REGINALD HILL LA COLLINA DI BEULAH (On Beulah Height, 1998) Ad Alan, menestrello girovago, he! E poi vidi che c'era una ...
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REGINALD HILL LA COLLINA DI BEULAH (On Beulah Height, 1998) Ad Alan, menestrello girovago, he! E poi vidi che c'era una strada che conduceva all'inferno perfino dietro i cancelli del Paradiso. John Bunyan, The Pilgrim's Progress O dov'è il piccolo Hex? E dove la piccola Lenne? E la graziosa Lu? E Menie della Valle? E dov'è il luogo in cui riposare La sempre mutevole dimora? È fra le margherite di campo, O fra i rintocchi della fama? Anonimo, The Gloamyne Buchte Wir holen sie ein auf jenen Höh'n Im Sonnenschein. Der Tag ist schön auf jenen Höh'n Friedrich Rückert, Kindertotenlieder IV Primo giorno Ameno sito rurale con panorama variegato
I Betsy Allgood [PA/WW/6.4.88] Trascrizione n. 1 N. 1 di due copie Avevo sette anni il giorno che allagarono Dendale. Quando il Governo aveva dato il permesso di farlo ne avevo tre, e quat-
tro quando la commissione d'indagine si era pronunciata in favore del Dipartimento per le Acque, perciò non ricordo nulla. Una cosa mi ricordo, però, una cosa che non dev'essere successa molto tempo dopo. Mi ero arrampicata per la scala del granaio, e mio padre mi sorprese lassù. «Cosa ci fai lì?» mi chiese. «Lo sai che non è posto per te». Gli dissi che stavo cercando Bonnie, ma fu un errore. Babbo non aveva tempo da perdere per le bestie che non si guadagnavano da vivere. Il mestiere dei gatti era di prendere i topi, e Bonnie non aveva mai catturato altro che qualche ragnetto. «Quell'affare inutile... dovevamo annegarlo con gli altri» aveva detto. «Fatti beccare ancora quassù e quel gatto lo faccio fuori, lui e le sue nove vite». Prima che potessi iniziare a piagnucolare, nell'aria del mattino si diffuse il rombo di un motore che veniva avviato. Non era uno della fattoria, ma qualcosa di molto più grosso, che stava giù a Dale End. Sapevo che c'erano degli uomini che lavoravano, ma non capivo cosa stessero facendo. Babbo andò alla porta aperta del fienile e guardò fuori. Low Beulah, la nostra fattoria, sorgeva sulla sponda del Dender Mere più lontana dal villaggio, e dalla finestra del granaio si aveva una buona panoramica sui nostri campi, giù fino a Dale End. All'improvviso babbo mi prese e mi issò sulle spalle. «Guarda bene quella terra, Betsy» aveva detto. «Non importa se sei solo una bambinetta. Presto qui non ci sarà più niente da fare per nessuno, tranne che per i pesci». Non avevo la minima idea di cosa volesse dire, ma era emozionante che mi avesse considerato degna di comunicarmi un cambiamento imminente: ricordo ancora le sue spalle ossute che penetravano nelle mie gambette nude, i suoi capelli ruvidi e folti stretti nei miei piccoli pugni e il suo odore di pecore, terra e fieno. Penso che si fosse dimenticato di avermi sulle spalle, finché mi agitai sentendomi un po' scomoda. Allora sobbalzò leggermente e disse: «Ho un sacco da fare. Niente si ferma, finché non si fermerà ogni cosa». Mi calò sul pavimento con un tonfo e scese in fretta giù per la scala. Tipico di lui: prima mi sgridava perché mi ero arrampicata fin lassù, e un attimo dopo si era dimenticato della mia esistenza. Restai lì molto tempo, finché mamma non cominciò a chiamarmi. Mi
beccò che scendevo la scala e mi mollò una sberla sulle gambe, sgridandomi perché ero salita. Ma io non le dissi niente di babbo, perché non sarebbe servito a togliermi la sberla e a lui avrebbe procurato solo seccature. Passò del tempo. Forse un anno. Difficile dirlo. A quell'età un mese passa in un attimo e un minuto può sembrare un mese, se ti trovi in qualche pasticcio. So solo che avevo iniziato ad andare alla scuola del villaggio. È da quel punto che partono i miei ricordi più definiti. Ma, strano a dirsi, non avevo ancora la più pallida idea di cosa stessero combinando giù a Dale End. Probabilmente ci avevo fatto l'abitudine. Mi sembrava che stessero lì da sempre. Poi, quando ero in seconda, sentii dei ragazzi più grandi dire che tutti noi avremmo dovuto trasferirci alla scuola elementare St Michael a Danby. Noi la odiavamo, la St Michael. A Dendale avevamo solo due maestre, la signora Winter e la signorina Lavery, e là invece ce n'erano cinque o sei, e uno era un uomo con una benda nera su un occhio e una bacchetta che adoperava per frustare i bambini se sbagliavano le operazioni di aritmetica. O almeno era quello che si diceva in giro. Mi feci coraggio e domandai perché dovevamo trasferirci là. «Come, non lo sai, Betsy Allgood?» mi sfotté Elsie Coe, che aveva quasi undici anni e andava dietro ai maschi. «Secondo te, cosa stanno costruendo in fondo alla valle? Un centro commerciale?». «Lasciala stare» disse uno dei suoi amici, più gentile di lei. «Non vedi che è ancora una bambina? Allagheranno tutta Dendale, Betsy, così questo posto puzzolente potrà farsi un bel bagno!». Poi la signorina Lavery ci chiamò perché la ricreazione era finita. Ma prima andai alla fontanella, e me ne stetti a guardare il getto dell'acqua che formava arcobaleni nel sole. Dopodiché cominciarono gli incubi. Sognavo che Bonnie, accucciato sul mio cuscino, mi svegliava con i suoi miagolii, e le lenzuola erano tutte inzuppate e il letto galleggiava nell'acqua che si riversava dalla finestra. Sapevo che era solo un sogno, ma non per questo ero meno terrorizzata. Babbo mi disse che non dovevo vedere tutto così nero, e mamma disse che dal momento che sapevo bene che un sogno era solo un sogno, potevo provare a svegliarmi, e qualche volta ci riuscivo, solo che non mi svegliavo davvero, e l'acqua era ancora lì, e adesso mi lambiva il viso, e allora mi svegliavo sul serio, urlando. Quando mamma capì cos'era che mi faceva paura, cercò di spiegarmi la
faccenda. Era brava a spiegare le cose, quando non stava passando uno dei suoi brutti momenti. Nervi, così li aveva definiti la signora Telford una volta che stavo giocando con Madge sotto la finestra della falegnameria a Stang. E la signora Telford disse anche che era un gran peccato che Jack Allgood (cioè babbo) non avesse un figlio maschio, ma che era inutile che Lizzie (mia mamma) rapasse la bambina come un maschio e le mettesse i pantaloni. Variava di me. Dopo mi guardai nello specchio e mi domandai se magari, crescendo, avrei potuto diventare un maschio. Stavo dicendo che la mamma mi spiegò tutto. Mi disse della diga, e che ci dovevamo trasferire a Danby, e che non avrebbe fatto poi quella gran differenza, perché babbo era un bravo agricoltore, e il signor Pontifex aveva promesso di affidargli la prima fattoria che si fosse liberata sulle sue terre. Gli incubi si fecero meno frequenti. L'idea di trasferirsi era più eccitante che spaventosa, tranne per il pensiero di quel maestro cieco da un occhio armato di bacchetta. E poi le giornate erano troppo belle perché un bambino si preoccupasse per il futuro. E per un po' d'acqua, poi! Fu un'estate lunga e torrida, proprio così, lunga e torrida, e non è solo questione di qualche bambino che ricorda pochi giorni di sole come se fossero eterni. L'inverno era stato asciutto, e lo stesso la primavera, a parte qualche acquazzone. E poi più niente. Ogni giorno più caldo del precedente. Anche in cima a Beulah Height non c'era un filo di vento, e giù nella vallata tenevamo tutte le finestre spalancate, a casa e a scuola, ma non entrava un bel niente, tranne il brontolio lontano delle macchine del cantiere, giù a Dale End. Il venerdì, a scuola, era il giorno di religione, e il reverendo Disjohn veniva a parlarci della Bibbia e di quelle cose lì. Un venerdì ci lesse la storia di Noè e del diluvio universale, e di come alla gente di allora era sembrata una cosa cattiva, ma che in seguito si era dimostrata buona. «Ma anche per quelli che annegarono?», intervenne Joss Puddle, il cui padre era il padrone di Holly Bush. La signorina Lavery gli disse di non essere sfacciato, ma il reverendo Disjohn disse che era una buona domanda e che dovevamo tenere a mente che il Signore aveva mandato il diluvio per punire la gente cattiva. Ciò che voleva dire era che Dio aveva una ragione per ogni cosa, e che magari tutto questo putiferio della diga era un modo per ricordarci di quanto l'acqua fosse importante, e che non dovremmo dare per scontato nessuno dei suoi doni.
A sette anni non sai che anche un reverendo può dire fesserie. Ma a quattordici sì, però. Il livello del laghetto calava lentamente ogni giorno. Anche la White Mare's Tail si rattrappì, fino a diventare più simile alla coda di un topolino. La White Mare's Tail, cioè la coda della giumenta bianca, in caso non lo sappia, è la cascata che esce dalla fenditura vicino alla cima di Lang Neb, che poi è quel burrone ripido che sta fra noi e Danby. Sulle carte c'è scritto Long Denderside, ma tutti qui lo chiamiamo solo Lang Neb, cioè Lungo Naso, perché se lo si guarda inclinando la testa da un lato sembra la gobba di un naso che si innalza gradualmente, finché non scende bruscamente al passo di Black Moss, ai bordi della Highcross Moor. Dall'altra parte sale di nuovo, ma il pendio è più dolce, e arriva fino a Beulah Height, sopra la nostra fattoria. Lassù ci sono due piccole cime, che assomigliano un po' a una bocca, e qualcuno la chiama il Gob, la bocca, che fa il paio con il Neb di fronte. Ma la signora Winters diceva che non dovevamo usare nomi così terra terra quando i veri nomi erano tanto graziosi, e ci leggeva dei pezzi di quel libro dove parlavano di Beulah. Joss Puddle diceva che era noioso da morire e pensava che Gob, come nome, fosse molto meglio. Ma a me Beulah piaceva, perché anche la nostra fattoria si chiamava così e poi era come se ci appartenesse, dal momento che babbo aveva i diritti di pascolo per le pecore lassù e teneva in buone condizioni gli stabbi fra le cime che, diceva la signorina Lavery, erano probabilmente ancor più vecchi della nostra casa. Sia come sia, nessuno poteva negare che il nostro lato della vallata fosse molto più bello di quello di Lang Neb, che era molto ripido e roccioso, con massi che spuntavano ovunque. E nella stagione piovosa i ruscelli e le cascate formano come una venatura sulle pendici delle colline, e sul Neb sprizzano di getto direttamente dalle fenditure, come la pioggia da una grondaia otturata. Il vecchio Tory Simkin diceva che c'erano talmente tante caverne che perforavano il Neb, che al suo interno c'era più acqua che roccia. E raccontava sempre delle storie su bambini che si erano addormentati al sole sul Neb ed erano stati trascinati dentro la collina dai nix e cose simili, e non si erano visti mai più. Ma quando le storie cominciarono ad avverarsi, smise di raccontarle. Dei bambini che scomparivano, voglio dire. La prima fu Jenny Hardcastle. Le vacanze erano appena cominciate e noi tutti sguazzavamo nello stagno di Wintle, dove si riversava la White Mare's Tail. Di solito solo i più grandi avevano il permesso di giocare
lassù, ma in quel periodo lo stagno era così secco che anche i piccoli potevano sguazzarci senza rischi. Più tardi ci domandarono a che ora se n'era andata Jenny, ma per dei bambini che giocano in una giornata d'estate il tempo non esiste. E chiesero anche se avevamo visto qualcuno lì attorno, che stava a guardarci o qualcosa del genere. Nessuno aveva visto niente. Avevo visto Benny Lightfoot sul pendio a un certa distanza, ma non lo dissi, come non avrei detto se avessi visto una pecora. Benny era come una pecora, apparteneva alla vallata, e se ti avvicinavi troppo il più delle volte se la dava a gambe. Così non ne feci parola, se non più tardi, quando mi chiesero di lui in particolare. La mia amica Madge Telford riferì che Jenny le aveva detto di essere stufa marcia di sguazzare nell'acqua tutto il giorno come un branco di scimmie, e che lei se ne andava nel bosco di Wintle a raccogliere dei fiori per sua mamma. Ma Madge pensava che fosse arrabbiata perché a lei piaceva essere al centro dell'attenzione, e quando compariva Mary Wulfstan facevamo tutti delle gran smancerie solo a lei. Non si poteva fare a meno di voler bene a Mary. Non solo perché era carina - e lo era, con quei capelli lunghi e biondi e quel sorriso meraviglioso. Ma non era più carina di Jenny, o di Madge che aveva i capelli più biondi di tutti, come l'acqua del laghetto quando il sole ci si rifletteva dentro. Ma Mary era così dolce che non si poteva fare a meno di averla in simpatia, anche se la vedevamo solo per le vacanze e qualche volta nei fine settimana. Lei era mia cugina, una specie, e quello aiutava, perché sua mamma apparteneva alla valle e non era una che veniva da fuori, anche se adesso usavano Heck solo come casa per le vacanze. Il nonno di Mary, cugino di mio nonno, Arthur Allgood, aveva costruito Heck Farm che sorgeva - la casa, dico - appena fuori dal villaggio, sulla riva del lago. La mamma di Mary era l'unica figlia di Arthur e scommetto che la consideravano 'nient'altro che una ragazza', come me. Ma almeno lei poteva rendersi utile alla fattoria sposandosi. Dopo il figlio di un fattore, la cosa migliore era il genero di un fattore... se possedevi la fattoria, cioè. Arthur Allgood era il proprietario di Heck, ma quelli del nostro ramo della famiglia erano semplici affittuari a Low Beulah, e mentre un figlio può ereditare l'affittanza di un terreno, una figlia non ha nessun diritto. Non che la mamma di Mary, zia Chloe (non era veramente mia zia, ma io la chiamavo così) abbia sposato un contadino. Ha sposato il signor
Wulfstan, che ha un'azienda sua, e hanno venduto la maggior parte della terra e dei fabbricati di Heck al signor Pontifex, ma hanno tenuto la casa per le vacanze. Nella valle il signor Wulfstan era più rispettato che amato. Non è che fosse scostante, diceva sempre mamma, solo era difficile entrarci in contatto. Ma quando dovette ristrutturare Heck per renderla più comoda e ci costruì una cantina come si deve, a prova di umidità, e ci fece montare degli scaffali apposta per conservare i suoi vini pregiati, fece lavorare più che poteva la gente del posto, e quelli come il babbo di Madge, che costruiva infissi a Stang insieme a suo fratello, dissero che era un grand'uomo. Ma mi sto dimenticando di Jenny. Forse era in collera per via di Mary, o forse se l'era inventato Madge, e lei era andata davvero a raccogliere dei fiori per sua mamma. Fu lì che trovarono l'unica traccia di lei, nel bosco di Wintle. La parte superiore del suo costume blu. Forse l'aveva in mano e le era semplicemente caduta. Quando giocavamo nell'acqua ci toglievamo tutto tranne le mutande, in quelle giornate torride, e non eravamo per niente ansiosi di rivestirci, finché non ci obbligavano a farlo. Correvamo per il villaggio come piccoli senzadio, diceva la mamma. Ma quando intervenne la polizia, tutto cambiò. Dopo, non ci furono altro che domande su domande, e noi eravamo tutti spaventati ed eccitati, ma forse all'inizio più eccitati che altro. Quando il sole splende e ogni cosa sembra la stessa di sempre, è difficile che un bambino resti impaurito a lungo. E poi Jenny la conoscevamo come una con la testa dura, ed era già scappata di casa per andare da sua nonna a Danby dopo che aveva avuto una discussione con sua mamma. Quindi magari saltava fuori che se n'era scappata un'altra volta. E anche quando i giorni passarono e non si ebbero notizie di lei, molti pensarono che probabilmente si era arrampicata sul Neb ed era precipitata in una di quelle buche, o qualcosa del genere. La polizia usò i cani, diede loro da annusare il costume, ma non trovarono una traccia che portasse da qualche parte. Il che non impedì al signor Hardcastle di uscire tutti i giorni con i suoi collie, urlando e chiamando. Avevano altri due figli, Jed e June, entrambi più piccoli, ma da come lui si comportava si sarebbe detto che aveva perso tutto quello che aveva al mondo. Babbo diceva che non era mai stato granché come agricoltore, ma adesso non si interessava proprio per niente di Hobholme, la loro fattoria; d'altra parte, siccome era anche lui uno dei mezzadri del signor Pontifex come babbo, e il posto presto sarebbe stato sommerso,
immagino non importasse granché. Quanto alla signora Hardcastle, la si incontrava mentre girovagava dalle parti del bosco di Wintle e raccoglieva grandi mazzi di digitale selvatica, che si diceva fosse una pianta buona per riportare a casa i bambini perduti. Spargeva quei fiori per tutta Hobholme, e quando era il suo turno di sistemare i fiori in chiesa, riempiva anche lì i vasi di digitale, e questo al vicario non piaceva, perché diceva che era una cosa pagana; però li lasciava lì fino alla settimana dopo, quando arrivava il turno di qualcun altro. Il resto degli abitanti della valle presto tornò alle normali occupazioni. Non che alla gente non importasse, ma per noi ragazzi, con un tempo così bello, era difficile stiracchiare il dolore per più di qualche giorno, e i grandi erano anche troppo occupati con i preparativi per il grande trasferimento. Era solo una questione di settimane, ormai, ma a me sembrava un'eternità. Mi ero adattata alla situazione più in fretta del previsto, anche se di molte cose non mi rendevo conto e ancor più cose non le capivo. E c'erano le ragazze più grandi, come Elsie Coe, che erano sempre felici di fare sfoggio della quantità di cose che sapevano. Fu lei che mi disse che erano in corso grandi discussioni sui risarcimenti, ma la cosa non mi colpì più di tanto perché babbo era solo un mezzadro e il signor Pontifex aveva venduto Low Beulah e Hobholme insieme a tutto il resto della sua terra a Dendale, su fino a Highcross Moor. Altri proprietari stavano lottando strenuamente contro il Dipartimento per le Acque. Dannati imbecilli, li chiamava babbo. Diceva che una volta che il signor Pontifex aveva venduto, non c'era speranza per gli altri, e che potevano ben impiccarsi insieme a quel miserabile vecchio bastardo. La mamma diceva di non parlare così del signor Pontifex, soprattutto dal momento che aveva promesso il primo posto vacante sui suoi possedimenti di Danby, e lei aveva sentito dire che Stirps End si sarebbe liberato presto; e babbo diceva che ci avrebbe creduto solo quando l'avesse visto e che il vecchio farabutto ci aveva venduto già una volta, che cosa gli impediva di farlo di nuovo? Qualche volta faceva discorsi davvero terribili, babbo, specialmente dopo essere stato giù all'Holly Bush. E la mamma di solito o si metteva a piangere o diventava all'improvviso molto silenziosa e immobile: voglio dire, era talmente immobile che se le aveste fatto scoppiare un palloncino vicino all'orecchio non avrebbe sentito niente. Ma almeno, quando mamma era a quel modo potevo correre dappertutto in mutande o addirittura
con niente addosso e lei non se ne accorgeva neppure. E nemmeno babbo. Poi fu presa Madge, la mia migliore amica, e all'improvviso le cose cambiarono completamente. Io dovevo andare a giocare da lei, e mamma mi accompagnò. Era in una delle sue giornate buone, e anche se la maggior parte della gente pensava che Jenny fosse caduta in uno di quei buchi sul Neb, le nostre mamme esitavano ancora un po' a lasciarci andare troppo lontane da sole. Lo Stang, dove il signor Telford aveva il suo laboratorio di falegname, era proprio all'estremità del paese. Anche in quella giornata rovente, dal camino del laboratorio usciva del fumo, come sempre, ma dentro non vedevo nessuno intento a lavorare. Andammo a vedere in casa e la signora Telford disse alla mamma: «Entri a prendere una tazza di tè, Lizzie? Betsy, Madge è in giardino, in cerca di qualche fragola, anche se penso che le lumache le abbiano fatte fuori tutte». Costeggiai la latteria ed entrai nel giardino lungo e stretto che saliva verso il pendio della collina. Mi sembrò di vedere qualcuno lassù, ma solo per un attimo, e probabilmente era solo Benny Lightfoot. Non vedevo Madge, ma a metà del giardino c'erano alcuni grandi cespugli di ribes, e pensai che fosse lì in mezzo. La chiamai, poi mi inoltrai fra i cespugli. Non c'era. Sull'erba vicino alle aiuole c'era una fragola con i segni di un morso. Nient'altro. In qualche modo mi sentii colpevole, non so perché pensavo che se non fossi uscita a cercarla lei sarebbe stata ancora lì. Non rientrai immediatamente a dirlo a mamma e alla signora Telford. Mi sedetti sull'erba e rimasi ad aspettarla, anche se sapevo che non sarebbe tornata più. Non so come facevo a saperlo, ma lo sapevo. E infatti non tornò. Forse, se fossi corsa subito in casa e loro si fossero precipitate fuori lo avrebbero preso. Ma probabilmente no, e non serve a niente piangerci sopra. C'era un lui, adesso, nessuno ne dubitava. C'erano poliziotti dappertutto e in ogni momento. Avevamo il nostro poliziotto, in paese. Si chiamava Clark e tutti lo chiamavano Nobby the Bobby. Era un uomo grosso e dall'aspetto feroce e noi pensavamo che fosse molto importante, finché non vedemmo come lo trattava questa gente nuova, specialmente quel grosso budellone senza uniforme che li comandava tutti. Avevano messo su bottega nel municipio. Il signor Wulfstan fece un vero bordello quando lo scoprì. Alcuni dicevano che aveva torto, visto quello che era successo; altri dicevano che aveva ragione: tutti volevamo che
quel pazzo fosse preso, ma non significava che alla polizia fosse consentito ficcare il naso dappertutto. Il motivo per cui il signor Wulfstan fece un gran bordello fu il concerto. La sua ditta sponsorizzava il Festival Musicale delle Valli del Mid-Yorkshire, e lui era a capo del comitato. Il festival si svolgeva a Danby. Credo che fosse stato così che lui e zia Chloe si erano incontrati. A lei quella musica piaceva e andava sempre a sentirla a Danby. Dopo sposati, quando lei ereditò Heck, gli venne quest'idea di ospitare uno dei concerti a Dendale. Si tenevano un po' dappertutto, ma qui non ce n'erano mai stati perché la vallata aveva così pochi abitanti e le strade di accesso erano in cattive condizioni. Hanno prima, il consiglio parrocchiale aveva indetto una pubblica riunione per discutere la faccenda. Qualcuno, come babbo, aveva detto che non gli importava un fico secco di quella musica e che senso aveva attirare della gente nella valle quando entro un anno o giù di lì non ci sarebbe stato più niente da vedere tranne una distesa d'acqua? Questo aveva fatto arrabbiare molte persone (così mi dissero), perché l'accordo ancora non si era raggiunto e loro speravano ancora che il signor Pontifex si sarebbe rifiutato di vendere. Non che avrebbe fatto differenza, tranne che la faccenda si sarebbe trascinata ancora un po'. Ma avevano votato per fare il concerto, specialmente dopo che il signor Wulfstan aveva detto che gli sarebbe piaciuto che il coro della scuola eseguisse un pezzo. Così, l'anno prima avevamo avuto il nostro primo concerto. Il cantante più importante era norvegese, anche se il suo inglese era talmente buono che se non avessimo saputo il nome, che era Arne Krog, non l'avremmo mai immaginato. Era un amico del signor Wulfstan, ed era ospite a Heck, insieme alla signora che l'accompagnava al piano. Inger Sandel, si chiamava. Arne (tutti lo chiamavano Arne) era molto popolare, specie fra le ragazze, alto, biondo e bello com'era. Perlopiù cantava roba forestiera, il che non a tutti andava a genio. Era tornato anche quell'anno, e parve molto dispiaciuto quando seppe che non ci sarebbe stato nessun concerto. E anch'io lo ero. Facevo parte del coro della scuola, e quell'anno avrei cantato un a solo. Anche molti altri nella valle rimasero delusi. Il concerto doveva svolgersi poco prima del grande trasloco, e l'anno successivo non ci sarebbe stato nessun municipio, e nessuna valle, dove tenerlo. Poi sentimmo dire che il signor Wulfstan aveva convinto il reverendo Disjohn a lasciarci usare St Luke, e quasi si sarebbe creduto che la battaglia fosse vinta. Ma niente di tutto ciò riuscì a levarci dalla testa la scomparsa di Ma-
dge. Ogni volta che vedevamo i poliziotti, e li vedevamo tutti i santi giorni, tornava alla mente ogni cosa. Tutti i bambini che conoscevano Madge vennero interrogati da questa signora poliziotto, e io più degli altri, perché era la mia migliore amica. Lei fu molto gentile e non avevo paura di parlare con lei. Era molto meglio che rispondere alle domande che mi faceva di continuo il signor Telford. La signora Telford mi piaceva un sacco, e lo zio George di Madge, il fratello di suo padre che lavorava con lui alla falegnameria, anche lui era ok. Ma il signor Telford mi metteva un po' paura, forse perché era lui a fabbricare le bare per tutta la valle e l'avevo visto a un funerale che indossava un vestito nero. Madge, come me, era figlia unica, con la differenza che, per quanto riguardava mio padre, io sarei anche potuta non esistere, mentre per il signor Telford Madge era come una dea, una principessa o qualcosa del genere. Non che non si arrabbiasse con lei. Quando tornava a casa in ritardo, anche se erano solo dieci minuti dopo la scuola, le diceva che l'avrebbe chiusa a chiave insieme alle bare finché non imparava a essere più obbediente. Non credo che Madge se la prendesse granché. Qualche volta ci intrufolavamo nel vecchio granaio dove lui teneva le bare e ci giocavamo in mezzo, e a volte ci arrampicavamo anche dentro. Non dico che mi sarebbe piaciuto trovarmi là dentro da sola, ma era sempre meglio della frusta. E comunque non mise mai in atto la minaccia. Quando recuperava la calma di solito dava la colpa a qualcun altro, a me per esempio, di averla fatta ritardare. Adesso mi stava addosso tutto il tempo, alla ricerca di qualcuno o qualcosa a cui dare la colpa, penso. Ma credo che più di tutto incolpasse se stesso. «Quando torna, sarà tutta un'altra musica» diceva. «Non la lascerò più andare dove non posso vederla». Ma credo che lui sapesse, come lo sapevo io, che non sarebbe tornata mai più. La signora poliziotto mi fece ogni genere di domande, come: Madge aveva mai detto niente su un uomo che le dava noia? Andava d'accordo con suo padre e con lo zio George? Risposi che no, non me l'aveva mai detto e che sì, ci andava molto d'accordo. Poi si informò sul pomeriggio in cui era scomparsa, e se avevo notato qualcuno vicino alla casa dei Telford quando ero andata a cercare Madge nel giardino dietro casa. Risposi di no. E lei disse: nemmeno Benny Lightfoot? E io dissi: oh, sì, pensavo di aver visto Benny sulla collina, ma nessuno fa mai caso a Benny. Fu a quel punto che mi domandò della volta che stavamo giocando nell'acqua e Jenny era sparita, e se anche quel giorno avevo visto Benny. E io dissi di sì, che
pensavo di averlo visto. E lei mi chiese perché non l'avevo detto allora, e io spiegai che pensavo che Benny non contasse. Nessuno nella valle pensava che Benny Lightfoot (Pieghevole in inglese) fosse capace di fare del male, e quando la macchina della polizia percorse a sobbalzi la straducola che portava a Neb Cottage, dove lui viveva con la nonna, tutti pensarono che era una vergogna. Nobby Clark spiegò che quel budellone senza l'uniforme aveva insistito per sapere se nelle vicinanze viveva qualcuno un po' strano. «Gli ho detto che non ne conoscevo molti che non fossero un po' strani», disse. (Tutti la trovarono una gran bella battuta, e circolò in fretta per la valle). Però non avrebbe dovuto dirgli di Benny. Benny aveva più o meno diciannove anni, e avevo sentito dire che da piccolo aveva avuto un incidente e aveva qualcosa di metallo nella testa, e forse era questo che lo rendeva così timido, specie con le ragazze. Si vedeva la sua figura lunga e smilza ciondolare attorno al municipio, specialmente se c'era gente radunata, o nel bosco di Wintle, dove i ragazzi e le ragazze grandi erano soliti passeggiare nelle belle serate. Ma non appena si accorgeva che l'avevi visto, svaniva talmente in fretta che ti chiedevi se l'avevi visto davvero. «Mai conosciuto uno con un nome più azzeccato di quel bastardo!», diceva la gente, e tutti quanti si fecero una bella risata quando seppero che, nello stesso momento in cui la macchina della polizia frenava davanti a Neb Cottage, Benny sgusciava fuori dalla porta sul retro e si dileguava su per la collina. Uno dei poliziotti tentò di inseguirlo: tutto inutile. Una volta avevano convinto Benny a partecipare alla Danby Tops, la grande gara di corsa in collina per la fiera di Danby, in agosto. L'avevano sistemato per bene sulla linea di partenza e, quando era esploso il colpo di pistola, lui era balzato su come un levriero e mezz'ora dopo, quando i corridori avevano svoltato alla sommità del pendio di Lang Neb dalla parte di Danby per tornare al traguardo, lui era avanti agli altri di mezzo chilometro. Veniva giù come un masso in caduta libera, semplicemente balzando da una roccia all'altra, e in vista non c'era nessun altro concorrente. Voi aveva sentito le acclamazioni della folla e si era arrestato di botto, cinquanta metri al di sopra del prato della fiera, sul Ligg Common, e aveva guardato giù dove stava tutta quella gente. Listante dopo si era girato e aveva iniziato ad arrampicarsi correndo su per il pendio, veloce come ne era disceso, e credo non si sia fermato finché non ebbe raggiunto il crinale e poi giù, il cottage della nonna a Dendale.
Così, come ho detto, molti si misero semplicemente a ridere quando sentirono cos'era successo, perché pensarono che fosse una perdita di tempo, tanto più che la polizia secondo loro non doveva cercare fra la gente del luogo, perché era stato uno dei forestieri, e in particolare uno di quelli che lavoravano al cantiere della diga. Era un bel po' che quei tipi gironzolavano lì attorno. Avevano iniziato i lavori subito dopo che il signor Pontifex gli aveva venduto le sue terre di Dendale. La costruzione vera e propria della diga non potevano iniziarla prima di sapere i risultati della commissione d'inchiesta, ma, come sentii dire più tardi a mio padre, non faceva alcuna differenza. Il Dipartimento per le Acque, sapendo in anticipo che l'esito gli sarebbe stato favorevole, aveva già posato nuovi tubi sul Black Moss fra il Neb e Beulah Height, su a Highcross Moor, così che quella che fino ad allora era stata solo una grande palude adesso era un vasto lago di montagna che attendeva di essere riversato nella valle. E a Dale End avevano sgomberato il terreno e avevano posato binari per macchinari pesanti e costruito baracche per gli operai. Perciò erano da quelle parti da molto, e durante quella lunga estate calda, quando la diga stava per essere terminata, per la gente della valle erano diventati presenze familiari. C'erano stati, sì, piccoli episodi strani, ma non molti. Come quando per Natale avevano rubato alcune galline, o quando qualcuno si era messo a rubare le mutandine da donna dal bucato steso ad asciugare: tutti dissero che erano gli operai della diga, e Nobby Clark andò a dir loro due parole. Ma a parte quello, non ci furono altre noie. Qualche volta si facevano vedere all'Holly Bush, ma giù a Dale End avevano bar, mensa e sala giochi, e a quanto pareva preferivano far gruppo tra loro. Ma uno era diverso dagli altri. Era un uomo di nome Geordie Turnbull. Geordie non era nessuno di importante, guidava una di quelle grosse macchine che scavavano la terra, ma a lui piaceva venire al villaggio, bere al pub, far compere all'emporio. Piaceva a tutti quanti, eccetto forse a qualche uomo, che non mandava giù che ci prendesse così tanto con le donne. Perfino la signora Winter, la nostra vecchia direttrice, pensava che fosse una persona eccezionale, e la signorina Lavery sembrava piuttosto colpita da lui. Qualche mese prima il Dipartimento per le Acque aveva organizzato una serie di conferenze al municipio per spiegare tutto quello che c'era da sapere sulla diga, una noia mortale, diceva babbo. Lui si era al-
zato, aveva fatto delle domande e poi aveva attaccato a discutere e voleva menare il relatore, ma qualcuno degli altri l'aveva trattenuto, anche se la maggior parte era d'accordo con lui. Ad ogni modo, il Dipartimento per le Acque aveva chiesto alla signora Winter se potevano mandare un relatore a scuola, e lei aveva detto di no, perché probabilmente avrebbe solo spaventato i bambini, ma che se mandavano qualcuno che conoscevamo tutti, come Geordie Turnbull, allora era ok. Così venne Geordie. Aveva un modo buffo di parlare, e la signorina Lavery diceva che era perché veniva da Newcastle. Non ci tenne una conferenza, ma fece una specie di chiacchierata e poi rispose alle domande. Mi ricordo che disse: «C'è qualcuno di voi bambini che ha mai cercato di fare una diga in un ruscello?». E quando tutte le mani si sollevarono disse: «Molto bene, quindi ditemi, miei cari ragazzi e ragazze, qual è il materiale migliore per costruire la diga?». E qualcuno disse la terra, altri le pietre, altri i rami. Geordie annuì e a tutti disse: «Ottima risposta». Poi disse: «Adesso una domanda più difficile. Qual è il materiale peggiore che possiate usare per costruire la vostra diga?». Mentre eravamo lì a spremerci il cervello, Madge saltò su urlando: «L'acqua, accidenti!». E Geordie scoppiò in una gran risata e noi ridemmo con lui, perché quando rideva eri costretto a ridere anche tu; poi sollevò Madge dicendo: «Sì, è l'acqua, accidenti». E mettendosela sulle spalle: «Pensate, proprio l'elemento che state cercando di risparmiare lavora contro di voi. Così quando è caldissimo e secco, come ora, costruire una diga è un po' più facile di quando è umido e freddo. Anzi, si potrebbe dire che è un accidenti più facile». Ridemmo tutti di nuovo, e anche alla signora Winter scappò un sorriso. Poi posò a terra Madge, le diede un bacio e le disse che se mai avesse voluto un lavoro come scavatrice non doveva far altro che andare a trovare lui, Geordie Turnbull. Insomma, fu un grande successo. Dopodiché Geordie divenne ancor più popolare. E tutti presero a dire che erano quei ricconi nei loro grandi uffici i responsabili dell'allagamento della vallata, e non serviva a niente dar la colpa agli operai, perché erano semplici lavoratori che cercavano di guadagnarsi da vivere. Ma quando presero Madge, tutto cambiò. Di colpo ci proibirono di avvicinarci agli scavi, di parlare con chiunque lavorasse alla diga, e se qualcuno ci rivolgeva la parola dovevamo correre via più in fretta possibile e andare a dirlo all'agente Clark. E soprattutto ci proibirono di parlare con Geordie Turnbull. Quando
aveva tenuto quella lezione a scuola, nessuno aveva dato peso al fatto che si era messo Madge sulle spalle e che l'aveva baciata e le aveva detto di andare da lui se voleva un lavoro. Adesso tutti ne parlavano, e all'Holly Bush non gli servivano più da bere, e una volta che lui non aveva voluto andarsene era quasi scoppiata una rissa. Poi, un giorno, vedemmo che lo caricavano su una macchina della polizia, e tutti dicevano che avevano preso il colpevole e che doveva essere linciato. Due giorni dopo, però, Geordie era di nuovo al lavoro, anche se al villaggio non si fece vedere più. Ma non importava, perché adesso c'era qualcosa di nuovo a tenere occupato il cervello della gente. Gli sbirri non ce l'avevano fatta a beccare Benny Lightfoot, ma alla fine si procurarono un pezzo di carta che diceva che potevano frugare nella sua stanza. La vecchia signora Lightfoot disse che ci voleva ben altro che un foglio per entrare in casa sua, e gli aizzò contro i cani, ma alla fine ce la fecero a entrare, e di sopra, nella stanza di Benny, trovarono libri con figure sconce e qualcuna delle mutandine che erano sparite dai fili. Non credo fosse loro intenzione farlo sapere in giro, ma entro un'ora la voce si era sparsa per tutto il villaggio. Adesso avevano davvero il fuoco al culo per catturare Benny. Misero due uomini appostati nella vecchia stalla accanto al Neb Cottage. Tutti dissero che dovevano essere fuori di cervello per non immaginare che Benny li stesse guardando dall'alto del Neb, e infatti dopo un paio di giorni arrivò sobbalzando sul sentiero una macchina che portò via gli uomini nascosti. Quello che nessuno sapeva era che dal baule della macchina avevano fatto uscire un altro uomo, che si era rimpiattato nella stalla. Quella notte, quando Benny scese a casa della nonna, quell'uomo gli saltò addosso. Voi si chiuse con lui nella stalla, e chiese rinforzi con la radio, che ne aveva proprio bisogno. Quando gli altri arrivarono, la vecchia signora Lightfoot era davanti alla stalla con i cani e un fucile, e cercava di abbattere la porta. Portarono Benny in città, e anche se tutti erano spiacenti per la vecchia signora, speravano che fosse finita lì. Ma quattro o cinque giorni dopo Benny era di ritorno. Stando a quello che disse Nobby Clark, gli avevano fatto domande su domande, ma lui aveva continuato a dire che non aveva fatto niente di male, e avevano dovuto assegnargli un avvocato, e l'avevano trattenuto più a lungo che avevano potuto ma alla fine erano stati costretti a lasciarlo andare. Nessuno nella valle sapeva cosa pensare. Ma tutte le mamme dissero la stessa cosa ai loro bambini: se vedi Benny Lightfoot, scappa come un ful-
mine. E qualcuno dei babbi, dopo qualche pinta all'Holly Bush, era pronto ad andare su a Neb Cottage per farla finita, anche se mio babbo diceva che erano un branco di idioti che si erano pisciati il cervello contro il muro. Ne poteva nascere una rissa, ma al bar c'era il signor Wulfstan con Arne Krog e qualcuno chiese la sua opinione. La gente aveva un bel po' di rispetto per il signor Wulfstan, anche se era uno di fuori. Aveva sposato una del posto, gli piaceva andare a caccia e sparare e spendeva i suoi soldi nella valle. E soprattutto si era opposto con tutte le forze al Dipartimento per le Acque. Così lo stettero a sentire quando disse che dovevano avere fiducia nella Legge. La miglior cosa da fare era tenere i bambini sotto controllo finché non fosse arrivato il momento di lasciare la valle, momento che non era lontano. Buffo. Più la gente si preoccupava per i figli, meno badava alla diga. Anzi, qualche mamma arrivò a dire che sarebbe stata una benedizione andarsene, lasciarsi alle spalle quella storia e ricominciare tutto daccapo in un posto nuovo, molto lontano da Benny Lightfoot, come se lui e sua nonna non dovessero trasferirsi anche loro. Il caldo non dava tregua. Il lago calava, la diga cresceva. La gente diceva che senz'acqua da metterci dentro non era una vera diga, solo una gran muraglia, come quella di Adriano, su al nord, costruita per tenere fuori gli stranieri. Solo che non aveva funzionato. Ce n'erano già due dentro, di stranieri: Arne Krog e Inger Sandel. Li conoscevo abbastanza bene perché la zia Chloe mi invitava spesso a Heck a giocare con Mary. Anche Arne si ricordava di me, perché avevo cantato nel coro della scuola l'anno prima, e quando seppe che quell'anno dovevo eseguire 'The Ash GrovÈ come solista, un giorno mi chiese se gliela facevo sentire. Ero così lusingata e emozionata che iniziai a cantare di botto, senza aspettare che lui incominciasse con l'accompagnamento al piano. Stette a sentirmi fino alla fine, poi si sedette al piano. Era uno di quelli a mezza coda: il signor Wulfstan lo suonava un po', ma per la verità l'aveva comprato perché Mary ci facesse esercizio durante le vacanze. Mary mi aveva detto che a lei non piaceva granché suonare il pianoforte. A me invece sarebbe piaciuto imparare, ma non avevo il piano, e non speravo neppure di poterne mai avere uno. Comunque, Arne suonò una nota e mi chiese di cantarla, poi qualche altra nota, poi una mezza dozzina, e mi chiese qual era la nota che stava alla fine del secondo verso di 'The Ash Grove'.
Quando glielo dissi, commentò rivolto a Inger: «Hai sentito? Penso che la piccola Betsy potrebbe avere l'orecchio assoluto». Lei si limitò a guardarlo con gli occhi vuoti, il che non significava niente, perché quella era la sua espressione abituale. Parlava inglese bene quanto lui, ma non si sforzava mai di farlo, se non c'era costretta. Quanto a me, non avevo la minima idea di che cosa stessero dicendo, ma mi sentivo molto soddisfatta di possedere qualcosa che suscitava l'approvazione di Arne. Questo piano che c'era a Heck doveva essere trasportato a St Luke per il concerto. Al municipio c'era un vecchio pianoforte, ma per i concerti veri e propri non era buono, e quello della scuola non era in condizioni migliori. Se un gatto avesse passeggiato su e giù per la tastiera avrebbe prodotto suoni musicali quanto quelli della signorina Lavery quando cercava di suonarlo. Così bisognava ricorrere al mezzacoda del signor Wulfstan. Babbo andò a Heck con un rimorchio attaccato al trattore. Gli aveva dato una sistemata e aveva sparso uno strato di paglia pulita sulle assi del fondo, e non sembrava poi tanto male. Per trasportare il piano fuori dalla casa ci vollero babbo e due ragazzi del villaggio, mentre la zia Chloe e Arne davano consigli su come fare. Anch'io provai ad aiutarli, ma babbo mi disse di togliermi dalle scatole prima di far inciampare qualcuno. Andai a mettermi vicino a Mary, che mi prese la mano. Il suo babbo non le aveva mai parlato a quel modo. Se stavano senza vedersi per mezza giornata, quando tornava a casa le faceva un monte di feste, molte più di quelle che mi aveva fatto babbo una volta che ero tornata dopo due giorni di ospedale, quella volta che mi ero rotta una gamba. Il signor Wulfstan quel giorno non c'era. Quasi tutti i giorni andava in macchina in città per i suoi affari, e questo era uno di quei giorni. Attraversammo il villaggio in una specie di processione, babbo alla guida del trattore, i ragazzi in piedi sul traino per assicurarsi che il piano non scivolasse, Arne, Inger, zia Chloe, Mary e io che venivamo dietro a piedi. La gente si affacciava alla porta delle case per vedere cosa succedeva e si fece delle risate, come non succedeva da tempo. Nessuno aveva scordato Jenny e Madge, ma piangere non serviva a pagare l'affitto, come diceva mia mamma. Perfino i poliziotti che stavano al municipio guardarono fuori e sorrisero. Il reverendo Disjohn stava aspettando davanti alla chiesa. Entrare dalla porta non fu un'impresa facile. St Luke non è un edificio grande e ornato come quelli che si vedono in certe figure. L'avevamo imparato a scuola.
Un paio di secoli prima a Dendale non c'erano chiese, e la gente doveva farsi una lunga camminata per assistere al servizio a Danby. Il peggio era quando qualcuno moriva, e ci si doveva portar dietro la bara. Cosi alla fine costruirono la loro chiesa vicino a Shelter Crag, ai piedi della collina, dove levavano i corpi dalle bare per caricarli sui pony e portarli a Danby. E nel costruirla applicarono le stesse regole che applicavano alle loro case, e cioè più grande è la porta, più grande è la corrente d'aria che entra. Alla fine riuscirono a portarlo dentro e a sistemarlo. Babbo e i ragazzi se ne andarono col rimorchio. Inger si mise al piano per provarlo. Gli avevano dato una bella strapazzata, su e giù dal rimorchio e attraverso quella porta stretta, e lei si mise ad accordarlo. Zia Chloe disse che aveva delle cose da fare al villaggio e che ci avrebbe riportato a casa. Mary e io chiedemmo se potevamo restare e poi tornare con Arne e Inger e lei disse che andava bene, a patto che non uscissimo dalla chiesa. Arne disse che ci avrebbe tenuto d'occhio e zia Chloe se ne andò. Arne gironzolava per la chiesa osservando gli intagli in legno e cose simili. Il reverendo Disjohn sedeva in un banco e guardava Inger al lavoro. Avevo notato spesso che quando c'era lei vicino non le staccava un attimo gli occhi di dosso. Lei era troppo occupata per badargli: suonava una nota e poi rovistava nel pianoforte. Mi annoiavo a morte, così io e Mary sgusciammo fuori dalla chiesa e ci mettemmo a giocare nel cimitero. Fra le lapidi è il posto ideale per giocare a nascondino. È un po' pauroso, ma è una paura gradevole finché il sole splende e sai che ci sono degli adulti a portata di mano. Certo, non tutti gli adulti. Si vedeva ancora la vecchia Corpse Road che si arrampicava tutta curve su per il pendio di Shelter Crag. lo ero nascosta dietro una grande pietra all'estremità del cimitero, e attraverso il portone vedevo bene il sentiero; fu lassù che scorsi una figura. Come dissi più tardi alla polizia, pensai che fosse Benny Lightfoot, ma non ne ero proprio sicura. Voi Mary aggirò la lapide e mi afferrò all'improvviso, mettendomi una paura del diavolo, e dimenticai ogni cosa. Adesso era il suo turno di nascondersi e il mio di cercarla. Era brava a nascondersi, perché era capace di stare ferma immobile come un topolino, e non si metteva a ridacchiare come la maggior parte di noi. Feci tutto il giro attorno alla chiesa senza trovarla. Mentre passavo davanti alla porta sentii che Arne cominciava a cantare. Inger doveva aver finito di accordare, perché stavano provando. Entrai ad ascoltare. Le parole erano straniere, ma avevo già sentito quel brano e conoscevo
il significato. Variava di un uomo che cavalca di notte con suo figlio malato, e il bimbo vede questa specie di elfo chiamato il Re degli Ontani, che lo chiama a sé. Il suo babbo cerca di cavalcare più veloce, ma inutile, il Re degli Ontani ha afferrato il ragazzo, e quando arriva a destinazione il bambino è morto. Non mi piaceva molto, perché faceva veramente paura, ma ero come obbligata ad ascoltarla. Arne mi vide sulla soglia e fermandosi all'improvviso disse: «No, non va bene. C'è qualcosa di sbagliato in questo posto, forse è l'acustica, o forse il piano non è accordato bene. Devo tornare a casa adesso. Perché non suoni qualche scala alla piccola Betsy? Via un orecchio migliore di tutti noi, penso. Vallo dire a lei cosa c'è di sbagliato». Ricordo le parole una per una. Mentre le pronunciava guardava dritto verso di me, e sulle labbra aveva l'ombra di un sorriso. I suoi occhi erano di un azzurro intenso, come il cielo in uno di quei giorni d'inverno rigidi, quando il sole splende ma il gelo non allenta la sua morsa. Mi prese in braccio e mi trasportò per la navata. Ricordo com'era freddo lì dentro, dopo il sole dell'esterno. E mi venne in mente la volta che babbo mi aveva preso in braccio nel granaio. Arne mi depose in un banco vicino al vicario e mi arruffò i capelli, quel poco che poteva arruffare dei miei capelli cortissimi. Poi disse: «Ci vediamo più tardi», e sorrise a Inger. Lei non gli restituì il sorriso, si limitò a lanciargli un'occhiata curiosa e mentre lui usciva attaccò a suonare delle scale. Ogni tanto si fermava e mi guardava. A volte annuivo, altre volte scuotevo il capo. Non so come faccio a capire che c'è qualcosa di sbagliato, ma lo capisco. Restammo lì più o meno una mezz'ora. Alla fine Inger fu soddisfatta e salutammo il vicario. Lui avrebbe voluto parlare, ma capii che a Inger non interessava, e uscimmo dalla chiesa. Dopo il gelo dell'interno, era come entrare in un bagno bollente, e la luce abbagliante mi fece male agli occhi. Poi mi ricordai di Mary. La chiamai. Niente. Era come essere ancora in fondo al giardino di Madge. Anche Inger si mise a chiamare, e il reverendo Disjohn uscì dalla chiesa e domandò cosa succedeva. «Niente» disse Inger. «Credo che Mary sia andata a casa con Arne». Lo disse in maniera casuale, ma vidi dal modo in cui lei e il vicario si guardarono che erano preoccupati da morire.
Anch'io stavo male, ma non era preoccupazione. Ti preoccupi per quello che non sai, e io sapevo: Mary era andata. Tornammo in fretta a Heck. Arne era là con zia Chloe. Quando chiedemmo se Mary era tornata a casa credetti che ci morisse lì davanti. Avevo spesso sentito l'espressione 'bianco come un lenzuolo', ma adesso per la prima volta capivo cosa significava. Il vicario si era fermato al municipio, e la polizia veniva proprio dietro a noi. Riferii tutto quello che sapevo. «Sei sicura che fosse Lightfoot?», continuavano a chiedermi, e io continuavo a rispondere: «Penso che fosse lui». Poi Arne disse: «Credo che questa giovane signorina ne abbia avuto abbastanza, non siete d'accordo?». Mi mise un braccio attorno alle spalle, mi guidò fuori e mi accompagnò a casa. Cercarono di nuovo sul Neb, con i cani e tutto, come l'ultima volta. E, come l'ultima volta, tornarono a mani vuote. Andarono di nuovo a pescare Benny, che non si trovava da nessuna parte. Sua nonna disse che era rimasto con lei tutto il pomeriggio, ma quando aveva visto la polizia che imboccava il sentiero era scappato, perché non sopportava più di venire interrogato. Nessuno le credette, almeno la parte in cui dichiarava che era stato con lei tutto il pomeriggio. Poi tornò il signor Wulfstan. Era come impazzito. Venne a casa nostra e cominciò a chiedermi cos'era successo. All'inizio cercò di essere gentile e amichevole, ma dopo un po' alzò la voce e iniziò ad avere un'aria così feroce che mi misi a piangere. «Dici che non sai dov'era nascosta? Dici che pensi di aver visto Lightfoot? Dici che sei entrata in chiesa ad ascoltare la musica?». Mi aveva afferrato e mi scrollava, e io piangevo da far pietà. Voi mamma, che era uscita dalla stanza per fare del tè, corse dentro e chiese cosa diavolo pensava di fare. Non l'avevo mai sentita dire parolacce. Il signor Wulfstan si calmò e disse che era spiacente, ma dal tono non pareva proprio, e poi scappò via senza prendere il tè. Più tardi sapemmo che era salito a Neb Cottage e aveva avuto una lite furibonda con la vecchia signora Lightfoot, tanto che la polizia aveva dovuto allontanarlo, e lui aveva detto che era tutta colpa loro, perché avevano lasciato Lightfoot libero quando l'avevano già in pugno, e che se era successo qualcosa a Mary potevano star sicuri che l'avrebbero pagata tutti quanti. Domandai a mamma perché era così arrabbiato con me. Lei mi spiegò
che non era arrabbiato con me, ma con se stesso, per non aver avuto maggiore cura della cosa che amava di più al mondo. Dissi: ma non è colpa sua se hanno preso Mary, e lei disse: sì, ma lui pensa che lo sia, ed è per questo che corre di qua e di là cercando qualcun altro a cui dare la colpa. E mi domandai se babbo si sarebbe agitato così tanto se avessero preso me. Le settimane passarono. Non ritrovarono Mary. E nemmeno Benny. Il concerto fu annullato. Arne e Inger se ne andarono. E arrivò il giorno in cui tutti dovemmo lasciare le nostre case. Io ero contenta di andarmene. Tutti gli altri avevano il muso lungo e qualcuno piangeva e singhiozzava. Babbo andava in giro come se stesse cercando qualcuno da prendere a pugni e mamma, che era in uno dei suoi periodi brutti, riuscì a stento a trascinarsi fuori di casa. Ma io sedevo sul sedile posteriore dell'auto con Bonnie ben stretto in braccio e mi davo delle sberle sulle guance per impedirmi di sorridere. Ricordate che avevo solo sette anni e pensavo che dolore, colpa e paura fossero cose da cui ci si poteva allontanare come le case, e i granai e i campi, e lasciarsele dietro perché venissero sommerse. E quando, mentre percorrevamo per l'ultima volta la strada del villaggio, la prima goccia di pioggia che vedevamo da quattro mesi atterrò sul lunotto, ricordai il discorso del venerdì del reverendo Disjohn e fui sicura che il Signore stava ancora una volta inviando la sua inondazione benedetta per lavare un mondo lordo di tutti i nostri peccati. II E ora il sole vuole sorgere luminoso Come se stanotte una sventura non fosse accaduta È pur vero, l'orrore ha colpito me solo E il sole risplende per tutti. «Bella voce» disse Peter Pascoe con la bocca piena di quiche. «Peccato quella tuba così strombazzante». «Era il clacson di una macchina. Il tuo orecchio sensibile non coglie la differenza? Ma senza dubbio appoggiata al clacson c'era la mano di Tubby la Tuba». «E tu perché pensi che mi stia strafogando?», disse Pascoe. «L'ho notato. Peter, è domenica, è il tuo giorno libero. Non sei costretto a uscire».
Lui le lanciò un sorriso stranamente grave e disse con gentilezza: «No, non sono costretto. Ma penso che lo farò. Ti concedo l'opportunità di una domenica produttiva». Era un'allusione alle ambizioni di scrittrice di Ellie, sottolineate dalla presenza di un blocco e tre penne sistemati sul patio, accanto al lettino da sole. «Non riesco a concentrarmi con questo caldo» disse lei. «Gesù, quel grasso bastardo sveglierà tutta la strada». Il clacson stava eseguendo una variazione sulle note d'apertura della Quinta di Beethoven. Pascoe lo ignorò e disse: «Non badarci. Probabilmente sei già famosa, solo che nessuno te l'ha detto». Ellie aveva scritto tre romanzi, nessuno dei quali pubblicato. Un editore si era tenuto il dattiloscritto del terzo per tre mesi. Con una telefonata le avevano assicurato che stava ricevendo un esame attentissimo, il che era più deleterio per la sua creatività di qualsiasi calura. Il campanello squillò. Il grasso bastardo era sceso dalla macchina. Pascoe trangugiò la quiche con un sorso di vino e si chinò a dare un bacio alla moglie. Con Ellie, qualsiasi bacio era un bacio come si deve. Una volta gli aveva detto che i bacetti sulla guancia li accettava solo da sua madre. Ora inarcò sulla sdraio il corpo ricoperto solo da un bikini e lavorò attivamente di lingua. Il campanello eseguì il finale dell'Ouverture 1812, con accompagnamento di colpi di cannone eseguiti da pugni picchiati contro il legno. Pascoe, riluttante, si sollevò ed entrò in casa. Passando per l'ingresso afferrò una leggera giacca a vento con il cappuccio. Non pioveva da settimane, ma Andy Dalziel riusciva sempre a tirar fuori il boyscout che era in lui. Aprì la porta e disse: «Gesù». Il sovrintendente Andrew Dalziel, sempre traboccante di sorprese, indossava una camicia hawaiana abbastanza sgargiante da accecare un'aquila. «Il solito ottimista miope» disse, gettando un'occhiata alla giacca. «Salve, che si dice? La conosco quella tiritera». Questo batteva anche la camicia. Come un bambino attirato dalla musica del pifferaio magico, il Ciccione spinse da parte Pascoe e attraversò la casa in direzione del patio, da dove proveniva la musica della radio. «Non serrare in te la tua notte,» cantava una robusta e giovane voce di mezzosoprano. «Nella luce eterna devi tuffarla».
«Andy» disse Ellie, alzando gli occhi sorpresa. «Pensavo avessi fretta. Hai tempo per un drink? Una fetta di quiche?». Allungò la mano verso l'interruttore della radio. «No, lascia. Mahler, eh?». Con qualche difficoltà, Ellie evitò di incontrare lo sguardo del marito. «Giusto» disse. «Sei un appassionato?». «Non direi. Ma di solito non lo fanno in crucco?». «Sì. È la prima volta che lo sento in inglese». «S'è spento un piccolo lume nel mio cuore / Ma sia benedetta la luce gioiosa del mondo!». La voce andò spegnendosi. La musica proseguì ondeggiando e singhiozzando per un altro mezzo minuto, poi morì anch'essa. «Elizabeth Wulfstan ha eseguito il primo dei Kindertotenlieder, i canti dei bambini morti, di Mahler» informò l'annunciatore. «Voce nuova per me, Charmian. Carica di promesse, ma che scelta originale per il primo disco... E la traduzione è sua, credo». «Esatto. E sono d'accordo con te. Non molti ventiduenni oserebbero affrontare una cosa come questa, ma forse non molti ventiduenni hanno una voce matura come la sua». «Può darsi, ma continuo a pensare che sia stata una scelta infelice. C'è una continua ricerca di effetto, come se non si fidasse che musica e parole facciano la loro parte. Ci sentiamo dopo l'interruzione pubblicitaria. Siete all'ascolto di Coming Out, la trasmissione che recensisce per voi le nuove uscite». Ellie spense la radio. «Andy, tutto bene?». Il Ciccione aveva un'espressione rapita, non più da bambino in preda all'incantesimo del pifferaio, bensì da quel certo thane scozzese dopo la chiacchierata con le fatidiche sorelle. «Sì, sto bene. Mi sento solo come se qualcuno avesse camminato sulla mia tomba, tutto qui». Questa volta gli sguardi di marito e moglie si incontrarono e si passarono il messaggio: «Dev'essere stata una bella scarpinata!». Dalziel proseguì: «Ragazza, hanno detto che si chiama Wulfstan?». «Esatto. Canterà al Festival delle Valli. Ho visto la pubblicità del disco su Grammophone, offerta speciale se lo ordini per posta, e l'ho ordinato, ma forse non l'avrei fatto se avessi sentito prima la recensione. Dammi il tuo parere da esperto, Andy. E sei sicuro che non vuoi qualcosa da bere?».
Forse fu la gentile ironia, o l'offerta reiterata, a strappare Dalziel dalla sua reverie, e per la prima volta il suo sguardo mise a fuoco una Ellie che indossava un bikini il cui tessuto non sarebbe bastato nemmeno per il collo della sua camicia. «No, ragazza. Non so un accidenti di musica. E non ho tempo di bere. Mi spiace di trascinartelo fuori di domenica, comunque». Disse 'trascinartelo' come se lo facesse fisicamente. Ellie era perplessa. Tre cose superavano la sua comprensione: Dalziel che riconosceva Mahler, Dalziel che rifiutava un drink e Dalziel che evitava di fissarle spudoratamente le tette. «Sembra una cosa urgente», disse. «Eh, sì. Un bambino scomparso è sempre urgente» disse lui. «Dov'è la giovane Rosie?». Il collegamento di idee fu brusco e inquietante. Pascoe disse in fretta: «Passa il fine settimana da un'amica. Zandra, con la zeta, ci crede? Zandra Purlingstone, no?». Nella domanda c'era un'imbeccata che Dalziel colse in un lampo. «Purlingstone? Non la figlia di Bacino di carenaggio Purlingstone?», esclamò. Derek Purlingstone, general manager della Mid-Yorks Water plc, la versione privatizzata del Dipartimento per le Acque, quando era iniziata la siccità, quell'anno, aveva sdrammatizzato la minaccia di razionamento, sfottendo blandamente la preoccupazione tutta inglese per il bagno con la seguente battuta: «Dopotutto, quando si vuole lavare una barca non la si mette in una vasca da bagno piena, no? La si mette in un bacino di carenaggio!». Aveva appreso a sue spese che solo alle vittime è permesso scherzare sulle proprie disgrazie. La sorpresa di Dalziel nasceva dal fatto che, per posizione sociale e idee politiche, Bacino di carenaggio era un uomo la cui compagnia normalmente Ellie avrebbe schivato come la peste. «Proprio lui» disse Pascoe. «Zandra e Rosie sono nella stessa classe, a Edengrove, e si sono nominate vicendevolmente migliori amiche». «Oh, ma davvero? Con tutta la grana che gli esce dalle tasche, avrei pensato che mettesse sua figlia in una scuola privata. Ma è una buona scuola e penso che ce l'abbia a portata di mano, praticamente sulla soglia di casa». Dalziel aveva parlato senza malizia, ma Pascoe si accorse che Ellie si era sentita provocata. La scuola elementare di Edengrove, con la sua eccellente reputazione e la famosa direttrice, la signorina Martindale, poteva ben
essere sulla soglia di casa dei Purlingstone, ma era a sei chilometri abbondanti da quella dei Pascoe, in direzione nord, mentre la scuola di Bullgate si trovava a meno di mezzo chilometro a sud. Ellie aveva svolto le sue indagini. «Bullgate ha diverse caratteristiche originali e uniche» le aveva detto un'amica all'ispettorato. «Per dirne una, durante la ricreazione giocano a rincorrersi con i martelli». Dopodiché aveva fatto domanda per iscrivere Rosie a Edengrove. Anche sostenuta dal brillante esempio della nuova dirigenza laburista, Ellie si sentiva un tantino esposta alle critiche, e come sempre era pronta ad attaccare prima che i secondi lasciassero il ring. «Se Derek è abbastanza democratico da mandare sua figlia a una scuola pubblica, non vedo perché dovremmo criticarlo impedendo che Rosie faccia amicizia con sua figlia, non trovi?», disse con aria di sfida. In una situazione normale Dalziel non avrebbe chiesto di meglio che liquidare Ellie Pascoe con una battuta. Ma quella mattina, in quel gradevole patio inondato di sole, tutto ciò che avrebbe desiderato era sprofondarsi in una poltrona, accettare una birra fredda e far fuori quel che restava del giorno in compagnia delle persone che gli stavano a cuore più di quanto fosse disposto a riconoscere. Scoprì perciò di non avere abbastanza stomaco nemmeno per una scaramuccia. «No, hai ragione, ragazza» disse. «Essere amica della tua piccola non può fare che bene a chiunque. Ma pensavo che la sua migliore amica si chiamasse Nina, o qualcosa del genere, non Zandra. L'altra sera quando ho telefonato ha risposto Rosie e le ho chiesto cosa stava facendo e mi ha detto che giocava all'ospedale con Nina, la sua migliore amica. Hanno litigato, o cosa?». Pascoe si mise a ridere e disse: «Nina ha parecchie doti, ma non possiede un pony e una piscina. Almeno non una piscina e un pony veri. Nina è l'amica immaginaria di Rosie. Da quando Wieldy gliel'ha regalata per Natale sono inseparabili». Andò in salotto e ne uscì con un libricino colorato che porse al Ciccione. In copertina, sotto il titolo Nina e il nix, si vedeva uno specchio d'acqua incassato fra alte rocce e una figura squamosa dalle fattezze umane, con i denti aguzzi e una barbetta, che cercava di afferrare una bambina che teneva le mani premute sulle orecchie, bocca e occhi tondi per il terrore. Sul margine inferiore c'era scritto 'Stampato dalla Eendale Press'. «Ehi» disse Dalziel. «Non è la ditta di quel bastardo spiritoso che fa coppia con il nostro Wieldy?». «Edwin Digweed. Proprio lui», disse Pascoe.
«Dieci ghinee, dice qui. Spero che quel truffatore faccia degli sconti. Sicuri che va bene per i bambini? Una figura come questa potrebbe farle venire gli incubi». Sembra un nonno brontolone, pensò Pascoe. Disse: «Le illustrazioni sono di Caddy Scudamore. Se la ricorda?». «Quella ragazza che fa l'artista?» Dalziel schioccò le labbra con aria da intenditore. «Come una ciambella calda alla marmellata appena uscita dal forno e tuffata dritta nello zucchero. Stupenda». Un'immagine sulla quale un professore di poesia di Oxford avrebbe potuto tenere un'intera lezione, pensò Ellie, e disse compita: «Tendo a essere d'accordo con te sull'illustrazione, Andy». «Oh, andiamo» disse Pascoe. «Nei cartoni di Disney si vede ben di peggio. È Nina che mi preoccupa. L'altro giorno ho dovuto comprarle il gelato». «È perché non hai mai avuto un amico immaginario» rise Ellie. «Io ce l'avevo, fino a dieci anni. I figli unici spesso ce l'hanno». «Anche gli adulti» concordò Dalziel. «Il capo della polizia ne ha parecchi. Io sono uno di loro. Comunque, di che parla la storia?». «Di una ragazzina che viene rapita da un nix, che è una specie di spiritello acquatico». Un soffio di vento arrivò da non si sa dove, non abbastanza robusto da muovere i petali delle rose ma sufficiente a far scorrere un dito freddo sulla pelle surriscaldata dal sole. «Potevo prenderlo, quel drink» disse Dalziel a Pascoe in tono accusatore. «Adesso è troppo tardi. Andiamo, ragazzo. Abbiamo perso già abbastanza tempo». Cacciò il libro tra le mani di Ellie e si slanciò dentro casa. Pascoe guardò sua moglie. Lei ebbe l'impressione che cercasse le parole per dirle qualcosa di importante, ma alla fine gli uscì solo un: «Ci vediamo. Aspettami... non so quando...». «Ti aspetto sempre» disse lei. «Abbiti cura». Lui si girò, indugiò incerto come se si trovasse in casa d'altri, poi si diresse alla porta del patio. Lei lo seguì con lo sguardo, turbata. Sapeva che qualcosa non andava per il verso giusto, e sapeva anche quando era cominciato. Alla fine dell'anno prima. Un'indagine che aveva avuto ripercussioni sulla sua vita privata in maniera devastante e che da poco aveva terminato il suo iter in tribunale. Ma se e quando avrebbe chiuso il suo percorso nella psiche di
suo marito non lo sapeva. E nemmeno quanto a fondo fosse opportuno sondare. Sentì chiudersi la porta d'ingresso. Aveva ancora in mano il libro di Rosie. Guardò l'illustrazione di copertina, poi posò il sottile volumetto a faccia in giù sul pavimento di fianco a lei e riaccese la radio. La giovane e potente voce di Elizabeth Wulfstan stava ancora cantando: «Guardaci adesso, perché presto dovremo lasciarti. / Questi occhi che ogni giorno per te si aprono / Stelle nelle notti a venire diverranno». III Pascoe sedeva sul sedile del passeggero con il finestrino completamente aperto. L'aria gli colpiva il viso con violenza, dandogli il pretesto per chiudere gli occhi, mentre il baccano inibiva la conversazione. In casa aveva vissuto un istante strano: i suoi piedi si erano rifiutati di portarlo attraverso la soglia mentre la lingua cercava di articolare le parole: 'Non vado'. Ma era stato di breve durata. Adesso sapeva che era stato un momento topico, come succede quando un uomo smette di fingere che le fitte che sente al torace siano dispepsia. Se in quell'istante avesse deciso di non andare, forse non sarebbe riuscito ad andare mai più. L'aveva capito quando aveva ricevuto la telefonata di Dalziel. Lo sapeva tutte le mattine, da molte settimane, quando si alzava dal letto e andava al lavoro. Era come un sacerdote che ha perso la fede. Il suo senso di responsabilità lo spinge a prestare servizio e a somministrare i sacramenti, ma sono meri automatismi, che porta avanti nella speranza che la perdita sia solo temporanea. Dopotutto, anche se è la fede, e non le buone azioni, che ci fa entrare nel Regno dei Cieli, la mancanza della prima non è una buona scusa per rinunciare alle seconde. O no? Sorrise fra sé. Riusciva ancora a sorridere. Più nera la commedia, più grassa la risata, non è così? E lui si era trovato coinvolto nella classica commedia nera poliziesca, quando l'investigatore imparziale scopre che l'indagine riguarda la sua stessa famiglia, la sua stessa storia, e finisce con l'arrestare se stesso. O perlomeno qualcosa in lui viene arrestato. O meglio... No. Metafore, analogie, paralleli in ultima analisi erano fuorvianti. La verità era che quello che aveva scoperto sul passato della sua famiglia, e sul presente, l'aveva colmato di una rabbia che da principio non
aveva voluto riconoscere neppure con se stesso. Infatti cosa c'entra la rabbia con il Pascoe liberal, sereno, logico, premuroso e controllato che conosceva e amava? Ma la rabbia era cresciuta sempre di più, una pianta avvelenata con le radici che si espandevano in ogni centimetro del suo essere, finché controllarla e alla fine nasconderla aveva succhiato una parte talmente grande delle sue energie che non gliene erano rimaste per fare nient'altro. Rieccoci con le metafore, e questa volta mischiate, anche. Più semplicemente, a volte era andato vicino a esercitare la violenza fisica, a picchiare la gente, e non solo i rappresentanti del viscido sottobosco con il quale entrava in contatto per lavoro, che avrebbero messo alla prova la pazienza di un santo, ma anche quelli che lo circondavano - non sua moglie e sua figlia, grazie a Dio - ma certo questa grossolana farsa d'uomo, questo barile di strutto seduto accanto a lui. «Ti sei fatto trappista o ti girano e basta?», muggì il barile. Pascoe alzò il finestrino con cura. «Aspetto solo che lei mi ragguagli, signore», disse. «Pensavo di averlo fatto», disse Dalziel. «Nossignore. Lei ha telefonato dicendo che a Danby era scomparso un bambino e, dato che per uscire dalla città doveva passare davanti a casa mia, sarebbe passato a prendermi nel giro di venti minuti». «Ebbene, altro non c'è. Lorraine Dacre, anni sette, è uscita a passeggiare con il suo cane prima che i suoi genitori si alzassero. Il cane è tornato, lei no». Pascoe ponderò la notizia mentre attraversavano la tangenziale e il suo cordone ininterrotto di traffico che avanzava strisciando verso est, verso il mare, poi disse piano: «Non molto su cui lavorare». «Intendi forse non abbastanza da interrompere i vostri cocktail sul patio? O magari progettavate di fare un salto da Bacino di carenaggio per un tuffo in piscina?». «Sarebbe stato inutile» replicò Pascoe. «Fra poco passeremo davanti a Chateau Purlingstone e, se sbircia al di sopra del recinto di sicurezza, vedrà che quell'uomo mette in pratica ciò che predica. La piscina è vuota. Il che spiega perché oggi hanno portato le ragazze al mare. Ci avevano chiesto di andare con loro, ma l'idea di rimanere inscatolato nel traffico tutto il giorno non mi entusiasma. Ho commesso un errore, me ne rendo conto adesso». «Forse avrei organizzato un ponte aereo per venirti a prelevare», ringhiò
Dalziel. «Ci credo. Ma perché? D'accordo, un bambino scomparso è sempre una faccenda seria, ma non è passato molto tempo. C'è il caso che sia scivolata e si sia rotta la caviglia in qualche parte della vallata, o, peggio, che abbia battuto la testa. Perciò la locale stazione di polizia organizza un ricerca e ci tiene aggiornati. Se non emerge niente, a quel punto entriamo in scena noi». «Sì, normalmente avresti ragione. Ma questa volta è successo a Danby». «E allora?». «Quella di Danby è la valle adiacente a Dendale». Fece una pausa significativa. Pascoe frugò nella memoria per cercare un aggancio e, dal momento che avevano appena finito di parlare di Purlington, gli venne in mente l'acqua. «Il bacino di Dendale» disse. «Quello che doveva risolvere tutti i nostri problemi d'acqua per il prossimo millennio. Ci fu una commissione d'inchiesta, vero? Ambientalisti contro bene comune. Io non ho seguito la faccenda, ma ho un libro sulla cosa, o ce l'ha Ellie. L'allagamento di Dendale. Più un volume illustrato che un'analisi sociologica, a quanto ricordo... Scusi, signore. Sto andando fuori tema?» «Fuochino» ruggì il Ciccione, che aveva manifestato crescenti segni d'impazienza. «Quell'estate, subito prima che sommergessero Dendale, tre piccole signorine scomparvero. I loro corpi non furono mai ritrovati e non concludemmo mai l'inchiesta. So che non eri da queste parti, ma magari hai sentito qualcosa». Leggi: i miei fallimenti sono più famosi dei trionfi degli altri, pensò Pascoe. «Penso di aver sentito qualcosa» disse con diplomazia. «Ma non ricordo granché». «Io me lo ricordo» disse il Ciccione. «E anche i genitori scommetto che ricordano ogni cosa. Una delle ragazzine si chiamava Wulfstan. È questo che mi ha colpito quando ho sentito quel nome». «La cantante, vuol dire? C'è qualche legame? Non è un nome tanto comune». «Forse. Non una figlia, comunque. Loro ne avevano solo una, Mary. Suo padre ha quasi perso il cervello quando è scomparsa. Ci ha buttato addosso tutta la merda che poteva, minacciando di denunciarci per incompetenza e altre balle del genere». «Le sue accuse erano fondate?», indagò Pascoe.
Dalziel gli lanciò un'occhiata gelida, ma Pascoe non batté ciglio. La rabbia repressa aveva i suoi lati positivi, uno dei quali era l'indifferenza alle minacce. «C'era questo tizio del posto, sul quale avevamo dei sospetti» disse brusco il Ciccione. «Non che puntassi molto su di lui, gli mancavano parecchi grammi per fare un chilo, a quanto ricordo, ma lo arrestammo dopo la seconda ragazzina. Niente di fatto, fummo costretti a rilasciarlo. Poi Mary Wulfstan scomparve e il suo vecchio si bevve il cervello». «E quello del posto?». «Benny Lightfoot. Anche lui scomparve. Tranne per una sola apparizione. Un'altra bambina, Betsy Algood, venne aggredita, ma questo avvenne molte settimane più tardi. Disse che era stato Lightfoot. E questo fu sufficiente per quasi tutti, e specialmente per quei dannati giornalisti. Per come la vedevano loro, l'avevamo in mano e ce l'eravamo fatto scappare». «Lei non era d'accordo?». «O non volevo esserlo. Non è mai facile stabilirlo». Questa ammissione di debolezza suonò fuori luogo, come un colpo di tosse proveniente da una bara. «Così avete continuato a cercarlo?». «Ci furono più avvistamenti che per Elvis. Qualcuno lo vide in tivù che correva alla maratona di Londra. Il che quadrava. Teneva fede al suo cognome, Benny. Leggero di testa e leggero di piede. Volava su per i pendii della valle. E avrebbe potuto davvero volarsene via dalla valle, per quello che abbiamo trovato di lui. O scomparire al suo interno, come ritenevano i locali». «Prego?». «Dentro al Neb. È così che chiamano la collina che sta tra Dendale e Danby. Sulla carta è Long Denderside. Pieno di dannati buchi, specialmente sul pendio verso Dendale. Dalla parte di Danby la roccia è di un altro tipo, non mi chiedere perché. Quindi c'è una quantità di cavità e tunnel, la maggior parte pieni d'acqua, tranne che nella stagione secca». «Li avete perlustrati?». «Una squadra specializzata di speleologi ci entrò dopo che scomparve la prima bimba. E ci tornò dopo le altre due. Nemmeno una traccia. Be', ma loro non sono Benny Lightfoot, dissero i locali. Il nostro Benny riusciva a infilarsi anche in una crepa del pavimento». «Ed è lì che è rimasto nascosto per quindici anni?», scherzò Pascoe. «Ne dubito» disse Dalziel con preoccupante serietà. «Ma avrebbe potuto
imbucarsi lassù per una settimana o più, uscendo a rubare il cibo di notte. Betsy Allgood, quella che è scappata, disse che sembrava mezzo morto di fame. E bagnato fradicio. La siccità era finita in quel periodo. Le caverne sul Neb dovevano essere allagate. Ho sempre sperato che fosse andato a dormire dentro una di quelle e che si fosse svegliato annegato». La radio gracchiò prima che Pascoe potesse esaminare nei dettagli questa interessante speculazione e la centrale spiattellò un aggiornamento sul caso. Lorraine Dacre, sette anni, era l'unica figlia di Tony Dacre, trent'anni, autista delle poste, incensurato, e di Elsie Dacre, nata Coe, anche lei incensurata. Sposati da otto anni, residenti in Liggside, 7, Danby. Lorraine non compariva in nessun elenco dei servizi sociali. Il sergente Clark, della sezione di Danby, aveva radunato la sua squadra di quattro agenti. Tre erano in giro per la valle a supervisionare le ricerche preliminari. I servizi di supporto erano stati allertati e sarebbero stati mobilitati su ordine del sovrintendente Dalziel. Il sergente Clark avrebbe incontrato il sovrintendente Dalziel a Liggside. Il Ciccione stava reagendo alla grande a questa cosa, pensò Pascoe. Antichi sensi di colpa che dilaniavano quel ventre smisurato? O c'era qualcos'altro? Meditò su questo mentre divoravano i trenta chilometri che li separavano da Danby. Era una strada gradevole, che serpeggiava attraverso il paesaggio rurale suddiviso in appezzamenti della piana del Mid-York. Poiché si era al culmine della stagione estiva, i campi da entrambi i lati della strada erano verdi e oro, e promettevano un ricco raccolto, ma sui terreni non irrigati poco più in là macchie di ocra e bruciato rivelavano fino a che punto fosse dura la battaglia ingaggiata contro la siccità. E di fronte, dove il terreno saliva ad abbracciare le valli, e non c'erano condutture o canali, irroratori o impianti d'irrigazione a dar da bere alla terra riarsa, il verde delle felci e il rigoglio dell'erica erano stati risucchiati dal sole assetato, che aveva trasformato la brughiera temperata in una savana tropicale. «Quindici anni fa era come adesso», disse Dalziel, irrompendo nei suoi pensieri ed esprimendoli ad alta voce. «Pensa che il caldo possa essere una miccia?» disse Pascoe in tono scettico. «Abbiamo avuto altre estati belle toste, da allora. Anzi, a sentire Derek Purlingstone, negli ultimi dieci anni il Sahara ha visto più acqua che il Mid-Yorkshire». «Ma come questa, mai. Non così a lungo», si ostinò Dalziel.
«E solo perché c'è la siccità e Danby è la valle adiacente a Dendale...». «È il posto in cui la maggior parte degli abitanti di Dendale è stata reinsediata» aggiunse Dalziel. «E poi c'è un'altra cosa. Un segno...». «Un segno!» si burlò Pascoe. «Mi lasci indovinare: sentire il nome Wulfstan alla radio? È questo? Buon Dio, signore, la prossima volta sentirà delle voci nel suono delle campane!». «Se dici un'altra parola ti mollo un cazzotto, così senti le campane nelle voci» disse cupo Dalziel. «Quando dico un segno, intendo un segno. Anzi, parecchi segni. Clark mi ha telefonato subito. Sapeva che mi sarebbe interessato. Tienti forte adesso. Ti faccio vedere il primo». Pigiò sul freno con tale violenza che se Pascoe non avesse avuto la cintura di sicurezza sarebbe uscito dritto dal cruscotto. «Gesù», ansimò. Non capiva la ragione del brusco arresto. La strada si snodava vuota davanti a loro, passando sotto un ponte dell'autostrada in disuso. Gettò un'occhiata di fianco al Ciccione e vide che il suo sguardo era rivolto in alto, in un suggestivo atteggiamento di pia devozione. Ma nella sua espressione c'era ben poca devozione e i suoi occhi non erano fissi nell'alto dei cieli, ma sul parapetto del ponte. Su di esso qualcuno aveva scritto con una vernice spray rosso brillante: BENNY È TORNATO! «Clark dice che devono averlo fatto la notte prima della scomparsa della ragazzina» disse Dalziel. «Ce n'è un altro paio in città. Coincidenza? Uno scherzo macabro? Forse. Ma la gente, qui intorno, soprattutto quelli che sono venuti da Dendale, vedendo quelle scritte e sentendo di Lorraine, specialmente quelli che hanno bambini piccoli...». Non completò la frase. Non ce n'era bisogno. Sta pensando che ha fallito una volta e che non vuole fallire di nuovo, intuì Pascoe. Proseguirono in silenzio. Pascoe pensava ai bambini. Alle figlie. Alla sua, di figlie, Rosie, al sicuro al mare. Si ritrovò a ringraziare il Signore, nel quale non credeva, per la sua presunta salvezza. E Lorraine Dacre... la immaginò mentre passeggiava in una giornata simile a quella... Come poteva una giornata simile, per un bambino, ospitare altro che gioco e piacere incommensurabile? Pregò che quel Dio in cui non credeva punisse il suo agnosticismo facendogli trovare a Danby una risposta: la piccola Lorraine Dacre al sicuro
a casa sua, stupita per tutto il trambusto che aveva provocato. A fianco di Pascoe, il Dio in cui credeva, Andy Dalziel, stava anch'egli pensando alle risposte che li attendevano a Danby, e a una ragazzina che si svegliava, forse per l'ultima volta, in una giornata come quella... IV La piccola Lorraine si sveglia presto, ma il sole si è svegliato ancor prima di lei. Sono le interminabili giornate estive che si prolungano senza fine attraverso tutte le infanzie felici, quelle in cui ti svegli nell'aria dorata e ti addormenti un migliaio di avventure più tardi, accarezzata da una luce che anche la tenda più spessa può solo tramutare in una gentile penombra. La casa è silenziosa. È domenica, l'unico giorno della settimana in cui mamma e babbo si concedono il lusso di restare a letto fino a tardi. Lei si alza, si veste in fretta e silenziosamente, poi scende in cucina, dove Tig le abbaia un eccitato benvenuto. Lei lo zittisce imperiosamente e lui tace. È addestrato molto bene; babbo è stato tassativo su questo. «C'è solo una cosa peggiore di un cane disubbidiente, ed è una figlia disubbidiente», ha detto. E mamma, che sa bene in che modo Lorraine se lo rigira sulla punta di un dito, sorride con il suo sorriso segreto. Una colazione veloce, quindi monta su uno sgabello per tirare il chiavistello di sopra della porta della cucina, e poi fuori nel cortile, con il fedele Tig alle calcagna. Non c'è bisogno del guinzaglio. Il cortile dà proprio sull'estremità del parco demaniale, il Ligg Common. Sentieri ben tracciati, che serpeggiano fra i cespugli di ginestra e i rovi, conducono Lorraine sulla riva del torrente, il Ligg Beck, le cui acque di solito tumultuose sono state domate da questa stagione rovente e ridotte a un rigagnolo appena accennato. Ma non importa. Con il torrente in secca, il sentiero che risale il pendio diventa più largo, ed è più facile arrivare lassù, dove ci sono i conigli che Tig ama cacciare e le farfalle da rincorrere e piccole orchidee da raccogliere, mentre tutt'intorno le allodole schizzano dai loro nidi di brughiera per cantare la loro certezza che il sole splenderà sempre e il cielo sarà eternamente azzurro. Tony Dacre si sveglia un'ora dopo. Il sole riempie la stanza di luce e di caldo. Si alza a sedere, ricorda che è domenica e sorride. I suoi movimenti hanno quasi svegliato Elsie, sua moglie, che si gira sulla schiena e apre gli
occhi per una frazione di secondo. Con quel caldo dormono nudi. Lei è magra, quasi ossuta, e il profilo del suo corpo chiaro sotto il lenzuolo gli fa accelerare il battito cardiaco. Sporge le labbra verso di lei, ma Elsie scuote il capo borbottando: «Il tè». Lui butta giù le gambe dal letto, si alza in piedi e si infila le mutande. Non è particolarmente pudico, ma è convinto che i genitori non debbano farsi vedere nudi dai figli. Arrivato in cucina, una pagnotta tagliata malamente, un barattolo aperto di marmellata di lamponi, un bicchiere di latte lasciato a metà e una scia di briciole che conduce alla porta sul retro gli rivelano che la precauzione è stata inutile. Dà un'occhiata nel cortile. Nessun segno di Lorraine. Scuote il capo sorridendo. Poi prepara il tè e ne porta due tazze di sopra. Per berlo, Elsie si mette a sedere nel letto. Ogni tanto lui butta uno sguardo di fianco, osservando i piccoli seni dai capezzoli scuri, controllando il livello del suo tè. Finalmente non ce n'è più. Lei lo scavalca per mettere la tazza sul suo comodino. Mentre si risolleva, lui la prende tra le braccia. Elsie gli sorride. Lui dice: «Tutti quei soldi buttati via per comprarti il gin, e potevo averti per una tazza di tè!». Fanno l'amore. Dopo, lui canta nel bagno, facendosi la barba. Quando rientra nella camera da letto, sua moglie è già scesa da basso. Lui si veste e la segue. Lei aggrotta la fronte e dice: «Lorraine ha fatto colazione». «Sì, lo so». «Non mi piace che adoperi il coltello per il pane. È molto affilato. E nemmeno che si arrampichi sullo sgabello per aprire la porta. Dobbiamo dirglielo, Tony». «Sì, glielo dico, glielo dico», promette lui. Lei scuote la testa esasperata dicendo: «No, glielo dico io». Fanno colazione. Sono solo le nove e mezza. Arriva il giornale della domenica. Lui si siede nel salotto a leggere la pagina sportiva. Fuori, per strada, sente il suono di voci di bambine. Dopo un po' si alza e va alla porta d'ingresso. Le bambine saltano la corda. Due fanno girare la corda, le altre entrano correndo a un'estremità, poi saltano fino all'estremità opposta e si lanciano fuori, facendo finta di cadere rovinosamente. Saltatrici e giratrici cantano tutto il tempo: Un piede! Due piedi! Piede nero! Piede bianco! Tre piedi! Quattro piedi! Piede sinistro! Piede destro!
Nessuno corre forte come Benny Pieveloce! A ANDAR FUORI TOCCA A LEI! Tony chiama: «Sally!». Sally Breen, una ragazzina robusta che abita due porte più su, dice: «Sì, signor Dacre?». «Hai visto Lorraine?». «No, signor Dacre». «Nessuna di voi l'ha vista?». La cantilena si spegne mentre le bimbe si guardano. Scuotono il capo. Tony torna in casa. Elsie è di sopra a fare i letti. Grida dal fondo delle scale: «Vado a fare una passeggiatina, amore. Voglio scambiare due parole con Joe sul club di bowling». Esce dalla porta posteriore, attraversa il cortile, il parco demaniale. Ha fatto abbastanza passeggiate insieme a sua figlia per conoscere i suoi percorsi preferiti. Presto arriva al torrente asciutto e si inerpica a passo sostenuto su per il pendio. Dopo un po', quando è sicuro di essere fuori dalla portata di sua moglie, comincia a chiamarla. «Lorraine! Lorraine!». Per molto tempo non si sente nulla. Poi, un abbaiare lontano. Tremando per il sollievo, si affretta ad arrampicarsi su una sporgenza. Davanti a lui c'è Tig, è solo e zoppica pesantemente. Ah, e adesso le allodole, simili a spie dei cieli, cantano: È qui! È ferita! È qui! È ferita! e le danzanti farfalle scrivono il messaggio nell'aria: Se n'è andata per sempre. Si china sul cane ferito e chiede: «Dov'è lei, Tig? Cercala!». Ma l'animale si limita a rannicchiarsi, allontanandosi da lui come se temesse di essere colpito. Lui prosegue di corsa. Per mezz'ora esplora il fianco della collina, cercando e chiamando. Alla fine sente la speranza affievolirsi, e allora la trasferisce altrove, e ridiscende il pendio. Tig è rimasto dove si sono incontrati. Lo prende in braccio, ignorando il guaito di dolore. «Ormai sarà a casa. Aspetta e vedrai, ragazzo mio» dice. «Aspetta e vedrai». Ma nel suo cuore sa che Lorraine non avrebbe mai abbandonato Tig ferito nella valle. A casa, Elsie è già preoccupata, e tuttavia ignora la natura della sua an-
sia. Si dispone a preparare il pranzo domenicale, come se, rifiutandosi di alterare il ritmo delle cose, potesse forzare gli eventi a seguire il giusto corso. Quando la porta si spalanca e compare Tony, il cane tra le braccia, chiedendo: «È tornata?», lei diventa bianca come la farina che ha sulle mani. Tutte le finestre della casa sono aperte per creare un po' di corrente. Fuori, in strada, le bambine stanno ancora giocando. Mentre marito e moglie si guardano attraverso il tavolo di cucina, entrambi desiderando che l'altro sorrida e dica che va tutto bene, le parole della cantilena fluttuano verso di loro: Un piede! Due piedi! Piede nero! Piede bianco! Tre piedi! Quattro piedi! Piede sinistro! Piede destro! Nessuno corre forte come Benny Pieveloce! A ANDAR FUORI TOCCA A LEI! V Secondo un recente servizio comparso sull'Evening Post, Danby era una perla rara, per la sua storia rurale carica di vittorie. Opponendosi alla tendenza comune allo spopolamento e al declino, uno sviluppo nuovo, guidato dalla nascita di un Parco della Scienza e del Commercio all'estremità meridionale, aveva fatto lievitare il paesone fino a trasformarlo in una cittadina. Non è una bellezza, ma funziona, pensava Pascoe mentre sorpassavano l'entrata del Parco su un lato della strada e l'entrata di un grande supermercato spalleggiato da un nuovo condominio dall'altra. Ci vuol ben altro che la marcia trionfale della modernità per modificare il riposo domenicale inglese, però, e il vecchio centro cittadino era silenzioso come un pueblo all'ora della siesta. Anche le persone sedute fuori dai tre pub che avevano oltrepassato, con Dalziel che ogni volta si lasciava sfuggire un debole lamento, sembravano figure scolpite su un'urna. Il principale segnale di attività che videro era un uomo che lavava con energia furiosa la vetrina di un negozio, sulla quale, a dispetto dei suoi sforzi, le parole 'Benny è tornato!' restavano ostinatamente visibili, e un altro uomo che con la vernice nera cercava di cancellare le stesse parole su un frontone. Nessuno dei due poliziotti disse nulla finché non si trovarono in aperta
campagna - brughiera, adesso, non più pascoli. «Questa Liggside è proprio sul margine, vero?», chiese Pascoe. «Sì. Vicino al Ligg Common. Il Ligg Beck scorre nella valle. Ecco là il Neb». Il sole faceva risaltare ogni elemento del paesaggio di fronte a loro come una diapositiva delle vacanze. La valle di Danby si estendeva di fronte a loro in direzione nord, per poi curvare verso nordest. Il Neb si ergeva ripido a ovest. La strada che stavano percorrendo proseguiva nel tratto orientale della valle, le curve chiare che spiccavano come ossa sulla sabbia. «La prossima a sinistra, se non ricordo male», disse Dalziel. Non ricordava male. Perduto nella nebbia del Mid-Yorkshire con un esperto cartografo dell'Artiglieria, un campione di orientamento e Andy Dalziel, Pascoe non aveva dubbi su chi dei tre avrebbe seguito. Liggside era una piccola terrazza di cottage grigi prospiciente alla strada asfaltata. Non ci furono problemi a trovare il 7. C'era una macchina della polizia parcheggiata fuori, e un agente in uniforme davanti alla porta, con due gruppetti di curiosi che si mantenevano a distanza conveniente (che nel Mid-Yorkshire corrisponde a circa tre metri) su entrambi i lati. Mentre Dalziel parcheggiava, l'agente si avviò nella loro direzione, probabilmente per avanzare qualche rimostranza, ma fortunatamente per la sua integrità fisica riconobbe in tempo il guidatore e aprì gli sportelli della macchina con i gesti cerimoniosi di un portiere d'albergo. Pascoe scese, si stiracchiò e osservò la scena. I cottage erano piccoli e poco attraenti, ma solidi e costruiti con una certa cura, e il costruttore doveva essere abbastanza orgoglioso di loro da firmare il complesso incidendo la data sull'architrave centrale: 1860. L'anno di nascita di Mahler. Il fatto che Dalziel avesse inaspettatamente riconosciuto i Kindertotenlieder gli riportò alla mente il nome. Dubitava che a Danby l'evento avesse avuto grande risonanza. Quale grande evento occupava la mente degli abitanti di Liggside? La Guerra Civile Americana... no, quella era stata nel 1861. Forse lo sbarco di Garibaldi in Sicilia... Ma era probabile che quel nome italiano non ricordasse ai buoni danbiani nient'altro che un modello di giacca o una marca di biscotti. O forse il suo era un atteggiamento elitario e pieno di condiscendenza? Chi meglio di lui poteva sapere che non c'era modo di indovinare ciò che passava per la testa ai propri antenati? La cosa sicura era che le sue divagazioni mentali erano un tentativo di allontanarsi dall'abisso di dolore e paura che lo attendeva dietro la porta di un marrone sbiadito, con la cassetta per le lettere di ottone scintillante e lo scalino in pietra
rossa. Quando si trattava di un bambino scomparso, nemmeno la rabbia era abbastanza forte da tener lontani quei sentimenti. L'agente aprì la porta d'ingresso e disse qualche parola sottovoce. Un momento dopo comparve un sergente in uniforme che Pascoe riconobbe come Clark, in forza alla succursale di Danby. Non parlò, limitandosi a scuotere il capo per confermare che non c'erano novità. Dalziel lo spinse da parte e Pascoe entrò dietro di lui. Il piccolo salotto era affollato di persone, tutte di sesso femminile, ma il volto pallido della madre si distingueva immediatamente. Era rannicchiata in posizione quasi fetale all'estremità di un divano di vinile bianco. Sembrava voler sfuggire, piuttosto che abbandonarsi, al tentativo di abbraccio di una donna bionda e corpulenta, il cui petto sembrava più consono al sollevamento pesi che a offrire confronto. L'entrata di Dalziel attirò tutti gli sguardi. Cercavano una speranza e non ricevendone alcuna spostarono gli occhi dalla faccia alla camicia. «Chi diavolo è questo pagliaccio?», chiese la bionda con la voce arrochita da fumo. Clark disse: «Sovrintendente Dalziel, capo del CID». «Ah sì, eh? E viene qui in un momento simile addobbato come un dannato tendone da fiera?» La vivacità dell'immagine suppliva alla scarsità di dettagli. Dalziel la ignorò, e si accucciò con agilità sorprendente di fronte alla donna pallida. «Signora Dacre, Elsie» disse. «Sono venuto appena ho saputo. Non ho perso tempo a cambiarmi». Gli occhi, semplici bagliori in fondo a caverne di oscurità, si sollevarono a guardarlo. «A chi vuole che importi di come va vestito? Può ritrovarla?». E adesso cosa dirai, vecchio dispensatore di miracoli? si domandò Pascoe. «Farò tutto ciò che è in mio potere», disse Dalziel. «E sarebbe?» si informò la bionda. «Proprio quello che state facendo, eh?». Dalziel si sollevò e disse: «Sergente Clark, faccia un po' di spazio qui. Tutti fuori, per favore. C'è bisogno d'aria». La bionda proclamò chiaramente con il linguaggio del corpo che non aveva alcuna intenzione di muoversi di lì, ma Dalziel la sgonfiò subito dicendo: «Lei no, signora Coe. Lei può rimanere, se Elsie vuole».
«Come diavolo sa il mio nome?», domandò. In effetti la cosa era curiosa, ma qualche congettura si poteva avanzare. Coe era il nome da ragazza di Elsie Dacre, e la donna più anziana che si era assunta il compito di prima consolatrice non presentava tracce di rassomiglianza famigliare e non aveva l'aspetto di amica del cuore; era quindi probabile fosse una parente acquisita. Dalziel si limitò a lanciarle un'occhiata inespressiva, senza nessuna intenzione di smentire quell'impressione di onniscienza che induceva le persone a dirgli la verità, o almeno a sentirsi talmente nervose da scoprirsi subito quando cercavano di nasconderla. «Bene, sergente» disse, mentre Clark chiudeva la porta dietro l'ultima delle donne. «Chi abbiamo fuori?». «Ho mandato i ragazzi nella vallata...». «Tre. Ecco quanti ne ha mandati», si intromise la signora Coe con sarcasmo. «Tony - il signor Dacre - naturalmente voleva tornare lassù a cercare e un gruppetto di vicini era pronto a dare una mano, così ho pensato fosse meglio che avessero una supervisione», proseguì Clark. Dalziel annuì con aria di approvazione. Le ricerche disorganizzate condotte da dilettanti ostacolavano un successivo setacciamento allo scopo di trovare indizi di rapimento o assassinio. «Molto bene» disse. «La piccola può essersi slogata una caviglia e sedere sulle pendici della vallata in attesa che qualcuno la ritrovi». Un ottimismo così infondato fece storcere il naso alla signora Coe, che però tenne la bocca chiusa. Fu Elsie Dacre a reagire con violenza, anche se all'inizio lo fece con tanta tranquillità che la violenza non venne notata subito. «Non c'è alcun bisogno che indori la pillola, signor Dalziel» disse. «Sappiamo tutti cosa succede, non è vero? Lo sappiamo tutti». «Mi spiace, cocca, volevo solo...». «So cosa sta cercando di fare, e so quali saranno le mosse successive. Ma l'ultima volta non ha funzionato per niente, o sbaglio? E allora, cos'è cambiato adesso? Mi dica questo. Cosa cavolo è cambiato?». Adesso la voce della donna era a pieno volume, gli occhi mandavano lampi, la faccia era contorta dalla rabbia e dalla paura. «Su, ragazza, mi ascolti» disse Dalziel con tono ipnotico. «È presto, troppo presto per parlare dell'ultima volta. Dio solo sa se non capisco come l'idea possa esserti venuta, è venuta anche a me, ma la terrò nel fondo del mio cervello il più a lungo possibile. Non mi precipiterò a supporre una
roba simile, e nemmeno tu dovresti farlo». «Lei si ricorda di me, allora?», disse la signora Dacre, scrutando Dalziel più da vicino, come se l'essersi fissata nella memoria del Ciccione le fosse di conforto. «Certo che sì. Quando ho sentito il tuo nome da ragazza ho pensato che potevi essere una dei Coe di Dendale. Tu eri la più piccola, vero?». «Avevo undici anni quando è incominciato. Li ricordo, quei giorni, faceva caldo come adesso, e tutti noi bambini che ce ne andavamo in giro temendo per la nostra vita. Pensavo non l'avrei mai dimenticato, però le cose si dimenticano, non è vero? O almeno, come dice lei, le spingi così in fondo al cervello che è come se le avessi dimenticate... e cresci, e incominci a sentirti al sicuro, e hai anche tu una bambina, e non ti permetti nemmeno di pensare che... ma ecco dove sta lo sbaglio, signore! Se non l'avessi sospinto nel fondo del cervello, e l'avessi ritenuto ben davanti agli occhi, dove doveva stare... una cosa simile è troppo importante... troppo tremenda... per tenerla in fondo...». Proruppe in un diluvio di lacrime e sua cognata la strinse in un abbraccio irresistibile. Poi si aprì la porta ed entrò una donna più anziana. Questa volta l'aria di famiglia era inequivocabile. Disse: «Elsie, ero da Sandra... Ho appena sentito...». «Oh, mamma», gridò Elsie Dacre. La cognata fu spinta da parte e Elsie abbracciò la madre come se volesse spremerne fuori un po' di speranza e conforto. Dalziel disse: «Signora Coe, perché non ci prepara una bella tazza di tè?». I tre poliziotti e la donna bionda andarono in cucina, dove l'aria era satura del vapore che sibilava da un bollitore sul punto di esplodere. La signora Coe afferrò una tovaglietta da tè e la usò per togliere il bollitore dal fuoco. «Con questa il tè verrà fantastico» disse Dalziel. «L'acqua dev'essere bollente. Signora Coe, cosa pensa di Tony Dacre?». «Che razza di domanda è?», chiese la donna. «Una domanda molto facile. Cosa prova nei confronti di suo cognato?». «Perché me lo chiede, vorrei sapere». «Non faccia la tonta. Lei lo sa perché glielo chiedo. Se posso escluderlo dai sospetti, allora potrò anche evitare di fare a pezzi questa casa». L'onestà non è solo la politica migliore, ma qualche volta è anche una versione edulcorata della brutalità poliziesca, rifletté Pascoe, constatando come lo shock mandava in pezzi i lineamenti solidi della donna.
Dalziel proseguì: «Prima che si metta a berciarmi contro, ci pensi, mia signora. Vuole che mi metta a chiedere a quella povera donna se al suo uomo è saltata qualche valvola o se ha qualche interesse particolare per sua figlia? Lei non è scema, sa che queste cose succedono. Perciò mi dica se c'è qualcosa che dovrei sapere di Tony Dacre, e facciamola finita». La donna ritrovò la voce. «No, non c'è un accidente. Non è che mi piaccia poi tanto, ma è una cosa personale. Quanto a Lorraine, lui l'adora quella piccola, come un padre, intendo. Anzi, visto che me lo chiede, la vizia da far schifo, e se mandasse a fuoco la casa non si arrabbierebbe neppure. Gesù, non farei il suo lavoro nemmeno per un migliaio di sterline. Non sono abbastanza brutte le cose qui, senza che lei vada a rovistare cercando qualcosa di ancor più schifoso?». Il tono era veemente, ma cercava di controllare il volume della voce per non farsi sentire nell'altra stanza. «Ottimo» disse Dalziel con un sorriso amichevole. «Porti il tè quando è pronto, ok?». Uscì dalla cucina tirandosi dietro la porta. Dietro la quale, Pascoe lo notava solo ora, c'era una cesta per cani. Raggomitolato nella cesta c'era un bastardino, che sembrava un incrocio tra uno spaniel e un terrier. Aveva gli occhi aperti, ma non si muoveva. Pascoe si chinò su di lui; le orecchie si ritrassero e il cane emise un profondo ringhio di gola. Pascoe rispose con piccoli versi rassicuranti, e benché gli occhi rimanessero guardinghi, la bestiola accettò una grattatina dietro le orecchie. Ma quando la mano scivolò sulla spalla si mise ad abbaiare minacciosa e si raddrizzò di colpo. «Qualcuno ha chiamato il veterinario?», si informò Pascoe. La signora Coe disse: «È incredibile, mia nipote è spersa là fuori e voi vi preoccupate della salute di un lurido cane». Il sergente replicò: «Non saprei dirle. Voglio dire, con tutto il resto...». «Può occuparsene immediatamente? Non mi piace veder soffrire gli animali, ma soprattutto voglio sapere come si è procurato queste ferite». «Oh, sicuro. Non ci avevo pensato, signore» disse Clark con aria colpevole. «Lo chiamo immediatamente». La donna, indaffarata a preparare il tè, si fece strada con un gesto rabbioso. Clark la segui, si fermò sulla porta e disse: «C'è qualcos'altro a cui non ho pensato, signore?». «Se Lorraine non torna a casa indenne nel giro di una mezz'ora, questa faccenda esploderà in qualcosa di molto più grosso. Avremo bisogno di
una base operativa. Un posto spazioso e non lontano da qui. Le viene qualche idea?». I lineamenti pesanti del sergente si contorsero nello sforzo di pensare, poi disse: «C'è St Michael's Hall. Se lo dividono la chiesa e la scuola elementare, ed è qui a due passi...». «Sembra buono. Adesso chiami questo veterinario. Bella cosa che lei ci abbia pensato prima del boss, non trova?». Sorrise mentre parlava, e dopo un istante Clark gli restituì il sorriso, poi se ne andò. C'era una cosa da dire su Dalziel, pensò Pascoe. Prepara un terreno solido per edificare ottimi rapporti di lavoro fra i suoi sottoposti. Aprì la porta posteriore della cucina, che dava su un piccolo cortile ordinato, con un praticello e una baracca di legno. Uscì nell'aria carica di profumi e aprì la porta del capanno. Attrezzi da giardinaggio, un vecchio passeggino e una bicicletta da bambino. Tenendo attentamente sotto controllo i pensieri, si diresse verso il cancello del cortile e l'aprì. Si trovò a guardare un terreno coperto d'erba secca e gracile, cosparso di cespugli di ginestra i cui fiori giallo vivo sembravano lanciare una sfida al sole splendente. Doveva essere il Ligg Common, e dietro c'era il lungo pendio della valle di Danby, che si innalzava verso nord in direzione di Highcross Moor. Alla luce del sole le distanze si accorciavano, e la sommità della valle sembrava a una mezz'ora scarsa di cammino, mentre la lunga dorsale del Neb sembrava alla portata di un lanciatore di baseball dotato di un buon tiro. Lasciò vagare lo sguardo verso l'estremità più bassa della valle che aveva di fronte, e colse il riflesso del sole su un'auto che scendeva, e la piccolezza di questa restituì all'improvviso la prospettiva esatta del panorama. C'erano acri e acri di aperta campagna là fuori, e ci voleva ben più di una dozzina di uomini per condurre una ricerca come si deve. E se agli spazi aperti si aggiungevano tutti i fabbricati, i fienili e le stalle dei sobborghi della cittadina, fino ai limiti delle coltivazioni, allora si trovavano di fronte a un'operazione massiccia. Rimase lì e sentì il sole che penetrava attraverso i folti capelli castani e sotto la superficie della pelle chiara. Qualche minuto ancora di permanenza sotto il sole e la pelle si sarebbe fatta rosea, sfaldandosi come quella di una patata novella, un'altra ora e il suo cervello sarebbe piombato in quella condizione di insensibilità e ubriachezza da sole che di solito sperimentava
durante le vacanze sulle spiagge del Mediterraneo, mentre Ellie al suo fianco si limitava a diventare sempre più abbronzata e sempre più bella. A volte l'insensibilità era la condizione più desiderabile. «Hai messo radici o cosa?». Si girò e vide Dalziel sulla soglia. «Sto solo pensando, signore. Ci sono novità?». «No. Adesso è più calma. Molto meglio con la mamma che con quella cognata. Dov'è Clark? Voglio chiedergli qualcosa su Dennis Coe, il fratello». «Il marito della signora Coe». «Cribbio, hai la stoffa del detective. Sei o sette anni maggiore di Elsie, se ricordo bene. Dovremo dargli una bella occhiata». «Perché? Era stato preso in considerazione nell'indagine, quindici anni fa?», chiese Pascoe, pensando che il colpo gobbo di Dalziel con il nome della Coe adesso si sarebbe rivelato frutto di un banale collegamento. «Quando spariscono i bambini, ogni tizio con un pisello in grado di funzionare finisce nell'indagine. Lui aveva diciotto anni o giù di lì. Brutta età. E tutte le bambine scomparse erano bionde, e lui si è sposato una bionda...». «Oh, andiamo!» disse Pascoe. «Ancora un passo e parleremo di x-file. E ad ogni modo, direi che il colore di capelli della Coe viene dritto da un flacone di tintura». «Be', ha sposato una bruna ma le ha fatto capire che preferiva le bionde. Ok, ok, smetti di dilatare quelle narici o ti ci farà il nido qualche uccello. Una cosa è indiscutibile: lui è lo zio di Lorraine, e gli zii hanno un buon posto nelle statistiche per faccende come queste». Pascoe scosse il capo e disse cupo: «La signora Coe ha detto che non farebbe il nostro lavoro nemmeno per un migliaio di sterline. È di bocca buona. A volte nemmeno un milione di sterline sarebbe sufficiente a ripagarci del modo in cui siamo costretti a guardare le cose». «A proposito di guardare, cos'abbiamo là?». Il Ciccione fissava verso nord. Sull'orizzonte lontano la bruma provocata dal calore si era raggrumata in qualcosa di più solido. «Non una nuvola», disse Dalziel. «Non di pioggia» disse Pascoe. «Fumo, direi. Con questo tempo basta una scintilla a dar fuoco alle stoppie». «Meglio sentire se qualcun altro l'ha notato», disse Dalziel. Estrasse il cellulare, compose un numero, parlò e stette ad ascoltare.
«Sì» disse spegnendo. «Lo sanno. È grosso. E non è il solo. I pompieri sono in pieno allarme e hanno chiamato anche l'esercito, il che non è una buona notizia se dovremo schiacciare il bottone rosso». «Quando?» disse Pascoe. «Non pensa che ci sia...». Fu interrotto dal sergente Clark dalla porta. «Mi scusi, signore, ma il dottor Douglas, il veterinario, è qui. L'ho beccato al cellulare mentre tornava da una visita a una fattoria». «Veterinario?» disse Dalziel rivolto a Pascoe. «Che succede? Ti senti male?». In cucina trovarono un uomo robusto dalla barba grigia inginocchiato accanto alla cesta. L'esame del cane provocò lo strano ringhio di prima, ma nulla di così minaccioso come l'abbaiare suscitato dal tocco inesperto di Pascoe. Alla fine il veterinario si alzò e dedicò la sua attenzione agli umani presenti. «Peter Pascoe, ispettore capo della squadra investigativa»disse Pascoe tendendo la mano. «E questo è il sovrintendente Dalziel». «Ci conosciamo», disse secco Douglas. Aveva un'inflessione scozzese. «Là come butta, Dixie?» disse Dalziel. «Dunque, cos'ha la bestiola?». «Spalla e cassa toracica con brutte ammaccature. Non penso ci siano fratture, ma per essere sicuri è meglio fare una lastra. Possibilità di lesioni interne. Penso sia meglio che lo porti con me all'ambulatorio. Notizie della ragazzina?». «Non ancora» disse Pascoe. «Queste lesioni, cosa pensa le abbia provocate?». «Non è stato accidentale, questo è sicuro» disse il veterinario in tono piatto. «Se dovessi tirare a indovinare, direi che qualcuno ha mollato un bel calcione alla povera bestia. Buona giornata a tutti». Con gentilezza sollevò il cane dalla cesta e uscì dalla cucina. «Brava persona» disse il sergente Clark con aria di approvazione. «Si preoccupa davvero degli animali malati». «Ah, be', allora è un tifoso dei Raith Rovers» disse Dalziel. «Così qualcuno ha dato un calcio al cane. È sufficiente per dare inizio allo spettacolo. Buona idea quella di far controllare il cane». Pascoe disse: «Sì. Ben fatto, sergente Clark. Cosa vuole che faccia adesso, signore? Devo richiamare le truppe e allestire una base operativa?». «Già, meglio seguire la prassi» disse Dalziel senza entusiasmo. «Qualche suggerimento, sergente? A quanto ricordo, nel vostro ufficio non c'è spazio neppure per rigirarsi».
