PATRICK QUENTIN IN CROCIERA COL DELITTO (S. S. Murder, 1933) Personaggi principali: MARY LLEWELLYN giornalista ALFRED LA...
29 downloads
1104 Views
655KB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
PATRICK QUENTIN IN CROCIERA COL DELITTO (S. S. Murder, 1933) Personaggi principali: MARY LLEWELLYN giornalista ALFRED LAMBERT passeggero della Moderna MABEL LAMBERT moglie di Alfred BETTY LAMBERT nipote di Alfred JIMMIE EARNSHAW segretario di Alfred MARZIA CLAPP MANNERS ex attrice, passeggera della Moderna DAPHNE DEMAREST accompagnatrice di Marzia ADAM BURR PERCY DANIELS passeggeri PREFAZIONE Ho avuto questo diario dal mio amico David Donnelly, del New York Herald, che lo aveva recuperato dall'inceneritore in cantina (in quel momento per fortuna non acceso) dove il manoscritto era stato gettato, più per dispiacere che per collera, da sua moglie, la nota cronista mondana Mary Llewellyn. Mi pare che già la signora Lincoln e la signora Kipling avessero effettuato salvataggi del genere, consentendoci così di possedere, oggi, l'indirizzo di Gettysburg e il Recessional. Il documento era stato ripudiato dalla sua autrice per i motivi spiegati alla pag. 151 e io ho fatto ben poco oltre ad aggiungere qualche paragrafo e la lettera introduttiva, dalla quale ho faticosamente convinto David a separarsi. Ho anche cambiato i nomi ed eliminato alcune indiscrezioni che non avevano nulla a che vedere con i fatti. Soprattutto, però, ho cercato di non distruggere quell'immediatezza di scrittura che distingue questo diario dagli sbrigativi gialli di fantasia. Qui, mi sono detto, ne abbiamo uno scritto direttamente sul campo di battaglia. Qui c'è emozione non riprodotta nella fredda calma ma riversata sulla carta mentre era ancora viva e prima che si potesse nemmeno sospettare quale sarebbe stata la forma finale. Qui c'erano le impressioni dal vivo di avvenimenti emozionanti, informali ma non informi e visti attraverso gli occhi di una scrittrice esperta che pensa con la propria penna e sa come maneggiare le proprie emozioni. Il mio nome è soltanto un'etichetta appesa a una valigia che nessuno ha
reclamato. Q. PATRICK A bordo della MODERNA Venerdì 13 novembre Sig. David Hall Donnelly 56 1/2 W. 12th Street New York City Carissimo David, approfitto del pilota per mandarti questo biglietto ma è trascorso così poco tempo da quando mi hai dato l'ultimo bacio di addio che naturalmente non ho molte novità da raccontarti. Nella confusione della partenza, mi sono ricordata di dirti che ti amo? Ed è una novità, questa? Bene, sarà comunque una notizia da prima pagina fra non molto... esattamente fra tre mesi, tre settimane e tre giorni (nota con quanta cura ho fatto i conti!), quando mi metterai l'anello al dito e mi chiamerai per la prima volta signora Donnelly. Un commovente romanzo sbocciato fra la carta stampata, con frammenti del mio Star e del tuo Herald per confetti e metri di nastro telegrafico come pennoncelli. Avevamo tanto di meglio da fare, prima di separarci, che non ho avuto modo di dirti, com'era mia intenzione, che cosa penso di fare durante questo viaggio. Il dottor Klein mi ha detto che devo restarmene tranquillamente seduta per il maggior tempo possibile, almeno durante la prima settimana, cosi ho deciso di tenere un diario per te con tutti i particolari del viaggio... tutti i piccoli avvenimenti quotidiani che potranno darti un'idea di ciò che passa per la testa di una dolce, giovane cronista che tu speri di fare presto tua! Sì, lo so. il medico ha detto NIENTE LAVORO. Ma nemmeno un medico dal cuore di pietra potrebbe definire lavoro per una ragazza lo scrivere un paio di righe a! giorno al suo amato bene! Niente sciocchezze durante questo viaggio, Davy. Lo giuro. Farò talmente la brava ragazza che sarai felice di non essere qui con me. Terrò le gambe in alto e le mani in basso per riprendermi da quella terribile "appendicectomia" che per poco non ti ha reso vedovo ancora prima di gustare le dubbie dolcezze della vita coniugale e che mi ha lasciata così leggera e
spirituale che quasi non oso andare a passeggiare sul ponte per il timore che un colpo di questo rissoso vento novembrino non abbia a scaraventarmi fuoribordo, tra balene e pescecani. Prometto di prendere molto sul serio la mia convalescenza scrivendo solamente quel tanto che basta per mantenermi in esercizio. Ti annoierò con la cronaca delle gare di shuffle-board, degli sport di bordo, delle partite a bridge a un ventesimo di cent al punto e con pettegolezzi maligni sui miei compagni di viaggio. Non sarà certo un resoconto emozionante come il diario che ho tenuto per te quando lavoravo al caso Laubenthal, ricordi? Sarà un'imitazione moderna della tua adorata Jane Austin, "nello stile inimitabile di Mary Llewellyn, i cui trafiletti quotidiani sullo Star, così gai e divertenti..." ecc. ecc. Chissà, forse li leggeremo insieme quando giocheremo a fare Filemone e Bauci nel quieto tramonto della nostra vita. Ma siamo oramai a! largo, amore mio, e bisogna che agguanti il pilota prima che sparisca. Il pilota... il mio ultimo legame con te, con New York e col mondo civile per un mese intero. Non mi piace affatto, Davy: la mia malattia mi ha lasciata timida e sciocca e in fondo al cuore rimpiango quasi la tranquillità del mio letto in ospedale, con quella soave infermiera di notte china su di me a porgermi un soporifero bicchiere di latte. O, meglio ancora, vorrei trovarmi già al sicuro con te in quel nostro bell'appartamento nuovo di zecca, dove tu potresti tenermi fra le braccia e non lasciarmi andare mai! Ma penso che sia meglio se invece me ne vado per conto mio a recuperare salute e forza. Non sarà per molto, in fin dei conti! Perciò addio, tesoro, e grazie ancora per i fiori, i libri e la lettera deliziosa e, soprattutto, grazie per essere come sei e voler sposare un vero spaventapasseri che non ha più nemmeno un'appendice decente a raccomandarlo. Mi stringo addosso la pelliccia di zia Caroline e vorrei che fossi tu! Ti spedirò la seconda puntata da Georgetown. Dio ti benedica, Davy. Come dicevo quand'ero piccola: Gesù ti protegga sempre, la tua Mary. P.S. Ti amo. A bordo della MODERNA Venerdì 13 novembre 9,30 p.m.
Bene, caro Davy, siamo finalmente in alto mare, rollando verso Rio secondo le regole stabilite. Un rollio tremendo, oltretutto, perciò ti prego di scusarmi la grafia zoppicante. Abbiamo fatto sbarcare il pilota che ti porta un biglietto con tutto il mio amore, e tutti abbiamo aperto le nostre lettere, i telegrammi di auguri, i pacchetti e ci siamo squadrati l'un l'altro con la tipica diffidenza del primo incontro. Poi, naturalmente, alcuni stanno tanto male, sono così verdi e sparuti! No, non la sottoscritta. Sarò anche una povera donnetta senza forze, ma il mal di mare... mai! Quei viaggi avanti e indietro dal porto di New York per intervistare Peggy Hopkins Joyce mi hanno immunizzata contro il mal di mare per tutto il resto della mia vita. Ma soltanto trenta persone, per giunta un po' malferme sulle gambe, si sono presentate a cena e ci sono sessantasette passeggeri di prima classe su questa bagnarola. Perché con tutto il suo modernissimo nome, questa è proprio una buffa bagnarola, Davy. Naturalmente, sapevamo benissimo, quando l'abbiamo scelta, che era piccola e lenta (oltre che a buon mercato), ma vi regna un'atmosfera che mi rammenta irresistibilmente quelle spiaggette di terz'ordine sulla costa del Jersey. Quattro settimane di questa zuppa, Davy! Ci pensi? Sento persino l'odore delle alghe essiccate e delle fodere di poltrone e divani... per non parlare dei più sottili odori della sala da pranzo, sufficienti a far vacillare cuori più saldi del mio. Certo, potrei cambiare piroscafo a Rio, ma il costo di questa crociera è così vantaggioso che mi ripugna l'idea di spendere dell'altro per la mia cura. "Riposo e aria di mare" si trovano su qualsiasi nave e spero che domani mi troverò già meglio anche su questa. Non rimproverarmi se sono un po' depressa, in questo momento: è più che naturale, visto che il fatidico ordine: "Tutti i visitatori a terra" mi ha privata dell'unica persona che m'interessa. Mi passerà, suppongo, mi abituerò alla tua mancanza e la vita tornerà a essere facile come infilarsi un soprabito. Che cosa starai facendo in questo momento? Scrivendo a me, spero, oppure giocando a bridge in redazione con i tuoi colleghi... di tutto meno che lavorare come uno schiavo a quello stupido servizio su Brooklyn che ti ha tenuto tanto lontano da me anche quando ero in ospedale... tanto lontano che quasi cominciavo a credere che non si trattasse affatto di un servizio ma di una bella bionda ossigenata con le unghie laccate di rosso. Il tuo binomio preferito, prima che conoscessi me, lo hai ammesso tu stesso, una volta! Ma sarà meglio che ti parli dei miei adorabili compagni di viaggio, pri-
ma che perdano il fascino della novità. La maggior parte delle signore sembra fatta apposta per adattarsi a questa sala di scrittura nella quale questo diario viene perigliosamente vergato. Afferri l'idea, Davy? Tavolinetti leggeri con vecchie gambe traballanti, tappeto color tortora e tendaggi di velluto rosa. È necessario dirti, dopo questo, che non mi mancherà di certo un adeguato chaperonage? Lo strano è che sono anche quasi tutte sposate, mogli annoiate di annoiati mariti che accompagnano l'amato consorte in un viaggio d'affari o di riposo. Ma niente sfugge al loro sguardo, Davy, e anche se per la maggior parte stanno troppo male per mangiare o bere qualcosa (e proprio su una nave dove tutto è compreso nel prezzo!), si rifanno lanciando occhiate di disapprovazione alle mie calze traforate e ai mio abito da pomeriggio di velluto blu. Sto già malignando, vedi? E ora passiamo agli uomini... a uno in particolare. (No, amore mio, non hai di che preoccuparti: passa la cinquantina ed è calvo come un melone). È imbarazzante dirlo, ma a tutt'oggi, Davy, la mia vita non era mai stata macchiata da un insulto rivolto a un uomo. Bene, oggi pomeriggio ho proprio creduto che fosse venuto il momento. Sono stata letteralmente "importunata" da un uomo, e senza la minima provocazione da parte mia! È stato un corroborante per me, più di tutti i tonici del dottor Klein e dei ricostituenti di zia Caroline! Ero salita al ponte superiore a cercare un posticino tranquillo per la mia cura di sole quando lui mi si è avvicinato dicendo: «Chiederò che mettano la vostra sedia a sdraio accanto alla mia, se non vi dispiace. Sono un mezzo invalido anch'io e potremmo divertirci un mondo a comparare i rispettivi sintomi. Io ho avuto una resezione gastrica con aderenze, e voi?» Benché la sua voce non mi fosse affatto dispiaciuta, ho cercato d'incenerirlo col lampo dei miei occhi e del mio anello di fidanzamento, in una maniera che tu avresti certo approvato. Anche a bordo di una nave una ragazza per bene non è mai troppo cauta. «Oh, l'avevo visto l'anello» continuò lui sorridendo. «Anzi, confesserò che non vi avrei rivolto la parola se non avessi visto quello. Le ragazze non impegnate sono una vera e propria minaccia, in crociera... specie per un vedovo incallito come me. Nemmeno la calvizie integrale è una difesa sufficiente. Il fatto è che io non sono più responsabile delle mie azioni, in mare. I tramonti, il levarsi della luna, i lunghi giorni dell'alcione, i paesi stranieri, tutto il magico incanto...» «Il magico incanto» l'interruppi citando a casaccio un romanzo da quat-
tro soldi «è uno stato d'animo, non una questione di geografia!» La mia battuta sembrò piacergli immensamente perché chiamò subito lo steward e gli disse: «Portate qui una sedia a sdraio e segnatela col nome della signorina... Signorina, prego?» «Llewellyn» risposi di malagrazia. «Benissimo. Io mi chiamo Burr... Adam Burr al vostro servizio, finché vi piacerà di tenermi... e di trattenermi dal fare qualche sciocchezza» finì in fretta, con tono apologetico. Lo trovavo molto divertente, così ce ne restammo a chiacchierare finché non fu ora di andare a vestirsi per la cena. Penso che il signor Burr mi piacerà. Se non altro è gentile e riposante. A cena comparve anche lui alla tavola del comandante dove, grazie al caro vecchio Fox. io occupo uno dei posti d'onore. Alla mia sinistra c'è un innocuo signore anziano che si chiama Lambert ed è accompagnato da una moglie abbastanza graziosa, una nipote molto moderna che sembra il ritratto della salute e si chiama Betty, e un segretario, un bel giovanotto dai capelli neri e i baffetti alla John Gilbert che se ne sta praticamente appiccicato alla suddetta nipote. Poi c'è (o almeno c'era a colazione) una vedova, la signora Clapp, con un'accompagnatrice che risponde al dolce, suggestivo nome di Daphne Demarest, il che lascia supporre che sia una donna, benché il suo aspetto sia piuttosto quello di un lanciatore di disco olimpionico. È evidente che la signora Clapp l'adora e che dipende in tutto e per tutto da questa sua amazzone. Vi sono poi un certo signor Wolcott, con capelli candidi, barbetta caprina e l'aria di un gentiluomo di corte, e un señor Silvera, così bruno e spagnolo e con l'aria così abbacchiata da far pensare che sia o schiavizzato dalla moglie o amante degli animali o che si eserciti a suonare il flauto nella sua cabina. Ma qualunque cosa faccia, la fa evidentemente in spagnolo perché il suo inglese può essere descritto soltanto come uno splendido zero. II dodicesimo posto è occupato da un buffo piccolo cockney di circa trentott'anni il quale non fa altro che ammiccare con i suoi buffi occhietti e bada al proprio cibo con una sorta di ansiosa concentrazione che t'induce a chiederti se non sia abituato a usare più di una forchetta. Il comandante Fortescue è un tesoro. Gentile, cordiale, sempre rumorosamente gioviale e sempre britannico... oh, così britannico! Ha una moglie e cinque figlie in un posto che si chiama Squealing o Ealing o qualcosa del genere e questo naturalmente spegne sui nascere i romanzetti che potreb-
bero altrimenti venire ispirati dalla sua magnifica uniforme splendente di galloni e di fregi d'oro. Ma, ahimè, io non vengo degnata di uno sguardo. I suoi occhi sono sempre incollati sui Lambert che sono evidentemente le persone più importanti della crociera. E a quanto pare, il nostro galante comandante sa benissimo da che parte è imburrato il suo pane. Tra parentesi, i Lambert hanno invitato tutta la tavolata per un drink nella sala da fumo stasera alle dieci. So che non dovrei, ma... Bene, è la mia prima serata fuori e una ragazza è giovane una volta sola, sai, e nemmeno più tanto giovane, se è per questo! Nel frattempo, puoi dormire sonni tranquilli, micino mio. La tua Mary è felicemente lanciata in alto mare senza un solo compagno in vista al di sotto dei quaranta, a meno che non ne compaia qualcuno quando tutti avranno smaltito il mal di mare; non c'è un nome noto in tutta la lista dei passeggeri e l'unico maschio appetibile è palesemente aggrappato ai sorrisi di una ricca fanciulla giovane e spregiudicata. Così dunque, come ti ho già detto, stiamo felicemente rollando verso Rio. Ma ecco che il mio Adam viene alla riscossa della sua Eva e, come dice lui con un'espressione non troppo lusinghiera, della sua valvola di sicurezza! Ci crederesti? Il sole del ponte superiore deve avere picchiato sulla sua zucca perche è diventata di un bel color rosa! In novembre, pensa un po'! Sarà uno spasso vederla quando sarà diventata di un bel rosso acceso. Non c'è altro, per ora. In cabina Sabato 14 novembre 2,10 a.m. Ho detto "Non c'è altro?" Io ho detto questo? Ho detto anche... Oh mio Dio, che cosa non ho detto? E che cosa non ho da dirti ora? Ho tentato di mandare un messaggio radio al giornale ma è stato subito soppresso. Oh, se soltanto avessimo concordato un codice segreto fra noi due, Davy, stanotte avremmo fatto il colpo giornalistico più sensazionale della nostra vita. Tu avresti certo ricevuto la notizia molto prima di quanto non possa raggiungerti questo mio febbrile scarabocchio. Ma comunque cercherò di raccogliere le idee, ora sparse e confuse, quanto basta per prendere nota di tutto con la massima cura, come feci nel caso Laubenthal. Rammenti quanto
furono utili allora i miei appunti per la soluzione del mistero? E in confronto a ciò che è accaduto ora su questa nave, Davy, il caso "L" è stato un giochetto da bambini. Figurati se non gracchierebbe zia Caroline! Comincerebbe col dire che causa di tutto è stato il fatto di prendere una nave salpata di venerdì 13. E forse non avrebbe tutti i torti! Poiché non mi è possibile dormire, comincerò dal principio, o meglio da! punto in cui ti ho lasciato soltanto poche ore fa. (Ma davvero sono passate soltanto quattro ore? Mi sembra che siano trascorsi secoli dal mio ultimo momento di pace e di tranquillità!) Probabilmente la prima parte del mio racconto è irrilevante e inconsistente, forse non è neppure pertinente, ma chissà che invece non possa fornire una traccia, perciò eccola. Rammenti che ti ho detto che i Lambert avevano invitato tutta la nostra tavolata per un drink in sala da fumo, alle dieci? Bene, ci sono andata con Adam Burr pochi minuti dopo avere finito di scrivere a te e ci ho trovato la signora Lambert solennemente seduta col vecchio Wolcott, mentre il signor Lambert giocava a bridge col buffo ometto che ti ho già descritto e che è risultato chiamarsi Daniels, il signor Burr (che era venuto a prendermi mentre faceva il morto) e un altro tizio che non avevo mai visto. C'era poi uno steward dietro il bar ma assolutamente nessun altro. La signora Lambert mi salutò subito non appena entrai, perciò andai a sedere con lei e Wolcott, così che la distribuzione dei posti risultò la seguente:
La mia ospite fu molto affabile e ben presto ci ritrovammo a parlare confidenzialmente dei miei articoli che la signora legge sempre la domenica mattina a colazione. È una delle molte donne che a trentotto anni ne dimostrano ventotto e si comportano come se ne avessero davvero dieci di meno. Però fu estremamente gentile, Wolcott la seguì su quella strada e fra
tutti e due mi adularono tanto da indurmi a pensare che ci sia realmente un fondo di verità, nel decantato potere della stampa. La signora Lambert mi domandò se avrei preferito ordinare subito qualcosa o aspettare finché non ci raggiungessero i giocatori di bridge. Pareva che stessero per finire una manche perciò risposi che preferivo aspettare. Di tanto in tanto sfuggivo ai suoi ditirambi per avvicinarmi al tavolo e seguire per un momento il gioco. Benché le poste non fossero alte, giocavano tutti con molto impegno, così che fui presentata quasi di sfuggita al giocatore che non conoscevo, un certo Robinson, così almeno mi sembrò di capire. A quel che ne ricordo, era un tipo senza caratteristiche particolari, di età fra i trenta e i cinquanta, ben rasato, con gli occhiali, folti capelli scuri e una meravigliosa abbronzatura. Risultato di una lunghissima vacanza in Florida, come spiegò lui stesso con una voce acuta e un poco stridula. E non ricordo che abbia detto altro. Non ci misi molto a rendermi conto che c'era qualcosa che non andava nel contratto, o quanto meno che il signor Daniels non era per niente soddisfatto del modo di giocare del compagno. A quanto pareva, avevano vinto due manche più per fortuna che per abilità, ma ora le cose si stavano mettendo male per loro due. «Bene» proruppe Daniels con uno spiccato accento londinese che non tenterò nemmeno di riprodurre «visto che non riesco a indurre il mio compagno a giocare come si deve, propongo di bere qualcosa, se voi non avete niente in contrario, sir» aggiunse rivolgendosi a Lambert. «Conosco una ricetta per il gin al limone... Posso ordinare per tutti?» «Oh no davvero» ribatté cortesemente Lambert. «Vi ho invitati io, ma proviamo pure questa vostra ricetta.» Chiamò sorridendo lo steward. La signora Lambert e io ordinammo un bicchiere di sherry, Burr e Robinson presero whisky con soda e ghiaccio, mentre Daniels annotava con molto impegno gl'ingredienti necessari per quel suo specialissimo gin che alla fine fu ordinato per lui e Lambert. Poi i quattro si rimisero a giocare, con gli stessi compagni, e per quanto mi piaccia moltissimo stare a osservare una partita, rammentai le regole della buona educazione, tornai a sedere sul divano accanto alla signora Lambert e feci qualche banale osservazione sulla sua affascinante nipote, chiedendo come mai non fosse lì con noi. «Oh, Betty è andata a passeggiare sul ponte» rispose lei con un lieve sorriso. «La gioventù ha diritto a qualche svago, non vi pare?» Assentii e domandai distrattamente con chi si stava svagando la gioven-
tù. «Ma con Jimmy Earnshaw, naturalmente. È un ragazzo così carino!» A questo punto la signora abbassò la voce come stesse per comunicarmi qualche clamorosa indiscrezione. «Sapete, sono stati molto insieme, in questi ultimi tempi e... be', noi speriamo proprio che questa crociera possa diventare qualcosa di più che un semplice viaggio d'affari.» Il suo sguardo aveva assunto l'espressione desiosa della pronuba di mezza età che sgranocchia troppi dolci, legge troppi romanzetti rosa e cerca di ricavare qualche brivido per procura dalle esperienze sentimentali altrui. «Oh, non mi sorprende» osservai io. «È una gran bella ragazza. Sembrerebbe bella anche nelle situazioni peggiori, persino sulla poltrona di un dentista!» «Ma non ha assolutamente alcun problema con i denti!» esclamò la gentile signora, evidentemente avvezza a prendere tutto alla lettera. Poi si affrettò ad aggiungere che, anche se fosse insorta una disgraziata circostanza di quel genere, i genitori di Betty avevano il denaro necessario per farle avere il meglio di tutto. Come puoi immaginare, mi stancai ben presto di quella solfa e me ne tornai a guardare la partita di bridge, lasciando la mia ospite a vedersela con Wolcott. E adesso, Davy, a rischio di annoiarti e di sembrare troppo pignola riguardo ai particolari, devo descriverti un paio di mani. Sai che sono abituata a prendere nota delle mosse che mi sembrano più interessanti, nella speranza di poter servirmene quando mi capita di dover sostituire il redattore abituale nella pagina del bridge. Così, butterò giù tutti i particolari che io riesco a ricordare. Dunque, eccoti le mani come le ho annotate sul rovescio del mio menù della cena. NORD (Burr) Picche Cuori Quadri Fiori OVEST (Robinson) Picche Q Cuori KQ
K xxx 10 xx xxx AKx EST (Daniels) Picche Cuori
xxx J xxxxx
Quadri Fiori
A Q J 10 xx Quadri Jxxx Fiori SUD (Lambert) Picche AJ 10 xx Cuori Ax Quadri xx Fiori 10 9 xx
Kx Qx
Lambert e Burr (80 punti già segnati). Lambert dichiarante Dichiarazioni: Lambert 1 picche Robinson 2 quadri Burr 2 picche Daniels passo Lambert passo Robinson 3 quadri Burr 3 picche Daniels passo Lambert passo Robinson quadri Burr passo Daniels passo Lambert 4 picche Robinson contro Passo. Passo. Passo. Soltanto Dio sa come mai io non abbia perduto quel foglio, considerando ciò che accadde in seguito, ma al momento la situazione sembrava talmente eccitante che persino Wolcott piantò in asso la signora Lambert e si avvicinò a sua volta al tavolo, affascinato. Anche un giocatore di bridge meno bravo di te, Davy, vedrebbe alla prima occhiata che Est e Ovest potrebbero battere facilmente gli avversari. Il contro è perfettamente buono e la prognosi per Nord e Sud davvero pessima. Ma che cosa ti fa l'ineffabile Ovest? Gioca la sola e unica carta in mano sua che mette Lambert in grado di tare il suo contratto, vale a dire il fante di fiori! Sud prende con l'asso del morto, gioca la briscola, libera i fiori e scopre (con sua grande sorpresa, come puoi ben immaginare) che, dopo che la donna è caduta sul re, tutte le carte che ha in mano sono buone. Così mantiene la sua dichiarazione contrata, e Daniels fa qualche altro caustico commento sull'abilità del proprio compagno. Ed eccoti un'altra mano che mi è sembrata degna di essere annotata e che rivela, anche meglio della precedente, come un'apertura sbagliata possa rovinare tutto. NORD (Burr)
Picche Cuori Quadri Fiori OVEST (Robinson) Picche Cuori Quadri Fiori
Lambert Burr Lambert
xxx xxx Jx A Q Jxx EST (Daniels) J 10 x Picche Qxxxx QJ 10 Cuori xx K 10 xxx Quadri Q xx xxx Fiori xxx SUD (Lambert) Picche AK Cuori A K xxx Quadri A xxx Fiori K 10 Tutti a zero. Entrambi vulnerabili Dichiarazioni: 2 Cuori Robinson Passo 3 Fiori Daniels Passo Piccolo slam senza atout Robinson Contro Passo. Passo. Passo.
Ora, lascio a te, Davy, commentare le dichiarazioni ma è pacifico che se Ovest (Robinson) avesse fatto la giocata giusta - un quadri - Sud (Lambert) sarebbe finito sotto di una nel suo contratto. Ma Ovest, invece, cala stupidamente il fante di fiori (evidentemente ha la mania dei fanti!). Lambert, dopo avere perduto un cuori, riuscì a gettare i suoi quadri sulle picche del morto e a concludere il contratto. In seguito, quando Daniels domandò: «Ma perché diavolo non avete giocato un quadri?» Robinson rispose con la sciocca osservazione che non gli piaceva cominciare con un re. Ricordo perfettamente che, mentre si giocavano queste mani, lo steward era entrato con le bevande. Dopo avere bevuto un sorso de! suo sherry, la signora Lambert lo richiamò e si lamentò (è il tipo che si lamenta sempre di tutto, sai) che non era buono come quello che aveva bevuto prima di cena. Suo marito girò la testa verso di lei e disse in tono conciliante: «Probabilmente è lo stesso, soltanto che prima di cena è il momento più indicato per lo sherry, che naturalmente sembra migliore! Ha un ottimo aspetto, mi
pare. Almeno per quello che riesco a vedere, perché ho perduto gli occhiali. Riesco a malapena a distinguere le carte. Li hai visti da qualche parte, per caso? Li ho cercati dappertutto, in cabina, ma non sono riuscito a trovarli.» «Oh, Alfred» ribatté la signora Lambert un po' seccata «tu continui a perdere gli occhiali e a dirmi che cosa devo o non devo bere! È una prerogativa femminile quella di cambiare opinione. E bevanda. E tutto sommato, preferisco il porto!» Daniels tirò fuori una trita battuta a proposito del porto e Adam Burr si batté lo stomaco osservando che il porto fa ingrassare. Poi la signora Lambert prese a enumerare sottovoce, ma con una sfumatura affettuosa, i guai fisici del marito: la miopia, il cuore debole, i reumatismi. Lui colse l'argomento della conversazione e si girò sorridendo verso di noi. «Eh sì, signorina Llewellyn, il povero vecchio è sul punto di cadere in pezzi!» Ti racconto tutti questi particolari, Davy, perché ho l'impressione che prima o poi si scopra che potrebbero avere qualche significato. E avremo bisogno di tutte le nostre munizioni prima che questa storia sia finita! Poco dopo la manche finì. Robinson e Daniels, pur essendo stati in vantaggio per qualche tempo, perdevano tre o quattro dollari e Lambert intascò la sua parte della vincita con la risatina soddisfatta del ricco che ha avuto un inaspettato colpo di fortuna. Poi suggerì un'altra partita, ma Daniels e Robinson, entrambi insoddisfatti del rispettivo compagno, finirono di bere e si scusarono, dicendo che sarebbero andati a letto. «Sono certo che il signor Wolcott prenderà volentieri il mio posto» osservò il piccolo londinese avviandosi verso la porta. «No, no, temo di essere troppo arrugginito in fatto di bridge. Lascio il posto ai più giovani» ribatté subito il vecchio signore, abbozzando un cerimonioso inchino in direzione della sottoscritta. «È soltanto la psicologia del gioco quella che mi affascina.» Daniels uscì con un lieve grugnito e Lambert suggerì, un po' in ritardo, che le gentili signore si unissero a lui e a Burr per l'ultima manche, ma la signora Lambert disse di essere troppo stanca. Sarebbe andata a cercare Betty e Jimmy Earnshaw: forse l'uno o l'altra avrebbe accettato di fare il quarto, aggiunse. E intanto lei avrebbe chiesto allo steward di portare a Lambert gli occhiali, se fosse riuscito a scovarli da qualche parte nel loro appartamento. Poi augurò a tutti la buonanotte, usci e pochi momenti dopo i due giovani entrarono in sala, pallidi e infreddoliti (ah, l'amore!). Betty
portava lo scialle più bello che avessi mai visto in vita mia, di un color arancio che in condizioni normali le avrebbe donato moltissimo, ma che in quel momento serviva soltanto a mettere in risalto il suo pallore.
Mentre Earnshaw si fermava a chiacchierare un momento con me, Betty andò a dare il bacio della buonanotte allo zio. «No, caro» la udii dire «ho troppo sonno per giocare a bridge. Faccio un altro giretto sul ponte con Jimmy poi me ne torno in cabina.»
«Bene, ma fammi il favore di tirare la tenda davanti a quella finestra aperta, prima di andartene. Mi sta venendo il torcicollo» disse Lambert. «E di' allo steward di portarmi un gin liscio con ginger ale, ti prego. Il gin al limone del signor Daniels era un vero veleno, devo bere qualcos'altro per levarmi il sapore di bocca!» Ma, fra parentesi, notai che ne aveva bevuto ben poco. Betty fece quello che lo zio le aveva detto, poi Earnshaw si scusò con me e i due giovani uscirono insieme. Ci trovavamo ora nella sgradevole situazione di tre ferventi giocatori di bridge (Lambert, Burr e la sottoscritta), ansiosi di trovare il quarto. Chiacchierammo per un poco di cose futili e stavamo per abbandonare l'idea di un'altra partita e andarcene a letto quando entrò nella sala Daphne Demarest, più alta e olimpionica che mai. «Riesco appena a tenere gli occhi aperti» dichiarò con un sorriso stanco. «Ma se proprio devo farlo, tanto vale che sia a un tavolo da bridge. Giocare a bridge e bere è all'incirca tutto quello che si può fare in circostanze come questa.» Dopo di che, mi sembrò una scortesia imperdonabile rifiutare di giocare. Ora rimpiango amaramente di essermi lasciata trascinare, ma l'ho fatto e tanto basta. Feci coppia con Burr contro Daphne e Lambert e cominciammo a giocare di un decimo di centesimo a punto. Wolcott rimase in piedi alle mie spalle in cerimonioso silenzio ma, benché qualche passeggero facesse capolino di tanto in tanto nella sala, nessun altro venne a tenerci compagnia. Calava così il sipario sulla Scena Prima dell'orribile dramma di stasera e dal momento che non è nemmeno pensabile di poter dormire, tanto vale che passi alla Scena Seconda che non è fuori luogo definire la scena madre. Bene, preciserò anzitutto che le nostre rispettive posizioni erano queste:
Poco dopo, lo ricordo perfettamente, entrò lo steward con la bevanda di Lambert e la posò accanto a lui. Si era appena allontanato quando Lambert lo richiamò e ordinò da bere per Daphne ("doppio whisky con una spruzzata di soda" precisò lei) e per Burr. Io dissi che non desideravo bere altro perché ero stata appendicectomizzata di fresco. Allora Lambert finì il suo gin al limone e lo steward portò via il bicchiere. Daphne non giocava molto bene ma lei e Lambert furono assistiti dalla fortuna e vinsero le prime due mani quasi senza colpo ferire. Nella terza, i nostri avversari fecero il piccolo slam di picche e si diede il caso che, benché la mia mano fosse senza alcun valore negli altri semi, avessi un fante quinto a picche sulla dichiarazione di Lambert. Gli diedi il contro e lui surcontrò prontamente. Non saprò mai come sarebbe finita la partita, ma sono certa che soltanto un miracolo avrebbe potuto impedirmi di fargli almeno una presa. Come sai, Davy, c'è sempre un momento di tensione dopo un surcontrò. I compagni si scambiano occhiate ansiose, fanno una risatina nervosa poi assumono un'espressione disinvolta per nascondere l'apprensione. È quanto facemmo noi, penso, poi Lambert osservò: «Bisognerà che beva qualcosa, se voglio arrivare in porto!» Bevve un lungo sorso del suo gin e ginger ale, posò il bicchiere e riprese a giocare. A questo punto, Wolcott diede un'occhiata alle mie carte, fece un sorrisino imperscrutabile e uscì dalla sala. Dopo un momento, mi avvidi che a Lambert tremavano le mani tanto che riusciva a malapena a reggere le carte. Poi - oh Dio, Davy, riuscirò mai a dimenticarlo? - si alzò in piedi barcollando, emettendo un rumore che posso definire soltanto un gorgoglio strozzato. Per un terribile momento rimase lì ondeggiando, con il viso deformato da una smorfia spettrale, poi crollò di schianto lasciando cadere le carte, rovesciando tre bicchieri e ro-
vinando malamente il vestito di Daphne. Prima che riuscissimo a raccogliere le idee, lui giaceva lì sul pavimento, in preda a convulsioni atroci. Per un momento che parve eterno, restammo tutti immobili a guardarlo, atterriti e affascinati a un tempo. Ho sempre pensato alla morte per avvelenamento come a un dolce, quieto trapasso, ma credo che nessuna ferita d'arma da fuoco, nessuno spargimento di sangue possa essere più orribile di ciò che avevamo sotto gli occhi in quel momento. Era lo spettacolo più crudele, più disumano e al tempo stesso più pietoso che io abbia mai visto. Penso che non siano trascorsi più di due secondi prima che ci riscuotessimo, anche se mi era sembrato un secolo. La prima a ritrovare il proprio sangue freddo fu Daphne Demarest, che aveva contemplato la scena con una sorta di distacco. «Su, lo prenda per i piedi, signor Burr» ordinò. «Portiamolo sul divano. Sono infermiera diplomata.» Si chinò e te lo giuro, Davy, sollevò Lambert come avrebbe fatto con un neonato da mettere nel bagnetto. «Un medico, presto» gridò Burr e lo steward, che era rimasto a guardarci con gli occhi fuori della testa, riprese vita di colpo e uscì a precipizio dalla sala come se fosse ben felice di sottrarsi a quell'orrida vicinanza. Non chiedermi che cosa accadde in seguito, Davy. Non chiedermelo mai. È stato un incubo al quale spero di non dover ripensare mai più in vita mia. Ricordo di essermi resa vagamente conto della presenza di un medico, di avere sentito parlare di convulsioni di tipo tetanico e di cianosi, di avere afferrato un'espressione latina che mi è sembrata risus sardonicus e poi, chiara e inequivocabile, la parola terribile: STRICNINA! «È meglio che qualcuno vada a chiamare il comandante. Io non posso fare più niente, ormai.» Guardai volenterosamente il chirurgo, come chiamano il medico di bordo sulle navi inglesi. Avrei fatto ben altro per poter andarmene da quella spaventosa sala da fumo. Lui annuì. «Ma sarà meglio che torniate qui» disse cortesemente. «Se ce la fate.» Senza aspettare altro, mi precipitai fuori e per poco non investii Earnshaw che arrivava fischiettando il motivo che l'orchestrina aveva suonato per tutta la sera. La sua espressione allegra mutò di colpo come vide il mio viso. «Là... là dentro... il signor Lambert» ansimai. «Andate a dare una mano.» Non aspettai di vedere che cosa faceva. Corsi via sperando d'incontrare
qualcuno che potesse dirmi dove trovare il capitano Fortescue. Raggiungere il comandante di una nave a mezzanotte è altrettanto difficile che ottenere un'intervista col presidente degli Stati Uniti. Tutti i membri dell'equipaggio ai quali mi rivolsi, risposero che non era possibile parlare con il comandante in quel momento perché era occupatissimo a navigare, ma finalmente m'imbattei in un ufficiale che, avendo tanto buon senso da capire che era accaduto qualcosa di molto grave, mi condusse sul ponte di comando dove finalmente trovai il comandante, solido e rassicurante. Soffiava un vento violentissimo, ma non ebbi un pensiero per la mia pettinatura o per il mio vestito. Dopo l'atmosfera asfissiante della sala da fumo, l'aria fredda sul viso mi pareva una paradisiaca cascata di fresca acqua primaverile. «Capitano Fortescue» gridai, cercando di vincere il rumore del vento «dovete scendere subito nella sala da fumo di prima classe. Un passeggero, il signor Lambert, è stato ucciso. C'è giù il chirurgo e... e...» E credo di essere svenuta perché dopo quelle parole, ricordo soltanto di essermi ritrovata col viso appoggiato contro la giacca del comandante, le narici solleticate da un odore mascolino che mi fece pensare a te (brandy e buon tabacco, credo), un braccio robusto intorno alle spalle e una piacevole sensazione di calore giù per la gola. «Su, su, ora starete benone» disse il comandante in tono incoraggiante. «Vengo subito con voi. Signor Billings, la nave è tutta vostra.» Quando raggiungemmo la sala da fumo, trovammo le porte chiuse a chiave. Lo steward corse ad aprire, al suono della voce autorevole del capitano Fortescue, ed entrammo. Il corpo giaceva ancora sul divano ma grazie a Dio lo avevano ricoperto con una tovaglia. Entrando, udii Earnshaw che diceva al medico: «Aveva il cuore debole, dottore, e andava soggetto ad attacchi improvvisi, tanto che si teneva sempre la digitale a portata di mano.» «Questo non è stato un attacco di cuore» ribatté gravemente il giovane chirurgo, poi si mise a parlare sottovoce al comandante. Intanto lo steward stava rimediando al disordine di bevande rovesciate e di carte da gioco sparpagliate sul pavimento, Daphne fumava tranquillamente una sigaretta e Burr mi volteggiava intorno con premurosa sollecitudine. Dopo qualche momento il comandante si voltò a guardarci. Sembrava molto meno sicuro di sé, ora. «Eravate tutti presenti quando... quando è accaduto l'incidente?» do-
mandò. «Tutti, tranne il signor Earnshaw» rispose Burr. «Il signor Earnshaw è il segretario del signor Lambert.» Il giovanotto fece un cenno d'assenso. Appariva scosso e abbattuto. «Non riesco a capire» mormorò. «A cena stava benissimo. Se non è uno dei suoi soliti attacchi...» «Mi dispiace, signor Earnshaw» l'interruppe il comandante «ma il dottor Somers dice che a giudicare dalle apparenze il signor Lambert è morto per avvelenamento da stricnina. Abbiamo controllato le sue tasche e... a meno che qualcuno non sia a conoscenza di qualcosa che possa gettare nuova luce sul caso o che non si abbia qualche prova che il signor Lambert si è tolto la vita, la conclusione può essere una sola.» Per un momento regnò nella sala il silenzio assoluto. Il comandante taceva aspettando che qualcuno avanzasse qualche ipotesi poi, visto che nessuno aveva niente da dire, proseguì. «Naturalmente non voglio saltare a conclusioni affrettate, ma direi proprio, e penso che il dottor Somers sia d'accordo con me, che il signor Lambert sia stato ucciso deliberatamente. Vi prego pertanto di parlarne il meno possibile: non desideriamo allarmare gli altri passeggeri. E mentre si porta via il corpo, ci sono due o tre domande che...» A questo punto, Daphne Demarest attraversò la sala con tre lunghi passi mascolini. Era splendida così piantata davanti al comandante, mentre lo fissava con occhi fiammeggianti. «Capitano Fortescue» esclamò «siamo tutti molto spiacenti, ne sono certa, per la gravità della vostra situazione, ma se questo incidente è imbarazzante per voi, pensate quanto sia sgradevole per noi. Se il signor Lambert è stato avvelenato, il colpevole dovrebbe essere uno di noi tre, cioè la signorina Llewellyn, il signor Burr e io. All'infuori dello steward, nessun altro era presente quando il signor Lambert ordinò da bere. Il suo bicchiere era lì sul tavolo e... be', non è necessario che metta i puntini sugli "i", ma ciò che voglio dire è questo: quando sono salita a bordo di questa nave con la signora Clapp, stamattina, non avevo mai nemmeno sentito nominare il signor Lambert e lo stesso, penso, vale per la signorina Llewellyn e per il signor Burr. Ci siamo trovati per caso a pranzare allo stesso tavolo e abbiamo accettato il suo invito per una partita a carte, dopo cena. Ma quanto a pensare di uccidere quel poveretto...» Fini la frase con uno schiocco delle dita e si accese un'altra sigaretta. «La signorina Demarest ha perfettamente ragione» mormorò Burr con
voce un po' roca. «E siccome siamo tutti più o meno coinvolti, chiedo che ci si perquisisca immediatamente... esclusa la signorina Llewellyn, naturalmente, perché anche nell'improbabile eventualità che avesse avuto indosso qualcosa di compromettente, se ne sarebbe certo liberata quando è uscita per venire a chiamare voi, comandante.» Nel frattempo, dopo aver provveduto a sistemare il povero Lambert, era tornato il chirurgo, insieme con il commissario di bordo (un bel giovanotto di nome Jennings) e, chissà perché, il nostro amico Daniels. Fummo quindi perquisiti e interrogati con dovizia di particolari, ma poiché non venne alla luce nient'altro oltre a quanto ho già annotato fin qui in questo diario, non vedo motivo d'insistere su questo argomento. L'unica informazione nuova e offerta spontaneamente da Earnshaw fu che la situazione finanziaria di Lambert era ottima, che il defunto aveva sessantadue anni ed era perfettamente felice (a quanto gli risultava) con la moglie (la seconda) con la quale era coniugato da circa due anni. E questo pareva eliminare ogni probabilità di suicidio. Il segretario aggiunse poi di essere al corrente del testamento di Lambert col quale, a parte qualche lascito minore, disponeva che tutto il suo considerevole patrimonio andasse alla consorte. Burr e Daniels riferirono poi al comandante alcuni particolari sulla partita a bridge giocata nella prima parte della serata e Fortescue prese coscienziosamente nota dei nomi di tutti i presenti e della distribuzione delle bevande. Non appena ritornò lo steward, il dottor Somers lo chiamò in disparte e gl'impartì quelle che mi parvero disposizioni urgenti su qualche cosa. Non afferrai le sue parole, ma colsi buona parte della risposta dello steward. «No, dottore, i bicchieri vengono lavati subito. No, signore, il povero signore ha rovesciato tutti e tre quelli che erano sul tavolo, quando è caduto.» «Sicché non si può analizzare niente» sospirò il chirurgo e una piccola ruga di contrarietà solcò la pelle liscia della sua fronte. Fu a questo punto (mi pare) che Earnshaw parlò della necessità che qualcuno andasse ad avvertire la signora Lambert. Il comandante annuì, ci pregò di sgombrare poi chiese al dottor Somers e ad Earnshaw di accompagnarlo all'appartamento dei Lambert. Soltanto allora e nemmeno un minuto prima (che tu mi creda o no, Davy) pensai al mio scoop! Un importante uomo d'affari era stato assassinato lì sotto i miei occhi... e il mio giornale spasimava per le notizie di
cronaca nera! Mi precipitai in cabina radio e buttai giù un messaggio per il Fox, ma era scritto che non potessi farne niente perché lo avevo appena passato all'operatore quando udii alle mie spalle la voce del comandante. Oh be', avrei dovuto saperlo, immagino! Fu di una gentilezza squisita, ma mi pregò di capire la sua situazione. Non si poteva assolutamente parlare di omicidio finché non si fosse indagato a fondo sul caso Naturalmente, dovetti arrendermi, confusa e scornata, tanto più quando lui mi disse che la signora Lambert era in preda a una crisi isterica, nella sua cabina, e che Earnshaw si stava dedicando con tutte le proprie energie alla povera Betty, anche lei paurosamente sconvolta. «C'è bisogno di una donna, là» concluse. Scesi immediatamente e feci il possibile per confortare la povera vedova poi, finalmente, il dottor Somers le fece un'iniezione e Betty andò a dormire con la zia. Erano quasi le due quando potei tornarmene nella mia cabina. E da quel momento sono qui a scriverti, caro Davy. Che notte! Un filo di luce grigia si sta appena affacciando sull'oceano ed è ora che io cerchi di dormire un poco. Oltretutto sono quasi assiderata. Frattanto, la Moderna ha continuato a navigare tranquilla, come se nulla fosse accaduto. Non è stupefacente? Buonanotte e buongiorno, tesoro. Dal ponte Sabato 14 novembre 12,30 p.m. È una giornata meravigliosa e il mare è così bello da trascinarmi irresistibilmente ai rapsodici cliché sui cieli di zaffiro, sulle nubi di perla e sulle smeraldine profondità del mare. Regna su tutto una tale pace! I passeggeri non sono ancora consapevoli del fatto che fra noi c'è stata una morte violenta e un gabbiano solitario che veleggia stancamente seguendo la scia della nave è un segno rassicurante che non siamo ancora molto lontani dalla costa. Tuttavia, già troppo lontani per i miei gusti, Davy! Continuo a sentirmi come un fiocco di panna montata in equilibrio precario sopra un gelato. E dovrebbe essere la mia prima giornata di totale riposo a bordo! Bene, stanotte sono andata finalmente a letto ma mi pareva di avere appena chiuso gli occhi quando è entrato lo steward con una tazza di tè e mi ha detto che il signor Jennings, il commissario di bordo, mi mandava i suoi
omaggi e mi pregava di trovarmi nel suo ufficio stamattina alle dieci e mezzo. Ho fatto il bagno e mi sono vestita in gran fretta. (Sono una catastrofe e non c'è da stupirsene!) Quando sono entrata nel suo ufficio, il commissario era seduto alla scrivania, davanti a un fascio di carte. Mi ha rivolto una quantità di domande e ha annotato con cura le mie risposte. Quel poveretto è palesemente preoccupato da morire, alle prese com'è con faccende che non rientrano certo nelle sue mansioni abituali. Alla fine, fui io a rivolgergli una domanda. «Avete poi accertato se si è trattato veramente di avvelenamento da stricnina?» «Il dottor Somers praticherà l'autopsia stamattina stessa» spiegò lui un po' impacciato. «Non si saprà nulla di preciso fino a oggi pomeriggio. E ora, signorina Llewellyn, vorrei chiedervi un piccolo favore...» S'interruppe arrossendo impacciatissimo. Io annuii con fare incoraggiante. «Il comandante mi ha incaricato di andare a parlare con la signora Lambert al più presto ma, come potete bene immaginare, non è un incarico che mi faccia particolarmente felice. Tanto per cominciare, la povera signora probabilmente è confinata a letto e io... Be', ho pensato che voi, essendo una giornalista, forse siete più abituata a rose di questo genere.» «Oh, capisco, vorreste che andassi io a parlarle.» «Sì, non vi dispiace?» ribatté lui con gratitudine. Mi fece pena, poveretto! Pochi minuti dopo bussavo alla porta dell'appartamento dei Lambert. Mi aprì Betty che rispose con un mesto sorriso alla mia tacita interrogazione. Era molto abbattuta e faceva palesemente un grande sforzo per apparire coraggiosa. La signora Lambert era a letto, con la schiena appoggiata a una pila di guanciali, e sembrava di dieci anni più vecchia della vigilia. Aveva grandi cerchi scuri sotto gli occhi e il suo aspetto non si avvantaggiava certo di due macchie di rossetto sugli zigomi: un patetico tentativo, suppongo, di rendersi più presentabile per i visitatori. Le chiesi notizie della sua salute e dissi tutte le inutili sciocchezze che si dicono in frangenti simili, ma per qualche momento lei si limitò a guardarmi con occhi sbarrati e colmi di paura, senza rispondere alle mie domande. Poi, tutt'a un tratto, trasalì violentemente, come se si fosse riavuta soltanto allora e domandò in un sussurro: «È stato... è stato realmente assassinato? Il mio povero marito... assassinato?»
