studio dell'indagine sociale, un certo numero di concetti, che corrisponderanno alle distinzioni formali fondamentali nello schema delle spiegazioni teleologiche. La questione controversa è se le definizioni generalmente proposte siano soddisfacenti. Si ricorderà dalla discussione del capitolo XII che due concetti fondamentali impiegati nelle spiegazioni teleologiche sono: la nozione di un sistema S, e la nozione di un certo stato o condizione G che si conserva nel sistema. Nelle spiegazioni funzionali della biologia, i sistemi comunemente esaminati sono organismi individuali; e gli stati di tali sistemi che vengono considerati includono fra gli altri la sopravvivenza dell'organismo (cioè, la condizione di essere un organismo vivente), certe attività caratteristiche di un dato organo, la temperatura interna dell'organismo, e la composizione chimica di un fluido interno come ad esempio il sangue. Non vi sono di solito difficoltà in biologia nello specificare ciò che è un organismo individuale. Inoltre, si riconosce generalmente che numerose attività facilmente identificabili compiute dall'organismo (vale a dire, le "funzioni vitali", quali la respirazione e l'assimilazione), costituiscono gli attributi defìnienti dell'essere vivo; e del pari, possono venir normalmente fornite senza molta fatica adeguate definizioni per particolari organi, per loro attività caratteristiche, e per altri stati di organismi che possono essere investigati. Di conseguenza, dato che in biologia il sistema S e lo stato G possono venir chiaramente specificati, è comprensibile chiedersi, e cercare una risposta per mezzo dell'indagine
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sperimentale, se S si conservi nello stato G, e, nel caso che ciò avvenga, per mezzo di quale meccanismo. Sotto questo riguardo la situazione è notoriamente diversa nelle scienze sociali. I sistemi frequentemente discussi dai funzionalisti sono società o comunità individuali; e gli stati di questi sistemi che si sono dimostrati di particolare interesse per essi comprendono la sopravvivenza di una società, la sua struttura sociale, gli schemi delle varie attività istituzionali, e i ruoli (o norme di comportamento sociale) prescritti o palesemente manifestati in una società. Come in biologia, è spesso possibile nell'indagine sociale designare chiaramente i sistemi che devono essere investigati - con relativa facilità per le società primitive, con difficoltà crescenti tuttavia in quelle piu industrializzate. Riguardo alle condizioni di sopravvivenza per una società, non c'è invece niente in questa disciplina che sia paragonabile alle "funzioni vitali" della biologia generalmente riconosciute come attributi definienti degli organismi viventi. Le società non muoiono in senso letterale, benché certamente una società possa scomparire perché tutti gli esseri umani che la costituiscono muoiono senza lasciare eredi o si disperdono definitivamente. Non è perciò facile fissare un criterio di sopravvivenza sociale che possa avere usi fecondi e non sia meramente arbitrario. Per esempio se si adottasse come criterio di sopravvivenza la mancata estinzione fisica nel modo ora indicato, solo relativamente poche società nella storia dell'umanità non lo soddisferebbero; e, dato che in base a tale criterio la sopravvivenza sarebbe compatibile con qualsiasi forma di organizzazione che caratterizzi le varie società apparse nella storia umana, ogni spiegazione funzionale proposta di sopravvivenza sociale in termini di organizzazione sociale sarebbe semplicemente una vuota tautologia. Questo risultato è ancora piu ovvio se, con Malinowski, si considera che ogni cosa presente in qualsiasi tipo di civilizzazione adempie una "funzione vitale". Infatti, dato che in base a tale stipulazione un tipo di civiltà non può essere distinto da un qualunque altro tipo se non in termini di queste funzioni vitali, il carattere logicamente banale della "tesi" di Malinowsi è trasparente. D'altro canto, un criterio che includa requisiti apparentemente piu restrittivi della mera mancata estinzione fisica si trova di fronte alla difficoltà sia di mostrare che queste restrizioni escludono effettivamente dalla classe delle società, riconosciute come tali, qualche gruppo di uomini che vivono insieme, sia di giustificare le restrizioni come non interamente arbitrarie. Supponiamo per esempio, che il criterio adottato stipuli che, un gruppo di esseri umani i quali vivono entro i confini di un territorio debba presentare un'organizzazione politica per essere considerato una società. Se però il termine 'organizzazione politica' viene usato in senso cosi lato da coprire ogni forma di controllo sociale e di ordinamento per la distribuzione dell'autorità o del potere, tutti i gruppi umani che vivono in-
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sieme soddisfano questo requisito quasi per definizione; e, dato che la durata 'di una società cosi definita è in questo modo compatibile con qualsiasi forma di organizzazione politica, enunciati che concernono l'organizzazione politica come prerequisito indispensabile per la sopravvivenza sociale sono ancora una volta nient'altro che truismi. Se invece il termine 'organizzazione politica' è impiegato in senso meno lato, per indicare certe forme particolari in cui si estrinsecano le relazioni di potere, sono solo i popoli primitivi che secondo alcuni antropologi non posseggono un'organizzazione politica in questo senso piu ristretto; e non è chiaro come l'esclusione di tali popoli dalla classe delle società possa essere giustificata eccetto che come conseguenza di una decisione arbitraria. Analoghe difficoltà sorgono in connessione con molti altri stati di cui i funzionalisti tentano di mostrare il conservarsi nei sistemi sociali. Considereremo solo la nozione di struttura sociale. Come si è poco fà ricordato Radcliffe-Brown credette che uno dei compiti principali delle scienze sociali fosse di scoprire in che modo i sistemi sociali conservino la loro forma "strutturale". Secondo lui, la struttura sociale di un dato sistema "consiste nella somma totale di tutti i legami sociali di tutti gli individui in un dato momento", dove con 'sistema sociale' egli intende qualsiasi aggregato di esseri umani, concettualmente isolato dal resto dell'universo, i quali regolino i loro interessi congiuntamente, e con 'legami sociali' intende qualsiasi comportamento di uomini che implichi tale forma di regolazione; inoltre, la forma strutturale di un sistema consiste nei vari "tipi" di relazioni sociali manifestate in una effettiva struttura sociale. Ed è quella che "rimane la stessa", in una struttura sociale anche se può accadere che individui diversi partecipino a quelle relazioni.'' La forma strutturale cosi definita però non può divenire l'oggetto di uno studio empirico, a meno che non venga detto molto di piu proprio attorno a ciò che si deve intendere per "tipo" di relazione sociale o per "rimanere la stessa". Infatti se non vengono comunque fissate restrizioni circa il significato di "tipo", la questione se un sistema sociale conservi la sua forma strutturale non è una questione fattuale, che possa essere decisa dall'indagine empirica; al contrario, tale questione può essere risolta attraverso un'analisi puramente logica, essendo dimostrabile che ogni società deve necessariamente possedere qualche schema di rapporti sociali invariante sotto una qualunque classe data di mutamenti in quella società. Fu sostenuto nel capitolo X che la nozione di assoluto disordine, è in sé contradditoria, poiché ogni stato di cose concepibile mostra un qualche ordine, per quanto complesso e sconosciuto, e si è sostenuto che una data situazione può venire detta "disordinata" 15 A. R. RADCLIFFE-BRoWN, A Natural Science of Society, pp. 43, 55, 84, Structure and Function in Primitive Society, p. 192.
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soltanto nel senso relativo di non illu~trare una particolare classe di schemi. La nozione di mutamento completo nella forma strutturale di una società è altrettanto incoerente. Infatti sebbene un tipo di legame sociale in "la somma totale di tutti i legami sociali" possa essere totalmente modificato, qualche altro tipo di legame sociale deve restare inalterato, benché possa accadere che quest'ultimo sia un tipo che normalmente non è per noi di alcun interesse. In breve, si può dire che anche un sistema sociale muta la sua forma strutturale solo nel senso relativo di un'alterazione in alcuni particolari tipi di legami sociali. Un semplice esempio aiuterà a fissare questo punto. Supponiamo che in una data società in un certo anno si sostituisca la proprietà privata di tutte le industrie con la proprietà statale; onde si dice che la società ha cambiato la sua forma strutturale. Nondimeno, prescindendo completamente da altri legami sociali che possono non venire influenzati da questo mutamento (per esempio i rapporti sociali in cui la maggior parte dei membri della società stanno rispetto a coloro che effettivamente dirigono le attività industriali possono essere, dopo il cambiamento, i medesimi di prima), l'enunciato stesso dell'esempio ci costringe a concludere che in questa società gli uomini continueranno a essere impegnati in un'attività industriale, malgrado il mutamento indicato. Di conseguenza, vi deve essere almeno un tipo di legame sociale che non è mutato; ed è concepibile che in certe indagini sociali questa invarianza sia quella preminente, cosi che per lo scopo di quelle indagini il mutamento può non essere classificato come concernente la forma strutturale della società. È degno di nota, inoltre, il fatto che noi non sempre siamo preparati a dire se qualcuno dei mutamenti sociali che effettivamente si verificano nella nostra società sia da annoverarsi fra i mutamenti nella sua forma strutturale. Si verificano tali mutamenti quando, per esempio, sono introdotti nuovi dazi sulle vendite, quando vengono aumentate le aliquote delle imposte sul reddito, o il denaro pubblico viene usato per provvedere ai pasti dei bambini nelle scuole? È chiaro che la risposta a una tale domanda dipenderà dagli scopi specifici dell'indagine nel cui contesto la domanda può sorgere, e in particolare dal grado di sottigliezza nel classificare i tipi di legami sociali che è richiesto da quegli scopi. Ne segue che le spiegazioni proposte, le quali mirano a mostrare che le funzioni di vari elementi in un sistema sociale conservano o modificano il sistema, non hanno contenuto sostanziale, a meno che lo stato che è manifestamente conservato o mutato non venga formulato piu precisamente di quanto per solito si faccia. Ne segue pure che le tesi che i funzionalisti talvolta presentano (vuoi nella forma di "assiomi" vuoi nella forma di "ipotesi" da investigare) concernenti il carattere "integrale" o la "unità funzionale" di sistemi sociali prodotti dall"' operare assieme" delle loro parti con un "sufficiente grado di armonia" e "coerenza interna", o concernenti la "funzione vitale" e "il ruolo indi-
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spensabile" che ogni elemento di una società giuoca nella "totalità operante", non possono essere a buon diritto giudicate, né valide né dubbie e neppure errate. Infatti in assenza di descrizioni abbastanza precise per identificare inequivocabilmente gli stati che si suppone siano conservati in un sistema sociale, quelle tesi non possono essere sottoposte a controllo empirico, dato che sono compatibili con ogni realtà concepibile e con ogni risultato di indagini empiriche nelle soci~tà reali. La difficoltà di cui abbiamo discusso ed in particolare il punto ora considerato, sono spesso trascurati o non sufficientemente messi in rilievo anche da parte di attenti studiosi del funzionalismo che hanno contribuito molto alla sua chiarificazione ed al suo sviluppo. Alcuni di essi, per esempio, pur essendo fondamentalmente d'accordo con l'impostazione funzionalista, hanno criticato le ampie tesi menzionate nel precedente capoverso affermando che hanno una giustificazione empirica dubbia, e che si tratta nel migliore dei casi di ipotesi da investigare piuttosto che di postulati essenziali del funzionalismo. Hanno però prestato poca attenzione al problema di cui ci siamo occupati, anche se si tratta di un problema che deve venir risolto prima di poter significativamente sollevare questioni concernenti la validità fattuale di quelle ampie tesi.'• Una soluzione di questo problema non è stata certamente avanzata in modo adeguato da Talcott Parsons, nel suo tentativo di costruire uno schema concettuale generale di ciò che egli definisce una teoria sociale "strutturale-funzionale". Limiti di spazio impediscono una discussione del sistema architettonico delle distinzioni di Parsons, e solo può essere fatto un breve cenno alla sua esposizione di alcuni dei "prerequisiti funzionali" per un sistema sociale che possegga un "ordine persistente" o che subisca "un ordinato processo di mutamento evolutivo". Uno dei prerequisiti "piu generali" da lui addotti è che un sistema sociale non può essere "radicalmente incompatibile con le condizioni di funzionamento dei componenti individuali che in esso :1.giscono in quanto organismi biologici e personalità" [cioè, in quanto motivati nei loro comportamenti], "o della relativamente stabile integrazione di un sistema culturale" [cioè, il sistema "simbolico" del linguaggio ed altri sistemi costruiti dall'uomo, che esprimono idee, credenze, norme, valori, ecc., e che servono come mezzi di comunicazione]. Un altro di tali prerequisiti è che un sistema sociale deve avere "una quantità sufficiente dei componenti agenti in esso adeguatamente motivati ad agire in accordo con i requisiti dei propri compiti all'interno del sistema" [cioè, i vari tipi di partecipazione da parte degli agenti in processi di interazione con altri agenti, dove i processi vengono considerati dal punto di vista della loro significanza funzionale per il sistema sociale]. Fatta eccezione per il caso raro e banale dell'estinzione fisica di un sistema sociale a 16 Cfr. RoBERT K. MERTON, Social Theory and Social Structure, trad. it. cit., pp. 38-53, e KINGSLEY DAVIS, The Mith o/ Functional Analysis, "American Sociological Review", voL 24 (1959), p, 763.
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causa della morte di tutti i suoi membri, sarebbe certamente difficile determinare se un dato sistema soddisfi o meno prerequisiti formulati in termini tanto indeterminati e vaghi. La difficoltà non è diminuita dall'ulteriore indeterminatezza che viene introdotta quando Parsons aggiunge che "allo stato attuale della conoscenza non è possibile definire esattamente quali siano le necessità minime degli agenti individuali", e che "non sono le necessità di tutti gli agenti che devono essere soddisfatte, né tutte le necessità di ciascuno, ma solo una proporzione sufficiente per una frazione sufficiente della popolazione"." b) Le spiegazioni funzionali (o teleologiche), aventi lo scopo di evidenziare i contributi che alcuni elementi portano alla conserVazione di una società come un tutto, si trovano pertanto di fronte a una difficoltà ancora non completamente risolta. Di fatto, però, i funzionalisti non si sono esclusivamente impegnati nello sviluppo di spiegazioni di questo ambizioso tipo. Essi pervennero ai piu grandi successi sia nel fornire spiegazioni di questo tipo generale per la conservazione di certi stati in un sistema che è di gran lunga meno completo di una intera società (per esempio, un 'clan' tribale, il sistema di relazioni noto come famiglia nel modo in cui si presenta in certe comunità umane, o una organizzazione professionale o politica nella società moderna), sia nel mostrare meramente quali usi analoghi o differenti e quali conseguenze (o 'funzioni' nel quarto e nel quinto senso di questo termine precedentemente distinto), abbiano le varie forme stàndardizzate di comportamento in date società (per esempio, le funzioni della punizione o di certe forme di attività rituali). Il problema di determinare inequivocabilmente gli stati che si suppone siano conservati in gruppi relativamente piccoli è comprensibilmente molto piu agevole da trattare di quello che si riferisce ad una intera società, e può spesso essere risolto abbastanza bene. Nondimeno, ci sono altre difficoltà che si oppongono alle spiegazioni teleologiche sia a quelle di modeste pretese che a quelle piu ambiziose; e noi richiameremo brevemente alla nostra memoria alcune di esse. Come suggerisce lo schema fondamentale di spiegazioni funzionali svolto nel capitolo XII, una volta adeguatamente specificati un sistema S e uno stato G che si suppone in esso conservato, il compito del funzionalista è di identificare un insieme di variabili di stato il cui operare conserva S nello stato G, e di scoprire proprio come queste variabili siano connesse l'una all'altra e ad altre variabili del sistema o dell'ambiente in cui questo è inserito. Nell'effettiva condotta di un'indagine sociale, però, questa successione è di molto invertita: prima viene identificata qualche variabile (per esempio, un rituale religioso); e poi viene avviata un'indagine per appurare quali funzioni essa possegga (eventualmente soltanto nel quarto e nel quinto senso di tale 17
TALCOTT PARSONS,
Tbc Social System, pp. 26-28.
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termine), e se in effetti contribuisca alla conservazione di un certo stato G (per esempio, solidarietà emozionale) che si suppone sia abbastanza stabile. È perciò molto facile trascurare la condizione richiesta che il sistema S e lo stato G di cui presumibilmente l'analisi tratta debbano essere accuratamente delimitati, e di conseguenza omettere di menzionare esplicitamente, nella spiegazione teleologica proposta da ultimo, lo specifico sistema entro cui la variabile manifestamente conserva uno stato specifico. È allora pure facile dimenticare che anche se la variabile ha la funzione attribui tale di conservare G in S {per esempio, l'adempimento di un rituale religioso avente la funzione di conservare lo stato di solidarietà emozionale di ciascuna tribu primitiva in cui il rituale ha luogo), può non avere questo ruolo in qualche altro sistema S' {per esempio, in una confederazione di tribu, dove il rituale agisca come una forza disgregatrice) a cui la variabile può pure appartenere; o che può non avere la funzione di conservare nello stesso sistema S qualche altro stato G' {per esempio, un'adeguata provvista di cibo), rispetto a cui può forse essere disfunzionale impedendo la conservazione di G' in S. Comunque ciò possa essere, tuttavia riesce difficile sopravvalutare l'importanza per le scienze sociali dell'ammettere che l'attribuzione di una funzione teleologica a una data variabile deve sempre essere relativa a qualche particolare stato in qualche particolare sistema, e che, sebbene una data forma di comportamento sociale possa essere funzionale per certi attribuiti sociali, essa può anche risultare disfunzionale per molte altre (o persino non funzionale, nel senso di essere causalmente irrilevante). Il non ammettere questo punto, per ovvio che esso sia, quando viene enunciato formalmente, è indubbiamente una causa fondamentale della straordinaria confusione di questioni di fatto con questioni di auspicabile politica sociale, e cosi pure della frequente accusa secondo cui un'impostazione funzionalista nelle scienze sociali sarebbe necessariamente condizionata dai valori incorporati nello status quo sociale. Tenendo presente questo punto, però, anche se singoli funzionalisti sono cosi condizionati, è evidente che l'accusa che tale condizionamento sia intrinseco al funzionalismo è infondata.'" È altresi decisivo sotto questo aspetto distinguere fra funzione o tipo di attività esercitata da una variabile particolare in un sistema, e la variabile che esercita questa funzione. Cosi, una delle funzioni della ghiandola tiroidea nel COf.lPO umano è di concorrere a preservato la tem18 La tesi connessa secondo la quale il funzionalismo è necessariamente ristretto allo studio dell'equilibrio sociale e delle condizioni che mantengono un certo stato in un sistema, e secondo cui l'analisi funzionale si interessa perciò intrinsecamente della "statica sociale" invece che della "dinamica sociale", è ugualmente infondata, malgrado il fatto innegabile che molti funzionalisti abbiano prestato poca attenzione ai fattori che producono squilibrio e mutamenti strutturali nei sistemi sociali. Per una discussione di questo e di parecchi altri problemi connessi, vedi RoBERT K. MERTON, op. cit., e anche il tentativo di esporre l'analisi di Merton entro l'intelaiatura dello schema formale di spiegazione teleologica in ERNEST NAGEL, A Formali:r.ation o/ Functionalism, in Logic Without Metaphysics, Glencoe, 111., 1956, pp. 247-83.
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peratura interna dell'organismo. Questa è, però, altresi una delle funzioni delle ghiandole surrenali, cosi che sotto questo riguardo ci sono almeno. due organi nel corpo che compiono (o sono in grado di compiere) una funzione analoga. Perciò, sebbene il mantenimento di una temperatura interna costante possa essere indispensabile per la sopravvivenza degli organismi umani, sarebbe ovviamente un errore concludere che, dato che la ghiandola tiroidea contribuisce a questa conservazione, essa è per questo motivo indispensabile per la continuazione della vita umana. Infatti, ci sono esseri umani che, come conseguenza di un intervento chirurgico, non hanno la ghiandola tiroidea ma nondimeno vivono. Un identico rilievo bisogna fare nel contesto dell'indagine sociale. Supponiamo che una delle funzioni di un'organizzazione ecclesiastica in una data società sia di incoraggiare i sentimenti religiosi e le attività religiose. Questa funzione, però, può pure essere esercitata da altri gruppi istituzionalizzati in quella società, per esempio, da singole famiglie o da scuole. Inoltre, anche se queste altre organizzazioni non espletassero effettivamente questa funzione in un dato momento, esse potrebbero acquisirla piu avanti nel tempo in circostanze adeguate. Di conseguenza anche se fosse fuori discussione che gli atteggiamenti e la attività religiose sono essenziali per il benessere delle società umane, non ne seguirebbe che delle organizzazioni ecclesiastiche siano indispensabili per tale benessere. Questo punto, non è stato coerentemente riconosciuto dai funzionalisti. Per esempio, Malinowski sosteneva che essendo la funzione del mito quella di rinvigorire la tradizione attribuendole un'origine soprannaturale, "il mito è, perciò, un ingrediente indispensabile di ogni cultura".'" Tuttavia, per quanto si possa accettare, sia pure solo ai fini di questa discussione, il ruolo che Malinowski ascrive al mito nel rinvigorire le tradizioni, cosi come la sua implicita tesi del carattere indispensabile della tradizione in tutte le società per la sopravvivenza delle loro culture, la sua conclusione costituisce nondimeno un non sequitur. Infatti egli trasferisce indebitamente il carattere di indispensabilità ammesso per la tradizione, a un particolare mezzo o strumento che talora viene impiegato in certe società per difendere la tradizione. Invero, è in generale ancor piu difficile nello studio del comportamento sociale lo stabilire l'indispensabilità di qualche particolare mezzo istituzionale per espletare una data funzione (o tipo di attività) che non lo stabilire la indispensabilità di una data funzione per conservare uno stato determinato. Cosi, per mostrare che una data forma di comportamento sociale è essenziale per la preservazione di un certo stato in un sistema- per esempio, per mostrare che la punizione da parte della società di coloro che violano le norme di condotta ritenute valide sia indispensabile per il mantenimento di un comportamento generale ben 19
BRONISLAW MALINOWSKI,
Magie, Science and Religion, New York, 1948, p. 146.
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regolato - deve essere possibile trovare un certo numero di società, in cui, per esempio, la gravità della punizione e l'implacabilità della sua applicazione ai violatori variino, cosi da accertare se c'è qualche correlazione significativa tra queste differenze e le variazioni in un comportamento aberrante in quelle società. Senza dubbio, i dati disponibili concernenti tali argomenti sono spesso insufficienti ad appoggiare conclusioni attendibili, e vi può anche essete una totale mancanza di dati pertinenti per valutate la pretesa indispensabilità di una funzione, che è tanto diffusa che le società non variano in corrispondenza al suo manifestarsi; nondimeno, è frequentemente possibile pervenire a conclusioni non del tutto infondate riguardo a questi argomenti. Per mostrare però che un dato tipo di funzione sociale può essere adempiuta solo da una particolare organizzazione sociale (per esempio, per mostrare che le università sovvenzionate da privati sono indispensabili per il perdurare di una libera ricerca scientifica), sarebbe necessario mostrare non solo che la funzione data non è di fatto adempiuta da alcuna organizzazione diversa da quella dichiarata, ma anche che nessun'altra organizzazione (sia già esistente sia solo prevista) potrebbe adempiere a quella funzione. Tuttavia, in vista delle varie funzioni che organizzazioni identiche o organizzazioni simili hanno esercitato nel passato, e in vista pure della facoltà umana di creare nuove forme istituzionali, tale compito è quasi disperato. La situazione nell'indagine biologica è sotto questo riguardo segnatamente differente. Infatti sebbene un organo possa talora assumere in un corpo vivente una funzione normalmente esercitata da un organo differente in quel corpo, e sebbene persino la medesima funzione vitale sia talvolta adempiuta da meccanismi del tutto differenti in organismi differenti, tali meccanismi diversi per l'esercizio della stessa funzione o di funzioni simili non sono in numero cosi illimitato in biologia come appaiono essere nelle scienze sociali. In ogni modo, per solito non accade, che sebbene in una classe di uomini i polmoni siano gli organi della respirazione e lo stomaco l'organo per la digestione, in qualche altra classe di esseri umani questi organi abbiano scambiato le loro funzioni abituali. Qualcosa di non radicalmente diverso da questa ipotesi fantastica è tuttavia realtà ovvia nello studio delle società umane. Come conseguenza di questo e di altri punti che sono emersi nella presente discussione sul funzionalismo nelle scienze sociali, il valore conoscitivo di spiegazioni funzionali modellate su spiegazioni teleologiche in fisiologia è quindi per lo piu molto dubbio.20 Certamente i reso20 Queste spiegazioni in ogni caso non hanno tutti i crismi di quelle teleologiche, nel senso fissato nel capitolo 12. Per ottenere tali spiegazioni sarebbe necessario mostrare che le variabili (per esempio, l'adempimento di riti religiosi e l'adempimento di doveri militari) conservanti uno stato in qualche sistema sono variabili di stato; cioè, una delle condizioni che le variabili devono soddisfare è di essere indipendenti una dall'altra, nel senso che l'adempimento di riti religiosi, in un qualsiasi periodo dato non dipende dal
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conti funzionali meno discutibili e piu illuminanti fin qui suggeriti sono quelli che analizzano le funzioni di forme di comportamento sociale sia nel quarto che nel quinto senso del termine 'funzione' distinto precedentemente - e cioè i moltissimi resoconti che mostrano relazioni di interdipendenza fra schemi di condotta standardizzata in società primitive, fra istituzioni economiche e giuridiche, fra ideali religiosi, sociali, ed economici, fra stile architettonico, norma sociale, e dottrina filosofica, fra stratificazione sociale e tipo di personalità, e molte altre cose ancora. Sebbene queste analisi funzionali siano illuminanti e preziose, tuttavia esse non possono essere correttamente considerate come illustrazione di un'impostazione teorica specifica nello studio delle cose umane.
III. Individualismo metodologico e scienza sociale interpretativa Un esame anche superficiale delle generalizzazioni e spiegazioni nelle scienze sociali rivela molte differenze tanto tra le caratteristiche formali quanto tra il contenuto sostanziale dei vari concetti impiegati da queste discipline. I termini che ricorrono negli enunciati di queste scienze possono perciò essere classificati in svariati modi differenti. Tuttavia, un modo comune di classificarli richiede una esplicita menzione. Infatti la distinzione sulla quale poggia questa particolare classificazione sta pure al centro di una discussione che dura da tempo fra studiosi di scienze sociali circa un'importante prospettiva che richiede almeno una breve discussione: la prospettiva che le spiegazioni soddisfacenti di fenomeni sociali debbano possedere un tratto distintivo che caratterizza in modo univoco tali spiegazioni. Limitandosi a nozioni descrittive di esseri umani e dei loro comportamenti, vengono comunemente distinte due classi di termini impiegati nell'indagine sociale. Sebbene la distinzione non sia netta e non sia scevra da difficoltà, per il momento non terremo conto di questa difficoltà. La prima classe contiene solo termini che si riferiscono a esseri umani individuali o ad attributi di tali individui - termini come 'l'attuale Presidente degli Stati Uniti', 'l'ambizioso', 'tollerante in materia religiosa', 'assente dal lavoro', o 'studente in medicina'. La seconda classe contiene solo termini che designano gruppi di individui umani, attributi che caratterizzano tali gruppi collettivamente, o forme di organizzazione e attività manifestate da tali gruppi: cioè termini come 'i delegati dell'ultima convenzione presidenziale democratica', 'l'illuminismo francese', 'corporazione', 'l'isterismo della folla', o 'grado di coesione sociale'. fatto che doveri militati siano adempiuti in quel periodo, e reciprocamente. Di fatto, ~ discutibile se una qualunque delle spiegazioni funzionali proposte nelle scienze sociali soddisfi a questo requisito.
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Per comodità di riferimento, chiamiamo i termini della prima classe "termini individuali" e quelli della seconda "termini collettivi". Entrambe le classi di termini sono impiegate liberamente nell'indagine sociale. Nondimeno: l) molti termini collettivi sono frequentemente causa di perplessità quando sorgono problemi riguardanti che cosa venga designato da essi, posto che designino qualcosa (in altre parole, quello che costituisce le loro "estensioni") e se i termini collettivi siano in generale "definibili" per mezzo di termini individuali; di conseguenza, 2) gli studiosi di scienze sociali continuano ad essere divisi sul come debbano essere impiegati i fenomeni sociali formulati con l'aiuto di termini collettivi. Esamineremo pochi aspetti di questi due problemi fra loro connessi. l. Di solito non si incontrano difficoltà concettuali nello specificare ciò che si indica con molti termini collettivi. Per esempio, il termine 'i delegati dell'ultima convenzione presidenziale democratica' è generalmente inteso a designare una certa classe facilmente identificabile di esseri umani; e la maggior parte delle persone troverebbe probabilmente senz' altro assurdo postulare come estensione di quel termine una qualche altra "entità" diversa da quei singoli individui umani. Quindi. un enunciato come 'l'ultima convenzione presidenziale democratica ha scelto il suo candidato con una disposizione d'animo speranzosa' sarebbe comunemente assunto per asserire, approssimativamente, che ciascun delegato della convenzione (o ciascun individuo in una sottoclasse molto ampia di delegati) manifestò in qualche modò un atteggiamento speranzoso in una certa occasione; e pochi sarebbero tentati di interpretare l'enunciato come se significasse che qualche superuomo, capace di esercitare un potere causale, avesse anticipato con quella speranza l'esito di una elezione. C'è, tuttavia, un accordo, o una chiarezza, molto meno generale riguardo alle astensioni di termini collettivi come 'l'illuminismo francese' o 'corporazione'. Certamente, nessuno mette forse in dubbio che esseri umani individuali siano in qualche senso "parti" di ciò che è designato da queste espressioni e da altre analoghe. Non è certamente possibile tuttavia enumerare esaustivamente gli individui che costituiscono quelle "parti" e neanche dire quanti siano tali individui; né possiamo enunciare cori molta esattezza sia le azioni compiute dagli individui che possono essere inclusi in quella enumerazione e le credenze filosofiche che essi devono aver sostenuto se vanno considerati come "parti", sia le relazioni specifiche in cui degli esseri umani si sono trovati gli uni verso gli altri e verso altre cose al fine di essere cosi considerati. In breve, sebbene 'l'illuminismo francese' sia un termine innegabilmente utile, esso è pure molto vago e la sua estensione non può venir articolata in modo totalmente dettagliato. Questa incapacità a "compitare lettera per lettera" in modo preciso e completo l'estensione di tale termine è forse
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La struttura della scienza un motivo per cui alcuni studiosi hanno concepito l'illuminismo francese come una sorta di "tutto unitario", e hanno fornito questa "individualità super-organica" di poteri atti a dirigere il corso dell'azione umana individuale. Comunque ciò sia, una tale trasformazione ipostatica di un complesso sistema di relazioni tra esseri umani individuali in una entità autosussistente capace di esercitare influenze causali è l'analogo delle dottrine vitalistiche in biologia, ed è un tema ricorrente nella storia del pensiero sociale. Cosf, i teorici della politica hanno sostenuto che un popolo possiede una "volontà generale" che è distinta dalle volontà dei suoi membri individuali e che può persino non essere oggetto di consapevolezza esplicita per questi ultimi; gli psicologi hanno postulato l'esistenza di "menti di gruppo" per spiegare differenze etniche e razziali; i sociologi hanno attribuito una "psiche" alle folle per spiegare l'isterismo di massa; i giudici e gli avvocati hanno sostenuto che le corporazioni sono "persone", non solo nel senso tecnico legale di essere organizzazioni che possono citare in giudizio ed essere citate, ma anche nel senso di essere entità sostanziali distinte dagli esseri umani e che costituiscono quelle organizzazioni, e pur tuttavia paragonabili ad essi per il fatto di avere la loro propria personalità, luogo di residenza, capacità di agire, e intrinseci diritti che sono indipendenti da tutti i vincoli legali; e, come indicheremo piu completamente nel prossimo capitolo, gli storici hanno negato l'efficacia dello sforzo umano individuale per mutare il corso degli eventi a causa dello schiacciante potere che essi ascrivono a "forze" che si suppone siano autosussistenti, le quali determinano la direzione dei mutamenti storici. Queste interpretazioni ipostatiche di ciò che è denotato dai termini collettivi hanno costituito frequentemente lo spunto per costruzioni intellettuali irresponsabili, e sono servite come strumento per giustificare iniquità sociali. È, tuttavia, in generale impossibile accertare la loro validità, dato che sono di solito formulate in modo troppo poco chiaro per permettere una determinazione inequivocabile di qualsiasi cosa eventualmente derivi da esse. In ogni caso, come le assunzioni vitalistiche in biologia, tali interpretazioni ipostatiche si sono dimostrate inutili come guida nell'indagine e sterili come premesse nelle spiegazioni. La loro introduzione nella scienza sociale è perciò del tutto gratuita; infatti l'assunzione metodologica che tutti i termini collettivi designino o gruppi di individui umani o schemi di comportamento umano conduce a un modo piu fruttuoso di identificare l'estensione di tali termini che non le ipostasi piuttosto dubbie di misteriose entità superindividuali. Nondimeno, non segue necessariamente da questa assunzione metodologica che tutti i termini collettivi siano esplicitamente definibili esclusivamente per mezzo di termini individuali, "di principio" se non nella pratica effettiva. Infatti in primo luogo, la supposizione che i termini collettivi siano cosf traducibili è ovviamente indeterminata, a meno che la classe di termini individuali sia esattamente delimitata. Come già è
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Spiegazione e compremione nelle scienze sociali
stato notato però, la distinzione fra i termini individuali e quelli collettivi non è una distinzione rigorosa, e non vi sono ragioni decisive per sussumere alcuni termini in una categoria piuttosto che in un'altra. Cosi, per illustrare proprio una variante di questa difficoltà, il termine 'ubbidiente alla legge' significa un attributo che un essere umano può possedere a causa del suo comportamento in relazione a norme di condotta adottate e messe in vigore in certi modi da una comunità organizzata. Il termine, perciò, potrebbe essere considerato come individuale, dato che è predicato di esseri umani individuali; potrebbe nondimeno essere anche considerato come un termine collettivo, per il fatto che implica riferimento a forme di attività caratterizzanti il comportamento di gruppi di individui umani. Né vi sono, tuttavia, principi saldi per decidere tra queste alternative, né vi sono molte prospettive di sviluppare tali formule. Se però l'ipotesi che tutti i termini collettivi siano definibili nel modo enunciato, risulta cosi indeterminata, la tesi che questa ipotesi necessariamente segua dall'assunzione metodologica sopra citata è ugualmente indecidibile. Mettiamo da parte questa difficoltà, e passiamo ad una seconda. Ab~ biamo già avuto occasione di accennare al fatto che il carattere notoriamente vago di molti termini collettivi non impedisce necessariamente che questi abbiano applicazioni importanti. Il loro carattere vago, tuttavia, può essere un ostacolo insuperabile per tradurli in formulazioni che impieghino solo termini individuali. Come ha messo in luce la breve discussione sul termine 'l'illuminismo francese', costituisce un aspetto indicativo del nostro uso di molti termini collettivi il fatto che la maggior parte dei dettagli individuali nelle estensioni di tali termini non possa venir specificata, e che certe parti di queste estensioni possano essere descritte solo con l'aiuto di altri termini collettivi. Per citare un altro esempio, quando noi caratterizziamo una nazione come "bellicosa", possiamo essere in grado di enunciare in modo generale alcune delle attività organizzate di vari gruppi di individui di quella nazione, in virtu delle quali attività noi le ascriviamo un carattere bellicoso; per esempio, spese e programmi di addestramento militare su larga scala, influenti posizioni politiche e sociali occupate da militari, una politica estera fondata sulle "minacce di guerra", e cose simili; ma noi non siamo in grado di rendere i significati di queste attribuzioni essenzialmente collettive per mezzo di termini esclusivamente individuali. Non risulta perciò chiaro il modo preciso in cui si debba procedere per fornire definizioni esplicite del tipo richiesto per termini collettivi che posseggano l'aspetto caratteristico ora notato. Anche se entrambe queste difficoltà vengono accantonate, ed in particolare viene postulata una precisa distihzione fra termini individuali e collettivi è opportuno però prendere in considerazione un ultimo punto. Non c'è incompatibilità formale fra l'assunzione metodologica sopra citata e la possibilità che sia i termini collettivi che quelli individuali com-
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paiano fra i termini primitivi (o non definiti) che possono essere richiesti per definire esplicitamente vari altri termini colleÙivi. Un'incompatibilità esisterebbe solo se fosse impossibile comprendere il significato di un qualunque termine collettivo e apprendere come applicarlo, eccetto che per mezzo dei significati di termini individuali. La tesi che una impossibilità siffatta esista in effetti è stata avanzata da alcuni autori. È stato sostenuto, per esempio, che, diversamente dalle scienze naturali, le scienze sociali non possono mai osservare direttamente delle "entità collettive" o i loro attributi; infatti in queste ultime discipline i dati rilevanti che sono direttamente accessibili per noi sono gli atteggiamenti e le credenze degli individui, a partire dai quali le varie "totalità" dell'indagine sociale risultano da ultimo composte. Piu specificamente, si dice che le scienze naturali iniziano le loro investigazioni con osservazioni dirette di totalità complesse, quali le rocce, il balenare dei lampi, o le piante; e poi procedono a "spiegare" queste totalità scomponendole in relazioni fra individui teoricamente definiti e però introdotti per via di inferenza, quali gli atomi o gli elettroni che costituiscono quelle totalità. Al contrario, il punto di partenza accettato delle scienze sociali è costituito dall'osservazione della condotta umana individuale; e i vari termini collettivi impiegati in queste discipline (quali 'società', 'sistema economico' o 'politica imperialistica') sono perciò costruzioni teoriche, definite esclusivamente con l'aiuto di termini individuali.21 Questa argomentazione, tuttavia, non è solo errata nella sua pretesa che le "entità collettive" nelle scienze naturali abbiano uno status osservativo radicalmente differente da quello che occupano nelle scienze sociali; essa non riesce neppure a fondare la tesi secondo cui i significati dei termini collettivi nelle scienze sociali possono essere acquisiti solo per mezzo dei significati dei termini individuali. Cosi, l'astronomia è notoriamente un'eccezione alla tesi dichiarata secondo la quale nelle scienze naturali l'indagine procede dalle osservazioni delle "totalità" alla loro spiegazione in termini delle componenti individuali conseguita attraverso l'analisi di quelle "totalità". Il sistema solare, per esempio, non è un dato di osservazione, e la nostra concezione di quel sistema è una costruzione teorica basata sulle osservazioni dei costituenti individuali del sistema. L'astronomia però non è la sola eccezione a questo riguardo, infatti le galassie discusse in astrofisica, il campo magnetico della Terra studiato con l'aiuto della teoria elettromagnetica, l'involucro atmosferico della Terra investigato con l'aiuto della termodinamica e della chimica fisica, le masse continentali e gli oceani, i cui moti sono analizzati per mezzo di principi meccanici e idrodinamici, e le numerose specie di piante e animali esplorate in biologia sono similmente "totalità" che appartengono al dominio delle scienze naturali senza essere oggetto di osservazione diretta. 21
F. A.
HAYEK,
The Counter-Revolution o/ Science, Glencoe, Ill., 1952, c. 4.
