MICHEL BENOÎT
IL TREDICESIMO APOSTOLO Traduzione di Paola Lanterna
ISBN-978-88-384-7642-6
Titolo originale: Le secre...
29 downloads
720 Views
3MB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
MICHEL BENOÎT
IL TREDICESIMO APOSTOLO Traduzione di Paola Lanterna
ISBN-978-88-384-7642-6
Titolo originale: Le secret du treizième apòtre © Editions Albin Michel, 2006 Per la Nota dell'Autore, La verità storica dietro Il tredicesimo apostolo, © Michel Benoît, 2007 Realizzazione editoriale: Conedit Libri S.r.l. I Edizione 2007 © 2007 - EDIZIONI PIEMME Spa PiBiBooks
PIEMME
Trama Padre Andrei era un cercatore di verità. Ma la verità che aveva ricavato dallo studio dei testi antichi era di quelle pericolose. Perché non corrispondeva a quella ufficiale, e la Chiesa non apprezza chi mina la solidità delle sue fondamenta. Forse per questo qualcuno lo ha ucciso sul treno che lo riportava a Parigi dal Vaticano, dove era stato convocato dalla temibile Congregazione per la Fede. Il caso, però, viene archiviato come suicidio. Ma padre Nil, suo amico e compagno di studi, non ci crede. Lui sa che Andrei aveva scoperto qualcosa di scomodo, e vuole andare fino in fondo. La sua ricerca lo porta lontano, indietro nel tempo, ai giorni precedenti la morte di Gesù, all'ultima cena con gli apostoli. A un tradimento che non era un tradimento e a una figura misteriosa. Un tredicesimo apostolo di cui non c'è traccia nelle testimonianze ufficiali, ignorato dai Vangeli, ma che era il seguace prediletto di Gesù, il successore predestinato, che ha consegnato a una lettera il suo segreto. Dal Vaticano alle grotte di Qumran, dai misteri degli Esseni a quelli dei Templari, Nil vuole a tutti i costi ritrovare quella lettera che nessuno vorrebbe veder rivelata, né il Vaticano, né il Mossad e neppure la Mecca. Infatti mai, nei secoli, nessuno di coloro che hanno scoperto l'enigma del tredicesimo apostolo è vissuto abbastanza per parlarne...
A David, il figlio che avrei desiderato avere.
Tracciato sul fianco della montagna, l'angusto sentiero dominava una vallata. Lontano, più in basso, si intuiva un torrente che convogliava le acque: avevo lasciato il mio camper alla fine della strada forestale; non sarei riuscito a procedere oltre. Nell'Italia turistica e industriosa, il massiccio del Gran Sasso appariva selvaggio e deserto come agli albori dell'umanità. All'uscita di un boschetto di abeti, il fondo della valle mi apparve: un pendio impressionante che si elevava fino a una frangia che nascondeva il versante adriatico. Uccelli da preda planavano pigramente. Una solitudine assoluta a una decina di chilometri dalla strada affollata di villeggianti, nessuno dei quali si sarebbe avventurato sin qui. Fu allora che lo incontrai: indossava una sorta di blusa, il falcetto in mano, chino su un ciuffo di genziane. I capelli bianchi che gli sfioravano le spalle mettevano in risalto la fragilità della sua figura. Quando si alzò vidi una barba incolta e due occhi chiari, acquatici; uno sguardo infantile, ingenuo e tenero, eppure penetrante e vivo, mi mise a nudo l'anima. «Eccola... l'ho sentita arrivare. Qui i suoni giungono da molto lontano. Non viene mai nessuno in questa vallata.» «Parla francese!» Si alzò, infilò il falcetto nella cintura della blusa, e senza darmi la mano disse: «Padre Nil. Sono - o piuttosto, ero - monaco in un'abbazia francese. Prima».
Un sorriso arguto gli inarcò la fronte liscia. Senza domandarmi chi fossi, né come fossi giunto in quel luogo ai confini del mondo, aggiunse: «Le ci vuole una tisana. L'estate è calda. Mischierò questa genziana alla menta e al rosmarino, sarà amara ma tonificante. Venga». Era un ordine, ma impartito con tono pressoché affettuoso: lo seguii. Magro e ritto, camminava con leggerezza. A tratti, le macchie di sole che filtravano attraverso gli abeti rossi facevano brillare la sua capigliatura d'argento. Il sentiero si restringeva, poi inaspettatamente si allargava in una minuscola terrazza che dominava il dirupo. Appena sporgenti dal fianco della montagna, una facciata a calce, una porta bassa, una finestra. «Dovrà chinarsi per entrare: questo eremo è una grotta resa abitabile, come dovevano esserlo quelle di Qumran.» Ero tenuto a conoscere Qumran? Padre Nil non dava spiegazioni, né faceva domande. La sua sola presenza dava un senso di ovvietà a ogni cosa. L'apparizione al suo fianco di un folletto o di una fata mi sarebbe apparsa del tutto naturale. Trascorsi la giornata con lui. Più in alto del sole, seduti sul parapetto a strapiombo sull'abisso, condividemmo pane, formaggio di capra e squisite erbe odorose. Quando l'ombra del versante opposto sfiorò l'eremo, mi disse: «La riaccompagno fino alla strada forestale. L'acqua del fossato è pura, può berla». A contatto con lui ogni cosa appariva pura. Gli confidai il mio desiderio di accamparmi su quella montagna per alcuni giorni. «Non chiuda la sua macchina,» mi disse «nessuno viene qui e gli animali selvatici rispettano ogni cosa.
Venga domattina. Ci sarà del formaggio fresco.» Ho perso il conto dei giorni trascorsi con lui. L'indomani, le sue capre apparvero sulla terrazza, e vennero a mangiare le briciole dalle nostre mani. «La osservano da ieri. Se si fanno vedere in sua presenza, significa che posso raccontarle la mia storia. Lei sarà il primo ad ascoltarla.» E padre Nil raccontò. Di quell'avventura, egli era il protagonista: tuttavia non mi parlò di sé, ma di un uomo del quale aveva scoperto la traccia nella storia; un giudeo del primo secolo. E dietro a quell'uomo, scorsi l'ombra luminosa di un altro ancora, del quale mi disse poche cose ma che spiegava la trasparenza del suo sguardo limpido. L'ultimo giorno, il mio universo di occidentale educato al cristianesimo aveva vacillato. Partii quando spuntarono le prime stelle. Padre Nil restò sulla terrazza, piccola ombra che conferiva un senso a tutta la vallata, e le sue capre mi accompagnarono per un breve tratto. Ma nel momento in cui accesi la torcia elettrica, spaventate tornarono sui loro passi.
PRIMA PARTE
1
Il treno sfrecciava nella notte di novembre. Diede un'occhiata all'orologio: come al solito il Roma Express aveva due ore di ritardo sul tragitto italiano. Sospirò. Non sarebbe arrivato a Parigi prima delle ventuno. Cercò di mettersi più comodo, passò l'indice tra il colletto rigido e il collo. Padre Andrei non era abituato al clergyman, che indossava solo quando usciva dall'abbazia, cosa che accadeva assai di rado. E quei vagoni italiani dovevano risalire al tempo di Mussolini! I sedili in similpelle, duri come le poltrone del parlatorio di un monastero, un finestrino che si può abbassare solo fino al livello della barra d'appoggio, niente aria condizionata... Per fortuna, doveva resistere per poco più di un'ora. Le luci della stazione di Lamotte-Beuvron erano appena sfrecciate a gran velocità: ogni volta che percorreva le lunghe linee dritte di Sologne, il treno raggiungeva la massima velocità. Vedendo il prete agitarsi, il viaggiatore tarchiato seduto di fronte alzò gli occhi marroni dal giornale e gli fece un sorriso, che non gli illuminò il viso olivastro. "Sorride solo con la bocca" pensò Andrei. "Gli occhi restano freddi come un sasso sulle sponde della Loira..." Il Roma Express spesso trasportava una
popolazione clericale che lo rendeva simile a una succursale del Vaticano. Ma nel loro scompartimento non vi erano altri che lui e quei due uomini silenziosi. Gli altri posti, sebbene fossero prenotati, erano rimasti vuoti. Guardò il secondo viaggiatore, sprofondato nell'angolo accanto al corridoio; di poco più anziano, elegante e biondo come il grano. Aveva gli occhi chiusi e sembrava dormire, ma con le dita della mano destra tamburellava il ginocchio e con la sinistra picchiettava degli accordi sulla coscia. Dalla partenza si erano scambiati solo qualche convenevole, in italiano, e Andrei aveva notato il forte accento straniero senza riuscire a identificarlo. Europa dell'est? Il suo viso era giovanile, malgrado una cicatrice che partiva dall'orecchio sinistro e si perdeva nell'oro dei capelli. Quest'abitudine che aveva di osservare i piccoli dettagli senza dubbio gli derivava da una vita intera trascorsa su oscuri manoscritti. Appoggiò la testa contro il vetro e guardò distrattamente la strada che costeggiava i binari della ferrovia. Già da due mesi avrebbe dovuto rispedire a Roma, tradotto e analizzato, il manoscritto copto di Nag Hamadi. La traduzione era stata rapida. Ma il rapporto d'analisi che doveva accompagnarla! Non era riuscito a redigerlo. Impossibile dire tutto, soprattutto per iscritto. Troppo pericoloso. Ecco perché lo avevano convocato. Negli uffici della Congregazione per la dottrina della fede, l'antica Inquisizione, non aveva potuto sottrarsi alle domande dei suoi interlocutori. Avrebbe preferito evitare di parlare delle sue ipotesi, e rifugiarsi nei problemi tecnici di traduzione. Ma il cardinale, e soprattutto il
temibile minutante*, lo avevano messo con le spalle al muro e costretto a dire più di quanto non fosse intenzionato a fare. Poi lo avevano interrogato sulla lastra di Germigny e i loro visi erano divenuti più impenetrabili. Infine, era andato alla Biblioteca vaticana. In quel luogo, il passato doloroso della sua famiglia lo aveva brutalmente raggiunto: forse era il prezzo da pagare per vedere, finalmente, la prova materiale di ciò che da tempo supponeva. A quel punto, aveva dovuto lasciare precipitosamente San Girolamo e riprendere il treno per l'abbazia. Era in pericolo. Il suo posto era lontano da quelle macchinazioni, a Roma non si sentiva a casa. Tuttavia, esisteva ancora un posto che lo facesse sentire a casa? Entrando all'abbazia, aveva cambiato patria una seconda volta, e la solitudine lo aveva travolto. Ora, l'enigma era risolto. Al suo rientro, cosa avrebbe detto a padre Nil? Nil così riservato, e che già aveva percorso, da solo, una parte del cammino... Gli avrebbe indicato la strada, ma ciò che lui stesso aveva scoperto dopo un'intera vita di ricerche, Nil avrebbe dovuto trovarlo da sé. E se gli fosse accaduto qualcosa... Nil sarebbe stato il suo degno successore. Padre Andrei apri la borsa a tracolla, e si mise a frugarvi all'interno sotto lo sguardo impassibile del passeggero che gli stava di fronte. Tutto sommato, il fatto che fossero solamente in tre in uno scompartimento per sei persone, era piuttosto gradevole. Aveva potuto togliere la veste troppo nuova e riporla, senza *Segretario di una congregazione romana, di rango inferiore, che redige le "minute" degli atti pontifici.
stropicciarla, sul sedile vuoto alla sua destra. Finì per trovare quello che cercava: una matita e un pezzo di carta. Rapidamente annotò qualche parola, tenendo il pezzo di carta nell'incavo della mano sinistra, richiuse meccanicamente le dita e gettò indietro la testa. Il rumore del treno, restituito in eco dagli alberi che delimitavano la strada, lo cullavano. Sentì che stava per assopirsi... Tutto si svolse con estrema rapidità. Il viaggiatore che gli stava di fronte ripose il giornale, e si alzò. Nello stesso istante, nel posto accanto al corridoio, il viso del biondo si irrigidì. A sua volta si alzò e si avvicinò come per prendere qualcosa nel portabagagli che gli stava sopra. Andrei alzò istintivamente gli occhi: il portabagagli era vuoto. Non ebbe il tempo di riflettere. I capelli dorati si chinarono su di lui, ed egli vide la mano dell'uomo allungarsi verso la veste adagiata sul sedile. D'improvviso, l'oscurità. La veste gli era stata buttata sopra la testa. Sentì due braccia muscolose cingerlo, sollevarlo da terra, serrargli l'abito contro il busto. Il suo grido stupefatto fu soffocato dal tessuto. Udì il cigolio del finestrino che si abbassava, sentì il metallo della barra d'appoggio contro le anche. Si dibatté, ma tutta la parte superiore del corpo era sospesa nel vuoto, fuori dal treno. Il vento lo sferzava con violenza senza scostare i lembi della veste che una mano gli teneva premuta contro il viso. Soffocava. "Chi sono? Dovevo aspettarmelo, come tanti altri prima di me, da duemila anni. Ma perché adesso, e qui?". La sua mano sinistra, bloccata tra la barra d'appoggio e il ventre, restava chiusa sul pezzo di carta. Sentì che lo facevano oscillare in avanti.
2
Monsignore Alessandro Calfo era soddisfatto. Prima di lasciare la grande sala oblunga vicino al Vaticano, gli Undici gli avevano dato carta bianca: non si poteva rischiare. Da quattro secoli, erano i soli a vegliare sul tesoro più prezioso della Chiesa cattolica, apostolica e romana. E chiunque lo avesse avvicinato doveva essere neutralizzato. Si era guardato bene dal dire tutto al cardinale. Avrebbe potuto mantenere a lungo il segreto? Se fosse stato divulgato, per la Chiesa sarebbe stata la fine, la fine di tutta la cristianità. E un colpo terribile per l'Occidente, già mal messo davanti all'Islam. Un'immensa responsabilità che gravava sulle spalle di dodici uomini: la società San Pio V era stata creata con il solo scopo di proteggere quel segreto, e Calfo ne era il rettore. Si era limitato a confermare al cardinale che esistevano indizi frammentari alquanto esigui, che solo pochissimi eruditi al mondo erano in grado di comprendere e d'interpretare. Ma il monsignore aveva nascosto l'essenziale: se quegli indizi, rimessi insieme, fossero stati divulgati al grande pubblico, avrebbero potuto portare alla prova assoluta, indiscutibile. Per questo era indispensabile che nessuno ricollegasse le piste esistenti. Chiunque fosse stato abbastanza malintenzionato, o semplicemente abbastanza abile, da riuscire nell'intento, avrebbe scoperto la verità. Si alzò, fece il giro del tavolo, e si mise davanti al crocifisso insanguinato. «Maestro! I tuoi dodici apostoli vegliano su di te.» Con un gesto automatico, fece girare attorno
all'anulare destro l'anello che portava. La pietra preziosa, un diaspro verde scuro screziato di rosso, era insolitamente grande, anche per Roma, dove i prelati amano ostentare i simboli del loro incarico. "Chiunque riesca ad arrivare al segreto ne deve essere consumato, e sparire!"
3
Al culmine della velocità, il treno sfrecciava nella pianura di Sologne come un serpente luminoso. Il corpo piegato in avanti, il busto frustato dal vento, padre Andrei opponeva resistenza contro la pressione delle due mani che lo spingevano verso il vuoto. D'improvviso, rilassò i muscoli. «Dio, ti ho cercato dagli albori della mia vita, ecco giunta la fine.» Con un ultimo sforzo, il viaggiatore tarchiato lanciò Andrei nel vuoto mentre il suo compagno, immobile e come pietrificato alle sue spalle, contemplava la scena. Come una foglia morta, il corpo vorticò e andò a schiantarsi sulla massicciata. Il Roma Express cercava decisamente di recuperare il ritardo: in meno di un minuto, sul lato dei binari non rimase che un burattino disarticolato nei mulinelli dell'aria ghiacciata. La veste era volata lontano. Curiosamente, il gomito sinistro di Andrei era rimasto incastrato tra due traversine: il suo pugno, sempre serrato sul pezzo di carta, puntava ora verso il cielo nero e muto, dove le nuvole viaggiavano pesantemente verso est.
Un po' più tardi, una cerbiatta uscì dalla foresta vicina e venne ad annusare quell'oggetto informe che sapeva di uomo. Conosceva l'odore acre che gli umani secernono quando hanno paura. La cerbiatta fiutò a lungo anche il pugno chiuso di Andrei. D'improvviso alzò la testa, poi fece un balzo di lato e si rifugiò lestamente sotto il riparo degli alberi. Una macchina l'aveva illuminata con i fari e frenò bruscamente sulla strada sottostante. Ne uscirono due uomini che si inerpicarono sul terrapieno e si chinarono sul corpo informe. La cerbiatta si immobilizzò: erano ridiscesi, e restavano in piedi accanto alla macchina parlando animatamente. Quando vide il riflesso dei lampeggianti della gendarmeria avvicinarsi a gran velocità sulla strada, fece di nuovo un balzo e fuggì veloce nella foresta scura e silenziosa.
4 Vangeli secondo Marco e Giovanni Con una smorfia, risistemò il cuscino che gli scivolava da sotto il fianco. Solo i ricchi hanno l'abitudine di mangiare così, alla romana, per metà allungati su un divano: i giudei poveri come loro consumano i pasti accovacciati per terra. E lui che aveva voluto conferire a quella cena una certa solennità. Il loro prestigioso ospite aveva lutto le cose per bene, ma i Dodici, allungati attorno alla tavola a forma di U, si sentivano un po' persi in quella sala. Quel giovedì sera, 6 aprile dell'anno 30, il figlio di
Giuseppe, che in Palestina tutti chiamavano Gesù il nazoreno, si apprestava a consumare la sua ultima cena, attorniato dal gruppo dei dodici apostoli. Scartando gli altri discepoli, egli aveva formato attorno a sé una sorveglianza ravvicinata limitata a loro soltanto, I Dodici: numero altamente simbolico, che ricordava le dodici tribù di Israele. Una volta preso d'assalto il Tempio, il momento era vicino, il popolo avrebbe compreso. In Dodici avrebbero governato Israele, in nome del Dio che aveva dato dodici figli a Giacobbe. Erano tutti d'accordo. Solo che alla destra di Gesù, con l'instaurazione del suo regno, ci sarebbe stato un solo posto: e già si affrontavano con furore per sapere chi, tra di loro, sarebbe divenuto il primo dei Dodici. Dopo la rivolta, che dovevano fomentare approfittando dell'agitazione della Pasqua. Fra due giorni. Lasciando la natia Galilea per raggiungere la capitale, avevano ritrovato il loro ospite di quella sera, il giudeo padrone della lussuosa dimora del quartiere ovest di Gerusalemme. Egli era ricco, educato, e colto. L'orizzonte dei Dodici, invece, non andava oltre l'estremità delle loro reti da pesca. Mentre i servitori recavano le portate, il giudeo non parlava. Circondato da quei dodici fanatici, Gesù correva un immenso pericolo: il loro assalto al Tempio si sarebbe concluso con un fallimento... occorreva metterlo al riparo dalle loro ambizioni, anche se, per questo, egli aveva dovuto allearsi temporaneamente con Pietro. Aveva incontrato Gesù due anni prima, sulle rive del Giordano. Da esseno, era divenuto nazoreno, una delle sette ebraiche che si appellavano al movimento
battista. Anche Gesù lo era, benché non ne parlasse mai. Tra di loro, si era presto instaurata una complicità fatta di comprensione e reciproca stima. Affermava di essere il solo ad aver veramente compreso chi fosse Gesù. Né una sorta di Dio, come alcuni popolani lo avevano definito dopo una guarigione spettacolare, né il Messia come avrebbe voluto Pietro, né il nuovo re David come sognavano gli zeloti. Altra cosa, che i Dodici, obnubilati dai loro sogni di potenza, non avevano neppure intravisto. Egli si considerava superiore a loro, e a chi voleva ascoltarlo diceva che era il discepolo beneamato del Maestro. Invece Gesù, da mesi, sopportava a stento la sua banda di galilei ignoranti, con le mani avide di potere. Il nemico in seno al gruppo era dunque quel sedicente discepolo beneamato. Lui, che non lasciava la sua Giudea, diceva di aver compreso Gesù meglio di tutti loro che lo avevano costantemente seguito in Galilea. Un impostore. Era allungato alla destra di Gesù, nel posto dell'ospite. Pietro non lo perdeva di vista: era forse sul punto di confidare il terribile segreto che da poco li univa, far capire a Gesù che era stato tradito? Doveva dunque rimpiangere ora di aver presentato Giuda a Caifa per tendere il tranello che doveva richiudersi sul Maestro quella sera stessa? Improvvisamente, Gesù allungò la mano e prese un boccone, che per un istante tenne sospeso sul piatto finché la salsa non smise di gocciolare: stava per offrirlo a uno dei convitati, gesto rituale di amicizia. All'improvviso, calò il silenzio. Pietro impallidì, i
muscoli del viso si contrassero. "Se offre il boccone a quell'impostore, tutto è perduto: sarebbe il tradimento della nostra alleanza. Nel caso lo uccido, e mi do alla fuga." Con un ampio gesto, Gesù porse il boccone a Giuda, che restò immobile all'estremità del tavolo, come pietrificato. «Ebbene, amico mio... Avanti, prendi!» Senza una parola, Giuda prese il boccone e lo portò alle labbra. Un po' di salsa gli colò sulla corta barba. Le conversazioni ripresero, mentre masticava lentamente, gli occhi fissi in quelli del suo maestro. Poi si alzò e si diresse verso l'uscita. Quando passò dietro di loro, l'ospite vide Gesù voltare leggermente il capo. Ed egli fu il solo che lo udì dire: «Amico mio... ciò che devi fare, fallo in fretta!». Lentamente, Giuda aprì la porta. Fuori, la luna di Pasqua non si era ancora alzata: la notte era nera. Erano rimasti in undici attorno a Gesù. Undici, e il discepolo beneamato.
5
La campanella suonò una seconda volta. Nell'alba incerta, l'abbazia Saint-Martin era la sola illuminata al villaggio. Nelle notti d'inverno come quelle, il vento soffia tra gli argini desolati del fiume, e conferisce alla valle della Loira un aspetto vagamente siberiano. L'eco della campana risuonò ancora nel chiostro quando padre Nil vi penetrò, dopo aver ritirato l'abito
monastico per il coro; l'officio delle laudi era appena terminato. Era risaputo che i monaci mantengono il gran silenzio fino all'ora terza, e nessuno veniva mai a suonare prima delle otto. Un terzo colpo di campanello, imperioso. «Il fratello portiere non risponderà. Sono gli ordini. Tanto peggio, ci vado.» Da quando aveva fatto luce sulle circostanze nascoste della morte di Gesù, il malessere di Nil era diffuso. Non amava le rare assenze di padre Andrei: il bibliotecario era il suo unico confidente, dopo Dio. I monaci vivevano in comune, ma non comunicavano, e Nil aveva bisogno di parlare delle sue ricerche. Al posto di tornare nella sua cella, dove lo attendeva lo studio in corso sulle peripezie della cattura di Gesù, penetrò nella portineria e aprì il pesante uscio che separa ogni monastero dal mondo esterno. Nella luce dei fari, un ufficiale di gendarmeria lo salutò sull'attenti. «Padre, è qui che risiede questa persona?» Gli porse una carta di identità. Senza una parola, Nil prese il pezzo di carta plastificato, lesse il nome: Andrei Sokolwski. Età: 67 anni. Domicilio: abbazia Saint-Martin. Padre Andrei! Sentì il sangue rifluire. «Sì... naturalmente, è il bibliotecario dell'abbazia. Che cosa...» Il gendarme era abituato a quelle missioni sgradevoli. «Siamo stati avvertiti ieri sera da due braccianti che rincasavano a tarda ora. Hanno scoperto il suo corpo sul terrapieno dei binari della ferrovia, tra LamotteBeuvron e la Ferté-Saint-Aubin. Morto. Sono
spiacente, ma è indispensabile che uno di voi venga sul posto per identificare il corpo... l'inchiesta... capisce?» «Morto, padre Andrei!» Nil vacillò. «Ma... bisogna che sia il reverendo padre abate che...» Dietro di loro, si udirono dei passi attutiti da un saio monastico. Il padre abate, per l'appunto. Allertato dal campanello, o mosso da qualche misterioso presentimento? Il gendarme si chinò. Tutta la squadra di polizia d'Orléans sa che all'abbazia colui che sfoggia un anello e una croce pettorale riveste il rango di vescovo. Lo Stato rispetta queste cose. «Reverendo padre, uno dei suoi monaci, padre Andrei, è stato scoperto ieri sera sul terrapieno del Roma Express, non lontano da qui. Una caduta che non gli ha lasciato scampo: frattura delle vertebre cervicali. La morte deve essere stata istantanea. Porteremo il corpo a Parigi per l'autopsia e l'identificazione: può venire con noi per espletare questa formalità... penosa, ma tuttavia necessaria?» Da quando aveva ottenuto quell'incarico prestigioso, il padre abate dell'abbazia di Saint-Martin non aveva mai lasciato trasparire uno solo dei suoi sentimenti. Era stato eletto dai monaci, secondo la regola dei monasteri. Ma contrariamente a quella regola, c'erano stati parecchi contatti telefonici tra la valle della Loira e Roma. In seguito, un prelato di alto rango era venuto per il suo annuale ritiro nel chiostro poco prima dell'elezione, per convincere con discrezione i recalcitranti che Dom Gerard era l'uomo adatto. Il potere sull'abbazia, sul suo particolarissimo scolasticato e le sue tre biblioteche, poteva essere
consegnato unicamente nelle mani di un uomo sicuro. Dunque, non un muscolo del suo viso tradì la minima emozione dinanzi al gendarme, sempre sull'attenti. «Padre Andrei! Mio Dio, che catastrofe! Lo aspettavamo per domattina. Era di ritorno da Roma. Come è potuto accadere un simile incidente?» «Incidente? È troppo presto per utilizzare questa parola, reverendo. Dai pochi elementi che abbiamo, siamo orientati piuttosto verso un'altra pista. I vagoni del Roma Express sono vecchio stile, ma le porte sono bloccate dalla partenza e durante tutto il tragitto. Il vostro confratello poteva solo passare dal finestrino del suo scompartimento. All'ultimo controllo prima dell'arrivo a Parigi, il controllore ha constatato che quello scompartimento era vuoto. Non solo padre Andrei non c'era più, mentre la sua valigia è rimasta sul posto, ma gli altri due viaggiatori erano spariti senza lasciare alcun bagaglio. Tre posti dello scompartimento, riservati, sono rimasti liberi da Roma. Dunque, non ci sono testimoni. L'indagine è aperta, ma la nostra ipotesi di partenza esclude l'incidente. L'accaduto sembra piuttosto un crimine. Padre Andrei dev'essere stato gettato dal finestrino mentre il treno era lanciato a gran velocità. Molto probabilmente dai due viaggiatori. Adesso può, per cortesia, seguirmi?» Discretamente, padre Nil aveva fatto un passo indietro, ma ebbe l'impressione che una vaga emozione stesse per perturbare il viso solitamente impermeabile del suo superiore. Il padre abate si riprese immediatamente: «Accompagnarla? Adesso? Impossibile, stamane devo ricevere dei vescovi. La mia presenza qui è indispensabile». Si girò verso padre Nil, sospirò.
«Padre Nil, può seguire lei il signore per espletare questa penosa formalità?» Nil chinò il capo in segno di obbedienza. Lo studio sul complotto attorno a Gesù avrebbe aspettato. Al momento, era Andrei a essere stato crocifisso. «Certamente, reverendo padre. Vado a prendere il nostro cappotto. Fa freddo. Signore, non ci vorrà molto, se vuole pazientare...» La povertà monastica vieta a un monaco di dichiararsi proprietario di qualsiasi oggetto. Il "nostro" cappotto da anni era usato solo da padre Nil, ma questo non si dice. Il padre abate fece entrare il gendarme nella portineria deserta e con un gesto familiare lo prese per il braccio. «Non voglio dare un giudizio prematuro sul risultato finale dell'inchiesta. Ma un crimine, è semplicemente assurdo! Immagini la stampa, la televisione, i giornalisti! La Chiesa cattolica ne uscirebbe infangata, e la Repubblica assai imbarazzata. Sono certo che si tratta di suicidio. Quell'infelice padre Andrei... capisce?» Il gendarme liberò il braccio. Capiva molto bene, ma un'inchiesta è un'inchiesta, non si passa facilmente dal finestrino aperto di un treno lanciato a tutta velocità. Inoltre non gradiva che un civile gli dicesse ciò che doveva fare, anche se portava una croce pettorale e un anello pastorale. «Reverendo, l'inchiesta seguirà il suo corso. Padre Andrei non è caduto dal treno da solo. Sarà Parigi a decidere. Per il momento, mi consenta di dirle che tutto sembrerebbe indicare che c'è stato un crimine.» «Un suicidio...» «Un monaco che si suicida, e alla sua età? Decisamente improbabile.»
Si massaggiò il mento: eppure il padre abate aveva ragione. Quella faccenda rischiava di provocare una lunga ondata di chiacchiere, fino alle alte sfere... «Mi dica reverendo, padre Andrei soffriva di... problemi psicologici?» L'abate assunse un'aria sollevata. Il gendarme dava segni di intendimento. «Proprio così! Era in cura. Le confermo che si trovava in uno stato di grande prostrazione mentale.» Andrei era conosciuto dai suoi confratelli per il grande equilibrio nervoso e psichico, e in quarant'anni di vita monastica non era mai stato in infermeria nemmeno una volta. Un uomo di studi e di manoscritti, un erudito, con un battito cardiaco che non doveva mai superare le sessanta pulsazioni al minuto. Il prelato sorrise al gendarme. «Un suicidio. Peccato orribile, certamente, per un monaco, ma ogni peccato merita misericordia. Mentre un crimine...» La scena era rischiarata da un mattino livido. Il corpo era stato spostato dai binari per fare in modo che i treni potessero circolare, ma il cadavere irrigidito non aveva cambiato postura: l'avambraccio sinistro di padre Andrei era sempre rivolto al cielo, il pugno chiuso. Durante il tragitto, Nil aveva avuto il tempo di prepararsi allo shock. Tuttavia, faticò ad avvicinarsi, inginocchiarsi, a scostare il lenzuolo che era stato posato sulla testa disarticolata. «Sì» mormorò in un soffio. «Sì, è proprio padre Andrei. Povero amico mio...» Ci fu un attimo di silenzio, che il gendarme rispettò. Poi toccò la spalla di Nil. «Gli resti accanto. Io vado a stendere il verbale d'identificazione in macchina. Mi serve solo una firma
e la riaccompagno all'abbazia.» Nil si asciugò una lacrima che lentamente gli cadeva lungo una guancia. Poi notò il pugno contratto del cadavere, che sembrava maledire il cielo in un ultimo gesto disperato. Con difficoltà, aprì le dita gelide. Nell'incavo del palmo, c'era un foglietto spiegazzato. Nil girò la testa. Il gendarme era chino sul cruscotto della macchina. Prese il pezzo di carta dal palmo dell'amico e vide alcune righe scritte a matita. Nessuno lo guardava. Rapidamente, fece scivolare il foglietto nella tasca del cappotto.
6 Vangeli secondo Matteo e Giovanni Pochi giorni prima della sera dell'ultima cena, Pietro lo aveva atteso fuori delle mura. Il giudeo varcò la porta, salutato dai piantoni che riconobbero in lui il proprietario di una delle ville del quartiere. Fece qualche passo: la figura del pescatore emerse dall'ombra. «Shalom!» «Mà shalom lek'ha» Non tese la mano al galileo. Da una settimana era roso dall'apprensione. Quando li incontrava sulla collina fuori della città, dove passavano la notte nella complice oscurità di un oliveto, i Dodici non facevano altro che parlare dell'assalto al Tempio. Le circostanze non potevano essere più favorevoli; migliaia di pellegrini si erano accampati un po' ovunque nei
dintorni della città. La folla, fomentata dagli zeloti, era pronta a tutto. Bisognava usare la popolarità di Gesù come detonatore. Adesso. Avrebbero fallito, era evidente. E Gesù rischiava di essere stupidamente ucciso in un guazzabuglio alla giudea. Il Maestro valeva più di quello, infinitamente più di tutti loro. Bisognava proteggerlo dai suoi fanatici discepoli. Aveva dunque maturato un piano: non gli restava che convincere Pietro. «Il Maestro chiede se può venire a cenare da te, nella sala alta della tua casa. Quest'anno gli è impossibile celebrare la Pasqua; la sorveglianza attorno a noi è troppo stretta. Un pasto un po' solenne, secondo il rito esseno, tutto qui.» «Siete completamente pazzi! Venire a casa mia, a duecento metri dal palazzo del sommo sacerdote, in quel quartiere dove il vostro accento galileo vi farà riconoscere e arrestare immediatamente!» Il pescatore del lago sfoderò un sorriso scaltro. «Appunto, in nessun altro posto saremo sicuri come in casa tua. Alle guardie non verrà mai in mente di cercarci nel quartiere protetto, e per di più nella casa di un amico del sommo sacerdote!» «Oh... amico è una parola eccessiva. La definirei una semplice relazione di vicinato. Non è possibile un'amicizia tra un vecchio esseno come me e il più alto dignitario del clero. Quando?» «Giovedì sera. Al calar della notte.» L'idea era insensata, ma astuta; nascosti all'interno della sua casa, i galilei sarebbero passati inosservati. «D'accordo. Dì al Maestro che sono onorato di riceverlo nella mia dimora. Tutto sarà predisposto per un pasto solenne. Uno dei miei servitori vi aiuterà a
intrufolarvi tra le pattuglie. Lo riconoscerete grazie alla brocca d'acqua che porterà per le abluzioni rituali del vostro pasto. Ora vieni laggiù, dobbiamo parlare.» Pietro lo seguì e scavalcò un mucchio di mattoni. Un bagliore metallico brillò sotto il suo mantello: la sica, il pugnale del quale gli zeloti si servivano per sventrare le loro vittime. Dunque non se ne separava più! Gli apostoli di Gesù erano pronti a tutto... In poche parole, gli comunicò il suo piano. L'azione doveva svolgersi in occasione della festa? Eccellente idea, sarebbe stato facile manipolare la folla di pellegrini. Ma Gesù non predicava altro che pace e perdono, come avrebbe reagito nel vivo dell'azione? Rischiava di essere ferito, o peggio. Bastava che venisse ucciso dal gladio di un legionario e il loro colpo di mano sarebbe fallito. Pietro ascoltava, improvvisamente interessato. «Dobbiamo dunque chiedergli di fare ritorno in Galilea, dove non corre alcun pericolo?» «Chi ti dice di allontanarlo da Gerusalemme? Al contrario, dobbiamo farlo entrare nel fulcro dell'azione, ma là dove nessuna freccia romana possa colpirlo. Voi volete consumare il vostro pasto nel quartiere del palazzo di Caifa, perché per voi non esiste un altro luogo più sicuro. E io ti dico: poco prima dell'azione, conducete Gesù all'interno di quello stesso palazzo. Che sia arrestato e condotto presso Caifa la vigilia di Pasqua. Verrà rinchiuso nel sotterraneo, e tu sai che nessun processo può aver luogo durante la festa. Quando sarà finita... il potere sarà in mano a qualcun altro! Andrete a prenderlo in trionfo, lui apparirà al balcone del palazzo, la folla urlerà di gioia per essersi finalmente liberata dalla casta dei preti...» «Far arrestare il Maestro dai suoi nemici giurati?» lo
interruppe Pietro, stupefatto. «Avete bisogno di Gesù sano e salvo. A voi l'azione violenta, a lui in seguito la parola per trascinare il popolo, come lui solo sa fare. Mettetelo al riparo dai pericoli di un'insurrezione, e andate a prenderlo soltanto in seguito! E quando falliranno, poiché falliranno, davanti alle truppe romane, Gesù, lui almeno, resterà in vita. Il seguito non è quello che sognano. Israele ha bisogno di un profeta, non di un capo banda.» Fecero qualche passo in silenzio sul crinale roccioso che dominava la valle della Geenna. Bruscamente, Pietro alzò il capo. «Hai ragione: ci sarà solo di ostacolo. E poi lui non approverà la violenza dell'azione. Ma come fare perché venga arrestato proprio nel momento giusto? Tra poco meno di un'ora, tutto può cambiare!» «Ci ho pensato. Sai che Giuda gli è totalmente devoto. Tu eri zelota come lui, gli spiegherai che dovrà condurre la guardia del Tempio nel momento preciso, nel luogo preciso in cui saranno sicuri di trovarlo, separato dalla folla che lo protegge senza sosta. Per esempio, proprio dopo la vostra cena a casa mia, nella notte tra il giovedì e il venerdì, nell'orto degli Olivi.» «Pensi che Giuda accetterà? E come farà a prendere contatto con le autorità ebraiche? Lui, un semplice galileo, entrare nel palazzo del sommo sacerdote! Negoziare con lui, quando il suo unico sogno è quello di eliminarlo! Perché credi sia diventato zelota? Io li conosco: da loro, si negozia con questo!» E con un colpo della mano, colpì la sica. «Gli dirai che è per la causa, per proteggere il Maestro. Troverai le parole giuste, ti ascolterà. E sarò io stesso a condurlo da Caifa. Io entro ed esco liberamente dal palazzo. Se Giuda è con me, lo
faranno passare. Caifa cadrà nel tranello. I preti hanno una tale paura di Gesù!» «Bene... se ti incarichi di introdurlo presso Caifa, se credi che possa simulare un tradimento per proteggere Gesù... È rischioso, ma cosa non lo è in questo momento?» Ripassando sotto la porta della città, il giudeo fece con la mano un saluto amichevole alle guardie. In pochi giorni, la maggior parte di quegli uomini sarebbero morti o rimasti feriti, i romani avrebbero represso efficacemente la rivolta. Quanto alla banda dei Dodici, la terra d'Israele se ne sarebbe presto sbarazzata per sempre. E la missione di Gesù, la sua vera missione, sarebbe finalmente cominciata.
7
L'intera mattinata - dopo che il gendarme lo aveva ricondotto all'abbazia - Nil l'aveva trascorsa prostrato sul suo sgabello, senza aprire il documento riguardante le circostanze della morte di Gesù. La cella di un monaco non dispone di una sedia con uno schienale al quale appoggiarsi e fantasticare. Eppure, è ciò che faceva Nil, assalito dal passato. Silenziosa, l'abbazia sembrava ovattata. Erano stati sospesi tutti i corsi dello scolasticato, fino alle esequie di padre Andrei. Mancava un'ora prima della messa conventuale. Andrei... il solo al quale poteva parlare delle sue ricerche. Il solo che sembrava comprendere, e talvolta
persino anticipare le sue conclusioni: «Non deve mai temere la verità, Nil. È per trovarla, per sapere, che è entrato in questa abbazia. La verità farà di lei un solitario, potrebbe addirittura essere la causa della sua rovina. Non dimentichi mai che è la verità che ha portato Gesù alla morte, e altri dopo di lui. Io l'ho avvicinata nei manoscritti che decifro da quarant'anni. Poiché pochissimi possono seguirmi nella mia specialità, e poiché non parlo mai delle mie conclusioni, di me si fidano. È nei vangeli stessi che lei ha scoperto... alcune cose. Stia in guardia: se quelle cose sono state a lungo celate nelle segrete della Chiesa, significa che è pericoloso parlarne apertamente». «Il Vangelo secondo Giovanni è nel programma dello scolasticato di quest'anno. Non posso eludere la questione: chi era il suo autore? Che ruolo ha giocato il misterioso discepolo beneamato nel complotto e nel periodo cruciale che ha seguito la morte di Gesù?» Figlio di emigrati russi convertiti al cattolicesimo, il prodigioso dono per le lingue aveva fatto di Andrei il responsabile delle tre biblioteche dell'abbazia; impiego delicato, riservato a un uomo di fiducia. Quando sorrideva, assomigliava a un vecchio starets, la figura spirituale della tradizione russa. «Amico mio... questa questione viene elusa sin dall'origine. E lei comincia a capire perché, non è vero? Allora faccia come coloro che l'hanno preceduta: non dica ciò di cui è a conoscenza. I suoi studenti dello scolasticato non lo sopporterebbero... e in tal caso, sarei in apprensione per lei!» Andrei aveva ragione. Da trent'anni, la Chiesa cattolica conosceva una crisi senza precedenti. I laici la disertavano per abbracciare le sette o il buddismo. Il popolo cristiano era attraversato da un profondo
malessere. Non si trovavano più professori sicuri per insegnare la sana dottrina in seminari per altro spopolati. Allora Roma decise di raggruppare il nocciolo duro dei seminaristi rimasti in una scuola monastica, uno scolasticato come ai tempi del Medioevo. Una ventina, affidati all'abbazia e all'insegnamento dei suoi eruditi. I monaci avevano scelto di fuggire quel mondo corrotto? Essi avrebbero fornito ai giovani dello scolasticato la corazza delle verità indispensabili per la loro sopravvivenza. A padre Nil venne affidato l'insegnamento dell'esegesi, ossia, la spiegazione dei vangeli. Non era forse uno specialista di lingue antiche? Avrebbe lavorato in collaborazione con padre Andrei, che leggeva il copto, il siriaco e molte altre lingue morte a libro aperto. Da collaboratori, quei due solitari divennero amici: ciò che la vita monastica rendeva difficile, lo aveva realizzato l'amore per i testi antichi. Quell'unico amico, Nil lo aveva perso in circostanze tragiche. E quella morte lo riempiva di angoscia. Nello stesso momento, una mano nervosa componeva un numero internazionale che cominciava con 390, la linea privata (e altamente confidenziale) dello Stato del Vaticano. All'anulare portava un anello ornato di un opale molto semplice: l'arcivescovo di Parigi aveva il dovere di dare l'esempio dell'umiltà. «Pronto?» All'ombra della cupola di Michelangelo, una mano dalle unghie curate alzò il ricevitore. Il suo anello episcopale era sormontato da un curioso diaspro verde: una losanga asimmetrica, incastonata in una montatura d'argento cesellata che formava una specie
di coperchio. Un gioiello di grande valore. «Buongiorno monsignore, sono l'arcivescovo di Parigi... Ah, stavate proprio per chiamarmi?... Sì, una vicenda davvero incresciosa. Ma ne è già al corrente?» "Ma come è possibile?" si chiese l'arcivescovo "se l'incidente ha avuto luogo questa notte?" «Discrezione totale? Sarà difficile, l'inchiesta è affidata al Quai des Orfèvres. Pare che sia di natura criminale... Il cardinale? In effetti, capisco... Suicida... davvero? Sì... alla fine tutto ciò mi provoca dolore, il suicidio è un peccato contro il quale la misericordia divina è sempre stata impotente. Voi dite che è meglio lasciare che sia Dio a decidere della questione?» L'arcivescovo allontanò il ricevitore, il tempo di un sorriso. In Vaticano, si impartiscono volentieri ordini a Dio. «Pronto? Sì, vi sento... Il momento di mettere in moto le mie relazioni? Certamente, noi siamo in eccellenti rapporti con il ministero dell'Interno. Bene... me ne occuperò. Rassicurate il cardinale, si tratterà di un suicidio, e la faccenda sarà chiusa. Arrivederci, monsignore!» Faceva sempre molta attenzione a non sprecare il credito di cui godeva presso il governo. Come poteva giustificare una richiesta di archiviazione della morte di un monaco inoffensivo? L'arcivescovo di Parigi emise un sospiro. Non si discute un ordine di monsignor Calfo, soprattutto quando lo trasmette su esplicita richiesta del cardinale prefetto. Chiamò il centralino: «Il ministero degli Interni, per favore. Grazie, resto in linea...».
8
Vangeli secondo Matteo e Giovanni La notte tra il giovedì e il venerdì stava volgendo al termine. Era quasi l'alba. Il giudeo si avvicinò alle fiamme e tese le mani verso quel calore benefico. Per proteggersi dal freddo, le guardie avevano acceso un fuoco nella corte del palazzo di Caifa, e fu con rispetto che lo lasciarono avvicinare: un ricco proprietario dei dintorni, una conoscenza del sommo sacerdote... Si voltò. Pietro si nascondeva come meglio poteva in un angolo, senza dubbio terrorizzato dal fatto di trovarsi lì, nel centro di un potere che progettava di rovesciare con la violenza entro poche ore. Comportandosi come un cospiratore colto in fallo, il galileo avrebbe suscitato dei sospetti. Gli fece segno di avvicinarsi al fuoco. Il pescatore esitò, poi si introdusse timidamente nella cerchia dei servitori che godevano del calore. Tutto si era svolto mirabilmente. Due giorni prima si era trascinato al seguito un Giuda dall'aria smarrita per essere entrato per la prima volta nel quartiere dei dignitari ebrei. Il colloquio di Caifa era iniziato bene: il sommo sacerdote sembrava felice che gli venisse offerta una simile occasione di arrestare Gesù, senza il rischio di tumulti. Ma all'improvviso Giuda si era bloccato. Forse aveva realizzato dinanzi a chi si trovava e che stava per consegnare il suo Maestro al potere ebraico? «E chi mi garantisce che una volta nelle vostre mani, Gesù non verrà giustiziato?» Il sommo sacerdote alzò solennemente la mano
destra. «Galileo, lo giuro davanti all'Eterno. Gesù il nazoreno sarà giudicato equamente secondo la nostra Legge, che non condanna a morte un predicatore ambulante. La sua vita non sarà minacciata. Per rassicurarti, ti consegno un pegno della parola data. L'Eterno è ormai testimone tra noi due.» Con un sorriso, porse a Giuda trenta denari d'oro. Senza una parola, Giuda intascò l'oro. Il sommo sacerdote si era solennemente impegnato. Gesù sarebbe stato arrestato, ma sottoposto a un equo processo. La cosa avrebbe richiesto del tempo, e tra tre giorni Caifa non sarebbe più stato il dirigente supremo del paese. Non sarebbe stato più niente. Ma allora, che facevano là? Perché Gesù non era già in carcere in una qualunque delle segrete del sotterraneo? In carcere e al sicuro? Il giudeo aveva visto qualche membro del Sinedrio salire brontolando i gradini della scala che conduce al primo piano del palazzo, dove era stato condotto Gesù dal suo arrivo. Da allora, più nulla filtrava in basso, nella corte. Non gli piaceva la piega che stavano prendendo gli avvenimenti. Per mascherare il suo nervosismo, si diresse verso l'uscita, e fece qualche passo nella strada. Urtò un'ombra appiattita contro il muro. «Giuda... che ci fai qui?» L'uomo tremava come una foglia di fico al vento di Galilea. «Io... io sono venuto a vedere. Ho tanta paura per il Maestro! Ci si può fidare della parola data da quel Caifa?» «Coraggio, calmati. Tutto procede normalmente. Non
rimanere qui, rischi di farti arrestare dalla prima pattuglia. Vai a casa mia. Nella sala alta sarai al sicuro.» Si diresse verso la porta del palazzo. Si voltò, vide Giuda immobile; non si sarebbe mosso da là. I galli cominciarono a cantare. Inaspettatamente la porta della sala si aprì e la luce delle torce illuminò la veranda. Caifa avanzò e gettò un'occhiata nella corte. Rapidamente, il giudeo si scostò dalla luce del fuoco. Non doveva farsi notare adesso. In seguito, dopo il fallimento della sommossa, sarebbe andato dal sommo sacerdote per reclamare la libertà del Maestro. Poi Gesù apparve, scese la scala. Due guardie lo tenevano per i gomiti. Era legato. Perché? Inutile legarlo per rinchiuderlo nel sotterraneo! II gruppo passò dalla parte opposta del fuoco, ed egli udì la voce acuta di Caifa: «Conducetelo da Pilato, senza perdere un istante!». Sudò freddo. Da Pilato! La spiegazione poteva essere una soltanto Caifa era venuto meno al suo giuramento. Giuda non aveva lasciato il suo avamposto. Dapprima non vide che una torcia, che lo abbagliò. Si infilò nella rientranza di una porta e trattenne il respiro. Una pattuglia? Non era una pattuglia. Nel mezzo di un plotone di guardie del tempio, scorse un uomo che procedeva inciampando, le braccia bloccate dietro la schiena. L'ufficiale che si trovava in testa lanciò un ordine breve, proprio nel momento in cui passava davanti a Giuda, nascosto nell'ombra. «Non perdiamo tempo. Al palazzo di Pilato!» Con orrore, distinse nettamente il viso dell'uomo che
veniva fatto avanzare a spintoni: era Gesù. Il Maestro era pallidissimo, i lineamenti contratti. Passò davanti alla porta senza vedere nulla; il suo sguardo sembrava assorto. Spaventato, Giuda gli osservò i polsi: erano legati, la corda che li stringeva era sporca di sangue, e le mani rattrappite erano cianotiche. Quella terribile visione svanì in fretta; il gruppo armato aveva appena svoltato a destra, in direzione della torre Antonia dove risiedeva Pilato quando era a Gerusalemme. Ogni giudeo conosceva la Legge: in Israele il blasfemo era condannato a morte, con lapidazione immediata. Se non avevano lapidato Gesù nella corte, era perché non avevano elementi. Probabilmente non aveva pronunciato la bestemmia suprema rifiutandosi di proclamarsi uguale a Dio. I capi della nazione ebraica cercavano adesso una condanna per motivi politici e con la tensione raggiunta dai romani durante la festa di Pasqua, l'avrebbero senza dubbio ottenuta. Vacillando, Giuda uscì dalla città. Gesù non sarebbe stato giudicato, Caifa aveva tradito il proprio giuramento e deciso la sua morte. E perché ciò accadesse, visto che non potevano accusarlo di blasfemia, lo consegnavano ai romani. Giunse davanti all'imponente mole del tempio. In fondo alla tasca, tintinnavano i trenta denari d'oro, pegno derisorio di un accordo concluso tra lui e il sommo sacerdote, e che era appena stato infranto a dispetto della parola data. Caifa si era preso gioco di lui. Lo avrebbe affrontato all'interno del tempio, per ricordargli la promessa. E se egli avesse perseverato nella sua slealtà, Giuda si sarebbe rivolto all'Eterno,
che Caifa aveva chiamato a testimone. «Preti del tempio, ecco giunta per voi l'ora del giudizio di Dio!» 9
Nil sussultò. Il primo rintocco della messa suonava. Presto sarebbe dovuto scendere in sacrestia per prepararsi. Rilesse un'ultima volta il frammento di carta strappato qualche ora prima dal pugno rigido di Andrei: Dire a Nil: manoscritto copto (Apoc.) Lettera dell'Apostolo MMM
Lastra di G. Mettere in relazione. Subito. Scacciando dalla mente la sua indagine sul ruolo giocato da Giuda nella morte di Gesù, fece bruscamente ritorno alla realtà presente. Cosa significava? Un promemoria, certamente. Andrei voleva parlargli di un manoscritto copto: quello di Roma o un altro? Parecchie centinaia di fotocopie erano schedate nel mobile del suo ufficio: quale tra quelle? Tra parentesi aveva scritto (Apoc): un manoscritto copto dell'Apocalisse? Era un ben fragile indizio, dato che non esiste una sola Apocalisse, ma decine, ebraiche o cristiane. E, se sapeva leggere il copto, si sentiva però incapace di tradurre correttamente un testo difficile.
La riga successiva risvegliò in lui il ricordo di una delle sue conversazioni con il bibliotecario. Forse poteva trattarsi della lettera apostolica della quale Andrei un giorno gli aveva parlato con reticenza e come una semplice congettura, un'ipotesi per la quale non disponeva di alcuna prova. Ma lo studioso si era rifiutato di essere più esauriente. Cosa significava la lettera M ripetuta per tre volte? Solo la penultima riga era chiara per Nil. Sì, doveva tornare a fotografare la lastra di Germigny, come aveva promesso all'amico poco prima della sua partenza. Quanto all'ultima riga, mettere in relazione, ne avevano sovente parlato: per Andrei, era il fondamento del suo lavoro di storico. Ma perché subito, e perché aveva sottolineato quella parola? Rifletté intensamente. Da una parte le sue ricerche nei vangeli, sui quali Andrei lo interrogava di frequente. Poi la convocazione del bibliotecario a proposito del manoscritto copto, infine la scoperta fatta a Germigny, che lo aveva profondamente turbato: tutto ciò sembrava aver improvvisamente assunto un significato tale per il suo amico, che voleva a ogni costo parlarne a Nil al suo ritorno. A Roma, Andrei aveva forse scoperto qualcosa? Qualcosa a cui avrebbero accennato durante le loro conversazioni? Aveva finito col parlare, laggiù, di ciò di cui bisogna tacere? Il gendarme aveva utilizzato la parola "crimine". Ma quale poteva essere il movente? Andrei non possedeva nulla, viveva recluso nella biblioteca, ignorato da tutti. Da tutti, sì, ma non dal Vaticano. Tuttavia, Nil non poteva accettare l'idea di un omicidio commissionato da Roma. L'ultima volta che il papa aveva fatto deliberatamente assassinare i suoi preti, era stato in Paraguay, nel 1760.
La politica di allora aveva reso necessario l'omicidio collettivo di quegli innocenti. Era un'altra epoca. Sul finire del XX secolo, il papa non avrebbe fatto sparire un inoffensivo erudito! «Roma non versa più sangue. Il Vaticano, all'origine di un crimine? Impossibile.» Si ricordò dei frequenti ammonimenti dell'amico. L'inquietudine che lo abitava da qualche tempo gli contrasse lo stomaco. Un'occhiata all'orologio: ancora quattro minuti prima della messa. Se non scendeva subito in sacrestia avrebbe fatto tardi. Aprì il cassetto della scrivania, fece scivolare il foglietto in fondo, sotto una pila di lettere. Le sue dita tastarono il negativo preso un mese prima nella chiesa di Germigny. L'ultima volontà di Andrei... Si alzò e uscì dalla sua cella. Davanti a lui, il corridoio scuro e gelido del secondo piano, "il corridoio dei padri", gli ricordò dove si trovava: all'abbazia, e ormai solo. Il sorriso complice del bibliotecario non avrebbe illuminato quel corridoio. Mai più.
10
«Sedetevi, monsignore.» Calfo represse una smorfia e lasciò che il corpo grassoccio aderisse alle forme molli della poltrona, davanti all'imponente scrivania. Non gli piaceva che quell'Emil Riedinger, il potentissimo cardinale prefetto
della Congregazione per la dottrina della fede, lo convocasse formalmente. I veri affari, come ben tutti sanno, non si trattano davanti a un set da scrivania, bensì condividendo una pizza o passeggiando dopo una spaghettata in un giardino ombreggiato, un buon sigaro tra l'indice e il medio. Alessandro Calfo era nato nel centro popolare di Napoli, nel quartiere spagnolo, da una schiatta che vegetava miseramente nella promiscuità di un monolocale affacciato direttamente sui vicoli bui e sporchi. Immerso in una popolazione la cui sensualità vulcanica si nutriva di un sole generoso, avvertì molto presto l'incontenibile bisogno di voluttà. La carne era là, vellutata, fremente, ma inaccessibile a quel piccolo povero, che imparò a sognare i suoi desideri e a desiderare i suoi sogni. Alessandro era sul punto di diventare un vero napoletano, ossessionato dal culto legato al dio Eros, unico oblio possibile della miseria del quartiere natio. Ma in una società patriarcale, fare qualcosa in quel campo è ancora più aleatorio della constatazione dei miracoli promessi annualmente da san Gennaro. Fu allora che il padre lo spedì nell'inospitale Nord. Troppi bambini da sfamare in quell'unica stanza che faceva da cucina e dormitorio: quel figlio sarebbe diventato uomo di chiesa, ma non in un posto qualsiasi. Ammiratore di Mussolini, il padre aveva sentito dire che al nord dei veri patrioti stavano ricostituendo seminari nello spirito del fascismo. Essendo Dio un buon italiano, non se ne parlava neppure di andare altrove per mettersi al suo servizio. Dall'età di dieci anni, Alessandro indossò nella pianura del Po un abito talare che non avrebbe più lasciato, ma che celava, senza poterle contenere, le perenni frustrazioni di quel figlio del Vesuvio mai
eruttato. Al seminario, fece la sua seconda scoperta: gli agi, le comodità. Misteriosamente, i fondi affluivano qui dalla potente rete dell'estrema destra europea. Il piccolo povero del quartiere apprese l'importanza del denaro. A diciassette anni venne mandato all'ombra del Vaticano, affinché imparasse la fede nella lingua di Dio, il latino. Là, fece la terza scoperta: il potere. E scoprì che il suo esercizio può colmare una vita e conferirle un senso ancor meglio dell'ossessione del piacere. Certo, il culto di Eros è uno degli approcci al mistero di Dio; ma il potere rende chi lo possiede un dio a sua volta. La sua naturale inclinazione per il fascismo incontrò un giorno la Società San Pio V. Comprese che le sue tre scoperte successive avrebbero trovato la strada spianata. Il suo appetito per il potere sarebbe sbocciato nel totalitarismo ideologico della Società. Il suo abito talare bordato di viola gli avrebbe ricordato aspirazioni spirituali tardive e nel contempo avrebbe elegantemente celato la realizzazione dei suoi desideri voluttuosi. Il denaro infine gli sarebbe affluito tra le mani, grazie a centinaia di dossier accuratamente tenuti aggiornati dalla Società e che non avrebbero risparmiato nessuno. Denaro, potere e piacere: Alessandro Calfo era pronto. All'età di quarant'anni fu promosso monsignore, e divenne rettore della misteriosissima e influentissima Società, prelatura dipendente direttamente dal papa e sottoposta alla sua sola autorità. L'inatteso allora si produsse; Calfo si infiammò di vera passione per la missione legata al proprio incarico, e divenne il difensore accanito dei dogmi fondatori di una Chiesa alla quale doveva tutto. Smise di reprimere il suo prurito sessuale. Ma nel
lasciarlo esprimere, gli diede una dimensione compatibile con il suo sacerdozio. Ormai vi vedeva il mezzo più rapido per accedere, tramite la trasfigurazione carnale, all'unione mistica. Due persone, e due soltanto, sapevano che l'onnipotente rettore era quel piccolo uomo dalla voce melliflua: il papa e il cardinale Emil Riedinger. Per ogni altro, urbi et orbi, non era che uno degli umili minutanti della Congregazione. «Sedetevi. Due questioni, una esterna, l'altra interna.» Questa distinzione è abituale nei dicasteri del Vaticano. Vengono definite "questioni interne" ciò che accade nella Chiesa: mondo amichevole, normale e controllabile. E "questioni esterne" ciò che accade nel resto del pianeta: mondo ostile, anormale e da controllare alla meno peggio. «Vi ho già parlato di quel problema allarmante relativo a un'abbazia benedettina francese...» «Sì, e mi avevate chiesto di provvedere. Ma non è stato necessario intervenire, perché lo sfortunato padre Andrei si è suicidato, credo, e la faccenda è stata archiviata.» Sua Eminenza detestava essere interrotto. Anche se ogni volta Calfo aveva la pessima abitudine di dimenticarlo, il capo era lui. Lo avrebbe fatto rientrare nei ranghi in men che non si dica. Austriaco, Riedinger era stato scelto dal papa, che era stato stuzzicato dalla sua reputazione di teologo illuminato. Ma egli si rivelò presto un temibile conservatore e poiché quella era anche la natura profonda del nuovo successore di Pietro, la luna di miele tra i due si trasformò presto in un sodalizio duraturo. «Il suicidio è un peccato abominevole. Che Dio
accolga la sua anima! Ma pare che ci sia un'altra pecora nera nel chiostro, dove il gregge ha il dovere d'essere irreprensibile. Ecco qui,» tese un incartamento a Calfo «una relazione del padre abate. Forse non ha importanza. Giudicherete voi, e ne riparleremo. Non è urgente, non ancora almeno.» Le relazioni del cardinale con il suo passato erano conflittuali. Il padre era stato ufficiale della Wehrmacht austriaca, divisione Anschluss. Aveva preso le distanze dal nazismo, ma ne aveva tuttavia conservato un riflesso: la convinzione di essere l'unico detentore di una sola verità capace di unificare il mondo, attorno a una fede cattolica che non poteva essere discussa. «La questione interna vi riguarda direttamente, monsignore...» Calfo accavallò le gambe e attese il resto. «Conoscete il proverbio: "una piccola avventura non fa male" fintanto che il prelato conservi il suo rango, a cominciare da una discrezione garbata. Ora apprendo che una... creatura minaccia di lasciarsi avvicinare dai paparazzi della stampa anticlericale, che le promette delle fortune in cambio di rivelazioni riguardanti certe... come dire? certe conversazioni private che avrebbe avuto con voi.» «Spirituali, Eminenza. Noi progrediamo insieme sul cammino dell'esperienza mistica.» «Non ne dubito. Ma alla fine, le somme accennate sono considerevoli. Cosa pensate di fare?» «Il silenzio è la prima delle virtù cristiane, persino Nostro Signore rifiutò di rispondere al sommo sacerdote Caifa che lo calunniava. Non ha dunque prezzo. Penso che qualche centinaio di dollari...» «Volete scherzare! Questa volta occorre aggiungere uno zero. Sono disposto ad aiutarvi, ma che sia
l'ultima volta. Il Santo Padre non potrà fare a meno di vedere il trafiletto già pubblicato sul giornale. Tutto ciò è deplorevole.» Emil Riedinger fece scivolare la mano nella sottana porpora e dalla tasca interna estrasse una piccola chiave in vermeil. Si chinò, infilò la chiave nell'ultimo cassetto della sua scrivania e lo aprì. Il cassetto conteneva una ventina di buste panciute. Dalla parrocchia più grande a quella infima dell'impero cattolico, viene raccolta un'imposta destinata alla sede apostolica. Riedinger dirigeva una delle tre Congregazioni che si occupano di assicurare la raccolta di questa manna, regolare, e inodore quanto una pioggerella bretone. Prese con delicatezza la prima busta, l'aprì e si mise a contare rapidamente con la punta delle dita. Poi tese la busta a Calfo, che la socchiuse senza aver bisogno di contare per conoscere la cifra esatta. Un napoletano valuta un pacchetto di biglietti verdi con una semplice occhiata. «Eminenza, il vostro gesto mi tocca infinitamente, la mia gratitudine e la mia devozione vi appartengono!» «Non ne dubito. Il papa e io apprezziamo il vostro zelo per la causa più sacra che esista, poiché essa riguarda la persona stessa di Nostro Signore Gesù Cristo. Va bene, monsignore. Calmate gli ardori mediatici di questa ragazza, e portatela d'ora in avanti sulle vie spirituali... in modo meno oneroso. Vi prego.» Qualche ora più tardi, Riedinger si trovava nell'ufficio che domina il colonnato del Bernini, la cui finestra si affaccia direttamente su piazza San Pietro. Dopo la sua elezione, il papa aveva scelto di viaggiare, lasciando la gestione degli affari quotidiani alle eminenze grigie del Vaticano, le quali non parlano, ma
guidano la barca di Pietro nella giusta direzione: quella della restaurazione dell'antico ordine. Sua Eminenza Riedinger dirigeva segretamente, e con pugno di ferro, la Chiesa cattolica. Una mano tremolante tese al cardinale, rispettosamente in piedi davanti alla poltrona del papa, una copia del quotidiano. L'eloquio era difficile: «E quella storia dove si fa il nome Calfo... mmm... è il nostro Calfo?». «Sì, santissimo padre, è lui. L'ho incontrato oggi: farà quanto è necessario per impedire che quelle odiose calunnie infanghino la Santa Sede.» «E... come evitare dunque che...» «Se ne occuperà personalmente. E voi sapete che, tramite l'intermediario della nostra Banca del Vaticano possiamo arrivare ben dentro la redazione di quel giornale.» «No, ignoravo questo dettaglio. Bene, fate in modo che torni la pace, Eminenza. La pace, la mia costante preoccupazione!» Il cardinale si inchinò sorridendo. Aveva imparato ad amare il vecchio pontefice, da cui il suo passato tuttavia lo separava con tutte le fibre del suo essere. Ogni giorno, era commosso dalla sua lotta contro la malattia, il suo coraggio nella sofferenza. E ammirava la forza della sua fede.
11 Il padre abate entrò per ultimo nel vasto refettorio, mentre i monaci attendevano rispettosamente davanti ai loro sgabelli impeccabilmente allineati. Con la sua
voce flautata intonò il rituale. Dopo il canto dell'Edent pauperes, quaranta mani presero gli sgabelli e con un perfetto sincronismo li fecero scivolare sotto il saio. Le dita si incrociarono sul bordo dei tavoli di legno bianco. Quaranta teste si chinarono per ascoltare in silenzio l'inizio della lettura. Il pasto di mezzogiorno era appena cominciato. Di fronte al prelato, dalla parte opposta del refettorio, un intero tavolo era occupato dagli studenti dello scolasticato. Dei clergyman impeccabili, qualche sottana per i più integralisti, visi tesi, occhi cerchiati. L'élite del futuro clero francese si apprestava a servirsi dalle zuppiere metalliche, che traboccavano dell'insalata colta il mattino stesso da fratello Antoine. L'anno scolastico era cominciato, si doveva resistere fino a giugno. Padre Nil amava l'inizio dell'autunno, durante il quale le primizie del frutteto gli ricordavano che viveva nel giardino della Francia. Ma da parecchi giorni non aveva più appetito. Il suo corso allo scolasticato si svolgeva in un ambiente che lo metteva a disagio. «È dunque evidente che il Vangelo secondo Giovanni, composito, è il frutto di una lunga elaborazione letteraria. Chi è il suo autore? O piuttosto, chi sono i suoi autori? I confronti che abbiamo appena fatto tra i diversi passaggi di quel testo venerabile mostrano un vocabolario e un contenuto estremamente differenti. Non può essere stato lo stesso uomo a scrivere nello stesso tempo le scene vive, colte al momento, delle quali è stato manifestamente il testimone oculare, e i lunghi discorsi in greco erudito dove traspare l'ideologia degli gnostici, i filosofi orientali.» Aveva autorizzato i suoi studenti a intervenire
durante le sue esposizioni, purché le loro domande fossero brevi. Ma da quando era entrato nel vivo del tema, davanti a sé aveva una ventina di blocchi di pietra. «Mi rendo conto che percorriamo strade nuove, che non è ciò che avete imparato al catechismo. Ma il testo lo esige... Vi stupirete ancora!» Il suo corso era il risultato di anni di studio solitario e di riflessione. A più riprese, aveva cercato invano, nella biblioteca dell'abbazia alla quale aveva accesso, certe opere delle quali aveva appreso la recente pubblicazione in una rivista specializzata che riceveva padre Andrei. «Tenga, padre Nil, guardi. Finalmente è uscito dall'oblio un nuovo lotto di manoscritti del Mar Morto! Non ci speravo più... la scoperta delle giare nelle grotte di Qumran risale a cinquant'anni fa, e niente è stato pubblicato dopo la morte di Ygaél Yadin. Più della metà di quei testi restano sconosciuti al pubblico. È uno scandalo!» Nil sorrise. Nell'intimità di quello studio aveva scoperto un padre Andrei appassionato. Amava le loro lunghe conversazioni, a porta chiusa. Andrei lo ascoltava raccontare le sue ricerche, la testa leggermente china. Poi con una parola, talvolta un silenzio, approvava od orientava il suo discepolo verso ipotesi più ardite. L'uomo che vedeva durante quegli incontri era così diverso dal bibliotecario compassato, custode rigoroso delle tre chiavi, che conosceva da sempre l'abbazia in riva alla Loira! L'edificio era stato ricostruito dopo la guerra, senza che il chiostro fosse ultimato. Esso formava una U aperta sulla pianura. Le biblioteche occupavano
l'ultimo piano delle tre ali - centrale, nord e sud proprio sotto i tetti. Quattro anni prima, padre Andrei aveva visto affluire considerevoli somme di denaro, con l'ordine di fare acquisti precisi negli ambiti del dogma e della storia. Felice, aveva messo la sua competenza al servizio di quei capitali miracolosi. Gli scaffali erano ricoperti di testi rari, di edizioni introvabili o esaurite, in tutte le lingue antiche e moderne. L'apertura dello scolasticato speciale, seguito da vicino dal Vaticano, era evidentemente responsabile della creazione di quel meraviglioso strumento di ricerca. Tuttavia, esisteva un'inconsueta restrizione. Ciascuno degli otto monaci professori destinati allo scolasticato possedeva una sola chiave, quella della biblioteca corrispondente alla materia insegnata. Incaricato del Nuovo Testamento, Nil aveva ricevuto la chiave dell'ala centrale, la porta della quale era sormontata da un pannello di legno intagliato: Scienze bibliche. Le biblioteche dell'ala nord, Scienze storiche, e dell'ala sud, Scienze teologiche, per lui restavano ostinatamente chiuse. Solo Andrei e il padre abate possedevano le chiavi delle tre biblioteche, riunite in un mazzo speciale dal quale non si separavano mai. All'inizio delle sue ricerche, Nil aveva chiesto all'amico il permesso di accedere alla biblioteca storica. «Nell'ala centrale non trovo alcune opere che mi servono per procedere. Un giorno mi ha detto che erano classificate nell'ala nord, perché non posso accedervi anch'io? È ridicolo.» Per la prima volta, Nil vide il viso dell'amico chiudersi. Terribilmente a disagio, Andrei gli disse, le lacrime agli occhi: «Padre Nil... se le ho detto questo,
ho avuto torto. Lo dimentichi. E la prego di non chiedermi mai la chiave di una delle due biblioteche alle quali non ha accesso. Cerchi di capire, amico mio. Non dipende da me. Gli ordini del padre abate sono categorici, e vengono... dall'alto. Nessuno può accedere a tutte e tre le ali della nostra biblioteca. Questo pensiero mi toglie il sonno. Non solo è ridicolo, ma tragico. Io ho accesso alle tre ali, e sovente ho avuto il piacere di sfogliare e leggere i testi. Per la pace della sua anima, in nome della nostra amicizia, la supplico; si accontenti di ciò che trova nell'ala centrale». Quindi era sprofondato in un grave silenzio, alquanto insolito quando si trovava solo con Nil. Disorientato, il professore di esegesi aveva dovuto limitarsi a trarre soddisfazione dai tesori ai quali dava accesso la sua unica chiave. «Il suo racconto mostra che l'autore principale del Vangelo secondo san Giovanni conosceva bene Gerusalemme e che aveva delle conoscenze in città: è un giudeo agiato, colto, mentre l'apostolo Giovanni vive in Galilea, ed è povero e illetterato... come poteva essere l'autore del testo che porta il suo nome?» Davanti a lui, i visi si accigliavano via via che parlava. Alcuni scuotevano il capo con aria di disapprovazione, ma nessuno interveniva. Il silenzio dell'uditorio era la cosa che più inquietava Nil. I suoi allievi provenivano dalle famiglie più tradizionaliste del paese; rampolli selezionati con cura, per costituire la punta di diamante della Chiesa conservatrice del domani. Perché gli avevano affidato quell'incarico? Era così soddisfatto quando lavorava tranquillamente, in solitudine! Nil sapeva che non avrebbe potuto renderli partecipi di tutte le sue conclusioni. Non avrebbe mai
immaginato che un giorno l'insegnamento dell'esegesi potesse diventare un esercizio acrobatico e rischioso. Quando era studente, a Roma, al fianco del caloroso e fraterno Rembert Leeland, tutto sembrava così facile... Il primo rintocco della messa suonò lentamente. «Vi ringrazio. Alla prossima settimana.» Gli studenti si alzarono e raccolsero i loro appunti. In fondo alla sala un seminarista in sottana, il cranio rasato di fresco, si attardò un istante a scrivere qualche riga su un pezzo di carta, di quelli che i monaci utilizzano per comunicare tra loro senza rompere il silenzio. Mentre piegava il foglio in due, stringendo le labbra, Nil notò distrattamente che si mangiava le unghie. Alla fine si alzò e passò davanti al suo professore senza rivolgergli uno sguardo. Mentre Nil indossava gli ornamenti sacerdotali nella sacrestia che odorava di cera fresca, una sottana scivolò nella sala comune e si avvicinò al casellario riservato ai padri. Dopo essersi accertato che il luogo fosse deserto, una mano dalle unghie martoriate infilò un pezzo di carta, piegato in due, nel casellario del reverendo padre abate.
12 Se non fosse stato per le applique veneziane che diffondevano una calda luce soffusa, la sala sarebbe potuta apparire sinistra. Oblunga, senza finestre, era ammobiliata unicamente con un tavolo di legno cerato,
dietro il quale erano allineate tredici sedie addossate al muro. Al centro una sorta di trono in stile napoletanoangioino, tappezzato di velluto porpora. E disposte sui due lati, sei poltrone più semplici con i braccioli a testa di leone. Il prezioso rivestimento della porta d'entrata nascondeva una spessa armatura. Cinque metri circa separavano il tavolo dal muro di fronte, totalmente nudo. Totalmente? No. Un pannello di legno scuro era incassato nella muratura. Spiccando con il suo livido pallore sul mogano, un crocifisso insanguinato, d'ispirazione giansenista, formava una macchia pressoché oscena sotto il fuoco incrociato di due faretti nascosti proprio sopra il trono centrale. Quel trono non era mai stato occupato, e mai lo sarebbe stato. Rammentava ai membri dell'assemblea che la presenza del maestro della Società San Pio V era interamente spirituale, ma eterna. Da quattro secoli, Gesù Cristo, Dio resuscitato, sedeva qui in spirito e in verità, circondato da dodici fedeli apostoli; sei alla sua destra e sei alla sua sinistra. Esattamente come durante l'ultima cena che aveva consumato con i suoi discepoli, duemila anni prima, nella sala alta del quartiere ovest di Gerusalemme. Ciascuna delle dodici poltrone era occupata da un uomo vestito di un'alba molto ampia, il cappuccio abbassato sul capo. Davanti a ogni volto, un semplice panno bianco era abbottonato all'altezza degli zigomi. La parte bassa del volto era nascosta, e non si vedevano che gli occhi e la parte alta della fronte. Così disposti in linea di fronte al muro, per vedere la figura dei compagni sarebbe stato necessario piegarsi in avanti e girare la testa. Una simile contorsione era
evidentemente vietata, così com'era sottinteso che si dovevano mostrare le mani il meno possibile. Avambracci congiunti sul tavolo - le aperture delle ampie maniche erano previste per incastrarsi in modo naturale - i polsi e le mani dei partecipanti erano nascosti. Quando parlavano, i membri dell'assemblea non si rivolgevano direttamente gli uni agli altri, ma all'immagine sanguinante situata di fronte a loro. Se ciascuno poteva udire, senza girare la testa, ciò che veniva detto, era perché il Maestro, muto sul suo crocifisso, era consenziente. In quella stanza, della quale i comuni mortali ignorano persino l'esistenza, la Società San Pio V teneva una delle sue innumerevoli riunioni dalla sua fondazione. Seduto alla destra del trono vuoto, un solo partecipante aveva liberato sul piano del tavolo, totalmente sgombro, le mani grassocce. All'anulare destro, un diaspro verde scuro mandò dei bagliori quando si alzò e lisciò con gesto automatico l'alba su un addome leggermente prominente. «Fratelli miei, tre questioni esterne delle quali abbiamo già dibattuto in questa sede devono essere ritenute oggi al centro della nostra attenzione e una quarta, interna e... dolorosa per ognuno di noi.» Un silenzio generale accolse questa dichiarazione. Ciascuno attendeva il seguito. «A richiesta del cardinale prefetto della Congregazione, siete stati toccati da un piccolo problema sorto recentemente in Francia in un'abbazia benedettina sottoposta a strettissima sorveglianza. Mi avete dunque dato carta bianca per risolverlo. Ebbene, ho il piacere di annunciarvi che il problema è stato
trattato in modo soddisfacente. Il monaco, le cui recenti affermazioni erano per noi fonte di preoccupazione, non è ormai più in grado di nuocere alla Santa Chiesa cattolica.» Un assistente alzò leggermente le braccia congiunte sotto le maniche, per manifestare che stava per parlare: «Intendete dire che è stato... soppresso?». «Non impiegherei quel termine, offensivum auribus nostris*. Sappiate che è caduto disgraziatamente dal Roma Express che lo riportava all'abbazia, e che è morto sul colpo. Le autorità francesi hanno concluso che si è trattato di suicidio. Pertanto, lo raccomando alle vostre preghiere. Il suicidio, come ben sapete, è un crimine orrendo contro il creatore.» «Ma... fratello rettore, non è stato rischioso rivolgersi a un agente straniero per rendere il... suicidio possibile? Siamo davvero certi della sua discrezione?» «Ho incontrato il palestinese durante il mio soggiorno al Cairo, anni fa. Da allora, si è sempre rivelato affidabile. In questa occasione, i suoi interessi combaciano con i nostri e lo ha capito perfettamente. Si è fatto aiutare da una sua vecchia conoscenza, un agente israeliano. Gli uomini di Hamas e del Mossad si combattono ferocemente, ma talvolta sanno spalleggiarsi per affrontare una causa comune, ed è precisamente questo il caso. Solo il risultato conta: i mezzi impiegati devono essere efficaci, rapidi, definitivi. E io mi faccio garante della discrezione assoluta di quei due agenti. Sono molto ben ricompensati.» «Precisamente: le migliaia di dollari dei quali voi ci avete parlato rappresentano una somma considerevole. Una tale spesa è ben giustificata?» * Che offende le nostre orecchie.
Il rettore, cosa molto rara, si girò verso il suo interlocutore. «Fratello mio, questo investimento è una bazzecola in confronto ai profitti che può portare. E che personalmente stimo non in migliaia, ma in milioni di dollari. Se raggiungiamo il nostro scopo, disporremo finalmente dei mezzi per la nostra missione. Non dimenticate la fortuna improvvisa e immensa dei Templari. Ebbene, noi attingeremo alla loro stessa sorgente. Riuscendo laddove essi hanno fallito.» «E la lastra di Germigny?» «Stavo per arrivarci. Questa scoperta sarebbe passata inosservata se padre Andrei non fosse venuto a saperlo per via della vicinanza geografica della sua abbazia. Egli ha avuto la sfortunata idea di recarsi rapidamente sul luogo, e leggere l'iscrizione per primo. Noi ne conoscevamo l'esistenza attraverso il dossier dei Templari.» «Ce lo avete già detto.» «Durante il suo recente passaggio a Roma, si è lasciato sfuggire alcune riflessioni che sembravano provare che stava mettendo in relazione le informazioni in suo possesso. È estremamente pericoloso, non si sa mai dove tutto ciò va a finire, e la nostra Società è stata fondata dal santo papa Pio V per evitare che,» si chinò, dapprima sulla sinistra davanti al trono vuoto, poi di fronte, davanti al crocifisso «la memoria e l'immagine del Maestro potessero essere infangate od offuscate. Nel corso della lunga storia della Chiesa, tutti coloro che hanno tentato di agire in tal senso sono stati eliminati. Spesso in tempo, talvolta, ahimè, troppo tardi, e furono causa di molte sofferenze: pensate a Origene, Ario, o ancora Nestorio e molti altri... il gruppo del Roma Express ha fatto il
necessario, su mia richiesta. La lastra di Germigny sarà presto sottratta agli sguardi indiscreti.» Un sospiro di sollievo percorse l'assemblea. «Ma ora abbiamo un altro problema, conseguente al primo» proseguì il rettore. Automaticamente, alcune teste si voltarono verso di lui. «Da qualche tempo, il defunto padre Andrei sembra avere risvegliato la curiosità di una sorta di discepolo. Uno dei monaci, professore allo scolasticato speciale dell'abbazia in questione. Forse si tratta semplicemente di un allarme banale, provocato da un messaggio che ci ha fatto pervenire il reverendo padre abate. Uno studente che partecipa al corso di esegesi di quel professore, un certo padre Nil, ha fatto sapere che aveva sentito esprimere prese di posizione sul Vangelo secondo Giovanni che attentano alla sana dottrina. Date le recenti circostanze, il padre abate ha giudicato opportuno avvisarci immediatamente.» Diversi fratelli drizzarono il capo; il Vangelo secondo Giovanni era il fulcro stesso della loro missione, tutto ciò che lo toccava doveva essere analizzato da vicino. «Normalmente, l'ortodossia di un esegeta cattolico è di competenza della Congregazione e quel monaco non è il primo che essa avrebbe dovuto richiamare all'ordine...» Si poté indovinare qualche sorriso sotto i veli che celavano i volti. «...ma qui le circostanze sono particolari. Il rimpianto padre Andrei era un erudito di classe eccezionale, dotato di uno spirito acuto e inventivo. Non può più nuocere ormai, ma cosa avrà lasciato intendere al suo discepolo Nil? Perché l'abate lo ha precisato, quei due intellettuali erano uniti da una stretta amicizia. Cosa alquanto disdicevole in
un'abbazia. In altri termini, il veleno che si è infiltrato nella mente di padre Andrei avrebbe contagiato padre Nil? Non vi è modo di saperlo.» Uno dei fratelli alzò le braccia congiunte. «Ditemi, fratello rettore... per caso, non potrebbe capitare anche a quel padre Nil di dover viaggiare sul Roma Express?» «Potrebbe, certo. Ma un secondo suicidio tra i monaci dell'abbazia non sarebbe prudente. Sarebbe un'impresa convincere il governo francese e l'opinione pubblica, a distanza così ravvicinata. Ora, c'è una certa urgenza, perché quel monaco insegna regolarmente e pare risoluto nel voler mettere i suoi studenti al corrente delle sue... in breve, di certe conclusioni delle sue ricerche. Quali sono? Lo ignoriamo, ma non possiamo correre alcun rischio. Il cardinale ripone molta speranza nello scolasticato monastico di Saint-Martin, lo vuole assolutamente irreprensibile.» «Cosa proponete?» Il rettore si sedette, ritirò le mani e l'anello nelle maniche dell'alba. «Non lo so. È ancora troppo presto. Nell'immediato, bisogna scoprire di cosa è a conoscenza quel monaco, o, se non sa ancora nulla di troppo grave, fino a dove potrebbe arrivare. Vi terrò al corrente.» Fece una pausa, guardò intensamente il crocifisso, il cui avorio era macchiato di un sangue che i secoli sembravano aver fatto coagulare. La questione successiva sarebbe stata più semplice: bisognava gestire la faccenda con decisione. Dopo tutto, ogni fratello si aspettava che la Società applicasse i suoi regolamenti. Anche quando comportavano la morte di uno di loro.