Mi si offriva così l'occasione di adempiere la promessa fatta al commissario. Con tutta la delicatezza possibile, dissi alla signora che finora non si sapeva niente di preciso, ma che sarebbe stato di grande utilità se lei avesse acconsentito gentilmente a rispondere ad alcune domande che il signor Jennings sarebbe venuto a farle. «Senz'altro» disse subito. «Risponderò a qualsiasi domanda, anche se sono certa di non sapere niente che possa essere di qualche utilità. Mio marito era un uomo felice, signorina Llewellyn... molto felice, considerata la sua età. Aveva le sue preoccupazioni per gli affari, naturalmente, chi non ne ha, al giorno d'oggi? Ma la nostra vita privata era quanto di meglio si potesse desiderare. Oh sì, i miei hanno sempre pensato che fossi stata pazza a sposare un uomo che sarebbe potuto essere mio padre, ma Alfred è sempre stato così buono con me, un marito perfetto, un uomo così gentile...» Si asciugò gli occhi col fazzoletto. «Intendete dire che vostro marito non avrebbe avuto alcun motivo per togliersi la vita?» «No di certo, eravamo così felici» insisté lei col pianto nella voce. «Però, a quanto ne so io, molta gente avrebbe potuto desiderare di toglierlo di mezzo.» Mi guardò con occhi velati. «Quel vostro amico, il signor Burr, lo conoscete bene?» domandò a un tratto. «Sembra molto premuroso con voi.» Risposi che l'avevo visto ieri per la prima volta. «Bene, lui dice di essere convalescente di un'operazione, ma io sono convinta che abbia intrapreso questo viaggio per tentare di strappare al mio povero marito un certo contratto in Sudamerica. È vicepresidente di una società concorrente, capite? Il signor Lambert non ha mai detto niente di preciso, ma so che era rimasto molto contrariato al trovare Adam su questa nave.» «Sì, rammento bene che mi avevate detto che si trattava di un viaggio d'affari» osservai in tono invitante. La signora Lambert lanciò un'occhiata ansiosa a Betty che capì immediatamente l'antifona e ci lasciò sole. «Sì» sussurrò la signora «doveva essere un importantissimo viaggio d'affari. Io non conosco i particolari, naturalmente, ma so che si trattava di una questione che doveva essere tenuta segreta. Per questo avevamo portato anche Betty. Forse Jimmie, il signor Earnshaw, voglio dire, potrà spiegarvi meglio. Ma c'è una cosa che vi posso dire...»
Rabbrividì come se rammentasse qualcosa di particolarmente sgradevole e vidi riapparire nel suo sguardo quell'espressione impaurita. «C'era qualcosa che non andava nello sherry che mi hanno servito ieri sera. Ricordate che l'ho rimandato e ho chiesto del porto? Bene, penso che qualcuno lo avesse manipolato. Quello sherry aveva un sapore talmente diverso da quello che avevo bevuto prima di cena e avete udito anche voi quando lo steward ha detto che era lo stesso! Comprenderete bene, signorina Llewellyn, come, dopo ciò che è accaduto più tardi a mio marito, io abbia una paura terribile per me stessa, per Betty, persino per Earnshaw che era il braccio destro di mio marito, al quale era devotissimo.» La signora Lambert si stava palesemente avviando verso una crisi isterica in piena regola, perciò mi affrettai a dire: «Ma vostro marito soffriva di cuore, no? Non è possibile che...» «Sì, è vero» singhiozzò lei «e naturalmente potrebbe essere stato quello. Se la prendeva sempre tanto per tutto, gioco o lavoro, e alla sua età non avrebbe dovuto farlo. Può essere stato quello... Oh, sa Iddio che cosa è stato!» A questo punto svenne di nuovo, sicché chiamai Betty, che le fece subito annusare una boccetta di sali e si prodigò per rianimarla. Dopo un poco mi congedai e salii alla mia sedia a sdraio sul ponte superiore per godermi il gradevole tepore del sole e riflettere con calma, a mente fredda. Prima di procedere oltre, Davy, voglio dirti un paio di cosette sul conto della signora Lambert. Non ho affatto l'intenzione di posare a psicologa infallibile, a questo punto del gioco, ma sono pronta a scommettere cinquanta contro uno che non è stata lei a uccidere suo marito, anche se è lei a ereditarne le sostanze. Dopo tutto ci vuole, come si dice, un "bello stomaco" per commettere un omicidio e la signora Lambert non lo possiede affatto. Non è una stupida, naturalmente, e non credo davvero che fosse pazzamente innamorata del vecchio Lambert, ma ucciderlo a sangue freddo... No! È troppo tenera... troppo femminile. Gli assassini, soprattutto quando si tratta di assassine, sono fatti di ben altra stoffa. Non escludo che possa averlo ingannato, essersi fatta gioco di lui, avergli mentito, ma certo non l'ha ucciso, ne sono sicura. Oltretutto, non ne ha nemmeno avuto la possibilità. È rimasta a sedere sul divano per tutta la sera, non è mai stata a meno di tre metri dalle bevande posate sul tavolo del bridge, neppure quando ha augurato a tutti la buonanotte. È una donna frivola e non nutro particolari simpatie per lei, ma intendo fare tutto il possibile per aiutarla perché è spaven-
tata a morte e... Bene, fra noi donne dobbiamo darci una mano in casi come questo! E ora torniamo agli sviluppi successivi. Non ero da molto sul ponte, a prendere il sole e sorseggiare il mio brodo, quando fui raggiunta da Adam Burr. A quanto pare aveva trascorso tutta la mattinata facendo o subendo controinterrogatori e aveva scoperto che la prima moglie, defunta, del signor Lambert gli aveva lasciato un figlio col quale lui non era più in rapporti da anni. Sembra che le autorità si siano date un gran da fare, stamattina. La sala da fumo è stata passata al pettine, ma senza alcun risultato. Lo steward, che è con la compagnia da quattordici anni, giura di avere preparato la bibita del signor Lambert come fa sempre e di non essere stato avvicinato da nessuno mentre portava in sala il vassoio con i bicchieri. Lo sherry della signora Lambert era esattamente lo stesso che le aveva servito prima di cena e per ogni bicchiere dove necessitasse la soda, era stata stappata una bottiglietta nuova. «A Earnshaw è stata data la possibilità di vedere tutte le persone a bordo, passeggeri e membri dell'equipaggio, in caso che riconoscesse qualche nemico del signor Lambert, ma lui ha dichiarato di non avere mai visto nessuno, con una sola eccezione.» «Voi» ho commentato prontamente io. «Bravissima! Come l'avete indovinato? Sì, ammetto che conoscevo un po' il signor Lambert... soltanto nel campo degli affari, naturalmente.» Qui il mio amico Burr tirò fuori un fazzoletto grande come una tovaglia e se lo passò sul cranio liscio e lucente. «Per essere sincero, mi sono anzi stupito di vedere Alfred Lambert a bordo di questa nave. La sua presenza poteva significare una cosa sola: stava andando a caccia di un contratto! E mi aveva detto di non voler avere mai più niente a che fare con quei "maledetti dago", come li chiamava lui. La sua ditta s'era presa una stangata terribile l'anno scorso quando il milreis era crollato.» Burr proseguì raccontandomi che lui e Lambert lavoravano per due ditte diverse e che in quel momento c'era in gioco un contratto importantissimo a Rio de Janeiro. Ammise francamente che loro due sarebbero stati concorrenti ma asserì che, almeno da parte sua, non esisteva alcuna ostilità personale. «Il vecchio Al» concluse «era pungente come una puntina da disegno, ma esteriormente era sempre un gran signore.» «Ritenete possibile che i suoi affari andassero tanto male da indurlo a togliersi la vita?» domandai.
Burr fece una risatina. «Per carità! Non era più quello di un tempo, naturalmente, come tutti, del resto, ma penso che fosse tuttora in grado di firmare un assegno di sei cifre senza batter ciglio. Oh, se l'era tappezzato bene il nido! Vorrei poter dire altrettanto! Inoltre, come ho già detto, Lambert si comportava sempre da gentiluomo e non si può certo affermare che sia un gesto da gentiluomo bere il veleno durante una partita a bridge, rovesciare i bicchieri rovinando i vestiti delle signore e dare spettacolo di sé a quella maniera. Se proprio avesse avuto un'inclinazione al suicidio, avrebbe aspettato almeno fino alla fine della manche.» Ci mettemmo quindi a discutere sulle possibilità e probabilità relative a ieri sera, ma nessuno dei due scovò qualcosa di men che comune né fu in grado di offrire il minimo contributo quanto al movente. Una bella prova d'incauta franchezza parlare a quel modo, sconosciuti come siamo l'uno per l'altro ed entrambi sospettabili come certamente siamo! Spero che un giorno o l'altro tutto questo finirà per sembrarmi estremamente comico, ma intanto, anche mentre ti scrivo, sento scorrermi per la schiena brividi disgustosi... Se qualcuno nascondesse qualcosa tra la mia roba? Io so di essere innocente, ma sono la sola a saperlo. Probabilmente Burr pensava di me quello che io pensavo di lui: sicuro, ma non al cento per cento. Be', dopo un momento, si chinò a scrutarmi in viso. «Bando a quei cupi pensieri, mia cara, e mettiamoci al lavoro di buona lena. Non sono mai stato in combutta con la stampa e penso che sarebbe molto utile mettere insieme le nostre risorse. Che ne dite?» Appariva così gentile e paterno che mi arresi e gli raccontai tutto: la mia visita alla signora Lambert, il mio diario, il caso Laubenthal... Oh, bene, forse sono stata sciocca e forse no. Ma ecco che sta suonando la campana del pranzo. Una tazza di brodo non mi sosterrà ancora per molto! Debbo volare! Dal ponte Sabato 14 novembre 4,15 p.m. Dopo colazione mi sono appisolata e quando mi sono svegliata Adam mi stava avvolgendo teneramente il plaid intorno alle gambe. Ora è andato a prendermi una tazza di buon tè inglese e approfitto della sua assenza per annotare le ultime notizie che mi ha portato.
È un vero peccato dedicarsi ad argomenti così orribili in una giornata così splendida, ma devo mettere nero su bianco prima che mi sfuggano dalla mente i termini medici. Dunque, pare che il dottor Somers abbia concluso la sua autopsia e che, benché non sia un patologo specializzato, abbia accertato la causa della morte di Lambert. L'esame del contenuto dello stomaco conferma la sua diagnosi di avvelenamento da stricnina: sembra che la quantità di veleno ingurgitata sarebbe stata sufficiente per ammazzare anche un uomo giovane e sano, figuriamoci un vecchio con un soffio al cuore! Non v'è dubbio che il cuore di Lambert fosse in cattive condizioni, ma il dottor Somers dice che, con i dovuti riguardi, sarebbe potuto campare altri vent'anni. È proprio stata la stricnina a spedirlo all'altro mondo. Il nostro giovane chirurgo ammette francamente la propria inesperienza in materia, ma pare che abbia fatto miracoli con lo scarso equipaggiamento che aveva a propria disposizione. Ha confessato candidamente a Burr (chissà poi perché proprio a lui!) di non essere in grado di stabilire quando o come il veleno possa essere stato somministrato, né quanto tempo esso abbia impiegato per agire. Sarà necessario asportare alcuni organi (orrore!) per sottoporli a ulteriori analisi quando arriveremo a Georgetown. Oggi pomeriggio il corpo verrà imbalsamato e poi deposto in una cabina vuota. Signore benedetto! E se fosse proprio accanto alla mia? Te lo immagini? Sbagliare letto e trovarsi... Oh, Davy, è orrendo! Ma devo tenere la bocca chiusa, perché a bordo nessuno sa ancora niente. La versione ufficiale è che un vecchio invalido è morto la prima notte di navigazione e nessuno ha il minimo sospetto. Pensierini allegri per accompagnare il mio tè... che sta arrivando, tra parentesi. Dopo, Adam Burr e io sgattaioleremo in qualche posticino riservato (tesoro, ti ho già detto che è calvo come una palla da bigliardo, no?) e ripasseremo tutto ciò che ricordiamo dì ieri sera. Anzi, io gli leggerò addirittura questo diario, tranne le parti riservate unicamente a te, beninteso. Per il momento. temo di non avere altro da offrire. Nel caso Laubenthal avevo almeno qualche mezza idea, ma qui non ho assolutamente niente. Niente altro che questo diario dove se non altro ho annotato con cura scrupolosa tutto quello che ho visto e sentito ieri sera. In cabina Sabato 14 novembre
6,30 p.m. Bene, tesoro, dopo tutto è possibile che io abbia contribuito in qualche modo, anche se, come vedrai più avanti, ho i miei dubbi. In ogni caso, devo affrettarmi se voglio dirti tutto perché si fa tardi e devo andare a vestirmi per la cena. E ho un motivo particolare per non mancare a cena, un motivo particolarissimo! Adam e io abbiamo tenuto una lunga seduta sul ponte, oggi pomeriggio, e prima di tutto gli ho letto il mio diario da cima a fondo (saltando le espressioni affettuose e altre inezie) mentre lui prendeva qualche appunto. Alla fine ha detto: «Vi dispiacerebbe rileggermi il punto in cui parlate per la prima volta delle bevande che sono state servite nella sala da fumo?» Ho ricominciato da pagina sedici e sono andata avanti finché lui non mi ha fermata. Allora ci siamo scambiati un'occhiata e abbiamo detto quasi insieme: «Se...» Evidentemente lo stesso pensiero ci aveva colpiti quasi simultaneamente. Così, prima di proseguire, Adam è corso dal chirurgo a chiedergli se era possibile che la stricnina fosse stata somministrata col primo giro di bibite. È tornato dopo pochi minuti portando un librone verde intitolato Farmacologia e terapeutica di Cushny. «Il dottor Somers non c'era» ha spiegato. «Così ho preso questo nella sua cabina. Per fortuna ho frequentato per un anno, ingloriosamente, la facoltà di medicina, così il buon vecchio Cushny non sarà tutto arabo per me.» Aprì il volume al capitolo Stricnina che, a giudicare dalle numerose sottolineature e annotazioni a margine, doveva essere stato largamente consultato di recente dal dottor Somers, e prese a leggermi una descrizione altamente tecnica di tale veleno, dei suoi effetti sul corpo umano, delle dosi letali e degli orribili sintomi che seguono la sua ingestione. Non capii un'acca ma a un tratto una frase attrasse la mia attenzione. ... il primo sintomo è una sensazione di rigidità ai muscoli del viso e del collo... «Un momento» esclamai elettrizzata. «Signor Burr, rammentate che il signor Lambert si è lamentato di avere il collo irrigidito, quando Betty è venuta ad augurargli la buona notte? Tanto che le ha chiesto di chiudere le tende davanti alla finestra, benché in quella stanza si morisse di caldo. E questo è accaduto prima che lui ordinasse la sua seconda bibita.» L'unica risposta di Burr fu un lungo fischio sommesso.
«E» continuai girando le pagine del mio diario «ricorderete che fino a quel momento Lambert aveva bevuto ben poco del suo gin al limone. Lo ha finito solo a pagina diciannove cioè dopo che ci eravamo messi a giocare voi, Daphne e io, circa un quarto d'ora prima del collasso!» «Sì, esatto» convenne Burr con la voce un po' arrochita. «Naturalmente, l'alcaloide tende a depositarsi sul fondo del bicchiere. Oh, ragazzi, credo proprio che abbiamo finalmente qualcosa di concreto! A quanto pare, la stricnina non agisce molto rapidamente e il pover'uomo non ne ha risentito tutto l'effetto finché non ha vuotato il bicchiere, poco prima che arrivasse la seconda ordinazione. E difatti si era lamentato che il famoso gin al limone del signor Daniels era un vero veleno, vero? Bene, la stricnina è terribilmente amara. Oh mio Dio, un bel guaio per il povero Daniels!» Discutemmo ancora un poco su quel punto e finalmente decidemmo che Burr ne avrebbe parlato al più presto possibile con il comandante, ma che per il momento avremmo tenuto la bocca chiusa con chiunque altro. La nostra scoperta, naturalmente, accresceva il numero dei sospettabili. Sé il veleno era stato messo nella seconda bevanda di Lambert, cioè il gin con ginger ale, i colpevoli saremmo potuti essere Wolcott, Burr, Daphne, lo steward e io stessa, ma se era stato messo nel gin al limone dovevamo aggiungere ai primi anche Daniels, Robinson, Betty, Earnshaw e persino la signora Lambert. «È facile immaginare che il nostro assassino si stia ora congratulando con se stesso per il colpo di fortuna che gli è capitato. Naturalmente tutti saranno saltati alla conclusione che la stricnina fosse nell'ultima bevanda, tanto più che non è stato possibile esaminare ciò che era rimasto nei bicchieri! Non è nemmeno da escludere che l'assassino abbia anche un alibi perfetto per il momento in cui Lambert si è sentito male.» «Bene, secondo me» dissi io «il meglio che possiamo fare adesso è scoprire tutto il possibile sui passeggeri della nave e vedere se qualcuno poteva avere un motivo per far fuori Lambert. Stasera stessa, a cena, comincerò a sondare il comandante con la massima discrezione possibile. Voi assecondatemi. Intanto, perché non mi raccontate per filo e per segno tutto ciò che è accaduto prima che cominciaste a giocare? Potrebbe saltarne fuori qualcosa di utile.» Dopo avere riflettuto per qualche minuto, Adam ubbidì. Lui, disse, era già in sala da fumo quando, alle otto e mezzo, era entrato il gruppo Lambert. Questi, sfregandosi le mani, aveva subito suggerito che si facesse una partita a bridge, ma Betty aveva detto di non sentirsi troppo
bene ed Earnshaw aveva spiegato di avere un appuntamento con la luna. Così i due giovani se n'erano andati insieme. La signora Lambert non era sembrata nemmeno lei troppo entusiasta del bridge, cosi lei e il marito si erano avvicinati a Burr e si erano messi a chiacchierare con lui e con Wolcott. Nel frattempo altra gente era entrata in sala e Lambert, finito di fumare il suo sigaro (gli ci era voluta circa mezz'ora) aveva cominciato a lanciare intorno occhiate furtive. Allora Burr aveva detto che sarebbe stato contento di fare una partitina e Daniels si era offerto di fare coppia con Wolcott, ma questi aveva rifiutato (molto laconicamente, pare), così Lambert era andato a invitare Robinson che si era messo a fare un solitario vicino a loro. Avevano sorteggiato i compagni, fissata la posta (un quinto di centesimo) e cominciato a giocare così come li avevo poi trovati io quando ero entrata in sala. Non c'era stato altro che fosse degno di nota finché Burr non era venuto a prendermi, e il resto lo vidi poi io con i miei occhi. E ora, mio caro, se voglio sedurre il comandante e i miei compagni di viaggio, inducendoli a confidarsi con me, devo indossare qualcosa d'irresistibile per la cena e mettercela tutta. È un'ammissione agghiacciante, Davy, ma devo confessare che in fondo in fondo mi sto divertendo. Ti vergogni della tua Mary? Ora un bel bagno e poi il mio Chanel di pizzo nero... Sala di scrittura Sabato 14 novembre ore 8,30 p.m. Oh, caro, la cena è stata un disastro! Riuscirò mai a dimenticarla? Mi sento come se fossi stata sorpresa a rubare lo zucchero a un ricevimento' La mia unica giustificazione è che Adam mi aveva fatto ingurgitare tre cocktail prima di cena! Davy, non bere mai in fretta, se vuoi conservare il senno e le buone maniere! Dunque, trovai il nostro tavolo un po' spoglio di commensali, benché in un primo tempo, quando ci vedevo ancora doppio, mi fosse sembrato affollatissimo. C'erano Daniels, Silvera, Wolcott, Burr, Daphne e la signora Clapp. Mi comportai da perfetta signora durante gli hors d'oeuvre e il primo, ma all'agneau farci cominciai a produrmi in un'esibizione di ciò che accade a una vera signora quando ha in corpo un cocktail di troppo. «Capitano Fortescue» dissi col più garbato candore di cui ero capace
«mi sono sempre chiesta in base a quali considerazioni il comandante di una nave di linea invita determinate persone al proprio tavolo. Per il loro aspetto, per la ricchezza, la posizione sociale o per il loro fascino?» Il nostro galantuomo mi guardò come fa zia Caroline quando le si offre un cocktail, diventò rosso come un pomodoro maturo e borbottò qualcosa a proposito di "persone che avevano particolari lettere di raccomandazione". «Oh certo» continuai, intrepida. «È stato così nel mio caso. Vi ha scritto il direttore del mio giornale, dicendovi peste e corna di me, ma mi chiedevo... Prendiamo il signor Burr, a esempio: nessuno sarà stato tanto incauto da scrivervi una lettera di raccomandazione per lui, vero?» E guardai Adam con un sorrisetto astuto. «Il signor Burr» ribatté il comandante «ha viaggiato spesso su questa nave. Oserei dire che siamo vecchi amici.» Il comandante gettò un'occhiata al piccolo londinese che, con la bocca piena di piselli, parlava animatamente con Daphne. «Il signor Daniels... ha portato una lettera del nostro ufficio di Londra e...» «Oh, io sono assolutamente a posto» l'interruppe l'oggetto della nostra conversazione, senza preoccuparsi di vuotare la bocca. «Non preoccupatevi per me, signorina Llewellyn. Le mie credenziali sono perfettamente in regola anche se, come le mie fotografie, non mi rendono giustizia.» I suoi occhietti porcini ammiccarono maliziosi e divertiti mentre aggiungeva: «Ma il signor Wolcott... perché non provate a chiedergli come è arrivato in così distinta compagnia?» Ti ho già detto, Davy, che Wolcott non mi piace e a quanto pare non piace nemmeno a Daniels. Ha qualcosa di falso e untuoso, ma nonostante tutto è pur sempre un vecchio signore dai capelli grigi e nemmeno dopo tre cocktail farei deliberatamente qualcosa che lo mettesse a disagio. E indubbiamente l'osservazione di Daniels lo mise a disagio perché diventò di un bel rosa acceso e posò la forchetta come se fosse deciso a non riprenderla più. «Io... io sono venuto a questo tavolo perché mi ha invitato il comandante» balbettò. «Se la mia... presenza dà fastidio, bene, ci sono altri tavoli...» A questo punto, Davy, mentre cercava di versare acqua sul fuoco che io stessa avevo acceso, echeggiò una voce risoluta, con un tono di disgusto indicibile. «Tutto ciò è insopportabile!»
Sulle prime pensai che fosse stato Silvera a parlare, ma quello masticava coscienziosamente e beveva vino come se non avesse ascoltato una parola di tutto ciò che avevamo detto. Il viso di Daphne invece era una maschera di beneducato disprezzo. Era stata la signora Clapp a fare quell'osservazione! Per essere sincera, non le avevo dedicato un briciolo di attenzione, fino ad ora: l'avevo a malapena notata come una figura scura e vedovile apparsa a pranzo ieri, senza pronunciare parola. Ma guardando i suoi vivaci occhi neri, mi resi conto immediatamente che era una donna non comune. Fra i cinquanta e i sessanta, ma senza una ruga e con occhi limpidi e belli come quelli di una ragazzina. Ma quella che sorprende di più è la sua voce: ti colpisce come una corrente elettrica. «Assolutamente intollerabile» ripeté e tutti gli sguardi si polarizzarono su di lei. «Ma perché dovremmo render conto, a tavola, delle nostre credenziali, del nostro diritto di pranzare quando e dove ci piace? Abbiamo pagato il nostro passaggio, signorina Llewellyn, e se voi, benché cronista di un giornale, siete troppo giovane e ignorante per sapere chi sono io...» A questo punto s'intromise con una certa enfasi il comandante. «Penso che stiamo prendendo un po' troppo sul serio le osservazioni della signorina Llewellyn! È un onore per tutti noi avervi al nostro tavolo, signora Clapp, e per quelli che vi ricordano come Marzia Manners è addirittura un privilegio.» All'udire quel nome, tutti i commensali fissarono lo sguardo su di lei, come se fosse stata un'apparizione proveniente da un altro mondo... e in un certo senso era così. Perché difatti questa vedova dolente non è altri che la più famosa attrice comica che sia mai esistita: Marzia Manners, che aveva fatto ridere a crepapelle me a quattordici anni, ridere educatamente mia madre a ventiquattro e indotto a nascondere il viso dietro il ventaglio mia nonna, a quaranta. La donna che un po' di anni fa stupì il mondo intero rinunciando a una brillante carriera artistica per sposare un uomo che sarebbe potuto essere suo figlio e che morì improvvisamente, lo rammentai in quel momento, pochi mesi orsono. Avevo dunque davanti a me, in carne e ossa, la donna che, per amore, aveva abbandonato il mondo intero. Per un momento nessuno parlò, ma notai che Burr aveva tirato fuori una matita e stava scarabocchiando frettolosamente qualcosa sulla lista delle vivande. «Sì, signorina Llewellyn» riprese all'altro lato della tavola la voce squisitamente melodiosa «e dal momento che sembrate tanto interessata, posso
aggiungere che sono, o ero, per così dire cognata del signor Lambert. Se non sbaglio, il signore seduto al vostro fianco ve lo sta scrivendo proprio in questo momento.» (Era così, difatti). «La prima signora Lambert era l'ex signorina Manners. Non vedevo mio cognato da anni e vi dirò francamente che non lo approvavo, in particolare per il modo come ha trattato mia sorella. E ora, Daphne cara, se la signorina Llewellyn non ha altro da chiedermi, credo che possiamo andarcene.» Si alzò e veleggiò maestosa attraverso la sala da pranzo, doverosamente seguita dalla sua compagna, lasciandoci a finire nel più assoluto silenzio, e con tutta la fretta possibile, quella infelice cena. Ero appena venuta qui per scrivere il mio diario quando arrivò Daphne con un'enorme scatola di cioccolatini adorna di nastri e gale. Le andai immediatamente incontro e mi scusai per il guaio che avevo combinato a cena, ma lei si mise a ridere. «Oh, non preoccupatevi! La cara vecchietta adora fare qualche scenata, di tanto in tanto. Lo fa anche con me, ma poi le passa subito. Adesso è là a ridersela in cabina. Detesta la stampa, capite, e non c'è da stupirsene considerando che è stata bersagliata per tanti anni dai cronisti. Ma in fondo è una gran brava donna. Siamo tutti sottosopra dopo quello che è accaduto ieri sera e non vi biasimo affatto per aver cercato di scoprire qualcosa sul conto dei nostri amabili compagni di gioco. A proposito, volete un cioccolatino?» Era così gentile e cordiale che accettai subito. Credo di non avere mai mangiato un cioccolatino così delizioso, morbido come crema e ripieno di autentico liquore francese. «Oh, mia cara, è veramente squisito!» esclamai. Lei si fermò mentre stava portandosene uno alla bocca e lo guardò con espressione perplessa. Ebbi l'impressione che stesse cercando di decidere se dirmi o no qualcosa che le era venuto in mente. «Guardatemi, signorina Llewellyn» esclamò a un tratto. «Guardatemi bene e ditemi se vi sembro il tipo da far innamorare un uomo al primo sguardo.» La guardai, ma non aprii bocca. Che cosa avrei potuto dirle? Poi lei si ficcò una mano nella scollatura e tirò fuori un foglio di carta da lettere con l'intestazione della nave e poche righe dattiloscritte. «Guardate qui, l'ho trovata nella mia cabina dopo cena, insieme con questa scatola di cioccolatini» spiegò bruscamente. «Mai successo niente di simile in vita mia. Leggetela. Non ho la più pallida idea di chi possa aver-
mela mandata.» La lettera diceva più o meno: Cara signorina Demarest, so dell'omicidio di ieri sera e so in quale situazione vi trovate. E so anche riconoscere una signora quando ne vedo una. Se doveste trovarvi in qualche difficoltà, sappiate che avete un amico profondamente devoto. Non dovrete fare altro che consegnare un biglietto al commissario che lo farà pervenire al vostro amico e ammiratore N.N. «E intendete davvero mangiare quei cioccolatini?» domandai, rimpiangendo di essere stata troppo precipitosa nell'accettarne uno. «Ma certo, che diamine! Nessuno ha mai cercato di farmi niente. Ho desiderato spesso che qualcuno ci provasse! Tuttavia è una faccenda ben strana, non vi pare? Bene, devo correre dalla signora Clapp, ora.» Così dicendo, rimise nella scollatura il tenero bigliettino e uscì a gran passi dalla sala. Com'è strana la vita! In cabina Sabato 14 novembre 10,30 p.m. Bene, Davy, mi sono ritirata nella mia cabina così presto che ne saresti contento persino tu e tra pochi minuti me ne andrò a letto, con un tranquillante e la speranza di rifarmi di tutto il trambusto della notte scorsa. Ma prima devo prendere nota delle novità saltate fuori stasera, lasciando il meglio per ultimo perché è terribilmente eccitante. Dunque, il caro Adam, che è peggio di una donnicciola nel raccogliere pettegolezzi sul nostro prossimo, ha scoperto non so come che subito dopo cena Wolcott è andato dal commissario di bordo a chiedere che lo facciano sbarcare a Georgetown perché intende proseguire il viaggio fino a Rio su un'altra nave. A quanto pare l'atmosfera di questa non gli è congeniale. Si lamenta di non poter dormire e di sentirsi a pezzi, anche se a mio giudizio, compatibilmente con la sua età, sembra il ritratto della salute. Ora io mi
chiedo se siano state le mie osservazioni a cena a spingerlo a questo passo... o se non si tratta invece del collasso susseguente a un atto disperato! Il secondo punto riguarda il cupo e pericoloso señor Silvera, il misterioso spagnolo che siede a tavola con noi. Come ti ho già detto, non spiccica una parola d'inglese, o quanto meno una parola che sia riconoscibile come tale. Biascica ogni tanto qualcosa, ma evita il più possibile di aprir bocca. Bene, il mio infaticabile Adam, che parla lo spagnolo come un toreador, stasera lo ha avvicinato e ha avviato con lui una conversazione in impeccabile castigliano, il che gli ha consentito di notare che Silvera parla lo spagnolo con un accento stranissimo. Per farla breve, è un brasiliano che, per qualche suo motivo personale, cerca di farsi passare per spagnolo, mentre la sua lingua madre è il portoghese. Allora Adam ha cominciato a porsi domande, tanto più che quella di Silvera non gli sembrava una faccia nuova: era certo di avere già visto da qualche parte una sua fotografia. E finalmente l'ha scoperta sull'ultimo numero di una rivista, The Engineering Age. il sedicente Silvera altri non è che Gil Da Silveira, presidente della più importante società di costruzioni di Rio de Janeiro. E l'articolo diceva che egli era in America per affari e non sarebbe tornato a Rio fino a marzo! Ora, Davy, sommiamo due più due. Il governo brasiliano ha in programma la costruzione di una diga frangiflutti nel porto di Rio, che costerà novanta milioni di dollari. La società di Lambert cercava di assicurarsi quel lavoro, Burr ammette francamente che sta facendo altrettanto e Silvera tornava in patria quattro mesi prima del previsto! La corsa, a quanto pare, è in pieno svolgimento e il vincitore sarà il miglior offerente. Mentre Adam mi raccontava queste cose, passeggiavamo innanzi e indietro sul ponte superiore. Diventa sempre più difficile rimanere soli perché da ieri sera il numero dei passeggeri sembra essersi raddoppiato e sembrano tutti dei tali attaccabottoni! Non appena riuscimmo a scovare un angolino un po' isolato, Adam si fermò e disse: «Così, socia, abbiamo appioppato un movente a quasi tutte le persone interessate. Un bel lavoro, ma ne rimane una che continua a restare nell'ombra: Robinson. Non pensate che sarebbe il caso di fare quattro chiacchiere anche con lui?» «Santo cielo, mi ero completamente dimenticata di Robinson! Credo che non lo riconoscerei neppure, se lo rivedessi. Ricordo appena che aveva una bella abbronzatura e portava gli occhiali. Ma credo che la vostra sia un'ottima idea. Sarà probabilmente in sala da fumo. L'hanno riaperta, ormai;
andiamo a vedere. Tutto questo gironzolare sul ponte mi ha fatto venire il capogiro e mi fa male la bocca a furia di sorridere alle stesse persone ogni volta che le incontriamo.» Tornammo dunque sulla scena del delitto e subito ci si avvicinò il piccolo Daniels che propose, con scarsa delicatezza, una partita a bridge. Rifiutammo entrambi, naturalmente, e io suggerii sorridendo: «Perché non provate col vostro amico, il signor Robinson? Mi era sembrato che ammiraste il suo modo di giocare, ieri sera...» Daniels emise un brontolio sprezzante. «E dov'è, a proposito?» continuai. «Non si è più visto da quando... da quanto è morto il signor Lambert.» «Per quanto mi riguarda, meno lo si vede, meglio è» ribatté Daniels. «Tipi che giocano come lui dovrebbero essere tenuti in permanenza sotto chiave. Spero con tutto il cuore di non vedere mai più il suo brutto muso di fronte a me a un tavolo da bridge per tutto il resto della mia vita!» «Be', a me non era sembrato un muso tanto brutto» mentii. «E non m'importerebbe affatto di rivederlo a un tavolo da bridge... a patto che fosse il mio avversario, non il mio compagno!» Stavo per proseguire nel tentativo di indurre Daniels a dire qualcosa sul conto di Robinson quando accadde un incidente che anche ora mi fa scorrere lungo la schiena il senso di gelo che va diventando fin troppo familiare. Il nostro gentile Jennings entrò in sala da fumo con un foglio di carta in mano e un'espressione preoccupata su! viso. Venne a fermarsi accanto a me e potei così vedere che sul foglio erano annotati diversi nomi, fra cui il mio e quello di Burr, tutti contrassegnati da una croce, tranne uno. «Vogliate scusarmi» disse cortesemente il commissario rivolgendosi a tutti e tre «ma siete certi che il quarto al bridge, ieri sera, si chiamasse Robinson?» «Oh, non è possibile dimenticare il suo nome né il suo modo di giocare» rispose Daniels. «Vorreste essere così gentili da descrivermi un'altra volta il suo aspetto?» Daniels e Burr si scambiarono un'occhiata perplessa, poi guardarono me con aria interrogativa. «Be', non l'ho osservato molto bene» dissi con una certa esitazione. «Era la prima serata a bordo e... e...» «E la signorina Llewellyn è già fidanzata» finì Adam in tono faceto.
«Molto abbronzato» continuai io lanciandogli un'occhiata incendiaria. «Indossava un abito scuro da sera, porta gli occhiali, ha folti capelli scuri ed è circa sui...» «Trenta o quarant'anni» concluse per me Daniels. «O cinquanta» aggiunse Adam. Jennings diede un'occhiata al suo foglio e le rughe sulla sua fronte si fecero più profonde. «C'è un Robertson in terza classe, ma ha più di settant'anni, è un pastore metodista, porta la barba e viaggia con la moglie e una figlia.» Scossi la testa mentre Daniels prorompeva con veemenza: «Santo Iddio, Jennings, quell'uomo non può essere svanito nel nulla! Era qui vivo e vegeto ieri sera, quindi non dovete fare altro che controllare sulla lista dei passeggeri! Non ci saranno certo migliaia di persone a bordo!» «Bene» ribatté lentamente Jennings (e fu a questo punto che cominciarono a scorrermi quei brividini lungo la schiena) «forse v'interesserà sapere che non c'è nessun Robinson a bordo, né tra i passeggeri né tra l'equipaggio. Inoltre abbiamo controllato l'aspetto di tutti gli uomini a bordo, e non c'è nessuno che corrisponda alla vostra descrizione!» Sala di ritrovo Domenica 15 novembre ore 12 Per tutta la giornata di ieri dobbiamo essere stati alle calcagna dell'estate e oggi navighiamo a gonfie vele nel sole radioso e nel caldo subtropicale. Quanto mi dispiace per te, Davy, confinato lì a New York dove senza dubbio il vento di novembre sibila agli angoli delle strade e dove i due poveri alberi davanti a casa tua devono essere ormai senza più una foglia. Gli ufficiali sono elegantissimi nelle loro uniformi bianche e tutti i passeggeri sfoggiano freschi abiti di cotone. Persino le loro facce sembrano più fresche e tutto splende di nuovi colori. Io ho persino ritrovato un po' della mia devota fede infantile e ho assistito a una suggestiva funzione religiosa, con un sermone del comandante e il canto di inni che mi hanno commossa. Ho recitato una preghiera particolare per te, Davy, e un'altra per noi due insieme. Così, ora che ho riacquistato il mio equilibrio, il mio buon senso e (spero) il mio senso dell'humour, posso parlare con maggior calma degli ultimi sviluppi di ieri sera.
Siamo stati interrogati tutti di nuovo sul conto di Robinson, la nave è stata frugata da cima a fondo, Daniels e Burr hanno esaminato personalmente tutti i passeggeri maschi che avessero qualche somiglianza con il misterioso giocatore da loro descritto, ma di Robinson non è emersa alcuna traccia. Secondo Adam, esistono dunque quattro possibilità: 1) È un viaggiatore clandestino che nessuno ha ancora scoperto; 2) È caduto in mare; 3) È qualcuno che si era camuffato; 4) È un fantasma. I numeri due e quattro sembrano poco probabili perché a bordo non è registrato nessun Robinson, né fra i passeggeri né fra i membri dell'equipaggio... del resto, non credo proprio che i fantasmi si facciano registrare... 40 minuti dopo Ero arrivata a questo punto quando Jennings è venuto a pregarmi di scendere dalla signora Lambert che aveva chiesto di me. Mi sono alzata subito e, come una stupida, ho lasciato il diario lì sul tavolo dove stavo scrivendo. Però ho avuto almeno l'avvertenza di chiuderlo, ne sono certa. La signora Lambert, Betty ed Earnshaw erano nel salottino. La povera vedova pareva un po' più fresca e riposata, ma Betty era ancora di un pallore patetico, mentre Earnshaw sembrava avere ritrovato sicurezza di sé e sangue freddo, cosa senz'altro ammirevole visto che, almeno dal punto di vista materiale, è quello che ci rimette più di tutti. Ha perduto il datore di lavoro, l'impiego e probabilmente, insieme con la sua ragazza, qualche lascito testamentario del quale la morte repentina di Lambert lo ha defraudato. Parlando come portavoce del gruppo, mi spiegò che avevano deciso all'unisono di sbarcare a Georgetown dove, espletate le necessarie formalità, avrebbe preso accordi per far cremare il corpo di Lambert. «Ma io, signorina Llewellyn» s'intromise a questo punto la signora Lambert, «desideravo parlarvi di Betty. Le avevamo promesso una vacanza, povera figliola, e ora si trova confinata qui in questo mortorio. Ma naturalmente non se la sente di mostrarsi in pubblico da sola dopo quanto è accaduto e voi siete l'unica ragazza più o meno della sua età che conosciamo a bordo. Sicché mi chiedevo se non vorreste essere così gentile...» «Oh, zia Mabel» l'interruppe Betty con una punta d'irritazione nella voce
«non è davvero il caso di seccare la signorina Llewellyn per questo. Può farmi compagnia Jimmy.» «Ma io sarò occupatissimo con le carte del signor Lambert prima che arriviamo a Georgetown, mia cara» obiettò Earnshaw. «Non avrò un minuto libero. E tu hai bisogno di prendere un po' d'aria, Betty!» Lei mise un piccolo broncio non troppo lusinghiero per me, ma mi affrettai ugualmente ad assicurarle che la sua compagnia mi avrebbe fatto molto piacere. «Verrò a prendervi alla una e mezzo» aggiunsi «e andremo a pranzo insieme. Nemmeno io ho amici a bordo, ci faremo compagnia a vicenda. E non immaginate quanto mi senta lusingata dal complimento che mi ha fatto vostra zia dicendo che siamo più o meno della stessa età!» Mi congedai ed Earnshaw uscì con me dalla cabina. In corridoio mi prese una mano e la strinse fra le sue. «Siete davvero molto gentile, signorina Llewellyn. Quella povera figliola è terribilmente sconvolta da tutta questa storia e sembra molto preoccupata per qualcosa, ma rifiuta di parlarne con la signora Lambert o con me. Voi siete proprio la persona che ci vuole, signorina. Vi ringrazio.» Ci trattenemmo un poco a parlare della strana scomparsa di Robinson e della possibilità che il veleno fosse stato messo nella prima bevanda sorbita da Lambert, poi io accennai al mio diario che sembrò interessare moltissimo Earnshaw. Anche lui, mi confidò, aveva in mente di buttar giù qualche annotazione, non appena avesse avuto un po' di tempo libero. Così avremmo potuto confrontare le nostre osservazioni. Mentre ce ne stavamo lì a chiacchierare, ebbi modo di osservare veramente che splendido ragazzo sia. Con quei baffetti e i folti capelli neri potrebbe fare davvero da controfigura a John Gilbert. E c'è in lui una genuina schiettezza che mi piace moltissimo. Stavo per andarmene quando lui aggiunse: «Come ho detto prima, signorina Llewellyn, sarò occupatissimo a sistemare le carte del signor Lambert, prima che si arrivi a Georgetown: ce n'è una quantità incredibile. Ma poiché vi siete mostrata tanto gentile in questa terribile storia, mi chiedevo se voleste aggiungere alle vostre cortesie un consiglio circa un mio piccolo problema personale. Lavorerò per tutta la giornata, ma forse verso sera... potremmo parlare un momento?» Gli promisi ben volentieri di trovarmi con lui non appena fosse stato libero, poi mi tornò in mente il mio diario e filai a precipizio verso la sala di ritrovo.