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Spiegazione e comprensione nelle scienze sociali
Occupiamoci quindi delle scienze sociali, ignorando però come non essenzialmente pertinente al problema che abbiamo davanti la molto discutibile pretesa che gli atteggiamenti umani sianò'' direttamente osservabili. La tesi cruciale, tuttavia, che le "entità collettive" non siano mai direttamente osservate nell'indagine sociale risulta essere non meno discutibile. Forse che noi in realtà non osserviamo mai direttamente delle totalità collettive e i loro attributi, per esempio nel caso di parate, di elaborate cerimonie che talvolta coinvolgono ampi gruppi di agenti umani (come nell'insediamento al trono di un monarca, nell'effettuazione di una danza religiosa, nella celebrazione solenne di un matrimonio in pubblico}, nel caso dell'ostilità di una folla, o dell'ordinata procedura di un'udienza in tribunale? La domanda è ovviamente retorica; e una risposta uniformemente negativa ad essa deve sicuramente essere la conseguenza di qualche malinteso relativamente a ciò che è stato chiesto - a meno che effettivamente non si sia disposti a interpretare il fatto che la maggior parte degli uomini dichiari di osservare tali cose direttamente, come conseguenza di un uso del linguaggio universalmente ingannevole e misterioso. Indubbiamente nell'asserire che certe totalità e certi attributi collettivi sono direttamente osservabili, non possiamo a buon diritto voler dire che queste osservazioni siano istantanee alla luce di varie idee che le controllino. A questo riguardo, tuttavia, ciò che è generalmente caratterizzato come osservazione diretta nelle scienze naturali non è diverso dall'osservazione diretta di totalità collettive nell'indagine sociale. Negare che tali totalità siano mai direttamente osservate è in effetti come negare che non potremo mai osservare una foresta, in base al fatto che quando noi diciamo di far ciò le sole cose che effettivamente vediamo sono alberi singoli. Concludiamo perciò che, sebbene sia un'assunzione metodologica valida l'interpretare termini collettivi nelle scienze sociali come designazioni di gruppi di esseri umani o dei loro modi di comportamento, tali termini non sono di fatto invariabilmente definiti per mezzo di termini individuali, né l'assunzione rende necessario affermare che termini collettivi debbano di principio essere cosi definibili. 2. Arrivati a questa conclusione, esaminiamo infine la tesi seconè.o cui dato che "le attività di gruppo sono essenzialmente e necessariamente le attività degli individui che formano i gruppi per pervenire ai loro fini", lo scopo che contraddistingue le scienze sociali è quello di "capire" i fenomeni sociali spiegandoli in termini di categorie di esperienza umana "motivazionalmente fornite di significato" (o "soggettive" }.22 Questa concezione è stata per molti anni indicata come la "scienza sociale interpretativa" (o come verstehende Soziologie, per menzionare un'espres22 LunwrG voN MrsES, Theory and History, New Haven, Conn., 1957, p. 258. Vedi inoltre gli altri riferimenti menzionati nella nota 16 del capitolo XIII.
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La struttura della scienza sione tedesca largamente in uso), e piu.recentemente è stata spesso propugnata sotto il nome di "individualismo metodologico" e messa in contrasto con il "collettivismo metodologico" o "olismo" .23 Cosi in base ad una certa versione del principio dell'individualismo metodologico, lo studioso di scienze sociali deve "continuare a cercare le spiegazioni di un fenomeno sociale fino a che lo ha ridotto in termini psicologici";" e, secondo una piu esplicita formulazione di questo principio, i costituenti ultimi del mondo sociale sono le persone singole che agiscono piu o meno appropriatamente alla luce delle loro disposizioni e della comprensione della loro situazione. Ogni situazione sociale complessa, ogni istituzione o ogni evento è il risultato di una particolare configurazione di individui, delle loro disposizioni, situazioni, credenze, e risorse fisiche nonché dell'ambiente. Vi possono certo essere spiegazioni incompiute o rimaste a metà di fenomeni sociali su larga scala (per esempio, dell'inflazione) in termini di altri fenomeni su larga scala (per esempio, del pieno impiego); ma non saremo arrivati a spiegazioni di fondo di tali fenomeni su larga scala fino a che non avremo dedotto un'esposizione di essi da enunciati circa le disposizioni, le credenze, le risorse e le interrelazioni fra gli individui. (Gli individui possono restare anonimi e possono essere attribuite ad essi solo disposizioni tipiche, ecc.) E proprio come il concetto di meccanismo è in contrapposizione all'idea organicistica di campi fisici, cosi l'individualismo metodologico è in contrapposizione con l'olismo sociologico od organicismo. Per quest'ultima concezione, i sistemi sociali costituiscono delle "totalità" almeno nel senso che qualcuno dei loro comportamenti su larga scala è governato da macroleggi che sono essenzialmente sociologiche nel senso che sono sui generis e non devono essere spiegate come mere regolarità o tendenze che risultano dal comportamento di individui interagenti. Al contrario, il comportamento degli individui dovrebbe (secondo l'olismo sociologico) essere spiegato almeno parzialmente nei termini di tali leggi (eventualmente in congiunzione con un'esposizione, prima dei ruoli degli individui all'interno delle istituzioni, poi delle funzioni delle istituzioni entro l'intero sistema sociale). Se l'individualismo metodologico significa supporre che gli esseri umani siano i soli agenti della storia, e se olismo sociologico significa supporre che alcuni agenti o fattori superumani operino nella storia, allora queste due alternative sono esaustive.25 Alcuni dei problemi sollevati dalla scienza sociale interpretativa furono discussi, nel capitolo XIII, in relazione al preteso carattere "soggettivo" dei fenomeni sociali. Il nostro interesse attuale, però, riguarda proprio quella parte delle tesi generali dell'individualismo metodologico che asserisce in realtà che tutti i termini descrittivi che si incontrano in spiegazioni soddisfacenti di fenomeni sociali devono appartenere a 23
F. A.
,.
]. W.
HAYEK, op. cit., cc. N. WATKINS, Ideal
4 c 6. Types and Historical Explanations, "British Journal for the Philosophy of Science", vol. 3, 1952, p. 29. 25 J. W. N. WATKINS, Historical Explanations in tbe Social Sciences, "British Journal for the Philosophy of Science", vol. 8, 1957, p. 106.
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una speciale sottoclasse di termini individuali, cioè, termini che denotano condizioni "soggettive" o "psicologiche" degli esseri umani individuali. L'individualismo metodologico in questo modo aderisce a ciò che è spesso presentato come una tesi fattuale (sebbene sia forse meglio considerarla come un programma di ricerca) concernente la riducibilità di tutti gli enunciati circa i fenomeni sociali a una particolare classe di enunciati ("psicologici") circa la condotta umana individuale; e perciò saremo in grado di valutare questa tesi alla luce dei requisiti generali per la riduzione che furono enunciati nel capitolo XI. Tuttavia, come appare dall'enunciazione or ora citata dell'individualismo metodologico, alcuni dei suoi fautori non riescono a distinguere fra quella che può esser detta la tesi ontologica secondo cui "i costituenti ultimi del mondo sociale sono le persone singole" (che corrisponde all'assunzione metodologica discussa precedentemente in relazione con l'ipostatizzazione di termini collettivi), e la tesi riduzionista che gli enunciati riguardo ai fenomeni sociali siano deducibili da enunciati psicologici circa individui umani. Non c'è pressoché alcun dubbio che molti studiosi i quali aderiscono all'individualismo metodologico lo facciano perché credono che respingere un'interpretazione ipostatica di termini collettivi, e negare che "agenti superumani" siano causalmente operativi nelle vicende umane, sia logicamente equivalente alla tesi riduzionistica. In ogni caso però, e alla luce della nostra precedente discussione su questo problema, questa credenza è errata, cosicché un'adesione alla tesi ontologica non richiede logica111ente un'adesione a quella riduzionistica. Inoltre, abbiamo pure trovato motivi per mettere in dubbio che tutti i termini collettivi delle scienze sociali risultano esplicitamente definibili per mezzo di termini individuali quando non siano poste restrizioni circa i termini individuali che possono apparire nelle definizioni. La verosimiglianza di tali definizioni non è aumentata se viene introdotto il requisito piu forte che i termini primitivi debbano essere termini "psicologici". In base a ciò, se di fatto non risultasse possibile costruire definizioni soddisfacenti a questi requisiti forti, la condizione di connettibilità per riduzione non sarebbe soddisfatta a meno che (come indica la discussione di questo punto nel capitolo Xl) i termini collettivi che non risultano definibili, vengono collegati a termini individuali o per mezzo di opportune regole di corrispondenza o per mezzo di varie ipotesi empiriche. Tuttavia, nessuna di queste alternative porterebbe,- a quanto pare, alcun contributo al conseguimento degli obiettivi dell'individualismo metodologico. Infatti, quantunque sia l'una che l'altra alternativa rendano possibile verificare e:mnciati che contengono termini collettivi osservando la condotta di individui, né l'una né l'altra alternativa permetterebbe I' eliminazione di termini collettivi da tali enunciati a favore di termini esclusivamente individuali; e di conseguenza, né l'una né l'altra alternativa servirebbe a realizzare lo scopo dichiarato
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dell'individualismo metodologico: quello di dedurre enune1att circa i fenomeni sociali su larga scala da enunciati "circa le disposizioni, le credenze, le risorse e le interrelazioni fra individui". È pure ovvio, inoltre, che, anche se la condizione di connettibilità potesse venire in qualche modo soddisfatta, la seconda condizione formale per la riduzione - la condizione di derivabilità - non sarebbe con ciò necessariamente realizzata. Tra gli altri motivi a favore di questo, uno alquanto elementare, è che nessuna serie di premesse circa la condotta di individui umani potrebbe bastare per dedurre qualche enunciato dato circa le azioni di un gruppo di uomini, e che almeno un'assunzione del secondo genere potrebbe essere richiesta in qualsiasi serie di premesse da cui l'enunciato dato risulti deducibile. Un esempio chiaro proprio di questa possibilità è già stato menzionato nel capitolo XI, quando abbiamo delineato la riduzione della termodinamica alla meccanica. In quell'esempio, si ricorderà, la condizione di connettibilità era soddisfatta stabilendo un legame fra la temperatura di un gas e l'energia cinetica media delle sue molecole. La riduzione però 'non venne effettuata semplicemente soddisfacendo questa condizione, dato che si richiedeva pure la deduzione di una certa relazione fra quell'energia e la pressione ed il volume del gas- cioè pV = 2E/3. Questa relazione, tuttavia, non può essere dedotta da premesse che enunciano solo vari attributi meccanici delle molecole prese individualmente; e le usuali assunzioni newtoniane circa le molecole individuali erano perciò integrate da una speciale assunzione concernente una proprietà statistica deil'insieme di molecole. . Una situazione paragonabile a questa sembra esistere in parecchi settori delle scienze sociali, specialmente in quelle economiche. Cosf la teoria economica correntemente designata come "microeconomia" (nota anche come teoria "dell'utilità marginale", la formulazione classica della quale in lingua inglese è contenuta nell'autorevole Principles of Economics di Alfred Marshall) analizza i fenomeni economici in termini di assunzioni concernenti le preferenze economiche di singoli produttori e consumatori di beni economici. Un intento fondamentale della teoria è quello di spiegare le attività dell'intera economia di una società, deducendo proposizioni che caratterizzano quelle attività da premesse che riguardano disposizioni, credenze e risorse di agenti economici individuali. Gli scopi della microeconomia sono perciò in completo accordo con il programma dell'individualismo metodologico; infatti, alcuni dei principali fautori di quest'ultimo (per esempio, F. A. Hayek e L. von Mises) sono pure eminenti rappresentanti dell'analisi dell'utilità marginale. Secondo il parere di molti economisti, tuttavia, la microeconomia non riesce a spiegare vari importanti aspetti che frequentemente contraddistinguono l'intera economia di una nazione (come le periodiche crisi di disoccupazione) e non fornisce strumenti efficaci per controllare il corso di eventi economici su larga scala. Di conseguenza senza
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rifiutare in toto la teoria marginalistica a favore di un'impostazione "istituzionalistica" (o "storica") dei problemi economici, molti studiosi credono che le assunzioni classiche della teoria non bastino a perseguire gli scopi per cui la teoria fu ideata, e esigono un'integrazione con assunzioni supplementari.'• Un importante passo in questa direzione fu compiuto nel 1930 da J. M. Keynes, quando propose un'autorevole teoria "macroeconomica", sebbene proposte simili, ma meno autorevoli, fossero già state fatte prima di allora da altri economisti. Il solo aspetto di questa teoria che è necessario esaminare nel presente contesto, dato che è I'aspetto direttamente rilevante per valutare i pregi dell'individualismo metodologico, consiste nel fatto che i postulati fondamentali della teoria non sono esclusivamente postulati "psicologici" circa i fattori economici individuali, ma includono assunzioni concernenti relazioni fra aggregati statistici su larga scala (quali reddito nazionale, consumo nazionale complessivo, e risparmio nazionale complessivo). Certamente, non vi sono prove che dimostrino che queste assunzioni macroeconomiche non possano essere dedotte da assunzioni microeconomiche. Non ci sono però neppure prove le quali dimostrino che la deduzione possa venire effettuata, e vi è quantomeno motivo di presumere che ciò non possa avvenire. In ogni caso, malgrado l'assenza di una tale deduzione, gli economisti non esitano a impiegare quei postulati macroeconomici nelle loro analisi; infatti, come uno studioso ha presentato la cosa, "si può non essere d'accordo sulle particolari assunzioni, istituzionali o psicologiche, riguardanti gli schemi di risparmio di individui o gruppi di individui, e tuttavia si può trovare il concetto di risparmio collettivo utile per descrivere l'effettivo o probabile comportamento del reddito nazionale".17 Se però le cose stanno cosf, e le assunzioni macroeconomiche mettono in grado gli economisti di spiegare fenomeni aggregativi in modo non meno adeguato che per mezzo dei postulati microeconomici, la riduzio26 L'impostazione "istituzionalistica" o "storica" dei problemi economici fu in molti casi una reazione negativa al carattere "astratto" della teoria economica classica, e a qualcuna delle dubbie assunzioni psicologiche che precedenti forme della teoria marginalistica diedero per scontate (quali l'interpretazione edonistica dell'utilità economica, e la possibilità di comparazioni intersoggettive di piaceri e di dolori). Queste assunzioni furono da ultimo modificate sotto la pressione della criuca. Tuttavia, persino alcuni dei postulati modificati delle piu recenti versioni dd marginalismo (quale l'assunzione che tutti i consumatori scelgono beni economici secondo scale di preferenza definite, o che i mutamenti nelle preferenze di diversi consumatori avvengano indipendentemente l'uno dall'altro continuano ad essere oggetto di critica. Per un resoconto della controversia fra istituzionalisti e teorici astratti, cosl come della critica diretta contro i "preconcetti psicologici" della analisi dell'utilità marginale, vedi, per esempio, ]. N. KEYNES, Scope and Method of Politica! Economy, London 1890; JosEPH ScHUMPETER, Economie Doctrine and Method New York, 1954; T. W. HuTCHISON, A Review of Economie Doctrines, 1870-1929, Òxford, 1953; ALLAN G. GRUCHY, Modern Economie Thought, New York, 1947; I. M. D. LITTLE, A Critique of Welfare Economics, Oxford, 1950, cc. 2 e 3. rt KENNETH K. KURIHARA, Introduction to Keynesian Dynamics, Londra, 1956, p. 20. Per una rassegna del ruolo centrale svolto dai termini collettivi nell'indagine sociologica, dr. RollERT K. MErtTON, Social Tbeory and Social Structure, trad. it. cit., c. 9.
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La struttura della scienza
ne di spiegazioni macroeconomiche a spiegazioni microeconomiche sembra non offrire vantaggi scientifici sostanziali. In breve, vi sono considerazioni non formali cosi come considerazioni meramente formali che mettono in questione i pregi della tesi riduzionistica dell'individualismo metodologico. Concluderemo perciò questa discussione sull'individualismo metodologico e sulla scienza sociale interpretativa con qualche breve commento circa la pretesa superiorità della "comprensione" dei fenomeni sociali in termini dello "schema valutativo" degli agenti umani, rispetto a ciò che è stato chiamato l'atteggiamento "causale-funzionale" delle scienze naturali. Si è sostenuto, per esempio, che se desideriamo comprendere perché ci sia stato un notevole incremento nella percentuale dei divorzi negli Stati Uniti durante lo scorso mezzo secolo, una spiegazione soddisfacente deve essere del tipo che fa presente un mutamento nella valutazione che influisce sullo status della famiglia. L'indicazione generale è che il divorzio è piu diffuso in quelle zone in cui M continuità della famiglia attraverso parecchie generazioni ha meno importanza nello schema di valori culturali di quanto l'avesse in altri tempi o in altri luoghi: E piu in generale, si sostiene che "nella misura in cui siamo in grado di scoprire i mutamenti dello schema di valutazione di gruppi sociali possiamo pervenire, e solo in questo modo, a una spiegazione unificata del mutamento sociale".28 Se la conoscenza di mutamenti nello schema di valutazione fosse infatti una condizione necessaria e sufficiente per spiegazioni unificate del mutamento sociale, sarebbe certamente assurdo non dare la piu assoluta priorità al conseguimento di tale conoscenza. Vi sono nondimeno due problemi connessi fra loro che generano dubbi legittimi concernenti la fiducia riposta in tale conoscenza. In primo luogo, come possono essere appurati mutamenti nei valori culturali? Un'ovvia fonte di informazioni consiste in enunciazioni esplicite concernenti i loro valori da parte degli individui, enunciazioni o dati nella forma di confessioni private spontanee, o di dichiarazioni pubbliche, o di risposte a interviste, o in altro modo. Tale informazione, tuttavia, non è in generale cospicua, cosi che la conoscenza dei valori attribuiti dai singoli uomini può essere ottenuta in questo modo solo in relativamente pochi casi. Inoltre, l'attendibilità di tale informazione è frequentemente discutibile. Infatti vi è una ben nota disparità fra ciò che gli uomini dichiarano verbalmente in particolari occasioni, e ciò che abitualmente credono e praticano; e gli antropologi riconoscono "l'esistenza di 'regole fittizie': norme che sono rispettate a parole, ma infrante nel comportamento abituale"."' Né 28 R. M. MAciVER, Social Causation, New York, 1942, pp. 338, 374. 29 E. AnAMsoN HoEBEL, The Nature o/ Culture, in Man, Culture and Societ')' (a cura di Harry L. Shapiro), New York, 1956, p. 175,
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Spiegazione e comprensione nelle scienze sociali
è cosa insolita tanto per individui quanto per intere società mantenere senza consapevole ipocrisia una fedeltà verbale a una certa serie di valori molto tempo dopo che un precedente modo ,di vita, il quale un tempo documentava il loro sollecito ossequio a queì valori, venne radicalmente trasformato. Studiosi di cose umane ben preparati hanno perciò introdotto la pratica normale di fondare le loro conclusioni concernenti i valori operanti in una data comunità non semplicemente su dichiarazioni verbali, ma in larga misura sulla testimonianza di altre attività manifeste: di consuetudini di corteggiamento, di condotta nella vita domestica, di pratica negli affari, e simili. Di conseguenza, spiegazioni di mutamenti sociali in termini di alterazioni negli schemi di valutazione corrono il rischio di essere tautologie empiricamente vuote. Per esempio, se un mutamento M nella percentuale dei divorzi in una comunità durante un certo periodo è parte della prova P per la conclusione che c'è stato un mutamento V nei valori culturali associati alla continuità della famiglia, non sarebbe chiarificatore "spiegare" il primo mutamento per mezzo del secondo. Ciò che si sostiene non è che ogni spiegazione proposta di un mutamento sociale in termini di un mutamento negli schemi di valutazione sia necessariamente sterile. Il punto è che, se tale sterilità è da evitarsi, la prova P per l'affermato mutamento V nei valori culturali deve essere attendibile, e deve essere diversa dal mutamento sociale M che il mutamento V intende spiegare. Se la prova P è però diversa da M, e dato che P è esso stesso un mutamento sociale, vi è chiaramente una determinata relazione tra P e M, cosi che ragionevolmente P stesso potrebbe servire per spiegare M. Quindi, se l'introduzione dell'alterazione V come legame esplicativo tra P e M non ha da essere meramente ad hoc, deve venire giustificata mostrando che V serve per stabilire non solo la relazione di dipendenza tra P e M, ma anche altre relazioni di dipendenza tra altri insiemi di mutamenti sociali. Questo però ci porta al secondo problema: le spiegazioni formulate in termini di mutamenti nei valori culturali (o altre disposizioni "soggettive") posseggono in generale maggiori capacità, per organizzare sistematicamente relazioni di dipendenza fra fenomeni sociali, di quante non ne posseggano le spiegazioni che impiegano concetti sostanzialmente diversi? Nessuna risposta diretta, può, tuttavia, essere data a questa domanda, se non altro perché non sono ancora stati fatti studi accurati dei pregi comparativi di questi due tipi di spiegazione. Sarebbe assurdo negare che spiegazioni in termini di categorie "fornite di significato" abbiano frequentemente chiarito mutamenti sociali, come nel caso ovvio della discussione di Max Weber sull'ascesa del capitalismo moderno. Non sarebbe tuttavia meno assurdo asserire che tali spiegazioni rendono pienamente conto di tutti i mutamenti sociali, o negare che spiegazioni in termini di altre variabili (quali l'ambiente fisico, le condizioni tecnologiche, la densità della popolazione, o le forme di organizzazione
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economica) abbiano spesso almeno altrettanta capacità di predizione e di sistematizzazione delle spiegazioni in termini di disposizioni "soggettive", come nel caso ugualmente ovvio di molte interpretazioni marxiste dei moderni sistemi giuridici. In ogni caso, non esistono prove disponibili le quali convalidino la tesi che la risposta a tale domanda sia inequivocabilmente e uniformemente affermativa, e non vi sono perciò motivi i quali obblighino a supporre che solo scoprendo i mutamenti negli schemi di valutazione di gruppi sociali possiamo pervenire a una spiegazione unificata dei mutamenti sociali stessi. In base a tutto ciò, sebbene l'individualismo metodologico e la scienza sociale interpretativa accentuino giustamente il fatto che i fenomeni sociali sono costituiti da interazioni fra agenti umani che operano intenzionalmente, né l'una né l'altra di queste impostazioni essenzialmente simili dell'indagine sociale posseggono la preminenza indiscussa che si invoca per esse.
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Capitolo quindicesimo
Problemi della logica dell'indagine storica
Per quanto possa risultare opportuno impiegare il termine 'storia' nel senso generale che sta a significare lo studio dei mutamenti successivi che si sono verificati in un qualsiasi settore e non solo in quello delle cose umane, nondimeno questo capitolo tratta di problemi connessi principalmente alle spiegazioni delle azioni umane del passato. Dopo una breve discussione sul carattere generale dell'indagine storica, analizzeremo alcune delle forme che le spiegazioni storiche per solito assumono; considereremo in seguito certi problemi ricorrenti nello studio storico, e infine esamineremo numerose questioni sollevate dalla dottrina nota come "ineluttabilità storica".
I. Il punto centrale degli studi storici Secondo Aristotele, la poesia, nel suo aspetto di scienza teorica, è "piu filosofica e di maggior importanza" della storia, perché la poesia riguarda ciò che è generale e universale mentre la storia si rivolge a ciò che è particolare e singolare. L'osservazione di Aristotele è una fonte possibile di una distinzione largamente accettata fra due tipi dichiaratamente diversi di scienze; la nomotetica, che cerca di stabilire leggi generali astratte per eventi e processi indefinitamente ripetibili; e la idiografica, il cui scopo è di capire ciò che è unico e non ricorrente. Si sostiene spesso che le scienze naturali e alcune delle scienze sociali sono nomotetiche, mentre la storia (nel senso di un'esposizione di eventi umani, in quanto distinta dagli eventi stessi) è preminentemente idiografica.' Di conseguenza, si sostiene frequentemente che la struttura logica dei concetti e delle spiegazioni richiesta nella storia umana è fondamentalmente diversa dalla struttura logica dei concetti e delle spiegazioni nelle La distinzione è stata per la prima volta enunciata con questa terminologia da nel suo saggio Geschichte und Naturwissenscha/t, stampato nella raccolta dei suoi saggi Priiludien, V ed., Tiibingen, 1915; trad. it. a cura di R. Arrighi, Milano, 1947, pp. 160-65. 1
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La struttura della scienza
scienze naturali (e in altre scienze "generalizzanti"). Esaminiamo il fondamento di queste diversità. Un esame anche affrettato di trattazioni concernenti la scienza teorica naturale e sociale da un lato (quale l'ottica e l'economia), e di libri di storia dall'altro, è spfficiente per rivelare una sorprendente differenza fra loro. Infatti nel complesso gli enunciati che si presentano nelle prime sono generali nella forma e contengono pochi riferimenti se pur ne contengono ad oggetti, a date o luoghi specifici, mentre gli enunciati della seconda sono quasi senza eccezione singolari nella forma e sono pieni di nomi propri, designazioni di particolari tempi o periodi, e specificazioni geografiche. In questa misura, in ogni caso, il contrasto fra le scienze naturali e certe scienze sociali in quanto nomotetiche, e la storia umana in quanto idiografica, risulta ben fondato. Sarebbe un grossolano errore, tuttavia, concludere che gli enunciati singolari non svolgano alcun ruolo nelle scienze teoriche o che nell'indagine storica non si faccia uso di quelli universali. Come nei capitoli precedenti fu ripetutamente osservato, nessuna conclusione concernente il carattere effettivo di processi e di cose specifiche può venir derivato solo da enunciati generali; infatti le teorie e le leggi devono essere integrate da condizioni iniziali (cioè, da enunciati singolari o relativi a casi particolari quanto alla forma) - se queste assunzioni generali devono servire a spiegare o a predire qualche evento particolare. Né le familiari e spesso utili distinzioni fra scienza naturale "pura" e "applicata" pregiudicano l'importanza di questo punto, in base al supposto fondamento che le scienze pure (quali l'elettròdinamica teorica o la genetica) si preoccupano di stabilire solo enunciati generali, e che solo le scienze applicate (quali l'elettrotecnica o l'agronomia) devono interessarsi di casi particolari. Infatti anche le scienze naturali pure possono asserire i loro enunciati generali come empiricamente gratuiti soltanto sulla base di prove fattuali concrete, e perciò solo facendo uso di enunciati singolari. Inoltre, molti enunciati comunemente riconosciuti come leggi della scienza "pura" hanno una generalità che è almeno geograficamente ristretta; per esempio, la legge ben nota secondo cui un grave in caduta libera al livello del mare in latitudini comprese fra il 38° e il 39° parallelo sulla superficie terrestre subisce un'accelerazione di 980 centimetri al secondo. Se leggi di questo tipo, che sono specializzazioni di leggi non ugualmente ristrette, vengono escluse da trattazioni teoriche, l'esclusione è nel migliore dei casi solo una questione di opportunità anziché di principio. Oltre a ciò, alcune branche delle scienze naturali, quali la geofisica o l'ecologia animale, riguardano fondamentalmente distribuzioni spazio-temporali e lo sviluppo di specifici sistemi individuali, e si occupano perciò in larga misura di stabilire enunciati singolari quanto alla forma. In breve, né le scienze naturali nella loro totalità, né alcuna delle loro suddivisioni meramente teoriche sono esclusivamente nomotetiche. Neppure lo studio storico però può prescindere da un'accettazione
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Problemi della logica dell'indagine storica
almeno tacita di enunciati generali del tipo citato nelle trattazioni teoriche. Cosf, sebbene lo storico possa interessarsi di ciò che è unico e non ricorrente, egli deve ovviamente operare una scelta e fare un'astrazione dagli avvenimenti concreti che egli è impegnato a studiare, ed il suo discorso circa ciò che è indubitabilmente individuale richiede l'uso di nomi comuni o di termini descrittivi generali. Di conseguenza, le caratterizzazioni di cose individuali che lo storico fa assumono che esistano vari generi di avvenimenti, e di conseguenza che esistano regolarità empiriche piu o meno determinate associate con ciascun genere le quali differenziano un genere dagli altri. Per esempio, il diffondersi delle colonie greche durante il sesto secolo a.C. è stato attribuito da uno storico alle necessità commerciali dei greci unite al loro spirito avventuroso'; ed egli ovviamente dava per scontato che gli esseri umani hanno diversi tipi di bisogni, che ciascun tipo si manifesta generalmente in certi modi caratteristici di comportamento, che alcuni di questi modi frequentemente danno luogo alla fondazione di colonie, e cosf via. Oltre a ciò, una fase dell'indagine storica consiste nella cosiddetta "critica esterna ed interna": negli sforzi cioè diretti ad appurare l' autenticità di documenti o altre vestigia del passato, i significati precisi di testimonianze scritte, e la validità di altre testimonianze concernenti eventi passati. Per adempiere a questi compiti, gli storici devono però essere muniti di un vasto assortimento di leggi generali, alcune delle quali sono senza dubbio tacitamente accettate come "nozioni di senso-comune" mentre altre sono adottate perché avallate da qualche scienza naturale o sociale. Inoltre, gli storici sono raramente meri cronisti del passato; ed essi non sempre pongono limiti alle loro investigazioni di qualche particolare gruppo di eventi, anche quando hanno fissato l'ordine di successione in cui quegli eventi si sono effettivamente verificati; per esempio, quando hanno stabilito che Antonio si innamorò di Cleopatra prima di fuggire dalla battaglia di Azio. Al contrario, gli storici per solito cercano di comprendere e di spiegare gli eventi che essi registrano in termini di cause ed effetti, e di trovare relazioni di dipendenza causale fra alcuni degli eventi ordinati in successione; per esempio, mostrando che Antonio fuggf dalla battaglia di Azio a causa del suo amore per Cleopatra. Certamente, l'affermazione da parte di uno storico che due eventi siffatti sono causalmente connessi può essere errata; ma lo storico affermando ciò presumibilmente crede di avere motivi fondati per farlo. Comunque, gli storici di regola non hanno la pretesa di essere particolarmente abili nel cogliere le connessioni causali fra avvenimenti individuali per mezzo di qualche infallibile intuizione diretta di tali connessioni; e in ogni caso, si può mostrare che una data coppia di eventi passati è causalmente connessa solo con l'aiuto di generalizzazioni cau2
J, B. BuRY, History o/ Greece, New York, 1937, c. 2.