«Ciascuno ignora tutto, o quasi, del fratello sedutogli accanto in questo momento. Dunque spetta a me il terribile compito di proteggere la natura stessa della nostra società, quando il bisogno si fa sentire.» Il rettore della Società San Pio V era nominato a vita. Quando si sentiva prossimo alla morte, designava tra i fratelli colui che gli sarebbe succeduto, e che, a sua volta, doveva conoscere (e lui soltanto) l'identità dei suoi undici compagni, e questi ultimi conoscere la sua. La maggior parte dei rettori, dal 1570, avevano avuto il buon gusto di morire prima di diventare inefficienti. Talvolta era stato necessario aiutare un tantino coloro che tenevano più alla vita che al Maestro: gli Undici esercitavano un controllo rigoroso sull'efficienza del loro capo. Esisteva un protocollo per quel caso, proprio quel protocollo che stava per essere applicato, ma stavolta nei confronti di un fratello. «Uno di noi, mi è penoso dirlo in questa sede, recentemente ha dimostrato la propria incapacità di rispettare la nostra regola principale: quella della più totale riservatezza. L'età avanzata, senza dubbio, ha rallentato i suoi riflessi.» Uno degli astanti si mise a tremare, lasciando scivolare le maniche della sua alba e facendo apparire delle mani scarne, solcate di vene. «Copritevi, fratello! Bene. Voi tutti conoscete la procedura applicata contro il colpevole. Vi avverto, affinché possiate cominciare da questa sera stessa il tempo di digiuno, di preghiera e di severa penitenza che accompagna sempre la fine della missione di un fratello. Dobbiamo aiutarlo a prepararsi, accompagnarlo nel cammino che oramai necessariamente sarà il suo. Totale digiuno la vigilia della nostra prossima riunione e disciplina con la frusta metallica mattino e sera, ogni giorno per il
tempo di un Miserere, o più, se lo desiderate. Non staremo a risparmiare il nostro affetto per il fratello che condivide le nostre responsabilità da così lungo tempo e dal quale dovremo presto separarci.» Calfo non amava dover applicare quel protocollo a uno dei Dodici. Egli fissò intensamente il crocifisso. Dal tempo in cui presiedeva alle riunioni della sua Società, il Maestro aveva udito e visto ben altro. «Vi ringrazio. Abbiamo fino alla prossima seduta per provare al nostro fratello, in segreto, la forza del nostro amore per lui.» I fratelli si alzarono e si diressero verso la porta blindata in fondo. 13 Vangeli secondo Matteo e Giovanni Il sole nascente del sabato di Pasqua sfiorava le tegole dell'impluvium*. Seduto sul bordo della vasca centrale, spossato da quelle due giornate che avevano visto l'annientamento di tante speranze, il giudeo sospirò. Doveva salire. Gli Undici si erano rintanati nella sala alta, come un gregge impaurito. Gesù consegnato a Pilato, crocifisso il giorno prima a mezzogiorno... Più che un fallimento, era un abominevole fiasco. Si decise. Salì lentamente i gradini della scala che conduceva al primo piano e spinse la porta che Giuda * Gli ebrei si facevano spesso costruire case sul modello romano: tutte le stanze del pianterreno davano su una galleria coperta, il cui tetto convogliava le acque pluviali in una vasca centrale.
aveva varcato sotto i suoi occhi, la sera del giovedì. Nella vasta sala ardeva un semplice lumicino. Intravide delle ombre scure sedute sul pavimento. Tutti tacevano. Ecco tutto ciò che restava dell'Israele dei tempi nuovi: quel gruppo di galilei terrorizzati, che si nascondevano. Un'ombra si staccò dal muro e si diresse verso di lui. «Allora?» Pietro lo guardava con arroganza. "Non accetterà mai il fallimento, mai accetterà di essermi debitore per essersi rifugiato presso la mia dimora, come non ha mai accettato le mie relazioni privilegiate con Gesù" pensò il giudeo, poi parlò: «Dunque, ieri sera Pilato ha concesso l'autorizzazione affinché il corpo di Gesù fosse deposto dalla croce. Giacché era troppo tardi per dargli le cure rituali, hanno provvisoriamente adagiato il corpo in una tomba vicina, che si dà il caso appartenga a Giuseppe di Arimatea, un simpatizzante». «Chi lo ha trasportato?» «Nicodemo lo sosteneva per la testa, Giuseppe per i piedi. E alcune donne hanno fatto la parte delle prefiche. Le solite che conosciamo bene. Maria di Magdala e le sue amiche.» Pietro si morse il labbro inferiore e con un pugno si colpì il palmo della mano sinistra. «Che vergogna, che... che avvilimento! L'ultimo omaggio a un morto è sempre reso dai membri della sua famiglia! Né Maria, né suo fratello Giacomo erano presenti... solo dei simpatizzanti! Il Maestro è davvero morto come un cane.» Il giudeo lo guardò con ironia. «È forse colpa di Maria sua madre, di Giacomo e dei suoi tre fratelli, delle sue sorelle, se i preparativi della
vostra insurrezione si sono svolti in gran segreto? È colpa loro se tutto si è capovolto, in poche ore, in modo tragico e inatteso? È colpa loro se Caifa ha mentito, se ieri mattina Gesù è stato condotto da Pilato? Se è stato crocifisso seduta stante, senza processo? Di chi è la colpa?» Pietro chinò il capo. Era stato lui a far comunella con i suoi vecchi amici zeloti, lui ad aver convinto Giuda a fare la sua parte, lui era il vero responsabile. Lo sapeva, ma non poteva riconoscerlo. Non davanti a quell'uomo, quell'usurpatore, che proseguiva con ferocia: «Dov'eri tu, quando hanno fatto distendere Gesù sulla trave, quando gli venivano inchiodati i polsi? Ieri a mezzogiorno, io ero là, nascosto tra la folla. Ho udito l'orribile rumore dei colpi di martello, ho visto il sangue sgorgargli dal costato quando il legionario lo ha trafitto con un colpo di lancia. Io sono il solo qui a poter testimoniare che Gesù il nazoreno è morto come un uomo, senza un lamento, senza un rimprovero per noi che l'abbiamo spinto in quel trabocchetto. Dove eravate tutti quanti voi?». Pietro rimase in silenzio. Il tradimento di Caifa, Gesù consegnato ai romani, quegli eventi inattesi avevano vanificato i preparativi dell'insurrezione. Non diversamente dagli altri, nel momento in cui il Maestro agonizzava, lui si nascondeva nella città bassa. Il più lontano possibile dai legionari romani, il più lontano possibile dalla porta ovest di Gerusalemme e dalle sue croci. Sì, costui era l'unico presente, lui solo aveva visto, lui solo avrebbe ormai potuto testimoniare della morte di Gesù, del suo coraggio e della sua dignità. A partire da adesso se ne sarebbe fatto un vanto in ogni momento, si sarebbe esibito, l'impostore! Bisognava che riprendesse l'iniziativa. Il capo era lui.
Attirò il suo interlocutore verso la finestra. «Vieni, dobbiamo parlare.» Pietro contemplò un istante la notte. Tutto era oscuro a Gerusalemme, anche il cielo. Si girò, ruppe il grave silenzio: «Due problemi urgenti. Dapprima, il cadavere di Gesù: nessuno di noi accetterà che venga gettato nella fossa comune, come si fa con i condannati a morte. Sarebbe un insulto alla sua memoria». Il giudeo buttò un'occhiata alle forme indistinte, prostrate lungo i muri della sala alta. Evidentemente, nessuno di loro poteva offrire al suppliziato una degna sepoltura. Giuseppe di Arimatea non avrebbe accettato che il corpo di Gesù rimanesse a lungo nella tomba di famiglia. Si doveva trovare qualcos'altro. «Forse c'è una soluzione... gli esseni hanno sempre considerato Gesù come uno di loro, anche se lui non ha mai accettato di essere membro della loro setta. Per molto tempo ho fatto parte di quella comunità laica. Li conosco bene. Accetteranno certamente di deporre la sua salma in una delle loro necropoli del deserto.» «Puoi contattarli senza tardare?» «Eliezer abita vicino. Me ne incarico io stesso. E il secondo problema?» Pietro tenne lo sguardo in quello del suo interlocutore. In quel preciso istante la luna uscì da dietro una nube, accentuando i tratti rugosi del suo viso. L'anziano zelota rispose con voce dura: «L'altro problema è Giuda. E di quello me ne occupo io». «Giuda?» «Sai che, questa mattina, si è recato a dare scandalo al tempio? Sai che ha accusato il sommo sacerdote di slealtà e ha preso Dio a testimone tra Caifa e lui, davanti alla folla? Secondo le superstizioni giudee, a uno dei due toccherà morire per mano di Dio. Caifa lo
sa, e lo farà arrestare. A quel punto parlerà. Tu e io, io soprattutto, saremo smascherati. Per i preti, non ha alcuna importanza. Ma pensa ai simpatizzanti. Se apprendessero che la cattura di Gesù è avvenuta per causa nostra, anche se lo scopo era di porlo al sicuro, sarebbe la nostra fine. Lo comprendi?» Stupefatto, il giudeo fissò il galileo: "Quale avvenire, miserabile scampato a un'avventura fallita? Qual altro avvenire se non quello di tornare alle tue reti da pesca, dalle quali non ti saresti mai dovuto separare?". Non rispose. Pietro abbassò il capo, il suo viso si rituffò nell'ombra. Rimuginava tra sé e sé: "Quell'uomo è uscito di senno, è pericoloso. Occorre agire al fine di scongiurare il pericolo. Non pensiamoci più. Di Giuda mi incarico io". E la sua mano sinistra, istintivamente accarezzò la coscia sinistra contro la quale si sfregava la sica.
14 Atti degli Apostoli Lasciando il giudeo sconcertato, Pietro abbandonò la sala, attraversò l'impluvium e uscì. In quell'alba incerta del sabato di Pasqua, le strade sarebbero state deserte: sapeva dove trovare Giuda. Si introdusse nella città bassa. Un dedalo di viuzze, sempre più anguste, alcune prive di lastricatura; la sabbia gli si attaccava ai sandali. Bussò a una porta. Nel vano apparve il viso spaventato di una donna
velata. «Pietro! Ma... a quest'ora?» «Non è te che voglio, donna. Cerco l'Iscariota. Si trova qui?» La donna lo lasciò fuori e abbassò la voce: «Sì, è arrivato durante la notte, sconvolto. A dire il vero, sembrava fuori di sé... mi ha supplicato di nasconderlo fino alla fine della festa. Dice di aver accusato pubblicamente il sommo sacerdote Caifa di tradimento, prendendo Dio a testimone. Ora uno dei due deve morire». «Non ci credi, vero?» «Io sono una discepola di Gesù, come te. Ci ha liberato da tutte quelle credenze che ancora soggiogano il popolo.» Pietro le sorrise: «Allora non hai niente da temere. Sono venuto a rassicurare Giuda. Dio è giusto, Egli conosce la rettitudine del suo cuore. Giuda ha avuto torto chiamandolo a testimone tra lui e il sommo sacerdote. Chiedigli di uscire, voglio scambiare due parole». La donna esitò, guardò Pietro e richiuse la porta. L'apostolo fece qualche passo. Tre case basse chiudevano quel vicolo cieco, tutte avevano le imposte serrate. Gerusalemme dormiva ancora, dopo una notte trascorsa a recitare il seder pasquale. Un rumore lo fece trasalire. Si voltò. Giuda era davanti a lui. «Pietro! Shalom!» Era pallidissimo, gli occhi cerchiati e i capelli scarmigliati gli conferivano un'aria stralunata. Con inquietudine squadrò Pietro, che non rispose al saluto, e si limitò a scuotere la testa. Giuda lo precedette. «Se tu sapessi... Siamo stati traditi, Pietro, traditi dal sommo sacerdote in persona. Aveva giurato di
proteggere la vita di Gesù. E ieri all'alba ho visto il Maestro condotto da Pilato, incatenato. Allora...» «Allora, sei uscito di senno!» la voce di Pietro era tagliente. «Allora, ho voluto ricordare a Caifa il nostro accordo. E ho preso Dio a testimone tra di noi.» Giuda abbassò il capo, intrecciando nervosamente le mani. «Ogni giuramento vincola l'Eterno. Caifa ha giurato davanti a me, mi ha dato del denaro come pegno della sua fede e malgrado ciò Gesù è morto come un malfattore! Ah sì, l'Eterno soltanto può essere giudice di una tale infamia!» «Gesù forse non ci ha ripetuto che non si deve giurare davanti al trono di Dio, perché ciò significa insultarlo?» Giuda scosse il capo. «Dio giudica, fratello, Dio deve giudicare l'infamia degli uomini...» "Ecco ciò che i preti hanno fatto di noi," pensò Pietro "schiavi di assurde credenze. Israele deve esserne liberata, con o senza Gesù. Ma per Giuda è troppo tardi. Egli è definitivamente perduto." «E dunque, Giuda?» «Dunque, è tutto finito. Non ci resta che fare ritorno in Galilea, per espiare la morte del Maestro, finché avremo vita. È tutto finito, Pietro!» L'apostolo fece un passo verso Giuda, che lo guardò avvicinarsi con diffidenza. Per rassicurarlo, Pietro gli rivolse un sorriso. "Quest'uomo è una vittima del potere giudeo, che muoia in pace! " Quindi sguainò la sica, e con gesto lesto, che aveva imparato tempo prima dagli zeloti, lo affondò nel ventre di Giuda. Con una smorfia di disgusto, risalì verso l'alto finché non avvertì l'ostacolo dello sterno.
«Dio ha giudicato» sibilò sul suo viso. «Dio giudica tutto e tutti. Caifa continuerà a vivere, per la malasorte di Israele.» Gli occhi spalancati per l'orrore, Giuda, senza un grido, cadde in avanti. Aperto in due, le sue interiora si riversarono sulla sabbia. Pietro indietreggiò senza fretta, e ispezionò il vicolo cieco. Nessun movimento. Nessun testimone. Lentamente, asciugò il pugnale all'interno della tunica. Poi levò lo sguardo. Il gaio sole della Pasqua aveva da poco illuminato la terra d'Israele, rammentandogli l'inizio della schiavitù d'Egitto e l'attraversamento miracoloso delle acque del Mar Rosso. Quel giorno, era nato un popolo. Il Popolo di Dio. Dodici tribù in seguito errarono nel deserto prima di stanziarsi a Canaan; l'antico Israele, che ormai era arrivato alla fine delle sue forze. Un nuovo Israele doveva nascere, guidato stavolta da dodici apostoli. Erano rimasti in undici? Dio stesso avrebbe sostituito Giuda. Ma il giudeo, il presunto discepolo beneamato, non avrebbe mai fatto parte dei Dodici. Mai. Pietro scavalcò il corpo di Giuda. Quando fosse stato scoperto, tutti avrebbero pensato a un regolamento di conti tra zeloti: lo sventramento dei nemici era la loro firma abituale. Si voltò indietro e gettò un'ultima occhiata al cadavere: «Ormai, sono la pietra sulla quale verrà edificata la Chiesa, e la morte non avrà alcun potere su di noi. Non è tutto finito, Giuda».
15
Erano trascorsi due giorni dalla morte di Andrei. Nil contemplava il suo tavolo ingombro di carte, risultato di anni di ricerche. Pensava di aver chiarito le vere circostanze della morte di Giuda, Tutto era stato stabilito nei giorni che avevano preceduto la crocifissione. Poi Giuda era stato assassinato, non si era impiccato. Gli avvenimenti che sarebbero seguiti potevano essere compresi soltanto sfogliando i testi per arrivare, al di là di ciò che dicono, a ciò che lasciano intendere. La Storia non è una scienza esatta. La sua verità deriva dal confronto degli indizi raccolti. Doveva dunque applicare lo stesso metodo al misterioso biglietto scoperto nella mano dell'amico morto. Per questo occorreva accedere alla biblioteca storica. Il nuovo bibliotecario sarebbe stato nominato dopo le esequie, previste per il giorno successivo. Chiuse gli occhi e si abbandonò al ricordo. «Padre Nil, ho appena saputo che durante i lavori di restauro di Germigny, gli operai hanno riportato alla luce un'antica iscrizione. Vorrei vederla, può accompagnarmi? Devo fotografare dei manoscritti a Orléans, la strada passa davanti a Germigny-des-Prés...» Parcheggiarono sulla piazza del paese. Nil era felice di rivedere quella chiesa: l'architetto di Carlo Magno aveva voluto riprodurre in miniatura la cattedrale di Aix-la-Chapelle, edificata pressappoco nell'800. Le preziose vetrate incorniciate d'alabastro creavano
all'interno un'atmosfera d'intimità e raccoglimento. Avanzarono verso la soglia del santuario. «Osservi come è ancora avvolta di mistero!» Il bisbiglio di Andrei era reso appena udibile dal rumore dei martelli che aggredivano i muri in fondo alla chiesa. Per smontare le vetrate, gli operai avevano dovuto togliere il rivestimento che le incorniciava. Tra due aperture, proprio sopra il prolungamento della navata, nella penombra si distingueva un ampio foro. Andrei si avvicinò. «Scusate signori, vorrei dare un'occhiata a una lastra che a quanto pare avete trovato durante i lavori.» «Ah, la pietra? Sì, è stata trovata sotto uno strato di intonaco. L'abbiamo staccata dal muro e deposta nel transetto sinistro.» «Possiamo esaminarla?» «Non c'è problema. Siete i primi che se ne interessano.» I due monaci fecero qualche passo e videro sul pavimento una lastra quadrata, i cui bordi lasciavano indovinare la traccia di una sigillatura. Andrei si chinò, quindi appoggiò un ginocchio a terra. «Ah... la sigillatura è chiaramente originale. Nel punto in cui si trovava, stava direttamente sotto gli occhi dei fedeli. Dunque rivestiva un'importanza particolare... poi, vede, in seguito è stata coperta con dell'intonaco, che ha un aspetto più recente.» Nil condivise l'eccitazione del compagno. Quegli uomini non evocavano mai la Storia come un'epoca passata. Per loro il passato era presente. In quel preciso istante, sentirono una voce provenire dai secoli; quella dell'imperatore che impartisce l'ordine di incidere quella pietra e di murarla in un punto che potesse essere ben visibile.
Andrei tirò fuori il fazzoletto e lo passò con delicatezza sulla superficie della lastra. «L'intonaco è dello stesso tipo di quello delle chiese romane. Ciò significa che questa pietra è stata coperta due o tre secoli dopo essere stata posata. Un giorno, qualcuno ha pensato che fosse meglio nasconderla al pubblico. Chi aveva interesse a farlo?» Alcuni caratteri spiccavano sotto l'intonaco che si sgretolò. «Una scrittura carolingia. Ma... è il testo del Simbolo di Nicea!» «Il testo del Credo?» «Infatti. Mi chiedo perché abbiano voluto metterlo così in evidenza, sotto gli occhi di tutti, in questa chiesa imperiale. Soprattutto, mi chiedo...» Andrei restò per un lungo momento davanti all'iscrizione, poi si rialzò, si spolverò e appoggiò una mano sulla spalla di Nil. «Amico mio, in questa riproduzione del Simbolo di Nicea c'è qualcosa che non capisco.» Fecero rapidamente una foto e uscirono nel momento in cui gli operai chiudevano il cantiere per la pausa pranzo. Andrei restò silenzioso fino a Orleans. Mentre Nil preparava l'apparecchio per la loro seduta di lavoro, lo bloccò: «No, non con quella pellicola, è quella della lastra. La metta da parte, e ne utilizzi un'altra per quei manoscritti, per cortesia». Il tragitto del ritorno fu cupo. Prima di uscire dalla macchina, Andrei si girò verso Nil. Aveva l'aria particolarmente grave. «Stamperemo il negativo di Germigny in due esemplari. Io ne prenderò uno, che faxerò immediatamente a un impiegato della Biblioteca vaticana con il quale sono in contatto. Gradirei anche
avere un suo parere. Sono veramente pochi coloro che possono capire le particolarità delle iscrizioni dell'alto Medioevo. Il secondo esemplare... lo custodisca gelosamente, nella sua cella. Non si sa mai.» Quindici giorni più tardi, Andrei aveva chiamato Nil nel suo studio. Appariva preoccupato. «Ho appena ricevuto una lettera del Vaticano. Mi hanno convocato laggiù per rendere conto della traduzione del manoscritto copto del quale le ho parlato... che scopo può avere questo viaggio? La lettera era accompagnata da una nota dell'impiegato della Biblioteca vaticana, nella quale diceva di aver ricevuto la foto della lastra di Germigny. Senza commenti.» Nil era sorpreso quanto il suo amico. «Quando parte?» «Questa mattina è venuto il padre abate a consegnarmi un biglietto per il Roma Express di domani. Padre Nil... se non le è di disturbo, durante la mia assenza, provi a tornare a Germigny. La fotografia che abbiamo fatto non è per niente nitida, ne faccia un'altra con la luce radente.» «Padre Andrei, può dirmi a cosa pensa?» «Per oggi non le dirò più nulla. Trovi un pretesto qualunque per uscire e vada a fare quella foto il prima possibile. La esamineremo insieme al mio ritorno.» Andrei era partito per Roma il giorno successivo. E non aveva più fatto ritorno all'abbazia. Nil riaprì gli occhi. Al più presto sarebbe andato a compiere l'ultima volontà dell'amico. Ma senza di lui, a cosa sarebbe servita una nuova foto dell'iscrizione? La campana si mise a suonare lugubremente, annunciando a tutta la vallata che, l'indomani, un
monaco sarebbe stato accompagnato alla sua ultima dimora. Nil socchiuse il cassetto del suo tavolo e intrufolò la mano sotto un mucchio di lettere. Il ritmo del suo cuore accelerò. Aprì tutto il cassetto: la foto scattata a Germigny era sparita, e il biglietto di padre Andrei anche. «Impossibile! È impossibile!» Aveva sparpagliato sul tavolo il contenuto del cassetto. Niente da fare. La foto e il biglietto non c'erano. I monaci fanno voto di povertà; dunque non posseggono assolutamente nulla, né possono chiudere a chiave nulla e nessuna cella dell'abbazia è munita di serratura: tranne le scrivanie dell'economo, quella del padre abate e le tre biblioteche, le cui chiavi erano state distribuite con parsimonia. Ma la cella di un monaco è il dominio inviolabile della sua solitudine. Mai nessuno può penetrarvi in assenza dell'occupante, o senza il suo formale permesso. Tranne il padre abate, che però dal momento della sua elezione si impegnava a rispettare quella regola inviolabile, garante della scelta che i monaci fanno di vivere in comunità, ma soli davanti a Dio. Non soltanto era stato violato il santuario di padre Nil, ma era stato rovistato e derubato. Gettò un'occhiata sui documenti sparpagliati sul tavolo. Sì, non si erano accontentati di frugare nel cassetto: il più voluminoso dei suoi documenti, quello sul Vangelo secondo Giovanni, non era al solito posto. Era stato leggermente mosso, e aperto. Nil, che lo utilizzava ogni giorno dall'inizio dei corsi, si accorse immediatamente che alcune delle sue annotazioni non erano più nell'ordine logico che a lui solo era noto. Gli sembrò
che alcuni fogli fossero spariti. Una regola della vita benedettina era appena stata violata. Ne aveva la prova evidente. Doveva esserci un motivo estremamente grave. Sentiva confusamente che un legame collegava gli strani accadimenti di quegli ultimi tempi. Ma quale? Era diventato monaco opponendosi alla volontà della sua famiglia di miscredenti e ricordava quando era stato un giovane novizio. La verità... si era impegnato tutta la vita per cercarla. Due uomini lo avevano capito: Rembert Leeland, suo condiscepolo durante i quattro anni di studi romani, e Andrei. Leeland lavorava ora da qualche parte in Vaticano, Nil si ritrovava solo con delle questioni che non riusciva a risolvere e un'angoscia sorda, che non lo abbandonava dalla fine dell'estate. Con la mano sfiorò il grande documento del Vangelo secondo Giovanni. Tutto era lì dentro. Infatti, padre Andrei non aveva smesso di farglielo capire, rifiutando sempre di dichiarargli più del dovuto o di concedergli l'accesso alla biblioteca dell'ala nord. Non poteva fare altrimenti. Obbedienza. Ma Andrei era morto, forse proprio a causa della sua obbedienza. E la sua cella era stata perquisita, infrangendo le regole immutabili dell'abbazia. Doveva fare qualcosa. Ancora un'ora prima dei vespri. Si alzò, uscì nel corridoio e si diresse verso la scala che conduceva alle biblioteche. Grazie alla buona memoria visiva, aveva memorizzato nei minimi dettagli il biglietto di Andrei. Manoscritto copto (Apoc): senza dubbio un'Apocalisse copta. Lettera dell'Apostolo, poi i tre misteriosi MMM, eia lastra di Germigny. Il filo che collegava tutti quegli elementi misteriosi doveva riposare, da qualche parte,
nei libri della biblioteca. Arrivò davanti allo studio di Andrei, situato proprio accanto all'ala di Scienze bibliche. Dieci metri più lontano si trovava l'angolo dell'ala nord e l'entrata della biblioteca di Scienze storiche. La porta del bibliotecario non era dotata di serrature, come qualsiasi altra cella del monastero. Entrò, accese la luce, si lasciò cadere sulla sedia dove, durante tante ore felici, aveva conversato con l'amico. Nulla era cambiato. Ai muri, le scaffalature sulle quali si impilavano libri etichettati da poco: gli acquisti recenti, in attesa di una sistemazione definitiva in una delle tre ali. Sotto, il mobile di metallo dove Andrei classificava le fotocopie dei manoscritti sui quali lavorava. L'Apocalisse copta doveva essere lì dentro da qualche parte. Dunque era da li che doveva cominciare? D'improvviso sussultò. Parecchi rullini erano appoggiati alla rinfusa su uno scaffale; i negativi dei manoscritti... tra di essi, in prima fila, riconobbe immediatamente quello che aveva utilizzato per fotografare la lastra di Germigny. Andrei l'aveva lasciato là, senza più pensarci, prima della sua partenza per Roma. Avevano rubato la foto, ma non avevano pensato al negativo, o meglio non avevano ancora avuto il tempo di ispezionare lo studio del bibliotecario. Nil si alzò, prese il negativo sul ripiano e lo infilò in tasca. Le ultime volontà di un morto sono sacre. Proprio davanti a sé, sullo schienale della sedia, riconobbe la veste e i pantaloni da clergyman che indossava Andrei al momento della morte. Sarebbe stato seppellito nel suo abito monastico; mai più nessuno avrebbe portato quell'abito, ormai inutile ai fini dell'inchiesta. Un velo di lacrime offuscò lo
sguardo di Nil, poi un'idea folle lo percorse. Prese i pantaloni e infilò la mano nella tasca sinistra. Le sue dita si richiusero su un oggetto in cuoio. Lo sfilò rapidamente di tasca: un mazzo di chiavi! Senza esitare, aprì il gancio a pressione. Tre chiavi. La più lunga, esattamente somigliante alla sua, era quella dell'ala centrale. Le altre due dovevano essere quelle delle ali nord e sud. Il mazzo speciale, quelle che erano in possesso solo dell'abate e del bibliotecario. Turbato dagli avvenimenti drammatici che colpivano l'abbazia, il padre abate non aveva ancora pensato a recuperare quel mazzo, che avrebbe consegnato al successore di Andrei, quando avesse deciso riguardo quella delicata nomina. Nil ebbe un istante di esitazione. Poi rivide il volto dell'amico, seduto di fronte a lui sulla poltrona. «La verità, Nil. E per conoscerla che lei è entrato in questa abbazia!» Si mise il mazzo di chiavi in tasca, attraversò i pochi metri che lo separavano dall'ala nord e dalla sua biblioteca. Scienze storiche; varcare quella porta significava diventare un ribelle. Gettò un'occhiata dietro di sé. I due corridoi dell'ala centrale nord erano deserti. Con decisione, introdusse una delle due chiavi piccole nella serratura. Girò, senza un rumore. Padre Nil, tranquillo professore di esegesi, monaco osservante che non aveva mai infranto neppure la più piccola regola dell'abbazia, aprì la porta e fece un passo in avanti. Entrando nella biblioteca nord, diventava un dissidente.
16 Vangelo secondo Matteo «Che fanno là in alto?» Erano seduti su una delle panchine di pietra dell'impluvium. L'alba della domenica di Pasqua si stava annunciando, la casa era silenziosa. Come il suo ospite, Pietro era stremato. «Due notti senza dormire, il nostro ultimo pasto risale ormai a giovedì sera, nella sala alta con Gesù. Poi l'arresto, la morte del Maestro. E Giuda eliminato.» Profonde occhiaie gli solcavano il viso. Ripete la domanda: «Che fanno là in alto?». «Dovresti saperlo. Non hai forse trascorso qui tutta la giornata di ieri, mentre io ero impegnato a trattare con gli esseni?» Il giudeo non menzionò la breve uscita effettuata da Pietro il mattino della vigilia. Vedendolo uscire furtivamente per strada, la mano appiattita sulla coscia sinistra, aveva intuito. Più tardi durante la giornata, aveva sentito le voci di Gerusalemme; il galileo assassinato da uno zelota era quello che aveva preso Dio a testimone tra sé e Caifa. La sua morte era normale. Dio aveva giudicato, e scelto l'Iscariota. «Credo,» Pietro fece un sorriso amaro «che quasi tutti stiano ancora dormendo. Dimmi, gli esseni sono disposti ad aiutarci?» «Sì, ho buone notizie. Poiché considerano Gesù un Giusto d'Israele, sono pronti a offrirgli una sepoltura in uno dei loro cimiteri. Il trasferimento non può aver luogo prima che suoni lo schofar che annuncia la fine della Pasqua. Tu sai che gli esseni sono molto rigidi riguardo le questioni di impurità rituale. Non
toccheranno mai un cadavere finché la festa non sarà ufficialmente terminata. Tra un'ora.» Pietro lo guardò con circospezione. «Dove lo seppelliranno? A Qumran?» Prima di rispondere il giudeo prese tempo. Fissò Pietro. «Non ne so niente, non mi è stato detto.» Me lo diranno, ma tu non lo saprai. Tu, mai.
17
Nil richiuse con cautela la porta della biblioteca. Per lungo tempo vi aveva avuto accesso senza restrizioni. Ma in seguito alla creazione dello scolasticato le serrature erano state modificate. Non metteva piede lì da quattro anni. Ne riconobbe l'odore familiare e a prima vista gli sembrò che nulla fosse cambiato. Quante volte era venuto qui, attirato da un nuovo libro! Vale a dire a conoscere un nuovo amico, iniziare un nuovo dialogo. I libri sono compagni sicuri. Si danno totalmente, senza riserve, a colui che sa interrogarli con tatto e altrettanta tenacia. E Nil era stato straordinariamente tenace. Immerso sin dall'infanzia in un ambiente materialista, dove il solo dio venerato era il successo, un giorno aveva intravisto una luce. Come? La sua memoria ne aveva perso traccia. Ma quel giorno aveva saputo che la realtà del mondo non si limita a ciò che percepiamo, alle sole apparenze. In lui era allora sorta una certezza: conoscere ciò che sta al di là delle
apparenze era la più straordinaria delle imprese, la sola che giustificasse la mobilitazione di tutte le forze vitali di un uomo. L'avventura interiore gli sembrò allora l'unica a legittimare una vita di uomo libero. E la ricerca al di là delle apparenze, la sola che non fosse assoggettata ad alcuna pressione esterna. Ciò che padre Nil ignora nel momento in cui penetra nella biblioteca dell'ala nord, è che ha torto. Perché è stato costretto a oltrepassare quella porta come un ladro, e che l'unico amico all'abbazia è morto, forse perché la oltrepassava troppo di sovente. Davanti a lui, decine di scaffali allineavano il sapere storico del mondo. «I libri non danno il sapere» gli aveva detto Andrei. «Sono un nutrimento allo stato brado. Tocca a lei digerirlo, vale a dire decostruirlo leggendo, per poi ricostruirlo dentro di sé. Ho studiato molto Nil, ma ho imparato poco. Non dimentichi quello che cerca: il mistero di Dio, che si trova oltre le parole. Le parole e le idee contenute nei libri la condurranno in direzioni differenti, a seconda di come saprà disporne. È tutto là, in quei libri. Ma gran parte di essi non sono che pietre che giacciono alla rinfusa sugli scaffali. Spetta a lei farne un edificio coerente. Solo una cosa: diffidi. Non tutte le architetture sono accettabili, e non tutte sono accettate. Finché rimarrà in uno schema ideologicamente corretto, non avrà alcun fastidio. Ripeta ciò che è stato detto prima di lei, rifaccia lo stesso edificio che ha già ricevuto la consacrazione del passato, e sarà onorato. Ma se edificherà, con quelle stesse pietre, un edificio nuovo, allora stia in guardia...» Nil riconobbe i primi scaffali: XX secolo. Il
bibliotecario di prima della guerra - morto da un po' non aveva seguito rigorosamente la classificazione universale Dewey, ma quella cronologica, più comoda per l'uso dei monaci. Le pareti divisorie che interessavano Nil si trovavano dunque in fondo. Avanzò. Gli occhi si spalancarono. Solo quattro anni prima, due scaffali erano sufficienti a contenere i materiali del I secolo, classificati per origine geografica: Palestina, resto del Medio Oriente, Occidente latino, Occidente greco... Adesso quello che aveva davanti agli occhi era una mezza dozzina di scaffali. Si diresse verso il settore Palestina: quasi due interi scaffali! Testi che aveva cercato invano nell'unica parte della biblioteca alla quale aveva accesso, i Midrashim dell'epoca farisaica, salmi e testi di saggezza che non figuravano né nell'Antico né nel Nuovo Testamento... Fece ancora qualche passo e giunse davanti a uno scaffale che portava un'unica etichetta: "Qumran". Aveva cominciato a sfiorare i libri quando si arrestò di botto. Là, classificato tra le edizioni dei manoscritti del Mar Morto, il suo dito si era appena posato su un grosso volume. Nessun nome d'autore o di editore figuravano sul taglio, solo tre lettere, tracciate dalla mano di padre Andrei: M M M. Con il batticuore, Nil tirò il libro a sé. M M M, le tre lettere che Andrei aveva scritto sul foglietto prima di morire! Sotto la luce incerta della plafoniera, aprì l'opera. Non era un libro, ma un fascio di fotocopie. Nil riconobbe immediatamente la calligrafia caratteristica dei manoscritti del Mar Morto. Così, M M M significava semplicemente "Manoscritti del Mar Morto". Da dove provenivano quei testi?
Nella prima pagina in basso, lesse un timbro a inchiostro blu sbiadito: "Huntington Library, San Marino, California". I manoscritti americani! Un giorno, Andrei gli aveva detto, abbassando la voce, benché la porta del suo studio fosse chiusa: «I manoscritti del Mar Morto sono stati scoperti appena prima della creazione dello Stato d'Israele, nel 19471948. Nella confusione che regnava allora, ciascuno ha tentato di acquistare, o rubare, il più possibile di quei rotoli, che si sospettava avrebbero rivoluzionato il cristianesimo. Gli americani ne hanno razziato una quantità considerevole. Da allora, l'équipe internazionale incaricata della pubblicazione di quei testi ha fatto l'impossibile per ritardarne l'apparizione. Allora la Huntington Library ha deciso di pubblicare tutto quello che era in suo possesso, in fotocopia e con diffusione limitata. Spero che un giorno,» aveva sorriso con malizia «potremo averne un esemplare anche qui. Sono samizdat; come nella peggiore epoca sovietica, siamo costretti a far circolare quei testi clandestinamente!» «Perché padre Andrei? Chi blocca l'edizione di quei manoscritti? E perché si teme che siano divulgati?» Come talvolta accadeva durante le loro conversazioni, Andrei si era chiuso in un silenzio imbarazzato. E aveva cambiato discorso. Nil esitò un istante. Di norma, non avrebbe potuto prendere quell'opera. Ogni volta che un monaco prende un libro dagli scaffali, al suo posto deve depositare un "fantasma", una scheda recante la firma con la data del prestito. Questo sistema evita la perdita dei libri, ma consente anche di sorvegliare il lavoro intellettuale dei monaci. Nil sapeva che, da qualche tempo, questa sorveglianza era rigorosa.
La sua decisione fu presa in fretta: "Il sostituto di Andrei non è stato ancora nominato. Con un po' di fortuna, nessuno si accorgerà della sparizione di un libro senza fantasma, per una notte soltanto". Come un ladro, il bottino stretto contro il petto, si diresse verso l'uscita e lasciò furtivamente la biblioteca. Il corridoio dell'ala nord era deserto. Aveva a disposizione una notte. Una lunga notte di lavoro clandestino. Nello scaffale "Qumran" della biblioteca storica, uno spazio vuoto segnalava che un monaco aveva trasgredito una delle regole più rigide dell'abbazia Saint-Martin. 18 A pochi chilometri, mentre nel cuore della notte Nil sfogliava le pagine del volume siglato M M M sotto la lampada della sua cella (aveva oscurato il vetro della finestra con una salvietta. Secondo gesto di indisciplina della giornata), due uomini scendevano in silenzio da una macchina coperta di polvere. Soffiando sulle dita intirizzite per il freddo, l'autista contemplò la piccola chiesa le cui vetrate incorniciate di alabastro rifulgevano dolcemente nella notte. Sentendo salire in sé la forza dell'eccitazione, tremò, e il suo viso si irrigidì. L'altro passeggero fece un passo in avanti e ispezionò i dintorni. Il paese dormiva. Davanti a loro, le assi sconnesse della palizzata del cantiere non sembravano un problema. Si potevano forzare facilmente per far passare la lastra. Un gioco da ragazzi!
Si voltò. «Bismillah, yallah!*» Il suo compagno prese una borsa di cuoio. «Ken, baruch Adonai!**» Qualche minuto più tardi uscivano, trasportando faticosamente una pesante lastra di pietra. Mentre si intrufolavano tra le assi della palizzata, l'autista si sforzò di controllare i battiti del suo cuore: «Devo calmarmi...». La piazza del paese era sempre deserta e silenziosa. Sistemarono la lastra nel bagagliaio, poi prese posto davanti al volante, e tirò un sospiro. La strada per Roma sarebbe stata lunga. Prima che richiudesse la portiera, la lampadina illuminò i suoi capelli biondi, nei quali si confondeva una cicatrice che partiva dall'orecchio sinistro. Il diaspro screziato di rosso e incastonato d'argento di monsignor Calfo scintillò, mentre la sua mano percorreva la splendida capigliatura della ragazza. Gli sarebbe piaciuto riprodurre, alla fine di quel XX secolo, le raffinatezze dell'antichità. Il sottosuolo di Roma testimonia che lupanari e templi delle divinità formavano sempre un'unità organica. La stessa porta conduceva alle sorgenti della stessa estasi. Nella calma del suo appartamento vicino a Castel Sant'Angelo, da dove affacciandosi si poteva vedere la cupola maestosa sospesa sulla tomba di Pietro, quella sera l'unico "indumento" che indossava era l'anello episcopale. «L'unione del sacro e del profano... Coraggio, ragazza mia, fammi arrivare in paradiso!» * In nome di Dio, andiamo! (arabo) ** Sì, Dio sia benedetto! (ebraico)
19
Vangeli secondo Marco e Luca Dal tempio, il suono gutturale dello schofar salutò il sole che indicava la fine della Pasqua, quella domenica mattina del 9 aprile. Quattro giovani penetrarono nel cimitero situato davanti alla porta ovest di Gerusalemme. Uno di loro portava una leva; dovevano rimuovere il masso che chiudeva un sepolcro. Entrando nel sepolcro, trovarono il cadavere di un suppliziato semplicemente deposto su una lastra centrale. Il suo corpo recava tracce profonde di una flagellazione e i segni della crocifissione. Sul costato, da una piaga aperta sgorgava ancora un po' di sangue. I quattro esclamarono: «Eterno! Ecco ciò che fanno dei tuoi figli, i profeti di Israele! Che la maledizione di questo sangue versato ricada su di loro! Quante sofferenze per questo Giusto!». Dopo aver recitato il Qaddish, si infilarono le vesti bianche. La traslazione di un defunto in terra pura rappresentava per loro un atto religioso; la veste bianca era fondamentale. Inoltre, li avrebbe resi riconoscibili agli occhi dei pellegrini ebrei, che erano abituati a vedere gli esseni trasportare i corpi dei loro cari, per seppellirli di nuovo nei loro cimiteri. Due di loro si apprestarono a trasportare il corpo. Ma tutto si era svolto troppo in fretta venerdì sera, i parenti sarebbero certamente venuti a ultimare la vestizione funebre. Se avessero scoperto il sepolcro vuoto, sarebbero stati colti dal panico; dovevano avvisarli. Due uomini, sempre vestiti di bianco, si
sistemarono comodamente, l'uno alla testa, l'altro ai piedi della lastra mortuaria, mentre i compagni che portavano il cadavere cominciavano il lungo viaggio verso una delle necropoli essene del deserto. Non dovettero attendere a lungo. Il sole era ancora basso all'orizzonte quando udirono passi furtivi. Donne della cerchia di Gesù. Quando videro il pesante masso rimosso, le donne ebbero un sussulto. Una di loro fece un passo in avanti e lanciò un grido di terrore. Due figure con indosso vesti bianche erano in piedi, nell'antro buio del sepolcro, e sembravano attenderle. Terrorizzata, balbettò una domanda, alla quale essi risposero con pacatezza. Quando fecero per uscire per dare loro altri dettagli, le donne girarono sui tacchi e fuggirono, cinguettando come uno stormo di uccelli. I due esseni alzarono le spalle. Perché gli apostoli di Gesù avevano mandato delle donne in vece loro? Comunque, la loro missione era terminata. Non restava che rimettere tutto a posto prima di partire. Si tolsero la veste bianca e tentarono di far rotolare il masso del sepolcro. Invano. Era troppo pesante per loro due soli. Lasciando il sepolcro aperto, uscirono dal giardino e si sedettero al sole. Il giudeo che aveva organizzato tutto doveva arrivare per incontrarli: non dovevano far altro che attendere pazientemente. 20 Calfo fece vibrare ancora una volta il frustino, che gli finì sulle scapole. La disciplina metallica, che egli prescriveva alla Società solo in rare occasioni, è
costituita da una treccia di cordicelle cosparsa di sfere di alluminio. Come la prassi prevede, il sangue deve sgorgare all'incirca al versetto 17 del salmo Miserere, che in un certo senso serve da clessidra a questa penitenza. Al ventunesimo e ultimo versetto, è buona cosa che qualche goccia rossa rimbalzi sul muro alle spalle del flagellante. Questa mortificazione ricordava i trentanove colpi di frusta ricevuti da Gesù prima della crocifissione. Somministrata da un robusto legionario, composta da biglie di piombo della grandezza di un'oliva, la frusta romana martoriava le carni fino all'osso ed era sovente mortale. Alessandro Calfo non aveva nessuna intenzione di soccombere alla flagellazione che s'infliggeva: un altro presto sarebbe morto, uno al quale questa sofferenza offriva misticamente una testimonianza di solidarietà fraterna. Non aveva neppure intenzione di scalfire la pelle delicata della sua schiena grassottella: la ragazza sarebbe tornata, sabato sera. Tre giorni prima della "fine della missione" del vecchio fratello. Quando gliel'aveva mandata, il suo agente palestinese lo aveva avvisato: «Sonia è rumena, monsignore, è una ragazza fidata. Con lei, non deve temere i problemi causati dalla precedente... ma sì, in tutta sicurezza, bismillah, in nome di Dio!». I suoi anni come nunzio apostolico in Egitto gli avevano insegnato la necessaria negoziazione tra urgenze opposte. Con una smorfia, si preparò a rilanciare la disciplina all'indirizzo delle proprie scapole; perché negoziare non è cedere. Malgrado il weekend voluttuoso che si annunciava con Sonia, non avrebbe eliminato l'esercizio della disciplina, prova
tangibile della sua solidarietà verso uno dei membri della Società. Sarebbe sceso a patti tra il suo amore fraterno e quell'altro imperativo, l'integrità della sua pelle vellutata: la penitenza sarebbe durata giusto il tempo di un De profundis. Salmo di penitenza, come il Miserere, e che conferiva un valore assai soddisfacente alla sofferenza che si infliggeva per virtù cristiana. Ma il De profundis è composto di soli otto versetti, vale a dire almeno tre volte di meno dell'interminabile Miserere. 21 Nil tolse gli occhiali, si massaggiò gli occhi che bruciavano e si passò una mano fra i capelli grigi rasati a zero. Un'intera notte passata a esaminare a fondo le fotocopie di Andrei! Allontanò lo sgabello, si alzò e andò a togliere la salvietta che oscurava la finestra. Le laudi, il primo ufficio del mattino, sarebbero suonate di lì a poco. Più nessuno ora si sarebbe stupito di scorgere della luce nella sua cella. Attraverso i vetri, contemplò un istante il cielo nero della Valle della Loira in inverno. Tutto era buio, fuori come dentro di sé. Tornò al tavolo e si sedette pesantemente. La sua corporatura era esile, di piccola statura, tuttavia gli sembrò di avere un peso smisurato. Davanti a lui erano allineate pile di annotazioni scritte a mano, prese nel corso di quella lunga notte, classificate accuratamente e divise. Sospirò. Le sue ricerche sul Vangelo secondo Giovanni
l'avevano condotto a scoprire un attore nascosto, un giudeo che appariva furtivamente nel testo e giocava un ruolo essenziale negli ultimi giorni della vita di Gesù. Di lui si ignorava tutto, persino il nome, ma egli si definiva il "discepolo beneamato". Diceva di aver incontrato Gesù in riva al Giordano prima di tutti gli altri, prima ancora di Pietro, e di essersi trovato tra i commensali dell'ultima cena, nella sala alta. Quella sala si trovava certamente all'interno della sua casa. Raccontava che era disteso accanto al Maestro, al posto d'onore. Descriveva la crocifissione, la tomba vuota, con il modo e gli accenti veritieri di un testimone oculare. Una figura essenziale per la conoscenza di Gesù e gli inizi del cristianesimo, un contemporaneo la cui testimonianza aveva un'importanza fondamentale. Curiosamente, l'esistenza di quel testimone era stata accuratamente cancellata da tutti i testi del Nuovo Testamento. Né gli altri vangeli, né Paolo nelle sue lettere, né gli Atti degli Apostoli ne segnalavano l'esistenza. Perché un tale accanimento nel voler annullare un testimone di tale importanza? Solo un motivo di estrema gravità poteva aver provocato la sua radicale espunzione dalla memoria del cristianesimo. E perché gli esseni non erano mai menzionati negli esordi della Chiesa? Tutto ciò doveva essere collegato. Nil ne era convinto, e Andrei lo incoraggiava a seguire il filo misterioso che legava tra loro accadimenti che avevano segnato per sempre la storia dell'Occidente. «Quello che ha scoperto con lo studio dei vangeli, credo di averlo incontrato anch'io nel campo di mia competenza. I manoscritti dal III al IV secolo.» Seduto di fronte a lui nel suo studio, Nil aveva fatto un balzo.
«Intende dire che ha ritrovato la traccia del "discepolo beneamato" in testi posteriori ai Vangeli?» Andrei aveva strizzato gli occhietti vivaci nel viso rotondo. «Oh, indizi che non avrebbero attirato la mia attenzione se lei stesso non mi avesse tenuto al corrente delle sue scoperte! Tracce quasi infinitesimali, finché il Vaticano non mi invia quel manoscritto copto scoperto a Nag Hamadi» fece un gesto verso lo schedario. Guardò pensosamente il suo compagno. «Noi portiamo avanti le nostre ricerche, ognuno per conto proprio. Decine di esegeti e di storici fanno altrettanto, senza essere minimamente infastiditi. A una condizione, tuttavia; che il loro lavoro resti confinato, che nessuno tenti di collegare tra di loro quelle informazioni. Perché crede che l'accesso alla nostra biblioteca sia limitato? Fintanto che ci si isola nella propria specialità, non si rischiano né censure né sanzioni e tutte le chiese possono affermare che in esse la libertà di pensare è totale.» «Tutte le chiese?» «Oltre alla Chiesa cattolica, c'è la vasta costellazione dei protestanti e, tra questi, i fondamentalisti che stanno diventando sempre più potenti, soprattutto negli Stati Uniti. Poi ci sono gli ebrei, e l'Islam...» «Gli ebrei, capisco, benché non veda come l'esegesi di un testo del Nuovo Testamento potrebbe riguardarli, loro che non riconoscono che il Vecchio. Ma i musulmani?» «Nil, Nil... lei vive nel I secolo in Palestina, ma io navigo fino al VII secolo! Maometto ha messo mano per l'ultima volta al Corano nel 632. Deve assolutamente studiare quel testo, senza tardare. Vi scoprirà che è strettamente legato ai rischi e al destino dell'uomo di
cui lei cerca traccia, se è davvero esistito!» Calò il silenzio. Nil rifletteva, non sapendo da dove riprendere la conversazione. «Se è esistito... Dubita dell'esistenza di quell'uomo al fianco di Gesù?» «Ne dubiterei se non avessi seguito passo dopo passo le sue ricerche. Senza saperlo, lei mi ha spinto a scrutare, nella letteratura dell'antichità, passaggi sino a quel momento rimasti inosservati. Senza rendersene conto, lei mi ha permesso di comprendere il significato di un oscuro manoscritto copto, riguardo al quale devo fornire la mia analisi a Roma. Sono sei mesi che ho ricevuto la fotocopia, e non so mai come redigere il mio rapporto, tanto sono imbarazzato. Roma mi ha già richiamato all'ordine una volta. Temo che mi convocheranno se tarderò ancora.» Andrei era stato convocato a Roma. E non aveva mai più fatto ritorno alla tranquillità di quello studio. La campana rintoccò nella notte di novembre. Nil scese e riprese il posto abituale nel coro monastico. A pochi metri sulla sua destra, lo stallo ostinatamente vuoto di Andrei. Ma la sua mente non riusciva a fissarsi sui lenti melismi della melodia gregoriana, era completamente assorta nei manoscritti che aveva decifrato durante la notte. A prima vista, i manoscritti del Mar Morto raccolti dall'amico non offrivano nulla di sensazionale. La maggior parte proveniva dalla biblioteca dispersa degli esseni di Qumran: commentari rabbinici della Bibbia, frammenti di spiegazioni sulla lotta tra il bene e il male, i figli della luce e i figli delle tenebre, il ruolo centrale giocato da un maestro di Giustizia. Si sapeva ora che Gesù non
poteva essere stato quel Maestro di Giustizia. Il grande pubblico, inizialmente appassionato alle scoperte del Mar Morto, ne era stato presto deluso. Niente di spettacolare. E i testi sui quali era rimasto chino tutta la notte non facevano eccezione. Ma per una mente esperta come la sua, ciò che aveva appena letto confermava tutto un insieme di osservazioni che aveva già da tempo riversato nelle sue annotazioni. Annotazioni che non erano mai uscite dalla sua cella, delle quali nessuno sapeva nulla, tranne Andrei, per il quale non aveva segreti. Esse ponevano radicalmente in discussione ciò che fino a quel momento si era detto sulle origini cristiane, vale a dire la cultura e la civilizzazione di tutto l'Occidente. «Da San Francisco a Vladivostok, tutto riposa su un unico postulato: il Cristo sarebbe il fondatore di una religione nuova. La sua divinità sarebbe stata rivelata agli apostoli dalle lingue di fuoco che si posero su di essi il giorno della Pentecoste. Rispetto a quel giorno, ci sarebbe un prima, l'Antico Testamento, e un dopo, il Nuovo Testamento. Ebbene, non è esatto, è addirittura falso!» Nil si sorprese in piedi nella chiesa, mentre tutti i confratelli si erano appena prostrati per il canto del Gloria Patri. Rapidamente, assunse la posizione china dei suoi vicini di stallo. Nel coro di fronte, il padre abate aveva alzato la testa e lo osservava. Tentò di concentrarsi sullo svolgimento dell'ufficio, ma la sua mente galoppava come un cavallo imbizzarrito: «Nei manoscritti del Mar Morto ho scoperto gli elementi a partire dai quali si è compiuta la divinazione di Gesù. Gli apostoli erano incolti, assolutamente incapaci di una simile operazione. Hanno attinto da ciò che sentivano intorno a loro e di
cui ignoriamo tutto, fino alle scoperte di Qumran». Questa volta, si ritrovò solo di fronte al coro opposto, mentre tutta la comunità si era appena girata in blocco verso l'altare, per il canto del Padre Nostro. Nemmeno il padre abate fissava l'altare. Aveva girato la testa a destra e guardava Nil con aria pensosa. All'uscita dalle laudi fu arpionato da uno studente, che voleva assolutamente un consiglio sulla relazione a cui stava lavorando. Liberatosi finalmente dell'importuno, entrò come un fulmine nella sua cella, prese il volume sul tavolo ingombro, e lo fece scivolare sotto lo scapolare. Poi, con aria indifferente, si diresse verso la biblioteca dell'ala centrale. Nil si avvicinò alla porta che non era autorizzato a varcare, quella delle Scienze storiche, tirò fuori di tasca il mazzo di chiavi di padre Andrei, introdusse una delle due più piccole nella serratura. Un'ultima occhiata nel corridoio: sempre vuoto. Entrò. Nessuno frequentava la biblioteca così presto. Tuttavia non voleva correre il rischio di accendere l'illuminazione generale, che avrebbe segnalato la sua presenza. Alcuni lumi da notte restavano sempre accesi diffondendo una debole luce giallognola. Si diresse verso il fondo della biblioteca. Doveva raggiungere gli scaffali con i volumi del I secolo e riporre rapidamente il M M M là dove l'aveva preso la sera precedente e poi eclissarsi. Mentre procedeva lungo gli scaffali a tentoni guidandosi con la mano destra, sentì il rumore sordo della porta che si apriva in fondo. Quasi immediatamente, una luce cruda inondò la biblioteca.
Si trovava nel bel mezzo del corridoio centrale, il braccio destro teso in avanti, un libro vietato sotto il braccio sinistro, in un luogo dove non avrebbe mai dovuto entrare, del quale era impossibile che possedesse la chiave. Ebbe la sensazione che gli scaffali si aprissero al suo passaggio, per lasciarlo ancora più solo ed esposto agli sguardi. Impietosi, i proiettori uscivano dal muro e lo abbagliavano con i loro rimproveri: «Padre Nil, cosa ci fa qui? Come si è procurato le chiavi? Che cos'è quel libro? E perché l'ha preso ieri sera? Cosa cerca, padre Nil? Ha dormito la notte scorsa? Perché quelle distrazioni all'ufficio del mattino?». Stava per essere scoperto e ripensò improvvisamente ai frequenti avvertimenti di Andrei. E al suo corpo irrigidito dalla morte, sulla massicciata del Roma Express, il pugno rabbiosamente rivolto al cielo. Come per accusare il suo assassino. 22 Vangelo secondo Giovanni Quella domenica mattina presto, le donne fecero ritorno al sepolcro, sconvolte per averlo trovato vuoto. Raccontarono agli apostoli una storia di uomini in bianco, che non potevano essere che angeli, tanto erano misteriosi. Pietro le fece tacere: «Angeli! Vaneggiamenti di donne». Il giudeo gli fece segno. Con discrezione, uscirono dalla casa. Dapprima camminarono in silenzio, poi si misero a correre. Presto distanziato, Pietro giunse senza fiato al
giardino. I due esseni se ne erano andati senza aspettarlo, ma il suo compagno, arrivato per primo, disse all'apostolo che era riuscito a parlare con loro. Una volta di più era in vantaggio, una volta di più era il testimone privilegiato. Furioso, Pietro fece ritorno da solo nella sala alta. Senza una parola di spiegazione, il giudeo per strada aveva svoltato e si dirigeva verso una casa signorile del quartiere ovest. La setta degli esseni era nata due secoli prima. Comprendeva alcune comunità monastiche che vivevano separate dal mondo, come a Qumran, e comunità laiche normalmente inserite nella società ebraica. Quella di Gerusalemme era la più importante e aveva anche dato il suo nome al quartiere ovest della città. Eliezer Ben-Akkai ne era il capo. Accolse calorosamente il suo visitatore. «Per lungo tempo sei stato dei nostri. Se tu non fossi divenuto discepolo di Gesù, senza dubbio saresti stato mio successore. Tu lo sai, gli ebrei del tempio ci detestano e non accettano che seppelliamo i nostri morti in necropoli distinte dalle loro. Alcuni di loro sono nascosti nel deserto. Mani impure non devono profanare le nostre tombe.» «Lo so, rabbi, e condivido la vostra preoccupazione di preservare l'ultima dimora dei Giusti d'Israele.» «Gesù il nazoreno era uno di quei Giusti. Il luogo ultimo della sua sepoltura deve rimanere segreto.» «Eliezer... tu sei anziano ora. Non puoi essere il solo a conoscere il luogo in cui si trova la sua tomba.» «I miei due figli, Adon e Osias, stanno trasportando il corpo in questo stesso momento. Anche loro lo sanno, proprio come me, e trasmetteranno il segreto.» «E se accadesse loro qualcosa? Devi confidare quel
segreto anche a me.» Eliezer Ben-Akkai si accarezzò a lungo la barba rada. Il suo visitatore aveva ragione, la pace con Roma era estremamente labile, tutto poteva esplodere in ogni istante. Gli pose entrambe le mani sulle spalle. «Fratello, tu sei sempre stato degno della nostra fiducia. Ma se consegnerai le spoglie dei nostri morti all'odio dei nostri nemici, l'Eterno stesso sarà giudice tra te e noi!» Diede un'occhiata alla sala, dove alcuni esseni andavano e venivano. Spostandosi verso la parte rientrante di una finestra, fece segno al suo interlocutore di raggiungerlo. Si avvicinò al suo orecchio e mormorò qualche frase. Quando si separarono in silenzio, i due uomini si guardarono a lungo. I loro visi erano particolarmente gravi. Ritornando alla sua dimora, il giudeo sorrise. La tomba di Gesù non sarebbe diventata un gioco di potere.
23 Ancora abbagliato dalla luce viva che aveva appena inondato la biblioteca, Nil diede un'occhiata nello scaffale più vicino; la parte centrale era vuota e liscia come il palmo della mano. Fece un passo. Proprio in fondo allo scaffale che ospitava i libri del II secolo, erano stati depositati due grandi scatoloni di libri in attesa di essere classificati. Rapidamente, vi si nascose dietro, mentre sentiva il fruscio tipico di una veste che si avvicinava. Un saio monastico, o la sottana di uno
studente integralista? Se veniva a cercare un libro nella scaffalatura del II secolo, era perduto. Ma forse colui che si avvicinava non veniva a cercare un libro. Forse lo aveva visto entrare e aveva altre intenzioni? Nil incassò la testa nelle spalle. Il visitatore passò davanti alla scaffalatura del II secolo senza fermarsi. Acquattato nella zona d'ombra del fondo, dietro i cartoni, Nil tratteneva il respiro. Sentiva che entrava nella fila del I secolo dove lui aveva sottratto il M M M e d'improvviso si pentì di non aver pensato a spostare i libri accanto sul ripiano, affinché lo spazio vuoto desse meno nell'occhio. Ci fu una pausa, poi udì i passi del visitatore passare di nuovo davanti alla sua fila e allontanarsi verso l'entrata della biblioteca. Non era stato scoperto. Chi era l'intruso? Il passo di un monaco si riconosce tra mille; scivola leggero, come trasportato su un cuscino d'aria. Non era uno degli studenti. L'illuminazione centrale si spense bruscamente e Nil sentì il rumore della porta che si chiudeva. La fronte madida di sudore, attese un istante, quindi si rialzò. Tutto era buio e silenzioso. Quando uscì, dopo aver riposto il M M M, il corridoio dell'ala nord era vuoto. Ora doveva riporre le chiavi là dove le aveva prese. Come sempre, la porta dello studio del bibliotecario non era chiusa a chiave. Nil entrò, accese la plafoniera. Gli abiti di Andrei giacevano ancora sullo schienale della poltrona. Col batticuore, prese i pantaloni e infilò il mazzo in una tasca. Sapeva che non sarebbe mai più tornato in quello studio. Mai più come prima. Un'ultima volta, percorse con lo sguardo i ripiani dove Andrei raccoglieva i libri ricevuti prima di riporli in biblioteca.
In cima a una pila, scorse un libro privo della fascetta di classificazione. La sua attenzione fu catturata dal titolo: ULTIMI APOCRIFI COPTI DI NAG HAMADI
Edizione critica curata dal Reverendo Padre Andrei Sokolwski, O.S.B. Gabalda editeur, Paris «L'edizione degli apocrifi alla quale lavorava da dieci anni, finalmente pubblicata!» Nil aprì il libro: un lavoro di notevole erudizione, edito con l'aiuto del CNRS*. Sulla pagina di sinistra, il testo copto pazientemente ricostruito da Andrei, e sulla pagina di destra la sua traduzione. L'ultima opera dell'amico. Un testamento. Si era già attardato troppo nello studio, così prese una decisione istantanea. Gli avevano sottratto dalla cella l'ultimo biglietto di Andrei, a lui solo indirizzato come un messaggio d'oltretomba. Ebbene, quel libro che il suo amico aveva ricevuto appena prima di partire, quel libro apparteneva a lui, a Nil. Non recava ancora una fascetta e dunque non era ancora stato catalogato nella biblioteca dell'abbazia. Nessuno al mondo avrebbe potuto sapere che se ne stava appropriando. Voleva quel libro. Era come se dai luoghi della morte una mano tesa da colui che non avrebbe pubblicato mai più nulla, che mai più si sarebbe seduto su quella poltrona per ascoltarlo, glielo indicasse. Risoluto, fece sparire l'edizione degli apocrifi di Nag Hamadi sotto lo scapolare, e uscì nel corridoio. * Centre National de la Recherche Scientifìque (Centro nazionale per la ricerca scientifica).
Mentre imboccava la scala, la mente invasa dalla solitudine che ormai lo avrebbe accompagnato, non si accorse dell'ombra appiattita contro il muro, al riparo nella rientranza dell'alta porta di Scienze bibliche. L'ombra era quella di un saio monastico. Sulla stoffa dell'abito spiccava una croce pettorale, che una mano destra tormentava nervosamente. All'anulare, un anello semplicissimo, di metallo, non sprigionava alcuna luce. Nil riguadagnò la sua cella, si chiuse la porta alle spalle e si arrestò di botto. Scendendo per l'ufficio delle laudi, aveva lasciato il lavoro della notte meticolosamente ordinato in piccoli mucchi distinti. I foglietti erano ora sparpagliati, come per un colpo di vento. Ma la sua finestra era chiusa. Chiusa dal giorno prima. Qualcuno aveva nuovamente visitato la sua cella. Visitato, e frugato. Frugato e forse sottratto qualcuna delle annotazioni.
24 Atti degli Apostoli «Pietro, che ne è stato del corpo di Gesù?» Pietro si guardò intorno. Erano già trascorse tre settimane dalla morte di Gesù, e in tutto quel tempo non aveva lasciato la sala alta. Quel mattino, un centinaio di simpatizzanti vi si erano riversati e tutti chiedevano la stessa cosa.
All'altra estremità della stanza il loro ospite era solo, in piedi, appoggiato contro un muro. Era circondato da una ventina di uomini seduti, che a turno giravano gli occhi verso di lui, poi verso la finestra, ai piedi della quale gli Undici facevano blocco. Dei seguaci, forse? "Ora," pensò Pietro, "o lui o io".» L'apostolo guardò i suoi dieci compagni. Suo fratello Andrea, che si mordicchiava il labbro inferiore, Giovanni e Giacomo di Zebedeo, Matteo il vecchio doganiere... nessuno di loro aveva la statura del capo. Bisognava che qualcuno si levasse in mezzo a quella folla disorientata. Alzarsi e prendere la parola, in quel preciso istante, significava prendere il potere. Pietro inspirò profondamente e si alzò. La luce della finestra era di spalle e lasciava il suo viso in ombra. «Fratelli...» Malgrado gli sforzi, non era riuscito a sapere dove gli esseni avessero seppellito Gesù, dopo averlo prelevato dal sepolcro. "E lui, unico testimone insieme a me, lo sa? Devo sviare l'attenzione di quella gente e affermare una volta per tutte la mia autorità." Decise d'ignorare la domanda della folla, e la zittì. Da quel momento, avrebbero saputo che aveva compiuto la sentenza di Dio. Dio si era servito di lui, e se ne sarebbe servito ancora. «Fratelli, il destino di Giuda si doveva compiere. Egli faceva parte dei Dodici e ha tradito. È caduto bocconi, sventrato, e le sue viscere si sono sparse sulla sabbia.» Un lugubre silenzio calò sulla sala. Solo l'assassino di Giuda poteva conoscere quei particolari. Aveva appena ammesso, pubblicamente, che la mano che teneva il pugnale non era quella di un qualsiasi zelota: era la sua. Squadrò ciascuno di coloro che avevano rumorosamente domandato spiegazioni sulla sorte del
cadavere di Gesù. Sotto il suo sguardo, uno dopo l'altro, tutti abbassarono gli occhi. Il discepolo beneamato, dall'altra parte della sala, restava sempre in silenzio. Pietro alzò la mano. «Dobbiamo trovare il sostituto di Giuda. Che venga scelto tra coloro che hanno accompagnato il Maestro, dall'incontro sul Giordano fino alla fine.» Un mormorio di approvazione percorse l'assemblea e tutti gli occhi si voltarono verso il discepolo beneamato. Perché lui solo poteva completare il collegio dei dodici apostoli. Era stato il primo a incontrare il Maestro sulle rive del Giordano, ed era stato suo intimo fino alla fine. Era lui il successore designato di Giuda. Pietro avvertì ciò che provava la folla. «Non saremo noi a scegliere! Sarà Dio a designare il dodicesimo apostolo, a sorte. Matteo, prendi il calamo e scrivi due nomi su quei pezzi di corteccia.» Prima che eseguisse, Pietro si chinò verso Matteo e gli mormorò qualche cosa all'orecchio. Il vecchio doganiere lo guardò, sorpreso. Poi scosse il capo, si sedette e scrisse rapidamente. I due pezzi di corteccia furono posati su un pezzo di stoffa, del quale Pietro alzò i quattro angoli. «Tu, avvicinati, sorteggia uno di questi due nomi. E che Dio parli attraverso di noi!» Un giovane si alzò, allungò la mano, la fece sparire nella stoffa e tirò fuori una delle due cortecce. Pietro la prese e la consegnò a Matteo. «Non so leggere. Dicci ciò che vi è scritto.» Matteo si schiarì la voce, guardò il pezzo di corteccia e proclamò: «Mattia, è il nome scritto!». Dalla folla si levarono proteste.
«Fratelli,» Pietro dovette gridare per farsi udire «Dio stesso ha appena designato Mattia per prendere il posto di Giuda! Siamo di nuovo dodici, come durante l'ultima cena che Gesù ha consumato prima di morire, proprio qui!» Molti uomini si alzarono, mentre Pietro attirò a sé Mattia, lo abbracciò e lo fece sedere tra gli Undici. Poi fissò il discepolo beneamato, dal quale la folla seduta lo separava. Un gruppo compatto di simpatizzanti ora lo circondava, in piedi, i volti cupi. Dominando lo scalpore, Pietro gridò: «Dodici tribù parlavano per Dio! Dodici apostoli parleranno per Gesù, al posto suo o in nome suo. Dodici. Non uno di più. Non ci sarà mai un tredicesimo apostolo!». Il discepolo beneamato sostenne a lungo il suo sguardo, poi si chinò e mormorò qualche parola all'orecchio di un adolescente dai capelli ricci. Improvvisamente inquieto, Pietro fece scivolare la mano nella fessura della tunica e afferrò l'impugnatura della sica. Ma il suo rivale fece un segno a coloro che lo circondavano e si diresse in silenzio verso la porta. Una trentina di uomini lo seguirono, i volti impenetrabili. Nel momento in cui si ritrovò per strada, si voltò. L'adolescente lo raggiunse e gli porse l'altra corteccia, quella che era scivolata dal pezzo di stoffa di Pietro, dopo la proclamazione della scelta di Dio. Chiese al giovane: «Iokhanan, nessuno ha visto questa corteccia?». «Nessuno, abbou. Nessuno tranne Matteo che ha scritto il nome, Pietro che glielo ha dettato, e tu adesso.» «Allora, figliolo, consegnamela e dimenticala completamente.»
Egli diede un'occhiata sulla seconda scheda offerta al voto di Dio, e sorrise a Iokhanan. Il nome scritto non era il suo. "Così, Pietro, hai deciso di escludermi per sempre dal Nuovo Israele! Ormai tra noi si è aperta una guerra: possa essa risparmiare questo ragazzo, e coloro che verranno dopo di lui."
25 Strappato brutalmente ai suoi studi e alla paziente ricostruzione del passato, l'universo stabile e tranquillo di padre Nil andava via via sgretolandosi. La sua cella era stata perquisita una seconda volta. E altri fogli erano spariti dal tavolo. Le annotazioni rubate quel mattino erano il resoconto delle sue ricerche sugli esordi della Chiesa. Era cosciente di avventurarsi in una direzione da sempre vietata ai cattolici. E adesso qualcuno, al monastero, sapeva quello che cercava, quello che aveva già trovato. Qualcuno che lo spiava, si introduceva nella sua cella durante le sue assenze, non esitava a rubare. Il pericolo diffuso che percepiva attorno a sé si faceva più pressante, ma lui non ne conosceva la provenienza, né il movente. Era possibile che lo studio potesse diventare un pericolo? Con la mente rivolta altrove, voltò automaticamente le pagine dell'ultima opera pubblicata dall'amico. A ogni istante misurava il vuoto creato dalla sua sparizione. Abbandonato a se stesso nell'immensa solitudine di un monastero, una sensazione
sconosciuta lo pervase: la paura. L'ultimo pensiero di Andrei era stato per lui. Gli aveva trasmesso un messaggio. Doveva superare quella paura e proseguire l'indagine a partire da un semplice foglietto. La prima riga parlava di un manoscritto di un'Apocalisse copta; senza dubbio faceva parte di quelli che il suo amico teneva nel mobile dello studio. Ma il misterioso visitatore della biblioteca nord, che quel mattino per poco non lo aveva scoperto, aveva certamente notato lo spazio vuoto sul ripiano in corrispondenza del volume M M M. E doveva aver notato anche che non si trattava di un prestito regolare, visto che non c'era il fantasma con la firma, come prevedeva la regola. Aveva sicuramente capito che qualcuno non autorizzato si era introdotto nella biblioteca. Presto avrebbero scoperto il mazzo di chiavi nei pantaloni di Andrei e avrebbero fatto il collegamento. Lo studio sarebbe stato immediatamente messo sottochiave e Nil avrebbe perso ogni speranza di potervi entrare per ritrovare il misterioso manoscritto. Scoraggiato, Nil richiuse il libro, facendo scorrere istintivamente l'indice tra la copertina e la sguardia. Sussultò. Aveva appena sentito una gobba sulla faccia interna della copertina. Un difetto di fabbricazione? Avvicinò il libro alla lampada e lo aprì sotto la luce. Non era un difetto di rilegatura. Il bordo della copertina era stato staccato poi riattaccato. All'interno, si sentiva la presenza di un sottile oggetto rettangolare. Con infinite precauzioni, tagliò su tutta la larghezza la sguardia che intelaiava il cartone, la scostò, e
sollevò il libro per vederlo alla luce. All'interno c'era un foglio piegato in quattro. Andrei doveva averlo nascosto appena prima di partire. Doveva sentirsi veramente in pericolo per escogitare una cosa simile. Nil prese una pinzetta per sopracciglia e, facendo attenzione, estrasse il foglio dal suo nascondiglio.
26 Quella sera, il reverendo abate, seduto nel suo studio, fu sul punto di cedere a un moto di stizza. Aveva chiesto di essere messo in comunicazione con il cardinale, a Roma, ma il prefisso 390 sembrava occupato. Finalmente, la voce vellutata del prelato si fece udire: «Spero di non disturbarvi, Eminenza... mi sono deciso a chiedere un vostro consiglio, e forse il vostro aiuto, a proposito del monaco del quale abbiamo già parlato... padre Nil, professore di esegesi allo scolasticato. Ricordate che l'ho avvisata... sì, è così. In quest'ultimo periodo ho notato un notevole cambiamento nel suo comportamento. È sempre stato un monaco molto assiduo, sempre attento durante le prove liturgiche. Ma dalla morte del compianto padre Andrei, non è più lo stesso. E poi si è appena verificato un avvenimento inaudito. In attesa della nomina del nuovo bibliotecario, verifico personalmente i libri presi in prestito nella nostra biblioteca. Bene, questa mattina presto, ho scoperto che padre Nil ha rubato nell'ala nord un'opera che scotta. Come dite? Sì, è il famoso codice M M M degli americani...». Dovette allontanare il ricevitore dall'orecchio. La
linea privata del Vaticano, di solito avvezza a uno stile più untuoso, trasmetteva fedelmente la collera cardinalizia: «Condivido la vostra inquietudine, Eminenza. Riceverete al più presto un piccolo campione delle note redatte dallo stesso padre Nil. Sì, sono riuscito a procurarmene qualcuna. Allora, sarà lei a giudicare se è il caso di prendere dei provvedimenti o se si può lasciare che quel caro padre prosegua in santa pace i suoi lavori scientifici. Ve ne occuperete personalmente? Grazie, Eminenza... Arrivederci, Eminenza». Con un sospiro di sollievo, il padre abate riagganciò il ricevitore. Non aveva accettato di buon grado l'acquisto di opere pericolose come il codice M M M, ma come si può lottare contro gli attacchi dell'avversario, se non se ne conoscono le armi? Sapeva di essere responsabile davanti a Dio dei suoi monaci, della loro vita spirituale e intellettuale. E violare due volte la sacralità della cella di uno dei suoi figli, non gli piaceva affatto. Nel suo studio in Vaticano, Emil Riedinger appoggiò un dito rabbioso sul pulsante del centralino. «Mi passi monsignor Calfo. Subito. Lo so bene, che è sabato sera! Deve essere nel suo appartamento di Castel Sant'Angelo. Trovatelo.» 27 La mano di padre Nil tremava leggermente. Teneva tra le mani il foglio estratto dalla copertina del libro di Andrei. Era una fotocopia. L'avvicinò alla lampada e riconobbe immediatamente l'elegante scrittura del
copto antico. Un manoscritto copto. Perfettamente leggibile, la foto mostrava un frammento di pergamena in buono stato. A Nil era capitato spesso di esaminare i tesori che Andrei tirava fuori dal suo mobile per farglieli ammirare. Aveva familiarità con la grafia dei grandi manoscritti di Nag Hamadi, collezionati per la prima volta dall'egittologo Jean Doresse dopo la loro scoperta avvenuta nel 1945, sulla riva sinistra del medio Nilo. Avvezzo ai manoscritti ebrei o greci, sapeva che le calligrafie evolvono con il tempo e sempre semplificandosi. La scrittura della pergamena era dello stesso tipo di quella dei celebri apocrifi, come il Vangelo secondo Tommaso della fine del II secolo, che aveva attirato l'attenzione di tutti. Ma senza dubbio, era più tardiva. Di dimensione ridottissima, Doresse aveva dovuto giudicare quel frammento poco interessante od oscuro e doveva essersene disfatto. Ed esso aveva finito per approdare a Roma, come molti altri, per essere trovato un giorno da un impiegato della biblioteca vaticana, e inviato all'abbazia. Esperto di fama in materia, Andrei riceveva spesso documenti di quel tipo da analizzare. Nil sapeva che gli apocrifi di Nag Hamadi risalivano al II e III secolo e che a partire dal IV secolo non era stato scritto più nulla nel villaggio copto. Quel frammento era dunque della fine del III secolo. Un manoscritto copto del III secolo. Era quello il manoscritto che aveva messo Andrei in un tale imbarazzo, che non osava inviare il suo rapporto a Roma? Andrei non poteva più rispondere alle sue domande. Nil si nascose il volto fra le mani e chiuse gli occhi. Come in una folgorazione, gli comparve davanti agli
occhi la prima riga del foglietto scoperto nella mano dell'amico: Manoscritto copto (Apoc). Gli era venuto automatico tradurre Apoc con "apocalisse"; era l'abbreviazione tradizionale delle edizioni della Bibbia. Nil volle verificare e aprì l'ultima traduzione della Bibbia ecumenica utilizzata da Andrei. In questa versione recente, che serviva ormai da riferimento, l'abbreviazione del libro dell'Apocalisse non era più Apoc, ma Ap. Sempre aggiornato, meticoloso, se avesse voluto alludere al libro dell'Apocalisse, Andrei avrebbe dunque scritto Ap, e non (Apoc). A cosa aveva pensato, allora? E improvvisamente, Nil comprese: (Apoc) non voleva dire "Apocalisse", ma "apocrifo"! Quello che Andrei aveva voluto dire era: «Devo parlare a Nil di un manoscritto copto, che ho nascosto prima di partire nella mia edizione degli apocrifi». Quella che aveva preso quel mattino nel suo studio e che ora teneva in mano. Un manoscritto il cui contenuto era di tale importanza che voleva parlargliene subito, dopo il suo viaggio in Vaticano. «È il manoscritto copto inviato da Roma!» Tra le dita, Nil aveva proprio il testo che aveva provocato la convocazione del bibliotecario dell'abbazia Saint-Martin. Riprese il foglio e lo esaminò da vicino. Il frammento era molto piccolo. Nil non era specialista di copto antico, ma lo leggeva senza difficoltà e la scrittura era così chiara che non ci sarebbero stati grandi problemi di decifrazione. Sarebbe stato in grado di tradurlo? Una traduzione raffinata, no di certo. Ma una traslitterazione, una traduzione letterale approssimativa, senza dubbio.
Poteva trovare ogni termine in un dizionario e in seguito unirli: il senso sarebbe emerso. Si alzò. Dopo un momento di esitazione, mise il prezioso foglio sopra il ripiano che serve ai monaci da armadio e uscì in corridoio. Non sarebbero entrati nella sua cella durante i pochi minuti d'assenza che gli occorrevano. Si diresse rapidamente verso l'unica biblioteca alla quale aveva accesso: Scienze bibliche. Nel primo scaffale, quello per le consultazioni, trovò il dizionario etimologico copto-inglese di Cerny. Lo prese, al suo posto mise il fantasma con il suo nome, e ritornò nella sua cella. Il prezioso foglio era là dove lo aveva lasciato. Il primo rintocco dei vespri suonò. Appoggiò il dizionario sul tavolo, nascose la fotocopia nella tasca interna del suo abito e scese in chiesa. Per lui si annunciava un'altra notte insonne.