«St Michael's Hall, signore» disse Clark conciso ed efficiente. «Funziona come salone per le assemblee e palestra per la scuola elementare e come centro di ritrovo della congregazione. Ho parlato al telefono con la signora Shimmings, la direttrice della scuola. Forse lei se la ricorda, signore. Era a Dendale, come me. E poi c'era anche la signorina Lavery. Lei è molto preoccupata. Dice che adesso va alla scuola per essere a portata di mano in caso avessimo bisogno d'aiuto, notizie della ragazzina e simili...». Dalziel lo guardò con aria meditabonda e disse: «Ben fatto, sergente. Lei si spinge così in là che finirà per predire il futuro. Ok, Peter, vai pure. Di' loro che voglio qualcuno in uniforme che sappia distinguere la destra dalla sinistra per guidare la squadra di ricerca. Maggie Burroughs andrà benissimo. E avremo bisogno di un furgone con i beveraggi. Arrampicarsi su per quella collina farà venire una gran sete. E un caravan attrezzato nel Ligg Common. Io sarò qui a controllare che sia tutto in ordine. Domande?». «Nossignore» disse Pascoe. «Faccia strada, sergente». Clark uscì. Mentre Pascoe lo seguiva, la voce di Dalziel lo fermò. «Un consiglio, ragazzo», disse. «Sempre ben accetto», disse Pascoe. «Felice di saperlo. Quindi dammi retta. Hai fatto un favore a Nobby Clark, non fartelo restituire in birre. Mettiamogli il fuoco al culo, a quel farabutto, intesi?». Altro che banale collegamento, pensò Pascoe. Lui sa tutto davvero. «Sì signore» disse. «Proprio in mezzo alle chiappe». VI La parrocchia di St Michael, come la stessa Danby, si era ingrandita. L'originario edificio in pietra, chiaramente modellato sulla vecchia chiesa da cui prendeva il nome, aveva sviluppato varie appendici moderne la cui spaziosità compensava la scarsa avvenenza. La Hall, collocata tra la chiesa e la scuola, era chiaramente opera della stessa mano, ed era dotata perfino di un campanile e di vetrate colorate dalle quali filtrava una fioca luce mistica a illuminare l'ampio spazio interno, completamente aperto, con un palco a un'estremità e una piccola galleria all'altra. Pascoe arricciò il naso all'odore di muffa, che evocava echi di lezioni di ginnastica o di quelle rappresentazioni di dilettanti che si tenevano in sale di villaggio piene di spifferi. Gli intrattenimenti che lì venivano offerti non
erano tutti amatoriali. Appesa in bacheca, fra gli annunci di «prossimamente», vide una locandina del concerto d'inaugurazione del diciottesimo Festival Musicale delle Valli del Mid-Yorkshire, un recital di Elizabeth Wulfstan, mezzosoprano, e Arne Krog, baritono, che si sarebbe tenuto il mercoledì successivo. Ancora quel nome. Ricordò la giovane voce robusta che cantava le dolenti parole: 'E ora il sole vuole sorgere luminoso / Come se stanotte una sventura non fosse accaduta'. Era previsto che l'ondata di caldo durasse ancora per giorni, se non per settimane, ma Pascoe dubitava che per i Dacre ci sarebbero state ancora albe luminose. Per l'amor del cielo! si autoammonì. Non saltare subito alle conclusioni peggiori. «Qui andrà benissimo», disse a Clark, e parlò al cellulare. Aveva già messo in moto le operazioni da Liggside e stava solo confermando la sede del quartier generale. L'arrivo dei primi rinforzi era dato a trenta minuti. «Vado a fare due chiacchiere con la signora Shimmings» disse. «Ha bisogno di me, sergente?». L'uomo era pallido e tirato, come se fosse stato esposto a un vento gelido in una giornata d'inverno. «No, tutto a posto. Mi spiace. È che ritrovarsi in una scuola, la base operativa... all'improvviso ti rendi conto che sta succedendo davvero. Mi sono reso conto che finora stavo cercando di far finta che fosse diverso dall'ultima volta, là a Dendale, dico. Non che all'epoca fosse diverso: noi che pensavamo che al peggio si sarebbe trattato di un incidente e la piccola Jenny Hardcastle l'avrebbero trovata o sarebbe riuscita a tornare da sola...». «Perciò sa come funzionano queste cose» disse Pascoe in tono ruvido. «Dobbiamo risolvere alla svelta la questione di Benny. Qualcuno è responsabile delle scritte. Bisogna assolutamente scoprire chi, poi potremo iniziare a chiedere perché. Qualche idea?». «Ci sto lavorando sopra» disse Clark. «Dev'essere uno scherzo idiota e una lurida coincidenza, non pensa anche lei, signore? Voglio dire, l'hanno fatto la notte scorsa, e Lorraine è scomparsa solo stamane. E il responsabile non ce l'avrebbe fatto sapere in anticipo, no?». «Meno probabilità di essere colto sul fatto», disse Pascoe. «Ma significherebbe che la cosa è stata programmata!». «Perché, sarebbe peggio che se fosse stato un impulso? Be', forse ha ra-
gione. Forse sarebbe peggio per noi, intendo. L'azione impulsiva lascia tracce, quella pianificata mira a ricoprirle. In un caso come nell'altro, dobbiamo avere tra le mani l'artista della bomboletta spray». «Sissignore» disse Clark. «Signore...». «Sì?», lo incoraggiò Pascoe. «Benny. Benny Lightfoot. C'è qualcosa che lei sa e io no? Voglio dire, potrebbero esserci informazioni in possesso delle alte sfere che hanno ritenuto opportuno non passare qui, per paura di riaprire vecchie ferite...». «La sua domanda è se Benny potrebbe essere tornato davvero?» chiese spietato Pascoe. «Da quello che ho sentito, ne dubito. Ma il fatto stesso che lei l'abbia chiesto dimostra quanto sia importante prendere questo buffone per la collottola. Ci si dedichi». Si avviò verso la scuola attraversando il cortile. Scorse la figura della direttrice alla finestra di una classe e si domandò se fosse quella di Lorraine. Al loro arrivo lei era in piedi all'ingresso principale, ma dopo un breve scambio di parole Pascoe aveva troncato la conversazione per dirigersi alla Hall. Adesso la raggiunse nell'aula e disse: «Mi spiace per prima, signora Shimmings, ma avevo molte cose da organizzare». «Non si preoccupi» rispose lei. «So come vanno queste cose». Si ricordò allora che, come Clark, anche lei c'era già passata prima. Guardandola con più attenzione, intravide gli stessi sintomi della persona che rientra in un incubo al quale pensava di essere sfuggita. Era una donna dal fisico snello, con capelli castani tendenti al grigio e candidi occhi marroni. Sui quarantotto anni. Più di trenta all'epoca della scomparsa di Dendale. Disse: «Allora pensate che sia accaduto il peggio?». «Più esattamente, ci prepariamo per il peggio» replicò Pascoe con gentilezza. «Mi parli di Lorraine». «Era... è una bambina dall'intelligenza vivace, un tantino vecchio stampo, per usare un'espressione desueta. Non sono rimasta sorpresa quando ho sentito che si è alzata presto e ha deciso di portare il cane a fare una passeggiata per conto suo. Non che sia una ragazzina solitaria. Tutt'altro, è estremamente socievole e ha molti amici. Ma non incontra mai difficoltà a portare a termine compiti da sola e in qualche occasione, se ne ha l'opportunità, opta per le attività individuali piuttosto che per quelle di gruppo». Dopo lo scivolone iniziale si era mantenuta con determinazione, quasi con pedanteria, al tempo presente. Mentre la donna parlava, Pascoe lasciò
vagare lo sguardo per l'aula. Accompagnando Rosie aveva sviluppato un occhio professionale per l'ambiente scolastico. Si ritrovò ad apprezzare la qualità del materiale esposto, la chiarezza di pensiero e l'ordine, l'uso di materiali stimolanti a livello estetico, intellettuale e logico. In quella classe era tutto gradevole e perfettamente in ordine. Era evidente che la maestra non era schizzata via, in quel pomeriggio di venerdì, ma aveva aspettato finché anche l'ultimo bambino era uscito per dare il tocco finale alle loro creazioni e assicurarsi che la stanza fosse in perfetto ordine per il lunedì mattina. Questa maestra, dedusse, sarebbe stata devastata scoprendo cos'era successo a uno dei suoi allievi. «Avrebbe seguito un estraneo?», domandò. «Qualcuno che le offriva delle caramelle per strada e la invitava a salire su un'auto? Lo escludo» rispose la signora Shimmings. «Ma mi ha detto che si è arrampicata su per la collina a fare una passeggiata? Le cose sono diverse lassù, signor Pascoe. Ci è mai andato a passeggiare?». «Qualche volta», disse Pascoe, pensando a Ellie che blandiva marito e figlia riluttanti perché completassero il giro a piedi dei tre picchi, la primavera precedente. «Allora saprà che se per strada un completo estraneo ti dice 'ciao', pensi che ci sia qualcosa che non va, ma lassù sulle colline, se incontri qualcuno, viene automatico scambiarsi un saluto e qualche volta anche fermarsi a fare una chiacchierata. La cosa strana sarebbe non dirsi niente. Sì, penso che oggi tutti abbiamo abituato i nostri figli a considerare gli estranei con estremo sospetto, ma loro imparano dagli esempi più che dai precetti, e fuori, in campagna, l'esempio che ricevono è di trattare gli estranei quasi come vecchie conoscenze». «Perciò avrebbe potuto fermarsi a chiacchierare». «Non si sarebbe stupita se qualcuno le avesse rivolto la parola, e non sarebbe fuggita. E poi a cosa sarebbe servito, lassù? Non aveva il cane con sé?». «I cani sono una forma di difesa sopravvalutata» disse Pascoe. «Se fossero abbastanza grossi e feroci, non li lascerebbero portar fuori a una ragazzina da sola. Questo potrebbe averci provato. E si è preso dei bei calci per averlo fatto. Ce n'è qualcuno di Lorraine?». Stava guardando dei disegni in mostra con il titolo comune: 'La mia famiglia'. Mentre poneva la domanda vide un'etichetta stampata con cura che diceva: LA FAMIGLIA DI LORRAINE, apposta a un dipinto che raffigurava
un uomo, una donna e un cane. Le figure umane erano più o meno della stessa taglia, entrambe con un bel sorriso a fetta d'anguria. In proporzione, il cane aveva la taglia di un pony Shetland. Uno psicologo probabilmente avrebbe dedotto che la bambina non aveva alcun problema con uno o l'altro dei genitori, ma era pazza per Tig. Giusto quello che desidereresti trovare in una ragazzina di sette anni. Ricordò come si era sentito sprofondare il cuore nei calcagni quando, poco tempo prima, Ellie gli aveva mostrato senza fare commenti un disegno di Rosie che raffigurava lei come una donna alta ben quindici centimetri e lui una macchiolina dentro un'auto che si allontanava veloce. «Una famiglia felice?», domandò. «Molto felice. Conosco la madre da quando era bambina». «Naturalmente. So che lei insegnava a Dendale prima che costruissero la diga». «È vero. Come tutti, dovetti trasferirmi. Il prezzo del progresso». «Ma in fin dei conti alcuni erano probabilmente contenti di andarsene, e perfino di vedere la valle sommersa dall'acqua», buttò lì. «Pensa che la scomparsa di Lorraine possa avere qualche legame con ciò che accadde allora?». «È lei che deve dirmelo, signora Shimmings» disse Pascoe. «Io non ero qui, a quel tempo. Ha sentito delle scritte? 'Benny è tornato'?» Lei annuì. «Sicché potrebbe essere tornato davvero? E se sì, dov'è stato finora? Ho sentito che era un po' ritardato». «Forse è andato a vivere tra persone che non fanno domande e non emettono giudizi» propose la donna. «Come quei pellegrini della New Age. E comunque Benny non era ritardato. Anzi, aveva un'intelligenza brillante». «Mi spiace. Mi è stato detto che aveva avuto un incidente... una cosa come un piatto rotto in testa...». «Oh, quello» disse con l'aria di liquidare l'argomento. «Ho avuto Benny come allievo sia prima che dopo quell'incidente, signor Pascoe. E dopo era acuto come prima. Ma restava diverso, e la gente qui nello Yorkshire, come in qualsiasi altro posto, confonde 'differentÈ con 'deficientÈ molto in fretta. No, non era ritardato, era... visionario, penso sia il termine esatto. È stato mio allievo finché ha avuto l'età per andare alle medie, il che significava prendere la corriera e uscire dalla vallata, e lui non ne era entusiasta. Ma suo padre gli disse di andare e di fare del suo meglio, e Benny aveva un'autentica venerazione per Saul, suo padre. Poi, quando Benny aveva
dodici anni, Saul Lightfoot morì». «In che modo?», chiese Pascoe. Tipica domanda da poliziotto. «Annegò. Era un uomo piuttosto atletico» disse la signora Shimmings, con quello che un osservatore romantico avrebbe definito uno sguardo perso. «Andava sempre a nuotare nel laghetto. Era un buon nuotatore, resistente, ma pensano sia rimasto impigliato nei rami di un albero sommerso. Il povero Benny ne fu devastato. Tutta la famiglia viveva con la vecchia signora Lightfoot, la nonna di Benny, a Neb Cottage. Dovevano essere un po' strizzati, dato che erano tre bambini: Benny, la sorella e il fratello più piccoli, Barnabas e Deborah. Ma tutto funzionava bene finché c'era Saul. Lui era così, possedeva carisma, direbbero forse oggi. Le ragazzine invece lo chiamerebbero un gran fico». Pascoe sorrise e sbirciò di nascosto l'orologio. La storia locale era interessante, ma lo attendevano responsabilità pressanti e gravose. «Mi scusi, le sto facendo perdere tempo», disse la signora Shimmings. Aveva dimenticato di avere di fronte una direttrice dall'occhio allenato a decifrare le minime sfumature di comportamento. «Non c'è nulla che io possa fare fino all'arrivo dei miei uomini» assicurò Pascoe. «Continui, la prego». «Dunque Marion, la mamma di Benny, e la vecchia signora Lightfoot non hanno mai legato veramente. Lei non era una ragazza di campagna, Saul l'aveva incontrata a un ballo in città, e adesso, senza di lui, non c'era nulla che la trattenesse a Dendale. Non fui sorpresa quando si trovò un lavoro in città e portò con sé i bambini. Qualche volta Benny tornava a trovare la nonna, e lei si accorse che il ragazzo non era felice. Non che parlasse molto, perché si stava chiudendo sempre più in se stesso. Poi, a quanto dicono, la madre si trovò un altro uomo, che si trasferì a casa loro. Penso che alla fine si siano sposati, ma solo perché avevano deciso di emigrare - in Australia, mi pare - e il matrimonio semplificava le cose. Benny non voleva andarci. La notte prima della partenza, scappò di casa e si rifugiò dalla nonna. Marion andò a cercarlo. Lui rifiutò recisamente di seguirla e la vecchia signora Lightfoot disse che poteva restare con lei. E così accadde. Aggiungerei che si dissero molte altre cose che era meglio non venissero dette. Comunque, il risultato fu che la famiglia sistemò Benny a Neb Cottage. Per quanto ne so, smise immediatamente di andare a scuola. Il funzionario incaricato dalla scuola ci andò molte volte, e anche i servizi sociali, ma se solo aveva il sentore di qualcosa di vagamente ufficiale, anche solo qualcuno che non conosceva, Benny se ne scappava sul Neb, e
finirono per rinunciare, più o meno, anche se sono sicura che trovarono qualche formula burocratica di facciata per regolarizzare la situazione». «Come si fa a regolarizzare l'abbandono scolastico?», si chiese Pascoe. «Non è possibile. È il tempo a farlo» disse la signora Shimmings. «Penso che si siano sentiti un bel po' di sospiri di sollievo in Provveditorato quando Benny finalmente compì sedici anni. Ma il danno psicologico era fatto. Benny era guardingo, elusivo, introverso, solitario, sprovvisto di ogni attitudine sociale - in altre parole, agli occhi di molti semplicemente ritardato». «E sarebbe potuto essere responsabile delle sparizioni?», chiese. «Il sesso è un movente forte in un uomo giovane» disse lei. «Ma prima dell'aggressione a Betsy Allgood, nutrivo seri dubbi in proposito. Dopo, però...». Scosse il capo. «È giusto ciò che ha detto lei prima. In fin dei conti, penso che molti siano stati felici di lasciare Dendale, felici di vederla finire sott'acqua. Quelli che citavano la Bibbia a ogni piè sospinto lo videro come una replica del diluvio della Genesi, inviato per sommergere la malvagità». «Idea ingegnosa» disse Pascoe. «Ma la malvagità è un'ottima nuotatrice. E lei come si sentiva, signora Shimmings?». Sembrava una domanda piuttosto innocente, ma con sgomento vide che gli occhi della donna si riempivano di lacrime, anche se lei si girò in fretta per nasconderle e si rifugiò dietro la cattedra. «Buffo» disse. «Mentre ero qui ad aspettarla, sono andata nella nostra piccola biblioteca, e questo è il libro che ho scelto». Prese un volume dalla cattedra e lo sollevò in modo che lui vedesse il titolo. Era L'allagamento di Dendale. «Lo conosco» disse Pascoe. «Mia moglie ne ha una copia». Era, come ricordava, un libro illustrato, di formato quadrato e composto soprattutto di fotografie con la parte del testo ridotta al minimo. Era diviso in due parti, la prima intitolata 'La vallÈ e la seconda 'L'allagamento'. La prima foto mostrava un panorama dell'intera vallata, immersa nella luce del tramonto. Sotto il titolo si leggeva l'epigrafe: 'Ameno sito rurale con panorama variegato'. «Il Paradiso perduto» disse la signora Shimmings. «Ecco come mi sentivo io, signor Pascoe. Per quanto contaminato, era sempre un Paradiso in terra».
All'esterno si sentì un clacson. Grato della possibilità di sfuggire da quell'intenso e sperava irrilevante sfoggio di emozioni, Pascoe andò alla finestra. Stavano arrivando: veicoli di ogni tipo che trasportavano ogni cosa potesse servire all'allestimento di un quartier generale: mobilia, telefoni, radio, computer, vettovagliamenti e, ovviamente, personale. In guerra dev'essere uguale, pensò. Prima della Grande Offensiva. Come Passchendaele. Tanto trambusto, un così ingente spiegamento di uomini e macchine... fallire doveva sembrare un'ipotesi inconcepibile. Ma avevano fallito. Migliaia e migliaia di morti inutili, uno dei quali, il suo bisnonno, portava il suo stesso nome, non affogato nel fango o falciato da un proiettile, ma legato a un palo e ucciso da pallottole inglesi... Disse: «Più tardi avremo modo di riparlarne, signora Shimmings», e uscì per riprendere il controllo. VII Spesso penso che siano in collina a passeggiare E che presto torneranno. È bello il tempo, non angustiarti così! Sono solo andate su per la valle a passeggiare. «Allora, cos'abbiamo qui? Narcisismo o la reazione dell'artista a una critica fondata?». Elizabeth Wulfstan premette il tasto di pausa del telecomando e girò il capo verso l'uomo che era appena entrato. Il tempo era stato clemente con Arne Krog. Superata la soglia dei quaranta, il suo viso aperto e senza rughe, incorniciato da un covone di capelli dorati e da una frangetta di barba dello stesso colore, lo rendevano più simile all'istruttore di sci giovane e sexy dei film di Hollywood che all'idea che tutti hanno di un baritono di mezz'età. E se gli anni non erano stati altrettanto generosi in tema di fama e riconoscimenti, aveva cura di non lasciarlo trapelare. Lei disse: «Gran parte di quello che hai detto era giusto. Il che ti rende felice, vero?». Parlò con un marcato accento dello Yorkshire, che non mancava mai di sorprendere coloro che la conoscevano solo attraverso il canto. «Mi fa felice che tu riconosca i tuoi errori. Non preoccuparti. Quando
sarai vecchia e famosa quel disco farà gola a ogni collezionista. Forse allora, per spirito di contraddizione, la tua ultima incisione sarà di brani adatti a una voce giovane e fresca. Ma preferibilmente nella lingua in cui sono stati scritti». «Volevo che li capissero tutti», disse lei. «Allora dai loro una traduzione da leggere, non cantarne una tu stessa. La lingua è importante. Avrei pensato che una come te, così devota al suo accento natio, l'avrebbe capito». «Non vedo per quale motivo dovrei parlare come te solo per far piacere a qualche segaiolo tutto in ghingheri». Mentre parlava sorrise brevemente. Il viso dai lineamenti regolari, con gli occhi scuri dallo sguardo fermo e un pesante strato di fondotinta chiaro, incorniciato da capelli biondo cenere che le ricadevano sulle spalle, quando sorrideva assumeva l'aspetto vagamente minaccioso di una maschera, illuminata da una bellezza remota, come un paesaggio artico sfiorato da un sole intermittente. Era alta più di un metro e settanta e sembrava ancor più alta con il top nero e i calzoni di lycra che fasciavano la sua figura snella. Lo sguardo di Krog vi si posò con aria di approvazione, ma la sua mente era già concentrata sulla musica. «Così modificherai il programma per il concerto d'apertura?» chiese. «Bene. Anche a Inger farà piacere. A lei la trascrizione per piano non è mai piaciuta». «Te l'ha detto lei? Davvero?» disse Elizabeth. «Che bello. Ma, anche se sarei entusiasta di soddisfare la nostra Inger, è troppo tardi per cambiare». «Tre giorni» disse lui con impazienza. «Trova il repertorio e io ti darò tutto l'aiuto che posso». «Grazie» disse lei con tono sincero. «E a me piacerebbe davvero che mi aiutassi a prepararmi. Ma quanto a cambiare, intendevo dire che è troppo tardi qui dentro». Si toccò il petto. Lui prese un'aria esasperata e disse: «Perché sei così fissata su questi Lieder?». «E a te perché scoccia tanto che io li canti?». «Non credo che, date le circostanze, siano appropriati», replicò lui. «Le circostanze?». Si guardò attorno in preda a un falso stupore. Si trovavano nell'elegante salotto dal soffitto alto della casa cittadina dei Wulfstan. Le portefinestre si aprivano su un lungo giardino inondato di sole. In sottofondo, appena udibile, il brontolio dell'organo sotto la linea sublime di
un coro di giovani voci. Se fossero usciti, avrebbero visto, vicinissime in direzione est, le torri massicce della cattedrale, con i gargoyle le cui lingue sembravano allungarsi ancor di più in quell'interminabile siccità. «Non pensavo che in posti come questi si facesse caso alle circostanze», disse Elizabeth. «Lo sai quello che intendo. Walter e Chloe...». «Se Walter ha qualche lamentela da fare, ha la lingua per farlo», lo interruppe lei. «E Chloe?». «Oh, Chloe... Te la fotti ancora?». Per un attimo lo shock lo riportò indietro nel tempo, a quando aveva quarant'anni. «Ma che diavolo dici?», chiese, mantenendo bassa la voce. «Ma dai, Arne... Non c'è bisogno che ti traduca la parola. È andata avanti per un bel po', o sbaglio? O dovrei dire avanti e indietro? Tutti quei viaggi che facevi. Per lei doveva essere di gran conforto che tu non trascurassi di far pratica. Come per il canto. Bisogna sempre continuare a esercitarsi». Lui si era ormai ripreso e disse, sforzandosi di esser ragionevole e di dare poco peso alla cosa: «Non dovresti dar retta a tutti i pettegolezzi da coriste che senti, mia cara». «Coriste? Oh, ma sicuro, potrei fornire a Chloe tanti di quei nomi da formare un coro per il Messiah». Arne parlò con dolcezza: «Che senso ha tutto questo, Elizabeth? Che cosa vuoi?». «Cosa voglio? Non lo so cosa voglio. Ma quello che non voglio è che Walter rimanga ferito. O Chloe». «È molto... filiale da parte tua. Ma tu lavori molto su quel ruolo, non è vero? La figlia amorevole, e amata. Anche se alla fine, ahimè, come in tutti i ruoli, bisogna togliersi il trucco e la parrucca, e si è costretti di nuovo a guardarsi in faccia». Le sue parole grondavano veleno, ma lei si limitò a sogghignare dicendo: «Da come parli, sembra che tu sia sceso dal letto col piede sbagliato. E ti sei anche alzato prestissimo. Un uomo della tua età ha bisogno di riposare, Arne». «Come sai a che ora mi sono alzato? Significa forse che sono sotto sorveglianza continua?». «Mi sono alzata anch'io all'alba, perché sono una campagnola» disse lei.
«Ho sentito la tua macchina». «Ma poteva essere qualcun altro». «No. Tu sei il solo finocchio che cambia tre volte marcia da qui alla fine della strada». Lui si strinse nelle spalle e disse: «Non riuscivo a dormire, e la luce mi ha svegliato. Volevo andare a fare una camminata, ma non dove sarei stato circondato dalle case». «Ah, sì? Hai visto qualcuno che conoscevi?». Passò le dita sui peli morbidi della barba e disse: «Non ho visto nessuno. Era troppo presto». Lei disse: «Fammi un fischio, la prossima volta, magari vengo con te. Senti, già che sei qui, ci sono un paio di cose in Mahler per cui puoi darmi una mano». Lui scosse il capo sconcertato e disse: «Sei incredibile. Io ti dico che hai commesso un errore a cantare questi Lieder per la tua prima incisione e che ne commetti un altro a volerne cantare uno al concerto. Tu ignori il mio consiglio, mi scagli accuse a dir poco offensive, e adesso vuoi che ti aiuti a fare quello che credo non dovresti fare!». «Non è niente di personale, Arne. È una questione tecnica» disse lei, chiaramente perplessa per il fatto che lui non riuscisse a capire la distinzione. «Posso anche pensare che tu sia un pezzo di merda, ma come insegnante ti ho sempre apprezzato. Magari avresti dovuto dedicarti a quello, invece di fare concerti. Adesso ascolta, sono un po' preoccupata per il fraseggio in questo punto». Premette un tasto del telecomando e la musica riprese. Oh, sì, sono solo andate in collina a passeggiare E presto torneranno a casa tutte allegre. Non angosciarti, la giornata è bella. Si sono arrampicate su per Beulah Height. «Senti qual è il problema?», disse lei, premendo di nuovo la pausa. «Perché hai detto Beulah Height?» chiese lui. «La traduzione non è corretta: il tedesco dice auf jenen Höh'n». «Sì, sì, non ti agitare. Mettiamoci 'su per l'altura', torna lo stesso» disse lei con impazienza. «Adesso stai a sentire, vuoi?». Fece ripartire il brano da capo. Questa volta Krog concentrò tutta l'attenzione sulla voce, al punto da non accorgersi che la porta si era aperta, fin-
ché Elizabeth disse: «Chloe, che succede? Che c'è?». Chloe Wulfstan, appesantita rispetto a quindici anni prima ma per il resto non molto cambiata, a parte per un lieve doppio mento che le donava, era entrata nella stanza e appoggiata alla spalliera del divano oscillava leggermente. «Ho sentito il notiziario locale» disse. «Sta succedendo di nuovo». Krog le andò vicino e le mise un braccio attorno alle spalle. Al suo tocco la donna lasciò andare il divano e si appoggiò con tutto il peso al corpo di lui, che dovette usare entrambe le braccia per sostenerla. I suoi occhi incontrarono lo sguardo neutro di Elizabeth e scrollò leggermente le spalle come per dire: cos'altro potevo fare? «Che cosa sta succedendo di nuovo?» domandò la donna più giovane in tono piatto e tranquillo. «Cos'hai sentito?». «È scomparsa una bambina» disse Chloe. «Nella valle sopra Danby». Lo sguardo dell'uomo incontrò ancora quello di Elizabeth. Questa volta non si scambiarono alcun messaggio. E attorno a loro la ricca giovane voce spiegava il suo mesto canto: Ci hanno preceduto, invece E non ritorneranno mai più a casa tutte allegre. VIII Ellie Pascoe era pronta per accogliere la fama. Aveva provato e riprovato le risposte da dare ai giornalisti che come stormi di gabbiani si sarebbero precipitati sulla rete del suo talento. Per i giornalisti letterari che facevano servizi di approfondimento per le riviste alla moda si era preparata una messe di osservazioni acute e sorprendenti sulla vita e sull'arte e sul prezzo della carne e del pesce, tutte sciorinate in periodi così eleganti da non esigere un minimo di intervento redazionale e da inibire qualsiasi taglio. Per gli intelligentoni ficcanaso della radio e della televisione aveva appuntito un'intera faretra di battute scoraggianti che li avrebbe fatti pentire di aver solo pensato di potersi portare a letto Ellie Pascoe! E per gli amici si era cucita un abito di ironica modestia, e tutti quanti si sarebbero stupiti che una che si era rivelata tanto diversa riuscisse a rimanere sempre la stessa. Aveva persino buttato giù la traccia del proprio percorso creativo da inserire nella storia della Letteratura inglese.
Il suo primo romanzo, che rifiutò fermamente di dare alle stampe, ma che fu scoperto tra le sue carte postume, fu l'evento letterario del 2040 - no, facciamo del 2060. È la tipica opera autobiografica, egocentrica e picaresca con la quale tanto spesso un genio preannuncia il suo arrivo sul palcoscenico mondiale. Per gran parte ingenuo, quasi puerile, l'occhio allenato può tuttavia discernere la profondità, l'osservazione acuta e l'eloquio fluido che sono il marchio della sua produzione matura. Il suo secondo romanzo, che dopo molte pressioni e una considerevole mole di revisioni acconsentì a pubblicare quando era all'apice della fama, è la storia di una giovane donna di formazione accademica che sposa un soldato e si ritrova a cercare di sopravvivere in un mondo fatto d'azione, autorità e relazioni maschili che le è del tutto estraneo. Gli elementi autobiografici sono qui molto più controllati. Non si è limitata a rigurgitare la sua esperienza, ma l'ha prima digerita e poi se ne è servita per cucinare una raffinata opera... d'arte. (La metafora va un po' rifinita, si disse con un sogghigno). Ma è nel suo terzo romanzo, con il quale il suo nome è balzato in cima alla classifica dei best-seller, che la voce dell'artista matura - sicura, ironica, divertente, appassionata, compassionevole, coinvolgente e melismatica - si fa sentire per la prima volta in tutto il suo splendore... Dopo che Peter era uscito, quella domenica mattina, era rimasta per un po' al sole giocando con l'immaginazione al gioco della fama, ma scoprendo che l'annoiava rapidamente. Se mai si fosse realizzato, sapeva che sarebbe stato molto diverso. Critici, intervistatori e conduttori di programmi potevano anche essere i parenti poveri al grande banchetto della letteratura, ma il boccone che si garantivano di sicuro era l'ultima parola. Così alla fine i suoi pensieri si rivolsero all'argomento dal quale aveva cercato di distoglierli - a Peter. Sapeva - da qualche tempo - che dentro di lui stava accadendo qualcosa di cui non parlava. Non era un uomo reticente. Condividevano la maggior parte delle cose. Lei conosceva ogni particolare dell'indagine che aveva fatto emergere la verità devastante sulla sua storia familiare. Ne avevano
parlato a lungo, e parlarne l'aveva indotta a cullarsi nella convinzione che le ferite di cui il marito aveva sofferto sarebbero risanate, anzi stavano già guarendo, era solo questione di tempo prima che il processo fosse completo. Era sicura che anche lui aveva pensato la stessa cosa. Ma si era sbagliato, e per qualche ragione non era ancora capace di ammettere di fronte a lei la natura del suo errore. Fino a quel momento non gli aveva fatto pressioni. Ma adesso le avrebbe fatte. Come moglie, come amante, come amica, aveva il diritto di sapere. O se non in tutte quelle vesti, poteva sempre appellarsi al diritto inalienabile del Grande Romanziere di ficcare il naso nei cervelli altrui. Il pensiero la indusse a prendere penna e notes e a iniziare a rivedere i brevi appunti che riguardavano la sua prossima opera. Ma visti alla luce delle preoccupazioni personali che le si accavallavano dentro la testa e del sole che picchiava sopra la testa stessa, gli appunti le sembrarono un mucchietto di cacca. Insoddisfatta si alzò e rientrò in casa in cerca di qualcosa che la distraesse dai suoi pensieri. L'unica cosa che le saltò agli occhi fu una pila di panni da stirare a lungo ignorata. Accese la radio e si mise al lavoro. Era, scoprì (anche se non si sarebbe mai sognata di ammetterlo tranne in confessionale, luogo che, da atea convinta qual era, difficilmente le sarebbe capitato di frequentare), un modo tutt'altro che sgradevole di passare un'ora spensierata. Ogni tanto usciva per assorbire un'ennesima dose di ultravioletti, seguita da un sorso di succo di mela gelato, mentre la stazione radio locale continuava il suo amabile e vacuo borbottio. Stirò perfino, con grande cura, delle lenzuola. Normalmente il suo pensiero sulle lenzuola era questo: se in una sola notte si riempivano di grinze come la faccia di Auden, che scopo aveva sforzarsi di fare qualcosa di più che minacciarle vagamente con il ferro da stiro? Ma immaginò che Rosie quella notte avesse dormito fra le lenzuola seriche e inamidate di Jill Purlingstone, e anche se casa Pascoe non era in grado di competere in fatto di pony e piscine, almeno da questo punto di vista, in questa occasione, sua figlia non avrebbe sofferto di alcun senso di inferiorità. La radio la teneva aggiornata con bollettini sul tempo stupendo e su come il popolo inglese trovasse modi incredibilmente intelligenti per goderselo. Come appiccare incendi sulle colline o restarsene seduti in macchina, mentre la coda avanza di qualche centimetro alla volta, sulle strade da e per il mare. Alla fine, terminato di stirare e rimpiazzato il succo di mela con un bel gin tonic, si sedette con il cervello svuotato, ogni passione spenta, alle sei
circa, giusto in tempo per sentire il resoconto di un grave incidente stradale sulla strada costiera principale. Venne fornito un numero per le informazioni a beneficio degli ascoltatori ansiosi. Provò a farlo, trovò occupato, provò con il numero dei Purlingstone, trovò la segreteria, riprovò con il numero d'emergenza, ancora occupato, sbatté giù irritata la cornetta e, come per reazione, il telefono si mise a squillare. Alzò bruscamente il ricevitore e ringhiò: «Sì?». «Ciao, sono io» disse Pascoe. «Hai sentito dell'incidente?». «Sì. Oddio, cos'è successo? È grave? Dove...». «Calmati» disse Pascoe. «È tutto a posto. Ti telefono appunto per dirti che ho contattato il coordinatore mentre ascoltava la notizia. Nessun Purlingstone coinvolto, nessun bambino dell'età di Rosie. Perciò non devi preoccuparti». «Grazie a Dio» disse Ellie. «Grazie a Dio. Ma ci sono stati dei feriti...». «Quattro morti, diversi feriti gravi. Ma non cominciare a sentirti colpevole perché provi sollievo. Semplificare le cose è un modo per sopravvivere». «È quello che stai facendo tu, amore?» chiese lei. «E lì come stanno andando le cose? I notiziari non ne parlano». «È perché non ci sono novità. Abbiamo mandato un paio di squadre con i cani sulle colline e tutti gli uomini che abbiamo potuto raccattare, con questa nuova faccenda. Hai sentito degli incendi? Che gente, Dio mio. Ho intenzione di iscrivermi all'associazione per l'osservanza del Giorno del Signore e votare perché sia una bestemmia mettersi in macchina per più di mezzo chilometro da casa, la domenica». Sotto quella giovialità Ellie percepì subito la depressione. Disse: «Quella povera gente. Come la stanno prendendo?». Alla mente di Pascoe si affacciò l'immagine del viso esangue di Elsie Dacre, e quella di Tony Dacre, alla fine sceso dalla collina, le gambe che gli cedevano per il dolore, la fame e la fatica. Disse: «Come se qualcosa si fosse spento. Come se l'aria che respirano fosse impregnata di cloro. Come se fossero morti e stessero cercando un pezzo di terra per essere seppelliti». «E adesso cosa succederà?». «Continuiamo a cercare finché fa buio. Domattina ricominciamo. Più un paio di cose messe in moto». Niente in cui nutrisse molta speranza o di cui avesse voglia di parlare.
Lei cercò di inventare qualcosa di confortante da dire e stava per dichiararsi sconfitta, quando il campanello squillò e sentì la cassetta delle lettere sbatacchiare e la voce di Rosie gridare impaziente: «Mamma! Mamma! Sono io. Siamo a casa. Mamma!». «Peter, è tornata Rosie», disse al telefono. «Mi era parso di sentire un richiamo melodioso», disse lui. «Meglio che vada, prima che butti giù la porta». «Dalle un bacio per me. Non so quando torno». Quando aprì la porta, Rosie si precipitò dentro gridando: «Mammina, guardami, sono quasi abbronzata come te. Abbiamo mangiato cinque gelati e abbiamo fatto tre picnic e la macchina di zio Derek butta fuori dell'aria freddissima e ho battuto Zandra a dorso». Ellie la prese, la strinse forte e la sollevò in alto. Ricordo quando ero come lei, pensò. Tante cose da dire, che le corde vocali sembrano inadeguate e quello di cui avresti davvero bisogno sarebbe qualche mezzo di comunicazione a fibra ottica che convogliasse migliaia di messaggi al secondo. Derek Purlingstone le stava sorridendo dalla soglia di casa. Era un uomo alto e avvenente, dall'aria latina, sui trentacinque ma ne dimostrava sei o sette in meno. Era di umili origini - il padre lavorava nelle miniere di carbone dello Yorkshire - ma adesso rivestiva tutti gli attributi della ricchezza - camicia di Armani, orologio di Gucci - come se li avesse indossati anche nella culla. Ellie restituì il sorriso e disse: «Tre picnic! Non ti pare un tantino eccessivo?». «No: abbiamo fatto un picnic a colazione, un picnic a pranzo e un picnic a merenda e siamo passati con la macchina attraverso un incendio...». «Un incendio? Vi trovavate vicini all'incidente?», chiese allarmata a Purlingstone. Lui rispose: «Vuoi dire il tamponamento a catena sulla strada principale? L'ho sentito alla radio. No, abbiamo seguito una strada secondaria, un po' più lunga ma molto più scorrevole. L'incendio l'abbiamo trovato su Highcross Moor al ritorno. Un mucchio di fumo, nessun pericolo, anche se c'era un sacco di polizia intorno a Danby». «Sì. Peter si trova là. È scomparsa una bambina. Una bambina piccola». L'uomo fece un'espressione di circostanza, poi tornò a sorriderle. «Bene, piacere di averti rivisto, Ellie, soprattutto con tutto quel che si vede!».
Il tono era teatralmente lascivo e il suo sguardo percorse il corpo di lei in bikini in una parodia della lussuria. Ellie si ricordò una frase di uno di quei libri di psicologia spicciola che aveva letto di recente: 'Per nascondere ciò che non si può nascondere, fingiamo di stare figendo'. Purlingstone era quello che sua madre avrebbe definito un corteggiatore tremendo. Ellie gli teneva testa senza problemi, ma a volte si era chiesta quanto vicino fosse andato alle molestie sessuali quando indirizzava le sue attenzioni a donne più giovani che ricoprivano posizioni subordinate nel suo ufficio. A dispetto di ciò, e nonostante fosse un pezzo grosso in un'industria privatizzata, il tipo le piaceva abbastanza e le era molto simpatica sua moglie, Jill, che si vestiva da Marks and Sparks e aveva insistito perché la piccola Zandra frequentasse Edengrove Junior invece, come diceva lei, di 'qualche collegio femminile per ragazze con dote dove ti spellano vivo per delle mutandine col monogramma'. «Entri a bere qualcosa?», lo invitò. «Mi spiace, ma è meglio che torni a casa. Zandra non è molto in forma. Troppo sole, credo. Ha ereditato la pelle chiara di sua madre, non come noi di tipo latino che possiamo versarci sopra l'olio d'oliva e lasciarlo sfrigolare, eh?». Di nuovo lo sguardo bollente, poi la sua mano che scivolava avanti, e per un secondo Ellie pensò che volesse toccarle il seno, ma tutto quello che fece fu scarmigliare i corti capelli neri di Rosie prima di dirigersi verso la Mercedes familiare, il cui colore casualmente s'intonava con la sfumatura dei suoi jeans. Pura coincidenza? pensò Ellie. Quel bastardo probabilmente aveva un'auto coordinata per ogni accessorio di lusso. Oh, oh. L'invidia di solito non faceva parte del suo bagaglio, e Derek le piaceva abbastanza, davvero. Era solo che con quel caldo non sarebbe stato male avere qualche tipo di condizionatore un tantino più sofisticato dello spiffero che penetrava dai buchi di ruggine in quel forno su ruote che era la sua macchina. La voce di Rosie penetrò nei suoi pensieri: «Mamma, ma non mi ascolti!». «Sì che ti ascolto, tesoro. Insomma, adesso ti sto ascoltando. Vieni a sederti e raccontami tutto. Mi spiace che Zandra non si senta bene». «Oh, non è niente» disse la ragazzina con noncuranza. «Voglio raccontare tutto anche a babbo». «E lui ti ascolterà con grande gioia» disse Ellie. «Ma temo che dovrai ripetergli tutto quando tornerà a casa». La prospettiva di avere un secondo pubblico affascinato chiaramente non
le dispiaceva. La giornata di Rosie sgorgò fuori in un flusso ininterrotto di coscienza nel quale sensazioni ed emozioni sommergevano dettagli quali spazio e tempo. Gli unici nei erano che Zandra aveva iniziato a stare poco bene sulla via del ritorno e che Rosie aveva perso la sua croce. I Purlingstone erano cattolici, e Zandra portava al collo un piccolo crocifisso appeso a una bella catenina d'argento. Rosie aveva chiaramente espresso l'idea che la sua vita sarebbe stata incompleta senza un crocifisso uguale. Ellie, per più motivi di quanti volesse enumerare, le aveva detto: assolutamente no! Ma quando la figlia, dimostrando una considerevole ingegnosità, aveva preso a prestito un orecchino a forma di stiletto dalla scatola portagioielli di Ellie, l'aveva infilato in un nastro azzurro e se l'era legato al collo a mo' di croce, nessuno dei due genitori si era sentito di toglierglielo. Ellie prese mentalmente nota di nascondere l'altro orecchino del paio, poi si sentì colpevole. Pensava così a causa della sua genuina avversione per ogni forma di religione rivelata? O c'entrava qualcosa il sentimento ambiguo di delizia perché sua figlia stava vivendo apparentemente il più bel periodo della sua vita e il lieve risentimento che ciò accadesse anche nonostante la sua assenza? Qualcun altro mancava, notò. Era interessante osservare come, nelle poche settimane trascorse, la realtà nelle vesti di Zandra avesse spinto da parte la finzione sotto forma di Nina. Chiese in tono casuale: «C'era poi anche Nina?». «No» disse Rosie sbrigativa. «Il nix se l'è ripresa. Posso avere una bibita fredda? Ho un po' caldo». Ed ecco liquidata un'amicizia immaginaria, pensò Ellie. Un giorno sei qui, il giorno dopo te ne torni nel tuo libro illustrato! Disse: «Non mi meraviglio che tu sia accaldata dopo una giornata come questa. Vediamo cosa c'è in frigo, poi ti spalmo addosso un po' della mia lozione doposole, giusto per evitare che ti speli come una vecchia cipolla. Ok?». «Ok. Babbo torna prima che io vada a letto?». Mentre parlava le venne da sbadigliare. Lo sforzo di raccontare la sua storia sembrava averle prosciugata ogni energia. «Ne dubito» rispose Ellie. «A vederti, saremo fortunate se riuscirai a raggiungere il letto prima di addormentarti». «Tornerà quando avrà trovato la bambina?». Oh, merda. Ecco un'altra cosa che avrebbe dovuto ricordare di quand'era bambina: le orecchie sempre pronte a cogliere e memorizzare i brandelli di
frasi dei discorsi dei grandi. Ricordò la descrizione che le aveva fatto Peter dei genitori della bambina scomparsa - come se qualcosa si fosse spento - e le si presentò alla mente un altro verso: 'S'è spento un piccolo lume nel mio cuore'. Abbracciò Rosie e la strinse così forte che la bambina ansimò. «Scusa» disse Ellie. «Vieni, andiamo a prendere quella bibita ghiacciata». IX Sono lunghi i giorni in piena estate, e in genere la loro bellezza sta proprio nella loro lunghezza, il sole e il caldo che in apparenza non finiscono mai e che donano a coloro che sanno rilassarsi un assaggio di quella beatitudine eterna che era nostra prima che il Grande Banchiere, su nei Cieli, si riprendesse indietro la nostra prima dimora con giardino. Per i poliziotti che lavoravano a Danby le cose non stavano così. Non c'era neppure quel senso di urgenza crescente che l'avvicinarsi della notte in genere comunica alle squadre di ricerca, quel senso di risentimento per essere costretti a interrompere le operazioni per molte ore di buio. Una tetraggine sconosciuta era calata su di loro, un senso di futilità, che scaturiva, Pascoe ne era convinto, dai legami stretti della comunità con Dendale, da un comune ricordo di ciò che vi era accaduto quindici anni prima, e dal collegamento stabilito dai più fra le tre bambine di Dendale svanite senza lasciar traccia e Lorraine Dacre. In superficie, Andy Dalziel combatteva contro quello stato d'animo, ma in qualche modo l'impressione di Pascoe era che fosse lui ad alimentarlo. Non che desse la sensazione di mancanza di coinvolgimento o di urgenza. Al contrario, sembrava più coinvolto personalmente in questo caso che in qualsiasi altro Pascoe ricordasse. Era solo che sembrava pensare che tutta la struttura fisica e burocratica dell'indagine - le squadre di ricerca, la base operativa, il porta a porta - fosse una sorta di recita destinata unicamente a risollevare il morale pubblico. Per Pascoe, il meccanismo automatico dell'indagine era un conforto. Si raccoglievano brandelli di informazioni, alcune negative, del tipo che un certo terreno o una certa rimessa erano stati ispezionati senza trovare alcunché, altre positive. Si collocavano questi brandelli al loro posto e si collegavano con cura come i puntini numerati sui libri di disegno per bambini, e alla fine, con molta fortuna, emergeva un disegno riconoscibile.
Avrebbe voluto che Wieldy fosse lì. Quando si trattava di dar senso ai puntini collegati, nessuno era più abile del sergente Wield. Ma lui e il suo compagno erano via per il fine settimana in una spedizione a caccia di libri nei Borders. Almeno era quello che faceva il compagno, Edwin Digweed, libraio antiquario. L'interesse di Wield per i libri iniziava e finiva con le opere di H. Rider Haggard. Lui, come aveva salacemente commentato Andy Dalziel quando gli era stato detto della non reperibilità del sergente, era li solo per fare da spalla. Alle otto circa Dalziel comparve alla base operativa e disse a Pascoe di diramare istruzioni di interrompere le ricerche per quella notte. «Ma abbiamo ancora quasi due ore di luce», disse Pascoe, leggermente sorpreso. «Siamo a corto di uomini» disse Dalziel «e quelli che abbiamo sono esausti. Tralasciano qualcosa nel crepuscolo, iniziano a pensare a casa loro, si fermano per farsi una sigaretta e l'unica cosa che otterremo sarà un bell'incendio e tutti che dovranno stare in piedi tutta la notte; ho chiamato i Dacre e gliel'ho detto». «Come l'hanno presa?». «Tu che pensi?», scattò il Ciccione. Poi, con calma, aggiunse: «Ho calcato sulla linea niente-nuove-buone-nuove. Mai gridare al morto finché non si ha in mano il cadavere». «Ma lei non ci crede, signore?» azzardò Pascoe. «Fin dall'inizio era sicuro che fosse andata definitivamente». «Ah, sì? BÈ sì. È proprio così. Dimostrami che ho torto, ragazzo, e ti darò un bel bacione bavoso». Di fronte a una simile minaccia, coraggiosamente Pascoe persistette: «Potrebbe trattarsi di un rapimento. Ci sono ancora alcuni avvistamenti di auto non identificate». Era come aggrapparsi a una pagliuzza. Tutti i veicoli avvistati di primo mattino erano stati eliminati, eccetto tre. Un fattore del luogo aveva visto un'auto blu che si dirigeva verso Highcross Moor a quella che aveva definito velocità pericolosa; varie persone avevano notato una berlina bianca parcheggiata ai margini di Ligg Common e una signora debole di vista, la signora Martin, mentre andava di mattina presto alla chiesa di St Michael per assolvere al suo dovere di sistemare i fiori, pensava di aver sentito un veicolo risalire Corpse Road. «Corpse Road?», fece eco Dalziel. «Esatto. La strada dei cadaveri: così chiamano quella vecchia pista...».
«... che sale su per il Neb fino a Dendale, quella che usavano per portare i loro morti attraverso il passo fino a San Michelino, per seppellirli, prima che avessero la loro chiesa» completò Dalziel. «Non mi batti sulla storia locale, piccolo: sono un dannato esperto». Si grattò il mento con aria pensierosa, poi disse: «Sentimi, che ne dici di una passeggiata? Ti farà bene, mi sembri un po' moscio». «Una passeggiata?... Ma dove?». «Vedrai. Muoviti». Fuori, il Ciccione si tuffò un attimo nel baule dell'auto, dal quale emerse con uno zainetto che lanciò a Pascoe. «Tu lo porti in salita, io in discesa». «In salita?», chiese Pascoe poco convinto. «Esatto. Su...». Lo guidò attraverso il cancelletto del cimitero, attraverso le pietre tombali verdi e grigie di licheni, oltre la chiesa e attraverso la porta del cimitero all'estremità opposta. Davanti a loro si stendeva una piacevole pista verde che si snodava tra antichi olmi e tassi. O almeno, era piacevole per i primi quaranta metri, poi diventava più ripida e rocciosa. «Qualunque cosa sia salita di qui aveva bisogno di quattro ruote motrici» ansimò Pascoe. «Il terreno è troppo accidentato perché sia rimasta qualche traccia». «Grazie mille, Natty Bumppo» disse Dalziel. «E qui chi c'è stato, allora? Vitelli con gli stivali di gomma?». In una piccola radura accanto alla pista, dove gli alberi si diradavano considerevolmente, indicò l'erba ammaccata e il terreno polverizzato, su alcune parti del quale erano chiaramente visibili tracce di pneumatici. «Sì, va bene, d'accordo» disse Pascoe. «Qui c'è stato qualcuno. Ottima vista, signore». Si girò e fece qualche passo ridiscendendo la strada. «Ehi, gioia bella, che fretta hai? Non siamo ancora arrivati». Si girò e vide che Dalziel stava proseguendo la scalata della collina diretto al punto dove la strada emergeva dagli alberi e iniziava a serpeggiare sul pendio aperto. «Ma perché? Pensavo che stesse solo... Oh, ma chi se ne frega!», disse Pascoe, e gli andò dietro. In effetti, il sentiero s'incurvava dolcemente su per il pendio, consumato nel corso dei secoli dal passo pesante di tutte quelle tristi processioni - e anche, si disse per rassicurarsi, mentre la malinconica visione minacciava
di sopraffarlo, dagli stessi passi, forse più leggeri, che tornavano allegri a Dendale dopo la veglia. Almeno, dal momento che si trovavano sulla pendice orientale del Neb, erano fuori dalla portata del sole declinante, ma aveva sudato in abbondanza quando finalmente si innalzò con fatica sulla sommità del crinale inondata dal sole. «Quarantacinque minuti» disse Dalziel, sedendosi con agilità ai piedi di un masso. «Avrei creduto che un giovane daino vigoroso come te ce l'avrebbe fatta in mezz'ora». Pascoe si accomodò per terra accanto a lui, cercando di non ansimare in maniera troppo udibile. «Qua lo zaino», disse il Ciccione. Pascoe se lo sfilò dalle spalle e glielo porse. Poi rivolse l'attenzione a Dendale. Fu solo in quel momento, guardando in basso, che si rese conto fino a che punto il Neb dovesse essere apparso come una frontiera ai vecchi valligiani. Il pendio da questa parte era molto più ripido, e le curve sinuose di Corpse Road sul versante dalla parte di Danby si trasformavano sotto di lui in una brusca linea zigzagante. Inoltre, mentre Danby aveva più di un piede allungato nella grande pianura fertile del Mid-Yorkshire, la stretta valle di Dendale, frutto della glaciazione, apparteneva completamente alla contea delle brughiere selvagge. Era a causa della natura selvaggia e dell'erto isolamento, suppose, che i colletti bianchi in cerca di un sito per la diga l'avevano trovata così attraente. Non sapeva niente delle ricerche svolte e della selezione finale, ma indovinava un bel po' di cose poco edificanti, con tirate sul bene comune e sulla difficoltà di fare la frittata senza rompere le uova, per giustificare la distruzione di vite e abitazioni che si mettevano sul suo cammino. Senza dubbio c'era stata una commissione d'inchiesta. C'è sempre. Qualche studioso di archeologia della lingua della nuova era, mettendo insieme un lessico degli ultimi anni del ventesimo secolo, probabilmente concluderebbe che il lasso di tempo intercorso tra la scelta del sito e l'inizio dei lavori su di esso veniva per qualche arcana ragione chiamato 'Commissione pubblica d'inchiesta'. Così era accaduto l'inevitabile, e la valle era cambiata. Irriconoscibile? Forse. Irredimibile? Probabilmente. In un certo senso, adesso era più selvaggia di prima, perché non c'erano più esseri umani a viverci e lavorarci. Ma l'impronta della presenza umana era visibile al di sotto del travesti-
mento, nella forma della lunga curva della muraglia della diga. Però madre Natura è un tipo tosto. Con la sua arte l'uomo tenta di perfezionarla, e attraverso la scienza di controllarla. Ma lei, con una scrollatina di spalle, tornerà sempre di nuovo se stessa. E così eccola lì, la famosa diga, costruita con il denaro pubblico per il benessere pubblico in giorni in cui la privatizzazione dei servizi pubblici era ancora un fosco bagliore negli occhi di un demone. Adesso ovviamente era il punto chiave nel master plan con il quale la Mid-Yorkshire Water plc sperava di mantenere i suoi consumatori (pardon, clienti) provvisti d'acqua e i suoi azionisti ricchi per i prossimi cent'anni. E la Natura, semplicemente aprendo il suo grande occhio rosso nel cielo per un paio di mesi, aveva mandato in malora tutti i piani. Attorno alle scure acque del bacino correva un'ampia striscia di roccia umida e fango disseccato, attraversato dalle linee di vecchi muri, e sul quale si ergevano pile di pietre squadrate che indicavano il punto in cui pezzetti del villaggio sommerso erano emersi ansimando alla ricerca d'aria. «La vuoi questa birra o no?», disse Dalziel. Pascoe si girò e vide il Ciccione che gli porgeva una lattina. «Be', l'ho portata fin quassù» disse Pascoe, «posso ben riportarla giù». Bevve con soddisfazione un lungo sorso. Nel frattempo Dalziel aveva posato la sua lattina ed estratto dallo zaino un binocolo con il quale passava in rassegna la valle. Cos'altro ho trascinato fin qui? si chiese Pascoe. Un lavello da cucina? «È qui che è cominciato tutto, piccolo» disse Dalziel. «E volevo che tu lo vedessi». «Grazie del pensiero, signore» disse Pascoe. «C'è qualcosa di particolare che dovrei vedere, o mi si richiede semplicemente di assorbire l'estetica generale?». «È questa quella che chiamano ironia?» si informò Dalziel. «È una specie di sarcasmo per intellettuali, o sbaglio? Risparmiami. Io voglio solo che tu abbia qualche idea di come poteva essere questo posto, come si devono essere sentiti quindici anni fa quando gli hanno detto che dovevano andarsene. Non mi stupirebbe se la cosa avesse fatto andare uno di quei poveri bastardi fuori di cranio. Ora, so che stai pensando che mi sono lavato i denti nella birra fatta in casa o qualcosa del genere, ma se sono destinato a essere considerato un mezzo deficiente, mi piacerebbe che a trattarmi da mezzo deficiente fosse un altro mezzo deficiente con almeno una mezza idea di cosa sto parlando. Mi segui, giovane?».
«Sto cercando, signore». «È tutto quello che riesci a fare?». «Ho pensato spesso che se Satana mi portasse in un luogo elevato, sarei propenso a dargli ragione praticamente su tutto quel che dice finché non mi riporta giù sano e salvo» disse Pascoe. «Sicché, spari pure. Mi conduca nel suo tour guidato». «Non c'è bisogno» disse Dalziel. «Ho una cartina. Era nel dossier. Ho lasciato giù in macchina il resto del dossier. Puoi portartelo a casa stasera e darci una bella lettura. Qua». Gli passò un foglio di carta arrotolato. Pascoe lo guardò e sorrise. «Riconosco la mano magica. Eh sì, eccole lì, le magiche iniziali E.W.». «Esatto, è una di quelle di Wieldy. Devi tener presente una cosa: quelle che lui ha segnato come case laggiù non sono che mucchi di detriti». «L'azione dell'acqua?». «No. Il Dipartimento per le Acque le ha fatte buttar giù col bulldozer. La loro idea era che se avessero lasciato degli edifici in piedi sotto l'acqua, avrebbero dovuto liquidare vedove di subacquei dilettanti per sempre. Buttarono giù perfino gli edifici che non erano da sommergere. Non volevano che qualcuno ci s'infilasse dentro per occuparli». Pascoe studiò la mappa. Dalziel gli allungò il binocolo. «Inizia dal centro del villaggio» disse Dalziel. «Se segui Corpse Road, vedrai che termina vicino a una roccia dannatamente grossa. Shelter Crag, questo è il nome. Chiamata così perché è dove di solito mettevano a giacere i loro morti, belli avvolti e al calduccio per il viaggio su per la collina fino a San Michelino. Quando ebbero una chiesa tutta per loro, sembrò naturale costruirla lì. Ecco cos'è quel grande mucchio di pietre». Lentamente Dalziel guidò Pascoe per la valle in rovina con l'accuratezza e la precisione di un corriere che abbia completato il percorso tante di quelle volte che gli è impossibile dimenticarlo. Il corpo principale del paese era piuttosto facile da individuare, una volta che si era localizzata la chiesa. In ogni caso c'erano rovine così grandi che era ovvio che fosse lì. Gli edifici lontani dal centro non erano altrettanto facili da distinguere. Hobholme, la fattoria dove viveva la prima bambina, non fu difficile. Lo Stang, dove c'era la falegnameria della vallata, sembrava essere stato sparpagliato per un'area molto vasta. Heck, l'abitazione dei Wulfstan, era riemersa come un vero e proprio promontorio di pietre che si spingeva dalla nuova riva fino al margine del lago in via di restringimento, e all'estremità opposta era facile distinguere la collinetta lunga e arrotondata ai piedi della
quale sorgeva Low Beulah, la casa della bambina che era scampata all'aggressione. Ma il Neb Cottage, dimora del sospettato numero uno, Benny Lightfoot, e la scena di quell'ultima aggressione, forse perché si trovava abbastanza in alto sul pendio da non aver passato gli ultimi cinque anni immerso nell'acqua, era molto difficile da individuare. Forse, come era accaduto all'uomo, era rientrato nella terra dalla quale le pietre della costruzione erano state scalzate. Non comunicò la sua fantasticheria al Ciccione, ma sollevò il binocolo puntandolo sul muro della diga. Da qualche parte c'era una valle - nel Lake District, gli pareva - in cui abitanti primitivi, secondo la leggenda, avevano costruito un muro per trattenere al suo interno il cuculo e godere di una primavera senza fine. Qui il progetto aveva maggiori fondamenti scientifici, ma non aveva goduto di molto più successo. Con due terzi del pescaggio composto di argilla disseccata e il terzo centrale lambito da ondine picchiettate di sole che non sarebbero riuscite a sommergere una scatola di fiammiferi, il muro della diga aveva l'aspetto minaccioso di un attaccante di rugby in una scuola di danza. Fece scorrere lo sguardo dalla lieve cavità sul davanti fino al parapetto dotato di balaustra. C'era qualcosa là, un uomo, che camminava a grandi passi con andatura sciolta. Da quella distanza e angolazione era difficile cogliere del viso qualcosa di più di un'impressione, ma era alto, con lunghi capelli neri spazzolati all'indietro. «C'è qualcuno laggiù», disse Pascoe. «Davvero? Se arrivavamo un po' prima ne avresti visto decine. Storici locali, birdwatcher, escursionisti. Per tenerli a distanza il Dipartimento per le Acque dovrebbe piazzare una guardia armata» commentò Dalziel. «Diamo un'occhiatina». Prese il binocolo, esplorò la diga con lo sguardo e poi lo abbassò. «Andato, ammesso che tu non abbia avuto una visione. Però c'è qualcuno su Beulah Height». Sollevò il binocolo fino alla cresta seghettata di fronte a loro. «Beulah Height. E Low Beulah. Dovevano essere piuttosto ottimisti», rifletté Pascoe. «E adesso io dovrei chiedere perché» disse Dalziel. «Be', non c'è bisogno di un genio. 'Tu sarai chiamato Hephzibah e la tua terra Beulah'. Isaia, sessantadue, quattro. E il Pilgrim's Progress, l'ultima fermata prima del
Paradiso, la Terra di Beulah 'dove il sole risplende notte e giorno'. Avevano abbastanza ragione. Bada bene che qualcuno sostiene che in origine derivi dall'anglosassone. Beorhloca, o qualcosa del genere. Significa zona racchiusa tra le colline. Lassù ci sono i resti di un antico forte, che si suppone risalgano all'età della pietra. Qualche tempo dopo, i contadini usarono le pietre per costruire i loro stabbi sotto il crinale, in modo che fossero al sicuro». «Non sarà mica stato alle scuole serali, signore?», chiese Pascoe stupefatto. «E non hai sentito ancora niente. Può darsi che l'ovile stesso abbia dato il nome. Bough o bucht è un recinto e law la collina». «In tal caso Height sarebbe un tantino tautologico, non crede?» osservò Pascoe. «E comunque suona piuttosto scozzese». «Non penserai che abbiamo mandato giù dei missionari per civilizzare i tuoi zoticoni?» disse Dalziel, alludendo alla sua ascendenza paterna. «E comunque, altri ancora dicono che in realtà sia Baler Height, dove bale significa fuoco, perché era dove accendevano i fuochi di segnalazione per avvertire l'Armada, nel 1588. Mi pare che avrebbero dovuto insegnartele queste cose al college, oppure non erano autorizzati a informarti sui tempi in cui ce la facevamo con i terroni?». Ignorando la provocazione, e un po' seccato perché i consueti ruoli culturali si erano rovesciati, Pascoe disse: «E Low Beulah? Accendevano un fuoco di segnalazione per avvertire le anatre, forse?». «Non fare lo scemo. Il low è uno dei loro siti di sepoltura. Quella piccola altura accanto alla quale sorgeva la fattoria probabilmente è uno di quelli». Pascoe sapeva riconoscere la sconfitta. «Sono colpito» disse. «Li ha fatti bene i suoi compiti a casa, quindici anni fa». «Ma sicuro. Tutto quello che c'era da sapere su Dendale, l'ho imparato a memoria» disse serio Dalziel. «Sai una cosa? Come tutte quelle date che ho imparato a scuola, non mi è servito a un cazzo di niente». Si rimise in piedi e stette lì, scrutando Dendale con sguardo torvo, assumendo l'aspetto, nella fantasia di Pascoe, di un generale romano inviato a domare una provincia sediziosa, che avesse scoperto che su un terreno come quello, contro nemici come quelli, le classiche tattiche di fanteria erano dannatamente inutili. Ma un modo l'avrebbe trovato. Loro - i generali romani e gli Andy Dalziel - lo trovavano sempre.
Tranne che, ovviamente, in questo caso stava guardando la valle sbagliata. Come rispondendo alla critica inespressa, Dalziel disse: «So che quella laggiù è roba vecchia, ragazzo. E quello giù a Danby è un caso nuovo. Ma una cosa ho imparato quindici anni fa, che adesso mi torna utile». «E qual è, signore?», chiese obbediente Pascoe. «Ho imparato che in questo stesso posto, in un'estate calda come questa, il bastardo che ha preso la prima ragazzina non si è fermato, forse non poteva, finché non ne ha preso altre due ed è andato vicino a prenderne una terza. Ecco perché ti ho portato quassù, per cercare di ficcartelo nella zucca. Questo non puoi impararlo dai libri. Ma portati a casa il dossier su Dendale, comunque. Domani ti interrogo». «Mi tratterrà a scuola se sbaglio?», chiese Pascoe. «Con questo qua, penso che saremo tutti trattenuti dopo la campanella» disse Dalziel. «Adesso torniamo giù, finché c'è abbastanza luce per vedere dove mettiamo i piedi». Si incamminò di buon passo per Corpse Road. Pascoe diede un'ultima occhiata alla valle. Il sole al tramonto riempiva l'incavo fra le due cime di Beulah Height di una pozza dorata. L'ultima fermata prima del Paradiso. In una serata come quella si poteva anche crederlo. «Ehi!». «Arrivo», gridò. E seguì il suo grande condottiero nell'oscurità. Secondo giorno Nina e il nix
I Premessa dell'editore Veniamo dall'acqua e, se i teorici dell'effetto serra hanno ragione, all'acqua probabilmente torneremo. L'acqua costituisce il settantadue per cento della superficie terrestre e il
sessanta per cento del corpo umano. Nei luoghi in cui la siccità è una minaccia costante, il deserto dell'Arabia e il Mid-Yorkshire, per alcuni è apportatrice di ricchezza, di morte per altri. Nel corso dei secoli l'uomo l'ha popolata con una grande varietà di creature primordiali: sirene, ondine, naiadi, nereidi, mostri marini, spiriti maligni e molte altre, ognuna che rivestiva le caratteristiche della particolare cultura che le aveva dato vita. Qui nel Mid-Yorkshire, l'entità idromitica più comune è il nix. Il nix è una via di mezzo tra il pixie, lo spiritello inglese, e il nicor scandinavo. In certe fiabe compare come una sorta di folletto, in genere benigno nei confronti degli esseri umani. In altre si avvicina maggiormente al cugino norvegese, che emerge di notte dalla sua tana subacquea per divorare prede umane. I mostri di Grendel, nel Beowulf sono una forma di nicor. La storia che qui vi presento l'ho udita molti anni or sono dalla voce del vecchio Tory Simkin di Dendale. Ora, purtroppo, l'uomo e la valle ci sono stati tristemente strappati. Mi turba pensare quanta parte del passato abbiamo perduto, mentre la tecnologia moderna si ostina a preservare in eterno le idiozie della nostra epoca (e fra tutte, forse, quelle che maggiormente meriterebbero l'oblio). Ringrazio Iddio che siano rimasti pochi pazzi ormai obsoleti, come il sottoscritto, che ritengono valga la pena di registrare le vecchie storie prima che vadano per sempre perdute. Se si tratta di vanità o bestemmia, allora eccovi qui un vanitoso blasfemo al quale potete richiedere copie del presente volume e informazioni sulle altre pubblicazioni dell'Eendale Press di Euscombe, Eendale, MidYorkshire. Edwin Digweed Nina e il nix C'era una volta un nix che viveva nei pressi di una pozza d'acqua, dentro una caverna al di sotto di una collina. Si cibava di tutto ciò che nuotava nella pozza o strisciava nel fango attorno a essa. Per uscire all'aperto, il nix di solito attendeva che facesse notte. Ma
qualche volta, sentendo le voci dei bambini che giocavano nel villaggio lontano, giù a valle, scivolava fuori durante il giorno e trovava un luogo ombroso sul fianco della collina da dove poterli osservare. I momenti più belli erano quelli in cui i bambini giocavano nel laghetto che si trovava nel prato del villaggio e si spingevano a vicenda nell'acqua, correndo e gridando, i visi luminosi e le gambette bianche gocciolanti. C'era una bambina, in particolare, che gli piaceva stare a guardare: il suo nome era Nina. Aveva i capelli biondi quanto i suoi erano neri e la pelle liscia quanto la sua era ricoperta di scaglie. Arrivò un'estate in cui il sole era così caldo e il cielo tanto sgombro di nubi che neppure il pensiero di Nina poteva spingere fuori il nix ad affrontare quella calura e quella luce abbagliante. Sedeva ben protetto nel buio umido della sua tana, aspettando che il tempo cambiasse. Ma non cambiò, e dopo una settimana o giù di lì notò, mentre si chinava a bere, che il livello dell'acqua nella sua pozza era più basso del solito. Le giornate asciutte si susseguivano le une alle altre. Il sole era tanto ardente che il nix avvertiva il suo calore afoso anche laggiù, nella profondità della sua caverna. E senza una goccia di pioggia che filtrasse attraverso le fenditure della collina a riempire la sua pozza, il livello diventava sempre più basso. Presto le creature che vivevano lì, e quelle che abitavano le rive fangose, che diventavano sempre più ampie e secche, iniziarono a morire. E presto il nix cominciò a sentire una fame enorme. «Hai intenzione di startene seduto lì mogio mogio finché non muori?», gli chiese il pipistrello. «Non so cos'altro potrei fare», disse il nix. «Puoi trovarti del cibo», disse il pipistrello. «Ho cercato e cercato, ma non c'è più niente da mangiare», replicò il nix. «Non stavo parlando di dar da mangiare a te» disse il pipistrello, «ma alla pozza». «Come?», disse il nix. «Non l'hai notato? Quel laghetto giù al villaggio non è calato di molto. E lo sai perché?». «No», rispose il nix. «È per merito di quelle ragazzine succose che ci sguazzano sempre dentro» disse il pipistrello. «Procuratene una e vedrai che presto la pozza si riempirà di nuovo». Così il nix salì in superficie a dare un'occhiata. Il sole era così caldo e abbagliante che riuscì a resistere solo mezzo minuto, ma gli fu sufficiente
per constatare che il pipistrello aveva ragione. Il laghetto del villaggio era ancora colmo d'acqua, e i bambini ci sguazzavano dentro. Tornò nella sua caverna e disse: «È vero, avevi ragione, ma la cosa non mi è di grande aiuto. Come faccio a convincere una di loro a venire quaggiù? Di notte si rinchiudono tutti nelle loro case, e se io uscissi durante il giorno mi disseccherei e morirei». «Allora dovrà venire lei da te» disse il pipistrello. «Stanotte vai fuori, raccogli i fiori più graziosi che riesci a trovare e piantali tutti intorno all'entrata della caverna. Poi siediti e aspetta». Così quella notte il nix strisciò fuori e perlustrò tutta la collina e la valle, sradicando ogni fiore che trovava, margheritine e ranuncoli, verghe d'oro e calii, ma non le digitali, perché sono fiori che i nix e quelli della loro specie non sopportano. Poi li piantò tutt'intorno all'imboccatura della sua caverna. Il mattino seguente, prima che il sole diventasse troppo caldo, Nina andò a fare una passeggiata sulla collina. Voleva cogliere dei fiori per la mamma, ma non ce n'erano molti, perché il calore aveva cotto il terreno, rendendolo così arido che anche l'erba era diventata marrone. All'improvviso, vide quel buco sul fianco della collina, così pieno di fiori da sembrare un giardino. Si affrettò a raggiungerlo e iniziò a cogliere i boccioli più brillanti, quando una voce disse: «Cosa pensi di fare, ragazzina? È tua abitudine rubare i fiori dai giardini altrui?». «Oh, mi dispiace» esclamò Nina. «Non mi ero resa conto che era il giardino di qualcuno». «Ebbene, adesso lo sai», disse la voce. Nina non riusciva a scorgere il proprietario della voce, che sembrava uscire dal buco sul fianco della collina. Così si avvicinò a esso e disse timidamente: «Mi dispiace davvero. Li poso qui, va bene?». «Eh, no. Adesso che li hai raccolti, puoi anche tenerli», disse la voce. «È molto gentile da parte sua» disse Nina. «Ma non vorrebbe uscire nel suo giardino, dove posso vederla?». «No, ragazza. Io non sopporto il caldo» disse la voce. «Anzi, stavo giusto preparandomi una caraffa di limonata fredda. Ne vorresti un bicchiere?». Ora, Nina era davvero accaldata e aveva una gran sete, perciò disse con desiderio: «Sì, molto volentieri». «Bene, te lo verso. Vieni dentro a prenderlo». Così la bambina scostò i fiori che incorniciavano l'entrata della galleria
che scendeva alla caverna ed entrò. Subito si sentì afferrare per i lunghi capelli biondi, che aveva raccolto in due treccine e, prima di avere il tempo di gridare, fu trascinata proprio dentro le viscere della terra. Rimase lì, nell'oscurità maleodorante, singhiozzando da spezzare il cuore. Alla fine, quando non le rimasero più lacrime, si asciugò gli occhi, si alzò a sedere e si guardò attorno. Fuori il sole era così splendente che una debole luminosità filtrava anche nel tunnel, e così Nina poté vedere che si trovava in una caverna. Il terreno era cosparso di rocce e altra roba. Nel centro della caverna c'era una piccola pozza maleodorante, sul cui bordo sedeva quella cosa. Il suo corpo era lungo e coperto di scaglie, le dita delle mani e dei piedi terminavano con lunghe unghie ricurve, la faccia era scarna e incavata, il naso a becco, il mento aguzzo, ornato di spunzoni di barba, gli occhi incassati e folli, e la bocca, contorta in quella che sembrava la brutta imitazione di un sorriso, mentre la cosa parlava lasciava intravedere denti bianchi e acuminati. «Piacere di conoscerti, Nina», disse la cosa. «Piacere mio, nix», rispose Nina a voce bassa. «Allora sai chi sono», disse il nix. «Sì... mia mamma mi ha parlato di te», rispose Nina. Sua madre in realtà le aveva detto che non doveva mai andare da sola su per la collina, perché il malvagio nix che viveva sottoterra l'avrebbe rapita. Adesso avrebbe voluto con tutte le sue forze aver dato retta alla mamma! «Sei stata gentile a venirmi a trovare, Nina», disse il nix. «Anche tu sei stato gentile a invitarmi» disse Nina cortesemente, come le era stato insegnato. «Ma adesso, per favore, vorrei andare a casa, perché è quasi ora di cena». «Per la mia, di cena, l'orario è passato abbondantemente», ringhiò il nix. Poi, tornando a esibire il suo terribile sorriso, proseguì: «Ti dico che idea mi è venuta, Nina. È così caldo... Perché non ti fai una nuotatina prima di andare?». Nina lanciò un occhiata a quella pozza spaventosa e scosse il capo. «No, grazie» disse. «Il mio babbo mi ha detto di non andare mai a nuotare da sola, ma solo quando c'è un grande vicino a sorvegliarmi». «Non preoccuparti» disse il nix alzandosi. «Sono più grande di te, e sta-
rò attento io». E incominciò a girare intorno alla pozza, dirigendosi verso di lei. In quel momento, da un luogo distante, sopra di loro, una voce penetrò attraverso il tunnel. «Nina, Nina!», gridava la voce. «È babbo!» esclamò Nina. «Sono qui, arrivo!». E si girò per arrampicarsi fuori dalla caverna. Ma non aveva fatto che pochi passi quando quelle mani terribili le afferrarono le caviglie e la trascinarono di nuovo giù, urlante. Sopra di lei, lontano, sentiva ancora la voce del padre, ma più debole adesso, e lontana, e poi non sentì più nulla. Giaceva sul bordo della pozza, il nix che torreggiava su di lei. «Aspetta che babbo ti metta le mani addosso» singhiozzò «e ti tirerà il collo come a un pollo». «Mi deve prendere, prima» sghignazzò il nix. «Adesso andiamo a fare questa nuotata». Nina lo guardò, e vide che era abbastanza forte da costringerla a fare tutto quello che voleva lui. Perciò lottare era inutile. Cos'è che le diceva sempre la mamma? Dio ha dato ai maschi la forza, ma a noi ha dato l'intelligenza. Perché usare i pugni quando puoi adoperare la zucca? E suo padre si vantava a destra e a sinistra di avere una figlia più furba del diavolo. Bene, era il momento di dimostrarlo. «Va bene» disse Nina. «Ma prima devo ripulirmi». Si alzò in piedi e iniziò a rassettarsi il vestito, che si era riempito di polvere quando il nix l'aveva trascinata giù per la galleria. Poi si pettinò i capelli con le dita, così che le ricaddero sulle spalle come una cascata lucente. E per tutto il tempo il nix rimase a guardarla, gli occhi simili a carboni ardenti. «Ecco» disse Nina. «Sono pronta. Ma tu devi saltare dentro insieme a me, per aiutarmi a nuotare». «Attento, nix» stridette il pipistrello. «Sono subdole come ragni, queste ragazze». Ma il nix non lo ascoltava. I suoi occhi e i suoi pensieri erano concentrati esclusivamente su Nina. Lei lo prese per mano e lo condusse in cima a una grande roccia sul bordo della pozza. Poi disse: «Conterò fino a tre e poi salteremo insieme, d'accordo?».
«D'accordo», disse il nix. «Uno», disse Nina «E due», proseguì. «E tre», concluse. E saltarono. Solo che, mentre il nix saltava dentro la pozza, Nina gli lasciò la mano e balzò all'indietro, sul terreno. Poi si girò e corse come non aveva mai corso in vita sua, su per il tunnel. Al nix occorse solo un attimo per rendersi conto dell'inganno. Urlando di rabbia e con il corpo che gocciolava fango puzzolente e acqua, si trascinò fuori dalla pozza e la inseguì. Ah, era veloce, Nina, ma lui era più veloce. Nina non osava perdere tempo a guardarsi alle spalle, ma se lo sentiva dietro, le unghie affilate che stridevano contro la roccia come il gesso sulla lavagna, il fiato putrido che buttava fuori, ansimando come il mantice di Bert il fabbro. I lunghi capelli di Nina ondeggiavano dietro a lei, e sentì che lui li toccava con le mani tese. Allora corse più forte, e poi ancor più forte, finché non le sentì più. Ma poi il nix si avvicinò di nuovo e Nina stava perdendo le forze. Risentì di nuovo quella mano, questa volta abbastanza vicina da afferrarle la treccia. Sentì che la stretta si faceva più solida, sentì che le attorcigliava i capelli per avere una presa più salda, e sopra di lei vedeva già il cerchio di luce brillante che era l'entrata della galleria. Ma era troppo tardi. Adesso le teneva ben stretti i capelli. La tirava, per indurla a fermarsi. Era troppo tardi. Nina protese le braccia verso la luce e gridò: «Babbo! Babbo!». E proprio quando aveva perso ogni speranza e stava per essere trascinata indietro, di nuovo giù nelle profondità della terra, sentì che qualcuno le aveva afferrato le mani. Per un momento fu come la gara di tiro alla fune alla fiera del villaggio. Poi, proprio come quando, al tiro della fune, sembra che le due squadre siano così in equilibrio che potrebbero restare lì a tirare per sempre, e all'improvviso una squadra trova la forza per un ultimo strattone e l'altra finisce miseramente a gambe all'aria, la forza che la trascinava indietro si allentò. E un attimo dopo era fuori, sul fianco della collina, nella luce dorata e scintillante del sole, coricata sull'erba ai piedi di suo padre.
Ah, quanto si abbracciarono e si baciarono, e non le venne detta una sola parola di rimprovero e babbo non le ricordò neppure che aveva disubbidito. Quando ebbero finito di abbracciarsi e di baciarsi, suo padre fece rotolare un grande masso davanti all'entrata della caverna. «Ecco fatto» disse. «Con questo, il nix resterà lì dov'è. Andiamo a casa dalla mamma, adesso. Portiamole qualche fiore per rallegrare la casa». Così si misero al lavoro, e raccolsero margheritine e ranuncoli, verghe d'oro e calii, e sulla via di casa trovarono una radura ricoperta di digitali, i fiori che i nix odiano, e colsero anche quelli. E dopo poco, quando la mamma di Nina andò sul retro del cottage e scrutò ansiosa le pendici della collina, il suo cuore fece un balzo di gioia quando vide il suo uomo e la sua bambina che scendevano la collina verso di lei, con gli occhi luminosi come stelle, le voci che si univano in un allegro ritornello e le braccia cariche di fiori. II Arrivò l'alba di lunedì, il sole si levò nel cielo inevitabilmente azzurro con la serenità radiosa di Alessandro che la il suo ingresso in una provincia assoggettata. La sua sveglia silenziosa contro la luce plumbea di Corpse Cottage, a Enscombe, non disturbò il sonno profondo di Edwin Digweed, libraio antiquario e fondatore della Eendale Press, ma non per nulla Edgar Wield era stato soprannominato da un vecchio amante Macumazahan, Colui che dorme con gli occhi aperti. Egli rispose immediatamente all'appello, avendo cura di fare il minimo rumore possibile. Se lo svegliavano troppo presto, Edwin non era al meglio della forma: una delle tante scoperte fatte durante i primi giorni passati insieme, che necessitavano qualche compromesso. Al piano di sotto, Wield si preparò il caffè mattutino (due cucchiaini di istantaneo e tre di zucchero in latte bollente, contro la caffettiera di Colombiano macinato all'istante che Edwin invocava tutti i minuti della giornata) poi partì per la sua visita mattutina. Questa lo condusse, attraverso il cimitero, nei terreni di Old Hall, dimora della famiglia Guillemard, squires per concessione di Enscombe per quasi duecento anni. Caduta in disgrazia, la famiglia si era tenuta a galla grazie all'intelligenza dell'attuale capo commerciale, Gertrude (conosciuta col
diminutivo fuorviante di Girlie, ragazzina), che aveva organizzato nella tenuta attrazioni di ogni genere per allettare i visitatori, compreso un parco zoologico per bambini. Qui, rinchiusi in recinti o lasciati liberi, a seconda di quanto richiedeva la loro natura, si trovavano vitelli, agnelli, capretti, maialini, anatre (domestiche e selvatiche), ghiri, topolini selvatici, topi delle risaie e un ratto di nome Guy. Ma a nessuno di questi ospiti era indirizzata la visita mattutina di Wield. Si diresse verso una maestosa quercia che ospitava i resti di una casa sull'albero e fischiettò piano. Immediatamente comparve una figuretta, che balzò di ramo in ramo, appena sfiorandoli, per finire dritto nelle sue braccia. «Buongiorno Monte» disse Wield. «Sei in forma?». Monte era una scimmia; un callitricide, come l'aveva informato il veterinario del paese quando aveva portato l'animale per un controllo completo una precauzione necessaria, viste le sue origini. Monte infatti era un profugo da un laboratorio di ricerche farmaceutiche che aveva chiesto asilo nella macchina di Wield. Il sergente l'aveva portato fuori di contrabbando, rassicurando se stesso al pensiero che era una decisione solo rimandata, non definitiva. Era stato il primo vero test del loro rapporto. Edwin Digweed mise in chiaro che, benché gli animali gli piacessero abbastanza, non aveva alcuna intenzione di dividere la casa con un primate libero di scorrazzare ovunque. «Un ménage à trois può avere il suo fascino» aveva dichiarato. «Una ménagerie a trois non ne ha alcuno». C'era stato un momento, mentre lo sguardo fermo di Wield in quel volto indecifrabile lo scrutava, che a Digweed era venuto in mente quell'aneddoto riferito a John Huston. Sollecitato dall'amante di turno di scegliere tra lei e un cucciolo di scimmia dalle abitudini particolarmente disgustose, il regista ci aveva pensato mezzo minuto e poi aveva detto: 'La scimmia rimane'. Digweed trattenne il fiato, con l'improvviso terrore che il suo mondo fosse sul punto di crollargli sotto i piedi. Ma Wield si era limitato a dire: «Non tornerà in quel posto. È evaso». Celando il sollievo, Digweed esclamò: «Lui... quella lì... è una scimmia, non il dannato Conte di Montecristo. E va bene, non possiamo rimandarlo... rimandarla... in quel posto, ma il posto giusto per lui... lei... è lo zoo». «Monte. Ecco come lo chiameremo» disse Wield. «E quanto allo zoo, ho io il posto giusto».
E aveva portato Monte a conoscere Girlie Guillemard. Molto colpita dall'animaletto, e avendo stabilito che era lievemente meno incline a mordere, graffiare o difendersi in qualsiasi altro modo dai ragazzini malintenzionati di quanto non lo fosse lei stessa, gli aveva offerto rifugio nel suo parco zoologico. Il trasferimento si era svolto con sorprendente successo. Wield andava a trovarlo tutte le mattine, se poteva, portandogli in dono noccioline e frutta. C'era stata una crisi iniziale, quando il lavoro gli aveva impedito di vederlo per una settimana. Alla fine, Monte era andato a cercarlo a Corpse Cottage. Aveva trovato in casa solo Edwin, a letto che dormiva, e l'aveva svegliato sollevandogli le palpebre con le dita, presumibilmente per rivolgergli qualche domanda. «Naturalmente il mio primo pensiero è stato: questa scimmia mi vuole violentare» aveva detto il libraio. «Così mi sono rimesso giù e ho pensato all'Africa». Adesso Wield stava togliendoselo con delicatezza dalla testa, dove Monte, diligente, frugava in cerca di pidocchi. Si era molto affezionato a quella bestiola. Aveva tentato di spiegare a Edwin che non era semplice sentimentalismo. Anzi, di tutte le decisioni che aveva preso come omosessuale, di tutti i piccoli passi che aveva compiuto in direzione del suo stato presente di 'diversità', nessuno gli sembrava più significativo del salvataggio di Monte - neppure l'aver accettato il suggerimento dello stesso Digweed di mettere su casa insieme. Si era trattato di un furto, in qualunque modo si volesse guardarlo. Aveva messo a repentaglio la carriera. L'avrebbe fatto prima di mettersi con Edwin? Ne dubitava. Era come se nel suo personale stagno il livello di appagamento si fosse alzato in maniera tanto inaspettata da causare un traboccamento costante, che non poteva fargli ignorare l'impegno preso con la scimmietta lo scorso novembre, non più di quanto il suo senso del dovere gli avrebbe permesso di rubarla un anno prima. Edwin, il quale mentre ascoltava l'autoanalisi insolitamente esitante del compagno aveva preparato delle uova alla flamenca, osservò acido: «Fammi solo sapere quando ti verranno gli scrupoli di coscienza per i polli non nati». Ma da allora in poi, tutte le volte che Monte era arrivato in cerca dell'assente Wield, era stato salutato con estrema cortesia, e aveva ricevuto un passaggio per tornare a Old Hall. Dalziel non sapeva nulla, almeno ufficialmente, di Monte. «Continua così» aveva consigliato Pascoe a Wield, quando gli ebbe raccontata tutta la storia, «altrimenti un giorno o l'altro, quando pensi di averla fatta franca,
userà quella bestia per snidarti». Il giorno prima il Ciccione aveva riferito tutto al telefono. Quando Wield e Digweed erano tornati dalla loro spedizione a caccia di libri nei Borders, il primo aveva trovato quello che il secondo aveva definito un messaggio intimidatorio nella segreteria telefonica. Dopo un limpido resoconto della situazione, Wield veniva invitato con ironica cortesia a fare la sua apparizione nella base operativa di Danby come prima cosa il mattino successivo, tempo e impegni sociali permettendo. Non era una prospettiva che lo rallegrasse. Anche Wield ricordava Dendale. Come diceva il Ciccione, non è la selvaggina che hai preso a tenerti sveglio, ma quella che ti è scappata, e Dendale era ai primi posti nella lista delle cause di insonnia. Va bene, Danby era un'altra cosa, prospero, esploso da piccolo villaggio a cittadina, in nessun modo claustrofobico e di sicuro non predestinato come Dendale. Ma era solo tre chilometri più a ovest, una breve passeggiata su per Corpse Road... «Ma un uomo deve pur fare... qualcosa» disse Wield. «Non fare la cacca in testa ai bambini, bello. Ci vediamo». Lanciò la scimmietta su per i rami più bassi della quercia e se ne andò. Mezz'ora dopo, mentre faceva scendere a motore spento la sua vecchia Thunderbird per il sentiero di Corpse Cottage, per non disturbare Edwin, stava ancora pensando come sarebbe stato bello, in una mattina come quella, restarsene a letto. Ma Danby chiamava. E anche Dalziel. Girò la chiave, diede un calcio al pedale d'avviamento e, mentre il motore resuscitava con un rombo, gridò a un gatto sbalordito a caccia di uccelli mattinieri: «Al galoppo, Silver! Via!». Anche nella dimora dei Pascoe si respirava un'aria di riluttanza, a tutti i livelli. Lo stesso Pascoe, dopo essersi alzato presto ed essersi sistemato per leggere il dossier su Dendale, si era addormentato in poltrona e non si era svegliato finché Ellie aveva dato inizio al trambusto mattutino della preparazione di Rosie per la scuola. Il primo istinto, mentre si scuoteva per svegliarsi, fu di precipitarsi fuori senza aver fatto barba e colazione. Ma il consiglio più razionale di Ellie l'aveva riportato al buonsenso e dopo aver telefonato a St Michael Hall a Danby ed essere stato rassicurato dal poliziotto in servizio che l'unica cosa che aveva disturbato la pace era il rombo della moto del sergente Wield in avvicinamento, si era rilassato nella certezza che l'organizzazione sul posto
non poteva essere in mani migliori. Perciò si era concesso il piacere relativamente raro di far colazione con sua figlia, piacere che l'interessata non parve condividere. Rosie strizzò gli occhi, irritata contro il sole che si riversava in cucina dalle finestre, e annunciò: «Mi sento da cani». I genitori si scambiarono un'occhiata. Peter, lasciato solo dalla moglie alcune settimane prima, era stato bersagliato di piccoli singhiozzi e sospiri da parte della figlia, mentre coraggiosamente ingoiava a forza i suoi branflakes, finché, bersaglio facile come sempre, lui aveva finito col chiedere: «Ti senti male?». «Sì» aveva risposto lei. «Mi sento malissimo». «Allora forse dovresti stare a casa da scuola», aveva replicato lui, segretamente felice di avere una scusa per tenerla a casa tutto il giorno con sé. In quel frangente, però, Rosie si era ricordata a metà mattina che la sua classe sarebbe uscita quel pomeriggio per una spedizione di osservazione degli uccelli, perciò la sua salute aveva registrato un rapido miglioramento e nobilmente aveva insistito che sarebbe stato scorretto restare a casa con una scusa falsa. Ma la frase 'Mi sento malÈ da allora in poi era stata usata come una formula magica per aprire il cuore di suo padre, quando necessario. Ellie Pascoe tuttavia era fatta di una stoffa più resistente. «Te l'avevo detto di metterti il cappello, ieri», disse con aria indifferente. «Ce l'avevo» ribatté Rosie. «L'ho tenuto tutto il tempo». «Ma certo che l'hai tenuto, tesoro» disse Pascoe. «Anche quando nuotavi sott'acqua». «Non essere sciocco» sbottò lei. «L'acqua l'avrebbe portato via. Devo proprio andare a scuola?». «Oh, penso di sì» disse Pascoe. «Credo di aver visto Nina che ti aspetta davanti al cancello proprio adesso». «No, non è vero. Te l'ho detto. L'ha presa di nuovo. Il nix. L'ho visto mentre la catturava». Pascoe guardò Ellie, che fece l'espressione dell'ho-dimenticato-didirtelo. «Ma forse suo padre l'ha salvata di nuovo», disse. «No, ancora non l'ha fatto. È stato solo ieri. A te spiacerà se prende anche me». Più che un modo per troncare la conversazione, era un modo per stroncare il cuore dei genitori. «Be', cerca di rimanere tra noi il più a lungo possibile» disse in tono leg-
gero. «E poi è la stessa cosa per me, sai? Anch'io preferirei restare a casa». «Non è lo stesso» ribatté lei cupamente. «Tu non hai il torcicollo». «E tu ce l'hai? Come il popolo d'Israele» rise lui. «Avremmo dovuto chiamarti Rosa di Sharon». Essendo una bambina curiosa, di solito insisteva perché le spiegassero le battute che non capiva, ma quella mattina non fece altro che ripetere con grande irritazione: «Non essere sciocco». «Cerco di non esserlo» disse Pascoe alzandosi. «Ci vediamo stasera». Quando la baciò sentì che aveva la pelle calda. Alla porta d'ingresso lui disse: «Però mi sembra un po' colorita». «Anche tu lo saresti, se avessi corso sotto il sole tutto il giorno», disse Ellie. «L'ho fatto» disse lui. «E senza dubbio lo farò anche oggi». «Be', allora mettiti il cappello», disse Ellie, con allegra determinazione. Quando era tornato, la sera prima, era stata a sentire lo stanco resoconto delle frustrazioni della giornata, se l'era coccolato per un po', poi gli aveva versato un bicchiere abbondante di whisky e gli aveva fatto un racconto vivace della giornata di Rosie al mare. All'inizio lui aveva pensato che volesse semplicemente distrarlo, ma dopo un po' si era reso conto che lei stava cercando di distogliere i propri pensieri dall'insopportabile identificazione con Elsie Dacre. Così lui aveva acceso la tv dichiarando di voler sentire il notiziario, e invece era incappato in un dibattito notturno sul crescente problema delle fughe dei giovani. Una psichiatra di nome Paula Appleby, le cui opinioni decise, eloquio fluente e tratti fotogenici le avevano fruttato il titolo di «la donna pensante dell'uomo pensante», stava dicendo: «Quando un bambino scompare, invece di cercarlo semplicemente, dovremmo prima indagare sui genitori, che spesso sono la causa, poi sulla polizia, che più facilmente contribuisce al problema che alla sua soluzione». «È ora di andare a letto», aveva detto Pascoe, spegnendo il televisore. Adesso guardava il cielo perfettamente azzurro e lavato sopra di lui e immaginava che gli occhi cerchiati di scuro e insonni dei Dacre, ore prima, l'avessero guardato passare dal nero al grigio e poi al rosa e al dorato, e avessero cercato nella luce che tornava e nei cinguettii degli uccelli risvegliati qualche indizio di quella freschezza e di quella speranza che prima li aveva sostenuti, ma adesso non riuscivano a trovare più da nessuna parte. E poi con l'occhio della mente percorse Corpse Road e sorpassò il Neb aureolato dal sole, e guardò giù, verso Dendale, che si riempiva ancora di
luce perlacea. Gli sembrò di vedere, in lontananza sotto di lui, una figura in ombra che guardava in alto, verso il bordo dorato della collina, e poi sollevava le braccia in segno di saluto o di derisione, prima di scivolare, silenziosa e nuda, dentro le acque nere e immobili del lago. Visioni in pieno giorno, pensò. Era meglio o peggio che svegliarsi nell'oscurità e sentire nelle narici l'odore del fango di Passchendaele? «Peter!», lo chiamò Ellie, con un tono che gli fece capire che non era la prima volta che pronunciava il suo nome. «Scusa» disse. «Ero molto lontano». «Sì, l'ho notato. Peter, non pensi che...». Ma i tempi non erano maturi. Una voce disse: «Un'altra bella giornata, accidenti a lei!», e vide il postino che risaliva il vialetto. Porse a Pascoe due buste imbottite, una piccola e una grande. Entrambe erano indirizzate a Ellie, ma quando lui gliele tese, lei prese solo la piccola e ignorò l'altra. «Ah, bene» disse strappando l'involucro. «Il disco di Mahler». «Canti dei bambini morti. Molto adatto per una giornata d'estate», disse lui, togliendoglielo di mano e sostituendolo con l'altra busta, che sfoggiava il marchio di un noto editore. «E questa?». «Se voglio tirarmi su di morale, ascolto Mahler», disse lei. «Magari ti hanno rimandato il dattiloscritto chiedendoti di apportare solo qualche modifica marginale», tentò lui. «Balle» disse Ellie. «Ho le dita sensibili a questo tipo di Braille. Riescono a leggere 'Respinto' attraverso sei strati di impacchettatura. Una dote soprannaturale». Era decisissima a non parlare del romanzo. Lui diede un'occhiata al disco, che sulla copertina aveva il disegno del profilo di una fanciulla o di un cherubino dalle cui labbra usciva un rigo di musica. Si ritrovò a pensare a Dendale, anche se il collegamento sembrava tenue. Poi capì di cosa si trattava. Nell'angolo inferiore destro, come sulla cartina nel dossier su Dendale, comparivano le iniziali E.W. Questa volta, ovviamente, non Edgar Wield, ma, come gli venne confermato girando il disco e leggendo le succinte note sul retro, Elizabeth Wulfstan. «Fa la traduzione, canta le canzoni, disegna la copertina; mi chiedo se suoni anche tutti gli strumenti dell'orchestra», commentò. «Molto probabile. Certe persone raccattano tutto il talento: ecco perché ne rimane così poco per le altre», disse Ellie abbattuta. «Succederà, amore. Davvero. Hai più talento tu nel tuo dito mignolo di
tutti quei viscidi londinesi che leccano il culo di chiunque sull'inserto della domenica», disse con sincerità, abbracciandola. Si tennero stretti come se lui dovesse tornare al fronte dopo una licenza troppo breve. Poi Pascoe montò in macchina e partì. III «Quante volte?», chiese Padre Kerrigan. «Cinque». «Gesù! Con lo stesso uomo, spero». «Certo, padre», disse l'agente investigativo Shirley Novello in tono indignato. «E anche di domenica». «Questo peggiora la mia situazione?». «Non la migliora di sicuro. Cinque volte. Io do la colpa a questa stagione torrida. È uno dei miei? Non dirmelo, tanto lo riconoscerò dalla camminata esausta. Allora è questa la ragione per cui non ti ho visto in chiesa ieri? Eri troppo impegnata a fornicare...». «No, padre. Gliel'ho già detto. Siamo stati al mare tutta la giornata, e poi è successo quasi per caso». «Eh no, ragazza mia. Una volta è quasi per caso, cinque denota un notevole entusiasmo». Non era semplice, pensò Novello più tardi, uscendo dalla chiesa, essere una donna moderna, cattolica e poliziotto allo stesso tempo. Ogni cosa era in contrasto con le altre. Per le sorelle femministe una sana scopata era 'esaltante per la propria sensualità', per il parroco era peccato di fornicazione. E quanto al lavoro, in certi momenti le imponeva di comportarsi in modo ugualmente offensivo per la sorellanza e per la comunità cattolica. Arrivò alla base operativa di Danby cinque minuti più tardi. Non c'era traccia né di Dalziel (almeno per questo poteva ringraziare il Signore) né di Pascoe. C'era però Wield. «Scusi, sergente» disse «sono andata a confessarmi». Chissà perché, mentire su una simile circostanza le parve fuori luogo. «Spero che tu l'abbia registrata su cassetta» disse Wield. Una battuta? Si fidò e sorrise. «Non eri qui ieri? Neanch'io. Mettiti in pari, poi vorrei che tu dessi un'occhiata approfondita a questi tre avvistamenti di auto».
«Super è nei paraggi?». «È su alla valle con l'ispettore Burroughs e la squadra di ricerca». «E Pascoe?». «Sta arrivando. È passato in sede a controllare». Una scusa per il ritardo? Si coprivano le spalle l'un l'altro, quei due. Il pensiero doveva esserlesi dipinto in faccia. Wield disse: «O magari è andato anche lui a confessarsi. Più invecchi, più tempo ci metti, dicono». Un'altra battuta? Era di un umore strano, oggi. Trovò un computer libero e si mise al lavoro. Tre auto. Nelle caotiche fasi preliminari di un'indagine come quella, con squadre di ricerca su un terreno accidentato, interrogatori porta a porta, appelli tramite i media e così via, si entra in possesso di un'enorme quantità di informazioni disordinate e spesso inutili. Per tale ragione la parte migliore dell'investigazione consiste nell'eliminare (Pascoe). Mica facile. Probabilmente, nel momento in cui avesse controllato le tre auto, ne sarebbero saltate fuori molte altre. La domenica era una pessima giornata per raccogliere testimonianze. La gente stava fuori tutta la giornata e tornava tardi. Ci sarebbero state ampie lacune nei controlli porta a porta del giorno prima. Quello non era un problema suo, però. Non ancora. Tracciò sulla mappa gli avvistamenti delle auto. Il più vicino, l'auto non avvistata ma sentita, era in Corpse Road. Qualcuno aveva scritto un appunto: duecento metri più in là abbiamo prova sosta solco pneumatici: 4RM? Non vedeva l'utilità di continuare a concentrarsi su questo. D'altro canto... guardò l'orologio, poi si alzò e uscì, fischiettando un inno religioso, il che indusse il sergente Wield a chiedersi se l'eccessiva religiosità potesse interferire con il suo lavoro. L'inno, per la precisione, era In Life's Earnest Morning, ma era stato ispirato da una circostanza profana. Un tempo Novello alloggiava presso una famiglia che possedeva un cane. Il cane, un barboncino molto ben addestrato, segnalava ogni mattina l'esigenza di uscire con un guaito insistente e stridulo, al quale il suo padrone, altrettanto ben addestrato, rispondeva cantando In Life's Earnest Morning, 'Quando la nostra speranza vola alta, Arriva la Tua voce, o Signore, e ci raduna, perché non ci mettano da parte', e intanto prendeva il guinzaglio e si dirigeva alla porta. Superò la chiesa, si sedette su un masso all'inizio di Corpse Road. Dopo soli cinque minuti, la sua fede fu premiata. Uno springer spaniel arrivò di corsa giù per il sentiero e quando la vide si bloccò di colpo per poi avvicinarsi con cautela. Lei allungò una mano e gli parlò dolcemente, e alla fine
il cane si lasciò grattare sulla testa. Dopo pochi istanti, fu raggiunto da una donna tarchiata e trafelata, che indossava calzoni larghi e flosci e un top rosa. «Eccoti qui, Zebedee» disse. «Stia tranquilla. Non morde». «Neanch'io», disse Novello. Si alzò in piedi e si presentò. La donna le disse che si chiamava Janet Dickens, da sposata, e che abitava a meno di dieci minuti a piedi da lì. «È qui per quella bambina?» si informò. «È una cosa veramente terribile. Ieri siamo stati via tutto il giorno, a casa di mia sorella, a Harrogate, una domenica andiamo noi e quella dopo vengono lei e la sua famiglia, ma al ritorno ho sentito quello che è successo dal telegiornale». «Ha portato fuori Zebedee, prima di partire?», chiese Novello. «Oh, sì. Non ci lascia partire senza fare la sua passeggiata mattutina». «Ed è venuta qui, come al solito?». «Esatto. Se cerco di portarlo da qualche altra parte si impunta come un mulo». «Bene. Mi chiedevo se ha notato un veicolo su questa strada, ieri mattina». «Un veicolo? Ah, forse intende il Discovery? Sì, era di nuovo qui. Perché? Non crederà che...?». «Non crediamo niente» ribatté Novello con fermezza. «Questo è solo uno dei tanti veicoli che dobbiamo controllare per andare per esclusione. Questo veicolo era una Land Rover Discovery, ha detto?». «Già, esatto. Verde. Di queste parti, aveva la sigla del Mid-Yorkshire e la targa di quest'anno, e uno dei numeri era un sei, penso. Gli altri non riesco a ricordarmeli, mi dispiace». «Ha fatto un ottimo lavoro» disse Novello, annotando i dati. «Ma prima ha detto 'di nuovo'. 'Era di nuovo qui'. Cosa intendeva?». «Oh, l'ho visto quattro o cinque volte nelle ultime due settimane. Ecco perché mi ricordo qualcosa della targa, immagino. Vede, io sono così distratta che, se l'avessi vista una sola volta, avrei potuto dirle che era una Porsche gialla con la targa 007. Cosa farete, ora? Lancerete una specie di allarme?». «No, niente di così drammatico, signora Dickens», disse Novello. Ci vollero un paio di minuti per persuadere la signora Dickens che non avrebbe chiamato una squadriglia volante e una muta di cani da caccia. Ripetendole che, visto che non l'aveva trovata il giorno prima, i suoi colleghi la stavano sicuramente aspettando sulla soglia di casa per interrogarla,
riuscì finalmente a farla andare via. Novello tornò alla Hall. Wield non si vedeva, così passò le informazioni tramite il computer alla stradale e chiese una lista di possibilità. Poi, eliminata la prima, si mise a caccia della prossima, riscaldata da un presentimento. Le due persone che avevano riferito di avere visto l'automobile bianca al margine di Ligg Common erano state vaghe e contraddittorie. Una la descriveva come piccola, l'altra come molto grande. Il primo pensava che si potesse trattare di una Ford Escort, il secondo era certo che fosse una Vauxhall, ma non sapeva quale modello. Ma c'era un terzo avvistamento, se possibile ancora più vago, raccolto durante gli interrogatori porta a porta. La signora Joy Kendrick passava in macchina, di mattina presto, vicino al parco pubblico e pensava di avere notato un'automobile che poteva essere bianca, ma non ne era assolutamente sicura, dato che i bambini, sul sedile posteriore, la stavano facendo impazzire perché non volevano essere lasciati dalla nonna per tutto il giorno. Mentre era a Corpse Road, Novello aveva notato che iniziavano ad arrivare alcuni bambini diretti a scuola. Al ritorno, il loro numero era notevolmente aumentato. A causa del traffico costante in entrata e in uscita di veicoli della polizia dalla porta della base operativa a fianco, era stata innalzata una fila di barriere per tenere lontana la folla e per rinforzare il muro basso che divideva l'area giochi della scuola dal cortile anteriore della Hall, e i ragazzini, naturalmente curiosi, si affollavano contro di esso. C'era anche un buon numero di adulti. Dopo il notiziario del giorno prima, i genitori che normalmente lasciavano i bambini davanti alla scuola, o addirittura li mandavano da soli, li tenevano d'occhio fino all'ultimo momento. Quando Novello uscì di nuovo dalla base, un paio di insegnanti stavano avvicinandosi alla barriera e sollecitavano i bambini a entrare nella scuola. Novello avanzò nell'area giochi e si avvicinò a una di loro, mostrando il tesserino. «Sono Dora Shimmings, la direttrice» disse la donna. «Guardi, mi sono accordata ieri con il signor Pascoe che non sarebbe stata fatta alcuna domanda ai compagni di classe di Lorraine finché non fossimo riuscite a ripristinare un'atmosfera il più normale possibile». Parlò con tranquilla autorità, e Novello fu felice di non doverla contraddire. «Non è per questo» disse in tono rassicurante. «Volevo solo sapere se
Joy Kendrick è uno dei vostri genitori». «Direi proprio di sì. Abbiamo tre dei suoi figli, qui. Ma nessuno nella classe di Lorraine». «Quanti anni hanno?». «Le gemelle sei e Simon otto. Eccoli che arrivano». Novello si voltò. Una donna dall'aria provata, i capelli biondi che le danzavano sulle spalle con tutto il vigore degli spot pubblicitari, ma privi della stessa brillantezza, stava cercando come un cane da pastore di incanalare attraverso il cancello un trio di bambini: due gemelle che, a contraddire l'immagine classica del rapporto strettissimo e della speciale telepatia fra gemelli, sembravano ciascuna ben decisa a ribadire la propria unicità facendo impazzire l'altra, e un bambino più grande, Simon, dall'aspetto annoiato e riservato che solo un ragazzino di otto anni con due sorelle gemelle è in grado di sfoggiare. «Vorrei parlare con loro. Ci metterò pochi secondi», promise Novello. A differenza della maggior parte delle promesse da poliziotto, questa sarebbe stata mantenuta. Dopo le presentazioni, Novello disse: «Signora Kendrick, il poliziotto che è passato ieri da casa sua ha parlato con i suoi figli?». «No, non erano in casa, direi. Sono andata a prenderli non prima delle sette». «Certo. Simon, la mamma dice che ieri mattina c'era un'auto bianca parcheggiata nei pressi del parco, quando siete passati lì di fianco. Non è che per caso l'hai notata anche tu?». «Sì», rispose lui. Il semplice monosillabo non era dettato né da indifferenza, né da maleducazione. I bambini, considerò Novello, tendono a rispondere alle domande che vengono loro rivolte in modo diverso dagli adulti, i quali cercano sempre di indovinare le ragioni per cui esse vengono poste. «Allora, che modello era?». «Una Saab 900 cabrio». «Hai fatto caso alla targa?». «No. Però era l'ultimo modello». Era sufficiente. Ringraziò il bambino e la madre, che nel frattempo aveva tenuto separate le due gemelle come si fa con due pugili sovreccitati sul ring, e ora si accingeva a proseguire l'opera di trascinamento verso l'entrata della scuola. «Una mossa intelligente», disse la signora Shimmings.
«Fortunata» disse Novello. «Poteva capitarmi un ragazzino la cui unica ossessione è il football. Allora, come mai ieri la signora K. ha parcheggiato i bambini dalla nonna per tutto il giorno? Non ha niente a che fare con il caso, è pura curiosità». «Un fidanzato» disse laconica la signora Shimmings. «Kendrick se n'è andato di casa l'anno scorso. Joy ora ha trovato un compagno, ma Simon lo odia. E non si riesce a fare sesso in maniera decente con un raduno di protesta sulla porta della camera da letto, non trova?». «Non ci ho mai provato», rispose Novello sogghignando. Tornò alla Hall. Di Wield ancora nessuna traccia, e nessuna risposta dalla stradale alla sua richiesta di dati sul Discovery. Avrebbe voluto confrontare con qualcuno le informazioni di cui era entrata in possesso, ma lì intorno non c'era nessuno di cui si fidasse. Molti colleghi maschi, anche quelli che non erano così sciovinisti da pensare che il posto di una donna è la cucina, non avevano problemi a pensare che comunque il suo posto è sullo sfondo. Quanti uomini, ricevendo un complimento sul loro aspetto, dicono: «Mia moglie ha scelto la cravatta, ha stirato il vestito, ha lavato la camicia e inamidato il colletto e i polsini?». Comunque, lei si sentiva eccitata e su una pista buona. Fuori due, sotto con l'ultima. Andò in cerca di Geoff Draycott di Wornock Farm, che aveva visto la familiare azzurra passare a tutta velocità su per Highcross Moor. IV Quando Pascoe arrivò con la macchina sotto il ponte della ferrovia, c'erano due uomini intenti a sfregare energicamente per togliere la scritta BENNY È TORNATO! Non sembravano fare molti progressi. Forse avrebbero sfregato e grattato fino a consumare il solido muro di pietra, e allora le tenaci lettere rosse sarebbero rimaste appese nell'aria. Fantasia malata? O un sintomo? Quella mattina all'alba, leggendo il dossier su Dendale, prima che la sua mente si rifugiasse nel sonno, si era scoperto riluttante a farsi coinvolgere nei fatti così come gli venivano presentati, da qualsiasi fatto, in realtà, preferendo imboccare le strade secondarie delle supposizioni. C'era stato un tempo in cui la vita si modellava su una morbida curva di apprendimento, un costante progresso, dalla leggerezza infantile, attraverso l'impetuosità giovanile, fino alle sicurezze della maturità, maturità che spunta fuori intorno all'inizio della mezz'età, non si sa
esattamente a che punto. La si riconosce perché, una mattina, ci si sveglia e ci si accorge di non essere più nervosi al pensiero di dover tenere una conferenza, di credere profondamente nelle opinioni politiche buttate lì con leggerezza alle feste, di non sentirsi più obbligati ad allacciare la scarpa sinistra prima della destra per evitare attacchi di sfortuna e, finalmente, di non dover più leggere il libretto d'istruzioni per programmare il videoregistratore. Bene, tutto ciò per lui era ormai impossibile, era un altopiano illuminato dal sole che, ora lo sapeva, non sarebbe mai riuscito a raggiungere. Per lui era così: non una scalata risoluta ma un vagabondare senza meta per i sentieri aggrovigliati e confusi della foresta vergine. Di quando in quando, il piacere di una radura soleggiata o di un ruscello cristallino; a volte il terrore di un albero che cade, o di schianti e ringhi nel sottobosco; e, altre volte, dopo giri infiniti, il sentiero ti riporta al punto di partenza, solo che non te ne rendi conto, perché il luogo non sembra più lo stesso. Credeva di essere il solo? gli aveva chiesto il dottor Pottle, il noioso strizzacervelli. O credeva che anche tutti gli altri esseri umani provassero quello che provava lui? «Nessuna delle due» aveva risposto. «Sono sicuro che molti non si sentono così, ma sono altrettanto sicuro di non essere l'unico». «Religione e politica fanno cilecca» aveva detto Pottle. «Può darsi che lei si sia trovato il lavoro giusto, tutto sommato». Ma a lui non sembrava. Curioso come, mentre Elbe appariva (almeno esteriormente) sempre più rassegnata alle ambiguità del suo lavoro, lui stesso (almeno interiormente) le trovava sempre più gravose da sopportare. Una bambina scomparsa. Una bambina morta, dal punto di vista di Dalziel, e lui lo sapeva. Sentiva l'angoscia dei genitori. E grazie alla scalata sulla pendice del Neb e alla lettura del dossier su Dendale, sentiva l'angoscia di tutti quei genitori che avevano visto i loro figli uscire di casa e non tornare più. Ma il fatto di identificarsi con loro non lo induceva a buttarsi a capofitto nel suo compito, che era quello di catturare quell'uomo, quel mostro, il responsabile delle sparizioni. No, tutto ciò che voleva era andarsene a casa, rimanerci e vigilare in eterno su sua figlia. Il mondo ti dimentica, se tu dimentichi il mondo. Coltiva il tuo orticello. Non esiste quella cosa che chiamano società. Il che, si disse con durezza, era proprio come grattare e strofinare il muro e lasciare le lettere rosse levitare nell'aria.
