TRUDI CANAVAN LA CORPORAZIONE DEI MAGHI (The Magicians' Guild, 2001) Questo libro è dedicato a mio padre, Denis Canavan,...
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TRUDI CANAVAN LA CORPORAZIONE DEI MAGHI (The Magicians' Guild, 2001) Questo libro è dedicato a mio padre, Denis Canavan, la scintilla che ha acceso in me il fuoco della curiosità e della creatività.
1 L'EPURAZIONE Si narra, a Imardin, che il vento abbia un'anima e si lamenti per le strette strade della città, addolorato da quanto vede sotto di sé. Il giorno dell'Epurazione, il vento sibilò tra gli alberi ondeggianti del Porto, soffiò impetuoso oltre le porte dell'Ovest e urlò tra i palazzi. Poi, come atterrito dalle anime derelitte che vi aveva incontrato, si placò, limitandosi a piagnucolare. O così parve a Sonea. Mentre un'altra folata di vento freddo la sferzava, la ragazza si cinse il petto con le braccia e si strinse il mantello logoro intorno al corpo. Abbassò lo sguardo e si accigliò, vedendo la fanghiglia sporca che schizzava sulle scarpe a ogni passo. Gli stracci che aveva ficcato negli stivali troppo grandi erano già zuppi e le dita dei piedi le dolevano per il freddo. Un improvviso movimento sulla destra attirò la sua attenzione. Si scostò mentre un uomo dai capelli radi e grigi usciva barcollando da un vicolo e cadeva in ginocchio. Sonea si fermò e gli tese la mano, ma il vecchio non sembrò notarla: si rimise a fatica in piedi e raggiunse la schiera di sagome curve che avanzavano per strada. Con un sospiro, Sonea sbirciò oltre l'orlo del cappuccio. Una guardia stava scompostamente all'ingresso del vicolo, la bocca piegata in un ghigno sprezzante. Il suo sguardo si spostava da una sagoma all'altra. Sonea lo fissò socchiudendo gli occhi, ma quando l'uomo voltò la testa nella sua direzione distolse rapida lo sguardo. Maledette guardie, pensò. Possano tutte ritrovarsi gli stivali pieni di faren velenosi. Le vennero allora in mente i nomi di alcune guardie d'animo gentile e si sentì rimordere la coscienza, ma non era dell'umore giusto per fare eccezioni. Prendendo il passo delle figure che si trascinavano al suo fianco, Sonea le seguì fino a una strada più grande, costeggiata su entrambi i lati da case a tre piani. Alle finestre dei piani più alti vi era una schiera di volti; un uomo ben vestito teneva in braccio un bambino in modo che potesse vedere la gente di sotto. L'uomo arricciò il naso con sdegno e, mentre indicava col dito verso il basso, il bimbo fece una smorfia come se avesse mangiato qualcosa di cattivo. Sonea li fissò torva. Non sarebbe tanto compiaciuto, se gli tirassi una pietra nella finestra. Si guardò intorno esitante ma, se c'era qualche sasso
nei paraggi, doveva essere ben coperto dalla fanghiglia. Alcuni passi più in là scorse un paio di guardie all'ingresso di un vicolo. Con l'armatura rigida di cuoio bollito e l'elmo di ferro, sembravano due volte più massicce degli straccioni che tenevano d'occhio; avevano scudi di legno e, appesa in vita, una kebin, la sbarra di ferro che usavano come manganello ma che poco al di sopra del manico era dotata anche di un uncino per afferrare il coltello degli aggressori. Abbassando lo sguardo al suolo, Sonea le superò. «... isolarli prima che raggiungano la piazza», stava dicendo una delle due. «Una ventina. Il capo della banda è uno grosso, ha una cicatrice sul collo e...» Sonea ebbe un tuffo al cuore. Forse...? Pochi passi più in là rispetto alle guardie vi era una porta, in una piccola rientranza. Sonea s'infilò in quel minuscolo riparo e si girò a osservare le guardie; trasalì quando vide due occhi scuri che la fissavano oltre la soglia. Una donna la guardava con gli occhi sgranati per la sorpresa. Sonea arretrò di un passo. Anche la sconosciuta arretrò; ma un attimo dopo, quando Sonea rise brevemente, la imitò. È solo un riflesso! Allungò le mani e le sue dita toccarono un riquadro di metallo lucido fissato al muro. Sopra vi erano incise alcune parole, ma Sonea conosceva troppo poche lettere per capire che cosa dicessero. Studiò la sua immagine: un volto magro, scavato, i capelli scuri corti. Nessuno l'aveva mai definita bella. Quando voleva, riusciva ancora a spacciarsi per un ragazzo. La zia diceva che assomigliava più alla madre, morta da tempo, che al padre, ma lei sospettava che Jonna preferisse non vedere nessuna somiglianza col fratello, un uomo poco incline alla vita familiare. Sonea si avvicinò al riflesso. Sua madre era molto bella. Forse, se mi lasciassi crescere i capelli e mi mettessi qualcosa di femminile... ...oh, lascia perdere! Sbuffando con fare autoironico, si biasimò per essersi persa in simili fantasie. «... circa venti minuti fa», disse una voce vicina. Sonea s'irrigidì ricordando il motivo per cui si era nascosta nella rientranza. «E dove pensano di prenderli in trappola?» «Non lo so, Mol.» «Ah, vorrei proprio esserci. Hai visto quello che hanno fatto a Porlen l'anno scorso, bastardi. Ci sono volute settimane prima che gli passasse lo sfogo, e per giorni non è riuscito a vedere bene. Mi domando se non pos-
sa... Ahi! Non da quella parte, ragazzo!» Sonea ignorò le grida del soldato sapendo che lui e il collega non avrebbero abbandonato la posizione all'imbocco del vicolo, per evitare che la gente in strada ne approfittasse per sgattaiolare via. Si mise invece a trotterellare facendosi strada tra la folla sempre più numerosa; di tanto in tanto si fermava in cerca di un volto familiare. Sapeva con certezza a quale banda si riferissero le guardie: la storia di ciò che il gruppo di Harrin aveva architettato durante l'ultima Epurazione era passata di bocca in bocca nel duro inverno precedente. Le aveva fatto piacere sentire che i vecchi amici combinavano ancora qualche mascalzonata, anche se aveva dovuto convenire con la zia che avrebbe fatto meglio a tenersi alla larga da quei piantagrane. Quella mattina sembrava che le guardie stessero preparando la loro vendetta. Questo non fa che dimostrare che Jonna ha ragione. Sonea sorrise tristemente. Mi strozzerebbe se sapesse cosa sto facendo. Non è che torno nella banda, devo solo trovare una vedetta... eccola! Nell'ombra di una porta, un giovane dinoccolato si stava guardando intorno con espressione cupa e ostile. Sebbene ostentasse indifferenza, spostava gli occhi dall'imbocco di un vicolo all'altro. Quando incrociò lo sguardo di Sonea, lei portò le mani al cappuccio per sistemarselo e fece quello che gran parte delle persone avrebbe interpretato come un gesto villano. Il giovane socchiuse gli occhi e rispose al segnale. Certa ormai che fosse una vedetta, Sonea fendette la folla e si fermò a qualche passo dalla porta, fingendo di stringersi lo stivale. «Con chi sei?» domandò lui guardando dall'altra parte. «Con nessuno.» «Hai usato un vecchio segnale.» «Sono stata via per un po'.» La vedetta tacque per qualche istante. «Cosa vuoi?» «Ho sentito un discorso delle guardie. Hanno in mente di catturare qualcuno.» Lui fece un verso scortese. «E perché ti dovrei credere?» «Conoscevo Harrin», rispose Sonea raddrizzandosi. Il ragazzo la squadrò per un istante, uscì dalla nicchia e l'afferrò per un braccio. «Allora vediamo se lui si ricorda di te.» Sonea ebbe un tuffo al cuore quando la vedetta cominciò a trascinarla tra la folla. Il fango era scivoloso e lei sapeva che, se avesse cercato di puntare i piedi, vi sarebbe finita lunga distesa. Borbottò un'imprecazione. «Non c'è
bisogno che mi porti da Harrin. Digli solo il mio nome. Lui sa che non lo metterei mai nei guai.» Il ragazzo la ignorò. Le guardie li scrutavano con sospetto quando passavano. Sonea torse il braccio, ma il giovane la teneva con forza e la trascinò in una strada laterale. «Ascoltami. Mi chiamo Sonea. Lui mi conosce, e anche Cery.» «Allora non ti dispiacerà rivederlo», ribatté il ragazzo girando lievemente la testa. La strada laterale era gremita di persone che sembravano andare di fretta. Sonea si aggrappò a un lampione e lo costrinse a fermarsi. «Non posso venire con te. Devo andare da mia zia. Lasciami...» La calca diminuì quando la folla si disperse lungo la strada. Sonea sollevò lo sguardo ed emise un gemito. «Jonna mi ucciderà.» La strada era sbarrata da una fila di guardie con gli scudi sollevati. Diversi giovani camminavano su e giù davanti a loro lanciando insulti e parole di scherno. Mentre Sonea guardava, uno tirò qualcosa contro i soldati: il piccolo oggetto colpì uno scudo ed esplose in una nube di polvere rossa. Dal gruppo di giovani si levò un grido di esultanza; le guardie arretrarono un poco. A vari passi di distanza, Sonea scorse due figure familiari: una era più alta e massiccia di quanto ricordasse. Harrin stava impettito con le mani sui fianchi. I due anni passati avevano cancellato ogni aspetto giovanile dal suo volto, ma dall'atteggiamento Sonea capì che per il resto ben poco era cambiato. Harrin era da sempre il capo indiscusso della banda, pronto a rimettere in riga chiunque osasse mettere in dubbio la sua autorità. Al suo fianco, un ragazzo che era la metà di lui. Sonea non poté fare a meno di sorridere: Cery non era cresciuto affatto da quando lo aveva visto l'ultima volta. Tuttavia, nonostante la bassa statura, era sempre stato rispettato nella banda perché suo padre aveva lavorato per i Ladri. Mentre la vedetta la trascinava più vicino, Sonea vide Cery leccarsi un dito, sollevarlo in aria e annuire. Harrin cacciò un urlo, al che i giovani estrassero dei piccoli involti dagli abiti e li scagliarono contro le guardie. Una nube rossa si levò dagli scudi, e Sonea sorrise mentre gli uomini imprecavano e gridavano di dolore. Poi una figura solitaria spuntò da un vicolo dietro i soldati. Sonea alzò lo sguardo e si sentì gelare il sangue nelle vene. Un mago! Il ragazzo al suo fianco inspirò bruscamente quando vide la figura con la tunica. «Un mago!» urlò.
I ragazzi e le guardie si raddrizzarono e si girarono verso il nuovo venuto. Tutti arretrarono barcollando mentre una folata calda li investiva. Un odore sgradevole riempì le narici di Sonea, e gli occhi presero a bruciarle quando la polvere rossa la colpì in viso. Il vento cessò di colpo, poi tutto fu quiete e silenzio. Asciugandosi le lacrime, Sonea batté le palpebre guardando il terreno in cerca di un po' di neve pulita per alleviare il bruciore; ma tutt'intorno vi era solo fango, liscio e senza impronte. Qualcosa non andava. A mano a mano che la vista le si schiarì, Sonea notò alcune lievi ondulazioni che s'irradiavano dai piedi del mago. «Via!» tuonò Harrin. I ragazzi si allontanarono subito dalle guardie e superarono Sonea correndo. Con uno strillo, la vedetta la strattonò e la trascinò con sé. La bocca le si seccò quando vide un'altra fila di soldati in attesa in fondo alla strada. Era quella la trappola! E io mi sono fatta mettere nel sacco con loro! La vedetta continuò a trascinarla e a seguire la banda di Harrin che correva in direzione delle guardie, le quali sollevarono preventivamente gli scudi. Ad alcuni passi da loro, i ragazzi piegarono in un vicolo. Mentre li seguiva, Sonea notò un paio di uomini in uniforme accasciati contro il muro all'ingresso del vicolo. «Giù!» urlò una voce familiare. Una mano l'agguantò e la buttò a terra. Sonea trasalì quando pestò le ginocchia sull'acciottolato, sotto lo strato di fango. Sentendo gridare alle sue spalle, si voltò e vide un groviglio di braccia e scudi bloccare lo stretto passaggio tra gli edifici, e una nube rossa levarsi tutt'intorno. «Sonea?» La voce era familiare e piena di stupore. Lei sollevò lo sguardo, e sorrise quando vide Cery accucciato al suo fianco. «Mi ha detto che le guardie stavano preparando un'imboscata», riferì la vedetta. Cery annuì. «Lo sapevamo.» Sul suo volto comparve a poco a poco un sorriso; poi, con un guizzo, Cery spostò lo sguardo da lei ai soldati e il sorriso scomparve. «Venite, tutti quanti. È ora di andare!» La prese per mano, la tirò su e la condusse in mezzo ai ragazzi che stavano bersagliando le guardie. In quel momento un lampo investì il vicolo col suo bagliore accecante. «Che cos'era quello?» chiese Sonea senza fiato, cercando di scacciare
l'immagine del vicolo che sembrava persistere davanti ai suoi occhi. «Il mago», sibilò Cery. «Correte!» gridò Harrin. Mezza cieca, Sonea incespicò. Qualcuno le piombò addosso da dietro, facendola cadere per terra. Cery l'afferrò per le braccia, la risollevò e la condusse via. Balzarono fuori dal vicolo, e si ritrovarono nella strada principale. I ragazzi rallentarono, si misero i cappucci e curvarono le spalle mentre si confondevano nella folla. Sonea li imitò e per parecchi minuti camminò in silenzio con Cery. Una figura alta li affiancò e sbirciò oltre il bordo del cappuccio per osservarla. «Ah! Guarda un po' chi c'è!» Harrin sgranò gli occhi. «Sonea! Che ci fai qui?» Lei sorrise. «Mi metto di nuovo nei guai per le tue malefatte.» «Aveva sentito che le guardie stavano preparando un'imboscata ed era venuta a cercarci», spiegò Cery. Harrin fece un gesto noncurante con la mano. «Sapevamo che avrebbero tentato qualcosa, perciò ci siamo assicurati una via di fuga.» Pensando ai soldati accasciati all'ingresso del vicolo, Sonea annuì. «Avrei dovuto immaginarlo.» «Allora, dove sei stata? Sono passati... anni.» «Due anni. Ci siamo trasferiti nel quartiere settentrionale. Zio Ranel ha ottenuto una stanza in una casa di soggiorno.» «Ho sentito che nelle case di soggiorno gli affitti sono indecenti e che tutto costa il doppio solo perché vivi dentro le mura cittadine.» «È vero, ma sopravviviamo.» «Facendo cosa?» domandò Cery. «Riparando abiti e scarpe.» Harrin annuì. «Per questo non ti si vede da tanto.» Sonea sorrise. Per questo, e perché Jonna non ha voluto che frequentassi la vostra banda. La zia disapprovava Harrin e i suoi amici, totalmente... «Non sembra molto entusiasmante», borbottò Cery. Guardandolo, Sonea notò che, sebbene non fosse cresciuto molto negli ultimi anni, non aveva più un viso da ragazzino. Indossava un lungomanto nuovo con alcuni fili penduli là dove era stato accorciato, e probabilmente aveva le tasche e i taschini della fodera pieni di grimaldelli, coltelli, aggeggi vari e dolcetti. Sonea si era sempre chiesta che cosa avrebbe fatto Cery quando avesse
smesso di borseggiare la gente e scassinare serrature. «È più sicuro che andare in giro in vostra compagnia», replicò. Cery socchiuse gli occhi. «Mi sembra di sentir parlare Jonna.» Una volta Sonea sarebbe rimasta ferita; invece sorrise. «A forza di parlare, Jonna ci ha tolto dai bassifondi.» «Se hai una stanza in una casa di soggiorno, perché sei qui?» intervenne Harrin. Sonea lo guardò torva e s'incupì. «Il re sta cacciando la gente dalle case di soggiorno», rispose. «Dice che non vuole troppe persone in un solo edificio, che non c'è pulizia. Le guardie sono arrivate stamattina e ci hanno buttato fuori.» Harrin si rabbuiò e imprecò. Lanciando un'occhiata a Cery, Sonea vide che lo sguardo canzonatorio era scomparso dai suoi occhi. Guardò altrove, grata per la loro comprensione, ma non per quello si sentì meglio. Era bastata una sola parola dal Palazzo reale, un solo mattino, e tutto quello per cui lei e gli zii avevano lavorato era andato perduto. Non avevano avuto nemmeno il tempo di riflettere sulle implicazioni, mentre afferravano le loro cose prima di essere trascinati in strada. «Dove sono ora Jonna e Ranel?» chiese Harrin. «Mi hanno mandata in avanscoperta a cercare una stanza nel nostro vecchio posto.» Cery le lanciò un'occhiata sincera. «Se non la trovi, passa da me.» Lei annuì. «Grazie.» La folla si stava riversando lentamente in una vasta area lastricata, piazza del Nord, dove ogni settimana si teneva un piccolo mercato. Sonea e la zia vi andavano regolarmente o, meglio, vi erano andate regolarmente fino a qualche giorno addietro. Nella piazza si erano radunate diverse centinaia di persone. Se molti varcavano le porte del Nord, altri indugiavano nella speranza d'incontrare i loro cari prima di entrare nella bolgia dei bassifondi. Altri ancora si rifiutavano di muoversi, finché non venivano costretti a farlo. Cery e Harrin si fermarono alla base della fontana, al centro della piazza. Dall'acqua si levava la statua di re Kalpol. Il sovrano, morto da tempo, aveva quarant'anni quando aveva sgominato i banditi dei monti, eppure la statua lo ritraeva giovane: con la destra brandiva una copia della sua famosa spada incastonata di pietre dure, con la sinistra stringeva un calice altrettanto ornato. Un tempo in quel luogo sorgeva un'altra statua, ma trent'anni prima era
stata abbattuta. Negli anni erano state costruite molte statue di re Terrei ma tutte, tranne una, erano state distrutte; e si diceva che persino quella rimasta, custodita entro le mura del palazzo, fosse priva di faccia. Nonostante tutto quello che aveva fatto, i cittadini di Imardin non avrebbero mai scordato re Terrei, l'iniziatore delle Epurazioni annuali. Lo zio aveva raccontato la storia a Sonea tante volte. Trent'anni addietro, dopo che i membri influenti delle Case si erano lamentati per la mancanza di sicurezza nelle strade, il re aveva ordinato alle guardie di scacciare dalla città tutti i mendicanti, i vagabondi senza fissa dimora e i sospetti criminali. Infuriati, i più forti del gruppo si erano riuniti e avevano reagito, con le armi che si erano procurati da ricchi contrabbandieri. Di fronte agli scontri scoppiati per le strade, il re aveva chiesto aiuto alla Corporazione dei maghi. I ribelli non avevano armi per contrastare la magia: furono catturati e cacciati nei bassifondi. Il re apprezzò i festeggiamenti organizzati dalle Case per celebrare la vittoria e dichiarò che ogni anno la città sarebbe stata ripulita dai vagabondi. Quando il vecchio re era morto, cinque anni prima, molti avevano sperato che le Epurazioni cessassero, ma re Merin, il figlio di Terrei, aveva mantenuto la tradizione. Se si guardava intorno, Sonea aveva difficoltà a credere che quelle persone fragili, dall'aria malata, potessero costituire una minaccia. D'un tratto notò che diversi ragazzi si erano radunati intorno a Harrin e lo osservavano ansiosi. Sentì lo stomaco contrarsi per l'apprensione. «Devo andare», disse. «No, non farlo», obiettò Cery. «Ci siamo appena ritrovati.» Lei scosse la testa. «Sono via da troppo tempo. Jonna e Ranel potrebbero essere già nei bassifondi.» «Allora sei già nei guai», osservò Cery con una scrollata di spalle. «Hai ancora paura delle sgridate, eh?» Lei gli lanciò un'occhiata di rimprovero. Cery le rispose, imperterrito, con un sorriso. «Ecco», disse piazzandole qualcosa in mano. Abbassato lo sguardo, Sonea esaminò il pacchettino di carta. «È questo che tiravate alle guardie?» Cery annuì. «Polvere di papea. Irrita gli occhi e provoca un'eruzione sulla pelle.» «Ma non serve contro i maghi.» Lui sghignazzò. «Una volta ne ho beccato uno. Non mi aveva visto arrivare.» Sonea stava per restituirglielo, ma Cery fece un gesto con la mano.
«Tienilo, qui non serve. I maghi creano sempre un muro.» Lei scosse la testa. «E allora lanciate i sassi? Perché tanto accanimento?» «È giusto così.» Cery guardò indietro verso la strada, con occhi grigio acciaio. «Se non lo facessimo, sembrerebbe che non c'importa dell'Epurazione. Non possiamo lasciare che ci caccino dalla città senza fare un po' di rumore, non credi?» Con una stretta di spalle, Sonea guardò il gruppo di ragazzi. I loro occhi brillavano, impazienti. Sonea aveva sempre pensato che scagliare cose contro i maghi fosse inutile e insensato. «Tu e Harrin non venite quasi mai in città.» «No, ma dovremmo essere in grado di farlo, se volessimo», replicò Cery. «E questa è l'unica volta in cui riusciamo a combinare guai senza che i Ladri ci mettano il becco.» Sonea roteò gli occhi. «Adesso capisco.» «Andiamo», ordinò Harrin sovrastando il clamore della folla. Mentre i ragazzi esultavano e cominciavano ad allontanarsi, Cery la guardò speranzoso. «Vieni. Sarà divertente.» Sonea scosse il capo. «Non ti devi unire a noi. Resta solo a guardare», insistette Cery. «Dopo ti accompagnerò, e vedremo di trovarvi un posto dove stare.» «Ma...» Cery si protese e le sciolse il nodo alla sciarpa, la piegò a triangolo, gliela mise in testa e gliela legò sotto il collo. «Adesso hai un aspetto più femminile. Anche se le guardie decidessero d'inseguirci - cosa che non fanno mai - non penseranno che tu faccia parte del gruppo di provocatori. Perfetto!» esclamò facendole una carezza sulla guancia. «Molto meglio. Adesso vieni. Non ti lascerò scomparire di nuovo nel nulla.» Sonea sospirò. «D'accordo.» La folla era aumentata e la banda cominciò a farsi strada nella calca. Il loro sgomitare non fu accolto da proteste e gesti di ripicca, anzi uomini e donne mettevano loro in mano sassi e frutti marci e sussurravano parole d'incoraggiamento. Mentre seguiva Cery in mezzo a tante facce infervorate, Sonea provò un senso di eccitazione. Quanti avevano un po' di buon senso, come gli zii, si erano già allontanati da piazza del Nord. Quelli che erano rimasti volevano assistere alla provocazione, incuranti della sua inutilità. Il gruppo giunse ai margini della folla, che si era fatta più rada. Sonea
vide altre persone confluire nella piazza da una strada laterale; dall'alto, le porte lontane si ergevano sulla massa. Davanti... Sonea si fermò e sentì tutta la sua sicurezza svanire: a meno di venti passi c'era una fila di maghi. Mentre Cery avanzava, lei fece qualche passo indietro e si bloccò alle spalle di una donna anziana. Inspirò profondamente ed espirò. Sapeva che non si sarebbero mossi; avrebbero ignorato la folla fino al momento di allontanarla dalla piazza. Non c'era ragione di avere paura. Deglutì, si costrinse a guardare altrove e cercò i ragazzi: Harrin, Cery e gli altri stavano avanzando a passo lento, mescolandosi al flusso sempre più rado dei ritardatari che s'inserivano ai margini della folla. Sonea sollevò di nuovo lo sguardo per osservare i maghi e rabbrividì. Non si era mai avvicinata tanto a loro né aveva mai avuto occasione di guardarli bene. Indossavano un'uniforme: una tunica con le maniche larghe cinta da una fusciacca in vita. Secondo zio Ranel, abiti del genere andavano di moda molte centinaia di anni prima; ormai per la gente comune vestirsi come i maghi era un crimine. Erano tutti uomini. Dalla sua posizione, Sonea ne vedeva nove, soli o in coppia, e sapeva che erano parte di una fila che cingeva tutta la piazza. Alcuni non avevano più di vent'anni, altri sembravano molto vecchi. Uno di quelli più vicini, un uomo dai capelli chiari sulla trentina, era avvenente e raffinato. Gli altri avevano un aspetto incredibilmente ordinario. Con la coda dell'occhio, Sonea scorse un movimento brusco e si voltò in tempo per vedere Harrin ruotare il braccio in avanti. Una pietra volò in direzione dei maghi. Pur sapendo ciò che sarebbe accaduto, la ragazza trattenne il fiato. La pietra sbatté contro qualcosa di duro e d'invisibile e cadde a terra. Sonea espirò mentre altri ragazzi cominciavano a tirare pietre. Alcune figure con la tunica sollevarono lo sguardo e osservarono i sassi cozzare a mezz'aria davanti a loro, altri guardarono brevemente i ragazzi, poi ripresero a conversare. Sonea fissò il punto in cui si trovava la barriera dei maghi, ma non vide nulla. Avanzando, prese uno dei pacchetti che aveva in tasca, ruotò il braccio all'indietro e lo tirò con tutte le sue forze: quando toccò il muro invisibile, l'involto si disintegrò, e per un istante una nube di polvere rimase sospesa in aria, appiattita contro di esso. Udì ridacchiare nei paraggi, si voltò e vide un'anziana che sorrideva. «Bel tiro!» esclamò con voce stridula la donna. «Fagli vedere. Forza.»
Sonea infilò la mano in tasca, e le sue dita toccarono una grossa pietra. Fece qualche passo verso i maghi e sorrise. Su alcuni volti aveva colto un senso di fastidio: ovviamente non amavano essere sfidati, ma qualcosa li tratteneva dall'affrontare i giovani provocatori. Dalla nube di polvere si levarono delle voci. Il mago elegante alzò lo sguardo e si voltò verso il collega, un uomo più anziano dai capelli grigi. «Che patetica plebaglia!» esclamò con tono di scherno. «Quanto ancora ci vorrà prima di potercene sbarazzare?» Qualcosa nel ventre di Sonea si contrasse. Strinse la presa sul sasso, lo estrasse e lo soppesò. Era pesante. Si voltò in direzione dei maghi, fece appello a tutta la rabbia che aveva per essere stata cacciata da casa sua e a tutto il suo odio innato per i maghi, e lanciò la pietra contro quello che aveva parlato. Ne seguì la traiettoria in aria e, quando fu in prossimità della barriera dei maghi, desiderò con tutta l'anima che la superasse e colpisse il bersaglio. Un'onda di luce blu si propagò verso l'esterno, e la pietra colpì il mago alla tempia con un tonfo sordo. Questi rimase immobile a fissare il nulla, poi le sue ginocchia cedettero e il compagno anziano gli si avvicinò per sorreggerlo. Sonea fissò a bocca aperta il vecchio mago che adagiava a terra il collega. Le grida di esultanza dei ragazzi cessarono. Il silenzio si diffuse come fumo tra la folla. Poi, quando altre due mani si precipitarono ad aiutare il collega ferito, si levò un coro di esclamazioni. Gli amici di Harrin e altre persone nella folla iniziarono a esultare. La piazza fu nuovamente invasa dal clamore della gente che mormorava e gridava per raccontare l'accaduto. Sonea abbassò lo sguardo e si fissò le mani. Ha funzionato. Ho infranto la barriera, ma questo non è possibile a meno che... non abbia usato la magia. Si sentì gelare quando ricordò come avesse concentrato tutta la sua rabbia e tutto il suo odio sulla pietra, come ne avesse seguito la traiettoria con la mente e avesse desiderato che infrangesse la barriera. Qualcosa dentro di lei si mosse, come se volesse indurla a ripetere l'azione. Quando alzò lo sguardo, vide che molti maghi si erano radunati vicino al compagno a terra. Alcuni gli si erano accovacciati accanto, ma gran parte si era voltata a fissare la folla nella piazza con sguardo indagatore. Mi stanno cercando, pensò Sonea. Quasi avesse udito il suo pensiero, un mago si girò a guardarla. Lei restò
paralizzata dal terrore, ma poco dopo gli occhi dell'uomo si spostarono e continuarono a scrutare la gente. Ignorano chi sia stato. Sonea emise un sospiro di sollievo. Guardandosi intorno, vide che la folla era a vari passi di distanza da lei. I ragazzi stavano arretrando e, col cuore che le martellava nel petto, li imitò. Il vecchio mago allora si alzò. A differenza dei colleghi, concentrò lo sguardo su di lei senza esitazione e, mentre gli altri maghi si voltavano a guardare, la indicò col dito. Quando vide le loro mani sollevarsi, Sonea cadde in preda al terrore. Si girò e partì di corsa verso la folla. Con la coda dell'occhio notò i ragazzi che fuggivano. La vista le vacillò quando vari lampi rapidi illuminarono i volti davanti a lei, poi diverse grida squarciarono l'aria. «Fermatevi!» Sonea non sentì dolore. Guardando in basso, ebbe un ansito di sollievo quando capì di essere illesa. Alzò lo sguardo: la gente stava ancora scappando senza ascoltare il comando che riecheggiava nella piazza. Un odore di bruciato le pervase le narici. Si girò e vide una figura distesa sul terreno, a pochi passi di distanza. Le fiamme stavano divorando avidamente i vestiti, eppure la sagoma giaceva immobile. Un istante dopo vide una forma annerita che un tempo era un braccio; ebbe un conato. «Non fatele del male!» Barcollando, si allontanò dal cadavere. Varie figure la superarono a destra e a sinistra mentre i ragazzi fuggivano. Con uno sforzo Sonea riuscì a prendere un passo di corsa, pur esitante. Raggiunse la folla alle porte del Nord e la attraversò a fatica. Facendosi strada a stento, sgomitando quelli che le venivano tra i piedi, s'infilò nella fiumana di corpi. Quando si accorse del peso dei sassi nelle tasche, li prese e li gettò via. Qualcosa le bloccò le gambe facendola inciampare, ma si rimise in piedi e continuò la sua marcia. Due mani l'afferrarono bruscamente da dietro. Sonea si divincolò e fece per gridare, ma le mani la girarono e si ritrovò a fissare gli occhi azzurri, familiari di Harrin. 2 IL DIBATTITO DEI MAGHI Dal giorno del diploma, trent'anni prima, Lord Rothen era entrato innu-
merevoli volte nel Palazzo della Corporazione, ma di rado vi aveva sentito riecheggiare tante voci. Guardò la marea di uomini e donne con la tunica. Si erano formate varie cerchie, e notò le consuete cricche e fazioni; alcuni maghi girovagavano di qua e di là, passando da una cerchia all'altra. Era tutto un gesticolare eloquente, e dal baccano si levava di tanto in tanto un'esclamazione. Le Assemblee si svolgevano di solito all'insegna del decoro e dell'ordine; tuttavia, finché non arrivava l'Amministratore a gestirli, i partecipanti si aggiravano nella sala chiacchierando tra loro. Quando Rothen fissò la folla, colse brandelli di conversazione che parevano provenire dal tetto; il Palazzo della Corporazione amplificava i suoni in modi strani, inattesi, soprattutto quando si parlava a voce alta. L'effetto non era dovuto alla magia, come spesso immaginavano i visitatori comuni, ma a una conseguenza imprevista della trasformazione dell'edificio in sala. La prima e più antica sede della Corporazione conteneva gli alloggi dei maghi e dei loro apprendisti, nonché aule per le lezioni e le riunioni. Quattro secoli dopo, a fronte dell'aumento rapido dei membri, la Corporazione aveva costruito molti nuovi palazzi e, non volendo demolire la prima sede, l'aveva ristrutturata internamente e dotata di posti a sedere. Da allora tutte le Assemblee, le Udienze e le cerimonie di Ammissione e di Diploma si tenevano in quella sala. Una sagoma alta con una tunica purpurea emerse dalla folla e si diresse a grandi passi verso Rothen. Notando l'espressione ansiosa del giovane mago, Rothen sorrise: Dannyl si era lamentato più di una volta che nella Corporazione non accadeva mai niente di eccitante. «Be', vecchio amico, com'è andata?» chiese Dannyl. Rothen incrociò le braccia. «Vecchio amico davvero.» «Vecchia volpe, allora.» Dannyl fece un gesto noncurante con la mano. «Che cos'ha detto l'Amministratore?» «Niente. Voleva solo che gli riferissi l'accaduto. Sembra che sia l'unico ad averla vista.» «Buon per lei», commentò Dannyl. «Perché gli altri hanno tentato di ucciderla?» Rothen scosse la testa. «Non penso ne avessero l'intenzione.» Un gong sovrastò il brusio, e la voce amplificata dell'Amministratore della Corporazione invase la sala. «Che tutti i maghi prendano posto, per favore.» Lanciando un'occhiata alle sue spalle, Rothen vide l'enorme porta in
fondo alla sala chiudersi. La massa di tuniche si divise mentre i maghi si dirigevano ai seggi, sui due lati della sala. Dannyl annuì in direzione dell'ingresso. «Oggi abbiamo un'inconsueta compagnia.» Rothen seguì lo sguardo dell'amico. I maghi superiori si stavano accomodando. A sottolineare la loro posizione e autorità nella Corporazione, occupavano cinque gradinate di seggi nella parte anteriore della sala, raggiungibili mediante due strette scale. Al centro della fila, in alto, spiccava una poltrona più grande ornata d'oro e ricamata con l'incal del re: un uccello notturno stilizzato. Era vuota, ma i due seggi a lato erano occupati da maghi che portavano una fusciacca d'oro in vita. «I Consiglieri del re», mormorò Rothen. «Interessante.» «Sì», convenne Dannyl. «Mi chiedo se re Merin ritenga questa Assemblea tanto importante da presenziarvi.» «Non abbastanza da prendervi parte di persona.» «Ovviamente.» Dannyl sorrise. «Allora ci dovremo comportare bene.» Rothen si strinse nelle spalle. «Non fa differenza. Anche se non ci fossero i Consiglieri, nessuno direbbe niente che non direbbe in presenza del re. No, sono qui per assicurarsi che facciamo qualcosa di più che parlare della ragazza.» I due raggiunsero i loro posti e si sedettero. Dannyl scrutò la sala. «Tutto questo per una lurida teppistella di strada.» Rothen ridacchiò. «Ha causato un bel po' di scompiglio, non credi?» «Fergun non è venuto», osservò Dannyl, socchiudendo gli occhi per scrutare le file di seggi lungo la parete opposta. «Ma i suoi seguaci ci sono.» Rothen non gradiva che l'amico manifestasse pubblicamente il suo disprezzo per un altro mago, ma non poté fare a meno di sorridere. I modi invadenti di Fergun non lo rendevano simpatico ai colleghi. «Da quello che ricordo del rapporto del guaritore, il colpo ha provocato uno stato di grande confusione e agitazione. Ha ritenuto opportuno prescrivere a Fergun un sedativo.» Dannyl emise un gridolino di gioia. «Fergun dorme! Quando si accorgerà di aver perso l'Assemblea, andrà su tutte le furie.» Il gong risuonò e la sala si zittì a poco a poco. «E, come potrai immaginare, l'Amministratore Lorlen è rimasto sommamente deluso che Lord Fergun non abbia potuto raccontare la sua versione dei fatti», aggiunse Rothen bisbigliando.
Dannyl soffocò una risata. Osservando i maghi superiori, Rothen vide che avevano tutti preso posto. Solo l'Amministratore Lorlen era ancora in piedi col gong in una mano e con la mazza per suonarlo nell'altra; aveva un'espressione insolitamente seria. Rothen s'incupì pensando che quella era la prima crisi che il mago affrontava da quand'era stato eletto Amministratore. Lorlen si era dimostrato capace di affrontare i problemi quotidiani della Corporazione, ma più di un mago si chiedeva come avrebbe gestito un'emergenza del genere. «Ho convocato questa Assemblea per discutere dei fatti che si sono verificati in piazza del Nord stamattina», esordì Lorlen. «Dobbiamo valutare due questioni di natura estremamente seria: l'uccisione di un innocente e l'esistenza di un mago sfuggito al nostro controllo. Inizieremo con l'affrontare il primo e più grave dei problemi: chiamo Lord Rothen a testimoniare.» Dannyl guardò Rothen stupito, poi sorrise. «Ma certo. Saranno anni che non sali sul banco dei testimoni. Buona fortuna.» Mentre si alzava, Rothen incenerì l'amico con un'occhiata. «Grazie per avermelo ricordato. Me la caverò.» Una marea di facce si girò mentre l'Assemblea osservava Rothen abbandonare il suo seggio, attraversare la sala e presentarsi di fronte ai maghi superiori. Chinò il capo davanti all'Amministratore e questi contraccambiò con un cenno. «Ci dica che cos'ha visto, Lord Rothen.» Rothen tacque per un istante soppesando le parole. Nel parlare davanti alla Corporazione, si doveva essere concisi ed evitare di elaborare i fatti. «Quando sono arrivato in piazza del Nord stamattina, Lord Fergun era già sul posto. Ho preso posizione accanto a lui e contribuito col mio potere a rafforzare lo scudo. Alcuni giovani provocatori hanno cominciato a tirare pietre ma, come sempre, li abbiamo ignorati.» Sollevando lo sguardo verso i maghi superiori, notò che lo stavano osservando con attenzione. Provò un senso di nervosismo; era davvero passato molto tempo da quando aveva parlato alla Corporazione. «Poi con la coda dell'occhio ho visto un lampo azzurro, e ho sentito un'alterazione nello scudo. Ho scorto un oggetto che si avvicinava ma, prima che potessi reagire, quello ha colpito Lord Fergun alla tempia, facendogli perdere i sensi. L'ho afferrato mentre cadeva, l'ho steso a terra e mi sono accertato che la ferita non fosse grave. Poi, quando altri sono accorsi, ho cercato di capire chi avesse lanciato il sasso.» Rothen sorrise mentre ricordava gli eventi. «Ho visto che, a differenza di gran par-
te dei giovani che avevano un'aria perplessa, una ragazza si stava fissando le mani con stupore. Quando sono arrivati i colleghi, l'ho persa di vista e, quando loro non sono riusciti a localizzarla, mi hanno chiamato perché lo facessi io.» Rothen scosse la testa. «Quando l'ho fatto, hanno creduto erroneamente che indicassi un ragazzo al suo fianco... hanno reagito.» Lorlen gli fece cenno di fermarsi. Guardò i maghi seduti sotto di lui, e il suo sguardo si posò su Lord Balkan, il capo dei maghi guerrieri. «Lord Balkan, che cos'ha scoperto interrogando chi ha colpito il giovane?» Il mago con la tunica rossa si alzò. «Tutti i diciannove maghi coinvolti hanno creduto che l'aggressore fosse uno dei ragazzi della folla: ritenevano improbabile che una ragazza fosse stata addestrata per diventare un mago fuorilegge. Volevano tutti stordirlo, non fargli del male; la descrizione dei colpi fornita di testimoni mi fa credere che sia andata così. Dalle testimonianze ho concluso inoltre che alcuni colpi stordenti si sono combinati a formare un colpo di fuoco non mirato: è stato questo a uccidere il ragazzo.» Il ricordo di una sagoma bruciata colpì Rothen. Nauseato, fissò il pavimento. Anche se non si fossero uniti, l'effetto di diciannove colpi stordenti sarebbe stato eccessivo per il corpo del ragazzo. Non poteva fare a meno di sentirsi responsabile; se solo avesse preso lui l'iniziativa, prima che gli altri reagissero... «Questo solleva problemi complessi», commentò Lorlen. «È improbabile che l'opinione pubblica creda alle nostre parole, se diciamo che abbiamo commesso uno sbaglio. Le scuse non bastano. Dobbiamo cercare di rimediare. È possibile pensare a un risarcimento per la famiglia del giovane?» Molti maghi superiori annuirono, e Rothen udì mormorii di approvazione alle sue spalle. «Se riusciremo a rintracciarla», aggiunse un mago superiore. «Temo che un risarcimento non rimedierà al danno che abbiamo arrecato alla nostra reputazione», osservò Lorlen accigliato. «Come possiamo riconquistare il rispetto e la fiducia della gente?» Ci fu un gran bisbigliare, poi una voce si levò: «La ricompensa è sufficiente». «Affidiamoci al tempo, la gente dimenticherà», disse un'altra. «Abbiamo fatto tutto il possibile.» Con tono più basso, qualcuno a destra di Rothen disse: «Era solo un ragazzo dei bassifondi. A chi importa?»
Rothen sospirò. Sebbene quelle parole non lo avessero sorpreso, destarono in lui la consueta rabbia. Secondo la legge, la Corporazione esisteva per proteggere la gente, e la legge non distingueva tra ricchi e poveri. Ma lui aveva sentito più volte i maghi sostenere che gli abitanti dei bassifondi erano tutti delinquenti e che non meritavano di essere tutelati dalla Corporazione. «Possiamo fare ben poco», intervenne Lord Balkan. «Le classi superiori considereranno la morte del ragazzo un incidente. I poveri no, e niente di quello che potremmo dire o fare li indurrà a cambiare opinione.» L'Amministratore Lorlen guardò i maghi superiori a uno a uno, e tutti assentirono. «Molto bene», affermò. «Riprenderemo in mano la faccenda alla prossima Assemblea, quando avremo avuto modo di valutare le conseguenze di questa tragedia.» Fece un profondo respiro, si raddrizzò e scrutò la sala. «Ora la seconda questione: il mago fuorilegge. Oltre a Lord Rothen, qualcuno ha visto la ragazza o l'ha notata mentre tirava il sasso?» Vi fu silenzio. Lorlen si accigliò, deluso. Alle Assemblee della Corporazione gran parte dei dibattiti era animata dai capi delle tre discipline: Lady Vinara, Lord Balkan e Lord Sarrin. Lady Vinara, capo dei guaritori, era una donna pragmatica e severa, che poteva però dimostrarsi molto compassionevole. Il possente Lord Balkan era un abile osservatore e un uomo molto attento a valutare tutti gli aspetti di un problema, ma quando si doveva prendere una decisione difficile o rapida era risoluto. Il più anziano del terzetto, Lord Sarrin, poteva esprimere giudizi duri, ma riconosceva sempre la validità delle opinioni altrui. Ed erano quelli i maghi superiori cui Lorlen si stava rivolgendo. «Dobbiamo cominciare dall'esame dei fatti che risultano chiari e confermati dai testimoni. È indubbio che, per quanto possa apparire sorprendente, un semplice sasso è riuscito a superare lo scudo magico. Lord Balkan, com'è possibile?» Il guerriero si strinse nelle spalle. «Lo scudo usato per respingere le pietre durante le Epurazioni è debole: riesce a bloccare i corpi che vengono lanciati, ma non la magia. Dai lampi blu e dall'alterazione avvertita da chi lo alimentava, è chiaro che è stata usata la magia. Tuttavia, per poter superare uno scudo, la magia dev'essere finalizzata in modo specifico. Ritengo che la ragazza abbia usato un colpo, uno semplice, associato al sasso.» «Ma perché poi usare un sasso?» chiese Lady Vinara. «Perché non colpire solo con la magia?» «Per nascondere il colpo?» suggerì Lord Sarrin. «Se i maghi lo avessero
visto arrivare, forse sarebbero riusciti a potenziare lo scudo.» «È possibile», ammise Balkan. «Ma la forza del colpo è stata usata solo per infrangere la barriera. Se l'intento della ragazza fosse stato malvagio, ora Lord Fergun avrebbe ben più di un livido sulla tempia.» Vinara si rabbuiò. «Quindi la ragazza non si aspettava di fare tanto male? Perché agire, allora?» «Per dimostrare il suo potere, forse per sfidarci», rispose Balkan. Il volto rugoso di Sarrin si contrasse in un cipiglio di disapprovazione e Rothen scosse il capo. Notando il movimento, Balkan abbassò lo sguardo e sorrise. «Non è d'accordo, Lord Rothen?» «Non si aspettava di combinare un bel niente», ribatté Rothen. «Dall'espressione sembrava chiaramente sconvolta e sorpresa da quello che aveva fatto. Ritengo non abbia avuto nessun addestramento.» «Impossibile», replicò Sarrin scuotendo la testa. «Qualcuno deve aver liberato i suoi poteri.» «E averla addestrata a controllarli, si spera», aggiunse Vinara. «Altrimenti, avremmo un altro grave problema.» Nella sala si levò d'un tratto un brusio mentre tutti prendevano in considerazione quell'eventualità. Lorlen sollevò una mano e le voci tacquero. «Quando Lord Rothen mi ha riferito quello che aveva visto, ho convocato Lord Solend nella mia stanza e gli ho chiesto se, nel corso dei suoi studi sulla storia della Corporazione, avesse letto di maghi i cui poteri si fossero sviluppati senza addestramento.» L'espressione dell'Amministratore era seria e preoccupata. «Sembra che quanto supponiamo, ossia che i poteri di un mago possano essere liberati solo da un altro mago, sia sbagliato. «È stato documentato che nei primi secoli dell'esistenza della Corporazione alcuni individui che si sono sottoposti all'addestramento usavano già la magia. I loro poteri si sono sviluppati naturalmente di pari passo con la crescita fisica. Dato che accogliamo i novizi in giovane età, essi non si sviluppano più in modo naturale.» Lorlen indicò i seggi lungo un lato della sala. «Ho chiesto a Lord Solend di recuperare tutto ciò che è noto sul fenomeno; ora lo chiamerò qui davanti a noi perché ci riferisca quanto ha appreso.» Una figura anziana si levò dalle file dei maghi e cominciò a scendere le scale. Tutti attesero in silenzio mentre il vecchio storico raggiungeva il pavimento e, strascicando i piedi, avanzava fino a mettersi a fianco di Rothen.
Solend annuì rigidamente ai maghi superiori. «Fino a cinquecento anni fa, un uomo o una donna che desiderassero imparare la magia si rivolgevano a un mago per diventare apprendisti», esordì il vecchio con voce querula. «Venivano messi alla prova e scelti in base alla loro forza e alla somma che potevano pagare. A causa di questa tradizione, alcuni apprendisti erano già molto maturi quando iniziavano l'addestramento, dato che talvolta dovevano lavorare per parecchi anni o aspettare di ricevere una buona eredità per poter pagare la somma richiesta. «A volte tuttavia arrivava un giovane o una giovane i cui poteri erano già stati 'liberati', come si soleva dire a quel tempo. Persone del genere, conosciute come maghi 'naturali', non venivano mai rifiutate, per due ragioni: primo, avevano poteri molto forti; secondo, era necessario insegnar loro il Controllo.» Il vecchio tacque per qualche istante, quindi la sua voce si alzò di tono. «Sappiamo già che cosa accade quando un novizio non possiede il Controllo. Se questa ragazza è un mago naturale, ci dobbiamo attendere che sia più potente di un novizio medio, forse anche più di un mago medio. Se non la troveremo e non le insegneremo il Controllo, costituirà un grave pericolo per la città.» Seguì un breve attimo di silenzio, poi la sala fu pervasa da un mormorio allarmato. «Ammesso che i suoi poteri si siano davvero sviluppati spontaneamente», osservò Balkan. Il vecchio assentì. «Ovviamente, è possibile che sia stata addestrata da qualcuno.» «Allora dobbiamo trovare lei e quelli che l'hanno addestrata», affermò una voce. Nella sala si scatenò di nuovo un acceso dibattito, ma la voce di Lorlen sovrastò il chiasso. «Se è una fuorilegge, siamo costretti a portare dal re sia lei sia i suoi maestri. Se è un mago naturale, le dobbiamo insegnare il Controllo. In ogni caso, dobbiamo trovarla.» «Come?» gridò una voce. Lorlen abbassò lo sguardo. «Lord Balkan?» «Con una perquisizione sistematica dei bassifondi», rispose il guerriero. Voltandosi a guardare i Consiglieri del Re, aggiunse: «Avremo bisogno di aiuto». Lorlen inarcò le sopracciglia e seguì lo sguardo del guerriero. «La Corporazione richiede formalmente l'assistenza della Guardia cittadina.» I Consiglieri si scambiarono un'occhiata e annuirono. «Concessa», di-
chiarò formalmente uno di loro. «Dovremo iniziare prima possibile», suggerì Balkan. «Preferibilmente stasera.» «Se vogliamo l'assistenza della Guardia, ci vorrà tempo per organizzarla. Suggerisco d'iniziare domani mattina», replicò Lorlen. «E le lezioni?» chiese una voce. Lorlen guardò il mago seduto accanto a lui. «Penso che un giorno in più di studio autonomo non comprometterà l'apprendimento dei novizi.» «Un giorno non fa grande differenza», ribatté Jerrik, l'arcigno Direttore dell'Università. «Ma in un giorno la troveremo?» Lorlen increspò le labbra. «Se non l'avremo trovata, ci riuniremo di nuovo qui domani sera per stabilire chi debba continuare la ricerca.» «Posso dare un suggerimento, Amministratore Lorlen?» Nell'udire quella voce, Rothen trasalì per la sorpresa. Si voltò e vide Dannyl in piedi tra i maghi, che lo osservavano. «Sì, Lord Dannyl», rispose Lorlen. «Gli abitanti dei bassifondi ostacoleranno di certo le nostre ricerche, e la ragazza probabilmente si nasconderà. Potremmo avere maggiori possibilità di successo se entrassimo nei bassifondi sotto mentite spoglie.» Lorlen si accigliò. «A quali mentite spoglie sta pensando?» Dannyl scrollò le spalle. «Meno diamo nell'occhio, più alte sono le possibilità di riuscita. Suggerirei che almeno una parte di noi si vesta come loro. Potrebbero capire chi siamo quando apriamo bocca, ma...» «Assolutamente no», grugnì Balkan. «Cosa succederebbe se uno di noi venisse scoperto travestito da povero mendicante? Verremmo sbeffeggiati per tutte le Terre Alleate.» Si levarono diverse voci di approvazione. Lorlen annuì lentamente. «Sono d'accordo. In qualità di maghi abbiamo l'autorità di entrare in qualsiasi casa della città. La nostra ricerca verrà ostacolata se non indosseremo le tuniche.» «In che modo sapremo che cosa cercare?» domandò Vinara. Lorlen guardò Rothen. «Si ricorda che aspetto aveva?» Rothen annuì. Arretrando di qualche passo, chiuse gli occhi e rievocò l'immagine di una ragazza piccola, tutta pelle e ossa, con un volto magro da bambina. Facendo appello al suo potere, aprì gli occhi e usò la volontà. Davanti a lui, a mezz'aria, comparve un bagliore che ben presto si tramutò in un volto lievemente diafano. A mano a mano che si aggiungevano i particolari, apparvero anche gli abiti: una sciarpa incolore avvolta sulla testa,
una maglia pesante con cappuccio e un paio di pantaloni. Completata l'immagine, Rothen guardò i maghi superiori. «È questa la persona che ci ha attaccato?» mormorò Balkan, sorpreso. «È poco più di una bambina.» «Un minuscolo pacchetto con dentro una grossa sorpresa», commentò sarcastico Sarrin. «E se non fosse lei l'assalitrice?» chiese Jerrik. «E se Lord Rothen si fosse sbagliato?» Lorlen guardò Rothen e sorrise debolmente. «Per il momento possiamo solo presumere che non si sbagli. Lo sapremo abbastanza presto dai pettegolezzi che gireranno in città, e fra il pubblico potremmo anche trovare qualche testimone.» Annuì in direzione dell'immagine e aggiunse: «Può bastare, Lord Rothen». Rothen fece un gesto con la mano, e l'immagine svanì. Quando risollevò lo sguardo, notò che Lord Sarrin lo stava scrutando. «Che cosa faremo quando l'avremo trovata?» domandò Vinara. «Applicheremo la legge», rispose Lorlen. «Se non è una fuorilegge, le insegneremo a controllare i poteri.» «Certo, ma dopo? Che succederà?» Intervenne Balkan: «Credo che quello che Lady Vinara intende sia: dovrebbe diventare una di noi?» Nella sala si levò all'istante un vivace brusio. «No! Probabilmente è una ladra!» «Ha aggredito uno di noi! Andrebbe punita, non ricompensata!» Rothen scosse la testa e sospirò mentre le proteste continuavano. Se nessuna legge vietava di prendere in esame anche i bambini delle classi più umili, la Corporazione cercava sempre i poteri solo nei figli delle Case. «Da secoli la Corporazione non prende nessun novizio che non appartenga alle Case», disse pacato Balkan. «Ma, se Solend ha ragione, potrebbe essere un mago potente», gli ricordò Vinara. Rothen soffocò un sorriso. Gran parte delle donne mago diventava guaritrice, e sapeva che Lady Vinara sarebbe tranquillamente passata sopra le origini della ragazza se avesse potuto acquisire una nuova, potente collaboratrice. «La forza non è una benedizione, se il mago è corrotto», citò Sarrin. «Potrebbe essere una ladra, forse anche una prostituta. Che influenza avrebbe una persona del genere sugli altri novizi? Come possiamo sapere se
manterrebbe la promessa?» Vinara inarcò le sopracciglia. «Quindi le mostrerebbe quello che può fare, le bloccherebbe i poteri e la rimanderebbe in mezzo alla povertà?» Sarrin annuì. Vinara guardò Balkan che si strinse nelle spalle. Mordendosi la lingua per non protestare, Rothen si costrinse a restare in silenzio. Dalla fila sovrastante, Lorlen guardò impassibile i tre maghi, senza commentare. «Dovremmo almeno darle una possibilità», affermò Vinara. «Se esiste anche una sola probabilità che si adegui alle nostre regole e diventi una giovane responsabile, allora dovremmo offrirle questa opportunità.» «Più i suoi poteri si svilupperanno e più difficile sarà bloccarglieli», le ricordò Sarrin. «Lo so, ma non è impossibile», replicò la donna. «Considerate come ci guarderebbero se la accettassimo: un po' di generosità e di bontà sarebbero molto più utili per rimediare al danno che stamattina abbiamo arrecato alla nostra reputazione, rispetto all'idea di bloccarle i poteri e rimandarla nei bassifondi.» Balkan inarcò le sopracciglia. «È vero e, divulgando la notizia che sarà bene accetta tra noi, potremmo evitare il problema delle ricerche. Quando saprà che potrebbe diventare un mago, con la posizione e la ricchezza che ciò comporta, verrà da noi.» «E la perdita della ricchezza potrebbe essere il giusto deterrente per far sì che non riprenda le abitudini ributtanti di un tempo», aggiunse Sarrin. Lady Vinara annuì. Si guardò intorno, poi il suo sguardo si posò su Rothen. Socchiudendo gli occhi, chiese: «Che ne pensa, Lord Rothen?» Rothen fece una smorfia. «Mi chiedo se, dopo questa mattina, crederà a quello che le diremo.» Balkan s'incupì. «Ne dubito. Probabilmente dovremo prima catturarla e poi spiegarle le nostre buone intenzioni.» «Allora non ha molto senso aspettare che venga da noi», concluse Lorlen. «Inizieremo le ricerche domani, come previsto.» Increspando le labbra, si voltò verso il seggio collocato in alto. Rothen sollevò lo sguardo. Tra il seggio dell'Amministratore e quello del re ve n'era uno riservato al capo della Corporazione: il Sommo Lord, Akkarin. Il mago in tunica nera non aveva aperto bocca per tutta l'Assemblea, il che tuttavia non era insolito. Akkarin era noto per la capacità di modificare con poche, misurate parole l'andamento del dibattito, anche se in genere rimaneva in silenzio.
«Sommo Lord, ha ragione di sospettare che nei bassifondi ci siano maghi fuorilegge?» chiese Lorlen. «No. Nei bassifondi non ci sono maghi fuorilegge», rispose Akkarin. Rothen era abbastanza vicino da notare la rapida occhiata che Balkan e Vinara si scambiarono, e represse un sorriso. Si diceva che il Sommo Lord avesse sensi particolarmente fini, e quasi tutti i maghi provavano almeno un po' di timore riverenziale nei suoi confronti. Con un cenno del capo, Lorlen si voltò verso la sala e batté il gong. Mentre il suono riecheggiava nel locale, il brusio si ridusse a un flebile mormorio. «Rimanderemo la decisione sull'eventuale addestramento della ragazza a quando l'avremo trovata e avremo valutato la sua indole. Per il momento ci concentreremo sull'obiettivo di trovarla. La ricerca inizierà qui, domani, alla quarta ora. Quanti di voi ritengono di avere valide ragioni per non partecipare alla ricerca preparino, per cortesia, una richiesta e la presentino al mio assistente stasera. Dichiaro chiusa l'Assemblea.» La sala si riempì del fruscio delle tuniche e dello scalpiccio degli stivali. Rothen arretrò quando il primo dei maghi superiori scese dalla scala e si avviò verso le porte laterali della sala. Si voltò e attese che Dannyl si facesse strada fra i colleghi e lo raggiungesse. «Hai sentito Lord Kerrin?» chiese Dannyl. «Vuole punire la ragazza per avere attaccato il suo caro amico Fergun. Personalmente penso che quella ragazza non avrebbe potuto trovare mago migliore da stendere.» «Dannyl, per favore...» fece Rothen. ' «... e ora ci mandano a frugare nell'immondizia dei bassifondi», disse una voce alle sue spalle. «Non so quale sia la tragedia più grande: che abbiano ucciso il ragazzo o mancato la ragazza», replicò un'altra. Sgomento, Rothen si girò a guardare chi avesse parlato: era un vecchio alchimista, troppo assorto a fissare il pavimento con aria cupa per accorgersi di lui. Mentre si allontanava strascinando i piedi, Rothen scosse la testa. «Stavo per rimproverarti per la tua durezza, Dannyl, ma non ha molto senso, vero?» «No», convenne questi facendosi da parte mentre passavano l'Amministratore Lorlen e il Sommo Lord. «E se non riusciamo a trovarla?» chiese l'Amministratore al collega. Il Sommo Lord emise una risata fonda. «Oh, in un modo o nell'altro la troverete. Anche se penso che domani i più saranno favorevoli all'alternativa più spettacolare e meno piacevole.»
Rothen scosse la testa mentre i due maghi superiori si allontanavano. «Sono l'unico a preoccuparmi per ciò che succederà a quella povera ragazza?» In quel momento sentì Dannyl battergli affettuosamente sulla spalla. «Ovviamente no, ma spero tu non abbia intenzione di rimproverarlo, mio vecchio amico.» 3 VECCHI AMICI «È una tag.» La voce era maschile, giovane e sconosciuta. Dove mi trovo? si chiese Sonea. Era stesa su qualcosa di morbido. Un letto? Non ricordo di essere andata a letto... «Escluso.» La voce di Harrin. Sonea si accorse che la stava difendendo, poi colse le implicazioni di quello che lo sconosciuto aveva detto. Nel gergo dei bassifondi una «tag» era una spia. Se Harrin fosse stato d'accordo, lei sarebbe finita nei guai... «Che cos'altro potrebbe essere?» ribatté brusca la prima voce. «Conosce la magia. I maghi si devono addestrare per anni e anni. Chi fa cose del genere da queste parti?» Magia? I ricordi riaffiorarono rapidi: la piazza, i maghi... «Magia o non magia, la conosco da quando conosco Cery», replicò Harrin. «È sempre stata dalla parte giusta.» Sonea lo sentiva a stento. Mentalmente si rivide lanciare il sasso: attraversava con un lampo la barriera e colpiva il mago. Sono stata io. Ma non è possibile... Poi si ricordò di come avesse fatto appello a una forza dentro di sé, a qualcosa che non avrebbe dovuto possedere. «È vissuta con la famiglia, Burril», disse Harrin. «Io le credo, Cery le crede e questo basta.» La Corporazione sa che sono stata io! Il vecchio mago l'aveva vista e l'aveva indicata agli altri. Rievocando l'immagine del cadavere fumante, Sonea rabbrividì. «Io vi ho avvertiti.» Burril non era convinto, ma pareva sconfitto. «Se salta fuori che è una squimper, e che fa il doppio gioco, non scordate che vi avevo avvertito.» «Credo si stia svegliando», disse un'altra voce, familiare. Cery. Era vicino, da qualche parte.
Harrin sospirò. «Vattene, Burril.» Sonea udì un rumore di passi che si allontanavano e poi di una porta che si chiudeva. «Adesso puoi smettere di fingere di dormire, Sonea», mormorò Cery. Una mano le toccò il viso, e lei aprì gli occhi battendo le palpebre. Cery era chino su di lei e le sorrideva. Sonea si sollevò sui gomiti. Era stesa su un vecchio letto in una stanza sconosciuta. Mentre posava i piedi per terra, Cery la scrutò. «Hai un aspetto migliore», disse il ragazzo. «Mi sento bene», annuì lei. «Che cos'è successo?» Sollevò lo sguardo mentre Harrin le si avvicinava. «Dove sono? Che ora è?» Cery scoppiò a ridere. «Sta bene.» «Non ricordi?» Harrin si accovacciò in modo da poterla guardare negli occhi. Sonea scosse la testa. «Ricordo che camminavo per i bassifondi...» Allargando le mani, aggiunse: «Non come sono arrivata qui». «Ti ha portata Harrin», affermò una voce femminile. «Ha detto che ti sei addormentata mentre camminavi.» Sonea si voltò e vide una giovane donna seduta su una sedia; il suo volto le era familiare. «Donia?» «Esatto.» La ragazza sorrise e batté un piede sul pavimento. «Sei nella casa del bol gestita da mio padre. Ci ha permesso di sistemarti qui. Hai dormito tutta la notte.» Sonea si guardò di nuovo intorno; poi sorrise nel ricordare come Harrin e i suoi amici corrompessero Donia perché rubasse qualche boccale di bol per loro. Il distillato era forte e li ubriacava. La casa del bol di Gellin si trovava nelle vicinanze del Muro esterno ed era uno degli edifici meglio costruiti nella parte dei bassifondi nota come Zona Nord. Gli abitanti di quell'area chiamavano i bassifondi «Cerchia esterna» in segno di sfida, per affermare di fare comunque parte della città. Sonea suppose di essere in una delle stanze che Gellin affittava agli ospiti: era piccola, occupata quasi del tutto dal letto, dalla sedia logora su cui sedeva Donia e da un tavolino. Vecchie tendine scolorite di carta coprivano le finestre; dalla debole luce che filtrava attraverso di esse Sonea intuì che fosse mattino presto. Harrin fece un cenno a Donia. Mentre la ragazza si alzava dalla sedia, lui le cinse la vita con una mano e l'attirò a sé. Donia gli sorrise affettuosamente.
«Pensi di poter rimediare qualcosa da mangiare?» chiese lui. «Vedo quello che posso fare», rispose Donia avviandosi con calma verso la porta e uscendo dalla stanza. Sonea lanciò a Cery uno sguardo interrogativo e in risposta ricevette un sorriso compiaciuto. Buttandosi sulla sedia, Harrin la guardò accigliato. «Sei certa di sentirti meglio? Ieri sera non eri in te.» Lei si strinse nelle spalle. «A dire il vero, mi sento proprio in forma. Ho dormito molto bene.» «Altro che! Quasi un giorno intero», osservò Harrin scrollando le spalle, poi la scrutò di nuovo. «Che cos'è accaduto, Sonea? Sei stata tu a lanciare il sasso, vero?» Lei deglutì e sentì all'improvviso la gola secca. Si chiese per un istante se, qualora avesse negato, le avrebbero creduto. Cery le mise una mano sulla spalla e gliela strinse. «Non temere, Sonea. Non diremo niente a nessuno, se non vuoi.» Lei annuì. «Sono stata io, ma... non so cosa sia accaduto.» «Hai usato la magia?» Sonea distolse lo sguardo. «Non lo so. Volevo solo che la pietra superasse la barriera... e così è stato.» «Hai infranto il muro dei maghi», affermò Harrin. «Per fare una cosa del genere ci vuole la magia, no? Le pietre di solito non lo superano.» «E c'è stato quel lampo di luce», aggiunse Cery. Harrin assentì. «I maghi saranno andati in bestia.» Cery si protese. «Pensi di saperlo rifare?» Lei lo fissò. «Un'altra volta?» «Non la stessa cosa, naturalmente. Non possiamo permetterti di tirare pietre ai maghi: non sembrano gradirlo molto. Qualcos'altro. Se funzionasse, avresti la conferma di poter usare la magia.» Sonea rabbrividì. «Non credo di volerlo sapere.» Cery scoppiò a ridere. «Perché no? Pensa a quello che potresti fare! Sarebbe fantastico!» «Tanto per cominciare, nessuno ti darebbe fastidio», osservò Harrin. Lei scosse il capo. «Ti sbagli. Avrebbero più ragioni per farlo.» Imbronciandosi, aggiunse: «Tutti odiano i maghi, e odierebbero anche me». «Tutti odiano i maghi della Corporazione», la corresse Cery. «Vengono dalle Case, pensano solo a se stessi. Tutti sanno che tu sei una dwell proprio come noi.»
Una «dwell». Dopo due anni in città, gli zii avevano smesso di chiamarsi col termine usato dagli abitanti dei bassifondi: erano riusciti ad abbandonare il quartiere e si erano dati il nome di artigiani. «I dwell sarebbero felicissimi di avere un loro mago», insistette Cery. «Soprattutto se cominciassi a fare qualcosa di buono per loro.» «Qualcosa di buono? I maghi non fanno mai niente di buono. Perché i dwell dovrebbero pensare che io sia diversa?» «E che mi dici della guarigione?» la incalzò Cery. «Ranel non ha una gamba malata? Potresti guarirlo!» Sonea tacque per un istante. Pensando al dolore patito dallo zio, capì all'improvviso l'entusiasmo di Cery. Sarebbe stato magnifico poter guarire la gamba dello zio. E se avesse potuto aiutare lui, perché non altri? Poi si ricordò dell'opinione che Ranel aveva dei «curanti» che gli avevano medicato la gamba e scosse di nuovo il capo. «La gente non si fida dei curanti, perché si dovrebbe fidare di me?» «Questo succede perché tutti pensano che un curante possa, sì, guarirli, ma anche farli stare peggio», replicò Cery. «Hanno paura di stare peggio.» «E hanno ancora più paura della magia. Penserebbero che sia stata mandata dai maghi per farli fuori.» Cery scoppiò a ridere. «Questa è davvero un'idiozia. Nessuno lo penserebbe.» «E Burril?» Lui fece una smorfia. «Burril è una testa di rapa, non tutti la pensano come lui.» Sonea sbuffò, poco convinta. «Anche se fosse, non so niente di magia. Se tutti pensassero che io sia in grado di guarirli, m'inseguirebbero ovunque, e io non sarei in grado di fare niente per loro.» Cery aggrottò la fronte e guardò Harrin. «Ha ragione. La situazione potrebbe diventare davvero brutta. Anche se Sonea volesse riprovare a usare la magia, dovremmo tenere la cosa segreta per un po'.» Harrin increspò le labbra, poi annuì. «Se qualcuno ci chiederà se sai usare la magia, Sonea, diremo che non hai fatto niente, che i maghi si sono deconcentrati o qualcosa del genere e che la pietra ha superato il muro per quello.» La ragazza lo fissò, e l'idea la riempì di speranza. «Forse è questo quello che è successo, forse non ho fatto niente.» «Se non riuscirai più a usare la magia, ne avremo la certezza.» Cery le diede un colpetto affettuoso sulla spalla. «Se ci riuscirai, faremo in modo
che nessuno lo scopra. Nel giro di qualche settimana tutti penseranno che i maghi abbiano fatto un errore. In un mese o due si scorderanno di te.» Udendo bussare alla porta, Sonea trasalì. Harrin si alzò, aprì la porta e fece entrare Donia. La ragazza portava un vassoio carico di boccali e un grande piatto pieno di pane. «Ecco», disse posando tutto sul tavolo. «Un boccale di bol a testa per festeggiare il ritorno di una vecchia amica. Harrin, papà ha bisogno che tu faccia qualcosa.» «È meglio che vada a vedere.» Harrin prese un boccale e lo tracannò. «Ci vediamo, Sonea», disse. Poi prese Donia per la vita e, ridacchiando, la condusse fuori dalla stanza. «Da quanto va avanti?» «Tra quei due? Da quasi un anno, credo», rispose Cery con la bocca piena di pane. «Harrin dice che la sposerà ed erediterà la locanda.» Sonea scoppiò a ridere. «Gellin lo sa?» Cery sorrise. «Non lo ha ancora cacciato.» Sonea prese un pezzo di pane nero, fatto di curren e cosparso di spezie. Mentre lo mordeva, il suo stomaco le fece chiaramente capire che lo aveva trascurato per più di un giorno. Ben presto dunque si ritrovò a mangiare avidamente. Il bol era acido, ma perfetto dopo il pane salato. Quando ebbero finito, Sonea si lasciò cadere sulla sedia e sospirò. «Con Harrin impegnato a gestire una locanda, tu che farai, Cery?» Lui si strinse nelle spalle. «Un po' di questo e un po' di quello. Gli ruberò il bol, insegnerò ai suoi figli a scassinare le serrature. Almeno questo inverno staremo al caldo. Tu che hai in mente di fare?» «Non lo so. Jonna e Ranel hanno detto... Oh!» Balzò d'un tratto in piedi. «Non sono andata all'appuntamento. Non sanno dove sia.» Cery fece un gesto noncurante con la mano. «Saranno da queste parti.» Sonea tastò alla ricerca della borsa coi soldi e la trovò, piena e pesante, appesa alla vita. «Hai un bel po' di risparmi, là dentro», osservò il ragazzo. «Ranel ha detto che tutti dovevamo tenerne un po' e raggiungere i bassifondi ognuno per conto proprio. Sarebbe stata proprio una gran sfortuna se le guardie ci avessero perquisiti tutti.» Socchiudendo gli occhi, Sonea lo guardò. «So quanto c'era.» Lui rise. «Anch'io, e c'è tutto. Dai, ti aiuterò a trovarli.» Si alzò e l'accompagnò alla porta, quindi nel breve corridoio. Sonea lo seguì lungo una stretta rampa di scale fino alla sala da bol.
Come sempre, l'aria era pregna dell'odore della bevanda, di risate, di un chiacchiericcio costante e di blande imprecazioni. Un omone sedeva scomposto sulla panca dove il denso liquore veniva servito. «Buongiorno, Gellin!» esclamò Cery. Lui socchiuse gli occhi per guardare la ragazza e sorrise. «Questa è la piccola Sonea, eh?» Si avvicinò e le diede una pacca sulla spalla. «Sei cresciuta anche tu. Ricordo quando mi rubavi il bol, ragazzina. Una piccola e graziosa ladruncola, eri.» Sonea sorrise e lanciò un'occhiata a Cery. «Ed era solo una mia idea, vero, Cery?» Cery allargò le mani e batté le palpebre con aria innocente. «Che vuoi dire, Sonea?» Gellin ridacchiò. «Questo succede a frequentare i Ladri. Come stanno i tuoi genitori?» «Vuoi dire zia Jonna e zio Ranel?» L'uomo fece un gesto con la mano. «Loro.» Sonea si strinse nelle spalle e raccontò in breve di quand'erano stati cacciati dalla casa di soggiorno. Gellin annuì solidale di fronte alla loro sventura. «Probabilmente si staranno chiedendo dove sia finita», disse la ragazza. «Io...» Trasalì sentendo sbattere la porta della locanda. Nella sala piombò il silenzio, e tutti guardarono l'entrata. Harrin era appoggiato al telaio, ansimava pesantemente e aveva la fronte lucida di sudore. «Sta' attento alla mia porta!» urlò Gellin. Harrin sollevò lo sguardo. Quando vide Sonea e Cery, impallidì e si precipitò verso di loro. Correndo, prese lei per un braccio e la trascinò nella cucina della locanda, tallonato da Cery. «Che c'è?» sussurrò questi. «I maghi stanno perquisendo i bassifondi», li informò Harrin ansimando. Sonea lo guardò inorridita. «Sono qui?» esclamò Cery. «Perché?» Harrin lanciò a Sonea un'occhiata eloquente. «Mi stanno cercando», sussurrò lei. Harrin annuì cupo, poi si voltò verso Cery. «Dov'è meglio andare?» «Sono vicini?» «Molto. Hanno iniziato dal Muro esterno e vengono da questa parte.» «Così vicini», commentò Cery con un fischio.
Sonea si mise una mano sul petto: il cuore le batteva troppo veloce. Si sentiva male. «Abbiamo solo pochi minuti», affermò Harrin. «Dobbiamo andare via di qui. Stanno perquisendo ogni edificio.» «Allora la dovremmo portare dove sono già stati.» Sonea si appoggiò alla parete. Quando il ricordo di un cadavere annerito le tornò alla mente, le ginocchia non la ressero più. «Mi uccideranno!» ansimò. Cery la guardò. «No, Sonea.» «Hanno ucciso quel ragazzo...» insistette lei, rabbrividendo. Lui l'afferrò per le spalle. «Non lasceremo che accada di nuovo.» Il suo sguardo era diretto e la sua espressione insolitamente grave; lei ricambiò lo sguardo in cerca di un'ombra di dubbio nei suoi occhi, che tuttavia non trovò. «Ti fidi di me?» le chiese. Lei annuì e gli rivolse un incerto sorriso. «Allora vieni.» La scostò dal muro e la spinse verso un'altra porta, con Harrin alle calcagna. Uscirono in un vicolo fangoso. Sonea rabbrividì quando l'aria gelida dell'inverno le trapassò i vestiti. Cery si fermò poco prima della fine del vicolo e disse loro di stare indietro mentre controllava se la strada fosse libera. Indugiò solo un istante, poi tornò di corsa scuotendo la testa e con un gesto della mano li invitò a ripercorrere il vicolo in fretta. A metà strada si fermò e sollevò una piccola grata inserita in un muro. Harrin lanciò un'occhiata dubbiosa all'amico, poi si appiattì per terra e vi strisciò attraverso. Sonea lo seguì e si ritrovò in un passaggio buio. Mentre Harrin l'aiutava a rialzarsi e la tirava da parte, Cery s'infilò nell'apertura. La grata si richiuse silenziosa: i cardini venivano oliati con regolarità. «Sei sicuro?» mormorò Harrin. «I Ladri saranno troppo occupati a cercare d'impedire che i maghi scoprano la loro roba per preoccuparsi di noi», spiegò Cery. «E poi non resteremo qui sotto a lungo. Tieni la mano sulla mia spalla, Sonea.» Lei obbedì e si aggrappò al suo mantello; Harrin le mise a sua volta una mano sulla spalla. Quando si avviarono, Sonea fissò l'oscurità davanti a sé col cuore che le batteva all'impazzata: dalla domanda di Harrin aveva capito che stavano entrando nella Via dei Ladri. Usare la rete di cunicoli sotterranei senza autorizzazione era proibito, e aveva sentito di terribili punizioni che i Ladri infliggevano a chi sconfinava nel loro territorio.
Da quello che ricordava, tutti chiamavano Cery «amico dei Ladri», ma in quel tono derisorio c'era sempre stata una nota di paura e di rispetto. Il padre del ragazzo era stato un contrabbandiere, Sonea lo sapeva, perciò era possibile che Cery avesse ereditato privilegi e contatti. Tuttavia non ne aveva mai avuto le prove e aveva sempre pensato che lui ingigantisse la cosa per mantenere il ruolo di braccio destro di Harrin nella banda. In ogni caso, meglio rischiare un incontro coi Ladri che affrontare una morte certa in superficie; almeno loro non le stavano dando la caccia. Il passaggio divenne ancora più buio, finché Sonea non vide più niente, se non varie gradazioni di nero. Poi, via via che si avvicinavano a un'altra grata, la luce aumentò. Cery svoltò in un altro cunicolo e poi cambiò direzione infilandosi nel buio pesto di una galleria laterale. Continuarono così cambiando direzione più volte, finché Cery a un certo punto non si fermò. «Qui dovrebbero essere già passati», mormorò a Harrin. «Resteremo quel tanto da comprare qualcosa, poi riprenderemo a muoverci. Dovresti raggiungere gli altri e accertarti che non abbiano detto niente a nessuno di Sonea; qualcuno potrebbe pensare di ottenere qualcosa con la minaccia di rivelare ai maghi dove siamo.» «Li radunerò», lo rassicurò Harrin. «Scoprirò se hanno parlato e dirò loro di tenere la bocca chiusa.» «Bene», annuì Cery. «Ora, siamo qui per comprare un po' di polvere di iker, questo è quanto.» Nel buio riecheggiarono lievi rumori, poi una porta si aprì e sbucarono in piena luce, in un pollaio pieno di rassook. Alla vista degli intrusi, gli uccelli spiegarono le minuscole e inutili ali e stridettero forte. Il suono riecheggiò sui quattro muri del piccolo cortile e una donna comparve su una soglia vicina. Quando vide Sonea e Harrin nel suo pollaio, il suo viso si piegò in una smorfia. «Ehi! Chi siete voi due?» Sonea si girò verso Cery e si accorse che era accucciato alle sue spalle e sfiorava il terreno polveroso con la mano. Il ragazzo si alzò e sorrise alla donna. «Sono venuto a trovarti, Laria.» La donna abbassò lo sguardo e lo scrutò. Il cipiglio svanì, sostituito da un sorriso tutto rughe. «Ceryni! È sempre un piacere vederti. Questi sono tuoi amici? Benvenuti! Benvenuti! Venite in casa a bere un po' di raka.» «Come vanno gli affari?» domandò Cery mentre uscivano dal pollaio e seguivano Laria nella minuscola abitazione. Metà stanza era occupata da un lettino stretto, buona parte dell'altra metà da una cucina e da un tavolo.
Laria aggrottò la fronte. «È una giornata movimentata. Meno di un'ora fa ho avuto visite. Visite molto rumorose.» «Visite con la tunica?» domandò Cery. Lei annuì. «Mi hanno spaventata a morte, accidenti! Hanno guardato ovunque, ma non hanno visto nulla di strano. Le guardie invece sì. Sono certa che torneranno; ma, quando lo faranno, non troveranno più niente da vedere», aggiunse ridacchiando. «A quel punto sarà troppo tardi.» Tacque per un istante mentre metteva a bollire l'acqua sul fornello. «Per cosa siete qui?» «Il solito.» Negli occhi di Laria comparve un lampo malizioso. «Allora avete in mente di fare le ore piccole una sera di queste? Quanto avete da offrire?» Cery sorrise. «Tu mi devi un favore, se ben ricordo.» La donna increspò le labbra e socchiuse gli occhi. Dopodiché scomparve oltre la porta. Con un sospiro, Cery si lasciò cadere sul letto, che cigolò rumorosamente. «Rilassati, Sonea. Sono già stati qui. Non torneranno.» Lei annuì. Sentiva ancora il cuore batterle all'impazzata e un rimescolio allo stomaco. Inspirò profondamente e si appoggiò al muro. Mentre l'acqua bolliva, Cery prese un vaso di polvere scura e ne mise varie cucchiaiate nelle tazze che Laria aveva preparato. Un aroma acre, familiare e rassicurante riempì la stanza. «Ora possiamo esserne sicuri», mormorò Harrin mentre Cery gli porgeva una tazza. Sonea si rabbuiò. «Sicuri di cosa?» «Che hai davvero usato la magia», rispose lui. «Non ti cercherebbero, se la pensassero diversamente.» Con un gesto impaziente, Dannyl si scrollò l'umidità dalle vesti; dalla stoffa si levarono nubi di vapore. Le guardie si scostarono quando una folata gelida spazzò via la nebbiolina, per tornare poco dopo ai loro posti. Camminavano in formazione, due a fianco del mago, due dietro. Era una precauzione ridicola. I dwell non erano così stupidi da aggredirlo; inoltre, se lo avessero fatto, Dannyl sapeva che sarebbero state le guardie a cercare protezione da lui. Scorgendo lo sguardo afflitto di un soldato, il mago provò un vago senso di rimorso. All'inizio della giornata si erano dimostrati tesi e rispettosi; sapendo che avrebbero passato tutto il giorno in quel modo, Dannyl aveva
cercato di essere affabile e cordiale. Per loro era come una vacanza: molto più divertente che stare fermi per ore e ore alle porte o pattugliare le strade della città. Ma, nonostante lo zelo che mostravano nell'irrompere nelle case e nei depositi dei contrabbandieri, non si erano rivelati molto utili nella ricerca della giovane. Dannyl non aveva bisogno di aiuto per forzare porte chiuse a chiave o per aprire casse pronte per la spedizione, e gli abitanti dei bassifondi avevano collaborato, pur con riluttanza. Il mago sospirò. Aveva visto abbastanza da capire che quella gente era molto abile a nascondere ciò che non voleva fosse trovato. Aveva anche visto diversi sorrisi trattenuti a stento, sulle facce che lo osservavano. Quali possibilità aveva un centinaio di maghi di trovare una ragazza dall'aspetto ordinario tra le migliaia di abitanti dei bassifondi? Nessuna. Dannyl serrò la mascella al ricordo delle parole di Lord Balkan: Cosa succederebbe se uno di noi venisse scoperto travestito da povero mendicante? Verremmo sbeffeggiati per tutte le Terre Alleate. Sbuffò. Perché, adesso forse non veniamo sbeffeggiati? Un puzzo acre gli giunse alle narici. Dannyl guardò torvo un canale di scolo intasato. Le persone presenti lì accanto arretrarono in gran fretta. Con notevole sforzo, il mago fece un respiro profondo e controllò la sua espressione. Non amava spaventare la gente. Fare colpo, sì. Ispirare timore reverenziale? Ancor di più. Ma spaventarla, no. Non amava che lo evitassero quando si avvicinava e che lo fissassero quando passava. I bambini erano più audaci: lo seguivano, ma erano pronti a scappare via quando li guardava. Uomini e donne, giovani e vecchi lo scrutavano con sospetto, con un'aria dura e furba, tanto che si chiese quanti lavorassero per i Ladri... Dannyl si fermò. I Ladri... Le guardie si arrestarono sorprese e lo guardarono con fare interrogativo. Lui le ignorò. Se le storie che si raccontavano erano vere, i Ladri conoscevano i bassifondi meglio di chiunque altro. Conoscevano l'abitazione della ragazza? Se non l'avessero trovata i maghi, loro ci sarebbero riusciti? Forse, se la ricompensa fosse stata allettante... Come avrebbero reagito gli altri maghi, se avesse suggerito di stringere un patto coi Ladri? Ne sarebbero rimasti disgustati e offesi. Dannyl guardò il canale di scolo, puzzolente e poco profondo. I maghi avrebbero accettato più facilmente l'idea dopo alcuni giorni di vagabon-
daggi nei bassifondi; quanto più avesse aspettato a lanciare la proposta, tanto maggiori sarebbero state le probabilità di ottenere la loro approvazione. Ciononostante, a ogni ora che passava, la ragazza aveva più tempo per nascondersi bene. Dannyl increspò le labbra. Non sarebbe stato male verificare la disponibilità dei Ladri a stringere un patto prima di proporre l'idea alla Corporazione. Se avesse atteso di avere l'assenso della Corporazione e i Ladri poi avessero rifiutato, avrebbe perso tempo ed energie per niente. Si rivolse al soldato più anziano. «Capitano Garrin. Sa come contattare i Ladri?» Questi inarcò le sopracciglia a tal punto che scomparvero sotto l'elmo. Scosse la testa. «No, mio signore.» «Io sì, mio signore.» Dannyl si girò verso la più giovane delle quattro guardie, un ragazzo allampanato di nome Ollin. «Vivevo qui, mio signore, prima di entrare nella Guardia», ammise Ollin. «Ci sono sempre persone in giro che possono portare un messaggio ai Ladri, se si sa dove cercare.» «Capisco», affermò Dannyl, mordendosi la guancia mentre rifletteva. «Trovami una di queste persone e di' che chieda ai Ladri se siano disposti a lavorare con noi. Riferisci direttamente a me e a nessun altro.» Ollin annuì e guardò il capitano. L'anziano contrasse le labbra in segno di disapprovazione, ma alla fine assentì e con un cenno del capo indicò uno degli altri soldati. «Prendi Keran.» Dannyl li guardò allontanarsi, poi si voltò e riprese a camminare con la mente assorta in mille pensieri. All'improvviso, vide una figura familiare spuntare da una casa un po' più in giù lungo la strada e inviò un richiamo mentale: «Rothen!» L'uomo si fermò, e il vento gli sollevò la tunica, che prese a vorticargli intorno. «Dannyl?» Il messaggio di Rothen era debole e incerto. «Sono qui.» Dannyl inviò rapido all'altro mago un'immagine della strada e un senso di vicinanza. Rothen si voltò nella sua direzione e, quando lo vide, si raddrizzò. Mentre si avvicinava, Dannyl vide che gli occhi azzurri di Rothen erano spalancati e pieni d'ansia. «Hai avuto fortuna?» «No.» Rothen scosse la testa e guardò le casupole di fortuna da una parte. «Non sapevo come fosse quaggiù.» «È come una tana di harrel, vero?» ridacchiò Dannyl. «Una vera topaia.» «Oh, sì, ma io intendevo la gente.» Rothen indicò la folla che li circon-
dava. «Vive in condizioni spaventose... non avrei mai immaginato...» Dannyl si strinse nelle spalle. «Non abbiamo la minima speranza di trovarla. Siamo troppo pochi.» Rothen annuì. «Pensi che agli altri sia andata meglio?» «Se così fosse, ci avrebbero contattati.» «Hai ragione.» Rothen si accigliò. «Mi è venuto in mente oggi: come sappiamo che è ancora in città? Potrebbe essere fuggita in campagna.» Il mago scosse la testa. «Temo tu abbia ragione. Io qui ho finito. Torniamo alla Corporazione.» 4 LA RICERCA CONTINUA La luce del sole appena sorto tinse d'oro le finestre orlate di brina. L'aria nella stanza era piacevolmente calda grazie alla sfera di luce sospesa dietro un pannello di vetro opaco incassato nel muro. Legandosi la fusciacca della tunica, Rothen entrò nella stanza degli ospiti per salutare i suoi amici. Un secondo pannello consentiva alla sfera di riscaldare simultaneamente la stanza da letto e quella degli ospiti. Un mago anziano stava davanti al pannello con le mani appoggiate al vetro. Pur avendo già superato l'ottantina, Yaldin era ancora forte e lucido di mente: godeva infatti della longevità e della buona salute che l'arte magica conferiva. Al suo fianco c'era un mago più alto e più giovane; Dannyl aveva gli occhi semichiusi e sembrava sul punto di addormentarsi. «Buongiorno», disse Rothen. «Pare che oggi il tempo migliorerà.» Yaldin sfoderò un sorriso furbesco. «Lord Davin crede che avremo alcuni giorni caldi prima che arrivi l'inverno.» Dannyl lo guardò torvo. «Lo dice da settimane.» «Non ha detto però quando sarebbe accaduto», ridacchiò Yaldin. «Solo che sarebbe accaduto.» Rothen sorrise. A Kyralia c'era un vecchio detto: «Il sole non cerca di compiacere i re e nemmeno i maghi». Lord Davin, un alchimista piuttosto eccentrico, aveva iniziato a studiare il tempo tre anni prima, deciso a dimostrare il contrario. Da poco aveva iniziato a comunicare le sue «previsioni» alla Corporazione, anche se Rothen riteneva che la loro correttezza fosse dovuta più alla fortuna che alla genialità dell'alchimista. La porta principale della stanza si aprì; la cameriera di Rothen, Tania,
entrò portando un vassoio che posò sul tavolo. Sopra vi erano un servizio di tazzine decorate d'oro e un piatto carico di elaborati dolcetti. «Un po' di sumi, signori?» chiese. Dannyl e Yaldin annuirono con gioia. Mentre Rothen li faceva accomodare, Tania mise alcuni cucchiaini di foglie essiccate in una teiera d'oro e aggiunse acqua calda. Yaldin sospirò e scosse la testa. «A essere onesti, non so perché mi sia offerto di andare oggi. Non l'avrei fatto, se Ezrille non avesse insistito. Le ho detto: 'Ridotti alla metà, che possibilità abbiamo di trovarla?' e lei ha risposto: 'Meglio così che se non ci fosse nessuno a cercarla'.» Rothen sorrise. «Tua moglie è una donna di buon senso.» «Avrei pensato che più maghi avrebbero dato una mano dopo che i Consiglieri hanno annunciato che, nel caso la ragazza non sia una fuorilegge, il re vuole che venga addestrata», osservò Dannyl. Yaldin fece una smorfia. «Temo che qualcuno si sia rifiutato di collaborare per protesta. Non vogliono una ragazzina dei bassifondi nella Corporazione.» «Be', adesso non hanno scelta. E abbiamo acquisito un nuovo aiutante», ricordò loro Rothen mentre prendeva una tazza da Tania. «Fergun.» Dannyl emise un verso scortese. «Quella ragazzina avrebbe dovuto colpirlo con più forza.» «Dannyl!» Rothen rimproverò il giovane mago con un dito. «Fergun è l'unica ragione per cui c'è ancora metà Corporazione che la sta cercando. All'Assemblea di ieri sera è stato molto convincente.» Yaldin sorrise cupo. «Non credo lo sarà ancora per molto. Ieri, quando siamo rientrati, sono andato dritto ai Bagni, ma Ezrille ha detto che mi sentiva ugualmente addosso l'odore dei bassifondi.» «Spero che la nostra piccola maga in fuga non puzzi così», commentò Dannyl guardando Rothen con un sorriso ironico. «Altrimenti la prima cosa che dovremo insegnarle è come ci si lava.» Ricordando il volto sporco, emaciato della ragazza, e i suoi occhi sgranati per la consapevolezza di ciò che aveva fatto, Rothen rabbrividì. Per tutta la notte aveva sognato i bassifondi. Aveva vagabondato tra i tuguri dalle pareti sottili seguito dagli sguardi di persone malaticce, di vecchi tremanti nei loro stracci, di bambini tutti pelle e ossa che mangiavano cibi marci, di storpi con gli arti deformi... Il rumore di qualcuno che bussava piano lo distolse dai suoi pensieri. Rothen si voltò verso la porta e impartì un comando mentale. Quella si
spalancò verso l'interno, e un giovane con la veste da messaggero entrò nella stanza. «Lord Dannyl.» Il messaggero s'inchinò davanti al mago più giovane. «Parla», gli ordinò questi. «Il capitano Garrin le manda un messaggio, mio signore. Mi ha detto di riferirle che le guardie Ollin e Keran sono state picchiate e derubate. L'uomo che cercava non vuole parlare coi maghi.» Dannyl fissò il messaggero e si rabbuiò rimuginando la notizia. Quando il silenzio si prolungò, il ragazzo cominciò a muovere i piedi a disagio. «Sono feriti gravemente?» chiese Rothen. Il messaggero scosse la testa. «Un po' di lividi, mio signore. Niente di rotto.» Dannyl fece un gesto noncurante con la mano. «Ringrazia il capitano per il messaggio. Puoi andare.» Il messaggero s'inchinò di nuovo e se ne andò. «Che sta succedendo?» volle sapere Yaldin quando la porta si chiuse. Dannyl increspò le labbra. «Sembra che i Ladri non siano ben disposti nei nostri confronti.» Yaldin sbuffò debolmente e si allungò per prendere un dolce. «È ovvio! Perché mai dovrebbero?» Il vecchio mago si bloccò e socchiuse gli occhi scrutando il giovane collega. «Non avrai...» Dannyl si strinse nelle spalle. «Valeva la pena tentare. In fondo, si suppone sappiano tutto quello che accade nei bassifondi.» «Hai cercato di contattare i Ladri!» «Che mi risulti, non ho infranto nessuna legge.» Yaldin gemette e scosse la testa. «Non hai infranto la legge», confermò Rothen. «Tuttavia il re e le Case non si dimostreranno molto benevoli con la Corporazione, se fa affari coi Ladri.» «Chi ha detto che facciamo affari coi Ladri?» Dannyl sorrise e bevve un sorso dalla tazza. «Pensaci. I Ladri conoscono i bassifondi molto meglio di quanto noi possiamo mai sperare di fare. Hanno migliori possibilità di trovare la ragazza, e sono certo che preferirebbero farlo di persona piuttosto che vederci ficcare il naso nel loro regno. Dobbiamo solo far credere al re che li abbiamo persuasi a consegnarci la ragazza o che li abbiamo minacciati: a quel punto ci darà l'approvazione che ci serve.» Rothen si accigliò. «Incontrerai non poche difficoltà e perderai non poco tempo a convincere i maghi superiori.»
«Per il momento non c'è bisogno che lo sappiano.» «Sì, invece», replicò deciso Rothen, incrociando le braccia. Dannyl sussultò. «Ma credo mi perdonerebbero, se la cosa funzionasse. E io darei loro modo di giustificarsi davanti al re.» Yaldin sbuffò. «Forse è meglio che non abbia funzionato fin dall'inizio.» Rothen si alzò e si avvicinò alla finestra. Pulì il vetro appannato e sbirciò i giardini ordinati e ben curati. Pensò alle persone affamate e tremanti di freddo che aveva visto. Così viveva quella ragazza? Le loro ricerche l'avevano costretta a fuggire dall'incerto riparo della sua casupola e a vivere per strada? Stava arrivando l'inverno, e sarebbe potuta morire di freddo o di fame prima che i suoi poteri diventassero instabili, pericolosi. Tamburellò le dita sul davanzale. «Esistono diversi gruppi di Ladri, vero?» «Sì», rispose Dannyl. «L'uomo che hai cercato di contattare parla a nome di tutti?» «Non lo so. Forse no.» Rothen si voltò a guardare l'amico. «Non c'è niente di male ad appurarlo, giusto?» Yaldin fissò Rothen e si batté la fronte con la mano. «Ci metterete tutti nei guai», gemette. Dannyl gli diede un colpetto affettuoso sulla spalla. «Non ti preoccupare, Yaldin. Ci andrà solo uno di noi.» Sorridendo a Rothen, aggiunse: «Lasciate che ci pensi io. Nel frattempo, diamo ai Ladri una ragione per aiutarci. Vorrei esplorare meglio quei passaggi sotterranei che abbiamo scoperto ieri. Scommetto che preferirebbero non ficcassimo il naso laggiù». «Non mi piacciono queste stanze sotterranee», affermò Donia. «Non hanno finestre. Mi danno i brividi.» Sonea si accigliò e si grattò le minuscole punture che si era ritrovata al risveglio, dopo la notte. La zia lavava regolarmente i letti e le lenzuola con un infuso di erbe per eliminare gli insetti, e per una volta Sonea rimpianse la sua mania per la pulizia. Sospirò e scrutò la stanza polverosa. «Spero che Cery non passerà dei guai per avermi nascosta qui.» Donia si strinse nelle spalle. «Da anni fa cose per Opia e le ragazze alle Pantofole Danzanti. A loro non dà fastidio che resti nel magazzino per qualche giorno. Sai, sua madre lavorava qui.» Posò un grosso catino di legno sul tavolo di fronte a Sonea. «Abbassa la testa.» Sonea obbedì, e sussultò quando sentì l'acqua gelida scorrerle sul capo.
