ELIZABETH FERRARS IL TESTAMENTO INCREDIBILE (Last Will And Testament, 1978) Personaggi principali: EVELYN ARLISS la defu...
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ELIZABETH FERRARS IL TESTAMENTO INCREDIBILE (Last Will And Testament, 1978) Personaggi principali: EVELYN ARLISS la defunta VIRGINIA FREER amica di Evelyn FELIX FREER marito di Virginia IMOGEN DALE NIGEL TUSTIN nipoti della signora Arliss PAUL GOSS nipote di Imogen PATRICK HUDDLESTON avvocato della signora Arliss MEG RANDALL segretaria della signora Arliss RITA e JIM BODWELL domestici di casa Arliss Ispettore CHANCE Sergente PEABODY della polizia di Allingford 1 Erano passate da poco le otto di mattina, di una incantevole mattina di maggio, quando infilai la chiave nella serratura della mia casa in Ellsworthy Street e aprii la porta. Capii immediatamente che c'era qualcosa di strano. Nella casa aleggiava odor di fumo e io avevo smesso di fumare da dieci anni. Mi richiusi la porta alle spalle con un discreto fragore, appesi il soprabito all'attaccapanni dell'ingresso ed entrai in soggiorno. «Oh, sei tu, naturalmente» esclamai. «Che cosa ci fai in casa mia?» Felix Freer, che era stato mio marito, si alzò dal divano dov'era comodamente sdraiato e mi guardò con uno dei suoi sorrisi un po' impacciati. «E tu, Virginia, dove sei stata tutta la notte?» domandò a sua volta invece di rispondere. «Sono stato terribilmente in ansia!» «Quando sei venuto?» «Ieri sera verso le dieci.» «Che cosa vuoi?» «Ma santo cielo, perché usi sempre questo tono con me?» Spense la sigaretta nel posacenere. «Avevo da fare qui nei dintorni, così ho pensato di fare un salto a scambiare quattro chiacchiere con te. Tutto qui. Invece tu non sei rientrata e quando mi sono accorto che non ti eri portata via niente,
nemmeno lo spazzolino da denti, ho pensato che era meglio restare qui, nel caso che fosse successo qualcosa.» «Non ti è venuto in mente che potevo essermi comprata uno spazzolino nuovo? Lo faccio, di tanto in tanto.» «D'accordo, d'accordo. Ma non c'era la tua macchina e ho pensato che potevi anche avere avuto un incidente. Avevo bell'e deciso che avrei telefonato agli ospedali e forse anche alla polizia, se non fossi ricomparsa per le nove di stamane. A volte capitano cose terribili; c'è gente che sparisce, d'improvviso, e non se ne sente parlare mai più. Non avresti voluto che me ne andassi senza sapere che cosa ti era accaduto, no?» «Il giorno in cui ti rivolgerai alla polizia per aiuto, sarà davvero una giornata memorabile.» Mi lasciai cadere su una sedia. Ero troppo stanca per avvertire la sorda collera disperata che si impossessava di me ogni qualvolta vedevo Felix. Eravamo separati da cinque anni, ormai, ma non ero ancora riuscita a scacciare l'amarezza rimastami in cuore dopo quella breve esperienza matrimoniale. Felix e io avevamo entrambi trentatré anni quando ci eravamo sposati e trentasei quando ci eravamo divisi senza nemmeno prenderci il disturbo di chiedere il divorzio. Ognuno era andato per la propria strada e basta. Lui aveva continuato la sua vita misteriosa e non troppo limpida a Londra, io ero tornata nella casa ereditata da mia madre ad Allingford, la cittadina dov'ero cresciuta e dove avevo ripreso il mio vecchio lavoro a metà giornata come fisioterapista. Non avrei neppure avuto bisogno di lavorare: mia madre mi aveva lasciato tanto da poter vivere, anche se non da nababbi, ma ero tornata all'ambulatorio perché preferivo quel lavoro allo sferruzzare, al golf e al bridge. Quanto a ciò che faceva Felix, preferivo non saperne troppo. «Come sei entrato?» gli domandai. «La porta era chiusa a chiave.» «Be', ho certi aggeggi che aprono molte serrature» rispose lui, calmo. «E la tua non è particolarmente difficile. Ti consiglierei di cambiarla.» «Lo farò di certo! Non mi piace affatto l'idea che la gente possa entrare tranquillamente in casa mia mentre io sono fuori.» «Io non sono "la gente". Non saremo arrivati a questo punto, spero! Del resto, se la notte scorsa ti fosse capitato qualcosa, non sarebbe stato un bene che io fossi qui?» «Se avessi avuto veramente bisogno di te, non ci saresti stato di sicuro!» «Questo non è molto leale da parte tua.»