28 Atti degli Apostoli, epistola ai Galati, 48 d.C. «Abbou, non puoi lasciarli fare senza intervenire!» Erano trascorsi diciotto anni dalla morte di Gesù. In piedi, accanto al discepolo beneamato, Iokhanan ribolliva d'impazienza. I rappresentanti dei "cristiani", come da poco venivano chiamati, si erano riuniti per la prima volta a Gerusalemme, allo scopo di eliminare il marcio: la lotta tra i credenti "giudei", che rifiutavano di abbandonare le prescrizioni della Legge -
soprattutto la circoncisione -, e i "greci", che si opponevano a quella pratica, ma volevano un dio nuovo per una religione nuova. Un dio che sarebbe stato Gesù, ribattezzato "Cristo"; l'idea si radicava con sempre più forza. Quella lotta ideologica nascondeva un combattimento feroce per il primato. Gli ebrei pii di Giacomo, fratello più giovane di Gesù e stella nascente, contro i discepoli di Pietro, maggioranza che il vecchio capo controllava con fermezza. E a loro contrapposti vi erano i greci di Paolo, un nuovo venuto che sognava di trasformare la casetta eretta dagli apostoli in edificio di dimensione mondiale. Si erano scagliati insulti, ingiurie terribili: falso fratello, intruso, spione. Per un soffio si era evitato lo scontro fisico. La nascente Chiesa cristiana teneva il suo primo concilio a Gerusalemme, la città che uccide i profeti. «Osservali, Iokhanan! Si battono intorno a un cadavere, senza rendersi conto che in questo modo ne fanno a pezzi la memoria!» Il giovane con i capelli ricci lo afferrò per un braccio. «Sei tu che hai incontrato Gesù per primo, prima di tutti loro. Devi parlare, abbou!» Con un sospiro, si alzò. Malgrado l'allontanamento dal gruppo dei Dodici, il prestigio di cui quell'uomo godeva era tuttora considerevole. Tutti fecero silenzio e si voltarono verso di lui. «Da ieri vi sento discutere e ho l'impressione che si parli di un altro Gesù, diverso da quello che io ho conosciuto. Ciascuno lo ricrea a suo piacimento: gli uni sostengono che non è stato altro che un pio ebreo, gli altri vorrebbero farne un dio. Io l'ho ospitato alla mia tavola. Quella sera eravamo in tredici con lui, nella sala alta della mia casa. Ma l'indomani, ero il
solo a udire il rumore dei chiodi, a vedere il colpo di lancia, ad assistere alla sua morte. Voi tutti eravate fuggiti. Testimonio che quell'uomo non era un dio. Dio non muore, Dio non soffre l'agonia che ha patito sotto questi miei occhi. Ero altresì il primo al suo sepolcro, il giorno in cui è stato trovato vuoto. E so ciò che ne è stato del suo corpo martoriato. Tuttavia non rivelerò più di ciò che dirà il deserto che ormai lo accoglie.» Un coro di imprecazioni gli impedì di proseguire. Alcuni esitavano ancora ad ammettere la divinità di Gesù, ma tutti erano unanimi nel sostenere che egli era resuscitato dai morti. Quell'idea di resurrezione attirava le folle, che trovavano in essa la motivazione per sopportare una vita vuota di speranza. Poteva, quell'uomo che non aveva che pochi discepoli, rimandare a casa migliaia di convertiti a mani vuote? Davanti a lui, i pugni si levarono. "Vogliono servirsi di Gesù per le loro ambizioni? Facciano pure. Ma senza di me." Si appoggiò alla spalla di Iokhanan e uscì. Iokhanan era solo un fanciullo quando i legionari romani distrussero Seforia, la capitale della Galilea. Aveva visto migliaia di croci innalzarsi lungo le strade e gente crocifissa agonizzare lentamente sotto il sole. Un giorno vennero a cercare suo padre. Terrorizzato assistette prima alla sua fustigazione, poi alla sua crocifissione. I colpi di martello sui chiodi gli risuonarono fin di dentro. Vide il sangue schizzare dai polsi, udì le grida di dolore. Quando la croce fu eretta nel cielo di Galilea, perse conoscenza. Sua madre lo avvolse in uno scialle e fuggì nella campagna, dove si nascosero. Il bambino rifiutava ormai di parlare. Ma la notte,
nel sonno agitato, ripeteva senza sosta: «Abba! Babbo!». Quando cominciò a riprendersi, si stabilirono a Gerusalemme. Sua madre lo consacrò a Dio con il voto di nazireato; non si sarebbe più tagliato i capelli. Ormai, era un ebreo pio, ma che ancora non parlava. Come tutti in città, seppe in seguito della crocifissione di Gesù. L'orrore che al giovane ispirava il supplizio della croce era tale che spazzò via dalla memoria il ricordo di quell'uomo. Un Messia era atteso. Un Messia che sarebbe arrivato presto, ma che non poteva essere Gesù. Il Messia non si sarebbe mai lasciato crocifiggere. Il Messia sarà forte, per scacciare i romani e restaurare il regno di David. E poi aveva incontrato quel giudeo, riservato come lui e che lo aveva guardato con amicizia, per niente stupito del suo mutismo. L'uomo parlava di Gesù come se avesse vissuto a stretto contatto con lui, pareva conoscerlo nell'intimo. Alla morte di sua madre, quell'uomo, che amava tanto il Maestro e si considerava il discepolo beneamato, lo accolse nella sua dimora. Divenne il suo abbou, il padre della sua anima. Un giorno, per mostrargli che aveva compreso il nuovo mondo scoperto da Gesù, Iokhanan prese un paio di forbici e si tagliò le lunghe trecce. Senza distogliere lo sguardo dal suo abbou, poiché non parlava ancora, si espresse a gesti. Allora il discepolo beneamato, con il pollice gli tracciò una croce sulla fronte, sulle labbra e sul cuore. Iokhanan capì e silenziosamente tirò fuori la lingua, che fu segnata da quel simbolo spaventoso. La notte seguente, per la prima volta dormì senza gettare a terra la sua coperta di lana. E il giorno
successivo, con il cuore in mano, parlava di Gesù. Nell'avvicinarsi alla propria casa, il discepolo beneamato gli pose una mano sulla spalla. «Questa sera Iokhanan, ti recherai da Giacomo, il fratello di Gesù. Digli che voglio incontrarlo.» Il giovane annuì e prese la mano del suo abbou. 29 Era notte inoltrata quando Nil ripose il dizionario sul tavolo ingombro. Come si sentiva lontano adesso dal drammatico concilio di Gerusalemme, del quale aveva sondato le peripezie pochi giorni innanzi! E tuttavia doveva essere quel giorno, diciotto anni dopo la morte di Gesù, che il discepolo beneamato veniva escluso definitivamente dalla Chiesa nascente. Era riuscito a tradurre il frammento di pergamena scoperto nel libro pubblicato dal suo amico. Due brevi frasi, senza un legame apparente tra loro: La regola di fede dei dodici apostoli contiene il germe della sua distruzione. Che l'epistola sia distrutta ovunque affinché la dimora dimori. Nil si massaggiò la fronte: cosa poteva significare? La "regola di fede dei dodici apostoli"; nell'antichità, è così che veniva chiamato il Simbolo di Nicea, il Credo delle chiese cristiane. Quello che avevano trovato inciso a Germigny, che aveva tanto incuriosito Andrei. In cosa consisteva il "germe della distruzione" che
avrebbe contenuto il Credo? Non aveva senso. "Che l'epistola sia distrutta ovunque": la parola copta che aveva tradotto con "epistola" era anche quella che designa le epistole di san Paolo nel Nuovo Testamento. Si trattava di una di esse? Eppure la Chiesa non ha mai condannato alcuna epistola di Paolo. Il manoscritto era stato forse redatto da un gruppo di cristiani dissidenti? L'ultima riga aveva posto a Nil un altro problema: "affinché la dimora dimori". Il dizionario dava più significati, "dimora", o meglio "casa", o meglio ancora "assemblea". Ciò che è certo, è che la stessa radice era impiegata due volte di seguito. Esisteva dunque un gioco di parole volontario. Ma quale? Aveva dunque decifrato il senso del termine, ma non quello del messaggio. Andrei lo aveva capito? E quale rapporto aveva potuto stabilire tra quel messaggio e gli altri indizi del suo foglietto postumo? Il bibliotecario era morto dopo essere stato convocato a Roma per rendere conto della sua traduzione. Quelle quattro righe avevano qualcosa a che vedere con la sua brutale scomparsa? Nil si trovava di fronte a un gioco di scacchi, i cui pezzi erano sparsi senz'ordine. Quei pezzi, Andrei li aveva pazientemente rimessi insieme, e al suo ritorno da Roma, in treno, aveva scritto: subito. Dunque, presso la tomba dell'apostolo aveva fatto una scoperta decisiva. Ma quale? Per lui, niente sarebbe più stato come prima. L'intera sua esistenza era rimessa in causa? Si può ancora dirsi cristiani se si mette in dubbio la divinità di Gesù? Restavano ancora poche ore di buio. Nil spense la luce e si coricò. «Dio, nessuno lo ha mai visto. E Gesù, anche se non
era Dio resta l'uomo più affascinante che abbia incontrato. No, non ho avuto torto a consacrargli la mia vita.» Qualche minuto più tardi, padre Nil, monaco benedettino depositario di segreti troppo gravi per lui, dormiva un sonno fiducioso. 30 «Sedetevi, monsignore.» Il viso paffuto del cardinale, incorniciato da un casco di capelli bianchi, era preoccupato. Gettò un'occhiata a Calfo, che sospirando si sistemava nel grande scanno. Emil Riedinger era nato con il nazismo. Come tutti i bambini della sua età, senza volerlo si era ritrovato arruolato nella Gioventù Hitleriana. In seguito, aveva preso coraggiosamente le distanze dal Führer, sfuggendo alle epurazioni della Gestapo. Ma era rimasto profondamente segnato dall'impronta ricevuta durante l'infanzia. «Voglio ringraziarvi di aver interrotto le vostre attività di sabato sera.» Il rettore, che aveva appena lasciato la giovane rumena nel bel mezzo di un percorso particolarmente promettente, scosse gravemente il capo. «Il servizio della Chiesa, Eminenza, non conosce né indugi né momenti!» «È giusto. Bene, allora... questo pomeriggio mi sono intrattenuto al telefono con il padre abate dell'abbazia Saint-Martin.» «Un eccellente prelato, degno della fiducia che gli accordate.»
«Mi ha informato che quel padre Nil, del quale abbiamo già parlato, a quanto pare ha rubato in una biblioteca, alla quale non ha accesso, un volume di testi pubblicati da dissidenti.» Calfo si limitò ad alzare un sopracciglio. «E mi ha appena faxato un campione delle sue annotazioni personali, che mi preoccupano seriamente. Forse è in grado di avvicinarsi al segreto gelosamente custodito dalla nostra Santa Chiesa e dalla vostra Società San Rio V.» «Pensate che abbia intrapreso quella via pericolosa?» «Non ne so ancora nulla. Ma era molto legato ad Andrei, il quale si era spinto molto avanti in quel cammino proibito. Sapete cosa c'è in gioco; l'esistenza stessa della Chiesa cattolica. Bisogna scoprire cosa sa padre Nil. Cosa proponete?» Calfo sfoderò un sorriso soddisfatto, si spostò leggermente all'indietro, e tirò fuori dalla sottana una busta che porse al cardinale. «Se Vostra Eminenza vuole dare un'occhiata... Da quando mi ha parlato di quel padre Nil, ho richiesto una doppia inchiesta ai miei fratelli della Società. Ecco il risultato, e forse la risposta alla sua domanda.» Riedinger estrasse dalla busta due cartellette con su scritto "confidenziale". «Guardate la prima di queste due cartellette... saprete che Nil ha fatto studi brillanti all'università benedettina di Roma. È un... come potrei dire, un idealista. Un monaco osservante, che trae gioia dallo studio e dalla preghiera.» Riedinger lo squadrò da sotto gli occhiali. «Mio caro Calfo, non sarete certo voi a insegnarmi che i più pericolosi sono gli idealisti. Ario era un idealista, Savonarola e Lutero anche... un buon figlio della Chiesa crede ai dogmi, senza porli in
discussione. Ogni altro ideale può rivelarsi estremamente dannoso.» «Certo Eminenza. Durante i suoi studi ha stretto amicizia con un benedettino americano: Rembert Leeland.» «Guarda, guarda! Il nostro Leeland? Ecco la cosa interessante!» «Monsignor Leeland, infatti. Del quale ho tirato fuori il fascicolo, se vuole prendere la seconda cartelletta. Musicista innanzitutto e davanti a tutto, monaco nel Kentucky all'abbazia St. Mary, che ospita un'accademia musicale. Eletto abate dal suo monastero. Poi a causa di certe prese di posizione controverse...» «Sì, conosco il seguito, ero già prefetto della Congregazione all'epoca. È stato prima nominato vescovo in parti-bus* poi inviato a Roma, secondo l'eccellente principio promoveatur ut amoveatur**. Oh, non era veramente pericoloso: un musicista! Ma bisognava soffocare lo scandalo delle sue dichiarazioni sui preti sposati. Attualmente è minutante da qualche parte, giusto?» «Alla segreteria per le relazioni con gli ebrei. Dopo Roma ha soggiornato per due anni in Israele, dove ha studiato più musica che ebraico. A quanto pare, Leeland è un eccellente pianista.» «E allora?» Calfo fissò l'altro con commiserazione. «Come, Eminenza, non vedete!» Represse la voglia furiosa che aveva di accendere il sigaro che gli deformava la tasca interna. Il cardinale * Vescovo senza diocesi. ** Chiunque sia elevato a una carica onorifica per essere sollevato dal suo posto.
non fuma, non beve. Ma la Società San Pio V possedeva sul suo passato certi documenti che garantivano la sicurezza del suo rettore. «Fintanto che padre Nil resta a Saint-Martin, non sapremo mai cosa gli passa per la testa. Bisogna che venga qui, a Roma. Ma non verrà sicuramente a confidarsi nel mio ufficio, né nel vostro, Eminenza. In compenso, con un pretesto qualsiasi cercate di fargli incontrare il suo amico Leeland. Concedete loro il tempo di parlarsi a cuore aperto. Tra artista e mistico, si faranno certamente delle confidenze.» «Quale sarebbe il pretesto?» «Leeland si interessa di musiche antiche, molto più che di affari ebrei. Scopriremo che ha improvvisamente bisogno dell'aiuto di uno specialista di antichi testi.» «E voi siete convinto che sarà... cooperativo?» «Questo è affar mio. Sapete che lo teniamo in pugno. Collaborerà.» Calò il silenzio. Riedinger pesava i prò e i contro. "Calfo è un napoletano. Abituato alle manovre intricate. Non è per niente stupido." «Monsignore, vi concedo carta bianca. Prendete accordi per convocare qui quel James Bond dell'esegesi. E fate in modo che chiacchieri.» Uscendo dalla Congregazione, Calfo ebbe la fugace visione di un fitto tappeto di biglietti verdi che sarebbe approdato a Castel Sant'Angelo. Riedinger credeva di essere al corrente di tutto, ma ignorava l'essenziale. Lui solo, Alessandro Calfo, piccolo povero divenuto rettore della Società San Pio V, possedeva una veduta d'insieme. Lui solo avrebbe saputo sfoderare metodi efficaci. Anche se fosse stato costretto a impiegare gli stessi
mezzi che hanno portato i Templari sui roghi nell'Europa del XIV secolo. Senza saperlo, Filippo il Bello e Nogaret avevano allora salvato l'Occidente. Oggi, quella temibile missione sarebbe toccata a lui e alla Società San Pio V. 31 Gerusalemme, 48 d.C. «Grazie di essere venuto così presto, Iakov.» Il discepolo beneamato si rivolgeva a Giacomo con il suo nome familiare, in ebraico. Il sole morente illuminava l'impluvium della casa di una luce purpurea. Erano soli. Il fratello di Gesù aveva riposto i filatteri, ma era avvolto nello scialle di preghiera. Sembrava spaventato. «Paolo è tornato ieri ad Antiochia, il primo concilio della Chiesa ha rischiato di finire male. Ho dovuto imporre un compromesso; Pietro ne è uscito assai sminuito. Ti odia, così come odia me.» «Pietro non è un uomo malvagio. L'incontro con Gesù lo ha brutalmente messo di fronte al suo destino di povero. Rifiuta di tornare indietro, e detesta tutto ciò che potrebbe sottrargli il primato.» «Io sono il fratello di Gesù. Quello di noi due che dovrà farsi da parte, è certamente lui. Sarà costretto a instaurare la sua supremazia altrove!» «Lo farà, Giacomo, lo farà. Quando Paolo avrà istituito la nuova religione che sogna, il faro si sposterà da Gerusalemme a Roma. La corsa per il potere non è che agli inizi.» Giacomo chinò il capo.
«Da quando ha assassinato in pubblico Anania e Safiro, Pietro non è più armato, ma alcuni dei suoi fedeli lo sono. Li ho uditi ieri. Ti ritengono un uomo del passato, che ti opponi a coloro che sono portatori di avvenire. Non ci può essere un tredicesimo apostolo, lo sai. La tua vita è in pericolo. Non puoi restare a Gerusalemme.» «L'assassinio di Anania e di sua moglie è avvenuto tanto tempo fa, per una questione di denaro. Ormai, il denaro di tutte le chiese d'Asia affluisce a Gerusalemme.» «Non è una questione di denaro. Tu rimetti in gioco tutto ciò per cui lottano. Insieme a Giuda, eri il discepolo che mio fratello Gesù prediligeva. Sappiamo come Pietro ha eliminato Giuda, come rimuove gli ostacoli sul suo cammino. Se tu sparisci come l'Iscariota, con te sparirà tutta una parte di memoria. Devi fuggire, presto. Questa potrebbe essere l'ultima volta che ci incontriamo, così, te ne supplico, dimmi in quale luogo gli esseni hanno sepolto il corpo di Gesù, dimmi dove si trova la sua tomba!» Quell'uomo non aveva né l'ambizione di Pietro né il genio di Paolo; non era che un ebreo come tanti, che chiedeva notizie del fratello. Gli rispose con calore: «Ho trascorso con Gesù molto meno tempo di te, Iakov. Ma ciò che ho imparato da lui, non può comprenderlo nessuno di voi. Tu perché sei visceralmente attaccato al giudaismo. Paolo perché da sempre osteggia gli dei pagani dell'impero, e sogna di sostituirli con una nuova religione, basata sull'immagine di un Cristo ricostruito a suo piacimento. Gesù non appartiene a nessuno, amico mio, né ai tuoi seguaci né a quelli di Paolo. Egli ora riposa nel deserto. Solo il deserto può proteggere le sue spoglie dagli avvoltoi ebrei o greci della nuova Chiesa. Era l'uomo più libero che abbia
mai conosciuto. Voleva sostituire la legge di Mosè con una nuova legge, non più incisa su tavole ma nel cuore dell'uomo. Una legge con un solo dogma: quello dell'amore». Giacomo si rabbuiò. Non si tocca la legge di Mosè. È l'identità stessa d'Israele. Preferì cambiare argomento. «Devi partire. E portare lontano da qui mia madre Maria. Sembra così felice accanto a te...» «Ci vogliamo molto bene, e poi io venero la madre di Gesù. Averla al mio fianco è una gioia in ogni momento. In ogni caso hai ragione, il mio posto non è più né a Gerusalemme né ad Antiochia. Partirò. Non appena saprò dove posso erigere la mia tenda di nomade, farò in modo che Maria possa raggiungermi. Nell'attesa, Iokhanan ci servirà da tramite. Per lui, è un po' come una seconda madre.» «Dove pensi di andare?» Il discepolo beneamato si guardò attorno. L'ombra adesso invadeva l'impluvium, ma la finestra della sala alta era ancora illuminata dal sole del tramonto. Era la sala dell'ultima cena con Gesù, diciotto anni prima. Doveva lasciare quel luogo, che ormai non era null'altro che un'illusione. Si sarebbe diretto a cercare la realtà là dove Gesù stesso l'aveva trovata. «Mi dirigerò verso est, verso il deserto. È soggiornando nel deserto che Gesù ha compiuto la propria trasformazione, è là che ha capito quale era la sua missione. L'ho sentito dire spesso, sorridendo, che era circondato da bestie selvagge e che esse avevano rispettato la sua solitudine.» Guardò dritto in faccia il fratello di Gesù. «Il deserto, Giacomo... è forse ormai la sola patria dei discepoli di Gesù il nazoreno. Il solo luogo dove si sentono a casa.»
32
Mentre riponeva l'abito monastico per il coro dopo l'ufficio delle laudi, il padre abate notò i tratti tesi e il pallore di Nil. Nel momento in cui stava entrando nel suo studio, il telefono squillò. Venti minuti più tardi, quando riagganciò, era perplesso e nello stesso tempo sollevato. Aveva avuto la sorpresa di sentire il cardinale Riedinger in persona comunicargli un grande onore per la sua abbazia: le competenze di uno dei suoi monaci erano richieste con urgenza in Vaticano. Uno specialista di musica antica, che lavorava in seno alla Curia, aveva bisogno di aiuto per i suoi lavori sull'origine del canto gregoriano. Ricerche importanti, nelle quali il Santo Padre riponeva molta speranza per il miglioramento delle relazioni tra l'ebraismo e il cristianesimo. In breve, padre Nil era atteso immediatamente a Roma, al fine di porre le sue competenze al servizio della Chiesa universale. La sua assenza sarebbe durata poche settimane. Doveva prendere il primo treno. Avrebbe alloggiato a San Girolamo, l'abbazia benedettina di Roma. Tutto come il compianto padre Andrei. Gli ordini del cardinale Riedinger non si discutono, pensò il padre abate. E il comportamento recente di padre Nil lo rendeva inquieto. I problemi più stanno lontani meglio è. Monsignor Calfo aveva dovuto interrompere la sua domenica voluttuosa per fare un salto in studio, ma non era riuscito a raggiungere il suo corrispondente al
Cairo. Salì con passo spedito i gradini che portavano al suo appartamento. Ciò che lo attendeva gli stava facendo dimenticare i danni di una pinguedine tutta napoletana, dandogli grande entusiasmo. La diletta era nuda e, conforme al mio gusto, non aveva serbato che i sonori gioielli. In effetti, i soli gioielli sul corpo addormentato di Sonia erano i riflessi della sua chioma. Calfo commentò: «Che poeta quel Baudelaire! Ma io, io non regalo mai gioielli; soltanto soldi». Moktar aveva detto il vero. Sonia non solo era particolarmente dotata per l'arte erotica, ma era anche di una perfetta discrezione. Approfittando del sonno della ragazza, prese il telefono e chiamò di nuovo il Cairo: «Moktar Al-Qoraysh, per favore... resto in attesa, grazie». Stavolta, era riuscito a trovarlo. Era da poco uscito dalla preghiera alla moschea. «Moktar? Salam aleikoum. Dimmi, i tuoi allievi ti concedono un po' di tempo libero in questo momento? Perfetto. Prendi un volo per Roma. La continuazione di quella piccola missione, che ti ho affidato per la buona causa... Collaborare ancora con il tuo nemico prediletto? No, è troppo presto, se sarà necessario, lo contatterai a Gerusalemme. Oh, qualche settimana tutt'al più! Al teatro Marcello, come al solito. Discrezione, mi raccomando!» Riagganciò sorridendo. Il suo corrispondente era professore in carica alla cattedra coranica della celebre università Al-Azhar. Un fanatico, ardente difensore del dogma islamico. Fare lavorare insieme un arabo e un ebreo, due agenti inattivi dei servizi speciali più
pericolosi del Vicino Oriente, per proteggere il più prezioso segreto della Chiesa cattolica: ecco un esempio di ecumenismo perfetto. Aveva incrociato Moktar Al-Qoraysh durante la sua nunziatura al Cairo. Il diplomatico e il dogmatico avevano scoperto di essere divorati dallo stesso fuoco interiore, cosa che aveva creato tra di loro un legame inaspettato. Ma il palestinese, a differenza sua, non considerava l'esperienza erotica come un modo di raggiungere la trascendenza. Lui era solo un invasato di sesso. Sonia emise un gemito e aprì gli occhi. Calfo posò il telefono sul parquet della camera, e si chinò su di lei. 33 «Ritorna a Roma, Moktar. Il Consiglio dei Fratelli musulmani ha convinto Hamas dell'importanza di questa missione. I loro attentati non basterebbero a proteggere l'Islam se la natura rivelata del Corano fosse rimessa in dubbio, o se la persona sacra del Profeta, benedetto sia il suo nome, rischiasse di essere infangata dall'insinuazione del minimo dubbio. Ma c'è una cosa...» Moktar Al-Qoraysh sorrise; se l'aspettava. La sua pelle scura, la sua possente muscolatura e la sua bassa statura mettevano in risalto la figura slanciata di Mustapha Machlour, venerata da tutti gli studenti dell'università Al-Azhar del Cairo. «Sono le tue relazioni con l'ebreo. Il fatto che tu sia suo amico...» «Mi ha salvato la vita durante la guerra dei Sei
Giorni, nel '67. Mi sono trovato solo e disarmato davanti al suo carro nel deserto, il nostro esercito era allo sfascio. Avrebbe potuto passare sul mio corpo. È la legge della guerra. Si è fermato, mi ha dato da bere e mi ha concesso di vivere. Non è un ebreo come gli altri.» «Ma è un ebreo! E non importa di quale tipo, lo sai bene.» Si fermarono all'ombra del minareto di Al-Ghari. Anche se era la fine di novembre, la pelle diafana del vecchio mal tollerava la morsa del sole. «Non dimenticare la parola del Profeta: "Siate nemici di ebrei e cristiani, essi sono amici tra loro! Colui che li prende per amici si schiera con loro, e Allah non guida un popolo che si inganna!"*.» «Tu conosci il Santo Corano meglio di chiunque, Mourchid» gli si rivolse con il titolo di "Guida Suprema" per manifestare il suo rispetto. «Il Profeta in persona non ha esitato ad allearsi con i nemici per una causa comune, e il suo atteggiamento fa giurisprudenza, anche nel caso della jihad. Né ebrei né arabi hanno interesse a che le basi secolari del cristianesimo siano profondamente stravolte.» La Guida Suprema lo guardò con un sorriso. «Siamo giunti a questa conclusione ben prima di te, ed è per questo che ti concediamo di farlo. Ma non dimenticare mai che tu provieni dalla tribù che ha visto nascere il Profeta, benedetto sia il suo nome. Comportati dunque come un Qoraysh, del quale porti il glorioso nome. Che la tua amicizia per quell'ebreo non ti faccia mai dimenticare chi è, né per chi lavora. L'olio e l'aceto possono trovarsi temporaneamente in contatto, ma non si mescoleranno mai.» * Corano, sura 5.
«Rassicurati, Mourchid, l'aceto di un ebreo non intaccherà mai un Qoraysh, ho la pelle dura. Conosco quell'uomo, se tutti i nostri nemici fossero come lui, forse la pace regnerebbe nel Vicino Oriente.» «La pace... non ci sarà mai pace per un musulmano, finché tutta la terra non si inchinerà cinque volte al giorno davanti alla Qibla, che indica la direzione della Mecca.» Lasciarono l'ombra del minareto e si diressero in silenzio verso l'entrata della madrasa*, la cui cupola scintillava al sole. Prima di entrare in aula, il vecchio pose una mano sul braccio di Moktar.» «E della ragazza, ti fidi?» «Si trova meglio a Roma che nel bordello in Arabia Saudita dalla quale l'ho tirata fuori! Per il momento, si comporta bene. Soprattutto, non ha nessuna voglia di essere rispedita alla sua famiglia, in Romania. Questa missione è semplice, non usiamo mezzi sofisticati. Null'altro che i buoni vecchi metodi tradizionali.» «Bismillah Al-Rach'im. Si avvicina l'ora della preghiera, lascia che mi purifichi.» Anche la Guida Suprema dei Fratelli musulmani, successore del loro fondatore Hassan Al-Banna, davanti ad Allah è solo un muslim - un sottomesso come gli altri. Moktar si appoggiò a una colonna, e chiuse gli occhi. Rivide la scena: l'uomo era saltato dal carro e avanzava verso di lui, la mano destra alzata a significare che il suo mitragliatore non avrebbe sparato. Tutt'attorno, il deserto del Sinai aveva ritrovato il suo silenzio, gli egiziani sconfitti erano * Nei paesi musulmani, Istituto superiore per l'insegnamento religioso e giuridico.
fuggiti. Perché era ancora vivo? E perché quell'ebreo non lo uccideva, subito? L'ufficiale israeliano sembrava esitare, il viso completamente immobile. Inaspettatamente sorrise, e gli porse una borraccia d'acqua. Mentre beveva, Moktar notò la cicatrice che attraversava i suoi capelli biondi e cortissimi. Anni più tardi, l'Intifada esplose in Palestina. In un vicolo di Gaza, Moktar rastrellava un quadrato di catapecchie da poco abbandonate dagli israeliani in difficoltà, che ripiegavano. Entrò in un cortile sventrato dalle granate. Un ebreo accasciato ai piedi di un muretto si lamentava tenendosi una gamba. Non indossava l'uniforme dello Tsahal, era senza dubbio un agente del Mossad. Moktar gli puntò contro il kalasnikov, e fu sul punto di fare fuoco. Quando vide la bocca dell'arma puntata verso il suo petto, il viso contratto per la sofferenza dell'ebreo si animò, e abbozzò un sorriso. Dal suo orecchio partiva una cicatrice che spariva sotto il copricapo. L'uomo del deserto! L'arabo alzò lentamente la canna dell'arma. Si raschiò la gola, sputò. Infilò la mano sinistra nella camicia e gettò all'ebreo un kit di pronto soccorso. Poi voltò la schiena e lanciò ai suoi uomini un ordine secco: procediamo, non c'è niente in questa baracca. Moktar sospirò. Roma è una bella città, piena di ragazze. Più che nel deserto, certamente. Sarebbe tornato a Roma, con piacere.
34 Tre giorni più tardi, Nil tentava di adattarsi alla scomodità dei sedili del Roma Express. Era rimasto stupito di essere stato convocato a Roma, senza spiegazioni. Manoscritti di musica antica! Il padre abate gli aveva consegnato un biglietto ferroviario per il giorno seguente. Impossibile tornare a Germigny per la seconda foto della lastra. Insieme ai suoi documenti - non doveva lasciare niente di compromettente nella sua cella - aveva sistemato in fondo alla valigia il negativo sottratto nello studio di Andrei. Sarebbe riuscito a ricavarne qualcosa? Con sorpresa, notò che il suo scompartimento era quasi vuoto. Eppure, tutti i posti vacanti erano riservati. Un unico viaggiatore, un uomo magro di mezza età sembrava dormire, rannicchiato nel posto accanto al corridoio. Alla partenza da Parigi aveva giusto fatto un cenno con il capo. Una testa bionda, attraversata da una lunga cicatrice. Nil tolse la veste del suo clergyman, e la pose, piegata perché non si stropicciasse, sul sedile alla sua destra. Chiuse gli occhi. Lo scopo della vita monastica è di combattere le passioni e di estirparle alla radice. Fin dalla sua entrata al noviziato, Nil era stato in una buona scuola. L'abbazia di Saint-Martin si rivelò un'eccellente impresa di rinuncia a sé. Ma lui, interamente teso verso una ricerca di verità, non ne patì molto. In compenso, apprezzava l'idea di essere liberato dalle pulsioni che imbrigliavano l'umanità, con il loro carico di sofferenza.
Da lungo tempo non ricordava di essere andato in collera, passione degradante. Esitò dunque a identificare ciò che da qualche giorno sentiva. Andrei morto, l'inchiesta abborracciata, il caso classificato come suicidio. Un'onta per lui. Al monastero si spiava, si frugava, si rubava. Lo spedivano a Roma come un pacco. Collera? Forse. Sicuramente un'irritazione crescente, per lui imbarazzante quanto l'epidemia improvvisa di una malattia da tempo debellata grazie ai vaccini. Decise di rimandare a più tardi l'esame di quell'accesso patologico: «A Roma, la città che è sopravvissuta a tutto». Aveva ricostruito con pazienza gli accadimenti che gravitavano attorno alla morte di Gesù, dal momento in cui si ridava vita al discepolo beneamato. Dopo il concilio di Gerusalemme, quell'uomo aveva continuato a vivere. L'ipotesi della sua fuga nel deserto appariva a Nil la più verosimile. Era là che Gesù si era più volte rifugiato. È nel deserto che gli esseni, poi gli zeloti fino alla rivolta di Bar Kochba, si erano nascosti. Le orme dei suoi passi si perdevano nella sabbia del deserto. Per ritrovarle, Nil doveva ascoltare una voce d'oltretomba, quella dell'amico scomparso. Proseguire la ricerca lo avrebbe distratto dalla collera che gli cresceva dentro. Tentò di trovare una posizione confortevole, per appisolarsi. Il rumore del treno lo cullava dolcemente. Le luci di Lamotte-Beuvron sfilavano veloci. Tutto allora si svolse rapidamente. L'uomo dell'angolo accanto al corridoio lasciò il sedile e si avvicinò, come per prendere qualcosa nella rete
portabagagli sopra di lui. Nil alzò istintivamente gli occhi: la rete portabagagli era vuota. Non ebbe il tempo di riflettere. I capelli dorati si chinarono su di lui e vide la mano dell'uomo allungarsi verso la sua veste di clergyman. Nil stava per protestare contro i modi insolenti del suo compagno di viaggio: "Sembra un automa!". Ma lo sportello dello scompartimento si aprì rumorosamente. Repentinamente, l'uomo si raddrizzò, la sua mano ricadde lungo il corpo, i lineamenti si animarono e sorrise a Nil. «Scusate il disturbo, signori» era il controllore. «I viaggiatori che hanno riservato i sedili del vostro scompartimento non si sono presentati. Qui ci sono due religiose che non sono riuscite ad avere un posto vicino. Sorelle, sedetevi dove volete, c'è posto nello scompartimento. Buon viaggio!» Mentre le religiose entravano e salutavano cerimoniosamente padre Nil, il viaggiatore ritornò al suo posto, senza una parola. Poco dopo, gli occhi chiusi, sonnecchiava. "Tipo strano! Cosa gli sarà preso?" Ma la sistemazione delle nuove arrivate catturò tutta la sua attenzione. Bisognava mettere una valigia nella rete portabagagli, infilare voluminosi cartoni sotto il sedile, e dovette subire le loro chiacchiere che parevano non avere mai fine. Al calar della notte, mentre cercava il sonno, Nil notò che il misterioso individuo che gli stava di fronte non si muoveva di un millimetro, rannicchiato nel suo angolo. Svegliato dall'alba, quando aprì gli occhi, il posto d'angolo accanto al corridoio era vuoto. Per fare
colazione, dovette attraversare tutto il treno. Nessuna traccia dell'uomo. Ritornato nello scompartimento, dove una delle sorelle lo costrinse ad accettare un orribile caffè del suo thermos, si arrese all'evidenza: l'enigmatico passeggero si era volatilizzato.
SECONDA PARTE
35 Pella (Giordania), 58 d.C. «Come vanno le tue gambe, abbou?» Il discepolo beneamato sospirò. I suoi capelli erano incanutiti, i tratti scavati. Guardò l'uomo che gli stava accanto, nel vigore dell'età. «Sono ventotto anni che Gesù è morto, dieci anni che ho lasciato Gerusalemme. Le mie gambe mi hanno condotto sin qui, Iokhanan, ed esse dovranno forse condurmi altrove, se ciò che mi dici è vero...» Godevano dell'ombra del peristilio, il cui splendido pavimento a mosaico rappresentava Dioniso. Al di là, si scorgevano le dune del vicino deserto. Pella, fondata dai veterani di Alessandro Magno sulla riva orientale del Giordano, era stata quasi interamente distrutta da un terremoto. Gli sembrò, quando dovette fuggire da Gerusalemme di fronte alla minaccia dei seguaci di Pietro, che questa città situata fuori dalla Palestina gli offrisse sufficiente sicurezza. Vi si insediò con la madre di Gesù, presto raggiunto da un pugno di discepoli. Iokhanan faceva la spola tra Pella e la vicina Palestina, talvolta la Siria. Paolo aveva fissato il suo quartier generale ad Antiochia, una delle capitali dell'Asia Minore. «E Maria?» L'affetto che Iokhanan nutriva per la madre di Gesù era toccante. "Questo giovane ha adottato la madre di un crocifisso, e mi ha adottato perché sostituissi il suo
stesso padre, anch'egli crocifisso." «Verrà più tardi. Dammi altre notizie: qui sono così lontano da tutto...» «Sono di alcune settimane fa. Giacomo, il fratello di Gesù, è divenuto capo della comunità di Gerusalemme.» «Giacomo! Ma allora... e Pietro?» «Pietro ha resistito quanto ha potuto. Ha persino tentato di spodestare Paolo dalle sue terre, ad Antiochia, ma si è fatto scacciare come un malvivente! Alla fine, si è imbarcato per Roma.» I due uomini risero. Vista da qui, ai confini del deserto e della sua immensa povertà, la lotta per il potere nel nome di Gesù appariva beffarda. «Roma... ne ero sicuro. Se Pietro non è più il primo a Gerusalemme, Roma rimane la sola destinazione per la sua ambizione. È a Roma, Iokhanan, al centro dell'impero, che la Chiesa che lui ha in testa acquisterà potere.» «C'è un'altra cosa. I tuoi discepoli rimasti in Giudea sono sempre più emarginati, a volte perfino vessati. Ti chiedono se a loro volta devono fuggire, e raggiungerti qui.» II vecchio chiuse gli occhi. Ecco, proprio come si aspettava. I nazoreni non erano né seguaci giudaizzanti come Giacomo, né pronti a divinizzare Gesù come Paolo. Schiacciati tra le due tendenze che si opponevano violentemente nella Chiesa esordiente, non volendo identificarsi con nessuno, rischiavano l'annientamento. «Coloro che non sono più in grado di sopportare le pressioni, ci raggiungano a Pella. Qui siamo al sicuro. Per il momento.» Iokhanan si sedette familiarmente al suo fianco, e additò le pergamene sparse sulla tavola.
«Hai letto, abbou?» «Tutta la notte. Soprattutto quella raccolta che, come tu dici, circola fino in Asia.» Mostrò la trentina di fogli legati con un laccio di lana, che teneva tra le mani. «Durante tutti questi anni,» disse Iokhanan «gli apostoli hanno trasmesso oralmente le parole di Gesù. Affinché la memoria non si perda dopo la loro morte, le hanno consegnate qui, alla rinfusa.» «È proprio il suo insegnamento, esattamente come io l'ho udito. Ma gli apostoli sono abili. Non fanno dire a Gesù ciò che non ha mai detto. Essi si limitano a trasformare una parola, aggiungere una sfumatura. Inventano, commentano, o attribuiscono a loro stessi discorsi che non hanno mai tenuto. Per esempio, ho letto che un giorno Pietro sarebbe caduto in ginocchio davanti a Gesù, esclamando: "In verità, tu sei il Messia, il Figlio di Dio! ".» Gettò il libro sulla tavola. «Pietro che dice una cosa simile! Gesù non lo avrebbe mai accettato, né da lui, né da nessun altro. Ora capisci, Iokhanan: esiliandomi, gli apostoli si sono attribuiti l'esclusiva della testimonianza. Il Vangelo nelle loro mani diventa uno strumento di potere. La trasformazione di Gesù sta crescendo, è evidente. Fin dove arriveranno?» Iokhanan si inginocchiò ai suoi piedi, gli mise le mani sulle ginocchia. «Non puoi lasciarli fare. Gli apostoli scrivono i loro ricordi, tu scrivi i tuoi. Ciò che qui insegni ai tuoi discepoli, mettilo per iscritto e fai circolare anche tu il tuo testo, proprio come fanno loro. Racconta, abbou. Racconta il primo incontro sulle rive del Giordano, la guarigione del paralitico alla piscina di Bethesda, gli ultimi giorni di Gesù... Racconta Gesù come l'hai
raccontato a me, così che non muoia una seconda volta!» Il giovane non distoglieva lo sguardo dal viso del padre adottivo, che prese un altro fascio di fogli dalla tavola. «Quanto a Paolo, è molto abile. Sa che la gente può sopportare la vita miserabile che conduce solo grazie alla fede nella resurrezione. Dice loro: voi resusciterete, poiché Gesù, per primo, è resuscitato. E se è resuscitato... significa che è Dio. Perché solo un Dio può resuscitare se stesso.» «Ebbene, padre... Paolo scrive delle lettere ai suoi discepoli? Fai altrettanto. Oltre al tuo racconto, scrivi una lettera per noi. Un'epistola per ristabilire la verità, per dire che Gesù non era Dio. E la prova sarà l'esistenza del sepolcro.» Il suo viso si chiuse e Iokhanan gli prese le mani. «Non volevo dirtelo, Eliezer Ben-Akkai, il capo degli esseni di Gerusalemme, è morto. Avrà portato con sé il segreto del sepolcro di Gesù?» Gli occhi del vecchio si colmarono di lacrime. La morte dell'esseno rappresentava l'eclissi di tutta la sua giovinezza. «Sono i figli di Eliezer, Adon e Osias, che hanno trasportato il corpo. Loro io sanno. Siamo dunque in tre. È sufficiente. Tu hai appreso da me come incontrare Gesù, oltre la morte. Cosa ci guadagneresti a conoscere il luogo della sua sepoltura? Il deserto rispetta il suo sepolcro, gli uomini non farebbero altrettanto.» Lestamente Iokhanan si alzò e si assentò un istante. Quando tornò, in una mano teneva un fascio di pergamene vergini e dall'altra una penna in corno di bufalo e un calamaio. Li posò sulla tavola. «Scrivi, abbou. Scrivi, affinché Gesù resti vivo.»
36
«Dichiaro aperta questa seduta.» Il rettore della Società San Pio V notò con soddisfazione che alcuni suoi fratelli non si appoggiavano agli schienali delle poltrone; prova che avevano usato a dovere il lungo salmo Miserere per misurare l'applicazione della disciplina del metallo. La stanza era pressoché vuota, a parte due eccezioni: davanti a lui, ai piedi del crocifisso sanguinante, era disposta una sedia. E sul tavolo spoglio, un bicchiere da liquore conteneva un liquido incolore che sprigionava un leggero sentore di mandorle amare. «Fratello mio, vogliate prendere posto per la procedura.» Uno dei partecipanti si alzò, fece il giro del tavolo e andò a prendere posto sulla sedia. Il velo che gli mascherava il viso si muoveva, come se stesse respirando con affanno. «Per lunghi anni, avete servito in modo irreprensibile in seno alla nostra Società. Ma ultimamente avete commesso un grave errore. Vi siete lasciato andare in confidenze riguardanti l'affare in corso, di capitale importanza per la nostra missione.» L'uomo si alzò e con gesto supplichevole delle mani, si rivolse agli astanti. «La carne è debole, fratelli miei. Vi supplico di perdonarmi!» «Non si tratta di questo» il tono del rettore era tagliente. «Il peccato di carne è rimesso dal sacramento di penitenza, proprio come Nostro Signore ha rimesso i suoi peccati all'adultera. Ma parlando a quella giovane
delle nostre recenti preoccupazioni...» «Non è più in grado di nuocere!» «Infatti. È stato necessario fare in modo che non potesse più nuocere. Cosa alquanto disdicevole e che dovrebbe costituire un'eccezione.» «Dunque... poiché avete avuto la bontà di risolvere questo problema...» «Continuate a non capire, fratello.» Si rivolse all'assemblea. «La posta in gioco di questa missione è considerevole. Fino a metà del XX secolo, la Chiesa ha mantenuto il controllo dell'interpretazione delle Scritture. Da quando nel 1967, l'inopportuno papa Paolo VI ha soppresso la Congregazione dell'Indice, non controlliamo più nulla. Chiunque può pubblicare qualsiasi cosa e l'Indice, che relegava le idee perniciose negli inferni delle biblioteche, è caduto come un dito colpito dalla lebbra del modernismo. Un semplice monaco, dal fondo della sua abbazia, può minacciare gravemente la Chiesa portando la prova che il Cristo non era altri che un uomo comune.» Un fremito percorse l'assemblea. «Dalla creazione della nostra Società voluta dal santo papa Pio V, abbiamo lottato per preservare l'immagine pubblica del Nostro Salvatore e Dio fatto uomo. E in questo abbiamo sempre avuto successo.» I fratelli annuirono. «I tempi cambiano, ed esigono mezzi considerevoli. Denaro. Denaro per isolare il male, creare seminari sani, controllare i media dell'intero pianeta, impedire certe pubblicazioni. Molto denaro per pesare sui governi in materia di politica culturale, di educazione, per impedire che l'Occidente cristiano sia invaso dall'Islam o dalle sette. La fede solleva le montagne, ma la sua leva è il denaro. Il denaro può tutto.
Utilizzato da mani pure può salvare la Chiesa, che oggi è minacciata in ciò che ha di più prezioso: il dogma dell'Incarnazione e quello della Trinità.» Un mormorio di consensi si levò nella sala. Il rettore fissò intensamente il crocifisso, sotto il quale tremava l'accusato. «Ora il denaro ci è miseramente centellinato. Ricordate dell'immensa e improvvisa fortuna dei Templari? Nessuno ha mai saputo quale fosse la sua provenienza. Ebbene, la sorgente inesauribile di quella fortuna, oggi è forse alla nostra portata. Se la possedessimo, disporremmo di mezzi illimitati per compiere la nostra missione. A condizione...» Abbassò lo sguardo sullo sventurato fratello, che sembrava liquefarsi sulla sedia, violentemente illuminato dai due faretti puntati sul crocifisso. «A condizione che nessuna indiscrezione comprometta l'impresa. Indiscrezione da voi commessa, fratello. Abbiamo potuto rimuovere la spina da voi conficcata nella carne di Nostro Signore, ma per un soffio. La nostra fiducia nei vostri riguardi è del tutto compromessa. La vostra missione si conclude dunque oggi. Chiedo ai dieci apostoli presenti di confermare, con il loro voto, la mia sovrana decisione.» Con un perfetto sincronismo, dieci mani si tesero verso il crocifisso. «Fratello, il nostro affetto vi accompagna. Conoscete la procedura.» Il condannato slacciò il velo. Il rettore lo aveva spesso incontrato a viso scoperto, ma gli altri avevano visto solo le sue mani. Il velo cadde, scoprendo i tratti di un vecchio. I suoi occhi erano profondamente segnati, ma lo sguardo aveva cessato di implorare. Quell'ultimo atto faceva parte della missione che aveva accettato divenendo
membro della Società. La sua devozione verso il Cristo-Dio era totale. Non si sarebbe affievolita oggi. Il rettore si alzò, imitato dai dieci apostoli. Distesero orizzontalmente le braccia, fino a che le loro dita si toccarono. Di fronte al crocifisso macchiato di sangue, i dieci uomini, le braccia a croce, fissarono il fratello che si alzò. Aveva smesso di tremare. Gesù, stendendosi sul legno, non aveva tremato. Il rettore alzò la voce, con tono neutro: «Fratello, le tre persone della Trinità sanno con quale devozione avete servito la causa. Esse vi accolgano nel loro seno, in quella luce divina che per tutta la vita non avete mai smesso di cercare». Lentamente, prese il bicchiere da liquore sul tavolo, lo alzò un istante come un calice e poi lo porse al vecchio. Quest'ultimo con un sorriso fece un passo in avanti e tese la mano scarna verso il bicchiere. 37 «Benvenuto a San Girolamo! Sono padre Giovanni, l'albergatore.» Scendendo dal Roma Express, Nil aveva ripercorso i suoi passi di studente e senza esitare si era diretto verso la fermata d'autobus che conduce alle catacombe di Priscilla. Tutto felice di rivedere la città, non aveva più pensato alle peripezie del viaggio. Era sceso quasi al capolinea, nella parte alta di via Salaria. Situata in una cornice verdeggiante, l'abbazia di San Girolamo è una creazione di papa Pio XI che
volle riunirvi benedettini di tutto il mondo per creare una versione riveduta della Bibbia, ma in latino. La Società San Pio V sorvegliò da vicino ciascuno di quei monaci, finché furono costretti a riconoscere che il latino era parlato solo in Vaticano. Il mondo moderno condannava il loro lavoro. Da allora, San Girolamo viveva di ricordi. Nil posò la valigia all'entrata del chiostro giallognolo, munito di una vasca centrale sulla quale pendeva tristemente un fascio di bambù. Solo un vago odore di pasta e di oleandro gli ricordava che si trovava a Roma. «La Congregazione mi ha avvisato ieri del suo arrivo. All'inizio del mese, avevamo ricevuto la stessa richiesta per padre Andrei, che è stato qui per diversi giorni...» Padre Giovanni era volubile quanto un romano di Trastevere. Lo guidò verso la scala che conduceva ai piani superiori. «Mi dia la valigia... uff! Quanto pesa! Povero padre Andrei, non si sa cosa gli sia preso, è partito una mattina senza avvisare. E facendo i bagagli in fretta e furia, perché ha dimenticato in camera varie cose. Sono ancora lì. È quella che occuperà lei. Nessuno ci ha più messo piede. È venuto per lavorare su manoscritti gregoriani?» Nil non ascoltava più quel fiume di parole. Avrebbe alloggiato nella camera di Andrei! Sbarazzatosi finalmente di padre Giovanni, osservò la camera. Contrariamente alle celle della sua abbazia, era ingombra dei mobili più disparati. Un grande armadio, due scaffali per i libri, un letto con un materasso a molle, un grande tavolo con sedia, una poltrona. Regnava l'odore indefinibile dei monasteri, un sentore di polvere secca e di cera.
Su uno degli scaffali, giacevano i pochi oggetti dimenticati da Andrei. Il set da barba, fazzoletti, una pianta di Roma, un'agenda. Nil sorrise. Un monaco non ha un granché da annotare su un'agenda! Con fatica adagiò la valigia sul tavolo. Era piena quasi interamente delle sue preziose annotazioni. Dapprima pensò di sistemarle sullo scaffale, ma poi cambiò parere. L'armadio aveva una chiave. Vi sistemò le carte, e spinse il negativo di Germigny in fondo. Diede un giro di serratura e intascò la chiave, senza convinzione. Poi si fermò. Sul tavolo c'era una busta, a suo nome. Caro Nil, sei venuto per aiutarmi nelle mie ricerche, benvenuto a Roma! A dire il vero, non ci capisco niente. Non ho mai chiesto di farti chiamare qui! Tuttavia, sono felicissimo di rivederti. Passa alla Segreteria per le Relazioni con gli ebrei, nell'edificio della Congregazione. A presto! Il tuo vecchio amico, Rembert Leeland. Un gran sorriso gli illuminò il viso: Remby! Così era lui, il musicista che doveva aiutare! Avrebbe dovuto pensarci, ma era da più di dieci anni che non rivedeva il suo compagno di studi romani, e l'idea che fosse stato lui a farlo convocare a Roma non lo aveva sfiorato. Remby, che piacere! Quel viaggio aveva almeno qualcosa di buono, si sarebbero rivisti. Rilesse la lettera. Leeland sembrava sorpreso quanto lui. Non ho mai chiesto... non era stato lui a convocarlo. Ma allora, chi?
38 Il vecchio prese il bicchiere che gli porgeva il rettore, lo avvicinò alle labbra e ingerì d'un fiato il liquido incolore. Fece una smorfia e si rimise a sedere. Fu rapido. Davanti agli undici apostoli, le braccia sempre distese a croce, l'uomo ebbe un singulto, poi si piegò in due con un gemito. Il suo viso divenne violaceo, si contrasse in un'orrida smorfia, infine si accasciò al suolo. Gli spasmi durarono circa un minuto, fino a che non si irrigidì definitivamente. Dalla bocca aperta come per inspirare, una bava densa gli colava sul mento. Gli occhi, smisuratamente dilatati, fissavano il crocifisso in alto. Lentamente, gli apostoli abbassarono le braccia e si sedettero. Davanti a loro, per terra, la forma bianca era immobile. Il fratello più lontano dal rettore e sulla sua destra si alzò, un panno in mano. «Non ancora! Il nostro fratello deve passare la fiaccola al suo successore. Vogliate aprire la porta, ve ne prego.» Con il panno in mano, il fratello andò ad aprire la porta blindata in fondo. Nella penombra, una forma bianca, in piedi, sembrava attendere. «Avanzate, fratello!» Il nuovo arrivato indossava la stessa alba degli astanti, il cappuccio abbassato sul capo, il velo bianco allacciato alle due estremità del viso. Fece tre passi in avanti e si arrestò, colto da orrore. "Antonio," pensò il rettore "un giovane così affascinante! Mi rincresce per lui. Ma deve ricevere la
fiaccola, è la regola della successione apostolica." Davanti allo spettacolo del vecchio contratto in una morte brutale, gli occhi del nuovo fratello restarono spalancati. Occhi molto particolari: l'iride era quasi interamente nera, e le pupille dilatate per la repulsione gli conferivano uno sguardo singolare, che accentuava una fronte olivastra e pallida. Con la mano, il rettore gli fece cenno di avvicinarsi. «Fratello, tocca a voi coprire il volto di questo apostolo, del quale da oggi sarete il successore. Osservate bene il suo viso. È quello di un uomo totalmente devoto alla sua missione. Quando non è più stato in grado di compierla, ha volentieri posto fine al suo incarico. Ricevete da lui la sua fiaccola, al fine di servire come egli ha servito e di morire come egli è morto, nella gioia del suo Maestro.» Il nuovo arrivato si voltò verso colui che gli aveva aperto la porta e gli porgeva il panno. Lo prese, si inginocchiò accanto al morto del quale contemplò il viso violaceo. Poi gli asciugò dal mento la schiuma che colava dalla bocca, e prosternandosi baciò a lungo le labbra livide del morto. Si rialzò, distese il panno sul viso che si gonfiava lentamente e infine si girò verso i fratelli immobili. «Bene» disse il rettore con voce calorosa. «Avete appena sopportato l'ultima prova. Essa fa di voi il dodicesimo degli apostoli che circondavano Nostro Signore nella sala alta di Gerusalemme.» Antonio era dovuto fuggire dalla natia Andalusia. L'Opus Dei non apprezzava affatto le defezioni, e una certa distanza gli sembrò prudente. A Vienna, i collaboratori del cardinale Riedinger avevano scoperto quel giovane taciturno dallo sguardo scurissimo. Dopo parecchi anni di osservazione, il suo dossier fu
trasmesso al prefetto della Congregazione, che lo mise senza commenti sulla scrivania di Calfo. Occorrevano ancora due anni di inchiesta serrata, condotta dalla Società San Pio V. Due anni di pedinamenti, di ricettazioni telefoniche, di sorveglianza della famiglia e degli amici in Andalusia. Quando Calfo gli diede appuntamento nel suo appartamento di Castel Sant'Angelo per una serie di colloqui, conosceva certamente meglio Antonio di quanto l'andaluso non conoscesse se stesso. A Vienna, città voluttuosa, lo avevano tentato in tutti i modi. Il giovane si era comportato con rettitudine. Il piacere e il denaro non suscitavano in lui alcun interesse, gli importavano solo il potere e la difesa della Chiesa cattolica. Il rettore gli fece un cenno con la mano. "Andaluso, dal sangue moro. Criticava i metodi dell'Opus Dei. Melanconia araba, nichilismo viennese, disincanto meridionale: eccellente recluta!" «Prendete posto tra i dodici, fratello.» Davanti al muro nudo sul quale spiccava unicamente l'immagine sanguinante del crocifisso, i Dodici erano di nuovo riuniti al completo attorno al loro Maestro. «Conoscete la nostra missione. Vi contribuirete sin da ora, sorvegliando da vicino un monaco francese arrivato oggi a San Girolamo. Ho appena saputo che un agente straniero per poco non poneva fine a un'operazione d'importanza capitale che lo riguarda, sul Roma Express. Incidente increscioso, visto che non aveva ricevuto alcun ordine in tal senso. Ma non sono io a controllarlo direttamente.» Il rettore sospirò. Non aveva mai incontrato quell'uomo, ma disponeva di un dossier completo che lo riguardava: «Imprevedibile. Bisogno compulsivo di
evadere nell'azione. E quando non è la sfida musicale, è l'eccitazione del pericolo. Il Mossad gli ha tolto l'autorizzazione di uccidere». «Ecco le vostre prime istruzioni» porse una busta al nuovo fratello. «Le successive vi saranno fatte pervenire a tempo debito. E ricordatevi chi servite!» Con la mano destra indicò il crocifisso, l'immagine del quale spiccava sul pannello di mogano. Il diaspro verde del suo anello scintillò. "Signore! Forse mai dai tempi dei Templari sei stato così in pericolo. Ma i tuoi Dodici, quando possederanno la loro stessa arma, se ne serviranno per proteggerti!"
39 Il cardinale Emil Riedinger fece segno di sedersi a un uomo alto, slanciato, la cui fronte ampia dominava un paio di occhiali dalla forma rettangolare. «Accomodatevi, monsignore...» Dietro gli occhiali, gli occhi di Rembert Leeland brillavano. Un viso allungato da anglosassone, labbra carnose d'artista. Pose su Sua Eminenza uno sguardo interrogativo. «Sicuramente vi chiederete per quale scopo vi abbia convocato. Ma prima ditemi: le relazioni con i nostri fratelli ebrei occupano la quasi totalità del vostro tempo?» Leeland sorrise, cosa che conferiva al suo viso l'aspetto di uno studente vispo. «Non proprio, Eminenza. Fortunatamente ho i miei lavori di musicologia!»
«Precisamente, ecco il punto. Il Santo Padre è molto interessato alle vostre ricerche. Se poteste dimostrare che il canto gregoriano trova le sue origini nella salmodia delle sinagoghe dell'alto Medioevo, sarebbe un elemento importante del nostro avvicinamento all'ebraismo. Per questo vi abbiamo fatto affiancare da uno specialista nel decodificare i testi antichi su cui sta studiando. Un monaco francese, eccellente esegeta. Padre Nil, dell'abbazia di Saint-Martin.» «L'ho saputo ieri. Abbiamo studiato insieme.» Il cardinale sorrise. «Dunque, vi conoscete, non è così? In tal caso, unirete l'utile al dilettevole. Sono lieto di questo incontro amichevole. È appena arrivato. Potrete vedervi quando vorrete. E ascoltatelo, padre Nil è un pozzo di scienza, ha molto da dire, e voi imparerete molto da lui. Concedetegli di parlare di ciò che lo interessa. E poi... di tanto in tanto, mi farete un rapporto sul tenore delle vostre conversazioni. Per iscritto. Sarò il solo e unico destinatario. Capite?» Leeland stupefatto spalancò gli occhi. "Cosa significa? Mi sta chiedendo di far parlare padre Nil, e in seguito di redigere un rapporto? Per chi mi prende?" Il cardinale osservava il viso espressivo dell'americano. Come un libro aperto, lesse ciò che accadeva in lui, e aggiunse con un sorriso benevolo: «Non abbiate timore, monsignore, non vi chiedo di fare la spia. Solamente di informarmi sulle ricerche e i lavori del vostro amico. Sono molto occupato, e non avrei il tempo di riceverlo. Ora, anch'io sono curioso di tenermi aggiornato sui progressi più recenti dell'esegesi. Mi fareste un favore, contribuendo a informarmi». Quando si accorse che non aveva convinto Leeland,
il suo tono si fece più secco: «Vi ricordo inoltre la vostra delicata situazione. Abbiamo dovuto farvi uscire a fatica dagli Stati Uniti nominandovi qui, con il rango di vescovo, per porre fine alla scandalosa polemica che avevate provocato laggiù. Il Santo Padre non tollera che si rimetta in discussione il suo rifiuto - assoluto e giustificato - di ordinare preti sposati. In seguito toccherebbe alle donne, perché no? Tollera ancor meno che un abate benedettino, a capo della prestigiosa abbazia di St. Mary, gli dia pubblicamente dei consigli su questo argomento. Avete, monsignore, una possibilità di riscattarvi agli occhi del papa. Conto dunque, come sempre, sulla vostra collaborazione discreta, efficace e infallibile. Ci siamo intesi?». La testa china, Leeland non rispose. Il cardinale allora ritrovò l'intonazione di suo padre, quando un tempo ritornava dal fronte Est: «Mi è penoso di dovervi ricordare, monsignore, che è anche per un 'altra ragione che è stato necessario farvi lasciare d'urgenza il vostro paese e investirvi di questa dignità episcopale che tanto vi protegge quanto vi onora. Capito, adesso?». Questa volta, Leeland levò verso il cardinale degli occhi da bambino triste, e fece segno con il capo che aveva capito. Dio perdona tutti i peccati, ma la Chiesa non manca di farli espiare ai suoi membri. A lungo. 40 Pella, fine del 66 d.C. «Padre, credevo che non ce l'avrei mai fatta ad arrivare
sin qui!» I due uomini si abbracciarono con affetto. I tratti tesi di Iokhanan ne rivelavano la spossatezza. «La XII legione romana ha messo a ferro e a fuoco la costa. Ha appena battuto in ritirata davanti a Gerusalemme, con perdite considerevoli. Si dice che l'imperatore Nerone farà venire dalla Siria il generale Vespasiano, per rafforzare il comando con la V e la X legione, la temibile Fretense. Migliaia di soldati agguerriti convergono sulla Palestina. È l'inizio della fine!» «E Gerusalemme?» «Salva, per ora. Laggiù, Giacomo ha lottato contro la divinizzazione di suo fratello, poi ha finito per ammetterla pubblicamente. Per le autorità ebraiche è un blasfemo, il Sinedrio l'ha fatto lapidare. I cristiani sono inquieti.» "Giacomo!" pensò il discepolo beneamato. "Con lui sparisce l'ultimo freno alle ambizioni delle Chiese." «Hai novità di Pietro?» «È sempre a Roma, da dove giungono voci di persecuzioni. Nerone odia in egual misura ebrei e cristiani. La Chiesa di Pietro è minacciata. Forse anche per lei la fine è vicina.» Gli mostrò la sua borsa, che conteneva qualche pergamena. «Giacomo, Pietro... Appartengono al passato, abbou. Ormai, circolano parecchi vangeli, oltre che nuove epistole di Paolo.» «Ho ricevuto tutto, grazie ai nostri rifugiati» allungò la mano verso il tavolo del peristilio, ingombro di documenti. «Matteo ha riscritto il suo testo. Ho visto che si ispirava a Marco, che è stato il primo a comporre una sorta di storia di Gesù, dall'incontro sulle rive del Giordano fino al sepolcro vuoto. In realtà,
non è Matteo che l'ha scritto perché, come vedi, è greco. L'avrà scritto in aramaico e fatto tradurre.» «È così. Un terzo vangelo è in circolazione, anch'esso in greco. Le copie vengono da Antiochia dove ho potuto incontrare l'autore, Luca, un compagno di Paolo.» «Ho letto quei tre vangeli. Sempre di più fanno dire a Gesù ciò che non ha mai detto. Che si considerava il Messia, o Dio. Era inevitabile, Iokhanan. E... il mio racconto?» Aveva finito per accettare di scrivere, non un vangelo come quello di Marco e degli altri, ma un racconto, che Iokhanan aveva fatto copiare e circolare. Dapprincipio raccontava i suoi ricordi; l'incontro sulle rive del Giordano, lo stupore dei primi giorni. Ma lui non aveva lasciato la Giudea, mentre Gesù era tornato a vivere e a insegnare più a nord, in Galilea. Su ciò che era accaduto laggiù, non diceva quasi nulla. Il suo racconto riprendeva dal ritorno dei Dodici e del loro Maestro a Gerusalemme, qualche settimana prima della crocifissione. Fino al sepolcro trovato vuoto. Naturalmente, non faceva cenno a ciò che era avvenuto in seguito: il prelevamento del cadavere da parte di Adon e Osias, i due figli di Eliezer Ben-Akkai. Il ruolo giocato dagli esseni nella sparizione del corpo doveva restare un segreto assoluto. Così come l'ubicazione della tomba di Gesù. Tra questi due periodi, gli inizi e la fine, aveva aggiunto i ricordi dei suoi amici di Gerusalemme: Nicodemo, Lazzaro, Giuseppe d'Arimatea. Un racconto scritto direttamente in greco, che descriveva il Gesù che aveva conosciuto. Giudeo innanzitutto, ma folgorante quando si mostrava pervaso dal Padre, quel Dio che chiamava abba. Nessun ebreo prima di lui aveva mai osato utilizzare quel termine per designare il Dio di Mosè.
Ripeté: «E il mio racconto, Iokhanan?». Il viso del giovane si rabbuiò. «Si sta diffondendo. Presso i tuoi discepoli, che lo sanno a memoria, ma anche nelle chiese di Paolo, fino in Bitinia*, pare.» «E in quei luoghi, non è accolto nella stessa maniera, vero?» «No. In Giudea, gli ebrei ti rimproverano di descrivere Gesù come un profeta superiore a Mosè. E presso i greci, il tuo Gesù appare troppo umano. Nessuno osa distruggere la testimonianza del discepolo beneamato, ma prima di leggerlo in pubblico lo correggono, lo "completano", come dicono, e con sempre maggior accanimento.» «Non possono sventrarmi come Giuda, dunque mi eliminano con la penna. Il mio racconto diverrà un quarto vangelo, conforme alle loro ambizioni.» Come un tempo, Iokhanan si inginocchiò davanti al suo abbou, e gli prese le mani. «Allora, padre, scrivi un'epistola per noi, i tuoi discepoli. Andrò a riporla in luogo sicuro, finché è ancora possibile. Gli ebrei fanatici di Gerusalemme non resisteranno a lungo. Scrivi la verità su Gesù, e perché nessuno possa travisarla, dì ciò che sai della sua tomba. Non quella di Gerusalemme, che è vuota. La vera tomba, cioè quella del deserto, quella dove riposano i suoi resti.» I rifugiati stavano affluendo a Pella da ogni parte. Seduto sull'orlo del peristilio, il vecchio contemplò pensieroso la vallata. Già dall'altra parte del Giordano si scorgevano pennacchi di fumo salire dalle fattorie che bruciavano. * Nord-ovest dell'attuale Turchia.
I saccheggi, che accompagnavano tutti gli eserciti d'invasione. Era la fine. Era necessario che cominciasse a trasmettere alle generazioni future. Risolutamente, si sedette al tavolo, prese un foglio di pergamena e cominciò a scrivere: «Io, il discepolo beneamato di Gesù, il tredicesimo apostolo, a tutte le Chiese...». L'indomani, si avvicinò a Iokhanan, che stava sellando un mulo: «Se riuscirai a passare, prova ad affidare questa epistola ai nazoreni di Gerusalemme e di Siria». «E tu?» «Resterò a Pella fino all'ultimo momento. Quando i romani si avvicineranno, condurrò i nostri nazoreni verso sud. Subito dopo il tuo ritorno, va direttamente a Qumran. Ti diranno dove trovarmi. Stai in guardia, figlio mio.» Con un nodo in gola, in silenzio porse a Iokhanan una canna vuota, che il giovane infilò nella cintura. All'interno, vi era un semplice foglio di pergamena, legato con una cordicella di lino. L'epistola del tredicesimo apostolo alla posterità.
41
Costeggiando dapprima villa Doria Pamphili, Nil prese la via Salaria antica. Amava camminare sul pavé irregolare delle antiche vie imperiali, la cui lastricatura romana era ancora visibile. Durante gli anni di studi,
aveva esplorato con passione la città, la Mater Precipuae, la madre di tutti i popoli. Raggiunse la via Aurelia, che sbocca su Città del Vaticano, e si diresse senza esitare verso l'edificio della Congregazione per la dottrina della fede. La segreteria per le Relazioni con gli ebrei ha sede in un edificio secondario, sul lato della basilica di San Pietro. Dovette salire tre piani prima di sbucare in un corridoio di alveoli situati direttamente nel sottotetto: gli uffici dei minutanti. Mons. Rembert Leeland, O.S.B. Bussò con discrezione. «Nil! God bless, so good to see you!» L'ufficio dell'amico era minuscolo, separato da quelli vicini da un semplice divisorio. C'era giusto lo spazio per sedersi sull'unica sedia, di fronte al tavolo stranamente spoglio. Vedendo il suo stupore, Leeland sfoderò un sorriso imbarazzato. «Non sono che l'umile minutante di una segreteria senza importanza... Infatti, lavoro soprattutto a casa, qui ho a malapena l'aria per respirare.» «Niente a che vedere con le tue pianure del Kentucky!» Il viso dell'americano si oscurò. «Sono in esilio, Nil, per aver detto a voce alta ciò che molti pensano.» Nil lo guardò con affetto. Studiando a Roma durante gli anni dell'immediato dopo-concilio, avevano condiviso le speranze di tutta una gioventù che credeva al rinnovamento della Chiesa e della società. Le loro illusioni, spazzate via dal vento, avevano lasciato segni profondi. «Apri gli occhi, Nil, sono molto cambiato, più di quanto immagini. Non sono più lo stesso. Ma tu? Il mese scorso ho saputo della morte brutale di uno dei
vostri monaci, sul Roma Express. Ho sentito parlare di suicidio, e ti vedo arrivare qui senza che io abbia chiesto nulla. Cosa sta succedendo, friend?» «Conoscevo bene Andrei. Quell'uomo non era un suicida, al contrario, nutriva una vera passione per la ricerca che conducevamo da anni, non insieme ma in parallelo. Aveva scoperto cose che non voleva, o non poteva, spiegarmi chiaramente, ma ho l'impressione che mi spronasse affinché le trovassi. Sono stato io a riconoscere il corpo. Ho scoperto che teneva in mano un foglietto, scritto poco prima della sua morte. Andrei aveva annotato quattro punti dei quali voleva parlarmi al suo ritorno. Non è la lettera di qualcuno che sta per suicidarsi, ma la prova che aveva dei progetti per il futuro, e che voleva che ne fossi partecipe. Quel foglietto non l'ho fatto vedere a nessuno, ma è stato rubato dalla mia cella, e non so da chi.» «Rubato?» «Sì, e non è tutto. Sono anche stati sottratti certi miei appunti.» «E l'inchiesta sulla morte di padre Andrei?» «Sul giornale locale è apparso un trafiletto che parlava di morte accidentale, e in "La Croix" un semplice necrologio. Non riceviamo altri giornali, non ascoltiamo né la radio né la televisione, i monaci sanno solo ciò che il padre abate decide di dir loro al capitolo. Il gendarme che ha scoperto il corpo sosteneva che si trattava di omicidio, ma è stato rimosso dall'indagine.» «Un omicidio!» «Sì, Remby. Nemmeno io riuscivo a crederci. Voglio scoprire ciò che è accaduto, perché il mio amico è morto. Il suo ultimo pensiero è stato per me. Ho la sensazione di avere un lascito da trasmettere. Le ultime volontà di un morto sono sacre, soprattutto
quando l'uomo ha la levatura di padre Andrei.» Dapprima con esitazione, poi con maggior scioltezza, Nil gli raccontò le sue ricerche sul Vangelo secondo Giovanni, la sua scoperta del discepolo beneamato. Poi descrisse le sue frequenti conversazioni con Andrei, il disagio di quest'ultimo a Germigny, il frammento di manoscritto copto nascosto nella rilegatura della sua ultima opera. Leeland lo ascoltò senza interromperlo. «Nil, ho sempre saputo fare una cosa soltanto: musica. E informatica, per l'elaborazione dei manoscritti che studio. Ma non capisco come una ricerca erudita possa provocare avvenimenti così drammatici, e causarti una simile angoscia.» Per prudenza omise di parlargli della richiesta del cardinale prefetto. «Andrei non ha mai smesso di dirmi per sottintesi che le nostre ricerche riguardavano qualcosa di molto più importante, che mi sfugge. È come se avessi davanti i fili di un arazzo, senza poter conoscere il soggetto della trama. Ma ora, Rembert, sono deciso ad andare fino in fondo. Voglio sapere perché Andrei è morto, voglio sapere quello che si nasconde dietro questo mistero attorno al quale gravito da anni.» Leeland lo guardò, sorpreso dall'accanita determinazione che leggeva su quel volto che si ricordava tranquillo, placido. Si alzò, girò attorno alla sedia e aprì la porta. «Ti lascerò tutto il tempo per continuare qui le tue ricerche. Ma per il momento dobbiamo recarci al fondo Vaticano. Bisogna che ti mostri il posto dove lavoro e che tu ti faccia vedere là. Non dimenticare che il motivo della tua presenza a Roma, sono i manoscritti di canto gregoriano.»
Leeland sì ricordò la convocazione da Eiedinger. C'era forse anche un altro motivo? In silenzio, percorsero il dedalo di corridoi e di scale che conducono all'uscita, che si apre direttamente su piazza San Pietro. Nell'ufficio attiguo, un uomo si tolse delle cuffie collegate a una scatola fissata con una ventosa alla parete di legno. Indossava con eleganza un clergyman impeccabile, e lasciò le cuffie appese al collo mentre sistemava rapidamente dei fogli ricoperti da una sottile scrittura stenografica. I suoi occhi singolarmente neri scintillarono di soddisfazione. L'ascolto era stato di eccellente qualità, il divisorio non era molto spesso. Non una sola parola della conversazione tra il monsignore americano e il monaco francese era stata persa. Bastava lasciarli insieme. Quei due sarebbero stati inesauribili. Il rettore della Società San Pio V sarebbe stato soddisfatto. La missione cominciava bene. 42
«Il fondo si trova nei sotterranei del Vaticano. Ho dovuto farti accreditare perché l'accesso a questa parte dell'edificio è strettamente controllato, capirai il perché quando ci sarai.» Procedettero lungo le alte mura della Città del Vaticano e varcarono l'entrata di via di Porta Angelica, dove si trova il principale posto di guardia. I due svizzeri in uniforme blu li lasciarono passare senza fermarli. Attraversarono una successione di cortili
interni, fino alla corte del Belvedere. Circondata da alte mura, protegge la Galleria lapidaria dei musei e la Biblioteca vaticana. Malgrado fosse mattina presto, dietro i vetri si scorgeva un andirivieni di persone. Leeland gli fece segno di seguirlo e si diresse verso l'angolo opposto. Ai piedi dell'imponente parete della biblioteca, c'era una porta metallica munita di una piccola tastiera. L'americano digitò un codice e attese. «Alcune persone scelte con cura hanno un accredito permanente, come me. Ma tu dovrai dimostrare di avere le carte in regola.» Un poliziotto pontificio in abito civile aprì la porta e squadrò i due visitatori con diffidenza. Quando riconobbe Leeland, sfoderò un sorriso. «Buongiorno, monsignore. Questo monaco è con lei? Posso vedere i suoi documenti e il suo accredito?» Nil si era rimesso l'abito monastico. Qui facilita le cose, gli aveva spiegato Leeland. Entrarono in una sorta di camera stagna, e Nil porse un foglio recante i contrassegni del Vaticano. Il poliziotto lo prese senza dire una parola e si assentò. «I controlli sono rigorosi» sussurrò l'americano. «La Biblioteca vaticana è aperta al pubblico, ma il sotterraneo del suo fondo contiene manoscritti antichi accessibili solo a pochi ricercatori. Tra poco incontrerai padre Breczinsky, il custode. È polacco. È un uomo timido e modesto, ma totalmente devoto al Santo Padre.» Il poliziotto ritornò e restituì il suo permesso a Nil annuendo con il capo. «Dovrà mostrare questo foglio ogni volta che verrà qui. Non è autorizzato a entrare da solo, ma unicamente accompagnato da monsignor Leeland, che ha un pass permanente. Seguitemi.»
Un lungo corridoio lievemente in pendenza si snodava in diagonale sotto l'edificio e conduceva a una porta blindata. Nil ebbe l'impressione di penetrare in una cittadella pronta per un assedio. «Questo luogo è nascosto sotto le migliaia di tonnellate della basilica di San Pietro. La tomba dell'apostolo non è lontana.» Il poliziotto introdusse una carta magnetica e digitò un codice: la porta si aprì con un cigolio. «Conosce il posto, monsignore. Padre Breczinsky vi attende.» L'uomo in piedi all'entrata di una seconda porta blindata aveva un viso il cui pallore era messo in risalto dalla stretta sottana nera. Portava occhiali rotondi su occhi da miope. «Buongiorno, monsignore, è lui il francese, per il quale ho ricevuto un permesso della Congregazione?» «Proprio lui, caro padre. Mi aiuterà nei lavori. Padre Nil è monaco all'abbazia Saint-Martin.» Breczinsky sussultò. «Dunque un confratello di padre Andrei?» «Siamo stati confratelli per trent'anni.» Breczinsky aprì la bocca come se volesse rivolgere una domanda a Nil, poi si riprese e mascherò il proprio turbamento con un breve saluto del capo. Si voltò verso Leeland. «Monsignore, la sala è pronta. Se volete seguirmi.» In silenzio, li precedette in una fuga di sale a volta, comunicanti tra loro tramite un'ampia apertura ad arco. I muri erano ricoperti di scaffalature a vetri, l'illuminazione uniforme, e un ronzio segnalava il dispositivo igrometrico necessario alla conservazione dei manoscritti antichi. Nil esplorava con lo sguardo gli scaffali davanti ai quali passava: Antichità, Medioevo, Rinascimento, Risorgimento... le etichette lasciavano indovinare i più preziosi testimoni della
storia occidentale, al punto che ebbe l'impressione di percorrerla tutta in poche decine di metri. Divertito dal suo sbigottimento, Leeland sussurrò: «Nella sezione musicale, la sola che frequento, ti mostrerò spartiti autografi di Vivaldi, pagine del Messia di Haendel, e le otto prime battute del Lacrimosa di Mozart: le ultime note scritte di suo pugno, mentre stava morendo. Ebbene, sono qui...». La sezione musicale si trovava nell'ultima sala. Al centro, sotto l'illuminazione regolabile, campeggiava un tavolo ricoperto di una lastra di vetro sulla quale si sarebbe cercato invano un granello di polvere. «Monsignore, vi lascio. Ehm...» sembrò fare uno sforzo su se stesso «padre Nil, vuole venire nel mio studio? Occorrerà che le trovi un paio di guanti della sua misura. Ne ha bisogno per toccare i manoscritti.» Leeland si sorprese, ma lasciò che Nil seguisse il bibliotecario in uno studio che dava direttamente sulla loro sala. Breczinsky chiuse con cura la porta dietro di loro, prese una bottiglia su uno scaffale, poi si voltò verso Nil, visibilmente a disagio. «Padre... posso chiederle quale era esattamente la natura delle sue relazioni con padre Andrei?» «Eravamo molto intimi, perché?» «Ebbene, io... ero in corrispondenza con lui. Chiedeva talvolta il mio parere sulle iscrizioni medievali che studiava.» «Allora... è lei?» Nil ricordò: "Ho inviato la foto della lastra di Germigny a un impiegato del Vaticano. Mi ha risposto che l'aveva ricevuta, senza commenti". «Andrei mi aveva parlato del suo corrispondente alla Biblioteca vaticana, ignoravo che fosse lei e non pensavo di avere l'occasione di incontrarla!» La testa bassa, Breczinsky maneggiava
nervosamente i guanti contenuti nella scatola. «Mi chiedeva precisazioni tecniche, come fanno altri ricercatori: a distanza, avevamo instaurato un rapporto di fiducia. Poi un giorno, mentre sistemavo i fondi copti, ho trovato un minuscolo frammento di manoscritto che sembrava provenire da Nag Hamadi. Non era mai stato tradotto. Gliel'ho inviato. Sembrava molto turbato da quel frammento, che mi ha rispedito senza tradurlo. Gli ho scritto a tale proposito, al che mi ha faxato la foto di un'iscrizione carolingia trovata a Germigny chiedendomi cosa ne pensassi.» «Lo so, avevamo scattato quella fotografia insieme. Andrei mi teneva al corrente dei suoi lavori. Quasi del tutto.» «Quasi?» «Sì, non mi diceva tutto e non lo nascondeva, cosa che mi ha sempre sorpreso.» «Poi è venuto qui. Era la prima volta che ci vedevamo. Un incontro... molto forte. Poi è sparito. Non l'ho mai più rivisto. E ho saputo della sua morte dal giornale "La Croix". Un incidente, o forse un suicidio...» Breczinsky sembrava davvero a disagio, i suoi occhi fuggivano quelli di Nil. Alla fine gli porse i guanti. «Non può stare con me troppo a lungo, bisogna che ritorni in sala. Io... avremo occasione di parlarci, padre Nil. Più tardi, troverò un modo. Diffidi di tutti qui, anche di monsignor Leeland.» Nil spalancò gli occhi. «Che intende dire? Non vedrò che lui a Roma e mi fido ciecamente; eravamo studenti insieme, lo conosco da molto tempo.» «Ma ha vissuto qualche tempo in Vaticano. Questo luogo trasforma tutti coloro che lo avvicinano. Non sono più gli stessi. Coraggio, dimentichi ciò che le ho
appena detto, ma sia accorto!» Sul tavolo, Leeland aveva già aperto un manoscritto. «Ce ne ha messo di tempo a trovarti i guanti! E pensare che ce n'è un cassetto pieno nella sala accanto, di tutte le misure.» Nil non rispose allo sguardo inquieto dell'amico e si avvicinò alla grande lente rettangolare che si trovava sopra il manoscritto. Diede un'occhiata. «Nessuna miniatura, senza dubbio anteriore al X secolo: al lavoro, Remby!» A mezzogiorno mangiarono un sandwich che Breczinsky portò loro. Improvvisamente sorridente, il polacco domandò a Nil di spiegargli in cosa sarebbe consistito il suo lavoro. «Innanzitutto decifrare il testo latino di questi manoscritti di canto gregoriano. Poi tradurre il testo ebraico degli antichi canti giudei la cui melodia è simile, e confrontare... Io mi occupo solo del testo, naturalmente, monsignor Leeland fa il resto.» «L'ebraico antico è un enigma per me, come le scritture medievali» spiegò l'americano ridendo. Quando uscirono, il sole era basso all'orizzonte. «Torno direttamente a San Girolamo,» si scusò Nil «l'aria condizionata mi ha fatto venire leggero mal di testa.» Leeland lo fermò. Erano proprio al centro di piazza San Pietro. «Ho l'impressione che Breczinsky sia rimasto molto colpito da te. Solitamente, non pronuncia mai più di tre frasi di seguito. Allora, amico mio, bisogna che ti metta in guardia. Diffida di lui.» "Ancora! Signore, dove sono capitato?" Il viso grave, Leeland insistette: «Fai attenzione a non commettere errori. Se ti parla, sarà per sondarti.