Dopo averglielo sciacquato più volte, Donia portò via il catino pieno d'acqua di un color verde sporco. Sfregò i capelli di Sonea con un telo logoro, poi si allontanò e valutò il suo operato con occhio critico. «Non è servito», osservò. Sonea alzò la mano per toccarsi i capelli. Erano ancora appiccicosi per la pasta che Donia le aveva applicato. «A niente?» Donia si avvicinò e le prese qualche ciocca in mano. «Be', sono un po' più chiari, ma non lo si nota subito.» Sospirò. «Non che possiamo tagliarli più corti, ma...» Arretrò di nuovo e si strinse nelle spalle. «Se i maghi stanno cercando una ragazza, come dice la gente, potrebbero non trovarti. Coi capelli così corti potresti sembrare un ragazzo, almeno a prima vista.» Si mise le mani sui fianchi e fece ancora qualche passo indietro. «Ma perché poi te li sei tagliati così corti?» Sonea sorrise. «Per sembrare un ragazzo. Così non m'infastidiscono troppo.» «Alla casa di soggiorno?» «No. Mi occupavo io di quasi tutti i ritiri e le consegne: Ranel è lento, per via della gamba, e Jonna è meglio che si dedichi al lavoro. Detestavo restare chiusa nella casa di soggiorno per tutto il tempo, perciò andavo io in giro.» Fece una smorfia. «La prima volta che ho dovuto fare una consegna a un mercante, ho visto un paio di artigiani e stallieri che infastidivano la ragazza di un fornaio. Non volevo subire la stessa sorte, perciò ho cominciato a vestirmi e a comportarmi da maschio.» «E ha funzionato?» chiese Donia inarcando le sopracciglia. «La maggior parte delle volte, sì», rispose Sonea con un sorriso ironico. «A volte però non serve nemmeno sembrare un maschio. Un giorno una cameriera si è innamorata di me! Un'altra volta un giardiniere mi ha messo con le spalle al muro: ero sicura avesse capito che ero una ragazza. Poi mi ha toccata, e per poco non è svenuto; è diventato tutto rosso e mi ha fatto promettere di non dirlo in giro. Là fuori c'è di tutto.» Donia ridacchiò. «Le ragazze qui chiamano quegli uomini 'miniere d'oro'. Opia chiede di più per i ragazzi perché, se le guardie la scoprissero, la impiccherebbero. Contro le ragazze non ci sono leggi, però. Ti ricordi di Kalia?» Sonea annuì ricordando la ragazza magra che aveva lavorato alla casa del bol vicino al mercato. «È saltato fuori che suo padre la vendeva ai clienti da anni», raccontò Donia scuotendo il capo. «La sua stessa figlia! L'anno scorso è scappata e
ha iniziato a lavorare con Opia. Dice che così almeno vede qualche soldo. Di fronte a queste cose capisco quanto sono fortunata... Papà sta attento che con me nessuno oltrepassi il limite della buona educazione. La peggior cosa che...» Si fermò e guardò la porta, poi si avvicinò al buco della serratura e vi sbirciò attraverso. Un sorriso di sollievo le comparve sul volto. Cery entrò nella stanza e le porse un fagotto, scrutando Sonea con occhio critico. «Non sei per niente diversa.» Donia sospirò. «La tintura non ha funzionato. I capelli kyraliani non cambiano colore facilmente.» Lui si strinse nelle spalle e indicò il fagotto con un cenno. «Ti ho portato dei vestiti, Sonea», disse tornando verso la porta. «Bussa quando sei pronta.» La porta si richiuse alle sue spalle. Donia raccolse il fagotto e lo aprì. «Altri vestiti da maschio», esclamò arricciando il naso. Gettò a Sonea un paio di pantaloni e una camicia dal colletto alto. Srotolò una lunga fascia di stoffa nera pesante e annuì. «Ma c'è un buon mantello.» Sonea si cambiò e, proprio mente indossava il mantello, udì bussare alla porta. «Ce ne andiamo», annunciò Cery entrando a grandi passi nella stanza. Harrin lo seguì con una piccola lampada. Vedendo le loro espressioni cupe, Sonea sentì un tuffo al cuore. «Hanno già iniziato le ricerche?» Cery annuì, poi si avvicinò a un vecchio armadio di legno in fondo alla stanza. L'aprì e tirò i ripiani interni, che si spostarono agevolmente in avanti facendo vibrare gli oggetti che reggevano. La parete posteriore del mobile si aprì verso l'interno, rivelando un'apertura rettangolare buia. «Hanno iniziato da qualche ora», disse Harrin mentre Sonea superava la soglia ed entrava nel cunicolo. «Da così tanto?» «Quaggiù è facile perdere la nozione del tempo», le spiegò. «Siamo a metà mattina.» Sonea udì un lievissimo cigolio e, grazie alla sottile striscia di luce sfuggita dalla lampada di Harrin, scorse le pareti umide della galleria. Cery fece passare Harrin e Donia, rimise a posto l'armadio e chiuse la porta segreta. Poi disse all'amico: «Niente luce. Mi oriento meglio al buio». Quando Harrin abbassò la protezione della lampada, il passaggio svanì. «E niente chiacchiere», li avvertì Cery. «Sonea, afferrati al mio mantello
e con l'altra mano segui il muro.» Lei strinse la stoffa grezza del lungomanto di Cery; poi una mano la toccò delicatamente sulla spalla. Non appena si avviarono, i loro passi riecheggiarono nel cunicolo. Neanche un raggio di luce illuminava il loro cammino. Girarono più volte, avanzando tastoni. Una debole eco d'acqua che gocciolava giunse alle loro orecchie e svanì, per tornare poco dopo. Il bordello di Opia era vicino al fiume, ricordò Sonea, perciò i cunicoli si trovavano probabilmente sotto il livello dell'acqua: non era un pensiero confortante. Cery si fermò e, quando prese a salire, Sonea perse il contatto col suo mantello. Allungò le mani e individuò una tavola di legno grezzo, poi un'altra. Temendo di perdere il contatto se avesse indugiato troppo, partì di corsa su per la scala a pioli col solo effetto di prendersi uno degli stivali di Cery in testa; soffocò un'imprecazione e continuò con maggiore attenzione. Alle sue spalle udiva le scarpe di Harrin e Donia sfregare debolmente sul legno. Sopra di lei apparve un quadrato di un nero meno intenso. Seguì Cery oltre una botola, in un tunnel lungo e diritto. Una flebile luce filtrava da una crepa nel muro, dalla parte opposta. Seguirono il passaggio per più di cento passi quando, quasi in prossimità di una curva, Cery si fermò all'improvviso. Il cunicolo aveva iniziato a rischiararsi, illuminato da una luce che si trovava da qualche parte, dietro la curva. Sonea vide la sagoma di Cery contro il muro. Una voce lontana, maschile e colta, giunse alle loro orecchie. «Ah! Un altro passaggio segreto. Forza, vediamo fin dove arriva.» «Sono nelle gallerie», sussurrò Donia. Cery si girò di scatto e gesticolò frenetico in direzione di Sonea. Senza bisogno di essere sollecitata, la ragazza si voltò e vide Harrin e Donia ripercorrere in punta di piedi il cunicolo. Per quanto camminassero il più rapidamente e silenziosamente possibile, i loro passi risuonavano forti nell'angusto spazio. Sonea tese le orecchie aspettandosi da un momento all'altro di sentir gridare alle sue spalle. Abbassando lo sguardo, vide la sua ombra farsi più netta mentre la luce dietro di loro si avvicinava alla curva. Davanti, il cunicolo si perdeva nel buio infinito. Sonea lanciò un'occhiata dietro di sé. Ormai la luce era tanto intensa che credette che il mago fosse sul punto di spuntare da dietro l'angolo. Di lì a un attimo li avrebbe vi-
sti... Ansimò quando due mani l'afferrarono per le spalle e la costrinsero a fermarsi. Cery la buttò contro il muro e la spinse per le spalle. La struttura di mattoni parve cedere dietro di lei, e Sonea cadde all'indietro. Toccò di schiena un altro muro. Cery la gettò di lato, contro una parete laterale, poi s'infilò nella stretta nicchia al suo fianco. Sonea sentì il suo gomito ossuto nel fianco e udì un rumore secco di mattoni che scivolavano gli uni contro gli altri e tornavano a posto. Nello stretto spazio il rumore del loro respiro era spaventoso. Col cuore che le martellava nel petto, Sonea tese le orecchie finché non udì un vociare attutito oltre il muro. Dalle crepe tra i mattoni filtrò una luce. Protendendosi, sbirciò da un'apertura. Una sfera di luce galleggiava nell'aria proprio di fronte a lei. Affascinata, la guardò avanzare finché quella non uscì dal suo campo visivo lasciandole solo una serie di macchioline rosse davanti agli occhi. Poi apparve una mano pallida, seguita da una manica ampia color porpora e dal petto di un uomo: un uomo con addosso una tunica, un mago! Il cuore le batteva impazzito. Era così vicino, a portata di braccio. E si era fermato. «Aspettate un momento!» Il mago sembrò perplesso. Rimase immobile, in silenzio, poi si voltò lentamente nella sua direzione. Sonea restò paralizzata dal terrore. Era il mago di piazza del Nord, quello che l'aveva vista e che aveva cercato d'indicarla agli altri. Aveva un'espressione turbata, come se stesse ascoltando qualcosa, e sembrava fissarla negli occhi oltre il muro. La ragazza aveva la bocca secca, come piena di polvere. Deglutì vistosamente e avvertì il panico salirle nel petto. Le sembrò che il battito del suo cuore fosse tanto forte da tradirla. Lui lo sentiva? O sentiva il rumore del suo respiro? Forse sente i pensieri che mi passano per la mente. Le gambe le cedettero. Si diceva che sapessero fare cose del genere. Chiuse con forza gli occhi. Non mi può vedere. Non esisto. Non sono qui. Non sono niente. Nessuno mi può vedere. Nessuno mi può sentire... Una strana sensazione l'avvolse, era come se le avessero messo una coperta in testa che le attutiva i sensi. Tremò, turbata dalla consapevolezza di avere fatto qualcosa, stavolta però a se stessa. O forse il mago mi ha lanciato un incantesimo, pensò d'un tratto.
Atterrita, aprì gli occhi e si ritrovò a fissare il buio. Il mago e la sua luce erano scomparsi. Dannyl osservò disgustato l'edificio che aveva davanti. Pur essendo la più recente delle strutture della Corporazione, era priva dello sfarzo e del fascino dei palazzi più antichi che tanto ammirava. Se alcuni apprezzavano lo stile moderno, Dannyl considerava quella costruzione assurdamente pretenziosa, come del resto il suo nome: «i Sette Archi». Era un rettangolo piatto sulla cui facciata si aprivano per l'appunto sette archi semplici, senza decorazioni. All'interno vi erano tre stanze: la Sala Diurna, dove venivano ricevuti gli ospiti importanti, la Sala dei banchetti e la Sala Notturna, dove i maghi si riunivano informalmente ogni sera del Quartogiorno per rilassarsi, bere vino costoso e scambiarsi gli ultimi pettegolezzi. Lui e Rothen erano diretti proprio in quest'ultima. La serata era gelida, ma un po' d'aria fredda non aveva mai scoraggiato gli abituali frequentatori della Sala Notturna. Dannyl sorrise quando vi entrò; una volta dentro, si scordava dello scempio commesso costruendo quell'edificio e si godeva le graziose decorazioni interne. Apprezzò ancora di più il lusso della sala dopo due giorni passati nei cunicoli umidi e freddi dei bassifondi. Tende con disegni blu scuro e oro riparavano le finestre, splendide sedie imbottite erano disposte nell'intero ambiente e le pareti erano ornate di quadri e incisioni realizzati dai migliori artisti delle Terre Alleate. Erano presenti più maghi del solito, osservò Dannyl. Mentre con Rothen si addentrava nella folla, riconobbe alcuni dei colleghi meno socievoli; poi scorse una chiazza nera e si bloccò. «Stasera il Sommo Lord ci ha onorati con la sua presenza», mormorò. «Akkarin? Dov'è?» Rothen si guardò intorno. Quando individuò la figura con la tunica nera, inarcò le sopracciglia. «Interessante. Quanto è passato? Due mesi?» Dannyl annuì mentre prendeva un bicchiere di vino da un servitore. «Come minimo.» «Con lui c'è l'Amministratore Lorlen?» «Ovviamente», rispose Dannyl, che poi tacque per bere un sorso di vino. «Lorlen sta parlando con qualcuno, ma non riesco a vedere chi.» Lorlen alzò gli occhi, posandoli su Dannyl e Rothen. Una mano si sollevò in aria. «Dannyl, Rothen, vorrei parlarvi.» Sorpreso e un po' preoccupato, Dannyl seguì Rothen attraverso la sala.
Si fermarono dietro la sedia che aveva impedito a Dannyl d'individuare l'interlocutore di Lorlen. Una voce colta giunse alle loro orecchie. «I bassifondi sono un'orrenda macchia per questa città. Sono il covo della criminalità e delle malattie. Il re non avrebbe mai dovuto permettere che si estendessero tanto. Questa è l'occasione ideale perché Imardin se ne liberi.» Dannyl controllò la sua espressione e abbassò lo sguardo verso l'occupante della sedia. Una chioma bionda perfettamente pettinata riluceva sotto le luci della sala. Gli occhi dell'uomo erano semichiusi, le sue gambe accavallate in direzione del Sommo Lord. Alla tempia aveva una piccola benda quadrata. «E come dovrebbe fare secondo lei, Lord Fergun?» chiese mitemente Lorlen. Fergun si strinse nelle spalle. «Ripulire la zona non sarebbe difficile. Le case non sono fatte con particolare cura e ci vorrebbe ben poco per distruggere i cunicoli sotterranei.» «Ma qualsiasi città cresce e si espande», precisò Lorlen. «È naturale che la gente costruisca case al di fuori delle mura quando all'interno non c'è più posto. Ci sono aree nei bassifondi che non sono molto diverse dai Quartieri. I palazzi sono ben costruiti e le strade hanno canali di scolo efficaci. Gli abitanti di quelle zone hanno iniziato a chiamarle Cerchia esterna.» Fergun si protese. «Ma anche quelle case hanno passaggi segreti sotterranei. Glielo assicuro, i loro occupanti sono persone molto sospette. Qualsiasi casa costruita sopra quei tunnel dev'essere considerata parte di una cospirazione criminale, e abbattuta.» A quell'affermazione, Akkarin inarcò lievemente le sopracciglia. Lorlen guardò il Sommo Lord e sorrise. «Se solo si potesse risolvere rapidamente il problema dei Ladri.» Si rivolse quindi ai due maghi che li avevano appena raggiunti. «Buonasera, Lord Rothen, Lord Dannyl.» Fergun alzò lo sguardo scrutando prima Dannyl poi Rothen, dopodiché sulle sue labbra comparve un sorriso. «Ah, Lord Rothen.» «Buonasera, Sommo Lord, Amministratore», salutò Rothen chinando il capo di fronte ai maghi superiori. «E a lei, Lord Fergun. Si sente meglio?» «Sì, sì», replicò questi, sollevando una mano per toccarsi la benda sulla tempia. «Grazie per l'interessamento.» Dannyl mantenne un'espressione neutra. Era scortese, ma non insolito, che Fergun «dimenticasse» di salutarlo; era però sorprendente che lo avesse fatto in presenza del Sommo Lord.
Lorlen giunse le mani. «Ho notato che oggi siete rimasti nei bassifondi più a lungo degli altri. Avete scoperto qualche indizio sui movimenti della ragazza?» Rothen scosse la testa e iniziò a descrivere il tentativo di seguire i passaggi sotterranei della zona. Restando in silenzio, Dannyl guardò il Sommo Lord e provò una familiare sensazione di nervosismo. Sono passati dieci anni da quando mi sono diplomato, ma di fronte a lui reagisco ancora come un novizio. Doveri e interessi lo portavano di rado a incontrare il capo della Corporazione, e come sempre restava vagamente stupito dal suo aspetto giovanile. Ripensò alle discussioni che, cinque anni prima, l'elezione di un mago così giovane alla carica di Sommo Lord aveva sollevato. I capi della Corporazione venivano scelti tra i maghi più forti, e i maghi più anziani venivano preferiti a quelli giovani per la maggiore esperienza e la maturità. Akkarin aveva dimostrato di possedere poteri molto più forti di qualsiasi altro, ma erano state la sua conoscenza e le doti diplomatiche, acquisite durante molti viaggi all'estero, che avevano convinto la Corporazione a eleggerlo. Il Sommo Lord doveva possedere forza, perizia, dignità e autorità, e Akkarin presentava tali doti in abbondanza; come sottolineato da molti al tempo dell'elezione, l'età contava poco ai fini della carica. Le decisioni importanti venivano sempre prese per votazione e la gestione quotidiana della struttura era affidata all'Amministratore. Sebbene tutto ciò apparisse logico, Dannyl sospettava che la sua giovane età destasse ancora qualche dubbio. Aveva notato che Akkarin portava i capelli acconciati in modo antiquato, come gli anziani: lunghi e strettamente raccolti in una crocchia sulla nuca. Anche Lorlen aveva adottato quello stile. Dannyl si voltò a guardare l'Amministratore, che stava ascoltando Rothen con attenzione. Lorlen, il più stretto amico del Sommo Lord, era stato nominato dapprima assistente dell'Amministratore su suggerimento dello stesso Akkarin. Quando l'Amministratore era andato in pensione, due anni prima, aveva preso il suo posto. Lorlen si era rivelato adatto all'incarico. Era efficiente, autorevole e, fatto ancor più importante, disponibile. Non era un ruolo facile, e Dannyl non lo invidiava per il grande impegno che comportava. Tra le due posizioni, la sua era quella più gravosa. Lorlen scosse la testa quando Rothen terminò il resoconto della giornata. «Dalle descrizioni che ho sentito dei bassifondi, penso che non la trovere-
mo mai», disse con un sospiro. «Il re ha ordinato che il Porto venga riaperto domani.» Fergun si rabbuiò. «Di già? E se scappa per nave?» «Se avesse davvero voluto lasciare Imardin, dubito che l'embargo l'avrebbe fermata.» Lorlen guardò Rothen e sorrise. «Come soleva dire il tutore di Lord Rothen: 'Kyralia si governerebbe molto bene da sé, qualora l'arte di governare fosse dichiarata un crimine'.» Rothen ridacchiò. «Sì, Lord Margen era una fonte preziosa di detti del genere. Non penso tuttavia che siano state valutate tutte le possibilità. Stamattina Dannyl mi ha fatto presente che le persone che hanno maggiori probabilità di trovare la ragazza sono gli abitanti stessi dei bassifondi. Credo abbia ragione.» Dannyl fissò l'amico. Rothen non avrebbe di certo rivelato la loro intenzione di contattare i Ladri... «Perché ci dovrebbero aiutare?» domandò Lorlen, perplesso. Rothen lanciò un'occhiata a Dannyl. «Potremmo offrire una ricompensa.» Dannyl espirò lentamente dopo aver trattenuto a lungo il fiato. Avresti dovuto avvisarmi, amico mio! «Una ricompensa!» esclamò Lorlen. «Sì, potrebbe funzionare.» «Ottima idea», commentò Fergun. «Ma dovremmo anche multare chi ci ostacola.» Lorlen lo guardò con aria di rimprovero. «La ricompensa può bastare. Attenti, però: non daremo nulla finché non verrà trovata la ragazza, altrimenti l'intera popolazione dei bassifondi sosterrà di averla vista.» Un attimo dopo si accigliò. «Bisognerebbe anche scoraggiarli dall'acciuffarla...» «Potremmo appendere agli angoli delle strade manifesti con la descrizione della ragazza e i termini per ottenere la ricompensa, insieme con l'avvertimento di non avvicinarla», suggerì Dannyl. «Dovremmo indurre la gente a segnalarcela quando la vede, perché in questo modo avremo un'idea delle zone che frequenta.» «Potremmo realizzare una mappa dei bassifondi, in modo da seguirne gli spostamenti», propose Fergun. «Sarebbe davvero una cosa utile», commentò Dannyl, fingendosi sorpreso dal suggerimento e nel contempo infastidito per non averci pensato per primo. Ricordando il labirinto di cunicoli e strade, sapeva che un compito del genere avrebbe tenuto Fergun occupato per mesi. Rothen lo osservò con occhi socchiusi, ma non disse nulla.
«I manifesti della ricompensa...» disse Lorlen guardando Dannyl. «Ci penserà lei?» «Domani», rispose questi chinando il capo. «Informerò domani mattina il resto dei maghi impegnati nelle ricerche», affermò Lorlen. «Altre idee?» «La ragazza avrà una sua aura», ricordò il Sommo Lord. «Non è addestrata e non sa come nasconderla, o forse non sa nemmeno di possederla. Qualcuno lo ha mai considerato?» Tacquero tutti per un istante, poi Lorlen ridacchiò tristemente. «Non ci posso credere. Non mi era venuto in mente. Nessuno ha pensato a cercarla avvalendosi dell'aura.» Scosse la testa. «A quanto pare, ci siamo dimenticati chi siamo... e chi è lei.» «L'aura...» ripeté Rothen con tono pacato. «Credo di...» Lorlen si rabbuiò quando questi non terminò la frase. «Sì?» «Domani organizzerò una ricerca mentale», si affrettò a dire Rothen. Lorlen sorrise. «Vi aspetta una giornata impegnativa.» Rothen chinò il capo. «Allora sarà meglio andare a dormire presto. Buonanotte, Amministratore, Sommo Lord, Lord Fergun.» I tre maghi risposero con un cenno del capo. Dannyl seguì Rothen mentre si affrettava verso la porta della Sala Notturna. Quando uscirono nell'aria gelida, Rothen espirò bruscamente. «Ecco cos'era!» esclamò, dandosi una pacca sulla fronte. «Cosa?» chiese Dannyl perplesso. «Oggi, mentre percorrevo uno di quei cunicoli, ho sentito qualcosa, come se qualcuno mi osservasse.» «Un'aura?» «Forse.» «Hai indagato?» Lui annuì. «Non aveva senso. Ciò che sentivo si sarebbe dovuto trovare accanto a me, ma lì non c'era niente se non un muro di mattoni.» «Hai visto se c'era una porta segreta?» «No, ma...» Rothen esitò e si accigliò. «Poi è svanita.» «Svanita?» Dannyl era perplesso. «Com'è possibile che sia svanita? Un'aura non svanisce, a meno che non sia stata nascosta. Lei non è addestrata a farlo.» «E se invece lo fosse?» Rothen sorrise cupo. «Se era lei, o è stata addestrata da qualcuno oppure ha imparato a farlo da sé.» «Non è difficile da imparare. Noi lo insegniamo col gioco del nascondi-
no.» Rothen annuì lentamente mentre considerava tale possibilità. «Lo capiremo domani, probabilmente. È meglio che torni dentro e veda di trovare un po' di aiuto. Penso che molti tra quelli che non intendono rimettere piede nei bassifondi siano ben contenti di dare una mano con la ricerca mentale. Voglio che ti unisca a noi; hai sensi particolarmente fini.» «Se la metti così, come posso rifiutare?» replicò Dannyl stringendosi nelle spalle. «Credo che inizieremo presto. Fa' in modo di preparare i manifesti della ricompensa al più presto.» Dannyl fece una smorfia. «Vuoi farmi fare un'altra levataccia!» 5 LA RICOMPENSA «Cery?» Sollevando la testa dal tavolo, Cery batté le palpebre. Era mattina, o almeno credeva, anche se era sempre difficile dirlo quando ci si trovava sotto terra. Si raddrizzò e guardò verso il letto. La candela era ridotta a un mozzicone e la luce non arrivava molto in là, ma il ragazzo riuscì lo stesso a scorgere il luccichio degli occhi di Sonea. «Sono sveglio», mormorò stirandosi le spalle rigide. Sollevò la candela dal tavolo e la avvicinò al letto. Sonea era stesa con le braccia piegate sotto la testa e fissava il soffitto basso. Cery ricordò di aver provato quella stessa sensazione due anni addietro, poco prima che lei smettesse di frequentare la banda. Quando se n'era andata, aveva capito di aver sempre saputo che un giorno li avrebbe lasciati, anche se ormai era troppo tardi. «Buongiorno», la salutò. Sonea riuscì ad abbozzare un sorriso, ma non bastò a scacciare il turbamento dai suoi occhi. «Chi era il ragazzo della piazza... quello che è morto?» Lui si sedette ai piedi del letto e sospirò. «Si chiamava Arrel, credo. Non lo conoscevo bene. Penso fosse il figlio di una donna che lavorava alle Pantofole Danzanti.» Sonea annuì lentamente e rimase zitta a lungo; poi sollevò le sopracciglia. «Ieri od oggi hai visto Jonna e Ranel?»
Lui scosse il capo. «No.» «Mi mancano.» All'improvviso, Sonea scoppiò a ridere. «A essere sincera non avrei pensato fino a questo punto.» Si voltò sul fianco, guardando Cery in faccia. «Mi mancano più di mia madre. Non è strano?» «Ti hanno accudita per gran parte della tua vita», le rammentò il ragazzo. «E tua madre è morta da tempo.» Sonea annuì. «A volte la vedo in sogno, ma quando mi sveglio non ricordo il suo aspetto. Però ricordo la casa dove vivevamo. Era fantastica.» «Casa tua?» Lei scosse il capo. «Mamma e papà erano a servizio di una delle Case, ma, quando mio padre è stato accusato di aver rubato qualcosa, li hanno cacciati.» Cery sorrise. «Lo aveva fatto?» «Probabilmente», rispose Sonea sbadigliando. «Jonna gli attribuisce la colpa di tutte le azioni che faccio e che secondo lei sono sbagliate o negative. Non ammette il furto, neanche a danno di persone ricche e meschine.» «Dov'è adesso tuo papà?» Lei scrollò le spalle. «Se n'è andato quando la mamma è morta. È tornato una volta, quando avevo sei anni, ha dato a Jonna un po' di denaro ed è ripartito.» Cery tolse un po' di cera colata dalla candela. «I Ladri hanno ucciso mio papà quando hanno scoperto che li raggirava.» La ragazza sgranò gli occhi. «Oh, ma è terribile! Sapevo che era morto, ma questo non me lo avevi mai detto.» Lui scrollò le spalle. «Non è furbo dire in giro che tuo padre era uno squimper. Ha corso rischi stupidi e si è fatto prendere: questo è quello che dice la mamma. Mi ha insegnato molte cose, però.» «La Via dei Ladri.» Cery assentì. «Noi la stiamo usando, vero?» Lui assentì di nuovo. Sonea sorrise. «Allora è vero. Tu sei un uomo dei Ladri.» «No. Mio padre mi ha mostrato la Via.» «Quindi hai il permesso di usarla?» «Sì e no», rispose Cery con una stretta di spalle. Guardò la candela e ripensò a un giorno di tre anni prima, in cui si era infilato in un cunicolo per sfuggire a una guardia che si era risentita per un tentativo di borseggio. Un'ombra era apparsa nel buio, lo aveva preso per il colletto, lo aveva
trascinato in una stanza lontano dal passaggio e lo aveva chiuso dentro. Sebbene fosse un abile scassinatore, Cery non era riuscito a liberarsi. Molte ore dopo la porta si era aperta, e lui era rimasto accecato da una lampada tanto forte che gli aveva consentito di scorgere solo la sagoma di chi la reggeva. «Chi sei?» aveva domandato lo sconosciuto. «Come ti chiami?» «Ceryni», aveva guaito lui. C'era stato un breve attimo di silenzio, poi la luce si era avvicinata. «Così sei tu», aveva osservato lo sconosciuto con una nota divertita nella voce. «Un piccolo roditore familiare: il figlio di Torrin. Ah, ma ora ti ho beccato! Sai qual è il prezzo che si paga quando si usa la Via senza il permesso dei Ladri?» Terrorizzato, Cery aveva scosso il capo. «Be', piccolo Ceryni, ti sei messo in un bel guaio, sai, ma penso di poterti fare una piccola concessione. Non usare la Via regolarmente, ma, se sei costretto, fallo pure. Se qualcuno ti fa domande, di' che ti ha autorizzato Ravi. Ricorda, però, mi devi un favore. Se ti chiederò qualcosa, tu obbedirai. Se mi tratterai male, ti consiglio di non usare più nessuna via. Intesi?» Cery aveva annuito di nuovo, troppo spaventato per parlare. Lo sconosciuto, a quel punto, si era messo a ridacchiare. «Bene. Adesso sparisci!» La luce era scomparsa, e Cery era stato trascinato da mani invisibili fino all'uscita più vicina della Via e gettato fuori. Da quel giorno aveva messo di rado piede nella Via dei Ladri. Le poche volte che era tornato in quel labirinto, si era stupito di ricordarne così bene la disposizione. Di tanto in tanto aveva incontrato altre persone, ma nessuno lo aveva mai fermato o interrogato. Negli ultimi giorni tuttavia aveva ignorato la regola dei Ladri più di quello che avrebbe voluto. Se qualcuno lo avesse affrontato, poteva solo sperare che il nome di Ravi avesse ancora una certa autorevolezza. A ogni modo, non aveva intenzione di dirlo a Sonea: si sarebbe spaventata troppo. Guardandola, provò di nuovo una strana inquietudine. Aveva sempre sperato che un giorno tornasse, ma non ci aveva mai creduto. Sonea era diversa, speciale, e Cery aveva sempre saputo che un giorno lei avrebbe lasciato i bassifondi. Era davvero speciale, anche se per una ragione che nessuno avrebbe mai potuto immaginare. Possedeva la magia! Ma lo aveva appreso nel momento sbagliato. Perché non lo aveva scoperto mentre preparava una tazza di
raka o lucidava un paio di scarpe? Perché era accaduto davanti ai maghi della Corporazione? Ma era andata così, e Cery doveva fare il possibile per tenerla lontana da loro. Almeno potevano passare molto tempo insieme e, anche se ciò significava mettere a rischio l'accordo con Ravi, ne valeva la pena. Non amava però vederla così in ansia. «Non ti preoccupare», cercò di rassicurarla. «Finché i maghi verranno a curiosare nelle gallerie, i Ladri non penseranno a...» «Sstt!» lo interruppe lei sollevando una mano per zittirlo. Cery la fissò mentre si alzava dal letto e si portava al centro della stanza. Fece un giro completo su se stessa e osservò con attenzione i muri, spostando di qua e di là lo sguardo. Il ragazzo tese le orecchie, ma non sentì niente d'insolito. «Che c'è?» Sonea scosse la testa, poi trasalì all'improvviso. Sul suo volto comparve un'espressione di sorpresa e di terrore. Cery balzò in piedi, allarmato. «Che c'è?» ripeté. «Mi stanno cercando», sibilò lei. «Non sento niente.» «No, certo», mormorò Sonea con voce tremante. «Io riesco a vederli, ma in realtà non è come vedere; è più come sentire, ma anche questo non è esatto perché non capisco quello che dicono. È più come...» Trattenne il fiato e si girò cercando con gli occhi qualcosa che trascendeva i sensi. «Mi stanno cercando con la mente.» Cery la fissò impotente. Se aveva ancora qualche dubbio sui suoi poteri magici, quello cui stava assistendo glieli toglieva del tutto. «Riescono a vederti?» Sonea gli lanciò un'occhiata preoccupata. «Non lo so.» Lui strinse le mani a pugno e le riaprì. Fino a poco prima era certo che sarebbe riuscito a tenerla lontana da loro, ma non c'era nessun posto in cui potesse portarla, non c'erano pareti per proteggerla da tutto ciò. Inspirò brusco, le si avvicinò e le prese le mani. «Puoi impedire che ti vedano?» Lei allargò le mani. «Come? Non so usare la magia.» «Provaci!» la esortò. «Prova a fare qualcosa! Qualsiasi cosa!» Sonea scosse la testa; poi si contrasse e inspirò. Cery la vide impallidire. «Quel mago sembrava guardare proprio me...» mormorò la ragazza. «Ma è andato avanti. Vanno avanti.» Un sorriso le comparve sul volto. «Non riescono a vedermi.» Cery la guardò attentamente negli occhi. «Ne sei certa?»
Lei assentì. «Sì.» Lasciando andare le sue mani, tornò a sedersi sul letto con aria pensierosa. «Ieri, quando il mago ci aveva quasi scoperti, credo di avere fatto qualcosa, di essermi, come dire, resa invisibile. Penso che, se non lo avessi fatto, mi avrebbe trovata.» Alzò d'un tratto lo sguardo, poi si rilassò e sorrise. «È come se fossero ciechi.» Cery emise un sospiro di sollievo e scosse la testa. «Mi avevi fatto preoccupare sul serio, Sonea. Io ti posso nascondere dagli occhi dei maghi, ma nasconderti dalle loro menti è troppo. Credo sia meglio spostarsi di nuovo. Conosco un posto, lontano dalla Via, che per qualche giorno potrebbe andare.» Il Palazzo della Corporazione era silenzioso, tranne per il flebile sibilo del respiro di tante persone. Rothen aprì gli occhi e guardò le file di volti. Come sempre, sentiva un vago imbarazzo a guardare gli altri maghi intenti a lavorare con la mente. Non poteva fare a meno di sentirsi una spia, un intruso che curiosava in uno spazio privato. Nel contempo provava anche un piacere infantile nell'osservarne le diverse espressioni: alcuni erano accigliati, altri perplessi o sorpresi. Gran parte sembrava addormentata, con un'aria serena e pacifica sul volto. Quando udì russare lievemente, Rothen sorrise. Lord Sharrel era appoggiato allo schienale del seggio e la sua testa calva si era piegata a poco a poco sul petto. Gli esercizi per calmare e concentrare la mente erano stati evidentemente troppo efficaci per lui. «Non è il solo che non ha la mente rivolta al lavoro, eh, Rothen?» Dannyl aprì un occhio e sorrise. Scuotendo la testa in segno di disapprovazione, Rothen scrutò le facce per vedere se l'amico avesse alterato la concentrazione degli altri. Dannyl scrollò impercettibilmente le spalle e richiuse l'occhio. Rothen sospirò. A quell'ora avrebbero dovuto averla già trovata. Guardò le file di maghi e scosse il capo. Un'altra mezz'ora, decise. Chiuse gli occhi, inspirò e ricominciò l'esercizio per calmare la mente. In tarda mattinata la foschia che ammantava la città si era dispersa, scacciata dall'intensa luce del sole. In piedi davanti alla finestra, Dannyl si godette per un istante il silenzio. Le stampatrici, pur essendo più efficaci degli scribi, facevano un gran baccano con tutti i loro battiti e ronzii, e lo avevano completamente frastorna-
to. Increspò le labbra. Ormai anche l'ultima parte di manifesti era stata stampata e distribuita, e lui era libero. La ricerca mentale era fallita e Rothen era già tornato nei bassifondi. Dannyl non sapeva se essere contento di uscire col bel tempo o sgomento all'idea di riprendere i vagabondaggi tra i tuguri. «Lord Dannyl», disse una voce. «C'è un grande assembramento di persone davanti alla porta della Corporazione. Le vogliono parlare.» Dannyl trasalì e si voltò: sulla soglia c'era l'Amministratore. «Di già?» chiese meravigliato. Lorlen annuì e le sue labbra si piegarono in un sorriso divertito. «Non so come siano arrivati fin lì. Hanno evitato due schieramenti di guardie e sono entrati nella Cerchia interna prima di giungere qui. A meno che non siano mendicanti sfuggiti all'Epurazione.» «Quanti sono?» «Circa duecento. Le guardie dicono che tutti sostengono di sapere dove si trovi la ragazza.» Immaginando che molti furfanti e mendicanti si fossero ammassati all'ingresso, Dannyl si premette una mano sulla fronte ed emise un gemito. «Esattamente», proseguì Lorlen. «Che farà ora?» Dannyl si appoggiò al tavolo e valutò la situazione. Era passata poco più di un'ora da quando aveva mandato i primi messaggeri coi manifesti. La calca alle porte era solo l'avanguardia di un'orda d'informatori che sarebbe arrivata di lì a poco. «Ci serve un posto dove interrogarli», disse, riflettendo a voce alta. «Non all'interno della Corporazione», replicò Lorlen. «Altrimenti s'inventeranno storie solo per avere l'occasione di vederci.» «Allora da qualche parte in città.» L'Amministratore tamburellò piano le dita sul telaio della porta. «La Guardia ha numerosi edifici in città. Farò in modo che ne prepari uno e ce lo lasci.» «Potrebbe chiedere ad alcuni soldati di restare per mantenere l'ordine?» Lorlen annuì. «Sono certo che non vedranno l'ora di restare.» «Cercherò di trovare qualche volontario che ci aiuti a interrogare gli informatori.» «Sembra che lei abbia tutto sotto controllo.» Dannyl sorrise e chinò il capo. «Grazie, Amministratore.» «Se ha bisogno di qualsiasi altra cosa, mi mandi un messaggero.» Lorlen
fece un cenno col capo e si allontanò a grandi passi. Attraversata la stanza, Dannyl raccolse gli strumenti che aveva usato per preparare il manifesto e li ripose in una scatola decorata. Uscì in corridoio e si affrettò verso i suoi alloggi, fermandosi quando un novizio uscì da un'aula vicina e si avviò verso le scale. «Ehi, tu!» chiamò Dannyl. Il giovane si bloccò all'istante e si girò. Incrociò lo sguardo di Dannyl e, mentre s'inchinava, scivolò sul pavimento. Dannyl si avvicinò e gli mise la scatola in mano. «Porta questa alla Biblioteca dei maghi e di' a Lord Jullen che passerò a prenderla più tardi.» «Sì, Lord Dannyl», assentì il novizio, lasciando quasi cadere la scatola mentre s'inchinava di nuovo. Si voltò e si avviò a passo svelto. Dannyl percorse l'ultimò tratto di corridoio e cominciò a scendere le scale. Nell'atrio si erano radunati diversi maghi. Stavano tutti fissando oltre l'enorme ingresso dell'Università, in direzione delle porte. Larkin, un giovane alchimista diplomatosi da poco, alzò lo sguardo quando Dannyl raggiunse i piedi delle scale. «Sono i suoi informatori, Lord Dannyl?» chiese sorridendo. «Sono cacciatori di ricompense», ribatté lui, sarcastico. «Non avrà mica intenzione di farli entrare qui?» indagò una voce rude. Riconoscendo il tono scontroso del Direttore dell'Università, Dannyl si voltò a guardarlo. «Lei lo vorrebbe, Direttore Jerrik?» «Assolutamente no!» Alle sue spalle, Dannyl udì Larkin emettere un lieve verso divertito e si trattenne dal sorridere. Jerrik sembrava non cambiare mai: quando Dannyl era novizio, aveva gli stessi modi da vecchio scontroso sempre pronto a disapprovare tutto. «Li manderò in una sala delle guardie», spiegò Dannyl al vecchio mago. Poi si girò, si fece strada fra i colleghi che si aggiravano nell'atrio e imboccò le scale. «Buona fortuna!» gli gridò Larkin. Dannyl alzò una mano in risposta. Davanti a lui, una massa scura di corpi premeva contro le sbarre ornate delle porte della Corporazione. Dannyl fece una smorfia e cercò una mente a lui familiare. «Rothen!» «Sì?» «Guarda.» Dannyl gli inviò un'immagine mentale della scena. Percepì allarme da parte dell'altro mago, che si tramutò ben presto in divertimento quando capì chi fosse quella gente. «Informatori, di già! Che hai intenzione di fare?»
«Dire loro che tornino più tardi», rispose Dannyl. «E che non daremo soldi a nessuno finché non avremo la ragazza.» Con la rapidità e la chiarezza che la comunicazione mentale consentiva gli spiegò che l'Amministratore stava facendo preparare un posto in città per interrogare gli «informatori». «Serve che rientri per dare una mano?» «Anche se volessi, non potrei tenerti lontano.» Avvertì di nuovo un senso di divertimento da parte del collega, poi l'aura di Rothen svanì. Avvicinandosi al cancello, Dannyl vide la calca di persone che premevano contro le sbarre e si spintonavano. Non appena presero a chiamarlo tutte insieme, fu investito da un incredibile clamore. Le guardie lo fissarono con un misto di sollievo e di curiosità. Il mago si fermò a circa dieci passi dal cancello, raddrizzò la schiena per trarre il massimo vantaggio dalla sua altezza, incrociò le braccia al petto e attese. Lentamente il rumore diminuì. Quando la folla si fu quietata, Dannyl manipolò l'aria davanti a sé per amplificare la voce. «Quanti di voi sono venuti qui con informazioni sulla ragazza che stiamo cercando?» Un coro di voci si levò in risposta. Dannyl annuì e sollevò una mano per tacitarle. «La Corporazione è lieta di accettare il vostro aiuto a questo riguardo. Avrete l'opportunità di parlare singolarmente con noi; stiamo predisponendo una sala allo scopo. La sede della sala sarà indicata in un avviso che verrà appeso a questa porta tra un'ora. Nel frattempo, vi chiediamo di tornare a casa.» Dalla retroguardia si levò qualche brontolio. Dannyl sollevò il mento e assunse un tono di monito. «Non verrà data nessuna ricompensa finché la ragazza non sarà al sicuro, nelle nostre mani. Solo allora la ricompensa verrà pagata e solo a chi ha fornito informazioni utili. Non avvicinatevi alla ragazza di vostra iniziativa. Potrebbe essere pericoloso.» «È qui!» gridò una voce. Nonostante il suo autocontrollo, Dannyl ebbe un fremito di speranza. La folla protestò mentre qualcuno si faceva strada in mezzo a essa. «Fatela passare», ordinò il mago. La folla si divise, e una donna dalla pelle tutta raggrinzita si avvicinò al cancello. Una mano ossuta si allungò tra le sbarre e gli fece cenno. L'altra teneva per un braccio una bambina piccola e magra, con addosso abiti sporchi e logori. «Eccola!» dichiarò la donna, e i suoi occhi enormi lo fissarono. Dannyl studiò attentamente la bambina. I capelli corti, tagliati in modo
irregolare, incorniciavano un volto scarno, incavato. Era incredibilmente magra e i vestiti le cadevano sul corpo informe. Quando Dannyl posò lo sguardo su di lei, la piccola scoppiò a piangere. A quel punto gli venne un dubbio, poiché si era reso conto di non ricordare la faccia della ragazza che Rothen aveva proiettato nel Palazzo della Corporazione. «Rothen?» «Sì?» Gli inviò l'immagine della bambina. «Non è lei.» Dannyl sospirò sollevato. «Non è lei», annunciò scuotendo il capo, e si voltò. La donna protestò. Lui si girò e, notando che lo stava guardando in cagnesco, sostenne il suo sguardo. Lei abbassò rapida gli occhi. «Ne è certo, mio signore?» chiese con tono adulatorio. «Non l'ha esaminata da vicino.» La marea di facce lo fissò, in attesa, e Dannyl capì che volevano una prova concreta. Se non li avesse persuasi che non potevano ingannarlo, gli avrebbero portato altre ragazzine nella speranza di ottenere la ricompensa, e lui non poteva chiedere ogni volta a Rothen d'identificarle. Si avvicinò lentamente al cancello. La bambina aveva smesso di piangere; tuttavia, quando lui fu a poca distanza, impallidì dal terrore. Dannyl allungò una mano e sorrise. La piccola la fissò e arretrò, ma la donna al suo fianco l'afferrò per un braccio e glielo infilò tra le sbarre del cancello. Dannyl lo prese e inviò una richiesta d'informazioni alla mente della piccola. Percepì subito un potere latente e ne restò stupito. Esitò qualche istante prima di lasciar andare la mano e arretrare. «Non è lei», ripeté. Gli informatori ripresero a gridare, ma le urla erano meno insistenti e imperiose. Il mago si allontanò di qualche passo e sollevò le braccia. La folla arretrò. «Andate!» esclamò Dannyl. «Tornate questo pomeriggio.» Si girò rapido, in modo che la tunica ruotasse con grande effetto, e si allontanò. Dalla ressa si levò un'esclamazione di timore e di meraviglia. Sorridendo, Dannyl allungò il passo; ma il sorriso gli svanì dal volto quando pensò al potere che aveva avvertito nella piccola mendicante. Non era particolarmente forte. Se fosse stata figlia di una Casa, difficilmente l'avrebbero mandata alla Corporazione per l'addestramento; per la sua famiglia sarebbe stata più preziosa come sposa, perché avrebbe potuto corroborare la di-
scendenza magica della sua Casa. Se si fosse trattato di un secondo o terzo figlio maschio, tuttavia, ne sarebbero stati felici perché anche un mago debole arrecava prestigio al nome della famiglia. Dannyl scosse la testa mentre si avvicinava all'Università. Era una pura coincidenza che una bambina dei bassifondi da lui esaminata avesse delle potenzialità magiche; forse era la figlia di una prostituta messa incinta da un mago. Dannyl non si faceva illusioni sulle abitudini dei colleghi. Poi ricordò le parole di Lord Solend: Se questa ragazza è un mago naturale, ci dobbiamo attendere che sia più potente di un novizio medio, forse anche più di un mago medio. La ragazza che cercavano doveva essere forte almeno come lui, forse anche di più... Dannyl rabbrividì. All'improvviso pensò all'ipotesi che delinquenti e assassini possedessero segretamente poteri che solo i maghi della Corporazione avrebbero dovuto avere. Era un pensiero agghiacciante e lui capì che, quando sarebbe tornato nei bassifondi, non si sarebbe più sentito del tutto invulnerabile. L'aria nella soffitta era deliziosamente calda. La luce del tardo pomeriggio entrava da due minuscole finestre e disegnava piccoli rettangoli chiari sulle pareti. L'odore di lana di reber e l'odore di fumo facevano a gara per prevalere nella stanza. Qua e là gruppetti di bambini sedevano infagottati nelle coperte, parlando piano. Sonea li guardò dall'angolo che si era scelta. Quando la botola della soffitta si aprì, alzò inquieta lo sguardo, ma il ragazzino che era salito nella stanza non era Cery. I bambini lo accolsero con gioia. «Avete sentito?» disse lasciandosi cadere su un mucchio di coperte. «I maghi dicono che daranno una ricompensa a chiunque indichi loro dove si trovi quella ragazza.» «Una ricompensa!» «Davvero?» «Di quanto?» Il ragazzino spalancò gli occhi. «Cento pezzi d'oro!» Tra i bambini si levò un mormorio di eccitazione. Si strinsero intorno al nuovo venuto formando un cerchio di volti curiosi. Alcuni lanciarono un'occhiata pensierosa nella direzione di Sonea. Lei si sforzò di guardarli con espressione neutra. Da quand'era arrivata, le avevano lanciato più di un'occhiata curiosa. La soffitta era un rifugio per i bambini senza tetto. Si trovava in una zona di confine tra i bassifondi e i
mercati, e dalle minuscole finestre si godeva una vista del Porto. Sonea era troppo grande per esservi ammessa, ma Cery conosceva il proprietario, un mercante gentile ormai in pensione di nome Norin, e gli aveva promesso di contraccambiare il favore. «I maghi vogliono davvero prendere quella ragazza, vero?» chiese una bambina. «Non lasciano che nessuno usi la magia, solo loro possono farlo», replicò un bambino robusto. «Adesso molti la stanno cercando», disse il nuovo arrivato. «Ci sono un bel po' di soldi in cambio.» «Sono soldi sporchi, Ral», obiettò la bambina arricciando il naso. «E allora?» ribatté questi. «Ad alcuni non importa. Vogliono solo i soldi.» «Be', io non la denuncerei», affermò la bambina. «Odio i maghi. Hanno bruciato mio cugino, anni fa.» «Davvero?» chiese un'altra bambina con gli occhi luccicanti per la curiosità. «È vero. Durante l'Epurazione. Gilen stava combinando qualcuna delle sue... probabilmente se l'è cercata. Uno di quei maghi lo ha colpito con la magia e gli ha bruciato tutto un lato della faccia. Adesso ha una grande cicatrice tutta rossa.» Sonea rabbrividì. Bruciato. Le tornò in mente il ragazzo carbonizzato. Distolse lo sguardo dai bambini. La soffitta non le sembrava più così accogliente. Avrebbe voluto alzarsi e andarsene, ma Cery era stato risoluto nel dirle di restare lì e di non attirare l'attenzione. «Una volta mio zio ha cercato di derubare un mago», disse una ragazzina coi capelli lunghi raccolti in una crocchia. «Tuo zio è stupido», mormorò il bambino al suo fianco. Lei lo guardò imbronciata e fece per sferrargli un calcio nella gamba, ma lui lo schivò facilmente. «Non sapeva che fosse un mago», spiegò la ragazzina. «Quell'uomo portava un grande mantello sopra la tunica.» Il bambino sbuffò e lei alzò il pugno. «Stavi dicendo?» chiese lui con aria innocente. «Ha cercato di tagliargli la borsa», proseguì la ragazzina. «Ma il mago aveva fatto un incantesimo in modo da sapere se qualcuno l'avesse toccata. Be', il mago si è girato in un baleno, lo ha colpito con la magia e gli ha spezzato le braccia.» «Tutt'e due?» le chiese uno dei bimbi più piccoli.
Lei annuì. «Senza nemmeno toccarlo. Ha sollevato solo le mani, così...» - alzò le mani col palmo rivolto verso gli altri - «... e la magia ha colpito mio zio come se gli fosse venuto addosso un muro. Così lui ha detto.» Nella stanza calò il silenzio per qualche minuto, poi si levò una nuova voce: «Mia sorella è rimasta uccisa a causa dei maghi». Tutte le facce si girarono verso un bambino ossuto, seduto a gambe incrociate al termine del semicerchio. Lui prese a raccontare: «Eravamo in mezzo alla folla. I maghi avevano iniziato a fare i loro lampi di luce dietro di noi e tutti si erano messi a correre. La mamma lasciò cadere la mia sorellina, ma non riuscì a fermarsi perché c'erano tante persone che scappavano. Papà tornò indietro e la trovò. Lo sentii maledirli, dire che era colpa loro se era morta. Colpa dei maghi». Socchiudendo gli occhi, guardò torvo il pavimento. «Io li odio!» Numerose teste del semicerchio annuirono. Seguì qualche attimo di cupo silenzio, poi la prima bambina emise un verso di soddisfazione. «Allora!» esclamò. «Voi aiutereste i maghi? Io no. Quella ragazza gliele ha suonate, ecco. Forse la prossima volta ne colpirà di più.» I bambini sorrisero e annuirono. Sonea tirò segretamente un sospiro di sollievo. Udì il cigolio della botola che si apriva, e sorrise quando Cery salì nella soffitta. Lui le si affiancò e si sedette ricambiando il sorriso. «Siamo stati traditi», mormorò. «Questa casa sta per essere perquisita. Seguimi.» Sonea ebbe un tuffo al cuore. Fissandolo, si accorse che il sorriso era di circostanza e non gli illuminava lo sguardo. Cery si rialzò e lei lo imitò. Alcuni bambini la guardarono passare, ma lei evitò i loro occhi. Sentì la curiosità crescere in loro quando Cery si fermò e aprì le ante di un grande armadio in fondo alla stanza. «Qui c'è una porta segreta che conduce alle gallerie», sussurrò il ragazzo allungandosi all'interno del mobile. Tirò qualcosa con delicatezza, si accigliò e tirò con più forza. «È stato bloccato dall'interno.» Imprecò tra sé. «Siamo in trappola?» Lui guardò di nuovo la stanza. Ormai gran parte dei bambini li stava osservando. Chiuse le ante dell'armadio e si avvicinò a una finestra. «Fingere non ha più senso. Come te la cavi ad arrampicare?» «È un po' che...» Sonea alzò lo sguardo. Le finestre erano state ricavate nel tetto, che digradava quasi fino al pavimento. «Aiutami a salire.»
Sonea giunse le mani e fece una smorfia quando Cery vi montò sopra. Quando le salì sulle spalle, vacillò. Afferratosi a una trave del soffitto, il ragazzo si stabilizzò, estrasse un coltello dal mantello e cominciò ad armeggiare con la finestra. Da qualche parte, di sotto, Sonea udì una porta sbattere, poi un suono attutito di voci concitate. Quando la botola si aprì, sentì una fitta di panico, ma il volto che apparve era quello della nipote di Norin, Yalia. Con una sola occhiata la donna notò i bambini, Sonea e Cery in piedi sulle spalle dell'amica. «La porta?» chiese. «È bloccata», rispose Cery. Lei si rabbuiò e guardò i bambini. «I maghi sono qui», disse loro. «Perquisiranno la casa.» I bambini cominciarono a fare domande. Al di sopra di Sonea, Cery borbottò un'imprecazione colorita e, quando spostò all'improvviso tutto il suo peso da una parte all'altra, lei per poco non cadde. «Non sei una scala molto robusta, Sonea.» Poi il peso di Cery svanì. Questi nello slancio scalciò e la colpì al petto. Sonea si trattenne dal rimproverarlo. «Non ci faranno del male», stava dicendo Yalia ai bambini. «Non oseranno. Vedranno subito che siete troppo piccoli. Sono più interessati a...» «Ehi! Sonea!» sussurrò brusco Cery. Lei alzò lo sguardo e vide che l'amico aveva le gambe all'esterno della finestra e si stava sporgendo per aiutarla a salire. «Vieni!» Sonea si allungò e afferrò le sue mani. Con forza sorprendente, Cery la sollevò finché non riuscì ad aggrapparsi al davanzale. La ragazza rimase appesa per un istante, poi si spostò lungo il telaio fino a raggiungere il lato più alto. Sollevò allora le gambe, si ancorò al telaio con la punta dello stivale e uscì all'esterno. Ansimando per lo sforzo, si appiattì contro le tegole fredde. L'aria era gelida e il freddo le penetrò subito oltre i vestiti. Sollevò la testa e vide una distesa di tetti. Il sole era basso nel cielo. Cery si allungò per chiudere la finestra, ma all'improvviso s'immobilizzò. Il rumore della botola del solaio che si apriva giunse fino alle loro orecchie. Subito dopo, i bambini cominciarono a mormorare in preda allo stupore e alla paura. Sonea sollevò la testa e sbirciò dentro. Un uomo con una veste rossa stava accanto alla botola aperta e scrutava la stanza con sguardo infuriato. Aveva i capelli chiari, pettinati all'indietro e una piccola cicatrice rossa sul-
la tempia. Sonea si appiattì nuovamente contro il tetto col cuore che le batteva forte; quella figura aveva qualcosa di familiare, ma lei decise di non azzardare una seconda occhiata. La voce del mago arrivò imperiosa alle loro orecchie: «Dov'è?» «Di chi sta parlando?» replicò Yalia. «Della ragazza. Sono stato informato che era qui. Dove l'avete nascosta?» «Io non ho nascosto nessuno», obiettò una voce anziana. Norin, suppose Sonea. «Che cos'è allora questo posto? Perché questi mendicanti sono qui?» «Lascio che stiano qui. In inverno non hanno altro posto dove andare.» «La ragazza è stata qui?» «Io non chiedo i nomi. Se questa ragazza che state cercando fosse stata tra loro, non lo avrei saputo.» «Stai mentendo, vecchio», affermò il mago con tono sempre più cupo. In quel momento si udì un piagnucolio: alcuni bambini avevano iniziato a piangere. «Le sto dicendo la verità», ribatté l'anziano mercante. «Non ho idea di chi siano, ma sono sempre bambini...» «Sai qual è la pena per chi nasconde i nemici della Corporazione, vecchio?» chiese brusco il mago. «Se non mi mostri dove hai nascosto la ragazza, farò demolire la tua casa pietra dopo pietra e...» «Sonea», sussurrò Cery. Lei si voltò a guardarlo. Le fece cenno di muoversi alla svelta e prese a scendere lungo il tetto. Sonea costrinse braccia e gambe a muoversi e lo seguì. Non osava scendere troppo veloce nel timore che il mago la sentisse. Il bordo del tetto si fece a poco a poco più vicino. Quando lo raggiunse, Sonea si voltò e vide che Cery era scomparso. Scorgendo un rapido movimento, notò un paio di mani che si afferravano alla grondaia sotto di lei. «Sonea», sibilò Cery. «Devi scendere fin qui, dove sono io.» Lentamente lei piegò le gambe e si abbassò fino a trovarsi stesa nella grondaia. Guardò oltre il margine e vide che Cery penzolava a due piani da terra. Con un cenno, lui le indicò una casa a un piano, adiacente a quella del mercante. «Andiamo lì», disse. «Guardami e poi fa' quello che faccio io.» Il ragazzo si allungò verso il muro e afferrò un tubo che partiva dalla grondaia e arrivava fino al suolo. Quando vi si aggrappò con tutto il peso,
quello cigolò in modo inquietante, ma Cery fu rapido a scendere usando a mo' di scala le grappe che fissavano il tubo al muro. Mise piede sul tetto vicino, alzò lo sguardo e le fece cenno di seguirlo. Dopo aver fatto un profondo respiro, Sonea si aggrappò alla grondaia e si calò nel vuoto. Rimase appesa per un istante, con le mani che protestavano per lo sforzo; poi si allungò per afferrare il tubo. Scese più rapida che poté e arrivò sul tetto della casa adiacente. Cery sorrise. «Facile, no?» Lei si sfregò le dita, rosse per via dei bordi affilati delle grappe, e si strinse nelle spalle. «Sì e no.» «Dai, togliamoci di qui.» Avanzarono con cautela, facendosi forza per resistere al vento gelido. Quando raggiunsero la casa vicina, passarono sul tetto e di lì si aggrapparono a un altro tubo che li portò in uno stretto vicolo tra le abitazioni. Avvicinato un dito alle labbra, Cery si avviò lungo il vicolo. Si fermò a metà e, dopo essersi guardato indietro per assicurarsi che non vi fosse nessuno, sollevò una piccola griglia inserita in un muro. Si gettò ventre a terra e sgattaiolò rapido nel buco. Sonea lo seguì. Si fermarono a riposare al buio. A poco a poco, gli occhi di Sonea si abituarono e notarono le pareti di uno stretto cunicolo di mattoni. Cery stava fissando nell'oscurità in direzione della casa di Norin. «Povero Norin», mormorò Sonea. «Che cosa gli accadrà?» «Non lo so, ma non è una bella situazione.» La ragazza si sentì in colpa. «Tutto per causa mia.» Lui si voltò a guardarla. «No», grugnì. «Per causa dei maghi... e di chiunque ci abbia traditi.» Guardando cupo il tunnel, aggiunse: «Tornerò indietro e scoprirò chi è stato, ma adesso ti devo portare in un luogo sicuro». Studiandolo con attenzione, Sonea notò una durezza che non gli aveva mai visto sul volto. Senza di lui l'avrebbero catturata giorni addietro, e probabilmente sarebbe già morta. Aveva bisogno di Cery, ma che cosa gli sarebbe costato aiutarla? Aveva già promesso o sfruttato favori e rischiato la condanna dei Ladri per l'utilizzo delle gallerie. E se i maghi l'avessero trovata? Se Norin si fosse visto distruggere la casa perché sospettato di averla nascosta, che cosa avrebbero fatto a Cery? Sonea rabbrividì e gli afferrò il braccio. «Promettimi una cosa, Cery.» Lui si voltò a guardarla con occhi sgranati. «Prometterti?» Lei annuì. «Promettimi che, se ci prenderanno, farai finta di non conoscermi.» Lui aprì la bocca per protestare, ma Sonea non glielo permise.
«Se si accorgeranno che mi stai aiutando, scapperai. Non ti lascerai prendere anche tu.» Cery scosse la testa. «Io non...» «Dimmi che lo farai. Io... io non potrei sopportare che ti uccidano per causa mia.» Gli occhi del ragazzo si spalancarono ancora di più. Poi lui le mise una mano sulla spalla e sorrise. «Non ti prenderanno. E, anche se lo facessero, ti verrei a liberare. Te lo prometto.» 6 INCONTRI SOTTERRANEI COLTELLO AUDACE, annunciava l'insegna della casa del bol. Non certo un nome incoraggiante, ma da una rapida occhiata il posto sembrava tranquillo. Gli avventori, a differenza di quelli di tutte le altre case del bol visitate da Dannyl, erano calmi e parlavano a voce bassa. Il mago spinse la porta ed entrò. Alcuni clienti guardarono nella sua direzione, ma la maggior parte lo ignorò, e anche quella era una piacevole novità. Dannyl si sentì vagamente a disagio: perché quel locale era tanto diverso dagli altri che aveva visitato? Fino a quel giorno non era mai entrato in una casa del bol, né del resto aveva mai voluto farlo, ma la guardia che aveva mandato a cercare i Ladri gli aveva dato informazioni precise: Entra in una casa del bol, di' al proprietario con chi vuoi parlare e paga il prezzo quando arriva la guida. Quello, a quanto pareva, era il sistema. Ovviamente non poteva entrare in una casa del bol con la tunica addosso e attendersi la collaborazione di cui aveva bisogno; perciò, disobbedendo ai suoi pari, aveva indossato semplici vesti da mercante. Aveva scelto con cura il travestimento: nessun abito avrebbe potuto mascherare la statura insolitamente alta, la buona salute e la voce colta. Aveva inventato una storia di investimenti sbagliati e di pesanti debiti; nessuno gli aveva fatto prestiti, e i Ladri erano la sua ultima spiaggia. Un mercante nella sua situazione sarebbe stato spaesato tanto quanto lui, anche se molto più spaventato. Dannyl fece un respiro profondo e si fece strada nella sala, fino al banco. L'oste era un uomo magro dagli zigomi alti e dall'espressione cupa. Aveva i capelli neri brizzolati e lanciò a Dannyl un'occhiata dura. «Che
vuoi?» «Da bere.» L'uomo prese un boccale di legno e lo riempì spillando una bevanda da una botte dietro il banco. Dannyl prese una moneta di rame e una d'argento dalla borsa e, nascondendo quella di maggior valore, lasciò cadere quella di rame sulla mano tesa dell'uomo. «E poi vuoi una lama?» chiese l'oste con voce pacata. Dannyl lo guardò stupito. L'uomo sorrise truce. «Altrimenti per cosa saresti venuto al Coltello Audace? Hai già esperienza?» Dannyl scosse la testa e rifletté rapidamente. Dal tono di voce dell'oste sembrava che l'operazione di acquisire la «lama» implicasse una certa segretezza; ma non vi erano leggi che vietassero l'uso di armi da taglio, perciò «lama» doveva riferirsi a un oggetto o a un servizio illegale. Non aveva idea di che cosa si trattasse, ma quell'uomo aveva già capito che era venuto per qualche accordo clandestino, il che gli parve un buon inizio. «Non voglio una lama», replicò Dannyl rivolgendogli un sorriso nervoso. «Voglio contattare i Ladri.» L'uomo sollevò le sopracciglia, perplesso. Lo studiò socchiudendo gli occhi e disse: «Ci vuole un motivo interessante perché accettino un incontro». Dannyl aprì la mano e mostrò la moneta d'argento; poi, quando l'oste fece per prenderla, richiuse le dita. L'uomo sbuffò e si voltò leggermente. «Hai, Kollin!» Un ragazzo apparve sulla soglia di una porta dietro il banco. Guardò Dannyl. I suoi occhi vivi lo squadrarono da capo a piedi. «Porta quest'uomo al macello», ordinò l'oste. Kollin lanciò un'altra occhiata a Dannyl e gli fece un cenno col capo. Mentre Dannyl passava dietro il banco, l'oste lo bloccò e aprì la mano. «C'è un prezzo da pagare. La moneta d'argento.» Dannyl si rabbuiò e guardò dubbioso la mano tesa. «Non temere», aggiunse l'oste. «Se scoprissero che imbroglio chi cerca il loro aiuto, mi scuoierebbero e appenderebbero la mia pelle alle travi come lezione per gli altri.» Chiedendosi se lo stesse ingannando, Dannyl gli cacciò in mano la moneta. L'uomo si scostò, permettendogli di seguire Kollin oltre la porta. «Seguimi, ma non parlare», disse il ragazzo. Entrò in una piccola cucina, aprì un'altra porta e controllò il vicolo prima di uscire.
Camminando svelto, Kollin condusse Dannyl in un labirinto di stradine. Passarono accanto a porte da cui uscivano aromi di cibi cotti al forno, o di carne e verdure stufate, o l'odore acre del cuoio oliato. Il ragazzo si fermò e gli indicò l'imbocco di un vicolo; la stradina era ricoperta di fango e di rifiuti e terminava a fondo cieco dopo una ventina di passi «Il macello. Entra lì», disse indicando il vicolo; poi si girò e corse via. Dannyl osservò perplesso il vicolo mentre lo percorreva. Non vi erano porte né finestre. Nessuno uscì a salutarlo. Raggiunto il fondo, sospirò. Lo avevano ingannato e, considerato il nome del posto, si aspettava quantomeno un'imboscata. Con una scrollata di spalle si girò e vide tre uomini di costituzione robusta davanti all'ingresso del vicolo. «Hai! Cerchi qualcuno?» «Sì.» Dannyl si avvicinò a grandi passi. Indossavano tutti lunghimanti e guanti. Quello al centro aveva una cicatrice sulla guancia. I tre ricambiarono freddamente la sua occhiata. Proprio i classici criminali, pensò Dannyl. Forse quella era un'imboscata. Si fermò a qualche passo di distanza, poi si guardò alle spalle e sorrise. «Allora questo è il macello. Davvero appropriato. Adesso mi fate voi da guida?» L'uomo al centro tese la mano. «C'è un prezzo da pagare.» «Ho dato i soldi all'uomo del Coltello Audace.» L'uomo si rabbuiò. «Vuoi una lama?» «No», rispose Dannyl con un sospiro. «Voglio parlare coi Ladri.» L'uomo guardò i compagni, che stavano sorridendo. «Con quale?» «Quello più influente.» «Allora è Gorin.» Uno dei compagni soffocò una risata. Il capo fece cenno a Dannyl di seguirlo. «Vieni con me.» Gli altri due si scostarono. Dannyl seguì la nuova guida fino all'imbocco di una strada più larga. Guardandosi alle spalle, vide che gli altri lo stavano osservando sempre con un ampio ghigno sul volto. Percorsero una serie di strade e vicoli tortuosi. Dannyl iniziò a chiedersi se il retro di ogni panificio, negozio di pelli, sartoria e casa del bol fosse identico agli altri. Poi riconobbe un'insegna e si fermò. «Qui siamo già stati. Perché mi fai girare in cerchio?» L'uomo si voltò a guardarlo; quindi si avvicinò a un muro. Chinandosi, afferrò i bordi di una grata di ventilazione e tirò. Indicò l'apertura dicendo:
«Prima tu». Dannyl si accovacciò e guardò all'interno. Non vedeva niente. Dopo aver resistito alla tentazione di creare una sfera di luce, mise una gamba nel buco; ma, là dove si aspettava vi fosse un pavimento, trovò solo il vuoto. Allora guardò la guida. «La strada è circa all'altezza della vita», spiegò l'uomo. «Va' avanti.» Tenendosi ai bordi, Dannyl si calò nell'apertura. Trovò una sporgenza alla quale appoggiarsi, infilò l'altra gamba e si abbassò fino a toccare il pavimento. Arretrò e con la spalla toccò un muro. L'uomo s'infilò nel passaggio con la disinvoltura di chi conosceva il posto. Nella semioscurità, Dannyl vedeva solo la sagoma della guida e si tenne a debita distanza. «Segui i miei passi», gli disse l'uomo avviandosi lungo il cunicolo. Dannyl restò sempre a distanza e mantenne il contatto con le pareti. Camminarono per vari minuti, curvando più volte; poi i passi davanti a lui cessarono, e udì bussare nelle vicinanze. «Hai un bel po' di strada da fare. Sei certo di voler andare?» chiese l'uomo. «Puoi ancora cambiare idea. Ti posso riportare indietro.» «Perché dovrei?» replicò Dannyl. «È solo una possibilità, nient'altro.» In quel momento apparve una sottile striscia di luce argentea, che poco dopo si allargò al loro fianco. Contro di essa spiccava la sagoma di un uomo. Nel bagliore Dannyl non poté scorgerne il volto. «Questo qui cerca Gorin», grugnì la guida. Guardò Dannyl, gli fece un rapido gesto, si voltò e scomparve nell'ombra. «Gorin, eh?» esordì l'uomo sulla soglia. La sua voce poteva indicare vent'anni come sessanta. «Come ti chiami?» «Larkin.» «Che mestiere fai?» «Vendo stuoie simba.» Negli ultimi anni le case di fabbricazione di stuoie erano sorte come funghi in tutta Imardin. «Un mercato difficile.» «Non me lo dire!» assentì Dannyl. «Perché vuoi parlare con Gorin?» «Lo dico solo a Gorin.» «Come vuoi.» L'uomo si strinse nelle spalle, poi si avvicinò al muro. «Voltati dall'altra parte. Da questo punto in poi camminerai bendato.» Dannyl esitò prima di girarsi; si era aspettato una cosa del genere. Un pezzo di stoffa gli fu messo davanti agli occhi e annodato dietro la testa.
La debole luce della lampada gli consentiva di vedere solo la spessa trama della stoffa. «Segui i miei passi», ordinò l'uomo. Dannyl avanzò tastando le pareti. La nuova guida procedeva veloce, e lui ne contava i passi pensando che, alla prima occasione, avrebbe calcolato che distanza avrebbe potuto coprire normalmente con mille passi. Qualcosa, probabilmente una mano, gli toccò all'improvviso il petto, e lui si fermò. Udì aprirsi una porta e fu spinto in avanti. Un odore di spezie e di fiori investì i suoi sensi. Con gli stivali calpestò qualcosa di morbido, forse un tappeto. «Resta qui. Non ti togliere la benda.» La porta fu richiusa. Dall'alto provenivano un flebile vociare e uno scalpiccio; Dannyl pensò di essere sotto una delle case del bol più chiassose. Ascoltò i rumori, poi prese a contare i respiri. Quando si stancò, avvicinò le mani alla benda. In quel momento udì un lieve rumore alle sue spalle, come di un piede nudo che si posasse su un tappeto. Si girò e afferrò la benda, pronto a togliersela; poi si bloccò, udendo la maniglia girare. Raddrizzatosi, allontanò subito le mani. La porta non si aprì. Dannyl attese, concentrandosi sul silenzio della stanza. Qualcosa attirò la sua attenzione: era ancora più flebile dei rumori che aveva udito prima. Un'aura. Si muoveva alle sue spalle. Dannyl fece un respiro profondo, allungò le mani e finse di andare in cerca delle pareti. Mentre girava, l'aura si allontanò. Qualcun altro era nella stanza insieme con lui; qualcuno che non voleva farsi notare. Il tappeto attutiva i passi, e il frastuono della casa del bol copriva qualsiasi rumore involontario. Il profumo di fiori che aleggiava nell'aria era in grado di nascondere l'odore di un corpo. Solo i sensi speciali di mago avevano permesso a Dannyl d'individuare l'estraneo. Era una prova. E non era il possessore dell'aura a essere giudicato in base alla capacità di non farsi percepire: no, quella prova era per Dannyl. Per vedere se avvertisse qualcosa. Per vedere se fosse un mago. Proiettando i suoi sensi, percepì un'altra debole aura, immobile. Allungando le braccia, ricominciò a camminare. La prima aura lo schivò, ma lui la ignorò. Dopo dieci passi toccò un muro. Tenendo le mani sulla superficie scabra, iniziò a spostarsi di qua e di là nella stanza mirando però all'au-
ra più debole. La prima aura si allontanò, poi d'un tratto gli si avvicinò di corsa. Dannyl sentì una lieve brezza sul collo ma continuò, ignorandola. Le sue dita toccarono il telaio della porta, poi una manica e un braccio. A quel punto gli tolsero la benda, e si ritrovò a guardare in faccia un vecchio. «Mi scuso per averti fatto aspettare», esordì l'uomo. Dannyl ne riconobbe la voce: era la sua guida. Era possibile che non avesse mai lasciato la stanza? Senza dare spiegazioni l'uomo aprì la porta. «Prego, seguimi.» Dannyl si guardò intorno nella stanza ormai vuota, poi entrò nel cunicolo. Proseguirono il cammino a un passo più rilassato, con la lampada che dondolava in mano al vecchio. Le pareti erano solide; a ogni svolta vi era un piccolo pannello nei mattoni con sopra incisi strani simboli. Era impossibile capire che ora fosse, ma Dannyl sapeva che erano trascorse molte ore da quand'era entrato nella casa del bol. Era contento di sé, perché si era accorto che lo avevano messo alla prova. Lo avrebbero portato dai Ladri, se avesse rivelato la sua identità di mago? Ne dubitava. Forse lo avrebbero sottoposto ad altre prove: avrebbe dovuto fare attenzione. Non sapeva quanto mancasse al colloquio con Gorin. Nel frattempo avrebbe dovuto scoprire il più possibile sulle persone con cui voleva negoziare. Studiò il compagno con aria indagatrice. «Che cos'è una 'lama'?» «Un assassino», grugnì il vecchio. Dannyl batté le palpebre, poi soffocò un sorriso. Allora il «Coltello Audace» era un nome davvero azzeccato. Come faceva il proprietario a passarla liscia quando pubblicizzava il servizio in maniera tanto palese? «Ci sono altri nomi in codice che dovrei conoscere?» Il vecchio sorrise. «Se qualcuno ti manda un messaggero: o ti minaccia o mette in atto una minaccia.» «Capisco.» «Uno squimper è qualcuno che tradisce i Ladri. È meglio se stai attento a non diventarlo. Gli squimper hanno vita breve.» «Lo terrò a mente.» «Se tutto fila liscio, diventerai un cliente. Dipende dal motivo per cui sei qui.» L'uomo si fermò e si voltò verso Dannyl. «Credo sia venuto il momento di scoprirlo.» Bussò contro un muro. Vi fu silenzio, poi i mattoni si aprirono verso l'interno, e l'anziano fece cenno di entrare. La stanza in cui Dannyl mise piede era piccola. Tra le pareti era posizionato a stento un tavolo, che impediva a chiunque di avvicinarsi all'omone
che vi stava seduto dietro. Alle sue spalle, una doppia porta era parzialmente aperta. «Larkin, il venditore di stuoie!» esclamò l'uomo, con voce incredibilmente profonda. Dannyl chinò il capo. «E tu chi sei?» L'uomo sorrise. «Gorin.» Non vi erano sedie per i visitatori. Dannyl si avvicinò di più al tavolo. Gorin non era un uomo attraente, ma la sua mole era composta più da muscoli che da grasso. Aveva i capelli folti e ricci, e una barba lanosa gli copriva la mandibola. Il nome era più che azzeccato: Gorin ricordava proprio le grosse bestie che trascinavano i barchini sul fiume Tarali. Dannyl si chiese se fosse un gioco di parole: forse Gorin era l'uomo con la più grossa influenza tra i Ladri. «Comandi i Ladri?» chiese. «Nessuno comanda i Ladri», replicò Gorin con un ghigno. «Allora come so se sto parlando con la persona giusta?» «Vuoi fare un patto? Allora lo fai con me», disse l'uomo allargando le mani. «Se lo infrangerai, ti punirò. Pensa a me come a una via di mezzo tra un padre e un re. Io ti aiuterò; ma, se mi tradisci, ti uccido. Questo è chiaro?» Dannyl increspò le labbra. «Avevo in mente qualcosa di un po' più equilibrato, magari un rapporto da padre a padre? Non oso suggerire da re a re, anche se la cosa mi suona bene.» Gorin sorrise di nuovo, ma i suoi occhi non s'illuminarono. «Che vuoi, venditore di stuoie?» «Voglio che mi aiuti a trovare qualcuno.» «Ah.» Il Ladro annuì. Avvicinò un blocchetto di carta, una penna e un calamaio. «Chi?» «Una ragazza tra i quattordici e i sedici anni. Corporatura minuta, capelli scuri, tutta pelle e ossa.» «È scappata, giusto?» «Sì.» «Perché?» «Per un equivoco.» Gorin annuì con aria comprensiva. «Dove pensi possa essere andata?» «Nei bassifondi.» «Se è viva, la troverò. Se non lo è o se non la troviamo entro un certo tempo - stabiliremo quando -, i miei obblighi nei tuoi confronti cesseranno. Come si chiama?»
«Non sappiamo ancora il suo nome.» «Non sapete...» Gorin alzò lo sguardo, poi socchiuse gli occhi. «Voi?» Dannyl si concesse un sorriso. «Dovete escogitare una prova migliore.» Gorin spalancò lievemente gli occhi e deglutì. «Davvero?» «Che cosa avevate in mente di fare, se non l'avessi superata?» «Ti avremmo portato in un posto lontano da qui. Che vuoi?» «Come ho detto: voglio che ci aiutiate a trovare la ragazza.» «E se non lo facciamo?» Dannyl smise di sorridere. «Allora morirà. I suoi stessi poteri la uccideranno e distruggeranno anche parte della città, ma non so dirvi in che misura perché non conosco la sua forza.» Avanzò di un passo, posò le mani sul tavolo e sostenne lo sguardo del Ladro. «Se ci aiuterete, non sarà un accordo necessariamente infruttuoso, ma dovete capire bene che c'è un limite oltre il quale non possiamo esporci.» Gorin lo fissò in silenzio, quindi mise da parte carta e penna. Si appoggiò alla sedia e girò lievemente la testa. «Hai! Dagan! Porta una sedia al nostro visitatore.» La stanza era buia e odorava di muffa. Vi erano casse, molte delle quali rotte, impilate contro una parete. Negli angoli si erano formate pozzanghere, e uno strato di polvere copriva tutto il resto. «Allora era qui che tuo padre nascondeva la roba?» chiese Harrin. Cery annuì. «È il vecchio magazzino di papà.» Pulì una cassa e si sedette. «Non c'è il letto», osservò Donia. «Escogiteremo qualcosa», replicò Harrin. Avvicinatosi alle casse, prese a frugarvi dentro. Sonea si era fermata sulla soglia, sgomenta all'idea di passare la notte in quel luogo freddo e sgradevole. Sospirando, si sedette sul gradino più basso. Si erano spostati tre volte durante la notte per evitare i cacciatori di ricompensa, e le sembrava di non dormire da giorni. Chiuse gli occhi e si abbandonò al sonno. Le voci di Harrin e Donia si fecero lontane, come il rumore dei passi che proveniva dal cunicolo alle sue spalle. Passi? Aprì gli occhi, si guardò alle spalle e vide una luce distante ondeggiare nel buio. «Hai! Sta arrivando qualcuno.» «Cosa?» Harrin attraversò la stanza e fissò il tunnel. Restò in attesa per qualche istante, poi fece alzare Sonea e le indicò la parte più lontana del
vano. «Vai lì. Non farti vedere.» Mentre lei si allontanava dalla porta, Cery si alzò e si affiancò a Harrin. «Qui non viene nessuno. La polvere sui gradini non era smossa.» «Allora devono averci seguiti.» Cery fissò la galleria imprecando e si voltò verso Sonea. «Copriti il volto. Potrebbero essere in cerca d'altro.» «Non ce ne andiamo?» chiese Donia. Cery scosse la testa. «Non c'è via d'uscita. Un tempo c'era un passaggio, ma i Ladri lo hanno chiuso anni fa. Per questo non vi ho portato qui prima.» Ormai i passi si udivano più distintamente nella stanza. Harrin e Cery arretrarono dalla porta e attesero. Sonea tirò su il cappuccio e si avvicinò a Donia, nell'angolo più lontano della stanza. A mano a mano che i nuovi arrivati scendevano le scale, nel cunicolo apparvero dapprima i loro stivali, poi i calzoni, i petti e le facce. Quando individuarono Sonea, si scambiarono occhiate bramose. «Burril!» esclamò Harrin. «Che ci fai qui?» Un giovane muscoloso avanzò con aria spavalda e affrontò Harrin. Sonea rabbrividì: era il ragazzo che l'aveva accusata di essere una spia. Osservò gli altri e restò sconvolta quando ne riconobbe uno. Ricordava Evin come uno dei ragazzi più tranquilli della banda di Harrin; le aveva insegnato a barare a mahjong. In quel momento, però, mentre rigirava una pesante spranga di ferro nella mano, nel suo sguardo non vi era amicizia. Sonea rabbrividì e distolse lo sguardo. Gli altri due brandivano pezzi di legno grezzo. Probabilmente si erano dotati di quei randelli improvvisati mentre si dirigevano lì. Sonea valutò le probabilità: quattro contro quattro. Dubitava che Donia sapesse combattere e che loro due potessero competere alla pari con gli alleati di Burril, ma insieme potevano forse affrontarne uno. Si abbassò verso il pavimento e raccolse un'assicella di legno di una cassa rotta. «Siamo qui per la ragazza», dichiarò Burril. «Siamo diventati degli squimper, vero?» La voce di Harrin era cupa, piena di disprezzo. «Stavo pensando di chiedere la stessa cosa a te. Non ti vediamo da giorni, poi veniamo a sapere della ricompensa, e a quel punto tutto quadra. Volevi tenere i soldi tutti per te.» «No», obiettò Harrin guardando gli altri ragazzi. «Sonea è un'amica. Io non vendo gli amici.»
«Lei non è amica nostra», ribatté Burril lanciando un'occhiata ai compagni. Harrin incrociò le braccia. «Allora è così. Non ci è voluto molto perché ti venisse la voglia di fare il capo. Conosci le regole, Burril. O sei con me o sei fuori.» Guardò gli altri e aggiunse: «Lo stesso vale per voi. Volete seguire questo squimper?» Rimanendo al loro posto, i ragazzi guardarono Burril, poi Harrin, e si scambiarono qualche occhiata con aria circospetta. «Cento pezzi d'oro», disse Burril, pacato. «Rinunci a tutto quel denaro per seguire quella pazza? Potremmo vivere da re.» L'espressione del gruppo s'indurì. Harrin socchiuse gli occhi. «Vattene, Burril.» Nella mano di questi comparve un coltello, puntato in direzione di Sonea. «Non senza la ragazza. Consegnacela!» «No.» «Allora la prenderemo noi.» Burril fece un passo verso Harrin. Mentre i compagni si disponevano a ventaglio per circondarlo, Cery si mise a fianco dell'amico con uno sguardo gelido negli occhi e le mani in tasca. «Dai, Harrin», cantilenò Burril. «Non c'è bisogno di arrivare a questo. Consegnacela. Divideremo i soldi, proprio come ai vecchi tempi.» Il volto di Harrin si piegò in una smorfia di rabbia e di disprezzo. Nella sua mano apparve un coltello, e un istante dopo si lanciò all'attacco. Burril lo schivò e attaccò a sua volta. Sonea trattenne il fiato quando la lama squarciò la manica di Harrin lasciandovi una scia rossa. Quindi Evin fece per colpirlo con la sbarra di ferro, ma Harrin si gettò di lato, uscendo dalla sua portata. Donia strinse il braccio di Sonea. «Fermali, Sonea», sussurrò angosciata. «Usa la magia!» Sonea la fissò. «Ma... non so come!» «Prova qualcosa! Qualsiasi cosa!» Mentre gli altri due gli si avvicinavano, Cery estrasse due pugnali dalle tasche. Quando li videro, i ragazzi esitarono. Sonea notò i legacci che tenevano i coltelli legati ai polsi di Cery e gli permettevano di usare le mani senza doverli mollare. Non poté fare a meno di sorridere: non era proprio cambiato di una virgola. Quando il più grosso dei due lo aggredì, Cery lo prese per un polso e lo strattonò in avanti sfruttandone lo slancio per fargli perdere l'equilibrio; il
randello di legno cadde rumorosamente per terra. Cery allora roteò il braccio e assestò un colpo poderoso alla testa col pomo di un pugnale. Il ragazzo vacillò e cadde in ginocchio. Cery schivò il randello del secondo aggressore mentre Harrin alle sue spalle evitava un altro colpo di Burril. Quando le due coppie in lotta si divisero per un istante, Evin s'infilò in mezzo per avvicinarsi a Sonea. In mano non aveva niente, notò Sonea con sollievo. Non aveva idea di dove fosse finita la sua spranga. Forse l'aveva infilata sotto il mantello... «Fa' qualcosa!» strillò Donia stringendole ancora il braccio. Guardando l'assicella che aveva in mano, Sonea si rese conto che era inutile tentare di ripetere quello che aveva fatto in piazza del Nord. Non vi era nessuno scudo magico da superare e dubitava che, lanciando l'assicella, avrebbe fermato Evin. Doveva provare qualcos'altro. Desiderare che l'assicella lo colpisse con più forza? Ne sarei capace? Guardò Evin. Devo farlo? E se poi lo ferisco in modo grave? «Forza!» sibilò Donia arretrando mentre Evin si avvicinava. Sonea respirò profondamente e lanciò l'assicella contro Evin desiderando che lo respingesse, ma lui la schivò gettandola di lato senza nemmeno rallentare. Quando si protese verso Sonea, Donia gli si parò davanti. «Come puoi fare questo, Evin?» chiese lei con tono imperioso. «Eri nostro amico. Ricordo che tu e Sonea giocavate a mahjong insieme. Questo è...» Evin l'afferrò per le spalle e la spintonò di lato, al che Sonea si gettò in avanti e gli sferrò un pugno nello stomaco con tutte le forze che aveva in corpo. Lui sputò e barcollò all'indietro, parando poi gli altri pugni mirati al viso. A quel punto, un grido strozzato riempì la stanza. Sonea alzò lo sguardo e vide l'avversario di Cery arretrare tenendosi il braccio con una mano. Poi qualcosa la colpì al petto. Cadde all'indietro e, quando toccò il pavimento, si dimenò cercando di evitare Evin, ma questi le si gettò addosso e la inchiodò a terra. «Lasciala!» urlò Donia. La ragazza era in piedi sopra di lui con un'assicella di legno in mano. Gliela fracassò sulla testa ed Evin gridò, rotolando di fianco. Il secondo colpo gli arrivò sulla tempia. Evin rimase per un attimo immobile, quindi si accasciò al suolo di schiena. Donia brandì l'arma in direzione del giovane svenuto, poi si rilassò e
sorrise. Tese la mano a Sonea e l'aiutò ad alzarsi. Quando si girarono, videro che Burril e Harrin stavano ancora lottando. Cery invece stava guardando gli altri due: uno si teneva il fianco, l'altro era appoggiato al muro con una mano premuta sulla testa. «Hai!» esclamò Donia. «Penso che stiamo vincendo!» Burril arretrò da Harrin e le lanciò un'occhiata. S'infilò una mano in tasca e fece un gesto rapido. L'aria intorno alla testa di Harrin si riempì di una nebbiolina rossa. Questi imprecò sonoramente quando la polvere di papea cominciò a bruciargli gli occhi. Battendo veloce le palpebre, si allontanò da Burril. Donia si gettò verso di lui, ma Sonea l'afferrò per un braccio e la tirò indietro. Harrin schivò l'ennesimo attacco di Burril, però non fu abbastanza veloce. Un attimo dopo si udì un'esclamazione di dolore, e il suo coltello tintinnò sul pavimento. Cery balzò allora verso Burril, che si voltò in tempo per parare il colpo. Harrin si accovacciò a terra, ancora intento a sfregarsi gli occhi, e cercò tastoni il coltello. Dopo aver spintonato Cery, Burril infilò la mano nel mantello, fece un altro gesto brusco e dalle sue mani si levò una seconda nube di polvere rossa. Cery si mosse troppo tardi. Col volto contorto dal dolore, barcollò all'indietro mentre Burril avanzava verso di lui. «Li ucciderà!» gridò Donia. Sonea si abbassò e raccolse un'altra assicella. Chiuse gli occhi per un istante cercando di ricordare quello che aveva fatto in piazza del Nord. La strinse energicamente e fece appello a tutta la sua rabbia e a tutta la sua paura. Concentrandosi su di essa, la lanciò contro Burril con tutte le forze che aveva in corpo. Lui grugnì quando l'assicella lo colpì sulla schiena e si voltò, lanciandole un'occhiata torva. Poi, quando Donia iniziò a scagliargli tutto ciò che trovava, sollevò le braccia. «Usa la magia!» insistette Donia quando Sonea l'affiancò. «Ho provato. Non funziona.» «Riprova!» esclamò Donia ansimando. Burril frugò in tasca ed estrasse un altro pacchettino. Riconoscendolo, Sonea provò un forte senso di rabbia e si preparò a tirare l'assicella che aveva in mano. Esitò. Forse si stava concentrando troppo sull'idea di lanciare con forza gli oggetti. La magia non era una cosa fisica. Guardò Donia che stava ti-
rando una scatola contro Burril. Non serviva che anche lei lanciasse qualcosa... Si concentrò sulla scatola, le impresse una spinta mentale desiderando che volasse rapida e colpisse Burril in modo da stordirlo. In quel momento sentì qualcosa scattare dentro di sé. Un lampo di luce illuminò la stanza e la scatola prese fuoco. Burril urlò mentre gli arrivava addosso, e la schivò. La scatola rotolò a terra con gran fragore e si fermò in una pozzanghera che evaporò sfrigolando. Il pacchetto di polvere di papea cadde sul pavimento. Burril fissò Sonea. Sorridendo, lei si chinò a prendere un'altra assicella, si raddrizzò e lo guardò socchiudendo gli occhi. Lui sbiancò in volto. Senza nemmeno pensare ai compagni, balzò verso la porta e si allontanò barcollando. Sonea udì un flebile rumore alle sue spalle e si girò. Evin era in piedi, cosciente, a pochi passi da lei: arretrò lievemente, poi schizzò verso la porta. Vedendo i compagni andarsene, gli altri due ragazzi si rialzarono a fatica e li seguirono. Quando i loro passi svanirono, la risata di Harrin riempì la stanza. Il ragazzo si alzò e si avvicinò cauto alla porta. «Qual è il problema?» gridò. «Pensavate che si lasciasse prendere così?» Sorrise e si voltò verso Sonea. «Hai! Ben fatto!» «Splendido finale», convenne Cery sfregandosi gli occhi e facendo una smorfia. Mise una mano nel mantello, estrasse una fiaschetta e iniziò a lavarsi gli occhi col liquido che vi era contenuto. Donia corse da Harrin e gli esaminò le ferite. «Bisogna medicarle. Sei ferito Cery?» «No», rispose lui porgendole la fiaschetta. Donia cominciò a lavare il volto di Harrin. Aveva la pelle rossa, a chiazze. «Ti farà male per giorni. Pensi di poterlo guarire, Sonea?» Lei si accigliò e scosse la testa. «Non lo so. Quel legno non doveva prendere fuoco. Se cerco di guarire Harrin e invece lo brucio?» Donia la guardò con occhi sgranati. «È un'idea atroce.» «Devi fare pratica», mormorò Cery. Sonea si voltò a guardarlo. «Per fare pratica ho bisogno di tempo e di un posto dove non attiro l'attenzione.» Lui estrasse un panno dal mantello e pulì i pugnali. «Quando questo si saprà in giro, la gente avrà troppa paura di venirti a cercare e di prenderti,
il che ci darà un po' di tregua.» «No», replicò Harrin. «Sta' pur certo che Burrin e compagni non lo diranno a nessuno e, anche se lo facessero, altri penseranno di poter fare meglio.» Cery si rabbuiò e lanciò un'imprecazione. «Allora sarà bene andare via di qui in gran fretta», affermò Donia. «Qual è la prossima meta, Cery?» Lui si grattò la testa. «Chi ha un po' di soldi?» Harrin e Donia guardarono Sonea. «Non sono miei», protestò lei. «Sono di Jonna e Ranel.» «Sono certa che non si dispiaceranno, se li spendi per salvarti la vita», replicò Donia. «Ti giudicherebbero stupida, se non lo facessi», aggiunse Cery. Con un sospiro, Sonea infilò una mano nella camicia in cerca della fibbia della borsa. «Immagino che, se mai uscirò da questo pasticcio, li potrò restituire.» Guardò Cery e disse: «Sarà meglio che trovi i miei zii in fretta». «Lo farò», la rassicurò lui. «Non appena sarai al sicuro. Per ora credo sia bene dividersi. C'incontreremo di nuovo tra un'ora, in un posto dove nessuno penserà di cercarti. Potrai restarvi solo alcune ore, ma ci darà modo di studiare dove andare dopo.» 7 ALLEANZE PERICOLOSE Tornando da solo dalle stalle, Rothen rallentò quando raggiunse i giardini. L'aria era fredda, ma non sgradevole, e il silenzio era una benedizione dopo il trambusto della città. Aveva interrogato una miriade di informatori, ma pochi avevano fornito notizie utili. Gran parte era arrivata con la speranza che bastasse dare qualche indicazione, anche irrilevante, per consentire la cattura della ragazza e ottenere la ricompensa. Alcuni si erano presentati soltanto per dare voce alle loro lamentele sulla Corporazione. Altri avevano dichiarato di avere visto ragazze sole in luoghi nascosti. Dopo varie perlustrazioni nei bassifondi, era apparso evidente che vi erano molte ragazzine che vivevano per strada, nascoste negli angoli più bui. Dai colloqui con gli altri maghi che conducevano gli interrogatori, era emersa
la stessa situazione sconfortante. Sarebbe stato molto più semplice se i manifesti avessero riportato anche la descrizione della ragazza. Rothen pensò tristemente al suo defunto maestro, Lord Margen, che aveva cercato invano di trasferire le immagini mentali su carta; Dannyl aveva proseguito le sue ricerche, ma non aveva fatto grandi progressi. Si chiese come se la stesse cavando. Dopo una breve conversazione mentale con lui, aveva appurato che era vivo e illeso e che sarebbe rientrato al tramonto. Non avevano fatto riferimento al vero scopo della sua visita nei bassifondi, perché era sempre possibile che altri maghi ascoltassero i loro discorsi. Ciononostante, Rothen aveva percepito un certo compiacimento nelle parole dell'amico. «... è successo... Rothen...» Sentendo pronunciare il suo nome, il mago sollevò lo sguardo. Il fitto fogliame delle siepi nascondeva la persona, ma Rothen era certo di averne riconosciuto la voce. «... queste cose non possono essere fatte in fretta.» La voce adesso era dell'Amministratore Lorlen. I due si stavano avvicinando al punto in cui si trovava lui. Immaginando che gli sarebbero passati vicino, Rothen entrò in uno dei piccoli cortili del parco, si sedette su una panchina e si mise attentamente in ascolto via via che la conversazione si faceva più chiara. «Ho preso nota della tua richiesta, Fergun», disse paziente Lorlen. «Non posso fare di più. Quando la troveremo, la questione verrà trattata nel modo consueto. Per il momento penso solo alla sua cattura.» «Ma dobbiamo sottoporci a tutti questi... fastidi? Rothen non è stato il primo a individuare i suoi poteri. Sono stato io a notarli! Come può sostenere il contrario?» La voce dell'Amministratore era calma quando rispose, ma il suo passo era frettoloso. «Non sono fastidi, Fergun», replicò severo. «È la legge della Corporazione. La legge dice che...» «'Il primo mago a individuare potenzialità magiche in una persona ha il diritto di chiedere di diventarne il tutore'», recitò rapito Fergun. «Io sono stato il primo ad avvertire gli effetti del suo potere, non Rothen.» «A ogni modo la questione non potrà essere esaminata finché non troveremo la ragazza...» I due avevano ormai superato Rothen, e le loro voci non erano più distinguibili. Il mago si alzò e si avviò lentamente verso gli alloggi.