«Lo so, ma non ho mai voglia di essere leale quando parlo con te. Sei tu che mi ispiri.» «Comunque, dove sei stata stanotte?» Si era seduto di nuovo sul divano e aveva acceso un'altra sigaretta. Usava come posacenere un piattino che era lì sul pavimento accanto a lui, già colmo di mozziconi fino all'orlo. Poiché Felix non si alzava mai a ore antelucane, anche presumendo che si fosse messo subito a fumare appena alzato, pareva proprio che si fosse preoccupato davvero per la mia assenza, la sera avanti, se era rimasto ad aspettarmi tanto da arrivare ad ammucchiare tutti quei mozziconi. Quel piattino, i cuscini schiacciati e il libro che stavo leggendo il pomeriggio precedente e che era rimasto lì aperto sulla poltrona come l'avevo lasciato quando, dopo la telefonata, ero uscita di corsa, davano un'aria di trascuratezza e di disordine a quella stanza che mi era sempre piaciuta tanto, col suo aspetto un po' vittoriano, i bei mobili di epoche diverse che però non contrastavano fra loro, qualche quadro non eccezionale ma gradevolissimo, un certo numero di poltrone accoglienti e una piccola veranda affacciata sul minuscolo giardino rallegrato, in quel periodo, dalla grazia delicata dei lilla in fiore. Felix fumava in fretta, con gesti nervosi, soffiando verso di me nuvolette di fumo, come se sentisse il desiderio di mettere uno schermo qualsiasi fra noi due. Sedeva con le gambe divaricate e i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Notai per la prima volta che c'era qualche filo grigio fra i suoi capelli biondi. Tuttavia invecchiava molto meglio di me. A quarantun'anni era ancora il bell'uomo che avevo sposato, anzi era forse più affascinante. Quel suo fascino infantile che si era protratto ancora a lungo dopo la trentina andava ora trasformandosi in una spiccata nota di distinzione. Quanto prima sarebbe stato in grado di farsi passare per il "professor" Felix Freer o per un importante funzionario del ministero della Difesa, addetto ad affari della massima segretezza o addirittura per un ricco banchiere che, guarda caso, proprio quella volta lì aveva dimenticato a casa il portafoglio. Di media altezza e di corporatura sottile, aveva un viso quasi triangolare, dalla fronte ampia e dal mento appuntito, con strane palpebre un po' cadenti che rendevano quasi triangolari anche i suoi occhi dal vivido sguardo azzurro sotto le folte sopracciglia bionde. La bocca larga e carnosa conferiva al suo viso un'espressione cordiale che per altro non era affatto ingannevole. Alla sua maniera, Felix era un uomo cordialissimo. Vestiva in maniera accurata e tradizionale, ma con quel tanto di disinvoltura che bastava per
mettere la gente a proprio agio. Erano ben poche le persone con le quali il giochetto non gli riusciva, se ci si metteva d'impegno. «Se proprio vuoi saperlo» risposi «sono stata fino a ora a casa della signora Arliss. La povera signora è morta qualche ora fa. Mi hanno chiamata d'urgenza ieri pomeriggio e da allora sono sempre rimasta là. Ora sono venuta a casa per fare un bagno e cambiarmi, ma bisogna che torni là subito: in casa ci sono soltanto la segretaria, una brava figliola ma ha soltanto ventidue anni, la governante e l'autista.» «La signora Arliss?» fece eco Felix. «Sicché se n'è andata anche lei, poveretta! Ne sono sinceramente addolorato e so che per te dev'essere stato un colpo molto duro. Le eri profondamente affezionata, vero?» «Penso di sì.» In realtà, almeno fino a quel momento, non provavo altro che un'immensa stanchezza e un bisogno quasi patologico di immergermi in un bel bagno caldo. Mi sentivo sudicia e in disordine, con la pelle impastata dal trucco del giorno avanti