Qui, nessuno è innocente. Non sai fino a che punto il Vaticano è pericoloso. Si deve diffidare di tutto e di tutti».
43 Un turbinio di pensieri vorticava ancora nella testa di Nil quando entrò nella sua stanza a San Girolamo. Dapprima si accertò che nulla fosse sparito dall'armadio, che trovò sempre chiuso a chiave, poi andò alla finestra. Stava per alzarsi lo scirocco, il terribile vento che ricopre la città di una fine pellicola di sabbia del Sahara. Roma, solitamente luminosa, era immersa in un chiarore glauco. Chiuse la finestra per proteggersi dalla sabbia. Precauzione che non gli avrebbe impedito di soffrire della repentina caduta di pressione atmosferica che accompagna sempre lo scirocco e causa alla popolazione tali emicranie che la giustizia romana considera come attenuanti, in caso di crimini commessi sotto l'influsso di quel vento malefico. Si diresse verso lo scaffale per prendere un'aspirina e si fermò davanti agli oggetti dimenticati da Andrei. Rinnegato dalla sua famiglia quando era entrato in monastero, ferito dalla morte dell'amico, Nil si emozionava facilmente. Gli occhi si riempirono di lacrime. Raccolse ciò che adesso per lui costituiva preziosi ricordi e li ripose in fondo alla valigia. Avrebbero trovato un posto nella sua cella, a SaintMartin. Con un gesto automatico, aprì l'agenda e si mise a sfogliarla. Il calendario di un monaco è liscio quanto la
sua vita. Le pagine erano intatte fino all'inizio di novembre. Là, Andrei aveva annotato il giorno e l'ora della partenza per Roma, poi gli appuntamenti alla Congregazione. Nil voltò la pagina: alcune righe buttate giù alla rinfusa. Con il batticuore, si sedette di traverso e accese la lampada della scrivania. Sulla pagina, in alto a sinistra, Andrei aveva scritto, in stampatello: LETTERA DELL'APOSTOLO. Seguivano, un po' più in basso, due nomi: «Origene, Eusebio di Cesarea», quest'ultimo seguito da tre lettere, e sei cifre. Due padri della Chiesa greca. Sulla pagina di fronte, aveva scarabocchiato: « S.C.V. Templari». E di fronte, di nuovo tre lettere, seguite da quattro cifre soltanto. Che ci facevano i Templari tra i padri della Chiesa? La testa gli girava leggermente. Era l'effetto dello scirocco? Lettera dell'apostolo. Durante le loro conversazioni Andrei aveva accennato davanti a lui, in modo alquanto vago, qualcosa del genere. Ed era una delle quattro piste che figuravano sul foglietto scritto sul Roma Express. Nil si era domandato spesso come usare quel riferimento misterioso. Ed ecco che l'amico, come avrebbe fatto se fossero stati ancora vicini, gli riparlava di quella lettera. Andrei sembrava dirgli che avrebbe scoperto qualcosa dagli scritti dei due padri della Chiesa, dei quali aveva annotato qui ciò che assomigliava alla collocazione di una biblioteca. Doveva ritrovare quei testi. Ma dove? Nil andò al lavabo a prendere un bicchiere d'acqua e vi gettò l'aspirina. Mentre osservava salire la colonna gassosa, rifletteva intensamente. Tre lettere seguite da sei cifre: erano segnature della classificazione Dewey,
l'ubicazione di libri sistemati in una biblioteca. Ma quale biblioteca? Il vantaggio del sistema Dewey è che è estensibile all'infinito. Ogni bibliotecario può adattarlo alle sue esigenze. Con molta fortuna, le ultime due cifre potevano permettere di reperire una biblioteca tra centinaia. Interrogando ogni bibliotecario. In tutto il mondo. Nil buttò giù l'aspirina. Cercare un libro partendo unicamente dalla sua segnatura, era come cercare una macchina in un parcheggio di quattromila posti, senza conoscere il punto esatto in cui è posteggiata né la marca. Né il nome del custode, naturalmente. In realtà, nemmeno il nome del parcheggio... Si massaggiò le tempie. Il dolore era più rapido dell'aspirina. Le tre lettere dopo Origine ed Eusebio erano seguite da sei cifre. Si trattava dunque di una segnatura completa, l'ubicazione precisa di un'opera su uno scaffale. Ma le tre lettere che accompagnavano « S.C.V. Templari» non erano seguite che da quattro cifre, forse indicavano una scaffalatura o una zona in una biblioteca data, senza precisarne l'ubicazione. S.C.V. era l'abbreviazione di una biblioteca? In quale parte del mondo? Una morsa dolorosa serrava ora la testa di Nil, impedendogli di pensare. Per anni, padre Andrei era stato in contatto con bibliotecari di tutta Europa, spesso via Internet. Se una di quelle segnature apparteneva a una biblioteca di Vienna, riteneva difficile chiedere al reverendo abate di riservargli un biglietto andata-ritorno per l'Austria. Prese una seconda aspirina e salì sulla terrazza che dominava il quartiere. Lontano, si scorgeva la cupola slanciata della basilica di San Pietro. La tomba
dell'apostolo era stata scavata nel tufo della collina del Vaticano, allora situata fuori Roma, sulla quale Nerone aveva fatto edificare una residenza imperiale e un circo. E là che migliaia di cristiani e di ebrei, confusi nel medesimo odio, furono crocifissi nel 67 d.C. Le sue ricerche gli avevano svelato un aspetto inatteso di Pietro, soggetto a pulsioni omicide. Gli Atti degli Apostoli testimoniano che due cristiani di Gerusalemme sono periti per mano sua, Anania e Safiro. L'assassinio di Giuda era solo un'ipotesi, tuttavia fondata su una quantità d'indizi consistenti. Eppure, a Roma, era morto da martire: «Credo,» dice Pascal «in coloro che muoiono per la fede». Pietro era ambizioso, violento, calcolatore. Forse, negli ultimi istanti di vita, era finalmente diventato un vero discepolo di Gesù? La storia non può più decidere, ma bisognava concedergli il beneficio del dubbio. "Pietro doveva essere come tutti noi: un uomo doppio, capace di dare il meglio, dopo aver tirato fuori il peggio..." A Nil era stato detto di diffidare di tutti e di tutto. Un'idea inaccettabile. Se ci pensava troppo, gli veniva la tentazione di saltare sul primo treno, proprio come Andrei. Per non perdere la bussola, doveva concentrarsi sulle sue ricerche. Vivere a Roma come al monastero e nella medesima solitudine. "Cercherò. E troverò." 44 Collina del Vaticano, 67 d.C. «Pietro... se non mangi, almeno bevi!»
Il vecchio respinse la brocca che gli porgeva il compagno, che indossava la tunica corta degli schiavi. Si chinò, raccolse un po' di paglia, la fece scivolare tra la sua schiena e i mattoni dell'opus reticulatum*. Rabbrividì: tra poche ore, sarebbe stato crocifisso e il suo corpo cosparso di pece. Al calar delle notte, i carnefici avrebbero appiccato il fuoco alle torce vive, rischiarando lo spettacolo che l'imperatore offriva al popolo di Roma. I condannati a morte erano rinchiusi da molti giorni in quei lunghi cunicoli a volta, che davano direttamente sulla pista del circo. Attraverso l'inferriata d'entrata, si scorgevano le due colonne - le metae - che delimitavano le due estremità della pista. Era là, attorno al grande obelisco centrale del circo, che ogni sera venivano crocifissi indistintamente uomini, donne e bambini "ebrei", presunti responsabili dell'immenso incendio che aveva distrutto la città qualche anno prima. «A che scopo mangiare o bere, Lino? Sai che è per questa sera. Si comincia sempre dai più vecchi. Tu vivrai ancora qualche giorno, e Anacleto ti vedrà morire, prima di raggiungerci tra gli ultimi.» Accarezzò la testa di un fanciullo sedutogli accanto sulla paglia, che lo guardava con venerazione, i grandi occhi solcati da profonde occhiaie. Dal suo arrivo a Roma, Pietro si era messo alla guida della comunità cristiana. La maggior parte dei convertiti erano schiavi, come Lino e il fanciullo Anacleto. Tutti erano passati attraverso le religioni misteriche d'Oriente che esercitavano sul popolo un'at* Modo di costruire caratteristico delle mura dell'epoca imperiale: i mattoni sono disposti in linee regolari, che formano il disegno di un reticolo.
trattiva irresistibile. Esse offrivano loro la prospettiva di una vita migliore nell'aldilà, e spettacolari culti cruenti. La religione austera e spoglia degli ebrei convertiti al Cristo, nel contempo Dio e uomo, conobbe un successo folgorante. Pietro aveva finito per convincersi che la piena divinità di Gesù era una condizione indispensabile alla diffusione della nuova religione. Dimenticò gli scrupoli che lo trattenevano ancora, come durante tutti i primi tempi, in mezzo ai convertiti di Gerusalemme: "Gesù è morto. Il Cristo-Dio è vivo. Solo un vivo può fare accostare queste folle alla vita nuova". Il galileo divenne il capo incontrastato della comunità di Roma. Sul tredicesimo apostolo era calata l'ombra. Chiuse gli occhi. Arrivando qui, aveva raccontato ai prigionieri di come alcuni soldati l'avessero catturato sulla via Appia, mentre fuggiva in mezzo all'ondata di coloro che tentavano di sottrarsi alla persecuzione di Nerone. Delusi da ciò che consideravano un atto di viltà, molti prigionieri cristiani lo tenevano in disparte. La vita lo stava abbandonando. Avrebbe resistito fino a sera? Doveva. Voleva soffrire quella morte odiosa, respinto dai suoi, per riscattarsi ed essere degno del perdono di Dio. Fece segno a Lino, che si sedette accanto ad Anacleto, sul lastricato ammuffito. Da mezzogiorno non si udivano più i ruggiti delle belve. Erano state tutte massacrate dai gladiatori nel corso di un colossale combattimento, quel mattino stesso. L'odore di serraglio si mischiava a quello nauseabondo di sangue ed escrementi. Dovette fare uno forzo per parlare. «Può darsi che voi vivrete, tu e questo fanciullo. Tre anni fa, dopo l'incendio, i condannati più giovani sono
stati rilasciati, quando il popolo si è stancato di tutti quegli orrori sparsi sulla sabbia del circo. Lino, tu vivrai. Devi.» Lo schiavo lo guardò intensamente, con le lacrime agli occhi. «Ma se tu non ci sarai più, Pietro, chi guiderà la nostra comunità? Chi ci insegnerà?» «Tu. Ti conosco da quando sei stato venduto al mercato vicino al Foro, e ho visto crescere quel bambino. Tu e lui, vivrete. Siete il futuro della Chiesa. Io non sono altro che un vecchio albero, ormai privo di linfa vitale.» «Come puoi dire una cosa simile? Tu che hai conosciuto Nostro Signore, tu che l'hai seguito e servito senza fallire!» Pietro chinò la fronte. Il tradimento di Gesù, gli omicidi successivi, la lotta accanita contro i suoi avversari a Gerusalemme, tanta sofferenza che lui stesso aveva causato... «Ascoltami bene, Lino: il sole sta già calando. Non rimane molto tempo. Bisogna che tu lo sappia. Ho fallito. Non soltanto casualmente, come accade a ciascuno di noi, ma a lungo, e ripetutamente. Dillo alla Chiesa, quando tutto sarà finito. Ma dì anche che muoio in pace, perché ho riconosciuto le mie colpe, i miei innumerevoli errori. Perché ho chiesto perdono a Gesù e al suo Dio. E perché mai - mai - un cristiano deve dubitare del perdono di Dio. È il fondamento stesso dell'insegnamento di Gesù.» Lino pose le mani su quelle di Pietro. Erano gelide. Si stava spegnendo? Molti erano morti in quel cunicolo, ancora prima di giungere al supplizio. Il vecchio rialzò il capo. «Ricorda, Lino, e tu, fanciullo, ascolta: la sera dell'ultima cena che abbiamo consumato con il
Maestro, poco prima della sua cattura, eravamo in dodici raccolti attorno a lui. Gesù era circondato solo dai dodici apostoli. Io ero là. Lo testimonio davanti a Dio prima di morire. Forse un giorno sentirete parlare di un tredicesimo apostolo. Né tu, né Anacleto, né coloro che verranno dopo dovrete tollerare anche il semplice accenno, la sola evocazione di un altro apostolo che non siano i dodici ufficiali. Ne va dell'esistenza della Chiesa. Fate giuramento solenne, davanti a me e davanti a Dio?» Il giovane e il fanciullo annuirono gravemente con il capo. «Se uscisse dalle tenebre, quel tredicesimo apostolo annienterebbe tutto ciò in cui crediamo. Tutto ciò che permetterà,» indicò delle ombre indistinte prostrate al suolo «a quegli uomini, a quelle donne, di morire questa sera in pace, forse addirittura sorridendo. Ora, lasciatemi. Ho molto da dire al mio Signore.» Pietro fu crocifisso al tramonto, tra le due metae del circo del Vaticano. Quando appiccarono il fuoco al suo corpo, per un istante esso illuminò l'obelisco, che si trovava a pochi metri dalla croce. Due giorni più tardi, Nerone proclamò la fine dei giochi. Tutti i condannati a morte furono liberati, dopo essere stati sottoposti a trentanove colpi di frusta. Lino succedette all'apostolo, del quale seppellì il corpo in cima alla collina del Vaticano, a poca distanza dall'entrata del circo. Anacleto succedette a Lino, diventando il terzo sulla lista dei papi proclamati in ogni messa cattolica dell'intero universo. Fu lui a far edificare una cappella sulla tomba di Pietro. Che in seguito fu sostituita da una basilica, che già l'imperatore Costantino volle maestosa. Il giuramento solenne dei due papi successori di
Pietro fu trasmesso di secolo in secolo. E l'obelisco davanti al quale padre Nil si fermò un istante, quel mattino - lo scirocco era cessato e Roma scintillava nella sua gloria - era quello stesso ai piedi del quale, diciannove secoli prima, un discepolo di Gesù, riconciliato con il suo Dio attraverso il pentimento e il perdono, aveva volontariamente affrontato un orribile supplizio. Pietro aveva nascosto la verità ai cristiani: poiché lui solo sapeva che non meritava la loro venerazione, voleva morire nel disonore e nello sdegno. Ma non era fuggito davanti alla persecuzione. Al contrario, era andato a consegnarsi alle guardie di Nerone, per espiare le proprie colpe. E per poter far giurare a Lino che avrebbe trasmesso il segreto. Da allora, quel segreto non aveva mai lasciato la collina del Vaticano. Il tredicesimo apostolo non aveva mai parlato.
45 Nil amava vagabondare e sognare in piazza San Pietro di buon mattino, quando non era ancora invasa dalla folla di turisti. Si staccò dall'ombra dell'obelisco per godere del sole già tiepido. "Dicono che sia l'obelisco che ornava il centro del circo di Nerone. A Roma, il tempo non esiste." La mano non lasciava la borsa a tracolla nella quale aveva riposto, uscendo da San Girolamo, gli appunti più importanti, estratti dei fogli che aveva sistemato sullo scaffale. Era facile perquisire la sua stanza, qui
come all'abbazia, e sapeva che doveva diffidare di tutti. "Ma non di Remby, mai!" Al momento di uscire, infilò nella borsa anche il negativo della foto scattata a Germigny. Una delle quattro piste lasciate dietro di sé da Andrei e che non sapeva ancora in che modo impiegare. Arrivando nel suo ufficio, mentre Nil ai piedi dell'obelisco sognava ancora degli imperi che il tempo consolida, Leeland trovò un biglietto che lo convocava immediatamente presso un minutante della Congregazione. Un certo monsignor Calfo, che talvolta aveva incrociato in un corridoio, senza neppure sapere quale posto occupasse nell'organigramma del Vaticano. Due piani e un dedalo di corridoi più giù, fu sorpreso di trovare il prelato sistemato in un ufficio quasi lussuoso, la cui unica finestra si affacciava direttamente su piazza San Pietro. L'uomo era di bassa statura, grassoccio, l'aria sicura e melliflua. "Un abitante della galassia vaticana" pensò l'americano. Calfo non lo invitò a sedersi. «Monsignore, il cardinale mi ha domandato di tenerlo al corrente delle vostre conversazioni con padre Nil, che è venuto ad aiutarvi. Sua Eminenza s'interessa da vicino agli studi dei nostri specialisti.» Sulla scrivania, bene in vista, si trovava il rapporto inviato la sera prima da Leeland a Riedinger. In esso era riassunta la sua conversazione con Nil, ma passavano completamente sotto silenzio le confidenze dell'amico a proposito delle sue ricerche sul Vangelo secondo Giovanni. «Sua Eminenza mi ha comunicato il vostro primo rapporto. Esso dimostra che esiste una relazione di amichevole fiducia tra voi e il francese. Ma è insufficiente, monsignore, assolutamente insufficiente!
Non posso credere che non vi abbia detto nulla di più sulla natura dei lavori che conduce con talento, e ormai da tempo!» «Non pensavo che i dettagli di una conversazione a ruota libera potessero interessare a tal punto il cardinale.» «Tutti i dettagli, monsignore. Occorre che siate più preciso e meno riservato, nei vostri resoconti. Che faranno guadagnare al cardinale tempo prezioso, dato che vuole seguire ciascuno dei progressi della scienza: è suo dovere in quanto prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Ci aspettiamo che collaboriate, monsignore, e sapete perché... vero?» Un sentimento che Leeland non poté controllare, un'ondata d'odio sordo lo assali. Serrò le labbra, e non rispose. «Vedete questo anello episcopale?» Calfo allungò la mano. «È un ammirevole capolavoro, intagliato all'epoca in cui ancora si conosceva il linguaggio delle pietre. L'ametista, scelta da gran parte dei prelati cattolici, simboleggia l'umiltà e ci ricorda l'ingenuità di san Matteo. Ma questo è un diaspro, che rappresenta il riflesso della fede, associato a san Pietro. In ogni istante mi riporta alla lotta della mia vita: la fede cattolica. E questa fede, monsignore, che viene interessata dai lavori di padre Nil. Non dovete nascondere nulla di ciò che vi confida, come invece avete fatto.» Calfo lo congedò in silenzio, poi si sedette alla scrivania. Aprì il cassetto, dal quale estrasse un plico di fogli strappati da un block-notes: il resoconto stenografico della conversazione della sera precedente. "Sono ancora il solo a sapere che Leeland non sta al gioco. Antonio ha fatto un buon lavoro." Tornando al suo ufficio, Leeland tentò di dominare
la collera. Quel minutante sapeva che aveva nascosto una parte di conversazione con Nil. Com'era possibile? "Ci hanno ascoltati! Sono controllato, qui, in Vaticano." Ancora l'odio. Ha sofferto troppo, ormai gli hanno distrutto la vita. Rientrando nel minuscolo ufficio di Leeland, Nil si scusò del ritardo: «Perdonami, ho perso tempo in piazza...». Si sedette, appoggiò la borsa contro la gamba della sedia. Sorrise. «Qui dentro ho raccolto parte dei miei appunti. Quelli più preziosi. Occorre che ti mostri le mie conclusioni, sono provvisorie, ma comincerai a comprendere...» Interrompendolo con un gesto, Leeland scarabocchiò qualche parola su un foglietto che porse a Nil, portandosi l'indice alle labbra. Sorpreso, il francese prese il foglietto e vi diede un'occhiata: «Ci ascoltano. Non dire niente. Ti spiegherò. Non qui». Nil levò verso Leeland uno sguardo sbalordito. Con loquacità, quest'ultimo riprese: «Allora, sistemato bene a San Girolamo? Ieri c'è stato scirocco, spero tu non ne abbia sofferto troppo». «Ehm... sì, ho avuto mal di testa per tutta la sera. Che...» «È inutile che torniamo al fondo Vaticano. Vorrei mostrarti qualcosa nel mio computer. Vedrai il lavoro che ho già fatto. È da me. Vuoi accompagnarmi, subito? È sull'Aurelia, a dieci minuti da qui.» Fece con la testa un gesto imperioso a Nil, sempre più sbigottito, e si alzò senza attendere risposta. Nel momento in cui attraversarono il corridoio per imboccare le scale, Leeland lasciò che Nil lo
precedesse e si voltò. Dall'ufficio attiguo al suo vide uscire un minutante che non conosceva, il quale chiuse tranquillamente la porta a chiave e si avviò nella loro stessa direzione. Indossava un elegante clergyman, e nell'oscurità del corridoio Leeland scorse soltanto il suo sguardo nero, malinconico e inquietante. Rapidamente, raggiunse Nil che lo aspettava sui primi gradini della scala. «Scendiamo. Facciamo presto.»
46 Attraversarono il colonnato del Bernini. Leeland si guardò bene intorno, e con gesto familiare prese Nil sottobraccio. «Amico mio, questa mattina ho avuto la prova che la nostra conversazione di ieri è stata ascoltata.» «Come in un'ambasciata, al tempo dei sovietici!» «L'impero sovietico non esiste più, ma qui sei nel centro nevralgico di un altro impero. Sono certo di quello che dico. Ho smesso di pormi domande. My poor friend, in che ginepraio ti sei cacciato?» Camminarono in silenzio. Il traffico era intenso sull'Aurelia, al punto da rendere ogni conversazione impossibile. Leeland si fermò davanti a un edificio moderno, che faceva angolo con una strada adiacente. «Ecco, è qui. Ho uno studio al terzo piano. Il Vaticano paga l'affitto, il mio stipendio di minutante non basterebbe.» Oltrepassando la soglia dello studio di Leeland, Nil non poté trattenere un fischio: «Monsignore, che
meraviglia!». Un grande soggiorno era diviso in due parti. La prima parte ospitava un piano a mezza coda, attorno al quale era sparpagliato del materiale elettroacustico. Uno scaffale a vista colmo di libri delimitava la seconda parte: due computer collegati ai più sofisticati accessori - stampanti, scanner, e aggeggi che Nil non fu in grado d'identificare. Leeland invitò Nil a mettersi comodo, e rise imbarazzato. «È la mia abbazia americana a offrirmi tutto questo. Una fortuna! Erano furiosi per il modo in cui sono stato silurato dal mio posto di abate regolarmente eletto, per ragioni di politica ecclesiastica. Il Vaticano mi chiede di fare atto di presenza nel mio ufficio di minutante mattina e sera. Poi vado a lavorare al fondo o torno qui. Breczinscky mi ha autorizzato a fotografare certi manoscritti, che ho scannerizzato nel computer.» «Perché mi hai detto di non fidarmi di lui?» Leeland esitò prima di rispondere: «Durante i nostri anni di studi romani, tu vedevi il Vaticano dalla collina dell'Aventino, a un chilometro da qui: era lontano, molto lontano. Eri affascinato dall'andirivieni di prelati dell'entourage del papa, apprezzavi da spettatore, fiero di appartenere a una macchina che possiede una carrozzeria così prestigiosa. Ora non sei più spettatore: sei un insetto, imprigionato nella ragnatela, intrappolato dai ragni, invischiato come una mosca indifesa». Nil lo ascoltava in silenzio. Dalla morte di Andrei, presagiva che la sua vita si stava capovolgendo, che era entrato in un universo che ignorava completamente. Lee-land proseguì: «Josef Breczinsky è un polacco, uno di quelli che vengono chiamati gli "uomini del papa". Totalmente devoto alla persona del
Santo Padre, e dunque diviso tra le correnti che percorrono il Vaticano, tanto più violente quanto sono sotterranee. Da quattro anni lavoro a dieci metri dal suo ufficio, e non so ancora niente di lui, salvo che porta il peso di una sofferenza infinita, che ha tracciata sul viso. Sembra apprezzarti. Fa molta attenzione a ciò che dice». Nil controllò l'istinto di afferrare il braccio di Leeland. «E tu, Remby? Anche tu sei un... insetto invischiato nella tela?» Gli occhi dell'americano si colmarono di lacrime. «Io... la mia vita è finita, Nil. Mi hanno distrutto, perché ho creduto nell'amore. Così come possono distruggere te, perché credi nella verità.» Nil comprese che non doveva insistere. "Non oggi. Che tristezza nel suo sguardo! " L'americano si riprese. «Non sono in grado di collaborare ai tuoi lavori eruditi, ma farò tutto il possibile per aiutarti. I cattolici hanno sempre voluto ignorare il fatto che Gesù fosse giudeo! Trai profitto dal tuo inaspettato soggiorno a Roma. I manoscritti gregoriani possono attendere.» «Andremo ogni giorno al fondo, per non destare sospetti. Ma voglio proseguire la ricerca di Andrei. Il suo foglietto parlava di quattro piste. Una riguarda una lastra recentemente scoperta nella chiesa di Germigny, con un'iscrizione risalente all'epoca di Carlo Magno. Abbiamo scattato una foto, l'iscrizione aveva colpito molto Andrei. Ho qui il negativo. Credi che con il tuo materiale informatico, puoi tirarne fuori qualcosa?» Leeland assunse un'aria sollevata. Parlare di cose tecniche gli permetteva di sfuggire i fantasmi che aveva appena evocato.
«Non immagini cosa può fare un computer! Se sono i caratteri di una lingua che ha in memoria, sa ricostruire lettere o parole a partire da un testo deteriorato dal tempo. Mostrami il tuo negativo.» Nil prese la borsa, la aprì e porse il rullino all'amico. Passarono dall'altra parte della stanza, Leeland accese degli aggeggi che si misero a lampeggiare. Ne mise in azione uno. «Scanner laser. Ultima generazione.» Quindici secondi più tardi, la lastra apparve sullo schermo. Leeland manovrò il mouse, digitò qualcosa sulla tastiera e la superficie dell'immagine cominciò a essere scandita, molto regolarmente, da un fascio luminoso. «Ci vogliono venti minuti. Mentre lavora, vieni al piano. Ti suonerò Children's Corner.» Mentre Leeland, gli occhi chiusi, faceva nascere sotto le dita la melodia delicata di Debussy, il fascio luminoso del computer scorreva, instancabilmente, davanti alla riproduzione di una misteriosa iscrizione carolingia. Fotografata, al crepuscolo del XX secolo, da un monaco al quale quel negativo aveva portato la morte. Nello stesso momento, monsignor Calfo prendeva il telefono portatile. «Hanno lasciato l'ufficio della Congregazione e sono andati immediatamente nell'appartamento dell'americano? Bene, restate nei paraggi, sorvegliate discretamente i loro movimenti, e questa sera fatemi rapporto.» Accarezzò automaticamente la losanga oblunga del suo diaspro verde.
47
Sullo schermo del computer, l'iscrizione della lastra di Germigny appariva ora con chiarezza. «Guarda, Nil: è perfettamente leggibile. Sono caratteri latini. Il computer li ha ricostruiti. E poi là, all'inizio e alla fine del testo, due lettere greche, alfa e omega, le ha identificate senza possibilità di errore.» «Puoi farmene una stampa?» Nil esaminava l'iscrizione stampata su carta. Leeland attese che parlasse. «Non c'è che dire, è proprio il testo del Simbolo di Nicea, il Credo. Ma è disposto in modo incomprensibile...» Avvicinarono le sedie. "Come un tempo, quando uno accanto all'altro studiavamo nella sua stanza, sotto la luce della stessa lampada." «Perché è stata aggiunta la lettera alfa davanti alla prima parola del testo, e la lettera omega dopo l'ultima? Perché quelle due lettere, la prima e l'ultima dell'alfabeto greco, inappropriate su un testo scritto in latino e considerato intoccabile? Perché troncare le parole, senza tener conto del loro significato? Vi può essere una sola spiegazione possibile: non ci si deve occupare del senso, perché non ne ha, ma del modo in cui il testo è stato disposto. Andrei mi ha detto che non aveva mai visto una cosa simile: ha certamente sospettato che quella lastra avesse un significato particolare, ed è bastato venire a Roma per accorgersi che il Credo così modificato aveva qualcosa a che vedere con i tre altri indizi annotati sul suo foglietto. Per il momento sono riuscito a decifrarne soltanto uno: il manoscritto copto.»
«Non me ne hai ancora parlato.» «Perché ho scoperto il significato delle parole, ma non il senso del messaggio. E il senso si trova forse nel modo incomprensibile in cui quel testo è stato inciso nell'VIII secolo.» Nil rifletté, poi riprese: «Per i greci alfa e omega significano l'inizio e la fine del tempo». «Come nell'Apocalisse di Giovanni?» «Esattamente. Quando l'autore dell'Apocalisse scrive: "Vidi un nuovo cielo e una nuova terra", fa dire al Cristo che gli appariva in gloria: Io sono l'alfa e l'omega Il Primo e l'Ultimo Il principio e la fine. La lettera alfa significa che un nuovo mondo ha inizio, e la lettera omega che quel mondo durerà per l'eternità. Incorniciato da quelle due lettere, lo strano decoupage del testo alluderebbe dunque a un nuovo ordine del mondo, che in nessun caso potrebbe essere modificato: "un nuovo cielo e una nuova terra", qualcosa che deve durare fino alla fine dei tempi.» «L'alfa e l'omega sono simboli biblici frequenti?» «Assolutamente no. Li si trova unicamente nell'Apocalisse, che la tradizione attribuisce a Giovanni. Si può dunque pensare che se quel testo è inserito tra l'alfa e l'omega, è perché la sua disposizione ha qualcosa a che vedere con il Vangelo di Giovanni.» Nil si alzò e si mise davanti alla finestra chiusa. «Una disposizione del testo indipendente dal senso delle parole, in relazione con il Vangelo attribuito a Giovanni. Non posso dire altro, finché non mi metto seduto a un tavolo per rigirare quell'iscrizione in tutti i
sensi, come anche Andrei certamente deve aver fatto. In ogni caso, tutto gravita attorno al quarto vangelo, ed è per questo che le mie ricerche interessavano tanto il mio amico.» Nil fece segno a Leeland di raggiungerlo accanto alla finestra. «Domani non ci vedremo. Ho intenzione di barricarmi nella mia stanza a San Girolamo. Ne uscirò solo quando avrò trovato il senso di questa iscrizione. Ci rincontreremo dopodomani. Spero di riuscire a vederci più chiaro. In seguito, dovrai farmi il favore di lasciarmi collegare a Internet. Devo fare una ricerca nelle più grandi biblioteche del mondo.» Con un cenno del capo, indicò la sommità della cupola di San Pietro, che svettava oltre i tetti. «Forse Andrei è morto perché aveva scoperto qualcosa che la minacciava...» Se, al posto di guardare la cupola del Vaticano, avessero dato un'occhiata giù in strada, avrebbero potuto scorgere un giovane che fumava pigramente all'interno di un portone, al riparo dal freddo dicembrino. Come qualsiasi altro passante, indossava pantaloni pesanti e un giaccone imbottito. Non distoglieva il suo sguardo nero dal terzo piano dell'edificio di via Aurelia.
48 In tarda serata, lo studio di Riedinger era il solo a essere illuminato nell'immobile della Congregazione. Fece entrare Calfo, e gli si rivolse con tono autoritario: «Monsignore,» il cardinale teneva in mano un foglio
«nel pomeriggio ho finalmente ricevuto il secondo rapporto di Leeland. Si prende gioco di noi. A quanto sostiene, lui e padre Nil oggi hanno parlato soltanto di canti gregoriani. Ora, voi mi dite che sono rimasti chiusi nell'appartamento della via Aurelia per l'intera mattinata?». «Fino alle quattordici, Eminenza, poi il francese è uscito per fare ritorno a San Girolamo, dove si è isolato nella sua stanza. Le mie informazioni sono assolutamente sicure.» «Non voglio conoscerne la fonte. Arrangiatevi per sapere cosa si dicono nell'appartamento di Leeland. Dobbiamo sapere cosa passa nella testa di quel francese. Sono stato chiaro?» La mattina seguente, un turista sembrava interessarsi da vicino ai capitelli scolpiti del teatro Marcello, che delimitavano l'area del mercato dei buoi dell'antica Roma, il Foro Boario. Non lontano, il tempio della Fortuna virile innalza le sue rigide colonne sormontate da un glande corinzio, che ricorda al visitatore informato a cosa era dedicato. Accanto, un tempietto circolare era consacrato alle vestali, le antiche sacerdotesse che mantenevano vivo il fuoco sacro, offrendo la loro castità eterna alle divinità dell'urbe. Passando davanti a quei due edifici, il turista aveva sorriso: "La fortuna virile, e la castità eterna. L'Eros divinizzato accanto alla divina purezza; i romani avevano già capito tutto". I pantaloni non riuscivano a camuffare il suo eloquente posteriore, e se teneva la mano destra infilata nella tasca della giacca di daino, era per nascondere il bellissimo diaspro che portava all'anulare. Mai, per nessun motivo, si sarebbe separato da quel prezioso gioiello.
Fu raggiunto da un uomo che teneva visibilmente in mano una grande guida turistica di Roma. «Salam aleikoum, monsignore!» «We aleikoum salam, Moktar. Ecco quanto convenuto per il trasporto della lastra di Germigny. Bel lavoro.» Dalla tasca spuntò una busta, che passò di mano. Moktar Al-Qoraysh la tastò rapidamente senza aprirla, in cambio offrì un sorriso al suo interlocutore. «Sono andato a ispezionare l'edificio della via Aurelia». Non c'è nessun appartamento in affitto. In compenso, vendono uno studio al secondo piano, proprio sotto quello dell'americano.» «Quanto?» All'annuncio della cifra, Calfo fece una smorfia: presto, forse, la Società San Pio V non sarebbe più stata costretta a fare di conto. Aprì la giacca, e tirò fuori dalla tasca interna un'altra busta, più grande e più spessa. «Vai senza perdere tempo, concludi subito l'affare e fatti consegnare le chiavi. Questo pomeriggio, Leeland sarà trattenuto alla Congregazione. Avrai tre ore per fare il necessario.» «Monsignore! In un'ora, i microfoni saranno installati.» «Il tuo nemico prediletto è tornato in Israele?» «Subito dopo il nostro viaggetto. Prepara una tournée internazionale che comincia con una serie di concerti, qui, a Roma, in occasione del Natale.» «Perfetto, meravigliosa copertura. Forse dovrai ancora rivolgerti a lui.» Moktar gli lanciò uno sguardo malizioso. «E Sonia, la trova soddisfacente?» Calfo controllò la stizza. Rispose seccamente: «Sì lo è, grazie. Non perdiamo altro tempo, mah salam»,
I due uomini si separarono con un cenno del capo. Moktar attraversò il Tevere al ponte dell'Isola, mentre Calfo tagliò da piazza Navona. "Il cristianesimo non poteva nascere che a Roma" pensò contemplando le sculture del Bernini e del Brunelleschi, opposte in un drammatico confronto. "Il deserto conduce all'inesprimibile, ma per esprimersi nell'incarnazione, Dio ha bisogno dei fremiti della carne."
49 Qumran, 68 d.C. Nuvole scure si addensavano sul Mar Morto. In quella conca, le nubi non sono mai foriere di pioggia, ma di catastrofi. Iokhanan fece segno al compagno di proseguire. In silenzio, si avvicinarono al muro di cinta. Una voce gutturale li inchiodò sul posto: «Chi va là?». «Béné Israel! Ebrei.» L'uomo che li aveva fermati li guardò con sospetto. «Come siete giunti sin qui?» «Abbiamo valicato la montagna, quindi attraversato le piantagioni di Ein Feshka. È il solo accesso possibile. I legionari accerchiano Qumran.» L'uomo sputò per terra. «Figli delle tenebre! Che siete venuti a fare qui, a cercare la morte?» «Arrivo da Gerusalemme, dobbiamo vedere Shimon Ben-Yair. Mi conosce. Accompagnaci.» Si arrampicarono sul muro di cinta, ma giunti in
cima si fermarono, sconcertati. Ciò che un tempo era stato un tranquillo luogo di preghiera e di studio era ridotto a un gigantesco caravanserraglio. Uomini affilavano armi insignificanti, bambini correvano urlando, feriti gemevano per terra. Iokhanan era venuto qui, un tempo, per accompagnare il padre adottivo che amava ritrovarvi gli amici esseni. Nella penombra crescente si arrestò, indeciso, davanti a un gruppo di uomini anziani seduti contro il muro dello scriptorium, dove spesso aveva trascorso ore a osservare gli scribi tracciare, su pergamene, i caratteri ebraici. La sentinella si avvicinò e sussurrò qualcosa all'orecchio di uno dei vecchi. Con vivacità, quest'ultimo si alzò e allargò le braccia. «Iokhanan! Non mi riconosci? È vero, sono invecchiato di un secolo in un mese. Chi ti accompagna? I miei occhi sono infetti, sono quasi cieco.» «Ma sì, ti riconosco, Shimon! Lui è Adon, il figlio di Eliezer Ben-Akkai.» «Adon! Vieni qui che ti abbraccio... Ma, dimmi, dov'è Osias?» Il compagno di Iokhanan chinò il capo. «Mio fratello è morto nella piana di Ashkelon, ucciso da una freccia romana. Io stesso sono sfuggito per miracolo alla V legione. I suoi legionari sono pressoché invincibili.» «Saranno vinti, Adon. Sono i figli delle tenebre. Ma noi moriremo prima di loro, Qumran è matura per il raccolto. Vespasiano ha ripreso il comando della V legione Fretense che ci sta accerchiando. Vuole attaccare Gerusalemme da sud. Per l'intera giornata, abbiamo seguito i loro preparativi. Noi non disponiamo di arcieri. Si stanno muovendo sotto i nostri occhi. È per stanotte.»
Iokhanan contemplò in silenzio lo spettacolo straziante di quegli uomini che la storia colpiva senza possibilità di scampo. Riprese la parola: «Shimon, hai visto il mio abbou? Ho impiegato più di tre mesi ad attraversare il paese. Nessuna notizia di lui, né dei suoi discepoli. Ho trovato Pella totalmente abbandonata». Con gli occhi offuscati, Shimon contemplò il cielo. Il fulgore del sole del tramonto traspariva dal velario di nubi. "Uno spettacolo di suggestiva bellezza, assai simile al mattino della creazione! Nondimeno, questo crepuscolo segna la fine del nostro mondo." «Durante la sua fuga, è passato di qui. Aveva con lui almeno cinquecento nazoreni, uomini, donne e bambini. Voleva mandarli in Arabia, fino alle rive del Mare Interno, Ha ragione: qui, se sfuggiranno ai romani, saranno perseguitati dai cristiani, che li odiano. I nostri uomini li hanno accompagnati sino al limite del deserto di Edom.» «Mio padre li ha seguiti?» «No, si è fermato a Beer-Sheba e li ha lasciati proseguire verso sud. Abbiamo una piccola comunità di esseni nel deserto di Idumea. Ti aspetta là. Ma sarai in grado di arrivare fin là? Sei appena entrato in una rete, le cui maglie stringono i figli della luce. Vuoi vivere il Giorno con noi, ed entrare nel suo chiarore, questa stessa notte?» Iokhanan si allontanò, e scambiò qualche parola con Adon. «Shimon, devo raggiungere mio padre. Tenteremo di fuggire. Ma prima, ho una consegna sacra da mettere al sicuro. Aiutami, te ne prego.» Si avvicinò al vecchio, e gli parlò all'orecchio. Shimon ascoltò attentamente, poi annuì. «Tutti i nostri rotoli sacri sono stati nascosti in
grotte inaccessibili, quando ancora non si conosceva la montagna. Uno dei nostri uomini ti accompagnerà, ma non potrà salire con voi. Ascolta...» Dal campo romano giungevano squilli di trombe. "Suonano l'assalto!" Shimon diede un ordine secco alla sentinella. Senza una parola, l'uomo fece segno a Iokhanan e Adon di seguirlo, mentre una prima pioggia di frecce si abbatté sugli esseni, provocando grida di donne e bambini terrorizzati. Risalirono il flusso di uomini stremati che si precipitavano verso il muro orientale, e varcarono la porta di fronte alla montagna. La fine di Qumran stava per avere inizio. Con gesto automatico, Iokhanan infilò la mano nella cintura. La canna di bambù, quella che suo padre gli aveva dato a Pella, era sempre là. Khirbet Qumran è addossata a un alto dirupo, gli edifici sono stati costruiti su una piana che domina il Mar Morto. Un sistema complesso di canali a cielo aperto convoglia l'acqua fino alla piscina centrale, dove gli esseni praticavano i loro riti battisti. Iokhanan e Adon, preceduti dalla guida, seguirono prima il tracciato dei canali. Ricurvi, a piccoli balzi saltavano al riparo degli alberi. Il tumulto di una battaglia feroce giungeva, vicinissimo, dietro di loro. Ansimante, Iokhanan fece un segno per chiedere una pausa. Non era più giovane. Levò lo sguardo. Davanti a loro, il dirupo sembrava offrire una parete nuda, a picco su un precipizio impressionante. Ma, osservando attentamente, vide che era costituita di enormi concrezioni rocciose che disegnavano un groviglio complesso di sentieri e piccoli canali sospesi sul vuoto. Qua e là, si scorgevano macchie nere. Le grotte. È là che gli esseni avevano trasportato tutta la loro
biblioteca. Come avevano fatto? Sembrava un luogo inaccessibile! Sulla cima del dirupo, distinse le braccia mobili delle catapulte romane, che iniziavano la loro oscillazione mortale in direzione del campo. Una linea di arcieri, disposta lungo un centinaio di metri, scoccava i loro dardi con una cadenza terrificante. Il cuore stretto in una morsa, Iokhanan non si voltò per guardare indietro. La guida mostrò loro la via d'accesso verso una delle grotte. «I nostri rotoli più importanti sono là. Io stesso vi ho sistemato il Manuale di Disciplina della nostra comunità. Lungo il muro di sinistra, la terza giara a partire dall'entrata. È grande. Potrai metterci la tua pergamena. Che Dio vi protegga! Il mio posto è laggiù. Shalom!» Mantenendo la posizione ricurva, ripartì correndo nella direzione opposta. Voleva vivere il Giorno con i suoi fratelli. Proseguirono. Rimasero allo scoperto per ancora ottocento metri. Continuando a costeggiare la linea degli alberi lungo i canali, saltavano dall'uno all'altro. La borsa a tracolla batteva loro sui fianchi, ostacolando i movimenti. Improvvisamente, una gittata di frecce si abbatté tutto attorno. «Adon, là in alto, ci hanno visti. Corriamo fino ai piedi del dirupo!» Ma quelle due ombre, senza armi e che andavano in senso contrario alla battaglia, cessarono presto d'interessare gli arcieri romani. Trafelati, giunsero finalmente all'approssimativa salvezza del dirupo. Adesso dovevano salire. Tra i mucchi rocciosi, scoprirono delle piste
tracciate dalle capre. Quando giunsero alla grotta stava calando la sera. «Presto, Adon. Non ci restano che pochi minuti di luce!» L'accesso alla grotta era tanto angusto che furono costretti a penetrarvi facendo passare per primi i piedi. Curiosamente, l'interno appariva più luminoso dell'esterno. Senza una parola, i due uomini tastarono il suolo sul lato sinistro. Parecchi coni affioravano dalla sabbia. Giare di terracotta, interrate per metà, erano chiuse con coperchi a forma di ciotola. Aiutato da Adon, Iokhanan aprì con cautela la terza giara a partire dall'entrata. All'interno, un rotolo avvolto in pezzuole imbevute di catrame riempiva lo spazio per metà. Con rispetto, aprì la canna vuota che aveva tolto dalla cintura, chiusa con una cordicella di lino. La infilò nella giara, in modo che non si incollasse al catrame del rotolo. Infine rimise il coperchio e ricoprì la giara di sabbia fino all'altezza del collo. «Ecco. Abbou, ora possiamo morire. La tua epistola è al sicuro. Se anche i cristiani facessero sparire tutte le copie che mi sono premurato di far trascrivere, qui sarà conservato l'originale.» Dall'entrata della grotta, videro Qumran, dove l'incendio degli edifici lasciava indovinare una scena d'orrore. Metodicamente, i legionari avanzavano verso il muro di cinta, lo varcavano e rastrellavano tutto lo spazio interno. Si lasciavano dietro una scia di cadaveri: uomini, donne, bambini sgozzati. Gli esseni avevano capitolato. Attorno alla piscina centrale, scorsero una massa confusa, in ginocchio. In mezzo, un uomo in abito bianco levava le braccia al cielo. "Shimon! Che domanda all'eterno di accogliere i figli della luce! " Si voltò verso Adon.
«Tu e tuo fratello avete trasportato il corpo di Gesù fino al luogo in cui riposa. Osias è morto. Ormai sei il solo a sapere dove si trova il sepolcro, oltre al mio abbou. La sua epistola qui è al sicuro. Se Dio reclama la nostra vita, significa che abbiamo compiuto ciò che dovevamo compiere.» L'oscurità inondò la conca del Mar Morto. Qumran era sorvegliata da ogni parte. L'unica via possibile era la vicina oasi di Ein Feshka, da dove erano giunti. Al loro arrivo, videro un gruppo armato di torce che avanzava verso di loro. Qualcuno gridò, in pessimo ebraico: «Alt! Chi siete?». Si misero a correre, e una gittata di frecce tentò di colpirli. Cercando il riparo dei primi oliveti, Iokhanan fuggiva con tutte le sue forze, la borsa a tracolla che picchiava sul fianco, quando udì un grido sordo proprio dietro di lui. «Adon! Sei stato colpito?» Tornò indietro, si chinò sul compagno. Una freccia romana gli si era conficcata tra le scapole. Ebbe la forza di mormorare: «Fuggi, fratello! Fuggi, e che Gesù sia con te!». Rifugiatosi in un bosco di olivi, Iokhanan vide da lontano i legionari finire a colpi di gladio il secondo figlio di Eliezer Ben-Akkai. Un solo uomo, ormai, sapeva dove si trovava il sepolcro di Gesù.
50
Nil camminava con passo allegro. Un sole radioso si
intrufolava tra le alte mura che fiancheggiavano la via Salaria. Aveva trascorso la giornata precedente chiuso nella sua stanza, e condiviso i pasti dei monaci senza assistere ai loro rari offici liturgici, espletati in modo alquanto sbrigativo. Dovette sopportare le chiacchiere inesauribili di padre Giovanni solo al momento del caffè, preso nel chiostro. «Tutti, qui, abbiamo conosciuto i tempi gloriosi del San Girolamo, quando si sperava di offrire al mondo una nuova versione della Bibbia in latino. Dopo che la modernità ci ha condannati, lavoriamo sul nulla e la biblioteca versa in uno stato di totale abbandono.» "Non solo siete condannati dalla modernità, ma forse anche dalla verità" pensò Nil, inghiottendo una brodaglia scura che per Roma, la città dove si gusta il migliore caffè al mondo, era un insulto. Ma quel mattino si sentiva leggero e quasi dimenticò l'ambiente opprimente nel quale si era imbattuto dal suo arrivo. Quella mancanza di fiducia di tutti verso tutto e la confidenza di Leeland: «La mia vita è finita. Hanno distrutto la mia vita». Aveva lottato con l'iscrizione della lastra, l'aveva rigirata in ogni senso. Sul punto di arrendersi, aveva avuto l'idea di confrontare il testo misterioso con il manoscritto copto: un'intuizione geniale. Allo spuntar della notte, una delle due frasi gli aveva permesso di giungere a una conclusione. Andrei ci aveva visto giusto. Occorreva mettere tutto in prospettiva. Avvicinare degli elementi disparati, ogni scritto a un'epoca differente: I secolo per il vangelo, II secolo per il manoscritto, VIII per Germigny. Cominciava a intravedere un filo conduttore. Non abbandonare quel filo. "La verità, Nil. È per la verità che siamo entrati al monastero." E la verità avrebbe vendicato Andrei.
Quando entrò nello studio della via Aurelia, Leeland suonava uno Studio di Chopin e lo accolse con un sorriso. Nil dubitò che fosse lo stesso uomo che, due giorni prima, gli aveva fatto intravedere un abisso di disperazione. «Durante i miei anni a Gerusalemme, ho passato molto tempo accanto ad Arthur Rubinstein, che trascorreva i suoi ultimi giorni laggiù. Eravamo una decina di studenti, alcuni israeliani, altri stranieri, a riunirci a casa sua. Ho avuto il privilegio di vederlo lavorare a questo Studio... Dunque, sei riuscito a risolvere il rebus?» Nil fece segno a Leeland di sedersi accanto a lui. «Tutto si è chiarito quando ho avuto l'idea di numerare una a una le righe dell'iscrizione. Ecco ciò che ho ricavato: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17
αcredo in deum patrem om nipotentem creatorem cel i et terrae et in iesum c ristum filium ejus unicu m dominum nostrum qui co nceptus est de spiritu s aneto natus ex maria vir gine passus sub pontio p flato crucifixus mortuus et sepultus descendit a d inferos tertia die res urrexit a mortuis ascend it in ccelos sedet ad dex teram dei patris omnipot entis inde venturus est iudicare vivos et mortuo s credo in spiritum sane
18 19 20 21 22
tum sanctam ecclesiam ca tholicam sanctorum commu nionem remissionem pecca torum carnis resurrectio nem vitam eternam amen.ω
«Ventidue righe...» mormorò Leeland. «Esattamente ventidue. Allora mi sono rifatto la prima domanda: perché sono state aggiunte un'alfa e un omega all'inizio e alla fine del testo?» «Me lo hai già detto. Per incidere nel marmo un nuovo ordine del mondo, immutabile, eterno.» «Sì, ma ho potuto spingermi molto più in là. Ogni riga a sé non ha alcun significato, ma contandone il numero di battute - vale a dire le lettere e gli spazi - mi sono accorto che ciascuna ha la stessa lunghezza. Per l'esattezza ventiquattro battute. Prima conclusione: questo è un codice numerico, ossia basato sulla simbologia dei numeri, una fissazione molto diffusa nell'antichità e all'inizio del Medioevo.» «Un codice numerico? Che cos'è?» «Sai che 12 e 12 fanno 24?» Leeland fece un fischio. «Mi inchino davanti al tuo genio. Un'intera giornata per arrivare a questo risultato!» «Non scherzare, avvicinati. La base numerica di questo codice è la cifra 12, che simbolizza nella Bibbia la perfezione del popolo eletto: dodici figli di Abramo, dodici tribù di Israele, dodici apostoli. Se dodici rappresenta la perfezione, due volte dodici significa l'assoluto di questa perfezione. Nell'Apocalisse, per esempio, Dio in maestà appare circondato da ventiquattro Seniori: due volte dodici. Ogni riga dell'iscrizione contiene due volte dodici battute: ciascuna è dunque assolutamente perfetta. Ma
mancano due lettere per poter ottenere le righe regolari di ventiquattro battute. Per arrivare a questo risultato, è stata aggiunta all'inizio la lettera alfa e alla fine la lettera omega. Si prendevano così due piccioni con una fava, poiché nello stesso tempo si introduceva una chiara allusione all'Apocalisse di Giovanni: "Io sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine". Con il suo codice, il testo instaura un mondo nuovo, immutabile. Mi segui?» «Fin qui, sì.» «Se due volte dodici rappresenta la perfezione assoluta, il quadrato di questa perfezione, ossia 24 volte 24, è la perfezione eterna: nell'Apocalisse, le mura della Gerusalemme celeste - la città eterna misurano centoquarantaquattro cubiti, che è un quadrato di dodici. Perché rappresenti la perfezione eterna secondo il suo codice particolare, sarebbe necessario che il Credo fosse disposto in ventiquattro righe di ventiquattro battute ciascuna: un quadrato perfetto. D'accordo?» «Ma ci sono solo ventidue righe!» «Esattamente, mancano due righe per formare il quadrato perfetto. Ora si dà il caso che il testo adottato al concilio di Nicea contenga dodici professioni di fede. Un'antichissima leggenda riporta che la sera dell'ultima cena consumata nella sala alta, ciascuno dei dodici apostoli avesse messo per iscritto una di queste professioni di fede. Era per garantire, in modo alquanto ingenuo, l'origine apostolica del Credo. Dodici apostoli, dodici professioni di fede, in dodici frasi ripartite ciascuna su due righe di ventiquattro battute: nel linguaggio rigoroso di un codice numerico, si sarebbe dovuto ottenere un quadrato perfetto, ventiquattro righe di ventiquattro battute. E come vedi, ci sono solo ventidue righe. Il quadrato non è
perfetto. Manca un apostolo!» «Dove vuoi arrivare?» «Nella sala alta, la sera dell'ultima cena, sono in dodici con Gesù, più l'ospite prestigioso, il discepolo beneamato. Tredici uomini per testimoniare. Nel bel mezzo del pasto, Giuda lascia il luogo della cena per andare a predisporre l'arresto del suo Maestro: dodici uomini restano sul posto. Ma uno di quei dodici è colui che in seguito sarà ferocemente eliminato da tutti i testi, e dalla memoria. Colui che non può essere contato tra gli apostoli, poiché questi ultimi vogliono fondare la Chiesa unicamente sulla loro testimonianza. Dunque, il discepolo beneamato doveva essere escluso a ogni costo, affinché non dovesse mai essere considerato uno dei Dodici. Ripartire il testo su ventiquattro righe sarebbe stato come ammettere che anche quel personaggio quella sera aveva redatto una delle dodici professioni di fede del Credo. Significava autenticare la sua testimonianza, similmente a quella degli altri apostoli. La doppia riga mancante, Rembert, è il posto vuoto di colui che era sdraiato accanto al suo Maestro la sera del giovedì 6 aprile dell'anno 30, ma che è stato allontanato dal gruppo dei Dodici all'epoca della fondazione della Chiesa. ω la confessione implicita che accanto a Gesù, c'era un tredicesimo apostolo!» Nil aprì il suo incartamento e ne estrasse la fotocopia del manoscritto che porse a Leeland. «Ecco la mia traduzione della prima frase, La regola di fede dei dodici apostoli contiene il germe della sua distruzione. Vale a dire che se il discepolo beneamato avesse aggiunto la sua testimonianza a quella degli undici apostoli, se ci fossero state ventiquattro righe al posto di ventidue, il Credo rischiava di essere distrutto
e la Chiesa che si fonda su di esso, annientata. Questa iscrizione incide nel marmo, nell'VIII secolo, l'eliminazione di un uomo: il tredicesimo apostolo. Nel corso dei secoli, molti altri si sono opposti alla divinizzazione di Gesù, ma nessuno è mai stato perseguitato da un odio tanto prolungato. Dunque, in lui vi è qualcosa di particolarmente pericoloso, e mi domando se Andrei non è morto perché aveva scoperto quel qualcosa.» Leeland si alzò e suonò qualche accordo al piano. «Pensi che il testo del Credo sia stato codificato sin dall'origine?» «Evidentemente no. Il concilio di Nicea si è tenuto nel 325, sotto la sorveglianza dell'imperatore Costantino, che esigeva che la divinità di Gesù fosse definitivamente imposta a tutta la Chiesa. Bisognava vincere l'arianesimo, che rifiutava la divinizzazione e metteva a repentaglio l'unità dell'impero. Abbiamo molti resoconti delle discussioni: niente indica che l'elaborazione del Simbolo, che riprende d'altronde un testo più antico, non si sia attenuta a considerazioni puramente di ordine politico. No, è molto più tardi, agli inizi di un Medioevo pervaso di misticismo, che si è sentito il bisogno di codificare quel testo, e di inciderlo su una lastra messa in evidenza in una chiesa imperiale. Lo scopo era di riaffermare, molto tempo dopo ma una volta di più, l'eliminazione di un testimone giudicato estremamente pericoloso.» «E credi davvero che i villici incolti della valle della Loira, quando entravano nella chiesa di Germigny, potessero comprendere il senso dell'iscrizione che avevano sotto gli occhi?» «Certamente no. I codici numerici sono sempre molto complessi e sono accessibili unicamente a
qualche raro iniziato, che sa già cosa contiene il codice. Non sono fatti, come i capitelli delle nostre chiese romaniche, per insegnare al popolo, ma per una minoranza che gode della conoscenza iniziatica. No, questa lastra è stata incisa dal potere imperiale per ricordare all'élite che condivideva una parte di quel potere - in particolare i vescovi - quale fosse la sua missione: mantenere per l'eternità, alfa e omega, la credenza nella divinità di Gesù affermata dal Credo, quella che fonda la Chiesa, principale baluardo dell'autorità imperiale. «È stupefacente!» «Ciò che è stupefacente, è che a partire dalla fine del I secolo sembra che sia stata messa in atto una specie di congiura per nascondere un segreto legato al tredicesimo apostolo. Congiura che riappare periodicamente. Se ne ha testimonianza nel III secolo nel manoscritto copto, una seconda nell'VIII secolo nell'iscrizione di Germigny, e chissà quante altre volte ancora. Il mio lavoro non è ancora finito e riguarda un segreto custodito dalle alte sfere religiose, che percorrono la storia dell'Occidente e che, dopo Andrei, riuscirò a scoprire. Di una cosa soltanto sono certo. Quel segreto potrebbe rimettere in discussione l'essenza della fede difesa dalla gerarchia della Chiesa.» Leeland tacque di botto, come un animale ferito che si rifugia nella tana. È la sua vita che quella gerarchia aveva rimesso in discussione. Si alzò e infilò il cappotto. «Andiamo in Vaticano. Siamo in ritardo... Cosa conti di fare?» «Da domani, mi sistemo davanti al tuo computer e mi metto a navigare su Internet. Sono alla ricerca delle due opere dei padri della Chiesa, identificati soltanto
tramite la segnatura Dewey, e che si trovano in fondo a una biblioteca, da qualche parte nel mondo.» Al secondo piano, Moktar aveva ascoltato l'intera conversazione. Il cartello "Vendesi" era stato ritirato dalla porta dello studio e la sera prima aveva avuto il tempo di sistemarsi. Su un tavolo di legno bianco era disposto del materiale elettronico, i cui fili erano sparsi un po' ovunque. Uno di quei fili attraversava il soffitto e finiva con estrema precisione sotto uno dei piedi del piano a mezza coda. Un microfono grande come una lenticchia era nascosto in una delle cerniere. Per vederlo sarebbe stato necessario smontare completamente il piano. I registratori collegati a quel filo erano stati messi in funzione dall'arrivo di Nil. Cuffie alle orecchie, non aveva perso una sola parola della conversazione, ma non ci aveva capito un granché. Niente in ogni caso che riguardasse la sua vera missione. Ritirò la bobina del secondo registratore: quella sarebbe andata al Vaticano e l'avrebbe fatta pagare a Calfo. La prima era destinata all'università Al-Azhar del Cairo.
51 «Fratelli miei...» Era la prima riunione della Società San Pio V dopo l'ammissione del nuovo fratello. Modestamente, Antonio occupava il posto del dodicesimo apostolo all'estremità del tavolo. «Fratelli miei, sono in grado di svelarvi una delle prove del segreto che abbiamo la missione di
proteggere: recentemente riportata alla luce, da poco è in nostro possesso. Voglio parlare dell'iscrizione posta dall'imperatore Carlo Magno nella chiesa di Germigny, e il cui senso nascosto poteva essere compreso solo da qualche raro erudito. Ho la gioia di sottoporla ora alla vostra devozione. Secondo e terzo apostolo, vi prego...» Due fratelli si alzarono e si disposero davanti al crocifisso, a destra e a sinistra del rettore. Costui tolse il chiodo che trafiggeva i piedi del Maestro. I suoi due accoliti fecero altrettanto con i chiodi di ciascuna mano. A un cenno del capo, ciascuno fece girare il suo chiodo in base a un numero. Si udì un clic: il pannello di mogano cominciò a scorrere lasciando apparire una rientranza, nella quale erano disposti tre ripiani. Quello in basso, a livello del pavimento, conteneva una lastra di pietra. «Fratelli miei, potete avvicinarvi per la venerazione.» Gli apostoli si alzarono e a turno andarono a inginocchiarsi davanti alla lastra. Era stata completamente ripulita dell'intonaco che la ricopriva. Il testo del Credo di Nicea era perfettamente leggibile, ripartito su ventidue righe di uguale lunghezza e incorniciato da due lettere greche. Ogni fratello fece un profondo inchino, sollevò il velo e pose le labbra sull'alfa e l'omega, quindi sull'anello episcopale del rettore, rimasto in piedi sotto il crocifisso. Antonio era molto emozionato quando arrivò il suo turno. Era la prima volta che vedeva quel nascondiglio aperto: all'interno si trovavano due prove materiali del segreto, la custodia delle quali già di per sé bastava a giustificare l'esistenza della Società dei Dodici. Sopra la lastra, sul ripiano centrale, un prezioso cofanetto in legno mandava deboli bagliori. Il tesoro dei Templari! Sarebbe stato offerto presto alla venerazione dei fratelli, il successivo venerdì 13.
Il ripiano superiore era vuoto. Rialzandosi, anch'egli pose le labbra sull'anello del rettore. Cosparso di pagliuzze rosso scuro, il diaspro verde, a forma di losanga oblunga, era incastonato in una montatura d'argento cesellata, che gli conferiva la forma di una bara in miniatura. L'anello di papa Ghislieri! Con il batticuore, riprese il suo posto nel dodicesimo sedile, mentre il rettore accostava il pannello di mogano, che si chiuse automaticamente con il medesimo clic. «Fratelli miei, il ripiano superiore di questa cassaforte sarà destinato un giorno al più prezioso di tutti i tesori, in confronto al quale quelli qui conservati non sono che l'ombra o il riflesso. Siamo quasi certi che questo tesoro esista, ma ancora ignoriamo dove si trovi. La missione in corso forse ci consentirà di trovarlo, per metterlo al sicuro. Allora avremo veramente i mezzi per compiere ciò per cui abbiamo votato la nostra vita al signore: la protezione dell'identità del Cristo resuscitato. «Amen!» La gioia illuminava lo sguardo degli Undici, mentre il loro rettore riprendeva posto sul lato destro del trono centrale rivestito di velluto rosso. «Ho revocato al dodicesimo apostolo l'incarico di ascoltare le conversazioni dei due monaci. Quella sorveglianza necessita di tempo e di una costante presenza che lo avrebbero immobilizzato inutilmente. Il mio agente palestinese se ne è incaricato. Sarò presto in grado di mettervi al corrente del contenuto delle prime registrazioni, che sto analizzando. Il dodicesimo apostolo sorveglierà discretamente il fondo del Vaticano. Padre Breczinsky non lo conosce ancora e questo faciliterà le cose. Per il momento mantengo il totale controllo delle informazioni che riceve il
cardinale. Quanto al Santo Padre, continuiamo a tenerlo totalmente all'oscuro di questa preoccupazione, troppo gravosa per lui.» Gli Undici annuirono con il capo in segno di approvazione. Quella missione doveva essere condotta con estrema precisione e cautela. E non si può certo dire che il rettore non sapesse dar prova di efficienza.
52
Deserto d'Idumea, 70 d.C. «Hai dormito, abbou?» «Da quando sono giunto in questo deserto, nell'attesa del tuo ritorno ho vigilato sulla mia vita, che come una fiamma ormai vacilla. Adesso che ti ho rivisto, posso abbandonarmi a un altro sonno... e tu?» Il braccio sinistro di Iokhanan penzolava, inerte, e profonde cicatrici gli solcavano il torso nudo. Guardò con inquietudine il vecchio, il viso del quale era scavato dalla malattia. Senza rispondergli, faticosamente gli si sedette accanto. «Dopo aver finito Adon, i legionari mi hanno raggiunto nell'oasi di Ein Feshka e, credendomi morto, mi hanno lasciato sul posto. Alcuni esseni in fuga, che erano riusciti a sottrarsi alla presa di Qumran e al massacro che ne è seguito, mi hanno caricato in spalla. Ero privo di conoscenza, ma vivo. Per mesi, mi hanno curato nella comunità del deserto di Giudea dove avevano trovato rifugio. Dal momento in cui sono
stato in grado di rimettermi in cammino, li ho supplicati di accompagnarmi qui per ritrovarti. Non immagini ciò che è stata la mia peregrinazione attraverso il deserto.» Il tredicesimo apostolo era disteso su di una semplice stuoia, davanti all'apertura di una grotta. Percorse con lo sguardo la gola profonda che si apriva sotto i suoi occhi, scavata dall'erosione nelle rocce rosse e ocra. In lontananza, si scorgeva la catena montuosa che termina nell'Horeb*, dove Dio un tempo consegnò la Legge a Mosè. «Gli esseni... senza di essi Gesù non sarebbe vissuto nel deserto quei quaranta giorni di solitudine che lo hanno profondamente trasformato. Senza di essi, non l'avrei incontrato presso Giovanni Battista e non avrei conosciuto Nicodemo, Lazzaro, i miei amici di Gerusalemme. E in una delle giare delle loro grotte che ho depositato la mia epistola, a Qumran... dobbiamo loro tanto!» «Più di quanto immagini. Nel deserto di Giudea continuano a copiare diversi manoscritti. Prima che li lasciassi, mi hanno dato questo» depose accanto alla stuoia un fascio di pergamene. «È il tuo vangelo, padre, come circola ora in tutto l'impero romano. Te l'ho portato, affinché tu possa leggerlo.» Il vecchio alzò una mano. Sembrava centellinare ogni gesto. «La lettura ormai mi stanca. Leggilo tu per me.» «Il loro testo è molto più lungo di quanto non fosse il tuo racconto. Non correggono più, inventano. Come me l'hai descritto tu, Gesù si esprimeva in ebraico, per degli ebrei...» Un po' di colore riaffiorò sulle gote del tredicesimo * Monte Sinai.
apostolo. Chiuse gli occhi, come se rivivesse scene profondamente impresse nella memoria. «Ascoltare Gesù, era ascoltare il rumore del vento sulle colline di Galilea, vedere le spighe piegate prima della mietitura, le nuvole che navigano nel cielo sopra la nostra terra d'Israele. Quando Gesù parlava, Iokhanan, era il suonatore di flauto sulla piazza del mercato, il mezzadro con gli operai, gli invitati all'entrata del banchetto di nozze, la fidanzata adorna per il futuro sposo. Vi era tutta Israele nella sua carne, le sue gioie e le sue pene, la bionda dolcezza della sera sulla sponda del lago. Era una musica che affiorava dalla nostra argillosa terra natale, che ci elevava verso il suo e il nostro Dio. Ascoltare Gesù era ricevere, come un'acqua cristallina, la tenerezza dei profeti avvolti dal misterioso canto dei salmi. Oh sì! Era un ebreo che parlava agli ebrei!» «A quel Gesù che hai conosciuto, ora attribuiscono lunghi discorsi alla moda dei filosofi gnostici. E fanno di lui il Logos, il Verbo eterno. Dicono che "tutto fu da lui, e senza di lui niente fu". «Fermati!» Dagli occhi chiusi, due lacrime sgorgarono e discesero lentamente lungo le guance scavate, divorate dalla barba. «Il Logos! Il divino anonimo dei filosofi da strapazzo, che fingono di avere letto Platone e arringano folle indolenti per farle cadere nelle loro tasche insieme a qualche moneta d'argento! Già, i greci avevano trasformato in dio il fabbro Vulcano, in dea la prostituta Venere, in dio un marito geloso e ancora in dio un nocchiero. Oh, come è facile, un dio dal volto umano! E soprattutto, come piace al pubblico! Divinizzando Gesù, ci restituiscono alle tenebre del
paganesimo, dalle quali Mosè ci aveva sottratto.» Piangeva sommessamente. Dopo un istante di silenzio, Iokhanan riprese: «Alcuni tuoi discepoli hanno abbracciato la Chiesa nuova, ma altri sono rimasti fedeli a Gesù il nazoreno. Vengono scacciati dalle assemblee cristiane, perseguitati, e qualcuno è stato ucciso». «Gesù ci aveva avvisati: "Sarete scacciati dalle assemblee, sottoposti a tormenti e consegnati alla morte..." Hai notizie dei nazoreni che ho dovuto abbandonare per rifugiarmi qui?» «Ho avuto informazioni dai carovanieri. Dopo aver lasciato Pella con te, hanno proseguito il loro esodo fino a un'oasi della penisola araba, che credo si chiami Bakka, una tappa sulla strada commerciale dello Yemen. I beduini che la abitano adorano delle pietre sacre, ma si dicono figli di Abramo come noi. Un seme nazoreno è ora piantato in terra d'Arabia!» «Bene, saranno al sicuro. E Gerusalemme?» «È assediata da Tito, il figlio dell'imperatore Vespasiano. Resiste ancora, ma per quanto tempo...» «Il tuo posto è laggiù, figlio mio. La mia strada termina qui. Fai ritorno a Gerusalemme, va a difendere la nostra casa del quartiere ovest. Possiedi una copia della mia epistola, diffondila. Chissà, forse ti ascolteranno. In ogni caso, non potranno trasformarla, come hanno fatto con il mio vangelo.» Il vecchio morì due giorni dopo. Attese l'alba un'ultima volta. Quando le fiamme del sole lo avvilupparono pronunciò il nome di Gesù, e cessò di respirare. In fondo alla vallata del deserto d'Idumea, un sarcofago di pietra semplicemente deposto sulla sabbia segnalava ormai la tomba di colui che si era
detto il discepolo beneamato di Gesù il nazoreno, il tredicesimo apostolo, suo intimo e migliore testimone. Con lui, spariva anche la memoria di una tomba simile, situata da qualche parte nel deserto. E che ancora oggi, contiene i resti di un Giusto, ingiustamente crocifisso dall'ambizione degli uomini. Iokhanan trascorse l'intera notte seduto all'imbocco della vallata. Quando, nel cielo opalescente, non vide brillare altro che la stella sentinella, si alzò e partì per il Nord, accompagnato da due esseni. 53 «È la prima volta che identifico con tanta chiarezza l'influenza diretta di una melodia rabbinica su un canto medievale!» Chini da ore sul tavolo di vetro del fondo, avevano appena comparato, parola per parola, un manoscritto di canto gregoriano e un manoscritto di musica sinagogale, entrambi anteriori all'XI secolo e composti a partire dallo stesso testo biblico. Leeland si voltò verso Nil. «Il canto della sinagoga sarebbe veramente all'origine del canto della Chiesa? Vado a prendere il testo successivo nella sala dei manoscritti ebraici. Intanto tu riposati.» Quel mattino, Breczinsky li aveva accolti con l'abituale discrezione. Ma aveva approfittato di un momento di assenza di Leeland per avvicinarsi a Nil: «Se è possibile... oggi vorrei parlarle un istante». La porta del suo ufficio era a pochi metri. Rimasto solo davanti al tavolo, Nil ebbe un attimo di esitazione. Poi si tolse i guanti, e si diresse verso lo studio del
polacco. «Si segga, la prego.» La stanza era la copia del suo occupante, austera e triste. Scaffali colmi di cartellette allineate e sulla scrivania lo schermo di un computer. «Ciascuno dei nostri preziosi manoscritti figura in un catalogo consultato dai sapienti di tutto il mondo. Sto creando una videoteca che permetterà di consultarli tramite Internet. Come ha già potuto constatare, non vengono in molti qui. Spostarsi per studiare un testo sarà sempre più inutile.» "E tu sarai sempre più solo" pensò Nil. Tra i due calò un silenzio che Breczinsky non sembrava in grado di infrangere. Alla fine parlò, con voce titubante: «Posso domandarle in quale rapporti era con padre Andrei?». «Gliel'ho già detto, siamo stati confratelli per lungo tempo.» «Sì, ma... era al corrente dei suoi lavori?» «In parte. Tuttavia eravamo molto vicini, molto più di quanto normalmente lo siano i membri di una comunità religiosa.» «Ah, lei gli era... vicino?» Nil non capiva dove volesse arrivare. «Per me Andrei è stato un caro amico. Non eravamo soltanto fratelli religiosi, ma intimi. In vita mia, non ho mai condiviso tanto con nessuno.» «Sì,» mormorò Breczinsky «l'avevo immaginato. E io che pensavo, quando l'ho vista arrivare... che fosse uno dei collaboratori del cardinale Riedinger! Questo cambia tutto.» «Che cosa cambia, padre?» Il polacco chiuse gli occhi, come se cercasse in
fondo a se stesso una forza interiore. «Quando padre Andrei è venuto a Roma, ha voluto incontrarmi. Eravamo in comunicazione da tempo senza esserci mai visti. Sentendo il mio accento, è passato al polacco, che parlava perfettamente.» «Andrei era slavo, e parlava una decina di lingue.» «Sono rimasto stupito di sapere che la sua famiglia russa era originaria di Brest-Litovsk, nella provincia polacca annessa nel 1920 all'URSS e alla frontiera dei territori posti sotto l'amministrazione tedesca nel 1939. Polacco da sempre, quello sventurato lembo di territorio non ha cessato di essere conteso da russi e tedeschi. Quando i miei genitori si sono sposati era ancora sotto l'oppressione dei sovietici, che lo popolavano di coloni russi, confinati là contro la loro volontà.» «Dove è nato?» «In un piccolo villaggio vicino a Brest-Litovsk. La popolazione polacca nativa era trattata molto duramente dall'amministrazione sovietica, che ci disprezzava in quanto popolo sottomesso, e soprattutto cattolico. Poi sono arrivati i nazisti, dopo l'invasione dell'Unione Sovietica da parte di Hider. La famiglia del padre di Andrei viveva accanto alla mia, le nostre case erano separate da una semplice siepe. Ha protetto i miei sventurati genitori dal terrore che imperversava prima della guerra in quella regione di frontiera. Poi, sotto i nazisti, inizialmente ci hanno sfamato, in seguito nascosto. Senza il loro coraggioso aiuto, i miei non sarebbero sopravvissuti e io non sarei venuto al mondo. Mia madre, prima di morire, mi ha fatto giurare di non dimenticarli mai: loro, i loro discendenti, e i loro amici. Lei era l'amico, il fratello di padre Andrei? I fratelli di quell'uomo sono anche fratelli miei. Cosa posso fare per lei?»
Nil era sorpreso e si rendeva conto che il polacco si era spinto al limite delle confidenze che era in grado di fare per quel giorno. In quel sotterraneo di Roma, i grandi venti della storia e della guerra inaspettatamente li univano. «Prima di morire, padre Andrei ha stilato una breve annotazione. Voleva parlarmene al suo ritorno. Mi sto sforzando di capire il suo messaggio, e tentando di procedere lungo una strada che aveva aperto prima di me. Faccio fatica a convincermi che la sua morte è stata accidentale. Forse non saprò mai se è stato davvero ucciso, ma ho la sensazione che dall'aldilà mi abbia delegato la sua ricerca, un po' come una missione postuma. Lo capisce?» «Perfettamente, in quanto mi ha confidato cose che forse non diceva a nessun altro, nemmeno a lei. Avevamo appena scoperto un passato in comune, una vicinanza nata in circostanze particolarmente dolorose. In questo studio, spettri di esseri infinitamente cari sono risorti, coperti di sangue e fango. Uno shock, per lui come per me. Ed è ciò che mi ha spinto, due giorni più tardi, a fare per padre Andrei qualcosa che... che non avrei mai dovuto fare. Mai.» "Nil, ragazzo mio, cauto, devi essere molto cauto con lui. Scacciare i fantasmi." «Per il momento, ho un problema da risolvere. Ritrovare due riferimenti che Andrei ha lasciato dietro di sé. Alcune segnature Dewey più o meno complete di padri della Chiesa. Se le mie ricerche su Internet non porteranno a nulla, le chiederò di aiutarmi. Sin qui, non ho osato rivolgermi a nessuno. Più faccio progressi e più quello che scopro mi sembra pericoloso.» «Più di quanto immagina» Breczinsky si alzò. La
conversazione era finita. «Glielo ripeto: un fratello di padre Andrei è anche fratello mio. Ma dovrà essere estremamente prudente. Ciò che si dice tra queste mura deve restare strettamente confidenziale.» Nil annuì e ritornò nella sala. Leeland era di nuovo davanti al tavolo, e cominciava a disporre un manoscritto sotto la lampada. Gettò un'occhiata fugace al suo compagno, poi abbassò la testa senza una parola e riprese le sue occupazioni, scuro in volto. 54 Gerusalemme, 10 settembre 70 d.C. Iokhanan varcò la porta sud, rimasta intatta e si fermò, col fiato sospeso. Gerusalemme era ridotta a un campo di rovine. Le truppe di Tito erano entrate all'inizio di agosto e per un mese era stata una lotta senza quartiere, strada per strada, casa per casa. In preda al furore, gli uomini della X legione Fretense distruggevano sistematicamente ogni resto di muro rimasto in piedi. La città doveva essere rasa al suolo, aveva ordinato Tito, ma il tempio risparmiato. Voleva sapere a cosa potesse assomigliare l'effigie di un Dio capace di condurre un intero popolo al sacrificio della morte. Il 28 agosto, entrò finalmente nei sagrati che conducono al Sancta Sanctorum. E là dicono, che risiede Jahwèh, il Dio degli ebrei. La sua presenza, dunque la sua statua, o un qualsiasi equivalente. Con un colpo di gladio, strappò il velo del santuario. Fece qualche passo avanti e si fermò, sconcertato. Niente.
O piuttosto, posti su una tavola d'oro fine, due animali alati, dei cherubini come se ne vedevano in gran quantità in Mesopotamia. Ma tra le loro ali dispiegate, nulla. Il vuoto. E così il Dio di Mosè, il Dio di tutti quegli esaltati, non esisteva. Nel tempio non vi era alcuna effigie che ne testimoniasse la presenza. Tito scoppiò a ridere e uscì dal tempio. "Il più grande imbroglio del mondo! Nessun dio in Israele! Tutto quel sangue versato invano." Vedendo il suo generale ridere, un legionario lanciò una torcia accesa all'interno del Sancta Sanctorum. Due giorni più tardi, il tempio di Gerusalemme finiva lentamente di ardere. Dello splendido monumento appena terminato da Erode, non rimase nulla. Iokhanan attese che l'ultimo legionario avesse lasciato la città per avventurarvisi. Il quartiere ovest non esisteva più. Procedendo con difficoltà tra le macerie, riconobbe dal muro di cinta la lussuosa villa di Caifa. La casa del discepolo beneamato, la casa della sua infanzia felice, era a duecento metri. Si orientò e avanzò. Neppure la vasca dell'impluvium era più visibile. Tutto era bruciato, e il tetto crollato. Là, sotto quel mucchio di tegole carbonizzate si trovavano le vestigia della sala alta. Restò in piedi a lungo, davanti alle rovine. Uno dei due esseni che lo accompagnavano gli toccò un braccio. «Andiamocene da questi luoghi, Iokhanan. La memoria non è in quelle pietre, la memoria è in te. Dove ci dirigiamo ora?» "La memoria di Gesù il nazoreno. Quella delicata consegna, bramata da tutti."
«Hai ragione. Andiamo a nord, in Galilea. L'eco delle parole di Gesù risuona ancora tra le sue colline. Ho con me una consegna che devo trasmettere. Tirò fuori un foglio di pergamena dalla sacca, e la portò alle labbra. "La copia dell'epistola del mio abbou, il tredicesimo apostolo." Tre secoli più tardi una ricca spagnola di nome Eteria, che si era pagata il primo viaggio organizzato della storia per partecipare alla settimana santa di Gerusalemme, passando lungo il Giordano vide una stele incisa che si ergeva pietosamente. Incuriosita, fece fermare la sua lettiga: possibile che fosse ancora un ricordo dell'epoca di Cristo? L'iscrizione era leggibile. Essa narrava che ai tempi della distruzione del tempio, un nazoreno chiamato Iokhanan era stato massacrato in quel punto, mentre fuggiva da Gerusalemme in rovina. I legionari di Tito probabilmente lo avevano raggiunto, pensò Eteria, sgozzato e gettato nel fiume vicino: "Un nazoreno! È un pezzo che non ce ne sono più. Quello sventurato doveva essere l'ultimo, e senza dubbio è per questo che è stata eretta questa stele sul luogo del massacro". Ciò che la pia cristiana ignorava, è che Iokhanan non era l'ultimo nazoreno. Da quel giorno, non esistevano che due esemplari dell'epistola del tredicesimo apostolo di Gesù. Una, nascosta in fondo a una giara, inaccessibile nella sua grotta scavata nel mezzo di un dirupo che dominava le rovine di Qumran sul Mar Morto. E l'altra, nelle mani dei nazoreni superstiti di Pella, che avevano trovato rifugio in un'oasi del deserto d'Arabia, chiamata Bakka.