Ti ho già detto che ero certa di averlo lasciato sul tavolo chiuso e puoi quindi immaginare quale sia stata la mia costernazione nel ritrovarlo sì dove lo avevo lasciato, ma aperto al punto in cui descrivevo le due mani di bridge giocate poco prima della morte di Lambert e due o tre foglietti di carta con l'intestazione della nave posati sopra una pagina. La sala era piuttosto affollata, così la mia prima idea fu che qualcuno avesse usato il mio diario come cuscinetto per scrivere qualche lettera. Stavo per rimettere al loro posto i fogli intestati e riprendere il mio lavoro quando notai qualcosa di strano. Sul primo di quei fogli erano rimasti dei lievi segni, come se qualcuno avesse scritto sul foglio precedente calcando molto la penna o la matita. Osservai più attentamente i segni ma a tutta prima non riuscii a distinguere altro che un certo numero di crocette che mi parvero tracciate a caso. Probabilmente scarabocchi di un bambino, pensai, finché non distinsi a un tratto una A e una K seguite da alcune crocette. E di colpo mi balzò agli occhi la sorprendente verità. Qualcuno aveva ricopiato i miei schemi. Ora vedevo chiaramente alcune sequenze: A K xxx e Q J 10. Non v'erano più dubbi, dunque! Mi rivolsi a una grassa signora seduta vicino al tavolo. «Avete visto chi si è seduto qui?» domandai cortesemente. «Credo di avere lasciato qui la mia stilografica e ora non c'è più.» Lei alzò malvolentieri gli occhi da un romanzo con la copertina a vivaci colori. «Mi pare che ci fosse un signore, un paio di minuti fa» rispose. «Ma non l'ho visto bene. Non deve essere rimasto molto.» Nessun altro lì vicino fu in grado di fornirmi altre informazioni, così mi rimisi a scrivere, chiedendomi... Chiedendomi perché diavolo qualcuno potrebbe avere avuto interesse a ricopiare quelle stupide mani di bridge! In cabina Domenica 15 novembre 6,30 p.m. Dopo pranzo sono stata con Betty sul ponte dove abbiamo chiacchierato e dormicchiato come vecchie amiche. Non ho voluto insistere troppo, naturalmente, ma ho dimostrato profondo interesse ogni qualvolta lei si è lasciata andare a dire qualcosa sul conto dei Lambert. Occasioni piuttosto ra-
re, purtroppo, perché è una ragazza molto riservata. Credo che, oltre al colpo per la morte dello zio, sia anche il suo affare di cuore con Earnshaw a darle quell'aria così seria e riflessiva. Di tanto in tanto apre la bocca come se fosse sul punto di confidarsi, poi la richiude o si limita a qualche osservazione banale sulla nave, sul mare o sul tempo. Ma il poco che ha detto conferma appieno le precedenti dichiarazioni della signora Lambert. Mi ha confidato che secondo zio Alfred niente era troppo buono per zia Mabel la quale, come la prima signora Lambert, aveva fatto l'attrice prima di sposarsi, ma ciò nonostante si era rivelata un'ottima donna di casa, facendo tutto il possibile per rendere la vita comoda al marito, accontentandosi di trascorrere le serate in famiglia, accettando Jimmie come ospite fisso e consentendo che il loro appartamento si trasformasse in un secondo ufficio quando era in ballo qualche lavoro molto importante. Si era persino data da fare per riconciliare il marito col figlio avuto dalla prima moglie (il nipote della signora Clapp, fra parentesi) che, l'ultima volta che se n'era sentito parlare, faceva l'allevatore di bestiame da qualche parte in Argentina. All'ora del tè, Betty scese a far compagnia alla zia e il suo posto fu subito preso dal nostro Adam che si era librato intorno a noi per tutto il pomeriggio come un'ossifraga sopra un banco di aringhe. «Novità?» furono le sue prime parole. Gli rivendetti immediatamente le poche e scarne notizie che avevo scucito a Betty poi gli raccontai la storia del mio diario, chiedendogli se per caso non fosse stato lui ad aprirlo. «No davvero! Ero giù nel ventre della nave con Jennings, a quell'ora, ancora alla ricerca di Robinson. Ormai abbiamo visto tutti, a bordo, escluso tre vecchie signore relegate in cabina dal mal di mare e non c'è nessuno che assomigli neppur lontanamente al nostro inglorioso compagno di gioco. Se sono abbronzati non portano gli occhiali e quelli con folti capelli neri sono troppo giovani o troppo vecchi, troppo grassi o troppo magri. È la cosa più strabiliante che mi sia mai accaduta!» «A me dà fastidio soltanto pensarci» ribattei. «Soprattutto quando comincia a farsi buio. Oh, guardate... guardate là! C'è una balena!» Ci precipitammo verso il parapetto e scorgemmo un sottile getto d'acqua che si alzava a intervalli regolari. Altri passeggeri seguirono immediatamente il nostro esempio, scrutando il mare con gridolini di eccitazione. Poi l'acqua si fece a un tratto turbolenta, una coda enorme saettò verso
l'alto e potei godermi in primo piano la vista del leviatano di Giobbe in carne e ossa! Per la prima volta da quando eravamo partiti, sentii veramente di essere in pieno oceano, tanto, tanto lontano da casa! Non appena l'eccitazione per la mia prima balena si fu calmata, tornammo agli affari. Burr, che è un appassionato lettore di polizieschi, mi spiegò che ogni seria analisi di un delitto deve prendere in considerazione anzitutto tre elementi: il movente, il mezzo e l'opportunità. «Dunque» disse «penso che dovremmo esaminare tutti quanti, uno per uno, e prendere nota di tutto ciò che abbiamo a carico di ciascuno sotto questi tre aspetti. Il mezzo, naturalmente, è stato la stricnina che penso sia più o meno a portata di mano di chiunque voglia procurarsela. Perciò scartiamo questo punto e concentriamoci invece sul movente e l'opportunità. Tenete, eccovi carta e matita. Saremo perfettamente scientifici e obiettivi. Potete cominciare da me, se volete.» Ed eccoti i nostri appunti. Adam Burr - Opportunità: scarsa durante la prima partita di bridge, poiché sedeva di fronte a Lambert, ma larghissima durante la seconda, quando era seduto vicino a lui. Movente: rivalità in affari? Mary Llewellyn - Opportunità: larghissima durante tutt'e due le partite. Durante la prima aveva sostato ripetutamente dietro la sedia di Lambert e nella seconda gli era seduta vicino. Movente: nessuno, ma non è da escludere che sia stata proprio lei, dato che nei migliori polizieschi il colpevole è sempre la persona meno sospettabile! Daniels - Opportunità: amplissima in tutt'e due le partite. È stato lui a suggerire a Lambert il gin al limone che col suo sapore acidulo avrebbe potuto mascherare facilmente l'amaro della stricnina. Movente: in apparenza, finora nessuno. Wolcott - Opportunità: larghissima, mentre osservava il gioco durante entrambe le partite. (È stata soltanto una coincidenza che sia uscito dalla sala appena prima che Lambert crollasse?) Movente: in apparenza nessuno, ma è antipatico a tutti. Jimmie Earnshaw - Opportunità: è entrato in sala dopo la prima partita, ma M. L. dichiara che si è fermato a chiacchierare con lei, che sedeva sul divano, e non si è mai nemmeno avvicinato al tavolo del bridge. Non è molto probabile che abbia potuto gettare una compressa di stricnina in un determinato bicchiere da una distanza di due metri e mezzo. Movente: nessuno, a meno che non abbia trafugato il fondo spese o falsificato la firma del suo principale. Non sembra il tipo. (M. L.). Non si può mai sapere con
questi rubacuori. (A. B.). Betty Lambert - Opportunità: è possibile che abbia fatto scivolare qualcosa nel bicchiere dello zio quando si è chinata a dargli il bacio della buonanotte, ma se dobbiamo ritenere che l'incipiente torcicollo di cui si lamentò Lambert fosse il primissimo sintomo dell'avvelenamento, lei ed Earnshaw possono essere eliminati. È tuttavia possibile che il torcicollo di Lambert non avesse niente a che vedere con la stricnina e che egli sia stato avvelenato soltanto con la seconda distribuzione di bibite. Movente: in apparenza nessuno. Signora Lambert - Opportunità: nessuna. Tanto M. L. quanto A. B. sono certissimi che non si è mai avvicinato al tavolo per tutta la serata. Movente: soltanto quelli che si potrebbero trovare nei romanzi d'appendice. Tuttavia eredita qualcosa come un milione di dollari. Daphne Demarest - Opportunità: abbastanza durante la seconda partita di bridge, benché sedesse di fronte a Lambert. (Ma che importanza ha questo, con quelle braccia da olimpionica? Osservazione di Adam.) Ma una volta ancora, se Lambert è stato avvelenato nel corso della prima partita, lei può essere eliminata. Movente: remota possibilità per i suoi rapporti con la signora Clapp, ex cognata di Lambert. Steward della sala da fumo (che si fregia del nome di Sam Bumstead) Opportunità: maggiore che per chiunque altro. Movente: nessuno. Tutti gli altri passeggeri - Opportunità: nessuna. Movente: vattelapesca. Conclusa la nostra fatica, ci mettemmo comodi sulle nostre sedie a sdraio e parlammo a lungo di Robinson. Siamo entrambi inclini a credere che sia proprio lui il colpevole, altrimenti perché avrebbe assunto un nome falso per poi scomparire completamente? Oltre questo, però, le nostre opinioni sono del tutto discordi. Adam pensa che Robinson sia invece il suo vero nome e che lui si nasconda in qualche parte della nave, mentre io non so decidermi tra la possibilità che sia caduto in mare (come Robinson) e quella che si tratti di qualcun altro che ha impersonato Robinson per una sera. In questo caso, è estremamente improbabile che si sia trattato di qualcuno che pranza al nostro tavolo perché praticamente tutti, ieri sera, sono stati per molto o per poco tempo in sala da fumo. E non si tratta di uno del nostro gruppo, è perfettamente inutile star a fare congetture sulla sua vera identità, perché potrebbe trattarsi di una qualunque delle duecento persone, uomini e donne, che si trovano a bordo di questa nave e che per la maggior parte io non ho mai nemmeno visto. Sì, donne, Davy, l'ho detto a ragion veduta. Robinson aveva una voce
stridula, la sua abbronzatura poteva essere falsa e lui potrebbe avere giocato sul fatto che non si notano mai molto bene le persone, la prima sera di un viaggio per mare. Perché non sarebbe potuta essere una donna? Era un tipo così poco appariscente che non ricordo nemmeno il colore dei suoi occhi, dietro le lenti, o la forma del suo naso. Ma se è lui l'assassino, come poteva essere certo che, mettendosi a fare un solitario al tavolo accanto, lo avrebbero invitato a unirsi al gruppo Lambert? Come avrebbe potuto sapere che Daniels avrebbe così opportunamente ordinato un gin al limone e che lui sarebbe riuscito a eclissarsi prima che Lambert si sentisse male? Come avrebbe potuto prevedere che tutto sarebbe andato secondo i suoi piani, in maniera così liscia e semplice? E, soprattutto, come può essere riuscito a celare la propria identità quando la nave è stata setacciata da cima a fondo per cercare proprio lui? Risolvimi tu questo indovinello, mio caro. In cabina Lunedì 16 novembre 2,30 p.m. In qualche punto di questo diario, Davy, ti ho detto che mi stavo godendo questo caso! Mio Dio! Come ho potuto dire una cosa simile... come ho potuto scriverla, a mente fredda e probabilmente, mi vergogno dì dover ammetterlo, in tutta sincerità! Ma ora... ora che è accaduta questa seconda, orribile disgrazia, posso dire soltanto che vorrei avere le ali di un gabbiano per poter volar fuori in questo stesso istante dalla mia cabina e andarmene il più lontano possibile da questa nave maledetta. Davy, se tornerò mai da te, giuro che non rimetterò mai più piede su una nave! Ricordi quando discutevamo sull'ambientazione ideale per un romanzo giallo? Io sostenevo che sarebbe stata una festa in una casa di campagna, preferibilmente inglese, dove si sarebbe avuta la certezza che il colpevole non poteva essere altri che uno dei partecipanti. Tu invece optavi per la nave dove, dicevi, non avresti conosciuto tutti i tuoi compagni di viaggio ma avresti saputo che uno di coloro che ti passavano vicino, che sedevano con te in una sala o che pranzavano al tuo tavolo doveva essere l'assassino perché nessuno può fuggire da una nave. Caro Davy, come al solito avevi ragione tu. Niente può essere peggio di
questo... niente. Non è che io tema per la mia vita: è soltanto questa terribile incertezza il sospetto nei confronti di tutti... È questo che è disumano, che mi porta persino a dimenticare quanto sia tragica la situazione per la povera signora Lambert e per lo stesso Earnshaw: non riesco a provare altro che orrore. Mi sembra persino di udire la voce dei miei superstiziosi antenati gallesi che dicono: «Ecco che cosa succede quando si è così sciocchi da imbarcarsi su una nave che parte di venerdì tredici!» Ma a questo punto, penso che sia necessario rassicurarti, caro: io sto benissimo, mi sono appena svegliata dopo dieci ore di sonno pesante, da anestetizzata. Non preoccuparti per me. La mia salute fisica è ottima, però credo che mentalmente, moralmente e spiritualmente non sarò mai più la stessa. L'uccisione di Lambert è stata, naturalmente, un'esperienza agghiacciante, ma in fin dei conti lui era un perfetto estraneo per me, un uomo di una certa età, debole di cuore, che in ogni caso non avrebbe avuto ancora molti anni da vivere. Ma quando la vittima è una donna giovane, che ha ancora tutta una vita davanti a sé e che viene uccisa in una maniera così terribile... Bene, Davy, allora mi viene la tentazione di ficcarmi a letto, e tirarmi le coperte sopra la testa per non dover vedere mai più questo mondo malvagio. Ed è appunto dove mi trovo ora: a letto, alle due e mezzo del pomeriggio! Non ho avuto il coraggio di alzarmi e di salire sul ponte. Ho il cuore affranto, Davy, e non mi resta altro che rifugiarmi in questo mio diario per sfogare i miei sentimenti repressi. Ma penso che sia ormai tempo di piantarla con i piagnistei personali e ricominciare dal principio... o quanto meno dal punto in cui ero rimasta ieri sera. C'è stato un ballo sul ponte, ieri sera dopo cena. La notte era calma e immobile, ma con un velo di minaccia in quella sua stessa immobilità. Il cielo era tutto un luccichio di stelle (un luccichio persino sospetto) e forse sarà stata soltanto la mia immaginazione, ma un'atmosfera d'irrequietezza febbrile sembrava aleggiare sulla nave come un miasma. Faceva un caldo soffocante e di tanto in tanto vedevi qualcuno lanciare un'occhiata ansiosa verso il mare come se si aspettasse che da un momento all'altro scoppiasse una tempesta. Persino i marinai intenti ai loro compiti sembravano nervosi e un vago presentimento pareva vibrare nell'aria. Ma l'orchestrina di bordo è ottima e, anche se il ballo dovrebbe essere
escluso dai miei svaghi attuali, mi lasciai indurre a promettere a Burr un giro di danza non troppo vivace. Stavamo per muoverci, quando sopraggiunse Daniels. «Signorina Llewellyn, sapete se alla signorina Demarest piace ballare?» domandò. Adam guardò sorridendo il piccolo londinese. «Ma certo, Daniels, a tutte le donne piace ballare... o quanto meno piace loro che qualcuno le inviti. Andate deciso da lei, afferratela energicamente per... le ginocchia e partite!» Mentre il piccoletto trotterellava mogio verso la giunonica signora dei suoi sogni fui presa a un tratto da un accesso d'ilarità con uno scoppio di risa convulse che mi tolsero il respiro. «Oh, non posso ballare, ora» riuscii finalmente a balbettare ansimando. «Bisogna che mi sieda... Oh Dio, la mia ferita!» Fu una fortuna che non ci fossimo mossi perché proprio in quel momento la nave si scontrò con una bufera terrificante. Non si può nemmeno dire che piovesse: pareva che un angelo maligno avesse aperto una botola nel cielo e si divertisse a rovesciare su di noi secchi e secchi d'acqua. Mai visto niente di simile in vita mia. Un vero diluvio, scoppiato così all'improvviso che i ballerini rimasti allo scoperto si ritrovarono fradici fino alle ossa soltanto per attraversare il ponte. Poi cominciarono fulmini e tuoni. Ho letto il mio bravo Conrad, ho sentito parlare spesso di bufere tropicali, ma non ho mai immaginato una tregenda di quel genere. I lampi sembravano squartare il cielo e i tuoni esplodevano intorno alla nave come se ci fossimo ritrovati a un tratto sotto il bombardamento di una cannoniera nemica, il mare cominciò a gonfiarsi e, dalla tranquilla navigazione nella calma notte estiva di pochi minuti prima, ci ritrovammo a un tratto sballottati da una parte all'altra finché non mi sentii come un cowboy che cercasse di cavalcare un bufalo selvaggio. Terribile ma affascinante, Davy! Restai là seduta a guardare quel putiferio per oltre venti minuti, mentre andava facendosi strada in me la sensazione di non essere una giovane donna ultracivile ma soltanto un minuscolo atomo cosmico in balìa degli elementi. Finalmente un ufficiale mi gridò di ritirarmi e a malincuore mi alzai per andare in sala da fumo. Adam mi aveva abbandonata non appena era cominciata quell'iradiddio, con la scusa di dover scendere a controllare se aveva chiuso bene l'oblò della sua cabina. Forse non gli piacciono le lenzuola bagnate.
Nella sala non c'era nessuno che conoscessi, tranne Earnshaw, che sedeva solo a un tavolino appartato davanti a un vassoio con alcuni panini imbottiti. Indossava un abito grigio scuro e aveva l'aria molto affaticata. «Ecco la mia cena» disse, indicando i panini. «Volete favorire?» Sedetti di fronte a lui. «Che ne direste di qualcosa per combattere l'umidità?» riprese. «Non è una bufera meravigliosa? Mi ha preso in pieno e ho dovuto andare a cambiarmi dalla testa ai piedi. Ora mi ci vuole come minimo un brandy doppio. E per voi?» «Un brandy andrà bene anche per me, grazie.» Mentre aspettavamo che ci servissero, ci avvicinammo alla finestra a guardare i lampi. La pioggia era cessata quasi all'improvviso com'era cominciata e due o tre figure in impermeabile si avventuravano già sul ponte, o per prendere il fresco o per osservare le montagne d'acqua che circondavano ancora la nave. «Come sta la signora Lambert?» domandai quando tornammo a sederci davanti ai nostri brandy. «Sembra un po' più sollevata, stasera, ma questo tempo non le andrà molto a genio. Per fortuna Betty dorme nella cabina accanto al suo appartamento, così che se avesse bisogno di qualcosa durante la notte... Ma sembra più rassegnata e meno impaurita, ora, grazie al cielo.» A questo punto entrò nella sala Adam che si avviò verso di noi come se intendesse sedersi al nostro tavolo ma, ricordando che Earnshaw mi aveva chiesto un colloquio a tu per tu, gli lanciai un'occhiata ammonitrice e lui fece dietro-front, con un'aria d'irragionevole delusione. «Vi sentite molto comprensiva, stasera, signorina Llewellyn?» domandò Earnshaw mentre sorseggiavamo il brandy. Annuii, sforzandomi di assumere l'atteggiamento della buona amica di mezza età. «Bene. Desideravo tanto di poter parlare con qualcuno di Betty e... di me. Mi trovo in una situazione molto difficile e non so assolutamente decidere sulla via più opportuna da scegliere. Vedete, signorina Llewellyn, io... io amo Betty e le ho chiesto di sposarmi.» «Magnifico!» esclamai con entusiasmo. «Betty è una ragazza meravigliosa. Siete molto fortunato, se... mamma vuole!» Lui si guardò le mani con aria infelice poi tirò fuori una sigaretta (e, tra parentesi, si dimenticò di offrirmene una!). «Qui sta il punto» disse esalando nuvolette di fumo. «Ci siamo visti di
frequente, negli ultimi tempi... Prima di questo viaggio, intendo. Vivevo in casa dei Lambert perché stavamo mettendo a punto i particolari del contratto di Rio. Il signor Lambert era del parere che, riducendo i prezzi all'osso, saremmo riusciti a battere tutti i concorrenti perciò ero sempre immerso fino al collo in calcoli di ogni genere e Betty andava e veniva in continuazione. Il signor Lambert aveva molta simpatia per me e un giorno mi domandò se c'era qualcosa fra noi due. Gii risposi con franchezza che ero innamorato di sua nipote e benché fosse il meno sentimentale degli uomini, si comportò con estrema correttezza (molto meglio di quanto non avesse mai fatto con suo figlio!). Dichiarò che avrebbe fatto il possibile per aiutarmi, a una condizione, cioè che non ne parlassi a Betty finché il contratto di Rio non fosse concluso. Se ce l'avessimo fatta, aggiunse, mi avrebbe dato ben volentieri la sua benedizione e un bel regalo di nozze.» A questo punto ricomparve in sala Adam che si guardò in giro poi, non vedendo nessuno che conoscesse oltre a noi due, se ne andò di nuovo, sconsolatissimo. «Quel vostro anziano amico è una gran seccatura» osservò Earnshaw. un po' piccato. «Non vi sto annoiando, per caso?» Mi affrettai a rassicurarlo con una certa enfasi. «Dunque» riprese lui «tutto sembrava andare per il meglio, ma non mi aspettavo che Betty venisse con noi in questo viaggio. È stata la signora Lambert a combinare tutto... un pensiero molto carino da parte sua, ma potete immaginare quanto si siano complicate le cose per me. E l'altra sera, la stessa sera in cui è stato ucciso il signor Lambert, è accaduto quello che doveva accadere. Betty e io eravamo andati a fare un giro per la nave e a un certo punto ci siamo ritrovati in un angolino appartato e là... bene, mi dispiace dirlo, ma io ho perduto la testa e le ho detto che l'adoravo. Con immensa sorpresa, ho scoperto allora che anche lei mi amava, così ci siamo fidanzati, segretamente, è naturale, lì sui due piedi. Ero immensamente felice, capite, finché... finché... bene, il resto lo sapete.» Earnshaw fece una pausa per accendersi un'altra sigaretta e stavolta gliene chiesi una anch'io. Lui mi passò il portasigarette, scusandosi. «Ma non vedo che cosa ci sia di tanto tragico, signor Earnshaw» osservai. «Vi amate e...» «Oh, ma è tutto diverso, ora! Due giorni fa io avevo un ottimo impiego con Lambert, ero in grado di mantenere una moglie, ma non faccio parte della società.» Ero stato assunto personalmente da Lambert come suo segretario priva-
to. Con la sua morte se ne va anche il mio impiego e naturalmente lui non mi ha lasciato un centesimo. Ho fatto subito un radiogramma al suo ufficio chiedendo l'autorizzazione a proseguire per Rio per vedere di concludere l'affare, ma oggi mi hanno risposto rifiutando e dicendomi, in tono cortese ma risoluto, che non hanno più bisogno dei miei servigi. Ho trentaquattro anni, signorina Llewellyn, sono disoccupato e posseggo soltanto qualche migliaio di dollari, mentre Betty ha solo vent'anni, è graziosa e simpatica e appartiene a una famiglia ricca, con ambizioni sociali. Ora ditemi voi, signorina: non sarebbe sleale tenerla legata a una promessa fatta contro la volontà della sua famiglia? Potrebbero passare anni prima che io fossi in grado di offrirle il genere di vita cui è stata abituata... sempre che mi riesca di trovare un altro impiego. Siete una ragazza e sapete come la pensano le donne in situazioni del genere. Che cosa mi consigliate di fare? Era così patetico, così sperduto e così bello che mi chinai istintivamente verso di lui e tesi una mano. La nave continuava a rollare in malo modo e uno scossone improvviso quasi mi gettò fra le sue braccia. Mi aggrappai alla sua manica per mantenermi in equilibrio. «Colpa del rollio, non del brandy, signor Earnshaw» dissi ridendo. «Bene, se volete sapere come la pensa una ragazza, ve lo dico subito. Fra tre mesi mi sposerò anch'io, con un uomo che guadagna quarantacinque dollari la settimana. È un giornalista assai più in gamba di me, ma io guadagno il doppio di quello che guadagna lui. Ora, se perdesse il posto o si ammalasse o altro, lo sposerei appena messo piede a terra e mi farei in quattro per mantenerlo. Nemmeno un branco di bufali selvaggi riuscirebbe a staccarmi da lui! Ora, se Betty vi ama e se è la ragazza che credo, la penserà esattamente come me.» Senza rendermene conto, durante tutta quell'appassionata dichiarazione ero rimasta con la mano aggrappata alla sua manica e ti lascio dunque immaginare il mio imbarazzo quando alzai gli occhi e mi vidi davanti la signora Lambert. Doveva essersi vestita in tutta fretta perché indossava un lungo soprabito abbottonato fino al collo. Mi salutò con un cortese cenno della testa ma, mi parve, con un'espressione di biasimo, mentre Earnshaw balzava in piedi. «Signora Lambert! Credevo che foste a letto. Avete bisogno di me?» «Credo di sì, Jimmie. Ero a letto, difatti, e anche Betty... Quanto meno, era venuta circa un'ora fa ad augurarmi la buonanotte. Ma poco fa mi sono svegliata e mi è venuto in mente a un tratto che quella povera figliola ha una paura pazza dei lampi e dei tuoni, così l'ho chiamata ma lei non ha ri-
sposto. Allora ho mandato la cameriera a vedere se era tutto a posto. Betty non era in cabina e il suo letto era ancora intatto. Ho aspettato qualche momento, poi ho cominciato a preoccuparmi, così mi sono infilata qualcosa e sono uscita a cercarla.» Il viso di Earnshaw si contrasse in un'espressione ansiosa. «Aveva detto anche a me che sarebbe andata a letto, più di un'ora fa!» «Bene» riprese la signora Lambert in tono decisamente seccato «v'interesserà forse di sapere che in questo momento è seduta sul ponte con un uomo. Lui mi voltava le spalle, così non ho potuto vedere chi fosse. Avevo pensato che foste voi, finché non vi ho intravisto qui con la signorina. Avete un'idea di chi potrebbe essere quel tizio?» Scuotemmo entrambi la testa. «In tal caso» proseguì la signora, autoeleggendosi per l'occasione a severa e aggressiva custode di minorenni «vado a dirle che sono le undici passate e che è largamente ora di essere a letto.» Ci girò le spalle come se fossimo caduti in disgrazia e se ne andò a passo di marcia. Earnshaw mi guardò con un lieve sorriso impacciato. «Ah Betty, Betty...» mormorai. Ma avevo appena finito di pronunciare quelle parole quando un urlo lacerante e disperato echeggiò al disopra dell'ansito delle macchine e del frastuono delle onde, raggelandomi il sangue nelle vene e trasformando di colpo il sorriso di Earnshaw in una smorfia inorridita. Perché non sembrava un grido umano, Davy, e non sembrava provenire da un punto preciso della nave. Faceva pensare piuttosto allo stridulo lamento di un banshee, lo spirito annunciatore di morte, che avesse lanciato al cielo il suo grido sinistro sorvolando la Moderna, poi fosse svanito. Restammo immobili per qualche secondo, guardandoci l'un l'altro con tacito orrore. Il silenzio che seguì a quel grido è stato uno dei momenti più terribili della mia vita. Non lo scorderò mai. Non durò a lungo. Quasi subito fu rotto da una serie di altre grida, perfettamente umane e femminili, stavolta, che andarono avvicinandosi rapidamente. «Aiuto... aiuto... Betty... Earnshaw balzò verso la porta ma prima che la raggiungesse apparve sulla soglia la signora Lambert, con i capelli scomposti e il viso livido per il terrore.» «Betty... gettata in mare... fermate la nave» ansimò. Ci lanciammo fuori tutti e due e raggiungemmo il ponte, dove si era già radunato un gruppo di marinai e di passeggeri.
Quello che vidi subito dopo, Davy, trasformò il mio cuore in un sasso gelido e greve. Lo splendido scialle arancione di Betty fluttuava nell'aria a poca distanza dalla nave, sollevandosi e abbassandosi secondo il capriccio del vento, svolazzando lieve come una piuma enorme che si facesse beffe delle onde nere e crudeli, finché non cominciò a perdere lentamente quota. Riconoscere lo scialle, strapparsi dì dosso la giacca e precipitarsi verso il parapetto fu questione di un attimo per Earnshaw. Tre robusti marinai si precipitarono verso di lui. «No, no, signore, è una follia, con un mare simile!» Ma prima che potessero afferrarlo, il suo pugno scattò fulmineo e ne colse uno al mento col vigore di una martellata, mandandolo a rotolare lontano. Poi, lottando contro gli altri due, Earnshaw salì sul parapetto... Chiusi gli occhi, aspettando angosciata il tonfo che mi avrebbe detto che aveva raggiunto Betty. Ma uno dei marinai doveva essere riuscito ad afferrarlo per i capelli o per il colletto. Un ufficiale, che fino a quel momento aveva diramato ordini attraverso un megafono, sopraggiunse di corsa e fra tutti riportarono Earnshaw sul ponte. «Sarebbe stato soltanto un suicidio, signore» esclamò l'ufficiale. «Fermeremo la nave, faremo tutto il possibile. Trattenetelo, ragazzi.» La signora Lambert intanto era rimasta immobile, come pietrificata, gemendo sommessamente in mezzo al trambusto. Poi, a un tratto, udii un rumore che assomigliava a quello che ti si ripercuote in testa quando il dentista ti trapana un dente. «Stanno invertendo la rotta, signore. Dobbiamo fermare la nave» spiegò un ufficiale in risposta all'ansiosa domanda di un passeggero. «C'è una donna in mare.» Nel frattempo, io mi ero avvicinata alla signora Lambert, cercando di calmarla. L'ufficiale ci raggiunse e ci trasse in disparte. «Vi prego, signora, fatevi forza! Non è semplice bloccare una nave a questa maniera. Potete dirci con esattezza... avete visto coi vostri occhi la signorina cadere in mare?» Lei rimase a fissarlo per un momento con uno sguardo assente, come se non lo vedesse nemmeno, tanto che cominciai a temere che il colpo le avesse fatto smarrire la ragione, poi disse a un tratto con perfetta coerenza: «Lui... è stato lui a gettarla in mare! Li ho visti là, a parlare. Betty rideva e lui le stava avvolgendo lo scialle intorno alle spalle. Pareva che si stessero augurando la buonanotte, così me ne sono andata. Ma stavo appena giran-
do l'angolo per rientrare quando ho udito il grido... quel grido orribile, sovrumano! Poi un tonfo...» La signora rabbrividì. «Sono tornata indietro di corsa e ho visto lo scialle di Betty che volava nell'aria, allora mi sono precipitata al parapetto e ho visto... o creduto di vedere... qualcosa... laggiù nell'acqua. Questione di un attimo, poi è... sparito!» Si coprì la faccia con le mani. «Ma l'uomo, signora Lambert? Lo avete visto?» insisté l'ufficiale. La signora deglutì poi gli fissò in viso gli occhi colmi d'orrore. «Sì, l'ho visto, l'ho visto!» rispose con voce convulsa. «Si stava allontanando di corsa lungo il ponte. Aveva il soprabito e il cappello calato sugli occhi, ma quando ha raggiunto quella porta, quella là con la lampada accesa, ha dovuto voltarsi. Aveva gli occhiali e il viso abbronzatissimo, senza barba né baffi. Giurerei...» La signora Lambert deglutì un'altra volta, poi la sua voce si fece limpida e chiara. «Giurerei che fosse l'uomo che ha giocato a bridge con mio marito la sera in cui fu ucciso. Quello che si faceva chiamare Robinson!» Non udii altro, Davy. Una cameriera venne a prendere la signora Lambert per riaccompagnarla in cabina, ma niente riuscì a smuovere Earnshaw. Rimaneva lì immobile, tra i due marinai, scrutando con occhi angosciati l'oceano illuminato a giorno, ora, dai potenti fari della nave che, invertita la rotta, doveva essere ferma più o meno nel punto in cui la povera Betty era precipitata in mare. Vidi Daniels avvicinarsi a un ufficiale e chiedergli qualcosa. «No, signore» fu la risposta. «Nemmeno una probabilità su mille: quasi sicuramente è stata afferrata dalle eliche, ma dobbiamo fare queste manovre per il registro di bordo, signore, una pura e semplice formalità...» Mi girai dall'altra parte, sconvolta dalla nausea. L'idea di Betty laggiù in quelle acque nere e turbolente, il pensiero del suo giovane, morbido corpo afferrato da quelle pale vorticose e spietate... E noi lì intorno come manichini impotenti. "Una pura e semplice formalità!" Era davvero troppo! La povera piccola Betty che aveva paura dei lampi e dei tuoni! Il ponte presentava uno spettacolo incredibile, affollato com'era di ufficiali, marinai e passeggeri, questi ultimi vestiti, o svestiti, nelle maniere più disparate. L'arresto improvviso della nave, il fracasso delle macchine che invertivano la rotta e il trambusto sul ponte avevano indotto molti a pensare che stessimo affondando e ora gli ufficiali stavano cercando di rassicurarli.
«No, no, signore (o signora), si calmi, non c'è alcun pericolo.» Soltanto una donna in mare Soltanto una donna in mare, Davy! E molti di quelli che non avevano mai neppure visto la povera Betty si erano riuniti in piccoli gruppi chiacchierando animatamente come se si trattasse di un qualsiasi inatteso incidente di viaggio, nulla più che un particolare emozionante da raccontare agli amici al ritorno a casa. E intanto i fari continuavano a lanciare larghi nastri di luce sul mare mentre occhi ansiosi scrutavano le acque agitate, tutto invano! Di tanto in tanto, quando una macchia di schiuma, la cresta candida di un'onda o un vortice assumevano per un attimo una forma che poteva rassomigliare a quella di un viso o di un corpo umano, si alzava un grido di speranza, ma l'eccitazione tornava a spegnersi ben presto in un frammentario mormorio di delusione. A un certo punto, mi resi conto di non avere ancora visto Adam e per quanto lo cercassi tra la folla, non scorsi da nessuna parte la sua testa calva né, all'infuori di Daniels, vidi alcun altro dei miei compagni di tavola. Presa da un improvviso sconforto per quella mia solitudine e per l'angoscia di non poter rendermi utile in alcun modo, mi abbandonai sulla sedia a sdraio più vicina e scoppiai in un pianto disperato. Non so quanto fosse durato ma evidentemente doveva essere un bel po' che tiravo su col naso perché a un tratto mi trovai davanti al viso una mano da gigante che mi porgeva un fazzoletto di proporzioni inusitate. Accanto a me era ritta Daphne Demarest. «Su, su, smettetela» disse. «Qui, prendete una sigaretta.» Mi asciugai gli occhi col suo fazzoletto e glielo restituii. «C'è qualche novità?» domandai. Come in risposta alla mia domanda, la sirena della nave mandò un lungo ululato, subito seguito dal pulsare delle macchine. La nave si stava rimettendo in moto. «Povera figliola» mormorò Daphne. «Se n'è proprio andata! L'hanno cercata dappertutto, ma nessuno l'ha trovata. Da quanto ho sentito, a tutta prima pareva che la signora Lambert stesse dando i numeri, ma ora temo davvero che avesse ragione lei!» Emisi un lungo sospiro. «Be', questo significherà ancora altri interrogatori, suppongo. Oh Signore, quando finirà?» «C'è almeno una consolazione» ribatté Daphne. «A quanto pare, nessuno degli altri passeggeri sospetta ancora che si sia trattato di un omicidio. A me lo ha detto Jennings e suppongo che ne saranno informati anche gli al-
tri nostri commensali, ma la versione ufficiale sarà che Betty, terribilmente depressa per la morte dello zio, ha avuto un incidente.» Fece volare in mare la sua sigaretta. «Ma temo che sarà soltanto questione di tempo e poi anche gli altri intuiranno la verità... Oh, nave maledetta!» La Moderna aveva ripreso a solcare lentamente le acque con una vibrazione che dava il mal di mare. Grida e trambusto erano cessati, il ponte appariva buio e tetro dopo quel gran sciabolare livido dei fari e i passeggeri, probabilmente rendendosi conto soltanto allora del proprio succinto abbigliamento, si affrettavano a tornare in cabina. Persino un giovane, aitante marinaio che era rimasto ad aspettare a torso nudo, pronto a gettarsi in mare per l'eventuale salvataggio, si stava rivestendo per scendere sottocoperta. Le ricerche erano state abbandonate. Soltanto Earnshaw rimase ostinatamente dove l'avevo visto l'ultima volta, gli occhi ancora rivolti al mare, la giacca grigia ancora abbandonata ai suoi piedi. Fui contenta di non poterlo vedere in viso. Poi gli si avvicinò il dottor Somers che lo prese per un braccio e, dopo una breve, accesa discussione riuscì a trascinarlo via. E finalmente anch'io scesi in cabina. Tirai fuori il mio diario, ma non riuscii a scrivere una sola parola. Non riuscivo a pensare ad altro che alla povera Betty che si dibatteva fra le onde scure e gelide. Allora cercai di dormire, ma nemmeno questo mi riuscì. Quel grido inumano mi perseguitava. Desideravo disperatamente di averti lì vicino a me, amore, per consolarmi e proteggermi, avrei voluto sentire le tue braccia che mi tenevano stretta... Poi ho cominciato a pensare al povero Earnshaw, all'angoscia che doveva torturarlo e a mille altre cose, finché non mi è venuto un tale mal di testa da farmi temere che mi sarei ammalata se non avessi dormito. Così ho tirato fuori la boccettina azzurra che mi aveva dato il dottor Klein quando ero uscita dall'ospedale e ho preso quanto bastasse per darmi dieci ore di beato oblio. E finalmente mi è venuta un'idea, cioè che il secondo delitto sia collegato col primo e che in qualche punto del mio diario ci sia qualche traccia utile a questo fine. Non so dove e finora non sono riuscita a trovarla, ma sono certa che c'è e prima che tocchiamo terra la troverò. Questa nave dovrebbe essere ribattezzata, Davy. Non potrò mai più pensare a lei come alla Moderna. Per me il suo nome sarà sempre Delitto.
In cabina Lunedì 16 novembre 10,30 p.m. Bene, tesoro, sono riuscita a tirarmi fuori del letto per l'ora del tè e ho trovato i miei compagni di viaggio impegnati a giocare a tennis o al shuffle-board come se niente fosse accaduto. La nave filava a tutto vapore (il tempo è splendido) e nessuno pareva preoccuparsi minimamente della tragedia di ieri sera. Ho avuto una fitta al cuore, Davy, rendendomi conto dell'impotenza umana nel grande schema dell'universo. Noi veniamo e andiamo, ma le navi devono rispettare il loro ruolino di marcia, il pubblico deve essere intrattenuto piacevolmente e il grande gioco non deve essere interrotto. Sarebbe stato lo stesso se fosse capitato a me invece che alla povera Betty. Ben presto Adam mi raggiunse sul ponte superiore. Contrariamente al solito, era pallido ma, come al solito, carico di notizie. Caute indagini sono state fatte tra i passeggeri che erano ancora in circolazione ieri sera quando è avvenuta la tragedia. Una signora crede di avere visto Betty che parlava con un uomo più o meno nel punto dove l'aveva vista per l'ultima volta la signora Lambert, ma a quanto pare nessuno l'ha vista cadere in mare né ha udito il tonfo, anche se tutti, penso, persino in terza classe, devono avere udito quell'orribile grido. Comunque la realtà è inequivocabile: Betty è scomparsa. «Dov'eravate voi durante tutto quel trambusto?» domandai finalmente a Burr. Lui mi guardò fisso e si schiarì la gola prima di rispondere. «Be', ho pensato che fosse un'occasione splendida per fare qualche ricerca personale e privata del nostro amico Robinson. A bordo di una nave ci sono posti dove nessuno pensa di andare a curiosare in situazioni normali, bagni, toelette, eccetera, sicché ho pensato che il nostro amico potesse servirsene come rifugi temporanei. Che colpo sarebbe stato se lo avessi colto con le mani nel sacco mentre tutti erano sul ponte! Mi sono persino aggirato per certi misteriosi corridoi, ma purtroppo di Robinson neppure l'ombra!» «Bene, ma ora finalmente sappiamo che a una determinata ora si trovava in un determinato posto e questo può esserci utile per eliminare un certo numero di persone.» «Non tanto utile come credete» ribatté lui. «Quasi tutti i nostri cari com-
pagni di gioco dichiarano che erano a letto o quanto meno in cabina a quella determinata ora. Ma se non altro scagiona voi... e me.» «E come?» «Bene, voi eravate in sala da fumo con Earnshaw al momento della... disgrazia, diciamo. E potete giurare sulla Bibbia di avermi visto entrare e uscire più di una volta.» «Oh sì, certo, vi ho visto una diecina di minuti prima di quel terribile grido, ma questo che cosa prova?» ribattei non senza malizia. «Ma ora la mia coscienza mi dice che dovrei scendere dalla signora Lambert a chiedere se posso fare qualcosa per lei.» Adam fece un sorrisetto stentato. «E va bene, mia cara. Ma anche se rifiutate di fornirmi un alibi, spero che non rifiuterete di essere mia compagna nel torneo di shuffle-board della prossima settimana. Ho già dato i nostri nomi.» «Spiacente, ma anche lo shuffle-board è troppo rischioso per la mia cicatrice. Ci vediamo a cena.» Scesi dunque dalla signora Lambert e puoi immaginare quale piacere sia stata la visita! Trovai Earnshaw che passeggiava come una belva in gabbia nel salottino, in maniche di camicia, con la barba lunga e gli occhi infossati. Mi guardò con patetica ansia, quando entrai. Immagino che quel poveretto continui a sperare, contro ogni dettame della ragione. Dissi e feci quello che potevo, che non fu molto. Poi passai nella camera della signora Lambert. Sembra che la povera donna stia veramente male, tanto che le hanno mandato un'infermiera di bordo per assisterla. Questa seconda tragedia le ha conferito un'aria di severa dignità che mi ha fatto provare per lei maggiore simpatia di quanta ne abbia mai avuta prima. Dev'essere stato un colpo atroce! Mi parlò con sincero affetto di Earnshaw, confidandomi di avere fatto tutto il possibile per favorire i due giovani. Mi disse pure che Betty era molto nervosa e impaurita ieri, forse, aggiunse, per causa della lettera anonima che aveva ricevuto. «Una lettera anonima?» domandai sorpresa. «Si, non sapete che l'hanno trovata nella mia borsetta? L'ha Jennings, ora.» «Che cosa c'era scritto?» domandai ancora, cercando di non apparire troppo ansiosa di saperlo. «L'anonimo mittente diceva di sapere chi aveva ucciso mio marito e invitava Betty a incontrarsi con lui sul ponte B alle dieci e mezzo, promet-
tendo che le avrebbe detto tutto. Mia nipote mi disse qualcosa di quell'appuntamento, ma naturalmente le consigliai di non andarci. Non capisco come mai ci sia poi andata lo stesso. Pensava di non correre alcun pericolo, immagino, povera bambina... Povera bambina!» A questo punto, l'infermiera mi lanciò un'occhiata ammonitrice e mi congedai con la scusa che s'era fatto tardi e bisognava che andassi a vestirmi per la cena. Al nostro tavolo non regnava molta allegria. Soltanto noi sapevamo come fossero andate realmente le cose ma ci sono fra alcuni antipatie e diffidenze che non favoriscono certo la conversazione. Comunque si era appena instaurata un'atmosfera perlomeno sopportabile quando il comandante si alzò in piedi. Subito nella sala si fece il silenzio assoluto, non turbato neppure dal tintinnio di un bicchiere o da! rumore di una forchetta. Evidentemente si aspettavano tutti qualche dichiarazione emozionante e circa cinquanta paia d'occhi si fissavano ansiosi sul capitano Fortescue. Questi fece un discorsetto molto assennato, inteso a restituire serenità ai passeggeri, a dare un falso senso di sicurezza all'assassino e a non rivelare alcuna notizia di qualche importanza. Disse che un noto uomo d'affari era morto all'improvviso per un collasso cardiaco la prima sera di viaggio e che ieri sera sua nipote, sconvolta per la morte dello zio, era caduta in mare. Un incidente doloroso e increscioso e lui era certo che tutti i passeggeri si univano a lui nella partecipazione al dolore della vedova e dell'amico dei Lambert, ma desiderava comunicare che la signora Lambert e il signor Earnshaw avevano insistito perché la vita a bordo non venisse assolutamente turbata per causa loro. Sapevano che quel viaggio era per molti passeggeri una vacanza o una convalescenza ed era loro esplicito desiderio che gli sport di bordo, i tornei di bridge e tutti gli altri svaghi continuassero regolarmente. Tutti parvero apprezzare quell'atteggiamento perché un mormorio corse per la sala, mentre... In cabina Mezz'ora dopo Davy, Davy caro, è accaduta una cosa incredibile! Ne sono ancora sconvolta ma... grazie a Dio c'è una serratura robusta alla porta della mia cabina!
Ti stavo scrivendo, seduta sulla mia cuccetta. Erano circa le undici e la nave era abbastanza tranquilla e silenziosa quando ebbi a un tratto l'impressione che nella mia cabina ci fosse un topo. Avevo udito un lieve fruscio sul pavimento, un fruscio appena avvertibile, esattamente quello che avrebbe fatto un topolino. Ora, tu sai che mi fanno ribrezzo gli scarafaggi, ho orrore dei pipistrelli, dei millepiedi e dei ragni, ma non ho assolutamente nulla contro i topi. Continuai dunque a scrivere tranquilla, senza preoccuparmi di niente. Poi, stavo per l'appunto scrivendo... corse per la sala, mentre..., quando un lieve sbuffo di vento fece scorrere sul pavimento qualcosa di bianco. Be', un topo bianco sarebbe stato veramente, troppo, non ti pare? Sicché balzai dal letto e lì, nel bel mezzo dei tappeto, vidi un foglio ripiegato. Lo aprii in fretta e furia. Portava l'intestazione della nave e sotto alcune righe in stampatello malamente scarabocchiate e a malapena leggibili, come se il mittente avesse scritto con la sinistra per non far riconoscere la propria calligrafia. SE NON VOLETE FINIRE COME BETTY LAMBERT «diceva» VI CONSIGLIO DI BADARE AI FATTI VOSTRI E DI DISTRUGGERE IL VOSTRO DIARIO. ROBINSON A tutta prima, Davy, mi venne da ridere. Sembrava tutto così insensato! Poi, a poco a poco, mi resi conto di ciò che quella lettera significava. Pochi minuti prima quel demonio, quell'essere fantomatico che si fa chiamare Robinson, era sgattaiolato fino all'uscio della mia cabina e vi aveva fatto scivolare sotto una lettera! E la mia testa si era trovata a circa mezzo metro dalla sua mano, separata soltanto da un sottile tramezzo di legno. Lui sa del mio diario, della mia attività d'investigatrice e mi considera sua nemica. Mi fa persino l'onore di trattarmi come una persona con la quale bisogna fare i conti sul serio! Fui sopraffatta a un tratto dal panico. Suonai il campanello per chiamare la cameriera e le domandai se avesse visto qualcuno aggirarsi in prossimità della mia cabina, ma mi rispose di non avere visto nessuno. E la stessa risposta la diede Trubshaw quando lei andò a chiederglielo. Eppure qualcuno si era avvicinato alla mia cabina nel giro dell'ultima mezz'ora, perché sono matematicamente certa che quel biglietto non c'era
quando sono andata a letto. Ora mi sento davvero coinvolta in questa tragica storia, non sono più soltanto una spettatrice che vi assiste da una distanza di sicurezza. Sono diventata uno dei protagonisti di un dramma terribile e, se non sto bene in guardia, potrei ritrovarmi a dover recitare una parte non molto comoda! Con questa, sono dunque tre le lettere anonime da annoverare alla mia cronaca: quella di Daphne, quella di Betty e la mia. Forse Robinson ha un debole per il sesso debole! E, ripeto, posso ringraziare Iddio per la robusta serratura alla mia porta. D'ora in avanti non devo fidarmi più di nessuno e custodire gelosamente il mio diario come un gioiello prezioso! Sul ponte Martedì 17 novembre 11,45 a.m. Nonostante lo choc di ieri sera, Davy, ho dormito come un ghiro e mi sono svegliata sentendomi mens sana in corpore sano molto più di quanto mi sia mai sentita da qualche tempo in qua. Esiste, suppongo, uno zenith emotivo oltre il quale non è possibile andare e poiché in questi ultimi giorni ho provato quasi tutte le emozioni possibili per un essere umano, credo che qualsiasi cosa possa accadermi in futuro non mi sembrerà altro che un divertente diversivo. Sono certa che ero perfettamente calma e padrona di me stamattina, quando mi presentai nell'ufficio del commissario col tenero bigliettino che il caro Robinson aveva fatto scivolare sotto la porta della mia cabina. Come l'ebbe letto, Jennings balzò in piedi. «Andiamo subito a mostrarlo al comandante, signorina Llewellyn. Lui ha la lettera rinvenuta nella borsetta della povera signorina Lambert e sono certo che vorrà confrontare la calligrafia. Personalmente, sono convinto che sia la stessa.» Avrei giurato di avere udito delle voci nell'ufficio del comandante, mentre aspettavamo di essere invitati a entrare, ma dovevo essermi sbagliata perché trovammo il capitano Fortescue seduto dietro la sua scrivania, solo. Tra parentesi, un ufficio meraviglioso, Davy, arredato con ampie, accoglienti poltrone, scaffali carichi di libri fra i quali una bella collezione di romanzi polizieschi, ricche tende di velluto rosso a nascondere un'apertura sul fondo, un tappeto alto un dito e alle pareti quadri luminosi.