Le sue meditazioni introspettive gli avevano fatto attraversare Danby con il pilota automatico inserito, e si ritrovò davanti a St Michael Hall. Vicino alla porta principale c'era una piazzola vuota contrassegnata dalla scritta ISPETTORE CAPO. Sorrise. Come previsto, Wield aveva tutto sotto controllo. All'interno lo attendeva una scena di ordinata operosità. Il sergente, militaresco di fronte alle truppe, si alzò e disse: «Buongiorno, signore». «'giorno», disse Pascoe, pensando che probabilmente perfino i macchinari di una fabbrica si mettevano a funzionare meglio quando Wield mostrava la sua faccia. Non che la sua faccia fosse un modello d'ordine. Anzi, si poteva teorizzare che la sua tendenza all'organizzazione fosse una reazione a tratti somatici che richiamavano la creazione un parsec dopo il Big Bang. «Mi piace vedere un alveare che brulica di attività» continuò. «Avete tutto quello che serve?». «Tutto tranne il frigo, ma sta arrivando», disse Wield. «Frigo? State aspettando dei campioni?». «Per mettere in fresco le bibite» disse il sergente. «Posso fare un caffè, però. Ah, c'è un appunto per te da Nobby Clark. L'ho incontrato quando sono arrivato. Ha insistito molto che te lo dessi di persona. Sembra che tu abbia fatto conquiste». Fu detto con la massima imperscrutabilità che Wield riusciva a ottenere dai suoi lineamenti irregolari. Ma era anche la cosa più vicina a una scherzosa avance gay che Pascoe avesse fino ad allora ricevuto dal sergente. Aprì la busta. Conteneva un pezzo di carta su cui era scritto un nome, JED HARDCASTLE. «Tutto qui?» disse Pascoe. «Nessun messaggio?». «Ha detto qualcosa a proposito della vernice» disse Wield, porgendogli una tazza di caffè. «Ho la sensazione che voglia regalarti qualcosa che potrai estrarre dal cilindro». «Dio mi salvi dalla gratitudine dei semplici» disse Pascoe. «Cosa dovrei fare, adesso? Dovrei dire a Andy che ho scoperto che l'artista del graffito si chiama Jed Hardcastle? Peccato che non sappia chi è, dove vive o qualunque altra cosa su di lui». «Figlio di Cedric e Molly Hardcastle» recitò Wield. «Fratello di Jenny, prima ragazzina scomparsa a Dendale. Indirizzo attuale, Stirps End Farm, Danby». «Ah ecco, quel Jed Hardcastle», disse Pascoe lievemente irritato, soprat-
tutto con se stesso, per non aver fatto il collegamento, nonostante avesse letto il dossier su Dendale solo poche ore prima. Dio, il suo cervello si stava veramente rifiutando di farsi coinvolgere dai fatti. Sorseggiò il caffè e disse: «Così, un altro collegamento con la volta precedente». «La volta precedente?». «Dendale». «Ah, già. Allora è ufficiale? Dendale è stata la volta precedente?». «Il Ciccione sembra pensarla così. Mi ha fatto leggere il dossier. Ieri pomeriggio mi ha costretto ad arrampicarmi fino in cima a Corpse Road». «Ah, sì? La cosa sembra abbastanza ufficiale». «Non mi sembri particolarmente felice». «Mi pare un po' presto per parlare di questa volta come la volta precedente, tutto qui». «Cosa dici di quel tizio, Lightfoot?» insistette Pascoe. «Devi averlo incontrato. Cos'hai concluso? Ho raccolto qualche voce popolare sul fatto che era l'idiota del villaggio, ma ho sentito che invece era un tipo intelligente». «Oh, aveva un'intelligenza piuttosto sveglia» disse Wield. «Ma c'era qualcosa di strano, in lui. Come se venisse da un altro mondo». Questo, da parte del sergente, era stranamente impreciso. Pascoe chiese: «Cosa vuol dire da un altro mondo? Paradiso? Inferno? Giove? Galles?». «No, non da così lontano» disse Wield. «No, l'altro suo mondo era... Dendale». «Non capisco dove vuoi arrivare» disse Pascoe. «Ok, è lì che viveva, e so che quando sua madre decise di emigrare era talmente fuori di sé che scappò da sua nonna. Ma c'è una quantità di persone a cui piace restare dov'è, e ci vorrebbe un carico di dinamite per mandarle via». «C'è voluta davvero la dinamite per mandarli via da Dendale, ricordi?» disse Wield. «D'accordo, per la maggior parte di loro è stato un vero e proprio sradicamento, ma le radici si riformano, in un terreno simile a quello che si è lasciato. Quasi tutti si sono insediati qui vicino, intorno a Danby e mi sembra che si siano sistemati bene. Ma la cosa strana... be', da quando vivo a Enscombe, ho imparato a vedere sotto un'altra prospettiva la relazione che la gente ha con il posto che chiama casa. Nessuno di noi vorrebbe lasciarla, me compreso, anche se, come dicono là, non ci ho vissuto abbastanza nemmeno per farci tanta cacca quanto peso. Ma ho incontrato
alcune persone, come i Toke - te li ricordi, i Toke? - che non credo potrebbero essere sradicati: tutt'al più le loro radici potrebbero venire recise all'altezza del terreno». I Toke erano madre e figlio che vivevano a Enscombe e comparivano nel caso che aveva fatto incontrare Wield e Edwin Digweed. «Sì, mi ricordo i Toke» disse Pascoe. «Lightfoot era così?». «In un certo senso sì. Sai come si dice: 'Sono del tale o del talaltro posto'. In genere è solo un modo di dire, ma Lightfoot, come i Toke, lo prendono alla lettera. Il posto li possiede. Nella buona e nella cattiva sorte. Nel bene o nel male». «Frena, Wieldy» disse Pascoe. «Mi stai rubando la battuta. Sono io quello che butta tutto sul metafisico, giusto? Tu sei Mister Microchip, l'uomo dalle orecchie a punta». Wield si grattò una delle appendici in questione che, benché sicuramente irregolare, decisamente non era a punta. «Era solo per farti capire che effetto può fare la vita di campagna», disse. Come in precedenza Shirley Novello, Pascoe trovò difficile capire se il sergente stesse effettivamente scherzando, ma a ogni buon conto si mise a ridere. C'erano abbastanza incertezze nella vita anche senza ammettere la possibilità che la propria rocca sempiterna possa dopo tutto rivelare un nucleo molle. Disse: «Però sono d'accordo con te a proposito del questa volta. Lavoriamo su quello che abbiamo. Ci sono alcuni avvistamenti d'auto non verificati...». «Ci ho messo su Novello» disse Wield. «Anzi, questo è uscito due minuti fa, e credo sia per lei. Suppongo abbia a che fare con gli avvistamenti, ma lei non c'è e non può confermarmelo». «Sì che c'è», disse Pascoe, che aveva appena visto entrare Novello. Mentre lei si avvicinava, diede un'occhiata al foglio che Wield gli aveva consegnato. Era una lista di Land Rover Discovery verdi registrate sul posto durante l'ultimo anno. «'giorno Shirley», disse. Dalziel la chiamava Ivor, come l'attore. Pascoe si era assicurato che nessun altro lo facesse. I leader eccentrici dovevano essere seguiti, non imitati, o la Victory sarebbe stata carica di marinai guerci. «'giorno, capo», disse lei, guardando un po' ansiosa l'elenco tra le sue mani. Pascoe indovinò che avrebbe voluto entrarne in possesso prima di
Wield, in modo da potere esporre di persona le teorie elaborate. Come Clark, era ancora in quello stadio in cui si crede che i conigli estratti dal cilindro impressionino i superiori. A differenza di Clark, lei sarebbe probabilmente maturata. Il suo viso, anche se non bello secondo i canoni classici, emanava carattere e intelligenza. Da quando era entrata nel dipartimento, pochi mesi prima, si era inserita bene, ma era ancora sul chi vive. Forse era una condizione permanente delle donne che lavoravano in polizia, pensò Pascoe. O forse era una spiegazione troppo banale? C'era qualcosa che lui poteva fare per rassicurarla sul fatto che, almeno lì, nel MidYorkshire, non c'era nessuno appostato nell'ombra, in attesa dell'opportunità di tagliarle le gambe? «Così, sta facendo progressi», le disse, porgendole la lista. Guardando l'elenco mentre parlava, lei spiegò in che modo era entrata in possesso dell'informazione, poi passò alla Saab cabrio e infine all'auto in movimento sulla Highcross Moor. Li portò alla cartina sulla parete per illustrare loro le sue scoperte. «Geoff Draycott, trentadue anni, sposato, affittuario della Wornock Farm... eccola qui. Era fuori in questo campo, qui, più o meno alle otto e mezza, nove meno un quarto, quando ha visto quest'automobile che imboccava la strada dirigendosi fuori città. Andava molto veloce, il che ha attirato la sua attenzione. Tenete presente che quest'uomo sembra pensare che tutto quello che passa su quella strada si muova troppo velocemente. A quanto pare l'hanno sistemata negli ultimi dieci anni, da quando si è sviluppato il Parco della Scienza e del Commercio, e parecchi hanno iniziato a usarla come un modo rapido di dirigersi a nord per raggiungere l'arteria principale, che è qui, invece di prendere a sud e a est. Ma le migliorie purtroppo non sono arrivate fino alle recinzioni, e Draycott lamenta la perdita di un paio di pecore l'anno a causa dell'alta velocità di camion e automobili». «Doveva essere un veicolo potente, se andava così veloce», disse Wield, guardando le linee sulla carta. «Dice che era una grossa familiare azzurra, ma non è riuscito a identificarne la marca ed era dall'angolatura sbagliata per poter leggere il numero di targa. Pensava che potesse essersi fermata qui». Indicò una curva in alto sulla strada, segnata sulla cartina con il simbolo di punto panoramico. «Lì si fermano in molti. È un posto molto frequentato per i picnic. Ha notato il lampo del sole su un vetro poco tempo dopo, ma non può essere
sicuro che fosse lo stesso veicolo». «Un po' prestino per un picnic» disse Wield. «C'è altro?». «Non su questi. Ma quando mi sono imbattuta in Draycott, era alla guida di un pickup Ford rosso. È un veicolo molto di moda tra gli agricoltori, mentre tornavo ne ho incrociati altri tre. E mi sto giusto chiedendo se, per caso, qualcuno che abita lì intorno, a cui ho chiesto se aveva visto qualcosa, possa non averle notate, proprio perché sono talmente familiari da risultare addirittura invisibili. Come il postino nella storia di Chesterton». Questo è per me? pensò Pascoe, divertito. Sperò che lei fosse abbastanza intelligente da non provarci con Andy Dalziel, la cui risposta sarebbe probabilmente stata... «Un postino? Di domenica? Questo sì che è bizzarro». Si girarono, ed eccolo lì. A volte entrava rombando come una locomotiva a vapore, a volte scivolava dentro, tetro e silenzioso come un carro funebre, cosa che quel giorno forse aveva seguito, drappeggiato com'era in un vestito così nero da fare invidia a un impresario di pompe funebri e una camicia così bianca da sembrare un sudario. «Nossignore, la storia di padre Brown...», disse Novello, cadendo nell'errore di dare spiegazioni. «Padre Brown? Credevo che fossi del gregge di padre Kerrigan. Non ti sarai fatta scomunicare, spero». Era tempo di correre in soccorso della poveretta. Pascoe disse: «Shirley ci stava giusto esponendo una sua idea, signore. Ed era anche molto interessante. Ma cominciamo da quello che abbiamo, va bene?». Fece a Dalziel un riassunto delle scoperte di Novello. Il Ciccione dimostrò scarso entusiasmo. «Una giardinetta azzurra, a tutta birra? Prova a superare il loro trattore, e tutti quei malefici contadini diranno che stai andando a velocità supersonica. E se andava tanto veloce, chi gliel'ha fatto fare di fermarsi sulla collina? E questa Saab bianca, in piena vista? A lato del parco pubblico, lì, sotto gli occhi di tutti? Non è un comportamento che si potrebbe definire furtivo, vi pare?». «Il Discovery era nascosto abbastanza bene», disse Pascoe. «Non per tutti quelli che portano il cane a passeggio giù per di lì» disse Dalziel. «Ve l'avevo detto ieri sera che potrebbe essere una macchina a quattro ruote motrici, vero?». «Per esser proprio puntigliosi, penso di averlo detto io a lei», disse Pa-
scoe, pensando che il Ciccione non volesse essere scocciato con storie di macchine. Il suo cervello era fisso solo su quel maledetto Benny Lightfoot. «Ma abbiamo una lista di nomi e dovremo controllarli...». «Ma sì, ma sì, dateci pur dentro con gli straordinari» disse Dalziel, cupo. «Dan il Disperato mi amerà alla follia». Pronunciata da uno per cui il budget della polizia e l'affetto del suo capo erano questioni ugualmente irrilevanti, la frase suonò falsa quanto l'indignazione in un politico. «C'è qualcosa qui che può interessarle, signore», disse Wield. Segnò con il dito un nome in coda alla lista. Pascoe guardò da dietro le spalle del Ciccione. Walter Wulfstart. Ancora quel nome. Gli occhi di Pascoe si spostarono sulla locandina ancora visibile all'interno della bacheca, ormai ricoperta quasi interamente di comunicati della polizia. Il concerto d'apertura del Festival Musicale delle Valli del MidYorkshire, Elizabeth Wulfstan che cantava i Kindertotenlieder. Canti dei bambini morti. Certo non il programma più diplomatico per quel posto in quel periodo. Gli venne in mente che quel posto era il posto in cui si trovavano. Qualcuno aveva detto a quelli del festival che la sede della loro prima era stata requisita? Osservando Dalziel, che per la seconda volta in due giorni sembrava rapito dalla comparsa di quel nome che arrivava dal passato, Pascoe espresse a voce alta le sue preoccupazioni a Wield. «Il segretario del consiglio parrocchiale è venuto qui stamattina presto» disse il sergente. «Gli ho detto che poteva cancellare sicuramente tutto per questa settimana. Per la prossima, dovremo aspettare e vedere». «Non gli avrà fatto piacere». «Abbastanza stranamente, le sue parole sono state: al signor Wulfstan non farà piacere. Sembra che sia il presidente del comitato del Festival Musicale». «È tornato alle vecchie occupazioni, a quanto pare», disse Dalziel, che anche quando sembrava assorto non smetteva di origliare. «Tornato?», disse Pascoe. «Se n'è andato dallo Yorkshire dopo Dendale. Sembrava aver reciso ogni legame. Ha venduto la casa in città, ha passato il settore locale della sua attività ai suoi soci e si è insediato come direttore delle vendite all'estero giù al sud, sempre in giro per l'Europa, a ungere ingranaggi e cose del
genere, insomma. Parla francese e crucco, dicono. Deve aver fatto un ottimo lavoro. Sette o otto anni fa, l'azienda aveva bisogno di più spazio e ha iniziato a costruire su un terreno fuori Danby. Da lì è partito quell'affare Parco della Scienza e del Commercio. Una valanga di cocuzze europee, dicono, per la maggior parte slittate nelle tasche di Wulfstan. E, alla fine, lui torna in città. Acquista una casa in zona campane: Holyclerk Street». 'In zona campanÈ si riferiva alla zona prestigiosa e costosissima che circondava la cattedrale. «Splendida», disse Pascoe. «Continua a comprare i biglietti della lotteria» disse Dalziel. «Ivor, puoi farmi una telefonata alla ditta di Wulfstan, al Parco? Guarda se lui è lì. Se c'è, ci farò un salto per fare due chiacchiere». «Ci sono altri nomi sulla lista, signore», disse Pascoe. «No, adesso voglio lui» disse Dalziel freddamente. «Che succede, ragazza? Lo sai come si usa un telefono?». Novello, che non si era mossa, domandò: «Come si chiama l'azienda, signore?». «Ah, sì. Un nome assurdo. Helioponic, ecco. Helioponic. Ci vogliono sei lauree per sapere cosa significa». «Mi suona come un nome inventato, per analogia con idroponico», disse Pascoe. «Inventato, eh? Be', quei pervertiti hanno un linguaggio tutto loro». Wield intervenne prima che la situazione degenerasse: «Penso che abbiano iniziato col fabbricare pannelli solari per uso domestico, ma ora si sono allargati a tutte le fonti di energia alternativa e alle loro applicazioni». «Oddio, Wieldy, sei un azionista o cosa?». Wield rimase inespressivo, cosa che per lui era normale. In effetti, era Edwin che possedeva azioni della Helioponic. La trasparenza finanziaria era una parte del loro accordo societario non scritto. «Se sai fino a che punto sono povero» aveva detto Digweed «non ti aspetterai che dividiamo le spese di quelle vacanze all'estero nelle megaville alle Bermuda che i tuoi loschi amici senz'altro ti lasceranno usare». «Signore» disse Novello dalla scrivania. «Il signor Wulfstan è andato al Parco, ma poi è uscito per andare in città. Sembra dovesse organizzare un incontro straordinario del comitato, qualcosa che riguarda la nuova ubicazione del Festival Musicale». «L'età deve averlo raddolcito» disse Dalziel. «Ai vecchi tempi sarebbe volato qui e ci avrebbe tirato su da terra. E va bene, quella è mia. Esco a
buttarmi su qualche altra cosa. Pete, tu cosa devi fare?». «Devo vedere Clark. Mi sembra abbia una pista sul mago della bomboletta spray». «Ah sì? Bene, è su alla valle con Maggie Burroughs. Ci sono appena stato. Ha organizzato le ricerche alla perfezione, per cui cerca di non darle l'impressione che la stai controllando. So che la delicatezza non è il tuo forte. Wieldy, tieni tutto fermo qui finché George Headingley non fa vedere la sua brutta faccia, poi cercati qualcosa di utile da fare. È tutto?». «Signore, vado avanti con gli avvistamenti di auto? Ho un paio di idee», disse Novello. «Idee? Una bella puledra come te non dovrebbe avere idee» disse Dalziel. «No, dovranno aspettare. Perciò le chiamano piste che scottano, così nessuno ci va sopra. Qualcuno ha già parlato con i compagni di classe di Lorraine?». «Non ancora» disse Wield. «La signora Shimmings vuole che a scuola sia ripristinata una situazione normale, prima». «Dubito che possa mai accadere. Comunque qualcuno deve farlo. È il lavoro per te, Ivor. Cammina, svelta, tac, tac, tac». Novello si girò di scatto e uscì, prima che la sua rabbia risultasse evidente. «Ha fatto un buon lavoro», osservò neutro Pascoe. «Ha fatto il suo lavoro», grugnì Dalziel. Pascoe lanciò un'occhiata a Wield, che si grattò il mento. «Cristo ha pianto», disse il Ciccione. Andò alla finestra aperta e sbraitò «Ivor!». La donna si girò. «Sei stata brava», urlò Dalziel. Poi, girandosi a fronteggiare gli altri, disse: «Ecco fatto. Non sopporto l'idea di vedervi lì, voi due, che mi guardate per tutta la giornata come se avessi affogato la vostra gattina. Adesso, possiamo andare tutti a fare quello che siamo pagati per fare, o preferite ricevere da mammina un bel bacione umido che vi accompagni per la vostra strada?». V A scuola, la giornata di Rosie Pascoe era incominciata malissimo. Appena entrata nel cortile aveva cercato Zandra, che era introvabile, e la signorina Turner, la sua insegnante, le aveva detto che la signora Purlingsto-
ne aveva chiamato per dire che Zandra non stava bene e non sarebbe andata. Almeno questo significava che avrebbe potuto tener banco da sola con i racconti di divertimenti e avventure al mare. Ma quando arrivò il momento della ricreazione, e il caldo toccò la punta massima, sentì che la sua solita energia era in calo, e fu contenta di starsene lontana dall'intricata giostra dei giochi. Le voci risuonavano distanti, come la televisione con il volume al minimo, e i bambini che giocavano si muovevano davanti a lei come sagome sul piccolo schermo. Non era sgradevole questa sensazione di distanza. Anzi, era il tipo di stato d'animo che di solito favoriva il contatto con la sua amica Nina. Ma quel giorno di lei non c'era traccia, e ricordò che Nina era stata ancora una volta catturata dal nix, e probabilmente era ancora prigioniera nella sua caverna. Con la coda dell'occhio intravide di sfuggita una sagoma al di là dell'alta recinzione che limitava la zona giochi. La luce splendente del sole la accecò. In effetti, il riflesso l'aveva infastidita per tutto il giorno e non riusciva a vedere chiaramente, ma quando si avvicinò sapeva che non era Nina, e quando sbatté gli occhi vide che non c'era proprio nessuno. Rimase aggrappata alle maglie della rete di recinzione come un criceto in gabbia. Qualcuno le toccò la spalla e lei si girò di scatto. Era la signorina Turner. Era una donnina piccola, molto più piccola della mamma, ma chissà perché oggi sembrava molto alta. «È finito l'intervallo, Rosie» disse con una voce distante e irreale come le altre. «È ora di rientrare». Alcuni chilometri più a nord, anche Shirley Novello stava passando brutti momenti a scuola. I bambini le andavano bene, ma non le piacevano da impazzire. Era seccata per la conclusione inevitabile che il fatto di essere una donna la rendesse automaticamente la persona più adatta a parlare con i compagni di classe di Lorraine, soprattutto quando sentiva che il suo lavoro sulle auto sospette aveva ottime prospettive. Ma il buonsenso le impediva di polemizzare, certo non nel bel mezzo di un'indagine su un bambino scomparso. In un caso come quello, se ti dicevano che partecipare a un incontro di wrestling nel fango sarebbe stato utile, dovevi farlo. Non che ci fossero probabilità di trovare del fango dentro al quale lottare. Tutte le finestre della scuola erano spalancate, ma una piuma posata sul davanzale aveva le stesse speranze di muoversi che avrebbe avuto sulle
labbra di un morto. I bambini erano intontiti, in parte per il caldo, in parte perché l'iniziale eccitazione provocata dalla presenza della polizia era ormai svanita, lasciandoli sempre più consapevoli della ragione di quella presenza. La signora Shimmings e la signora Blake, la maestra, facevano del loro meglio per distrarre e divertire i bambini, ma erano talmente oppresse dalla paura e dal dispiacere per la bimba scomparsa che, malgrado tutti gli sforzi, non riuscivano a celare del tutto il loro stato d'animo. Non stava emergendo nulla di rilevante. Alcune delle amiche di Lorraine dissero che Lorraine aveva un 'posto segreto' su dal Ligg Beck, ma quando lei chiese loro di essere più precise, la guardarono come se fosse pazza e risposero: «Noi non lo sappiamo. Era un posto segreto!». Alla fine calcò un po' troppo la mano e provocò l'esplosione di pianto di una bambina, che si propagò immediatamente a tutti gli altri, e il colloquio ebbe termine. «Continuerò a parlare con loro» promise la signora Shimmings mentre la accompagnava lungo il corridoio. «Non serve tenere sotto pressione i bambini di questa età. Bisogna lasciare che le cose arrivino da loro, al momento giusto». Che meraviglia, pensò Novello. Ma tu non devi render conto a un branco di uomini che non si scompongono neppure quando fai una scoperta interessante! Il 'branco di uomini' era formato, ovviamente, da Dalziel e Pascoe e, anche se in second'ordine, da Wield. Quando era entrata nel dipartimento investigativo, aveva imparato rapidamente che la cosa fondamentale per un poliziotto ambizioso era il modo in cui si confrontava con il terribile terzetto. Aveva osservato interessata, ma astenendosi dal commentare, le reazioni dei colleghi maschi. Dalziel inoculava in loro la paura di Dio. Subire la sua collera era come essere spiaccicati da un carrarmato Centurion. D'altro canto, però, nel bel mezzo della battaglia non c'è niente che un soldato apprezzi di più che avere le spalle coperte da un Centurion. Per Pascoe la votazione era ottima. Grande attenzione per le truppe. Era sopravvissuto allo svantaggio iniziale di possedere una laurea. A dire il vero, la maggior parte di loro non ci avrebbe nemmeno badato, non fosse stato per le pesanti battute del Ciccione. E Wield era... Wield. Imperscrutabile come un'enciclopedia cinese, ma ricco di tutto ciò che un poliziotto deve sapere. C'erano leggende sulla sua vita privata che avrebbero spazzato via la carriera di qualunque altro. Ma
infrangendosi contro la sua rigida armatura, si erano frantumate e si erano disperse in mare. La parola d'ordine era: quando parla Dalziel si ubbidisce, quando parla Pascoe si ascolta, quando parla Wield si prendono appunti. Ma Novello era arrivata a considerarli sotto un altro aspetto. Le voci su Wield lei le ignorava. Le era talmente chiaro che era gay, che non riusciva a capire il bisogno di spettegolarci sopra. Era un ottimo poliziotto e da lui avrebbe potuto imparare molte cose. Anche se, l'avrebbe giurato, era anche un poliziotto che aveva preso la decisione di rimanere sergente per non rischiare, ai livelli più alti, di essere maggiormente esposto. Poteva capirlo, ma non aveva intenzione di prenderlo come modello. Pascoe. All'inizio le era piaciuto. L'aveva accolta con affetto, aiutata, protetta quando era entrata nella squadra. Era ancora così. Ma quando ne aveva parlato con Maggie Burroughs, che le era stata di grande aiuto nella fase di trasferimento al CID, l'ispettrice le aveva detto: «Guardati dagli amiconi. A volte sono i peggiori». E quando, pochi minuti dopo che aveva iniziato a parlare con i bambini, Pascoe aveva messo dentro la testa chiedendo un veloce colloquio con la signora Shimmings, il suo sorriso, per quanto di scusa, diceva a chiare lettere che quello che stava facendo lui era, senza discussioni, molto più importante di quello che stava facendo lei. Restava Dalziel. Un carro armato era solo una macchina, ma una macchina ha bisogno di qualcuno che la faccia andare. Un meccanico. Oppure Dio. Le battute vertevano sulla Trinità, di solito con Pascoe in veste di Figlio e Wield di Spirito Santo. Novello, da brava cattolica, preferiva Pascoe come Spirito Santo. Ma il grosso Andy Dalziel era, senza alcun dubbio, l'Onnipotente. Alzagli il naso, e il meglio che puoi sperare di ottenere è un enorme starnuto che ti può fare volare lontano. Era una ben magra consolazione sapere che nessuno ne era immune. Perfino lo Spirito Santo, Peter Pascoe, a volte doveva spalare la sua discreta quantità di merda. Così, 'io credo in Andy Dalziel' era la prima e ultima clausola del credo del CID. Ma la fede senza il lavoro non ti portava in Paradiso e, sebbene il pingue profeta avesse predetto che parlare con i bambini sarebbe stata una perdita di tempo, probabilmente si aspettava comunque qualche risultato. Perciò fu sollevata di trovare solo Wield alla base operativa. Era immerso in uno spesso fascicolo e teneva in mano un bicchiere di acqua minerale. «È arrivato il frigo. Serviti».
Riconoscente, lei prese una lattina di limonata. Le sarebbe piaciuto infilarla sotto la maglietta e rotolarla sulla pelle nuda, ma evitava d'istinto tutto quello che poteva attirare l'attenzione dei colleghi maschi sul suo sesso. Wield compreso. Forse, pensò, abbiamo molto in comune. «Hai avuto fortuna?», le chiese, senza alzare gli occhi dai fogli. «Non troppa. Qualche accenno a un posto segreto di Lorraine su al Ligg Beck, ma nessuno di loro sa dove si trovi». «Be', ovvio, dal momento che è segreto», disse Wield con la logica infantile che oramai le era familiare. Chiuse il fascicolo. Lei lesse al contrario DENDALE. Disse: «Niente dalla squadra di ricerca, sergente?». «Nessun segno». «Potrebbe essere molto lontana». «Super sembra supporre che siano ancora nei dintorni». Lei notò il plurale. Wield si accorse che aveva capito, ma non si corresse. «E lei cosa ne pensa, sergente?», gli chiese. Lui la guardò meditabondo. I suoi occhi, lo notava per la prima volta, erano stupendi, cerchi di azzurro Mediterraneo intorno a un'isola grigio scuro, circondati da un bianco immacolato, privo di capillari visibili. Era come trovare dei gioielli in mezzo alle rovine. Lui disse: «Credo che tu abbia un'idea che vorresti esporre. Qualcosa che ha a che fare con la familiare azzurra, giurerei». Tanto le bastò per aprirsi. Si mise di fronte alla cartina sul muro e disse: «Sulla strada di Highcross Moor non ci sono secondarie per circa sette chilometri, eccetto pochi sterrati che portano alle fattorie. Poi la strada ha una curva verso est e si unisce alla strada principale. Sull'incrocio c'è un pub, l'Highcross Inn. Quello che vorrei fare è controllare tutte le fattorie sulla strada e anche il pub, per appurare se qualcuno ha notato la familiare azzurra». Adesso che l'aveva spiegata ad alta voce, le suonava un po' fiacca. Era contenta che davanti a lei non ci fosse il Ciccione. Wield disse: «Abbiamo già mandato degli uomini in tutte quelle fattorie». «Sì, sergente. Ma avranno frugato fienili, magazzini, stalle e così via. Io farei una domanda specifica su una macchina ben precisa». «Hai un presentimento sulla familiare azzurra, vero?».
«Una specie», ammise lei, riluttante. «Hai mai vinto qualcosa alla Lotteria?». «Dieci sterline». «Non abbastanza per ritirarti se il signor Dalziel ti becca a correre dietro alle sensazioni» disse Wield. «Ma visto che non mi viene in mente niente di meglio da farti fare, vai pure. Resta in contatto, però. E se ti chiamiamo per farti tornare qui, non provare a fregarci dicendo che sulle colline la ricezione era pessima o stronzate simili. Chiaro?». «Ok, sergente. Grazie mille». E, girandosi velocemente, prima che lui potesse cambiare idea, scappò fuori nell'abbraccio sudaticcio e pulsante del sole. Quando salì in macchina vide la lucida Lada dell'ispettore George Headingley immettersi nel parcheggio. Passandogli di fianco, spinse al massimo la sua Golf, con un casuale gesto di saluto. George aveva sempre avuto la reputazione di uomo preciso ma, ora che il momento della pensione si stava avvicinando, il puntiglio si stava trasformando in vera e propria ossessione. In privato non spendeva un penny se non era necessario, e correva voce che avesse stabilito il momento di andare in pensione calcolando l'ora esatta, se non il minuto, in cui gli conveniva farlo. Dal punto di vista professionale lavorava sempre secondo le regole, e quando le regole non lo illuminavano sul da farsi, faceva quello che sapeva avrebbe fatto piacere al capo e a Andy Dalziel, non necessariamente in quest'ordine. Se fosse arrivato dieci minuti prima, senza dubbio l'avrebbe trattenuta. «Preparaci una tazza di te, Shirl» avrebbe detto, «poi puoi andare a rispondere al telefono fino a quando arriva Super». Ma adesso era libera, anche se all'interno di un confine ben definito. Diede gas sulla strada in salita, aprì il finestrino e si alzò la maglietta per rinfrescare la pelle sudata. Non si fermò fino a quando raggiunse la curva ripida in corrispondenza della quale Geoff Draycott pensava si fosse fermata la familiare azzurra. Rendendosi conto che molti sarebbero stati tentati di fermarsi in un punto simile per godersi il panorama, il consiglio comunale, apportando migliorie alla strada dovute alla crescente prosperità di Danby, aveva fatto costruire qualche struttura per creare una zona di sosta completa di cestino per i rifiuti. Siamo l'unica specie al mondo, si chiese, che in un luogo di grande bellezza naturale, se non trova un cestino della spazzatura sparge i suoi rifiuti ovunque?
Scese dall'auto e contemplò il panorama. Era meraviglioso, da qualunque punto lo si osservasse. Aveva con sé un binocolo e studiò con attenzione i tetti di Danby, ricoperti di ardesia grigia e azzurrina o di tegole rosse, gialle, brune e ocra, che si crogiolavano pacifici al sole sotto di lei. Poi seguì la linea serpeggiante del Ligg Beck nella vallata. La sensazione di profondo benessere che iniziava a riemergere svanì di colpo quando il suo sguardo intercettò una Range Rover della polizia, che le ricordò la ragione per cui era andata là. Scorse Maggie Burroughs, con in testa un cappellino di paglia molto poco professionale, che studiava una mappa sullo scivolo aperto del veicolo e parlava alla radio. Leggermente discosto, immerso in una fitta conversazione con il sergente Clark, c'era Peter Pascoe, in maniche di camicia, la pelle chiara lievemente arrossata: un gentleman degli anni venti durante una passeggiata bucolica. Lei continuò a scandagliare la vallata, muovendo lentamente il binocolo, superando la Range Rover per circa un chilometro, finché, seguendo la leggera curva a est, l'imboccatura della valle fu fuori dalla sua portata. Infine compì una rotazione completa e guardò la sezione più vicina, quella che giaceva esattamente sotto i suoi piedi. Questo sì che era interessante. Più si innalzava, più la vallata si restringeva e questo, aggiunto alla collocazione del punto panoramico su uno sperone del terreno, significava che la fessura profonda che segnava la parte più alta del corso d'acqua era relativamente vicina. Naturalmente le increspature e le cavità del terreno ne nascondevano buona parte. Ma un uomo lì in piedi che osservasse una bambina che camminava lungo il sentiero di fianco al dirupo, diciamo in quel punto là, non avrebbe avuto problemi a scendere sul fianco della valle, molto meno scosceso da quel lato che dalla parte del Neb, e tagliarle la strada... diciamo là. Abbassò il binocolo e studiò la scena a occhio nudo. Adesso tutto sembrava più distante. Be', logico, no? Però non c'era motivo di credere che quel qualcuno fermo lì non avesse un binocolo. E con quello sarebbe stato anche troppo facile capire che quello che si stava osservando era una bambina piccola, sola a eccezione di un cane, piccolo quanto lei... Una semplice teoria, ovvio. Che non poteva certo sciorinare nuda e cruda di fronte agli sguardi scettici della Trinità. Ma rivestendola di un paio di fatti rilevanti... Studiò attentamente il terreno sul bordo della piazzola, nella speranza di trovare un indizio che qualcuno si era effettivamente calato dal pendio. Ma
subito si rese conto che non era un modo produttivo di impiegare il suo tempo. Non era Chingachgook, che leggendo l'erba e l'erica avrebbe potuto stabilire chi era passato di là, e quando. E poi era probabile che ogni bambino che era passato di là avesse percorso un pezzetto della discesa. Andò alla macchina, prese un paio di guanti di gomma ed estrasse il sacchetto della spazzatura dal cestino. Era pieno. Il giorno prima, al tramonto, il posto doveva essere stato molto gettonato, e la presenza di un giornale domenicale in cima ai rifiuti indicava che il cestino non era stato ancora svuotato da allora. Versò a terra il contenuto e iniziò a esaminarlo minuziosamente, partendo dagli strati inferiori. Dalle lezioni di latino del collegio riemerse la parola haruspex, aruspice: un indovino che basava i suoi pronostici sulla lettura delle interiora degli animali. Un buon nome per quegli investigatori dell'FBI che, aveva letto, erano specializzati nell'interpretazione della spazzatura. Forse anche Scotland Yard o l'M15 avevano qualcuno di questi esperti, ma al corso di addestramento del MidYorkshire la materia non era molto richiesta. Era possibile che un esperto riuscisse a fare faville con i contenitori del cibo e i vari sacchetti che formavano la maggior parte dei rifiuti, ma Novello si concentrò sul resto, e dopo alcuni minuti isolò una batteria al litio da 3V del tipo utilizzato per alcune macchine fotografiche, un pacchetto vuoto di Marlboro Lights, due giornali domenicali (un quotidiano e una rivista), un orecchino rotto e un pezzo di stoffa con una macchia marrone che poteva essere sangue. Questi ultimi li imballò separatamente. Rimise il resto nel sacco di plastica, che chiuse con il nastro adesivo e caricò nel baule dell'auto. Non aveva molte speranze che trovassero qualcosa che avesse a che fare col caso, ma se fosse successo, non voleva dover dire a Dalziel che il resto delle prove giaceva in qualche discarica municipale. Quindi studiò la cartina. C'erano quattro fattorie che valeva la pena di visitare. Era decisamente ottimista. Sentiva che le cose si stavano mettendo bene. Un paio d'ore più tardi, le cose erano arrivate a un punto morto. Trovare le fattorie era stato semplice. Trovare tutta la gente che poteva essere stata nei dintorni la domenica decisamente meno. Presto, mentre attraversava faticosamente campi incolti di erba ed erica e si escoriava le ginocchia e i gomiti scavalcando con difficoltà muretti a secco, tutto quello che rimase della sua 'sensazionÈ furono i muscoli doloranti e l'inizio di un eritema da calore alle ascelle.
Ma era determinata a far sì che, qualunque critica potessero muoverle, non fosse di mancanza di entusiasmo. L'accuratezza è premio a se stessa, le aveva detto una volta un'anziana insegnante. E quando si accinse a lasciare l'ultima fattoria, dovette riconoscere di non aver ottenuto niente di più. Così, alla fine, si diresse verso l'Highcross Inn. VI C'era un cartello con scritto PARCHEGGIO RISERVATO AI SOLI RESIDENTI a ciascuna estremità di Holyclerk Street. Dalziel si intrufolò in un posto di fronte a un'anziana signora, la quale esaminò con rabbia il suo parabrezza per trovare il permesso da residente e, non trovandolo, fece per scendere dall'automobile e presentare le sue rimostranze; poi, sbirciando il faccione che la osservava con la benevolenza di Buddha, sentì svanire la sua automobilistica indignazione e tirò dritto. Se anche la signora avesse seguito l'istinto iniziale e avesse lasciato cadere un cerino acceso nel serbatoio della benzina di Dalziel, Holyclerk Street non ne sarebbe stata sorpresa. Nel corso della sua lunga storia ben poche emozioni e appetiti umani non le si erano disvelati. Il suo nome sottolineava il legame con la grande cattedrale che svettava al di sopra delle abitazioni come una nave di linea nell'oceano su una flotta di bettoline. Era 'in zona campane', il che significava che chiunque vivesse nella strada poteva partire a passo veloce sulla prima nota di qualunque sacro appello ed essere certo di trovarsi al suo posto in chiesa entro l'ultima. Ormai un'abitazione 'in zona campanÈ costava di norma almeno il 20% in più di una casa corrispondente al di fuori di quell'area. Ma non era sempre stato così. L'originale strada medievale, che ospitava il seminario dal quale prendeva il nome, durante il regno della regina Anna era precipitata nella rovina e nella desolazione più cupe. Le case di legno avevano subito tanti e tali rovesci ed erano state rattoppate e puntellate così spesso da avere l'aspetto di veterani ubriachi e barcollanti al ritorno da una durissima guerra. Nessuna persona di buon senso, in buona salute e benestante si sarebbe mai sognata di occuparne una: perciò erano tutte scese al rango di bettole, pensioni pulciose e bordelli. Che un sottobosco tanto sordido potesse svilupparsi a uno sputo dalla
cattedrale fu considerato da numerosi cittadini integerrimi come un'offesa contro Dio e contro l'Uomo. Casualmente, però, un congruo numero dei sunnominati cittadini integerrimi era proprietario delle suddette case, e ne ricavava anche parecchio, per cui l'Uomo tardò tanto a trovare un rimedio che Dio perse la pazienza. Una buia notte di settembre, dopo essersi prima sincerato che il vento soffiasse dalla parte giusta, Egli fece mettere un piede in fallo a una puttana ubriaca e al suo geriatrico innamorato mentre salivano la scala verso il letto pidocchioso di lei, fece volare come una meteora, attraverso un buco delle tavole di legno marcite, la loro torcia accesa, la quale atterrò in cantina, proprio dentro una botte aperta di brandy illegale. L'incendio che si scatenò lasciò una cicatrice cinerea che per anni fu indicata come la prova evidente della collera divina, ma quando la sua superficie iniziò a suppurare in una combinazione di baraccopoli e di mercato irlandese, gli Anziani della città prevennero l'intervento divino ripulendo l'area da elementi indesiderati e creando un programma urbanistico di abitazioni per gli alti dignitari della Chiesa. Erano queste eleganti residenze che ora si trovavano sotto lo sguardo scarsamente impressionato di Dalziel. Sapeva poco della storia medievale e degli incendi del diciottesimo secolo, ma ricordava bene il periodo in cui i proprietari danarosi avevano ostentato la loro danarosità migrando nella cintura verde e lasciando che Holyclerk Street si frammentasse in appartamentini per studenti e uffici volanti. Ma la Chiesa aveva mostrato i suoi muscoli finanziari (questo prima che i suoi rappresentanti dimostrassero la loro incapacità a servire sia Dio che Mammona perdendo diversi milioni di sterline), e aveva acquistato e ristrutturato; il colpaccio era arrivato quando un adattamento televisivo di enorme successo dei romanzi di Barchester aveva gettato un'aura romantica sui circondari delle cattedrali, inaugurando la moda del vivere 'in zona campane'. Il sole calava la sua lama dorata esattamente sul centro della strada e non c'era un filo d'ombra. Dalziel pensò di seguire l'esempio del proprietario di una cabriolet bianca parcheggiata di fronte a lui, capote abbassata e costoso impianto stereo in bella evidenza. Una simile fiducia era giustificata, in quel quartiere ecclesiastico. Abbassò il finestrino quel tanto che bastava per fare entrare un filo d'aria, si allontanò di un paio di passi, poi si ricordò i succitati rappresentanti ecclesiastici, e tornò a richiudere il finestrino. Passando per la seconda volta di fianco alla cabriolet bianca notò che si trattava di una Saab 900, di proprietà di una compagnia di noleggio nazio-
nale. Controllò il permesso di parcheggio per residenti. C'era scritto 'provvisorio' e l'indirizzo era Holyclerk Street 41. La casa dei Wulfstan. Sollevando lo sguardo al campanile della cattedrale, annuì soddisfatto e si incamminò. Al numero 41 suonò brevemente il campanello, poi fece un passo indietro e attese. Nella precedente incarnazione di strada lussuosa, immaginava che la porta di casa venisse aperta esclusivamente da cameriere in uniforme, ma al giorno d'oggi la schiera del personale di servizio si era assai assottigliata, anche perché chi andava in cerca di lavoro non era il genere di persona che si sarebbe inchinata fino a terra davanti a quei buoni a nulla che avevano bisogno di servitù. Riconobbe istantaneamente la donna che aprì la porta, anche se non si vedevano da quindici anni. E l'espressione di Chloe Wulfstan dimostrò che anche lei lo aveva riconosciuto. «Signor Dalziel», disse. Gli anni non l'avevano cambiata molto. Per la verità, sembrava addirittura molto più giovane dell'ultima volta che l'aveva vista, ma la cosa non era poi così sorprendente. Allora, la notizia della sparizione di sua figlia non solo aveva fatto defluire il sangue dal viso, ma aveva anche prosciugato la carne sulle ossa. Lui però non l'aveva mai vista piangere, e qualcosa gli diceva che non aveva mai pianto nemmeno in privato. Tutta la sua energia si era consumata nel tentativo di non cadere a pezzi, anche a prezzo di rinchiudere tutte le sue emozioni dentro di sé. Era insensato star lì a gingillarsi. Disse: «Mi spiace disturbarla, signora Wulfstan. Sa già della bambina sparita a Danby?». «L'ho sentito alla radio» disse «e l'ho letto sul giornale di stamattina. Ci sono novità?». La voce era ferma, convenzionalmente educata, come se lui fosse il vicario e lei lo invitasse a prendere una tazza di tè. Si ricordò che quindici anni addietro la sua inflessione recava ancora una traccia del fatto che era nata e cresciuta all'Heck Farm; un accento da persona istruita, certo, ma con una cadenza che ricordava che lei era una ragazza del Mid-Yorkshire. Ora era completamente sparito. Avrebbe potuto presentare l'Angolo della donna. Guardando oltre le sue spalle vide un ingresso adorno di stampe di soggetto musicale. Da un'ampia scala ruscellavano le note di un pianoforte e
una voce di donna che cantava. Quando la tua cara madre entra dalla porta Ed io giro il capo per guardarla Non cade il mio sguardo per primo sul suo viso Ma cerca accanto a lei Il punto... Ci fu un suono disarmonico, come se qualcuno avesse battuto la mano sulla tastiera del pianoforte, poi una voce maschile disse: «No, no. Troppo, troppo in anticipo. In questo momento, lui sta ancora cercando di essere realistico, sta cercando di razionalizzare il suo comportamento irrazionale». Quella voce. Gli sembrava di conoscerla. Entrambe le voci, in effetti. Quella femminile era la ragazza che aveva sentito cantare alla radio da Pascoe il mattino prima. E oltretutto cantava la stessa dannata canzone. La memoria lo riportò alla prima volta che le aveva sentite... Si strappò da quel pensiero e tornò all'altra voce, quella dell'uomo. Quell'inglese quasi troppo perfetto. Era sicuro che fosse Testa di Rapa. Nonostante Wield gli ricordasse di frequente che Arne Krog era norvegese e non svedese, Dalziel aveva insistito nel suo terribile scherzo. Il bastardo puttaniere aveva osato una volta correggere il suo inglese, e Dalziel era un Dio che non perdona. «Signor Dalziel?», disse Chloe Wulfstan. Si rese conto di non avere risposto alla domanda. «No. Nessuno sviluppo», disse. «Mi dispiace» disse. «Come stanno... no, non ho bisogno di chiederlo». «Come stanno i genitori?» completò lui. «Esattamente come pensa lei. Forse conosce la madre. Veniva da Dendale. Il suo nome da ragazza è Elsie Coe». «La figlia di Margaret Coe? Mio Dio. Margaret è stata molto malata l'anno scorso, e la sua guarigione è sembrata un miracolo. Mi chiedo se non sia una maledizione. Le sembra una cattiveria, signor Dalziel?». Lui si strinse nelle spalle, impassibile, dichiarandosi così poco interessato, se non poco qualificato, a giudicare. Lei proseguì, in un tono stranamente meditabondo: «Mi sono abituata a pensare cose cattive, sa? Quando vedevo i visi pieni di compassione delle donne come Margaret Coe, ero solita pensare: dentro di te sei felice che sia
toccata a me, e non a te, sei felice che abbiano preso la mia Mary e non la tua Elsie, o...». Si fermò, come se qualcuno le avesse ricordato i suoi doveri di ospite, e disse bruscamente: «È venuto per vedere Walter, signor Dalziel? È in casa, ma è nel mezzo di una riunione per il festival. Devono trovare una nuova sede per il concerto di apertura... ma, ovviamente, lei lo sa già. Sono stata proprio incivile a farla stare sulla soglia. La prego, entri. Vado a dirgli che lei è qui». Lui avanzò nell'ingresso. Era un sollievo togliersi dai raggi diretti del sole, ma, nonostante tutte le finestre fossero spalancate, il suo calore era entrato insieme a lui. Verrebbe da credere che un imbecille nel ramo dell'energia solare avesse almeno un impianto di condizionamento, mugugnò Dalziel dentro di sé. Chloe Wulfstan bussò leggermente a una porta, l'aprì e scivolò dentro. Nella breve occhiata che lanciò alla stanza, che sembrava un studio all'antica rivestito di pannelli di quercia, Dalziel vide tre persone, una di fronte, una di profilo e una la cui testa spuntava dallo schienale di una poltrona. Ma fu quella testa vista da dietro a calamitare la sua attenzione. Sentì qualcosa dentro che si stringeva, lo stomaco, o forse il cuore, non era possibile una maggiore precisione anatomica, ma era una sensazione che non provava da lungo tempo. La porta si riaprì e la signora Wulfstan uscì. Di sopra avevano ricominciato. Il punto dove sarebbe il tuo visino adorato Se tu fra risa e allegria... La donna sulla poltrona aveva girato la testa e stava sbirciando fuori. I loro sguardi si incrociarono. Poi la porta fu chiusa. «Chiede se può concedergli solo un minuto» disse Chloe Wulfstan in tono di scusa. «Vorrebbe portare a termine la riunione, così gli altri membri del comitato non saranno costretti ad attenderlo. Venga con me, per favore». Lo fece entrare in un salotto sul retro della casa, con porte-finestre spalancate su un lungo giardino il cui prato mostrava gli effetti della prolungata siccità. «Siamo stati tentati, ovviamente» disse lei, seguendo il suo sguardo. «Ma purtroppo temo che siamo diventati tutti vigilantes delle risorse idri-
che, e se qualcuno si accorgesse che il nostro prato è un po' troppo verde... È anche giusto, immagino. Ma quando penso che abbiamo rinunciato a Dendale per assicurarci una fonte sicura per il futuro... fa riflettere, non le sembra?». Il suo tono era ora diventato brillante, cortese e leggero. «Sì» disse lui. «Il bacino è proprio basso. Non è mai andata a dare un'occhiata, signora Wulfstan?». «No» disse la donna. «Non ci vado mai, signor Dalziel». Dalziel la studiò per un istante, tirandosi il carnoso labbro inferiore. Fu interpretato come uno sguardo di scettica valutazione, ma in realtà i suoi occhi vedevano un viso completamente diverso. «Gradirebbe qualcosa di fresco da bere?», chiese Chloe Wulfstan. «Eh? Come? Ah sì, sarebbe bello» disse. «A proposito, c'è un'auto, qui fuori, una Saab bianca, con un permesso visitatori...». «È di Arne. Ricorda Arne? Arne Krog, il cantante. Sta da noi durante il festival. E anche Inger, la sua accompagnatrice. È qui anche lei». «Ovvio che c'è anche lei. Se lo accompagna...», disse Dalziel. Sorrise per farle capire che era un tentativo di battuta, ma lei ebbe un'espressione solo lievemente sconcertata, quindi uscì dalla stanza. Le vecchie abitudini non muoiono mai, e Dalziel iniziò subito a gironzolare, osservando le carte su un mobile aperto, cercando di aprire uno strano cassetto; ma il suo cuore era lontano da lì. Di sopra, il piano si interruppe di nuovo e ci fu un altro scoppio di voci. Improvvisamente la porta venne aperta e una donna alta e snella irruppe nella stanza. Indossava calzoni neri di cotone e una maglietta nera che accentuavano il candore della carnagione e la tonalità lunare dei lunghi capelli biondo cenere. Nel vedere Dalziel si bloccò di colpo e lo guardò impassibile con gli occhi grigio ardesia, che in qualche modo sembravano senza età se paragonati al resto di lei, che con ogni evidenza apparteneva a una donna poco più che ventenne. Lui ritrovò la voce e contemporaneamente tornò al suo posto, poi disse: «Piacere, signorina Wulfstan. Sono il sovrintendente Dalziel, polizia investigativa». Se pensava di impressionarla, rimase deluso. Piuttosto gli sembrò divertita, e un debole sorriso sfiorò il suo viso immobile e allungato, come un trasalimento di sole su un laghetto di montagna. «Piacere mio, sovrintendente. C'era qualcuno ad accoglierla, o si è semplicemente introdotto in casa?». Per un istante pensò che se lo stesse prendendo per i fondelli imitando il
suo accento. Mentre cercava di decidere tra una reazione obliqua ('ti brucia la gola perché hai cantato troppo, dolcezza?') e una diretta ('ti sei fatta una donna matura, sempre che il cervello sia proporzionato alle tette'), entrò nella stanza un'altra donna, anche lei bionda ma più bassa e robusta, più vecchia di una ventina d'anni. Disse: «Abbiamo finito? Se sì, vado a prendere il sole». «È inutile chiederlo a me, tesoro. Non sono io quella che fa tutto il bordello. Sarà meglio che tu lo chieda al nostro signore e padrone. È lui che tutto sa e tutto decide». L'accento dello Yorkshire c'era sempre. Dunque, non lo stava prendendo per i fondelli. Dalziel si sentì solo moderatamente soddisfatto di non avere dato una rispostaccia, dato che l'imbarazzo non faceva parte del suo bagaglio. «Arne sarà d'aiuto finché lo vorrai tu», replicò l'altra donna. Si trattava di Inger Sandel, la pianista. Aveva messo su peso negli ultimi quindici anni, e lui forse non avrebbe riconosciuto la fisionomia. Ma la sua voce, con quel piatto accento scandinavo, innescò un ricordo. Non che tanti anni prima avesse parlato molto, e la cosa non aveva niente a che fare con l'uso di una lingua straniera, dato che, accento a parte, il suo inglese era eccellente. Semplicemente, lei non parlava mai più di quanto la situazione richiedesse. Forse voleva conservare le energie per la musica, benché anche in quel campo avesse deciso di essere solo un'accompagnatrice. Nel ricordo di Dalziel, la voce che apparteneva a quel viso usciva da una porta aperta dicendo: 'Nei recital di Lieder, il pianista e il cantante sono soci alla pari'. Ma per Andy Dalziel, un accompagnatore sarebbe sempre stato qualcuno che pestava una marcetta sul pianoforte mentre i ragazzi del bar esprimevano urlando il loro amore per Annie Laurie o il loro odio per Adolf Hilter. «Aiuto!» esclamò Elizabeth Wulfstan. «E tu chiami aiuto quel suo insopportabile fare le pulci a tutto?». Nella voce si avvertì un leggero calore, che conferì una certa forza alla domanda. «Credo che ti debba ritenere fortunata di avere qualcuno con l'esperienza di Arne a consigliarti», disse Inger, concreta. «Trovi? Bene, se è tanto fottutamente bravo, perché non lo chiamano a cantare alla fottuta Scala di Milano?». «Perché il Mid-Yorkshire fa molto più tendenza di Milano in questo periodo dell'anno, o almeno finora era così», disse Arne Krog, con una per-
fetta scelta di tempo per l'entrata, dovuta, Dalziel era pronto a scommetterci, all'aver origliato la conversazione dal corridoio. Brutto segaiolo. Ma non si poteva negare che Testa di Rapa fosse invecchiato bene. Un po' appesantito, nell'insieme, ma con il solito modo di muoversi fluido, bello come sempre con quella leggera aria di celato divertimento sulle labbra che un tempo faceva andare in bestia Dalziel. Ora però, alla vista dell'adiposo detective, rimase serio e avanzò con il braccio teso, dicendo: «Signor Dalziel, come sta? È passato molto tempo». Si strinsero la mano. «Mi fa piacere vederla, signor Krog» disse Dalziel. «Mi dispiace solo per l'occasione. Avrà sentito sicuramente che da Danby ieri mattina è sparita una bambina. Stiamo cercando possibili testimoni». «Ed è venuto a cercare me?» chiese Krog, annuendo come se questo confermasse un suo sospetto. «Certo, ero a Danby ieri, ma non so se posso aiutarla. Comunque, per favore, mi faccia tutte le domande che vuole. Forse ho visto qualcosa senza rendermi conto della sua importanza». Dalziel non si lasciò impressionare dalla sua disponibilità. Lasciare l'automobile in piena vista vicino alla scena di un crimine potrebbe essere tanto una prova di distrazione quanto di innocenza, e mentre all'inizio si può sperare che nessuno l'abbia notata, quando si capisce che è accaduto il contrario è meglio ammettere senza indugi la propria presenza. Disse: «Può darsi. Ha parcheggiato ai margini del Ligg Common, giusto?». Aveva preso lì per lì la decisione di interrogarlo di fronte alle altre due. Rendeva tutto più casuale, meno minaccioso. Tra l'altro, gli forniva un pubblico che conosceva Krog molto meglio di quanto non lo conoscesse lui, e mentre c'erano scarse possibilità che un performer tanto consumato si lasciasse prendere dal panico da palcoscenico, se avesse fatto ricorso a qualche trucco scenico le donne avrebbero potuto notarlo e mostrare qualche reazione. Nessuna delle due accennò a voler uscire dalla stanza o fece nulla per nascondere l'interesse per quello che i due uomini stavano dicendo. «Esatto». «Perché?». Molte persone si sarebbero dimostrate sconcertate, o avrebbero finto di esserlo, costringendolo a una precisazione. Krog non lo fece. «Ieri mattina mi sentivo irrequieto, oppresso dal caldo e dalla città. Così, ho preso la macchina e sono fuggito in campagna. Avevo bisogno di pas-
seggiare in un posto dove l'aria fosse più fresca e dove poter restare da solo, in modo che, se avessi voluto fare qualche gorgheggio a pieni polmoni, avrei spaventato solo le pecore. Ho scelto Danby perché conosco la zona lì intorno. Ho cantato spesso alla St Michael's Hall negli scorsi festival, e mi piace sempre fare una passeggiata da solo prima di uno spettacolo». Abbastanza esauriente, pensò Dalziel. Guardò Elizabeth Wulfstan. Aveva qualcosa che lo disturbava. Forse erano gli occhi da vecchia in quel viso da ragazza. Disse: «E tu, cocca? Ti piace passeggiare prima di uno spettacolo?». Lei scosse il capo. «No, a me no. Io mi prendo una bella sbronza», disse. «E lei, signorina?», rivolto alla Sandel. «No, mi tengo in allenamento per necessità, non per divertirmi», rispose lei. Riportò la sua attenzione su Krog. «Allora, dove l'ha portata la sua passeggiata?». «Attraverso il Common Ligg, sulla destra, forse a est? Non sono tanto ferrato in materia di punti cardinali». «Sì, est. Non sul sentiero del ruscello, allora?». «No. Avevo pensato di passare dal ruscello, ma quando sono uscito dall'auto e ho realizzato che caldo faceva, ho preferito andare dall'altra parte. In quella direzione c'è un fondo coltivato, con alberi... non alberi alti, giusto un bosco ceduo, ma almeno è ombreggiato. La ragazzina è scesa dal sentiero del ruscello, no? Vorrei averlo preso anch'io. Forse, se l'avessi fatto...». Chloe Wulfstan tornò nella stanza, portando a Dalziel la bibita fresca. Mentre gliela porgeva, dietro di lei Krog fece un leggero cenno del capo, invitandolo a non continuare il suo interrogatorio in presenza di lei. Ignorando il gesto, Dalziel gustò la limonata appena spremuta e disse: «Fantastica, cocca. Sicché non ha visto niente, signor Krog?». «Ovviamente ho visto il cielo, la terra e gli alberi, e ho sentito gli uccelli, le pecore e gli insetti. Ma non ho visto né sentito altre persone. Mi dispiace». «Troppo giusto. E ha visto anche il Neb, immagino». «Che cosa?». Per la prima volta non sembrava in possesso di tutte le informazioni. «Il Neb. Trovandosi dall'altro lato della vallata, non avrebbe potuto evi-
tare di guardarlo, credo. Non le è venuto in mente di andare a zonzo su per di là prendendo Corpse Road, diciamo, e dare un'occhiata a Dendale dall'alto?». Stava ancora parlando al di sopra della spalla della signora Wulfstan, gli occhi di lei fissi sul suo viso. «No, non l'ho fatto» disse Krog con rabbia. «Le ho già detto ciò che ho fatto, signor Dalziel. Se ha altre domande, il minimo dell'educazione, per non dire della decenza, impone che me le ponga altrove». «Perdinci, devo ammettere che lei parla inglese meglio della maggior parte di noi nativi, signor Krog», disse Dalziel. Mentre parlava, catturò lo sguardo di Elizabeth Wulfstan e le indirizzò una breve strizzatina d'occhi, con la quale si guadagnò di nuovo quel sorriso breve e a fior di labbra. Chloe Wulfstan disse: «Se qui ha finito, sovrintendente, la riunione di Walter è terminata. Pensava che forse preferirebbe parlargli in privato, perciò se vuole seguirmi nello studio...». «Grazie, cocca», disse Dalziel. Finì la limonata, le porse il bicchiere, fece un cenno cordiale alle due donne e uscì. Arne Krog li seguì. «Vuole vedere Walter sempre per la storia della bambina?», chiese. «Così pare», rispose Dalziel. «Crede veramente che abbia a che fare con Dendale, dopo tanti anni?». «C'è qualche ragione per cui dovrebbe, signor Krog?». «Sono passato da Danby ieri mattina, ricorda? Ho visto quella scritta sotto il ponte della vecchia ferrovia» disse Krog cupo. «All'inizio non ci ho fatto caso. I graffiti, al giorno d'oggi, sono come la pubblicità. Vedi i segni senza registrare il messaggio, almeno non consciamente. Ma più tardi, quando ho saputo...». «Non bisogna balzare subito alle conclusioni», disse Dalziel, con l'autorità benevola di chi, nella vita, ha fatto balzi ben più sorprendenti di un campione di salto in alto. «Ha ragione. Ma per favore, la supplico, pensi a Chloe, la signora Wulfstan. In questa casa cerchiamo di evitarle qualunque possibile collegamento con quel periodo da incubo». Lasciò che la nota accusatrice suonasse forte e chiara. «Assai nobile» disse Dalziel, «ma è tempo sprecato». «Prego?». «Riesce a immaginare un solo giorno, negli ultimi quindici anni, in cui lei non abbia pensato alla figlia, signor Krog?» disse Dalziel. «In casi co-
me questi, solo lo svegliarsi la mattina la fa pensare a ciò che è accaduto». Parlò con grande impeto e Krog lo guardò incuriosito. «Questo vale anche per lei, sovrintendente. Anche lei ci ha pensato, immagino». «Sicuro. Ma non tutti i giorni. E non come lei. Ho perso solo un sospetto, non una figlia». «Forse se avesse perso una figlia, non avrebbe perso anche il suo sospetto», disse Krog, facendo un movimento brusco con la mano destra. «Per essere uno straniero, signor Krog, non è completamente stupido», disse Andy Dalziel. VII Essendo Peter Pascoe, come lo definiva Ellie, se non proprio un Uomo Nuovo, sicuramente un uomo usato del tipo 'precedente proprietario una vecchietta che la usava solo la domenica, basso chilometraggio garantito e documentazione completa acclusa', aveva fatto del suo meglio per farsi piacere l'ispettrice Maggie Burroughs, ma non c'era verso. Che fosse efficiente era fuor di dubbio. Che si fosse autoeletta cerimoniere non ufficiale per tutte le donne poliziotto del Mid-Yorkshire era addirittura encomiabile, data la quantità di femmine ambiziose che adottavano il principio thatcheriano del sono a bordo, tirate su la passerella! Che fosse socievole, ragionevole e desiderabile era opinione comune. Eppure... eppure... «Non credo che mi sarebbe stata simpatica nemmeno se fosse stata un maschio», aveva detto Pascoe alla moglie, sforzandosi di convincerla che non si trattava di discriminazione sessuale. La reazione di Ellie, indecisa tra un urlo di rabbia e una risata, l'aveva preso un po' alla sprovvista. Per fortuna lei aveva optato per la seconda possibilità, anche dopo che lui aveva aggravato il suo involontario atto di condiscendenza aggiungendo: «No, no, te lo giuro, io la vedo veramente come il futuro della Polizia...». «Giusto. E come la maggior parte degli uomini che si avvicinano a una certa età, l'ultima cosa alla quale riesci a guardare con serenità è il futuro». Forse aveva ragione lei. Ma non proprio in tutto. Perché un fattore fondamentale, che però non poteva addurre come motivazione esplicita, della sua antipatia nei confronti della Burroughs era che aveva capito che a lei di Ellie non importava un fico secco, e questo, spe-
cie da parte di una donna, dimostrava una carenza di senso comune tanto irriducibile quanto imperdonabile. A differenza di Dalziel, che lasciava trasparire l'antipatia come le chiappe da un paio di pantaloni stracciati, Pascoe nascondeva la sua dietro l'affabilità sorridente. «Ciao, Maggie» disse. «Come sta andando?». «Niente di niente, finora» rispose lei. «Comincio a credere alla gente del posto quando dice che non si trova qui». «Ti riferisci all'auto? Se ne sta occupando Shirley Novello. Non che ottenga dei grandi risultati, bada». Lui fece un'espressione amareggiata, per dissociarsi dalla scarsa considerazione che il Ciccione aveva dell'agente Novello, ma Maggie Burroughs stava scuotendo il capo. «No, non un'auto, ma fantasmi, demoni ed esseri mostruosi che vanno a sbatacchiare di qua e di là nella notte, o al mattino, in questo caso. Sono convinti tutti che l'abbia rapita il giovane Benny, e la cosa prende piede. Qual è la linea ufficiale su questo, signore? Voglio dire, sono tutte balle, no?». «Benny è per Danby quello che Freddy è stato per Elm Street» disse Pascoe. «Una leggenda nata da un'orribile realtà». Vide che lei cercava di nascondere un sorriso, e capì di essere stato un po' troppo pomposo. «Si assicuri solo che ogni centimetro di terreno venga setacciato» disse brusco. «C'è il sergente Clark?». «Sì. Sta sfruttando le sue conoscenze locali con risultati stranamente scarsi», disse Burroughs sprezzante. «È un brav'uomo» disse Pascoe. «Lo sapeva che quando è successa tutta la faccenda a Dendale, quindici anni fa, lui era il poliziotto del posto?». «Dubito che esista un essere umano al di sopra dei due anni al quale non l'abbia detto» disse Burroughs. «Dovrebbe essere qua intorno, da qualche parte». Davanti agli occhi gli apparve una scritta ammonitrice: Fatti degli amici, a meno che tu non ti senta tanto forte da farti dei nemici, ma la tenne per sé. Forse lei era la versione in embrione di Andy Dalziel. Quanto a Pascoe, la sua filosofia personale era: Non sei costretto a sopportare di buon grado gli stupidi, ma il più delle volte è sensato sopportarli in silenzio. Ad ogni modo, non credeva che Clark fosse tonto, era solo il genere di sergente vecchio stampo, imperturbabile e tutto d'un pezzo che i tipi superefficenti
come la Burroughs consideravano dinosauri. Trovò Clark che tirava lunghe boccate da una sigaretta nell'ombra avara di un fitto cespuglio di ginestroni. Quando vide Pascoe, buttò il mozzicone con gesto colpevole e lo nascose sotto il tacco. «Si assicuri che sia spento» disse Pascoe. «Può anche scegliere di distruggersi i polmoni, ma non voglio che appicchi un incendio. Dunque, mi dica di Jed Hardcastle». «Ah, già, Jed. Una cosa che lei deve sapere, è che Jed è il più giovane degli Hardcastle usciti da Dendale...». «Sì, sì, e vive a Stirps End e ha una sorella, June, e non vanno d'accordo con il loro padre. Conosco già tutta la storia» disse Pascoe impaziente. «Quello che voglio sapere da lei è perché crede che sia l'autore della scritta». Aveva ottenuto le informazioni dalla signora Shimmings, senza sospettare quanto la sua interruzione avesse seccato Shirley Novello. «Jed Hardcastle?» aveva detto la direttrice. «Sì, lo conosco bene. La sorella maggiore era una delle bambine di Dendale, ma penso che lei lo sappia». «Sì» aveva detto Pascoe. «Mi dica di Jed». «Bene. Era il minore dei tre ragazzi Hardcastle, aveva solo due anni quando si trasferirono qui, così ha frequentato le scuole a Danby». «Allora il trasferimento non ha avuto un grande effetto su di lui?». «Crescere in una famiglia dove è sparita una bambina deve avere avuto qualche effetto, suppongo» aveva detto lei con tono tranquillo. «E nel caso degli Hardcastle, non ci sono dubbi in proposito. Nessuno degli altri bambini è mai stato autorizzato a dimenticare ciò che era successo a Jenny. Cedric si biasimava per non averla sorvegliata maggiormente e, di conseguenza, ha cresciuto June, la sorella più giovane, come se dovesse diventare l'Imperatrice della Cina. Non poteva fare niente senza il più stretto controllo. Finché era una bambina la cosa non ebbe grandi ripercussioni, ma da adolescente... be', lei sa come sono le teenager». «Non vedo l'ora di scoprirlo» aveva detto Pascoe. «Mia figlia ha sette anni». «Allora bisogna che lei stia in guardia. A sette anni, June era una bimba quieta e ubbidiente, ma quando arrivò a quindici dentro di lei covava la ribellione. Un giorno scappò in città. La trovarono e la riportarono a casa. Aspettò un anno, poi scappò ancora, stavolta a Londra. Ci vollero mesi, ma
finalmente riuscirono a mettersi in contatto con lei. Ma qui non tornerà mai più, questo lo ha chiarito in maniera definitiva». «E Jed?». «Stessa storia, anche se per strade diverse. E lui ha sofferto doppiamente. Per eccesso di protezione, quando avrebbe dovuto imparare a volare da solo. E perché qui nello Yorkshire si dà per scontato che l'unico figlio maschio di un agricoltore debba seguire le orme del padre dopo la sua morte, ma nel frattempo sia costretto a lavorare senza essere pagato e senza godere di alcun privilegio, come qualunque aiutante della fattoria. Il fatto che Jed fosse un ragazzo di costituzione delicata e di indole particolarmente sensibile non è stato d'aiuto. Sentirsi dire che la sorella morta, quando aveva la metà dei suoi anni, lavorava il doppio di lui non dev'essere stato molto incoraggiante». «Ma non ha seguito la sorella nella fuga in città?». «No. Ha combinato qualche pasticcio, niente di serio, atti vandalici da adolescenti, quel genere di cose. E la vita in fattoria si riduceva a un continuo scambio di insulti con il padre, penso. Dio solo sa come sarebbe potuta finire questa faccenda, ma il signor Pontifex - la fattoria che ha in affitto Cedric è sua - capì che aria tirava e prese il giovane Jed sotto la sua ala protettrice, trovandogli un lavoro all'agenzia immobiliare. Come ho detto, è un ragazzo intelligente, afferra le cose al volo, può dare molto se collocato nell'ambiente giusto». «Che non sono le stalle da pulire...». «Direi proprio di no, soprattutto quando tuo padre ti ripete in continuazione che sei un essere inutile», aveva detto la signora Shimmings. «E vive ancora in casa dei suoi?». «Questo è il nocciolo della questione» aveva risposto lei. «Su una cosa siamo tutti d'accordo: se anche Jed se ne va di casa, come minimo sua madre si ammazza, o ammazza il marito». Senza dubbio avrebbe potuto ottenere alcune di queste informazioni da Clark, ma poiché si trattava di tracciare il profilo psicologico del ragazzo di Danby, preferiva l'occhio più esperto e professionale della signora Shimmings. Clark disse: «Dopo che abbiamo parlato, ieri, ho buttato giù una lista di persone. Abbiamo già avuto problemi qualche tempo fa con qualche mattacchione armato di bomboletta spray e sono risalito a sei di loro...». «Ma non Hardcastle» disse Pascoe. «Ho inserito il suo nome nel computer. Non risulta nulla».
«Non c'erano abbastanza prove per andare davanti al giudice, così mi sono arrangiato da solo», disse Clark, facendo un gesto come per afferrare qualcosa con le dita della sua grande mano destra. Pascoe lo guardò inespressivo. Non aveva mai creduto al mito dei bei tempi in cui un'amichevole tiratina d'orecchi da parte del poliziotto di quartiere produceva come d'incanto bravi e onesti cittadini, anche se aveva dovuto ammettere che il salutare terrore suscitato dall'approssimarsi di Andy il Ciccione sembrava avere un effetto positivo, almeno temporaneamente. «Quindi ha un piccolo elenco. Com'è che è saltato fuori Hardcastle?». «Facendo domande» rispose vago Clark. «Tre dei ragazzi con cui ho parlato hanno puntato il dito su Jed e sul suo amico, Vernon Kittle». Stavolta non fece gesti, ma Pascoe poteva immaginare la natura delle domande. Ma la cosa più importante era capire se le risposte fossero attendibili. «Si sa qualcosa di questo Kittle?». «Un po' immaturo. Un caso difficile. Fa colpo su Jed, ma non su molti altri». «Allora, perché non si è mosso in questa direzione, ieri sera?», chiese Pascoe. «Domenica. Tutti in giro a fare qualcosa, così ho dovuto aspettare per parlare con la maggior parte di loro». «Ma, anche così...». «E Jed non era a casa» continuò Clark. «Era andato al mare con Kittle e un paio di ragazzotte, col furgoncino di Kittle. Molly, cioè la signora Hardcastle, mi ha detto che non c'era modo di sapere quando tornavano. I ragazzi... be', si sa. Così ho pensato che avrei potuto lasciar stare tutto fino a stamattina e passarlo direttamente a lei». Così, aveva visto giusto. Un regalo, per ripagarlo di avere protetto il sergente dalla sfuriata di Dalziel il giorno prima. Questi uomini dello Yorkshire non amano essere in debito. E non gradiscono essere trattati da sciocchi, cosa che Maggie Burroughs avrebbe prima o poi potuto scoprire a proprie spese. Disse: «Mi dica, Nobby, cosa pensa di tutta 'sta faccenda di Dendale? È una perdita di tempo o ci porterà da qualche parte?». Il sergente esitò, soppesando visibilmente le implicazioni della nuova intimità suggerita dall'uso del nomignolo. Quindi disse: «Potrebbe darsi. Ma spero di no». «Perché? Se salta fuori un collegamento, potremmo risolvere quattro mi-
steri al prezzo di uno». «Forse. Ma se invece andiamo a svegliare un branco di cani addormentati per niente? La gente stava quasi riuscendo a pensare a Dendale senza collegarla a quelle povere bambine. È stata una cosa orribile, ma la vita è piena di cose orribili, e non si deve lasciare che sciupino tutto ciò che è bello». Parlò in tono di sfida, come per anticipare un'obiezione o una più probabile presa in giro per la tirata filosofica. «E Dendale era bella, eh?», chiese Pascoe. «Oh, sì. Era un posto splendido, pieno di gente splendida. Oh, anche noi avevamo i balordi, e abbiamo avuto i nostri alti e bassi, ma nulla che non si potesse risolvere da soli. Sarei stato felice di finire la mia carriera laggiù, promozione o no». Parlò con un fervore che fece sorridere Pascoe. «A sentirla, sembra un paradiso», disse. «Be', se non era il paradiso, ci andava molto vicino» disse Clark. «Dopo hanno rovinato tutto, e questo dal momento in cui il signor Pontifex ha venduto la sua terra. Ecco come l'ha vista la maggior parte della gente». «E che parte ha il signor Pontifex? Quella del serpente? O solo della povera, credulona Eva?». Si era spinto troppo oltre con il suo leggero tocco ironico, se ne accorse immediatamente. L'uomo dello Yorkshire non disdegna un pizzico di esplicito sarcasmo, ma sospetta giustamente che l'ironia leggera celi in sé il verme della condiscendenza. «Lo decida da sé» disse il sergente, burbero. «Jed lavora per lui, così se vuole parlare col ragazzo deve andare alla Grange». «Oh, lo farò, lo farò» disse Pascoe. «Mi ci porti lei». La Grange si rivelò una gradevole sorpresa: non il torvo edificio di granito nello stile baronale dello Yorkshire che si aspettava di trovare, ma una casa elisabettiana lunga e bassa in calda pietra di York. L'ufficio dell'agenzia occupava quelle che sembravano stalle ristrutturate. Non c'era segno che qualcuno, là, montasse qualcosa di più vivace della grande Daimler azzurra ferma di fronte all'edificio. Parcheggiarono all'ombra di alcuni vecchi tassi e attraversarono il cortile in direzione dell'ufficio. Mentre si avvicinavano la porta si aprì e uscì un uomo. Capelli color argento, sulla settantina, il viso chiuso e quasi arrogante. Aveva un bastone da passeggio con il pomolo d'argento a forma di
volpe, che s'intonava alla perfezione con i capelli, e infatti, vedendolo avanzare con un passo elastico e vigoroso, l'impressione era che lo portasse più per l'effetto che per bisogno. «Sergente Clark» disse. «Una faccenda terribile. Ho il piacere di conoscere il sovrintendente Dalziel?». Un uomo che può credere questo può credere ogni cosa, fu la risposta che esplose nella mente di Pascoe, ma che per fortuna non vide la luce. «Nossignore. Ispettore capo Pascoe. Il signor Dalziel le manda i suoi saluti, ma è stato trattenuto in città». Un sorriso si diffuse sul viso dell'uomo, trasformandone i tratti. «Da quanto mi hanno riferito le mie spie, è assai improbabile che il signor Dalziel si sarebbe espresso in questo modo» disse. «E adesso che la osservo meglio, vedo che lei non corrisponde alla descrizione. Le mie scuse. Devo imparare a riflettere prima di parlare». Si era accostato molto e aveva preso la mano di Pascoe. Ora Pascoe capiva la ragione dell'espressione apparentemente altezzosa e corrugata. Quell'uomo era tremendamente miope. Il bastone serviva probabilmente a scandagliare i terreni sconosciuti alla ricerca di ostacoli. Clark si era incamminato verso l'ufficio. Si fermò a guardare Pascoe con aria interrogativa. Pascoe gli fece un leggero cenno d'assenso e lui entrò. «Allora, mi dica, signor Pascoe, ci sono novità?», chiese Pontifex. «Temo di no» rispose Pascoe. «Possiamo solo sperare». «E pregare» disse l'uomo. «Ho sentito che la gente del posto parla molto di quel Lightfoot, considerato da molti il responsabile delle sparizioni di Dendale. Sicuramente non c'è niente di vero». Nonostante l'avverbio, il tono non esprimeva sicurezza. Disse: «Al momento, signore, stiamo tenendo la mente aperta a ogni possibilità». L'uomo aveva lasciato andare la sua mano, ma gli era rimasto talmente vicino da metterlo a disagio. Si girò come per guardare la casa, usandola come scusa per scostarsi. «Deliziosa, questa casa» disse con apprezzamento. «Elisabettiana?». «La parte centrale. Sono state fatte delle aggiunte, ma mantenendo lo stile originario». «È stato fortunato ad avere antenati di buon gusto», disse Pascoe. «Non proprio. Il collegamento con i Pontifex risale solo a mio padre, il cui desiderio di modernizzare gli interni ha portato probabilmente più danni alla struttura di tutte le modifiche apportate nei precedenti quattrocento
anni». «Quindi è lui che ha comprato la tenuta». «Nello stato in cui si trovava alla fine degli anni venti. Il proprietario era fallito durante la Depressione. Troppi investimenti sbagliati. Mio padre si trasferì qui e iniziò a espandersi. Comprava tutto quello che si rendeva disponibile ed è così che è arrivato a possedere un buon numero di fattorie nei dintorni di Dendale. Ma non abbastanza da formare un insieme compatto, in grado di svilupparsi. Una tenuta, per essere gestibile, ha bisogno di essere uniforme e di avere confini continui. C'erano troppe interruzioni al suo interno, a Dendale. Se non fosse stata costruita la diga, avremmo dovuto comunque vendere le fattorie». Pascoe aveva la sensazione di sentire una scusa ben costruita e provata di frequente. Pensò che agli occhi di qualcuno, quella che era stata una semplice sequenza di avvenimenti - la vendita di Pontifex, la costruzione della diga e la scomparsa delle bambine - fosse apparsa una catena di cause ed effetti. Ma la cosa sorprendente era che un uomo d'affari presumibilmente equilibrato si facesse influenzare da chiacchiere prive di fondamento. «Se n'è andato, signore». Era Clark che usciva dall'ufficio. «Andato? E dove?». «Il direttore ha detto che ci ha visto arrivare dalla finestra, e poi sa solo che è svanito nel nulla». «Era Jed che volevate incontrare?» chiese Pontifex con tono sollevato. «Per qualche ragione particolare?». «Stiamo solo controllando se qualcuno ieri ha notato qualche strano movimento nei dintorni, signore», rispose Pascoe evasivo. «Certo. Ci ha chiamato uno dei vostri. Non sono stato di grande aiuto, temo. Si è accorto anche lei di quanto la mia vista sia inaffidabile». Stava forse cercando di ottenere un'assoluzione? si chiese Pascoe. Si strinsero la mano e si lasciarono. Mentre tornavano all'automobile, domandò a Clark: «Pontifex ha famiglia?». «Una figlia. È divorziato. Hanno concesso l'affidamento alla madre». «Per cui vive qui da solo. Ha l'abitudine di aiutare molti ragazzi o Jed Hardcastle è l'unico?». Clark gli lanciò uno sguardo di disapprovazione. «Niente del genere» disse disgustato. «Non c'è mai stata nemmeno un'allusione su quello».
«Non intendevo quello», protestò Pascoe. O sì? Dal modo con cui veniva pronunciato dalle parti di Danby, quello doveva essere un'offesa pesante come un macigno. Meglio mettere in guardia Wieldy! «Penso che in realtà Pontifex si senta in debito con gli Hardcastle» continuò Clark. «Un sacco di gente sarebbe d'accordo con me. Voglio dire, se lui non avesse venduto la sua terra...». «Ma era stato un esproprio forzoso, no?», obiettò Pascoe. «C'è una bella differenza tra il subire un esproprio ed effettuare una vendita a elevato profitto», dichiarò Clark, con un'inflessibilità degna dell'Antico Testamento. «Perciò, le sembra che in un certo senso la sua condotta sia da criticare», fu la strana uscita di Pascoe. «Be', se a portar via le bambine è stato uno di qui, come Benny Lightfoot, può essere che il fatto di ritrovarsi imbrogliato e cacciato via abbia fatto scattare in lui qualcosa che, diversamente, sarebbe rimasto nascosto fino al giorno della sua morte». Dalle sentenze stile Antico Testamento alle moderne psicobubbole! Il che non escludeva che ci fosse un fondamento di verità, in quell'affermazione. Ciononostante, nella pratica non vi erano accenni in quella direzione. Quindici anni prima, stilare il profilo del criminale era il lavoro di un artista della polizia, e anche attualmente, in certe zone dello Yorkshire, era un'arte praticata in privato da professionisti. Pascoe chiese: «Il cottage dei Lightfoot faceva parte della tenuta?». «No. Apparteneva alla vecchia signora Lightfoot, la nonna di Benny. È successo che il padre di lei l'aveva avuta in usufrutto da Heck quando c'era Arthur Allgood. Quando morì il vecchio Lightfoot, suo figlio Saul lo ereditò grazie allo stesso vincolo». «Intende il padre di Benny, quello annegato?». «Lei è uno che tiene le orecchie ben aperte» disse Clark in tono di nuovo ammirato. «Proprio lui. Dopo la sua morte Marion litigò con la vecchia e si riportò i ragazzi in città, e tutti pensarono che Arthur l'avrebbe sbattuta fuori da Neb Cottage per fare posto a qualcun altro. Ma, prima che lo facesse, oplà! morì anche lui. Cento anni fa credo proprio che avrebbero considerato la vecchia una strega». «Ma che differenza faceva? Il cottage sarebbe stato comunque soggetto a vincolo». «Be', sì, ma ora apparteneva a Chloe Allgood, la figlia di Arthur, quella che ha sposato Wulfstan. Voleva tenersi ben stretto Heck come casa di
vacanze, mentre era disponibile a vendere il resto della tenuta. Ovviamente, l'agente di Pontifex arrivò come un razzo». «Ma Pontifex non si prese Neb Cottage?». «No. Saltò fuori che la vecchia era andata da Chloe subito dopo il funerale del padre e le aveva chiesto di venderle il cottage. Nessuno ha mai capito da dove abbia tirato fuori il denaro, anche se il marito aveva fatto una piccola assicurazione a suo favore, che lei aveva usato per accenderne un'altra per il figlio. Insomma, lei sapeva che finché Saul era in vita, non avrebbe avuto problemi, ma, se gli fosse successo qualcosa, non sarebbe stato più così». «Una donna intelligente», commentò Pascoe. «Oh, sì. Bisogna svegliarsi presto, la mattina, per essere al mercato prima di Pontifex» disse Clark ridendo. «Scommetto che non è stato per niente felice di sapere che non avrebbe comperato anche Neb Cottage, con il resto degli immobili». «Cosa accadde quando Pontifex decise di vendere al Dipartimento per le Acque?». «Fu il colpo di grazia. Molti, proprietari delle loro terre, si arresero e vendettero. Wulfstan rizzò un casino per Heck, ma non combinò niente. Solo la vecchia Lightfoot tenne duro fino alla fine. Avrebbero dovuto chiamare l'ufficiale giudiziario per cacciarla via, se non le fosse venuto un infarto. Si pensò che fosse stato troppo, per lei, sopportare il trasferimento e tutto quel pasticcio di Benny. Così, la portarono via con l'ambulanza e rasero al suolo il cottage con i bulldozer il più in fretta possibile. È stata proprio una vergogna che la sua vita nella vallata finisse a quel modo. Un altro peso sulla coscienza di Pontifex, dissero». «La gente lo giudicava negativamente, vero?». «Eh, sì. Per tutto. I trasferimenti. Le sparizioni. Erano collegati, nella testa della gente, lo sa. E anche in quella di Pontifex. Ecco la ragione per cui ha dato a Ced Hardcastle Strips End, che oltretutto era stato promesso a Jack Allgood, ben più in gamba di Cedric. E non finisce qui. Come ti ho detto, quando vide quello che stava succedendo tra Jed e suo padre, intervenne e assunse il ragazzo nel suo ufficio». «Dopo tutti quegli anni?» disse Pascoe. «Questa sì che è una coscienza sensibile». «Sì, per certi è come la selvaggina. Più la lasci lì appesa, più diventa frolla». Pascoe sorrise e disse: «Ha mai pensato di scrivere per The Archers, ser-
gente? Pagano bene per frasi come queste». Erano arrivati alle automobili e si concessero una gradevole sosta all'ombra di un alto tasso, al riparo dai raggi del sole spietato che li spellava vivi. «Da che parte, sergente?». «Signore?». Era sconcertato. «È il suo terreno. Sono sicuro che qui attorno la parola d'ordine è 'la paura si rifiutò di fuggire se non era Clark a cacciarla'». «Signore?». Il tono ora era sconvolto. «Dove andiamo a cercare il ragazzo?», semplificò Pascoe. «Sarà andato a casa, immagino. Dove, se no?» disse Clark fiducioso. «Tutto bene, signore?». Pascoe aveva improvvisamente allungato la mano e l'aveva appoggiata sul tronco rugoso del tasso. «Benissimo» rispose. «Qualcuno deve essere passato sopra la mia tomba. Ecco cosa succede a stare sotto questa pianta da cimitero». Bruscamente si avvicinò all'auto. Era pallido. Clark disse, ansioso: «È sicuro, signore?». «Sì, sto bene» disse Pascoe in tono lievemente irritato. «E abbiamo del lavoro da fare. Dirigiamoci a Stirps End con tutta la dignitosa fretta che è in grado di chiamare a raccolta, sergente!». VIII Ellie Pascoe stava superando il limite di velocità ancor prima di uscire dal breve viottolo di casa sua. Sapeva di fare un'idiozia e, con un estremo sforzo di volontà, mantenne la velocità di cinquanta chilometri all'ora fino al termine del percorso. La scuola distava solo sei chilometri e il vantaggio di guidare come una pazza, anziché come un essere normale, era significativo solo dal punto di vista psicologico. La signorina Martindale la accolse con un'espressione placida e rassicurante, come era stata la sua voce al telefono. «Non c'è niente di cui preoccuparsi, signora Pascoe» disse. «La signorina Turner ha pensato che le sembrava un po'... 'distante', ecco come l'ha definita. Riluttante a concentrarsi sulle cose e, se sollecitata, dava risposte sgarbate. A tutti capitano giornate in cui preferiamo chiuderci in noi stessi e non abbiamo voglia di interagire con gli altri. Succede spesso anche a me. Poi la signorina Turner ha notato che Rosie era un po' calda e arrossata. Probabilmente è l'inizio di un'influenza estiva. Con questo caldo, i
bambini cercano continuamente il fresco, e gli sbalzi di temperatura li indeboliscono. Non è un vero problema, ma è meglio combatterlo dall'inizio con una mezza aspirina e riposo a letto». Il morbido flusso di parole rilassò Ellie, sebbene si rendesse conto che era esattamente quello che l'insegnante voleva. La signorina Martindale era una ragazza giovane e sveglia. No, meglio ancora. Di donne giovani e intelligenti Ellie ne conosceva a iosa, ma la signorina Martindale era una delle rare persone in grado di mettere pienamente a frutto le sue capacità. Non che fossero in competizione, ma nelle poche occasioni in cui si erano trovate a incrociare le corna, era sempre stata Ellie a dover cedere il passo. Aveva cercato di spiegarlo a Peter, il quale aveva commentato: «Non so cosa prenda quella donna, ma credi che mi darebbe il nome del suo spacciatore?». Rosie era seduta sul bordo del letto nel piccolo ambulatorio, sotto l'occhio vigile e anche troppo materno della segretaria della scuola. Quando vide la madre, disse in tono accusatorio: «Ti avevo detto di non mandarmi a scuola, stamattina». Grazie mille, tesorino, pensò Ellie. L'abbracciò, poi la esaminò da vicino. Il viso era certamente arrossato. «Non ti senti bene, piccola?» disse, cercando di attenersi alle cose pratiche. «È meglio che ti porti a nanna. Vieni, andiamo a casa». Ringraziò la signorina Martindale, che sorrideva per rassicurarla, ma dalla segretaria, che palesemente la considerava il tipo di madre che per non rovinarsi la vita sociale spediva a scuola la figlia indisposta, tutto ciò che ottenne fu uno sguardo accusatorio. Ellie rispose con un dolce sorriso. Ok, la direttrice poteva averla stregata, ma non avrebbe calato le brache davanti a una dattilografa idiota. Per strada Ellie chiacchierò allegramente, ma Rosie rispondeva a stento. A casa, Ellie disse: «Direi che adesso te vai dritta filata a letto. Vuoi che ti porti una bella bibita fresca?». Rosie annuì e lasciò che la madre le sbottonasse il vestito, una cosa che negli ultimi mesi avrebbe suscitato un feroce 'Faccio da me!'. Ellie la mise a letto, le rimboccò le coperte, scese in cucina e riempì un bicchiere di limonata fatta in casa. Poi ne riempì un altro. In caso di malattia, bisognava mostrare un po' di indulgenza. «Eccomi qui, tesoro» disse. «Ne ho preso uno anche per Nina, nel caso le venga sete». «Ma non mi ascolti mai, tu?» disse Rosie. «Te l'ho già detto almeno cen-
to volte. Nina è tornata nella caverna del nix. Ho visto quando l'ha ripresa». Lo sprazzo rassicurante di vivacità durò poco, e sembrò stancare molto la bambina, che si riappoggiò al cuscino. «Lo lascio qui per lei lo stesso» disse Ellie allegra. «Le farà piacere trovarlo, quando il suo babbo andrà a salvarla». «Non essere sciocca» bofonchiò Rosie. «Quello è successo l'ultima volta». «L'ultima volta?» chiese Ellie, lisciando il lenzuolo sul suo corpo snello. «Pensavo ci fosse stata solo una volta». Per un istante, in un'inversione dei ruoli, Rosie la guardò con un'espressione in cui l'affetto si mescolava all'esasperazione. Poi chiuse gli occhi. Ellie scese le scale. Era il caso di disturbare il dottore? si chiese. Nonostante fosse pronta a salire sulle barricate per difendere i suoi diritti all'interno del Servizio Sanitario Nazionale, non voleva diventare una di quelle madri che chiedevano antibiotici per ogni starnuto. Si preparò una tazza di tè e si sedette in poltrona. Il lettore ed era rimasto acceso, con la pausa inserita. Quando la signorina Martindale aveva telefonato, stava ascoltando il suo ultimo disco di Mahler. Il pacchetto più largo era ancora chiuso. Poche cose si prestano così bene a farti considerare le tue ambizioni letterarie nella giusta prospettiva come portare a casa una figlia ammalata, pertanto le sembrò arrivato il momento di farsi del male. Strappò la carta che lo avvolgeva e tirò fuori il suo manoscritto. C'era allegata una lettera. ... si dimostra promettente, ma al momento... periodo critico per la narrativa... bla bla bla... La firma era uno scarabocchio indecifrabile. Non posso biasimarli, pensò. In quel lavoro, si rischia davvero di venire assassinati. Persino lei, giusta prospettiva o meno, aveva provato la fitta acuta del sentirsi rifiutata. Magari sto solo sbagliando bersaglio. Chi diavolo ha voglia di leggere della vita costellata di ansie di una donna del ventunesimo secolo, simile a quella di milioni di altre? Dovrei fare un tentativo con qualcosa di totalmente diverso... un romanzo storico, forse? Si era sempre sentita un po' colpevole della sua passione per i romanzi storici, considerandola una via di fuga dalla vita reale. Ma... al diavolo, lettere come quella erano un aspetto della vita reale dal quale era ben lieta di fuggire!
Ora mi par di capire perché in certi momenti Voi, occhi, mi lanciavate fiamme così scure Era il secondo dei Kindertotenlieder. Si rilassò e lasciò che la voce giovane e piena scorresse su di lei. Io però non potevo immaginare Avvolto com'ero nell'offuscamento Abbagliato da un ineluttabile destino, Che il raggio già si affrettava verso casa Verso la dimora da cui tutta la luce proviene. Cosa spingeva un compositore a scegliere di mettere in musica una poesia invece di un'altra? Nella breve nota introduttiva, aveva letto che Alma Mahler aveva strenuamente combattuto l'ossessione del marito per queste poesie che parlavano di perdita, nel timore superstizioso che potesse sfidare il destino a perseguitare la sua stessa famiglia. Certo, era una cosa irrazionale, ma Ellie si immedesimava senza difficoltà, ripensando a come aveva infranto tutte le regole della strada per arrivare a Edengrove, nonostante l'assicurazione della signorina Martindale che non c'era niente di cui preoccuparsi. Ma era veramente così? Sì, se lo affermava la signorina Martindale. Nonostante i suoi sforzi per evitare gli stereotipi, aveva finito per diventare l'ennesima madre insulsa, ansiosa e iperprotettiva, come Alma Mahler... Solo che Alma Mahler aveva avuto ragione, no? Come doveva aver ripensato alle sue paure, e rimpianto di non essersi opposta con maggiore energia, quando, un paio di anni dopo, la sua figlia maggiore era morta di scarlattina. Questi occhi che ogni giorno per te si aprono Stelle nelle notti a venire diverranno. E questa doveva essere una consolazione? Interruppe con il telecomando la coda melanconica dell'orchestra, prese il telefono e iniziò a comporre il numero di Jill Purlingstone. IX
L'Highcross Inn era l'antica stazione di posta in cui vetturini, mercanti di bestiame, cavalieri e viandanti che si accingevano al lungo viaggio nella brughiera di Danby facevano le provviste necessarie, mentre quelli che ritornavano dall'altra direzione si fermavano per festeggiare e rinfrescarsi. Il motore a combustione interna aveva cambiato tutto. Ciò che prima era faticoso ora era semplice, e la maggior parte dei viaggiatori che percorreva la strada della brughiera lo faceva perché era una scorciatoia fino al collegamento con l'arteria nord-sud. All'esterno, a parte i cartelli che pubblicizzavano PORZIONI ABBONDANTI, PIZZA FATTA IN CASA, e la menzione in qualche guida oscura, scritta da qualche giornalista altrettanto oscuro che si autonominava esperto del settentrione, nonostante si fosse trasferito all'età di diciott'anni dallo Yorkshire a Londra e fosse ritornato nella sua città natia solo un paio di volte per funerali di famiglia, la taverna era cambiata davvero poco in quei duecentocinquant'anni. In effetti, l'intonaco sfaldato sembrava quello originale, ma poteva anche essere colpa della lunga estate calda. L'interno però era tutt'altra cosa. Forse un tempo corrispondeva all'immagine che si ha del classico, vecchio pub di campagna. Poi, qualche birraio idiota aveva deciso che doveva assomigliare all'idea che un arredatore lezioso ha del vecchio pub di campagna. E se n'erano andate l'originalità e la particolarità, per lasciare il passo ai surrogati e alla banalità. Per dirla tutta, ora un forte bevitore avrebbe dovuto uscire ogni tanto all'esterno per ricordarsi in che locale stava bevendo così forte. A Novello piaceva. Lei era giovane, ed era una cittadina, e questo posto era come tutti gli altri pub che conosceva. Si sedette al bar e ordinò una lager con succo di ribes nero. Alla sua cerimonia di iniziazione nel pub frequentato dai membri della squadra investigativa del Mid-Yorkshire, il Black Bull, quando le avevano chiesto che veleno voleva bere, era stata così sprovveduta da chiedere quella mistura. Il silenzio di tomba che ne era seguito era quello che si sarebbe potuto verificare all'apertura del settimo sigillo. Dalziel l'aveva fissata con uno sguardo che confermava le voci secondo le quali il suo numero di matricola da poliziotto semplice era il 666. Poi, un pietoso angelo custode le aveva restituito l'uso del cervello e della lingua, e aveva aggiunto: «Ma se non è davvero veleno, quello che mi volete offrire, prenderò una pinta della migliore». Pascoe gliel'aveva presa, borbottando mentre gliela porgeva: «Forse i tuoi principi saranno a pezzi, ma almeno la tua anima è salva».
Il pub era quasi vuoto. La donna dietro al bancone del bar aveva tempo di fare due chiacchiere. Era di mezza età, taglia almeno cinquantaquattro, la maggior parte dei muscoli presumibilmente modellati da una vita passata a spinare e sollevare fusti di birra. La cordialità della sua bella faccia tonda sfumò nell'inevitabile diffidenza quando Novello le mostrò il tesserino di riconoscimento. Ma, quando menzionò la ragione delle sue ricerche, l'indignazione prevalse su tutto e dichiarò: «Io quei bastardi là li castrerei tutti senza anestesia. Poi li appenderei a un albero per quello che gli resta! Come posso aiutarti, cocca?». Novello ci arrivò per vie traverse. Tutto quello che aveva era una familiare azzurra, e preferiva evitare di ottenere informazioni troppo velocemente. L'ansia di collaborare talvolta si rivelava frustrante quanto la riluttanza a parlare. Per prima cosa, si fece dare le informazioni personali. La signora si chiamava Bella Postlethwaite, e gestiva la taverna insieme al marito Jack. Erano lì da cinque anni e lavoravano principalmente con la clientela di passaggio. «Non c'è un gran lavoro con la gente del posto. Voglio dire, guardati intorno, non è che sia una zona molto abitata, no? E con i margini di guadagno che abbiamo con le fabbriche di birra non potremmo neanche pagarci la carta igienica. Bastardi. Anche quella è una categoria che vorrei vedere appesa per le palle». Donna energica. Novello arrivò a domenica mattina. Si era alzata presto. A Jack piaceva restare a letto. No, non aveva notato niente fuori dall'ordinario. Cosa intendeva per ordinario, allora? Be', l'ordinario era la solita merda, per dirla fuori dai denti. Un paio di trattori. Qualcos'altro? Un po' di traffico sulla strada principale. Non molto, essendo domenica. E sulla strada della brughiera? Sì, c'era una macchina. Lei era fuori a innaffiare i vasi di fiori mentre erano ancora all'ombra, e questa automobile aveva svoltato dalla strada della brughiera per immettersi nella strada principale. Era comparsa e aveva svoltato subito. Sì, c'era un segnale di stop, ma avendo un'ampia visuale della strada principale ed essendoci poco traffico, non c'era bisogno di fermarsi. Modello? Che, vuoi prendermi per il culo, cocca? Per me sono tutte uguali. Il colore, allora. Azzurro, le pareva. Sì, decisamente azzurro. In quel momento comparve il marito. Era tanto magro quanto la moglie era grassa, spigoloso, quasi lupigno. Jack Spratt e sua moglie. Presentato e ragguagliato sulla situazione, si dimostrò immediatamente pessimista sulle
speranze di ottenere informazioni utili da Bella sull'argomento veicoli a motore. «È in grado di distinguere la nostra Cavalier dal furgone della fabbrica di birra. Tutto qui», dichiarò. Sua moglie, nonostante fosse disposta ad ammettere i propri limiti, non era affatto disposta a vederseli strombazzare in giro da uno che era talmente magro da non poterlo neanche chiamare 'la mia metà'. «Almeno io ero in piedi e sveglia, non come qualcuno che conosco che se ne stava a grufolare nel mio letto» disse indignata. «Forse, se non avessi passato la maggior parte della sera di sabato a sbevazzarti i nostri guadagni, saresti abbastanza in te da aiutare questa signorina, invece di sputtanare me». Novello, nonostante la giovane età, aveva abbastanza esperienza da sapere che le discussioni coniugali seguono sempre copioni prestabiliti da tempo e, una volta iniziate, non si riesce più ad arrestarle. Disse con voce alta e ferma: «Allora non era una Cavalier. Più grossa?». «Sì. Più grossa», disse Bella, guardando il marito con aria di sfida. «Molto più grossa? Come un furgone, per esempio?». «No. Troppi finestrini». «Una specie di jeep, allora. Come quelle, sa, che usano gli agricoltori da queste parti? Un po' alta?». «No! Assomigliava più a una di quelle cose lunghe, quelle macchine che si usano per i funerali. Come quella di Geordie Turnbull». L'ultima battuta era rivolta al marito. Forse gli concedeva una tregua facendo appello al suo occhio esperto? Ma, più che come un'offerta di pace, suonava come uno sparo alla cieca da una pistola nascosta. «Ah, ecco, quella te la ricordi, eh?», disse Postlethwaite con malignità. «Che tipo di automobile guida Turnbull?», chiese veloce Novello prima che la sei colpi di lui facesse piazza pulita. «Una Volvo familiare» disse l'uomo. «Già, ed è blu». «Blu? Blu chiaro? Blu scuro?», chiese Novello. «Azzurra». «E quella macchina che ha visto lei, signora Postlethwaite, era chiara o scura?». «Piuttosto chiara» ammise la donna, incontrando lo sguardo del marito con una rabbia pari alla sua. «Ma non era quella di Geordie». «E tu come fai a saperlo?» disse beffardo Postlethwaite. «Tutto quello che hai visto da vicino è il tettuccio dall'interno».
Al diavolo le pistole, questo era un corpo a corpo alla baionetta! Bella inspirò profondamente e sembrò pronta per balzargli alla giugulare. Poi intercettò lo sguardo supplicante di Novello e decise di posticipare il piacere a quando sarebbero rimasti soli. Con uno sguardo carico di promesse al marito, disse: «Se avessi un cervello uguale al tuo, ci coltiverei i funghi. Se dico che non poteva essere la macchina di Geordie è perché sul sedile dietro c'era una bambina». Non si rese conto di quello che stava dicendo fino al momento in cui pronunciò le parole, e a quel punto il copione passò dalla telenovela al dramma. Dieci minuti dopo, Novello parlava al cellulare con Wield, che era a St Michael's Hall. Lui ascoltava con un'intensità percepibile attraverso il telefono e, quando ebbe finito di parlare, le chiese: «Che livello di attendibilità attribuisci a questa Bella?». «Non è un'intenditrice di automobili. Buon occhio sui colori. Ho fatto la prova con alcune auto che passavano per la strada principale. Non ha quello che chiameremmo 'occhio dell'artista', ma distingue bene l'azzurro dal nero, dal grigio e dal verde». «E la bimba?». «Solo un'occhiata. Una bambina bionda che guardava fuori dal finestrino». «Terrorizzata? Angosciata? Che salutava? O cosa?». «Guardava semplicemente fuori. Non ha notato nessun altro nell'auto, ma non può dire che non ci fossero altre persone, oltre all'autista. Ma anche se ha dato solo un'occhiata veloce, è assolutamente sicura per la bambina». «Non ne ha parlato subito, però». «Non aveva motivo di farlo. Non volevo correre il rischio di influenzarla, e ce l'ho fatta arrivare a poco a poco». Novello descrisse il percorso seguito nell'interrogatorio. «Ottimo» disse Wield. «E questo tipo, Turnbull. Niente su di lui?». «Lei è assolutamente sicura che la macchina non fosse la sua». «Ma è lei che lo ha menzionato per prima». «Solo per fare imbestialire suo marito. Per come la vedo io, questo Turnbull passa di là ogni tanto e fa due chiacchiere con lei, cosa che la gratifica. Forse c'è qualcosa, tra quei due, o forse lei si diverte un sacco a fare ingelosire il marito e si alimenta delle cattiverie che lui dice quando reagi-
sce. In ogni caso, credo sarebbe una falsa pista. Bella può non conoscere le marche delle auto, ma insiste che questa macchina era più nuova e più pulita di quella di Turnbull». «Ultimamente hanno inventato queste cose che chiamano autolavaggi, ne eri al corrente?» disse Wield. «Non sarà che lei adesso sta cercando di riparare al guaio che ha creato tirando fuori il suo nome?». Sta facendo l'avvocato del diavolo, pensò Novello. Vuol farmi controllare due volte le mie conclusioni. Disse con cautela: «Ho sentito la sua manfrina su quello che farebbe ai pedofili. Non credo che potrebbe mai proteggerne uno, in nessun modo». «Ma se lei, dentro di sé, è assolutamente certa che lui non sia l'uomo che cerchiamo... ci sono persone inchiodate da prove evidenti di omicidio plurimo che hanno madri e mogli che protestano la loro innocenza». «Perciò crede che dovrei dargli un'occhiata», disse Novello, indecisa se sentirsi offesa o meno. «Sai dove vive?». «Oh sì. Jack il geloso è della sua idea, e ha insistito per darmi indicazioni chiare. Turnbull ha una ditta di macchinari a Bixford, sulla strada costiera, a una quindicina di chilometri da qui. Vive vicino al suo deposito, ma se non c'è, Jack dice che trovarlo è molto semplice. Bisogna cercare i bulldozer che portano la scritta rossa GEORDIE TURNBULL: viaggiano lenti come lumache e bloccano regolarmente il traffico». Novello si era calata in quella che pensava fosse un'imitazione abbastanza buona degli acidi grugniti del birraio, ma Wield non apprezzò lo spettacolino. «Cos'è che hai detto?» la interruppe. «Geordie Turnbull?». «Già». «Resta in linea». Silenzio. Era arrivato il Ciccione? Il silenzio si protrasse. Pensò che avrebbe dovuto suggerire di mettere un po' di musica d'attesa. The Gendarmes' Duet? Troppo ovvio. Judy Garland in That Man that Got Away? Suo nonno andava matto per la Garland. A lei era indifferente, ma conosceva tutte le sue canzoni a memoria per averle ascoltate centinaia di volte dal vecchio giradischi del nonno. Ora che si avvicinava agli ottant'anni, i suoi gusti erano tornati alla musica italiana della sua giovinezza... «Ci sei ancora?». «Sì, sergente». «Non muoverti. Sto venendo lì».
Il tono non lasciava trapelare nulla, come il suo volto, ma Novello riuscì a percepire in lui un'eccitazione sottopelle che la insospettì. Era sicura che se a Wield avessero detto che era stato estratto il suo biglietto della lotteria mentre faceva giochi di destrezza con sei uova, non ne avrebbe rotto neanche uno. Per cui, se era eccitato... Sentiva di avere esaurito il suo compito con i Postlethwaite, così si diresse con la sua bevanda verso una panca nel settore più buio del pub, e si sedette cercando di tenere separata la preoccupazione reale per la bambina scomparsa e il sognato avanzamento di carriera se fosse stata a lei a risolvere il caso. Quando Wield arrivò, le disse: «Adesso rifaccio tutto daccapo, con loro». «Certo» disse lei. «Non c'è problema, sergente». «Non te l'ho detto per evitare di ferire i tuoi sentimenti» disse lui. «Te l'ho detto per essere sicuro che ascolterai attentamente invece di restartene lì immusonita». Ripeté ancora tutto dall'inizio. Quando ebbe finito, disse: «Vi ringrazio molto entrambi. Siete stati di grande aiuto». Lasciarono l'auto di Wield e partirono con la sua. Lei si diresse di sua iniziativa verso nord sulla strada principale, cercando di non perdere il cartello con l'indicazione per Bixford, a est. Lui disse: «Allora, cosa ne pensi? Hai sentito qualcosa che prima ti eri persa?». «Era un po' più sicura sulla forma. Anche sulla brillantezza dell'auto. Non mi suona proprio come una vecchia Volvo». «Come ho detto prima, forse stava cercando di non farla apparire come una vecchia Volvo». «Può essere, sergente. Ma se fosse stata un'auto che lei conosceva bene, non l'avrebbe riconosciuta immediatamente? E suo marito...». Fece una pausa per riordinare le idee. Wield non la interruppe, ma attese con pazienza che riprendesse a parlare. «Ho avuto l'impressione che lui sarebbe felice se questo Turnbull avesse dei guai con la giustizia, ma anche se nutre risentimento nei suoi confronti, non riesce a credere che possa essersi messo in un guaio come questo. Forse non vuole credere che una persona che si incapriccia di sua moglie possa farlo anche di una bambina piccola». «È così che la vedi?».
«D'istinto, sì. Ma non ho abbastanza esperienza per sapere se il mio istinto è in qualche modo collegato con la realtà. Comunque, sono proprio curiosa di incontrare questo Turnbull». «E perché?», chiese Wield. «Perché lo è lei, sergente. Può dirmi perché?». «Semplice» rispose Wield. «Quindici anni fa, nelle indagini sulle sparizioni a Dendale, una delle persone interrogate si chiamava Geordie Turnbull. Era uno degli autisti dei bulldozer sul sito della diga». Novello fece un fischio. Era uno dei suoni maschili che aveva imparato, come parte del suo travestimento da lavoro. Gridolini, risatine, in breve tutto ciò che poteva essere collegato alla femminilità, era fuori discussione. Aveva un ottimo orecchio, e aveva rapidamente imparato a padroneggiare una gamma completa di intonazioni, accenti e ritmi. Aveva addirittura provato - come quella donna che era in politica, come si chiamava? - ad abbassare la voce di una mezza ottava. All'inizio aveva esagerato, ottenendo un tono rauco e sexy decisamente controproducente; perciò era risalita di un paio di toni. «Ma non rientrava nel quadro?», disse lei. «Stava nell'angolo in basso a sinistra, per così dire. Niente che provasse che non poteva trovarsi nei dintorni, ogni volta che era successo qualcosa, ma ancora meno elementi che indicavano che ci fosse. L'unica ragione per cui era stato sentito era che i locali lo avevano segnalato». «Non piaceva alla gente?». «Era uno degli uomini più stimati che mi sia mai capitato di incontrare» disse Wield. «Uomini, donne, bambini, perfino mariti gelosi - chiunque pensava che lui fosse una persona eccezionale. Ma quando arrivarono i problemi, più della simpatia pesò la lealtà reciproca. La gente voleva credere che fosse stato uno di fuori, non uno di loro». «Dio mio» disse lei, con tutta la superiorità della cittadina appena ventenne nei confronti del campagnolo di qualunque età. «Posti piccoli, mentalità piccole, eh?». «Prego?». «Le comunità come Dendale» spiegò lei. «Credo diventino così autosufficienti e sbarrate verso l'esterno, che non c'è da meravigliarsi che succedano cose così terribili». «Vuoi dire che se lo meritano?». Non c'era niente nella voce di lui che potesse suggerire altro che un educato interesse, ma lei ricordò che Wield ora viveva a casa del diavolo in
qualche sperduta vallata. «Ma no, certo che no» disse, cercando di rimediare. «Solo che, come dice lei, una comunità isolata tende a serrare i ranghi e gettare la colpa sugli outsider. Fa parte della natura umana». «Già, è così. Fa parte della natura umana anche pretendere una vita bella come il posto in cui la stai vivendo». Questa era l'affermazione più vicina a una confidenza che avesse mai ricevuto da Wield. Sorprendente che fosse il genere di frase fatta che adorano i lettori di Hello!. «Sembra che lei sia molto affezionato a Dendale, sergente», cercò di approfondire. «Affezionato? Sì. Era un posto al quale ci si poteva davvero affezionare» disse. «Anche facendo quello che facevamo noi. Non puoi guardare il sole solo per vedere delle eclissi, no?». Di bene in meglio. Avrei dovuto portare un registratore! pensò lei. «Intende dire che tendiamo a cercare sempre il lato oscuro delle cose?». «Sì, più o meno. Mi ricordo, un giorno...». Novello attese. Dopo un po' si rese conto che non aveva bisogno di un registratore, ma di un lettore del pensiero. ... un giorno in cui, non avendo niente altro da tentare, si era messo a camminare nella brughiera verso Beulah Height, giustificando la sua assenza con l'intenzione di seguire una squadra di allevatori di cani che con i loro animali stavano controllando tutto il territorio per trovare eventuali tracce delle bambine scomparse. Era tardo pomeriggio - mancavano due o tre ore perché il sole completasse il suo lungo giro estivo, ma dovunque c'era quella luce speciale dell'imbrunire che fa sembrare magico tutto ciò che tocca - e, mentre si arrampicava su per le pendici della vallata sentiva il peso dell'indagine scivolargli lentamente dalle spalle. In piedi sul picco più alto delle due cime di Beulah, dando le spalle a Dendale, aveva guardato verso la distesa di colline e brughiere. Riusciva a vedere lontano, anche se non chiaramente. Il calore e l'umidità rendevano confuse le aspre linee dell'orizzonte immergendole in una foschia dorata e pigra, e si poteva pensare di tuffarsi in quella bruma dorata e, grazie a qualche antica alchimia di assimilazione, entrarne a far parte. Era riuscito a far durare quella sensazione persino quando, distratto dai belati delle pecore e dall'abbaiare dei cani, si era girato per guardare giù. Tra le due cime, una scabra parete rocciosa di circa tre metri sprofondava verso uno spiazzo
erboso relativamente piatto, che era stato adibito a recinto per le pecore, delimitandolo con un muretto a secco semicircolare. Wield, che aveva studiato le guide turistiche su Dendale a fondo quanto il suo capo, nella disperata ricerca di qualcosa che potesse far luce su quello che era successo, sapeva che le pietre che formavano il muretto erano state probabilmente usate nella fortificazione che un tempo sorgeva sull'Height. Il recinto era popolato di pecore e sia loro sia i collie di guardia si erano innervositi all'avvicinarsi dei cani da ricerca. Per un certo lasso di tempo gli era stato tuttavia possibile amalgamare l'immagine del pastore con il suo lungo bastone intagliato, e i belati delle pecore e l'abbaiare dei cani con la sensazione di assistere a qualcosa che esisteva prima e sarebbe esistito a lungo, anche dopo quella tragedia. Poi, quando uno dei cani da ricerca si era azzuffato con un collie in una rissa breve ma rumorosa, e il pastore e l'allevatore si erano dati da fare urlando per separarli, Wield si era sentito strappare dal passato e riportare al presente. Mentre scendeva giù allo stabbio, la squadra di ricerca si era spostata più avanti. Sforzandosi di ricreare l'atmosfera di prima, aveva salutato allegramente il pastore. «Un'altra bella giornata, signor Allgood» aveva detto. «Proprio il tempo giusto per questo lavoro, devo dire». Conosceva tutti, là nella valle, sia di vista sia per nome. Questo era Jack Allgood, di Low Beulah, un uomo secco e tirato, con la pelle abbronzata e ispessita dal sole e dal vento e uno sguardo schietto che dava l'idea di poter valutare all'istante l'esatto valore di una pecora o di un uomo. «È questo che pensa?» aveva ribattuto Allgood. «Che dovrei sentirmi riconoscente? Forse i giudizi da esperto dovrebbe conservarli per il suo lavoro, sergente, anche se non mi sembra tanto bravo neanche lì». L'uomo aveva la meritata reputazione di essere un tipo permaloso, ma in questo caso la reazione sembrava gratuita. «Scusi se le ho detto qualcosa che l'ha offesa», aveva detto Wield in tono gentile. «Sì, be', già, non è colpa sua, suppongo. La ragione per cui sto preparando le pecore per portarle giù in questo periodo dell'anno è che mi hanno obbligato a farlo. Sì, è proprio così. Cosa credeva? Che noi sloggiassimo dalle nostre case e che gli animali rimanessero qui da soli?». «No, mi scusi. Deve essere difficile. Lasciare tutto. La casa. Tutto quanto».
Per un attimo i due uomini rimasero a guardare il fondovalle sotto di loro - il villaggio con la chiesa e l'osteria, le fattorie sparse qui e là, l'azzurro purissimo del cielo che si rifletteva nel lago. Poi i loro occhi caddero sul lato della diga con le macchine in movimento, l'ammasso di prefabbricati e la muraglia stessa, ormai quasi completata. «Proprio così» aveva detto Allgood. «È dura». Si era girato verso le pecore e Wield aveva preso a scendere il pendio, il sole sempre caldo, la giornata sempre luminosa, il panorama sempre splendido, ma a ogni passo lui sentiva il fardello che ricominciava a farsi pesante sulle sue spalle... «Sergente?» lo chiamò Novello. «Stava dicendo?». «La prossima a destra devi girare per Bixford» disse Wield. «Rallenta, se no la perdi». X «Signor Dalziel» disse Walter Wulfstan. «Quanto tempo...». Da come lo dice, sembra che il tempo non sia stato troppo, pensò Dalziel. Si strinsero la mano e si studiarono a vicenda. Wulfstan vide un uomo leggermente cambiato rispetto alla creatura sovrappeso con la testa rapata che aveva pubblicamente castigato definendolo grossolano, disgustoso e incompetente. Dalziel trovò più arduo completare l'esame. Quindici anni prima, quando lo aveva conosciuto, era un uomo tutto efficienza, fisico perfetto e abbronzatura costosa, occhi vivi e impazienti e una folta chioma di capelli neri. La notizia della scomparsa della figlia lo aveva investito come una tromba d'aria colpisce un pino. Si era piegato, poi apparentemente si era ripreso. Il dolore, la rabbia e una disperata speranza gli avevano infuso un'energia tale che sembrava di trovarsi di fronte a una caricatura esagerata dell'uomo che era prima. Ma era stato lo splendore fasullo di un albero di Natale, e tutti gli anni trascorsi avevano lasciato solo aghi secchi e un tronco prosciugato. I capelli se n'erano andati, la pelle era ingrigita e così tirata sul teschio che il naso e le orecchie sembravano sproporzionatamente grandi, e gli occhi scintillavano dalla profondità di due caverne. Forse nello sforzo di compensare o mascherare la rovina, si era fatto crescere una barbetta appuntita, senza baffi, che comunque non serviva granché. «Possiamo iniziare?» disse Wulfstan, restando in piedi e non invitando
Dalziel a sedersi. «Sono molto impegnato, e il fatto di dover cercare un'altra sede per il concerto d'apertura mi ha già fatto perdere una quantità di tempo che avrei preferito risparmiare». «Mi dispiace molto, signore, ma vista la situazione...». Lasciò che le parole sfumassero. Wulfstan disse: «Scusi, sarebbe una domanda?». Se il bastardo vuole giocare duro, giochiamo duro, pensò Dalziel. «Voglio dire, vista la situazione - vale a dire una bambina sparita e noi che abbiamo bisogno di una base per organizzarne la ricerca -, avrei pensato che forse, considerato quello che ha passato lei, avrebbe provato un po' di comprensione, signore», disse Dalziel. Wulfstan disse piano: «Ovviamente, sentendo che dei genitori che hanno perso una figlia si affidano a lei e ai suoi colleghi per riaverla, mi sento colmo di profonda comprensione, sovrintendente». Uno a zero, pensò Dalziel con apprezzamento. L'istinto lo spingeva a difendersi e colpire, ma l'esperienza gli insegnava che, se ci si sdraia a pancia in su in segno di sottomissione, spesso l'antagonista decide di lasciar perdere, abbassa le difese e lascia scoperte le parti molli. Così, tirò un gran sospiro, si grattò rumorosamente il petto e si sedette in poltrona. «Se è ancora viva, vogliamo trovarla al più presto» disse. «Abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile». Wulfstan rimase immobile per un attimo, poi tirò verso di sé una sedia dall'aspetto scomodo e si sedette direttamente di fronte al Ciccione. «Chieda pure», disse. «Dov'era ieri mattina tra, diciamo, le sette e le dieci?». «Lo sa già. Suppongo che qualcuno abbia visto la mia macchina». «So dov'era la macchina, signore, ma non è lo stesso che sapere dov'era lei». Wulfstan annuì e disse: «Ho parcheggiato la mia Discovery in Corpse Road, non lontano da St Michael, più o meno verso le otto e mezza. Poi sono andato a fare due passi e sono tornato alla macchina appena dopo le dieci». «Da solo?». «Già». «E dov'è andato a passeggiare?». «Su per Corpse Road fino al valico e poi sono tornato indietro per la stessa strada». «Sono trenta, trentacinque minuti per andare e venti a tornare. Cos'ha
fatto per il resto del tempo, signore?». Wulfstan disse con voce piatta: «Sono rimasto in piedi sul valico e ho guardato giù, verso Dendale». Una domanda - 'Qualcosa in particolare?' - stava per uscire dalla gola di Dalziel, ma lui la ingoiò. L'uomo cercava di collaborare. «All'andata, al ritorno o mentre era lì fermo, ha visto qualcun altro, signore?». Wulfstan piegò il capo in avanti e appoggiò gli indici sulle sopracciglia. Era la posa convenzionale del pensatore, ma in quest'uomo dava l'impressione di concentrazione assoluta. «C'erano un paio di macchine, a Dendale» disse infine. «Parcheggiate alla diga. Da una di esse sono uscite alcune persone. Turisti, direi. La mancanza d'acqua per la siccità ha creato molto interesse, perché cominciano a vedersi le rovine del villaggio. Sul sentiero, in su e in giù, non ho visto nessuno. Mi dispiace». Fece per alzarsi. Fine del colloquio. Questo lo crede lui, pensò Dalziel, sistemandosi più comodo nella poltrona. «Va spesso a camminare in Corpse Road, signore?», chiese. «Spesso? Cosa intende per spesso?». «Una testimone che ha visto la sua auto dice che l'ha vista parecchie volte nelle ultime due settimane». «Non mi sorprende. La mia azienda ha un'unità di ricerca e un centro esposizioni al Parco della Scienza di Danby, e quando ci vado colgo spesso l'occasione per sgranchirmi le gambe». «Non c'è niente di meglio di un po' d'esercizio» disse Dalziel, picchiettandosi l'ampio ventre con la stessa fierezza di Arnold Schwarzenegger quando fletteva i suoi bicipiti. «Ieri era domenica, però». «Lo so. Ho studiato ingegneria, sovrintendente e una delle prime cose che ci hanno insegnato sono i giorni della settimana» disse acido Wulfstan. «Forse che nello Yorkshire l'inosservanza del riposo domenicale è stata ripristinata come crimine legalmente perseguibile?». «Nossignore. Mi chiedevo come mai lei va a lavorare di domenica, e cosi presto. Diceva che è la ragione per cui è andato a Danby, per il suo lavoro, non per fare una passeggiata». «Sì, è così. Ed è quello che ho fatto per parecchi anni, sovrintendente, come avrà modo di controllare, anche se mi chiedo perché dovrebbe farlo. Gestire gli affari occupa quasi tutto il mio tempo, ed è facile perdere di vista ciò che li fa andare avanti. Io sono un ingegnere, in primo luogo, e
poi un uomo d'affari. Nel mio lavoro, come del resto nel suo, è facile scivolare fuori dalla propria sfera di competenza». Come il settore traffico, vuoi dire, pensò Dalziel. Si alzò, sorridente. «Bene, grazie per l'aiuto, signore. Un'ultima cosa, però. Lei era venuto a sapere, ovviamente, della bambina scomparsa, attraverso i giornali e per il fatto di dover cambiare la sede del concerto e tutto il resto. E sapeva di essere stato nei paraggi domenica mattina. Non le è venuto in mente di farci una telefonata, giusto nel caso in cui la sua auto fosse stata notata in giro e noi stessimo perdendo del tempo a cercare di eliminarla dai sospetti?». Wulfstan si alzò e disse: «Ha ragione, signor Dalziel. Avrei dovuto farlo. Ma conoscendo in anticipo le domande che avreste fatto e sapendo che nulla di quello che avrei potuto dire vi sarebbe servito, ho capito che contattarvi sarebbe risultato una perdita di tempo per entrambi. Com'è stato, temo». «Io non direi, signore. Non lo direi davvero», disse Dalziel, porgendogli la mano. Gli diede una stretta di mano massonica, giusto per ridere. Gli piaceva che la gente pensasse il peggio di lui, visto che il meglio spesso arrivava come una sgradevole sorpresa. «Ringrazi la signora Wulfstan per la limonata. Spero che il concerto vada bene» disse quando furono alla porta d'ingresso. «Ha trovato qualcos'altro, comunque? Pensavo che forse potreste usare la chiesa». L'eco di quello che era successo a Dendale non produsse reazioni apparenti. «Sfortunatamente, St Michael ha un'acustica intollerabile» disse Wulfstan, «ma la religione può ancora venirci in aiuto. C'è una vecchia cappella, che forse è una possibilità». «Una cappella?» disse Dalziel dubbioso. «Da quello che so dei tizi che gestiscono le cappelle, penserei che questo vostro concerto sarebbe un po' troppo frivolo». «Mahler, frivolo? Direi proprio il contrario. Profano, se mai. Comunque, fortunatamente per noi, la cappella non viene più usata per le funzioni. La setta che la costruì, credo si chiamassero i battisti di Beulah, si è estinta in questa zona prima della guerra». «Beulah?» chiese Dalziel. «Come nel Pilgrim's Progress?». «L'ha letto?» chiese Wulfstan, la cui sorpresa ostentata era un pelo al di
qua dell'insulto. «Allora si ricorderà che dalla terra di Beulah i pellegrini furono chiamati a oltrepassare il fiume per andare in paradiso, passaggio agevole per alcuni e irto di pericoli per altri». «Ma ci andarono lo stesso» disse Dalziel. «'Quando assaggiarono l'acqua che avrebbero dovuto attraversare, pensarono che era un po' amara al palato, ma quando scendeva diventava più dolce'. Un po' come la Guinness». «Proprio così. Bene, sembra che questi battisti Beulah del MidYorkshire, prendendo l'esempio dal testo di Bunyan, fossero arrivati a una forma di immersione totale che obbligava i convertiti a passare da una riva all'altra del fiume. Usarono il fiume più vicino, lo Strake, le cui acque, come forse sa, sono moderatamente profonde e molto rapide. I candidati per il battesimo furono perciò aiutati da un paio di membri anziani conosciuti, dal libro, come gli Splendenti. Sfortunatamente, a una cerimonia alla fine degli anni trenta, il fiume era talmente in piena che nemmeno la forza degli Splendenti fu in grado di resistergli, e loro e il candidato al battesimo, un bambino di dieci anni, furono travolti e annegarono. La reazione locale fu talmente indignata che la setta scomparve. Sono sorpreso che lei non ne abbia saputo niente. La polizia fu accusata di imperizia per aver lasciato che si sviluppasse un'attività così rischiosa. Ma forse, visto che era morto solo un bambino, non venne riconosciuto come un fallimento degno di figurare nei vostri annali». Dalziel, che si era chiesto se la rivelazione della comune conoscenza del Pilgrim' Progress avesse modificato l'opinione di Wulfstan su di lui, capì che si era sbagliato. Ma una risposta pacata si portò via la collera. «E secondo lei questa cappella può andare bene?», chiese. «Stando alla memoria locale, come posto per i concerti vocali non ha concorrenti. È da vedere, invece, se possa essere resa utilizzabile in così poco tempo. Da alcuni anni l'ha presa in affitto un falegname di qui, che la usa come laboratorio. Forse se lo ricorda. Joe Telford di Dendale». Oh merda, ma non la smetteva mai? Dalziel, il cui hobby preferito era lo studio della vendetta e dell'odio immortale, era rapito, in totale ammirazione di quell'uomo. «Telford» gli fece eco, servizievole. «Quello la cui figlia...». «Giusto, signor Dalziel. Quello la cui figlia. Telford ha trasferito gli affari a Danby, ma a detta di tutti il suo cuore non li ha seguiti. Era suo fratello - George, se lo ricorda? - che ha tenuto insieme la baracca. Joe è diventato sempre più orso e solitario. Il suo matrimonio ne ha risentito. Alla fine, sua moglie non ce l'ha più fatta. Se n'è andata. Con George».