Così Fergun aveva intenzione di chiedere di diventare il tutore della ragazza. Quando si era offerto di assumersi la responsabilità del suo addestramento, Rothen non aveva pensato che altri maghi volessero accollarsi quel compito, di certo non Fergun che aveva sempre guardato con sprezzo le classi umili. Sorrise tra sé. Dannyl non ne sarebbe stato contento. Il suo amico provava antipatia per Fergun da quand'erano novizi. Quando avrebbe saputo la notizia, sarebbe stato ancora più deciso a trovare da sé la ragazza. Erano passati anni da quando Cery aveva visitato una casa dei bagni, e non aveva mai visto la zona delle costose stanze private. Ripulito e al caldo per la prima volta da giorni, avvolto in un telo spesso, si sentiva di buon umore mentre seguiva l'inserviente in una spaziosa sala di asciugatura. Sonea sedeva su una stuoia simba, tutta infagottata in un pesante asciugamano col volto raggiante per le attenzioni che le ragazze della casa le dedicavano. Vedendola così rilassata, l'umore di Cery migliorò ancor di più. «Hai! Che pacchia!» esclamò sorridendole. «Sono certo che Jonna approverebbe!» Sonea trasalì, e Cery si pentì subito di quelle parole. «Scusami», affermò dispiaciuto, con una smorfia. «Non avrei dovuto ricordartelo.» Si sedette sulla stuoia al suo fianco e si appoggiò alla parete. «Se parliamo a voce bassa, non dovremmo correre nessun rischio.» «E adesso? Non possiamo restare qui», disse lei. «Lo so. Ci stavo proprio pensando.» Cery sospirò. «La situazione è brutta. Tenerti nascosta dai maghi sarebbe stato facile, ma la ricompensa ha cambiato le cose. Adesso non mi posso fidare di nessuno. Non posso chiedere favori... e ho esaurito i posti dove nasconderti.» Lei impallidì. «Allora che facciamo?» Cery esitò. Dopo lo scontro aveva capito che Sonea aveva una sola alternativa, e non le sarebbe piaciuta. Nemmeno a lui piaceva, del resto. Se solo vi fosse stato qualcuno di cui potersi fidare. Scosse la testa e si voltò a guardarla negli occhi. «Credo che dovremmo chiedere aiuto ai Ladri.» Sonea sgranò gli occhi. «Sei diventato matto?» «Lo diventerò solo se continuerò a nasconderti con le mie risorse. Prima o poi qualcuno ti tradirà.» «E i Ladri? Non lo faranno?» «Tu hai qualcosa che loro vogliono.» Sonea aggrottò la fronte, rabbuiandosi. «La magia?»
«Esatto. Scommetto che sarebbero contenti di avere il loro mago.» Facendo scorrere le dita sulla stuoia, il ragazzo aggiunse: «Quando avrai la loro protezione, nessuno ti toccherà. Nessuno si mette contro i Ladri, nemmeno per cento pezzi d'oro». Lei chiuse gli occhi. «Jonna e Ranel mi hanno sempre detto che è impossibile liberarsi di loro. Ti tengono stretto e, anche quando il patto è concluso, non finisci mai di pagare il tuo debito.» Cery scosse la testa. «So che hai sentito delle brutte storie, come tutti quanti. Devi solo attenerti alle regole e loro ti tratteranno in modo equo. Questo era quello che mi raccontava papà.» «Tuo padre, lo hanno ucciso.» «Si è comportato da stupido. È diventato uno squimper.» «E se...?» Sonea sospirò e scosse il capo. «Che scelta ho? Se non lo faccio, la Corporazione mi troverà. Immagino che essere schiava dei Ladri sia meglio che morire.» Cery fece una smorfia. «Non andrà così. Una volta che avrai imparato a usare le tue facoltà, sarai importante e potente. Ti darebbero molto spazio, non potrebbero fare altrimenti. In fondo, se ti rifiutassi di fare qualcosa, come potrebbero costringerti?» La ragazza lo guardò, scrutandolo in volto per un tempo insopportabilmente lungo. «Tu però non ne sei certo, vero?» Lui si sforzò di guardarla negli occhi. «Sono certo che sia l'unica scelta che hai e che ti tratteranno equamente.» «Ma?» Cery sospirò. «Non sono certo di quello che ti potrebbero chiedere in cambio.» Lei annuì, si appoggiò al muro e fissò la parete lontana per vari minuti. «Se credi sia quello che debba fare, va bene. Preferisco invischiarmi coi Ladri che consegnarmi alla Corporazione.» Osservando il suo volto pallido, Cery provò l'ormai ben nota sensazione di disagio, che ormai stava cominciando ad assumere la connotazione del senso di colpa. Sonea era spaventata, ma avrebbe affrontato i Ladri con la sua solita inflessibilità e determinazione, il che lo faceva stare ancora peggio. Non si faceva illusioni sulla sua capacità di proteggerla, ma portarla dai Ladri gli sembrava un tradimento. Non voleva perderla di nuovo, ma non aveva altra scelta. Si alzò e si avvicinò alla porta. «Vado a cercare Harrin e Donia. Tu stai bene?»
Sonea non lo guardò; si limitò ad annuire. L'inserviente era nel corridoio all'esterno della stanza. Cery le chiese di Harrin e Donia, e lei gli indicò la porta accanto con un cenno del capo. Mordendosi un labbro, Cery bussò. «Entra», disse Harrin. Erano entrambi seduti su stuoie simba e Donia si stava tamponando i capelli con un asciugamano. «Gliel'ho detto. È d'accordo.» Harrin si accigliò. «Non ne sono ancora sicuro. E se la portassimo fuori città?» Cery scosse la testa. «Non credo arriveremmo lontano. Sta' pur certo che ormai i Ladri sanno tutto di lei: avranno scoperto dov'è stata e dove viveva, conosceranno il suo aspetto, chi erano i suoi genitori, dove abitano i suoi zii. Non avranno difficoltà a scoprire da Burril e dai suoi che è...» «Se sanno così tante cose, perché non sono venuti a prenderla?» lo interruppe Donia. «Non è così che agiscono», le spiegò Cery. «I Ladri amano negoziare, in modo che gran parte delle persone che lavorano per loro sia contenta e non causi problemi, dopo. Avrebbero potuto cercarci e offrirci protezione, ma questo non è successo: ciò mi fa pensare che non siano sicuri che lei possieda la magia. Se non andiamo dai Ladri, qualcuno di loro finirà per catturarla. Non riusciremmo mai a uscire dalla città.» Donia e Harrin si scambiarono un'occhiata. «Lei che ne pensa?» chiese Donia. Cery fece una smorfia. «Ha sentito molte storie. Ha paura, ma sa di non avere altra scelta.» Harrin si alzò. «Sei sicuro di questa cosa, Cery? Credevo provassi un'attrazione per lei. Potresti non rivederla più.» Cery batté le palpebre sorpreso e sentì una sensazione di calore al volto. «Pensi che la rivedrei, se la prendessero i maghi?» Harrin incurvò le spalle. «No.» Cery iniziò a camminare su e giù. «Andrò con lei. Avrà bisogno di un volto familiare accanto. Posso rendermi utile.» Harrin allungò la mano e lo afferrò per un braccio. Fissò l'amico, scrutandolo negli occhi, e lo lasciò andare. «Allora non vedremo più nemmeno te?» Cery scosse la testa sentendosi in colpa. Harrin era stato abbandonato da quattro membri della banda, e degli altri non sapeva se fidarsi. Adesso se
ne andava il suo migliore amico. «Tornerò quando potrò. A ogni modo, Gellin pensa già che io lavori per i Ladri.» Harrin sorrise. «Va bene, allora. Quando la porterai via?» «Stasera.» Donia posò una mano sul braccio di Cery. «E se non la volessero?» Lui sorrise cupo. «La vorranno.» Il corridoio degli alloggi dei maghi era silenzioso e deserto. I passi di Dannyl riecheggiarono mentre si avvicinava alla porta di Yaldin. Bussò e attese. Udiva flebili voci al di là di essa. Una, femminile, si levò sulle altre. «Ha fatto cosa?» Un attimo dopo, la porta si aprì. Ezrille, la moglie di Yaldin, sorrise con aria assente e arretrò per consentire a Dannyl di entrare. Numerose sedie imbottite erano state disposte intorno a un tavolo basso. Yaldin e Rothen ne occupavano due. «Ha ordinato alla Guardia di cacciare l'uomo da casa sua», disse Yaldin. «Solo perché lasciava che i bambini dormissero nel solaio? È spaventoso!» esclamò Ezrille indicando a Dannyl una sedia. Yaldin annuì. «Buonasera, Dannyl. Vuoi una tazza di sumi?» «Buonasera», replicò lui mentre si lasciava cadere su una sedia. «Il sumi mi fa molto piacere, grazie. È stata una giornata lunga.» Rothen alzò lo sguardo e le sopracciglia con aria interrogativa. Sorridendo, Dannyl rispose con una scrollata di spalle. Sapeva che Rothen era impaziente di sapere come fosse andata coi Ladri, ma prima voleva conoscere il motivo della rabbia di Ezrille, una donna solitamente tranquilla e incline al perdono. «Che cosa mi sono perso?» domandò. «Ieri uno degli incaricati delle ricerche ha seguito un informatore in una casa, nella zona migliore dei bassifondi», spiegò Rothen. «Il proprietario permetteva ai bambini senza tetto di dormire nella sua soffitta, e l'informatore sosteneva che vi si nascondesse anche una ragazza più grande. Il nostro collega ritiene che lei e il compagno siano fuggiti poco prima del suo arrivo grazie all'aiuto del proprietario, perciò ha ordinato alla Guardia di cacciare di casa l'uomo e la sua famiglia.» Dannyl si rabbuiò. «Il nostro collega? Chi?» Guardò Rothen socchiudendo gli occhi. «Per caso si tratta di un guerriero chiamato Fergun?» «Esatto.» Dannyl emise un verso scortese, poi sorrise quando Ezrille gli porse una tazza fumante di sumi. «Grazie.»
«Allora cos'è successo?» chiese Ezrille. «L'uomo è stato cacciato via?» «Lorlen ha revocato l'ordine, ovviamente», rispose Yaldin. «Ma Fergun aveva già distrutto gran parte della casa, in cerca di nascondigli... così ha detto.» Ezrille scosse la testa. «Non posso credere che Fergun sia così... così...» «Vendicativo?» sbuffò Dannyl. «Sono sorpreso che non abbia voluto interrogare quel pover'uomo.» «Non oserebbe», disse Yaldin con tono sprezzante. «Non ora», convenne Dannyl. Rothen sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia. «C'è dell'altro. Stasera ho sentito una conversazione interessante. Fergun vuole diventare il tutore della ragazza.» Dannyl si sentì gelare il sangue nelle vene. «Fergun?» Ezrille si accigliò. «Non è un mago potente. Pensavo che la Corporazione scoraggiasse i maghi più deboli dal diventare tutori dei novizi.» «Certo», affermò Yaldin. «Ma non c'è una regola che lo vieti.» «Che possibilità ha di vedere esaudita la sua richiesta?» «Dice che è stato il primo ad accorgersi dei suoi poteri perché è stato il primo a percepirne gli effetti», spiegò Rothen. «Ma è un'argomentazione valida?» «Mi auguro di no», borbottò Dannyl. Quella notizia lo aveva infastidito. Conosceva bene Fergun, troppo bene. Col suo disprezzo per le classi umili, che cosa voleva mai da una ragazza dei bassifondi? «Vuol forse vendicarsi dell'umiliazione subita in piazza del Nord?» Rothen aggrottò la fronte. «Ora, Dannyl...» «È plausibile», insistette Dannyl. «Fergun non si dà tanta pena per un piccolo livido, anche se il suo ego è rimasto ferito», affermò deciso Rothen. «Vuole solo essere lui quello che la cattura e non vuole che, dopo, la gente se ne dimentichi.» Dannyl distolse lo sguardo. Il collega più anziano non aveva mai capito che la sua avversione per Fergun era dovuta a qualcosa di più di un antico rancore tra novizi. Dannyl aveva conosciuto fin troppo bene la risolutezza che Fergun dimostrava quando intendeva vendicarsi. «Ne verrà fuori una bella disputa», ridacchiò Yaldin. «Quella povera ragazza non ha idea di quanto tumulto abbia creato nella Corporazione. Non accade spesso che due maghi competano per diventare il tutore di un novizio.»
Rothen sbuffò piano. «Sono certo sia l'ultima delle sue preoccupazioni. Dopo quello che è accaduto in piazza del Nord, è probabilmente convinta che vogliamo ucciderla.» Il sorriso svanì dal volto di Yaldin. «Purtroppo non possiamo convincerla del contrario finché non la troviamo.» «Oh, non saprei», osservò pacato Dannyl. Rothen alzò lo sguardo. «Hai qualche suggerimento, Dannyl?» «Penso che il mio nuovo amico Ladro abbia un modo tutto suo di far circolare le notizie nei bassifondi.» «Amico?» Yaldin era incredulo. «Adesso li chiami 'amici'?» «Soci.» Dannyl sorrise malizioso. «Deduco che tu abbia ottenuto qualche risultato?» commentò Rothen inarcando un sopracciglio. «Qualche piccolo risultato. È solo l'inizio.» Dannyl si strinse nelle spalle. «Ho parlato con uno dei loro capi, credo.» Ezrille sgranò gli occhi. «Che tipo è?» «Si chiama Gorin.» «Gorin?» Yaldin si rabbuiò. «È uno strano nome.» «Pare che i capi prendano il nome dagli animali. Immagino che si scelgano il titolo in base alla statura, perché lui è sicuramente degno del nome che porta. È gigantesco e tutto peloso. Mi aspettavo quasi avesse anche le corna.» «Che cos'ha detto?» volle sapere Rothen. «Non ha fatto promesse. Gli ho spiegato quanto fosse pericoloso stare accanto a un mago che non avesse imparato a controllare i poteri, ma sembrava più interessato a capire che cosa gli avrebbe dato la Corporazione in cambio, se l'avesse trovata.» Yaldin aggrottò la fronte. «I maghi superiori non approveranno uno scambio di favori coi Ladri.» Dannyl fece un gesto noncurante con la mano. «Ovviamente no. Gliel'ho detto e lui ha capito. Credo che accetterebbe dei soldi.» «Soldi?» Yaldin scosse la testa. «Non so se...» «Dato che offriamo già una ricompensa, non conta molto se questa finirà in mano a un Ladro», replicò Dannyl allargando le mani. «Tutti sanno che i soldi andranno a qualcuno dei bassifondi, perciò si aspetteranno che questo qualcuno possa essere una persona di dubbia moralità.» Ezrille alzò gli occhi al cielo. «Solo tu puoi far sembrare una cosa del genere perfettamente ragionevole, Dannyl.»
Lui sorrise. «Oh, ma si può fare di meglio. Se la presentiamo ad arte, tutti si congratuleranno perché saremo riusciti a convincere i Ladri a rendere un servizio alla città.» Ezrille scoppiò a ridere. «Spero che i Ladri non se ne rendano conto, altrimenti si rifiuteranno di aiutarti.» «Be', per il momento deve rimanere un segreto», si raccomandò Dannyl. «Non voglio agitare le acque finché Gorin non sarà disposto ad aiutarci. Posso confidare nel vostro silenzio?» Guardò gli altri. Ezrille annuì entusiasta, Rothen chinò una volta il capo e Yaldin si accigliò, ma subito dopo si strinse nelle spalle e disse: «Molto bene. Ma sta' attento, Dannyl. In gioco qui non c'è solo la tua pelle». «Lo so», replicò lui sorridendo. «Lo so.» Percorrere la Via dei Ladri con la lampada era più rapido e interessante che farlo tastoni, al buio. Le pareti dei cunicoli sembravano fatte di una varietà infinita di mattoni. Vari simboli vi erano incisi e ad alcuni incroci si vedevano anche dei segnali. La guida si fermò a un'intersezione, posò la lampada a terra e dal mantello estrasse un pezzo appallottolato di stoffa nera. «Da qui in poi camminerai bendato.» Cery annuì e rimase in silenzio mentre l'uomo gli metteva la benda sugli occhi. Poi questi si portò alle spalle di Sonea, la quale chiuse gli occhi quando avvertì la stoffa ruvida sulla faccia. La ragazza sentì quindi una mano sulla spalla e un'altra prenderla per un polso e cominciare a tirarla nel tunnel. Per quanto cercasse di memorizzare le curve, perse ben presto il conto. Avanzarono al buio, strascicando i piedi. Di tanto in tanto udì flebili rumori: voci, passi, acqua che gocciolava e altri ancora che non riuscì a identificare. La benda le prudeva sulla pelle ma non osava grattarsi, nel timore che la guida pensasse che stesse sbirciando. Quando l'uomo si fermò, Sonea emise un sospiro di sollievo. Poi sentì le sue dita toglierle la benda. Guardò allora Cery che le sorrise, rassicurante. Dopo aver preso dal mantello un bastoncino lucidato, la guida lo inserì in un buco nel muro. Passò qualche istante, e una sezione della parete si aprì verso l'interno. Dal varco uscì un uomo grosso e muscoloso. «Sì?» «Ceryni e Sonea, sono qui per Faren», affermò la guida. L'uomo annuì, spalancò del tutto la porta e fece un cenno col capo a Sonea e Cery. «Entrate.»
Cery esitò, poi si voltò verso la guida. «Avevo chiesto di parlare con Ravi.» L'uomo sorrise in modo ambiguo. «Allora sarà stato Ravi a volere che tu parli con Faren.» Cery scrollò le spalle e varcò la soglia. Sonea lo seguì, chiedendosi se un Ladro che portava il nome di un insetto velenoso a otto zampe fosse più pericoloso di uno che aveva il nome di un roditore. Entrarono in una piccola stanza. Due uomini massicci li squadrarono dalle loro sedie, poste una per lato. Il primo chiuse la porta del cunicolo e ne aprì un'altra, sulla parete opposta della stanza, indicando loro di procedere. Nella stanza successiva, alcune lampade appese alle pareti creavano cerchi gialli sul soffitto. Il pavimento era ricoperto da un grande tappeto con frange dalle punte d'oro. In fondo alla stanza, seduto a un tavolo, c'era un uomo dalla pelle scura vestito con abiti neri di una misura adatta alla sua corporatura magra. Due occhi incredibilmente gialli li esaminarono con attenzione. Sonea ricambiò lo sguardo. Il Ladro era un lonmar, membro della fiera razza del deserto che abitava terre molto lontane a nord di Kyralia. A Imardin i lonmar erano rari: pochi amavano vivere al di fuori della loro rigida cultura. Per loro il furto era un male molto grave, convinti com'erano che, quando si rubava qualcosa, anche di piccolo, si perdeva un pezzo della propria anima. Eppure, esisteva un Ladro lonmar. L'uomo socchiuse gli occhi. Resasi conto che lo stava fissando, Sonea abbassò rapida lo sguardo. Lui si appoggiò alla sedia, sorrise e la indicò con un lungo dito marrone. «Vieni più vicino, ragazza.» Sonea avanzò fino a trovarsi davanti al tavolo. «Quindi sei tu quella che la Corporazione sta cercando, eh?» «Sì.» «Sonea, vero?» «Sì.» Faren increspò le labbra. «Mi aspettavo qualcosa di più sorprendente.» Si strinse nelle spalle, quindi si protese e posò i gomiti sul tavolo. «Come faccio a sapere che sei quella che dici di essere?» Sonea si guardò alle spalle. «Cery ha detto che avreste saputo che sono io, che mi stavate già tenendo d'occhio.» «Oh, davvero?» Faren ridacchiò e spostò lo sguardo sul suo amico. «Furbo, il piccolo Ceryni... come il padre. Sì, stavamo tenendo d'occhio te
e anche lui. Cery da più tempo, però. Vieni qui, Cery.» Lui si mise a fianco di Sonea. «Ravi ti manda i suoi saluti», gli disse il Ladro. «Da roditore a roditore?» La voce di Cery risultò lievemente tremolante. Sul volto di Faren comparve un sorriso tutto denti, che presto svanì. I suoi occhi gialli tornarono a fissare Sonea. «Allora tu sai usare la magia, giusto?» Lei deglutì per inumidirsi la gola. «Sì.» «L'hai usata ancora dopo quella sorpresina che hai fatto in piazza del Nord?» «Sì.» Faren aggrottò la fronte e si passò le mani tra i capelli. Sulle tempie aveva qualche ciocca brizzolata, ma la sua pelle era liscia, senza rughe. Alle dita portava numerosi anelli, molti con grosse pietre incastonate. Sonea non aveva mai visto pietre tanto grandi sulle mani di un abitante dei bassifondi, ma quell'uomo non era un dwell qualsiasi. «Hai scelto un brutto momento per scoprire i tuoi poteri, Sonea», osservò Faren. «I maghi sono impazienti di trovarti. Le loro ricerche ci hanno causato un sacco di fastidi... e la ricompensa sta causando a te un sacco di fastidi. Ora, tu vorresti che ti nascondessimo. Non sarebbe meglio per noi consegnarti e intascare la ricompensa? Le ricerche finirebbero e io diventerei un po' più ricco. Quegli scocciatori di maghi se ne andrebbero...» Sonea guardò di nuovo Cery. «Oppure potremmo fare un patto.» Faren si strinse nelle spalle. «Potremmo. Tu che cosa offri in cambio?» «Mio padre diceva che gli dovevate...» iniziò Cery. Gli occhi gialli lo incenerirono. «Tuo padre ha perso qualsiasi credito quando ci ha ingannati.» Cery chinò il capo, poi sollevò il mento e incrociò lo sguardo del Ladro. «Mio padre mi ha insegnato molto. Forse potrei...» Faren sbuffò e fece un gesto con la mano. «Un giorno potresti esserci utile, piccolo Ceryni, ma al momento non hai le amicizie che aveva tuo padre... ed è un grande favore quello che mi stai chiedendo. Sai che la punizione prevista dalla Corporazione per chi nasconde un mago fuorilegge è la morte? Non c'è niente che il re odi di più dell'idea di un mago che si muova nell'ombra per fare cose che lui non ha ordinato.» Spostando lo sguardo su Sonea, il Ladro sorrise furbescamente. «Però è un'idea interessante, un'idea che a me piace molto.» Giunse le mani e chiese: «Per che cosa hai usato i tuoi poteri dopo l'Epurazione?»
«Ho incendiato cose.» Gli occhi di Faren luccicarono. «Davvero? Hai fatto altro?» «No.» «Perché non mi fai una dimostrazione, ora?» Lei lo fissò. «Ora?» Faren indicò uno dei libri sul tavolo. «Cerca di muovere questo.» Sonea guardò Cery, e questi le fece un lieve cenno col capo. Mordendosi il labbro, si ricordò che nel momento in cui aveva acconsentito a chiedere l'aiuto dei Ladri si era rassegnata a usare la magia. Doveva accettarlo, benché la facesse sentire a disagio. Faren si appoggiò alla sedia. «Forza.» Sonea fece un respiro profondo e fissò il libro desiderando che si muovesse. Non successe niente. Si rabbuiò, ripensò a piazza del Nord e alla lotta con Burril. In entrambi i casi, ricordò, era infuriata. Chiuse gli occhi e pensò ai maghi. Le avevano rovinato la vita, era colpa loro se si stava vendendo ai Ladri per avere protezione. Sentendo la rabbia crescere, aprì gli occhi e proiettò il risentimento verso il libro. L'aria sfrigolò e un lampo illuminò la stanza. Faren balzò indietro imprecando mentre il libro prendeva fuoco. Afferrato un bicchiere, ne versò rapido il contenuto sul libro per spegnere le fiamme. «Mi spiace», si affrettò a dire Sonea. «Neanche la volta scorsa è successo quello che volevo. Io...» Faren sollevò la mano per indicarle di tacere e sorrise. «Penso tu abbia qualcosa che sia degno di essere protetto, giovane Sonea.» 8 MESSAGGI AL BUIO Osservando l'affollata Sala Notturna, Rothen si rese conto di aver commesso un errore arrivando presto. Invece di parlare a una folla di colleghi, era stato bersagliato di domande da piccoli gruppi o da singoli individui e costretto a rispondere agli stessi quesiti all'infinito. «Mi sembra di essere un novizio che ripete le formule», borbottò a Dannyl, irritato.
«Forse dovresti scrivere ogni sera una relazione sui tuoi progressi e appenderla alla porta.» «Non penso servirebbe. Sono certo che, se non parlassero con me in persona, avrebbero la sensazione di perdersi qualche particolare.» Rothen scosse il capo e guardò i gruppetti di maghi intenti a conversare. «E tutti, per qualche ragione, vogliono sapere da me. Perché non assillano mai te?» «Per rispetto della tua inclita anzianità», replicò Dannyl. Rothen socchiuse gli occhi. «Inclita?» «Ah, ecco un po' di vino con cui bagnare le tue povere e stanche corde vocali», esclamò Dannyl facendo segno a un cameriere con un vassoio. Rothen prese un bicchiere e sorseggiò con gusto il vino. Era diventato l'organizzatore ufficioso delle ricerche della ragazza; tutti, tranne Fergun e i suoi amici, si rivolgevano a lui per avere istruzioni, il che lo costringeva a dedicare meno tempo alle ricerche attive e a essere interrotto più volte al giorno dalle comunicazioni mentali di quanti volevano identificare le ragazze che avevano trovato. Trasalì quando sentì una mano sulla spalla. Si voltò e vide l'Amministratore Lorlen al suo fianco. «Buonasera, Lord Rothen, Lord Dannyl», disse questi. «Il Sommo Lord desidera parlarvi.» Rothen guardò dall'altra parte della sala e vide il Sommo Lord accomodarsi al suo posto preferito. Il mormorio di voci si mutò in un brusio d'interesse quando la folla notò la presenza di Akkarin. Sembra che mi dovrò ripetere ancora, pensò Rothen mentre con Dannyl si avvicinava al capo della Corporazione. Il Sommo Lord alzò lo sguardo quando li vide arrivare e li salutò con un cenno quasi impercettibile del capo. Con le lunghe dita stringeva un bicchiere colmo di vino. «Prego, sedetevi.» Lorlen indicò due sedie libere. «Raccontateci come procedono le ricerche.» Rothen si sedette. «Abbiamo interrogato più di duecento informatori: gran parte non ha fornito informazioni utili. Alcuni avevano catturato qualche giovane mendicante, sebbene avessimo avvertito di non avvicinare la ragazza. Altri sono stati molto convincenti nel mostrarsi delusi quando il posto dove credevano si fosse nascosta si è rivelato vuoto. Questo, purtroppo, è tutto quello che posso riferire finora.» Lorlen annuì. «Lord Fergun ritiene che sia protetta da qualcuno.» Le labbra di Dannyl si tesero, ma dalla sua bocca non uscì una sola paro-
la. «Dai Ladri?» suggerì Rothen. Lorlen si strinse nelle spalle. «O da un mago fuorilegge. Ha imparato presto a nascondere la sua aura.» «Un mago fuorilegge?» Rothen lanciò un'occhiata ad Akkarin ricordando l'affermazione del Sommo Lord, secondo cui nei bassifondi non esistevano maghi fuorilegge. «Pensa ci sia ragione di sospettare che ne esista uno?» «Ho avvertito che qualcuno usa la magia», rispose pacato Akkarin. «Non molto e non a lungo. Credo sperimenti per conto suo, dato che ormai qualcuno le avrà insegnato a nascondere le sue attività.» Rothen fissò il Sommo Lord. Che Akkarin percepisse eventi magici tanto deboli in città era sorprendente, addirittura inquietante. Quando gli occhi scuri dell'uomo si sollevarono a guardare i suoi, Rothen abbassò rapido lo sguardo sulle mani. «È... una notizia interessante», disse. «Lei potrebbe... rintracciarla?» chiese Dannyl. Akkarin increspò le labbra. «Usa la magia in modo intenso per breve tempo, a volte si tratta di un episodio singolo, altre volte di vari episodi nell'arco di un'ora. Se foste pronti e vigili, li avvertireste, ma non avreste il tempo di trovarla e di catturarla, a meno che non usasse il suo potere più a lungo.» «Però potremmo avvicinarci un po' di più ogni volta», rifletté Dannyl. «Sparpagliarci in città e aspettare. Ogni volta che fa esperimenti, ci avviciniamo un po' di più fino a individuare dove si trovi.» Il Sommo Lord annuì «È nella parte settentrionale della Cerchia esterna.» «Allora domani inizieremo da lì.» Dannyl tamburellò con le dita. «Ma dobbiamo fare attenzione a che i nostri movimenti non le rivelino la nostra strategia. Se qualcuno la protegge, potrebbe avere disposto vedette che segnalino la presenza di maghi.» Guardò il Sommo Lord con un sopracciglio inarcato e aggiunse: «Le nostre probabilità di riuscita sarebbero maggiori se ci travestissimo». L'angolo della bocca di Akkarin si sollevò. «Un mantello basterà a nascondere la tunica.» Dannyl annuì prontamente. «Certo.» «Avrete solo una possibilità», lo avvertì Lorlen. «Se si accorge che capite quando usa la magia, vi eviterà spostandosi in un nascondiglio nuovo dopo ogni esperimento.»
«Allora dobbiamo agire in fretta e, quanti più maghi avremo, tanto più rapidamente potremo individuarla.» «Chiederò più volontari.» «Grazie, Amministratore.» Dannyl chinò il capo. Lorlen sorrise e si appoggiò alla sedia. «Vi dirò, non avrei mai pensato di essere contento di sapere che la nostra piccola fuggitiva ha iniziato a usare i suoi poteri.» Rothen si accigliò. Ma ogni volta che lo fa rischia un po' di più di perdere il controllo. Nonostante le piccole dimensioni il pacco era pesante, ed emise un bel tonfo quando Cery lo posò sul tavolo. Faren lo prese, strappò la carta e vide la piccola cassetta di legno. Quando la aprì, minuscoli cerchi di luce si riflessero sul Ladro e sul muro alle sue spalle. Cery abbassò lo sguardo e sentì una fitta al petto quando vide le monete lucide. Faren estrasse un blocco di legno con quattro pioli. Cery lo guardò mentre il Ladro iniziava a impilare le monete sui pioli. I fori sui soldi erano perfettamente corrispondenti alla sezione dei pioli: i pezzi d'oro s'infilavano sul piolo rotondo, quelli d'argento sul piolo quadrato e quelli grandi di rame sul piolo triangolare. L'ultimo piolo, quello per le monete grosse di rame con cui Cery aveva maggiore familiarità, restò vuoto. Quando la pila delle monete d'oro raggiunse i dieci pezzi, Faren la trasferì su un puntale, un bastone di legno con un fermo a ogni estremità, e la mise da parte. «Ho un altro lavoro per te, Ceryni.» Allontanando con riluttanza lo sguardo dalla fortuna ammassata davanti ai suoi occhi, Cery si raddrizzò, poi aggrottò la fronte quando colse il senso delle parole di Faren. Quanti altri «lavori» avrebbe dovuto fare prima di poter vedere Sonea? Era passata più di una settimana da quando il Ladro l'aveva presa con sé. Reprimendo tutto il suo fastidio, annuì. «Di che si tratta?» Faren si appoggiò allo schienale della sedia e i suoi occhi gialli brillarono divertiti. «Potrebbe essere un lavoro più adatto alle tue capacità. Un paio di malfattori hanno preso a rapinare i negozi della Zona Nord, negozi che appartengono a persone con cui ho degli accordi. Voglio che tu scopra dove sono e porti loro un messaggio, in modo che capiscano con certezza che li sto tenendo d'occhio da vicino. Pensi di riuscirci?» Cery annuì. «Che aspetto hanno?» «Ho mandato uno dei miei uomini a interrogare i proprietari dei negozi.
Ti ragguaglierà. Prendi questo.» Il Ladro gli porse un piccolo pezzo di carta piegato. «Aspetta nella stanza esterna.» Cery si voltò, ma subito dopo esitò. Guardò di nuovo Faren e considerò se fosse il momento adatto per chiedergli di Sonea. «Presto», disse l'uomo. «Domani, se tutto va bene.» Cery annuì, si avvicinò a grandi passi verso la porta e uscì. Le guardie corpulente lo scrutarono con sospetto, ma lui reagì sorridendo. Non farti mai nemici tra i servitori di qualcuno, gli aveva insegnato il padre. Meglio ancora, fa' in modo che ti prendano in simpatia. I due erano tanto simili da sembrare fratelli, anche se un'evidente cicatrice sulla guancia di uno consentiva di distinguerli senza difficoltà. «Devo aspettare qui», affermò Cery, e indicò una sedia. «È libera?» L'uomo con la cicatrice si strinse nelle spalle. Cery si sedette e si guardò intorno. Il suo sguardo fu attirato da una striscia di stoffa verde brillante che pendeva da un muro con un incal ricamato d'oro sull'estremità. «Hai! È quello che penso?» chiese alzandosi di nuovo. L'uomo con la cicatrice sorrise. «Sì.» «Un nastro da sella di Vento di Tuono», mormorò Cery. «Dove lo avete preso?» «Mio cugino è stalliere a Casa Arran. Lo ha preso lui per me», rispose l'uomo. Allungando la mano, accarezzò il pezzo di stoffa. «Quel cavallo mi ha fatto vincere venti pezzi d'oro.» «Ha generato ottimi cavalli da corsa, così dicono.» «Non ce ne sarà mai uno uguale.» «Hai visto la corsa?» domandò il ragazzo. «No. E tu?» Cery sorrise. «Mi sono infilato tra gli allibratori; non è stato facile. Non sapevo che sarebbe stato il gran giorno di Vento di Tuono. Ho avuto fortuna, ecco.» Gli occhi della guardia si velarono quando sentì Cery descrivere la corsa. Qualcuno che bussava alla porta li interruppe. L'uomo rimasto in silenzio andò ad aprire e fece entrare un individuo alto e nerboruto con un'aria scontrosa e un lungomanto nero. «Ceryni?» Il ragazzo fece un passo in avanti. L'uomo lo esaminò, aggrottò la fronte e lo invitò a seguirlo. Salutate le guardie con un cenno del capo, Cery si avviò nel cunicolo. «Sono qui per ragguagliarti», esordì l'uomo. Cery annuì. «Che aspetto hanno i due?»
«Uno è alto come me, ma più pesante; l'altro è piccolo, tutto pelle e ossa. Hanno capelli neri corti e, a quanto sembra, se li tagliano da sé. Quello più grosso ha qualcosa di strano agli occhi; il proprietario di un negozio dice che hanno un colore bizzarro, un altro che hanno qualcosa di anomalo. Per il resto sembrano comuni dwell.» «Armi?» «Coltelli.» «Sai dove vivono?» «No, ma uno dei negozianti li ha visti stasera in una casa del bol. Tu andrai lì per cercare di rintracciarli. Di certo faranno un lungo giro prima di arrivare a casa, per non rivelare dove abitano.» «D'accordo. Come operano?» L'uomo si guardò alle spalle con espressione impassibile. «In modo rozzo. Picchiano il proprietario e qualche parente. Non perdono tempo, però. Se ne vanno quando trovano quello per cui sono venuti.» «Cosa prendono?» «Soprattutto monete e roba da bere, se ne trovano. Ecco, ci siamo quasi.» Dai cunicoli sbucarono in una strada buia. La guida spense la lampada e condusse Cery a un passaggio più ampio, poi si fermò all'ombra di una porta. Un rumore di gozzoviglie proveniente dall'altra parte della strada attirò la sua attenzione: la casa del bol. Con un rapido gesto, l'uomo formulò una domanda silenziosa. Seguendo il suo sguardo, Cery scorse un movimento nel vicolo vicino. Una vedetta. «Sono ancora lì. Aspetteremo», mormorò l'uomo. Cery si appoggiò alla porta. Il suo compagno restò zitto e continuò a fissare con attenzione la casa del bol. Iniziò a piovere. L'acqua picchiettava sui tetti e formava pozzanghere. Mentre attendevano, la luna si levò sopra le case e inondò di luce la strada prima di raggiungere le nubi grigie e di trasformarsi in un lucore spettrale nel cielo. Uomini e donne uscivano dalla casa del bol a gruppetti. Quando una compagnia più numerosa di uomini mise piede in strada ridendo e barcollando a causa del bol, il compagno di Cery si mise in allerta. Osservando meglio, questi vide due figure superare il gruppo. La vedetta nel vicolo fece un altro gesto e il compagno di Cery annuì. «Sono loro.» Cery assentì e uscì sotto la pioggia. Si tenne nell'ombra e seguì gli uomini lungo la strada. Il primo era palesemente ubriaco, l'altro si destreg-
giava tra le pozzanghere con sicurezza. Cery lasciò che si allontanassero per un po' e ascoltò l'ubriaco rimproverare il compagno per aver bevuto troppo poco. «No' acadrà nieente, Tullin», biascicò. «Siamo troopo in gamba per looro.» «Dacci un taglio, Nig.» La coppia fece un lungo giro per i bassifondi. Di tanto in tanto Tullin si fermava a guardarsi intorno, ma non vide mai Cery appostato nell'ombra. Alla fine, esasperato dalle chiacchiere dell'amico, puntò dritto per un centinaio di passi e arrivò a un negozio abbandonato. Quando i due furono scomparsi all'interno, Cery si avvicinò furtivo e studiò l'edificio. Davanti c'era un'insegna in cui individuò la parola RAKA; si portò la mano al petto e considerò il messaggio che teneva pronto in tasca. Faren voleva venisse consegnato in modo da spaventare la coppia di malfattori. Quei due dovevano capire che ai Ladri non sfuggiva niente: sapevano chi erano, dove si nascondevano, che cosa avevano fatto, e avrebbero potuto eliminarli con grande facilità. Cery si morse il labbro, assorto nei suoi pensieri. Avrebbe potuto infilare il biglietto sotto la porta, ma sarebbe stato troppo facile. Non li avrebbe spaventati quanto scoprire che qualcuno si era introdotto nel loro nascondiglio. Avrebbe dovuto aspettare che uscissero di nuovo e si sarebbe quindi intrufolato nell'abitazione. O no? Tornare a casa e trovare un messaggio nel nascondiglio li avrebbe sì spaventati, ma non quanto svegliarsi e capire che qualcuno era entrato in casa mentre dormivano. Cery sorrise e studiò l'edificio: era parte di una fila di negozi che avevano tutti una parete in comune; per entrare restavano solo la facciata e il retro. Cery si diresse in fondo alla strada ed entrò nel vicolo che correva dietro le costruzioni; era pieno di casse vuote e di cumuli di rifiuti. Contò le porte e capì di aver trovato l'alloggio dei malfattori dai sacchi puzzolenti di foglie di raka marce impilati contro il muro. Si accovacciò e sbirciò nel buco della serratura della porta posteriore. Nella stanza ardeva un lume. Nig era steso su un letto, di lato, e russava piano. Tullin camminava su e giù sfregandosi la faccia. Quando spense il lume, Cery notò l'occhio storto e due profonde occhiaie scure. L'uomo più grosso non dormiva sonni tranquilli, probabilmente preoccupato di ricevere visite dai Ladri. Quasi avesse letto nella mente di Cery,
Tullin si avviò all'improvviso verso la porta sul retro. Cery si contrasse, pronto a scappare via, ma Tullin non toccò la maniglia. Afferrò invece qualcosa a mezz'aria e sollevò le mani finché quelle non scomparvero alla vista. Uno spago, pensò Cery. Non aveva bisogno di sapere che cosa fosse appeso sopra la porta per capire che Tullin aveva preparato una trappola per eventuali intrusi. Soddisfatto, l'uomo si avvicinò a un altro letto. Estrasse un coltello dalla cintura e lo posò su un tavolo vicino, poi coprì il lume a olio. Dopo aver dato un'ultima occhiata alla stanza, si distese. Cery studiò la porta. Il raka arrivava a Imardin ancora sotto forma di pianta, con tanto di gambo e bacche avvolte nel fogliame; le bacche venivano quindi staccate dal fusto e arrostite dai proprietari dei negozi. Foglie e fusti venivano di solito gettati in uno scivolo che conduceva a una tinozza, all'esterno, che veniva a sua volta prelevata da un gruppo di ragazzi che ne vendevano il contenuto agli agricoltori fuori città. Strisciando lungo il muro, Cery individuò il portello dello scivolo; era chiuso dall'interno con un semplice catenaccio, non sarebbe stato difficile aprirlo. Estrasse una minuscola fiaschetta dal mantello e una canna sottile e cava. Dopo avere risucchiato un po' di olio nella canna, lubrificò con cura il catenaccio e i cardini del portello. Ripose canna e fiaschetta, estrasse un paio di grimaldelli e di leve e iniziò ad armeggiare sul catenaccio. Fu un lavoro lungo, ma diede a Tullin il tempo di cadere in un sonno profondo. Quando il portello fu sbloccato, Cery lo aprì con cautela e valutò l'angusto condotto. Rimise in tasca gli attrezzi, estrasse un pezzo di metallo lucidato avvolto in una stoffa sottile e, allungandosi nello scivolo, lo usò per esaminare la trappola di Tullin. Per poco non scoppiò a ridere quando la vide. Appeso sopra la porta vi era un rastrello; l'estremità del manico era legata con lo spago a un uncino sopra il telaio della porta. Le punte di ferro erano in equilibrio su un travetto, probabilmente tenute ferme da un chiodo; un pezzo di spago era teso tra di esse e la maniglia della porta. Troppo facile, pensò Cery. Guardò in cerca di altre trappole, ma non ne trovò. Estrasse il braccio dallo scivolo, tornò alla porta e prese di nuovo gli strumenti per oliare. Da una rapida ispezione della serratura notò che era stata forzata, probabilmente dai due malfattori quand'erano entrati nel negozio. Prese una scatoletta dal mantello, la aprì e scelse una lama sottile. Da
un'altra tasca prelevò un arnese dotato di cerniera, parte dell'eredità del padre. Fissò la lama all'attrezzo, la infilò nel buco della serratura e sondò in cerca della maniglia. Trovatala, vi fece scorrere lo strumento finché non incontrò la resistenza dello spago, e a quel punto premette con forza. Tornò quindi allo scivolo, e con lo specchio si accertò che il filo penzolasse innocuo dalla trave. Soddisfatto, si mise in tasca gli attrezzi, avvolse due pezzi di stoffa sugli stivali e fece un bel respiro per riprendersi. Aprì la porta senza far rumore, sgattaiolò all'interno e guardò i due uomini: erano entrambi addormentati, e quello ubriaco russava piano. Il padre gli diceva sempre che il miglior modo per avvicinarsi furtivi a qualcuno era non cercare di avvicinarsi furtivi. Attraversò la stanza ed esaminò la porta anteriore: una chiave sporgeva dalla serratura. Girandosi, studiò ancora i due. Il coltello di Tullin brillava nell'oscurità. Cery prese il messaggio di Faren e si avvicinò all'uomo. Afferrò il coltello e lo usò per inchiodare al tavolo il pezzo di carta. Così dovrebbe andar bene. Sorrise cupo, si avvicinò alla porta e strinse la chiave. Quando la girò, vi fu uno scatto. Le palpebre di Tullin si mossero, ma non si sollevarono. Cery aprì la porta e uscì, poi per chiuderla la sbatté. Dal negozio si levò un grido. Cery schizzò verso la porta in ombra del negozio vicino e si voltò a guardare. Dopo un istante, la porta del nascondiglio si aprì e Tullin guardò fuori nella notte, il volto pallido alla luce smorta della luna. Dall'interno della casa provenne un'esclamazione inorridita. Tullin si rabbuiò e scomparve. Sorridendo, Cery si allontanò nella notte. Sonea maledisse Faren tra sé. Davanti a lei si trovava un bastone corto. Dopo avere provato con diversi oggetti, aveva scelto il legno quale materiale più sicuro per lavorare con la magia. Non era economico - il legname veniva tagliato nelle montagne del Nord e mandato via fiume lungo il Tarali - ma ciononostante lo si poteva sacrificare, e nella stanza ce n'era molto. Fissò dubbiosa il bastone, poi si guardò intorno per ricordarsi che il gioco valeva il senso di frustrazione che provava. Era circondata da tavoli lucidati e sedie imbottite; nelle stanze adiacenti vi erano letti morbidi, cibo in abbondanza e una buona scorta di liquori. Faren la trattava come un ospite di riguardo di una grande Casa. Lei però si sentiva prigioniera. Il suo nascondiglio non aveva finestre ed era interamente sotto terra. Lo si raggiungeva solo dalla Via ed era sorvegliato giorno e notte. Solo gli uomini
più fidati di Faren, i suoi «pari», ne conoscevano l'esistenza. Sonea sospirò e incurvò le spalle. Al sicuro sia dai maghi sia dagli intraprendenti dwell, ormai era costretta a combattere la noia. Dopo sei giorni passati a guardare le stesse mura, persino il lusso della stanza non la distraeva più e, sebbene Faren passasse di tanto in tanto a trovarla, lei aveva ben poco da fare se non provare a usare i suoi poteri. Forse era proprio quella l'intenzione del Ladro. Guardando il bastone, Sonea provò di nuovo un senso di frustrazione. Aveva usato i poteri più volte al giorno da quand'era nel nascondiglio, ma non avevano mai funzionato così come sperava. Quando voleva bruciare, spostava oggetti. Quando voleva spostarli, esplodevano. Quando voleva che si rompessero, prendevano fuoco. Lo aveva riferito a Faren, ma lui si era limitato a sorridere e l'aveva esortata a continuare. Con una smorfia, Sonea si concentrò di nuovo sul bastone. Fece un respiro profondo e fissò intensamente il pezzo di legno. Socchiuse gli occhi e desiderò che rotolasse sulle pietre del caminetto. Niente. Devi avere pazienza, si disse. Perché la magia funzionasse, ci volevano spesso vari tentativi. Fece appello a tutta la sua volontà, visualizzandola come una forza immaginaria, e ordinò al bastone di muoversi. Quello rimase perfettamente immobile. Sonea sospirò e si accovacciò. Tutte le volte in cui la magia aveva funzionato, lei aveva provato rabbia perché scoraggiata o piena di odio per la Corporazione. Poteva evocare quei sentimenti pensando a qualcosa che la irritasse, ma era una cosa che la estenuava e la deprimeva. I maghi però lo facevano sempre, pensò. Avevano forse una sorta di riserva di odio e di rabbia alla quale attingere? Un brivido la scosse. Che razza di persone erano? Fissò il pezzo di legno e capì che avrebbe dovuto agire in quel modo: avrebbe dovuto accumulare rabbia e odio, metterli da parte per quando avesse dovuto usare la magia, altrimenti avrebbe fallito e Faren l'avrebbe consegnata nelle mani della Corporazione. Si abbracciò e si sentì pervadere da una cupa disperazione. Sono in trappola, pensò. Ho due scelte: diventare come loro o lasciare che mi uccidano. Un rumore secco ma lieve le giunse alle orecchie, come se un pezzo di stoffa fosse stato gettato in aria e subito afferrato. Trasalì e si girò. Sulla superficie di un tavolino si erano levate alcune fiamme sinuose di un aran-
cione brillante. Sonea balzò in piedi e si allontanò col cuore che le batteva all'impazzata. Sono stata io? Ma non ero arrabbiata. Il fuoco prese a scoppiettare a mano a mano che le fiamme si moltiplicavano. Sonea si avvicinò un po' di più, incerta sul da farsi. Che cosa avrebbe detto Faren quando avesse scoperto che il suo nascondiglio era stato bruciato? Sonea sbuffò. Avrebbe provato irritazione e anche un po' di delusione di fronte alla morte della sua piccola maga. Il fumo saliva verso l'alto e si accumulava vorticando sul soffitto. La ragazza avanzò carponi, prese una gamba del tavolino e lo trascinò in avanti. Il fuoco aumentò col movimento. Tenendosi a distanza per il calore, Sonea sollevò il tavolino e lo gettò nel caminetto; quello cozzò contro la grata e continuò a bruciare. Sospirando, Sonea guardò il fuoco consumarlo completamente. Almeno aveva scoperto una cosa nuova: i tavoli non prendevano fuoco spontaneamente. Sembrava che anche la disperazione fosse un sentimento in grado di attivare i poteri. Rabbia, odio e disperazione, pensò. Che bello essere maghi. «Hai sentito?» chiese Rothen con voce piena di eccitazione. «Sì. Ma non è quello che mi aspettavo», rispose Dannyl. «Ho sempre pensato che sentire la magia fosse come sentire cantare qualcuno, ma questo mi è parso più come un colpo di tosse.» «Un colpo di tosse magico», ridacchiò Rothen. «È un modo interessante di descriverlo.» «Se non sai cantare o parlare, non fai forse dei versi rozzi? Forse così appare la magia quando non è controllata.» Dannyl batté le palpebre, poi si allontanò dalla finestra e si sfregò gli occhi. «È tardi e mi sto deconcentrando. Sono stanco; penso che dovremmo dormire un po'.» Rothen annuì, ma non si mosse dalla finestra. Guardò le ultime luci che brillavano in città. «Siamo rimasti in ascolto per ore. Continuare così non serve», insistette Dannyl. «Domani dobbiamo essere ben svegli.» «Sembra incredibile che sia tanto vicina a noi e che non riusciamo a trovarla», osservò Rothen. «Mi chiedo che cosa cerchi di fare.» «Rothen!» esclamò severo Dannyl. Il vecchio mago sospirò e si allontanò dalla finestra con un flebile sorriso. «D'accordo. Cercherò di dormire.»
«Ottimo.» Dannyl si avvicinò alla porta. «Ci vediamo domani.» «Buonanotte, Dannyl.» Guardandosi indietro mentre chiudeva la porta, Dannyl fu contento di vedere che l'amico si era diretto alla sua stanza. Sapeva che il desiderio di Rothen di trovare la ragazza andava oltre il dovere. Anni prima, quand'era novizio, Fergun aveva fatto circolare delle voci sul suo conto per vendicarsi di uno scherzo. Dannyl non si aspettava che le prendessero sul serio, ma, quando maestri e allievi cominciarono a trattarlo in modo diverso e si rese conto che non avrebbe potuto far niente per riconquistare la loro stima, perse ogni rispetto per loro. L'entusiasmo che provava per le lezioni svanì, e rimase sempre più indietro con lo studio. Rothen allora lo aveva preso da parte e con una determinazione e un ottimismo infiniti aveva ricondotto la sua mente alla magia e allo studio. Pareva non potesse fare a meno di aiutare i giovani in difficoltà. Dannyl era sicuro che l'amico fosse risoluto come non mai, ma non poteva non chiedersi se fosse davvero adatto a istruire la ragazza. C'era una gran differenza tra un novizio scontroso e una ragazzina dei bassifondi che probabilmente odiava i maghi. Una cosa era certa: quando l'avessero trovata, la situazione si sarebbe fatta molto interessante. 9 UN VISITATORE SGRADITO La pioggia cadeva a scrosci, portata dal vento gelido che sembrava quasi voler strappare via i mantelli pesanti. Cery si strinse di' più nel lungomanto e nascose il viso tra le pieghe della sciarpa. Fece una smorfia quando la pioggia gli sferzò il volto, poi affrontò deciso il vento. Si era goduto il tepore delizioso della casa del bol e la compagnia di Harrin. Il padre di Donia si era dimostrato generoso, ma nemmeno il bol gratuito lo aveva allettato a restare, non quando Faren gli aveva infine concesso di vedere Sonea. Cery grugnì quando un uomo alto lo superò spintonandolo. Lo guardò in cagnesco mentre questi proseguiva a grandi passi per la strada. Un mercante, valutò Cery dal modo in cui la pioggia riluceva sul mantello e sugli stivali nuovi. Borbottò un insulto e continuò ad arrancare. Quand'era tornato dal nascondiglio dei malfattori, Faren lo aveva inter-
rogato sul lavoretto svolto. Aveva ascoltato il resoconto senza esprimere lode né disapprovazione e aveva semplicemente annuito. Sta valutando quanto sia utile, pensò Cery. Vuole conoscere i miei limiti. Mi chiedo che cosa mi farà fare ora. Alzò lo sguardo e scrutò la strada. Alcuni dwell camminavano svelti sotto la pioggia: in quello non c'era niente di strano. Davanti a lui, il mercante si era fermato a lato di un edificio senza che Cery capisse perché. Il ragazzo proseguì e sollevò lo sguardo quando passò accanto al mercante. Lo sconosciuto aveva gli occhi chiusi ed era accigliato, come se si stesse concentrando. Entrando nel vicolo seguente, Cery si voltò a guardare e colse l'uomo mentre abbassava la testa e fissava la strada. No, sotto la strada, pensò Cery con la pelle che gli formicolava tutta. Lo guardò meglio studiandone i vestiti. Le scarpe dell'uomo erano nello stesso tempo familiari e insolite. Poi nella luce fioca brillò un piccolo simbolo... Cery ebbe un tuffo al cuore. Si girò e partì di corsa. Sotto la pioggia, Rothen vedeva la sagoma di un uomo alto con un mantello, fermo all'angolo di fronte. «Siamo vicini», gli comunicò Dannyl. «È sotto queste case, da qualche parte.» «Tutto quello che dobbiamo fare è trovare un modo per entrare», replicò l'amico. Era stata una giornata lunga e frustrante. In alcuni momenti la ragazza aveva usato la magia più volte di fila, e avevano fatto grandi progressi; in altri avevano aspettato per ore col risultato che lei compiva un solo tentativo isolato. Rothen si era ben presto accorto che il mantello, pur nascondendo la tunica, dava nell'occhio perché troppo elegante per i bassifondi: tanti uomini col mantello che si aggiravano nella zona avrebbero attirato l'attenzione. Perciò, quando si erano avvicinati un po' di più alla ragazza, aveva ordinato a gran parte dei maghi di allontanarsi. Un ronzio in un angolo della sua mente riportò i suoi pensieri alla ragazza. Dannyl si era spostato dalla sua posizione ed era entrato nel vicolo. Dopo aver conferito coi colleghi, Rothen aveva deciso che la ragazza doveva trovarsi da qualche parte sotto la casa a sinistra. «Penso che qui ci sia un ingresso alle gallerie», gli comunicò Dannyl. «C'è una griglia di ventilazione nel muro, come quella che ho già visto.»
«Di più non ci possiamo avvicinare senza rivelare la nostra presenza», comunicò Rothen agli altri. «È ora. Makin e io sorveglieremo l'ingresso anteriore. Kiano e Yaldin terranno d'occhio la porta posteriore. Dannyl e Jolen entreranno nel cunicolo, dato che probabilmente lei tenterà di scappare da lì.» Quando tutti riferirono di essere in posizione, il mago diede istruzioni a Dannyl e Jolen di entrare. Dannyl aprì la grata e cominciò a inviare immagini mentali a tutti. Si calò nel cunicolo e creò una sfera di luce mentre Lord Jolen lo seguiva. Poi si divisero: scomparvero l'uno a destra e l'altro a sinistra nella galleria. Dopo un centinaio di passi, Dannyl si fermò e mandò avanti la luce, che raggiunse una curva. «Questa passa sotto la strada, credo. Torno indietro.» Un attimo dopo Lord Jolen inviò un'immagine di una scala stretta che scendeva. La imboccò e si fermò all'istante quando un uomo gli sbucò davanti. Il nuovo arrivato fissò la sfera di luce, si girò e fuggì in un passaggio laterale. «Ci hanno individuati», comunicò Jolen. «Prosegui», replicò Rothen. Dannyl aveva smesso d'inviare immagini, in modo che Rothen potesse seguire i progressi di Jolen. Raggiunti i piedi delle scale, questi si avviò in uno stretto cunicolo. Quando arrivò a una curva, i sensi di Rothen furono investiti da un misto di polvere, rumore e sensazioni di allarme. Ne seguì una gran confusione, dal momento che tutti i maghi stavano inviando domande. «Hanno fatto crollare il passaggio», spiegò Jolen mandando l'immagine di un cumulo di detriti. «Dannyl era alle mie spalle.» Rothen provò un brivido di preoccupazione per l'amico. Dopo qualche istante di silenzio, si udì una debole voce mentale. «Sepolto. Aspetta... Sono libero. Non sono ferito. Va' avanti, Jolen. Ovviamente non volevano che superassimo questo punto. Va' avanti e trovala.» «Va'», ripeté Rothen. Jolen diede le spalle al cumulo di detriti e si affrettò lungo il passaggio. Suonò una campana. Sonea alzò lo sguardo dal caminetto e si mise in piedi. Un pannello nel muro si aprì e ne uscì Faren. Vestito di nero, coi suoi incredibili occhi luccicanti, sembrava proprio un insetto. Un insetto perico-
loso. Sorrise e le porse un oggetto avvolto in un pezzo di stoffa, legato con spago. «Questo è per te.» Lei lo rigirò nelle mani. «Che cos'è?» «Aprilo», la esortò il Ladro, sedendosi. Sonea si accomodò di fronte a lui e slegò lo spago. La stoffa scivolò via, rivelando un vecchio libro con la copertina di pelle. Una grossa sezione di pagine si era staccata dalla rilegatura. Sonea guardò Faren, accigliata. «Un vecchio libro?» Lui annuì. «Guarda il titolo.» Sonea abbassò lo sguardo, poi lo alzò di nuovo. «Non so leggere.» L'uomo batté le palpebre, sorpreso. «Certo.» Scosse il capo. «Mi spiace, avrei dovuto immaginarlo. È un libro di magia. Ho mandato uno dei miei a cercare in tutti i banchi dei pegni e nei nascondigli dei barboni che frugano nei rifiuti. A quanto risulta, i maghi bruciano i vecchi libri; tuttavia, secondo il proprietario del negozio, questo gli è stato venduto da un servitore disobbediente e intraprendente. Guarda dentro.» Sonea aprì la copertina e trovò un pezzo di carta piegato. Lo prese e notò immediatamente lo spessore della carta. Un foglio così ben fatto poteva costare più di un pasto per una famiglia numerosa o di un mantello nuovo. Lo spiegò, guardò i caratteri neri che si srotolavano in righe perfette sulla pagina e restò senza fiato quando vide il simbolo stampato nell'angolo: un diamante con una «Y» che lo divideva in tre parti: il simbolo della Corporazione. «Che cos'è?» domandò in un sussurro. «Un messaggio», rispose Faren. «Per te.» «Per me?» Il Ladro annuì. «Come sapevano che mi sarebbe arrivato?» «Non lo sapevano, ma lo hanno dato a uno che ha contatti coi Ladri, e lui lo ha trasmesso.» Sonea glielo porse. «Che dice?» Faren prese il foglio dalle sue mani. «Dice: 'Alla giovane coi poteri magici. Dal momento che non possiamo parlarti di persona, inviamo questo messaggio tramite i Ladri nella speranza che loro sappiano raggiungerti. Desideriamo assicurarti che non è nostra intenzione farti del male in nessun modo. Sappi inoltre che il giorno dell'Epurazione non intendevamo fare del male né a te né a quel ragazzo: la sua morte è stata un tragico incidente. Desideriamo solo insegnarti a controllare il potere e offrirti l'opportunità di unirti alla Corporazione. Sei la benvenuta tra noi'. Firmato: 'Lord
Rothen della Corporazione dei maghi'.» Sonea fissò incredula il messaggio. I maghi volevano che lei, una ragazza dei bassifondi, entrasse a far parte della Corporazione? Dev'essere un trucco. Un tentativo per stanarmi. Si ricordò del mago che aveva fatto irruzione nel solaio e di come l'avesse definita nemica della Corporazione. Non sapeva che lei lo aveva sentito. Quella era più probabilmente la verità. Faren ripiegò la pergamena e la infilò in tasca. Notando il suo sorriso furbesco, Sonea s'insospettì. Come poteva sapere se quello che aveva letto era veramente ciò che diceva il messaggio? Ma perché inventarsi tutto? Faren voleva che lavorasse per lui, non che si unisse ai maghi. A meno che non stesse mettendo alla prova la sua... Il Ladro inarcò un sopracciglio. «Cosa pensi, giovane Sonea?» «Non credo alle loro parole.» «Perché no?» «Non prenderebbero mai una dwell.» Lui sfregò il bracciolo della sedia. «E se scoprissi che vogliono davvero che ti unisca a loro? Molte persone comuni sognano di diventare maghi. Forse la Corporazione desidera redimersi agli occhi della gente.» Sonea scosse la testa. «È un trucco. Hanno sbagliato nell'individuare il dwell, non nell'ucciderlo.» Faren annuì lentamente. «Questo è quello che dicono molti testimoni. Be', declineremo l'invito della Corporazione e penseremo a questioni più importanti.» Indicando il libro che aveva in grembo, aggiunse: «Non so se ti sarà utile. Dovrò trovare qualcuno che te lo legga. Potrebbe essere il caso che impari a leggere per conto tuo». «La zia mi aveva insegnato qualcosa», replicò Sonea sfogliando le pagine. «Ma è stato tanto tempo fa.» Alzò lo sguardo e chiese: «Potrò vedere presto Jonna e Ranel? Jonna potrebbe insegnarmi a leggere». Lui scosse la testa. «Non prima che i maghi smettano...» Faren si accigliò e inclinò lievemente la testa. Sonea udì un lieve trillo. «Che cos'è?» Il Ladro si alzò. «Aspetta qui», disse, e scomparve nel buio oltre il pannello. Sonea mise da parte il libro e si avvicinò al caminetto. Il pannello si riaprì e Faren rientrò nella stanza. «Svelta», le disse brusco. «Seguimi... e non parlare.» Le passò accanto, e lei restò per un istante a fissarlo prima di muoversi. Faren prese un piccolo oggetto da una tasca e lo passò più volte sopra la
pannellatura. Sonea si avvicinò e vide un nodo del legno spostarsi in avanti fino a sporgere di mezzo dito. Il Ladro lo afferrò e tirò: una sezione del muro si aprì verso l'interno. Faren prese la ragazza per un braccio e la trascinò nell'ombra. Poi spinse il nodo in modo da farlo rientrare nel pannello e chiuse la porta. Rimasero al buio. Via via che gli occhi si adattavano, Sonea notò sulla porta, all'altezza della spalla, cinque minuscoli fori distanziati. Vicino a uno c'era l'occhio di Faren. «Ci sono modi più rapidi per uscire dalla stanza», le disse. «Ma, visto che ne avevamo il tempo, ho pensato fosse meglio scegliere una porta quasi impossibile da aprire. Guarda.» Si allontanò dallo spioncino, e lei batté le palpebre quando una fiamma illuminò all'improvviso il buio. Faren sollevò una piccola lampada e ne chiuse in parte lo schermo, in modo che solo un sottile raggio di luce filtrasse nel passaggio. Le indicò la serie di catenacci metallici e di complicati sistemi di chiusura sul retro della porta. «Che sta succedendo?» domandò Sonea. «Un gruppetto di maghi ti sta ancora cercando. Ormai le mie spie conoscono il loro aspetto, i loro nomi e i loro movimenti. Abbiamo inviato loro falsi informatori e li abbiamo tenuti occupati.» Gli occhi gialli di Faren brillarono nella fosca luce mentre chiudeva i catenacci. «Oggi si sono comportati in modo strano. Sono venuti più numerosi del solito nei bassifondi, e sopra la tunica portavano un mantello. Si sono appostati ovunque, come in attesa di qualcosa. Non so di che cosa, ma hanno continuato a spostarsi da un punto all'altro. Secondo Ceryni, stanno cercando di rintracciarti; ha detto che probabilmente avvertono la tua presenza con la magia. Non ci ho creduto finché...» Faren si zittì. La sottile striscia di luce della lampada scomparve e il buio invase il passaggio. Sonea lo sentì accostarsi al muro, allora avanzò cauta e avvicinò l'occhio a un foro. L'ingresso della stanza era aperto, un semplice rettangolo nero. Dapprima pensò che il nascondiglio fosse vuoto, poi una figura entrò nel suo campo visivo da una camera laterale. Le sue vesti verdi ondeggiarono quando si fermò. «I miei sono riusciti a fermarli facendo crollare il passaggio, ma uno è passato lo stesso», bisbigliò Faren. «Non ti allarmare. Nessuno può superare questa porta.» Sonea avvicinò di nuovo l'occhio al foro ed ebbe un tuffo al cuore. Il
mago sembrava fissare proprio lei. «Ci può sentire?» mormorò Faren. «Ho verificato più volte i muri.» «Forse riesce a vedere la porta», suggerì lei. «No. Dovrebbe guardare molto bene. E, anche se iniziasse a cercare porte, ci sono cinque uscite che conducono fuori da quella stanza. Perché scegliere proprio questa?» Il mago si avvicinò a loro e si fermò. Fissò il legno, poi chiuse gli occhi, e Sonea avvertì una sensazione fin troppo familiare. Quando li riaprì, non era più accigliato e stava guardando direttamente Faren. «Come fa a sapere?» sibilò questi. «Stai usando la magia?» «No», rispose lei sorpresa dal tono sicuro della sua voce. «Io posso nascondermi da lui. Sei tu. Sta sentendo te.» «Me?» Faren girò la testa e la guardò. Sonea si strinse nelle spalle. «Non mi chiedere perché.» «Mi puoi nascondere?» La voce di Faren era tesa. «Ci puoi nascondere entrambi?» Sonea si allontanò dal muro. Ne era in grado? Non poteva nascondere ciò che il mago percepiva senza percepirlo lei stessa. Guardò Faren, poi lo guardò meglio. Era come se in lei si fossero amplificati i sensi... no, era come se avesse un altro senso che non fosse la vista o l'udito, in grado di avvertire una persona. Faren imprecò. «Smetti di fare quello che fai», ansimò. Qualcosa sfiorò il muro, e lui arretrò. «Sta cercando di aprire la porta, il che ci dà un po' di tempo. Temevo la facesse saltare.» Aprì lo schermo della lampada e fece cenno a Sonea di seguirlo. Avevano fatto solo pochi passi quando il rumore di un catenaccio che scorreva a contatto col legno li bloccò. Faren si voltò e imprecò. Alzò la lampada fino a illuminare la parete. I catenacci si stavano aprendo a uno a uno. Sonea vide gli ingranaggi dei meccanismi della porta iniziare a ruotare; poi, quando la lampada cadde a terra, il cunicolo piombò nel buio. «Corri!» sibilò Faren. «Seguimi!» Tendendo una mano verso la parete del cunicolo, Sonea seguì lo scalpiccio del Ladro. Non aveva percorso più di venti passi quando un triangolo di luce la superò, proiettando la sua ombra sul pavimento. Poi un rumore di stivali riecheggiò nella galleria alle sue spalle, che fu invasa da una luce intensa. L'ombra della ragazza rimpicciolì rapidamente e Sonea avvertì una sensazione di calore all'orecchio; mentre si scostava, una sfera di luce la
superò. Sfrecciò oltre Faren e si estese a formare una barriera luminosa. Il Ladro si fermò e si girò per affrontare l'inseguitore, il volto pallido sotto la luce bianca. Raggiuntolo, anche Sonea si girò. Una figura con indosso una tunica avanzava a grandi passi verso di loro. Col cuore che le martellava nel petto, Sonea arretrò fino a sentire la vibrazione e il calore della barriera alle sue spalle. Faren emise una specie di grugnito, poi chiuse le mani a pugno e si mosse in direzione del mago. Sorpresa, Sonea non poté fare altro che restare a fissarlo. «Tu!» Faren indicò il mago. «Chi credi di essere? Questo è il mio dominio. Tu lo stai violando!» La sua voce riecheggiò nel passaggio. Il mago rallentò e guardò il Ladro con aria circospetta. «La legge dice che possiamo andare dov'è necessario.» «La legge dice pure che non potete nuocere alle persone o alle loro proprietà», ribatté Faren. «E io dico che nelle ultime settimane avete nuociuto abbastanza a entrambe.» Il mago si fermò e sollevò le mani in un gesto di rassicurazione. «Non intendevamo uccidere quel ragazzo. È stato un tragico errore.» Il mago si rivolse a Sonea, e lei sentì un brivido lungo la schiena. «Ci sono molte cose che ti dobbiamo spiegare. Devi imparare a controllare i tuoi poteri...» «Non capite?» sibilò Faren. «Lei non vuole diventare un mago; non vuole avere niente a che fare con voi. Lasciatela in pace.» «Non posso», replicò il mago scuotendo il capo. «Deve venire con noi...» «No!» urlò Faren. Gli occhi del mago divennero freddi e comunicarono a Sonea una sensazione di gelo. «No, Faren!» gridò lei. «Ti ucciderà!» Ignorandola, questi si stabilizzò sulle gambe e allungò le mani verso le pareti del cunicolo. «Se la vuoi, devi venire a prenderla», ringhiò. Il mago esitò, poi fece un passo in avanti coi palmi rivolti verso Faren. Un clangore metallico risuonò nella galleria. Il mago tese le braccia e svanì. Sconcertata, Sonea fissò il pavimento dove il mago si trovava fino a pochi istanti prima. Al suo posto era comparso un quadrato scuro. Faren abbassò le braccia, reclinò il capo e iniziò a ridere. Col cuore che le martellava ancora nel petto, Sonea avanzò cauta. Abbassò quindi lo sguardo e vide che il quadrato scuro era un grosso buco nel pavimento. «Che cos'è successo?»
La risata di Faren si trasformò in un sogghigno. L'uomo si allungò e spostò un mattone nel muro. Frugò nella cavità, afferrò qualcosa e la tirò grugnendo per lo sforzo. Una botola salì lentamente e richiuse il buco. Faren vi gettò sopra un po' di terra coi piedi. «È stato fin troppo facile», disse pulendosi le mani con un fazzoletto. Sorrise a Sonea e accennò un rapido inchino. «Ti è piaciuto il mio numero?» Lei sentì un sorriso abbozzarsi sulle sue labbra. «Mi sembra di sognare.» Le sopracciglia di Faren si sollevarono. «Lo hai trovato convincente, mi sembra. 'No, Faren! Ti ucciderà!'» esclamò con voce stridula. Si mise una mano sul cuore e sorrise. «Mi ha molto toccato la tua preoccupazione per la mia incolumità.» «Approfittane», replicò lei. «Potrebbe non durare a lungo.» Toccando la botola con un dito del piede, chiese: «Dove porta?» Lui si strinse nelle spalle. «Oh, dritto in una fossa piena di punte di ferro.» Sonea lo fissò. «Vuoi dire che... è morto?» «Assolutamente morto», assentì Faren con un lampo negli occhi. Sonea guardò la botola. Di certo non... ma Faren aveva detto... anche se il mago potrebbe essere riuscito a... D'un tratto ebbe una sensazione di freddo e di malessere. Non aveva mai pensato che i maghi potessero morire. Che restassero feriti, forse, ma non che morissero. Che cosa avrebbe fatto la Corporazione quando avesse saputo che un mago era morto? «Sonea.» Faren le mise una mano sulla spalla. «Non è morto. La trappola porta a un pozzo nero. È concepita come via di fuga. Ne uscirà puzzando peggio del fiume Tarali, ma ne uscirà vivo.» La ragazza annuì, sollevata. «Ma pensa a quello che avrebbe fatto a te, Sonea. Un giorno potresti essere costretta a uccidere per la tua libertà.» Sollevando un sopracciglio, aggiunse: «Ci avevi pensato?» Senza attendere una risposta, il Ladro si girò e guardò la barriera di luce e di calore che bloccava ancora il passaggio. Scosse la testa e si avviò verso il nascondiglio. Sonea superò nervosa la botola e lo seguì. «Non possiamo tornare lì», disse Faren riflettendo ad alta voce mentre camminava. «Altri maghi potrebbero aver trovato ulteriori vie di accesso. Dobbiamo...» Si avvicinò di più al muro per ispezionarlo. «Ah, eccolo.» Sonea restò senza fiato quando il pavimento le si aprì sotto i piedi. Qualcosa di duro la colpì sul sedere, e un attimo dopo si ritrovò a scivolare su
una superficie liscia e inclinata. L'aria si riscaldò rapidamente e assunse un odore sgradevole. D'un tratto si ritrovò a volare e a cadere in una tenebra umida. L'acqua le riempì naso e orecchie, ma riuscì a tenere la bocca ben chiusa. Scalciando, toccò il fondo e si spinse verso la superficie. Aprì gli occhi in tempo per vedere Faren precipitare da un passaggio e cadere nella pozza. Il Ladro si dimenò e raggiunse la superficie imprecando. «Argh!» ruggì. Si pulì gli occhi e imprecò di nuovo. «Era la botola sbagliata!» Sonea incrociò le braccia. «Allora il mago dov'è finito?» Faren alzò lo sguardo, e una luce malvagia pervase i suoi occhi gialli. «Nello scivolo dei rifiuti della casa di produzione del bol, a pochi edifici da qui. Quando ne uscirà, puzzerà di tugor fermentato per una settimana.» Sonea sbuffò e si avviò verso il bordo del pozzo. «È peggio di questo?» Il Ladro si strinse nelle spalle. «Per un mago forse sì. Da quello che so, odiano quella roba.» Uscì anche lui dal pozzo e le lanciò un'occhiata indagatrice. «Penso ti sia debitore di un bagno e di un cambio d'abiti, eh?» «Per avere quasi fallito nel compito di proteggermi?» Sonea si strinse nelle spalle. «D'accordo, ma dovrai pensare a qualcosa di meglio che gettarmi in un pozzo nero.» Lui sorrise. «Vedrò quello che posso fare.» 10 SCHIERAMENTI L'aria era fresca e frizzante per l'inverno in arrivo e il cielo carico di nubi grigie, eppure l'umore di Rothen si risollevò quando uscì. Era il Giornolibero. Per gran parte dei maghi il quinto e ultimo giorno della settimana era riservato al riposo. I novizi lo dedicavano in parte allo studio, per gli insegnanti era invece un'occasione per rivedere e preparare le lezioni. Rothen trascorreva di solito un'ora a camminare nei giardini, poi tornava al suo alloggio a preparare le lezioni. Quella settimana tuttavia non aveva niente da preparare. Da quand'era stato ufficialmente nominato responsabile delle ricerche, le sue mansioni didattiche erano state delegate a un altro, e lui passava la maggior parte del tempo a coordinare i volontari. Era un incarico estenuante, sia per lui sia per i volontari. Avevano trascorso le ultime tre settimane, compresi i Giorniliberi, a caccia della ragazza. Rothen sapeva che, se la ricerca fosse diventata impegnativa in termini di tempo,
alcuni si sarebbero ritirati, perciò l'aveva sospesa per un giorno. Svoltò un angolo e giunse in vista dell'Arena della Corporazione. Otto pinnacoli ricurvi si levavano dalla base circolare a formare una struttura atta a reggere un potente scudo, che proteggeva qualsiasi cosa si trovasse all'esterno dalle forze scatenate durante le lezioni di Combattimento. Dentro vi erano quattro novizi, ma quel giorno non si teneva nessuna spettacolare dimostrazione di potere. I novizi si fronteggiavano, a coppie, e brandivano le spade con movimenti controllati, sincronizzati. Ad alcuni passi di distanza, Fergun li osservava attentamente. Mentre li guardava, Rothen si trattenne dall'esprimere la sua disapprovazione. Di certo i novizi avrebbero fatto meglio a impiegare il tempo a studiare piuttosto che a cimentarsi in quell'arte marziale di secondaria importanza. Il combattimento con la spada non rientrava tra le discipline universitarie. I novizi decisi ad apprenderlo rinunciavano al loro tempo libero per farlo. Era un hobby, e Rothen sapeva che per i giovani era salutare avere un interesse che esulasse dalla magia e li trascinasse fuori dalle loro stanze soffocanti. Ma aveva sempre creduto che tuniche e spade non andassero molto d'accordo. C'erano già troppi modi in cui un mago poteva nuocere a una persona; perché aggiungerne un altro di natura non magica? Due maghi erano in piedi sulle gradinate dell'Arena e guardavano assorti. Rothen riconobbe l'amico di Fergun, Lord Kerrin, e Lord Elben, docente di Alchimia. Provenivano entrambi dalla potente Casa Maron, come Fergun. Entrando nella Corporazione, novizi e maghi avrebbero dovuto lasciarsi alle spalle alleanze e inimicizie, ma ben pochi lo facevano. Fergun chiamò uno dei novizi. Maestro e novizio si salutarono e si accovacciarono. Rothen trattenne il fiato quando il novizio avanzò sicuro brandendo la spada, pronto a sferrare l'attacco. Fergun si fece avanti e la sua arma divenne quasi invisibile tanto rapida si mosse. Il novizio si bloccò all'istante e abbassò lo sguardo, accorgendosi di avere la spada di Fergun puntata al petto. «È tentato d'iscriversi al corso di Lord Fergun?» gli chiese una voce familiare alle sue spalle. Rothen si girò. «Alla mia età, Amministratore?» Scosse la testa. «Anche se avessi trent'anni in meno, non ne vedrei lo scopo.» «Acuisce i riflessi, mi dicono, ed è utile per imparare disciplina e concentrazione», replicò Lorlen. «Lord Fergun gode di un certo sostegno per
il suo corso e ci ha chiesto di valutare la possibilità d'includere il combattimento con la spada negli studi universitari.» «Dovrebbe deciderlo Lord Balkan, no?» «In parte. Il capo dei maghi guerrieri deve sottoporre la proposta ai maghi superiori, che la votano. Quando - e se - farlo spetta a lui stabilirlo», rispose Lorlen allargando le mani. «Ho sentito che ha deciso di concedere una giornata di riposo a quanti sono impegnati nelle ricerche.» Rothen annuì. «Hanno lavorato molto, talvolta fino a tarda notte.» «Sono state quattro settimane impegnative per tutti voi», convenne Lorlen. «Avete fatto progressi?» «Non molti», ammise Rothen. «Non dalla scorsa settimana. Ogniqualvolta la percepiamo, scopriamo che si è già spostata.» «Come aveva previsto Dannyl.» «Sì, stiamo però verificando se i suoi spostamenti siano ripetitivi. Se tornasse in uno dei nascondigli, potremmo essere in grado di localizzarla più rapidamente della prima volta.» «E che mi dice di quell'uomo che l'ha aiutata a fuggire? Pensa sia un Ladro?» Rothen si strinse nelle spalle. «Forse. Ha accusato Lord Jolen di avere invaso il suo territorio, il che suggerirebbe di sì, ma trovo difficile credere che un lonmar sia un Ladro. Potrebbe trattarsi di qualcuno che la protegge e la sua accusa essere stata solo un modo per attirare Jolen sul coperchio della botola.» «Quindi c'è la possibilità che non abbia a che fare coi Ladri?» «La possibilità c'è, ma è molto remota. Dubito che la ragazza abbia denaro per pagare qualcuno che la protegga. Gli uomini che Jolen ha incontrato nel cunicolo e le stanze confortevoli in cui si trovava suggeriscono che qualcuno pieno di risorse e d'inventiva si stia prendendo cura di lei.» «A ogni modo, non ci sono buone notizie.» Lorlen sospirò e guardò i novizi nell'Arena. «Il re non è contento, e non lo sarà finché la ragazza non sarà sotto il nostro controllo.» «Anch'io non mi darò pace finché non l'avremo trovata.» Lorlen annuì. Increspò le labbra e guardò di nuovo Rothen. «C'è un'altra questione di cui vorrei discutere con lei.» «Sì?» Lorlen esitò, come se soppesasse con cura le parole. «Lord Fergun vuole chiedere di diventarne il tutore.» «Sì, lo so.»
Lorlen inarcò le sopracciglia. «È inaspettatamente bene informato, Lord Rothen.» «Inaspettatamente, sì. L'ho saputo per caso.» «Lei intende ancora chiedere di diventarne il tutore?» «Non ho ancora deciso. Dovrei farlo?» Lorlen scosse la testa. «Non vedo ragione di affrontare il problema prima che venga trovata la ragazza, ma è consapevole che a quel punto, se entrambi avrete ancora intenzione di diventarne il tutore, dovrò convocare un'Udienza?» «Certo.» Rothen esitò per un istante. «Posso farle una domanda?» «Naturalmente.» «Fergun ha una valida argomentazione per sostenere la richiesta?» «Forse. Dice che, dato che ha sperimentato le conseguenze della magia della ragazza, è stato il primo a riconoscerne i poteri. Lei invece, Lord Rothen, ha dichiarato di averla vista dopo che li aveva utilizzati e di averla individuata dall'espressione, il che significa che non l'ha vista o sentita usare i poteri. Non è chiaro come si applichi la legge in questo caso e, quando si tratta di adattare una norma a una situazione, spesso è l'interpretazione più semplice a prevalere.» «Capisco», annuì Rothen, accigliato. Lorlen gli fece cenno di seguirlo e si avviò in direzione dell'Arena con passi lenti e misurati. «Fergun è determinato e ha un forte sostegno, ma molti sosterrebbero anche lei.» Rothen annuì, poi sospirò. «Non è una decisione facile. Preferirebbe se non portassi scompiglio nella Corporazione presentando anch'io richiesta? Avrebbe meno fastidi.» «Cosa preferirei?» Lorlen sogghignò e guardò Rothen direttamente negli occhi. «In nessuno dei due casi avrei meno fastidi», rispose con un sorriso ambiguo, e quindi chinò il capo. «Buona giornata, Lord Rothen.» «Buona giornata.» Avevano raggiunto il bordo della gradinata che circondava l'Arena. I novizi erano a coppie e si esercitavano a compiere determinate mosse. Rothen si fermò a guardare mentre Lorlen scendeva verso la coppia di maghi intenti a osservare la lezione. Qualcosa nel suo sguardo gli aveva fatto capire che in quelle parole vi fosse un sottinteso. Gli spettatori sussultarono quando Lorlen apparve al loro fianco. «Saluti, Lord Kerrin, Lord Elben.» «Amministratore.» I due chinarono il capo. Poi, quando un novizio urlò
di sorpresa, spostarono di nuovo rapidi lo sguardo sull'Arena. «Un buon insegnante», commentò entusiasta Lord Elben indicando l'Arena. «Stavamo proprio dicendo che Lord Fergun sarebbe un degno tutore per la ragazza dei bassifondi. Dopo alcuni mesi di rigidi insegnamenti, sarebbe abile e disciplinata come i migliori dei nostri.» «Lord Fergun è un uomo responsabile», replicò Lorlen. «Non vedo nessuna buona ragione per cui non debba occuparsi dell'addestramento di un novizio.» Eppure, fino a ora non aveva dimostrato nessun interesse, considerò Rothen. Si girò e continuò a passeggiare nei giardini. La nomina di un tutore non era una prassi comune; ogni anno venivano segnalati alcuni novizi a tale riguardo, ma solo quelli dotati di un talento o un potere eccezionali. Al di là della forza e dell'abilità che avrebbe potuto dimostrare, la ragazza dei bassifondi aveva bisogno di essere aiutata e sostenuta per adattarsi alla vita nella Corporazione. Come tutore, lui sarebbe stato in grado di darle quell'aiuto. Rothen dubitava che Fergun fosse animato dalle stesse motivazioni. Se le parole di Lord Elben avevano un valore, Fergun aveva intenzione di trasformare la ragazza da vagabonda indisciplinata in novizia mansueta e obbediente. Se vi fosse riuscito, avrebbe goduto di una certa ammirazione. Come pensasse di riuscirci non era noto, dato che i poteri della giovane erano probabilmente molto forti e i suoi invece deboli. Se lei avesse deciso di disobbedirgli, Fergun non sarebbe stato in grado di fermarla. Anche per tale motivo i maghi venivano scoraggiati dal diventare tutori di novizi più potenti di loro. Un mago debole diventava di rado un tutore, dal momento che la richiesta di addestrare un novizio dai poteri inferiori avrebbe messo in risalto le carenze di entrambi. Ma la ragazza vagabonda era un caso diverso. A nessuno sarebbe importato se i limiti di Fergun ne avessero compromesso l'apprendimento; per la maggior parte dei maghi, era già fortunata a ricevere un addestramento. E, se Fergun avesse fallito, chi mai l'avrebbe biasimato? Avrebbe sempre potuto addurre le umili origini di lei come alibi. Se ne avesse trascurato l'addestramento, nessuno avrebbe sollevato obiezioni... Rothen scosse la testa. Stava iniziando a pensare come Dannyl. Fergun era disposto ad aiutare la ragazza, il che era già di per sé abbastanza nobile. A differenza di Rothen, che era stato tutore di due novizi, Fergun doveva conquistarsi un po' di gloria, e in ciò non vi era niente di male. O no? Che cos'aveva detto Lorlen? In nessuno dei due casi avrei meno fastidi.
Rothen sogghignò quando comprese infine il messaggio di Lorlen. Se aveva capito bene, lasciar vincere Fergun gli avrebbe comportato gli stessi fastidi che discutere dell'affidamento dell'incarico... e la discussione non sarebbe stata di certo indolore. Ciò significava che Lorlen gli aveva lanciato un chiaro messaggio di disponibilità ad appoggiarlo. Come sempre, le guardie di Sonea se ne stavano in silenzio mentre la conducevano nelle gallerie. Al di là delle settimane passate nel primo nascondiglio, la ragazza era stata quasi sempre in movimento. La piacevole differenza era che ormai, mentre camminava, non era tormentata dalla paura di essere scoperta. La guardia al comando si fermò davanti a una porta e bussò. Sulla soglia comparve un volto scuro, familiare. «Resta a sorvegliare la porta», ordinò Faren. «Entra, Sonea.» Lei mise piede nella stanza ed ebbe un tuffo al cuore quando vide una figura più bassa alle spalle di Faren. «Cery!» Il ragazzo sorrise e la strinse in un rapido abbraccio. «Come stai?» «Bene. E tu?» «Sono contento di vederti», disse Cery scrutandola in volto. «Hai un aspetto migliore.» «Non incontro un mago faccia a faccia da... almeno qualche giorno», replicò lei. Faren ridacchiò. «Sembra che li abbiamo messi nel sacco.» La stanza era piccola, ma confortevole, e un bel fuoco bruciava in una nicchia del muro. Il Ladro li condusse verso due sedie. «Hai fatto progressi, Sonea?» Lei trasalì. «No, ancora niente. Provo in continuazione, ma non succede mai quello che voglio.» Accigliandosi, aggiunse: «Anche se adesso quasi sempre ha effetto. Prima ci volevano alcuni tentativi prima che accadesse qualcosa». Faren si appoggiò alla sedia e sorrise. «Ma questo è un progresso. I libri ti hanno aiutata?» Sonea scosse la testa. «Non li capisco.» «Lo scriba non è chiaro?» «No, non è questo. Lui legge bene. È solo che... be', ci sono troppe parole strane e alcune cose non hanno senso.» Il Ladro annuì. «Se avessi più tempo per studiarli, forse ne scopriresti il
significato. Sto cercando altri libri.» Increspando le labbra, li guardò entrambi con aria indagatrice. «Sto verificando alcune voci. Si dice da anni che un Ladro abbia coltivato un'amicizia con un uomo che sa qualcosa di magia. Ho sempre pensato fosse una storia inventata, per obbligare il resto di noi a rispettare le regole, ma a ogni modo sto verificando.» «Un mago?» domandò Cery. Faren si strinse nelle spalle. «Non lo so. Ne dubito. Più probabilmente è solo qualcuno che fa qualche trucco che sembra magico. Se però conoscesse la vera magia, potrebbe essere utile. V'informerò quando ne saprò di più.» Sorrise e aggiunse: «Queste sono tutte le notizie che ho, ma credo che Cery ne abbia altre». Il ragazzo annuì. «Harrin e Donia hanno trovato i tuoi zii.» «Davvero?» Sonea si spostò sul bordo della sedia. «Dove sono? Stanno bene? Hanno trovato una buona sistemazione? Harrin ha...?» Cery agitò le mani. «Hai! Una domanda alla volta!» Sonea sorrise e si protese impaziente verso di lui. «Scusami, raccontami quello che sai.» «Be', sembra che abbiano trovato una stanza nella zona dove abitavano prima, ma più bella, a poche strade di distanza. Ranel ti ha cercata tutti i giorni. Hanno saputo che i maghi davano la caccia a una ragazza, ma non pensavano fossi tu.» Cery sogghignò. «Jonna ha brontolato un po' quando Harrin le ha detto che ti eri unita a noi durante l'Epurazione, ma poi le ha raccontato quello che hai fatto. All'inizio non ci credevano. Ha raccontato che abbiamo cercato di nasconderti, della ricompensa e del fatto che ora sei protetta dai Ladri. Harrin dice che non hanno reagito tanto male come pensava, non quando ha spiegato loro tutto quanto.» «Gli hanno dato un messaggio per me?» «Gli hanno detto di dirti di prenderti cura di te e di stare attenta nel fidarti di chi incontri.» «L'ultima frase era di Jonna», commentò Sonea sorridendo pensierosa. «È così bello sapere che hanno trovato un posto e che ora sanno che non sono scappata.» «Harrin ha temuto che Jonna lo uccidesse quando ha saputo che ti aveva invitata a unirti a noi durante l'Epurazione. Dice che passeranno dalla locanda per avere notizie. Hai qualche messaggio per loro?» «Solo che sono al sicuro e sto bene.» Guardando Faren, chiese: «Li porterai da me?» Lui si rabbuiò. «Sì, ma solo quando sarà sicuro. È possibile, anche se ne
dubito, che i maghi sappiano chi sono e ti rintraccino tramite loro.» Sonea inspirò bruscamente. «E che succede se sanno chi sono e minacciassero di fare loro del male, se non mi consegno?» Il Ladro sorrise. «Non credo lo faranno, di certo non pubblicamente. Se cercassero di farlo in segreto...» Faren annuì a Cery. «Troveremo il modo di risolvere la faccenda, Sonea. Non ti preoccupare di cose del genere.» Il ragazzo sorrise debolmente. Sorpresa dall'implicita alleanza tra i due, Sonea studiò con attenzione l'amico: aveva le spalle contratte per la tensione e aggrottava la fronte ogni volta che guardava Faren. Non c'era da aspettarsi che fosse rilassato in presenza di un Ladro, ma sembrava un po' troppo preoccupato. Sonea si voltò a guardare Faren. «Posso parlare un attimo con Cery? A tu per tu?» «Certo.» Il Ladro si alzò e si avvicinò alla porta, poi si voltò. «Cery, quando hai finito, ho qualcosa per te. Niente di urgente. Prenditi pure il tempo che vuoi. Ci vediamo domani, Sonea.» «A domani», replicò lei con un cenno del capo. Quando la porta si chiuse alle spalle del Ladro, Sonea si girò verso l'amico. «Sono al sicuro qui?» gli chiese a bassa voce. «Per il momento», annuì lui. «E dopo?» Cery si strinse nelle spalle. «Questo dipende dai tuoi poteri.» Lei si allarmò. «E se non scoprissi mai come fare?» Il ragazzo si chinò e le prese la mano. «Ci riuscirai; devi solo fare pratica. Se fosse facile, non ci sarebbe una Corporazione, no? Da quello che ho sentito, ci vogliono cinque anni perché un novizio sia abbastanza bravo da essere chiamato 'Lord tal dei tali'.» «Faren lo sa?» Cery annuì. «Ti darà tempo.» «Allora sono al sicuro.» «Sì.» Sonea sospirò. «E tu?» «Mi rendo utile.» Lei lo guardò dritto negli occhi. «Ti rendi schiavo di Faren?» Cery distolse lo sguardo. «Non c'è bisogno che tu stia qui», gli disse Sonea. «Io sono al sicuro, lo hai detto tu. Va' via prima che ti catturino per sempre.» Cery scosse il capo, si alzò e lasciò la sua mano. «No. Tu hai bisogno di
avere accanto una persona conosciuta, qualcuno di cui fidarti. Non ti lascerò sola con loro.» «Ma non puoi diventare lo schiavo di Faren soltanto per far sì che io abbia un amico con cui parlare. Torna da Harrin e Donia. Sono certa che Faren lascerà che tu venga a trovarmi ogni tanto.» Cery si avvicinò alla porta, poi si girò a guardare l'amica. «È quello che voglio», disse con occhi luccicanti. «Da quanto ricordo, tutti hanno sempre detto che lavoravo per i Ladri. Adesso ho la possibilità di farlo sul serio.» Sonea lo fissò. Era davvero quello che voleva? Una persona valida come Cery poteva scegliere di diventare... Cosa? Un assassino spietato avido di denaro? La ragazza guardò altrove. Quella era l'opinione che Jonna aveva dei Ladri. Cery aveva sempre detto che i Ladri, oltre che gestire il contrabbando e rubare, potevano fornire aiuto e protezione. Lei non poteva - non doveva - impedirgli di fare ciò che aveva sempre voluto fare. Se il lavoro fosse stato diverso dalle aspettative, era furbo abbastanza da mollare tutto e andarsene. Sonea deglutì e sentì d'un tratto un nodo alla gola. «Se è questo quello che vuoi», disse. «Solo sta' attento.» Lui si strinse nelle spalle. «Lo faccio sempre.» Sonea sorrise. «È bello sapere che mi verrai sempre a trovare.» Cery ricambiò il sorriso. «Niente me lo impedirebbe.» Il bordello si trovava nella parte più buia e sporca dei bassifondi. Come in gran parte dei casi, al pianterreno vi era una casa del bol e al primo piano le stanze delle ragazze più carine. Tutte le altre attività si svolgevano nel retro dell'edificio. Quando Cery vi entrò, ripensò alle parole di Faren: Conosce la maggior parte delle facce, ma la tua no. Fingi di essere nuovo. Pagagli un buon prezzo per quello che ha e portami la merce. Varie ragazze gli si avvicinarono mentre attraversava la stanza; avevano un'aria emaciata e stanca. Un fuoco stentato che emanava poco calore bruciava in un caminetto sul lato della stanza. Il barista stava parlando animatamente con un paio di clienti. Cery sorrise alle ragazze e le guardò a una a una come se le esaminasse; poi, seguendo le istruzioni, si avvicinò a una grassottella originaria di Elyne. «Vuoi divertirti un po'?» gli chiese lei. Aveva una piuma tatuata su una spalla. «Forse più tardi», replicò Cery. «Ho sentito che avete una stanza per gli incontri.»