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sali (sia in forma rigorosamente universale ~ia in forma statistica) le quali sono i prodotti di indagini che in un precedente capitolo abbiamo designato come "investigazioni controllate". Di conseguenza, le attribuzioni causali che gli storici fanno nelle spiegazioni di azioni umane del passato sono basate sull'assunzione di leggi di dipendenza causale. In breve, la storia non è perciò una disciplina meramente idiografica. Nondimeno, esiste un'importante asimmetria fra scienza teorica (o "generalizzante") e storia. Una disciplina teorica come la fisica cerca di fissare enunciati sia generali che singolari e per fare ciò i fisici impiegano enunciati precedentemente assunti di entrambi i tipi. Gli storici, invece, mirano ad asserire enunciati singolari garantiti circa l'evento e le interrelazioni di azioni specifiche con altri particolari eventi. Sebbene questo compito possa essere adempiuto solo assumendo ed usando leggi generali, gli storici tuttavia non considerano che faccia parte del loro compito stabilire tali leggi. È improbabile che qualcuno consideri radicalmente sbagliato un trattato di termodinamica teorica il quale non contenga né un singolo nome proprio né un singolo riferimento a qualche dato particolare. È anche piu improbabile però che qualcuno usando il termine "storia" nel suo significato usuale classifichi come storia un libro qualora questo non menzioni alcun individuo, tempo o luogo particolare, ma enunci soltanto generalizzazioni relative al compattamente umano. La distinzione fra storia e scienza teorica è cosi abbastanza analoga alla differenza fra geologia e fisica, o fra diagnostica medica e fisiologia. Un geologo cerca di appurare, per esempio, l'ordine sequenziale delle formazioni geologiche, ed è in grado di farlo in parte attraverso l'applicazione di diverse leggi fisiche alla materia che studia; ma non è compito del geologo, in quanto geologo determinare le leggi della meccanica o della disintegrazione redioattiva che egli impiega nelle sue investigazioni. Questa discussione, tuttavia, non deve essere interpretata come un tentativo per eliminare attraverso un ragionamento aprioristico la possibilità di "leggi storiche" riguardanti mutamenti evolutivi. Sono stati fatti molti tentativi, in tempi piuttosto recenti, da Osvald Spengler e Arnold Toynbee tra gli altri, per mostrare che ogni società o civiltà esibisce uno schema uniforme di mutamenti successivi, sicché, per esempio, ciascuna società passa manifestamente attraverso una serie fissata di tappe evolutive, in un modo paragonabile alla nascita, all'adolescenza, alla maturità e al decadimento degli organismi biologici individuali. Sebbene nessuna di queste, che passano per "leggi", sia stata accolta da studiosi qualificati, la loro validità può tuttavia essere accertata unicamente alla luce di testimonianze storiche effettive e non può essere stabilita esaminando solo la struttura formale di enunciati contenuti negli scritti degli storici. È nondimeno opportuno notare che, astraendo dal merito fattuale che gli storici di professione ascrivono a queste pretese "leggi storiche", essi tendono a considerare i tentativi per scoprire tali
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leggi come contributi alla sociologia (o a qualche altro ramo delle scienze teoriche o ti generalizzanti") piu che alla ti storia vera e propria" .3 Di conseguenza, malgrado il fatto che alcuni storici usino indubbiamente la testimonianza dell'umano passato per determinare leggi di mutamento evolutivo, essi non lo fanno in quanto storici, come risulta sia dal giudizio della maggioranza dei loro colleghi sia dalla testimonianza offerta dalla grande massa delle opere di storia.
II. Spiegazioni probabilistiche e spiegazioni genetiche Assumeremo comunque che l'indagine storica si interessa principalmente di avvenimenti particolari, e perciò ci interesseremo delle spiegazioni che sono presentate come tipiche per essi. Gli storici, tuttavia, intraprendono la spiegazione talora di una certa azione compiuta da un solo individuo, talora di un evento complesso implicante le azioni di molti individui. Dato che vi sono importanti differenze fra le spiegazioni per questi due generi di avvenimenti, sarà conveniente discutere separatamente i due tipi fondamentali corrispondenti di spiegazioni storiche. Inoltre, come fu suggerito dalla discussione del capitolo X sulle molteplici differenze generiche fra le variabili esplicative, le spiegazioni storiche differiscono anche quanto alle dimensioni temporali degli eventi che menzionano. In particolare, tanto certe azioni individuali quanto le circostanze in cui esse si verificano sono talora descritte come se non avessero dimensioni temporali, mentre le circostanze in cui si verifica un'altra azione, ma non l'azione stessa, vengono caratterizzate in termini della loro durata nel tempo. Di conseguenza, certi resoconti storici di azioni individuali ammettono in realtà che le condizioni, che si suppone spieghino le azioni, possano venir considerate per gli scopi in questione come praticamente istantanee; mentre altri resoconti di azioni individuali forniscono (per esse) spiegazioni evolutive o genetiche. Incominceremo perciò la discussione con un esempio di spiegazione storica appartenente ad una suddivisione del primo tipo fondamentale, cioè, una spiegazione che tenti di render conto di una certa azione di un singolo individuo enunciando per il suo accadere una condizione per cui si trascura la durata. In base alla supposizione che tale spiegazione sia un esempio del tipo suddetto, noi allora a) discuteremo il problema se in spiegazioni di questo genere le premesse contengono leggi generali, b) forniremo delle ragioni per sostenere che la struttura logica di tali spiegazioni è probabilistica invece che rigorosamente deduttiva, e c) consi3 Vedi i vari studi critici intorno al tentativo di Toynbee per stabilire tali leggi in Toynbee and History (a cura di M. F. Ashley Montagu), Boston, 1956. Il commento fatto da A. J, P. Taylor sul lavoro di Toynbee, che "questa non è storia" (p. 115), è caratteristico.
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dereremo brevemente alcuni sensi in cui deve venir intesa questa carattrizzazione della struttura. l. L'esempio che servirà ad illustrare le spiegazioni storiche del primo tipo tratta di una circostanza connessa all'ascesa di Elisabetta al trono di Inghilterra nel XVI secolo. Come conseguenza della contesa tra Enrico VIII e la Chiesa cattolica, il titolo ufficiale che gli competeva al momento della sua morte suonava essenzialmente cosi: "Per Grazia di Dio, Re di Inghilterra, Irlanda, e Francia, difensore della Fede e Supremo Unico Capo in Terra della Chiesa di Inghilterra detta Anglicana Ecclesia". Si ricorderà, tuttavia, che quando sua figlia Maria (''Maria la Sanguinaria") divenne regina nel 1553 dopo la morte di suo fratello Edoardo VI, essa revocò gli atti che stabilivano la sovranità ecclesiastica del monarca inglese e riaffermò la supremazia del Papa. Quando Elisabetta però le succedette al trono cinque anni piu tardi, essa si proclamò "Elisabetta, per Grazia di Dio Regina di Inghilterra, Francia e Irlanda Difensore della fede, ecc."; e nel far ciò essa divenne il primo sovrano Inglese ad "attribuirsi l'eccetera" in un titolo ufficiale non abbreviato. Perché essa lo fece? Lo storico del diritto F. W. Maitland propose la seguente spiegazione. In primo luogo mostrò che 'ecc.' nella dichiarazione non era stato introdotto per inavvertenza ma deliberatamente. Osservò inoltre che Elisabetta si trovò di fronte all'alternativa di riconoscere come la defunta Maria la supremazia ecclesiastica del Papa o di annullare gli statuti di Maria e di rompere con Roma come aveva fatto suo padre; la decisione in un senso o nell'altro sarebbe stata carica di gravi pericoli, perché era oscillante lo schieramento delle forze politiche e militari sia in patria che all'estero a favore dell'una o dell'altra decisione. Maitland perciò sostenne che per evitare di scegliere per il momento una delle alternative Elisabetta impiegò una formulazione ambigua nella proclamazione del suo titolo: una formulazione che avrebbe potuto essere compatibile con qualsiasi decisione essa avesse infine preso. Di conseguenza, secondo il suo succinto enunciato riassuntivo della spiegazione, "Cosi potremmo sviluppare il simbolo nel seguente modo: 'ecc.' = e (se futuri eventi decideranno cosi, ma niente di piu o di diverso) Capo Supremo sopra la terra della Chiesa di Inghilterra e anche di Irlanda":
a) Ammettiamo che la spiegazione del Maitland sia pienamente suffragata, dato che nostro scopo è di analizzare la sua struttura piu che di discuterne la validità fattuale. Un'analisi siffatta, tuttavia, non può essere effettuata a meno che le assunzioni so~tostanti alla spiegazione 4 F. W. MAITLAND, Elisabethan Gleanings, in Collected Papers, 3, pp. 157-65. Maitland si sbagliò nell'assumere che Elisabetta fu la tannica ad "essersi attribuita l'eccetera" nel modo descritto. Essa in questo da sua sorella Maria, come fu osservato dallo storico inglese
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Londra, 1911, vol. prima sovrana briè stata preceduta A. F. Pollard.
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vengano pienamente articolate; e, come è prassi normale nelle opere di storia, il Maitland non rese esplicite tutte le assunzioni implicite nella sua esposizione, fosse o non fosse consapevole di farle. Per esempio, egli diede per scontato pur senza menzionarlo formalmente il fatto (decisivo per la sua tesi) che Elisabetta non credeva che una dichiarazione evidentemente ambigua della sua posizione sulla questione romana avrebbe da sé sola indotto il Papa ad iniziare ostilità armate contro l'Inghilterra. In aggiunta a tali enunciati singolari, il Maitland però diede pure per scontato senza farne menzione generalizzazioni circa il comportamento umano non meno decisive per la sua tesi. Per esempio, nel sostenere che Elisabetta adottò una formulazione non compromettente circa le sue pretese ecclesiastiche onde permettere a se stessa di rimandare la decisione di fondo fino al momento piu propizio, il Maitland tacitamente assunse un certo tipo di generalizzazione circa la condotta umana: una generalizzazione la cui forma precisa non è chiara, ma che in qualsiasi caso deve asserire una relazione fra: a) le dichiarazioni pubbliche che ci si aspetta che le persone facciano riguardo al loro apparente impegno a favore di una certa politica in un momento in cui un impegno definitivo è arrischiato, c h) l'uso di un linguaggio ambiguo in tali dichiarazioni per evitare un impegno prematuro. Senza certe assunzioni di questo tipo non vi sarebbe alcun fondamento per sostenere che la formulazione che Elisabetta adottò nel proclamare i suoi diritti di sovranità avesse qualcosa a che fare con il dubbio di fronte al quale essa si trovava. Tali generalizzazioni, tuttavia, sono indispensabili in tutte le spiegazioni storiche di azioni individuali (anche se, come avviene di solito, le generalizzazioni non vengono enunciate esplicitamente). Questa tesi generale non può venir fissata senza riserve, eccetto forse che per mezzo di un vaglio sistematico di scritti storici; nondimeno, si può mostrare che l'assunto è altamente credibile. Infatti spiegazioni storiche di questo tipo mirano ad enunciare il motivo (o un motivo) per cui un dato individuo x abbia deciso piu o meno deliberatamente di agire nel modo y nelle circostanze z. I possibilj motivi però delle azioni individuali possono essere sussunti sotto un numero limitato di ampie categorie, dove ciascuna categoria può a sua volta essere suddivisa in opportune classi subordinate; e prendendo in considerazione il modo in cui si può mostrare che i possibili motivi in ciascuna categoria sono condizioni effettivamente determinanti (o "causali") nei confronti di un'azione individuale, possiamo persuaderei che l'assunto di cui sopra è valido. In effetti, sembra siano sufficienti tre di tali principali categorie di motivi, e le descriveremo quindi brevemente. Dato che per ipotesi le azioni da spiegarsi sono piu o meno intenzionali, esse sono presumibilmente conseguenze di decisioni nell'ambito di corsi di azione diversi fra i quali gli agenti possono scegliere. Di conseguenza, una categoria comprende dei motivi i quali asseriscono che certe
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caratteristiche delle alternative sono fra le condizioni determinanti dell'azione. Cosi, nell'esempio fatto dal Maitland,,_risulta che Elisabetta riconobbe tre differenti possibilità di azione (per quanto in effetti potessero essere aperte per lei anche altre possibilità, che essa però non tenne presenti): proclamare se stessa immediatamente capo sovrano della Chiesa inglese, riconoscere subito la supremazia del Papa, o temporeggiare. Sembra anche aver attribuito certe caratteristiche a queste alternative: per esempio, ascrisse a ciascuna delle prime due la "latente" (cioè, non effettivamente realizzata o apertamente manifesta} capacità di generare gravi scompigli in Inghilterra o all'estero, e alla terza l'assenza di tale capacità. La seconda categoria contiene motivi che ascrivono un ruolo causale a delle caratteristiche del protagonista. Cosi Elisabetta possedeva tanto vari impulsi e varie tendenze (per esempio, un'intelligenza vivace}, quanto un gran numero di disposizioni e orientamenti personali acquisiti (per esempio, una capacità di compromesso}; ed essa aveva anche obiettivi, valori e obblighi in quanto membro dell'aristocrazia e in quanto monarca regnante (per esempio, evitare una guerra civile in Inghilterra}. La terza categoria di motivi si riferisce a circostanze che accompagnano l'azione, le quali esercitano in connessione con le alternative un'influenza sul protagonista. Per esempio, Elisabetta riceveva i pareri dei suoi consiglieri ufficiali ed era consapevole della generale impopolarità del fanatismo religioso di Maria, ma essa riceveva anche regolari informazioni segrete circa le intenzioni di Filippo II di Spagna di usare la forza contro l'Inghilterra per conto del Papa.' Orbene una tappa importante nelle indagini storiche del tipo in 5 Le spiegazioni storiche di azioni individuali sono risposte a domande analoghe a quelle indagate dalle ricerche sociali correnti sotto l'etichetta di "analisi del motivo". "Analisi della ragione" significa un uso metodologicamente auto-consapevole di tecniche di ricerca recentemente sviluppate per determinare perché le persone si comportano in un determinato modo in una data occasione - per esempio, perché gli immigranti da un particolare paese lasciano la loro terra nativa, perchè le persone che avevano espresso la loro intenzione di "otare in una certa elezione non lo hanno fatto, o perché le persone si iscrivono ad un circolo di lettura piuttosto che ad un altro. Risposte a tali domande si ricavano principalmente intervistando le persone di cui stiamo studiando le azioni; ed il valore delle risposte ottenute in questo modo dipende in larga misura dal fatto che le domande poste siano state costruite in conformità con un adeguato "questionario" (o sistema di categorie di domande). L'importanza di tali questionari per le analisi di spiegazioni storiche è stato accentuato da Pau! F. Lazarsfeld, e l'uso fatto di essi nel testo è stato suggerito dal suo lavoro. Per un resoconto di analisi del motivo, vedi The Language o/ Social Research (a cura di Paul F. Lazarsfeld e Morris Rosenberg), Glencoe, III., 1955, sez. 5, specialmente le pp. 38791; anche HANz ZEISEL, Say It witb Figures, IV ed., New York, 1957, cc. 6 e 7. Le procedure impiegate nell'analisi del motivo forniscono un ulteriore sostegno alla posizione generale presa nel capitolo 13 secondo cui le disposizioni e le intenzioni umane possono essere investigate con successo per mezzo dei metodi comportamentistici. Inoltre, i prodotti dell'analisi motivazionale confermano la concezione (ed efficacemente contrastano le tesi recenti in senso contrario) secondo cui le spiegazioni di azioni individuali date dagli storici in termini delle ragioni che stanno all'origine dell'operare in un determinato modo non differiscono da spiegazioni di avvenimenti in altri domini della scienza, sia nell'uso tacito di generalizzazioni nelle loro premesse sia nella logica richiesta a ·garanzia delle attribuzioni causali.
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discussione consiste evidentemente nel mostrare che in ciascuna categoria i fattori che per ipotesi sono condizioni deter_minanti per una data azione siano stati di fatto presenti nel momento dell'azione. Sebbene questa tappa sia essenziale, è chiaro tuttavia che essa non stabilisce quale di questi fattori (o nel caso particolare se qualcuno di essi) sia stato il reale motivo della condotta del protagonista, dato che un fattore può effettivamente essere stato presente nel momento dell'azione e può tuttavia esser stato causalmente inoperante. Cosi il fatto che si sappia che un individuo processato per assassinio odiasse la vittima non è un motivo sufficiente per provare che egli abbia commesso il delitto, o nel caso che l'abbia commesso ciò non basta a provare che egli lo abbia fatto a causa del suo odio; infatti, sebbene l'individuo accusato possa essere colpevole di omicidio, egli può aver ucciso la vittima, per caso, perché fu pagato per farlo, o per numerosi altri motivi. Analogamente, anche se uno storico produce testimonianze incontrovertibili del fatto che fosse pazzamente innamorato di Cleopatra questo non prova la tesi che Antonio fuggi dalla battaglia di Azio a causa del suo amore. Infatti Antonio possedeva altre disposizioni ed altri obiettivi diversi da quelli associati al suo amore per Cleopatra, cosi che la sua azione può esser stata il risultato, per esempio, della sua ambizione di fare dell'Egit,to un granaio per Roma. Se però la mera dimostrazione che un dato fattore è stato una delle circostanze in cui un individuo ha compiuto qualche particolare atto non prova la tesi che tale fattore sia stato un motivo in virtu del quale l'individuo ha agito in quel determinato modo; come può allora uno storico suffragare la sua attribuzione di ruolo causale a quel fattore? Se abbandoniamo come non accettabile la proposta talora avanzata di considerare gli storici dotati di una speciale facoltà per riconoscere i motivi determinanti delle azioni umane, sembra che ci sia una sola risposta possibile. Lo storico può giustificare la sua attribuzione causale per mezzo dell'assunzione che, quando il dato fattore sia una circostanza in cui gli uomini agiscono, essi generalmente si comportano in un modo analogo alla particolare azione descritta nell'attribuzione, cosi che l'individuo, di cui lo storico discute, presumibilmente agi anche egli nel modo in cui agi perché era presente quel dato fattore. In breve, nelle spiegazioni storiche di azioni individuali sono richieste generalizzazioni di qualche tipo. b) La struttura logica di una spiegazione può essere determinata solo se tutte le premesse implicitamente assunte sono rese esplicite; e, dato che gli storici non enunciano di regola tutte le assunzioni che essi fanno spiegando azioni individuali (infatti, essi spesso non sono consapevoli di molte assunzioni decisive che danno per scontate), lo schema in cui rientrano le loro esposizioni non risulta immediatamente ovvio. Sarebbe certamente infondato concludere che spiegazioni di questo
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tipo non sono deduttive nella forma, semplicemente per il fatto che tali spiegazioni come effettivamente pre~entate dagli storici non mostrano questa struttura, proprio come sarebbe ingiustificato concludere che un individuo non compie un ragionameqto deduttivo quando si dà il caso che la sua argomentazione sia entimematica; per esempio, quando un individuo sostiene che Marte brilla di luce riflessa, perché Matte è un pianeta, ma non menziona esplicitamente la premessa che tutti i pianeti brillano di luce riflessa. Di conseguenza, sebbene sia un compito oneroso (e forse anche praticamente disperato) enunciare completamente le assunzioni date per scontate nelle spiegazioni storiche, si deve supporre che questo compito sia stato eseguito fino in fondo quando si tratta di caratterizzare la struttura di tali spiegazioni. Esaminiamo per prima cosa la concezione secondo cui spiegazioni storiche di questo tipo presentano uno schema deduttivo. È evidente che tali spiegazioni possono effettivamente essere calate in questa forma, purché le premesse possano essere arbitrariamente scelte. Per esempio, una parte della spiegazione del Maitland circa il modo insolito in cui Elisabetta proclamò il titolo che le competeva può essere messa in una forma rigorosamente deduttiva, se viene introdotta un'assunzione rigorosamente universale come premessa supplementare, nel modo seguente: Ogni volta che un individuo è costretto a dichiarare pubblicamente quale fra le diverse politiche possibili egli ufficialmente intende adottare, essendo le circostanze in cui la dichiarazione viene fatta tali da indurlo a credere che la proclamazione di un impegno definitivo nei confronti di una qualsiasi di queste politiche in quel momento sarebbe per lui carica di gravi pericoli, l'individuo formulerà la sua dichiarazione con un linguaggio ambiguo; Elisabetta doveva proclamare la sua posizione sulla questione romana in un momento in cui essa considerava arrischiata un'esplicita dichiarazione della sua decisione nell'uno o nell'altro senso; Elisabetta perciò formulò la sua proclamazione con un linguaggio ambiguo. Sebbene la seconda premessa in questa argomentazione formalmente valida ripeta in sostanza ciò che il Maitland sosteneva esplicitamente, la premessa rigorosamente universale, cioè la prima, non lo fa; ed è probabile che né gli uni né gli altri l'avrebbero accettata. Infatti non si può dire affato che tutti gli uomini usino linguaggi ambigui nelle condizioni specificate nella prima premessa, dato che vi sono esseri umani (vuoi nemici dei compromessi e audaci nel difendere la loro onestà, vuoi semplicemente avventati, o proprio stupidi) che dichiarano la loro scelta di un certo corso di azione in modo inequivocabile, anche quando sarebbe vantaggioso per loro temporeggiare. Di conseguenza la prima premessa nell'argomentazione sopra citata è una falsa generalizzazione relativa al contenuto in essa menzionato, per cui l'argomentazione cosi come si presenta non è una spiegazione soddisfacente della condotta di Elisabetta. Un'assunzione credibile circa que-
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sto contenuto avrà, invece, nel migliore dei casi, solo una forma statistica in luogo di una forma rigorosamente universale; asserirà, per esempio, che la maggior parte degli uomini, o che una certa percentuale di uomini, si comporta nel modo indicato. Se però la prima premessa è sostituita da qualche generalizzazione statistica accettabile, l'argomentazione che ne risulta non è un'argomentazione deduttiva formalmente valida, e le sue premesse implicano la conclusione non in modo necessario ma solo con "un certo grado di probabilità". Di conseguenza, in base all'assunzione che, se la generalizzazione implicita nella spiegazione del Maitland ha da essere attendibile, tale generalizzazione possiede una forma statistica, la spiegazione deve essere caratterizzata come avente una struttura probabilistica anziché deduttiva. È però valida questa assunzione? La possibilità di stabilire generalizzazioni rigorosamente universali relative agli argomenti in questione non può, naturalmente, venir esclusa di principio. Tuttavia, nessuna di tali generalizzazioni sembra essere comunemente disponibile. Inoltre, alla luce della discussione svolta nel precedente capitolo sulla natura statistica delle generalizzazioni delle scienze sociali," se leggi universali ben fondate circa la condotta umana dovessero mai venir stabilite, esse probabilmente dovrebbero venir formulate in termini di distinzioni molto sottili che fuoriescano dal campo usuale di interesse degli storici. Suppo"niamo per esempio che la proclamazione da parte di Elisabetta del suo titolo ambiguamente formulato possa essere rigorosamente dedotta da premesse contenenti, tra le altre, delle assunzioni formulate in termini di teoria quantistica circa lo stato delle sue ghiandole, le condizioni della sua sinapsi neurale, l'organizzazione delle cellule del suo cervello, e le intensità dei vari stimoli fisici ai quali essa era soggetta. Non è certo una congettura infondata dire che la maggior parte degli storici, e con essi la maggior parte dei lettori di opere storiche, rifiuterebbe una tale spiegazione, per il fatto che non è il genere di spiegazioni storiche a cui essi sono abituati o per le quali provano molto interesse.' Sotto questo riguardo, l'esposizione fatta dal Maitland del motivo per cui Elisabetta proclamò il suo titolo con un linguaggio ambiguo può esser senz'altro considerato un esempio tipico di spiegazioni storiche di azioni individuali. Di conseguenza, l'opinione secondo cui, in generale, le spiegazioni storiche di questo tipo hanno una struttura probabilistica, si fonda su una base sicura. Tale opinione è rafforzata da un'ulteriore considerazione, la quale Vedi alle pagine 519-523. Il punto della questione è stato fatto da un antropologo nel modo seguente: "Le scienze umane non spingono le loro analisi molto al di là della realtà 'apparente' in un ordine di cose dove le onde delle probabilità che tendono ad annullarsi presentano i denominatori originari. Infatti nel bene e nel male, le scienze umane si interessano della superficie fenomenica della realtà; se esse la respingessero interamente, distruggerebbero il loro stesso oggetto di indagine" (S. F. NADEL, The Foundation of Social Anthropology, Glencoe, III., 1951, p. 195). 6
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può pure essere illustrata per mezzo dell'esempio del Maitland. Noi abbiamo discusso tale esempio come se il solo intento del Maitland fosse quello di spiegare l'ambiguo linguaggio della proclamazione di Elisabetta. Si ricorderà, però, il fatto che egli si accinse a spiegare perché Elisabetta "si attribui l'eccetera" nel proclamare i suoi diritti di sovranità, e non semplicemente perché essa impiegò una formulazione ambigua nel farlo. Anche se fosse possibile render conto di questo secondo fatto deducendolo rigorosamente da un certo insieme di premesse attendibili, l'enunciato però secondo cui Elisabetta usò proprio l'espressione 'ecc.' (invece di qualche altra espressione con cui essa poteva pure raggiungere il suo scopo, per esempio 'e cosi via') non sarebbe perciò stesso spiegato in modo deduttivo. Al contrario, pur ammettendo le assunzioni testé compiute, si sarebbe mostrato essere soltanto probabile che essa abbia impiegato l'espressione 'ecc.'. Se d'altronde si mantengono le distinzioni che sono proprie del livello di analisi normalmente impiegato dagli storici, è trascurabile la verisimiglianza che possano essere stabilite leggi rigorosamente universali concernenti l'uso della particolare locuzione 'ecc.' da parte di individui che sono indecisi circa un corso di azione ma che desiderano celare la loro indecisione. Non vi è perciò alcuna autentica speranza di dare una spiegazione, con una struttura deduttiva, dell'uso di questa locuzione fatta da Elisabetta nella sua proclamazione. Il punto ora illustrato in termini di un esempio può venir enunciato in modo piu generale. Sia A 1 un'azione specifica compiuta da un individuo x in una certa occasione t per raggiungere un certo obiettivo O. Tuttavia, gli storici non tentano di spiegare l'effettuazione dell'azione A1 in tutti i suoi concreti particolari, ma solo l'effettuazione da parte di x di un tipo di azione A le cui forme specifiche sono A~, A2, ... , An. Supponiamo inoltre che x possa aver raggiunto l'obiettivo O avendo effettuato nell'occasione t una qualunque delle azioni della sottoclasse A1, A2, ..., Ak della classe di forme specifiche di A. Tenuto conto di ciò, anche se uno storico riuscisse a dare una spiegazione deduttiva del fatto che x effettuò il tipo di azione A nell'occasione t, egli non riuscirebbe per questo a spiegare deduttivamente che x abbia effettuato in quella occasione la specifica azione A1. Di conseguenza, e nel migliore dei casi, la spiegazione dello storico mostra solo che, sotto le assunzioni enunciate, l'effettuazione da parte di x di A1 nell'occasione t è probabile. c) Le spiegazioni storiche di azioni individuali sono pertanto probabilistiche nella struttura, essendo la loro forma il risultato del carattere essenzialmente statistico delle generalizzazioni disponibili circa la condotta umana che intervengono nelle assunzioni esplicative. In quale senso però deve essere interpretata la caratterizzazione "probabilistica "? Una discussione adeguata di questa questione molto dibattuta e non
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ancora definita richiederebbe delle analisi dettagliate della logica del ragionamento probabile e dell'inferenza induttiva, nessuna delle quali può essere tentata qui. Nondimeno, bisogna dir qualcosa, per quanto solo in breve, per spiegare il significato di quella caratterizzazione. Indubbiamente la caratteristica distintiva delle argomentazioni probabilistiche in generale, e delle spiegazioni storiche in particolare, è che le loro conclusioni non sono conseguenze logicamente necessarie delle loro premesse, anche quando vengano esplicitamente formulate tutte le assunzioni empiricamente garantite ma solo implicitamente adottate. Di conseguenza, le azioni che gli storici riescono a spiegare non potrebbero essere predette (nel senso di essere rigorosamente dedotte} in base all'informazione contenuta nelle premesse delle spiegazioni da chiunque avesse accesso proprio a tale informazione anteriormente a quegli avvenimenti; vale a dire, la verità delle premesse in una spiegazione storica è interamente compatibile con la falsità delle sue conclusioni. Cosf, supponiamo che l'espressione 'l'individuo x si comportò nel modo A nell'occasione t' sia una rappresentazione schematica di una certa azione per cui uno storico tenti di trovare un motivo, e che la spiegazione infine data abbia la forma 'l'individuo x si trovò nelle circostanze C nell'occasione t' con l'implicita premessa supplementare 'nella maggior parte dei casi, gli individui che si trovano nelle circostanze C si comportano nel modo A'. È ovvio che, non bastando le premesse a stabilire logicamente la conclusione, tali premesse sarebbero incontrovertibilmente valide anche se l'individuo x non avesse agito nel modo A nell'occasione t. In verità, gli storici sono raramente, se mai lo sono, nella posizione di poter enunciare condizioni sufficienti per l'accadere degli eventi che essi investigano. La maggioranza, se non tutte le spiegazioni storiche, come le spiegazioni della condotta umana in generale - e in effetti, come molte spiegazioni di eventi concreti nelle scienze naturali - menzionano solo alcune delle condizioni indispensabili (o, come comunemente si dice, necessarie) per quegli avvenimenti. Noi dobbiamo, tuttavia, rendere esplicito il senso in cui questa tesi deve essere accolta, indicando ciò che si intende con il contrasto fra condizioni "sufficienti" e condizioni "necessarie" nel presente contesto e in questo capitolo. Supponiamo che un evento A si verifichi quando si realizza un certo insieme di condizioni C, cosicché sia assunto come vero l'enunciato S1 : 'se C è realizzato, allora A si verifica'; ma noi non assumeremo che l'inverso di St (cioè: 'se A si verifica, allora C è realizzato') sia vero, al fine di ammettere la possibilità che A si verifichi quando viene soddisfatto un certo insieme di condizioni C' diverso da C. Supponiamo inoltre che la condizione C consista nel concorso di un certo numero di fattori, uno dei quali sia Ct mentre i restanti siano C2; e assumiamo che A non si verifichi quando siano realizzati o Ct o Cz singolarmente, ma che sia vero l'enunciato Sz: 'se Cz è realizzato, allora A si verifica se e solo se
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anche C, è realizzato'. In virtu dell'enunciato S,, e in conformità con l'uso standard nella logica formale, si dice che la condizione C è "una condizione sufficiente" per l'evento A, e A è "una condizione necessaria" per C. Invece, tenendo conto delle ulteriori assunzioni da noi fatte, risulta evidente che C, non è una condizione necessaria per A in questo senso di 'necessario'. Cionondimeno, dato che, secondo l'enunciato Sz, l'evento A non si verificherà quando Cz è realizzato senza che lo sia C,, mentre si verifica quando siano realizzati sia C, che Cz, ne risulta che C, è una condizione indispensabile per il verificarsi di A se assumiamo che la condizione Cz sia già soddisfatta. Si può perciò dire che la condizione C,, rispetto a Cz, è una "condizione contingentemente necessaria" per A, e ciò al fine di distinguere tale senso di 'condizione necessaria' da quello specificato nella logica formale. Ai fini di un facile riferimento, useremo per questo ultimo senso standard l'etichetta "condizione assolutamente necessaria". Con l'aiuto delle distinzioni testé accennate, possiamo ora enunciare piu chiaramente come debba essere interpretata la tesi secondo cui le spiegazioni storiche non menzionano le condizioni sufficienti per gli eventi, ma solo alcune delle "condizioni necessarie" per essi: I'espressione citata deve essere intesa nel senso di 'condizione contingentemente necessaria' anziché di 'condizione assolutamente necessaria'. Tuttavia, dato che nel presente capitolo vi saranno poche occasioni di riferirsi a condizioni degli eventi che non siano quelle contingentemente necessarie, non useremo per lo piu l'espressione completa, e diremo invece piu brevemente 'condizione ne.' cessana. Illustriamo ora l'assunto secondo cui le spiegazioni storiche per lo piu adducono solo alcune delle condizioni contingentemente necessarie per gli eventi. Nell'esposizione fatta dal Maitland del motivo per cui Elisabetta evitò una decisione immediata sulla questione romana, vien descritto un complesso retroscena di eventi che egli crede sia stato il motivo (e perciò una condizione necessaria) della condotta di Elisabetta. Tuttavia, gli eventi, che il Maitland ha esplicitamente addotto, erano chiaramente non sufficienti per causare l'azione di lei, cosicché molte altre circostanze, non meno indispensabili per far sf che essa agisse cosi come agf (per esempio il fatto che Elisabetta fosse sana di mente, o che desiderasse evitare la guerra civile), non vengono menzionate nella esposizione che egli ne fa. Alcune di queste condizioni necessarie supplementari non furono forse addotte dal Maitland perché gli sembravano troppo ovvie per aver bisogno di un'enunciazione formale. Se ve ne sono però di meno ovvie che egli non ha menzionato, è indubbiamente perché egli non conosceva tutte le condizioni mancando le quali l'azione che ha cercato di spiegare non avrebbe avuto luogo. Di conseguenza, spiegazioni di eventi particolari (tanto nelle scienze naturali quanto nello studio della storia passata) sono frequentemente accettate solo con varie qualificazioni, fra le quali una consueta consiste nella
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ben nota riserva ceteris paribus. Secondo essa le condizioni esplicitamente menzionate in una spiegazione possono venire assunte per render conto di qualche avvenimento, purché "a parità di altre condizioni", dove queste "altre condizioni" sono spesso non conosciute o soltanto azzardate.• L'incompletezza delle premesse quando queste vengano misurate sugli standard del ragionamento deduttivo valido, nonché la loro formulazione come condizioni necessarie piuttosto che sufficienti per il verificarsi di eventi, sono due tratti caratteristici generalmente ammessi che spiegano in parte il senso in cui le spiegazioni storiche sono "probabilistiche". Questa parziale spiegazione di tale caratterizzazione è tutto quanto risulta essenziale ai fini della presente discussione. Tuttavia, allo scopo di suggerire dove si trovino alcuni dei problemi tuttora non risolti quando si tenti una spiegazione piu completa, scegliamo per farne breve menzione due interpretazioni fra le molte che sono state proposte per la parola 'probabilità', e per i suoi derivati. Secondo una delle concezioni piu antiche, la probabilità di un dato enunciato h (o "ipotesi", per usare la consueta designazione) relativamente alle premesse date o "prove" p misura la fiducia (per alcune formulazioni la intensità di fede) che un individuo x ha nella verità di h quando x possieda l'informazione p, ammettendo che x si dimostri in qualche senso "razionale" o "ragionevole" nel prestar fede alle credenze in questione. Dato che questa interpretazione è compatibile con l'assegnazione di gradi di probabilità diversi da parte di individui diversi alla stessa ipotesi relativamente alle stesse prove, la probabilità secondo questa concezione non è una proprietà relazionale completamente "oggettiva" degli enunciati e ha una componente "soggettiva" ineliminabile. Questa interpretazione "soggettiva" fu l'interpretazione dominante per circa due secoli, ma da ultimo perse il favore della maggioranza degli studiosi dell'argomento a causa di varie difficoltà manifesta8 La clausola ceteris paribus è spesso tacitamente impiegata persino nelle branche altamente sviluppate della fisica. Per esempio, la traiettoria percorsa da un proiettile in una data occasione può esser spiegata con l'aiuto della teoria newtoniana, integrata da dati supplementari concernenti il caso particolare. La spiegazione della traiettoria del proiettile menziona esplicitamente la latitudine a cui il fucile è sparato, la direzione in cui il fucile è puntato, la velocit~ iniziale del proiettile, e la resistenza dell'aria; però non è probabilmente menzionata la posizione della TP.rra rispetto al proprio ed altri sistemi galattici. La spiegazione trascura questi ultimi elementi a causa dell'assunzione insista nella teoria newtoniana, che la massa del proiettile 'sia costante ed è indipendente non solo dalla sua velocità ma anche dalla sua distanza da altri corpi. Fino alla critica del sistema newotoniano compiuta da Ernst Mach, pare che i fisici non abbiano riscontrato che l'inerzia di un corpo potesse essere una funzione della sua distanza da tutti gli altri corpi nell'universo. (L'ipotesi che sia cosi è stata chiamata "principio di Mach" e ha ricevuto seria considerazione nella attuale cosmologia fisica.) Di conseguenza, sebbene una distanza del proiettile da tutti gli altri corpi ovviamente varii, la variazione non è normalmente menzionata nelle spiegazioni di una traiettoria del proiettile, ed è tacitamente sussunta sotto la restrizione ceteris paribus. 0LAF HELMER and NrcHOLAS RESHER, On the Epistemology of the Inexact Sciences, "Management Science," vol. 6, 1959, specialmente le pp. 25-33.