Il comandante mi accolse con un sorriso cordiale e Jennings gli mostrò immediatamente la lettera anonima, spiegando con poche parole come l'avessi ricevuta. Il capitano Fortescue la lesse, poi prese da una cartelletta il foglio rinvenuto nella borsetta di Betty e per qualche momento lui e il commissario confrontarono in silenzio le due scritture. «Nessuna possibilità di dubbio, signore» disse finalmente Jennings. «Non è necessario essere un grafologo per vedere che si tratta della stessa mano.» Senza aspettare di essere invitata, mi sporsi a guardare sopra la spalla del commissario. La grafia dei due foglietti era identica. Dopo avermi rivolto una quantità di domande sull'ora esatta e sui minimi particolari del "recapito", il comandante tirò fuori una pianta della nave e studiammo la posizione delle cabine occupate. Per una strana coincidenza, Davy, le cabine di tutti noi che pranziamo al tavolo del comandante si trovano sullo stesso ponte, a pochi metri l'una dall'altra, così che non ricavammo niente di utile da quell'esame. «Credo sia meglio che incarichi uno steward di tener d'occhio la vostra cabina, signorina Llewellyn» disse alla fine il comandante. «La porta è sempre chiusa a chiave, vero?» Annuii. «Bene, non sarete mai troppo cauta» aggiunse lui con un sorriso. «Ma che cos'è questo diario di cui parla il nostro amico Robinson?» Glielo spiegai, aggiungendo che, benché lo avessi scritto interamente a bordo, soltanto due o tre persone connesse con le due tragedie erano al corrente della sua esistenza. E gli raccontai il piccolo incidente accaduto quando avevo lasciato il diario nella sala di ritrovo. Il comandante mi sorrise ancora, stavolta con aria decisamente paterna. «Signorina Llewellyn, mi riesce difficile rammentare che una ragazza giovane e graziosa come voi è anche una nota ed esperta giornalista, tuttavia...» Colsi al volo l'occasione. Sai benissimo anche tu, Davy, che nel nostro mestiere non ci si fa strada senza una buona dose di sfacciataggine, perciò proruppi senza riguardo: «Oh, capitano Fortescue, non vorreste darmi una mano? Consentitemi di trasmettere al mio giornale un resoconto di ciò che è accaduto! Vi prometto di essere molto cauta. Potrete controllare voi stesso ogni mia parola. So che potrà sembrarvi aridità di cuore, ma è una tale occasione per la mia carriera! Non me ne capiterà mai più una uguale. I-
noltre» aggiunsi con malizia «loro potrebbero anche scovare qualche informazione utile.» Ma il comandante stava scuotendo la testa con cortese fermezza. «State a sentire, mia cara» disse. «Ho una figlia all'incirca della vostra età e ambiziosa come voi, perciò vi prego di scusarmi se vi parlerò come parlerei con lei. Non posso permettervi di fare ciò che mi chiedete, per voi come per me. Vedete, fino a questo momento non possiamo dire con certezza come e perché quelle due persone siano morte. Men che meno possiamo parlare di delitti... come notizia ufficiale, intendo. Quali che siano le nostre opinioni personali, dobbiamo tenercele per noi, finché non saremo in possesso di elementi più concreti.» Sospirai, guardandolo con l'espressione più filiale che mi riuscì di assumere. «Eh sì, penso che abbiate ragione» mormorai docilmente. «Però vi prometto una cosa. Se mai verremo a capo di questa terribile storia, vi aiuterò in tutti i modi a fare quello che voi giornalisti chiamate uno scoop. Ma...» Gettò un'occhiata all'orologio che era sulla sua scrivania. «In cambio della mia promessa, vi chiedo un favore. Ho una quarantina di minuti prima del mio giro d'ispezione. Vorrei approfittarne per leggere quel vostro diario.» Arrossii come una scolaretta timida. «Oh, perdonatemi, comandante» balbettai «ma è scritto sotto forma di lettere riservate, vi sono cose destinate soltanto a... una determinata persona. Però. se pensate davvero che possa essere di qualche utilità, ve lo leggerò io stessa. Non tralascerò niente d'importante, ve. l'assicuro, soltanto i passaggi strettamente personali.» Lui assentì e Jennings balzò premurosamente in piedi. «Volete che vada io a prenderlo, signorina Llewellyn?» «Vi ringrazio, ma è chiuso nel mio baule. Faccio in un minuto.» Tornai di corsa in cabina, recuperai il diario e dopo un momento ero di ritorno nell'ufficio del comandante. Mi accomodai nella poltrona più accogliente e cominciai a leggere, mentre i due ufficiali, che avevano già pronte carta e penna, prendevano copiosi appunti. Ora dimmi pure che sono una visionaria, Davy, ma sono assolutamente certa che più di una volta, alzando gli occhi dalla pagina, vidi muoversi le tende purpuree alle spalle del comandante! Erano di velluto molto pesante e nell'ufficio non soffiava un filo d'aria, ma qualcosa le faceva muovere. Le osservai ogni volta che ne ebbi la possibilità e sono certa di non essermi
sbagliata. Quando ebbi finito, il comandante balzò in piedi esclamando con entusiasmo: «Magnifico, signorina Llewellyn! Voi fate concorrenza a Conan Doyle o a Mary Rinehart. Ero tanto elettrizzato da dimenticare quasi che quegli avvenimenti erano accaduti sulla mia nave! Sono appassionato di romanzi del brivido, come potete vedere voi stessa» e indicò lo scaffale più vicino. «Ma ora dobbiamo cercare di trarre qualche frutto da questa lettura.» «A proposito di romanzi del brivido, comandante» ribattei sforzandomi di apparire indifferente «chissà se voi sapete spiegarmi alcuni versi scritti dal più famoso autore americano in questo campo!» E mentre lui mi guardava corrugando la fronte, perplesso, citai senza staccare gli occhi dalle tende alle sue, spalle alcuni versi di Poe in cui si accenna a serici, misteriosi fruscii di cortine purpuree e di fantasiosi terrori. «Oh, purtroppo la poesia non è il mio forte, signorina Llewellyn» ribatté lui seguendo la direzione de! mio sguardo. «Bene, se non volete dirmi chi c'è là dietro...» insistetti in tono petulante. «Purché lo sappiate voi! Vergogna, capitano Fortescue!» Sorrise, ma senza troppa convinzione, poi si fece molto serio. «Signorina, ho cominciato a parlarvi come se foste mia figlia, permettetemi di continuare sullo stesso tono. Siete una ragazza molto in gamba, ma vi consiglio di non voler sapere troppo, almeno per il momento. E quello che sapete, tenetelo per voi. Non fidatevi di nessuno e non fate troppe domande. Se aveste a trovarvi in qualche difficoltà, potete venire da me in qualsiasi momento. Noi contiamo sulla vostra collaborazione e voi potete contare sulla nostra. Potremo forse sembrarvi un po' maldestri e troppo lenti, ma siate certa che andremo fino in fondo, marciando a tutto vapore nella direzione che ci sembra la migliore. Vero, Jennings?» Il commissario annuì. «E non dimenticate» continuò il comandante «che in un punto dell'oceano Atlantico, ancora non molto lontano da noi, giace il corpo di una ragazza come voi, uccisa, forse, perché sapeva troppo. E che in una cabina chiusa a chiave, sul ponte E, c'è il cadavere di un uomo e da qualche parte su questa stessa nave c'è quel Robinson...» Ma a questo punto, caro Davy, l'interruppi con un'esclamazione, balzai in piedi e uscii quasi di corsa dalla cabina. Perché mi era lampeggiata a un tratto nel cervello un'Idea! Non potevo
aspettare un minuto di più, dovevo essere sola per pensarci su! Un'Idea che mi sembrò straordinaria... eppure straordinariamente semplice! Il mio unico, veramente originale contributo a questa storia, Davy. Ed era stata l'ultima osservazione del comandante a farmela lampeggiare in testa. Riesci a immaginare quale fosse? Bene, in caso contrario dovrai aspettare un poco perché sta suonando il gong del pranzo e io muoio di fame À bientôt, chéri. In cabina Martedì 17 novembre 6,30 p.m. Prima di tornare all'argomento della mia Idea, Davy, devo dirti che la signora Clapp mi ha finalmente accolta sul suo seno. Lo sgradevole incidente accaduto quella sera a cena è perdonato e dimenticato e credo che diventeremo ottime amiche. Uscita dall'ufficio del comandante, decisi d'iniziare la mia campagna di sospetti e di sfiducia evitando per un po' il mio amico Adam e, di conseguenza, dopo pranzo rimasi appiccicata a Daphne e mi unii poi a lei e alla signora Clapp sul ponte. L'ex Marzia Manners è davvero una persona notevolissima. Aleggia intorno a lei una fragranza che fa pensare ad antiche vendemmie o al profumo delle prime mele autunnali. È impetuosa, estrosa e un po' caustica, ma è la donna più simpatica che io abbia mai conosciuto. Potrei scrivere un libro intero con gli aneddoti e le esperienze che mi ha raccontato oggi pomeriggio. E difatti, quando la conoscerò meglio, le chiederò di lasciarmi scrivere la sua biografia: sarà un lavoro piacevole e tranquillo per quando saremo sposati, tesoro. Il suo rapporto con Daphne è bizzarro e commovente a un tempo. Si erano conosciute durante la guerra, quando Daphne era infermiera e Marzia Manners teneva spettacoli per le truppe e la primavera scorsa, quando il giovane signor Clapp morì, la sua vedova, affranta, si rivolse a Daphne per avere sia il suo aiuto professionale sia il conforto della sua amicizia. Da allora, rimasero sempre insieme e nonostante il suo trionfale passato di grande attrice, l'anziana signora sembra dipendere in tutto e per tutto dalla sua più giovane amica inglese. Il fatto è, mio caro, che Daphne è tutt'altro
che sciocca e sa menare per il naso la signora Clapp col miglior garbo di questo mondo. Ma torniamo a! mio piano personale. Ti ho detto, Davy, che la grande Idea mi è venuta dall'ultima frase pronunciata dal comandante, quando cioè parlò contemporaneamente del cadavere di Lambert e del fatto che Robinson doveva pur nascondersi da qualche parte. Bene, la nave è stata setacciata invano da cima a fondo, ma se Robinson esiste veramente, e questo è fuor di dubbio, deve pure essere nascosto da qualche parte. Non può apparire e scomparire a suo capriccio. Dovrà pure mangiare e dormire da qualche parte! Sicché la domanda è: dove? Cominci a capire dove voglio arrivare, Davy? Pensa all'unico posto di tutta la nave che possa offrire a un clandestino un nascondiglio sicuro, il posto dove nessuno entra più e dove a nessuno verrebbe più in mente di andare a guardare... Sì, tesoro, proprio quello: la cabina vuota dove è stato messo il corpo imbalsamato di Lambert. (Ricorderai che dovrà essere sottoposto a un'autopsia più particolareggiata a Georgetown.) La porta è chiusa a chiave, naturalmente, ma suppongo che non sia difficile aprirla con un grimaldello e per quanto il soggiorno là dentro non debba essere molto piacevole, come nascondiglio sarebbe insuperabile. Ora mi dirai che sono matta da legare, vero? È ciò che deve avere pensato anche Jennings circa un'ora fa quando gli ho esposto la mia idea. Avevo capito di non potermela sbrigare da sola e lui mi è sembrato la persona più ovvia. È così tranquillo e fidato, così equilibrato! Mi rendo conto che non avrei mai il coraggio di arrivare fino in fondo senza l'aiuto di qualcuno e per ovvi motivi non sarebbe stato consigliabile rivolgersi a Burr, a Daniels o a qualsiasi altro dei passeggeri maschi. Da commissario coscienzioso, naturalmente a tutta prima sollevò qualche obiezione al mio progetto; «Non vedo perché dobbiate essere voi a farlo» disse. «La vostra idea a proposito del possibile nascondiglio di Robinson è macabra, ma tutto sommato non mi sembra irragionevole. È persino strano che nessuno vi abbia pensato finora. Credo di poter avere la chiave dal dottor Somers senza troppe spiegazioni, ma sarebbe meglio che ci andassi io in quella cabina. Non è lavoro da signorine.» «Signor Jennings» esclamai «volete smetterla di fare il cavalleresco gentiluomo inglese? Io non sono una signorina, sono una giornalista. E tentare
di convincere un cronista a restare lontano da un campo d'azione sarebbe come cercare di convincere un'anatra a uscire da uno stagno o un gatto a mollare un topo. Oltretutto, il comandante mi ha promesso il mio scoop, se fossimo arrivati al fondo di questa storia. Questo è il mio solo unico parto cerebrale e non vi rinuncerò, ne andasse della mia vita. Inoltre, vorrei andarci nel cuore della notte perché potremmo coglierlo nel sonno. Penso che sarebbe più ragionevole e meno pericoloso che andarci di giorno.» Finalmente si arrese. È giovane anche lui e amante dell'avventura. Penso che lo abbia attratto l'idea dello scoop e so che ha simpatia per me. Spero di non avergli forzato la mano, perché mi dispiacerebbe metterlo nei guai. Comunque, ci accordammo di non parlare a nessuno del nostro piano, tranne che al mio steward che dovrà svegliarmi stanotte alle due meno dieci. Poi mi troverò con Jennings alle due e andremo insieme a esplorare l'obitorio temporaneo dove giace il povero Lambert. Il commissario porterà anche una pistola e due torce elettriche. Mi ha fatto promettere che andrò a letto subito dopo cena, perché possa essere fresca e riposata per la spedizione. Dopo, non dormirò molto di certo! Ma non preoccuparti per me, tesoro. Sarò perfettamente al sicuro, con la protezione di Jennings. Ha un'aria cosi... materna! Lo steward mi ha appena portato un biglietto, regolarmente firmato stavolta, grazie al cielo! M.L. «Perché avete divorziato dal vostro vecchio Adam? Sono forse diventato quello che Voltaire chiamerebbe un "limone spremuto"? Se non è cosi, vi prego, fatemi compagnia per un cocktail prima di cena. Posso sperare?» A.B. Bene, ho giusto il tempo per accettare l'invito, se corro subito a vestirmi. Prima che sia trascorsa la notte, avrò probabilmente bisogno di tutti gli stimolanti artificiali che potrò procurarmi! Mercoledì 18 novembre Dalla mia cabina Circa le 3 a.m. Ti scrivo un po' per tenermi sveglia e un po' per mantenermi sana di
mente. Penso che se mi costringerò a ritornare sugli orrori che ho sperimentato da quando ti scrivevo allegramente (sciocca!) a proposito di stimolanti artificiali, se riuscirò ad affrontarli di nuovo e metterli giù nero su bianco, potrò forse esorcizzare questa sensazione di un cataclisma incombente. Se non altro, servirà a tenere la mia mente rivolta al passato invece che al presente e all'ancora più lugubre futuro. Farò il possibile per essere coerente, ma se tu sapessi che cosa può esserci ad aspettarmi in questo stesso momento davanti alla mia porta! Davy, se tu potessi dirmi che non è possibile! Se potessi dirmi che fra poco mi sveglierò e scoprirò che è stato tutto soltanto un terribile incubo! Sto tremando di terrore e non oso guardarmi allo specchio per il timore di ritrovarmi con tutti i capelli bianchi. Che cosa non darei per ritrovarmi a casa mia, e poter udire zia Caroline che sta andando in bagno col suo passo pesante e rassicurante! A quanti anni di paradiso non rinuncerei per sentire le tue braccia intorno a me e calmare questi selvaggi battiti del mio cuore contro i battiti regolari del tuo... Più tardi Mi sento meglio, ora. Pensare a te mi ha fatto piangere e lo sfogo mi ha un po' rasserenata. Ho anche tentato di dormire, ma non c'è stato niente da fare, perciò non mi rimane che continuare il mio racconto come meglio posso. Ero piena di sonno quando Trubshaw venne a svegliarmi, alle due meno dieci; piena di sonno e con scarso desiderio di proseguire con quel mio ridicolo proposito. Se non avessi fatto tante storie per accompagnare Jennings, sarei potuta restarmene tranquilla nel mio letto. Oh, quanto vorrei che fosse stato tutto un brutto sogno, una folle fantasia che domani avrò dimenticato! Ma quello che ho da dirti purtroppo non lo dimenticherò mai per tutto il resto della mia vita... sempre che io viva abbastanza da ricordarlo! E siccome è anche possibile che non arrivi mai a parlartene a voce, mi affretto a scriverti tutto, con la speranza che le mie parole almeno giungano fino a te. Quando Trubshaw venne a svegliarmi, avvertendomi che il signor Jennings era già pronto, non ebbi alcun presentimento avverso, anzi provai un piacevole brivido di eccitazione, appena sfumato da una stimolante sensazione di paura. Mi vestii in fretta. infilai le scarpe da tennis e mi avviai
verso l'ufficio del commissario. Jennings fumava tranquillo la pipa e sulla scrivania davanti a lui c'erano due tazze di caffè. Mi accolse con un gaio sorriso, ma la sua faccia da cherubino era un po' meno rosea del solito e l'espressione seria dei suoi occhi smentiva la sua aria disinvolta. «Sedete e bevete una tazza di caffè, signorina Llewellyn» disse, spingendo verso di me una tazzina e accendendomi una sigaretta. «Non c'è fretta. Il nostro amico Robinson può aspettare! Ma devo confessarvi che sono un po' scettico nei suoi confronti.» Bevvi un sorso di caffè e fui sorpresa di scoprire che i miei denti battevano contro l'orlo della tazza con tale vigore che anche Jennings dovette accorgersene. «Sentite» disse infatti in tono paterno «perché non vi tirate fuori da questa storia? Posso andare benissimo da solo a ispezionare quella cabina. Non è assolutamente necessario che veniate con me.» «Se... sciocchezze!» balbettai. «N... non vedo l'ora di andare!» «E va bene. Ma come ho detto, non c'è fretta. Prendiamo qualcosa per buttar giù il caffè.» Prese da un armadio una bottiglia di brandy e ne versò due razioni abbondanti. Mi bastò qualche sorso per sentirmi decisamente meglio e ansiosa più che mai di proseguire nella nostra avventurosa spedizione. «Non avete parlato a nessuno di questa impresa, vero?» domandai ansiosa. «No. Non mi entusiasma l'idea di agire senza l'autorizzazione del comandante, ma mi avete fatto promettere e ho tenuto fede alla mia promessa, benché abbia avuto qualche difficoltà a farmi dare la chiave della cabina dal chirurgo senza spiegargli il motivo della mia richiesta. Ho avuto l'impressione che sospettasse chissà quali sinistre intenzioni da parte mia. Ma avevate ragione voi. Benché la nave sia stata ispezionata più volte da cima a fondo alla ricerca di Robinson, nessuno è più entrato in quella cabina da quando Somers l'ha chiusa a chiave, sabato notte. Naturalmente, non vedo come Robinson avrebbe potuto entrare e uscire a proprio piacimento, ma non è da escludere una remota possibilità che sia d'accordo con qualche membro dell'equipaggio.» «Da che parte è la cabina?» m'informai. «Mi sembra un posto abbastanza inconsueto per mettervi un cadavere. I passeggeri delle cabine attigue potrebbero avere qualcosa da obiettare, non credete?» Jennings aggrottò la fronte e bevve un sorso di caffè prima di risponde-
re. «Certo è una procedura insolita, signorina. Ma tutta questa faccenda è insolita, non vi pare? Quando muore qualcuno a bordo di una nave, di solito lo si seppellisce in mare, al più presto possibile, oppure, se qualcuno o qualcosa vi si oppone, il corpo viene messo nel reparto isolamento dell'infermeria. Ma ora si dà il caso che a uno sguattero si sia manifestata un'eruzione cutanea sospetta, così il dottor Somers lo tiene sotto osservazione in isolamento. Per questo il capitano Fortescue ha deciso di mettere il cadavere in una delle cabine libere.» «Ma signor Jennings! È inconcepibile! Un cadavere in mezzo ai passeggeri, mio Dio!» Lui mi guardò con un mezzo sorriso ma sono certa che dentro di sé deve avermi mandata a quel paese come una maledetta ficcanaso. «Oh via, signorina, le cose non stanno affatto così. Il povero signor Lambert è giù al ponte E, al numero duecentotredici, in un settore della nave dove al momento non c'è alcun passeggero. Siamo in un periodo di magra, purtroppo, e viaggiamo con una quantità di cabine vuote. Tranquillizzatevi: la duecentotredici è molto, molto lontana dalla vostra cabina e da quelle di tutti gli altri passeggeri.» Scossa da un leggere brivido, ripresi il bicchiere e scolai il brandy fino all'ultima goccia. «Andiamo» dissi poi, risoluta. Jennings si alzò, prese una rivoltella da un cassetto e mi tese una torcia elettrica. «Siete proprio certa di voler venire?» domandò in tono grave. «Fatemi strada, Sherlock Holmes» ribattei gaiamente e iniziammo il nostro viaggio nelle viscere della Moderna. Da principio fu divertente, Davy. I corridoi erano tutti illuminati e la traversata notturna di un transatlantico costituiva senza dubbio un'esperienza insolita. Ma fummo ben presto lontani dalla prima classe. I cadaveri, a quanto pare, viaggiano in terza... osservazione ironica per ricchi passeggeri come il signor Lambert! Ora l'avventura andava facendosi sempre meno piacevole. Percorremmo corridoi angusti dove sudici macchinisti seminudi fumavano avidamente una mezza sigaretta prima di andare a togliersi di dosso sporcizia e sudore. Attraversammo zone invase da miasmi mefitici che mi fecero pensare a interi plotoni di bidoni della spazzatura, scorgemmo pallide sagome che, emergendo da sotto la linea di galleggiamento, salivano di corsa a respirare un soffio di aria pura. Quando ce ne stiamo seduti sul ponte superiore a
goderci il sole, Davy, chi mai pensa a tutta questa gente che suda e fatica nel ventre della nave, per portarci a destinazione? La Moderna non è molto grande, ma stanotte mi è sembrata lunga qualche chilometro. Pensavo che non saremmo mai arrivati a quella dannata cabina. Finalmente giungemmo a una pesante paratia di ferro che Jennings fece scorrere con grande stridore. Quando l'ebbe richiusa alle nostre spalle ci trovammo avvolti da un'aria pesante nella quale stagnavano tutti i cattivi odori derivanti da ventilatori fermi, oblò chiusi e scarsa pulizia. Fino a quel momento, avevamo seguito un percorso bene illuminato e vibrante di attività, ma ora ci ritrovavamo in una zona senz'aria e senza luce, vuota e silenziosa come un sotterraneo. «Non abbiate paura, non ci sono fantasmi» disse Jennings in tono rassicurante. «Io ho paura soltanto degli scarafaggi» ribattei con finta disinvoltura, mentre piccole sagome nere schizzavano via silenziose davanti ai nostri piedi. Ma non avevo finito di dirlo e già mi rendevo conto di avere mentito spudoratamente. Perché in realtà avevo paura di qualcos'altro. Mi era sembrato che qualcuno ci seguisse. Ero certa di udire lievi rumori nel buio alle nostre spalle, via via che avanzavamo: rumori che non avevano niente a che fare col vento e con i normali scricchiolii della nave. Tirai Jennings per una manica. «Avete udito?» sussurrai. «Un rumore come se qualcuno avesse richiuso quella porta!» «Sono i topi» spiegò lui, convinto di tranquillizzarmi. «Ah, consolante!» mormorai, mentre proseguivamo. Superato un gomito del corridoio, Jennings cominciò a rivolgere il raggio della sua torcia elettrica sui numeri che contrassegnavano le cabine. Finalmente si fermò. «Ecco la duecentotredici. Ci siamo.» Levò di tasca una chiave e aprì la porta. Fui aggredita immediatamente dall'odore acuto e irritante della formaldeide usata per imbalsamare il cadavere e impedirne la decomposizione ma prima che potessimo varcare la soglia, il battente si richiuse con un tonfo. Indietreggiammo di un passo e restammo per un momento immobili e ammutoliti. «Mio Dio, è stato il rollio della nave o... o c'è qualcuno, lì dentro?» sussurrai atterrita.
«Lo vedremo subito» mormorò Jennings a denti stretti. Impugnando la rivoltella con la destra, riaprì la porta con un calcio e con l'altra mano cercò l'interruttore della luce. Si udì un clic ma continuammo a restare al buio. «Maledizione, hanno tolto le lampadine» borbottò il commissario, girando sul soffitto e sulle pareti il raggio della sua torcia elettrica. «Ma dev'essere stato il rollio della nave a far chiudere la porta. Qui non c'è nessuno.» Tappandomi il naso col fazzoletto, lo seguii nella cabina che era molto grande, con sei cuccette una delle quali era occupata da una figura rigida ricoperta da un lenzuolo. Cercai di distogliere lo sguardo, ma contro la mia stessa volontà i miei occhi continuavano a volgersi ostinatamente verso quella forma candida. Ogni cuccetta era chiusa da tende. Le scostammo tutte, ma dietro non c'era nessuno. Dall'oblò potevamo vedere le onde che si avventuravano contro la nave, facendola rollare e rabbrividire, e a questo punto mi avvidi che la Cosa sulla cuccetta era stata assicurata con corde per impedire che rotolasse sul pavimento. Saggia precauzione. Una strana sensazione d'irrealtà si stava impadronendo di me, ma in quel momento qualcosa di più tangibile, e udibile, attirò la nostra attenzione. Il dorso curvo di Jennings si raddrizzò bruscamente e lui rimase un attimo immobile, tendendo l'orecchio. Aveva udito anche lui, finalmente! Si rendeva conto che qualcuno ci aveva seguiti davvero e che non erano stati fruscii di topi quelli che avevo avvertiti poco prima! Nessun topo ai mondo avrebbe potuto fare quel rumore. I topi possono fare le cose più strane, ma non starnutire! E io avevo udito distintamente uno starnuto in corridoio. Ci precipitammo entrambi alla porta e per poco non ci scambiammo una zuccata mentre uscivamo in corridoio, giusto in tempo per scorgere il tremolio di una luce oltre l'angolo e il lampo di una figura bianca che spariva nella direzione opposta. «Aspettatemi qui» proruppe Jennings, lanciandosi verso la luce. Per qualche momento rimasi li, davanti a quell'orribile cabina, troppo esterrefatta per muovermi. Avevo lasciato nella cabina la mia torcia elettrica e in corridoio era buio pesto. Il silenzio era rotto soltanto da qualche scricchiolio, dal frusciare di qualche roditore e dai tonfi delle onde contro l'oblò. Jennings era scomparso e io ero sola nelle profonde viscere della Moderna. E mentre ero lì, Davy, cominciai a rendermi conto di una nuova sensa-
zione di terrore cieco e invincibile. Altre volte ero stata sopraffatta dalla paura, ma non avevo mai provato niente che fosse paragonabile a questa sensazione di agghiacciante impotenza e di abbandono. Quasi senza rendermene conto, tornai in cabina, sforzandomi di lottare contro una nuova idea che si era fatta strada a un tratto nel mio cervello sconvolto. Un'idea pazzesca e terribile, così folle da farmi sentire più sicura in quella stanza, sola con un cadavere, che non in corridoio. Se proprio Jennings fosse quel fantomatico Robinson! Se mi avesse portata di proposito in quella parte isolata della nave dove avrei potuto gridare fino a strozzarmi senza che nessuno mi udisse... se mi avesse portata lì per farmi fare la stessa fine di Betty... Se era davvero Robinson, non c'era niente di cui non fosse capace! E se era vero che non avevo alcun motivo per sospettare che fosse Robinson, era altrettanto vero che non ne avevo nemmeno per essere certa del contrario. Nella mia immaginazione surriscaldata, vedevo quelle due lisce guance rosee truccate per farle apparire abbronzate, i limpidi occhi azzurri mascherati dietro le lenti, i capelli biondi scuriti con la tintura. Il mio primo pensiero, naturalmente, fu quello di mettermi in salvo, di fuggire il più lontano possibile da quel posto orribile, ma mi tornò subito alla mente il labirinto dei corridoi, con tutte le sue innumerevoli svolte, e mi vidi a vagare dall'uno all'altro, disperata, irrimediabilmente sperduta nelle viscere della Moderna. Il senso dell'orientamento mi aveva abbandonata completamente. Non potevo fare altro che restare dov'ero... e sperare. Puntai il raggio della lampada sulla porta e andai d'un balzo a chiudere il chiavistello. Se non altro, Jennings non sarebbe potuto entrare finché non mi fossi un po' calmata. Tutto sommato non doveva essere trascorso più di un minuto quando mi misi finalmente a sedere, cercando di riacquistare il controllo dei miei nervi e aspettando l'eco di un passo o qualcosa, qualsiasi cosa atta a rompere il rombo monotono delle onde che sembrava intensificare la terribile immobilità e la solitudine della cabina. Terribile immobilità? Non ne ero più tanto certa e cominciavo ad avere qualche dubbio preoccupante sulla mia solitudine. In qualche punto della cabina qualcosa si era mosso. Avrei giurato che ci fosse qualcosa di vivo, là dentro, oltre a me. O era stata soltanto una questione di nervi... era soltanto il battito tumultuoso del mio cuore quello che udivo? Era il respiro misurato di un essere vivente o (fui colpita da un'altra idea terribile) era stato il cadavere?
Se la forma sotto il lenzuolo non fosse affatto il corpo di Lambert ma... ma... Con mano tremante, girai il raggio della torcia sulla cuccetta e rimasi a scrutare per qualche secondo quel candore orribile ma, nonostante il tremolio della fonte luminosa, non scoprii il minimo movimento del lenzuolo. Era immobile come la morte stessa. Tuttavia dovevo accertarmene al di là di ogni dubbio possibile. Certo, non avrei mai avuto il coraggio di scostare quel lenzuolo e guardare quello che c'era sotto, ma avevo le mani. Potevo toccare quello che non osavo guardare. Posata la torcia elettrica sul lavabo in modo che la luce fosse diretta altrove, mi avvicinai lentamente alla cuccetta ma in quel momento la nave diede uno scossone come se si fosse arrestata improvvisamente davanti a qualcosa che l'aveva impaurita e, mentre mi aggrappavo a un montante per non cadere, udii un tonfo. La torcia elettrica era scivolata sul pavimento e si era spenta. Mi trovai all'improvviso nell'oscurità totale. Non gridai, Davy; ti prego, non dimenticare mai che non gridai. Perlomeno, non allora. Mi limitai a stendere le braccia e ad annaspare alla cieca intorno a me per orientarmi. E a un tratto... oh, Davy, riuscirò mai a dimenticare quel momento? A un tratto la mia mano incontrò qualcosa di morbido, morbido e cedevole! Qualcosa che apparteneva a un essere umano! Nel buio, pensai, dovevo avere scostato senza volerlo il lenzuolo e ora stavo toccando la mano di Lambert! Ma prima che potessi valutare appieno tutto l'orrore di quel contatto, sentii quelle dita, le dita che pensavo appartenessero a un morto, stringersi lentamente intorno alle mie! Credetti d'impazzire, Davy! Aprii la bocca per gridare, ma non mi uscì altro che una sorta di singhiozzo strozzato. Penso di aver cercato di ritirare la mano, ma i miei muscoli si rifiutarono di obbedire agli ordini de! cervello. Mi sentivo come intorpidita, le mie gambe parevano essersi trasformate in acqua, il mio corpo era diventato tutto molle e incapace di muoversi. Capivo soltanto, confusamente, che stavo per svenire. E cosi fu, credo... Che cosa sia accaduto dopo, non lo saprò mai. Tutto quello che so è che a un certo punto mi svegliai nel mio letto, sola nella mia cabina, con la porta chiusa ma non a chiave. La prima cosa che feci fu girare la chiave
nella serratura e l'avevo appena fatto quando... Oh, Davy, soltanto a ripensarci mi si gela il sangue al punto che riesco a malapena a scrivere. Udii la voce di Adam Burr che mi chiamava per nome. Una voce sommessa ma penetrante. E all'udirla (Davy, sto forse diventando pazza davvero?) dubbi e paure tornarono violentemente a galla. Che cosa diavolo ci faceva a quell'ora davanti alla mia porta? Riuscii a impedirmi di gridare soltanto portandomi le mani alla bocca per soffocare Sa mia voce. «Jennings è andato a chiamare la cameriera» riprese lui. «Saranno qui fra un minuto, ma intanto non potrei...» «No, no!» gridai, quasi singhiozzando. «Andatevene, per favore. Non voglio nessuno. Non voglio aprire la porta. Non posso...» Non mi lasciò finire. La sua voce sembrava strana e lontana, ora. Stavo forse per perdere di nuovo i sensi? Doveva avermi chiesto qualcosa, perché a un tratto mi chiamò ancora per nome, in tono ansioso. «Signorina Llewellyn, vi sentite bene? Volete che chiami il dottor Somers?» «No, no» ripetei. «Lasciatemi sola, per favore!» «D'accordo. Ma cercate di dormire, ora. Non vi disturberà più nessuno.» Ci fu un altro sommesso colloquio davanti alla mia porta poco dopo, quando tornarono Jennings e Trubshaw con la cameriera, ma non lasciai entrare nessuno. Li assicurai che non avevo bisogno di niente e li udii allontanarsi in punta di piedi. Sì, Davy, loro se ne sono andati ma mentre ti sto scrivendo c'è qualcuno che continua ad andare avanti e indietro in punta di piedi lungo il corridoio. È ossessionante. Per questo sono qui a scriverti, invece di seguire il consiglio di Adam e cercare di dormire. Ora, tesoro, comincio a vedere dall'oblò le prime luci dell'alba e il pensiero di un nuovo giorno mi restituisce la salute mentale. Non c'è stato più alcun rumore di passi nell'ultima mezz'ora e ricomincio a sentirmi sicura... almeno dietro la porta chiusa della mia cabina. Questo improvviso senso di sicurezza, dopo le angosce della paura, è come la cessazione di una sofferenza fisica. Mi sento un po' come mi sono sentita tre settimane fa, riemergendo dall'anestesia: debole e tremante. ma libera dalla crudeltà de! dolore. Domani, forse, ritroverò il coraggio e potrò ridere di tutto questo. Perciò buonanotte, finalmente, amore mio. Sul ponte
11,00 a.m. E buon giorno... giorno benedetto, Davy caro! Sotto questo sole limpido e splendente, attorniata come sono da gente allegra in abiti dai colori vivaci, tra il ronzio spensierato della vita di bordo, i terrori della notte scorsa sembrano non soltanto irreali e fantastici, ma addirittura ridicoli, più di quant'altro mi sia mai accaduto in tutta la mia vita! Ma come vedi, mi sono già ripresa, fisicamente e mentalmente. La gioia viene col mattino; la mia curiosità è stata soddisfatta e la tua Mary è di nuovo se stessa sotto ogni punto di vista. Ma ora, immagino, sarai ansioso di sapere che cosa è accaduto in sostanza la notte scorsa dopo che io sono uscita di scena e come mai Adam Burr ha abbandonato il suo verginale giaciglio per venire a montare la guardia davanti alla mia porta nel cuore della notte. L'ho appena saputo da Jennings e, credimi, non so darmi pace di essermi perduta lo spettacolo crollando priva di sensi nel momento cruciale, da quella sciocca senza fegato che sono. Verso le nove la cameriera mi ha portato il tè con fette biscottate, poi mi sono vestita in fretta perché non vedevo l'ora di parlare con Jennings. L'ho trovato nel suo ufficio, più malandato di me per l'escursione della notte scorsa, ma mi è sembrato sollevato al vedermi e ancora di più quando gli ho detto di non avere riportato alcun danno dalla mia esperienza. A quanto pare, gli rimordeva la coscienza per causa mia, povero agnellino! «Non mi perdonerò mai di avervi lasciata sola, signorina Llewellyn» confessò. «Dovevo essere un po' esaltato anch'io e quando ho visto quella luce, ho pensato che forse avevamo scoperto davvero qualcosa e mi sono lanciato all'inseguimento. Intravedevo di tanto in tanto una figura bianca nel raggio della mia torcia, ma non sono mai riuscito ad avvicinarmi tanto da capire chi fosse. Una cosa, tuttavia era chiara: quel tizio conosceva la nave quanto me. Mi ha fatto correre per un bel po', ma finalmente sono riuscito a bloccarlo in una toeletta fuori servizio. Non indovinerete mai chi era!» «Sono fuori servizio anch'io. in questo campo» ribattei. «Era Trubshaw!» «Il mio steward!» «Proprio lui. Era spaventato a morte, ma ha rifiutato di darmi qualsiasi spiegazione circa la sua presenza in quella zona. Si è limitato a dire che era là nel vostro interesse. Allora mi sono arrabbiato, come potete immagina-
re, e, minacciandolo con la pistola, l'ho costretto a tornare con me alla cabina duecentotredici risoluto a fargli raccontare la sua storia davanti a voi. Pensavo che potevate essere stata voi a dirgli di seguirvi...» «Santo cielo, no davvero» esclamai, poi mi risovvenni dei miei dubbi sul suo conto e ammutolii. «Quando fummo di nuovo alla cabina duecentotredici» riprese lui «potete immaginare la mia sorpresa nel trovare la porta chiusa a chiave. Rimasi in ascolto per qualche momento poi, avendo sentito dei rumori all'interno, bussai energicamente, minacciando di buttar giù la porta se non fosse stata aperta. Continuavo a chiamarvi per nome, ma voi non rispondevate. È stato terribile! Poi udii un'altra voce, la porta fu spalancata di colpo e vidi un uomo che vi reggeva sulle braccia...» «Oh mio Dio! E chi era?» «Capisco il vostro stupore, signorina» ribatté Jennings sorridendo. «Non so chi mi aspettassi di vedere, ma certo non la persona che avevo davanti. Adam Burr, signorina! La sua testa calva luccicava nella luce della mia torcia e lui traballava un poco per lo sforzo di reggere voi e aprire contemporaneamente la porta. Era così buffo, a fare la parte dell'eroe forzuto, in veste da camera ricamata!» «Ma che diavolo ci faceva là?» domandai incredula. «È pazzesco: chiusa a chiave in una cabina con un cadavere e Adam Burr!» «Bene» riprese il commissario «a quel punto la prima cosa da fare era riportare voi nella vostra cabina. Le spiegazioni sarebbero venute in seguito.» Mentre mi descriveva il loro periglioso viaggio lungo innumerevoli scale e corridoi e io ringraziavo il cielo per conto loro di non avere ancora riacquistato i cinque chili perduti durante la malattia, fu bussato un colpo alla porta e sulla soglia comparve Adam, smunto e sdrucito per quell'infernale nottata. «Oh, eccovi, stavamo giusto parlando di voi» esclamò gaiamente Jennings. «Accomodatevi. Credo che la signorina abbia qualcosa da chiedervi.» Adam mi guardò preoccupato. «Grazie al cielo, state bene» borbottò. «È tutto qui quello che avete da dirmi, signor Burr?» domandai con scherzosa severità. «Dare la caccia a una ragazza per tutta la nave, chiudervi con lei in una cabina disabitata... Abbiamo diritto a qualche spiegazione, no?» Adam guardò a turno me e Jennings, un po' incerto. «Bene» disse poi
«Jennings ha già sentito tutta la storia, ma se insistete. Da un paio di giorni ero preoccupato per voi, Mary. Mi evitavate di proposito ed era evidente che avevate qualcosa per la testa. Ieri ho parlato di voi col vostro steward. Era addetto alla mia cabina, l'ultima volta che ho preso questa nave, siamo vecchi amici e mi ha detto della lettera anonima che avevate ricevuto. Bene, a farla breve, gli ho promesso qualcosa... qualcosa di sostanzioso, se mi avesse tenuto al corrente di ciò che facevate. Vedete» aggiunse in tono apologetico «avevamo già perduto una ragazza in questo viaggio e si dà il caso che io mi sia affezionato a voi, mia cara. Convalescenti entrambi di un intervento chirurgico e via dicendo... Ma lasciamo perdere i sentimentalismi. Ieri sera è venuto da me e mi ha detto della vostra progettata spedizione con Jennings, allora gli ho promesso...» «Oh, benone! Mi sentirà, il caro Trubshaw!» proruppe il commissario. «Oh no, non vi sentirà affatto» ribatté Adam in tono soave. «Vi ho già pregato di non creargli problemi, povero diavolo. Non vi conviene, perché se lo faceste, vi tirereste addosso una quantità di domande imbarazzanti, caro il mio Jennings! Avreste forse qualche difficoltà a spiegare che cosa facevate con una signorina in una parte disabitata della nave alle due e mezzo di notte. Sicché non interrompetemi più, per favore.» Venne a sedersi accanto a me e riprese: «Bene, decisi di seguirvi, insieme con Trubshaw che aveva una torcia elettrica e diceva di conoscere la nave come le proprie tasche. Avevo un duplice scopo, lo ammetto: vegliare su di voi e trovarmi sul posto nel caso che accadesse qualcosa di sensazionale. Arrivammo così fino all'angolo dell'ultimo corridoio senza che voi sospettaste la nostra presenza. Sennonché, dopo che eravate entrati nella cabina. non potei trattenere uno starnuto. Trubshaw fece dietro-front e si diede alla fuga, lasciandomi nel buio totale, ma riuscii a sgattaiolare oltre la porta della duecentotredici e subito dopo udii Jennings correre come un matto nella direzione opposta. Questo mi offri l'opportunità di vedere che cosa accadeva nella cabina, perciò mi riavvicinai senza rumore, scivolai dentro e mi nascosi dietro una tenda. Mi resi subito conto che avevate i nervi a fior di pelle, signorina Llewellyn, perciò decisi di non spaventarvi ancora di più comparendovi davanti all'improvviso e aspettare invece che tornasse Jennings. Pensavo che vi sareste messa a sedere tranquilla finché lui non fosse tornato e sarebbe andato tutto bene se non vi foste avvicinata inconsapevolmente a me, proprio nel momento in cui uno scossone della nave fece cadere la vostra torcia elettrica. Perdendo a vostra volta l'equilibrio, finiste addosso a me e vi aggrappaste alla mia mano. Non intendevo
spaventarvi, ma... bene, un attimo dopo giacevate svenuta fra le mie braccia e Jennings stava urlando terribili minacce davanti alla porta.» «Potete vantarvi di essere il primo uomo che mi abbia fatto svenire di paura, ma sono certa che eravate animato dalle migliori intenzioni!» esclamai. «Le vie dell'inferno...» «Esatto» m'interruppe Adam. «E credo che la nostra spedizione della scorsa notte sia un ottimo esempio di come potremmo ritrovarci a un tratto all'altro mondo se non badiamo agli affari nostri in questo. Allora, tutto perdonato e dimenticato?» «Certo.» Ci scambiammo vigorose strette di mano, poi Jennings tirò fuori una bottiglia di un certo amaro Picon e sorseggiammo tutti un aperitivo, con la reciproca promessa di tenere la bocca ben chiusa sui particolari della nostra comune avventura. Appena uscita dall'ufficio del commissario, Adam mi sussurrò: «Non ho detto a Jennings che siete stata voi a chiudere la porta a chiave, mia cara, ma credo di sapere perché lo avete fatto...» «Ve ne sono immensamente grata» ribattei con calore. «È stato un impulso irragionevole sotto la pressione del momento. È un ragazzo così gentile e...» Fui interrotta dalla voce di Jennings che mi chiamava dall'ufficio. Pregai Adam di aspettarmi sul ponte superiore e rientrai. Il commissario era seduto dove l'avevamo lasciato, con un sorrisetto malizioso sulle labbra. «Vi sarete forse chiesta come mai, nella mia veste ufficiale, non abbia preso alcun provvedimento nei confronti del signor Burr per il suo comportamento così poco ortodosso, signorina Llewellyn.» «Ho smesso da un pezzo di chiedermi qualcosa, a bordo di questa nave, signor Jennings» ribattei. «Bene, non avete mai pensato che dopo tutto il signor Burr potrebbe non essere il galantuomo che sembra?» «Certo che l'ho pensato, ma nel complesso sono incline a ritenere che sia davvero soltanto un gentile signore all'antica senz'altri vizi che quello, del tutto innocuo, di comportarsi da paparino premuroso.» Il sorriso del commissario si trasformò in una risata irrefrenabile. «Sapete» riuscì finalmente a dire «stavo quasi per arrestarlo la scorsa notte, ma mentre Trubshaw e io vi stavamo riportando in cabina, lui aprì una paratia davanti a noi, un soffio di vento fece svolazzare i lembi della sua bella veste da camera ricamata e... Oh, fu svelto a richiuderla con fre-
netica modestia, ma... Oh, signorina Llewellyn!» Fu interrotto da un altro scoppio di risa. «Ma in quell'attimo» riprese alla fine «avevo visto qualcosa che cancellò di colpo tutti i miei sospetti... No, credetemi, è impossibile dubitare della sua innocenza. Signorina...» Abbassò la voce come fosse su! punto di confidarmi una qualche scandalosa sconcezza. «Adam Burr porta la camicia da notte!» Sul ponte Mercoledì 18 novembre 5,00 p.m. Sicché ora. mio caro, la mia fiducia in Adam è completamente ristabilita e i nostri rapporti sono tornati quelli di prima. Io sono stata reintegrata nella mia posizione di valvola di sicurezza e lui è di nuovo il padre confessore e la zia zitella. E tutto il merito va alla rivelazione di Jennings sul suo abbigliamento notturno perché, Davy, come si fa a immaginare un delinquente che porta la camicia da notte? Ma tornerò più tardi a Burr. Ora debbo parlarti della mia visita alla signora Lambert, dopo pranzo. È molto più calma, ora: quando sono entrata da lei. era impegnata in una conversazione molto animata con Earnshaw. Pare che sia disposta a offrire una ricompensa a chiunque sia in grado di fornire qualche informazione che possa portare alla scoperta del colpevole, ma il capitano Fortescue, col quale ne ha parlato, è sempre riluttante a far sapere ai passeggeri che fra loro si nasconde un efferato assassino. A bordo ha appena cominciato a instaurarsi un'atmosfera di gaia serenità e capisco che il comandante detesti l'idea di mandar tutto all'aria. Earnshaw, invece, ha un'aria sempre più sparuta e distrutta. Persino i suoi affascinanti baffetti sembrano molli e cadenti. Più di una volta ho sorpreso la signora Lambert guardarlo in una maniera particolare, come se temesse che possa compiere qualche gesto disperato. Ma devo dire che, nonostante tutto, a me è sembrato ragionevolissimo e perfettamente padrone di sé. Quando mi congedai, mi accompagnò per un tratto in corridoio e io gli parlai della mia avventura notturna, senza accennare, naturalmente ai miei vari sospetti su Tizio e Caio. Lui ascoltò con profondo interesse e quand'ebbi finito commentò: «È stata un'idea davvero splendida, signorina Llewellyn. Anch'io ho dato la caccia a quel Robinson, in questi giorni, ma
non mi è mai venuto in mente di andare a guardare in quella cabina. Del resto, le probabilità di trovare qualcosa erano assai scarse e difatti non avete trovato nulla, tranne... Scusatemi, ma non posso fare a meno di pensare che la presenza dei signor Burr fosse decisamente sospetta!» «Il signor Burr non va molto a genio né a voi né alla signora Lambert, vero?» domandai con finto candore. «Oh, io non ho assolutamente niente contro di lui» si affrettò a dichiarare Earnshaw. «Niente. Era un concorrente del signor Lambert, ma mi sembra un tipo innocuo. Tuttavia, mi auguro che siate molto cauta. Quando penso a ciò che è accaduto alla povera Betty... La notte, tenete chiusa a chiave la porta della vostra cabina, vero?» «Sempre. E il comandante ha incaricato qualcuno di tener d'occhio la mia cabina. Non preoccupatevi per me.» Mi tese la mano e lo vidi sorridere per la prima volta dalla morte di Betty: un sorriso quasi tenero che mi rimescolò lievemente il sangue, come forse era accaduto tante volte a Betty. Ma soltanto poco poco, tesoro! «Voi piuttosto dovreste avere maggior cura di voi stesso» aggiunsi. «Avete l'aria completamente distrutta,» Poi liberai la mano che pareva essere rimasta stretta fra le sue e salii sul ponte dove poco dopo mi raggiunse Adam. «Allora, mi avete perdonato?» furono le sue prime parole. «Vi ho dato sì o no la prova che. anche se sono vecchio e calvo, la vostra sicurezza mi sta particolarmente a cuore? Se sì, avrei una notiziola che forse v'interesserà. Tanto più che vi riguarda personalmente.» Chi mai, Davy, avrebbe potuto resistere a un preambolo del genere? Mi affrettai ad assicurare Adam che ero tutt'orecchi. «Bene, c'è finalmente qualche novità a proposito di Betty. Dopo pranzo sono andato da Jennings per ripetergli ciò che pensavo di lui per avervi portata in quel lurido posto a quell'ora di notte. Sapete, siamo vecchi amici, Jennings e io, ma c'è un limite a ciò che si può sopportare, anche coi vecchi amici! Così ho saputo che era stato il comandante a raccomandargli di assecondarvi in ogni vostro desiderio perché pare che siate coinvolta in qualche modo con la morte di Betty.» Mi rizzai a sedere sulla sedia a sdraio. «Coinvolta! Ma che diavolo intendete dire? Ero seduta a chiacchierare con Earnshaw in sala da fumo quando quella povera figliola...» «Ma no! Non è che siate sospettata, per carità! Oltre tutto ci vorrebbero ben altri muscoli che i vostri per scaraventare una persona fuori del para-
petto della nave! Ma sembra che avesse lasciato un messaggio per voi, la sera della sua morte.» «Un messaggio per me? Io non ho ricevuto niente!» «No, purtroppo l'aveva lasciato allo steward intorno alle nove e voi non siete più scesa in cabina dopo quell'ora.» «Ma come mai nessuno mi ha mai detto niente? Ero direttamente interessata, dopo tutto!» «Non siate impaziente, mia cara. Ve lo sto dicendo io ora. Dunque, Trubshaw, che è anche lo steward dei Lambert, udì per caso, intorno alle otto e un quarto di quella sera, un'accesa discussione nell'appartamento dei Lambert, poi la porta si spalancò e ne uscì Betty in lacrime, esclamando: "Puoi dire quello che vuoi, ma io ci vado lo stesso", o qualcosa del genere. Lo steward ne è certissimo. Poi Betty andò nella propria cabina e chiuse la porta a chiave. Dopo circa tre quarti d'ora suonò il campanello per Trubshaw, che la trovò distesa sul letto, al buio. Con voce ancora tremante di pianto, Betty gli disse che desiderava vedervi non appena foste scesa in cabina, gli diede un dollaro di mancia e gli fece promettere di non dire niente a nessuno, ma insisté perché vi riferisse il messaggio, a qualunque ora, perché si trattava di cosa molto urgente. È un vero peccato che non l'abbiate mai ricevuto: forse avreste potuto salvarle la vita, povera Betty! Da quel momento, l'unica che la rivide fu sua zia, verso le undici, poco prima che venisse uccisa.» «Ma è spaventoso!» proruppi. «Probabilmente voleva chiedermi di andare con lei a quell'appuntamento. Non mi sorprende che la signora Lambert fosse tanto preoccupata da uscire a quell'ora per andare a cercarla. Non ha detto niente lei dell'incidente di poco prima?» «Oh, è stata terribilmente sconvolta quando si è tirato in ballo quell'argomento. Si rimprovera di non essere stata più comprensiva con la nipote. A quanto pare, aveva chiesto a Betty che cosa avesse intenzione di fare quella sera e la ragazza aveva risposto che, siccome Earnshaw era occupato, sarebbe andata a un appuntamento sul ponte. La signora Lambert le domandò se foste voi la persona con la quale aveva appuntamento e quando alla fine Betty confessò che si trattava di un uomo, protestò energicamente, dichiarando che sarebbe stato oltremodo sconveniente mostrarsi in giro con un estraneo a così poca distanza dalla morte di suo zio. E, piuttosto scioccamente, concluse proibendole di andare. Fu allora che Betty uscì dalla stanza pronunciando la frase udita da Trubshaw.» «E l'uomo chi era?» domandai tutta eccitata.