Lei sgranò gli occhi e annuì svelta. «Sì, di sopra. L'ultima a destra. Ti accompagno.» Lo prese per mano e lo condusse su per le scale. La sua stretta era vagamente esitante. Mentre saliva, Cery guardò in basso e notò che molte ragazze lo stavano osservando con aria intimorita. Turbato, quando raggiunse la sommità delle scale si guardò cauto intorno e si avviò lungo il corridoio. La ragazza col tatuaggio lasciò andare la sua mano e gli indicò la stanza in fondo. «È l'ultima porta.» Cery le mise in mano una moneta e proseguì. Aprì con prudenza la porta e sbirciò dentro: la stanza era minuscola, conteneva solo un tavolino e due sedie. Lui entrò e ispezionò ogni cosa rapidamente. Nei muri erano stati praticati vari spioncini, e sospettava vi fosse una botola sotto la logora stuoia simba stesa sul pavimento. Dalla finestrella si vedeva un muro e ben poco di più. Per essere un bordello era insolitamente tranquillo. D'un tratto, una porta si aprì nelle vicinanze, e in corridoio si udirono alcuni passi che si avvicinavano. Tornato al tavolo, Cery assunse un'aria circospetta. Un uomo comparve sulla soglia. «Tu sei il gutter?» chiese con voce stridula. Cery si strinse nelle spalle. «È quello che faccio.» Gli occhi dell'uomo guizzarono di qua e di là. Avrebbe avuto un bel volto se non fosse stato così magro e se la luce dei suoi occhi non fosse stata così fredda e violenta. «Ho qualcosa da vendere», annunciò mostrando le mani che fino a poco prima erano infilate nelle tasche. Stringevano una collana luccicante. Cery trattenne il fiato senza bisogno di fingersi sorpreso: un pezzo del genere poteva appartenere solo a un uomo o a una donna ricchi, ammesso che fosse autentico. Allungò la mano per prenderla, ma l'uomo si scostò bruscamente. «Devo controllare che non sia falsa», spiegò Cery. L'uomo si accigliò e il suo sguardo s'indurì, pieno di diffidenza. Increspò le labbra e con riluttanza posò la collana sul tavolo. «Guarda», acconsentì. «Ma non toccare.» Cery sospirò e si chinò a esaminare le pietre. Non sapeva affatto distinguere le pietre vere da quelle false - era una cosa cui avrebbe dovuto provvedere - ma aveva osservato i proprietari dei banchi dei pegni valutare i gioielli. «Girala», disse. L'uomo girò la collana dall'altra parte. Guardando con più attenzione, Cery vi scorse un nome inciso sulla mon-
tatura. «Sollevala in modo che la luce passi attraverso le pietre.» «Che ne pensi?» gli domandò l'uomo mentre lui la esaminava con gli occhi socchiusi. «La prendo per dieci pezzi d'argento.» L'uomo abbassò di colpo la mano. «Vale almeno cinquanta pezzi d'oro!» Cery sbuffò. «Chi ti darà cinquanta pezzi d'oro nei bassifondi?» La bocca dell'uomo si torse in un ghigno. «Venti pezzi d'oro.» «Cinque», replicò Cery. «Dieci.» Cery fece una smorfia. «Sette.» «Sul tavolo.» Cery infilò la mano nella tasca del mantello e contò le monete con la punta delle dita; poi ne estrasse la metà. Ne prese altre dai vari posti in cui aveva messo il denaro di Faren, fece sei pile pari al valore di un pezzo d'oro ciascuna, sospirò e quindi ne estrasse una d'oro dallo stivale. «Posa la collana», disse. L'uomo la posò accanto al denaro e prese i soldi. Cery afferrò la collana e la infilò in tasca. L'uomo guardò la piccola fortuna che aveva in mano e sorrise con gli occhi luccicanti di gioia. «Hai fatto un buon affare, ragazzo. Diventerai bravo nel mestiere.» Uscì dalla stanza arretrando, si girò e si allontanò in fretta. Cery si avvicinò alla porta e lo guardò dirigersi a grandi passi verso una delle porte. Subito dopo udì una ragazza strillare. «Adesso nessuno ci disturberà più», disse la voce stridula dell'uomo. Quando Cery passò accanto alla stanza, vi guardò dentro. La ragazza col tatuaggio era seduta su un lato del letto; alzò lo sguardo verso di lui, sgranando gli occhi per la paura. L'uomo era in piedi alle sue spalle, intento a guardare le monete che aveva in mano. Cery proseguì e andò al piano di sotto. Mentre scendeva nella casa del bol, assunse un'aria scontrosa e delusa. Cogliendola, le ragazze lo lasciarono in pace. I clienti lo squadrarono, ma non lo chiamarono né gli si avvicinarono. Fuori faceva solo un po' più freddo rispetto all'interno. Pensando alla scarsità di clienti nel bordello, Cery provò vagamente pena per le prostitute mentre attraversava la strada ed entrava nell'ombra del vicolo. «Hai un'aria annoiata, Ceryni.» Cery si girò di scatto. Passò un tempo incredibilmente lungo prima che
riuscisse a scorgere un uomo dalla pelle scura nelle tenebre. Anche dopo aver localizzato Faren, riusciva a vedere solo un paio di occhi gialli e il bagliore occasionale dei denti. «Hai quello che ti ho mandato a prendere?» domandò il Ladro. «Sì.» Cery estrasse la collana e la porse là dove pensava si trovasse Faren. Sentì alcune dita protette da guanti sfiorare le sue, e il gioiello che gli scivolava dalle mani. «È proprio questa.» L'uomo sospirò e guardò verso il bordello. «Stasera il lavoro non è finito, Cery. C'è un'altra cosa che voglio tu faccia.» «Sì?» «Voglio che torni indietro e lo uccida.» Il ragazzo sentì un brivido freddo nel ventre, una sensazione fin troppo simile a quella che immaginava avrebbe provocato la lama di un coltello. Per un istante non riuscì a pensare, poi la sua mente si mise rapida in moto. Era un'altra prova: Faren voleva vedere fino a che punto lui si sarebbe spinto. Che cosa doveva fare? Non aveva idea di ciò che sarebbe successo se avesse rifiutato, e intendeva rifiutare. Decisamente. Quella consapevolezza fu fonte sia di sollievo sia di preoccupazione. Il fatto che non volesse uccidere non significava che non potesse farlo... eppure, quando pensava all'idea di camminare per strada e di conficcare un coltello negli organi vitali di un uomo, si bloccava. «Perché?» Mentre parlava, capì di aver già fallito la prova. «Perché mi serve che venga ucciso», rispose Faren. «E perché vuoi che venga ucciso?» «Devo forse giustificarmi?» Vediamo fino a che punto riesco a spingermi. Cery raccolse tutto il suo coraggio. «Sì.» Faren emise un'esclamazione divertita. «D'accordo. L'uomo con cui hai trattato si chiama Verran. Lavora occasionalmente per un altro Ladro e a volte sfrutta quello che ha imparato per fare un po' di soldi extra. Il Ladro lo ha tollerato fino a qualche sera fa, quando Verran ha deciso di visitare senza invito una certa casa, l'abitazione di un ricco mercante che aveva un accordo col Ladro. Quando Verran è entrato, c'erano solo la figlia del mercante e alcuni servitori.» Faren tacque per un istante e Cery percepì un sibilo di rabbia. «Il Ladro mi ha autorizzato a punirlo. Anche se la ragazza fosse sopravvissuta, lui sarebbe ugualmente un uomo morto.» Gli occhi gialli si voltarono a guardare Cery. «Ovviamente ti starai chiedendo se non abbia inventato tutto. Devi decidere se fidarti di me.»
Cery annuì, poi guardò il bordello. Ogniqualvolta doveva prendere una decisione senza essere certo della verità si affidava all'istinto. Che cosa gli diceva in quel momento? Pensò allo sguardo freddo e violento e alla paura negli occhi della ragazza grassottella. Sì, quell'uomo era capace di azioni malvagie. Poi pensò alle altre prostitute, alla tensione nell'aria, alla carenza di clienti. Gli unici due uomini nell'edificio erano occupati a parlare col proprietario. Erano amici di Verran? Là dentro succedeva anche qualcos'altro. E Faren? Cery considerò tutto quello che sapeva di quell'uomo. Immaginava che, se spinto da una buona ragione, potesse essere spietato, ma sotto ogni altro aspetto si era rivelato equo e onesto. E nella sua voce aveva sentito rabbia mentre raccontava del crimine di Verran. «Non ho mai ucciso nessuno», ammise Cery. «Lo so.» «Non so se ci riesco.» «Ci riusciresti se qualcuno minacciasse Sonea, o sbaglio?» «Sì, ma questo è diverso.» «Lo è?» Cery socchiuse gli occhi e lo guardò. Faren emise un sospiro. «No, non parlavo sul serio. Non è così che lavoro. Ti sto mettendo alla prova, è giusto che tu lo sappia. Non devi uccidere quell'uomo. È più importante che impari a fidarti di me e che io conosca i tuoi limiti.» Cery ebbe un tuffo al cuore. Si era aspettato delle prove, ma Faren gli aveva affidato così tanti compiti diversi che aveva iniziato a chiedersi che cosa mai volesse da lui. Aveva in mente qualcosa? Qualcosa di diverso? Forse quella era una prova cui Cery si sarebbe trovato di nuovo di fronte, più in là negli anni. Se non era capace o disposto a uccidere, avrebbe potuto mettere in pericolo se stesso o gli altri in caso di necessità. E se tra questi vi fosse stata Sonea... D'un tratto ogni esitazione e ogni indecisione scomparvero. Faren guardò il bordello dall'altra parte della strada e sospirò. «Voglio davvero che quell'uomo muoia. Me ne occuperò di persona anche se... non importa. Lo ritroveremo.» Si voltò e fece qualche passo nel vicolo. Poi, quando si accorse che il ragazzo non lo stava seguendo, si bloccò. «Cery?» Infilate le mani in tasca, questi estrasse i pugnali. Gli occhi di Faren guizzarono sulle lame quando quelle brillarono al tenue riflesso delle finestre del bordello. Il Ladro arretrò di un passo.
Cery sorrise. «Torno subito.» 11 UN PASSAGGIO SICURO Dopo mezz'ora, il puzzo del bol divenne quasi gradevole. Il suo aroma trasmetteva un senso di calore confortante e lo allettava con la sua forza corroborante. Dannyl osservò il boccale davanti a lui. Ricordando le storie sulla sporcizia delle case di produzione del bol e sulle botti in cui galleggiavano ravi morti, non era riuscito ad assaggiare la bevanda sciropposa. Quella sera tuttavia era tormentato da foschi sospetti. Se i dwell avevano capito chi era, che cosa impediva loro di avvelenarlo? I suoi timori erano probabilmente infondati. Si era di nuovo travestito da mercante, avendo cura di apparire un po' trasandato. Gli altri clienti lo avevano squadrato, puntando lo sguardo soprattutto sulla borsa che portava al fianco, poi lo avevano ignorato. Ciononostante, Dannyl non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che tutti gli uomini e le donne presenti in quella sala affollata sapessero chi e che cosa fosse. Erano una marmaglia burbera, dall'aria annoiata e inquieta; in cerca di un riparo dalla tempesta che imperversava all'esterno, si erano rintanati in ogni angolo del locale. Li udiva imprecare per il maltempo o contro la Corporazione, il che all'inizio lo aveva divertito. Sembrava che i dwell si sentissero più sicuri a imprecare contro la Corporazione che contro il re. Un uomo col volto sfregiato continuava a fissarlo. Dannyl si raddrizzò e si stirò le spalle, poi si guardò intorno. Quando si fece animo per meglio sostenere lo sguardo dell'uomo, questi mostrò un particolare interesse per la foggia dei suoi guanti. Prima di girarsi verso il boccale, Dannyl notò la pelle marrone dorato e il volto largo dell'uomo. Nelle case del bol in cui era entrato aveva visto uomini e donne di tutte le razze: gli elyne di bassa statura, che abitavano la regione più vicina a Kyralia, erano i più comuni; i vindo dalla pelle marrone erano più numerosi nei bassifondi che nel resto della città, dato che molti andavano all'estero in cerca di lavoro; i lan, atletici e tribali, e i nobili lonmar erano più rari. Quello era il primo sachakano che vedeva da anni. Sachaka confinava con Kyralia, ma un'elevata catena montuosa e l'arido deserto che si estendeva dietro di essa scoraggiavano i contatti tra le due terre. I pochi mercan-
ti che tentavano la traversata avevano raccontato storie di popoli barbari che lottavano per sopravvivere nel deserto e di una città corrotta che aveva ben poco da offrire al mondo del commercio. Tuttavia non era sempre stato così: molti secoli prima, Sachaka era stata un grande impero governato da potenti maghi; dopo aver perso una guerra con Kyralia e dopo la nascita della Corporazione, le cose erano cambiate. Una mano si posò sulla spalla di Dannyl. Voltandosi, il mago vide un uomo scuro di carnagione che scosse il capo e si allontanò. Con un sospiro, Dannyl si alzò e si fece strada nella calca fino alla porta. Una volta all'esterno, avanzò a fatica tra le pozzanghere che riempivano gran parte del vicolo. Erano passate tre settimane da quando la Corporazione aveva rintracciato la ragazza nel nascondiglio sotterraneo e Lord Jolen era caduto nella trappola del lonmar. Da allora Gorin aveva rifiutato quattro volte la sua richiesta di un incontro. L'Amministratore Lorlen era restio ad accettare l'idea che i Ladri proteggessero la ragazza, e Dannyl capiva perché: niente sconvolgeva di più il re dell'esistenza di un mago fuorilegge nel suo regno. I Ladri erano tollerati; tenevano in riga il sottobosco della criminalità, e l'unico problema che comportavano era la perdita di parte delle tasse a causa del contrabbando. Anche se il re fosse riuscito a trovarli e cacciarli, altri avrebbero preso il loro posto. Ma, se avesse saputo con certezza che in città c'era un mago fuorilegge, avrebbe raso al suolo i bassifondi e forse anche i sotterranei. Dannyl si chiese se i Ladri lo sapessero. Nei suoi colloqui con Gorin non ne aveva ventilato la possibilità per non apparire irragionevole o minaccioso. Aveva invece avvertito il Ladro del pericolo rappresentato dalla ragazza. Raggiunta la fine del vicolo, attraversò in fretta una strada più larga e s'infilò nello stretto passaggio tra due edifici. Da quel punto partiva il labirinto dei bassifondi. Il vento s'incanalava gelido in ogni angusto vicolo, gemendo come un bambino affamato. Di tanto in tanto cessava del tutto, e in uno di quei momenti Dannyl udì un rumore di passi alle sue spalle. Si girò. Il vicolo era deserto. Scrollando le spalle, proseguì il cammino. Per quanto cercasse di non pensarci, non riusciva a togliersi di mente l'idea di essere seguito. Nel silenzio tra un passo e l'altro udiva lo scalpiccio di un altro passo o, guardandosi indietro, coglieva talvolta un rapido movimento dietro un angolo. A mano a mano che la convinzione si fece più forte, Dannyl s'innervosì.
Girato un angolo, armeggiò veloce con la serratura di una porta e sgattaiolò dentro. Con suo grande sollievo, l'edificio era vuoto. Sbirciando dal buco della serratura, il mago sbuffò piano quando vide che il vicolo era deserto. Poi comparve una figura. Dannyl si rabbuiò quando riconobbe le cicatrici sul volto largo dell'uomo. Gli occhi del sachakano guizzarono di qua e di là, scrutando l'ambiente. Dannyl colse un bagliore e, abbassato lo sguardo, vide un coltellaccio nella mano guantata dell'uomo. Buon per te che ti ho sentito mentre mi seguivi, pensò sogghignando. Considerò l'idea di catturare il rapinatore e di portarlo alla più vicina sede della Guardia, ma un attimo dopo rinunciò. Stava calando la notte, e lui non vedeva l'ora di tornare al tepore dei suoi alloggi. Il sachakano studiò il terreno, quindi tornò indietro. Dannyl contò fino a cento, uscì furtivo dalla porta e continuò per la sua strada. A quanto pareva, il suo timore che i dwell conoscessero la sua identità era infondato. Nessuno sarebbe stato così pazzo da aggredire, armato solo di un coltello, un mago. Sonea era china su un grosso libro quando Cery entrò nel nascondiglio. Alzò lo sguardo e gli sorrise. «Come va con la magia?» chiese il ragazzo. Il sorriso scomparve. «Come al solito.» «Il libro non ti aiuta?» Lei scosse la testa. «Sono ormai cinque settimane che faccio pratica, ma l'unica cosa in cui sono migliorata è la lettura. Non basta che sappia leggere per ricompensare Faren della protezione che mi dà.» «Non puoi affrettare i tempi», le disse Cery. Non quando puoi far pratica solo una volta al giorno, aggiunse tra sé. Ogni volta che lei usava la magia un gruppo di maghi si avvicinava all'ultimo nascondiglio, costringendo Faren a cercarne un altro. Cery sapeva che il Ladro stava chiedendo favori ovunque nei bassifondi e pure che era convinto che Sonea valesse ogni pezzo d'argento che lui spendeva e ogni piacere che domandava. «Cosa pensi ti serva per far funzionare la magia?» chiese il ragazzo. Sonea appoggiò il mento su una mano. «Qualcuno che mi mostri come fare.» Inarcando un sopracciglio, domandò: «Faren non ti ha detto niente di quella persona che sta cercando?» Lui scosse la testa. «No. Ho sentito qualcosa, ma non mi sono sembrate
buone notizie.» La ragazza sospirò. «Non credo tu conosca nessun mago amico disposto a rivelare i segreti della Corporazione ai Ladri. Forse ne potresti rapire uno.» Cery scoppiò a ridere, ma smise quando un'idea cominciò a prendere forma nella sua mente. «Pensi che...» «Zitto!» sibilò lei. «Ascolta!» Cery balzò in piedi quando sentì picchiettare sul pavimento. «Il segnale!» Corse alla finestra che dava sulla strada e scrutò nell'ombra sottostante. Al posto della sentinella, una figura sconosciuta camminava su e giù al buio. Cery afferrò il mantello di Sonea dallo schienale della sedia e glielo gettò. «Mettitelo», disse. «E seguimi.» Poi prese un secchio d'acqua posato accanto al tavolo e lo rovesciò sui pochi tizzoni che ancora ardevano nel caminetto. Il legno sibilò e il fumo salì per il camino. Cery tolse la grata, si chinò e prese a risalire il camino appoggiando i piedi nelle crepe tra i mattoni caldi. «Stai scherzando?» chiese Sonea. «Vieni», la esortò Cery. «Passeremo dai tetti.» Borbottando un'imprecazione, Sonea cominciò a salire. Quando il sole emerse da dietro le nubi tempestose, i tetti furono inondati di luce dorata. Cery si spostò all'ombra di un camino. «C'è troppa luce», osservò. «Ci vedranno di sicuro. Penso sia meglio restare qui finché non farà buio.» Sonea si sistemò al suo fianco. «Siamo abbastanza lontani?» «Lo spero», rispose il ragazzo guardando indietro, in direzione del nascondiglio. Lei osservò il panorama. «Siamo sulla Strada alta vero? Quei ponti di corda e di legno... gli appigli.» Sorrise quando l'amico annuì. «Mi tornano alla mente tanti ricordi.» Cery sorrise notando il suo sguardo malinconico. «Sembra sia passato tanto tempo.» «Ma è così. Non riesco quasi a credere che certe cose le abbiamo fatte veramente.» Scuotendo la testa, Sonea osservò: «Adesso non ne avrei più il coraggio». Cery si strinse nelle spalle. «Eravamo dei ragazzini.» «Ragazzini che s'intrufolavano nelle case e rubavano», precisò Sonea.
«Ti ricordi quando siamo entrati nella stanza di quella donna che aveva tutte quelle parrucche? Tu ti sei raggomitolato sul pavimento e ti abbiamo coperto con le parrucche. Quand'è entrata, hai cominciato a gemere.» Cery rise. «E lei si è messa a urlare!» Gli occhi di Sonea brillarono nella luce del sole al tramonto. «Ho passato un bel guaio quando Jonna ha capito che la notte sgattaiolavo fuori di casa per venire da voi.» «Questo non ti ha fermato», le ricordò lui. «No. È stato allora che mi hai insegnato a scassinare le serrature.» Cery la guardò attentamente. «Perché hai smesso di venire da noi?» Lei sospirò e avvicinò le ginocchia al petto. «Le cose sono cambiate. Il gruppo di Harrin ha iniziato a trattarmi in modo diverso. Era come se si fossero ricordati che ero una ragazza e pensassero che li frequentassi per altri motivi. Non era più divertente.» «Io non ti ho trattata in modo diverso...» Cery esitò e, raccolto tutto il suo coraggio, aggiunse: «Ma non hai più voluto frequentare nemmeno me». Sonea scosse la testa. «Non eri tu. Credo fossi stanca. Dovevo crescere e smettere di fingere. Jonna diceva sempre che l'onestà era un valore e che rubare era male. Non pensavo che rubare fosse sbagliato se non avevi scelta, ma non era quello che facevamo noi. Sono stata contenta quando mi sono trasferita in città, perché significava che non dovevo pensarci più.» Cery annuì. Forse era stato meglio che se ne fosse andata; i ragazzi della banda di Harrin non erano sempre stati gentili con le ragazze che avevano incontrato. «Lavorare in città era meglio?» «Un po' meglio. Se non stai attento, puoi lo stesso cacciarti in guai grossi. I soldati sono i peggiori, perché nessuno li frena dall'infastidirti.» Cery si accigliò mentre la immaginava difendersi da quei bruti. C'era da qualche parte un posto sicuro? Scuotendo la testa, si augurò di poterla portare in un luogo dove nessuno avrebbe più potuto darle fastidio. «Abbiamo perso il libro, vero?» disse all'improvviso Sonea. Ricordando il tomo lasciato sul tavolo nel nascondiglio, Cery imprecò. «Non era molto utile, a ogni modo.» Nella voce di Sonea non c'era rimpianto. Cery si accigliò. Ci doveva essere un altro modo per aiutarla a imparare la magia. Si morse delicatamente il labbro quando gli tornò in mente l'idea che Sonea gli aveva dato. «Vorrei portarti fuori dai bassifondi», affermò. «Stanotte i maghi saran-
no ovunque.» Lei si rabbuiò. «Fuori dai bassifondi?» «Sì. In città sarai più al sicuro.» «In città? Ne sei certo?» «Perché no?» replicò lui sorridendo. «È l'ultimo posto in cui ti cercherebbero.» Lei valutò l'idea e si strinse nelle spalle. «Ma come ci arriviamo?» «Per la Strada alta.» «Ma non ci permetterà di superare le porte.» Cery sorrise. «Non serve superare le porte. Dai, andiamo.» Il Muro esterno incombeva alto sui bassifondi. La sua cura era affidata alla Guardia cittadina, anche se erano passati molti secoli da quando Imardin aveva dovuto fronteggiare la minaccia di un'invasione. Una strada vi correva tutt'intorno, sul lato esterno, in modo da tenere a distanza gli edifici dei bassifondi. Non lontano da essa, i due ragazzi si calarono dai tetti in un vicolo. Prendendola per un braccio, Cery condusse Sonea verso una pila di casse e vi s'infilò in mezzo. Dentro, l'aria aveva un odore penetrante, un misto di legno giovane e di frutta vecchia. Cery si accovacciò e batté a terra. Con sorpresa di Sonea, si udì un suono sordo, metallico. Il terreno si mosse e un grosso disco si alzò sui cardini. Dal buco scuro sottostante comparve un volto largo, avvolto da un puzzo nauseante. «Ciao, Tul», salutò Cery. La faccia dell'uomo tremolò e s'illuminò. «Come va, Cery?» Lui sorrise. «Bene. Che ne dici di saldare un certo debito?» «Sicuro.» Gli occhi dell'uomo brillarono. «Un passaggio?» «Per due», rispose Cery. L'uomo annuì e scese nell'apertura maleodorante. Cery sorrise a Sonea e le indicò il buco. «Dopo di te.» Lei allungò un piede e trovò il primo piolo di una scala. Inspirando un'ultima boccata d'aria pulita, scese lentamente nell'oscurità. Un rumore d'acqua corrente riecheggiò nel buio. L'aria era pregna di umidità. A mano a mano che i suoi occhi si adattavano, Sonea si accorse di essere su una stretta cornice che correva sul lato di una conduttura fognaria sotterranea. Il tetto era tanto basso che doveva stare china. Il volto grasso dell'uomo con cui avevano parlato sovrastava un corpo
altrettanto grasso. Cery gli porse i suoi ringraziamenti e gli diede qualcosa che suscitò il suo ampio sorriso. Lasciato Tul alla sua postazione, Cery la condusse nel tunnel in direzione della città. Dopo varie centinaia di passi apparvero un'altra figura e un'altra scala. Un tempo forse era stato più alto, ma ormai quell'uomo era gobbo, quasi si fosse adattato alla conduttura. Alzò lo sguardo e li osservò avvicinarsi coi suoi occhi grandi e con le palpebre grevi per il sonno. Poi si voltò di scatto a guardarsi alle spalle: dal fondo del tunnel proveniva un debole scampanellio. «Rapidi», disse loro con voce stridula. Cery afferrò Sonea per un braccio e la trascinò via di corsa. L'uomo estrasse un oggetto da sotto il mantello e iniziò a colpirlo con un vecchio cucchiaio. Nella conduttura il rumore era assordante. Quando raggiunsero la scala, lui si fermò, e udirono altri scampanellii alle loro spalle. L'uomo grugnì e prese ad agitare le braccia. «Su! Su!» gridò. Cery si arrampicò su per la scale. Si udì un rumore metallico e apparve un'apertura più chiara. Cery vi s'infilò in fretta e scomparve. Mentre lo seguiva, Sonea udì un rumore fondo, lontano nel tunnel. Il gobbo uscì dietro di lei e tirò su la scala. Sonea si guardò intorno. Erano in uno stretto vicolo, nascosti dalle tenebre che stavano calando. Udendo di nuovo il rumore fondo, si girò verso la conduttura. D'un tratto il suono si fece più forte e si tramutò in un rombo fragoroso, che si attutì solo quando il gobbo chiuse con attenzione la botola. Cery si avvicinò a Sonea e le sfiorò l'orecchio con la bocca. «I Ladri usano questi tunnel da anni per superare il Muro esterno», spiegò. «Quando la Guardia cittadina lo ha scoperto, ha iniziato a inondare le condutture. In realtà non è una cattiva idea: le mantiene pulite. Ovviamente, i Ladri hanno scoperto quando lo facevano e hanno continuato a svolgere i loro affari come sempre. A quel punto la Guardia ha preso a inondarli a caso.» Le indicò di accovacciarsi accanto al coperchio e lo sollevò con cura. L'acqua scorreva rapida a pochi centimetri dal suo viso, e il rombo riecheggiò forte in strada. Cery lo richiuse subito. «Per questo suonano le campane», sussurrò Sonea. Il ragazzo annuì. «Un avvertimento.» Si girò dall'altra parte e porse qualcosa al gobbo, poi la condusse lungo il vicolo fino a un angolo buio in cui i mattoni sporgenti di un muro permisero loro di salire sul tetto di una casa.
L'aria stava rinfrescando, perciò Sonea prese il mantello e se lo avvolse intorno alle spalle. «Speravo di arrivare un po' più in là del punto in cui siamo», mormorò Cery, alzando le spalle. «Quassù c'è una bella vista, eh?» La ragazza annuì. Anche se il sole era calato dietro l'orizzonte, il cielo era ancora luminoso. Le ultime nubi tempestose sovrastavano il quartiere meridionale, ma si stavano lentamente ritirando verso est. La città si estendeva davanti a lei, inondata di luce arancione. «Si vede persino un pezzetto del Palazzo reale», osservò Cery. Al di sopra dell'alto Muro interno, si scorgevano le torri elevate del palazzo e la sommità di una cupola scintillante. «Non ci sono mai stato, ma un giorno lo farò.» Sonea rise. «Tu? Nel Palazzo reale?» «È una promessa che ho fatto a me stesso, quella di entrare almeno una volta in tutti i posti più importanti della città.» «E finora dove sei stato?» «In un paio di grandi case.» Lei sbuffò, incredula. Quando faceva commissioni per Jonna e Ranel, di tanto in tanto era dovuta entrare nella Cerchia interna. Le strade erano pattugliate dalle guardie che interrogavano chiunque non fosse vestito elegantemente o non portasse l'uniforme da servitore di una Casa. I clienti le avevano dato un piccolo segno di riconoscimento che mostrava come svolgesse incarichi legali nella zona. A ogni visita, Sonea aveva scoperto meraviglie. Ricordò di avere visto case incredibili dalla forma e dai colori fantastici; alcune con terrazze e torri tanto fini e sottili che sembravano sul punto di crollare sotto il loro peso. Anche gli alloggi della servitù erano lussuosi. Le abitazioni più semplici, che la circondavano in quel momento, le erano più familiari. Nel quartiere settentrionale vivevano i mercanti e le famiglie meno in vista. Avevano meno servitù e per molte necessità si avvalevano dei servigi degli artigiani. Nei due anni in cui avevano lavorato lì, Jonna e Ranel si erano trovati un piccolo gruppo di clienti regolari. Sonea abbassò lo sguardo per osservare le tende dipinte che ornavano le finestre tutt'intorno a lei. Attraverso alcune di esse vedeva le sagome delle persone. Sospirò al pensiero dei clienti che gli zii avevano perso quando le guardie li avevano cacciati dalla casa di soggiorno. «Adesso dove andiamo?» chiese. Cery sorrise. «Seguimi.»
Continuarono lungo i tetti. A differenza degli abitanti dei bassifondi, quelli della città non sempre facevano favori ai Ladri, lasciando ponti e appigli al loro posto. Cery e Sonea furono sovente costretti a scendere a terra quando raggiungevano un vicolo o una strada. Le strade più grandi erano pattugliate dalle guardie, perciò dovevano attendere che passassero prima di affrettarsi ad attraversarle. Dopo un'ora si fermarono a riposare, e proseguirono quando una sottile falce di luna comparve all'orizzonte. Sonea seguiva in silenzio l'amico, concentrandosi per individuare nella poca luce gli appigli per i piedi. Quando infine si fermarono di nuovo, fu travolta da un'ondata di stanchezza e si sedette gemendo. «Speriamo di arrivarci presto», disse. «Non ce la faccio quasi più.» «Non manca molto», assicurò Cery. «Ci siamo quasi.» Lei lo seguì lungo un muro fino a un giardino ampio e ben curato. Gli alberi erano alti e simmetrici. Cery la condusse all'ombra di un muro che sembrava estendersi all'infinito. «Dove siamo?» chiese lei. «Aspetta e vedrai.» Sonea incespicò in qualcosa e sbatté contro un albero; la ruvidezza della corteccia la sorprese. Guardò in alto e di lato. Davanti a lei, gli alberi sembravano una miriade di sentinelle. Al buio avevano un aspetto strano, sinistro: parevano un bosco formato da braccia aggrappate le une alle altre. Un bosco? Sonea si accigliò e fu pervasa da una sensazione di gelo. Non ci sono giardini nel quartiere settentrionale, e a Imardin c'è un solo bosco... Il cuore prese a batterle all'impazzata. Corse dietro Cery e lo prese per un braccio. «Hai! Che stai facendo?» ansimò. «Siamo nella Corporazione!» Sul volto del ragazzo comparve un ampio sorriso. «Esatto.» Lei lo fissò: era una sagoma nera contro il bosco illuminato dalla luna, e non poteva vederne l'espressione. Sicuramente non ha... non potrebbe... Non Cery. No, non mi consegnerebbe mai ai maghi. Sentì la sua mano sulla spalla. «Non ti preoccupare, Sonea. Pensaci. Dove si trovano i maghi? Nei bassifondi. Sei più al sicuro qui che laggiù.» «Ma... non hanno le guardie?» «Qualcuna ai cancelli, e basta.» «Pattuglie?» «No.» «Muri magici?»
«No.» Cery rise piano. «Credo pensino che la gente abbia troppa paura per intrufolarsi qui.» «Come sai che non ci sono muri o guardie?» Lui sogghignò. «Ci sono già stato.» Sonea inspirò bruscamente. «Perché?» «Quando ho deciso che avrei visitato tutti i posti della città, sono venuto qui e ho curiosato un po' in giro. Non riuscivo a credere quanto fosse stato facile. Non ho tentato di entrare negli edifici, ovviamente, ho solo guardato i maghi dalle finestre.» Sonea fissò incredula il suo volto in ombra. «Hai spiato la Corporazione?» «Certo. È stato proprio interessante. Hanno posti dove insegnano ai nuovi maghi e posti dove vivono. L'ultima volta ho visto i guaritori all'opera: quella è proprio una cosa da vedere. C'era un ragazzo pieno di tagli sul volto. Quando il guaritore lo ha toccato, sono spariti tutti. Stupefacente!» Tacque, e Sonea lo vide girare la testa verso di lei nella debole luce. «Volevi che qualcuno ti mostrasse come usare la magia, ricordi? Forse, se li osservassi, vedresti qualcosa di utile.» «Ma... è la Corporazione!» Cery si strinse nelle spalle. «Non ti avrei portata qui, se avessi saputo che era davvero pericoloso.» Sonea scosse la testa. Si sentiva malissimo per avere dubitato di lui. Se avesse avuto intenzione di consegnarla, avrebbe lasciato che i maghi la prendessero nel nascondiglio. Cery non l'avrebbe mai tradita, ma la sua spiegazione era incredibile. Se questa è una trappola, sono già condannata. Sonea scacciò il pensiero e si concentrò sulla proposta di Cery. «Pensi sul serio che si possa fare?» «Certo.» «È una follia, Cery.» Lui rise. «Vieni almeno a vedere. Arriveremo fino alla strada e vedrai coi tuoi occhi quanto è facile. Se non vuoi tentare, torneremo indietro.» Soffocando le sue paure, Sonea lo seguì in mezzo agli alberi e, quando il bosco si diradò, intravide le mura. Tenendosi nell'ombra, Cery avanzò fino ad arrivare a meno di venti passi da una strada, poi balzò in avanti e si nascose dietro il tronco di un grosso albero. Sonea si affrettò a seguirlo e si premette contro un altro albero. Le sembrava di aver perso quasi tutte le forze nelle gambe e si sentiva stordita e confusa.
Cery le sorrise e le indicò un punto tra gli alberi. Lei alzò lo sguardo verso l'edificio che aveva di fronte, e restò senza fiato. 12 L'ULTIMO POSTO IN CUI CERCARE Era così alto che sembrava arrivare alle stelle. A ogni angolo sorgeva una torre, tra le quali si estendevano muri bianchi che rilucevano debolmente alla luce della luna. L'intera facciata era attraversata da archi di pietra posti l'uno sopra l'altro e ogni arco era chiuso da una parete in pietra. Un'ampia scalinata conduceva a un maestoso portone a due battenti, che era aperto. «È splendido», mormorò Sonea. Cery rise piano. «Hai visto il portone? È alto quasi quattro volte un uomo.» «Dev'essere molto pesante. Come faranno a chiuderlo?» «Con la magia, suppongo.» Sonea s'irrigidì quando una figura con una tunica blu comparve sulla soglia. L'uomo si fermò, poi scese la scalinata con passo deciso e si allontanò verso un edificio più piccolo sulla destra. «Non ti preoccupare. Non ci possono vedere», la rassicurò Cery. Sonea espirò dopo aver trattenuto il fiato e spostò lo sguardo dalla figura lontana del mago. «Che cosa c'è dentro?» «Aule. Quella è l'Università.» Tre file di finestre correvano lungo il lato dell'edificio. Le due in basso erano seminascoste da alberi, ma attraverso il fogliame Sonea scorse chiazze di luce gialla e calda. A sinistra del palazzo si estendeva un grande giardino. Cery indicò una costruzione a lato di esso. «Lì vivono i novizi. Dall'altra parte dell'Università c'è un altro edificio simile, dove vivono i maghi. E lì è dove operano i guaritori», spiegò indicando un palazzo circolare a diverse centinaia di passi, sulla sinistra. «Che cos'è quello?» chiese Sonea indicando una serie di pali curvi che si levavano dal giardino. Cery si strinse nelle spalle. «Non lo so. Non l'ho mai scoperto.» Poi indicò la strada davanti a loro. «Questa porta agli alloggi della servitù, laggiù», spiegò mostrandole un punto verso sinistra. «Dietro l'Università ci
sono altri edifici, e il palazzo dei maghi ha un altro giardino sulla parte anteriore. Oh, e ci sono altre case dei maghi sulla collina.» «Così tanti palazzi», mormorò lei. «Ma quanti maghi ci sono?» «Qui ne vivono più di cento. Altri vivono altrove», rispose Cery. «Alcuni abitano in città, altri in campagna, molti di più ancora in altri paesi. Qui vivono anche duecento servitori. Hanno cameriere, stallieri, cuochi, scribi, giardinieri, persino contadini.» «Contadini?» «Vicino agli alloggi della servitù hanno i loro campi.» Sonea si rabbuiò. «Perché non comprano semplicemente da mangiare?» «Ho sentito che coltivano ogni sorta di piante per preparare i medicinali.» Sonea lo guardò, colpita. «Come hai fatto a scoprire così tante cose sulla Corporazione?» «Ho fatto molte domande, soprattutto dopo il giro dell'ultima volta.» «Perché?» «Ero curioso.» «Curioso?» Sonea sbuffò. «Solo curioso?» «Tutti si chiedono che cosa facciano là dentro. Tu no?» Lei esitò. «Be'... a volte.» «Certo che te lo chiedi. Tu più di altri hai ragione di farlo. Allora, vuoi spiare qualche mago?» Sonea alzò lo sguardo e osservò gli edifici. «Come facciamo a sbirciare dentro senza che ci vedano?» «I giardini arrivano fino ai muri degli edifici», le spiegò Cery. «Ci sono sentieri che corrono di qua e di là, inoltre su entrambi i lati ci sono alberi e siepi. Se cammini dietro una siepe, nessuno ti vede.» Sonea scosse il capo. «Solo tu puoi fare una follia del genere.» Lui sorrise. «Ma sai che non corro rischi stupidi.» La ragazza si morse il labbro, ancora imbarazzata per avere sospettato che potesse tradirla. Era sempre stato il più abile della banda di Harrin. Se era possibile spiare la Corporazione, Cery sapeva come fare. Sapeva che avrebbe dovuto chiedergli di riportarla da Faren. Se qualcuno li avesse scoperti... era un pensiero troppo angosciante. Cery la guardava speranzoso. Sarebbe un peccato non tentare, e potrei vedere qualcosa di utile, le disse una voce dal profondo della sua mente. «D'accordo», assentì con un sospiro. «Qual è la prima meta?»
L'amico sorrise e indicò gli alloggi dei guaritori. «Entreremo nei giardini laggiù, dove la strada è buia. Seguimi.» Sgattaiolò nel bosco e si fece strada fra gli alberi. Dopo qualche centinaio di passi, si avvicinò di nuovo alla strada e si fermò dietro un albero. «Adesso i maghi sono impegnati con l'addestramento oppure si sono ritirati nei loro alloggi. Abbiamo tempo sino alla fine delle lezioni serali, poi ci nasconderemo. Per il momento dobbiamo solo stare attenti ai servitori. Infilati il mantello dentro la maglia, altrimenti ti darà fastidio.» Lei obbedì. Cery la prese per mano e si avviò lungo la strada. Sonea guardò incerta le finestre dell'Università. «E se guardano fuori? Ci vedranno.» «Non ti preoccupare. Le loro stanze sono bene illuminate, perciò non riescono a vedere niente all'esterno. Dovrebbero avvicinarsi molto alle finestre, e sono troppo occupati per farlo.» Prendendola per un braccio, la trascinò dall'altra parte della strada. Lei trattenne il fiato e scrutò le finestre sopra di loro in cerca di persone che potessero vederli, ma non vide apparire nessuna sagoma umana. Quando entrarono nell'ombra del giardino, emise un sospiro di sollievo. Cery si gettò ventre a terra e, strisciando, raggiunse la base di una siepe. Sonea lo imitò e si ritrovò accucciata sotto un fitto fogliame. «È cresciuta un po' dall'ultima volta», sussurrò il ragazzo. «Dovremo avanzare carponi.» La condusse in un folto tunnel di vegetazione. Ogni venti passi circa dovevano allungarsi per superare il tronco di un albero. Dopo aver strisciato per varie centinaia di passi, Cery si fermò. «Siamo davanti agli alloggi dei guaritori», disse. «Attraverseremo un sentiero ed entreremo nel boschetto vicino al muro. Vado io per primo. Verifica che il sentiero sia sgombro, poi seguimi.» Gettatosi di nuovo a terra, uscì dalla siepe e scomparve. Sonea si avvicinò al buco che Cery aveva creato e sbirciò fuori: un sentiero correva lungo la siepe; vedeva il passaggio in cui Cery si era infilato, nella siepe di fronte. Uscì strisciando, attraversò di corsa il sentiero e s'infilò nel fogliame. Trovò Cery seduto con la schiena appoggiata al tronco di un grosso albero e la faccia rivolta al muro. «Pensi di riuscire a scalarlo?» le chiese piano toccando il muro. «Dovremmo salire al primo piano. Lì tengono le lezioni.» Sonea esaminò il muro. Era di grossi mattoni di pietra. La malta che li univa era vecchia e friabile. Sull'edificio vi erano due cornici che formava-
no la base delle finestre. Una volta raggiunta una finestra, si sarebbe potuta appoggiare alla cornice per guardare dentro. «È facile», mormorò. Lui socchiuse gli occhi e iniziò a frugare in tasca. Ne estrasse un piccolo barattolo, lo aprì e le imbrattò il volto con una pasta scura. «Ecco. Adesso sei come Faren.» Sorrise, poi si fece di nuovo serio. «Resta dietro gli alberi. Se vedo arrivare qualcuno, farò il verso del mullook. In quel caso rimani dove sei, perfettamente immobile e zitta.» Sonea annuì, si voltò verso il muro e appoggiò con cura la punta dei piedi in una crepa; ficcando le dita delle mani nella malta friabile cercò un altro appiglio. Ben presto si ritrovò appesa al muro, coi piedi all'altezza della testa di Cery. Lo guardò e vide il bagliore dei suoi denti mentre sorrideva. Quando si tirava su, i muscoli protestavano, ma continuò finché non ebbe raggiunto la seconda cornice. Lì si fermò per riprendere fiato e girò il capo verso la finestra più vicina. Era grande quanto una porta e composta da quattro ampi pannelli di vetro. Sonea si spostò cauta lungo la cornice finché non poté vedere nella stanza. Dentro sedeva un folto gruppo di maghi con la tunica marrone. Guardavano tutti con attenzione qualcosa in un angolo lontano della stanza. Sonea esitò, timorosa che qualcuno alzasse lo sguardo e la vedesse, ma nessuno guardò nella sua direzione. Col cuore che le batteva forte, avanzò finché non poté vedere ciò che stavano osservando. Nell'angolo lontano c'era un uomo con una tunica verde scuro. In mano teneva il modello di un braccio su cui erano scarabocchiate delle parole e disegnate varie linee colorate. Con una bacchetta di legno indicava i vari termini. Sonea si sentì pervadere dall'eccitazione. La voce del mago era lievemente attutita dal vetro, ma lei riusciva a sentirne le parole e ascoltò con attenzione. A quel punto però fu assalita da un ben noto senso di frustrazione. La spiegazione del mago si componeva perlopiù di strane parole ed espressioni, che per lei avevano senso tanto quanto una lingua straniera. Era quasi sul punto di cedere per il male alle dita e di tornare da Cery quando il maestro si girò e a voce alta disse: «Portate qui Jenia». I novizi si girarono verso la porta aperta. Una giovane donna entrò nella stanza accompagnata da un vecchio servitore. Aveva il braccio fasciato e appeso al collo con una benda, e scoppiò a ridere per qualcosa che uno dei novizi le aveva detto. All'occhiata severa del maestro, la classe si quietò. «Jenia si è rotta il
braccio questo pomeriggio, quand'è caduta da cavallo», spiegò loro, e indicò alla giovane di sedersi. Quando cominciò a toglierle le bende, il sorriso le svanì dal volto. Ne emerse un braccio tutto gonfio e contuso. Il maestro scelse due novizi dalla classe, che passarono delicatamente le mani su di esso, arretrarono ed espressero il loro parere. Il maestro annuì, compiaciuto. «Ora, prima di tutto dobbiamo eliminare il dolore», disse alzando la voce per coinvolgere la classe. A un suo segnale, uno dei novizi prese la mano della donna. Chiuse gli occhi, e nella stanza calò per un attimo il silenzio. Il novizio lasciò andare la mano e annuì al maestro. «È sempre bene far sì che il corpo guarisca da sé», proseguì questi. «Ma noi possiamo intervenire fino al punto in cui le ossa si saldano e il gonfiore scompare.» L'altro novizio passò lentamente il palmo della mano sul braccio della donna. Al tocco, le ecchimosi scomparvero. Quando si scostò, la giovane sorrise e provò esitante a muovere le dita. Il maestro esaminò il braccio, le rimise al collo la benda, che la donna guardava con tanto sprezzo, e l'ammonì severamente di non usare il braccio per due settimane. Uno dei novizi disse qualcosa e gli altri scoppiarono a ridere. Sonea si allontanò dalla finestra. Aveva appena visto all'opera i leggendari poteri curativi dei maghi, una cosa che pochi dwell avevano occasione di osservare. Era stupefacente, proprio come aveva immaginato; ma non aveva imparato nulla sul metodo. Dev'essere una lezione per novizi ormai esperti, pensò. I novizi appena arrivati non sapevano curare lesioni come quelle. Se avesse trovato una lezione adatta a loro, forse avrebbe capito come fare. Scese a terra e, quando toccò il suolo coi piedi, Cery la prese per un braccio. «Hai visto qualche guarigione?» sussurrò l'amico. Lei annuì. Cery sorrise. «Ti avevo detto che era facile, no?» «Per te, forse», replicò sfregandosi le mani. «Io sono fuori allenamento.» Spostandosi verso l'albero vicino, ficcò le dita stanche tra i mattoni e salì di nuovo. L'insegnante della classe adiacente era una donna e indossava una tunica verde. Taceva e osservava i novizi chini sui banchi scrivere frenetici su fo-
gli di carta e consultare libri logori rilegati in pelle. Sonea cedette al dolore alle braccia e tornò a terra. «Allora?» chiese Cery. Lei scosse la testa. «Niente di che.» Dietro la finestra seguente c'era una classe di novizi che miscelavano liquidi, polveri essiccate e paste in piccoli barattoli; nella stanza accanto c'era un giovane solitario con la tunica verde, appisolato su un libro aperto. «Il resto delle stanze non ha le luci accese», le disse Cery quando ridiscese. «Immagino che questo sia tutto quello che si possa vedere qui.» Voltandosi a indicare l'Università, aggiunse: «Là ci sono altre lezioni da osservare». Lei annuì. «Andiamo.» Sbucati dalla siepe, attraversarono di corsa il sentiero e s'infilarono nel fogliame dall'altra parte. A metà giardino, Cery si fermò e le indicò un varco tra le piante. Guardando tra le foglie, Sonea si accorse che avevano raggiunto gli strani pali che avevano visto levarsi dal giardino: si piegavano verso l'interno, come se s'inchinassero gli uni verso gli altri, e a un certo punto, in cima, si rastremavano. Erano piantati a distanza regolare intorno a un'ampia lastra circolare disposta sul terreno. Sonea ebbe un brivido, e una vibrazione vagamente familiare smosse l'aria. Turbata, mise una mano sulla schiena di Cery. «Andiamo.» Il ragazzo annuì e, lanciata un'ultima occhiata ai lunghi pali, la condusse via. Attraversarono altri due sentieri prima di raggiungere il muro dell'Università. Cery posò una mano sulla pietra. «Questo non riuscirai a scalarlo», bisbigliò. «Ma ci sono molte finestre al pianterreno.» Sonea toccò il muro. La pietra era segnata da ondulazioni e solchi lungo tutta la superficie, ma non vedeva spaccature né bordi: era come se l'intero edificio fosse costituito da un unico, gigantesco blocco di pietra. Cery si portò dietro un albero e incrociò le dita. Lei si alzò e posò il piede sulle sue mani; si sollevò e sbirciò oltre il davanzale della finestra. Un uomo con una tunica purpurea stava scrivendo con un carboncino su una lavagna. Il suono della sua voce le giunse alle orecchie, ma non riuscì a distinguere ciò che diceva. I disegni sulla lavagna erano incomprensibili, come le parole del guaritore. Delusa e scoraggiata, indicò a Cery che voleva scendere. Strisciarono lungo l'edificio e raggiunsero la finestra seguente. La scena
all'interno era misteriosa come la precedente: i novizi sedevano rigidi ai loro posti con gli occhi chiusi. Dietro ognuno ve n'era un altro che premeva il palmo delle mani sulle tempie del collega. Il maestro, un uomo dall'aria severa con una tunica rossa, osservava in silenzio. Sonea stava per allontanarsi quando d'un tratto il mago parlò. «Adesso allontanatevi.» Aveva un tono inaspettatamente tranquillizzante per un uomo dal viso tanto duro. I novizi aprirono gli occhi, e quelli che stavano in piedi si sfregarono le tempie con una smorfia. «Come vedete, è impossibile leggere la mente di un'altra persona se questa non collabora», spiegò il maestro. «Be', non impossibile, come ha dimostrato il nostro Sommo Lord, ma al di fuori della portata dei maghi comuni come voi e me.» I suoi occhi guizzarono rapidi alla finestra. Sonea si abbassò subito. Cery la fece scendere e lei si accucciò sotto il davanzale premendosi contro il muro e invitando Cery a fare lo stesso. «Ti hanno vista?» mormorò lui. Sonea si premette una mano sul cuore, che batteva veloce. «Non ne sono certa.» Adesso il mago stava forse correndo per l'Università, deciso a ispezionare i giardini? O era alla finestra, in attesa che sbucassero da sotto il davanzale? La ragazza deglutì. Aveva la bocca secca. Si voltò verso Cery per suggerirgli di scappare nel bosco, poi ci ripensò. Nella stanza, alle sue spalle, si udì di nuovo il suono attutito della voce del maestro. Chiuse gli occhi e sospirò, sollevata. Cery si allungò e sbirciò cauto dalla finestra. La guardò e si strinse nelle spalle. «Continuiamo?» Lei inspirò profondamente e annuì. Si alzarono e si spostarono lungo il palazzo, fermandosi sotto la finestra successiva. Cery unì le mani e sollevò l'amica. Quando Sonea guardò dalla finestra, colse un gran movimento. Fissò stupefatta la scena: vari novizi si precipitavano di qua e di là per schivare un minuscolo puntino di luce che girava nella stanza. In piedi su una sedia, in un angolo, un mago con la tunica rossa seguiva gli spostamenti del puntino con la mano tesa. «State fermi! Mantenete la posizione!» urlava ai novizi. Quattro erano già fermi. Quando il puntino luminoso giunse vicino a loro, fu respinto come una mosca scacciata via. A poco a poco altri novizi seguirono il loro esempio, ma il puntino era veloce. Alcuni, i meno abili, avevano minuscoli segni rossi sulle braccia e sulla faccia.
D'un tratto il puntino scomparve. Il maestro scese dalla sedia con un balzo e atterrò silenzioso sul pavimento. I novizi si rilassarono e si scambiarono ampi sorrisi. Nel timore che guardassero nella sua direzione, Sonea tornò a terra. Nella finestra successiva vide un mago con la tunica purpurea fare uno strano esperimento con liquidi colorati davanti alla classe. In un'altra osservò un gruppo di novizi lavorare con globi galleggianti di vetro fuso: plasmavano le masse lucenti a formare sculture luminose. In quella dopo ancora ascoltò un uomo dalla tunica rossa e dall'aspetto mite tenere un discorso su come creare il fuoco. D'un tratto nella Corporazione riecheggiò forte una campana. Il mago alzò lo sguardo, stupito, e i novizi si alzarono dalle sedie. «La campana segna la fine delle lezioni», disse Cery. «Adesso ce ne staremo tranquilli per un po'. I maghi usciranno dall'Università e andranno nelle loro stanze.» Sì appiattirono contro il tronco di un albero. Per vari minuti tutto fu silenzioso, poi Sonea udì dei passi al di là della siepe. «... una lunga giornata», stava dicendo una donna. «Con questa tosse che gira siamo rimasti in pochi. Spero che le ricerche si concludano presto.» «Sì», convenne un'altra. «Ma l'Amministratore è stato ragionevole. Ha affidato gran parte del lavoro ai guerrieri e agli alchimisti.» «È vero», replicò la prima. «Ora dimmi, come sta la moglie di Lord Makin? Ormai avrà superato l'ottavo mese...» Le voci delle due donne scomparvero e furono sostituite da risa giovanili. «... ti ha preso in trappola. Ti ha praticamente sconfitto, Kamo!» «È stato solo un trucco», replicò un ragazzo con un forte accento vindo. «Non funzionerà una seconda volta.» «Questa era la seconda volta!» ribatté un terzo ragazzo. I giovani scoppiarono a ridere, ma Sonea udì altri passi arrivare da sinistra. I ragazzi tacquero. «Lord Sarrin», mormorarono rispettosi quando i passi si avvicinarono loro. Non appena il mago si fu allontanato, i giovani ripresero a canzonarsi a vicenda; poco dopo scomparvero anche le loro voci. Passarono molti altri gruppi di maghi, la maggior parte in silenzio. A poco a poco l'attività intorno alla Corporazione diminuì fino a cessare del tutto. Quando Cery fece capolino dalla siepe per controllare il sentiero, erano lì nascosti da quasi un'ora. «Adesso torniamo nel bosco», le disse. «Non ci
sono più lezioni da vedere.» Lei lo seguì mentre attraversava il sentiero e s'infilava nella siepe vicina. Si spostarono lungo il giardino e, superata in fretta la strada, tornarono nel bosco. Accovacciatosi sotto un albero, Cery le sorrise con gli occhi che gli luccicavano per l'eccitazione. «È stato facile, no?» Lei si voltò a guardare la Corporazione e sentì le labbra piegarsi in un sorriso. «Sì!» «Mentre i maghi ti stanno cercando ovunque nei bassifondi, noi abbiamo curiosato nel loro territorio.» Ridacchiarono piano, poi Sonea fece un profondo respiro e sospirò. «Sono contenta che abbiamo finito», ammise. «Adesso possiamo tornare?» Cery increspò le labbra. «Dato che siamo qui, c'è un'altra cosa che vorrei tentare.» Lei lo guardò sospettosa. «Cosa?» Ignorando la domanda, il ragazzo si alzò e si allontanò tra gli alberi. Sonea esitò, poi si affrettò a seguirlo. Mentre si addentravano di più nel bosco, divenne più buio e Sonea incespicò diverse volte in radici e rami nascosti. Cery piegò a destra. Sentendo una superficie diversa sotto i piedi, Sonea si accorse che stavano attraversando di nuovo la strada. Da quel punto il terreno cominciava a salire. Dopo varie centinaia di passi attraversarono uno stretto sentiero, e il terreno si fece più ripido. Cery si fermò e indicò in una direzione. «Guarda.» Fra i tronchi si vedeva un edificio lungo a due piani. «Il palazzo dei novizi; siamo sul retro. Guarda, puoi vedere dentro.» Da una finestra, Sonea vedeva parte di una stanza: a una parete era addossato un letto semplice e robusto, all'altra un tavolo con una sedia; da un paio di ganci nel muro pendevano due tuniche marrone. «Non è molto sfarzosa.» Cery annuì. «Sono tutte così.» «Ma loro sono ricchi, giusto?» «Credo che non possano scegliersi le proprie cose finché non diventano maghi a pieno titolo.» «Come sono le stanze dei maghi?» «Sfarzose», rispose lui con gli occhi che gli brillavano. «Le vuoi vedere?» Sonea annuì.
«Allora vieni.» Si addentrarono di più nel bosco, risalendo il pendio. Quando giunsero di nuovo ai suoi margini, Sonea vide diversi edifici e un ampio cortile lastricato che si estendeva dietro l'Università. Una delle strutture curvava lungo il pendio come una lunga scalinata e luccicava vagamente, quasi fosse di vetro fuso. Un'altra sembrava una gigantesca ciotola capovolta, tutta liscia e bianca. L'intera zona era illuminata da due file di lampioni grandi, rotondi, fissati su pali alti di ferro. «A che servono quei palazzi?» chiese Sonea. Cery si fermò. «Non lo so con certezza. Penso che quello di vetro siano i Bagni. Gli altri...?» Con una stretta di spalle, aggiunse: «Potremmo scoprirlo». Continuarono addentrandosi nel bosco. Quando furono di nuovo in vista della Corporazione, avevano ormai superato il cortile e si trovavano più vicini agli alloggi dei maghi. Cery incrociò le braccia, accigliato. «Hanno tutti le tende alle finestre. Forse, se andiamo dall'altra parte, riusciamo a vedere qualcosa.» Quando spuntarono ai margini del bosco, Sonea aveva le gambe che le dolevano. Anche se da quella parte gli alberi si avvicinavano di più al palazzo, dalla finestra aperta che Cery le aveva indicato riuscì a scorgere solo qualche mobile. D'un tratto, più stanca che curiosa, si lasciò cadere a terra. «Non so come farò a tornare nei bassifondi», gemette. «Le gambe non mi reggono più.» L'amico sorrise e le si accovacciò accanto. «Allora in questi ultimi anni ti sei rammollita.» Lei lo fulminò con lo sguardo. Cery ridacchiò e guardò in basso verso la Corporazione. «Siediti e riposa per un po'», le disse mentre si alzava. «C'è una cosa che voglio fare. Sarò rapido.» Sonea si accigliò. «Dove vai?» «Qui vicino. Non ti preoccupare, torno presto.» Si voltò e scomparve nelle tenebre. Troppo stanca per arrabbiarsi, Sonea rimase a fissare il bosco. Fra i tronchi intravide qualcosa di piatto e di grigio. Batté le palpebre, sorpresa, e si rese conto di essere seduta a non più di venti passi da un piccolo edificio a due piani. Si alzò e si avvicinò alla struttura chiedendosi perché Cery non gliel'avesse indicata; forse non l'aveva notata. Era di una pietra diversa, più scura, rispetto a quella degli altri palazzi della Corporazione, e all'ombra degli alberi era quasi invisibile. Come l'Università, era circondata da una siepe.
Dopo qualche passo, Sonea sentì sotto i piedi la superficie dura di un sentiero. Le finestre buie l'attiravano. Lanciò un'occhiata alle sue spalle e si chiese quanto tempo sarebbe stato via Cery. Se non avesse indugiato troppo, avrebbe potuto sbirciare dalle finestre e tornare prima di lui. Avanzando furtiva lungo il sentiero, si portò dietro la siepe e guardò nella prima finestra. La stanza era buia, e lei riusciva a vedere ben poco: qualche mobile, niente di più. Passò a quella dopo e a quella dopo ancora, ma la scena non cambiò. Delusa, si voltò, pronta a tornare indietro; ma si bloccò udendo un rumore di passi alle sue spalle. Si accucciò dietro la siepe e vide una figura svoltare l'angolo. Non riusciva a scorgere che una sagoma, ma vedeva che l'uomo non indossava la tunica. Un servitore? Questi si avvicinò al lato dell'edificio e aprì una porta. Sentendo il catenaccio chiudersi alle sue spalle, Sonea emise un sospiro di sollievo. Stava per tirarsi su con le braccia, ma s'immobilizzò udendo un tintinnio provenire da un punto vicino. Si guardò intorno e notò una piccola griglia incassata nel muro, poco al di sopra del livello del suolo. Mettendosi carponi, si chinò a esaminarla; il minuscolo condotto per la ventilazione era coperto di terra, ma lei riuscì ugualmente a scorgere dietro di esso una scala a chiocciola che scendeva fino a una porta aperta. Oltre la porta c'era una stanza illuminata da una luce gialla di cui Sonea non vedeva la fonte. Mentre osservava, comparve un uomo coi capelli lunghi e con un mantello nero. Due spalle le tolsero la visuale per un istante, mentre un'altra figura imboccava le scale e scendeva nella stanza. Sonea scorse le vesti di un servitore prima che il nuovo arrivato uscisse dal suo campo visivo. Udì una voce, ma non riuscì a distinguere le parole. L'uomo col mantello annuì. «Fatto», disse aprendo i fermagli e togliendosi il mantello. Sonea restò senza fiato quando vide cosa portava sotto. L'uomo indossava i panni laceri di un mendicante. Ed erano sporchi di sangue. L'uomo si osservò e sul suo volto comparve un'aria disgustata. «Mi hai portato la tunica?» Il servitore mormorò una risposta. Sonea represse un ansito di sorpresa e di orrore: quell'uomo era un mago. Lo sconosciuto afferrò la camicia macchiata di sangue e se la sfilò dalla testa. Alla vita portava una cintura di pelle cui era appeso un fodero di pugnale. Si tolse la cintura e la gettò insieme con la camicia su un tavolo, poi prese un grosso catino d'acqua e un asciugamano. Immerse il telo nell'ac-
qua e si pulì rapidamente le chiazze di sangue dal petto nudo. Ogni volta che sciacquava l'asciugamano, l'acqua assumeva un colore rosa più intenso. Comparve quindi un braccio che reggeva un involto di stoffa nera. Il mago lo prese e uscì dal campo visivo. Sonea si accovacciò. Una tunica nera? Non aveva mai visto maghi con la tunica nera. Durante l'Epurazione, nessun mago indossava vesti nere. Quell'uomo doveva occupare una posizione unica nella Corporazione. Sonea si chinò di nuovo e pensò ai vestiti sporchi di sangue: forse era un assassino. Il mago ricomparve. Indossava la tunica nera e si era pettinato i lunghi capelli scuri a coda. Prese la cintura e slacciò il fodero. Sonea trattenne il fiato. Il manico del pugnale brillò alla luce e le gemme che vi erano incastonate emanarono riflessi rossi e verdi. Il mago esaminò con cura la lunga lama ricurva, poi la pulì bene nell'asciugamano. Sollevò infine lo sguardo e si rivolse al servitore all'esterno del campo visivo. «La lotta mi ha indebolito», disse. «Mi serve la tua forza.» Sonea udì sussurrare una risposta. Le gambe del servo entrarono nel campo visivo; un attimo dopo, quando questi si piegò su un ginocchio e porse il braccio, Sonea vide quasi solo la sua testa. Il mago gli afferrò il polso; lo girò verso l'alto e col pugnale sfiorò la pelle dell'uomo. Attese che il sangue fuoriuscisse e premette la mano sulla ferita come se intendesse guarirla. Poi qualcosa prese a svolazzare nelle orecchie di Sonea. Raddrizzatasi, scosse il capo pensando che un insetto le fosse entrato in un orecchio, ma il ronzio continuò. Allora smise, e si sentì gelare quando capì che il rumore veniva da dentro la sua testa. La sensazione cessò di colpo, così com'era iniziata. Sonea si chinò verso la griglia e vide che il mago aveva lasciato andare il servitore. Si stava girando lentamente e i suoi occhi stavano scrutando i muri come se stesse cercando qualcosa. «Strano», disse l'uomo. «È quasi come se...» Non sta cercando qualcosa sui muri, pensò Sonea d'un tratto. Sta cercando qualcosa oltre i muri. La paura l'assalì. Si rialzò, attraversò la siepe e si allontanò dalla casa. Non correre, si disse. Non fare rumore. Reprimendo il desiderio di fuggire verso gli alberi, si costrinse ad allontanarsi con cautela. Quando raggiunse il sentiero, aumentò il passo trasa-
lendo ogniqualvolta un ramoscello si spezzava sotto i suoi piedi. Il bosco sembrava più buio di prima, e Sonea sentì il panico salirle nel petto quando si accorse di non ricordare bene dove fosse seduta quando Cery l'aveva lasciata. «Sonea?» La ragazza sobbalzò vedendo spuntare dall'ombra una figura. Riconobbe tuttavia il volto di Cery ed emise un sospiro di sollievo. L'amico reggeva sulle braccia qualcosa di grosso e di pesante. «Guarda», disse sollevando il carico. «Che cos'è?» Lui sorrise. «Libri!» «Libri?» «Libri di magia.» Il sorriso gli svanì dal volto. «Dove sei stata? Sono tornato da poco e...» «Là», rispose Sonea con un brivido indicando la casa, che sembrava più scura, come una creatura in agguato ai margini del giardino. «Dobbiamo andarcene! Ora!» «Quel posto!» esclamò Cery. «È lì che vive il loro capo... il Sommo Lord.» Lei lo afferrò per un braccio. «Penso che uno dei suoi maghi mi abbia sentito.» Cery lanciò un'occhiata dietro di sé, poi si voltò e si avviarono nel bosco allontanandosi dal tenebroso edificio. 13 UN'INFLUENZA POTENTE Solo una ventina di maghi era radunata nella Sala Notturna quando Rothen vi entrò. Vedendo che Dannyl non era ancora arrivato, si diresse verso un paio di sedie. «La finestra era aperta. Chiunque sia entrato, è entrato dalla finestra.» Percependo il tono ansioso della voce, Rothen si fermò a guardare la persona che aveva parlato. A poca distanza c'era Jerrik, intento a discorrere con Yaldin. Curioso di sapere che cosa avesse turbato il Direttore dell'Università, Rothen si avvicinò ai due. «Salve», disse con un cenno educato del capo. «Sembra dispiaciuto per qualcosa, Direttore.» «Tra i nostri novizi c'è un ladro molto intraprendente», spiegò Yaldin.
«Jerrik ha perso alcuni libri di valore.» «Un ladro?» ripeté Rothen sorpreso. «Quali libri?» «Il sapere dei maghi del Sud, Le arti dell'arcipelago Minken e Il manuale del fuoco.» Rothen si rabbuiò. «Una strana scelta di libri.» «Sono testi costosi», si lamentò Jerrik. «Far realizzare quelle copie mi è costato venti pezzi d'oro.» Rothen emise un lieve fischio. «Allora il suo ladro ha occhio per gli oggetti di valore.» Con la fronte sempre aggrottata, aggiunse: «Libri di una tale rarità dovrebbero essere difficili da nascondere. Sono volumi grossi, mi sembra di ricordare. Potrebbe autorizzare una perquisizione negli alloggi dei novizi». Jerrik fece una smorfia. «Preferirei evitarlo.» «Forse qualcuno li ha presi in prestito», suggerì Yaldin. «Ho chiesto a tutti», replicò Jerrik sospirando e scuotendo il capo. «Nessuno li ha visti.» «A me non lo ha chiesto», precisò Rothen. Jerrik sollevò di scatto lo sguardo. «No, non li ho presi io», aggiunse Rothen ridendo. «Ma anche ad altri non lo avrà chiesto. Potrebbe fare un appello alla prossima Assemblea. Mancano solo due giorni e prima di allora i libri potrebbero ricomparire.» Jerrik trasalì. «È meglio fare così.» Scorgendo una familiare figura alta che entrava nella sala, Rothen si congedò. Si avvicinò a Dannyl e lo condusse in un angolo tranquillo. «Hai avuto fortuna?» chiese a bassa voce. Dannyl scrollò le spalle. «No, nessuna. Ma almeno stavolta non sono stato' seguito da sconosciuti armati di coltello. E tu?» Rothen fece per rispondere, ma chiuse subito la bocca quando un servitore si avvicinò con un vassoio pieno di bicchieri di vino. Ne prese uno e subito dopo s'immobilizzò quando vide un braccio avvolto da una manica nera allungarsi verso il vassoio alle spalle di Dannyl. «Come procedono le ricerche, Lord Rothen?» Dannyl sgranò gli occhi quando, voltandosi, si trovò di fronte il Sommo Lord. «Eravamo quasi riusciti a prenderla, Sommo Lord», rispose Rothen. «Chi la protegge ha usato un'esca. Quando ci siamo resi conto che avevamo preso la ragazza sbagliata, lei era già fuggita. Abbiamo trovato anche un libro di magia.»
Il Sommo Lord si rabbuiò in volto. «Non è una bella notizia.» «Il libro era vecchio e superato», precisò Dannyl. «Ciononostante, non possiamo permettere che libri simili circolino all'esterno della Corporazione», ribatté Akkarin. «Perquisendo i banchi dei pegni potremmo scoprire se ne siano arrivati molti in città. Ne parlerò a Lorlen, ma nel frattempo...» Guardò Dannyl e aggiunse: «Ha avuto successo nel ristabilire i contatti coi Ladri?» Dannyl dapprima sbiancò in viso, poi divenne paonazzo. «No», rispose con voce tesa. «Da settimane rifiutano le mie richieste di colloquio.» Sulla bocca di Akkarin comparve un mezzo sorriso. «Presumo abbia cercato di spaventarli spiegando loro i pericoli che corrono avendo accanto un mago non addestrato.» «Sì, ma non sembrano preoccuparsene.» «Lo faranno presto. Continui coi suoi tentativi d'instaurare un contatto. Se si rifiutano d'incontrarla personalmente, mandi loro dei messaggi. Descriva in dettaglio i pericoli in cui incorrerà la ragazza quando i suoi poteri diverranno incontrollabili. Non passerà molto prima che capiscano che dice il vero. Mi tenga informato sui suoi progressi.» Dannyl deglutì. «Sì, Sommo Lord.» Akkarin fece un cenno a entrambi. «Buona serata.» Si girò e si allontanò, lasciando i due maghi a fissarlo mentre se ne andava. Dannyl espirò con forza. «Come faceva a saperlo?» sussurrò. Rothen si strinse nelle spalle. «Si dice che sia più addentro lui del re agli affari della città, ma potrebbe anche essere che Yaldin lo abbia raccontato a qualcuno.» Dannyl si accigliò e guardò il vecchio mago dall'altra parte della sala. «Non è da Yaldin fare una cosa del genere.» «No», convenne Rothen sorridendo e dandogli un paio di colpetti affettuosi sulla spalla. «Non sembra però che tu sia nei guai. Anzi sembra che tu abbia appena ricevuto una richiesta ufficiale dal Sommo Lord.» Sonea piegò l'angolo della pagina e sospirò. Perché non usano parole normali e comprensibili? Sembrano divertirsi a disporre le frasi in modo che non assomiglino ai discorsi comuni. Perfino Serin, lo scriba di mezza età che le insegnava a leggere, non riusciva a spiegarle bene molti termini ed espressioni. Sfregandosi gli occhi, la ragazza si appoggiò allo schienale della sedia. Si trovava da giorni nel seminterrato di Serin - una stanza incredibilmente
confortevole, con un grande caminetto e mobili robusti - e sapeva che le sarebbe dispiaciuto quando avesse dovuto lasciarla. Dopo la scampata cattura, la sera in cui Cery l'aveva portata alla Corporazione, Faren aveva deciso che Sonea non avrebbe più fatto pratica con la magia finché non le avesse trovato nascondigli nuovi, in posti migliori. Nel frattempo, avrebbe potuto impiegare il tempo studiando i libri che Cery aveva «trovato». Sonea guardò di nuovo la pagina e sospirò. Davanti a lei c'era una parola: una parola sconosciuta, strana e irritante, che non aveva nessun senso. La fissò sapendo che il significato dell'intera frase ruotava intorno a quell'odioso termine. Si sfregò di nuovo gli occhi, poi trasalì quando udì bussare alla porta. «Buonasera», salutò Faren sgattaiolando nella stanza e porgendole una bottiglia. «Ti ho portato un piccolo incoraggiamento.» Sonea la stappò e annusò. «Vino di Pachi!» «Esatto.» Lei si avvicinò a una credenza e prese due boccali. «Non penso vadano bene per il vino di Pachi, ma ci sono solo questi, a meno che tu non voglia chiedere a Serin se ha qualcosa di meglio.» «Andranno bene.» Faren avvicinò una sedia al tavolo e si sedette. Accettò un boccale del liquore verde chiaro e ne bevve una sorsata. Sospirò con aria soddisfatta e si appoggiò alla sedia. «Certo, caldo e speziato è migliore.» «Non saprei», replicò Sonea. «Non l'ho mai assaggiato.» Ne sorseggiò un po', e sorrise quando il suo aroma fresco e dolce le riempì la bocca. Faren sogghignò vedendo la sua espressione. «Immaginavo ti sarebbe piaciuto.» Si allungò e si appoggiò allo schienale. «Ho anche una notizia per te. I tuoi zii aspettano un bambino.» «Davvero?» «Presto avrai un cuginetto», annuì Faren. Bevve un altro sorso e la guardò con aria indagatrice. «Cery mi ha detto che tua madre è morta quand'eri bambina e che poco dopo tuo padre ha lasciato Kyralia.» Tacque per un istante. «I tuoi genitori hanno mai presentato segni di poteri magici?» Sonea scosse la testa. «Non che io sappia.» Il Ladro increspò le labbra. «Ho mandato Cery a parlarne con tua zia. Dice che non ha mai notato poteri magici nei tuoi genitori o nei nonni.» «Ha importanza?» «I maghi amano ricostruire la loro genealogia», disse Faren. «In quella
di mia madre c'erano persone con poteri magici. Lo so perché suo fratello, mio zio, è un mago, e il fratello di mio nonno anche, ammesso che sia ancora vivo.» «Hai dei maghi in famiglia?» «Sì, anche se non li ho mai conosciuti e probabilmente mai lo farò.» «Ma...» Sonea scosse la testa. «Come può essere?» «Mia madre era figlia di un ricco mercante di Lonmar. Mio padre era un marinaio di Kyralia assoldato da un capitano che trasportava regolarmente la merce del padre di mia mamma.» «Come si sono conosciuti?» «Per caso, e si sono frequentati di nascosto. Come tu sai, i lonmar tengono le loro donne nascoste. Non verificano se hanno poteri magici, dato che l'unico posto in cui potrebbero imparare a usarli è la Corporazione, e i lonmar considerano sconveniente che una donna viva lontano da casa e persino che parli con uomini che non appartengono alla famiglia.» Faren tacque per bere un altro sorso di vino. Sonea lo guardò deglutire, impaziente di sapere il resto. Lui sorrise brevemente. «Quando suo padre scoprì che frequentava un marinaio, la punì: la frustò e la rinchiuse in una delle sue torri. Mio padre lasciò la nave e rimase a Lonmar per cercare di liberarla. Non dovette aspettare a lungo, perché la famiglia la ripudiò quando si scoprì che aspettava un bambino.» «La ripudiò? Ma avranno trovato una casa per il bambino!» «No.» L'espressione di Faren s'incupì. «La ritenevano impura, una disgrazia per la famiglia. Secondo le tradizioni doveva essere marchiata in modo che gli altri uomini conoscessero il suo crimine ed essere quindi venduta in un mercato di schiavi. Le restarono una lunga cicatrice su ogni guancia e una in mezzo alla fronte.» «È spaventoso!» esclamò Sonea. Faren si strinse nelle spalle. «Sì, a noi sembra spaventoso, ma i lonmar si credono il popolo più civile del mondo.» Bevve un altro sorso di vino e continuò. «Mio padre la comprò e trovò un passaggio per tornare a Imardin. I loro guai però non finirono lì. Mio padre aveva fatto perdere un cliente importante al capitano della nave, dato che la famiglia di mia madre non volle più commerciare con lui; nessun altro armatore lo volle assumere, perciò i miei genitori divennero sempre più poveri. Si costruirono una casa nei bassifondi, e mio padre trovò lavoro in un macello di gorin. Io nacqui poco dopo.» Finì il boccale, la guardò e sorrise. «Vedi? Anche un
umile Ladro può avere la magia che gli scorre nelle vene.» «Umile Ladro?» sbuffò Sonea. Non aveva mai visto Faren tanto in vena di chiacchiere. Che cos'altro le avrebbe rivelato? Versandogli ancora vino, la ragazza fece un gesto impaziente. «Allora, come ha fatto il figlio di uno che lavorava in un macello a diventare un capo dei Ladri?» Faren portò il boccale alle labbra. «Mio padre morì negli scontri dopo la prima Epurazione. Per poter guadagnare abbastanza da sfamarci, mia madre diventò ballerina in un bordello», spiegò con una smorfia. «La vita era dura. Uno dei suoi clienti era un uomo influente tra i Ladri. Mi aveva preso in simpatia e finì per adottarmi. Quand'è andato in pensione, ho preso il suo posto e sono arrivato fin qui.» Sonea increspò le labbra. «Quindi chiunque può diventare un Ladro... basta solo fare amicizia con la persona giusta.» «Ci vuole di più della persona giusta», replicò lui sorridendo. «Hai forse progetti per il tuo amico?» Lei si rabbuiò fingendosi sconcertata. «Amico? No, pensavo a me.» Faren gettò indietro la testa e scoppiò a ridere, poi sollevò il boccale nella sua direzione. «A Sonea, una donna di piccole ambizioni: prima mago, poi Ladro.» Finirono di bere, poi Faren guardò il libro. «Il senso è più chiaro ora?» La ragazza sospirò. «Neanche Serin è in grado di capire alcune cose. È scritto per qualcuno che ne sa più di me. Mi serve un libro per principianti.» Guardando Faren, aggiunse: «Cery ha avuto fortuna?» Il Ladro scosse la testa. «Sarebbe stato meglio se avessi continuato a fare pratica: avresti tenuto occupata la Corporazione. Nell'ultima settimana hanno controllato tutti i banchi dei pegni dentro e fuori le mura. Se in città c'erano libri di magia, ora non ce ne sono più.» Sonea emise un sospiro e si premette le mani sulle tempie. «Che cosa stanno facendo adesso?» «Continuano a ficcare il naso nei bassifondi, in attesa che tu usi la magia.» La ragazza pensò agli zii e al bambino che aspettavano. Non sarebbe riuscita a vederli finché i maghi non avessero smesso le ricerche. Quanto avrebbe voluto parlare con loro! Guardò il libro e sentì un'ondata di rabbia e di frustrazione salirle nel petto. «Ma non mollano mai?» Trasalì quando una forte esplosione riecheggiò nella stanza, seguita dal lieve ticchettio di qualcosa che si sparpagliava per terra. Guardando il pavimento, Sonea vide i cocci di un vaso bianco di ceramica.
Faren la ammonì col dito. «Non penso sia un bel modo di ripagare Serin...» Poi s'interruppe, si batté la mano sulla fronte e gemette. «Adesso sapranno che sei in città.» Imprecò e la fissò accigliato in segno di disapprovazione. «Ci sono molte ragioni, come ti ho detto, per non usare la magia quando sei qui.» Lei arrossì. «Scusami, Faren, non volevo.» Si abbassò e raccolse un coccio. «Prima non riuscivo a usarla quando volevo e adesso la uso quando nemmeno ci penso.» L'espressione di Faren si addolcì. «Be', se sfugge al tuo controllo, sfugge al tuo controllo.» Fece un gesto con la mano, poi s'irrigidì e si voltò a guardarla. «Che c'è?» chiese lei. Il Ladro deglutì e distolse lo sguardo. «Niente. Solo... un pensiero. I maghi non saranno abbastanza vicini da individuare la tua posizione, anche se domani saranno probabilmente in tutto il quartiere settentrionale. Non credo di doverti spostare subito... cerca solo di non usare di nuovo la magia.» «Ci proverò», replicò Sonea annuendo. «Larkin il mercante?» Dannyl si girò e vide al suo fianco un lavorante della casa del bol. Gli fece un cenno di saluto. L'uomo mosse la testa per indicargli di seguirlo. Per un istante Dannyl lo fissò, incredulo; poi si alzò in fretta dallo sgabello. Seguì l'uomo in mezzo alla folla considerando il testo della lettera che aveva scritto a Gorin. Che cosa aveva fatto sì che stavolta acconsentisse a vederlo? Fuori nevicava. La guida incurvò le spalle e si strinse nel mantello, poi si avviò per la strada a passo rapido. Quando raggiunsero l'ingresso di un vicolo vicino, una figura avvolta in un mantello si parò davanti a Dannyl bloccandogli il passo. «Lord Dannyl. Che sorpresa! O, dovrei dire, che travestimento!» Fergun aveva un ampio sorriso sul volto. Dannyl guardò il mago, e la sua incredulità si tramutò ben presto in fastidio. Ricordandosi di molti anni prima, quando veniva inseguito e tormentato dal giovane Fergun, sentì un certo disagio, poi s'irritò con se stesso. Raddrizzò le spalle e provò una lieve soddisfazione nell'essere di una testa più alto del collega. «Che vuoi, Fergun?» Questi inarcò le sopracciglia. «Sapere perché ti aggiri per i bassifondi in
questo stato, Lord Dannyl.» «E ti aspetti che te lo dica?» Le spalle del guerriero si sollevarono. «Be', se non me lo dirai, sarò costretto a fare congetture, no? Sono certo che i miei amici saranno contenti di aiutarmi a indovinare le tue ragioni.» Portandosi un dito alle labbra, aggiunse: «Ovviamente non desideri si sappia perché sei qui. Stai cercando di evitare uno scandalo? Sei coinvolto in qualcosa d'imbarazzante tanto che sei costretto a vestirti come un mendicante per evitare di essere scoperto? Ah!» Fergun spalancò gli occhi. «Vai per bordelli?» Dannyl guardò oltre la spalla di Fergun. Come prevedeva, la guida era scomparsa. «Oh, allora era lui quello?» chiese il guerriero lanciando un'occhiata dietro di sé. «Aveva un aspetto un po' rude. Non che conosca con esattezza i tuoi gusti.» Dannyl sentì la rabbia travolgerlo come un'ondata gelida. Erano anni che Fergun non lo apostrofava in quel modo, ma l'odio che l'affronto gli aveva scatenato era forte come un tempo. «Togliti dai piedi!» Gli occhi di Fergun luccicarono compiaciuti. «Oh, no», replicò con voce non più scherzosa. «Non prima che tu mi abbia detto cosa stai combinando.» Non sarebbe difficile stenderlo, pensò Dannyl. Controllando a fatica la rabbia, disse: «Fergun, non riusciresti a tenere la bocca chiusa o a non parlare di bassezze nemmeno se lo volessi, e questo lo sanno tutti. Nessuno crederebbe a una sola parola. Adesso togliti dai piedi prima che sia costretto a fare rapporto su di te». Gli occhi del guerriero divennero d'acciaio. «Sono certo che i maghi superiori saranno più interessati alle tue iniziative. Da quanto ricordo, c'è una legge piuttosto rigida sui maghi e sull'obbligo che hanno d'indossare la tunica. Sanno che la stai infrangendo?» Dannyl sorrise. «Non è un fatto del tutto sconosciuto.» Nello sguardo di Fergun comparve un'ombra di dubbio. «Te lo permettono?» «Loro - o dovrei dire lui - mi hanno dato istruzioni in tal senso», rispose Dannyl. Assunse un'aria assente e quindi scosse il capo. «Non sono mai riuscito a capire se mi osservi o no. Dovrà essere messo a conoscenza di questo fatto. Glielo dovrò riferire al mio rientro.» Fergun non era più così colorito in volto. «Non ce n'è bisogno! Glielo riferirò io.» Si fece da parte. «Va'. Finisci il tuo lavoro.» Dopo essere arre-
trato di un altro passo, si girò e si allontanò in fretta. Sorridendo, Dannyl osservò il guerriero scomparire nella neve sempre più fitta. Dubitava che avrebbe detto qualcosa al Sommo Lord. Il senso di soddisfazione cessò tuttavia quando si ritrovò da solo in una strada vuota. Scrutò le ombre, là dove la guida era scomparsa. Doveva spuntare fuori proprio quando i Ladri avevano finalmente acconsentito a incontrarmi? Con un sospiro, si avviò verso la Corporazione. Una serie di passi frettolosi fece scricchiolare la neve alle sue spalle. Dannyl si voltò e, battendo le palpebre per la sorpresa, vide arrivare la guida. Si fermò e lasciò che l'uomo lo raggiungesse. «Hai! Cos'è stato?» domandò l'uomo. «Uno dei nostri, incaricato delle ricerche, era diventato un po' troppo curioso», rispose sorridendo. «Penso lo si potrebbe definire una tag ficcanaso.» L'uomo sorrise, rivelando una fila di denti macchiati. «Capisco.» Scrollò lievemente le spalle e inclinò la testa facendogli cenno di seguirlo. Dopo aver controllato che Fergun non si fosse appostato da qualche parte, Dannyl si avviò di nuovo sotto la neve. «'Aumentare gradualmente la quantità di polvere finché il calore non fonde il vetro'», lesse Serin. «Ma non è così che funziona!» esclamò Sonea. Si alzò e prese a camminare su e giù per la stanza. «È più come una... pellicola d'acqua con un minuscolo foro. Se la premi, l'acqua schizza fuori, ma non puoi prendere la mira o fare...» S'interruppe quando udì bussare alla porta. Serin si alzò e guardò dallo spioncino prima di aprire. «Sonea, hai visite», disse Faren indicando allo scriba di uscire. Quindi entrò nella stanza, sorridente. Alle sue spalle vi erano un uomo robusto con lo sguardo assonnato e una donna piccola con una sciarpa pesante avvolta intorno al capo. «Ranel!» gridò Sonea. «Jonna!» Girò fulminea intorno al tavolo e abbracciò la zia. «Sonea.» Jonna emise un lieve gemito. «Eravamo così preoccupati per te.» Tenendola a lieve distanza, la guardò con un cenno di approvazione. «Hai un bell'aspetto.» Con gran divertimento di Sonea, Jonna guardò Faren con occhi socchiusi. Il Ladro si appoggiò alla parete in fondo e sorrise. Sonea si avvicinò a Ranel e lo abbracciò.
Lui la scrutò con aria indagatrice. «Harrin ci ha detto che usi la magia.» Sonea fece una smorfia. «Esatto.» «E che i maghi ti stanno cercando.» «Sì. Faren mi sta nascondendo da loro.» «A che prezzo? I tuoi poteri?» Lei annuì. «Sì. Non che al momento gli sia tanto utile. Non sono molto brava.» Jonna sbuffò lievemente. «Non puoi essere così incapace, altrimenti non ti terrebbe.» Si guardò intorno e annuì. «Non è brutto come pensavo.» Si avvicinò a una sedia, si sedette, si tolse la sciarpa ed emise un lungo respiro. Sonea si accovacciò accanto alla sedia. «Ho sentito che avete iniziato una nuova attività.» Sua zia si accigliò. «Una nuova attività?» «Avete messo in cantiere un cuginetto.» La donna si rasserenò e si tastò il ventre. «Ah, allora hai saputo la notizia! Sì, la prossima estate ci sarà un altro membro nella nostra famigliola.» Jonna guardò Ranel, che sfoderò un ampio sorriso. Osservandoli, Sonea provò un grande affetto e una grande nostalgia. Poi avvertì una sensazione familiare nella mente e inspirò bruscamente. Si alzò e si guardò intorno, ma non vide nulla fuori posto. «Che c'è?» chiese Faren. «Ho fatto qualcosa.» Arrossì quando si accorse che gli zii la stavano fissando. «Be', così mi sembrava.» Il Ladro esaminò la stanza, poi si strinse nelle spalle. «Forse hai spostato un po' di terra dietro le pareti.» Jonna aveva un'aria perplessa. «Cosa intendi?» «Ho usato la magia», spiegò Sonea. «Non ne avevo intenzione. A volte accade.» «E non sai quello che hai fatto?» Jonna si strinse di più il ventre. «No.» Sonea deglutì e guardò altrove. Lo sguardo allarmato negli occhi della zia la rattristò, ma capiva il motivo della sua paura. Il pensiero che potesse nuocere accidentalmente... No, si disse. Non ci pensare. Inspirò profondamente ed espirò. «Faren, penso sia meglio che li porti via, per precauzione.» Lui annuì. Jonna si alzò, il volto segnato dalla preoccupazione. Si girò verso Sonea e aprì la bocca per parlare, poi scosse la testa e tese le braccia. Sonea l'abbracciò forte prima di allontanarsi da lei. «Ci vediamo», disse
loro. «Quando tutto questo sarà finito.» Ranel annuì. «Abbi cura di te.» «Lo farò», promise. Faren accompagnò la coppia all'uscita. Sonea si voltò e udì i loro passi che salivano le scale. Poi un'insolita chiazza di colore attirò la sua attenzione: la sciarpa della zia. La raccolse, si precipitò verso la porta e su per le scale. Mentre saliva, vide che gli zii erano accanto a Faren nella cucina di Serin e fissavano qualcosa nella stanza. Quando li raggiunse, vide ciò che aveva attratto i loro sguardi: il pavimento, prima ricoperto da grosse lastre di pietra, era un ammasso informe di pietre e terra. E un mucchio di legno contorto e scheggiato era tutto ciò che rimaneva del grosso tavolo di legno che troneggiava nella stanza. Sonea sentì la bocca seccarsi; poi la sua mente vagò di nuovo e d'un tratto il tavolo prese fuoco. Faren si voltò verso di lei e, prima di parlare, sembrò lottare contro i suoi stessi sentimenti. «Come ho detto, sta probabilmente passando un momento difficile», affermò. «Sonea, torna di sotto e prepara la borsa. Io porterò a casa i tuoi ospiti e manderò qualcuno a spegnere il fuoco. Andrà tutto bene.» La ragazza annuì, porse la sciarpa alla zia e si precipitò giù per le scale fino al seminterrato. 14 UN ALLEATO RILUTTANTE Rothen si fermò a riposare in un vicolo, chiuse gli occhi e utilizzò i poteri per riprendersi dalla stanchezza. Riaprì gli occhi e studiò la neve accumulatasi ai lati degli edifici. Le bufere avevano cominciato a investire Imardin, e il tempo mite delle settimane precedenti era ormai un ricordo lontano. Dopo aver verificato che la tunica fosse ben coperta dal mantello, il mago fece per uscire nella strada. S'immobilizzò tuttavia quando udì un ronzio familiare in un angolo della sua mente. Chiuse gli occhi e imprecò tra sé quando si accorse quanto era lontano dalla fonte. Scosse il capo e uscì in strada. «Dannyl?»
«L'ho sentita. Adesso è a qualche strada da me.» «Si è mossa?» «Sì.» Rothen si accigliò. Se era fuggita, perché usava ancora i poteri? «Chi altro è vicino?» «Noi siamo più vicini», annunciò Lord Kerrin. «Dev'essere a non più di un centinaio di passi da noi.» «Sarle e io ci troviamo quasi alla stessa distanza», comunicò Lord Kiano. «Portatevi in zona», disse loro Rothen. «Non avvicinatela da soli.» Attraversò la strada e si affrettò lungo un vicolo. Un vecchio mendicante lo seguì coi suoi occhi ciechi mentre passava. «Rothen?» lo chiamò Dannyl. «Guarda un po'.» All'improvviso nella mente di Rothen comparve l'immagine di una casa avvolta da fiamme arancione, con una colonna di fumo nero che saliva in cielo. «Pensi sia stata la ragazza?» «Vedremo cose più sensazionali di questa», replicò Rothen. Giunto in fondo al vicolo, il mago sbucò in una strada più ampia. Quando vide la casa in fiamme, controllò il passo. La gente si stava già ammassando per guardare. Mentre si avvicinava, Rothen vide gli occupanti delle case vicine uscire carichi dei loro beni. Un'ombra alta si staccò dall'oscurità di un altro vicolo e lo avvicinò. «Dev'essere vicina», affermò Dannyl. «Se noi...» Si irrigidirono mentre un ronzio più forte e più breve colpì i loro sensi. «Dietro quell'edificio», disse Rothen indicandolo. Dannyl si avviò. «Conosco questa zona. C'è un vicolo dietro quella casa che incrocia gli altri due.» Avanzarono a grandi passi al buio in mezzo a due edifici. Rothen rallentò di nuovo quando sentì un'altra forte vibrazione un centinaio di passi a sinistra rispetto alla prima. «Si muove veloce», borbottò Dannyl iniziando a trotterellare. Rothen si affrettò alle sue spalle. «C'è qualcosa che non va», mormorò ansimando. «Silenzio per settimane, poi questa settimana tutti i giorni... e perché poi usa ancora i poteri?» «Forse non può farne a meno.» «Allora Akkarin ha ragione.» Rothen inviò un messaggio mentale. «Kiano?»
«Sta venendo verso di noi.» «Kerrin?» «L'abbiamo incrociata un attimo fa, era diretta a sud.» «La circonderemo», disse Rothen. «State attenti. Potrebbe perdere il Controllo dei suoi poteri. Kiano e Sarte, avvicinatevi piano. Kerrin e Fergun, tenetevi alla sua destra. Noi le andremo incontro...» «L'ho trovata!» comunicò Fergun. Rothen si rabbuiò. «Fergun, dove sei?» Vi fu un breve silenzio. «È nelle gallerie sotto di me. La vedo da una griglia nel muro.» «Resta lì», ordinò Rothen. «Non avvicinarti da solo.» Un attimo dopo, Rothen sentì un'altra vibrazione, poi molte altre ancora. Percepì l'allarme degli altri maghi e allungò il passo. «Fergun? Che succede?» «Mi ha visto.» «Non ti avvicinare!» lo ammonì Rothen. Il ronzio della magia s'interruppe all'improvviso. Dannyl e Rothen si scambiarono un'occhiata, poi affrettarono il passo. Raggiunto un incrocio, videro Fergun in un vicolo, intento a guardare da una griglia inserita in un muro vicino. «Se n'è andata», annunciò loro. Dannyl corse alla griglia, l'aprì e guardò nel passaggio. «Che cos'è successo?» chiese Rothen. «Stavo aspettando che Kerrin mi raggiungesse quando ho sentito dei rumori provenire dalla griglia», rispose Fergun. Dannyl si alzò. «Così hai voluto fare da solo, e l'hai spaventata.» Fergun fissò il collega più alto con occhi socchiusi. «No, sono rimasto qui come ordinato.» «Ti ha visto mentre guardavi e si è spaventata?» chiese Rothen. «Per questo ha cominciato a usare i poteri?» «Sì», rispose Fergun con una scrollata di spalle. «Finché i suoi amici non l'hanno stordita e portata via.» «Non li hai seguiti?» chiese Dannyl. Fergun sollevò le sopracciglia. «No. Sono rimasto qui, come ordinato.» Dannyl borbottò qualcosa e tornò nel vicolo. Sopraggiunsero i colleghi, e Rothen andò loro incontro. Spiegò l'accaduto e li rimandò tutti, Fergun compreso, alla Corporazione. Trovò Dannyl seduto su una soglia, intento a fare una palla con la neve.
«Sta perdendo il Controllo», osservò l'amico. «Sì», convenne Rothen. «Dovremmo interrompere le ricerche. Una caccia o uno scontro potrebbero minare quel poco Controllo che ha.» «Adesso che facciamo?» Rothen fissò l'amico con sguardo penetrante. «Negoziamo.» L'odore di fumo era forte e acre nei polmoni di Cery. Il ragazzo corse lungo il passaggio, schivando sagome indistinte di altre persone. Si fermò davanti a una porta a riprendere fiato. La guardia che l'aprì gli fece un cenno quando lo riconobbe. Cery salì di corsa le strette scale di legno, aprì la botola in alto e spuntò in una stanza scarsamente illuminata. Individuò rapido le tre guardie corpulente in agguato nell'ombra, l'uomo dalla pelle scura alla finestra e la figura addormentata su una sedia. «Che cos'è successo?» domandò. Faren si voltò a guardarlo. «Le abbiamo dato una droga per farla dormire. Temeva di fare altri danni.» Cery si avvicinò e si chinò a esaminare il volto di Sonea: sulla tempia aveva un'ecchimosi scura e gonfia. Abbassò lo sguardo e vide che aveva l'orlo della manica bruciato e la mano bendata. «Il fuoco si sta diffondendo», disse Faren. Cery si alzò e si avvicinò al Ladro, accanto alla finestra. Tre case dall'altra parte della strada stavano bruciando. Dietro le finestre, le fiamme sembravano occhi lucenti e si levavano come capelli arancione al vento, là dove prima c'era il tetto. Il fumo aveva iniziato a riversarsi all'esterno dalle finestre di un'altra casa. «Ha detto che stava sognando... che ha avuto un incubo», spiegò Faren. «Quando si è svegliata, la stanza era in fiamme. Erano già troppo alte per poter essere spente. Più si spaventava e più fuochi scoppiavano.» Emise un sospiro. Rimasero a lungo in silenzio, poi Cery si girò a guardare il Ladro. «Adesso che farai?» Con sua sorpresa, Faren sorrise. «La presenterò a un amico di un nostro vecchio conoscente.» Si girò e indicò uno degli uomini acquattati nell'ombra. «Jarin, prendila tu.» Un uomo grosso e muscoloso emerse dall'ombra ed entrò nella luce arancione creata dai fuochi. Si chinò per sollevare Sonea, ma, quando l'afferrò per le spalle, lei batté le palpebre e aprì gli occhi. Scostando rapido le mani, Jarin arretrò.