Parlava in modo piatto, con un tono asciutto che risultava ancora più enfatico di un'accusa diretta che anche questa tragedia fosse da addebitarsi all'incompetenza della polizia. «Dev'essere stata una rovina», disse Dalziel. «Dicono che Joe non se ne sia quasi accorto». «E il lavoro?». «Joe non fa più niente, tranne qualche lavoro occasionale su commissione, credo. Ma ha ancora in affitto la Beulah Chapel. Se lui è d'accordo, e se riusciamo a spostare il suo ciarpame, a pulire e a farci rilasciare il certificato di agibilità dai vigili del fuoco in quarantott'ore, allora possiamo andare avanti. Come corpo di volontari e dilettanti, dobbiamo contare solo su noi stessi per fare la maggior parte del lavoro, per cui, se le sono sembrato un po' impaziente...» Un'ombra leggera di scusa. Buffo come la gente immaginava di avere il potere di offenderlo, e che lui fosse così ipersensibile. «Si figuri, so cosa vuol dire essere sotto pressione», disse Dalziel. Si strinsero la mano. Incontro finito alla pari. Ma in cuor suo Dalziel sapeva che, a prescindere da ciò che accadeva durante gli incontri con quell'uomo, non si sarebbe mai potuto considerare il vincitore. Delle bambine di Dendale, Mary Wulfstan era stata l'ultima a sparire. Ormai aveva accumulato abbastanza esperienza per saperlo: se hai un sospettato e il tuo tempo sta per scadere, piuttosto che lasciarlo andare, spezzagli una gamba. Ricordava con affetto il suo vecchio capo, che gli aveva dato questo consiglio. Forse, se avesse escogitato un 'incidentÈ quando Benny Lightfoot era stato fatto uscire dalla cella per essere rilasciato, Mary Wulfstan sarebbe stata ancora viva... Accantonò questo pensiero e, mentre oltrepassava la soglia, gli venne in mente un'altra cosa. Attraversando Danby, il mattino precedente, Wulfstan doveva aver visto le scritte BENNY È TORNATO! Perché non ne aveva fatto cenno? Forse valeva la pena di chiederglielo. Si girò. La porta era quasi chiusa, ma non fece niente per evitare che si chiudesse del tutto. Il suo sguardo andò all'automobile parcheggiata un po' più in là, e tutto il suo desiderio di riprendere l'interrogatorio svanì. C'era una figura in piedi, di fianco a essa, che guardava nella sua direzione. Sbatté gli occhi per il riverbero del sole, e sentì il corpo attraversato da un'ondata di calore che non aveva niente a che fare con le condizioni at-
mosferiche. Era la donna che aveva scorto di sfuggita nella riunione del comitato, in casa di Wulfstan. La donna alla quale doveva la sua vaga conoscenza di Mahler. E molto, molto di più. Lei lo guardò avvicinarsi con un lieve sorriso sulle labbra piene. «Come va, Andy?» chiese. «Che bolle in pentola?». Che lo stesse prendendo in giro per il suo modo di parlare era indubbio, ma, a differenza della canzonatura per cui aveva erroneamente sospettato Elizabeth Wulfstan, non se ne sentì offeso. Lo stuzzicarsi, tra amanti, anche se ex amanti, era espressione di intimità o di vero affetto. «Niente di così brutto che non possa essere curato dalla tua vista e da un paio di pinte della migliore, Cap», disse. Amanda Marvell, Cap per gli amici, fece sbocciare il suo sorriso e tese la mano. «Allora andiamo a completare la cura, che ne dici?», propose. XI La fattoria di Stirps End era immobile nel sole come una vecchia nave su una secca, lambita tutt'attorno da campi assetati e crepe sinuose. Ogni cosa, attorno alla fattoria e all'aia, diceva: «Abbiamo perso, e voi avete vinto, lasciateci in pace a marcire, lavati dalla pioggia, riarsi dal sole, non ci importunate e noi non importuneremo voi». Per entrare spinsero un cancello che pendeva fuori dai cardini, anche se avrebbero potuto farlo comodamente oltrepassando il muro a secco nei diversi punti in cui le pietre crollate formavano cumuli tra le ortiche. «Non ne so molto di come si manda avanti una fattoria» disse Pascoe. «Ma qui sembra non facciano neanche il minimo». «Cedric è sempre stato il tipo di agricoltore 'chi fa da sé fa per tre'» replicò Clark, «ma negli ultimi anni si è rotto di fare da sé». «E lei è convinto che Pontifex gli abbia dato la tenuta spinto dal senso di colpa?» chiese Pascoe, gettando uno sguardo disgustato ai relitti rugginosi di macchinari agricoli che costellavano l'aia. «Ci vuole un bel po' di colpa per accumulare tutto questo in quindici anni». «Quando perdi una figlia, cosa sono quindici anni?», commentò Clark. Pascoe avvertì la sua disapprovazione. Dal granaio, che era una prosecuzione della casa e sembrava cercare sostegno appoggiandosi a essa, era emerso un uomo, che adesso era fermo in piedi nel rettangolo scuro della
porta sbilenca, scrutandoli con esausta ostilità. «Che cerchi, Nobby?», chiese. La voce era ruvida e rauca, come se non venisse usata da molto tempo. Impossibile attribuirgli un'età senza il consulto di un medico esperto, qualcosa tra i quaranta e i sessanta: naso affilato, guance incavate e un mento coperto di stoppa sale e pepe che indicava una barba resistente o una rasatura molto remota. Era robusto di spalle e di fianchi, ma la tuta da lavoro lisa e rattoppata che indossava gli pendeva addosso e dava l'impressione di un uomo grande e grosso che in qualche modo fosse imploso. «Salve, Cedric. Questo è l'ispettore capo Pascoe. Vorremo scambiare due parole con Jed». «È al lavoro, se vogliamo chiamarlo così» disse Hardcastle. «Si direbbe che qua intorno non c'è niente da fare». Occorrerebbe un grande sforzo di immaginazione, o l'assenza completa di immaginazione, per crederlo, pensò Pascoe. «No. È qui, sergente», disse una voce femminile. Una donna era apparsa sulla soglia della casa. Era linda e minuta, e stava preparando il pane. Le mani erano infarinate e aveva infilato un grembiule blu sopra l'abito grigio. I capelli lunghi erano raccolti in un fazzoletto di seta blu, con un effetto di soggolo monacale. E in effetti, l'abito grigio e, soprattutto, l'immobilità del corpo e la morbidezza della voce, che sembravano riflettere una profonda tranquillità interiore, avrebbero potuto farla passare per una suora. «Salve, signora Hardcastle» disse Clark. «Le dispiace se entriamo?». Pascoe notò la formalità della frase, che contrastava con il tu che si davano fra uomini. Ma aveva l'impressione che lì la relazione tra forma di saluto e calore dei sentimenti fosse labile. O inesistente. Fu un sollievo togliersi dall'aria rovente e impregnata di concime dell'aia per entrare nell'interno fresco, ma il contrasto non si limitava alla temperatura. Non c'era traccia di trascuratezza, lì. Ogni cosa era pulita e curata alla perfezione. La vecchia mobilia di quercia aveva quella lucentezza profonda ottenuta solo con anni di amorevoli strofinature, e i candelieri di ottone scintillavano sulla mensola di legno, collocati ai lati di una grande fotografia a mezzobusto di una ragazzina, quasi come su un altare. In giro si scorgevano altri ritratti della stessa bambina; nell'angolo accanto al focolare, dove ai vecchi tempi doveva trovarsi il contenitore del sale, e su ciascuno dei due bassi davanzali, che pure reggevano vasi di fiori selvatici, fra i quali Pascoe riconobbe digitale e vitalba, brillanti come candele accese a
illuminare la casa di un marinaio perduto in mare. «Un'orzata al limone contro il caldo?», propose la donna. «Non mi viene in mente niente che gradirei di più», disse Pascoe. La donna gridò su per la scala in pietra che saliva da un'estremità della stanza dal soffitto basso: «Jed. Visite». Poi andò in cucina. Per qualche istante non vi fu alcun rumore. Poi, proprio mentre la signora Hardcastle tornava con un vassoio carico di bicchieri e una caraffa, si sentirono dei passi concitati scendere la scala e un giovane uomo irruppe nella stanza. Non aveva nulla della stanchezza del padre e della tranquillità della madre, ma emanava energia nervosa anche quando era immobile, il che non accadeva spesso. Era di corporatura snella e portava una maglietta nera e quei jeans attillatissimi che conferiscono agli uomini una silhouette un tempo apprezzata solo nei ballerini. Che succede se ti ecciti? si chiese Pascoe. «Allora?», disse il ragazzo, fissando Clark con atteggiamento di sfida. «Buongiorno a te, Jed» disse il sergente. «Vorremmo farti un paio di domandine. A proposito di sabato sera». Lo sguardo del ragazzo si era spostato su Pascoe, intento a sorbire la sua orzata con limone, la cosa più buona e rinfrescante che un assetato poliziotto potesse desiderare. «E questo chi è? La tua balia?». Calca troppo la mano per suonare credibile, pensò Pascoe. Specie per un ragazzo che fuggendo dall'ufficio non aveva trovato altro posto dove rifugiarsi che casa sua. La sua intenzione era stata di farsi indietro e lasciare che Clark sfruttasse la sua conoscenza dell'ambiente. Ma con i deboli spesso è la familiarità che dà forza, e Clark, data la compagnia, non poteva sfruttare la sua arma più efficace negli interrogatori, che a quanto pareva era quella presa d'orecchio. Si avvicinò al giovane e disse in tono cortese: «Sono l'ispettore capo Pascoe. Sto svolgendo indagini su una bambina scomparsa ieri mattina. Quanti anni hai, Jed?». «Diciassette, appena fatti». Scoccò un'inspiegabile occhiata accusatoria a sua madre e proseguì: «Mi mandate una cartolina, o qualcosa del genere?». «No» disse Pascoe imperturbabile, «volevo solo controllare che per la legge tu sia adulto. Così non c'è bisogno che i tuoi genitori ti accompagnino giù alla stazione di polizia. Sergente, lo porti via».
Si allontanò. La signora Hardcastle aveva l'aspetto della madre il cui figlio è appena stato condannato a morte. Suo marito era sulla soglia, i lineamenti contorti dalla collera. Perfino Clark aveva un'aria traumatizzata. Pascoe si arrestò prima di arrivare alla porta, si girò e disse: «Naturalmente, se rispondi a un paio di domande qui, forse non saremo costretti a darti altre noie. Chi ha fatto le scritte con le bombolette? È sempre interessante vedere se le storie coincidono. Sei stato tu o è stato Kittle?». Funzionò. Il ragazzo disse: «Avete parlato con Vern? Cos'ha detto?». Pascoe fece un sorriso enigmatico e disse: «Be', lo conosci, Vern». «Di che cazzo parla questo matto?». Alla fine, Hardcastle padre aveva ritrovato la voce. Pascoe disse: «Parlo delle parole BENNY È TORNATO, scritte con lo spray da suo figlio e dal suo amico sul vecchio ponte della ferrovia e in diversi altri posti in paese. E considerato il fatto che Lorraine Dacre è scomparsa ieri mattina, mi interessa molto sapere perché l'ha fatto». «Non c'entra niente con questa cosa» protestò il ragazzo. «Le abbiamo fatte sabato notte. Allora non sapevamo niente della ragazzina dei Dacre». «E allora perché le avete fatte?» chiese Pascoe. «Un'ispirazione interiore, eh? Pensavate che sarebbe stato divertente? Forse nel vedere quelle parole a qualcuno è venuta l'idea di prendere la bambina. O, forse, l'ha fatta venire a te o a Vernon...». «No!» urlò il ragazzo. «L'ho fatto perché ce l'avevo con quel bastardo di Benny Lightfoot. Per tutta la vita è stato presente in questa casa. Dia un'occhiata in giro, e veda se riesce a trovare una foto mia o di June. No, niente, solo la nostra Jenny, che è stata rapita da Benny Lightfoot un mucchio di anni fa. Per il suo compleanno c'è perfino la torta, candeline e tutto, ci crede? Be', domenica era il mio compleanno, e mi sono regalato una bella dormita. Mi sono alzato all'ora di pranzo, pensando che ci fosse qualche regalo, un biglietto o cose del genere, e un pranzo speciale, e cos'ho trovato? Il casino totale! Mamma era seduta là, tremante, e babbo arrabbiato che urlava come un pazzo, e lo sa per quale motivo? Lei era stata fuori e aveva visto Benny Lightfoot! Il mio compleanno, e tutto quel che ho avuto è stato: 'È tornato! Benny è tornato!'. Allora sono uscito e più tardi ci siamo fatti un po' di birre con Vern, e lui ha detto: 'Be', se è tornato, diciamolo a tutti in questo fottuto posto, vediamo se riusciamo a rovinare il compleanno a qualche altro bastardo'.» «Così avete deciso di darci dentro con lo spray. Bella pensata», disse Pascoe.
Il ragazzo tremava per l'emozione di quello sfogo, ma la madre sembrava in uno stato ancora peggiore. Disse: «Oh, Jed, mi dispiace... mi dispiace tanto...». Pascoe disse: «Signora Hardcastle, devo chiederle...» ma Clark gli era passato davanti, quasi spingendolo da parte con una spallata, e prendendo la donna per un braccio disse: «Ci penso io, signore», e la pilotò in cucina. Interessante, pensò Pascoe. Rivolto all'Hardcastle più anziano disse: «Anche lei ha visto Lightfoot, signore?». «No!» ringhiò l'uomo. «Pensa che se l'avessi visto non gli avrei tagliato la gola? Ma ho sempre saputo che sarebbe tornato. Sono anni che lo ripeto: non è finita, non ancora, ci vorrà ancora molto tempo perché sia finita. Loro pensavano di averla scampata. Tutti in chiesa, a dire con aria solenne quanto gli dispiaceva, ma per tutto il tempo pensavano: 'Sia ringraziato il Signore, non era la mia, grazie a Dio l'ho scampata'. È la piccola di Elsie Dacre che è sparita, vero? Elsie Coe, era prima. Lei stessa era una ragazzina allora, quando successe, e mi ricordo che sentii suo padre dire che avrebbe fatto lui in modo che a sua figlia non succedesse niente, anche se voleva dire tenerla legata in casa. Ma è successo lo stesso, vede? È successo!». «Non sappiamo cos'è successo, signore. Ma dobbiamo esaminare ogni possibilità» Si voltò verso il ragazzo. Niente più aria di sfida, e nemmeno rabbia, solo il viso di un bambino sperduto con le lacrime agli occhi. Hardcastle aveva ragione. Qualunque fosse la verità sul ritorno di Lightfoot, la cosa non si era mai conclusa, non per questo ragazzo e per sua sorella fuggita di casa, perché non si sarebbe mai conclusa per i loro genitori. Disse con gentilezza: «Sei stato molto sciocco, Jed, e forse avrò bisogno di parlarti di nuovo. Nel frattempo, non sarebbe meglio che tu tornassi al lavoro?». Il ragazzo annuì, grato, poi uscì senza una parola, spingendo da parte il padre. Ah, le famiglie felici, pensò Pascoe. Andò in cucina. Clark aveva giocato la sua partita. Trovò il sergente seduto vicino alla signora Hardcastle al lungo tavolo da cucina, strofinato da generazioni di energiche massaie campagnole fino a farlo diventare quasi bianco.
Nel vederlo, Clark si alzò e disse: «Allora grazie, signora Hardcastle. Mi terrò in contatto. Si riguardi». Pascoe si lasciò pilotare fuori di casa. Sull'aia si fermò e disse dolcemente: «Bene, sergente. Adesso mi convinca che non devo rientrare là dentro a fare qualche domanda alla signora Hardcastle». «Mi ha detto tutto quello che sapeva», disse Clark. «Allora me lo riferisca». «È uscita domenica mattina a raccogliere dei mirtilli. La torta di mirtilli è la preferita di Jed, e voleva preparargliela per il suo compleanno. Il posto migliore, qui attorno, è sul versante più lontano della vallata, in alto, dove prendono il sole del mattino. Lei è andata là, e ha continuato ad arrampicarsi finché non ha raggiunto il crinale. Ha detto che le era venuta la curiosità di guardare giù, verso Dendale, perché aveva sentito dire che il villaggio stava riemergendo con la siccità, ma fino a quel momento non si era data pena di andare a vedere... Quando ha guardato giù, ha visto più di quanto avrebbe voluto. Ha visto Benny Lightfoot laggiù, che vagava sul posto dove avrebbe dovuto trovarsi il Neb Cottage». «E allora cos'ha fatto?». «È rimasta lì ferma a guardare il pendio di fronte. Lui era molto distante, ma dice che l'ha visto sorridere. Poi ha gettato via tutti i mirtilli, si è voltata e non ha smesso di correre finché non è arrivata a casa». «Quando dice che stava vagando, intende camminando? Con le sue gambe? Non fluttuando sul terreno?». Clark tirò un profondo respiro e disse: «Non è folle, signore. Quel che ha passato avrebbe distrutto un sacco di donne, ma lei è ancora in possesso di tutte le sue facoltà». «E la vista? Anche quella è intatta?». «Non l'ho mai sentita lamentarsene. E non porta gli occhiali». «Ma forse ne ha bisogno. Quanti anni dimostrava Lightfoot?». «Prego?». «Aveva la stessa età dell'ultima volta che l'ha visto, o dimostrava quindici anni di più?». «Non lo so, signore. Non gliel'ho chiesto». Pascoe scosse il capo con irritazione. L'effetto rinfrescante dell'interno in penombra e dell'orzata al limone stava rapidamente evaporando nell'aria insopportabilmente calda. «Lo sa che devo tornare a parlare con lei, vero?» disse. «Avrò bisogno di una dichiarazione vera e propria».
«Sì signore. Ma non adesso, signore». La voce di Clark era supplichevole. «Mi perdoni se invado la sfera personale» disse Pascoe, «ma non c'è qualcosa fra lei e la signora Hardcastle, per caso?». «No!» esclamò Clark. Poi, con tono più calmo: «No, non adesso. Una volta, tanto tempo fa, c'era... qualcosa. Ma lei aveva tre bambini piccoli, e non sembrava giusto, nemmeno se lei e Cedric... be', chi lo sa cosa sarebbe potuto accadere? Quello che è successo è che la piccola Jenny scomparve. E questo è quanto. Certe donne sarebbero uscite di testa dopo quello. Ma lei la prese come una sorta di prova. Cedric ne fu talmente colpito che lei sapeva che non l'avrebbe mai lasciato, qualsiasi cosa accadesse. Me lo disse... non che ce ne fosse bisogno... lo vedevo da me... Così, adesso siamo il sergente Clark e la signora Hardcastle. Ma non permetterò che le facciano alcun male, signore. Non importa chi». Parlò in tono di sfida. «Sono contento di sentirlo» disse Pascoe. «Guardi, probabilmente è meglio che la vediamo giù alla Hall, quando il signor Dalziel sarà di ritorno. Torni dentro e le dica che la vogliamo vedere tra, diciamo, due ore. Dovrebbe darci il tempo di aggiornare Super». «Glielo chiederò, signore». «Glielo dica, piuttosto» disse Pascoe deciso. «Nel mezzo di un'indagine come questa, sergente, non c'è posto per i sentimenti personali». Si sarebbe rivelato attendibile quell'uomo? si chiese. Cominciava a pensare che si fosse verificato un effetto Dendale'. Un po' come la sindrome del Golfo; difficile da definire, ma impossibile negare che esista, quando si sono incontrate una o due persone che ne soffrono. Compreso, forse, il Ciccione in persona. Avrebbe preferito credere che Dendale fosse irrilevante ai fini dell'indagine, ma tutte le strade sembravano condurre là, e finché non avesse visto un cartello stradale che puntava decisamente in un'altra direzione, forse era meglio seguirle, non fosse che per avere la conferma di un vicolo cieco. Chiamò: «Sergente». Clark, che lentamente stava tornando verso la casa, si girò mostrando la sua espressione infelice e disse: «Signore?». «Questo tizio, Benny Lightfoot, aveva qualche amico?». «Neanche l'ombra» rispose Clark. «Un vero lupo solitario». «Perciò, se fosse tornato davvero, non si sarebbe diretto da nessuna parte in particolare?».
«Solo a Dendale, e là non c'è rimasto più niente per lui, adesso, nemmeno con la siccità. Tutti gli edifici, compreso il Neb Cottage dove abitava con la nonna, furono spianati col bulldozer prima che allagassero la valle». «La nonna. Ma ha detto che ebbe un infarto. Che cosa le è successo esattamente?», domandò Pascoe. «Puntò i piedi, dicendo che avrebbero dovuto trascinarla a forza fuori dal suo cottage, e furono costretti a farlo davvero» disse Clark. «Ci si era barricata dentro. Io andai lassù per cercare di farla ragionare, e attraverso la finestra la vidi stesa sul pavimento. Poche ore di ritardo e penso che ci avrebbe rimesso la pelle». «Per fortuna lei è stato così coscienzioso», disse Pascoe. «Non sono sicuro che lei la vedesse in questo modo» disse Clark. «Quando andai a trovarla in ospedale, non si dimostrò quel che si dice riconoscente». «Si riprese?». «A seconda dell'interlocutore» rispose Clark, e il ricordo gli strappò una smorfia. «Se le facevano qualsiasi domanda ufficiale su Benny, perdeva immediatamente la memoria e l'uso della parola. Certo, era un tantino confusa, e aveva difficoltà a trovare le parole esatte, ma si era ripresa abbastanza in fretta da costituire un bel problema per le infermiere. L'avrebbero lasciata uscire molto prima del tempo, se avessero saputo dove mandarla. Non era autosufficiente, capisce. Anche dopo che ebbe recuperato quasi completamente l'uso della parola, un lato del corpo rimase parzialmente paralizzato. Perciò dovevano assisterla anche a casa, e quando i servizi sociali avanzarono qualche proposta fece fare loro dei bei balletti». «Ma alla fine andò?». «No. Saltò fuori una nipote, che viveva da qualche parte vicino a Sheffield. Disse che l'avrebbe presa con sé. E quella è l'ultima volta che l'abbiamo vista nei paraggi». «Perciò potrebbe essere ancora viva». «Difficile dirlo: però è quel tipo di persona che sopravvive in eterno se sa che la gente si aspetta che muoia da un momento all'altro». «Non ricorda il nome della nipote, per caso?». «No. Ma ai servizi sociali devono averlo registrato». «Dipende da chi seguiva il caso», disse Pascoe poco ottimista. «Questo lo so. Una tizia di nome Plowright». «Non vorrà dire Jeannie Plowright, quella che è a capo dei servizi sociali del comune, adesso?», chiese, sentendo rinascere la speranza.
«Proprio lei. Ha fatto carriera» disse Clark. «Io l'avevo previsto. Chiunque sia sopravvissuto dopo aver avuto a che fare con la vecchia signora Lightfoot merita di arrivare dritto in cima!». Entrò in casa. Pascoe prese il cellulare e compose un numero. «Municipio». «I servizi sociali. La signorina Plowright, per favore». Una pausa, non riempita (per grazia di Dio) da musichette d'attesa. Poi una voce maschile. «Pronto?». «C'è Jeannie, per favore?». «Mi spiace, è fuori. Posso esserle utile?». «No. Quando sarà di ritorno?». «Non prima del tardo pomeriggio. Senta, se è per...». «Non è per niente che lei possa sapere» disse Pascoe. «Può assicurarsi che riceva un messaggio?». «Credo di sì, ma senta...». «No. Stia a sentire lei. E attentamente. Mi chiamo Pascoe. Ispettore capo Pascoe. Dica alla signorina Plowright che passerò dal suo ufficio domattina alle nove. È una questione che riguarda la polizia, urgente e confidenziale, ok? Oggetto dell'incontro: la signora Agnes Lightfoot, già residente a Neb Cottage, Dendale. Ha scritto tutto? Bene. La ringrazio». E chiuse la comunicazione. Fate largo se mi vedete arrivare, pensò. Prima strapazzo Clark perché ha sentimenti personali. Adesso calpesto sotto gli zoccoli un povero diavolo di cui non mi curo nemmeno di chiedere il nome o la carica. Un'altra quindicina di tacche e nessuno mi distinguerà più da Dalziel! Il telefono suonò. «Pronto», abbaiò. «Peter, sono io. Ascolta, non preoccuparti, ma Rosie non è stata bene a scuola e la signorina Martindale mi ha mandato a chiamare e l'ho portata a casa e ho dedotto che avesse preso troppo sole, o qualcosa del genere, poi ho pensato a Zandra e ho telefonato a Jill e lei ha detto che Zandra stava molto peggio e che aveva chiamato il dottore, perciò mi sono un po' preoccupata e ho telefonato al dottor Truman che adesso è qui e dice che vorrebbe far entrare Rosie in ospedale per alcuni esami... Peter, puoi venire subito? Ti prego...». Non aveva mai sentito Ellie a quel modo. Il mondo attorno a lui ondeggiava come se il grande oceano dell'erica sulle colline avesse deciso di
scuotere via con un'alzata di spalle Stirps Farm dal suo banco sabbioso. Poi tutto tornò di nuovo immobile. Disse: «Sto arrivando». Alla faccia dei casi complicati, pensò. E alla faccia di chi sputtana gli altri perché lasciano che i sentimenti personali interferiscano con l'indagine. Dalziel aveva ragione. Se c'era un dio, aveva un gran gusto per gli scherzi. «Sergente Clark!», ruggì. E si mise a correre verso la macchina. XII Quando Wield e Novello arrivarono a Bixford, non ci fu bisogno di chiedere informazioni sulla direzione da prendere. Torreggiante al di sopra del cartello che dava il benvenuto a Bixford agli automobilisti prudenti, c'era un tabellone che proclamava la prossimità della GEORDIE TURNBULL (DEMOLIZIONI E SCAVI) LDT. Il posto era racchiuso da un alto steccato collegato con la corrente elettrica, che circondava uno spiazzo di circa un acro. Al centro sorgeva un bungalow, con parcheggiato di fianco un bulldozer giallo brillante con il nome di Turnbull in rosso infuocato, e dall'altra una Volvo familiare azzurra. Questa non recava tracce di polvere o terriccio, e luccicava nel sole. Novello entrò dal cancello aperto e parcheggiò accanto alla Volvo. Wield smontò e cominciò a girare lentamente attorno alla familiare, sbirciando attraverso i finestrini tersi. Novello andò al bungalow e premette il bottone del campanello. Poco dopo la porta si aprì. Comparve un uomo basso e tarchiato, con pantaloncini kaki, canottiera a righe ed espadrillas. I ruvidi capelli biondi gli stavano ritti sul cranio, e sbadigliava e si sfregava gli occhi, come se si fosse appena svegliato. Ma le mascelle si bloccarono, lo sguardo gli si illuminò e un sorriso di benvenuto si diffuse come un'alba sul suo viso tondo e florido mentre squadrava Novello da capo a piedi. «Ehilà, salve» disse. «Facevo un pisolino, ma valeva la pena di svegliarsi per questo. E cosa posso fare per lei, mia bella signora?». Sicché Geordie non era solo un diminutivo di George. Nella sua parlata si avvertivano le increspature del fiume Tyne. «Il signor Turnbull, vero?», chiese, notando che le braccia nude e muscolose erano ricoperte di una leggera peluria bionda, che sembrava riflettere il calore del sole.
«Sicuro, sono io. Vuole entrare e togliersi da questo benedetto caldo ed estinguere la sua sete con una lattina di birra? O di limonata, se è venuta per parlarmi di Gesù». Si sorprese a restituirgli il sorriso. Era una cosa notevole. Nel giro di pochi secondi, Turnbull aveva completato la trasformazione da disgustoso zotico di mezz'età a tenero, simpatico e divertente koala. In parte era quel sorriso contagioso, in parte l'ammirazione palese, priva di minaccia e del tutto lusinghiera che gli leggeva nello sguardo, ma forse soprattutto la prontezza con cui aveva offerto da bere ancor prima di sapere cosa volesse da lui. L'inglese, sulla soglia di casa sua, è una creatura di indole sospettosa, che si aspetta sempre il peggio. Novello per lavoro bussava a un sacco di porte. Il suo aspetto non era molto minaccioso e non corrispondeva per nulla (almeno lo sperava) a quello del poliziotto. Ma la reazione usuale oscillava dalla circospezione neutra all'ostilità diretta, e questo prima che si identificasse. Esibì il tesserino e disse: «Agente investigativo Novello. Possiamo fare due chiacchiere, signor Turnbull?». Un sopracciglio si alzò in maniera buffa, ma l'espressione di solare benvenuto non cambiò mentre diceva: «Vada per la limonata, allora, eh, cucciolo? Dentro». E poi ci fu un cambiamento, come l'ombra di una sottile nuvola molto alta che passi veloce su un paesaggio dorato, e neanche te ne accorgi che è già passata. «Signor Turnbull». Wield era comparso dietro di lei. Turnbull lo riconobbe, di questo era sicura. E la cosa non fu piacevole. Sarebbe stato interessante vedere se l'uomo avrebbe ammesso l'antica conoscenza o se avrebbe scelto la linea dura. Ma mentre formulava il pensiero, il sorriso di Turnbull si era alzato di un kilowatt e l'uomo stava dicendo: «Lei è il signor Wield, o sbaglio? Ma certo che è lei. Della stessa pasta, lei e io, sergente. Se vediamo uno una volta non ce lo scordiamo più». La frase poteva suonare offensiva, ma non fu pronunciata in quel senso: sembrava semplicemente un ragazzo che non bada alle apparenze rivolto a un altro che vuole lusingare includendolo nel suo stesso club. Wield strinse la mano tesa e disse: «È passato un bel po' di tempo da Dendale». «Ha ragione. Ma una cosa come quella sembra sempre sia successa ieri» disse Turnbull fattosi all'improvviso solenne. «Entrate. Dentro fa più fre-
sco». Era vero, in parte per l'ombra, ma anche grazie a un condizionatore portatile collocato in un angolo del salotto. Turnbull non era sposato. Novello l'aveva saputo da Bella. Ma l'ambiente non sembrava soffrire per l'assenza del tocco femminile. E perché avrebbe dovuto, poi? Un uomo come quello doveva avere una lista di signore del posto che facevano la fila per cucinare, pulire e, in generale, coccolarselo. L'idea avrebbe dovuto suscitare in lei un rigurgito di indignazione. Si ritrovò invece a sistemare per bene un coprischienale prima di sedersi sulla poltrona offertale. Andiamo, Novello, si rimproverò. Questo tizio potrebbe essere tuo padre. Si costrinse a rientrare nelle vesti di poliziotto. L'uomo leggeva il Daily Mirror. Nessun altro indizio di carta stampata di alcun genere per la stanza. I mobili erano vecchi, ma non antichi, e il legno aveva la bella lucentezza che deriva dalle pulizie frequenti - di nuovo quel tocco femminile? Che peraltro si deduceva anche dal vaso d'ottone riccamente rilucente pieno di felci fresche posto di fronte al camino. Probabilmente le signore della parrocchia avevano una tabella dei turni per curare i fiori in chiesa e poi venire a mettere in ordine dal signor Turnbull. Rieccoci!, pensò. Cerca di concentrarti. Il caminetto: ecco una cosa interessante. Bello, in stile vittoriano, quasi troppo grande per la stanza e di certo non coevo. Turnbull era andato in cucina, e ora ne tornava reggendo un vassoio con una caraffa di limonata ghiacciata e tre bicchieri. Quando erano entrati, su un tavolino c'erano un boccale e una lattina di birra, che lui aveva portato via con sé. Voleva mantenersi lucido? «Salute» disse sollevando il bicchiere. «Dunque, cosa posso fare per lei, signor Wield?». «Gli affari vanno male?». «Come?». «Dato che la trovo a casa in pieno giorno, col bulldozer lì fuori». «Oh, no» disse Turnbull. «Tutto il contrario, sono felice di dire. Le cose filano così bene che il boss può permettersi di far lavorare i suoi ragazzi mentre si occupa delle scartoffie». Lo sguardo di Wield scivolò sul Daily Mirror. Turnbull rise e disse: «Non quelle scartoffie. Mi avete beccato nella pausa del tè. No, dovreste vedere il mio ufficio». «Sì, grazie» disse Wield. «Da che parte?». Turnbull sembrò momentaneamente sbalordito che il suo invito fosse stato preso alla lettera, ma si alzò e li guidò fuori dalla stanza.
L'ufficio era stato ricavato in quella che doveva essere la seconda camera da letto del bungalow. Qui non c'era bisogno di una camera per gli ospiti, immaginò Novello. In qualche modo dubitava che gli ospiti di Turnbull procurassero un surplus di lenzuola da lavare. Il guaio era che più lo inquadrava come il classico uomo amato dalle donne, meno le veniva facile considerarlo un molestatore di bambine. «Ha qualcuno che si occupa dell'ufficio signor Turnbull?», chiese. «Gesù, sì. È troppo per un'anima semplice come me. Ho una simpatica signora che mi tiene in riga». «Posso immaginare. Oggi non c'è?». «No. Le ho dato giornata libera», disse Turnbull. Novello si impose di non lanciare un'occhiata significativa in direzione di Wield. Dare una giornata libera all'impiegata il giorno dopo il rapimento... il possibile rapimento... Doveva... anzi poteva... o meglio, in qualche caso si era rivelato significativo. «È di qui?», chiese Novello. «Direi proprio», disse Turnbull. Poi scoppiò in quella risata contagiosa che era così difficile non imitare. «Scommetto che stai pensando 'Una pupa', vero, coniglietta? Be', non nego di averci fatto un pensiero, su una di quelle, ma mi si sono parati davanti problemi di tutti i generi. Mai mischiare affari e piacere, come disse il vescovo alla badessa. Poi, il colpo fortunato. La signora Quartermain. Sessantacinque anni. Vedova. Adora lavorare. E abita proprio in fondo alla strada, al vicariato». «Il vicariato?». «Esatto, micina. È la mamma del vicario. Lui è talmente felice di togliersela dalle scatole... E io sono felice di averla tra le mie. Ma gliela restituisco quando ha qualcosa di speciale in pentola. Oggi fanno uscire i vecchi. Non metterebbero mai il naso fuori dal paese, se non fosse per mamma Quartermain». Le fece un sogghigno, invitandola a unirsi al divertimento, anche se lo scherzo era stato a sue spese. Si ritrovò a ricambiare il sorriso, e poi a cercare di nasconderlo guardando come reagiva Wield alla scenetta. Ma lui non vi aveva neppure assistito. Stava percorrendo la stanza a passi lenti, studiando il catalogatore, la bacheca, il fax, la fotocopiatrice che lo affollavano senza ingombrarlo. Era un'attività molto ben organizzata. L'attività di un uomo molto ben organizzato. Chissà se era altrettanto abile a destreggiarsi con la vita intima e le esigenze personali, si chiese il sergente, che di queste cose ormai sapeva tutto.
«Sono molto colpito» disse alla fine. «Lei ha fatto molta strada, signor Turnbull. Non aveva un'attività sua quando lavorava giù alla diga di Dendale, o sbaglio?». Dendale. La seconda volta che veniva menzionata. E di nuovo sembrò gettare un'ombra cupa sull'allegria spontanea di Turnbull. Ma era logico, no? Su chiunque si fosse trovato là. Gesù, questo tizio mi fa già lavorare a favore della difesa, pensò Novello. «No. Laggiù guidavo il bulldozer per il vecchio Tommy Tiplake. Ero una specie di socio giovane, in realtà. Vale a dire che tenevo duro insieme a lui quando i tempi erano cattivi. Niente famiglia, il vecchio Tommy, o almeno non se ne curava, e ci trovavamo tanto bene insieme che quando è andato in pensione mi ha lasciato la ditta. Ho avuto una gran fortuna. E non ho fatto niente per meritarla, ma ringrazio Dio ogni giorno per tutte le sue benedizioni». Parlando erano tornati nel salotto, e Turnbull, mentre si risedevano, indirizzò a Novello un ondeggiamento di sopracciglia, che diceva chiaramente come la collocasse in una posizione molto alta tra le suddette benedizioni. «Non sapevo che fosse un uomo religioso», disse Wield. «Con l'età lo si diventa, immagino, signor Wield. BÈ è una bella scommessa, no? Forse è perciò che ho assunto la madre del vicario». «Quindi, con tutti questi bei sentimenti religiosi, sarà stato in chiesa domenica mattina», disse Wield. «C'ero, a dir la verità» disse Turnbull. «Perché me lo chiede, signor Wield?». Lo sai perché te lo chiediamo, pensò Novello. L'hanno detto alla televisione. Era sui giornali. Anche sul Daily Mirror. O forse tu lo sapevi prima... Era stato un pensiero tardivo, una specie di strascico professionale. Doveva combattere quel fascino soggiogante che induceva i datori di lavoro a cedergli l'attività e i vicari a cedere le madri perché lavorassero per lui, e Dio sa che altro... «A quale funzione?», chiese Wield. «Quella del mattino». «Che è alle undici, giusto?». «Giusto». «E prima?». «Prima? Vediamo...». Aggrottò la fronte in una parodia di concentrazione.
«Mi sono alzato alle nove. Ricordo che mentre mi facevo la barba alla radio c'era Letter from America di Alistair Cooke. Poi mi sono fatto il caffè e del pane tostato, e mi sono seduto fuori, dietro casa, a far colazione, perché faceva già molto caldo, e ho letto il giornale della domenica. Ci sarò stato fin verso le nove e quarantacinque, o giù di lì. È abbastanza per lei, signor Wield, o vuole di più?». Adesso c'era un sottofondo di collera che non riusciva a mascherare. O forse ci sarebbe riuscito benissimo, ma non si curava di farlo. O magari invece non era affatto arrabbiato. «Era da solo? Non ha visto nessuno? Nessuno l'ha vista?». «No, finché non sono andato in chiesa», disse Turnbull. «È lontana la chiesa?». «Dall'altra parte del paese, circa un miglio». «Quindi ci va a piedi?». «Qualche volta sì. Dipende dal tempo e da che cosa devo fare dopo». «E ieri?». «Ci sono andato in macchina. Dovevo passare a prendere un amico, per passare la giornata sulla costa dopo la funzione». «Lei lascia sempre l'auto dov'è adesso, di fronte alla casa?». «Non sempre. Qualche volta la metto in garage». «E domenica notte?». Un'esitazione. Era tanto difficile ricordarselo? Forse, come Novello, mentre Wield gli faceva la domanda stava rimuginando qualcos'altro. «In garage», disse. Il che significava che se, diciamo, il ragazzo dei giornali ricordava che quando aveva consegnato il giornale, prima delle nove, la macchina non si vedeva, questo non significava nulla. Guardò Wield. Conosceva, per averne avuto esperienza diretta, la sua reputazione di meticolosità. Non avrebbe lasciato perdere finché non avesse controllato chiunque nella zona che avesse potuto vedere Turnbull allontanarsi da casa domenica mattina presto. Errore, pensò lei. Finché io non li ho controllati tutti! Che meraviglia... Turnbull si era alzato in piedi. Uscì dalla stanza e lo sentirono comporre un numero al telefono dell'angusto ingresso. «Dickie» disse. «Geordie Turnbull. Sì, non male, considerando... Considerando che ho compagnia. La polizia. No, nessun problema, ma vorrei che tu venissi qui a darmi una mano. Più presto che puoi. Grazie, ciccio». Tornò da loro e disse: «Dick Hoddle, il mio avvocato, sta per raggiun-
gerci, signor Wield. Spero non le spiaccia». «È a casa sua», disse Wield con indifferenza. «Sì, e ho intenzione di rimanerci» disse Turnbull. «Ecco perché voglio che Dickie venga qui. Una cosa voglio mettere in chiaro, signor Wield. Non ho la minima intenzione di farmi trascinare da lei a Danby per aiutarla nelle sue indagini. A meno che non mi arresti». «Prima mi ha chiesto cosa succedeva» disse Wield. «A quanto pare lo sapeva fin dall'inizio». «Oh, lo sapevo benissimo, ciccio. Solo che non potevo crederci. Voi me l'avete già fatta questa cosa, si ricorda? Non credevo veramente che voleste rifarmela, ma invece è così, o sbaglio?». «Noi stiamo seguendo ogni possibile linea di inchiesta riguardo alla sparizione di Lorraine Dacre, sì», disse Wield. «Fatelo. E spero che troviate quel bastardo. Ma la gente come voi, per seguire le sue piste, invade con i suoi stivali infangati la vita degli altri, senza curarsi del casino che si lascia dietro. Non andrò in nessun posto dove ci siano telecamere e giornalisti. Se volete qualcosa da me, l'otterrete qui, o non avrete proprio niente». «Ottimo» disse Wield. «Proprio qui volevo arrivare. Per cominciare, apprezzo la sua cooperazione, signor Turnbull. Dovremo controllare le sue dichiarazioni. Ed esaminare la sua automobile. È accettabile per lei?». «Ho scelta?». «Oh, sì. Tra adesso e più tardi», disse Wield. «Proceda» disse Turnbull, gettando le chiavi della macchina per terra davanti a Novello. «Fate quel diavolo che volete. Come sempre». Nelle sue parole c'era una buona dose di amarezza, diluita però da qualcos'altro, pensò Novello mentre raccoglieva le chiavi. Qualcosa che c'era quasi dall'inizio. Qualcosa di molto simile al... sollievo? Ma sollievo per cosa? Per il fatto che finalmente l'avessero scoperto, fermando così i suoi crimini? O forse semplicemente sollievo che la cosa che aveva tanto temuto stesse ormai seguendo il suo corso? Andò fuori alla macchina. Wield rimase a circumnavigare la stanza, fischiettando non molto intonato, A wandering minstrel, I. La musica, per lui, iniziava da Gilbert e finiva con Sullivan. «Bella stanza, signor Turnbull», disse dopo aver completato il circuito ed essersi fermato dall'altro lato del caminetto. «Come ho detto, ho avuto fortuna. E la gente è stata buona con me.
Tommy Tiplake. E tutti quelli che stanno qua attorno. Parleranno in mio favore, signor Wield». Era quasi un appello, e Wield ne fu quasi contagiato. «È bello avere degli amici» disse. «Vecchio e glorioso, il caminetto». «Sì». «Un po' troppo grande per qui dentro, forse. E poi, non so, ha un'aria familiare». «Che memoria!» si congratulò Turnbull. «Viene dall'Holly Bush di Dendale. Quel bar così accogliente. Niente paura, è stato pagato. Tommy e gli altri demolitori fecero un accordo con il Dipartimento per le Acque per poter tenere i pezzi migliori. Sarà stato registrato». «Ne sono sicuro» disse Wield. «È meglio che un oggetto simile trovi una buona casa piuttosto che finire in pezzi sul fondo del lago, eh?». Ci fu un istante di nostalgia condivisa per un passato sul quale il progresso aveva fatto transitare la sua autostrada a sei corsie. Poi dalla porta Novello chiamò: «Sergente». Lui uscì. Lei gli mostrò un paio di sacchetti per le prove. In uno c'era una scarpa da ginnastica bianca e rosa da bambina. In un'altro un nastro di seta azzurro legato in un fiocco. «Il nastro era per terra vicino al sedile posteriore. La scarpa era sepolta sotto una pila di roba nel bagagliaio». Wield rifletté in silenzio. Novello conosceva la natura delle sue riflessioni. Mettere subito a confronto Turnbull con le loro scoperte o aspettare finché non avessero avuto un'identificazione dai Dacre? Il problema fu risolto dalla comparsa dell'uomo sulla soglia. «Che cos'hai lì, ciccia?», chiese. La domanda suonò indifferente. Forse troppo indifferente, date le circostanze, pensò Novello. Wield lo ignorò. «Vai alla radio... no, prendi il telefono» disse. «Riferisci cos'è successo e di' che vorrei una squadra di ricerca e un medico legale qui, quanto prima». Poi finalmente rivolse l'attenzione all'uomo e iniziò a recitare: «George Robert Turnbull, devo avvertirla...». XIII Andy Dalziel e Cap Marvell sedevano uno di fronte all'altra nella saletta del Book and Candle. La saletta era sopravvissuta al suo nome, dal mo-
mento che c'era lo spazio per non più di una mezza dozzina di sedie e due tavolini minuscoli, al di sotto di uno dei quali si incontravano le loro ginocchia; invero, più che incontrarsi, erano costrette a incastrarsi, ma dato che il grugnito di scusa di Dalziel non aveva provocato altro che un sorrisetto ironico, questi si rilassò e si godette il contatto. Il pub non era uno di quelli che era solito frequentare, poiché il suo essere 'in zona campanÈ e la clientela ultrarispettabile, sottolineata dall'assenza di videogame, tavoli da biliardo e Jukebox, lo rendevano scarsamente indicato per la maggior parte dei colloqui professionali di un poliziotto. Ma, essendo un pub e trovandosi sul suo tragitto abituale, lo conosceva e vi era conosciuto, e il proprietario non si era dimostrato sorpreso né dall'ordinazione di Dalziel, tre pinte della migliore e uno spritzer, né alla richiesta di riservare loro la saletta per la mezz'ora successiva. La prima pinta era andata giù senza toccare le sponde e la seconda declinava tristemente quando Dalziel diede il via alla conversazione. «Mi sei mancata», disse di botto. Cap Marvell rise di gusto. «Vuoi provarci di nuovo, Andy, e questa volta vedere se ti esce qualcosa di un po' meno simile alla riluttante confessione di un adolescente che si masturba?». Lui sorbì un altro lungo sorso dalla pinta, poi, brontolò: «Forse non mi sei mancata poi tanto». Lei gli strizzò una gamba fra le ginocchia e disse: «Be', io ho sentito la tua mancanza più di quanto credessi possibile». L'ammissione provocò in lui una sensazione che non fu in grado di riconoscere. Mentre tentava di darle un nome, disse arcigno: «Scelta tua». «No» replicò lei con calma «non c'è stata nessuna possibilità di scelta. Non allora». «E allora perché sei qui, adesso?». «Perché adesso potrebbe esserci». «E...?». «E se ci sarà, sceglierò». «Magari dovresti aspettare che te lo chiedano», disse. Aveva identificato la sensazione: era piacere, con un tocco di imbarazzo. In qualche modo la cosa lo infastidiva. La prossima volta sarebbe arrivato ad arrossire! «Ah, no. Questo è un pretesto bello e buono. Tutte le scelte importanti vengono fatte prima di averne l'occasione».
La guardò, e ora riconobbe che non gli erano mancati solo il viso avvenente, il corpo vigoroso e l'ampio seno, ma anche il suo senso dell'umorismo, la sua indipendenza e il suo metter giù le cose senza tante stronzate, qualità a volte oscurata, a volte sottolineata dal suo accento di lusso. Che poi era tutto ciò che le restava della vita precedente, nella quale si era sposata, appena finite le scuole, con un membro della piccola nobiltà, aveva messo al mondo un figlio, l'aveva seguito da vicino (vicino quanto l'avevano permesso le bambinaie e i convitti) finché non era diventato un ufficiale dell'esercito, poi dato per disperso e ritenuto morto nella guerra delle Falkland. Quell'esperienza epifanica l'aveva indotta a un processo di revisione del proprio stile di vita che nemmeno la notizia che suo figlio era eroicamente sopravvissuto aveva potuto arrestare. Erano seguiti, in successione non troppo rapida, il disgusto per l'alta società, il divorzio, lo smontaggio di tutte le precedenti certezze morali, la dissipazione, l'impegno in una serie di cause radicali e, per finire, Dalziel. Si erano incontrati quando il gruppo a favore dei diritti degli animali di cui lei era a capo era stato coinvolto nell'indagine per un omicidio. Separati da qualche anno di differenza, da diversi strati sociali e da un oceano di gusti discordanti, avevano tuttavia avvertito un'attrazione reciproca abbastanza forte da scavalcare ogni burrone, finché il bisogno che lei aveva di fiducia e quello di lui di sicurezza professionale avevano richiesto un ponte un po' troppo lungo. Adesso, quell'incontro casuale sembrava offrire loro l'opportunità di lanciarlo, quel ponte. Lei disse: «Comunque, intanto che scegliamo, facciamo due chiacchiere. Cosa ti ha condotto a casa di Walter? Mi pare di aver letto che sei incaricato dell'indagine per quella bambina scomparsa». Sicché lei notava il suo nome sui giornali. Ne fu compiaciuto, ma lo nascose. «Esatto. Hanno visto la sua auto parcheggiata vicino a dove viveva... vive la bambina. Anche quella di Testa di Rapa». «Come?». «Krog. Lo svedese». «Norvegese, credo. Ma non sei molto cortese, comunque». «Cortese? Mi sa che era un altro tizio di cui sentivi la mancanza». «Forse. Così volevi vederli. Walter e la... e Krog?». «Sì. Per eliminarli dai sospetti».
«Pensavo che mandassi i sergenti per quello». Era un'allusione al fatto che aveva mandato Wield a interrogarla quando la situazione tra loro si era fatta bollente. «Non quando c'è in ballo uno come Wulfstan», disse lui. «Andy, stai forse dicendomi che i ricchi e i potenti vengono trattati meglio dei poveretti?», lo canzonò. La fronte di lui si increspò come un campo arato da un contadinello ubriaco. Non avrebbe detto quello che aveva detto se avesse conosciuto la storia dei Wulfstan. «Li conosci bene, i Wulfstan?», chiese. «Non bene. La moglie quasi per nulla. Walter solo come presidente del comitato per il festival. Quando mi sono stabilita qui, qualche anno fa, ho iniziato ad andare ai concerti locali e a farmi qualche amico nei circoli musicali - non persone che coincidano con le mie altre attività, mi affretto a dirtelo prima che cominci a chiedermi dei nomi. Una di queste amiche faceva parte del comitato. Quando fu costretta a trasferirsi per lavoro, mi raccomandò come suo successore, e così conobbi Walter». «Ah, sì? E lui è rimasto colpito dalla tua abilità di organizzare picchetti e cortei e raid illegali sulla proprietà privata, immagino». «Tengo la mia vita divisa in compartimenti stagni, Andy» disse. «Una fessura nella parete divisoria, e i guai si riversano dentro a fiotti, come tu e io abbiamo scoperto. È il primo anno che faccio parte del comitato, e sto ancora guardandomi intorno». «Credevo che ormai ti avessero dato degli incarichi». «Non c'è molta possibilità che me li diano» sorrise la donna. «Tutto è così ben organizzato che rimane ben poco da fare. Questo cambiamento di sede è la nostra prima vera crisi e Walter sembra avere ogni cosa sotto controllo». «È sembrato anche a me. Allora andrai a Danby a traslocare mobilia?». «Non oggi. Ma ho offerto i miei servigi per domani, se ce n'è bisogno. La nave capitanata da Walter ha un equipaggio ben ordinato, senza nemmeno un lavativo. Ma questo è davvero tutto quello che so di lui. Non ti servirà cercare di spremermi per saperne di più, sovrintendente». «Non lo farò» disse Dalziel. «Penso di sapere tutto ciò che mi serve. Probabilmente è meglio che lo sappia anche tu, nel caso ti venga il ticchio di spifferare che sei amica mia». Lei stava per canzonarlo per questo, poi vide la sua faccia e si bloccò, l'espressione che si incupiva sempre più man mano che lui le raccontava le
sparizioni di Dendale. «Quella povera gente... Ricordo cos'ho provato quando mi hanno detto che Piers era disperso...». «Non riesco a capire come mai tu non l'abbia letto sui giornali», disse lui in tono vagamente accusatore. «Forse l'ho letto. Ma, Andy, quindici anni fa avevo altro per la testa. Adesso capisco perché hai riservato a Walter il trattamento morbido. Pover'uomo. Ma questo spiega perché siano ricorsi all'adozione». «Elizabeth? Sì, giusto, non è figlia loro. Hai ficcanasato, anche se dici di conoscere i Wulfstan a malapena, eh? Be', come si dice, ficcanaso una volta, ficcanaso per sempre». Il commento poco galante era in realtà un'altra allusione alla loro antica intimità, riferendosi al periodo in cui lei era stata fonte di utili informazioni. «No, non ho ficcanasato» disse lei decisa. «Mi è stato detto spontaneamente, e certo non dai Wulfstan, né da nessun altro di qui. Per una di quelle coincidenze che non possono far parte di un piano divino, dal momento che si ostinano a farci incontrare, ho un'amica a Londra, Beryl Blakinston, che guarda caso è la preside della scuola frequentata da Elizabeth per un certo periodo». «Che mi venga un colpo» disse lui ammirato. «Con la vostra banda dei quartieri alti, cosa ce ne facciamo di Internet?». Lo guardò più attentamente, sospettando che questa familiarità con Internet fosse tanto vaga quanto lo era la sua con i misteri della tattica di un pacchetto di mischia nel rugby. Ma aveva imparato come fosse pericoloso sfidarlo in assenza di certezze, e proseguì: «Questa primavera sono andata a pranzo con Beryl, e chiacchierando ho menzionato le mie nuove responsabilità come membro del comitato del festival - sapere che in qualche modo mi mantengo sulla retta via le dà conforto - e lei ha chiesto: questo Wulfstan è il padre sella cantante? E io ho risposto di sì, perché sapevo che Elizabeth era stata invitata al festival di quest'anno. Fine della storia». Dalziel sorbì un lungo sorso, che avvicinò di molto la fine della seconda pinta. «Balle», disse. «Chiedo scusa?». «Primo, hai già detto che quella tua amica Beryl ti aveva detto che la ragazza è stata adottata. Secondo, con un paio di gin tonic in pancia e una bottiglia di rosso sul tavolo, è impensabile che un paio di belle pupe come
voi due lascino perdere un argomento interessante prima di esserselo masticato ben bene». «Come fai a dire che è bella, se non l'hai mai vista?». «Perché altrimenti non andresti fuori a pranzo con lei. Allora, cos'ha detto?». Cap Marvell lo soppesò con un'occhiata gelida e disse: «Andy, non è una cosa ufficiale, spero. Un bicchiere con un vecchio amico è una cosa, ma se deve trasformarsi in un interrogatorio, voglio qui il mio avvocato a reggere il moccolo». Dalziel parve ferito dalle sue parole. «Ma no, cocca, te l'ho detto, l'unica ragione per cui sono venuto io a trovare Wulfstan è per quello che è successo anni fa. Indagine di routine. Lui non è indiziato. Tutto ciò che faccio qui è un po' di conversazione forbita finché non vedo da che parte casca la fetta imburrata. Se vuoi, possiamo discorrere della squadra inglese di cricket. O dell'attuale governo. Fa pietà, eh?». «Il governo?». «Non fare la tonta. Non spreco la mia pietà per i palloni gonfiati». Lei rise e disse: «Va bene, ti credo, Andy. Dunque, Beryl mi ha detto che Elizabeth è stata adottata e che in precedenza c'era stato qualche guaio con lei, ma che poi si era data una calmata...». «Guaio?» la interruppe Dalziel. «Mi piacciono i guai. Dimmi tutto». «Beryl non è entrata nei dettagli. Esiste la riservatezza professionale, anche dopo una bottiglia di rosso. Ma ho avuto l'impressione che si trattasse di aspettative deluse; le sue nei confronti dei genitori adottivi e le loro nei confronti della bambina adottata. Una questione abbastanza seria da richiedere l'intervento di uno psicologo, o psichiatra, non sono sicura. Ma alla fine tutto si è rimesso in carreggiata, soprattutto, ha sottinteso Beryl, per merito del talento musicale in boccio della ragazza. Il quale, naturalmente, è stato al centro della nostra conversazione». «In boccio» ripeté Dalziel con aria sognante. «Mi piace quando parli di lusso. Perfino quando non capisco neppure la metà di quel che dici». «Sto dicendo che grazie al canto Elizabeth ha scoperto il senso del proprio valore, e ha acquisito anche la sicurezza che i suoi genitori adottivi la apprezzavano. Solo così ha potuto tornare al suo normale sviluppo». «Normale? Come il modo in cui parla?». «Quell'accento, vuoi dire? Mi sorprende che tu pensi che ci sia qualcosa di anormale in quello, Andy», disse tutta innocenza e sbattere di ciglia.
«Ah, ah. Per un bastardo ignorante come me, certo, ma per una fanciulla allevata dai Wulfstan, educata in collegi di lusso giù al sud, non è affatto appropriato. Devi solo sentirla cantare per capirlo». «L'hai sentita cantare?». «Sicuro. Per radio. Quella roba spaventosa che suonavi anche tu». «Quella roba spaventosa» gli fece eco lei. «È un termine generale che comprende tutta la mia collezione? O ti riferivi a un particolare pezzo di roba?». «Era una di quelle canzoni sui bambini morti. Mahler. Solo che era in inglese, e non lo cantava con accento yorkie». «Ah, il suo disco dei Kindertotenlieder. L'ho sentito. Molto interessante». Il Ciccione si mise a ridere. «Non ti quadra troppo, eh?». «Perché dici questo?». «C'è uno dei miei ragazzi, questo Pascoe - forse te lo ricordi, l'uomo di Ellie Pascoe - è una specie di saputello, laurea e tutto quanto. Ho cercato di spremergli fuori qualcosa, ma è come la malaria, una volta che ce l'hai addosso, ti resta nel sangue e non sai mai quando ti metterai a tremare come una foglia. Insomma, ho notato che con lui e con quelli come lui, tutte le volte che non gli va a genio qualcosa, ma non è molto gentile o di moda dire che è tutta merda, allora cosa dicono? Che è molto interessante». Cap Marvell sorrise e disse: «Ci infilzi proprio per bene, noi farfalle, Andy. Però hai ragione. Non è che la traduzione mi abbia entusiasmato, e in più non penso che la sua voce sia matura per quei Lieder in particolare». «E allora perché li ha scelti? O, più precisamente, perché la casa discografica glieli ha fatti incidere?». «Le sue ragioni non so immaginarle. Quanto alla casa discografica... be', è un'etichetta di secondo piano, troppo piccola per catturare qualcuno di veramente importante, perciò si concentrano sulle giovani speranze, li convincono a firmare contratti per tre o quattro dischi e sperano che quando arriverà il momento di incidere il terzo o il quarto qualcuno di essi avrà raggiunto la notorietà. Il potenziale di Elizabeth è enorme. Dopo il concerto deve andare a Roma, dov'è stata convocata da Claudia Alberini, una delle maggiori insegnanti di canto d'Europa. Sospetto che abbia puntato i piedi e abbia detto ai discografici che non avrebbe firmato nessun contratto se non la lasciavano incidere i Kindertotenlieder, e che loro abbiano deciso che valesse la pena di rischiare. Soprattutto quando ha detto che voleva
fare lei stessa la traduzione». «E perché è un punto a favore?». «È qualcosa di cui si parla. Qualsiasi cosa desti interesse e ti faccia pubblicità va bene. Puoi farlo anche se non hai le capacità, ma se sei bravo e fai parlare di te, allora arrivi in cima molto più in fretta. Nigel Kennedy è stato un buon esempio di questo, negli anni ottanta». «Anche lui ha cominciato a parlare strano, o sbaglio?». «Sì. E tu potresti aver ragione» disse Gap. «Beryl è convinta che anche a scuola lei continuasse a parlare con quell'accento per affermare la sua individualità; sai, del tipo: 'Potete anche avermi adottato, ma io non dipendo da nessuno'. Ma ovviamente, adesso che sta iniziando una carriera, può considerarlo come un'immagine per favorire il marketing. Non lo so. Te l'ho detto, praticamente non la conosco. Ma cantare il ciclo di Lieder mercoledì non mi sembra una buona scelta». «Per Lorraine Dacre, intendi?». «Sì, anche. Ma anche dal punto di vista musicale. Non li abbiamo mai sentiti senza l'originale accompagnamento orchestrale. La Sandel è un'ottima pianista, ma di sicuro perderanno qualcosa». Squillò un telefono. Dalziel ci mise un po' a realizzare che si trovava nella sua tasca. «Che io sia dannato» disse. «Non sfuggirò a questi cosi nemmeno nella bara. Pronto! Wieldy, che vuoi? Aspetta, ti sento appena». Si alzò dicendo a Cap: «Non bermi tutta la birra», e uscì dalla saletta. Quando tornò, lei disse: «Non sei stato via molto. L'ho appena toccata, la tua birra». Lui finì la seconda pinta, guardò sconsolato la terza e disse: «Devo andare». «Sempre il dovere prima del piacere», commentò lei. «Questo dovere» disse lui cupo. «Hanno fermato uno. Solo per interrogarlo, niente di definito, ma devo esserci. Mi spiace». «Certo che devi andare...» disse lei. «Andy...». Cap esitò. Aveva contato di disporre di più tempo per negoziare un eventuale futuro incontro, prima di separarsi. Non aveva neppure deciso bene come voleva giocarsela, ma non era il momento di cavillare. «Andy, abbiamo ancora un sacco di cose da dirci» proseguì. «Promettimi che mi telefonerai. O, meglio, che mi verrai a trovare. Ho sempre il frigo pieno di tofu». Il ricordo delle sue preferenze vegetariane suscitò un pallido sorriso.
«È un appuntamento» disse. «Ci vediamo». Corse fuori, lasciando, forse per la prima volta in vita sua, una pinta intatta sul tavolo. Lei la prese e ne bevve una sorsata. Niente ponte su questo crepaccio, pensò. Ma certamente l'inizio dei lavori per un ponte, anche se per ora si vedevano solo chiatte che si sollevavano e ondeggiavano tra correnti e maree, e promettevano solo le traversate più pericolose per raggiungere ognuno la riva distante dell'altro. XIV Il primo cancello dell'ospedale che Pascoe raggiunse recava il cartello SOLO USCITA. Pascoe fece inversione e risalì rombando il viale che portava all'edificio grigio in lontananza. C'era una piazzola di parcheggio libera accanto all'entrata principale. Era contrassegnata DIR. GEN. Pascoe ci si infilò, evitando di stretta misura una Jag XJS. Scese, sbatté la portiera e si mise a correre. Attraverso il finestrino aperto della Jag un uomo gridò con rabbia: «Ehi, tu, quello è il mio posto!». «Fottiti!», gli gridò Pascoe da sopra la spalla, senza rallentare. C'era già stato, lì, e conosceva bene la pianta. Ignorando l'ascensore, salì di corsa le scale fino al terzo piano. Niente sforzo. Era ben lungi dall'ansimare, quasi come se il suo corpo non sentisse più la necessità di respirare. All'estremità del reparto pediatrico c'era una sala d'aspetto. Attraverso la porta aperta vide Ellie. Entrò e lei si precipitò tra le sue braccia. Lui chiese: «Come sta?». «Stanno facendole gli esami. Pensano possa essere meningite». «Oh, Gesù. Lei dov'è?». «Prima stanza a sinistra, ma dicono che dobbiamo aspettare finché non ci dicono...». «Dicono cosa? Che è troppo tardi?». «Peter, ti prego. Derek e Jill sono qui...». Solo allora si accorse dei Purlingstone, aggrappati l'uno all'altra su un divano. L'uomo tentò un sorriso che sui suoi lineamenti tirati ebbe lo stesso effetto di un fiammifero umido sfregato sul cemento. Pascoe non ci provò neppure. Liberandosi dalla stretta convulsa di Ellie, uscì dalla sala d'aspetto e si
infilò dritto nella prima porta a sinistra. Era una piccola corsia laterale con solo due letti. In uno vide la testa bionda di Zandra Purlingstone. Nell'altro c'era Rosie. In piedi intorno al letto c'erano dottori e infermiere. Li ignorò e andò al capezzale e prese la mano di sua figlia. «Rosie, amore» disse «sono babbo. Sono qui, tesoro. Sono qui». Per una frazione di secondo gli sembrò che le ciglia fremessero e che quegli occhi scuri, quasi neri, registrassero la sua presenza. Poi svanirono, e non ci fu più nulla che dimostrasse anche solo che stava respirando. Qualcuno lo prese per il braccio. Una voce stava dicendo: «Per favore, deve uscire. Deve aspettare fuori. Per favore, ci lasci fare il nostro lavoro». Poi la voce di Ellie: «Vieni, Peter. Per il bene di Rosie, andiamo». Era di nuovo fuori, nel corridoio. La porta si chiuse. Sua figlia scomparve dalla sua vista. Disse a Ellie: «Mi ha riconosciuto. Davvero. Per un secondo. Sa che sono qui. Andrà tutto bene». «Sì» disse Ellie. «Certo che andrà bene». Due uomini avanzavano lungo il corridoio. Uno indossava l'uniforme del servizio di sorveglianza dell'ospedale, l'altro un leggero abito di lino di ottimo taglio. Abito di lino disse: «È quello. Bastardo prepotente». Uniforme disse: «Mi scusi, signore, ma il signor Lillyhowe dice che ha parcheggiato la macchina in uno spazio riservato». Pascoe li fissò con occhi vuoti per un lungo istante, poi disse lentamente: «Non sono sicuro...». «Be', io invece sono sicurissimo» ringhiò Abito di lino. «Era lei. E mi ha insultato...». «No» disse Pascoe, stringendo i pugni. «Voglio dire che non sono sicuro chi di voi due picchiare per primo». Abito di lino fece un passo indietro, Uniforme solo mezzo passo. Ellie si introdusse in fretta nello spazio creatosi. «Per amor del cielo» disse vivacemente ad Abito di lino. «Nostra figlia è là dentro...». Tutta la vivacità si accartocciò. Trasse un respiro profondo e ritentò. «Nostra figlia è in... Rosie è...». Con sua grande sorpresa scoprì che nel mondo non c'erano più parole. E nemmeno spazio, tranne quella stanzetta che conteneva la vita di sua figlia. E, soprattutto, non c'era più tempo.
Sedette nella sala d'aspetto, fissando un manifesto che annunciava i vantaggi della Carta del Paziente. Anche Peter era lì, ma dopo qualche tentativo fallito rinunciarono a ogni sforzo per parlare. Perché parlare quando le parole erano inutili? I Purlingstone non c'erano. Forse erano in un'altra stanza uguale a quella. Forse stavano riportando a casa una Zandra miracolosamente guarita. Non le importava. Il loro dolore, la loro gioia per lei non erano niente. Non adesso. Non in questo adesso senza speranza, senza uscita, senza fine. Stava succedendo qualcosa. Il cellulare di Peter. Il tempo stava ripartendo? Lui se lo portò all'orecchio. Le mormorò qualcosa. Dalziel. Andy il Ciccione. Se lo ricordava come in sogno, così eccessivamente rigonfio, così vecchio e così scurrile. Peter le stava dicendo: «Tutto bene?». Lei annuì. Perché no? Lui disse: «Vado fuori». Nel corridoio Pascoe si rimise il telefono all'orecchio, un atto superfluo con Dalziel che barriva a tutta forza: «Pronto! PRONTO! Ci sei? Questo dannato coso inutile». «Sì, sono qui», disse Pascoe. «Ah, sì? E dov'è qui? Nel fondo di una dannata miniera?». «All'ospedale centrale» disse Pascoe. «Rosie è ricoverata. Dicono che forse ha la meningite». Ci fu silenzio, poi il rumore di un cozzo terribile, come di un pugno che si abbatte su qualcosa di duro, e la voce di Dalziel che dichiarava: «Non lo tollererò!». A chi, o a cosa, si rivolgesse non era chiaro. Un altro silenzio, più breve, poi parlò di nuovo, ora nel suo solito tono pratico. «Pete, starà bene. È una cosina tosta, come sua madre. Ce la farà, non preoccuparti». Era completamente illogico, ma in qualche modo la rassicurazione nuda e cruda, priva com'era di soffocante partecipazione e richiesta di particolari, fu più efficace per il morale di Pascoe di tutte le rassicurazioni qualificate dello staff medico. Disse: «Grazie. Lei è... priva di conoscenza». Scoprì che non riusciva a dire 'in coma'. «Meglio così» disse Dalziel con una sicurezza da medico in prima linea. «Sta recuperando le forze. Pete, ascolta, tutto quello che posso fare, tutto...». Di nuovo, nessuna offerta d'aiuto convenzionale. Pascoe immaginò che
se Dalziel avesse solo supposto che l'ospedale non stava facendo abbastanza, il direttore generale si sarebbe ritrovato in una stanza per gli interrogatori, messo di fronte a un'offerta che non poteva rifiutare. «È gentile da parte sua» disse. «Mi aveva telefonato per qualche motivo particolare, signore?». «No, niente. Be', in effetti abbiamo un indiziato. Adesso sto andando a Danby. Facile che non sia niente. Ascolta, Pete, dimentica il lavoro... insomma, non c'è bisogno che te lo dica. Ma c'è qualcosa che stavi facendo che io devo sapere e nessun altro lavativo può dirmelo?». «Non penso» disse Pascoe. «Nobby può riferirle tutto... oh, aspetti. Ho un appuntamento con Jeannie Plowright dei servizi sociali alle nove di domani. È per la signora Lightfoot, la nonna. Circola voce che Benny sia stato visto, Clark ha i dettagli, e ho pensato che la vecchia sia l'unica persona con cui vorrebbe mettersi in contatto, se è viva, il che dubito, e se è qui, cosa di cui dubito ancor di più. Mi attacco a un filo di paglia. Probabilmente è meglio eliminarlo, se ha un filo di paglia migliore a cui aggrapparsi». «No, lasciamo stare finché non vedo come buttano le cose. Pete, mi tengo in contatto. Ricorda, tutto quello che posso. Saluta Ellie. Dille...». Per una volta Dalziel sembrava aver esaurito la sua scorta di parole. «Sì» disse Pascoe. «Glielo dirò». Indugiò un attimo, riluttante a muoversi, come se gli orologi si fossero fermati e un suo movimento potesse farli ripartire ticchettando. Un'infermiera gli passò accanto, si fermò, si voltò e disse: «Mi scusi, signore, niente cellulari qui. Possono creare delle interferenze». «Interferenze?» disse Pascoe. «Ah, sì, naturalmente. Mi scusi». Tornò in sala d'aspetto e circondò con il braccio le spalle di Ellie. «Andy ti manda i suoi auguri. Dice che andrà tutto bene». «Ah, sì? Bene. Se è così, torniamocene a casa». «Oh, andiamo» la rimproverò Pascoe. «Chi preferisci quando è ottimista? Il papa o Andy il Ciccione?». Lei si sforzò per trovare il fantasma di un sorriso e disse: «Un punto per te». «C'è un distributore di caffè al piano di sotto. Guarda, lo dice qui. Andiamo giù a rimetterci in forze». «E se succede qualcosa...». «Ci vorrà solo un minuto. Meglio che star seduti qui... qualunque cosa è meglio... Andrà tutto bene, amore. L'ha promesso lo zio Andy, ricordi?».
La porta si aprì. Entrò una donna. Sapevano che si chiamava Curtis. Era la pediatra chiamata per il consulto. Non tergiversò. «Sta molto male. Temo che adesso possiamo confermare la meningite». «Di che tipo?», domandò Ellie. «Batterica». La peggiore. Anche se non l'avesse saputo, Pascoe l'avrebbe indovinato dall'espressione di Ellie. L'abbracciò, ma lei si divincolò. Cercava qualcuno da prendere a pugni, proprio come aveva fatto lui con il direttore generale e l'uomo della sicurezza. Disse: «Ellie». Lei si girò e gridò: «A quanto lo dai lo zio Andy, adesso? A quanto lo dai quel grasso bastardo?». XV Edgar Wield era piuttosto soddisfatto di se stesso. Aveva dato il via alle ricerche, giù a Bixford, e aveva trasportato Geordie Turnbull a Danby senza attirare l'attenzione, fino a quel momento, di nessuno di quegli stormi di cornacchie che si autodefiniscono giornalisti. Un punto a sfavore era che l'avvocato di Turnbull era già arrivato, rinchiuso con il suo cliente nell'unica stanzetta per gli interrogatori della stazione di polizia. Poi arrivò Nobby Clark e gli disse di Pascoe. Nessun particolare, solo che Rosie era in ospedale. Wield sentì un urto di nausea. I Pascoe erano persone speciali per lui, la cosa più simile a una famiglia che gli restava in quel paese, da che sua sorella era emigrata. Edwin... ma con Edwin il legame era diverso. Più stretto, certo. Ma più importante? No, solo importante in maniera diversa. Guardò il telefono. Poteva telefonare per sapere cos'era successo. Ma esitava a farlo, e cercò di capire perché. Paura per quello che avrebbero potuto dirgli? Quello di sicuro. Ma c'era qualcos'altro... Indagò più a fondo, e fu sorpreso di scoprire qualcosa che assomigliava al senso di colpa. Per cosa? Che fosse così meschino da essere infastidito da questa intrusione nella sua nuova felicità personale? Sarebbe stata un motivo sufficiente a farlo sentire in colpa. Sperava sinceramente che non fosse così. Ma allora, cosa? Indagò più a fondo, vide più chiaro, e di nuovo non riuscì a crederci. Però doveva essere così. Si sentiva responsabile. Era
un'estensione dei suoi sentimenti riguardo a quel caso di bambina scomparsa. Un qualche elemento cinico e autodistruttivo al centro della sua psiche non credeva che lui fosse destinato alla felicità, e perciò era sicuro che qualsiasi cosa bella gli capitasse implicasse una sottrazione alla scorta di felicità di qualcun altro. Era assurdo, tanto disgustosamente ego-riferito quanto la vanità. E tuttavia esitava a prendere il telefono. Era come se, facendolo, acconsentisse a creare le mostruose notizie, quali che fossero, che attendevano le sue domande. «L'auto di Super è appena entrata nel cortile», disse Clark, entrando in ufficio e controllandosi ansiosamente nel vetro del quadro con il ritratto della regina. Aver paura di Dalziel denotava salute, ma credere che si potesse placarlo con ottoni luccicanti, stivali lustri o altre fesserie del genere significava avere una coda di paglia superiore alla media consentita, pensò Wield, grato per la distrazione. Uscì in cortile e vide il Ciccione seduto in macchina, come riluttante a scendere. Il sergente si avvicinò e aprì lo sportello come un portiere d'albergo. «Salve, signore» disse. «Cattive notizie. Clark dice che l'ispettore capo...». «Gli ho appena parlato. Pensano sia meningite. È in coma». Ecco qua. Il peggio. No, non proprio il peggio. Quello era ancora a venire... forse aspettava la sua telefonata... «Merda», disse. «Sì, questo riassume abbastanza bene la situazione. Ma siccome non possiamo fare niente al riguardo, entriamo e mettiamoci al lavoro». Si issò fuori dall'auto. Wield non si lasciò ingannare da quello sfoggio di stoica indifferenza, e fissò lo sguardo sul cruscotto, spezzato a metà. «Qualche problema, signore?». «Sì» disse Dalziel sfregandosi la mano sinistra. «Il contachilometri si era inceppato, e gli ho dato un colpetto». «Spero di non incepparmi mai», mormorò Wield, chiudendo gentilmente la portiera. «Io invece spero che tu ti dia una mossa» disse Dalziel. «Turnbull. Dall'inizio». Wield era lo Schubert dei rapporti, e comprimeva entro spazi ridotti quello che gli altri avrebbero fatto diventare una sinfonia. Anche il fatto che una buona parte del suo cervello stava lottando per dare una sistemazione adeguata alle notizie su Rosie Pascoe non inibì il flusso del suo elo-
quio, e al termine del breve tragitto dal parcheggio all'ufficio, dove l'apparizione di Dalziel fece scattare sull'attenti il sergente Clark, il Ciccione era in possesso dei dati fondamentali. Quando arrivò all'avvocato di Turnbull, Dalziel sorrise. Gli piaceva quando i sospettati telefonavano piangendo ai loro legali. «Dick Hoddle. Il naso va da una parte e denti dall'altra?». «Proprio lui». «Un po' caro per le possibilità di Turnbull, avrei creduto». «Se la cava bene, signore. Il suo vecchio padrone gli ha ceduto l'attività, o qualcosa del genere». «Dev'essere così» disse Dalziel. «Non mi è parso il tipo che risparmia i suoi baiocchi. Perciò, tu cosa pensi, Wieldy?». «Turnbull è docile come un agnello» disse il sergente. «È vero, ha chiamato Hoddle, ma date le circostanze, chi non l'avrebbe fatto? Ha rinunciato al diritto di essere presente durante la perquisizione in casa sua. Hoddle non ne era felice, ma Geordie ha detto qualcosa come: se fosse droga sarebbe diverso, tutti sanno che gli sbirri sarebbero capaci di seminare merda dappertutto; ma nemmeno il capo della polizia del Mid-Yorkshire sarebbe capace di incastrare qualcuno in un caso come questo». Dalziel, senza offendersi, disse: «Non è stupido. E questa scarpa da ginnastica e il nastro sulla macchina...?». «Novello li ha portati a far vedere ai genitori. Non coincidono esattamente con la descrizione di quello che indossava la bambina, ma non sono neanche lontani mille miglia». «E Turnbull dice che...». «A quanto pare gli capita spesso di avere un bambino in macchina. È molto attivo in paese: dà passaggi alla gente, porta i bambini alle partite di calcio, quel genere di cose. Ma non solo bambini. Vecchi, disabili, persone di ogni genere. È molto amato». «Lo era anche il duca di Windsor» disse Dalziel. «Ancora non mi hai detto le tue supposizioni». «Stessa cosa di Dendale. Credo che chiunque lo conosca, anche i mariti cornuti che non lo possono vedere, rimarrebbe stupito se risultasse essere il nostro uomo» disse Wield. «E penso che lo sarei anch'io. Il che significa che ci sono due possibilità: o lui è molto, molto intelligente, o noi dobbiamo guardare da qualche altra parte». «Ah, sì, eh? E hai qualche suggerimento su dove?». Wield fece un respiro profondo e disse: «Forse sarebbe meglio che par-
lasse col sergente Clark, signore». «Lo farò, quando si sarà ripreso dalla paralisi. Riesce a sentirmi, sergente, o siamo già al rigor mortis?». Clark, il quale seguendo il principio meglio prudenti che spiacenti era rimasto mezzo sull'attenti, lasciò che la muscolatura si rilassasse. «Molto bene, ragazzo. Immagino che tu abbia delle belle storie di fantasmi da raccontarmi. Sentiamo». Clark non possedeva la perizia narrativa di Wield e Dalziel lasciò trapelare la sua impazienza. «Sicché la signora Hardcastle, che come tutti sanno è andata un po' fuori di cranio per il dolore, ha cominciato a vedere delle cose? Mi sa che farebbe meglio a parlare col suo dottore, non con i poliziotti oberati di lavoro. Non sei d'accordo, ragazzo?». Clark, il quale non era abbastanza scaltro da nascondere il suo risentimento per le osservazioni poco riguardose di Dalziel sulla signora Hardcastle, disse: «Penso che qualcosa abbia visto, signore». «Qualcosa?» Dalziel sputò fuori la domanda come una ciliegina da cocktail scoperta in un whisky di malto. «Intendi qualcosa come una pecora? O, un cespuglio? O qualcosa?». Il sergente fu salvato da un possibile esperimento di demolizione dall'entrata di Shirley Novello. «Ivor, fammi felice. Dimmi che i Dacre hanno riconosciuto il materiale che hai trovato nella macchina di Tumbull». «Per la scarpa, un no sicuro» disse lei. «Per il nastro un forse. A Lorraine piacevano i nastri, ne faceva collezione, li scambiava con le amiche, così ne ha raccolto una scatola intera. Non c'è modo di sapere cosa contenesse e quale abbia scelto quella mattina. Il capello che abbiamo trovato su quello nella macchina di Turnbull è la nostra chance migliore. Lo confronteranno con un campione preso nella camera da letto della bambina. Ma ci vorrà un po'». «Che goduria» muggì Dalziel. «Come avere un furetto infilato nei pantaloni». Traducendo, pensò Shirley, significa che se trattiene Turnbull troppo a lungo, comincerà a mordere e se lo lascia andare troppo presto, si nasconderà infilandosi nel primo buco che incontra. Il Ciccione la stava scrutando pensoso. «Sei stata tu ad arrivare a Turnbull per prima, giusto?». «Con l'aiuto del sergente Wield», disse lei, guardinga.
«No. Onore al merito. Sei stata brava. Di nuovo». Detto così, non sembrava aspettarsi che lei ripetesse troppo spesso la prestazione. «Allora, cosa pensi di questo Turnbull? Aveva la reputazione del castigafemmine, giù a Bendale. Secondo la tua visione femminile ce l'ha ancora?». «È... attraente» disse lei. «Non dal punto di vista fisico, voglio dire, non è il suo aspetto, ma ha... fascino». «Fascino?» Dalziel assaporò la parola. «Ai bambini piacerebbe?». «Oh, sì. Penso di sì». «E a lui potrebbero piacere i bambini?». «Dai punto di vista sessuale? Non lo so. L'impressione è che si concentri soprattutto sulle donne mature, di preferenza quelle felicemente sposate e disposte a concedersi una botta di vita senza dover tirare la carretta...». «Ma?», disse Dalziel, che sentiva i 'ma' anche quando l'interlocutore non sapeva di averli detti. Novello esitò, poi gettò al vento ogni cautela. «Ma potrebbe essere un doppio bluff. O nessun bluff, non consciamente, voglio dire. Potrebbe dare la caccia alle donne perché non vuole ammettere con se stesso che in realtà vorrebbe dare la caccia alle bambine...». L'espressione sul viso di Dalziel le fece desiderare di poter richiamare indietro le sue cautele. Disse: «Benissimo, grazie, signora Freud. Ci hai dato dentro col vino della comunione oppure hai anche solo l'ombra di una ragione per sbrodolare tutte queste stronzate?». Lei disse con aria di sfida: «È preoccupato per qualcosa, direi». Alle sue orecchie suonò ancor più debole e vacuo di quello che aveva detto prima, ma sorprendentemente Dalziel assentì con aria di approvazione e disse: «Be', è già qualcosa. Wieldy?». «Sì, direi anch'io», disse il sergente. Novello l'avrebbe baciato. C'era il caso che si tramutasse in ranocchio? «Bene, allora, andiamo a farci una chiacchierata prima che Hoddle cominci a scalpitare». «Vengo anch'io?», chiese Novello speranzosa. Dalziel rifletté, poi scosse il capo. «No» disse. «Niente distrazioni». Poi osservando l'espressione delusa che stavolta lei non riuscì a mascherare, si degnò di spiegare: «Questo Turnbull me lo ricordo, e conosco il tipo. Quando c'è una donna fanno
scintille. Non ci possono fare niente. Appendilo a testa in giù sopra un secchio pieno di vermi e fai entrare un donna nella stanza, e lui si sentirà già meglio. Non voglio che si senta meglio. Lo voglio terrorizzato a morte! Avanti, Wieldy. E non scordarti i vermi!». E Novello, guardandoli allontanarsi, si sentì quasi spiacente per Geordie Turnbull. Tre ore dopo Dalziel si sentiva spiacente, ma solo per se stesso. E in più aveva un mal di testa bastardo. Si chiamava Dick Huddle, e non voleva andarsene, non senza portarsi via anche Geordie Turnbull. Non importava che la stanza degli interrogatori facesse sembrare la saletta del Book and Candle (che ricordava con intensa nostalgia) l'Albert Hall. L'unica finestra non si apriva (risultato di pittura secca e ruggine, piuttosto che di preoccupazioni per la sicurezza) e anche con la porta spalancata la temperatura all'interno era quella giusta per cuocere le meringhe. Hoddle era chiaramente un uomo meticoloso. Allo scadere di ogni ora piantava una grana perché l'interrogatorio finisse, in termini sempre più decisi. Questa era la terza volta. «Il mio cliente si è dimostrato disposto a collaborare oltre il puro senso civico in tutte le sue accezioni principali...». Fece una pausa, come per invitare Dalziel a chiedere una definizione, ma il Ciccione non gli fece quella cortesia. C'era stato un tempo, prima che i registratori diventassero un accessorio fisso nelle stanze degli interrogatori, in cui avrebbe potuto offrirsi di cacciare ogni singolo fottuto dente giù per la fottuta gola dell'avvocato se non levava le tende e lasciava che il suo cliente parlasse da solo. Il che, in quel caso specifico, sarebbe stato ingiusto, dal momento Turnbull, in diverse occasioni, aveva risposto di sua iniziativa contro il parere del legale. Ma Dalziel non si sentiva in vena di correttezze, solo di mandare tutti a quel paese. «... e poiché mi è chiaro, da uomo ragionevole quale mi reputo, che sono due ore buone che il mio cliente avrebbe il diritto di non rispondere, posso solo supporre che anche voi, in buona fede, siate giunti alla stessa conclusione. Siete, è ovvio, nel pieno diritto di trattenerlo per ventiquattr'ore dal momento dall'arresto...». «E per altre venti dopo le ventiquattro, se posso intromettermi», interruppe Dalziel. «Certamente. Ma lo ammetta, sovrintendente, non avete alcuna prospettiva di poter muovere un'accusa al mio cliente, perciò qualsiasi tentativo di
prolungarne l'agonia potrebbe apparire frutto di mera malvagità, e peserebbe sicuramente su un'eventuale causa che il signor Turnbull potrebbe intentare per maltrattamenti da parte della polizia e arresto illegale». «No» disse Geordie Turnbull con fermezza. «Non ci sarà nulla di tutto ciò. Una volta fuori di qui sarò felice di non avere alcun contatto con la legge per i prossimi quindici anni». Dalziel prese nota del lasso di tempo citato, si sforzò di interpretarlo come un'ammissione del fatto che la sua spinta irrefrenabile a uccidere era stata placata e non sarebbe rispuntata per un altro decennio e mezzo, non ci riuscì e si grattò il doppio mento con tanta forza che l'indicatore del livello del suono del registratore ebbe un sussulto. La porta si aprì dietro di lui. Si guardò alle spalle. Era Wield, che era stato chiamato pochi minuti prima da Novello. Mica facile leggergli qualcosa sul viso, ma allo sguardo allenato di Dalziel non sembrava che avesse appena cavalcato da Aix a Gand. Almeno gli concedeva una pausa temporanea. Sospese l'interrogatorio, spense il registratore e uscì nel corridoio. «Tirami su di morale», fu l'invito. «Al Queen's Head, giusto dietro l'angolo, hanno la birra buona», disse Wield, con uno sguardo di comprensione alla fronte madida del suo voluminoso superiore. «Tutto qua?». «Se vuole notizie allegre, sì. Hanno chiamato dal laboratorio. Quel capello sul nastro non è di Lorraine. E finora niente di quello che abbiamo trovato nella sua macchina indica che sia mai stata lì. Lo stesso per il materiale raccolto da Novello nel cestino dei rifiuti». «Merda», disse Dalziel. «Davvero crede che l'abbia fatto, signore?». «Quando sei nella fossa, ti aggrappi a tutto quel che hai, come disse il becchino al cadavere. Dio, lo odio quel bastardo. Mi piacerebbe proprio sbatterlo dentro e buttar via la chiave». «Turnbull?», chiese Wield sbalordito. «No! Hoddle, il maledetto avvocato. Qualche altra bella notizia?». «Non da Bixford. Se Turnbull si candidasse come sindaco, verrebbe eletto. Le signore pensano sia avvenente, gli uomini che sia un bel tipo, finché se ne sta lontano dalla loro moglie. Il vicario è pronto a impegnare tutto l'argento che ha in chiesa se il caro Geordie avesse bisogno di una cauzione. E i membri della congregazione affiderebbero i figli più volen-
tieri a lui che al dottor Barnado». «Ah, sì? La storia cambierà quando si diffonderà la voce e le lingue cominceranno a guizzare. Questi bravi cristiani perdonano ogni cosa, tranne l'innocenza. Credi che sia innocente, Wieldy?». Wield si strinse nelle spalle e disse: «Non fa differenza, non le pare? Se non troviamo molti più elementi, immagino che abbiamo le mani legate. Lei che ne pensa, signore?». «Non lo so» disse il Ciccione. «C'è qualcosa che non mi suona giusto. Non è abbastanza incazzato... ecco, forse è questo. Hoddle minaccia ogni genere di merda per arresto ingiustificato, ma Turnbull è tutto serenità e perdono. E pensare che è di Newcastle! Quando quei rotti in culo hanno finito di dirti quante volte hanno vinto la coppa, cominciano a mettere in fila uno dopo l'altro tutti i fuorigioco inesistenti che gli hanno dato dal 1893 a oggi». «Dubito che reggerebbe in tribunale, signore», disse Wield. «No, non credo. Qualcosa dalla Borroughs?». «Niente. Hanno risalito la valle e poi sono tornati indietro. Aspetta che le dica cosa fare». Dalziel rifletté, il faccione meditabondo come quello di Dio su un pezzo di crosta terrestre che non s'incastra bene. «Ok, mandateli su per le colline» disse infine. «Che controllino di nuovo i fabbricati. Voglio che ogni fattoria, granaio, stalla, porcilaia, pollaio, serra, cesso esterno, ogni dannata cosa sia rivoltata sottosopra. È vicina, Wield. Me lo sento». Ci sarebbe voluto un coraggioso a caccia di una medaglia al valore per ricordargli che se l'era sentito anche anni addietro, a Dendale, e Wield, che non era un codardo, tuttavia non andava in cerca di trofei. Disse: «E Turnbull, signore? Li mandiamo via?». «Non fare l'idiota! Checché ne dica Hoddle, non si muoverà di qui finché non sono scadute le ventiquattr'ore. Nessun imbecille dirà che ho lasciato andare un possibile assassino di bambini prima di esserne costretto, non questa volta». «Nossignore. Novello si chiedeva se, adesso che le cose sono andate così per le lunghe, poteva sedersi dentro...». «No» disse Dalziel in tono irritato. «Oltre a quello che ho detto prima, fai entrare una faccia nuova e Hoddle sarà stradannatamente sicuro di averci messo in difficoltà. Dille di prendere il dossier su Dendale e di impararselo a memoria. Domani mattina, alle nove, Peter aveva un appunta-
mento con quella Plowright che comanda i servizi sociali. Pensava di seguire la pista della vecchia signora Lightfoot, che probabilmente è morta, ma se non lo è, allora è la persona che Benny andrebbe a trovare se tornasse qui, cosa che non credo farà. Ivor può andarci al suo posto». «Parrebbe una perdita di tempo», disse Wield. «Meglio perdere il tempo di un agente che quello di un ispettore capo» disse Dalziel. «Pensa ai soldi che si risparmiano. Notizie della piccola, a proposito?». «Ho chiamato l'ospedale» disse Wield con un tono piatto che nascondeva lo sforzo di volontà che aveva richiesto quella chiamata. «Nessun cambiamento». Ancora non era stato capace di indursi a provare a contattare Pascoe direttamente. Doveva essere un contatto faccia a faccia, si era detto. Ma non era sicuro di crederci. «La vita è una gran bastarda, eh, Wieldy?», disse Dalziel con voce stanca. «Sissignore. E poi si muore», disse Edgar Wield. Così, il secondo giorno delle indagini su Lorraine Dacre si avvia al termine. Mentre le ombre si allungano, i suoi genitori, incapaci ormai di sopportare altra compagnia che quella reciproca, siedono tenendosi per mano nel piccolo salotto del loro cottage, nessuno dei due traendo alcun conforto da quel contatto tranne la possibilità di trasmetterne all'altro. La speranza è morta nel cuore di entrambi, e non rimane altro da fare che celare la disperazione. Anche tra Peter ed Ellie Pascoe c'è un silenzio che custodisce un segreto, ma qui il segreto non è la morte della speranza, ma la sua sopravvivenza. Non è possibile immaginare la vita senza Rosie, perciò rifiutano di immaginarla. Come uomini primitivi in una caverna, guardano l'oscurità precipitarsi nella loro direzione attraverso le fenditure e sanno che essa porta pericolo, ma sanno anche che domani il sole splenderà di nuovo e farà andar bene ogni cosa. E Rosie Pascoe? Rosie Pascoe è nella caverna del nix. C'è buio lì sotto, ma un vago chiarore filtra dalla lunga galleria sinuosa che conduce all'entrata. A poco a poco i suoi occhi iniziano ad adattarsi, e dall'oscurità emergono forme e superfici.
Si trova sul bordo di una piccola pozza di acqua nera. O almeno, all'inizio sembra di un nero opaco, ma quando guarda dentro, un po' della luce di quel mondo soleggiato lassù, lontano, scivola sulla sua superficie, levigandola mentre passa così che il nero risplende come uno specchio sollevato verso il cielo notturno. In quello specchio scuro lei vede il soffitto della caverna, a un'altezza vertiginosa, come il soffitto di una grande, antica cattedrale. E lassù qualcosa che si muove, non molto, ma abbastanza per attirare il suo sguardo. È un pipistrello, appeso a testa in giù nel punto più alto di quell'alto soffitto. Rosie rabbrividisce e fa scorrere lo sguardo sulla pozza, fino al margine più lontano. E là, nello specchio nero, scorge un altro viso, occhi lucidi e scintillanti, naso adunco e curioso, bocca enorme circondata da peli ispidi e denti come quelli di una sega, labbra atteggiate nella parodia di un sorriso. Si mette a urlare, e solleva lo sguardo carico di terrore dal riflesso alla realtà. È lui, il nix, accucciato sulla riva opposta della pozza. Constatando di aver attirato la sua attenzione, il nix solleva lentamente la mano sinistra e con un dito lungo e sottile che termina con un'unghia lunga e affilata, le fa cenno di avvicinarsi. Rosie scuote il capo. Il nix si alza di colpo. Accovacciato aveva l'aspetto di una rana; una rana molto grande, è vero, ma con la prospettiva confortante del movimento goffo della rana fuori dall'acqua. Adesso, disteso, è un uomo alto e sottile, e le lunghe gambe gli hanno già fatto fare mezzo giro della pozza prima che la paura, che le ha bloccato i muscoli, diventi terrore, che glieli scioglie, e lei corra via da lui inciampando sulle pietre e le ossa che ingombrano il pavimento della caverna. Il primo pensiero di Rosie, perché nonostante tutto è ancora in grado di pensare, è di tenere l'acqua tra loro, e per un po' ci riesce. Ma le piccole gambe cominciano a stancarsi, e al terzo giro intorno alla pozza sembra che la debole luce che filtra attraverso la galleria d'entrata aumenti e si trasformi in un bagliore dorato, come se quel sole lontano splendesse direttamente all'imboccatura, sul pendio grigio lassù. Il percorso è lungo e difficile, lo sa, e molto scosceso. In una corsa sul piano, dubita che avrebbe molte probabilità contro quelle gambe lunghe e ossute. Ma il richiamo del sole è troppo forte.
Scarta di lato e si infila nella galleria. Com'è pietroso il suolo! E pieno di svolte e curve! E il soffitto, com'è basso! Si fa coraggio con il pensiero che ciò che per lei è difficile, dev'essere ancor più arduo per il nix, ma quando si attenta a voltarsi indietro per dare un'occhiata, lo vede di nuovo rannicchiato e appiattito al suolo, non come una rana questa volta, ma come un grosso ragno che sguscia lungo il tunnel. Quella vista le comunica nuova forza. E anche la luce che aumenta e adesso non ha solo la brillantezza ma anche il calore del sole. Supera un'altra svolta. Ancora molto lontana, ma adesso chiaramente visibile, coglie la visione di un piccolo cerchio di cielo azzurro. E mentre guarda, l'azzurro diventa una cornice e circonda un viso familiare, e lei sente una voce familiare chiamare il suo nome. «Rosie. Rosie». «Babbo! Babbo!», grida in risposta, e si affretta nella sua direzione. Ma il rumore strisciante dietro di lei adesso è molto vicino. Sente quelle dita ossute che le afferrano le caviglie, sente le unghie aguzze penetrarle nella carne. E vede il cerchio azzurro ridursi a una capocchia di spillo e poi svanire del tutto, mentre il nix la trascina indietro, nella sua oscura caverna, e alla sua pozza nera e senza fondo. Terzo giorno L'allagamento di Dendale I Betsy Allgood [PA/WW/11.6.88] Trascrizione n. 2 N. 2 di 2 copie Una volta iniziato a piovere, piovve come se volesse mettersi in pari in una settimana per tutto il secco dei mesi passati. Quel primo giorno fu un vero uragano, poi si stabilizzò in un acquazzone continuo, che a tratti diminuiva d'intensità ma non si fermava mai veramente. Sentivamo che già a Dendale stavano terminando i lavori di sgombero, portando via ogni detrito ingombrante che fosse rimasto, siste-
mando i cavi elettrici e quelle cose lì, e quando tutto fu pronto, spianarono gli edifici con i bulldozer. A quanto pare non importava che fossero destinati a essere sommersi o meno: il Dipartimento non voleva che restassero in piedi perché qualcuno non fosse tentato di andare a esplorarli, sott'acqua o fuori. Così scuola, pub, chiesa, case, granai, stalle, tutto quanto fu buttato giù in previsione dell'allagamento della valle, ha diga era quasi finita, e i ruscelli erano strapieni, il Neb sputava acqua come un secchio bucato e la cascata della White Mare's Tail buttava a pieno regime, cosicché il Dender Mere era quasi arrivato al livello di prima, e su al valico di Black Moss, fra il Neb e Beulah, il nuovo laghetto si allargava e diventava più profondo, pronto per essere riversato nella valle sottostante. Tutte queste cose le seppi nel modo in cui i bambini vengono a sapere le cose, ciondolando intorno ai grandi con la bocca chiusa e le orecchie ben aperte. Non c'era nessuna possibilità che riusassi a vederlo coi miei occhi. Mi avevano raccomandato, come tutti gli altri, di non avvicinarmi a Dendale. In parte era perché le mamme e i babbi avevano ancora paura di Benny Lightfoot, del nix o quel che diavolo aveva preso le bambine. In parte, penso, perché sapevano quanto male gli avrebbe fatto vedere le loro vecchie case demolite e sommerse, e immaginavano che per noi bambini fosse lo stesso, se non peggio. Nel mio caso si sbagliavano di grosso. Mi piaceva proprio, lì a Danby. Mi ero ambientata molto in fretta. E quando iniziò la scuola, a settembre, scoprii che il signor Shimmings, il maestro con la benda sull'occhio, la benda non ce l'aveva più. La portava solo perché si era fatto male a un occhio in un incidente, e bisognava che stesse coperto finché non guariva. E non aveva nemmeno la bacchetta, ma solo un bastone da passeggio perché nello stesso incidente era rimasto zoppo. In realtà era proprio simpatico, e lui e la signorina Lavery se la cavavano benissimo. Avevo scordato di dire che la signorina Lavery era stata assunta alle elementari di St Michael, e anche se non ero più nella sua classe, si fermava sempre a scambiare due parole con me, quando ci incontravamo. In giro si vedevano un sacco delle vecchie facce di Dendale. Il signor Hardcastle, come mio padre, lavorava per il signor Pontifex nella sua azienda. I fratelli Telford avevano impiantato la loro attività di falegnameria a Danby, anche se avevo sentito dire che il più del lavoro lo faceva lo zio di Maggie, George, perché Joe (cioè il suo babbo) sembrava incapace di concentrarsi su qualsiasi cosa. I Wulfstan erano tornati in città,
poi avevano venduto anche là e si erano trasferiti a Londra. Nessuno aveva più visto zia Chloe, ma il signor Wulfstan aveva messo in piedi dei lavori a Danby e si vedeva ancora, e circolava la voce che fosse stato visto vagare sulle colline come se sperasse ancora di trovare qualche traccia di Mary. E c'erano anche chiacchiere che i suoi avvocati avessero denunciato la polizia per non aver fatto bene il suo lavoro, ma che non ne avessero cavato niente. Quanto a Benny Lightfoot, era scomparso senza lasciare traccia. Sua nonna fece un casino d'inferno quando dovette lasciare la valle, e si barricò dentro al cottage. Andarono lassù per cercare di convincerla a uscire, ma siccome non ebbero risposta sfondarono la porta e scoprirono che le era preso un colpo in piena regola, così la portarono all'ospedale. Probabilmente sarebbe finita in un ospizio se una nipote giù a Sheffield non avesse detto che la prendeva con sé. Tutte queste cose mi scivolarono nel cervello nel modo solito, ma nessuna di esse mi fece preoccupare. Dendale e la stagione torrida, e Jenny e Madge e Mary, erano state trascinate via, e sembravano lontane mille anni e mille miglia. Abitavamo in un cottage proprio vicino alla scuola, alla periferia di Danby, e anche se a un cittadino quella sarebbe sembrata piena campagna, dopo Low Beulah per me era come stare in centro città, con la gente e le cose intorno a me che cambiavano ogni giorno. Penso che, all'inizio, il cambiamento avesse giovato anche a mamma. Sembrava molto più vispa, si fece delle nuove amiche e qualche volta usciva perfino con loro. Anche babbo stette meglio, per un po'. Era sorvegliante delle pecore del signor Pontifex, e sentii mamma dire a qualcuno che se teneva il naso pulito e le labbra sigillate, avrebbe ottenuto la fattoria di Stirps End quando l'attuale proprietario fosse andato in pensione, il che doveva succedere per l'Annunciazione o al più tardi per San Giovanni. Babbo diceva sempre che non sapeva che senso avesse ricominciare tutto da capo, e io capivo che si riferiva al fatto che ero solo una ragazza. E forse era per quello che allora non mi importava molto che mi tenessero sempre i capelli tagliati corti, e mi mettessero quasi sempre addosso tute o jeans, perché pensavo che forse sarei passata per un ragazzo e avrei potuto occuparmi della fattoria. Lo so, sembra stupido, ma io lo pensavo davvero. E cercavo di non pensare affatto a Dendale; come ho detto, presto mi sembrò lontano quanto Londra, e non mi sarei mai sognata di tornarci, non fosse stato per Bonnie.
Il trasferimento sembrava aver sconvolto Bonnie più di tutti, e se non fosse stato che praticamente non smetteva mai di piovere, dubito che sarebbe entrato nella nostra nuova casa. Lui continuava a vagare attorno, non trovava pace. Se lo chiudevo assieme a me in una camera, voleva uscire. E se lo chiudevo fuori, subito voleva rientrare. E qualsiasi cosa volesse, strillava finché non l'aveva ottenuta, dando sui nervi a babbo. E comunque Bonnie non gli era mai piaciuto, così facevo del mio meglio per tenerli separati. E poi, quella sera, tutto andò storto. Babbo entrò in cucina dalla porta sul retro e Bonnie gli schizzò tra le gambe, facendolo quasi cadere. Lui imprecò e gli mollò un calcio con lo stivale, beccandolo giusto nelle costole. Il gatto fece un urlo e uscì di corsa dalla porta aperta. Anch'io mi misi a strillare, e mamma venne a vedere cosa succedeva. «È Bonnie» singhiozzai. «Babbo gli ha dato un calcio e lui è scappato». «È vero?», chiese mamma. «Quel dannato animale inutile» disse babbo. «Non serve a niente. Se non lo rivedo più, non sarò altro che felice. Non vale la pena di mantenere una cosa che non sa nemmeno procurarsi da mangiare». Questo mi fece piangere ancora di più, e non solo per Bonnie. Mamma cercò di consolarmi dicendo che Bonnie sarebbe tornato, una volta che si fosse reso conto che fuori si bagnava fino alle ossa. E perfino babbo, che forse si sentiva un po' in colpa, disse che non sarebbe successo niente, che la mattina dopo Bonnie si sarebbe intrufolato di nuovo fra i piedi. Ma non tornò. Nessun segno di lui. Piansi durante tutta la colazione, e per tutta la strada fino a scuola. All'inizio nessuno se ne accorse, eravamo tutti così fradici, che qualche lacrima non faceva differenza. Era una giornata veramente terribile, la pioggia che piombava sul terreno con tanta violenza che gli spruzzi rimbalzavano riempiendo l'aria di una nebbiolina che non si vedeva dall'altra parte del campo giochi. Ma una volta entrati e asciugati, i miei amici si accorsero presto che stavo piangendo e mi chiesero cos'avevo. Le mie amiche furono tutte gentilissime, ma uno dei ragazzi, Joss Puddle, il cui padre a Dendale aveva l'Holly Bush, disse: «Non so perché beli a quel modo. Io lo so dov'è. È andato a casa». «No, invece, stupido» dissi io. «È quello che ho appena detto. Non è tornato a casa».
«Non la casa di Danby, voglio dire la sua vecchia casa, la sua casa vera. Chi è lo stupido, adesso?» ribatté lui. «E ti dico un'altra cosa. Se è tornato a Low Beulah, è facile che anneghi, perché oggi lasciano andare il Black Moss». Pensai a quelle parole per tutta la mattina, fino alla ricreazione. Più ci pensavo, più mi convincevo che Joss aveva ragione. Bonnie era sempre in agitazione da quando avevamo traslocato. Dove poteva andare, dopo che babbo l'aveva preso a calci, se non a Dendale? Alla ricreazione mandai Joss a dire alla maestra che ero andata a casa con il mal di pancia. Pensandoci adesso, capisco che quello che avevo progettato di fare era molto stupido. Le possibilità di trovare Bonnie, anche se era davvero tornato a Low Beulah, erano inesistenti. Le possibilità che io scivolassi e mi rompessi una gamba erano molte di più. Ma io avevo davanti agli occhi questa immagine di Bonnie derelitto, seduto in riva al lago, e di questo grande muro d'acqua che si precipitava giù dal Black Moss e lo spazzava via. Cosi presi Corpse Road per arrivare a Dendale. Da Danby era un'arrampicata ripida, ma io ero robusta per la mia età e il sentiero era cosi ben segnato che non ebbi problemi a seguirlo anche quando la foschia mi circondò completamente. Non aveva mai smesso di piovere, e presto mi ritrovai bagnata fradicia, ma non era una pioggia fredda, col vento che veniva da sud, e io camminavo più in fretta possibile, e così mi tenevo calda. Quando arrivai sul crinale del Neb, sentii la White Mare's Tail rumoreggiare, ma c'era un altro rumore che non riconobbi. Non ero ancora arrivata a metà strada verso la valle che all'improvviso la foschia si aprì e io vidi da dove veniva. Giù dal Black Moss, la miriade di ruscelletti che striavano il fianco della collina come fili argentati si era trasformata in una grande forza devastante, che si precipitava giù per il pendio nel fondovalle, dove si univa al White Mare's Beck e si riversava rombando nel lago. Il lago stesso era già più pieno di quanto l'avessi mai visto nelle precedenti piene primaverili. Aveva perso la sua vecchia forma e ricopriva campi e muri che si trovavano lungo le sue rive, fino a lambire le rovine delle case più vicine, come Heck. Io ero ferma là e mi sentivo... non so come mi sentivo. Guardavo il posto dove avevo passato la maggior parte della mia piccola vita e non lo riconoscevo. Era come guardarsi dentro uno specchio e vederci qualcun altro.