«Qui sta il punto. Betty rifiutò di dire il suo nome e qualunque altra cosa che lo riguardasse. Una spiegazione almeno parziale la si ebbe poi quando fu trovata la lettera anonima nella sua borsetta, ma ormai era tardi, purtroppo. Però Earnshaw era presente anche lui, in quel momento, e se avesse sangue nelle vene, avrebbe insistito perché Betty restasse con lui, invece di permettere che andasse a farsi scaraventare in mare da quell'assassino di Robinson. Ma già, io l'ho sempre giudicato un mezzo gigolò...» «Gigolò un corno» protestai indignata. «Come poteva prevedere una cosa simile? Oltretutto, era impegnatissimo con le carte di Lambert, me l'ha detto lui stesso.» «Il che non gli impedì di trascorrere poi un bel po' di tempo con voi, quella stessa sera!» «Sciocchezze. Voleva soltanto parlarmi di Betty. Era pazzamente innamorato di lei e certo pensava che in quel momento fosse tranquilla nel suo letto. Siete un vecchio sciocco e sospettoso, Adam Burr! E siete geloso perché Earnshaw è il giovanotto più attraente che ci sia a bordo.» «Più attraente di Jennings con la sua bella uniforme? Più attraente del giovanotto per il quale scrivete il vostro diario? Più attraente di... me?» Naturalmente non c'era niente da rispondere a domande tanto insulse! Alzai le spalle, guardando il mare. «Mmmh!» mi sussurrò Adam all'orecchio. «E sono incline a pensare che la signora Lambert la pensi come voi. Non è una pollastrella, vero, ma se volete perdonarmi la volgarità, gallina vecchia fa buon brodo. E il signorino sembra molto prodigo di attenzioni, da quanto è diventata una ricca vedova... Si dà un gran da fare per consolarla!» Risi mio malgrado. Parola mia, Davy, quell'uomo è più pettegolo di una vecchia zitella! «Mi vergogno di voi, Adam Burr!» esclamai. «Quando è in gioco la virtù femminile, diventate di un cinismo intollerabile. Diffamate Earnshaw soltanto perché i suoi baffetti e i suoi capelli neri lo fanno assomigliare al bel tenebroso del dramma. Ma a parte il fatto che aveva un alibi perfetto in entrambi i casi, posso ricordarvi che il nostro tenebroso in questione è senza baffi, con i capelli castani e gli occhiali! Come investigatrice in erba, non m'interessa affatto Earnshaw. Mi interessa soltanto Robinson.» «Bene, questo almeno lascia fuori me» ribatté Adam ridendo. Poi aggiunse, rifacendosi serio: «E difatti, le autorità sono propense a pensarla come voi sul conto di Robinson. Sono convinte che si tratti di una messinscena, probabilmente di un passeggero travestito, e che lui e lui soltanto sia
il responsabile dell'uccisione di Lambert e di Betty.» Ebbi un lieve brivido. «In altre parole, ogni volta che mi trovo seduta accanto a un uomo, a tavola, sul ponte o in sala da fumo, il mio vicino potrebbe essere Robinson! Un pensierino davvero piacevole!» «Bene, e allora eccovi un'idea per mettervi di buonumore. Perché non trasformare il ballo mascherato di stasera in un "Robinson party"? Far vestire tutti come il nostro misterioso compagno di gioco e dare un premio a chi riuscirà ad assomigliargli di più. Saremo noi i giudici. Potrebbe comparire anche lui a impersonare se stesso! A proposito, voi come vi vestirete?» «Da giornale, naturalmente, e preghiamo Iddio che non ci sia troppo vento. E ora, se non avete altro da dirmi, andrei a fare un sonnellino, in preparazione di stanotte e in riparazione della notte scorsa.» Adam si grattò la zucca pelata. «No, voi non andate a fare un sonnellino, andate a scribacchiare in quel vostro infernale libercolo! E io ho ancora qualcosa da dirvi. La signora Clapp, l'inimitabile Marzia Manners, ha promesso di recitare qualcosa, stasera. Ma acqua in bocca, badate! Jennings me l'ha rivelato in gran segreto.» «Splendido!» esclamai alzandomi. «Se è ancora quella di un tempo, sarà uno spettacolo meraviglioso. Varrebbe da solo il prezzo del viaggio. Bene, ci vediamo a cena.» Mi eclissai e ora la profezia di Adam si sta avverando, perché sto scrivendo a te, Davy, invece di dormire. Ma c'è tempo anche per un sonnellino ed è quello che farò. Sul ponte Giovedì 19 novembre 9,30 a.m. Bene, Davy, ieri sera, quando ho visto i passeggeri festosamente abbigliati per il ballo in maschera, ho sentito che la crisi era proprio finita. Dopo i terrori dei giorni scorsi, le facce lunghe e le espressioni luttuose, è stato un vero sollievo ritrovarsi di nuovo fra gente allegra e desiderosa di divertirsi. Devo dire che lo champagne offerto da Adam al nostro tavolo a cena fu di grande aiuto per ravvivare il nostro spirito. La nave era splendidamente addobbata e le autorità stanno facendo di tutto per farci dimenticare le due tragedie tuttora insolute che tuttavia, nonostante i loro sforzi, io non riesco a togliermi dalla mente. Wolcott, finalmente riapparso dopo un'indisposizione durata diversi
giorni, era vestito da monaco medievale, un costume che si addice quant'altri mai al suo sorriso oleoso e alla sua untuosa soavità. Nel corso delle prime due portate, continuava a ripetere Pax vobiscum a ogni osservazione, finché Daphne, una splendida Britannia, non minacciò di ficcargli il suo tridente nello stomaco se non l'avesse piantata. Silvera, con l'ovvio intento di accentuare la sua pretesa origine spagnola, si era vestito da torero e sembrava più che mai scuro e ardente. Provavo quasi pietà per il toro, ogniqualvolta coglievo il lampo minaccioso dei suoi occhi neri e crudeli. Il piccolo Daniels faceva il gradasso nelle vesti di Don Giovanni, un costume che riusciva soltanto a mettere in risalto la sua minuscola statura e ad accentuare l'imponenza e lo splendore della sua Britannia intorno alla quale volteggiava senza posa come una gallina che abbia covato un uovo di tacchino. Un famoso psicologo ha detto che la scelta di un costume rivela i desideri repressi di un individuo e se questo è vero, è stata senz'altro una rivelazione sensazionale nel caso di Adam che, camuffato da irsuto cavernicolo, con un gran ciuffo di crini di cavallo sulla testa calva, un indumento indefinibile intorno al ventre sporgente e le esili gambe tinte di scuro, andava dicendo a tutte le signore che gli capitavano a tiro: «Io sono Adamo, volete essere la mia piccola Eva?» La signora Clapp indossava come al solito un semplice abito da sera nero, ma si diceva che si sarebbe poi cambiata per recitare i monologhi che aveva promesso. E ora, poiché sei sempre così sensibile e carino per quanto riguarda i miei vestiti, ti descriverò il mio costume, studiato non tanto per la sua originalità quanto per consentirmi di rifiutare gl'inviti a ballare senza dover dilungarmi troppo sui particolari della mia salute. Per il vestito, avevo cucito insieme un certo numero di vecchi giornali, in testa portavo un berretto a forma di bottiglietta d'inchiostro, il mio collo di cigno era abbellito da una collana di penne stilografiche e il mio vitino di vespa era stretto da una cintura con rosette di nastro dattilografico e carta assorbente. Un insieme delizioso, come puoi immaginare! Dopo cena, ebbero inizio le danze nel salone delle feste e ti assicuro che era uno spasso vedere Britannia troneggiare sopra il suo ardente Don Giovanni e il primitivo Adam stringersi contro il petto irsuto le passeggere più giovani e graziose. Dopo che i passeggeri si furono divertiti a far esplodere un numero incredibile di palloncini e a ingarbugliarsi a vicenda con mucchi di stelle fi-
lanti, ci fu un intervallo e io stavo per mettere a repentaglio il mio costume salendo sul ponte quando Jennings annunciò che la signorina Marzia Manners, la famosa attrice, aveva gentilmente acconsentito a recitare due monologhi. Ci riversammo tutti in sala da pranzo dove era stato allestito un rudimentale palcoscenico. Adam mi trovò una sedia in prima fila e aspettammo con ansia la comparsa della signora Clapp, quella donna strana e triste che un tempo aveva stregato con la magia della sua arte principi e potentati. Davy, non avrei mai pensato che un monologo potesse diventare un tale spettacolo! Si aveva l'impressione che il piccolo palcoscenico fosse affollato di attori, tanta era l'abilità con la quale Marzia Manners sapeva farti capire che cosa dicessero o facessero i suoi presunti interlocutori. Nella prima esibizione, interpretava la parte di una donna sulla quarantina che ha deciso di divorziare. Alcune amiche vengono allora a pregarla di riflettere su quella drastica decisione, una spiegandole che ha assolutamente bisogno di lei per certi suoi comitati; un'altra, dopo espressioni d'imperituro affetto, finisce col lasciar intendere il proprio vivo desiderio di non dover rinunciare ai deliziosi pranzi che la cara Agatha è solita offrire; una terza, infine, è costretta ad ammettere che per lei sarebbe un grosso dispiacere interrompere l'eccitante flirt intellettuale col marito dell'amica. Dopo questa prima parte (che fu un capolavoro di satirica comicità, un tripudio di astuzia maliziosa) il quadro si fa più serio, persino patetico, con la comparsa della figlia della protagonista che, con la spietata franchezza dei giovani, mette in rilievo il fatto che il divorzio dei genitori comprometterebbe gravemente la sua posizione in seno alla cerchia dei suoi amici e prega la madre di rimandare la propria decisione almeno fintanto che lei non avrà ottenuto il posto cui ambisce in un'elegantissima boutique. Senza una sola parola di rimpianto di fronte alla prospettiva di perdere la compagnia della mamma. E infine, dopo un affascinante interludio con un cagnolino (ti giuro, Davy, sembrava di vederlo agitare la coda!) arriva il marito. A questo punto, Marzia Manners superò se stessa interpretando le due parti, passando alternativamente dall'una all'altra limitandosi solo a mutare le inflessioni della sua voce meravigliosa. Dopo avere ammesso numerose infedeltà delle quali appare evidente che Agatha non ha mai avuto il minimo sospetto, l'uomo la supplica di restare con lui, prima facendo leva sul bene dei figli e sull'unità della famiglia, e alla fine confessando che lei è l'unica donna capace di rendergli la vita
comoda e facile. Confessione per confessione, Agatha gli rivela allora che non ha affatto intenzione di lasciarlo ma che è ricorsa a quell'espediente soltanto per scoprire quali sono in realtà i sentimenti del marito, dei figli e degli amici nei suoi confronti. "E ora" conclude "spero che potrai portarmi alle Bermuda, il mese prossimo. Sono le nostre nozze d'argento, ricordi?'' La fine del monologo fu accolta da un'ovazione strepitosa. Giovani e meno giovani, chi l'aveva sentita a malapena nominare e chi l'aveva conosciuta nel fulgore della sua carriera, applaudivano freneticamente, battendo i piedi sul pavimento con tale vigore da farmi temere che saremmo precipitati tutti quanti nella stiva... o in qualunque altra cosa sia che sta sotto la sala da pranzo. Dopo un paio di minuti. Marzia Manners tornò per il secondo monologo e recitò un'altra scenetta deliziosa interpretando la parte di una vecchia signora che, rovinata dalla grande depressione, non sa decidere con quale dei suoi numerosi parenti andare a vivere. Finirà per scegliere il peggiore dei suoi figli, un poco di buono sconsigliabile sotto ogni punto di vista, soltanto perché ha i calzini bucati ed è solito offrirle cocktail e sigarette come se lei avesse quarant'anni invece di ottantacinque. Mi stavo ancora meravigliando della straordinaria abilità con la quale Marzia Manners sapeva contraffare età, voce e personalità quando qualcuno esclamò alle mie spalle: «Sant'Iddio, e pensare che un'artista simile ha potuto abbandonare il palcoscenico per sposare un uomo che si chiamava Clapp!» Era Earnshaw che fissava con occhi lucenti il piccolo palcoscenico vuoto. Indossava un vestito normale, perciò doveva essere salito soltanto per assistere allo spettacolo ed evidentemente non era stato deluso. «Oh, signor Earnshaw, non è stata grande?» chiesi, eccitata. «Sono contenta che non vi siate perso lo spettacolo. Che ne direste di una capatina su! ponte, ora che stanno ricominciando le danze?» Mi girai verso Adam. «So che voi morite dalla voglia di ballare e vedo laggiù una biondina che sembra aspettare soltanto d'essere invitata.» «Grande!» ripeté Earnshaw mentre la fresca brezza dell'oceano accarezzava le nostre facce accaldate. «Grande è la parola giusta. E pensare» aggiunse assorto «che un tempo avevo pensato di recitare anch'io! È stata la prima volta in due giorni che ho smesso di pensare alla povera Betty, sia pure per un minuto solo! Sa farti dimenticare il mondo intero, quella donna.» Lo guardai con un sorriso comprensivo e sedetti su una sedia a sdraio,
con un gran fruscio di carta. Earnshaw prese fra le dita un angolo del mio vestito e osservò le quotazioni della pagina finanziaria che formava una manica. «Che cosa rappresenta questo costume?» domandò distrattamente. «Un giornale. Ma non allarmatevi se queste quotazioni indicano un calo nel valore delle azioni di borsa. Può darsi che il giornale sia vecchio di anni. Ne ho preso un certo numero a caso, in ufficio, prima di partire.» Fece un sorrisetto smorto. «Siete una cronista, vero?» disse in tono cortese, ma con gli occhi privi di espressione fissi sulla distesa dell'oceano. «Io preferisco giornalista, ma spero di essere ugualmente affascinante comunque mi chiamino, no?» «Ma certo, ora ricordo. Qualcuno, Jennings credo, mi ha anche detto che tenete un diario dove avete annotato tutto ciò che è accaduto finora a bordo, soprattutto per quanto riguarda... la morte del signor Lambert e...» «È vero, ma si tratta di appunti buttati giù alla meglio. Scrivo per divertimento e per fare una sorta di resoconto a un amico, la persona di cui vi ho parlato l'altra sera... senza alcuna pretesa di esattezza scientifica.» "Divertimento" non era stata un'espressione molto felice, se consideri con chi stavo parlando, ma Earnshaw parve non dare alcun peso a quella parola, perché si chinò verso di me con improvviso interesse dicendo: «Sapete, signorina Llewellyn, sono stato così terribilmente sconvolto, in questi ultimi giorni, che quasi non connetto. Non sono stato capace di pensare con chiarezza e coerenza, ma... ho, o almeno credo di avere... una teoria. Una teoria che mi sembra abbastanza valida. Riguarda il figlio del signor Lambert, quello che si suppone viva in Sudamerica, ma naturalmente non posso dire niente di preciso finché non avrò riflettuto più a fondo e non avrò controllato alcuni aspetti del caso. Mi chiedevo dunque se non potremmo dare un'occhiata insieme a quel vostro diario: chissà che non ci sia qualcosa a sostegno della mia idea.» Non ebbi il tempo di rispondere, Davy, perché in quel momento udimmo qualcosa che ci fece smettere di parlare, trattenendo il respiro. L'orchestra aveva smesso di suonare da qualche momento e io avevo notato una coppia che era uscita sul ponte ed era andata a sedersi poco lontano da noi, ma dietro una tenda che la nascondeva ai nostri occhi. Poiché nessuno li vedeva, probabilmente i due non si resero conto che qualcuno poteva udirli. La prima frase fu sufficiente per inchiodare la nostra attenzione. «Non può continuare così! Non lo sopporto!» Era la voce della signora Clapp, con un tono angosciato. Ma non udimmo la risposta, senza dubbio pronunciata da qualcuno non avvezzo come
lei a convogliare la propria voce attraverso una vasta platea. Poi la voce della signora Clapp riprese: «Ma, tesoro, io pensavo che saresti rimasta sempre con me. Anche se ho avuto delle colpe in passato, non immaginavo mai che questo potesse dividerci.» Per quanto tendessimo l'orecchio, né Earnshaw né io fummo in grado di distinguere le parole del secondo interlocutore. «Sei l'unica persona cui mi sia mai realmente affezionata» proseguì la signora Clapp. «La sola che comprenda la mia situazione con Alfred e quello che ho passato per causa sua, la sola...» A questo punto l'orchestra riprese a suonare e non udimmo più niente. Earnshaw, che si era alzato tentando invano di vedere chi fosse l'altra persona, tornò accanto a me. «Non sono riuscito a vedere la persona con la quale parlava» mi sussurrò all'orecchio «ma ciò che ha detto la signora Clapp è stato molto, molto interessante. E si adatta benissimo alla mia teoria. Sapete, il giovane Lambert si chiama per l'appunto Alfred.» «E anche il vecchio Lambert» sussurrai di rimando. In quella vidi Adam marciare verso di me, agitando le braccia a imitazione di un gorilla. «Voglio il mio giornale» esclamò con voce da ubriaco. «La valvola di sicurezza anche per un uomo primitivo!» Earnshaw si alzò, scusandosi educatamente, e io tornai nel salone con Adam per osservare un po' il ballo prima di andarmene a letto. La signora Clapp, che sembrava una donna di trent'anni, ballava il valzer con Jennings. Indossava ancora l'abito di scena, di luccicante lamé argenteo e insieme con gli abiti da lutto sembrava aver messo in un canto anche il suo dolore vedovile. Rispondeva con sorrisi smaglianti alle persone che si congratulavano con lei per la sua esibizione, tanto da indurmi quasi a dubitare che fosse stata proprio lei a pronunciare le frasi drammatiche che avevo udite sul ponte soltanto pochi minuti prima. Daphne sedeva in un angolo con Daniels e, abbandonati elmo e tridente, sembrava una Britannia stanca e accaldata, mentre Wolcott, rinunciando al ballo, si stava dirigendo verso la sala da fumo in compagnia di tre uomini d'affari dall'aria alquanto brilla. Silvera non si vedeva da nessuna parte e nell'insieme sembrava che tutti avessero perduto molto del brio iniziale, forse anche perché nel salone si soffocava dal caldo. «Torniamo sul ponte» dissi ad Adam. «La vostra zucca ha bisogno di raffreddarsi un poco e se io non respiro subito una boccata d'aria fresca, vi ritroverete un'altra volta a dovermi portare via svenuta.»
Usciti sul ponte, ci accomodammo sulle sedie a sdraio che Earnshaw e io avevamo lasciato poco prima, Adam mi accese una sigaretta e restammo per qualche momento a osservare in silenzio la volta stellata del cielo. Era una notte di calma assoluta e il movimento della nave era appena appena percettibile. «Fra un giorno o due dovremmo cominciare a vedere la Croce del Sud» disse Adam. «Domenica saremo a Georgetown.» «Sia lodato il cielo!» esclamai. «Sarà un bel sollievo avere per un po' il terreno solido sotto i piedi! Sono così nauseata di tutto questo combattere, di omicidi e di morti improvvise...» E gli riferii il colloquio che Earnshaw e io avevamo udito proprio lì sul ponte. «Un momento, un momento» proruppe lui quando ebbi finito di raccontargli il terzo monologo della signora Clapp. «C'è una cosa che dovete sapere, prima di riportare tutto su quel vostro diario. Anche il defunto marito di Marzia Manners si chiamava Alfred, lo so per certo.» «Santi numi, c'è un numero indecente di Alfred in questa storia! Fosse almeno un bel nome!» Smisi di parlare, Davy, perché in quel momento due persone uscirono dal ponte e andarono a occupare le sedie a sdraio dove già si erano seduti la signora Clapp e il suo ignoto accompagnatore o accompagnatrice. Puoi immaginare la mia sorpresa quando riconobbi Daniels e Wolcott che fino a pochi momenti prima avevo visto in tutt'altre faccende affaccendati e che, abbandonata la reciproca inimicizia, erano impegnati ora in un'animatissima conversazione. Caro Davy, a questo punto mi dirai che origliare è altamente riprovevole, ma devi ammettere che le terribili esperienze di quei giorni bastavano a giustificare molte cose. In amore e in guerra tutto è lecito, perciò Adam e io tendemmo sfacciatamente l'orecchio, favoriti dal fatto che in quel momento l'orchestra suonava in sordina. «Non avete un briciolo di prova contro di me, Daniels» stava dicendo Wolcott. «Non un briciolo.» «Ah no?» ribatté il londinese in tono bellicoso. «Se cominciassi a dire quello che so, mio caro, vi trovereste in tali guai da farvi desiderare di seguire la strada di Betty Lambert. Basterebbe una mia parola e i passeggeri di questa nave vi farebbero a pezzettini.» «Sciocchezze, Daniels. State esagerando.» Anche da lontano, avvertivo un lieve tremito nei toni untuosi di Wolcott. «Sapete benissimo che non potete fare niente e che anche se lo poteste, non fareste niente lo stesso, per
il buon nome della Compagnia. Un altro scandalo rovinerebbe del tutto la reputazione della nave. Iddio sa se sarà già abbastanza dura adesso!» Passò un lungo momento prima che Daniels replicasse. «Devo ammettere che non conviene nemmeno a me dire ciò che so, in questo momento. Anzi, potrei persino dimenticare tutto, a una condizione. C'è un piccolo problema al quale sto pensando da un po'. È una faccenda sporca, ma...» A questo punto l'orchestra riprese a suonare con vigore e non afferrammo più altro che frammenti della loro conversazione. Una cosa pazzesca, Davy, perché udii distintamente il mio nome, una volta o due, poi mi giunse la voce di Daniels che diceva: «Tiene un diario di tutta la faccenda, compresa la partita di bridge... Dovete farlo assolutamente, Wolcott, questa è l'unica soluzione.» Poi la voce di Wolcott: «Troppo rischioso, Daniels... la signorina Llewellyn... una giornalista... delitto... orribile...» Non udimmo altro perché il ballo era finito e una quantità di gente usci sul ponte. Scambiai un'occhiata interrogativa con Adam poi guardai l'ora. Erano le undici e mezzo. «È ora di andare a dormire. Buonanotte, Adam» dissi. «A domani.» Ero troppo stanca per fermarmi a commentare quegli ultimi sviluppi, ma prima di andare a letto presi una decisione che ho appena messo in atto. Troppa gente è interessata al mio diario. Bene, ora esso riposa nella cassaforte personale del comandante. L'ho depositato là stamattina e non rivedrà la luce finché non saremo a Georgetown e lo impacchetterò per spedirlo a te. Nessuno al mondo potrà mai convincermi a tirarlo fuori di nuovo. Non ho confidato la mia mossa ad anima viva e via via che finirò un capitolo lo consegnerò al capitano Fortescue perché lo metta a! sicuro. E questo è tutto, Davy caro. Sul ponte Venerdì 20 novembre 2,30 p.m. Davy carissimo, sapessi come rimpiango che zia Caroline non abbia seguito la sua prima intenzione di accompagnarmi in questo viaggio! Avrei terribilmente bisogno di una donna, accanto a me: qualcuno di cui possa fidarmi. In certi momenti, mi sembra che finirò con l'impazzire se dovrò trascorrere il resto della mia "vacanza" sospettando di tutti quelli che vedo!
E poi ci sono tante correnti e controcorrenti su questa nave da farmi temere che prima o poi si metta a girare su se stessa come una trottola e finisca per essere risucchiata in un vortice gigantesco. Ormai mancano meno di tre giorni all'arrivo a Georgetown, dopo di che il sanguinario Robinson diverrà forse un mito e gli spettri di Lambert e di Betty andranno gemendo sopra l'Atlantico, invendicati in eterno. Ma torniamo ai fatti, quali li ho appresi stamattina da Adam, infaticabile ficcanaso. Una cosa è certa, dice. Le autorità (lo ha saputo da Jennings) si attengono alla teoria che sia stato indubbiamente Robinson a uccidere Lambert e Betty, che il suo sia un travestimento, che si tratti di un passeggero o di un membro dell'equipaggio e che nessuno, finora, abbia la più pallida idea del movente. Sono stati inviati radiogrammi al quartier generale della polizia di New York ma non si è ottenuta alcuna informazione che possa fare qualche luce sul mistero. E questo è quanto. Le possibilità riguardanti l'identità di Robinson sono talmente tante che non servirebbe a nulla prenderle in considerazione. Vi sono più di cento uomini a bordo e oltretutto io continuo a essere convinta che possa trattarsi invece di una donna. E nemmeno a farlo apposta, proprio le persone che non possono assolutamente essere Robinson, sono quelle che finora si sono comportate nella maniera più sospetta. Alludo naturalmente a Daniels e a Wolcott e alla loro conversazione di ieri sera sulla quale Adam e io stiamo ancora arzigogolando. Stavamo discutendo appunto di quello, stamattina in sala da fumo, quando i due entrarono insieme, con l'aria di vecchi amiconi, e si misero a giocare a bridge con altri due passeggeri. Dopo una mezz'oretta, però, Wolcott mise fine al gioco, si alzò e uscì dalla sala. Tornò dopo una diecina di minuti, confabulò sottovoce per un certo tempo con Daniels poi i due si avvicinarono insieme al bar e invitarono a giocare altri due passeggeri. A questo punto la nostra curiosità si era fatta quasi irresistibile, perciò andammo a chiedere ai giocatori il permesso di stare a osservare la partita. Daniels e Wolcott erano compagni e benché il gioco in sé non avesse assolutamente niente di eccezionale, notai un particolare che mi stupì moltissimo. La sera in cui era morto Lambert, lo ricordavo perfettamente, Wolcott aveva dichiarato di non nutrire alcun interesse per il bridge o quanto meno di essere interessato soltanto alla psicologia del gioco e ora lo vedevo giocare con grande abilità, molto meglio del piccolo Daniels che infilava un errore dopo l'altro, provocando continui scuotimenti di testa e sommessi brontolii da parte del compagno.
«Da quanto giocate?» s'informò Adam dopo che Daniels ebbe mancato un ovvio piccolo slam, andando sotto di parecchie centinaia di punti. «Io preferisco giocare soltanto per il piacere di giocare» ribatté Wolcott con un tono untuoso. «Il bridge è un gioco così nobile che non dovrebbe mai essere commercializzato.» Restammo a guardare ancora per un poco, poi ce ne andammo a passeggiare sul ponte, dov'erano in pieno svolgimento i primi incontri di vari tornei sportivi: grossi anelli di gomma volavano in tutte le direzioni, coppie rumorose strillavano eccitate gareggiando nel tennis di bordo, un disco da shuffle-board quasi mi azzoppò mentre mi dirigevo verso il parapetto. «Oh accidenti, scusatemi!» gridò Daphne. Avrei dovuto indovinarlo che soltanto lei poteva essere la responsabile di un colpo simile. Risposi con un sorriso alle sue scuse. «Oh, signorina Llewellyn» esclamò la signora Clapp che, in tailleur bianco, chissà per quale strano gioco di luci e ombre sembrava una ragazza di sedici anni invece che una donna di sessanta. «Dovete assolutamente partecipare al torneo di shuffle-board. Daphne e io vogliamo sbaragliarvi. Abbiamo già eliminato due coppie!» «Mi dispiace» ribattei «ma sono già stata sbaragliata a sufficienza prima d'imbarcarmi e non avrei nemmeno la forza...» Ma la signora Clapp aveva già smesso di badare a me. Tornata al suo gioco, lanciò un disco con vigore quasi pari a quello di Daphne. Marzia Manners è senza dubbio una donna eccezionale, Davy. Il successo di ieri sera le ha restituito brio e gioventù e riesce difficile credere che quella di oggi sia la stessa donna vecchia e incolore che ho visto la prima sera a bordo. C'è il fuoco in quei suoi occhi neri, lo stesso fuoco che c'era nelle parole udite da me e da Earnshaw ieri sera sul ponte. Di che cosa parlava, e con chi? Finora, né Adam né io siamo riusciti a immaginarlo. E quale segreto esiste fra Daniels e Wolcott? Che cosa sono? Come mai sono diventati improvvisamente tanto amici e tanto appassionati di bridge? E perché, perché tutti s'interessano tanto del mio diario che ora, grazie al cielo, riposa sicuro nella cassaforte del comandante? E Daphne... È soltanto una qualsiasi inglese supersviluppata dall'animo semplice, i piedi enormi e le braccia robuste dell'esperta infermiera? O. come dice Adam, "non è affatto il tipo della premurosa assistente che vorrei avere accanto al mio letto di dolore"? Adam e io abbiamo discusso di questo e di altri problemi mentre osser-
vavamo pigramente la sterminata distesa dell'Atlantico, poi ce ne siamo andati a pranzo. In cabina Venerdì 20 novembre 6,30 p.m. Durante il pranzo, lo steward mi portò un biglietto. Era della signora Lambert, che mi pregava di scendere da lei per il tè, oggi pomeriggio. Naturalmente risposi che ne sarei stata felice e alle quattro e mezzo bussai alla porta del suo appartamento, ma esitai un attimo sulla soglia perché nella stanza c'erano anche il dottor Somers e l'infermiera. Fu Earnshaw a invitarmi a entrare. La signora Lambert era distesa sul divano del salotto, vestita di un abito nero lungo e perfettamente adatto alle circostanze. Era pettinata con cura, ma senza un filo di trucco, così che dimostrava tutti i suoi anni e anche qualcosina in più. In compenso, il suo aspetto è notevolmente migliorato per il fatto che ha perduto sei o sette chili dopo la morte di suo marito. «Allora, signorina Llewellyn» domandò il dottor Somers con una sorridente sollecitudine giovanile che col tempo diventerà certamente il perfetto atteggiamento del medico al capezzale del paziente «come le sembra oggi la nostra malata?» Stringendole affettuosamente una mano, dissi alla signora Lambert quanto mi facesse piacere vederla di nuovo alzata e l'infermiera mi sorrise come se avessi fatto un complimento a lei. «Sì, si» continuò Somers «ormai mi riporto via anche l'infermiera. Aria fresca e cibo sostanzioso, signora Lambert, sono la mia ultima ricetta.» Lei fece un sorrisetto smorto. Poi il dottor Somers si rivolse a Earnshaw, il cui viso pallido era in stridente contrasto con quello abbronzato del chirurgo. «E voi, signor Earnshaw... La stessa prescrizione vale anche per voi. Finirò per avervi nel mio elenco di pazienti se non farete come vi dico. Cercate d'interessarvi alla vita di bordo, giocate a tennis, a shuffle-board, a bridge e scacciate i guai dalla mente. Parlo sul serio, mio caro. Avete una gran brutta cera!» Usciti il medico e l'infermiera, l'atmosfera del salotto, priva della loro gaiezza professionale, parve farsi gelida e impacciata. Per qualche momento nessuno parlò, ma dopo che Trubshaw ebbe servito il tè, la mia ospite
fece del proprio meglio per vivacizzare un po' l'ambiente. Ammirai i suoi sforzi, così come ammiravo le affascinanti maniere di Earnshaw, ma niente riusciva a farmi dimenticare le prove terribili subite da entrambi in quei giorni. Fu Earnshaw a tirare finalmente in ballo l'argomento che occupava i pensieri di tutti e tre. «Signorina Llewellyn, vi ho detto ieri sera che fino dal principio io ho avuto una mia teoria circa la morte del signor Lambert e di Betty. Non ne ho parlato a nessuno, finora, ma dal momento che oggi la signora Lambert sembra stare molto meglio, ho deciso di parlarne prima di tutto a lei e siamo d'accordo...» «Siamo d'accordo di parlarne con voi» l'interruppe la signora. «A una condizione. Mi perdonerete se m'intrometto nella vostra professione, ma voi siete una giornalista e... sapete anche voi... in tutte le famiglie ci sono particolari... questioni intime... che non si desidera dare in pasto al pubblico. Per un riguardo alla memoria di mio marito... Sono certa che mi comprendete.» «Ma certo! Considererò tutto ciò che mi direte come strettamente confidenziale» mi affrettai a rassicurarla. «Ma se questa famosa teoria potesse essere di qualche aiuto per la soluzione di questo terribile mistero, non pensate che sarebbe opportuno parlarne al comandante o a qualche altra persona autorevole? Il capitano Fortescue è tanto comprensivo, tanto discreto...» La signora Lambert si passò stancamente una mano sulla fronte. «Quanto a questo, potrete aiutarci voi a decidere per il meglio» disse. «Ma quando avrete udito ciò che ha da dirvi il signor Earnshaw, penserete certo anche voi che questioni del genere è meglio tenerle in famiglia finché è possibile.» «Capisco, ma perché...» «So quello che pensate, mia cara, ma siete stata così gentile con noi in queste giornate tremende! E poi ho la sensazione che sarete in grado di aiutarci. Jimmie mi ha parlato di un vostro diario...» Annuii senza parlare. «Signorina Llewellyn» riprese Earnshaw «la signora Lambert ha ragione affermando che c'è di mezzo una vicenda familiare molto delicata e riservata. Non voglio dilungarmi troppo, ma devo per forza tornare indietro nel tempo, se non vi dispiace.» Mi offrì una sigaretta e ne accese una anche per sé.
«Sapete, naturalmente» riprese poi «che il signor Lambert era già stato sposato. La sua prima moglie era Felicia Manners, sorella della signora Clapp. Aveva all'incirca l'età del signor Lambert e negli ultimi anni della sua vita soffrì di una malattia alla spina dorsale che la teneva confinata quasi sempre nella sua camera. Il signor Lambert fu sempre molto buono con lei, premuroso e comprensivo, ma per molti versi era un uomo assai più giovane della sua età, con un intenso desiderio di vivere. Gli piaceva ballare, giocare a golf, frequentare teatri e qualsiasi posto dove vi fossero brio e divertimento. Per questo molta gente lo accusava di trascurare la moglie malata, primo fra tutti suo figlio, Alfred junior. Ho sentito spesso il signor Lambert dire che la faccia di suo figlio era come la voce della coscienza. Io non l'ho mai conosciuto, perciò non posso giudicare chi dei due avesse ragione, tanto più che anche il signor Lambert lo conobbi quando era già vedovo e suo figlio nel frattempo era andato all'estero.» Earnshaw si alzò e gettò il mozzicone della sigaretta fuori dell'oblò. Era chiaro che si accingeva ad affrontare la parte della storia che era la più difficile da raccontare. Quando riprese a parlare, lo fece gettando continue occhiate alla signora Lambert che si era rimessa distesa con una mano sul viso. «Lo crediate o no, signorina Llewellyn, l'interesse del signor Lambert per il teatro si trasformò in qualcosa di concreto. Fu lui a finanziare due commedie che a New York ebbero un successo strepitoso e conobbe così l'attuale signora Lambert, l'aiutò e...» A questo punto la signora balzò su a sedere, piantandomi gli occhi in viso. «Da donna a donna, signorina Llewellyn, posso assicurarvi che a quel tempo non vi fu tra noi altro che una buona amicizia. Per essere sincera, credo che il signor Lambert avesse cominciato a nutrire un certo affetto per me prima che sua moglie morisse, ma non accettai mai niente da lui... quanto meno niente a cui non avessi pieno diritto. Provvide perché io avessi una parte in alcuni dei suoi spettacoli, ma dovetti lavorare sodo come chiunque altro. Apprezzava il mio modo di recitare, ecco tutto. Non v'era alcun motivo perché suo figlio trovasse a ridire sulla nostra amicizia.» «Per farla breve» riprese quindi Earnshaw «il signor Lambert litigò aspramente col figlio. Ancora prima che il padre si risposasse, Alfred dichiarò di non voler avere più niente a che fare con lui. Se ne andò da casa e si trasferì a Parigi presso la zia, Marzia Manners. Quando poi questa fece quel ridicolo matrimonio col giovane Clapp, che era un amico del nipote e
aveva suppergiù la sua stessa età, Alfred si sentì di nuovo disgustato e parti per il Sudamerica. Da allora non si seppe più niente di lui. Quanto meno, non ne seppe più niente il signor Lambert. Se la signora Clapp abbia avuto ancora sue notizie, non posso dirlo.» «E dovete credermi, signorina Llewellyn» s'intromise ancora la signora Lambert «io feci di tutto per rimettere pace tra padre e figlio. Convinsi mio marito a scrivere e a mandare denaro ad Alfred, gli offrì persino un regolare assegno mensile, ma tutte le sue lettere tornarono indietro con l'indicazione SCONOSCIUTO. Il ragazzo non fece mai un passo verso la riconciliazione e mi è giunto all'orecchio che, benché fossimo sacrosantamente sposati, lui ha sempre parlato di me come della "donna che vive con mio padre". Un socio di mio marito, che s'incontrò col mio figliastro in Argentina non molto tempo fa, ci riferì che parlava ancora di noi con molta asprezza.» Earnshaw si accese un'altra sigaretta poi si rivolse di nuovo a me. «Ora forse comincerete a intuire qualcosa della mia teoria, signorina Llewellyn, e comprenderete perché non ce la sentiamo di parlarne con il comandante o chi per esso. E c'è un altro punto importante...» Levò alcune carte da un cassetto de! piccolo scrittoio. «Questa è una copia del testamento del signor Lambert. L'originale lo ha un avvocato di New York e c'è una clausola molto interessante. Alfred junior non viene neppure nominato e il patrimonio va per intero alla signora Lambert, vita natural durante, per passare dopo la sua morte al più prossimo parente maschio che porti il nome di Lambert. Esecutore testamentario viene nominato il padre di Betty, unico fratello del signor Lambert, che è ormai vecchio e non ha figli maschi. Di conseguenza, alla morte della signora Lambert, il giovane Alfred erediterà fino all'ultimo centesimo.» La signora si lasciò sfuggire un grido sommesso. «Non dovete dirlo, Jimmie! Nemmeno pensarlo! Sono certa che Alfred sarebbe assolutamente incapace di fare una cosa simile! Oltretutto, non siamo nemmeno certi che sia ancora vivo!» «Non sapete niente di lui?» domandai. «No» rispose Earnshaw. «Vi dirò di più: né la signora Lambert né io l'abbiamo mai nemmeno visto. Ma ci sono, o meglio c'erano, su questa nave tre persone che lo conoscevano benissimo: suo padre, la signora Clapp e la povera Betty.» «Mio Dio!» esclamai. «Se la vostra teoria è fondata, si spiegherebbe almeno quello che per me è sempre stato il lato più irragionevole, oltre che il
più crudele, di questa terribile vicenda. Oltre che per la sua brutalità, l'uccisione di Betty mi ha colpita perché mi sembrava così insensata, senza scopo, a meno che...» Earnshaw contrasse le mascelle. «Esatto» mormorò e notai che le nocche dei suoi pugni chiusi si erano fatte bianche. «E c'è un altro punto che tutti hanno trascurato o dimenticato. La signora Lambert è certa, certissima che il suo sherry, la sera in cui morì suo marito, aveva un sapore inconsueto. Non è possibile... mi fa orrore persino dirlo... non è possibile che Alfred Lambert, camuffato da Robinson, abbia tentato di liberarsi di entrambi in un colpo solo? Gli ostacoli fra lui e il denaro di suo padre erano due, non dimentichiamolo!» «Ma allora» proruppi «anche la signora Lambert corre un pericolo gravissimo! Oh, perdonatemi, non volevo spaventarvi» mi affrettai ad aggiungere vedendo che la povera vedova era trasalita bruscamente. «Be", per fortuna c'è stata sempre con lei l'infermiera» osservò Earnshaw. «E il dottor Somers andava e veniva in continuazione, ma certo... Non vediamo l'ora di arrivare a Georgetown. Nel frattempo, però, bisogna fare qualcosa. Supponiamo. tanto per fare un'ipotesi, che Alfred junior sia salito a bordo camuffato da Robinson. Col veleno a portata di mano, gironzola intorno al padre finché questi non lo invita a giocare a bridge e coglie il momento buono per versare un po' di veleno nei bicchieri del signor e della signora Lambert...» «Sarebbe stato un po' difficile» esclamai. «A quanto ricordo, Robinson non si è mai allontanato dal tavolo da gioco.» «Ecco, è proprio qui che voi potete esserci di grande aiuto» proruppe lui con veemenza. «Avrete annotato ogni movimento delle persone che si trovavano in sala quella sera, suppongo. Il vostro diario potrebbe essere illuminante a questo proposito.» «Mmm, non so» mormorai dubbiosa. «L'ho scritto qualche ora dopo e naturalmente ho annotato soltanto quello che ricordavo. E poi è scritto più o meno in forma di lettera riservata...» Mi ero ricordata a un tratto di essere stata anche troppo franca, nella mia cronaca, a proposito del ménage dei Lambert, di avere fatto commenti non molto caritatevoli sull'età della signora e di non essere sempre stata molto carina persino nei confronti della povera Betty. Non potevo assolutamente permettere che lo leggessero. Non ero nemmeno certa di potermi fidare a leggerglielo io ad alta voce, tagliando dov'era necessario. «Risponderò volentieri a tutte le vostre domande per quanto mi sarà pos-
sibile» finii col dire. «Ma prima vorrei saperne di più circa la vostra teoria, soprattutto per ciò che riguarda Betty.» «D'accordo» rispose Earnshaw. «Continuerò con la mia supposizione. Dunque, il giovane Lambert è riuscito almeno in uno dei due scopi che si prefiggeva. Probabilmente spera che tutti pensino che il signor Lambert sia stato avvelenato durante la seconda partita di bridge, per la quale lui ha naturalmente un alibi perfetto. Si libera del travestimento da Robinson e si camuffa in altro modo, oppure si nasconde in qualche angolo della nave. Da questo punto in poi, possiamo soltanto lavorare d'immaginazione. Supponiamo che incontri per caso Betty e che lei lo riconosca. Forse è un passeggero, forse un ufficiale o un membro dell'equipaggio o del personale di bordo, comunque si rende conto immediatamente che essere stato riconosciuto costituisce per lui un pericolo gravissimo. Basta che Betty sommi due più due e per lui è finita. Allora le scrive una lettera anonima fissandole un appuntamento. E qui arriviamo a un altro punto della massima importanza. Quando era una ragazzina, Betty nutriva un'ammirazione sconfinata per il cugino. Quando l'ho conosciuta io, non faceva altro che decantarne le lodi. E credo che anche da parte di lui ci fosse del tenero. Questo può spiegare il fatto che Betty non abbia parlato alla zia dei propri sospetti né di quell'appuntamento. Comunque sia, come sappiamo, lei ci andò e trovò la morte, povera bambina!» Earnshaw fece una pausa per schiarirsi la gola, poi proseguì, con voce un po' roca: «La signora Lambert andò a cercarla, quella sera, e la vide con un uomo che in seguito riconobbe per Robinson. Il giovane Lambert doveva essere disperato. Forse Betty gli disse che avrebbe rivelato tutto ciò che sapeva. Forse... ah, non abbiamo idea di quello che può essere accaduto fra loro, ma Alfred doveva agire in fretta, prima che qualcuno lo vedesse e. la sua identità venisse scoperta. Così, quel demonio spietato...» Gli si spezzò la voce e per un lungo momento nessuno parlò. Pensavamo tutti a quel momento terribile quando un grido terrificante era echeggiato sopra l'oceano. «Ma che cosa possiamo fare?» gemetti finalmente io. «Anzitutto proteggere la signora Lambert» rispose Earnshaw. «Se la mia teoria è esatta, lei è l'unico ostacolo che ancora si frappone fra Alfred junior e il denaro di suo padre. E Alfred è un assassino, ora più disperato che mai.» «Sì, certo» convenni. «Ma se né voi né la signora Lambert lo avete mai visto, come potremmo identificarlo? Avete almeno qualche fotografia?»