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mente intrinseche ad essa - fra le altre, la difficoltà tecnica di definire una misura quantitativa per le differenze negli stati soggettivi di fiducia. Piu recentemente, tuttavia, questa interpretazione è stata ripresa in versioni corrette, e, sotto l'etichetta di "probabilità soggettiva", svolge un ruolo importante negli odierni sviluppi della teoria della decisione statistica. Secondo una di queste versioni, per esempio, la probabilità che un individuo in possesso di prove p assegnerebbe all'ipotesi h è definita in termini dei casi sfavorevoli che egli sarebbe disposto ad accettare se scommettesse sulla verità di h e contro la sua falsità, cosi che la probabilità misurerà il rischio che l'individuo è pronto ad accettare adottando h e rifiutando la sua negazione. Cosi supponiamo che alla luce di certe prove un individuo scommetta 9 contro l a favore della verità dell'enunciato: 'non vi saranno nevicate nella città di New York nel prossimo aprile'; cioè, che egli accetti di pagare nove dollari, qualora sbagliasse nel credere alla verità di tale enunciato, a condizione di ricevere un dollaro nel caso in cui avesse ragione. Allora per questo individuo la probabilità di quell'enunciato relativamente alle prove in suo possesso è 9/10. In base all'assunzione che questo esempio costituisca un paradigma per interpretare in generale le argomentazioni probabilistiche, si suppone che possa essere spiegata in un modo essenzialmente simile la struttura probabilistica delle spiegazioni storiche. Al fine di illustrare una spiegazione siffatta trascureremo varie complicazioni, ed assumeremo che un certo individuo x non sappia che Elisabetta "si attribui l'eccetera" quando proclamò il suo titolo, ma che egli sia fornito delle informazioni enunciate nelle premesse esplicative del Maitland per quella azione. Assumiamo inoltre che a x venga poi chiesto di scommettere se, nelle circostanze enunciate, Elisabetta "abbia attribuito a se stessa l'eccetera", e che egli scommetta 7 contro 3 a favore di questa azione da parte di Elisabetta. Allora relativamente alle prove di cui dispone, la probabilità per x che Elisabetta abbia agito in quel modo è di 7/10. Tuttavia, è certo che oggi la maggior parte degli studiosi che adottano assunzioni statistiche e analisi statistiche nelle loro indagini accettano in svariate forme un'interpretazione manifestamente molto diversa del termine 'probabilità'. In base a questa differente concezione, il termine può essere usato in modo significante solo in connessione con classi contenenti ripetuti casi particolari di modalità date (quali la modalità di essere maschio nella classe dei nati umani); e, secondo una versione comunemente accettata di questa interpretazione, la probabilità di una data modalità P in una data classe R è la frequenza relativa con cui i casi particolari di P si presentano in R. Per esempio, se nei primi 100 casi in una serie di nati umani 52 sono maschi, e se la proporzione di maschi sul numero totale di nati umani non si modifica apprezzabilmente quando la serie divenga progressivamente piu lunga, allora la
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probabilità di un maschio in questa classe di nati umani è 52/100. In base a questa interpretazione, in contrasto con quella soggettiva, un grado di probabilità è pertanto una misura di una proprietà completamente "oggettiva", dato che questa proprietà è del, tutto indipendente da ogni credenza umana circa le classi aventi tale proprietà. Questa interpretazione però esige una lieve riformulazione onde rendere evidente la sua possibile rilevanza per spiegare il senso in cui le spiegazioni storiche sono probabilistiche. Tale riformulazione si fonda su un artificio logico di cui si è già discusso in connessione con la trattazione strumentalistica delle teorie scientifiche." Data un'argomentazione con una conclusione relativa ad un caso particolare e con un enunciato generale in funzione di una delle premesse, la procedura consiste nell'eliminare l'enunciato generale dalle premesse, sostituendolo con un principio guida (o regola di inferenza), deducendo poi da premesse che sono esclusivamente relative a casi particolari la conclusione relativa al caso particolare in conformità con tale principio guida. Cosi, supponiamo che una spiegazione storica possa essere rappresentata per mezzo di questa semplice forma schematica: la maggior parte degli individui nelle circostanze C si comportano nel modo A. L'individuo i nell'occasione to si trovò nelle circostanze C; perciò (probabilmente) l'individuo i nell'occasione to si comportò nel modo A, dove 'C' e 'A' sono predicati costanti, 'i' designa un individuo particolare, e 'to' un'occasione particolare. Sia 'C,.,/ un'abbreviazione per la forma enunciativa: 'l'individuo x nell'occasione t si trovò nelle circostanze C', 'Ax/ per la forma enunciativa 'l'individuo x nell'occasione t si comportò nel modo A', e 'G' per il principio guida che postula che un enunciato della forma 'Ax/ è derivabile da un enunciato della forma 'Cx/. Ora definiamo una classe R di argomentazioni nel modo seguente: ogni argomentazione in R ha una conclusione della forma 'Ax/ che è derivata in conformità con G dalla premessa singola della forma 'Cx/. Assumiamo che vi sia una frequenza relativa definita con cui una conclusione vera è derivata da una premessa vera in R in conformità con G. Questa "frequenza di verità" relativa è allora per definizione la probabilità che in R un'argomentazione con una premessa vera abbia una conclusione vera; inoltre, la spiegazione storica sopra citata è equivalente a un'argomentazione appartenente a R. In base a questa interpretazione, quindi, una spiegazione storica è probabilistica, nel senso che corrisponde a una argomentazione che appartiene a una classe di argomentazioni in cui la frequenza di verità relativa è minore di l. Tuttavia, anche se questa spiegazione cosi come quella basata sull'interpretazione soggettiva della 'probabilità' ha un considerevole seguito, né l'una né l'altra hanno conseguito l'approvazione generale poiché entrambe presentano aspetti che molti considerano come gravi in9
Cfr. il precedente capitolo 6, specialmente le pagine 146-148.
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sufficienze. Per esempio, secondo la maggior parte dei critici della probabilità soggettiva, la sua principale debolezza è che secondo questa interpretazione i criteri di probabilità si fondano in ultima analisi sulle mutevoli idiosincrasie degli esseri umani; e che di conseguenza nessun solido motivo può esser dato per preferire enunciati con probabilità alte piuttosto che basse come conclusioni di spiegazioni attendibili o come fondamenti per pronostici sicuri. D'altro lato, la difficoltà principale comunemente notata nella interpretazione della frequenza di verità è che, in quanto una frequenza non può essere ascritta in modo significante ad un singolo enunciato, è rigorosamente assurdo parlare della probabilità di una data ipotesi relativamente a date prove. Di conseguenza, quell'interpretazione è spesso considerata intrinsecamente inadatta a spiegare in qual senso una spiegazione storica di qualche azione particolare mostri che l'azione era probabile. Anche se questa critica della concezione della frequenza di verità non è in alcun modo fatale alle tesi dei suoi fautori, e se il peso di tale critica può essere efficacemente aggirato, la discussione di essa e delle questioni connesse non può tuttavia essere sviluppata ulteriormente in questo contesto.'0 2. Fin qui noi abbiamo discusso spiegazioni per azioni individuali in termini di condizioni di cui si trascura la durata. Dobbiamo ora esaminare lo schema mostrato dai resoconti storici di azioni in termini di circostanze estese nel tempo. Spiegazioni della seconda specie di solito assumono la forma di narrazioni. Sebbene le relazioni di dipendenza fra gli eventi che esse descrivono non siano spesso esplicitamente formulate, la selezione di eventi che tenga conto della loro sequenza è indubbiamente basata sull'implicita assunzione che alcuni di tali eventi siano condizioni necessarie per alcuni degli altri. Un esempio di tali spiegazioni aiuterà a rendere evidente la loro struttura. Consideriamo perciò il resoconto dato dallo storico G. M. Trevelyan del perché il primo conte di Buckingham in fine si oppose al matrimonio del giovane principe Carlo 1~ La letteratura sui fondamenti della probabilità è vasta. Per una rassegna generale delle differenti posizioni che sono state assunte, cfr. ERNEST NAGEL, Principles o/ the Theory o/ Probability, in International Encyclopedia o/ Unified Science, Chicago, 1939, vol. l, n. 6. Per le moderne versioni dell'interpretazione soggettivistica, vedi FRANK RAMSEY, Truth and Probability, in The Foundations o/ Mathematics, Londra, 1931, trad. it. di E. Belli-Nicoletti e M. Valente, Milano, 1964; BRUNO DE FrNETTI, La. prévision: ses lois logiques ses sources subjectives, in "Annales de l'Institut Henri Poincaré," vol. 7, 1937; e, piu recentemente, LEONARD J. SAVAGE, The Foundations o/ Statistics, New York, 1954, particolarmente i cc. 3 e 4. Per il concetto di frequenza relativa, vedi RrcHARD VON MrsES, Probability, Statistics and Truth, New York, 1939; HANs REICHENBACH, Experience and Prediction, Chicago, 1938; e per la versione della frequenza della verità, CHARLES S. PEIRCE, Collected Papers (a cura di Charles Hartshorne e Paul Weiss), Cambridge, Mass., 1932, vol. 2, pp. 415-77. Per un'impostazione ancora differente dell'argomento, vedi JoHN M. KEYNES, A Treatise o/ P!:Qbability, Londra, 1921; e RuooLF CARNAP, Logical Foundations o/ Probability, Chicago, 1950.
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(in seguito Carlo I) con l'infanta spagnola Maria, malgrado il fatto che prima del 1623 Buckingham fosse stato un sostenitore entusiasta di quel progetto. Dopo aver notato che Buckingham era divenuto impaziente riguardo all'indugio nei progetti di matrimonio e che egli ricevette da Giacomo I il permesso di andare con Carlo in Spagna per scortare la principessa in Inghilterra, Trevelyan prosegue: Essi si imbarcarono segretamente, attraversarono la Francia al galoppo travestiti, e si presentarono nelle sbalordite strade di Madrid. Carlo, sebbene non gli fosse permesso dalle idee spagnole di decoro di parlare alla povera principessa, immaginò di essersi innamorato al primo sguardo. Senza pensare al bene pubblico, promise di fare ogni concessione al cattolicesimo inglese, di abrogare le leggi penali, e di permettere l'educazione dei suoi figli nella fede della madre. Agli spagnoli, tuttavia, mancava ancora la garanzia che queste promesse sarebbero state realmente adempiute, e continuavano a rifiutare di evacuare il Palatinato [uno degli obiettivi che Giacomo sperava di raggiungere attraverso il progettato matrimonio]. Frattanto una contesa personale sorse fra Buckingham e la nazione spagnola. Il favorito cioè, Buckingham ... non osservava né l'etichetta spagnola né le comuni convenienze. Gli alteri hidalgos non sopportarono le libertà che egli si prendeva ... I gentiluomini inglesi, eh;! subito vennero ad unirsi ai loro capi fuggiaschi [cioè, Buckingham e Carlo], si beffarono delle terre desolate, delle popolaZIOni miserabili e delle cattive locande che incontrarono, e millantarono la loro Inghilterra. Essi non furono bene accolti a Madrid, e si credettero mole~tati dai preti... Cominciarono cosi ad odiare gli spagnoli e a esecrare il matrimonio. Buckingham era sensibile alle emozioni di coloro che gli stavano Immediatamente vicino e tosto comunicò il mutamento dei propri sentimenti circa la Spagna al ragazzo cupo e taciturno, che egli sapeva sempre trascinare con sé in ogni ondata di effimera passione!'
Questa narrazione ·può essere considerata come una descrizione di un numero finito di eventi o di stati di cose, alcuni dei quali si verificano in ordine consecutivo, altri piu o meno simultaneamente con parecchi di questi ultimi; e ognuna delle circostanze menzionate è manifestamente una condizione contingentemente necessaria per qualche accadimento successivo nella serie. Cosi, sia 'c/ un'abbreviazione per una descrizione di un avvenimento, con indici in basso che designano gli eventi nel loro ordine temporale e indici in alto che designano avvenimenti approssimativamente concomitanti. La sequenza qui appresso è un modo per elencare gli avvenimenti descritti nella narrazione, co (Buckingham desiderava il matrimonio fra Carlo e l'infanta); c1 (varie circostanze, non menzionate nella citazione di cui sopra, frustrarono la rapida realizzazione del suo desiderio); c2 (Buckingham divenne impaziente riguardo all'indugio); C3 (Buckingham decise di raggiungere il suo 11
GEORGE
M.
TREVELYAN,
England Under the Stuarts, New York e London,
19~,
pp. 128-29.
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scopo andando a prendere l'infanta in Spagna); c4 (ottenne il consenso di Giacomo I di andare in Spagna con Carlo); es (Buckingham salpò per la Spagna con Carlo); C6 (egli attraversò a cavallo la Francia e giunse in Spagna con Carlo); c1 (Carlo fece promesse concernenti il trattamento dei cattolici in Inghilterra); et ,(la Spagna rifiutò di sgomberare il Palatinato ); et· (Buckingham si prese delle discutibili libertà di comportamento); es (gli Spagnoli manifestarono ostilità verso Buckingham); es· (numerosi inglesi arrivarono in Spagna per essere con Buckingham e Carlo); C9 (il comportamento di questi Inglesi rese gli Spagnoli ancora piu ostili); c10 (questi inglesi incominciarono ad odiare gli spagnoli e la prospettiva del matrimonio fra Carlo e l'infanta); eu (Buckingham si rese conto tanto di questo odio quanto dell'ostilità spagnola); C12 (Buckingham cambiò opinione circa il fatto che quel matrimonio fosse desiderabile, e divenne un oppositore di tale progetto). Rendiamo ora esplicito, come preliminare per caratterizzare la struttura della spiegazione del Trevelyan, in qual modo alcuni dei 12 elementi che noi abbiamo ricavato da questo resoconto narrativo siano connessi fra loro (o non riescano ad esserlo). In primo luogo, non sembra esservi fra co e C12 (l'azione per la quale si sta proponendo una spiegazione), alcuna connessione salvo che quest'ultimo enunciato risulta il contrario del primo. È difficile immaginare una generalizzazione ragionevole che ci permetta, dato co, di concludere che C12 probabilmente si verificherà; e in ogni caso non è conosciuta una generalizzazione siffatta. Nondimeno, assumendo ai fini dell'argomentazione che la narrazione del Trevelyan sia fattualmente valida, il suo resoconto mostra effettivamente per quale ragione si verificò la transizione dal primo all'ultimo stato. Egli riusd a mostrarla· intercalando numerosi avvenimenti fra co e C12 e "colmando" in questo modo la lacuna temporale fra lo stato iniziale e quello finale in una sequenza. Il problema è quello di determinare in quale modo l'introduzione di questi elementi supplementari nell'anzidetto resoconto contribuisca alla spiegazione del mutamento nell'atteggiamento di Buckingham. In secondo luogo, non vi è generalizzazione alcuna che ci metta in grado di inferire da co la verisimiglianza di Ct. Al contrario, sulla base dell'informazione contenuta nel resoconto del Trevelyan, Ct può essere solo considerato come un avvenimento del tutto estraneo a co e deve essere accettato proprio come un fatto "bruto", cioè quale condizione iniziale non spiegata proprio come c0• Un'identica considerazione può esser fatta anche riguardo ad alcuni degli altri eventi menzionati nella narrazione, per esempio, riguardo a c1 nella sua relazione con gli avvenimenti che lo precedono nella serie di cui sopra. In terzo luogo però, una volta che siano dati co e Ct noi possediamo sicuri fondamenti per presumere che si verificherà pure c2 se accettiamo come valida l'assunzione (designamola ai fini di futuri riferimenti 'Lot,2') che in generale gli uomini divengono impazientì quando credono
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che i loro piani vengano ripetutamente frustrati da persone che essi avversano. Di conseguenza, siamo in grado di spiegare c2. Inoltre, dato che la condizione co continua ad essere presente durante l'esistenza di cr, le due condizioni possono essere considerate come condizioni iniziali simultaneamente esistenti per Lor,2, cosi la spiegazione ha la struttura probabilistica che già ci è familiare. Spiegazioni analoghe possono essere date per altri eventi nella sequenza sopra citata, qualora si assuma che si siano verificate le condizioni necessarie successivamente realizzate per esse, e se sono disponibili delle generalizzazioni accettabili concernenti quelle condizioni e quegli eventi. In particolare, c12 può essere spiegato in questo modo se supponiamo che c11 si sia già verificato e cosi pure che ci sia una certa generalizzazione Lu, 12 ben fondata circa le risposte degli uomini a condizioni come quelle presenti in eu: per esempio, la generalizzazione secondo cui la maggior parte degli uomini, credendo di essere avversati essi stessi nonché i membri della propria stirpe da un gruppo straniero, e avvertendo anche l'odio con cui i membri della propria stirpe contraccambiano quell'avversione, sviluppano essi stessi atteggiamenti fortemente antagonistici verso quel gruppo. Da ultimo, bisognerebbe osservare, che il numero di avvenimenti che il resoconto del Trevelyan interpola fra co e C12 potrebbe essere sia aumentato che diminuito. L'entità di questo numero dipende da varie considerazioni; fra l'altro, dalla quantità di particolari che uno storico trova conveniente includere nella sua storia, forse per motivi di carattere artistico o a causa del desiderio di menzionare solo ciò che è "piu importante"; dall'informazione circa il passato che è effettivamente a sua disposizione; dalla portata della sua investigazione e dal livello di analisi che egli adotta per conseguirla; dalle generalizzazioni implicite che egli assume per spiegare gli eventi interpolati; e dalla sua concezione delle prove necessarie richieste per mostrare in modo convincente che valga fra gli eventi che sta esaminando qualche supposta relazione di dipendenza. Alcuni autori hanno sostenuto che il modello conveniente per spiegazioni soddisfacenti di eventi particolari in tutti i campi di indagine, e non solo nella storia umana, è quello di una "serie continua di avvenimenti"." Tuttavia, se una serie temporalmente ordinata di avvenimenti deve essere comunque menzionata, solo un numero finito di essi può essere menzionato e di conseguenza, nessuna spiegazione effettiva può illustrare il modello "serie continua", sia nella storia umana che in qualunque altra disciplina. È nondimeno vero che, in spiegazioni storiche del tipo di quella che stiamo ora considerando, gli storici tentano di "colmare" le lacune temporali nei loro resoconti di eventi intercalando altri avvenimenti. Questo fatto però non mostra, come si è talvolta sostenuto, che tali spiegazioni storiche facciano a meno di as12 WILLIAM DRAY, Laws and Explanation in History, New York, 1957, c. 3, particolarmente pp. 66-72, 79-81.
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sunzioni generali nel modo che noi abbiamo indicato. Al contrario, quel fatto è del tutto congruente con l'uso di assunzioni generali da parte degli storici; e noi abbiamo proprio discusso alcuni dei motivi per cui gli storici tentano tali interpolazioni, cosi come alcune delle considerazioni che controllano la loro selezione degli avvenimenti che essi interpolano. Caratterizziamo ora la struttura logica della spiegazione fornita dal Trevelyan del motivo per cui, nell'autunno del 1623, Buckingham si oppose al matrimonio del principe Carlo con l'infanta. Il suo resoconto è un esempio di ciò che viene comunemente detto una "spiegazione genetica" di qualche evento o stato di cose particolare: un tipo di spiegazione menzionato nel capitolo II e frequente nella biologia (nelle analisi ontogenetiche ), nella geologia storica, e in altre branche delle scienze naturali, e non solo nella storia umana. Formuleremo perciò lo schema delle spiegazioni genetiche in termini generali, senza particolare riferimento alla narrazione del Trevelyan, anche se continueremo ad usare con lievi modifiche la notazione introdotta discutendo di quell'esempio. Una spiegazione genetica di un evento o stato di cose particolare Ct, verifìcantesi nel momento t, mostra che c1 è il risultato di una serie di avvenimenti il cui termine iniziale è un qualche avvenimento o stato di cose Co che esisteva prima di Ct." Di conseguenza, la spiegazione implica il riferimento a una serie di eventi co, c,, ... , c;, ... , Ck, c/, Ck", ••• , Ct. Alcuni di tali eventi possono esser pervenuti all'esistenza piu o meno simultaneamente (questi sono indicati per mezzo delle lettere con lo stesso indice in basso, ma diverso indice in alto) e può darsi che essi si sovrappongano quanto alla durata; la maggior parte però è pervenuta all'esistenza in momenti diversi. Inoltre, un evento è presumibilmente menzionato entrù la serie solo se è una condizione indispensabile per il verificarsi di qualche evento posteriore in tale serie. La struttura logica di una spiegazione genetica per un particolare avvenimento può perciò venire caratterizzata nel modo seguente: a) le sue premesse appartengono all'una od all'altra delle due classi C e G; ciascun enunciato S; della classe C è singolare quanto alla forma, e asserisce che l'evento (o "condizione") c; si è verificato. Sebbene gli enunciati della classe G siano di rado formulati esplicitamente nelle spiegazioni genetiche, essi sono generali quanto alla forma e sono di solito statistici (o quasi statistici) anziché rigorosamente universali. Queste generalizzazioni asseriscono relazioni di dipendenza fra vari tratti caratteristici degli eventi c;; per esempio, la generalizzazione L;,k potrebbe enunciare che eventi analoghi sotto certi aspetti a c; e c; sono per la 13 I motivi per scegliere c0 invece di che altro avvenimento nel passato come termine iniziale della serie sono di solito complessi. Essi possono dipendere da elementi quali l'oggetto dell'indagine, il livello di analisi adottato, l'informazione già in possesso dell'uditorio a cui la spiegazione è diretta, o persino la necessità di qualche punto conveniente nel quale cominciare la spiegazione.
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maggior parte seguiti da eventi analoghi a Ck; b) gli enunciati relativi a casi particolari (cioè, quelli della classe C) rientrano in due sottoclassi C1 e Cz. Per ciascun enunciato in C1 si può dare una spiegazione che è o probabilistica o (ma piu raramente) deduttiva, e alcune premesse di essa appartengono a C ed altre a G, sottintendendo che un enunciato S; relativo a casi particolari non costituisce una premessa in una spiegazione né per c; né per qualsiasi altro avvenimento che preceda c;. L'enunciato St relativo a casi particolari (enunciato che afferma l'accader~ dell'evento per il quale la spiegazione genetica vien proposta) deve ovviamente appartenere a C1, dato che altrimenti Ct non sarebbe spiegato geneticamente. La sottoclasse Cz, invece, contiene tutti gli enunciati di C che non appartengono a C1 e che non possono perciò essere spiegati nel modo in cui sono spiegati quelli in C1. Di conseguenza, gli enunciati contenuti in C2 sono quelli che formulano nella spiegazione genetica le condizioni iniziali da accettarsi semplicemente come dati. Cz deve contenere almeno un enunciato, vale a dire So, e in generale ne conterrà molti di piu. Infatti, è un aspetto distintivo delle spiegazioni genetiche il fatto che gli enunciati di condizioni iniziali in Cz sono abbastanza numerosi, che le condizioni da essi specificate non pervengono tutte simultaneamente all'esistenza, e che tali condizioni per la maggior parte non possono venir enunciate prima del loro verificarsi. In breve, una spiegazione genetica di un evento particolare è in generale analizzabile in una sequenza di spiegazioni probabilistiche, le cui premesse relative a casi particolari si riferiscono ad eventi che si verificano in momenti diversi anziché contemporaneamente, e che nel migliore dei casi sono solo alcune delle condizioni necessarie anziché la totalità delle condizioni sufficienti per gli avvenimenti che le premesse aiutano a spiegare. 3. Passiamo da ultimo a spiegazioni di eventi globali, costituiti dalle azioni di molti uomini, quali l'emergere di qualche nuova istituzione sociale, l'incremento della popolazione in un dato paese durante un periodo determinato, o lo scoppio di una certa guerra. Avvenimenti di questo tipo, specialmente quando coinvolgono un gran numero di esseri umani o hanno una considerevole dimensione temporale, non sono di solito il risultato di un piano deliberato o di un'azione concertata; e spesso non sono neppure scopi consapevolmente contemplati da un qualunque individuo che partecipi a tali eventi. Di conseguenza, le spiegazioni proposte per essi suscitano fra gli storici maggiori controversie di quante non ne suscitino i resoconti di azioni individuali. Infatti i "fattori" o "forze sociali" a cui tali eventi collettivi sono attribuiti da storici differenti spesso variano considerevolmente, e gli aspri disaccordi che continuano ad esistere fra studiosi, indubbiamente competenti sull'adeguatezza di molti di questi resoconti, testimoniano dell'assenza di teorie, relative ai mutamenti sociali, ben fondate e generalmente ac-
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cettate. Tuttavia, noi non ci interesseremo dei problemi sostanziali sorti da spiegazioni di questo tipo, né della ..validità di alcune delle numerose "teorie di causazione storica" (cioè, delle assunzioni piu o meno chiaramente articolate circa le determinanti dei mutamenti sociali) che frequentemente sottostanno a tali resoconti. Ci interesseremo esclusivamente dello schema astratto presentato da spiegazioni di questo tipo. Dato però che limitazioni di spazio precludono l'esame diffuso e dettagliato di parecchi esempi di tali spiegazioni, esempi che soli renderebbero giustizia alle difficoltà di tale schema, saremo in grado di considerare solo pochi dei suoi aspetti piu importanti. Accade raramente di poter spiegare un evento collettivo che possegga un grado apprezzabile di complessità considerandolo come un esempio di qualche tipo ricorrente di evento, e mostrando poi la sua dipendenza da condizioni esistenti antecedentemente alla luce di qualche generalizzazione (implicita o esplicita) circa eventi di tale tipo. Per esempio, gli storici non tentano di spiegare la riforma protestante considerandola semplicemente come un caso di riforma in generale (o anche della classe piu ristretta di riforme religiose in generale) e sostenendo, in effetti, che dal momento che le riforme hanno luogo sotto certe condizioni e dal momento che quelle condizioni si realizzarono in Germania nel XVI secolo, la riforma protestante fu il loro risultato. In primo luogo, infatti, assumendo che tali avvenimenti su larga scala possano essere utilmente classificati come esempi di vari tipi opportunamente descritti, il numero di casi noti di un dato tipo risulta di solito molto piccolo; e, dato che sono scarse le prove per generalizzazioni circa le condizioni in cui si verificano eventi di un dato tipo, generalizzazioni attendibili circa eventi che appartengono ai vari tipi, sono nel migliore dei casi molto rare. In secondo luogo, anche assumendo che si siano di fatto verificati parecchi esempi di un dato tipo di evento collettivo su larga scala, debbono però esistere certamente fra di essi importanti differenze; e, persino se sono disponibili generalizzazioni attendibili circa eventi di quel tipo, tali generalizzazioni probabilmente non si rivelano molto utili per spiegare il verificarsi di un dato esempio di quel tipo. Per esempio, in passato si sono verificate ripetutamente delle rivoluzioni politiche, e il fenomeno è stato ampiamente studiato." Sebbene la rivoluzione americana del 1775, la rivoluzione cinese del 1911, e quella russa del 1917 siano tutti casi particolari di questo fenomeno, esse differiscono in modo significativo quanto alle circostanze in cui si verificarono e al decorso del loro sviluppo; e le generalizzazioni disponibili circa le rivoluzioni come classe di eventi collettivi sono di scarso aiuto nello spiegare, perché nel 1917 in Russia si verificò una rivoluzione. 14 Cfr. ALFRED MEUSEL, Revolution and Counter-Revolution, in Encyclopedia of the Social Sciences, New York, 1934, vol. 13, pp. 367-75; e CRANE BRINTON,. The Anatomy of Revolution, ed. riv., New York, 1952.
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Di conseguenza i critici di ciò che venne poi detto il modello di spiegazione mediante "legge di copertura" (cioè, la concezione secondo cui spiegazioni soddisfacenti di eventi particolari posseggono forma deduttiva, cosicché un evento da spiegare deve essere sussunto sotto una legge rigorosamente universale che serva da premessa nella spiegazione) hanno indubbiamente ragione nel sostenere che le spiegazioni storiche di eventi globali non presentano questo schema." In effetti, questa loro tesi rimane valida se viene ampliata fino a sostenere che la forma di tali spiegazioni di solito non è neppure probabilistica, nel senso che l'evento da spiegare può essere semplicemente sussunto sotto un' appropriata generalizzazione statistica. Nondimeno, queste ammissioni non servono a sostenere l'ulteriore opinione dei critici del modello anzidetto secondo cui non interviene nessuna assunzione generale (vuoi esplicita che implicita) nelle spiegazioni di eventi collettivi. In effetti se si assume che i fatti ammessi confermino questa opinione, un'argomentazione analoga esigerebbe l'accettazione da parte nostra della conclusione che nessuna legge fisica sia necessaria per spiegare il comportamento, ad esempio, di una particolare locomotiva a vapore, dato che non vi sono di fatto leggi fisiche che riguardino in modo specifico le locomo-tive a vapore e sotto cui la locomotiva designata possa essere sussunta come singola unità. Q!lesta conclusione però sarebbe evidentemente erronea. Per spiegare il comportamento di una locomotiva, bisogna ammettere che questa sia un sistema di parti componenti piu o meno integrato (per esempio, fornace, caldaia, ruote motrici, fanale di testa, ecc.), le cui diverse operazioni possono essere spiegate solo in termini di varie leggi circa fenomeni fisici rivelati dalle componenti (per esempio, varie leggi della meccanica, dèlla termodinamica, dell'ottica, ecc.), cosf che le caratteristiche dell'intero sistema (per esempio, forza di trazione, velocità di movimento, efficienza, ecc.) possano alla fine essere esibite come prodotti di interazioni fra alcune delle parti. Il modo in cui gli storici spiegano un avvenimento globale che è caratterizzato da una considerevole complessità è in effetti del tutto analogo. Gli storici non possono trattare un evento siffatto come un tutto unitario, ma devono prima analizzarlo in numerose "parti" Q "aspetti" costitutivi. L'analisi è di frequente intrapresa allo scopo di mostrare certe caratteristiche "globali" dell'evento completo inteso come il risultato della particolare combinazione di componenti che l'analisi cerca di specificare. L'obiettivo fondamentale del compito dello storico: però, è di mostrare perché quelle componenti fossero effettivamente presenti; ed egli può conseguire questo scopo solo alla luce di assunzioni generali (di solito tacite) concernenti alcune delle condizioni in cui quelle componenti presumibilmente si verificano. Di fatto, persino l'analisi di un evento collettivo è controllata in larga misura da tali as15
WILLIAM DRAY,
op. cit., c. 2.