e gli occhi indolenziti come se qualcuno me li avesse pigiati coi pollici dentro l'orbita e fossero per di più pieni di sabbia. «Come mai non c'è nessun parente?» s'informò Felix. «La fine è sopraggiunta all'improvviso» spiegai. Chiusi per un momento gli occhi, ma li riaprii quasi subito, conscia del fatto che, se avessi soggiaciuto a quella tentazione, mi sarei addormentata lì dove mi trovavo. «Ha avuto un colpo tre settimane fa e allora erano venuti Imogen e Nigel, ma poi era sembrato che si riprendesse abbastanza bene. Le era rimasta una leggera paralisi del lato sinistro del corpo e la parola un po' confusa, ma la mente era perfettamente lucida e le sue condizioni generali miglioravano costantemente, così Imogen e Nigel se ne erano tornati a casa. Poteva darsi che la signora Arliss tirasse avanti ancora per anni, in fin dei conti. Accade, a volte, e loro due non potevano trattenersi lì all'infinito. Oltre tutto, la signora Bodwell, la governante, è una donna molto in gamba e alla sua maniera lo è anche la segretaria, Meg Randall. La signora Arliss le voleva molto bene. Le piaceva avere gente giovane intorno. Poi ieri pomeriggio, all'improvviso, ha avuto un altro colpo e non ha più ripreso conoscenza. È morta stamattina alle cinque.» «E come mai questa signorina Randall ha telefonato a te invece di chiamare qualcuno della famiglia?» «Perché ero la più vicina, suppongo. Se avesse telefonato a Imogen o a Nigel, sarebbero passate ore prima che arrivassero e nel frattempo la signora Arliss poteva anche morire. Questo mi fa ricordare che debbo tele-
fonare a tutti e due. Ho promesso a Meg che ci avrei pensato io.» «Vuoi dire che non sanno ancora che la loro zia è morta?» «No, c'è stato da pensare a tante di quelle cose... E in un certo senso, dal momento che la signora ormai era morta... non sembrava più tanto urgente, capisci?» «Ma sembrerà molto urgente a loro. Piomberanno qui in un lampo, vedrai. Come ha disposto del proprio denaro, la signora Arliss? Lo sai?» Scossi la testa. «No, e credo che neppure loro lo sappiano. Cambiava continuamente il suo testamento, o quanto meno ne faceva un gran parlare. Ma non so se l'abbia mai fatto veramente. Sono propensa a credere che lo dicesse soltanto per tenerli sulla corda. Le dava una piacevole sensazione di potenza.» «Chissà, forse avrà lasciato qualcosa anche a te» ipotizzò Felix. «No, aveva detto che a me non avrebbe lasciato niente perché il denaro doveva restare in famiglia e perché era certa che sarebbe finito tutto in mano tua. Me lo ha detto quando mi ha regalato i gioielli di Mary: li ricorderai bene, tu, visto che sei andato a impegnarli approfittando della mia assenza. E ho dovuto sborsare un bel po' di denaro per recuperarli...» Mi interruppi di colpo, chinandomi in avanti. «Oh, non sarai venuto qui per questo, spero! Ti sei servito ancora?» La sua bocca larga si incurvò in una smorfia di doloroso sdegno. «Come se fossi capace di fare una cosa del genere! Quella volta ero... be', mi trovavo in difficoltà e sapevo che, se avessi potuto parlarti più a lungo della mia situazione, non te la saresti presa.» «Niente ti impediva di parlarmi della tua situazione, per quel che ne so, e quanto al prendermela, me la sono presa, e come!» Era la verità. Non tanto per il valore, abbastanza modesto, di quei gioielli, quanto per il fatto che Mary Arliss era stata la mia amica più cara fin dal giorno in cui, all'età di undici anni, ci eravamo ritrovate sui banchi della stessa scuola. Mary era l'unica figlia degli Arliss, nata quando sua madre aveva quarant'anni e suo padre più di cinquanta. Il signor Arliss era morto due anni dopo e Mary era diventata per la signora Arliss il centro del mondo. Un mondo pieno di affetto ma limitato e soffocante per una bambina. La scuola era stata per Mary una meravigliosa evasione e le amiche che vi aveva trovato erano diventate per lei della massima importanza. Fra tutte, io ero stata la più cara, tanto che quando mi aveva introdotta in casa sua, la signora Arliss mi aveva accolto con una certa circospezione, per il timore che potessi diventare una rivale nel cuore di Mary. Ma quando questa era