Earnshaw scosse la testa. «No, ma c'è qualcosa che potrebbe aiutarci. La signora Clapp lo conosce benissimo e forse portando il discorso sull'argomento, con molto tatto... Come sapete, lei non approvava il signor Lambert, non si è fatta viva nemmeno con una parola di simpatia o di compianto e nessuno di noi due potrebbe certo toccare un tasto simile con lei. È una donna tanto difficile... Ma mi sembra che abbia simpatia per voi e mi chiedo se sarebbe possibile...» Riflettei a lungo prima di rispondere. «Vedrò che cosa posso fare» mormorai alla fine. «Ma bisognerà andare molto, molto cauti. Non dimentichiamo che la signora Clapp è la zia di Alfred e da quanto mi avete detto, penso di capire che gli sia molto affezionata.» «E poi» riprese Earnshaw «speravo di trovare qualche aiuto nel vostro diario. Betty vi avrà forse detto qualcosa, un'osservazione, un accenno qualunque che possa offrirci una traccia, anche lieve, per l'identificazione di Robinson.» «Non è necessario consultare il mio diario per rispondervi» dichiarai decisamente. «Betty è stata sempre molto reticente con me. Ha soltanto nominato una volta Alfred junior, ma a quanto mi disse, pare che egli viva in un ranch in Argentina.» Mi stavo appassionando alla teoria di Earnshaw. Se non altro è l'ipotesi più costruttiva che sia stata fatta finora. «Ma sappiamo almeno qualcosa di lui?» domandai. «Se è alto o basso, quanti anni ha, eccetera?» «Be'» disse Earnshaw «sappiamo che è tra i venticinque e i trent'anni e, da qualche osservazione fatta talvolta da Betty, ho arguito che dovrebbe essere biondo e glabro.» Arrossì lievemente passandosi una mano sul mento scuro. «Una volta, anzi, fece un raffronto assai poco lusinghiero per me. Non le sono mai piaciuti i miei baffi. Suo cugino, immagino, deve avere la carnagione di un ragazzino. Ma probabilmente ci sono almeno cinquanta uomini a bordo ai quali si adatterebbe simile descrizione.» «Ma a quel che ricordo, Robinson sembrava più vecchio» osservai io. «Fra i trenta e i quaranta, direi.» «Be', questo potrebbe non significare niente. Non dimenticate che Alfred ha vissuto in un ranch. E poi si può fare di tutto con un buon trucco. Io non l'ho mai visto, ma...» «Io ricordo di avere pensato che Robinson doveva essere sulla trentina» intervenne la signora Lambert. «È stato per la maggior parte del tempo con le spalle girate dalla mia parte, ma so che mi ha fatto l'impressione di un
uomo straordinariamente sano così robusto e abbronzato... Come se avesse trascorso tutta la vita all'aria aperta.» Bene, Davy, discutemmo ancora per un poco sul pro e sul contro e alla fine fu deciso che per il momento avremmo tenuto per noi le nostre supposizioni, senza farne cenno con nessuno. Io dovrò tastare al più presto il terreno con la signora Clapp, con tutta la diplomazia possibile, e scoprire senza chiederlo direttamente se sa dove si trova attualmente suo nipote. Non mi faccio molte illusioni perché è furba come il diavolo e capace di farmi credere quello che le pare, ma comunque ce la metterò tutta. Dopo un'ultima raccomandazione della signora Lambert sulla necessità di mantenere il più assoluto segreto, mi congedai ed eccomi qui a fare il mio rapporto. Messo così, nero su bianco, può sembrare tutto molto interessante, ma in sostanza, Davy caro, continuiamo a non avere la minima traccia per scoprire chi è Robinson. E chi ci dice che egli non possa colpire ancora, prima che lo scopriamo? In cabina Venerdì 20 novembre 10,30 p.m. Gesù, che serata, Davy! Non potrò mai dimenticarla! E ho tanto da raccontarti che dovrei ricorrere alla stenografia, se non voglio star qui seduta a scriverti tutta la notte. Ma ormai ho perso la mano e in ogni caso non riuscirei a dormire, così tanto vale che mi levi il peso dallo stomaco, anche se ci farò le ore piccole. Tutto è cominciato dopo cena, quando me ne sono andata tutta sola sul ponte passeggiata per fumare in pace una sigaretta e cercare di pensare, una volta tanto, a qualcosa di piacevole. La serata era splendida, non più giorno e non ancora notte, e la nave solcava pacifica il mare diretta verso un mondo nuovo senza depressione, senza articoli domenicali da scrivere e soprattutto senza delitti, paure e sospetti. Ero appena riuscita a dimenticare i Lambert e a concentrare i pensieri sul giorno del nostro matrimonio, sul nostro bell'appartamento nuovo e sul tuo caro viso rassicurante, quando "sentii" di avere qualcuno alle spalle. Mi voltai di scatto e mi ritrovai a guardare negli occhi neri e gravi del señor Silvera, che sembrava così solo e sperduto da ispirarmi il desiderio di rallegrarlo un poco. Avviai dunque una conversazione nel mio esecrabi-
le spagnolo, informandolo che era una serata meravigliosa e che fra due giorni saremmo arrivati a Georgetown, e lui rispose mescolando ai suo esecrabile inglese uno spagnolo che sembrava tolto di peso dal prontuario delle frasi utili per il turista in Spagna. Continuammo così per qualche tempo, finché non ci raggiunsero Daniels e Wolcott, che sembravano ansiosi di trovare due compagni per una partita a bridge. Accettammo volentieri, rientrammo tutti e quattro in sala da fumo e cominciammo a giocare. Avevamo appena finito la prima mano, Silvera e io contro Daniels e Wolcott, quando entrò Adam che si fermò alle mie spalle, osservando il gioco e mormorandomi di tanto in tanto consigli non richiesti. Per un po', andò tutto nel migliore dei modi. Io avevo ottime carte e benché Wolcott giocasse in maniera brillante, eravamo in considerevole vantaggio quando la fortuna cominciò a volgere decisamente in favore dei nostri avversari che in breve tempo recuperarono le perdite e passarono in testa. Questo fece perdere non poco del suo squisito aplomb al señor Silvera che cominciò a imprecare sommessamente in spagnolo contro la propria sfortuna con le carte. Dal canto mio, non m'importava gran che essere in perdita o in vantaggio, ma a un tratto notai un'espressione perplessa sul viso di Adam, che continuava a guardare dalle carte di uno a quelle dell'altro grattandosi il mento con tale vigore da farmi temere che se lo sarebbe spellato. Ero così occupata a guardare Adam che passò qualche tempo prima che notassi il viso di Silvera. Il brasiliano aveva posato le carte sul tavolo e stava fissando Wolcott con un'espressione addirittura feroce. I suoi occhi sfavillavano come quelli di una tigre in gabbia e le sue labbra contratte lasciavano scoperti i denti come se lui si accingesse ad affondarli nella vena giugulare dell'avversario. Nella sala si fece un improvviso, imbarazzato silenzio, rotto dopo un momento dal rumore dei passi di Adam che andava a chiudere a chiave la porta. Eravamo noi cinque soli in sala da fumo: tutti gli altri passeggeri erano impegnati in attività varie nella sala di ritrovo. E a un tratto vidi Silvera alzare fulmineamente una mano e calarla con violenza sul polso sinistro del povero Wolcott. Un mazzo di carte da gioco, identiche a quelle che stavamo usando, si sparpagliò sul pavimento. Per un terribile attimo. Davy, pensai inorridita che il brasiliano avesse messo in atto il vecchio colpo da film western d'inchiodare al tavolo con un pugnale
la mano dell'avversario. Ma almeno dal punto di vista fisico, Wolcott non sembrava avere riportato alcun danno. Rimase tranquillamente seduto, massaggiandosi il polso e fissando con vago stupore le carte sparse ai suoi piedi, mentre Silvera sembrava torreggiare su di lui, con la fronte imperlata di sudore. E finalmente, Davy, ecco la grande sorpresa, una sorpresa strabiliante che mi fece capire come dovette sentirsi il Balaam della Bibbia quando la sua asina girò la testa a parlargli. Come ti ho già detto, per tutto il viaggio Silvera aveva sempre parlato, e poco, in spagnolo, pronunciando a malapena qualche parola in inglese, per giunta storpiato. Bene, in quel momento proruppe in un torrente di parole in un inglese quasi perfetto, accusando Wolcott di essere un baro e un imbroglione, ironizzando sulla sua repentina fortuna al gioco e minacciando di denunciarlo al comandante. C'era poco da dire, Davy, le cose parlavano da sole: Wolcott aveva veramente un mazzo di carte nascosto nella manica, anche se non riuscivo a capire come a qualcuno potesse venire in mente di barare quando si giocava a un decimo di cent a punto ed era proprio il baro a deprecare che si giocasse per denaro. Dopo la tirata di Silvera, Wolcott rimase a fissarlo stupidamente, senza dire una sola parola in propria difesa. Però lo udii mormorare in tono patetico: «Ve l'avevo detto che era pericoloso, Daniels!» Quell'osservazione parve infiammare più che mai Silvera: la sua voce si fece così stridula e il suo atteggiamento così minaccioso da farmi temere che da un momento all'altro sarebbe passato alle vie di fatto. Fu Adam a salvare finalmente la situazione e per la prima volta mi resi conto che possiede una forza e una virilità nascoste quali non avrei mai immaginato in lui. «Un momento, señor de Silvera» esclamò. «Tengo algo muy importante que decirle. Eslos señores no hablan español.» Gli occhi sfavillanti del brasiliano saettarono verso Adam ed ebbe inizio un'animata conversazione. Come ben sai, Davy, se si tratta di parlare in spagnolo non faccio una gran bella figura, ma sono in grado di seguire abbastanza bene una conversazione e credo di avere compreso nelle sue linee generali ciò che quei due si dissero. Adam dichiarò di sapere perfettamente chi era lui, Silvera, e di essere al corrente che stava andando a Rio con la speranza di accaparrarsi il contratto con la Harbor Company, poi confessò francamente di essere anche lui in lizza. Finora soltanto noi quattro, continuò, avevamo scoperto che non
era affatto spagnolo come fingeva di essere e che parlava perfettamente l'inglese che aveva finto di non conoscere ma, promise Adam, avremmo mantenuto tutti il segreto a patto che lui, Silvera, dimenticasse quel disgraziato incidente. Dapprima Silvera lo ascoltò con palese stupore, ma poi vidi salirgli agli zigomi un intenso rossore. «Non c'è niente di delittuoso nel mio viaggiare in incognito, signor Burr» disse in spagnolo, con voce vibrante. «È soltanto una questione di affari. Se trapelasse la notizia che sto tornando a Rio prima del previsto, le società concorrenti si metterebbero in allarme e io correrei il rischio di farmi soffiare il contratto sotto il naso. Quanto al mio inglese, se ho preferito non parlare durante il viaggio, è unicamente affar mio, non vi pare?» Adam lo fissò con occhi penetranti. «Certo, señor. Non volevate che il signor Lambert sapesse chi siete, posso capirlo. E poiché, sfortunatamente, vi siete ritrovato a pranzare al suo stesso tavolo, quale migliore mascheratura avreste potuto adottare? Poi, avendo cominciato a fingere di non sapere l'inglese, siete stato costretto a continuare.» «Affar mio» ripeté Silvera incollerito. «Ma il nuovo molo è anche affar mio» ribatté Adam. «Un cablo a Rio... una parolina circa i vostri spostamenti e...» Agitò in aria una mano. La collera si spense negli occhi del brasiliano che si rivolse a Wolcott. «Dimenticherò tutto» disse seccamente poi si alzò, raggiunse a gran passi la porta, girò la chiave e se ne andò. Parecchi passeggeri entrarono in sala mentre Daniels, Wolcott e io restavamo lì a fissarci l'un l'altro stupidamente, immobili come manichini in una vetrina. Finalmente Wolcott si chinò a raccattare le carte. «Penso che con Silvera sia tutto sistemato» disse Adam fissando Daniels con un sorrisetto mefistofelico. «Adam, poliglotta e arbitro dei destini umani, oltre che alto papavero,» intervenni io «posso chiedere se intendete concedermi una spiegazione di tutta questa storia, oppure ottenere col ricatto anche il mio silenzio, come avete fatto con Silvera? Intanto, quella che ci rimette sono io, che perdo quasi ottanta cent e...» «il signor Daniels spiegherà tutto a voi e a me» ribatté Adam abbassando la voce perché una donnona stava calando su di noi con l'evidente intenzione di prendere il posto del brasiliano. Daniels fece un lieve cenno d'assenso. «Andiamo nell'ufficio del commissario» suggerì, ignorando la grassona.
«Un momento, voglio conservare le carte nella stessa disposizione» disse Adam raccogliendole dal tavolo nel medesimo ordine in cui si trovavano. Wolcott non si mosse dalla sedia. Adam e io seguimmo Daniels nell'ufficio del commissario di bordo che in quel momento era vuoto e ci chiudemmo la porta alle spalle. «Bene, che cosa volete che vi dica?» pigolò il londinese. «Vi faccio tutte le mie scuse, per me e per Wolcott.» «Non vogliamo le vostre scuse, Daniels» ribatté Adam con una sfumatura metallica nella voce di solito scherzosa. «Voglio sapere come mai l'ultima mano giocata stasera era identica a quella giocata la sera in cui morì Lambert. Quella che, se non vado errata, la signorina Llewellyn trascrisse nel suo diario.» Dispose le carte sulla scrivania del commissario poi si rivolse a me. «Guardate, Mary. Non avete qui il diario, ma avete un'ottima memoria. Riconoscete questa mano?» E aveva ragione. Davy. Non ho controllato sul diario, ma sono certa che aveva ragione. Io avevo avuto le stesse carte che in quella tragica sera erano toccate a Daniels. Wolcott aveva avuto quelle di Lambert e Silvera aveva avuto le carte di Robinson ed era stato seduto nella sua stessa posizione! Avevo trascritto lo schema con tanta cura che mi si era stampato nella mente. Fu una scoperta elettrizzante. Non avevo avuto il minimo sospetto, fino a quel momento. La scenata in sala da fumo mi aveva sbalordita troppo perché dentro di me potessi fare altro che sperare che nessuno avesse a portata di mano una pistola, ma Adam, da osservatore estraneo, aveva visto e ricordato. E rendendosi conto che doveva pure esserci uno scopo in quell'apparente follia, aveva salvato la situazione per quanto riguardava Silvera e ora stava alle costole di Wolcott e Daniels. Ma quest'ultimo non sembrava affatto turbato. Ammiccava con quei suoi buffi occhietti, sorridendo in un modo che lasciava intendere come si sentisse padrone assoluto della situazione. «Bene» disse, girando uno sguardo divertito da Adam a me e viceversa «ora che avete messo, letteralmente, le carte in tavola, signor Burr, suppongo che io dovrò fare altrettanto. Se mi passate l'espressione, signorina Llewellyn, mi avete preso in trappola. Devo ammettere che sono stata io a copiare lo schema dal vostro diario il giorno in cui lo avete lasciato così incautamente nella sala di ritrovo. Tutto quel che posso dire a mia giustifi-
cazione è che l'ho fatto con le migliori intenzioni.» «Signor Daniels» proruppi arrabbiatissima «questa è la scusa più puerile che abbia mai ascoltato in vita mia! Che diritto avevate... uno scritto strettamente personale... E chi siete voi, tanto per cominciare?» In quel momento la porta si aprì ed entrò Jennings che non nascose la propria sorpresa nel trovare l'ufficio occupato, con quel grottesco spiegamento di carte da gioco sulla scrivania. «Signor Jennings» squittì Daniels con un tono in falsetto «questi due mi hanno messo sul banco degli accusati e ora mi stanno chiedendo chi sono. Volete farmi il favore di dirglielo voi? Sì, sì» aggiunse, vedendo che Jennings esitava «potete dire tutta la verità.» Scoprire Daniels nella veste di duplice assassino ci avrebbe sorpresi di meno, ne sono certa, di ciò che udimmo allora. «Il signor Daniels» disse Jennings con la massima calma «è un investigatore privato in servizio su questa linea da cinque anni. Prima era a Scotland Yard. Viaggia come un qualunque passeggero di prima classe perché... Bene, questo è forse meglio che ve lo spieghi lui stesso.» Rimasi senza fiato. Il buffo, garrulo, piccolo Daniels un ex poliziotto di Scotland Yard! Era proprio incredibile! «Sorpresa, eh, signorina Llewellyn?» osservò lui. «E sì che una giornalista americana non dovrebbe sorprendersi di niente! Ebbene sì, sono proprio un investigatore, anche se non del tipo che s'incontra nei vostri romanzi polizieschi. Il capitano Fortescue vuole che io viaggi come un qualunque passeggero perché c'è una banda internazionale di bari che lavora su questa linea. Durante l'ultimo viaggio della Moderna da New York a Rio un giovanotto si è ucciso, dopo essere stato spennato come un pollo.» «E Wolcott?» domandò Adam. «Oh, quello è la prima volta che compare ma l'ho individuato subito come uno della banda» rispose Daniels con un sogghigno. «Però qualcuno deve avergli soffiato chi sono perché non ha mai voluto toccare una carta fino alla sera del ballo mascherato quando, forse pensando che io fossi... in tutt'altre faccende affaccendato, indusse a giocare con lui due dei più ricchi passeggeri. Erano per l'appunto impegnati in una partita a cinque cent al punto quando io lo invitai a uscire dalla sala. Avevo subodorato...» «Ma tutto questo che cosa c'entra con l'uccisione del signor Lambert e di Betty?» l'interruppi io. «Mi sembra che la soluzione di questo mistero sia un po' più importante della cattura di un vecchio baro!» «Certo, signorina» convenne Daniels con un sorriso. «E sto dedicando
tutte le mie energie alla soluzione del caso Lambert. Oso dire che finora mi sono dato da fare persino più di voi e del signor Burr. E, devo ammetterlo, con pari insuccesso, anche se il vostro diario mi è stato utilissimo sotto parecchi punti di vista.» «Il mio diario! Allora eravate voi, quel giorno, nascosto dietro la tenda nella cabina del comandante!» Lui annuì. «Forse dovrei farvi le mie scuse, signorina. Ma al tempo stesso desidero esprimervi tutta la mia ammirazione per la chiarezza con la quale...» «Ma non avevate alcun diritto di leggerlo senza il permesso della signorina!» intervenne Adam. «Siete stato oltremodo scorretto e...» «Sono d'accordo con voi» ammise il nostro poliziotto con discreta faccia tosta. «Ma sono certo che la signorina accetterà le mie scuse quando conoscerà il motivo che mi ha indotto a farlo. Il fine giustifica i mezzi, no? Eravamo tutti alla ricerca del nostro amico Robinson, un tipo dall'aspetto molto comune del quale nessuno ricordava gran che. Ma c'era un particolare che mi era rimasto bene in mente: il suo modo pietoso di giocare a bridge. Giocava persino peggio di me!» Fece una pausa come se si aspettasse una risata, ma noi continuammo a guardarlo in silenzio. «Bene, signor Burr» riprese allora «un uomo può alterarsi il viso, la voce, la figura, le maniere, ma se non sa giocare a bridge, non c'è niente da fare. Così ho pensato che se fossi riuscito a coinvolgerlo in un partita e a mettergli in mano le stesse carte di quella sera, probabilmente avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore. Ma non era facile. Non sono un prestigiatore. E tanto meno so fare giochi di mano o altri trucchi del genere. Poi, a un tratto, ecco il colpo di fortuna!» «Wolcott!» esclamai elettrizzata. «Esatto. Lo sorpresi a giocare a bridge con poste altissime. Avevo già avuto qualche informazione sul suo conto e... Ma questo non ha importanza. Forse avrò anche calcato un po' la mano, ma fatto sta che riuscii a convincerlo e, suo malgrado, accettò di usare la propria abilità a scopo, diciamo cosi, benefico. Ripassammo le due mani e Wolcott mi fece notare che in entrambi i casi c'era una sola possibilità di commettere l'errore fatale. E Robinson lo aveva commesso in entrambi i casi. Bene, Wolcott preparò due mazzi di carte e cominciammo a fare esperimenti con diversi passeggeri per vedere se qualcuno giocava il fante di fiori come aveva fatto Robinson quella sera. Silvera è stato la nostra ultima... vittima ma purtroppo
Walcott non si sentiva molto bene e deve aver fatto un po' di confusione. O forse quello spagnolo ha la vista particolarmente acuta.» «Ma non c'era il rischio che Robinson ricordasse le carte?» domandò Adam, palesemente affascinato dal piano di Daniels. Questi scosse la testa. «Se è stato lui a uccidere il signor Lambert» disse «aveva ben altro cui pensare, quella sera, che la disposizione delle carte.» «E nessuno ha commesso quegli errori?» domandò ancora Adam. «Nessuno, finora, ma non abbiamo avuto modo di fare la prova con molte persone. Speriamo molto nel torneo di bridge di domani sera. L'unico guaio è che ogni uomo avrà per compagno una donna, cosicché io non potrò giocare con Wolcott.» «Oh. lasciate che vi aiuti io» esclamai con entusiasmo. «È un'idea splendida! Non conclusiva, certo, ma almeno ci darà qualcosa su cui lavorare e ci aiuterà a eliminare un buon numero di persone.» Adam mi guardò con un sorriso paterno che a poco a poco si mutò in un'espressione preoccupata. «No, Mary, è una faccenda troppo pericolosa. Se Wolcott fosse scoperto un'altra volta a barare, vi trovereste coinvolta in uno scandalo odioso. Ho un'idea migliore. Daniels può sistemare le cose in modo da accoppiarvi con Wolcott poi, quando il torneo starà per cominciare, direte di avere un tremendo mal di testa e vi ritirerete. Jennings potrà fare in modo che sia Daniels a prendere il vostro posto.» Il commissario annuì. «Sì, ma in questo modo mi toccherà andare a chiudermi in cabina e perderò lo spettacolo» protestai. «Comunque, farò come volete.» Daniels si dichiarò subito pienamente d'accordo con Burr. Intanto lui e Wolcott continueranno a cercare di organizzare qualche partita con chiunque, uomo o donna, potrebbe essere Robinson e io farò propaganda per il torneo di bridge, convincendo il maggior numero di persone a iscriversi. Così, se Robinson è un passeggero di prima classe, non avrà alcuna possibilità di sfuggire alla nostra rete. Inutile dirti, Davy, che tutto questo ha occupato per intero la mia serata così che mi è mancato il tempo per andare a parlare di Alfred Lambert con la signora Clapp. E poiché domani avrò una giornata piuttosto faticosa, sarà meglio che ti auguri la buonanotte, tesoro. Ti mando un bacio attraverso l'oceano. Sul ponte Sabato 21 novembre
Mezzogiorno Siamo ai tropici, Davy, e sì sente. Nei giorni scorsi ha fatto caldo, ma oggi c'è una temperatura da forno: davvero troppo per la scena emozionante alla quale ho appena assistito. Non c'è un filo d'aria e la Moderna sembra addirittura immobile, come una nave dipinta su un fondale di cartone, anche se in realtà procede a velocità sostenuta. Tutti i passeggeri se ne stanno indolentemente sdraiati qua e là, troppo accaldati per fare altro che infastidirsi a vicenda. Ma io sono stata tutt'altro che indolente. Subito dopo la prima colazione, decisi di tener fede alla promessa fatta a Earnshaw e alla signora Lambert, parlando al più presto con la signora Clapp, ma per quanto la cercassi sul ponte e in tutti gli altri posti possibili, non mi riuscì di trovare né lei né Daphne. Seppi che erano state eliminate, chissà con quanto dispiacere da parte loro, dalla gara di shuffle-board ma che Daphne, in coppia con Daniels, ha ancora ottime probabilità nel torneo di tennis. Salii allora al ponte superiore, dov'è il campo, ma là trovai soltanto i loro avversari, impazienti di giocare la semifinale prima che il caldo si facesse insopportabile, cosicché mi assunsi l'incarico di andare a chiamare Daphne nella sua cabina. Verso le dieci bussai dunque alla porta dell'appartamento della signora Clapp e, avendo udito qualcosa che mi sembrò un "Avanti", entrai. Ma dovevo aver sentito male perché nessuna delle due poteva avere desiderato di avere ospiti proprio in quel momento. La signora Clapp giaceva sul divano in negligé color malva e palesemente in fase di malumore e Daphne, ritta davanti all'oblò, piangeva. Ho detto piangeva, Davy, ma in realtà emetteva dei rumori da giovane elefante col mal di denti. Doveva essere stato uno dei suoi sbuffi quello che avevo interpretato come un invito a entrare. Stavo per rinunciare alla mia missione e battere in ritirata quando la signora Clapp si alzò a sedere sul divano tendendo un braccio in un gesto teatrale. «Non andatevene, signorina Llewellyn. Restate qui e cercate di ficcare un po' di sale in zucca a questa ridicola sciocca! Io non ci riesco.» All'udire le parole della signora Clapp, Daphne, che non si era accorta del mio ingresso, si girò a guardarmi. Aveva il naso e gli occhi rossi, il viso rigato di lacrime e i capelli in disordine. «Non ci sarà qualche cattiva notizia, spero!» esclamai preoccupata. «Cattiva notizia!» fece eco la signora Clapp in tono sprezzante. «Una notizia assurda, piuttosto! Ridicola... La signorina Demarest mi ha appena
comunicato che intende sposarsi. A Georgetown!» Daphne si soffiò il naso in un fazzoletto inzuppato. «Oh, ma è una notizia splendida!» esclamai con fatua allegria. «Col signor Daniels, suppongo. Vi auguro tutta la felicità possibile, Daphne!» «Felicità, signorina Llewellyn?» ribatté acida la signora Clapp. «Come potete parlare di felicità quando la nipote di un conte sposa un londinese qualsiasi alto la metà di lei? Un uomo che non ha voluto nemmeno dirle qual è la sua professione, ammesso che ne abbia una?» «Oh, una professione ce l'ha, ve l'assicuro» esclamai ridendo fra me. «Una professione rispettabilissima, anche più della mia!» «Non m'importa chi è o che cosa è» dichiarò fieramente Daphne. «Per me è un uomo meraviglioso. Gli voglio bene...» «Gli vuoi bene, mia cara Daphne» osservò la grande attrice in tono languido «perché è il primo uomo che si sia mai occupato di te, corteggiandoti con regali da quattro soldi! Guardate là, signorina Llewellyn!» Indicò un tavolino sul quale si trovavano quattro o cinque scatole di cioccolatini ancora intatte, un geranio in vaso (dato che sarebbe stato un po' difficile procurarsi fiori recisi in pieno Atlantico) e un'orribile scatola in madreperla con un'orribile riproduzione della Moderna sul coperchio. Se, come sembrava, era un portagioie, non avrei saputo immaginare dono più inutile per ilo la mascolina Daphne. C'era tuttavia qualcosa di patetico in quella piccola collezione. Con quei doni Daniels aveva voluto dimostrare che per lui quella donna gigantesca di trentacinque anni è una fanciulla delicata e desiderabile e Daphne non li considera di certo né meschini né ridicoli, anche se il donatore non le arriva alla spalla e non sempre la sua pronuncia è corretta. E il loro potrà anche non essere il matrimonio del secolo, ma sarà sempre meglio assortito dell'ultimo connubio di Marzia Manners. A mio modo di vedere, la grande attrice è l'ultima persona al mondo che abbia il diritto di trovar qualcosa a ridire. «Bene, Daphne» dissi con forzata allegria «se la signora Clapp non intende venire al vostro matrimonio a Georgetown, sarò ben lieta di farvi io da madrina e da damigella d'onore!» Ma la signora Clapp mi rimbeccò subito. «Non dovete credere che sia soltanto una questione di egoismo da parte mia, signorina Llewellyn! Mi sento un po' come una vicemadre per Daphne. La sera del ballo mascherato lei e quel Daniels si sono messi fin troppo in vista, l'ho fatto notare a Daphne, ho cercato di farla ragionare. Conosco gli uomini, io; sono stata
sposata diverse volte e...» «E siete pronta a sposarvi ancora altrettante» l'interruppe Daphne con calore. «E allora che ne sarebbe di me? Prendiamo questo viaggio, a esempio. Salendo a bordo, avevate giurato che non avreste mai più nemmeno guardato un uomo, vi vestivate in lutto stretto, non volevate nemmeno che vi curassi il viso. Adesso usate un vasetto di crema ogni sera, avete tirato fuori i vostri modelli di Parigi e siete tornata a essere una donna meravigliosa!» Il malumore della signora Clapp svanì d'incanto. Sa il fatto suo, la cara Daphne! «Non potete biasimarmi se aspiro ad avere una casa mia» continuò approfittando di quel vantaggio. «Ci ho guadagnato tanto a essere la nipote di un conte! Non ne ho mai ricavato un penny, figuriamoci un marito! Daniels non sarà un lord Brummell, d'accordo, ma non avrebbe scelto una zoticona come me se lo fosse stato. E non è poi così terra terra come dite voi: suo padre era un dentista. Mi piacciono i suoi regali e gli voglio bene, anche se si chiama Percy!» Ricominciò a tirar su col naso e tutt'a un tratto la situazione. che sarebbe potuta essere ridicola, diventò patetica, con Daphne che appariva inaspettatamente così infantile e indifesa! Capivo tuttavia come la signora Clapp. che le è sinceramente affezionata, cercasse di trattenerla dal commettere quella che secondo lei sarebbe stata un'enorme sciocchezza. «Daphne, cara» disse in tono più gentile «perché non ti fidi di me? Posso darti tutto ciò che vuoi. Avrai occasione di conoscere una quantità di gente interessante, in Sudamerica, sono certa che più di un uomo della tua classe e... della tua statura ti troverà di proprio gusto. Non buttarti cosi sul primo che ti offre...» «Sciocchezze!» l'interruppe Daphne con nuovo vigore. «Sapete benissimo che sono un disastro. Intendo sposarlo e lo sposerò, vi piaccia o non vi piaccia. E ora me ne vado a giocare la semifinale di tennis. Avremmo vinto anche il torneo di shuffle-board, se voi non vi foste messa a civettare con quel bel ragazzo abbronzato della terza classe. Uomini, eh?» aggiunse con una certa malignità. «Chi può avere una sola possibilità con voi intorno?» Uscita lei, la signora Clapp m'invitò a restare per fare quattro chiacchiere. Parlammo per un poco di Daphne poi, con molta abilità, portai il discorso sugli uomini in generale e sul giovanotto abbronzato in particolare, finché non scoccai la mia freccia. «A proposito» osservai «c'è a bordo un giovanotto che mi ricorda molto
vostro nipote, Alfred Lambert. L'ho incontrato una volta, qualche tempo fa» mentii «e mi chiedevo se...» «Alfred! Su questa nave!» m'interruppe lei, impallidendo a un tratto. «Impossibile! Alfred è in Argentina. Ma voi come l'avete conosciuto?» Abborracciai una risposta qualsiasi, ma la signora Clapp mi fissava con uno sguardo così penetrante che non m'illusi neppure per un attimo di avergliela data a bere. Il suo tono, tuttavia, fu assolutamente normale quando riprese: «Oh, a proposito di Alfred! Devo proprio andare a far visita alla signora Lambert. Dopo tutto siamo quasi parenti. È la vedova di mio cognato e la matrigna di mio nipote, anche se lui rifiuta di ammetterlo, e non le ho nemmeno fatto le condoglianze, ancora. Ma so che lei sa che la ritengo fortunata a essersi liberata di quel vecchio caprone e non vorrei che mi giudicasse un'ipocrita. Comunque, andrò a trovarla. A proposito, che fine ha fatto quel bel giovanotto, il segretario di suo marito? Quello che assomiglia a John Gilbert o a Ramon Novarro o qualcosa de! genere? Sì, sì, credo proprio che andrò a trovarla.» «È un gesto molto carino» osservai. «Oltretutto siete la persona più indicata per consolare un po' quel povero Earnshaw. La morte di Betty l'ha sconvolto terribilmente. L'unica volta che l'ho visto un po' meno disperato è stata la sera dei vostri monologhi. È un vostro acceso ammiratore.» «Sì, sì, è un'ottima idea» esclamò lei con aria divertita. «Devo proprio andare dalla signora Lambert. Sarà meglio che mi vesta ancora di nero, penso. Avete visto quel mio modellino di Lelong? Adattissimo alla circostanza!» Chiacchierammo ancora del più e del meno, ma tutti i miei sforzi per riportare la conversazione sul giovane Lambert risultarono vani e non osavo insistere troppo, visto che ero già stata tanto maldestra nel primo tentativo. Finalmente mi congedai e stavo già per uscire quando mi ricordai della mia seconda missione. «Vi siete iscritta al torneo di bridge?» domandai. «No, cara, gli uomini a bordo sono tutti di aspetto così scadente che non sopporterei di vederne uno seduto di fronte a me per due ore filate.» «E il giovanotto della terza classe del quale ha parlato Daphne?» buttai là con aria innocente. La signora Clapp arrossì. «Non sarebbe conveniente, mia cara. Si farebbero delle chiacchiere. Però mi domando se il signor Earnshaw... Ma forse il suo lutto è troppo recente.» «Splendida idea!» esclamai con sincero entusiasmo. «Lui lo si guarda
volentieri, almeno!» Me ne andai rincuorata dal pensiero che, anche se non avevo ricavato molto dalla mia visita, avevo almeno offerto a Earnshaw e alla signora Lambert la possibilità di fare qualche sondaggio diretto nei riguardi del giovane e misterioso Alfred. Oh, quasi dimenticavo di dirti la grande notizia, Davy! La signora Clapp mi ha offerto il posto di Daphne, se questa dovesse davvero sposarsi a Georgetown, e quando le ho risposto di avere altri progetti - che ti riguardano da vicino, amore! - mi ha promesso che, al suo ritorno a New York, mi chiamerà perché scriva la sua biografia. E sai, nonostante la sua senile frivolità e la sua incostanza con mariti e simili, Marzia Manners è tutt'altro che sciocca, anzi! È una donna molto astuta. Ricordalo, Davy caro! In cabina Sabato 21 novembre 6,30 p.m. A questo punto, Davy, immagino che tu ne abbia fin sopra i capelli di teorie. Io pure. Pare che ognuno ne abbia una, tutte diverse fra loro. Soltanto io non ne ho nessuna. Anzi, a furia di ascoltare quelle degli altri, ho una tal confusione in testa che non so più che cosa pensare. So soltanto che ciascuno sembra sospettare di qualcun altro mentre, a mio parere, nessuno è al disopra di ogni sospetto. meno di tutti, forse, il teorico più sottile. Il guaio è che ci sono troppi individui sospetti e nessun indizio serio. Ora, a rischio di annoiarti, devo parlarti della teoria di Adam, sorprendente quant'altre mai. Ci siamo fatti le nostre confidenze, oggi pomeriggio sul ponte superiore. C'era troppo caldo per fare altro che chiacchierare, cosi mi abbandonai ai pettegolezzi e gli raccontai tutto delle mie visite alla signora Lambert prima e alla signora Clapp dopo. Lui mi ascoltò con la massima attenzione, come se stesse raffrontando le mie parole con qualche sua recondita idea e quando ebbi finito rimase assorto per qualche momento. «Sapete. Mary» mormorò alla fine «da qualche giorno mi frulla per la testa un'idea fenomenale che non ho osato confidare nemmeno a voi, anzitutto perché siete una tale leonessa quando c'è di mezzo il vostro sesso e in secondo luogo perché non vorrei che mi consideraste ancora più sciocco di
quanto già non mi consideriate ora.» «Non vi considero affatto sciocco» protestai vivacemente. «Ma che cosa centra il mio sesso?» «Non avete trovato niente di strano nel comportamento di almeno due persone a bordo? No? Bene, allora consentitemi di sussurrare qualcosa al vostro delicato ingenuo orecchio. Sarete stata innamorata qualche volta, immagino.» «Presupposto fondatissimo» ribattei «ma non siamo qui per parlare d'amore!» Adam emise un profondo sospiro. «Ahimè, no! Ma devo tuttavia rammentarvi che a quanto pare due dei nostri compagni di viaggio sono alle soglie dei matrimonio. Nessuno dei due è ciò che si suole comunemente definire come un pollastrello. Di nessuno dei due si può dire che trasudi quell'indefinibile non so che comunemente definito come sex appeal. Non so, naturalmente, se Daniels possegga fascini nascosti, ma da uomo normale, dotato di istinti normali, non riesco a capire come qualsiasi maschio al disotto del metro e ottanta possa sentirsi attratto da quell'amazzone catafratta che...» «Stupidaggini!» l'interruppi incollerita. «Soltanto perché voi andate pazzo per quelle sciocchine senza cervello, dotate soltanto di riccioli e curve, non è detto che nessun altro debba sentirsi attratto da una donna intelligente, anche se non è esattamente il tipo della modella per biancheria intima femminile!» Adam esalò un altro lungo sospiro, battendosi il petto. «Voi mi piacete, mia cara. Avete riccioli, curve e cervello, ma anche la deplorevole abitudine d'interrompermi sempre e, come tutte le donne, quella di portare ogni cosa su un piano personale. Guardate le cose con maggiore obiettività! Daniels, come sappiamo, è un poliziotto. S'imbarca su questa nave e tutt'a un tratto s'innamora perdutamente di quella gigantesca e spiantata inglese. E in che cosa consiste il suo corteggiamento? Bigliettini teneri che lei va mostrando a tutti, scatole di cioccolatini di dimensioni tali che nessuno può fare a meno di vederle, complimenti fatti a voce così alta da essere uditi anche dai sordi. Ma li abbiamo mai sorpresi a sussurrarsi all'orecchio insensate tenerezze al chiaro di luna? Li abbiamo mai visti cercare di sottrarsi agli sguardi del pubblico? Li abbiamo mai visti fare le mille e una piccole cose che faremmo voi e io se fosse accaduto a noi? Nossignora, mai.» «Quando ci accade la cosa più importante della nostra vita non c'importa un fico secco degli altri» protestai. «E il povero Daniels è troppo indaffara-
to a cercare di risolvere due misteri per avere il tempo di dedicarsi a "insensate tenerezze" come le chiamate voi, sul ponte superiore!» «E la signora Clapp» continuò lui, ignorando la mia interruzione. «Come mai fa tanto chiasso sull'indolente innamorato di Daphne? Perché si comporta come se fosse un pericoloso Don Giovanni venuto a rubarle una perla di valore inestimabile? Perché sottolinea con tanta enfasi la femminilità di Daphne? Perché... perché io non credo affatto che Daphne sia una donna e secondo me non lo crede neppure Daniels.» Si alzò e prese a camminare irrequieto su e giù per il ponte. «Ora» riprese «torniamo alla teoria di Earnshaw, che si accorda perfettamente con la mia. Lui sospetta che il giovane Lambert si trovi a bordo di questa nave e dice che è, o è stato, in ottimi rapporti con la signora Clapp, che è sua zia. Intuite dove voglio arrivare? Capite perché Daniels ostenta tante premurose attenzioni verso una donna che è il doppio di lui?» «Sì, sì, afferro la vostra idea» esclamai. «Ma trascurate un punto importantissimo della psicologia femminile, Adam Burr. Siete...» Più tardi In cabina Il resto di quella frase non sarà mai scritto, Davy. In questo frattempo sono accadute cose spaventose che hanno relegato nel limbo delle quisquilie le mie idee in fatto di psicologia femminile. Mi tremano ancora tanto le mani che, come vedi tu stesso, la mia grafia è quasi illeggibile. Ma voglio rassicurarti subito, tesoro: la porta della mia cabina è ben chiusa e sprangata, ora, e un uomo dall'aria risoluta monta la guardia in corridoio. Quanto a me, sono ancora viva e incolume, grazie al cielo! Intorno alle sette, stavo finendo la mia ultima puntata, di furia come sempre perché era quasi l'ora di vestirmi per la cena e come sempre seduta ai piedi della cuccetta, col taccuino sulle ginocchia e le spalle verso la porta. A bordo regnava la massima calma ma a un tratto udii dietro a me un lieve rumore e al tempo stesso mi venne in mente che non avevo chiuso la porta col catenaccio. Non osai muovermi ma alzai gli occhi allo specchio sopra il lavabo e pur nella scarsa luce della cabina vidi il battente socchiudersi lentamente! Seguì un minuto così denso di sensazioni che sembrò durare un'ora. Potrei riempire pagine e pagine per descriverlo. Mi rannicchiai su me stessa
schiacciandomi contro il fianco della cuccetta, dietro la porta che, silenziosamente ma implacabilmente, andava aprendosi per consentire a qualcuno di entrare nella mia cabina. Il rumore delle macchine, persino l'occasionale sciabordio delle onde contro l'oblò parevano essere cessati per un momento, come se la nave stessa e gli elementi fossero in attesa di udire, di vedere che cosa sarebbe accaduto. In capo al letto c'era un campanello... appena fuori portata. Ma non osai muovere un dito per raggiungerlo. Un istinto recondito, una sorta di sesto senso mi suggerivano di restare assolutamente immobile, perché era della massima importanza che vedessi chi stava per entrare. Tenevo gli occhi fissi allo specchio, incantata come un coniglio che osservasse affascinato il mortale avvicinarsi di una donnola. Nell'apertura che andava allargandosi a poco a poco, non vedevo ancora niente altro che la porta della cabina di fronte. Poi, tutt'a un tratto, nello specchio apparve un viso: un viso premuto contro il battente, in ascolto. Un viso che si fece sempre più nitido, finché... Oh, Davy, ancora adesso mi gira la testa a ripensarci e il cuore mi batte con tale forza che sembra far tremare persino la cuccetta. Perché quello che vedevo era il viso di Robinson! Non c'era molta luce e non ne distinguevo bene i particolari, ma ne vedevo abbastanza per essere certa di non sbagliarmi: le spesse lenti, i folti capelli bruni, la carnagione liscia e abbronzatissima erano esattamente come li ricordavo. Per il resto, non v'era nei suoi lineamenti alcun tratto rilevante e tuttavia mi sembrò che ne spirasse una sensazione di orrore e di ripugnanza quasi intollerabile. Se ci ripenso, mi sudano ancora le mani! A tutta prima, lui non mi vide. Si guardava intorno come se cercasse qualcosa. Ora distinguevo il suo abito scuro e la cravatta nera e dopo un momento distinsi anche qualcos'altro, un cupo luccicore di acciaio brunito. Stringeva nella destra una rivoltella. Davy! Ringrazio il cielo di essere rimasta troppo atterrita per gridare! So che se lo avessi fatto, ora non sarei più qui a scriverti! Un segno di panico, un falso movimento verso il campanello, e per me era finita. Ma quel momento durante il quale lui rimase lì alle mie spalle mentre io fissavo nello specchio il suo riflesso confuso durò un'eternità. Poi, all'improvviso, notai un fugace movimento nello specchio e subito dopo avvertii la pressione dell'acciaio gelido contro la mia spalla sinistra... una pressione dall'alto in basso, come se la rivoltella fosse puntata in direzione del mio cuore.