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sunzioni generali. Prima di tutto, la delimitazione dell'evento stesso la selezione di alcuni dei suoi tratti caratteristici invece di altri per descriverlo e anche per metterlo in questo modo in contrapposizione con precedenti stati di cose a partire dai quali presumibilmente si è sviluppato, e-l'adozione di qualche particolare momento o circostanza per fissare i suoi presunti inizi - dipende in parte dalla concezione generale dello storico circa le variabili "fondamentali" nei cui termini l'evento deve essere inteso. Secondo, le componenti che uno storico distingue in un evento quando cerca di spiegare in modo analitico il suo accadere sono di solito quelle le cui condizioni determinanti "piu importanti" sono specificate dalle generalizzazioni che egli normalmente assume circa quelle componenti, cosi che tali determinanti sono di frequente proprio quelle che egli cerca di scoprire in qualche configurazione effettiva di avvenimenti verificatasi antecedentemente o contemporaneamente all'evento collettivo che egli sta investigando. In breve, generalizzazioni di qualche sorta appaiono tanto essenziali nelle premesse delle spiegazioni di eventi globali quanto nelle spiegazioni di azioni individuali. Il modo specifico in cui un evento collettivo è concettualmente scomposto in "parti" o "aspetti" maneggevoli varia cosi a seconda dei preconcetti che uno storico introduce nella sua ricerca come pure a seconda dell'entità dell'evento e delle circostanze presenti in esso. È nondimeno conveniente distinguere fra due ampie classi di spiegazioni per eventi che vengano analizzati nelle loro componenti: quelle che trattano di eventi che si considerano avere origine "ex abrupto", quali la riforma protestante, la guerra civile americana, o la caduta della repubblica tedesca di Weimar; e quelli che si interessano di eventi che si suppone non abbiano inizi definibili ..nettamente ma siano "in continuità" con precedenti stati di cose, quali il feudalesimo in Europa, lo sviluppo del capitalismo moderno, o la rivoluzione industriale. I nostri scopi, tuttavia, saranno soddisfatti se discuteremo solo spiegazioni del primo tipo. In spiegazioni di questa sorta, gli storici distinguono spesso fra la causa "immediata" (o "scatenante") di un evento, e le sue cause "sottostanti" (o "fondamentali"). Una causa immediata è di solito qualche avvenimento di durata relativamente breve che dà origine all'avvenimento collettivo; può trattarsi di un "evento naturale" (per esempio, un terremoto catastrofico), di un'azione individuale (l'atto di un assassino), o di un avvenimento collettivo (una disfatta militare). Le cause sottostanti a cui gli storici frequentemente si riferiscono sono di solito designate, in termini ovviamente metaforici, come "forze sociali" e sono costituite di modi di agire relativamente durevoli come pure di normali forme di comportamento che vengono manifestate da vari gruppi di individui anònimi. Le forze sociali spesso menzionate nelle spiegazioni storiche sbno per esempio le costrizioni imposte da strutture politiche, l'influenza di istituzioni e interessi economici, i controlli eser-
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citati da religioni organizzate, le coercizioni che scaturiscono da attività e organizzazioni militari, e l'operare di varie credenze, idee, e aspirazioni come si manifestano negli atteggiamenti e nelle attività di coloro che le posseggono. Esaminiamo brevemente un esempio tipico di spiegazioni di questa sorta. Nel suo resoconto sulla caduta della repubblica di Weimar, lo storico britannico Barraclough trova che parecchie classi sociali, identificate parzialmente in termini delle loro aspirazioni divergenti, svolsero ruoli importanti in quell'evento: la classe degli ufficiali e gli Junkers, votati agli ideali dell'aristocrazia terriera prussiana; i gruppi economici rappresentati dai magnati dell'industria e della finanza; gli operai delle industrie ispirati da obiettivi socialisti; il ceto medio dei commercianti e degli impiegati, e i contadini, non inseriti in forme di lavoro organizzato a causa di atteggiamenti politici e religiosi tradizionalmente acquisiti; e gli equivalenti dei finanzieri e industriali tedeschi nei paesi alleati vittoriosi, oppositori del socialismo sia all'estero che in pattia. Barraclough descrive lo schieramento di questi gruppi come esisteva prima del crollo della repubblica di Weimar, facendo risalire in alcuni casi i motivi di tale schieramento fino alla guerra dei trent'anni; la parte però immediatamente rilevante di questo resoconto inizia con la fine della I guerra mondiale. Secondo Barraclough, per quel che concerne il destino finale della repubblica di Weimar, "il dado era già tratto fin dal 1919" poiché la nuova costituzione non integrò le sue forme politiche liberali con l'indispensabile redistribuzione del potere politico ed economico. Cosi, malgrado la sconfitta della Reichswehr, la classe che essa rappresentava continuò ad avere una parte decisiva nella politica tedesca, sebbene fosse apertamente ostile alle istituzioni liberali del nuovo ordine. Le organizzazioni sindacali non diedero alla costituzione di Weimar il loro appoggio incondizionato poiché non avevano alcuna speranza di realizzare i loro obiettivi fondamentali entro l'intelaiatura di quel sistema. Il potere dei grandi interessi industriali fu lasciato senza freni, in parte a causa del timore di un intervento straniero se fossero state adottate misure socialiste. La repubblica di Weimar ebbe bensf il sostegno delle classi medie; ma esse non esercitavano alcun effettivo potere e non vedevano motivi per allearsi con i movimenti di sinistra. Questo equilibrio instabile di forze sociali fu da ultimo turbato dalla crisi economica del 1929. Già impoverite dall'inflazione che si era verificata sette anni prima, le classi medie persero fiducia nella repubblica di W eimar e si volsero al nazionalsocialismo con la speranza di migliorare la loro sorte. L'esercito, gli Junkers, e gli industriali però, contando sul consenso delle classi loro corrispondenti nei paesi alleati, videro anch'essi in Hitler un'occasione favorevole per .. eliminare decisamente la minaccia del comunismo in Germania, e per stabilire il loro incontrastato dominio, servendosi di Hitler come di un loro strumento. L'ascesa al potere di Hitler, conclude Barraclough, "fu
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opera di Hindenburg rappresentante dell'esercito, di von Papen rappresentante dell'aristocrazia, di Hugenberg; il magnate della stampa, e di Thyssen che rappresentava gli industriali della Ruhr" .16 Tenendo presente questo esempio, lo schema di questo tipo di spiegazione può essere rappresentato in forma schematica come segue: Sia Et un evento collettivo il cui inizio sia fissato in un certo tempo t; e supponiamo che, analizzando Et, si trovi che ha come componenti una serie di forze sociali F,, F2, ... , F;, ... , Fn interagenti in un modo Rt. Supponiamo inoltre che l'analisi riveli che quelle forze sono state connesse in un certo tempo s di poco precedente a t nel modo R. (che indicheremo come uno stato di "equilibrio"). Il compito, secondo l'usuale concezione di spiegare perché Et si sia verificato consta cosf di due parti: perché accadde che lo schieramento delle forze si è mutato da R. a Rt? e perché quelle forze erano nello schieramento R. nel tempo s? Si risponde di solito alla prima domanda in termini dell'accadere nel tempo t di un evento scatenante e1 che ha prodotto un qualche effetto su una o piu delle forze componenti F;, sconvolgendo in tal modo l'equilibrio R•. 17 Risulterà chiaro, tuttavia, che questa risposta dà per •~ G. BARRACLoUGH, The Origins o/ Modern Germany, New York, 1957 (trad. it. a cura di G. Cacciapaglia, Firenze, 1959, p. 302, vol. 2). 17 Alcuni storici tendono a minimizzare il ruolo degli eventi scatenanti. Secondo un autore recente, per esempio, " .. .la 'causa immediata' non è realmente una causa; essa è meramente in una catena di eventi, tendenze, influenze e forze, il punto in cui l'ef· fetto incomincia a divenire visibile. È l'evento scatenante che serve come la caduta di un fiammifero in un ammasso di materiale infiammabile, o il colpo del cane di un fucile su un esplosivo. Come tale è un buon filo conduttore verso gli antecedenti che possono essere piu soddisfacentemente descritti come 'cause'. La linea piu soddisfacente di indagine non è: Che cosa si sarebbe verificato se questo 'accidente' non fosse accaduto? Essa è piuttosto: Come le circostanze portarono ad un tale passo? Come poteva un mero accidente quale la ritardata consegna di un messaggio o il prendere un posto sbagliato in una parata [i riferimenti qui sono rispettivamente il ritardo di Luigi XVI nel notificare all'Assemblea Nazionale che nessuna adunanza doveva essere tenuta il 20 Giugno 1789, e il posto sbagliato preso dall'autista dell'arciduca Francesco Ferdinando a Seraievo] portare, ad una rivoluzione mondiale o a una guerra mondiale? Quando è segurta questa linea la risposta a ciò che avrebbe potuto essere stato diviene di solito facile: ci si ritiene spesso soddisfatti perché, se non era per quell'accidente, qualche altro successivo avrebbe avuto lo stesso effetto, poiché le tendenze, le influenze e i fattori determinanti erano ancora operanti..." (Loms GoTTSCHALK, Understanding History, New York, 1950, pp. 210-11). Sebbene questa concezione sia comprensibile come una reazione contro le spiegazioni storiçhe che tentano di spieg2re il passato esclusivamente in termini di eventi scatenanti, essa in realtà getta via il bambino insieme all'acqua del bagno. Se si assume che un evento E non si sarebbe verificato nell'istante t a meno che qualche evento scatenante e non si fosse verificato nello stesso tempo, è evidentemente assurdo sostenere che nell'assenza di e l'evento E si sarebbe nondimeno verificato nell'istante t. Certamente, se E non si fosse verificato nell'istante t, avrebbe potuto, verificarsi in qualche altro tempo; ma dato che senza e le condizioni "tuttora operanti" non sono sufficienti a produrre E, allora infatti per il verificarsi di E in qualche altro tempo deve accadere qualche altro evento scatenante ed è del tutto possibile che non se se verifichi nessuno. Se la tesi citata fosse valida, sarebbe follia impedire a un individuo con un fiammifero acceso di !asciarlo cadere in un ammasso di materiale infiammabile, dato che secondo il ragionamento su cui la tesi è fondata una combustione si avrà comunque. Ciò che l'autore palesemente ha in mente è una distinzione fra le cause "piu importanti" e "meno importanti" di un evento, distinzione che ci occuperà nel prossimo paragrafo di questo capitolo.
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scontato una qualche generalizzazione circa i probabili effetti di eventi come er sopra circostanze come quelle sussunte sotto le forze sociali F;. Per esempio, secondo Barraclough la crisi economica'-del 1929 distrusse la fedeltà delle classi medie tedesche alla repubblica di Weimar. L'assunzione implicita sottostante a questa tesi sembra essere che, quando vengano duramente colpiti da disastri economici non imputabili alla loro propria azione, ma all'operare di un sistema sociale, gli individui generalmente si mostrano insoddisfatti di quel sistema specialmente se esso non offre alcuna prospettiva di sollecito miglioramento. La seconda parte del compito di spiegare l'accadere di Er richiede che sia dato un resoconto dello sviluppo di ciascuna delle forze sociali da un certo stadio precedente fino al suo stato al tempo s. Tali resoconti comportano comunemente varie tappe simili a quella richiesta nel completare la prima parte di tale compito, ma, nonostante questa complicazione, ciascuno di questi resoconti ha la forma di una spiegazione genetica. In breve, spiegazioni di eventi globali sono formate dall'intrecciarsi di resoconti subordinati i cui schemi sono quelli di spiegazioni probabilistiche e genetiche. Gli eventi collettivi che sono sensibilmente complessi non vengono cosi spiegati di solito sussumendoli come singole unità sotto i concetti astratti che appaiono nelle generalizzazioni. Di conseguenza, si è spesso sostenuto non solo che le spiegazioni storiche di tali eventi (specialmente nella storia umana) differiscono fondamentalmente quanto allo schema logico dalle spiegazioni nelle scienze generalizzanti, ma anche che i concetti stessi impiegati nella storia umana avrebbero una struttura logica radicalmente dissimile dalla struttura dei "concetti generali" nelle scienze generalizzanti. In particolare, i concetti generali si conformano al princiipo logico ben noto secondo cui le estensioni dei termini variano inversamente alle loro in tensioni. Per esempio, i termini generali 'organismi viventi', 'animale', e 'uomo' sono disposti in ordine di estensione decrescente, cosi che la classe di enti designata da un termine include h classe designata dal termine seguente; ma le intensioni di questi termini sono crescenti, cosi che gli attributi connotati da un termine includono gli attributi connotati dal termine precedente; pertanto, sebbene la classe degli uomini sia inclusa nella classe degli animali, gli attributi definienti del termine 'animale' sono solo una parte degli attributi definienti del termine 'uomo'. Invece si afferma che questo principio non sarebbe soddisfatto dai "concetti individuali" impiegati nello studio storico, dato che quanto piu è inclusivo l'evento designato da un termine siffatto, tanto "piu ricco" e "piu pieno" è il suo significato. Cosi, si è detto che il termine 'illuminismo francese' ha un'estensione piu ampia del termine 'vita di Voltaire' ma possiede anche un'intensione piu piena.18 18 HEINRICH R.ICKERT, Die Grenzen der naturwissenscha/tlichen Begri/fsbildung, IV ed., Tiibingen, 1921, pp. 294-95.
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Nessuna di queste tesi, tuttavia, resiste alla prova. Abbiamo gra osservato che le scienze naturali applicate, quali k scienze meccaniche che si interessano di meccanismi automotori, comutÌemente spiegano le operazioni di sistemi complessi analizzando prima tali sistemi nelle loro componenti, cosicché lo schema di queste spiegazioni non è interamente dissimile dallo schema di molte spiegazioni storiche per eventi collettivi complessi. Inoltre, dato che le spiegazioni nella cosmogonia fisica e nella biologia evoluzionistica (per menzionare solo due scienze teoriche) hanno parzialmente carattere genetico, la struttura totale di queste spiegazioni non è distinguibile dallo schema dei resoconti storici che abbiamo discusso. Di conseguenza, sebbene questo schema possa presentarsi piu frequentemente nella storia che in altre branche di indagine, esso non è del tutto estraneo alle scienze generalizzanti. In ogni caso, si può però dimostrare che è erroneo sostenere che il principio della variazione inversa dell'estensione con l'intensione non valga per "i concetti individuali" della ricerca storica. Infatti tale tesi confonde due relazioni del tutto diverse: la relazione di inclusione fra le estensioni di due termini con la relazione tutto-parti fra un caso particolare di un termine e un qualche componente di quel caso particolare. Cosi l'estensione del termine 'carburatore' non è inclusa nell'estensione del termine 'veicolo' (dato che i carburatori non sono veicoli), sebbene un carburatore possa essere una parte di un'automobile che è un veicolo (e di conseguenza una parte di un caso particolare dell'estensione del termine 'veicolo'); e, sebbene il termine 'veicolo' possa avere un "significato piu ricco" del termine 'carburatore', questa maggiore ricchezza non viola il suddetto principio logico. Analogamente, l'estensione del termine 'vita di Voltaire' non è inclusa nell'estensione del termine 'illuminismo francese', malgrado il fatto che la vita di Voltaire sia parte dell'illuminismo francese (cosicché il termine 'illuminismo francese' è senza dubbio "piu ricco di significato" del termine 'vita di Voltaire'). Analogamente, il principio logico in discussione è semplicemente non applicabile a questi termini, piu di quanto non lo sia ai termini 'carburatore' e 'veicolo'; e, di conseguenza, né l'una né l'altra coppia di termini può annoverarsi come una possibile eccezione a tale principio. In breve, non sembra ci sia alcun fondamento per l'assunto secondo cui l'indagine storica sulle vicende umane differirebbe radicalmente dalle scienze generalizzanti naturali e sociali, sia riguardo agli schemi logici delle sue spiegazioni sia riguardo alle strutture logiche dei suoi concetti.
III. Problemi ricorrenti nell'indagine storica Anche se le spiegazioni storiche non posseggono caratteri logici assolutamente unici, e anche se i problemi metodologici della storia
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umana hanno le loro controparti in altre branche di indagine, tuttavia alcuni di questi problemi generano difficoltà e disaccordi che sono particolarmente acuti nella ricerca di spiegazioni attendibili degli eventi umani del passato. Esamineremo tre di tali problemi ricorrenti: il valore del carattere selettivo dell'indagine storica per il conseguimento dell'obiettività storica; il criterio per assegnare ordini di importanza relativa ai fattori causali; e il ruolo che svolgono e la base su cui si fondano i giudizi controfattuali sul passato. l. È un luogo comune che la ricerca nella storia come negli altri settori della scienza operi scelte e faccia astrazioni dall'oggetto concreto dell'indagine, e che per quanto dettagliato possa essere un discorso storico esso tuttavia non è mai un resoconto esaustivo di ciò che effettivamente è accaduto. Abbastanza stranamente, sebbene gli studiosi di scienze naturali siano stati di rado turbati nelle loro proprie branche di studio da qualcosa di confrontabile con questi ovvii tratti distintivi dell'indagine storica, il carattere selettivo della ricerca storica continua ad essere uno dei motivi fondamentali addotti dagli storici per giustificare la netta contrapposizione che essi frequentemente tracciarono fra altre discipline e lo studio della storia umana, e il principale sostegno per lo scetticismo che molti di essi manifestano riguardo alla possibilità di pervenire a spiegazioni storiche "obiettive". Abbiamo già vagliato la maggior parte dei problemi sollevati da queste tesi scettiche, quando abbiamo discusso (nel c. XIII) gli ostacoli che si oppongono a una scienza sociale avalutativa. Non ripercorreremo lo stesso cammino, ed esamineremo brevemente solo alcune difficoltà che si presentano nel modo di stabilire spiegazioni ben fondate che sono state citate essenzialmente in connessione con l'indagine storica. a) Gli storici sono stati talora messi in gravi difficoltà dalla circostanza che essi non possono sperare di rendere la "piena realtà" di ciò che si è manifestato o di enunciare la serie totale di condizioni causali di ciò che è accaduto, perché un resoconto storico di un evento può considerare solo pochi dei suoi aspetti e deve fermarsi ad un certo punto nel rintracciare i suoi antecedenti. Secondo Charles A. Beard, per esempio, La domanda chiave è: Che cosa possiamo conoscere circa questa totalità che tutto comprende detta storia? Milioni, miliardi, di fatti storici sono stati stabiliti in modo indiscutibile per mezzo delle ricerche di studiosi competenti. Le biblioteche ne sono zeppe ... Possiamo però afferrare questa totalità che include tutte le relazioni, conoscerla, formulare le sue leggi, ridurla ad una scienza esatta, o ad un qualsiasi tipo di scienza? Se ogni tenia particolare delle cose umane tratta solo di un aspetto e quell'aspetto è condizionato da altri aspetti, dobbiamo porci questa domanda, a meno che non decidiamo deliberatamente di essere dogmatici, di fissare confini arbitrari alla discussione, di far torto alla nostra propria conoscenza.
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La struttura della sdenza
Dato però che la mente umana non può racchiudere la continuità senza soluzione del passato, Beard sostenne che "lo scegliere 'eventi' e 'cause' a partire dalla totalità è un atto dell'umano volere, per qualche scopo che scaturisce dalle concezioni umane di valori ed interessi", cosi che ogni spiegazione proposta di un avvenimento passato porta il marchio dell'arbitrarietà e della soggettività." La questione fondamentale sollevata da questa tesi è se un resoconto di un qualche evento passato risulti inevitabilmente distorto ed erroneo per il mero fatto che lo storico si rivolge ad un problema limitato e tenta di risolverlo per mezzo di investigazioni che non trattano dell'intero passato. L'opinione, tuttavia, secondo cui la risposta al problema è affermativa implica la concezione che noi non possiamo avere una conoscenza adeguata di una qualunque cosa a meno di non conoscere tutto; è un corollario della dottrina filosofica dell"'internalità" di tutte le relazioni.l<J Se questa dottrina fosse valida, ogni resoconto storico che potrebbe essere costruito da un'intelligenza finita dovrebbe essere considerato una versione necessariamente mutilata di ciò che accadde effettivamente; in effetti, tutte le scienze e tutti i discorsi analitici dovrebbero essere condannati in un identico modo. La tesi, però, che tutte le spiegazioni storiche sono intrinsecamente arbitrarie e soggettive è comprensibile solo in base all'assunzione che la conoscenza di un argomento deve essere identica a quell'argomento o deve riprodur/o in qualche modo; e questa assunzione, cosi come la tesi che l'accompagna, deve essere rifiutata come assurda. Cosi, una mappa non può essere sensatamente caratterizzata come una versione distorta della regione che essa rappresenta, semplicemente perché la mappa non coincide con la regione o non menziona ogni elemento che può effettivamente esistere in quella regione; al contrario, una "mappa" che fosse disegnata in scala e che non omettesse nulla sarebbe una mostruosità assolutamente senza scopo. Analogamente, la conoscenza intesa come il risultato di un'indagine storica non è inadeguata meramente perché essa non riguarda ogni cosa del passato, o perché essa risponde solo alla specifica domanda circa il passato che diede inizio all'indagine ma non riesce a rispondere ad ogni altro problema concernente ciò che è accaduto. Tutta la conoscenza discorsiva, tuttavia, è il prodotto della ricerca istituita al fine di risolvere questioni determinate (e quindi delimitate). È perciò un ideale di oggettività non solo irrealizzabile, ma anche assurdo quello che esige che una spiegazione storica sia caratterizzata come "soggettiva" se tale 19 Da The Discussion o/ Human A/Jairs di C. A. BEARD, Macmillan Co., 1936, con il cortese permesso di Wm. Beard e Mrs. Miriam B. Vagts, pp. 79-81. "' Questa è la dottrina che gli attributi o le relazioni che una cosa ha nel caso di un esame umano (per esempio, di un essere sposato, o di aver 5 dollari nel suo portafoglio in un certo giorno) sono logicamente necessitati dagli attributi o dalle relazioni con tutte le altre cose, cosi che ogni cosa è rilevante in un certo grado per ogni altra. Per una critica della dottrina, cfr. ERNsT NAGEL, Sovereign Reason, Glencoe, 111. 1954, c. 15.
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spiegazione non enuncia "tutto ciò che è stato detto, fatto, e pensato da esseri umani sulla terra dal tempo in cui l'umanità incominciò il suo lungo cammino"." Di conseguenza, il mero fatto che le indagini storiche trattino aspetti selezionati del passato, o che le spiegazioni storiche non considerino ogni cosa come causalmente rilevante per ogni. altra cosa, non è una ragione decisiva a favore dello scetticismo riguardo alla possibilità di una storia umana obiettivamente garantita. b) Una concezione erronea, alquanto diversa seppur correlata, va anch'essa incontro a questi dubbi dettati dallo scetticismo. Si è talora implicitamente assunto che, in quanto ogni condizione causale per un evento ha le sue proprie condizioni causali, l'evento non risulta mai correttamente spiegato a meno che non siano pure spiegati i termini dell'intera serie regressiva (e teoricamente infinita) di condizioni causali. Per esempio, è stato sostenuto che Un sermone battista in Atlanta, se cerchiamo di spiegarlo, ci riporta indietro attraverso la riforma protestante fino alla Galilea e molto al di là fino alle oscure origini della civilizzazione. Noi possiamo, se vogliamo, fermarci ad un certo punto lungo la linea di relazioni, ma ciò è un atto arbitrario della volontà e fa violenza alla ricerca della verità in questione.22 Ma si fa davvero violenza alla verità fermandosi in un punto scelto a caso della serie regressiva? Forse che B non è una causa di A sempli" cemente perché C è una causa di B? Quando la posizione di un pianeta in un dato istante è spiegata in termini di teoria gravitazionale e di informazione circa la condizione iniziale del sistema solare in un certo istante precedente, è forse insoddisfacente la spiegazione per il fatto che queste condizioni iniziali non sono state esse stesse spiegate e che sono il risultato di configurazioni ancora precedenti del sistema solare? C'è un errore nella spiegazione della legge di Boyle in termini della teoria cinetica dei gas, perché questa teoria non viene essa stessa spiegata? È dubbia una dimostrazione del teorema di Pitagora per il fatto che il punto di partenza della dimostrazione è una serie di assunzioni che CHARLES A. BEARD, op. cit., p. 69. CHARLES A. BEARD, op. cit., p. 68. C'è una certa ironia nel fatto che lo scetticismo teorico del Beard non gli impedf come storico militante di offrire spiegazioni vigorosamente enunciate di numerosi avvenimenti storici. La sua convinta spiegazione della guerra civile americana come il culmine di una lotta fra due sistemi economici incompatibili è ben nota. Egli fu ugualmente franco nel sostenere che la sentenza sul caso Dred Scott da parte della Corte suprema degli Stati Uniti nel 1857 fu il prodotto delle ambizioni del giudice McLean, uno dei giudici antischiavisti, che progettò di emettere un'opinione dissenziente in favore della restrizione della schiaviru in vista di guadagnarsi la candidatura repubblicana per la presidenza. "Al di là di ogni dubbio", Beard conclude il suo resoconto dell'argomento, "la forte insistenza del giudice McLean circa la promulgazione delle sue concezioni a tutti i costi fu un fattore guida nel forzare i giudici schiavisti a pronunciarsi contro la validità del Compromesso del Missouri ". CHARLES A. e MARY R. BEARD, Tbe Rise of American Civilization, New York, 1930, vol. 2, p. 19, citato col permesso dell'editore the Macmillan Company. 21
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non vengono a loro volta dimostrate? Queste sono domande retoriche, e le risposte ad ognuna di esse sono ovviamente ed uniformemente negative. Supporre che nessuna spiegazione sia irì ultima analisi soddisfacente a meno che vengano pure spiegati tutti gli elementi a partire dai quali è costruita, significa accettare la confusione insita nelle fantasticherie filosofiche dell'irrazionalismo, che disperano della capacità dell'intelligenza umana discorsiva di scoprire la "reale" natura delle cose poiché l'indagine scientifica non può rispondere alla domanda perché esista qualcosa invece che nulla del tutto. Inoltre, che cosa vi è precisamente di connesso col sermone battista in Atlanta per cui si deve cercare una spiegazione? Ciò che va spiegato è forse perché un dato individuo pronunciò un sermone in un determinato tempo ed in una determinata occasione, o perché egli scelse un particolare testo ed un particolare tema, o perché capitò che si presentasse quella occasione, o perché in Atlanta prosperano i battisti, o perché i battisti si svilupparono come una setta protestante, o perché avvenne la riforma protestante, o perché sorse il cristianesimo nei tempi antichi, o perché ebbe origine la vita civile? Queste sono tutte domande distinte; e una risposta adeguata a una di esse non è la risposta a nessuna delle altre, e non è minimamente pertinente ai problemi sollevati da qualcuna delle altre. Di conseguenza, una volta che l'evento da spiegare sia reso ragionevolmente definito, è in sé contradditorio sostenere che una spiegazione dell'evento data da uno storico sarebbe obiettivamente garantita solo se per prima cosa egli completasse una serie di spiegazioni, ciascun termine della quale è costituito da una spiegazione dei dati assunti nel termine precedente. D'altro lato, il fatto che un problema può suggerirne un altro, e cosi condurre ad una serie eventualmente infinita di nuove indagini ed ulteriori spiegazioni, testimonia semplicemente della vasta complessità di un dato argomento e del carattere progressivo dell'impresa scientifica. Quel fatto non serve da sostegno all'assunto che, se una tale serie non vien completata, ogni soluzione proposta per un dato problema sia necessariamente una mutilazione della verità. c) Un ulteriore aspetto dell'argomentazione scettica riguardo all'intrinseca soggettività (o "relatività") della storia umana esige una breve menzione. Secondo una forma autorevole di questa argomentazione, la storia non sarebbe che un'estensione artificiale della memoria ed avrebbe molti dei difetti di quella facoltà umana. In particolare, le cose che un individuo ricorda sono non soltanto un frammento delle cose attraverso cui è passato; ma sono pure indelebilmente colorate dalla immagine di sé che egli ha e dai suoi mutevoli interessi in tempi diversi. In modo analogo - cosi la tesi prosegue - la storia come memoria sociale è radicalmente influenzata da ciò di cui la società ha bisogno per preservare le sue tradizioni ed i suoi ideali in quanto
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contemplati alla luce dei problemi correnti, e per ant1c1pare ciò che il futuro può arrecare in vista del passato ricordato. Di conseguenza, sosteneva Cari Becker, la storia vivente, la serie ideale di eventi che noi fissiamo e riteniamo nella memoria, dato che è cosf intimamente associata con ciò che noi stiamo facendo e con ciò che noi speriamo di fare, non può essere precisamente la stessa per tutti in un qualunque momento determinato, o la stessa per una generazione come per un'altra. Infatti, sebbene gli storici possano pervenire a una conoscenza obiettivamente fondata concernente "fatti" relativamente "semplici", la determinazione di tali fatti è solo una piccola parte del loro compito. 23 In effetti, "generalmente parlando, tanto piu un fatto storico è semplice, chiaro, definito e suscettibile di prova, tanto meno è utile a noi in se stesso e per se stesso". Al contrario, gli storici cercano di "interpretare" tali fatti; ed essi perciò continuano a compiere la funzione esercitata dai bardi e dai novellieri in tempi lontani per allargare ed arricchire Io specioso presente comune a noi tutti affinché la "società" (la tribu, la nazione, o tutta l'umanità) possano giudicare su ciò che è da farsi alla luce di ciò che è stato fatto e di ciò che si spera di fare. Di conseguenza - cosi l'argomentazione conclude - dato che i fatti non dichiarano i loro propri significati ma hanno i significati a loro imposti dagli storici, e dato che, nella natura del caso, un'attribuzione di significanza da parte di uno storico a un particolare avvenimento del passato non può essere controllata esaminando ripetute "messe in atto" di esso in condizioni diverse, un ineliminabile elemento personale o soggettivo entra in ogni ricostruzione storica. 24 Sebbene sia fuori di discussione il fatto che le tendenze generate da 23 Quando le moderne tecniche di critica interna ed esterna possono essere impiegate per valutare l'autenticità e la validità di vari tipi di testimonianze, c'è di solito un accordo quasi completo fra gli storici su tali "fatti semplici" quali: se si fosse effettivamente verificato un qualche preteso evento (per esempio, se un panico millenaristico si sia verificato in Europa alla vigilia dell'anno 1000 d. C.); quando esso si è realmente verificato (per esempio, se la Dichiarazione di Indipendenza fu firmata il 2 agosto 1776, anziché il 4 luglio dello stesso anno); quali furono gli individui che parteciparono ad esso (per esempio, se Re Giorgio IV di Inghilterra fu presente alla battaglia di Waterloo), e cosi via. 24 CARL BECKER, Everyman His Own Historian, "American Historical Review," vol. 37, 1931·32, pp. 227·32; vedi pure dello stesso autore: Wat Are Historical Facts? "Western Politica! Quarterly", vol. 8, 1955, pp. 327-40. Queste manifestazioni di scetticismo impedirono a Becker di concludere la sua argomentazione nell'ultimo saggio citato con l'osservare che, a differenza dalla ricerca storica, gli sviluppi nelle scienze naturali hanno avuto una profonda influenza sulla vita sociale. "Cento anni di ricerca scientifica hanno trasformato le condizioni di vita. Come questo sia avvenuto è noto a tutti." È ovviamente difficile per uno storico di professione mettere in pratica lo scetticismo circa la conoscenza storica che egli può formalmente professare.
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vari condizionamenti (sociali, religiosi, ideologici, morali, o etnici) spesso colorino le ricostruzioni persino di storici la cui autorità ed integrità personale sono fuori di discussione," tale argomentazione tuttavia giustifica assai poco uno scetticismo su vasta scala circa la possibilità dell'obiettività storica. Non vi è alcuna prova, in primo luogo, a sostegno della tesi secondo cui i problemi attuali di una società determinerebbero invariabilmente il carattere dell'indagine di uno storico su specifici problemi relativi al passato. In effetti, gli storici talora propongono resoconti del tutto simili per un dato avvenimento, malgrado siano membri di gruppi sociali diversi o abbiano condizionamenti personali diversi; e, inversamente, essi presentano talora spiegazioni del tutto dissimili, malgrado abbiano dei preconcetti in comune. 26 Inoltre, anche se il clima sociale in cui gli storici lavorano avesse una decisiva influenza sulle loro investigazioni, le prospettive per conclusioni obiettivamente fondate nella ricerca storica non sarebbero perciò necessariamente senza speranza, infatti il perseguire un'indagine storica obiettiva potrebbe benissimo essere uno degli ideali apprezzati e desiderati da una società e capaci di influenzare le ricerche di uno storico. In secondo luogo, sebbene le spiegazioni che gli storici propongono per un dato evento frequentemente differiscano fra loro, esse non sono necessariamente incompatibili. Come è stato osservato precedentemente nel presente capitolo, le spiegazioni storiche non enunciano le condizioni sufficienti per un dato avvenimento. Resoconti diversi di qualche avvenimento passato possono di conseguenza differire (e spesso effettivamente differiscono) solo nel menzionare differenti condizioni necessarie per quell'evento, cosicché le spiegazioni diverse si integrano l'una con l'altra anziché contraddirsi. Certamente, gli storici frequentemente non concordano sulla "importanza" relativa che assegnano ai vari fattori che possono citare come condizioni necessarie per un avvenimento; ma, come vedremo, sebbene esistano serie difficoltà in connessione con tali giudizi, le difficoltà in questione non sono di principio insuperabili. 25 La deliberata falsificazione a vantaggio di qualche causa preferita è oggi rara fra storici di professione in paesi non soggetti a regimi autoritari; e l'accettazione non critica di enunciati dimostrabilmente erronei o di enuncati non adeguatamente convaldati da fatti non è il modo piu frequente con cui gli storici rivelano la loro partigianeria. In effetti, non è inconcepibile che di due resoconti storici sullo stesso periodo ciascuno possa contenere solo enunciati indiscutibilmente corretti circa questioni di fatto particolare (o "semplice") ma che ciascuno sarebbe nondimeno contrassegnato da una tendenza distintiva. Infatti due resoconti di questo tipo potrebbero differire in ciò che essi menzionano o tacciono, nel modo in cui essi giustappongono gli eventi che entrambi riferiscono, o nell'enfasi posta su vari fattori che entrambi ammettono come operanti; e, di conseguenza, uno dei resoconti potrebbe in realtà essere un'argomentazione a favore di una concezione delle mete e dei litniti dello sforzo umano in opposizione alla concezione difesa dall'altro resoconto. 26 Per una discussione dei diversi atteggiamenti che gli storici hanno nel trattare la guerra civile americana, vedi HowARD K. BEALE, What Historians Have Said About the Causes o/ the Civ il W ar, in T heory and Practice in Historical Study, "Social Science Research Council Bulletin", n. 54, 1946, pp. 55-102.