«Cery?» mormorò la ragazza. Batté lentamente le palpebre e cercò di metterlo a fuoco. L'amico accorse. «Ciao», le disse sorridendo. Sonea richiuse gli occhi. «Non ci hanno seguiti, Cery. Ci hanno lasciato andare. Non è strano?» Aprì di nuovo gli occhi e guardò dietro di sé. «Faren?» «Sei sveglia», commentò il Ladro. «Avresti dovuto dormire per altre due ore.» Lei sbadigliò. «Non mi sento sveglia.» Cery ridacchiò. «Non ne hai nemmeno l'aspetto. Torna a dormire, hai bisogno di riposo. Ti porteremo in un posto sicuro.» Sonea annuì e richiuse gli occhi. Il suo respiro riprese il ritmo lento del sonno. Faren guardò Jarin, poi annuì in direzione della ragazza addormentata. L'omone, riluttante, la prese tra le braccia. Le palpebre le tremolarono una volta, ma Sonea continuò a dormire. Faren afferrò una lampada, si avvicinò alla botola, l'aprì con un calcio e iniziò a scendere per la scala. Percorsero le gallerie in silenzio. Alzando lo sguardo sul volto dell'amica, Cery sentì un tuffo al cuore. La vecchia e familiare sensazione di disagio era diventata più potente di qualsiasi cosa avesse mai provato. Lo teneva sveglio la notte e lo tormentava di giorno. Non ricordava quasi un momento in cui non lo facesse star male. Temeva perlopiù per la sorte di lei, ma di recente aveva anche iniziato a temere di starle accanto. I poteri che possedeva avevano cominciato a sfuggirle di mano. Ogni giorno, a volte ogni ora, qualcosa che le stava accanto esplodeva in mille pezzi o prendeva fuoco. Quel mattino ci avevano riso sopra, scherzando sul fatto che si esercitava molto a spegnere fuochi e a schivare oggetti volanti. Tutte le volte che la magia sfuggiva al suo Controllo, i maghi accorrevano da ogni parte della città. Sempre in movimento, costretta a passare più tempo nelle gallerie che nei nascondigli di Faren, Sonea era esausta e infelice. Assorto nei suoi pensieri, Cery prestava scarsa attenzione al percorso. A un certo punto scesero una scala stretta e passarono sotto un'enorme lastra di pietra. Riconoscendo le fondamenta del Muro esterno, Cery capì che stavano entrando nel quartiere settentrionale e si chiese chi fosse il misterioso amico di Faren. Poco dopo, il Ladro si fermò e ordinò alla guardia di posare Sonea. Lei
si svegliò e sembrò più consapevole di dove si trovasse. Faren si tolse il mantello e, con l'aiuto di Jarin, le infilò le braccia nelle maniche e le mise il cappuccio in testa. «Pensi di essere in grado di camminare?» le chiese. Lei si strinse nelle spalle. «Ci proverò.» «Se incontriamo qualcuno, cerca di non farti notare.» All'inizio Sonea ebbe bisogno di aiuto, ma dopo pochi minuti riacquistò l'equilibrio. Camminarono per un'altra mezz'ora incontrando via via più persone nei tunnel. Faren si fermò davanti a una porta e bussò. Una guardia aprì e li fece entrare in una piccola stanza. Quindi bussarono a una seconda porta. Un uomo minuscolo e scuro, con un naso a punta, venne ad aprire e guardò il Ladro. «Faren, cosa ti porta qui?» «Affari», rispose lui. Cery si accigliò. C'era qualcosa di familiare in quella voce. Gli occhi tondi e luccicanti dell'uomo si socchiusero. «Allora entra.» Faren varcò la soglia, quindi si fermò e indicò le guardie. «Voi restate qui», disse. Indicando Cery e Sonea, aggiunse: «Voi venite con me». L'uomo si rabbuiò. «Io non...» Esitò, scrutò Cery e sorrise. «Ah, è il piccolo Ceryni. Così, Faren, ti sei tenuto quel bricconcello del figlio di Torrin. Mi chiedevo se lo avresti fatto.» Cery sorrise quando capì chi fosse quell'uomo. «Ciao, Ravi.» «Entrate.» Quando Cery mise piede nella stanza, Sonea lo seguì. Guardandosi intorno, gli occhi di Cery incontrarono quelli di un vecchio seduto su una sedia, intento ad accarezzarsi la lunga barba bianca. Cery gli fece un cenno col capo, ma il vecchio non ricambiò l'educato saluto. «E chi è questo?» chiese Ravi indicando Sonea. Faren le tolse il cappuccio. «Questa è Sonea.» Il Ladro abbozzò un mesto sorriso. «Sonea, ti presento Ravi.» La ragazza guardò Ravi con due pupille grandi e nere per l'effetto della droga. «Salve», disse piano. Ravi fece un passo indietro, pallido in volto. «E... lei? Ma io...» «Come osi portarla qui?» Tutti si voltarono verso la voce. Il vecchio si era alzato e fissava torvo Faren. Sonea ansimò e si allontanò con passo incerto. Il Ladro le mise le mani sulle spalle e la sostenne. «Non temere, Sonea», la tranquillizzò. «Non oserà farti del male. Se lo facesse, saremmo costretti
a raccontare tutto di lui alla Corporazione, e non gli piacerebbe se scoprissero che non è morto come credono.» Cery si voltò a guardarlo e capì d'un tratto perché lo sconosciuto non si era curato di rispondere al suo cenno. «Tu e lui avete molto in comune, Sonea», continuò Faren in tono compiaciuto. «Siete entrambi protetti dai Ladri, possedete entrambi poteri magici ed entrambi non volete che la Corporazione vi trovi. E ora che hai visto Senfel, qui, lui non avrà altra scelta che mostrarti come controllare i tuoi poteri, perché, se non lo fa e i maghi ti trovano, tu potresti raccontare loro di lui.» «È un mago», sussurrò lei fissando il vecchio con occhi sgranati. «Lo era, un tempo», la corresse Faren. Con gran sollievo di Cery, gli occhi di Sonea si riempirono di speranza, non di paura. «Mi puoi aiutare?» chiese la ragazza. Senfel incrociò le braccia. «No.» «No?» ripeté piano lei. Il vecchio si rabbuiò, poi increspò il labbro sprezzante. «Drogarla peggiorerà solo le cose, Ladro.» Sonea inspirò bruscamente. Vedendole tornare la paura nello sguardo, Cery le si avvicinò e le prese le mani. «Va tutto bene», le sussurrò. «È solo una droga per dormire.» «No, non va tutto bene», replicò Senfel e, guardando Faren con occhi socchiusi, aggiunse: «Non posso aiutarla». «Non hai scelta!» sbottò Faren. Senfel sorrise. «No? Vai alla Corporazione, allora. Di' loro che sono qui. È meglio che mi trovino piuttosto che muoia quando lei perderà il controllo dei suoi poteri.» Cery sentì Sonea contrarsi e si voltò a guardare il vecchio. «Smettila di spaventarla!» sibilò. Senfel lo fissò, poi i suoi occhi guizzarono su Sonea, che ricambiò torva lo sguardo, con aria di sfida. L'espressione del vecchio si addolcì lievemente. «Va' da loro», le disse. «Non ti uccideranno. Il peggio che ti possano fare è bloccarti i poteri in modo che tu non li possa usare. Meglio che morire, eh?» Lei continuò a guardarlo in cagnesco. Senfel scrollò le spalle, poi si raddrizzò e fissò Faren con occhi glaciali. «Ci sono almeno tre maghi nei paraggi. Ci vuole poco a chiamarli, e sono
certo che potrei impedirvi di andarvene prima che trovino la strada per arrivare qui. Volete ancora svelare la mia presenza alla Corporazione?» Faren contrasse la mascella mentre ricambiava l'occhiata. Scosse la testa. «Andate e, quando sarà tornata in sé, ripetetele quello che le ho detto. Se non chiede aiuto alla Corporazione, morirà.» «Allora aiutala», disse Cery. Il vecchio scosse la testa. «Non posso. I miei poteri sono troppo deboli e lei ormai è oltre il limite. Soltanto la Corporazione può aiutarla.» Estratto un barile da sotto un tavolo, il proprietario della casa del bol lo lasciò cadere sulla panca con un grugnito. Quando iniziò a riempire i boccali e a servirli al bancone, lanciò a Dannyl uno sguardo eloquente. Si allungò e ne sbatté uno proprio davanti a lui, poi incrociò le braccia e attese. Accigliato, il mago gli rivolse un'occhiata distratta e gli porse una moneta, ma lo sguardo dell'oste non si mosse. Dannyl fissò la bevanda e capì di non poterlo più evitare: avrebbe dovuto buttarla giù. Sollevò il boccale, provò a bere un sorso e batté le palpebre, sorpreso. Un aroma ricco e dolce gli riempì la bocca. Era un sapore familiare e dopo un attimo lo riconobbe: salsa chebol senza spezie. Dopo alcune sorsate sentì un calore al ventre. Sollevò il boccale in direzione dell'oste e in cambio ricevette un cenno di approvazione. L'uomo non smise tuttavia di guardarlo, e Dannyl si sentì sollevato quando un giovane entrò con passo pesante nel locale e iniziò a chiacchierare. «Come vanno gli affari, Kol?» L'oste scrollò le spalle. «Al solito.» «Quanti barili vuoi stavolta?» Dannyl ascoltò i due contrattare. Quando stabilirono il prezzo, il nuovo arrivato si sedette su una sedia e sospirò. «Dov'è finito quel tipo strano con l'anello pacchiano?» «Il sachakano?» L'oste si strinse nelle spalle. «L'hanno fatto fuori settimane fa. Lo hanno trovato in un vicolo.» «Sul serio?» «È la verità.» Dannyl sbuffò piano. Una giusta fine, pensò. «Hai sentito dell'incendio della notte scorsa?» domandò l'oste. «Vivo lì vicino. Ha distrutto un'intera via. Meno male che non è estate, avrebbe potuto bruciare tutti i bassifondi.»
«Non che alla gente della città sarebbe importato», aggiunse l'oste. «Il fuoco non avrebbe mai superato le Mura.» Una mano toccò la spalla di Dannyl. Il mago alzò lo sguardo e riconobbe l'uomo smilzo che i Ladri gli avevano dato come guida. Questi gli indicò la porta con un movimento del capo. Dannyl finì il bol e posò il boccale. Quando si alzò, ricevette un caloroso cenno di saluto dall'oste. Lui sorrise, ricambiò il saluto e seguì la guida alla porta. 15 IN UN MODO O NELL'ALTRO... Sonea osservava l'acqua filtrare da una crepa in alto sul muro, formare una gocciolina, correre lungo il gancio inutilizzato di una lampada e cadere nel vuoto piombando sul pavimento duro. Sollevò lo sguardo e osservò un'altra goccia formarsi. Faren aveva scelto con oculatezza l'ultimo nascondiglio: un magazzino sotterraneo vuoto, con pareti di mattoni e una panca di pietra per letto, privo di qualsiasi cosa infiammabile o di valore. Fatta eccezione per lei stessa. All'idea provò un brivido di paura. Chiuse gli occhi e scacciò rapidamente il pensiero. Non sapeva da quanto si trovasse in quella stanza: potevano essere giorni o soltanto ore. Non c'era niente per misurare il tempo. Da quand'era arrivata non aveva avvertito quella sensazione familiare nella mente. I sentimenti in grado di attivare i poteri erano aumentati a tal punto che non riusciva più a contarli. Stesa nel magazzino, si era concentrata sull'obiettivo di restare calma. Ogni volta che un pensiero la turbava, lei faceva un bel respiro e lo scacciava. Aveva raggiunto una piacevole condizione di distacco. Forse l'aveva indotta la bevanda che Faren le aveva dato. Drogarla peggiorerà solo le cose. Tremò al ricordo dello strano sogno che aveva fatto dopo l'incendio: era andata a trovare un mago nei bassifondi. Anche se nella sua immaginazione lo aveva visto come un salvatore, non le aveva detto parole di conforto. Sonea fece un respiro profondo e cancellò il ricordo dalla mente. Ovviamente, si sbagliava quando pensava di dover accumulare rabbia dentro di sé per poter usare i poteri. Ormai ammirava i maghi per l'auto-
controllo che dimostravano, ma sapere che erano esseri privi di sentimento non glieli rendeva più simpatici. Udì bussare lievemente alla porta, che poco dopo si socchiuse. Soffocando un senso di apprensione, Sonea si alzò e sbirciò nell'apertura. Dall'altra parte vide Cery, il volto piegato in una smorfia per lo sforzo di spostare la pesante porta metallica. Quando l'ebbe aperta abbastanza da passarci attraverso, si fermò e le fece un cenno. «Devi spostarti di nuovo.» «Ma non ho fatto niente.» «Forse non te ne sei resa conto.» Infilandosi nell'apertura, Sonea cercò di capire che cosa potesse significare. La droga le aveva impedito di sentire che i poteri le sfuggivano di mano? Non aveva visto niente esplodere o prendere fuoco. I poteri sfuggivano ancora al suo controllo, ma in una forma meno distruttiva? Quelle domande la portarono quasi sul punto di provare forti sentimenti, perciò le cancellò dalla mente. Seguì Cery e si sforzò di mantenersi calma. L'amico si fermò e salì una scala a pioli arrugginita fissata al muro. Aprì una botola e vi passò attraverso facendo cadere dentro un po' di neve fresca. Sonea gli fu subito dietro e sentì l'aria gelida sul volto quando emerse nella luce del giorno. Si ritrovarono in un vicolo deserto. Cery le sorrise mentre si toglieva la neve dai vestiti. «Hai un po' di neve nei capelli», disse. Si allungò per togliergliela, ma con un ansito ritrasse la mano. «Ahi! Che...?» Allungò di nuovo la mano e trasalì. «Hai creato una di quelle barriere, Sonea.» «No», ribatté lei, sempre convinta di non aver usato la magia. Tese la mano e provò una scossa dolorosa quando quella toccò una barriera invisibile. In quel momento scorse un movimento oltre le spalle di Cery e guardò in quella direzione: un uomo era appena entrato nel vicolo e stava avanzando verso di lei. «Alle tue spalle!» gridò, ma Cery stava osservando qualcosa sopra la sua testa. «Un mago!» sibilò lui indicandolo. Lei alzò lo sguardo e trattenne il fiato. Sul tetto sopra di loro c'era un uomo che li fissava con attenzione. Sonea ansimò, incredula, mentre l'uomo si avvicinava al bordo dell'edificio e, invece di cadere, volò verso il suolo. Quando Cery cozzò contro la barriera, una vibrazione risuonò nell'aria. «Corri!» gridò. «Scappa!» Lei arretrò dal mago che stava scendendo dal tetto. Rinunciando a ogni
sforzo di restare calma, schizzò lungo il vicolo. Dal rumore di stivali che pestavano la neve alle sue spalle capì che il mago era giunto al suolo. Davanti a lei, il vicolo ne intersecava un altro. Al di là dell'incrocio, un'altra figura avanzava nella sua direzione. Ansimando, Sonea si gettò in avanti in preda al panico e provò un fremito di esultanza quando raggiunse l'incrocio parecchi passi prima del secondo mago. Arrestandosi di colpo, si buttò a destra nel vicolo... e subito si aggrappò agli angoli dei muri, per fermarsi. C'era un altro uomo, in attesa, con le braccia incrociate. Senza fiato, Sonea si girò e si buttò nell'ultimo vicolo che le restava. Un quarto uomo si trovava a vari passi di distanza, impedendole l'unica via di fuga. Sonea imprecò e si voltò per guardarsi alle spalle. Il terzo uomo la stava fissando intensamente, ma non si era mosso. La ragazza guardò il quarto: aveva iniziato ad avvicinarsi. Col cuore che le batteva forte, alzò lo sguardo ed esaminò i muri; erano fatti dei soliti mattoni grezzi ma sapeva che, anche se avesse avuto il tempo di scalarli, i maghi avrebbero potuto facilmente riportarla a terra. In quel momento avvertì una sensazione spaventosa, ottenebrante, di gelo. Sono in trappola. Non ci sono vie d'uscita. Guardò dietro di sé e sentì una fitta di paura quando vide che i primi due uomini avevano raggiunto il terzo all'incrocio. Allora provò la ben nota sensazione di rilascio dei poteri. Una pioggia di polvere e frammenti di mattoni cadde a terra mentre il muro al di sopra degli uomini si sgretolava, ma i detriti rimbalzarono innocui in aria al di sopra delle loro teste. I maghi osservarono il muro, poi spostarono il loro sguardo su di lei valutando la situazione. Nel timore che pensassero li stesse per attaccare e rispondessero, Sonea arretrò e avvertì di nuovo quella sensazione. Un calore intenso le avvolse una gamba. Guardò in basso e vide la neve sfrigolare e sciogliersi fino a formare una pozza d'acqua ai suoi piedi. Si levò una nube di vapore che riempì il vicolo creando una foschia calda e impenetrabile. Non mi possono vedere! Sonea provò una piccola speranza. Posso sgusciare in mezzo a loro. Si girò e balzò nel vicolo. L'ombra scura di un uomo si mosse per bloccarle il cammino. Sonea esitò, poi frugò nel mantello. Le sua dita incontrarono la fredda impugnatura del coltello. Mentre il mago si allungava per prenderla, lei si abbassò schivando le sue mani tese e gli si gettò contro
con tutto il peso. L'uomo barcollò all'indietro, ma non cadde. Prima che si rimettesse in equilibrio, Sonea gli conficcò con forza la lama sottile in una coscia. L'arma affondò in profondità nella gamba. Quando il mago cacciò un urlo di sorpresa e di dolore, lei provò un brivido crudele di soddisfazione. Estratto il coltello, spintonò l'uomo con tutte le forze che aveva in corpo. Lui cadde gemendo contro il muro e lei si girò, pronta a scappare. Ma una mano l'afferrò per il polso. Con un grugnito, Sonea si voltò e cercò di liberarsi, ma la presa si strinse e cominciò a farle male. Poi sentì il coltello scivolarle di mano. Una folata spazzò la foschia dal vicolo e le consentì di vedere gli altri tre maghi che stavano correndo nella sua direzione. Sentì il panico salirle nel petto e cominciò a lottare invano, scivolando sul terreno bagnato. Grugnendo per lo sforzo, l'uomo la tirò per un braccio in direzione degli altri tre. Quando sentì più mani afferrarla per le braccia, Sonea fu colta dal terrore. Si dimenò e cercò di liberarsi, ma la loro presa era forte. Le mani la spinsero contro il muro e la immobilizzarono. Ansimante, Sonea si ritrovò circondata dai maghi, che la fissavano con occhi vividi. «È selvaggia», disse uno. Quello ferito scoppiò in una breve e mesta risata. Lei guardò il mago più vicino e restò sconvolta: era quello che l'aveva vista durante l'Epurazione. L'uomo la fissava intensamente negli occhi. «Non avere paura di noi, Sonea. Non ti faremo del male.» Uno dei maghi borbottò qualcosa. Il mago più anziano annuì e gli altri allontanarono lentamente le mani. Una forza invisibile la teneva premuta contro il muro. Incapace di muoversi, Sonea avvertì un'ondata di disperazione seguita dalla consueta sensazione di rilascio incontrollabile dei poteri. Gli altri tre maghi si scansarono mentre il muro alle loro spalle esplodeva e il vicolo si riempiva di mattoni. Un uomo con addosso un grembiule da panettiere emerse dal buco col volto scuro di rabbia. Alla vista dei quattro maghi, esitò e li fissò con occhi sgranati. Uno di loro si voltò e fece un gesto brusco. «Vattene!» abbaiò. «Andatevene tutti da quest'isolato!» L'uomo arretrò e scomparve nel buio della casa.
«Sonea.» Il mago più anziano la stava guardando intensamente. «Ascoltami. Non abbiamo intenzione di farti del male. Noi...» Sonea avvertì un calore forte sul viso. Si girò e notò che i mattoni vicini stavano diventando rossi. Qualcosa stava gocciolando dal muro. Udì uno dei maghi imprecare. «Sonea», riprese quello più anziano, con una nota severa nella voce. «Smettila di resisterci. Ti farai del male.» Il muro alle sue spalle prese a tremare. Quando la vibrazione si diffuse, i maghi allargarono le braccia. Sonea ansimò mentre il terreno sotto i suoi piedi si spaccava. «Rallenta la respirazione», la esortò il mago. «Cerca di calmarti.» Lei chiuse gli occhi e scosse la testa. Non serviva. La magia si riversava al di fuori del suo corpo come acqua da un tubo rotto. Sentì una mano toccarle la fronte e aprì gli occhi. Il mago allora ritrasse la mano. Aveva il volto teso. Disse qualcosa agli altri, poi la guardò negli occhi. «Io ti posso aiutare, Sonea. Ti posso mostrare come fermare tutto questo, ma solo se tu me lo permetti. So che hai ogni ragione per temerci e per diffidare di noi, ma, se adesso non mi ascolti, farai del male a te stessa e a molte altre persone in questa zona. Capisci?» Lei lo fissò. Aiutarla? Perché mai voleva aiutarla? Ma, se avesse avuto intenzione di uccidermi, lo avrebbe già fatto, pensò d'un tratto. In quell'istante il volto dell'uomo prese a luccicare e Sonea si accorse che l'aria intorno a lei vibrava per il calore. Le bruciava la faccia, tanto che soffocò un grido di dolore. Il mago e i suoi compagni non parevano sentirlo, ma avevano un'espressione cupa. Parte di lei si ribellava all'idea, ma sapeva che, se non avesse fatto quello che volevano, sarebbe accaduto qualcosa di brutto. Il mago più anziano si accigliò. «Non abbiamo tempo di spiegarti», disse severo. «Tenterò di mostrarti come fare, ma non devi opporre resistenza.» Sollevò una mano e le toccò la fronte, poi chiuse gli occhi. Subito Sonea avvertì una persona ai confini della sua mente e seppe all'istante che si chiamava Rothen. A differenza delle menti che aveva percepito quando le davano la caccia, quella era in grado di vederla. Chiuse gli occhi e si concentrò sulla sua aura. «Ascoltami. Hai perso quasi completamente il Controllo dei tuoi poteri.» Sonea non udiva parole, ma il senso del messaggio era chiaro e allar-
mante. Capì subito che i poteri l'avrebbero uccisa, se non avesse imparato a controllarli. «Cercalo nella tua mente.» Qualcosa... un pensiero inespresso, un'esortazione a cercare. Sonea divenne consapevole di un luogo dentro di sé che era allo stesso tempo familiare e strano. Mentre si concentrava, divenne più nitido. Una sfera di luce enorme, accecante, che galleggiava nel buio... «Quello è il tuo potere. È diventato una grande riserva di energia. Lo devi liberare... ma in modo controllato.» Il mio potere? Si allungò verso di esso e subito una luce bianca lampeggiò dalla sfera. Sonea si sentì pervadere dal dolore e da qualche parte, in lontananza, udì una voce gridare. «Non cercare di toccarlo... non prima che ti mostri come. Adesso, guardami...» Il mago richiamò la sua attenzione. Lei lo seguì altrove e divenne consapevole di un'altra sfera di luce. «Osserva.» Sonea osservò mentre, piegando la mente, l'uomo traeva potere dalla sfera, lo plasmava e lo lasciava andare. «Adesso prova tu.» Concentrandosi sulla sua sfera di luce, Sonea comandò a un po' dell'energia di muoversi. La magia le pervase la mente. Doveva solo pensare come impiegarla e se ne sarebbe andata. «Esatto. Adesso fallo di nuovo e continua a trarre energia fino a usare tutto il potere che hai in te.» «Tutto?» «Non avere paura. Hai la capacità di usare tutto questo potere, e l'esercizio che ti ho mostrato lo impiegherà in modo che non causi danno.» Il petto le si sollevò quando Sonea inspirò profondamente per poi espirare. Trasse un altro po' di energia, la plasmò e la liberò. Una volta iniziato, era quasi smaniosa di assecondare la sua volontà. La sfera cominciò a rimpicciolire e a poco a poco diminuì fino a essere poco più di una scintilla che galleggiava nel buio. «Ecco, è tutto finito.» Lei aprì gli occhi e batté le palpebre notando la devastazione intorno a sé. I muri erano scomparsi, sostituiti da macerie fumanti in un raggio di venti passi, in tutte le direzioni. I maghi la guardarono circospetti. Anche se il muro alle sue spalle non esisteva più, la forza invisibile la teneva ancora in piedi. Quando la liberarono, vacillò sulle gambe che le
tremavano per la stanchezza, poi cadde in ginocchio. Quasi incapace di tenere la schiena dritta, guardò accigliata il mago più anziano. Lui le sorrise e si chinò per metterle una mano sulla spalla. «Per il momento sei al sicuro, Sonea. Hai usato tutta la tua energia. Riposa. Presto parleremo.» Mentre la prendeva in braccio, Sonea ebbe un giramento di testa e fu avvolta da una tenebra che cancellò ogni pensiero. Ansimando per lo sforzo e il dolore, Cery si accasciò contro le macerie del muro. Il grido di Sonea gli riecheggiava ancora nelle orecchie. Si premette le mani sulla testa e chiuse gli occhi. «Sonea...» sussurrò. Udì troppo tardi un rumore di passi alle sue spalle. Alzò lo sguardo e vide che l'uomo che gli aveva bloccato la fuga dal vicolo era tornato e lo stava fissando con attenzione. Cery lo ignorò. I suoi occhi avevano colto un colore vivo in mezzo a tutte le macerie e la polvere. Si accovacciò e toccò un rivolo di rosso che gocciolava da un mattone rotto. Sangue. I passi si avvicinarono. Uno stivale comparve accanto al sangue, uno stivale con bottoni sagomati come il simbolo della Corporazione. Cery fu assalito da una folle rabbia, si alzò e colpì con un solo movimento, mirando al volto dell'uomo. L'uomo gli bloccò il pugno e gli torse la mano. Cery perse l'equilibrio, incespicò e cadde, picchiando la testa sulle macerie. Vide davanti agli occhi una miriade di colori. Ansimò e, barcollando, si rimise in piedi. Si premette le mani sulla testa per far sì che il mondo smettesse di girare. L'uomo sogghignò. «Stupido dwell», disse. Passandosi le dita tra i sottili capelli biondi, il mago si girò e si allontanò impettito. PARTE SECONDA 16 PRESENTAZIONI Con l'avanzare del mattino, Rothen sentì gli occhi pesanti per la stanchezza. Li chiuse e fece appello a un po' del suo potere di Guarigione per
riprendersi; poi sollevò il libro e si sforzò di leggere. Prima di aver terminato la pagina, si ritrovò a osservare di nuovo la ragazza addormentata. Era stesa in una piccola camera del suo appartamento, sul letto che un tempo era stato di suo figlio. Alcuni gli avevano contestato la decisione di tenerla negli alloggi dei maghi e lui, pur non condividendo tale preoccupazione, aveva deciso di tenerla d'occhio, per precauzione. Nel cuore della notte aveva lasciato che Yaldin lo sostituisse in modo da poter riposare un po', ma invece di dormire era rimasto sveglio a pensare a lei. C'erano tante cose da spiegare e voleva essere preparato a tutte le domande e a tutte le accuse che gli avrebbe rivolto. Si era ripetuto mentalmente varie possibili conversazioni, e alla fine aveva rinunciato a dormire ed era tornato da lei. La ragazza aveva dormito per gran parte del giorno. L'esaurimento provocato dalla magia colpiva spesso i giovani in quel modo. Nei due mesi trascorsi dall'Epurazione i capelli scuri le erano cresciuti un po', ma era ancora pallida in volto e la pelle sembrava aderirle alle ossa. Ricordando quanto fosse leggera quando l'aveva portata in braccio, Rothen scosse la testa; il periodo trascorso coi Ladri non aveva migliorato la sua salute. Con un sospiro, rivolse di nuovo l'attenzione al libro. Riuscì a leggere un'altra pagina, poi sollevò lo sguardo. Due occhi neri lo stavano fissando; quindi si abbassarono sulla sua tunica. Con movimenti convulsi, la ragazza si liberò dalle lenzuola del letto e, una volta in piedi, guardò attonita la camicia da notte di cotone pesante che aveva addosso. Rothen posò il libro sul tavolino accanto al letto e si alzò, stando attento a muoversi con lentezza. La ragazza si premette contro la parete più lontana con gli occhi sgranati. Rothen si allontanò, aprì le ante di un armadio in fondo alla stanza e prese un giaccone pesante. «Ecco», esordì togliendolo dalla gruccia e porgendoglielo. «È per te.» Lei fissò il giaccone come se fosse un animale selvatico. «Prendilo», la sollecitò il mago facendo qualche passo nella sua direzione. «Avrai freddo.» Accigliata, Sonea avanzò di fianco e glielo strappò di mano. Senza togliergli gli occhi di dosso, infilò le braccia nelle maniche, si avvolse stretta il giaccone intorno al minuscolo corpo e arretrò di nuovo verso il muro. «Mi chiamo Rothen», disse il mago. Lei continuò a fissarlo senza dire nulla. «Non ho intenzione di farti del male, Sonea. Non hai niente da temere.» Lei socchiuse gli occhi, e la sua bocca si tese formando una linea sottile.
«Non mi credi», osservò lui con una scrollata di spalle. «Nemmeno io lo farei, nella tua posizione. Hai ricevuto la nostra lettera, Sonea?» La ragazza aggrottò la fronte, poi sul suo viso comparve un'espressione sprezzante. Rothen soffocò un sorriso. «Ma certo, non hai creduto nemmeno a quella, vero? Dimmi, che cosa ti è più difficile credere?» Sonea incrociò le braccia al petto, guardò fuori dalla finestra e non rispose. Rothen scacciò il lieve senso di fastidio che stava provando. Si era aspettato una certa resistenza da parte sua e persino quella ridicola ostinazione a non rispondere. «Sonea, noi dobbiamo parlare», disse con dolcezza. «Dentro di te hai un potere e, che tu lo voglia o no, devi imparare a controllarlo, altrimenti ti ucciderà. So che questo lo capisci.» Sonea inarcò le sopracciglia, ma continuò a fissare in silenzio fuori dalla finestra. Rothen sospirò. «Qualsiasi ragione tu abbia per disprezzarci, devi comprendere che rifiutare il nostro aiuto è una follia. Ieri non abbiamo fatto altro che esaurire la riserva di energia che avevi dentro di te. Non ci vorrà molto prima che i tuoi poteri diventino di nuovo forti e pericolosi. Pensaci», affermò il mago, e dopo un istante aggiunse: «Ma non troppo a lungo». Sonea si girò verso la porta e allungò la mano verso la maniglia. «Cosa devo fare?» La sua voce era alta e debole. Rothen provò un fremito di esultanza, ma controllò prontamente la sua espressione. Si voltò e sentì una fitta al cuore quando vide la paura nei suoi occhi. «Devi imparare a fidarti di me», rispose. Sonea vide il mago riaccomodarsi sulla sedia. Il cuore le batteva ancora forte nel petto, ma non più come prima. Il giaccone la faceva sentire meno vulnerabile; sapeva che non la proteggeva dalla magia, ma copriva quella cosa ridicola che le avevano messo addosso. La stanza in cui si trovava non era grande. Da un lato c'era un alto armadio a muro, dall'altro il letto, in mezzo un tavolino; i mobili erano di legno costoso lucidato. Sul tavolino c'erano alcuni piccoli pettini e strumenti d'argento per scrivere. Alla parete era appeso uno specchio; un quadro ornava invece quella alle spalle del mago. «Il Controllo è un'arte sottile», le disse Rothen. «Per mostrartelo dovrò entrare nella tua mente, ma non posso farlo se tu opponi resistenza.»
La ragazza ripensò ai novizi della Corporazione in un'aula con le mani premute sulle tempie dei compagni. Il maestro che li addestrava aveva detto quasi la stessa cosa. Pur agitata, Sonea provò un senso di soddisfazione nel riscontrare che il mago stava dicendo la verità. Nessun mago poteva entrare nella sua mente, se non lo avesse voluto. Poi si rabbuiò ricordando l'aura che le aveva mostrato la fonte del suo potere e come usarla. «Ieri lo hai fatto.» Lui scosse la testa. «No, ti ho avvicinata al tuo potere e ti ho mostrato come usarlo prendendo come esempio il mio. È molto diverso. Per insegnarti a controllare il potere, devo entrare là dove esso risiede, e per arrivarci devo entrare nella tua mente.» Sonea distolse lo sguardo. Permettere a un mago di entrarle nella mente? Che cosa avrebbe visto? Tutto o solo quello che lei gli avrebbe consentito? Aveva altra scelta? «Parlami», la sollecitò il mago. «Chiedimi tutto quello che desideri. Se saprai di più su di me, scoprirai che sono una persona degna di fiducia. Non c'è bisogno che la Corporazione ti sia simpatica, non c'è bisogno che io ti sia simpatico. C'è solo bisogno che tu mi conosca abbastanza da sapere che t'insegnerò quello che va insegnato, e che niente ti farà del male.» Sonea lo guardò attentamente. Era di mezza età o anche più anziano. Aveva i capelli scuri brizzolati e due occhi azzurri vivi. Le rughe intorno a essi e alla bocca gli conferivano un'espressione bonaria. Aveva un'aria buona, da padre, ma lei non era stupida; gli imbroglioni apparivano sempre onesti e affabili, altrimenti non sarebbero riusciti a sopravvivere. La Corporazione aveva di certo fatto in modo di metterla in contatto col loro mago più affabile. Doveva studiarlo meglio. Mentre lo fissava negli occhi, lui sostenne il suo sguardo, e la sua sicurezza la infastidì. O era certo che non trovasse nulla di riprovevole in lui o credeva di poterla indurre a pensare una cosa del genere. A ogni modo, lo attendeva un compito difficile, concluse Sonea. «Perché dovrei credere a una sola parola di quello che dici?» Lui sollevò le spalle. «Perché dovrei mentirti?» «Per ottenere quello che vuoi...» «E che cosa voglio?» Lei esitò. «Ancora non lo so.» «Io voglio solo aiutarti, Sonea», rispose Rothen con tono sinceramente partecipe.
«Non ti credo.» «Perché?» «Sei un mago. Dicono che facciate giuramento di proteggere le persone, ma io ti ho visto uccidere.» Le rughe sulla fronte di Rothen divennero più marcate. Annuendo lentamente, rispose: «Certo che mi hai visto. Come ti abbiamo scritto nella lettera, non intendevamo uccidere nessuno, quel giorno, né te né il ragazzo». Sospirò e aggiunse: «È stato un terribile sbaglio. Se avessi saputo quello che sarebbe accaduto, non ti avrei mai indicata. «Ci sono molti modi per proiettare la magia, e il più comune è il colpo. Il più debole è il colpo stordente, che è concepito per paralizzare, per bloccare i muscoli di una persona in modo che non possa muoversi. I maghi che hanno preso di mira il ragazzo hanno usato colpi stordenti. Ricordi i colori dei loro colpi?» Sonea scosse la testa. «Non stavo guardando.» Ero troppo occupata a scappare, pensò, ma non l'avrebbe detto ad alta voce. Rothen si accigliò. «Allora mi devi credere quando ti dico che erano rossi, e il colpo stordente è rosso. Ma, con tanti maghi che hanno risposto, alcuni colpi si sono uniti e combinati a formare un colpo di fuoco più forte. Quei maghi non hanno mai avuto l'intenzione di fare del male, solo di fermare il ragazzo in fuga. Ti assicuro, quell'errore è stato anche per noi grande fonte di angoscia oltre che di disapprovazione da parte del re e delle Case.» Sonea arricciò il naso. «Come se a loro importasse.» Il mago aggrottò la fronte. «Ah, ma certo che a loro importa. Ammetto che le loro ragioni hanno a che vedere più col fatto di tenere in riga la Corporazione che con la solidarietà per il ragazzo o la sua famiglia, ma siamo stati puniti per il nostro errore.» «Come?» Lui abbozzò un sorriso storto. «Lettere di protesta, discorsi pubblici, un monito del re. Non sembra molto, ma nel mondo della politica le parole sono più pericolose delle fruste o della magia.» La ragazza scosse la testa. «Usare la magia è quello che fate. È quello che dovreste saper fare meglio. Un mago può commettere uno sbaglio, ma non tanti come quelli presenti laggiù.» Rothen sollevò le spalle. «Credi che passiamo i giorni a prepararci a parare gli attacchi di una ragazza povera che ci lancia sassi con la magia? I nostri guerrieri vengono addestrati a eseguire le manovre e le strategie di
guerra più sottili, ma nessuna situazione creata nell'Arena avrebbe potuto prepararli a un attacco sferrato dalla nostra stessa gente, gente che ritenevano innocua.» Innocua? Sonea emise un sonoro sbuffo. Vide le labbra di Rothen incresparsi. Probabilmente mi trova ripugnante, pensò. Per molti maghi gli abitanti dei bassifondi erano brutti e sporchi, un vero fastidio. Avevano idea di quanto i dwell li odiassero? «Ma anche prima di quel giorno avete fatto cose altrettanto brutte», gli disse. «Ho visto persone con bruciature dovute ai maghi. Poi ci sono quelle che restano schiacciate quando spaventate la folla che si mette a correre. Ma in genere muoiono di freddo dopo, nei bassifondi.» Lo guardò con occhi socchiusi e aggiunse: «Queste però non le considerate colpe della Corporazione, vero?» «In passato si sono verificati incidenti, a causa di maghi incauti», ammise Rothen. «Laddove possibile, le persone danneggiate sono state guarite e ricompensate. E per quanto riguarda l'Epurazione in sé...» Scosse la testa. «Molti di noi pensano che non serva più. Sai perché è iniziata?» Sonea aprì la bocca per rispondergli in modo sarcastico, poi esitò. Non sarebbe stato male sapere da lui come fosse iniziata l'Epurazione. «Racconta.» Lo sguardo di Rothen divenne assente. «Più di trent'anni fa, una montagna all'estremo Nord esplose. La fuliggine riempì il cielo e impedì in parte al calore del sole di filtrare. L'inverno che seguì fu lungo e freddo e non vi fu una vera e propria estate prima dell'inverno seguente. In tutta Kyralia e a Elyne i raccolti andarono distrutti e il bestiame morì. Centinaia, forse migliaia di contadini arrivarono in città con le famiglie, ma non vi erano abbastanza lavoro e alloggi per tutti. «La città si riempì di persone che morivano di fame. Il re fece distribuire cibo e ordinò che luoghi quali l'Arena per le corse fossero usati come ricoveri. Rimandò alcuni contadini a casa con cibo sufficiente fino all'estate. Non ve n'era tuttavia abbastanza da sfamare tutti. «Dicemmo alla gente che l'inverno seguente non sarebbe stato tanto brutto, ma molti non ci credettero. Alcuni si convinsero addirittura che il mondo sarebbe stato ricoperto dai ghiacci. Persero ogni decoro e iniziarono a derubare il prossimo nella convinzione che nessuno sarebbe sopravvissuto per punirli. Così divenne pericoloso girare per strada, anche di giorno. Le varie bande facevano irruzione nelle case e la gente veniva uccisa a letto. Fu un momento terribile.» Rothen scosse la testa. «Un momen-
to che non dimenticherò mai. «Il re mandò la Guardia affinché cacciasse le bande dalla città. Quando fu chiaro che ciò non poteva essere fatto senza spargimento di sangue, chiese aiuto alla Corporazione. Anche l'inverno seguente fu duro e, quando il re vide riemergere il problema, decise di far sgombrare le strade prima che la situazione diventasse pericolosa. E così è stato da allora.» Il mago sospirò. «Molti dicono che l'Epurazione sarebbe dovuta cessare anni fa, ma i ricordi sono ancora vivi e i bassifondi si sono estesi molto da quello spaventoso inverno. Molti temono ciò che potrebbe accadere se la città non venisse ripulita ogni inverno, soprattutto ora che esistono i Ladri. Temono che i Ladri sfruttino la situazione per assumere il controllo della città.» «È ridicolo!» esclamò Sonea. La versione di Rothen era prevedibilmente faziosa, ma alcune ragioni che aveva addotto per giustificare la prima Epurazione le apparivano nuove e strane. Montagne che esplodevano? Discuterne non aveva senso. Il mago le avrebbe solo fatto presente la sua ignoranza in materia. Lei però sapeva qualcosa che lui non sapeva. «È stata l'Epurazione a dare origine ai Ladri», osservò. «Pensi che tutte le persone che avete scacciato fossero rapinatori e banditi? Avete scacciato contadini che morivano di fame e le loro famiglie, persone come mendicanti e barboni che frugavano nei rifiuti e avevano bisogno della città per sopravvivere. Quelle persone si sono unite per aiutarsi a vicenda. Sono sopravvissute facendo lega coi senza legge, perché non vedevano più ragioni per vivere secondo la legge del re. Lui le aveva cacciate quando invece avrebbe dovuto aiutarle.» «Le ha aiutate il più possibile.» «Non tutte e non ora. Pensi che ora liberi le strade da rapinatori e banditi? No, sono brave persone che vivono di quello che i ricchi sprecano o che hanno un'attività in città e abitano nei bassifondi. Quelli senza legge sono i Ladri, e i Ladri non sono toccati dall'Epurazione perché entrano ed escono dalla città quando vogliono.» «Lo immaginavo.» Rothen annuì lentamente con espressione pensierosa. «A me l'Epurazione non piace più di quanto non piaccia a te, e non sono l'unico mago a pensarla così.» «Perché allora vi prendete parte?» «Perché quando il re ci chiede di fare qualcosa siamo obbligati dal giuramento a obbedirgli.» Sonea sbuffò di nuovo. «Quindi date al re la colpa di tutto ciò che fate.» «Siamo tutti sudditi del re», le ricordò lui. «La Corporazione deve dimo-
strarsi obbediente affinché il popolo abbia la sicurezza che non cercheremo mai di governare Kyralia con le nostre mani.» Si appoggiò alla sedia e aggiunse: «Se siamo gli spietati assassini che tu immagini, perché non lo abbiamo ancora fatto, Sonea? Perché i maghi non hanno ancora assunto il controllo di tutte le terre?» Lei si strinse nelle spalle. «Non lo so, ma per i dwell non farebbe differenza. Quando mai avete fatto qualcosa di buono per noi?» Rothen socchiuse gli occhi. «Ci sono molte cose che non vedete.» «Quali cose?» «Teniamo il Porto libero dai detriti, per esempio. Senza di noi, a Imardin non potrebbero arrivare le navi, e il commercio si svolgerebbe altrove.» «E in che modo questo aiuta i dwell?» «Dà lavoro a tutte le classi di imardiani. Le navi portano marinai che cercano alloggio, cibo e merci. Gli operai imballano e trasportano le merci, gli artigiani le fabbricano.» Il mago la scrutò e scosse il capo. «Forse il nostro operato è troppo distante dalla vostra vita perché ne possiate capire il valore. Se parli di un aiuto diretto alla gente, considera il lavoro dei nostri guaritori. S'impegnano duramente per...» «I guaritori!» Sonea alzò gli occhi al cielo. «Chi ha i soldi per i guaritori? La tariffa è dieci volte quello che un Ladro in gamba guadagna in tutta la sua vita!» «Hai ragione», mormorò Rothen. «C'è un numero di guaritori sufficiente soltanto a soddisfare i bisogni dei malati che si rivolgono a noi. Le tariffe elevate scoraggiano chi ha un disturbo lieve dall'abusare del tempo dei guaritori e servono a insegnare a chi non è mago a usare le medicine utili a curare quei disturbi. I medici si prendono cura del resto dei cittadini di Imardin.» «Non dei dwell», replicò Sonea. «Noi abbiamo i 'curanti', ma più che guarirti rischi che ti uccidano. Ho sentito parlare solo di un paio di medici quando vivevo nel quartiere settentrionale e costavano un puntale d'oro.» Rothen guardò fuori dalla finestra e sospirò. «Se potessi risolvere il problema delle differenze di classe e della povertà dei cittadini, lo farei senza esitare un solo istante. Ma c'è poco che possiamo fare, anche nella nostra veste di maghi.» «Ah, sì? Se davvero a voi maghi non piace l'Epurazione, rifiutate di prendervi parte. Dite al re che farete tutto il resto che vorrà, ma non quello. È già successo.» Il mago si rabbuiò, chiaramente perplesso.
«In passato, quando re Palen si è rifiutato di firmare l'Alleanza.» Sonea soffocò un sorriso vedendo la sua espressione stupita. «Inducete il re a costruire fognature adeguate e cose simili nei bassifondi. Il suo bisnonno lo ha fatto nel resto della città, perché lui non può farlo ora per noi?» Rothen inarcò le sopracciglia. «Non vorrai che gli abitanti dei bassifondi si trasferiscano in città?» Sonea scosse il capo. «Alcune parti della Cerchia esterna sono belle. La città non smetterà di crescere. Forse il re dovrebbe costruire anche un altro muro.» «Le mura sono obsolete. Non abbiamo nemici. Ma il resto è... interessante.» Rothen la guardò con ammirazione. «E che cos'altro vorresti che facessimo?» «Che andiate nei bassifondi a curare la gente.» Lui fece una smorfia. «Non siamo abbastanza.» «Poco è meglio di niente. Perché il braccio rotto del figlio di una Casa è più importante di quello di un dwell?» Lui a quel punto sorrise e a Sonea, infastidita, venne il sospetto che le sue risposte non fossero altro che un motivo d'ilarità per il mago. Stava solo cercando d'indurla a credere che simpatizzasse con le sue idee, ma ci sarebbe voluto ben altro perché lei si fidasse. «Non lo fate mai», riprese la ragazza. «Continui a dire che alcuni di voi sarebbero disposti ad aiutare, ma la verità è che, se a qualche mago importasse, sarebbe là fuori. Non c'è una legge che ve lo impedisca, quindi perché non lo fate? Ve lo dico io perché: i bassifondi sono brutti e puzzolenti e preferite fare finta che non esistano. Qui ve ne state belli comodi», disse indicando la stanza e i mobili eleganti. «Tutti sanno che il re vi paga molto. Be', se vi dispiace tanto per noi, dovreste usare parte di quei soldi per aiutare la gente. Ma non lo fate; preferite tenerveli.» Rothen increspò le labbra con aria pensosa e Sonea percepì con insolita chiarezza il silenzio della stanza. Rendendosi conto di essersi lasciata provocare, digrignò i denti. «Se a una persona qualsiasi di quelle che conosci nei bassifondi venisse data una grossa somma di denaro, pensi che la impiegherebbe tutta per aiutare gli altri?» chiese lentamente il mago. «Sì.» Rothen sollevò un sopracciglio. «Quindi nessuno sarebbe tentato di tenersela?» Sonea tacque per un istante. Conosceva qualcuno che l'avrebbe fatto.
Be', più di qualcuno. «Qualcuno sì», ammise. «Ma non per questo mi lasceresti credere che tutti i dwell sono egoisti, giusto?» replicò Rothen. «Allo stesso modo, tu non dovresti credere che tutti i maghi lo siano. Mi diresti pure che, sebbene infrangano la legge o abbiano un comportamento rozzo, le persone che conosci sono perlopiù decorose. Allora non ha senso da parte tua giudicare tutti i maghi in base agli errori di pochi o in base alla loro nascita. Gran parte, te lo garantisco, cerca di vivere da persona retta.» Sonea, accigliata, distolse lo sguardo. Quello che lui aveva detto era logico, ma non la confortava minimamente. «Forse è così. Ma non ho ancora visto nessun mago aiutare la gente nei bassifondi.» Rothen annuì. «Perché sappiamo che la gente dei bassifondi rifiuterebbe il nostro aiuto.» La ragazza esitò. Lui aveva ragione, ma se i dwell rifiutavano l'aiuto della Corporazione era perché la Corporazione aveva dato loro motivo di odiarla. «Non rifiuterebbero il denaro», precisò. «Presumendo tu non sia una persona che ama accumularlo, che cosa faresti se ti dessi cento pezzi d'oro da spendere come vuoi?» «Darei da mangiare alla gente», rispose lei. «Cento pezzi d'oro sfamerebbero alcuni per molte settimane o molti per alcuni giorni. Dopo, quelle persone sarebbero povere come prima. Non farebbe una gran differenza.» Sonea aprì la bocca, e la richiuse. Di fronte a quello non c'era niente che potesse dire. Rothen aveva ragione, eppure non l'aveva; ci doveva essere qualcosa di sbagliato nel fatto di non cercare nemmeno di aiutare. Con un sospiro si osservò e aggrottò la fronte alla vista degli stupidi vestiti che indossava. Benché sapesse che cambiare argomento poteva fargli credere di aver vinto la discussione, si tirò il giaccone. «Dove sono i miei vestiti?» Lui si guardò le mani. «Non ci sono più. Te ne darò altri, nuovi.» «Voglio i miei», ribatté lei. «Li ho fatti bruciare.» Sonea lo guardò incredula. Il mantello, anche se sporco e bruciacchiato qua e là, era di buona qualità e glielo aveva dato Cery. Si udì bussare alla porta. Rothen si alzò. «Adesso devo andare, Sonea. Tornerò tra un'ora.» Lei lo guardò muoversi e aprire la porta; dietro scorse un'altra stanza lussuosa. Quando la porta fu richiusa, restò in ascolto aspettandosi un rumore di chiave che girava nella toppa e, non udendolo, provò un vago sen-
so di speranza. Fissò accigliata la porta. Era chiusa magicamente? Si avvicinò di un passo e udì un vociare attutito. Non aveva senso provare in quel momento, forse più tardi... Il dolore gli attanagliava la testa, ma sentiva qualcosa di freddo colargli dietro l'orecchio. Cery aprì gli occhi e al buio vide un volto confuso: un volto di donna. «Sonea?» «Ciao.» Una voce sconosciuta. «Era tempo che tornassi tra noi.» Cery strizzò forte gli occhi e li riaprì. Il viso divenne più chiaro. Una massa di capelli lunghi e scuri incorniciava un volto dai tratti splendidamente esotici. La donna aveva la pelle scura, ma non nera come quella di Faren. Il naso dritto dei kyraliani aggiungeva un tocco di eleganza al viso lungo. Era come se Sonea e Faren fossero diventati una sola persona. Sto sognando, pensò il ragazzo. «No, non stai sognando», disse la donna. Alzò lo sguardo verso qualcosa che stava sopra la sua testa. «Deve aver battuto molto duramente. Gli vuoi parlare ora?» «Possiamo provare.» Quella voce era nota. Quando Faren entrò nel suo campo visivo, Cery ricordò tutto e tentò di mettersi a sedere. Il buio ondeggiò e la testa gli martellò dal male. Sentì due mani sulle spalle e con riluttanza lasciò che lo rimettessero disteso. «Salve, Cery, io sono Kaira.» «Ti assomiglia, ma è più bella», mormorò Cery rivolto al Ladro. Faren scoppiò a ridere. «Grazie. Kaira è mia sorella.» La donna sorrise e scomparve alla vista. Cery udì una porta chiudersi da qualche parte sulla destra e fissò Faren. «Dov'è Sonea?» Il Ladro s'incupì. «L'hanno presa i maghi. L'hanno portata alla Corporazione.» Quelle parole riecheggiarono all'infinito nella sua testa, e Cery sentì un dolore lacerante al petto. Non c'è più! Come aveva potuto credere di riuscire a proteggerla? No. Faren avrebbe dovuto tenerla al sicuro. Provò un moto di rabbia e inspirò, pronto a parlare... No, la devo trovare, la devo riportare qui. Potrebbe servirmi l'aiuto di Faren. Sentì svanire ogni sentimento di rabbia e guardò cupo il Ladro. «Che cos'è successo?» Lui sospirò. «L'inevitabile. L'hanno presa in trappola.» Scosse il capo. «Non so che cosa avrei potuto fare per fermarli. Avevo già tentato di tutto.»
Cery annuì. «E ora?» Le labbra del Ladro si piegarono in un mezzo sorriso privo di allegria. «Non sono stato in grado di tenere fede al patto. Sonea tuttavia non ha mai avuto modo di usare la magia per me. Entrambi ci siamo impegnati al massimo, ma abbiamo fallito. E per quanto riguarda te...» Il sorriso di Faren scomparve. «Vorrei restassi con me.» Il ragazzo lo fissò. Come poteva abbandonare Sonea così? «Sei libero di andare, se vuoi», aggiunse Faren. «E Sonea?» Il Ladro si accigliò. «Lei è nella Corporazione.» «Non è un posto difficile in cui intrufolarsi. L'ho già fatto.» Faren si rabbuiò ancor di più. «Sarebbe una pazzia. La terranno sotto stretta sorveglianza.» «Li svieremo.» «Non faremo niente del genere.» Gli occhi di Faren lampeggiarono. Si allontanò di qualche passo e tornò quindi al fianco di Cery. «I Ladri non si sono mai messi contro la Corporazione e mai lo faranno. Non siamo così stupidi da pensare di poter vincere.» «Non sono così furbi, credimi, io ho...» «No!» Faren inspirò profondamente, poi espirò. «Non è facile come credi. Riposa un po'. Guarisci. Ripensa a quello che hai suggerito. Ne riparleremo presto.» Uscì quindi dal campo visivo del ragazzo. Cery udì la porta aprirsi e poi la sentì richiudersi con un rumore secco. Cercò di mettersi in piedi, ma ebbe la sensazione che la testa gli scoppiasse dal dolore. Con un sospiro, chiuse gli occhi e rimase disteso respirando affannosamente. Avrebbe potuto cercare di convincere Faren a soccorrere Sonea, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito. No. Se qualcuno poteva salvarla, ci doveva pensare lui. 17 IL PROPOSITO DI SONEA Sonea si guardò di nuovo intorno: pur non essendo grande, la stanza era lussuosa. Poteva trovarsi in una delle case della Cerchia interna, ma ne dubitava. Si avvicinò alla finestra e scostò la tenda finemente decorata che la copriva. Rimase senza fiato e arretrò di un passo.
Davanti a lei si estendevano i giardini della Corporazione. A destra si stagliava il palazzo dell'Università; a sinistra, seminascosta dagli alberi, la casa del Sommo Lord. Lei era al primo piano dell'edificio che Cery aveva chiamato «palazzo dei maghi». La Corporazione pullulava di maghi. Ovunque guardasse, Sonea vedeva figure con la tunica: in giardino, alle finestre, lungo il sentiero dai bordi innevati, proprio sotto la sua finestra. Tremando, rimise a posto la tenda e si voltò. Si sentì pervadere da una cieca disperazione. Sono in trappola. Non uscirò mai da questo posto. Non rivedrò mai più Jonna e Ranel o Cery. Batté le palpebre mentre le lacrime le offuscavano la vista. Notando un movimento con la coda dell'occhio, si voltò e si vide riflessa in uno specchio ovale lucente. Guardò il volto dagli occhi rossi e la bocca da ragazzina piegata in una smorfia sprezzante. Rinuncio così in fretta? chiese al riflesso. Frigno come una bambina? No! La Corporazione poteva brulicare di maghi durante il giorno, ma l'aveva vista di notte e sapeva quanto fosse facile muoversi senza essere visti. Se avesse atteso fino a sera e fosse riuscita a sgattaiolare fuori, niente le avrebbe impedito di tornare nei bassifondi. Uscire sarebbe stato la parte più difficile, ovviamente. I maghi l'avrebbero probabilmente chiusa a chiave. Tuttavia lo stesso Rothen aveva detto che i maghi non erano immuni da errori. Sonea decise che avrebbe aspettato e osservato; quando fosse arrivata l'occasione, sarebbe stata pronta a coglierla. Il volto nello specchio aveva gli occhi asciutti e uno sguardo fermo, determinato. Sentendosi meglio, Sonea si avvicinò al tavolino. Prese una spazzola e ne accarezzò con piacere il manico d'argento. Dato a un banco dei pegni, un oggetto del genere le avrebbe permesso di comprarsi vestiti nuovi e cibo per diverse settimane. A Rothen era mai venuto in mente che potesse rubare? Naturalmente, se era sicuro che non potesse scappare, non si sarebbe preoccupato nemmeno di eventuali furti. Impossessarsi di oggetti di valore non le sarebbe servito a niente finché fosse rimasta bloccata nella Corporazione. Si guardò di nuovo in giro e restò colpita dalla stranezza della sua prigione. Si era aspettata una cella fredda, non una stanza confortevole e lussuosa. Forse avevano davvero intenzione d'invitarla a unirsi alla Corporazione. Si guardò allo specchio e cercò d'immaginarsi con la tunica addosso.
Provò un brivido di repulsione. No, non potrò mai essere una di loro. Sarebbe come tradire tutti: i miei amici, tutta la gente dei bassifondi, me stessa... Ma doveva imparare a controllare i suoi poteri. Il pericolo era reale e Rothen aveva intenzione d'insegnarle alcune cose, anche se lo faceva solo per evitare che combinasse disastri in città. Dubitava che le avrebbe insegnato molto di più. Al ricordo del senso di frustrazione e dell'orrore delle ultime sei settimane, Sonea tremò. I suoi poteri avevano già causato parecchi guai; se non li avesse usati più, non sarebbe rimasta delusa. Che ne sarebbe stato di lei? La Corporazione le avrebbe permesso di tornare nei bassifondi? Improbabile. Rothen sosteneva che la Corporazione voleva accoglierla. Lei? Una ragazza dei bassifondi? Di nuovo, improbabile. Ma perché proporglielo? Ci doveva essere qualche altra ragione. Per corromperla? Forse le avrebbero promesso d'insegnarle la magia se... avesse fatto cosa? Che cosa poteva volere da lei la Corporazione? Si accigliò quando le venne in mente la risposta. I Ladri! Se fosse scappata, Faren sarebbe stato ancora interessato a nasconderla? Sì, soprattutto se i suoi poteri non fossero più stati un pericolo. Una volta ottenuta la sua fiducia, non sarebbe stato difficile agire contro il Ladro. Avrebbe potuto usare i poteri mentali per inviare alla Corporazione informazioni sui gruppi criminali della città. Sbuffò. Anche se avesse voluto collaborare con la Corporazione, i Ladri lo avrebbero capito quasi subito. Nessun dwell era così stupido da cercare d'imbrogliare i Ladri. Anche se fosse riuscita a proteggersi con la magia, non avrebbe potuto impedire loro di fare del male ai suoi amici e alla sua famiglia. Se li facevi infuriare, i Ladri diventavano spietati. Aveva scelta? E se la Corporazione avesse minacciato di ucciderla di fronte al rifiuto di collaborare? E se avessero minacciato amici e parenti? Sempre più allarmata, Sonea si chiese se sapessero di Jonna e Ranel. Scacciò il pensiero, temendo ancora che i forti sentimenti potessero farle perdere il Controllo dei poteri. Scosse il capo e diede le spalle allo specchio. Sul tavolino accanto al letto c'era un libro. Si avvicinò e lo prese. Sfogliandolo, scoprì che le pagine erano piene di righe ordinate. Guardando meglio, restò sorpresa nel vedere che capiva gran parte delle parole. Le lezioni di Serin erano state più utili del previsto. Era un testo sulle barche. Dopo aver letto varie righe, Sonea capì che l'ultima parola di ogni coppia di righe terminava con lo stesso suono, come
le parole delle canzoni degli artisti che si esibivano nei mercati e nelle case del bol. Quando udì bussare lievemente, la ragazza s'irrigidì. Mentre la porta si apriva, posò rapida il libro sul tavolino. Sollevò lo sguardo e vide Rothen sulla soglia con un fagotto di stoffa sotto il braccio. «Sai leggere?» chiese lui. Sonea pensò alla risposta da dare. Aveva qualche motivo di nascondere la sua capacità? Nessuno, e sarebbe stata una soddisfazione mostrargli che non tutti i dwell erano analfabeti. «Un po'», ammise. Il mago chiuse la porta e indicò il libro. «Fammi vedere. Leggi un po'.» Sonea si sentì assalire da una lieve incertezza, ma la superò. Prese di nuovo il libro, lo aprì e iniziò a leggere. Subito si pentì di essersi cacciata in quella situazione. Percependo lo sguardo del mago su di sé, trovò difficile concentrarsi. La pagina che aveva scelto era più difficile della precedente e si sentì arrossire quando incespicò su parole sconosciute. «Porto, non polto.» Seccata dall'interruzione, la ragazza chiuse il libro e lo gettò sul letto. Rothen sorrise per scusarsi e gettò il fagotto accanto al volume. «Come hai imparato a leggere?» chiese. «Mi ha insegnato la zia.» «E di recente hai fatto pratica.» Lei distolse lo sguardo. «Ci sono sempre cose da leggere: insegne, targhe, manifesti con ricompense...» Lui sorrise. «Abbiamo trovato un libro sulla magia in una delle stanze che hai usato. Ci hai capito qualcosa?» Sonea avvertì un brivido d'allarme lungo la schiena. Se avesse negato di averlo letto, il mago non le avrebbe creduto; ma, se avesse ammesso la verità, le avrebbe fatto altre domande e lei avrebbe forse finito per dirgli quali altri libri aveva letto. Se Rothen sapeva della scomparsa dei testi che Cery aveva rubato, avrebbe considerato la possibilità che si fosse introdotta di notte nella Corporazione e avrebbe preso maggiori precauzioni, chiudendola in camera. Invece di rispondere, indicò con un cenno il fagotto sul letto. «Che cos'è?» Lui la studiò per un istante, poi si strinse nelle spalle. «Abiti.» Sonea scrutò il fagotto con aria dubbiosa.
«Ti darò il tempo di cambiarti, poi ti manderò la mia cameriera con qualcosa da mangiare», disse il mago, e si voltò verso la porta. Quando se ne fu andato, Sonea aprì l'involto. Con suo sollievo non le aveva portato una tunica da mago. Trovò un paio di pantaloni semplici, una maglietta e una maglia col collo alto, tutti abiti molto simili a quelli che portava nei bassifondi, ma fatti di stoffe morbide e costose. Si sfilò giaccone e camicia da notte e indossò i vestiti nuovi. Pur essendo ben coperta, sentiva la pelle stranamente nuda. Guardandosi le mani, vide che le avevano tagliato e pulito le unghie. Le annusò e sentì un profumo di sapone. Poi fu colta da un senso di allarme e d'indignazione. Qualcuno l'aveva lavata mentre era addormentata. Fissò la porta. Rothen? No, concluse, compiti come quelli venivano lasciati alla servitù. Passandosi le mani tra i capelli, scoprì che anche quelli erano stati lavati. Passò qualche altro minuto, poi udì bussare ancora più piano alla porta. Ricordando che il mago le avrebbe mandato la cameriera, Sonea attese che la sconosciuta entrasse. Udì bussare di nuovo. «Lady», chiamò una donna la cui voce fu attutita dalla porta. «Posso entrare?» Divertita, Sonea si sedette sul letto. Nessuno prima l'aveva mai chiamata «Lady». «Fai pure», rispose. Una donna di circa trent'anni entrò nella stanza. Indossava una camiciola grigia e un paio di pantaloni dello stesso colore e portava un vassoio coperto. «Salve», disse la donna sorridendo nervosa. Il suo sguardo guizzò su Sonea, poi si spostò con altrettanta rapidità. Sonea la osservò mentre portava il vassoio verso il tavolo e ve lo posava. Quando fece per sollevare il coperchio, la mano le tremò lievemente. Sonea si rabbuiò: di che cosa aveva paura? Certo non di una ragazza dei bassifondi. La donna sistemò alcuni oggetti sul vassoio, poi si girò e le fece un profondo inchino prima di uscire veloce dalla stanza. Sonea rimase a fissare la porta per vari minuti. La donna le aveva fatto un inchino. Era una cosa... strana. Inquietante. Non riusciva a capire che cosa significasse. Poi l'odore di pane caldo e di qualcosa di appetitoso e piccante attirò la sua attenzione verso il vassoio. Una grossa ciotola di minestra e un piatto di dolcetti la attendevano, invitanti. Sonea sentì lo stomaco brontolarle.
Sorrise. I maghi avrebbero scoperto che non sarebbero riusciti a corromperla affinché imbrogliasse Faren, ma non era necessario che lo capissero subito. Se avesse giocato con loro per un po', forse l'avrebbero trattata così a lungo. E lei non si sarebbe fatta scrupoli ad approfittarne. Sonea sgattaiolò nella stanza degli ospiti, nervosa e vigile come un animale selvatico uscito da una gabbia. I suoi occhi guizzarono di qua e di là, soffermandosi sulle porte prima di posarsi su Rothen. «Quella conduce a un piccolo bagno», le disse il mago indicandogliela. «La mia camera è laggiù e quella porta dà sul corridoio principale degli alloggi dei maghi.» Sonea fissò la porta d'ingresso, poi gli lanciò un'occhiata prima di avvicinarsi alla libreria. Rothen sorrise, contento di vederla attratta dai libri. «Prendi tutto quello che t'interessa», la esortò. «Ti aiuterò a leggerli e ti spiegherò quello che non capisci.» Lei gli lanciò un'altra occhiata inarcando le sopracciglia e si avvicinò ai libri. Sollevò un dito per toccare la costola di un volume, ma si bloccò quando il gong dell'Università prese a suonare. «Indica ai novizi che è tempo di tornare in aula», spiegò Rothen. Accostandosi a una delle finestre, le indicò di guardare fuori. Sonea andò alla finestra accanto, guardò fuori e il suo volto si contrasse per la tensione. Con gli occhi che si spostavano da una parte all'altra, guardò maghi e novizi dirigersi all'Università. «Che cosa significano i colori?» «I colori?» «Le tuniche... sono di diverso colore.» «Ah.» Rothen si appoggiò al davanzale della finestra e sorrise. «Prima ti dovrei parlare delle discipline. Ci sono tre campi principali in cui si può usare la magia: la Guarigione, l'Alchimia e l'Arte guerriera.» Indicò un paio di guaritori che passeggiavano in giardino. «I guaritori indossano il verde. La Guarigione implica imparare qualcosa di più delle tecniche magiche per curare ferite e malattie. Comprende anche la conoscenza della medicina, il che la rende una disciplina cui si deve dedicare l'intera vita.» Guardando Sonea, notò interesse nei suoi occhi. «I guerrieri portano il rosso e studiano le strategie e i modi con cui utilizzare la magia in battaglia. Alcuni praticano anche forme tradizionali di lotta e combattimento con la spada.» Rothen indicò quindi la sua tunica. «Il porpora rappresenta l'Alchimi-
a, ossia quant'altro si può fare con la magia. Comprende la chimica, la matematica, l'architettura e molti altri campi ancora.» Sonea annuì lentamente. «E le tuniche marrone?» «Sono per i novizi.» Il mago indicò un paio di giovani e aggiunse: «Vedi come la tunica arrivi solo fino alla coscia? Non ricevono la tunica lunga finché non si diplomano, ed è il momento in cui scelgono la disciplina da seguire». «E se vogliono impararne più di una?» Rothen sogghignò. «Per quello non c'è abbastanza tempo.» «Per quanto tempo studiano?» «Dipende da quanto impiegano ad acquisire le capacità di base. Di solito cinque anni.» «Quello porta una cintura di diverso colore», disse Sonea puntando il dito. Il mago abbassò lo sguardo e vide Lord Balkan avanzare a grandi passi, imbronciato in volto come se fosse angustiato da un difficile problema. «Ah, hai un grande spirito di osservazione», commentò Rothen con un sorriso di approvazione. «La fusciacca è nera: indica che l'uomo che stai guardando è il capo della disciplina che ha scelto.» «Il capo dei guerrieri.» Sonea guardò la tunica di Rothen e socchiuse gli occhi. «Che genere di Alchimia studi?» «Chimica. La insegno anche.» «Che cos'è?» Lui tacque per un attimo cercando il modo migliore per consentirle di capire. «Lavoriamo con le sostanze: liquidi, solidi e gas. Le misceliamo o le riscaldiamo oppure le sottoponiamo ad altre influenze e vediamo cosa succede.» Sonea aggrottò la fronte. «Perché?» Rothen abbozzò un sorriso. «Per vedere se riusciamo a scoprire qualcosa di utile.» La ragazza inarcò le sopracciglia. «Quali cose utili hai scoperto?» Rothen scoppiò a ridere. «Io, non molto! Immagino tu possa definirmi un alchimista mancato, ma sulla mia strada ho scoperto una cosa importante.» Sonea sollevò di nuovo le sopracciglia. «Cosa?» «Sono molto bravo a insegnare.» Allontanandosi dalla finestra, studiò la libreria. «Se me lo permetterai, ti aiuterò a migliorare nella lettura. Ti andrebbe di dedicarti ai libri, questo pomeriggio?»
Lei lo guardò a lungo con espressione cauta e pensierosa. Infine rispose con un cenno rigido del capo. «Da che cosa pensi debba iniziare?» Avvicinatosi alla libreria, Rothen scorse i volumi. Aveva bisogno di qualcosa di facile da leggere, ma in grado di suscitare il suo interesse; prese un libro e lo sfogliò. Era più incline a collaborare di quanto non pensasse. Aveva una grande curiosità, e la sua capacità di leggere e l'interesse per i libri costituivano due inattesi vantaggi. Entrambi indicavano che probabilmente si sarebbe adattata bene a una vita di studio. Il mago annui tra sé. Tutto quello che doveva fare era persuaderla che la Corporazione non era malvagia come pensava. Dannyl sorrise all'amico. Da quando si era unito a Yaldin e a sua moglie per la serata, Rothen aveva parlato senza sosta. Dannyl non lo aveva mai visto conversare tanto animatamente di un potenziale novizio, anche se sperava si fosse dimostrato altrettanto entusiasta quando si era fatto carico del suo addestramento. «Sei un ottimista, Rothen. L'hai appena conosciuta e parli già come se fosse la gloria dell'Università.» Sorrise quando l'amico si mise sulla difensiva. «Davvero?» replicò Rothen. «Se non lo fossi, avrei forse conseguito tanti successi coi novizi negli anni? Se li lasci a se stessi, non hanno nessun incentivo a provarci.» Dannyl annuì. Non era stato di certo il novizio più accondiscendente e aveva opposto resistenza ai primi tentativi che Rothen aveva fatto di distoglierlo dagli scontri con Fergun e i suoi amici. Sebbene avesse cercato in ogni modo di dimostrargli che si sbagliava, Rothen non lo aveva mai lasciato a se stesso. «Le hai detto che non abbiamo intenzione di farle del male?» chiese Ezrille. «Le ho spiegato della morte del ragazzo e che vogliamo insegnarle a controllare i poteri. Se ci creda o no...» Rothen si strinse nelle spalle. «Le hai detto che può entrare nella Corporazione?» Rothen fece una smorfia. «Non ho insistito. Non ci ama molto. Forse non ci ritiene direttamente responsabili della condizione dei poveri, ma pensa che dovremmo fare qualcosa.» Aggrottò la fronte. «Dice che non ci ha mai visto fare qualcosa di buono, il che è probabilmente vero. Gran parte del lavoro che svolgiamo in città non tocca lei né il resto dei dwell. E poi c'è l'Epurazione.»
«Allora non c'è da sorprendersi, se non ama la Corporazione», osservò Ezrille. «Ma com'è?» Rothen rifletté. «Tranquilla, ma d'indole ribelle. È chiaramente spaventata, ma non credo la vedremo in lacrime. Sono certo abbia capito che deve imparare il Controllo, perciò non credo che per il momento assisteremo a tentativi di fuga.» «E una volta acquisito il Controllo?» domandò Yaldin. «Speriamo a quel punto di essere riusciti a convincerla a unirsi a noi.» «E se rifiuta?» Rothen inspirò profondamente ed espirò. «Non so cosa accadrà. Non possiamo costringere nessuno a unirsi a noi, ma per legge non possiamo permettere a nessun mago di esistere all'esterno della Corporazione. Se rifiuta, non avremo altra scelta se non bloccarle i poteri», disse con una smorfia. Ezrille sgranò gli occhi. «Bloccarli? È così brutto?» «No. Be', per la maggior parte dei maghi sarebbe penoso, perché sono abituati ad avvalersene. Nel caso di Sonea abbiamo qualcuno che non è abituato a usare la magia, non in modo utile.» Con una stretta di spalle, Rothen aggiunse: «Non perderà molto». «Quanto tempo credi ci vorrà per insegnarle il Controllo?» domandò Yaldin. «Mi sento a disagio nel sapere che a poche porte di distanza vive un mago incapace di controllarsi.» «Ci vorrà un po' per ottenere la sua fiducia», ammise Rothen. «Potrebbero essere necessarie varie settimane.» «Non può essere!» esclamò Yaldin. «Non ci vogliono mai più di due settimane, anche nel caso dei novizi più difficili.» «Lei non è una ragazzina viziata delle Case.» «Forse hai ragione.» Yaldin scosse la testa e sospirò. «Alla fine della prima settima sarò fuori di me dal nervosismo.» Rothen sorrise e portò la tazza alle labbra. «Ah, ma, quanto più tempo impiega, tanto più tempo ho per convincerla a restare.» Seduta sul letto, Sonea sbirciò i giardini da una stretta apertura delle tende e giocherellò con una forcina sottile per capelli. Fuori era notte, e si era alzata la luna. La neve che costeggiava i sentieri brillava tenue alla pallida luce. Un'ora prima, il gong era suonato di nuovo. Quando maghi e novizi erano rientrati in fretta negli alloggi, lei aveva osservato e atteso. Ormai era
tutto tranquillo, a parte qualche servitore occasionale che passava di corsa col respiro che si condensava nell'aria gelida della notte. Sonea si alzò, si avvicinò furtiva alla porta e vi appoggiò l'orecchio. Restò in ascolto finché il collo non le fece male, ma non udì nessun rumore provenire dalla stanza adiacente. Guardò in basso, la maniglia. Era di legno liscio, lucidato. Vi erano incastonati piccoli pezzi di legno scuro che formavano il simbolo della Corporazione. Sonea lo sfiorò con un dito, meravigliata di fronte alla bravura e alla fatica necessarie a realizzare una semplice maniglia. Lentamente, silenziosamente iniziò a ruotarla. Girò un po' prima che qualcosa la bloccasse. Sonea tirò cauta la porta verso di sé, ma la chiusura era ancora bloccata. Senza agitarsi, cominciò a ruotarla nell'altra direzione: di nuovo girò lievemente prima di fermarsi. Tirò la porta, ma quella non si mosse. Allora si chinò e alzò la mano per inserire la forcina nella serratura, poi si fermò: non c'era la toppa. Con un sospiro, si accovacciò. Non aveva mai sentito il rumore di una chiave quando Rothen usciva dalla stanza, e aveva notato in precedenza che la porta non aveva catenacci, da nessun lato; dunque era stata chiusa con la magia. Sarebbe dovuta restare finché non avesse imparato a controllare i suoi poteri. Aveva però bisogno di studiare il perimetro. Se non avesse cercato un modo di scappare, non lo avrebbe mai trovato. Si alzò e si avvicinò al tavolino accanto al letto. Il libro di canzoni era ancora lì. Lo prese e lo aprì alla prima pagina: c'era scritto qualcosa. Si avvicinò di più e accese la candela che Rothen le aveva lasciato. Per il mio caro Rothen, a ricordo della nascita di nostro figlio. Yilara. Sonea increspò le labbra. Così era sposato e aveva almeno un figlio. Si chiese dove fosse la sua famiglia. Considerata l'età, il figlio doveva ormai essere un uomo adulto. Rothen sembrava una persona a posto. Sonea si era sempre ritenuta abile a valutare il prossimo, un'altra qualità che aveva ereditato dalla zia. L'istinto le diceva che Rothen era gentile e animato da buone intenzioni; ma ciò
non significava che potesse fidarsi di lui. Era sempre un mago, costretto a compiere la volontà della Corporazione. Una risata sonora proveniente dall'esterno attirò l'attenzione della ragazza. Scostò la tenda e guardò una coppia camminare in giardino, con le tuniche verdi che brillavano sotto il mantello alla luce di una sfera galleggiante. Due bambini correvano davanti a loro tirandosi palle di neve. Sonea li guardò passare e seguì la donna con lo sguardo. Non aveva mai visto maghi donne durante l'Epurazione. Sceglievano di non partecipare o c'era una regola che lo proibiva? Increspò le labbra. Jonna le aveva detto che le figlie delle famiglie ricche venivano tenute sotto attento controllo finché non sposavano l'uomo che il padre aveva scelto per loro. Nelle Case, le donne non prendevano decisioni importanti. Nei bassifondi, nessuno organizzava i matrimoni. Anche se cercavano di trovare un uomo che fosse in grado di provvedere alla famiglia, le donne di solito si sposavano per amore. Jonna era convinta che fosse meglio, ma Sonea era cinica al riguardo. Aveva notato che le donne spesso pativano molto in amore e che a un certo punto quello tendeva a svanire. Meglio sposare un uomo che ti piaceva e di cui ti fidavi. Le donne mago erano coccolate e tenute in disparte? Venivano incoraggiate a lasciare gli affari della Corporazione agli uomini? Sarebbe stato frustrante essere potente come mago e restare completamente sottomessa al controllo altrui, pensò. Quando la famiglia scomparve alla vista, Sonea fece per scostarsi dalla finestra; ma, nel momento in cui il suo sguardo guizzò sul giardino, colse un movimento in una delle finestre dell'Università. Alzò gli occhi e vide un volto pallido, ovale. Dal colletto dell'abito dedusse che fosse un mago. Sebbene non ne fosse sicura per il buio e la distanza, ebbe il forte sospetto che la stesse osservando. Sentì un brivido lungo la schiena e chiuse rapida la tenda. Intimorita, attraversò la stanza, spense la candela e si sdraiò sul letto, raggomitolandosi sotto le coperte. Si sentiva esausta, stanca di pensare, stanca di avere paura. Stanca di essere stanca... Tuttavia, mentre fissava il soffitto, capì che il sonno non sarebbe arrivato subito. 18 LONTANA DA OCCHI CURIOSI
Una luce tenue, delicata si era diffusa sugli alberi e sugli edifici della Corporazione. Cery si rabbuiò. L'ultima volta che aveva guardato, tutto era avvolto dall'oscurità. Doveva essersi addormentato, ma non ricordava di avere chiuso gli occhi. Si sfregò il volto e si guardò intorno pensando alla lunga notte appena passata. Era iniziata con Faren. Guarito e sfamato, Cery gli aveva chiesto di nuovo aiuto per ritrovare Sonea, ma il rifiuto del Ladro era stato deciso. «Se fosse stata catturata dalla Guardia o persino imprigionata a palazzo, l'avrei già recuperata... e mi sarei anche divertito a dimostrare che ero in grado di farlo.» Faren aveva abbozzato un lieve sorriso, poi la sua espressione si era indurita. «Ma questa è la Corporazione, Cery. Quello che proponi va oltre la mia portata.» «No», aveva insistito lui. «Non hanno guardie o barriere magiche. Loro...» «No, Cery.» Negli occhi del Ladro c'era stato un lampo. «Non è questione di guardie o di barriere. La Corporazione non ha mai avuto una buona ragione per intervenire e fare qualcosa contro di noi. Se la rapissimo dal loro territorio, potremmo dare loro motivo di farlo. Credimi, Cery, nessuno vuole scoprire se siamo capaci o no di eluderli.» «I Ladri li temono?» «Sì.» Faren aveva un'aria insolitamente seria. «Li temiamo, e a ragione.» «E se facessimo sembrare che qualcun altro l'ha salvata...» «La Corporazione potrebbe credere ugualmente che siamo stati noi. Ascoltami, Cery. Ti conosco abbastanza bene da immaginare che tenterai di salvarla per conto tuo. Pensa a questo invece: gli altri ti uccideranno, se ti riterranno una minaccia. Ci stanno osservando attentamente.» A quella frase, Cery non aveva replicato. «Vuoi continuare a lavorare per me?» Il ragazzo aveva annuito. «Bene. Ho un altro lavoro per te, se vuoi.» Il lavoro di Faren lo aveva condotto al Porto, il più lontano possibile dalla Corporazione. Dopo, per tornare, Cery era passato per la città, si era arrampicato sul muro della Corporazione e si era appostato nel bosco a osservare. A mano a mano che col calare della sera l'attività era diminuita, aveva visto movimento in una delle finestre dell'Università. Era apparso un volto: un volto maschile che aveva fissato con attenzione l'edificio dei maghi.
L'osservatore era rimasto al suo posto per mezz'ora. Alla fine una faccia pallida era spuntata dietro una finestra degli alloggi dei maghi e Cery aveva avuto un tuffo al cuore. Anche da lontano l'aveva riconosciuta. Sonea aveva guardato in giardino per vari minuti, poi aveva alzato lo sguardo verso l'osservatore. Vedendolo, si era scostata rapidamente dalla finestra. Anche l'uomo era scomparso poco dopo. Cery era rimasto lì per tutta la notte, ma non aveva visto altri movimenti dei maghi o di Sonea. L'alba era vicina, e lui sapeva di dover tornare da Faren. Il Ladro non avrebbe approvato che la spiasse, ma Cery sapeva già cosa rispondere: ammettere che Sonea era ben sorvegliata sarebbe bastato a placarlo. Faren gli aveva proibito di tentare di salvarla, non di raccogliere informazioni, e si aspettava sicuramente che Cery cercasse le prove che fosse ancora viva. Il ragazzo non avrebbe però detto a Faren quello che aveva appreso in una notte di appostamento. Al di là del misterioso osservatore, i maghi non avevano posto guardie all'esterno degli edifici. Se Sonea era sola in quella camera, per lei c'era ancora speranza. Sorridendo per la prima volta da giorni, Cery si avviò nel bosco in direzione dei bassifondi. Sonea si svegliò di soprassalto e scoprì che la cameriera di Rothen la stava fissando. «Mi scusi, signora», si affrettò a dire la donna. «Ma quando ho visto il letto vuoto ho pensato... Perché dorme per terra?» Sonea si alzò e si districò dalle coperte. «Il letto», rispose. «Affondo troppo. Ho la sensazione di caderci in mezzo.» «Affonda?» La donna batté le palpebre sorpresa. «Vuol dire che è troppo morbido?» Rivolgendole un sorriso radioso aggiunse:. «Probabilmente non aveva mai dormito su un materasso di lana di reber. Ecco qui». Scostò le lenzuola e le mostrò un materasso spesso, spugnoso, a più strati. Ne afferrò metà e li tirò giù. «Pensa che così starà comoda?» le chiese premendo gli strati rimanenti. Sonea esitò, poi provò il materasso. Il letto era ancora morbido, ma sotto si sentiva la base di legno. Annuì. «Splendido!» esclamò la cameriera con tono amorevole. «Le ho portato l'acqua per lavarsi e... Oh! Ha dormito coi vestiti addosso. Non importa, gliene porterò altri, nuovi. Quand'è pronta, vada nella stanza per gli ospiti. Ci sono sumi e alcuni dolcetti per iniziare la giornata.» Divertita, Sonea guardò la donna raccogliere i materassi e uscire sollecita dalla stanza. Quando la porta si fu richiusa, si sedette a un'estremità del
letto e sospirò. Sono ancora qui. Rievocò la giornata precedente: le conversazioni con Rothen, la determinazione a fuggire, le persone che aveva visto dalla finestra. Sospirando, si alzò. Scrutò la bacinella d'acqua, il sapone e l'asciugamano che la cameriera le aveva portato. Si svestì, si lavò e si cambiò, poi si avvicinò alla porta. Non appena allungò la mano per afferrare la maniglia, esitò. Rothen la stava sicuramente aspettando dall'altra parte. Sentì un vago senso di ansia, ma non di paura. Rothen era un mago, il che avrebbe dovuto spaventarla di più, ma le aveva detto che non le avrebbe fatto del male e lei aveva scelto di credergli... per il momento. Tuttavia lasciarlo entrare nella sua mente non era così facile. Non sapeva se in quel modo avrebbe potuto farle del male. E se avesse cambiato il suo modo di pensare e l'avesse indotta ad amare la Corporazione? Che scelta ho? Avrebbe dovuto confidare nella sua incapacità o nella sua volontà di non alterarle la mente. Era un rischio che doveva correre, e preoccuparsene non le avrebbe reso più facili le cose. Raddrizzando la schiena, aprì la porta. La stanza oltre la soglia sembrava essere il luogo in cui Rothen passava gran parte del tempo. Varie sedie erano disposte intorno a un tavolino basso, nel centro. Scaffali per i libri e tavoli erano addossati ai muri. Rothen sedeva su una sedia imbottita e i suoi occhi azzurri guizzavano sulle pagine di un libro. Il mago alzò lo sguardo e sorrise. «Buongiorno, Sonea.» La cameriera era accanto a un tavolino. Sonea si sedette di fronte a Rothen. La donna portò un vassoio al tavolo e posò una tazza davanti a Rothen e una davanti a Sonea. Rothen appoggiò il libro sul tavolo. «Questa è Tania», disse guardando la donna. «La mia cameriera.» Sonea la salutò con un cenno. «Ciao, Tania.» «Onorata di conoscerla, signora», replicò lei inchinandosi. Sentendosi arrossire per l'imbarazzo, Sonea distolse lo sguardo. Con suo sollievo, Tania tornò al tavolo col cibo. Mentre la osservava disporre le tortine su un vassoio, la ragazza si chiese se dovesse sentirsi adulata per l'inchino. Forse speravano che giungesse ad apprezzarlo insieme con gli altri lussi e diventasse più incline a collaborare.
La donna avvertì lo sguardo di Sonea, la fissò e sorrise nervosa. «Hai dormito bene, Sonea?» chiese Rothen. Lei si strinse nelle spalle. «Abbastanza.» «Oggi vuoi continuare con le lezioni di lettura?» Sonea studiò il libro che stava leggendo e si accigliò accorgendosi di conoscerlo. Lui seguì il suo sguardo. «Gli appunti di Fien sull'uso della magia, pensavo di dovermi informare sulle tue letture. È un vecchio libro di storia, non un manuale, e le informazioni che contiene sono a volte superate. Potresti...» Fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta. Si alzò, si avvicinò all'ingresso e lo socchiuse. Sapendo che l'avrebbe bloccata con facilità se fosse scappata, Sonea capì che le stava deliberatamente impedendo di vedere il visitatore... o stava invece impedendo a lui di vederla? «Sì, Lord Fergun. Che posso fare per lei?» «Vorrei vedere la ragazza.» Sonea trasalì quando Tania le mise un tovagliolo sulle ginocchia. Prima di allontanarsi, la donna aggrottò la fronte guardando la schiena di Rothen. «È troppo presto per una cosa del genere», replicò il mago. «Lei è...» Esitò, poi uscì e richiuse la porta alle spalle. Al di là di essa, Sonea sentì un flebile mormorio di voci mentre la discussione continuava. Alzò lo sguardo quando Tania si avvicinò con un piatto colmo di tortine. Sonea ne scelse una e provò a bere un sorso dalla tazza che aveva di fronte. Sentì un sapore amaro in bocca e fece una smorfia. Tania inarcò le sopracciglia e indicò con un cenno la bevanda che Sonea aveva in mano. «Deduco che non le piaccia il suini», disse. «Che cosa preferirebbe bere?» «Raka», rispose lei. La cameriera assunse un'aria di sincero rammarico. «Qui non teniamo raka, mi spiace. Posso portare del succo di pachi, invece?» «No, grazie.» «Un po' d'acqua?» Sonea la guardò incredula. Tania sorrise. «L'acqua qui è pulita. Ecco, gliene porterò un po'.» Si girò verso il tavolo in fondo alla stanza, riempì un bicchiere da una caraffa e lo porse a Sonea. «Grazie», mormorò lei. Sollevò il bicchiere e restò stupita nel vedere che
il liquido era chiaro: non vi galleggiava nemmeno la più piccola particella di sporcizia. Ne bevve un sorso e non sentì nessun sapore, se non qualcosa di vagamente dolce. «Adesso le rifarò la stanza», disse Tania. «Sarò via per alcuni minuti, ma se ha bisogno di qualcosa non esiti a chiamarmi.» Sonea annuì e ascoltò i passi della cameriera che si allontanavano. Sorrise quando la porta della camera si chiuse. Prese il bicchiere e tracannò il liquido, poi asciugò rapidamente il bicchiere col tovagliolo. Si avvicinò silenziosamente alla porta, lo appoggiò al legno e posò l'orecchio alla sua base. «... tenerla lì dentro. È pericoloso.» La voce apparteneva allo sconosciuto. «Non finché non avrà recuperato le forze», replicò Rothen. «Quando questo accadrà, le mostrerò come usare l'energia in sicurezza, come abbiamo fatto ieri. Non c'è nessun pericolo per l'edificio.» Vi fu un attimo di silenzio. «Ciononostante, non c'è ragione di tenerla isolata.» «Come le ho detto, si spaventa facilmente ed è parecchio stordita. Non ha bisogno di avere intorno un'orda di maghi che le ripetano la stessa cosa in dieci modi diversi.» «Non un'orda, solo io... e desidero solo fare la sua conoscenza. Le lascerò tutto l'insegnamento. Non c'è niente di male in questo, no?» «Capisco, ma ci sarà tempo di farlo dopo, quando si sentirà più sicura.» «Non c'è una legge della Corporazione che dice che la può tenere lontana da me, Rothen», replicò lo sconosciuto, per la prima volta con tono di monito. «No, ma credo che la maggior parte dei maghi capirà il mio intendimento.» Lo sconosciuto sospirò. «Io mi preoccupo del suo benessere tanto quanto lei, Rothen, e l'ho cercata per lo stesso tempo e con la stessa assiduità. Penso che molti concorderebbero con me sul fatto che ho voce in capitolo.» «Avrà modo d'incontrarla, Fergun», assicurò Rothen. «Quando?» «Quando sarà pronta.» «E solo lei deciderà quando, vero?» «Per il momento.» «Questo, lo vedremo.»
Vi fu silenzio, poi la maniglia cominciò a ruotare. Sonea schizzò al suo posto e si stese di nuovo il tovagliolo sulle ginocchia. Quando rientrò nella stanza, l'espressione sul volto di Rothen da infastidita divenne allegra. «Chi era?» domandò Sonea. Lui si strinse nelle spalle. «Solo qualcuno che voleva sapere come stessi.» Sonea annuì e si protese per prendere un'altra tortina. «Perché Tania s'inchina e mi chiama 'Lady'?» Rothen si lasciò cadere sulla sedia e si allungò per prendere la tazza di bevanda amara che Tania gli aveva lasciato. «Tutti i maghi vengono chiamati 'Lord' oppure 'Lady'.» Si strinse nelle spalle e aggiunse: «È così da sempre». «Ma io non sono un mago», precisò Sonea. «Be', Tania è stata un po' frettolosa», ridacchiò Rothen. «Credo...» Sonea si rabbuiò. «Credo abbia paura di me.» Rothen aggrottò la fronte sopra il bordo della tazza. «È solo un po' tesa di fronte a te. Essere quasi un mago senza avere appreso il Controllo può essere pericoloso.» Sorrise furbesco. «Sembra che non sia la sola a esserlo. Dato che conoscono i pericoli meglio di altri, puoi immaginare come si sentano alcuni maghi all'idea di averti nei loro alloggi. Non sei l'unica ad aver dormito male la notte scorsa.» Ripensando alla sua cattura, ai muri crollati e alle macerie che aveva scorto prima di perdere i sensi, Sonea tremò. «Quanto impiegherai a insegnarmi il Controllo?» Rothen si fece serio in volto. «Non lo so», ammise. «Ma non ti preoccupare. Se i tuoi poteri si manifesteranno di nuovo, li useremo come abbiamo già fatto.» Lei annuì, ma, quando guardò la tortina che teneva in mano, sentì lo stomaco chiudersi. Le sembrò di avere la bocca improvvisamente troppo secca per mangiare una cosa tanto dolce. Deglutendo, la posò. La mattina era stata cupa e buia e a metà pomeriggio nubi pesanti calarono, basse e minacciose, sulla città. Tutto era avvolto dalle ombre, come se la notte fosse diventata impaziente e non riuscisse ad aspettare la fine del giorno. In giornate come quella si notava meglio la debole luce emanata dai muri interni dell'Università. Quando furono nel corridoio dell'Università, Dannyl allungò il passo.
Rothen si sforzò di accelerare, poi rinunciò. «Che strano», disse, parlando alla schiena di Dannyl. «Sembra che non zoppichi più.» Dannyl si girò, poi batté le palpebre sorpreso nel vedere quanto indietro fosse rimasto Rothen. Quando rallentò, la lieve zoppia ricomparve. «Ah, eccola!» esclamò Rothen annuendo. «Perché correre, Dannyl?» «Voglio solo finisca presto.» «Dobbiamo solo presentare le nostre relazioni», replicò l'amico. «Finirà che parlerò io per la maggior parte del tempo.» «Sono io quello che il Sommo Lord ha mandato in cerca dei Ladri», borbottò Dannyl. «Io dovrò rispondere a tutte le sue domande.» «Ha solo pochi anni più di te, come anche Lorlen, e non ti spaventa tanto da impedirti di pensare.» Dannyl aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse e scosse la testa. Avevano raggiunto il fondo del corridoio. Mentre si avvicinavano alla porta della stanza dell'Amministratore, Rothen sorrise quando sentì Dannyl respirare profondamente. Bussò, e la porta si aprì verso l'interno, rivelando un'ampia stanza con pochi mobili. Una sfera di luce levitava sopra il tavolo in fondo, illuminando la tunica blu scuro dell'Amministratore. Lorlen alzò lo sguardo e li salutò con un movimento della penna. «Entrate, Lord Rothen, Lord Dannyl. Accomodatevi.» Rothen si guardò intorno. Non vi era nessuna figura con la tunica nera adagiata su una sedia o acquattata in un angolo buio. Dannyl emise un lungo sospiro di sollievo. Lorlen sorrise quando i due si sedettero di fronte al tavolo. Prese i fogli di carta che Rothen gli porse. «Non vedevo l'ora di leggere le vostre relazioni. Sono certo che quella di Lord Dannyl sarà affascinante.» Dannyl trasalì, ma non disse nulla. «Il Sommo Lord vi fa le sue congratulazioni.» Gli occhi di Lorlen guizzarono da quelli di Rothen a quelli di Dannyl. «E io vi faccio le mie.» «Allora noi vi ringraziamo», replicò Rothen. Lorlen annuì, poi sorrise ambiguamente. «Akkarin è particolarmente lieto di poter dormire sonni tranquilli ora che nessun rozzo tentativo di usare la magia lo sveglia la notte.» Vedendo Dannyl sgranare gli occhi, Rothen sorrise. «Immagino ci sia qualche inconveniente ad avere sensi tanto acuti.» Cercò d'immaginare il Sommo Lord che camminava su e giù nei suoi alloggi, di notte, imprecando contro l'imprendibile ragazza dei bassifondi. Era una scena che non si
confaceva al solenne capo della Corporazione. Poi aggrottò la fronte. Quanto si sarebbe interessato a lei, Akkarin? «Amministratore, pensa che il Sommo Lord desideri incontrare Sonea?» Lorlen scosse la testa. «No. La sua principale preoccupazione era che non la trovassimo prima che i suoi poteri diventassero distruttivi, e il re aveva iniziato a mettere in dubbio i nostri.» Sorridendo a Rothen, aggiunse: «Credo di capire il perché di tale domanda. Akkarin può suscitare molto timore, soprattutto nei novizi più giovani, e Sonea ne sarebbe facilmente spaventata». «Il che ci conduce a un'altra questione», disse Rothen. «Sonea è facilmente impressionabile e anche molto sospettosa nei nostri confronti. Ci vorrà tempo perché vinca le sue paure. Vorrei tenerla isolata finché non si sentirà un po' più sicura, e quindi presentarle le persone una alla volta.» «Mi sembra saggio.» «Stamattina Fergun mi ha chiesto di vederla.» «Ah.» Lorlen annuì e tamburellò le dita sul tavolo. «Conosco tutte le argomentazioni di cui lui si avvarrà per ottenere quello che vuole. Potrei decretare che nessuno la vedrà finché non sarà pronta, ma non credo che si sentirà appagato finché non specificherò che cosa significhi 'pronta' e non stabilirò una data.» Si alzò e prese a camminare su e giù, dietro la scrivania. «Anche la duplice richiesta di farle da tutore ha complicato le cose. Tutti ammettono che dovrebbe essere lei, Lord Rothen, a seguire la ragazza, visto che ha una grande esperienza nell'insegnamento del Controllo. Ma, se Fergun verrà escluso dalle prime fasi dell'addestramento di Sonea, finiranno per sostenere la sua candidatura per pura solidarietà.» Dopo una pausa, l'Amministratore aggiunse: «Fergun potrebbe essere tra i maghi che le presenterà?» Rothen scosse la testa. «È una grande osservatrice e sa cogliere i sentimenti altrui. Fergun mi dimostra ben poca simpatia. Se devo convincerla che siamo tutte persone amichevoli e animate da buone intenzioni, non è bene che noti eventuali conflitti tra noi. Inoltre, potrebbe confondere la sua determinazione a conoscerla per un'intenzione a farle del male.» Lorlen lo fissò per qualche istante, poi incrociò le braccia. «Tutti vogliono che Sonea impari il Controllo al più presto. Dubito che qualcuno obietterà se decidessi che niente deve distoglierla da quell'obiettivo. Quanto crede ci vorrà?» «Non lo so», confessò Rothen. «Ho insegnato a novizi svogliati che si distraevano facilmente, ma non ho mai provato a insegnare il Controllo a
qualcuno come lei che non si fida dei maghi. Potrebbero essere necessarie diverse settimane.» L'Amministratore tornò a sedersi. «Non le posso concedere tutto questo tempo. Le darò due settimane, durante le quali potrà decidere chi potrà vedere la ragazza. Dopo, inizierò a venire a trovare Sonea di tanto in tanto per capire di quanto tempo ancora abbia bisogno per acquisire un livello accettabile di Controllo.» Tacque per un istante e tamburellò sul ripiano del tavolo con un'unghia. «Se può, per quella data la presenti almeno a un mago. Dirò a Fergun che la potrà vedere quando avrà acquisito il Controllo, ma ricordi: quanto più tempo ci vorrà, tanta più solidarietà lui otterrà.» Rothen annuì. «Capisco.» «Tutti si aspettano che l'Udienza avvenga alla prima Assemblea in programma dopo che la ragazza avrà acquisito il Controllo.» «Se riuscirò a convincerla a restare», puntualizzò Rothen. Lorlen si accigliò. «Pensa che si rifiuterà di unirsi alla Corporazione?» «È troppo presto per dirlo», replicò lui. «Non la possiamo costringere a fare il giuramento.» L'Amministratore guardò Rothen con aria pensierosa e la fronte aggrottata per la preoccupazione. «Sonea conosce l'alternativa?» «Non ancora. Dato che sto cercando di ottenere la sua fiducia, ho ritenuto opportuno aspettare a dirglielo.» «Capisco. Forse, se sceglierà il momento giusto, la convincerà a restare.» Con un sorriso sarcastico, Lorlen aggiunse: «Se andrà via, Fergun penserà che l'abbia convinta ad andarsene solo per fargli dispetto. A ogni modo, dovrà combattere alcune dure battaglie, Rothen». Dannyl si rabbuiò. «Allora Fargun ha grande sostegno?» «Difficile a dirsi. Molto potrebbe dipendere dal peso degli appoggi che ognuno di voi riuscirà a procurarsi, ma non è il caso di discuterne prima dell'Udienza.» Lorlen si raddrizzò e guardò prima Rothen poi Dannyl. «Non ho altre domande. C'è qualcos'altro di cui vorreste parlare?» «No.» Rothen si alzò e chinò il capo. «Grazie, Amministratore.» Una volta in corridoio, Rothen studiò il compagno. «Non è andata tanto male, vero?» Dannyl si strinse nelle spalle. «Lui non c'era.» Quando un altro mago apparve in corridoio, Dannyl rallentò l'andatura e il suo passo si fece zoppicante. «Stai accentuando la zoppia!» Dannyl sembrò ferito. «Era un taglio profondo, Rothen.»