In quel momento, Davy, fui certa che mi avrebbe uccisa, come aveva ucciso il signor Lambert e Betty, e mille pensieri mi lampeggiarono in testa in una frazione di secondo. Pensai a te, chiedendomi stupidamente che ti sarebbe rimasto sulle spalle il nostro appartamento nuovo; pensai ad Adam e agli altri che si sarebbero rotti un'altra volta la testa per cercare di risolvere anche questo terzo mistero, poi mi ritrovai a chiedermi se sarebbe stato doloroso morire e a fare speculazioni filosofiche su ciò che ci sarebbe stato dopo. Suppongo che la disperazione dovesse avermi dato una certa dose di coraggio, o di indifferenza, perché a un tratto mi udii dire, con una voce che sembrava provenire da un'immensa lontananza: «Vi prego, signor Robinson, sbrigatevi a farla finita. Mi fate male alla spalla con quell'aggeggio!» Dietro a me echeggiò una risatina, breve e malevola, e la pressione dell'acciaio aumentò tanto da farmi pensare che quel delinquente volesse trapassarmi con la canna della pistola. In condizioni normali il dolore sarebbe stato quasi insopportabile ma anestetizzata com'ero dal terrore io lo avvertivo appena. Però mi è rimasto un bel livido. «Non muovetevi e soprattutto non girate la testa!» La voce acuta, ovviamente parte anch'essa del travestimento, era esattamente come la ricordavo dalla sera fatale della partita a bridge. Non mi mossi, ma continuai a guardare il mio aguzzino nello specchio. «Non vi farò alcun male, se obbedirete. Voglio il vostro diario. Alzatevi e prendetelo, senza voltarvi!» Continuai a rimanere immobile. «Alzatevi!» ripeté lui. «Signor Robinson» dissi a bassa voce «il mio diario è al sicuro nella cassaforte del comandante, a eccezione di queste poche pagine. Se volete venire con me, andremo a prenderlo... O preferite aspettarmi qui?» La pressione della rivoltella contro la mia spalla si allentò un poco. «Lo giurate?» «Lo giuro. Temo proprio che abbiate sprecato il vostro tempo!» Una volta ancora risonò alle mie spalle la breve risata cattiva. «Voi dite? Probabilmente non sarà del tutto sprecato...» Udii un clic e la cabina piombò nel buio quasi totale. Robinson aveva spento la lampada dietro a me e ora non potevo più vedere il suo viso riflesso nello specchio, anche se sentivo ancora, o forse mi pareva di sentire, la pressione della rivoltella sulla mia spalla. Poi, Davy, accadde qualcosa il cui solo pensiero basta a darmi ancora la
nausea. Un braccio mi circondò il collo, la mia testa venne rovesciata bruscamente all'indietro e prima che potessi rendermi conto di ciò che stava accadendo avvertii il calore di un respiro nelle narici e una bocca premette la mia nel bacio più orrendo che si possa immaginare. E capii subito perché era tanto odioso. Davy adorato, le sue labbra sapevano di sangue! Qualcosa scattò nel mio cervello. "Che spari pure, che mi uccida, che faccia ciò che vuole, ma devo, devo liberarmi da quest'orrido abbraccio... dall'orrore di queste labbra da vampiro!" Mi dibattei come una mosca nella ragnatela ma il braccio intorno al mio collo era come una morsa di acciaio. Non potevo gridare, la pressione della sua bocca mi soffocava. Poi, a un tratto, i miei occhi si posarono sul campanello. II mio braccio era vicinissimo al pulsante. Col gomito piegato, lo pigiai a tutta forza, fino a farmi male. Non so bene cosa accadde dopo. So soltanto che a un tratto udii sbattere la porta e - ti lascio immaginare con quale sollievo -mi ritrovai sola. Udivo in distanza lo squillo del campanello, sempre più forte. Lo si doveva udire di certo in tutta la nave e ben presto sarebbe arrivato Trubshaw: c'era a portata di mano qualcuno che mi avrebbe aiutato. Ma non vi fu alcun rumore di passi a rassicurarmi. Uscii barcollando in corridoio. «Steward! Steward!» gridai. II fedele Trubshaw continuò a brillare per la sua assenza. Tutti i passeggeri erano occupatissimi a vestirsi per la cena e benché due o tre teste femminili si affacciassero per un attimo alle porte, nessuno venne in mio aiuto. Finalmente (ma dovevano essere passati non più di tre secondi in tutto) arrivò di corsa la mia cameriera. «Avete chiamato, signorina? A quanto pare, il signor Trubshaw non c'è e io ero fuori servizio, ma...» Soltanto allora notò la mia bocca insanguinata e i capelli scomposti. «Vi siete fatta male alle labbra, signorina?» «Un uomo» ansimai, «avete visto uscire dalla mia cabina un uomo vestito di scuro?» «Ne ho incontrato proprio ora uno in corridoio. È entrato nella toilette per i signori...» «Rincorretelo!» gridai. «Svelta!» Lei esitò un attimo, combattuta fra il pudore e il desiderio di rendersi utile, poi corse via lungo il corridoio, ma ritornò nel giro di qualche secondo. «Dev'essere uscito dall'altra porta» spiegò scuotendo la testa. «Tutte le toilette hanno due uscite.»
Frattanto un certo numero di persone erano uscite dalle cabine attigue e avevano cominciato a far domande. «Non è niente» dissi. «Mi sono morsicata un labbro. Volete mandarmi Trubshaw, per favore, signora Wilson?» Ma in quello stesso momento comparve lo steward, pallido e palesemente spaventato. «Signorina Llewellyn» ansimò «potete venire subito? La signora Lambert!» Mi trascinò in disparte. «È... è... oh, non so, ma credo che sia morta!» Abbigliata com'ero, nella più eterea delle vestaglie, mi precipitai di corsa verso l'appartamento della signora Lambert. «Voi intanto andate a chiamare il dottor Somers» gridai a Trubshaw. «E il signor Daniels. Dite che vengano là immediatamente. Io farò quello che posso, ma sbrigatevi, andate!» Nell'appartamento, mi fermai un momento nel salotto, dove trovai un giovane cameriere che si era rifugiato in un angolo, spaventatissimo. Su un tavolino c'era il vassoio della cena, intatta, e parecchi fogli erano sparsi nel massimo disordine intorno al piccolo scrittoio. I cassetti erano tutti aperti e qualcuno ne aveva messo sottosopra il contenuto, probabilmente alla ricerca di qualcosa che non aveva trovato. Con il cuore in tumulto, spalancai la porta della stanza da letto. La signora Lambert giaceva di traverso sul pavimento, immobile. La raggiunsi in un batter d'occhi e le posai un orecchio sul petto per sentire se le batteva il cuore. Ma prima che potessi scoprirlo, vidi qualcosa che mi fece sussultare. Sulla sua vestaglia bianca, proprio all'altezza del cuore, spiccava una macchia di sangue, ancora umida e lucente. In quel momento per fortuna apparve sulla soglia il dottor Somers, con la sua valigetta nera. «Volete prenderla per i piedi, per favore?» disse dopo un rapido esame. «Mettiamola sul letto.» Insieme, posammo sulla cuccetta il corpo inerte della signora Lambert poi il dottor Somers cercò qualcosa nella sua valigetta. «È... è morta?» domandai con un filo di voce. «Morta? Oh, no davvero!» ribatté lui con l'abituale tono gioviale. «Ha avuto un brutto colpo, ma si riprenderà subito.» «Ma il sangue!» esclamai. «Sembra che le abbiano sparato o che l'abbiano accoltellata.» Invece di rispondere, il chirurgo scostò i lembi della vestaglia della si-
gnora Lambert, scoprendole il seno bianco e sodo sul quale, con mio grande sollievo, non si vedeva alcuna traccia di ferite. «Probabilmente è sangue sgocciolato dalla vostra bocca, signorina Llewellyn» osservò. «Vi siete morsicata malamente le labbra. Lasciate che vi ci metta qualcosa.» «Oh, non preoccupatevi per me» ribattei. «Posso aspettare, io.» Il dottor Somers stava spezzando una fiala sotto il naso della signora Lambert che sternuti leggermente poi aprì gli occhi. Oh Davy, campassi mille anni, non dimenticherò mai l'espressione di terrore che vidi nel suo sguardo! «Robinson!» gemette con un filo di voce, e si abbandonò riversa sul cuscino. Il dottor Somers tornò a frugare nella sua borsa, versò qualcosa in un bicchierino e lo infilò a forza tra le labbra della signora Lambert. Dopo un momento, un lieve colore le salì alle guance. «Si riprenderà in fretta» dichiarò il chirurgo. «Il polso è sostenuto. Ora lasciate che vi disinfetti la bocca.» Mentre mi tamponava le labbra, giunsero dal salotto le voci di Daniels e di Trubshaw. Quest'ultimo stava raccontando com'erano andate le cose. Passando davanti all'appartamento della signora Lambert verso le sette, aveva incontrato il cameriere che le portava la cena (dalla morte del marito, la signora aveva sempre preso tutti i pasti in camera) e si era fermato per informarsi se le occorresse qualcosa. Ma quando aveva bussato, nessuno aveva risposto. La porta però non era chiusa a chiave e i due erano entrati. Vedendo il disordine e le carte sparse nel salottino, Trubshaw si era allarmato e aveva bussato alla porta della camera, ma nemmeno allora aveva ricevuto risposta. Costatato poi che la porta era chiusa a chiave, era andato a prendere un passepartout, aveva aperto e aveva trovato la signora Lambert distesa sul pavimento come l'avevo poi trovata io. Allora, lasciato di guardia il giovane cameriere, era corso a cercare aiuto. Era stato allora che aveva udito lo squillo frenetico del mio campanello e poi mi aveva vista davanti alla mia cabina con l'aria - come disse con espressione pittoresca - di essermi appena imbattuta nella coda di un tifone. Il dottor Somers aveva ormai finito di medicarmi le labbra, perciò tornai in salotto e raccontai a Daniels la mia avventura con Robinson. Ancora prima che avessi finito, lui si rivolse a Trubshaw chiedendogli se avesse visto nelle vicinanze dell'appartamento dei Lambert qualcuno che rispondeva alla mia descrizione.
Il povero Trubshaw divenne bianco come un lenzuolo. «S... sì, signore» balbettò spalancando gli occhi. «Mentre venivo qui, ho incontrato un signore che si allontanava, ma non ho avuto alcun sospetto perché non conosco di certo tutti i passeggeri.» «Dov'è andato?» «Non ci ho badato, signore, mi dispiace... Ha girato l'angolo...» Daniels si rivolse al giovane cameriere. «Lo hai visto anche tu?» «N... no, signore» riuscì a dire il ragazzo, tremante di paura. «Cioè... l'ho visto di spalle... ma non ci ho fatto caso...» Daniels tornò a Trubshaw. «Andate a riferire l'accaduto al commissario di bordo» ordinò. «Quell'uomo deve pur essere da qualche parte. Bisogna iniziare immediatamente le ricerche... ora, mentre tutti i passeggeri sono in sala da pranzo.» «E mandatemi subito la signorina Bush» aggiunse Somers mentre lo steward si avviava per uscire. «La signora Lambert avrà bisogno di un'infermiera, stanotte.» Trubshaw se ne andò di corsa e Daniels si avvicinò allo scrittoio. «Ha lasciato il segno anche qui» borbottò. «Bisognerà controllare se manca qualcosa.» «Questo potrà dircelo Earnshaw» osservai. «Vado a chiamarlo.» Daniels fece un distratto cenno di assenso e io uscii dirigendomi verso la cabina del segretario che si trovava circa a metà strada fra la mia e l'appartamento dei Lambert. Nessuno rispose quando bussai, così aprii pian piano la porta. Era una cabina interna e quindi quasi completamente buia ma la luce del corridoio mi permise di vedere una figura distesa sulla cuccetta: evidentemente Earnshaw, a giudicare dalla macchia scura dei baffetti che spiccavano sul bianco del viso. «Signor Earnshaw!» chiamai, ma lui non rispose. Già sconvolta com'ero, mi balenò subito nella mente il pensiero che fosse accaduto qualcosa di terribile anche a lui. Cercai con la mano l'interruttore della luce, chiedendomi quale nuovo orrore mi si sarebbe presentato alla vista, ma in quel momento colsi il respiro profondo e regolare proveniente dalla cuccetta. Fu come una musica deliziosa per le mie orecchie. Earnshaw dormiva tranquillo. Come accesi la luce, lui si mosse e si strofinò gli occhi. «Oh, signor Earnshaw!» esclamai. «Venite, presto, la signora Lambert...»
Si rizzò di scatto a sedere. «Mio Dio, non...» «No, niente di grave, ma pensiamo che qualcuno abbia rubato qualcosa. C'è bisogno di voi.» Mentre tornavamo dalla signora Lambert gli raccontai brevemente l'accaduto. «Quel maledetto bastardo!» borbottò lui. «E dalla sua cabina, dev'essere venuto direttamente nella mia» aggiunsi mentre raggiungevamo l'appartamento. Daniels e Somers erano ancora li e il chirurgo ci comunicò che la signora Lambert desiderava parlare subito con noi. Ci concesse tuttavia non più d'i cinque minuti perché, aggiunse, le aveva somministrato un forte sedativo che avrebbe fatto effetto in breve tempo. La signorina Bush, l'infermiera di bordo, era seduta accanto al letto e la signora Lambert sedeva appoggiata a una pila di cuscini. Era ancora pallidissima ma accolse Earnshaw con un coraggioso sorriso. «Mi dispiace di essere stata così sciocca» mormorò con voce tremante «ma ho preso un tale spavento!» «Non preoccupatevi» la rincuorò il chirurgo. «Potremo parlare più tardi, se lo preferite.» «No, no» ribatté lei risoluta. «Voglio parlarvi ora, chissà che non possa esservi di aiuto per agguantare quel demonio. Oh...» Girò la testa come per sfuggire a un ricordo troppo doloroso, poi riprese con voce quasi calma: «Ero distesa qui a leggere, poco prima di cena. Mi sentivo un po' meglio, oggi. Poi ho sentito dei rumori in salotto e, pensando che fosse il ragazzo col vassoio, mi sono alzata e ho aperto la porta. Ritto davanti allo scrittoio c'era un uomo vestito di scuro intento a frugare nei cassetti. Mi girava le spalle ma deve avermi sentita perché si è voltato di scatto, così che ho potuto vederlo in viso. Non ho avuto alcun dubbio. Era l'uomo che ha ucciso mio marito, quello che si fa chiamare Robinson! Era esattamente come l'avevo visto l'ultima volta, quando ha gettato in mare la povera Betty. Ci siamo squadrati per un momento, poi lui ha fatto una risata strana, orribile e ha alzato risolutamente la mano destra, puntandomi addosso una rivoltella. Per fortuna ero rimasta di qua dalla soglia e ho avuto la presenza di spirito di fare un passo indietro, chiudere di colpo il battente e girare la chiave. Poi... poi non ricordo altro!» Il lungo racconto l'aveva evidentemente stancata perché abbandonò la testa sul cuscino. Il dottor Somers ci fece segno di lasciarla sola e tornammo in salotto.
«Chissà che cosa cercava» mormorò Daniels fissando il mucchio di carte sparse. «Ora guardo io» si offrì Earnshaw. Prese a esaminare i fogli, lettere personali, telegrammi d'augurio e simili e li raccolse con cura. Alla fine si voltò verso di noi. «Me l'aspettavo» mormorò. «È sparito il testamento del signor Lambert. Era qui, in questo cassetto...» «Oh santo cielo!» esclamò Daniels. «Chi mai poteva avere interesse a farlo sparire?» Earnshaw guardò me. «Ricordate che ve l'ho mostrato ieri sera, signorina Llewellyn? Era soltanto la copia, naturalmente, l'Originale lo ha il nostro avvocato di New York. Quella copia non serve a niente, ma il fatto che sia stata rubata conferma se non altro la fondatezza della teoria che vi ho esposto ieri. Questo Robinson dev'essere qualcuno per il quale le disposizioni testamentarie del signor Lambert sono d'importanza vitale.» E anche il mio diario, a quanto pare. Anzi, si direbbe che il signor Robinson soffra di quella che Kipling chiamerebbe "curiosità insaziabile" per una quantità di cose! Bene, ora devo lasciarti per un po', Davy. Trubshaw mi ha appena portato la mia cena: pane tostato e... mezza bottiglia di champagne da parte del caro vecchio Adam! Non andrà certo sprecata! In cabina Sabato 21 novembre 9,30 p.m. Mi sono scolata la bottiglia fino all'ultima goccia, Davy caro, e questo mi ha dato la forza sufficiente per vestirmi, ricavare il meglio da quanto Robinson mi aveva lasciato in fatto di estetica personale e salire sul ponte per sostenere la mia modestissima parte nel torneo di bridge che sarebbe dovuto cominciare alle otto e mezzo. Nel salone era tutto pronto. I concorrenti erano già tutti lì ma, valutando la loro abilità da alcune frasi che colsi tra il brusìo generale, non rimpiansi affatto che il copione prevedesse la mia precoce uscita di scena. Oltretutto, non avrei nemmeno dovuto fingere molto. L'incontro con Robinson mi aveva lasciata molle come un cencio tenuto a galla da qualche bolla di champagne.
Avevo appena avuto il tempo di guardarmi in giro quando mi piombò addosso Adam. Dopo averlo ringraziato per il suo corroborante omaggio, gli raccontai i punti salienti del mio trattenimento pomeridiano. «Povera cara!» esclamò quand'ebbi finito. «E Daniels mi ha detto anche che quel bruto vi ha persino morsicato le labbra!» «Be', pensandoci meglio, non sono tanto sicura che lo abbia fatto» mormorai soprappensiero. «L'idea di atteggiarsi a martire è piuttosto invitante, ma in realtà credo proprio di essermele morsicate da sola ancora prima che lui mi aggredisse. Ero così atterrita che avrei potuto tagliarmi la lingua in due senza nemmeno avvedermene!» «Comunque siete sempre bellissima anche con la bocca dipinta col permanganato» mi rassicurò Adam. «Forse potreste trovare il modo di guadagnare un milione di dollari, Mary! Perché non brevettare l'idea di aggiungerne un po' al rossetto per labbra... Igienico, antisettico e cosmetico tutt'insieme. E permanente!» In quel momento entrò Daphne col suo compagno di gioco, il taciturno Sutton. «E a proposito di cosmetici» riprese Adam, «avete osservato la nostra Daphne, stasera? Tutta bardata per la sconfitta finale del povero Daniels. Dove manca natura, arte procura! Tra parentesi, lei e la signora Clapp sono arrivate molto in ritardo a cena, stasera. E anche Silvera.» Osservai con attenzione la signorina Demarest. In effetti, una volta tanto, aveva un aspetto molto femminino. Il suo vestito era un poema, lungo e fluttuante, gli occhi e la bocca erano sapientemente truccati e i capelli dolcemente ondulati dalle abili dita del parrucchiere di bordo. Persino il roseo splendore del suo viso rivelava l'uso discreto del fondotinta. Mi voltai di nuovo verso Adam che mi stava osservando con quello che i romanzieri sogliono definire "uno sguardo denso di significato". «Mi avete udito quando ho detto che lei e la signora Clapp hanno fatto molto tardi per la cena?» ripeté. Sapevo perfettamente che cosa intendeva dire, ma finsi di non capire. «Non mi sorprende» ribattei. «Quel trucco da diva del cinema richiede tempo, ci si arriva soltanto con la preghiera e il digiuno! Ma aspettate di vedere la signora Clapp. Scommetto che sarà uno schianto. Alla povera Daphne non rimarrà alcuna possibilità.» «Se è arrivato all'ora giusta per la cena, Robinson avrà dovuto cambiarsi in un lampo» insisté Adam come se non avesse ascoltato una sola parola e stavolta non potei più ignorare il suo sottinteso.
«Sentite, Adam Burr» dissi con una certa foga «ieri avete avanzato una teoria pazzesca secondo la quale Robinson sarebbe una donna, o Daphne sarebbe un uomo, o qualcosa del genere. Ebbene, potete pure scordarvela, amico mio! Ho da dirvi un paio di cosette che la faranno svanire come nebbia al sole. Tanto per cominciare, i protagonisti della conversazione erano la signora Clapp e Daphne. Marzia stessa ha ammesso che stava tentando di dissuadere Daphne dall'idea di sposarsi...» «Usava termini un po' drammatici, mi pare» borbottò Adam. «Oh, ma voi non vedete proprio al di là dei vostro naso!» proruppi scaldandomi sul serio. «La signora Clapp è una donna dal carattere estroso, le piace drammatizzare, dare enfasi ai propri sentimenti! Probabilmente alla base di quella discussione c'era soltanto il suo desiderio di non perdere una compagna tanto utile. Desiderio più che comprensibile, considerando tutto quello che Daphne fa per lei!» «Bene, Mary, allora devo dirvi una cosa che ho scoperto, anche se devo ammettere di non essere molto fiero del modo in cui l'ho scoperta.» Era diventato rosso e teneva gli occhi bassi come una collegiale all'antica, ma mi guardai bene dal dire qualcosa per aiutarlo. «Sì» riprese, esitante «ho convinto Trubshaw a... farmi dare un'occhiata nell'appartamento della signora Clapp. ieri... mentre lei e Daphne erano sul ponte. Bene... la prima cosa che ho visto è stato un rasoio sopra il lavabo in camera!» La sua voce si era alzata in un crescendo trionfale. Lo fissai con un'espressione che gli fece sbattere le palpebre. «Signor Burr, si vede che siete vedovo da molto, molto tempo! Oppure avete condotto vita molto ritirata negli ultimi anni. Non avete una sorella che possa spiegarvi come vanno le cose oggigiorno? Allora tocca a me informarvi che al giorno d'oggi, con gli abiti da sera senza maniche e altre moderne fogge di abbigliamento, le donne hanno bisogno di... be', di qualche accorgimento estetico di cui non avevano bisogno ai tempi della vostra infanzia. Ma lasciamo perdere, è un argomento non particolarmente attraente.» Adam mi guardò con un'espressione perplessa e confusa, poi si riscosse e disse in tono di rimprovero: «Siete sempre così sicura di voi, Mary!» «Bene, di una cosa almeno sono sicura» ribattei. «Robinson è un uomo. Quel suo bacio è stato molto convincente. E c'era molta forza nel suo braccio. No, nessuna donna avrebbe fatto quello che ha fatto lui. Nessuna donna avrebbe mai desiderato di farlo.» Con un sorriso, Adam mi batté una mano sulla spalla indolenzita in un
gesto compassionevole e paterno decisamente antipatico. «A volte mi sembra che non diate prova di molto intuito, cara signorina Llewellyn! Oggi pomeriggio mi avete fatto una lunga dissertazione sulla psicologia femminile, ora è la mia volta d'insegnarvi qualcosa a proposito dei punti di vista mascolini. Nessun uomo al mondo trarrebbe il minimo piacere da un bacio carpito a una donna sotto la minaccia di una pistola. Non dimenticate che Robinson è un criminale braccato per il quale ogni secondo è prezioso. E presumibilmente non è né un Dracula né un Frankenstein. A mio parere, quel bacio è stato una pura e semplice ostentazione.» «Non si può certo dire che siate un adulatore, signor Burr!» Non badò alla mia osservazione. «Un gesto che un uomo normale non avrebbe mai fatto, anche se ne avesse avuto un gran desiderio. Non intendo affatto sminuire le vostre attrattive, mia cara, ma dobbiamo guardare in faccia la realtà. Un bacio rubato è un prezzo troppo alto per un uomo che sta correndo il rischio di essere catturato e mandato a morte, mentre una donna astuta avrebbe potuto farlo nella speranza di sviare le ricerche, ben sapendo che sarebbe stato un gesto logico da parte del delinquente di turno.» «Posso soltanto farvi osservare, Adam, che non siete stato voi il destinatario di quei bacio!» Aspirò una lunga boccata dal suo sigaro poi ne schiacciò la punta splendente nella terra di una felce in vaso. «Mary» mormorò guardandomi con un'espressione curiosa «quale sarebbe la vostra reazione se io ora vi baciassi?» «Uno schiaffone» risposi in tono soave, divertita mio malgrado. «No, no, non intendevo in questo senso. La vostra reazione fisica.» Girai la testa dall'altra parte. «Oh andiamo, lasciamo perdere i particolari inutili!» Sembrò imbarazzato, per un momento, poi riprese: «Mia cara, forse non mi sono espresso nella maniera giusta, ma la mia domanda era assolutamente innocente. So benissimo che un mio bacio vi lascerebbe del tutto indifferente, ma in ogni caso avvertireste l'odore del sigaro e il profumo del sapone da barba. O, se vi avessi baciata prima di cena, avreste avvertito la barba lunga. Capite dove voglio arrivare?» «Oh Adam, devo farvi tutte le mie scuse! Non siete affatto sciocco! Certo, capisco benissimo dove volete arrivare e sono stata sciocca io a non averci pensato. Sono l'unica persona a bordo che conosca l'odore di Robin-
son. Dunque, vediamo un po'. Bene, a parte il sangue, che quasi certamente era il mio, ho avuto la vaga sensazione che potesse avere fumato una sigaretta nel giro dell'ultima mezz'ora. Poi ho avvertito un lieve profumo di crema per il viso o qualcosa del genere, ma nessuna ruvidità di barba. No, decisamente no. Oh, non credo che fumi la pipa perché il mio fidanzato la fuma e riconoscerei immediatamente quell'odore in mezzo a mille. Allora, volete che vada in giro a baciare tutti gli uomini a bordo finché non ritrovo la combinazione esatta?» Adam fece una risatina. «Sarebbe chiedere troppo, mia cara. Però niente barba e profumo di crema per il viso... Gli uomini di solito non ne fanno uso, no?» «A meno che non vogliano farsi passare per qualcun altro» osservai. «O forse, chissà, era odore di cerone. Non m'intendo molto di odori. Ma con tutte le vostre considerazioni cosi poco lusinghiere e galanti, non riuscirete mai a convincermi che non sia stato un uomo a baciarmi, anche se non riesco a immaginare chi diavolo avrebbe potuto desiderare di farlo, tra i passeggeri di questa nave!» «Bene, mia cara» mormorò lui sorridendo «naturalmente non vorrei incriminare me stesso, ma... uno potrei essere io!» Per fortuna in quel momento apparve il signor Wolcott che mi salutò strofinandomi cerimoniosamente la barbetta su una mano. «È un immenso piacere avere per compagna di gioco, stasera, una persona che s'intende veramente di bridge» dichiarò in tono solenne. Restammo per qualche momento tutti e tre a chiacchierare in disparte mentre i giocatori ritardatari prendevano posto. Silvera giocava con la donnona che ieri si era intromessa nella nostra partita, Jennings si era generosamente offerto come compagno di un vecchio appassionato di whist che portava un cornetto acustico e Adam se ne andò dopo un poco per raggiungere la sua compagna, una ragazza insipida pettinata alla Greta Garbo. Wolcott e io stavamo per metterci a sedere quando un certo trambusto all'ingresso del salone attrasse la nostra attenzione. Stava entrando la signora Clapp, splendida più che mai in un abito di satin bianco il cui taglio severo era ammorbidito da una pesante frangia di seta. La seguiva a ruota Earnshaw, bello come sempre anche se col viso palesemente segnato dalla stanchezza. Un gruppetto di persone le si strinse subito intorno per tributare un ultimo omaggio alla Fama. Non c'era uomo in sala che non facesse di tutto per ottenere uno sguardo o un cenno di saluto e non c'era donna che non si sentisse a un tratto goffa e malvestita in confronto alla Diva.
Wolcott fu trascinato lontano da me e io ne approfittai per scambiare qualche parola con Earnshaw. «Novità?» sussurrai. «No» rispose lui passandosi una mano sui capelli neri e lucenti. «Non mancava niente altro e la signora Lambert dorme tranquilla. Altrimenti non sarei qui. La cosa non mi diverte affatto, ma... Chissà, forse la signora Clapp potrebbe fare qualche accenno a suo nipote e poi gliel'avevo promesso. E voi, vi sentite meglio, signorina? Avete ancora un brutto segno sulla spalla!» «Be', nemmeno io sono molto entusiasta dalla serata» sussurrai. «Mi guardo in giro alla ricerca di qualcuno con le labbra sanguinanti! Spero proprio di averlo morsicato, quel bruto!» Poi tutti ci mettemmo ai nostri posti e Jennings dichiarò aperto il torneo. Distribuii le carte per la prima mano, vidi che erano un disastro e decisi immediatamente che era giunto il momento per il mio mal di testa. Si chiamò il commissario di bordo, Daniels comparve come per incanto e si operò regolarmente la sostituzione. Non mi dispiacque affatto andarmene. Tornando in cabina, vidi la guardia seduta a un incrocio dal quale si può tener d'occhio la mia cabina e l'appartamento della signora Lambert. È un tipo erculeo col naso da pugile, cosicché se a Robinson venisse in mente di rifarsi vivo stanotte, troverebbe pane per i suoi denti. Ciò nonostante, tesoro, preferisco affidarmi al buon Dio e a una serratura robusta. Più tardi Appena finito di scriverti, mi sono spogliata e mi sono infilata a letto con un romanzo, un poliziesco di quel tuo amico, Patrick Quentin, che mi hai dato tu. Una lettura piacevole e riposante, dopo le emozioni e gli orrori di questo viaggio, come passare a un regime latteo dopo una dieta a base esclusiva di whisky. 1 E mentre leggevo, non potevo fare a meno di pensare che se il tuo geniale amico ha saputo ricavare tanto da una situazione così scarna, ambientata in una vecchia, ammuffita università inglese, chissà che cosa non saprebbe combinare con questo mistero reale, fosco e allucinante che stiamo vivendo a bordo della Moderna. 1
Presumo che. con questo commento non molto lusinghiero, la signorina Llewellyn intenda riferirsi al mio romanzo MURDER AT CAMBRIDGE - Q.P.
Tuttavia, devo ammettere che il romanzo mi ha tenuta sveglia, incatenando la mia attenzione al punto che ho fatto un salto quando, intorno a mezzanotte, ho udito le voci dei passeggeri che rientravano in cabina dopo il torneo di bridge. Dopo un momento un lieve colpo bussato alla mia porta mi fece balzare a sedere. «Chi è?» Mi rispose la voce di Trubshaw. «Non allarmatevi, signorina. C'è un signore che desidera parlare con voi. Dice che è molto urgente.» Non sembrava affatto sorpreso, come se fosse mia abitudine intrattenere signori nella mia cabina a quell'ora di notte. «Chi è, Trubshaw? Sono a letto.» «È il signor Daniels, signorina. Dice se potete... se non vi dispiace concedergli un minuto. Sembra molto agitato, ma ha un piatto di panini per voi.» Bene, Davy, pensai che un poliziotto innamorato di un'altra ragazza non costituisse alcun pericolo e oltre tutto avevo una fame da lupi, così infilai la vestaglia e dissi a Trubshaw di far entrare il signore. Mi venne da ridere quando vidi la faccia di Daniels. Aveva un'aria così infelice e confusa, sembrava così imbarazzato nel vedermi a letto da non saper spiccicare una parola. Per metterlo a suo agio lo salutai con perfetta disinvoltura e agguantai subito un panino. «Si... signorina Llewellyn» riuscì finalmente a balbettare «devo farvi tutte le mie scuse per il disturbo, tanto più che sarete molto stanca dopo lo... lo spiacevole incidente di questo pomeriggio. Ma mi rivolgo a voi a nome della Compagnia: siete l'unica persona che possa aiutarci.» «Che diavolo è accaduto, signor Daniels? Su, prendete anche voi un panino. Vi metterà a vostro agio. Siete piuttosto nervoso. Il vostro piano non ha funzionato?» Lui levò di tasca il fazzoletto e si asciugò la faccia. «Oh sì» rispose soprappensiero. «Ha funzionato sì, in un certo senso. Ma in un altro senso ha complicato ancora di più le cose. Vedete, qualcuno ha commesso entrambi gli errori commessi da Robinson quella sera: ha aperto col fante di fiori nella prima mano e con quello di cuori nella seconda. Anzi, come mi ha fatto osservare Wolcott, pareva proprio che avesse la fissazione dei fanti, fosse o non fosse giusto giocarli, esattamente come fece Robinson, ma il guaio è che, di questo sono matematicamente certo, quella persona non può assolutamente essere Robinson!» «Oh santo cielo!» proruppi in preda a un'improvvisa eccitazione. «E chi
è dunque quella persona?» Daniels scosse la testa. «Non riuscireste a strapparmi il suo nome nemmeno con le tenaglie, signorina Llewellyn. È impensabile... assolutamente impensabile. Non quadra, ecco! Non quadra niente. Per questo sono venuto da voi.» «Dovreste dirmelo, invece, se non altro perché possa trarre io stessa le mie conclusioni.» Scosse ancora la testa con aria più che mai infelice. «Signorina Llewellyn, penserete forse che io abbia sprecato il mio tempo, a bordo, ma invece ho lavorato come un negro. Non è stata davvero una vacanza per me. So una quantità di cose che non sono scritte nel vostro diario. Tanto per cominciare, potrei dirvi dove si trovava più o meno ogni passeggero quando è stato avvelenato il signor Lambert e ho un elenco di tutte le persone che erano in giro quando è stata scaraventata in mare la povera signorina Betty. E ho un'idea abbastanza chiara, anche se sarà difficile stabilirlo con certezza, di quali persone possono essersi trovate nella posizione di aggredire voi e la signora Lambert oggi pomeriggio. Certo, non posso dire di sapere tutto di tutti, ma almeno ho un elenco dei passeggeri in possesso di un solido alibi in ciascuna occasione. Ma da tutto questo lavoro sembra non uscire niente di utile perché, vedete, la persona che ha commesso quegli errori, stasera, ha un alibi perfetto in tutti e tre i casi. Lo vedete dunque, è un'impresa praticamente disperata cercare di far quadrare le cose!» «Signor Daniels, voi però state trascurando due possibilità. Forse quello di Robinson non è un travestimento. Forse si tratta di una persona reale che sta tuttora nascosta a bordo... o forse non è un passeggero.» Lui mi guardò con un'espressione strana e abbassò la voce fino a un sussurro greve di mistero. «Potrebbe essere, signorina, ma vedete, il fatto è che Robinson si trovava nel salone, stasera, mentre noi giocavamo a bridge. Ha lasciato un messaggio!» Sentii scorrermi per le spalle un brivido, come se mi trovassi a un tratto di fronte a qualcosa di sovrannaturale. Ebbi per la prima volta la sensazione che ci stessimo battendo contro qualcosa di non umano... che le forze stesse del male fossero in azione a bordo della Moderna. Mi avvolsi più stretta nella vestaglia. «Non allarmatevi» riprese Daniels passandomi, a mo' di consolazione, il piatto dei panini. «Non è stato niente di terribile, ma ci ha dato la prova incontrovertibile che stasera Robinson era nella sala del bridge.» Così dicendo, levò di tasca dei fogli e me li tese. Mi bastò un'occhiata
per vedere che era la copia del testamento del signor Lambert rubata quel pomeriggio dal salotto della sua vedova. Sul retro, nella stessa grafia a zampa di gallina che conoscevo così bene, era stato scritto: HO VISTO TUTTO QUELLO CHE VOLEVO. GRAZIE. ROBINSON. «Mio Dio!» esclamai. «Quell'uomo va facendosi sempre più audace! È uno spudorato. Se non lo agguantate prima che arriviamo a Georgetown, non ci sarà più anima viva a bordo per continuare il viaggio. Ma come diavolo siete venuto in possesso di questo testamento?» «Questo è il punto più sorprendente» esclamò lui e mi raccontò com'erano andate le cose. Sembra dunque che dopo avere servito la cena a me, Trubshaw sia salito nel salone per dare una mano a preparare i tavoli per il torneo di bridge, spostando fra l'altro uno dei grandi vasi con felci per far posto a un tavolo. Ora, Trubshaw è pronto a giurare che in quel momento nel vaso non c'era nient'altro che la felce. Come ebbe inizio il torneo, scese a cenare e risalì poi alle dieci per servire i rinfreschi ai giocatori e in quell'occasione notò, con sua immensa sorpresa; che da quello stesso vaso sporgeva un foglio di carta. Lo prese e lo consegnò immediatamente a Jennings, che a sua volta lo passò a Daniels. Nessun passeggero che non fosse impegnato nel torneo era entrato in sala nel corso di tutta la serata, ma chiunque poteva essersi avvicinato in qualunque momento al vaso, perciò la conclusione inevitabile è che Robinson dev'essere o un passeggero o uno steward. «Ho mostrato il documento al signor Earnshaw» concluse il nostro poliziotto, e lui lo ha riconosciuto come quello sparito poche ore prima. Ha suggerito di rilevare le impronte digitali, ma a parte che non sono affatto esperto in questo campo, non posso certo andare a rilevare le impronte di tutti i presenti in sala. Ne nascerebbe un caos! «Bene, da tutto questo possiamo trarre almeno una conclusione» osservai, tra una boccata e l'altra dell'ultimo panino. «Sembra prendere maggior vigore la teoria del signor Earnshaw che Alfred Lambert junior si trovi a bordo di questa nave. Chi altri mai avrebbe potuto avere interesse per il testamento del signor Lambert? Trovate Alfred e avrete trovato Robinson.» «Che cos'è questa storia?» domandò Daniels stupito. «Non ne so niente, io. Ho sentito parlare di questo Alfred, naturalmente, ma...»
«Oh mio Dio! Avevo promesso che non ne avrei parlato con nessuno! Dimenticavo che voi non avete letto le ultime puntate del mio diario.» «È proprio per questo che sono venuto da voi, signorina. Dovete farmi leggere quel diario. Potrei anche aver sbagliato tutto, nelle mie deduzioni. Forse il giocatore che ha commesso quegli errori, stasera, è proprio Robinson. Se potessi scoprire un indizio, almeno l'ombra di un indizio nel vostro diario, mi attaccherei alla radio a spedire messaggi. Chissà che non riesca ad avere qualche notizia che possa confermare questo sconcertante sospetto. Forse potrei scoprire finalmente la verità prima che arriviamo a Georgetown. Vi ho detto di essere al corrente di particolari che voi non potete conoscere. Bene, la vostra ultima osservazione è una prova che voi siete in possesso di informazioni che è mio dovere conoscere. Dovete aiutarmi.» Credetti che si sarebbe gettato in ginocchio davanti a me tanto era accalorato! «Oh, so che cosa state per dirmi» continuò in tono appassionato. «Il vostro diario è un documento strettamente personale, d'accordo. Avete parlato di me come del "buffo piccolo londinese", avete espresso francamente la vostra opinione su vari passeggeri, avete scritto cose che non hanno niente a che vedere con questo dannato affare Lambert, lo so, lo so. Ma non è il momento di stare a considerare i sentimenti personali, signorina Llewellyn. Qui è questione di vita o di morte. Quel diario non uscirà dalle mie mani, ve lo giuro. Quello che c'è di personale sarà sacro per me come la memoria della mia povera mamma. Lo rimetterò indenne nella cassaforte del comandante.» Ormai dovevo fare uno sforzo per non scoppiare a ridere. Era così buffo mentre se ne stava lì, saltellando da una gamba all'altra come un passerotto! «Signor Daniels» cominciai con foga «se avete perorato la vostra causa con tanto calore con Daphne, non mi sorprende che abbia promesso di sposarvi! Credo che siate capace di strappare a una ragazza qualsiasi promessa. Certo che potete prendere il mio diario. Sarò felice se i miei modesti sforzi letterari potranno servire a qualcosa, però è una cattiveria da parte vostra non dirmi chi ha giocato quei fanti.» Mi prese una mano e la strinse fra le proprie. «Oh grazie, grazie! Non lo dimenticherò mai! È stata una cosa tremenda e...» «E sarà ancora più tremenda per voi se mai rivelerete a Daphne una sola parola di quella che dice di lei il signor Burr nel mio diario» dichiarai in tono minaccioso. «Lo so, tra marito e moglie non dovrebbero esserci se-
greti, ma se mai avesse a trapelare qualcosa di questo, verrò difilato in Inghilterra e vi sparerò. E ora, se le volete, eccovi le ultime due puntate. Divertitevi!» Prese i fogli e si avviò alla porta, ma lo richiamai. «Visto che non avete voluto dirmi niente d'interessante, mi direte almeno chi ha vinto il torneo.» «La signorina Demarest» fu la risposta. «Le hanno regalato un piatto d'argento per il burro con la Moderna riprodotta a smalto sul coperchio. Molto bello... e confacente al caso, no? Buonanotte.» Che te ne pare come finale, Davy? Sul ponte Domenica 22 novembre Mezzogiorno Davy, sembra che stia finalmente accadendo qualcosa, anche se non so bene che cosa. Regna dappertutto un'atmosfera di contenuta eccitazione che non deriva soltanto dal fatto che domani saremo a Georgetown. Nessuno ha la più vaga idea di quello che bolle in pentola ma in un modo o nell'altro si direbbe che tutti sentano che qualcosa bolle. Il punto focale, per ciò che mi riguarda, è Daniels. L'ho intravisto di sfuggita un paio di volte stamattina dopo colazione. Andava e veniva indaffaratissimo dalla sala radio ma non mi è riuscito di indurlo a fermarsi per raccontarmi qualcosa. Dopo quello che mi ha detto ieri sera ero in grande ansia, naturalmente, ma dalla sua espressione preoccupata non ho potuto arguire niente di niente. Un punto solo mi sembra chiaro: dev'essere sulle tracce di qualcosa. Resta da vedere dove quelle tracce lo condurranno. A bordo della Moderna non vigono leggi puritane e subito dopo la funzione religiosa un folto gruppo di passeggeri si riunì sul ponte superiore per assistere alla finale del torneo di tennis di bordo: un doppio misto nel quale Daphne e Daniels dovevano battersi contro il signor e la signora Hirsch. Ma il nostro poliziotto non era ancora comparso e i signori Hirsch, seccatissimi di quell'assenza, cominciavano già a parlare di vittoria per forfè degli avversari quando scorgemmo in lontananza Daniels. «Vado a chiamarlo, vado a chiamarlo» esclamarono diverse voci. «No» tuonò Daphne. «Ci vado io!» E senza un'altra parola marciò verso il suo compagno che si stava allontanando e, sollevandolo letteralmente di peso, lo portò nel campo di gioco. Quella prodezza fu accolta da un gene-
rale scoppio di risa alle quali si unì lo stesso Daniels, pur con una sommessa anche se allegra protesta per il trattamento subito. Ma quando egli dichiarò di non poter giocare perché aveva altri impegni urgentissimi, Daphne fu irremovibile: il resto poteva aspettare, dichiarò; lo sport doveva avere la precedenza su tutto. Così, dopo qualche altra timida protesta di Daniels, il gioco cominciò. Fu un incontro elettrizzante. Gli Hirsch erano giocatori impeccabili (avevano vinto tutti gl'incontri precedenti senza alcuna fatica) e Daphne e Daniels, anche se meno precisi, erano oltremodo pittoreschi. E avevano il pubblico dalla loro, probabilmente perché si era sparsa la voce di una loro prossima consociazione di ben altro genere. Durante il primo set (vinto finalmente dagli Hirsch per 6 a 4) i fattorini di bordo diedero vita a un coro quasi incessante di: "Signor Daaaniels! Signor Daaaniels!" Credo che portarono almeno sei radiogrammi e alla lunga Daniels prese a mostrare i segni di un tale nervosismo che Daphne finì per afferrare tutto il mucchio e consegnarlo a me col divieto di mostrarne anche solo l'esterno al suo compagno finché non fosse conclusa la partita. Nel secondo set, rendendosi conto che l'esperienza degli Hirsch li stava mettendo a mal partito, i due inglesi adottarono una nuova tattica. Daphne si piazzò a rete, dove la sua statura le consentiva d'intercettare quasi ogni colpo, che ribatteva imprimendo alla palla un diabolico movimento rotatorio dai risultati micidiali, mentre Daniels saltellava come un grillo a fondo campo recuperando i radi lanci che sfuggivano alla sua atletica compagna. «Signor Daaaniels!» gorgheggiò un'ennesima volta un fattorino e altri due radiogrammi vennero ad aggiungersi al mio fascio. «Aspettate a congratularvi» ammonì scherzosamente il signor Hirsch alla fine del secondo set, vinto dai nostri amici, mentre Daniels si fermava un attimo a contare i radiogrammi. Non voglio annoiarti oltre con la descrizione del terzo set, Davy. Mi basti dirti che casa Daniels-Demarest si arricchirà di un altro utile oggetto d'argento, probabilmente sotto la forma di un'oliera o di un paio di posate da insalata. Se continua così, nessuno potrà certo dire che Daphne andrà a nozze a mani vuote! Scherzi a parte, è stata splendida e quando penserò a lei la rivedrò sempre in abbigliamento sportivo sullo sfondo del cielo e del mare, saltando, correndo, volando, stupenda come una giovane dea greca. Non mi sorprende più che Daniels si sia innamorato di lei (o così almeno sembra). Dopotutto, dove sta scritto che le donne debbano essere aggraziate e minute? Io comincio a credere che gli angeli del cielo abbiano la bel-
lezza generosa, asessuale e atletica di Daphne Demarest. Ma sto divagando, tesoro, e benché la partita a tennis sia stata avvincente, non è assolutamente paragonabile, quanto a emozioni, agli ultimi sviluppi nel gioco ben più importante della caccia a Robinson. Appena vinto il torneo, Daniels piantò l'innamorata per venire da me a recuperare i suoi radiogrammi e insieme ci ritirammo in un angolino tranquillo, lontano dagli spettatori che si affollavano intorno a Daphne per congratularsi. Quando ebbe finito di leggere i suoi messaggi, Daniels emise un lungo fischio. «Allora?» domandai. «Mi è concesso di sapere qualcosa, finalmente?» Lui si ficcò in tasca i radiogrammi. «Signorina Llewellyn» disse in tono grave «devo esservi molto grato. Ieri sera non riuscivo a credere ai miei occhi ma poi, mentre leggevo il vostro diario, ho cominciato ad avere qualche illuminazione. Il vostro racconto è così chiaro, così esauriente che francamente non posso credere che non sappiate, che non abbiate sempre saputo chi ha ucciso Lambert e sua nipote.» «Signor Daniels! È un complimento o una presa in giro? Non ho la più pallida idea dell'identità di Robinson. Per quel che ne so, potreste essere voi stesso, o il capitano Fortescue... o il cuoco di bordo! Aspetto che siate voi a dirmelo.» Si guardò in giro con aria preoccupata. «No, no, non ancora. Non oso» sussurrò. «Correte tuttora un pericolo gravissimo. Mi vengono ancora i brividi se penso a quello che avete già corso in questo viaggio. Vi ha salvata soltanto la vostra ignoranza... ah, scusate! Se ora io vi dicessi il nome di quella persona, l'espressione del vostro viso vi tradirebbe e potreste non arrivare viva alla vostra cabina. Anche il comandante vi ha detto che sarebbe oltremodo pericoloso per voi sapere troppo, ricordate? E aveva ragione. Come ho già detto è stata la vostra ignoranza a salvarvi, perché il presentimento cui accennate è esatto: voi siete in possesso della traccia che può portare a Robinson. Ma c'è ancora molto da sapere. Io stesso m'innervosisco un po' quando penso alla quantità di notizie che ho disseppellito nelle ultime ore.» Si batté una mano sulla tasca dove aveva infilato i radiogrammi. «Ma siete proprio deciso a tenere tutto per voi?» sbottai, spazientita. «Ci lascerete tutti nell'ignoranza più assoluta finché non saremo a Georgetown?» Mi guardò con un sorriso disarmante. «No. Anzi, voglio farvi una promessa. Voi saprete tutto almeno due ore prima di chiunque altro. Mi sem-
bra una proposta ragionevole, no? Ma in cambio anche voi dovete promettermi una cosa.» «A questo punto, sono pronta a promettere tutto quello che volete, signor Daniels!» «Bene, allora dovete fare esattamente ciò che vi dico. Ora ve ne starete qui finché non suonerà il gong per il pranzo, durante il quale riceverete un invito per il tè, alle quattro e mezzo. Lo accetterete, poi. non appena il pranzo sarà finito e senza parlare con nessuno (privatamente, intendo) ve ne andrete difilato nella vostra cabina. Chiaro?» «Sembra alquanto misterioso.» «Niente affatto. Mi sto soltanto preoccupando per la vostra incolumità. Capirete poi. Voglio che non restiate sola con nessuno fino alle quattro e mezzo. Dopo, spero, non vi sarà più alcun pericolo. Promettete?» Annuii. «Bene! Dopo pranzo, restate nella vostra cabina finché non verrò io. Chiudete la porta a chiave e non aprite a nessuno. Io mi farò riconoscere bussando il ritmo di Dio salvi il Re. Lo conoscete, no? Tum-tum-ti-ta-tumtum... Non aprite a nessun altro, per nessun motivo. Oggi pomeriggio, non ci sarà più la guardia in corridoio. Sarà impegnata in qualcos'altro, per me. Vi riporterò il vostro diario e vi dirò il nome di quella persona. Desidero che rivediate ciò che avete scritto e che controlliate la mia teoria. Ho sottolineato alcune frasi che mi sembrano della massima importanza. Poi, alle quattro e mezzo, tornerò a prendervi, ma fino a quel momento, se avete cara la vita, non aprite a nessuno, nessuno, badate bene! Ricordate: Dio salvi il Re e niente altro!» Parlava con tanta serietà che non potei fare altro che assentire. Oltretutto, come puoi bene immaginare, tesoro, non muoio certo dalla voglia di avere un bis della pantomima di ieri sera. Non sarò un'aquila, ma mi sembra evidente che Daniels è convinto che Robinson sia uno di noi: sicché sarà meglio che me ne rimanga per conto mio finché non si saprà esattamente chi di noi. E mi sembra del pari evidente che si tratti di qualcuno col quale, in condizioni normali, potrei trascorrere il pomeriggio. Il che dà la stura a una bella serie di orridi sospetti... In cabina Domenica 22 novembre 2,15 p.m.