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In terzo luogo però, l'ovvia impossibilità logica di rimettere in atto un dato avvenimento del passato non prova che le spiegazioni storiche per ciò stesso non siano controllabili, e non siano perciò suscettibili di essere obiettivamente fondate. Se questa argomentazione fosse valida, un'argomentazione rigorosamente analoga proverebbe che nessuna decisione da parte dei tribunali concernente la colpevolezza di imputati accusati di un qualche misfatto potrebbe eventualmente essere basata su prove obiettive. Tuttavia, sebbene talora i processi abbiano come risultato decisioni errate, sarebbe un'assurda esagerazione sostenere che ogni vertenza termini in un insuccesso della giustizia, o addirittura che una giusta conclusione da parte di un tribunale sia un fatto del tutto casuale. Come già è stato indicato (nel c. XIII), vi sono altre tecniche, diverse da quelle della manipolazione sperimentale manifesta, per ottenere una conoscenza fattuale attendibile. Si deve ammettere da ultimo, che la storia è spesso professata come una delle belle arti, paragonabile sotto certi aspetti alla poesia, e che le ricostruzioni storiche sono frequentemente destinate non semplicemente a comunicare la conoscenza, ma a descrivere in forma drammatica le azioni passate degli uomini per provocare e rafforzare un'attiva simpatia per certe qualità e certe aspirazioni umane. Nondimeno, il sapore morale deliberatamente immesso in un saggio storico non è intrinsecamente incompatibile con il fatto che esso sia un adeguato resoconto obiettivo degli eventi che discute. Gli studiosi di scienze naturali sono talora analogamente mossi da scopi morali ed estetici, e la passione morale e l'abilità letteraria con cui alcuni di essi descrivono i risultati nei loro settori di indagine (per esempio, Galileo per la fisica o D'Arcy Thompson nell'epoca attuale per la biologia) non pregiudicano automaticamente il contenuto obiettivamente garantito delle loro esposizioni. In breve, nessuna delle considerazioni che sono state menzionate giustifica uno scetticismo senza riserve concernente la possibilità di un'attendibile conoscenza storica. 2. Sebbene la meta della spiegazione scientifica sia talvolta definita come la scoperta delle condizioni necessarie e sufficienti per il verificarsi dei fenomeni, abbiamo avuto ripetute occasioni di osservare che questo ideale viene raramente raggiunto persino nei settori piu altamente sviluppati delle scienze naturali. Inoltre, l'indagine storica forse non è neppure implicitamente diretta verso questa meta, ècl è in ogni caso molto piu lontana da essa di quanto non Io siano le scienze fisiche e biologiche. Nelle loro normali attività di ricerca in quanto distinte da ciò che talora essi dicono, gli storici sembrano rimanere imperturbabili di fronte al fatto manifesto che le loro spiegazioni non enunciano mai altro che alcuna delle condizioni indispensabili per gli avvenimenti che essi investigano. Essi possono ammettere la loro ignoranza delle condizioni sufficienti premettendo alle loro spiegazioni la clausola ceteris
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paribus, ma i loro sforzi riescono a specificare una serie parziale anziché completa di determinanti di un certo avvenimento e a identificare in questa serie parziale quelli che essi giudicano essere, i fattori "piu importanti", "essenziali", "primari", "primi", o "principali". Per esempio, secondo uno storico, la "causa essenziale" dell'entrata dell'America nella I guerra mondiale fu l'adozione da parte della Germania della guerra sottomarina indiscriminata; e, sebbene vengano menzionati anche altri fattori "concomitanti" che hanno svolto una funzione importante, non si assume che tali fattori esauriscano le determinanti di quell'evento. T al e "cara tura" dei fa t tori causali in relazione alla loro "importanza relativa" viene spesso liquidata come essenzialmente "arbitraria" o addirittura "priva di significato", sia in base al fatto che non vi è alcuna garanzia per scegliere un avvenimento come causa di un dato evento piuttosto di qualche altro avvenimento precedente ad esso (per esempio, dato che la guerra sottomarina indiscriminata fu la risposta della Germania al blocco britannico, si è detto talora che quest'ultimo avvenimento è stato tanto importante per l'entrata in guerra dell'Amerièa quanto il primo), sia in base al fatto che nessun senso verificabile può essere assegnato a caratterizzazioni quali "piu importante" o "principale" in connessione con fattori causali. Si deve ammettere che le scienze naturali non sembrano avere alcun bisogno di assegnare gradi di importanza relativa alle variabili causali che entrano nelle loro spiegazioni; e dò invita a negare perentoriamente la possibilità che tale graduazione delle variabili abbia un fondamento obiettivo, in base al fatto che se un fenomeno si verifica solo quando certe condizioni sono realizzate allora tutte queste condizioni sono. ugualmente essenziali, cosicché non si può dire sensatamente che nessuna delle condizioni sia "piu essenziale" delle altre. Inoltre, si deve pure riconoscere che la maggior parte degli storici non sembrano associare alcun senso definito ai loro enunciati circa l'importanza relativa dei vari fattori causali, e che tali enunciati spesso hanno solo un valore retorico, ma non un contenuto empiricamente verificabile. Nondimeno, tali enunciati si trovano non solo negli scritti degli storici ma anche nelle pubblicazioni di altri studiosi delle cose umane cosi come nel linguaggio çhe gli uomini impiegano per le faccende ordinarie della vita. Per esempio, gli studiosi di scienze sociali sostengono <:he lo sfasciarsi del nucleo familiare è una causa piu importante per la delinquenza giovanile che non la povertà, o che la mancanza di una forza lavoro specializzata è un motivo piu fondamentale per lo stato arretrato di una economia che non la mancanza di risorse naturali; e i genitori sostengono che le aule sovraffollate sono la causa prima delle <:attive prestazioni scolastiche dei loro ragazzi. Enunciati di questa sorta, propongono manifestamente qualcosa anche se per solito non è chiaro ciò che vogliono significare. Sebbene la maggior parte degli in.dividui che formulano tali enunciati possano forse essere d'accordo sul 600
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fatto che la verità dei loro enunciati sia· spesso discutibile, essi rifiuterebbero probabilmente il suggerimento secondo cui gli enunciati sono privi di significato e che ogni volta che essi asseriscono un enunciato di questa sorta stanno invariabilmente dicendo un'assurdità. Dobbiamo perciò tentare di rendere esplicito ciò che si intende con tali enunciati. Gli enunciati, tuttavia, che ascrivono un ordine di importanza relativa ai fattori determinanti di fenomeni sociali sembrano essere associati a una varietà di significati, cosi che devono essere distinti parecchi sensi diversi di "piu importante". A questo fine, assumiamo che A e B siano due di tali fattori, ciascuno specificato con cura e chiarezza ragionevoli, e che un fenomeno C dipenda in qualche modo ·da essi; e consideriamo alcuni dei possibili significati che sembrano essere frequentemente espressi da enunciati aventi la forma 'A è una determinante piu importante (o basilare, o fondamentale) per C di quanto non sia B'. a) Supponiamo per prima cosa che A e B siano entrambi condizioni contingentemente necessarie per il verificarsi di C, non discutendo per ora se la loro presenza congiunta sia o no sufficiente per produrre C. Assumiamo inoltre che "a parità di condizioni" le variazioni in A (con conseguenti variazioni in C) abbiano luogo molto frequentemente (e siano eventualmente al di là di un controllo efficace), mentre le variazioni in B si verifichino cosi infrequentemente (o possano essere cosi efficacemente controllate) da poter essere ignorate per tutti gli scopi pratici. Questo specifica un senso in cui talora si dice che A è piu importante di B come determinante di C. Supponiamo ad esempio che una forte avversione verso gli stranieri ed una stringente necessità di sbocchi economici supplementari siano entrambe condizioni necessarie per l'adozione di una politica estera imperialista da parte di una nazione industriale; e supponiamo pure che la xenofobia nel paese varii di poco se pur varia durante periodi relativamente brevi, mentre il bisogno di mercati stranieri aumenti costantemente. Nel primo senso di 'piu importante', il bisogno di sbocchi economici supplementari è una causa dell'imperialismo piu importante di quanto non lo sia l'avversione verso gli stranieri. Di conseguenza, se si riscontra che un certo paese è impegnato in una politica di aggressione imperialistica in un tempo specificato, e se l'investigazione mostra che prima di questo evento non vi è stato un rimarchevole mutamento negli atteggiamenti xenofobi dei suoi cittadini ma che la ricorrente superproduzione in un certo numero delle sue industrie ha prodotto una domanda crescente di nuovi mercati, uno storico potrebbe sostenere che di questi due fattori il secondo è stato piu importante (in questo primo senso) nel portare all'adozione della politica imperialistica. b) Un secondo senso di 'piu importante' è un pò piu complicato. Assumiamo di nuovo che A e B siano entrambi necessari per il veri-
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ficarsi di C. Supponiamo però che vi sia qualche modo per "misurare" le variazioni in ciascuna delle variabili A, B, e C; almeno nel senso limitato che, sebbene le entità dei mutamenti in una variabile possano non essere paragonabili con le entità dei mutamenti nelle altre, tuttavia si possano confrontare tra loro i mutamenti all'interno di una qualsiasi delle variabili. Assumiamo inoltre che un mutamento proporzionale in C venga prodotto da un qualsiasi mutamento proporzionale in A in misura maggiore che non da un uguale mutamento proporzionale in B. Di conseguenza, ad A potrebbe essere assegnato un piu alto grado di importanza come determinante di C che non a B. Per esempio, supponiamo che per la produttività industriale sia indispensabile un'adeguata scorta di carbone come pure una forza lavoro specializzata; supponiamo però che un incremento del 10% nella forza lavoro specializzata dia un volume di merci prodotte (misurato da qualche apposito indice) considerevolmente piu grande di quello che si ottiene coll'aumento del 10% nella scorta di carbone. Di conseguenza, in questo secondo senso di 'piu importante' la disponibilità di una forza lavoro specializzata sarebbe una determinante piu importante della produttività industriale che non la disponibilità di carbone. c) Supponiamo poi che A sia una condizione contingentemente necessaria per C, e che, sebbene B non lo sia, essa nondimeno appartenga ad una serie K di fattori reciprocamente indipendenti (B, Bt, ... , Bn) tale che una condizione necessaria per C sia costituita dalla presenza di qualcuno degli elementi di K. Supponiamo pure che i vari elementi di K ricorrano pressappoco con la stessa frequenza, dove la frequenza di questo ricorrere sia in ogni caso considerevolmente maggiore che non la frequenza con cui è presente A. Di conseguenza, dato che la frequenza con cui ricorre uno qualsiasi fra gli elementi di K è maggiore della frequenza con cui ricorre proprio B, allora, anche se B non ±osse presente quando A è presente, possono nondimeno venire realizzate le condizioni necessarie per C a causa della presenza di qualche altro elemento di K. Queste stipulazioni specificano un senso di 'piu importante', che è forse quello piu frequentemente inteso quando si importante di B. Cosf, supponiamo che una condizione dice che A è necessaria A per\l'emigrazione da un paese ad un altro sia l'insoddisfazione per le cond{zioni politiche o economiche nella madre patria, e che un'ulteriore con4izione necessaria sia il presentarsi di qualsiasi altro evento scatenante ( q~le disoccupazione, notizie promettenti circa prospettive piu brillanti in un paese straniero, reperimento di fondi per pagare le spese di viaggio, e simili), dove la probabilità che si verifichi l'uno o l'altro di questi diversi eventi scatenanti è elevata ed è maggiore che non la probabilità che se ne verifichi uno particolare, per esempio, che il futuro emigrante reperisca fondi insaspettati. In base a queste assunzioni, l'insoddisfazione politica od economica sarebbe una
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causa piu importante per l'emigrazione che non il reperimento di fondi per il viaggio. È forse nel presente senso che si sostiene che l'adozione da parte della Germania di una guerra sottomarina indiscriminata è la "causa principale" dell'ingresso dell'America nella I guerra mondiale. d) Vi è un quarto senso di 'piu importante', analogo al primo elencato, ma distinto da esso. Supponiamo che la presenza congiunta di A e di B non sia una condizione necessaria per il verificarsi di C, ma che C si verifichi o quando A è presente unitamente ad X o quando B è presente unitamente ad Y, dove X e Y sono fattori determinanti non altrimenti specificati; e supponiamo pure che A in congiunzione con X si verifichi molto piu frequentemente che non B in congiunzione con Y. In tale caso, si potrebbe di nuovo dire che A è una determinante piu importante di C di quanto non lo sia B. Cosf, supponiamo che gli incidenti automobilistici si verifichino sia a causa della negligenza dei guidatori sia a causa dei guasti meccanici in parti vitali delle automobili, e supponiamo che la frequenza con cui tali guasti meccanici causano incidenti sia molto minore della frequenza con cui la negligenza è responsabile di essi. In questo caso, la negligenza sarebbe una causa piu importante per gli incidenti automobilistici (nel senso ora specificato dell'espressione) di quanto non lo siano i guasti meccanici. Usando assunzioni analoghe, uno storico potrebbe del pari concludere che la paura da parte dell'Austria e della Germania del panslavismo fu un motivo piu fondamentale, per lo scoppio della I guerra mondiale nel 1914, che non l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo. e) Supponiamo ancora una volta che la presenza congiunta di A e di B non sia una condizione necessaria per il verificarsi di C; ma assumiamo ora che la frequenza relativa con cui C si verifica quando A è realizzato ma B non lo è, sia maggiore della frequenza relativa del verificarsi di C quando B è realizzato ma A non lo è. Quando assunzioni in qualche senso simili a queste vengono date per scontate, si dice frequentemente che il fattore A è piu importante del fattore B come determinante di C. Per esempio, un enunciato come quello per cui lo sfasciarsi del nucleo familiare è una causa piu fondamentale per la delinquenza giovanile di quanto non lo sia la povertà può forse essere meglio interpretato come significante che la frequenza relativa di delinquenti fra i giovani che provengono da nuclei familiari sfasciati ma non oppressi dalla povertà è molto maggiore che non fra i ragazzi i cui genitori sono poveri ma vivono insieme in buona armonia con i loro figli. Uno storico che studi il sorgere della delinquenza minorile in una certa comunità durante un dato periodo e che attribuisca tale sorgere ad un aumento sia del numero di nuclei familiari sfasciati che del numero di quelli colpiti della povertà può di conseguenza assegnare maggiore importanza al primo di questi fattori causali che non al secondo.
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f) Un ultimo senso di 'piu importante' richiede esplicita formulazione. Supponiamo che A sia una delle nozioni tèoriche fondamentali (primitive o definite) in una teoria T ma che B non lo sia, e anche T possa spiegare una larga classe di fenomeni (incluso C quando esso sia integrato da varie assunzioni convenientemente specializzate); e supponiamo inoltre che per spiegare C debba essere introdotta un'assunzione specializzata riferentesi a B, sebbene la maggior parte degli altri fenomeni nella sfera di applicazione di T possa essere spiegata senza tali assunzioni specializzate che si riferiscono a B. Di conseguenza, la serie di fenomeni che possono essere spiegati per mezzo della teoria T, quando le premesse contengono un riferimento ad A ma non a B, è molto piu numerosa di quanto non lo sia la serie di fenomeni le cui spiegazioni richiedono un riferimento sia ad A che a B. Il fattore A è cosi una determinante non solo di fenomeni per i quali B è pure una determinante (quale il fenomeno C), ma anche i fenomeni per cui B non è un fattore determinante; e si può perciò dire che A è piu importante (o basilare) di B come determinante di C. Per esempio, la nozione di forza inerziale è centrale nella meccanica newtoniana, mentre la nozione di forza di attrito non lo è; ed un'estesa classe di fenomeni può essere spiegata con l'aiuto della teoria newtoniana senza riferimento all'attrito. Invece, i moti di palline che rotolano lungo un piano inclinato possono essere correttamente spiegati solo se le assunzioni della teoria newtoniana sono integrate da assunzioni particolari circa le forze di attrito. Nel presente senso di 'piu importante', le forze inerziali sono dunque piu importanti delle forze d'attrito come determinanti dei moti dei corpi su piani inclinati. Qualcosa di simile a questo senso dell'espressione sembra venir inteso da quelli i quali sostengono che le relazioni di produzione e di distribuzione della ricchezza che operano in una società costituiscono cause determinanti delle sue istituzioni legali piu basilari, di quanto non lo siano le sue credenze e le sue pratiche religiose. I fautori di questa tesi sostengono di solito che un'ampia classe di fenomeni sociali possono essere spiegati con l'aiuto di una teoria formulata esclusivamente in termini di rebzioni economiche. I sostenitori di tale tesi, tuttavia, riconoscono generalmente l'influenza della religione organizzata sopra la società. Sembra però che essi tengano per fermo che la teoria richieda l'integrazione di particolari assunzioni circa le istituzioni religiose solo quando tale teoria viene usata per spiegare certe aree limitate o certi aspetti del comportamento sociale, quale le promulgazioni di certe leggi, o l'impiego di certi individui nelle funzioni giudiziarie. Possono venir distinti altri sensi di 'piu importante' o 'piu basilare', ma i sei menzionati sembrano essere quelli piu frequentemente intesi nelle discussioni sulle cose umane. È pertinente, tuttavia, osservare che, sebbene si possa spesso trovare un significato abbastanza definito per gli enunciati che usano queste espressioni ed altre correlate ad esse, tali enunciati possono non essere fattualmente garantiti. Infatti, per-
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sino quando un enunciato di uno storico concernente l'importanza relativa di vari fattori determinanti per un evento ha un contenuto innegabilmente chiaro e verificabile, è dubbio nella maggior parte dei casi se l'enunciato sia sostenuto da prove adeguate. Non vi sono quasi dati statistici disponibili riguardo alla frequenza relativa con cui si verificano la maggior parte dei fenomeni che sono di particolare interesse per gli storici. Gli studiosi di storia umana sono perciò costretti, volenti o nolenti, a fare assegnamento su congetture ed impressioni vaghe nel determinare l'importanza dei fattori causali. Di conseguenza, vi sono spesso ampie divergenze di giudizio circa quelle che sono le cause prime di un dato evento, e l'opinione di uno storico può essere non meglio fondata di quella di un altro. Se un giorno si riuscirà a porre rimedio a questa insufficienza dell'attuale ricerca storica nello stabilire le attribuzioni causali, rimane una questione aperta; ma le prospettive di miglioramenti sostanziali sotto questo riguardo non sembrano brillanti, dato che è impressionante il costo probabile di misure rettificatrici tanto in termini di lavoro quanto in termini di denaro. Per il momento però, sembra, ad ogni modo, opportuno un prudente scetticismo verso la maggior parte se non tutti i pareri concernenti l'importanza relativa di determinanti causali per gli eventi. 3. Nessuna menzione è stata tuttavia fatta sin qui di una particolare ben nota forma di cui gli storici frequentemente si servono per assegnare un ordine di importatl.za relativa agli eventi, e precisamente quando essi asseriscono condizionali controfattuali circa il passato. Questa forma richiede un breve commento. I giudizi controfattuali vengono spesso esplicitamente introdotti nelle analisi storiche, di solito per sostenere qualche tesi secondo cui un certo evento ha avuto conseguenze cruciali per gli sviluppi successivi. Per citare un famoso esempio, molti storici credono che la battaglia di Maratona nel 490 a. C. sia stata uno dei conflitti militari decisivi nella storia umana; ed essi sostengono questa convinzione per mezzo del giudizio controfattuale che, se i persiani ne fossero usciti vittoriosi, si sarebbe affermata in Atene una cultura orientale teocratico-religiosa, con la conseguenza che la scienza e la filosofia greche, in cui la civiltà occidentale affonda le proprie radici, non si sarebbero sviluppate. È stato talora sostenuto che i giudizi controfattuali non hanno un proprio posto nelle analisi s~oriche, sia perché non è compito dello storico introdurre tali giudizi, sia perché il compito di trovare fondamenti adeguati ad essi è disperato. Secondo un'autorevole scuola di pensiero, per esempio, il compito dello storico è di scoprire ciò che effettivamente accadde e di accertare attraverso quali continue trasfor: mazioni un periodo della vita umana si sia sviluppato da un periodo precedente; di conseguenza, sebbene sia congeniale ad un poeta o ad un moralista l'interessarsi di ciò che avrebbe potuto accadere, non è con-
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veniente far ciò per uno studioso serio del passato. Inoltre - cosi un certo numero di storici ha dichiarato - i giudizi controfattuali sono basati sull'assunzione che il passato possa essere scomposto in una serie di eventi semplici, isolabili, completi, ed esternamente connessi, cosi che il verificarsi o il non verificarsi di uno qualsiasi di questi eventi dichiaratamente non modifica in modo radicale le relazioni fra i rimanenti. Secondo la concezione di questi autori, tuttavia, un'assunzione siffatta sarebbe insostenibile per l'oggetto della storia umana, anche se fosse valida per l'oggetto delle scienze naturali. Secondo costoro, gli eventi del passato sono cosi correlati che l'ipotetico non verificarsi di un singolo evento implica una trasformazione fondamentale di tutti gli altri; ed essi perciò concludono che è impossibile stabilire proprio ciò che si sarebbe verificato se qualche particolare evento non avesse avuto luogo." Ipotesi circa ciò che potrebbe esser stato non possono, però, venir eliminate dalla storia per mezzo di tali argomentazioni. I giudizi controfattuali sonò ineliminabili a meno di rinunciare a tutti i giudizi di rilevanza e a tutti i tentativi di spiegare ciò che è accaduto. Abbiamo avuto occasione di osservare molto precedentemente (nel c. IV) l'intima connessione fra le leggi scientifiche e gli enunciati controfattuali; e pertanto, dato che le spiegazioni storiche richiedono almeno l'uso implicito di assunzioni generali, tali spiegazioni asseriscono, almeno mediante implicazioni, dei condizionali controfattuali. Cosf, uno storico il quale trova che la diffusione della cultura araba nel Nord Africa e nella Spagna meridionale fu uno dei fattori che causarono la rinascita della cultura nell'Europa occidentale durante l'XI secolo, sta di fatto sostenendo che, se le armi mussulmane non fossero state vittoriose in Africa ed in Spagna, l'ulteriore sviluppo culturale dell'Europa avrebbe avuto un diverso esito. Altrimenti la sua manifesta attribuzione di un ruolo causale alla diffusione della cultura araba non sarebbe nient'altro che un elenco cronologico degli eventi che egli sta discutendo. Di conseguenza, quelli che rifiutano la possibilità di giudizi controfattuali nella storia umana devono coerentemente negare anche la possibilità di spiegare qualsiasi evento del passato. 27 Cfr. CHARLES A. BEARD, Tbe Discussion of Human A!fairs, pp. 42-46. Il brano che segue espone concisamente il punto di vista contrario alla possibilità di giudizi controfattuali nella storia: "È assolutamente ozioso chiedersi che cosa il mondo sarebbe diventato se qualche particolare evento ipotetico si fosse realizzato, o se qualche particolare evento reale non si fosse realizzato. Che cosa sarebbe accaduto se Annibale avesse distrutto Roma? Se Luigi XVI fosse stato in grado di fuggire all'estero? Se Napoleone non fosse nato? Il corso della storia sarebbe stato trasformato dall'una o dall'altra di queste ipotesi; ma in quale modo? Dopo una definitiva vittoria di Cartagine, il giuoco della storia avrebbe offerto una moltitudine di diverse possibilità fra rui il caso avrebbe deciso, come fece fra le innumerevoli possibilità che vennero aperte all'umanità il giorno seguente alla vittoria di Roma. Questa incessante interazione del caso rende puramente fantastica qualsiasi ricostruzione del presente e del futuro in base a un'ipotesi non realizzata", PIERRE DE TouRTOULON, Pbilosopby in tbe Development of Law, New York, 1922, p. 631).
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Nondimeno, è in generale un compito niente affatto facile fornire fondamenti soddisfacentemente solidi per i giudizi controfattuali nella storia umana. Tale compito è indubbiamente piu difficile di quanto non lo sia l'analogo compito in molte altre discipline, in parte perché (come è stato spesso osservato) è impossibile effettuare esperimenti su eventi non ricorrenti, ma in larga misura perché sono scarsi i dati rilevanti sulla maggior parte delle questioni intorno a cui gli storici formulano tali giudizi. Malgrado questi svantaggi, il compito non è affatto cosi disperato come si è frequentemente sostenuto. Un esempio di come i giudizi controfattuali siano effettivamente garantiti aiuterà a chiarire sia le difficoltà che devono essere affrontate in una tale impresa sia le considerazioni che gli storici introducono nel tentare di risolverle. In vista di questo fine, esaminiamo i fondamenti sopra i quali alcuni storici basano il loro assunto che la battaglia di Maratona è stata decisiva per la civiltà occidentale. Secondo certi resoconti, era pratica generale degli antichi persiani usare le istituzioni religiose esistenti in un paese da essi soggiogato (per esempio, la Giudea) come strumenti per governare tale territorio; e di conseguenza veniva imposto alla popolazione sconfitta un rigoroso ossequio ai dogmi religiosi. Tali strumenti potenziali di controllo politico certamente esistevano in Atene, nella forma di vari culti misteriosofici che scoraggiavano un atteggiamento critico e che forse erano di origine orientale. La rigida conformità alle esigenze dell'osservanza del credo religioso non è, tuttavia, compatibile nè con la democrazia politica nè con la libera ricerca artistica, scientifica e filosofica. Di conseguenza, è probabile che una vittoria persiana a Maratona avrebbe dato a quei culti misteriosofici un ruolo preminente in Atene, e in questo modo sarebbero certamente diventati dominanti tutti quegli elementi che erano contrari all'uso della ragione e all'organizzazione razionale della • ' • 28 socteta atemese. La conclusione di questa argomentazione probabilistica non è ovviamente garantita al di là di ogni possibile dubbio. Nondimeno, tale argomentazione fornisce un sostegno abbastanza solido alla conclusione precedente e serve ad illustrare l'essenziale irrilevanza per le effettive analisi storiche di obiezioni grossolane, quali quelle sopra menzionate, alla possibilità di giudizi controfattuali della storia umana. Dubbi legittimi, tuttavia, possono venir sollevati circa la validità fattuale e cosi pure circa l'applicabilità al problema in questione di alcune delle premesse date per scontate nell'anzidetta argomentazione. Che valore ha, per esempio, assumere che l'arte, la scienza e la filosofia non fioriscono nelle società autoritarie? Malgrado molti pensatori di orientamento democratico l'accettino, vi sono notevoli eccezioni a tale assun28 Cfr. EDUARD MEYER, Zur Theorie und Methodik der Geschichte, in Kleine Schri/ten, Halle, 1902; e MAX WEBER, Kritische Studien au! dem Gebiet der kulturwissenschaftlichen Logik, in Gesammelte Au/siitze zur Wissenscha/tslehre, cit.
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zione, cosi che essa appare garantita solo se viene asserita con varie qualificazioni, sebbene non risulti chiaro quali siano le qualificazioni necessarie, nè se una forma qualificata dell'assunzione sosterrebbe la conclusione che stiamo discutendo. Consideriamo ora l'assunzione concernente la prassi amministrativa dell'antica Persia nei paesi conquistati. Anche se questa assunzione è valida, la sua applicabilità al problema in questione non può essere data per scontata, e dobbiamo per prima cosa accertarci del fatto che la Persia realmente mirasse a soggiogare Atene. Forse Dario non ebbe alcuna intenzione di fare di Atene una satrapia persiana, ma semplicemente progettò di castigare le città greche ribelli e di ridare al suo amico Ippia il potere in Atene. A meno che questa possibilità possa essere eliminata, la prassi amministrativa della Persia nei paesi soggiogati ha soltanto una rilevanza dubbia come prova del probabile comportamento della Persia in una Atene sconfitta. Inoltre, anche se prescindiamo da questa possibilità, è discutibile se quella prassi amministrativa sarebbe stata seguita in Grecia. Certamente, la Persia dominava i paesi conquistati nell'Asia Minore con mano ferrea. Atene però era ad una maggiore distanza dalla Persia di quanto non fosse la Ionia; e forse il dominio persiano in Atene sarebbe stato di conseguenza meno severo." In breve, sebbene la conclusione di tale argomentazione non sia una mera speculazione infondata ma abbia qualche solido sostegno fattuale, parti dell'argomentazione che fa da sostegno implicano notevoli incertezze che la nostra attuale conoscenza delle leggi del comportamento umano e le prove circa il passato a nostra disposizione sono insufficienti a risolvere. Tuttavia, una maggior difficoltà nel garantire i giudizi controfattuali nella storia umana - come avviene in tutti i ragionamenti che non siano esclusivamente deduttivi o puramente formali - consiste forse nel problema logico di valutare il peso di prove spesso in conflitto per una data ipotesi e di confrontare l'entità del sostegno che le diverse ipotesi ricevono dalle prove disponibili per ciascuna. Infatti in aperto contrasto con ciò che è stato realizzato nel codificare i principi dell'inferenza dimostrativa, non esiste al presente alcun sistema generale, esplicitamente formulato e del tutto unanimemente accettato, di regole logiche per effettuare questi compiti di importanza decisiva. È vero che si sostiene frequentemente che il calcolo matematico della probabilità è una codificazione siffatta dei canoni logici dell'inferenza non dimostrativa; ma la rilevanza del calcolo della probabilità per valutare la validità della prova è dubbio, e in ogni caso suscita ampie discussioni. Di conseguenza, persino conclusioni concernenti argomenti di grandissima importanza pratica sono spesso accettate sulla base delle prove 29 Cfr. la discussione di tali questioni in ]. B. BURY, History o/ Greece, New York, 1937, pp. 243-44.
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la cui forza probativa viene valutata in un modo particolare e differente da individui differenti. Questa mancanza di norme uniformi chiaramente articolate per misurare e armonizzare l'importanza delle premesse probative è indubbiamente causa di molti dei disaccordi fra gli storici quando essi valutano l'importanza comparativa ·dei vari fattori causali, e di conseguenza quando essi formulano giudizi controfattuali circa il passato umano. Per esempio, anche se essi basano i loro giudizi su ciò che è manifestamente una prova identica, storici ugualmente competenti danno spesso valutazioni incompatibili dei ruoli che vari individui hanno svolto in qualche dato episodio; ed essi perciò forniscono valutazioni divergenti circa la probabilità di supposizioni fortemente pertinenti alle loro analisi quale la probabilità che, se Lincoln fosse vissuto, avrebbe avuto piu successo che non Andrew Johnson nel persuadere il Congresso a modificare il suo atteggiamento vendicativo verso il Sud. L'assenza di standard logici comuni, però, è particolarmente considerevole quando vi è necessità di combinare parecchie premesse probanti e di valutare la forza probativa che risulta dalla loro combinazione. Una tale necessità è illustrata dalla discussione sul significato della battaglia di Maratona. Cerchiamo di esporla schematicamente supponendo quanto segue: a) relativamente alla prova che una tirannide orientale soggiogasse uno stato a istituzioni democratiche, gli storici sono d'accordo nell'assegnare un'alta probabilità all'ipotesi h che lo stato vittorioso non avrebbe tollerato il perdurare di quelle istituzioni nel paese vinto; b) relativamente alla prova p' che due paesi con mezzi primitivi di comunicazione e di trasporto risultino separati da una considerevole distanza, gli storici sono pure d'accordo nell'assegnare una bassa probabilità all'ipotesi h' che uno dei due paesi avrebbe esercitato un'influenza dominante sulle istituzioni dell'altro. Combiniamo ora i due elementi di prova p e p'; ed assumiamo la prova ampliata p" per asserire che una tirannide orientale, possedendo solo mezzi primitivi di comunicazione ed essendo separata da una considerevole distanza da uno stato a istituzioni democratiche, soggioghi quest'ultimo. Un problema tipico di molte indagini viene allora sollevato dalla domanda: qual è la probabilità, relativa a p", dell'ipotesi h" che la tirannide orientale avrebbe pregiudicato seriamente o distrutto le istituzioni democratiche della società vinta? Se vi fossero regole generalmente riconosciute e ben fondate per valutare questa probabilità a partire dalle probabilità assunte in a) e in b), il problema se gli eventi di Maratona siano stati decisivi per la civiltà occidentale, come si è spesso sostenuto, potrebbe essere risolto con soddisfacente unanimità. Cosi come stanno le cose, gli storici, come gli altri uomini, si rifugiano, quando tentano tali valutazioni, nei loro giudizi intuitivi, e di conseguenza le stime che essi danno delle probabilità richieste variano talora entro ampi limiti.
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'D'altro lato, sebbene differenze concernenti la validità probativa delIa prova data siano talora cosi numerose da scoraggiare, vi è fortunatamente anche un accordo frequente e sostanziale '·sulle probabilità che gli uomini debbono assegnare a molte ipotesi concernenti questioni di cui essi hanno avuto considerevole esperienza. T aie accordo indica che, malgrado la mancanza di una logica esplicitamente formulata dell'inferenza non dimostrativa, gli uomini hanno acquisito attraverso tentativi ed errori molti atteggiamenti di pensiero non formulati che incorporano principi validi di ragionamento non dimostrativo. Per esempio, un medico può sviluppare modi di analisi, dopo molti anni di pratica, che fanno di lui un diagnostico straordinariamente competente, senza che egli divenga mai consapevole dei principi logici che tacitamente impiega nel trarre le sue inferenze; e analogamente, uno studioso delle cose umane può acquisire dopo ripetuti esperimenti una capacità di valutare il peso e la signifìcanza delle prove, sebbene egli non formuli mai la logica della sua procedura. Analogamente, sebbene giudizi controfattuali nella storia umana non vengano mai determinati al di là di ogni possibile dubbio, e sebbene tali giudizi in casi specifici siano spesso equivoci se non senz'altro erronei, tali dubbi ed errori specifici non costituiscono un fondamento adeguato per rigettare di principio la possibilità stessa di giudizi controfattuali.
IV. Il determinismo nella storia Nel 1920 un valente storico esaminò l'influenza apparentemente decisiva esercitata da numerose persone di fama sopra importanti eventi storici quali la riforma protestante in Inghilterra, la rivoluzione americana, e lo sviluppo del governo parlamentare. Egli valutò allora il supposto ruolo critico che le decisioni e le azioni di questi uomini svolsero nel determinare quegli eventi, generalizzò questi suoi risultati e concluse nel modo seguente: Questi grandi mutamenti sembrano essersi verificati con una certa ineluttabilità; sembra che ci sia stata una direzione indipendente degli eventi, una certa inesorabile necessità dominante il progresso delle cose umane ... Esaminate da vicino, pesate e misurate attentamente, poste nella giusta prospettiva, le influenze personali, casuali, individuali, nella storia perdono significato e le grandi forze cicliche risaltano. Gli eventi, per cosf dire, vengono da se stessi; cioè, essi avvengono cosf correntemente e ineluttabilmente da eliminare dalle cause non solo i fenomeni fisici ma anche le azioni umane volontarie. Sorge cosf il concetto di legge nella storia. La storia, il grande corso delle cose umane, non è stato il risultato di sforzi consapevoli da parte
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di individui o di gruppi di individui, tanto meno. del caso; ma è stata sottomessa a leggi. 30 La visione espressa in questa citazione è una variante di una concezione delle cose umane che è ben nota e che continua ad essere ampiamente sostenuta. Si tratta di una concezione che è stata talora proposta come subordinata a una teodicea; talora a una filosofia romantica dell'organicismo cosmico; talora a una teoria, che si presenta come scientifica, della civiltà, teoria che trova le cause del progresso o della decadenza umana nell'operare di fattori impersonali quali la geografia, la razza, o l'organizzazione economica. Malgrado le importanti differenze fra esse, queste varie dottrine sulla ineluttabilità storica condividono una premessa comune: l'importanza dell'azione umana deliberata, sia individuale che collettiva, ad alterare il corso della storia umana, dato che i mutamenti storici sono dichiaratamente i prodotti di forze che giacciono nel profondo le quali si conformano a schemi di sviluppo prestabiliti, anche se non sempre noti. Si è ripetutamente mostrato tanto da parte degli storici quanto da parte dei filosofi che la dottrina dell'ineluttabilità storica è insostenibile; e non è scopo della presente discussione mostrare una volta di piu le sue molte insufficienze. Basterà osservare che in alcune delle sue varianti la dottrina non ha contenuto empirico, dato che nessuna prova empirica concepibile può mai risultare rilevante per sottoporre a controllo la verità o la falsità di quelle versioni di tale dottrina. Inoltre, quando la dottrina viene formulata in modo da poter essere empiricamente sottoposta a controllo, le prove disponibili non sostengono né la tesi che tutti gli eventi umani illustrino una legge di sviluppo unitaria e transculturalmente invariante, né la tesi che lo sforzo umano individuale o collettivo non operi mai come un fattore decisivo nelle trasformazioni della società. Il rifiuto, tuttavia, di queste tesi non deve essere interpretato come una negazione del fatto che in molte situazioni storiche la scelta e lo sforzo individuale possono contare poco o niente, né vi sono frequentemente limiti accertabili del potere umano a dirigere il corso di mutamenti sociali - limiti che possono essere posti da fatti fisici e geografici, dal patrimonio biologico, dai modi di produzione economica e dagli artifici tecnologici disponibili, dalla tradizione e dall'organizzazione politica, dalla stupidità e dall'ignoranza umana, e cosi pure da varie azioni antecedenti degli uomini. Invece, molti recenti critici dell'ineluttabilità storica sono andati molto al di là della negazione delle tesi manifestamente esagerate di questa dottrina. Essi hanno insistentemente respinto ciò che credono sia la premessa fondamentale sopra cui tale dottrina si appoggia, cioè la concezione che gli eventi umani si verifichino generalmente soltanto 30
EoWARD
P.
CHENEY,
Law in History and Other Essays, New York, 1927, p. 7.
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sotto condizioni determinate e determinanti. Di conseguenza, questi critici hanno tentato di mostrare che un determinismo totale risulta incompatibile sia. con i fatti già accertati della storia umana sia con l'assunzione, sottostante ad ogni discussione di problemi morali, che gli esseri umani siano autenticamente responsabili delle loro scelte ed azioni delibe _·ate. Inoltre, molti pensa tori che rifiutano la dottrina dell'ineluttabilità storica, sono pure critici severi di talune tendenze oggi diffuse nel:a ricerca psicologica e sociale; essi sostengono che, poiché la metodclogia comportamentistica (o "naturalistica"), adottata in queste indagini, si appoggia dichiaratamente in ultima analisi sulla premessa deterministica, la scienza sociale contemporanea sta distruggendo la fede nella libertà umana e perciò sta scalzando i fondamenti dell'impegno morale. La restante parte di questo capitolo prende in esame alcune di queste critiche del determinismo. Tali critiche, tuttavia, di rado rendono esplicito in qual modo il 'determinismo' debba essere interpretato in quanto tesi generale; e, sebbene i critici di tale tesi talora identifichino il determinismo con la dottrina dell'ineluttabilità storica,' 1 di solito si intende con esso una nozione molto piu comprensiva. Dobbiamo perciò richiamare brevemente l'esposizione compiuta nel capitolo X del 5enso in cui il termine 'determinismo' viene comunemente inteso nelle scienze naturali, dato che questo appare pure essere il senso in cui si dice frequentemente che il determinismo è la premessa sottostante alla dottrina dell'ineluttabilità storica. Sarà conveniente riassumere la nostra precedente discussione sul determinismo con l'aiuto di un esempio di un sistema fisico chimico che generalmente è riconosciuto come deterministico." Il sistema consiste in un miscuglio di seltz, whisky, e ghiaccio, contenuti in un thermos sigillato. Si assume che non vi sia aria presente nella bottiglia, e che il miscuglio sia completamente isolato da qualsiasi altra cosa, come per esempio dalle fonti di calore nell'ambiente. Inoltre, le sole caratteristiche del sistema che entrano nella discussione sono le "variabili termodinamiche", quali: il numero di componenti del sistema (le componenti nell'esempio sono acqua, alcool e anidride carbonica), le fasi o tipi di aggregazione in cui le componenti si trovano (nell'esempio, l'acqua si trova in una fase solida, in una gassosa ed in una liquida), le concentrazioni delle componenti in ciascuna fase, la temperatura del miscuglio, e la pressione sulle pareti del recipiente. È ben noto che per una data temperatura e pressione, ciascun componente nel sistema 31 Secondo uno storico, per esempio, il determinismo è la dottrina "secondo cui noi siamo irrimediabilmente afferrati nella presa di un movimento che procede da tutto ciò che è avvenuto prima", PrETER GEYL, Debates with Historians, New York, 1956, p. 236. Questa opinione però non fa testo. 32 L'esempio è tratto da LAWRENCE J. HENDERSON, Pareto's Genera! Sociology, Cambridge, Mass., 1935, c. 3, dove è usato per illustrare il senso in cui, secondo il Pareto, un sistema sociale è deterministico.