55 Monsignor Calfo infilò l'abito talare bordato di viola. Per ricevere Antonio, era doveroso esibire i simboli della dignità episcopale. Le giovani reclute non devono mai dimenticare con chi hanno a che fare. Una volta conclusi gli incontri preliminari, accoglieva raramente i membri della Società nel suo appartamento. Tutti ne conoscevano l'indirizzo, ma solitamente le esigenze della riservatezza si riuscivano a rispettare meglio in una delle tante discrete trattorie di Roma. E talvolta accadeva che il profumo di Sonia fluttuasse nello studio per molto tempo ancora, dopo che la ragazza se ne era andata. Fu con piacere che aprì la porta al dodicesimo apostolo. «La vostra missione consisterà ora nel sorvegliare padre Breczinsky. È un looser, un perdente. Ma quel tipo di uomini è sempre molto imprevedibile, può avere dei sussulti.» «Cosa devo ottenere da lui?» «Innanzitutto che vi tenga al corrente di ciò che i due monaci potrebbero dirsi durante le loro sedute di lavoro nel fondo vaticano. Poi rammentargli da dove viene, chi è, e chi è il cardinale. Ciò dovrebbe bastare per convincerlo a rimanere fedele alla sua missione. Voi siete, attualmente, uno dei pochissimi a sapere che è il custode di documenti estremamente confidenziali. Non dimenticate che nella sua memoria ha impressa una ferita terribile. Basterà fare leva su di essa per ottenere da lui ciò che vogliamo. Non abbiate alcuno scrupolo. La sola cosa che conta è il successo della missione.» Dopo che Antonio ebbe ricevuto le istruzioni, lasciò
lo stabile e si diresse a destra, in direzione del Tevere, come se stesse tornando in città. Senza alzare la testa, poteva sentire lo sguardo del rettore che dalla finestra dell'appartamento non perdeva di vista i suoi movimenti. Ma giunto all'angolo di Castel Sant'Angelo girò ancora a destra, e dopo una nuova svolta si diresse in direzione opposta alla città, verso piazza San Pietro. I muri ocra di Roma baluginavano sotto il pallido sole di dicembre. Da secoli, l'Urbe assiste all'incessante intreccio di intrighi e complotti dei suoi prelati cattolici. Gli occhi semichiusi, materna e assopita nel lungo inverno del suo splendore, Roma non prestava più alcuna attenzione ai giochi di potere e di gloria che si svolgono attorno alla tomba dell'apostolo. «Entrate, caro amico,» esclamò Riedinger con un sorriso «vi aspettavo.» II giovane si inchinò per baciare l'anello del cardinale. "Un superstite di due epurazioni, quella della Gestapo prima, quella della Liberazione dopo. Onore e rispetto a coloro che lottano per l'Occidente." Si sedette davanti alla scrivania, e fissò Sua Eminenza con il suo strano sguardo nero. 56 Nil aveva domandato a Leeland di andare senza di lui al fondo vaticano. «Voglio lavorare su una frase che ho scoperto nell'agenda lasciata da Andrei a San Girolamo. Devo collegarmi a Internet e forse ne avrò per ore. Se padre Breczinsky ti chiede qualcosa, trova una scusa che
giustifichi la mia assenza.» Rimasto solo davanti al computer, si sentiva scoraggiato, perso in un groviglio di piste che si diramavano in ogni senso. I testi fotocopiati dalla Huntington Library non facevano che confermare ciò che intuiva da quando studiava i manoscritti del Mar Morto. Il manoscritto copto? La sua prima frase gli aveva permesso di capire il codice introdotto nel Simbolo di Nicea. Restavano la seconda frase e la misteriosa lettera dell'apostolo. Aveva deciso di attaccarsi a quest'ultimo indizio, del quale aveva appena trovato traccia nell'agenda di Andrei. Tutte queste piste dovevano pur ricongiungersi da qualche parte. Era l'ultimo messaggio del suo amico: mettere in relazione. Ripensando a Rembert Leeland, Nil si chiese cosa fosse accaduto allo studente socievole e fiducioso di un tempo, al giovane allegro che viveva la propria esistenza con lo stesso piacere che provava quando suonava la sua musica. Perché quel breve accesso di disperazione? Nil aveva scorto in lui un'incrinatura profonda, tale da impedirgli di aprirsi anche con lui, suo vecchio amico. Quanto a Breczinsky, sembrava totalmente solo nel sotterraneo gelido e deserto della Biblioteca vaticana. Perché si era confidato con lui? Cos'era accaduto tra lui e Andrei? Decise di concentrarsi sulla lettera dell'apostolo. Doveva ritrovare un libro, da qualche parte nel mondo, partendo dalla sua segnatura Dewey. Si collegò a Internet, andò su Google e digitò "biblioteche universitarie". Apparve una pagina di undici siti. Nella parte in basso dello schermo, Google gli segnalava che dodici pagine simili erano state selezionate. Circa centotrenta
siti da consultare. Con un sospiro, cliccò sul primo sito. Quando rientrò, poco dopo mezzogiorno, Leeland fu contrariato nel trovare solo un biglietto sul computer. Nil era rientrato d'urgenza a San Girolamo. Sarebbe tornato in via Aurelia in serata. Aveva trovato qualcosa? L'americano non era mai stato un erudito biblico. Eppure i lavori di Nil cominciavano a stimolare il suo interesse. Cercando di scoprire la causa della morte di Andrei, l'amico voleva vendicarne la memoria. Lui, invece, sognava di vendicare la vita che gli avevano avvelenato. Leeland aveva il presentimento che quelli che avevano distrutto la sua esistenza erano gli stessi che avevano provocato l'incidente mortale del bibliotecario dell'abbazia di Saint-Martin. Il tramonto colorava di rosso cupo la nube di smog che sovrastava Roma. Leeland era tornato in Vaticano. Nell'appartamento sottostante, il palestinese sentì improvvisamente qualcuno entrare, poi mettersi al computer. Doveva essere Nil. Le bobine non registravano che il rumore della tastiera. Poi, bruscamente, il paesaggio sonoro si animò: anche Leeland era rincasato. La conversazione aveva inizio. 57 Egitto, dal II al VII secolo d.C. Costretti dalla guerra a lasciare Pella, i nazoreni
furono ben accolti dagli arabi dell'oasi di Bakka, dove si stabilirono. Ma la seconda generazione mal sopportava l'austerità del deserto d'Arabia, tanto che alcuni decisero di proseguire fino in Egitto. Si insediarono a nord di Luxor, in un villaggio del Djebel El-Tarif, chiamato Nag Hamadi. Qui fondarono una comunità unita nel ricordo degli insegnamenti del tredicesimo apostolo e della sua epistola, della quale ogni famiglia possedeva una copia. Ma presto, la nuova comunità si urtò con i missionari cristiani venuti da Alessandria, la cui Chiesa era in piena espansione. Il cristianesimo si diffondeva nell'impero con la stessa impetuosità del fuoco in una foresta. I nazoreni, che rifiutavano la divinità di Gesù, dovevano sottomettersi o sparire. Trasformare Gesù in Cristo-Dio? Tradire l'epistola? Mai. Per questo essi furono perseguitati dai cristiani. Da Alessandria giungevano ordini in copto. Bisognava annientare quell'epistola, in Egitto come in qualsiasi altra parte dell'impero. Ogni volta che una famiglia nazorena era cacciata nel deserto, dove non poteva che trovare la morte, la sua casa era perquisita e l'epistola del tredicesimo apostolo distrutta. Essa parlava di una tomba che custodiva le ossa di Gesù, da qualche parte nel deserto d'Idumea. La tomba di Gesù deve restare vuota, perché il Cristo possa vivere. Un unico esemplare sfuggì tuttavia ai cacciatori e approdò nella biblioteca d'Alessandria, dove fu nascosta in mezzo ai cinquecentomila volumi dell'ottava meraviglia del mondo. All'incirca nell'anno 200, un giovane alessandrino di nome Origene cominciò a frequentare assiduamente la biblioteca. Cercatore instancabile, era appassionato dalla figura di Gesù ed era dotato di una memoria prodigiosa.
Divenuto insegnante, Origene fu perseguitato dal suo vescovo, Demetrio. La sua era gelosia, perché il carisma del dotto attirava l'attenzione dell'élite di Alessandria. Ma anche diffidenza, perché Origene non esitava a utilizzare nel suo insegnamento testi proibiti dalla Chiesa. Alla fine, Demetrio riuscì a scacciarlo dall'Egitto e Origene si rifugiò a Cesarea di Palestina, naturalmente portandosi dietro quella scomoda fama. Quanto all'epistola del tredicesimo apostolo, restò nascosta nell'immensa biblioteca, ignorata da tutti. Quando nel 691 Alessandria cadde nelle mani dei musulmani, il generale Al-As Amrou ordinò che fossero bruciati uno a uno tutti i libri: «Se sono conformi al Corano sono inutili, se non sono conformi sono pericolosi». Per sei mesi, la memoria dell'antichità alimentò le caldaie dei bagni pubblici. Bruciando la biblioteca di Alessandria, i musulmani avevano compiuto ciò che i cristiani non erano riusciti a portare a termine. Ormai, non esisteva un luogo che conservasse un solo esemplare dell'epistola. Tranne una giara protetta dalla sabbia, che custodiva l'originale in una delle grotte che sovrastano le rovine di Qumran.
58 «Allora, hai trovato qualcosa?» Leeland, con il viso teso, era appena arrivato allo studio. Vi erano fogli sparsi ovunque. Nil appariva stanco. Senza rispondere, andò a dare un'occhiata alla finestra, quindi tornò a sedersi, deciso di non tener conto dell'avvertimento di Breczinsky e di confidarsi
con l'amico. «Dopo che te ne sei andato ho cominciato a consultare via Internet le più grandi biblioteche del mondo. A fine mattinata, ho trovato il bibliotecario di Heidelberg, che ha vissuto a Roma. Ci siamo messi in contatto e mi ha detto che la segnatura Dewey proveniva senza dubbio... indovina?» «Dalla biblioteca di San Girolamo, ed è per questo che ti sei precipitato là?» «Avrei dovuto pensarci. È l'ultima biblioteca frequentata da Andrei prima della sua morte. È incappato in un libro del quale ha annotato rapidamente il riferimento su quello che aveva sotto mano - la sua agenda - senza dubbio con l'intenzione di consultare l'opera una seconda volta. E poi è partito da Roma precipitosamente, lasciando l'agenda.» Leeland si sedette accanto a Nil. Gli occhi gli brillavano. «E hai trovato il libro?» «La biblioteca di San Girolamo è stata allestita in maniera disordinata, a seconda dei bibliotecari che si sono rapidamente succeduti. Vi si trova di tutto. Ma i libri sono più o meno classificati, ed effettivamente ho scoperto quello che aveva attirato l'attenzione di Andrei, una catena di Eusebio di Cesarea: un'edizione rara del XVII secolo. In effetti, non ne avevo mai sentito parlare.» Leeland domandò, imbarazzato: «Scusa, Nil, ho dimenticato tutto ciò che non riguarda la musica. Che cos'è una catena?». «Nel III secolo, si è scatenata una lotta feroce riguardo la divinità di Gesù, che la Chiesa cercava di imporre. Ovunque si distruggevano i testi non conformi al dogma nascente. Dopo aver condannato Origene, la Chiesa ha fatto bruciare metodicamente
tutti i suoi scritti. Eusebio di Cesarea ammirava molto l'alessandrino, che è morto nella sua città, così ha voluto salvare in qualche modo le sue opere ma, per non essere condannato a sua volta, ha fatto circolare unicamente dei brani scelti, infilati uno dopo l'altro come gli anelli di una catena. La sua idea è stata ripresa in seguito. Molte opere antiche oggi scomparse ci sono accessibili grazie a questi brani. Andrei ha intuito che quella catena, che non aveva mai visto, poteva contenere dei passaggi di Origene poco conosciuti. Ha rovistato, e ha trovato.» «Trovato cosa?» «Una frase di Eusebio, sino a oggi passata inosservata. Origene, in una delle sue opere, oggi perdute, diceva che nella biblioteca di Alessandria si era imbattuto in una misteriosa "epistola abscondita apostoli tredicesimi" : l'epistola segreta - o nascosta - di un tredicesimo apostolo, che avrebbe fornito la prova che Gesù non ha natura divina. Andrei doveva aver dei sospetti sull'esistenza dell'epistola. Me ne aveva accennato vagamente. La sua ricerca doveva essere a buon punto, perché ha annotato questo riferimento insperato.» «Quale credito si può accordare a una frase isolata in un testo minore, caduto nell'oblio?» Nil si fregò il mento. «Hai ragione, quel semplice anello di una catena a lui non bastava. Ma ricorda: nel suo biglietto postumo, Andrei suggeriva di mettere in relazione le quattro piste che aveva indicato. Sono settimane che giro e rigiro la seconda frase del manoscritto copto trovato all'abbazia: "Che l'epistola venga distrutta ovunque, affinché la dimora dimori". Grazie a Origene, credo finalmente di aver capito.» «Un nuovo codice?»
«Non proprio. All'inizio del III secolo, la Chiesa sta mettendo a punto il dogma dell'Incarnazione che sarà proclamato al concilio di Nicea, e cerca di eliminare tutto ciò che vi si oppone. Quel frammento di manoscritto copto - che aveva messo in allarme Andrei - è senza dubbio ciò che resta di una direttiva di Alessandria, che ordinava la totale distruzione dell'epistola. Poi, c'è un gioco di parole sul termine copto, che in mancanza di meglio ho tradotto con "dimora" ma che può anche significare "assemblea". In greco, lingua ufficiale di Alessandria, "assemblea" si dice ekklesia, Chiesa. Allora il senso della frase si chiarisce: bisogna che quell'epistola venga distrutta ovunque, affinché la Chiesa dimori, perché non sia annientata! La posta in gioco era alta: l'epistola del tredicesimo apostolo o la sopravvivenza della Chiesa.» Leeland fece un fischio: «I see...». «Le piste cominciano finalmente a ricongiungersi. L'iscrizione di Germigny conferma che nell'VIII secolo, un tredicesimo apostolo è giudicato pericoloso al punto che bisogna eliminare per sempre ogni traccia della sua esistenza - alfa e omega - e noi sappiamo che si tratta del discepolo beneamato del quarto vangelo. Origene ci dice che ad Alessandria ha trovato un'epistola scritta da quell'uomo, e il manoscritto copto ci conferma che ne esisteva uno o più esemplari a Nag Hamadi, dato che viene impartito l'ordine di distruggerli.» «Ma in che modo l'epistola è arrivata a Nag Hamadi?» «Si sa che i nazoreni si sono rifugiati a Pella, nell'attuale Giordania, forse con il tredicesimo apostolo. In seguito, le loro tracce si perdono. Ma Andrei mi aveva domandato di leggere attentamente il Corano, che lui conosceva bene. Cosa che ho fatto,
confrontando molte traduzioni scientifiche di cui disponevo all'abbazia. Ho avuto la sorpresa di vedere l'autore menzionare sovente dei naçâra, la parola araba per "nazoreno", sua principale fonte di informazioni su Gesù. Dopo Pella, i discepoli del tredicesimo apostolo sono stati costretti a rifugiarsi in Arabia, dove Maometto li avrà conosciuti. Magari hanno proseguito fino in Egitto. E magari fino a Nag Hamadi, portando delle copie della famosa epistola.» «Il Corano... Credi davvero che i nazoreni fuggitivi abbiano esercitato un'influenza sul suo autore?» «È evidente. Il testo lo testimonia abbondantemente. Per il momento non voglio dirti di più. Mi resta un'ultima pista da esplorare, un'opera o una serie di opere che riguardano i Templari, con una segnatura incompleta. Parleremo del Corano un'altra volta. È tardi, e devo rientrare a San Girolamo.» Nil si alzò e guardò di nuovo la strada avvolta nell'ombra. Come se si rivolgesse a se stesso, aggiunse: «Il tredicesimo apostolo ha dunque scritto un'epistola apostolica, distrutta ovunque, perseguitata dall'odio della Chiesa. Che cosa poteva esserci di così pericoloso in quella lettera?». Al piano di sotto, Moktar aveva ascoltato con molta attenzione. Quando Nil menzionò il Corano, Maometto e i nazoreni, si mise a imprecare: «Figlio di un cane!». 59 Deserto d'Arabia, settembre 622 d.C, L'uomo galoppa nella notte nera. Sfreccia verso
Medina, spronando a tutta forza il suo cammello, la bocca del quale schiuma per la corsa. Quella notte si chiamerà Egira e segnerà l'inizio del tempo per i musulmani. L'uomo fugge dall'oasi di Bakka, dove è nato nel prestigioso clan dei Qoraysh. Fugge perché i Qoraysh si dicono figli di Abramo, e pur tuttavia adorano delle pietre sacre. In quella sosta carovaniera in mezzo al deserto, vegetava dalla notte dei tempi una comunità della diaspora ebraica. Alla sua guida, un rabbino erudito, infiammato, sognava di convertire l'Arabia intera al giudaismo attraverso la tradizione rabbinica. Il giovane arabo si era lasciato sedurre da quell'invasato. Divenne suo discepolo e si convertì. Ma il suo rabbino gli chiese di più. Gli orgogliosi Qoraysh rifiutavano la predica di un ebreo, così questi pensò che forse avrebbero dato retta al suo discepolo, un arabo dello stesso clan. Il rabbino pretendeva che Maometto divulgasse ciò che gli insegnava ogni giorno nelle piazze dell'oasi. «Dì loro» ripeteva senza sosta... Per non perdere nulla di quello che gli veniva detto, Maometto scrisse delle note, che si accumularono. In arabo, perché il rabbino aveva compreso che a quegli uomini bisognava parlare nella loro lingua, e non in ebraico. Per i Qoraysh, era troppo. Anche uno dei loro, Maometto, cercava di distruggere il culto delle pietre sacre, fonte della loro ricchezza! Al limite avrebbero tollerato che divenisse nazoreno. Quei dissidenti del cristianesimo erano arrivati molti secoli prima e il loro profeta Gesù non era pericoloso. Il giovane arabo ascoltava volentieri il loro insegnamento, oltre che quello del rabbino. Sedotto da Gesù, Maometto avrebbe voluto avvicinarsi a essi. Ma i Qoraysh non gli
lasciarono il tempo e lo scacciarono. Ora fuggiva verso Medina, accompagnato unicamente dalle sue note, scritte, giorno dopo giorno, ascoltando il suo rabbino: «Dì loro...». A Medina, divenne un grande condottiero. Accumulando successi, estese via via il suo potere su tutta una regione e divenne un capo politico rispettato. Ben presto si rese conto che era necessario promulgare delle leggi per regolare i rapporti fra coloro che si univano a lui: le divulgò e in seguito le mise per iscritto. Quei fogli si aggiunsero, giorno dopo giorno, alle note di un tempo. Talvolta accadeva che vi aggiungesse fatti diversi e resoconti di battaglie. I suoi scritti divennero un voluminoso taccuino di viaggio. Quando decise di arruolare gli ebrei sotto la sua bandiera, costoro rifiutarono seccamente. Furioso, li scacciò dalla città e si rivolse ai cristiani del Nord. Sì, loro lo avrebbero aiutato nelle conquiste, tuttavia a una condizione; che diventasse cristiano e riconoscesse la divinità di Gesù. Maometto li maledì insieme agli ebrei, inglobandoli in un unico e feroce odio. Solo i nazoreni incontrarono il suo favore. E nel suo taccuino elogiò loro e il loro profeta Gesù. Quando tornò a Bakka, vincitore, Maometto con la sciabola fece piazza pulita di tutte le pietre sacre degli idolatri. Ma si fermò davanti all'icona di Gesù e di sua madre, che i nazoreni veneravano da sempre. Ringuainò la sciabola e si prostrò. In seguito, il nome di Bakka, come spesso accade ai nomi, si trasformò leggermente e l'oasi fu conosciuta ovunque con il nome di Mekka. La Mecca. Due generazioni più tardi, il califfo Othman compilò
a sua discrezione il taccuino di viaggio di Maometto, e lo chiamò, "Corano", che decretò scritto da Maometto sotto la diretta dettatura di Dio. Da allora, nessuno se voleva rimanere in vita - poteva mettere in discussione la natura divina del Corano. L'Islam non aveva mai avuto il suo tredicesimo apostolo.
60 Piazza San Pietro brulicava dell'affluenza dei grandi giorni. Un immenso ritratto del nuovo beato era affisso sulla facciata della basilica. Il freddo meno intenso e un tempo soleggiato consentivano di procedere alla solenne beatificazione all'aperto. Le due braccia del colonnato del Bernini raccoglievano una folla eterogenea, entusiasta di vedere il Santo Padre e partecipare a una festa della cristianità. In qualità di prefetto della Congregazione, il cardinale Riedinger officiava alla destra del papa. Era stato il committente di quella beatificazione. La successiva sarebbe stata quella del fondatore dell'Opus Dei. La lista delle sue virtù sovrannaturali aveva potuto essere stilata senza sforzo, ma si faticava a trovare i tre miracoli indispensabili per una canonizzazione in piena regola. Riedinger sollevò un lembo della pianeta papale, che scivolava per effetto del tremore che affliggeva il vecchio pontefice. Mentre il papa pronunciava le parole sacre, il cardinale sorrise. "I miracoli si troveranno. Il primo dei miracoli è la permanenza nei secoli della Chiesa cattolica, apostolica e romana."
Riedinger aveva avuto il privilegio di conoscere personalmente il futuro santo. Prima di fondare l'Opus Dei, Escrivà de Balaguer era stato un militante attivo della guerra di Spagna, al fianco di Franco, in seguito aveva stretto amicizia con un giovane ufficiale dell'esercito cileno, un certo Augusto Pinochet. Perso nel pubblico di prelati allineati sui banchi davanti al podio papale, all'umile posto riservato al suo rango di minutante, monsignor Calfo godeva della carezza del sole e della bellezza dello spettacolo. "Solo la Chiesa cattolica è capace di orchestrare l'incontro del divino e dell'umano in mezzo a tanta bellezza, e per una simile moltitudine di gente." Alla fine della cerimonia, mentre la processione dei dignitari andava formandosi dietro al papa, incrociò lo sguardo del cardinale che gli rivolse un imperioso cenno con il capo. Un'ora dopo, i due uomini erano seduti faccia a faccia nello studio di Riedinger, che ostentava l'aria delle giornate nere. «Allora, monsignore, a che punto siamo?» Contrariamente al suo prefetto, Calfo appariva molto disteso. «Eminenza, stiamo facendo rapidi progressi. Padre Nil si dimostra dotato, molto dotato per la ricerca.» Il viso del cardinale si contrasse. I rapporti di Leeland, alquanto insipidi, si diradavano, ed era ancora troppo presto per fare pressioni su padre Breczinsky. Il suo ascendente sul polacco poggiava sui meandri oscuri dell'animo umano, ma quella leva poteva essere azionata una volta soltanto e a colpo sicuro. Per il momento, monsignor Calfo era il solo a condurre il gioco. «Che intendete dire?»
«Ebbene...» Calfo contrasse le labbra carnose, «ha trovato la traccia di uno scritto apostolico perduto, che confermerebbe le sue analisi sul Vangelo secondo Giovanni.» Il cardinale si alzò, fece segno a Calfo di seguirlo accanto alla finestra e gli mostrò piazza San Pietro. Il podio papale era ancora in piazza, migliaia di pellegrini sembravano aggirarsi attorno a quel punto nevralgico, come l'acqua che viene risucchiata dal piccolo gorgo di un imbuto. La folla sembrava felice, una sterminata famiglia che scopre i legami che li unisce. «Guardateli, monsignore. Voi e io siamo responsabili di milioni di credenti che vivono nella speranza di una resurrezione offerta dal sacrificio del Dio incarnato. Un solo uomo che tenta di mettere tutto questo in dubbio? Non l'abbiamo mai tollerato. Ricordatevi Giordano Bruno, anch'egli un monaco molto dotato per la ricerca; è stato bruciato a un chilometro da qui, in Campo dei Fiori, malgrado fosse celebre in tutta Europa. La posta in gioco, è l'ordine del mondo. Una volta ancora, un monaco sembra in grado di rovesciarlo. Non ci è possibile, come in passato, liberare la Chiesa con il cauterio del fuoco. Ma dobbiamo rapidamente porre fine alle ricerche di padre Nil.» Calfo attese qualche istante prima di rispondere. Gli Undici riuniti avevano approvato la sua linea di condotta. Doveva dire al cardinale quanto bastava per incutergli timore, ma non rivelare nulla dello scopo ultimo della Società. «Non credo, Eminenza, padre Nil è solo un intellettuale che non si rende conto di ciò che fa. Sono dell'avviso di lasciarlo proseguire. Abbiamo la situazione in mano.» «Ma se torna nel suo monastero, chi potrà evitare
che divulghi le sue conclusioni?» «Pazienza, Eminenza. Esistono altri modi, meno spettacolari di un incidente di treno, per fare tacere coloro che deviano dalla dottrina della Chiesa.» La sera prima, aveva dovuto calmare un Moktar furioso con Nil per aver messo in dubbio la natura rivelata del Corano e la persona del fondatore dell'Islam. Il palestinese voleva passare all'azione, senza perdere altro tempo. In pochi giorni, Nil aveva infilato una cintura di esplosivi. Calfo non aveva intenzione che si facesse saltare per aria prima di essersi reso veramente utile alla Chiesa cattolica. Con un gesto istintivo, fece girare attorno all'anulare l'anello episcopale e concluse con un sorriso rassicurante: «Padre Nil si sta comportando come se non avesse mai lasciato il chiostro. Esce da San Girolamo unicamente per andare al fondo vaticano, non comunica con nessuno, salvo con il suo amico Leeland. Non ha alcun contatto con la stampa o gli ambienti oppositori, che sembra ignorare». Calfo fece un cenno con il capo verso San Pietro. «Non rappresenta un pericolo per quelle folle, che non sentiranno mai parlare di lui e che egli ha scelto volontariamente di ignorare, chiudendosi in un monastero. Lasciamo che continui tranquillamente le sue ricerche. Ho fiducia nella formazione che ha ricevuto durante il noviziato all'abbazia Saint-Martin. È una fucina che segna gli uomini a vita. Rientrerà nei ranghi. Se lo cogliesse la frenesia di ritrovare la sua libertà interiore, allora interverremo. Ma sono certo che non sarà necessario.» Congedandosi, i due prelati apparivano ugualmente soddisfatti. Il primo, perché pensava di aver turbato a sufficienza Sua Eminenza, mantenendo il suo margine di manovra. Il secondo, perché aveva appuntamento
quella sera stessa con Antonio, e della faccenda avrebbe saputo quasi quanto il rettore della Società San Pio V.
61 «Questa mattina si svolge una cerimonia di beatificazione. In piazza San Pietro ci sarà certamente una gran confusione. Facciamo il giro.» Assorti nei propri pensieri, i due uomini imboccarono Borgo Santo Spirito e tornarono verso Città del Vaticano passando da Castel Sant'Angelo, che prima di trasformarsi in fortezza e prigione papale era stato mausoleo dell'imperatore Adriano. Nil mal tollerava quei pesanti silenzi che talvolta calavano tra di loro da quando era arrivato a Roma. Alla fine, fu Leeland a rompere il silenzio: «Non capisco. Non sei uscito dal tuo monastero per anni, e qui vivi come un recluso. Quando eravamo studenti amavi tanto Roma. Approfittane, vai a visitare qualche museo, a trovare le conoscenze di un tempo... ti comporti come se avessi trasferito il tuo chiostro in città!». Nil alzò lo sguardo verso il compagno. «Entrando al monastero, ho scelto la solitudine in seno a una comunità universale, la Chiesa cattolica. Guarda questa folla, che sembra così felice di una nuova canonizzazione! Per molto tempo ho creduto che fosse la mia nuova famiglia, sostituta di quella che mi aveva rifiutato. Ora so che la mia ricerca dell'identità di Gesù mi esclude da essa. E messo in gioco il fondamento di una religione sulla quale si poggia
un'intera civiltà! Immagino che il tredicesimo apostolo, quando si è opposto ai Dodici, avesse conosciuto la stessa solitudine. Non mi resta che un amico. Quel Gesù del quale cerco di penetrare il mistero.» Aggiunse, in un soffio: «E tu, naturalmente». Adesso costeggiavano le alte mura della Città del Vaticano. L'americano infilò una mano in una tasca dalla quale estrasse due piccoli cartoncini rosa. «Ho una sorpresa per te. Ho ricevuto due inviti per un concerto di Lev Barjona all'Accademia Santa Cecilia di Roma. Si terrà poco prima di Natale. Non hai scampo. Verrai con me.» «Chi è questo Lev Barjona?» «Un celebre pianista israeliano che ho conosciuto quando era allievo di Arthur Rubinstein. È al cenacolo del maestro che siamo diventati amici. Un uomo stupefacente, che ha avuto una vita fuori del comune. Al suo invito aggiunge cortesemente un messaggio personale, precisando che il secondo biglietto è per te. Suonerà il Terzo Concerto di Rachmaninov, del quale è attualmente il miglior interprete.» Entrarono nella Città del Vaticano. «Sarò felicissimo,» disse Nil «amo Rachmaninov e non vado a un concerto da molto tempo. Mi schiarirà le idee.» All'improvviso, si fermò e aggrottò le sopracciglia. «Ma... com'è che il tuo amico ti ha spedito un secondo biglietto indirizzato a me?» Leeland si sorprese di questa osservazione, e si apprestava a rispondere, quando dovettero spostarsi: in quel momento una lussuosa limousine passava proprio davanti a loro. All'interno, videro una veste porpora cardinalizia. La macchina rallentò per attraversare l'atrio del Belvedere e Nil afferrò bruscamente il braccio dell'americano.
«Rembert, osserva la targa di quella macchina!» «E allora? S.C.V., Sancta Civitas Vaticani, è una targa del Vaticano. Non ti stupirà sapere che qui se ne vedono passare ogni giorno.» Nil restò inchiodato in mezzo al cortile del Belvedere. «S.C.V.! Ma sono le tre lettere che Andrei ha annotato sulla sua agenda, proprio davanti alla parola "Templari" ! Da giorni mi spaccavo la testa per sapere cosa significasse. Dato che erano seguite da una segnatura Dewey incompleta, ero convinto che indicassero una biblioteca, da qualche parte nel mondo. Rembert, credo di aver capito! S.C.V. seguito da quattro cifre, è la collocazione di una serie di opere conservate in una delle biblioteche della Sancta Civitas Vaticani. Il Vaticano. Avrei dovuto pensarci. Andrei era un incorreggibile ficcanaso. Alla biblioteca di San Girolamo ha trovato un raro testo di Origene, ma è anche qui che si deve cercare la seconda opera che ha annotato sulla sua agenda.» Nil alzò la testa verso l'imponente edificio. «Là dentro, nascosto da qualche parte, si trova un libro che mi permetterà forse di sapere qualcosa di più sull'epistola del tredicesimo apostolo. Ma qualcosa mi sfugge, Rembert. Che cosa c'entrano i Templari in tutta questa storia?» Leeland non lo ascoltava più. Perché Lev Barjona gli aveva fatto recapitare due biglietti d'invito? Istintivamente, compose il codice d'entrata del fondo vaticano. Nel momento in cui sentì la suoneria, Breczinsky prese nervosamente il suo interlocutore per il gomito. «Sono certamente loro. Non aspettavo nessun altro questa mattina. Se uscite dal davanti, li incrocerete. Il
fondo possiede una scala che porta direttamente alla Biblioteca vaticana. Vi ci condurrò. Fate presto, stanno per arrivare.» Vestito con una stretta sottana, Antonio gettò uno sguardo al polacco, che livido in volto tradiva lo smarrimento. Era stato facile. Nel giro di pochi istanti di conversazione nel suo ufficio, davanti a lui Breczinsky si era come fuso. Il cardinale conosceva bene l'animo umano. Bastava saper individuare la piaga segreta, e affondarvi il dito.
62 Sonia si portò i lunghi capelli sui seni, e osservò il piccolo uomo che si rivestiva. In fondo, non era cattivo, soltanto un po' bizzarro. Con quell'assurda mania di parlare senza sosta. Quando era arrivata in Arabia Saudita, attirata dall'offerta allettante di un lavoro, si era trovata rinchiusa nell'harem di un dignitario del regime. L'arabo non pronunciava mai nemmeno una parola durante l'amore, che sbrigava rapidamente. Mentre Calfo non cessava di mormorare cose incomprensibili e sempre sulla religione. Ortodossa, Sonia condivideva il rispetto di tutti i rumeni per i dignitari religiosi. Ma monsignor Calfo doveva essere un po' tocco. Esigeva da lei lenti progressi, e a volte quei suoi occhietti che la fissavano intensamente le incutevano timore. La voce melliflua del prelato le ordinava di fare cose che provocavano in lei una viva repulsione. Non poteva certo parlarne con Moktar, che l'aveva portata a Roma. «Vedrai,» aveva detto «un cliente che
paga molto bene.» È vero, il vescovo era generoso, Ma Sonia era sempre più convinta che quel denaro avesse un prezzo troppo alto. Mentre si abbottonava il collo dell'abito talare, Calfo si voltò verso di lei. «Devi andartene, ho una riunione domani sera. Una riunione importante. Capisci?» La ragazza annuì. Il vescovo le aveva spiegato che, per potersi elevare sui gradini de La Scala santa del paradiso*, si doveva mantenere una tensione dialettica tra il carnale e lo spirituale. Sonia non aveva capito quello sproloquio, sapeva solo che sarebbe ritornata dopo due giorni. Ogni volta era sempre la stessa cosa: "Riunione importante". E l'indomani, era un venerdì 13. I dodici apostoli erano particolarmente solenni. Antonio scivolò silenziosamente dietro il lungo tavolo per prendere posto sulla sua sedia. Lo strano sguardo nero, la sola cosa visibile dietro il velo che gli nascondeva il viso, era innocente e placido. «Come ogni venerdì 13, fratelli miei, la nostra riunione è statutaria. Ma prima di venerare la preziosa reliquia in nostro possesso, devo aggiornarvi sugli ultimi sviluppi della missione in corso.» II rettore contemplò un istante il crocifisso che gli stava di fronte, in un silenzio totale. «Grazie al mio agente palestinese, disponiamo delle registrazioni di tutto ciò che viene detto nello studio della via Aurelia. Il francese si mostra un degno emulo di padre Andrei. È riuscito ad avere la meglio sul codice dell'iscrizione di Germigny e a comprenderne il senso grazie alla prima frase del manoscritto copto. Ha ritrovato la cita* Celebre opera di san Giovanni Climaco, Padre della Chiesa.
zione di Origene, e grazie alla seconda frase del manoscritto è sulla pista dell'epistola del tredicesimo apostolo, della quale Andrei aveva supposto l'esistenza prima di venire a Roma.» Un brivido percorse l'assemblea. Uno degli apostoli alzò le braccia conserte per chiedere la parola. «Fratello rettore, non stiamo giocando con il fuoco? Nessuno, dal tempo dei Templari, è andato così vicino al segreto che abbiamo la missione di proteggere.» «Questa assemblea ha già pesato i prò e i contro e preso una decisione. Lasciare che padre Nil prosegua la sua ricerca è un rischio, ma un rischio calcolato. Malgrado gli sforzi dei nostri predecessori, qualche traccia dell'epistola esiste ancora. Sappiamo che il suo contenuto ha una natura tale che può distruggere la Chiesa cattolica e la civiltà che essa anima e ispira. Ne esiste forse ancora un esemplare, che sarebbe sfuggito alla nostra vigilanza. Non ripetiamo l'errore commesso con padre Andrei: stavolta non impediamo che la volpe corra dietro alla sua preda. Se riuscirà a individuarla, noi agiremo, senza perdere tempo. Padre Nil lavora per noi...» Fu interrotto da un apostolo, la cui obesità mal si celava sotto l'alba. «Trascorrono gran parte del loro tempo al fondo vaticano: come possiamo controllare ciò che si dicono in quel luogo strategico?» Il rettore era l'unico a sapere che l'apostolo che aveva appena chiesto la parola era un membro altolocato della Congregazione per la propaganda della fede, uno dei servizi di informazione più efficiente al mondo. Calfo gli rispose con deferenza: quell'uomo era a conoscenza di tutte le informazioni raccolte nei cinque continenti, fino alla più sperduta parrocchia di
campagna. «Uno di noi si è recato a fare visita a padre Breczinsky, per ricordargli alcune cose. Pare aver capito. Penso che saremo rapidamente informati sulla capacità di padre Nil di ritrovare l'epistola. Passiamo ora alla riunione statutaria.» Assistito da due apostoli fece scorrere il pannello di legno e con devozione prese il cofanetto che si trovava sul ripiano centrale. Davanti agli Undici, immobili, lo adagiò sul tavolo e si profuse in un profondo inchino. «Il venerdì 13 ottobre 1307, il cancelliere Guglielmo di Nogaret fermò il gran maestro del Tempio, Giacomo de Molay e centotrentotto dei suoi fratelli nella casa templare di Parigi. Furono rinchiusi nei sotterranei, e sotto tortura vennero interrogati senza sosta. In tutta la Francia, lo stesso giorno, la quasi totalità dei membri dell'ordine furono arrestati in modo che non potessero più nuocere: la cristianità era salva. Oggi, commemoriamo quel venerdì 13, come prevedono i nostri statuti.» Poi si abbassò, aprì il cofanetto. Nil aveva ritrovato quasi tutte le tracce lasciate nella Storia dall'epistola del tredicesimo apostolo: ma quella, l'avrebbe appena sfiorata. Indietreggiò di un passo. «Fratelli miei, la venerazione.» Gli apostoli si alzarono, e uno dopo l'altro si avvicinarono per baciare prima l'anello del rettore, poi il contenuto del cofanetto. Quando giunse il suo turno, per un istante Antonio restò immobile: semplicemente adagiata su un cuscinetto di velluto rosso, una pepita d'oro luccicava debolmente. Perfettamente liscia, aveva la forma di una lacrima. «Ciò che resta del tesoro dei Templari!» Si inchinò, accostò il viso al cofanetto e appoggiò le
labbra sulla lacrima d'oro. Gli sembrò ancora ardente, e una scena orribile gli apparve in quell'istante dietro gli occhi chiusi.
63 Padre Breczinsky li aveva accolti con un sorriso spento e condotti senza una parola al loro tavolo di lavoro. Dopo un cenno del capo, entrò nel suo ufficio, lasciando la porta semiaperta. Preso dalla sua recente scoperta, Nil non aveva prestato attenzione al suo atteggiamento riservato. "S.C.V., una segnatura del Vaticano. È una delle più grandi biblioteche del mondo! Trovarci un libro era una missione impossibile." Lavorò in modo automatico per qualche minuto, respirò a fondo e si voltò verso Leeland. «Rembert, vorresti sostituirmi per qualche istante? Breczinsky è l'unico che possa aiutarmi a trovare il volume corrispondente alla segnatura S.C.V. lasciata da Andrei nell'agenda. Vado a parlargli.» Un'ombra passò sul viso dell'americano, che sussurrò: «Ti prego, ricorda quello che ti ho detto. Non devi fidarti di nessuno, qui dentro». Nil non rispose. "So cose che non conosci." Si tolse i guanti e bussò alla porta del bibliotecario. Immobile, Breczinsky era seduto davanti allo schermo spento del computer, le mani sulla scrivania. «Padre, l'altro giorno mi ha detto che era disposto ad aiutarmi. Posso rivolgermi a lei?» Il polacco lo guardava stralunato, senza dire una
parola. Poi abbassò lo sguardo e parlò con voce sorda, come se si rivolgesse unicamente a se stesso, come se Nil non fosse presente: «Mio padre è stato ucciso alla fine del 1940. Non l'ho mai conosciuto. Mia madre mi ha raccontato che un mattino, un alto ufficiale della Wehrmacht è venuto a cercare tutti gli uomini del villaggio, con la scusa di dover lavorare nella foresta. Mio padre non è mai tornato, e mia madre è morta quando avevo sei anni. Un cugino di Cracovia mi ha accolto. Ero un bambino sperduto e a causa della guerra avevo smesso di parlare. Il giovane curato della parrocchia vicina ha avuto pietà di quel bambino muto. Mi ha preso sotto la sua protezione, mi ha restituito la voglia di vivere. Poi, un giorno, mi ha tracciato il segno della croce in fronte, sulle labbra, sul cuore. L'indomani, per la prima volta dopo anni, ho parlato di nuovo. In seguito, mi ha concesso di entrare al seminario diocesano di Cracovia, del quale è divenuto vescovo. Gli devo tutto, è il padre della mia anima». «Qual è il suo nome?» «Karol Wojtyla. L'attuale papa. Il papa che servo con tutte le mie forze.» Alla fine alzò lo sguardo e fissò Nil. «Lei è un vero monaco, padre Nil, proprio come padre Andrei. In Vaticano, attorno al papa, uomini interessati a tenerlo parzialmente all'oscuro di ciò che fanno in suo nome, intessono trame complesse. In Polonia, Karol Wojtyla non ha mai conosciuto nulla di simile: laggiù, il clero era totalmente solidale, unito contro il comune nemico sovietico. Ciascuno accordava all'altro cieca fiducia, la Chiesa polacca non sarebbe sopravvissuta a manovre interne. È con quello spirito che il papa ha affidato parte delle sue responsabilità a uomini come il cardinale Riedinger. E
io, qui, sono il testimone silenzioso di molte cose.» Fece uno sforzo per alzarsi. «L'aiuterò, come ho aiutato padre Andrei. Ma il rischio è considerevole. Giuri che non sta cercando di nuocere al papa.» Nil gli rispose dolcemente: «Non sono che un monaco, padre, il mio unico interesse è rivolto all'identità di Gesù. La politica e i costumi del Vaticano mi sono estranei, e non ho niente a che fare con il cardinale Riedinger, il quale non sa neanche della mia esistenza. Come Andrei, sono un uomo di verità». «Le concedo la mia fiducia. Anche il papa è un uomo di verità. Cosa posso fare per lei?» Nil gli porse l'agenda di Andrei. «Durante il soggiorno a Roma, padre Andrei ha consultato un libro del quale ha qui annotato la segnatura. Le dice qualcosa?» Breczinsky esaminò attentamente la pagina dell'agenda, poi alzò la testa. «Naturalmente, è una segnatura di questo fondo. Indica tutta la scaffalatura dove sono conservati gli atti originali dei processi d'inquisizione dei Templari. Durante il suo passaggio, padre Andrei mi ha chiesto di poterli consultare, benché non ne avesse l'autorizzazione. Mi segua.» Passarono in silenzio davanti al tavolo dove Leeland, chino su un manoscritto, non alzò la testa. Giunti alla terza sala, Breczinsky svoltò a sinistra e condusse Nil davanti a una scaffalatura situata in una rientranza. «Qui ci sono,» gli mostrò gli scaffali che tappezzavano il muro «atti dell'Inquisizione riguardanti l'affare dei Templari. Gli atti originali. Posso dirle che padre Andrei si è attardato sugli atti dell'interrogatorio del templare Esquieu de Floyran da parte di Guglielmo
di Nogaret, e sulla corrispondenza di Filippo il Bello. Io stesso li ho rimessi a posto dopo la sua partenza. Spero sia più rapido di lui: le concedo due ore. E si ricordi. Lei non è mai venuto in questa ala del fondo.» Scivolò via come un'ombra. In quell'angolo deserto, si udiva solo il rumore dell'impianto di condizionamento. Una decina di cartoni erano allineati, numerati. In uno di essi, su una pagina scritta dal notaio dell'inquisizione davanti al prigioniero stremato per le torture, si trovava forse una traccia del tredicesimo apostolo, rinvenuta da Andrei. In modo deciso, tirò verso di sé il primo cartone: Confessioni dei fratelli templari raccolte in presenza di monsignore Guglielmo di Nogaret da me, Guglielmo di Parigi, rappresentante del re Filippo il Bello e Grande Inquisitore di Francia.
64 Rive del Mar Morto, marzo 1149 «Ancora uno sforzo, Pierre, ci sono addosso.» Esquieu de Floyran afferrò il suo compagno per la vita. Erano ai piedi di un dirupo scosceso, un ammasso di concrezioni rocciose in mezzo alle quali si insinuavano sentieri battuti dalle capre. Si scorgevano qua e là buchi neri; l'entrata di grotte naturali, sospese sul vuoto. Dal loro incontro a Vézelay tre anni prima, i due uomini non si erano più lasciati. Infiammati dalla predicazione di san Bernardo, avevano indossato la tunica bianca con la croce rossa e raggiunto la
seconda crociata in Palestina. Là, i Templari si erano fatti intrappolare a Gaza dai turchi selgiuchidi. Esquieu, volendo liberare la piazzaforte, alla testa di una quindicina di cavalieri e in pieno giorno fece un'uscita di diversione che richiamò una parte degli assedianti, ormai lanciati al loro inseguimento. Nella fuga verso est, i suoi compagni erano caduti uno dopo l'altro. Al suo fianco era rimasto solo il fedele Pierre de Montbrison. Arrivati sulle rive del Mar Morto, i due cavalli erano crollati sotto di loro. I due templari scavalcarono i resti di un muro, ed entrarono in un recinto di rovine che recavano tracce di un violento incendio. Senza smettere di correre, passarono davanti a un immenso serbatoio scavato nella roccia, poi seguirono il tracciato di canali d'irrigazione che si dirigevano verso il dirupo. La loro salvezza. Nel momento in cui lasciavano la copertura degli alberi, Pierre lanciò un grido e cadde. Quando il suo compagno si chinò su di lui, vide che una freccia gli trapassava l'addome, all'altezza delle reni. «Lasciami. Sono ferito!» «Lasciarti nelle loro mani? Mai! Andremo a rifugiarci su quel dirupo e fuggiremo con il favore delle tenebre. C'è un'oasi qui vicino, Ein Feshka. È la strada verso ovest, il cammino della salvezza. Appoggiati a me, non è la prima volta che una freccia ti colpisce. Una volta arrivati là in alto, te la estrarrò. Rivedrai la Francia e la tua commenda.» Le parole incandescenti di san Bernardo gli risuonavano nelle orecchie: «Il cavaliere di Cristo dà la morte in tutta sicurezza. Se muore, è per il suo bene, se uccide, è per il Cristo*». Ma per il momento, si trattava *
Estratto della regola data da san Bernardo ai Templari. De laude novae mililiae.
soprattutto di sfuggire a una banda di turchi furiosi. Allahou Akbar! Le loro grida erano sempre più vicine. "Pierre è allo stremo. Signore, soccorrici!" Sostenendosi a vicenda, si infilarono nella parete del dirupo. Si fermarono presso l'apertura di una delle grotte, ed Esquieu diede un'occhiata in basso. I loro inseguitori sembravano averli persi di vista e si consultavano. Dal loro osservatorio, potevano scorgere non soltanto le rovine bruciate che avevano appena superato, ma l'ansa del Mar Morto che scintillava sotto il sole mattutino. Alla sua destra, Pierre si era appoggiato contro la parete rocciosa, livido. «Hai bisogno di distenderti. Devo estrarre la freccia. Vieni, ci intrufoleremo in quel buco e aspetteremo la notte.» L'apertura era tanto stretta che per entrare furono costretti a far passare per primi i piedi. Esquieu trasportò il compagno che gemeva, ricoperto di sangue. Curiosamente, l'interno era piuttosto luminoso. Adagiò il ferito sul lato sinistro dell'entrata, la testa appoggiata su una specie di ciotola in terracotta che sbucava dalla sabbia. Poi con un gesto rapidissimo estrasse la freccia. Pierre lanciò un grido e perse conoscenza. "La freccia gli ha trapassato il ventre, il sangue si riversa a fiotti. È perduto." Tra le labbra del moribondo, versò le ultime gocce d'acqua della sua borraccia. Poi andò a ispezionare la vallata sottostante. I turchi non si erano mossi. Dovevano aspettare che se ne andassero. Ma Pierre sarebbe morto prima. Fine letterato, erudito, Esquieu aveva accolto sulle sue terre un priorato di monaci del nuovo ordine
creato da san Bernardo. Passava il tempo libero a leggere i manoscritti raccolti nel loro scriptorium, e aveva studiato la medicina di Gallieno sui testi greci. Pierre stava perdendo troppo sangue, al punto che sotto il suo corpo si andava formando una pozza scura. Non gli restava molto: un'ora, forse meno. Disorientato, gettò un'occhiata sul suolo della grotta. Lungo tutta la parete di sinistra, coperchi simili a tazze spuntavano dalla sabbia. Alzò a caso il terzo a partire dall'entrata. Era una giara di terracotta, perfettamente conservata. All'interno, vide uno spesso rotolo avvolto in una pezza oleosa. Contro la parete della giara, un rotolo più piccolo era riposto a parte. Lo estrasse senza difficoltà. Si trattava di una pergamena di buona qualità, chiusa con una semplice cordicella di lino che slegò con facilità. Gettò un'occhiata a Pierre. Immobile, respirava appena. Il suo viso aveva assunto il livore dei cadaveri. "Mio povero amico... morire in terra straniera!" Svolse la pergamena. Era greco, perfettamente leggibile. Una scrittura elegante e un lessico che conosceva: il vocabolario degli apostoli. Si avvicinò all'apertura, cominciò a leggere. Gli occhi si spalancarono, le mani cominciarono a tremare leggermente. «Io, il discepolo beneamato di Gesù, il tredicesimo apostolo, a tutte le Chiese...» L'autore diceva che, la sera dell'ultima cena nella sala alta, non c'erano dodici, ma tredici apostoli, e quel tredicesimo era lui. Contestava in termini solenni la divinità di Gesù. E affermava che Egli non era resuscitato, ma che dopo la morte era stato deposto in una tomba, che si trovava... «Pierre, guarda! Una lettera apostolica del tempo di Gesù, la lettera di uno degli apostoli... Pierre!» La testa dell'amico era dolcemente reclinata accanto
al coperchio che chiudeva la prima giara della grotta. Era morto. Un'ora più tardi, Esquieu aveva preso la sua decisione. Il corpo di Pierre avrebbe atteso in quel luogo la resurrezione finale. Ma quella lettera di un apostolo di Gesù, del quale non aveva mai sentito parlare, doveva essere rivelata al mondo intero. Portarsi appresso la pergamena era troppo rischioso. Indurita dal tempo, presto si sarebbe ridotta in polvere. E lui, sarebbe riuscito a sfuggire ai musulmani, arrivando sano e salvo a Gaza? L'originale sarebbe rimasto nella grotta, ma ne avrebbe stilato una copia. Subito. Con rispetto, girò il corpo dell'amico, gli aprì la tunica e strappò un ampio lembo della camicia. Poi tagliò finemente un pezzo di legno, e posò la tela su una pietra piana. Intinse la penna improvvisata nella pozza di sangue che arrossava il suolo. Lentamente iniziò a copiare l'epistola apostolica, come spesso aveva visto fare nello scriptorium del priorato. Il sole tramontava dietro il dirupo di Qumran. Esquieu si rialzò. Il testo del tredicesimo apostolo era scritto in lettere di sangue sulla camicia di Pierre. Arrotolò la pergamena, la legò con la cordicella di lino e con precauzione la ripose nella terza giara, facendo attenzione che non toccasse il rotolo oleoso. Rimise il coperchio, piegò con cura la copia che aveva trascritto e la infilò nella cintura. Dall'entrata della grotta, guardò giù. I turchi erano la metà di prima. Da solo ce l'avrebbe fatta. Doveva attendere la notte, e passare attraverso la piantagione di Ein Feskha. Ci sarebbe riuscito. Due mesi più tardi, un vascello con la vela
contrassegnata da una croce rossa attraversò l'imboccatura di San Giovanni d'Acri. Faceva rotta verso ovest. In piedi sulla prua, un cavaliere del Tempio in abito bianco gettava un ultimo sguardo verso la terra di Cristo. Dietro di sé, abbandonava il corpo del suo migliore amico. Disteso in una delle grotte a strapiombo su Qumran, una grotta contenente decine di giare colme di strani rotoli. Appena possibile, doveva farvi ritorno. Recuperare la pergamena della terza giara, a sinistra dell'entrata, e riportarla in Francia, con tutte le precauzioni che meritava un documento tanto venerabile. La morte di Pierre non sarebbe stata vana. Avrebbe consegnato la sua copia della lettera dell'apostolo sconosciuto al gran maestro del Tempio, Robert de Craon. Il suo contenuto poteva mutare l'aspetto del mondo e provare a tutti che i Templari avevano avuto ragione a rifiutare il Cristo e amare appassionatamente Gesù. Arrivando a Parigi, Esquieu di Floyran chiese un incontro riservato con Robert de Craon. Una volta in sua presenza, tirò fuori dalla cintura un rotolo di tessuto coperto di caratteri marrone scuro, e lo porse al gran maestro del Tempio. In silenzio, il gran maestro srotolò la striscia di tessuto. Sempre in silenzio, si mise a esaminare il testo, perfettamente leggibile. Fece giurare a Esquieu di mantenere il segreto sul sangue del suo fratello e amico, quindi lo congedò con un semplice cenno del capo. Robert de Craon trascorse l'intera serata e l'intera notte in solitudine, davanti al tavolo sul quale era stato disteso il pezzo di tela, coperto del sangue di uno dei suoi fratelli, che tracciava le righe più incredibile e
più stupefacenti che avesse mai letto. L'indomani, il viso grave, fece indire in tutta Europa una convocazione straordinaria del capitolo generale dell'ordine dei Templari. Nessuno dei fratelli capitolari, siniscalchi o priori, titolari d'illustri fortezze o della più piccola commenda, doveva disertare il capitolo. Nessuno.
65 Quando Nil raggiunse l'amico, sempre chino sul tavolo della sala del fondo, il suo viso era impenetrabile. Leeland alzò la testa dal manoscritto. «Dunque?» «Non qui. Rientriamo in via Aurelia.» Roma si preparava a celebrare il Natale. Secondo la tradizione della città eterna, ogni chiesa, in quel periodo, espone un presepio, una mangiatoia adorna di tutti i simboli dell'immaginario barocco. I romani trascorrevano i pomeriggi di dicembre da una chiesa all'altra, confrontando la realizzazione di ciascuna e commentandola con ampi gesti delle mani. "Impossibile," pensava Nil vedendo intere famiglie riversarsi negli atri delle chiese e gli occhi dei bambini "dire loro che tutto questo è basato su una menzogna secolare. Hanno bisogno di un dio a loro immagine, un dio fanciullo. La Chiesa non può far altro che proteggere il suo segreto. Nogaret aveva ragione." I due uomini camminavano in silenzio. Giunti allo studio, si sedettero accanto al piano, e Leeland tirò fuori una bottiglia di bourbon. Ne versò un bicchiere a
Nil, che fece un gesto per fermarlo. «Avanti, Nil, la nostra bevanda nazionale porta il nome dei re di Francia. Qualche sorsata ti aiuterà a raccontarmi cosa hai fatto da solo per l'intera mattinata, in una sala del fondo vaticano che, in linea di massima, ti sarebbe vietata...» Nil non raccolse l'allusione. Per la prima volta, avrebbe nascosto qualcosa all'amico. Le confidenze di Breczinsky, l'espressione terrorizzata del suo viso, non avevano niente a che vedere con la sua ricerca. Si sentiva detentore di un segreto, che non avrebbe condiviso con nessuno. Bevve una sorsata di bourbon, fece una smorfia e tossì. «Non so da dove cominciare. Tu non sei uno storico, non hai studiato gli atti degli interrogatori dell'Inquisizione che ho appena consultato. Ho trovato i testi esaminati da Andrei al fondo, e mi hanno immediatamente parlato. In modo chiaro e oscuro allo stesso tempo.» «Hai trovato qualcosa che riguarda il tredicesimo apostolo?» «Le parole "tredicesimo apostolo" o "epistola apostolica" non appaiono in nessun interrogatorio. Ma adesso che so cosa cerchiamo, ci sono due dettagli che hanno attirato la mia attenzione, e che non capisco. Lo stesso Filippo il Bello ha sancito l'atto di accusa dei Templari, in una lettera indirizzata ai commissari reali il 14 settembre 1307, un mese prima della retata generale contro tutti i membri dell'Ordine. Essa è conservata al fondo. L'ho ricopiata questa mattina.» Si chinò e prese dalla borsa a tracolla un foglio di carta. «Ti leggo la sua prima accusa: "Ecco una cosa amara, una cosa deplorevole, sicuramente orribile, un crimine detestabile..." E dunque cosa? "Che i
Templari, quando entrano nell'Ordine, negano per tre volte il Cristo e gli sputano in volto altrettante volte*."» «Oh, oh!» «Poi, dal venerdì 13 ottobre 1307, fino all'ultimo interrogatorio di Giacomo de Molay sul rogo, il 19 marzo 1314, una domanda viene posta incessantemente: "È vero che rinnegate Cristo?". Tutti i Templari, qualunque fosse la durezza delle torture subite, rispondevano che sì, rinnegavano Cristo. Ma che no, non rinnegavano Gesù, in nome del quale si erano arruolati nella milizia.» «E allora?» «Allora è esattamente ciò che affermavano i nazoreni, dei quali Origene ha potuto consultare i testi. Sappiamo che è l'insegnamento del loro maestro, il tredicesimo apostolo. Se la sua epistola è capace da sola di annientare la Chiesa, se deve essere distrutta ovunque come chiede il manoscritto copto, non è solo perché nega la divinità di Gesù, molti altri lo avevano fatto dopo di lui, ma perché, secondo Origene, contiene una prova che egli non era Dio.» «I Templari erano a conoscenza dell'epistola del tredicesimo apostolo andata perduta?» «Questo non lo so, ma nel XIV secolo alcuni Templari si fanno torturare e uccidere perché proclamano la stessa dottrina dei nazoreni, e confermano quella scelta con un gesto rituale, sputano sul Cristo. Ci sarebbe forse una seconda ipotesi,» Nil si massaggiò la fronte «quegli uomini sono stati per lungo tempo in stretto contatto con i musulmani. Il rifiuto di un altro dio al di fuori di Allah viene ribadito incessantemente nel Corano, e non dimenticare che * Lettera di Filippo il Bello ai cavalieri Hugues de la Celle e Oudard de Molendinis, commissari di Sua Maestà.
Maometto stesso conosce e cita a più riprese i nazoreni...» «Che cosa significa? Tu mischi tutto!» «No, metto in relazione elementi disparati. Sovente si è detto che i Templari avevano subito l'influenza dell'Islam. Forse, ma il loro rifiuto della divinità di Gesù non trae origine dal Corano. È più grave. Nei racconti resi durante gli interrogatori, alcuni ammettono che l'autorità di Pietro e dei Dodici apostoli è stata trasferita sulla persona del gran maestro del Tempio.» «Il gran maestro, una sorta di successore del tredicesimo apostolo?» «Non lo pongono in questi termini, ma affermano che il loro rifiuto del Cristo si basa sulla persona del loro gran maestro, che considerano come un'autorità superiore a quella dei Dodici e della Chiesa. Tutto si svolge come se una successione apostolica nascosta venisse trasmessa nel corso dei secoli, parallelamente a quella di Pietro. Risalendo al tredicesimo apostolo, appoggiandosi in seguito sui nazoreni e infine, dopo la loro estinzione, su quella misteriosa epistola.» Nil ingurgitò una sorsata di bourbon. «Filippo il Bello muove contro i Templari una seconda grave accusa: "Quando entrano nell'Ordine, baciano colui che li riceve, il gran maestro, prima sulle natiche, poi sul ventre"*.» Leeland scoppiò a ridere: «Gosh! Templar queers!». «No, i Templari non erano omosessuali. Facevano voto di castità e tutto sembra dimostrare che lo rispettavano. Era un gesto rituale, nel corso di una cerimonia religiosa, solenne e pubblica. Quel gesto ha consentito, perché non compreso, a Filippo il Bello di * Vedi nota di pagina precedente.
accusarli di sodomia, mentre in realtà rivestiva senza dubbio un significato altamente simbolico.» «Baciare il didietro del gran maestro, poi fare il giro e baciargli il ventre. Un rituale simbolico, in una chiesa?» «Un rito solenne al quale conferivano una grande importanza. Che senso aveva quel gesto per loro? Dapprima ho pensato che venerassero i chakra del gran maestro, quell'incrocio di energia spirituale che gli indù collocano precisamente nel ventre e nel... didietro, come dici tu. Ma i Templari non conoscevano la filosofia indù. Non ho dunque nessuna spiegazione, tranne questa: un gesto di venerazione verso la persona del gran maestro, l'apostolo la cui autorità soppiantava per loro quella di Pietro e dei suoi successori. Da lì sembrano essersi ricollegati a un'altra successione, quella del tredicesimo apostolo. Ma perché un bacio in quel punto preciso, le natiche? Lo ignoro.» Quella sera, padre Nil non riusciva a prendere sonno. Le domande lo assillavano. Cosa significava quel gesto sacrilego, che aveva infangato per sempre la memoria dei cavalieri? E soprattutto, quale nesso poteva avere con la lettera del tredicesimo apostolo? Ancora una volta, si rigirò pesantemente nel letto, facendo cigolare il materasso a molle. L'indomani, sarebbe andato a un concerto. Un gradito diversivo. 66 Parigi, 18 marzo 1314 «Per l'ultima volta, ti scongiuriamo di confessare: hai
negato la divinità di Cristo? Ci dirai cosa significa l'empio rituale della vostra ammissione all'Ordine?» Sulla punta dell'Ile de la Cité, il gran maestro del Tempio Giacomo de Molay era stato issato su un mucchio di fascine. Le mani legate sotto il mantello bianco, stava davanti a Guglielmo di Nogaret, cancelliere e anima dannata di re Filippo IV il Bello. Il popolo di Parigi si era radunato sulle due rive della Senna. Il gran maestro avrebbe ritrattato all'ultimo momento, privando così i curiosi di uno spettacolo di prima qualità? Il carnefice, gambe divaricate, teneva nella mano destra una torcia in fiamme, e non doveva fare che un gesto. Giacomo de Molay chiuse gli occhi un istante, e richiamò a sé tutta la memoria del suo Ordine. Era quasi due secoli prima, nel 1149. Non lontano da quel rogo sul quale sarebbe morto. Il giorno dopo il passaggio a Parigi del cavaliere Esquieu de Floyran, il gran maestro Robert de Craon aveva convocato d'urgenza un capitolo straordinario dell'Ordine del Tempio. Davanti ai fratelli radunati, aveva letto ad alta voce l'epistola del tredicesimo apostolo, sulla copia che gli era miracolosamente appena giunta. Essa forniva la prova indiscutibile che Gesù non era Dio. Il suo corpo non era mai resuscitato, ma era stato sepolto dagli esseni, da qualche parte ai confini del deserto d'Idumea. L'autore di quella lettera diceva che negava la testimonianza dei Dodici e l'autorità di Pietro, accusato di aver accettato la divinizzazione di Gesù per conquistare il potere. Pietrificati, i Templari lo avevano ascoltato in un silenzio di tomba. Uno di loro si era alzato e aveva detto con voce sorda: «Fratelli, tutti i qui presenti
hanno vissuto per anni a contatto con i nemici musulmani. Ognuno sa che il Corano nega la divinità di Gesù, negli stessi identici termini di quella lettera apostolica, e che è la ragione principale del loro accanimento contro i cristiani. Bisogna far conoscere l'epistola alla cristianità, divulgarla, affinché sia conosciuta per sempre la vera identità di Gesù. Verità che porrà fine alla guerra spietata che oppone i successori di Maometto al successore di Pietro. Solamente allora potranno vivere tranquillamente insieme coloro che confesseranno con la medesima voce che Gesù, il figlio di Giuseppe, non era un dio ma un uomo eccezionale e una guida ispirata!». Robert de Craon pesò con cura i termini della risposta: «Mai,» disse ai fratelli riuniti «mai la Chiesa rinuncerebbe al suo dogma fondatore, fonte di un potere universale». Egli aveva un altro progetto, che fu adottato dopo una lunga delibera. Nei decenni che seguirono, la ricchezza dei Templari s'incrementò in maniera prodigiosa. Era sufficiente che il gran maestro incontrasse un principe o un vescovo, perché immediatamente affluissero donazioni in possedimenti e in metallo prezioso. Il fatto è che i successori di Robert de Craon facevano valere un argomento indiscutibile: il possesso di un documento Apostolico che, se divulgato, avrebbe distrutto le fondamenta stesse della Chiesa cattolica. I re, i papi stessi pagarono, e opulente commende templari sorsero ovunque. Un secolo più tardi, i Templari facevano da banchieri a tutta Europa. L'epistola del tredicesimo apostolo era diventata la paratoia di un fiume d'oro, che confluiva nei forzieri dei cavalieri. Ma la sorgente di tale ricchezza, oggetto di tutte le
bramosie, era alla mercé dei ladri. Quel pezzo di tela doveva essere riposto in un luogo sicuro. La persona del gran maestro, successore del tredicesimo apostolo e che, come lui, teneva testa alla cristianità fondata da Pietro, era divenuta intoccabile. Uno di loro ricordò di come i prigionieri orientali nascondevano il denaro. Lo riponevano in un piccolo cilindro di metallo che s'infilavano negli intestini. In questo modo il tesoro era al sicuro da ogni furtarello. Egli fece realizzare una custodia d'oro, vi introdusse la copia dell'epistola accuratamente arrotolata, la introdusse dove doveva e la portò nell'intimità della propria persona, a quel punto divenuta doppiamente sacra. Affinché nessuno sospettasse il segreto legato all'epistola, era necessario che ogni traccia, anche la più piccola, fosse cancellata. Il siniscalco della commenda di Patay sentì parlare di un'iscrizione incisa nella chiesa di Germigny, che allora si trovava sulle sue terre. Un monaco erudito sosteneva che quella iscrizione avesse un senso nascosto, racchiuso nel modo straordinario in cui il testo del Simbolo di Nicea era stato trascritto. Si diceva capace di decifrare il codice. Il siniscalco convocò il monaco e si chiuse con lui nella chiesa di Germigny. Quando ne uscirono, aveva l'espressione grave, e senza indugio fece condurre il monaco sotto scorta alla sua commenda di Patay. Il monaco erudito morì l'indomani stesso. La lastra fu immediatamente ricoperta con uno strato di intonaco e la sua misteriosa iscrizione scomparve dagli occhi e dalla memoria del popolo. Il rituale di ammissione nell'Ordine dei Templari comportava ormai un gesto curioso, che i novizi compivano religiosamente: durante la messa e prima
di ricevere il grande mantello bianco, ciascuno doveva inginocchiarsi davanti al gran maestro e baciarne prima le natiche, poi il ventre. Senza saperlo, il nuovo fratello venerava così l'epistola del tredicesimo apostolo, ovunque perseguitata dall'odio di quella Chiesa che metteva in pericolo. Custodita ora nelle viscere del gran maestro, che la estraeva dalla sua custodia solo per ottenere, sotto la sua minaccia, ancora più terre, ancora più oro. Il tesoro dei Templari giaceva nelle cantine di molte commende. Ma la fonte di quel tesoro, la sua fonte inesauribile, era trasmessa da ogni gran maestro al suo successore, che lo proteggeva con il baluardo del proprio corpo. Sul rogo, Giacomo de Molay sollevò il capo. Lo avevano sottoposto alla tortura dell'acqua, del fuoco e dello stiramento, ma non gli avevano frugato le viscere. Con una semplice contrazione, poteva sentire nella sua parte più intima la presenza della custodia d'oro. L'epistola sarebbe sparita con lui, l'unica arma dei Templari contro i re e i prelati di una Chiesa divenuta indegna di Gesù. Con voce straordinariamente forte, rispose a Guglielmo di Nogaret: «È sotto tortura che alcuni dei nostri fratelli hanno ammesso gli orrori dei quali mi accusi. Di fronte al cielo e alla terra, giuro in questo stesso istante che tutto ciò che hai appena detto dei crimini e dell'empietà dei Templari non sono che calunnie. Noi meritiamo la morte per non aver saputo resistere alla sofferenza inflittaci dagli inquisitori». Con un sorriso di trionfo, Nogaret si girò verso il re. In piedi nella loggia reale, che si affacciava sulla Senna, Filippo levò la mano: nello stesso istante il
carnefice abbassò il braccio, affondando la torcia viva nelle fascine del rogo. Le scintille volavano nell'aria fino alle torri di NotreDame. Giacomo de Molay ebbe ancora la forza di gridare: «Papa Clemente, re Filippo! Prima di un anno, vi cito a comparire davanti al tribunale di Dio per ricevere il vostro giusto castigo! Siate maledetti, voi e coloro che verranno dopo di voi!». Il rogo crollò su se stesso, in un'esplosione di scintille. Il calore era tale che raggiunse le sponde della Senna. Sul finir del giorno, il curato di Notre-Dame andò a pregare sui resti della pira. Gli arcieri avevano lasciato il luogo, si ritrovò solo e si inginocchiò. Sussultò. Davanti a lui, tra le ceneri roventi, un oggetto brillava nella luce morente. Con l'aiuto di un ramo, lo trascinò a sé. Era una pepita d'oro, oro fuso dal calore del braciere, luccicante. Aveva la forma di una lacrima. Tutto ciò che restava del cilindro che aveva protetto l'epistola del tredicesimo apostolo, tutto ciò che restava dell'ultimo gran maestro del Tempio. Tutto ciò che restava del vero tesoro dei Templari. Come molti, il curato sapeva che i Templari erano innocenti, che la loro morte atroce era un iniquo martirio. Con devozione, pose le labbra sulla lacrima d'oro, che gli parve ancora ardente sebbene ormai fosse solo tiepida. Era la reliquia di un santo, al pari di tutti coloro che hanno sacrificato la loro vita per la memoria di Gesù. L'affidò all'inviato di papa Clemente, il quale morì entro l'anno. Dopo un percorso rischioso, la lacrima d'oro cadde più tardi nelle mani di un rettore della Società San Pio V, che riuscì a comprenderne il significato, dato che non tutti i Templari erano periti all'inizio del XIV
secolo. Nulla è più difficile da sopprimere della memoria. Il rettore prese quel testimone indiretto della ribellione del tredicesimo apostolo contro la Chiesa dominante e lo conservò preziosamente tra i tesori della Società.
67 La hall d'entrata era stato il salone di una vasta dimora patrizia. A due passi dal centro, via Giulia offriva a Roma il fascino delle sue arcate conquistate dal glicine, e di qualche palazzo antico trasformato in hotel familiari, lussuosi, e ospitali. «Vuole avvisare il signor Barjona che desidero vederlo?» Il receptionist, vestito elegantemente di nero, squadrò il visitatore mattutino. Un uomo di una certa età, capelli grigi, abiti comuni: un ammiratore, o forse un giornalista straniero? Fece una smorfia. «Il maestro è rientrato molto tardi stanotte, non lo disturbiamo mai prima...» Con naturalezza, il visitatore tirò fuori dalla tasca un biglietto da venti dollari e lo porse al receptionist. «Sarà felice di vedermi, e se così non fosse le darò altrettanto. Gli riferisca che il suo vecchio amico del club lo attende. Capirà.» «Cosa ti prende, Ari, tirarmi giù dal letto a quest'ora, alla vigilia di un concerto? Ma... che ci fai a Roma? Dovresti goderti tranquillamente la pensione a Jaffa, e lasciarmi in pace. Non sono più al tuo servizio.»
«Certo, ma non si lascia mai il Mossad, Lev, e tu sei sempre al suo servizio. Andiamo, rilassati! Sono di passaggio in Europa, e ne approfitto per vederti. Tutto qua. Come si presenta la tua stagione romana?» «Bene, ma questa sera attacco con il Terzo Concerto di Rachmaninov, è un monumento terrificante e ho bisogno di concentrazione. Dunque, hai ancora famiglia in Europa?» «Un ebreo ha sempre famiglia da qualche parte. La tua è un po' il servizio che ti ha formato quando eri ancora un adolescente. E a Gerusalemme, sono preoccupati per te. Che cosa ti è saltato in mente di seguire il monaco francese sul Roma Express, dopo aver prenotato tutto lo scompartimento nel quale viaggiava? Chi ti ha dato l'ordine? Volevi ripetere l'operazione precedente, ma stavolta con un assolo? Ti ho forse insegnato a fare il cavaliere solitario in un'operazione?» Lev fece una smorfia e abbassò il capo. «Non avevo tempo di avvisare Gerusalemme, tutto è stato troppo rapido...» Ari strinse i pugni e lo interruppe: «Non mentire, non a me. Sai bene che dal tuo incidente, non sei più lo stesso, e che per anni hai rischiato troppe volte di lasciarci la pelle. Ci sono momenti in cui il bisogno del pericolo ti afferra, come una droga. A quel punto, perdi la ragione. Immagini cosa sarebbe successo, se anche padre Nil avesse avuto un incidente?». «Avrebbe arrecato un problema maggiore a quelli del Vaticano. Li odio con tutta la mia anima, Ari. Sono loro che hanno permesso ai nazisti che avevano sterminato la mia famiglia di fuggire in Argentina.» Ari lo guardò con tenerezza. «Non è più il tempo dell'odio, ma della giustizia. Ed è inconcepibile, inammissibile, che sia tu a prendere di
tua iniziativa decisioni politiche a questo livello. Hai dimostrato di non essere più in grado di controllarti. Dobbiamo proteggerti da te stesso. Niente più operazioni sul campo. Il piccolo Lev, che giocava con la sua vita come se fosse una partitura musicale, è cresciuto. Adesso sei celebre. Persegui la missione che ti abbiamo affidato, sorvegliare Moktar Al-Qoraysh, e concentrati sul monaco francese. L'azione diretta non fa più per te.»
68 Nil era tutto eccitato entrando all'Accademia di Santa Cecilia. L'ultima volta che aveva assistito a un concerto era a Parigi, la vigilia della sua entrata al monastero. Molto tempo fa. La sala dell'auditorium era di dimensioni contenute, quasi familiare e risuonava delle conversazioni mondane. In mezzo agli abiti di gala si intravedeva qualche sottana porpora cardinalizia. Leeland tese i due inviti alla maschera che li accompagnò alla ventesima fila, leggermente spostata sulla sinistra. «Da qui, monsignore, potrà seguire l'esecuzione del solista.» Si sedettero e rimasero in silenzio. Dal suo arrivo a Roma, Nil sentiva che qualcosa si era spezzato tra lui e Leeland. La fiducia totale, assoluta, che aveva permesso loro di restare così vicini malgrado la lontananza e gli anni, si era affievolita. Gli sembrava di aver perso il suo ultimo e solo amico. L'orchestra era già pronta. All'improvviso le luci si spensero, e il direttore fece il suo ingresso, seguito dal
pianista. Uno scroscio di applausi si levò e l'americano si chinò verso Nil. «Lev Barjona ha già dato parecchi recital qui. Il pubblico lo conosce e lo apprezza.» Il direttore d'orchestra salutò il pubblico, ma Lev Barjona si sedette direttamente al piano, senza voltarsi verso la sala. Dal suo posto, Nil non ne scorgeva che la parte destra del profilo, incorniciato da una criniera di capelli biondi. Quando il direttore d'orchestra salì sul podio, il pianista alzò lo sguardo e gli sorrise. Poi scosse la testa, e si sentì il fremito dei violini, il vigore di un tocco intenso che annunciava l'entrata del piano. Dal momento in cui fu raggiunto da quella cadenza ripetitiva, ossessiva, il viso del pianista si immobilizzò come quello di un automa. Nil ebbe un flash improvviso. Aveva già visto quell'espressione da qualche parte. Ma le mani di Lev si posarono sul piano e il tema del primo movimento si levò, planando come il ricordo nostalgico di un mondo dimenticato, quello della felicità perduta dopo la rivoluzione russa d'ottobre. La musica di Rachmaninov lo trasportava in una slitta sulla neve gelata, poi sulle strade dell'esilio, alle porte della morte e dell'abbandono. Alla fine del secondo movimento, la sala era rapita. Leeland si chinò di nuovo verso Nil. «Il terzo movimento è uno dei pezzi più difficili di tutto il repertorio.» Lev Barjona fu splendido, ma salutò appena la sala che si era alzata in blocco, e sparì dietro le quinte. Rosso per il piacere, Leeland applaudiva fragorosamente. Bruscamente si interruppe. «Conosco Lev, non tornerà in scena. Non concede mai il bis. Vieni, farò in modo di incontrarlo.» Si intrufolarono in mezzo ad alcuni spettatori che
gridavano: «Bravo! Bravo! Bis!». Nella barcaccia riservata al Vaticano, il cardinale Riedinger applaudiva con distacco. Aveva ricevuto una comunicazione molto confidenziale della Segreteria di Stato*, che lo metteva in guardia contro il pianista israeliano. "Un personaggio losco, forse, ma che virtuoso!" Improvvisamente, si immobilizzò. Aveva appena visto, in basso, la figura elegante di Leeland, seguita dalla testa grigia di Nil. Si dirigevano verso la parte sinistra del palcoscenico, verso le quinte, i camerini degli artisti. «Rembert! Shalom, che piacere vederti!» Circondato da donne attraenti, Lev Barjona abbracciò Leeland, poi si voltò verso Nil. «Ed ecco, immagino, il tuo compagno... felice di conoscerla. Le piace Rachmaninov?» Pietrificato, Nil non ricambiò il saluto. L'israeliano adesso era in piena luce, e per la prima volta vedeva il suo viso di fronte. Una cicatrice gli partiva dall'orecchio sinistro e si perdeva nei capelli. L'uomo del treno! Perfettamente a suo agio, Lev finse di non notare lo stupore. Si chinò verso Leeland e mormorò con un sorriso: «Capitate a proposito. Stavo cercando di fuggire alle ammiratrici. Dopo ogni concerto, mi ci vuole qualche ora per ridiscendere sulla terra. Ho bisogno di una camera stagna di calma e di silenzio». Si girò verso Nil. «Mi farete il piacere di cenare con me? Potremmo andare in una trattoria discreta, e con due monaci il silenzio è certamente garantito. Sarete i commensali * Ministero degli Affari stranieri del Vaticano.
ideali per aiutarmi a lasciare il mondo di Rachmaninov. Aspettatemi davanti all'uscita degli artisti, mi congedo da queste seccatrici, vado a cambiarmi e arrivo.» Il sorriso e il fascino di Lev Barjona erano irresistibili ed egli ne era chiaramente consapevole. Non attese risposta e si diresse verso il fondo delle quinte, lasciando Nil inchiodato dallo stupore. L'uomo del treno! Cosa ci faceva solo con lui su un Roma Express gremito, e cosa stava per fare quando il controllore era inaspettatamente apparso nel loro scompartimento? Avrebbe cenato con lui, faccia a faccia...
TERZA PARTE
69 A tarda sera, il telefono suonò nell'appartamento di Castel Sant'Angelo. Alessandro Calfo trasalì. Era finalmente riuscito a convincere Sonia, che era sempre più riluttante a soddisfare le sue richieste, e stava dando gli ultimi ritocchi a una complessa messinscena, che doveva essere assolutamente perfetta. A quell'ora non poteva essere che il cardinale. Era proprio lui, appena rientrato in Vaticano. L'Accademia di Santa Cecilia era a poca distanza. Dal tono di voce, Calfo capì immediatamente che qualcosa non andava. «Monsignore, eravate al corrente?» «Di cosa, Eminenza?» «Torno adesso da un concerto tenuto dall'israeliano Lev Barjona. Qualche giorno fa, i nostri servizi mi hanno messo in guardia contro quell'uomo e sono rimasto di stucco nell'apprendere che la Società San Pio V sarebbe... come dire, ricorsa ai suoi talenti nascosti. Chi vi ha autorizzato a ricorrere ad agenti stranieri in nome del Vaticano?» «Eminenza, Lev Barjona non è mai stato un agente del Vaticano! È innanzitutto un eccellente pianista. Ho accettato la sua collaborazione perché come noi è figlio di Abramo e comprende molte cose. Tuttavia, non l'ho mai visto.» «Ebbene, io al contrario di voi l'ho appena visto, a Santa Cecilia. E indovinate chi era presente in sala?»