Attraverso la foschia, riuscivo a vedere solo, dalla parte opposta del lago, la collinetta tonda accanto alla quale prima sorgeva Low Beulah. Voi svanì anche quella, e in un secondo di nuovo non riuscii a vedere a più di due passi da me. Ma seguire Corpse Road giù fino a Shelter Crag fu abbastanza facile. Adesso stavo camminando sopra i blocchi di pietra delle costruzioni abbattute, ed era difficile dire dove mi trovavo. Stavo cercando di arrivare al piccolo ponte a schiena d'asino sul White Mare's Beck, che mi avrebbe condotto sulla strada che circondava il lago e quindi a Low Beulah; ma quando raggiunsi la riva del ruscello, o del fiume, com'era diventato, mi resi conto di quanto ero stata stupida. Il ponte era andato: se non l'avevano buttato giù, a quell'ora doveva essere sott'acqua. Ero così fradicia che pensai che potevo anche guadare, ma vidi che il corso d'acqua era troppo profondo, e poi ad ogni modo la corrente era così rapida che mi avrebbe trascinato via. Rimasi lì per un po' a gridare 'Bonnie! Bonnie!' all'acqua. Poi un pensiero mi colpì. Se non potevo attraversare io, men che meno poteva farlo un gatto. Se c'era una cosa che Bonnie odiava era bagnarsi. Si sarebbe sentito già abbastanza avvilito solo a starsene sotto quella pioggia, figuriamoci se avrebbe tentato di attraversare un fiume a nuoto. E allora cos'avrebbe fatto? Avrebbe cercato di trovarsi un riparo, mi dissi. Adesso ero un po' più contenta. Il livello dell'acqua aumentava rapidamente, ma non tanto da poter sorprendere un gatto, e anche se il nuovo fiume correva rapido, era ben lungi dall'assomigliare all'enorme onda che si precipitava nella valle che mi ero figurata con la fantasia. Così iniziai a chiamare 'Bonnie! Bonnie!' e continuai a vagare per quello che era stato il paese. La pioggia adesso cadeva più fitta e sembrava che si alzasse dal terreno per unirsi alla nebbia, cosicché sentivi come dei colpi sulla faccia, sulle braccia e sulle gambe mentre camminavi. Era una sensazione buffa, ma io ero così zuppa d'acqua che non ci badavo nemmeno, anzi, penso che mi sarei divertita se non fossi stata così preoccupata per Bonnie. Non vedevo un accidenti, ma pensavo che finché risalivo il pendio della collina non poteva succedermi niente di male, e continuavo tutto il tempo a gridare il suo nome. E poi lo sentii che miagolava in risposta. Capii subito che c'era qualcosa che non andava. Conosco tutti i suoni che fa Bonnie, e il miagolio che fa quando ha fame e vuole la cena, o quando è rimasto in casa troppo
tempo ed è scocciato a morte con te, è diverso da quello che fa quando ha paura. Pensai: forse è ferito, e lo chiamai ancora, e lui mi rispose, e io mi diressi verso il grido. La prima cosa che vidi fu un altro mucchio di pietre. Poi sentii Bonnie di nuovo e vidi i suoi occhi, due schegge verdi che brillavano nell'oscurità. Ma erano piuttosto sollevate da terra, e pensai che si trovasse in cima al mucchio di pietre. Poi, oltre i suoi occhi, vidi qualcosa d'altro, una zona più chiara dell'aria, e un altro paio d'occhi, e mi avvicinai ancora di un passo e vidi che qualcuno teneva Bonnie stretto al petto. E all'improvviso realizzai che il cumulo di pietre era tutto ciò che rimaneva di Neb Cottage, e che l'uomo che teneva Bonnie era Benny Lightfoot. Disse: «Sei tu, Betsy Allgood?». La sua voce era bassa e incorporea, e la faccia così sottile e gli occhi così fissi, che sembrava proprio uno di quei nix che mi ricordavo di aver visto in un vecchio libro illustrato. Non avevo mai avuto tanta paura, né la ebbi in seguito. Ma lui aveva Bonnie, e io sapevo che i nix mangiavano le bestiole che catturavano, agnelli, cani, gatti. Così risposi: «Sì sono io». «E tu mi stavi chiamando», disse con una specie di tono meravigliato. Dissi: «No, stavo chiamando il mio gatto». Poi capii perché si era sbagliato e proseguii: «Si chiama Bonnie. Quel nome chiamavo: Bonnie, non Benny». «Bonnie, non Benny», ripeté lui a pappagallo. Poi fece una specie di sorriso e disse: «Non importa, adesso sei qui, Betsy Allgood. Vieni qui». «Non voglio», dissi. «Vuoi dire che non vuoi il tuo gatto?». Sollevò Bonnie con entrambe le mani e dovette dargli una strizzata, o qualcosa del genere, perché Bonnie strillò di dolore. Non presi nessuna decisione cosciente, ma mi ritrovai ad avanzare verso di lui. Lui si trovava più in alto rispetto a me, perché era più in alto sul pendio e in più stava ritto su una pietra del cottage, e tendeva Bonnie verso di me. Mi allungai per prenderlo, ma proprio quando le mie dita stavano per toccare la sua pelliccia, Benny lo tirò indietro con una mano e con l'altra mi afferrò il braccio. Iniziai a urlare, e lui mi attirò ancor più verso di sé, le dita così ficcate nella mia carne che pensai che stesse per spezzarmi il braccio. La sua faccia scese a livello della mia e poi sentii il suo fiato sul viso, le labbra
fredde contro il collo mentre diceva con un sussurro orribile, senza fiato: «Ascolta, ascolta, piccola Betsy. Non voglio farti del male. Voglio solo che tu...». Poi, poiché mi divincolavo con violenza per scappare, dovette allentare la presa su Bonnie, e lui schizzò in aria e per non cadere si attaccò con le unghie alla faccia di Benny. Adesso era Benny a strillare. Mollò me per afferrare il gatto, ma Bonnie era già balzato a terra e io mi chinai per prenderlo. Benny tentò di nuovo di prendermi, sentii che le sue dita mi toccavano i capelli, ma erano così corti e bagnati che non offrivano alcun appiglio, e poi stavo correndo più veloce che potevo con Bonnie tra le braccia. Non so quanto corsi. Non molto lontano. Il suolo era bagnato e scivoloso e coperto di rocce e presto inciampai e caddi. Mi feci male alla caviglia, così non mi alzai, ma rotolai sotto un grande masso e rimasi stesa lì, ansimando così forte che mi si doveva sentire per mezzo chilometro. Ma lentamente ripresi fiato, e Bonnie, stretto contro il mio petto, sembrava capire che non era una buona idea fare rumore, e alla fine riuscii a sentire il sibilare della pioggia, e il rombo della cascata, e il ruggito del nuovo corso d'acqua che si precipitava giù da Black Moss. C'erano anche altri suoni, movimenti, spostamenti, sospiri, che potevano essere provocati da Benny che mi stava cercando, così chiusi gli occhi e restai più immobile che potevo e cercai di dire le preghiere, come mi aveva insegnato il reverendo Disjohn. Ma non riuscivo a dirle solo nella testa, e non mi attentavo a recitarle ad alta voce per paura che orecchie fini, là fuori, potessero sentirmi. Alla fine credo che mi addormentai. O forse cominciai a morire. Magari è la stessa cosa. Un momento sei lì, il momento dopo non sei più da nessuna parte. Poi, all'improvviso, fui strappata dalla mia oscurità piena di pace da due braccia che mi stringevano forte e una voce che mi urlava nelle orecchie. Per un secondo lottai come una selvaggia, pensando che Benny mi avesse ripreso. Poi l'odore del corpo contro il quale ero premuta e il suono della voce che sentivo mi dissero che era mio babbo ad abbracciarmi, e io mi strinsi a lui più che potevo, e seppi che adesso tutto sarebbe andato bene. Pensai che tutto quanto sarebbe andato bene per sempre. II Il terzo giorno dell'inchiesta sulla scomparsa di Lorraine Dacre, Shirley
Novello si svegliò incazzata nera. La sensazione l'aveva colta un lungo istante prima che riuscisse a liberarsi abbastanza dalla morsa del sonno da identificare la sua provenienza. Le sensazioni sono così. A volte una si sveglia felice e rimane lì a crogiolarsi in una beatitudine immotivata, finché il cervello, risvegliatosi, le ricorda il motivo per cui è così felice. Aprì gli occhi, vide l'inevitabile bagliore solare che filtrava dalle tende di cotone sottile, sbadigliò e ricordò. Andy Dalziel, il Pol Pot del Mid-Yorkshire, il King Kong di ogni donna dotata di cervello, l'aveva mandata all'appuntamento preso per quella mattina da Peter Pascoe con quella cazzo di boss dei servizi sociali, la signorina Plowright. Cercò di autoconvincersi che doveva sentirsi lusingata perché le avevano affidato un compito da ispettore capo, ma non riuscì a sentirsi altro che incazzata. Come il giorno prima. Aveva fatto tutto il lavoro duro sulle macchine, per poi essere sbattuta in quella scuola a parlare con dei bambini piagnoni. Si era salvata convincendo Wield che valeva la pena fare domande sulla familiare azzurra lungo tutta la strada di Highcross Moor. Gliel'aveva concesso più perché non sapeva che altro farle fare che per la convinzione che valesse la pena di tentare. Be', aveva dovuto ricredersi. Risultato: adesso avevano un sospetto. Va bene che nessuno sembrava nutrire troppe speranze, ma nessuno era nemmeno venuto fuori con qualcosa di meglio. Per il momento Turnbull era il punto focale dell'inchiesta. L'orologio però avanzava inesorabile. Quel giorno avrebbero dovuto rilasciarlo, se non emergeva niente di più concreto. Ma restavano ancora parecchie ore di martellamento. E lei sarebbe dovuta essere là, ad aiutarli a martellare. Invece l'avevano di nuovo sospinta alla periferia dell'indagine, e tutto perché quegli ometti patetici avevano paura che una faccenda di quindici anni prima tornasse a perseguitarli. Non è giusto, si disse. Aveva passato la maggior parte della nottata a studiare il dossier su Dendale. Le fotografie di quelle tre bambine bionde l'avevano afferrata alla gola come una mano gelida, e aveva dovuto versarsi qualcosa da bere. C'era anche una foto della quarta ragazzina, Betsy Allgood, quella che era riuscita a scappare, una strana creatura dal visetto paffuto, con capelli neri cortissimi, più simile a un maschio che a una femmina, tranne che per quei grandi occhi scrutatori che sembravano appartenere a qualche creatura notturna. Di lei che ne era stato? L'esperienza di essere stata aggredita da Lightfoot l'aveva marchiata per sempre? Oppu-
re la capacità di ripresa tipica dell'infanzia aveva avuto il potere di cancellare ogni cosa, lasciandola libera di crescere illesa? Ad ogni modo, sì, se fosse stata coinvolta in un caso simile senza ottenere risultati decisivi, allora anche lei, forse, ne sarebbe stata perseguitata nei suoi sogni per tutto il resto della vita. E se non avessero risolto il caso di Lorraine Dacre, forse da lì a quindici anni... Scacciò il pensiero. Avrebbero ottenuto risultati. E se il ricordo di Dendale serviva a rendere il Ciccione ancor più determinato a prendere il colpevole, allora era il benvenuto. Ma questo interesse per la vecchia Lightfoot significava aggrapparsi a un filo molto sottile. Quindici anni prima era già vecchia e malata. Quasi certamente era morta da tempo. Pace all'anima sua, aggiunse fra sé, facendosi il segno della croce. Il lavoro di polizia ti rendeva insensibile di fronte alla morte fisica, per consentirti di guardare cadaveri di ogni tipo e in qualsiasi condizione senza vomitare anche l'anima. In quello stava migliorando. Ma era ben decisa a evitare la parallela e irreversibile desensibilizzazione alle reazioni spirituali e alle emozioni. Il motivo per cui l'ispettore capo non poteva andare all'appuntamento affiorò nella sua mente, facendola sentire colpevole per il risentimento provato. Scivolò fuori dal letto, si inginocchiò davanti alla spettrale immagine della Beata Vergine che sua madre aveva comprato a Lourdes e le aveva fatto promettere di appendere in camera da letto, probabilmente quale unica forma di anticoncezionale che una brava ragazza cattolica è autorizzata a usare, e recitò una breve preghiera di intercessione per la bambina dei Pascoe. Poi si alzò e si guardò nello specchio. Un disastro, fu il giudizio. Be', e che cavolo. Anche una poliziotta disastrata avrebbe brillato fra le befane in camicetta sformata e rigorosamente senza trucco che infestavano gli uffici dell'assistenza sociale! Così fu un colpo ritrovarsi, alle nove, di fronte a una donna alta e snella fasciata da un abito modello Gucci. E, chiaramente, anche lei fu oggetto di disappunto per il capo dei servizi sociali. «Aspettavo l'ispettore capo Pascoe», disse Jeannie Plowright. E non vedevi l'ora, pensò Novello. Ah, il lato sexy del lavoro di polizia! «Non è potuto venire», disse, e spiegò il motivo. «Oddio, è terribile», disse la Plowright facendo trasudare la partecipazione con una forza che doveva rassicurare molti clienti, già pronti a giudi-
carla male dall'aspetto. Prese un appunto su un blocco, poi diventò sbrigativa e professionale. «Allora, in che modo posso esserle utile? Il messaggio parlava della signora Lightfoot di Dendale». Novello spiegò. Pensava di essere stata altrettanto sbrigativa e professionale, ma quando ebbe finito di parlare l'assistente sociale disse: «E lei è convinta che sia una perdita di tempo?». Merda, pensò Novello. Appunto per me stessa: il lavoro della Plowright, come il mio, richiede una particolare sensibilità al non detto, e lei ha molta più esperienza. Cercò di buttarla sull'equivoco: «Mi spiace, so quanto è occupata...». «Non del mio tempo, del suo», sorrise la donna, estraendo un portasigarette d'oro e offrendoglielo. Novello scosse il capo. Il fumo era una forma di mascheramento tipica della parte maschile della polizia alla quale aveva strenuamente resistito. Plowright si accese una sigaretta senza rivolgerle nessuno di quei gesti automatici tipo 'le-spiace-se-io...'. Be', in fin dei conti l'ufficio era suo. «Ma Peter, l'ispettore capo Pascoe, probabilmente non la considerava una perdita di tempo», proseguì la donna. «Il signor Pascoe è un uomo molto meticoloso» disse Novello, decisa a riguadagnare terreno. «Gli piace eliminare il possibile, non importa quanto improbabile sia. Può dirmi qualcosa, signora Plowright?». «Mi chiami Jeannie» disse la donna. «Sì, penso di sì. È stato molto tempo fa, ma per fortuna teniamo in ordine i nostri archivi. Entrai in contatto con Agnes, la vecchia signora Lightfoot, dopo che si era ripresa abbastanza dal colpo per uscire dall'ospedale. Allora le cose non andavano così male nel servizio sanitario nazionale, ma c'era già una riduzione crescente dei posti letto e i manager dell'ospedale stavano particolarmente attenti che i pazienti più anziani non diventassero dei lungodegenti». «Perciò Agnes non aveva più bisogno di cure?». «Aveva bisogno di assistenza» disse la Plowright. «Non aveva recuperato al punto da essere autosufficiente. Mentalmente era tornata come prima, ma non era in grado di camminare da sola e aveva un uso parziale della mano e del braccio sinistri. Non ci si aspettavano ulteriori miglioramenti, così l'ospedale si rivolse a noi. Il nostro compito... il mio compito era di trovarle una casa di riposo o di rintracciare qualche membro della sua famiglia in grado di badarle e disposto a farlo. Quest'ultima sembrava una possibilità molto remota».
«Perché?». «Perché suo figlio era morto, sua nuora si era risposata e viveva in Australia, e il suo parente più prossimo era il nipote Benny, e nessuno sapeva dove fosse... ma credo che su questo sappiate tutto». «Sicché cosa avvenne?», chiese Novello, ignorando la provocazione. «Mi misi a cercarle un posto nelle nostre case di riposo convenzionate. Agnes non collaborava. C'erano moduli da compilare, dettagli da controllare, la solita burocrazia. Lei semplicemente si rifiutava di rispondere alle domande e di mettere la sua firma sui fogli. E poi saltò fuori la nipote». «In quali circostanze?». «Mi imbattei nel suo nome e indirizzo fra le carte di Agnes. Una delle sue vecchie conoscenze di Dendale che era venuta a trovarla mi disse che questa Winifred Fleck era la nipote di Agnes. Si scambiavano un biglietto d'auguri per Natale perché così si fa tra parenti, ma fra loro non c'era alcun affetto. Le scrissi comunque, pur con scarsa convinzione, perché, come Peter Pascoe, credo nell'eliminazione del possibile, non importa quanto improbabile sia». Dicendo questo sorrise, probabilmente per chiarire che si trattava di uno scherzo, e non di una presa in giro. Novello le restituì il sorriso, per mostrare che ad ogni modo non le importava un fico secco, e disse: «Ma in questo caso l'improbabile possibilità si rivelò buona, vero?». «Sì. La signora Winifred Fleck capitò all'ospedale un giorno, fece una chiacchierata con Agnes e poi informò le autorità che voleva che sua zia andasse a vivere da lei». «Una signora molto responsabile», disse Novello con approvazione. «Apparentemente aveva le caratteristiche adatte. Aveva lavorato come inserviente in una casa di riposo, perciò sapeva cosa era necessario fare». «Ma a lei non piaceva», disse Novello, felice di poter mostrare all'altra che anche lei sapeva cogliere una sfumatura. «Non molto. Ma questo non significava niente. Non posso dire di aver provato molta tenerezza neppure per la vecchia Agnes. Si era costretti ad ammirare la sua forza di volontà e la sua indipendenza, ma ai suoi occhi io rappresentavo l'autorità, e non è che ci tenesse particolarmente a mostrare il suo lato migliore alle autorità. Ad ogni modo, era compos mentis, perciò anche se fosse risultato che la nipote picchiava i suoi pazienti all'istituto geriatrico, non avrei potuto fare nulla per impedire ad Agnes di trasferirsi da lei, una volta che avesse espresso la volontà di farlo». «E fu così?».
«Lei disse che voleva, firmò tutti i documenti di dimissione dell'ospedale, non si diede la pena di ringraziare nessuno e fu caricata da Winifred su una macchina. Questo fu tutto». «E non ne ha più saputo niente?». «Passai l'incartamento all'ufficio incaricato a Sheffield e poi telefonai per controllare, un paio di settimane dopo. Dissero che era tutto a posto, la signora Fleck prendeva sul serio la sua nuova responsabilità e aveva fatto domanda per le sovvenzioni e l'assicurazione e così via». «E quella era una prova che la stava prendendo sul serio?», chiese Novello. «Non per se stessa, ma dava al dipartimento dei servizi sociali che doveva stanziare i fondi il diritto di effettuare un'ispezione. Non è che distribuiamo i nostri fondi senza riserve e controlli, sa?». «No, certo, mi scusi. E da allora ha saputo qualcosa?». «No. Ne ho abbastanza del mio, senza ficcare il naso negli affari degli altri». «Certo. Però è salita un po' più in alto, nel frattempo», disse Novello. «E da qui posso avere una vista migliore, intende?» Jeannie Plowright fece una smorfia. «Dipende in quale direzione si guarda. Sono sicura che lo scoprirà anche lei, un giorno. Abbiamo finito?». «Sì, quando mi avrà dato l'indirizzo della signora Fleck». Era già stato battuto a macchina su un foglio non intestato. Winifred Fleck, 9 Branwell Close, Hattersley, Sheffield (Sud). Mentre lo ripiegava con cura e lo metteva nella borsetta, Novello pensò che la donna doveva essersi alzata all'alba per riesumare quei vecchi documenti e prepararsi così a fondo per il colloquio. Sarebbe stata tanto coscienziosa e collaborativa se avesse saputo di incontrare la servetta e non il giovane padrone? Buuu! aggiunse sentendosi in colpa. Si alzò, tese la mano e disse: «Grazie per l'aiuto prezioso». «Trova? Allora ha cambiato idea sulla perdita di tempo?». Parlò con espressione serissima, e per un attimo Novello ondeggiò fra l'insincerità cortese e la scortese sincerità. Poi Jeannie Plowright scoppiò in una risata aperta e disse: «Non si preoccupi, cara. Anche Peter qualche volta lascia scivolare la maschera. Spero che ci rivedremo presto». Novello scese le scale di corsa, sentendosi furiosa. Brutta vacca presuntuosa! Almeno con gli uomini si sapeva sempre dove andavano a parare, anche se ti cacciavano a calci nella fogna.
Arrivata a pianterreno si era calmata un po'. Magari era colpa sua. Sapeva che quando aveva a che fare con l'ispettrice Maggie Burroughs assumeva un atteggiamento improntato a una sorta di cauta aggressività, perché non sembrasse che si aspettava un trattamento speciale da donna a donna. Non che le sarebbe dispiaciuto riceverlo, ma non voleva che sembrasse che se lo aspettava. Forse l'atteggiamento di sfida, 'dell'io faccio a modo mio', aveva condizionato l'approccio con Jeannie Plowright. Le venne in mente My Way. Strana scelta di canzone per una femminista evoluta. Un po' come se Maria Antonietta si fosse fatta coraggio fischiettando la Marsigliese! Il pensiero la fece sorridere e spazzò via ogni residuo di risentimento. Andò in cerca di un telefono canticchiando l'inno Ol' Blue Balls'. Ottenuta la comunicazione con l'ufficio di Danby, chiese di Wield e quando le fu passato, riferì succintamente il colloquio, secondo la lezione che aveva appreso da lui. «Adesso cosa devo fare, sergente?», chiese quando ebbe terminato. Lui esitò, poi disse: «Be', Super è dentro con Turnbull, al momento...». «C'è qualcosa di nuovo lì?», chiese lei. «Non molto» disse Wield. «Quando sarà scaduto il tempo, penso che se ne andrà libero. Senti, forse potresti continuare a seguire questa cosa, anche solo per essere sicuri che non porta a niente. Mi metto in contatto con Sheffield, così non ti arrestano per aver impersonato un funzionario di polizia». «Se lo dice lei, sergente», disse Novello avvilita. «Credimi, vorrei poter venire con te» disse Wield. «Qui non tirerà una buona aria quando Geordie si avvierà verso casa». Voleva solo essere gentile? si chiese lei mentre saliva in macchina. O parlava sul serio? Un po' tutt'e due, concluse. Tuttavia, mentre si dirigeva verso sud, non riusciva a liberarsi della sensazione di allontanarsi dal centro degli avvenimenti. III Peter Pascoe aveva visto il sole sorgere dal tetto dell'ospedale. Alla fine si era prodotto in un lento applauso: «E va bene, stronzo, visto che sei tanto bravo, vediamo cosa sai fare per mia figlia». Dietro di sé sentì un rumore, si girò e vide Jill Purlingstone seduta sul parapetto, appoggiata all'indietro contro la rete antisuicidio, che fumava
una sigaretta. Indovinò che aveva deliberatamente strascicato i piedi o qualcosa di simile per fargli sapere che era osservato. Non che gl'importasse un fico secco. Disse: «Ha l'aria di essere una bella giornata». Lei disse: «A casa nostra, le belle giornate sono quelle di pioggia». Aveva l'aria completamente distrutta. Pascoe disse: «Non sapevo che fumassi». «Ho smesso quando sono rimasta incinta». Lui pensò superstiziosamente che era il momento sbagliato per ricominciare. Lei disse per difendersi, come se Pascoe l'avesse rimproverata: «Ho bisogno di qualcosa che mi tenga su, e sbronzarmi non mi sembra una buona idea». «Però ha il suo fascino», disse Pascoe. Jill gli piaceva. Era così determinata a mantenersi coi piedi per terra, a dispetto di ogni tentazione di prendere il volo. Lei e il marito provenivano entrambi dalla piccola borghesia, ma la nuova ricchezza (che non era una leggenda: gli stipendi e le quote di partecipazione di tutti i direttori del Mid-Yorkshire Water erano comparsi spesso sulla stampa locale, in articoli che criticavano i risultati ottenuti) l'aveva cambiata ben poco. Derek Purlingstone, al contrario, si era completamente reinventato, per scelta deliberata o per istinto, e adesso era un perfetto clone del figlio di papà. Pascoe, Ellie e Jill avevano passato la notte in ospedale. Fornivano un numero limitato di letti per gli 'ospiti', e gli uomini erano stati spinti ad andarsene, mentre le donne sarebbero rimaste. Purlingstone si era lasciato convincere. Pascoe non era nemmeno stato a sentire. «No», aveva detto, e si era allontanato. «Domenica era una giornata così bella» disse Jill. «Sai, una di quelle giornate perfette». Perché diavolo se ne usciva a parlare di domenica? si chiese Pascoe. Poi capì, e avrebbe voluto non aver capito. Stava cercando dei puntelli per resistere al crollo, e domenica, l'ultimo giorno prima che la malattia si abbattesse su di loro, per lei rappresentava ormai un quadro perfetto. «È andato tutto così bene, sai... qualche volta succede» continuò la donna, dopo aver acceso un'altra sigaretta con il mozzicone dell'ultima. «Ci siamo alzati presto, abbiamo caricato la macchina; stavo preparando la tavola per la colazione quando Derek ha detto di non preoccuparmi di quello, che avremmo mangiato lungo la strada, così abbiamo buttato tutto
dentro, latte, cornflake, aranciata, merendine, tutta la colazione, e dopo un po' ci siamo fermati e abbiamo fatto un picnic-colazione, seduti sull'erba, e abbiamo visto un'aquila col binocolo di Derek, be', non era proprio un'aquila, Derek ha detto che era un falco pellegrino, ma le bambine erano così eccitate di vedere un'aquila che sembrava un peccato deluderle, e si vedeva il paesaggio per chilometri e chilometri, e io sarei rimasta volentieri lì tutto il giorno, ma gli altri erano così ansiosi e avevano tanta voglia di proseguire, e avevano ragione, non c'era praticamente una macchina lungo la strada secondaria e siamo arrivati in questo posticino fantastico fra le dune...». «Penso che farei meglio a rientrare» disse Pascoe. «Per far riposare Ellie». Capì dall'espressione di lei che era stato più brusco di quanto avrebbe voluto, ma non poteva restarsene lì mentre l'assistenza ai vivi si trasformava in una veglia ai morti. O era solo perché alla giornata che lei rievocava lui non aveva preso parte? Quanto indietro doveva risalire alla ricerca di una giornata altrettanto perfetta, una giornata passata interamente con la sua famiglia, senza interruzioni di lavoro? Ma perché dare la colpa al lavoro? Interruzioni provocate da lui stesso, dalle sue preoccupazioni, dalle sue ansie. Anzi, quando stava con Rosie, quando più godeva della sua compagnia, non c'era forse un tocco di egoismo perfino in quello, il tentativo di usare la sua energia e la sua gioia come terapia per la sua mente assillata...? Si precipitò giù per le scale come se fuggisse da qualcosa. La rabbia interna che così a lungo l'aveva accompagnato adesso aveva un oggetto, o meglio una coppia di oggetti: il mondo in cui sua figlia poteva essere così disperatamente malata e se stesso, per avere permesso che accadesse. Ma, di nuovo, non c'era modo di uscirne. Allungò la mano destra nell'aria come se gli fosse sfuggito qualcosa e stesse cercando di rimetterlo all'interno del suo corpo. Sul pianerottolo inferiore c'era una figura che guardava in su verso di lui. Imbarazzato, finse di stiracchiarsi con un braccio solo. Poi vide chi era, e smise di fingere. «Wieldy» disse. «Cosa ci fai qui?». Era probabilmente la domanda più sciocca che avesse mai posto, ma non importava, perché aveva raggiunto il pianerottolo e non resistette all'impulso di precipitarsi tra le braccia aperte dell'altro. Si tennero stretti per un lungo istante, poi Wield si scostò e disse: «Ho
visto Ellie. Ha detto che pensava fossi sul tetto. Pete, mi dispiace di non essere venuto ieri sera...». «Cristo, devi essere partito stanotte per essere qui così presto». «Sì, be', io sono uno che si alza sempre presto. Ellie dice che non ci sono cambiamenti». «No, ma ieri sera è successo qualcosa. Ellie era fuori dalla stanza e io stavo parlando con Rosie, e solo per un attimo ho pensato che fosse sul punto di uscirne... non me lo sono immaginato, davvero... ha reagito, ne sono sicuro». «È bellissimo» disse Wield. «Senti, tutti quanti sono... be', lo sai. Andy è davvero a pezzi». «Sì. Gli ho parlato per telefono. Sembrava... arrabbiato. E anch'io mi sentivo così. Mi sento ancora così. È un bel po' di tempo che ho questa rabbia dentro, lo sai, una specie di collera generalizzata verso... le cose. Il mio rifugio era quello che avevo a casa. Adesso ho qualcosa di specifico su cui essere arrabbiato, ma si è preso anche il mio rifugio...». Si passò la mano sul viso sottile e pallido, ed ebbe la subitanea certezza che anche l'altro Peter Pascoe avesse fatto lo stesso gesto mentre attendeva che la luce nascesse per l'ultima volta, quel grigio mattino del 1917. «Pete, ascolta, stavo quasi per non venire, non chiedermi perché, una cosa stupida, ero spaventato...». «Non preoccuparti. Anch'io odio questi posti», lo rassicurò Pascoe. «No. Guarda, adesso sono più contento, solo perché l'ho detto. Perché penso che andrà tutto bene. È così che mi sento da quando sono arrivato qui. Non lo direi altrimenti». Rimasero a guardarsi per un istante, poi, imbarazzati, distolsero lo sguardo. Pascoe disse: «Grazie, Wieldy. Ad ogni modo, come vanno le cose... con l'indagine, voglio dire? Andy mi ha detto qualcosa sul fatto che hai portato un sospetto». «Sì. Un tizio di nome Geordie Turnbull. Ha ditta di mezzi pesanti. Se hai letto il dossier su Dendale, forse ricordi che anche allora era stato preso in considerazione. Sicché, grande coincidenza, ma dubito che anche questa volta porterà a qualcosa». «No. Peccato», disse Pascoe, con tutto lo scarso interesse che riuscì a radunare. Poi, vergognandosene, disse: «Sai se Andy ha fatto qualcosa per quel mio appuntamento con Jeannie Plowright, stamattina?». «Sì. Ci ha mandato Novello».
Pascoe fece un pallido sorriso. «Ah, bene. Comunque non era granché come idea». «Il che suona un po' sessista», disse Wield. «No, Novello è un buon poliziotto. Pensavo solo che Andy ci sarebbe andato di persona se ci fosse stata la più debole speranza di cavarne qualcosa». «Andy sarà troppo occupato a torcere pollici a Danby, e anch'io sto per raggiungerlo». «Hai preso il giro più lungo. Grazie mille, Wieldy». «Va bene, va bene. Mi terrò in contatto. Mi raccomando, petto in fuori e pancia in dentro! Ciao». «Ciao». Toccò il braccio dell'uomo più giovane, poi si girò e si allontanò. Pascoe lo guardò mentre se ne andava. Il contatto gli aveva procurato un certo conforto, inutile negarlo. Ma adesso era di nuovo solo, alla ricerca di qualcosa a cui dare la colpa. Mentre scendeva le scale, prima, aveva ristretto il cerchio... a cosa? Ah, già. Al mondo e a se stesso. Ritornò nel reparto. «Hai visto Wieldy?», chiese Ellie. «Sì». «È stato bello vederlo», disse lei. «Sì». Il suo sguardo passò dal viso della moglie a quello di Rosie, dal bocciolo al germoglio, e sentì che se fosse accaduto qualcosa, lì non c'era modo di scansare la responsabilità, e neppure di tollerarla. Il mondo era salvo. La sua rabbia avrebbe dovuto prendersela con la propria ombra. «Perché non vai a fare una passeggiata?» disse con voce gentile. «Jill è sul tetto, a fumarsi una sigaretta. Oppure prenditi un caffè. Vai pure. Rimango io». «Va bene» disse lei, incapace di resistere alla forza tranquilla della sua volontà. «Non starò via tanto». Uscì dalla stanza come una sonnambula. Merda, pensò lui. Oltretutto si sente in colpa. Il che è assurdo, dato che è tutta colpa mia. Tutto è colpa mia. «Anche se l'Inghilterra non supera il test è colpa mia» disse ad alta voce. «Hai sentito, piccola? Tuo padre può anche non possedere un milione in quote di partecipazione, ma probabilmente anche la penuria d'acqua è da attribuirsi a lui».
La vecchia tecnica di esagerare le paure finché non apparivano assurde parve funzionare. Si sedette accanto al letto e prese la mano di sua figlia. «Sì, cara, sono io» disse. «Ma tu certo lo sai, anche se non te lo dico. Le mie morbide, levigate dita da pianista sono completamente diverse dai quei ceppi d'albero nodosi e ruvidi della tua mamma. Ma lei passa tutto il giorno con i gomiti immersi nell'acqua saponata, quando non è fuori a raccogliere foglie d'agave». Fece una pausa. Avevano chiesto se parlare a Rosie poteva essere utile e si erano sentiti rispondere un poco impegnativo 'Male non fa'. Grande. Ma lei li sentiva? Questo aveva bisogno di sapere. No, invece, non ne aveva bisogno. Se c'era anche la più remota possibilità che il suono della sua voce producesse qualche effetto, avrebbe parlato fino a consumarsi la laringe. Ma cosa dire? Dubitava che le sue divagazioni introspettive potessero avere qualità terapeutiche. Certo a Rosie non poteva servire granché sapere che aveva come padre un egocentrico nevrotico. Si guardò attorno cercando il mucchio delle cose che avevano portato per Rosie, bambole preferite, vestiti, libri, un sacco di roba, per rassicurare se stessi che presto sarebbe stata in convalescenza. In cima c'era Nina e il nix. Lo prese, lo aprì e cominciò a leggere ad alta voce. 'C'era una volta un nix che viveva nei pressi di una pozza d'acqua, dentro una caverna al di sotto di una collina...'. IV Hersley si rivelò un grande sobborgo sparpagliato lungo il margine sudoccidentale di Sheffield. La sua pianta faceva sembrare Hampton Court Maze un stradina a una sola corsia, e la confusione era accresciuta dal fatto che chi aveva dato il nome alle vie era ricorso quasi esclusivamente alla famiglia Bront é... Anche comprendendo Maria ed Elizabeth, le sorelle morte in tenera età, c'erano solo sette nomi sui quali giocare, e a tale insufficienza si era sopperito chiamando con lo stesso nome una strada, una via, un viale, una salita, un giardinetto, una piazza, un vicolo, un corso e un passaggio. Ecco una colonia penale per postini delinquenti, decise Novello. Le ci volle mezz'ora per raggiungere Branwell Close, e anche quando ci arrivò non scese subito dall'auto, non perché fosse accaldata e sconvolta (come di fatto era), ma a causa dell'aspetto del numero nove.
Il suo lavoro la portava spesso in case dall'aria talmente trascurata che era una sorpresa scoprire che ci viveva davvero qualcuno. La villetta dei Fleck produceva la stessa impressione, ma per motivi opposti. Sembrava più il modello preparato dall'architetto che la casa vera e propria. L'intonaco immacolato, i mattoni a vista perfettamente delineati, l'esatto quadrato d'erba color smeraldo dai bordi pettinati con cura, ornato di fiori piantati a distanza regolare, i vetri delle finestre scintillanti di pulito, le tendine di pizzo appese in maniera simmetrica, e il cancello di ferro battuto perfettamente brunito le mettevano una tale soggezione che, quando finalmente radunò il coraggio necessario per avvicinarsi, era riluttante a toccare il chiavistello lucido e ad avanzare sul sentiero perfettamente diritto, lastricato di un tenero rosa pastello. Poi una tendina di pizzo si mosse, e l'incanto svanì. La porta d'ingresso si aprì prima che lei la raggiungesse, probabilmente per salvare il bottone del campanello dal pericolo di un'impronta aliena. Winifred Fleck era il tipo di donna magra, dritta e sciupata della quale non si può dire che abbia raggiunto la cinquantina, ma sembra piuttosto che abbia avuto sempre quell'età. Indossava un grembiule di nylon, sterile come il camice di un chirurgo, e nella mano destra teneva uno straccio per la polvere di un giallo così allucinante che la polvere probabilmente se la squagliava al solo vederlo. «La signora Fleck?», disse Novello. «Sì». «Sono il detective Novello, polizia investigativa del Mid-Yorkshire» disse mostrando il tesserino. «È per sua zia, la signora Agnes Lightfoot. Credo che vivesse con lei». Usò il passato quasi senza pensarci. Lo scorcio di interno che si intravedeva dalla porta aperta confermava che gli dèi della geometria e dell'igiene governavano anche dentro casa. Non c'era alcuna possibilità che una parente anziana fosse assistita fra quelle pareti, a meno che non fosse moribonda e immobilizzata in una camicia di forza fatta di bianche lenzuola inamidate. «Sì», disse Winifred Fleck. A quanto pareva, anche le parole avevano il potere di sporcare. Meno se ne usavano, minore era il rischio di contaminazione. «Dunque, cos'è successo? È morta, signora Fleck?». Novello tentò di infondere nel suo tono una nota di cordialità, ma sentì che non aveva avuto molto successo. La cordialità era un lusso che qui non
si sprecava. E inoltre, se doveva dire la verità, non poteva fare a meno di sperare che la vecchia signora riposasse in pace. Così almeno avrebbe potuto abbandonare quell'impresa inutile e tornare al mondo reale che a Danby andava avanti senza di lei. «No», disse la signora Fleck. «No?», fece eco Novello. Era chiaro che quella donna aveva bisogno di una spintarella per mettersi in moto. Considerò con freddezza le varie possibilità, scegliendo con attenzione la migliore. «Forse potremmo parlarne dentro? È così caldo qua fuori, sto sudando come una fontana. Darei il braccio destro per una bevanda fresca e una fumatina». Novello non fumava. Ma la minaccia della sua intrusione in quel tempio dell'igiene, spargendo ovunque traspirazione e cenere, poteva essere una buona merce di scambio. E lo fu. «È a Wark House». «Come?», disse Novello capendo workhouse, fabbrica, e pensando che era un po' eccessivo anche per il South Yorkshire. «Wark House. La casa di riposo». «Ah, sì. Ma non viveva con lei?». «Per un po'. Poi mi dava troppo da fare. La mia schiena». «Capisco. Quanto è rimasta qui da lei?». «Quattro anni, più o meno». «Quattro anni. E poi ha iniziato a essere un peso?». La signora Fleck la fissò con astio, come se si sentisse insultata. «Ebbe un altro colpo. Non potevamo assisterla. Con questa schiena». Noi. Così c'era anche un signor Fleck. Probabilmente appeso in un armadio perché non stropicciasse i coprischienale. «Ed è ancora viva?». «Oh, sì». Sembrava sicura della cosa, anche se poco entusiasta. «La va a trovare?». «Faccio un salto se sono là. Qualche volta vado a dare una mano. Solo per i lavori leggeri, adesso. Con questa schiena». Jeannie Plowright le aveva detto che era stata inserviente in una casa per anziani. Con quella schiena! Novello si rimproverò per la sua mancanza di carità cristiana. Dopotutto quella donna aveva accolto sua zia quando nessun altro poteva prendersi
cura di lei. E una cosa era prendersi cura di una donna anziana un po' malferma sulle gambe, tutt'altra accudire un'invalida costretta a letto. Novello si chiese come avrebbe fatto lei, rabbrividì all'idea e lanciò alla signora Fleck un sorriso dettato dal senso di colpa mentre le diceva: «Se mi dà l'indirizzo, non le farò perdere altro tempo». Ottenuto l'indirizzo e le indicazioni sulla strada da prendere, si mosse per andarsene. Mentre si allontanava, la signora Fleck disse: «Di cosa si tratta?». Un po' di curiosità, finalmente. Novello si era chiesta il perché della sua assenza. «Solo un'inchiesta» rispose. «Niente che riguardi lei personalmente». Che bel modo di esprimersi! Con la stessa frase placava un'ansia legittima e infilava il pungiglione del dubbio. Richiuse con cura il cancello, resistendo alla tentazione di spolverarlo con il fazzoletto da naso, e salì in macchina. Era quasi piacevole entrare in quella scatola caotica e antigenica, anche se le ci vollero un paio di minuti per disseppellire la cartina. Le indicazioni della signora Fleck, come c'era da aspettarsi, erano state precisissime, ma Novello era decisa a non perdere un minuto di tempo. In effetti Wark House si rivelò facile da trovare, proprio come aveva detto la donna. Percorse una via principale finché all'improvviso si ritrovò fuori città, in aperta brughiera. Alla sua destra vide un edificio solitario stagliarsi contro il cielo come la casa dei Bates in Psycho. Svoltò in quella direzione su una strada secondaria che si inerpicava ripida, e in cinque minuti si trovò a passare attraverso un cancello che non avrebbe sfigurato all'ingresso di una cittadella fortificata. Il panorama che si godeva da lì era spettacolare, chilometri e chilometri di brughiera ondulata, che adesso, con la veste dorata della piena luce del sole, era bellissima, ma con le nuvole basse e la pioggia battente non era certo una vista fatta per risollevare l'animo di vecchi e moribondi. Una volta entrata, tirò un respiro profondo, ricordando la tecnica seguita da padre Kerrigan per catalogare le case di riposo che andava a visitare. «Se senti odore di piscio fin dall'ingresso, comincia a fare domande». Wark House superò il test, con suo grande sollievo. Anzi, guardandosi attorno fu gradevolmente sorpresa dal contrasto con l'esterno così scostante. Un'infermiera uscì da una stanza, la vide e chiese se poteva aiutarla. «Posso vedere la capoinfermiera, per favore?».
Fu condotta in un ufficio con porte e finestre spalancate, dove una donna piccola e scura sulla quarantina sedeva dietro una scrivania ingombra di carte. Il suo abbigliamento richiamava l'uniforme da infermiera, ma non era così aggressivo, e aveva un sorriso più naturale che professionale. «Shirley Novello», disse Novello stringendo la mano tesa. «Billie Saltair» disse la donna. «Cosa posso fare per lei?». Novello lanciò un'occhiata alla porta per assicurarsi che l'infermiera si fosse allontanata. «Può chiudere, se vuole» disse la capoinfermiera. «La tengo aperta perché possano vedere quanto lavoro. E poi, con questo caldo, cerco di creare un po' di corrente. Quassù di solito se apri una finestra ti viene addosso un vento che in dieci secondi netti sparge tutte le carte per l'intero palazzo, il che è probabilmente il modo più giusto per sbrigarle». Novello chiuse la porta. «Sono un agente di polizia» disse. «Niente di cui preoccuparsi, ma la gente può farsi idee sbagliate». «Ah, è così?» disse Billie Saltair lievemente divertita. «Allora è meglio che mi dica l'idea giusta, prima che segua il loro esempio». «Avete qui una certa signora Agnes Lightfoot, credo». «Esatto». «Come sta?». «Sta bene, tutto considerato». «Considerato cosa?». «Considerato che non cammina, è mezza cieca, ha problemi di parola e nessuno la viene mai a trovare». «Nemmeno la signora Fleck?». «Lei conosce Winifred?», chiese la capoinfermiera in tono neutro. «L'ho incontrata. Lavora qui, giusto?». «Di tanto in tanto». «Sì, certo. La sua schiena». «Ah, ha conosciuto anche quella?». Le due donne si guardarono per un attimo impassibili, poi iniziarono a sorridere. «Forse è meglio che le spieghi», disse Novello, decidendo che usare la franchezza con Billie Saltair era il miglior modo per essere ricambiati con la stessa moneta. Fece un breve riassunto del caso, e terminò dicendo: «Perciò tutto quello che deve fare è confermarmi che la signora Lightfoot non ha ricevuto visi-
te da un individuo strano sulla trentina nelle ultime due settimane, poi mi toglierò dalle scatole». Billie Saltair aveva aggrottato la fronte e scuoteva il capo. «Mi spiace, non posso farlo», disse. «Oh, andiamo! Non sarà un'informazione medica riservata!», disse Novello, irritata perché l'istintiva simpatia provata per la donna l'aveva indotta a oltrepassare i limiti della discrezione professionale. «Mi ha frainteso» disse la capoinfermiera. «Intendevo che non posso dirle che Agnes non ha avuto la visita che lei dice. C'è stato un uomo da lei la scorsa settimana. Venerdì mattina, è stato. Io non ero qui, ma al mio ritorno mi hanno raccontato tutto. Vede, era una novità che Agnes ricevesse visite. Sfortunatamente è stata Sally a riceverlo quando si è presentato all'ingresso. Sally è la nostra infermiera più giovane, ha appena iniziato. Normalmente tutti i nuovi visitatori passano di qui, in modo che possiamo dar loro un'occhiata, e anche per fornire loro notizie della persona che vogliono vedere, una volta che ci sono sembrati idonei a farlo. Ma Sally non ha portato questo tizio a conoscere la mia sostituta, e invece l'ha accompagnato direttamente alla stanza di Agnes e l'ha lasciato là. E quando l'ha riferito a Mary, che mi sostituiva, l'uccello era ormai scappato». «Potrei parlare con Sally?», chiese Novello, cercando di mantenere un tono casuale, ma con lo stomaco contratto per l'eccitazione. Ormai aveva catalogato l'intera faccenda come scrupolo eccessivo dell'ansioso Pascoe, trascurando la sua reputazione di trovare, in un'indagine, recessi irraggiungibili per gli altri poliziotti. Cos'era che le aveva detto uno dei suoi colleghi più disponibili, l'agente Dennis Seymour, quando l'aveva invitata a cena insieme alla graziosa moglie irlandese e dopo si erano attardati a chiacchierare e a bere Old Bushmills? «Andy il Ciccione è facile da seguire. Lui sfonda i muri, e tu non devi far altro che entrare attraverso la breccia. Ma Pascoe... Pascoe è un'altra faccenda. Lui sguscia attraverso le crepe, e tu non hai mai idea di dove quel bastardo intelligente ti sta portando». Saltair era andata alla porta e aveva urlato a qualcuno di far venire Sally, quando aveva un momento. «C'è qualcosa d'altro che può dirmi su quell'individuo?», chiese Novello. «Per me è tutto sentito dire, meglio aspettare Sally», disse Saltair, suggerendo all'orecchio sensibile di Novello che qualcos'altro c'era. «Va bene» disse. «E di Agnes che mi dice? Era qui quando è entrata nella casa di riposo?». «Certo che c'ero. Sono qui fin dall'inizio. Questo posto era l'abitazione di
famiglia di uno degli specialisti dell'ospedale dove lavoravo prima. La moglie morì, la famiglia traslocò e lui qua dentro si sentiva a disagio, così decise di trasferirsi. Ma siccome sapeva come andavano le cose negli anni ottanta, con la cura degli anziani ammalati che stava diventando un'attività in piena espansione, invece di vendere tutto trasformò questo posto in quello che lei vede, e fece all'infermiera preferita della sua squadra, cioè a me, un'offerta che non poteva rifiutare. Questo diciassette anni fa. Gesù, come passa il tempo». «E Winifred Fleck?». «Anche lei c'era fin dall'inizio. Come inserviente. Aveva qualche esperienza, ed era brava. Non eccessivamente dotata di simpatia umana, forse, ma, come avrà notato, quando si parla di igiene e ordine nessuno le sta al pari». «Mi ha colpito il fatto che il suo prato sembrava avvolto nella carta da frigo», disse Novello. «Be', sì, ma a parte le battute, l'igiene è davvero importante in un posto come questo, e avere qualcuno come Winifred a portata di mano ti semplifica la vita. Devo dire che fummo tutti un po' sorpresi, anni fa, quando sentimmo che voleva ospitare una zia invalida». Novello disse quasi casualmente: «Immagino che tutti saremmo invogliati a prenderci cura di un parente ricco». «Direi. E se il motivo fosse stato quello, l'avrei capito. Ma Agnes aveva qualche centinaio di sterline in banca, non di più. Lo so perché quando ebbe il secondo colpo apoplettico ed entrò qui da noi, era a carico completo fin dall'inizio». «Mi scusi, che significa?». «In parole povere, più risparmi hai, maggiore è il tuo contributo alla nostra retta. Ma se i tuoi risparmi sono inferiori a quello che dieci anni fa era un limite abbastanza modesto, allora è tutto offerto dai servizi sociali. Il limite si è alzato molto rispetto ad allora, e un sacco di gente facoltosa si lamenta che è una tassa sui risparmi». «E le autorità effettuano dei controlli su questo?». «Ah, certamente. Richiedono visione dei documenti bancari e così via che riguardano i due anni precedenti l'ammissione, per assicurarsi che non ci sia stato qualche recente movimento di fondi in previsione della necessità di cure». «Quale banca?». La domanda di Novello sorprese sia lei stessa che la capoinfermiera, che però rispose: «La Mid-Yorkshire Savings». Mentre
prendeva nota, Novello rifletté a voce alta: «Perciò Agnes aveva poco o niente quando venne qui. Il che ovviamente non significa per forza che non possedesse niente quando andò a vivere con Winifred». Si accorse all'istante di aver fatto una mossa sbagliata. Le labbra di Billie Saltair si arricciarono come se stesse succhiando un limone, e la donna disse: «Mettiamo in chiaro una cosa, detective. Winnie Fleck potrà anche essere una rompicoglioni, e so che si chinerebbe molto in basso, con la sua schiena e tutto quanto, per raccogliere un penny. Ma è assolutamente onesta. Sicuro, se la vecchia Agnes avesse posseduto una fortuna, Winifred si sarebbe aspettata di goderne alla sua morte come ricompensa del dovere compiuto. Ma certo non gliel'avrebbe spremuta prima, in nessun modo». «Mi spiace», disse Novello umilmente, ma fu dispensata da ulteriori scuse dall'arrivo di una giovane infermiera con capelli corti e rossi e un'espressione ansiosa. «Sally, questa è Shirley Novello» disse la capoinfermiera, giudicando ovviamente che menzionare la polizia non avrebbe fatto che aumentare la tensione della ragazza. «Stavamo parlando di Agnes. La signorina Novello pensa di conoscere il visitatore che ha avuto la scorsa settimana, e visto che sei l'unica che l'ha incontrato, vorrei che tu le dicessi tutto ciò che ricordi. Va tutto bene. Non ci sono problemi». Sorrise in modo rassicurante e la ragazza si rilassò leggermente e iniziò a parlare. «Be', lui è entrato, tutto lì, e quando gliel'ho chiesto e mi ha detto che era il nipote di Agnes, ero molto emozionata perché sapevo che Agnes non riceveva molte visite così l'ho portato dritto alla stanza, di solito la portiamo giù nella stanza di soggiorno dopo le undici, ma non si era sentita bene così era sembrato meglio lasciarla distesa e vedere come si sentiva dopo pranzo...». Un linguista sarebbe stato felice di restare a osservare dalla riva il flusso ininterrotto di parole dell'infermiera finché non si fosse esaurito di sua spontanea volontà, ma Billie Saltair, coraggiosamente ci si tuffò in mezzo. «Ok, Sally, abbiamo capito. Signorina Novello?». «Le ha detto che era il nipote di Agnes?», chiese Novello. «Oh, sì, ecco perché l'ho portato dritto su, ha detto: Salve, credo che mia nonna, la signora Agnes Lightfoot, stia qui da voi, e io ho detto: Sì...». «Le ha detto come si chiamava?», chiese Novello, seguendo l'esempio della capoinfermiera. «No, ma quando l'ho fatto entrare nella stanza e ho detto Agnes, ho una visita per te, lei ha detto Benny, Benny, sei tu? Sapevo che saresti venuto
un giorno o l'altro, l'ho sempre saputo. E poi lui le ha preso la mano e si è seduto accanto al letto e io li ho lasciati insieme perché non volevo intromettermi...». «Ha fatto bene, Sally» disse Novello con un sorriso. «Aveva ragione. Avevano bisogno di restare soli. Quindi, suo nipote, dopo tutti questi anni. Che aspetto aveva? Non era un tizio basso e grasso, per caso?». «Oh, no, era piuttosto alto e molto magro, anche la faccia, lunga e stretta, per così dire, e scura, per il sole voglio dire, lo so che un po' tutti sono abbronzati con questa ondata di caldo, ma la sua faccia era un po' come il cuoio, come se fosse abituato a star fuori al sole tutto il tempo e non c'è da stupirsi perché in Australia hanno questo tempo tutto l'anno...». «Un momento» disse Novello. «Perché dice in Australia?». «Per il modo in cui parlava, aveva questo accento, sa, una specie di cockney ma diverso, quello con cui parlano nei film australiani e in Neighbours alla tele». «E i vestiti?». «Camicia a quadretti bianchi e azzurri, a maniche corte, calzoni larghi di cotone blu, mocassini neri», disse Sally con una precisione quasi da infarto paragonata alla precedente loquela. «Età?», chiese Novello, sperando che rimanesse sintonizzata su quella lunghezza d'onda. «Forse trenta. Difficile dirlo con quell'aspetto bruciato dal sole». «Quanto tempo si è trattenuto?». «Be', non lo so esattamente, c'è stata un po' di crisi con Eddie, il signor Tibbett, cioè, che ha avuto un mancamento e abbiamo dovuto riportarlo a letto e poi chiamare il dottore solo per essere sicuri che non si era fatto del male e quando ho avuto tempo di dare un'occhiata da Agnes, lui se n'era andato - il nipote, dico...». Chiaramente vestiti e aspetto erano i suoi punti forti. «Non è che ha notato come è arrivato qui?» chiese Novello. «Auto? Taxi? Moto?». «Mi spiace» disse la ragazza. «Era già nell'ingresso quando l'ho visto, non ho badato se c'era una macchina o altro...». Questa volta fu lei a interrompersi, con aria scoraggiata. «Ehi» disse Novello vivacemente, «non importa. Mi è stata davvero d'aiuto. Non è molto importante. Il nipote della vecchia Agnes! Scommetto che lei non ha parlato d'altro dopo la visita». «Veramente no» disse Sally. «Non è che dica molto. È difficile per lei
trovare le parole, capisce. Le ho chiesto di lui, sa, così, per fare conversazione. Ma tutto ciò che dice è: Sapevo che sarebbe venuto, è un bravo ragazzo, qualsiasi cosa dicano. E quando ho cercato di fare qualche domanda, ha chiuso gli occhi, così me ne sono stata zitta. Ho pensato che probabilmente voleva tenersi il ricordo tutto per sé. Potrebbe essere tutto quello che ha». Novello sorrise e disse: «No, ha una brava infermiera e una buona amica come lei, Sally, e questo è molto. Grazie. Mi è stata davvero utile». La ragazza arrossì, lanciò un'occhiata alla capoinfermiera che le fece un cenno di congedo e schizzò fuori dalla stanza. «Ci sa fare con le persone», disse Saltair. «Grazie. E mi scuso di nuovo per aver fatto insinuazioni su Winifred». «Ma controllerà lo stesso?». «Se io le dicessi che uno dei suoi pazienti soffre di cuore, lo riporterebbe semplicemente nella cartella?». «Certo che no. Ma Winifred non è una delle sue pazienti. Voglio dire, non ha niente a che fare con quest'altra faccenda, no?». «Non per quanto possa capirci io» disse Novello. «Non che in effetti ci capisca un granché». «Allora Sally non è stata utile?». «Da un certo punto di vista sì, ovviamente. Ma qualche volta più informazioni significano maggiore confusione». «Conosco la situazione. È come i sintomi. Non sempre aiutano a fare la diagnosi giusta». Novello le porse la mano. «Ad ogni modo, grazie dell'aiuto. Guardi, per il momento non vedo alcuna necessità di disturbare Agnes. E nemmeno in futuro, da quello che posso dedurre. Ma altri potrebbero essere di parere differente. Devo discutere tutto quanto con i miei superiori. Potrebbero volerle parlare». «Prima dovranno parlare con me» disse Billie Saltair con un sorriso d'anticipazione. «Nessuno dice a me cosa fare alla Wark». «Nemmeno il suo capo?». «Il mio capo?». «Il proprietario. Lo specialista che le ha fatto l'offerta che non poteva rifiutare». «Ah, intende mio marito?» rise nel vedere l'espressione di Novello. «Forse dovevo dirglielo. Era quella l'offerta che non potevo rifiutare. Adesso è in pensione». Ebbe un sorrisetto quasi maligno. «Gli ho detto che
c'è un letto che lo aspetta al primo segnale evidente di senilità, del tipo cercare di interferire con il modo in cui gestisco le cose. Penso che mi abbia un po' creduto». E anch'io, pensò Novello mentre si dirigeva verso la brillantezza selvaggia di quella brughiera invasa dal sole. E anch'io! V Wield sbadigliò. Il sergente Clark, normalmente uomo di scarsa immaginazione, si era ritrovato non si sa come a pensare a una visita a Wookey Home che aveva fatto durante una vacanza di tanti anni addietro. «Stavi dicendo, Nobby?». Il volto di Wield aveva già ripreso l'usuale inespressiva scabrosità. «Ah, sì. La ragazza vuole te, non Super, se è possibile». Sicché l'agente Novello mi trova più abbordabile di Andy il Ciccione, pensò Wield. Dovrei sentirmi lusingato? Sbadigliò di nuovo. Non era solo perché si era alzato prima del solito che si sentiva stanco. Era a causa dell'energia emotiva prodigata nella visita all'ospedale, più le ore passate in quell'interrogatorio claustrofobico stringendo sempre più il cerchio, mentre Hoddle, nelle vesti di direttore del circo faceva schioccare la frusta. Be', adesso era finita. Dalziel aveva preso l'interruzione di Clark come il segnale per abbandonare ogni speranza, anche se rimanevano altri dieci minuti allo scadere dell'ora. Raccolse la cornetta e disse: «Wield». Ascoltò con attenzione quanto la donna gli diceva, prendendo appunti sul taccuino. Quando ebbe finito, disse: «E adesso cosa fai?». Sorpresa, Novello disse: «Ho telefonato per questo, sergente. Per ricevere istruzioni». «Sei tu sulla pista calda» disse Wield. «Hai qualche idea sulla prossima mossa?». Lei esitò, poi disse: «Lo so che il momento non è dei più adatti, ma mi chiedo se qualcuno potrebbe riferire all'ispettore capo. Voglio dire, l'iniziativa è stata sua, e potrebbe averla esaminata più a fondo di noialtri... Voglio dire, è così che lui fa le cose, no? Le guarda con una specie di strabismo... Cioè, non volevo dire...».
«Capisco cosa vuoi dire» disse gentilmente Wield. «Hai perfettamente ragione. Qualcuno dovrebbe riferirgli tutto». «È così che la vedo io» disse Novello sollevata. «Perciò che faccio finché non ho notizie da lei?». «Da me?», chiese Wield. «O da Super... da chiunque lo faccia». «Siamo inclini a delegare il lavoro, eh?» disse Wield. «No, questa tocca a te. Hai una biro? Ti do il numero di telefonino del signor Pascoe». «Sergente... non potrei... non è giusto... forse un amico...». «È questo che dirai la prossima volta che ti manderanno a fare domande a qualche donna che ha appena visto ammazzare suo marito a forza di calci? Ad ogni modo, se non ritieni che il signor Pascoe sia tuo amico, non so immaginare chi possa esserlo. Perciò scrivi. E tienimi al corrente». Mentre posava la cornetta dopo averle dettato il numero, il telefono riprese a squillare. «Il signor Dalziel, per favore», disse una voce femminile. «Il signor Dalziel è...» 'occupato', stava per proseguire, ma siccome il Ciccione entrava in quel momento nell'ufficio, tergendosi la fronte con un fazzoletto cachi che sembrava più il telo di una tenda da campo militare, corresse il tiro e concluse: «... qui». «Pronto», ruggì Dalziel. «Se fossi in lei, darei un'occhiata più da vicino a Walter Wulfstan». La linea cadde. «Novità?», chiese Wield mentre Dalziel sbatteva giù il ricevitore. «Un fanatico che mi ha detto di dare un'occhiata da vicino a Wulfstan». «E lo farà?». «Al momento l'unica cosa che voglio esaminare da vicino è una pinta di birra. Svignamocela dal retro mentre Turnbull e Hoddle attirano le mosche all'ingresso principale». Il Coach and Horses era a pochi metri sulla strada, e seduto al bar fresco e scuro, il Ciccione aveva ingollato la sua prima pinta in un sorso solo e aveva già intaccato a fondo la seconda, mentre Wield lo ragguagliava sul rapporto di Novello. «E tu le hai detto di telefonare a Pete? È un po' dura, no?». «Per chi, signore?». «Per tutti e due! Per lei perché lo deve fare, per lui perché deve rispondere». Era una situazione inedita, Dalziel che giocava al Buono con Wield nei
panni del Cattivo. Disse, scegliendo con cura le parole: «Quando ho visto Peter, stamattina, mi è sembrato che meno di tutto avesse bisogno di essere lasciato solo con se stesso. Direi che non si riprenderà veramente finché quella faccenda del suo bisnonno e questa cosa della sua bambina non sono... potrebbe essere... qualcosa a cui aggrapparsi. Anche se tutto ciò che otterrà Novello sarà un'esplosione, almeno sarà stato un diversivo». «E così anche Pete è sistemato. Ma la ragazza?». «Fa parte della curva di apprendimento, non è così che dicono, signore?». «Ah, si chiama così adesso? Be', le donne hanno curve differenti da quelle degli uomini, o magari tu non l'hai notato. Mi pare che stia tirando fuori dal niente una quantità di cose, in questa indagine. Andrebbe incoraggiata». «L'istruzione che le sto dando è ispirata esattamente a questo. Incoraggiamento». «Ah, sì? Cosa fate per congratularvi l'un l'altro, laggiù a Enscombe? Vi mollate dei calci nei denti?». Dalziel finì la seconda pinta e ne ordinò una terza. Il ricordo di quella che aveva abbandonato intatta al Book and Candle gli lampeggiò nella mente. «Cosa ne pensa, signore?» disse Wield riprendendo l'argomento. «Il visitatore della vecchia signora potrebbe essere Benny?». «Il quale se n'è scappato a Oz per raggiungere la sua mamma e adesso è tornato, ha fatto una chiacchierata con la nonnina, poi ha deciso di arrivare fin qui per riprendere da dove aveva lasciato, uccidendo bambine piccole? Sarebbe un bel romanzo Wieldy. Io però aspetto che esca il film». «Ma i fatti, signore...». «Fatti? Quello che un'infermiera adolescente pensa di aver sentito dire a una vecchia mezza cieca e mezza andata?». «Ma messo insieme all'avvistamento della signora Hardcastle...». «Ah, anche quello è un bel fatto, eh?» disse Dalziel. «Il solo fatto, in quella storia, è che ha indotto quel balordo di suo figlio a rizzare quel casino con la bomboletta spray...». Fece una pausa e sorbì un'altra sorsata di birra. «L'avrà notata, non pensi, Wieldy?» disse. «Se c'è un uomo sulla faccia della terra che deve aver notato una scritta che dice BENNY È TORNATO, quello è Walter Wulfstan. Ma non l'ha detto. E adesso riceviamo stra-
ne telefonate». Prosciugò il bicchiere e si alzò. «Dove andiamo, signore?», chiese Wield, dando un sorso d'addio alla sua birra con gazzosa. Dalziel esitò, poi disse: «No, ragazzo, tu torni a St Mike e ti assicuri che George Headingley non usi quei computer per lavorare sul suo fondo pensione». «E lei, signore? Dove la trovo, nel caso ci sia bisogno di lei?». «Penso che farò retromarcia e andrò di nuovo a scambiare due parole con Wulfstan». «Al Parco della Scienza?». «Magari più vicino». Alzò il tono di voce rivolgendosi all'uomo che stava dietro al bancone. «Padrone, sento arrivare un attacco di fervore religioso. Come faccio ad arrivare alla Beulah Chapel?». In effetti, se il senso di colpa è il punto di partenza della religione, lo scherzo di Andy Dalziel conteneva in sé un granello di verità, perché si sentiva leggermente in colpa mentre si separava da Wield e andava in cerca della cappella. Era vero che aveva buone ragioni per credere che Wulfstan si trovasse li quel pomeriggio, ma aveva anche la sensazione, o la speranza, o qualcosa, insomma, che anche Cap Marvell potesse essere nei paraggi. Wield conosceva la donna, sapeva della loro relazione, e anche se Dalziel aveva un'indole troppo pachidermica per preoccuparsi se i colleghi spettegolavano, non voleva che arrivassero a una conclusione prima di arrivarci lui stesso. Perciò l'aver dato il benservito al sergente, più una curiosa incertezza puritana se in un momento come quello e in un'occasione come quella avesse il diritto a interessarsi a faccende tanto private e personali, lasciò al Ciccione un senso di disagio. Scrollò il testone per scuotere via il disagio, simile a un orso che scaccia un'ape, e considerò la sua meta. A sinistra sotto un arco, giù per un passaggio coperto, e la cappella è in un cortile in fondo, aveva detto il proprietario. Ecco là l'arco. Lo oltrepassò. Per contrasto con la via luminosa, il passaggio era un tunnel della ferrovia, così quando sentì la voce non riuscì a distinguerne la provenienza. «Vedo che è tornato, allora». «Eh?», disse Dalziel, bilanciandosi sulle piante dei piedi e stringendo leggermente i pugni, pronto sia a fare a cazzotti che ad agguantare. Voci
strane in posti bui non sempre sono presagio di guai, ma una doppia scommessa era d'uopo. «Quel tizio fuori di testa, Lightfoot. È tornato. Pensavo lo sapesse». La voce era concreta, pur avendo l'esilità della vecchiaia, o forse dell'adolescenza. Dalziel si rilassò un poco, e fece una serie di rapidi ammiccamenti finché la vista si adattò al nuovo livello luminoso. Prima vide una forma, abbastanza piccola da appartenere a un ragazzo. Poi il suo cervello gli fornì i lineamenti di un viso e saltò rapidamente all'altra estremità della scala d'età. Era una faccia scavata e ossuta, i cui zigomi erano marcati da infossature profonde, che sottolineavano la fronte sporgente, sovrastata da qualche ciuffo di sottili capelli grigi. La figura aveva qualcosa di familiare. «Telford?» disse Dalziel in tono dubbioso. «Joe Telford? È lei?». «Lo ero» disse l'uomo. «È tanto che non ci si vede, signor Dalziel». Era davvero molto tempo. Ma non così tanto come poteva apparire dall'aspetto di quell'uomo. Non doveva ancora aver oltrepassato la quarantina! pensò Dalziel. E benché non fosse mai stato un uomo robusto, di sicuro era più alto di così... Fece alcuni passi verso la zona illuminata dal sole, alla fine del passaggio, e l'uomo indietreggiò insieme a lui, come un relitto sospinto a riva dalla marea. Adesso il motivo della diminuzione di altezza era evidente. Telford camminava curvo in avanti, appoggiandosi pesantemente a uno spesso bastone di frassino. L'abito marrone scuro che indossava, senza fare concessioni al caldo, una volta forse gli andava bene, ma adesso pendeva sulla magra figura come una tovaglietta da tè su una spillatrice di birra. Il passaggio sbucava in un cortile aperto acciottolato, in fondo al quale Dalziel vide la Beulah Chapel. Era un edificio imponente, costruito con mattoni rosso scuro e sembrava piuttosto fuori posto, certo sproporzionato, in quella collocazione. Dalla cappella usciva un debole ronzio, come da un grosso alveare. Il cortile era ingombro di un tavolo da falegname, numerosi cavalletti che sorreggevano assi di legno e secchi di plastica pieni di attrezzi. Telford si era fermato dentro l'ombra del passaggio. Era abbastanza in ordine, nonostante l'abito troppo grande, sbarbato di fresco e odoroso di sapone e segatura. La cosa era abbastanza rassicurante, ma non del tutto. Dalziel aveva incontrato troppe persone nelle quali l'estrema pulizia si accompagnava alla follia, e i suoi sensori interni gli dicevano che Joe Telford era suonato come una campana.
«Allora, come sta, signor Telford?», chiese il Ciccione. «Tiro avanti. Però è stata una bella botta». «Sì, direi proprio», disse Dalziel. «Comunque, con un po' di fortuna, questa volta prenderete quel bastardo e sarà la fine di tutto». Era il tono di voce uniforme e prosaico la cosa forse più inquietante nell'uomo. Anzi, a parte l'invecchiamento precoce, era l'unica cosa inquietante. Quindi perché avvertiva il pizzicorino del difensore della comunità? Dalziel decise di somministrargli un sottile test psicologico. «Mi è spiaciuto sentire della sua signora» disse. «Dev'essere stato un colpo». Telford lo guardò e si grattò il mento con aria pensierosa. «Non un colpo grande come verrà al nostro George quando vedrà cosa riesce a fare con un tubetto di dentifricio», disse. Dalziel fece un sorriso di approvazione. Successo pieno. Così ci si aspetta che un positivo yorkie reagisca alle traversie domestiche. «Così permette ai cantanti di usare la cappella», disse. «Sì. Perché no? A dirle la verità, signor Dalziel, non è che ci passi tanto tempo, da queste parti. E ai vecchi tempi il signor Wulfstan è sempre stato un buon cliente. Se a Heck c'era qualcosa da fare, si rivolgeva sempre a noi del posto, non mandava a chiamare qualche allocco pieno di balle dalla città, come facevano tutti gli altri forestieri. E poi sarà contento di questo». «Contento di avere un posto per il concerto, vuol dire? Dovrebbe esserlo». «No. Contento che lei stia per concludere le cose. Avrà voglia di vedere la sua piccola come ne ho voglia io». «Vedere la piccola?» fece eco Dalziel. «Ah sì, lo immagino, lo immagino». Nella testa gli ronzava l'espressione 'spoglie mortali'. Non aveva bisogno di un esperto del lutto per sapere quanto fosse importante per la pace mentale dei genitori avere un funerale vero e proprio, un congedo adeguato, non importa dopo quanti anni. Ma le parole successive di Telford lo fecero tornare alla diagnosi iniziale. «Però questo sole è una bella scocciatura. Bisogna che stia attento quando le trova. Potrebbe bruciargli gli occhi, dopo tutti questi anni al buio. Meglio aspettare la notte per tirarle fuori». «Tirarle fuori? Fuori da dove, signor Telford?».
«Fuori da quel buco nel Neb dove lui le ha tenute per tutti questi anni. Eh, sì, meglio di notte. E poi farle abituare alla luce a poco a poco». Oh, merda, pensò Dalziel. Il povero bastardo non parlava dei resti, stava parlando di salvarle, stava parlando di resurrezione. Pensava che la sua bambina perduta emergesse ammiccando da qualche buia caverna sulle pendici della collina, dove Benny l'aveva tenuta prigioniera per tutti quegli anni. La immaginava più vecchia o, per qualche magica sospensione del tempo, avrebbe avuto la stessa età di quando era stata rapita? Dalziel non voleva saperlo. Era, caso raro, un problema che esulava dalle sue competenze. Ricordava la moglie di Telford. Una donna piccola e piena di forza che quando aveva appreso la notizia aveva appallottolato il grembiule e se l'era cacciato in bocca. Immaginava che avesse continuato a soffrire da sola finché aveva potuto, e alla fine avesse raggiunto una specie di compromesso. Ma la sua forza non era bastata per affrontare, dopo tanto tempo, la lucida follia di suo marito, quel suo insistere gentile sul fatto che la piccola Meg era viva da qualche parte sotto il Neb, e aspettava solo di essere salvata. Così se n'era andata. Non lontano, solo da George, che aveva una forte rassomiglianza fisica con il fratello. Avrebbe scommesso che vivevano vicini. Che tenevano d'occhio costantemente Joe. E che gli abitanti di Danby avevano accettato la cosa. In materia di peccati extraconiugali i rustici abitanti dello Yorkshire potevano essere spietati come la frusta di un governatore, ma in termini di praticità domestica erano spesso più permissivi dei latini. Disse gentilmente: «Faremo quello che dobbiamo, signor Telford. È qui il signor Wulfstan?». «Sì, lui e gli altri. Sto aspettando che arrivi il camion. Il signor Wulfstan ha insistito per far portare le mie carabattole a quel suo posto, nel Parco della Scienza. Gli ho detto di non preoccuparsi, con questo tempo non succede niente anche se stanno all'aperto. Ma lui ha insistito. È un brav'uomo». «Vado a scambiare due parole con lui, allora, signor Telford. Mi stia bene». Attraversò il cortile a grandi passi, pensando: questo non è posto per me. Non si riferiva alla Beulah Chapel, bensì a Danby. Non appena avesse avuto novità sul caso, si sarebbe dato malato, si sarebbe preso una vacanza, avrebbe scaricato l'intera faccenda in grembo a Peter Pascoe. Poi si ricordò cosa era piombato in grembo al suo vice, e si rimproverò: «Datti una calmata, uomo, o finirai scemo come il povero Joe Telford».
Si guardò indietro nel passaggio coperto. L'uomo si era inoltrato ancor più nell'ombra e adesso di lui restava visibile solo il bagliore bianco degli occhi. Forse frequentava unicamente luoghi bui, perché sentiva che in qualche modo lo mantenevano in contatto con la figlia. Scuotendo via i pensieri deprimenti, Dalziel spinse la porta della cappella. All'interno c'erano varie persone, e tre stavano passando l'aspirapolvere, il che spiegava il ronzio. Le panche erano state tolte, forse quando la cappella era stata sconsacrata. O magari i Beulahiti non credevano che bisognasse sedersi per pregare. Non c'era niente, per quanto innocuo potesse essere, che qualche setta non avesse considerato peccato. Sul fondo, dove presumibilmente si trovava l'altare (se avevano un altare), vide Wulfstan circondato da un gruppetto che comprendeva i due cantanti. Dietro a loro, Inger Sandel era seduta al piano e suonava note singole studiandole a lungo anche dopo che avevano cessato di risuonare nell'orecchio di Dalziel. Non c'era traccia di Cap Marvell. Sentì una fitta di delusione, poi si disse che non aveva motivo di essere deluso, dal momento che l'uomo che voleva vedere si trovava lì. Per quanto, non aveva una ragione fondata per volerlo vedere, tranne il fatto di non avere nessun altro da interrogare. Certi investigatori di sua conoscenza, quando l'indagine arrivava a un punto morto, reagivano mettendosi seduti e ripassando l'intera storia col pettine fine. Ne aveva due in squadra che potevano farlo, con i loro metodi differenti. Ma il suo, di metodi, era di far accadere le cose, di continuare a punzecchiare, di non lasciare tregua agli avversari, anche quando non aveva la più pallida idea di chi fossero gli avversari. Quando Peter Pascoe gli aveva fatto notare che tale ignoranza poteva invalidare il suo metodo, Dalziel aveva ribattuto: «Non importa. I bastardi sanno chi sono, e finché mi vedono indaffarato non riusciranno a dormire tranquilli nel loro letto. Spingi, spingi, e vedi cosa esce». «Sovrintendente» lo salutò Wulfstan. «Spero che non abbia deciso che avete bisogno anche di questa sala». «No, questa è tutta vostra» disse Dalziel magnanimo. «Si sta in piedi e basta? Come nei Prams?». «Proms, credo intenda. Dove certi stanno in piedi, sì, ma la maggior parte si siede. Qui si siederanno tutti. Presto ci porteranno le sedie, non appena avranno finito con le pulizie». «Sì, vedo che ci state dando dentro», disse il Ciccione.
«L'aria che si respira in un laboratorio di falegname non giova alla gola dei cantanti» disse Wulfstan. «Più tardi farò portare un aspiratore industriale dal mio cantiere per completare l'opera. Dunque, cosa posso fare per lei?». «Una parola soltanto» disse Dalziel. «In privato». Lanciò un'occhiata al gruppetto. I tre che non conosceva si allontanarono. Krog e la donna rimasero dov'erano. «Per favore, può dirmi cosa desidera di fronte a Elizabeth e Arne», disse Wulfstan. Dalziel si strinse nelle spalle. «Come crede» disse. «Venendo a Danby, domenica mattina, lei è passato sotto il vecchio ponte della ferrovia. C'era una grande scritta fatta con la vernice spray, che diceva BENNY È TORNATO. Deve averla notata. Ma con me non ne ha fatto parola». Si era sistemato in modo da averli tutti e tre nel campo visivo, e notò che lo sguardo intenso della donna si spostava dal suo viso a quello di suo padre, come se fosse curiosa di sentire la risposta. Wulfstan disse: «Non ne ho fatto parola perché non mi sembrava rilevante, e in ogni caso non dubito che lei l'avesse già visto, o che qualcuno gliel'avesse riferito». Spiegazione ragionevole? O meglio, spiegazioni, dato che ne aveva fornito due. Secondo l'aritmetica di Dalziel, questo divideva la ragionevolezza per due, anziché raddoppiarla. Disse: «Non rilevante? Dopo quello che è successo a Dendale? Avrei pensato che lei, prima degli altri, l'avrebbe trovato rilevante». «E lo shock di rivedere quel nome avrebbe riportato tutto a galla?» Wulfstan sorrise stancamente. «Prima di tutto, signor Dalziel, non è mai andato via. Non passa giorno che non pensi a Mary. È per questo che sono riuscito a tornare nello Yorkshire, perché mi sono reso conto che la distanza non faceva alcuna differenza». Dalziel controllò di nuovo Elizabeth, per vedere se mostrava qualche reazione a questa dichiarazione così diretta dell'ordine delle cose, la figlia naturale morta ancora al primo posto davanti a quella adottiva viva. Non ce ne furono. «Quanto al nome di Lightfoot» proseguì l'uomo «c'è stato un tempo in cui provocava una reazione. Ma è stato tanti anni fa, quando sono tornato per la prima volta qui a Danby. È entrato a far parte del folclore locale. I bambini cantano una filastrocca con il suo nome, e quando giocano a nascondino, quello a cui tocca cercare si chiama Benny. Gli uomini al pub,
per descrivere la velocità di un calciatore dicono: 'Si muove come Benny Lightfoot'. La maggior parte non sa a chi si sta riferendo, naturalmente. Dal momento che la mia sede è qui, ho dovuto abituarmi a sentir pronunciare quel nome. E mi ci sono abituato». Dalziel annuì con aria comprensiva. «Certo. Fai una smorfia e tira avanti, è il motto dello Yorkshire», disse. La frase suscitò un cenno di divertimento nella donna. Wulfstan disse: «Ora, se abbiamo finito... Aspetto l'ispettore per gli incendi da un minuto all'altro...». «Mi scusi, so che è molto occupato. È tutto... Eccetto...». 'Quell'eccetto' era stato un buon lancio. Gli aveva dato un bel po' d'effetto, in modo che il battitore avesse un sacco di tempo per chiedersi preoccupato se fosse insidioso o no. «... eccetto che lei si è stabilito qui a Danby da diversi anni, vero? Ma la testimone che ha visto la sua auto parcheggiata su a Corpse Road dice che ha cominciato a notarla solo nelle ultime due settimane, e lei porta il suo cane a passeggio per di là tutte le mattine, piova o ci sia il sole, da anni». Wulfstan rimase a guardarlo meditabondo per un lungo istante. Assomigliava a... qualcosa che Dalziel non riusciva a farsi venire in mente. Poi fece un sorriso esasperato e disse: «Se la sua domanda è: perché adesso? la risposta è così ovvia che avrei creduto che perfino un uomo che fa il suo lavoro ci sarebbe arrivato senza bisogno di suggerimenti. Curiosità morbosa, sovrintendente. Questa ondata di calore si è prolungata talmente che i resti di Dendale stanno riemergendo. Mi arrampico sul Neb per osservare come procede. E qualche volta, mentre mi inerpico su per Corpse Road, fantastico che quando raggiungerò la cima del Neb vedrò ogni cosa com'era prima, voglio dire proprio tutto quanto. Ecco. Adesso ha visto a quali abissi di assurdità può scendere la mente razionale». «Oh, ho visto menti che sono andate un bel po' più a fondo di così» disse Dalziel. «Grazie per la sua franchezza. E mi dispiace di averla disturbata». «Nessun disturbo. E un perfetto sincronismo. Quello, credo, è l'ispettore degli incendi. Mi scusi». Si diresse verso un uomo che era appena entrato e si guardava attorno con quell'espressione scettica del qui-non-ci-siamo che è la prima cosa che gli ispettori della sicurezza imparano all'università. «E noi, sovrintendente? Ha qualche 'eccetto' anche per noi?». L'accento di Elizabeth Wulfstan gli dava noia, anche se l'aveva assolta dall'accusa di volerlo prendere per i fondelli.
Disse: «Non me ne vengono in mente, signorina. Eccetto... quelle canzoni crucche sui bambini morti... ha ancora intenzione di cantarle, domani?». «Certo. Cerca un biglietto omaggio? Be', possiamo trovargliene uno, ma immagino che un budellone come lei abbia bisogno di due sedie, e non so se possiamo permettercelo». Questa era un'offesa, in qualsiasi dialetto. Disse: «Pensavo solo che avesse potuto cambiare idea, tutto considerato». Testa di Rapa indirizzò a Dalziel un cenno d'approvazione, ma la donna si limitò a fare spallucce con indifferenza. Disse: «I bambini muoiono ogni giorno. Mi mostri un posto dove possa cantare i Lieder in cui non sia morto un bambino». «Non stiamo parlando in generale, parliamo di questo posto in particolare», disse lui. «Pensavo che la ragazzina di Liggside fosse solo scomparsa, come le altre» disse la donna. «Sono solo scomparse, giusto? I corpi non li avete mai trovati, o sbaglio?». Parlò con voce normale, come se stessero discutendo un dettaglio trascurabile d'etichetta. Dalziel disse: «Quindici anni sono tanti per una scomparsa. Non credo che qualcuno...». Fece una pausa. Stava per dire che non credeva che qualcuno si aspettasse di vederle entrare dalla porta, ma gli balzò davanti agli occhi l'incontro avuto con Joe Telford. E cosa ne sapeva lui di quello che passava per la testa a Wulfstan e a sua moglie? O agli Hardcastle? Da quello che gli aveva detto Clark pareva che tutta la famiglia avesse perso il cervello, anche se in percentuali diverse. Forse era lui l'unico nel Mid-Yorkshire a essere convinto al di là di ogni dubbio che le bambine fossero morte... No, non l'unico... c'era un altro... Disse: «Comunque, non è affar mio, cocca. Può cantare quel che le pare, finché non reca offesa alla pubblica decenza». «Grazie» disse lei seria. «Ma non canterò affatto se non finiscono di sistemare questo posto. Hai fatto, Inger?». Durante tutta la conversazione con i Wulfstan, Inger Sandel non aveva guardato una sola volta in direzione di Dalziel, concentrata su quello che all'orecchio profano del poliziotto sembrava un'operazione non necessaria di accordatura del pianoforte. Ma aveva la sensazione che non si fosse per-
sa una sola parola. Adesso si appoggiò all'indietro e iniziò a suonare una scala, prima accennandola, poi in modo più esteso, spazzava su e giù la tastiera per tutta la sua lunghezza. Le note riempirono la cappella. Alla fine si fermò e rimase in ascolto degli echi morenti delle note con la medesima attenzione rapita che aveva dedicata ai loro originali. Poi si voltò verso l'altra donna e fece un cenno quasi impercettibile con il capo. «Diamoci una botta, allora», disse Elizabeth Wulfstan. Dalziel si avviò alla porta e Arne Krog gli si mise di fianco. «Penso che lei abbia ragione, signor Dalziel» disse. «Elizabeth non dovrebbe cantare i Kindertotenlieder. Per il bene di questo posto. E per il proprio bene». «Per il suo bene?». Krog si strinse nelle spalle. «Elizabeth è forte, come una porta d'acciaio. Non si vede cosa c'è al di là di essa. Ma come lei sa, il modo in cui si forma il bambino dà l'impronta all'adulto. Forse è in quella direzione che dovremmo guardare». Prima che Dalziel potesse replicare, Inger Sandel iniziò a suonare; un improvviso, rapido, inquietante torrente di note prima che la cantante entrasse con le parole a raggiungerlo. Con un tempo simile, nella tempesta Non le avrei mandate a giocare sul pendio della valle. Le hanno trascinate fuori con la forza Niente che io dicessi poteva trattenerle. Buttava fuori le parole con tale forza che all'interno della cappella si creò una bufera, nel bel mezzo della giornata di sole che regnava all'esterno. Mentre cantava, i suoi occhi erano di nuovo fissi su Wulfstan, il quale all'inizio cercò di proseguire la conversazione con l'ispettore, ma presto girò il capo per guardare la cantante. Con un tempo simile, nel vento forte Non le avrei mandate a giocare sul pendio della valle. Avrei temuto che accadesse loro qualcosa di male Vorrei avere adesso quelle vane paure. Si fermò di colpo e la pianista si bloccò insieme a lei. «C'è un po' di riverbero» disse Elizabeth. «Ma migliorerà quando sarà
pieno di avventori. Arne, tu che sai tutto, cosa ne pensi?». Non aveva parlato ad alta voce, ma l'effetto fu imperativo. Sta facendo le prove da prima donna, o semplicemente non le va l'idea che io e Testa di Rapa abbiamo un colloquio intimo? si domandò Dalziel. Guardò Krog in attesa della sua risposta. Sul suo viso passò un'espressione irritata, poi il cantante fece un sorrisetto di scusa e disse: «Mi perdoni, forse avremo occasione di parlare ancora». Si affrettò a raggiungere le due donne al piano. Dalziel, che aveva notato che Wulfstan, a dispetto del suo fitto confabulare con l'ispettore, non aveva perso una virgola dello scambio di battute, mormorò fra sé: «Senza forse, ragazzo mio». Poi uscì nel sole. VI Era come durante un appostamento, decise Pascoe. Preparavi il nascondiglio, ti sedevi e stavi a guardare, non succedeva niente, eri sollevato, smontavi e ti facevi una doccia e un panino, se potevi anche una dormita, poi tornavi al nascondiglio, e più la faccenda tirava per le lunghe, più cominciavi a temere che fosse tutto inutile, una dannata perdita di tempo, il tuo informatore si era sbagliato, avevano mangiato la foglia, e non sarebbe successo niente, non adesso, non nel giro di pochi minuti e neanche di ore, mai... maimaimaimai... «Tutto bene?», chiese Ellie. «Come? Sì, sicuro, bene, voglio dire, nessun cambiamento...». «Hai un aspetto peggiore del suo» disse Ellie spostando lo guardo dalla piccola forma di sua figlia alla faccia contratta del marito. «Perché non vai a cercare di dormire un po'?». Lui scosse il capo e disse: «Ci ho provato; è peggio che stare svegli». «Va bene. Almeno esci da questa stanza, vai a prendere un po' d'aria e di sole». «Sono stufo marcio di sole, potrei avere un po' di pioggia?», disse mettendo insieme un sorriso. Lei lo baciò gentilmente sulle labbra e lui uscì dal reparto. L'ospedale era circondato da un terreno molto esteso, che una volta era un centro modello di coltivazione ortofrutticola. Ma in anni recenti i cordoni della spesa pubblica erano stati stretti, e questo, insieme alla siccità e alla conseguente messa al bando delle pompe per innaffiare, aveva trasformato la distesa di
orti in un deserto. Gironzolò per un poco e poi si sedette su una panca e guardò la fiumana di persone che scorreva tra il parcheggio e l'entrata principale. All'andata, il passo era lento ed esitante, al ritorno sciolto e vigoroso. O era solo il suo sguardo troppo sensibile da detective distorto dalla stanchezza e da quella rabbia che rumoreggiava come un temporale nella valle vicina? Alla fine si doveva essere addormentato, perché si svegliò di soprassalto e si ritrovò abbandonato contro la panchina, senza sapere dove si trovava. Poi, quando se ne rese conto, il panico. Ma un'occhiata all'orologio gli disse che era stato assente solo per mezz'ora. Si alzò, si stirò, e a passo veloce tornò dentro e trovò un bagno dove si spruzzò dell'acqua fredda sul viso. Prese un caffè da un distributore automatico e tornò di sopra. Decise che era troppo presto per rientrare nel reparto. Ellie si sarebbe spazientita con lui e gli avrebbe tenuto la sua lezioncina su come ci si doveva comportare in determinate occasioni. Non che la lezione gli facesse effetto. Come la tecnica per gli interrogatori del poliziotto buono e quello cattivo, si davano il cambio nei ruoli di pilastro portante e di vaso più fragile, di biblica memoria. La predica faceva parte dello stile pilastro di Ellie. La porta della sala d'attesa era leggermente aperta e mentre stava per entrare a finire il suo caffè, sentì la voce di Derek Purlingstone. Quel giorno non l'aveva ancora visto. Forse il Mid-Yorkshire Water aveva radunato tutti i suoi uomini e li aveva messi a scavare pozzi. O forse aveva bisogno di tenersi occupato per smettere di farneticare. Era così che la sua voce suonava in quel momento, farneticante, più arrabbiata che ragionevole. «Lo sai a chi do la colpa io, vero?». Jill disse: «Derek, per favore...». «A quella maledetta scuola! Se solo tu avessi acconsentito a mandarla in una scuola decente, questo non sarebbe successo. No! Non mi venire vicino. Puzzi come un portacenere pieno. Dio, dovevi proprio ricominciare a fumare?». Prima che Pascoe avesse il tempo di indietreggiare, la porta venne spalancata e Jill Purlingstone, con gli occhi pieni di lacrime, lo oltrepassò e corse giù per il corridoio. Pascoe entrò. L'istinto gli diceva di fingere di non aver sentito niente, ma quando ruppe il silenzio imbarazzato si ritrovò a dire: «Non pensi davvero che la scuola c'entri qualcosa, vero?».
«Da qualche parte devono averla presa», scattò Purlingstone. «E credi che avrebbero avuto meno possibilità di contrarre la meningite in quella che tu definisci una 'scuola decente'?». Le intenzioni di Pascoe erano ancora orientate verso una conversazione ragionevole, e non verso il litigio. Nel corso dei loro pochi incontri in società, di solito riguardanti le bambine, aveva giudicato Purlingstone una compagnia abbastanza piacevole, con un retroterra comune sufficiente a far passare in maniera gradevole un paio d'ore senza sconfinare nelle reciproche zone calde. E quando erano incappati in argomenti proibiti, come le responsabilità di un moderno corpo di polizia o l'efficienza e i successi del Mid-Yorkshire Water, erano stati entrambi capaci di mantenersi entro i limiti di una leggera presa in giro. Forse Purlingstone tentava di seguire la stessa linea quando disse: «E tu no? Peter, in questo mondo hai quello che paghi. Va bene, lo so che tu e Ellie siete trotzkisti tesserati, ma ho avuto sempre l'impressione che riteneste che ciò che era meglio per Rosie valeva la pena di farlo, senza esclusione di colpi». «Il meglio che il sistema può offrire, non c'è dubbio» disse Pascoe. «Ma senza chiamarsi fuori a suon di soldi». «Vuoi dire che per te è giusto distribuire qualche favore per mettere tua figlia dove vuoi che stia, ma per me è ingiusto ottenere la stessa cosa sganciando qualche mancia?». «Che diavolo dici? È una buona scuola, e sono contento che Rosie la frequenti». «Certo che lo sei, specialmente con la scuola elementare di Bullgate a quasi cinque chilometri più vicino nella direzione opposta. Quante multe per sosta vietata hai dovuto levare per iscriverla a Edengrove, mi chiedo?». La battuta sarcastica uscì con tanta fluidità che Pascoe indovinò che era stata collaudata molte volte. E allora? si disse. Non è che lui fosse stato esattamente complimentoso con Purlingstone dietro le sue spalle. Era il momento di ritirarsi da quello spiacevole battibecco fra due uomini che la preoccupazione avrebbe dovuto accomunare, invece di farli saltare uno alla gola dell'altro. «Oh sì, hai ragione, un sacco di multe. Ma questo perché non sono un gatto grasso con il naso ficcato nella ciotola, perciò non mi posso permettere le bustarelle davvero succulente». Gesù! Dov'è finito il tuo autocontrollo? si chiese. Ritirati. Ritirati. Vedeva che anche l'altro era pronto a scattare. Ecco, adesso arriva. Qualsiasi cosa dica, ignoralo. Vattene.
Ma i suoi piedi rimasero piantati sul pavimento, mentre Purlingstone diceva con una voce forzata: «Questo non me lo faccio dire da uno sgobbone che ha fatto un po' di carriera. Io lavoro duro per guadagnarmi i soldi, amico. Io vivo nel mondo reale e devo guadagnarmi ogni penny che mi danno». «Ma scherzi!» disse Pascoe con tono incredulo. «Fai lo stesso lavoro che facevi prima della privatizzazione. E se il tuo stipendio di allora erano noccioline, cosa sei adesso, se non una scimmia con un conto in banca sproporzionato? E lo sai da dove vengono quei soldi? Vengono da noi poveri diavoli che non riusciamo ad avere dell'acqua decente pompata nelle nostre case. Cristo, se c'è qualcuno che è responsabile perché le nostre bambine stanno male, è più facile che sia tu con le tue spiagge inquinate e l'acqua del rubinetto che puzza!». Purlingstone, con il volto contorto, fece un passo verso di lui. Pascoe bilanciò il pugno. Poi si sentì afferrare da dietro e trascinare fuori dalla porta, che fu sbattuta dietro di lui. «Peter, a cosa diavolo stai giocando?», gli chiese Ellie, la voce bassa ma tremante di rabbia. «Non lo so... lui ha detto... e io ho sentito che era il momento... Oh, merda, che stupidaggine. Le parole mi sono uscite senza pensare. E a lui anche. Ha detto...». «Non mi interessa quello che ha detto. Mi interessa solo nostra figlia, e se tu ti butti in una mischia nella sala d'aspetto dell'ospedale non l'aiuti di sicuro. Senti, se non puoi startene tranquillo qui, perché non vai fuori, o a casa a farti una dormita?». Lui trasse un respiro profondo, scese a fondo dentro se stesso per ritrovare il controllo, lo trovò. «No, adesso sono a posto» disse. «Mi dispiace. È solo che sono così frustrato che dovevo menare colpi alla cieca. Poteva andare peggio. Potevi esserci tu dall'altra parte. Cosa ci facevi fuori dalla stanza, a proposito? Non è successo niente, vero?». «E pensi che avrei perso tempo con queste stronzate? No, nessun cambiamento. Ho solo bisogno di andare in bagno, ecco tutto. E dopo questa dilazione ne ho bisogno più che mai». «Prenditela comoda» disse Pascoe. «Vado nella stanza e vedo se trovo un'infermiera da malmenare». Il debole tentativo di battuta parve rassicurarla, e corse via. Pascoe guardò la porta della sala d'aspetto, si chiese se doveva entrare e cercare di fare
la pace, decise che non era ancora pronto e percorse il corridoio fino alla stanza di Rosie. Un'infermiera stava controllando i monitor. Prima di andarsene gli fece un sorriso di simpatia, perciò forse non aveva l'aspetto di un mister Hyde, dopotutto. Si sedette e prese la mano di sua figlia. «Ciao, Rosie» disse. «Sono io. Ho appena litigato con il papà di Zandra. Non pensavi che anche i papà litigassero tra loro, vero? Be', là fuori è proprio come nel cortile della scuola. Un momento stai badando agli affari tuoi, il momento dopo qualcuno dice qualcosa e tu gli rispondi, e poi stai rotolando per terra cercando di strappare l'orecchio dell'altro con un morso. Sto parlando dei maschi. Voi ragazze siete diverse. Avete più buonsenso, direbbe la mamma. Forse ha ragione. O forse è solo che le donne sono meno materiali e più tranquille. Sicuro, sono tutte per la pace, ma qualche volta penso che per loro sia solo una continuazione della guerra con altri mezzi. Questo è uno scherzo per grandi, che capirai un giorno, quando sarai donna. Non ci vorrà molto, tesoro. Porterai a casa qualche giovanotto bellicoso e spererai che i tuoi anziani genitori non ti mettano in imbarazzo sbavando nella tazza del tè o levandosi la dentiera in pubblico per togliere i semi della marmellata di lamponi. Rosie, sii buona con noi. È tutto quello di cui il mondo ha bisogno per continuare a girare, che i bambini siano buoni con i genitori, che i genitori siano buoni con i figli, è l'unico valore della famiglia che valga qualcosa, l'unico pezzetto di saggezza che posso darti. Spero che tu lo possa sentire. Lo senti, tesoro? Mi stai ascoltando, laggiù in fondo dove sei?». Si chinò sulla bambina e fissò intensamente il suo viso. Non ci fu alcun movimento, nessun fremito delle palpebre. Nessun segno di vita, nulla. In preda al panico si girò verso il monitor. Eccola lì, una leggera pulsazione. Dalla macchina passò al viso, non fidandosi ancora. Un muscolo si mosse sulla guancia, come il più lieve soffio di brezza su uno stagno estivo. Lasciò andare il lungo sospiro di sollievo che non si era reso conto di aver trattenuto. Ricominciò a parlare, ma ora il suo monologo gli suonò artificioso e forzato, perciò aprì Nina e il nix e iniziò a leggere, riprendendo da dove si era interrotto. Fuori il sole era così splendente che una debole luminosità filtrava anche nel tunnel, e così Nina poté vedere che si trovava in una caverna. Il terreno era cosparso di rocce e altra roba. Nel centro della caverna c'era una piccola pozza maleodorante, sul cui
bordo sedeva quella cosa. Il suo corpo era lungo e coperto di scaglie, le dita delle mani e dei piedi terminavano con lunghe unghie ricurve, la faccia era scarna e incavata, il naso a becco, il mento aguzzo, ornato di spunzoni di barba, gli occhi incassati e... All'improvviso si sentì un bip bip meccanico che lo costrinse a fissare terrorizzato il monitor per il secondo che gli ci volle per capire che era emesso dal suo telefonino. Premette il tasto rabbiosamente e ringhiò: «Sì?». Ci fu una pausa, come se la veemenza della risposta avesse spaventato l'interlocutore. Poi una voce femminile disse: «Salve. Sono Shirley Novello. Telefonavo solo per... mi chiedevo, come sta lei, la piccola?». «Nessun cambiamento», disse Pascoe. «Be', è... voglio dire, sono felice... spero che tutto si risolva bene, signore. Mi spiace disturbarla...». «Tutto bene» disse Pascoe mitigando la rudezza. «La tua telefonata mi ha fatto piacere. Guarda, non dovrei usare questo coso qua dentro. Dicono che può interferire...». Mentre parlava gettava occhiate ansiose al monitor. Tutto sembrava come prima. Novello stava dicendo: «Mi dispiace. Non intendevo... senta, non è che fosse una buona idea, signore. Spero che tutto si risolva bene». Non una buona idea? Gli balenò l'idea che forse non era semplicemente una telefonata di cortesia. Per un attimo si sentì furibondo. Poi pensò: Al diavolo! Cosa vuoi? Che il mondo si fermi solo perché qui dentro ha dato una gran frenata? E la ragazza non poteva sapere che fosse proprio seduto al capezzale di Rosie, fissando una machina per essere sicuro che stesse ancora respirando. Disse: «Mi dia il suo numero». Sorpresa, lei obbedì. Lui interruppe la telefonata senza dire altro, uscì nel corridoio e spinse dentro un carrello con il telefono che aveva adocchiato in precedenza, lo alzò e compose il numero. «Bene» disse. «La parte dei complimenti l'ha esaurita. Adesso ha due minuti per il resto». Venne fuori rapido e scorrevole. Aveva fatto delle prove, immaginando che se avesse avuto la possibilità di parlare, sarebbe stato meglio farlo in fretta.
Lui chiese: «Ha il nome della banca della signora Lightfoot?». «Mid-Yorks Savings». «Lì c'è Willie Noolan. Vecchio compagno di Super al club del rugby. Collaborerà se fa il nome del signor Dalziel e l'accompagnerà con un sorrisetto d'intesa. Gli dica che vuole sapere quando è stata prelevata l'ingente somma di denaro versata sul conto della signora Lightfoot quindici anni fa, e in quale forma». «Sì, signore. Mi scusi, quale ingente somma?». «Il risarcimento per Neb Cottage. L'ho scoperto l'altro giorno... ieri...». Fece una pausa. Novello indovinò che aveva difficoltà a far coincidere tempo relativo e tempo reale. «... comunque sia, sembra che Agnes fosse proprio la proprietaria di Neb Cottage, per cui il Dipartimento avrebbe dovuto sganciare prima del trasferimento, altrimenti non sarebbero stati legalmente autorizzati a sloggiarla. Non so quanto, ma di certo nell'ordine delle decine di migliaia. Se il denaro è uscito dal conto dopo che Agnes è andata a vivere con la nipote, contatta Sheffield e mettili sulle tracce della signora Fleck». «Ma quelli dei servizi sociali hanno controllato quando si è trasferita a Wark House». «Sì, ma solo due anni indietro. Lavorando nell'istituto, la Fleck di sicuro conosceva la procedura e si dev'essere assicurata bene di tenersi Agnes per almeno due anni dopo aver messo le mani sulla somma. Naturalmente, se il denaro è stato prelevato prima che avesse il primo colpo...». Novello adesso capiva dove voleva arrivare. «Potrebbe darsi che l'avesse preso Benny, ed è così che è riuscito a finanziarsi la fuga». «Esatto. Con quaranta o cinquantamila sterline in tasca non dev'essere stato difficile svanire uscendo dal paese». «Lei crede?» disse Novello dubbiosa. «Non era ritenuto un po' scarso di cervello?». «Strano, non scemo, a sentire la signora Shimmings. Hai detto che quel visitatore all'istituto aveva un accento australiano? Ebbene, forse ti hanno detto che il resto della famiglia di Benny si trova in Australia. Perciò dove altro avrebbe potuto andare uno come Benny quando tutto ciò che per lui significava casa e sicurezza era svanito, qui? E comunque è molto più plausibile della versione secondo la quale è scomparso nel Neb come un nix o qualcosa del genere...». Guardò il libro che aveva appoggiato sul copriletto. Il nix gli lanciava
dal basso le sue occhiate maligne. Non assomigliava molto a Lightfoot, secondo le descrizioni riportate nel dossier. Disse: «Ad ogni modo, controlla, Shirley. Controlla ogni cosa, non importa quanto sia inverosimile. Il mondo è bizzarro, pieno di sorprese...». Nella sua voce risuonava una grande stanchezza. Novello disse: «La ringrazio molto. Mi dispiace di averla disturbata quando... spero che tutto si risolva bene. Ho acceso una candela per Rosie, stamattina...». Non aveva avuto intenzione di dirlo. Nella migliore delle ipotesi Pascoe era agnostico, e sua moglie, se era vero quel che si diceva, avrebbe sbattuto tutti i preti in Antartide a palle fuori. Ma era l'unica speranza che Novello aveva da offrire e la offrì. «Grazie» disse Pascoe. «È molto gentile da parte tua. Grazie», e riagganciò. «Hai sentito Rosie? C'è una candela accesa per te» disse. «Speriamo che sia una di quelle belle grandi, eh? Speriamo che resti accesa per tanto, tanto tempo». Riprese in mano Nina e il nix. Che utilità poteva avere? si chiese. Poteva sentire qualcosa? Domanda inutile. Ricominciò a leggere. Rosie Pascoe è stesa in un angolo dove il nix l'ha gettata. Sta molto scomoda. Ci sono dei pezzetti di roccia che le si piantano nella schiena. Ma non osa muoversi. Il nix è seduto a pochi passi di distanza, la fissa intensamente, come per cercare di ricordarsi cosa deve fare. C'è pietà nei suoi occhi? Cerca di vedere, ma non ci riesce, vede solo un vuoto terrificante. Poi da qualche parte, lontano, sopra di lei, sente un telefono che suona. Il nix guarda su. Anche lei alza lo sguardo. E si rende conto che non è un telefono. Sono le strida del pipistrello che sta appeso in alto, sul soffitto della caverna. Il nix sta ancora guardando in alto. Ha messo le mani a coppa attorno alle orecchie puntute e sembra che si sforzi di percepire un suono. È uno spettacolo quasi comico, ma Rosie non ha voglia di ridere. Indovina che qualsiasi messaggio proveniente dal pipistrello non servirà ad alleviare la sua situazione. Ma mentre il nix è distratto coglie l'occasione per far scivolare qualche roccia da sotto la schiena dolorante. Solo che, quando le tocca, non sem-
brano rocce. E quando guarda giù, vede che sono ossa. Adesso anche lei tende l'orecchio e comincia a immaginare di poter cogliere quelle strida aliene. Può solo indovinare come risuonino alte nel cervello del nix, che sta annuendo col capo come per dimostrare che ha capito... e che obbedirà. Questa potrebbe essere la sua ultima opportunità di fuga. Il nix è seduto tra lei e l'entrata della caverna, attraverso la quale filtra quella debole luce con la sua promessa del mondo inondato di sole là sopra. Sarà così concentrato su quello che sta sentendo da permetterle di sgattaiolare via e tentare una volta ancora di correre su per la galleria? Deve provarci per forza. Incomincia a muoversi, sollevandosi con infinita attenzione dal suolo cosparso d'ossa. Poi, proprio quando ha raggiunto una posizione accucciata, sente qualcosa afferrarle la mano sinistra. Terrorizzata guarda in basso. La stretta è salda, ma non è una zampa mostruosa ad afferrarla. È la mano di un bambino. Percorre con lo sguardo il braccino pallido e sottile e si ritrova a guardare un'altra bambina come lei. Non proprio uguale, perché i suoi capelli sono lunghi e biondi, mentre quelli di Rosie sono corti e neri. Ma c'è del terrore su quel visetto pallido, un terrore pari al suo. E adesso riconosce il viso, o pensa di riconoscerlo. Prima è Nina, quella del libro. Poi è la sua amica Zandra. Poi è un'altra bambina bionda che non conosce. «Aiutami» dice la nuova arrivata. «Aiutami, per favore». Ma quando Rosie torna a guardare il nix, vede che è troppo tardi per aiutarla. Le mani palmate si sono staccate dalle orecchie appuntite, lo sguardo allucinato è di nuovo fisso sul suo viso. E gli occhi non sono più vuoti e inespressivi. Sono un fuoco che brucia, brucia. VII Shirley Novello aveva sempre creduto che occorresse un ordine della corte suprema, se non una dispensa papale, per convincere le banche a rompere il sigillo della privacy sul conto di un cliente. Ma adesso stava scoprendo, come molti prima di lei nel Mid-Yorkshire, che ogni sigillo andava in pezzi al risuonare del nome di Dalziel. O forse era stato il sorriso a compiere il miracolo, pensò, mentre seguiva le istruzioni di Pascoe alla lettera e lanciava un sorriso d'intesa a Willie Noolan della Mid-Yorkshire Savings Bank.
Lui le restituì il sorriso, più lascivo che d'intesa, poi si concentrò sulla tastiera del computer. «La vecchia Agnes Lightfoot? È ancora viva? Ha ragione, perdio» disse fissando lo schermo. «Qui non c'è molto, però. Nessuno si arricchirà quando la vecchia tira il calzino». «Al signor Dalziel interessa la situazione di quindici anni fa», disse Novello. «Prima che fossimo informatizzati», disse Noolan in tono nostalgico. «Per cui, nessuna registrazione?», chiese Novello delusa. «Vergogna! Non saremmo una banca se buttassimo via la roba! Sarà in cantina. Il mio ragazzo, Herbert, li scoverà in un attimo. Herbert!». Herbert, che tutto poteva sembrare tranne un ragazzo, era la prova vivente della riluttanza delle banche a gettar via qualcosa, dato che a un occhio imparziale appariva, più che vicino alla pensione, prossimo al riposo eterno. Tuttavia si muoveva con passo lesto, e in un lasso di tempo veramente breve, benché con il fiato corto, posò sulla scrivania di Noolan un dossier gualcito e polveroso quasi quanto il suo vestito. «Grazie Herbert» disse il capo. «Vai a fare un riposino finché non riprendi fiato». «Non è un po' anziano per essere ancora in servizio?», chiese Novello dopo che Herbert fu uscito ansimante dall'ufficio. «Crede? E lei non è un po' troppo giovane per chiederlo?». «Mi scusi», disse Novello. «Ma no, cocca, non si deprima così!» disse Nolan. «Herbert è in pensione da un bel po'. Solo che preferisce stare qui che a casa. Dice che sua moglie ha delle pretese. Posso immaginare di che genere. Ora, diamo un'occhiata, eh? Ah, sì. Ecco qui, come pensavo. Cinquantamila pagate come risarcimento dal Dipartimento per le Acque. Questo alla fine di luglio. Poi, dopo un po', quarantanovemila prelevate. In contanti. Certo, adesso mi ricordo. Un prelievo come quello nessuno vuole sottoscriverlo. Più firme qui che su un trattato di pace. Mi viene in mente tutto. Cercai di dissuaderla, ma lei mi disse che se non volevo io, ce n'erano tanti pronti a farlo. E se ne uscì col malloppo infilato in una borsa per la spesa». «E questo quindici anni fa?». «Come ho detto». «E il denaro non è mai ritornato sul suo conto?». Controllò tutto il periodo in cui il conto di Agnes era stato trasferito sul
computer. «Nemmeno un soldo». «Bene, la ringrazio molto per la collaborazione» disse Novello. «Al signor Dalziel farà piacere». «Ne sono felice. Sono sempre pronto ad aiutare la polizia, ma gli dica che il club comincia a sembrare un tantino vuoto. Lei non ha i suoi risparmi qui da noi, vero, tesoro?». «Non guadagno abbastanza per avere dei risparmi» disse Novello. «Mi dispiace». Mentre lasciava l'edificio riesaminò i fatti. Questo scagionava Winifred. Come aveva detto Billie Saltair, poteva essere avida, ma non aveva fatto niente di disonesto. Anzi, la vecchia zia Agnes aveva solo tratto vantaggio dalla sua cupidigia. Aveva probabilmente capito che solo il pensiero del denaro del risarcimento aveva indotto sua nipote ad accoglierla. E per tutti gli anni che aveva passato a Branwell Close, aveva fatto certo di tutto perché Winifred non riuscisse a dare neppure una sbirciatina ai suoi documenti bancari. Ma quando aveva avuto il secondo colpo, aveva dovuto abbassare la guardia, e quando Winifred aveva visto le condizioni in cui si trovava il suo conto in banca, la strada per Wark House si era aperta. O meglio, si era chiusa quella di ritorno da lì. Perciò adesso l'ipotesi strampalata secondo la quale Benny Lightfoot, con l'aiuto del denaro della zia, era volato in Australia e da lì era tornato per ricominciare a uccidere bambine faceva un altro passo in avanti verso la realtà. Il che significava che qualcuno doveva parlare con Agnes. Qualcuno! Significava che lei doveva parlare con l'anziana signora. Il che significava, prima di tutto, parlare con Billie Saltair. Invece di tornare a Sheffield telefonò. Fu una mossa saggia. «Non oggi» disse decisa la capoinfermiera. «L'abbiamo appena messa a letto. Non sta affatto bene, ha la febbre alta. Se continua così chiameremo il dottore. Mi telefoni domattina». La Santa Trinità avrebbe insistito? Novello se lo chiedeva. Andy il Ciccione non avrebbe esitato un istante a interrogare una fragile vecchietta sul suo letto di morte, ma sarebbe stato anche in grado di scavalcare Billie Saltair? Il combattimento sarebbe stato di quelli cui assistere dai posti sotto al ring. Ma a Novello non piaceva esibire i muscoli, se non era spinta da un'assoluta necessità.
«La chiamo domani», disse. Come ammansita dalla pronta obbedienza, la capoinfermiera disse: «C'è una cosa che può interessarle. Probabilmente non ha nulla a che fare con il visitatore di Agnes, ma uno dei nostri inservienti ricorda di aver visto un furgoncino bianco, una specie di camper, ha detto, che sobbalzava giù per la strada quel venerdì mattina». Novello sorrise. Il lavoro del detective è contagioso, e perfino Billie Saltair non era immune. «La ringrazio molto» disse, questa volta mettendo più calore nella voce. «Mi terrò in contatto». Posò il ricevitore, lo rialzò e chiamò la base operativa di Danby. Wield era lì da qualche parte, ma non in vista, così riferì gli ultimi sviluppi all'ispettore Headingley, che la ringraziò in tono paterno come se fosse una bimbetta, tollerata nel mondo degli adulti per i suoi ciangottii e i riccioli dorati. Ma in qualche modo lei lo preferiva alla risposta prevedibile del sergente, il quale avrebbe chiesto qualche prova ulteriore a sostegno dell'ipotesi 'Benny è tornato'. Era poi tornato? si chiese. Certo, qualcuno era tornato. Si mise alla finestra della stanza del CID, spalancata nella speranza di incoraggiare una brezza rinfrescante, ma tutto ciò che ottenne furono il gas di scarico e rumore della strada sottostante. Alzò gli occhi al cielo azzurro come il manto della Madonna al di sopra dei tetti di un grigio saio francescano e disse: «E dove sei adesso, mio selvaggio ragazzo delle colonie?». Se fosse stata un po' più umile e casta, e avesse tenuto lo sguardo abbassato anziché sollevato, avrebbe visto il ragazzo in questione fermo fuori dal portone d'entrata della sede centrale della polizia del Mid-Yorkshire, intento a guardare la vecchia lampada azzurra che ancora vi pendeva. Avrebbe potuto osservare che per un attimo lui sembrava deciso a entrare e condividere qualsiasi cosa lo tormentasse con chi si trovava all'interno. Poi l'istante passò. Lui si voltò e in pochi passi fu fuori vista. VIII Dalziel intinse il biscotto nel tè doposcopata, lo portò alla bocca prima che crollasse, lo addentò e disse debolmente: «Porca vacca». «Dente cariato?», si informò comprensiva Cap Marvell. «No» rispose lui. «Questo è un Grannie's Golden Shortie». «È un problema?».
«Lo era per mio padre» disse Dalziel. «La ricetta era sua». Cap si rese conto all'improvviso di non sapere nulla di Dalziel prima che diventasse il sovrintendente della squadra investigativa che incredibilmente aveva scaricato la sua massiccia mole nel suo letto e nei suoi sentimenti. In quel momento si trovava nel primo, perché quando se l'era ritrovato sulla porta dell'appartamento quel pomeriggio tardi, si era resa conto che non era mai uscito dai secondi. Era stato all'ospedale a far visita alla bambina malata del suo collega. Nel pomeriggio si era verificata una specie di crisi, ma adesso la piccola era di nuovo stabile. I genitori erano ovviamente sconvolti, e Dalziel, immaginava lei, aveva speso tutte le sue energie in rassicurazioni ottimistiche. In piedi sulla soglia, aveva un aspetto assolutamente prosciugato, il che la sbalordì come se fosse andata in gita al Loch Lomond e l'avesse trovato vuoto. Aveva parlato della bambina malata, di quella scomparsa, delle bambine di Dendale, in una maniera sconnessa a lui insolita, finché era risultato difficile distinguerle l'una dall'altra. La cosa chiara era che si sentiva in qualche modo responsabile per tutte quante, e il dolore dei genitori era un peso così grande che anche le sue ampie spalle erano vicine a cedere. Gli aveva dato del whisky, riempiendo il bicchiere per tre volte mentre lui parlava, ed era stato solo dopo aver vuotato il terzo bicchiere che si era fermato, si era leccato le labbra, aveva annusato e aveva detto con aria accusatoria: «Questo è Macallan? Venticinquesimo Anniversario». «Esatto». Nelle loro antiche controversie, un punto molto dibattuto era stata l'indifferenza di lei alle sottigliezze dei whisky di malto e la sua tendenza ad acquistare quello che lui definiva 'whisky per massaggi'. «Aspetti qualcuno di importante?». «Non ancora» aveva risposto lei. «Ma una ragazza può sempre sperare». Sulla quale allusione Dalziel aveva preso l'iniziativa. Era stato un rapporto contraddistinto più dalla violenza che dalla tenerezza, ma l'aveva soddisfatta a tal punto che quando lui aveva ripreso fiato e aveva detto con nostalgica passione: «Aaa, potrei uccidere per una tazza di tè», era scivolata docilmente fuori dal letto e gliel'aveva preparato. C'erano momenti, anche nel più organizzato dei menage, in cui il vecchio Adamo aveva la prevalenza sull'uomo nuovo. Il Golden Shortie era un piacere che assomigliava a un pagamento di dividendi.
«Allora tuo padre faceva il fornaio». «Sì. Un maestro. Era venuto via da Glasgow per via della salute, e fu assunto alla Ebor». La Ebor Bisquit & Confectionery era una delle imprese più importanti del Mid-Yorkshire. «Per la salute? Era invalido?». «Non essere sciocca» disse Dalziel, scartando sdegnosamente l'idea che i lombi di cui era il frutto potessero essere altro che perfetti. «Si era messo con della gente, a Glasgow, con cui non era salutare mettersi. Malintesi su un prestito. Era solo un ragazzo. Se non era per la forza di gravità, non avrebbe saputo che la merda cadeva in terra, così diceva sempre». «Adesso capisco da chi hai preso quella lingua di velluto» osservò Cap. «E i Golden Shorties?». «Faceva sempre i biscotti di pastafrolla a casa, con una ricetta di sua nonna, e spesso se ne portava un po' a lavorare. Un giorno il direttore generale si fermò a fare due chiacchiere durante la pausa del tè. Notò che babbo mangiava questi biscotti e disse: 'Non sono i nostri, vero?' come rimproverandolo. Mio padre, siccome era un buontempone, disse: 'No, non lo sono, e dubito che potreste permetterveli'. Il direttore ne staccò un pezzetto e lo mangiò. Poi un altro pezzetto. E un altro ancora. Poi disse: 'Va bene, ragazzo, perché non mi dici quant'è che secondo te non mi posso permettere?'. Babbo, sapendo che tutti i suoi compari tendevano le orecchie, pensò di puntare davvero alto e disse: 'Il prossimo morso le costerà cinquecento birilli', che era un sacco di soldi a quei tempi. 'In tal caso' disse il capo 'meglio che tu venga nel mio ufficio'. E un quarto d'ora dopo babbo tornò dai suoi compari sventolando il più grosso pacco di banconote che la maggior parte di loro avesse mai visto». «Lieto fine, quindi», disse Cap. Dalziel succhiò quel che restava del suo biscotto. «Non proprio» disse. «Diventò un grand'uomo nel reparto prodotti da forno, questo sì. E quando uscì la prima infornata di Grannie's Golden si sentì davvero orgoglioso. Poi quella diventò la linea più venduta della Ebor. E da lì, tutte le volte che entrava in un negozio e vedeva i pacchetti impilati, gli veniva un urto di vomito. Era un bonaccione, mio padre, ma tutte le volte che aveva in corpo un paio di bicchieri e cominciava a blaterare di aver venduto la primogenitura per un piatto di stramaledetto porridge, noi bambini dovevamo correre al coperto perché era facile che iniziasse a spaccare le cose. Mi è tornato tutto in mente proprio adesso, quan-
do ho dato un morso al biscotto». «Più che un semplice biscotto, quindi» disse Cap, prendendo nota mentalmente di quel 'noi bambini' e riservandosi di indagare in futuro, «una madeleine. Adesso ti rimane solo da scrivere un romanzo in sette volumi sulla tua vita e i tuoi amori». «Non basterebbero» disse Dalziel. «E cosa c'entra Madeleine con questo? Non era la tizia che si erano portati a letto in quella poesia zozza?». «Non penso di ricordare la poesia zozza in questione». «Ma sì che te la ricordi. Se l'ho fatta io a scuola, allora l'hanno fatta tutti. Di quella coppia di fanatici, Sheets e Kelly... di uno di loro di sicuro. Quel genere di poesia che devi lavorarci sopra un casino prima di capire quanto è zozza». «È un incentivo all'apprendimento che non conoscevano, al Cheltenham per signorine», disse Cap, che sospettava che gran parte del filisteismo ostentato da Dalziel fosse un trucco per attirarla nella trappola della condiscendenza. O forse no. Lo osservò attentamente, e si ritrovò in cambio attentamente osservata. Entrambi erano nella condizione più rischiosa per i consumatori di biscotti briciolosi e tè bollente, e il loro aspetto indicava che ne erano consumatori entusiasti: per tale ragione c'era molto da osservare. «Allora, cosa sarà di noi, Andy?», domandò. Dalziel si strinse nelle spalle e disse: «Si fotte un po', si strilla un po', poi si muore». «Tante grazie, La Rochefoucauld» disse lei. «Dicevo nello specifico, non in generale». «Anch'io. Non c'è nessuno con cui vorrei fare entrambe le cose più che con te, cocca». «È un complimento?». «Hai bisogno di complimenti?». «Mi piacciono, non ne ho bisogno». «Allora è un complimento. Oh, merda, dove ho lasciato i pantaloni?». Era la reazione a un trillo soffocato che riconobbe come proveniente dal suo cellulare. «Penso che abbiamo cominciato in cucina» disse Cap. «Le odio queste cose». «Poteva andare peggio. Poteva suonare un quarto d'ora fa», disse Dalziel, rotolando giù dal letto.