«Non così profondo.» «Lady Vinara ha detto che ci vorranno alcuni giorni prima che la rigidità scompaia.» «Sul serio?» Dannyl inarcò le sopracciglia. «E non guasta che gli altri ricordino che cosa abbiamo passato per catturare quella ragazza.» Rothen sogghignò. «Ti sono molto grato perché sacrifichi così la tua dignità.» Dannyl emise un lieve verso di disgusto. «Be', se Fergun va in giro con una benda sul minuscolo taglio che ha sulla tempia, io posso avere la mia zoppia.» «Capisco», disse Rothen annuendo lentamente. «Allora va bene.» Raggiunsero le porte posteriori dell'Università e si fermarono. Fuori, tutto era avvolto in una coltre di neve. Dopo essersi scambiati un'occhiata sgomenta, uscirono in quel biancore vorticante e si allontanarono in fretta. 19 INIZIANO LE LEZIONI Una settimana di maltempo aveva sepolto la Corporazione sotto uno spesso strato di neve. Prati, giardini e tetti erano scomparsi sotto uno scintillante manto bianco. Grazie alla protezione dello scudo magico, Dannyl si godeva lo spettacolo senza patirne i disagi. I novizi gironzolavano davanti all'ingresso dell'Università. Quando il mago entrò nell'edificio, tre ragazzi lo superarono di corsa coi mantelli ben stretti intorno alle spalle. Parte degli ammessi di metà inverno, pensò Dannyl. Ci volevano parecchie settimane di addestramento prima che i nuovi arrivati imparassero a ripararsi dal freddo. Salì le scale e ne trovò un gruppetto in attesa all'esterno dell'aula di Alchimia dove Rothen insegnava. Indicò loro di entrare e li seguì. «Lord Dannyl.» Riconoscendo la voce, Dannyl soffocò un gemito e si voltò. Fergun avanzava lento in corridoio con Lord Kerrin al fianco; si fermò ad alcuni passi da lui e scrutò la porta dell'aula. «Stai entrando nell'aula di Rothen?» chiese. «Sì», rispose Dannyl. «Insegni?»
«Sì.» «Capisco.» Fergun si girò e Kerrin lo seguì. Con voce calma, abbastanza alta da farsi sentire da Dannyl, Fergun aggiunse: «Sono sorpreso che lo permettano». «Cosa intendi?» domandò Kerrin. La sua voce si affievoliva a mano a mano che si allontanavano. «Non ricordi tutti i guai in cui si è cacciato da novizio?» «Oh, quelli!» Kerrin scoppiò a ridere, e la sua risata riecheggiò nel corridoio. «Potrebbe avere una cattiva influenza.» Digrignando i denti, Dannyl si girò e trovò Rothen sulla soglia. «Rothen!» esclamò. «Che fai qui?» «Ero andato in biblioteca.» Rothen tenne lo sguardo puntato sulla schiena di Fergun. «Sono sbigottito nel vedere da quanto dura il vostro rancore. Non vi getterete mai il passato alle spalle?» «Non provo rancore per lui», brontolò Dannyl. «È un gioco, e a lui piace troppo per smetterla.» Rothen sollevò le sopracciglia. «Be', se si comporta come un novizio astioso, gli altri lo tratteranno di conseguenza.» Sorrise quando tre ragazzi si affrettarono in corridoio e si precipitarono in classe. «Come stanno andando i miei novizi?» Dannyl fece una smorfia. «Non so come tu faccia a reggere. Non mi lascerai a lungo in pasto a loro, vero?» «Non lo so. Ci vorranno settimane, forse mesi.» Dannyl gemette. «Pensi che Sonea sia pronta a iniziare le lezioni di Controllo?» Rothen scosse la testa. «Ma è già passata una settimana.» «Soltanto una settimana», sospirò Rothen. «Non penso si fiderebbe di noi anche se le dessimo sei mesi per ambientarsi.» Accigliato, aggiunse: «Non è che ci disprezzi come individui, ma non crede nelle buone intenzioni della Corporazione, e non lo farà finché non vedrà qualche prova. Non abbiamo tempo per cose del genere. Quando Lorlen verrà a trovarla, presumerà che avremo già iniziato le lezioni». Dannyl afferrò il braccio dell'amico. «Per il momento, tutto quello che devi fare è insegnarle il Controllo e per questo lei deve solo fidarsi di te. Sei una persona amabile, hai a cuore il suo miglior interesse.» Esitò per un istante. «Se non puoi spiegarglielo, dimostraglielo.» Rothen si accigliò e, quando capì, sgranò gli occhi. «Dovrei lasciare che
mi legga la mente?» «Sì. Allora saprà che le stai dicendo il vero.» «È... è inutile quando insegni il Controllo, ma le circostanze sono tutt'altro che consuete.» Aggrottando la fronte, Rothen disse: «Ci sono però alcune cose che non posso insegnarle...» «Nascondile.» Dannyl sorrise. «Ora ho una classe di novizi che mi aspetta, ansiosa di mettere in pratica gli ultimi scherzi e buffonate per tormentare il docente. Lorlen non è niente. Stasera voglio sentirti raccontare dei notevoli progressi che hai fatto.» Rothen sogghignò. «Sii ragionevole con loro e loro lo saranno con te.» Mentre l'amico si voltava, Dannyl scoppiò in una breve e triste risata. Da qualche parte sopra di loro, suonò il gong dell'Università. Con un sospiro, il mago raddrizzò le spalle ed entrò in classe. Appoggiata al davanzale della finestra, Sonea guardò gli ultimi maghi e novizi affrettarsi e sparire alla vista. Non tutti però avevano risposto al gong dell'Università. Due figure rimasero ferme in lontananza, dall'altra parte del giardino. Una era una donna con la tunica verde e una fusciacca nera: il capo dei guaritori. Allora ci sono donne che hanno una certa influenza nella Corporazione! L'altro era un uomo con una tunica blu. Ripensando alla spiegazione di Rothen sui colori delle tuniche, Sonea non ricordò che avesse menzionato il blu. Era un colore raro, perciò forse anche lui era un mago influente. Rothen le aveva spiegato che i maghi che occupavano posizioni di rilievo venivano scelti per votazione tra i membri della Corporazione. Quel sistema di selezione dei capi per consenso della maggioranza era affascinante; aveva sempre creduto che i maghi più forti comandassero gli altri. Secondo Rothen, il resto dei maghi impiegava il tempo a insegnare, sperimentare o a lavorare a progetti pubblici, il che comprendeva compiti che andavano dai più sensazionali ai più ridicoli. Sonea era rimasta stupita nell'apprendere che avevano costruito il Porto, e divertita a sentire che un mago aveva trascorso gran parte della sua vita a cercare di creare colle sempre più forti. Tamburellando con le dita, si guardò di nuovo intorno. Nell'ultima settimana aveva trovato modo di esplorare tutto, persino la stanza in cui dormiva Rothen. Aveva frugato con attenzione in tutti gli armadi, cassapanche e cassetti, pieni di vestiti e di cose per la vita quotidiana. Le poche serratu-
re in cui era incappata avevano ceduto facilmente alle sue abilità di scassinatrice, ma come unica ricompensa aveva trovato solo vecchi documenti. Cogliendo un movimento con la coda dell'occhio, la ragazza si girò verso la finestra. I due maghi si erano salutati e l'uomo con la tunica blu stava camminando lungo il giardino, verso la residenza a due piani del Sommo Lord. Al ricordo della notte in cui aveva sbirciato in quell'edificio, Sonea ebbe un brivido. Rothen non aveva fatto menzione di maghi assassini, il che però la sorprendeva ben poco. Stava cercando di convincerla che la Corporazione era benevola e utile. Se il mago con la tunica nera non era un assassino, che altro poteva essere? Le balzò in mente l'immagine di un uomo coi vestiti insanguinati. Fatto, aveva detto. Mi hai portato la tunica? Sonea trasalì quando udì la porta principale aprirsi alle sue spalle. Si voltò e vide Rothen entrare nella stanza in un vorticare di stoffa purpurea. «Mi spiace di aver impiegato così tanto.» Era un mago eppure si stava scusando con lei. Divertita, rispose con una stretta di spalle. «Ho portato alcuni libri della biblioteca.» Rothen si raddrizzò e la osservò schietto. «Ma ho pensato che potremmo iniziare a fare qualche esercizio mentale. Che ne pensi?» «Esercizio mentale?» Sonea si rabbuiò e, quando capì che cosa intendesse, si sentì gelare. Pensava che dopo una settimana soltanto si fidasse di lui? Mi fido di lui? Il mago la stava fissando con intensità. «Probabilmente non cominceremo le lezioni di Controllo», le disse. «Ma dovresti acquisire familiarità con la comunicazione, in vista delle lezioni.» Ripensando alla settimana passata, Sonea valutò ciò che aveva saputo di lui. Rothen aveva impiegato gran parte del tempo a insegnarle a leggere. All'inizio lei era stata sospettosa e si era aspettata d'imbattersi in qualcosa nei libri che lui avrebbe potuto usare come esca o allettamento, ma era rimasta quasi delusa quando si era ritrovata a leggere semplici storie di avventura che avevano ben pochi riferimenti alla magia. A differenza di Serin, che si preoccupava di non irritarla, Rothen non esitava a correggerla quando faceva un errore. Sapeva essere molto severo, ma con stupore Sonea aveva scoperto che non le incuteva timore. Quand'e-
ra così serio, le veniva persino voglia di prenderlo un po' in giro. Quando non le insegnava, cercava di fare conversazione. Lei sapeva di non rendergli la vita facile a tale proposito, visto che c'erano così tanti argomenti di cui si rifiutava di parlare. Rothen si era sempre dimostrato disposto a rispondere alle sue domande, ma in cambio non aveva mai cercato di costringerla con la forza o l'inganno a rivelare qualcosa di sé. La comunicazione mentale era qualcosa di simile? Sarebbe sempre stata in grado di nascondere alcune parti di sé? L'unico modo per scoprirlo è provare, si disse. Deglutì e annuì velocemente. «Da dove iniziamo?» Lui la scrutò con aria indagatrice. «Se non vuoi, possiamo aspettare qualche giorno.» «No», rispose Sonea scuotendo il capo. «Adesso va bene.» Rothen annuì, poi le indicò le sedie. «Siediti. Fa' in modo di metterti comoda.» La ragazza si accomodò e lo osservò mentre spostava il tavolo e avvicinava una sedia per mettersi di fronte a lei. Si sarebbe seduto vicino, notò sgomenta. «Ti dirò di chiudere gli occhi. Poi ti prenderò le mani», esordì il mago. «Mentre si comunica, il contatto fisico non è necessario, ma aiuta a concentrarsi. Sei pronta?» Sonea assentì. «Chiudi gli occhi e rilassati», disse lui. «Respira profondamente e lentamente. Ascolta il rumore del tuo respiro.» Lei fece come indicato. Rothen rimase a lungo in silenzio. Dopo un po' Sonea si accorse che il ritmo del loro respiro era sincrono e si chiese se il mago avesse volontariamente alterato il suo. «Immagina che a ogni respiro una parte del tuo corpo si rilassi. Prima le dita dei piedi, poi i piedi e le caviglie. I polpacci, le ginocchia, le cosce. Rilassa le dita delle mani, le mani, i polsi, le braccia, la schiena. Rilascia le spalle, lascia che la testa ricada un po' in avanti.» Pur giudicando quelle istruzioni un po' strane, Sonea fece come le veniva detto. A mano a mano che sentiva la tensione svanire dal corpo, divenne consapevole di un rimescolio allo stomaco. «Adesso ti prenderò le mani», le spiegò Rothen. Le mani che le strinsero le sue sembravano molto più grandi. La ragazza resistette all'istinto di aprire gli occhi per controllare. «Ascolta. Pensa a quello che riesci a udire.»
D'un tratto, Sonea si accorse di essere circondata da rumori lievi e costanti. Ognuno di essi le balzava alle orecchie e chiedeva di essere identificato: il rumore dei passi all'esterno, le voci lontane dei maghi e dei servitori che provenivano dall'interno e dall'esterno dell'edificio... «Adesso lascia che i rumori esterni svaniscano e concentrati invece su quelli di questa stanza.» Lì dentro c'era più silenzio. L'unico rumore era quello del loro respiro, che non aveva più lo stesso ritmo. «Lascia che anche questi rumori svaniscano. Ora ascolta i rumori che vengono dall'interno del tuo corpo. Il battito lento del cuore...» La ragazza si accigliò. Oltre a quello del respiro, non udiva altri rumori nel corpo. «... il fluire del sangue nel corpo.» Sonea era concentrata al massimo, ma non sentiva... «... il brontolio dello stomaco...» ... o invece sì? C'era qualcosa... «... la vibrazione nelle orecchie...» Poi si accorse che i rumori descritti da Rothen non li udiva, bensì li percepiva. «... e ora ascolta il rumore dei tuoi pensieri.» Per un istante, la ragazza restò sconcertata di fronte a quell'istruzione. Poi avvertì una presenza ai margini della sua mente. «Ciao, Sonea.» «Rothen?» «Esatto.» La presenza si fece più tangibile. La personalità che avvertiva le era incredibilmente familiare. Era come riconoscere una voce, una voce tanto particolare da non poter essere confusa con nessun'altra. «Allora questa è la comunicazione mentale.» «Sì. Usandola, possiamo comunicare a grande distanza.» Sonea si accorse che non udiva parole, ma percepiva il significato dei pensieri che il mago proiettava verso di lei. Le apparivano nella mente e lei li afferrava rapidamente, completamente, tanto da capire con certezza ciò che Rothen voleva sapere. «È molto più veloce che parlare!» «Sì, e ci sono meno rischi di fraintendersi.» «Posso parlare così a mia zia? Le potrei far sapere che sono ancora viva.»
«Sì e no. Solo i maghi possono comunicare mentalmente senza contatto fisico. Potresti parlare con tua zia, ma dovresti toccarla. Non c'è però ragione perché tu non le mandi un messaggio normale...» Il che gli rivelerebbe dove abitano, pensò. Sonea sentì scemare l'entusiasmo per la comunicazione mentale. Doveva fare attenzione. «Allora... i maghi parlano sempre così?» «Non così spesso.» «Perché no?» «Questa forma di comunicazione ha dei limiti. Percepisci i sentimenti che accompagnano i pensieri che gli altri ti mandano. Per esempio, è facile capire se qualcuno ti sta mentendo.» «Ed è una brutta cosa?» «Non di per sé, ma immagina di notare che un tuo amico sta diventando calvo. Lui percepirebbe il divertimento che sta dietro i tuoi pensieri e, pur non capendone la ragione, saprebbe che il motivo è lui. Ora immagina di non avere davanti un amico indulgente, ma qualcuno che rispetti e con cui desideri fare bella figura.» «Capisco.» «Bene. Ora, per la parte successiva della lezione voglio che immagini che la tua mente sia una stanza, uno spazio con pareti, un pavimento e un soffitto.» Sonea si ritrovò al centro della stanza. Aveva qualcosa di familiare, anche se non ricordava di avere visto prima un luogo del genere. Era vuota, non aveva porte né finestre e le pareti erano spoglie, di legno. «Che cosa vedi?» «La stanza è vuota. Le pareti sono di legno.» «Ah, capisco. Questa stanza è la parte consapevole della tua mente.» «Allora... tu puoi vedere nella mia mente?» «No, mi hai solo proiettato un'immagine. Guarda, ora te la rimando.» Nella mente le comparve un'immagine della stanza. Era vaga e indistinta e i dettagli non erano più visibili. «È... diversa, come sfocata», gli disse. «Questo perché è passato un po' di tempo e il mio ricordo della stanza si è appannato. La differenza che percepisci è dovuta alla mia mente che aggiunge i dettagli che mancano al mio ricordo, come per esempio il colore e la consistenza. Ora, la tua stanza ha bisogno di una porta.» Subito le comparve davanti una porta. «Va' alla porta. Ricordi che forma avevano i tuoi poteri?»
«Sì, una brillante sfera di luce.» «È un modo comune di visualizzarli. Voglio che pensi a com'erano sia quand'erano forti e pericolosi sia dopo che erano svaniti. Riesci a ricordare?» «Sì...» «Adesso apri la porta.» Quando quella si aprì, Sonea si ritrovò sulla soglia del buio. Una sfera bianca le incombeva davanti e brillava di luce intensa. Era impossibile stabilire a che distanza si trovasse. Un attimo prima sembrava a portata di mano, un attimo dopo le pareva gigantesca e lontanissima. «Quanto è grande rispetto a quella che ricordi?» «Non è grande come quand'era pericolosa.» Sonea gli inviò un'immagine. «Bene. Cresce più velocemente di quanto pensassi, ma abbiamo un po' di tempo prima che i tuoi poteri emergano senza essere richiesti. Chiudi la porta e torna nella stanza.» La porta si chiuse e svanì. Sonea si ritrovò di nuovo al centro della stanza. «Voglio che immagini un'altra porta. Stavolta è la porta che dà all'esterno, perciò falla più grande.» Nella stanza comparve una porta a due battenti, e Sonea la riconobbe per quella della casa di soggiorno in cui era vissuta prima dell'Epurazione. «Quando la aprirai, vedrai una casa. Dovrebbe essere simile a questa.» Un'immagine di una casa bianca, non dissimile dalle grandi ville dei mercanti nel quartiere occidentale, le balenò nella mente. Sonea si ritrovò davanti all'edificio. Fra la stanza e la casa c'era una strada stretta. «Avvicinati all'edificio.» Aveva una sola porta di colore rosso. La scena, a quel punto, mutò e lei si ritrovò davanti alla porta. Quando ne toccò la maniglia, si aprì verso l'interno e lei entrò in una grande stanza bianca. Vi erano quadri appesi alle pareti e sedie imbottite disposte in modo ordinato negli angoli. Le ricordò un po' la stanza degli ospiti di Rothen, ma era più sontuosa. Il senso della personalità del mago era forte, come un profumo intenso o il calore del sole. «Benvenuta, Sonea. Ti trovi in quella che potremmo chiamare la prima stanza della mia mente. Qui ti posso mostrare delle immagini. Guarda i quadri.» La ragazza si accostò al quadro più vicino. Lì vide se stessa con la tunica
verde da mago mentre parlava schiettamente con altri maghi. Arretrò, turbata. «Aspetta, Sonea. Guarda il quadro seguente.» Con riluttanza, la ragazza si spostò lungo il muro. L'immagine seguente la ritraeva con la tunica verde addosso mentre curava la gamba malata di un uomo. Sonea si girò all'istante. «Perché questo futuro ti ripugna?» chiese Rothen. «Quella non sono io.» «Ma potresti esserlo, Sonea. Vedi ora che ti ho detto la verità?» Guardando di nuovo i quadri, la ragazza capì d'un tratto che il mago stava davvero dicendo il vero. Lì non poteva mentirle. Le stava mostrando una possibilità concreta. La Corporazione voleva davvero che lei entrasse a farne parte. Poi scoprì una porta nera che prima non aveva visto. Mentre la guardava, capì che era chiusa e sentì tornarle il sospetto. Rothen poteva non essere in grado di mentirle, ma forse le nascondeva parte della verità. «Mi stai nascondendo qualcosa!» disse in tono di accusa. «Sì», replicò il mago. «Tutti abbiamo la capacità di nascondere quelle parti di noi che desideriamo mantenere riservate. Altrimenti, nessuno di noi permetterebbe mai ad altri di entrare nella propria mente. T'insegnerò a farlo, perché tu hai bisogno soprattutto di riservatezza. Osserva, e ti permetterò di dare un'occhiata a quello che c'è dietro la porta.» La porta si aprì verso l'interno. Sonea vide una donna stesa su un letto, il volto pallido come quello di un cadavere. Poi percepì un forte dolore che si riversò all'esterno. Senza preavviso, la porta sbatté richiudendosi. «Mia moglie.» «È morta...?» «Sì. Capisci ora perché nascondo questa parte di me?» «Sì. Mi... dispiace.» «È stato tanto tempo fa, e capisco che questa prova era necessaria perché tu capissi che ti dico la verità.» Sonea diede le spalle alla porta nera. Una folata d'aria era entrata nella stanza, un misto di fiori e di qualcosa di secco e di sgradevole. I quadri che la ritraevano con la tunica si erano allargati fino a occupare interamente le pareti, ma i colori erano smorti. «Abbiamo fatto molto. Torniamo alla tua mente?» domandò Rothen. Subito la stanza prese a scivolarle sotto i piedi e a sospingerla verso la porta rossa. Sonea uscì e alzò lo sguardo. La facciata della casa le si parò
davanti agli occhi: era un edificio di legno semplice, un po' fatiscente, ma ancora robusto, tipico delle zone migliori dei bassifondi. Attraversò la strada e rientrò nella prima stanza della sua mente. Le porte si richiusero alle sue spalle. «Ora voltati e guarda fuori», le disse il mago. Mentre riapriva le porte, Sonea restò sorpresa nel vedere Rothen davanti a lei. Sembrava un po' più giovane e forse anche un po' più basso. «Hai intenzione d'invitarmi a entrare?» le chiese sorridendo. Lei arretrò e gli fece cenno di entrare. Quando il mago varcò la soglia, la sua aura riempì la stanza. Lui si guardò intorno, e Sonea d'un tratto si rese conto che la stanza non era più vuota. Provò un vago senso di colpa quando vide una scatola su un tavolo vicino. Era una scatola in cui aveva frugato. Il coperchio era aperto e i documenti che conteneva erano ben visibili. Poi vide Cery seduto a gambe incrociate sul pavimento con in mano tre libri ben noti. E in un angolo c'erano Jonna e Ranel... «Sonea.» Lei si voltò e scoprì che Rothen si era messo le mani sugli occhi. «Metti dietro una porta tutto quello che non vuoi farmi vedere.» Sonea si concentrò per nascondere tutto quanto. Cose e persone scivolarono dietro le pareti e scomparvero. «Sonea?» Lei si girò e vide che Rothen era scomparso. «Ti ho scacciato?» chiese. «Sì. Riproviamo.» Di nuovo aprì la porta e arretrò per lasciar entrare Rothen nella stanza. Cogliendo un movimento con la coda dell'occhio, girò lo sguardo, ma qualsiasi cosa avesse visto scomparve dietro la porta. Sul lato più lontano della stanza vi era una porta aperta, e Rothen si trovava sulla soglia. La varcò e tutto cambiò. Tra loro c'erano due stanze, poi tre. «Basta», disse il mago. Sonea sentì che lui le lasciava le mani. Consapevole d'un tratto del mondo fisico, aprì gli occhi. Rothen era appoggiato alla sedia con una smorfia sul volto e si massaggiava le tempie. «Stai bene?» gli chiese preoccupata. «Che cos'è successo?» «Sto bene», rispose il mago abbassando le mani e abbozzando un sorriso ironico. «Mi hai cacciato via dalla tua mente. È una reazione naturale, ma
puoi imparare a controllarla. Non temere, ci sono abituato. Ho avuto molti novizi come allievi.» Lei annuì e si sfregò le mani. «Vuoi riprovare?» Lui scosse la testa. «Non ora. Ci riposeremo, poi riprenderemo il lavoro sulla lettura. Forse ritenteremo nel pomeriggio.» 20 PRIGIONIERO DELLA CORPORAZIONE Cery sbadigliò. Da quando Sonea era stata catturata, il sonno si era fatto sfuggente: quando ne aveva bisogno, svaniva e, quando non ne aveva, lo assaliva. In quel momento aveva più che mai bisogno di restare sveglio. Un vento gelido sferzava alberi e siepi, riempiendo l'aria di rumore e portando di tanto in tanto con sé un ramoscello o una foglia. Spostando cauto il peso, Cery si stiracchiò e si sfregò prima una gamba poi l'altra; il freddo gli era penetrato nei muscoli e gli provocava i crampi. Guardò di nuovo in alto verso la finestra e concluse che, se avesse pensato ancora «guarda fuori», la testa gli sarebbe esplosa. Evidentemente la capacità di Sonea di percepire le menti non le consentiva di avvertire i visitatori inattesi appostati davanti alla sua finestra. Cery guardò le palle di neve che aveva fatto e il dubbio gli ritornò. Se ne avesse gettata una contro la finestra, avrebbe dovuto fare abbastanza rumore da svegliarla, ma non tanto da attirare l'attenzione altrui. Non aveva idea se Sonea fosse ancora nella stanza o se fosse sola. Quand'era arrivato, c'era una luce accesa, ma poco dopo si era spenta. Le finestre a sinistra di quella di Sonea erano buie, ma quelle a destra erano ancora illuminate. Cery lanciò nervoso un'occhiata all'edificio dell'Università; le finestre erano buie. Dalla prima notte in cui aveva individuato Sonea, non aveva più visto segni del misterioso osservatore. Con la coda dell'occhio scorse da qualche parte una luce spegnersi. Guardò in alto verso gli alloggi dei maghi. La luce nelle stanze accanto a quella di Sonea era scomparsa. Cery sorrise cupo e si massaggiò le gambe intorpidite. Ancora un po'... Quando un volto pallido apparve alla finestra, pensò per un istante di essersi addormentato e di stare sognando. Guardò col cuore che gli martellava nel petto mentre Sonea scrutava il giardino e l'Università. Poi la ragazza scomparve alla vista.
Ogni traccia di sonno e stanchezza era svanita. Le dita di Cery si strinsero intorno a una palla. Le sue gambe protestarono quando uscì contorcendosi dalla siepe. Prese la mira e, quando la palla si staccò dalle sue dita, si rintanò di nuovo nella siepe. Nel momento in cui la neve colpì la finestra, il ragazzo percepì un tonfo lievissimo. Provò un gran senso di gioia quando il viso di Sonea riapparve. Lei fissò la chiazza di neve sul vetro e guardò di nuovo il giardino. Cery controllò le altre finestre, ma non vide nessuno. Si sporse dalla siepe e vide gli occhi di Sonea spalancarsi quando lo individuarono. Sul volto di lei, la sorpresa fu rimpiazzata da un ampio sorriso. La salutò e a gesti le fece una domanda. Lei rispose con un «sì». Non le avevano fatto del male, e Cery emise un sospiro di sollievo. Il codice dei segnali dei Ladri si limitava a semplici messaggi quali «aspetta», «ora», «esci di qui», «sei pronto?» e gli indispensabili «sì» e «no». Non vi era nessun segnale per comunicare «la finestra è bloccata? Sono venuto a salvarti». Cery indicò se stesso, imitò i gesti di una persona che si arrampicava, mimò quelli di aprire la finestra; dopodiché indicò Sonea, se stesso e terminò col segno «esci di qui». Lei rispose con «aspetta», poi indicò se stessa, gli comunicò «esci di qui» e scosse la testa. Lui si accigliò. Sonea conosceva i segnali dei Ladri meglio di gran parte dei dwell, ma non era esperta come lui nell'usarli. Forse gli stava dicendo che non aveva il permesso di andarsene o che non voleva andarsene in quel momento oppure che lui sarebbe dovuto tornare più tardi quella notte. Cery si grattò la testa, le comunicò «esci di qui», e «ora». Lei scosse il capo, poi qualcosa alla sua sinistra attirò la sua attenzione e sgranò gli occhi. Allontanandosi un po' dalla finestra, Sonea prese a comunicargli ripetutamente «esci di qui». Cery si accucciò e si rifugiò nella siepe sperando che il vento coprisse il fruscio delle foglie. Non aveva udito passi e cominciò a chiedersi che cosa l'avesse spaventata, quando un soffio caldo lo sfiorò e sentì accapponarsi la pelle di tutto il corpo. «Vieni fuori», disse una voce inquietantemente vicina. Il ragazzo guardò tra le foglie e vide le morbide pieghe di una tunica a un braccio di distanza. Una mano s'infilò nel fogliame. Lui si scostò, uscì dalla siepe e si premette contro l'edificio col cuore che gli batteva all'impazzata. Il mago si raddrizzò subito.
Sapendo di essere in piena vista, Cery schizzò lungo il lato dell'edificio verso il bosco. Qualcosa lo colpì alla schiena, e lui cadde in avanti nella neve. Un peso lo teneva fermo lì e lo premeva a terra con forza tale che faticava a respirare. La neve gelida gli bruciava quasi la faccia. Udì rumore di passi e sentì il panico crescergli nel petto. Calmo, sta' calmo, si disse. Non hai mai sentito dire che uccidano gli intrusi... non hai nemmeno sentito dire che trovino degli intrusi... La pressione opprimente cessò. Mentre si metteva carponi, Cery sentì una mano afferrarlo per il braccio, tirarlo su e trascinarlo sul sentiero oltre la siepe. Alzò lo sguardo e restò impietrito quando riconobbe il mago. Questi socchiuse gli occhi. «Hai un'aria familiare... Ah, ora ricordo. Lo sporco dwell che ha cercato di colpirmi.» Il mago guardò la finestra di Sonea e assunse un sorriso furbesco. «Così Sonea ha un ammiratore. Ma che tenerezza.» Quindi guardò il ragazzo con aria pensierosa e nei suoi occhi comparve una strana luce. «Allora, che ne facciamo di te? Mi risulta che gli intrusi debbano essere interrogati e scortati fuori dalla Corporazione. Perciò è meglio iniziare.» Cery si divincolò quando il mago cominciò a trascinarlo in direzione dell'Università. La sua mano sottile era incredibilmente forte. «Lasciami andare!» gridò imperioso il ragazzo. Il mago sospirò. «Se continui a strattonarmi il braccio in questo modo, sarò costretto a usare mezzi meno fisici per trattenerti. Per favore, collabora. Anch'io come te non vedo l'ora di porre fine alla questione.» «Dove mi stai portando?» «Al riparo da questo vento forte, per iniziare.» Raggiunsero la fine dell'edificio dei maghi e si avviarono in direzione dell'Università. «Lord Fergun.» Il mago si fermò. Si stavano avvicinando due sagome con la tunica. Cery percepì un'improvvisa tensione nella sua stretta, ma non sapeva se rallegrarsi o preoccuparsi per i nuovi venuti. Ovviamente il mago non gradiva quell'intrusione. «Amministratore, che fortunata coincidenza», disse Fergun. «Stavo proprio venendo a svegliarla. Ho scoperto un intruso. Sembra volesse cercare di raggiungere la ragazza dei bassifondi.» «Così mi hanno detto», disse la figura più alta guardando il compagno. «Lo interrogherà?» chiese Fergun, stringendo ancor di più il braccio di Cery.
«Sì», rispose il mago alto. Fece un gesto lento, e una sfera di luce si materializzò sopra di loro. Il vento scomparve e Cery sentì un calore avvolgerlo dalla testa ai piedi. Si guardò intorno: vedeva ancora gli alberi piegarsi, ma i tre maghi non erano investiti da gelide folate. Nella luce forte, le tuniche dei maghi avevano colori intensi. Il mago alto ne indossava una blu; il compagno, un uomo più anziano, una porpora; quello che lo aveva catturato una rossa. Il mago alto abbassò lo sguardo su di lui e sorrise debolmente. «Vuoi parlare con Sonea, Cery?» Lui batté le palpebre, sorpreso, poi si rabbuiò. Come faceva a sapere il suo nome? Sonea doveva averglielo detto. Se avesse voluto avvertirlo, avrebbe dato loro un altro nome... a meno che non glielo avessero estorto con l'inganno o non glielo avessero letto nella mente o... Che importava? Ormai lo avevano preso. Se intendevano fargli del male, era comunque condannato. Quindi poteva anche vedere Sonea. Così annuì. Il mago alto guardò Fergun. «Lo lasci andare.» La stretta di Fergun aumentò prima che le sue dita si allontanassero dal braccio di Cery. Il mago con la tunica blu indicò a Cery di seguirlo e si avviò in direzione degli alloggi dei maghi. Le porte si aprirono davanti a loro. Consapevole dei due maghi che lo scortavano come guardie, Cery seguì il mago alto su per una breve rampa di scale, fino al piano superiore. Percorsero un ampio corridoio fino a una delle tante porte comuni. Il vecchio mago allora avanzò per toccare la maniglia, e la porta si aprì verso l'interno. Dentro c'era una stanza lussuosa con sedie imbottite e mobili eleganti. Su una di esse sedeva Sonea. Quando vide Cery, sfoderò un bel sorriso. «Va'», gli disse il mago con la tunica blu. Col cuore che batteva ancora all'impazzata, Cery entrò nella stanza. Quando la porta si richiuse, si guardò alle spalle e si chiese se non fosse appena finito in una trappola. «Cery», mormorò Sonea. «Che bello vederti!» Lui si girò a osservarla. Lei sorrise di nuovo, ma subito dopo divenne seria. «Siediti, Cery. Ho chiesto a Rothen di parlarti. Gli ho detto che avresti continuato a cercare di salvarmi, se non ti avessi spiegato perché non posso andarmene.» Gli indicò una sedia. Il ragazzo si sedette riluttante. «Perché non puoi andartene?»
Sonea sospirò. «Non so se riuscirò a spiegartelo in un modo che tu lo capisca.» Si appoggiò alla sedia. «Un mago deve imparare a controllare la magia. Solo un altro mago glielo può insegnare, perché è una cosa che va spiegata a livello mentale. Se non impara a controllarla, la magia si attiva ogni volta che prova qualche sentimento. La magia può assumere forme pericolose, e diventa sempre più forte a mano a mano che cresce. Alla fine...» Fece una smorfia e aggiunse: «Io... io sono quasi morta il giorno che mi hanno trovata. Loro mi hanno salvata». Cery ebbe un brivido. «Ho visto, Sonea. Le case... erano tutte distrutte.» «Se non mi avessero trovata, sarebbe stato peggio. Ci sarebbero stati dei morti. Molti morti.» Lui si guardò le mani. «Quindi non puoi tornare a casa.» Sonea ridacchiò, e il suono che emise era tanto allegro che Cery la fissò sbigottito. «Starò bene», gli disse. «Quando avrò raggiunto il Controllo, non sarò più in pericolo. Sto imparando come funzionano le cose qui.» Ammiccando, chiese: «E tu dove bazzichi adesso?» Cery sorrise. «Nel solito vecchio posto. La migliore casa del bol dei bassifondi.» Sonea annuì. «E il tuo... amico? Ti dà ancora lavoro?» «Sì.» Il ragazzo scosse la testa. «Forse non più, dopo che avrà scoperto quello che ho fatto stasera.» A quel pensiero, la fronte di Sonea si aggrottò per la preoccupazione, e Cery sentì una fitta al cuore così forte da fargli male. Chiuse le mani a pugno e distolse lo sguardo; avrebbe voluto dichiararle quanto si fosse sentito spaventato e in colpa da quando l'avevano catturata, ma il pensiero che altri potessero sentirlo gli bloccò le parole in gola. Guardò la stanza lussuosa e si consolò all'idea che, quantomeno, la sua amica era trattata bene. Sonea sbadigliò. Era tardi, si ricordò Cery. «Sarà meglio che vada.» Si alzò, poi si fermò, riluttante ad andarsene. Lei gli rivolse un sorriso un po' triste. «Di' a tutti che sto bene.» «Lo farò.» Non riusciva a muoversi. Sonea gli indicò la porta. Il sorriso si era spento. «Starò bene, Cery. Fidati. Ora va'.» In qualche modo, Cery riuscì a raggiungere la porta e l'aprì. I tre maghi lo studiarono attentamente quando uscì in corridoio. «Accompagno il nostro visitatore al cancello?» suggerì Fergun.
«Sì, grazie», rispose il mago con la tunica blu. Una sfera di luce comparve sopra la testa di Fergun. Lanciando un'occhiata al mago con la tunica blu, Cery esitò. «Grazie.» Il mago annuì una volta, in risposta. Giratosi, Cery si avviò verso le scale col mago biondo alle calcagna. Mentre scendeva, ripensò alle parole di Sonea. I suoi segnali avevano finalmente un senso: avrebbe dovuto aspettare finché non avesse imparato a controllare i suoi poteri e a quel punto avrebbe tentato la fuga. Lui poteva fare poco per aiutarla, solo organizzarsi in modo che lei avesse un posto sicuro in cui tornare. «Sei il marito di Sonea?» Cery guardò sorpreso il mago. «No.» «Il suo... amante, allora?» Cery si sentì arrossire e guardò altrove. «No, solo un amico.» «Capisco. Sei stato eroico a venire qui.» Cery pensò non fosse il caso di replicare a quell'affermazione. Uscì dagli alloggi dei maghi e, investito dal vento gelido, si girò verso il giardino. Fergun si fermò. «Aspetta. Ti faccio passare dall'Università. È un percorso più caldo.» Cery ebbe un tuffo al cuore. L'Università. Aveva sempre desiderato vedere l'interno di quel grande edificio e un'opportunità simile non si sarebbe più ripresentata dopo la fuga di Sonea. Con una scrollata di spalle, come a dire che gli era indifferente, si mosse in direzione dell'ingresso posteriore dell'enorme costruzione. Scesero le scale, e il cuore prese a battergli forte. Entrarono in una stanza piena di scale riccamente ornate. La luce del mago scomparve quando questi lo indirizzò verso una porta laterale e un ampio corridoio che pareva estendersi all'infinito. Porte e passaggi si aprivano su entrambi i lati. Cery non riuscì a scoprire la fonte della luce: era come se le pareti stesse rilucessero. «Sonea è stata davvero una sorpresa per noi», disse all'improvviso Fergun, e la sua voce riecheggiò nel corridoio. «Prima non avevamo mai scoperto nessun talento tra le classi più umili. Normalmente è un fenomeno circoscritto alle Case.» «Anche per lei è stata una sorpresa», replicò Cery. «Da questa parte.» Il mago lo guidò in un passaggio laterale. «Sai di altri dwell che hanno poteri magici?» «No.»
Svoltarono un angolo, varcarono una porta che dava in una piccola stanza, poi ne superarono un'altra e arrivarono in un corridoio più ampio. A differenza degli altri, quello era pannellato di legno e aveva dipinti appesi alle pareti a distanze regolari. «È un vero labirinto», commentò Fergun con un lieve sospiro. «Vieni, ti faccio fare una scorciatoia.» Si fermò a lato di un quadro e vi frugò dietro. Una sezione del muro si aprì rivelando un rettangolo buio delle dimensioni di una porticina. Cery guardò il mago con aria interrogativa. «Ho sempre amato i segreti», disse Fergun con occhi luccicanti. «Sei sorpreso che anche noi abbiamo gallerie sotterranee? Questa sbuca nella Cerchia interna. Sarà un percorso all'asciutto e al riparo dal vento. Ti va?» Cery guardò la porta e poi il mago. Gallerie sotto la Corporazione? Era una cosa troppo strana. Arretrò e scosse il capo. «Ho visto molte gallerie, e il freddo non mi dà fastidio. M'interessano di più le belle cose di questo palazzo.» Il mago chiuse gli occhi e annuì. «Capisco.» Si raddrizzò e sorrise. «Be', è un bene sapere che non ti dà fastidio il freddo.» Qualcosa spinse Cery e lo costrinse ad avvicinarsi alla porta segreta. Lui urlò e si aggrappò ai bordi dell'apertura, ma la spinta era troppo forte e le sue dita scivolarono sul legno lucido. Cadde, e portò le mani avanti in tempo per proteggersi il volto mentre cozzava contro un muro. La forza lo teneva premuto contro i mattoni. Non poteva muovere nemmeno un dito. Col cuore che gli batteva forte, imprecò contro se stesso per essersi fidato dei maghi. Udì uno scatto alle sue spalle: la porta segreta si era chiusa. «Urla adesso, se vuoi», ridacchiò Fergun emettendo un suono basso e sgradevole. «Nessuno viene qua sotto, perciò non darai fastidio a nessuno.» Il mago gli legò stretto un pezzo di stoffa sugli occhi, gli mise le mani dietro la schiena e gliele immobilizzò con un altro pezzo di stoffa. Quando la pressione alla schiena si allentò, una mano lo afferrò per il colletto e lo spinse in avanti. Cery barcollò lungo la galleria e, dopo alcuni passi, giunse a una scala. Scese tastoni, poi le mani del mago lo guidarono lungo un percorso vagamente tortuoso. La temperatura dell'aria scese rapidamente. Dopo qualche centinaio di passi, Fergun si fermò. Lo stomaco del ragazzo si contrasse quando si udì
il rumore di una chiave che girava nella serratura. La benda gli fu tolta, e Cery si ritrovò davanti alla porta di una stanza enorme, vuota. Gli venne tolta anche la stoffa che gli teneva prigioniere le mani. «Entra.» Cery guardò Fergun. Gli prudevano le mani tanta era la voglia di afferrare i coltelli, ma sapeva che lottando contro il mago li avrebbe persi. Se non fosse entrato nella stanza con le sue gambe, Fergun ve lo avrebbe spinto. Lentamente, in preda allo stordimento, entrò nella cella. La porta si richiuse sbattendo e lui rimase al buio. Udì la serratura girare e un rumore attutito di passi che si allontanavano. Con un sospiro, si accovacciò. Faren sarebbe andato su tutte le furie. 21 UNA PROMESSA DI LIBERTÀ Mentre si affrettava lungo il corridoio degli alloggi dei maghi, Rothen ricevette più di un'occhiata indagatrice dai colleghi che superava. Ad alcuni rispose con un cenno del capo, e a quelli con cui era più in confidenza sorrise, ma non rallentò il passo. Raggiunta la porta dei suoi appartamenti, afferrò la maniglia e comandò mentalmente alla serratura di aprirsi. Quando la porta si spalancò, udì due voci provenire dalla stanza degli ospiti. «... mio padre era a servizio di Lord Margen, il maestro di Lord Rothen. Anche mio nonno lavorava per lui.» «Avrai molti contatti, qui.» «Qualcuno», annuì Tania. «Ma molti si sono trasferiti per andare a lavorare nelle Case.» Le due donne erano sedute l'una accanto all'altra sulle sedie. Quando vide il mago, Tania balzò in piedi e arrossì. «Non preoccupatevi per me», disse Rothen facendo un gesto con la mano. Tania chinò il capo. «Non ho ancora finito i miei lavori, mio signore.» Col volto ancora in fiamme, si affrettò verso la camera da letto del mago. Sonea osservò la scena palesemente divertita. «Penso non abbia più paura di me», comunicò mentalmente a Rothen. Il mago osservò la cameriera quando riapparve con un involto di abiti e
lenzuola sotto il braccio. «No. V'intendete bene, voi due.» Tania si fermò e lanciò a Rothen un'occhiata dura, poi studiò Sonea. «È in grado di capire che comunichiamo in questo modo?» domandò Sonea. «Vede cambiare le espressioni. Basta stare un po' a contatto coi maghi per riconoscerlo come un chiaro segno che c'è una conversazione mentale in corso.» «Scusaci un attimo, Tania», disse Rothen ad alta voce. Lei sollevò le sopracciglia, ma con una lieve scrollata di spalle lasciò cadere il fagotto in un cesto. «È tutto, Lord Rothen?» «Sì, grazie, Tania.» Il mago attese finché la porta non si richiuse alle spalle della cameriera, poi si sedette vicino a Sonea. «È forse ora che ti spieghi che non è considerato educato comunicare mentalmente in presenza di altre persone, soprattutto quando non sono in grado di unirsi alla conversazione. È come mormorare alle spalle di qualcuno.» Sonea si accigliò. «Ho offeso Tania?» «No.» Rothen sorrise di fronte alla sua espressione di sollievo. «Ti devo però anche avvertire che la comunicazione mentale non è così privata come credi. Può essere captata da altri maghi, in particolare da quelli determinati ad ascoltare.» «Perciò poco fa qualcuno avrebbe potuto sentirci?» Lui scosse la testa. «È possibile, ma ne dubito. Origliare le conversazioni altrui è ritenuto sgarbato e irrispettoso... e richiede concentrazione e sforzo. Se così non fosse, le conversazioni altrui ci farebbero uscire di senno.» Sonea aveva un'aria pensierosa. «Se non senti niente finché non ti metti in ascolto, come fai a sapere quando qualcuno ti vuole parlare?» «Quanto più sei vicino a un mago, tanto più facile è sentirlo», le spiegò Rothen. «Quando sei nella stessa stanza, riesci di solito a captare i pensieri che proietta verso di te. Quando però sei lontano, l'altro deve prima richiamare la tua attenzione.» Mettendosi una mano sul petto aggiunse: «Se, per esempio, volessi parlare con me mentre sono all'Università, dovresti proiettare il mio nome a voce alta. Gli altri maghi lo sentiranno, ma non risponderanno né apriranno la mente per ascoltare la conversazione che seguirà. Quando grido il tuo nome in risposta, tu sai che ti ho sentito e possiamo iniziare a parlare. Se siamo abili e conosciamo bene le nostre voci, focalizzando i pensieri che proiettiamo possiamo rendere difficile la vita a
chi intende origliare, ma su grandi distanze questo è quasi impossibile». «Nessuno ha mai ignorato questa regola?» «Probabilmente sì», rispose il mago con una stretta di spalle. «Per questo devi ricordare che la comunicazione mentale non è privata. Noi abbiamo un detto: è meglio dar voce a un segreto che parlarne.» Sonea sbuffò piano. «Ma non vuol dire niente.» «Non quando lo interpreti alla lettera», sogghignò Rothen. «Qui, nella Corporazione, i termini 'parlare' e 'ascoltare' hanno un altro significato. Nonostante la regola generale della cortesia, è incredibile la frequenza con cui qualcuno scopre che il segreto che ha tanto cercato di nascondere è diventato un pettegolezzo sulla bocca di tutti. Spesso dimentichiamo che i maghi non sono gli unici che possono sentirci.» Gli occhi di Sonea s'illuminarono, interessati. «No?» «Non tutti i bambini che hanno potenzialità magiche entrano nella Corporazione», le disse. «Se, per esempio, si tratta del fratello maggiore, può essere più utile che resti in famiglia poiché è l'erede. In gran parte delle terre vi sono leggi che scoraggiano i maghi dall'intraprendere attività politiche. Un mago non può diventare re, per esempio; per la stessa ragione non è saggio avere un mago come capo famiglia. «La comunicazione mentale è una facoltà che si associa ai poteri magici. A volte, anche se è molto raro, un individuo che non diventa mago scopre di avere sviluppato naturalmente la capacità di comunicare con la mente. A queste persone è possibile insegnare a leggere la verità, il che può essere una dote molto utile.» «Leggere la verità?» Rothen annuì. «Ovviamente, non lo si può fare con una persona che oppone resistenza, perciò è utile solo quando qualcuno vuole mostrare all'altro ciò che ha visto o udito. Nella Corporazione, abbiamo una legge che riguarda le accuse: se un soggetto accusa un mago di falsità o di avere commesso un crimine, si deve sottoporre alla lettura della verità o ritirare l'accusa.» «Non mi sembra giusto», osservò Sonea. «È il mago che ha fatto qualcosa di sbagliato.» «Sì, ma ciò impedisce che si lancino false accuse. L'accusato, che sia o no un mago, può facilmente impedire la lettura della verità.» Rothen esitò, poi aggiunse: «C'è però un'eccezione». Sonea si rabbuiò. «Sì?» Il mago si appoggiò alla sedia e incrociò le dita. «Alcuni anni fa un uo-
mo sospettato di aver commesso una serie di omicidi particolarmente efferati fu portato alla Corporazione. Il Sommo Lord, il nostro capo, gli lesse la mente e ne confermò la colpevolezza. Ci vuole una grande abilità a superare le barriere di una mente che oppone resistenza. Akkarin è l'unico di noi che è riuscito a farlo, anche se ho sentito dire che alcuni maghi in passato erano capaci di cose del genere. È un uomo straordinario.» Sonea assimilò il concetto. «Ma l'assassino non poteva nascondere i suoi segreti dietro le porte, come mi hai mostrato?» Rothen si strinse nelle spalle. «Nessuno sa esattamente come Akkarin ci sia riuscito, ma quand'è entrato nella mente dell'uomo non ci è voluto molto perché questi venisse tradito dai suoi stessi pensieri.» Tacque per un istante, poi continuò: «Sai per esperienza che è necessaria un po' di pratica per tenere i segreti dietro le porte. Quanto più temi che vengano svelati, tanto più è difficile nasconderli». Sonea sgranò gli occhi, poi distolse lo sguardo e assunse d'un tratto un'espressione guardinga. Osservandola, Rothen intuì che cosa pensasse. Ogniqualvolta le era entrato nella mente, oggetti e persone che Sonea non voleva lui riuscisse a identificare balzavano in piena vista, al che lei si faceva prendere dal panico e lo scacciava. Tutti i novizi reagivano in certo qual modo come lei. Rothen non parlava dei segreti che coglieva. Le preoccupazioni nascoste dei giovani che aveva avuto come allievi riguardavano vizi personali o abitudini fisiche, talora qualche scandalo politico, ed erano facili da ignorare. Evitando di parlarne, garantiva loro il rispetto della sfera più intima. Ma con Sonea il silenzio non era una fonte di rassicurazione, e il tempo scarseggiava. Lorlen le avrebbe fatto visita alla fine della settimana, convinto che avesse già iniziato le lezioni di Controllo. Ma, per padroneggiare il Controllo, lei avrebbe dovuto superare le sue paure. «Sonea.» La ragazza incrociò il suo sguardo con riluttanza. «Sì?» «Credo dovremmo parlare delle tue lezioni.» Lei assentì. Rothen si protese e appoggiò i gomiti sulle ginocchia. «Di solito non parlo di quello che un novizio mi mostra nella sua mente. Così gli è più facile fidarsi di me, ma nel nostro caso questo non funziona. Tu sai che ho visto cose che volevi tenere nascoste, e fingere che non sia così non ci aiuterà.» Sonea fissò il tavolo e, quando strinse la presa sulla sedia, le nocche le
divennero bianche. «Per prima cosa, mi aspettavo che frugassi nelle mie stanze», proseguì il mago. «L'avrei fatto anch'io se fossi stato nella tua posizione. Non mi dà fastidio. Non ci pensare più.» Le guance di Sonea arrossirono lievemente, ma lei rimase in silenzio. «Secondo, non siamo un pericolo per i tuoi amici e la tua famiglia.» Lei alzò lo sguardo e incrociò quello del mago. «Temi che minacceremo di fare loro del male se non accetterai di collaborare», disse Rothen sostenendo il suo sguardo. «Non accadrà, Sonea. Farlo significherebbe violare la legge del re.» Lei distolse di nuovo lo sguardo e la sua espressione s'indurì. «Ah, ma tu lo temi ugualmente. Hai ben poche ragioni per credere che rispettiamo la legge del re», riconobbe il mago. «Ben poche ragioni per fidarti di noi. Il che mi porta alla tua terza paura: che io scopra il tuo piano di fuga.» Sonea sbiancò lentamente in volto. «Non c'è bisogno che faccia piani del genere», le disse. «Non ti costringeremo a restare, se non vuoi. Quando avrai appreso il Controllo, potrai andartene o restare, come preferisci. Diventare mago implica fare un giuramento cui tutti siamo sottoposti, un giuramento che dura per l'intera vita. Non lo si può fare controvoglia.» Lei lo fissò con la bocca semiaperta. «Mi lascerai andare?» Lui annuì e scelse con cura le parole seguenti. Era troppo presto per dirle che la Corporazione non le avrebbe permesso di andarsene senza prima bloccarle i poteri, ma lei doveva comunque sapere che avrebbe perso tutte le sue facoltà magiche. «Sì, ma devo avvertirti: senza addestramento non potrai usare i tuoi poteri. Dopo, non potrai più fare quello che sai fare. Non potrai usare la magia in nessun modo.» Tacque per un istante. «Non sarai di nessuna utilità ai Ladri.» Con sua gran sorpresa, Sonea parve sollevata e un pallido sorriso le comparve sulle labbra. «Quello non sarà un problema.» Rothen la studiò con attenzione. «Sei certa di voler tornare nei bassifondi? Non hai nessun mezzo per difenderti.» Sonea sollevò le spalle. «Non sarà diverso da prima. Me la cavavo abbastanza bene.» Il mago si accigliò, colpito dalla sua sicurezza e nello stesso tempo allarmato all'idea di rimandarla in mezzo alla povertà. «So che desideri ricongiungerti alla tua famiglia. Unirti alla Corporazione non significhereb-
be abbandonarla, Sonea. Loro potranno venire a trovarti, e viceversa.» Lei scosse la testa. «No.» Rothen increspò le labbra. «Pensi che avrebbero paura di te, che ti riterrebbero una traditrice di tutti i dwell se diventassi quello che loro odiano?» Dallo sguardo rapido e penetrante che gli rivolse, capì di essere riuscito a comprenderla meglio di quanto lei stessa immaginava. «Che cosa dovresti fare per risultare pur sempre accettabile ai loro occhi?» Sonea sbuffò. «Come se la Corporazione, o il re, mi permettessero di fare qualsiasi cosa voglia per accontentare i dwell!» «Non t'ingannerò lasciandoti credere che sarà facile», replicò il mago. «Ma è una possibilità che dovresti valutare. La magia non è un dono comune. Molti darebbero tutte le loro ricchezze per possederla. Pensa a quello che potresti imparare qui. Pensa che la potresti usare per aiutare gli altri.» Lo sguardo di lei vacillò per un istante, poi la sua espressione s'indurì. «Il Controllo è l'unica ragione per cui sono qui.» Lui annuì lentamente. «Se questo è tutto quello che vuoi, allora è tutto quello che ti possiamo dare. Sarà una grande sorpresa per tutti quando sapranno che hai deciso di tornare nei bassifondi. Molti non capiranno perché una persona che ha vissuto in mezzo alla povertà per tutta la vita rifiuti un'offerta simile. Ti conosco abbastanza bene per sapere che non dai molto peso alla ricchezza e al lusso.» Rothen scrollò le spalle e quindi sorrise. «E non sarò il solo ad ammirarti per una scelta del genere. Tuttavia devi sapere che cercherò in ogni modo di convincerti a unirti a noi.» Per la prima volta da quanto il mago ricordava, Sonea sorrise. «Grazie per l'avvertimento.» Contento di sé, Rothen si sfregò le mani. «Bene, questo è tutto. Iniziamo la lezione?» Sonea esitò, poi avvicinò la sedia in modo da mettersi di fronte a lui. Stupito dalla sua ansia d'imparare, Rothen afferrò le sue mani tese; chiuse gli occhi, rallentò la respirazione e cercò l'aura che lo avrebbe condotto nella sua mente. La ragazza era ormai diventata abile con la visualizzazione, e il mago si ritrovò subito davanti a una porta aperta. La varcò ed entrò in una stanza familiare, al cui centro si trovava Sonea. Un senso di determinazione permeava l'atmosfera. Rothen attese la consueta interferenza nella scena, ma nella stanza non comparve nulla d'indesiderato. Sorpreso e contento, annuì all'immagine di Sonea. «Mostrami la porta del tuo potere.»
Lei ruotò lo sguardo. Seguendolo, Rothen si ritrovò davanti a una porta bianca. «Adesso aprila e ascolta attentamente. Ti mostrerò come controllare il potere.» Piegandosi sulle ginocchia, Cery emise un sospiro di sconforto. Aveva esaminato la prigione con cura, trattenendo il fiato ogniqualvolta aveva sentito sotto le mani un faren a otto zampe fuggire spaventato. Dall'ispezione aveva appreso che le pareti erano fatte di grossi blocchi di pietra e che il pavimento era di terra compatta. La porta era una spessa tavola di legno con grossi cardini di ferro. Non appena i passi del mago erano svaniti in lontananza, Cery aveva preso un grimaldello dal lungomanto e aveva raggiunto tastoni la porta. Trovata la toppa, aveva armeggiato con la serratura fino a sentire scattare il meccanismo; tuttavia, quando aveva tirato la porta, quella non si era aperta. A quel punto si ricordò, ridendo, che il mago non l'aveva chiusa a chiave. L'aveva chiusa lui col grimaldello. Manipolò di nuovo la serratura e scoprì che la porta era ancora ben chiusa. Si ricordò di aver sentito il rumore di una chiave che girava e concluse che vi fosse un'altra serratura. Si mise quindi in cerca di un'altra toppa. Non la trovò e pensò allora che la serratura che bloccava la porta dovesse avere la toppa solo all'esterno. Prese il grimaldello e lo inserì tra la porta e il telaio. Ebbe l'impressione che incontrasse resistenza. Contento di avere trovato la serratura al primo colpo, tirò il grimaldello per estrarlo, ma scoprì che era incastrato. Quando cercò di girarlo e di liberarlo, quello si piegò. Per paura di danneggiarlo, Cery lo lasciò nella fessura e ne prese un altro, che infilò un po' più in alto. Prima di avere avuto la possibilità di sondare per vedere che cosa bloccasse il primo, il secondo grimaldello s'incastrò. Imprecando, il ragazzo cercò di tirarlo via con tutte le sue forze, ma riuscì solo a piegarlo. Frugò nel mantello in cerca di un terzo grimaldello e lo infilò nello spazio tra il pavimento e la porta. L'arnese si bloccò all'istante e, per quanto lui tirasse, rimase bloccato. Cery cercò di smuovere gli altri, ma invano. Mentre le ore cupe si susseguivano, provò più volte a recuperare gli attrezzi. Non riusciva a immaginare nessuno strumento in grado di afferrare e bloccare un grimaldello tanto in fretta, tranne ovviamente la magia. Cominciò a sentire crampi alle gambe per il freddo, perciò si mise in
piedi. Posò una mano sul muro per sorreggersi, e la testa prese a girargli. Lo stomaco brontolò, segnalandogli che era passato troppo tempo da quando aveva mangiato, ma la sete era un problema ancora peggiore. Aveva voglia di un boccale di bol o di un bicchiere di succo di pachi o persino di un po' d'acqua. Si chiese di nuovo se avessero intenzione di lasciarlo morire in quella cella. Se la Corporazione l'avesse voluto morto, Cery era sicuro che lo avrebbero eliminato prima di rinchiuderlo da qualche parte, il che gli dava una minima speranza. Probabilmente il piano dei maghi prevedeva che lui restasse vivo... almeno per il momento. Se però il piano fosse fallito, ben presto si sarebbe ritrovato a soffrire i morsi della fame. Pensò all'altro mago, quello con la tunica blu: non ricordava di avere colto segni d'inganno nel suo comportamento. O era abile a proiettare un senso di affidabilità o non sapeva nulla della sua reclusione. Se tale ultima ipotesi era vera, allora il tutto era opera di Fergun. Che il mago biondo fosse l'unico artefice del piano o no, Cery vedeva solo due ragioni per la sua prigionia: i Ladri e Sonea. Se i maghi intendevano usarlo per manipolare i Ladri, avrebbero avuto una grossa delusione. Faren si curava di lui a tal punto. Cery considerò che forse lo avrebbero torturato per estorcergli informazioni. Anche se amava pensare di poter resistere a quel metodo di persuasione, non si faceva illusioni: non sapeva se sarebbe stato in grado di tenere la bocca chiusa di fronte a una prova del genere. Era possibile, a ogni modo, che i maghi gli leggessero la mente: in tal caso avrebbero scoperto che sapeva ben poco che potesse essere usato contro i Ladri e, quando ne fossero venuti a conoscenza, lo avrebbero probabilmente lasciato marcire in quel luogo buio. Dubitava tuttavia che i Ladri fossero il loro obiettivo. Lo avrebbero già interrogato. No, le uniche domande che gli avevano fatto riguardavano Sonea. Nel tragitto verso l'Università, Fergun gli aveva chiesto di che natura fosse il suo rapporto con Sonea. Se i maghi volevano sapere quanto importante fosse Cery per lei, probabilmente intendevano usarlo per ricattarla, per costringerla a fare qualcosa che non voleva. L'idea di avere forse aggravato la posizione di Sonea lo angosciava tanto quanto quella di essere lasciato morire, se non ancora di più. Se solo non avesse avuto la tentazione di vedere l'Università... Più ci pensava e più si malediceva per la sua curiosità.
Tra un respiro e l'altro, udì un rumore di passi in lontananza. A mano a mano che divenne più forte, la sua rabbia scomparve e il cuore prese a battergli forte. I passi si fermarono al di là della porta. Ci fu un sordo scatto metallico seguito dal lieve tintinnio dei grimaldelli che cadevano per terra. Quando la porta si aprì, apparve un lungo fascio di luce gialla. Poi comparve Fergun. Cery batté le palpebre per l'intensità della luce e vide che il mago lo fissava con occhi socchiusi. «Be', guarda un po' qui», mormorò Fergun. Si girò di lato e lasciò il piatto e la bottiglia che teneva in mano. Invece di cadere, quelli si abbassarono lentamente verso il suolo. Il mago allargò le dita, e i grimaldelli si sollevarono obbedienti verso la sua mano. Mentre li esaminava, inarcò le sopracciglia, quindi guardò Cery e sorrise. «Non avrai creduto che potesse funzionare, vero? Supponevo avessi un po' di esperienza in questo campo, perciò ho preso alcune precauzioni.» Abbassò lo sguardo sui vestiti del ragazzo e chiese: «Ne hai altri nascosti da qualche parte?» Cery soffocò il «no» che gli stava affiorando sulle labbra. Il mago non gli avrebbe mai creduto. Fergun sorrise e tese la mano. «Dammeli.» Il ragazzo esitò. Se avesse rinunciato ad alcuni attrezzi che teneva nascosti nei vestiti, sarebbe forse riuscito a tenerne altri, più preziosi. Fergun si avvicinò. «Forza, a che ti servono qui? Dammeli.» Lentamente, Cery infilò le mani nel mantello ed estrasse una manciata degli arnesi meno utili. Guardando torvo il mago, li lasciò cadere sulla sua mano tesa. Fergun li studiò pensieroso, poi alzò lo sguardo per incrociare quello di Cery. Le sue labbra si tesero in un sorriso malvagio. «Ti aspetti davvero che io creda sia tutto qui quello che hai?» Le dita del mago si piegarono e Cery sentì una forza invisibile spingerlo sul petto. Barcollò all'indietro fino a cozzare contro il muro. La forza lo avvolse e lo premette contro i mattoni. Fergun si avvicinò ancora ed esaminò il mantello di Cery. Con un movimento brusco strappò la fodera, mettendo in mostra diverse tasche segrete. Le svuotò del loro contenuto, quindi rivolse l'attenzione agli altri abiti di Cery. Quando gli sfilò i coltelli dagli stivali, emise un lieve grugnito di soddisfazione e un mugolio ancora più soddisfatto quando trovò i pugnali. Si
raddrizzò ed estrasse un pugnale dal fodero. Studiò la parte più larga della lama, là dov'era incisa approssimativamente la sagoma del piccolo roditore di cui Cery portava il nome. «Ceryni», mormorò il mago guardando il ragazzo. Lui sostenne lo sguardo con aria di sfida. Fergun ridacchiò e si allontanò. Prese un grosso pezzo di stoffa dalla tunica, vi avvolse attrezzi e armi e si girò verso la porta. Resosi conto che il mago se ne sarebbe andato senza dargli spiegazioni, Cery ebbe un tuffo al cuore. «Aspetta! Cosa vuoi da me? Perché sono qui?» Fergun lo ignorò. Quando la porta si richiuse, la forza magica che lo immobilizzava sparì e Cery cadde in ginocchio. Ansimando in preda alla furia, si tastò il mantello e imprecò quando ebbe conferma che gran parte dei suoi arnesi non c'era più. Gli dispiaceva soprattutto per i pugnali, ma era difficile nascondere armi di quelle dimensioni. Si accovacciò ed emise un lungo sospiro. Aveva ancora qualche attrezzo che forse gli sarebbe stato utile. Doveva solo escogitare un piano. 22 UN'OFFERTA INASPETTATA «Devo?» «Sì.» Dannyl afferrò Rothen per le spalle, lo girò e lo spinse fuori dai suoi alloggi. «Se ti nascondi, non farai che avvalorare quello che dicono i sostenitori di Fergun.» L'amico sospirò e seguì Dannyl in corridoio. «Hai ragione, naturalmente. Nelle ultime due settimane non ho parlato quasi con nessuno... e dovrei chiedere a Lorlen di rinviare la visita di qualche giorno. Aspetta...» Rothen alzò lo sguardo e aggrottò la fronte. «Cosa dicono i sostenitori di Fergun?» Dannyl sorrise tristemente. «Che ha imparato il Controllo in pochi giorni e che la tieni sotto chiave per impedire a Fergun di vederla.» Rothen emise un verso rozzo. «Che sciocchezza. Mi piacerebbe provassero un po' dei mal di testa che mi sono preso io nell'ultima settimana», replicò con una smorfia. «Questo significa che non posso rinviare a lungo la visita di Lorlen, immagino.» «No», convenne Dannyl.
Uscirono dagli alloggi dei maghi. Anche se la neve si era sciolta lungo i sentieri e sul lastricato dove passavano i novizi, il cortile era ancora ricoperto da una fine polvere bianca che scricchiolò sotto i loro stivali quando si diressero verso i Sette Archi. Entrarono nel calore della Sala Notturna, e varie teste si girarono nella loro direzione. Dannyl udì il compagno emettere un lieve gemito quando diversi maghi si mossero verso di loro. Sarrin, il capo degli alchimisti, fu il primo ad arrivare. «Buonasera, Lord Rothen, Lord Dannyl. Come state?» «Bene, Lord Sarrin.» «La ragazza dei bassifondi ha fatto qualche progresso?» Rothen tacque mentre parecchi maghi si avvicinavano per ascoltare la risposta. «Sonea sta andando bene», disse infine. «Ha impiegato un po' a imparare a non cacciarmi dalla sua mente. Come potete immaginare, era molto sospettosa nei nostri confronti.» «Sta andando bene?» borbottò un mago nella folla. «Sono pochi i novizi che hanno bisogno di due settimane per riuscirci.» Dannyl sorrise quando vide l'amico rabbuiarsi. Rothen si girò verso il mago che aveva parlato. «Deve ricordare che non è una novizia riluttante mandataci da genitori pieni di premure. Fino a due settimane fa credeva avessimo intenzione di ucciderla. Ci è voluto un po' di tempo per conquistare la sua fiducia.» «Quando ha iniziato gli esercizi di Controllo?» chiese un altro. Rothen esitò. «Due giorni fa.» Tra i maghi si levò un mormorio. Molti si accigliarono e scossero la testa. «In questo caso direi che ha fatto progressi incredibili, Lord Rothen», disse una nuova voce. Dannyl si voltò e vide Lady Vinara avanzare in mezzo alla folla. I maghi si fecero da parte in segno di rispetto mentre il capo dei guaritori si avvicinava. «Che cos'ha visto del suo potere?» Rothen sorrise. «Quando ho visto per la prima volta ciò che aveva dentro di lei, non ci credevo. Possiede una forza straordinaria!» Il mormorio tra il pubblico aumentò, e Dannyl annuì tra sé. Bene, pensò. Se è forte, appoggeranno la candidatura di Rothen come tutore. Un mago più anziano in prima fila scrollò le spalle. «Ma già sapevamo che lo era, altrimenti i suoi poteri non si sarebbero sviluppati spontanea-
mente.» Vinara sorrise. «Certo, la forza non è la prova per eccellenza per un novizio. Quali capacità ha dimostrato?» Rothen increspò le labbra. «Ha una buona capacità di visualizzazione, il che l'aiuterà in gran parte delle discipline. Ha anche una buona memoria. La ritengo una studentessa intelligente e attenta.» «Ha mai provato a usare i suoi poteri?» domandò un mago con la tunica rossa. «Non da quand'è arrivata. Ne comprende molto bene i pericoli.» Le domande continuarono. Scrutando la folla, Dannyl scorse una chioma bionda e liscia in un gruppo di maghi che si stava avvicinando; si accostò maggiormente a Rothen in attesa del momento buono per avvertirlo. «Lord Dannyl.» Alcuni maghi batterono le palpebre e si voltarono a guardare Dannyl, il quale, riconoscendo la voce mentale, cercò Lorlen con lo sguardo. L'Amministratore, seduto al suo solito posto, gli fece un cenno e indicò Rothen. Dannyl sorrise e si avvicinò all'orecchio dell'amico. «Credo che l'Amministratore ti voglia salvare.» Quando Rothen si voltò a guardare Lorlen, Dannyl vide che Fergun aveva ormai raggiunto l'assembramento. Una voce familiare si unì al chiacchiericcio e alcune facce si girarono in direzione del guerriero. «Scusatemi tutti quanti», disse Rothen. «Devo parlare con l'Amministratore Lorlen.» Chinò educatamente il capo e spinse lievemente Dannyl verso Lorlen. Dannyl si guardò alle spalle e per un istante il suo sguardo incrociò quello di Fergun. Il guerriero aveva le labbra tese in un sorriso di soddisfazione. Quando raggiunsero Lorlen, questi indicò loro di accomodarsi accanto a lui. «Buonasera, Lord Rothen, Lord Dannyl. Sedetevi e raccontatemi come va con Sonea.» Rothen restò in piedi. «Speravo a questo riguardo di poter scambiare due parole in privato con lei, Amministratore.» Lorlen inarcò le sopracciglia. «Molto bene. Possiamo parlare nella Sala dei banchetti?» «La prego.» L'Amministratore si alzò e li condusse nella sala adiacente. Una sfera di luce si accese al di sopra della sua testa, illuminando un tavolo enorme che occupava quasi tutta la stanza. Lorlen prese una delle sedie e si sedette.
«Come va la gamba, Lord Dannyl?» Dannyl alzò lo sguardo, sorpreso. «Meglio.» «Sembra che la zoppia sia ricomparsa stasera.» «È il freddo», replicò Dannyl. «Ah, capisco.» Lorlen annuì e si rivolse di nuovo a Rothen: «Di che cosa voleva parlarmi?» «Ho iniziato gli esercizi di Controllo due giorni fa», gli disse Rothen. Lorlen si accigliò, ma restò in silenzio mentre questi continuava. «Lei voleva verificare i suoi progressi dopo due settimane e mi ha chiesto per quella data di presentarla a un altro mago. Vista l'assenza di progressi, non ho voluto distrarla con altri visitatori, ma sento che presto sarà pronta. Può rimandare la visita di qualche giorno?» Lorlen lo guardò fisso, poi annuì. «Ma solo di qualche giorno.» «Grazie. C'è tuttavia anche un'altra questione. Una possibilità da valutare, e sarà meglio farlo prima che poi.» L'Amministratore sollevò le sopracciglia. «Sì?» «Sonea non vuole unirsi alla Corporazione. Ho...» Rothen emise un sospiro e aggiunse: «Per conquistarmi la sua fiducia, le ho detto che, se desidera tornare nei bassifondi, può farlo. In fondo, non possiamo obbligarla a fare il giuramento». «Le ha detto che le bloccheremo i poteri?» «Non ancora.» Rothen si rabbuiò. «Anche se non credo le importi. L'ho avvertita che non li avrebbe più potuti usare e sembrava contenta all'idea. Credo preferisca liberarsene.» «Non mi sorprende. Ha sperimentato la magia solo come una forza distruttiva, incontrollabile.» Increspando le labbra, Lorlen osservò: «Forse, se le insegnasse qualche prezioso trucchetto, potrebbe iniziare a piacerle». Rothen aggrottò la fonte. «Non deve usare i poteri prima di averne il pieno Controllo. E, quando lo avrà, si aspetterà che la lasciamo andare.» «Sonea non conosce la differenza tra una lezione di Controllo e una di magia», precisò Dannyl. «Prova a passare con naturalezza dall'insegnamento del Controllo a quello della magia. In quel modo avrai anche più tempo per convincerla a restare.» «Non molto di più», precisò Lorlen. «Non c'è bisogno che Fergun sappia con esattezza quando avrà acquisito il Controllo, ma non riuscirete a ingannarlo a lungo. Potreste guadagnare una settimana.» Rothen lo guardò speranzoso. L'Amministratore sospirò e si passò una mano sulla fronte. «Va bene. Accertatevi solo che non lo scopra, altrimenti non avrò pace.»
«Se lo scopre, diremo che stavamo verificando le sue capacità di Controllo», affermò Dannyl. «Dopotutto, è straordinariamente forte. È logico desiderare che non faccia sbagli.» Lorlen lo studiò. Sembrò sul punto di dire qualcosa, poi scosse la testa e si voltò verso Rothen. «È tutto quello di cui voleva parlarmi?» «Sì, grazie, Amministratore.» «Verrò a trovare la ragazza tra qualche giorno. Ha pensato chi presentarle per primo?» Dannyl batté le palpebre quando Rothen lo fissò con sguardo penetrante. «Io?» L'amico sorrise. «Sì. Domani pomeriggio, credo.» Dannyl aprì la bocca per protestare, ma la richiuse quando si accorse che Lorlen lo stava osservando con attenzione. «Va bene», acconsentì di malavoglia. «Solo, fai sparire tutti i coltelli.» Sonea era annoiata. Era troppo presto per dormire. Tania se n'era andata coi piatti sporchi una volta terminata la cena e Rothen era scomparso poco dopo. Lei aveva finito il libro che aveva ricevuto in lettura quel mattino e camminava su e giù per la stanza, osservando i decori e la libreria. Non trovò nulla d'interessante o alla sua portata, perciò si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Non c'era la luna, e i giardini erano avvolti dal buio; non si muoveva niente. Sospirò e decise che sarebbe andata a letto presto. Richiuse la tenda e si avviò in camera. Un istante dopo s'immobilizzò, quando udì bussare alla porta d'ingresso. Si voltò a guardarla. Rothen non bussava mai prima di entrare e la bussata di Tania era lieve e educata, non insistente come quella. Pochi visitatori erano venuti a trovare Rothen, e lui non li aveva mai invitati a entrare. Quando lo sconosciuto bussò di nuovo, Sonea avvertì una fugace sensazione di gelo che le fece accapponare la pelle. «Chi è?» domandò. «Un amico», fu la risposta attutita. «Rothen non c'è.» «Non voglio parlare con Rothen. Voglio parlare con te, Sonea.» Lei fissò la porta, e il cuore prese a batterle all'impazzata. «Perché?» La risposta fu più flebile. «Ti devo dire una cosa importante, una cosa che lui non ti dirà.» Rothen le stava nascondendo qualcosa? Il battito del suo cuore aumentò
ancora per l'emozione e il timore. Chiunque fosse quello sconosciuto, era disposto a sfidare i maghi per lei. Avrebbe voluto poter vedere oltre la porta per capire chi fosse. Ma era una buona idea apprendere una notizia inquietante su Rothen proprio in quel momento, quando aveva bisogno di fidarsi di lui? «Sonea, fammi entrare. Il corridoio è deserto, ma non lo resterà a lungo. È la mia unica possibilità di parlarti.» «Non posso. La porta è chiusa.» «Riprova.» Lei guardò la maniglia. L'aveva girata più volte nei primi giorni passati in quell'appartamento, ma l'aveva sempre trovata chiusa. Allungò la mano e la girò. Restò senza fiato quando la porta si aprì. Comparve una manica rossa, poi un'intera tunica da mago. Sonea arretrò e fissò l'uomo, sgomenta. Si era aspettata di vedere un servitore o qualcuno venuto a salvarla vestito da servitore, a meno che quell'uomo non avesse osato indossare una tunica per giungere fino a lei... Lo sconosciuto chiuse piano la porta alle sue spalle, poi si raddrizzò e la guardò. «Ciao, Sonea, finalmente ci conosciamo. Sono Lord Fergun.» «Sei un mago?» «Sì, ma non come Lord Rothen», rispose mettendosi una mano sul petto. Sonea si accigliò. «Sei un mago guerriero?» Fergun sorrise. Era molto più giovane di Rothen, notò lei, e piuttosto attraente. Aveva i capelli chiari e ben pettinati, e i tratti del viso allo stesso tempo fini e decisi. Sapeva di averlo già visto prima, ma non ricordava dove. «Sì, sono un guerriero. Ma non è questa la differenza che intendevo.» Mettendosi di nuovo la mano sul petto, aggiunse: «Io sto dalla tua parte». «E Rothen no?» «No, anche se è animato da buone intenzioni», precisò lui. «Rothen è il tipo d'uomo che crede di sapere ciò che è meglio per gli altri, soprattutto per una giovane donna come te. Io invece ti vedo come un'adulta che dev'essere messa in grado di fare le sue scelte.» Sollevando un sopracciglio, il mago chiese: «Mi ascolterai o ti devo lasciare in pace?» Anche se il cuore le batteva ancora all'impazzata, Sonea annuì e gli indicò le sedie. «Resta», disse. «Ti ascolterò.» Chinando educatamente il capo, Fergun si avvicinò a una sedia. Lei gli si sedette di fronte e lo guardò preoccupata. «Primo, Rothen ti ha detto che puoi unirti alla Corporazione?»
«Sì.» «E ti ha detto che cosa devi fare per diventare un mago?» Lei si strinse nelle spalle. «In parte. Ci vogliono un giuramento e anni di addestramento.» «E sai che cosa devi giurare?» Lei scosse la testa. «No, ma non importa. Non voglio unirmi alla Corporazione.» Il mago batté le palpebre. «Non vuoi unirti alla Corporazione?» «No.» Fergun annuì lentamente e si appoggiò alla sedia. Per un po' tacque pensieroso, dopodiché posò di nuovo lo sguardo su di lei. «Posso chiederti perché?» Sonea lo studiò con attenzione. Rothen le aveva detto che molti maghi sarebbero rimasti sorpresi dal suo rifiuto. «Voglio tornare a casa», rispose. Lui annuì. «Sai che la Corporazione non permette a nessun mago di operare al di fuori della sua influenza?» «Sì. Lo sanno tutti.» «Allora sai che non lasceranno semplicemente che te ne vada via.» «Non potrò usare i miei poteri, perciò non sarò una minaccia.» Fergun sollevò di nuovo le sopracciglia. «Quindi Rothen ti ha detto che la Corporazione ti bloccherà i poteri?» Sonea si rabbuiò. «Mi bloccherà i poteri?» Lui annuì lentamente. «No, lo supponevo. Ti dice solo parte della verità.» Si protese in avanti e aggiunse: «I maghi superiori intrappoleranno i poteri nel tuo corpo, in modo che tu non te ne possa avvalere. È una procedura poco piacevole, anzi tutt'altro che piacevole, e il blocco ti resterà per tutta la vita. Anche se non sai come usarli, potresti sempre scoprire per caso come farlo o incontrare un mago fuorilegge disposto a insegnarti... pur essendo piuttosto improbabile. Quindi, per legge, la Corporazione deve accertarsi che tu non sia più in grado di usare la magia». Mentre parlava, Sonea si era sentita a poco a poco gelare. Guardò in basso e pensò a quello che Rothen le aveva detto. Le aveva presentato deliberatamente la verità in modo che le apparisse meno spaventosa? Era probabile. I suoi sospetti si fecero più profondi quando si rese conto che Rothen aveva solo detto che sarebbe stata liberata. Lei non glielo aveva letto nella mente e non sapeva quindi con certezza se fosse vero... Guardò il mago con la tunica rossa. Come poteva fidarsi di ciò che quell'uomo diceva? Non vedeva però che cosa ci guadagnasse a mentirle,
dato che lei avrebbe scoperto la verità una volta appreso il Controllo. «Perché mi racconti tutto questo?» gli domandò. Lui le rivolse un sorriso sbilenco. «Come ho detto, sono dalla tua parte. Devi conoscere la verità e... ti posso offrire un'alternativa.» Sonea si raddrizzò. «Quale alternativa?» Fergun increspò le labbra. «Non sarà facile. Rothen ti ha parlato del tutore?» Lei scosse la testa. Il mago alzò gli occhi al cielo. «Non ti ha detto proprio niente! Ascolta.» Si protese e posò i gomiti sulle ginocchia. «Il sistema dei tutori permette ai maghi di controllare l'addestramento dei novizi. Rothen ha chiesto di farti da tutore fin dall'Epurazione. Quando l'ho saputo, ho deciso di presentarmi come candidato alternativo. Questo obbliga la Corporazione a tenere un'Udienza, un incontro in cui si deciderà chi di noi sarà il tuo tutore. Se mi aiuterai a vincere, io...» «Perché tenere un'Udienza quando non intendo unirmi alla Corporazione?» lo interruppe lei. Fergun sollevò le mani per tranquillizzarla. «Ascoltami bene, Sonea. Se rifiuti di unirti alla Corporazione, ti bloccheranno i poteri e ti rimanderanno nei bassifondi. Se però accetti di restare e io divento il tuo tutore, ti posso aiutare.» Sonea si accigliò. «Come?» Il mago sorrise. «Semplicemente, un giorno scomparirai. Potrai tornare nei bassifondi, se vorrai. T'insegnerò come rendere i tuoi poteri invisibili... e non saranno bloccati. All'inizio ti daranno la caccia, ma, se sarai in gamba, stavolta non ti troveranno.» Lei lo guardò incredula. «Ma infrangeresti le leggi della Corporazione.» Fergun annuì lentamente. «Lo so.» Sul suo volto comparve una ridda di sentimenti. Il mago si alzò e si avvicinò alla finestra. «Non mi piace che le persone siano costrette a essere quello che non vogliono», le disse. Si voltò, attraversò la stanza e le mostrò la mano tesa. La pelle del palmo era callosa e piena di cicatrici. «L'arte della scherma. Sono un guerriero, come hai giustamente notato, il massimo cui posso ambire rispetto a quello che volevo essere. Da ragazzo sognavo di diventare uno spadaccino; mi esercitavo quattro ore al giorno e sognavo di studiare coi migliori maestri.» Sospirò e scosse la testa. «Poi hanno scoperto le mie potenzialità magiche. Non erano elevate, ma i miei genitori volevano un mago in famiglia - avrei conferito grande prestigio alla Casa - così mi fecero entrare nella Corpora-
zione. «Ero troppo giovane per rifiutare, troppo pieno di dubbi per sapere che la magia non era la mia vera vocazione. Non ho poteri forti e, per quanto abbia imparato a usarli bene, la cosa non mi diverte. Ho coltivato il mio talento di spadaccino, anche se gran parte degli altri maghi guarda con sdegno il combattimento onesto corpo a corpo. Questo è il massimo cui posso ambire rispetto alla vita che desideravo.» La guardò con occhi luccicanti. «Non lascerò che Rothen faccia lo stesso con te. Se non vuoi unirti alla Corporazione, ti aiuterò a fuggire... ma ti dovrai fidare di me. La politica e le leggi della Corporazione sono contorte e confondono le idee.» Tornò alla sedia, ma non si sedette. «Vuoi che ti aiuti?» Sonea guardò il tavolo. La sua storia e il suo discorso appassionato l'avevano colpita, ma alcuni particolari la lasciavano perplessa. Conservare i poteri l'avrebbe resa di nuovo una fuggitiva? Poi pensò a quello che soleva dire Cery. Perché le classi più elevate dovevano avere il monopolio della magia? Se la Corporazione non accettava nessuno delle classi inferiori, perché queste non potevano avere i loro maghi? «Ci devo pensare», rispose incrociando il suo sguardo. «Non ti conosco. Voglio verificare questa faccenda del tutore, prima di accettare qualsiasi cosa.» Fergun annuì. «Capisco. Pensaci, ma fallo in fretta. Rothen è riuscito a convincere l'Amministratore Lorlen a tenerti lontana da tutti, a tenerti indubbiamente lontana dalla verità, finché non avrai appreso il Controllo. Io rischio molto andando contro questa decisione. Cercherò di tornare a trovarti presto, ma per allora mi dovrai dare una risposta. Potrei non avere una terza possibilità.» «D'accordo.» Fergun guardò la porta e sospirò. «È meglio che vada. Non è bene che mi trovi qui con te.» Si avvicinò alla porta, la socchiuse e sbirciò fuori. Si fermò solo per rivolgerle un ultimo, cupo sorriso e sgattaiolò fuori. La porta si richiuse alle sue spalle con uno scatto. Di nuovo sola, Sonea si sedette e fissò il tavolo, con le parole del mago che le ronzavano in testa. Non vedeva ragione perché Fergun le mentisse, ma avrebbe verificato ogni sua affermazione: il blocco dei poteri, il sistema dei tutori, la storia dei sogni infranti. Sondando Rothen con cautela, avrebbe potuto indurlo a confermare buona parte di quanto aveva detto Fergun.
Ma non quella sera. Era tanto scossa dalla visita che non sarebbe riuscita a restare calma, se Rothen fosse rientrato. Perciò si alzò, andò in camera e chiuse la porta. 23 L'AMICO DI ROTHEN «Oggi non c'erano lezioni?» Rothen alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo. Sonea era appoggiata al davanzale della finestra, e sul vetro il suo respiro stava formando un piccolo cerchio di condensa. «È il Giornolibero», rispose lui. «Non ci sono lezioni l'ultimo giorno della settimana.» «Che cosa fate allora?» Il mago si strinse nelle spalle. «Dipende dai maghi. Alcuni vanno alle corse, si dedicano ad altri sport o interessi, altri vanno a trovare la famiglia.» «E i novizi?» «Lo stesso, anche se i più anziani passano di solito il tempo a studiare.» «E devono sempre pulire i sentieri.» Sonea seguiva con lo sguardo qualcosa che si muoveva sotto la finestra. Immaginando che cosa fosse, Rothen sogghignò. «Pulire i sentieri è uno dei molti doveri che hanno nel primo anno di studi. Dopo, lo fanno solo per punizione.» Lei lo guardò inarcando le sopracciglia. «Punizione?» «Per aver fatto qualche scherzo infantile o per aver mancato di rispetto agli anziani», spiegò. «Sono un po' troppo cresciuti per prendersi un ceffone.» Sonea piegò l'angolo della bocca, divertita, e tornò a guardare dalla finestra. «Allora è per quello che ha un'aria così scontrosa.» Notando che tamburellava lievemente con le dita sul davanzale, Rothen sospirò. Per due giorni aveva imparato alla svelta, apprendendo gli esercizi di Controllo più rapidamente di qualsiasi altro novizio seguito in passato. Quel giorno invece aveva commesso tanti sbagli. Anche se lo teneva ben nascosto - il che dimostrava quanto la sua disciplina mentale fosse migliorata - era chiaro che qualcosa la turbava. All'inizio, lui se n'era fatto una colpa: non le aveva detto della visita di
Dannyl nella convinzione che incontrare uno sconosciuto l'avrebbe distratta dalle lezioni. Lei aveva percepito che le nascondeva qualcosa ed era diventata sospettosa. Resosi conto dell'errore, gliene aveva parlato. «Mi chiedevo quando incontrerò altri maghi», aveva affermato Sonea. «Se stasera preferisci non ricevere visite, gli posso dire di venire un'altra volta.» Lei aveva scosso la testa. «No, vorrei conoscere il tuo amico.» Sorpreso e contento della reazione, Rothen aveva cercato di riprendere le lezioni, ma Sonea aveva ancora difficoltà a concentrarsi sugli esercizi e lui aveva avvertito crescere la sua impazienza e la sua frustrazione. In ogni pausa, lei era andata alla finestra a guardare fuori. La osservò di nuovo e pensò a tutto il tempo in cui era rimasta chiusa nei suoi appartamenti. Doveva essere stanca di quel posto, e annoiata. Era proprio il momento buono per presentarle Dannyl, concluse. Con la sua statura, il mago intimidiva quanti non lo conoscevano, ma i suoi modi cordiali mettevano ben presto chiunque a proprio agio. Sperava che Sonea si abituasse alla sua compagnia prima della visita di Lorlen. E dopo? Guardandola tamburellare con le dita, sorrise. L'avrebbe portata fuori e le avrebbe mostrato la Corporazione. I suoi pensieri furono interrotti da qualcuno che bussava alla porta. Il mago si alzò e andò ad aprire. Dall'altra parte c'era Dannyl e aveva un'aria un po' tesa. «Sei in anticipo», osservò Rothen. Gli occhi dell'amico s'illuminarono. «Torno più tardi?» Rothen scosse il capo. «No, entra.» Voltandosi, studiò il viso di Sonea quando Dannyl mise piede nella stanza. Lei squadrò l'alto mago da capo a piedi. «Dannyl, questa è Sonea.» «Piacere di conoscerti», affermò Dannyl chinando il capo. Sonea rispose con un cenno. «Piacere mio.» Poi socchiuse lievemente gli occhi e sul suo volto comparve un sorriso. «Penso che ci siamo già visti.» Guardò in basso. «Come va la gamba?» Dannyl batté le palpebre e la sua bocca si piegò in un mezzo sorriso. «Meglio, grazie.» Rothen si coprì la bocca nel vano tentativo di soffocare una risata. Finse di tossire e indicò loro le sedie. «Accomodatevi. Vi preparo un po' di sumi.» Sonea si scostò dalla finestra e si sedette di fronte a Dannyl. I due si
guardarono circospetti. Avvicinatosi a un tavolino, Rothen posò su un vassoio il necessario per preparare il sumi. «Come vanno le lezioni?» chiese Dannyl. «Bene, credo. E le tue?» «Le mie?» «Insegni alla classe di Rothen, giusto?» «Già. È... impegnativo. Non avevo mai insegnato a nessuno prima, perciò ho quasi la sensazione di avere più io da imparare dei novizi.» «Che cosa fai normalmente?» «Esperimenti. Piccole ricerche, in genere. A volte collaboro a progetti più grandi.» Rothen portò il vassoio al tavolo e si sedette. «Raccontale dell'impronta del pensiero», suggerì. «Oh, quello è solo un passatempo.» Dannyl fece un gesto noncurante con la mano. «Non interessa a nessuno.» «Che cos'è?» volle sapere Sonea. «Un modo per trasferire le immagini dalla mente alla carta.» Gli occhi di lei s'illuminarono d'interesse. «Sai fare una cosa del genere?» Dannyl prese una tazza di sumi da Rothen. «No, non ancora. Molti maghi ci hanno provato nei secoli, ma nessuno è stato in grado di trovare una sostanza in grado di trattenere l'immagine a lungo.» Tacque per bere un sorso della bevanda calda. «Ho creato una carta speciale con le foglie di anivope, che riesce a trattenere l'immagine per alcuni giorni, ma dopo un paio d'ore i margini diventano indistinti e i colori iniziano a sbiadire. In teoria, l'immagine dovrebbe essere permanente.» «Per che cosa le usereste?» Dannyl si strinse nelle spalle. «A scopo d'identificazione, tanto per cominciare. Sarebbe stato comodo poterle avere quando ti stavamo cercando, per esempio. Rothen era l'unico che ti avesse visto. Se fosse stato in grado di realizzare una tua immagine, avremmo potuto portarla con noi e mostrarla alla gente.» Sonea annuì lentamente. «Che aspetto hanno le immagini quando perdono il colore?» «Sono sbiadite, confuse, ma in alcuni casi si vedono ancora.» «Posso vederne una?» Dannyl sorrise. «Certo. Te ne porterò qualcuna.» Gli occhi della ragazza brillarono di curiosità.