Bene, Davy, eccomi qui chiusa a chiave nella mia cabina, in attesa del fatidico segnale, in attesa del mio uomo come la paziente Griselda. Forse t'interesserà sapere che già tre persone sono venute a bussare alla mia porta, o forse una persona sola che ha bussato tre volte, in tre diverse riprese, ma da brava ragazzina obbediente non ho risposto. Me ne sono rimasta zitta e ferma, fingendo di non esserci e soffocando la mia comprensibile curiosità. Il buon Daniels mi ha messo in corpo una tale paura e una tale sfiducia in tutti i miei compagni di viaggio che mi sono persino sorpresa a guardarmi allo specchio chiedendomi se io stessa, Mary Llewellyn, sono proprio esente da ogni sospetto. Mentre aspetto il mio signore, ti racconterò ciò che è accaduto a pranzo. Accanto al piatto di ciascun commensale c'era una busta sistemata con garbo fra le pieghe del tovagliolo. Aprii la mia con mani tremanti. Il comandante Horatio Fortescue c'era scritto sarà lieto se la signorina Mary Llewellyn vorrà partecipare al tè che verrà offerto alle 16,30 di oggi, domenica 22 novembre. Esattamente come aveva detto Daniels. Stavo per mettere il biglietto nella borsetta quando notai un altro breve messaggio tracciato a caratteri minuscoli in un angolo. Per incontrare il signor Robinson - Percy Daniels. Nascosi in fretta il cartoncino come se fosse una cosa oscena, poi mi guardai cautamente intorno. Anche gli altri commensali aveva aperto la loro busta e stavano leggendo l'invito con espressioni impassibili. Tentai invano di dare una sbirciatina al biglietto di Adam. Il pranzo fu caratterizzato dalla tensione e dalla fretta. Trangugiammo una portata dopo l'altra, lanciando intorno occhiate furtive di malcelata, reciproca diffidenza, mentre si trascinava alla meno peggio una conversazione saltuaria e distratta. Persino Adam sembrava preoccupato, cosicché fui ben contenta di tornarmene al più presto nella mia cabina. E ora, eccomi qui ad aspettare le quattro e mezzo. Pazienza, Mary... Oh, eccolo! Tum... tum... ti... ta... tum... tum... Persino l'inno nazionale inglese riesce a darmi a malapena il coraggio di aprire la porta. Dio salvi il piccolo Daniels! In cabina Un'ora dopo Bene, Davy, è venuto e se n'è andato e ora sono qui seduta, col mio dia-
rio davanti a me e un vortice di emozioni contrastanti nella testa. Sono semplicemente disorientata, non so più che fare, che dire, che pensare! So soltanto che la mia ragione rifiuta ancora di accettare la terribile verità che Daniels mi ha rivelato. Ma a questo punto, tesoro, voglio soffermarmi a chiacchierare un po' con te. Domani, grazie a Dio, potrò spedirti questo diario. Ma ci sarà ancora un'altra puntata, dopo questa, una puntata che spero di poter scrivere stasera e che farà calare finalmente il sipario sulle spaventose tragedie che ci hanno coinvolti tutti quanti. Ma in realtà tutta la storia è già stata raccontata in queste pagine. Senza rendermene conto, ti ho già fornito tutte le tracce necessarie Se sei intelligente come credo a questo punto avrai già indovinato da un pezzo chi ha ucciso il signor Lambert e la povera Betty. Come mi ha appena fatto notare Daniels, qualunque persona veramente intelligente che avesse letto questo mio diario avrebbe scoperto la soluzione fin dalla pagina 18. (Per tua comodità ho numerato le pagine.) Perché in quella pagina c'è una parola, una parolina di cinque lettere che. dev'essere strisciata fuori dal mio subconscio ma che nondimeno fornisce la chiave di tutta la situazione. Perciò, caro, se non hai già capito, torna indietro alla pagina indicata e rileggitela accuratamente quattro o cinque volte, poi mettiti in gara con Daniels. Anch'io, Davy, avrei dovuto capire già da un pezzo, tanto più che mi vanto d'individuare sempre il colpevole, nei romanzi polizieschi. Stavolta mi sono imbrogliata da sola, ma onestamente credo che avrei immaginato la soluzione, se questa storia l'avessi letta in un libro. Ma trovarsi al centro di una vicenda criminosa è ben diverso che interessarsene per svago restandosene seduti accanto al caminetto. In questo caso, tutte le facoltà mentali sono all'erta, mentre nella vita reale le cose appaiono aggrovigliate e confuse in una maniera che nemmeno lo scrittore più smaliziato riesce a ricreare in un'opera di fantasia. L'opinione che ci si fa delle persone coinvolte, l'istintiva fiducia nella buona fede del prossimo, le considerazioni personali tendono a fuorviarti, facendoti perdere di vista il legame fra un indizio e l'altro, sempre presente nella finzione poliziesca. Inoltre, puoi credere soltanto a ciò che vedi e che senti e ciò che abbiamo visto e sentito su questa nave non è stato di alcun aiuto per raggiungere una soluzione ragionevole. Molte persone vi si sono avvicinate con le loro teorie ma a tutte sembrano essere sfuggiti alcuni punti importantissimi e anche evidenti, un errore che ha finito per portarli totalmente fuori strada.
E naturalmente l'assassino ha messo il massimo impegno nell'intorbidare le acque. Faceva parte del gioco. Tant'è vero che un'ora fa, quando Daniels sgattaiolò nella mia cabina e mi sussurrò all'orecchio un nome, scoppiai a ridere, dicendogli che l'amore o qualcosa del genere doveva avergli dato alla testa. Anzi, lo spinsi fuori ridendo come se avesse voluto farmi uno scherzo e solamente dopo che se ne fu andato, quando ripensai con calma a ciò che mi aveva detto, mi resi conto che poteva esservi qualcosa di vero in quella sua fantomatica accusa. Allora afferrai il mio diario e cercai di furia i passi che aveva sottolineato. (Ma cancellerò le sottolineature prima di spedirtelo. Sei abbastanza in gamba per trovarteli da solo.) E a poco a poco cominciai a vedere le prove che si accumulavano contro il colpevole, rendendomi conto via via dell'importanza assunta dal mio diario e comprendendo di pari passo perché Robinson fosse stato pronto a correre i rischi che aveva corso per impadronirsene. Davy, qui dentro c'è la sua condanna a morte! E questo mi riporta al problema del pericolo che sto correndo io. Ho intrapreso questo viaggio per riposare dopo l'intervento chirurgico, aspettandomi di trascorrere giornate serene e spensierate. E soprattutto sicure. Tanto valeva che mi fossi messa a bivaccare all'incrocio più pericoloso del traffico di New York o che mi fossi accampata in mezzo a una tribù di cacciatori di teste polinesiani. Senza saperlo, ho camminato sulle spade e ho scherzato con la dinamite. In ogni momento di questo viaggio ho avuto come compagna la morte. Come ha detto Daniels, è stata soltanto la mia ignoranza a salvarmi. Tremo soltanto a pensare che alle quattro e mezzo dovrò uscire dalla mia cabina e arrivare fino all'alloggio del comandante. Meno male che avrò una scorta! Perché il pericolo non è ancora cessato, Davy. Ogni qualvolta sento un rumore in corridoio, guardo la mia porta pensando, che, per quanto chiusa a chiave, costituisce un baluardo ben scarso contro un criminale alla disperazione. Guardo lo specchio e mi sembra di scorgervi ancora il viso di Robinson come l'ho visto ieri sera, sento ancora l'odiosa pressione delle sue labbra sulle mie e non posso fare a meno di pensare che anche adesso, all'undicesima ora, se riuscisse a impadronirsi del mio diario e distruggerlo, potrebbe ancora salvare la propria testa. E allora mi tornano alla mente i colpi bussati alla mia porta questo stesso pomeriggio. Era soltanto un amico innocente che veniva a informarsi o era Robinson che tornava? Ora forse capirai, Davy, perché non oso nemmeno scrivere il nome
dell'assassino finché non sarò certa che l'hanno messo sottochiave. Non posso rivelare neppure a te il mio segreto, amore mio... Non ancora. Non ti dirò niente fino all'ultimissimo momento. Non è la tecnica in uso per le storie poliziesche? Anche tu, come lettore, dovrai esercitare tutto il tuo acume fin al penultimo paragrafo, salvo poi restare ugualmente strabiliato quando leggerai il nome all'ultima riga. Perché in fin dei conti questo diario, che è cominciato come una serie di lettere d'amore, potrebbe essere scodellato come un romanzo giallo più che passabile, se qualcuno si prendesse la briga di apportarvi i ritocchi necessari. Naturalmente, non oserei mai pubblicarlo sotto il mio nome, ho la mia reputazione di cronista fedele da difendere e nessuno crederebbe mai che avvenimenti tanto straordinari possano avere qualche attinenza con la realtà. Ma, anche se forse non ho saputo accentuare i punti giusti e il mio stile è tutt'altro che impeccabile, gli ingredienti necessari ci sono tutti. Se vi si trova qualche pista falsa, ho dalla mia la scusante dell'innocente buona fede e nonostante tutto, la via della verità vi si disegna con sorprendente linearità, come la scia spumeggiante a poppa di una nave. Accecata dalle circostanze, io non ho saputo vederla, ma essa è lì, Davy, è sempre, stata lì. E mi chiedo se tu l'hai già vista... Ma dopo questa lunga digressione, penso di dover tornare a Daniels e alle sue ultime istruzioni. Manca poco alle quattro e mezzo, ormai, e lui sarà qui da un momento all'altro. Dovrò portare con me il mio diario ed essere pronta per quella che sarà probabilmente l'ora più eccitante di tutta la mia vita. Daniels dice che comincerà come una qualsiasi riunione per il tè e che bisogna stare attenti a non fare niente che possa mettere in allarme Robinson o fargli sospettare che il gioco è finito, ma sono certa che ne nascerà una scena molto drammatica. Dopo di che... Bene, questo dovrà aspettare. Sento passi pesanti in corridoio, davanti alla mia cabina. Daniels con due stewards! Una scorta coi fiocchi! Raggiungerò l'alloggio del comandante come se fossi un potentato europeo o la regina di Saba. Pista per Mary Llewellyn e il suo diario! Sala di scrittura Domenica 22 novembre 9,00 p.m.
Finalmente, tesoro, un momento di tranquillità per ripassare nella mente le emozioni di oggi pomeriggio. Grida e tumulto si sono acquietati, la nave è stranamente silenziosa e io sono sola in questa stanza. Tutti gli altri passeggeri sono sul ponte, cercando di cogliere un barlume di terra o di luce o un segno qualsiasi che la prima parte del viaggio è quasi terminata. Dall'ora di cena, il mare è ingombro di ciarpame; strani, esotici uccelli marini si gettano a tuffo, stridendo, sui bocconi gettati loro dalla nave; l'acqua non ha più il suo limpido colore oltremarino ma è turgida e verdastra, segno indubitabile che la terra è vicina. Saremo a Georgetown domattina alle sei. Ma ho ancora davanti a me una lunga sera incontaminata, Davy, e non ti priverò dell'ultimo atto del nostro piccolo melodramma. Lo conoscerai nei suoi più minuti particolari. Lascerò via libera al mio estro giornalistico. Giudicherai tu se ne valeva la pena. Mi sembra che sia trascorso un mese da quando ero qui seduta a scriverti, l'ultima volta. In realtà sono passate meno di cinque ore da quando Daniels è sceso a prendermi per accompagnarmi al tè del comandante, ma a una quantità di gente (compresa la sottoscritta) dev'essere sembrato di aver vissuto una vita intera da quel momento. Bene, tesoro, immaginami come mi hai vista l'ultima volta. mentre procedo in atteggiamento solenne, accompagnata da tre uomini, col mio diario sotto il braccio. Alla porta de! comandante, lo passo a uno steward e Daniels e io entriamo soli, cercando di apparire disinvolti. La scena è pronta. Tazze da tè, uno shaker, bicchieri da cocktail. Gli ospiti sono già tutti seduti e sembrano immersi in gaie conversazioni. La signora Lambert siede sul divano col capitano Fortescue. È pallida e abbattuta, ma fa palesemente uno sforzo per tenersi su. Alla sua destra c'è Silvera, che altrettanto palesemente non fa sforzo alcuno. In un angolo, Daphne nasconde totalmente la luce che entra da un oblò, mentre Jennings le serve galantemente tè e pasticcini. Earnshaw, seduto con le spalle alla tenda cremisi, chiacchiera con Adam che balza in piedi al mio ingresso, rovesciando la sedia che aveva riservato per me. C'è un numero decisamente eccessivo di steward eccessivamente seri (compresi il mio Trubshaw e San Bumstead) che passano in giro dolci e panini, ma a parte questo, tutto si sta svolgendo nella massima calma e naturalezza, senza alcun segno premonitore della burrasca che si sta addensando in quelle placide tazze da tè. Ma non manca qualcuno? Conto mentalmente i nasi mentre Daniels si versa quello che lui chiama un robusto doppio scotch. Ma certo! La signo-
ra Clapp! Ah, eccola che arriva, evidentemente. C'è un certo trambusto alla porta della cabina, un trambusto che aumenta fino a diventare un rombo che a sua volta si trasforma in una burrasca in miniatura. La grande attrice non viene defraudata della sua entrata. Un'entrata drammatica. Una pausa di silenzio mentre la stampa prende nota. Entra Marzia Manners con un lunghissimo abito di taffetà nero sul quale spiccano le sue famose perle. Sensazionale, ma di breve durata. Il ricevimento continua, più vivace e brillante, ora, grazie alla conturbante intromissione del mondo della moda. E così, Davy, si mangia, si beve, si civetta. Di quest'ultima attività è Marzia Manners ad avere il monopolio. Lancia occhiate invitanti a tutti i maschi, flirta sfacciatamente con il comandante, manca poco che baci il commissario di bordo, accarezza con gli occhi Earnshaw, scuote Silvera dal suo mutismo, lancia qualche frizzo giocoso ad Adam, che gonfia il petto come un piccione tronfio. Dà vita alla festa, benché non beva altro che tè. Ma nemmeno noialtri siamo poi tanto sprovveduti di spirito. Gli stessi nostri angeli custodi, osservando la scena dall'alto, non sospetterebbero mai che siamo stati riuniti qui per altro che chiacchiere e pasticcini. Ma neppure chiacchiere e pasticcini possono durare in eterno. Approfittando di una pausa, la signora Clapp si alza, tendendo una mano ingioiellata in un vago cenno di saluto che viene ignorato perché in quello stesso momento si è alzato anche il comandante. Nella cabina non si sente altro rumore che il lieve tintinnio de! ghiaccio nei bicchieri e lo smorzato trepestio degli steward che sgombrano piatti e tazze del tè. «Volete per cortesia restare tutti seduti?» La voce del capitano Fortescue echeggia come un corno da nebbia nel mare brumoso delle nostre chiacchiere. «Signore e signori, mi dispiace trattenervi qui più a lungo, ma devo chiedervi un favore. Non è necessario che vi dica che a bordo della nostra nave sono accadute due terribili tragedie. Direttamente o indirettamente siete stati coinvolti tutti. Per questo vi ho invitati qui oggi. Ho il dovere di esporvi qualche altro particolare circa la morte del signor Lambert e di sua nipote. La signora Lambert vorrà perdonarmi, ne sono certo, se tiro in ballo questo sconvolgente argomento proprio ora. Anche lei, come noi tutti, sarà ansiosa di arrivare alla soluzione di quello che è sembrato finora un mistero insolubile. Ebbene, ora sono venuti alla luce alcuni fatti che penso sarete tutti curiosi di conoscere. Ve li esporrà il mio amico e... mm... collega, il signor Daniels. Mi duole dover aggiungere che essi formeranno un
grave capo d'accusa, ma all'accusato sarà garantito ogni diritto a difendersi e spero che voi, signori, vorrete essere i giurati.» Seguì un lungo silenzio, così profondo e assoluto che la caduta di una forcina sarebbe sembrata un colpo di pistola. Poi la signora Clapp si chinò verso di me sussurrando: «Ho sempre sognato di far parte di una giuria. Se penso...» Ma intanto si era alzato anche Daniels e tutti gli sguardi erano fissi su di lui. Un sorrisetto nervoso gli aleggiava sulle labbra, mentre prendeva in mano un fascio di carte. Notai che uno steward aveva posato su un tavolino accanto a lui il mio diario. Trubshaw e gli altri steward si tenevano rispettosamente sull'attenti in diversi angoli della cabina. E finalmente il piccolo londinese aprì bocca, comprensibilmente emozionato, leggendo uno dei fogli che aveva in mano. «Mi è stato chiesto dal comandante di esporvi alcune cose. Come alcuni di voi sanno, presto la mia opera su questa linea in qualità di poliziotto o agente investigativo e, benché sia diretto a Rio per altri motivi, nel corso del viaggio non ho quasi fatto altro che cercare di risolvere il mistero della morte del signor Lambert e della tragica scomparsa di sua nipote. Limitiamoci per il momento al caso del signor Lambert. Come sapete, fu avvelenato durante una partita a bridge la prima sera dopo la partenza da New York e tutto portò a ritenere che responsabile della sua morte fosse un certo Robinson che, dopo avere giocato una partita con me, il signor Burr e lo stesso signor Lambert, era uscito dalla sala, scomparendo come se si fosse dissolto nell'aria. Dopo avere frugato la nave da cima a fondo senza trovare la minima traccia del misterioso giocatore, si giunse quindi all'unica conclusione possibile: il fantomatico Robinson doveva essere qualcun altro travestito.» "Ma Robinson era ricorso a due accorgimenti molto astuti: era comparso la prima sera di viaggio, quando tutti eravamo ancora totalmente estranei l'uno all'altro e di conseguenza non si notava nessuno in modo particolare; e in secondo luogo aveva scelto un camuffamento che lo rendeva perfettamente anonimo. Io stesso, benché lo avessi avuto di fronte per buona parte della serata (e analizzare il prossimo dovrebbe far parte del mio lavoro), scoprii di non ricordare altro che alcuni tratti superficiali della sua persona. Né mi riuscì di trovare qualcuno che avesse notato altro. Robinson era un attore abilissimo che sapeva bene come mimetizzarsi, ma ciò nonostante accadde qualcosa che lo mise in evidenza, qualcosa che non poteva assolutamente nascondere: la sua incapacità di giocare a bridge. Era il peggior
giocatore che avessi mai visto... mi scusi se lo dico. Persino peggiore di me, che non è poco." Daniels fece una pausa, rivolgendo al suo uditorio un sorriso di scusa. Poi prese il mio diario e ne sfogliò le pagine, mentre proseguiva: «Ora, accadde che la signorina Llewellyn, la quale prepara di tanto in tanto qualche quesito di bridge per il suo giornale, prendesse nota di due delle mani giocate quella sera da Robinson, mettendo in evidenza alcuni suoi errori madornali, e questo mi indusse a pensare che, se fossi riuscito a fargli giocare di nuovo quelle stesse mani, molto probabilmente avrebbe ripetuto quegli stessi errori. Non starò a spiegarvi come fui in grado di far ripetere quelle due mani nel torneo di ieri sera, ma sta di fatto che quasi tutti i partecipanti alla gara le rigiocarono. Ma una sola persona commise gli stessi errori già commessi da Robinson e quella persona si trova ora in questa stanza.» Tutti fissavano Daniels palesemente sbalorditi e a disagio. Fu la signora Clapp a rompere il silenzio. «Santo cielo, Daniels! Non vorrete considerare una cosa simile come una prova conclusiva a carico di qualcuno, spero! Io per la prima sono un'esecrabile giocatrice di bridge, commetto gli errori più incredibili, non seguo...» Daniels sorrise. «Non sono un Culbertson nemmeno io, signora Clapp, e avete perfettamente ragione dicendo che non c'è niente d'inconfutabile in un errore al bridge. Sarà facile per chiunque chiarire la propria posizione. Chi non recitava la parte di Robinson in sala da fumo, quella sera, si sarà trovato di certo in qualche altro posto. Chi ha un alibi per... diciamo, le ventuno e le ventidue di venerdì scorso, ovviamente...» Nella stanza tutti si erano rimessi a parlare e Daniels dovette alzare un poco la voce per vincere il brusìo. «Suvvia, era la prima sera di viaggio, ricorderete che cosa avete fatto, no?» «Se volete sapere la verità» scattò la signora Clapp, agendo di nuovo come portavoce «io facevo quello che faccio di solito la prima sera di un viaggio per mare. Ero nella mia cabina a vomitare. Scusate la crudezza, ma ve la siete voluta voi.» «E io ero con lei» aggiunse Daphne. «Quando la vidi profondamente addormentata, vi raggiunsi in sala da fumo, come sapete.» Per un momento nessun altro parlò. Daniels si guardò in giro con un sorriso incoraggiante. «So dov'eravate voi, signor Burr, e voi, signor Wolcott, e la signorina Llewellyn e la signora Lambert. Eravamo tutti in sala da fu-
mo. Ma voi, ad esempio, signor Silvera?» «In cabina... col mal di mare... chiedete allo steward» grugnì il brasiliano, poi girò le spalle come se avesse deciso di non aprire più bocca. «Io ero sul ponte con la signorina Lambert» disse Earnshaw. «La signora Lambert venne a cercarci intorno alle dieci.» La signora fece un cenno di assenso. «E io ero in giro per la nave» spiegò Jennings. «Trubshaw deve avermi visto più di una volta, se desiderate una conferma.» «E voi, Trubshaw?» «Io mi stavo occupando dei miei passeggeri, signore. Alcuni avevano urgente bisogno di me. Ricordo di essere entrato nella cabina del signor Silvera, ma erano già passate le dieci.» Forse tu dirai che nessuna di quelle spiegazioni sembrava molto esauriente, Davy, ma Daniels sembrò pienamente soddisfatto. «Vi ringrazio» disse. «Questo mi basta. Ora, se me lo consentite, vorrei parlare un momento della scomparsa della signorina Lambert. No, non vi chiederò conto dei vostri movimenti nella sera di domenica scorsa. Ho già le vostre dichiarazioni che eravate per la maggior parte nelle vostre cabine. Era già molto tardi e c'era stata una violenta burrasca. Si è supposto che Robinson abbia scaraventato in mare la signorina Lambert intorno alle undici e un quarto. A quell'ora la signorina Llewellyn stava chiacchierando col signor Earnshaw in sala da fumo e furono loro due (oltre alla signora Lambert) i primi che, appena udito il grido, si precipitarono in coperta. Queste tre persone sono le sole che abbiano un alibi di ferro. Ora, poiché sono certo che sia stata la stessa persona a uccidere il signor Lambert e sua nipote...» «Oh signor Daniels, vi prego... cercate di abbreviare» mormorò la signora Lambert portandosi una mano alla fronte. «Io non ce la faccio più!» «Vogliate scusarmi, signora, ma sto arrivando al punto. Secondo me, la morte della signorina Lambert è il punto chiave di tutto il problema. Chi poteva desiderare di uccidere una ragazza cosi graziosa e innocua, e perché? Non era in sala da fumo durante la prima partita a bridge, quando riteniamo che sia stato avvelenato il signor Lambert, e quindi non poteva nemmeno avere visto qualcosa capace di destare i suoi sospetti. E tuttavia quest'uomo, questo Robinson, decise che doveva essere tolta di mezzo e lo fece a sangue freddo e nella maniera più brutale, fece una cosa che...» La voce del comandante interruppe il monologo. «Penso che sia meglio attenersi ai fatti, signor Daniels.»
«Sì, certo, signore. I fatti nudi e crudi. Ma i moventi non sono fatti ed è stato il movente a lasciarmi profondamente perplesso nel caso della povera signorina Betty. Poi, quando meno me l'aspettavo, l'illuminazione mi venne dal di fuori. Fu la signorina Llewellyn a fornirmela. Come sapete, la signorina ha tenuto un diario, annotando scrupolosamente tutto ciò che è accaduto a bordo durante questo viaggio e ieri sera è stata tanto cortese da consentirmi di leggerlo. Posso, signorina Llewellyn?» Chinai la testa, anche per sottrarmi alla batteria di sguardi fissi su di me. La signora Clapp mi scrutava attraverso l'occhialino come se Daniels avesse appena rivelato che ero io l'assassina e gli occhi di Silvera erano come due succhielli. «Ora» proseguì Daniels «vi leggerò un passo del diario, per vedere se scoprirete anche voi quello che ho scoperto io.» E lesse, alle pagine 16 e 18, il passo che comincia con: Daniels usci con un lieve grugnito (che fece ridere tutti) e finisce con: Il gin al limone del signor Daniels era un vero veleno. Al termine fece un'altra pausa, guardandosi intorno. Tutti lo fissavano con viso impassibile e inespressivo. «Oh bene. Daniels» esclamò Adam Burr con un sorrisetto fatuo «se state cercando d'incriminare voi stesso...» «Oh, ma non lo vedete?» proruppe Daniels spazientito. «Una parola... una parolina di cinque lettere che spiega tutto! Quel "torno" in cabina!» Tutti continuarono a guardarlo come se non capissero assolutamente niente. «E va bene» riprese lui. «Permettetemi di rileggervi una seconda volta ciò che disse la povera signorina Betty quella sera quando suo zio le suggerì di partecipare al gioco. Rispose (e queste furono le sue parole esatte, stando a quanto ha scritto la signorina Llewellyn): "No, caro, ho troppo sonno per giocare a bridge. Faccio un altro giretto sul ponte con Jimmy poi me ne torno in cabina".» "Ora, signore e signori, si dice 'torno' soltanto parlando di un posto dal quale si è appena venuti, non vi pare? E se la signorina Lambert disse che sarebbe 'tornata' in cabina, vuol dire che non aveva affatto trascorso tutta la serata sul ponte con il signor Earnshaw e di conseguenza l'alibi dello stesso signor Earnshaw se ne va in pezzi". Tutti gli sguardi erano ora appuntati su Earnshaw che sedeva immobile, le gambe tese davanti a sé. «Sentite. Daniels» disse lui, col viso improvvisamente rosso di collera
«non so se mi stiate accusando di qualcosa o no, e vi dirò che nemmeno me ne importa, tanto questa storia è assurda e insensata. La signorina Llewellyn può sbagliare come chiunque altro. Betty Lambert era sul ponte con me, ma non desiderava che si sapesse. Eravamo fidanzati segretamente, se proprio volete saperlo. E se intendete avanzare la ridicola insinuazione che io sia, o sia stato, Robinson, permettetemi di rammentarvi che io avevo tutto da perdere, con la morte del signor Lambert, in più di una maniera. Perdevo il posto, il denaro che mi aveva promesso...» «Ma certo, certo, signor Earnshaw» l'interruppe Daniels in tono apologetico. «Dovete perdonarmi: intendevo solo mostrarvi, a voi e a tutti, quanto sia facile demolire un alibi. Il diario della signorina Llewellyn...» «Bene, anche l'onnisciente signorina Llewellyn dovrà riconoscere la validità del mio alibi per quanto riguarda la morte della povera Betty» proruppe Earnshaw indignato. «Stavo parlando proprio con lei quando quel demonio la scaraventò in mare. Chiacchieravamo almeno da un'ora...» Daniels lo fissò con molta calma. «Signor Earnshaw, ho già cercato di spiegarvi che in questa storia non possiamo annettere molta importanza né alle ore né agli alibi. E se questo vale ne! caso del signor Lambert, vale ancora di più nel caso di sua nipote. Io sostengo» e fece una pausa, guardandosi in giro come se cercasse qualcosa «sostengo che nessuno ha un alibi per l'ora in cui fu uccisa la signorina Betty per il semplice motivo che nessuno, dico nessuno, all'infuori del suo assassino, sa esattamente quando è stata uccisa! A mio parere il delitto fu commesso un po' più presto, probabilmente durante la burrasca.» La signora Lambert fissò Daniels inorridita. «Ma... ma» mormorò «io l'ho visto... Ho visto Robinson, stavano parlando, poi... quel grido... e lo scialle...» «Sì, sì, signora Lambert.» Il tono di Daniels era educato e suadente. «Lo avete già detto allora. Ma lo avete veramente visto scaraventare la signorina in mare? No. Lo vide qualcun altro? Nemmeno. Avete detto di aver visto due persone che parlavano fra loro, poi avete udito un grido e visto lo scialle che fluttuava sul mare. Quello scialle lo hanno visto anche altre persone, a cominciare dalla signorina Llewellyn, ma questo significava necessariamente che la sua proprietaria era stata appena gettata fuori bordo?» Earnshaw balzò in piedi. «Santo Iddio, Daniels, intendete forse dire che Betty potrebbe essere ancora viva?» Daniels scosse la testa. «No, signor Earnshaw. Temo proprio che non ne esista la minima probabilità. La signorina Lambert è morta. Quello che in-
tendevo dire è soltanto che nessuno conosce l'ora esatta della sua morte. Soltanto Robinson sarebbe in grado di dirlo.» A questo punto entrò uno steward che andò a mormorare qualcosa all'orecchio di Daniels. Notai un lampo di soddisfazione negli occhi del piccolo poliziotto mentre rispondeva: «Bene. Che aspettino fuori.» Poi continuò: «Soltanto Robinson, ripeto, potrebbe fornirci questo particolare. Bene, credo che fra un momento sarò in grado di presentarvelo, il nostro Robinson: capelli scuri, occhiali, abbronzatura e tutto quanto.» Un altro lungo silenzio seguì a quella strabiliante dichiarazione. «Daniels» disse finalmente Adam «a quanto mi è dato di capire, il signor Lambert aveva un figlio, Alfred, che potrebbe trarre vantaggio dalia sua morte. C'è qualche fondamento nella supposizione che possa essere coinvolto in questa storia, che possa trovarsi a bordo di questa nave o addirittura che sia lui il fantomatico Robinson?» A questo punto si alzò anche la signora Clapp, solenne e maestosa. L'occhiata con la quale squadrò il povero Adam avrebbe incenerito un elefante. «Signor Burr» declamò «vi prego di non dimenticare che Alfred Lambert è mio nipote. Un giovane per bene, di nobili sentimenti e di alti principi. Non beve, non fuma e non va certamente in giro ad ammazzare la gente!» Adam sembrò avvizzirsi e Daniels si precipitò alla sua riscossa. «Stavo proprio arrivando a questo, signor Burr. E sono certo che la signora Clapp mi sarà grata se sistemerò la cosa una volta per tutte. Alfred Lambert non è a bordo della Moderna. Anch'io, insieme con altre persone, avevo preso in considerazione questa possibilità, ma stamattina stessa ho ricevuto un messaggio dal capo della polizia di Buenos Aires. Ha visto lui stesso il giovane Lambert, ieri sera. Dirige un allevamento di bestiame e se la cava benone. La teoria della sua presenza a bordo poteva essere allettante, ma credo proprio che ce la dobbiamo dimenticare.» «Lo spero bene» sbuffò la zietta. «E allora, per quello che posso saperne io» osservò Adam «non siamo in grado d'indicare nessuno che abbia avuto un movente qualsiasi.» «Oh, il movente c'era, eccome» ribatté cupamente Daniels. «Ma prima di arrivarci, desidero mantenere la mia promessa e presentarvi il nostro vecchio amico Robinson.» Fece un cenno allo steward entrato per ultimo. «Avanti, Collins.» L'uomo uscì e rientrò immediatamente con una valigetta. Mentre lui e Daniels scambiavano qualche parola sottovoce, io gettai intorno una rapida occhiata. Il comandante era seduto alla sua scrivania e batteva nervosa-
mente una matita d'argento sul sottomano; Jennings e Daphne erano in piedi l'uno accanto all'altra, alti e solitari, in un angolo della stanza. La signora Lambert e Silvera sedevano a fianco a fianco sul divano, lei tesa e attenta, lui annoiato e indifferente. Earnshaw era sempre seduto con le spalle alla tenda cremisi e in quel momento parlava sottovoce con Adam, seduto accanto a lui, mentre la signora Clapp, splendida più che mai, troneggiava in una poltrona solitaria. Erano tutti in attesa e l'insieme risultava persino buffo, tanto assomigliava a una scena di teatro. Daniels intanto aveva levato alcuni oggetti da quello che mi sembrò un doppiofondo della valigetta e ora li stava disponendo in bell'ordine davanti a sé. «Signore e signori» cominciò con l'aria del prestigiatore che si appresta a far uscire il coniglio da un cappello «permettetemi di presentarvi il signor Robinson. Qui c'è tutto: una parrucca castano scuro, di ottima fattura; un paio di occhiali cerchiati di metallo, vetro puro e semplice, suppongo; un flacone di tintura abbronzante e infine... Ah, qui abbiamo due cosette molto strane.» E mostrò un paio di oggetti che sembravano parti di una dentiera. «Vedete» continuò «sono apparecchietti che si fissano ai denti superiori per riempire le guance e cambiare forma al viso. Li usano attori e vecchie signore, credo...» «Penso che dovreste spiegare dove vi siete procurati quegli oggetti, signor Daniels» l'interruppe il comandante. «E come mai c'è un paio di baffetti finti, tra quella roba? Robinson non portava i baffi.» «Questo vorrà forse spiegarcelo il signor Earnshaw» ribatté soavemente Daniels. «Ci siamo presi la libertà di frugare nella sua cabina, mentre lui era qui.» A questo punto, Davy, le cose presero a un tratto un ritmo così frenetico che mi ritrovai nell'assoluta impossibilità di seguirlo. A un angolo della stanza lampeggiò una luce, seguita da un gemito di dolore, e un attimo dopo mi avvidi che due uomini erano usciti da dietro la tenda mettendosi ai lati della sedia di Earnshaw. Ma non era più lo stesso Earnshaw. I baffetti alla John Gilbert erano spariti e Daphne (proprio Daphne!) stava ritta in mezzo alla stanza brandendoli in aria come la torcia della statua della Libertà. «Guarda, Percy!» esclamò. «Sono venuti via come niente, guardali qui! Nei libri e nelle commedie, il malvagio si mette i baffi finti per compiere i suoi misfatti, questo invece
se li toglie! Ecco un'idea originale, Percy, se mai decidessi di scrivere le tue memorie.» Earnshaw si andava toccando con dita tremanti il labbro superiore denudato. «E questo» aggiunse Daniels prendendo dalle mani del comandante l'altro paio di baffi e rimettendolo sul tavolo «è quello che potremmo chiamare la ruota di scorta. Molto astuto, signor Earnshaw. Questo spiega perché non vi si vedeva quasi mai di giorno, perché restavate per tanto tempo chiuso nella vostra cabina.» «Siete pazzo» gridò Earnshaw, spostando le braccia per evitare il contatto con le sue guardie del corpo. «E potevate risparmiarvi questa messinscena» aggiunse indicando i due uomini. «Non sono armato.» «Credo anch'io che siate completamente impazzito» esclamò la signora Clapp con un'occhiata di simpatia a Earnshaw che, fra parentesi, sembrava anche più bello senza baffi. «Dovrete fornirci un bel po' di spiegazioni, signor Daniels. Tanto per cominciare, parlando come esperta di trucco, posso dirvi che sarebbe stato praticamente impossibile per il signor Earnshaw camuffarsi in modo da non poter essere riconosciuto dal suo principale attraverso un semplice tavolino da gioco!» «Questo è un altro punto per il quale il diario della signorina Llewellyn mi è stato molto utile, signora Clapp» ribatté Daniels. «Il signor Lambert era straordinariamente miope, ma quella sera non era riuscito a trovare i suoi occhiali. Non ho alcun dubbio che il signor Earnshaw sarebbe stato in grado di dirgli dov'erano.» «Ma la morte di Betty!» insisté l'attrice in tono quasi isterico. «Non vorrete farci credere che un giovanotto possa essere tanto disumano da scaraventare in mare la propria fidanzata!» Daniels non rispose subito. Una volta ancora stava scartabellando il suo mazzetto di radiogrammi. Il suo viso si era fatto triste, ora, e notai che lanciava una tenera occhiata a Daphne che fissava Earnshaw con espressione feroce, come se si preparasse a strozzarlo. «Giusta obiezione, signora Clapp» disse finalmente il poliziotto. «Ma quali prove abbiamo che la signorina Lambert fosse veramente la sua fidanzata? Non dimenticate che il signor Earnshaw non ha mai fatto parola di questo supposto fidanzamento quando la signorina era viva. Non abbiamo niente a sostegno di quanto dice. Anzi, io ho fatto qualche indagine con risultati che sembrerebbero indicare il contrario. Ho qui un radiogramma del padre della povera signorina. Accenna a un legame precedente che...»
«È una menzogna, una maledetta menzogna!» gridò in tono disperato Earnshaw. Tentò di alzarsi in piedi, ma due mani possenti gli si posarono immediatamente sulle spalle. «Bene, bene» continuò Daniels impassibile. «Credo di poter dimostrare che il signor Earnshaw aveva per l'appunto un legame precedente. Un legame che lo indusse a uccidere l'uomo che gli si era dimostrato amico, un legame che probabilmente la signorina Betty scoprì la sera in cui morì. Se le mie supposizioni sono esatte, fu proprio quella fatale scoperta che rese doppiamente necessario per Earnshaw liberarsi di lei prima che potesse confidarsi con la signorina Llewellyn. È necessario che vi spieghi di quale genere fosse quel legame?» «È necessario sì» proruppe la signora Clapp. «Voi continuate a parlare per enigmi, caro il mio uomo. Forse io sarò particolarmente stupida, ma finora non mi avete dato una spiegazione soddisfacente.» «Tutta questa storia è un insulto» esclamò la signora Lambert, riprendendo vita a un tratto, come galvanizzata. «Un vero e proprio insulto...» «Una vera e propria messinscena, perfetta nei tempi e nell'azione» ribatté Daniels. «Una messinscena nella quale, è facile capirlo, il signor Earnshaw non ha agito da solo. Qualcun altro ha provveduto a preparare la strada perché lui potesse partecipare alla partita a bridge col signor Lambert, qualcun altro lo ha aiutato a procurarsi un alibi per l'ora in cui apparentemente fu uccisa Betty. Ebbene, ecco qui il suo alibi...» Prese dal tavolo un piccolo oggetto tondo e piatto e se lo mise in bocca. Un grido raccapricciante echeggiò ripetutamente nella stanza, un grido più raggelante e sovrannaturale di quello che avevamo udito la sera della scomparsa della povera Betty. Daniels si levò di bocca l'oggetto e lo tenne alto perché tutti potessimo vederlo. «Penso» riprese poi «che sia uno dei trucchi che si usano in teatro per imitare le grida fuori scena. La sera di domenica scorsa esso fu usato per far credere ai passeggeri di avere udito il grido lanciato dalla signorina Lambert mentre cadeva in mare. Il suo scialle gettato fuori bordo servì a completare l'illusione. In realtà, il delitto era stato commesso molto prima, probabilmente durante la burrasca, ma il signor Earnshaw e il suo complice agirono con tanta astuzia da far credere a tutti che avessero entrambi un alibi inconfutabile. In seguito deviarono ancor più i sospetti inscenando una finta aggressione da parte di Robinson, la clamorosa scomparsa del testamento del signor Lambert e la sua altrettanto clamorosa ricomparsa den-
tro un vaso di felci. Tutto è stato progettato con intelligente astuzia e attuato con perfetto tempismo. Una recita impeccabile per la quale, però, sono stati necessari due attori. Posso farvi le mie congratulazioni... signora Lambert?» La povera vedova ora fissava il suo accusatore con l'aria sbalordita di uno che sia stato colpito dal fulmine. Poi, lentamente, la sua mano si mosse verso la borsetta di velluto nero che era lì sul divano accanto a lei. Ma anche il capitano Fortescue aveva notato quel movimento. «Svelto. Trubshaw... la borsetta!» La sua voce vibrò come lo schiocco di una frusta. Lo steward giunse appena in tempo. Una piccola rivoltella luccicava già nella borsetta aperta. Ci fu un momento di silenzio innaturale mentre la rivoltella andava ad aggiungersi alle altre prove allineate sul tavolo, silenzio che fu rotto ancora dalla signora Clapp. Per la prima volta da quando la conoscevo, la udii parlare con la sua voce naturale, non col timbro studiato e ben modulato dell'attrice. Esclamò: «Mabel Lambert, ho sempre detto che eri un'attricetta da quattro soldi. Accetta tutte le mie scuse. Sei un genio! Sei...» Non poté finire la frase perché la signora Lambert era svenuta. Una volta di più, con perfetto tempismo. Non ho bisogno di aggiungere altro, David. Il caso è chiuso. Ho letto tutti i radiogrammi di Daniels, ma non starò ad annoiarti con i particolari scabrosi estorti dalla polizia di New York a cameriere e domestici fin troppo volonterosi che hanno servito in casa Lambert. Ricorderai che il temibile Jimmie ha vissuto là per qualche tempo, prima di questo viaggio, e il piano è stato progettato con la massima cura, usando Betty come paravento. Lui e la signora Lambert sarebbero poi sbarcati a Georgetown, sarebbero tornati negli Stati Uniti e là, dopo un ragionevole lasso di tempo, si sarebbero goduti insieme il denaro del povero vecchio Lambert. Molti particolari, naturalmente, non li sapremo mai. Quelli riguardanti la morte della povera Betty, soprattutto; rimarranno per sempre avvolti nel mistero. Possiamo soltanto lavorare d'immaginazione su ciò che la poveretta può avere veduto quella domenica sera. Forse entrò nella cabina della zia nel momento sbagliato, forse sorprese qualche conversazione che le fece intuire il colpevole rapporto fra quei due, forse... Ma ormai che importa? Sono entrambi sottochiave, ora, e io per la prima sono profondamente persuasa che se lo meri-
tano. Ma, come dice Daniels, quale tempismo! Quale perfetto lavoro di squadra! La visita quasi simultanea di Robinson a me e alla signora Lambert è stato un capolavoro. Earnshaw deve essersi camuffato nella cabina della signora e, dopo, tutto è stato condotto in modo che Trubshaw si trovasse fuori portata nel caso che io fossi riuscita a mettere il dito sul campanello, così che a Earnshaw restasse tutto il tempo per tornare in cabina a cambiarsi. Quando penso a quell'essere odioso là sul ponte, a sondare con lo sguardo l'oceano, fingendosi disperato per la morte della "fidanzata" che aveva appena ucciso... quando penso alla signora Lambert, mezzo svenuta nella sua cabina, sospirando a fatica un atterrito: "Robinson!", mi spingo anche più in là di Marzia Clapp e oso affermare che il palcoscenico ha perduto due attori assolutamente eccezionali. Ora c'è una grande agitazione, fuori, tesoro, un gran chiacchiericcio accompagnato da gridolini di contentezza. Si comincia a vedere un faro o qualcosa. Sento Adam che mi chiama perché vada anch'io a guardare e ho appena visto il piccolo Daniels sottobraccio a Daphne e alla signora Clapp... comodo e tranquillo come un pezzo di pollo dentro un panino! E adesso, attraverso l'oblò di fronte, lo scorgo anch'io. Una luce nel buio, Davy. FINE