Lo guardò uscire dalla stanza con passo leggero e ricordò di aver letto sul supplemento domenicale un servizio che parlava del 'Lottatore di sumo come oggetto sessuale'. All'epoca non l'aveva preso molto sul serio, ma forse, dopotutto... In cucina, Dalziel stava ascoltando il resoconto fattogli da Wield delle ultime scoperte di Novello con lo scarso entusiasmo che l'ispettrice aveva previsto. «Perciò questo significa che il bastardo potrebbe aver avuto in tasca più o meno un cinquantone quando se n'è andato. Grande!». «C'è di meglio, o di peggio» disse Wield. «Penso a quel camper che hanno visto a Wark House. Abbiamo setacciato tutti gli alberghi e i bed and breakfast della zona senza risultati. Ma se fa campeggio libero... così mi sono fatto un viaggetto a Dendale». «Vietati tende, roulotte e veicoli a motore non autorizzati sul terreno del Dipartimento per le Acque a Dendale» recitò Dalziel. «Non gli piace l'idea che la gente vada a pisciare nella loro acqua potabile». «Sì, lo so, signore. Ma in fondo alla valle c'è un fattore che affitta la sua terra a campeggiatori e simili. Un certo Holmes. Un tizio dagli occhi selvaggi con una barba ingarbugliata come un patriarca della brughiera, che avrebbe preferito spararmi che aiutarmi, immagino. Ma la moglie è una persona a modo, e l'ha mandato a dar da mangiare ai maiali o qualcosa del genere mentre mi diceva che sì, c'era un camper, e il tizio che ci stava sopra aveva una parlata nasale e poteva essere un australiano...». «Questi Holmes, sono del posto?». «Cioè se conoscevano Lightfoot? Holmes sì, ma non ha mai visto il tizio del caravan. Dei campeggiatori si occupa sua moglie, lui non vuole saperne, gli importa solo che chiudano i cancelli e non spaventino le bestie. La moglie viene da fuori, da Pateley Bridge». «Quando è arrivato l'amico con la pronuncia nasale?». «Venerdì scorso sul tardi. È ripartito ieri mattina». «Porca puttana» disse Dalziel. «Dannatamente bravo, però, se è lui il nostro uomo. C'è altro Wieldy? La targa del furgone è un po' troppo, immagino». «Alla signora Holmes pare di ricordare che nella targa ci fossero una C un 2 e un 7. Non molto, ma ho messo al lavoro quelli della motorizzazione. Il tizio però le ha dato un nome. Slater». Lo disse con un'enfasi inutile, dato che Dalziel aveva afferrato all'istante. «Come Marion Slater, vuoi dire. Il nome della mamma dopo il secondo
matrimonio, quando è partita per Oz? Hai avuto notizie delle ricerche che hai fatto ad Adelaide?». «Ancora niente». «Va bene, non agitiamoci. È un nome abbastanza comune». «Sì, signore. La faccia non è così comune, però». «Cosa vuoi dire? Hai detto che la Holmes veniva da fuori...» «È vero. Ma avevo preso una vecchia foto di Benny dal dossier, ne avevo fatto una copia e l'avevo ritoccata un po' per aggiungere qualche anno, e le ho mostrato quella». «E?». «E ha detto che era lui. Il signor Slater. Non c'era alcun dubbio». Cap guardò Dalziel rientrare in camera da letto portando una bracciata di vestiti che sparpagliò sul letto prima di iniziare a vestirsi. «Allora vai via? Speravo che ti fermassi stanotte». «Anch'io. Spiacente. È successo qualcosa». «Qualcosa che puoi dirmi?». «Niente di preciso, in realtà. Solo un sospetto». «E l'avete preso?». «No. Il bastardo è ancora là da qualche parte. Ma se è lui, lo prenderemo, non dubitare!». Parlò con tale veemenza che lei ebbe la visione di cosa si provasse a essere perseguitata a torto da quest'uomo instancabile e rabbrividì. Lui osservò l'effetto di quel brivido sui suoi seni con interesse non dissimulato. Lei disse: «Be', prendi una chiave, nel caso avessi voglia di fare un salto più tardi». «Vedrò cosa riesco a organizzare», disse lui. Dopo che fu uscito, lei si infilò una vestaglia e si versò uno scotch, attingendo dalla bottiglia da supermercato che aveva nascosto in cucina. Era un gesto simbolico. Nessun dubbio in proposito, il whisky di puro malto era infinitamente superiore, ma a volte i gesti simbolici vanno fatti e basta. Le cose si muovevano più in fretta di quanto avesse previsto - il letto, la chiave... Troppo in fretta? Non poteva dirlo. Stava suonando a orecchio, e il suo orecchio non era più affidabile come un tempo. Aveva bisogno di un segno, ecco, o ancor meglio di un suono, qualcosa che l'aiutasse ad accordare la sua sensibilità. Il telefono squillò. Be', per essere un suono era un suono. Era forse una risposta?
Alzò la cornetta e disse: «Pronto? Beryl, ciao! Sì, tutto bene. No, non c'è nessuno, in questo momento, almeno. No, non significa..., be', forse sì... Mio Dio, hai proprio una mente bacata... ma se hai un'oretta, e dato che chiami tu, rilassati che ti racconto tutto». IX «Non capisco perché diavolo non lo dici, se pensi che questa sia una dannata perdita di tempo». Wield, da parte sua, intento a osservare con la consueta impassibilità le siepi straripanti che riducevano la larghezza già scarsa della strada che stavano percorrendo a una velocità pericolosa, non si diede la pena di rispondere. Da Danby stavano andando a Nether Dendale per parlare di nuovo con la signora Holmes, e benché il sergente fosse sicuro di aver cavato dalla donna tutto quello che c'era da sapere, e aver fatto tutto quel che c'era da fare, vale a dire emanare un allerta per un camper bianco con una C, un 2 e un 7 nella targa, far distribuire copie della sua foto ritoccata di Benny Lightfoot in tutti i posti di ristoro e inviare un fax ad Adelaide dicendo che la precedente indagine sulla famiglia Slater era adesso della massima urgenza, non pensava che questa seconda visita fosse una perdita di tempo. In quell'inchiesta il Ciccione stava accumulando un'enorme quantità di energia frustrata, che un saggio subordinato doveva cercare di fargli sfogare con ogni mezzo. E inoltre la sola vista del Ciccione lanciato a tutto gas era spesso una valido aide-mémoire anche per il più volonteroso dei testimoni. Per quanto riguardava la signora Holmes, però, la cosa non si rivelò produttiva. Aveva detto tutto a Wield. Dalziel continuò a fare pressione finché il marito ringhiò attraverso l'intrico della barba: «Quando basta, basta. Non dovete andare a letto, voi balordi? L'avete perso l'altra volta, cosa vi fa credere che tutto questo bordello vi porti più vicino a lui?». «Cos'è che hai detto?», chiese Dalziel spostando lo sguardo su di lui. Holmes non fece una piega. «Ho detto che la mia signora vi ha detto tutto quello che sapeva ed è ora...» «No, no» disse Dalziel con impazienza. «Hai detto tutto questo bordello, giusto?». «Significa confusione, rumore», tradusse Wield servizievole. «Lo so cosa cazzo significa» disse Dalziel. «Signora Holmes, sono spia-
cente di averla tenuta alzata fino a tardi. Ci è stata di grande aiuto. Grazie. E, signor Holmes...». «Sì?». «Mi pare di ricordare che il proprietario di una fattoria ha la responsabilità di impedire che le sue siepi intralcino la pubblica via. Dovrebbe farle tagliare, prima di provocare un incidente. Buonanotte». Risalirono in macchina, ma invece di tornare a Danby, Dalziel risalì la valle finché arrivarono al cancello sbarrato sulla strada della diga. «Ti va una passeggiata?», disse. Presero le torce elettriche, ma non ce n'era bisogno. C'era una luna quasi piena, appesa come un faretto in un cielo inevitabilmente limpido. Sotto la sua luce salirono i gradini che portavano in cima al muro del bacino e rimasero là, guardando, oltre l'acqua inargentata del bacino in secca, il profilo affilato di Lang Neb e Beulah Height. «Le ricerche dalla parte di Danby sono a un punto morto» disse Dalziel. «E Dan il Disperato vuole indietro i suoi sbirri. Forse avremmo dovuto cercare di più da questa parte, che dici? Almeno cercare dentro il laghetto. Voglio una squadra di sirene come prima cosa domani sul posto. Che ne dici?». «Buona idea, signore» disse Wield. «Ci penso io, se vuole». La sua opinione personale era che dragare il laghetto fosse una perdita di tempo, ma sapeva che il Ciccione era guidato da qualcosa di più del senso del dovere, perciò alzò lo sguardo ad ammirare la stupenda distesa di stelle e tenne per sé le sue opinioni. Non sollevò obiezioni nemmeno quando, tornati a Danby, Dalziel lo tenne alzato per un'altra mezz'ora con speculazioni senza costrutto. Ma alla fine non ce la fecero più e si salutarono, dirigendosi alle rispettive case. O meglio, Wield andò a casa, ma Dalziel tornò all'appartamento di Cap Marvell. Non sapeva se sarebbe entrato se non ci fosse stata luce, ma la luce c'era, e così entrò. Cap lo aspettava sveglia. Lo guardò con aria interrogativa e disse: «Novità?». Lui rispose: «Niente che abbia un senso. Se Benny è tornato, ci vuole una testa migliore della mia per capire il perché». Come quel pomeriggio, la prima volta che era arrivato da lei, la rivelazione di vulnerabilità la commosse profondamente e gli si avvicinò e lo abbracciò.
Questa volta fecero l'amore in modo più lento, più profondo, benché il climax fosse esplosivo come sempre. «Gesù» disse lei. «Era come... come...». «Come cosa?», domandò lui. «Non lo so. Come se qualcuno avesse agitato una bottiglia di spumante su nel cielo e fatto saltare il tappo, e noi eravamo in una delle bollicine e fluttuavamo nel cosmo». Poi rise delle sue iperboli e proseguì: «Perdona la prosa fiorita, ma sai cosa intendo, vero?». «Oh, sì» disse lui. «Ma è più facile che fosse Dio che scoreggiava nell'acqua del bagno». Lei si allontanò abbastanza da prendere a pugni il suo torace insensibile, poi lasciò che lui la attirasse di nuovo accanto a sé. «Come ho fatto mai a lasciarmi coinvolgere da un uomo di Neanderthal come te, Andy?». «Il fascino della divisa». «Ma tu non porti la divisa». «Parlo metabolicamente... o come diavolo si dice» disse lui. «È l'autorità che ti acchiappa. Ne ho avute di mocciose come te. Vogliono il mio corpo, non i miei soldi». «Non sono una mocciosa», protestò lei. «Ah no? Allora si vede che emano un fascino naturale. Tengo la chiave, nel caso possa tornare domani notte?». «Suppongo sia leggermente meglio che vederti buttar giù la porta a calci. Ma domani sera avrò da fare anch'io fino a tardi. A Danby, guarda caso. C'è il primo concerto del festival». «Non l'avevo dimenticato» disse lui. «Testa di Rapa e quella Wulfstan. Ci ho pensato, a lei». «Anch'io» disse lei. «Ho fatto più che pensarci. Ne ho parlato. La mia amica Beryl - ricordi, la preside di Elizabeth...?». «Ah, sì. Uno dei ragni sulla tua grande tela mondiale». «Grazie, Andy. Be', ha telefonato, e nel corso della conversazione ho buttato lì in maniera naturale il nome di Elizabeth Wulfstan...». «L'hai spremuta!» esclamò Dalziel deliziato. «Ho sempre saputo che sei congenita!». «In un certo senso, suppongo di sì» disse Cap. «Mi ha detto una cosa molto interessante. E siccome non capisco fino a che punto possa essere rilevante per le tue indagini e perciò l'ho qualificato come semplice pettegolezzo, non esiterò a riferirtelo. Della storia precedente di Elizabeth,
Beryl non sapeva niente, tranne che aveva una lontana parentela con Chloe Wulfstan... Che succede?». «Bordello», disse Dalziel. «Prego?». «Bordello. Per dire un sacco di rumore e di confusione. L'ho sentito usare da quel fattore, stasera. Lui è di Dendale. Mi è suonato un campanello. È l'unico posto dove l'ho sentito dire». «Siamo alla filologia, adesso» disse Cap impaziente. «Posso proseguire?». «La ragazza Wulfstan lo diceva, anche» disse Dalziel. «E budellone. Un'altra parola di Dendale. Mi ha chiamato budellone. O ci fa dentro, o è di Dendale! È parente di Chloe, dicevi?». Nella testa stava cercando di sovrapporre l'immagine di una donna alta e magra con capelli biondi lunghi fino alle spalle a quella di una bambina grassottella dai corti capelli neri arruffati. Niente coincideva... tranne forse quegli occhi scuri dallo sguardo risoluto... «Vado avanti?». «Sì. Cos'è successo?». «Be', una faccenda davvero molto triste, anche se ogni cosa in apparenza è finita bene. Sembra che quando andò per la prima volta alla scuola, Elizabeth fosse una bambinetta grassoccia e poco attraente con corti capelli neri... Andy, potresti evitare di contorcerti così? È un revival di passione sessuale o solo un attacco di delirium tremens?». «Tu tira avanti», la incitò lui. «La migliore offerta che abbiamo avuto stasera» disse. «Ma intervenne un cambiamento. Dimmi, la vera figlia dei Wulfstan, quella che scomparve, era una bambina bionda e magra?». «Eh, sì che lo era» disse Dalziel. «Bella come una pittura». «Ebbene, è quella pittura che probabilmente aveva in mente Elizabeth. Tutti quanti pensarono che avesse cercato di fare quello: trasformarsi nella bambina che i suoi genitori adottivi avevano perduto. Cominciò a perdere peso, ma nessuno vi prestò molta attenzione. Le adolescenti cambiano in continuazione. E si fece crescere i capelli. Solo che, ovviamente, erano del colore sbagliato. E qui accadde la tragedia, o almeno venne sfiorata. Sembra che una notte si sia chiusa in bagno con una bottiglia di candeggina e abbia tentato di far diventare biondi i suoi capelli. Il risultato fu devastante. Per fortuna Chloe sentì le sue grida e la infilò sotto la doccia. Ma il cuoio capelluto era gravemente danneggiato, e per fortuna non glien'era andato
negli occhi. Mentre era all'ospedale si resero anche conto che non era questione di aver perso il grasso infantile: la ragazza soffriva di anoressia a uno stadio avanzato». «Lo sapevo!» esclamò Dalziel. «Lo sapevo fin dall'inizio. Prima ho pensato che prendesse per il culo con quel suo modo di parlare. Anche quando ho capito che non era così, mi rimaneva lo stesso la sensazione che se la stesse spassando in segreto. Era perché non l'avevo riconosciuta!». «La conoscevi? Dove? Come?». «A Dendale» disse Dalziel. «Era l'ultima delle bambine aggredite, quella che scappò. Era la piccola Betsy Allgood». X Betsy Allgood [PA/WW/18.6.88] Trascrizione n. 3 N. 2 di 2 copie Come ho detto, pensavo che tutto sarebbe andato bene per sempre. Se le cose andassero come devono andare, le pecore porterebbero le galosce, diceva sempre babbo. Ma non succede così. E babbo non ebbe nemmeno Stirps End. Quando sapemmo che l'avevano data al signor Hardcastle, babbo voleva correre immediatamente a parlare con il signor Pontifex. Ma mamma si mise davanti alla porta e non lo lasciò passare. Non lo contraddiceva spesso quando era in collera, ma questa volta lo fece, e gli disse che avrebbe fatto meglio a dormirci sopra, e che sapeva che non era giusto e Stirps End gli era stato promesso, ma lei credeva che il signor Pontifex l'avesse dato a Cedric Hardcastle perché si sentiva colpevole. «Colpevole di cosa?», urlò babbo. «Perché pensa di essere stato lui, vendendo la terra al Dipartimento per le Acque, ad aver fatto andare le cose come sono andate, giù a Dendale, così ha dato la fattoria a Cedric perché hanno perso Madge, e siamo noi quelli fortunati, perché non avremo Stirps End, ma abbiamo ancora la nostra Betsy!». E quando disse questo, vidi gli occhi di babbo posarsi su di me, ed erano neri come il piombo, e io sapevo che stava pensando che avrebbe preferito avere la fattoria. Comunque, aspettò ad andare dal signor Pontifex fino alla mattina do-
po, ma non è che gli fosse servito a un granché, perché tornò dicendo che era meglio che facessimo le valigie dato che aveva detto al signor Pontifex dove poteva ficcarsi il suo lavoro, e probabilmente il vecchio bastardo sarebbe arrivato con l'ufficiale giudiziario a sbatterci fuori dal cottage prima di sera. E in effetti il signor Pontifex arrivò, più tardi quel pomeriggio, ma era da solo e fece una lunga chiacchierata con mia madre prima, perché babbo quando l'aveva visto alla porta era andato nel cortile di dietro, poi parlò a tutt'e due insieme e il risultato fu che babbo sarebbe rimasto come guardiano delle pecore con uno stipendio un po' più alto e la promessa di dargli la prima fattoria che si fosse liberata. Ma sarebbe stato come aspettare un goccetto da un metodista, disse babbo, perché tutte le fattorie sui terreni di Pontifex erano affidate a famiglie che avevano figli maschi. E anche se questa volta non mi guardò, sapevo che stava di nuovo pensando a me. Così adesso tutto era rovinato. Per un po', dopo che avevamo lasciato Dendale, avevo pensato che tutto sarebbe andato bene, ma adesso era come prima, solo peggio, con mamma che stava male di nuovo e babbo che vagava attorno come se avesse finito di fare le sue cose ma non riuscisse lo stesso a fermarsi. Ecco come andavano le cose, capisce, per tutti noi, voglio dire. È buffo come sai dentro di te che tutto è finito, che niente ha più senso, ma di fuori puoi andare avanti a vivere come se niente fosse cambiato, come se avesse ancora senso andare a scuola e fare i compiti e imparare tutta quella roba a memoria che ti servirà per il futuro. Non so quanto andò avanti. Sarebbe potuto durare per sempre, immagino. C'è gente che è morta quarant'anni prima del suo funerale, diceva sempre babbo. So che ero all'ultima classe, e che l'anno successivo sarei andata alle superiori. Ricordo che pensavo che forse le cose per me sarebbero in qualche modo cambiate. Un giorno ci diedero un sacco di materiale sulle superiori, e io andai a casa per mostrarlo alla mamma. E la trovai morta. No, di questo non voglio parlare. Cosa c'è da dire? Prima era viva, adesso era morta. Fine della storia. Restavamo io e babbo. Volevano portarmi via e mettermi da qualcuno. Volevano scrivere a zia Chloe subito e vedere se poteva essere d'aiuto. Ma io dissi di no, che volevo stare a casa e badare a babbo. Qualcuno
doveva badargli adesso, no? E con la mamma ammalata da così tanto tempo, avevo fatto molte cose in casa comunque, quindi che differenza c'era? Dissero che bisognava che venisse qualcuno dei servizi ad aiutare e io dissi che andava bene, anche se in realtà non ce li volevo, perché vidi che quello era l'unico modo di restare a casa. Ci organizzammo a quel modo, e per un po' funzionò tutto bene, e sarebbe andato bene per sempre se solo babbo avesse avuto la sua fattoria e mamma non fosse morta a quel modo e se... Ad ogni modo, lui uscì di casa una mattina e non lo rividi mai più. Dissero che era andato su per Corpse Road e giù a Dendale, e poi ancora su all'estremità più lontana della diga, la più vicina a dove una volta c'era Low Beulah. Poi si era riempito le tasche di pietre ed era entrato nell'acqua, così quando i sommozzatori lo trovarono, giaceva vicino al mucchio di detriti che una volta era stata la casa. Io dissi che non era vero, che non era morto, che era solo andato via e un giorno sarebbe tornato da me. Volevano che lo guardassi in faccia prima di chiudere la bara e seppellirlo, ma io non lo feci. Lo so che è morto, naturalmente, ma non è lo stesso che saperlo di sicuro, non crede? Babbo lo diceva sempre. C'è il sapere una cosa e c'è il saperla di sicuro, e nello spazio fra le due un uomo si può perdere. E lui per me è lì. In quello spazio. Perso. E dopo? Dopo che sono venuta a vivere qui con la zia Chloe? Qualcosa dovevo fare, lo capisce anche lei. Le cose non si fermano e ripartono da sole, come se nulla fosse successo. Ma le cose si possono cambiare. Avevo letto in un libro su quella cantante di nome Callas di come aveva cambiato se stessa, da brutta e budellona che era, così quello era il mio obiettivo, cambiare me stessa; ecco come mi sono bruciata i capelli e tutto il resto. Per essere come Mary? Oh, sì, volevo essere come Mary. E Madge. E Jenny. Volevo essere come tutte loro, perché erano amate e rimpiante... È tutto. Ha detto che dovevo solo parlare dei vecchi tempi, che non dovevo parlare di adesso, se non volevo. Be', non voglio. E non voglio che la zia Chloe senta queste cose, è tassativo. Ma lui, oh, sì, a lui potete mostrarle, fategli sapere cosa si prova a essere me, vorrei che lui capisse, questo è sicuro. Perché chi altri è rimasto al mondo che possa capire? Quarto giorno Canti dei bambini morti
I I Lieder vengono di solito eseguiti nella loro lingua originale, il tedesco, ma per la giovane mezzosoprano Elizabeth Wulfstan era della massima importanza che un pubblico di lingua inglese, ignaro in genere della lingua tedesca e costretto perciò a seguire le parole sul programma, non perdesse qualche elemento essenziale. Non avendo trovato una traduzione del ciclo fedele e soddisfacente dal punto di vista del canto, ne ha fatta una lei stessa, non esitando, talvolta, a usare il suo dialetto dello Yorkshire. Il testi originali sono del poeta tedesco Friedrich Rückert (1788-1866) che alla morte del figlio scrisse più di quattrocento poesie funebri, alcune specifiche sulla sua perdita, altre più generiche. Mahler, nel suo ciclo di Lieder, ne utilizzò cinque. Il suo interesse fu all'inizio ispirato esclusivamente dall'arte e dall'immaginazione, perché quando iniziò a lavorare su di essi, nel 1901, era celibe e senza figli. Quando completò il ciclo, nel 1905, aveva sposato Alma Schindler e avevano avuto due figli. Dopo la loro nascita, Alma non comprendeva la pervicace ossessione per l'opera basata sui
poemi di Rückert che, superstiziosamente, vedeva come una sfida sconsiderata al destino. Nel 1907, la morte della figlia maggiore per scarlattina parve la conferma dei suoi peggiori timori. Ecco le poesie, nella traduzione di Elizabeth Wulfstan. I E ora il sole vuole sorgere luminoso Come se stanotte una sventura non fosse accaduta È pur vero, l'orrore ha colpito me solo E il sole risplende per tutti. Non serrare in te la tua notte, nella luce eterna devi tuffarla. S'è spento un piccolo lume nel mio cuore Ma sia benedetta la luce gioiosa del mondo! II Ora mi par di capire perché in certi momenti Voi, occhi, mi lanciavate fiamme così scure Come voleste concentrare in un solo sguardo Tutta la vostra energia. Io però non potevo immaginare Avvolto com'ero nell'offuscamento Abbagliato da un ineluttabile destino, Che il raggio già si affrettava verso casa Verso la dimora da cui tutta la luce proviene. E il messaggio di quel brillare era: Vorremmo rimanerti accanto Ma ciò è impedito dal destino! Guardaci adesso, perché presto dovremo lasciarti. Questi occhi che ogni giorno per te si aprono Stelle nelle notti a venire diverranno. III
Quando la tua cara madre entra dalla porta Ed io giro il capo per guardarla Non cade il mio sguardo per primo sul suo viso Ma cerca accanto a lei Il punto dove sarebbe il tuo visino adorato Se tu fra risa e allegria entrassi insieme a lei Come sempre facevi Mia figlia amata. Quando la tua cara madre entra dalla porta Ho come l'impressione che tu Con il bagliore della candela Entri guizzando nella stanza insieme a lei Come facevi sempre O tu, piccola parte di tuo padre Luce di riso e allegria Che troppo presto mi ha lasciato nel buio. IV Spesso penso che siano in collina a passeggiare E che presto torneranno. È bello il tempo, non angustiarti così! Sono solo andate su per la valle a passeggiare. Oh, sì, sono solo andate in collina a passeggiare E presto torneranno a casa tutte allegre. Non angosciarti, la giornata è bella. Si sono arrampicate su per Beulah Height. Ci hanno preceduto, invece E non ritorneranno mai più a casa tutte allegre. Ci incontreremo lassù, a Beulah Height, Immersi nella luce del sole. E il tempo è sempre bello lassù, a Beulah Height V
Con un tempo simile, nella tempesta Non le avrei mandate a giocare sul pendio della valle. Le hanno trascinate fuori con la forza Niente che io dicessi poteva trattenerle. Con un tempo simile, nel vento forte Non le avrei mandate a giocare sul pendio della valle. Avrei temuto che accadesse loro qualcosa di male Vorrei avere adesso quelle vane paure. Con un tempo simile, nella tormenta Non le avrei mandate a giocare sul pendio della valle, Per paura che l'indomani morissero Ma ora di questo non devo preoccuparmi più. Con un tempo simile, nella tempesta Riposano come a casa della mamma; Non più tremende bufere a sconvolgerle Nell'abbraccio del Signore Riposano tranquille come a casa della mamma. II Il mattino del quarto giorno dell'inchiesta su Lorraine Dacre, Geordie Turnbull si svegliò presto. Si sentiva in preda ai postumi da sbornia, non di quelli che fanno rigirare nel letto e ti obbligano a seppellirti sotto le lenzuola in cerca del buio e dell'oblio del sonno, ma di quelli che ti fanno andare barcollando in bagno a vuotare in un modo o nell'altro il contenuto dello stomaco, desiderando di poter fare lo stesso con quello della testa. Dieci minuti sotto la doccia gelida aperta al massimo lo indussero a prendere in considerazione che ci fosse una vaga possibilità di vita dopo il caffè. Non si sentiva così da molto tempo. Il rilascio e il ritorno a Bixford non gli avevano procurato il sollievo che si aspettava. In primo luogo, c'erano i giornalisti che, di persona o al telefono, l'avevano tormentato per tutto il giorno. Poi l'atteggiamento delle persone del posto. Quindici anni prima era rimasto sbalordito dalla velocità con cui era precipitato dal ruolo del
buon vecchio Geordie a quello del Demonio delle Colline. Ma allora era uno di fuori, un forestiero tollerato solo perché era di gradevole compagnia e se ne sarebbe andato presto. Lì, a Bixford, pensava di aver messo le radici, ma il disonore di essere stato interrogato per un caso di bambine scomparse gli rivelò presto quanto superficiali fossero queste radici. Non che gli fosse stato detto alcunché, ma un commento sottovoce ascoltato per caso, uno sguardo distolto, persino il tono eccessivamente amichevole con cui giù al pub gli chiedevano notizie della sua ordalia, erano stati sufficienti a spedirlo a casa presto per restare solo con i suoi pensieri e la sua bottiglia di whisky. Ora, strofinandosi vigorosamente con l'asciugamano, andava pellegrinando dal bagno alla cucina. Il suo cervello annaspava dolorosamente per risalire a un discreto livello di coscienza, ma fu evidente che c'era ancora lontano quando si accorse che aveva riempito il bollitore prima di registrare l'informazione che la porta sul retro, che dava sul patio, era spalancata. Questo gli fece riacquistare d'un balzo una buona dose di lucidità e, quando sentì il rumore di passi dietro a sé, si voltò agitando il bollitore di fronte all'intruso. L'uomo indietreggiò, evitando con facilità il contatto con quella che era solo una cascatella d'acqua uscita dal beccuccio. Poi si avvicinò e con la fronte sferrò un colpo a quella di Geordie, arrestandosi un attimo per vedere l'effetto, prima di mollargli un pugno feroce nella pancia scoperta e una ginocchiata in faccia quando si piegò in due dal dolore. Infine, camminò tranquillo intorno alla figura rannicchiata che vomitava, gli infilò una sedia da cucina dietro l'incavo delle ginocchia e lo spinse a sedere tirandolo per i capelli. Il sangue che usciva dal naso e dal sopracciglio tumefatto di Turnbull gli schizzava sulla pancia e sulle cosce nude. L'intruso prese della carta da cucina e gliela buttò nel grembo lordo di sangue. «Si soffi il naso, signor Turnbull» disse. «Credo ci sia qualcosa che lei mi vuole dire per liberarsi la coscienza. Quando si sente pronto, gradirei che ne parlassimo». III Il mattino di quel quarto giorno, anche Elizabeth Wulfstan si svegliò presto. Scivolò fuori dal letto e spalancò le tende della profonda finestra a ghigliottina, tuffandosi voluttuosamente nella luce che entrò nella stanza, in-
curante del fatto che era nuda e che la finestra dava direttamente su Holyclerk Street. Sia benedetta la luce gioiosa del mondo! Le parole si formarono sulle sue labbra ma non le pronunciò, e tanto meno le cantò. Sotto di lei la strada era vuota, non c'era nemmeno un lattaio a godersi lo spettacolo che stava offrendo. Non che il suo fosse un corpo voluttuoso secondo i canoni classici. Come cantante, lo sviluppo toracico era buono, ma i seni erano piccoli, da adolescente, e non c'era abbastanza carne a ricoprire i solchi tra le costole. A dire il vero, la cosa che avrebbe potuto maggiormente colpire la fantasia pruriginosa di un lattaio era la totale assenza di capelli e di peli pubici. Quello che invece colpì la sua attenzione furono due spazi nell'area di parcheggio per i residenti lungo il bordo della strada. In piedi, eseguendo una serie di esercizi di respirazione, controllò a destra e sinistra e non riuscì a vedere né la Discovery di Walter, né la Saab di Arne. Terminati gli esercizi, attraversò la stanza, aprì la porta e, con la stessa totale indifferenza alla possibilità di essere vista, percorse il corridoio per raggiungere il bagno. Qui si lavò i denti, poi fece dei delicati gargarismi con un colluttorio antisettico, risciacquò la bocca e ne esaminò l'interno umido e rosa con interesse critico. Ora cantò le parole, in un pianissimo. «Sia benedetta la luce gioiosa del mondo!». Infine, fece una doccia con l'acqua tiepida in modo da non creare troppo vapore, si asciugò strofinandosi con vigore e tornò nella sua stanza. Inger Sandel, in top e calzoncini corti, se ne stava seduta sul letto. Elizabeth non si fermò e andò verso la toeletta, si sedette e iniziò a truccarsi. Era un processo lento e delicato. La sua pelle era olivastra di natura, e ricoprirla del chiarore rosato che piaceva a lei richiedeva un lavoro meticoloso. Alla fine, soddisfatta del risultato, cercò nello specchio gli occhi dell'altra donna, poi girò lentamente lo sgabello e la guardò in faccia, dicendole in tono discorsivo: «Sei una lesbica attiva o ti piace solo stare a guardare?». Inger rispose: «Vuoi dire se sono una lesbica praticante? Sì». «Sempre stata? Scusa, è una domanda scema. Voglio dire, quando te ne sei accorta? Quando eri bambina o dopo?». «Da sempre».
«Quindi non ci hai mai provato con un uomo? Neanche con Arne?». Inger fece uno dei suoi rari sorrisi e disse: «Con Arne sì, ovvio. Una volta. Lui voleva farlo, io volevo lavorare con lui. Sembrava necessario e, tolto il pensiero, non ce n'è stato più bisogno. E tu?». «Non con Arne, proprio no». «Con qualcun altro?». «Un tutor, al college. Pensavo fosse meglio cercare di farla finita». «E?». «L'ho fatta finita». «Allora, non c'è stata una relazione, dopo, fra te e lui?». «No di certo». «Sei sicura di te stessa, vedo. Ma lui? Non ha voluto qualcosa di più?». «Be', ho lasciato sul cuscino una banconota da cinque e sono uscita presto. Suppongo che abbia colto il messaggio». Se mai le due donne avessero potuto scambiarsi un sorriso, quello era il momento giusto. Ma il momento passò. «Altre domande?», chiese Elizabeth. «Perché ti depili il pube?». «Per fare pendant con questo» disse Elizabeth dandosi un colpetto sul cranio pelato. «Ti eccita guardarmi, vero?». «È ... piacevole, sì». «Piacevole?». Si alzò in piedi, sbadigliò, si stiracchiò. «Be', non farti illusioni, carina». Infilò un paio di mutandine e fece scivolare una maglietta nera dalla testa, avendo cura di non toccare il viso. Poi tolse la parrucca bionda dal supporto, se la sistemò sulla testa e si studiò allo specchio della toilette. «Non stavo facendomi illusioni», disse Inger. «Meglio così. In certi posti è sempre mezzanotte, diceva babbo. Sicché, se non è stata la speranza di sedurmi a portarti qui, com'è che te ne stai spiattellata sul mio letto?». «È per i Kindertotenlieder. Sono d'accordo con gli altri. Penso che non dovresti cantarli». «Quali altri?». «Arne. Il poliziotto grasso. Walter». «Walter non ha detto niente». «Quando mai Walter ti contraddice? Ma vedo come reagisce quando li canti». «Oh, già. È un trucchetto utile mentre pesti sul pianoforte. Hai gli occhi
sulla nuca, per caso?». La donna sul letto non rispose e rimase lì seduta, immobile come una statua, il viso impassibile, guardando Elizabeth, che dava colpetti per assestare la parrucca già perfetta, senza battere ciglio. «Allora, cosa vuoi dirmi, Inger?» chiese infine. «Che andrai a suonare il piano da qualche altra parte?». «No. Tutti noi dobbiamo fare le nostre scelte. Io non sceglierò al tuo posto. Se canterai, ti accompagnerò». «Allora, tutto alla grande, no? Vieni giù a far colazione o cosa?». Senza aspettare risposta, lasciò la stanza e corse giù per le scale. In cucina, trovò la porta sul retro aperta e Chloe in piedi nel patio che beveva una tazza di caffè. Il giardino, lungo e stretto, limitato da arbusti nel pieno della crescita e ombreggiato sul fondo da un alto pero, mostrava ovunque i segni della siccità, con il rettangolo del prato coperto di crepe e del color ocra di un antico dipinto a olio. «'giorno» disse Elizabeth, accendendo il bollitore elettrico. «Hai fatto pipì a letto?». «Che bella idea. Se facessimo tutti pipì sul prato, credi che sarebbe d'aiuto?» disse Chloe. «Walter è uscito presto e mi ha svegliato, così mi sono alzata. Sono uscita sperando di vedere un po' di rugiada, ma anche quella sembra non esistere più». «Forse l'hanno messa fuori legge, come le pompe per innaffiare. Non proverei neanche a fare pipì. Facile che sia proibito anche quello». Chloe rientrò sorridendo. Tra loro non ci sarebbe mai stato quel rapporto speciale che esiste tra madre e figlia, ma a volte, quando erano sole, saltava fuori il loro legame di sangue dello Yorkshire, che le avvicinava in una familiarità concreta che non costituiva una minaccia per nessuna delle due. Ma altrettanto frequenti erano le volte in cui le sembrava di avere accolto in casa un alieno. «Ho parlato con Inger. Pensa che non dovrei cantare il ciclo di Mahler. Cosa ne pensi?», chiese all'improvviso Elizabeth. Chloe finse di bere dalla tazza vuota e si chiese come mai una persona così diretta riuscisse a essere anche tanto indecifrabile. «Perché ti interessa quello che penso io?», chiese senza sbilanciarsi. Elizabeth masticò una manciata di muesli, poi la trangugiò con del caffè nero. «Ha detto che Walter e Arne e quel poliziotto budellone pensano che non dovrei. Ma non ti ha nominato. Così, ho pensato di chiederti se quelle
canzoni ti danno noia». «Per Mary, intendi? La parte della mia mente che pensa a quello è da molto tempo fuori dalla portata di una semplice canzone», disse Chloe. «È quello che pensavo io» disse Elizabeth. «Ah, grazie, comunque». «Di cosa?». «Di avermi cresciuta». Chloe fece per spalancare la bocca simulando una sorpresa che non era del tutto finta. Prima che potesse dire qualunque cosa, la porta si aprì ed entrò Inger. Elizabeth finì il caffè, prese una manciata di acini d'uva fresca, disse: «Ci vediamo» e uscì. Inger disse: «Mangia abbastanza?». «Per una cantante, intendi?». «Per una donna. Stamattina l'ho vista nuda. Ha un'ossatura robusta, per cui non mi ero mai accorta della poca carne che c'è sopra. Una volta era anoressica, vero?». Un altro membro del partito dei diretti indecifrabili, pensò Chloe ironica. L'unico modo di rispondere era il silenzio, o essere diretti quanto loro. Si sedette e disse: «Quando Betsy era con noi da un po' di tempo, era ancora Betsy in quel periodo, le fu diagnosticata l'anoressia. Fu curata, con i farmaci e con una terapia psicologica. Sembrava si fosse rimessa». Ecco. Com'era facile essere totalmente franchi e allo stesso tempo non lasciar trapelare quasi niente! «Quindi è passata attraverso una fase abbastanza comune per le ragazze d'oggi, tu te ne sei accorta e l'hai fatta curare. Allora perché ti senti tanto in colpa?». Non lasciar trapelare quasi niente! Chi stava cercando di imbrogliare? Certo non questa donna dall'orecchio così sensibile, poco ma sicuro. Una volta aveva chiesto ad Arne cosa potesse scuotere Inger. Era un po' gelosa di lei, in quei giorni ormai lontani quando il giovane cantante l'aveva sorpresa portando il suo corpo a livelli di piacere ai quali, con Walter, non si era mai nemmeno avvicinata. Arne era scoppiato a ridere e le aveva detto: «Inger è gay, per cui è inutile che tu sia gelosa di lei, amor mio. Ma non sentirti nemmeno superiore, che, anche se tutte lo negano, è come si sentono le donne etero nei confronti delle lesbiche, pensando che non rappresentino una minaccia. Inger riesce a sentire più nel silenzio tra le note di quanto noi riusciamo a sentire nella musica stessa». Forse aveva sentito anche cose dette da Arne che non avrebbero dovuto
nemmeno essere pronunciate, o se non altro aveva ascoltato attentamente i silenzi tra le sue parole. Ironia della sorte, era stata la crisi con Betsy a riportare Arne nel suo letto. Dopo la scomparsa di Mary aveva interrotto la loro relazione per ragioni troppo incoerenti per meritare quel nome, ma che includevano il senso di autopunizione per la sua infedeltà e la repulsione nei confronti di tutto quello che poteva minacciare di diluire il suo dolore. Ma la crisi di Betsy era stata differente. Stavolta lei aveva bisogno di una via di fuga da se stessa, e l'aveva trovata nelle carezze e nella compagnia di Arne. Non riusciva a ricordare quanto avesse rivelato ad Arne dei suoi sentimenti. Ma, se lui ne aveva parlato con Inger, anche una piccola parte sarebbe stata probabilmente più che sufficiente. Perciò, adesso, perché fare tanto la difficile? Il cuore degli esseri umani può racchiudere solo una data quantità di sentimenti, e la sua caverna oscura era ormai colma. Disse: «Non ho mai voluto che Betsy venisse da noi, lo sai. Ci eravamo trasferiti al sud, e io avevo impiegato ogni grammo della mia forza di volontà per sbarrare la porta al passato e a Dendale, e ora mi ritrovavo questa bambina che minacciava di scoperchiare ancora tutto. Non mi è mai piaciuta, in realtà, era una bambina insipida, grassa e scura, e strana, anche; avvertivi una sensazione di disagio, ti giravi, ed eccola lì, che ti guardava, che aspettava che tu la notassi, poi chiedeva se Mary poteva uscire a giocare con lei. Davamo la colpa a sua madre, Lizzie, mia cugina, che era sempre stata ipersensibile e dopo la nascita di Besty era caduta in depressione post-parto, senza uscirne mai del tutto. Non molti si stupirono, credo, quando prese una dose eccessiva di sonnifero. L'inchiesta stabilì che poteva essere stato accidentale, ma penso volessero solo mitigare la cosa. Per Jack, il padre di Betsy, fu un colpo durissimo. Era il classico uomo dello Yorkshire con i piedi ben piantati per terra, duro come la roccia, avrebbe superato la faccenda, così pensavano tutti. Perciò, quando si annegò...». «Stavolta non ci furono dubbi?», chiese Inger. «Non molti vanno a nuotare con le tasche piene di sassi» disse Chloe. «Così, rimaneva Betsy. Undici anni e mezzo. Orfana di entrambi i genitori. Neanche un parente, a parte me». «Perciò l'hai presa con te?». Chloe scosse il capo. «Mi misi a letto. Urlai e strillai e versai ettolitri di lacrime ogni volta che
mi veniva prospettata la possibilità di farla venire a vivere da noi. Mi convinse Walter... no, non mi convinse... questo implicherebbe fare appello alla razionalità... ha solo lavorato su di me, sai, come il sole che ti scotta anche se ti sembra di essere protetta da uno spesso strato di nuvole? Bene, io mi sono protetta con le nuvole, ma Walter era sempre lassù, e continuava a scottarmi. E alla fine l'ha avuta vinta lui». «Pensi che avesse ragione?». «Certo che aveva ragione. La bambina aveva bisogno di una casa. E quando è arrivata, è stato molto più facile di quanto pensassi. Ben lungi dal cercare di aprire la porta che io avevo chiuso tanto faticosamente, la ragazzina non mostrava alcun desiderio di parlare dei suoi genitori, di Dendale, o comunque del passato. In effetti, parlava poco in assoluto, e sempre meno, man mano che il tempo passava, e io pensavo (ammesso che fossi in grado di pensare): oh, bene, anche lei ha sbarrato fuori il passato. E mi parve che potessimo convivere bene in questo comodo silenzio». «Era una bambina», disse Inger in un tono neutro che tuttavia sottintendeva un giudizio. «Lo so. Avrei dovuto... ma non l'ho fatto. Mi andava bene a quel modo. È vero, stava perdendo peso, ma a me piaceva così. A volte le dicevo di non mangiare tanti dolciumi e torte e così via, e pensavo che stesse uscendo dallo stadio del cucciolotto cicciottello, che stesse maturando». «Quanti anni aveva quando hai capito che avevate un problema?», chiese Inger. «Capito?» Chloe rise amaramente. «Io non l'ho mai capito. Una notte ci furono quelle urla orribili dal piano di sopra. Io corsi su e la trovai in bagno. La sua testa... Oddio, che disastro. Aveva deciso di diventare bionda, e aveva fatto una mistura micidiale con la polvere candeggiante... La spinsi sotto la doccia, le urlai di tenere gli occhi chiusi e la tenni là più a lungo di quello che avrei dovuto, perché per tutto il tempo che la trattenevo sentivo di fare una cosa giusta e non dovevo pensare in che cosa avevo sbagliato. Ma poi la portai in ospedale. La curarono, dissero che una parte del cuoio capelluto era danneggiata così in profondità che i suoi capelli sarebbero probabilmente caduti e ricresciuti a chiazze; ma non era questo a preoccuparli, bensì l'anoressia, e vollero sapere che cure stava facendo». «E tu non ne sapevi niente?». «Non lo so. Forse sì, nel profondo, ma non volevo farlo diventare un mio problema. Walter era stato via per un lungo viaggio, un paio di mesi. Forse lui se ne sarebbe accorto. Era più vicino a lei di quanto non lo fossi
io». «Non sembra così, adesso», disse Inger. «No?» Chloe sorrise tra sé. Forse la pianista, dopotutto, a forza di ascoltare silenzi, si perdeva parte delle note. «Ah, be'. Certamente allora doveva essere lampante. Fu seguita da una psichiatra infantile, la dottoressa Paula Appleby, penso tu ne abbia sentito parlare. Credo sia molto conosciuta. Walter vuole solo il meglio. La dottoressa Appleby seguì Betsy per diciotto mesi, forse due anni, non ricordo bene. Io mi tirai indietro e lasciai che si occupasse di tutto Walter. Adesso mi sento in colpa, certo, ma ancora una volta non volevo essere coinvolta. Avevo chiuso la porta su Dendale per tenere fuori tutto. Anche Betsy l'aveva fatto, ma sembrava ci si fosse chiusa dentro anche lei, e io non volevo avere nessuna parte nella riapertura. E quando la dottoressa Appleby mi disse che la faccenda dei capelli e dell'anoressia era il suo tentativo di trasformarsi da bambinetta cicciona e scura in bionda snella per diventare uguale a Mary e farsi amare da noi, mi sentii male. Ti sembro un mostro?». «Mi sembri una persona che aveva bisogno di aiuto tanto quanto Betsy. Mi sorprende che Walter non l'abbia capito». «Era troppo impegnato a far superare a Betsy la sua crisi. La dottoressa Appleby la faceva parlare del suo passato e volle che vedessimo le trascrizioni. Diceva che c'era un problema familiare, che ognuno di noi doveva sapere tutto degli altri. Io mi rifiutai di farlo, e non credo che avrei lasciato che mi persuadessero, poi saltò fuori che Betsy stessa aveva detto che non le importava che Walter li leggesse, ma non voleva che li leggessi io. Quando l'ho saputo è stata, credo, la prima volta in cui ho provato un briciolo di affetto per lei». «Perché ti proteggeva dal dolore?». «Era l'unica ragione che riuscivo a vedere. Dopo la terapia, quando Betsy tornò alla normalità, se possiamo usare questa parola, tutto ha cominciato ad andare meglio. Penso che entrambe sentissimo che, anche se lei non sarebbe mai potuta essere per me una vera figlia, c'era d'altro canto un legame di sangue che non poteva essere negato». «Ma a dispetto della sua normalità» disse Inger «ha continuato a stare a dieta e a indossare la parrucca bionda?». «I suoi capelli non crescono normalmente. Aveva bisogno di una parrucca. Mi chiese se mi disturbava vederla bionda. Risposi di no. Quanto alla dieta, continuavo a preoccuparmi e durante i pasti la tormentavo. Poi, un giorno, mi ha mostrato una tabella con tutti i valori delle calorie dei cibi
che mangiava, elaborata con molta attenzione, e mi ha detto: 'Non ha senso che mi riempia di torte e porcherie simili. Questo è quello che voglio mangiare, ed è abbastanza, e non correrò in bagno per mettermi un dito in gola e vomitare tutto. Per cui piantala di preoccuparti. Andrà tutto bene'. Dopo di che, smisi di preoccuparmi. Da allora iniziò a prendere seriamente il canto. Ha sempre avuto una bella voce, lo sai. In quel periodo mi disse che voleva scoprire se era abbastanza dotata per camparci sopra. E sempre in quel periodo abbiamo formalizzato l'adozione. L'abbiamo chiamata Elizabeth fin dall'inizio e, quando ha iniziato ad andare a scuola, è sembrato più semplice dire che si chiamava Wulfstan». «A lei non importava?». «Chi lo sa cosa frulla nella testa di Elizabeth? Ma non diceva nulla. E quando Walter ha suggerito di legalizzare il tutto, ci è sembrata contenta». «E tu?». «Mi era indifferente. In qualche modo, questo la vincolava meno al passato. Forse per questo avevo accettato volentieri la parrucca bionda e il cambiamento di corporatura. Tutto ciò che restava di Betsy Allgood di Dendale era ormai solo l'accento». «Ti disturbava?». «No, però pensavo che potesse crearle dei problemi, con le compagne di classe, voglio dire. E più tardi, quando fu cresciuta, una volta le suggerii di prendere lezioni di dizione. Lei mi disse 'Perché? Non c'è niente che non va nella mia voce, no?'. E in quel momento mi resi conto che stava parlando l'inglese perfetto dei giornalisti della BBC. Poi proseguì: 'Ma non mi vergognerò di chiacchierare con l'accento di mio padre e di mia madre, e se a qualcuno non garba può andare a farsi fottere'. È stata l'ultima volta che ho tirato fuori l'argomento». «Così siete diventate amiche». «Amiche è una parola troppo forte» disse Chloe. «Ma, come ti ho detto, abbiamo lo stesso sangue, e non si è obbligati ad andare sempre d'accordo con i propri parenti, non credi? Mi ha aiutato, penso. O forse è stato solo il tempo ad aiutarmi». «A guarire, vuoi dire?». «Non proprio. Come per il cuoio capelluto di Elizabeth, non c'è cura per quello che si è guastato dentro di me. Ma si impara a vivere portando la parrucca. Comunque, quattro anni fa, quando sembrava che Walter dovesse passare sempre più tempo sui cantieri che aveva qui, con mia grande sorpresa mi sono ritrovata a chiedergli: 'Non sarebbe più sensato se andas-
simo a vivere là?'. Anche lui è rimasto sbalordito. Mi ha detto: 'Sei sicura?'. E io, visto che dopotutto sono una donna, e noi dobbiamo acchiappare le occasioni al volo, ho risposto: 'Sì, ma solo se comperiamo una casa in zona campane'. Ed eccoci qui». «Non volevi vivere in campagna?». Il viso di Chloe si offuscò e lei disse dolcemente «No. Sono una ragazza nata e cresciuta in campagna, ma ora, quando attraversiamo la campagna vuota, non riesco nemmeno più a guardare fuori dai finestrini del treno o dell'automobile. Allora, è tutto, Inger? Ho soddisfatto la tua curiosità?». «Come per il sesso, solo fino alla prossima volta», rispose Inger. IV A Edgar Wield non sarebbe dispiaciuto restarsene a letto più del solito, quella mattina. Il giorno prima il suo senso di colpa l'aveva spinto ad alzarsi presto e il senso di colpa del Ciccione lo aveva fatto andare a letto tardi. Ma per andare in ospedale aveva saltato la sua visita mattutina a Monte, e saltarne un'altra avrebbe aggiunto ulteriori sensi di colpa, per cui scivolò fuori dal letto alla solita ora irragionevole ed empia (definizione di Edwin). Non tanto empia, comunque, visto che mentre gironzolava per il cortile della chiesa, il portone della chiesa si aprì e ne uscì il vicario, Larry Lillingstone. Un bell'uomo giovane, in tenuta molto poco clericale, maglietta e calzoncini corti, che lo faceva sembrare più un accolito del dio Apollo che un ecclesiastico anglicano. Wield fece scorrere uno sguardo d'apprezzamento sulle membra abbronzate, dicendo: «Buongiorno, Larry. È quello che si definisce cristianesimo muscolare?». «Sto solo andando a fare jogging» disse Lillingstone sorridendo. «Questa è veramente l'ora più bella della giornata. In mattine come questa, riesce difficile credere che il mondo stia andando a rotoli, vero?». Wield pensò ai Dacre che si sarebbero svegliati da un sonno indotto da qualche farmaco, ai Pascoe che continuavano la loro veglia disperata al capezzale di Rosie. Ma la gioia era stata rara e rinfrescante come la pioggia, in quegli ultimi giorni, perciò gli restituì il sorriso. «Verissimo. Specialmente se sei talmente fortunato da accalappiare un gioiellino come Kee Scudamore. Credo che il minimo sia farti le mie migliori congratulazioni». «Come caspita... Abbiamo deciso solo ieri e non l'abbiamo detto a nes-
suno...» poi Lillingstone scoppiò a ridere e continuò. «Ma cosa sto dicendo? Siamo a Enscombe! Già, Kee mi sposerà, e sono il più felice... Per tutti i diavoli!». L'empia giaculatoria fu provocata dalla discesa improvvisa, dai rami del vecchio tasso sotto il quale stavano parlando, di una piccola sagoma pelosa, che si aggrappò alla testa di Wield, borbottando suoni incomprensibili. «Ciao, Monte» disse Wield, prendendo in braccio la scimmietta con delicatezza. «Cosa c'è, vicario? Pensava che il maligno fosse venuto a farci una visitina?». «È strano come la mente possa tornare al Medioevo nei momenti di stress», ammise Lillingstone. «Niente paura. Ieri ho saltato la visita e lui è ovviamente convinto che la cosa non dovesse ripetersi, così è venuto a cercarmi, vero Monte?». «Be', certo che se lei fosse il secondo poliziotto scomparso di Enscombe, non ci sarebbe bisogno di creare una squadra di soccorso, no?», disse Lillingstone, riferendosi all'evento che aveva portato Wield a Enscombe per la prima volta. «No» disse Wield pensieroso. «No. Direi proprio di no. Mi scusi, vicario, ma credo sia meglio che vada al lavoro. Si goda la sua corsa. E tu, piccoletto, mangia le tue noccioline». Mettendo il sacchetto di mussola con le noccioline fra le zampette di Monte, lo sollevò depositandolo sui rami del tasso e lo osservò mentre volava da un ramo all'altro per raggiungere la sua casetta nel parco di Old Hall. Poi, con un cenno della mano che comprendeva la scimmia e l'uomo, se ne andò da dove era venuto. La prima persona che vide scendendo dalla motocicletta fu il sergente Clark, con il tipico atteggiamento di importanza di quello che sa più cose di te. «Super è nei paraggi?», chiese Wield. «Arrivato e ripartito», disse Clark. Wield attese, senza chiedere altro. «Non mi meraviglia che quel bastardo sia così bravo negli interrogatori» aveva osservato Dalziel una volta. «Una faccia come quella vale quanto mille domande intelligenti». «È andato a Bixford» disse Clark. «Stamattina dicevano che Geordie Turnbull è stato aggredito». Se si aspettava plateali esclamazioni di sorpresa, restò deluso. «Racconta», disse Wield impassibile. «L'auto di sorveglianza è passata presto da casa sua. Sembra che Super
abbia chiesto di marcare stretto Turnbull. Bene, il cancello principale era spalancato. Lo tengono sempre chiuso, salvo quando le macchine vanno avanti e indietro. Sono entrati a controllare e hanno trovato Turnbull che sembrava reduce da tre round con Tyson». Wield, che aborriva l'imprecisione in tutte le cose, chiese impaziente: «Cos'aveva, esattamente?». «Sembrava conciato peggio di quanto non fosse in realtà» ammise Clark con riluttanza. «Qualche taglio e il naso ammaccato, dicono. Turnbull stava cercando di rattopparsi e non voleva rendere ufficiale la faccenda. I ragazzi, però, hanno chiamato lo stesso». «Molto assennato da parte loro», disse Wield. «Allora, cosa ne pensi? Un sacco di tizi qui intorno quando lo abbiamo rilasciato andavano dicendo che la cosa migliore era tirargli fuori la verità a calci». «Spero che tu conosca i loro nomi allora, dato che probabilmente Dalziel vorrà fare due chiacchiere con loro» disse Wield in tono duro. «Una cosa è sicura: ammesso che quello fosse il loro scopo, adesso Turnbull si ritrova fuori dai guai». «In che senso?», chiese Clark, stupito. «Se lui avesse ammesso qualcosa, non l'avrebbero certamente lasciato lì a leccarsi le ferite, non trovi?» disse Wield. «C'è una cosa che puoi fare per me, Nobby. Quel veterinario di cui ho letto, Douglas, dove sta?». Clark glielo disse. Wield si rimise il casco e montò a cavalcioni della moto. «Non entri?» chiese Clark. «Cosa devo dire se qualcuno mi chiede dove sei?». Il sogghigno di Wield fu come una crepa nella roccia. «Digli che sono andato a vedere una persona a proposito di un cane». Nel frattempo Andy Dalziel era in piedi di fronte a Geordie Turnbull e sembrava quasi intenzionato a ricominciare dal punto in cui si era interrotto l'aggressore. «Non stai aiutando nessuno, Geordie, tanto meno te stesso. Potrebbe tornare. Per cui, perché non mi vuoi dire chi era e cosa cercava, che poi io lo vado a prendere?». «Gliel'ho detto, signor Dalziel. Non l'ho mai visto in faccia. Mi ha colpito, mi ha preso a calci come una furia, e poi se n'è andato». «Sei un fottuto bugiardo» disse Dalziel. «Ti saresti attaccato immediatamente al telefono, in quel caso. Ma ti sta talmente a cuore che tutto ri-
manga nel silenzio, che non ti sei neanche fatto medicare, per la fifa che qualcuno facesse rapporto. Quell'occhio ha bisogno di un paio di punti, direi. E il tuo naso dovrebbe essere raddrizzato per risistemarlo sopra la bocca...». «Sarà anche così, ma almeno io lo tengo fuori dagli affari degli altri», rispose Turnbull con un'impennata di spirito. «Penso che questi siano affari miei, Geordie» disse Dalziel. «Penso anche che questo abbia a che fare con le bambine scomparse». «Crede che se sapessi qualcosa di quella faccenda non glielo direi?» chiese Turnbull. «Ora, se mi vuole scusare, accetto il suo suggerimento e vado a farmi medicare. Visto che tutti qui sapranno ormai cosa mi è successo, preferisco evitargli la briga di inventare una scusa per venire a curiosare». «Lo scoprirò, prima o poi, Geordie, e tu lo sai», promise Dalziel. «Non ne dubito, signor Dalziel» disse Turnbull. «Ma, visto che potrebbe metterci altri quindici anni, nel frattempo non resterò certo con il fiato sospeso». Fu un colpo talmente basso, che nemmeno le difese adamantine del grande Andy Dalziel riuscirono a pararlo. Uscì diretto all'auto, guardando in alto, verso il sole che già infieriva con ferocia, come se stesse pensando di strapparlo via dal cielo. Ma l'occhio radioso di Dio gli sorrise con benevolenza, poiché sapeva che quella furia ferina altro non era che la tumefazione infiammata attorno alla profonda ferita della disperazione. L'occhio di Dio, che non fa distinzioni tra gli esseri umani, stava sorridendo radiosamente anche all'agente semplice Hector, in procinto di lasciare il distretto di polizia del Mid-Yorkshire per iniziare una lenta peregrinazione attraverso il centro della città. Il suo portamento non era quel che si definisce maestoso; in effetti, si muoveva come se fosse manovrato da un apprendista burattinaio che avesse ingarbugliato tutti i fili della marionetta. La metafora si adattava anche allo stato d'animo dei suoi superiori. Trovare una sistemazione idonea per un uomo così ricco di talento era stato difficile. Per un certo periodo il sano buonsenso aveva deciso che il benessere pubblico sarebbe stato salvaguardato tenendo Hector ben nascosto nelle viscere del palazzo, ad 'aiutarÈ con le archiviazioni. Poi, l'avvento dell'informatica aveva messo fine a tutto questo. Benché gli fosse stato esplicitamente proibito di toccare qualsiasi cosa presentasse interruttori,
pulsanti, luci o che emettesse qualunque tipo di ronzio, la mera presenza di Hector sembrava in qualche modo minacciare le normali funzioni delle apparecchiature elettroniche. «È un virus umano» aveva dichiarato il sergente responsabile. «Portatelo via di qui, altrimenti riuscirà ad arrivare alla stanza rossa del Pentagono nel giro di quindici giorni!». Un suo turno all'ingresso aveva procurato le lamentele del pubblico, che asseriva di ricevere un servizio migliore perfino dal Mid-Yorks Water. Infine, quando l'Evening Post sostenne una campagna locale per riportare i poliziotti di quartiere nelle città, basata su ricerche del dipartimento di Psicologia applicata dell'Università del Mid-Yorkshire, che dimostravano che la sagoma di cartone a grandezza naturale di un poliziotto sistemata nei supermercati riduceva della metà l'incidenza di piccoli furti, il capo del personale disse: «Bene, questa è la nostra occasione» e Hector fu reinserito nella comunità. Ma non senza qualche necessario dispositivo di sicurezza. Doveva chiamare con la radio ogni trenta minuti, altrimenti sarebbe partita immediatamente una volante alla sua ricerca. Se veniva richiesta la sua assistenza per qualcosa di più serio della domanda: 'Che ore sono?', doveva chiamare il controllo per ricevere istruzioni. Ma, soprattutto, gli era stato assolutamente proibito di fare qualsiasi tentativo per dirigere il traffico, visto che la sua ultima iniziativa in quel settore aveva provocato un tale ingorgo da far perdere il treno al capo della polizia. Ma quando quella mattina erano state distribuite le copie della fotografia ritoccata di Benny Lightfoot, Hector aveva preso la sua insieme al resto, registrando che stava ricevendo l'ordine di chiedere in giro se qualcuno l'aveva visto. L'ordine era, in effetti, indirizzato ai poliziotti sulle auto di pattuglia, i quali dovevano controllare soprattutto nei garage e nei distributori del distretto, nel caso in cui al camper fosse stato fatto rifornimento di carburante. Le inchieste porta a porta sarebbero state concentrate nella zona di Danby. Ma Hector, deliziato dall'assegnazione di un incarico per lui comprensibile, sbatteva la fotografia in faccia a tutti i passanti che incrociava, chiedendo «Ha visto quest'uomo?», ma di rado restando ad aspettare la risposta, poiché il suo occhio zelante ed entusiasta inseguiva già un altro possibile testimone, che se non si affrettava poteva sfuggirgli di mano. Fu perciò con una certa irritazione che si sentì picchiettare sulla spalla mentre sbarrava la strada a un ragazzo sullo skateboard. Si girò e si trovò a guardare la donna alla quale si era rivolto un attimo prima. «Che c'è?», chiese.
«Ho detto 'Sì'», disse lei. «Eh?». «Lei mi ha chiesto se ho visto quell'uomo e io le ho risposto di sì». «Oh». Aggrottò le sopracciglia, in parte perché era sconcertato, e in parte perché si era appena accorto che il ragazzo sullo skateboard ne aveva approfittato per svignarsela. «Bene» disse, «allora l'avrebbe visto?». «Mi sembra d'aver detto così, no?». Era innegabile. Lui disse: «Resti qui, per favore» e guardò la sua radio personale. Uno dei pulsanti era stato colorato di arancio fosforescente da un gentile sergente, che aveva anche provveduto a scrivere sul blocchetto per gli appunti di Hector: 'Premere il pulsante arancione brillante quando si vuole parlare'. Hector se lo ricordava, in effetti, ma controllò nel blocchetto per essere completamente sicuro. «Pronto?» disse. «Parla Hector. Passo». Possedeva anche una sigla di riconoscimento, ma nessuno era tanto pazzo da insistere su un particolare di così scarso rilievo. «Hector, sei in anticipo. Non devi fare il controllo adesso, ma tra dieci minuti». «Lo so. È per quella foto che mi avete dato. L'ho fatta vedere a una donna e lei dice che l'ha visto, questo qui. Cosa volete che faccia, adesso?». «La fo...? Hector, dove cavolo sei?». «Resti in linea». Girò lentamente la testa, cercando un riferimento che lo aiutasse a capire dov'era. La donna disse: «È a Bradgate. Possiamo sbrigarci? Farò tardi al lavoro». «Lei dice che siamo a Bradgate, sergente», disse Hector. «La signora è ancora lì con te, vero? Grazie a Dio. Resta lì, Hector. E qualunque cosa succeda, non fartela scappare, capito?». «Capito» disse Hector. «E come faccio a tenerla ferma?». «Sei un poliziotto, porca miseria!» sbraitò il sergente. «Tienila lì e basta!». «Capito», disse ancora Hector. Spense la radio e la rimise al suo posto con grande cura. Poi si girò verso la donna.
«Allora, cosa succede?», chiese lei. Lui disse: «Lei è in arresto. Ha il diritto di non parlare, ma io la devo avvisare che tutto quello che dirà potrà essere utilizzato contro di lei...». «Questa è una follia» disse la donna furiosa. «Io me ne vado!». E si girò per andarsene. Hector, con qualche difficoltà, estrasse il suo manganello nuovo di zecca e la rincorse. Fortunatamente, il primo colpo la mancò del tutto e la volante svoltò nella strada appena in tempo per impedire che Hector prendesse la mira per il secondo. I poliziotti di pattuglia fecero accomodare la donna sul sedile posteriore dell'auto e cercarono di calmarla, poi ascoltarono quello che aveva da dire. Lei terminò con: «E adesso devo andare a lavorare. Coi tagli nel personale siamo sottodimensionati, e se non vado a lavorare succede un casino». «Qualcuno del CID avrà bisogno di parlarle» disse l'autista della volante, «ma mi sembra di capire che sarà meglio che venga a trovarla sul lavoro, comunque. Andiamo pure». Attraverso il finestrino aperto Hector chiese: «Io cosa devo fare?». La donna glielo spiegò. «Io non sarei riuscito a spiegarmi meglio, bellezza!», disse il poliziotto, sogghignando apertamente mentre ripartiva. Quel mattino in cui tanti si erano alzati presto, Shirley Novello non si era svegliata in tempo. Cercando di recuperare, applicò solo quel filo di trucco necessario a toglierle l'aspetto di chi si è appena alzato dal letto e guidò verso il quartiere generale incurante dei limiti di velocità e delle norme più elementari di cortesia stradale, cosa che in un civile avrebbe trovato deplorevole. Quando parcheggiò l'automobile, era abbastanza sveglia per deprecare ciò che aveva fatto. Aveva guadagnato due minuti, al massimo. E per cosa? Dalziel e Wield e tutti i personaggi 'importanti' si trovavano sicuramente a Danby. Erano solo i soprannumero come lei che venivano tenuti lungo il perimetro dell'inchiesta, a fare i lavori domestici. Per lei c'era in serbo la possibilità di fare un altro tedioso viaggio a Sheffield, ammesso che la signora Lightfoot fosse vissuta abbastanza a lungo per essere interrogata. Anche se i grossi calibri erano lontani, non si sentiva ancora il bisogno di dare munizioni alle armi leggere. Aprì la porta della stanza del CID ed entrò, cercando di avere l'aria di
chi, nell'ultima mezz'ora, è stato a fare ricerche giù in archivio. Dennis Seymour alzò la testa dalla scrivania, la guardò e disse a bassa voce: «'giorno, Shirley. Sei splendida, oggi. Ma d'altronde perché non dovresti esserlo, visto tutto il sonno di bellezza che ti sei fatto?». Lei lo guardò storto, furiosa perché proprio lui, che considerava un amico, le puntava il dito contro. Poi, si rese improvvisamente conto che Seymour era l'unica persona presente nella stanza. «Dove sono tutti?», chiese. «Impegnati» disse lui. «Il mondo non si ferma solo perché tu stai dormendo. Sono tornati in scena tutti i nostri indiziati. Geordie Turnbull è stato aggredito e c'è stato un avvistamento sicuro di Benny Lightfoot a Dendale. Abbiamo addirittura una foto somigliante, grazie al nostro Toulouse-Lautrec». Lanciò a Novello una copia della foto aggiornata da Wield. Lei disse: «Vorrei averla avuta ieri, quando sono andata alla Wark House». «Mai sentito parlare del fax, detective?» chiese Seymour. «Oppure portala con te. Non dicevi che qualcuno dovrebbe parlare con la vecchia signora?». «Sì. L'avrei fatto io ieri, solo che stava proprio male». Doveva essere sembrata un po' sulla difensiva, perché Seymour le disse: «Ma sei convinta che un uomo duro e insensibile avrebbe insistito. Se stai pensando a un uomo estremamente grasso e insensibile, probabilmente hai ragione. Ma niente di male. Molto meglio fare due chiacchiere quando la vecchia signora è in grado di rispondere. Vanno su e giù come il gomito di un violinista, questi vecchietti... probabilmente, oggi sarà già lucida come un bottone». «Lo spero anch'io. Ad ogni modo invierò la foto per fax. Prima avremo delle conferme, meglio sarà». Scribacchiò un appunto per Billie Saltair chiedendole di mostrare la foto in allegato all'infermiera, Sally, e di osservare la sua reazione, se ci fosse stata; si informava anche sulle condizioni di salute della signora Lightfoot e sottolineava la necessità di un colloquio in tempi stretti. Persino il suo appunto era privo dell'assertività mascolina dei colleghi del CID, notò. Ma chissenefrega! Qualche suo collega maschio sarebbe stato ancora lì a riempire di domande Winifred Fleck! La risposta arrivò dieci minuti dopo. «Perfetto!» esclamò lei, leggendola mentre scorreva nell'apparecchio.
«L'immagine sputata dell'uomo che è andato a trovare la vecchia Agnes». «Un altro trionfo» la prese in giro Seymur. «Ti permetteranno di restare a letto tutto il giorno, se vai avanti così!». «Oh, merda», disse Novello, con il fax intero tra le mani. «Mi spiace. Non mi ero accorto che tu fossi tanto permalosa». «Non è per te. È per Agnes Lightfoot. È morta stanotte. Lo sapevo che avrei dovuto parlarle ieri!». «Ehi, cosa avrebbe potuto dirti che tu non sappia già?», chiese Seymour. «Adesso non lo saprò mai, che dici?», disse Novello con foga, afferrando il telefono e componendo il numero della Wark House. «Saltair» disse la voce roca della capoinfermiera. «È lei, detective Novello? Immaginavo che avrebbe telefonato». «Cos'è successo?». «La natura ha seguito il suo corso» disse Billie Saltair. «Era arrivato il suo momento. Penso che stesse aspettando un segnale, e il visitatore della settimana scorsa forse lo era». «Ha detto qualcosa, prima di morire?», chiese Novello, poco speranzosa. «Sì. Lo ha fatto, in effetti» disse la capoinfermiera. «Mi ha preso la mano, mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha detto: 'Io lo sapevo che sarebbe arrivato. Lo sapevo. Benny è tornato'. Poi è morta. Tutto qui. C'è altro che posso fare per lei?». Novello rifletté attentamente. «Sì» disse. «Se qualcuno telefona chiedendo di Agnes, non dica che è morta, ok? Dica solo che non sta per niente bene, anzi sta troppo male per poter parlare al telefono. Può farlo?». Ci fu una pausa, poi Saltair disse: «Sì, in questo caso penso di poterlo fare. Ma solo perché nessuno ha mai chiesto notizie di Agnes per tanti anni, per cui credo che la cosa non creerà problemi. C'è altro?». «Sì, penso sarebbe un'ottima idea se potessimo avere uno dei nostri lì da voi, nel caso in cui Benny arrivi di persona per fare due chiacchiere con sua nonna». «Va bene. Ma avete qualcuno abbastanza vecchio da non farsi notare?» «Vi manderemo un esperto in travestimenti. Grazie mille. E sono veramente dispiaciuta per la signora Lightfoot». «Anch'io. Succede di continuo, ma non ci si abitua mai. Saluti». Novello riattaccò. «Allora» disse Seymour «chi cavolo sarebbe l'esperto di travestimenti?». «Siamo solo in due, qui, e voi maschioni non dite sempre che mettere le
manette a un criminale giovane, in forma e pericoloso non è sicuramente lavoro da donne?». «Non ho mai detto niente del genere in tutta la mia vita» disse Seymour indignato. «Bernardette si fabbricherebbe le giarrettiere con le mie budella se solo pensasse che ho detto una cosa del genere». «Ok. Scusami. Ma qualcuno deve andare. Sono sicura che, se dovessimo rintracciare il Ciccione, ci darebbe il via libera. Ci sono un bel po' di buoni omaggio in ballo, Dennis». «Ne sono convinto. Allora, perché non corri a raccoglierli?» «Perché penso di doverne parlare con l'ispettore capo», disse triste Novello. «Pascoe? Ma è...». «Sì, lo so. Ma questa è la sua linea di inchiesta. Gli ho parlato ieri e mi è stato di grande aiuto. Devo metterlo al corrente delle novità e controllare se c'è qualcosa che sto tralasciando. Credo sia il caso di andare a parlargli di persona, stavolta». «Vuoi dire in ospedale?» Seymour fece un fischio e si alzò in piedi. «Hai ragione, lo riconosco, Shirley. A me è toccato il lavoro facile. Almeno in questi ospizi sono solo i vecchi a morire». V «Wieldy, che diavolo fai qui?», chiese Maggie Burroughs. Stava in piedi sul lato in ombra del caravan sul Ligg Common, bevendo una tazza di tè. Come per rispondere alla sua domanda, dal cesto fissato saldamente al sellino posteriore con delle cinghie arrivò un guaito acuto. «Questo è Tig, mia signora» disse lui. «Il cane di Lorraine. Il suo veterinario ha detto che sta abbastanza bene e può tornare a casa». «Pensi che i Dacre lo vorranno?» chiese Maggie Burroughs dubbiosa. «Ogni volta che lo guarderanno...». «Già, be'» disse Wield. «Non si può mai dire come la prenderanno le persone». «C'è sempre il rifugio del cane» disse Burroughs con la tipica indifferenza di chi non ama particolarmente gli animali. «Allora, perché te lo sei portato qui?». «Ho pensato che forse valeva la pena di portarmelo a fare un giro nella valle».
Lei lo osservò dubbiosa e disse: «Forse poteva essere una buona idea due giorni fa, ma non vedo che speranze puoi ancora avere dopo che uomini, cani e telecamere a infrarossi non sono approdati a nient'altro che a una pecora morta. Lo sai che la ricerca è stata declassata? Super è riuscito a ottenere una squadra di sub che si immergeranno nel bacino della diga. Val la pena di dare un'occhiata, suppongo. Ma da questa parte della valle siamo già a posto. Finito. Il caravan resterà un paio di giorni solo per dimostrare buona volontà, e forse far venire un'ispirazione a qualcuno. Ma finisce qui». Non penserà mica che le stia chiedendo il permesso? si domandò Wield. Tecnicamente era lei la responsabile della ricerca, questo era vero. Ma ormai non c'era più una ricerca per la quale dovesse sentirsi responsabile. «Allora pensi che non dovrei sprecare il mio tempo?», chiese lui. Era la vecchia tecnica del dammi un'alternativa o chiudi il becco. Ma Maggie Burroughs la conosceva bene e non ci cascò. Bevve una lunga sorsata di tè, poi gli rivolse un ampio sorriso. «Non spetta a me dire a quelli del reparto investigativo come passare il loro tempo» disse. «No, sergente, fai la tua passeggiata. Solo, sii gentile, mandami un resoconto scritto. Chiuderà il nostro rapporto sulla ricerca. Dimostrerà che abbiamo fatto tutto quello che dovevamo». Dimostrerà che tu hai fatto quello che potevi, pensò Wield, che non aveva dubbi, e nemmeno problemi, sulla portata delle ambizioni di Maggie Burroughs. Rispose: «Grazie, mia signora». Portò il motore su di giri e partì a tutta birra, sobbalzando sul terreno sconnesso che costeggiava il ruscello. Maggie Burroughs lo guardò andare via. Ai suoi occhi, una checca di mezza età che schizzava via su una moto d'epoca non era l'immagine del moderno poliziotto che avrebbe voluto trasmettere al pubblico. Ma era uno stretto collaboratore di Dalziel, e lei non credeva che inimicarsi uno dei favoriti del Ciccione fosse il modo migliore, per un funzionario ambizioso, di fare una sfolgorante carriera nelle forze di polizia del Mid-Yorkshire. Wield andò più veloce che poteva prima che il sentiero diventasse troppo scosceso e roccioso. Era quasi arrivato nel luogo in cui Tony Dacre aveva trovato Tig quella domenica mattina e, supponendo che l'animale, ferito e terrorizzato, si fosse diretto verso casa, l'aggressione doveva aver avuto luogo a monte rispetto a quel punto. «Forza, ragazzo. Passeggiatina», disse Wield. Per prima cosa infilò il guinzaglio alla bestiola, temendo che potesse
scappare. Ma quando il cane in questione non mostrò alcuna intenzione di fare altro se non trotterellare sul sentiero a lui familiare, con brevi soste per alzare la zampa o abbaiare a qualche uccello o farfalla, Wield corse il rischio di lasciarlo libero. Ora erano in alto sulla vallata, nel punto in cui essa si restringeva considerevolmente. A ovest sorgeva il lato scosceso e pieno di dirupi del Neb, mentre a est il terreno si inclinava più dolcemente verso la Highcross Moor di Danby. Qui il Ligg Beck attraversava un dirupo dalle pareti ripide, certo non il Grand Canyon, ma abbastanza profondo per rompersi qualche osso se ci si cadeva dentro. In periodi di piena, lì dovevano esserci state sottili cascatelle, ma quell'estate tutto ciò che rimaneva dell'acqua che nell'arco di più di mille anni aveva inciso quelle crepe nella roccia nuda era un rivolo d'acqua sul fondo, dove si piegavano le felci e il muschio si abbarbicava. Wield si concesse una breve sosta. Si era portato una bottiglia d'acqua, e dopo aver bevuto a grandi sorsi, ne versò un po' nel palmo della mano e fece bere il cane. Probabilmente Maggie Burroughs aveva ragione, pensò. Era una perdita di tempo. Peccato che, nella sua mente metodica, anche i risultati negativi dovessero essere riesaminati prima di archiviarli. Si era portato anche un binocolo da campo. Lo inforcò e, lentamente, esaminò la vallata. Nessun segno di vita, a eccezione di qualche pecora sparsa. Se si alzava in piedi, poteva riuscire a vedere bene i tetti di Danby. Appena più in basso era visibile, anche se confusa, l'Highcross Moor, ma appena sopra, le pieghe del terreno ne impedivano la vista, anche se distingueva il retro di una placca quadrata posta su un palo di ferro che, capì, doveva essere il cartello del divieto di buttare rifiuti nel punto panoramico sul quale la giovane Novello aveva nutrito tante speranze. Forse la sua teoria, dopotutto, non era così peregrina. Se lui riusciva a vedere il cartello così bene, chiunque fosse in quel punto, dotato di un binocolo, sarebbe stato facilmente in grado di cogliere l'arrivo sul sentiero di una bambina con il suo cane. Nella macchina di Turnbull non c'erano binocoli, ma ne aveva uno molto potente nel bungalow. Abbassò il binocolo e lasciò che l'occhio si adattasse alla scala reale del panorama. La discesa era ripida, ma non troppo, e perlopiù erbosa. Calcolò che un uomo poteva scendere di corsa in quattro o cinque minuti. Tornare su, portando un bambino in braccio, era tutt'altra faccenda. Ven-
ti minuti... probabilmente trenta, a seconda della forma fisica. Turnbull sembrava avere spalle abbastanza forti da portare la bambina, ma di quanto allenamento avrebbero avuto bisogno le sue gambe? E, comunque, era un rischio enorme. Ma vedendo la bambina sotto di lui, sola e vulnerabile, la mente malata di quel pazzo si sarebbe preoccupata dei rischi? Wield fu strappato dai suoi pensieri dall'abbaiare di Tig. Il suono sembrava provenire dalle viscere della terra, e il suo primo pensiero fu che quello sciocco animale fosse entrato nella tana di qualche coniglio. Poi si rese conto che il rumore proveniva dalla fenditura. Tig era da qualche parte lì sotto, e, da come abbaiava, sembrava aver trovato qualcosa. Scendere nel burrone si dimostrò abbastanza semplice. Uno stretto sentiero per le pecore scendeva di sbieco per il pendio, e non rappresentava un problema per un uomo in forma. Presto si ritrovò all'ombra, ma le sue speranze di sentire più fresco svanirono in un baleno. Era come scendere in un ammasso fangoso di aria bollente e, ciò che era peggio, l'aria era impregnata dell'odore della putrefazione. Cani, uomini, telecamere a infrarossi» non era possibile che non fossero passati di lì, pensò Wield. E in quel momento si accorse che ovviamente l'avevano fatto. Il sentiero correva sul fondo del burrone e risaliva sull'altro versante, finché veniva bloccato da un lastrone roccioso incastrato con un angolo di circa trenta gradi, e poi rigirava su se stesso e risaliva zigzagando il resto del pendio. Di traverso sul sentiero, accanto al lastrone, giacevano i resti di una pecora. Gli animali selvatici l'avevano sventrata, e c'erano ossa sparse per terra, staccate dal grosso della carcassa. A causa del caldo, il processo di putrefazione aveva ridotto rapidamente la carne in uno stato tale che nemmeno una volpe molto affamata l'avrebbe trovata appetibile, e il corpo era stato lasciato ai saccheggi delle mosche, che si alzavano come un drappo funebre sollevato dal vento ogni volta che Tig abbaiava. «Vieni via, ragazzo!», chiamò Wield. Il cane si girò, fece un paio di passi incerti verso di lui, poi tornò indietro. «Per l'amor del cielo, quel veterinario non ti ha dato da mangiare?» chiese il sergente. «Devi essere proprio disperato, per pensare di mettere il muso in quello schifo!». Tirò un profondo respiro e trattenne il fiato mentre attraversava il letto
del ruscello e saliva sull'altro lato, pensando di acchiappare Tig e continuare verso la cima. Il cane, nel sentire la stretta delle mani di Wield, si contorse e uggiolò quando lui lo sollevò e se lo portò al petto. Devi essere proprio disperato... le sue parole gli risuonarono nella testa. Si fermò e dovette rilasciare il fiato. Ma adesso il puzzo non lo infastidiva più, perché guardava il punto in cui giaceva la carcassa. Subito sopra di esso, il versante del burrone era quasi perpendicolare. Era facile capire come la pecora, avvicinatasi troppo al bordo per allungarsi a brucare quel po' di vegetazione non troppo secca che spuntava tra le rocce, potesse aver perso l'equilibrio e fosse caduta sul fondo, rompendosi la schiena. Ma sarebbe dovuta essere sul fondo del crepaccio, non certo a quell'angolatura del sentiero, che era una cornice larga non più di una quarantina di centimetri sul ripido pendio... Il cane si era assopito tra le sue braccia, come se sentisse di non essere più l'oggetto dei suoi rimproveri. Wield ritornò giù, al letto del ruscello. C'era una roccia con un ciuffetto di lana sopra e una macchia marrone che poteva essere sangue. Tornò a guardare in su, verso la carcassa. L'erba sulla sponda del ruscello ormai quasi interamente secco era leggermente appiattita, e alcune felci erano spezzate. Come se vi fosse stato trascinato qualcosa. E c'erano altre tracce di lana sulla discesa rocciosa vicino alla sponda. Posò a terra il cane e ritornò verso la carcassa. Il terreno era troppo roccioso per potervi seppellire qualcosa. Ma quel lastrone di roccia, il modo in cui giaceva a terra, là sotto forse poteva esserci spazio, nell'angolo che si era formato con la parete del burrone. Per vedere, doveva spostare la pecora. Nemmeno nell'eccitazione della caccia poteva prendere in considerazione di usare le mani per farlo. Trovò una scheggia di roccia larga e piatta che usò come badile e, cercando di reprimere i conati di vomito per il fetore insopportabile proprio davanti al suo naso, iniziò a far leva sotto il cadavere putrefatto per rimuoverlo dal lastrone. Quando fece pressione, la carcassa si disfece e cadde in tanti brandelli puzzolenti nel letto del ruscello. Le mosche si alzarono in una spirale fetida e ronzante attorno alla sua testa, che scosse come un torello infuriato. Tig, scansando gli ossi che cadevano verso il basso, si era ora rimesso in piedi e guardava la fessura che si era rivelata sotto il lastrone. Solo che la fessura non c'era più: era stata riempita di pietre, zolle di terreno e fasci di erica. Ma quel materiale non
era finito là da solo, e nemmeno poteva esservi cresciuto spontaneamente. Usando le mani, ora che toccava solo roccia e vegetazione, iniziò a scoprire il buco. All'improvviso, la sua mano toccò il vuoto. La ritirò. Il buco era largo a sufficienza per far passare una lepre. O un cane di piccola taglia. Prima che Wield potesse afferrarlo, Tig si era già buttato dentro, abbaiando forte per un istante; poi l'abbaiare si trasformò nel suono più terribile che Wield avesse mai udito, un piagnucolio quasi impercettibile. Wield cercò di procedere sistematicamente, ma nonostante ciò, si trovò a strappar via i residui rimanenti con una ferocia che gli faceva scendere rivoli di sudore sul viso e uscire sangue dalle unghie. Infine, si arrestò. Non aveva una torcia. Errore. Un uomo non deve mai andare da nessuna parte senza una corda, una lama tagliente e una torcia. Si inginocchiò sul sentiero, incurante del fatto che le sue ginocchia stavano toccando il terreno impregnato dei succhi della decomposizione. Cercò di tenere la testa un po' discosta dal buco, per permettere alla luce di entrare. E attese. All'inizio non riuscì a vedere altro che forme indistinte. Poi, gradualmente, appena i suoi occhi iniziarono a mettere a fuoco, vide che la luce lambiva dolcemente i contorni delle cose. Come immaginava, là sotto c'era uno spazio triangolare, più o meno come quello di una tenda, largo circa una settantina di centimetri, alto una novantina e profondo un metro e mezzo. Nel mezzo, una protuberanza, difficile da decifrare, forse perché la sua mente si rifiutava di farlo. La prima cosa che riuscì a riconoscere fu il luccichio degli occhi di Tig, e poi i suoi denti, quando le labbra si ritirarono in un ringhio silenzioso. Il cane era sdraiato di fianco a qualcosa. Wield si inginocchiò, stringendo gli occhi, finché, lentamente e inesorabilmente, fu costretto a vedere quello che da un paio di minuti aveva capito di aver trovato. Si alzò in piedi barcollando e frugò in tasca. Poteva non avere la torcia, ma non aveva dimenticato il cellulare. «Fermo, Tig», disse, senza che ce ne fosse bisogno. Poi, raccontando a se stesso che lo faceva per migliorare la ricezione, ma sapendo che in realtà voleva solo uscire da quel canyon scuro e malsano e rituffarsi nella luce splendente e nell'aria fresca, si arrampicò fuori dal crepaccio, schiacciò i tasti necessari e iniziò a parlare. VI
Il nome della donna era Jackie Tilney. Era sovrappeso, sovraccarica di lavoro, sopra i trenta e talmente seccata di aver dovuto raccontare la sua storia a tre diverse coppie di poliziotti, che si stava preparando a dire alla quarta di impiccarsi. Solo che questo quarto non era una coppia, anche se possedeva una quantità tale di ciccia da poterci plasmare due o tre sbirri normali, e se avesse seguito il suo consiglio temeva per le travi della biblioteca pubblica in cui lavorava. Così non ebbe altra alternativa che raccontare di nuovo tutta la storia. Aveva visto l'uomo della fotografia. E gli aveva anche parlato. E aveva l'accento australiano. «La prima volta è stata...». «Ferma lì. La prima volta?» chiese Dalziel. «Quante volte ci sono?». «Due» rispose lei. «I suoi servi non le riferiscono mai niente?». Dalziel la guardò pensieroso. A lui piacevano le donne floride e un po' altezzose. Poi gli venne in mente che con Cap Marvell si era conquistato il campione della categoria, sorrise teneramente e disse: «No, cocca, non spreco il mio tempo con i suggeritori quando posso andare dritto alla bocca della verità. Continui, per favore». Decidendo che da qualche parte in quella frase si nascondeva un complimento, Jackie Tilney proseguì. «La prima volta è stato venerdì scorso. È arrivato al banco e mi ha chiesto se avevamo qualcosa sulla costruzione della diga di Dendale. Gli ho detto che poteva guardare i giornali locali dell'epoca con il nostro sistema a microfiche. E anche questo libro». Gli mostrò il volume. Si chiamava L'allagamento di Dendale, era un volume quadrato, nemmeno tanto spesso. Se lo ricordava vagamente. Era stato scritto da uno dei giornalisti del Post e conteneva più fotografie che testo; era fondamentalmente una testimonianza del prima e del dopo. «Mi ha chiesto di fargli un paio di fotocopie» continuò la Tilney. «Di queste mappe». Gliele mostrò. Una rappresentava Dendale prima dell'allagamento, l'altra dopo. «Avete chiacchierato?». «Un po'. Era simpatico e gentile. Abbiamo parlato del tempo e cose simili, di come faceva più freddo a casa sua in questo periodo dell'anno e di come lui si era portato dietro tre impermeabili per il viaggio in Inghilterra perché tutti gli avevano detto che avrebbe piovuto per tutto il tempo».
«Stava cercando di corteggiarla, crede? Con una bella puledra come lei, la cosa non sorprende». «Dovrei sentirmi lusingata?» chiese lei. «No, non mi ha fatto avance, e la novità mi ha piacevolmente sorpreso. Il mondo è pieno di tipi che pensano che, solo perché stai dietro a un banco, tu sia merce in vendita. Ho avuto l'impressione che avesse altro per la testa, comunque». «Tipo?». «Senta, signore, sono troppo impegnata nel cercare di mandare avanti un sistema bibliotecario a corto di fondi e di personale per avere il tempo di affinare le mie facoltà psicologiche. Di sicuro non perderei tutto questo tempo con voi della polizia se non ci fosse di mezzo quella bambina scomparsa». «Be', cosa la fa pensare che ci sia un collegamento, cocca?». «Leggo il Post». Cercò la pagina e la spalancò di fronte a lui, mostrandogli un articolo che parlava dell'inchiesta, con foto di Lorraine Dacre e dei suoi genitori, degli Hardcastle e di Joe Telford, di Geordie Turnbull con il suo avvocato, e una foto dello stesso Dalziel, colto in quello che sembrava un momento di contemplazione religiosa. Con la sottigliezza e il gusto per i quali i giornalisti inglesi sono universalmente noti, l'editore aveva scelto di inserire nella pagina a fronte un servizio speciale sul Festival Musicale delle Valli del Mid-Yorkshire, dando grande rilievo al fatto che il concerto di apertura si teneva a Danby, e che sarebbero stati eseguiti i Canti dei bambini morti, interpretati da Elizabeth Wulfstan, che quindici anni prima, a Dendale, era stata l'ultima vittima, unica sopravvissuta, dell'aggressore ancora in libertà di tre bambine del posto. C'era una foto di Elizabeth a figura intera, l'espressione imperscrutabile, un primo piano di Walter Wulfstan che sembrava irritato, un mezzobusto di Inger Sandel seduta al piano con un'espressione annoiata, con Testa di Rapa appoggiato allo stesso piano, affascinante come sempre. Senza essere passibile di querela, l'effetto combinato delle due pagine mirava a suggerire l'idea che la polizia stava facendo gli stessi progressi di quindici anni prima. «Sembra che abbiate veramente bisogno di tutto l'aiuto possibile», disse Jackie Tilney. «Su questo non si discute,» disse Dalziel. «Allora, è stata la prima volta che l'ha visto. E la seconda?».
«Ieri pomeriggio è tornato. Ha ricontrollato i giornali. E poi ha consultato di nuovo il libro. Prendeva appunti. Dopo ho notato che aveva lasciato il tavolo dov'era seduto e ho pensato che se ne fosse andato. Ma poi l'ho visto qui, dietro questo scaffale». «E lì cosa ci tenete?», chiese Dalziel. «Gli annuari delle ditte, più che altro», disse Tilney. «Ah sì?». Dalziel si avvicinò a dare un'occhiata. Aveva ragione. Perché non avrebbe dovuto, poi? Tornò al banco. «E dopo?». «E dopo è andato. Doveva andare da qualche altra parte qui in città, credo. L'ho visto consultare una di quelle piante della città che distribuiscono all'Ufficio del Turismo. E questa è l'ultima volta che l'ho visto, fino a quando il vostro agente non mi ha sbattuto in faccia quella fotografia. A proposito, vi fidate a farlo andare in giro da solo? Quell'idiota mi è corso dietro col manganello!». «È un giovanotto un po' impulsivo» disse Dalziel. «Ma ha un sacco di buona volontà. Gli darò qualche consiglio paterno». Le fece un sorriso crudele, che suggeriva che il modello di padre che aveva in mente era Cronos. «Abbiamo finito?», chiese lei. Dalziel non rispose. Quando incappi in un testimone intelligente, non fartelo scappare finché non l'hai spremuto fino all'ultima goccia. Grande massima. Arrivò un agente in divisa, che non venne scoraggiato dallo sguardo da Gorgone di Dalziel. «Cosa?». «Deve chiamare Wield al caravan, signore». Il che significava: usi un telefono con la linea di terra e non il cellulare per maggiore sicurezza. Il che significava... Jackie Tilney disse: «C'è un telefono nel mio ufficio. Là starà più tranquillo». Dalla sua reazione aveva colto il suo dilemma. Ragazza perspicace. Entrò e compose il numero. Mezzo squillo e gli risposero. «Sono io», disse. «L'abbiamo trovata, signore». Il tono diceva: 'morta'. Razionalmente, aveva abbandonato da un pezzo la speranza di un esito differente, ma una stretta nel petto gli disse che il suo cuore, di nascosto, aveva vigilato. Chiese: «Dove?».
«Nella vallata». Proprio dove lui stesso, la notte precedente, aveva dato ordine di abbandonare le ricerche. Merda. Disse: «Arrivo. Hai fatto partire le cose?». Domanda superflua. «Sissignore». «Stai più abbottonato che puoi». Raccomandazione superflua, nata dalla sensazione che le cose gli sfuggissero di mano. «Sissignore». Riagganciò e tornò al banco. «Per adesso basta così, cocca» disse. «Grazie per l'aiuto». Gli occhi di lei gli dissero che il suo tentativo di assumere un tono casuale era miseramente fallito. Prese in mano il libro L'allagamento di Dendale. «Va bene se prendo in prestito questo?». «Se ha intenzione di pagare la cauzione, sì» disse lei. «Buona fortuna». «Grazie», rispose. Si affrettò a uscire dalla biblioteca. All'improvviso si sentiva pieno di energia. Il dolore per la conferma della morte della bambina c'era ancora, ma affiancato da un altro sentimento, meno lodevole e meglio nascosto agli altri, ma impossibile da nascondere a se stesso. Dopo quindici anni, aveva finalmente un cadavere. I cadaveri parlano. I corpi sono entrati in contatto con gli assassini nei loro momenti più disperati, frettolosi e irriflessivi. Le semplici sparizioni generavano pettegolezzi, false piste, miti e immaginazioni. Ma, un cadavere...! Magari si sarebbe odiato per questo, ma non riuscì a trattenersi dal fare un saltello mentre raggiungeva l'automobile. VII L'alba brillante di martedì non aveva fatto che sottolineare per contrasto il buio totale in cui si trovavano i Pascoe, ma quella di mercoledì portò un barlume di speranza. La dottoressa Curtis, il medico specialista, era ancora di parecchi watt lontana dall'ottimismo, ma quando disse: «Per un po', ieri, siamo stati vicini al fallimento, ma ora sembra più probabile che abbiamo solo toccato il fondo», Ellie non registrò neppure il condiscendente 'noi', ma si limitò ad abbracciare la donna imbarazzata.
Sapeva che non era ancora il momento di festeggiare. Rosie era tuttora in stato di incoscienza. Ma alla fine, almeno, la luce del sole aveva portato con sé la speranza di una speranza. E con la speranza, nella sua mente si creò un po' di spazio per mitigare la concentrazione fissa e incessante su un unico oggetto. A metà mattinata, Ellie era in bagno e si guardava criticamente allo specchio. Sembrava un rottame, ma era niente in confronto a Peter. Lui sembrava un rottame che ha subito altri due incidenti. Il che, pensò, non era neanche tanto lontano dalla realtà. Entrambi facevano il lavoro sbagliato, l'aveva pensato spesso. Lui avrebbe dovuto crogiolarsi ai margini della vita accademica, provando a cimentarsi nel romanzo introspettivo, portando Rosie avanti e indietro da scuola, mandando avanti la casa in modo decente... no, più che decente. Una volta che si era assunto il compito di stirare, lo aveva trovato che stirava perfino le mutande, per l'amor del cielo! Con Peter nel ruolo di casalinga, avrebbero avuto ogni notte lenzuola fresche di bucato. E lei? Avrebbe dovuto esserci lei fuori, sulle strade cattive, a tirar pugni e a pararli, passando da un caso al successivo, sfoggiando al massimo, ogni tanto, una piccola cicatrice già rimarginata, invece di quelle ferite profonde che continuano a lungo a provocare emorragie tutt'intorno all'osso anche dopo che la carne in superficie è apparentemente guarita. C'era un problema, però: sebbene lei e Peter avessero in comune grandi zone di coscienza sociale, l'impronta che la natura e/o la cultura le avevano dato la inducevano a considerare le forze di polizia come una cura dannosa quanto la malattia. Peter, d'altro canto, benché non fosse cieco nei confronti dei difetti del sistema, sentiva un impulso al dovere che gli veniva da dentro. Un piccolo Enea, pio e giusto, Italiam non sponte sequor e tutto il resto. E lei allora chi era?... Ulisse? Il grasso, materiale, astuto vecchio Ulisse? Ma no! Quello sembrava il ritratto di Andy Dalziel. Didone, allora. Andiamo! Si vedeva proprio a gettarsi su una pira per essere stata abbandonata. Elena? Ellie si studiò allo specchio. No, oggi no. Allora, chi? «Io. Io sono me stessa» disse allo specchio, muovendo le labbra senza emettere suono. «Che Dio mi aiuti». Quando ritornò in corsia, un'infermiera la raggiunse, dicendo: «Signora Pascoe, c'è una persona al telefono che cerca suo marito. Dice che è una collega, e che è molto importante». «Ah sì, eh?» rispose Ellie. «Questo lo vedremo». Andò al telefono e prese la cornetta.
«Pronto», disse. Ci fu silenzio, poi una voce femminile disse: «Stavo cercando di parlare con l'ispettore Pascoe...». «Sono la moglie». «Agente Novello, Shirley Novello. Buongiorno, signora Pascoe, mi è dispiaciuto tanto sapere... come sta la bambina?». «Tiene duro». Non era disposta a dividere la speranza di una speranza con una donna che aveva incontrato solo una volta, e brevemente. «Allora mi dica, agente Novello, cosa c'è di tanto importante?». Un altro silenzio, poi: «Volevo solo parlargli per un attimo... Guardi, mi spiace, è un momento terribile, lo so. Il problema è che qui c'è la linea d'inchiesta che ha iniziato lui, e sarebbe molto utile, per il modo in cui lui vede le cose... mi spiace... è davvero insensibile da parte mia, specialmente... davvero non c'è problema, signora Pascoe. Spero che la vostra bambina guarisca alla svelta». Voleva dire, specialmente perché è a proposito della bambina scomparsa a Danby, pensò Ellie. Questa era la donna che aveva chiamato ieri. Peter gliel'aveva accennato, provocando un'esplosione di indignazione di fronte a tanta grossolanità. Cosa aveva risposto Peter? 'Ha acceso una candela per Rosie'. Ellie non aveva tempo per la religione, ma non c'era niente di male a incoraggiare il destino con un pizzico di onesta magia all'antica. «Quella candela è ancora accesa?», domandò. «Come, scusi?». «Niente, non ci faccia caso. Cosa vuole di preciso, signorina Novello? Non speri di parlare con Peter prima di aver parlato con me». Cinque minuti più tardi rientrò in corsia. Pascoe guardò in su e disse: «Tutto tranquillo. Ehi, stai andando da qualche parte?». Ellie si era spazzolata i capelli e aveva sfruttato il suo trucco minimalista per ottenere il massimo risultato. «Non io, tu. Voglio che tu vada a casa, ti faccia un bel bagno, faccia un pisolino di un paio d'ore in un letto vero. No, non accetto discussioni. Vieni qui». Lo portò vicino alla finestra e aprì un'anta, in modo che il vetro diventasse uno specchio. «Lo vedi il rottame sfasciato di fianco a quella magnifica ragazza? Be', sei tu. Se Rosie apre gli occhi e vede te per primo, penserà di avere fatto
come Rip Van Winkle e di aver dormito vent'anni. Per cui, fila a casa. Dormi col cellulare sotto il cuscino. Al minimo cambiamento farò suonare il telefono finché ti svegli, lo giuro». «Ellie, no...». «Sì. E subito. Ti ho anche trovato un passaggio, quella simpatica ragazza del tuo ufficio ha chiamato... Shirley Novello, giusto? Ha detto che sarebbe lieta di accompagnarti a casa. Ti sta aspettando giù nel parcheggio». «Shirley? Ancora? Gesù...». «Sì, immagino che si tenga in contatto con lui. Ascolta, ha bisogno di una mano e a quanto pare è convinta che tu sia l'unico che gliela può dare, se ha il coraggio di cercarti anche qui. Forse è solo una fanatica, ma penso che in questo caso tu debba darle una mano, se puoi». Lui scosse il capo, non in gesto di diniego, ma di meraviglia. «Sei... impareggiabile», disse. «Oh, be'. Non vedo l'ora che tu ti metta in pari, quando sarà tutto finito» disse lei in tono leggero. «Adesso fila via». «Solo se mi prometti che quando torno farai come me». «Andare a zonzo con un agente? Stai scherzando? Va bene, va bene, te lo prometto». Si baciarono. Questo era, si rese conto, il primo contatto intimo non solo consolatorio che avevano da quando era iniziata quella storia. Lo guardò andar via, sperando che la sua teoria omeopatica funzionasse, se quella era la definizione giusta del fatto che l'aveva indotto ad affrontare il dolore di due genitori che avevano perso una figlia. No, non era la definizione esatta, si disse, girandosi per guardare Rosie. Loro non avrebbero perso la loro bambina. C'era una candela accesa per lei. E, come Didone, dopotutto, la sua mamma avrebbe anche potuto darsi fuoco come una candela, se fosse servito a qualcosa. «Buongiorno, signore». «Buongiorno a te, Shirley» disse Pascoe, entrando in macchina. «Gentile da parte tua portarmi a casa. Hai tutta la strada per riuscire a spiegarmi cosa vuoi da me». Novello pensò che, se si vuole vedere come sarà un uomo da vecchio, basta farlo stare al capezzale del figlio malato per un paio di notti. Ma rispondendo al discorsetto brioso, senza badare all'aspetto distrutto, iniziò con il riassunto che si era preparata, con wieldiana stringatezza e lucidità.
Lui non le fece complimenti. Invece, sembrò dedicarle scarsa attenzione, in apparenza più interessato al traffico gracchiante di voci che proveniva dalla radio dell'automobile che aveva lasciato accesa. Lei si sporse per spegnerla, ma lui le prese la mano e le disse: «No, lascia». Era la prima volta che avevano un contatto fisico e, in altre circostanze, con altri superiori, lei avrebbe sospettato che fosse un'avance e si sarebbe preparata per un'azione difensiva. Le tenne la mano per un secondo, poi lei dovette cambiare marcia e lui la lasciò. «Allora» disse lui. «Benny è stato avvistato a Dendale e nella Biblioteca Centrale da una testimone affidabile. Agnes ha prelevato del denaro dalla banca. E Geordie Turnbull è stato aggredito». Novello, che aveva incluso l'ultima informazione solo ai fini di una maggiore comprensione, disse: «Sì, ma sarà stato il solito svitato locale, tipo Jed Hardcastle, forse...». «Geordie Turnbull vive a Bixford da anni e non l'ha mai nascosto, a meno che non pensi che avere il proprio nome scritto a caratteri rossi cubitali su una flotta di bulldozer sia cercare di nascondere qualcosa. Perché aspettare così tanto?». «Per la scomparsa della bimba dei Dacre» disse Novello, con il tono di chi dice una cosa ovvia, e chiedendosi se fosse una buona idea. «È ricominciato tutto». Con sua sorpresa, Pascoe si mise a ridere. O comunque emise un suono che poteva lontanamente somigliare a una risata. «Shirley, devi toglierti dalla testa che ciò che è successo a quelle famiglie che hanno perso le figlie sia qualcosa che può ricominciare. È una condizione permanente, non ha importanza quanto a lungo sopravviveranno. È come perdere un braccio. Puoi imparare a vivere senza, ma non potrai mai imparare a vivere come se lo avessi ancora». Parlò con una foga che la turbò, e quando lui vide l'effetto che aveva ottenuto, fece un respiro profondo e cercò di rilassarsi. «Scusa» disse. «È solo che in un caso come questo si condivide il dramma degli altri solo se ha qualche relazione con il tuo, di dramma, o se serve a sottolinearlo. Quando ho saputo che Rosie era malata, il fatto che la bimba dei Dacre fosse sparita, probabilmente rapita, forse già morta, può non essermi uscito del tutto dalla mente, ma certo, a livello conscio, è stato spinto da parte. Una reazione iniziale del tutto comprensibile, pense-
rai. Forse. Il senso delle proporzioni poi ritorna. Ma non sarà mai più lo stesso. Io so che se fossi stato sul punto di acciuffare Benny o qualunque altro serial killer per la collottola, e qualcuno mi avesse detto: 'Rosie ha bisogno di te', l'avrei lasciato fuggire». Si rese conto che quel discorrere a ruota libera la turbava ancor più dello scatto di prima. Gli venne in mente quando, parecchio tempo prima, Dalziel il Ciccione, ubriaco, era arrivato vicino a parlargli del fallimento del suo matrimonio, e lui si era tirato indietro, rifiutandosi di sapere qualcosa che, forse, il suo superiore si sarebbe in seguito pentito di avere detto. «In altre parole, credo che l'aggressore di Turnbull non vada cercato nelle famiglie di Dendale. Dicevi che non ha voluto sporgere denuncia? Questo è interessante». «Sissignore» disse lei, conscia del fatto che la casa dei Pascoe era sempre più vicina. «Ma non sono molto coinvolta in questa parte dell'inchiesta, non più». Ma non hai dimenticato di essere stata proprio tu la prima a portarci da lui, pensò Pascoe, che aveva avvertito una punta di risentimento. Disse dolcemente: «Lo so che essere sballottata di qua e di là può essere penoso, a volte. Ma devi sempre guardare l'investigazione nel suo insieme. È quel che stanno facendo le persone che ti sembra ti stiano sbatacchiando a destra e sinistra. Non incazzarti, pensa alla promozione. Il signor Dalziel ha pensato fin dall'inizio che la scomparsa di Lorraine Dacre si ricollegasse con i fatti di Dendale di quindici anni fa. Io non ero d'accordo, ma più osservo come si sviluppano gli avvenimenti, più mi rendo conto che potrebbe aver ragione lui. Per cui, non devi creare collegamenti, ma nemmeno lasciarteli sfuggire». «Nossignore» disse Novello. «Tanto saltano sempre fuori, no? Ho letto il vecchio dossier. Si ricorda quella ragazzina, Betsy Allgood, quella che è scampata all'aggressione di Benny? Be', sembra che sia tornata anche lei!». Si allungò verso il sedile posteriore, prese il Post e lo buttò in grembo a Pascoe. Non è stata un'idea particolarmente intelligente, pensò, vedendo che impiegava due minuti buoni a studiare entrambe le pagine, quella sul caso e quella sul concerto. «Betsy Algood» mormorò. «C'era una foto, nel dossier. Non le assomiglia molto». «Si cresce, signore» disse lei. «Si comincia ad avere l'aspetto che vogliamo noi, non quello che desiderano i nostri genitori, come lei prima o
poi scoprirà». Le lanciò un'occhiata penetrante, poi sorrise per l'implicita rassicurazione. «Be', questo è certo un miglioramento» disse lui. «Se ben ricordo era piuttosto bruttina». Adesso fu lei a lanciargli uno sguardo acuto. Lui pensò: che dimostrazione di grossolanità, Pascoe... metterti a fare lo snob con le figlie degli altri. Ma la foto continuava a turbarlo. O meglio, le foto, perché mentre Betsy/Elizabeth, che aveva già visto, gli risultava del tutto sconosciuta, Walter Wulfstan, che non aveva mai visto, gli faceva squillare un campanello. Ma in fondo, perché no? Era uno dei dignitari del luogo, il tipo d'uomo che avrebbe potuto probabilmente vedere al tavolo dei vip in qualche occasione ufficiale alla quale era delegato a partecipare, quello che Dalziel chiamava 'il lato elegante e merdoso dell'essere poliziotti'. E c'era qualcos'altro che lo disturbava... Disse: «Accosta lì, ti spiace? Vicino a quella cabina telefonica». Lei obbedì, incuriosita, ma ebbe il buonsenso di restarsene seduta in silenzio mentre Pascoe ascoltava, aggrottando le sopracciglia, il traffico di comunicazioni alla radio. «Sta succedendo qualcosa», disse. Lei disse: «Non ho sentito niente, signore...». «No, non è qualcosa che stanno dicendo... solo... qui e là una pausa, un'inflessione... Forse sono fuori strada, ma fammi una cortesia, Shirley, controlla alla base operativa di Danby». «Va bene», disse lei estraendo il cellulare. «No» disse Pascoe, indicando la cabina telefonica. «Se è come penso, non ti diranno niente, a meno che tu non sia su una linea telefonica di terra». Lei arrossì per la sua ingenuità e scese dall'auto. Pascoe ristudiò il giornale, poi si girò per rimetterlo sul sedile posteriore. Novello aveva lo stesso atteggiamento di Ellie nei confronti dell'automobile, notò. Tieni libero il sedile del guidatore e usa il resto come un cestino mobile della spazzatura. Aggrottò le ciglia quando, in mezzo alla confusione, vide un paio di sacchetti di plastica per le prove. Cose come quelle andavano tenute chiuse nel bagagliaio fino al momento di consegnarle al laboratorio, il che andava fatto il più presto possibile. Raccolse i sacchetti e se li appoggiò in grembo. Entrambi recavano l'eti-
chetta che dichiarava che i contenuti erano stati esaminati dal laboratorio. Il sacchetto più grande conteneva un pacchetto di sigarette, due quotidiani della domenica e un pezzo di stoffa macchiato, il più piccolo una pila da macchina fotografica e un orecchino d'argento a forma di stiletto. Stava ancora osservando quest'ultimo sacchetto quando Novello risalì in macchina, ma le parole di lei ricacciarono nel fondo della sua mente ogni possibile domanda. «L'hanno trovata» disse la ragazza in tono piatto e controllato. «Ho parlato col signor Headingley. Non è stata ancora ufficialmente identificata, ma il sergente Wield sembra sicuro. Ha portato il suo cane giù, nella vallata...». «Vecchio Wieldy, più furbo del diavolo» disse Pascoe. «Non si spiega però perché nessun altro l'abbia trovata. Cani, immagini a infrarossi...». «C'era una pecora morta. Con questo clima...». «Vecchio assassino, più furbo del diavolo» disse Pascoe, cercando di tenere a distanza di sicurezza l'immagine della bimba morta. «Ancora niente sulle cause del decesso?». «Nossignore. La squadra scientifica si trova là insieme al medico, adesso. Questo fa a pezzi la mia trovata del rapimento». Anche lei cercava di far fronte alla situazione, seppellendo il corpo della bambina sotto un cumulo di astrazioni investigative. Pascoe disse: «Scommetto che Super è contento». «Signore?». La ragazza non poté nascondere l'indignazione. «Perché adesso ha un cadavere» disse Pascoe. «Aveva perso le speranze per la bambina già da molto. Penso addirittura dal momento in cui abbiamo saputo della sua scomparsa. Ma per stanare l'assassino ha bisogno di elementi concreti. Altrimenti è come prendere a pugni l'aria. Allora, c'è altro?». «Sì, Super ha riferito all'ispettore prima di andare su alla vallata». Riportò i risultati dell'interrogatorio svolto da Dalziel a Jackie Tilney, sorprendendo Pascoe con una descrizione ricca di particolari. «Devi avere parecchia influenza su George Headingley», le disse. L'ispettore apparteneva alla vecchia scuola di pensiero che riteneva che dire troppe cose agli agenti significa confonderli, e dire alle agenti donna qualunque cosa andasse al di là di quante zollette di zucchero mettere nel suo caffè fosse un totale spreco di fiato. «Gli ho detto che stavo seguendo le sue istruzioni, e lei desiderava un rapporto dettagliato. Le manda i suoi migliori auguri, comunque, per ... lo
sa...» «Sì, lo so» disse Pascoe. «Questo libro... L'allagamento di Dendale. Ellie ne ha una copia, da qualche parte. Si interessa alla storia locale, lei. Ma perché Benny avrebbe voluto consultarlo? E a cosa gli servono le fotocopie delle mappe? In fin dei conti, conosce la valle come il palmo della sua mano». «Questo quindici anni fa, prima che la valle venisse sommersa», disse Novello. «Con la siccità, è tornata ad assomigliare molto a com'era prima», obiettò Pascoe. «A parte il fatto che le case sono state tirate giù dai bulldozer», disse Novello, mettendo in moto la macchina e immettendosi sulla strada. «Suppongo di sì» disse Pascoe. «Senti, questi sacchetti per le prove...» Lei aveva notato che Pascoe teneva i sacchetti in grembo, e prevenne la ramanzina. «È tutto a posto, signore» disse. «Sono da buttare, non vanno conservati. È roba che ho trovato nel cestino della spazzatura del punto panoramico sull'Highcross Moor quando pensavo al rapimento. Il laboratorio non ha trovato niente, cosa che non mi sorprende, ora che la bambina è stata ritrovata nella valle. Devo buttarli via la prima volta che faccio pulizia in questa macchina». «Va bene», disse lui. Rimasero seduti in silenzio per il resto del viaggio. Non era stata l'idea migliore che avesse mai avuto, pensò Novello. D'altronde, cosa si aspettava? L'ultima volta era stato d'aiuto, probabilmente perché la sua mente aveva già fatto un paio di ipotetici passi in avanti prima di essere colpito dalla sua tragedia familiare. Ma da allora, come aveva riconosciuto lui stesso, aveva relegato il caso Dacre molto in basso nella scala delle sue priorità mentali. Quando arrivarono a casa di Pascoe, lui scese, tenendo ancora in mano i sacchetti di plastica. «Signore», disse lei, indicandoli. «Cosa c'è? Ah, sì. Li butterò io nella pattumiera, va bene? Senti, entra un attimo». Lo seguì in casa. Lui tirò dritto e salì le scale, lasciandola lì a chiedersi se dovesse seguirlo. Non che a lei interessasse quello che lui si aspettava. Giù, vicino alla porta aperta, era il posto giusto in cui stare. Pascoe non era un molestatore, né fisicamente, né a parole, ma gli uomini sotto stress pos-
sono comportarsi in modo strano, ed essere assalita da un superiore molto popolare con una figlia in pericolo di vita non l'avrebbe certo aiutata nella carriera. Pochi istanti dopo lui tornò giù con un libro stretto in mano. «Eccolo qui. Lo sapevo che ne avevamo una copia. L'allagamento di Dendale. Vediamo se riusciamo a capire cosa interessava tanto a Lightfoot». «Erano le mappe, signore. Lo sappiamo», disse lei paziente, con il tono della maestra d'asilo. Lui colse l'intonazione, le sorrise e disse: «Grazie, infermiera, ma quello è successo la prima volta. Le aveva fotocopiate. Allora, perché è ritornato a dare una seconda occhiata?». Pascoe andò in salotto, si sedette e iniziò a scorrere le pagine. Novello stava in piedi di fianco a lui, guardando da sopra la spalla. Era sicuro di avere già sfogliato il libro, prima di allora, ma, a parte la vista panoramica della valle che gli aveva mostrato la signora Shimmings, non riusciva a ricordarsi alcunché. In ogni caso, cosa avrebbe ricavato da un precedente esame? Adesso però aveva visto la valle com'era diventata, e aveva visto com'erano diventati molti dei suoi antichi abitanti, e quelle immagini riportavano in vita il passato come la sua immaginazione non avrebbe mai potuto fare senza alcun appiglio. Qui c'erano tutti gli edifici che lui conosceva solo come cumuli di macerie, a malapena distinguibili dalla pendice rocciosa sulla quale giacevano. Ecco Heck, una casa solida, quasi austera, anche con la luce del sole che pervadeva tutte le fotografie. Nessuno in vista, ma un'altalena per bambini appesa a una vecchia quercia nel giardino aveva le funi leggermente oblique, come se un piccolo corpo fosse appena saltato giù e scivolato via in silenzio. Ecco Hobholme, una di quelle vecchie fattorie cresciute in progressione lineare, con il fienile attaccato alla casa, l'ovile attaccato al fienile, il ricovero per gli agnelli attaccato all'ovile e così via, a seconda delle necessità che sorgevano al momento. C'era una donna, colta mentre camminava con aria decisa lungo la fila di edifici con un secchio in ciascuna mano. Nel giovane e delicato profilo Pascoe riconobbe senza difficoltà i lineamenti di Molly Hardcastle. Era intenta al suo lavoro, con lo stoicismo e il senso del dovere della moglie di un contadino, non esattamente felice, la mente forse occupata a paragonare le pesanti pretese del marito con gli approcci meno grossolani dell'agente Clark. Erano i sogni vani di una donna che nella vita
aveva sempre lavorato duramente? L'amore per i suoi tre bimbi piccoli, e forse il ricordo che, un tempo, anche Hardcastle le aveva dimostrato tenerezza, erano sufficienti a tenerla ancorata a Hobholme? O forse stava già considerando seriamente la possibilità di sfidare l'ira del marito e i pettegolezzi dei vicini per prendersi una pausa di felicità? Che si trattasse di sogni vani o di programmi concreti, come doveva essersi sentita quando si era resa conto del prezzo troppo alto pagato per entrambi, quando la piccola Jenny si era allontanata da sola dal laghetto dove gli altri facevano il bagno... Qualche pagina più avanti c'era lo Stang, con il capanno da carpentiere più grande del cottage imbiancato, il fumo che saliva dal camino per ricordare a chi guardasse che il fuoco era un compagno di lavoro indispensabile anche quando il sole era tanto caldo da cuocere le mele direttamente sull'albero. Fuori dal capanno si vedevano due uomini, nudi fino alla cintola, con rivoletti di sudore che scendevano dal petto e dagli avambracci. Uno con una sega tra le mani e l'altro con un'asse, sorridevano alla macchina fotografica, evidentemente felici di avere una scusa valida per godersi una pausa meritata. Tra i due si scorgeva una forte somiglianza. Uno senza dubbio era Joe Telford, l'altro suo fratello George, ma un occhio estraneo non avrebbe saputo distinguerli, cosa che adesso senza dubbio tutti riuscivano a fare. C'era anche la chiesa, St Luke, con una coppia appena sposata che ne usciva, tutta sorrisi e felicità; l'Holly Bush Inn, con avventori seduti all'aperto a gustarsi una bibita nel sole del tardo pomeriggio, in apparenza abituati ai piaceri dell'aria aperta come autentici contadini provenzali; Low Beulah, dove vivevano gli Allgood: ne stava uscendo un uomo magro dai capelli scuri, il viso color cuoio corrugato in una smorfia heathcliffiana, come in procinto di cantarle chiare, a quel fotografo. Ed ecco la scuola del villaggio. Pascoe sentì una stretta al cuore, e si accorse che Shirley Novello, di fianco a lui, si era irrigidita. Tutti i bambini della vallata erano lì, una ventina più o meno, messi in posa su tre file. I bambini della prima fila erano seduti a terra, quelli della seconda in ginocchio e quelli dell'ultima in piedi, con le insegnanti, la signora Winter e la signorina Lavery, ai due lati. Percorse le file con lo sguardo. Nel dossier aveva visto le fotografie delle bambine scomparse, e riconobbe, uno per uno, le testoline bionde e i visi sorridenti. Anche la scura e solenne Betsy Allgood era facilmente individuabile. E un altro viso che gli sembrava familiare, tra le bambine più alte
nell'ultima fila... fece il collegamento... quella doveva essere Elsie Coe, a dieci o undici anni: impossibile sbagliarsi per chiunque avesse visto la foto di sua figlia, Lorraine Dacre, diramata dalla polizia. La foto scolastica recava la didascalia: Sorridendo a un futuro luminoso, ma non a Dendale! No. Non a Dendale. C'erano altri paesaggi: il laghetto con qualcuno che vi nuotava, Beulah Height con il vecchio stabbio per le pecore costruito con le pietre appartenenti all'ancora più antico fortino, la White Mare's Tail in piena, il che significava che la foto era stata fatta prima delle altre, prima che arrivasse la siccità. Poi, arrivò alla seconda sezione, «L'allagamento», introdotta dall'epigrafe: Oh, colpo inatteso, peggiore della morte stessa! Ti devo dunque lasciare, Paradiso? Quelle che seguivano erano le fotografie della costruzione della diga e dell'abbandono della vallata. Ecco persone che stipavano i lori beni in furgoni o su rimorchi tirati da trattori. Ecco le pecore che venivano portate giù dal pendio da quel personaggio heathcliffiano che probabilmente era il signor Allgood, ecco il cortile della chiesa con le tombe spalancate e un vicario dall'espressione ansiosa che sorvegliava l'esumazione di una bara. Ecco l'Holly Bush con il proprietario intento a rimuovere l'insegna. Ecco un'aula, svuotata di bambini e banchi, con qualche disegno ancora appiccicato alle finestre quasi a testimoniare a cos'era adibito quel luogo. Ed ecco il municipio: un uomo ne usciva con le braccia cariche di faldoni e chiudeva la porta dietro di sé con un colpo d'anca. Quel viso era inconfondibile. Il sergente Wield. Anche la polizia aveva dovuto fare i bagagli, sebbene il testo non facesse alcun riferimento all'altra tragedia svoltasi a Dendale in quella lunga, calda estate. Forse era logico, dato il genere di libro. Le persone coinvolte nell'inchiesta non avevano bisogno di foto per ricordarsela. Pascoe continuò a sfogliare, chiedendosi che diavolo stesse cercando Benny Lightfoot, sempre ammesso che fosse lui, a parte le mappe. Nella prima sezione c'era una veduta da lontano di Neb Cottage, ma in questa ce n'era un'altra, più ravvicinata. Non era certo il tipo di istantanea sulla quale una persona che tornava nel luogo natio si sarebbe soffermata a lungo. Mostrava il cottage nel momento esatto della distruzione. Era una
fotografia drammatica, con la luce del tramonto che faceva risaltare ogni particolare. Una ruspa con la scritta TIPLAKE chiaramente leggibile sul braccio della pala stava sollevando un lato della costruzione simile a un rapace dinosauro; i muri stavano crollando come un animale colpito a morte e il fumaiolo del camino si era rotto nel timpano e pendeva all'indietro come una bocca spalancata per emettere un urlo angosciato di morte. Arrivò alla fine. La penultima foto mostrava il rilascio delle acque del Black Moss dall'Highcross Moor, sopra il valico tra il Neb e Beulah Height. Era una foto scura e lugubre, con il cielo gonfio di nuvoloni neri e l'aria densa dello scroscio di pioggia che aveva posto fine alla siccità. E l'ultima fotografia mostrava la nuova valle, illuminata dal sole ora, con il bacino pieno fino all'orlo; un'immagine di pace e tranquillità, ma priva di vita, come un sacrario militare. Alzò gli occhi verso Shirley Novello. Lei incontrò il suo sguardo speranzosa, ma, fu lieto di notare, senza particolari aspettative. Lui disse: «Va a trovare la nonna, fa una visita alla Biblioteca Centrale e si studia vecchi giornali e questo libro, si fa fotocopiare le mappe e si accampa a Dendale fino a ieri mattina, poi leva le tende e torna in città e in biblioteca. Questo lo sappiamo. Cosa vuoi sapere di più?». L'espressione di lei passò dalla vaga speranza alla perplessità. «Be', voglio sapere cosa sta combinando, voglio sapere perché...». «Sì» la interruppe lui. «Ma come mai vuoi sapere perché?». «Perché... perché...». Poi, all'improvviso le fu chiaro cosa intendeva. «Perché saperlo forse ci può aiutare a catturarlo prima, per capire il suo possibile coinvolgimento nell'omicidio di Lorraine Dacre», disse lei. «Giusto. Forse ci può aiutare a catturarlo. Francamente, è più probabile che lo acciuffiamo attraverso il suo camper, o perché torna da sua nonna a Wark House. Ci hai messo qualcuno, vero?». «Sissignore». «Allora, non ti scervellare su questa faccenda del detective brillante» le disse con voce stanca. «Essere curiosi va bene, ma arriva il momento in cui bisogna ricongiungersi alla squadra, anche se è solo per preparare del tè, d'accordo?». «Pensavo solo...». «Non c'è niente di male a pensare. Ecco. Dai un'occhiata tu stessa prima di andartene. Chiudi bene la porta, quando te ne vai. Non sbatterla, però, eh?». Si alzò e lasciò la stanza. Sentì che saliva di nuovo le scale.