morta di meningite, a soli vent'anni, sua madre si era appoggiata a me come alla persona che era stata più vicina a sua figlia, e col passare degli anni aveva finito per volermi bene più di quanto non ne volesse alla propria nipote, Imogen Dale, o a Nigel Tustin, nipote del defunto signor Arliss. Per un mio compleanno, mi aveva persino regalato i gioielli della povera Mary, un dono che mi aveva commossa perché era senza dubbio l'espressione di un affetto profondo. E, pochi giorni dopo, Felix se ne era impadronito per portarli al Monte di Pietà... Mi alzai, borbottando che dovevo proprio andare a fare un bagno. Piantai lì il mio amato consorte e salii di corsa in camera mia, dove mi precipitai ad aprire il cassetto della toeletta nel quale tenevo l'astuccio dei gioielli. Una volta tanto, i miei sospetti erano infondati. Non mancava neppure uno spillo. Per di più, sul piano della toeletta, vidi qualcosa che non c'era quando ero uscita il giorno prima: una scintillante boccetta di profumo: "Alliage", di Estée Lauder. Emisi un sospiro rassegnato, poi feci una risatina e, scuotendo la testa, cominciai a spogliarmi. Nell'acqua calda del bagno, la tensione accumulata durante la notte si allentò a poco a poco e cominciai a sentire il dolore, ma un dolore quieto e pacato, come di sogno, che non pareva avere niente a che fare con la figura inerte dal viso grigiastro che avevo lasciato sul letto nella camera enorme di casa Arliss. La notte trascorsa assistendo all'agonia di Evelyn Arliss sembrava lontana, confusa, fuori della realtà. Era naturale che fosse così?, mi chiedevo. Forse perché quando moriva qualcuno c'erano poi tante cose da fare, cose che ti distraevano da quel pensiero, come quelle telefonate che mi ero impegnata a fare e che non potevano più essere rinviate. Forse la morte diventava reale soltanto quando la si guardava da una certa distanza... Mentre, uscita dalla vasca, tendevo la mano a prendere l'accappatoio, avvertii un profumo di caffè e di pancetta fritta. Ne fui contenta. Felix era sempre stato bravissimo a fare il caffè e in quel momento mi sentii molto incline a gustarmi una sostanziosa colazione a base di uova e pancetta, benché di solito iniziassi la giornata con una semplice fetta di pane abbrustolito. Mi vestii lentamente, indossando una gonna verde con una camicetta di un verde un po' più chiaro, poi mi all'acciai al collo una collana d'avorio appartenuta a Mary: fu un impulso scaturito dall'affetto che avevo nutrito per la signora Arliss, una sorta di omaggio al suo spirito, ovunque fosse... ammesso che fosse da qualche parte. Poi mi spazzolai con cura i
capelli e scesi, portando con me la boccetta di profumo. Trovai Felix in cucina, intento a preparare la tavola per due. Posai la boccetta di profumo davanti al suo posto. «Grazie, no» dissi. Mi guardò sbigottito. «Ma pensavo che ti piacesse l'"Alliage"!» protestò. «L'ho scelto per questo.» «Certo che mi piace» ribattei. «Ma preferisco regali che siano stati pagati.» «Lo so bene» dichiarò lui, come se fosse generosamente pronto ad accettare una mia eccentricità «e difatti l'ho regolarmente pagato.» «Mi sembra poco probabile.» «Ma è la verità: l'ho pagato.» «Non mi convinci.» Tornò a occuparsi del tegame nel quale aveva appena rotto quattro uova. «Vorrei proprio sapere perché tu non credi mai a quello che ti dico io» si lamentò. «Probabilmente perché dici sempre un sacco di bugie.» Sedetti a tavola. Era stata una delle prime dolorosissime scoperte fatte dopo il mio matrimonio: Felix era un incallito, abilissimo taccheggiatore. Mi ci era voluto qualche tempo per convincermene. Da principio mi ero semplicemente stupita che, ogniqualvolta uscivamo insieme a fare spese, al ritorno a casa trovavo sempre qualcosa in più di quel che mi pareva di avere comprato. Si trattava per lo più di regali per me, in genere molto costosi, ma a quel tempo ero ancora innamoratissima di Felix e, poiché mi vergognavo per lui, ero riuscita per qualche tempo a convincere me stessa che era commovente quella sua abitudine di comprarmi di nascosto qualche regalo. Tuttavia, si trattava sempre di oggetti non impacchettati e questo mi era sembrato piuttosto strano, fino al giorno in cui lo vidi infilarsi in tasca un astuccio di rossetto mentre io stavo comprando un flacone di smalto per le unghie. Poi, a casa, mi aveva offerto il suo piccolo dono con un bacio affettuoso e io avevo cercato di affrontarlo senza però trovarne il coraggio. Avevo continuato ancora per parecchio tempo a fingere di ignorare quella sua deplorevole abitudine, chiedendomi che cosa avrei potuto fare per guarirlo, poiché ero certa che si trattasse di pura e semplice cleptomania e dunque di una malattia che non aveva niente di criminoso. Ma uscire a fare spese con lui era diventata un'esperienza sempre più allucinante, perché ogni volta mi aspettavo che lo cogliessero con le mani nel
sacco. Il fatto poi di accettare i suoi regali, aveva finito per creare in me la sensazione di essere una sorta di ricettatrice... quel che infatti ero, alla resa dei conti. Alla fine, quasi senza rendermi conto di quanto stavo per fare, lo avevo improvvisamente affrontato, dicendogli chiaro e tondo quel che avevo scoperto sul suo conto. Aveva negato tutto, ma senza troppa convinzione. Fino a quel momento, pur rendendomi conto che mi raccontava una quantità di frottole, ero riuscita a sopportarle perché andavo dicendo a me stessa che Felix viveva in un suo mondo di fantasia quasi infantile dal quale sarei riuscita senza dubbio a farlo uscire. Ma quella volta mi era sembrato che la sua perseveranza nel mentire sottintendesse in un certo senso che mi giudicava un'idiota integrale e ne era seguita una lite terribile, finita in una maniera ancora più orribile, perché Felix era scoppiato improvvisamente in lacrime, giurando e spergiurando che io ero la sua unica speranza di salvezza: una pietosa commedia perché sono certa di avergli visto negli occhi un bagliore divertito. Era stato allora che avevo deciso di rivedere le mie opinioni circa la sua supposta cleptomania e che avevo cominciato a rivolgermi qualche domanda a proposito di altri lati della sua esistenza. Come si guadagnava da vivere, tanto per cominciare. Agli inizi, lui mi aveva raccontato di essere ingegnere civile, mi aveva detto il nome dell'impresa per la quale lavorava e a me non era neppure passato per la testa di andare a controllare. Quando poi lo avevo fatto, mi avevano risposto di non averlo mai né visto né conosciuto. Alla fine avevo scoperto che lavorava con una ditta di dubbia fama che commerciava in auto usate e che il direttore generale era in galera per frode. Ora Felix posò sul tavolo la caffettiera e si girò subito a sorvegliare il tegame. «L'ho comprato da Fortnum, quel profumo, se proprio vuoi saperlo» brontolò. «E l'ho pagato fior di soldi. Ma gettamelo pure in faccia, se ti fa piacere.» Mi versai una tazza di caffè. «Anche se hai pagato questo, mi piacerebbe sapere che cos'altro ti sei portato via» ribattei. Bevvi un sorso di caffè. «Ottimo» commentai. «Speriamo che mi ridia un po' di energia, ne ho davvero bisogno.» «Hai l'aria distrutta» osservò lui. «Devi proprio tornare là? Avresti bisogno di dormire, invece.» «Non posso, mi aspettano. Bene o male ce la farò.» Felix fece scivolare le uova nei piatti dove aveva già disposto sottili fette