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si troverà nelle varie fasi con concentrazioni definite e inversamente. Cosi, se la pressione del miscuglio viene aumentata (per esempio, pte" mendo in giu il tappo del thermos), viene ridotta la concentrazione di acqua nella fase gassosa e viene invece aumentata quella nella fase liquida; e analogamente accade per una variazione della temperatura. Cosi le variabili del sistema stanno ciascuna rispetto all'altra in relazioni definite di interdipendenza, onde si può dire che il valore di una variabile in un qualsiasi istante dato viene "determinato" dai valori delle altre variabili in quell'istante. Supponiamo ora che in un qualunque istante iniziale il sistema si trovi in uno "stato" definito (cioè che, le variabili abbiano certi .valori specifici), e che, a causa di qualche mutamento indotto in quell'istante in una o piu delle variabili, il sistema si trovi dopo un intervallo di tempo t in qualche altro stato definito; supponiamo inoltre che il sistema venga ricondotto in qualche modo al suo stato iniziale, che siano indotti nelle variabili esattamente gli stessi mutamenti di prima, e che dopo lo stesso intervallo t il sistema si trovi di nuovo nel secondo stato. Se il sistema si comporta in questo modo qualunque sia lo stato preso come iniziale, e qualunque sia l'ampiezza dell'intervallo t, si dice che il sistema è "deterministico" rispetto alla serie specificata di variabili termodinamiche. Se abbandoniamo il riferimento ali' esempio fisico chimico, il 'determinismo' può perciò venir definito in modo del tutto generale come la tesi che per ogni serie di attributi (o "variabili") esiste qualche sistema che è deterministico riguardo a tale serie. Di conseguenza, il 'determinismo nella storia' sarà la tesi che, per ogni serie di azioni umane, di caratteristiche individuali o collettive, o di mutamenti sociali che possono interessare lo storico, esiste qualche sistema che è deterministico rispetto a tali elementi - dove le variabili di stato del sistema non sono, però, specificate. Possiamo ora passare al compito che ci siamo riservati per l'ultima parte del presente capitolo, quello cioè di discutere varie critiche al determinismo nella storia. Le obiezioni alla tesi deterministica che verranno qui esaminate rientrano nei seguenti argomenti: l) l'argomento fondato sulla falsità della dottrina dell'ineluttabilità storica e sulla non esistenza di "leggi di necessario sviluppo" nelle cose umane; 2) l'argomento fondato sulla impredicibilità degli eventi umani; 3) l'argomento fondato sulla incompatibilità del determinismo con la realtà della libertà umana. Noi concluderemo però l'esame con 4) qualche riflessione sulla validità della tesi stessa. l. Il primo argomento può brevemente essere enunciato e del pari rapidamente esaurito. Esso è diretto primariamente contro quelle grandiose filosofie della storia, sia di orientamento religioso che laico, le quali pretendono di trovare uno schema fissato di sviluppo nella molteplice successione di eventi che si sono verificati dalle origini della raz-
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za umana, o quanto meno di individuare un ordine invariabile del mutamento sequenziale ripetutamente manifestato in società o civiltà differenti. Entro la prospettiva di alcune di queste filosofie, ogni atto umano sembra avere un posto definito in una struttura inalterabile di mutamenti, e ciascuna società deve necessariamente passare attraverso ad una serie fissata di stadi antecedenti prima che essa possa raggiungere uno stadio susseguente. Inoltre, sebbene gli individui umani siano gli agenti palesi che producono i movimenti della storia, le azioni umane sono viste in molte di queste filosofie nel migliore dei casi soltanto come gli "strumenti" attraverso cui divengono manifeste certe "forze", che operano e si evolvono in conformità con leggi atemporali. Le filosofie della storia di questo tipo spesso possiedono il fascino della grande letteratura drammatica; e pochi dei loro lettori sarebbero disposti a negare i rimarchevoli poteri immaginativi e la straordinaria erudizione che frequentemente entra nella costruzione di esse. Come è già stato accennato, però, quando per giudicare tali filosofie si assume come del tutto rilevante la prova di ciò che è effettivamente accaduto, il risultato è in modo schiacciante negativo. I critici di queste filosofie hanno delle solide basi per respingerle come false. Seguirà tuttavia dalla falsità della dottrina dell'ineluttabilità storica, che non esistono connessioni causali nelle cose umane, e che il determinismo riguardo agli eventi discussi dagli storici è un mito? Quei recenti critici di tale dottrina i quali credono che ciò segua effettivamente dall'anzidetta falsità, non offrono fondamenti espliciti per la loro tesi, e sembrano basare la loro disputa su una concezione straordinariamente ristretta di ciò a cui un sistema deterministico deve risultare conforme. Essi sembrano pensare che, in quanto, il passato umano non mostra nulla di simile alle periodicità regolari di un cronometro ben costruito, gli eventi in quel passato non possono comunque essere elementi di un sistema deterministico. Tuttavia, sebbene un dato sistema possa non riuscire a illustrare qualche schema relativamente semplice di mutamenti, esso può nondimeno esibire uno schema di relazioni di dipendenza piu complesso e non familiare. Inoltre, anche nel caso che un particolare sistema non fosse deterministico rispetto a una serie specifica di caratteristiche, potrebbe darsi che esso non fosse sufficientemente ben isolato da influenze esterne (come nel caso di un orologio i cui movimenti mostrino "irregolarità" a causa dell'influenza di un campo magnetico oscillante); e vi potrebbe perciò essere qualche altro sistema (forse il sistema che include queste influenze esterne insieme col sistema iniziale) che risulta deterministico rispetto alla data serie di caratteristiche. In ogni caso, pur ammettendo che la dottrina dell'ineluttabilità storica sia falsa e che non vi siano leggi di sviluppo necessario nella storia umana, esistono prove capaci di mostrare, ad esempio, che il declino della potenza spagnola
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nel XVII secolo fu in parte la conseguenza della politica coloniale ed economica spagnola, o che la guida di Lenin fu up.a condizione ne· cessaria per il successo della rivoluzione bolscevica. breve, il primo argomento contro il determinismo non raggiunge il suo obiettivo.
In
2. I critici del determinismo tendono a dare gran peso all'obiezio· ne che gli eventi umani sono in misura considerevole impredicibili. Due sensi di quest'ultimo termine sono di solito distinti a questo ri· guardo. Un evento si dice "tecnologicamente" impredicibile se, a cau· sa di limitazioni nella conoscenza o nella tecnologia che gli uomini pos· siedono in un dato tempo, essi mancano della effettiva capacità sia di predire del tutto l'evento, sia di predirlo al di là di un certo grado di precisione. Non costituisce tuttavia ovviamente una seria obiezione contro il determinismo il fatto che gli eventi possano essere impredicibili in questo senso; ed è probabile che nessun critico della tesi deterministica sostenga che i terremoti, per esempio, non hanno condizioni necessarie e sufficienti per il loro verificarsi, in quanto al presente noi non siamo in grado di predire quando si verificherà il prossimo terremoto. Un evento è invece "teoricamente" impredicibile se l'assunzione che il suo verificarsi possa essere calcolato anticipatamente con precisione illimitata è incompatibile con le "leggi di natura", cioè, con il corpus della conoscenza scientifica, e in particolare con le teorie scientifiche già stabilite. L'esempio tipico usato per illustrare questo senso della parola è la precisione limitata con cui, secondo la teoria quantistica corrente, possono essere predetti i processi subatomici. È certo, comunque, che, anche se gli eventi umani vengono assunti come teo· ricamente impredicibili, questa ipotesi ha efficacia come obiezione alla tesi deterministica solo se tale tesi è identificata con l'assunto che di principio gli eventi possono essere predetti con precisione assoluta. 33 È ben vero che, può indubbiamente essere attribuita al 'determinismo' una connotazione tale che di conseguenza il suo significato coincida con quello di 'predicibile'. L'equivalenza però che verrebbe cosi stabilita fra le connotazioni dei termini sarebbe il risultato di un arbitrario fiat, dato che i termini non sono di fatto generalmente impiegati come si· nonimi. Se essi lo fossero, sarebbe assurdo supporre che un qualcosa, che si ammette essere teoricàmente impredicibile, possa nondimeno essere determinato. Tuttavia, malgrado la circostanza che la meccanica quantistica appartenga al corpus della teoria scientifica corrente, 33 Una tale identificazione è stata fatta da Moritz Schlick: '"A determina B' non può significare nient'altro che: B può essere calcolato da A. E questo significa: esiste una formula universale che afferma il verificarsi di B, quando si sostituiscano certi valori alle condizioni iniziali A e inoltre si assegnano valori definiti alle varabili quali il tempo t ... Il termine "determinato" significa dunque esattamente: ciò che è significato da 'predicibile' o 'calcolabile in anticipo"', MoRITZ ScHLICK, Die Kausalitiit in der gegenwartiz.en Physik, Gesammelte Au/siitze, Wien, 1938, pp. 73-74.
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non e m sé contradditorio (sebbene possa essere er,rato) sostenere come Planck, Einstein, e altri hanno sostenuto - che i processi subatomici hanno condizioni determinanti per il loro verificarsi, e che sarebbe desiderabile un'alternativa alla teoria quantistica che non ponesse limiti superiori, come fa quest'ultima, alla precisione con cui alcuni di quei processi sono predicibili. In ogni caso però, nelle scienze sociali non vi è nulla che sia paragonabile alla meccanica quantistica e su cui si possa appoggiare l'assunzione che gli eventi umani siano teoricamente impredicibili. Né le prove effettive permettono di fondare la tesi secondo cui le azioni umane sarebbero di fatto totalmente impredicibili. Sarebbe ridicolo sostenere che ogni dettaglio nel futuro dell'uomo possa essere predetto, o persino pretendere che ogni evento nel passato umano possa essere inferito dai dati disponibili. D'altro canto, non è meno ridicolo sostenere che noi siamo completamente incapaci di predire alcunché circa il futuro degli uomini con una qualche garanzia di essere nel giusto. È quasi un truismo notare che le nostre relazioni personali con gli altri uomini, i nostri ordinamenti politici, le nostre istituzioni sociali, la nostra organizzazione dei trasporti, e la nostra amministrazione della giustizia, non sarebbero ciò che sono se non fossero possibili inferenze abbastanza sicure circa il passato ed il futuro degli uomini. Per la verità, noi non possiamo predire con una qualche sicurezza chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Se però diamo per scontati gli atteggiamenti americani correnti verso i problemi esteri e interni, e teniamo anche conto del presente schieramento delle potenze mondiali, noi abbiamo fondati motivi per essere sicuri che vi sarà un'elezione presidenziale durante il prossimo anno bisestile, che né l'uno né l'altro dei principali partiti politici designerà un comunista, e che il candidato che avrà successo non sarà né una donna né un negro. Queste svariate predizioni sono indefinite sotto certi aspetti, infatti esse non predicono il futuro in modo da escludere tutte le alternative concepibili al di fuori di una. Nondimeno, i pronostici fanno escludere un enorme numero di possibilità logiche; ed essi insistono sul fatto che, sebbene gli esseri umani che parteciperanno ai futuri eventi possano avere un campo considerevole di libera scelta nelle loro azioni, le loro scelte effettive e le loro azioni cadranno entro limiti abbastanza definiti. L'ovvia importanza di tutto questo è che non ogni cosa che sia logicamente possibile è pure storicamente possibile durante un dato periodo e per una data società di uomini; e l'ugualmente ovvia interpretazione di questo fatto è che ci sono condizioni determinanti sia per ciò che si è verificato sia per ciò che si verificherà nelle cose umane. D'altro canto, persino le nostre spiegazioni storiche successive di eventi passati, cosf come le nostre previsioni di quelli futuri, sono per lo piu invariabilmente imprecise e incomplete. Infatti i nostri resoconti di eventi passati, siano questi azioni individuali o collettive, ra-
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ramente se pure lo fanno, spiegano i dettagli esatti di ciò che purtuttavia accadde; e, come abbiamo visto, essi sono riusciti a mostrare solo i fondamenti che rendono probabile il verificarsi di caratteristiche piu o meno vagamente formulate. Noi abbiamo però già esaminato le ragioni della struttura probabilistica delle spiegazioni storiche, e nessuna di esse giustifica il rifiuto del determinismo. 3. L'ultima argomentazione che noi considereremo afferma che un determinismo radicale è incompatibile con l'assioma fondamentale della teoria morale secondo cui gli esseri umani possono essere a buon diritto considerati responsabili delle loro decisioni e delle loro azioni deliberate. Questa obiezione al determinismo ha costituito un tema di dibattito filosofico e teologico sin dali' antichità, ma è stata rinnovata nelle discussioni attuali sulla storia umana e sulla scienza sociale. Noi esamineremo alcuni dei problemi sollevati da questa obiezione nella forma in cui tali problemi sono posti in un libro di Isaiah Berlin.34 Il libro è in primo luogo una critica demolitrice delle filosofie della storia che considerano le vicende umane come il dispiegarsi di un destino ineluttabile che non può essere alterato dallo sforzo degli uomini; tale opera sostiene pure che queste filosofie sono semplicemente dei corollari dell'assunzione che le cose umane sono rigorosamente determinate. Noi trascureremo questo motivo che Berlin produce per rifiutare il determinismo, dato che abbiamo già mostrato che la tesi deterministica non comporta la dottrina dell'inellutabilità storica; ma dobbiamo discutere due ulteriori argomentazioni che egli dirige contro tale tesi. a) Il punto di partenza di Berlin nella prima di queste argomentazioni è il luogo comune generalmente accettato secondo cui un individuo non può essere propriamente considerato moralmente responsabile di una qualsiasi azione qualora sia stato costretto a compierla e non abbia scelto di compierla di sua spontanea volontà. Di conseguenza, se una persona è autenticamente responsabile di un'azione, potrebbe aver agito diversamente se la sua scelta fosse stata diversa. Berlin però crede altresi che secondo la tesi deterministica (intesa da lui come la negazione dell'esistenza di un qualche settore della vita umana non esaustivamente determinato dalla legge), la persona non avrebbe scelto diversamente dal modo in cui di fatto ha scelto, manifestamente perché la decisione dell'individuo nel momento in cui è stata presa, venne determinata da circostanze sopra cui egli non aveva controllo, quali il suo patrimonio biologico ereditario o il suo carattere in quanto plasmato da azioni precedenti. Di conseguenza, a chiunque accetti la tesi deterministica, la supposizione che un uomo avrebbe deciso in modo diverso da come egli decise deve in ultima analisi sembrare un'illusione che si ap34
IsAIAH BERLIN,
Historical Inevitability, London
e
New York, 1954.
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poggia sulla nostra ignoranza dei fatti determinanti la sua scelta. Berlin perciò conclude che il determinismo implica l'eliminazione della responsabilità individuale, dato che non è la libera scelta di un individuo, ma sono piuttosto le condizioni determinanti la sua scelta, che secondo il determinismo spiegano le sue azioni. Egli dichiara, per esempio, Nessuno contesta che sarebbe stupido e anche crudele biasimarmi per non essere piu alto di quanto sono, o considerare il colore dei miei capelli o le qualità del mio intelletto o del mio cuore come se fossero dovuti principalmmte alla mia libera scelta personale; questi attributi sono quelli che sono senza l'intervento di alcuna mia decisione. Se estendo questa categoria limite, allora, tutto ciò che è, è necessario e inevitabile. Biasimare e lodare, considerare diverse possibili linee di azione, condannare o approvare i personaggi storici per le azioni che essi compiono o che hanno compiuto, diviene un'attività assurda. E aggiunge: Se fossi convinto che le scelte quantunque abbiano influenzato ciò che si è verificato, siano pur tuttavia esse stesse pienamente determinate dai fattori non controllabili da parte dell'individuo (inclusi i motivi e gli stimoli suoi propri all'azione), io non potrei certamente considerare tale individuo come moralmente biasimevole o lodevole.' 5 In proposito sono da farsi le due seguenti considerazioni. l) In primo luogo, è ben lungi dall'essere chiaro ciò che è la concezione dell"'ego umano" con cui Berlin opera. Infatti secondo la sua concezione l'ego umano deve manifestamente venir distinto non solo dal corpo umano, ma anche dalle .scelte non piu sotto il controllo dell'uomo, che determinano almeno in parte la scelta che egli sta per fare, e cosi pure dai suoi stimoli all'azione, dalle sue disposizioni, e dai suoi motivi, nella misura in cui questi ultimi sono altresi al di là del suo controllo. È perciò difficile conoscere ciò che resta dell'ego, quando vengano eliminate tutte le cose che in maniera anche minima abbiano influenzato la condotta dell'uomo durante l'istante fuggevole dell'immediato presente. La difficoltà non viene attenuata quando si tenti di capire la con· cezione che Berlin ha dell'ego le cui decisioni sono "libere "secondo il senso che egli dà a questo termine, nel contesto in cut tmmagina qualche persona che delibera circa una linea di azione che dovrebbe adottare, e da ultimo decide fra le svariate alternative da lui contemplate. L'individuo è di solito inconsapevole del fatto che la decisione che alla fine prende può essere l'espressione di una serie di abitudini piu o meno stabili, di impulsi temporanei, dell'attenta cura che egli ha dedicato a qualcuna delle alternative e non alle altre, e cosi via; 35
lsAIAH BERLIN,
op. cit., pp. 26-27
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Problemi della logica dell'indagine storica._
cosi come non è normalmente consapevole dei battiti del suo cuore o dell'organo che li produce. Sembra certamente improbabile che, allorquando l'individuo si riprende dalla sua imbarazzata sorpresa qualora gli venga chiesto se la scelta che da ultimo ha compiuto fosse realmente sua propria, egli esiti a dire che naturalmente lo era. Se però l'individuo divenisse conscio di queste cose circa se stesso, come talora può effettivamente divenirlo, considererebbe la sua scelta quale una scelta un po' meno sua propria? Anche questo sembra improbabile, allo stesso modo che è improbabile che egli rinneghi come suo proprio il battito delle sue tempie, quando scopre che esso viene prodotto dalle contrazioni ritmiche del suo cuore. Secondo la concezione di Berlin, tuttavia, la risposta alla domanda anzidetta, cioè se la decisione fosse effettivamente dell'individuo, deve nell'uno e nell'altro caso essere manifestamente negativa. Berlin si trova perciò di fronte ad un imbarazzante problema pressoché irresolubile: il problema di trovare qualche attività o tratto caratteristico che sia un attributo intrinseco dell'ego umano, ma a condizione che qualsiasi cosa, la quale risulti causalmente dipendente da qualche altra, sia perciò automaticamente privata àella qualifica di parte autentica. dell'ego. Il suo problema è simile a quello cui egli si sarebbe trovato di di fronte, se si fosse assunto il compito di descrivere, per esempio, una palla di baseball, che si muove, senza menzionare alcuno degli attributi la cui presenza nella palla è dovuta ad un agentr qualsiasi (quale il fabbricante che l'ha fatta, il battitore che l'ha colpita, o il sole che brilla sopra di essa); ciò per il motivo che, essendo gli attributi noti della palla come la grandezza, la forma, il colore, e lo stato di moto determinati da fattori esterni, essi non sono autenticamente intrinseci alla palla stessa. Non sono indubbiamente questioni facili da decidere quelle relative al come e al dove debbano venire esattamente segnati i confini dell'ego umano individuale; e le risposte ad esse possono variare nei diversi contesti di identificazione dell'ego, e possono persino dipendere da differenze culturali nei modi in cui l'ego umano viene concepito. Comunque tali confini siano tracciati, essi tuttavia non Io debbono mai essere in modo tale che alla fine non si possa identificare alcunché come l'ego. Certamente non si dovrebbe creare un problema artificioso e insolubile a partire dal fatto che noi siamo frequentemente consapevoli di agire di nostra spontanea volontà e senza costrizioni esterne, anche se riconosciamo che alcune delle nostre scelte sono il prodotto delle nostre disposizioni, delle nostre azioni passate, e dei nostri impulsi presenti. 2) Una seconda osservazione deve essere fatta circa l'argomentazione di Berlin. Stando all'apparenza la sua discussione delle condizioni sotto cui gli esseri umani possono propriamente essere considerati co619
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me agenti responsabili rassomiglia fortemente al ragionamento spesso usato per mostrare che alla luce delle scoperte della fisica moderna la concezione del mondo fornita dal senso comune è un'illusione. Per esempio, è stato sostenuto che, poiché, gli oggetti del senso comune, come i tavoli, sono secondo la fisica dei complessi sistemi di minute particelle in rapido movimento separate da distanze relativamente grandi, è illusorio supporre che i tavoli siano "realmente" dei solidi duri che posseggono superficie continua. Come è stato frequentemente osservato, però, una tale argomentazione è un groviglio di errori. Essa commette l'errore fondamentale di supporre che, non essendo per generale ammissione i termini del senso comune come 'solido', 'duro', e 'continuo' applicabili, quando vengono usati nei loro significati ordinari, a oggetti quali gli aggregati di molecole, tali termini non siano perciò correttamente applicabili ad oggetti macroscopici come i tavoli." La discussione di Berlin soffre di un simile difetto; infatti essa sostiene in un modo analogo che, se vi sono condizioni biologiche e psicologiche determinanti sotto cui si verificano i comportamenti responsabili, gli uomini non possono essere autenticamente responsabili di qualsiasi loro atto, per il motivo che una responsabilità nello stesso senso del termine non può essere correttamente attribuita a quelle condizioni. È nondimeno un fatto empirico, quanto mai comprovato, che spesso gli uomini effettivamente deliberano e decidono fra varie alternative; e niente, che noi abbiamo scoperto o scopriremo circa le condizioni fisiologiche e psicologiche che rendono possibili la deliberazione e la scelta, può venir usato come prova (salvo a rischio di una fatale incoerenza) per negare che tali scelte deliberative effettivamente si verifichino. È pertinente osservare, invece, che costituisce una questione empirica il problema se un dato individuo sia correttamente considerato responsabile di qualche azione, e che noi possiamo essere indotti in errore supponendo che egli lo sia davvero. Noi possiamo scoprire, per esempio, che un individuo continua ad essere un ladruncolo, malgrado i nostri sforzi migliori per educarlo per mezzo di ricompense e punizioni, e malgrado i suoi tentativi personali apparentemente seri di migliorare il suo comportamento. Possiamo allora concludere che egli soffre di una blanda alienazione mentale e non può controllare certe sue azioni, cosi che sarebbe un errore continuare a ritenerlo responsabile di esse. Rimane nondimeno il fatto che la distinzione fra azioni sopra cui un essere umano ha pur tuttavia il controllo e azioni sopra cui egli non l'ha, non viene perciò contraddetta - né purtuttavia la di36 Per un enunciato autorevole dell'argomentazione, v. ARTffiJR S. EDDINGTON, The Nature of the Physical World, New York, 1929; trad. it. a cura di C. Cortese de Bosis e L. Gialanella, Milano, 1935; per una critica vigorosa di Eddington vedi L. SusAN STEB· BING, Philosophy and the Physicists, London, 1937.
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stinzione diverrebbe falsa se noi scoprissimo le condizioni sotto cui la capacità per tale controllo viene acquisita e manifestata. In breve, una persona è correttamente caratterizzata come 'Un agente morale responsabile se si comporta nel modo in cui un normale agente morale si comporta; e la caratterizzazione rimane corretta anche se le condizioni organiche e psicologiche che gli rendono possibile di agire come un agente morale non sono sotto il suo controllo in alcuna di quelle occasioni in cui egli agisce come una persona responsabile. b) Vi è una seconda argomentazione che Berlin dirige contro il determinismo. Egli sostiene che, astraendo dalla verità della tesi deterministica, i pensieri ordinari della maggioranza degli uomini non sono di fatto influenzati dalla credenza in quella tesi. Se lo fossero, egli sostiene, il linguaggio che gli uomini impiegano nel fare distinzioni morali e nell'esprimere persuasioni morali non sarebbe quello che è effettivamente. Infatti l'uso solito di questo linguaggio ammette tacitamente che gli uomini siano liberi di scegliere e di agire diversamente dal modo in cui essi di fatto scelgono e agiscono. Tuttavia, se noi realmente credessimo nel determinismo, conclude Berlin, le nostre ordinarie distinzioni morali non sarebbero applicabili ad alcunché, e la nostra esperienza morale sarebbe incomprensibile.37 Esaminiamo però questa tesi secondo cui un determinista coerente non può impiegare il discorso morale ordinario nei suoi significati soliti. l) Deve forse questa tesi essere valutata sulla base di prove empiriche dirette? Se è cosf, allora, sebbene i dati rilevanti non siano stati sistematicamente raccolti e le informazioni disponibili siano indubbiamente insufficienti, molte delle prove che noi purtuttavia possediamo non fanno certamente da sostegno a tale assunto. Il linguaggio di molti devoti credenti religiosi, per non dire di filosofi come Spinoza, fornisce qualche fondamento per sostenere che, malgrado l'adesione esplicita ed appassionata ad un determinismo radicale, molti uomini non hanno trovato ostacoli psicologici al loro formulare valutazioni morali normali. Per citare solo un esempio, il Vescovo Bossuet scrisse il suo Discorso sulla storia universale con l'intento di offrire una guida al Delfino per la sua condotta appropriata di principe di sangue reale, ma nel corso di esso dichiarò che 37 Se l'ipotesi deterministica fosse vera e adeguatamente giustificata per il mondo reale, esisterebbe un chiaro senso in cui (malgrado tutte le eccezionali casistiche che sono state impiegate per evitare questa conclusione) la nozione di responsabilità umana, come è ordinariamente intesa, non si applicherebbe piu ad alcuno stato di cose reale, ma solo per ogni stato di cose immaginario o ipotizzabile... Parlare, come qualche teorico della storia (e scienziato con una inclinazione filosofica) tende a fare come se si potesse accettare l'ipotesi deterministica, e pur tuttavia continuare a pensare e parlare come noi per lo piu facciamo attualmente significa coltivare la confusione delle idee", lsAIAH BERLIN, op. cit., pp. 32-33.
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la lunga concatenazione di cause particolari che fanno e distruggono gli imperi dipende dai decreti della Divina Provvidenza. Nell'alto dei cieli Dio tiene le redini di tutti i regni. Egli ha ogni cuore nella sua mano. Talora Egli frena le passioni, talora Egli le lascia libere, e cosf scuote il genere umano. Con questi mezzi Dio realizza i suoi temibili giudizi secondo regole sempre infallibili. Egli è colui che prepara i risultati attraverso le cause piu distanti, e che batte possenti colpi la cui ripercussione è cosf ampiamente diffusa. È cosf che Dio regna su tutte le nazioni." Bossuet credeva che la conciliazione della divina onnipotenza con la realtà della libertà umana fosse un mistero trascendente. Comunque dò possa essere, tuttavia, non sembra che egli abbia avuto alcuna difficoltà ad accettare una concezione provvidenziale (e perciò deterministica) della storia umana, e pure ad impiegare (in contraddizione con l'assunto di Berlin) il linguaggio morale ordinario per esprimere distinzioni morali familiari. 2) Supponiamo, tuttavia, che Berlin abbia ragione nel pensare che, se noi arrivassimo a credere ad un determinismo radicale, i significati del nostro discorso morale sarebbero alterati. Che cosa potrebbe confermare questo fatto assunto? È pertinente richiamare situazioni comparabili in altri domini del pensiero, dove i significati associati con le varie espressioni linguistiche sono stati modificati come conseguenza dell'adozione di nuove credenze. Cosi, la maggior parte degli uomini colti accetta oggi la teoria eliocentrica dei moti planetari, e quantunque continuino ad impiegare espressioni quali 'sorgere del Sole' e 'calar del Sole', essi non li usano con gli stessi significati che quei termini avevano quando la teoria tolemaica era dominante. Nondimeno, qualcuna delle distinzioni che questi termini codificarono quando vennero associati con le idee geocentriche non sono senza fondamento persino oggi, dato che in molti contesti di osservazione ed analisi non è scorretto descrivere i fatti dicendo che il Sole sorge ad Est e tramonta ad Ovest. Noi abbiamo evidentemente imparato ad usare tale linguaggio per esprimere distinzioni che sono ancora valide, senza comprometterci con altre distinzioni che dipendono interamente dall'accettazione della teoria geocentrica. Di conseguenza, e a parità di ragionamento, se in accordo con la supposizione di Berlin noi realmente giungessimo a credere nel determinismo, non dovremmo perciò ignorare la distinzione fra gli atti descritti nel corrente linguaggio come "scelti liberamente" e quelli che non lo sono, o fra quei tratti specifici del carattere e della personalità sopra cui un individuo ha effettivo controllo e quelli sopra cui egli non ne ha. In ogni caso, inoltre, una volta portate a compimento, come ri38 ]ACQUES BossuET, Discours sur l'Histoire Universelle, parte 3, c. 8. Il Discours usci a Parigi nel 1681, ed è qui citato da G. ]. RENIER, History: Its Purpose and Metbod, London, 1950, p. 264.
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sultato dell'assunto mutamento nella credenza, le anzidette vanaz10ni nei significati di espressioni correntemente usate, certi tipi di condotta verrebbero ancora fatti oggetto di elogio e di biasimo e altri no, gli uomini sarebbero ancora in grado di controllare e di modificare con conveniente disciplina alcuni dei loro impulsi ma non altri, alcuni uomini facendo uno sforzo sarebbero ancora capaci di migliorare le qualità delle loro azioni mentre altri uomini non sarebbero in grado di farlo, e cosi via. In breve, il nostro linguaggio morale ordinario con i significati solitamente associati ad esso, cosi come le nostre capacità differenziali di compiere vari tipi di azioni, sopravviverebbero in misura considerevole a una generale accettazione della tesi deterministica. Negare questo significa sottoscrivere all'assunzione difficilmente credibile che gli uomini semplicemente aderendo al determinismo verrebbero in gran parte trasformati in creature irriconoscibilmente diverse da quelle che esse erano prima di questo mutamento nelle loro convinzioni teoriche. La credenza nel determinismo non è perciò incompatibile, sia logicamente che psicologicamente, con l'uso normale del discorso morale o con l'attribuzione di responsabilità morale agli esseri umani. Tale pretesa incompatibilità può venire affermata, a quanto pare, solo se viene introdotta come premessa la petizione di principio secondo cui lo stesso operare distinzioni morali implica rifiuto del determinismo. 4. Nondimeno, sebbene nessuna delle argomentazioni dirette contro il determinismo sia convincente, se la tesi deterministica viene interpretata come un enunciato circa Ùn aspetto categoriale di ogni cosa, qualunque essa sia, tale tesi non è stata definitivamente stabilita né può essere definitivamente refutata. La tesi cosi interpretata non è stata definitivamente stabilita, dato che esiste una serie forse infinita di esempi per i quali non conosciamo le condizioni determinanti; e, come ha messo in luce una precedente discussione (v. c. X) della nozione di "caso assoluto", è almeno logicamente possibile che per qualcuno di questi eventi di fatto non esistano condizioni determinanti. D'altro lato, la tesi non può essere confutata in modo decisivo, dato che l'insuccesso nello scoprire le condizioni determinanti per qualche evento non prova che non ci siano di fatto tali condizioni. Di conseguenza, la tesi asserita in forma rigorosamente universale non può essere difesa con successo quale generalizzazione ben fondata circa il mondo come noi effettivamente Io conosciamo. Tuttavia, il ruolo operativo nell'indagine compiuto dalla tesi deterministica, come dal principio di causalità, è visto piu chiaramente quando essa venga interpretata come un principio regolatore che formula in un modo generale uno dei principali obiettivi della scienza positiva, vale a dire, la scoperta delle determinanti per il verificarsi di eventi. Il determinismo come principio regolatore è indubbiamente piu frut-
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La struttura della scienza
tuoso quando anziché darne la versione altamente generalizzata finora presa in considerazione, gli venga data una forza piu specializzata, cosi che esso menzioni le particolari variabili sostanziali per cui va istituita la ricerca nello sforzo di trovare le condizioni determinanti di certi tipi di eventi. Ad esempio, il concetto laplaciano di determinismo che noi abbiamo precedentemente discusso è un siffatto caso particolare specializzato del principio generale, in cui le variabili sostanziali menzionate sono posizioni, momenti, e forze; per lungo tempo esso venne usato come principio guida in tutte le investigazioni fisiche, sebbene da ultimo sia stato sostituito persino nella fisica con una forma specializzata differente del principio deterministico. Analogamente, si impiegano versioni speciali del principio generale per fini fruttuosi nelle scienze psicologiche e sociali; per esempio: principi regolatori che stipulano, quali determinanti di vari fenomeni, taluni fattori come eredità, condizionamento per mezzo dell'educazione, modi di produzione economica, o stratificazione sociale. Sebbene tali principi guida specializzati siano fruttuosi solo entro campi limitati, ora però sarà evidente che il valore limitato di ciascuno di essi non costituisce motivo per condannare il determinismo come principio regolatore generale. Un'insistenza dogmatica sopra l'uso di qualche forma speciale del principio deterministico ha indubbiamente ostacolato assai spesso l'avanzare della conoscenza; ed è pure innegabile che versioni particolari di tale principio sono state frequentemente usate per difendere talune prassi sociali inique. Nondimeno, abbandonare il principio deterministico stesso, significa ritrarsi dall'impresa della scienza. Per quanto acuta possa essere la nostra consapevolezza della ricca varietà dell'esperienza umana, e per quanto grande la nostra preoccupazione per i rischi di usare i frutti della scienza al fine di ostacolare lo sviluppo dell'individualità umana, non è probabile che soddisferemmo i nostri migliori interessi fermando le indagini obiettive intorno alle varie condizioni che determinano l'esistenza di azioni e tratti caratteristici dell'uomo e chiudendo cosi la porta alla progressiva liberazione dalle illusioni, che proviene dalla conoscenza raggiunta per mezzo di tali indagini.
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Indice analitico
Abel, T., 498 Accidente, in Aristotele, 338 Adams, J., 328 Adattabilità, grado di, 428 Agar, W. E., 443 Ampère, A. M., 296 Analisi, additiva, 40.5-07 dei motivi, 569 Analogia, formale, 118 nella meccanica quantistica, 308-13 nella spiegazione, .51-52 sostanziale, 118 suo compito nella costruzione di teorie, 115-25 Antecedente di enunciati condizionali, 53 Antonio, 565, 571 Antropomorfismo, e spiegazioni teleologiche, 30, 412 Argomentazione basata sulla simmetria, 184 Aristotele, 7, 35, 48, 50, 51, 184, 227, 338, 563 e la spiegazione scientifica, 48-52 Ashby, W. R., 421 Assiomi del moto nella meccanica newtoniana, 161-210 Associazione, marginale, 526 parziale, 527 statistica, 526-28 Astrazioni, e definizioni implicite, 98-100 e proprietà strutturali generali, 17-18 Attributi, collettivi, 551, 554-55, 558-60 individuali, 550-51 Autonomia di una scienza, v. Riduzione di teorie
Autoregolazione, 418-20 Ayer, A. J., 128 Azione preordinata, conseguenzP. involontarie della, 484-85 Barraclough, G., 589, 590, 591 Bateson, G., .536 Beale, H. K., 598 Beard, C. A., 472, 593, .594, 595, 606 Beard, M. R., 595 Becker, C., 597 Beltrami, E., 245-46 Bergson, H., 438 Berkeley, G., 128 Berlin, 1., 617-24 Bernoulli, D., 352 Bergmann, P. G., 218, 406 Bertalannfy, L. von, 443, 444, 448, 452 Best, C. H., 506 Bigelow, J., 420 Biologia, irriducibilità della, 409-11 organismica, 439-57 spiegazioni nella, 408-458 Black, J., 116 Blaushard, B., 374 Bohm, D., 320 Bohr, Niels, 304, 309-10 sua teoria dell'atomo, 95, 101-02, 104-05, 109, 122 Boltzmann, L., 136, 165, 166, 195, 322, 352, 371 Bolyai, J., 245 Born, M., 158, 317, 344 Bossuet, J., 621 Bradley, K. H., 34!