Lei si sedette, aprì il libro a caso e si trovò a guardare la fotografia dell'abbattimento di Neb Cottage con la ruspa. Significativa o meno, era una foto sulla quale Benny Lightfoot si sarebbe soffermato, ne era sicura. Cercò di immaginare se stessa che guardava la foto della distruzione del seminterrato di periferia nel quale era cresciuta. Anche se non aveva niente della personalità di Neb Cottage, le avrebbe spezzato il cuore vedere le stanze dove si era sentita protetta ferite a morte e spalancate sul cielo. Ma Pascoe aveva ragione, pensò chiudendo il libro. Non bisognava confondere la curiosità oziosa con un buon lavoro di investigazione. Era ora di dirigersi verso Danby, vedere i nuovi incarichi assegnati dopo il ritrovamento del cadavere, tornare al gioco di squadra, anche se sarebbe finita regolarmente a preparare il tè... «'fanculo», disse a voce alta. Riaprì il libro. Lo riguardò. Andò ai piedi delle scale e chiamò: «Signore? È ancora sveglio?». Ci fu una pausa, poi la voce di Pascoe rispose: «Sì?». Salì le scale, dimentica dei dubbi di prima, e rimase in piedi vicino alla porta della camera da letto. Pascoe era seduto alla toeletta, sulla cui superficie aveva sparso quello che sembrava il contenuto di un portagioie. Si girò verso di lei e disse, irritato: «Che c'è?». «Ha una lente d'ingrandimento?», chiese lei. Si era quasi aspettata qualche battuta sarcastica su Sherlock Holmes, ma tutto quello che lui le disse, con impazienza, fu: «Scrivania. Cassetto a sinistra» e ritornò a concentrarsi sui ninnoli splendenti. Lei scese le scale, trovò la scrivania, trovò la lente e ritornò al libro. «Bingo», disse. «Ancora qui? Bene», Pascoe era in corridoio. «Signore, dia un'occhiata...». «Sì, sì, me ne parlerai in macchina. Ho bisogno di un passaggio in città». «Ma pensavo... La signora Pascoe mi ha detto...». «Riportami indietro». «Sissignore. All'ospedale, signore?». «No» disse lui. «Portami agli uffici della Mid-Yorkshire Water plc». VIII Il rapporto preliminare in loco del medico legale era breve. Il cranio della bambina era fratturato, il che costituiva probabilmente la causa del de-
cesso. Era completamente vestita e non c'erano segni evidenti di violenza sessuale. «Per particolari più precisi, bisognerà aspettare l'esame autoptico», concluse. Dalziel riconobbe questa concisione brutale: era una reazione molto comune alla morte di un bambino. Non si poteva escluderla da quelle zone della sensibilità che emergono in superficie nelle ore buie della notte, ma lì, e in quel momento, non c'era tempo per funeree meditazioni. «Bene. Portiamola via», disse. Una volta che il cadavere fu rimosso dalla camera di roccia, divenne chiaro che quello era il 'posto segreto' di cui avevano parlato le amiche di Lorraine. Una candela, qualche fumetto, una scatola contenente dei biscotti, con la scritta 'Rasioni di emmergensa', un osso di gomma con le impronte dei denti di Tig, tutto questo raccontava la storia. Si capiva che la bambina doveva essersi creata una barriera di erba e rametti, ma il cumulo di terriccio e pietre che Wield aveva rimosso era stato sicuramente ammassato lì dall'assassino. «Poi, ha trascinato il corpo della pecora dal fondo del burrone» disse Wield. «Questo è stato sufficiente a confondere i cani, come pure gli infrarossi. Tig sapeva dove venire, però. Non stava seguendo un odore. Lo sapeva». Il cane dovette essere fatto uscire da un addestratore di cani che indossava guanti protettivi, ma una volta fuori si lasciò mettere il guinzaglio da Wield e legare a un albero senza rimostranze. Si drizzò quando venne rimosso il cadavere, e guardò il contenitore per il corpo mentre veniva portato giù per il pendio fino al punto più vicino in cui un veicolo poteva arrivare. Poi si accucciò, come se sapesse che quella parte della sua vita si era conclusa. «Abbiamo bisogno di un'identificazione ufficiale», disse Dalziel. Traduzione: bisogna dirlo ai Dacre. Se nel loro cuore poteva brillare ancora una piccola scintilla di speranza, questa doveva essere spenta definitivamente. «Ci penso io», disse Wield. Entrambi sapevano che sarebbe stato compito di Dalziel. Ma le sue parole, il modo in cui le aveva pronunciate, erano la cosa più simile a una richiesta d'aiuto che potesse uscire dalla bocca del Ciccione. «È affar mio», disse, riluttante a confermare la sua debolezza. «Il suo lavoro è prendere il bastardo che ha fatto questo» disse Wield.
«Andrà a riferire questo ai genitori, quando l'avrà fatto». Non rimase ad aspettare la risposta, ma slegò Tig e scese per il sentiero con il cagnetto alle calcagna. Prima di scomparire dalla loro vista si voltò indietro una volta e vide Dalziel ancora là in piedi, che lo guardava allontanarsi. Sollevò una delle sue mani enormi all'altezza della spalla, in un gesto che avrebbe potuto sembrare di benedizione, ma che in realtà, Wield lo sapeva, era l'unico ringraziamento che sarebbe stato disposto a concedergli. Arrivato alla moto, si accorse che il cane era riluttante a entrare nel cesto fissato al sellino, ma quando Wield montò in sella e diede un colpetto con la mano sul serbatoio di fronte a lui, Tig saltò su disinvolto, come se avesse usato quella forma di trasporto fin dalla nascita. Per strada procedette a velocità ridotta. Che scopo c'era ad affrettarsi? Cercò di cancellare tutti i pensieri e si rilassò gustando le ventate di aria fresca sul viso, la sensazione delle curve e dei dossi che facevano guizzare la moto tra le sue gambe. Giù a Ligg Common, il terreno diventava più piatto. Superò il caravan della polizia, con l'ispettrice Burroughs in piedi che aspettava che lui si fermasse e la aggiornasse. Passò oltre senza nemmeno guardarla. E finalmente si arrestò di fronte al numero sette di Liggside. Ancora prima che spegnesse il motore, Tig balzò giù dal suo trespolo ed entrò come un proiettile dalla porta aperta, abbaiando. Oh, merda!, pensò Wield. Merda merda merda! Corse dietro all'animale, ma era già troppo tardi. Tony ed Elsie Dacre erano in piedi e guardavano verso la porta, gli occhi accesi di una disperata speranza all'arrivo rumoroso di Tig, che doveva avere tante volte annunciato il ritorno a casa di Lorraine. «Mi dispiace» disse Wield, confuso. «Mi dispiace». Si stava scusando per aver lasciato entrare il cane, ma le sue parole spiegarono tutto il resto. La donna urlò: «Oh no! Oh no!» e crollò in lacrime nelle braccia del marito. «Dove?... Come?...», disse l'uomo con voce strozzata. «Nella valle, a monte, nel punto in cui il ruscello attraversa quel burrone profondo» disse Wield. «L'ha trovata Tig». «Cosa è successo? Dov'è...». «Non si può dire niente di sicuro finché non hanno la possibilità di... Ma il dottore dice che era interamente vestita. Nessun segno di abuso». Era più di quanto fosse disposto a dire prima dell'autopsia, ma non pote-
va sedersi a guardare tutto quel dolore senza fare il poco che poteva per alleviarlo. «Dobbiamo chiedere a qualcuno di fare l'identificazione», continuò. La testa di Elsie si alzò di scatto. La speranza era una bestiaccia dura a morire, come uno scarafaggio. Puoi spiaccicarlo finché vuoi, lui continua sempre a muoversi. «Allora non è sicuro?», chiese con voce implorante. «Sì, è sicuro» rispose lui con dolcezza. «I vestiti che indossava. E avevamo la fotografia. Mi dispiace tanto. Senta, tornerò più tardi, mettetevi d'accordo tra voi. Avrete bisogno di un po' di tempo...». Si voltò e uscì, vergognandosi di provare un senso di sollievo nel lasciare quella stanza dove qualcosa era morto per sempre. Una donna stava entrando dalla porta principale. Era Margaret Coe, la madre di Elsie Dacre. Disse: «L'ho vista entrare. C'è qualche novità?». Wield annuì. «L'abbiamo trovata». «Oh, Cristo». Lo sorpassò ed entrò in salotto. Wield uscì. La luce del sole non gli era mai sembrata così crudele. Si sentiva addosso molti occhi. Li ignorò tutti e salì sulla moto. Tony Dacre uscì dalla casa con Tig in braccio. «Può portarlo con sé?» chiese. «Sarebbe troppo, averlo per casa. Ogni volta che abbaierà, ci sembrerà di... e comunque, mi sembra che si sia affezionato a lei... non dico abbandonarlo, lei mi capisce... ma solo che qualcuno si prenda cura di lui per un po'... ascolti, ci ha detto la verità, prima? Non le ha fatto niente?». «Per quello che hanno potuto stabilire senza un esame completo», disse Wield. «Be', è già qualcosa», disse Tony Dacre. Poi guardò il cielo azzurro intenso e scosse il capo pensieroso. «Non c'è niente di più buffo degli esseri umani, non trova? Eccomi qui, ho appena saputo che mia figlia è stata uccisa e sto cercando di trarre conforto dal fatto che non è stata violentata. Per l'amor di Dio, che razza di creature siamo, sergente? A cosa serviamo, tutti noi?». «Non lo so» disse Wield. «Davvero. Non lo so». Sistemò il cane davanti a sé e partì pensando: oh, bastardo, tu, brutto bastardo, chiunque tu sia. Hai ucciso tutti noi, perché hai ammazzato la fiducia che avevamo l'uno nell'altro, in noi stessi. Non siamo sconvolti dall'orrore per quello che hai fatto, siamo sconvolti per essere parte di quell'uma-
nità che ha creato la cosa schifosa che sei tu. Un rumore roco salì dalle sue gambe. Tig era crollato a dormire con la testa sulla coscia di Wield e stava russando. Che diavolo dirà Edwin quando ti vede? si chiese Wield. E poi, quando si rese conto della disinvoltura con cui era balzato dalla disperazione cosmica ai problemi domestici, non seppe se ridere o piangere. IX La metà della donna che emergeva dalla scrivania della reception della Mid-Yorkshire Water Company era bionda e cordiale, ma tanto implacabile nei confronti di coloro che cercavano di entrare nel mondo che si trovava dietro di lei, da far pensare che sotto nascondesse una muta di cerberi. Pascoe sembrava una preda facile. Negli ultimi due anni, essendosi moltiplicate le lamentele riguardanti l'inquinamento, la siccità, e le retribuzioni dei dirigenti, era diventata un'esperta nel respingere attacchi ben più violenti e furiosi di quanto non promettesse quella figura magra, pallida e scarruffata. «Mi dispiace, il signor Purlingstone non è disponibile, oggi. Se mi lascia il suo nome, vedrò di fargli sapere che lei è passato». «Gli dica che sono qui, subito. Pascoe, mi chiamo. Pascoe. Lei glielo dica e basta». Vide che muoveva la mano destra e avrebbe potuto giurare che stava per schiacciare il pulsante d'allarme. Con un sospiro, estrasse il distintivo. «Ispettore capo Pascoe. Glielo dica». La donna prese il ricevitore e, un attimo più tardi, Pascoe stava galleggiando verso l'ultimo piano in un ascensore profumato e inondato di musica. Quando la porta si aprì scorrendo, Purlingstone era lì ad aspettarlo. «Che c'è?» chiese. «Cos'è successo? Perché sei qui?». «Va tutto bene» disse Pascoe. «Non ha niente a che fare con Zandra. Davvero. Va tutto bene». Sentì un profondo senso di colpa. Non aveva ragionato a mente fredda, quando aveva deciso di andare lì a quel modo. Solo perché quell'uomo stava cercando di affrontare il suo trauma fuggendo dal suo epicentro per andare nel posto dove aveva ancora potere e controllo, non significava che non stesse soffrendo. E cos'altro poteva pensare all'arrivo improvviso di
Pascoe se non il peggio? I due uomini non avevano più parlato dopo il litigio, e quello, pensò Pascoe, non era il modo di gettare un ponte. «Derek» disse. «Mi dispiace. Avrei dovuto telefonare. All'ospedale è tutto a posto. Ti chiamerebbero direttamente, se c'è qualche cosa che non va, non credi?». L'appello alla logica sembrò funzionare, e la preoccupazione venne sostituita dal sospetto. «Va bene, allora che diavolo ci fai qui?», chiese Purlingstone. «Mi dispiace» ripeté Pascoe «Vorrei farti solo un paio di domande». «Parli proprio come un poliziotto», scattò Purlingstone. Era vero, pensò Pascoe. La sua frase sembrava presa da un telefilm poliziesco. Sì, e con ciò? Ognuno è quello che è. Chiese: «Dove vi siete fermati, domenica?». «Cosa?». «Rosie ha detto che vi siete fermati a fare un picnic sulla strada per il mare. Mi stavo chiedendo da che parte siete andati e dove...». Si fermò, non perché l'altro sembrasse arrabbiato, ma perché l'espressione infastidita stava visibilmente scomparendo per lasciare spazio a una sorta di diffidente pietà. Crede che abbia perso il cervello, pensò Pascoe. Crede che sia crollato completamente. Poteva essere una buona mossa usare quell'impressione sbagliata per guadagnarsi compassione e informazioni, ma non si sentiva di farlo. Quello che stava provando per sua figlia erano affari suoi, e non voleva comunicarlo a nessuno, a parte Ellie, e certo non utilizzarlo in una situazione del genere per ottenerne un vantaggio. Disse in tono tagliente: «Andiamo, è una domanda facile. Dove vi siete fermati per il picnic?». «Sulla strada della brughiera, fuori da Danby» replicò Purlingstone. «Preferisco fare quella strada, per andare sulla costa. È più lunga, ma si evita un sacco di traffico. Ma cosa c'entra? Non credo che riguardi la polizia... ma invece sì, vero? Dio santo, ma quanto riesci a essere insensibile, Pascoe?». Niente più compassione, ora, solo rabbia. «No, non proprio, cioè, in un certo senso, ma...», Pascoe balbettava per lo sforzo di offrire una spiegazione ed evitare un altro scontro. Dall'espressione di Purlingstone dedusse che non stava facendo passi avanti in nessu-
na delle due direzioni. «È solo che Rosie ha perso quella croce che portava al collo, be', non era proprio una croce, uno di quegli orecchini di Ellie a forma di stiletto, veramente, e uno dei miei agenti l'ha trovato in un bidone della spazzatura, e mi chiedevo come... È, vedi... ho controllato... Voglio dire, probabilmente è una pura coincidenza, ma...». Un telefono stava suonando in una stanza alle spalle di Purlingstone. Il suono si interruppe e una giovane donna uscì dalla stanza. «Derek», disse in tono urgente. «Cosa c'è?». «Scusami, ma è l'ospedale. Chiedono se puoi andare là immediatamente». «Oh, Cristo». I due uomini si guardarono disperati, ognuno sperando che l'altro gli desse una rassicurazione che non poteva offrirgli. Pascoe stava pensando che forse lo avevano chiamato a casa, e che lui non c'era, e che aveva il cellulare spento... Chiese: «Mi dai un passaggio? Per favore». «Vieni». Ignorando l'ascensore, i due uomini si lanciarono insieme giù per le scale. Avrebbero potuto chiamare dall'auto, ma non lo fecero. Il dolore dell'ignoranza può aver termine. Il dolore della consapevolezza è per sempre. Quando entrarono nella sala d'attesa e videro le due donne che si sorreggevano a vicenda, capirono che era successo qualcosa di tremendo. Alla vista del marito, Jill Purlingstone si liberò e si precipitò tra le sue braccia. «Cos'è successo?», chiese Pascoe, andando da Ellie. «Esattamente non lo so, ma butta proprio male», disse Ellie a voce bassa. «Oh Cristo, ma stava andando così bene. Non sarei mai dovuto andare via...». «Non Rosie» gli disse Ellie in un orecchio. «Lei procede bene. È Zandra». Per un attimo, il sollievo fu così intenso che sarebbe scoppiato a ridere forte. Poi, il suo sguardo cadde sull'altra coppia, serrata in un abbraccio che sembrava un tentativo di soffocare ogni sensazione, e si vergognò per la gioia provata.
«Devo andare a chiedere se sanno qualcosa?», chiese a Ellie, la voce bassa come quella di lei. «No. Dicono che faranno sapere a Jill appena c'è qualcosa di nuovo». La porta si aprì. La signora Curtis, la pediatra, entrò. Ignorando i Pascoe, si diresse verso i Purlingstone, che si staccarono come due amanti sorpresi in flagrante. Solo le loro mani rimasero intrecciate. «Per favore» disse la consulente. «Possiamo sederci?». «Oddio», sussurrò Ellie, perché la voce della donna aveva il suono della fine, chiaro come i rintocchi di una campana a morto. Pascoe la prese per un braccio e la trascinò fuori dalla stanza senza che opponesse resistenza. Nel corridoio Ellie lo guardò implorante, come sperando che la contraddicesse, ma lui non poteva. Il silenzio che si era diffuso per i reparti e lo sguardo fisso di due infermiere che li oltrepassarono tranquillamente confermò ciò che avevano già intuito. Ellie si girò verso la porta, ma Pascoe la strinse più forte. «Jill ha bisogno di me», disse con fierezza. «No» disse lui. «Siamo le ultime persone al mondo che quei due hanno voglia di vedere, in questo momento». Dalla sala d'aspetto, una voce - poteva essere maschile o femminile - urlò: «Perché?». Era il grido universale della perdita; ma conteneva una domanda particolare: «Perché la mia bambina? Perché non quella di qualcun altro?». Ellie capì e smise di divincolarsi. «Andiamo a vedere Rosie», disse Pascoe. Trovarono l'infermiera di guardia piena di eccitazione. «Ha aperto gli occhi proprio adesso. Penso stia cominciando a svegliarsi» disse. «Le ho parlato, ma lei vuole sentire le vostre voci». Si misero ognuno a un lato del letto, chini sulla piccola figura immobile della loro figlia. Ellie cercò di parlare, ma troppe emozioni contrastanti le attanagliavano la gola. Pascoe disse: «Rosie, tesoro. Vieni, adesso. Sono papà. È ora di svegliarsi. È ora di svegliarsi». Nell'oscura caverna, il nix ha fatto la sua mossa. Niente inseguimento intorno alla pozza, stavolta; invece la attraversa di corsa, spruzzando intorno a sé l'acqua scura, così da formare due solchi come l'acqua nella vasca delle montagne russe, al parco divertimenti, quando il vagoncino scende stre-
pitando. Colte di sorpresa, Rosie e l'amica si separano e fuggono una a sinistra e una a destra. L'aria si riempie di rumori, il ruggito bestiale del nix, le strida del pipistrello che scendono a spirale, le grida delle due bambine, e qualcos'altro, una voce, la voce di suo padre, che chiama il nome di Rosie. Correndo ha girato intorno alla pozza fino a trovarsi vicino all'imboccatura del tunnel. Qui la voce è più chiara. Guarda in direzione della luce, poi si gira per vedere dov'è il nix. È tornato sulla riva opposta della pozza. Ha gettato per terra l'altra bambina e le sta sopra. I capelli le ricadono sul viso, così che Rosie non riesce a vedere altro che gli occhi, che possono essere di Nina, o di Zandra, o di qualche altra bambina, e la guardano pieni di paura, imploranti, e lei, per un istante, esita. Poi, ecco, ancora la voce di suo padre: «Andiamo, Rosie, è ora di svegliarsi!». E lei si gira, ora, si lascia la caverna alle spalle, e la pozza e il mondo buio del nix, e corre fuori, nella galleria, verso la luce. X Shirley Novello non era brava a dire bugie. Durante l'infanzia, l'influenza dei genitori e della religione le avevano inculcato il valore supremo della verità. I suoi genitori avevano creduto, o avevano finto di credere, a tutto quello che lei diceva. All'inizio era sembrato divertente. Potevi mangiare il gelato e dopo dire che eri inciampata e caduta sulla sabbia, e loro ti davano i soldi per comperarne un altro. Oppure potevi dare la colpa al fratellino piccolo per qualche pasticcio che avevi combinato, poi sederti comoda a guardare mentre lui si prendeva una bella sculacciata. Sembrava semplice conciliare tutto ciò con una prassi di assoluta verità applicata in confessionale, che lei accettava senza fare domande. Dopotutto, che ragione c'era di mentire a Dio, che sapeva tutto, e soprattutto visto che confessando tutte le bugie dette a casa riusciva a ottenere la completa assoluzione? Poi, un giorno, dopo la confessione, il prete le aveva chiesto: «Perché diciamo a Dio la verità, Shirley?». E lei aveva risposto: «Perché lui sa se gli diciamo le bugie». E lui aveva risposto: «No, non è questa la ragione. È perché diamo un dolore alle persone che amiamo, quando sanno che abbiamo mentito loro».
Tutto lì. Ma Shirley sapeva che lui stava parlando della sua mamma e del suo babbo. E fu la fine delle sue bugie. Ad eccezione, ovviamente, di quelle assolutamente necessarie. L'adolescenza le aveva insegnato che la verità non era sempre un'opzione, lezione ribadita con forza ancor maggiore dal lavoro nella polizia, dove si passava fin troppo tempo sulle piste scivolose del 'fine giustifica i mezzi'. E con i colleghi quasi quanto con i criminali. «Fammi capire bene» disse l'ispettore Headingley. «L'ispettore capo ti ha dato l'incarico di controllare Geordie Turnbull?». «Sissignore». Trovando Headingley responsabile di turno della base operativa di Danby quando era tornata a fare rapporto, era stata fortunata e sfortunata allo stesso tempo. Pur essendo il meno disponibile tra i suoi capi ad autorizzarla a 'puttaneggiare in giro' (espressione che usava per entrambi i sessi) su una propria linea d'inchiesta, era però altrettanto restio a mettere in discussione l'affermata autorità di un superiore. «Lo vedi spesso, il signor Pascoe», osservò. «Super mi ha affidato alcune parti dell'inchiesta che seguiva l'ispettore capo, e ora che all'ospedale le cose stanno andando un po' meglio, lui vuole assicurarsi che io stia facendo un buon lavoro, signore». Headingley annuì, approvando. Questo poteva capirlo. Persino nei momenti di profonda crisi personale, qualunque funzionario del CID che si rispetti vuole tenere gli occhi ben aperti su qualunque femmina con la testa vuota che metta le sue grinfie laccate sul suo... la metafora gli sfuggì di mano, ma sapeva ben lui cosa intendeva... «A posto» disse. «Lo scrivo sul registro, incarico dell'ispettore capo. E non metterci tutto il giorno». Ma tutto il giorno sembrava proprio quello che ci avrebbe messo, e ogni istante che passava rendeva più probabile il fatto che avrebbe dovuto fornire spiegazioni di persona, nella migliore delle ipotesi a Wield, nella peggiore al Ciccione. La verità sul suo 'incarico', che per chiudere la bocca a Headingley aveva liquidato tanto frettolosamente, era che Pascoe l'aveva ascoltata, o ascoltata solo a metà, quando gli aveva detto che, ispirata dal nome TIPLAKE sulla ruspa nella foto del Neb Cottage, aveva esaminato attentamente il guidatore con la lente d'ingrandimento ed era assolutamente certa di poterlo identificare come Geordie Turnbull. A quel punto Pascoe aveva chiesto: «E allora?».
Ottima domanda, ma aveva sperato che fosse lui a rispondere. Non che lei non fosse disposta a fornire un suggerimento. «Be', Benny lo conosceva, non pensa? Voglio dire, è rimasto in giro per la vallata tutta l'estate. E suppongo che la ragione per cui Benny è tornato sia per riabilitare il suo nome... Sì, potrebbe essere. Benny è innocente e sta cercando di scoprire chi è stato, si ricorda che Turnbull era stato interrogato, e viene a sapere dai giornali che lo stanno interrogando anche questa volta... poi lo vede in quella foto, e sulla ruspa c'è scritto il nome della ditta, il vecchio nome, dico, Tiplake. Allora Lightfoot controlla sull'annuario delle aziende in biblioteca e trova l'indirizzo, solo che adesso è Turnbull, ovviamente...». «E stamattina va da Geordie per cercare di tirargli fuori la verità a suon di pugni», aveva concluso Pascoe per lei, evitando di scoppiare a ridere. Anche se la sua situazione presente non gli aveva tolto del tutto il senso dell'umorismo, probabilmente non l'avrebbe messa in ridicolo apertamente. Ma l'espressione seria e il tono non nascondevano il fatto che lei si stava rendendo ridicola. «È possibile», aveva detto lei fiaccamente. «Se ha letto quello che è stato scritto di Turnbull sui giornali locali di questa settimana, perché avrebbe avuto bisogno di andare in giro a frugare tra gli annuari delle aziende?» aveva chiesto Pascoe. «Trovarlo non sarebbe stato un problema, dopo aver letto tutte quelle notizie». Anche se in parte credeva alla sua ipotesi, riusciva a vedere tutte le crepe che vi si formavano, aveva pensato amaramente lei. «Nossignore», aveva risposto, cercando di non parlare come un bambino con il broncio. «Allora, quale pensi che possa essere la prossima mossa?», aveva chiesto Pascoe in tono cortese. Erano arrivati al palazzo della Water Company e lei aveva fermato l'automobile di fronte all'entrata principale. «Be', pensavo che magari, un'occhiata a Turnbull potrebbe essere una buona mossa», aveva detto, in mancanza di un'ispirazione migliore. «In caso Lightfoot torni e provi a vedere cosa succede a dargli un'altra ripassatina?». Stavolta, lui era riuscito a farle un debole sorriso e lei, con grande sforzo, l'aveva ricambiato. «Sì, be', adesso che ci penso, non sembra più tanto credibile». Lui aveva aperto la portiera dell'automobile.
«Allora, perché non farlo?», chiese. «Scusi?». «Tener d'occhio Geordie». «Ma lei ha detto... Pensavo che lei avesse detto...». Era tempo di parlar chiaro, non ne poteva più di andare con i piedi di piombo in nome della prudenza. «Lei ha detto... non con queste parole... ma quello che intendeva dire era che era un'idea assolutamente idiota!». Lui era uscito, aveva chiuso la portiera e si era sporto attraverso il finestrino aperto. «No» aveva detto dolcemente. «Se ti ho dato questa impressione, è solo perché le ragioni che ti portavano là erano... sbagliate. Ma il cuore ha ragioni che la ragione non conosce. Io, per esempio, ho solo una vaghissima idea di quello che sono venuto a fare qui, ma sono qui. Però, mentre fai la guardia, sarebbe opportuno che pensassi a qualche ragione migliore di quelle che mi hai esposto per essere là. E non ricorrerei ai filosofi francesi. Il signor Dalziel è più un uomo alla Nietzsche. Mi presti il Post?». Preso il giornale dal sedile posteriore, aveva rifatto quel debole sorriso e si era allontanato. Lei l'aveva guardato senza provare gratitudine. Tutte quelle balle sulle ragioni del cuore. Quel bastardo intelligente aveva intuizioni intelligenti, in quella sua zucca, e non aveva il tempo o forse la voglia di sprecarle con lei. O magari avrebbe detto che elaborare i fatti da sola faceva parte del processo di apprendimento. Chi cazzo pensava di essere? Socrate? E adesso eccola lì, nell'auto parcheggiata vicino al bungalow di Geordie Turnbull, cercando di capire il motivo per cui si trovava lì, e le ragioni che le venivano in mente erano una più stupida dell'altra. Turnbull era a casa. Con il binocolo lo vedeva muoversi all'interno. Quando era arrivata era pomeriggio presto, perciò non sapeva se la mattina fosse uscito di casa o meno. Una cosa certa era che, nel deposito, c'era solo una ruspa, per cui presumibilmente le altre erano fuori. Forse non si era ancora ripreso abbastanza dall'aggressione per andare a lavorare lui stesso. Per fortuna, Novello aveva avuto il buonsenso di afferrare dal frigo della base operativa un sandwich confezionato e una bottiglia di acqua minerale. Anche così, con il sole che scottava e il tempo che passava lentamente, era convinta che prima che la giornata finisse si sarebbe ritrovata arrostita, disidratata e affamata. E non succedeva ancora niente. Il lato positivo di quel 'nientÈ era che nessuno l'assaliva con domande rabbiose su che diavolo stava pensando di fare. Il lato negativo era che, dopo un'ora circa senza
segni ulteriori di Turnbull attraverso le finestre spalancate del bungalow, iniziò a temere che potesse in un qualche modo essere sgusciato fuori dal retro e scappato attraverso i campi. C'era un cancello sul retro della recinzione del deposito? Cercò di ricordare, ma non le veniva in mente. Forse avrebbe potuto fare un giro. Anche se lui l'avesse beccata, in fin dei conti si erano visti una volta sola, e non c'era ragione per cui si ricordasse di lei. Tranne il fatto, naturalmente, che lui era Geordie Turnbull. Le tornò in mente quello sguardo diretto di aperto apprezzamento che l'aveva lusingata più che offesa. Parte del suo potere consisteva nel fatto che apparentemente prendeva in considerazione le donne come individui, non come un insieme di tette e gambe. Una volta che un viso era archiviato nella memoria di Geordie, era convinta che sarebbe stato in grado di recuperarlo per tutta la vita. Ma proprio mentre stava concludendo che quella passeggiata era necessaria sia dal punto di vista professionale sia da quello del benessere personale, accadde qualcosa. Un camion per il trasporto veicoli entrò nel deposito. Un uomo grasso e flaccido tirò giù lo scivolo e ci si sedette sopra, respirando a fatica. Indossava calzoncini corti e una canottiera a rete, attraverso le cui maglie luccicavano riquadri di pelle arrossata. Spogliato, avrebbero potuto utilizzarlo come elemento decorativo in un ristorante indiano. Alla fine l'uomo si riprese a sufficienza da raggiungere la cabina, prendere un sacchetto di plastica e dirigersi verso il bungalow. La porta si aprì e lui entrò, per riemergere venti minuti dopo, senza borsa e con una lattina in mano. Novello lo guardò con invidia. Lui si fece scivolare in bocca le ultime goccioline e passò la lattina a Tumbull, che la buttò per terra dietro a lui. I due uomini ora manovrarono la ruspa e la fecero salire sul camion, la bloccarono e si strinsero la mano. Tumbull guardò il camion che se ne andava, poi si girò verso il bungalow. Novello si segnò la targa del camion, chiamò via radio la stradale e chiese informazioni sul veicolo. Era registrato a nome della Kellaway Plant Sales, proprietario Liberace Kellaway. Novello fornì i dettagli della presunta posizione del trasportatore e chiese se potevano fermarlo, con la scusa di un controllo sulla stabilità o qualcosa di simile, ma in effetti per trovare ogni notizia possibile sulla ruspa. Quando il sergente del controllo stradale chiese chi stava richiedendo un uso così scorretto del tempo dei poliziotti sulle volanti, sottintendendo che sarebbe stato meglio non si trat-
tasse di un semplice agente, Novello pensò che, perso per perso, tanto valeva andare avanti e rispose: «Il signor Dalziel ve ne sarebbe grato». Per tutti i poliziotti del Mid-Yorkshire era l'equivalente di un ordine della regina, e mezz'ora dopo Novello ebbe la risposta. Il camion, che era guidato dallo stesso signor Kellaway (Liberace! pensò Novello. Che fanatica doveva essere sua madre. E che delusione doveva essere stato il piccolo Lib!) aveva passato senza problemi il controllo. Per quanto riguardava la ruspa, era stata appena acquistata dalla ditta G. Turnbull (Demolizioni & Scavi) Ltd. di Bixford, e aveva i documenti che lo provavano. Novello espresse i suoi più sinceri ringraziamenti, e buttò lì che non avrebbero dovuto fare alcun riferimento a quella faccenda, sperando, con ciò, di procrastinare il momento in cui il Ciccione avrebbe scoperto che il suo nome era stato speso inutilmente. Si rimise ad aspettare, ancora affamata, ancora accaldata, ma rinfrescata dalla speranza, perché la sua mente stava iniziando ad avere una vaga idea di quello che quell'intelligente testa di cazzo di Pascoe aveva probabilmente già capito da ore. XI In realtà, Shirley Novello stava commettendo l'errore di sovrastimare Pascoe e, insieme, sottostimare Dalziel. Se era vero che il primo, quando le aveva consigliato di seguire il suo cuore, intravedeva l'abbozzo di un possibile quadro della situazione, era anche vero che non aveva visto altro e, nelle ultime ore, non aveva avuto né il tempo né la voglia di cimentarsi in pennellate più nette e ombreggiature raffinate. Il risveglio di Rosie aveva portato gioia profonda ma anche dolore violento. Aveva aperto gli occhi ed era stata subito cosciente della presenza dei genitori. Inizialmente, non aveva mostrato curiosità su dove si trovava, ma aveva continuato a blaterare - non delirando, ma per la sua solita tendenza a dire troppe cose in una volta - di caverne e pozze e tunnel e pipistrelli e nix. Poi si era bloccata e aveva detto: «Dov'è Zandra? È tornata anche lei?». Ed ecco il dolore. Stava per arrivare il dolore per la sua perdita. E il dolore infinitamente più grande di Derek e Jill Purlingstone, che Pascoe condivideva per empatia, come se il cuore e l'immaginazione gli stessero mostrando cosa avrebbe provato se fosse successo a Rosie. Poi il suo senso di
colpa, per essersi trovato a ringraziare il Dio in cui non credeva per non essersi preso Rosie. «Non era una scelta, Peter» lo esortò Ellie quando lui cercò di spiegarle. «Non c'è stato un momento in cui qualcuno, o qualcosa, ha deciso: prendiamo questa e lasciamo andare quella». «No» disse Pascoe. «Ma ci fosse stata una scelta, e io avessi avuto la possibilità di compierla, è quello che avrei scelto, senza pensarci su due volte». «E questo ti fa sentire in colpa?» disse Ellie. «Se tu avessi dovuto pensarci due volte, questo avrebbe dovuto farti sentire in colpa». Rosie si era addormentata, ora, come se l'eccitazione del risveglio fosse spossante quanto la malattia stessa, ma questo riposo era evidentemente il riposo del sonno, con tutti i borbottii e i mutamenti di espressione e di posizione che i genitori che la guardavano conoscevano così bene. Si sedettero vicino al letto mano nella mano, a volte chiacchierando a bassa voce, a volte in un silenzio condiviso, ricco di piacevoli ricordi del passato, di piacevole anticipazione dei tempi a venire; ma sempre, se il silenzio durava troppo a lungo, finivano col guardarsi e comprendere che la fantasia di entrambi si era spostata nell'altra stanza d'ospedale, dove era sdraiata un'altra piccola sagoma e due genitori sedevano in un silenzio profondo e inviolabile come quello che regna negli abissi marini. Quanto ad Andy Dalziel, dedicandosi finalmente alla disposizione delle sue truppe, per prima cosa chiese: «Seymour su cos'è?». Wield, che si era assunto il compito di scoprire in rapida retrospettiva quello che il suo capo aveva perso di vista da un po', disse: «È alla Wark House, in caso salti fuori Lightfoot». «Ah, sì? Pensavo fosse un incarico di Ivor». «No. È stata una sua idea, quella di mandare Seymour». «Una sua idea?» chiese Dalziel, e detto da lui suonava come un ossimoro. «E lei cosa sta facendo?». «Sta sorvegliando Turnbull». «E questa idea chi l'ha avuta?». «Lei dice l'ispettore capo». «Lei dice! Traduzione: lo sta facendo di sua iniziativa, immagino. Dio santo, Wieldy, devi sorvegliarle, queste donne. Gli dai un dito e ti scorticano i coglioni». «Vuole che la richiami?».
«No, lasciala stare. Qui non c'è niente da fare, per lei, e se scova qualcosa, diventa un'eroina». «E se non scopre niente?», chiese Wield. «In questo caso, le dispiacerà di aver dato tanto disturbo all'ostetrica che l'ha fatta nascere», disse minaccioso Dalziel. Il sovrintendente era di malumore. I nuovi sbocchi dell'inchiesta cui aveva sperato di arrivare con il ritrovamento del corpo fino a quel momento non si erano materializzati. L'autopsia aveva confermato la diagnosi in loco. La morte era stata conseguente a una frattura del cranio causata da un forte colpo inferto da un oggetto irregolare o da una caduta pesante sull'oggetto stesso. Nessun segno di violenza sessuale. L'esame degli abiti svolto dal medico legale fino a quel momento non aveva portato a niente. In effetti, l'unica opportunità di utilizzare alcune delle sue molteplici capacità, Dalziel l'aveva avuta dall'invito rivoltogli, prima dal capo della polizia e poi dalla stampa, di spiegare come mai l'estesa e costosa ricerca svolta sullo stesso territorio non era riuscita a trovare il cadavere della bambina. Dan Trimble detto il Disperato, il capo della polizia, era stato relativamente facile da gestire. Nonostante i loro occasionali dissapori, i due uomini nutrivano il massimo rispetto l'uno per l'altro, il che significava che Trimble accettava il comportamento di Dalziel sulla scena del delitto, e Dalziel accettava che, per quanto possibile, Trimble gli parasse il culo. Dan aveva apprezzato anche il fatto che Dalziel non si fosse sforzato di scaricare la responsabilità su Maggie Burroughs o sugli altri poliziotti che avevano lavorato nella zona. «Spostare la pecora morta e dedicare particolare attenzione all'area circostante era una mia responsabilità» aveva detto il Ciccione. «E non l'ho fatto». E gli era venuto in mente che forse aveva trascurato di farlo anche quindici anni prima. Se l'assassino era lo stesso, perché scomodarsi a inventare nuovi trucchi? Alla conferenza stampa, convocata nel tardo pomeriggio in un'aula della St Michael, le signore e i signori della stampa furono tutt'altra gatta da pelare. I giornalisti locali, consci del fatto che prendere Dalziel dal verso giusto era una buona tecnica di sopravvivenza, furono relativamente miti, ma il branco di giornalisti nazionali non aveva di queste inibizioni. Dopo aver inseguito e ucciso la lepre dell'incompetenza della polizia, riversarono la loro attenzione sulla seconda preda da loro avvistata, la connessione con Dendale. Fu un attacco furioso su due fronti, con i giornali scandalistici bramosi di dire ai loro lettori che lo stesso assassino era ritornato per ricominciare (il che sottintendeva che anche l'incompetenza dimostrata dalla
polizia quindici anni prima era ritornata a perseguitarli), e gli altri ostinati sull'idea che i due casi non erano probabilmente collegati, ma che Dalziel aveva lasciato che la sua ossessione per Dendale contaminasse l'inchiesta attuale. Il Ciccione si morse la lingua e si trattenne dal dire: 'Cazzate!'. Disse invece: «No, stiamo tenendo la mente aperta a ogni possibilità, e ci auguriamo che anche voi, signori, cerchiate di mantenerla altrettanto aperta....... e io da parte mia sarò lieto di aiutarvi in tal senso con una bella accetta, continuava la frase, ma solo nei suoi pensieri. Un tizio untuoso e sarcastico di uno di quei giornali della domenica che pesano un quintale, disse: «Suppongo che sia per questa vostra attitudine all'apertura mentale che avete ancora una squadra di sommozzatori che sta facendo ricerche nel bacino di Dendale, no?». Merda! Con tutto quello che era saltato fuori quel giorno, si era completamente dimenticato di richiamare le sirene. «In conseguenza della scoperta del corpo della bambina» disse pomposamente «stiamo ovviamente ristudiando l'intera zona per rilevare tracce dell'aggressore». «Ah, pensa che sia fuggito a nuoto, signore?», chiese qualcuno tra le risate. «L'acqua è un ottimo posto per nascondere prove», rispose Dalziel duro come la roccia. «Come l'arma del delitto, vuol dire?» chiese il tizio sarcastico. «Che, mi sembra di capire, potrebbe essere una pietra. Lei ci sta dicendo che una squadra di sub sta esaminando il fondo del bacino di una diga nello Yorkshire per trovare una pietra? Mi dica, sovrintendente, sono già riusciti a trovarne una?». Altre risate. La situazione gli stava decisamente sfuggendo di mano. Attese il silenzio, poi disse: «Vedo con piacere che le domande serie sono finite, così posso tornare al mio lavoro. Sono sicuro che non c'è bisogno di ricordarvi che là fuori c'è gente che soffre, e ci sono persone terrorizzate, e l'ultima cosa di cui tutti hanno bisogno è che escano notizie sensazionalistiche o false». Lasciò che il suo sguardo vagasse molto lentamente sull'insieme di visi, come se volesse imprimerseli tutti nella mente, poi proseguì. «Da queste parti, giudichiamo le persone non solo dal modo in cui fanno rispettare la legge, ma dal modo in cui si trattano a vicenda. E noi non siamo teneri con chi vuole intromettersi o minacciarci. Per cui, pensateci
sopra...». Si alzò, ignorando i tentativi di porre altre domande, e uscì dalla stanza. «È stato in gamba», disse Wield. «Sono stato uno stronzo» disse Dalziel con indifferenza. «Wieldy, mettiti in contatto con le sirene e di' loro di iniziare a sparecchiare». Il sergente andò via. Tornò un paio di minuti dopo, e sembrava - per quanto si riusciva a dedurre dai suoi lineamenti disastrati - infelice. «A posto?», chiese Dalziel. «Non direi» disse Wield. «Quando li ho contattati stavano proprio per farlo loro. Signore, hanno trovato delle ossa». «Cosa? Vuoi dire umane?». «Proprio così. Umane». «Tombola» disse Dalziel, guardando fuori dalla finestra l'azzurro infinito del cielo. «Come diceva sempre il mio vecchio babbo, piove sul bagnato!». XII Erano le cinque e Geordie Turnbull si stava muovendo. Novello era stata costretta da un richiamo della natura ad abbandonare l'automobile in cerca di intimità. Questa esplorazione forzata l'aveva portata in un boschetto che cresceva nel prato praticamente di fronte al deposito, dove, dopo aver trovato sollievo, scoprì che con l'aiuto del binocolo era in grado di vedere chiaramente l'intero salotto del bungalow, dalla finestra anteriore alla portafinestra sul retro, entrambe aperte. Riusciva a vedere la testa e le spalle di Turnbull, che era stravaccato in una poltrona e beveva ogni tanto da un bicchiere. Poi si raddrizzò, si allungò e prese la cornetta del telefono. Dato che non aveva composto numeri, doveva essere una chiamata in arrivo. Non durò a lungo. Riattaccò il ricevitore, finì di bere e si alzò in piedi. Poi, si spostò fuori dal campo visivo. Novello non perse tempo e tornò veloce alla macchina. Il suo istinto aveva visto giusto. Un minuto più tardi, Turnbull uscì dal bungalow con una borsa. Salì sulla Volvo familiare e partì, attraversò il cancello e girò a destra. Era una strada secondaria quasi deserta, e Novello riuscì a stargli dietro senza fatica. Ma dieci o undici chilometri oltre Bixford, la strada secondaria si immetteva nella strada a due corsie molto trafficata che portava sulla costa, e fu costretta ad accelerare per mantenere il contatto.
Pochi chilometri più avanti, lui mise la freccia e svoltò in un'area di servizio. Novello pensò che dovesse fare rifornimento, ma l'uomo entrò nel parcheggio, uscì dalla macchina sempre tenendo la borsa e si diresse alla caffetteria. Novello lo seguì. Aspettò finché un certo numero di persone non si furono messe in coda dietro a lui, poi si accodò. Lui ordinò del tè e se lo portò a un tavolo vicino alla vetrina che dava sulla strada. Notò che si era seduto in un punto che gli garantiva la visuale sull'entrata. Lei prese del caffè e trovò posto qualche tavolo dietro di lui. Qualcuno aveva dimenticato un giornale. Lo prese e lo sollevò, di modo che, se lui si fosse guardato intorno, metà del suo viso fosse coperto. Se quell'occhio da intenditore era talmente allenato da identificarla lo stesso, amen. Stava aspettando qualcuno, non c'erano dubbi. Si versò il tè e portò la tazza alle labbra con la mano sinistra, visto che nella destra continuava a tenere stretti i manici della borsa appoggiata alla sedia di fianco a lui, e tenne la testa girata verso l'entrata. La cosa andò avanti per una ventina di minuti. La gente arrivava, mangiava e se ne andava. Un inserviente cercò di portare via la tazza vuota di Novello, ma lei ci si aggrappò. Aveva girato le pagine del giornale diverse volte senza leggere una sola riga, nemmeno i titoli. Allo stesso modo, anche lui aveva spremuto la teiera fino all'ultima goccia. Passò altro tempo. Qualunque ragione avesse Turnbull per essere lì, era determinato a far sì che il suo viaggio non fosse stato inutile. Poi, all'improvviso, si immobilizzò. Non che prima si fosse mosso molto, ma ora rimase talmente fermo che perfino i tavolini sembravano più vivi di lui. Novello guardò verso l'entrata. Lo riconobbe subito dalla fotografia ritoccata di Wield. Benny Lightfoot era appena entrato nella caffetteria. Andy Dalziel stava in piedi sulla riva del Dender Mere, vicino alla pila di sassi che marcava il sito di Heck Farm. Sul fango crepato dal caldo, ai suoi piedi, stava una piccola selezione di ossa. Lui le spostò con la suola della scarpa. «Radio, ulna, e pensiamo che questi possano essere ossa carpali, ma, essendo piccole, sono state piuttosto sparpagliate», disse il caposirena, che rispondeva al nome umano di sergente Tom Perriman. «Età? Sesso? Da quanto erano là?», lo sollecitò Dalziel avidamente. Perriman alzò le larghe spalle ricoperte di gomma.
«Le abbiamo appena tirate fuori» disse. «Adulto, direi, o almeno adolescente». «E il resto?» «Stiamo ancora cercando» disse Perriman. «Davvero buffo. Non mi quadra, per il tipo di corrente che c'è qui. Ci si aspetterebbe che fossero rimaste insieme, anche dopo un tempo abbastanza lungo. Le ho trovate per puro caso. Non ci interessava cercare vicino alla riva, dove l'acqua è così bassa...». «Dove, per l'esattezza?», chiese Dalziel. «Proprio qui», disse Perriman, contrariato per l'interruzione del suo flusso narrativo. Indicò un punto sul lato sommerso del cumulo scoperto di detriti e continuò: «Stavo proprio per uscire, mi sono alzato per camminare per un paio di metri, e ho sentito qualcosa sotto il piede. Ovviamente, qui, prima della siccità, l'acqua doveva essere molto più profonda. Ma dove sarà il resto? Questa è la mia domanda». «Forse non c'è altro», suggerì Wield. «Cosa? Qualcuno ha tagliato un braccio e l'ha lanciato nel laghetto?» disse Dalziel. «Vuol dire comunque che il resto è qui in giro da qualche parte, o che qualche stronzo ha sollevato un bel po' di casino se è uscito a fare una passeggiata con un set completo di braccia ed è tornato a casa con uno in meno». «C'è gente molto riservata nel Mid-Yorkshire, signore. Comunque, può darsi che non abbia niente a che fare con il nostro caso». «Ma davvero? Allora, tu cosa suggerisci, Wieldy? Di ributtarle in acqua, e se qualcuno ci chiede qualcosa, dire che sono scappate? Ascolta, se non fa parte del nostro caso, diventerà un altro caso. Impacchettale e mandale al laboratorio, Tom. E continua a cercare». Il Ciccione si girò e si diresse verso la sua Range Rover, con Wield alle calcagna. «C'è stato qualche suicidio qui, signore», disse. «Ah, ci penso tutte le volte che mi preparo il tè, Wieldy» disse Dalziel. «Ma li abbiamo sempre ripescati, no?». «Quelli di cui siamo venuti a conoscenza, sì» disse il sergente. «Ma chiunque può venire qui, con le tasche piene di sassi, a fare due passi nell'acqua, e finire in una statistica sull'elenco delle persone scomparse». «Forse dovrò piantarla di bere il tè» disse Dalziel. «Lo sai, quest'acqua non mi è mai piaciuta, fin dalla prima volta che l'ho vista. C'è qualcosa, nel
Dender Mere, che mi ha sempre fatto venire la pelle d'oca. Ecco, questo mi sembra sia George Headingley che frigge un uovo sulla radio della macchina. Cos'è che l'ha svegliato, mi chiedo?». «Stiamo per scoprirlo», disse Wield, prendendo il microfono e rispondendo. «C'è lui, lì, Wieldy?» chiese Headingley. «Digli che abbiamo appena ricevuto un messaggio dall'agente Novello. Dice che è seduta nella caffetteria Orecliff Services sulla costiera e sta guardando Geordie Turnbull che chiacchiera con Benny Lightfoot. Sapete cosa significa? Potrebbero averlo fatto insieme! Tutti e due, non solo uno. Questo spiegherebbe un casino di cose, vero?». Dalziel si allungò e prese il microfono. Disse: «Preferirei non spiegarti cosa combini raccontando ogni cosa a tutto il mondo sulla linea aperta, George. Per cui chiudi il becco, a meno che tu non debba dare l'allarme generale. Stiamo andando!». «Allora, cosa ne pensa, signore?» chiese Wield mentre se ne andavano. «Due al prezzo di uno?». «Credo che George Turnbull abbia fatto un trapianto di cervello tramite la mutua e che il suo sistema immunitario lo stia rigettando» disse Dalziel, «ma se la nostra Ivor ci consegna veramente Benny Lightfoot, penso che me la dovrò sposare». Più o meno nello stesso momento, Rosie Pascoe si svegliò di nuovo e annunciò che era affamata. Quando fu autorizzata a bere solo una minima quantità di liquido, iniziò a lamentarsi amaramente e i genitori si guardarono sorridendo. «Sono molto malata?», chiese la bambina all'improvviso. Il cuore di Pascoe perse un colpo, ma l'orecchio di Ellie era più allenato alla nota calcolatrice inserita nella domanda. «Sei stata abbastanza malata» disse con fermezza, «ma adesso stai decisamente meglio. E se stai proprio completamente bene quando ci sarà la fiera del Mid-Yorks, papà ti ci porterà e potrai andare sull'ottovolante. Ora, la mamma deve uscire un attimo, ma tornerà subito». Pascoe la seguì alla porta. «Cosa voleva dire?», chiese. «Il trucco è darle il premio perché si sente meglio, non perché è malata, altrimenti si fingerà invalida per mesi», spiegò Ellie con tono paziente. «Sì, ho capito. Volevo dire l'ottovolante. Lo sai che mi fa star male».
«Peter, anche se negherò di averlo mai detto, a volte un po' più Schwarzenegger, un po' meno Hugh Grant, sarebbe una buona correzione». «Va bene. Dove diavolo pensi di andare, bambina?». «Questo è il puro Cagney» disse lei. Poi, più seria: «Voglio solo sapere come sta Jill. Lo so, ho capito quello che mi hai detto prima, e non ho intenzione di appiccicarmi a lei. Comunque adesso sarà a casa, penso. Ma volevo parlare di lei con qualcuno e cercare di capire cosa dovremmo fare». «Va bene» disse Pascoe. «Io intratterrò il mostro». Dopo un intervallo relativamente corto di intrattenimento, il mostro sembrava pronto per dormire ancora un po'. «Tutto a posto, dolcezza. Fai un pisolino, recupera le forze» disse Pascoe. «In ospedale bisogna che tu sia in forma, per tener d'occhio i visitatori che cercano di rubarti i biscotti». «Verranno in parecchi a trovarmi?», chiese Rosie insonnolita. «Dipende dalla qualità dei tuoi biscotti». «E Zandra verrà?». Pascoe fece uno sforzo estremo per mantenere un tono di voce allegro. «Se può», disse. Non sapeva quando sarebbe arrivato il momento di dirglielo, ma sapeva che non era quello. «Non la vedo da domenica. Non da parlarci, comunque. Oramai, dovrebbe già avere le fotografie che ha fatto Derek». «Sì. Tesoro, ti ricordi domenica, quando hai fatto il picnic?». Si sentiva in colpa, ma si convinse che non gliel'avrebbe mai chiesto se lei, per prima, non avesse menzionato Zandra. «Sì. E ho visto il nix portarsi via Nina», disse. Era come se, in qualche modo, avesse portato i pensieri della bambina dove voleva lui. «Giusto. Stavi usando il binocolo di Derek, no?». «Sì. Fa diventare le cose molto più grandi del tuo, sai?», disse molto seria. «Non ho dubbi» disse lui, sorridendo. «E hai visto Nina giù nella valle. Era sola?». «Sì. No. C'era un cagnolino, con lei». «Poi è arrivato il nix». «Sì. È arrivato di corsa giù dalla collina e l'ha buttata in un buco del terreno. Immagino che la sua caverna sia là sotto, da qualche parte».
La sua voce si era fatta sottile e stanca, adesso. Pascoe prese il Post di Novello dalla tasca e lo piegò, in modo da tenerlo aperto sulla pagina doppia al centro. «Prima di crollare, piccola, c'è qualcuno che conosci, qui?». Lei sbirciò attraverso gli occhi semichiusi, poi sorrise e indicò con il dito. «Questo è lo zio Andy», disse. «Ciao. A che gioco state giocando?», chiese la voce di Ellie. Era arrivata non vista e il suo tono era allegro e giocoso. Ma qualcosa nel modo di fare del marito quando alzò gli occhi per guardarla doveva averla messa in allarme, perché ora gli chiese sospettosa: «Cosa le stai mostrando, Peter?». «Solo una foto dello zio Andy, tutto qui», disse Pascoe, iniziando a ripiegare il giornale. Ma, prima che potesse farlo, la piccola mano si allungò e il dito indicò un'altra foto. «E questo è lo schifosissimo vecchio nix», disse Rosie Pascoe. Poi fece un largo sbadiglio e si addormentò. XIII Il concerto d'apertura del Festival Musicale delle Valli del MidYorkshire sarebbe iniziato alle sette. Dopo un pranzo leggero, Elizabeth andò in giardino, si allungò su un lettino, protetta da un ombrellone, e crollò addormentata. Fu risvegliata da un rumore e aprì gli occhi su Arne Krog che la stava osservando. «Stavo spostando l'ombrellone» disse lui. «Il sole sta girando. Non pensavo che volessi cantare con la faccia simile a un eclissi parziale. E tu hai una pelle così delicata, vero?». «No. Ho la pelle come quella di un cetriolo, ma mi piace farla sembrare delicata» disse. «Come tu, ovviamente, sai già». «Io?». «Già, tu non ti lasci mai scappare niente, Arne. Specialmente quando si tratta di guardare le donne. Non che siano solo le donne, che guardi». «Che diavolo stai dicendo?». «Cos'hai visto stamattina, quando hai seguito Walter?». Lei rise, vedendo che lui sembrava sconcertato. «Beccato! Scommetto
che stavi facendo proprio quello». «Sei una ragazza furba, Elizabeth. O forse dovrei chiamarti Betsy, quando il tuo accento diventa così sguaiato?». «Fai pure», disse lei gettando le gambe giù dal lettino. «No se, come mi sembra, non ti fa piacere. Mi stavi chiedendo di Walter. L'ho visto parcheggiare la sua auto nel solito punto e partire per la sua solita passeggiata su per Corpse Road verso la cima del Neb, dove si è fermato, in piedi, a guardare Dendale, giù in basso. Dopo che se n'è andato ho guardato anch'io. È a dir poco affascinante, vedere come la valle è risorta grazie alla siccità. Sei andata a dare un'occhiata, Elizabeth?». «Hai usato la parola sbagliata, Arne. Risorgere significa tornare in vita. E no, non ci sono stata». «Penso che dovresti farlo. Sarò felice di accompagnarti, se ritieni che potrebbe essere un'esperienza troppo ardua». Lei si alzò e si stirò, sbadigliando ostentatamente. «Venire con te può essere un'esperienza troppo ardua, su questo ti do ragione» disse. «Però potrebbe essere interessante andare a vedere». Elizabeth entrò in casa. I Wulfstan erano seduti in salotto: Walter esaminava delle carte, Chloe leggeva un libro. «Walter, non mi dispiacerebbe fare un salto a Danby un po' prima» disse. «Pensavo che noi due potremmo andare a fare due passi sul Neb. Anche tu, Chloe, se te la senti». «Penso di no, cara», disse la donna, senza alzare il capo dal libro. «Non vuoi riposarti un po' prima dello spettacolo?», disse Wulfstan. «Mi sono già riposata. In ogni caso, hai detto di aver preparato una stanza per me al Parco della Scienza, in cui cambiarmi e farmi bella. Potrei farlo là, invece che qui». «Immagino di sì. E tu, Arne...?». «Arne può portare Chloe e Inger quando saranno pronte»disse Elizabeth con fermezza. «Bene. Prendo armi e bagagli e partiamo». Non parlarono per tutto il viaggio per Danby, ma quando Wulfstan rallentò avvicinandosi all'entrata del Parco della Scienza e del Commercio, Elizabeth disse: «Tiriamo dritto per Corpse Road e torniamo qui dopo?». «Come vuoi», disse Wulfstan. Passando per le strade di Danby, Elizabeth guardò dal finestrino e disse: «Buffo. Non ho provato niente quando siamo venuti ieri, ma pensavo fosse per una sorta di intorpidimento. Ma davvero non provo proprio un bel niente. Non è come tornare a casa. Non ho vissuto qui abbastanza. Tre
anni? Quattro? E con tutto quello che è successo, non è mai stato come essere a casa». Oltrepassarono la scuola e la chiesa. Lei guardò le auto della polizia parcheggiate fuori dalla St Michael's Hall, ma non fece commenti. Risalirono sobbalzando Corpse Road fino al punto in cui la Discovery fu costretta a fermarsi, Wulfstan parcheggiò e scesero. «Sei sicura di volerlo?», chiese lui. «Perché non dovrei?». «Fa molto caldo. E la strada è ripida. Non vorrai stancarti troppo e arrivare esausta a stasera?». Lei scoppiò a ridere e disse: «Non dire sciocchezze. Sono una campagnola, ricordi? Quando uscivo sulla collina per aiutare babbo a governare le pecore, potevo fare ben più strada di quella che fanno questi escursionisti in un'intera giornata di duro cammino, e non accorgermene neanche». La guardò senza parlare, poi si avviò sul sentiero. Lei gli restò a fianco per tutto il percorso e quando arrivarono sulla cresta non aveva nemmeno il fiatone. Rimasero in piedi in silenzio per un po', guardando la vallata sotto di loro immersa nella luce del sole, poi lei disse, tranquilla: «Adesso sì, che sono a casa». Lui disse in tono brusco: «Come puoi dire una cosa del genere? Cosa diavolo c'è, laggiù, che chiunque di noi possa chiamare casa?». Lei ribatté: «Gli edifici, vuoi dire? All'inizio non erano nient'altro che cumuli di pietre, ed è quello che sono anche oggi. Un paio di mesi di duro lavoro e si potrebbero ricostruire. No, è per me che è casa. Chiusura del cerchio». «La chiusura del cerchio implica il completamento di qualcosa», disse Wulfstan. «Sì, non è vero? Tempo di ricominciare tutto daccapo, eh? Tu e Chloe non avete mai provato a ricominciare tutto dall'inizio? Voglio dire, ve ne siete andati, ma alla fine siete tornati nello Yorkshire, il che costituisce una specie di cerchio. Ma non vedo dove sia il nuovo inizio». «Ci sono cose che non si possono lasciare alle spalle, non senza amputazioni dolorose», disse Wulfstan. «Mary, vuoi dire? La piccola Mary. Avrebbe la mia età, giusto? Ma non avrebbe mai avuto la mia voce. È già qualcosa, no? Non avrebbe mai potuto avere la mia voce. Eccetto, ovviamente, il fatto che, se non fosse successo quello che è successo, io non avrei nemmeno avuto la possibilità di u-
sarla, la voce. Avrei cantato nei pub. Il karaoke. Sarebbe stato il massimo a cui avrei potuto aspirare. Invece tra cent'anni la gente potrà ricordare me come noi ricordiamo la Melba. La prima grande diva del nuovo millennio. Bel progetto, no? Si potrebbe anche pensare che fosse tutto pianificato». Lui la guardò con un'intensità quasi tangibile, ma tutto quello che disse fu: «Stai pensando di alzare il tuo registro?». «Cosa? Ah, ti riferisci alla Melba. Sì, può darsi. Potrei farlo, penso. Vedremo cosa dice quella vecchia in Italia l'anno prossimo». «Quella vecchia in Italia è una delle migliori insegnanti di canto viventi» la corresse Wulfstan. «E non è nemmeno a buon mercato». «Ah, sì» disse Elizabeth con indifferenza. «Cosa sta succedendo, laggiù, secondo te?». C'erano due uomini in piedi nelle secche vicino alle rovine di Heck. Uno di loro uscì dall'acqua, si diresse verso una Range Rover e prese dal baule un lungo palanchino. Mentre guardavano, tornò sul bordo dell'acqua e iniziò a sondare tra le macerie. «Sembra che stiano cercando qualcosa», disse Wulfstan. «Ah, sì? E credi che ci sia qualcosa da trovare?». Lui la guardò per un istante, poi disse: «L'ho visto, sai». «Chi?». «Benny Lightfoot. Ero quassù e l'ho visto». «Laggiù?». «No, qui, sul crinale. Camminava verso il Neb». «E tu, cos'hai fatto?». «L'ho seguito, ovviamente. Non è per questo che i cattivi spiriti vengono a farci visita, per adescarci e condurci alla rovina?». «E lui ti ha condotto alla rovina?». «Certo. Non è stato un viaggio lungo. Elizabeth...». «Sì?». «Resta ancora una cosa. Se...». «Sì» disse lei. «Penso sia ora che partiamo col piede giusto». «Ricominciare da zero, vuoi dire?». «Sì, anche quello. Sebbene forse sia colpa nostra. Walter, mi spiace». «Di cosa? Come puoi incolparti di alcunché?». «Lo so, però ho sempre pensato che fosse accaduto tutto per colpa mia, e non posso essermi sbagliata completamente, non trovi? Parliamone. Ma dopo che avrò cantato, va bene?». Gli prese la mano e lo fece girare di spalle alla vallata. Poi, mano nella
mano, iniziarono a scendere per Corpse Road. XIV Novello aveva corso un rischio calcolato lasciando la caffetteria per chiamare i rinforzi. Aveva trascorso abbastanza ore nella palestra della polizia per sentirsi pronta ad affrontare un uomo disarmato, ma due le sembravano un po' troppi. E mentre le sembrava decisamente improbabile che Turnbull fosse dotato di un'arma diversa dal suo fascino, non poteva essere sicura di Lightfoot. Tornando all'entrata, si accorse che aveva fatto appena in tempo. I due uomini stavano alzandosi e avviandosi verso la porta. Lei si accorse che Lightfoot stava portando la borsa di pelle, il che significava che aveva una mano occupata. Li precedette al parcheggio delle auto. Ancora nessun segno dei rinforzi, ma sicuramente mancava poco. La costiera era ben pattugliata. Non li avrebbe comunque sentiti arrivare, perché aveva chiesto espressamente di non azionare le sirene. A volte, sospettava che alcuni dei suoi colleghi maschi imparassero più dai telefilm polizieschi che dai corsi all'Accademia. Nessuno, in televisione, sembrava comprendere l'importanza di avvicinarsi furtivamente a un sospettato. Suonavano il fischietto, loro, o semplicemente urlavano a gran voce: «Ehi, tu!» da una distanza di cinquanta metri. Ovviamente, questo innescava una caccia ricca di adrenalina o un movimentato scontro a fuoco, il che andava bene, per l'appunto, alla televisione. Nella vita di tutti i giorni, si preferiva non farsi né vedere né sentire fino a una distanza da mezzo nelson. In ogni caso, vicini o no, lei non poteva più aspettare. Un sospettato dentro una macchina era un problema al quadrato. Si girò mentre si avvicinavano, vedendoli riflessi nei finestrini di una Peugeot parcheggiata. Poi, appena le furono di fianco, si voltò verso di loro con un largo sorriso e disse: «Ciao, Geordie, come va? Perché non mi presenti al tuo amico tanto carino?». Turnbull, d'istinto, ricambiò il sorriso, finché non la riconobbe. Lei porse la mano a Lightfoot. Istintivamente, lui la prese. Lei gli girò il polso di scatto, facendogli contemporaneamente perdere l'equilibrio e dandogli un calcio nello stinco. Lui cadde contro l'automobile, facendo scattare l'allarme, e Novello gli torse il braccio dietro alle scapole fino a farlo urlare di dolore. Gli disse nell'orecchio sinistro che era in arresto per sospettato omicidio,
che aveva il diritto di restare in silenzio, ma lui continuò a urlare di dolore. Lei si guardò di fianco, per vedere come la stava prendendo Turnbull. Con sua sorpresa, lui era rimasto fermo dove si trovava, e osservava la scena con un'espressione tra l'ammirato e il rassegnato. «Spero che tu e io rimarremo buoni amici, micina», disse. Lei sorrise. Turnbull aveva la dote di farti sorridere, ma in quel momento metà del suo piacere derivava dal fatto che, da sopra la spalla, aveva intravisto una volante che avanzava nel parcheggio. Attirata dall'allarme e da un assembramento di curiosi, l'auto arrivò dritta da lei, e ne scesero due poliziotti giovani. «Sei tu Novello?», chiese uno dei due. «Esatto. Ammanetta questo, io mi prendo cura dell'altro». Libera da Lightfoot, si chinò e raccolse la borsa che l'uomo aveva lasciato cadere. Aprì la cerniera. Era piena di banconote. Lightfoot, diritto, ora, con le mani ammanettate dietro la schiena, guardava Turnbull con disprezzo. «Perché l'hai fatto, stupido bastardo? Pensi di riuscire a non andare in galera?». Parlava australiano puro. «Mettetelo in macchina», disse Novello. Si stava formando una folla. Lei non voleva che qualcuno riconoscesse Lightfoot e avvisasse il branco dei giornalisti. Lo spinsero sul sedile posteriore della volante e lei si girò versò gli spettatori. «Ok» disse. «Lo spettacolo è terminato. Non c'è niente di cui preoccuparsi». Parvero poco convinti. Il proprietario della Peugeot arrivò, premette il comando a distanza e fece tacere l'allarme. «È entrato?», chiese, esaminando la carrozzeria per vedere eventuali danni. «Nossignore. È tutto a posto. Buon allarme, il suo». «Senta, sono di corsa. Devo rilasciare una dichiarazione?». «No grazie, signore. Abbiamo già abbastanza dati e abbiamo anche preso nota del suo numero di targa, se ci fosse bisogno di lei». «Bravi. Spero che lo impicchiate, quel bastardo». L'uomo salì in macchina e i curiosi se ne andarono. L'ennesimo furto in
macchina, niente di cui potersi vantare con gli amici. «Brava» disse Turnbull. «L'hai gestita proprio bene, rosellina». «Signor Turnbull, non sono la sua rosellina», disse Novello stancamente. Si chinò al finestrino della volante. Lightfoot sembrava più furioso che impaurito. Le disse: «Di che cazzo stai parlando, omicidio? Va bene, ho pestato questo qui, ma i soldi sono miei. Diglielo, stronzo bastardo! I soldi sono miei!». «Dove vuoi che lo porti, cocca?», chiese il guidatore. Lei rispose: «Prima dammi le sue chiavi». L'agente seduto di fianco a Lightfoot frugò con la mano nelle tasche del prigioniero e prese le chiavi. «Dove hai parcheggiato?», chiese Novello. «Laggiù» disse lui, accennando con la testa. «Stai prendendo un granchio colossale, ragazza mia». Lei individuò il tetto di un camper bianco un paio di file più in là. Allo stesso tempo, con sollievo, vide altre due macchine della polizia svoltare nel parcheggio. Questo significava che aveva abbastanza personale per prendersi cura dei prigionieri separatamente, e anche dei loro veicoli. Fece un veloce calcolo. Sarebbe stata una piccola processione, ma non c'era nessuno che fosse stato già messo sull'avviso e potesse notarla. «Danby» disse. «Penso che dovremmo andare tutti a Danby». XV Quando si trovavano con gli amici, Peter ed Ellie Pascoe sbeffeggiavano il tipo di persone facoltose che vivevano 'in zona campane', ma in privato avrebbero dato qualunque cosa per avere una casa là. Era quanto di più vicino alla rus in urbem si potesse avere nel Mid-Yorkshire, tutta la pace della campagna nel proprio giardino ben curato sul retro, e i piaceri del centro città subito fuori della porta principale. O, per metterla un po' più rozzamente, potevi ubriacarti fino a fotterti il cervello nel tuo pub preferito, senza dovere poi fare affidamento su una consorte acidamente sobria per farti accompagnare a casa. Così, di solito, quando Pascoe aveva l'opportunità di trovarsi 'in zona campane', si sbizzarriva a recitare la parte dello sceicco del petrolio a Mayfair, scegliendo questo edificio e scartando quell'altro con sconsiderata munificenza. Quel giorno però, benché Holyclerk Street fosse ancor più seducente del
solito, intinta nella luce densa come il sidro del tardo pomeriggio, mentre camminava in cerca della casa dei Wulfstan gli sprazzi della cupidigia che sentiva dentro di lui si acquietarono. Ellie gli aveva detto che sapeva che fare il poliziotto corrompeva l'anima, ma, considerando la tragica storia dei Wulfstan, per non parlare del fatto che una figlia si stava solo ora riprendendo da una grave malattia, stava battendo tutti i record possibili di insensibilità, illogicità, irresponsabilità... «Ascolta» le aveva detto. «È per Rosie che lo sto facendo...». «Per quello che una bambina sovraeccitata pensa di avere visto? Per uno stramaledettissimo libro di fotografie?» lo interruppe lei. «Adesso sì che ho proprio sentito di tutto!». «No» disse lui con pari veemenza. «Perché stavamo per perderla. Perché nella mia testa io l'avevo già persa, e mi sono trovato a dover comprendere quello che ho visto spesso, ma non ho mai capito veramente, la ragione per cui tutti quei poveri disgraziati che perdono un figlio corrono in giro come galline decapitate, organizzando gruppi di protesta e facendo pressioni e petizioni e Dio solo sa cos'altro. È perché te ne devi fare una ragione, devi destreggiarti tra ragioni e responsabilità, devi sapere i perché, i percome, e i quando e i come e i chi, oh sì, specialmente i chi. Senti, tu vuoi scoprire cosa puoi fare per Jill, e quando penserai di averlo capito, nessuno riuscirà più a fermarti. Bene, questo è quello che provo io per la signora e il signor Dacre. Sapere è l'unica cosa che rimane a quella gente; non sto parlando di giustizia o vendetta, a questo punto, ma solo di sapere. Potrò essere del tutto fuori strada, ma sono costretto a controllare. Lo devo a loro, e a quel dio o destino cieco che ci ha ridato Rosie». Lei non l'aveva mai visto e tantomeno sentito a quel modo, e per una volta nella loro vita comune accettò la sconfitta e tacque, travolta da quell'ondata di parole. Tutto quello che disse quando lui lasciò l'ospedale dove Rosie era crollata in un sonno profondo e tranquillo che sembrava destinato a durare tutta la notte, fu: «Con delicatezza, eh, tesoro? Con delicatezza», poi lo baciò forte. Era partito, non esattamente trionfante, ma con quell'aura luminescente di rettitudine che si manifesta dopo aver avuto l'ultima parola in un animato dibattito morale. Ma ora, in piedi di fronte alla porta del numero 41, improvvisamente gli sembrò, come gli era successo sovente in passato, che anche se Ellie pote-
va aver torto da quasi tutti i punti di vista, aveva abbastanza ragione da meritarsi la vittoria ai punti. Era una cosa folle. O meglio, anche se nella sostanza - e cioè che era emerso qualcosa in rapporto a un caso importante e che su quel qualcosa bisognava indagare - non era folle affatto, tuttavia il modo di metterla in atto era completamente assurdo. Indietreggiò, e forse era sul punto di andarsene, o forse no, non l'avrebbe mai scoperto, perché in quel preciso momento la porta si aprì e si trovò a guardare Inger Sandel. Non si erano mai incontrati, ma la riconobbe dalla fotografia del Post che portava nella valigetta. Lei disse: «Sì?». Lui rispose: «Buongiorno. Sono l'ispettore capo Pascoe della polizia investigativa». Lei rispose: «Il signor Wulfstan è già andato a Danby con Elizabeth, ma Chloe è ancora qui, se vuole parlarle». «Perché no?», disse lui, sebbene non avesse alcuna ragione per parlare con lei. Entrò nell'atrio. Sul pavimento erano posati diversi scatoloni pieni di compact disc. «Noi poveri trovatori dobbiamo essere anche i mercanti di noi stessi» disse lei, cogliendo il suo sguardo. «Sono da vendere al concerto». «Ah, sì?» raccolse il disco dei Kindertotenlieder. «Copertina interessante. Le battute di musica sono di Mahler, suppongo». «Sì. Ma non dai Lieder. È la Seconda sinfonia, credo». Fece una pausa, come in attesa di una risposta, poi continuò: «Vorrebbe comprarne uno?». «No, grazie» disse in fretta. «Mia moglie ce l'ha già. La signora Wulfstan è dentro, ha detto?». «Sì, dentro» disse, sorridendo come a uno scherzo tutto suo. «Arrivederci, signor Pascoe. È stato un piacere». Uscì e iniziò a tirarsi dietro la porta. «Aspetti un attimo» disse lui ansiosamente «... la signora Wulfstan...». «È tutto a posto» lo rassicurò. «Devo uscire un attimo. Faccia un urlo». Avrebbe preferito che lo facesse lei, l'urlo. Come aveva una volta spiegato a Ellie, fare il poliziotto non è una cura contro la timidezza, la rende semplicemente ancor più seccante in certe occasioni, come quando, per esempio, ci si trova in casa di estranei senza una valida ragione. Prima tossì, poi disse «Salve» nel tono basso, di invito e scusa insieme,
che usava con i camerieri. Tese le orecchie per cogliere un'eventuale riposta. Non ce ne furono, ma gli sembrò di sentire un lontano mormorio di voci. Se Dalziel fosse stato lì, avrebbe sbraitato «Ehi, c'è nessuno in bottega?» o avrebbe approfittato per ficcare il naso in giro. Aprì la bocca per chiamare, poi decise che tutto considerato, per un uomo del suo temperamento, essere beccato a curiosare in giro era il minore dei due mali. Spinse la porta più vicina, con un sorriso di scusa pronto sulle labbra. Si aprì su quello che sembrava lo studio di un gentiluomo d'altri tempi. Fece scorrere lo sguardo sulla libreria a vetri, sulla scrivania in mogano, sulle pareti rivestite in legno di quercia, e pensò alla camera da letto convertita in ufficio che usava lui. Forse avrebbe dovuto cominciare ad accettare qualche mazzetta? La stanza era vuota, e la decisione di seguire uno dei sentieri del Ciccione non implicava che dovesse arrivare al punto di frugare nei cassetti della scrivania. Ritornò nell'atrio e tentò con la porta di fronte. Entrò in un piccolo salottino, anch'esso vuoto, che aveva un'altra porta che lo introdusse in una sala da pranzo dalle proporzioni squisite, molto Adam, con un tavolo ovale talmente incerato che avrebbe fatto la felicità di un baro. Sulla parete di fronte alla porta da cui era entrato c'era un passavivande, parzialmente aperto. Le voci che aveva udito prima ora erano ben distinte, così si avvicinò e spiò dalla fessura del passavivande senza aprirlo ulteriormente. Si trovò a guardare in una cucina, ma le persone che parlavano non erano lì. La porta sul retro era spalancata su un patio che a sua volta dava su uno di quei lunghi, bellissimi e fragranti giardini 'zona campane', e si sentì riprendere dalle sue fitte di cupidigia. Là fuori riusciva a vedere due persone. Una donna, visibile di profilo, era seduta su una sedia di vimini con lo schienale basso. Un uomo era piegato da dietro su di lei, e con le mani infilate nella sua camicetta le accarezzava i seni. L'uomo (il Post lo aiutò ancora una volta nell'identificazione) era Arne Krog. Suppose che la donna fosse Chloe Wulfstan, deduzione presto confermata. Krog stava dicendo: «Quando è troppo è troppo. Adesso basta. Un giorno dovrai lasciarlo. Se non ora, quando?». La donna rispose, agitata: «Perché dovrei andarmene? D'accordo, sì,
probabilmente hai ragione. Ma è un'opzione. Come il suicidio. Sapere che puoi farlo, sapere che un giorno probabilmente lo farai, è un aiuto per tirare avanti». «Vuoi dire che sapere che un giorno te ne andrai ti dà la forza di restare? Andiamo, Chloe! È solo un modo furbo di usare le parole per evitare di prendere decisioni». Lei gli afferrò entrambi i polsi e gli tirò via le mani da sotto la camicetta. «Non mi parlare di evitare di prendere decisioni, Arne. Tu che decisione prendi, in tutto questo? Mi stai dicendo che se lascio Walter oggi tu mi solleverai, mi poserai sulla sella del tuo cavallo bianco, mi porterai via al galoppo nella luce del tramonto e ti assicurerai che viva felice e contenta per sempre?». Arne Krog si passò le dita sulla barba setosa in modo sensuale. Gli piace mettere le mani su qualcosa di morbido, pensò Pascoe. «Sì, suppongo che questo sia più o meno quello che sto dicendo», disse. «Più? O meno?». «Be', meno la sella e il cavallo bianco» disse sorridendo. «E non sono poi così sicuro che ci sia qualcuno che possa promettere 'per sempre'. Ma entro i limiti dell'umanamente possibile, è quello che farei». Pronunciò l'ultima frase con una sincerità che Pascoe trovò davvero commovente. Chloe si alzò e lo guardò con affetto, ma con quel genere di affetto che si prova per un cucciolo adorabile, ma impossibile da addestrare. «Allora tu mi ami, Arne. Abbastanza da volere passare con me il resto della tua vita. Mio cavaliere perfetto, gentile e casto. Saresti casto, vero, Arne? Voglio dire, quando non siamo insieme, non ti porteresti in giro le tue piccole groupie del giro dei concerti o del coro dell'opera, vero?». Le dita di Krog smisero di muoversi fra i peli della barba. «Fammi indovinare» disse con dolcezza. «Quel tesoro di Elizabeth, l'usignolo dello Yorkshire, ha cantato?». «Io parlo con mia figlia, sì». «Tua figlia» sorrise Krog. «Io me la ricordo, tua figlia, Chloe. E nessuna parrucca, nessun cosmetico o dieta al mondo potranno trasformare Betsy Allgood in tua figlia. Se questo è quello che lei cerca di diventare, ovviamente». «Perché la odi tanto, Arne? È perché lei sta per fare la carriera che tu hai sempre sognato? Un bel pesce di lago, e non un pesciolino che sguazza in una pozzanghera?».
«Questo dimostra quanto siamo davvero vicini, noi, Chloe. A te non riesco a nascondere le mie delusioni». La donna fece un sorriso triste. «Arne, non riesci a nasconderle a nessuno. Nessuno può essere tanto tranquillo a meno che dentro di sé non stia ribollendo. Forse dovresti trasfondere un po' della tua rabbia nel canto». «Ah, critica musicale, oltre che psicologa. Forse hai ragione tu. Solo perché sembro tranquillo non significa che io non sia arrabbiato. Allo stesso modo, solo perché scopo in giro non vuol dire che non ti ami. Bisogna sempre seguire il ragionamento fino in fondo, mia cara. E solo perché non dimostro una rabbia disperata, non vuol dire che abbia rinunciato a te. Se non te ne vai, aspetterò finché non te ne sei andata, perché prima o poi lo farai, credimi. Tutti se ne andranno: Elizabeth verso la sua carriera, Walter verso... Dio solo lo sa. E un giorno tu ti guarderai intorno e non ci sarà più nessuno, a parte il buon vecchio tranquillo Arne. Meglio scappare adesso, dico io. Il dolore lo senti molto meno correndo che stando fermo». Era arrivato il momento di avvicinarsi, decise Pascoe, prima che ritornasse Inger e si chiedesse perché era rimasto in casa tutto quel tempo senza andare da Chloe. Rientrò nell'atrio, andò verso la porta della cucina, la aprì e sbraitò con foga dalzielesca: «C'è nessuno?». Poi entrò in cucina e, vedendo i loro visi sbalorditi girarsi verso di lui, si stampò in faccia un sorrisetto di scuse e avanzò sul patio, mostrando il distintivo e dicendo: «Buongiorno, scusatemi per l'intrusione, ma la signorina Sandel mi ha fatto entrare. Sono l'ispettore capo Pascoe. Signora Wulfstan, mi domando se sia possibile scambiare due parole». Krog lo guardava in cagnesco. Pascoe pensò: questo bastardo è sveglio, e sta pensando che quella donna è uscita da cinque minuti almeno, per cui, cosa diavolo ho fatto nel frattempo?... Disse: «Lei è il signor Krog, vero? Il cantante... Mia moglie è una sua grandissima ammiratrice». Ricordò di aver sentito uno scrittore dichiarare, nel corso di un'intervista radiofonica, che quando sentiva un uomo dire che sua moglie adorava i suoi libri, squadrava il tizio dalla testa ai piedi e replicava: «Be', nessuno può essere privo di discernimento tutte le volte». Ma Krog si limitò a dire: «Che carina. Scusatemi», e se ne andò. Chloe Wulfstan disse: «La prego, si sieda, signor Pascoe. Mi spiace di non avere molto tempo».
«Sì. Ovviamente. Il concerto. Suo marito è già andato via? In effetti, ero venuto per incontrare lui, per cui non c'è bisogno che la disturbi ulteriormente». Per la seconda volta gli venne in mente una risposta brillante alla sua stessa domanda: «Non vedo perché abbia dovuto disturbarmi in assoluto». E per la seconda volta l'occasione andò sprecata. «È sicuro che non c'è niente che io possa fare per aiutarla?» disse invece lei. «Ha qualcosa a che fare con quella povera bambina a Danby? Ho letto sul giornale che ne hanno trovato il corpo». «Sì. È terribile, vero?» disse Pascoe. «Posso immaginare quanto sia doloroso per lei, tutto questo, signora Wulfstan». «Oh, lo immagina davvero?», lo interruppe la donna sprezzante. Lui pensò agli ultimi giorni che aveva passato e disse, tranquillo: «Sì. Penso di riuscirci davvero. Mi spiace, ora me ne vado e la lascio prepararsi per il concerto. È tutto a posto, non si preoccupi, esco da solo». La lasciò seduta là, con gli occhi fissi sul giardino. Cosa lei stesse vedendo, lui non lo sapeva, ma sospettava che il suo sguardo vagasse oltre erba, alberi e fiori. Mentre attraversava l'atrio, la porta dello studio si aprì e ne uscì Arne Krog. Aveva in mano una busta formato A4. «Se ne va così presto, signor Pascoe?», disse. «Sì». «Anche se forse non è presto come sembra». Allora c'era arrivato. Pascoe disse: «Sono stato indotto a credere che interrompervi sarebbe stata una mancanza di sensibilità». «Il che può anche risultare conveniente, nella sua professione. Ha sentito qualcosa della discussione tra me e la signora Wulfstan?». «Qualcosa», disse Pascoe, non vedendo ragione di mentire. L'uomo annuì ma nel suo gesto c'era più incertezza che affermazione. Era vicino a decidersi all'azione, ma non era pienamente convinto del passo finale. «Allora sarà in grado di capire una parte delle ragioni che mi inducono a darle questo, e potrà anche forse fraintenderle del tutto. Ma per favore, creda nella parte più importante, quella che ha a che fare con la giustizia». Sorrise con quel suo sorriso affascinante che lo faceva sembrare dieci anni più giovane. «E per quanto riguarda ciò che ha origliato, a volte anche la virtù può essere conveniente».
Consegnò la busta, fece un rigido e alquanto teutonico inchino, e si avviò su per le scale. Pascoe aprì la porta principale. Inger Sandel stava salendo i gradini. «Se ne sta andando adesso?» disse. «Deve avere fatto una bella chiacchierata». I suoi occhi erano fissi sulla busta. «Sì. Spero che il concerto vada bene». «Verrà anche lei?». Lui scosse il capo e disse: «No, non credo». Ma cinque minuti dopo, seduto in macchina con il contenuto della busta sulle ginocchia, cambiò idea. Telefonò in ospedale e riuscì a parlare con Ellie. «Come sta?». «Dorme profondamente. Torni?». «Non subito». Le spiegò. Ci volle un po' di tempo per spiegarle tutto, ma infine il suo disappunto svanì, e lei disse: «Ok, Enea, vai, e fai quello che devi». «Enea?». «È uno scherzo tra me e me. Ti amo». «Anch'io. Vi amo tutte e due. Più di ogni altra cosa». «Ed è la ragione per cui devi fare tutto questo, lo so, lo so. Pete, ti ricordi che tempo fa, in una delle nostre discussioni più accese, mi hai detto che stavo trascurando la famiglia per giocare alla rivoluzionaria di sinistra?». «Io ho detto una cosa del genere? Mi sembra più una frase da Andy il Ciccione in giornata buona». «È questo che mi ha fatto veramente infuriare. Ma adesso voglio dirti solo che è davvero una bella cosa che tu non sia mai stato contagiato dal baco della rivoluzione, perché se no non ci sarebbe gusto. Kalashnikov e Semtex tutto il santo giorno. Abbi cura di te. E se ti volti e vedi una luce in cielo, non ti preoccupare. Sono soltanto io». Pascoe spense il telefono sorridendo. Attraverso il tettuccio aperto dell'automobile, disse al cielo azzurro come una maiolica: «Probabilmente sono l'uomo più fortunato del mondo». Poi si diresse verso nord. XVI L'arrivo alla stazione di polizia di Danby del convoglio di automobili
capeggiato da Shirley Novello fu osservato con estrema soddisfazione, attraverso una finestra aperta del piano superiore, da Andy Dalziel. «Ecco cosa mi piace, Wieldy» disse. «Un po' di sana e boriosa ostentazione. Come quando gli Alleati entrarono a Parigi nel '44. Dovremmo lanciare dei fiori. Per caso non hai in tasca papaveri e gigli?». Wield, che aveva appena tirato un sospiro di sollievo nel vedere che Novello aveva avuto il buonsenso di non utilizzare lampeggianti e sirene, disse: «Come vuole gestire questa faccenda, signore?». «Vediamo cosa dicono a proposito degli avvocati», disse Dalziel. «Gli avvocati d'ufficio sono pronti ad accorrere» disse Wield. «E oserei dire che Turnbull pretenderà di nuovo Hoddle». «Quella testa di morto. Be', sarà quasi un piacere vederlo. Ho qualche dubbio che riesca a tirare fuori Geordie da questa storia». Wield aggrottò la fronte con timore superstizioso a quello sfoggio di fiducia. Aveva la netta sensazione che un lungo cammino si stendesse di fronte a loro, prima di uscire da quella selva. Dalla polizia australiana non era ancora saltato fuori niente di utile sulla famiglia Slater. Il mito che la tecnologia moderna rendesse ormai impossibile, nel mondo civilizzato, svanire nel nulla, era uno di quelli che la maggior parte dei poliziotti vedeva sfatato ogni giorno. Anche senza fare grandi sforzi per coprire le proprie tracce, le persone sparivano dalla circolazione e le acque della società si richiudevano sopra le loro teste senza che rimanesse la più impercettibile increspatura a evidenziare il luogo. Tutto quello che avevano per il momento era una registrazione che B. Slater, cittadino australiano, era atterrato dieci giorni prima a Heathrow. Novello impiegò un po' di tempo per registrare i prigionieri, poi arrivò a fare rapporto. Dalziel la salutò raggiante. «Ben fatto, ragazza. Io l'ho sempre detto che sei ben più di una bella faccia, sebbene non abbia niente contro le belle facce, se si considera con che razza di mostri mi tocca lavorare». Novello evitò di guardare Wield. Una cosa doveva riconoscerla, a Dalziel: era un datore di lavoro che credeva nelle pari opportunità. Era maledettamente cafone con tutti allo stesso modo. «Allora, cos'è stato, Ivor? Ragguagliaci», continuò il Ciccione. Lei fece un rapporto dettagliato, succinto e preciso, e ricevette un cenno di approvazione da Wield. «Grandioso» fece Dalziel sfregandosi le mani, come se stesse pregu-
stando gli interrogatori. «Stanno berciando per avere gli avvocati, vero?». Niente di tutto ciò. Turnbull aveva alzato le spalle e aveva dichiarato: «Penso che me la giocherò da solo, rosellina». E Slater/Lightfoot aveva detto: «Che cazzo ci faccio con un cazzo di avvocato? Vammi a chiamare quello stronzo responsabile di questo cumulo di merda, vai!». Le dichiarazioni vennero riportate parola per parola. «E c'è dell'altro» aggiunse, vedendo che l'espressione di Dalziel aveva perso in parte lo scintillio maniacale, e decidendo che era meglio dargli le brutte notizie tutte d'un colpo. «Slater si è fatto registrare con il nome di Barney, non Benny. E quello è il nome che ha sul passaporto. Barnaby Slater». Attese, sperando che la rassicurassero che questo non voleva dire niente, ma dall'espressione del Ciccione vide che implicava molte più cose di quelle di cui lei era a conoscenza. «Il fratello più giovane» disse Wield. «Quello che è rimasto con la madre. Si chiamava Barnabas. Benjamin e Barnabas. Una scelta della vecchia, ho sempre pensato. Da quello che so, Marion non era una personcina troppo religiosa». «Allora, Benny non torna usando il suo nome» disse Dalziel. «Si serve del passaporto del fratello. Forse è stato costretto a farlo. Forse non si è mai dato da fare per cambiarsi il nome». Non sembrava per niente convinto. Wield disse: «C'è solo un modo per saperlo, signore». «Già. Andiamo. Ivor, vieni anche tu. Non parlare a vanvera, ma non avere paura di dire qualcosa, se ti sembra di doverlo fare». Perciò questa volta non mi scaricano dopo che ho fatto il lavoro ingrato, pensò Novello. Grande! A meno che Dalziel volesse semplicemente un agnello sacrificale a portata di mano nel caso in cui le cose cominciassero a girare male. Come sembrava proprio dover succedere, fin dal momento in cui entrarono nella piccola sala per gli interrogatori. Slater fece passare lo sguardo da Dalziel a Wield senza mostrare il più piccolo segno di riconoscerli e disse: «Cristo, e che è? Lui mi si siede sulle ginocchia mentre quest'altro mi spaventa a morte?». «Un mattacchione!» disse Dalziel. «Mi piace farmi una bella risata». «Ah sì? E chi cazzo sarebbe lei, amico?».
«Io? Sono lo stronzo responsabile di questo cumulo di merda» disse Dalziel. «Ma tu lo sai, no, Benny? Ci siamo già incontrati, noi...». L'uomo lo guardò inespressivo. Poi, disse: «Com'è che mi ha chiamato?». «Benny. Benjamin Lightfoot, per l'esattezza». Un smorfia increspò il volto dell'uomo. «Il mio nome è Barney. Voi pensate che io sia Benny, è quello che mi state dicendo? Cristo santo, che razza di casino!». Se era una recita, era perfetta. Ma Wield, studiando il suo viso, era quasi sicuro che non lo fosse. L'uomo assomigliava certamente molto alla foto di Benny che lui stesso aveva modificato, ma visto di persona c'erano troppe differenze. Non era una questione di caratteristiche fisiche, quelle combaciavano abbastanza bene. Era più un problema di espressioni, un luccichio negli occhi, una smorfia delle labbra, il piegare la testa in modo circospetto, piccole cose. Era vero che una persona in quindici anni cambiava molto, ma Wield non riusciva a immaginare come il ragazzetto strambo, timido e represso di un tempo potesse essersi trasformato in questo uomo autosufficiente, aggressivo e sicuro di sé. Tanto più che (ora per la prima volta poteva ammetterlo con se stesso) non era mai riuscito a credere fino in fondo che Benny Lightfoot avesse avuto il buonsenso di mettersi in salvo fuori dal paese. Neanche con cinquantamila sterline in tasca. Se le sarebbe fatte fregare dal primo furbastro che avesse incontrato! Disse: «Quando ha visto suo fratello per l'ultima volta, Slater?». «Prima che mamma ci portasse a Oz» disse l'uomo. «Siamo andati nella valle per andare a trovare la nonna Lightfoot. Ma' gli diceva che poteva venire via con lei, se voleva, ma lui scuoteva la testa e si aggrappava alla vecchia come se noi volessimo strapparlo via di lì». Dalziel emise un brontolio, come un tuono sul mare, ma non parlò. «Siete rimasti in contatto? Lettere e cose simili?», chiese Wield. «No. Ci siamo limitati ai biglietti di Natale. Non siamo una famiglia di scrittori. Se si escludono le lettere della vecchia quando Benny ha avuto quel grosso casino, e furono soltanto due». «È venuto a sapere delle sparizioni di Dendale?». «Qualcosa. Ma non ci ho fatto neanche tanto caso. Avevamo i nostri guai. Le cose hanno cominciano a girare male quasi subito, dopo che siamo arrivati a Oz. Saltò fuori che Jack, sarebbe Jack Slater, il mio patrigno, era un farabutto. Niente di disonesto, be', perlomeno niente che attirasse
l'attenzione. Ma i cavalli, le sbornie, le donnine. Ho lasciato la scuola appena ho potuto, molto prima di quando avrei dovuto, questo è certo. Qualcuno doveva portare i soldi a casa. Per cominciare, Ma' ha deciso di restare al fianco di Jack, nelle sbornie, almeno. Peccato, però, che lei non avesse il fisico adatto. Quando Jack prese e se ne andò, lei era veramente malata. E quello fu il momento in cui arrivarono le lettere, mi sembra». «Le lettere di sua nonna, la signora Lightfoot?». «Giusto. Ascolti, raccontandole queste cose riuscirò ad andare via di qui?». Si rivolgeva a Dalziel. La scimmia può essere autorizzata a parlare, pensò Novello, ma il ragazzo lo sa chi suona l'organetto. «Inizio a pensare che prima la spedisco via, meglio è» disse Dalziel, comprensivo. «Ma penso che sopporterò pazientemente la sua faccia fino a quando non avrà risposto a tutte le mie domande». «Be', amico, se parliamo di fascino...» disse Slater. «Va bene. Le lettere. Non ci ho prestato attenzione fino a qualche anno dopo, quando mi sono messo a ripulire la casa, dopo che è morta mia madre. Nella prima la vecchia gallina diceva che si era trasferita a vivere da qualche parente a Sheffield e che, se fossimo venuti a sapere qualcosa di Benny, dovevamo scriverle. La seconda diceva che si trasferiva ancora una volta, in quella casa di riposo, Wark House, e chiedeva ancora notizie di Benny. Tutto qui». «Sua madre le aveva risposto?», chiese Wield. «E come posso saperlo, io?» disse Slater. «Può essere, ma come ho detto, è stata fuori di testa per un casino di tempo. Ogni tanto parlava della nonna Lightfoot, la odiava a morte, da quello che ho capito, e giurerei che il sentimento era reciproco. Ma una cosa che la mamma diceva sempre di lei era che era una vecchia gallina ordinata e con la testa a posto, e se qualcuno della famiglia era capace di tenersi stretti i suoi quattrini, quella era lei». «Non era preoccupata per Benny?», Novello si sentì chiedere. Slater si strinse nelle spalle e disse: «E chi lo sa? Non ne parlava molto, e quando lo faceva, di solito era per dire 'chi è causa del suo mal pianga se stesso'. Penso che si fosse veramente incazzata, quando lui scelse di restare con la nonna invece che partire con lei». «Ma lui era suo figlio, il primogenito», insistette Novello. «E con ciò? Questo ha solo reso ancor più penoso il distacco da lui. A volte, quando aveva la sbronza triste, diceva che le sarebbe piaciuto vedere
Benny prima di morire. Poi diceva che lui probabilmente aveva già preso i quattrini della vecchia e che stava vivendo alla grande, per cui perché cazzo si sarebbe dovuta preoccupare per lui quando lui se ne infischiava di lei?». Wield guardò Novello da sopra la spalla, per vedere se lei aveva ancora qualcosa da chiedere. Lei scosse leggermente la testa. «Allora, dopo che sua madre è morta, lei ha pensato di tornare in Inghilterra per controllare se in effetti la vecchia signora era ricca, e per vedere se poteva spremerla un po'?», chiese il sergente. «Non proprio» disse Slater, incurante della provocazione. «Ma' morì e, improvvisamente, mi ritrovai libero e giocondo, senza nessuno a cui badare, nessuno per cui spendere i miei soldi se non me stesso, e ho pensato: gli unici parenti che ho al mondo sono là, in Pomerania, per cui perché non andare a fare un giretto a vedere cosa c'è da vedere?». «Ma lei è andato a Wark House dritto come un fuso, no?», chiese Wield in tono accusatorio. «Proprio no, amico. Sono atterrato lunedì. Ho dormito da un amico di un amico giù a Londra. Lui aveva questo vecchio camper e me l'ha noleggiato per poche sterline. Molto più a buon mercato di un albergo, e poi a me piace stare all'aria aperta. Sono venuto verso nord facendo le strade panoramiche. Sono arrivato nello Yorkshire venerdì mattina e ho pensato che non ci fosse niente di male a controllare come stava la nonna. È stato bello trovarla ancora viva. Anche se, vedete, era molto malata. E confusa. Pensava che io fossi Benny. Ho cercato di farla ragionare, poi lei ha detto una cosa che mi ha fatto rizzare le orecchie e ho lasciato perdere. Diceva qualcosa a proposito del fatto che lei lo sapeva, che io sarei riuscito a trovare il denaro e l'avrei usato per mettermi in salvo». «Pensavo che lei non fosse interessato ai soldi», disse Wield. «Non ho detto questo, amico. Quello che ho detto è che non era quella la ragione per cui sono tornato qui. Ma non mi sarei voltato dall'altra parte, se mi fossi accorto che mi spettava un po' di grana. Specialmente quando lei, nel suo discorso sconclusionato, disse che erano cinquantamila sterline in contanti, e le aveva messe in una scatola di latta sotto la grondaia, dove Benny sapeva che lei nascondeva sempre gli oggetti di valore, per cui era là che lui doveva aver guardato mentre lei era ricoverata». «E lei credeva che Benny le avesse trovate?», chiese Wield. «Sì, questo è chiaramente quello che deve aver pensato quando lui è sparito dalla circolazione. E adesso che lei sapeva per certo che Benny le ave-
va prese, perché mi aveva visto, ed era convinta che io fossi Benny, disse che poteva morire felice. Ho poi provato a dirle che non c'era alcun bisogno di morire proprio adesso, felice o meno, visto che io ero Barney e non Benny, ma lei è crollata dalla stanchezza e secondo me non sentiva niente di quello che le stavo dicendo. Allora me ne sono andato. Sentite, non c'è bisogno che ve ne stiate lì a guardarmi con quelle facce. Voglio che lei sappia chi sono in realtà. Voglio passare da lei mentre ritorno verso sud, e spero di trovarla un po' più in palla». Guardò Wield e gli altri con aria di sfida, poi iniziò a comprendere che quello che leggeva sui loro volti non era solo disapprovazione. «Che c'è?», chiese. «Brutte notizie» disse Dalziel. «O forse buone, dipende dai punti di vista. Dopo la sua visita, è morta felice. Stanotte». «Oh, merda, mi state prendendo per il culo? No, non è così. Merda. Speravo proprio...». Sembrava sinceramente dispiaciuto. Novello aspettò che qualcuno suggerisse una sospensione dell'interrogatorio, ma tutto quello che disse Dalziel fu: «Non se la prenda, ragazzo. E ancora in tempo per il funerale. E adesso c'è anche il denaro per farne uno bello. Prima usciamo da questa storia, prima potrà levare le tende. Per cui, andiamo avanti, vuole? Continuiamo da quando ha lasciato Wark House». L'implicazione che appena Slater avesse finito di spiegare loro tutta la faccenda sarebbe stato libero di andarsene ormai sfiorava il ricatto vero e proprio, pensò Novello. Non che fosse importante. Era sicura di poter raccontare lei stessa la maggior parte della storia. «Mi sono diretto verso nord, perché sapevo di dover andare di là» iniziò. «Ma per tutto il tempo continuavo a pensare, come si fa quando si guida. E quello che pensavo era: se Benny aveva preso i soldi ed era fuggito, perché non aveva più cercato di contattare la nonna? Voglio dire, lui l'amava più di ogni altra cosa al mondo, giusto? Allora, cosa gli era successo? E, domanda da sessantaquattromila dollari, gli era successo prima o dopo che mettesse le mani sul denaro?». «Per cui, si chiedeva se la scatoletta con i soldi fosse ancora dove Agnes l'aveva messa, nel sottotetto di Neb Cottage», disse Dalziel. «Proprio così. Sembrava un bel po' di strada, ma, porca miseria, non avevo nient'altro da fare. Solo che, quando sono arrivato a Dendale, ho scoperto che non c'era più nessun Neb Cottage. Ho fatto un giro lì attorno, ma
era da un sacco di tempo che non ci andavo, per cui non ero neanche sicuro di stare guardando l'ammasso giusto di pietre! Però, in quel momento, ho cominciato a intestardirmi. Se quei soldi erano ancora là e Benny no, allora avevo lo stesso diritto di trovarli di chiunque altro, no? Poi sono sceso e ho provato in biblioteca. La signora, là, mi è stata veramente d'aiuto. Sono riuscito a leggere sui vecchi giornali tutto quello che era successo in passato. Mi ha anche mostrato quel libro con le cartine del prima e del dopo, e gliele ho fatte fotocopiare». «Aspetti un attimo» disse Wield, come al solito pignolo sui dettagli. «Cerchiamo di stabilire i tempi. Quando è arrivato a Dendale?». «Sabato mattina. Mi sono sistemato in quella fattoria, poi sono andato a piedi fino alla valle e ho cominciato a guardarmi in giro. Quando ho capito che non sarei arrivato da nessuna parte, ecco, sono sceso in città. Sono rimasto in biblioteca fino a quando ha chiuso, mi sono fatto un paio di birrette e ho mangiato un boccone, poi via, ancora nella valle. Domenica mi sono svegliato all'alba. Stavolta mi sono fatto furbo e, per prima cosa, mi sono arrampicato sul crinale del Neb e ho curiosato là intorno per un po', perché da lassù si vede tutta la vallata a volo d'uccello. È il modo migliore per fare dei rilievi, dà senso alle mappe, più che camminare per chilometri sul terreno. Una volta che sono stato sicuro di aver trovato il mucchietto di pietre giusto, sono sceso, e ho iniziato a scavare». «Fermiamoci qui» disse Dalziel «Si trova sul crinale. Ha guardato giù da un lato solo, no? Verso Dendale? Non ha mai guardato verso Danby?». «Eh? Non starete ancora cercando di tirarmi dentro a 'sta storia della bambina scomparsa, vero? Insomma! È scritto chiaramente sui giornali, che state correndo a destra e a sinistra come galline impazzite, e puntate il dito contro quel povero cristo di Benny che, tra l'altro, nessuno ha più visto in giro da quindici anni. Cercate di restare in famiglia, e farete la figura di una manica di imbecilli!». Pascoe, a questo punto, avrebbe probabilmente commentato che le galline non possiedono dita da puntare, pensò Novello. Dalziel si limitò a guardare nostalgicamente il registratore, come cercasse di spegnerlo con la forza del pensiero, in modo da poter avere un colloquio veramente intimo. Poi, disse in tono gentile: «Non bambina scomparsa. Bambina morta, signor Slater. Ci spieghi e basta. Per favore». «Sì. Giusto. Scusi. Voi dovete fare il vostro lavoro. Spero che prendiate quel bastardo» disse Slater. «No, non credo di aver guardato verso Danby. Ero tutto concentrato nel cercare di localizzare quello che speravo fosse il
posto delle cinquantamila sterline, ricordatevelo. Appena sono stato sicuro di averlo capito, sono sceso in quella direzione». «Vuol dire che è tornato sul crinale ed è sceso da Corpse Road?», chiese Wield. «Ma no. Sono sceso diritto di lì. È veramente una pazzia, è ripidissimo. Sono diventato scemo per quella discesa, e a momenti mi spacco una caviglia. Alla fine, sono arrivato in questo burrone, White Mare's Tail, lo chiamano. Qui si camminava meglio, anche se non mi sarei sognato di entrarci, se la cascata non fosse stata asciutta per il caldo». «E non ha visto nessun altro?». «Nella valle? Neanche un'anima. Oh, be', sì, c'era qualcuno sul crinale, penso. Ho guardato indietro e penso di aver visto qualcuno sul valico dove sbuca Corpse Road. Ma era troppo lontano, e il crinale si inclina proprio in quel punto, e poi non l'ho più visto». «Ma più tardi, c'era gente, nella valle?», chiese Wield. «Sì, certo. Escursionisti, famiglie che facevano il picnic, quel tipo di persone che gironzolano attorno ai resti di un vecchio villaggio che la siccità ha riportato alla vista. Non volevo del pubblico, a guardare quello che stavo facendo, ovvio, ma oramai ero stufo marcio di quella faccenda. Ho fatto quello che potevo a mani nude e non ho trovato un bel niente. C'erano blocchi di pietra, e avevo assolutamente bisogno di un piccone o di un piede di porco, per sollevarli. Per cui, ho piantato lì tutto, sono andato a darmi una risciacquata e a vedere se trovavo un po' di vita». «E com'è andata?», chiese Dalziel. «Malissimo. Tutto quello che so è che mi sono svegliato nel mio lettino da campeggio, la mattina dopo, con le palle girate e la bocca come il secchio di un porcaro. Tutto quello che sono riuscito a pensare, quando ho finalmente smesso di tremare, è stato: io di qui me ne vado. Ma a mezzogiorno, con qualche litro di tè in corpo e la speranza di poter mangiare qualcosa di solido senza vomitare l'anima, ho iniziando a sentirmi un po' più ottimista. Così, sono uscito a cercare del cibo e dopo ho trovato uno di quei negozi per il fai da te e ho comperato un piccone e un piede di porco. Ho aspettato fino a tarda sera che non ci fosse più nessuno, e poi ho iniziato a lavorare. Quando ho smesso era praticamente buio pesto. Ero assolutamente certo che, in qualunque posto fosse il denaro, certo non era lì». «Ma non ha accettato neanche allora la conclusione ovvia che l'avesse preso Benny?», chiese Wield. «All'inizio sì» disse l'uomo. «Poi ho cominciato a pensare che voi mat-
tacchioni gli eravate sempre dietro, no? Per cui, se c'era un posto che avreste messo sotto sorveglianza giorno e notte, fino all'arrivo delle ruspe, sarebbe stato il Neb Cottage, perché lui forse sarebbe andato lì. Così, se si fosse fatto vedere, l'avreste beccato. E visto che non è successo, forse lui non era mai più tornato a prendere il denaro». «Forse è tornato» disse Novello. «Forse è quello che stava facendo tra le rovine quando ha aggredito Betsy Allgood. Cercava la scatola». «Può essere» disse Dalziel. «Gran brutta nottata, eh? Allora ha iniziato a domandarsi chi altri potesse aver preso i soldi». «Bravo» disse Slater. «Per prima cosa, ho pensato potesse essere stato uno di voi. Be', voi eravate sul posto, no? E cinquantamila sterline in bigliettoni usati è una bella tentazione anche per dei tipi virtuosi come voi». Sorrise a Novello, come per escluderla dall'insinuazione velenosa. Lei non ricambiò il sorriso. «Ma anche dopo aver elaborato un'intuizione così idiota» disse Dalziel in tono affabile, «lei non ha mollato. Yorkie si nasce, eh? Così è tornato da quel bel bocconcino della biblioteca». «Bravo» sogghignò Slater. «È solo che non mi andava di partire prima di essere dannatamente sicuro di non avere lasciato perdere niente. E stavolta mi sono trovato a fissare la foto della ruspa che demoliva il cottage». Ora tutti avevano capito quello che Novello sapeva fin dall'inizio, ma era necessario che lui continuasse a parlare per la registrazione. Aveva annotato il nome verniciato sulla ruspa, lo aveva controllato sull'annuario delle aziende del posto, e aveva scoperto che, negli ultimi anni la Tommy Tiplake aveva preso il nome di Geordie Turnbull, stesso indirizzo. E si ricordava di avere letto il giorno prima sul quotidiano locale che questo stesso Geordie Turnbull aveva aiutato la polizia nelle inchieste proprio come aveva fatto quindici anni fa a Dendale. «Coincidenza? Forse» disse. «A quel punto vi sono quasi piombato sulle ginocchia, praticamente ero davanti alla vostra bottega, poi ho pensato, ma che cazzo, con tutta 'sta storia di quindici anni prima su Benny Lightfoot, una volta che voi mattacchioni aveste messo le mani sul fratello di Benny, sareste stati più interessati al mettergliela nel culo, scusi la finezza, signorina, che al lavoro da investigatore privato sfigato che aveva svolto fino a quel momento. Allora, sono andato a Bixford e mi sono fatto un bicchiere al pub, chiacchierando con la gente del posto. Ho cercato di farli parlare solo di Turnbull, e presto ho sentito abbastanza cose da domandarmi come mai un guidatore di ruspe come lui si fosse trovato improvvisamente con
una quantità di risparmi tale da rilevare l'azienda del suo capo. Ho pensato che valeva pena di fare una chiacchierata veloce con Geordie». «Chiacchierata?» disse Dalziel. «Se quello per lei è fare una chiacchierata tranquilla con un poveraccio, non voglio neanche sapere cosa fa quando si mette a pomiciare con una donna!». «C'è stato un malinteso» disse Slater. «Ma poi ci siamo trovati sulla stessa lunghezza d'onda. Gli ho dato quello che gli dovevo. Quando ha visto da che parte tirava il vento, ha smesso di fare delle storie e ha messo le mani avanti. Ha detto che questa faccenda lo aveva tormentato per anni, ma che quando aveva tirato giù il vecchio cottage e aveva visto la scatola di latta in mezzo alle macerie, con le banconote da dieci che ne uscivano, non era stato capace di resistere alla tentazione. Non posso dire di averlo biasimato. Io avrei potuto fare lo stesso». «Ho la netta impressione, signor Slater, che lei abbia esattamente fatto lo stesso», disse Wield. «Col denaro, dice? Senta, amico. Ho avuto quei soldi onestamente e giocando a carte scoperte. Chieda a Turnbull. Come vi ho detto, una volta che ha capito chi ero, si è messo a collaborare di sua iniziativa. Voleva liberarsi la coscienza. Ci ha guadagnato anche lui, il nostro Geordie. Quindici anni fa, cinquantamila sterline erano una gran bella cifra. Ora è un pagamento in contanti per uno di quei macchinari che vende lui. Gli ho detto: dammeli in contanti oggi, e mi dimenticherò i quindici anni di interessi a cui avrei diritto. Lui è stato d'accordo con me. Se la racconta in un altro modo, è un bugiardo. Perché cazzo abbia dovuto coinvolgere voi della polizia, questo non lo so proprio. Lui è l'unico ad aver commesso un reato, non io». «Il ricatto è un reato» disse dolcemente Dalziel. «L'estorsione è un reato. E non cerchi di propinarmi quelle cazzate da canguri sul fatto che quello era il suo denaro. È sua nonna, quella che è stata derubata. Quello era il suo stramaledetto denaro». «Sì, ed ecco dove ero diretto io, dritto giù al ricovero, alla Wark House, per darglielo», disse Slater. Li guardò apertamente, con quella che poteva essere lampante sincerità o anche la soddisfazione del 'provate il contrario, se siete capaci'. Novello disse tranquilla: «È bello sentirglielo dire, signor Slater. Il Dipartimento dei Servizi Sociali, che ha pagato le fatture di sua nonna per tutti questi anni, sarà altrettanto lieto di saperlo. Vede, hanno usato i soldi dei contribuenti pensando che non avesse una lira, e ora potranno ripren-
derseli indietro». Slater la guardò per un attimo colpito, poi sorrise mestamente. «Caspita, forse in fin dei conti dovrei parlare con Turnbull degli interessi». Dalziel si alzò così improvvisamente che la seggiola si inclinò all'indietro e quasi si rovesciò. Slater spostò la sua sedia di qualche centimetro all'indietro come per anticipare un assalto. Ma il tono del Ciccione era più rassegnato che aggressivo. «L'interrogatorio è finito» disse, spegnendo il registratore. «E no, lei non parlerà con Turnbull, signor Slater. Gli parleremo noi, invece. Abbiamo bisogno di una dichiarazione scritta di tutto, ok?». «Sì, certo» disse Slater. «Allora, siamo a posto?». «A meno che il mio sergente, qui, girando bene col pollice tutte le pagine del librone non trovi qualcosa di succulento con cui incastrarla». «L'aggressione a Turnbull?», chiese Wield speranzoso. «Non ci sono molte speranze, se ha detto la verità. Penso che siamo a posto, qui, Wieldy. Ivor?». Wield scosse la testa. Novello disse: «Cosa pensa sia successo a suo fratello, signor Slater?». «Benny? Non me lo ricordo molto, signorina, so solo che era un tipo nervoso, sempre spaventato dalla sua stessa ombra. Potrei azzardarmi a dire che, con la nonna andata e il cottage raso al suolo, il povero bastardo si è ammazzato. Dio salvi la sua anima». Sembrava proprio la frase adatta per concludere. Visto che la stazione di polizia non si poteva permettere due stanze per gli interrogatori, Slater fu riportato nella sua cella con carta e penna per scrivere la dichiarazione, e Geordie Turnbull fu fatto uscire. Aveva avuto il tempo di recuperare il suo antico spirito. In effetti, il sentimento che emanava da lui era il sollievo che finalmente le cose fossero uscite allo scoperto. «È stupido da dire, ma quando ho visto la sua faccia, bellezza» disse a Wield «ho pensato che forse era saltato fuori qualcosa, e quando invece ha iniziato a chiedermi della povera bambina... ho provato sollievo. Sono cose che fanno pensare, no? Preferire di essere sospettato di qualcosa del genere! No, sono proprio contento che sia finita...». Era probabilmente la prima volta che qualcuno si rivolgeva a Wield definendolo 'bellezza', pensò Novello. O magari era solo omosessualità re-
pressa? Magari questo eterno fidanzato che era sulla bocca di tutti pensava davvero che fosse carino. La sua storia confermava in tutti i punti significativi quella raccontata da Slater. Avrebbe dovuto chiamare il suo avvocato, pensò Novello. Il repellente Hoddle gli avrebbe fatto tenere la bocca chiusa. Morta la vecchia signora Lightfoot, con solo i sentito dire di Slater da usare contro di lui, gli avvocati d'ufficio non avrebbero avuto alcuna speranza di incolparlo di qualcosa. Ma qui non si trattava tanto di rispetto della legge, quanto di sensi di colpa. Emerse subito che nel semplice, pratico, spensierato Geordie si trovava un cospicuo filone di fatalismo religioso. Se lui non avesse tenuto il denaro, l'azienda di Tommy Tiplake sarebbe fallita e lui, Geordie, se ne sarebbe andato via da un bel pezzo, e sarebbe stato lontano da questo secondo round di inchieste per la bimba scomparsa. Questa era la sua punizione. Tutto quello che la giustizia poteva attribuirgli non sarebbe stato altro che la prova quasi accolta a braccia aperte della sua innocenza nel caso più importante. Quando l'interrogatorio terminò, Novello si trovò in totale sintonia con lui. Se il suo fascino innato e naturale non avesse già colpito (cosa che, lei sostenne fermamente, non era successa), le parole che pronunciò alla fine l'avrebbero comunque conquistata. «Quello che mi fa star male, adesso che conosco tutta la storia, è il pensiero di quel povero ragazzo, Benny, che ritorna sotto la pioggia e cerca, tra le rovine di Neb Cottage, il denaro che la nonna gli ha promesso. Povero Cristo». «Povero Cristo?» esclamò Dalziel incredulo. «Il suo povero Cristo può essere il responsabile del rapimento e dell'uccisione di tre bambine e, prima che mi dica che non è mai stato provato, non c'è alcun dubbio che abbia aggredito Betsy Allgood quella stessa notte di cui sta parlando». «Lei la vede così? Be', è il modo in cui l'hanno addestrata a guardare le cose, signor Dalziel» disse Turnbull con dignità. «Io il ragazzo lo conoscevo, e non l'ho mai reputato pericoloso. Non ho mai creduto che avesse qualcosa a che fare con quelle ragazzine scomparse, non più di me. E per quello che riguarda la piccola Allgood, sono sicuro che lui le ha fatto prendere un bello spavento. Una bambina piccola che si è persa nella brughiera durante un temporale e di notte, e all'improvviso si ritrova di fronte proprio l'uomo che tutti le hanno descritto come il babau. È ovvio che sia
uscita di cotenna dallo spavento, no? Oserei dire che si sarebbe spaventata altrettanto se avesse incontrato lei sulla collina, quella notte, povera piccola». «Fine dell'interrogatorio» disse Dalziel. «Non c'è niente che mi faccia aggrovigliare le budella più di un tifoso del Newcastle United convertito alla religione». «Ah, è così, bellezza? Be', una cosa è sicura: nonostante quelle scritte di cui mi avete parlato, Benny non è tornato, no? E io non ho avuto niente a che fare con la piccola Lorraine, e nemmeno Barney Lightfoot, a quanto pare. Per cui, me ne torno nella mia cella, va bene? E vi lascio fare il vostro lavoro. Mi pare che ne abbiate ancora parecchio...». XVII Dopo che Turnbull fu fatto uscire dalla stanza degli interrogatori, i tre poliziotti rimasero seduti in silenzio. Infine Novello disse: «Può aver ragione, signore? Betsy Allgood potrebbe aver frainteso? Era così terrorizzata nel vedere Lightfoot, che si è lasciata sopraffare dal panico e, quando lui ha cercato di tranquillizzarla, lei ha pensato che la stesse aggredendo». «Per la sua età, è stata una delle migliori testimoni con cui abbia mai avuto a che fare» disse il sergente con approvazione. «Avevamo parlato con lei molte volte, prima, e quella volta era sempre la stessa, simpatica, tranquilla e precisa. Tutta quella faccenda del gatto, non dirai che si è immaginata anche quello, no? Mi suonava vero allora, mi suona vero anche adesso. Hai letto il dossier? Allora, sai cosa intendo». Sì, pensò Novello. Lo so cosa vuoi dire. Ma non sono sicura di sapere cosa intendo io, che è forse qualcosa di più di quello che sai tu. O puoi sapere. Qualcosa su come funziona la testa delle bambine. Sul modo in cui si possono spaventare a morte per le invenzioni più fantasiose... il modo in cui rielaborano la realtà per adattarla ai loro bisogni e ai loro desideri... il modo in cui osservano e analizzano il mondo degli adulti... Ripercorse mentalmente il dossier su Dendale, facendolo risaltare non come registrazione di un'indagine, ma come una sorta di arazzo pieno di figure, con un disegno complesso giocato sul motivo di una bimba svanita nel nulla, ripetuto tre volte. All'improvviso, da quel punto di osservazione, vide una cosa della quale fino a quel momento era stata solo vagamente conscia.