di pancetta e me ne porse uno. «Questo ti aiuterà» disse. «Ora stammi a sentire, per favore. Quel profumo l'ho pagato davvero, te lo giuro, e l'ho fatto proprio perché sapevo che tu avresti voluto così. E allora perché non lo accetti, almeno in considerazione di questo?» Sembrava sincero. Mentre sedeva dì fronte a me e si versava una tazza di caffè, i suoi occhi erano limpidi e schietti e pieni di preoccupazione per me. Almeno questa era probabilmente genuina. Felix era sempre pronto a condividere i guai del suo prossimo, anche se ben di rado quei sentimenti duravano a lungo. «Io voglio semplicemente che tu non mi porti nessun regalo» ribattei, attaccando le uova con la pancetta. «E, come ti ho già detto e ripetuto, non voglio che tu venga qui.» «Ma io desidero vederti di tanto in tanto, per assicurarmi che vada tutto bene» protestò lui. «Io credo che tu voglia soltanto mantenere i contatti per il caso che una volta o l'altra possa tornarti utile» obiettai. «Ma è inutile, sai, non attacca, te l'ho già detto. E questo affare che avevi qui nei dintorni, che cosa sarebbe?» «Dovevo consegnare una macchina a un cliente.» «Sicché sei ancora nel racket delle auto usate.» Fece il viso scuro. «Racket è una brutta parola. È un commercio perfettamente legale.» «Vorresti negare che comprate vecchi relitti semidistrutti in qualche incidente per trasferire i documenti e tutto quanto su macchine rubate e rivenderle con lauti guadagni? Un affare certamente troppo lucroso perché tu possa mai pensare di rinunciarvi!» Scrollò la testa. «Invecchiando, divento saggio. Non me la sento più di correre rischi.» «Vorrei poterti credere.» «No, che non lo vuoi, lo sai benissimo. Alla resa dei conti non te ne importa un bel niente.» «Non troppo, forse, hai ragione. Soprattutto perché, per essere sincera, non credo una parola di quel che dici.» Felix sospirò. «Sei diventata molto dura, Virginia, lo sai? Quasi bisbetica. E questo è un vero peccato. Se non ci stai attenta, diventerai sempre peggio, invecchiando. Ma forse è perché vivi sola. Vivi sola, vero?» «Certo. E tu?»
«Più o meno.» «Sempre al vecchio indirizzo di Little Carbery Street?» «Sì. Mi sono affezionato a quella vecchia casa e, oltre tutto, se cambiassi, potrei ritrovarmi a spendere di più senza stare meglio. Dovresti venire a trovarmi, qualche volta. Ho apportato qualche miglioramento, sai: riverniciature (ho fatto quasi tutto io), tende nuove e via dicendo. È diventato un appartamentino molto grazioso.» Mi versai altro caffè. Mi faceva bene. Non mi sentivo più gli occhi pieni di sabbia, la mente mi si andava schiarendo, le uova con la pancetta avevano saziato la fame nervosa che mi aveva colta appena rientrata in casa. Provai un po' di gratitudine per Felix. Era sempre stato un meraviglioso "uomo di casa", bravissimo a cucinare, sempre pronto a rendersi utile. Mi tirai vicino la boccetta di "Alliage". «Bene, grazie per il regalo» mormorai. «E scusami delle cattiverie che ti ho detto.» Sembrò sinceramente compiaciuto. «Lo tieni, allora?» «Sì.» Ma non avevo intenzione di usarlo. Avrei potuto farne un regalo di Natale per qualche amica ignara che non