Se Dannyl avesse fatto il suo esperimento lì, pensò Rothen, Sonea avrebbe potuto assistervi di persona. Si guardò intorno e immaginò di trasferire tutto l'ammasso di provette e di macchinari da stampa dalla stanza degli ospiti di Dannyl alla sua... «Sono certo che a Dannyl non dispiacerà, se andrai nel suo alloggio per una dimostrazione», disse. Dannyl sgranò gli occhi. «Adesso?» Rothen fece per rassicurare l'amico, poi esitò. Sonea li stava guardando speranzosa, e lui li studiò entrambi. Dannyl non la intimoriva minimamente, era chiaro; dei due, era lei quella meno preoccupata della presenza dell'altro. Gli appartamenti di Dannyl si trovavano al piano inferiore degli alloggi dei maghi, perciò non si sarebbero allontanati molto. «Non vedo perché no», rispose Rothen. «Sei sicuro sia saggio?» gli comunicò Dannyl. Gli occhi di Sonea guizzarono verso di lui. Ignorando la domanda, Rothen la scrutò attentamente. «Ti piacerebbe?» «Sì», rispose lei girandosi verso Dannyl. «Se a te non spiace.» «Per niente.» Dannyl guardò Rothen. «È solo che... il mio alloggio è un po' in disordine.» «Un po'?» Rothen ridacchiò mentre sollevava la tazza per l'ultimo sorso di sumi. «Non hai un servitore?» domandò Sonea. «Sì. Ma gli ho proibito di toccare i miei esperimenti.» Rothen sorrise. «Perché non vai avanti e ti accerti che ci sia un posto dove poterci accomodare?» Dannyl si alzò con un sospiro. «D'accordo.» Rothen accompagnò l'amico alla porta e uscirono insieme. Immediatamente Dannyl si voltò a guardarlo. «Sei impazzito? E se qualcuno vi vede?» sussurrò. «Se vedono che la porti fuori dal tuo alloggio, Fergun dirà che non hai ragione di tenerla lontana da lui.» «Allora lascerò che le faccia visita», replicò Rothen con una scrollata di spalle. «L'unica ragione per cui la tenevo isolata era impedirgli d'incontrarla quando il volto di un mago sconosciuto avrebbe potuto ancora spaventarla. Ma, se con te è calma e sicura, non credo resterebbe turbata da Fergun.» «Grazie», ribatté Dannyl. «Perché tu incuti più timore di lui», spiegò Rothen. «Davvero?» «Lui è molto più affascinante», aggiunse Rothen con un sorriso e indicò
le scale. «Va' avanti. Scendi di sotto. Quando sei pronto e il corridoio è libero, fammelo sapere. Solo non perdere troppo tempo a pulire, altrimenti penseremo tutti e due che hai qualcosa da nascondere.» Mentre l'amico si allontanava in fretta, Rothen tornò nella sua stanza. Sonea era in piedi davanti alla sedia, un po' accalorata in volto; si risedette mentre il mago sgombrava il tavolo. «Non sembra ami avere visite», osservò dubbiosa. «Ama le visite», la rassicurò lui. «Ma non le sorprese.» Prese il vassoio e lo posò su un tavolino laterale; poi estrasse un foglio di carta da un cassetto e scrisse due righe per Tania, per comunicarle dove fossero. Dopo qualche minuto, Dannyl lo chiamò. «Adesso qui c'è un po' di spazio. Potete venire.» Sonea si alzò e guardò Rothen, impaziente. Sorridendo, lui si avvicinò alla porta e l'aprì. Gli occhi di lei guizzavano di qua e di là quando uscirono, osservando l'ampio corridoio e le sue numerose porte. «Quanti maghi vivono qui?» domandò mentre scendevano le scale. «Più di ottanta. Con le famiglie.» «Quindi ci sono altre persone oltre ai maghi?» «Sì, ma solo le mogli e i figli dei maghi», spiegò Rothen. «Ai parenti non è permesso stare qui.» «Perché?» Lui sogghignò. «Se tutti i parenti dei maghi vivessero qui, dovremmo trasferire l'intera Cerchia interna nella Corporazione.» «E che succede quando i bambini crescono?» domandò Sonea. «Se hanno potenzialità magiche, di solito si uniscono alla Corporazione. In caso contrario, se ne devono andare.» «E dove vanno?» «A vivere con parenti, in città.» «Nella Cerchia interna?» «Sì.» Sonea meditò su quelle parole, poi lo guardò. «C'è qualche mago che vive in città?» «Qualcuno, ma non è un'abitudine che incoraggiamo.» «Perché?» Lui abbozzò un sorriso furbesco. «Ci dobbiamo tenere d'occhio a vicenda, ricordi, per essere certi che nessuno si lasci coinvolgere troppo dalla politica o complotti contro il re. Se tanti di noi vivessero fuori dalla Corpo-
razione, sarebbe più difficile farlo.» «Allora perché ad alcuni è concesso?» Avevano raggiunto la fine del corridoio. Rothen imboccò la scala a chiocciola e Sonea lo seguì. «Ci possono essere diverse ragioni: età, malattie...» «Esistono maghi che hanno deciso di non unirsi alla Corporazione e che conoscono il Controllo, ma non sanno usare la magia?» Lui scosse la testa. «No. I ragazzi e le ragazze che si uniscono a noi devono essere sottoposti alla liberazione dei poteri, e dopo imparano il Controllo. Ricorda, tu sei speciale, perché i tuoi poteri si sono sviluppati spontaneamente.» Lei si accigliò. «Qualcuno ha mai lasciato la Corporazione?» «No.» La ragazza rifletté su quelle parole con aria assorta. Da sotto, provenne la voce di Dannyl, e anche un'altra. Rothen rallentò per lasciare a Sonea il tempo di accorgersi dell'altro mago. Quando questi salì la scala levitando, coi piedi sospesi nel vuoto, lei si scansò. Riconosciuto il collega, Rothen sorrise. «Buonasera, Lord Garrel.» «Buonasera», disse il mago inarcando le sopracciglia alla vista di Sonea. Lei lo guardò con gli occhi sgranati mentre i suoi piedi toccavano il pavimento del piano superiore. Garrel lanciò uno sguardo a Sonea con gli occhi che gli brillavano per la curiosità, poi si allontanò. «La levitazione», spiegò Rothen a Sonea. «Sorprendente, vero? Ci vuole più della semplice abilità. Solo metà di noi riesce a farlo.» «E tu?» «Un tempo», rispose il mago. «Ma adesso sono fuori esercizio. Dannyl ci riesce.» «Ah, ma non sono esibizionista come Garrel», affermò Dannyl, in attesa ai piedi delle scale. «Io preferisco usare le gambe», disse Rothen. «Il mio tutore diceva sempre che l'esercizio fisico è necessario tanto quanto l'esercizio mentale. Trascura il corpo e...» «... trascuri la mente», terminò Dannyl con un gemito. «Il suo tutore era un uomo saggio e retto», disse rivolto a Sonea. «Lord Margen disapprovava persino l'abitudine di bere vino.» «Il che spiega perché lui non ti sia mai piaciuto molto», osservò Rothen sorridendo. «Tutore?» ripeté Sonea.
«È una tradizione», spiegò Rothen. «Lord Margen scelse di seguire il mio addestramento quand'ero novizio, così come io ho scelto di seguire quello di Dannyl.» «In che modo lo hai seguito?» domandò Sonea, andandogli dietro quando questi si avviò verso l'alloggio di Dannyl. «In molti modi. Principalmente colmavo le lacune del suo sapere. Alcune erano dovute alla trascuratezza di certi insegnanti, altre alla sua pigrizia o alla mancanza di entusiasmo.» Mentre Sonea guardava Dannyl, che sorrideva e annuiva, Rothen aggiunse: «Aiutandomi nel mio lavoro, Dannyl ha inoltre imparato più grazie all'esperienza che in aula. Il sistema del tutore permette a un novizio di distinguersi». «Tutti i novizi hanno un tutore?» «No, non è un fatto comune. Non tutti i maghi vogliono o hanno il tempo di assumersi la responsabilità dell'addestramento di un novizio. Solo i novizi che presentano doti molto promettenti hanno un tutore.» Sonea inarcò le sopracciglia. «Allora perché...» Si rabbuiò e scosse la testa. Dannyl raggiunse la sua porta e la toccò lievemente. Quella si aprì verso l'interno, e un vago odore di sostanze chimiche si riversò in corridoio. «Benvenuti», disse facendoli entrare. La stanza per gli ospiti era grande quanto quella di Rothen, ed era occupata per metà da tavoli. Vari aggeggi ne ricoprivano i ripiani, sotto i quali erano impilate numerose scatole. Ciò cui Dannyl lavorava era però disposto con ordine e ben organizzato. Sonea si guardò intorno, palesemente divertita. Rothen aveva visitato le stanze di Dannyl tante volte, ma continuava a trovare strano assistere a un esperimento di alchimia in una struttura abitativa. All'Università lo spazio era limitato, perciò i pochi maghi che volevano coltivare interessi come quelli di Dannyl usavano spesso il proprio appartamento. Rothen sospirò. «Si capisce perché Ezrille dispera di trovarti una moglie, Dannyl.» Come sempre, l'amico fece una smorfia. «Sono troppo giovane per avere una moglie.» «Sciocchezze! È solo che non hai spazio per tenerla.» Dannyl sorrise e fece cenno a Sonea, che si avvicinò ai tavoli e ascoltò mentre lui le spiegava gli esperimenti. Prese alcune immagini sbiadite e le studiò con attenzione. «È possibile farlo», concluse Dannyl. «L'unico problema è impedire che
l'immagine sbiadisca.» «Non potresti chiamare un pittore che la copi prima che sbiadisca?» «Potrei», affermò Dannyl accigliandosi. «In questo modo si aggirerebbe il problema, suppongo. Dovrebbe però essere un bravo pittore e anche veloce.» «Non hai quadri», osservò Sonea. «Sono tutte mappe.» «Sì. Colleziono vecchi disegni e mappe.» Lei si avvicinò a una mappa. «Questa è la Corporazione.» Rothen si portò al suo fianco. La carta recava con chiarezza le indicazioni dei nomi, scritte dalla grafia ordinata dell'architetto più famoso della Corporazione, Lord Coren. «Noi siamo qui», le mostrò Dannyl. «Negli alloggi dei maghi.» Poi il suo dito si spostò su un rettangolo simile. «Questi sono gli alloggi dei novizi. Tutti i novizi che vengono a studiare nella Corporazione alloggiano qui, anche se hanno casa in città.» «Perché?» «Per poter rendere loro la vita impossibile», replicò Dannyl. Sonea gli lanciò un'occhiata molto diretta e sbuffò lievemente. «Quando vengono qui, i novizi vengono tolti dall'influenza della famiglia», le spiegò Rothen. «Dobbiamo allontanarli da tutte le piccole trame cui sempre si dedicano le Case.» «Molti non hanno mai avuto necessità di svegliarsi prima di mezzogiorno», aggiunse Dannyl. «Per loro è davvero un trauma scoprire a che ora devono alzarsi per andare a lezione. Non arriverebbero mai in tempo, se vivessero a casa.» Indicò l'edificio circolare sulla mappa. «Questi sono gli alloggi dei guaritori. Alcuni guaritori vivono lì, ma la maggior parte delle stanze è riservata alle sedute di cura e alle lezioni.» Il suo dito si spostò quindi su un cerchio più piccolo in mezzo al giardino. «Questa struttura è l'Arena. Viene usata come campo pratica per i guerrieri. Tutt'intorno ha uno scudo sostenuto da alberi, che assorbe e contiene i poteri di chi si trova al suo interno e protegge tutto ciò che sta fuori. Di tanto in tanto inviamo un po' della nostra energia allo scudo, in modo che si mantenga forte.» Sonea fissò la carta e osservò il dito di Dannyl passare all'edificio curvo accanto agli alloggi dei maghi. «Questi sono i Bagni. Sono stati costruiti là dove un tempo scorreva un ruscello, che da una sorgente nel bosco scendeva lungo la collina. Abbiamo incanalato l'acqua nell'edificio, dove può essere raccolta in tinozze e riscaldata. Accanto ci sono i Sette Archi, con le sale per lo svago.»
«Che cosa sono le Residenze?» domandò Sonea attirando la sua attenzione su una scritta e su una freccia che indicava un punto all'esterno della mappa. «Varie casette dove vivono i maghi più anziani», le spiegò Dannyl. «Ecco, le puoi vedere qui su questa carta più vecchia.» Attraversarono la stanza in direzione di una mappa ingiallita della città. Dannyl le indicò una fila di minuscoli quadrati. «Là, oltre il vecchio cimitero.» «Su questa carta ci sono solo alcuni edifici della Corporazione», notò Sonea. Dannyl sorrise. «Ha più di trecento anni. Non so fino a che punto tu conosca la storia di Kyralia. Hai sentito parlare della Guerra di Sachaka?» Lei annuì. «Dopo la Guerra di Sachaka, di Imardin restò ben poco. Quando la città fu ricostruita, le Case più importanti colsero l'opportunità di studiare un nuovo piano urbano. Vedi com'era costruita a cerchi concentrici?» disse indicando il centro. «Prima fu eretto un muro intorno alle rovine del vecchio Palazzo reale, poi un altro intorno alla città. Il Muro esterno fu realizzato alcuni decenni dopo. La città vecchia fu chiamata Cerchia interna e la nuova zona divisa nei quattro Quartieri.» Col dito segnò la Corporazione. «L'intero quartiere orientale fu dato ai maghi, in segno di gratitudine per aver cacciato gli invasori sachakani. Non fu una decisione avventata», aggiunse. «A quel tempo, il Palazzo e la Cerchia interna traevano l'acqua dalla sorgente e costruire la Corporazione intorno alla fonte idrica riduceva il rischio che qualcuno l'avvelenasse, come accaduto durante la guerra.» Dannyl le indicò quindi un piccolo rettangolo nel comprensorio. «La prima struttura a essere realizzata fu il Palazzo della Corporazione, costruito con la solida pietra grigia del luogo; vi alloggiavano sia i maghi sia gli apprendisti e conteneva anche locali per l'insegnamento e i dibattiti. Secondo i testi di storia, i nostri predecessori erano animati da uno spirito unitario e grazie alla condivisione della conoscenza furono scoperti nuovi modi di usare e plasmare la magia. Non passò molto prima che la Corporazione diventasse la scuola più grande e potente di maghi del mondo conosciuto.» Sorrise. «E ha continuato a crescere. Quando Lonmar, Elyne, Vin, Lan e Kyralia formarono l'Alleanza, parte dell'accordo stabilì che i maghi di tutte le terre sarebbero stati addestrati qui. D'un tratto il Palazzo della Corporazione non bastò più, perciò furono costruiti molti nuovi edifici.» Sonea aggrottò la fronte. «Cosa accade ai maghi delle altre terre quando finiscono gli studi?»
«Di solito tornano a casa loro», le disse Rothen. «A volte restano qui.» «Allora come fate a tenerli d'occhio?» «Abbiamo ambasciatori in ogni terra, che seguono le attività dei maghi stranieri», spiegò Dannyl. «Così come noi giuriamo di servire il re e di proteggere Kyralia, loro giurano di prestare servizio per il loro sovrano.» Gli occhi di Sonea si spostarono su una carta della regione appesa lì vicino. «Non mi sembra furbo addestrare i maghi di altre terre. E se invadessero Kyralia?» Rothen sorrise. «Se non permettessimo loro di entrare nella Corporazione, ne creerebbero una loro, com'è accaduto in passato. Che li addestriamo o no, non riusciremmo a prevenire eventuali invasioni, ma facendolo controlliamo almeno quello che apprendono. Ai nostri non insegniamo in modo diverso, perciò sanno di non essere trattati ingiustamente.» «A ogni modo, non ci attaccherebbero», aggiunse Dannyl. «Nelle discendenze kyraliane il potere magico è forte. Generiamo più maghi noi di qualsiasi altra razza, e siamo anche più potenti.» «Quelli originari di Vin e di Lan sono i più deboli», le spiegò Rothen. «Il che spiega perché qui ce ne siano pochi. Abbiamo più novizi di Lonmar ed Elyne, ma di rado hanno poteri notevoli.» «Una volta i sachakani erano maghi potenti», disse Dannyl guardando la carta. «Ma tutto è finito con la guerra.» «Che ha fatto di noi la nazione più forte della regione», concluse Rothen. Sonea socchiuse gli occhi. «Perché allora il re non invade le altre terre?» «L'Alleanza è stata creata proprio per evitare fatti del genere», rispose il mago. «Come tu mi hai sagacemente ricordato la prima volta che abbiamo parlato, inizialmente re Palen si era rifiutato di firmare il patto. Fu la Corporazione a suggerirgli che in quel caso non si sarebbe disinteressata alla politica.» La bocca di Sonea si piegò in un lieve sorriso. «Che cosa impedisce alle altre terre di combattersi a vicenda?» Rothen sospirò. «Un bel po' di attività diplomatica... che non sempre funziona, però. Dopo l'Alleanza ci sono stati alcuni piccoli scontri. Per la Corporazione è sempre una situazione strana. Solitamente le dispute nascono per questioni di confini e...» Udendo qualcuno bussare timidamente alla porta, Rothen s'interruppe. Guardò Dannyl, e dalla sua espressione capì che stavano pensando la stessa cosa: Fergun aveva forse saputo che Sonea era uscita dall'appartamento? «Aspetti qualcuno?»
Dannyl scosse il capo e si avvicinò alla porta. Quando l'aprì, Rothen udì la voce di Tania, ed emise un sospiro di sollievo. «Vi ho portato da mangiare», disse la cameriera mentre entrava nella stanza seguita da altri due servitori con un vassoio. Posato il loro carico sull'unico tavolo libero, si chinarono e uscirono. Quando il profumo del cibo si diffuse nella stanza, Dannyl emise un verso di apprezzamento. «Non mi ero reso conto che fosse passato tanto tempo.» Rothen guardò Sonea. «Hai fame?» Lei annuì e il suo sguardo si posò sul cibo. Il mago sorrise. «Allora penso che per oggi la lezione di storia sia stata sufficiente. Mangiamo.» 24 DOMANDE SENZA RISPOSTA Raggiunto il fondo del corridoio, Dannyl si fermò notando che la porta dello studio dell'Amministratore era aperta. Una figura vestita di blu ne uscì e si avviò verso l'atrio. «Amministratore», esclamò Dannyl. Lorlen si voltò e, vedendolo, sorrise. «Stavo proprio venendo da lei. Ha un momento?» «Certo, ma un momento soltanto.» «Grazie.» Dannyl si sfregò lentamente le mani. «Ieri sera ho ricevuto un messaggio dal Ladro. Mi ha chiesto se avessimo notizie di un uomo che stava con Sonea quando lei fuggiva da noi. Ho pensato che potesse trattarsi del ragazzo che ha cercato di salvarla.» Lorlen annuì. «Il Sommo Lord ha ricevuto una richiesta analoga.» Dannyl batté le palpebre sorpreso. «Il Ladro lo ha contattato direttamente?» «Sì. Akkarin ha detto a Gorin che gli farà sapere, se lo troverà.» «Allora darò la stessa risposta.» Lorlen socchiuse lievemente gli occhi. «È la prima volta che i Ladri la contattano dalla cattura di Sonea?» «Sì.» Dannyl sorrise afflitto. «Pensavo che non li avrei più sentiti. Il loro messaggio è stato una bella sorpresa.» Lorlen inarcò le sopracciglia. «È stata una bella sorpresa per tutti noi il
fatto che li abbia contattati.» Dannyl si sentì arrossire. «Non per tutti. Il Sommo Lord lo sapeva, anche se non so come.» Lorlen sorrise. «Questo proprio non mi sorprende. Akkarin può anche dare l'impressione di disinteressarsi a tutto, ma credo che presti invece molta attenzione. Sa più di chiunque altro sulle persone che vivono qui e in città.» «Ma quando si tratta della Corporazione lei ne saprà più di lui.» Lorlen scosse il capo. «Oh, ne sa molto più Akkarin di me.» Tacque per un istante e poi aggiunse: «Sto andando da lui. Vuole che gli chieda qualcosa?» «No, ci dovrò andare anch'io. Grazie per il suo tempo, Amministratore.» Lorlen chinò la testa, si girò e si allontanò a grandi passi. Dannyl proseguì lungo il corridoio e ben presto s'imbatté in un crocchio di maghi e novizi. Le prime lezioni del giorno stavano per iniziare e l'edificio ferveva di attività. Dannyl rifletté di nuovo sul messaggio del Ladro. Nella lettera si percepiva un tono indiretto di accusa, come se Gorin sospettasse che la Corporazione fosse responsabile della scomparsa del giovane. Dannyl non credeva che il Ladro scaricasse i suoi problemi sulla Corporazione con la stessa facilità con cui solevano farlo i dwell o che avesse contattato il Sommo Lord senza una buona ragione; perciò doveva essere convinto che la Corporazione fosse in grado di trovare il giovane per lui. Dannyl ridacchiò cogliendo l'ironia della situazione. I Ladri avevano aiutato la Corporazione a trovare Sonea, e in quel momento chiedevano in cambio lo stesso favore. Si domandò se offrissero una ricompensa altrettanto generosa. Ma perché Gorin pensava che la Corporazione sapesse dov'era il ragazzo? Dannyl batté le palpebre quando gli venne in mente la risposta. Sonea. Se Gorin era convinto che Sonea sapesse dov'era il suo amico, perché non l'aveva contattata direttamente? Forse credeva che non glielo avrebbe detto. In fondo, i Ladri l'avevano venduta alla Corporazione; e il suo compagno poteva avere una buona ragione per scomparire. Dannyl si grattò la fronte. Poteva chiedere a Sonea se sapesse che cosa stava accadendo; ma, se non era al corrente della scomparsa dell'amico, la notizia l'avrebbe probabilmente sconvolta e le avrebbe fatto sospettare un coinvolgimento della Corporazione. Il che avrebbe rovinato tutto ciò che
Rothen era riuscito a ottenere. Un volto familiare comparve tra i novizi davanti a lui. Dannyl provò un vago senso di panico, ma Fergun non alzò lo sguardo. Il guerriero gli passò svelto accanto e svoltò in un corridoio laterale. Sorpreso, Dannyl si fermò. Che cosa lo assorbiva a tal punto da impedirgli di notare il suo vecchio avversario? Tornò indietro, sbirciò nel corridoio laterale e scorse una tunica rossa prima che il guerriero girasse un altro angolo. Fergun reggeva in mano qualcosa. Dannyl indugiò all'imbocco del corridoio, tentato di seguirlo; da novizio avrebbe colto ogni opportunità per scoprire i piccoli segreti di Fergun. Ma non era più un novizio, e Fergun aveva da tempo vinto la loro guerra. Con una scrollata di spalle, Dannyl si avviò in corridoio verso la classe di Rothen. Non aveva tempo di spiare nessuno: le lezioni sarebbero iniziare di lì a cinque minuti. Dopo una settimana passata al buio, i sensi di Cery si erano affinati. Le orecchie captavano lo zampettio degli insetti e le sue dita avvertivano le più lievi irregolarità là dove la ruggine aveva eroso il punteruolo che aveva estratto dall'orlo del mantello. Mentre premeva il pollice sulla sua estremità appuntita, sentì la rabbia ribollirgli in corpo. Il suo carceriere era tornato varie volte con acqua e cibo, e ogni volta lui aveva cercato di scoprire perché lo avesse imprigionato. Tutti i tentativi d'indurre Fergun a parlare erano però falliti. Il ragazzo aveva usato l'adulazione, la minaccia, la supplica per ottenere una spiegazione, ma il mago aveva sempre ignorato le sue parole. Non è giusto, pensò Cery furibondo. Nelle favole, i cattivi finivano sempre per rivelare i loro piani, per errore o in un momento di esultanza... Un debolissimo rumore giunse alle sue orecchie. Cery sollevò la testa, poi balzò in piedi quando riconobbe dei passi. Afferrando il punteruolo, si accucciò dietro la porta, in attesa. I passi si fermarono. Il ragazzo udì lo scatto del chiavistello, e si tese quando la porta iniziò ad aprirsi verso l'interno. La luce si riversò nella stanza illuminando il piatto vuoto. Il mago fece un passo verso di esso, poi si fermò e si girò verso il mantello e i pantaloni che giacevano seminascosti sotto una coperta in un angolo. Balzando in avanti, Cery impugnò il punteruolo e colpì Fergun alla
schiena, mirando al cuore. L'arma cozzò contro qualcosa di duro e gli scivolò tra le dita. Mentre il mago si girava di scatto, una forza colpì Cery al petto e lo spinse all'indietro. Udì uno schiocco quando sbatté contro il muro e una fitta di dolore gli attraversò il braccio; si accasciò al suolo e si afferrò il braccio, ansimando. Alle sue spalle si levò un sospiro lungo, esagerato. «È stata una mossa stupida. Guarda cosa mi hai costretto a fare.» Fergun si chinò su di lui con le braccia incrociate; stringendo i denti, Cery lo guardò. «Non è il modo di ringraziarmi dopo tutti i fastidi che mi sono preso per portarti delle coperte», disse il mago scuotendo il capo, poi si accucciò. Cery tentò di scostarsi, ma l'unica cosa che ottenne fu provare un'altra fitta di dolore. Soffocò un grido quando Fergun gli prese il polso del braccio leso. Cercò di liberarsi, ma il movimento gli procurò un'altra crisi di dolore. «È rotto», borbottò il mago. I suoi occhi sembravano fissare un punto lontano sul pavimento di terra. Il dolore d'un tratto si attenuò, e un calore prese a diffondersi nel suo braccio. Cery capì che lo stava guarendo e si sforzò a restare fermo. Alzò lo sguardo e fissò la mascella affilata e le labbra sottili dell'uomo; i capelli biondi, di solito pettinati all'indietro, gli ricadevano sulla fronte. Sapeva che si sarebbe ricordato di quel volto per il resto della sua vita. Un giorno mi vendicherò, pensò. E, se hai fatto qualcosa a Sonea, sappi che ti aspetta una morte lenta e dolorosa. Il mago batté la palpebre e lasciò andare il braccio del ragazzo. Si alzò, poi fece una smorfia e si passò la mano sulla fronte. «Non è completamente guarito. Non posso sprecare tutti i miei poteri su di te. Trattalo con cura, altrimenti i due pezzi di osso si disgiungeranno di nuovo.» Socchiudendo gli occhi, aggiunse: «Se riproverai a fare qualcosa del genere, ti dovrò legare... per impedirti di continuare a farti del male». Quindi abbassò lo sguardo. Il piatto che stava portando si era rotto e il cibo era tutto sparpagliato per terra; la bottiglia si trovava lì vicino e l'acqua fuoriusciva lentamente da una crepa accanto al tappo. «Se fossi in te non li sprecherei», affermò Fergun. Si chinò e raccolse il punteruolo, poi uscì dalla cella. Quando la porta si chiuse, Cery si distese sulla schiena con un gemito. Credeva davvero di poter assassinare un mago con un punteruolo? Si tastò cauto il braccio, provando soltanto un lieve dolore. Al buio, l'odore del pane fresco era forte e gli provocò un altro brontolio allo stomaco. Pensando al cibo caduto per terra, sospirò. L'unico segno che
aveva del passare del tempo era lo stimolo della fame, e aveva calcolato che il mago veniva a trovarlo ogni due giorni o poco più. Se non avesse mangiato, si sarebbe indebolito. Peggio ancora era il pensiero degli esseri striscianti che il cibo avrebbe attirato dall'angolo che lui usava per i bisogni corporei. Mettendosi in ginocchio, avanzò tastando il pavimento. Sonea trattenne il fiato quando un mago con la tunica blu entrò nella stanza. Alto, snello, coi capelli scuri legati alla nuca, poteva essere l'assassino che aveva visto sotto la residenza del Sommo Lord. Poi l'uomo si girò dalla sua parte e vide che i lineamenti non erano duri come quelli dello sconosciuto che ricordava. «Questo è l'Amministratore Lorlen», le disse Rothen. Lei salutò con un cenno del capo. «Piacere di conoscerla.» «Sono onorato di conoscerti, Sonea», rispose l'uomo. «Prego, accomodatevi», disse Rothen indicando le sedie. Mentre si sedevano, Tania servì la bevanda amara che i maghi sembravano amare tanto. Sonea prese un bicchier d'acqua e osservò l'Amministratore mentre beveva dalla sua tazza. Lui sorrise in segno di apprezzamento, ma quando la guardò si fece serio in volto. «Rothen temeva che ti saresti spaventata se ti avessi avvicinata non appena arrivata qui», disse. «Perciò mi dovrai perdonare se non sono venuto prima. In qualità di Amministratore della Corporazione, vorrei porgerti le nostre scuse ufficiali per tutti i guai e le sofferenze che ti abbiamo causato. Ora capisci perché dovevamo trovarti?» Sonea si sentì arrossire. «Sì.» «Per me è un grande sollievo», le disse sorridendo. «Ho alcune domande da farti e, se anche tu ne hai, non esitare a chiedere. Le tue lezioni sul Controllo stanno andando bene?» Sonea lanciò un'occhiata a Rothen ed ebbe in risposta un cenno d'incoraggiamento. «Penso di stare facendo progressi», rispose. «Le prove diventano più facili.» L'Amministratore rifletté su quelle parole e annuì lentamente. «È un po' come imparare a camminare», osservò. «All'inizio ci devi pensare, ma dopo un po' non ne hai più bisogno.» «A meno che non si cammini nel sonno», replicò Sonea. «Non è una cosa frequente», disse Lorlen sorridendo. Poi il suo sguardo si fece pungente. «Rothen mi ha detto che non intendi restare con noi. È
vero?» Lei annuì. «Posso sapere perché?» «Voglio tornare a casa.» Lorlen si protese. «Non t'impediremmo di vedere la tua famiglia e i tuoi amici. Nei Giorniliberi li potrai vedere.» Sonea scosse la testa. «Lo so, ma non voglio restare qui.» Annuendo, l'Amministratore si rilassò appoggiandosi alla sedia. «Ci spiace perdere una persona con potenzialità tanto grandi», le disse. «Sei certa di voler rinunciare ai poteri?» Ricordando le parole di Fergun, Sonea ebbe un tuffo al cuore. «Rinunciare ai poteri?» ripeté lentamente guardando Rothen. «Non è così che Rothen me l'ha descritto.» L'Amministratore inarcò le sopracciglia. «Che cosa ti ha detto?» «Che non avrei potuto usarli perché non avrei saputo come fare.» «Pensi di poter imparare a farlo da sola?» Lei tacque per un istante. «È possibile?» «No.» L'Amministratore sorrise. «Quello che ti ha detto Rothen è vero, ma, sapendo che il successo delle lezioni dipendeva dalla sua capacità di mantenere il rapporto di fiducia con te, ha lasciato che fossi io a spiegarti le leggi riguardanti l'allontanamento dei maghi.» Capendo che di lì a poco avrebbe saputo se Fergun le aveva detto il vero, Sonea sentì il cuore accelerarle. «La legge dice che ogni uomo e ogni donna dotati di poteri attivi devono unirsi alla Corporazione oppure farsi bloccare i poteri», spiegò Lorlen. «Il blocco non può essere effettuato finché non si ottiene il pieno Controllo, ma, quando viene attuato, impedisce efficacemente qualsiasi uso della magia.» Nel silenzio che seguì, i due maghi osservarono la ragazza con attenzione. Lei guardò altrove per evitare i loro occhi. Allora Rothen le aveva davvero tenuto nascosto qualcosa. Capiva però i suoi motivi: sapere che i maghi le avrebbero manipolato la mente non l'avrebbe indotta a fidarsi facilmente di lui. Fergun aveva ragione, tuttavia... «Hai qualche domanda, Sonea?» chiese Lorlen. Lei esitò, ricordando qualcos'altro che Fergun le aveva detto. «Il blocco... fa male?» L'Amministratore scosse il capo. «Non sentirai niente. Avvertirai una
sensazione di resistenza, se cercherai di usare la magia, ma non è dolorosa. Dato che non sei abituata a utilizzarla, non credo che percepirai in nessun modo il blocco.» Lorlen la guardò in silenzio, poi sorrise. «Non ho intenzione di persuaderti a restare. Desidero solo che tu sappia che qui c'è un posto per te, se vuoi. Hai altre domande?» Sonea scosse la testa. «No. Grazie, Amministratore.» Lorlen si alzò con un gran fruscio della tunica. «Ora devo tornare ai miei doveri. Verrò ancora a trovarti, Sonea. Forse potremo parlare più a lungo.» Lei annuì e osservò Rothen accompagnarlo fuori dalla stanza. Quando la porta si chiuse, il mago si girò a guardarla. «Allora, cosa pensi di Lorlen?» Sonea rifletté per qualche istante. «Sembra simpatico, ma è molto formale.» Rothen sogghignò. «Sì, può esserlo.» Andò in camera da letto e tornò con un mantello addosso. Stupita, Sonea lo guardò avvicinarsi; appeso al braccio ne aveva un altro. «Alzati», le disse. «Voglio vedere se questo ti va bene.» La ragazza si alzò e rimase ferma mentre lui le drappeggiava il mantello sulle spalle. Arrivava quasi al pavimento. «È un po' lungo. Lo farò accorciare. Per il momento dovrai stare attenta a non inciampare.» «È per me?» «Sì. In sostituzione di quello vecchio.» Rothen sorrise e aggiunse: «Ti servirà. Fuori fa piuttosto freddo». Lei gli lanciò un'occhiata penetrante. «Fuori?» «Sì. Pensavo di andare a fare due passi. Ti va?» Sonea annuì e distolse lo sguardo, non volendo farsi vedere in volto. Il pensiero che sarebbe uscita le aveva scatenato una profonda malinconia. Viveva in quell'appartamento da meno di tre settimane, ma aveva la sensazione che fossero passati mesi. «Ci incontreremo con Dannyl di sotto», le disse Rothen avviandosi verso la porta. «Adesso?» Lui annuì e con un gesto della mano la invitò a uscire. Sonea fece un bel respiro e si avvicinò alla porta. A differenza della volta precedente, il corridoio non era vuoto. Due maghi si trovavano a vari passi di distanza, sulla destra, e una donna con un abito normale camminava a sinistra con a fianco due bambini piccoli. Fis-
sarono tutti Sonea, sorpresi e incuriositi. Rothen li salutò con un cenno e si mosse verso le scale. Sonea lo seguì resistendo alla tentazione di voltarsi a guardare. Quando scesero, dalle scale non emerse levitando nessun mago. Ai piedi li aspettava invece una figura alta, familiare. «Buonasera, Sonea», salutò Dannyl sorridendo. «Buonasera.» Il mago si voltò e gesticolò in modo solenne verso un enorme portone a due battenti al termine del corridoio. Quello si aprì lentamente, lasciando entrare una folata d'aria gelida. Al di là si estendeva il cortile che Sonea ricordava di aver visto quando aveva esplorato la Corporazione con Cery, di notte. In quel momento invece stava calando un fosco crepuscolo che faceva sembrare tutto smorto e irreale. Seguì Rothen oltre il portone e sentì la sferzata dell'aria gelida. Iniziò a rabbrividire, ma ne fu contenta: era fuori... All'improvviso avvertì una sensazione di calore sulla pelle e una vibrazione nell'aria circostante. Sorpresa, si guardò intorno, ma non vide nulla che potesse giustificare quel cambiamento. Rothen la stava osservando. «Un semplice trucco», le disse. «È uno scudo magico che trattiene il calore. Puoi entrarne e uscirne. Prova.» Sonea fece qualche passo indietro verso la porta e sentì il freddo sul viso. Il suo respiro cominciò a formare la condensa. Allungò la mano e sentì che entrava di nuovo nella zona calda. Rothen le sorrise incoraggiante e le fece cenno. Con una scrollata di spalle, lei gli si affiancò. Il retro dell'Università si stagliava imponente alla sua sinistra. Sonea si guardò intorno e identificò gran parte degli edifici che aveva visto sulla mappa di Dannyl. Il suo sguardo fu attratto da una strana struttura dall'altra parte del cortile. «Che cos'è?» domandò. Rothen seguì il suo sguardo. «Quella è la Cupola. Secoli fa, prima che costruissimo l'Arena, gran parte dell'addestramento dei guerrieri si svolgeva lì. Purtroppo le uniche persone che potevano vedere ciò che vi accadeva erano quelle che stavano all'interno, perciò i maestri dovevano essere abbastanza forti da proteggere se stessi dagli eventuali poteri rilasciati dagli allievi. Adesso non la usiamo più.» Sonea fissò la struttura. «Sembra una grande palla affondata nel terreno.» «Lo è.»
«Come si entra?» «Da un passaggio sotterraneo. C'è una porta simile a un gigantesco tappo rotondo che può essere aperta solo verso l'interno. Le pareti sono spesse tre passi.» Si aprì la porta degli alloggi dei novizi e tre ragazzi si precipitarono fuori avvolti nei mantelli. Si spostarono di qua e di là nel cortile, toccando i lampioni che sorgevano ai margini del lastricato. A ogni tocco, quelli si accendevano. Quando tutti i lampioni del cortile furono accesi, i tre si divisero e si allontanarono di corsa in direzioni diverse. Uno andò verso la facciata degli alloggi dei novizi, un altro scomparve nei giardini dall'altra parte dell'Università e il terzo schizzò tra i Bagni e gli alloggi dei maghi, là dove un lungo sentiero arcuato conduceva nel bosco. Dannyl guardò Rothen con aria interrogativa. Se i due maghi erano soliti scherzare come vecchi amici, Sonea aveva notato che Dannyl si rimetteva sempre all'opinione del suo vecchio tutore. Rothen indicò il bosco. «Da questa parte.» Sonea rimase al fianco di Rothen quando questi attraversò l'area lastricata e si avviò lungo il sentiero. Mentre superava gli alloggi dei maghi, la ragazza scorse un movimento dietro una delle finestre. Alzò lo sguardo e vide un mago dai capelli chiari che la osservava. Rabbrividì quando lo riconobbe. Lui arretrò rapido nell'ombra. Accigliata, Sonea rivolse di nuovo la sua attenzione al sentiero. Non sapeva quando Fergun sarebbe tornato a trovarla, ma in quell'occasione lui avrebbe voluto sapere se accettava la sua offerta. Doveva prendere rapidamente una decisione. Fino al colloquio con Lorlen non aveva potuto verificare se tutte le affermazioni di Fergun fossero vere. Aveva atteso una buona occasione per pilotare il discorso con Rothen sui giuramenti e sui tutori, o su Fergun stesso, ma non era stata molto fortunata. Poteva chiederglielo direttamente senza destare sospetti? Rothen le aveva detto che cosa faceva un tutore, ma non aveva menzionato l'idea di voler diventare il suo tutore. Non si sarebbe stupita se avesse deciso che non fosse il caso di dirglielo, a meno che non fosse restata. Una volta appreso il Controllo, aveva due scelte: tornare nei bassifondi coi poteri bloccati o aiutare Fergun a diventare il suo tutore in modo da tornarvi coi poteri attivi. Quando raggiunsero il bosco, Sonea guardò attraverso il labirinto di tronchi. Il piano di Fergun la turbava: implicava rischi e inganni in misura
considerevole. Avrebbe dovuto fingere di voler restare, forse anche mentire per aiutarlo a diventare il suo tutore, fare un giuramento che sapeva avrebbe infranto, e infrangere sia il giuramento sia la legge del re lasciando la Corporazione. Aveva preso Rothen tanto in simpatia che l'idea di mentirgli la innervosiva? È un mago, ricordò a se stessa. La sua lealtà va alla Corporazione e al re. Era convinta che non l'avrebbe mai tenuta prigioniera di sua volontà, ma avrebbe potuto farlo se glielo avessero ordinato. O era l'idea d'infrangere un giuramento che la turbava? Harrin e i suoi amici non facevano che imbrogliare e rubare, ma consideravano la rottura di un giuramento un crimine imperdonabile; per garantirsi una buona reputazione agli occhi altrui, facevano tutto il possibile per evitare i giuramenti. Ovviamente, nel caso fossero inevitabili, eventuali situazioni imbarazzanti potevano essere aggirate usando espressioni ambigue... «Sei molto silenziosa stasera», affermò d'un tratto Rothen. «Niente domande?» Sonea lo guardò e notò che la stava osservando con occhi affettuosi. Vedendo il suo sorriso, decise che era il momento di affrontare le questioni che le stavano a cuore. «Stavo pensando al giuramento che fanno i maghi.» Con suo sollievo, Rothen non inarcò le sopracciglia insospettito, ma incuriosito. «Ce ne sono due, in realtà. Il Giuramento dei novizi e il Giuramento dei maghi. Il primo viene fatto quando il novizio entra nella Corporazione, il secondo al diploma.» «Che cosa giurano?» «Quattro cose.» Rothen sollevò le dita della mano sinistra. «I novizi giurano di non fare mai deliberatamente del male a nessuno uomo e a nessuna donna, se non in difesa delle Terre Alleate.» Toccò il primo dito e via via tutti gli altri. «Di obbedire alle regole della Corporazione, di obbedire alle leggi del re e agli ordini di qualsiasi mago a meno che non infrangano la legge, e di non usare mai la magia a meno che non abbiano avuto istruzioni da un mago.» Sonea si accigliò. «Perché un novizio non può usare la magia a meno che un mago non glielo dica?» Rothen sogghignò. «Molti novizi si sono fatti male mentre si esercitavano senza una guida. Anche i maghi devono stare attenti, a ogni modo. Qualsiasi insegnante sa che, se dice a un novizio 'vai a fare pratica' senza specificare esattamente di che cosa, questi interpreterà l'ordine come 'vai a fare pratica di quello che vuoi'. Ricordo di avere usato questo ragionamen-
to per giustificare una giornata trascorsa a pescare.» Dannyl sbuffò. «Ma questo è niente.» Quando il mago più giovane iniziò a raccontare delle sue imprese da novizio, Sonea meditò sul giuramento. Non prevedeva niente di quello che aveva pensato. Non sapeva quali fossero le regole della Corporazione; forse era ora di chiederlo a Rothen. Gli ultimi due punti sembravano aggiunti solo per tenere in riga i novizi. Se avesse lasciato la Corporazione coi poteri attivi, avrebbe infranto il secondo punto del giuramento. Stranamente, non era mai stata restia a infrangere una legge a meno che non implicasse infrangere un giuramento. Quando Dannyl terminò il racconto, Rothen proseguì con la spiegazione. «I primi due punti del Giuramento dei maghi sono identici», le disse. «Ma il terzo cambia: è un impegno a servire il sovrano della propria terra. Il quarto è la promessa di non usare mai la magia per scopi malvagi.» Sonea annuì. Lasciandola fuggire, Fergun avrebbe infranto una legge e il Giuramento dei maghi. «Qual è la punizione, se un mago infrange il giuramento?» Rothen si strinse nelle spalle. «Dipende da come lo infrange, dalla terra in cui vive e dal giudizio del sovrano.» «Che succede nel caso dei kyraliani?» «La punizione più grave è la morte, che è riservata agli omicidi. Altrimenti, la pena più dura è l'esilio.» «Voi... bloccate i poteri del mago e lo cacciate via.» «Sì. Nessuna Terra Alleata lo accetterebbe. Fa parte dell'accordo.» Lei assentì. Non poteva chiedergli a che cosa sarebbe andato incontro Fergun se la Corporazione avesse scoperto che progettava di farla fuggire coi poteri attivi. Se avesse accettato il suo piano, si sarebbe dovuta nascondere bene o avrebbe dovuto affrontare una punizione simile. La Corporazione non le avrebbe offerto una seconda occasione di entrare a farne parte. Non avrebbe avuto altra scelta che fare affidamento su un Ladro per nascondersi di nuovo, ma era sicura che Faren l'avrebbe aiutata più che volentieri qualora i suoi poteri fossero stati attivi e controllabili. Che cosa le avrebbero chiesto in cambio? Fece una smorfia all'idea di passare il resto della sua vita a nascondersi e a obbedire agli ordini di un Ladro. Tutto ciò che voleva veramente era stare con la sua famiglia. Guardando la neve che ricopriva il terreno su entrambi i lati del sentiero, sentì una fitta di preoccupazione per gli zii, chiusi in una minuscola stanza
al gelo da qualche parte. Stavano passando un brutto momento; probabilmente avevano pochi clienti. Con la gravidanza di Jonna che avanzava e la gamba di Ranel che s'irrigidiva per il freddo, come facevano a effettuare le consegne? Doveva tornare per aiutarli, non per fare incantesimi per conto di un Ladro. Ma, se fosse tornata coi poteri, era certa che Faren avrebbe fatto in modo che gli zii vivessero bene e lei sarebbe stata in grado di guarire... Eppure, se avesse collaborato con Rothen, sarebbe potuta tornare dagli zii entro poche settimane. Il piano di Fergun poteva richiedere mesi... Decidere era così difficile. Frustrata, pensò, come aveva già fatto tante volte, che avrebbe preferito non scoprire mai i suoi poteri. Le avevano rovinato la vita. L'avevano quasi uccisa e costretta a essere grata agli odiati maghi per averla salvata. Voleva solo liberarsene. Rothen rallentò. Sonea alzò lo sguardo e si accorse che il sentiero terminava in un'ampia strada lastricata. Quando la raggiunsero, videro numerose villette ordinate. «Quelle sono le Residenze», le disse Rothen. Tra di esse si ergevano gli scheletri anneriti di alcune costruzioni. Rothen non diede nessuna spiegazione. Continuò verso il punto in cui la strada terminava in un'ampia rotonda per girare i carri; si avvicinò a un albero caduto a lato della strada e si sedette. Mentre Dannyl raggiungeva il mago più anziano, Sonea osservò il bosco. In mezzo agli alberi vide una fila di sagome scure nella neve, troppo regolari per essere naturali. «Che cosa sono?» Rothen seguì il suo sguardo. «È il vecchio cimitero. Diamo un'occhiata?» Dannyl si voltò di scatto a fissarlo. «Adesso?» «Siamo già arrivati fin qui», replicò Rothen alzandosi. «Arrivare un po' più in là non costa nulla.» «Non possiamo aspettare il mattino?» Dannyl lanciò un'occhiata inquieta alle sagome lontane. Rothen sollevò la mano. Proprio sopra il suo palmo, una minuscola scintilla di luce comparve e si allargò fino a formare una sfera, la quale salì e rimase sospesa sopra le loro teste. «Credo sia un no», disse Dannyl con un sospiro. La neve scricchiolò sotto i loro stivali quando si avviarono in direzione del cimitero. L'ombra di Sonea si allungò da un lato, poi fu raggiunta da
un'altra quando una seconda sfera di luce si materializzò sopra la testa di Dannyl. «Paura del buio, Dannyl?» chiese Rothen. Il mago più giovane non rispose. Sogghignando, Rothen scavalcò un tronco caduto e raggiunse la radura, nella quale si estendevano varie file di lapidi. Quindi mandò la luce in avanti, poco al di sopra di una lapide. La neve si sciolse rapidamente, e sulla pietra comparvero alcuni segni. Quando la luce si sollevò di nuovo, il mago indicò a Sonea di avvicinarsi. Lungo i bordi della lapide vi era una decorazione e al centro s'intravedevano alcune parole. «Riesci a leggere?» chiese Rothen. Sonea passò la mano sulle incisioni. «Lord Gamor, e un anno...» Si accigliò. «No, mi sbaglio.» «Credo dica venticinque di Urdon.» «Ha sette secoli?» «Certo. Tutte queste tombe hanno almeno cinque secoli e sono un bel mistero.» Sonea guardò le file di pietre. «Perché sono un mistero?» «Da allora, nessun mago viene sepolto qui e nemmeno all'esterno della Corporazione.» «Dove li seppellite?» «Non li seppelliamo.» Si udì un flebile sussurrio tra gli alberi vicini, e Dannyl si voltò di scatto con gli occhi sgranati. Sonea si sentì accapponare la pelle su tutto il corpo. «Perché no?» Rothen avanzò e guardò la tomba. «Quattro secoli fa, un mago descrisse la magia come la sua compagna di sempre. Può essere un'amica utile, disse, o un'avversaria letale.» Guardò Sonea, con occhi nascosti dall'ombra delle sopracciglia. «Pensa a tutto quello che hai imparato sulla magia e sul Controllo. I tuoi poteri si sono sviluppati in maniera naturale, ma per la maggior parte di noi sono stati attivati da un altro mago. Quando ciò avviene, restiamo vincolati a essi per sempre. Dobbiamo imparare a controllarli e dobbiamo mantenerne il Controllo.» Tacque per un istante quindi proseguì: «Per tutti noi tale padronanza termina con la morte, allorché la magia che resta nel nostro corpo viene liberata. Ne veniamo letteralmente consumati». Sonea guardò la tomba. Nonostante lo scudo termico di Rothen, si sentiva gelata fino alle ossa. Aveva pensato di sbarazzarsi della magia una volta imparato il Controllo, ma in quel momento capì che non sarebbe mai stata
libera. Poteva fare qualsiasi cosa, ma la magia sarebbe rimasta in lei per sempre. Un giorno, in una casa dei bassifondi, sarebbe scomparsa, arsa dalla sua potenza... «Se moriamo di morte naturale, questo costituisce di rado un problema», proseguì Rothen. «La forza della nostra energia di solito si affievolisce negli ultimi anni di vita. Ma se la morte non è naturale... C'è un vecchio detto: ci vuole un pazzo, un martire o un genio per uccidere un mago.» La ragazza guardò Dannyl e capì d'un tratto il suo disagio: non era l'aura dei morti che lo turbava, ma il pensiero di che cosa sarebbe accaduto il giorno della sua morte. Tuttavia Dannyl aveva scelto quella vita, lei no. E nemmeno Fergun... costretto dai genitori a diventare mago, anche lui avrebbe fatto quella fine. Sonea si chiese quanti maghi entrassero con riluttanza nella Corporazione. Stupita dal nuovo senso di empatia che provava, guardò la pietra tombale. «Allora perché qui ci sono queste tombe?» Rothen si strinse nelle spalle. «Non ne abbiamo idea. Non ci dovrebbero essere. Molti dei nostri storici ritengono che questi maghi, una volta capito che stavano per morire, abbiano consumato tutti i loro poteri e abbiano fatto in modo di andarsene quand'erano ormai sfiniti, pugnalandosi o ingerendo un veleno. Sappiamo che in punto di morte scelsero altri maghi come assistenti. Forse era compito di questi verificare che morissero nel momento giusto. Anche una piccola quantità di magia residua può bastare a distruggere un corpo, perciò la tempistica era importante, soprattutto perché i maghi di quell'epoca erano incredibilmente potenti.» «Non sappiamo se sia vero», aggiunse Dannyl. «Le storie sui loro poteri potrebbero essere state ingigantite. Quando un racconto viene ripetuto più e più volte, l'eroe tende ad acquisire una forza inverosimile.» «Possediamo i libri scritti durante la loro esistenza», gli ricordò Rothen. «Persino i diari dei maghi stessi. Perché esagerare le proprie capacità?» «Certo, perché?» ripeté caustico Dannyl. Rothen si girò e li ricondusse indietro, seguendo la traccia che avevano lasciato nella neve per arrivare al cimitero. «Credo che i primi maghi fossero più potenti, e che da allora ci siamo indeboliti.» Dannyl scosse la testa, poi guardò Sonea. «Che ne pensi?» Lei batté le palpebre stupita. «Non lo so. Forse conoscevano un modo per aumentare la loro forza.» Dannyl scosse di nuovo il capo. «Non ci sono modi per aumentare la forza di un mago. Ognuno ha la forza con cui nasce.»
Raggiunsero la strada e proseguirono. La sera era ormai calata del tutto e le luci brillavano alle finestre delle case lungo la via. Quando superarono le rovine di una costruzione bruciata, Sonea ebbe un brivido. Era stata distrutta quando il suo occupante era morto? I maghi rimasero in silenzio mentre camminavano. Quando raggiunsero l'inizio del sentiero, Rothen mandò avanti la sfera di luce per illuminare il cammino. In assenza di conversazione, il frinire degli insetti del bosco sembrava più forte. Quando apparvero gli alloggi, Sonea pensò a tutti i maghi che vi abitavano. Ognuno teneva la magia sotto controllo anche quando dormiva. Forse i primi urbanisti avevano altre ragioni per lasciare ai maghi un intero quartiere della città. «Per stasera, l'esercizio fisico credo possa bastare!» esclamò d'un tratto Rothen. «Ed è quasi ora di cena. Mangi con noi, Dannyl?» «Certo», rispose l'amico. «Molto volentieri.» 25 CAMBIAMENTO DI PROGRAMMA Il sole sovrastava le torri lontane del palazzo come la gigantesca sfera di luce di un mago, gettando lunghi raggi arancione nei giardini. Mentre camminavano sul sentiero, Sonea taceva, meditabonda. Rothen sapeva che aveva intuito lo scopo di quelle passeggiate e che stava opponendo resistenza affinché nessun panorama la inducesse a restare nella Corporazione. Il mago sorrise. Sonea poteva anche essere decisa a non considerare tutto ciò che vedeva, ma lui le avrebbe mostrato tutto ciò che poteva della Corporazione. Doveva sapere ciò che rifiutava. Sorpreso dalla sua costante determinazione ad andarsene, Rothen si era ritrovato a riflettere sulla sua stessa vita. Come tutti i bambini delle Case, era stato esaminato alla ricerca dei poteri all'età di dieci anni. Ricordava l'eccitazione dei genitori quando avevano scoperto le sue potenzialità. Gli avevano detto che era fortunato e speciale. Da quel giorno aveva smaniato per entrare nella Corporazione. Per Sonea diventare mago non era mai stato un'opzione. Le era stato insegnato a vedere i maghi come nemici da biasimare e odiare. Alla luce della sua educazione, era facile capire perché per lei unirsi alla Corporazione
equivalesse a tradire le persone con cui era cresciuta. Ma non doveva essere per forza così. Se fosse riuscito a convincerla che alla fine avrebbe potuto usare i poteri per aiutare la sua gente, la ragazza forse avrebbe deciso di restare. Raggiunta la punta estrema dell'Università, Rothen svoltò a destra. Mentre attraversavano i giardini, suonò il gong che segnalava il termine delle lezioni. Sapendo che di lì a poco la massa dei novizi si sarebbe precipitata dall'Università agli alloggi, Rothen aveva scelto un percorso più lungo ma più tranquillo fino agli alloggi dei guaritori. Aveva atteso con impazienza quella passeggiata. La Guarigione era la più nobile delle doti dei maghi e l'unica forma di magia che Sonea pareva apprezzare. Sapendo che difficilmente avrebbe apprezzato l'arte guerriera, gliel'aveva mostrata per prima. Lei però era rimasta più turbata del previsto dalla dimostrazione. Sebbene il maestro le avesse spiegato le regole e le protezioni adottate, Sonea si era allontanata dai combattenti non appena avevano iniziato l'esercitazione. L'esperimento di stampa delle immagini mentali di Dannyl era un modo di utilizzare l'Alchimia, ma in realtà restava solo un passatempo. Per colpirla davvero, avrebbe dovuto mostrarle qualcosa di più utile per la città e non aveva ancora deciso cosa. Quando si avvicinarono alla costruzione rotonda degli alloggi dei guaritori, Rothen le lanciò un'altra occhiata. Sonea aveva un'espressione guardinga, ma gli occhi le luccicavano per la curiosità. Il mago si fermò davanti all'ingresso. «È il secondo palazzo dei guaritori a essere stato costruito», le disse. «Il primo era molto lussuoso. Purtroppo, i nostri predecessori hanno avuto qualche problema con alcuni pazienti ricchi che pensavano di poterlo trasformare nella loro residenza abituale. Quando sono stati costruiti l'Università e gli altri edifici della Corporazione, i vecchi alloggi dei guaritori sono stati demoliti e sostituiti da questi.» Pur piacevole dall'esterno, il palazzo non era imponente come l'Università. Rothen e Sonea varcarono il portone aperto ed entrarono in un piccolo atrio disadorno dove l'aria odorava di fresco e di medicinale. Due guaritori, un uomo di mezza età e una donna più giovane, alzarono lo sguardo quando Rothen e Sonea entrarono. L'uomo guardò la ragazza con aria dubbiosa e si voltò dall'altra parte. La donna sorrise e andò loro incontro. «Salve, Lord Rothen.» «Salve, Lady Indria. Questa è Sonea.»
«Piacere di conoscerla», disse la ragazza. La guaritrice chinò il capo. «Il piacere è mio, Sonea.» «Indria ci farà fare un giro degli alloggi dei guaritori», le spiegò Rothen. La guaritrice le sorrise. «Spero lo troverai interessante.» Guardò Rothen e chiese: «Cominciamo?» Lui annuì. «Da questa parte, allora.» Indria li condusse verso una porta a due battenti, la aprì con un ordine mentale e li fece entrare in un ampio corridoio. Superarono varie porte aperte, e Sonea approfittò per sbirciare nelle stanze. «Il piano inferiore dell'edificio è destinato alle sedute di cura e al ricovero dei pazienti», spiegò Indria. «Non possiamo pretendere che i malati salgano e scendano le scale, giusto?» Sorrise a Sonea che, perplessa, rispose con una scrollata di spalle. «Al piano superiore ci sono le aule per le lezioni e le stanze dei guaritori che vivono qui. Gran parte di noi abita in questo palazzo più che negli alloggi dei maghi, così possiamo rispondere velocemente alle emergenze.» Indicando a sinistra, disse: «Le camere dei pazienti sono quelle che hanno una bella vista sul giardino o sul bosco». Indicò quindi a destra. «Le stanze interne sono riservate alle sedute di cura. Vieni, te ne mostro una.» Rothen studiò Sonea mentre lei osservava la stanza. Era piccola, conteneva solo un letto, un armadio e varie sedie di legno. «Qui facciamo guarigioni minori e trattamenti semplici», continuò Indria. Aprì un armadio e le mostrò varie file di boccette e di scatole. «Le medicine che si possono preparare rapidamente o miscelare in anticipo vengono tenute a portata di mano. Di sopra ci sono altre stanze, dove vengono preparati medicinali più complessi.» La guaritrice li condusse nel corridoio e indicò una porta in fondo. «Al centro del palazzo ci sono le stanze di guarigione», affermò. «Controllo se questa è libera.» Si affrettò lungo il passaggio e sbirciò oltre un pannello di vetro sulla porta. Si girò verso di loro e annuì. «È libera. Venite.» Mentre percorreva il corridoio, Rothen sorrise nel vedere che Indria gli teneva aperta la porta. La stanza in cui entrarono era più grande della prima che avevano visto. Nel mezzo vi era un letto stretto, e le pareti erano contornate di armadi. «Qui effettuiamo le Guarigioni più importanti e gli interventi di chirurgia», disse Indria. «Nessuno può entrare durante una seduta di cura, fatta eccezione per i guaritori... e il paziente, ovviamente.»
Lo sguardo di Sonea si spostò di qua e di là nella stanza, poi si posò su una nicchia nel muro in fondo. «Le stanze per la preparazione dei medicinali sono proprio sopra di noi», spiegò la guaritrice indicando la nicchia. Sonea si chinò e sbirciò nella stanza sovrastante. «Abbiamo guaritori specializzati nella preparazione dei medicinali. Quando ne abbiamo bisogno, con questi scivoli ci mandano le loro miscele appena fatte.» Appagata la curiosità, Sonea tornò al fianco di Rothen. Indria si avvicinò a un armadio, lo aprì e prese una boccetta. «Qui, nella Corporazione, conserviamo il più grande patrimonio di conoscenza medica del mondo», affermò con palese orgoglio. «Non curiamo le persone solo col potere della Guarigione. Se lo facessimo, non riusciremmo a soddisfare la domanda.» Con una scrollata di spalle, aggiunse: «Non che, a ogni modo, ci riusciamo. Non ci sono abbastanza guaritori». Aprì un cassetto ed estrasse un pezzetto di stoffa bianca. Si voltò verso Sonea, tacque e guardò Rothen con aria interrogativa. Capendo le sue intenzioni, il mago scosse la testa. Indria si morse il labbro, guardò Sonea e gli oggetti che teneva in mano. «Ah, forse salteremo questa parte del giro.» La ragazza guardò la boccetta con occhi luccicanti per la curiosità. «Quale parte?» La guaritrice girò la boccetta in modo che Sonea potesse vedere l'etichetta. «È una crema anestetica. Di solito ne metto un po' sul palmo delle mani dei visitatori per dimostrare la forza della nostra medicina.» Sonea si accigliò. «Anestetica?» «Rende insensibile la pelle, così non senti niente. L'effetto scompare dopo un'ora.» La ragazza inarcò le sopracciglia, poi tese la mano. «Voglio provare.» Rothen trattenne il fiato e la fissò sorpreso. Era incredibile: dov'era finita la sua sfiducia per i maghi? Contento, guardò la collega svitare il tappo e versare un po' di pasta sul pezzetto di stoffa. Indria guardò Sonea. «Non sentirai niente al momento, ma tra un minuto ti sembrerà di avere la pelle molto spessa. Vuoi ancora provare?» La ragazza annuì. Sorridendo, Indria le spalmò la pasta sulla mano. «Adesso fa' attenzione a non mettertela negli occhi. Non ti accecherebbe ma, credimi, avere le palpebre intorpidite è una sensazione davvero particolare.» Ripose la boccetta sullo scaffale e lasciò cadere il piccolo panno in un cestino all'interno
di un armadio, poi si fregò le mani. «Adesso saliamo di sopra e diamo un'occhiata alle aule.» Li condusse fuori dalla stanza, nel corridoio principale. Nel tragitto superarono vari guaritori e qualche novizio: alcuni guardavano Sonea con curiosità, altri, con sgomento di Rothen, aggrottavano la fronte con aria di disapprovazione. «Indria!» La guaritrice si voltò, e la tunica verde ruotò intorno al suo corpo per il brusco movimento. «Darlen?» «Sono qui.» La voce proveniva da una delle stanze vicine. Indria si avvicinò alla soglia. «Sì?» «Mi daresti una mano?» Indria si voltò e sorrise a Rothen. «Chiederò se al paziente non spiace avere un paio di spettatori», disse piano. Entrò nella stanza, e Rothen udì diverse voci discutere pacatamente. Sonea lo osservò, impassibile, e quindi distolse lo sguardo. Indria riapparve sulla soglia e fece loro cenno. «Venite.» Mentre la guaritrice scompariva nella stanza, Rothen scrutò attentamente Sonea. «Non so che cosa vedrai là dentro, ma non credo che Indria ci avrebbe invitati se ci fosse qualcosa di spaventoso. Se però la vista del sangue ti dà fastidio, è meglio che non entri.» Sonea pareva divertita. «Andrà tutto bene.» Rothen le indicò la porta. Lei entrò e vide che la stanza era organizzata come quella che avevano appena visitato. Sul letto era steso un bambino di circa otto anni col volto pallido e con gli occhi rossi per il pianto. La voce che aveva chiesto assistenza apparteneva a un giovane con la tunica verde, Lord Darlen, che stava delicatamente svolgendo una benda zuppa di sangue dalla mano del ragazzino. Una giovane coppia era seduta su due sedie di legno e osservava preoccupata la scena. «Mettetevi lì, per favore», disse Indria con tono improvvisamente severo. Rothen arretrò in un angolo e Sonea lo seguì. Darlen li guardò un istante, prima di rivolgere nuovamente la sua attenzione al bambino. «Ti fa ancora male?» Il ragazzino scosse il capo. Rothen osservò la coppia. Sebbene si vedesse che si erano vestiti in fretta, indossavano abiti riccamente ornati. L'uomo portava un lungomanto alla moda con bottoni fatti di gemme, la donna un mantello nero semplice
col cappuccio bordato di pelo. Al suo fianco, Sonea emise un lieve verso. Rothen guardò di nuovo verso il letto e vide che l'ultima benda era stata tolta dalla mano del bambino. Due tagli profondi gli avevano squarciato il palmo, e il sangue colava dalle ferite. Darlen sollevò la manica del bambino e gli strinse con forza il braccio. Il flusso di sangue cessò. Guardò allora i genitori. «Com'è successo?» Il padre arrossì e abbassò lo sguardo. «Stava giocando con la mia spada. Glielo avevo proibito, ma...» L'uomo scosse la testa con espressione cupa. «Dovrebbe guarire bene, anche se gli resteranno in ricordo due belle cicatrici per tutta la vita!» esclamò Darlen girando lievemente la mano del bambino. La donna emise un verso strozzato e scoppiò a piangere. Il marito le cinse le spalle con un braccio e guardò ansioso il guaritore. Darlen si voltò verso Indria, che annuì e si avvicinò agli scaffali. Da un cassetto estrasse altri pezzi di stoffa bianca e una grande bottiglia d'acqua. Si accostò al letto e bagnò con delicatezza la mano. Quando fu pulita, il guaritore posò con cura il palmo della mano sul ragazzo e chiuse gli occhi. Seguì un grande silenzio. Anche se la madre di tanto in tanto tirava su col naso, tutti i rumori parevano essere stati cancellati. Il bambino prese ad agitarsi, ma Indria si chinò e gli mise una mano sulla spalla. «Sta' fermo. Non disturbare la sua concentrazione.» «Ma prude», protestò lui. «Non per molto.» Cogliendo un movimento al suo fianco, Rothen guardò in basso e vide che Sonea si stava sfregando il palmo. Darlen fece un profondo respiro e aprì gli occhi. Osservò la mano del bambino e la sfiorò con le dita: invece che da due tagli profondi, il palmo era solcato da due righe rosse sottili. «Ora la tua mano è guarita», disse il guaritore sorridendo al piccolo. «Voglio che la bendi tutti i giorni. Non usarla per almeno due settimane. Non vorrai rovinare il lavoro che ho appena fatto, vero?» Il bambino scosse la testa. Sollevò la mano e si toccò le cicatrici con un dito. Darlen gli diede un paio di colpetti affettuosi sulla spalla. «Dopo due settimane inizia a muoverla con cautela.» Guardando i genitori, aggiunse: «Non dovrebbero esserci danni permanenti. Alla fine riuscirà a fare tutto quello che faceva prima, anche a brandire la spada del padre». Si chinò e
puntò un dito al petto del bambino. «Ma non prima di essere cresciuto.» Lo aiutò a scendere dal letto e sorrise quando questi corse dai genitori e scomparve nel loro abbraccio. Il padre guardò Darlen con gli occhi che gli luccicavano e fece per parlare. Il guaritore alzò una mano per fermarlo e si voltò verso Indria, la quale fece cenno a Rothen e Sonea di seguirla. Uscirono rapidi dalla stanza e, quando si avviarono in corridoio, Rothen udì il padre profondersi in ringraziamenti. «Sembra facile, vero?» commentò Indria con una smorfia. «In realtà, è molto complicato.» «La Guarigione è la più difficile di tutte le discipline», spiegò Rothen. «Richiede un Controllo più sottile e molti anni di pratica.» «Il che spiega perché non attragga certi giovani», aggiunse Indria. «Sono troppo pigri.» «Io ho molti novizi che sono tutt'altro che pigri», replicò malizioso Rothen. Lei sorrise. «Ma tu sei un insegnante così in gamba. Come potrebbero non essere gli allievi più diligenti dell'Università?» Rothen scoppiò a ridere. «Dovrei venire più spesso dai guaritori. È così gratificante.» «Di solito non ti vediamo spesso, a meno che tu non venga a lamentarti per un'indigestione o per qualche bruciatura che ti fai coi tuoi stupidi esperimenti.» «Non dire queste cose», ribatté portandosi un dito alle labbra. «Più tardi porto Sonea a vedere le aule di Alchimia.» Indria lanciò a Sonea un'occhiata solidale. «Buona fortuna. Cerca solo di non addormentarti.» Rothen si raddrizzò e indicò le scale. «Torna al tuo lavoro, ragazza insolente», le ordinò. «Ti sei diplomata da un anno soltanto e già pensi di poter dare ordini agli anziani.» «Sì, mio signore.» Sorridendo, Indria fece un inchino scherzoso e si allontanò. Sonea scostò la tenda di una finestra e guardò oltre il vetro la neve che scendeva vorticando. Si sfregò quindi il palmo con aria assente. La sensibilità le era tornata alcune ore prima, ma il ricordo dell'intorpidimento era ancora vivo. Aveva previsto che Rothen le mostrasse una Guarigione e anche di do-
ver resistere al desiderio d'imparare a effettuarle con le sue mani. Sebbene fosse determinata a non farsi influenzare, veder guarire un bambino davanti agli occhi le aveva suscitato sentimenti non voluti. Sapeva di possedere la capacità di fare cose del genere, ma solo in quel momento ne aveva capito il vero valore. Il che era ciò che Rothen voleva, ovviamente. Con un sospiro, tamburellò con le dita sul bordo della tenda. Come aveva immaginato, lui stava cercando d'indurla a restare mostrandole tutte le belle cose che avrebbe potuto fare con la magia. Ma di certo non si attendeva che restasse affascinata dalla dimostrazione dei guerrieri del giorno precedente. Guardare i novizi colpirsi con la magia non l'avrebbe convinta a rimanere. Forse voleva solo mostrarle che i combattimenti non provocavano danni. Basati su regole rigorose, erano più simili a giochi che a scontri veri. Alla luce di ciò, le era più facile capire perché avessero reagito in quel modo il giorno in cui lei li aveva «aggrediti» in piazza del Nord: erano troppo abituati agli «scudi interni» e a «segnare punti». Dovevano essere rimasti sconcertati nel vedere gli effetti della magia su una persona indifesa. Sonea emise un altro sospiro. Di lì a poco, Rothen l'avrebbe portata a visitare le aule di Alchimia. Suo malgrado, lei provava un senso di curiosità; di tutte le discipline, l'Alchimia era quella che capiva di meno. Udendo bussare alla porta d'ingresso, si rabbuiò. Tania aveva augurato loro la buonanotte ore prima e Rothen era uscito da poco. Ebbe un tuffo al cuore quando le balzò in mente un nome. Fergun. Il mago voleva una risposta, e lei non aveva ancora deciso. Riluttante, attraversò la stanza augurandosi che il visitatore fosse qualcun altro. «Chi è?» «Fergun. Fammi entrare, Sonea.» Con un respiro profondo, la ragazza afferrò la maniglia e subito la porta si aprì verso l'interno. Il mago con la tunica rossa sgattaiolò con eleganza nella stanza e richiuse la porta alle sue spalle. «Come fai ad aprirla?» domandò lei guardando accigliata la maniglia. «Pensavo fosse chiusa a chiave.» Fergun sorrise. «Lo era, ma si apre quando la maniglia viene girata contemporaneamente da una persona all'interno e da una all'esterno.» «È concepita appositamente così?» Il mago annuì. «È una precauzione. Rothen potrebbe non essere nei pa-
raggi in caso ci fosse un'emergenza. Qualcun altro può aprirla se, per esempio, tu creassi un incendio.» Lei fece una smorfia. «Per fortuna questo non è più un problema», disse. «Siediti, Fergun.» Lui si avvicinò silenzioso alle sedie e si accomodò. Quando Sonea gli si sedette di fronte, si protese impaziente verso di lei. «Allora, le tue lezioni di Controllo stanno andando bene?» «Sì... credo.» «Dimmi quello che hai fatto oggi.» «Dovevo sollevare una scatola dal pavimento. Non è stato facile.» Fergun inspirò bruscamente e sgranò gli occhi, tanto che Sonea ebbe un tuffo al cuore. «Quello che ti sta insegnando non è un esercizio di Controllo, ti sta mostrando come usare la magia. Se lo fa, vuol dire che possiedi già il Controllo.» Sonea avvertì un senso di euforia e di speranza. «Ha detto che voleva verificare il mio Controllo.» Il mago scosse il capo con aria grave. «Tutte le forme di magia sono un modo per verificare il Controllo. Non t'insegnerebbe a sollevare oggetti, se non avessi già un buon Controllo. Sei pronta, Sonea.» Appoggiandosi alla sedia, la ragazza sentì gli angoli della bocca piegarsi in un sorriso. Finalmente! Posso tornare a casa! A quel pensiero provò un vago rimpianto. Andandosene, probabilmente non avrebbe più rivisto Rothen... «Allora, hai appurato che quello che ti ho detto è vero, che Rothen ti ha nascosto delle informazioni?» Lei lo guardò e annuì. «Buona parte delle informazioni. L'Amministratore Lorlen mi ha spiegato il blocco dei poteri.» Fergun apparve sorpreso. «Lorlen in persona. Bene.» «Mi ha detto che non è spiacevole e che dopo non me ne sarei accorta.» «Se funziona a dovere. La Corporazione non ha avuto bisogno di farlo da molti, molti anni.» Con una smorfia aggiunse: «L'ultima volta che lo hanno fatto hanno combinato qualche pasticcio... ma non ti devi preoccupare. Accetta il mio aiuto e non dovrai correre rischi». Sorridendo le chiese: «Allora, lavoriamo insieme?» Sonea esitò, assillata dai dubbi. Notando la sua espressione, Fergun domandò: «Hai deciso di restare?» «No.» «Quindi sei ancora indecisa?»
«Non mi convincono alcuni aspetti del tuo piano», ammise lei. «Quali?» Sonea fece un profondo respiro. «Se diventerò novizia, dovrò fare un giuramento che so di dover infrangere.» Lui aggrottò la fronte. «E?» «Non sono... non sono contenta di fare una cosa del genere.» Fergun socchiuse lievemente gli occhi. «Hai paura d'infrangere un giuramento?» Scuotendo il capo, aggiunse: «Io sono disposto a infrangere la legge del re per te, Sonea. Anche se sono certo che potremo far sembrare che tu sia fuggita senza aiuti, è possibile che scoprano il mio coinvolgimento. Sono disposto a correre il rischio per il tuo bene». Si protese ancora di più. «Devi decidere se il re abbia il diritto di toglierti i poteri. Se non lo ha, che valore ha il giuramento?» Sonea annuì lentamente. Aveva ragione. Faren sarebbe stato d'accordo, e anche Cery. Le Case avevano tenuto per sé la magia per troppo tempo, e durante l'Epurazione l'avevano usata contro i poveri. I dwell non l'avrebbero disprezzata per aver infranto il Giuramento dei novizi, ed era la loro opinione che contava, non quella del re o dei maghi. Se fosse tornata nei bassifondi coi poteri attivi e avesse imparato autonomamente la magia, avrebbe anche potuto insegnarla ad altri. Avrebbe potuto fondare la sua corporazione segreta. Ciò avrebbe comportato affidarsi a Faren per nascondersi nuovamente e non poter tornare in famiglia. Ma alla fine sarebbe riuscita a usare i poteri per aiutare e guarire le persone, il che avrebbe giustificato i rischi corsi. Sonea guardò il mago che le sedeva di fronte. Fergun sarebbe stato tanto entusiasta di lasciarla andare, se avesse saputo ciò che aveva in mente? Sonea si rabbuiò: se fosse diventata la sua novizia, forse lui avrebbe dovuto entrarle nella mente per insegnarle; avrebbe scoperto i suoi piani e, non contento delle conseguenze, avrebbe forse cambiato idea. La sua proposta la costringeva in buona parte a fare affidamento su di lui. Lei non lo conosceva, non aveva visto nella sua mente. Se solo fosse potuta scomparire, se fosse potuta scappare senza il suo aiuto... D'un tratto ebbe un fremito. Aveva raggiunto il Controllo, e Rothen non sapeva che lei sapeva. Alla fine lui avrebbe dovuto ammetterlo, e a quel punto avrebbe temuto che se ne andasse. Sarebbe stato il momento ideale per tentare la fuga. E se non ne avesse avuto l'occasione o avesse fallito?
Allora avrebbe accettato la proposta di Fergun. Per il momento, doveva tenerlo sulla corda. Guardandolo, sospirò e scosse la testa. «Non lo so. Anche se il tuo piano funzionasse, avrei sempre la Corporazione alle calcagna.» «Non riuscirebbero a trovarti», la rassicurò il mago. «Ti insegnerò a nascondere i poteri. Non troveranno nessun indizio sulla tua posizione e alla fine rinunceranno. Non sei l'unica che si è stancata durante l'inseguimento precedente. Non ti cercheranno per sempre.» «Ci sono alcune cose che non sai», replicò lei. «Se tornassi nei bassifondi coi poteri, i Ladri vorrebbero che lavorassi per loro. Non voglio diventare un loro strumento.» Fergun sorrise. «Tu possiedi la magia. Non possono indurti a fare niente che tu non voglia.» Sonea distolse lo sguardo e scosse il capo. «Ho una famiglia. Forse i Ladri non farebbero del male a me, ma potrebbero farlo ad altri. Mi...» Si sfregò la faccia e lo guardò con aria rammaricata. «Mi serve più tempo per riflettere.» Il sorriso svanì dal volto di Fergun. «Quanto?» Sonea si strinse nelle spalle. «Un paio di settimane.» «Non ho così tanto tempo», ribatté lui incupendosi. «Tu non hai così tanto tempo.» La ragazza si accigliò. «Perché?» Fergun si alzò di scatto, estrasse qualcosa dalla tunica e lo lasciò cadere sul tavolo davanti a lei. Sonea restò senza fiato quando riconobbe il pugnale. Tante volte aveva osservato affilare con cura e amore quella lama. Ricordava un giorno, molti anni prima, in cui vi era stata incisa l'immagine approssimativa di un roditore. «Lo riconosci, vedo.» Fergun la sovrastava con occhi luccicanti. «Ho rinchiuso il proprietario del pugnale in una piccola cella buia di cui tutti ignorano l'esistenza.» Le sue labbra si tesero in un sorriso crudele. «E meno male che non la conoscono, perché potrebbero preoccuparsi se sapessero quanto sono grandi i roditori che la abitano.» La ragazza arretrò, terrorizzata dal suo sguardo malvagio. Accovacciandosi, il mago posò le mani sui braccioli della sua sedia. «Fa' quello che ti dico e libererò il tuo amico. Procurami dei guai e lo lascerò lì per sempre.» Socchiudendo gli occhi, aggiunse: «Intesi?» Stordita e incapace di parlare, Sonea riuscì solo ad annuire.
«Ascoltami bene», affermò Fergun. «Ti dirò quello che devi fare. Primo, dirai a Rothen che hai deciso di restare. Quando lo farai, lui annuncerà che hai raggiunto il Controllo, in modo da farti entrare nella Corporazione prima che tu possa cambiare idea. Dopo una settimana ci sarà un'Assemblea, e in seguito si terrà un'Udienza per decidere chi sarà il tuo tutore. In occasione di tale Udienza, dirai a tutti che durante l'Epurazione ti ho visto prima di Rothen; dirai loro che ti ho guardata dopo che avevi lanciato il sasso e prima che mi colpisse.» Sonea ebbe un tuffo al cuore a quella rivelazione. Ecco perché le sembrava di averlo già visto: era il mago che lei aveva colpito durante l'Epurazione. «Quando dirai loro questo, i maghi superiori non avranno altra scelta che nominarmi tuo tutore», continuò Fergun. «Entrerai nella Corporazione; ma, te lo garantisco, non sarà per molto. Quando avrai fatto un lavoretto per me, ti rimanderò nel posto da dove vieni. Così tu avrai quello che vuoi, e io pure.» Prese il pugnale e fece scorrere un dito sulla lama. «Non hai niente da perdere ad aiutarmi; ma, se non lo fai, perderai il tuo amichetto.» Mentre infilava il pugnale sotto la tunica, sostenne lo sguardo della ragazza. «Fa' in modo che Rothen non sappia niente di tutto questo. Nessuno tranne me sa dov'è il piccolo Ceryni e, se non gli potrò portare da mangiare, gli verrà molta, molta fame.» Si alzò, si avvicinò silenzioso alla porta e la socchiuse. Si voltò a guardarla con un ghigno. «Mi aspetto che Rothen annunci domani il suo successo. Ci vedremo dopo.» Fergun sgusciò fuori dalla porta e la richiuse alle sue spalle. Sonea ascoltò il flebile rumore dei passi che si allontanavano, poi si premette le mani sugli occhi. I maghi! Sibilò una maledizione. Non mi fiderò mai più di loro. Poi pensò a Rothen, e la sua rabbia svanì. Anche se l'aveva indotta a credere di non avere ancora raggiunto il Controllo, era certa che fosse animato da buone intenzioni. Probabilmente aveva ritardato le cose per darle il tempo di capire se volesse davvero andarsene; se così era, non aveva fatto niente che lei stessa non avrebbe fatto al suo posto. Era certa che, se glielo avesse chiesto, l'avrebbe aiutata; ma non poteva chiederglielo. Si sentì in preda a un'impotenza opprimente. Se non avesse fatto quello che voleva Fergun, Cery sarebbe morto. Raggomitolandosi, si cinse con le braccia. Oh, Cery, dove sei? Non ti avevo detto di stare attento a non farti prendere? Sonea sospirò. Perché Fergun faceva tutto ciò? Ripensò alla prima volta
che aveva visto il ghigno del mago e rabbrividì. Per vendetta. Per una semplice, meschina vendetta... perché era stato umiliato da una dwell ribelle. La prospettiva che, invece di essere punita, fosse ammessa nella Corporazione doveva averlo fatto infuriare. Ma perché darsi tanta pena, quando lei non voleva restare? Sonea ripensò alle parole del mago: Quando avrai fatto un lavoretto per me, ti rimanderò nel posto da dove vieni. Unirsi alla Corporazione per poi essere mandata via... Fergun voleva assicurarsi che lei fosse punita per averlo colpito. Che non potesse mai cambiare idea e tornare alla Corporazione. 26 COMINCIA L'INGANNO Tra i due palmi, uno grande, di una persona anziana, e l'altro più piccolo, due scintille di luce colorata danzarono come minuscoli insetti. Le luci ruotarono l'una intorno all'altra, abbassandosi in picchiata e vorticando in un movimento complesso. D'un tratto, la luce blu schizzò verso quella gialla che si trasformò in un anello; mentre quella blu l'attraversava, Rothen scoppiò a ridere. «Basta!» disse. Le ombre intorno a loro cessarono di ondeggiare quando le scintille si spensero. Rothen restò sorpreso nel vedere quanto fosse tardi. Creò una sfera di luce e chiuse le tende alle finestre. «Impari in fretta», le disse. «Il tuo Controllo sulla magia aumenta sempre.» «Ho raggiunto il Controllo giorni fa», replicò Sonea. «Non me lo hai detto.» Stupito, Rothen si voltò a guardarla. Non vi era incertezza nella sua voce; in qualche modo lo aveva capito da sé. Appoggiandosi alla sedia, considerò la situazione. Se lui avesse negato, il risentimento della ragazza sarebbe solo aumentato quando avesse appreso la verità. Meglio spiegarle le ragioni di quel silenzio. Il che significava che aveva esaurito il tempo a disposizione. Non aveva ragione di trattenerla più a lungo: nel giro di un paio di giorni se ne sarebbe andata. Avrebbe potuto chiedere a Lorlen di ritardare il blocco, ma sapeva che lei non avrebbe cambiato idea in pochi giorni.
Annuì. «Alcune sedute fa ho pensato che avessi raggiunto un livello che considero normalmente adeguato per un novizio. Ho ritenuto che, nel tuo caso, fosse particolarmente importante valutare il Controllo sui tuoi poteri, dato che non ti saremmo stati vicini se qualcosa fosse andato storto.» Invece di cogliere sollievo, notò solo apprensione nello sguardo di Sonea. «Non che pensi che qualcosa andrà storto», la rassicurò. «Il tuo Controllo è...» «Ho intenzione di restare», dichiarò lei. Il mago la fissò, sbigottito. «Resti? Hai cambiato idea?» Sonea annuì. Rothen balzò in piedi. «È meraviglioso!» La ragazza lo guardò con occhi sgranati. Lui avrebbe voluto tirarla su e abbracciarla, ma sapeva che l'avrebbe solo spaventata. Andò invece verso l'armadio in fondo alla stanza. «Bisogna festeggiare!» le disse. Prese una bottiglia di vino di Pachi e due bicchieri e portò il tutto accanto alle sedie. Sonea lo osservò, immobile e silenziosa, mentre lui toglieva il tappo dalla bottiglia e versava un po' del liquore giallo e dolce nei bicchieri. Aveva la mano tremante quando prese il bicchiere. Rothen si calmò, consapevole che si sentisse confusa e anche un po' spaventata. «Che cosa ti ha indotto a cambiare idea?» Lei si morse il labbro e guardò altrove. «Voglio salvare la vita delle persone.» «Ah!» Il mago sorrise. «Allora sono stati i guaritori a colpirti di più.» «Sì», ammise la ragazza. Bevve un sorso e il suo viso s'illuminò di gioia. «Vino di Pachi!» «Lo avevi già bevuto?» Sonea sorrise. «Una volta un Ladro me ne ha data una bottiglia.» «Non mi hai mai raccontato molto dei Ladri. Non volevo farti domande, in caso pensassi che volessi informazioni da te.» «Non ho mai scoperto molto sul loro conto», replicò lei con una stretta di spalle. «Passavo gran parte del tempo da sola.» «Presumo che in cambio del loro aiuto volessero che usassi la magia.» Lei assentì. «Ma in realtà non ho mai dato al Ladro quello che voleva.» La sua fronte si aggrottò. «Mi chiedo... penserà che ho rotto il patto decidendo di restare qui?» «Lui non è stato in grado di aiutarti», sottolineò Rothen. «In che modo può pensare che tu rispetti l'accordo?»
«Si è dato molto da fare e ha chiesto un sacco di favori per nascondermi.» Il mago scosse la testa. «Non temere. I Ladri non ti daranno fastidio. Ci hanno detto loro dove trovarti.» Sonea sgranò gli occhi. «Mi hanno tradita?» Rothen si rabbuiò, turbato dalla rabbia che la ragazza aveva negli occhi. «Sì, purtroppo. Non credo ne avessero l'intenzione, ma era chiaro che i tuoi poteri stavano diventando pericolosi.» Lei guardò il bicchiere e meditò in silenzio per un po'. «Adesso che succede?» chiese all'improvviso. Rothen esitò, capendo che avrebbe dovuto spiegarle la richiesta di farle da tutore. Il pensiero di essere affidata a un mago che non conosceva o di cui non si fidava sarebbe forse bastato a farle cambiare di nuovo idea, ma doveva avvertirla di quell'eventualità. «Ci sono molte questioni da risolvere prima che tu giuri da novizia», le disse. «Devi essere in grado di leggere e scrivere bene, e bisogna insegnarti le regole basilari del calcolo. Dovrai anche conoscere regolamenti e usanze della Corporazione. Prima di questo, bisogna però risolvere il problema del tutore.» «Il problema del tutore?» Sonea si appoggiò alla sedia. «Hai detto che solo i novizi molto dotati hanno un tutore.» Rothen annuì. «Ho pensato fin dall'inizio che tu avessi bisogno del sostegno di un tutore. Dato che sei l'unica novizia che non proviene dalle Case, in qualche situazione potresti trovarti un po' in difficoltà. Avere un mago adatto a farti da tutore ti potrà aiutare a superare questi momenti, perciò ho chiesto che l'incarico mi venga affidato. «Ma non sono l'unico che desidera questo onore; c'è anche un altro mago, più giovane, di nome Fergun. Quando due maghi chiedono di diventare il tutore di un novizio, la Corporazione deve tenere un'Udienza per decidere a chi affidarlo. Le regole stabiliscono che l'onore venga riservato a quello che per primo ha notato le potenzialità magiche dell'allievo, perciò di solito è una decisione semplice.» Fece una smorfia e aggiunse: «Ma stavolta no. Non abbiamo scoperto i tuoi poteri con le prove consuete. Alcuni maghi ritengono che, avendoti vista per primo, sia stato io a individuare i tuoi poteri, altri dicono che sia Fergun, visto che è stato colpito dalla pietra e che ha sperimentato gli effetti della tua magia». Rothen sogghignò. «A quanto pare, la Corporazione ne sta discutendo da mesi.» Tacque per bere un altro sorso di vino. «L'Udienza si terrà dopo la prossima Assemblea, che sarà tra una settimana. Dopo, continuerai le lezioni con me oppure con
Fergun.» Sonea si rabbuiò. «Quindi non è il novizio che sceglie il suo tutore?» Rothen scosse la testa. «Allora sarà meglio che conosca questo Fergun», disse lei lentamente. «E scopra com'è.» Rothen la studiò con attenzione, stupito dalla calma con cui accettava la situazione. Avrebbe dovuto essere contento, pensò, eppure non poteva fare a meno di sentirsi un po' deluso; sarebbe stato più gratificante se lei avesse obiettato all'idea di essere sottratta alla sua guida e alla sua compagnia. «Posso organizzare un incontro, se lo desideri», replicò. «Lui vorrà conoscerti, come forse anche altri. Prima di allora, ti dovrò insegnare alcune regole e usanze della Corporazione.» La ragazza alzò lo sguardo con gli occhi luccicanti per la curiosità. Sollevato nel vederle tornare l'interesse, Rothen sorrise. «Prima di tutto c'è l'usanza d'inchinarsi.» L'espressione incuriosita di Sonea si tramutò in sgomento, e il mago ridacchiò, solidale. «Sì, l'usanza d'inchinarsi. Tutti i non maghi, tranne ovviamente i reali, si devono inchinare ai maghi.» Sonea fece una smorfia. «Perché?» «È un gesto di rispetto.» Rothen si strinse nelle spalle. «Per quanto possa sembrare stupido, alcuni di noi si offendono non poco se non ricevono l'inchino.» Lei socchiuse gli occhi. «E tu?» «Di solito no. Ma ci sono volte in cui qualcuno evita d'inchinarsi per fare volutamente uno sgarbo.» Sonea lo guardò sospettosa. «D'ora in poi vuoi che m'inchini davanti a te?» «Sì e no. Non mi aspetto che tu lo faccia in privato, ma dovresti inchinarti quando siamo fuori da questo appartamento, anche solo per abituarti all'usanza. Dovresti anche usare il titolo onorifico: Lord e Lady, tranne nel caso dei Direttori, degli Amministratori e del Sommo Lord, coi quali devi usare il titolo specifico.» Rothen sorrise vedendo la sua espressione. «Immaginavo non ti piacesse. Sarai anche cresciuta nelle classi più umili, ma hai l'orgoglio di un re.» Protendendosi, aggiunse: «Un giorno tutti s'inchineranno davanti a te, Sonea. Quello sarà ancora più difficile da accettare». Lei si accigliò, prese il bicchiere e lo scolò. «Come ti dicevo, ci sono anche alcune regole della Corporazione da osservare», proseguì Rothen, riempiendole di nuovo il bicchiere. «Vediamo se sono più facili da digerire.»
Rothen uscì poco dopo cena; per divulgare la notizia, pensò Sonea. Quando Tania cominciò a sparecchiare, la ragazza si avvicinò a una finestra. Si fermò a guardare la tenda che la copriva e per la prima volta si accorse che il complicato disegno stampato era composto da minuscoli simboli della Corporazione. Un tempo, la zia possedeva un vecchio paio di tende macchiate di muffa; erano della misura sbagliata per la finestra della loro stanza alla casa di soggiorno, ma lei le aveva messe comunque ai vetri. Quando il sole filtrava attraverso la carta, se ne ignoravano facilmente le crepe. Invece di provare la consueta violenta nostalgia al ricordo, Sonea sentì solo un vago desiderio di casa. Guardò gli arredi lussuosi, i libri e i mobili lucidati e sospirò. Avrebbe sentito la mancanza degli agi e del cibo, ma a quello era rassegnata. Lasciare Rothen invece non sarebbe stato tanto facile; amava la sua compagnia, le conversazioni, le lezioni, le comunicazioni mentali. Ero comunque intenzionata ad andarmene, si disse per la centesima volta. Solo che non immaginavo quanto avrei ricevuto qui. Il fatto di sapere che sarebbe stata scacciata dalla Corporazione le aveva fatto capire quanto avrebbe perso. Fingere di voler restare era fin troppo facile. Meglio che Fergun non sappia, pensò. Gli renderebbe molto più piacevole la vendetta. Il guerriero stava rischiando molto per vendicarsi dell'umiliazione subita. Doveva essere molto infuriato o molto sicuro di cavarsela. A ogni modo, era pronto a impegnarsi a farla espellere dalla Corporazione. «Lady Sonea?» Girandosi, Sonea scoprì Tania alle sue spalle. La cameriera stava sorridendo. «Volevo solo dirle che sono contenta che abbia deciso di restare. Sarebbe stato un vero peccato, se non lo avesse fatto.» Sonea si sentì arrossire violentemente. «Grazie, Tania.» La donna giunse le mani. «Sembra piena di dubbi. Sta facendo la cosa giusta. La Corporazione non prende mai una persona povera; sarà un bene che la vedano fare tutto quello che fanno loro, e con altrettanta cura.» Sonea sentì un brivido freddo correrle lungo la schiena. Non era una semplice questione di vendetta! La Corporazione non era obbligata a invitarla a entrare a farne parte.
Avrebbero potuto bloccarle i poteri e rimandarla nei bassifondi, ma non lo avevano fatto. Per la prima volta da secoli, i maghi avevano considerato l'idea di prendere qualcuno che non proveniva dalle Case. Le parole di Fergun le riecheggiarono nella mente. Quando avrai fatto un lavoretto per me, ti rimanderò nel posto da dove vieni. Nel posto da dove veniva? Aveva colto disprezzo nella sua voce, ma non ne aveva capito l'importanza. Fergun non voleva solo assicurarsi che lei non entrasse nella Corporazione ma pure che nessun dwell avesse mai la possibilità di farlo. Qualunque fosse il «lavoretto» che aveva in mente per lei, avrebbe dimostrato l'inaffidabilità dei dwell. La Corporazione non avrebbe mai più invitato un altro dwell a farne parte. Sonea si afferrò al davanzale col cuore che le batteva veloce per la rabbia. Stanno spalancando le porte a me, una dwell, e io volto loro le spalle come se niente fosse! Una ben nota sensazione d'impotenza la pervase a poco a poco. Non poteva restare: la vita di Cery dipendeva dalla sua decisione di andarsene. «Signora?» Sonea batté le palpebre e guardò Tania. La cameriera le posò con delicatezza una mano sul braccio. «Farà tutto per bene», la rassicurò. «Lord Rothen dice che lei è molto forte e che impara in fretta.» «Davvero?» «Oh, sì.» Tania sollevò la sua cesta carica di piatti. «Be', ci vediamo domani mattina. Non si preoccupi. Tutto andrà bene.» Sonea sorrise. «Grazie, Tania.» La cameriera le rivolse a sua volta un ampio sorriso. «Buonanotte.» «Buonanotte.» Tania sgusciò fuori dalla stanza e la lasciò sola. Sonea sospirò e guardò dalla finestra. Nevicava ancora e i fiocchi bianchi danzavano nella notte. Dove sei, Cery? Pensando al pugnale che Fergun le aveva mostrato, si rabbuiò. Era possibile che il mago avesse soltanto trovato l'arma, che non avesse rinchiuso Cery... Sonea si allontanò dalla finestra e si lasciò cadere su una sedia. Aveva tante cose cui pensare: Cery, Fergun, l'Udienza, la nomina del tutore. Nonostante le rassicurazioni di Tania, non avrebbe dormito molto nelle settimane seguenti.