Disse «Signore...». La porta si aprì e comparve la testa del sergente Clark. Disse: «Mi scusi, signore, le porto i saluti del signor Pascoe. Chiede se le dispiacerebbe raggiungerlo al Dender Mere, cioè al bacino della diga di Dendale». «Pascoe?» chiese Dalziel, guardando Wield attonito. «Che diavolo ci fa, quel disgraziato, al lavoro? Tu ne sai qualcosa, Wieldy?». «Nossignore». «E tu, Ivor? Sei stata l'ultima a vederlo». «Sissignore. Be', come le ho detto, sua figlia sta molto meglio, e pensano sia fuori pericolo. E lui sembrava davvero molto eccitato per qualcosa, non so cosa, qualcosa che riguardava un orecchino...». «E a te cos'ha detto, Nobby?», si informò Dalziel. «Niente di più di quello che le ho riferito, signore. Saluti al signor Dalziel e le dispiacerebbe...». «Sì, sì, mi par di sentire quel birignao anche senza la tua imitazione da filodrammatica di dilettanti» disse stizzoso. «Bene, non credo che qui ci sia altro da fare, stasera, a parte andare a quello stramaledetto concerto, per cui partiamo e vediamo cosa ci ha riservato l'intellettuale locale. Ma sarà meglio per lui che sia qualcosa di interessante!». Lo era. Peter Pascoe, tornando verso Danby, aveva chiamato la base operativa di St Michael's Hall. Là aveva trovato George Headingley in solitudine contemplativa. Gli aveva fatto un resoconto dettagliato di tutto quello che era successo quel pomeriggio. La felicità prepensionamento dell'ispettore gli aveva tolto un po' di affidabilità quanto alle azioni di polizia, ma era la persona ideale a cui lasciare la responsabilità della baracca, se non altro perché, sebbene riluttante a dare inizio a un'azione nel timore che qualcosa andasse storto e potesse danneggiare la sua pensione, era tuttavia un assiduo raccoglitore e confrontatore dei minimi dettagli dell'attività altrui, per evitare sgradevoli ricadute se qualcuno vacillava. «Allora, Sua Enormità e Wieldy sono giù in gattabuia con asciugamani bagnati alla mano?», disse Pascoe, sapendo che perfino gli scherzi sul comportamento scorretto della polizia facevano tremare il vecchio George. «Stanno interrogando i sospettati, sì», disse Headingley. «Ma quel tipo, Lightfoot, che hanno acciuffato dice di essere Barney, non Benny?».
«È quello che dice Nobby Clark. E lui è d'accordo. Conosceva bene Benny, e dice che questo qui può assomigliargli, ma proprio non è lui». «Interessante» disse Pascoe. «Dimmi, George, la squadra di sommozzatori giù al laghetto... sono ancora là?». «Mi hanno appena chiesto se Dalziel ha lasciato detto qualcosa per gli straordinari. Ho detto di no, per cui stanno sbaraccando tutto per la notte». Pascoe rifletté, poi disse: «Fammi una cortesia. Chiamali e... no, adesso che ci penso, dammi il numero». George sarebbe stato tranquillamente capace di inscenare un'avaria di tutte le apparecchiature di comunicazione, pur di non correre il rischio di rimanere coinvolto in uno scandalo di straordinari non autorizzati. Pascoe compose il numero del cellulare della squadra di sommozzatori e fu felice di sentire la voce di Tom Perriman. Era una vecchia conoscenza, e nutrivano una profonda stima l'uno per l'altro. «Pete, come stai? Ho sentito dei tuoi problemi. Come sta andando?». «Bene» lo rassicurò Pascoe. «Una bella grana finché è durata, ma penso che tutto stia ritornando alla normalità. Senti, Tom, sono già per strada e voglio raggiungerti, per cui non scappare via». «Oh, andiamo!» protestò Perriman. «Abbiamo già impacchettato le attrezzature...». «Va benissimo. Non ho bisogno che tu faccia immersioni. Ascolta, puoi già cominciare adesso, mentre arrivo». Spiegò di cosa aveva bisogno. Quando terminò, Perriman disse: «Ed è tua, la firma sull'autorizzazione dello straordinario?». «C'è ben più della mia firma. C'è il mio collo», disse Pascoe. «Sarò presente all'esecuzione» disse Perriman. «Ok, a tra poco». «Perfetto», disse Pascoe. Girò sulla strada di Danby e, usando il sole come bussola, si mosse a zig zag su un percorso fatto di tranquilli viottoli di campagna, fino a trovarsi sulla strada che portava dritta a Dendale. Il cancello della diga era ancora aperto, e lui arrivò in macchina dove era parcheggiato il furgone della squadra di sommozzatori. Scorse gli uomini giù, sul bordo dell'acqua, che maneggiavano picconi e pale. Tom Perriman si staccò dal gruppo e andò a salutarlo. «Allora, chi è l'intelligentone?» disse. «Ho frugato qui intorno con un rampino e ho tirato su mezza cassa toracica. Direi che è abbastanza chiaro: il resto del nostro amico è qui sotto. Doveva esserci una cantina e, quando la casa è stata smantellata dai bulldozer, i lastroni del pavimento al di sopra si sono rotti, lasciando uno spazio attraverso il quale si poteva passare.
Questo poveretto deve essere rimasto intrappolato in qualche modo. Probabilmente, è riuscito ad alzarsi abbastanza da infilare un braccio nella spaccatura, poi i suoi sforzi hanno rotto i lastroni che gli sono caduti addosso. L'acqua è salita. È morto, si è decomposto, e le ossa delle braccia si sono staccate e sono state spostate dalla corrente di circa un metro nel bacino». «Splendido. Allora è saltato fuori anche il resto dello scheletro?». «Dacci un po' di tempo» disse Perriman. «È ancora pieno d'acqua, laggiù, e pesantemente ostruito. Oltretutto, non sono troppo felice di spedire qualcuno dentro una porcheria dove si è decomposto un cadavere». «Anche se è la stessa porcheria che ci serve per bere e cucinare?». «Non in quella concentrazione. Ma vedo che hai troppa fretta per aspettare fino a quando prosciugheremo con le pompe. Stai cercando qualcosa per l'identificazione? Tipo una mascella? Ok, farò un tentativo, ma ti verrà a costare parecchio in whisky antisettici». Pascoe rimase in piedi a guardare l'operazione. Il lastrone rimosso aveva lasciato uno spazio abbastanza ampio da permettere l'ispezione di un sommozzatore. L'acqua era scura e sudicia. Nemmeno l'aria tiepida della sera poteva rendere attraente la prospettiva di immergersi in quelle profondità. Perriman era costretto a lavorare tastando il terreno. Si immerse e procedette a tentoni sul fondo fino a che le sue dita trovarono qualcosa. Emerse un femore, poi una scapola. Poi un cranio. Pascoe lo prese e lo sciacquò nelle acque più pulite del bacino. Quando vide il luccichio di una piastra metallica, disse: «Questo andrà benissimo. Puoi uscire adesso, prima di beccarti la peste o qualcosa del genere». «Ehi, grazie dell'interessamento» disse Perriman, «ma mi piace, quaggiù. E poi c'è qualcos'altro...». Scomparve di nuovo. Passarono trenta secondi, poi sbucò in superficie con entrambe le mani alzate, non in segno di trionfo, ma per mostrare il suo trofeo. Non c'erano ossa sbiancate, ma una lunga catena arrugginita. Pascoe la prese e la srotolò in tutta la sua lunghezza sul terreno cotto dal sole. A un'estremità c'era uno stretto cappio chiuso da un lucchetto, dall'altra larghi chiodi conficcati negli anelli. «Cristo santo» disse Perriman che si era arrampicato fuori. «Sembra che il povero bastardo sia stato incatenato laggiù. E credo che là ci sia ancora qualcosa». «Lascia perdere, finché non fate prosciugare con le idrovore», disse Pa-
scoe. «È quello che pensavo di fare. Pete, non mi sembri troppo sorpreso». Pascoe guardò giù, verso la catena, poi alzò lo sguardo per osservare le placide acque del bacino, le pendici della vallata, il lungo profilo del crinale, con il Neb e Beulah Height che si stagliavano, sereni e misteriosi, contro l'azzurro profondo del tardo pomeriggio. Gli sembrava che tendendo semplicemente la mano si potesse toccare e assorbire tanta perfezione, come una scarica elettrica diretta al nucleo più profondo della vita umana. Sembrava così vicina che il non prendervi parte poteva solo essere un rifiuto volontario, un atto di deliberata malvagità. Poi pensò alla sua disperazione delle quarantott'ore appena trascorse, alla disperazione dei Purlingstone per i prossimi Dio solo sapeva quanti anni, e infine, appena il suo sguardo finì di spaziare in tondo e ricadde ancora una volta sulla catena e sulle ossa, alla disperazione di quest'uomo quando le acque avevano iniziato a farlo salire verso la luce e la libertà, per poi annegarlo. «No» disse. «Non sono troppo sorpreso». Telefonò alla stazione di polizia di Danby, trovò Clark e gli lasciò il messaggio per Dalziel. Poi si mise a passeggiare sulla riva del lago, chiamò l'ospedale e chiese di farsi passare Ellie. «Tutto a posto?», chiese. «Bene. Migliora di minuto in minuto. E tu?». «Faccio progressi» disse. «Non so quando avrò finito, però». «Va bene. Ho un mare di cose per tenermi occupata, qui». «Davvero? Hai trovato un bel dottorino, o cos'altro?». Lei rise. Era un bel suono. «Non sono tanto fortunata. Ma ho con me la mia penna. Ho qualche idea buona con cui trastullarmi». «Ah, sì». Stava pensando: non è possibile che lei progetti davvero di usare quello che abbiamo passato... non ancora... Ma come dirglielo? Non ce ne fu bisogno. Lei rise ancora e disse: «Non preoccuparti, Peter. Ci vorrà un sacco di tempo prima che io possa buttare in faccia a qualcun altro quello che ci è successo. Ma non sarà nemmeno la solita vecchia roba. Se nessuno paga il suonatore, sarà ora di cambiare musica. Penso che siamo tutti pronti per nuove canzoni dopo questo, non trovi?». «Sono d'accordo» disse lui con convinzione. «A proposito di vecchie canzoni, ti dispiacerebbe fischiettarmi la Seconda sinfonia di Mahler?». «Cosa?».
Le spiegò. Parlarono ancora un po'. Infine, lui riagganciò e si guardò intorno. La sua passeggiata lo aveva portato vicino alle rovine del vecchio villaggio che il sole aveva tratto in secco. Aveva ancora la copia della mappa di Wield datagli da Dalziel. Servendosi della mappa, cercò di localizzare le case una per una, ma gli riuscì di farlo solo con la chiesa. Da quanto aveva letto nell'Allagamento di Dendale, era stata costruita accanto alla rupe sotto il cui riparo un tempo giacevano i defunti di Dendale prima del viaggio su per Corpse Road, verso St Michael. Il resto del villaggio era solo un'accozzaglia di pietre, che richiedeva, per essere interpretata, maggiore conoscenza dei luoghi o esperienza archeologica di quanta ne possedesse lui. Rimase là a lungo, avvertendo intorno a sé i fantasmi dei morti, e anche quelli dei vivi, per i quali la partenza da quel luogo era stata una prova generale della morte. Poi sentì un motore di automobile e vide una Range Rover della polizia arrivare a grande velocità nel punto in cui si trovava la squadra di sommozzatori. Dal veicolo uscì Dalziel, seguito da Wield e Novello. Quando li raggiunse, i tre avevano già sentito il racconto di Perriman, ma le loro prime domande riguardarono Rosie. «Ho parlato poco fa con Ellie al cellulare» disse. «Sta dormendo sodo, voglio dire, sonno autentico. Sembra vada tutto bene». «Benone» disse Dalziel. «E l'altra bambina, quella col nome strambo?». «Zandra?» disse Pascoe. «È morta». «Oh, merda». Ci fu un lungo silenzio, uno di quei silenzi pesanti che sembrano impossibili da rompere. Infine, Dalziel si schiarì la gola e disse, brusco: «Bene, ragazzo mio. Cosa succede, qui? Com'è sta storia che con tutti i casini che hai avuto, ne sai comunque più di me?». «Sono stato aiutato» disse Pascoe. «E l'aiuto mi è arrivato da una fonte inaspettata». Li portò alla sua auto e prese una larga busta dal sedile anteriore. «Quanto sapete, voi, di Elizabeth Wulfstan?», chiese. «Sappiamo che è Betsy Allgood, che è rimasta orfana e in seguito l'hanno adottata» disse Dalziel. «Ha avuto bisogno di uno strizzacervelli per farla arrivare all'adolescenza». «Giusto», disse Pascoe, per nulla sorpreso dal fatto che Dalziel fosse così informato, sebbene avrebbe sollevato un sopracciglio se avesse capito quanto di recente, ma soprattutto in che modo aveva ottenuto le informa-
zioni. «Caso vuole che la strizzacervelli fosse Paula Appleby». «Quella della televisione? Quella convinta che i poliziotti dovrebbero essere pompati di estrogeni? Gesù!» disse Dalziel. «E cos'ha a che fare questo con tutto il resto?». Pascoe estrasse diversi fogli dalla busta. «Sono trascrizioni dei ricordi di Betsy, su Dendale e dopo, registrati durante il corso della terapia». «Fa' vedere», disse Dalziel, prendendo i fogli. Li scorse velocemente. Poteva non essere dotato della memoria di Wield, che ricordava il testo senza lacune dopo una sola lettura, ma quanto a velocità era il primo della classe. «Allora?» disse quando ebbe finito. «In apparenza la ragazza dice le stesse cose che ci ha detto quindici anni fa a Dendale, anche se con un linguaggio un po' più da adulta». «Esatto» disse Pascoe. «Ho anche una copia della valutazione finale della dottoressa Appleby, preparata per i Wulfstan. La dottoressa concluse che le condizioni in cui si trovava la ragazza nascevano dal suo tentativo disperato di sentirsi al sicuro nella nuova casa, dopo il trauma della perdita di entrambi i genitori allorquando non si era ancora ripresa da ciò che era accaduto a Dendale, per non parlare, ovviamente, del trasferimento forzoso della sua famiglia». «Allorquando» disse Dalziel. «Come mi sono mancate queste parole! Ma quello che mi disturba di più è: allorquando hai trovato tutta 'sta roba? Non avrai aperto la scrivania di Wulfstan con una forcina per i capelli piegata, spero...» «Tranquillo, signore, ho cancellato le mie impronte», disse Pascoe. Poi, sogghignò e aggiunse: «Si rilassi. Niente di illegale. Non per me, comunque. Me li ha dati Arne Krog». «Grazie a Dio» disse Dalziel, sollevato non tanto dal fatto che non fosse stato commesso un reato, ma che non era stato commesso da Pascoe, perché sapeva che si sarebbe fatto sicuramente beccare. «Ma perché Testa di Rapa te li ha dati? E che diavolo hanno a che fare con le ossa laggiù?». «C'è di più» disse Pascoe. «Una versione rivista e corretta. O forse la versione autorizzata. Decida lei». Prese dalla busta tre fogli di carta azzurra a righe, coperti di una scrittura tonda e fluida in inchiostro nero. Dalziel li prese, li appoggiò sul tetto della macchina, e iniziò a leggere. Non c'era intestazione.
Ho ripensato a quello che ho detto alla dottoressa Appleby e non sono sicura di avere raccontato tutto per bene. Sono arrivata al punto in cui scendo alla diga e inizio a gridare: «Bonnie! Bonnie!» Poi mi sembrò di aver sentito qualcuno che mi rispondeva, urlando, e lo so che è da stupidi, ma non pensai nemmeno per un istante che fosse qualcuno diverso da Bonnie. Ero bagnata fradicia e infreddolita e avevo solo sette anni, perciò non chiesi come mai il mio gatto potesse parlare, e quando urlai ancora e sentii le parole: «Qui! Qui!», mi limitai a dirigermi verso il suono. Veniva da un punto vicino al bordo dell'acqua, dove si trovavano le rovine di Heck. Mi arrampicai sui muri in rovina, sempre chiamando, e sentii ancora la risposta, e veniva da un'apertura mezza bloccata da una grossa pietra e da un mucchio di macerie, ma riuscii a spingerne via un po' e c'era abbastanza spazio per passarci. Solo che laggiù era buio e bagnato, e sapevo cos'era: era la cantina dove il signor Wulfstan teneva il suo vino pregiato. Ero stata là sotto con Mary ed era davvero pauroso, anche con la luce accesa. Adesso sembrava quel buco nel nostro cortile, intendo il cortile a Low Beulah dove babbo spingeva con la pompa dell'acqua il letame e la sporcizia, quando la mamma aveva iniziato a brontolare che era come vivere in un letamaio. Io guardavo sempre il letame e l'acqua che scendevano schiumando e immaginavo come sarebbe stato andare laggiù, con i ratti e tutto quanto. Così, non mi sognavo nemmeno di entrare nella cantina dell'Heck, solo che improvvisamente sentii non più una voce, ma un lungo miaoooo che avrei riconosciuto tra mille. Ora non esitavo più. Bonnie era laggiù, e aveva bisogno del mio aiuto. Allora, mi arrampicai attraverso la fessura. C'erano pezzi di macerie sparsi intorno e formavano come una scala, e quando fui scesa un po' di più mi accorsi che avevo i piedi nell'acqua. Non era molto profonda, ancora, mi arrivava un po' sopra le ginocchia, e meno male che quel poco di luce che entrava attraverso il buco si rifletteva sulla superficie, così dopo un po' iniziai a vedere quello che c'era da vedere. Dissi: «Bonnie, se qui?», e una voce mi rispose: «Sono qui», ed è stato lì che vidi una forma nell'angolo della cantina e capii che lì c'era un uomo, e aguzzai la vista e vidi che era Benny Lightfoot, e aveva Bonnie in braccio. Dopo, è successo più o meno quello che ho detto alla dottoressa Appleby. Eccetto che, quando Bonnie gli ha graffiato la faccia, lui l'ha lasciato andare e io sono scappata via con il gatto. Mi ricordo che Benny ha cercato di venirmi dietro. E mi è arrivato vicino, e io ho pensato che stesse
cercando di prendermi. Mi sono girata per provare a resistere, ma all'improvviso qualcosa l'ha tirato all'indietro e sono riuscita a vedere una cosa che si allungava dietro di lui, e ho visto che era una catena, con un'estremità legata intorno alla vita, e l'altra attaccata al muro. Si è allungato verso di me con le mani tese, e i suoi occhi erano grandi come delle scodelle, perché la faccia era magra da far paura e distrutta. E non faceva proprio più paura a nessuno. Sembrava davvero triste e smarrito. E tutto quello che mi ha detto è stato: «Aiutami, per favore, aiutami». Poi mi sono voltata e mi sono arrampicata fuori e mi ricordo che ho spinto un sacco di pietre e di macerie giù nell'apertura, poi sono scappata su per il pendio più forte che potevo, non sapevo dove, fino a quando mi sono dovuta fermare a riposare. Ed è stato quando babbo è arrivato e mi ha trovato. Penso che questa sia la verità perché la dottoressa Appleby ha detto che mi sono sentita molto meglio dopo aver ricordato la verità di quello che era successo e averne parlato con qualcuno, e adesso che l'ho detto a qualcuno mi sento davvero meglio, anche se non è la dottoressa Appleby. Non voglio dirlo a nessun altro, però, non adesso e neanche in futuro. Mai più. Voglio solo vivere tranquilla a Londra con la zia Chloe e andare a scuola e fare i compiti ed essere una brava figlia come una figlia dovrebbe essere. Quando Dalziel finì di leggere, si girò a guardare i resti di Heck illuminati dal sole, sull'orlo del lago artificiale placido e splendente. Non era un uomo alla mercé dell'immaginazione, ma, come un regista cinematografico, quando sceglieva di farlo poteva lanciarla a briglia sciolta. In quel momento decise di spegnere il sole, fare scrosciare la pioggia e di far salire la bruma dal terreno. E scelse di vedere un uomo incatenato a un muro, con l'acqua che saliva e gli sciabordava intorno alle cosce. E scelse di essere lui, quell'uomo, e di sentire qualcuno che urlava quello che pensava essere il suo nome e di sentire la speranza che saliva più veloce dell'acqua, la speranza che la salvezza fosse lì, a portata di mano... Cacciò i fogli nelle mani di Wield e disse a Pascoe: «E va bene, il mio intelligentone. Tutto filava liscio, prima che tu entrassi nel gioco. Mi vuoi fare la grazia di dirmi cosa pensi stia succedendo?». 'Tutto filava liscio' non parve a Novello una descrizione credibile dell'inchiesta, da qualunque punto di vista la si osservasse. Guardava avida i fogli di carta azzurra che Wield teneva tra le mani e moriva dalla voglia di prenderli per vedere cosa aveva portato Dalziel a un pelo dal ricevere uno sputo in faccia.
Pascoe disse: «Abbiamo bisogno delle impronte dentali per una conferma sicura, ma, per quanto mi riguarda, la piastra nel teschio è sufficiente. Era Lightfoot, laggiù. Qualcuno ce l'ha incatenato. Il candidato più probabile è Wulfstan. Questo spiegherebbe perché ha cominciato ad arrampicarsi sul Neb di recente, quando la siccità ha riportato in superficie il villaggio. Non per la nostalgia, nemmeno per il dolore. Semplicemente il vecchio buon senso di colpa e la preoccupazione di venire scoperto, dopo tutto questo tempo». «Questo ci spiega anche perché non abbia fatto commenti sulle scritte BENNY È TORNATO» disse Wield. «Sapeva che non era possibile». «E perché la bambina non ha detto niente?», chiese Dalziel. «Una bambina terrorizzata che risponde alle domande della polizia nel modo in cui pensa che vogliano loro?» suggerì Pascoe. «Capita. O capitava». Dalziel lo guardò storto, ma lasciò perdere. «E Wulfstan, se è stato lui, cosa voleva fare? Cercava di ottenere una confessione da Lightfoot?». «È una possibilità, signore». «Una? Daccene un'altra». «Be', magari aveva tutto l'interesse ad assicurarsi che il principale sospettato delle sparizioni di Dendale sparisse». «Eh? Andiamo, ragazzo. Mi prendi per il culo o cosa? Dimmi un solo elemento che abbia mai fatto pensare che Wulfstan potesse avere a che fare con una di quelle sparizioni, figuriamoci tutte». «Non posso, signore. Io non c'ero, si ricorda?». «Allora, non hai un fico secco». «Non proprio» disse Pascoe. «Quello che ho è un testimone che ha visto Wulfstan aggredire Lorraine Dacre, domenica mattina». Nessuno dubbio, stavolta, pensò Novello. A Dalziel era arrivato uno sputo in piena faccia. Ed era incazzato nero. «Adesso stammi a sentire» disse infine. «Quello che è giusto è giusto, ma se è uno dei tuoi giochetti da furbo...». «Nessun giochetto, signore» disse Pascoe. «Anche se dubito che potrebbe reggere in tribunale. Anzi, sono assolutamente certo che non lascerò neanche che questo testimone ci si avvicini, al tribunale. Vede, si tratta di Rosie». E per il Ciccione fu il secondo sputo. Due volte in venti secondi. Più quello di prima, quando ci era andato vicino. Il rispetto di Novello nei con-
fronti di Pascoe si librò verso nuove vette e la sua mente fu stimolata da quell'esempio a fare un collegamento. «L'orecchino», disse, sapendo che aveva ragione, ma senza capire il perché. Pascoe le sorrise e le disse: «Il sostituto del crocifisso, per la precisione. Hanno fatto un picnic presto, domenica mattina, nel punto panoramico sull'Highcross Moor. Guardava attraverso il binocolo di Derek Purlingstone. E ha visto la sua amica immaginaria, Nina, che veniva rapita dal nix». «Il nix?», chiese Dalziel, chiaramente poco convinto che il recente trauma subito da Pascoe non l'avesse fatto partire di testa. «Già. Proprio così. Nina è una bambina bionda con le treccine, come questa» frugò nell'auto e mostrò il volume della Eendale Press. «Ed ecco com'è il nix. Vi ricorda qualcuno?». Dalziel scosse il capo, ancora in fase di diniego. Ma Novello disse: «Quella foto del Post...». «Giusto» disse Pascoe. «Ho mostrato a Rosie quella pagina di fotografie e lei mi ha indicato sicura Wulfstan e mi ha detto: questo è il nix. Sono sicuro che l'ha visto, signore». Il Ciccione scosse di nuovo la testa, più per schiarirsi le idee che per esprimere un dubbio assoluto. «Pete» disse gentilmente. «La bambina è passata attraverso un'esperienza orribile. Tu anche. Può provocare cose strane. D'altro canto, lei è l'unica di tutta la famiglia alla quale potrei tranquillamente affidare due maiali da vendere al mercato. Per cui, non vedo niente di male nel controllare». Con subitaneo recupero d'energie, scese a grandi passi verso il bordo del bacino dove i sommozzatori stavano riponendo le attrezzature, parlò a Perriman, raccolse la catena e, tirandosela dietro come uno strascico, si diresse verso la Range Rover. «Bene» disse. «Pete, tu viaggi con noi. Esther Williams, là, ti riporterà l'auto a Danby. Non voglio perderti di vista, perché Dio solo sa ancora quanti allorquando e allorché saresti capace di tirarmi fuori». «Dove siamo diretti, di preciso, signore?», chiese Pascoe, mentre si arrampicava sul sedile del passeggero. «Tu dove pensi? Ti piace la musica, no? Stiamo andando a un concerto. E so già che se urleremo 'Piss! Piss!' abbastanza forte, riusciremo a fargli ripetere qualche canzone, a quegli stronzi». «Forse intende dire 'Bis! Bis!'», suggerì Pascoe. «Lo so io cosa intendo dire», rispose Dalziel.
XVIII Il concerto d'apertura del ventesimo Festival Musicale delle Valli del Mid-Yorkshire iniziò in ritardo. Tutti se lo aspettavano. Nonostante i manifesti, gli annunci sulla stampa locale e il passaparola, la notizia del cambiamento del luogo non era arrivata a tutti e diversi appassionati erano stati rispediti da St Michael's Hall a Beulah Chapel. Vista la situazione, nessuno si lamentò. In effetti, dal punto di vista commerciale non era una cosa negativa, pensò Arne Krog mentre osservava la folla che esaminava i nastri e i dischi in vendita nella cappella. Lui figurava in una mezza dozzina, benché cantasse da solista in due soli. L'uscita dei suoi dischi era andata in parallelo con la carriera da concertista; uno splendore diffuso che di rado minacciava di esplodere nel fulgore della celebrità. Elizabeth aveva solo il disco in vendita, ma era proprio quello che attirava la maggior parte dell'attenzione. Krog non ne era sorpreso. I più furbi ne avrebbero comperate sei o sette copie, gliele avrebbero fatte autografare e datare. Fra quindici anni sarebbero state un pezzo da collezione. Mentre la sua voce non sarebbe nemmeno stata da considerare dimenticata, perché non era mai stata considerata memorabile. Riusciva a sorridere tristemente, al pensiero. Aveva sempre invidiato le insegne della celebrità, ma possedere quel tipo di voce che serviva a guadagnarseli l'aveva sempre considerato un dono di Dio, e come tale poteva suscitare solo meraviglia. Perciò non lo infastidiva che Elizabeth potesse diventare una star, ma solo che la sua brillantezza fosse ottenuta a discapito dell'oscurità degli altri. Però non era ancora sicuro di aver fatto una cosa saggia a passare quella busta all'ispettore. Era stato l'impulso del momento, che difficilmente avrebbe avuto seguito se si fosse trovato di fronte quel pancione bastardo, quel Dalziel! Entrò in quella che doveva essere la sagrestia, sempre che i beulahiti ne avessero una. Elizabeth era là, e mostrava la calma di uno stagno ghiacciato. Inger stava facendo i suoi consueti esercizi per le dita prima dello spettacolo. Walter guardava l'orologio come se l'avesse colto a disubbidire a un suo preciso ordine. «Penso sia ora di cominciare», disse. «Va bene» disse Krog. «Io sono pronto. Inger?». «Sì».
Guardarono Wulfstan. C'era stato un periodo in cui, come presidente del comitato, si era prestato a essere una sorta di maestro delle cerimonie, presentando gli artisti. Ma aveva nei modi qualcosa di talmente rigido e poco cordiale che l'esperimento era stato interrotto. «Invece di riscaldare l'uditorio», aveva commentato Krog, «lui me lo raffredda». Ora era solito segnalare agli spettatori abituali che il concerto stava per iniziare semplicemente raggiungendo Chloe in prima fila. Quella sera però disse: «Starò con Elizabeth, così non dovrà restare qui seduta da sola». La cantante lo guardò e gli sorrise con una sorta di distaccata pietà, come una dea greca che gettasse un occhio sugli affanni dei mortali dal suo tavolino da tè su nell'Olimpo. «No, va tutto bene. Vai a sederti con Chloe. Ti starà aspettando». Wulfstan non fece discussioni e si limitò ad andarsene. Poteva non trovarsi a proprio agio sul palcoscenico, ma per le uscite era sicuramente un maestro. Ostentando uno sguaiato accento americano, Krog disse: «Ok. Facciamolo». Si spostò di lato per permettere a Inger di uscire prima di lui. «Auguri, Elizabeth» disse. «O in bocca al lupo, se sei superstiziosa». Lei ricambiò lo sguardo con un'espressione vuota, al di là anche dell'indifferenza, e lui si voltò in fretta. Quando entrò, l'applauso che era iniziato mentre Inger prendeva posto al pianoforte crebbe di volume. Le platee di piccole dimensioni lo adoravano. Se avesse potuto tenere concerti in tutto il mondo, con cinquanta o sessanta persone al massimo, in sale di paese per le fiere d'estate, sarebbe diventato un beniamino internazionale. Sorrise agli spettatori e anch'essi sorridevano mentre dava il benvenuto con fascino disinvolto. Mentre parlava, i suoi occhi percorrevano le file. Molti li conosceva dagli anni precedenti, avvoltoi della cultura del MidYork, che scendevano sbattendo le ali per ingozzarsi e per farsi vedere mentre si abbuffavano di queste tartine musicali. Poi c'erano i turisti, felici dell'occasione di uscire almeno una sera dalle sale di ritrovo degli alberghi puzzolenti di stantio, o da cottage per villeggianti di gran lunga meno comodi delle loro case. E, sparpagliati tra questi, altri visi che ricordava o gli pareva di ricordare da quei lunghi giorni di vacanza passati a Heck, e in cui era diventato un avventore popolare del negozio del villaggio e abbonato dell'Holly Bush Inn. Quella non era la signorina Lavery, della scuola del paese? E il vecchio
signor Pontifex, che possedeva mezza vallata? E quei lineamenti avvizziti verso il fondo della sala, non appartenevano a Joe Telford, il falegname, con il grazioso permesso del quale avevano la possibilità di tenere il concerto quella sera? E quella coppia laggiù, lei la statua della tolleranza, e lui il granito da cui si ricava, non erano gli Hardcastle, Cedric e Molly? Il suo sguardo venne in avanti e incontrò quello di Chloe, nella fila davanti, e la voce gli tremò. Il suo istinto aveva visto giusto. Non era l'occasione adatta per il ciclo di Mahler. Elizabeth avrebbe voluto che concludesse il concerto, ma l'insistenza di lui aveva impedito almeno quello. Voleva che il concerto finisse su una nota lieta, con uno o due bis travolgenti. Nessuno avrebbe chiesto bis dopo i Kindertotenlieder. Così alla fine lei si era convinta a inserirli alla fine della prima parte. Ma adesso sembrava un errore anche quello. Che Dio ci aiuti, probabilmente se ne sarebbero andati tutti a casa! Ma non era più possibile fare cambiamenti. Tutto quello che poteva sperare era che i Songs of Travet di Vaughan Williams, che non si accompagnavano per nulla con i Kindertotenlieder e che lui aveva scelto proprio per quel motivo, potessero agire come antidoto anticipato. Quando arrivò alla nona e ultima canzone, seppe di avere avuto torto. C'erano volte in cui il pubblico si creava da solo una propria atmosfera, lasciando che l'artista andasse per conto suo. Poteva sentirli mentre rifuggivano dal maschio vigore e dalla solida indipendenza espressa in più di una canzone, per immergersi nella malinconia fatalistica che lui aveva sempre considerato una componente minore. Perfino quest'ultima canzone, I Have Trod the Upward and the Downward Path, una sorta di My Way acculturata, nel suo rifiuto stoico di lasciarsi sopraffare dai capricci di un destino insensibile, in qualche modo gli uscì vibrante di disperazione. Fece un inchino, non fece alcun tentativo per prolungare l'applauso e passò subito a introdurre Elizabeth. La presentazione fu breve e incolore: anche Walter Wulfstan al suo peggio si sarebbe sentito spinto a smorzare quell'atmosfera di aspettativa sovreccitata. E anche in quel caso, l'apparizione di Elizabeth l'avrebbe fatta ritornare alle stelle. Chi l'aveva vista solo in fotografia fu ampiamente compensato dalla realtà. E coloro che avevano in mente l'immagine di una bambina bassa, cicciottella e incolore, con corti capelli neri, ansimarono udibilmente alla vista di questa donna alta ed elegante, dal portamento eretto di una modella, il corpo snello fasciato da un abito da sera nero lungo fino ai piedi e lunghe ciocche di capelli biondi a incorniciare il viso da
tragica regina. Krog si girò e se ne andò, sospettando che avrebbe potuto saltare all'indietro come uno scimmione, facendo boccacce, e nessuno se ne sarebbe accorto. Qualcuno si ricordò di applaudire, ma l'applauso era forzato e si spense subito. Cadde il silenzio. I rumori esterni erano come pesci visti da un batiscafo, abitanti surreali di un mondo completamente diverso. Elizabeth parlò, e le sue vocali dello Yorkshire stridevano come se un'allodola si fosse messa a ruggire. «Quindici anni fa, sul Neb di Dendale, tre bambine, amiche mie, scomparvero. Eseguirò questi canti per loro». Inger partì con la sua breve introduzione, poi Elizabeth iniziò a cantare. E ora il sole vuole sorgere luminoso Come se stanotte una sventura non fosse accaduta Fin dai primi versi di quel primo Lied, Krog si accorse di aver avuto ragione e torto allo stesso tempo. Torto a pensare che Elizabeth non fosse pronta per quel ciclo. Cantava con una purezza di linea, un'ordinata e ben calibrata precisione, che faceva sembrare la registrazione del disco innaturale e affettata. E l'accompagnamento al pianoforte era il complemento perfetto a questa versione della sua voce, che si sarebbe persa nella ricca tessitura di suoni dell'orchestra. E ragione sul fatto che mai avrebbero dovuto permetterle di cantarli in quella sede. Quando il primo canto finì, nel silenzio udì un singhiozzo soffocato. E molti dei visi che vedeva dal suo punto di osservazione privilegiato erano affranti, più che rapiti. Almeno avrebbe dovuto cedere alla sua richiesta di terminare il concerto con i Lieder, perché dopo questo la seconda metà del programma, con il suo pot-pourri di duetti d'amore e classici popolari sarebbe risuonata banale e pateticamente priva di buon gusto. Puntò lo sguardo sul viso di Chloe Wulfstan. Il dolore che vi si leggeva sarebbe stata già un'ottima ragione per escludere Mahler, anche se tutti gli altri del pubblico si fossero semplicemente goduti lo spettacolo come una superba esecuzione di Lieder. Erano passati quasi vent'anni da quando l'aveva incontrata alla sua prima apparizione al festival. Per un giovane cantante che sta facendosi strada, quel genere di impegni era una tappa obbligata lungo la scalata per la celebrità. E quando aveva visto la giovane moglie del suo ospite e aveva avvertito quella familiare stretta alla gola, che era il primo segnale del desiderio, la sua reazione istintiva era stata di
correre il rischio, perché dubitava che sarebbe mai tornato da quelle parti. L'aveva corteggiata assiduamente, ma lei si era limitata a sorridere, divertita, come gli aveva confessato più tardi, dalle sue fiorite maniere continentali, ed era tornata a concentrarsi sul suo bene più grande, la figlia. Aveva pensato a lei per qualche tempo, non a lungo, però, e quando Wulfstan lo aveva invitato l'anno successivo, aveva accettato, non per Chloe, ma semplicemente perché non era ancora in una posizione tale da potersi permettere di rifiutare. Quando l'aveva rivista era stato come tornare a casa. Quell'estate erano diventati amici. Ed era cambiato anche il suo rapporto con Wulfstan. Un'altra ragione per cui aveva accettato l'invito era che lui era arrivato a capire che quell'uomo era come una grossa rana in mezzo a un piccolo stagno del nord. Aveva agganci in tutt'Europa, non quel genere di agganci, ahimè, che aprono le porte della Scala, dell'Opéra o della Festspielhaus, ma un'utilissima rete di conoscenze locali che avrebbero potuto portare lavoro e aiutarlo a farsi notare. A livello personale, trovò difficile entrare in confidenza con lui, il che avrebbe dovuto rendere più semplice la prospettiva di sedurne la moglie; al contrario, ora che lo vedeva in un certo senso come un mecenate, l'interesse personale fu come una doccia gelata per il suo desiderio, e fu per puro caso che, durante il suo terzo festival, mentre passeggiava con Chloe sotto il Neb, scivolò nell'attraversare un ruscello, le rovinò addosso cadendo nell'acqua assieme a lei, e iniziarono a baciarsi come se fosse la cosa più naturale da fare. Così era cominciata. Lei lo vedeva come 'una cosa reale', qualunque cosa significasse, e lui avrebbe potuto preoccuparsi, se Chloe non avesse messo in chiaro fin dall'inizio che sua figlia sarebbe sempre venuta per prima e, fino a quando la ragazza non fosse cresciuta, non c'erano possibilità che Chloe pensasse di lasciare Walter. Ma non era una sciocca. Quando lui le aveva assicurato che il suo amore era talmente forte che l'avrebbe attesa per sempre, lei aveva replicato: «È molto nobile da parte tua, Arne, anche se può darsi che ti attiri l'idea di avere la botte piena e la moglie ubriaca!». Cosa sarebbe accaduto se non si fosse verificata la tragedia di quindici anni prima, poteva solo immaginarlo. Quello che sapeva per sicuro, era che il dolore di Chloe e la loro separazione gli avevano lasciato ferite profonde e la sua vita si era ridotta a uno sforzo per tirare avanti, finché in seguito alla crisi di Elizabeth era tornata da lui ancora una volta. Ora sembrava non esistesse più alcun ostacolo al fatto che lasciasse
Wulfstan. Invece, lei aveva tergiversato e alla fine era tornata a vivere lì. La ragione per cui Krog era andato a ficcare il naso nello studio del suo ospite, lui non la conosceva. Non aveva in mente niente in particolare, solo la vaga speranza di poter imbattersi in qualcosa che lo aiutasse ad allontanare Chloe dal marito. Inger lo aveva sorpreso mentre frugava ma, con il suo solito distacco, non aveva detto nulla e aveva richiuso la porta. Quando aveva trovato le trascrizioni e ne aveva afferrato le implicazioni, la sua prima reazione era stata di sgomento. Che un uomo potesse desiderare di vendicarsi dell'assassino della figlia, questo era comprensibile. Che potesse incatenare un indiziato, contro il quale non esistevano prove concrete, in un buco sottoterra per lasciarlo là ad annegare, andava al di là della sua comprensione. E l'altra grande domanda che non aveva voluto porsi perché era terrorizzato dalla risposta era: quanto ne sapeva, Chloe, di tutto questo? Nulla, cercava di rassicurarsi... non poteva credere... nulla! Forse, invece, aveva frainteso tutto e quelle erano solo le folli invenzioni di un'adolescente disturbata. O forse Walter non aveva nulla a che fare con la presenza di Benny nella sua cantina. Ma quando lo aveva seguito a Corpse Road domenica mattina, e di nuovo quel giorno, e l'aveva visto in piedi a guardare giù i relitti riemersi di Heck, era stato sicuro di sì. La sua sicurezza non era totale, però. I dubbi iniziali sull'impulso che l'aveva spinto a consegnare le trascrizioni a Pascoe si stavano ora trasformando in amari rimorsi. Perché era voluto diventare uno strumento quando poteva limitarsi a osservare? Perché ora, mentre il suo sguardo passava dal viso grazioso e amato della moglie a quello devastato del marito, gli sembrò di scorgervi, chiaro come il profilo del villaggio di Dendale riemerso sotto l'occhio scrutatore del sole, i contrassegni della colpa e la rassegnazione di essere stato scoperto. Il ciclo era composto solo da cinque canti, ma ognuno creava in se stesso un mondo di sofferenza senza tempo. Gli ascoltatori erano talmente rapiti che, durante il penultimo Lied, nessuno si girò a guardare quando la porta sul retro si aprì e tre uomini e una donna entrarono in silenzio. Non angosciarti, la giornata è bella. Si sono arrampicate su per Beulah Height. Il riferimento locale conficcò più a fondo il chiodo del dolore. E la sua ripetizione nel finale, con quella straziante falsa serenità del momento incombente in cui la speranza viene sopraffatta dal dolore, fu troppo per la
signora Hardcastle, che crollò pesantemente sul corpo irrigidito del marito, singhiozzando in silenzio. Ci incontreremo lassù, a Beulah Height, Immersi nella luce del sole. E il tempo è sempre bello lassù, a Beulah Height. Poi, quasi senza interruzione, Inger Sandel si lanciò nel tumultuoso accompagnamento del Lied finale. Krog, dal suo punto di osservazione attraverso la porta parzialmente aperta della sagrestia, poté vedere le reazioni dei nuovi arrivati. Tre li conosceva. Dalziel, con la sua faccia di bronzo, non mostrava nulla di ciò che avveniva dietro quegli occhi porcini. Wield, i lineamenti irregolari altrettanto illeggibili, dava però l'impressione di essere immerso nell'ascolto della musica. Pascoe, visibilmente commosso, pareva incapace di nascondere i suoi sentimenti. E la quarta era una donna che Krog non conosceva, giovane, attraente senza essere una bellezza classica, gli occhi da poliziotto che coglievano tutto, mentre le orecchie sentivano la musica senza lasciarsi coinvolgere. Nel canto, il tumulto e la lotta, con le immagini di tempesta e il senso di colpa e i rimorsi, tutto iniziava a svanire, mentre la cantante ne emergeva, come un viaggiatore sperduto che finalmente trovi pace e rifugio. Non più tremende bufere a sconvolgerle Il capo di Elizabeth era piegato all'indietro, lo sguardo fisso in alto, sopra le teste del pubblico. Nell'abbraccio del Signore Riposano tranquille... Krog non riusciva a vedere il suo viso, ma era certo che fosse radioso come quello di una santa nel momento del martirio in cui vede i cancelli del paradiso spalancarsi di fronte a sé. Riposano... Riposano. Fa' che riposino. Requiescant...
Ecco cos'era. Un requiem. Riposano... Forse lei aveva ragione e lui torto. Se solo non ci fosse stata la polizia... e di chi era la colpa? Sarebbe stato discreto, Pascoe, sulla fonte delle trascrizioni? Non che importasse. Chloe l'avrebbe capito. Senza che nessuno glielo dicesse, lei lo avrebbe capito. ... come a casa del padre. Del padre? Della madre, era sicuro. Uno scivolone? Forse. Ma chi se n'era accorto? Il pianoforte si fece strada attraverso la lunga e malinconica coda che poneva il suo sigillo di quieta accettazione su tutta la turbolenza della perdita e del dolore. Quando finì, nessuno parlò. Nessuno applaudì. E così sarebbe dovuta finire. Adesso si sarebbero dovuti alzare e andare a casa. Poi ci fu un rumore, come uno schiocco sonoro. Poi un altro. E un altro ancora. Era il poliziotto grasso, l'abominevole Dalziel, lì in piedi come lo Spirito della Discordia, che batteva le grandi mani in quella che assomigliava alla parodia di un applauso. Lo rifece sei volte. Le teste si girarono verso di lui, ma nessuno lo imitò. La giovane donna del gruppo guardava l'uomo grasso con un miscuglio di sorpresa e ammirazione. L'uomo più giovane chiuse per un attimo gli occhi in uno spasimo di imbarazzo, poi scelse un CD e trovò necessario studiarlo con la massima attenzione. Solo il terzo uomo, quello brutto di nome Wield, non mostrava alcuna reazione e, senza battere ciglio, teneva lo sguardo fisso su Elizabeth. Dopo l'applauso finale, Dalziel parlò. «Ehi, sei un mito, ragazza!» disse radioso. «Adoro le ballate, quando sono cantate con sentimento. È la pausa tè, adesso? Con questo tempo, eh? Ho la gola che sembra una chiavica asciutta». XIX «Cos'è la verità?», chiese Peter Pascoe.
A volte ce l'hai davanti, lucente come una stella solitaria nel cielo notturno. Altre volte assomiglia a una stella dalla luce fioca persa in un cielo gremito di costellazioni, e si riesce a intravederla solo guardandola di sbieco. A volte è abbastanza vicina che se allunghi la mano ti sembra di afferrarla, per poi ritrovarti a graffiare un trompe l'oeil. E altre volte, un semplice cambiamento di prospettiva può trasformare un'oca selvatica in un coniglio in gabbia. Il vero trucco era riconoscerla quando la si incontrava e riuscire a non confondere la parte con il tutto. Dalziel era un detective 'di pancia', che sfruttava l'istinto animale. Wield usava la logica e l'ordine, sistemando e risistemando le cose finché non acquistavano senso. Pascoe si vedeva come una creatura dotata di grande immaginazione, che faceva balzi smisurati, per poi attendere speranzoso che i fatti gli dessero ragione. E Shirley Novello...? Nella Range Rover era finalmente riuscita ad appropriarsi delle trascrizioni. Le lesse mentre il veicolo correva a velocità eccessiva per quelle strette strade di campagna. I fogli azzurri li lesse due volte. Dopo la seconda lettura, si appoggiò all'indietro e strinse gli occhi, come sperando che il buio favorisse un'illuminazione. Stava richiamando alla mente i sentimenti confusi e frammentari dei suoi anni di adolescenza. Ma, in confronto, il suo era stato un periodo di quiete alcionia. E il trauma di Betsy Allgood non era cominciato con l'inizio dell'adolescenza, ma molto, molto prima. Una bambina scialba, bruttina, poco amata, affamata di affetto nei confronti di un padre ossessionato dal lavoro e di una madre emozionalmente instabile, con che invidia doveva avere guardato le sue amiche più graziose, più felici, coccolate e vezzeggiate e Mary Wulfstan, in particolare, che si materializzava solo durante le vacanze per prendere il suo posto nella gerarchia di Dendale come una piccola principessa. Eppure, la madre di Mary era solo una Allgood, come il padre di Betsy. Perciò quella sua particolare qualità, quell'invidiabile e desiderabile 'essere diversa da tutte le altre', doveva esserle stato trasmesso dal padre, il potente ed enigmatico Walter Wulfstan. Ma quanto potevano capire gli uomini accanto a lei di tutto ciò? Pascoe, dopo quello che aveva passato, dopo quella storia dell'amica immaginaria
e del nix reale/nix fantastico, lui sicuramente doveva aver avuto qualche sentore del mondo dietro allo specchio in cui le ragazzine potevano entrare e uscire senza neanche accorgersene. E Wield, fino a che punto possedeva quelle qualità di sensibilità e penetrazione empatica che nei libri si attribuivano convenzionalmente ai gay? O erano solo una parte dell'immagine falsa quanto quella diffusa negli ambienti della polizia, che dipingeva i gay, nella migliore delle ipotesi, come tristi e sordidi guardoni, nella peggiore potenziali pedofili? E Dalziel il terribile... Oddio, stava parlando con lei! «Dormi, Ivor, o cosa? Ti stavo chiedendo cosa ne pensi di 'sta faccenda, dopo avere letto quella robaccia da strizzacervelli!». Sono qui, pensò lei, chiusa in una macchina con il mio dio uno e trino, fuori posto come il quarto angolo di un triangolo, e stanno aspettando di sentire il mio parere! Opportunità di brillare? O possibilità di eclissarmi per sempre? Una mossa intelligente sarebbe stata forse combattere con la testa, verificare prima cosa pensavano quelle grandi menti e poi mantenersi dalla loro parte, così, al peggio, se saltava fuori che avevano torto marcio, sarebbero stati tutti sulla stessa barca. Pascoe si girò dal sedile anteriore e le sorrise. «Non preoccuparti» disse. «Non ci sono buoni omaggio da vincere. Stiamo parlando di una bimba morta, di quattro bimbe, forse, e forse un'altra rovinata per sempre. È solo la verità che importa, non l'ambizione personale. O i problemi, personali. So che te ne rendi conto». Merda, pensò Novello. Questo bastardo che legge nel pensiero mi sta ricordando che sono andata a rompergli i coglioni mentre era seduto al capezzale di sua figlia, e sta dicendo che se era per il lavoro era tutto a posto, ma non se era solo per me stessa. Chi cazzo si crede di essere? Gesù Cristo sceso in terra? Lei però sapeva che la sua indignazione nasceva in parte dal senso di colpa. E c'era anche qualcos'altro, che era peggio del senso di colpa, perché andava contro la sua decisione personale di farsi strada fino alla cima di quel mondo di uomini senza pagare il prezzo per entrare a farne parte: era un sentimento di piacere al pensiero che forse la sua geometria sbagliava, forse il Sacro Triangolo era in realtà un Sacro Circolo, che era stato appena allargato per includerla al suo interno... Non mi farò accalappiare così, assicurò a se stessa, poi ansimò perché l'auto aveva slittato. Dalziel aveva frenato all'improvviso per evitare un cane sbucato da un
cespuglio. Era una piccola creatura indistinta che se ne andò per la sua strada con spigliata e briosa indifferenza nei confronti di quegli esseri inferiori la cui carenza di arti li obbligava, per viaggiare, a inscatolarsi come carne per cani. L'incidente durò solo un istante, poi il Ciccione recuperò il controllo dell'auto. Ma Novello si ritrovò a pensare a Tig, il cane di Lorraine. Non l'aveva visto. Non aveva visto neanche Lorraine. Né viva né morta. Ma Dalziel sì, e anche Wield. Improvvisamente le venne voglia di piangere, ma era una sensazione che da tempo era abituata a controllare. Disse con vivacità: «Chiaramente, Betsy era molto disturbata, ma non sono troppo sicura che fosse confusa. Lei ovviamente voleva che Wulfstan sapesse che si era ricordata la versione reale di quello che era successo quella notte. In altre parole, lo stava proteggendo. Ma supponiamo che la sua ossessione per Wulfstan risalisse a molto tempo prima, e anche il suo desiderio di proteggerlo... Ho notato, leggendo il dossier, che in tutte le occasioni era Betsy a dichiarare di aver visto Benny gironzolare nei dintorni. Forse aveva iniziato a proteggere Wulfstan già allora, per cui, quando ha visto Benny incatenato nella cantina di Heck, è stato istintivo, per lei, spostarlo al Neb Cottage». Ecco fatto. L'aveva detto. Aveva suggerito che, quindici anni prima, quando lei non era che una ragazzina poco più grande delle bambine scomparse, questi uomini avevano compiuto errori madornali di giudizio, e avevano lasciato che una bambina li menasse per il naso. Dalziel disse: «Porca puttana, donna. Lo so che sono i vostri ormoni a pensare per voi, ma come potrebbe una bambina di sette anni averci preso per il culo in quel modo?». Lei sorrise a se stessa, trovando rinfrescante l'esplosione di gioviale volgarità di Dalziel, dopo le giaculatorie lacrimogene di Pascoe. Replicò: «Non credo che qui stiamo parlando di strategie elaborate volontariamente, signore. Doveva essere davvero terrorizzata e confusa, la notte che incontrò Benny. Forse perché fu trovata vicina al Neb Cottage e tutti davano per scontato che fosse là che lui l'aveva aggredita, lei si è limitata a confermare quella versione. Se ne sarà addirittura autoconvinta, o almeno avrà sbarrato fuori la verità. Ed è stato solo quando la dottoressa Appleby ha cominciato a lavorare su di lei, che è ritornato tutto fuori». «Ma lei non gliel'ha detto, quello che si era ricordata?», chiese Pascoe. «No. Non alla psichiatra. Allora, era abbastanza cresciuta da elaborare
da sola le implicazioni di quello che aveva visto. E abbastanza ossessionata da afferrare che aveva il potere di obbligare Wulfstan a entrare nel ruolo di paparino affettuoso, dopo che aveva fallito cercando di persuaderlo perdendo tutto quel peso e tingendosi i capelli». C'era silenzio ora in macchina. Erano arrivati alla periferia di Danby. Non era esattamente un luogo pulsante di vita notturna, pensò. Praticamente non c'era traffico e le poche figure visibili nella strade si muovevano lente come volute di fumo nella luce del sole all'imbrunire. Una città fantasma. Una città piena di fantasmi giunti vagando giù per Corpse Road dal Neb. Ma non a infestare la città. Piuttosto a chiedere di riposare finalmente in pace. «Allora, tu consideri Wulfstan colpevole per tutte le bambine, inclusa sua figlia?», chiese Dalziel. «Non sarebbe il primo», disse Novello. «Il primo a far cosa?», chiese Pascoe. «Il primo molestatore e assassino di bambini che non fa differenze per i membri della sua famiglia!», esclamò con più veemenza di quanto volesse. «E Betsy sa che lui è un mostro, e ciononostante si ficca in testa di diventare sua figlia?» chiese Dalziel incredulo. «Una cosa la posso dire, su di te, ragazza mia, non sei proprio una di quelle femministe del tipo noiragazze-non-facciamo-mai-niente-di sbagliato». «Non sto parlando di giusto o sbagliato. Sto parlando della verità» replicò Novello con rabbia. «E, probabilmente, il vostro lavoro diventerebbe dannatamente più facile per tutti se solo voi maschietti foste disposti a guardare in faccia la verità su voi stessi almeno quanto facciamo noi donne». Oh, merda, pensò, lasciandosi cadere all'indietro sul sedile. Un minuto lassù, sugli spalti, a ricevere gli alleluia insieme alla Trinità, e quello dopo giù, veloce come una cometa, all'inferno! E fu a questo punto che Pascoe frugò nel suo pozzo di palliativi e l'unica cosa che riuscì a dire fu: «Cos'è la verità?». Il resto del viaggio verso Beulah Chapel trascorse in un silenzio contemplativo. Una volta nella cappella, Pascoe abbandonò la meditazione per l'osservazione. Aveva la sensazione che tutto stesse per concludersi. Ma, come nei migliori spettacoli, prima che tutto finisse, il Ciccione doveva fare la sua cantatina. Una voce si inserì nel parapiglia esploso dopo la dichiarazione di Dal-
ziel. Era chiara, forbita e veniva da una donna bella e formosa, che Pascoe riconobbe senza sorprendersi (ormai era oltre la sorpresa) come Cap Marvell, l'ex innamorata di Dalziel. Stava proclamando: «Signore e signori, è una serata così bella... i rinfreschi saranno serviti fuori in cortile». Mentre il pubblico iniziava a uscire in fila, Cap si avvicinò al Ciccione, mise la mano sotto il suo braccio e gli disse dolcemente in un orecchio: «Andy, cos'è successo?». «Te lo dico dopo, cocca» disse lui. «Sarebbe utile se potessi far uscire anche quelli là». Qualche spettatore, spinto dalla parsimonia, dalla curiosità o dall'artrite, aveva scelto di rimanere seduto al suo posto. Cap Marvell si avvicinò a loro parlando quieta, e a uno a uno si alzarono. Lei li guidò all'uscita come un cane da pastore, scambiando uno sguardo con Dalziel mentre passava. Forse, pensò Pascoe, dovrei cancellare l'ex. Dalziel guardò verso di lui e, senza pensarci, lui piegò la testa di lato e fece un'espressione di complicità. Cristo, sto diventando audace, pensò. Cap Marvell chiuse la porta dietro l'ultima persona del pubblico. Donna autorevole, pensò Pascoe. O forse aveva preso lezioni dal suo petit ami e si era limitata a dir loro di levarsi dalle palle finché avevano ancora due gambe per poterlo fare. Lei raggiunse Dalziel e disse, remissiva come una servetta: «Nient'altro, signore?». Lui disse: «Ho la sensazione che il concerto sia terminato, perciò potresti provare a trascinarli in una cantatina tra amici per impedirgli di chiedere indietro i soldi. Scherzi a parte, una volta che hanno bevuto, sbolognali a casa. A proposito, non stavo scherzando quando ho detto che ho una sete boia. Non potresti scavalcare la fila e andarci a prendere una tazza di tè? Ancora meglio, fanne una teiera e porta tazze per tutti quanti». Guardò in fondo alla cappella, dove i tre Wulfstan e Arne Krog stavano in piedi vicino al piano al quale Inger Sandel era rimasta seduta. Come un quartetto che aspetta il suo turno dal barbiere, pensò Pascoe. «Cinque loro, quattro noi, fa nove» disse Dalziel. «Wield, tu che sei abituato a fare i lavori di casa, dai una mano a questa fanciulla». La fanciulla gli fece un sorriso sottomesso e cercò di pestargli un piede con tutta la sua forza, ma senza risultati evidenti, quindi uscì, seguita da Wield. Pascoe catturò un breve guizzo di piacere sul viso di Novello. Pensava di essere stata perdonata perché non era stata eletta ragazza del tè, ci a-
vrebbe giurato. Povera bimba. Aveva imparato tanto, ma non abbastanza: nella filosofia di Dalziel, il piacere era irrilevante dal punto di vista emozionale tanto quanto la ripicca. «Bene, cerchiamo di non essere asociali», disse il Ciccione. E, raggiante come un assicuratore che cerchi di vendere rendite annue sul Titanic, si diresse verso il gruppo attorno al pianoforte. «Questo sì che è un bel vedere» dichiarò mentre si avvicinava. «Famiglia e amici. Probabilmente risparmierei tempo se parlassi a tutti in una volta sola, ma se qualcuno di voi pensa che possa diventare imbarazzante, lo dica: gli fisserò un appuntamento privato». Come un lupo che chiedeva alle pecore se preferivano stare appiccicate le une alle altre o tentare la fortuna una alla volta. Nessuno aprì bocca. «Perfetto» disse Dalziel. «Niente segreti, quindi. Ecco come dovrebbe essere tra familiari e amici. Mettiamoci comodi, va bene?». Si prese una seggiola e ci si sedette con una tale forza che i giunti scricchiolarono e le gambe si piegarono. Pascoe e Novello portarono delle seggiole per gli altri e le sistemarono in semicerchio. Poi, i due detective presero posto dietro a Dalziel, come dignitari in una sala per le udienze. Elizabeth si sedette per ultima. Mentre si sistemava con eleganza sulla sedia, si tolse la parrucca bionda e la lanciò in direzione del pianoforte con gesto casuale. Atterrò metà sullo strumento e metà fuori, poi scivolò sul pavimento come un pechinese senza gambe. Nessuno se ne accorse. Tutti gli occhi erano fissi sulla cantante, che si grattava vigorosamente la testa nuda con entrambe le mani. «C'è un caldo del diavolo con quella robaccia» disse. «Mi sa che non la metterò più». «Si cambia colore, eh?», disse Dalziel. «Già. Penso che i miei giorni da bionda siano terminati». Era seduta là, come un alieno di un film di fantascienza. Pascoe, che la considerava una donna dall'aspetto notevole ma priva di vera attrattiva sessuale, fu colpito da un'immagine improvvisa di se stesso che premeva quella testa nuda tra le cosce, e se ne sorprese. Elizabeth colse la sua espressione e sorrise, come se sapesse esattamente quello che stava pensando. Lui rivolse veloce l'attenzione al CD che teneva ancora in mano. Ecco il punto in cui l'oca selvatica si trasforma in un coniglio in gabbia. In quel momento Wield riapparve portando un vassoio con una teiera, tazze, zucchero, latte e parecchi biscotti.
«Ecco che arriva la mamma» disse Dalziel. «Che cosa strana. Quando fa caldo e si ha veramente sete, non c'è niente di meglio di una bella tazza di tè». Parlò con la convinzione di un predicatore proibizionista. Pascoe stette a guardare con rassegnato divertimento mentre il Ciccione si dava gran pena di aspettare che le signore fossero servite prima di accostare la sua tazza ai labbroni, il mignolo leggermente sollevato alla maniera dei perfetti gentiluomini. Stava pianificando la sua strategia, oppure pensava che una cosa che aveva atteso quindici anni per uscire alla luce del sole meritasse una lenta degustazione. Infine, fu pronto. La sua mossa d'apertura sorprese Pascoe, poiché ripresentò l'offerta di interrogatori separati, solo che questa volta era mirata e suonava sincera. «Signora Wulfstan» disse con gentilezza. «Potrebbe essere doloroso, per lei. Se preferisce che parliamo più tardi, o a casa...». «No» replicò lei. «Sono abituata al dolore». Krog, seduto alla sua sinistra, le afferrò la mano che dondolava libera e arrivava quasi al pavimento, ma lei non la strinse e, dopo un momento, lui la lasciò andare. Wulfstan non girò nemmeno la testa per guardarla. Tutta la sua attenzione era concentrata su Dalziel. La preoccupazione del Ciccione era davvero genuina, o era solo il modo di mettere il marito sotto pressione?, si chiese Pascoe. Forse un pizzico di entrambe. Dalziel aveva una lunga pratica del modo di abbattere interi stormi di uccelli con un sasso solo. «Allora, è il momento di mettere le carte in tavola» disse, accattivante e falso come un baro del Mississippi che si sia infilato le carte da gioco nelle maniche, giù per il colletto, dietro al nastro del cappello e in ogni orifizio conosciuto agli uomini. «Chi comincia?». Silenzio di tomba. Che era quello che si aspettava. Pascoe colse lo sguardo di Wield e gli sussurrò qualcosa nell'orecchio. Il sergente annuì e andò tranquillamente verso l'uscita. «Siamo allo stadio fifa, eh?» disse Dalziel. «Va bene. Agente Novello, perché non provi a metterci in moto tu?». Gesù Cristo!, pensò Novello, e valeva come imprecazione e come preghiera. Era rimasta a guardare con interesse per vedere come il Ciccione si sarebbe giocato la partita. Sarebbe ritornato al passato o rimasto nel presente? Avrebbe parlato apertamente di quello che avevano trovato o se lo sarebbe tenuto ben nascosto per coglierli in castagna?
Era pronta ad apporre postille critiche, a dare voti mentali. E adesso eccola lì, di fronte alla classe, con il gesso in mano. Gesù, ripeté, stavolta solo come supplica. La sua mente girava vorticosamente tra lo scheletro incatenato a Heck, i fogli azzurri della ricostruzione di Betsy, la storia di Barney Lightfoot e la confessione di Geordie Turnbull... Poi pensò: ma tutto questo ha a che fare col passato! 'fan-culo il passato. Andy il Ciccione può restarci ancorato, ma io non lo farò! Il caso al quale sto lavorando è l'omicidio di Lorraine Dacre, di sette anni. Disse: «Signor Wulfstan, non c'è niente che vorrebbe aggiungere di sua iniziativa a proposito della sua visita a Danby, domenica mattina presto?». Si concentrò sui lineamenti scavati di Wulfstan, in parte per resistere alla tentazione di guardare Dalziel in cerca di approvazione, ma anche decisa a cogliere ogni reazione rivelatrice. Un'emozione comparve su quei lineamenti immoti come uno spettro fatto di bruma, ma non le riuscì di decifrarla. Forse assomigliava a... sollievo? Lui disse: «Come ho detto al signor Dalziel, sono salito per Corpse Road e sono rimasto per un po' sul crinale a guardare giù verso Dendale». «E poi?». «E poi mi sono girato per scendere dalla parte di Danby e ho guardato lungo il crinale verso il Neb. E ho visto un uomo». «Un uomo? Che uomo? Non c'era nella sua precedente dichiarazione. Perché?». Stava accatastando troppe domande nell'ansia di non farselo sfuggire. Lui si toccò il viso con una mano come in cerca di una rassicurazione tattile di essere lì in carne e ossa. Poi disse, tranquillo: «Perché era Benny Lightfoot». Novello emise uno sbuffo di derisione rabbiosa. Il bastardo stava cercando di prenderli per il culo? Sperava di nascondersi dietro quell'isteria di BENNY È TORNATO. Ma lei aveva l'occorrente per tranciare quel puntello traballante al quale si era aggrappato. Con la voce intrisa di sarcasmo, disse: «Lei ha visto Benny Lightfoot? BÈ dev'essere stato un vero colpo per lei, signor Wulfstan. Specialmente perché era l'unica persona al mondo che potesse essere sicuro della sua morte». Se si aspettava shock o orrore nell'uditorio, rimase delusa. Wulfstan scosse la testa stancamente e ripeté: «L'ho visto». Le tre donne erano inespressive, o quasi.
E Arne Krog disse: «È vero. C'era un uomo». E rivolto a Wulfstan disse, quasi scusandosi: «Ti ho seguito». Questa conferma sbilanciò Novello per un secondo, finché non ne colse le implicazioni. Certo che c'era un uomo, ma non era Benny, bensì Barney, che aveva anche spiegato di essere andato a passeggiare sul Neb in cerca di una veduta dall'alto sulla vallata. Wulfstan stava guardando Krog, leggermente sorpreso. Be', certo che uno doveva essere sorpreso di ricevere la conferma dell'avvistamento di un fantasma, e da una fonte così inaspettata. «Allora, cosa ha fatto dopo, signor Wulfstan?», chiese Novello. «Sono salito per il crinale per seguirlo», disse Wulfstan. «E l'ha raggiunto?», chiese lei. «No. È sparito». «Vuol dire, in una nuvola di fumo?», lo canzonò. «No. Ci sono balze e increspature del terreno, lungo il crinale. È sparito dalla mia vista e non è più riapparso. Suppongo che sia sceso da un lato o dall'altro». Adesso capiva a cosa stava mirando. Benny/Barney era sceso dal lato del Ligg Beck, lì aveva incontrato Lorraine e... Bel colpo, Walter. Peccato che non regga. Sentendo di avere la situazione sotto controllo, iniziò a prepararsi il terreno. «E lei, signor Krog? Ha visto dove andava quell'uomo?». Krog disse: «No. Ho visto Walter che lo seguiva, poi sono ritornato in Corpse Road». «E non ha rivisto il signor Wulfstan?». «Solo più tardi, a casa sua». Così, adesso sei solo, Wulfstan. Tu e io. E la bambina. «Cosa è successo dopo, signor Wulfstan?» chiese gentilmente. «Ha camminato sul crinale, guardando a destra e a sinistra per cercare l'uomo che lei pensava essere Benny Lightfoot? E poi ha guardato in giù, verso il lato di Ligg Beck e ha visto qualcuno, là sotto, lontano? Ed era una bambina che ha visto, signor Wulfstan?». In tribunale, questo sarebbe stato definito 'influenzare il testimone'. Quasi sperava che non si sarebbe lasciato influenzare, e che la rabbia e il disprezzo l'avrebbero tradito. Invece non c'era disprezzo, sul suo viso, e nemmeno negazione nella sua
voce. «Sì» disse. «Sì, ho guardato giù. E ho visto una bambina. Ho guardato giù e ho visto Mary». «Mary?». Novello rimase sconcertata per un attimo. Contro la sua volontà, si ritrovò a sbirciare di lato verso gli uomini. Pascoe le fece un leggero cenno d'assenso per incoraggiarla. Wield, che aveva raggiunto il gruppo, portando il dossier su Dendale e la busta con le trascrizioni di Betsy Allgood, era imperscrutabile come sempre. Dalziel stava guardando Wulfstan con le sopracciglia aggrottate. Anche lei concentrò di nuovo l'attenzione sull'uomo. Allora, vuoi sgusciare via, eh? Richiamò le energie per l'attacco frontale. «Andiamo, signor Wulfstan!» disse. «Lei intende Lorraine, vero? Lei ha guardato giù, verso la vallata, e ha visto Lorraine Dacre». Ci fu uno scricchiolio lamentoso: Dalziel aveva spostato il suo peso in avanti sulla scomoda sedia. «No, fanciulla» la corresse con gentilezza. «Lui intende Mary. È vero, signor Wulfstan? Lei ha guardato in giù, verso Ligg Beck e ha visto sua figlia, Mary. Ed era proprio come l'ultima volta che l'aveva vista, quindici anni fa». E, per la prima volta da quando si conoscevano, Wulfstan guardò Dalziel con un'espressione simile alla gratitudine e disse: «Sì. È giusto, sovrintendente. Ho visto la mia Mary». XX Il cielo luccica come un drappo di seta che svolazza al vento, il sole barcolla come un ubriaco, il crinale roccioso sotto i suoi piedi oscilla come un trampolino. Dopo tanti anni, dopo tanto dolore, lei è lì, bionda e gioiosa come la ricorda, non è invecchiata di un solo giorno, non è cambiata di una virgola. Il fantasma dell'uomo che gliel'ha portata via l'ha condotto da lei. Non si sofferma a chiedersi come mai non sia invecchiata, durante tutti quegli anni. O a stupirsi perché si trova in questa valle, invece che a Dendale, dove è scomparsa. Non considera neppure quanto sia scosceso il pendio sotto di lui. Invece, si slancia giù come un campione di corsa in collina al meglio della forma. Balza agilmente da una roccia all'altra. Sotto, sul bordo del profondo burrone attraverso il quale il ruscello esce dalla vista, lei raccoglie fiori, dimentica di tutto tranne che di se stessa e delle pianticelle sotto i suoi piedi, e forse del cane che le corre intorno, abbaian-
do alle api e alle mosche. Lui la chiama per nome. È senza fiato, non riesce a gridare, ma la chiama ugualmente. Il cane lo sente per primo e guarda in su, il suo abbaiare eccitato si trasforma in un basso brontolio di gola. Lui chiama ancora, più forte, adesso, e questa volta la bambina lo sente. «Mary!». Lei si gira e guarda su. Vede precipitarsi verso di lei una creatura con gli occhi selvaggi che balbetta strane parole, con le braccia che sbatacchiano di qua e di là, le gambe stanche, ora, che lo fanno vacillare e gli danno un'andatura da ubriaco. I fiori le cadono di mano. Si gira per scappare. Lui urla ancora. Lei corre alla cieca. L'orlo del burrone è vicino. Lei si guarda indietro e vede le braccia tese che stanno per afferrarla. E cade. «Quando sono sceso e mi sono avvicinato ho visto due cose. Ho visto che non era Mary. E ho visto che era morta». Novello lo guardava, cercando di non credergli, ma senza riuscirci. Quello che voleva era un mostro preso in trappola, non un padre accecato dalla follia. Aprì la bocca per fare domande scettiche, ma Dalziel la zittì con un'occhiata e disse: «Sicché, cosa ha fatto dopo?». «Ho raccolto il corpo e ho iniziato ad arrampicarmi fuori dal burrone. Penso che volessi riportarla indietro, nella valle, per cercare aiuto, anche se sapevo che per lei ogni aiuto sarebbe stato inutile. A metà del sentiero, su una cornice di roccia, il cane mi ha attaccato, morsicandomi le caviglie. Mi sono dovuto fermare per cacciarlo via. Infine gli ho dato un calcio così forte che l'ho fatto cadere sul fondo del burrone, ed è rimasto lì, e ancora mi ringhiava contro. È stato in quel momento che ho notato questa apertura dietro una larga lastra di roccia. Quando ho guardato dentro, ho visto che doveva essere una specie di nascondiglio della bimba. Conteneva quel genere di cose che una bambina sceglierebbe di tenersi attorno... lo ricordo dai giorni in cui...». Guardò la moglie, il cui viso aveva perso ogni colore. Elizabeth le teneva una mano e Arne Krog le stringeva l'altro braccio. «L'ho appoggiata là dentro, pensando che poteva essere il posto adatto per lasciarla intanto che andavo a cercare aiuto. Poi ho cominciato a pensare a quello che significava dirlo alla gente, vedere i suoi genitori, forse... ho scoperto di non avere la forza per farlo. Negli anni sono arrivato a pensare di avere la forza necessaria per fare di tutto, ma per una cosa del genere sapevo di non averne. Così ho bloccato l'entrata del suo piccolo rifugio.
Tutto quello che volevo era prendere tempo per pensare. Non stavo cercando di nasconderla per sempre. Non avrei mai fatto una cosa simile ai suoi genitori. So anche troppo bene cosa può fare alla mente di un genitore non sapere dov'è il corpo di suo figlio». «Allora, perché ha coperto le sue tracce con la pecora morta?». Era Wield, che era rimasto sullo sfondo, inosservato. «Sono io che l'ho trovata» continuò in tono accusatorio. «Ho visto che ha dovuto fare un bel lavoro per essere sicuro che rimanesse nascosta». «Il cane era ancora lì vicino» disse Wulfstan. «L'ho scacciato tirandogli dei sassi, ma ero preoccupato che potesse ritornare. Pensavo che la pecora morta potesse impedire a lui, o a qualunque altro predatore, di entrare all'interno dove avevo nascosto la bambina. E poi sono tornato alla macchina attraverso le colline e sono andato a casa. Non credo che qualcuno mi abbia visto». Oh sì che ti hanno visto, pensò Pascoe. Un'altra bambina che, grazie a Dio, ha immaginato che fosse una scena del mondo reale/surreale dei suoi libri per bambini. «E esattamente quando pensava di farsi avanti e concederci il beneficio di questa informazione, signore?», chiese Dalziel con burocratica cortesia. «Dopo il concerto. Domattina» disse Wulfstan. «Ho passato parecchio tempo a riordinare i miei affari, sia di lavoro che personali. Questi ultimi tre giorni mi hanno dato il tempo di completare le procedure, e ho pensato di non rovinare il debutto di Elizabeth.... della mia altra figlia, al festival». Guardò verso Elizabeth, ora. Lo sguardo che si scambiarono era difficile da decifrare. Affetto? Comprensione? Scusa? Rimpianto? Tutto questo, anche se era impossibile stabilire in che proporzione e da che direzione. «Ci vuole dire qualcos'altro?» chiese Dalziel. «Come, per esempio, perché è andato tante volte a Corpse Road nelle ultime settimane. E perché aveva iniziato a sistemare i suoi affari?». Wulfstan gli fece un cenno di approvazione distante, quasi da maestro ad alunno. «Penso che lei lo sappia, signor Dalziel» disse. «Quindici anni fa credevo che lei fosse irrimediabilmente stupido; ora capisco che posso essermi sbagliato. Sul fatto dell'irrimediabilità, almeno. Ho iniziato ad andare sul crinale del Lang Neb quando ho saputo che il bacino si stava ritirando a un punto tale che il villaggio di Dendale stava ricomparendo. Mi guadagno da vivere con il sole, per cui ho apprezzato l'ironia che fosse proprio il calore
del sole a mettere fine alla mia carriera». «In che modo, esattamente?» chiese Dalziel. «Solo perché tutti capiscano di cosa stiamo parlando». Guardò in direzione di Chloe Wulfstan. Pascoe, probabilmente il più aggiornato dalzielogista del mondo civilizzato, lesse il messaggio con facilità. Diglielo ora, pubblicamente, così che, se lei lo sapeva già, nessuno sarà mai capace di provarlo. Un inaspettato atto di cavalleria? O solo un subdolo giro di vite per essere sicuro che Wulfstan continuasse a parlare? Comunque fosse, stava funzionando. «Tra le rovine di Heck lei troverà... probabilmente ha già trovato... i resti di un uomo. Quell'uomo è... era... Benny Lightfoot. L'ho messo io, là. L'ho lasciate là ad affogare. Sono il solo responsabile della sua morte. Le mie ragioni erano, credo, ovvie». Dalziel guardò verso Novello, che aveva le sopracciglia aggrottate per la concentrazione mentre seguiva gli eventi. La sua era una di quelle rare facce che corrucciate sono perfino più belle. «Non per loro che non c'erano, magari» disse il Ciccione. «Per cui, se ci potesse dare un abbozzo... Avrà diverse possibilità di mettere i puntini sulle p e sulle q più tardi». Oltre a studiare dalzielogia, Pascoe era un collezionista di uscite dalzeliane. Prese nota mentalmente di quest'ultima. «Dopo che fummo andati via tutti dalla valle e iniziò a piovere, scoprii che non riuscivo a starne lontano. A tutte le ore del giorno e della notte, ero colpito dal bisogno irresistibile di tornare là e camminare sul fianco della collina. Può pensare che una compulsione come questa, che spesso implicava un lungo viaggio in automobile da un posto molto lontano, potesse essere relativamente facile da tenere sotto controllo. Ma quando le dico che assunse la forma di un'assoluta certezza che Mary fosse là, a vagabondare sperduta e terrorizzata, e che ero convinto che, se non fossi andato a cercarla sarebbe sicuramente morta, le può capire perché ho sempre ubbidito. Non l'ho mai trovata, ovviamente. A volte immaginavo...». Si arrestò e si ritrasse visibilmente in se stesso, e Pascoe lo seguì, lungo un pendio buio e spazzato dalla pioggia, dove ogni lampo di luce intermittente sembrava rischiarare una testolina di riccioli biondi e ogni schizzo e gorgoglio d'acqua risuonava come l'eco della risata di una bambina. «Ma una notte» riprese, «ho sentito un rumore e ho visto una sagoma che non era frutto della mia immaginazione. Era vicino alle rovine di Neb
Cottage, vicino a dove sei stata trovata tu, un po' più avanti» disse a Elizabeth, che lo guardò inespressiva. «Ovviamente era Benny Lightfoot». Un altro spettro vivente che infestava la vallata, cercando tutto il conforto possibile accanto ai resti distrutti dell'unica esistenza che aveva voluto. Ma in quell'incontro con un altro fantasma non c'era stato niente di rassicurante. «Avrei dovuto prenderlo e portarlo da voi» disse Wulfstan a Dalziel. «Ma non mi fidavo, credevo che l'avreste lasciato andare un'altra volta. No. È troppo semplicistico. Assomiglia troppo a una scusa. Lo volevo tutto per me perché ero sicuro di potergli tirare fuori cose su mia figlia che voi, con i vostri metodi limitati, non avreste mai potuto fargli dire». «L'ha torturato», disse Novello. «L'ho colpito» disse Wulfstan. «Con i pugni. Non ho mai usato altro, né prima né dopo. Suona meglio? Questo è il vostro campo, non il mio. E quando non riuscii a tirargli fuori niente, e vidi che l'alba iniziava a illuminare il cielo, lo costrinsi a scendere fino a Heck. Sapevo che la cantina era accessibile perché durante le mie ricerche di Mary avevo liberato un'apertura sufficiente per entrare, in caso lei fosse tornata alla sua vecchia casa e avesse cercato rifugio là. Lo legai stretto con pezzi di stoffa strappati dalla sua giacca, e la notte successiva tornai con una catena, dei lucchetti e dei chiodi a U, per assicurarlo al muro. Tutto quello che volevo era che mi dicesse cosa le aveva fatto, dov'era. Ma lui non volle. Non importava quello che gli facevo, non voleva. Pensavo che fosse perché era convinto che, una volta che mi avesse detto quello che volevo sapere, l'avrei ucciso. E io gli giuravo su quanto avevo di più caro al mondo, anche sulla memoria di Mary, che l'avrei lasciato vivere solo se mi avesse detto quello che avevo bisogno di sapere. Ma si rifiutò sempre di parlare. Perché? Perché? Tutto quello che dovevi fare era dirmi...». Era tornato là, e questa volta erano tutti con lui, in quel sordido buco, con l'acqua che saliva ogni minuto di più, e due visi così vicini, entrambi talmente contorti dal dolore che forse era difficile stabilire, in quella luce debole, chi era il carnefice e chi la vittima. Tranne che uno dei due tornava ogni mattina a un mondo di calore e di luce, mentre l'altro era sepolto, incatenato, circondato dall'oscurità e lambito dall'acqua gelida. Così era facile stabilirlo, pensò Pascoe. Disse: «Dunque, non ha mai parlato. E lei l'ha lasciato morire». Wulfstan disse: «Sì. Non sono sicuro di averlo voluto. Non so se ne sarei
stato capace. Ma dovetti andar via per un paio di giorni. Tornai il giorno in cui Elizabeth... Betsy sparì. Quando la trovarono e sentii la sua storia, che era stata aggredita da Benny vicino al Neb Cottage, pensai... non lo so cosa pensai, ma in parte era sollievo perché doveva essere riuscito a uscire, e quindi era ancora vivo. La notte successiva tornai a Heck. L'acqua era salita considerevolmente. Mi accorsi immediatamente che non se n'era andato, ma doveva aver fatto uno sforzo sovrumano per svellere la catena dal muro... potevo vedere un braccio che sporgeva dall'acqua. Era crollato un blocco di pietra sopra il buco dell'entrata e l'aveva intrappolato. Sono sceso nell'acqua, l'ho raggiunto e ho toccato la sua pelle. Era fredda. Ho cercato di spingerlo ancora nella cantina, ma non ci sono riuscito. Così, l'ho coperto con dei detriti e me ne sono andato». «Come si è sentito» disse Pascoe «... sapendo di averlo ucciso?». Wulfstan ci pensò su, le labbra increspate, come se stesse cercando di identificare un gusto insolito, o un vino raro. «Triste», disse infine. «Triste d'averlo ucciso?». «Triste perché era morto senza dirmi quello che volevo sapere». Pascoe scosse il capo, ma più per il dispiacere che non per il disgusto. Avrebbe dovuto forse provare un senso di indignazione, ma non era così. Non dopo gli ultimi giorni. Dalziel disse: «Hai fatto, Peter?». «Sì». «Ivor, devi aggiungere qualcosa?». Perché era così deciso a concedere all'agente le luci della ribalta? si chiese Pascoe. Nei casi di omicidio, come nelle automobili, il sedile posteriore non era il posto in cui ci si aspettava di trovare Andy Dalziel. «Sissignore. Ho qualcosa» disse Novello. «Non credo che lei si sentisse triste, signor Wulfstan. Perché doveva essere triste quando aveva avuto quello che cercava? Con il principale indiziato misteriosamente scomparso, nessuno avrebbe più sprecato il suo tempo con le ricerche, no?». «Le ricerche di cosa? Di mia figlia?». «No! Del vero assassino. Era a casa sua e libero. E questo deve averlo reso proprio felice». Parlò con una forza che nasceva parzialmente da disprezzo morale, e principalmente dal desiderio di provocare una risposta. È così sicura di essere nel giusto, pensò Pascoe comprensivo. Ha un disperato bisogno di essere nel giusto! Ecco dove voleva arrivare Dalziel. Certe lezioni andava-
no somministrate in pubblico. E una di esse era che rimanere un passo avanti a qualcuno andava bene fino a quando, sforzandosi di rimanere sempre davanti, non si scopriva di essersi spinti troppo oltre. «Allora, cosa ne dice, signor Wulfstan?» chiese Dalziel affabile. «Non è possibile che questa fosse una copertura, perché è stato lei a prendere le ragazze?». Non era solo una lezione, dunque. Il Ciccione voleva essere sicuro che stavolta non ci fossero possibilità, per quanto improbabili, che non venissero sviscerate. Wulfstan non stava mostrando né orrore né indignazione, ma pura e semplice incomprensione, come se gli avessero rivolto la parola in una lingua sconosciuta. Guardò verso sua moglie come in cerca di un'interprete. Lei scosse la testa e disse, in modo quasi impercettibile: «Questa è una vigliaccheria... sovrintendente, non è davvero possibile...». «Be'qualche bastardo ha pensato che potesse esserlo» disse Dalziel. «Ci ha telefonato, dicendo di dare un'occhiata da vicino al signor Wulfstan. Sembrava una donna. O un uomo che parla in chiave un po' più alta. Com'è il suo falsetto, signor Krog?». Krog disse disinvolto: «Troppo falso per imbrogliare un orecchio come il suo, signor Dalziel». Tono, espressione, linguaggio del corpo erano perfettamente coerenti. Ma stava recitando, intuì Pascoe. Una risposta scelta accuratamente, non naturale. Impossibile da provare, ma avrebbe scommesso la sua gratifica natalizia che era stato Testa di Rapa a telefonare. Si sentiva abbastanza al sicuro, visto che i poliziotti non ricevono gratifiche natalizie. E poi doveva evitare di farsi influenzare dalla terminologia di Dalziel! Wulfstan, già pallido, rendendosi conto dell'enormità dell'accusa era diventato spaventosamente bianco. Era interessante che non si rivolgesse a Dalziel, ma a Novello, la sua prima accusatrice. «Tu, stupida ragazzina morbosa» disse con voce stridula. «Cosa ne sai, tu di tutto?». Lei non si lasciò intimorire. «Io so che lei ha ucciso una bambina» ribatté lei drizzandosi. «Voglio solo scoprire se era la prima». Lei stava in piedi, lui seduto, ma sembrava una scena di Davide contro Golia mentre lui si slanciava in avanti dalla sedia, il viso contorto dalla rabbia. Adesso assomiglia davvero al nix, pensò Pascoe, pronto a intervenire.
«Non darle retta, Walter. Qualunque stronzo sa che sta dicendo un sacco di cazzate. Qualunque stronzo tranne lei, cioè». La fraseologia e l'accento erano quelli di Andy Dalziel, ma la voce apparteneva a Elizabeth Wulfstan. Toccò il braccio di Wulfstan, e lui si calmò. E, spostando la sua attenzione da Novello a Dalziel, con una compostezza che era come una porta sbattuta in faccia all'agente, continuò: «E tu, budellone, tu lo sai che sono tutte cazzate. Walter ti ha detto cos'è successo con quella povera bambina. È stata una cosa terribile, ma è stato un incidente. Allora, perché non mi fate chiamare il suo avvocato, andiamo tutti insieme nel vostro ufficio, voi raccogliete la sua dichiarazione, poi ce ne torniamo tutti a casa? Voglio dire, stiamo perdendo un sacco di tempo, no? Non ho sentito nessuno recitargli i suoi diritti, non vedo nessun registratore. Parto per l'Italia domani e vorrei farmi una bella dormita». Dalziel la guardò, sorrise, scosse il capo e mormorò: «Piccola Betsy Allgood. Chi se lo sarebbe immaginato? La piccola Betsy Allgood che si è trasformata in una stella». Lei si grattò la testa pelata e disse: «No, Andy, ne ho di strada da fare, ancora». «Già, ma ci arriverai, ragazza» disse. «Sei arrivata fin qui, cosa ti può fermare adesso?». «Lei, forse, se ci tiene qui per tutta questa cazzo di notte», replicò. «Ma no, sei libera di andartene in ogni momento, Betsy» disse. «Cosa ti trattiene, qui? Hai fatto quello che avevi stabilito di fare. Tornare qui. Cantare le tue canzoni. Trovare la tua pace. Ma prima che tu te ne vada, c'è un problemino con il quale ci potresti aiutare». Sollevò una mano. Wield, con quel senso di acciuffare al volo le imbeccate che sfiorava la telepatia, una tecnica di sopravvivenza indispensabile per gli accoliti del Ciccione, frugò fra incartamenti e rapporti e gli porse i fogli azzurri scritti a mano. Reazioni: Wulfstan indifferente, quasi non se n'era accorto; Krog innocenza inespressiva tutta occhi azzurri; Elizabeth ciglia aggrottate, lo sguardo saettante sugli altri come per cercare di capire come avevano fatto i fogli ad arrivare nelle mani di Dalziel; Chloe, abbandonata all'indietro, occhi chiusi, la posizione che aveva assunto dopo la debole reazione alla possibilità che il marito fosse coinvolto; Inger Sandel, sul seggiolino del piano, in apparenza più interessata alla tastiera che alla conversazione... «Sembra che in seguito tu ti sia accorta che forse ti eri un po' confusa su
quello che era successo la notte che sei andata a cercare il tuo gatto» disse Dalziel. «Mi piacerebbe sentire la storia vera». «Con quello che abbiamo sentito, penserei che la storia vera l'ha già avuta», disse Elizabeth. «Se voglio un uovo, vado direttamente dalla gallina». Lei scoccò uno dei suoi rari sorrisi. «È quello che pensa del mio modo di cantare?». «Penso che sperassi di poter chiudere la faccenda per sempre con le tue canzoni» disse Dalziel. «Questa era la tua idea, o sbaglio? Tornare, sbrigartela a modo tuo, e poi marciare veloce verso la vita che avevi davanti? Ma il passato è come la gente, cocca. Ha bisogno di una sepoltura appropriata, altrimenti torna a perseguitarti per sempre. Benny è tornato per davvero, adesso, per cui dobbiamo organizzargli un congedo adeguato. Ma tutti gli altri? Pensi che un paio di miserabili canzoni crucche in una cappella sconsacrata compiano il miracolo? Io non credo. Chiedi agli Hardcastle. Chiedi ai Telford. Chiedi a Chloe, e a Walter, qui, che ti hanno trattato come la loro vera figlia per tutti questi anni». «Ed è stata una brava figlia, per me» proclamò Chloe Wulfstan, all'improvviso presente. «Una seconda opportunità. Più forse di quanto meritassi. Il dolore rende egoisti... Oh mio Dio, quando penso al dolore che si è portata dentro... Betsy, mi dispiace, ho cercato di fare ammenda...». Si era aggrappata alla mano della ragazza e nei suoi occhi si leggeva un appello disperato al quale Elizabeth, comunque, rispose solo alzando un sopracciglio. Pascoe tossì gentilmente. Dalziel lo guardò con una vaga espressione di sollievo, e annuì. Avevano lavorato insieme abbastanza a lungo da aver tracciato sottili linee di demarcazione. Per usare le parole di Dalziel: «Io gli mollo un calcio nei coglioni e dopo tu parti con le stronzate psicologiche». Pascoe disse: «Non credo che lei debba essere troppo dura con se stessa, signora Wulfstan. Vede, non penso che l'anoressia di Betsy e il volersi fare bionda fosse davvero un tentativo di trasformarsi in Mary. O, se lo era, non era per far piacere a lei, sicuramente non solo a lei. No. Era per trasformarsi nel tipo di figlia che pensava che suo padre avrebbe voluto. Capelli chiari, snella, attraente, graziosa. Tutti erano convinti che i capelli corti e i vestiti da maschio fossero tentativi di compensare il disappunto di tuo padre per non avere avuto un maschio. Ma io non la penso così, Elizabeth. Penso che fosse un tentativo cosciente da parte di tua madre di renderti il più pos-
sibile diversa da una bambina. Lei voleva che tu, per lui, fossi invisibile. Invece tutto ciò che volevi tu era che lui ti vedesse. Perfino dopo la sua morte. Forse pensavi che fosse a causa del tuo aspetto di allora che lui si era ucciso. Ti biasimavi per non essere come voleva lui. Il che ci porta alla domanda: come facevi a sapere cosa voleva lui? Come faceva tua madre a sapere... be', io credo che una moglie abbia un certo istinto. Ci possono essere spessi strati di dissimulazione che impediscono agli altri di capire, ma lei sa. E, talvolta, il sapere diventa impossibile da sopportare. Ma una bambina... Forse il trucco fu la tua invisibilità. Scommetto che lo seguivi sempre... scommetto che riuscivi a vederlo anche a un chilometro di distanza, con una buona luce. Una semplice occhiata alla collina sarebbe stata sufficiente. Sì, scommetto che lo è stata, Betsy. Scommetto che lo è stata». Non funzionava. Si era spinto così lontano nella speranza di veder apparire qualche crepa, ma sul volto della donna non c'era nulla, eccetto lo stesso atteggiamento corrucciato di concentrazione. Gli altri compensarono ampiamente quella mancanza, comunque, quando capirono le implicazioni di quello che lui stava dicendo. Wulfstan era emerso dal suo buio mondo interiore, i lineamenti di Krog erano stati finalmente colti di sorpresa da un sentimento naturale. Inger Sandel alzò gli occhi dal suo piano, stupita, e la stretta di Chloe alla mano della figlia sembrava quasi una manetta. Disse: «Betsy, per favore, cosa vuol dire? Cosa sta cercando di dire?». «Non dargli retta» disse Elizabeth aspra. «Un cumulo di astrusità. È così che parlano questi stronzi quando non hanno niente da dire». «Betsy, non possiamo processare i morti, anche se colpevoli» disse Pascoe. «Ma i vivi hanno il dovere di parlare. Pensa al dolore che il tuo silenzio ha provocato. D'accordo, una bambina confusa non può essere biasimata per il suo silenzio, ma tu hai fatto molto di più che startene zitta, vero? Tu hai dirottato le indagini. Pensa alle conseguenze. Pensa a quel pover'uomo affogato nella cantina. Pensa alla piccola Lorraine. Tutto questo è stato generato dal tuo silenzio. Ci deve essere una fine». «Già» disse lei, liberando il braccio dalla stretta di Chloe. «E adesso ci siamo proprio arrivati. Ne ho avuto abbastanza. Domattina parto presto e vorrei fare un bel sonno, anche se sembra che nessuno di voi la pensi come me. Walter, mi spiace per il modo in cui sono andate le cose, ma non possono farti un gran che per un incidente. Chloe...». In un ultimo appello disperato, Chloe disse: «Elizabeth, se sai qualcosa, ti prego, ti prego, parla».
«Sapere cosa? Cosa dovrei sapere?», urlò Elizabeth. «Dov'è lei. Dov'è mia figlia. Dimmelo. Dimmelo?». Ultima possibilità, pensò Pascoe. Ma ammettere che sapeva sarebbe stato come ammettere ogni cosa. Compreso il fatto di aver lasciato che il dolore dei genitori adottivi si prolungasse per tutti quegli anni. Ne avrebbe avuto la forza? Pascoe vedeva quanto fosse dilaniata. Mormorò qualcosa a Wield, che si tuffò nei fascicoli che stava reggendo e tornò con la mappa di Dendale che aveva tracciato quindici anni prima. La diede a Pascoe, alzando le sopracciglia come per interrogarlo. Pascoe la prese con la mano sinistra, e contemporaneamente mostrò a Wield cosa teneva nella destra. In un istante Wield ritornò sul pendio assolato, con la vallata distesa ai suoi piedi come una Terra Promessa, dietro di lui lo stabbio costruito con le pietre che erano state utilizzate quattromila anni prima per costruire una muraglia, di fianco il pastore scuro e muscoloso, con i cani obbedienti accucciati ai suoi piedi e, nell'aria del crepuscolo, il canto delle allodole e i belati delle pecore chiuse nel recinto... Tu, bastardo! pensò Wield, richiamando alla mente i pensieri che aveva avuto quando aveva capito che la pecora morta era stata usata per nascondere la posizione della bambina scomparsa. Un altro uomo, ma il trucco era lo stesso! E Pascoe, come un prestigiatore, alzò la mappa e il CD, poi girò il disco di quarantacinque gradi, così che il profilo del viso divenne il profilo delle colline di Dendale, con un sole stilizzato che scagliava i suoi raggi in quella che era la bocca della ragazza. Ora capiva cosa significavano le note che uscivano dalla bocca. Ellie ricordava che i presentatori ne avevano discusso durante il programma radiofonico che aveva seguito domenica mattina, e che ora sembrava lontano milioni di anni luce. «La Seconda di Mahler è conosciuta come la sinfonia della Resurrezione» disse. «Parla del risveglio dei morti, e del giudizio, e della redenzione. Quelle battute sono una citazione dalle prime battute del tema della resurrezione, e hanno fatto un sacco di ipotesi sul perché lei aveva usato quelle, invece di prenderne alcune dai Lieder». Bene, le ipotesi erano finite. Sollevò la copertina del disco vicina agli occhi della cantante. «Penso che tu ci abbia già detto dove sono Mary e le altre, Betsy» disse. «Penso che tu morissi dalla voglia di dirlo a qualcuno, in tutti questi anni.
Volevi che finisse, volevi iniziare a guardare avanti, no? Ma tu sai che non c'è nessuna speranza di redenzione e di rinnovamento senza resurrezione. Questo è quello che ci vuoi dire, vero, Betsy? Ci incontreremo lassù, a Beulah Height, Immersi nella luce del sole. E il tempo è sempre bello lassù, a Beulah Height». E sebbene fosse possibile solo un lieve cambiamento fisico, fu come vedere Elizabeth Wulfstan trasformarsi in Betsy Allgood, che si accasciò sulla sedia e iniziò a piangere. XXI Benché le avesse sentite una volta sola, Pascoe non riusciva a togliersi dalla mente le parole del Lied. Continuavano a risuonargli nelle orecchie mentre era a letto e lo accompagnarono ancora il mattino dopo, mentre arrancava faticosamente su per la collina. Oh, sì, sono solo andate in collina a passeggiare E presto torneranno a casa tutte allegre. Gli uomini che avanzavano con difficoltà con lui sul pendio della collina non ridevano, e nemmeno chiacchieravano. Il caldo era già sufficiente a farli sudare sotto il carico di picconi e pale, anche se il sole non era ancora alto abbastanza da abbracciare la vallata. Ma lassù di fronte a loro, i fianchi orientali della doppia cima erano bagnati nella luce dorata. Ci incontreremo lassù, a Beulah Height, Immersi nella luce del sole. E il tempo è sempre bello lassù, a Beulah Height Ora erano abbastanza vicini da vedere lo stabbio delle pecore, un semicerchio di muro a secco costruito contro la roccia scabra del valico. Ancora, nessuno parlava. Si muovevano come in sogno, e non ebbero bisogno di istruzioni quando raggiunsero lo stabbio, ma avanzavano sul dirupo come seguendo una coreografia a lungo provata, e facendo dondolare i picconi all'unisono mentre cercavano il punto debole che erano sicuri di trovare nella facciata apparentemente solida. Tre volte sollevarono e tre volte colpirono, e al terzo colpo accadde una cosa strana.
Quando il metallo colpì il granito volarono scintille e, tutto in una volta, l'aria sembrò infiammarsi, e una colata di luce solare invase il crinale, riversandosi nella cavità dello stabbio. Nello stesso istante un grande lastrone di roccia si spalancò, come il portone di una fortezza. Gli uomini fecero un passo indietro, sbalorditi. E impauriti, anche. Solo Pascoe rimase dov'era, stringendo gli occhi per guardare dentro a quella caverna nera, sforzandoli a tal punto che, dopo un po', la sua immaginazione creò l'impressione di un movimento. Impressione? No, non era un'impressione. C'era un movimento, là. Scorgeva delle sagome, nell'oscurità, piccole forme che avanzavano lente verso la luce. E ora la prima era abbastanza vicina perché il sole ne illuminasse i particolari. Oh, Cristo! Era una bambina, con lunghi capelli biondi, che sbatteva gli occhi per la luce alla quale non era più abituata, e portava nelle braccia un mazzo di digitali appena colte. Dietro di lei arrivò un'altra bimba, anche lei portava dei fiori. E un'altra... Oh, Cristo. Riconobbe le tre bambine dalle fotografie. La prima era Jenny Hardcastle, la seconda Madge Telford. E la terza era Mary Wulfstan, i lineamenti della madre inconfondibili nel piccolo viso dall'espressione solenne. Come spiegare tutto questo? Pascoe non lo sapeva, e nemmeno gli interessava. Il suo cuore stava battendo così forte dalla gioia che respirava a fatica. Allora, ecco come finiva. Tutto quel dolore, e pena, e disperazione erano stati invano. Erano vive, vive, vive... Ma il miracolo non era finito. Un'altra figura le seguiva. Lui guardò senza osare credere ai suoi occhi. Lorraine. Lorraine Dacre, con i fiori in una mano, che si strofinava gli occhi con l'altra, come se si fosse appena svegliata. E dietro ne arrivava un'altra... Ora non era la gioia a pompare il cuore di Pascoe, ma il terrore... Non era terrore per la bimba che stava vedendo, ma paura della consapevolezza che portava con sé... la consapevolezza che lei non aveva posto in questo paesaggio selvaggio e scosceso, che solo la sua immaginazione poteva averla collocata lassù... La quinta figura era Zandra Purlingstone. Gettò la testa all'indietro e urlò la sua rabbia e la sua disperazione al cielo vuoto. Per un secondo, gli sembrò di essere solo, sul lato nudo della collina. Poi, anche questa illusione se ne andò. Era sdraiato nel suo letto, la
luce perlata dell'alba che trasformava la sua finestra in una lanterna magica, contro la quale si muovevano i rami sottili della betulla argentata che cresceva in fondo al giardino. Si alzò e si vestì velocemente. Aveva tempo in abbondanza per il primo appuntamento della giornata, ma c'era qualcos'altro che doveva fare e che l'avrebbe portato nella direzione opposta. Senza fermarsi a fare colazione, salì in macchina e guidò attraverso le strade ancora vuote della città. All'ospedale, un uomo della sicurezza accorse come per bloccarlo, poi lo riconobbe e lo salutò da lontano. Pascoe alzò una mano senza fermarsi. Salì leggero le scale, salutò con la mano una suora meravigliata ed entrò nella stanzetta dove era ricoverata Rosie. La notte prima aveva parlato con Ellie al telefono, le aveva detto cosa era successo, e dove doveva andare il mattino seguente. Dalziel gli aveva assicurato che la sua presenza non era necessaria. Pascoe non si era messo a discutere, si era limitato a dire che ci sarebbe stato. Ellie aveva compreso, gli aveva detto di andare a casa, di riposarsi più che poteva, e gli aveva assicurato che Rosie stava andando meravigliosamente bene. La notte prima, la voce di Ellie e le sue rassicurazioni erano state sufficienti. Quel mattino aveva bisogno di vedere con i suoi occhi. Ellie si era fatta mettere un letto nella stanza, in modo da poter stare sempre di fianco a sua figlia. Quando entrò Pascoe, si mosse ma non si svegliò. Lui le sorrise, poi andò in punta di piedi verso il letto di Rosie. Aveva spostato il lenzuolo di sopra, e stava là, raggomitolata con un pugno schiacciato contro il mento, come il Pensatore di Rodin. Continua a pensare, amore mio. Ma non troppo. Non ancora. C'è tempo a sufficienza per affrontare i problemi della vita. Tempo a sufficienza. Gentilmente, la ricoprì con il lenzuolo. Sarebbe stato bello togliersi le scarpe e coricarsi con sua moglie e la sua bambina, e svegliarsi con loro poco dopo. Ma c'era del lavoro da sbrigare. Un debito da pagare. Come l'aveva definito, Ellie? Il pio Enea, sempre in cammino per la spiaggia di Lavinia. Quanto dovevano apprezzare l'ironia, gli dei, facendo in modo che la vista di coloro che amava di più al mondo lo distogliesse dai suoi doveri e allo stesso tempo gli desse la forza di andare. Sfiorò la fronte di Rosie con le labbra, poi si chinò su Ellie. Un blocchetto per gli appunti giaceva al suo fianco, mezzo nascosto dal copriletto. Teneva ancora una matita ben stretta in mano. Aveva ricominciato a scrivere. Che creatura indomita! Aver superato quella crisi immane le dava la
forza di voltarsi e confrontarsi con tutte le piccole crisi lasciate in sospeso. Indomita! Sentendosi un po' in colpa, sbirciò gli scarabocchi scritti a matita. Supponeva non fosse un nuovo libro, ma qualcosa di intensamente personale... ma no, c'erano le rassicuranti parole Capitolo Uno. Lesse le righe di apertura. Era una notte buia e tempestosa. Il vento soffiava arrivando dal mare, e il comandante delle guardie si chinò, avvolgendosi il mantello attorno al viso, abbandonò il rifugio del boschetto e iniziò ad arrampicarsi, aiutandosi con mani e piedi, sul promontorio. Ellie si mosse. Lui la guardò con amore e ammirazione. Indomita. Una nuova musica, aveva detto. Credo che saremo tutti pronti per qualche nuova canzone, dopo questo. E con la sua caratteristica impertinenza, aveva scelto come accompagnamento l'incipit più trito di tutta la letteratura! Con una donna come quella al suo fianco, un uomo può andare dovunque. Ma per prima cosa doveva andare in un posto da solo. La baciò dolcemente e uscì dalla stanza. La brezza che aveva mosso la betulla all'alba adesso si era rafforzata, e gli faceva svolazzare i capelli, preannunciando il cambiamento del tempo. Mentre viaggiava verso nord, vide per la prima volta da settimane l'uniforme oceano azzurro del cielo infrangersi contro l'orizzonte lontano in una debole spuma di nuvole color argento. Il cancello sulla strada della diga era stipato di poliziotti dalla faccia severa, che controllarono il suo distintivo sebbene lo conoscessero di persona. Oggi andava bene così. Nonostante gli sforzi di andare veloce, la deviazione lo aveva fatto arrivare in ritardo e vide gli altri che lo aspettavano all'estremità del lago artificiale. I saluti furono veloci e smorzati. Guardarono in silenzio mentre lui si infilava gli stivaloni. Infine, fu pronto. A un segnale ringhiato da Andy Dalziel, girarono il volto verso la collina che saliva e si avviarono verso il loro appuntamento, su Beulah Height. FINE