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I n dice analitico
Braithwaite, R. B., 421, 433, 511· Bridgman, P. W., 51, 101, 123, 128, 278, 283, 303, 360 Broad, C. D., 59, 179, 374, 378, 383 Bross, I. D. J., 511 Buckingham, primo conte di, 580 sgg. Burks, A. W., 57 Burtt, E. A., 501 Bury, J. B., 565, 608 Calcolo astratto come componente di teorie, 97-lOO Calcolo, di associazione statistica, 524 differenziale e integrale, 169-71 Campbell, N. R., 43, 87, 122, 135, 196, 365 Campo, di classi, 99 elettrico, 156 esperimento di, nelle scienze sociali, 468 predicativo delle leggi, 65 teoria del, 295-96 Cannon, W. B., 420 Camap, R., 6, 81, 101, 103, 129, 131, 326, 580 Carnot, S., 360 Carr, H. W., 457 Caso ideale, 168, 474-78, 522-23 Caso, significati di, 318, 333-44 Cassirer, E., 329 Categorie "fornite di significato" nelle scienze sociali, 490-98 Catene causali, 335-38 Caterina d'Aragona, 24 Causa essenziale, significati della, 600-05 Causalità, e leggi, v. Leggi causali nella teoria fisica, 285-345 nelle scienze sociali, 524, 565-66, 57071 principio di, 325-33 Cause, scatenanti, 588, 590 sottostanti, nella storia, 588, 590 Cayley, A., 243 Celletta delle fasi, nella meccanica statistica, 353 Cerchio osculatore, 250 Certezza, 11, 14-16 Ceteris paribus, clausola di, v. Scienze sociali, leggi quasi generali Cheney, E. P., 611
Chisholm, R. M., 75, 78 Cibernetica e sistemi autoregolativi, 420 Classe nulla, 99 Cleopatra, 565, 571 Cohen, M. R., 6, 501 Collettivismo metodologico, 556-57 Complemento di una classe, 99 Comportamentismo e analisi del moti• vo, 570 nelle scienze sociali, 489-93 Concetti limite, 135, 139-42, 150-51, 16870, 175 Concetti teorici, definiti implicitamen· te, 94 e concetti sperimentali, 106 e regole di corrispondenza, 108-09 nella meccanica, 167-68 Concetto di numero, estensione del, 311· 13 Concezione descrittiva, delle teorie, 32· 34, 125-37 realistica delle teorie, 126, 149-60 Concezione strumentalistica delle teorie, 70-74, 126, 137-48 difficoltà della, 153-54, 160 Condizionali, universali, 27, 37-38, 44 accidentali, 54-58 nomici, 62-74 Condizionali congiuntivi, 74-75 Condizionali controfattuali, 57 nella storia, 605-10 universali, 74-79 Condizioni, iniziali, 37 necessarie, 575-76 sufficienti, 575 Condizioni della spiegazione, di sostanza, 36 epistemologiche, 36, 48-52, 68-70 logiche, 35, 39, 40, 43, 523, 534 Conica assoluta, 256 Conklin, E. G., 436 Connettibilità, come condizione per la riduzione, 363-64, 444-45 Conservazione dell'energia, principio della, 72 Contingenza e caso, 338-40 Convenzionalismo, nella geometria, 241, 268-74 nella meccanica, 61, 186, 200, 203, 207-10
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Indice analitico 'nella misurazione del tempo, 189-91 nella teoria della relatività, 270-7 4 Coordinate, coniugate nella meccanica quantistica, 302-13 di stato, v. Variabili di stato Cooley, C. H., 487 Cooley, J. C., 6, 78 Correlazione, parziale, 466-67, 470 spuria, 531-32 Costanti individuali, 69 Costanti universali, mutamenti nelle, 389
nella teoria newtoniana, 177 Coulomb, C. A. de, 296 Courant, R., 403 Craig, W., teorema di, 14245 Criteri selettivi e tendenze valutative, nella storia, 593-95 nelle scienze sociali, 498-500 Criticismo, come fase della scienza, 18 Curvatura gaussiana, 248-54 D'Abro, A., 417 D'Alembert, J., 162 sua dimostrazione della legge di inerzia, 183-86 Dalton, J., 379-80 Dati sperimentali, ipotesi teoriche nella formulazione dei, 89 Davis, K., 545 De Broglie, L., 318, 320, 325 Deduzione, alcune regole di, 362-64 Definizioni, coordinatrici, v. Regole di corrispondenza di configurazioni geometriche, 231-41 esplicite, 104-06, 108-09, 131, 359-61 implicite, 98-100, 106, 207-10 di termini teorici, 94, 98-100 operative, 101, 360 nella teoria della relatività, 278-79 successive, 188 Democrito, 380 Derivabilità, come condizione di riduzione, 363-64, 44546 Descartes, B., 179-81 Determinabili, 81 Determinismo, come principio regolativo, 325-33, 622-23 e responsabilità morale, 616-22
nella meccanica classica, 286-93 nella storia, 610-17 Dewey, ]., 137 Dingle, H., 128 Dingler, H., 267 Dipendenza funzionale, 83-85, 537 Dipendenza statistica, 525-34 Disfunzionale, 547 Disordine assoluto, 543-44 Disposizioni come fattori nella spiegazione, 24, 570 Distanza, definizione proiettiva della, 247, 254-56
Dobzhansky, T., 438 Dray, W., 583, 587 Driesch, H., 439 Eddington, A. S., 93, 101, 106, 185, 279, 321, 620
Einstein, A., 101, 271, 275-82, 319, 616 Elisabetta I, 568-74 Emergenza e biologia organismica, 442· 444
e "novità", 384-90 e predizione, 377-84 Energetica, 127 Enunciati condizionali, 53 antecedente di, 53 aventi tipo di legge, 53 conseguente di, 53 controfattuali e congiuntivi, 57 generalizzati, 53 metalinguistici, 78 Epicuro, 340 Equazioni, differenziali, 170-71 parametriche, 220 Esperimento, nella storia, 580-82 nelle scienze sociali, 461-68 Esperimento di Millikan, della goccia d'olio, 94-95 di Newton, del secchio, 216-19 Estensione, dei termm1 e sua correlazione con la intensione dei termini, 591-92
delle spiegazioni, 110-13 Eterogeneità causale nella relatività generale, 280 Euler, L., 183, 204, 226 Evidenza, in geometria, 225 Evoluzione ed emergenza, 384-91
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I n dice analitico
Ewing, A. C., 57, 59, 61 Exner, F., 321 Explicandum, 22 Familiarità della spiegazione, 50-52, 115 Faraday, M., 117, 296 Fatto e valore, 503-09 Fenomenismo, 128 Fermi, E., 134 Filosofia della scienza, principali suddivisioni della, 4-5, 20 Finetti, B. de, 580 Fini previsti come fattori nella spiegazione, 25, 411-12, 488, 493-98, 570-71 Finzioni e concetti teorici, 142 Fisicalismo, 129 Firth, R., 536 Forma matematica, 170-74 Forza, compito ausiliario nella fisica, 197-98 differenziatrice ed universale, 263 e requisiti di semplicità, 198 nella meccanica newtoniana, 174-81, 193-94 statica, 196-97 universale e geometria, 271-73 Frank, Ph., 6, 301 Frank, N. H., 165 Frequenza di verità e probabilità, 478-79 Fuller, L., 504 Funzione ljl, come variabile di stato, 157-58, 314-20 Funzionalismo nelle scienze sociali, 534545 Funzione, significati di, 537-41 e struttura, 435-39 Funzioni vitali, biologiche, 537-39 sociali, 542-43 Futuro come causa del passato, 31 Galileo, 162, 351, 599 Gauss, C. F., 162, 243, 248-54 Generalità, della spiegazione, 43-48 delle leggi, 96-97 tecnica per ottenerla, 474-78 Generalizzazione, induttiva, 92, 93, 209 nelle scienze sociali, 460 statistica, 27, 517-34 Geodetica, 248-254, 277
Geometria, come branca della fisica, 261-68 '; come sistema di convenzioni, 268-73 come teoria della misurazione, 222-24, 233 concezione tradizionale della, 51 differenziale, 249-54 e scienza empirica, 267 e teoria della relatività, 275-84 euclidea, v. Geometria euclidea metrica e proiettiva, 254-56 pura e applicata, 222-41 Geometria euclidea, éome calcolo astratto, 98-99 come sistema di definizioni implicite, 232-34, 238-41 come teoria della misura, 222-24 interpretazione della, 231-32 Geometrie non euclidee, 242-61, 267-68 Geyl, P., 612 Giudizi di valore, 505-09 Goodman, N., 75, 132 Gottschalk, L., 590 Gregg, ]., 6 Grelling, K., 398, 404 Gruchy, A. G., 559 Griinbaum, A., 482 Haldane, J. S., 456 Hamilton, W. R., 162, 165 Hayek, F. A., 487, 488, 491, 554, 556, 558 Hegel, G. W. F., 512 Heisenberg, W., 302-07, 309, 313, 325 Helmer, 0., 577 Helmholtz, H. von, 70, 162, 181, 249, 264-65, 272 Hempel, C. G., 6, 50, 63 Henderson, L. ]., 612 Herskovits, M. J., 490 Hertz, H., 110, 162, 166 Resse, M. B., 121 Hilbert, D., 107 Hiz, H., 78 Hobbes, T., 204 Hobson, E. W., 33 Hockel, F. A., 560 Hoglen, L., 457 Hèilder, 0., 196 Hume, D., 33, 61-62, 128
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I ndice analitico Huntington, E. V., 258 Hutchison, T. W., 539 Huygens, C., 116, 162 Immaginazione nella geometria, 232 Importanza relativa dei fattori causali, significati della, 599-05 Imprecisione, del linguaggio del senso comune, 14-16 nelle scienze sociali, 476, 519-22 Indagine scientifica, controlli nella, 461463 obiettivi nella, 38-39 Indagine sociale, condizionamenti nell'uso della sperimentazione, 502-03 e controlli nella, 461-71 e la variabile "conoscenza", 478-86 e i mutamenti da essa stessa prodotti nei materiali studiati, 478-80 Indeterminismo, della meccanica quantistica, 301-24 nelle scienze sociali, 519-22 nella teoria fisica, 285-344 Indipendenza dei postulati, 243-45 Individualismo metodologico, 550-62 Induzione, 92-93, 209 Ineluttabilità storica, 611-12, 613-15 Intervento umano e scienze sociali, 47273 Introspezione come fonte di prove, 490 Invarianza di leggi, e diversità dei fenomeni, 474 e obiettività, 220-21 e realtà fisica, 158-59 nella meccanica newtoniana, 214-15 nella teoria della relatività, 276-77 Investigazione controllata, 464 Ipostasi nelle scienze sociali, 552, 557 JaJ:nmer, M, 179 Jeans, J. H., 354 Johnson, W. E., 81, 232 Joos, G., 134, 175 Jordan, P., 389 Kant, I., 183, 204, 226 Kellogg, O. D., 407 Kelly, W. H., 490 Kelvin, lord, 117, 122, 142, 181, 186 Kemeny, J., 364
Kendall, M. G., 527 Kendall, P. L., 524 Keynes, John M., 326, 559, 580 Keynes, John N., 580 Kirchhoff, G., 162, 165, 195 Klein, F., 243, 256 Kluckholm, C., 490 Kneale, W., 75 Kneser, A., 417 Koffka, K., 401 Kohler, W., 402, 403 Kurihara, K., 559 Lagrange, J., 42, 162, 165 Laplace, P. S. de, 162, 183, 289, 293-94, 298, 327, 375 Lazarsfeld, P. F., 490, 524, 531, 570 Leggi, causali, 54, 79-81, 285-86, 300-01 come principi guida, 70-74, 137-48 del moto, 182-93 di dipendenza funzionale, 83-85 di sviluppo storico, 82, 566-67 e semplicità, 330 evoluzione delle, 388-90 fondamentali e derivate, 63 nella indagine storica, 564-67 nelle scienze sociali, 471-78, 517-23 probabilistiche, 83, 517-34 sperimentali e teoriche, 86-113 statistiche, 83 e fisica, 320-25 tipi di, 81-85 Legge archimedea di galleggiamento, 23, 39, 43, 44, 60, 96 Legge di Boyle-Charles, sua derivazione dalla meccanica statistica, 351-54, 361362, 364-71 Legge di copertura, nella spiegazione storica, 587-91 Leggi di Keplero, 63-65, 71 Leibniz, G. W., 204, 226 Lenzen, V. F., 188 Leverrier, U. J. ]., 328 Lewin, K., 401 Lewis, C. I., 57 Libero arbitrio, e caso, 340-41 e determinismo, 616-23 e leggi sociali, 518 Limite matematico, 169-71 Lindemann, F. A., 272
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Indice analitico Lindsay, R. B., 191 Linea retta, criteri per la, 224-25 definizione ottica della, 266 nella geometria euclidea e riemanniana, 259 Little, I. M. D., 559 Lobacevskij, geometria di, 240-48, 256 Locke, J., 7 Loeb, J., 441 Lotka, A. ]., 421 Lovejoy, A. 0., 385 Luce, R. D., 486 Mach, E., 39, 128-29, 134-35, 173, 195, 201, 203, 217-220 Macrostato e microstato, 322-23 Maitland, F. W., 568-70, 573, 576, 578 Malinowski, B., 535, 539, 542, 548 Mandelstam, S., 417 Mannheim, K., 513, 515 Maratona, e giudizi controfattuali, 589591 Margenau, H., 101, 135, 191 Marshall, A., 172, 558 Marx, K., 512, 562 Mason, M., 407 Massa, gravitazionale, 276 inerziale, 27 6 misura della, 200-03 nella meccanica newtoniana, 119, 166167, 174-75 nella meccanica relativistica, 119, 178, 276 Maupertuis, P. L. M. de, 417 Maxwell, J. C., 117-19, 122, 164-65, 173, 183, 204, 218, 294, 296, 328-30, 352 McDougall, W., 381 Mclver, R. M., 487, 494, 560 McKinsey, J. C. C., 166, 486 Meccanica, aristotelica, 184 assiomi newtoniani per la, 166, 172, 181-210 carattere teorico della, 168-70 come scienza universale della natura, 162 definizione della, 157 "ereditaria", 297 funzioni-forza della, 174-81 statistica, 289-99, 347-54 sua pretesa superiorità, 204-07
Merton, R. K., 481, 536, 545, 547, 559 Metodo scientifico, 18-19, 461-63 Meusel, A., 586 Meyer, E., 607 Meyerson, E., 134 Mill, J. S., 43, 326-27, 331, 382, 400, 465, 526 Millikan, R. A., 94-95, 97 Mises L. von, 487, 491, 540, 555 Mises, R. von, 342, 580 Misura, come fonte di indeterminazione, 303-06 Modelli, di serie continua nella spiegazione storica, 583 e regole di corrispondenza, 102 e spiegazione in termini noti, 50-52, 122-23 formali e sostanziali, 118-21 funzione dei, 116-25 nella interpretazione delle teorie, 97, 102-04, 110 per la teoria dei quanti, 302-03, 308313 Morale e determinismo, 621-23 Morgenstern, 0., 486 Moto browniano, 370 Murdock, G. P., 490 Murphy, G., 490 Myrdal, G., 501-02, 505 Nadel, S. F., 501, 502, 573 Nagel, E., 504, 547, 580, 594 Natorp, P., 204 Necessità delle leggi, 58-62 Neumann, J. von, 310, 320, 486 Neurath, 0., 129 Neutralità valutativa nelle scienze so.. ciali, 498-516 Neutrino, 72, 15.5 Newton, 1., e concezione dello spazio, 214-15 e geometria, 22-27 e azione a distanza, 178 Neymann, J., 511 Non contraddittorietà dei postulati, 243245 Northrop, F. S. C., 94 Novikoff, A. B., 474 Novità e caso, 341 ed emergenza, 384-90
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Indice analitico
Novità e riduzione, 374 Numeri reali e classi di numeri razionali, 133 Numero di Avogadro, 109, 370 Numero, estensione del concetto di, v. Concetto di numero Obiettività, e interpretazione ~torica, 597-99 e invarianza, 220-22 nelle scienze sociali, 486-516 Omeostasi e teleologia, 419, 421 Oppenheim, P., 50, 63, 364, 398, 404 Ordine sequenziale, e meccanica teorica, 291 leggi che lo asseriscono, 86 Organizzazione direttiva, grado di, 427 Organizzazione gerarchica, in biologia, 443-44, 446-52 Osservabilità, come criterio di realtà fisica, 154-55 Painlevé, P., 162, 297 Parsons, T., 536, 545, 546 Pauling, L. C., 120, 308 Particella, nella teoria dei quanti, 302313 Pearson, K., 128 Peirce, Ch. S., 137, 321, 340, 360, 580 Pendolo di Foucault, 219-20 Pendsen, C. G., 203 Personalità umana e libera scelta, 618619 Planck, M., 165, 317, 318, 322, 331, 341, 616 ipotesi quantistica di, 94, 101, 157, 302 legge della radiazione di, 106, 322 Plutarco, 18 Podolsky, B., 319 Pollard, A. F., 568 Poincaré, H., 124-25, 191, 262, 389 convenzionalismo di, 268-73 modello per la geometria di Lobacevskij di, 246-48 Popper, K., 43 Postulato delle parallele, di Euclide, 242-43 di Lobacevskij, 245 di Playfair, 245
Potere esplicativo delle leggi e delle teorie, 96-9-7 Precisione e spiegazione sistematica, 15-16 e verificabilità, 15 mediante definizioni successive, 187191 nelle scienze sociali, 476, 519-22 Predicati, monadici, 46 primitivi, 46 puramente qualitativi, 64 Predizione, a lunga portata, 472-74 carattere condizionale della, 482-83 e influenza soggettiva sulla, 478-86 e sistema isolato, 473 Prestiti di leggi tra scienze, 338 Previsione autoadempientesi, 480-82 Primitivi di osservazione, 359-60 Principi estremali e teleologia, 417-18 Principi-guida, e principio di caus:l>lità, 329-33 leggi intese come, 70-74, 137-48 logici e materiali, 146-49 Principio di causalità, 303, 325 . Principio di Mach, 577 Principio di ragion sufficiente, 184 Probabilità, nella meccanica quantistica, 303, 315-20 nella meccanica statistica, 299 significati di, 23-24, 577-79 "soggettiva", 587 statistica, 578 Prodotto logico delle classi, 99 Proprietà apparentate, famiglie di, 81 Proprietà osservabili, 86-89, 142, 357, 359 nelle scienze sociali, 553-55 Prove, condizionamento soggettivo nella valutazione delle, 509-16 delle leggi· sperimentali, 92 delle teorie, 367-71 dirette e indirette, 70 regole per valutarie, 608-09 Punto-massa, 168 Quantificatore, esistenziale, 53 universale, 53 Quine, W. 0., 340 Radcliffe-Brown, A. R., 536-38, 543-44
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Indice analitico
Ragion sufficiente, 184 Raiffa, H., 486 Ramsey, F. P., 137, 150, 580 Rankine, W. J. H., 133-34 Rapporto anarmonico, 247, 455 Realtà fisica, criteri di, 154-60 Regole, di corrispondenza, 97, 101, 102, 104-13, 279 di inferenza, 73 Regresso infinito, nella spiegazione, 595 Reichenbach, H., 70, 101, 272, 292, 293, 580 Relatività culturale e leggi sociali, 471478 Relativismo storico, 471-78, 512-16, 592-99 Relazione causale, definizione della, 531 Relazioni di indeterminazione, nella teoria quantistica, 302-13 Relazioni interne, 594 Relazioni mezzo-fine, e giudizi di valore, 505, 509 . Relazionismo, 515-16 Rescher, N., 577 Responsabilità e determinismo, 617-24 Rice, J., 354 Rickert, H., 591 Ridefinizione, di termini scientifici, 36667 Riduzione, condizioni formali della, 354367 condizioni non-formali della, 367-76 della termodinamica alla meccanica, 347-54 e analisi additiva, 400-01 e individualismo metodologico, 556-58 e legami tra le scienze, 363-65 e libero arbitrio, 620 e novità, 374 e strategia della ricerca, 408 e unità organiche, 452-57 in biologia, 439-57 Rigidità, 262-64 Robbins, H., 403 Robertson, H. P., 253 Rosen, N., 319 Rosenblueth, A., 420 Russell, B., 128, 131, 281, 326, 396-97 Russell, E. S., 449, 456
Ryle, G., 137 Salvemini, G., 494 Savage, L. ]., 580 Schapiro, M., 6 Schema deduttivo di spiegazione, 27-28, 35-52 Schemi di assiomi, 145 Schemi di enunciato, 140, 150, 228, 257, 259 Schemi logici e valori sociali, 509-18 Schumpeter, J., 569 Schlick, M., 137, 330, 615 Schrodinger, E., 158, 310, 321 equazione di, 119-20, 141, 315 Scienza e senso comune, 7-20 Scienze ideografiche, 563-67 Scienze nomotetiche, 563-67 Scienze sociali, e neutralità valutativa, 498-516 e obiettività, 486-98 e predicibilità, 472-73 e proprietà, 554-55 e spiegazioni "fornite di significa to", 493-98 leggi quasi-generali nelle, 476 Scopi deliberati e teleologia, 412-13 Semplicità, come requisito delle leggi, 198, 330 nella scelta della geometria, 270-72 Sensi, dati dei, 129-30 Senso comune, contraddizioni del, 12-13 imprecisione e vaghezza del, 14-16 stabilità del, 12-16 Significato, analogia come guida alla estensione del, 346-47 Silberstein, L., 111, 188, 283, 329 Sillogismo, struttura formale del, 227-28 Simon, H. A., 166, 203, 485, 524 Simpson, G. G., 438 Sistema, come scopo della scienza, 10-11, 16 deduttivo, 27-28, 35-36 deterministico, 288-89 e variabili di stato, 300-01 isolato e predizione, 473 teleologico, e spiegazione funzionale, 29-31, 416-20, 546-50 struttura formale del, 420-28
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I ndice amzlitico Sistemi di riferimento inerziali, 220-22, 275 Sistemi di riferimento nella meccanica newtoniana, 183, 211-22 Sociologia della conoscenza, 312-16 Soddisfazione non vuota, 46 Soggettività dei fenomeni sociali, 486498 Somma logica delle classi, 99 Somma, significati della, 394-401 Somma delle proprietà vettoriali, 396-97 Sommerhoff, G., 421 Spazio, e geometria, 22-41 e meccanica newtoniana, 214-22, 307 Specie, 37 Spence, K. W., 490 Spengler, 0., 566 Sperimentazione nelle scienze sociali, 468-71 Spiegazione, come meta della scienza, 10 deduttiva, 27-28, 35-52 delle generalizzazioni statistiche, 32025, 353-54, 528-34 di leggi, 39-42, 522-34 genetica, 31-32, 580-85 meccanica, 124-25, 161-81 nella biologia, 438-41, 446-56 nelle scienze sociali, 517-562 scientifica, scopo della, 38-39 tipi fondamentali di, 26-32 storica, di azioni individuali, 567-78 di eventi globali, 585-92 teleologica, 25, 29-31, 411-39 critiche alla, 414-16 nelle scienze sociali, 433-35, 517-62 Spinoza, B., 221, 621 Stato di un sistema, 287-89, 293-01 Stebbing, L. S., 106, 620 Storia, come bella arte, 599 e cronaca, 565 e ineluttabilità, 611-12 e memoria, 590 Storia naturale, 37 Stout, G. F., 59 Stratificazione e dipendenza statistica, 525-34 Strauss, L., 504 Struttura, e funzione, 435-39 sociale, 543-46
Struttura formale delle leggi della meccanica, 170-74 Sugar, A. C., 166 Suppes, P., 6, 103, 166 Swann, W. F. G., 111 Tait, P. G., 186 Tarski, A., 103 Taylor, A. J. P., 567 Taylor, N. B., 506 Tecniche relative ai postulati, 243-45 Teleologia nella scienza aristotelica, 411 Temperatura, mutamenti del significato della, 340-42 Tempo assoluto, definizione newtoniana del, 186-87 Tempo, misura del, 187-91 Teorema di Craig, 142-45 Teoria, astrattiva e ipotetica, 133-36 concezione descrittiva della, 125-37 concezione realistica della, 149, 160 concezione strumentalistica della, 126, 137-48, 160 e leggi sperimentali, 23, 86-88 principali costituenti della, 97-104 Teoria della decisione statistica e giudizi di valore, 510-12 Teoria della relatività, concetto di ma&. sa nella, 119 e geometria, 273, 275-84 e meccanica newtoniana, 215 e somma delle velocità, 387 generale, 276-78 ristretta, 276 Teoria del calore di Fourier, 116, 136, 173, 317 Teoria del fattore singolo, nelle scienze sociali, 458 Teoria dei giochi, 485-86 Teoria dei quanti, indeterminismo nella, 301-24 modelli per la, 152-54 Teoria meccanica, non ristretta, 180 pura, 180 unitaria, 180 Termine medio della spiegazione, 528 Termini descrittivi, nelle leggi sperimentali, 91, 359 nelle teorie, 90-92 valutativi, 508-09
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Indice analitico
Termodinamica, riduzione alla meccanica della, 347-54 Tompson d'Arcy, 599 Tolman, R. C., 303 Totalità, e somme, 391-07 funzionali, 401-07 spaziali, 391 temporali, 392 Tourtulon, P. de, 606 Toulmin, S., 137 Toynbee, A., 551, 566, 567 Traducibilità, delle geometrie, 257-60 di teorie in enunciati osservativi, 130133 Trevelyan, G. M., 581-84 Turing, A. M., 420 Uniformità della natura. v. Principio di causalità Unità organica, 401-07, 411, 442-43 Universali, accidentali, 54-58 analisi humeana degli, 70 nomici, 54-58 Universalità de facto, 56 Valutazioni soggettive, nelle scienze sociali, 494-98 Variabile, "test", 525 antecedente, 529 intermedia, 529 Variabili di stato, 287-89, 293-01 nelle scienze sociali, 549 nella teoria quantistica, 421-25, 430 Veblen, 0., 228, 258-31 Verifica diretta, e leggi sperimentali, 92
Verificabilità come ideale scientifico, 10, 15 Verità, formale e materiale, 227-28 vuota, 67-68 Vitalismo e sviluppo, 439-41 Volterra, V., 297 Voss, A., 165 Watkins, J. W. N., 556 Watson, J. B., 489 Watson, W. H., 137 Weaver, W., 407 Weber, M., 486-87, 494-96, 499, 561, 607 Webster, A. G., 175 Weinberg, ]. R., 78 Wertheimer, M., 391, 401 White, M. G., 340 Whitehead, A. N., 279-82, 403 Whithrow, G. ]., 183 Wien, W., 93 Wiener, N., 420 Wilson, E. B., 120, 308 Wilson, E. B., 436, 441 Winch, P., 487 Windelband, W., 563 Wolff, K. H., 513 Woodger, ]. H., 448, 451 · Wundt, W., 162, 205-06 Yourgrou W., 417 Yule, G. U., 524, 527 Zeisel, H., 570
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Indice
Pagina VII
3
Introduzione Prefazione
7 Capitolo primo Introduzione: scienza e senso comune 21
Capitolo secondo
21 26 27
Schemi di spiegazione scientifica I. Esempi di spiegazione scientifica II. Quattro tipi di spiegazioni III. Le scienze forniscono effettivamente le spiegazioni?
.35
Capitolo terzo
Lo schema deduttivo di spiegazione 36 39 43 48
I. Spiegazione di eventi singoli II. Spiegazione di leggi III. La generalità nelle spiegazioni IV. Requisiti epistemologici delle spiegazioni
5.3
Capitolo quarto
La struttura logica delle leggi scientifiche 54 I. Universalità accidentale e universalità nomica 58 II. Le leggi sono logicamente necessarie? 62 III. La natura della universalità nomica 74 IV. Universali controfattuali 79 V. Leggi causali
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Indice 86
Capitolo quinto Leggi sperimentali e teorie
88 97 104
I. Fondamenti della distinzione II. Tre componenti principali delle teorie III. Regole di corrispondenza
114 Capitolo sesto
Lo status conoscitivo delle teorie 115 125 137 149
I. Il compito dell'analogia II. La concezione descrittiva delle teorie III. La concezione strumentalistica delle teorie IV. La concezione realistica delle teorie
161
Capitolo settimo La meccanica e le spiegazioni di tipo meccanico
161 181
I. Cosa è una spiegazione di tipo meccanico? II. Lo status logico della meccanica
211
Capitolo ottavo
211 222
I. La soluzione di Newton II. Geometria pura ed applicata
242
Capitolo nono
Spazio e geometria
Geometria e fisica 242 261 275
I. Le geometrie non euclidee e le ·loro interrelazioni II. La scelta della geometria III. La geometria e la teoria della relatività
285
Capitolo decimo Causalità e indeterminismo nelle teorie della fisica
286 I. La struttura deterministica della meccanica classica 293 II. Altri modi di descrivere uno stato fisico 301 III. Il linguaggio della meccanica quantistica 314 N. L'indeterminismo della teoria quantistica 325 V. Il principio di causalità 333 VI. Caso e indeterminismo
636
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Indiu 345
Capitolo undicesimo
La riduzione delle teorie 347 I. La riduzione della termodinamica alla meccanica statistica 354 II. Le condizioni formali per la riduzione 367 III. Condizioni non formali per la riduzione 376 IV. La dottrina della emergenza 391 V. Totalità, aggregati e unità organiche 408
Capitolo dodicesimo Spiegazione meccanicistica e biologia organismica
4Ù I. La struttura delle spiegazioni teleologiche 439
II. Il punto di vista della biologia organismica
458
Capitolo tredicesimo Problemi metodologici delle scienze sociali
461 I. Forme di indagine controllata 471 II. Relatività culturale e leggi sociali 478 III. La conoscenza dei fenomeni sociali come variabile sociale 486 IV. La natura soggettiva dell'oggetto sociale 498 V. Le tendenze valutative dell'indagine sociale ~Sl 7
Capitolo quattordicesimo Spiegazione e comprensione nelle scienze sociali
I. Generalizzazioni statistiche e loro spiegazioni II. Funzionalismo nelle scienze sociali 550 III. Individualismo metodologico e scienza sociale interpretativa 517 534
563
Capitolo quindicesimo Problemi della logica dell'indagine storica
I. Il punto centrale degli studi storici 567 II. Spiegazioni probabilistiche e spiegazioni genetiche 592 III. Problemi ricorrenti nell'indagine storica 610 W. Il determinismo nella storia 563
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Storia della scienza collana impostata da Paolo Rossi e Libero Sosia
Marie Boas, Il Rinascimento scientifico 1450/1630 Introduzione di A. R. Hall
Marshall Clagett, La scienza della meccanica nel Medioevo Alistair C. Crombie, Da S. Agostino a Galileo. Storia della scienza dal V al XVII secolo E. J. Dijksterhuis, Il meccanicismo e l'immagine del mondo. Dai Presocratici a Newton J. L. E. Dreyer, Storia dell'astronomia da Talete a Keplero Prefazione di W. H. Stahl
Loren Eiseley, Il secolo di Darwin. L'evoluzione e gli uomini che la scoprirono Yehuda Elkana, La scoperta della conservazione dell'energia Prefazione di l. B. Cohen
Bertrand Gille, Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento John C. Greene, La morte di Adamo. L'evoluzionismo e la sua influenza sul pensiero occidentale A. Rupert Hall, Da Galileo a Newton (1630/1720) - La Rivoluzione scientifica 1500/1800. La formazione dell'atteggiamento scientifico moderno Mary B. Resse, Forze e campi. Il concetto di azione a distanza nella storia della fisica Max Jammer, Storia del concetto di forza. Studio sulle fondazioni della dinamica - Storia del concetto di massa nella fisica classica e moderna Morris Kline, La matematica nella cultura occidentale Premessa di R. Courant
Alexandre Koyré, Dal mondo chiuso all'universo infinito Seyyed Hossein Nasr, Scienza e civiltà nell'Islam Prefazione di G. de Santillana
Otto E. Neugebauer, Le scienze esatte nell'Antichità In appendice: Sulla decifrazione delle tavolette astronomiche dei Caldei di ]. Epping
Walter Pagel, Le idee biologiche di Harvey Paolo Rossi, I filosofi e le macchine 1400/1700 - I segni del tempo. Storia della terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico Silvano Tagliagambe, Scienza, filosofia, politica in Unione Sovietica (1924/1939) Philip P. Wiener, Aaron Noland (a cura di), Le radici del pensiero scientifico
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Filosofia della scienza collana diretta da Ludovico Geymonat
l Willard Van Orman Quine, Manuale di logica Introduzione di M. Pacifico
2 Ettore Casari, Lineamenti di logica matematica 3 Ludovico Geymonat, Filosofia e filosofia della scienza 4 Cari G. Hempel, La formazione dei concetti e delle teorie nella scienza empirica Cura e prefazione di A. Pasquinelli
5 Evert W. Beth, I fondamenti logici della matematica Cura e prefazione di E. Casari
6 Ettore Casari, Questioni di filosofia della matematica 7 Alberto Pasquinelli, Nuovi principi di epistemologia 8 Richard Bevan Braithwaite, La spiegazione scientifica. Uno studio sulla funzione della teoria, della probabilità delle leggi nella scienza Cura e prefazione di G. Jesurum
9 Ernest Nagel, La struttura della scienza. Problemi di logica della spiegazione scientifica Prefazione di A. Monti
10 Maria Luisa dalla Chiara Scabia, Modelli sintattici e semantici delle teorie elementari 11 Domenico Costantini, Fondamenti del calcolo delle probabilità 12 Emil Ungerer, Fondamenti teorici delle scienze biologiche Cura e introduzione di F. Mondella
13 M.E. Omelyanovskij, V.A. Fock e altri, L'interpretazione della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS Cura di S. Tagliagarnbe. Prefazione di L. Geymonat
14 Enrico Bellone, I modelli e la concezione del mondo nella fisica moderna. Da Laplace a Bohr 15 Imre Lakatos e Alan Musgrave (a cura di), Critica e crescita della conoscenza Cura e introduzione all'edizione italiana di G. Giorello
16 Hans Reichenbach, Filosofia dello spazio e del tempo Osservazioni introduttive di R. Carnap. Prefazione all'edizione italiana di L. Geymonat. Nota bibliografica di A. Carugo
17 Ludovico Geymonat, Scienza e realismo 18 Pietro Redondi, Epistemologia e storia della scienza 19 Imre Lakatos, Dimostrazioni e confutazioni. La logica della scoperta matematica Cura e prefazione di J. Worrall e E. Zahar. Cura e introduzione all'edizione italiana di G. Giorello
20 Mary B. Resse, Modelli e analogie nella scienza Edizione italiana a cura di Cristina Bicchieri
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Finito di stampare nel mese di gennaio 1981 dalla Tipolito Milano/Roma Via Pomezia 10-12, Milano
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