Ogni Terzogiorno, Dannyl raggiungeva Yaldin e la moglie per cena. Ezrille aveva preso quell'abitudine anni prima quando, preoccupata perché il giovane mago era senza moglie, aveva cominciato a temere che soffrisse di solitudine passando ogni serata senza nessuno accanto. Mentre porgeva il piatto vuoto alla cameriera di Yaldin, Dannyl emise un lieve sospiro di soddisfazione. Non pensava che sarebbe mai caduto preda della tristezza temuta da Ezrille, ma era certamente meglio mangiare in compagnia che da soli. «Ho sentito girare delle voci su di te, Dannyl», disse Yaldin. Lui si accigliò, e ogni soddisfazione gli svanì dal volto. Fergun, di nuovo? «Oh, quali voci?» «L'Amministratore è rimasto tanto colpito dalle tue trattative coi Ladri che sta pensando di affidarti un incarico di ambasciatore.» Dannyl si raddrizzò e fissò il vecchio mago. «Sul serio?» Yaldin annuì. «Che ne pensi? Viaggiare ti attira?» «Io...» Dannyl scosse la testa. «Non ci avevo mai pensato. Io? Un ambasciatore?» «Sì.» Yaldin ridacchiò. «Non sei più giovane e pazzo come un tempo.» «Grazie», replicò caustico Dannyl. «Potrebbe essere una buona cosa per te», commentò Ezrille sorridendo. «Potresti persino tornare con una moglie.» Dannyl la fulminò con lo sguardo. «Non incominciare, Ezrille.» Lei si strinse nelle spalle. «Be', dato che ovviamente non c'è nessuna donna a Kyralia abbastanza in gamba per...» «Ezrille!» affermò Dannyl con tono severo. «L'ultima giovane donna che ho incontrato mi ha pugnalato. Sai che, quando si tratta di donne, sono più che sfortunato.» «Ma questo è ridicolo. Stavi cercando di catturarla, non di corteggiarla. A proposito, come sta Sonea?» «Rothen dice che sta facendo grandi progressi con le lezioni, anche se è ancora decisa ad andarsene. Ha fatto amicizia con Tania.» «Immagino si senta più a suo agio coi servitori che con noi», replicò Yaldin. «Non sono così lontani dal suo status quanto noi.» Dannyl trasalì. Un tempo non avrebbe obiettato a un'osservazione simile - anzi l'avrebbe approvata -, ma, dopo aver avuto modo di parlare con Sonea, gli sembrava ingiusta, persino offensiva. «A Rothen non piacerebbe sentirti dire una cosa del genere.» «No», convenne Yaldin. «Ma è l'unico a pensarla in quel modo. Il resto
della Corporazione ritiene che classe e status siano molto importanti.» «In questo momento che dicono?» Yaldin si strinse nelle spalle. «Abbiamo ormai superato il punto delle scommesse amichevoli sull'incarico del tutore. Molti pongono in dubbio l'opportunità di avere nella Corporazione una persona dall'incerto passato.» «Di nuovo? E per quale ragione stavolta?» «Rispetterà il giuramento?» disse Yaldin. «Avrà un'influenza negativa sugli altri novizi? Tu l'hai conosciuta. Che ne pensi?» Con una stretta di spalle, Dannyl si pulì le dita sporche di zucchero nel tovagliolo. «Sono l'ultimo cui dovreste chiedere. Mi ha pugnalato, ricordate?» «Non ci permetterai mai di dimenticarlo», osservò Ezrille. «Andiamo, dovrai aver notato qualcos'altro oltre a quello.» «Si esprime in modo rozzo, anche se non così male come mi aspettavo. Non conosce nessuna delle maniere cui siamo abituati. Non s'inchina e non dice 'mio signore'.» «Rothen glielo insegnerà quando sarà pronta», disse Ezrille. Yaldin sbuffò piano. «Sarà meglio lo faccia prima dell'Udienza.» «Dimenticate entrambi che non vuole restare. Perché prendersi la briga d'insegnarle l'etichetta?» «Forse sarebbe più semplice per tutti se se ne andasse davvero», disse Yaldin. Ezrille lanciò un'occhiata di rimprovero al marito. «Tu rimanderesti quella ragazza in mezzo alla povertà dopo averle mostrato tutta la ricchezza che c'è qui? Sarebbe crudele.» L'anziano mago si strinse nelle spalle. «Ovviamente no, ma è lei che vuole andarsene e, se lo farà, sarà più semplice per tutti. Per cominciare, non ci sarà nessuna Udienza, e l'intera faccenda di ammettere qualcuno esterno alle Case verrà dimenticata.» «Stanno sprecando fiato a discuterne», osservò Dannyl. «Sappiamo tutti che il re la vuole qui, sotto il nostro controllo.» «Allora non sarà troppo contento, se lei insiste nel volersene andare.» «No», convenne Dannyl. «Ma non può costringerla a fare il giuramento, se non vuole.» Yaldin si accigliò, poi guardò la porta quando qualcuno bussò. Fece un gesto lento con la mano e la porta si aprì. Rothen entrò nella stanza, raggiante. «Resterà!» «Be', questo sistema le cose», commentò Ezrille.
«Non tutte, Ezrille», ribatté il marito. «Abbiamo ancora l'Udienza di cui preoccuparci.» «L'Udienza?» chiese Rothen con un gesto noncurante. «Ci penseremo dopo. Adesso voglio festeggiare.» 27 DA QUALCHE PARTE SOTTO L'UNIVERSITÀ Raggomitolandosi su se stessa, Sonea sbadigliò e ripensò alla giornata trascorsa. Al mattino, l'Amministratore Lorlen le aveva fatto visita per chiederle della sua decisione e per spiegarle di nuovo del tutoraggio e dell'Udienza. Quando le aveva espresso la sua sincera gioia per il fatto che restasse, Sonea aveva provato un forte senso di colpa, sentimento che l'aveva accompagnata per tutto il corso della giornata. Anche altri erano venuti a trovarla. Prima Dannyl, poi il capo dei guaritori e un'anziana coppia amica di Rothen. Ogni volta che qualcuno aveva bussato alla porta, lei era entrata in agitazione aspettandosi la visita di Fergun, ma il guerriero non si era fatto vedere. Immaginando che non sarebbe venuto finché non fosse stata sola, Sonea aveva provato un misto di sollievo e angoscia quando Rothen era uscito dopo cena dicendo che avrebbe fatto tardi e che non era necessario che lo aspettasse. «Resterò qui per fare due chiacchiere, se vuole», propose Tania. Sonea le sorrise, grata. «Grazie, Tania, ma stasera preferisco stare sola.» La cameriera annuì. «Capisco.» Si girò verso il tavolo, poi si bloccò quando qualcuno bussò alla porta. «Devo aprire, signora?» Sonea assentì. Fece un respiro profondo e guardò mentre la cameriera apriva la porta. «Lady Sonea è in casa?» Udendo la voce, Sonea sentì lo stomaco contrarsi dal terrore. «Sì, Lord Fergun», rispose Tania, e guardò la ragazza. «Le chiedo se desidera riceverla.» «Fallo entrare, Tania.» Anche se il cuore aveva preso a batterle all'impazzata, Sonea riuscì a parlare con calma. Mentre la cameriera si scostava dalla porta, il mago con la tunica rossa entrò nella stanza. Chinando il capo, si mise una mano sul petto. «Sono
Fergun. Credo che Lord Rothen le abbia parlato di me.» Il suo sguardo guizzò su Tania per un istante. Sonea annuì. «Sì, lo ha fatto. Si vuole accomodare?» «Grazie», disse Fergun sedendosi con grazia. «Manda via quella donna.» Sonea deglutì e guardò Tania. «Hai altro da fare, Tania?» La cameriera guardò il tavolo, poi scosse il capo. «No, signora. Tornerò dopo per i piatti.» S'inchinò e uscì silenziosa dalla stanza. Quando la porta si richiuse, l'espressione cordiale di Fergun svanì. «Ho saputo solo stamattina che Rothen ha dichiarato che sei pronta. Ti ci è voluto un po' per dirglielo.» «Ho dovuto aspettare il momento giusto», replicò lei. «Altrimenti sarebbe sembrato strano.» Fergun la fissò, poi fece un gesto noncurante con la mano. «È fatta. Ora, solo per essere certo che tu abbia capito bene le istruzioni, voglio che me le ripeta.» Lei assentì e ripeté quello che lui le aveva detto. «Bene. Hai qualche domanda?» «Sì. Come faccio a sapere se Cery è davvero tuo prigioniero? L'unica cosa che ho visto è un pugnale.» Lui sorrise. «Ti dovrai fidare di me.» «Fidarmi di te?» Sonea sbuffò sonoramente e si sforzò di guardarlo negli occhi. «Voglio vederlo, altrimenti potrei essere costretta a chiedere all'Amministratore Lorlen se nella Corporazione il ricatto è un crimine.» Le labbra di Fergun si piegarono in un ghigno. «Non sei nella posizione di fare minacce.» «No?» Sonea si alzò, si avvicinò a grandi passi al tavolo e si versò un bicchiere d'acqua. Le tremavano le mani ed era contenta di dargli la schiena. «Conosco bene questo genere di ricatti. Ho vissuto coi Ladri, ricordi? Devi dimostrarmi di poter attuare la tua minaccia. L'unica cosa che ho visto è un pugnale. Perché dovrei credere che hai preso anche il suo possessore?» Si voltò a guardarlo e provò piacere nel vedere la sua espressione vacillare. Fergun strinse i pugni, poi lentamente annuì. Sonea sentì un brivido di esultanza, che tuttavia svanì subito. Non avrebbe acconsentito, se non avesse avuto Cery in suo possesso. Sapeva pure che, quando la vita di una persona veniva barattata con qualcosa, la parte più difficile era impedire al rapitore di uccidere la vittima non appena
aveva ottenuto ciò che voleva. Fergun si avvicinò alla porta, l'aprì e attese che Sonea uscisse. Quando lei mise piede in corridoio, due maghi si fermarono e la guardarono allarmati; poi si tranquillizzarono quando Fergun la raggiunse. «Rothen ti ha descritto gli edifici della Corporazione?» le domandò allegro il guerriero mentre iniziavano a scendere le scale. «Sì.» «Sono stati costruiti circa quattrocento anni fa», continuò, ignorandola. «La Corporazione era diventata troppo grande...» La settimana è terminata, finalmente! pensò Dannyl con gioia quando uscì dalla classe. Molti novizi non avevano considerato la possibilità che Sonea entrasse nella Corporazione. Ne avevano discusso per tutto il giorno, e il mago era stato costretto a punirne due quand'erano diventati una distrazione eccessiva per la classe. Con un sospiro mise sotto il braccio libri, carta e la scatola con l'occorrente per scrivere, avviandosi lungo il corridoio dell'Università. Quando giunse alla scala, si bloccò, incapace di credere a quello che vedeva sotto di lui: Fergun e Sonea erano appena entrati nell'edificio. Il guerriero si guardò intorno nell'atrio, poi controllò la rampa di scale. Dannyl arretrò un poco per evitare di essere visto e ascoltò il rumore dei passi sotto di lui svanire mentre i due imboccavano il corridoio del pianterreno. Cercando di fare meno rumore possibile, Dannyl scese le scale. Attraversò l'atrio, si avvicinò al corridoio e sbirciò dietro l'angolo: Fergun e Sonea erano a parecchi passi di distanza e stavano camminando veloci. Mentre li osservava, svoltarono in un passaggio laterale. Col cuore che gli batteva più forte, Dannyl imboccò il corridoio. Rallentò quando raggiunse il passaggio laterale rendendosi conto che era lo stesso in cui pochi giorni prima aveva visto Fergun infilarsi in gran fretta. Azzardò una rapida occhiata: il passaggio era deserto. S'incamminò, ascoltando con attenzione. Il lieve suono della voce di Fergun lo indirizzò verso una porta che conduceva ai corridoi interni dell'Università. Dannyl la superò e, seguendo la voce, percorse altri passaggi finché, all'improvviso, il suono non scomparve. Il silenzio gli fece venire la pelle d'oca. Fergun si era forse accorto di essere seguito? Stava aspettando che l'inseguitore lo raggiungesse? Mentre si avvicinava a una curva del corridoio, Dannyl imprecò. Diede
cauto un'occhiata dietro l'angolo e sospirò sollevato: il corridoio era vuoto. Si avviò in quella direzione, ma di lì a poco si ritrovò in una sorta di vicolo cieco. Una delle porte doveva condurre a una galleria che raggiungeva il corridoio principale; eppure, se Fergun fosse andato da quella parte, Dannyl avrebbe dovuto sentire chiudersi una porta. Non gli sembrava che il guerriero si fosse premurato di non fare rumore; ma forse lo aveva fatto, se aveva capito che qualcuno lo seguiva. Dannyl afferrò la maniglia della porta che conduceva al passaggio laterale e la girò. I cardini cigolarono sonoramente quando la porta si aprì, come a rassicurarlo che, se Fergun l'avesse varcata, lui se ne sarebbe accorto. Entrò nel passaggio e constatò che era deserto. Esplorando un po' più in là, notò che anche il corridoio principale era deserto. Perplesso, tornò sui suoi passi e provò le altre porte, ma non trovò traccia di Sonea né di Fergun. Scuotendo il capo, Dannyl tornò verso l'uscita con la testa piena di domande. Perché Fergun aveva portato Sonea fuori dall'appartamento di Rothen? Perché l'aveva condotta nei passaggi interni deserti dell'Università? Come potevano essere scomparsi? «Rothen?» «Dannyl.» «Dove sei?» «Nella Sala Notturna.» Dannyl si accigliò. Fergun aveva aspettato che Rothen non ci fosse per avvicinare Sonea. «Resta lì. Ti raggiungo.» Avvolgendosi meglio la coperta sulle spalle, Cery ascoltò il battere dei suoi denti. La temperatura della stanza era scesa lentamente nel corso dei giorni e ormai faceva tanto freddo che l'umidità sulle pareti si congelava. Sopra, da qualche parte, l'inverno strava stringendo la città nella sua morsa. Il mago gli portava una candela con ogni pasto, ma durava solo alcune ore. Quando il buio tornava, Cery dormiva o camminava su e giù per scaldarsi, contando i passi per non sbattere contro il muro. Teneva la bottiglia dell'acqua stretta al petto, per evitare che il liquido gelasse. Un lieve rumore attirò la sua attenzione. Cery si bloccò, certo di avere udito dei passi, ma vi fu solo silenzio. Con un sospiro, riprese a camminare.
Mentalmente si era immaginato un'infinità di possibili conversazioni col suo carceriere. Dopo il fallito tentativo di ucciderlo, aveva passato molte ore a valutare la situazione. Evadere dalla cella era impossibile, e per il mago lui non rappresentava la minima minaccia. La sua sorte era interamente nelle mani del carceriere. Sebbene sentisse l'amaro in bocca, sapeva che l'unica possibilità di scappare era legata alla sua capacità d'ingraziarselo, il che gli sembrava un compito impossibile: il mago non era incline al dialogo e lo guardava con palese disprezzo. Per il bene di Sonea, devo tentare. Sonea. Cery scosse la testa e sospirò. Era possibile che fosse stata costretta a dirgli che aveva bisogno della Corporazione per imparare a controllare i suoi poteri, ma ne dubitava. Non era apparsa tesa o spaventata, solo rassegnata. Aveva visto come i suoi poteri reagissero ai sentimenti che provava, quanto pericolosi fossero diventati. Non era difficile credere che alla fine l'avrebbero uccisa. Il che significava che portare Sonea dai Ladri era stata la peggiore decisione possibile. Messa in una situazione in cui era stata costretta a usare la magia ogni giorno, i suoi poteri erano cresciuti, cosa che aveva forse contribuito a farle perdere molto prima il controllo. Tuttavia alla fine lo avrebbe perso comunque, indipendentemente da quello che lui aveva fatto. Prima o poi la Corporazione l'avrebbe trovata, altrimenti sarebbe morta. Facendo una smorfia al buio, Cery pensò alla lettera che i maghi le avevano mandato, in cui sostenevano che non intendevano farle del male e le offrivano un posto tra loro. Sonea non vi aveva creduto e nemmeno Faren. Ma Cery aveva un vecchio conoscente tra la servitù della Corporazione: quell'uomo avrebbe potuto confermarglielo, eppure lui non glielo aveva chiesto. Non volevo sapere. Volevo che restassimo insieme, Sonea e io, a lavorare per i Ladri... o solo che restassimo insieme... Lei non era per i Ladri... né per lui. Lei possedeva la magia. Che le piacesse o no, Sonea apparteneva ai maghi. Provò una fitta di gelosia, che subito scacciò. Lì al buio aveva cominciato a interrogarsi sul suo odio per la Corporazione. Non poteva fare a meno di pensare che, se si erano dati tanta pena per salvare lei e molti abitanti dei bassifondi, non erano tanto indifferenti come pensavano i dwell. E quale miglior futuro poteva immaginare per Sonea? Avrebbe avuto
ricchezza, conoscenza e potere. Come poteva negarle tutto ciò? Non poteva, non aveva nessun diritto su di lei. Quella consapevolezza gli provocò un dolore simile a quello di un pugno in pieno petto. Aveva sentito un tuffo al cuore quand'era ricomparsa nella sua vita, ma lei non gli aveva mai manifestato qualcosa in più del calore dell'amicizia. Udendo un flebile rumore, il ragazzo s'immobilizzò. In lontananza percepiva un lieve scalpiccio sulla pietra, che si fece via via più forte. A mano a mano che i passi si avvicinavano, Cery arretrò per fare posto al mago. Dal passo svelto, stimò che andasse di fretta; i passi tuttavia non rallentarono davanti alla porta, ma proseguirono. Cery si fece avanti. Il suo carceriere era forse diretto altrove? O era qualcun altro? Corse alla porta e alzò la mano per battervi sopra, poi si bloccò in preda al dubbio. Se aveva ragione, e Fergun lo usava per ricattare Sonea, l'avrebbe messa in pericolo scappando e rovinando i piani del mago? Se Fergun si fosse scoperto troppo con Sonea, avrebbe potuto ucciderla per nascondere il suo crimine. Cery aveva sentito molte storie di rapimenti e ricatti finiti male, e rabbrividì al pensiero. Ormai i passi non si udivano più. Il ragazzo appoggiò la testa al muro e imprecò. Era troppo tardi. Lo sconosciuto se n'era andato. Con un sospiro, decise di cercare d'ingraziarsi Fergun, anche solo per scoprire i suoi piani. Ancora una volta si ripeté mentalmente le possibili conversazioni. Quando un rumore di passi giunse di nuovo alle sue orecchie, pensò di esserselo sognato. A mano a mano che si fece più netto, però, capì che era reale. Il cuore prese a battergli all'impazzata quando udì due serie di passi che si fermavano davanti alla porta. «Fermati. Siamo arrivati», disse la voce di Fergun. Con uno scatto della serratura, la porta si aprì. Una sfera di luce levitava sopra la testa di Fergun e abbagliò Cery. Nonostante l'intensità della luce, il ragazzo riconobbe la sagoma dell'altro visitatore e sentì un tuffo al cuore. «Sonea!» «Cery?» Sonea si portò le mani al viso e si tolse la benda. Batté le palpebre, sorrise ed entrò nella cella. «Stai bene? Non sei malato o ferito?» Lo scrutò da capo a piedi in cerca di ferite. Lui scosse la testa. «No, e tu?» «Sto bene.» La ragazza lanciò un'occhiata al mago, che li stava guardando incuriosito. «Fergun ti ha fatto del male?»
Cery riuscì ad abbozzare un sorriso ironico. «Solo quando me la sono voluta.» Lei inarcò le sopracciglia e, voltatasi, guardò Fergun con occhi socchiusi. «Lasciami un po' di tempo per parlargli a quattr'occhi.» Il mago esitò, poi si strinse nelle spalle. «D'accordo. Un paio di minuti, non di più.» Fece un gesto, e la porta si richiuse lasciandoli nel buio pesto. Cery sospirò. «Be', siamo intrappolati insieme.» «Non mi lascerà qui. Ha bisogno di me.» «Per che cosa?» «È complicato. Vuole che acconsenta a entrare nella Corporazione per farmi poi infrangere il giuramento e cacciare. Penso che sia il suo modo di vendicarsi di me per averlo steso durante l'Epurazione, ma credo pure che voglia convincere la Corporazione a non accogliere più dwell. Non importa. Se farò quello che dice, ti lascerà libero. Pensi che lo farà davvero?» Cery scosse la testa, pur sapendo che lei non lo poteva vedere. «Non lo so. Non è stato crudele. I Ladri si sarebbero comportati peggio.» Esitò, poi aggiunse: «Penso che non sappia come gestire la situazione. Dillo a qualcuno». «No», replicò lei. «Se lo dico a qualcuno, Fergun si rifiuterà di rivelare dove sei. Morirai di fame.» «Qualcuno dovrà pur sapere di questi passaggi.» «Potrebbero impiegare giorni a trovarti. Abbiamo camminato a lungo per arrivare qui. Potresti persino essere fuori dalla Corporazione.» «A me non sembrava lontano...» «No, Cery. Io non avevo intenzione di restare, perciò non ha senso rischiare la tua vita.» «Non avevi intenzione di entrare nella Corporazione?» «No.» Il battito del cuore di Cery accelerò. «Perché no?» «Per molte ragioni. Tutti odiano i maghi, tanto per cominciare. Unendomi a loro, mi sentirei come se tradissi la mia gente.» Lui sorrise. Agire in quel modo era proprio tipico di Sonea. Fece un respiro profondo e disse: «Sonea, tu devi restare. Devi imparare a usare la magia». «Ma tutti mi odieranno.» «No. La verità è che, se avessero anche solo mezza occasione, vorrebbero diventare dei maghi. Se rifiuti l'offerta della Corporazione, penseranno tutti che sei pazza o stupida. Se rimarrai, capiranno. Non vorrebbero che
rinunciassi.» Cery deglutì rumorosamente e si costrinse a mentire. «Io non voglio che rinunci.» Lei esitò. «Non mi odierai?» «No.» «Io lo farei.» «Le persone che ti conoscono non penseranno che sbagli», insistette l'amico. «Mi sentirei ugualmente come se avessi cambiato bandiera.» Cery sospirò. «Non essere sciocca. Se tu fossi un mago, potresti aiutare le persone. Potresti fare qualcosa per fermare l'Epurazione. La gente ti ascolterebbe.» «Ma... io appartengo a Jonna e Ranel. Loro hanno bisogno di me.» «No, non è vero. Se la cavano bene. Pensa quanto orgogliosi sarebbero. La loro nipote nella Corporazione.» Sonea batté un piede per terra. «Non importa, Cery. Non posso restare. Fergun ha detto che ti ucciderà. Non ho intenzione di abbandonare un amico per imparare qualche trucchetto.» Un amico. Cery si accasciò. Chiuse gli occhi ed emise un lungo sospiro. «Sonea, ricordi la notte in cui abbiamo spiato la Corporazione?» «Certo», rispose la ragazza. Cery sentì il sorriso nella sua voce. «Ti ho detto che conoscevo qualcuno, un servitore della Corporazione. Sarei potuto andare da quell'uomo e chiedergli di scoprire che progetti avesse la Corporazione su di te, ma non l'ho fatto. Sai perché?» «No.» «Non volevo scoprire che la Corporazione aveva davvero intenzione di aiutarti. Eri appena tornata da noi, e non volevo te ne andassi di nuovo. Non volevo perderti un'altra volta.» Lei non aprì bocca. Il suo silenzio non gli comunicò nulla. Cery deglutì. Aveva la bocca secca. «Qui ho avuto molto tempo per pensare», le spiegò. «Mi... be', mi sono detto che dovevo guardare in faccia la realtà. Non c'è niente tra noi, se non un'amicizia, quindi non è giusto che...» A Sonea sfuggì un lieve ansito. «Oh, Cery», sussurrò. «Non avevi mai detto niente!» Lui si sentì arrossire e fu contento di essere al buio. Trattenne il fiato e attese che lei parlasse, sperando che dicesse qualcosa per dimostrargli che provava gli stessi sentimenti o forse che lo toccasse...
Il silenzio si prolungò finché il ragazzo non poté più sopportarlo. «Be', non importa», le disse. «Quello che importa è che tu non appartieni ai bassifondi. Non da quando hai scoperto i tuoi poteri. Forse nemmeno qui ti sentirai del tutto a tuo agio, ma devi fare un tentativo.» «No», ribatté Sonea. «Devo tirarti fuori di qui. Non so fino a quando Fergun abbia intenzione di usarti per ricattarmi, ma non ti potrà tenere qui per sempre. Gli dirò che mi dovrà portare dei messaggi tuoi, così saprò che sei vivo. Se non lo farà, smetterò di collaborare. Ti ricordi la storia di Hurin il carpentiere?» «Certo.» «Faremo come lui. Non so quanto impiegherà Fergun a liberarti, ma...» S'interruppe quando udì lo scatto della porta che si apriva. La luce del mago le illuminò il volto, e Cery sentì una stretta al cuore. «Sei stata con lui abbastanza», affermò brusco Fergun. Sonea si girò verso Cery, lo abbracciò in fretta e si allontanò. Lui deglutì. In qualche modo, quel breve incontro gli aveva fatto più male del suo silenzio. «Copriti bene», gli disse lei. Arretrò e, superando Fergun, uscì nel passaggio. Quando la porta si richiuse, Cery si precipitò contro di essa e premette l'orecchio sulle superfici di legno. «Fa' quello che ti dico e lo rivedrai», disse Fergun. «Altrimenti...» «Lo so, lo so», replicò Sonea. «Ma tu ricorda quello che fanno i Ladri a chi non mantiene una promessa.» Sì, ricordaglielo bene, pensò Cery sorridendo mestamente. Dal momento in cui entrò nella Sala Notturna, fu chiaro che Dannyl era preoccupato per qualcosa. Allontanandosi da un crocchio di maghi curiosi, Rothen attraversò la stanza per andargli incontro. «Che c'è che non va?» «Non te ne posso parlare qui», rispose Dannyl con lo sguardo che guizzava di qua e di là. «Fuori, allora?» Uscirono sotto la neve che cadeva. I fiocchi bianchi svolazzavano tutt'intorno a loro e sfrigolavano quando toccavano lo scudo di Rothen. Dannyl si avvicinò alla fontana e si fermò. «Indovina un po' chi ho appena visto in Università.» «Chi?»
«Fergun e Sonea.» «Sonea?» Rothen provò una sensazione di angoscia, ma la scacciò. «Adesso ha diritto di parlarle, Dannyl.» «Di parlarle sì, ma di portarla fuori dal tuo appartamento?» Rothen si strinse nelle spalle. «Non ci sono regole che lo vietino.» «Non sei preoccupato?» «Sì, ma protestare non servirà a niente. È meglio che Fergun ecceda in ciò che è lecito piuttosto che io obietti a ogni sua mossa. Dubito che Sonea lo avrebbe seguito, se non avesse voluto.» Dannyl si accigliò. «Non vuoi sapere dove l'ha portata?» «Dove?» Sul volto del mago più giovane comparve un'espressione irritata. «Non ne sono certo. Li ho seguiti all'interno dell'Università. Fergun l'ha portata nei passaggi interni, dopodiché li ho persi. Sono letteralmente scomparsi.» «Davanti ai tuoi occhi?» «No. Sentivo Fergun parlare, poi tutto è diventato silenzioso. Troppo silenzioso. Avrei dovuto sentire passi, una porta che si chiudeva, qualcosa.» Ancora una volta, Rothen scacciò un senso di malessere. «Mi piacerebbe proprio sapere dove l'ha portata. Che cosa aveva da mostrarle in Università? Domani glielo chiederò.» «E se non te lo dirà?» Rothen fissò il terreno ricoperto di neve con aria meditabonda. I passaggi interni dell'Università conducevano a piccole stanze private, gran parte delle quali era vuota o chiusa a chiave. Non c'era nient'altro, tranne... «Non credo le abbia mostrato i tunnel sotterranei», mormorò. «Ma certo!» Gli occhi di Dannyl s'illuminarono, e Rothen si pentì subito delle sue parole. «È per quello!» «È molto improbabile. Nessuno sa dove siano gli ingressi tranne...» Dannyl non lo stava ascoltando. «Ora ha senso! Perché non ci ho pensato?» Si portò le mani alle tempie. «Be', ti suggerisco vivamente di restarne alla larga», disse Rothen. «La proibizione di usarli nasce da ragioni fondate. Sono vecchi e malsicuri.» L'amico inarcò le sopracciglia. «E che mi dici delle voci secondo cui un certo membro della Corporazione li userebbe regolarmente?» Rothen incrociò le braccia. «Lui può fare come crede, e sono sicuro che sia in grado di sopravvivere se un passaggio crollasse. Sono anche sicuro che non gradirebbe che tu ficcassi il naso da quelle parti. Che cosa gli diresti, se ti scoprisse laggiù?»
La luce negli occhi di Dannyl vacillò mentre rifletteva sulla questione. «Dovrei pianificare la cosa con cura. Accertarmi che sia altrove.» «Non ci pensare nemmeno», lo ammonì Rothen. «Ti perderesti.» «Non sarà peggio dei bassifondi, o no?» «Tu non ci andrai, Dannyl!» Ma Rothen sapeva bene che niente poteva trattenere l'amico quando s'incuriosiva, se non la minaccia di essere espulso, e la Corporazione non lo avrebbe cacciato per avere infranto un regola minore. «Pensaci bene, Dannyl. Non vorrai perdere la possibilità di diventare ambasciatore, vero?» Lui si strinse nelle spalle. «Se me la sono cavata quando ho trattato coi Ladri, dubito che susciterò grande disapprovazione andando a ficcare il naso sotto l'Università.» Sconfitto, Rothen si girò e si avviò verso la Sala Notturna. «Potrebbe essere così, ma a volte tutto dipende da chi ti disapprova.» 28 INIZIA L'UDIENZA «Non si preoccupi», le sussurrò Tania quando raggiunsero la parte anteriore dell'Università. «Andrà tutto bene. I maghi sono solo una banda di vecchi che preferiscono sorseggiare vino nelle loro stanze piuttosto che starsene seduti in una vecchia sala piena di spifferi. Sarà tutto finito prima ancora che inizi.» Sonea non poté fare a meno di sorridere alla descrizione che Tania aveva fatto della Corporazione. Inspirando profondamente, seguì la cameriera su per le scale del maestoso edificio. Quando varcarono l'enorme porta aperta, trattenne il fiato. Erano entrate in una sala piena di scale, tutte costituite da pietra e vetro fuso. Sembravano troppo fragili per reggere il peso di un uomo. Salivano e scendevano a spirale, intrecciandosi come sofisticati gioielli. «L'altro lato dell'Università non è così!» esclamò Sonea. Tania scosse la testa. «L'entrata posteriore è per i maghi e i novizi. Questo è l'ingresso dei visitatori, perciò è stato realizzato in modo da impressionarli.» La cameriera continuò nella sala e imboccò un breve corridoio. Davanti a sé, Sonea vide la metà inferiore di due grosse porte. Quando raggiunsero la fine del corridoio, si fermò e si guardò intorno meravigliata.
Erano sulla soglia di un immenso salone. Le pareti bianche s'innalzavano fino al soffitto di pannelli di vetro, che riluceva intenso alla luce dorata del sole pomeridiano. All'altezza di quello che sarebbe stato il terzo piano, il salone presentava una serie di balconate tanto fini che parevano sospese a mezz'aria. Di fronte a lei c'era un edificio. Un edificio dentro un altro edificio. Le pareti grezze di colore grigio contrastavano nettamente col bianco aereo del palazzo. Su tutta la loro lunghezza si apriva una fila di finestrelle, poste a intervalli regolari come soldati. «Questo è il Palazzo grande», disse Tania indicando il locale. «Quello invece è il Palazzo della Corporazione. Ha più di sette secoli.» «Quello è il Palazzo della Corporazione?» chiese Sonea scuotendo incredula il capo. «Pensavo l'avessero sostituito.» «No.» Tania sorrise. «Era costruito bene e ha un valore storico, perciò sarebbe stato un peccato demolirlo. Hanno abbattuto le pareti interne e l'hanno trasformato in sala.» Colpita, Sonea seguì la cameriera. Diverse altre aperture conducevano all'esterno del Palazzo grande. Tania indicò due porte sul lato del Palazzo della Corporazione. «Entrerà da lì. Adesso è in corso l'Assemblea. L'Udienza comincerà quando questa terminerà.» Sonea sentì di nuovo un rimescolio allo stomaco. Dentro c'erano cento maghi in attesa di decidere del suo destino, e lei doveva affrontarli tutti insieme... e ingannarli. Provò un'angoscia opprimente. E se, nonostante la sua collaborazione, Fergun non avesse vinto? Avrebbe lasciato andare Cery? Cery... Scosse la testa al ricordo della sua esitante confessione nella cella buia. Non volevo scoprire che la Corporazione aveva davvero intenzione di aiutarti. Eri appena tornata da noi, e non volevo te ne andassi di nuovo. Non volevo perderti un'altra volta. Era innamorato di lei. All'inizio era rimasta senza parole, ma quando aveva ripensato alle volte in cui l'aveva sorpreso a guardarla, al modo in cui a volte esitava quando le parlava e a come Faren si era talora comportato, quasi Cery non fosse soltanto un suo fedele amico, tutto aveva senso. Lei provava gli stessi sentimenti? Dal loro incontro si era posta la domanda un'infinità di volte, ma non era in grado di rispondere con certezza. Non si sentiva innamorata, ma forse la paura che l'attanagliava quando
pensava al pericolo che Cery stava correndo significava che lo era. O avrebbe provato la stessa preoccupazione per qualsiasi persona amata, per un amico come per un innamorato? Se lo avesse amato, non avrebbe provato gioia di fronte alla sua confessione? Non si sarebbe sentita gratificata dal fatto che avesse cercato di salvarla, invece che in colpa per il fatto che l'avessero catturato a causa sua? Di certo, se lo avesse amato, non si sarebbe posta quelle domande. Scacciando il pensiero dalla mente, fece un respiro profondo ed espirò lentamente. Tania le batté affettuosamente sulla spalla. «Per fortuna non ci vorrà molto, ma non si sa mai...» Nel palazzo riecheggiò un rumore secco, poi le porte che Tania aveva indicato si aprirono. Un mago uscì dall'edificio, seguito da un altro. Mentre altri ne uscivano, Sonea cominciò a chiedersi perché se ne andassero in tanti: l'Udienza era stata forse cancellata? «Dove vanno?» «Solo chi è interessato a seguire l'Udienza resta», spiegò Tania. Alcuni maghi abbandonarono il Palazzo grande, altri si radunarono in piccoli crocchi. Qualcuno la guardò con occhi pieni di curiosità. Turbata, la ragazza evitò i loro sguardi. «Sonea?» Lei trasalì. Poi guardò verso il Palazzo della Corporazione. «Rothen?» «È stata un'Assemblea di breve durata. Presto ti chiameranno.» Guardando verso le porte del Palazzo della Corporazione, Sonea ne vide emergere una figura scura. Quando la riconobbe, ebbe un tuffo al cuore. L'assassino! Lo fissò, certa che fosse l'uomo che aveva visto la sera che era andata a spiare la Corporazione: aveva la stessa espressione cupa e pensierosa che lei ricordava. La tunica nera sbatté mentre l'uomo attraversava la stanza; alcuni maghi si girarono e lo salutarono con un ossequioso cenno del capo. Sonea sapeva che, se avesse continuato a fissarlo, avrebbe attirato la sua attenzione, eppure non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Lo sguardo del mago guizzò verso di lei, si soffermò a osservarla per un istante, poi si spostò ancora. Sonea trasalì quando una mano le toccò la spalla. «È Lord Osen.» Tania stava indicando verso le porte del Palazzo della Corporazione. «L'assistente dell'Amministratore.» Era un giovane mago e la stava osservando. Quando incrociò il suo
sguardo, le fece un cenno. «Coraggio», le mormorò Tania battendole di nuovo sulla spalla. «Andrà tutto bene.» Sonea inspirò profondamente e si sforzò di attraversare il palazzo fino alla porta. Quando raggiunse il giovane mago, lui chinò educatamente il capo. «Salve, Sonea», disse. «Benvenuta nel Palazzo della Corporazione.» «Grazie, Lord Osen», replicò lei abbozzando prontamente un goffo inchino. Sorridendo, il mago le fece cenno di seguirla nel Palazzo della Corporazione. Un odore di legno e di lucido le investì i sensi quando entrarono. La sala sembrava più grande di quanto non apparisse dall'esterno, e le pareti si ergevano alte fino a un soffitto scuro. Sotto le travi levitavano diverse sfere luminose, che inondavano la stanza di luce dorata. Per tutta la lunghezza dell'edificio, su entrambi i lati, si estendevano gradinate in legno. Sonea sentì la bocca seccarsi quando vide uomini e donne in tunica che la osservavano. Deglutì e distolse lo sguardo. Osen si fermò e le indicò di restare dov'era, poi salì una ripida gradinata alla sua destra. Quelli, lei lo sapeva, erano i seggi dei maghi superiori. Rothen le aveva fatto uno schizzo della disposizione dei posti, in modo che lei potesse memorizzare i nomi e i titoli dei maghi. Alzando lo sguardo, Sonea vide che la fila in alto era vuota. Rothen le aveva assicurato che il re prendeva di rado parte alle cerimonie della Corporazione. Il suo seggio, in posizione centrale, era più grande degli altri e l'incal reale era ricamato sullo schienale imbottito. Immediatamente sotto vi era un seggio singolo, non occupato, notò Sonea con delusione: aveva sperato di poter scorgere il Sommo Lord. L'Amministratore Lorlen sedeva al centro della fila di mezzo. Ai suoi lati, i seggi erano vuoti. Lorlen stava parlando con Osen e con un uomo dal viso lungo sotto di lui, che portava una fusciacca nera sulla tunica rossa. Quello, si ricordò Sonea, era Lord Balkan, il capo dei guerrieri. A sinistra di Balkan sedeva la severa Lady Vinara, il capo dei guaritori, che aveva fatto visita a Rothen dopo che questi aveva annunciato che Sonea sarebbe rimasta. Alla sua destra vi era un uomo con un viso spigoloso e il naso grosso: Lord Sarrin, il capo degli alchimisti. Entrambi stavano fissando attentamente Lorlen. Nella fila inferiore di seggi sedevano i maghi che controllavano e orga-
nizzavano le lezioni all'Università. Solo due seggi erano occupati. Sonea si accigliò mentre cercava di ricordare perché, poi guardò Lord Balkan. Il guerriero ricopriva due posizioni, ecco perché. I maghi superiori si voltarono a guardare la sala. Alzandosi, l'Amministratore Lorlen sollevò il mento e controllò i presenti. «Sta per iniziare l'Udienza per la nomina del tutore di Sonea», annunciò. «I due candidati, Lord Rothen e Lord Fergun, si avvicinino, per favore.» Udendo uno scalpiccio di stivali, Sonea guardò le file di maghi e scorse una figura familiare. Rothen si fermò a pochi passi da Osen e le sorrise. La ragazza provò un'inattesa sensazione di affetto, e fece per sorridergli in risposta; poi si ricordò di ciò che si accingeva a fare e abbassò lo sguardo. Rothen sarebbe rimasto così deluso da lei... Un'altra serie di passi riecheggiò nella sala. Sonea sollevò lo sguardo e vide che Fergun si era fermato a poca distanza da Rothen. Anche lui le sorrise. Sonea represse un brivido e guardò invece l'Amministratore. «Sia Lord Rothen sia Lord Fergun hanno chiesto di diventare il tutore di Sonea», disse Lorlen ai presenti. «Ognuno ritiene di essere stato il primo mago a riconoscere le sue potenzialità. Ora dobbiamo decidere quale richiesta onorare. Affido le procedure dell'Udienza al mio assistente, Lord Osen.» Il giovane che l'aveva condotta nella stanza fece un passo in avanti. Inspirando profondamente, Sonea fissò il pavimento e cercò di farsi coraggio per quello che l'attendeva. «Lord Rothen.» L'anziano mago si voltò a guardare Osen. «Ci può raccontare, per favore, i fatti che l'hanno indotta a identificare Sonea come un potenziale mago?» Annuendo, Rothen si schiarì la gola. «Il giorno in cui ho notato i poteri di Sonea, il giorno dell'Epurazione, ero accanto a Lord Fergun. Eravamo arrivati in piazza del Nord e stavamo contribuendo a mantenere lo scudo. Come sempre, un gruppo di giovani cominciò a tirare sassi. «In quel momento ero di fronte a Lord Fergun. Lo scudo era a circa tre passi da noi, alla mia sinistra. Con la coda dell'occhio vidi un lampo accanto a esso e contemporaneamente lo sentii vacillare. Scorsi un sasso volare in aria, poco prima che colpisse Lord Fergun alla tempia e gli facesse perdere i sensi.» Rothen tacque e guardò Fergun. «Lo afferrai mentre cadeva. Quando fu steso a terra, al sicuro, cercai d'individuare chi avesse scagliato
il sasso. In quell'istante vidi Sonea.» Osen fece un passo verso di lui. «Quindi era la prima volta che la vedeva?» «Sì.» Osen incrociò le braccia. «L'ha vista usare la magia in qualche momento?» Rothen esitò. «No», ammise con riluttanza. Tra i maghi seduti alla sua destra si levò un lieve mormorio, che subito svanì quando Lord Osen guardò nella loro direzione. «Come sapeva che era stata lei a lanciare il sasso che ha oltrepassato lo scudo?» domandò l'assistente di Lorlen. «Ho calcolato la direzione da cui quello era arrivato e ho ipotizzato che fosse stato lanciato da uno dei due giovani», spiegò Rothen. «Il più vicino, un ragazzo, non stava nemmeno prestando attenzione. Sonea invece si stava fissando le mani, sorpresa. Mentre la osservavo, mi guardò, e dalla sua espressione capii che era stata lei a tirare la pietra.» «E ritiene che Lord Fergun non possa averla vista prima di quel momento?» «No, quel giorno Lord Fergun non era assolutamente in grado di vedere Sonea, data la sfortunata natura della sua lesione», rispose caustico Rothen. Nella sala riecheggiarono alcuni sogghigni e colpi di tosse. Lord Osen annuì. Poi si allontanò e si fermò davanti al guerriero. «Lord Fergun, ci vuole raccontare i fatti di quel giorno, dal suo punto di vista?» Fergun chinò il capo con grazia. «Stavo contribuendo a mantenere lo scudo in piazza del Nord, come ha detto Rothen. Un gruppo di giovani si avvicinò e cominciò a tirarci sassi. Notai che erano una decina, e tra loro c'era una ragazza», disse Fergun lanciando un'occhiata a Sonea. «Pensai che si stesse comportando in modo strano, perciò, quando mi girai, continuai a osservarla con la coda dell'occhio. Quando lanciò la pietra, ovviamente non vi badai finché non scorsi un lampo di luce, e capii che doveva avere fatto qualcosa per infrangere la barriera.» Sorrise e aggiunse: «La cosa mi stupì tanto che, invece di deviare il sasso, come prima reazione restai a guardarla per avere conferma che fosse stata davvero lei». «Quindi ha capito che Sonea aveva usato la magia dopo che il sasso aveva oltrepassato lo scudo e prima che la colpisse?» «Sì», rispose Fergun. La sala riecheggiò di voci mentre si discuteva di quel particolare. Strin-
gendo i denti, Rothen represse a stento il desiderio di fissarlo negli occhi. La sua versione era menzognera: Fergun non aveva mai guardato in direzione di Sonea. Rothen le lanciò una rapida occhiata. Se ne stava tranquilla nell'ombra, con le spalle curve. Si augurò che comprendesse quanto fosse importante la sua testimonianza. «Lord Fergun.» La sala tacque udendo la nuova voce. Rothen alzò lo sguardo verso Lady Vinara. La guaritrice stava osservando Fergun col suo famoso sguardo imperturbabile «Se stava guardando Sonea, come mai la pietra l'ha colpita alla tempia destra? Questo per me indica che in quel momento stesse guardando Rothen.» Fergun annuì. «È successo tutto molto in fretta, signora. Ho visto il lampo e lanciato un'occhiata a Sonea. È stata solo un'occhiata fugace... e ricordo che volevo chiedere al mio compagno se avesse visto ciò che aveva fatto quella ragazza.» «Non ha nemmeno tentato di schivare il sasso?» chiese Lord Balkan con tono incredulo. Fergun sorrise mestamente. «Non sono abituato a essere bersagliato da sassi. Credo che la sorpresa abbia preso il sopravvento sull'istinto di schivarlo.» Lord Balkan guardò i maghi al suo fianco ed ebbe in risposta lievi scrollate di spalle. Dal momento che non vi furono altre domande, Osen annuì. Si voltò allora verso Rothen. «Lord Rothen, ha visto Fergun guardare Sonea tra il momento in cui il sasso oltrepassava lo scudo e il momento in cui lo colpiva?» «No», rispose Rothen sforzandosi di non lasciar trapelare la rabbia nella sua voce. «Stava parlando con me. La pietra gli ha impedito di terminare la frase.» Osen inarcò le sopracciglia e guardò i maghi superiori, poi il pubblico. «Qualcuno ha una versione che contraddica o aggiunga qualcosa a quanto abbiamo sentito?» In risposta ebbe solo silenzio. Annuendo lentamente, Osen tornò a guardare Sonea. «Chiamo Sonea a testimoniare sui fatti.» La ragazza uscì dall'ombra, dalla parte laterale della sala, e avanzò fino a porsi ad alcuni passi da Fergun. Guardò i maghi superiori e fece un rapido inchino. Vedendola, Rothen provò un senso di empatia. Poche settimane prima
era terrorizzata da lui e in quel momento affrontava una sala piena di maghi che la osservavano attenti. Osen le rivolse un breve sorriso d'incoraggiamento. «Sonea, raccontaci per favore la tua versione dei fatti di cui stiamo discutendo.» Lei deglutì e fissò il pavimento. «Ero con altri ragazzi. Loro stavano lanciando pietre. Io di solito non faccio cose simili... di solito sto con mia zia.» Sollevò lo sguardo e arrossì, poi proseguì concitata: «Non ho iniziato subito a lanciare sassi, credo di essermi lasciata trascinare. Ricordo che ero... arrabbiata, perciò quando ho tirato la pietra ho messo tutta la rabbia che avevo in corpo. Dopo mi sono accorta di avere fatto qualcosa, ma in quel momento tutto era così... disorientante». Si fermò e sembrò ricomporsi. «Quando ho lanciato il sasso, quello ha superato la barriera. Lord Fergun mi ha guardata, poi il sasso lo ha colpito e Ro... e Lord Rothen lo ha afferrato. Il resto dei maghi stava guardando in altre direzioni. Ho visto Lord Rothen che mi fissava, dopodiché sono scappata.» Rothen, incredulo, fu pervaso da un brivido freddo. Fissò Sonea, ma gli occhi di lei rimasero puntati sul pavimento. Lanciò un'occhiata a Fergun e vide un sorriso furbesco piegargli le labbra. Quando questi si accorse di essere osservato, all'istante il sorriso svanì dal suo volto. Impotente, Rothen poté solo stringere i pugni mentre il resto della Corporazione esprimeva il suo assenso. Un'ondata di rabbia, incredulità e risentimento travolse la mente di Dannyl. Il mago si fermò, allarmato. «Cosa c'è che non va, Rothen?» «Ha mentito! Ha sostenuto la menzogna di Fergun!» «Attento», lo avvertì Dannyl. «Ti sentiranno.» «Non m'importa. So che Fergun mente!» «Forse è così che lei ha visto le cose.» «No. Fergun non l'ha mai guardata. Io gli stavo parlando, ricordi?» Dannyl sospirò e scosse la testa. Avrebbe dovuto essere contento perché Rothen aveva finalmente capito la vera natura di Fergun, ma come poteva? Fergun aveva vinto di nuovo. O no? «Hai trovato niente?» gli chiese Rothen. «No, ma sto ancora cercando.» «Ci serve più tempo. Con Sonea che sostiene Fergun, probabilmente prenderanno una decisione nei prossimi minuti.» «Ritardala.» «Come?»
Dannyl tamburellò le dita sul muro. «Chiedi di parlarle.» L'aura di Rothen svanì quando la sua attenzione ritornò all'Udienza, Con una smorfia, Dannyl guardò le pareti tutt'intorno. Ogni mago sapeva che c'erano accessi ai passaggi sotterranei dell'Università, e lui supponeva fossero ben nascosti altrimenti i novizi si sarebbero fatti costantemente beffe della regola. Come aveva immaginato, la semplice ricerca delle gallerie non aveva dato frutti. Era certo che, se avesse continuato a studiare le pareti con cura, alla fine avrebbe scoperto qualcosa; ma non vi era tempo per farlo. Aveva bisogno di un altro indizio, di impronte, per esempio. I tunnel sotterranei probabilmente erano ricoperti di terra; Fergun doveva aver lasciato qualche prova. Con gli occhi puntati a terra, Dannyl ripercorse il corridoio. Svoltando un angolo, sbatté contro una figura bassa e rotonda. La donna emise un lieve verso di sorpresa, poi arretrò con una mano sul cuore. «Mi perdoni, mio signore!» S'inchinò, e l'acqua nel secchio che portava sciaguattò. «Camminava in modo così silenzioso che non l'ho sentita arrivare.» Il mago guardò il secchio e soffocò un gemito. Le prove dei passaggi di Fergun venivano regolarmente rimosse dalla servitù. La donna lo superò e proseguì lungo il corridoio. Osservandola, gli venne in mente che probabilmente sapeva più lei dei passaggi interni dell'Università di qualsiasi mago. «Aspetta!» gridò Dannyl. La donna si fermò. «Sì, mio signore?» «Pulisci sempre questa parte dell'Università?» Lei assentì. «Hai dovuto pulire qualcosa d'insolito? Impronte di fango, per esempio?» Le labbra della donna si assottigliarono. «Qualcuno ha lasciato cadere del cibo sul pavimento. I novizi non possono portare cibo qua sotto.» «Cibo, eh? Dov'era caduto?» La donna lo guardò in modo strano, poi lo condusse davanti a un quadro, più in fondo lungo il corridoio. «Era anche sul quadro», disse. «Come se lo tenessero in mano.» «Capisco.» Dannyl socchiuse gli occhi e fissò il dipinto. Ritraeva una spiaggia, e la cornice aveva incise minuscole conchiglie spiraliformi. «Grazie», le disse. «Puoi andare.»
La donna gli fece un rapido inchino e si allontanò in fretta. Dannyl esaminò con cura il quadro, poi lo sollevò dal muro. Dietro c'era la consueta pannellatura di legno dei corridoi. Vi passò la mano, estese i sensi e trattenne il fiato quando percepì alcune strutture metalliche. Seguendone la sagoma, trovò una sezione del pannello che cedette al tocco. Subito dopo udì un lieve rumore di scivolamento, e una sezione della parete si spostò di lato. Il mago si ritrovò davanti buio e aria fredda. In preda al fervore e all'eccitazione, rimise a posto il quadro e creò una sfera di luce; dopodiché, entrò. Alla sua sinistra, una stretta scala scendeva nel sottosuolo. Dannyl trovò una leva all'interno della porta, la azionò e la porta si richiuse. Il passaggio era stretto, e lui dovette chinarsi per evitare di toccare con la testa il soffitto. Alcune tele di faren pendevano agli angoli. Quando raggiunse il primo tunnel laterale, Dannyl mise una mano in tasca ed estrasse un vasetto contenente una pasta colorata. Lo stappò e passò un po' del suo contenuto sulle pareti al suo fianco. Nel giro di qualche ora, la pasta da bianca si sarebbe trasformata in una patina dura e trasparente: era un segno di orientamento che ben presto sarebbe risultato invisibile. Ma, anche se avesse impiegato alcune ore a compiere l'esplorazione, sarebbe sempre stato in grado di trovare l'uscita basandosi su quella patina trasparente. Guardò in basso e rise forte. Nello spesso strato di terra si vedevano chiaramente delle impronte. Si accucciò e identificò le familiari orme degli stivali dei maghi. Dal numero di tracce, era chiaro che qualcuno aveva percorso quella galleria più volte. Si alzò e seguì le impronte per parecchie centinaia di passi. Quando giunse a un passaggio laterale, restò sgomento nel vedere che quelle proseguivano sia lungo il tunnel principale sia lungo quello laterale. Si accovacciò di nuovo e le esaminò con attenzione. In quello laterale vi erano solo quattro serie di orme, due di stivali da mago e due di scarpe più piccole. Le impronte della galleria principale erano più recenti e numerose. In quel momento, un lieve suono giunse alle sue orecchie: un sospiro decisamente umano. Dannyl s'immobilizzò e sentì un brivido gelido salirgli su per la schiena. Il buio al di là della sua sfera di luce sembrava fitto e pregno di sgradevoli possibilità. Poi, d'un tratto, fu certo che qualcosa lo stesse osservando. È ridicolo, si disse. Laggiù non c'è niente. Fece un respiro profondo, si alzò e si sforzò di guardare solo le impron-
te. Avanzò e le seguì per altri cento passi trovando ulteriori gallerie laterali con impronte più vecchie. Di nuovo ebbe l'inquietante certezza di essere seguito. Oltre ai suoi passi, altri riecheggiavano più lievi. La flebile brezza portò con sé un odore di marcio e di qualcosa di vivo ma sporco... Girò un angolo, e le sue fantasie svanirono. Davanti a lui, a una ventina di passi, le impronte terminavano di fronte a una porta. Dannyl fece un passo in avanti, poi s'irrigidì dal terrore quando una sagoma sbucò dal passaggio laterale al suo fianco. «Lord Dannyl. Posso sapere per quali ragioni è venuto qui?» Mentre fissava l'uomo, la mente di Dannyl sembrò dividersi in due: una parte balbettava scuse, l'altra assisteva impotente mentre la prima gli faceva fare la figura dell'idiota. Ai margini della sua mente, un'aura familiare stava proiettando un messaggio di solidarietà e nel contempo di compiacimento. «Te l'avevo detto di non andare laggiù», gli comunicò Rothen. Nel silenzio senza luce, il rumore del suo stomaco che brontolava era forte. Cery si sfregò il ventre e continuò a camminare su e giù. Era sicuro che fosse passato più di un giorno dall'ultimo pasto, il che significava che era passata una settimana da quando aveva visto Sonea. Si appoggiò alla porta e augurò a Fergun tutte le malattie più disgustose che gli venivano in mente. Tra una parola e l'altra, udì un rumore di passi e s'immobilizzò. Il suo stomaco brontolò sonoramente, speranzoso. I passi erano più lenti, quasi per provocarlo; si avvicinarono, poi si fermarono. Un debole vociare giunse alle sue orecchie: erano due voci, entrambi maschili. Inspirò bruscamente e premette l'orecchio alla porta. «... i tunnel sono estesi. È facile perdere l'orientamento. Alcuni maghi si sono persi per giorni e sono tornati quasi morti di fame. Le suggerisco di tornare da dov'è venuto.» La voce era severa e sconosciuta. Un'altra voce replicò. Cery colse solo alcune parole, ma sentì abbastanza da capire che l'altro mago si stava scusando. Anche quella voce gli era sconosciuta, ma immaginava che, se avesse balbettato, anche Fergun avrebbe parlato con tono flebile e stridulo. Evidentemente il mago severo non approvava che Fergun girasse nelle gallerie. E probabilmente non avrebbe nemmeno approvato che vi tenesse dei prigionieri. Tutto ciò che lui doveva fare, pensò Cery, era gridare o pe-
stare sulla porta, e la trappola di Fergun sarebbe stata scoperta. Sollevò il pugno, ma si bloccò quando le voci s'interruppero. Una serie di passi si allontanò in fretta mentre un'altra si avvicinava. Cery si morse il labbro e arretrò dalla porta. Quale mago era? Fergun oppure lo sconosciuto severo? La serratura scattò. Cery si riparò contro la parete più lontana. Mentre la porta si apriva, la luce riempì la stanza e il ragazzo chiuse gli occhi di fronte al bagliore. «Chi sei tu?» tuonò una voce ignota. «Che fai quaggiù?» Cery aprì gli occhi, e il senso di sollievo si tramutò in stupore quando riconobbe l'uomo sulla soglia. 29 VIVERE TRA I MAGHI «Ha detto che lo faceva perché nessuno pensi più che un dwell possa diventare un mago», concluse Cery. Il mago socchiuse gli occhi. «Questo sembra proprio un atteggiamento da Fergun.» Quando i suoi occhi scuri si posarono di nuovo su Cery, aveva la fronte lievemente aggrottata. «L'Udienza si sta svolgendo proprio in questo momento. Posso svelare i crimini di Fergun solo se ho la prova che sia l'uomo di cui parli.» Cery sospirò e si guardò intorno. «Non ho niente tranne le cose che mi ha dato, ma lui ha il mio coltello e i miei strumenti. Se li trova, non basta?» L'uomo scosse lentamente la testa. «No. Quello che mi serve è nei tuoi ricordi. Mi consenti di leggerti la mente?» Cery fissò il mago. Leggergli la mente? Aveva dei segreti, cose che il padre gli aveva raccontato, cose che Faren gli aveva detto e cose che persino Faren sarebbe rimasto sorpreso di sapere. E se il mago le avesse viste? Non poteva permettere che qualche vecchio segreto gli impedisse di salvarla, e forse il mago non lo avrebbe visto comunque. Deglutendo per controllare la paura, Cery lo guardò. «Certo, lo faccia pure.» Il mago lo osservò serio in volto. «Non proverai fastidio né dolore. Chiudi gli occhi.» Cery fece un respiro profondo e obbedì. Sentì le sue dita toccargli le tempie, e d'un tratto avvertì la presenza di un'altra mente. Sembrava spo-
starsi lenta dietro la sua. Poi una voce parlò... da qualche parte. «Pensa al giorno in cui la tua amica è stata catturata.» Un ricordo gli balenò davanti agli occhi; l'altra mente parve coglierlo e stabilizzarlo. Cery si ritrovò in un vicolo pieno di neve. Era come una visione, chiara e nello stesso tempo priva dei dettagli. Vide Sonea fuggire e sentì un'eco della paura e della disperazione che lui stesso aveva provato sbattendo contro la barriera invisibile che li separava. Si girò, e alle sue spalle vide un uomo con un mantello. «Questo è l'uomo che ti ha preso?» Cery annuì. «Mostrami come.» Di nuovo un ricordo gli balenò nella mente; il mago lo colse e glielo fece rivivere. Cery all'esterno degli alloggi dei maghi che guardava Sonea. Fergun apparve, lo inseguì e lo catturò. Apparvero il mago con la tunica blu e il suo compagno, e portarono Cery da Sonea. Il ricordo correva veloce. Ora stava lasciando Sonea e camminando negli alloggi dei maghi. Fergun gli stava proponendo di passare dall'Università. Entravano nell'edificio e percorrevano le gallerie. Poi Fergun apriva la porta segreta e lo costringeva a entrare. Cery aveva la benda sugli occhi e udiva il rumore dei suoi passi mentre camminava nel tunnel sotterraneo. Era di fronte alla cella, entrava e sentiva la porta chiudersi... «Quando lo hai rivisto?» Seguirono i ricordi delle visite del mago. Cery si vide mentre veniva perquisito e derubato dei suoi beni, quindi rivisse la fallita aggressione e la guarigione. Vide Sonea entrare nella stanza e udì ancora una volta la conversazione che aveva avuto con lei. Dopodiché, l'altra mente lo sfiorò e parve scomparire. Cery sentì le dita del mago allontanarsi dalle tempie e riaprì gli occhi. Il mago annuì. «Questo basta e avanza. Vieni con me. Dobbiamo fare in fretta, se vogliamo partecipare all'Udienza.» Si girò sui tacchi e uscì a grandi passi dalla stanza. Cery lo seguì e, quando mise piede all'esterno della cella, si sentì pervadere da un senso di sollievo. Si guardò indietro una volta, poi si affrettò a seguire il suo salvatore, che camminava svelto nel tunnel costringendolo a trotterellare per stargli dietro. La galleria ne incrociava un'altra e poi tante altre ancora; nessuna gli sembrava familiare.
Raggiunsero una breve rampa di scale. Il mago le salì, poi si chinò a fissare il muro. Vedendo un puntino di luce intorno al suo occhio, Cery intuì fosse uno spioncino. «Grazie per avermi aiutato», disse. «Non c'è probabilmente niente che un comune Ladro possa fare in cambio, ma se ha bisogno di qualcosa chieda pure.» Il mago si raddrizzò e si girò a guardarlo con aria seria. «Sai chi sono?» Cery si sentì arrossire. «Naturalmente. Non c'è niente di cui persone come voi possano aver bisogno da uno come me. Però mi sembrava giusto dirglielo.» Un vago sorriso apparve sulle labbra del mago. «Parli sul serio?» D'un tratto a disagio, Cery spostò il peso da un piede all'altro. «Certo», mormorò con riluttanza. Il sorriso dell'uomo si fece un po' più pronunciato. «Non ti costringerò a fare un patto con me. Al di là di quello che dici, le azioni di Fergun devono essere denunciate e punite. La tua amica sarà libera di andare, se è questo quello che vuole.» Tacque per un istante e socchiuse lievemente gli occhi. «Ma un giorno, in futuro, potrei contattarti. Non ti chiederò niente che esuli dalle tue capacità o che comprometta la tua posizione tra i Ladri. Sarai tu a decidere se quello che ti chiedo sarà accettabile. Ti sembra ragionevole?» Cery abbassò lo sguardo. Quello che gli stava proponendo era più che ragionevole. Si ritrovò ad assentire. «Sì.» Il mago tese la mano. Prendendogliela, Cery notò che aveva una stretta forte. Guardò negli occhi dell'uomo e fu lieto di vedere che il suo sguardo scuro era fermo. «D'accordo!» esclamò Cery. «D'accordo», ripeté il mago, che si girò quindi verso il muro. Dopo avere controllato di nuovo dallo spioncino, afferrò una leva e tirò. Un pannello scivolò di lato. Il mago uscì, seguito dalla sua luce. Cery gli andò dietro e si ritrovò in una stanza spaziosa, con un lungo tavolo e alcune sedie disposte davanti a esso. «Dove sono?» «Nell'Università», rispose l'uomo rimettendo a posto il pannello. «Seguimi.» Il mago attraversò la stanza e aprì una porta. Seguendolo, Cery capitò in un ampio corridoio. Due maghi con la tunica verde si fermarono a guardarlo, poi osservarono la sua guida. Batterono le palpebre per la sorpresa, poi chinarono il capo in segno di rispetto. Ignorandoli, il mago raggiunse il fondo del corridoio con Cery alle cal-
cagna. Quando superarono una porta, il ragazzo alzò lo sguardo e restò senza fiato. Erano entrati in una stanza piena d'incredibili scale a chiocciola. Da un lato, le porte dell'Università erano spalancate e mostravano il terreno ricoperto di neve e una vista della Cerchia interna. Cery si girò su se stesso, poi si accorse che il mago era già parecchi passi più in là, nel corridoio. «Harrin non mi crederà mai», borbottò mentre si affrettava a seguirlo. «Non è quello che è successo», disse Rothen. Sonea distolse lo sguardo. «So quello che ho visto. Vuoi che menta?» Le parole le lasciarono un sapore amaro in bocca. Deglutì e cercò di assumere un'aria perplessa. Rothen la fissò, poi scosse la testa. «No, non lo vorrei mai. Se venisse fuori che oggi hai mentito, molti metterebbero in dubbio l'opportunità di ammetterti nella Corporazione.» Ho dovuto farlo, pensò Sonea. Rothen emise un sospiro. «Allora, è davvero così che ricordi i fatti?» «L'ho detto, no?» Sonea gli lanciò un'occhiata implorante. «Non rendermi la cosa più difficile di quella che è.» L'espressione del mago si addolcì. «Va bene. Forse quel giorno non mi sono accorto di qualcosa. È un peccato, ma non ci si può fare niente.» Scosse di nuovo la testa. «Mi mancheranno le nostre lezioni, Sonea. Se c'è...» «Lord Rothen.» Si girarono entrambi e videro Osen avvicinarsi. Rothen sospirò e tornò al suo posto. Quando Fergun si avviò nella sua direzione, Sonea represse un gemito. Nel momento in cui Rothen aveva chiesto un po' di tempo per parlarle, Fergun si era precipitato a fare lo stesso. Che cosa aveva intenzione di dirle? Ormai lei voleva solo che l'Udienza finisse. Una volta al suo fianco, Fergun le rivolse un sorriso stucchevole. «Sta andando tutto come previsto?» «Sì.» «Bene», replicò il mago con voce cantilenante. «Molto bene. La tua storia era convincente, pur se raccontata un po' male. Era però di un'onestà accattivante.» «Sono contenta ti sia piaciuta», ribatté lei, fredda. Fergun guardò i maghi superiori. «Dubito che vogliano discuterne anco-
ra. Presto prenderanno la loro decisione. Dopo, ti troverò una stanza negli alloggi dei novizi. Dovresti sorridere, Sonea. Tutti devono credere che tu sia piena di gioia all'idea di essere la mia novizia.» Con un sospiro, la ragazza si sforzò di abbozzare quello che si augurava i maghi lontani scambiassero per un sorriso. «Ne ho abbastanza», mormorò. «Torniamo dentro e facciamola finita.» Lui aggrottò la fronte. «Oh, no. Voglio tutti i miei dieci minuti.» Sonea serrò le labbra, decisa a non dire più una parola. Quando il mago le parlò di nuovo, lei lo ignorò. E, vedendo un lampo d'irritazione negli occhi, le fu molto più facile sorridere. «Lord Fergun?» Sonea si girò e vide Lord Osen che li richiamava. Emise un sospiro di sollievo e seguì Fergun nella sala, che riecheggiava ancora del brusio di voci. Osen sollevò le mani. «Silenzio, prego.» Tutte le facce si girarono e nella sala calò un silenzio di attesa. Con la coda dell'occhio, Sonea vide Rothen che la fissava e sentì un'altra ondata di rimorso. «Dai resoconti di oggi è emerso chiaramente che Lord Fergun è stato il primo a riconoscere i poteri di Sonea», dichiarò Lord Osen. «Qualcuno contesta tale affermazione?» «Io.» La voce era profonda, stranamente familiare e riecheggiò da un punto alle sue spalle. La sala si riempì di scricchiolii e dei fruscii delle tuniche quando tutti si mossero sui seggi. Sonea si voltò e vide che una delle enormi porte era lievemente aperta. Due figure stavano avanzando a grandi passi verso di lei lungo il corridoio. Quando riconobbe quella più bassa, lanciò un grido di gioia. «Cery!» Avanzò di un passo, poi s'immobilizzò quando vide chi l'accompagnava. Nella sala risuonò una marea di domande bisbigliate. Mentre si avvicinava, il mago dalla tunica nera le lanciò un'occhiata indagatrice. Turbata dal suo sguardo, Sonea rivolse la sua attenzione a Cery. Pur pallido e sporco, il ragazzo sorrideva contento. «Mi ha trovato e liberato», le disse. «Ora andrà tutto bene.» Sonea guardò con aria interrogativa il mago con la tunica nera. Questi piegò le labbra in un mezzo sorriso, ma non disse nulla. La superò, fece un cenno a Osen e salì la gradinata in mezzo ai maghi superiori. Nessuno protestò quando si sedette sul seggio sovrastante quello dell'Amministratore.
«Per quale ragione contesta questa conclusione, Sommo Lord?» domandò Osen. Agli occhi di Sonea, la sala sembrò inclinarsi. Fissò il mago con la tunica nera. Quell'uomo non era un assassino, era il capo della Corporazione. «Ci sono le prove di un inganno», affermò il Sommo Lord. «La ragazza è stata costretta a mentire.» Sonea udì un verso strozzato alla sua destra. Si girò e vide che Fergun era bianco in volto. Allora fu pervasa da un senso di esultanza e di rabbia e, dimenticandosi del mago con la tunica nera, puntò un dito contro Fergun. «Lui mi ha obbligata a mentire!» lo accusò. «Ha detto che avrebbe ucciso Cery, se non avessi fatto quello che diceva.» Dall'intera sala si levarono esclamazioni di sorpresa e di sdegno. Sonea sentì Cery stringerle con forza il braccio. Si voltò a guardare Rothen e, quando incrociò il suo sguardo, seppe che aveva capito tutto. «È stata mossa un'accusa», osservò Lady Vinara. La sala si quietò. Rothen fece per parlare, poi si accigliò e scosse la testa. «Sonea, conosci la legge sulle accuse?» domandò Lord Osen. Lei inspirò bruscamente al ricordo. «Sì», rispose con voce tremante. «Si fa una lettura della verità?» Osen annuì, quindi si voltò verso i maghi superiori. «Chi effettuerà la lettura?» Silenzio. I maghi superiori si scambiarono un'occhiata, poi guardarono Lorlen. L'Amministratore annuì e si alzò dal seggio. «La effettuerò io.» E prese a discendere le gradinate. «Che farà?» mormorò Cery. «Mi leggerà la mente.» «Oh!» esclamò rilassandosi. «Nient'altro?» Sonea si voltò a guardarlo. «Non è semplice come credi.» Cery si strinse nelle spalle. «Mi sembrava abbastanza facile.» «Sonea.» La ragazza alzò lo sguardo e vide che Lorlen le si era messo a fianco. «Cery, vedi Rothen, laggiù?» sussurrò all'amico. «È una brava persona. Va' vicino a lui.» Cery annuì, le strinse il braccio per un istante e si allontanò. «Quando apprendevi il Controllo, hai sperimentato la condivisione delle menti», disse l'Amministratore a Sonea, con espressione seria. «Questo sa-
rà un po' diverso. Io richiederò di vedere i tuoi ricordi. Ci vorrà una grande concentrazione da parte tua per separare quello che mi vorrai mostrare dal resto. Per aiutarti, ti solleciterò con alcune domande. Sei pronta?» La ragazza annuì. «Chiudi gli occhi.» Sonea obbedì, e sentì le mani del mago toccarle le tempie. «Mostrami la stanza che è la tua mente.» Lei ricreò le pareti e le porte di legno e inviò a Lorlen un'immagine della stanza, percependo una momentanea sensazione di divertimento. «Che dimora umile. Ora, apri le porte.» Sonea si girò verso la porta a due battenti e comandò che si aprisse. Al posto delle case e di una strada, s'intravedeva solo il buio. Contro di esso si stagliò una figura con la tunica blu. «Salve, Sonea.» L'immagine di Lorlen sorrise. Avanzò nelle tenebre e si fermò sulla porta. Le tese una mano e fece un cenno col capo. «Conducimi dentro.» Lei allungò un braccio e lo prese per mano. Quando lo toccò, ebbe la sensazione che la stanza le scivolasse sotto i piedi. «Non avere paura e non ti preoccupare», le disse. «Guarderò i tuoi ricordi e poi scomparirò.» Lorlen si avvicinò a un muro. «Mostrami Fergun.» Concentrandosi sulla parete, Sonea creò un disegno in cui tracciò il volto di Fergun. «Bene. Adesso mostrami che cosa ha fatto per costringerti a mentire.» Non le ci volle nessuno sforzo per animare l'immagine di Fergun. Il disegno s'ingigantì fino a occupare l'intera parete e poi cambiò, mostrando la stanza degli ospiti di Rothen. Fergun si avvicinò, posò il coltello di Cery sul tavolo davanti a lei e disse: Ho rinchiuso il proprietario del pugnale in una piccola cella buia di cui tutti ignorano l'esistenza... La scena sfocò. Poco dopo Fergun era accovacciato davanti a loro, enorme. Fa' quello che ti dico e libererò il tuo amico. Procurami dei guai e lo lascerò lì per sempre... Quando dirai loro questo, i maghi superiori non avranno altra scelta che nominarmi tuo tutore. Entrerai nella Corporazione, ma, te lo garantisco, non sarà per molto. Quando avrai fatto un lavoretto per me, ti rimanderò nel posto da dove vieni. Così tu avrai quello che vuoi, e io pure. Prese il pugnale e fece scorrere un dito sulla lama. Non hai niente da perdere ad aiutarmi; ma, se non lo fai, perderai il tuo amichetto. Sonea sentì levarsi un'ondata di rabbia dall'aura dell'Amministratore; si
voltò a guardare Lorlen, e il disegno svanì sulla parete. Allora si girò e comandò che riapparisse. Avvalendosi del ricordo, riempì il disegno con un'immagine di Cery, esile e sudicio, e della cella in cui era stato imprigionato. Fergun era lì, con un'aria compiaciuta. L'odore di cibo stantio e di escrementi umani si diffuse dal disegno alla stanza. A quella scena, Lorlen scosse la testa e si voltò a guardarla. «È immorale! È davvero una gran fortuna che il Sommo Lord abbia trovato oggi il tuo amico.» Quando sentì menzionare il mago dalla tunica nera, Sonea avvertì che il disegno aveva iniziato a cambiare. Improvvisamente Lorlen trattenne il fiato. «Che cos'è questo?» Nell'immagine si vedeva il Sommo Lord con addosso i panni insanguinati di un mendicante. L'Amministratore si girò a guardarla. «Quando lo hai visto?» «Molte settimane fa.» «Come? Dove?» Sonea esitò. Se gli avesse permesso di vedere il ricordo, avrebbe saputo che era entrata illegalmente nella Corporazione per spiare. Lorlen non si era introdotto nella sua mente per vedere quella scena, e lei era certa che non avrebbe protestato, se l'avesse scacciato; ma una parte di lei voleva che vedesse. Credeva che ormai non vi sarebbe stata nessuna conseguenza, se i maghi avessero scoperto la sua intrusione; inoltre voleva risolvere il mistero del mago con la tunica nera. «Va bene. Cominciò tutto così...» Il disegno cambiò e mostrò Cery che la conduceva in giro per la Corporazione. Sonea avvertì la sorpresa di Lorlen, poi un senso sempre più profondo di divertimento a mano a mano che le scene si susseguivano. Prima spiava da una finestra, poi correva nel bosco, poi ancora guardava i libri che Cery aveva rubato. Lorlen sembrava davvero divertito. «Chi mai avrebbe immaginato che i libri rubati di Jerrik avessero fatto quella fine? Ma Akkarin?» Sonea esitò, riluttante a rivelare quel ricordo. «Per favore, Sonea. È il nostro capo, e anche mio amico. Devo sapere. Era ferito?» Rievocando il ricordo del bosco, Sonea lo proiettò nel disegno. Di nuovo si stava muovendo tra gli alberi, diretta alla casa grigia. Apparve il servitore, e lei si nascose tra i cespugli e il muro. Il tintinnio che aveva attirato la sua attenzione verso la grata risuonò nella stanza immaginaria. Il Sommo Lord era di nuovo comparso nel disegno, stavolta con addosso un mantello
nero. Il servitore arrivò, e Sonea capì che Lorlen lo aveva riconosciuto. «Takan.» Fatto, disse il Sommo Lord, nel disegno. Quindi si tolse il mantello e apparvero gli abiti insanguinati. Il mago si guardò disgustato. Mi hai portato la tunica? Di fronte alla risposta borbottata dal servitore, il Sommo Lord si tolse la camicia da mendicante. Sotto aveva la cintura di pelle legata in vita e il fodero col pugnale. Si svestì, poi scomparve alla vista e tornò con la tunica nera addosso. Prese la fodera, estrasse il pugnale luccicante e iniziò a pulirlo su un panno. A quel punto Sonea percepì stupore e confusione in Lorlen. Il Sommo Lord guardò il servitore. La lotta mi ha indebolito, disse. Mi serve la tua forza. Flettendo un ginocchio, il servitore gli porse il braccio. Il Sommo Lord passò la lama sulla pelle dell'uomo, poi posò la mano sulla ferita. Sonea avvertì un'eco della strana vibrazione in testa. «No!» Fu travolta da una sensazione di orrore. Sorpresa dalla forza dei sentimenti di Lorlen, perse la concentrazione. Il disegno si annerì e scomparve completamente. «Non può essere! Non Akkarin!» «Che cos'è? Non capisco? Che cos'ha fatto?» Lorlen sembrò ricomporsi. La sua immagine svanì, e Sonea capì che era uscito dalla sua mente. «Non ti muovere e non aprire gli occhi. Devo riflettere su tutto questo, prima di affrontarlo.» L'Amministratore rimase in silenzio per parecchi istanti, poi la sua aura tornò. «Quello che hai visto è proibito», le disse. «È quella che chiamiamo magia nera. Usandola, un mago può trarre forza da qualsiasi essere vivente, uomo o animale. Che Akkarin la usi è... è terribile oltre ogni immaginazione. Lui è potente, più di chiunque altro di noi... Ah! Questa dev'essere la ragione del suo potere straordinario. Se è così, allora praticava probabilmente quest'arte spregevole fin da prima di tornare dall'estero...» Lorlen tacque mentre rifletteva sulla questione. «Ha infranto il giuramento. Dovrebbe essere rimosso dalla carica ed espulso. Se ha usato i suoi poteri per uccidere, la punizione è la morte, ma...» Sonea percepì angoscia nel mago. Seguì un altro lungo silenzio. «Lord Lorlen?» L'Amministratore parve ricomporsi. «Ah, è terribile! È mio amico da
quand'eravamo tutti e due novizi. Così tanti anni... e ora scopro questo!» Quando parlò di nuovo, c'era una fredda determinazione nel suo messaggio. «Lo dobbiamo rimuovere, ma non ora. È troppo potente. Se lo affrontiamo e ci combatte, potrebbe vincere facilmente, e a ogni uccisione diventerebbe più forte. Se il suo segreto venisse svelato e lui non avesse più ragione di nascondere i suoi crimini, potrebbe uccidere indiscriminatamente. L'intera città sarebbe in pericolo.» Sconvolta da quello che le stava prospettando, Sonea rabbrividì. «Non avere paura. Non permetterò che accada», la rassicurò Lorlen. «Non lo potremo affrontare finché non saremo sicuri di poterlo sconfiggere. Fino a quel momento, non raccontare a nessuno di questa cosa. Dobbiamo prepararci in segreto. Il che significa che non dovrai mai farne parola con nessuno. Intesi?» «Sì. Ma... lo lascerete a capo della Corporazione?» «Purtroppo sì. Quando saprò che saremo abbastanza forti, radunerò tutti i maghi. Dovrò agire in fretta, senza preavviso. Fino a quel momento, solo tu e io sapremo la verità.» «Capisco.» «So che vuoi tornare nei bassifondi, Sonea, e non mi stupirei se questa scoperta avesse rafforzato la tua decisione di andartene, ma ti devo chiedere di restare. Quando verrà il momento, avremo bisogno di tutto l'aiuto possibile. Temo inoltre che, per quanto detesti l'idea, tu sia una vittima interessante per lui. Akkarin sa che hai forti poteri; per lui saresti una fonte preziosa di magia. Coi poteri bloccati, lontana da chi potrebbe riconoscere una morte dovuta alla magia nera, saresti la vittima ideale. Per favore, per il bene tuo e nostro, resta qui con noi.» «Vuole che viva qui, proprio sotto il suo naso?» «Sì. Qui saresti più al sicuro.» «Se non siete riusciti a trovarmi senza l'aiuto dei Ladri, come potrebbe farlo lui?» «Akkarin ha sensi più fini di tutti noi. È stato il primo a capire quando hai iniziato a usare i tuoi poteri. Temo che ti troverebbe con facilità.» Sonea avvertì che Lorlen era davvero preoccupato. Come poteva mettersi a discutere con l'Amministratore della Corporazione? Se la riteneva in pericolo, allora probabilmente lo era. Non aveva scelta. Doveva restare. Con sua sorpresa, non provò rabbia né delusione, solo sollievo. Cery le aveva detto che, se fosse diventata un mago, non si sarebbe dovuta considerare una traditrice. Avrebbe imparato a usare la magia, appreso l'arte della
Guarigione e forse, un giorno, avrebbe usato il suo sapere per aiutare le persone che aveva lasciato. E sarebbe stata una bella soddisfazione tarpare le ali a quei maghi che, come Fergun, pensavano che i dwell non dovessero entrare a far parte della Corporazione. «Sì», gli comunicò. «Resterò.» «Grazie, Sonea. Allora c'è un'altra persona che dobbiamo mettere a parte del nostro segreto. In qualità di tutore, Rothen dovrà entrare di nuovo nella tua mente, soprattutto quando sarà il momento d'insegnarti la Guarigione. Potrebbe vedere quello che mi hai mostrato oggi. Gli devi raccontare di Akkarin e di tutto quello che oggi ti ho detto. So che è fidato e terrà la bocca chiusa.» «Lo farò.» «Bene. Ora ti lascerò e confermerò il crimine di Fergun. Cerca di non mostrarti spaventata da Akkarin. Se può esserti d'aiuto, non lo guardare e tieni i tuoi pensieri ben nascosti.» Sentendo le mani del mago allontanarsi dalle tempie, Sonea aprì gli occhi. Lorlen la guardò con aria grave e gli occhi lucidi. Poi la sua espressione si rilassò e si voltò verso i maghi superiori. «Dice il vero», annunciò. Le parole dell'Amministratore furono seguite da un silenzio di grande turbamento, poi la stanza cominciò a riempirsi di esclamazioni e domande. Lorlen sollevò la mano, e di nuovo vi fu silenzio. «Lord Fergun ha imprigionato questo giovane dopo avermi dette che lo avrebbe accompagnato al cancello», disse indicando Cery. «Lo ha rinchiuso in una stanza sotto la Corporazione, poi ha detto a Sonea che lo avrebbe ucciso se lei non avesse mentito a questa Udienza e confermato la sua storia. Dopo avere ricevuto l'incarico, intendeva costringerla a infrangere una delle nostre regole in modo che venisse espulsa pubblicamente.» «Perché?» sibilò Lady Vinara. «Da quello che presume Sonea, per indurci a non offrire ad altri cittadini comuni un posto nella Corporazione.» «A ogni modo, aveva intenzione di andarsene.» Tutti gli occhi si voltarono verso Fergun, che guardò i maghi superiori con aria di sfida. «Ammetto di essermi lasciato un po' prendere la mano, ma l'ho fatto per il bene della Corporazione. Avreste accolto delinquenti e accattoni senza chiedervi se il re o le Case lo volessero. Potrebbe sembrare una piccola cosa permettere a una medicante di entrare nella Corporazione, ma a che cosa avrebbe
portato?» La sua voce si alzò. «Permetteremo ad altri di loro di entrarvi? Diventeremo una Corporazione di Ladri?» Si levò un mormorio e, guardando i maghi sulle gradinate, Sonea vide molte teste muoversi in segno di diniego. Fergun la guardò e sorrise. «Voleva farsi bloccare i poteri, in modo da poter tornare a casa. Chiedetelo a Lord Rothen. Non lo negherà. Chiedetelo all'Amministratore Lorlen. Non le ho chiesto di fare niente che non volesse.» Sonea strinse i pugni. «Niente che già non volessi?» replicò brusca. «Io non volevo prestare il Giuramento dei novizi per poi infrangerlo. Io non volevo mentire. Tu hai imprigionato il mio amico, hai minacciato di ucciderlo. Tu sei...» Si bloccò, consapevole di avere tutti gli occhi addosso. Fece un respiro profondo e affrontò i maghi superiori. «Quando sono arrivata qui, ho impiegato un po' a capire che non eravate...» S'interruppe. Non le piaceva l'immagine che stava dando di sé, lì in mezzo alla sala della Corporazione mentre insultava i maghi. Si girò invece verso Fergun e lo indicò. «Ma lui è tutto quello che mi hanno indotta a credere sia un mago.» Le sue parole furono seguite dal silenzio. Lorlen la guardò con aria solenne, poi annuì lentamente e si girò verso Fergun. «Lei ha commesso numerosi crimini, Lord Fergun; alcuni di natura gravissima. Non c'è bisogno che le chieda di chiarire, lo ha già fatto molto bene poco fa. Fra tre giorni si terrà un'Udienza per valutare le sue azioni e stabilire la punizione. Nel frattempo le consiglio di collaborare alle nostre indagini.» L'Amministratore superò Osen e scese le scale in mezzo ai maghi superiori. Il Sommo Lord lo osservò con un mezzo sorriso sulle labbra. Sonea tremò al pensiero dei sentimenti contrastanti che Lorlen doveva provare con quello sguardo addosso. «La questione per cui ci siamo riuniti oggi è ormai irrilevante», annunciò l'Amministratore. «Nomino dunque Lord Rothen tutore di Sonea e dichiaro conclusa l'Udienza.» La sala si riempì di voci e del rimbombo di una miriade di stivali mentre i maghi si alzavano dai loro seggi. Sonea chiuse gli occhi e sospirò. È finita! Poi si ricordò di Akkarin. No, non lo è. Ma per il momento non sta a me preoccuparmene. «Avresti dovuto dirmelo, Sonea.» Aprì gli occhi e si ritrovò davanti Rothen, con Cery al fianco. Abbassò lo sguardo. «Mi dispiace.»
Con sua sorpresa, Rothen la strinse in un rapido abbraccio. «Non ti scusare. Avevi un amico da proteggere.» Voltandosi a guardare Cery, il mago aggiunse: «Mi scuso a nome della Corporazione per come sei stato trattato». Cery sorrise e fece un gesto noncurante con la mano. «Ridatemi le mie cose e scorderò tutto.» Rothen si accigliò. «Che cosa ti manca?» «Due pugnali, alcuni coltelli e i miei strumenti.» «Strumenti?» «I grimaldelli.» Rothen inarcò un sopracciglio e guardò Sonea. «Non sta scherzando, vero?» Lei scosse la testa. «Vedrò quello che posso fare.» Il mago sospirò, poi guardò oltre la spalla di Sonea. «Ah! Ecco un uomo che ha maggiore familiarità con le maniere dei Ladri. Lord Dannyl.» Sentendo una pacca sulla spalla, Sonea si girò e vide che dall'alto della sua statura il mago le stava sorridendo. «Ben fatto!» esclamò Dannyl. «Hai reso a me, e al resto della Corporazione, un grande favore.» Rothen abbozzò un sorriso furbesco. «Sei particolarmente contento, eh?» Dannyl gli rivolse un'occhiata altezzosa. «Allora, chi aveva ragione su Fergun?» Con un sospiro, Rothen annuì. «Tu.» «Ora capisci perché lo detestavo così tanto?» Vedendo Cery, Dannyl si fece pensieroso. «Credo che i Ladri ti stiano cercando. Mi hanno mandato un messaggio chiedendomi se sapessi dove fosse finito il compagno di Sonea. Sembravano piuttosto preoccupati.» Il ragazzo lo guardò con un'aria indagatrice. «Chi ha mandato il messaggio?» «Un certo Gorin.» Sonea si accigliò. «Allora è stato Gorin a dire alla Corporazione dove trovarmi, non Faren.» Cery si girò e la fissò. «Ti hanno tradita?» Lei si strinse nelle spalle. «Non avevano scelta. A dire il vero, è stata una buona cosa.» «Non è questo il punto.» Gli occhi di Cery lampeggiarono.
Immaginando che cosa stesse pensando, Sonea sorrise. Gli voglio bene, pensò. Come amica, però, almeno per il momento. Forse, se avessero avuto tempo di stare insieme, senza tutte le distrazioni degli ultimi mesi, l'affetto si sarebbe trasformato in qualcosa di più. Ma ormai non sarebbe più successo, con lei che si accingeva a entrare nella Corporazione e lui a tornare, molto probabilmente, tra i Ladri. All'idea, Sonea provò un senso di rimpianto, ma lo scacciò subito. Si guardò intorno nella sala e restò stupita nel vedere che era quasi vuota. Fergun era ancora nelle vicinanze, in mezzo a un gruppo di maghi. Mentre guardava nella sua direzione, il mago incrociò i suoi occhi e ghignò. «Osservateli», disse il guerriero. «L'uno fa lega coi pezzenti, l'altro coi Ladri.» I suoi compagni risero. «Non dovrebbe essere rinchiuso?» chiese Sonea. Rothen, Dannyl e Cery si voltarono a guardarlo. «No», rispose il mago più anziano. «Verrà tenuto sotto osservazione; ma sa che, se si dimostrerà pentito, potrà evitare l'espulsione. Probabilmente gli affideranno un compito che nessuno vuole, forse lavorare in qualche posto sperduto per parecchi anni.» Fergun si rabbuiò, poi si girò e si avviò a grandi passi verso la porta, seguito dai compagni. Il sorriso di Dannyl si allargò. Rothen invece scosse tristemente il capo. Con una scrollata di spalle, Cery si voltò a guardare Sonea. «E tu?» «Sonea è libera di andare», disse Rothen. «Però dovrà restare ancora per un paio di giorni. Per legge, dobbiamo bloccarle i poteri prima che torni nei bassifondi.» Cery la guardò aggrottando la fronte. «Ti bloccheranno i poteri?» Sonea scosse la testa. «No.» Rothen si accigliò e la guardò attentamente. «No?» «Ovviamente no. Sarebbe un po' difficile insegnarmi, non credi?» Il mago batté le palpebre. «Resti, sul serio?» «Sì», rispose Sonea sorridendo. «Resto.» EPILOGO Nell'aria sopra il tavolo si muoveva una scintilla di luce che si espanse lentamente fino a diventare una sfera grande quanto la testa di un bambino. Dopo un po', la sfera levitò fin quasi al soffitto. «Ecco», disse Rothen. «Hai creato una sfera di luce.»
Sonea sorrise. «Adesso mi sento proprio un mago.» Rothen guardò il suo volto e provò un grande affetto. Era difficile resistere alla tentazione d'insegnarle la magia quando le procurava così tanta gioia. «Alla velocità con cui impari, sarai settimane avanti rispetto agli altri novizi quando inizierai le lezioni all'Università. Almeno in quelle di magia.» Si allungò verso una pila di libri accanto alla sedia e cominciò a esaminarli. «Le tue capacità di calcolo, però, sono molto scarse», affermò con decisione. «È tempo di porvi seriamente rimedio.» Sonea guardò i libri e sospirò. «Avrei voluto essere informata delle torture cui intendevi sottopormi prima di decidere di restare.» Sogghignando, Rothen le avvicinò un libro sul tavolo. Poi tacque e la guardò socchiudendo gli occhi. «Non hai ancora risposto alla mia domanda.» «Quale domanda?» «Quando hai deciso di restare?» La mano di Sonea, sul punto di prendere il libro, si bloccò. Lo guardò e gli sorrise, ma senza gioia negli occhi. «Quando ho capito di doverlo fare.» «Coraggio, Sonea», affermò Rothen muovendo un dito nella sua direzione. «Non c'è più bisogno di essere evasivi con me.» Lei si appoggiò alla sedia. «L'ho deciso all'Udienza. Fergun mi aveva fatto capire quello cui rinunciavo, ma non è stato questo a farmi cambiare idea. Cery mi ha detto che sarei stata stupida a tornare a casa, e anche questo mi ha aiutata.» Rothen scoppiò a ridere. «Mi piace il tuo amico. Non approvo i suoi metodi, ma mi piace.» Sonea annuì e increspò le labbra. «Rothen, è possibile che qualcuno ci senta?» domandò. «I servitori? Gli altri maghi?» Lui scosse il capo. «No.» La ragazza si protese. «Ne sei assolutamente certo?» «Sì.» «C'è...» Sonea s'interruppe, s'inginocchiò al suo fianco, abbassando la voce fino a mormorare: «C'è una cosa che Lorlen ha detto che ti devo riferire...» GLOSSARIO Animali
Aga moth: insetti che divorano la stoffa Anyi: mammiferi marini dotati di corti aculei Ceryni: piccolo roditore Enka: animale domestico dotato di corna, allevato per la carne Eyoma: sanguisughe marine Faren: termine generico per indicare gli aracnidi Gorin: grosso animale domestico allevato per la carne o per tirare barche e carri Harrel: piccolo animale domestico allevato per la carne Limek: cane selvatico predatore Mosca della linfa: insetto delle zone boschive Mullook: uccello selvatico notturno Rassook: uccello domestico allevato per la carne e per le piume Ravi: roditore, di taglia più grande del ceryni Reber: animale domestico allevato per la carne e per la lana Sevli: lucertola velenosa Squimp: animale che ruba il cibo, simile allo scoiattolo Zill: piccolo mammifero intelligente, tenuto a volte come animale domestico Piante e alimenti Anivope: pianta sensibile alle proiezioni mentali Bol: forte liquore ricavato dai tugor. Significa anche «sporcizia del fiume» Brasi: verdura a foglia verde con piccoli germogli Chebol: salsa di carne, preparata col bol Crot: grossi fagioli color porpora Curem: spezia dal sapore di noce Curren: granaglia commestibile dal sapore forte Dall: frutto lungo con un'acida polpa arancione, ricca di semi Gan-gan: cespuglio della terra di Lan Iker: droga stimolante, ritenuta afrodisiaca Jerra: lunghi fagioli gialli Kreppa: pianta medicinale dall'odore cattivo Marin: agrume rosso Monyo: bulbo Myk: droga che altera la mente
Nalar: radice acre Pachi: frutto dolce e croccante Papea: spezia simile al pepe Piorres: piccolo frutto a forma di campana Raka/suka: bevanda stimolante fatta con bacche arrostite, originaria di Sachaka Sumi: bevanda amara Telk: semi da cui si estrae un olio Tenn: granaglia che può essere cucinata oppure macinata per ricavarne una farina Tugor: radice simile alla pastinaca Vare: bacche da cui si produce il vino Armi e vesti Incal: simbolo quadrato, non molto diverso dallo stemma di famiglia, cucito su una manica o su un polsino Kebin: sbarra di ferro, dotata di un uncino per afferrare il coltello dell'aggressore, portata dalle guardie Lungomanto: pastrano lungo fino alla caviglia Edifici pubblici Casa dei bagni: luogo dov'è possibile lavarsi e curare la propria igiene Casa del bol: luogo di vendita del bol, in cui si possono trovare anche stanze in affitto per brevi periodi Casa di produzione del bol: luogo dove si fabbrica il bol Casa di soggiorno: edificio in cui ogni famiglia può affittare una stanza Terre Alleate Elyne: regno più vicino a Kyralia per posizione e cultura Kyralia: patria della Corporazione Lan: terra montagnosa popolata da tribù guerriere Lonmar: terra desertica, culla della severa religione Mahga Vin: isola nota per l'abilità marinara dei suoi abitanti Altri termini
Festa dell'alba: colazione Pasto di mezzo: pranzo Puntale: bastone di legno su cui s'infila un numero di monete sufficiente a raggiungere l'unità Stuoia simba: stuoia fatta di canne Guida di Lord Dannyl al gergo dei bassifondi Capper: frequentatore di bordelli Cliente: persona che ha un obbligo o un accordo con un Ladro Dwell: termine usato per indicare gli abitanti dei bassifondi Guanto: guardia corrompibile o controllata da un Ladro Gutter: persona che ricicla oggetti rubati Hai: grido per richiamare l'attenzione. Espressione interrogativa o di sorpresa Ladro: capo di una banda criminale Lama: assassino prezzolato Messaggero: criminale che consegna una minaccia o la mette in pratica Squimper: persona che fa il doppio gioco coi Ladri Tag: spia, di solito sotto copertura Vedetta: persona incaricata di sorvegliare qualcosa o qualcuno RINGRAZIAMENTI Molte persone mi hanno incoraggiata, sostenuta e aiutata con le loro critiche costruttive durante la stesura della trilogia. Grazie a mamma e papà per aver creduto che potessi diventare quello che volevo; Yvonne Hardingham, la grande sorella che non ho mai avuto; Paul Marshall, per la sua inesauribile capacità di rileggere; Steven Pemberton, per i litri di tè e alcuni suggerimenti davvero sciocchi; Anthony Mauriks, per i discorsi sulle armi e le dimostrazioni di combattimento; Mike Hughes, che stoltamente vuole essere un personaggio; Shelley Muir, per l'amicizia e l'onestà; Julia Taylor, per la generosità e Dirk Strasser, per averci provato. Grazie anche a Jack Dann, per avermi rassicurata sulle mie capacità di scrittrice nei momenti di maggior bisogno; a Jane Williams, Victoria Hammond e soprattutto a Gail Bell, per avermi fatto sentire la benvenuta tra gli scrittori non-di-fantascienza al Varuna Writers' Centre, e a Carl Boothman, per la sua saggezza.
Non posso non ringraziare Ann Jeffree, Paul Potiki, Donna Johansen, Sarah Endacott, Anthony Oakman, David e Michelle Le Blanc e Les Petersen. Grazie di cuore a Peter Bishop e all'équipe del Varuna: mi avete aiutato molto, da ogni punto di vista. Infine, ma non per questo la gratitudine è meno profonda, ringrazio Fran Bryson, la mia agente e la mia eroina, per aver dato ai libri una marcia in più, e Linda Funnell che ha detto: «Sì, grazie!» FINE