avrebbe avuto sospetti a proposito della sua provenienza, ma era inutile dirlo a Felix e urtare ancora i suoi sentimenti. Tanto, non lo avrebbe reso né migliore né peggiore di quel che era. «Vado a fare quelle telefonate, ora» ripresi quando ebbi finito il caffè. «Comincerò da Imogen. A quest'ora sarà sveglia. Nigel lo chiamerò più tardi in ufficio.» Mi alzai. «Grazie per la colazione. Saresti un tesoro di marito, se soltanto ci si potesse fidare di te!» Andai in soggiorno, feci il numero di Imogen Dale e mi misi comoda in un angolo del divano, sicura che la conversazione sarebbe stata un po' lunghetta. Imogen viveva ad Hampstead, in una piccola e graziosa casa. Non era sposata: al matrimonio aveva sempre preferito relazioni meno impegnative, ma era una bella donna, alta e robusta, sprizzante energia. Figlia della sorella minore della signora Arliss, aveva all'incirca la mia età, folti capelli neri, naso diritto e aristocratico, bocca piccola e ben fatta, grandi occhi scuri e brillanti ma un po' vacui, così che non era facile capire che cosa si nascondesse dietro il loro schermo. Si appassionava improvvisamente per gli hobbies più impensati, quali le corse al trotto con i ponies, la lavorazione dell'argento, dichiarando di volta in volta che quello era il solo e unico
obiettivo della sua vita e poi piantandoli dall'oggi al domani, come faceva coi suoi amanti. La voce che rispose al telefono era ancora roca di sonno. «Imogen, sono Virginia» dissi. «Spero di non averti svegliata. Devo dirti una cosa molto grave.» «Non preoccuparti.» Lo disse sbadigliando. «Sono ancora a letto, ma ho il telefono qui sul tavolino. Che cosa c'è? Vieni in città? Facciamo colazione assieme?» «No, purtroppo si tratta di una cattiva notizia.» Non ero certa che per Imogen fosse davvero una cattiva notizia. Non mi era mai sembrato che nutrisse molto affetto per sua zia. «La signora Arliss ha avuto un altro attacco ieri pomeriggio ed è morta stamattina senza riprendere conoscenza. Il dottor Vickham è venuto immediatamente ma ha detto che non era neppure il caso di portarla in ospedale perché non c'era più niente da fare. Ero con lei, quando è morta. Avrei voluto telefonarti prima, ma sai com'è, c'erano tante cose da fare e tanto non avresti potuto fare niente. Credo che non abbia assolutamente sofferto.» Per un poco ci fu silenzio assoluto dall'altra parte del filo, poi mi sembrò di udire un profondo sospiro. «Poveretta» mormorò Imogen. La sua voce era perfettamente limpida, ora, ma anche perfettamente tranquilla. «In un certo senso è stato meglio così, non credi? Voglio dire, dopo quel primo colpo, non era più lei. Ed essendo così orgogliosa e indipendente, il fatto di non poter più essere autosufficiente doveva essere una tragedia per lei. Sono contenta che l'abbia assistita tu fino alla fine. Dobbiamo esserti molto grati per le cure che hai sempre avuto per lei, in questi ultimi anni. Ti voleva molto bene, povera zia. Hai già informato Nigel?» «Non ancora. Gli telefono adesso. O preferisci dirglielo tu?» «No, fallo tu, se non ti dispiace. Io dovrò pensare a tante cose, ora! Dovrò venire lì, suppongo, almeno per il funerale, no? Quando sarà?» «Be', non è ancora stato fissato.» Mi chiedevo a cosa mai dovesse pensare Imogen. «Tocca a te e a Nigel decidere.» «Preferirei che ci pensassi tu. Sei tanto più brava di me in queste cose e quanto a Nigel, sai che detesta occuparsi di cose che turbano il normale andamento della sua vita. Sii gentile, Virginia, pensaci tu, per favore! Io telefonerò a Paul, se vuoi. Bisognerà avvertire anche lui, immagino.» Paul Goss era un nipote di Imogen, l'unico pronipote della signora Arliss.