Calfo sospirò. «I vostri due monaci,» continuò Riedinger «l'americano e il francese.» «Eminenza... non vedo nulla di male nell'ascoltare della bella musica.» «Per prima cosa, il posto di un monaco non è a uno spettacolo. Poi, alla fine del concerto li ho visti dirigersi verso le quinte. Senza dubbio, avranno incontrato Lev Barjona.» "E io," pensò Calfo "spero bene che l'abbiano incontrato." «Eminenza, molto tempo fa a Gerusalemme, Leeland ha conosciuto Barjona. Quest'ultimo era allievo di Arthur Rubinstein. Con lui condivide la stessa passione per la musica. Mi sembra normale...» Riedinger lo interruppe: «Posso ricordarvi che Leeland lavora in Vaticano e che sono stato io ad autorizzarvi a usarlo come esca per padre Nil? È molto imprudente lasciare che incontrino un personaggio sulfureo come quel Lev Barjona, del quale sicuramente saprete, come me del resto, che non è soltanto un musicista di talento. La mia pazienza è al limite. Nella settimana che precede il Natale celebro ogni mattina la messa nel mio titulum* di Santa Maria in Cosmedin. Domani sarà il primo giorno. Fate in modo che Leeland sia a mia disposizione domani nel primo pomeriggio. Lo convocherò nel mio ufficio, e lo metterò di fronte alle sue responsabilità. Quanto a voi, non dimenticate che siete al servizio della Chiesa, cosa che non vi consente certe... iniziative». Nel riagganciare, Calfo sorrise. Non avrebbe voluto * Alla nomina, il cardinale riceve in assegnazione una delle antiche chiese di Roma. È il titulum, che ricorda l'epoca in cui i cardinali assistevano il papa nell'amministrazione della città.
essere al posto dell'americano. L'esca sarebbe finita direttamente in bocca a Sua Eminenza. Non aveva importanza. Quello che contava era che lui aveva recitato bene la sua parte; far parlare Nil prima e dopo fargli incontrare l'israeliano. Quindi, che il cardinale si pappasse pure la sua esca. A lui interessava afferrare il pesce. Tornò verso la camera, e represse un gesto di esasperazione: Sonia si era tolta il ridicolo abbigliamento che era stata costretta a indossare e si era seduta, nuda, sul bordo del letto. Era imbronciata e piagnucolava. «Coraggio, mio piccolo tesoro, non è poi così terribile!» La fece alzare e la costrinse a infilare un soggolo, che le nascondeva l'incantevole capigliatura, e a posarvi sopra una cornetta inamidata, le cui punte ricadevano sulle spalle rotonde. Così conciata da religiosa Ancien Régime - "la parte superiore soltanto, il resto è per me" - la fece genuflettere su un inginocchiatoio di velluto rosso, davanti a un'icona bizantina. Sempre premuroso, aveva pensato che un'icona avrebbe ispirato la rumena a interpretare meglio il proprio ruolo. Calfo fece un passo indietro per rimirare la scena. Il quadro era perfetto. Nuda, l'ovale del viso messo in risalto dalla cornetta, gli occhi levati verso l'icona, Sonia congiungeva le mani delicate e sembrava pregare. "Un'attitudine virginale, davanti all'immagine della Vergine. Davvero suggestivo." Roma si sprofondava lentamente nella notte. Monsignor Calfo, inginocchiato dietro a Sonia, cominciò la celebrazione del divino culto. Le mani ancorate al petto della giovane, ebbe un attimo di imbarazzo per lo sguardo della Vergine bizantina che li
fissava, come un muto rimprovero. Chiuse gli occhi. Nella sua ricerca dell'unione mistica, nulla si sarebbe interposto tra l'umano e il divino, il carnale e lo spirituale. Mentre cominciava a mormorare parole per lei incoerenti, Sonia, gli occhi fissi sull'icona, sciolse le mani e si asciugò le lacrime che le velavano lo sguardo.
70 Nello stesso momento, Lev alzava i bicchieri davanti ai compagni. «Al nostro incontro!» Aveva portato i suoi due ospiti in una trattoria di Trastevere, quartiere affollato di Roma. La clientela era composta unicamente da italiani, che si ingozzavano con pantagrueliche portate di pasta. «Vi consiglio le penne all'arrabbiata. La cucina è familiare, vengo sempre qui dopo il concerto. Chiudono tardi. Avremo il tempo di conoscerci.» Dal loro arrivo al ristorante, Nil era rimasto muto. Era impossibile che l'israeliano non lo riconoscesse. Ma Lev, gioviale e a proprio agio, sembrava non notare il silenzio di chi gli stava di fronte e scambiava con Leeland ricordi dei bei vecchi tempi, del loro incontro in Israele, delle loro scoperte musicali: «A quell'epoca, a Gerusalemme, si poteva finalmente rivivere dopo la guerra dei Sei Giorni. Il comandante Ygaél Yadin avrebbe voluto che restassi al suo fianco nel Tsahal...». Per la prima volta, Nil intervenne: «Il famoso archeologo, l'ha conosciuto?».
Lev attese che sulla loro tavola venissero posati i tre piatti di pasta fumante, poi si rivolse a Nil. Fece una smorfia, e sorrise. «Non solo l'ho conosciuto bene, ma grazie a lui ho vissuto un'avventura particolare. Lei è uno specialista di testi antichi, un ricercatore, dovrebbe essere interessato...» Nil aveva la sgradevole sensazione di essere caduto in un tranello. "Come sa che sono uno specialista e un ricercatore? Qual è il motivo per il quale ci ha condotti qui?" Incapace di rispondere, decise di lasciare che fosse Lev a scoprirsi, e annuì in silenzio. «Nel 1947 avevo otto anni. Vivevamo a Gerusalemme. Mio padre era amico di un giovane archeologo dell'università ebraica, Ygaél Yadin: sono cresciuto al suo fianco. Aveva vent'anni e come tutti gli ebrei che vivono in Palestina conduceva una doppia vita. Studiava, ma soprattutto combatteva nell'Hagana* del quale divenne presto comandante in capo. Io lo sapevo, ero pieno di ammirazione per lui e sognavo una sola cosa: combattere per il mio paese.» «A otto anni?» «Rembert, i temibili combattenti del Palmakh** e del-l'Hagana erano adolescenti, eccitati dal pericolo! Non esitavano a rivolgersi ai bambini per diffondere i loro messaggi. Non avevamo alcun mezzo di comunicazione. Il mattino del 30 novembre, l'ONU accettò la creazione di uno Stato ebraico. Sapevamo che la guerra era sul punto di scoppiare. Gerusalem*
Esercito ebraico clandestino prima della creazione di Tsahal, l'esercito regolare. ** Commando d'élite clandestino, incaricato delle missioni speciali di difesa.
me era circondata di filo spinato. Solo un bambino ormai poteva circolare liberamente senza lasciapassare.» «Lo hai fatto?» «Naturalmente: Yadin iniziò a darmi incarichi ogni giorno e io ascoltavo tutto quello che si mormorava attorno. Una sera, ha parlato di una strana scoperta. Inseguendo una capra su un dirupo a strapiombo sul Mar Morto, un beduino era incappato in una grotta. All'interno, aveva trovato delle giare contenenti alcuni pacchetti collosi che vendette per cinque pounds a un calzolaio cristiano di Betlemme. Quest'ultimo finì per affidarli al metropolita Samuel, superiore del monastero Saint-Marc, nella parte di Gerusalemme da poco divenuta araba.» Nil drizzò le orecchie. Aveva sentito parlare dell'odissea rocambolesca dei manoscritti del Mar Morto. La sua sfiducia cadde di colpo. Si trovava di fronte a un testimone diretto, un'occasione davvero insperata per lui. Mentre si gustava le penne, Lev scrutò attentamente Nil. L'interesse del monaco lo divertiva. «Il metropolita Samuel chiese a Yadin di identificare quei manoscritti. Si doveva attraversare la città, andare a Saint-Marc. Ogni strada era un'imboscata. Yadin mi ha dato un grembiule e una cartella da scolaro, e mi ha indicato la direzione del monastero. Mi sono intrufolato tra le barricate inglesi, i carri arabi, i plotoni dell'Hagan. Tutti smettevano per un istante di sparare per permettere a quel bambino di andare a scuola! Nella mia cartella, c'erano due rotoli del monastero e Yadin ha immediatamente capito di cosa si trattava: i più antichi manoscritti scoperti sulla terra d'Israele; un tesoro che apparteneva di diritto al nuovo Stato ebraico.»
«Cosa ne ha fatto?» «Non poteva tenerli, sarebbe stato un furto. Li ha restituiti al metropolita, facendogli sapere che era pronto ad acquistare altri manoscritti che i beduini avrebbero trovato nelle grotte di Qumran. Malgrado la guerra, la voce si è diffusa. Gli americani dell'American Orientai School e i domenicani francesi della Scuola biblica di Gerusalemme hanno fatto salire le offerte. Yadin passava dal comando delle operazioni militari alle trattative segrete con i mercanti di antichità di Betlemme e Gerusalemme. Gli americani razziavano tutto...» «Lo so,» lo interruppe Nil «nel monastero ho potuto vedere le fotocopie della Huntington Library.» «Ah, è riuscito a riceverne un esemplare? Pochi hanno avuto questa fortuna. Spero che vengano pubblicate un giorno. Da quel momento sono stato l'attore involontario di un incidente, che dovrebbe interessarla...» Allontanò il suo piatto e si servì un bicchiere di vino. Nil notò allora che il suo viso improvvisamente si irrigidì, come in treno, come quando suonava Rachmaninov! Dopo un attimo di silenzio, Lev fece uno sforzo e riprese: «Un giorno, il metropolita Samuel fece sapere a Yadin che era in possesso di due documenti conservati alla perfezione. Il beduino li aveva trovati all'epoca della sua seconda visita alla grotta, nella terza giara a sinistra dell'entrata, a lato dello scheletro di quello che doveva essere stato un templare, dato che era ancora avvolto nella tunica bianca recante la croce rossa. Ho riattraversato la città, e ho riportato a Yadin il contenuto della giara. Un grande rotolo avvolto in una tela oleosa, e una piccola pergamena:
un unico foglio, semplicemente legato con una cordicella di lino. Nella stanza che gli serviva da quartier generale, sotto le bombe, Yadin ha svolto il rotolo coperto di caratteri ebraici. Era il Manuale di disciplina degli esseni. Poi ha svolto il foglio, che era scritto in greco, e davanti a me ne ha tradotto la prima riga a voce alta. Ero un bambino, ma lo ricordo ancora: «Io, il discepolo beneamato, il tredicesimo apostolo, a tutte le Chiese...». Nil impallidì, e strinse le posate per mantenere il controllo. «Ne è sicuro? Ha sentito bene "il discepolo beneamato, il tredicesimo apostolo?". «Assolutamente. Yadin sembrava profondamente turbato. Mi ha detto che si interessava unicamente ai manoscritti ebraici, perché erano il patrimonio di Israele. Quella lettera scritta nel greco del vangelo riguardava i cristiani. Dovevo restituirla al metropolita. Ha tenuto il Manuale di disciplina, e in cambio ha infilato nella mia cartella una mazzetta di dollari, aggiungendoci la piccola pergamena greca. Poi mi ha rispedito in mezzo alle bombe, verso Saint-Marc.» Nil era pietrificato. "Quest'uomo ha avuto in mano l'epistola del tredicesimo apostolo, l'unico esemplare sfuggito alla Chiesa, forse addirittura l'originale!" Il viso sempre immobile, Lev proseguì: «Arrivato a un centinaio di metri dal monastero, una granata è caduta in strada. Sono stato proiettato per aria, e ho perso conoscenza. Quando ho riaperto gli occhi, un monaco era chino su di me. Ero all'interno del monastero. Ero stato ferito alla testa,» si toccò la cicatrice con una smorfia «e la cartella era sparita». «Sparita?» «Sì. Per un giorno intero sono rimasto tra la vita e la morte. Quando l'indomani il metropolita è venuto a
farmi visita, mi ha detto che uno dei suoi monaci mi aveva raccolto per strada e gli aveva consegnato la cartella. Nell'aprirla, aveva capito: Yadin gli pagava in cash il manoscritto di Qumran, ma non ne voleva sapere della lettera in greco. L'aveva appena venduta a un religioso domenicano, con un lotto scompagnato di manoscritti ebraici che i beduini gli avevano portato. Aggiunse anche ridendo che aveva infilato il tutto, lettera e manoscritto, in una cassa vuota di cognac Napoléon, del quale era un grande estimatore. E che il domenicano sembrava ignorare totalmente il valore di ciò che aveva appena acquistato.» Le domande si accavallavano nella testa di Nil. «Crede che il metropolita abbia letto la lettera, prima di rivenderla a quel domenicano?» «Non ne so un accidente, in ogni caso mi stupirebbe. Il metropolita Samuel era tutto tranne che un erudito. Non dimentichi che eravamo in guerra. Aveva bisogno di soldi per sfamare i suoi monaci, e curare i feriti che a decine approdavano al monastero. Certamente non era certo il momento di dedicarsi allo studio dei testi! Di sicuro non si preoccupò di conoscere il contenuto della lettera.» «E... il domenicano?» Lev si girò verso di lui. Sapeva che quel racconto interessava sempre di più il piccolo monaco francese. "E dunque, padre, perché crede che l'ho invitata a cena questa sera? Per gustare della pasta al sugo piccante?" «Gliel'ho detto, quei ricordi erano rimasti impressi nella mia memoria. Molto tempo dopo, prima di morire, Yadin mi ha riparlato della lettera, e mi ha domandato di rimettermi sulle sue tracce. Ho fatto una piccola indagine grazie al Mossad, del quale ero diventato... per così dire, corrispondente occasionale.
Pare che sia il miglior servizio di informazioni al mondo, dopo quello del Vaticano!» Allegro, Lev aveva ripreso la sua espressione gioviale. Il suo volto non tradiva più alcuna tensione. «Il domenicano era infatti un converso*, buono e un po' ottuso. Poco prima della dichiarazione d'indipendenza d'Israele, la situazione si è fatta così tesa a Gerusalemme che molti religiosi sono stati rimpatriati in Europa. Sembra che il domenicano abbia infilato nei suoi bagagli la cassa di cognac Napoléon - del quale ignorava totalmente il valore, e che l'abbia poi scarrozzata fino a Roma, dove ha ultimato i suoi giorni alla Curia generalizia dei domenicani, sull'Aventino. Abbiamo saputo che la cassa non c'era più. Dopo la sua morte, nella sua cella non è stato trovato nient'altro che un rosario in legno d'olivo.» «E... dove può essere?» «Una Curia generalizia è un'amministrazione che non si accolla documenti che non le servono. Avrà restituito il materiale scompagnato proveniente da Gerusalemme al Vaticano, dove ha senza dubbio raggiunto tutto il vecchiume del quale non si sa che fare, o che non si vuole analizzare. Deve riposare da qualche parte, in un angolo di una delle biblioteche o in un ripostiglio qualsiasi della Città santa. Se l'avessero aperta, si sarebbe saputo subito.» «E perché, Lev?» Conquistato dalla disinvoltura dell'israeliano, Nil lo aveva chiamato per nome. Lev lo notò, e gli servì un altro bicchiere di vino. «Perché Ygaèl Yadin, lui, prima di restituire la lettera al metropolita, l'aveva letta. E quanto mi ha * Religioso che non ha preso i voti da prete, e sbriga i lavori pesanti nei conventi.
detto in punto di morte mi fa pensare che contenesse un segreto terrificante, di quelli che nessuna Chiesa, nessuno Stato, anche impenetrabile e monarchico come il Vaticano, può tenere a bada a lungo. Se qualcuno ha visto quella lettera, padre Nil, è morto il giorno stesso altrimenti il Vaticano e la Chiesa cattolica sarebbero saltati per aria, e in tal caso le garantisco che la cosa farebbe più rumore della guerra arabo-israeliana del 1947, più delle crociate, più di qualsiasi altro avvenimento della storia d'Occidente. Nil si fregò il viso. O è morto il giorno stesso. Andrei!
71 Il vino leggero dei Castelli faceva lievemente girare la testa a Nil. Con sorpresa, vide che il cameriere gli metteva davanti una tazza di caffè. Completamente rapito dal racconto di Lev, senza rendersene conto aveva divorato le penne all'arrabbiata e la cotoletta alla milanese che era seguita. L'aria preoccupata, Leeland girava il cucchiaino nella tazza. Si decise a fare a Lev la stessa domanda che Nil gli aveva rivolto nel cortile del Belvedere: «Dimmi, Lev... Perché mi hai spedito due inviti per il concerto, precisando su un foglietto che sarebbe potuto interessare al mio amico? Come sapevi che era a Roma, e come facevi a conoscerlo?». Lev alzò le sopracciglia, l'aria sorpresa. «Ma... sei stato tu a farmelo sapere! L'indomani del mio arrivo, ho ricevuto in hotel una lettera, siglata con
i contrassegni del Vaticano. All'interno c'erano poche righe battute a macchina, se non ricordo male, del tipo "Monsignor Leeland e il suo amico padre Nil sarebbero lieti di assistere, ecc...". Ho creduto che avessi affidato alla tua segretaria il compito di avvisarmi. In effetti il biglietto mi è parso un tantino sbrigativo, ma alla fine ho dato la colpa alla cattiva influenza che gli usi del Vaticano hanno su di te.» Leeland rispose senza scomporsi: «Non ho una segretaria, Lev, e inoltre non ti ho mai spedito una lettera. Non sapevo neppure in quale hotel alloggiassi per i tuoi concerti a Roma. Dimmi... sulla lettera c'era la mia firma?». Lev si frugò la folta criniera bionda. «Non so più... No, non era la tua firma, in un angolo c'era una semplice iniziale. Una "C" maiuscola, credo, seguita da un punto. A ogni modo, Rembert, avevo intenzione di vederti in occasione del mio soggiorno, e inevitabilmente avrei conosciuto padre Nil.» Il viso di Leeland era improvvisamente diventato impenetrabile: Calfo! Si sentì di nuovo invaso dalla collera. Immerso nei suoi pensieri, Nil aveva seguito distrattamente quello scambio. Era assalito da ben altri interrogativi e intervenne bruscamente: «Solo il risultato conta, poiché grazie a quella lettera questa sera ho potuto ascoltare una favolosa interpretazione del concerto di Rachmaninov. Ma mi dica, Lev... perché queste confidenze? Intuisce che significato avrebbe per me e per Rembert la scoperta di una lettera apostolica, miracolosamente riportata alla luce alla fine del XX secolo e che metterebbe in dubbio la nostra fede? Perché confidarcelo?». Lev rispose con un sorriso seducente. Non poteva dire a Nil la verità: "Perché sono le istruzioni del Mos-
sad". «E chi più di lei potrebbe esserne interessato?» Sembrava non dare alcuna importanza alla domanda di Nil, e l'osservava con aria amichevole. «Padre Nil... un semplice documento antico, che confuterebbe la divinità di Gesù, cambierebbe veramente qualcosa per lei?» Gli ultimi clienti avevano appena lasciato la trattoria. Erano rimasti soli nella sala che il padrone cominciava a riordinare fiaccamente. Nil rifletté a lungo prima di rispondere, come se avesse dimenticato il suo interlocutore. Dopo quel silenzio, disse: «Lei mi dice questa sera che un'epistola apostolica è stata scoperta a Qumran insieme ai manoscritti del Mar Morto: sto raccogliendo le prove dell'esistenza di quel documento da settimane. Nel III secolo un manoscritto copto, a cavallo del IV secolo un testo di Origene, nel VII secolo le allusioni del Corano, nell'VIII secolo un codice introdotto nel Simbolo di Nicea a Germigny, e infine nel XIV secolo il processo ai Templari. Tutto ciò dopo anni passati a decifrare il testo della fine del I secolo da dove tutto ha avuto inizio: il Vangelo secondo Giovanni. Ho potuto seguire le tracce dell'epistola del tredicesimo apostolo, grazie alla sua ombra che aleggia sulla storia dell'Occidente». Fissò attentamente Lev. «Adesso, lei viene a dirmi che l'ha trasportata nella sua cartella mentre, sotto le bombe, cercava di compiere una missione per il capo dell'Hagana. Poi mi dice che è probabile che si trovi da qualche parte in Vaticano, nascosta o semplicemente ignorata. Ha sentito dire a Ygaèl Yadin che essa conteneva un segreto terrificante. Anche se riuscissi a conoscerne il contenuto - che in effetti deve essere terribile per aver dato luogo, nel corso dei secoli, a tanti omicidi,
complotti ed espulsioni -, non cambierebbe nulla nella mia relazione con Gesù. L'ho incontrato personalmente, Lev. Riesce a comprenderlo? La sua persona non appartiene a nessuna chiesa, non ne ha bisogno per esistere.» Lev sembrava impressionato. Pose dolcemente la mano sul braccio di Nil. «Non sono mai stato praticante, padre Nil, ma ogni ebreo comprende ciò che mi sta dicendo, perché ogni ebreo discende dalla stirpe dei profeti, che lo voglia o meno. Sappia che per lei provo un'infinita simpatia, e se ho sempre mentito in vita mia, in questo momento sono totalmente sincero.» Si alzò, il padrone cominciava ad aggirarsi attorno al tavolo. «Con tutta la mia anima, desidero che porti a termine la sua ricerca. Non creda che riguardi lei soltanto. Non aggiungerò altro. Stia in guardia. I profeti e i loro simili hanno tutti in comune una cosa: la tragica fine. Questo un ebreo lo sa d'istinto, e lo accetta come un tempo l'ebreo Gesù lo ha accettato. Sono le due del mattino. Mi consenta di offrirle il taxi per rientrare a San Girolamo.» Raggomitolato in fondo al sedile, Nil guardava sfilare la basilica di San Pietro che luccicava dolcemente nella fredda notte di dicembre. Un velo di lacrime gli annebbiò la vista. Fino a quel momento quella lettera non era che una ipotesi, una realtà virtuale. Eppure, aveva appena stretto una mano che l'aveva toccata, incrociato uno sguardo che aveva visto quel documento. Inaspettatamente, l'ipotesi si tramutava in realtà. La lettera del tredicesimo apostolo si trovava senza dubbio da qualche parte, dietro le alte mura del Vaticano.
Sarebbe andato fino alla fine. Anche i suoi occhi avrebbero visto quella lettera. E avrebbe fatto in modo di sopravvivere, contrariamente a tutti coloro che lo avevano preceduto.
72 Leeland suonava un preludio di Bach quando Nil arrivò allo studio sulla via Aurelia. Fino all'alba, aveva rimuginato sulle rivelazioni di Lev Barjona. Gli occhi segnati testimoniavano la sua inquietudine. «Non ho chiuso occhio stanotte: troppe cose, in un colpo solo! Andiamo al fondo. Concentrarmi sui tuoi manoscritti di canto gregoriano mi aiuterà a rimettermi in sesto. Ti rendi conto, Rembert? La lettera del tredicesimo apostolo in Vaticano!» «Abbiamo a disposizione solo la mattina. Ho appena ricevuto una telefonata da monsignor Calfo. Il cardinale mi ha convocato per oggi alle quattordici nel suo ufficio.» «E perché mai?» «Oh...» Leeland chiuse il piano, l'aria imbarazzata «credo di sapere perché, ma preferisco non parlarne adesso. Se questa misteriosa epistola che rincorri da anni è in Vaticano, come riuscirai trovarla?» Stavolta fu Nil a sentirsi in imbarazzo. «Perdonami, Remby, anch'io preferisco non risponderti subito. Ecco come ci ha ridotto il Vaticano. Due estranei che diffidano l'uno dell'altro...» Al piano inferiore, Moktar fermò i registratori e fece un fischio. Nil aveva appena pronunciato una frase che valeva molti dollari: la lettera del tredicesimo
apostolo in Vaticano! Aveva fatto bene a non contravvenire alle direttive del Cairo, che gli aveva ordinato di non agire subito contro il piccolo francese. Hamas era informato quasi quanto Calfo su quella lettera, e conosceva l'importanza che aveva per la sopravvivenza del cristianesimo: la morsa si stringeva sempre più attorno a padre Nil. Ma per il momento, era indispensabile che arrivasse fino in fondo. Calfo proteggeva la cristianità, ma lui, Moktar, proteggeva l'Islam, il suo Corano e il suo Profeta, benedetto sia il suo nome. Percorrendo il lungo corridoio che conduceva all'ufficio del prefetto della Congregazione, Leeland sentì un nodo allo stomaco. Tappeto soffice, applique veneziane, boiserie preziose: quel lusso gli parve all'improvviso insopportabile. Era l'ostentazione della potenza di un'organizzazione che pur di preservare l'esistenza di un immenso impero basato sulle menzogne, non esitava a stritolare i suoi membri. Dall'arrivo di Nil, si rese conto che anche il suo amico, come lui del resto, era vittima di quel potere, seppur per tutt'altra ragione. Leeland non si era mai veramente posto domande sulla propria fede. Le scoperte di Nil lo sorprendevano, e confortavano la sua ribellione interiore. Bussò con discrezione all'imponente porta dell'ufficio, decorata di sottili fili d'oro. «Entrate, monsignore, vi stavo aspettando.» Leeland si era preparato a trovare anche Calfo, ma Riedinger era solo. Sulla sua scrivania vuota era posato un semplice dossier sbarrato di rosso. Il viso del cardinale, solitamente disteso e colorito, era duro come la pietra. «Monsignore, non perderò tempo. Da tre settimane
vedete quotidianamente padre Nil. Ecco che ora vengo a scoprire che lo trascinate a un concerto pubblico, e che per giunta gli fate incontrare una persona poco raccomandabile, sulla quale abbiamo raccolto pessime informazioni.» «Eminenza, Roma non è un monastero...» «Sufficit! Avevamo stipulato un accordo. Dovevate tenermi informato delle vostre conversazioni con padre Nil, e del progresso delle sue personali ricerche. Mi sembra superfluo dovervi ricordare che nessuna ricerca può essere personale nella Chiesa cattolica. Ogni riflessione, ogni scoperta deve avere una sua utilità. Non ho più ricevuto da voi nessun rapporto, e quelli che mi avete fatto pervenire sono insufficienti... è il meno che si possa dire. Sappiamo che padre Nil procede in una direzione pericolosa, e sappiamo che vi tiene informato delle sue scoperte. Perché, monsignore, invece della Chiesa, alla quale appartenete e che vi è madre, avete scelto il partito dell'avventura?» Leeland chinò il capo. Cosa poteva rispondere? «Eminenza, non capisco granché dei lavori eruditi di padre Nil...» Riedinger lo interruppe in modo secco: «Non vi chiedo di capire, ma di riportare ciò che udite. Mi è penoso ricordarvelo, ma non siete nella posizione di poter scegliere». Si chinò sul tavolo, aprì il dossier e lo fece scivolare verso Leeland. «Riconoscete queste foto? Siete stato ripreso in compagnia di uno dei vostri monaci di St. Mary, all'epoca in cui ne eravate il padre abate. «Qui,» agitò davanti al naso di Leeland una foto in bianco e nero «eravate uno di fronte all'altro nel giardino dell'abbazia, e lo sguardo che vi scambiavate la dice
lunga. E qui,» stavolta, la foto era a colori, «vi si vede di schiena mentre gli posate una mano sulla spalla. Tra due religiosi, simili atteggiamenti sono quantomeno indecenti.» Leeland era impallidito, il cuore gli batteva violentemente. Anselmo! La purezza, la bellezza, la nobiltà di fratello Anselmo! Quel cardinale non avrebbe mai capito i sentimenti che li avevano uniti. Tuttavia, non aveva intenzione di lasciarsi infangare da quello sguardo sporgente, da quelle parole pronunciate da una bocca gelida e rigida come il marmo. «Eminenza, l'ho provato e voi lo sapete, non è accaduto nulla tra me e fratello Anselmo che abbia violato il nostro voto di castità. Mai un atto, neppure l'inizio di un atto contrario alla morale cristiana!» «Monsignore, la castità cristiana non è violata solo dagli atti, essa risiede nella padronanza dello spirito, del cuore e dell'anima. Voi siete venuto meno al vostro voto con cattivi pensieri, la vostra corrispondenza con fratello Anselmo,» mostrò a Leeland una decina di lettere raccolte con cura sotto le foto «lo prova abbondantemente. Abusando dell'autorità che avevate su di lui, avete trascinato quello sciagurato fratello verso un'inclinazione che si agita in voi, e la sola evocazione della quale mi fa inorridire.» Leeland arrossì fino alla radice dei capelli, e si impennò. "Come hanno ottenuto quelle lettere? Anselmo, povero amico, che cosa ti hanno fatto?" «Eminenza, quelle lettere non contengono che la testimonianza di un affetto, vivo certamente, ma casto, tra un monaco e il suo superiore.» «Volete scherzare! Queste foto, queste lettere, e infine la vostra presa di posizione pubblica sul matrimonio dei preti, tutto dimostra che siete caduto
in uno stato di depravazione morale tale per cui siamo stati costretti a nascondervi dietro la dignità episcopale, al fine di evitare uno scandalo spaventoso negli Stati Uniti. La Chiesa cattolica americana è tormentata. Vari casi di pedofilia hanno gravemente minato il suo credito presso i fedeli. Immaginate cosa potrebbe fare la stampa anticlericale con un'informazione di questo tipo. Già mi vedo i titoli: L'abbazia di St. Mary, dependance di Sodoma e Gomorra! Nascondendovi all'ombra protettrice del Vaticano, ho ottenuto che i giornalisti non si accanissero sulla vostra persona, e questo ci è costato molto caro. Questo dossier, monsignore...» Ripose con cura le foto sulla pila di lettere, e chiuse il dossier con un gesto secco. «...questo dossier, non potrei tenerlo segreto ancora a lungo se non vi attenete al nostro patto in modo soddisfacente. D'ora in avanti, siate minuzioso nel tenermi al corrente di tutti i progressi del vostro confratello francese. D'altro canto, stando attento che a Roma non incontri altri all'infuori di voi, garantirete tanto la vostra quanto la sua sicurezza. Capito?» Quando Leeland si ritrovò nel lungo corridoio deserto, dovette appoggiarsi un istante al muro. Ansimava. Lo sforzo che aveva appena fatto su se stesso per non perdere il controllo, lo aveva stremato. Lentamente si riprese, scese la grande scalinata di marmo e uscì dall'edificio della Congregazione. Come un automa, girò a destra, seguendo il primo dei tre gradini che girano attorno al colonnato del Bernini. Poi ancora a destra, e si diresse verso la via Aurelia. La testa vuota, procedeva senza guardarsi attorno. Leeland aveva la sgradevole sensazione fisica di essere stato stritolato dai gelidi tentacoli cardinalizi.
Anselmo! Cosa potevano saperne quegli uomini di Chiesa dell'amore? Per loro era solo una parola, una categoria universale vuota di contenuto quanto un programma politico. Come si può amare il Dio invisibile, quando non si è mai amato un essere fatto di carne? Come si può essere "fratello universale" se non si è fratello del proprio fratello? Senza sapere bene come, si ritrovò davanti al portone del suo palazzo. Salì i tre piani. Con sua grande sorpresa, trovò Nil seduto su un gradino della scala, la borsa a tracolla tra le gambe. «Non potevo rimanere a San Girolamo senza fare niente. Quel monastero è sinistro. Avevo voglia di parlare e sono venuto ad aspettarti...» Senza una parola, lo fece entrare nel soggiorno. Anche lui aveva bisogno di parlare, ma ce l'avrebbe fatta a sgravarsi di quel peso che gli opprimeva il cuore? Si sedette e si servì un bicchiere di bourbon. Il suo viso era sempre pallidissimo. Nil lo guardava, la testa china. «Remby, amico mio... cosa succede? Hai l'aria distrutta.» Leeland strinse il bicchiere tra le mani, e per un istante chiuse gli occhi. "Posso dirglielo?" Poi mandò giù un'altra sorsata e rivolse a Nil un timido sorriso. "Il solo amico che mi rimane." Fece uno sforzo e cominciò a parlare: «Sai che sono entrato al conservatorio di St. Mary quand'ero ancora molto giovane, e che sono passato direttamente dai banchi della scuola a quelli del noviziato. Non avevo conosciuto niente della vita, Nil, e la castità non mi pesava perché non conoscevo la passione. L'anno dei miei voti, un giovane è entrato al noviziato. Come me veniva dal conservatorio e come me era innocente. Era un violinista. Prima ci ha uniti
la passione per la musica, poi un sentimento che fino a quel momento avevo ignorato, che mi disarmava, e del quale non avevo mai sentito parlare al monastero: l'amore. Per la prima volta, amavo! Ed ero ricambiato. L'ho saputo il giorno in cui Anselmo e io abbiamo aperto i nostri cuori l'uno all'altro. Lo capisci, Nil? Amavo un monaco più giovane di me, l'acqua chiara che sgorga da una sorgente limpida, ed ero riamato!». Nil fece un gesto, ma si guardò bene dall'interromperlo. «Quando sono diventato abate del monastero, abbiamo approfondito la nostra relazione. Con l'elezione abbaziale era diventato mio figlio davanti a Dio. Il mio amore per lui era pervaso di una immensa tenerezza...» Due lacrime gli solcarono il viso. Non ce l'avrebbe fatta a continuare. Nil gli prese il bicchiere dalle mani, e lo posò sul piano. Esitò un istante: «Quell'amore reciproco, quell'amore del quale eravate entrambi coscienti, l'avete espresso con un qualsiasi contatto fisico?». Leeland levò verso di lui uno sguardo colmo di lacrime. «Mai! Respiravo la sua presenza, percepivo le vibrazioni del suo essere, ma i nostri corpi non si sono mai abbandonati a un contatto volgare. Non ho mai smesso di essere un monaco, lui non ha mai smesso di essere puro come un cristallo. Noi ci amavamo, Nil, e il saperlo bastava alla nostra felicità. A partire da quel giorno, l'amore di Dio è diventato più comprensibile, più vicino. Forse il discepolo beneamato e Gesù hanno vissuto qualcosa di simile, un tempo?» Nil fece una smorfia. Non doveva fare confusione, ma attenersi ai fatti.
«Se non è accaduto niente tra di voi, se non c'è mai stato nessun atto carnale e dunque nessun peccato perdonami, ma è così che i teologi ragionano - cosa c'entra Riedinger? Perché vieni dal suo ufficio, non è così?» «Ho scritto ad Anselmo alcune lettere che lasciavano trasparire il nostro affetto. In seguito, non chiedermi come, il Vaticano è entrato in possesso di due foto innocenti nelle quali Anselmo e io siamo vicini. Conosci la sessuofobia della Chiesa. Questo è bastato per nutrire la loro immaginazione malata, per accusarmi di depravazione morale, per insozzare e ricoprire di fango fetido un sentimento che essa non può comprendere. Nil, quei prelati sono ancora esseri umani? Ne dubito. Non hanno mai conosciuto la ferita dell'amore che apre l'uomo alla sua umanità.» «Così,» insistette Nil «Riedinger ti sta facendo delle pressioni. Perché? Cosa ti ha detto? Sei sconvolto!» Leeland chinò il capo, e rispose in un soffio: «Il giorno del tuo arrivo a Roma, mi ha convocato. E mi ha incaricato di tenerlo informato di tutte le nostre conversazioni, altrimenti mi avrebbe dato in pasto alla stampa. Io sarei forse sopravvissuto, ma Anselmo è senza difese, non è armato per poter affrontare quella muta famelica. Ne uscirebbe distrutto. Perché ho conosciuto l'amore, perché ho osato amare, mi è stato chiesto di spiarti, Nil!». Passato il primo momento di sorpresa, Nil si alzò e si servì un bicchiere di bourbon. Adesso capiva l'atteggiamento ambiguo dell'amico, i suoi repentini silenzi. Tutto appariva chiaro: i documenti sottratti dalla sua cella, che dovevano essere finiti su una scrivania della Congregazione, la sua convocazione a Roma con un falso pretesto, l'incontro con Leeland.
Tutto era previsto. Tutto faceva parte di un piano. Spiato? Lo era stato all'abbazia, il giorno successivo la morte di Andrei. Una volta a Roma, lo sfortunato Rembert era diventato la pedina di una scacchiera. Rifletteva intensamente, ma la sua decisione fu presto presa: «Rembert, sembra che le mie ricerche e quelle di Andrei diano fastidio a tutti. Da quando ho scoperto la presenza del tredicesimo apostolo nella camera alta accanto a Gesù, e il modo tenace nel quale la sua memoria è stata cancellata, accadono cose che non credevo più possibili nel XX secolo. Per la Chiesa, sono diventato un appestato, perché ho riportato alla luce l'inammissibile: la divinizzazione di Gesù fu un'impostura. Perché ho scoperto un volto nascosto della personalità del primo papa, e le manovre di potere all'origine della Chiesa. Non mi permetteranno di continuare. Adesso, più che mai, sono convinto che Andrei è caduto dal Roma Express per averci provato. Voglio vendicare la sua morte, e solo la verità potrà farlo. Sei pronto ad accompagnarmi fino alla fine?». Senza esitare Leeland rispose, con voce sorda: «Vuoi vendicare il tuo amico morto, io il mio amico vivo, ridotto alla vergogna e al silenzio nella mia stessa abbazia. Non mi scrive da mesi. Voglio vendicare la condanna a morte di qualcosa di troppo innocente per essere compreso dagli uomini del Vaticano. Sì, sono con te, Nil. Finalmente, ci ritroviamo!». Nil si rovesciò nella poltrona, e vuotò il bicchiere con una smorfia. "Mi metto a bere come un cow-boy! " D'improvviso la tensione si allentò. Poteva di nuovo condividere ogni cosa con l'amico. Solo l'azione avrebbe permesso loro di sfuggire alla reclusione. «Voglio ritrovare quell'epistola. Ma mi sorgono dubbi a proposito di Lev Barjona. Il nostro incontro non era
casuale. È stato voluto. Da chi, e perché?» «Lev è un amico. Ho fiducia in lui.» «Ma è un ebreo, ed è stato membro del Mossad. Come lui stesso ha ammesso, gli israeliani conoscono l'esistenza della lettera, e forse anche il suo contenuto, perché Ygaél Yadin l'ha letta e ne ha parlato prima di morire. Chi altri ne è al corrente? Sembra che il Vaticano ignori che si trova tra le sue mura. Perché Lev mi ha rilasciato questa informazione? Un uomo come lui non agisce mai con leggerezza.» «Non lo so. Ma come riuscirai a trovare un semplice foglio, forse gelosamente protetto, o forse semplicemente dimenticato? Il Vaticano è immenso, i musei, le biblioteche, i solai e i sotterranei contengono un incredibile guazzabuglio di roba, dai manoscritti abbandonati sopra uno scaffale, alla copia dello Sputnik che Nikita Chruscév ha donato a Giovanni XXIII. Milioni di oggetti a malapena classificati. E questa volta non hai nulla che possa guidarti, neppure una semplice segnatura di biblioteca.» Nil si alzò e si stiracchiò. «Lev Barjona ci ha dato, forse inconsciamente, un indizio prezioso. Per sfruttarlo, la mia unica carta è Breczinsky. Quell'uomo è una fortezza umana: devo trovare il mezzo di penetrarvi. È il solo che mi possa aiutare. Domani andremo come al solito a lavorare al fondo, e tu mi lascerai agire.» Nil se ne andò. Moktar si tolse le cuffie, riavvolse i nastri. Uno era per Calfo. Infilò l'altro in una busta, che avrebbe portato all'ambasciata d'Egitto. Con la valigia diplomatica, il mattino seguente sarebbe stata consegnata nelle mani della Guida Suprema dell'università Al-Azhar. Moktar fece una smorfia di disgusto. Non solo l'americano era complice di Nil, ma in più era
finocchio. Entrambi non meritavano di vivere.
73 La sera stessa, Calfo convocò una riunione straordinaria della Società San Pio V. Sarebbe stata breve, ma gli ultimi accadimenti esigevano l'adesione totale dei Dodici attorno al loro Maestro crocifisso. Il rettore diede un'occhiata al dodicesimo apostolo. Gli occhi modestamente abbassati sotto il cappuccio, Antonio attendeva che la seduta avesse inizio. Calfo lo aveva incaricato di fare pressioni su Breczinsky, dopo avergli indicato il punto debole del polacco. Perché lo spagnolo non era venuto a dargli informazioni, come d'accordo? La sua fiducia in uno degli undici apostoli era mal riposta? Sarebbe stata la prima volta. Scartò quel pensiero sgradevole. Dopo la celebrazione della sera precedente, inginocchiato davanti a Sonia trasformata in un'icona vivente, era euforico. La rumena aveva finito per accettare ogni sua richiesta. Baldanzoso per quel successo, nel congedarla l'aveva avvisata: la prossima volta avrebbe preparato un culto ancora più suggestivo, che li avrebbe uniti molto intimamente al sacrificio del Signore. Quando le spiegò il rito del quale voleva renderla partecipe, Sonia era impallidita ed era fuggita via. Non era preoccupato. Sarebbe tornata. Non gli aveva mai rifiutato nulla. Quella sera doveva sbrigare in fretta la riunione, per rientrare a casa, dove lo attendevano lunghi e minuziosi preparativi. Si alzò e si schiarì la voce. «Fratelli miei, la missione in corso ha preso una
svolta imprevista, e molto soddisfacente. Ho fatto in modo che Lev Barjona, che in questo momento tiene una serie di concerti all'Accademia di Santa Cecilia, incontrasse padre Nil. A dire il vero, era inutile che intervenissi. L'israeliano aveva già intenzione di contattare quel monaco; iniziativa che dimostra fino a che punto anche il Mossad sia interessato alle nostre ricerche. Per farla breve, si sono visti e Lev, davanti a quell'inoffensivo intellettuale, si è lasciato sfuggire l'informazione che da tempo attendevamo. L'epistola del tredicesimo apostolo non è sparita. Ne esiste un esemplare. Essa si trova senza dubbio in Vaticano.» Un fremito percorse l'assemblea, che più che l'eccitazione tradiva lo sgomento. Uno dei Dodici alzò le braccia conserte. «Com'è possibile? Immaginavamo che un esemplare di quell'epistola fosse sfuggita alla nostra vigilanza, ma... in Vaticano!» «Noi ci troviamo al centro della cristianità. Prima o poi, tutto finisce per arrivare in Vaticano, ivi compresi manoscritti o testi antichi scoperti qua e là. È ciò che dev'essere accaduto. Lev Barjona non ha dato quell'informazione casualmente. Deve averlo fatto per eccitare la curiosità di padre Nil, il quale ci condurrà a quel documento che gli ebrei bramano tanto quanto noi.» «Fratello rettore, non corriamo un rischio nel riesumare quell'epistola? L'oblio, come sapete, è stata l'arma più efficace della Chiesa contro il tredicesimo apostolo. Solo l'oblio ha permesso alla sua perniciosa testimonianza di non nuocere. Non sarebbe meglio far durare questa salutare amnesia?» Il rettore colse quell'occasione per ricordare agli Undici la grandezza del loro compito. Allungò solennemente la mano destra, mettendo in evidenza il
diaspro del suo anello. «Dopo il concilio di Trento, san Pio V - il domenicano Antonio Michele Ghislieri spaventato dall'indebolimento della Chiesa cattolica, ha fatto quanto era in suo potere per salvarla da un naufragio annunciato. La minaccia più grave non proveniva dalla recente ribellione di Lutero, ma da un'antica voce che la stessa Inquisizione non era riuscita a soffocare: la tomba che conteneva le ossa del Cristo esisteva, si trovava da qualche parte nel deserto del Vicino Oriente. Un'epistola perduta di un testimone privilegiato degli ultimi istanti di vita di nostro Signore non solo confermava che Gesù non era resuscitato, ma che il suo corpo era stato inumato dagli esseni in quella regione. Voi lo sapete, non è vero?» Gli Undici annuirono. «Prima di essere papa, Ghislieri era stato Grande Inquisitore. Aveva studiato gli interrogatori dei dissidenti arsi vivi per eresia, aveva consultato certi atti del processo dei Templari, tutti documenti oggi spariti. Si convinse dell'esistenza della tomba di Gesù, e che la sua scoperta avrebbe significato la fine definitiva della Chiesa. E per questo che nel 1570 ha creato la nostra Società, affinché preservasse il segreto della tomba.» Anche quello, lo sapevano. Indovinando la loro impazienza, il rettore alzò la mano con l'anello che gettò un breve lampo sotto la luce delle applique. «Ghislieri fece intagliare, in un diaspro purissimo, questo anello episcopale a forma di feretro. Da allora, per la sua forma, ricorda a ogni rettore, qual è la nostra missione: fare in modo che nessuna bara, contenente le ossa del crocifisso di Gerusalemme, possa mai essere scoperta.»
«Ma, se l'eco della lettera del tredicesimo apostolo ha attraversato i secoli, niente prova che indicasse l'esatta ubicazione della tomba. Il deserto è immenso, dopo così tanto tempo la sabbia ha certamente occultato tutto» disse uno degli Undici. «Infatti, la tomba di Gesù non correva alcun rischio, fintanto che il deserto era percorso da cammelli. Ma la conquista spaziale ha messo a disposizione mezzi di ricerca straordinariamente perfezionati. Se si sono potute scoprire tracce d'acqua su Marte, si può oggi inventariare tutte le ossa del deserto del Negev o d'Indumea, persino quelle che la sabbia ha sepolto. Ma questo, papa Ghislieri non poteva certo immaginarlo. Se l'esistenza della tomba diventasse pubblica, centinaia di aerei radar o sonde spaziali passerebbero a setaccio il deserto, da Gerusalemme fino al Mar Rosso. L'irruzione della tecnologia spaziale crea un rischio nuovo, che non possiamo correre. Dobbiamo entrare in possesso di quell'abominevole documento e in fretta, perché gli israeliani sono sulla stessa pista.» Portò devotamente l'anello di diaspro alle labbra, prima di abbassare le mani sotto le maniche dell'alba. «Quel documento esplosivo deve essere messo al sicuro in quel cofanetto, davanti a noi. Bisogna ritrovarlo, non soltanto per sottrarlo ai nostri nemici, ma anche per disporre, grazie a esso, di mezzi finanziari all'altezza della nostra ambizione: arginare la deriva dell'Occidente. Tutti voi sapete in che modo i Templari hanno potuto accumulare la loro immensa fortuna. La reliquia che veneriamo ogni venerdì 13 ce lo rammenta. Questa fortuna può diventare nostra, e noi la utilizzeremo per preservare l'identità divina di Nostro Signore.» «Cosa proponete, fratello rettore?» «Padre Nil ha annusato una pista, che forse
finalmente è quella giusta. Lasciamo che la segua. Ho rafforzato la sorveglianza attorno a lui. Se arriva fino in fondo, saremo i primi a saperlo. E in seguito...» Il rettore giudicò superfluo concludere la frase. Il significato di quel "in seguito", i sotterranei dei palazzi dell'Inquisizione che trasudavano sofferenza, o i roghi che gettavano bagliori sinistri sulla storia della cristianità, lo conoscevano bene. In questo caso, sarebbero unicamente cambiate le modalità pratiche di quel "in seguito". Nil non sarebbe stato bruciato pubblicamente: anche padre Andrei aveva ricevuto un trattamento diverso.
74 Il sole lambiva il lastricato del cortile del Belvedere, quando Nil e Leeland fecero il loro ingresso. Sollevato per la sua confessione, l'americano aveva ripreso l'abituale vivacità, e durante il tragitto non aveva fatto che parlare della loro giovinezza a Roma. Erano le dieci quando si presentarono alla porta del fondo. Un'ora prima, un prete in abito talare li aveva preceduti. Alla vista della credenziale firmata dal cardinale Riedinger in persona, il poliziotto si era inchinato e lo aveva accompagnato con deferenza fino alla porta blindata, dove Breczinsky lo attendeva, nervoso. Quel secondo colloquio era stato breve, come il primo. Lasciandolo, il prete aveva fissato a lungo i suoi occhi neri sul polacco, che tremava. Nil non prestava più attenzione al suo viso pallidissimo, quasi diafano: arrivando non notò il turbamento che lo scuoteva e sistemò il materiale sul
tavolo, mentre Leeland andava a cercare i manoscritti che dovevano esaminare. Dopo un'ora di lavoro, si tolse i guanti, e sussurrò: «Continua senza di me, vado a tentare la fortuna da Breczinsky». Leeland annuì in silenzio, e Nil andò a bussare alla porta del bibliotecario. «Entri, padre. Si sieda.» Breczinsky sembrava felice di vederlo. «Non mi ha detto niente della sua ricerca nello scaffale dei Templari, l'altro giorno. Ha scoperto qualcosa di utile?» «Di meglio, padre. Ho ritrovato il testo esaminato da Andrei, quello la cui segnatura era stata annotata sulla sua agenda.» Trasse un respiro, e si lanciò: «Grazie al mio confratello deceduto, sono sulla pista di un documento che potrebbe rimettere in dubbio le fondamenta della nostra fede cattolica. Mi perdoni, ma non posso dirle di più. Dal mio arrivo a Roma, monsignor Leeland, a causa mia, è sottoposto a pressioni considerevoli. Tacendo cerco di evitargli ogni noia». Breczinsky lo guardò in silenzio, poi domandò timidamente: «Ma... chi può fare simili pressioni su un vescovo che lavora in Vaticano?». Nil decise di giocare il tutto per tutto. Si ricordava di un'osservazione fatta dal polacco, durante il loro primo incontro. "E io che credevo che fosse un uomo di Riedinger!" «La Congregazione per la dottrina della fede, e più precisamente il cardinale prefetto in persona.» «Riedinger!» Il polacco si asciugò la fronte, le mani gli tremavano leggermente. «Lei non conosce il passato di quell'uomo, né ciò che
ha vissuto!» Nil nascose la sua sorpresa. «In effetti non so nulla di lui, tranne che è la terza autorità della Chiesa, dopo il Segretario di Stato e il papa.» Breczinsky posò su di lui due occhi da cane bastonato. «Padre Nil, è andato troppo oltre. È tempo che sappia. Ciò che sto per dirle, l'ho confidato unicamente a padre Andrei, perché lui solo poteva comprendere. La sua famiglia e la mia erano accomunate dalle stesse sofferenze. Io non facevo fatica a farmi comprendere, capiva al volo.» Nil trattenne il respiro. «Quando i tedeschi hanno infranto il patto russotedesco, la Wehrmacht si è riversata su ciò che era rimasto della Polonia. Per mesi la divisione Anschluss ha assicurato attorno a Brest-Litovsk le retrovie dell'esercito d'invasione, e nell'aprile 1940 uno degli ufficiali superiori, un Obersdeutnant è venuto a portar via gli uomini del mio villaggio. Mio padre è stato condotto con loro nella foresta. Nessuno l'ha mai più rivisto.» «Sì, me lo ha già detto...» «Poi la divisione Anschluss ha raggiunto il fronte est, e mia madre ha tentato di sopravvivere al villaggio con me, aiutata dalla famiglia di padre Andrei. Due anni più tardi, abbiamo visto passare i resti dell'esercito tedesco che fuggiva davanti ai russi. Non era più la gloriosa Wehrmacht, ma una banda di predatori che violentavano e bruciavano tutto al loro passaggio. Avevo cinque anni. Un giorno, mia madre mi ha preso per mano, e terrorizzata mi ha detto: "Nasconditi in cantina, è l'ufficiale che ha portato via tuo padre. È tornato! ". Dalla porta semichiusa, ho
visto entrare un ufficiale tedesco. Senza una parola ha slacciato il cinturone, si è gettato su mia madre, e l'ha violentata sotto i miei occhi.» Nil era inorridito. «Ha saputo il nome di quell'ufficiale?» «Come può immaginare, non ho mai potuto dimenticarlo e non mi sono dato per vinto nel volerlo rintracciare: è morto poco dopo, ucciso dai partigiani polacchi. Era l'Obersdeutnant Herbert von Riedinger, il padre dell'attuale cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.» Nil spalancò la bocca, ma non fu in grado di pronunciare una sola sillaba. Breczinsky appariva alterato. Con sforzo, riprese la parola: «Dopo la guerra, divenuto cardinale di Vienna, Riedinger ha chiesto a uno spagnolo dell'Opus Dei di fare delle ricerche negli archivi austriaci e polacchi, e ha scoperto che suo padre, per il quale aveva un'ammirazione sconfinata, era stato ucciso dai partigiani polacchi. Da allora mi detesta, come detesta tutti i polacchi». «Ma... il papa è polacco!» «Lei non può capire: tutti quelli che hanno dovuto subire il nazismo, portano segni indelebili. L'ex appartenente alla Gioventù Hideriana, il figlio del combattente della Wehrmacht, ucciso dalla resistenza polacca, ha rinnegato il suo passato ma non ha dimenticato: nessuno è uscito intatto da quell'inferno. Verso il papa polacco, del quale è oggi il braccio destro, sono certo che ha superato la sua avversione viscerale. Lo venera sinceramente. Ma sa che sono originario di un villaggio dove la divisione Anschluss ha stazionato, sa della morte di mio padre.» «E... di sua madre?» Breczinsky, si asciugò gli occhi. «No, non può sapere, io ero l'unico testimone. La
memoria di suo padre è intatta. Ma io, io so. Non posso... non riesco a perdonare, padre Nil!» Un'immensa pietà colmò il cuore di Nil. «Non può perdonare al padre... o al figlio?» Breczinsky rispose in un soffio: «Né all'uno, né all'altro. Da anni, la malattia del Santo Padre consente al cardinale la massima libertà. Vuole a tutti i costi restaurare la Chiesa dei secoli passati. È ossessionato da ciò che chiama "l'ordine del mondo". Sotto un'apparente modernità, si cela il ritorno all'età del ferro. Ho visto teologi, preti e religiosi ridotti al silenzio, stritolati dal Vaticano. Mi dice che fa pressione su monsignor Leeland? Se il suo amico fosse l'unico... io non sono che un piccolo sasso insignificante, ma come gli altri devo essere frantumato affinché la base della Dottrina e della Fede non si incrini». «Perché proprio lei? Nascosto nel silenzio del suo fondo non dà fastidio a nessuno, non minaccia alcun potere!» «Ma io sono un uomo del papa, e il posto che occupo qui è molto più delicato di quanto immagina. Io... io non posso dirle di più.» Le sue spalle tremavano leggermente. Facendo uno sforzo, continuò: «Non mi sono mai ripreso dalle sofferenze subite per colpa di Herbert von Riedinger, la ferita non si è rimarginata e il cardinale lo sa. Ogni notte mi sveglio sudato, ossessionato dall'immagine di mio padre condotto nella foresta sotto la minaccia dei fucili, il corpo di mia madre spinto da un paio di stivali contro il tavolo della cucina. Si può assoggettare un uomo con la minaccia, ma si può anche asservirlo prolungandone la sofferenza. Basta ravvivarla, fare sanguinare la ferita. Solo qualcuno che ha conosciuto quegli uomini può comprendere, ed era il caso di
Andrei. Da quando sono entrato al servizio del papa, Riedinger, vestito di porpora, mi domina». Nil cominciava a capire. Breczinsky non aveva mai potuto lasciare la cantina della sua infanzia, acquattato dietro la porta oltre la quale sua madre veniva violentata. Non era mai uscito dal sentiero della foresta, dove in sogno procedeva dietro al padre che sarebbe morto, falciato da una raffica di mitra. Giorno e notte era ossessionato da due stivali lucidi contro un tavolo, stordito dall'eco di quell'ordine: Feuer! Suo padre era stato ucciso laggiù dalle pallottole tedesche, ma lui non cessava di precipitare in un pozzo oscuro e senza fine. Quell'uomo era un morto vivente. Nil esitò: «Il cardinale viene qui, in persona, a tormentarla con il ricordo del passato? Non ci posso credere». «Oh no, non agisce direttamente. Mi manda lo spagnolo che per conto suo ha effettuato delle ricerche negli archivi, a Vienna. Ora quest'uomo è a Roma, è venuto due volte in questi giorni, mi... mi tormenta. Indossa abiti da prete, ma se davvero è un prete di Gesù Cristo, allora, padre Nil, ciò vuol dire che la Chiesa non lo sta formando bene. Non ha un'anima, nessun sentimento umano.» Ci fu un grande silenzio, e Nil lasciò che Breczinsky riprendesse la parola: «Adesso capisce perché ho aiutato padre Andrei? Esattamente come lei, mi ha detto che cercava un documento importante. Voleva assolutamente sottrarlo a Riedinger, e consegnarlo al papa». Nil rifletté rapidamente: non aveva ancora pensato a cosa avrebbe fatto se avesse ritrovato l'epistola del tredicesimo apostolo. Effettivamente, sarebbe stato compito del papa giudicare se il futuro della Chiesa poteva essere compromesso dal suo contenuto, e
disporne di conseguenza. «Andrei aveva ragione. Non so ancora perché, ma è evidente che ciò che ho scoperto è oggetto di contesa per molti. Se riesco a ritrovare quel documento perduto da secoli, la mia intenzione è in effetti di avvertire il papa e indicarglielo. Solo il capo della Chiesa deve poter conoscere quel segreto, come è stato per i segreti di Fatima. Ho da poco saputo che sarebbe nascosto in Vaticano: è davvero poco!» «Il Vaticano è immenso. Non ha alcun indizio?» «Uno solo, molto esile. Se è arrivato a Roma, come credo, deve essere insieme ad alcuni manoscritti del Mar Morto tra i quali si trovava. Il Vaticano l'avrebbe ricevuto dopo la guerra d'indipendenza ebraica, verso il 1948. Ha un'idea di dove possono essere conservati dei manoscritti esseni di Qumran, non citati?» Breczinsky si alzò, sembrava sfinito. «Non posso risponderle subito, ho bisogno di rifletterci. Venga a trovarmi in questo ufficio domani pomeriggio: ci sarete solo lei e monsignor Leeland. La supplico, non gli riferisca la nostra conversazione. Non avrei mai dovuto dirle tutto questo.» Nil lo rassicurò; poteva dargli fiducia, come aveva fatto con padre Andrei. Il loro obiettivo era lo stesso: informare il papa.
75 «Brindo alla partenza dell'ultimo colono ebreo di Palestina!» «E io, all'insediamento definitivo del Grande Israele!»
I due uomini sorrisero prima di mandar giù la bevanda tutto d'un fiato. Lev Barjona divenne improvvisamente rosso e cominciò a tossire. «Per i miei filatteri, Moktar Al-Qoraysh, che cos'è questa roba? Petrolio arabo?» «Centerbe. Liquore degli Abruzzi. Settanta gradi. È una bevanda da uomini.» Da quando si erano reciprocamente risparmiati sul campo di battaglia, una strana complicità si era creata tra il palestinese e l'israeliano. La stessa che un tempo esisteva tra gli ufficiali degli eserciti regolari nemici, come talvolta esiste tra politici avversari o dirigenti di grandi gruppi rivali. Combattendo nell'ombra, si sentono a loro agio unicamente con i propri simili, che sono coinvolti nei loro stessi conflitti. Disprezzano la società dei borghesi, la loro esistenza scialba e tediosa. Gente che il più delle volte si affronta ferocemente, ma quando nessuna azione li oppone, non rifiuta di condividere un bicchiere, qualche donna o un'operazione comune, se si presenta l'occasione di un terreno neutrale. L'occasione fu monsignor Calfo. Quest'ultimo aveva proposto loro una di quelle missioni sporche che la Chiesa non vuole né compiere, né ammettere ufficialmente. Ecclesia sanguinem abborret, la Chiesa ha orrore del sangue. Non potendo più far eseguire le sue basse manovre da un braccio secolare che gli aveva voltato le spalle, era ormai costretta a rivolgersi ad agenti indipendenti. Il più delle volte, tirapiedi dell'estrema destra europea. Ma questi non resistevano all'attrattiva della messinscena mediatica, e facevano sempre pagare i loro servizi con contropartite politiche ingombranti. Calfo apprezzava che Moktar si fosse limitato a chiedergli dei dollari, e che i due uomini non si fossero lasciati dietro alcuna
traccia. Erano stati discreti quanto una corrente d'aria. «Moktar, perché mi hai dato appuntamento qui? Sai che i nostri capi non sarebbero d'accordo, se ci vedessero. La considererebbero un'imperdonabile leggerezza professionale.» «Andiamo, Lev, il Mossad ha agenti ovunque. Ma non qui. Questo ristorante cucina solo carne di maiale, e conosco il padrone, se sapesse che sei ebreo non resteresti un altro solo istante sotto il suo tetto. Non ci vediamo dal trasporto della lastra di Germigny a Roma, ma da poco hai incontrato i nostri due monaci ricercatori e io li ascolto regolarmente. Dobbiamo parlare.» «Sono tutto orecchi...» Moktar fece segno al padrone di lasciare sul tavolo la bottiglia di centerbe.» «Niente porcherie tra noi, Lev, qui si gioca lo stesso gioco. Sono io il solo a non sapere tutto, e questo mi rende nervoso. Il francese comincia ad agitarsi attorno al Corano. Ci sono cose che i musulmani non tollerano, lo sai. Che sia chiaro; io non mi occupo di questa missione unicamente per monsignor Calfo, Hamas è coinvolto. Ma ciò che non è molto chiaro per me, è la ragione per la quale tu agisci individualmente, incontrando Nil e rilasciandogli informazioni che valgono oro.» «Mi chiedi per quale ragione siamo interessati a quell'epistola perduta?» «Precisamente. In che modo questa storia del tredicesimo apostolo riguarda gli ebrei?» Lev tamburellò con le dita distrattamente sul tavolo di marmo. Le pizze al lardo si facevano attendere. «I fondamentalisti del Likud sorvegliano tutto ciò che viene detto nella Chiesa cattolica in materia di
Bibbia. Per quei religiosi, è essenziale che i cristiani non possano mai mettere in dubbio la divinità di Gesù Cristo. Noi abbiamo intercettato informazioni che padre Andrei lasciava filtrare, a Roma e presso i colleghi europei. È anche per questo che sono stato autorizzato a coalizzarmi con te nell'operazione del Roma Express. Era il momento. Quell'erudito aveva scoperto alcune cose che rendevano inquieti quelli di Mea Shearim.» «Ma perché! Non capisco per quale motivo il fatto che i cristiani possano accorgersi tutto a un tratto di aver inventato un falso Dio, o piuttosto un secondo Dio, vi preoccupa tanto. Sono tredici secoli che il Corano li condanna per questa ragione. Al contrario, dovreste essere soddisfatti che finalmente ammettano che Gesù era solo un profeta ebreo, come afferma Maometto.» «Sai bene, Moktar, che lottiamo per la nostra identità ebraica su tutti i piani, non solo su quello territoriale. Se la Chiesa cattolica rimettesse in dubbio la divinità di Gesù e riconoscesse che era solo un immenso profeta, cosa ci distinguerebbe da essa? Il cristianesimo ridivenuto ebraico, tornando alle sue origini storiche, si mangerebbe il giudaismo in un sol boccone. I cristiani che venerano l'ebreo Gesù, invece di adorare il loro Cristo Dio! Per il popolo ebraico costituirebbe un pericolo che non può permettersi di affrontare. Tanto più che i cattolici affermerebbero immediatamente che Gesù è più grande di Mosè, che con lui la Torah non vale più niente, benché egli abbia predicato che non era venuto ad abolire la Legge ma a perfezionarla. Un profeta ebreo che propone una legge più perfetta di quella di Mosè. Conosci i cristiani, la tentazione sarebbe troppo forte. Non sono riusciti a distruggerci con i pogrom, figurati se ci lasciamo
annientare da un'integrazione. Il fuoco dei crematori ci ha purificati. Se Gesù non è più Dio, se ridiventa ebreo, il giudaismo rischia di diventare un'appendice del cristianesimo, masticata, deglutita e infine digerita dal ventre affamato della Chiesa. E per questo che ricerche come quelle condotte da padre Nil ci mettono in allarme.» Davanti a loro erano appena state posate due immense pizze che odoravano di lardo fritto. Moktar cominciò a mangiare la sua con golosità. «Assaggia, poi mi dirai, e almeno, sapremo perché finiremo all'inferno. Mmm... la cosa più terrificante di voi ebrei, è la vostra paranoia. Troppo cervellotici per noi! Ma vi conosco, dal vostro punto di vista il ragionamento non fa una grinza. Soprattutto quello del ravvicinamento con i cristiani, che rischia di diluirvi come una goccia d'acqua nel mare. Lasciate che il papa pianga davanti alle telecamere di fronte al muro del Pianto, ma poi ognuno a casa sua. D'accordo. E allora, che importanza ha, se il piccolo Nil insiste a frugare?» «Mi sono fatto bacchettare sulle dita quando mi sono preso la briga... diciamo, d'interrompere i suoi lavori un po' troppo presto. L'ordine è di lasciarlo continuare, e di vedere cosa ne salta fuori. È anche la politica di Calfo. Incontrando il monaco francese, parlandogli, gli ho dato una piccola spinta che gli consentirà forse di ritrovare ciò che tutti noi cerchiamo. Inoltre, Nil ama Rachmaninov, cosa che prova che è un uomo di gusto.» «Sembri apprezzarlo.» Lev ingoiò con gusto un grosso boccone di pizza al lardo: quei goyim sapevano cucinare il porco. «Lo trovo simpatico, commovente anche. Sono cose che voialtri, arabi, non potete capire, perché Maometto
non ha mai capito niente dei profeti del giudaismo. Nil assomiglia a Leeland, sono entrambi degli idealisti, dei figli spirituali di Elia, l'eroe e il modello degli ebrei.» «Non so se Maometto non ha capito niente dei vostri profeti, ma io ho capito Maometto. Gli infedeli non devono vivere.» Lev allontanò il suo piatto vuoto: «Tu sei un Qoraysh, e io sono un Barjona, vale a dire un discendente degli zeloti* che un tempo terrorizzavano i romani. Come te difendo i nostri valori e la nostra tradizione, senza esitare. Gli zeloti erano anche chiamati sicari, a causa del loro virtuosismo nel maneggiare il pugnale e per la loro tecnica di sventramento dei nemici. Ma se Nil mi è simpatico, Leeland è mio amico da vent'anni. Non fare niente contro di loro senza prima avvisarmi». «Il tuo Leeland cammina mano nella mano con il tuo francese. Ne sa quasi quanto lui. Inoltre è un frocio. La nostra religione condanna quelli come lui! Quanto all'altro, se tocca il Corano e il suo profeta, niente potrà arrestare la giustizia di Dio.» «Rembert, un frocio? Stai scherzando! Quegli uomini sono dei puri, Moktar, sono sicuro dell'integrità del mio amico. Ciò che gli passa per la testa è un'altra cosa, ma il Corano condanna solo gli atti, non va a frugare nei cervelli. Questa missione riguarda l'integrità dei tre monoteismi. Te lo ripeto, non torcere loro un capello senza prima avvisarmi. D'altronde, se vuoi applicare loro la legge coranica, non te la caveresti senza di me. Sul Roma Express era un gioco da ragazzi, ma in mezzo a questa città sarà più difficile. Il Mossad lascia dietro di sé meno tracce di Hamas, lo sai bene... Qui, i vostri metodi non sono adatti.» * In dialetto aramaico, "zelota" si dice barjona.
Quando si separarono, la bottiglia di centerbe era vuota. Ma il passo dei due uomini nella strada deserta era stabile come se avessero bevuto acqua di sorgente.
76
Dall'alba, Sonia camminava con lo sguardo fisso davanti a sé, come un automa. Ruminava l'ultima proposta di Calfo. Non ce l'avrebbe mai fatta. «Sono solo una prostituta, ma questo è troppo anche per me.» Bisognava parlare con qualcuno, aveva bisogno di condividere la sua disperazione. Moktar? L'avrebbe riportata in Arabia Saudita. Aveva confiscato il suo passaporto, e fatto vedere delle foto della sua famiglia, foto recenti scattate in Romania. Le sue sorelle, i suoi genitori avrebbero pagato per lei, se non si fosse dimostrata docile. Si asciugò le lacrime e si soffiò il naso. Aveva risalito la sponda sinistra del Tevere, quando si accorse che aveva appena passato un incrocio, piuttosto animato in quelle prime ore del mattino. In fondo a un'ampia strada sgombra che svoltava verso il municipio, si scorgevano due templi antichi e il frontone del Teatro Marcello. Non voleva proseguire in quella direzione, per evitare i turisti. Desiderava restare da sola. Attraversò. Davanti a lei, il cancello di Santa Maria in Cosmedin era aperto. Lo varcò, passò davanti alla Bocca della Verità, senza guardarla, ed entrò. Era la prima volta che vedeva quel luogo, e fu rapita
dalla bellezza dei mosaici. La chiesa assomigliava molto a quelle della sua giovinezza e vi regnava un'atmosfera tranquilla e misteriosa. Il Cristo in gloria era quello degli ortodossi, così come l'odore d'incenso. Era appena stata celebrata una messa sull'altare maggiore. Un chierichetto spegneva i ceri uno a uno. Sonia si avvicinò, poi si inginocchiò nella prima fila di sinistra. "Un prete, vorrei parlare con un prete. Anche i cattolici rispettano il segreto della confessione, come da noi." Proprio in quel momento, un prete usciva dalla porta di sinistra: la sacrestia, senza dubbio. Indossava un'ampia cotta in pizzo bianco, senza particolari distintivi. Il viso rotondo e liscio era quello di un bambino, ma i suoi capelli bianchi indicavano un uomo di esperienza. Sonia levò verso di lui gli occhi arrossati dopo una notte di lacrime, e fu colpita dalla dolcezza del suo sguardo. Al suo passaggio, con uno slancio si drizzò in piedi. «Padre...» Il prete la scrutò. «Padre, sono ortodossa... posso confessarmi lo stesso?» Il prete le sorrise con bontà. Egli amava quelle rare occasioni in cui poteva esercitare il suo mistero di misericordia nell'anonimato. La luce riflessa dai mosaici dorati conferivano al viso di Sonia, teso per la tensione, la bellezza dei primitivi senesi. «Non potrei darle l'assoluzione sacramentale, mia cara, ma Dio stesso le arrecherà conforto... Venga.» Fu sorpresa di ritrovarsi in ginocchio davanti a lui, senza griglia né ostacoli come l'usanza romana prevede. I loro visi erano a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro.
«Ebbene, l'ascolto...» Cominciando a parlare, ebbe la sensazione che la morsa che le stringeva il petto si allentasse. Raccontò della donna che l'aveva reclutata in Romania, poi del palestinese che l'aveva mandata nell'harem del dignitario saudita. Infine di Roma e del piccolo uomo grassoccio, un prelato cattolico, che era costretta a soddisfare. Il viso del prete si allontanò bruscamente e lo sguardo si assottigliò. «Quel prelato cattolico, sa come si chiama?» «Non lo so, padre, ma deve essere vescovo. Porta un anello curioso, come non ne ho mai visti. Si direbbe una bara, un gioiello a forma di bara.» Con nervosismo, il prete girò verso il palmo della mano il castone dell'anello che portava. E nascose la mano destra nelle pieghe della cotta. Tutta presa dalla confessione, Sonia non si era accorta di quel gesto furtivo. «Un vescovo... che orrore! E cosa la costringe a fare...» Con difficoltà, Sonia gli raccontò la scena davanti all'icona bizantina, la cornetta da religiosa sul capo, il suo corpo nudo offerto all'uomo inginocchiato dietro di lei sull'inginocchiatoio, che mormorava parole incomprensibili riguardanti l'unione con l'Indicibile. Il prete si riavvicinò al viso di Sonia. «E lei mi dice che la prossima volta che andrà da lui, vuole...» Sonia riferì ciò che il vescovo le aveva spiegato congedandola, e che aveva causato la sua fuga precipitosa fuori dall'appartamento. Il viso del prete adesso sfiorava il suo, era diventato più duro del marmo della pavimentazione sulla quale era
inginocchiata. Egli parlò lentamente, scandendo ogni parola: «Mia cara, Dio la perdona perché è stata ingannata dai suoi rappresentanti sulla terra. Lei non aveva scelta. In Suo nome, le restituisco oggi la pace. Ma non deve, mi ascolti bene: non deve accettare di andare al prossimo appuntamento da quel prelato. La cosa alla quale vuole sottoporla è un abominio blasfemo verso nostro salvatore Gesù Cristo crocifisso». Sonia alzò verso di lui il viso sconvolto. «È impossibile! Cosa mi accadrà se non obbedisco? Non posso lasciare Roma, il mio passaporto...» «Non accadrà nulla. Primo perché Dio la protegge. Con questa confessione gli ha dimostrato che la sua anima è pura. Io sono tenuto al segreto della confessione, lo sa. Ma conosco molte persone a Roma, e senza tradire questo segreto posso fare in modo che non le accada nulla. Per sua sfortuna, lei è caduta nelle mani di un vescovo perverso, che si è reso indegno dell'anello che porta. Ma abbia fiducia, lei è nelle mani di Dio. Non vada da lui.» L'incontro inaspettato con il prete fu per Sonia una risposta di Dio alla sua preghiera. Per la prima volta da quando aveva sceso frettolosamente le scale dell'appartamento di Calfo, respirava liberamente. Quel prete sconosciuto l'aveva ascoltata con bontà, le aveva assicurato il perdono di Dio! Liberata del peso che la opprimeva. Sonia prese la sua mano e la baciò come usano fare i fedeli ortodossi. Non notò che era la mano sinistra; la destra era sempre ostinatamente nascosta nella cotta. Mentre Sonia si dirigeva verso l'uscita, il prete si alzò e riguadagnò la sacrestia. Risistemò l'anello episcopale, recante i contrassegni di san Pietro. Poi si
tolse la cotta, lasciando apparire la cintura color porpora. Con un gesto preciso, si lisciò i capelli bianchi, sui quali adagiò una papalina dello stesso colore: la porpora cardinalizia. Fino a quel momento, la mano di carte di cui Riedinger disponeva era meno buona di quella del napoletano. Senza saperlo, Sonia gli aveva appena servito un jolly. Di questa carta, se ne sarebbe servito facendola mettere in tavola da Antonio, il fedele tra i fedeli che era riuscito a eludere la vigilanza della Società San Pio V: l'andaluso che non era mai sceso a patti né deviato dal suo percorso, flessibile quanto una lama di Toledo, che si piega solo per raddrizzarsi meglio.
77 Seduto davanti alla prima porta blindata, il poliziotto pontificio li aveva lasciati passare senza controllare il permesso di Nil: degli habitué... Breczinsky li condusse davanti al loro tavolo dove li attendevano i manoscritti del giorno prima. Nil aveva avvisato Leeland che si sarebbero recati in Vaticano nel primo pomeriggio: aveva bisogno di riflettere. La fiducia che gli aveva accordato il polacco lo aveva dapprima stupito, poi spaventato. "Quell'uomo ha parlato perché è disperatamente solo, o perché mi manipola?" Il tranquillo professore delle sponde della Loira non si era mai trovato in una simile situazione. Aveva deciso di seguire le tracce del tredicesimo apostolo: come lui, si trovava adesso al centro di conflitti d'interesse più grandi di lui.
Breczinsky gli aveva offerto il suo aiuto, ma cosa poteva fare? Il Vaticano è sterminato, ogni museo, ogni biblioteca doveva possedere edifici annessi nei quali giacevano dimenticati oggetti di valore. Da qualche parte là dentro si trovava forse una cassa di cognac Napoléon, contenente dei manoscritti esseni scompagnati, e un foglio, un piccolo foglio di pergamena legato con una cordicella di lino. La descrizione data da Lev Barjona era rimasta impressa nella mente di Nil, ma se la cassa fosse stata svuotata, e il suo contenuto suddiviso a casaccio da un impiegato frettoloso? A metà pomeriggio, si tolse i guanti. «Basta con le domande: devo rivedere Breczinsky.» Leeland annuì in silenzio, e fece a Nil un sorriso d'incoraggiamento prima di chinarsi di nuovo sui manoscritti medievali che stava esaminando. Con il batticuore, il francese bussò alla porta del bibliotecario. Breczinsky aveva il viso febbricitante, dietro gli occhiali rotondi gli occhi erano solcati da profonde occhiaie. Fece segno a Nil di sedersi. «Padre, ho pregato tutta la notte affinché Dio mi illuminasse, e ho preso la mia decisione. Ciò che ho fatto per Andrei, lo farei per lei. Sappia soltanto che infrango di nuovo le consegne più sacre che mi sono state trasmesse quando mi è stato assegnato questo posto. Mi sono convinto perché mi ha assicurato che non lavora contro il papa, e che, al contrario, è sua intenzione comunicargli tutto ciò che scoprirà. È disposto a giurarmelo davanti a Dio?» «Sono solo un monaco, padre Breczinsky, ma ho sempre cercato di esserlo fino in fondo. Se ciò che scopro rappresenta un pericolo per la Chiesa, solo il
papa sarà avvisato.» «Bene. Le credo, come ho creduto ad Andrei. La gestione dei tesori contenuti in questo luogo è solo uno dei miei incarichi, l'unico visibile e il meno importante. Nel prolungamento del fondo, c'è un locale che non vedrà figurare su nessuna planimetria di questo insieme di edifici, poiché ufficialmente non esiste. È stato voluto da san Pio V nel 1570, nel momento in cui si apportavano gli ultimi ritocchi alla costruzione della basilica di San Pietro.» «Gli archivi segreti del Vaticano?» Breczinsky sorrise. «Gli archivi segreti sono perfettamente ufficiali, essi si trovano due piani sopra le nostre teste, il loro contenuto è messo a disposizione dei ricercatori in base a regolamenti resi pubblici. No, quel locale è conosciuto solo da pochissime persone, e poiché non esiste, non ha nome. È, se vuole, il fondo segreto del Vaticano. La maggior parte degli stati del pianeta posseggono qualcosa di simile. Non ha bibliotecari autorizzati - perché, come le ho già detto, non esiste e il suo contenuto non è catalogato. È una specie di inferno in cui sprofondano nell'oblio documenti che scottano, documenti che si teme possano cadere nelle mani di storici o giornalisti. Io ne sono il solo responsabile davanti al Santo Padre. Nel corso dei secoli, vi sono state ammucchiate le cose più disparate, per iniziativa di un papa o di un cardinale di dicastero. Quando qualcuno decide che un documento è da destinarsi al fondo segreto, ne decreta per sempre la reclusione tra quelle mura. Non sarà mai né archiviato né riesumato.» «Padre Breczinsky... perché mi rivela l'esistenza di quel fondo segreto?» «Perché è uno dei luoghi del Vaticano dove può
trovare quello che cerca. Poi ci sono gli archivi segreti, i cui documenti vengono resi pubblici anno dopo anno, cinquantanni dopo i fatti che li riguardano. Salvo decisione contraria, naturalmente. Ma essa è generalmente motivata ufficialmente. Lei mi dice che una cassa contenente dei manoscritti del Mar Morto è giunta in Vaticano nel 1948, in occasione della prima guerra arabo-israeliana. Se fosse stata classificata negli archivi segreti, l'avrebbero già resa pubblica. E se gli elementi di quel lotto fossero stati giudicati troppo scottanti per essere consegnati al pubblico, l'avrei necessariamente saputo. Talvolta accade. In tal caso, mi viene consegnato un dossier o un pacco che occorre riporre al sicuro nel fondo segreto, per sottrarlo ai curiosi. Solo io sono autorizzato a farlo. Ora, da cinque anni, non ricevo niente di nuovo, né dagli archivi segreti né da altre parti.» «Ma... conosce quello che deve archiviare definitivamente in quel fondo segreto? Non ha mai provato la curiosità di dare un'occhiata a ciò che i suoi predecessori hanno accumulato, dalla fine del XVI secolo?» Breczinsky rispose quasi allegramente. «Papa Wojtyla mi ha fatto promettere che non avrei mai cercato di conoscere il contenuto di ciò che controllavo, o di ciò che si trova in quel fondo. In quindici anni, ho potuto accedervi tre volte soltanto, per un nuovo deposito. Sono stato fedele alla mia promessa, ma non ho potuto impedirmi di notare una serie di scaffalature etichettate Manoscritti del Mar Morto. Non so cosa contenga quella zona del locale. Quando ne ho parlato a padre Andrei, al quale ho fatto le stesse confidenze, mi ha supplicato di concedergli il permesso di dargli un'occhiata. A chi potevo chiedere l'autorizzazione? Unicamente al papa, ma è il papa che
io e Andrei volevamo proteggere, a sua insaputa. Ho accettato, e gli ho concesso di trascorrere un'ora al suo interno.» Nil mormorò: «Ed è il giorno dopo, non è così, che ha lasciato Roma precipitosamente?». «Sì. Ha preso il Roma Express il giorno successivo, senza avermi detto nulla. Aveva scoperto qualcosa? Aveva parlato con qualcuno? Lo ignoro.» «Ma è caduto dal Roma Express durante la notte. E non è stato un incidente.» Breczinsky si passò le mani sul viso. «Non era un incidente. Quello che posso dirle, è che proseguendo i lavori del suo confratello, anche lei è in pericolo. Come Andrei, la ricerca l'ha condotta fino alla soglia di quel fondo ufficialmente inesistente. Sono pronto a lasciarla entrare, ho fiducia in lei come ho avuto fiducia in Andrei. Riedinger, e temo molti altri, sono su questa pista. Se arriverà prima di loro, corre lo stesso pericolo di Andrei. È ancora in tempo ad abbandonare tutto, padre Nil, e tornarsene nella stanza accanto a esaminare un inoffensivo manoscritto medievale. Cosa decide?» Nil chiuse gli occhi. Gli sembrò di rivedere il tredicesimo apostolo, alla destra di Gesù nella sala alta, mentre lo ascoltava con venerazione. Poi, divenuto depositario di un pesante segreto, lottare da solo contro l'odio di Pietro e dei Dodici, che volevano restare i soli ad avere il monopolio dell'informazione da trasmettere. Che lo condannavano all'esilio e al silenzio, affinché la Chiesa che avrebbero edificato sulla memoria falsata di Gesù, durasse eternamente, alfa e omega. Il segreto aveva attraversato i secoli prima di giungere sino a lui. Disteso accanto al tavolo
dell'ultima cena, appoggiato sul gomito, il discepolo beneamato di Gesù gli chiedeva di non arrendersi. Nil si alzò. «Mi accompagni, padre.» Uscirono dall'ufficio. Leeland, chino sul tavolo, sentendoli passare alle sue spalle non accennò neppure a sollevare il capo. Attraversarono la fila di sale del fondo. Breczinsky aprì una piccola porta, e fece segno a Nil di seguirlo. Percorsero un corridoio leggermente in discesa. Nil cercava di orientarsi. Come se indovinasse i suoi pensieri, Breczinsky sussurrò: «Ci troviamo sotto il transetto destro della basilica di San Pietro. Il locale è stato scavato nelle fondamenta, a una quarantina di metri circa dalla tomba dell'apostolo, scoperta durante gli scavi ordinati da Pio XII sotto l'altare maggiore». A un certo punto, il corridoio si restringeva a gomito e terminava davanti a una porta blindata. Il polacco si slacciò il colletto romano, e tirò fuori una piccola chiave che portava appesa al collo. Al momento di aprire, consultò l'orologio: «Sono le diciassette, il fondo chiude alle diciotto. Le resta un'ora. Tutte le nostre porte possono essere aperte dall'interno senza chiave, compresa questa. Uscendo basta una piccola spinta, ed essa si richiuderà automaticamente. Prima di uscire spenga la luce e mi raggiunga nel mio ufficio». La porta blindata si aprì senza rumore, Breczinsky fece scivolare la mano contro il muro interno e azionò un interruttore. «Faccia attenzione a non sciupare nulla. Buona fortuna!» Nil entrò. La porta si richiuse alle sue spalle con uno scatto.
78 Stava davanti a un lungo cunicolo a volta, vivamente rischiarato. La parete destra era nuda, in pietra a vista: Nil passò la mano sulla sua superficie, e riconobbe immediatamente la tecnica di taglio utilizzata. Non erano i bulini dei muratori del Medioevo, né le seghe di epoca recente. I tratti regolari di cesello e la loro spaziatura portavano la firma degli scalpellini del Rinascimento. La parete di sinistra era completamente rivestita di scaffali. Alcuni di essi, i più antichi, erano scolpiti con sapienza. Altri, in legno grezzo, dovevano essere stati aggiunti nel corso dei secoli per rispondere alle esigenze di sistemazione del materiale. La sistemazione... Alla prima occhiata, Nil si rese conto che non era stata adottata alcuna classificazione razionale. Casse, scatole, cartoni, mucchi di documenti erano impilati sugli scaffali. "Perché fare ordine all'inferno? Mai nulla uscirà di qui." Fece un passo in avanti, per vedere il fondo del cunicolo: una cinquantina di metri. Decine di scaffali, migliaia di documenti. Trovare l'ago in quel pagliaio, in un'ora... era impossibile. Eppure Andrei aveva trovato qualcosa, Nil ne era convinto. Era il solo fatto che potesse spiegare la sua fuga e la sua morte. Avanzò nel corridoio, scrutando gli scaffali di sinistra. Nessuna sistemazione, solo targhe inchiodate alle scaffalature, una mescolanza di eleganti calligrafie antiche e scritture più moderne. Ebbe la sensazione che il tempo si annullasse. Catari... Processo dei Templari, tutto uno scaffale. Savonarola, Jan Hus, Affare Galileo, Giordano Bruno, Sacerdoti francesi rinnegati, l'elenco dei preti giurati,
condannati da Roma come apostati nel 1792. Corrispondenza della S.S. con Garibaldi... Tutta la storia segreta della Chiesa, in lotta contro i suoi nemici. Improvvisamente, Nil si fermò. Uno scaffale contenente cartoni di aspetto recente recava una sola etichetta: Operazione Ratlines. Dimenticando perché si trovava lì, Nil entrò nella fila e aprì uno dei cartoni. Era la corrispondenza di Pio XII con Draganovic, il vecchio prete diventato capo degli ustascia, i nazisti croati autori di atrocità durante la guerra. Aprì altri cartoni. Documenti d'identità di criminali nazisti celebri, elenco di passaporti del Vaticano rilasciati a loro nome, ricevute di somme considerevoli. L'operazione Ratlines era la denominazione codificata della trafila che aveva permesso, poco dopo la guerra, ai criminali di guerra nazisti di fuggire impuniti, aiutati dalla Santa Sede. Nil si passò una mano sul viso. Niente di nuovo. Le compromissioni della Chiesa, gli stessi suoi crimini, erano il seguito logico di ciò che aveva dovuto subire il tredicesimo apostolo a metà del I secolo. Uscì da quella fila e il suo sguardo fu attirato da un dossier semplicemente adagiato su di uno scaffale: Auschwitz, rapporti segreti 1941. Si trattenne dal desiderio di aprirla: "La Santa Sede era al corrente di Auschwitz, dal 1941...". Guardò l'orologio. Più di mezz'ora. Procedette. Bruscamente si fermò. Il suo sguardo fu catturato da un'etichetta recante una calligrafia recente. Manoscritti del Mar Morto, Spuria. Una decina di scatole polverose erano impilate. Prese quella in cima, e l'aprì. All'interno, frammenti di rotoli per metà distrutti dal tempo. Rimpianse di non aver portato con sé i guanti e prese un rotolo. Particelle di pergamena si staccarono e caddero sul
fondo della scatola, che ne era cosparsa. "La scrittura ebraica di Qumran! " Erano proprio i manoscritti del Mar Morto, ma perché erano relegati in quell'inferno, condannati a sbriciolarsi, quando gli eruditi di tutto il mondo li cercavano? Spuria, "residuo". Si erano voluti sottrarre alla comunità mondiale quei resti, perché non avevano valore... o proprio perché rappresentavano residui di storia che doveva essere occultata per sempre? Rimise la scatola al suo posto. Quella sotto era di legno bianco e recava un'iscrizione stampata: Cognac Napoléon, cuvée de l'Empereur. La cassa del metropolita Samuel, la cassa consegnata a Gerusalemme al converso domenicano! Con il batticuore, Nil la tirò fuori dal mucchio. Sul coperchio, una mano aveva tracciato tre lettere: M M M. Riconobbe la scrittura di padre Andrei. La testa gli girò. Così, quando in treno padre Andrei aveva scritto M M M sul suo biglietto, non faceva soltanto allusione al lotto di fotocopie della Huntington Library conservate nella biblioteca dell'abbazia SaintMartin. Indicava la scatola che Nil aveva appena scoperto. Andrei aveva scritto di suo pugno sul coperchio quelle tre lettere per poterla identificare più facilmente un giorno: dunque era di quella che voleva parlargli. La sua scoperta, resa possibile dall'incontro con Breczinsky, era la realizzazione delle loro ricerche, e Andrei avrebbe voluto dire tutto a Nil. Era la ragione per la quale era stato ucciso. Nil aprì la scatola. Lo stesso accumulo di resti di rotoli. E di lato, un semplice foglio di pergamena arrotolato. Le mani di Nil tremavano quando con cautela svolse il filo di lino che legava il manoscritto. Era greco. Una calligrafia elegante e perfettamente leggibile. La calligrafia del tredicesimo apostolo!
Cominciò a leggere: «Io, il discepolo beneamato di Gesù, il tredicesimo apostolo, a tutte le Chiese...», Quando ebbe terminato la lettura, Nil era terreo. L'inizio della lettera non gli diceva nulla che già non sapesse: Gesù non era Dio, i Dodici - spinti dall'ambizione politica - l'avevano divinizzato. Ma il tredicesimo apostolo sapeva che ciò non sarebbe stato sufficiente per preservare il vero volto del suo Maestro. Egli testimoniava, in modo irrefutabile, che il 9 aprile dell'anno 30 aveva incontrato degli uomini in bianco, esseni, davanti al sepolcro che avevano appena svuotato del cadavere di Gesù, e che si apprestavano a trasportare quel cadavere in una delle loro necropoli del deserto, per dargli degna sepoltura. Non era indicata l'esatta collocazione della tomba. In una frase laconica, affermava che soltanto la sabbia del deserto avrebbe protetto la tomba di Gesù dalla bramosia degli uomini. Come tutti i profeti, il nazoreno restava vivo per l'eternità, e la venerazione delle sue ossa avrebbe potuto deviare l'umanità dall'unico vero mezzo per poterlo rincontrare: la preghiera. Durante quei faticosi mesi di ricerca, Nil aveva creduto che il mistero al quale si accostava fosse quello del tredicesimo apostolo, del ruolo che aveva giocato a Gerusalemme e della sua posterità. L'uomo che aveva scritto quelle righe di proprio pugno si sapeva già eliminato dalla Chiesa, cancellato dal suo futuro. Quel futuro, che egli presagiva non avrebbe avuto niente a che vedere con la vita e l'insegnamento del suo Maestro. A quella pergamena affidava il segreto che forse, un giorno, avrebbe permesso al mondo di riscoprire il vero volto di Gesù. Cosa poteva rappresentare un deperibile foglio di
carta di fronte all'ambizione divorante di uomini pronti a tutto pur di arrivare ai loro scopi, utilizzando il ricordo di colui che egli aveva amato più di ogni altro? Il tredicesimo apostolo lo aveva appena condotto alla verità segreta: l'esistenza reale, fisica, di una tomba contenente le ossa di Gesù. Nil diede un'occhiata all'orologio. Le diciotto. "Speriamo che Breczinsky mi abbia aspettato!" Ripose la lettera miracolosamente ritrovata nella sua scatola, e la scatola al suo posto. Avrebbe mantenuto la parola: il papa sarebbe stato avvertito, tramite il bibliotecario polacco, dell'esistenza dell'epistola apostolica che né i secoli né gli uomini di Chiesa erano riusciti a occultare. Grazie all'iscrizione M M M, sarebbe stato facile a Breczinsky ritrovarla, e affidargliela. Il seguito non riguardava più un piccolo monaco come lui. Il seguito riguardava solo il papa. Nil uscì dal locale, avendo cura di spegnere la luce. Alle sue spalle, la porta si richiuse automaticamente. Quando giunse nella sala dove lui e Leeland avevano lavorato in quei giorni, questa era vuota e la luce della plafoniera spenta. Andò a bussare alla porta dell'ufficio: nessuna risposta, Breczinsky non lo aveva aspettato. Nil si domandò con inquietudine se tutte le porte che conducevano al cortile del Belvedere si aprivano dall'interno: non gli andava di passare la notte nell'aria viziata del fondo. Ma Breczinsky non gli aveva mentito. Superò senza ostacolo le due porte blindate. La camera stagna d'entrata era vuota, ma la porta esterna dell'edificio socchiusa. Senza riflettere, Nil uscì in cortile e respirò una boccata d'aria. Aveva bisogno di camminare, per riordinare le idee. Aveva tanta fretta di lasciare quei luoghi che non fece caso al vetro colorato dietro il quale il poliziotto
pontificio fumava una sigaretta. Quando lo vide passare, l'uomo alzò il ricevitore del telefono interno della Città del Vaticano, e pigiò un tasto. «Eminenza, è appena uscito... Sì, solo. L'altro se ne è andato per primo. Di niente, Eminenza.» Nel suo ufficio, il cardinale Riedinger riagganciò con un sospiro: presto Antonio sarebbe entrato in azione. 79 Nil attraversò piazza San Pietro, e alzò istintivamente gli occhi: la finestra del papa era illuminata. L'indomani avrebbe parlato a Breczinsky, gli avrebbe indicato l'ubicazione della cassa di cognac contrassegnata con le lettere M M M, e dato l'incarico di trasmettere oralmente un messaggio al vecchio pontefice. Imboccò la via Aurelia. Arrivato sul pianerottolo del terzo piano, si fermò. Attraverso la porta, sentiva Leeland suonare la seconda Gimnopedia di Erik Satie. La melodia trasmetteva un'infinita malinconia, pervasa di un tocco di cupa derisione. "Rembert... il tuo umorismo ti permetterà di superare la disperazione?" Con discrezione bussò alla porta. «Entra, ti aspettavo con impazienza.» Nil si sedette vicino al piano. «Remby, perché hai lasciato il fondo prima del mio ritorno?» «Breczinsky è venuto ad avvisarmi che erano le diciotto. Diceva che doveva chiudere. Sembrava preoccupato. Ma non ha importanza. Dimmi piuttosto, hai scoperto qualcosa?» Nil non condivideva la noncuranza di Leeland:
l'assenza di Breczinsky lo preoccupava. "Perché non era là come convenuto, quando sono tornato?" Accantonò la domanda. «Sì, ho trovato ciò che Andrei e io cercavamo da tempo. Un esemplare intatto dell'epistola del tredicesimo apostolo. A dire il vero l'originale.» «Magnifico! Ma quella lettera... è davvero così terribile?» «È breve, e la so a memoria. Origene ha detto la verità, essa contiene la prova indiscutibile che Gesù non è resuscitato, come la Chiesa insegna. Dunque, che non è Dio. La tomba vuota di Gesù, sulla quale è stato edificato il Santo Sepolcro, è un'illusione. La vera tomba, quella che contiene i resti di Gesù, si trova da qualche parte nel deserto.» Leeland era incredulo: «Nel deserto! Ma dove esattamente?». «Il tredicesimo apostolo rifiuta di indicare il luogo preciso, al fine di preservare i resti di Gesù dalla bramosia umana. Si limita a parlare del deserto d'Idumea, una vasta zona a sud d'Israele, i cui confini sono mutati nel corso delle epoche. Ma l'archeologia ha fatto passi da gigante. Se verranno impiegati dei mezzi, la troveranno. Uno scheletro in una necropoli essena abbandonata, situata in quella zona, recante le tracce della crocifissione, datata dal carbonio 14 a metà del I secolo, creerebbe un cataclisma in Occidente.» «Pubblicherai i risultati della tua ricerca, farai conoscere al mondo l'epistola, seguirai gli scavi archeologici? Nil, vuoi che quella tomba venga ritrovata?» Nil tacque un istante. In testa gli ronzava la melodia di Satie.
«Seguirei il tredicesimo apostolo fino alla fine. Se la sua testimonianza non fosse stata occultata dalla Storia, la Chiesa cattolica non sarebbe mai esistita. È per questo che i Dodici apostoli hanno rifiutato di contarlo come uno di loro. Non dimenticare l'iscrizione di Germigny: solo i Dodici apostoli devono essere testimoni di Gesù, per l'eternità, alfa e omega. Bisogna rimettere in dubbio, venti secoli più tardi, l'edificio che hanno costruito su una tomba vuota? La sepoltura dell'apostolo Pietro indica oggi il centro della cristianità. A una tomba vuota, si è sostituita una tomba piena, quella del primo dei Dodici apostoli. Poi la Chiesa ha creato i sacramenti, perché ognuno potesse entrare fisicamente in contatto con Dio. Se ai credenti viene tolto questo, cosa resterà loro? Gesù chiede di imitarlo ogni giorno, e il solo mezzo che indica è la preghiera. Ma intere moltitudini e civiltà possono essere trascinate solo con mezzi concreti, tangibili. L'autore dell'epistola aveva ragione. Riporre le ossa di Gesù nel Santo Sepolcro, significherebbe trasformare quella tomba in un oggetto d'adorazione per le folle credulone. Significherebbe negare per sempre agli umili e ai poveri l'accesso al Dio invisibile, con i mezzi che posseggono da sempre: i sacramenti.» «Cos'hai intenzione di fare allora?» «Avvertire il Santo Padre dell'esistenza dell'epistola, fargli sapere dove si trova. Sarà il depositario di un segreto in più. Ecco tutto. Una volta tornato nel mio monastero, nasconderò il segreto delle mie ricerche nel silenzio del chiostro. Tranne uno, che voglio pubblicare presto: il ruolo giocato dai nazoreni nella nascita del Corano.» Al piano sottostante, Moktar aveva registrato scrupolosamente le due Gimnopedie di Satie e poi,
dopo l'arrivo di Nil, l'inizio della conversazione. A quel punto, si era calcato per bene le due cuffie sulle orecchie. «L'epistola del tredicesimo apostolo ti ha insegnato cose nuove sul Corano?» «Egli rivolge la sua lettera alle Chiese, ma in effetti è destinata ai suoi discepoli, i nazoreni. Alla fine, li supplica di restare fedeli alla sua testimonianza e al suo insegnamento su Gesù, ovunque il loro esilio li conduca. Conferma dunque ciò di cui avevo il sospetto. Dopo essersi rifugiati per qualche tempo a Pella, devono essersi rimessi in cammino, senza dubbio per sfuggire all'invasione dei romani nel 70 d.C. Nessuno sa cosa siano diventati, ma nessuno sembra aver notato che, nel Corano, Maometto parla sovente dei naçâra, un termine che è sempre stato tradotto con "cristiani". In effetti, naçâra è la traduzione araba di "nazoreni"!» «La tua conclusione?» «Maometto deve aver conosciuto i nazoreni alla Mecca, dove avevano trovato rifugio dopo Pella. Sedotto dal loro insegnamento, c'è mancato poco che diventasse lui stesso uno di loro. Poi è fuggito a Medina, dove è divenuto comandante. La politica e la violenza hanno avuto il sopravvento, ma è rimasto segnato per sempre dal Gesù dei nazoreni; quello del tredicesimo apostolo. Se Maometto non fosse stato divorato dal desiderio di conquista, l'Islam non sarebbe mai nato, i musulmani sarebbero gli ultimi dei nazoreni e la croce del profeta Gesù sventolerebbe sulla Mecca!» Leeland sembrava condividere l'entusiasmo dell'amico. «Posso garantirti che negli Stati Uniti, in ogni caso, gli universitari si appassioneranno ai tuoi lavori! Ti
aiuterò a farli conoscere oltreoceano.» «Immagina, Remby! I musulmani dovranno ammettere che il loro testo reca il segno di un intimo di Gesù, lui stesso escluso dalla Chiesa per aver negato la sua divinità, come loro! Sarebbe la nuova base per un possibile riavvicinamento tra musulmani, cristiani ed ebrei. E senza dubbio la fine della Jihad contro l'Occidente!» Il viso di Moktar si era improvvisamente oscurato. Sommerso dall'odio, ascoltava ormai la conversazione da un solo orecchio. Nil chiedeva ora a Leeland quali fossero i suoi progetti, come avrebbe potuto fare a nascondere tutto a Riedinger. Sarebbe stato in grado di resistere alla pressione, di non rivelare nulla? Cosa sarebbe accaduto se il cardinale avesse messo in pratica la minaccia di rendere pubblica la sua relazione privilegiata con Anselmo? Blateravano come donnette. Al palestinese non interessava più quello che dicevano. Si tolse le cuffie. Quei due uomini avevano appena superato il limite consentito: il Corano non si tocca. Che degli eruditi cristiani penetrassero i segreti celati nei loro vangeli, non lo riguardava. Ma il Corano non sarebbe stato sottoposto ai metodi dei loro empi esegeti, l'università Al-Azhar si sarebbe opposta ferocemente. Non si seziona la parola di Allah trasmessa dal suo profeta, benedetto sia il suo nome. Maometto, un discepolo occulto dell'ebreo Gesù! Il francese avrebbe applicato al testo sacro i suoi metodi d'infedele, avrebbe pubblicato i risultati con l'aiuto dell'americano. Nelle mani dell'America, serva d'Israele, i suoi lavori sarebbero diventati un'arma terribile contro l'Islam. La fronte corrugata, riavvolse le bobine e si ricordò
di una frase che sovente recitava ai suoi studenti: "Gli infedeli, stanateli, uccideteli ovunque si trovino*". Moktar si sentì sollevato: il Profeta, benedetto sia il suo nome, aveva sentenziato. * Corano, 4,89.
80 Per tutto il giorno aveva piovuto. Coltri di nebbia risalivano lentamente il pendio del Gran Sasso, poi sembrava esitassero un istante prima di valicare la cresta e sparire verso l'Adriatico. Il volo degli uccelli da preda era come risucchiato dall'orizzonte. Padre Nil mi aveva accolto nel suo eremo, scavato nella roccia. Un pagliericcio gettato su un letto di felci secche, un piccolo tavolo davanti a una minuscola finestra. Un camino rudimentale, una Bibbia su un ripiano, delle fascine. Ancora meno dello stretto necessario. Inessenziale, qui, era altrove. Mi avvertì che eravamo giunti alla fine della sua storia. Solo in seguito, nel silenzio di questa montagna, ne aveva compreso tutte le peripezie. Si turbò una volta soltanto, me ne accorsi dal tremito della sua voce. Quando mi parlò di Rembert Leeland, del calvario interiore che quell'uomo aveva vissuto e che si era risolto in poche ore, tragicamente. Nell'istante in cui aveva trovato il manoscritto perduto, gli avvenimenti erano precipitati. Riesumando dall'oblio quel testo appartenuto a un remoto passato, egli aveva dischiuso le cortine dietro le quali fremevano d'impazienza uomini a lui sconosciuti, che difendevano,
ciascuno, la propria causa con un accanimento la cui violenza gli appariva incomprensibile, ancora oggi.
81 La sera stessa, Moktar aveva telefonato a Lev Barjona, stavolta dandogli appuntamento in un bar. Ordinarono qualcosa e rimasero in piedi al banco, parlando sottovoce malgrado il vocio assordante degli avventori. «Ascoltami, Lev, è una cosa seria. Ho appena consegnato a Calfo la registrazione di una conversazione tra Nil e Leeland. Il francese ha ritrovato l'epistola. Si trova davvero nella cassa di cognac della quale il metropolita Samuel ti aveva parlato. L'ha letta, e l'ha lasciata sul posto, in Vaticano.» «Bene, molto bene! Ora, dobbiamo andarci cauti.» «Ora, dobbiamo agire, e senza cautela. Quel cane sostiene che essa contiene la prova... o piuttosto, conferma con intima convinzione che il Profeta era vicino ai nazoreni, prima di sprofondare nella violenza a Medina. Che egli era accecato dall'ambizione. Sai cosa significa per noi, ci conosci da sempre. Ha superato il limite oltre il quale ogni musulmano deve intervenire. Deve sparire. In fretta, insieme con il suo complice.» «Calmati, Moktar. Hai ricevuto istruzioni dal Cairo in tal senso? E Calfo?» «Non ho bisogno di istruzioni dal Cairo. In questa circostanza il Corano detta ai credenti la condotta da adottare. Quanto a Calfo, me ne fotto. È un depravato, e le storie dei cristiani mi lasciano indifferente.
Risolvano pure i loro problemi tra di loro e si occupino dei loro intrallazzi. Io, per quanto mi riguarda, proteggo la purezza del messaggio trasmesso da Dio a Maometto. Ogni musulmano è pronto a versare il suo sangue per questa causa, Dio non sopporta l'onta. Difenderò l'onore di Dio.» Lev fece un segno al barman. «Che intenzioni hai?» «Conosco i loro spostamenti, i loro percorsi. La sera Nil rientra a piedi a San Girolamo, ci impiega un'ora e passa per via Salaria Antica, sempre deserta al calar della notte. L'americano lo accompagna per un tratto, poi ritorna sui suoi passi per terminare la passeggiata nei pressi di Castel Sant'Angelo, dove sogna il sederino di qualcuno. Non c'è mai nessuno. Ti unisci a me? Domani sera.» Lev sospirò. Un'operazione improvvisata, sotto l'impeto della collera, senza visibilità. Quando il fanatismo montava alla testa di Moktar, non ragionava più. Il beduino saltava sul suo cammello, e correva a lavare l'onta nel sangue. Rimanere nell'attesa era un segno di debolezza, contrario alla legge del deserto. L'orgoglio degli arabi! Erano incapaci di dominarsi quando si trattava dell'onore. Una mancanza di controllo che aveva sempre permesso al Mossad di avere la meglio su di loro. Lev si ricordò inoltre l'ordine di Gerusalemme, fermamente trasmesso da Ari: «L'azione non fa più per te». «Domani sera ho una prova con l'orchestra per il mio ultimo concerto. Sanno che sono a Roma. Non capirebbero perché mi defilo. Devo preservare la mia copertura, Moktar. Spiacente.» «Agirò senza di te, prima uno, poi l'altro. Padre Nil è una piccola porcellana che va in frantumi al minimo colpo. Quanto all'americano, basterà spaventarlo.
Morirà di paura prima ancora di essere toccato. Così, non dovrò sporcarmi le mani.» Quando si separarono, Lev si diresse verso il giardino del Pincio. Aveva bisogno di riflettere. Al calar della notte, il rettore convocò d'urgenza una riunione dei Dodici. Quando tutti quanti furono seduti dietro il lungo tavolo, si alzò. «Fratelli, ancora una volta siamo qui riuniti attorno al Maestro, come un tempo i Dodici nella sala alta. Questa volta non è per accompagnarlo nel giardino dei Getzemani, ma per offrigli una seconda entrata trionfale a Gerusalemme. Padre Nil ha trovato l'ultimo e unico esemplare rimasto della lettera dell'impostore, il preteso tredicesimo apostolo. Essa giaceva semplicemente nel fondo segreto del Vaticano, insieme ad alcuni manoscritti del Mar Morto, riposti definitivamente in quel luogo nel 1948.» Un bisbiglio di soddisfazione percorse l'assemblea. «Che ne ha fatto, fratello rettore?» «Li ha lasciati al fondo. L'intenzione di padre Nil è di avvisare il Santo Padre della sua esistenza e della sua collocazione.» I visi si adombrarono. «Che lo faccia o no, non ha alcuna importanza. Padre Nil dovrà passare attraverso Breczinsky per informare il papa. Il dodicesimo apostolo tiene sotto controllo il polacco. Non è vero, fratello?» Antonio chinò silenziosamente il capo. «Dopo che Breczinsky sarà stato avvisato da Nil senza dubbio domani - entreremo in azione. Abbiamo il polacco in pugno. Ci condurrà alla lettera. In due giorni, fratelli, essa occuperà il posto che le spetta, custodita dalla nostra fedeltà e da questo crocifisso. E nei mesi e negli anni a venire, ce ne serviremo per
ottenere i mezzi necessari alla nostra missione: schiacciare i serpenti che mordono Cristo, soffocare la voce di coloro che si oppongono al suo regno, restaurare la cristianità in tutta la sua grandezza, in modo che l'Occidente ritrovi la perduta dignità.» Lasciando la sala, in silenzio porse una busta ad Antonio. Lo convocava presso di lui, a Castel Sant'Angelo, domani l'altro in mattinata. Per lasciare a Nil il tempo di parlare a Breczinsky. E in modo che la sua mente fosse totalmente sgombra per la serata dell'indomani con Sonia, dalla quale si aspettava molto. Grazie a lei, avrebbe trovato la forza della quale aveva bisogno. La forza interiore che un cristiano riceve immedesimandosi con tutte le fibre del suo essere nel Cristo crocifisso. Antonio si infilò la lettera in tasca. Ma invece di andarsene verso il centro, deviò verso il Vaticano. Il cardinale prefetto della Congregazione s'intratteneva sempre fino a tardi nel suo studio.
82 Roma si stiracchiava sotto il sole del mattino, il freddo era sempre intenso, ma con l'approssimarsi del Natale invogliava i romani a uscire dalle loro case. In piedi davanti alla finestra, Leeland guardava distrattamente lo spettacolo della via Aurelia. La sera prima, Nil lo aveva reso partecipe della decisione di rientrare il prima possibile in Francia. Ciò che egli considerava come una missione ricevuta da Andrei aveva trovato il suo compimento con la scoperta dell'epistola. «Hai pensato, Remby, che quella parte di deserto
situata tra la Galilea e il Mar Morto ha fatto nascere i tre monoteismi del pianeta? E là che Mosè ha avuto la visione del cespuglio ardente, là che Gesù è stato radicalmente trasformato, sempre là che Maometto è nato e ha vissuto. Il mio deserto sarà sulle sponde della Loira.» La partenza di Nil metteva improvvisamente in luce il vuoto della sua esistenza. Sapeva che non avrebbe mai raggiunto l'elevazione spirituale dell'amico. Gesù non avrebbe colmato il suo vuoto interiore. Nemmeno la musica, ormai. Si suona per essere ascoltati, per condividerne l'emozione con gli altri. Troppe volte aveva suonato per Anselmo, che si sedeva al suo fianco e gli girava le pagine dello spartito. Una meravigliosa comunione si stava instaurando allora tra di loro, la bella testa del violinista china sulla tastiera, dove le sue mani correvano. Per lui, Anselmo era perduto per sempre, e Riedinger aveva i mezzi per sprofondarli in un oceano di sofferenza. "Life is over," Sobbalzò sentendo bussare alla porta: Nil? Non era Nil, ma Lev Barjona. Stupito di vederlo, Leeland stava per fargli delle domande, ma l'israeliano lo azzittì posandogli un dito sulle labbra, e mormorò: «C'è una terrazza sopra questo edificio?». Ce n'era una, come in quasi tutte le abitazioni romane, ed era deserta. Leeland lasciò che Lev lo spingesse in un angolo che non fosse visibile dalla strada. «Dall'arrivo di Nil a Roma il tuo appartamento è sotto controllo. L'ho appena saputo. Ogni vostra conversazione è stata registrata, e immediatamente trasmessa a monsignor Calfo, e ad altri molto più pericolosi.» «Ma...» «Fammi parlare. Il tempo stringe. Senza saperlo, tu
e Nil vi siete cacciati nel "grande gioco", un gioco su scala planetaria. Un gioco che nemmeno immagini, del quale ignori tutto, ed è meglio per te. Un gioco sporco, che si pratica tra professionisti. Come ragazzini in calzoncini corti, avete lasciato il vostro piccolo cortile ricreativo per infilarvi nel cortile dei grandi. E i grandi non giocano con le biglie ma con la violenza, per un motivo che è sempre lo stesso: il potere, o la sua forma più visibile, il denaro.» «Scusa se ti interrompo. Tu giochi sempre a quel gioco?» «Per molto tempo, ho giocato con il Mossad, come sai. Non si lascia mai quel gioco, anche se si vorrebbe. Tu e Nil state correndo un grave pericolo. Avvertendovi, gioco contro la mia parte, ma tu sei un amico, e Nil è un tipo perbene. Ha trovato quello che cercava, il gioco continua senza di voi. Se ci tenete alla vita, dovete sparire, e presto. Prestissimo.» Leeland era stordito. «Sparire... ma come?» «Entrambi siete monaci. Nascondetevi in un monastero. Un assassino è sulle vostre tracce, ed è un professionista. Partite. Oggi stesso.» «Credi che ci ucciderebbe?» «Non lo credo, ne sono certo. E lo farà senza tardare, non appena vi avrà sotto tiro. Ascoltami, ti prego. Se volete vivere, prendete oggi stesso il treno, la macchina, l'aereo, qualsiasi cosa, e cercate di passare inosservati. Avverti Nil.» Strinse Leeland tra le braccia. «Ho rischiato venendo qui. Nel grande gioco, non piacciono quelli che non rispettano le regole, e io gradirei vivere per tenere ancora molti concerti. Shalom, amico. Tra cinque, dieci anni, ci rincontreremo. Nessuna partita dura in eterno.»
Un momento dopo era sparito, lasciando Leeland da solo sulla terrazza, disorientato.
83 Moktar si era concesso di poltrire fino a tardi. Per la prima volta non aveva più bisogno di essere al suo posto dall'alba, cuffie alle orecchie, spiando la minima conversazione nello studio al piano superiore. Non vide dunque Leeland lasciare precipitosamente il palazzo sulla via Aurelia, esitare un istante, poi dirigersi verso la fermata degli autobus per la via Salaria. In preda all'agitazione, l'americano saltò sul primo mezzo. Nil allontanò il foglio sul tavolo: affidandosi alla memoria, aveva appena messo per iscritto la lettera del tredicesimo apostolo, che aveva imparato senza fatica. Insieme al papa, sarebbe stato l'unico a sapere che una tomba contenente i resti di Gesù si trovava da qualche parte nel deserto, tra Gerusalemme e il Mar Rosso. Aprì la borsa a tracolla, e vi infilò il foglio. La valigia sarebbe stata pronta in un baleno, e avrebbe tenuto la borsa in mano. Aveva deciso di prendere il treno della notte per Parigi, che in quel periodo dell'anno non era mai affollato. Lasciare il monastero fantasma di San Girolamo era per lui un sollievo: una volta a Saint-Martin, avrebbe nascosto le più compromettenti delle sue carte e si sarebbe stabilito nel deserto. Come il tredicesimo apostolo, un tempo. Gli restava l'essenziale. La persona di Gesù, i suoi gesti, le sue parole. Nel deserto, non aveva bisogno
d'altro nutrimento per sopravvivere. Fu molto sorpreso quando sentì bussare alla porta della sua cella. Era padre Giovanni: non avrebbe rimpianto nemmeno lui. L'inesauribile chiacchierone aveva l'occhio lucido. «Padre, monsignor Leeland è appena arrivato e desidera vederla.» Nil si alzò per accogliere l'amico. Leeland entrò precipitosamente e si lasciò cadere sulla sedia che gli porgeva Nil. «Cosa succede, Remby?» «Il mio studio sulla via Aurelia è sotto controllo dal tuo arrivo, Riedinger e i suoi uomini sono al corrente di tutto quello che ci siamo detti. E altri ancora, più pericolosi. Per ragioni diverse, non vogliono sentir parlare di noi.» Sotto shock, Nil a sua volta si lasciò sprofondare in una poltrona. «Sogno, o sei in paranoia?» «È appena venuto a trovarmi Lev Barjona, che mi ha messo al corrente molto brevemente, ma senza possibilità di equivoci. Mi ha detto che lo faceva per amicizia. Ho la massima fiducia in lui. È tutto più grande di noi, Nil. La tua vita è in pericolo. E anche la mia.» Nil si nascose il viso tra le mani. Quando lo rialzò, fissò Leeland con gli occhi colmi di lacrime. «Lo sapevo, Remby, l'ho saputo sin dall'inizio. Da quando Andrei mi ha messo in guardia. Era al monastero, nell'apparente calma di un chiostro protetto dal silenzio. L'ho saputo quando ho appreso della sua morte, quando sono andato a riconoscere il suo corpo disarticolato sul terrapieno del Roma Express. L'ho saputo quando la Storia mi ha
raggiunto, nella sua orribile realtà, con Breczinsky e alcune confidenze che mi ha fatto. Non ho mai avuto paura di ciò che avrei scoperto. La mia vita è minacciata? Io sono l'ultimo di una lunga lista, che comincia nel momento in cui il tredicesimo apostolo ha rifiutato la manipolazione della verità.» «La verità! Non c'è che una sola verità ed è quella della quale gli uomini hanno bisogno per instaurare e conservare il loro potere. La verità di un amore purissimo tra me e Anselmo non è la loro. La verità che tu hai scoperto nei testi non è vera, poiché essa contraddice la loro.» «Gesù diceva: "La verità vi renderà liberi". Io sono libero, Remby.» «Lo sei solo se sparisci, e la tua verità sparisce con te. I filosofi che ami tanto insegnano che la verità è una categoria dell'essere, che essa sussiste in se stessa come la bontà e la bellezza dell'essere. Ebbene, tutto ciò è falso. Sono venuto a dirtelo. L'amore che ci univa, me e Anselmo, era buono e bello. Non era conforme alla verità della Chiesa, per la quale non era vero. La tua scoperta del volto di Gesù contraddice la verità della cristianità, dunque la tua verità è falsa. La Chiesa non tollera un'altra verità che non sia la sua. Gli ebrei e i musulmani nemmeno.» «Cosa possono contro di me? Cosa si può contro un uomo libero?» «Ucciderti. Devi nasconderti, lasciare Roma immediatamente.» Calò il silenzio, interrotto soltanto dal cinguettio degli uccelli che risuonava nel chiostro. Nil si alzò, e andò alla finestra. «Se dici il vero, non posso più tornare al mio monastero, dove il deserto sarebbe popolato di iene.
Nascondermi? Dove?» «Ci ho pensato strada facendo. Ricordi padre Calati?» «Il superiore dei camaldolesi? Naturalmente, è stato nostro professore a Roma. Un uomo meraviglioso.» «Va' a Camaldoli, chiedigli di riceverti. Hanno degli eremi disseminati in Abruzzo, ci troverai il deserto che desidera il tuo cuore. Fai presto. Subito.» «Hai ragione, i camaldolesi sono molto ospitali. Ma tu?» Leeland chiuse gli occhi per un istante. «Non preoccuparti per me. La mia vita è finita, dal giorno in cui ho capito che l'amore predicato dalla Chiesa poteva essere un'ideologia come tante. Le tue scoperte, nelle quali sono stato coinvolto senza averlo cercato, non hanno fatto che confermare il mio sentimento. La Chiesa non è più mia madre. Resterò a Roma, il deserto dell'Abruzzo non fa per me. Il mio deserto è interiore, dopo la mia partenza forzata dagli Stati Uniti.» Si diresse verso la porta. «Non ti ci vorrà molto a preparare la valigia. Scendo a domandare a padre Giovanni di farmi visitare la biblioteca, per allontanarlo dalla portineria. Approfittane per uscire dal monastero. Sii accorto. Prendi un autobus per la stazione Termini e salta sul primo treno per Arezzo. Mi fido di Calati, ti metterà al sicuro. Nasconditi in un eremo dei camaldolesi e scrivimi tra due o tre settimane. Ti dirò se puoi tornare a Roma.» «Tu cosa farai?» «Io sono già morto, Nil. Non possono più nulla contro di me. Non allarmarti; hai qualche minuto per lasciare San Girolamo senza farti notare. A presto, amico mio. Avevi ragione, la verità ha fatto di noi degli
uomini liberi.» Padre Giovanni fu sorpreso dell'improvviso interesse che Rembert Leeland sembrava prestare alla biblioteca, celebre per il suo disordine. Mentre l'americano poneva domande che provavano la sua totale incompetenza in materia di scienze storiche, Nil, la valigia nella mano destra, saltò sull'autobus che passa da via Salaria Nuova e fa servizio fino alla stazione Termini. Con la mano sinistra, stringeva una borsa a tracolla che sembrava il più prezioso dei tesori.
84 Antonio camminava con passo allegro. Nascosto in un'ansa del Tevere, Castel Sant'Angelo rifletteva il sole del tramonto. Qui, un tempo, si esercitava la giustizia dei papi. Quella sera, era la giustizia divina che stava per compiersi. Un uomo era pronto a opporsi al governo della Chiesa per una causa che credeva giusta. Non esistono cause giuste fuori della gerarchia. E quell'uomo era un depravato, un perverso satanico. Lo spagnolo si appoggiò al parapetto del ponte Vittorio Emanuele II. Prima di agire, voleva ricordare le parole del cardinale della sera prima, ravvivare il fuoco dell'indignazione. A quel punto, la sua mano non avrebbe tremato. «Dite che si servirà dell'epistola per fare pressione su di noi?» «Lo ha affermato più volte, Eminenza, e i Dodici
sono d'accordo. La lettera del tredicesimo apostolo darà a colui che la possiede un potere considerevole. La sua divulgazione provocherebbe tali scompigli che la Chiesa, e così alcuni capi di stato occidentali, sarebbero disposti a pagare molto caro perché la Società la tenga segreta. I Templari non hanno esitato a utilizzare questo mezzo.» «La tomba di Gesù... incredibile!» Il cardinale si passò una mano sulla fronte. «Pensavo che l'epistola si limitasse a negare la divinità di Gesù. Non sarebbe la prima volta. La Chiesa ha sempre saputo superare questo pericolo. Ma la tomba reale, contenente le ossa di Gesù, ritrovata! Non solo una disputa teologica in più, ma una prova tangibile, indiscutibile! È impensabile, è la fine del mondo!» Antonio sorrise. «È anche ciò che pensa monsignor Calfo, ma lui ha la sua idea. Trova la Chiesa troppo timorata di fronte a un mondo corrotto che evolve senza di noi, o contro di noi. Vuole denaro, molto denaro per pesare sull'opinione mondiale.» «Bastardo!» Rapidamente, il prelato si riprese: «Antonio, quando vi ho conosciuto a Vienna, eravate un fuggitivo dell'Opus Dei. Ma avevate giurato di servire il papato, colonna portante dell'Occidente. Il nostro venerabile Santo Padre è malato, ma consacra comunque le sue forze e la sua attenzione alle folle che lo acclamano ovunque durante i suoi viaggi. Da vent'anni, il governo della Chiesa poggia su spalle come le mie. Talvolta il papa è stato tenuto all'oscuro dei pericoli che abbiamo dovuto affrontare. Spesso ho dovuto agire in suo nome, e lo rifarei se fosse necessario. Posso contare sul vostro aiuto? Bisogna... neutralizzare Calfo, e riprendere il controllo della Società San Pio V. Senza
temporeggiare». «Eminenza...» Il cardinale contrasse le labbra, il viso si allungò e il suo tono si fece sibilante: «Ricorda, ragazzo mio. Quando sei arrivato a Vienna, eri un perseguitato. Non si lascia mai l'Opus Dei, soprattutto non dopo averlo criticato apertamente. Eri giovane, idealista, incosciente! Io ti ho nascosto, protetto, infine ti ho dato fiducia. Io ti ho introdotto nella Società San Pio V, io ho pagato perché quei catalani di Escrivà de Balaguer, quegli invasati, tacessero quando Calfo ha fatto la sua indagine sul tuo conto, Antonio!». Il giovane abbassò il capo. Riedinger capì che, per ciò che gli chiedeva, un ordine non era sufficiente. Doveva sollevare l'indignazione, risvegliare il temperamento vulcanico dell'andaluso. Toccarlo sul vivo, far leva sul suo carattere rigido, intransigente, il suo rifiuto del corpo, negato da anni di frustrazione sessuale alla scuola dell'Opus Dei. Distese la labbra, che stillarono il miele: «Sai chi è il tuo rettore? Sai chi è quell'uomo che rispetti malgrado la sua indisciplina? Sai quali orrori il primo dei Dodici è capace d'immaginare, a cento passi da questa Città santa e dalla tomba di Pietro? Qualche giorno fa, ho ascoltato la confessione di una delle sue vittime, una giovane bella e pura come una madonna, che egli avvilisce nella sua anima di credente, godendo del suo corpo. Ed ella non è la prima a essere stata macchiata da lui. Non sai nulla? Ebbene, ti dirò ciò che ha fatto, e ciò che si appresta a fare ancora, da domani». Sussurrò per alcuni istanti, come se volesse evitare che il crocifisso, appeso al muro alle sue spalle, potesse udirlo. Quando ebbe finito, Antonio sollevò il capo. I suoi occhi neri ardevano di una luce dura, inflessibile.
Lasciò l'ufficio del cardinale senza aggiungere una parola. Con un sospiro, l'andaluso si aggrappò al parapetto del ponte: aveva fatto bene a rivivere quella scena prima di agire. La Chiesa ha bisogno di essere purificata, anche con il ferro. Gli ordini del cardinale l'avrebbero esonerato da ogni responsabilità: in fondo, da sempre, questa era stata la forza della Chiesa. Una decisione difficile, una violenza morale, un arto incancrenito da amputare... colui che affondava il coltello, che scavava la carne, non era responsabile del sangue versato, delle vite distrutte. La responsabilità era della Chiesa.
85 Alessandro Calfo indietreggiò con aria soddisfatta. Era perfetto. Sul parquet della sua camera, era posata una grande croce; due larghe assi che permettevano a un corpo di allungarsi senza difficoltà. Sonia ci sarebbe stata comoda. Le avrebbe legato le mani con le due cordicelle di seta che aveva preparato, le gambe dovevano rimanere libere. All'evocazione della scena, il sangue gli pulsò nelle tempie e nel bassoventre. Unirsi carnalmente alla giovane distesa al posto del divino crocifisso. Un atto sublime. La divinità e l'umanità finalmente unite, senza violenza: Sonia sarebbe stata consenziente, lo sapeva, lo sentiva. La sua reazione inorridita di qualche giorno prima non era che un effetto dello stupore. Avrebbe obbedito, come sempre. Verificò che l'icona bizantina fosse perfettamente
perpendicolare alla croce: così, mentre lui celebrava il culto, lei poteva contemplare, semplicemente alzando lo sguardo, quell'immagine che placava la sua anima ortodossa. Aveva pensato a tutto, perché tutto doveva essere esemplare. E l'indomani sera, avrebbe depositato l'epistola maledetta sul ripiano vuoto, che da lungo tempo l'attendeva. Il suono del campanello lo fece trasalire. Di già? Di solito, sempre discreta, Sonia arrivava al calar della notte. Forse oggi era impaziente? Con un ampio sorriso andò ad aprire. Non era Sonia. «An... Antonio! Ma cosa fate qui, adesso? Vi ho convocato per domattina, Nil prima doveva incontrare il polacco questo pomeriggio... Che significa?» Antonio avanzò verso di lui, costringendolo a indietreggiare nel corridoio d'entrata. «Significa, fratello rettore, che dobbiamo parlare.» «Parlare? Ma sono io che decido quando parlare! Voi siete l'ultimo dei Dodici, in nessun caso...» Antonio continuava ad avanzare, gli occhi fissi in quelli del napoletano, che arretrava davanti al lui, urtando contro il muro. «Non sei tu che decidi, è il Dio che sostieni di servire.» «Che... che sostengo! E chi vi autorizza a rivolgervi a me con questo tono?» Incalzandolo, Antonio spinse Calfo verso la porta della camera, che era aperta. «Chi mi autorizza? E chi ti autorizza, miserabile, a tradire il tuo giuramento di castità? Chi ti autorizza ad avvilire una creatura di Dio, usando la tua ordinazione episcopale?» Con una spinta, obbligò il piccolo uomo a entrare
nella camera. Calfo inciampò nella croce. Antonio gettò un'occhiata alla messinscena predisposta con cura maniacale. Il cardinale non aveva mentito. «E questo? Ciò che stavi per fare è un'ignominiosa bestemmia. Non sei degno di possedere l'epistola del tredicesimo apostolo. Il Maestro non può essere protetto da un uomo della tua bassezza. Solo un essere puro può eliminare il sudiciume che oggi minaccia Nostro Signore.» «Ma... ma...» Calfo inciampò di nuovo nella croce, scivolò e cadde in ginocchio davanti all'andaluso, che lo guardò con disgusto. Non era più il suo rettore, il primo dei Dodici. Era un pezzente tremebondo che annegava in un sudore malsano. I suoi occhi divennero improvvisamente spenti. «Volevi distenderti sulla croce, non è così? Volevi unire il tuo corpo, trasfigurato dal godimento, al Maestro trasfigurato dal suo amore per ognuno di noi? Ebbene, è ciò che ti accadrà. Non soffrirai mai quanto Colui che è morto per te.» Un quarto d'ora più tardi, Antonio richiudeva adagio la porta dell'appartamento, e si asciugava le mani con un fazzoletto di carta. Non era stato difficile. Non è mai difficile, quando si obbedisce.
86 Leeland camminava a scatti sul pavé di via Salaria Antica. "A Nil piaceva tanto seguire questo tragitto per
venire da me... Santo cielo, sto già pensando a lui al passato!" Era riuscito a intrattenere padre Giovanni in biblioteca il tempo sufficiente, ma aveva rifiutato il suo invito a condividere il pasto della comunità: «Padre Nil e io abbiamo appuntamento in Vaticano nel primo pomeriggio. Senza dubbio è già uscito senza aspettarmi, rientrerà... in tarda serata». Nil non sarebbe tornato. In quel momento doveva essere sul binario della stazione Termini, pronto a salire su un treno per Arezzo, o già in partenza. Leeland si sentiva completamente svuotato. Life is over. Ciò che rifiutava di ammettere dal suo esilio in Vaticano, la verità che nascondeva a se stesso si era imposta dopo il breve passaggio di Nil a Roma: la sua vita non aveva più alcun senso, il gusto di vivere lo aveva abbandonato. Si ritrovò, senza sapere come, davanti alla porta del suo studio. La spinse con mano incerta, la richiuse e si sedette dolorosamente al pianoforte. Poteva suonare ancora? Ma per chi? Al piano sottostante, Moktar aveva preso il suo posto di ascolto e messo in funzione i registratori. L'americano era rientrato più tardi del solito, e solo. Dunque, aveva lasciato Nil in Vaticano. Il francese stava sicuramente parlando con Breczinsky. Si sistemò comodamente le cuffie all'orecchio. Nil sarebbe tornato, a fine pomeriggio, e avrebbe parlato a Leeland. Al calar della notte sarebbe rientrato a San Girolamo a piedi, come era solito fare, nelle strade buie e deserte. Il suo amico l'avrebbe accompagnato per un tratto. Prima l'americano. Poi, l'altro. Ma Nil non tornava. Sempre seduto al piano,
Leeland guardava il buio calare nello studio. Non accese la luce. Con tutte le sue forze lottava contro la paura, lottava contro se stesso. Non rimaneva che una cosa da fare. Lev gli aveva fornito la soluzione. Ma avrebbe avuto la determinazione, il coraggio di uscire? Un'ora più tardi, su Roma era calata la notte. Il registratore girava a vuoto. Cosa faceva il francese? Improvvisamente Moktar sentì dei rumori e la porta dello studio aprirsi e poi chiudersi. Tolse le cuffie e andò alla finestra. Leeland, da solo, usciva dall'edificio e attraversava la strada. Si erano dati appuntamento lungo il tragitto di San Girolamo? In quel caso, sarebbe stato ancora più facile. Moktar uscì furtivamente dall'edificio. Era armato. Un pugnale e un cavo d'acciaio. Da sempre preferiva l'arma bianca o lo strangolamento: il contatto fisico con l'infedele conferisce alla morte il suo vero valore. Il Mossad preferiva utilizzare i cecchini, ma il Dio degli ebrei è solo un'astrazione lontana. Per un musulmano, Dio si incontrava nella realtà del corpo a corpo. Il Profeta non aveva mai utilizzato la freccia, ma la sciabola. Se possibile, avrebbe strangolato l'americano, per sentire il suo cuore fermarsi sotto le sue mani, quel cuore pronto a fornire ai suoi connazionali un'arma decisiva contro i musulmani. Seguì Leeland, che aggirò piazza San Pietro senza passare sotto il colonnato, e imboccò Borgo Santo Spirito. Si diresse verso Castel Sant'Angelo. Il freddo era intenso, i romani al riparo nelle loro case. Se quei due si erano dati appuntamento ai piedi del castello, è perché sapevano che non ci sarebbe stata anima viva. Tanto meglio. Adesso Leeland camminava adagio. Si sentiva in pace. Nella penombra dello studio aveva preso la sua
decisione, ripetendosi le parole di Lev: "Un assassino, un professionista. Parti, nasconditi in un monastero...". Non sarebbe partito, non si sarebbe nascosto. Al contrario, avrebbe camminato verso il suo destino, come stava facendo. Il suicidio è proibito a un cristiano. Ma se qualcun altro se ne fosse incaricato, la cosa sarebbe stata diversa. Sbucò sulla sponda sinistra del Tevere, passò davanti a Castel Sant'Angelo, entrò sul Lungotevere. Qualche rara macchina imboccava quella via affacciata sul Tevere, poi girava a sinistra verso piazza Cavour. Non un passante. L'umidità saliva dal fiume e il freddo era pungente. Arrivato al ponte Umberto I, si girò. Sotto la luce dei lampioni, scorse un passante che come lui camminava costeggiando il parapetto. Rallentò il passo, ed ebbe l'impressione che l'uomo facesse altrettanto: era lui, senza dubbio. Non correre, non nascondersi, non fuggire. Life is over. Fratello Anselmo, le sue illusioni dissolte! La riforma della Chiesa, il matrimonio dei preti, la fine di un lungo calvario per tanti uomini generosi, quella castità imposta dalla Chiesa, rigida davanti all'amore umano... vide una scalinata di pietra che scendeva sull'argine del Tevere. Senza esitare, la imboccò. Il lungofiume lastricato era mal illuminato. Avanzò, contemplando l'acqua scura. In quel punto la corrente impetuosa restringendosi urtava contro le rocce disseminate nel letto del fiume. Canneti e fitti cespugli coprivano la china scoscesa che scendeva verso l'acqua. Alle sue spalle, udì il passo dell'uomo scendere la scalinata, poi risuonare sul lastricato del lungofiume.
Si avvicinava. Benché avesse l'età per essere arruolato, l'abito di monaco aveva evitato a Leeland il Vietnam. Non era stato in guerra, non aveva mai avuto occasione di mettere alla prova il suo coraggio. Davanti all'ombra del nemico deciso a ucciderlo, come avrebbe reagito? Sorrise. Quell'argine sarebbe stato il suo Vietnam e il suo cuore non batteva più in fretta del solito. Un assassino, un professionista. Cosa avrebbe sentito? Avrebbe sofferto? Uno alle calcagna dell'altro, si avvicinavano agli archi del ponte Cavour. Appena prima, un muro sbarrava il lungofiume, mettendo fine a una passeggiata molto apprezzata dai romani nelle belle giornate. Qui non c'erano scalinate. Per risalire sulla strada che costeggia il Tevere, era necessario ritornare sui propri passi. E fronteggiare l'uomo che lo seguiva. Leeland fece un ampio respiro e per un istante chiuse gli occhi. Si sentiva calmo, ma non avrebbe guardato il viso dell'uomo. Che la morte lo sorprendesse pure alle spalle, come una ladra. Senza voltarsi, si diresse sotto l'arco scuro del ponte. Dietro di lui, udì il passo di un uomo che accelerava, come per prendere la rincorsa. Un passo leggero, che sfiorava appena il lastricato.
87 Tenendo con una mano la borsa a tracolla e con l'altra la valigia, Nil scese dall'autobus. Il paese era più rustico di quanto padre Calati gli avesse descritto: «Il
nostro economo in questo preciso momento parte per L'Aquila, approfitti del passaggio. La lascerà all'autostazione locale. Nel pomeriggio un autobus si collega con quella parte remota dell'Abruzzo. Scenda in paese, poi segua la strada a piedi fino all'incrocio. Giri a sinistra. Dovrà fare un chilometro su un sentiero di terra battuta fino a un cascinale isolato. Incontrerà Beppo, vive là con la madre. Non si stupisca, non parla ma capisce tutto. Gli dica che la mando io, e che deve condurla dal nostro eremita. Sarà un lungo cammino tra le montagne. Beppo c'è abituato, è l'unico a salire fino all'eremo per portare di tanto in tanto un po' di cibo». Poi Calati aveva levato le mani al cielo e dato silenziosamente la sua benedizione a Nil, inginocchiato sul lastricato gelido del chiostro. Quando si era presentato a Camaldoli, il suo vecchio professore lo aveva abbracciato. Aveva bisogno di sparire per un certo periodo? Calati non fece domande, non si stupì del suo arrivo, del suo comportamento da fuggitivo e della sua singolare richiesta. Con il vecchio eremita, disse semplicemente, sarebbe stato bene. «Come avrà modo di constatare, è un uomo un po' particolare, che vive da anni sulla montagna. Ma non è mai solo. Con la preghiera è in contatto con tutto l'universo e possiede un dono di divinazione che sviluppano solo pochi grandi spirituali. Restiamo in contatto grazie a Beppo, che scende dalla montagna ogni quindici giorni per vendere i suoi formaggi all'Aquila. Che Dio la benedica!» Nil guardò l'autobus allontanarsi in una nube di fumo, e imboccò l'unica strada del paese. Era ancora
giorno, ma le case dai tetti bassi erano chiuse per affrontare il freddo della notte. Mentre passava si guardò nel vetro di una finestra, e sorrise all'immagine che gli restituiva: i suoi capelli rasati, ancora grigi alla partenza dall'abbazia SaintMartin, dopo la scoperta dell'epistola erano diventati completamente bianchi. Cominciava a sentire il peso della valigia quando si arrestò davanti al cascinale. Con indosso un gilet di pecora, un ragazzo spaccava della legna davanti alla porta. Sentendo Nil, girò la testa e lo guardò con inquietudine, la fronte corrugata sotto una corona di capelli ricci. «Sei Beppo? Vengo da parte di padre Calati. Puoi condurmi dall'eremita?» Beppo ripose con cura l'ascia contro il mucchio di ceppi, si pulì le mani sul rovescio della giacca, quindi si avvicinò a Nil, e lo scrutò. In un attimo il suo viso si distese, sfoderò un sorriso e annuì con il capo. Impugnò la valigia con il braccio vigoroso, puntò il mento verso la montagna e gli fece segno di seguirlo. Il sentiero si inoltrava nella foresta, poi risaliva erto. Beppo camminava con passo regolare, stringendo la valigia. Dava l'impressione di procedere senza sforzo, quasi con grazia. Nil faceva fatica a stargli dietro. Il ragazzo aveva davvero capito? Doveva affidarsi a lui. Giunsero a quello che sembrava la fine del sentiero: un fondo chiuso, dove si vedevano vecchie tracce di solchi scavati dai macchinari dei forestali, che raramente si spingevano fin lì. Nel fossato scorreva un'acqua limpida. Beppo posò la valigia, si abbassò e bevve a lungo dalle mani unite. Sempre in silenzio, l'adolescente riprese la valigia, e si avviò su un sentiero che si addentrava in una comba, sul fianco della montagna. Attraverso le cime degli alberi, si
scorgeva una cresta lontana. Stava per calare la notte quando sbucarono su un minuscolo spiazzo, che dominava la vallata scura. Nella roccia, Nil distinse una finestra illuminata. Senza esitare, Beppo si avvicinò, lasciò cadere la valigia per terra e bussò al vetro. Una porta bassa si aprì e un'ombra vi apparve incorniciata. Vestito di una sorta di blusa stretta in vita, un uomo molto anziano, con una folta capigliatura bianca, fece un passo in avanti. Dietro di lui, Nil vide il focolare di un camino nel quale ardeva una fascina, che emanava una luce intensa. Beppo si chinò, emise un grugnito e tese il braccio verso Nil. Il vecchio sfiorò con la mano i capelli ricci del ragazzo, poi si girò verso Nil e sorrise. Gli mostrò l'interno del suo eremo, dal quale proveniva un dolce tepore, e disse semplicemente: «Vieni figlio mio. Ti aspettavo».
88 Quel mattino, in Vaticano regnava un'agitazione febbrile, termine alquanto relativo in quel luogo. Alcuni prelati percorrevano i corridoi di marmo con andatura meno compassata del solito, alcune cinture viola svolazzavano sui gradini saliti quattro alla volta. Una macchina targata S.C.V. varcò a gran velocità il portale della corte del Belvedere, salutata dalla guardia svizzera che all'interno vi riconobbe il medico personale del papa. Un uomo di una certa età che stringeva sulle ginocchia una valigetta nera. Altrove, quei segnali di impercettibile agitazione sarebbero passati inosservati. Ma la guardia svizzera, testimone di quell'insolito nervosismo nella Città
santa, si rallegrò: quel giorno, lui e i colleghi ne avrebbero avute di cose da commentare. La macchina targata S.C.V. percorse via della Conciliazione fino in fondo, svoltò a sinistra, passò davanti a Castel Sant'Angelo e parcheggiò un poco più lontano, sul marciapiede del Lungotevere, dietro un furgone con il lampeggiante acceso. L'uomo con la valigetta scese rapidamente la scalinata che conduceva all'argine del Tevere, camminò sul lastricato irregolare verso l'arco del ponte Cavour, dove una decina di poliziotti erano raccolti attorno a una sagoma scura, gocciolante, che di primo acchito doveva essere stata rimossa dai canneti che fiancheggiavano il fiume. Il medico esaminò il cadavere, si intrattenne con i poliziotti, richiuse la valigetta, quindi risali sul Lungotevere dove parlò a bassa voce nel cellulare, facendo attenzione che qualche curioso presente sulla scena non lo osservasse. Annuì a più riprese e fece segno all'autista di rientrare senza di lui, e speditamente tornò a piedi da Castel Sant'Angelo. Attraversò la strada, camminò ancora per qualche centinaio di metri, quindi sparì in un edificio recente, ai piedi del quale un giovane vestito da turista sembrava attenderlo. Si scambiarono poche parole, poi il giovane tirò fuori di tasca una chiave e fece segno al medico di seguirlo all'interno dell'edificio. A fine mattinata, il cardinale Riedinger era davanti al sovrano pontefice, che si era sistemato nel suo ufficio. Ornata con l'anello del concilio Vaticano II al quale aveva partecipato, la mano destra del papa tremava mentre leggeva un foglio. Nonostante la malattia lo avesse stremato, sotto le sopracciglia
cespugliose lo sguardo era vivace e pungente. «Eminenza, è vero? Due prelati del Vaticano morti a poche ore di distanza, questa notte?» «Una dolorosa coincidenza, Santissimo Padre. Monsignor Calfo, che aveva già avuto precedenti avvisaglie, questa notte ha avuto un arresto cardiaco che gli è stato fatale.» Alessandro Calfo era stato trovato nella sua camera, disteso su due assi disposte a forma di crocifisso. Il viso violaceo era ancora contratto in una smorfia di sofferenza. Le braccia aperte legate alla trave orizzontale della croce con due cordicelle di seta. Lo sguardo vitreo fissava un'icona bizantina, appesa proprio sopra la scena, rappresentante la madre di Dio in tutta la sua virginale purezza. Due chiodi erano stati asportati dal montante del letto e conficcati nei palmi del suppliziato. Non essendoci presenza di sangue, si poteva facilmente dedurre che l'uomo era già morto prima di essere crocifisso. Poiché l'appartamento si trovava a pochi passi da piazza San Pietro, la faccenda era di competenza della polizia italiana. Ma la morte violenta di un prelato, cittadino del Vaticano, come ogni volta, poneva il governo italiano davanti a una situazione estremamente delicata. Il commissario di polizia - un napoletano come il defunto - era imbarazzatissimo. Quella crocifissione era forse un rituale satanico? Quella storia non gli piaceva, e considerando che dopo tutto, in linea d'aria, il confine immateriale della Città santa non si trovava che a un centinaio di metri, si poteva concedere al medico personale del papa, che sarebbe giunto di lì a poco, l'autorizzazione a rilasciare il permesso per la sepoltura. L'atteso professionista non fece lo sforzo di aprire la sua valigetta. Aiutato dal giovane dallo strano sguardo
nero che lo accompagnava, per prima cosa abbottonò con cura il colletto di Calfo, in modo che i segni di strangolamento non fossero evidenti: poi strappò i chiodi, chiamò il poliziotto che si era allontanato con discrezione, e gli comunicò la diagnosi: arresto cardiaco, troppa pasta e vita sedentaria. Sono cose che un napoletano capisce al volo. Il poliziotto emise un sospiro di sollievo, e affidò senza altri indugi il cadavere alle autorità vaticane. «Un arresto cardiaco,» sospirò il papa «dunque non avrà sofferto? Dio è buono con i suoi servitori, requiescat in pace. E l'altro, Eminenza? Perché ci sono stati due morti questa notte, non è vero?» «Infatti. E in questo caso la situazione è molto più delicata. Si tratta di monsignor Leeland, del quale vi ho già parlato.» «Leeland! Il padre abate benedettino che aveva preso posizione a favore dei preti sposati? Ricordo perfettamente. Gli è valso un promoveatur ut amoveatur, e dopo, a Roma, mi pare che si fosse calmato.» «Non precisamente, Vostra Santità. Qui ha incontrato un monaco ribelle, che con lui ha condiviso alcune insensate teorie sulla persona di Nostro Signore Gesù Cristo. Pare che la cosa lo abbia profondamente turbato, portato senza dubbio all'esasperazione. Lo hanno trovato questa mattina, annegato, tra i canneti che costeggiano il Tevere all'altezza del ponte Cavour. Si tratta forse di suicidio.» Come i poliziotti, il medico non aveva voluto prestare attenzione ai segni di strangolamento sul collo di Leeland. Un cavo d'acciaio, certamente, che aveva schiacciato la glottide. Il lavoro di un professionista. Stranamente, il viso dell'americano era
rimasto sereno, quasi serafico. Il vecchio pontefice alzò faticosamente il capo per fissare il cardinale. «Preghiamo per quello sventurato monsignor Leeland, che senza dubbio ha sofferto molto nell'anima. Mi comunicherete ogni corrispondenza che potrebbe arrivargli. E... il monaco ribelle?» «Ha lasciato ieri San Girolamo, dove risiedeva da qualche giorno, e non sappiamo dove sia. Ma sarà facile rintracciarlo.» Il papa fece un gesto con la mano. «Eminenza, dove volete che vada a nascondersi un monaco, se non in un monastero? Avanti, non fate niente nell'immediato, concediamogli il tempo di riscoprire una pace interiore che, da quanto mi avete detto, sembra aver perduta.» Rientrando nel suo ufficio, Riedinger constatò che condivideva senza riserve il sentimento del papa. La morte di Calfo lo sollevava di un peso considerevole, Antonio era intervenuto giusto in tempo: l'epistola del tredicesimo apostolo sarebbe rimasta nascosta nel fondo segreto del Vaticano. In nessun altro luogo sarebbe stata più al sicuro da curiosità malsane. Leeland? Null'altro che un insetto, di quelli che si schiacciano con una manata. Nil, infine, era pericoloso solo nella sua abbazia. Ma poiché non vi avrebbe fatto ritorno, non vi erano urgenze. Restava Breczinsky. La sua presenza tra le mura del Vaticano era una spina insopportabile. Gli ricordava in ogni istante un episodio sordido della storia della Germania, e riaccendeva in lui un sentimento di colpevolezza collettiva contro la quale lottava da sempre. Suo padre? Non aveva fatto che il suo dovere,
compiendo coraggiosamente la sua missione: combattere il comunismo che minacciava l'ordine del mondo. Era colpa sua, era colpa di tutti loro se Hitler aveva manipolato tanta generosità per stabilire il dominio della sua pretesa razza superiore, a prezzo di un'apocalisse? Il polacco era stato schiacciato da suo padre, ma era la sorte di tutti i vinti. Il cardinale, senza ammetterlo, si sentiva umiliato da una tragedia alla quale tuttavia non aveva partecipato. Ma suo padre... quel sentimento di umiliazione incoraggiava la sua lotta quotidiana: la purezza della dottrina cattolica. Quella era la sua missione. Lui non faceva parte dei vinti. La sola razza superiore, la sola che potesse vincere, era quella degli uomini di fede. La Chiesa era l'ultimo baluardo di fronte all'apocalisse moderna. Breczinsky gli era divenuto odioso. Doveva fare in modo di allontanarlo. Riedinger non avrebbe trovato pace fintanto che avesse avuto sotto gli occhi quell'ultimo testimone della sua storia, e di quella di suo padre. Nell'immediato, un solo dossier mobilitava la sua energia: la canonizzazione di Escrivà de Balaguer, prevista dopo qualche mese. Il fondatore dell'Opus Dei aveva saputo consolidare l'edificio fondato sulla divinità del Cristo. Grazie a uomini della sua tempra, la Chiesa resisteva. Bisognava che si decidesse a fare un miracolo: mancanza alla quale si poteva porre rimedio. 89 Il deserto dell'Abruzzo era come Nil desiderava, come
senza dubbio il tredicesimo apostolo l'aveva conosciuto dopo la fuga da Pella, come Gesù lo aveva vissuto dopo l'incontro con Giovanni il Battista sulle rive del Giordano. L'eremita gli aveva riservato un pagliericcio in un angolo. «È quello di Beppo, quando passa qui la notte. Quel ragazzo si è legato a me come a un padre, che non ha mai conosciuto. Non parla, ma comunichiamo senza fatica.» Poi aveva taciuto e per giorni avevano vissuto insieme in completo silenzio, condividendo pasti a base di formaggio, erbe e pane sulla terrazza, dove il solo linguaggio era quello della montagna. Nil si rendeva conto che il deserto è innanzitutto un'attitudine dello spirito e dell'anima. Una certa qualità di spoliazione interiore, di abbandono di tutti i riferimenti abituali della vita sociale. In breve tempo, la straordinaria povertà del luogo gli fu indifferente, al punto da non rendersene nemmeno più conto. A contatto con l'eremita, cominciava a sentire una presenza forte, calorosa, di una ricchezza insospettata. All'inizio, la percepì come se provenisse dall'esterno, dalla natura, dal suo compagno. Poi comprese che essa incontrava un'altra presenza, dentro di sé. E che se avesse imparato a porvi attenzione, limitandosi a osservarla prima di accoglierla, null'altro sarebbe più contato. Non ci sarebbero stati più né sconforto, né solitudine, né timore. Neppure, forse, la memoria del passato e delle sue ferite. Un giorno, mentre Beppo li aveva lasciati da poco, dopo aver provveduto a rinnovare la loro provvista di pane, l'eremita si lisciò la barba e gli parlò: «Perché ti domandi ancora quale fosse il significato delle parole
con le quali ti ho accolto: "Ti aspettavo, figlio mio?"». Quell'uomo sapeva leggergli nell'anima. «Perché... Non mi conosceva, non era stato avvisato del mio arrivo, non sapeva niente di me!» «Io ti conoscevo, figlio mio, e so di te cose che tu stesso ignori. Vedrai, vivendo qui acquisirai il Risveglio interiore, quello che Gesù possedeva all'uscita del deserto e che gli permise di vedere Nathanael sotto il fico, nonostante fosse lontano dalla sua vista. Conosco le tue sofferenze, e la loro sorgente. Cerchi il più prezioso dei tesori, del quale le Chiese posseggono la chiave, del quale non possono che indicare la direzione, quando esse non ne ostruiscono la via d'accesso.» «Sa chi era il tredicesimo apostolo?» L'eremita rise in silenzio. «E tu credi che sia sempre necessario sapere per conoscere?» Il suo sguardo errò sulla vallata, dove nubi dense disegnavano macchie in movimento. Poi parlò, come se non si rivolgesse a Nil: «Ogni cosa può essere conosciuta solo attraverso la nostra interiorità. La scienza non è che la scorza, bisogna penetrarla per trovarvi il cuore, l'alburno della conoscenza. È così per i minerali, le piante, gli esseri viventi, ed è vero anche per i vangeli. Gli antichi chiamavano questa conoscenza interiore "gnosi". Molti sono stati intossicati dal nutrimento troppo ricco che in essa vi trovavano, si sono creduti superiori a tutto, catharoi*. Colui che incontri nel vangelo - e che è lo stesso con il quale fai esperienza attraverso la preghiera - non è né superiore né inferiore a te: è con te. La reale presenza di Gesù è così forte che ti lega a tutto ma ti separa * Catharoi: "puro", in greco, da qui il nome dei catari.
anche da tutto. Hai già cominciato a farne esperienza, e qui vivrai soltanto di lei. Perché è per questo che sei venuto. Ti aspettavo, figlio mio...».
90 Roma assistette, indifferente, alla ripresa della Società San Pio V da parte del cardinale Emil Riedinger. In nome del papa, nominò lui stesso il rettore che sarebbe succeduto al napoletano Alessandro Calfo, improvvisamente deceduto senza aver potuto trasmettere l'anello a forma di bara, che ricordava il suo incarico di custode del segreto più prezioso della Chiesa cattolica: quello della vera tomba dove riposano le ossa del crocifisso di Gerusalemme. Scelse il rettore fra gli Undici e lo volle giovane, perché avesse la forza di combattere i nemici dell'uomo divenuto Cristo e Dio. Poiché essi avrebbero risollevato il capo, come sempre, da quando era stato necessario annientare la persona e soprattutto la memoria dell'impostore, il preteso tredicesimo apostolo. Infilando al suo anulare destro il diaspro prezioso, sorrise agli occhi scurissimi, placidi come un lago di montagna. Antonio pensava soltanto che, divenuto rettore, era finalmente lontano dai lunghi tentacoli dell'Opus Dei. Una seconda volta, il figlio dell'Oberstleutnant Herbert von Riedinger gli offriva la sua protezione: ma esigeva ancora la sua contropartita. Nel cofanetto della Società, Antonio trovò un dossier bollato "confidenziale", a nome del cardinale. Se lo avesse aperto, avrebbe visto dei documenti compromettenti
riguardanti il suo potente protettore, recanti l'intestazione con la svastica. Ma non l'aprì, e lo consegnò nelle mani di Sua Eminenza, che in sua presenza lo mise nel distruggidocumenti dell'ufficio della Congregazione per la dottrina della fede. Nello stretto abito talare nero, Breczinsky guardava sfilare la triste campagna polacca. Era stato raggiunto nel suo ufficio del fondo da Antonio in persona, e condotto senza preavviso alla stazione centrale di Roma. Da quel momento, era incapace di pensare. Dopo aver attraversato tutta l'Europa, il treno si addentrava ora nelle pianure del suo paese: si stupiva di non provare alcuna emozione. Improvvisamente, si alzò, e i suoi occhiali rotondi si appannarono di lacrime. Aveva appena superato una piccola stazione di provincia: Sobibor, il campo di concentramento attorno al quale la divisione Anschluss si era raggruppata prima di cominciare la sua precipitosa ritirata verso ovest, spingendo davanti a sé un ultimo convoglio di polacchi, che sarebbero stati sterminati, poco prima dell'arrivo dell'armata rossa. In quel convoglio si trovava tutto ciò che restava della sua famiglia. Pochi giorni prima, un giovane prete, Karol Wojtyla, sfidando il pericolo, l'aveva preso per mano e nascosto nel suo piccolo alloggio di Cracovia, per sottrarlo alla retata organizzata dall'ufficiale tedesco che era appena succeduto a Herbert von Riedinger, ucciso dai partigiani polacchi. Breczinsky sarebbe sceso alla stazione successiva. Era là, in un piccolo Carmelo lontano dal mondo, che Sua Eminenza il cardinale Riedinger lo aveva destinato. La madre superiora aveva ricevuto un plico
che recava impressi i contrassegni del Vaticano: il prete in arrivo non doveva ricevere nessuna visita, né comunicare in alcun modo con l'esterno. Aveva bisogno di attenzioni, di riposo per molto, molto tempo.
91 L'intera sala si alzò. Per il primo concerto a Roma di Lev Barjona, l'Accademia di Santa Cecilia era gremita al punto da scoppiare. L'israeliano doveva interpretare il Terzo concerto per piano e orchestra di Camille Saint-Saèns. Nel primo movimento egli doveva dar prova della sua audacia, nel secondo della straordinaria fluidità delle sue dita, nel terzo del suo vivace umorismo. Come di consueto, il pianista entrò in scena senza rivolgere uno sguardo al pubblico, e si sedette sul suo sgabello. Quando il direttore d'orchestra gli fece segno che era pronto, tutto a un tratto il suo viso si irrigidì, e attaccò i primi accordi solenni e pomposi che annunciano il tema romantico introdotto dall'orchestra. Nel secondo movimento, fu smagliante. I passaggi acrobatici scorrevano magicamente sotto le sue dita, ogni nota appariva cristallina e brillante malgrado il tempo infernale che aveva adottato. Il contrasto tra quell'argento vivo e l'immobilità totale del suo viso affascinava il pubblico, che gli riservò, dopo l'ultimo accordo, una di quelle ovazioni che solo i romani sanno concedere a chi ha saputo conquistare il loro cuore.
Ci si aspettava, come d'abitudine, che Lev Barjona sparisse subito dietro le quinte, senza concedere al pubblico il tradizionale bis. Destò dunque grande stupore quando avanzò verso la sala e con un gesto chiese che gli fosse portato un microfono. Lo prese e alzò lo sguardo, abbagliato dalle luci del proscenio. Sembrava guardare lontano, oltre la sala divenuta improvvisamente silenziosa, oltre la stessa città. Il suo viso non era più immobile, ma aveva assunto una gravità inconsueta in quel seduttore impenitente. La cicatrice che attraversava la sua criniera bionda accentuava il carattere drammatico di ciò che stava per dire. Fu breve: «Per ringraziarvi della vostra calorosa accoglienza, dedico a voi la seconda Gimnopedia di Erik Satie, un grandissimo compositore francese. La dedico in particolare a un altro francese, pellegrino dell'assoluto. E a un pianista americano tragicamente scomparso, ma che non dimenticherò mai. Lui stesso interpretava questa musica con l'anima, perché come Satie aveva creduto nell'amore ed era stato tradito». Mentre Lev, gli occhi chiusi, sembrava abbandonarsi semplicemente alla perfezione della melodia, in fondo alla sala un uomo lo guardava sorridendo. Rannicchiato su se stesso, muscoloso, stonava in mezzo alle spettatrici fini ed eleganti che lo circondavano. "Questi ebrei," pensava Moktar Al-Qoraysh "tutti dei sentimentali!" Con la morte di Alessandro Calfo, la sua missione era giunta al termine. Aveva avuto la soddisfazione di eliminare con le sue mani l'americano. Quanto all'altro, era sparito, non lo aveva ancora rintracciato. Ma era solo una questione di tempo. L'indomani sarebbe rientrato al Cairo, per far rapporto al
Consiglio di Hamas e prendere istruzioni. Il francese doveva sparire. Per rintracciarlo aveva bisogno d'aiuto. Lev aveva appena dichiarato pubblicamente la sua ammirazione per l'infedele. Non poteva più contare su di lui. Quanto a Sonia, era disoccupata. Presto l'avrebbe condotta con sé al Cairo. Velata di nero, la sua incantevole figura lo avrebbe onorato. Moktar aveva deciso di riservarla per sé. Dopo essere stata nelle mani di un prelato perverso del Vaticano, doveva saper fare cose che forse il Profeta avrebbe giudicato riprovevoli, se ne fosse stato a conoscenza. Il Corano si limita ad affermare: «Le donne sono un campo da coltivare; percorrete quel campo, coltivatelo a vostro piacimento*». Totalmente indifferente alla delicata musica che usciva dalle dita di Lev, sentì la sua virilità pulsare. * Corano, 2,223.
92
Erano passate tre settimane dall'arrivo di Nil in Abruzzo, eppure aveva la sensazione di aver trascorso la vita intera in quella solitudine. Poco alla volta, aveva raccontato al vecchio eremita la sua storia: il suo arrivo a Roma, l'atteggiamento di Leeland fino alla sua drammatica confessione, l'incontro con Lev Barjona: le tracce faticosamente ritrovate dell'epistola apostolica, la sua scoperta nel fondo segreto del Vaticano... Il vecchio sorrideva.
«Io so che questo non cambia nulla alla tua vita e al suo orientamento profondo. È la verità che hai sempre cercato, ne hai trovato la scorza e adesso non ti resta che approfondire quella conoscenza con la preghiera. Non devi mai volerne alla Chiesa cattolica. Essa fa ciò che ha sempre fatto, ciò per cui ogni Chiesa è fatta: conquistare il potere, per conservarlo a ogni prezzo. Un monaco del Medioevo l'ha definita in modo realistico: casta simul et meretrix, la casta puttana. La Chiesa è un male necessario, figlio mio. L'abuso permanente del suo potere non deve farti dimenticare che essa racchiude un tesoro, la persona di Gesù. E che, senza di essa, non l'avresti mai conosciuto.» Nil sapeva che aveva ragione. Incuriosito da quel nuovo venuto che assomigliava tanto al suo padre adottivo, persino nei capelli bianchi, Beppo saliva all'eremo più spesso di quanto solitamente faceva. Si sedeva accanto a Nil, sul parapetto in calce della terrazza, e il loro sguardo raramente si incrociava più di una volta. Improvvisamente il ragazzo si alzava, chinava la testa e spariva sul sentiero della foresta. Quel giorno, Nil gli parlò per la prima volta: «Beppo, vuoi farmi un piacere? Devo far arrivare questa lettera a padre Calati, a Camaldoli. Puoi incaricartene?». Beppo annuì, e infilò la lettera nella tasca interna del gilet in pelle di pecora. Era indirizzata a Rembert Leeland, via Aurelia. Nil gli raccontava brevemente il suo arrivo all'eremo, la vita che vi conduceva, la felicità che sembrava aver ritrovato. Alla fine chiedeva sue notizie, e se doveva tornare a Roma per incontrarlo. Qualche giorno più tardi, il papa aprì la lettera e la lesse a due riprese davanti a Riedinger, che gliela
aveva consegnata come gli era stato ordinato. Stancamente, il papa appoggiò la lettera sulle ginocchia. Poi alzò la testa verso il cardinale, sempre rispettosamente in piedi davanti a lui. «Quel monaco francese del quale mi avete parlato, in cosa pensate che sia pericoloso per la Chiesa?» «Mette in dubbio la divinità del Cristo, santissimo padre, in modo particolarmente pernicioso. Bisogna ridurlo al silenzio e rispedirlo alla solitudine della sua abbazia, che non avrebbe mai dovuto lasciare.» Il papa lasciò ricadere il capo sulla veste bianca. Chiuse gli occhi. Il Cristo, mai nessuno lo avrebbe conosciuto in tutta la sua verità. Il Cristo era davanti a noi: non si poteva che andare alla sua ricerca. Cercarlo, aveva detto sant'Agostino, è già trovarlo. Smettere di cercarlo, è perderlo. Sempre a capo chino, sussurrò così piano che Riedinger dovette tendere l'orecchio per udire cosa diceva: «La solitudine... credo che la possegga, Eminenza, e lo invidio... sì, lo invidio. "Monaco", come sapete, deriva da monos, che significa solo, o unico. Egli ha trovato l'unico del quale Gesù parlava a Marta, la sorella di Maria e di Lazzaro. Lasciatelo alla sua solitudine, Eminenza. Lasciatelo con Colui che ha trovato». Poi aggiunse, con voce ancora più impercettibile: «È per questo che esistiamo, non è così? Per questo che la Chiesa esiste. Affinché nel suo seno, qualcuno trovi ciò che noi, voi e io, cerchiamo». Riedinger alzò un sopracciglio. Lui cercava di risolvere un problema dopo l'altro, di far durare la Chiesa, di proteggerla dai suoi nemici. «Sono il carabiniere della Chiesa» aveva detto un giorno il suo predecessore d'illustre memoria, il cardinale Ottaviani. Il papa sembrò uscire dalla sua fantasticheria, e
fece un cenno. «Avvicinatemi a quella macchina, nell'angolo, per favore.» Riedinger spinse la sedia a rotelle verso il distruggidocumenti accanto a un cestino colmo di coriandoli. Poiché il papa, con la mano tremolante, non riusciva ad accendere l'apparecchio, il cardinale premette il bottone con deferenza. «Grazie... No, lasciate, voglio farlo io.» Il distruggidocumenti sputò coriandoli, che andarono ad aggiungersi ad altri segreti finiti nel cestino, e dei quali il papa conservava perfettamente la memoria. La sua mente era ancora sorprendentemente perspicace. «Esiste un solo segreto, ed è quello di Dio. Ha molta fortuna, quel padre Nil. Davvero molta fortuna.»
93 Nil fu svegliato nel cuore della notte da un rumore insolito. Accese una candela. Disteso sul pagliericcio, gli occhi chiusi, il vecchio eremita ansimava. «Padre, si sente male? Bisogna andare a cercare Beppo, bisogna...» «Lascia, figlio mio. Bisogna soltanto che abbandoni la riva, per immergermi in acque profonde. È arrivato il momento.» Spalancò gli occhi, e avvolse Nil in uno sguardo di infinita bontà. «Resterai qui. Questo luogo era destinato a te da un'eternità. Come ha fatto il discepolo beneamato, chinerai la testa verso Gesù, per ascoltare. Solo il tuo
cuore potrà udirlo, ed esso si sveglia di giorno in giorno. Ascoltare, non dovrai fare altro: lui ti condurrà sul cammino. È una guida sicura, puoi abbandonarti a lui con fiducia. Degli uomini ti hanno tradito: lui non ti tradirà mai.» Fece un ultimo sforzo: «Beppo... occupati di lui, è il figlio che ti affido. È puro come l'acqua che sgorga da queste montagne». Al mattino, la cresta si illuminò sul versante opposto. Quando le fiamme del sole avvilupparono l'eremo, il vecchio eremita mormorò il nome di Gesù, e cessò di respirare. Il giorno stesso, Nil e Beppo lo seppellirono in una rientranza del dirupo, che era forse simile, pensò Nil, a quelle a picco su Qumran. In silenzio, fecero ritorno all'eremo. Giunti sulla piccola terrazza, Beppo prese il braccio di Nil, immobile, e dolcemente gli portò la mano sui suoi capelli ricci. I giorni e le notti si inseguivano. Immobile, il tempo sembrava prendere un'altra dimensione. La memoria di Nil non era ancora guarita, ma l'angoscia che l'aveva oppresso durante quei terribili giorni, trascorsi a inseguire l'illusione della verità, si allontanava. La verità non si trovava nell'epistola del tredicesimo apostolo, né nel quarto vangelo. Essa non era contenuta in nessun testo, per quanto sacro fosse. Essa era al di là delle parole stampate sulla carta, delle parole pronunciate da bocche umane. Essa albergava nel cuore del silenzio, e il silenzio lentamente si impossessava di Nil. Beppo aveva riposto in lui la stessa adorazione che aveva manifestato nei confronti del vecchio eremita.
Quando arrivava, sempre senza preavviso, si sedevano sul bordo della terrazza o davanti al focolare. Adagio, Nil gli leggeva il vangelo e gli raccontava di Gesù, come un tempo il tredicesimo apostolo aveva fatto con Iokhanan. Un giorno, colto da un'improvvisa ispirazione, tracciò sulla fronte, le labbra e il cuore del ragazzo una croce invisibile. Spontaneamente, Beppo gli mostrò la lingua, che egli sfiorò con lo stesso segno di morte e di vita. L'indomani, Beppo tornò di mattina presto. Si sedette sul pagliericcio, guardò Nil con occhi placidi, e mormorò, in un soffio maldestro: «Padre... padre Nil! Io... io voglio imparare a leggere. Per poter studiare il vangelo da solo». Beppo parlava. Con il cuore in mano, parlava. La vita di Nil mutò. Ormai, Beppo gli faceva visita quasi ogni giorno. Si sedevano davanti alla finestra e sul tavolo minuscolo Nil apriva il libro. In poche settimane, Beppo fu capace di leggere, incespicando soltanto sulle parole difficili. «Puoi sempre prendere il Vangelo di Marco» gli diceva Nil. «È il più semplice, il più limpido, il più vicino a ciò che Gesù ha detto e ha fatto. Un giorno, più avanti, ti insegnerò il greco. Vedrai, non è poi così difficile, e leggendolo a voce alta ascolterai ciò che i discepoli dicevano di lui.» Beppo lo fissò gravemente. «Farò quello che mi dici: tu sei il padre della mia anima.» Nil sorrise. Anche il tredicesimo apostolo aveva dovuto essere il padre dell'anima per i nazoreni che erano fuggiti dinanzi alla prima Chiesa. «Esiste un solo padre della tua anima, Beppo. Colui che non ha nome, che nessuno può conoscere, del
quale non sappiamo nulla se non che Gesù lo chiamava abba: papa.»
94
Quel mattino d'ottobre, piazza san Pietro aveva l'aria di festa: il papa doveva proclamare la canonizzazione del fondatore dell'Opus Dei, Escrivà de Balaguer. Sulla facciata della basilica, cuore della cristianità, un immenso ritratto del nuovo santo era offerto alla folla numerosa. Con gli occhi furbeschi, egli sembrava contemplarla con ironia. In piedi alla destra del papa, il cardinale Riedinger era raggiante di gioia. Quella canonizzazione per lui aveva un significato particolare. Prima di tutto, era la sua vittoria personale sui membri dell'Opus Dei, che teneva in pugno da anni con il processo di beatificazione del loro eroe. Ormai, avevano un debito verso di lui, cosa che lo metteva al riparo dalle loro consuete manovre. Riedinger era felice dello scherzo che aveva giocato loro, per qualche tempo almeno era in vantaggio. Infine, e quella non era la minore delle soddisfazioni della giornata, il papa, che faceva sempre più fatica a farsi capire, gli aveva affidato il compito di pronunciare l'omelia. Ne avrebbe approfittato per delineare il suo programma di governo, dinanzi alle televisioni di tutto il mondo. Perché avrebbe, un giorno, governato la barca di Pietro. E non più segretamente, come faceva da anni,
ma alla luce del giorno. Spontaneamente, sollevò il lembo della pianeta pontificia, che i tremori del sovrano pontefice faceva scivolare in modo assai poco telegenico. E per mascherare quel gesto, sorrise alla telecamera. Gli occhi blu, i capelli bianchi, risaltavano alla perfezione sullo schermo. Corresse la postura: la telecamera era puntata su di lui. La Chiesa era eterna. Perso tra la folla, un giovane guardava con occhio canzonatorio lo spettacolo dei fasti della Chiesa. La sua capigliatura riccia brillava al sole, e il suo gilet di contadino abruzzese non stonava: delegazioni cattoliche di tutto il mondo, in costume folcloristico, coloravano piazza San Pietro di macchie vivaci. Le sue mani non erano libere; strette contro il petto stringevano una borsa di cuoio panciuta. Nil gliel'aveva affidata la sera prima. Era inquieto: in paese, dove nessun straniero passava inosservato, era stato visto circolare un uomo che aveva fatto domande. Certamente non un montanaro, nemmeno un italiano: troppi muscoli, il ventre asciutto. Il colpo d'occhio dei paesani era infallibile. La cosa, come ogni faccenda in un paese abruzzese, era giunta alle orecchie di Beppo. Il ragazzo ne aveva parlato a Nil, il quale aveva sentito le angosce risvegliarsi. Era possibile che lo stessero cercando, anche lì? L'indomani, aveva affidato la sua borsa a Beppo. Essa conteneva il risultato di anni di ricerca. Soprattutto, custodiva la copia che aveva trascritto dell'epistola. A memoria, certo, ma sapeva che era fedele al testo che per brevissimo tempo aveva tenuto in mano nel fondo segreto del Vaticano.
La sua vita non aveva importanza, la sua vita non gli apparteneva più. Come il tredicesimo apostolo, come molti altri, sarebbe forse morto per aver preferito Gesù a Cristo-Dio. Ne era consapevole, e in anticipo lo accettava con grande serenità. Non gli restava che un unico rammarico, un peccato contro lo Spirito che non avrebbe potuto confessare ad alcun prete: l'ardente desiderio di vedere la vera tomba di Gesù, nel deserto. Sapeva che quel desiderio non era altro che un'illusione perniciosa, tuttavia non riusciva a cancellarla. Setacciare l'immensa distesa sabbiosa tra Israele e il Mar Rosso. Ritrovare il tumulo, perduto nel cuore di una necropoli essena abbandonata e ignorata da tutti. Recarsi là dove il tredicesimo apostolo aveva espressamente voluto che nessuno si recasse. Pensarci era già peccato: il silenzio non aveva compiuto in lui la sua opera purificatrice. Avrebbe lottato, un passo alla volta, per eliminare dalla mente quel pensiero che lo allontanava dalla presenza di Gesù, incontrato ogni giorno nella preghiera. Tra un mucchio di ossa e la realtà, non c'era da esitare. Ma occorreva essere prudente. Beppo si sarebbe recato da solo a Roma, allo scopo di consegnare la borsa a uno zio fidato. Il cardinale Emil Riedinger terminò la sua omelia in uno scroscio di applausi, e modestamente tornò al suo posto alla destra del papa. Furtivamente, Beppo abbassò la testa e con le labbra sfiorò con rispetto la borsa. La verità non sarebbe stata cancellata dalla faccia della terra. La verità sarebbe stata trasmessa. E un giorno
sarebbe riemersa. Ben nascosto sotto il colonnato del Bernini, Moktar Al-Qoraysh non perdeva di vista il ragazzo. Aveva trovato il paese. L'infedele doveva essere nascosto da qualche parte nei dintorni, sulla montagna. Sarebbe bastato seguire quel contadino abruzzese dallo sguardo ingenuo. Lo avrebbe condotto alla sua preda. Sorrise. Nil poteva anche essere sfuggito al Vaticano, ma non sarebbe sfuggito a lui. Non si sfugge al Profeta. Benedetto sia il suo nome.
Al momento di lasciare l'eremo, non potei fare a meno di domandare ancora: «Padre Nil, dunque non ha paura di chi la sta cercando?». Egli rifletté a lungo prima di rispondermi: «Non è un ebreo. Dalla distruzione del tempio, essi sono pervasi da una profonda disperazione: la promessa era vana, il Messia non sarebbe arrivato. Ma Dio resta per loro una realtà viva. Mentre i musulmani non sanno nulla di Lui, se non che è l'unico, il più grande di tutti, il giudice supremo. La tenerezza, la vicinanza del Dio dei profeti d'Israele resta loro estranea. Dinanzi a un giudice infinito, ma infinitamente lontano, la disperazione ebraica si è trasformata, in loro, in un'angoscia insormontabile. E certi hanno bisogno di sempre più violenza per esorcizzare la paura del nulla che Dio non colma. È senza dubbio un musulmano». Con un sorriso, aggiunse: «L'intimità con il Dio d'amore distrugge per sempre la paura. È possibile che sia sulle mie tracce? Trascinandomi nel suo nulla, non placherà l'angoscia che dimora in lui».
Prese le mie mani. «Cercare di conoscere là persona di Gesù, significa diventare un altro tredicesimo apostolo. La successione di quell'uomo è sempre vacante. Ne farà parte lei?» Da allora, nella mia Piccardia di foreste, di terre feconde e di uomini taciturni, mi tornano in mente le ultime parole di Nil. Quando risuonano in me, sopraggiungono nostalgie del deserto.
LA VERITÀ STORICA DIETRO
Il tredicesimo apostolo di Michel Benoît Dove finisce la Storia e dove comincia la finzione ne Il tredicesimo apostolo? Per cimentarsi in un romanzo storico, occorre innanzitutto impegnarsi in approfondite ricerche, affinché si possa delineare in modo sicuro la successione di fatti e di accadimenti. La Storia non è una scienza esatta, e niente è mai acquisito per sempre: la scoperta di nuove fonti, o semplicemente un altro sguardo sugli eventi, possono rimettere in discussione una verità storica accolta da tutti e da tempo. Il romanziere conduce la propria indagine fino al punto in cui interviene la Storia. A partire da lì, sa che gli avvenimenti si sono sviluppati in una precisa direzione: ma cosa sarebbe accaduto se quegli stessi avvenimenti avessero preso un altro corso? Se per esempio Napoleone fosse stato semplicemente il luogotenente di un reggimento corso? Il romanziere immagina cosa sarebbe potuta diventare la Storia, se... Ma deve farlo nel più coerente dei modi,
tenendo conto di ciò che precede. Se la tal cosa non è vera, occorre però che sia totalmente verosimile. La finzione storica non crea un mondo nuovo, come accade nella fantascienza: essa immagina ciò che il mondo sarebbe potuto diventare se un minuscolo granello di sabbia avesse orientato la Storia che noi conosciamo in un altro senso. È così che ho costruito Il tredicesimo apostolo. Sappiamo che quest'uomo è davvero esistito. Ha scritto un'epistola per dire la sua verità su Gesù il nazoreno? Non ve ne è traccia, ma egli avrebbe potuto scriverla ed essa avrebbe potuto giungere a noi, come tanti altri scritti dei fondatori del cristianesimo. Quale sarebbe stato il contenuto di quell'epistola? E evidente che non possiamo saperlo, ma una buona conoscenza della storia del I secolo permette di avanzare un'ipotesi verosimile, coerente con ciò che sappiamo da altre fonti. La finzione, dunque, prolunga la Storia. Da parte mia, ho tentato di dare un corpo, una voce, una sensibilità a quell'uomo che la chiesa primitiva ha voluto annientare con caparbia determinazione. L'ombra del tredicesimo apostolo aleggia sul mio romanzo, e attraverso di lui quella di un altro uomo, Gesù il nazoreno, che egli ha amato più di ogni altro, del quale è stato l'intimo e il più fedele discepolo. Almeno, è ciò che egli sostiene. Dodici apostoli? La nostra documentazione su Gesù - l'uomo, la sua personalità, e gli avvenimenti che hanno portato alla sua crocifissione - è assai ricca e dettagliata. Si sanno molte più cose di lui che della maggior parte dei personaggi dell'antichità1. La sua morte, per esempio, è datata con precisione il 7 aprile del 30 d.C. 2, un venerdì, alle tre del pomeriggio. Una simile precisione è assai rara per l'epoca. Noi ne conosciamo i motivi apparenti, ma anche quelli veri,
celati nei testi. Gli avvenimenti delle ultime settimane della sua vita si svolgono davanti ai nostri occhi come in un film, girato da quattro registi più o meno scrupolosi. 1 A
eccezione di Giulio Cesare, che ha scritto la sua autobiografia, fenomeno unico nell'antichità fino alle Confessioni di sant'Agostino, cinque secoli dopo. Sull'imperatore Claudio, per esempio, contemporaneo di Gesù e che regnò per sei anni, si posseggono unicamente alcune cronache ufficiali, fredde e impersonali quanto la sua statua conservata nei Musei Capitolini a Roma. 2 O 3 aprile del 33 d.C.: ma la maggior parte degli specialisti propendono per l'anno 30 d.C.
Questa documentazione - il Nuovo Testamento - è stata scritta a tappe, in un periodo che ha inizio all'inarca nel 50 d.C. e termina attorno al 100 d.C. Essa non è storica, ma deliberatamente polemica e politica. È l'epoca in cui la Chiesa si costituisce, trasforma Gesù in Dio, si inventa una legittimità rispetto al giudaismo delle sue origini e alle altre religioni dell'impero romano. Tuttavia, gli avvenimenti sono là, affiorano dalla patina sotto la quale sono stati ricoperti il volto, la personalità e la persona di Gesù. Contrariamente a ciò che alcuni affermano3, è possibile ritrovarli: i vangeli non sono solamente la redazione scritta di un insieme di miti universali. Dietro le ombre ci sono persone vive che sentono, che agiscono e reagiscono. 3 Penso alla scuola di Rudolf Bultmann: come sempre, i suoi
discepoli hanno irrigidito e impoverito il pensiero del maestro.
Se lo si segue passo dopo passo nei due o tre brevi anni della sua vita pubblica, ci si accorge che Gesù non ha creato alcuna struttura comunitaria dotata di contorni ben definiti. La Chiesa non è stata istituita da lui, si è fondata da sé, appellandosi a posteriori a una volontà che lui non ha mai espresso.
Molto presto, invece, lo si vede circondato da uomini e donne, associati al suo ministero di rabbi itinerante. Le donne, come è normale in una società antica e semitica, si occupano unicamente delle questioni materiali. In pubblico tacciono e ascoltano. Gesù nei loro confronti dà prova di una familiarità e di un'indulgenza talmente insolite per l'epoca e in Palestina, che il suo seguito se ne sorprende e si scandalizza. Ma mai, in nessun caso, Gesù le associa alla sua attività di predicatore-guaritore. La leggenda che fa di Maria Maddalena una sorta di apostolo femminile trae origine dai vangeli apocrifi 4, ossia folcloristici, frutto di una sfrenata immaginazione orientale, quella dei falsari gnostici dei secoli II e III. Questa leggenda non poggia su alcuna base storica, e d'altronde, dietro il personaggio di Maria Maddalena, si percepisce che ci sono due o forse tre donne della cerchia di Gesù, riunite in una sola per le esigenze dell'affabulazione. Attorno a Gesù dunque, nessun apostolo femminile. Tanto peggio per le nostre fantasie alimentate da romanzi di successo, che agiscono in malafede quando pretendono di avere un fondamento storico. Gli uomini? Sono giunti sino a noi quattro elenchi 5 dei più vicini collaboratori di Gesù. Quando li si confronta, ci si accorge che essi fanno menzione di quindici apostoli: Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni di Zebedeo, Filippo, Bartolomeo, Tommaso, Matteo, Giacomo d'Alfeo, Lebbeo, Taddeo, Giuda di Giacomo, Simone e Giuda, ai quali si deve aggiungere Natanaele. Attorno a questa cerchia ristretta gravita un gruppo di uomini più numerosi: noi ignoriamo i loro nomi, ma sappiamo che hanno collaborato (almeno occasionalmente) all'attività di Gesù e lo hanno seguito ovunque, come gli "apostoli". Perché dunque la chiesa primitiva - quando vuole stabilire per sempre i fatti nei vangeli e negli Atti degli 4 Tra i più antichi (fine del II secolo), il vangelo di Filippo, il
vangelo di Maria e il vangelo secondo Tommaso. 5 Mt 10,2-4; Me 3,16-19; Le 6, 13-16; At 1,15.
apostoli - mostra il rabbi ebreo che chiama a sé "coloro che egli voleva", e perché enumera sempre dodici uomini, allorché erano di fatto quindici, e anche di più? Perché al momento in cui quei testi vengono scritti, i cristiani si separano con difficoltà dal giudaismo nel quale sono nati, dal quale sono appena usciti. Essi proclamano che l'antico Israele è morto, e che loro ormai saranno il nuovo Israele, depositario delle promesse di Dio; in sostanza, essi prendono il potere. E Matteo fa dire a Gesù: «Quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siede-rete anche voi sui dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele» 6. Dodici apostoli: numero simbolico. Numero che contiene un messaggio - il potere, ormai, siamo noi - non un'informazione storica. E per ben cementare questa parte della Chiesa in costruzione, il titolo di apostolo diverrà una sorta di marchio depositato. Scrivendo i suoi Atti degli apostoli tra l'80 d.C. e il 90 d.C., Luca descrive la scelta del dodicesimo apostolo che sostituirà Giuda, morto tragicamente e in circostanze misteriose. Per l'elezione del sostituto, si applica un solo criterio: dovrà essere scelto tra coloro «che ci furono compagni per tutto il tempo che il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno [...] della sua resurrezione» 7. Vale a dire dall'uscita dal deserto fino alla morte. Questa condizione è sufficiente a convalidare la candidatura al titolo di apostolo. Potrà dunque ambire al titolo di apostolo colui che ha incontrato Gesù mentre faceva ritorno dal deserto, dopo un soggiorno che l'ha totalmente trasformato e che da allora non l'ha più lasciato, fino alla fine. Il titolo è talmente onorifico che Paolo di Tarso - che non ha conosciuto Gesù, e dunque non possedeva il requisito indispensabile - se lo 6 Mt 19,28. 7 At 1,21-22.
attribuirà più tardi per sentirsi meglio armato nella feroce lotta che lo oppone agli apostoli legittimi. Ma, per i baroni della Chiesa, non possono esserci che dodici apostoli. Non uno di più. Un tredicesimo apostolo? Il momento cruciale, è dunque quello in cui Gesù emerge dalla solitudine del deserto, dove ha vissuto un lungo periodo di meditazione. Prima, non era che un pio ebreo come tanti. Dopo, è abitato da un tale carisma, che svelerà un mondo nuovo a coloro che hanno il privilegio di udirlo. E il mondo antico, minacciato da quella nuova impetuosità, si abbatterà su di lui e lo eliminerà senza indugio. Alla sua uscita dal deserto è colmo di ciò che ha appena vissuto e scoperto laggiù, tra il cielo e la terra. Tutto è in lui, nulla ancora è stato intrapreso, egli è ancora promesse senza insuccessi, forza senza impedimenti, progetti senza limiti. Ed è in quel momento preciso che cinque uomini lo incontrano. Noi possediamo un racconto sorprendente di quell'incontro. Sorprendente perché è scritto con la spontaneità, la freschezza, la dovizia di particolari che solo un testimone oculare può concedersi. I luoghi (la sponda del Giordano), la successione dei giorni, l'ora sono indicati con estrema precisione. Eccone un brano: «Il giorno dopo Giovanni stava ancora là [la riva del Giordano] con due dei suoi discepoli [...]. E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù [...]. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni [...] era Andrea»8. 8 Gv 1, 35-40.
Uno dei due: chi è l'altro discepolo, quello che non si nomina e che racconta? È un apostolo, perché ha appena incontrato Gesù all'uscita del deserto, e lo seguirà fino alla fine. Con Andrea, è anche il primo ad averlo conosciuto, e sarà l'ultimo a vederlo, sulla croce. A dispetto di questo, non apparirà mai negli elenchi ufficiali degli apostoli. Né in alcun testo del Nuovo Testamento, tranne nel quarto vangelo, del quale egli è l'iniziatore. Quell'uomo, che avrebbe potuto, meglio di chiunque, avvalersi del titolo di apostolo, indica se stesso come il discepolo che Gesù amava. È lui che io chiamo il tredicesimo apostolo, senza poterlo nominare, poiché ignoriamo persino quale sia il suo nome. Egli riappare all'inizio dell'ultima settimana che Gesù trascorre a Gerusalemme 9, e descrive sempre gli avvenimenti drammatici di quei momenti cruciali con gli accenti, il calore, la precisione di un testimone oculare. Ma prima di seguirlo in quel periodo, occorre tornare indietro e dire ciò che sappiamo di lui.
La riscoperta di un testimone soppresso Negli anni Ottanta uno studioso cattolico, Raymond E. Brown, "riscoprì" ufficialmente il discepolo beneamato e dimostrò che si trattava proprio di un tredicesimo uomo, distinto da san Giovanni l'evangelista: «È evidente che il discepolo che Gesù amava fu un personaggio storico e un compagno di Gesù»10. Quel testimone sconosciuto appare otto volte nel testo del quarto vangelo, sia esplicitamente, sia per allusioni 9 A partire dal capitolo 13 del quarto vangelo e fino al suo
capitolo finale. 10 Raymond E. Brown, americano, membro a quell'epoca della Commissione Biblica Pontificale, la più alta autorità cattolica in materia di Bibbia: La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, 1982.
senza alcuna possibilità di equivoco. Così, il capitolo 21 descrive il breve soggiorno di Pietro e altri sei discepoli nei pressi del lago di Galilea, dove sono fuggiti subito dopo la crocifissione. L'autore cita dei nomi: erano presenti «Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo [Giovanni e suo fratello Giacomo] e altri due discepoli». Chi sono costoro? Un po' più avanti nel testo, uno dei due esce dall'anonimato: «Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava»11. È ancora lui. È il tredicesimo apostolo, e in questa scena si distingue esplicitamente dall'apostolo Giovanni, il figlio di Zebedeo, che la tradizione chiama "l'evangelista". Nel momento dell'incontro iniziale sulle rive del Giordano, ha dunque trascorso un'intera giornata con il rabbi che scopre in quell'istante. Ma non si unisce agli altri quattro che accompagnano Gesù, quando lascia Giovanni Battista per fare ritorno in Galilea. Loro decidono di seguire il nuovo maestro, ma per il momento fanno ritorno a casa. Invece lui vive a Gerusalemme. Conosce bene la città, le sue descrizioni nel quarto vangelo sono esatte, colorite, e sono state confermate dagli scavi archeologici. Ha una casa situata non lontano da quella del sommo sacerdote Caifa, in quel quartiere ovest riservato ai ricchi, e strettamente sorvegliato dalla polizia giudea 12. Come tutte le ville di quel quartiere, la sua è vasta e al primo piano dispone di una "sala alta" che può contenere un centinaio di persone. È in quella sala che Gesù consumerà la sua ultima cena, è là che la maggior parte dei discepoli terrorizzati si nascondono dopo l'esecuzione del loro maestro, prima di fuggire in Galilea. E là anche che i superstiti dell'"Affare Gesù" si rifugeranno in gruppi spaiati, quando ritorneranno a Gerusalemme qualche settimana dopo il 7 aprile del 30 11 Gv21,2. 20. 12 Queste precisazioni sono state fornite dall'équipe di J.
Charlesworth, Jesus and the Dead Sea scrolls, Doubleday, New York 1992.
d.C. Vi resteranno per un pezzo, fino a che non si sentiranno sufficientemente al sicuro per potersi mostrare di nuovo in città. Ed è in quella sala che assisteranno a un fenomeno curioso, che la Chiesa chiama il miracolo della Pentecoste: era il 29 maggio, cinquanta giorni dopo la Pasqua ebraica del 30 d.C. Dunque si è preso il rischio di ospitare e nascondere presso di sé i complici di un uomo condannato alla crocifissione. Egli rende loro un immenso servigio, essendo in quel momento ancora solidale con il gruppo degli apostoli. Questa intesa non durerà. Lo si è visto. Il suo nome e la sua stessa esistenza sono cancellati da tutti i testi del Nuovo Testamento, salvo il suo racconto conservato nel quarto vangelo. Quando Paolo intraprende a tre riprese un "viaggio ufficiale" a Gerusalemme (nel 39, nel 48, infine nel 52 d.C.), fornisce in dettaglio i suoi incontri con le "colonne", vale a dire quelli che contano nella Chiesa nascente. Il discepolo beneamato non è menzionato da nessuna parte, né direttamente, né facendovi allusione. È già sparito da Gerusalemme, si è già rifugiato nel silenzio impostogli? Se gli apostoli lo hanno perseguitato con il loro odio fino ad annientare la sua memoria, neppure lui li ama. È stato notato che nel quarto vangelo, la parola apóstolos non è mai impiegata per designare i dodici. Come se avesse voluto negare loro quel titolo ufficiale dell'autorità. Lui, per il quale Gesù è il solo apóstolos di Dio. Lui che si definisce come mathetés, "discepolo" alla maniera dei filosofi greci.
Un notabile È ricco, con della servitù. È proprio uno dei suoi servitori a introdurre con discrezione il rabbi e il suo seguito nel quartiere ovest, dove il loro accento e la loro faccia li avrebbero senza dubbio fatti notare. Gesù ha preparato con
cura la sua entrata clandestina in città: lui e l'amico hanno convenuto un segnale di cui Gesù mette al corrente i suoi discepoli: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo e là dove entrerà dite al padrone di casa: "Il maestro dice: dov'è la mia stanza [...]". Egli vi mostrerà al piano superiore, una grande sala con i tappeti, già pronta» 13. Il padrone di casa anonimo è il tredicesimo apostolo, che in questo racconto è trattato come l'estraneo che è diventato per la chiesa ufficiale, nel momento in cui Marco scrive quel testo, poco prima del 70 d.C. E quel breve passaggio è il solo in cui l'ombra di quell'uomo appare fugacemente nei vangeli sinottici14. Dopo aver soppresso ogni traccia della sua esistenza, gli apostoli non hanno pensato a quel dettaglio: il portatore d'acqua, il servitore del "padrone di casa" che fu uno dei loro, prima di salvargli la vita. Quarant'anni più tardi per loro è divenuto un estraneo, un nemico. Quel dettaglio è autenticato da coloro che lo riportano, perché non potevano fare altrimenti. Esso testimonia che una relazione intima, di fiducia e di amicizia, si è instaurata tra Gesù e colui che aveva incontrato, per primo, uscendo dal deserto. Questa complicità, dalla quale i dodici sono esclusi, ha suscitato in loro una feroce gelosia. Ricco, ha relazioni altolocate. Ammette di conoscere il sommo sacerdote Caifa, suo vicino e la più alta autorità d'Israele. Ha accesso al suo palazzo, all'interno del quale si muove liberamente; un habitué, a differenza di Pietro che non osa entrare e rimane fuori: 13 Me 14,13-15. 14 Sinottici sono i tre vangeli di Matteo, Marco e Luca (in
opposizione al quarto vangelo, detto di san Giovanni).
«Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote, e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare anche Pietro» 15. Come al solito, nessun nome. Ma l'altro discepolo qui, è lui, come sulle sponde del Giordano, come sulla riva del lago di Galilea. Ed è lui che presenterà Gesù ad alcune delle personalità di Gerusalemme, come Nicodemo (membro del consiglio di Stato), Lazzaro (ricco possidente), Giuseppe d'Arimatea (che presterà una tomba nuova per accogliervi temporaneamente il cadavere del suppliziato). Queste persone agiate, questi proprietari influenti, questi ufficiali, il piccolo rabbi provinciale ha potuto incontrarli solo grazie al suo amico. Persone che giocheranno un ruolo determinante negli ultimi giorni di Gesù, ed esse sono menzionate (non è un caso) solo nel quarto vangelo. Altra testimonianza della relazione privilegiata che univa il Galileo e l'uomo di Gerusalemme.
Esseno? Nazoreno? Una certezza: il tredicesimo apostolo è, nel momento in cui incontra Gesù, uno dei discepoli di Giovanni Battista, come i quattro galilei che sembra frequentare in quel momento. Solo l'effervescenza provocata dalla predicazione del Battista poteva avvicinare per un attimo uomini di educazione ed estrazione sociale tanto diverse, come il ricco borghese di Gerusalemme e i miserabili pescatori del lago. Dunque, tutti e cinque sono battisti. Il movimento battista era una nebulosa nata dal rifiuto del tempio, del suo culto, della sua gerarchia corrotta, della sua compromissione con il denaro, il potere e l'invasore romano. I battisti avevano sostituito il culto sacrificale del 15 Gv 18,15-16.
tempio con delle immersioni, più o meno frequenti, nell'acqua che procurava loro la purificazione interiore. I battisti più celebri sono gli esseni, che erano presenti su tutto il territorio d'Israele fino alla Siria. Il battesimo, che essi praticavano quotidianamente, era il loro principale sacramento, con un pasto rituale molto formalizzato. Alcuni ricercatori pensano che Giovanni Battista, prima di vivere da eremita sulle sponde del Giordano, fosse stato membro di una comunità essena, forse Qumran. È possibile dunque che il tredicesimo apostolo, oltre che battista, fosse anche esseno? Non si può provarlo con certezza. Ma numerosi indizi del quarto vangelo mostrano una forte influenza essena, sia su di lui sia sulla comunità che gli si raggrupperà attorno più tardi. Quando io ne faccio un esseno laico, mi spingo oltre i fatti stabiliti dalla Storia, ma resto nella verosimiglianza. Bisogna sapere che si poteva essere battisti anche solo temporaneamente. Molti ebrei facevano presso gli uomini del deserto un'esperienza transitoria, come accadde anche a Flavio Giuseppe, che confesserà di aver sondato gli esseni (e altre sette ebraiche) prima di essere e di rimanere fino alla fine fariseo. Una di quelle sette era quella dei nazoreni. Essa sarebbe caduta nell'oblio, se Gesù stesso non ne avesse fatto parte. Si sa davvero poco di loro, tranne che appartenevano al movimento battista. Inaspettatamente, di loro parla spesso il Corano, che trae ispirazione dalla loro particolare concezione dell'identità di Gesù. Il tredicesimo apostolo, nella parte del quarto vangelo del quale è l'autore, è il solo a menzionare chiaramente l'appartenenza di Gesù ai nazoreni. A due riprese, fa dire alle guardie del tempio (inviate per catturare Gesù) che cercano Gesù il nazoreno, re dei giudei16. Mentre i vangeli sinottici, nel racconto della Passione sono unanimi e formali: l'iscrizione, com'era usanza romana, recava unica16 In greco Nazoraios (Gv 19,19).
mente il motivo ufficiale della condanna del crocifisso, "Gesù re dei giudei". L'appartenenza di un condannato all'una o all'altra setta ebrea non interessava in nessun modo la potenza d'occupazione. La mia ipotesi è che il tredicesimo apostolo, se anche era esseno o lo era stato, era senza dubbio divenuto nazoreno, come lo era Gesù, e da qui deriva la sua sorprendente insistenza nel segnalare questo fatto. E la loro appartenenza allo stesso movimento spirituale deve essere stata, per i due uomini, un ulteriore elemento di amicizia, di complicità e d'intimità. Nei vangeli sinottici, nazoreno è stato trasformato in nazareno - vale a dire abitante di Nazareth - o anche nazireno, ossia che ha fatto il voto di nazirato. È una delle più sottili manipolazioni degli evangelisti. Era necessario che l'identità nazorena di Gesù non giungesse alla posterità, le sue radici battiste dovevano sparire dalla memoria. Gli evangelisti ne hanno dunque fatto un abitante di Nazareth (Gesù di Nazareth), mentre gli scavi hanno dimostrato che non vi era traccia di un villaggio di Nazareth nel I secolo, e che Flavio Giuseppe, che colloca scrupolosamente ogni minima borgata di Galilea, non parla di una "Nazareth" da dove sarebbe venuto l'eroe degli ebrei cristianizzati del quale ha sentito parlare. Gesù di Nazareth? No, Gesù il nazareno.
E san Giovanni evangelista? Fino a un'epoca recente, la Chiesa identificava il discepolo che Gesù amava con Giovanni di Zebedeo, detto l'evangelista. Chi era l'apostolo Giovanni? Conosciamo il suo mestiere: pescatore sul lago di Galilea, come Pietro e suo fratello Andrea. Ma questi ultimi non posseggono che la loro barca, sulla quale lavorano soli. E Pietro sovente si lamenta che la pesca è infruttuosa... Mentre Giovanni lavora con suo padre
Zebedeo, che dirige una squadra di garzoni 17. Giovanni è dunque meno povero di Pietro, che infatti deve sovente rammendare le sue reti 18. Un operaio-pescatore, galileo, che non deve aver frequentato la scuola della sinagoga se, parecchi mesi dopo la morte di Gesù, quando sarà arrestato insieme a Pietro dalle autorità giudee, queste ultime: «vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni, e considerando che erano senza istruzione e popolani, rimanevano stupefatti» 19. Siamo all'incirca attorno al 31 d.C: Giovanni è formalmente descritto come un incolto, un analfabeta che non sa né leggere né scrivere. Quel pescatore attaccato alle sue reti, che parla soltanto l'aramaico galileo, come potrebbe essere l'autore del vangelo che porta il suo nome e del quale numerosi passaggi sono stati scritti in greco, e per giunta un greco di grande bellezza, erudito e superbamente poetico? Come poteva in seguito scrivere l'Apocalisse, che testimonia una conoscenza approfondita di miti e religioni orientali e contiene numerosi riferimenti culturali ancora oggi difficili da decifrare per i nostri moderni specialisti? Come avrebbe potuto conoscere tanto bene la città di Gerusalemme, le sue strade e le sue piscine, lui che vi si recava raramente, e solo per fare sacrifici al tempio? E soprattutto, come avrebbe potuto avere una così stretta familiarità con Caifa, prima personalità dello Stato ebreo, come avrebbe potuto entrare e uscire liberamente dal suo palazzo (allorché Pietro, suo compare, rimane alla porta)? Ma c'è di più: si sa da fonti certe che Giacomo di Zebedeo, il fratello di Giovanni, è stato decapitato da re Erode nel 44 d.C. 20. Con l'abituale erudizione, padre M. E. Boi17 Me 1,20. 18 Le 5, 1-10. 19 At 4, 13: agràmmatoi (illetterati) kai idiótai (rozzi, incolti) 20 At, 12,2.
smard ha dimostrato nel 1996 21 che Giovanni era stato ucciso nello stesso periodo del fratello Giacomo, e durante la stessa persecuzione di Erode. Se Giovanni è morto nel 44 d.C., quando nessun vangelo è ancora stato scritto, come può essere l'autore di quello che reca il suo nome, e l'ultima redazione del quale è datata da tutti nel 100 d.C., forse un po' dopo? Come ha potuto scrivere l'Apocalisse, che risale al 110, forse al 120 d.C.? No, Giovanni non ha mai scritto alcunché. Tra le mani aveva tenuto solo delle reti da pesca, e mai un calamo. Ma allora chi è l'autore del "Vangelo secondo san Giovanni"22? 21 Marie-Emile Boismard, domenicano cattolico: Le martyre de
Jean l'apótre, Gabalda, Paris 1996. 22 Lascio da parte la questione delle tre epistole attribuite a Giovanni, così come l'Apocalisse. Ci trascinerebbe troppo lontano.
Un vangelo a strati Chiunque legga il testo si accorge che esistono grandi differenze di vocabolario, di stile, di espressione, di dottrina anche, da una pagina all'altra, da un paragrafo all'altro, talvolta da una riga all'altra. Bisogna arrendersi all'evidenza: non vi è un solo autore, ma molti. Cosa si può dire di più? Si può subito notare che questo vangelo è pieno di piccoli "reportage", estremamente animati. Per esempio, settantadue ore dopo la morte di Gesù, mentre tutti si rifugiano nella sala alta della dimora del quartiere ovest: «Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù
amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro [...]". Uscì allora Simon Pietro [dalla sala alta] insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte» 23. La qualità visiva di questo breve racconto è stupefacente. Si dice che è ancora buio, che corrono insieme nell'oscurità di quell'alba del 9 aprile, che l'altro discepolo riesce a distanziare il suo goffo compagno. Si sente quasi il respiro affannoso di Pietro che giunge al sepolcro. Le bende, il sudario sono descritti con una precisione degna di una domestica... È il segno distintivo del tredicesimo apostolo, l'altro discepolo. I vangeli di Marco, Luca e Matteo sono stati compilati tardivamente, con molteplici ritocchi, intenzioni più o meno confessate. In questi passaggi del quarto vangelo, nulla è ritoccato, esso raccoglie la testimonianza del solo testimone oculare degli accadimenti che racconta. Racconta, non interpreta. Dice ciò che ha visto. Quelle scene, ritratte dal vivo, sono presenti in tutto il quarto vangelo, e voi riconoscerete immediatamente la firma del tredicesimo apostolo: l'incontro fin dall'inizio, del quale abbiamo già parlato (Gv 1,35) alla fine. Poi, di seguito: Gesù vive in Galilea, il suo amico lo incontra solo quando "sale" a Gerusalemme, in occasione delle grandi feste ebraiche. Allora, racconta ciò che più lo ha colpito: Gesù scaccia i mercanti dal tempio (2, 13-25), la guarigione di un paralitico (Gv 5) e di un cieco (Gv 9), l'episodio dell'adultera (Gv 8), Lazzaro resuscitato (Gv 11) e la sua 23 Gv 20,1-7.
ospitalità (Gv 12, 1-11)... oltre a questi grandi racconti, si trovano talvolta piccole annotazioni, disseminate nel testo pervenutoci. A partire dal capitolo 13, Gesù viene a Gerusalemme per morirvi. 11 tredicesimo apostolo lo ritrova nella sua città, e il suo sguardo non lo lascia più, fino alla fine, fino al sepolcro trovato vuoto, poi l'incontro inatteso sulla sponda del lago di Galilea. La sua testimonianza è degna dei migliori reportage. Tutti quei bits and pieces, quelle osservazioni di un testimone oculare di primo piano, nel mio romanzo le ho chiamate "il racconto del tredicesimo apostolo". Non è un vangelo, come quello di Marco che aspira a essere la biografia di Gesù, e al quale guarderanno gli altri due vangeli sinottici. No, è un uomo che ricorda fatti che segnano un'amicizia, nata due anni prima sulla sponda del Giordano. Colui che egli descrive è un essere umano. Nulla di più. Ma un essere umano che ha toccato il culmine dell'evoluzione: un uomo "realizzato", come avrebbe detto cinque secoli prima Siddharta Gautama, il Buddha. Di quest'uomo, il nostro cronista apprezza intensamente la semplicità, la facilità di approccio, la parola e la personalità viva e calorosa. E poi, per brevi scorci, lo mostra improvvisamente posseduto dal suo Dio, il Dio di Mosé che non può essere nominato da alcuno, e che tuttavia Gesù chiama abba, papà. Allora, come se si ritenesse indegno di penetrare oltre nell'intimità del maestro, il tredicesimo apostolo tace. Con un immenso pudore, si ritira davanti al mistero di una profondità intravista, abissale, vertiginosa. Ma altri non avranno lo stesso scrupolo di fronte all'indicibile. Non aspirano a essere fedeli all'uomo del quale descrivono le parole e i gesti. Vogliono andare oltre a ciò che ha detto, oltre a ciò che ha fatto, per costruire l'immagine di un superuomo: un dio Incarnato. Per capire come, tramite interventi avvenuti nel tempo, il racconto del tredicesimo apostolo sia stato modificato da
aggiunte successive, fino a trasformare completamente la persona e la personalità di Gesù, dobbiamo interessarci all'attività dell'uomo di Gerusalemme dopo la fine del quarto vangelo. Cos'ha fatto in tutto quel periodo in cui Gesù, morto, è prima descritto dalla Grande Chiesa come risuscitato, poi come Dio, uguale a Dio e al pari suo creatura dell'Universo? Ricerche minuziose hanno consentito di stabilire ciò che a prima vista i testi non dicono: attorno al tredicesimo apostolo, si è costituita una comunità, che ha conosciuto un destino complesso. Ed è la complessità della comunità del discepolo beneamato che permette di spiegare la complessità del quarto vangelo, e le sue apparenti contraddizioni.
La comunità del discepolo beneamato 24 La chiesa primitiva non era come la immaginiamo adesso, un gruppo informe e unito da un concetto omogeneo di Gesù. Essa era costituita di comunità raccolte attorno all'uno o all'altro apostolo che serviva da punto di convergenza e da stendardo. Paolo di Tarso, in una delle sue lettere autentiche, descrive bene la situazione.
24 I lavori di Raymond E. Brown (1983), sopraccitato, sono
serviti a elaborare le mie ipotesi. Questo grande studioso ha aperto delle porte, senza poterle varcare tutte; per lui avrebbe significato escludersi dalla Chiesa. Io non ho più le stesse costrizioni, e posso avventurarmi là dove lui deve accontentarsi di dare suggerimenti. Ciò che segue riassume, in poche righe, una quantità impressionante di ricerche e di lavori.
«Mi è stato segnalato [...] che ci sono discordie tra di voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: "Io sono di Paolo", "Io invece sono di Apollo", "E io di Cefa", "E io di Cristo!"» 25 In altre parole, parecchi apostoli (o i loro collaboratori) avevano fondato una comunità, che "apparteneva" al suo fondatore. Gli Atti degli apostoli descrivono tre di queste comunità, che si oppongono e si dilaniano violentemente: quella di Pietro è la più importante, e il vecchio capo la terrà con il pugno di ferro fino alla sua espulsione finale dalla Palestina. Infatti, sarà rimpiazzato a Gerusalemme da Giacomo, il fratello di Gesù, che a poco a poco si metterà a capo di coloro che verranno chiamati (con un termine troppo generale per essere esatto), i giudeo-cristiani. E poi un nuovo venuto irrompe in modo clamoroso in scena: Paolo di Tarso. Ebreo, greco d'educazione, non ha potuto conoscere Gesù, e non può dunque ambire al tanto desiderato titolo di apostolo. Lo rivendica in ogni caso con veemenza, e si presenta come «chiamato a essere apostolo per volontà di Dio» 26, e non per il solo fatto di aver incontrato Gesù sulla sponda del Giordano. Altrove, ostenta il suo odio nei confronti degli apostoli ufficiali, «delle persone più ragguardevoli - quali fossero allora non m'interessa» 27. Si assiste alla creazione, lungo tutto il bacino mediterraneo, di numerose comunità, che si dichiareranno tutte sue seguaci. Alcune di esse esprimeranno per la prima volta, attraverso i loro inni liturgici, una credenza nella 25 1Cor 1, 12. 26 1Cor 1, 1. 27 G1 2, 6.
divinità di Gesù 28. Si è scoperto che una quarta comunità poteva essere identificata in Palestina, quella che il tredicesimo apostolo radunò attorno a sé. Questa comunità, proprio come il suo fondatore, è stata radiata dalla memoria della Chiesa. Un esame minuzioso del quarto vangelo e delle epistole attribuite a san Giovanni, permette tuttavia di farsi un'idea del suo tormentato percorso. Innanzitutto, attorno al discepolo beneamato si riuniranno degli ebrei arrivati a Gesù. E senza dubbio a quel gruppo iniziale che trasmetterà i suoi ricordi sul Gesù che ha conosciuto, vale a dire, in occasione dei soggiorni del Maestro a Gerusalemme. Contrariamente a ciò che accadrà per i vangeli sinottici, quella testimonianza oculare non sarà mai modificata. Essa non sparirà. Sarà solamente inglobata nelle costruzioni successive della comunità, in base alle sue evoluzioni. Questa comunità vive in ambiente aperto, in mezzo a un fermento che oggi si fatica a immaginare e che è confinato al contesto ebreo dell'epoca. Dunque, si scontrerà con tutte le tendenze, con tutti i gruppi di pressione che si incrociano con essa. Il primo scontro avverrà con Pietro e i suoi, che presto sosterranno di essere i soli rappresentanti del "pensiero corretto" in Giudea. L'opposizione tra il primo degli apostoli e il tredicesimo fu violento. Il quarto vangelo lo testimonia in molte occasioni. Da qui nasce senza dubbio, da parte della sua comunità, un sentimento di esclusione che la perseguiterà fino alla fine, tanto più che si materializza nei fatti: si potrebbe quasi parlare di "persecuzione larvata" della Chiesa dominante, quella di Pietro, nei confronti della comunità del discepolo beneamato. 28 Paolo stesso, nelle lettere che sono state autenticate, non
divinizza Gesù. Segna addirittura la distanza che separa nettamente l'uomo-Gesù, «nato da una donna, nato dalla carne», dal Dio creatore. Sono delle comunità (efesini, filippesi, colossesi) che segneranno progressivamente una svolta, senza dubbio dopo la morte del loro fondatore.
Poi c'è il confronto con i giudei, che non fanno differenze e inglobano questa comunità nella diffidenza, poi nell'odio e nell'esclusione dalle sinagoghe, di cui furono vittime tutti i "cristiani" durante i loro inizi in territorio giudeo. Infine, c'è l'incontro con i non-ebrei, considerati "pagani" da ebrei e cristiani, ma la cui filosofia e le religioni misteriche eserciteranno sul cristianesimo nascente un fascino che presto diverrà un'impronta. Sotto la pressione di queste influenze, la comunità del tredicesimo apostolo conoscerà forti tensioni interne, incentrate su una questione fondamentale, che la Chiesa ci metterà sette secoli a risolvere: l'identità di Gesù, che diverrà sempre meno il nazoreno e sempre più il Cristo. Senza che questo termine, tuttavia, significhi ancora una divinizzazione completa dell'amico incontrato sulla sponda del Giordano. E ciò che gli specialisti chiamano una "cristologia bassa": Gesù non è più uomo comune, ma gravita ancora nell'orbita della "normale" umanità. Durante questo incerto periodo di maturazione identitaria, i samaritani giocheranno un grande ruolo. Erano ebrei, ma in seguito a uno dei numerosi scismi del giudaismo, avevano abbandonato il culto del tempio di Gerusalemme. Per un ebreo ortodosso, era il solo luogo dove si potesse ottenere la riconciliazione con Dio, attraverso il sacrificio di animali. Ed era il cuore, l'anima di Israele. I samaritani rifiutano di recarvisi, e istituiscono sul monte Garizim (al centro della Samaria) un culto sostitutivo. In seguito, a causa dell'allontanamento, i loro concetti religiosi evolveranno, e si scosteranno da quelli dell'ebraismo ortodosso. Per i samaritani, il Messia non doveva necessariamente provenire dalla genia di Davide. Dato che nulla provava che Gesù fosse discendente di David 29, fu forse più facile per loro che per degli ebrei convertiti ammettere che quell'uomo era davvero il Cristo, ossia il Messia. 29 Ed è proprio per questo che nei due prologhi dei loro
vangeli Matteo e Luca collocano Gesù nella stirpe davidica.
Essi hanno dunque giocato un ruolo importante nel modo in cui evolse, rapidamente, la percezione dell'identità di Gesù attorno al tredicesimo apostolo. Solo il quarto vangelo, nel lungo quarto capitolo, racconta il soggiorno di Gesù in Samaria. Il narratore precisa che «lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni» 30. Quando si sa con quale minuzia gli ebrei evitavano ogni contatto con i samaritani, si comprende che non è casuale l'esistenza di quel quarto capitolo. Ma nel quarto vangelo, niente è mai anedottico. Leggete questo capitolo per intero. Vi troverete il tocco letterario del tredicesimo apostolo: il cruccio della cosa vista, della realtà quotidiana, dei piccoli dettagli sull'amatissimo amico. Egli racconta che Gesù ha appena percorso a piedi una lunga strada, e stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Mezzogiorno, l'ora in cui il sole è alto nel cielo... Come ci si può aspettare, Gesù ha sete. Arriva una donna, una samaritana, doppiamente impura per un uomo ebreo. Quando Gesù la vede calare la sua giara nel pozzo, le dice: «"Dammi da bere [...] e io ti darò acqua viva". Gli disse la donna: "Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? [...] [in ogni caso], dammi di quest'acqua, perché [...] non continui a venire qui ad attingere acqua!"» 31. Unico, questo tipo di annotazione è totalmente assente negli altri vangeli. Ma nessuno dei loro autori era là, nessuno ha visto ciò che racconta. In questo capitolo, si trova l'essenziale del messaggio del tredicesimo apostolo; la condanna dei culti e dei riti, sostituita dal culto "in spirito e in verità". L'impossibilità di 30 Gv 4,40. 31 Gv 4, 6-15.
sapere qualsiasi cosa di Dio, se non che Egli è spirito, appunto. E ciò significa che Dio è tutt'altro, tutt'altro rispetto agli uomini, e tutt'altro rispetto a quel Gesù che chiacchiera con familiarità, nell'ora più calda del giorno, con un'estranea alla quale chiede da bere... lei che gli dice (è il tredicesimo apostolo che parla): «Vedo che tu sei un profeta!». Una frase che, tuttavia, senza dubbio non appartiene al narratore. E stata aggiunta in seguito, sotto l'influenza degli stessi samaritani: «Gli rispose la donna: "So che deve venire un Messia, cioè il Cristo: quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa". Le disse Gesù: "Sono io, che ti parlo"» 32. Era la condizione dell'unione dei samaritani al nuovo profeta. Bisognava che potessero pensare, poi dire, che era davvero lui il loro Messia, colui che essi attendevano, non quello degli ebrei. Già con questo esempio, si nota come il racconto del tredicesimo apostolo sia stato modificato, con l'aggiunta di piccole frasi, di piccoli ritocchi, senza tuttavia sparire. E questo episodio ci permette di correggere ciò che dicevamo all'inizio: è vero che il tredicesimo apostolo è un notabile di Gerusalemme. È vero che non ha accompagnato Gesù lungo tutte le strade di Galilea. Ma con lui ha intrapreso qualche spostamento, in Samaria, e un po' prima alle nozze di Cana (Gv 2, 1-12) dove si ritrova la stessa sottile mescolanza di testimonianza vissuta, indiscutibile, e di interpretazioni aggiunte da coloro che verranno dopo di lui.
32 Gv 4,25-26.
La scissione della comunità A partire da qui, gli accadimenti s'infittiscono, e si ha la sensazione che anche i migliori specialisti 33 fatichino a districarli. Nell'attesa, si può tuttavia dire quanto segue. La prima grande crisi della Chiesa scoppia nel 48 d.C., nel corso di ciò che talvolta si è chiamato "il concilio di Gerusalemme". Erano trascorsi diciotto anni dalla morte di Gesù. Si trovano a confronto due gruppi violentemente opposti; da una parte gli ebrei locali, sui quali Paolo ironizza dicendo che continuano a "giudaizzare", come se Gesù non fosse esistito. Essi sono ferocemente attaccati ai tabù alimentari del giudaismo ortodosso e alla circoncisione. Dall'altro i "greci" di Paolo, ebrei della diaspora che vogliono abbandonare tutto ciò per consentire l'apertura della loro missione al mondo non-giudeo. I membri della comunità del tredicesimo apostolo si troveranno in una situazione ambigua con ciascuna di quelle tendenze, e si opporranno a tutte. Quelli che vengono dall'ebraismo, fedeli all'insegnamento del tredicesimo apostolo, e per i quali Gesù è un profeta superiore a ogni altro, che ha abolito i tabù alimentari, e i riti come la circoncisione, si oppongono agli ebrei ortodossi. Ma i samaritani non possono accettare la manomissione di Paolo sulla persona di colui che egli chiama già il "Cristo"; un Cristo, vale a dire un Messia alla sua maniera, non alla loro. E né gli uni né gli altri tollerano questo nome, questo Paolo che non ha mai visto Gesù, e pretende di conoscerlo bene, o addirittura meglio, del loro fondatore, che lo ha incontrato per primo sulla sponda del Giordano e lo ha seguito fino alla croce. Alla fine, dunque, si allontanano dalla Chiesa e dai suoi sussulti, e divengono dei dissidenti. Racconto di questa assemblea decisiva nel capitolo 28 di Georg Richter, Marie E. Boismard, Wolfgang Langbrandtner, Raymond E. Brown, John P. Meier... 33
Il tredicesimo apostolo. E quando immagino che è proprio quel giorno che una frattura definitiva si crea tra il mio eroe, la sua comunità e il resto della chiesa nascente, non dispongo di alcuna prova storica; tuttavia è assolutamente verosimile. In seguito, la comunità del tredicesimo apostolo, resa debole da questa prova, incontrerà nuovi membri, venuti senza dubbio dal mondo greco. Sotto la loro influenza, Gesù sarà considerato sempre di più come Dio, uguale a Dio. Già per i samaritani egli era il Messia: un po' più di un uomo, ma meno di Dio. I nuovi venuti segnano una nuova tappa (quella che gli specialisti chiamano il passaggio alla "cristologia alta"), di tutt'altra portata; Gesù è identificato con il Dio creatore, egli lascia il mondo umano per essere spostato su un'orbita divina. È un totale snaturamento della testimonianza del tredicesimo apostolo, un tradimento puro e semplice. La comunità allora si scinderà in tre gruppi: 1. Coloro che si schiereranno con l'evoluzione avviata dalle comunità paoline, e che diverrà quella della Grande Chiesa: Gesù è un Dio. La formula delle comunità paoline era ancora maldestra. Una generazione più tardi, i cristiani discendenti dalla comunità del discepolo beneamato, e che si sono "schierati" con la corrente divenuta maggioritaria, andranno più lontano. Vivono nell'est del bacino mediterraneo, sono in stretto contatto con lo gnosticismo, filosofia popolare multiforme, in piena espansione nell'impero romano. Con incredibile audacia, utilizzeranno i modi di pensare, e talvolta il vocabolario, di questa filosofia per formulare definitivamente la divinità di Gesù. Ed è il prologo del quarto vangelo: «In principio era il Verbo [Lògos] E il Verbo [Lògos] era presso Dio E il Verbo [Lògos] era Dio. Egli era in principio presso Dio:
Tutto è stato fatto per mezzo di lui, E senza di lui niente è stato fatto [...]. Egli era nel mondo, E il mondo fu fatto per mezzo di lui. E il Verbo [Lògos] si fece carne...» 34. 34 Gv 1,1-3,14.
Tre osservazioni. Innanzitutto, bisogna leggere questo testo in greco: anche se non si conosce bene questa lingua, si capisce immediatamente, a orecchio, che ci si trova di fronte a uno dei vertici della poesia antica. Colui che ha scritto il prologo non era né un "incolto" né un "illetterato". Poi, chi è quel Lògos? Ma è Gesù, molto semplicemente, o almeno Gesù divenuto Dio. Per gli ebrei fedeli al libro della Genesi, Dio prima di tutto è Colui che crea. La Bibbia comincia con questa proclamazione solenne: Beress'hit bara Elobim, al principio, Dio creò. E il prologo vi si avvicina il più possibile: En arché èn o lògos, al principio, era il Verbo. In breve, precisando che "tutto è stato fatto per mezzo di lui" - anche il mondo naturale - l'autore sfugge alla trappola dello gnosticismo, per il quale la materia era impura; dunque essa non poteva essere stata creata da Dio. Sa conformarsi (filosoficamente) al suo tempo, ma senza perdere di vista il suo obiettivo: collocarsi nella continuità biblica. 2. Quelli che rifiutano questa divinazione, ma non vogliono lasciare i loro amici di Gerusalemme e la loro pratica giudaizzante. Essi si riuniscono allora nella comunità raccoltasi attorno a Giacomo, il fratello di Gesù. Dopo la morte di Giacomo (62 d.C.), dei cugini, poi dei
collaboratori della famiglia di Gesù succederanno a lui, fino alla trasformazione di Gerusalemme in Aelia Capitolina, città greca, dall'imperatore Adriano (nel 130 d.C.). La dinastia dei successori di Gesù ha dunque regnato a Gerusalemme dal 58 d.C. al 130 d.C., per settantadue anni. Povero rabbi, povero pescatore itinerante, che non aveva una pietra dove posare il capo, se solo avesse saputo! 3. Quelli che hanno voluto rimanere fedeli all'insegnamento del tredicesimo apostolo, a dispetto di tutti. Credo di poterli identificare con i nazoreni, che sovente sono stati accomunati agli ebioniti, una setta giudeo-cristiana. In realtà è un movimento autonomo, costantemente cacciato da tutti. Scriveranno un Vangelo dei nazoreni, che Origene conoscerà prima della sua distruzione da parte dall'odio della Chiesa. Forse lo si può assimilare al Vangelo degli ebrei, del quale possediamo qualche riga grazie a Eusebio di Cesarea. La grande Chiesa è stata così sollecita a cancellarne ogni traccia, che è difficile avere delle certezze su questo punto. Ma i nazoreni conosceranno una posterità inattesa. Chiunque legga il Corano, confrontando l'originale arabo, si accorge che nelle nostre traduzioni si parla spesso di "cristiani": ma l'autore del Corano ha scritto naz'ra, nazoreni. Ed è dal loro concetto di Gesù che attinge, per esporre la sua comprensione così particolare del cristianesimo. Dunque è grazie al Corano se possediamo una documentazione relativamente estesa sul modo in cui i nazoreni del VII secolo, rifugiatisi in Arabia (dove non sono andati a nascondersi dunque quegli sventurati!) avevano fatto evolvere l'insegnamento del tredicesimo apostolo su Gesù. Esiste tutta una pista di ricerche, che bisognerà esplorare. Ne Il tredicesimo apostolo, ho tentato di mettere in scena questa storia tanto confusa (e così piena di falle), dalla sparizione del discepolo beneamato alla fine del quarto vangelo, fino alla riapparizione dei nazoreni nel Corano.
Un doppiogiochista? Il tredicesimo apostolo è stato intimamente coinvolto negli ultimi giorni della vita di Gesù. Durante quell'ultima settimana, gli avvenimenti si concatenano velocemente; ciascuno di essi assumerà in seguito un valore simbolico, talvolta fondante della dottrina cristiana. Ritorniamo sul più problematico, perché il più profondamente nascosto dalla Chiesa nelle sue catacombe dell'oblio: chi ha tradito Gesù? Chi lo ha consegnato, e perché? Qui, il nostro metodo sarà quello dell'indagine poliziesca 35. Lo storico è talvolta il "detective" del passato. Cominciamo dunque dal crimine, per risalire al criminale. Il crimine: Gesù è stato tradito. I dignitari ebrei lo ammettono: non possono arrestare Gesù in pubblico, mentre è protetto dal suo scudo vivente, la folla dei simpatizzanti. Solo qualcuno a lui molto vicino, che conosce bene le sue abitudini, poteva sapere dove e quando trovarlo, da solo, per permettere un arresto in sordina nel clima inquieto del momento. Ora, i testimoni sono unanimi; nella notte di giovedì 6 aprile, tutti hanno visto Giuda l'Iscariota guidare i poliziotti in un oliveto dove Gesù si era rifugiato. Tutti lo hanno visto additare nell'oscurità il bivacco dei galilei, avvicinarsi al rabbi, e indicarlo agli uomini di Caifa. Le testimonianze provengono da fonti differenti, e sono concordi: l'investigatore le convalida. Ma solleva una domanda: come può l'Iscariota, il cui soprannome mostra che è conosciuto per le sue simpatie zelote, trovarsi quella sera a capo di un drappello di poliziotti, suoi nemici, che ha evitato accuratamente dal momento in cui è entrato in città poche ore prima, guidato dal portatore d'acqua? 35 Riassumo in poche righe la mia indagine, che ho esposto in Dìeu malgré lui, nouvelle enquéte sur ]esus, Robert Laffont, Paris 2001. Vi si troverà il dettaglio dei riferimenti giustificativi.
La risposta: perché era andato a incontrare Caifa qualche giorno prima, e aveva concluso con lui uno scambio: la libertà di Gesù per del denaro. Giuda avrebbe dunque preso, da solo, l'iniziativa di un contatto diretto con la più alta autorità giudea dell'epoca. È verosimile? Come avrebbe potuto un povero ebreo, e per di più Galileo, discepolo di un rabbi sul quale da qualche giorno pesava un mandato d'arresto, circolare in un quartiere invaso di poliziotti in allarme, a causa dell'afflusso di pellegrini per la Pasqua? Ma ammettiamo pure che sia riuscito a intrufolarsi; come può presentarsi alla porta strettamente sorvegliata del palazzo di Caifa, senza essere immediatamente riconosciuto e arrestato? E in seguito come può, molto semplicemente, ottenere udienza immediata presso il capo di Stato? L'idea stessa di una tale manovra non può essere farina del suo sacco. Bisogna fare attenzione, nei vangeli, al modo sprezzante con cui i dignitari ebrei si riferiscono alla gente della sua specie, per misurare lo sdegno con il quale trattano il popolo: «Questa gente che non conosce la Legge, è maledetta» 36. Giuda porta in sé quel giudizio, fin dall'infanzia. Eppure, il galileo povero ha davvero incontrato il sommo sacerdote, un accordo è stato veramente concluso tra di loro: e Caifa era il solo a poter collocare questa "gente" a capo di un drappello di poliziotti del tempio, che devono aver protestato tra i denti, prima di obbedire agli ordini. Conclusione dell'investigatore: se Giuda è arrivato all'interno del quartiere ovest, fino alla porta del palazzo, è perché qualcuno lo ha guidato. Se ha potuto penetrarvi, è perché qualcuno lo ha fatto entrare. Se vi ha incontrato Caifa, è perché qualcuno glielo ha presentato. Se ha concluso con lui un accordo, è perché qualcuno glielo ha suggerito. 36 Gv 7,49
Un solo uomo corrisponde esattamente a quell'identikit: il tredicesimo apostolo. L'uomo di Gerusalemme è dunque un doppiogiochista? L'amico di sempre, l'intimo del rabbi, che lo ospita in città, al quale ha presentato le sue conoscenze, che non lo abbandonerà al momento della crocifissione... è il mandante di un tradimento preparato da lunga data, che fa comunella con un terrorista per consegnare Gesù alle autorità del tempio, lui, un battista che li detesta? Per risolvere questa impasse, ho dovuto ridare il loro spessore umano a tre uomini cristallizzati, da secoli, nella versione politicamente corretta dei fatti: Giuda, Caifa e Pietro. Il tredicesimo apostolo si servirà della debolezza di ognuno, per ottenere l'arresto di Gesù. Perché questa incomprensibile manovra? Mi baso qui su un insieme di indizi convergenti. Prove insufficienti, forse, per lo storico - soprattutto quando affronta venti secoli di una verità-propaganda avvalorata ovunque (non ci troviamo forse nel cuore della leggenda sulla quale si fonda l'occidente cristiano?) - ma indizi sufficientemente forti per proporre una soluzione che tenga conto nello stesso tempo dei testi, del contesto e della verosimiglianza. Il tredicesimo apostolo appare dunque come il mandante dell'arresto di Gesù, che avviene nel momento in cui il Maestro esce dalla sua casa, ma anche nel momento in cui un attentato si prepara contro il tempio e i suoi dignitari. I vangeli testimoniano di una situazione preinsurrezionale in Palestina, precisando che certi apostoli vi si preparano, e sono armati. Il nostro uomo è l'unico a poter portare un giudizio d'insieme su questa pentola che bolle, le sue relazioni gli forniscono la necessaria obiettività per valutare le informazioni che mancano agli apostoli, e che il loro fanatismo non permetterebbe loro di analizzare. Giudica che la situazione non è matura. Lo sarà trentotto anni più tardi, quando la guerra ebrea permetterà agli zeloti di impadronirsi di Gerusalemme. Lo sente, e misura il pericolo che correrebbe Gesù, se fosse associato a quel tentativo
votato al fallimento. Ho dunque messo in scena l'unica possibile soluzione. Se il tredicesimo apostolo fa in modo che Gesù sia arrestato, è per metterlo al sicuro dai suoi apostoli accecati dal fanatismo. Seguita fino alla fine, questa ipotesi fa nuova chiarezza sulla personalità dei due apostoli, ai quali una leggenda evangelica (divenuta intoccabile) attribuisce dei ruoli caratterizzati. Giuda, divenuto per sempre l'archetipo del male, posseduto da Satana che agisce e si esprime in lui. E Pietro, il pescatore pentito, che riceve da Gesù stesso il perdono e che servirà come cauzione nei secoli a quelli che commetteranno dei crimini. Povero Giuda, povero ingenuo, ha davvero partecipato al tradimento. «Nel dramma... che è la morte di Gesù, Giuda non svolge che un ruolo strumentale: egli è la "spia" 37.» Come giudicarlo? Se lo si giudica soltanto dagli atti, è colpevole di essere complice di un assassinio. Ma se invece si giudicano le intenzioni, i moventi profondi? Non ha premeditato l'atto odioso, come i suoi mandanti. Non è innocente, ma nemmeno così colpevole. «Giuda non ha "tradito"... Egli ha commesso un grave errore di giudizio, prigioniero com'era della propria convinzione di agire bene 38.» Ingenuo, il tredicesimo apostolo non lo è di sicuro. Al contrario, sulla situazione ha uno sguardo lucido e ha preso - nell'urgenza - un'iniziativa che non aveva altro scopo che di proteggere l'amatissimo amico e maestro. Le cose non sono andate come sperava. Gesù è stato consegnato all'autorità romana senza possibilità di appello, epilogo disastroso che i protagonisti non avevano immaginato. Il seguito lo conosciamo. Questa spiegazione non appartiene dunque alla finzione. 37 Xavier Leon Dufour, gesuita e autorevole esegeta cattolico:
Judas, homme de fot?, in «Etude», 1997, p. 654. 38 Xavier Leon Dufour, op. cit., p. 656
Ne rivendico la pertinenza, e suggerisco a chi si sente urtato (a giusto titolo) di leggere attentamente il mio dossier Dieu malgré lui 39. Di leggerlo a priori, ed è difficile, vista la posta in gioco: l'immaginario cristiano. 39 Op. cit.
Il fratello legittimo? Se il tredicesimo apostolo è stato cancellato dalla memoria cristiana, non è solamente in seguito a un reale conflitto di ambizioni. Ma è anche perché era il solo a conoscere le circostanze del tradimento di Gesù, e il ruolo giocato da Pietro. E Giuda, divenuto testimone fastidioso per la rispettabilità del primo degli apostoli, deve sparire. In effetti, muore qualche ora dopo la crocifissione di Gesù. Si è impiccato, roso dai rimorsi? È la versione ufficiale della Chiesa, ma non resiste all'esame. È stato assassinato, sventrato, come descrive Luca che attribuisce a Pietro negli Atti 40 un discorso sotto forma di confessione? E l'ipotesi che prendo in considerazione, poiché essa si basa su un mucchio di indizi sufficientemente forti per osare questa accusa. Ormai, una lotta per la legittimità sta per instaurarsi tra il discepolo beneamato e gli apostoli. Innanzitutto, lo si è visto, egli affronta Pietro e la sua comunità di Gerusalemme. Ma il primo dei dodici si eclisserà progressivamente, prima di essere eliminato dal potere di Giacomo. Il quale possiede un vantaggio: è il fratello di Gesù, suo fratello di sangue 41. Il riflesso legittimista si 40 At 1,18. 41 Sulla questione dei fratelli e delle sorelle di Gesù sono stati versati fiumi d'inchiostro. Dal punto di vista dell'analisi dei testi, appariva che Gesù era proprio il maggiore di un gruppo di fratelli e sorelle. Quando la chiesa rifiuta di ammettere questa evidenza, è per ragioni dogmatiche. Vedere, tra gli altri, F. Refoulé (domenicano cattolico), Les frères et soeurs de Je'sus. Frères ou cousins?, DDB, Paris 1995.
insedia a Gerusalemme, dove si è visto che una dinastia familiare prende il potere fino alla fine, fino al 30 d.C. Per tenere testa a questa legittimità di sangue, la comunità del discepolo beneamato tenterà di inventare per il proprio fondatore una legittimità che gli sia superiore: la scelta di Gesù in persona al momento della sua morte, il suo testamento. Un po' come Paolo invocherà la scelta di Dio per legittimare la sua qualità di apostolo, non avendo mai conosciuto Gesù. Il risultato, è una breve scena, è presente solo nel quarto vangelo. Una scena divenuta emblematica, rappresentata ovunque nell'arte cristiana, e che ha dato luogo a infiniti commenti. Gesù è appena stato crocifisso. La testimonianza dei vangeli sinottici è formale: un distaccamento di soldati romani, comandati da un centurione, presidiava il luogo dell'esecuzione e vigilava affinché nessuno si avvicinasse ai condannati. Si ha la conferma di questa pratica in un aneddoto del Satiricon 42 di Petronio, che racconta i lamenti di una vedova alla quale i soldati impediscono di andare a deporre il marito crocifisso. Sono presenti numerosi spettatori. Il luogo detto Golgota si trovava bene in vista, di fronte alla porta ovest di Gerusalemme, con l'intento di incutere terrore nella popolazione. Ma tutti quegli spettatori si tenevano a distanza, notano i vangeli; ciò conferma le informazioni che possediamo, per altro, sullo svolgimento della crocifissione. Nessuno spettatore era autorizzato ad avvicinarsi ai piedi delle croci, e a parlare ai suppliziati. Tuttavia, nel quarto vangelo si trova il racconto di un dialogo tra Gesù e la madre: «[Stava] presso la croce di Gesù sua madre [...]. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio!" Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre." E da quel momento, il 42 Satiricon, CXII.
discepolo la prese nella sua casa» 43. Incontro totalmente improbabile, e totalmente inventato. Perché, e da chi? Niente, nello stile, reca l'impronta abituale del tredicesimo apostolo: quei dettagli, quel sentimento di "cosa vista" ai quali siamo abituati. Questa notizia, impersonale, non è redatta da lui. Essa è stata aggiunta dalla sua comunità, e senza dubbio dopo la morte del fondatore. Perché? Perché nel racconto si vuole leggere il testamento di Gesù, indirizzato all'amico. «A partire da questo momento tu sei il mio fratello spirituale, poiché mia madre è anche tua madre». Spinta dalla necessità di affermarsi, la comunità non esita ad attribuire al tredicesimo apostolo il titolo di "fratello di Gesù", non per il sangue, come Giacomo, ma per l'ultima volontà dello stesso Gesù. Fratello ed erede di Gesù. La sua comunità può dunque aspirare, come Giacomo, al primo posto. Sì, il tredicesimo apostolo era presente alla porta ovest di Gerusalemme, nell'atmosfera pesante e opprimente di quell'ultima crocifissione prima dell'inizio della pasqua ebraica del 30 d.C. Se ne ha la prova con la descrizione dell'agonia di Gesù: è un uomo sconvolto che racconta, nel modo così personale che gli conosciamo. Ma non si trovava ai piedi della croce. Ha assistito, da lontano, a un gesto di compassione di un legionario che dà da bere all'agonizzante. Ha visto il colpo di lancia, ed è il solo a riportare quel fatto storicamente verosimile, con una penna tremante per l'emozione. Ha visto, da lontano, ed era l'unico di tutti gli apostoli, che si erano dati alla fuga dopo la cattura di Gesù nel giardino degli Olivi. Ha visto, ma è la sua comunità a inventare il dialogo ai piedi della croce. Quando essa aggiunge che «da quel momento accoglieva Maria a casa sua», dice una menzogna. Egli l'ha veramente ospitata, ma non dal momento della morte del crocifisso, ma qualche settimana dopo, e insieme con i superstiti dell' 43 Gv 19,25-27.
"avventura Gesù". Si ritroveranno nella sala alta della sua casa «insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui» 44. In seguito, l'ha tenuta presso di sé? La tradizione lo afferma, ed è possibile. Quando, ne Il tredicesimo apostolo, mostro Maria che ha seguito il nostro eroe fino a Pella, prima tappa del suo lungo viaggio, il fatto è molto verosimile. Si sa da fonte certa che un tempo dei cristiani si sono rifugiati in questa città della Transgiordania, con alcuni membri della famiglia di Gesù. Ma non si sa nulla di più. Né Maria, né il discepolo beneamato vengono menzionati. Ciò che invento è coerente con le scarse informazioni che possediamo, la finzione prolunga la Storia. Quel potere rivendicato che procura l'eredità spirituale conferirà al quarto vangelo un peso considerevole, perché il suo autore sarà poco a poco assimilato a uno dei dodici apostoli, Giovanni l'evangelista. Che gli ruberà la scena. 44 At 1,14.
L'addio della comunità La morte del tredicesimo apostolo è stata, per quelli che gli erano rimasti fedeli (e che identifico con i nazoreni) un considerevole shock. Con lui spariva il migliore, e uno dei rari testimoni oculari del percorso pubblico di Gesù nella sua totalità, dagli inizi sul Giordano fino alla fine, davanti al Golgota. Lo aveva visto emergere dall'anonimato, nella luce tremolante e incandescente del deserto. Con lui, aveva sentito risuonare la voce terribile di Giovanni Battista, che fu loro comune maestro e rese possibile il loro insperato incontro. Aveva accompagnato Gesù in Samaria, dove raccoglierà dei discepoli che in seguito avranno il ruolo che conosciamo. Egli lo aveva soprattutto rivisto e seguito da vicino in ciascuno dei suoi spostamenti a Gerusalemme. Era stato l'attore, e il testimone inorridito, degli ultimi
istanti di quell'uomo per il quale provava un misto di fascino e profonda amicizia. La sua comunità ha potuto sperare che non sarebbe morto. Essa testimonia, nello stesso tempo, questa folle speranza e la sua disperazione nelle ultime righe del quarto vangelo: «Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava e gli aveva domandato: "Signore è lui che ti tradisce?". Pietro, dunque, vedutolo, disse a Gesù: "Signore, è lui?". Gesù gli rispose: "Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi." Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: "Se voglio che rimanga finché io venga che importa a te?"» Gv 21,20-23 La comunità ("i fratelli") testimonia solennemente che tutto ciò che è stato conservato di lui in questo vangelo corrisponde proprio alla sua testimonianza, a ciò che ha visto: «Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti: e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera» Gv 21,24 Con ciò, trasformato a inserire contraddice
essa si oppone vivamente a quelli che hanno Gesù, prima in Cristo, poi in Dio: sono riusciti la propria testimonianza nel testo, che la precedente:
«[Tutti quei segni] sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio» Gv 20,30 Tenute a poche righe di distanza nel vangelo, come ci sono giunte, queste due proclamazioni che si oppongono testimoniano, in modo eloquente, del destino tormentato di
un gruppo di uomini guidati da colui che aveva visto. Il miracolo è che tutto è stato conservato nel testo finale. Ed è là, certamente, il segno eccezionale del tredicesimo apostolo. Accaniti nel farlo sparire, i suoi nemici non hanno osato toccare la sua testimonianza. Correggendolo fino a tradirlo, gli hanno offerto il più bello degli omaggi: grazie a loro noi sappiamo, come padre Nil, che la verità finisce sempre per riemergere.
Conclusione: la posterità del tredicesimo apostolo Nessun esegeta, membro di una chiesa, associa esplicitamente, come ho fatto io, l'autore della confessione iniziale del quarto vangelo al tredicesimo apostolo. Tutti i loro lavori conducono a questa conclusione, ma nell'edificio dei dogmi essa crea una crepa troppo pericolosa perché possano assumerla. Per diciannove secoli, la versione ufficiale dei fatti si è dunque imposta all'Occidente cristiano, basata su una lettura tronca dei testi. Ma da una cinquantina d'anni, dei ricercatori ebrei, protestanti ma anche cattolici, applicano a quei medesimi testi il metodo rigoroso dell'esegesi storico-critica. I loro risultati, ai quali mi ispiro per divulgarli, sono confidenziali e praticamente sconosciuti al popolo cristiano, o a quel che ne rimane. I miei lavori, guidati da alcuni di quei ricercatori, mi hanno dapprima turbato profondamente: rimettevano in discussione tutto ciò che avevo compreso, tutto ciò che avevo creduto del cristianesimo della mia infanzia. Poi, poco a poco, un viso è affiorato dall'ombra. Quello del rabbi galileo che tentò, invano, d'instaurare una riforma radicale del giudaismo dei suoi padri. Senza Paolo e coloro che lo hanno seguito, noi non saremmo cristiani. Saremmo degli ebrei riformati. E forse non ci sarebbe stato l'Islam, né
"soluzioni finali" nella storia. La faccia del pianeta sarebbe diversa. È ciò che Gesù il nazoreno sperava, è ciò che ha tentato proponendo una via nuova, estremamente esigente tanto sul piano personale quanto su quello sociale. Ma l'uomo che ho scoperto è profondamente attraente, infinitamente amabile, e infinitamente amoroso. Capisco che il tredicesimo apostolo sia stato soggiogato da lui. Non fu il solo. La sua posterità resta (e resterà senza dubbio per lungo tempo) nascosta, tra coloro che sanno scoprire il viso di Gesù dietro la facciata che gli ha imposto la Chiesa. Posterità discreta, beffarda del baccano della storia quanto la goccia nel mare che, per quanto piccola è necessaria per far emergere l'onda*.
* La traduzione delle citazioni bibliche è a cura della Conferenza Episcopale Italiana.
Stampa: Mondadori Printing S.p.A. Stabilimento NSM - Cles (TN)
Michel Benoit Biologo di formazione, è stato monaco benedettino per 20 anni, di cui 5 trascorsi in Vaticano. Specialista di origini del Cristianesimo, è autore di diversi saggi tra cui Dieu malgré lui. Nouvelle enquète sur Jésus, che fa il punto sulla ricerca storica sull"affaire Gesù". Il tredicesimo apostolo, suo primo romanzo, è stato venduto in 16 paesi.