«Hai pensato a metterti in contatto con Patrick?» proseguì Imogen. «Potrebbe occuparsi lui di tutto.» Patrick Huddleston era l'avvocato della signora Arliss, socio dello studio Huddleston e Weekes di Allingford, che curava da quarant'anni gli interessi della famiglia Arliss. «Non sarebbe meglio se gli telefonassi tu? Dopo tutto, io non faccio parte della famiglia, potrebbe sembrargli strano che mi occupi di queste cose.» «Ma tu sei lì! Bene, però se non ti senti di farlo, gli telefonerò io. Verrò oggi pomeriggio. Posso stare lì, a casa? I domestici, quei Bodwell, ci saranno ancora, penso. Altrimenti andrò in albergo.» «Ci sono ancora e sono molto in gamba.» Sapevo che se ci fosse stato il minimo rischio di dover dare una mano nel governo della casa, emergenza o no, Imogen se ne sarebbe andata difilato in albergo. Non che la cosa avesse importanza. In realtà, sarebbe stato un immenso sollievo per tutti se lo avesse fatto. «E c'è anche Meg Randall» continuai. «Povera figliola, credo che sia la prima volta che si trova a tu per tu con la morte. È molto scioccata, ma se la cava benone.» «Ah sì, Meg. Me n'ero dimenticata. Penso che non ci sarà più bisogno di lei, ora, no? Ha qualche posto dove rifugiarsi, che tu sappia, finché non trova un altro lavoro?» «Non lo so. Ma forse potrebbe restare qui ancora per qualche giorno, no? Potrebbe essere utile a Patrick quando si tratterà di mettere ordine negli affari della signora Arliss.» «Già, non ci avevo pensato. Forse hai ragione. Per quanto non creda che gli affari della zia siano poi tanto complicati. Bene, grazie della telefonata, Virginia. Ci vediamo oggi pomeriggio. Ti trovo lì a casa?» «Penso di sì.» Riattaccai, aspettai un momento, poi feci il numero dell'ufficio di Nigel Tustin. Nigel era nipote del marito della signora Arliss e benché non ci fosse vincolo di sangue fra loro, la vecchia signora lo aveva sempre trattato come fosse nipote suo. Gli aveva sempre voluto molto bene ed era stata sempre molto affettuosa con lui, forse più di quanto non lo fosse stata con Imogen, della quale non approvava la condotta. Tuttavia, non aveva mai saputo resistere alla tentazione di mettergli contro la propria nipote quando le pareva che Nigel si interessasse un po' troppo delle intenzioni testamentarie della zia. Si era sempre rifiutata di tranquillizzare entrambi dicendo
semplicemente che avrebbe suddiviso l'eredità in parti uguali, metà per uno. Di volta in volta, l'uno o l'altra erano stati candidati alla posizione di erede universale, poi il favorito si rendeva in qualche modo sgradito e lei cambiava indirizzo. Di conseguenza, ora non avevo la minima idea di chi avrebbe ereditato il patrimonio, ma comunque andasse ne sarebbero derivate certamente delusioni, amarezze, liti e forse persino minacce di impugnare il testamento, se Patrick Huddleston non avesse saputo tenerli fermamente a bada tutti e due. Nigel rispose al primo squillo del telefono. Lavorava in uno studio d'architettura a Oxford e abitava in un piccolo borgo a pochi chilometri dalla città, in una piccola casa in stile georgiano, in mezzo a mobili georgiani, ma non avrebbe mai firmato il progetto di una casa che non fosse composta di strani blocchi candidi e squadrati, bizzarramente ammucchiati l'uno sull'altro, con intere pareti di vetro. Sui cinquantacinque anni, alto e florido, sempre tirato a lucido, con lisci capelli neri che cominciavano a diradarsi sulla fronte alta e levigata, guance pienotte e l'aria dell'uomo importante. Era il tipico scapolone che trova sempre la domestica vedova e anzianotta profondamente devota e che la tratta con estremo rispetto e generosità intesi unicamente a salvaguardare i propri comodi. Ascoltò senza interrompermi il resoconto sulla morte della zia, poi mormorò in tono riflessivo: «Bene, bene.» Per un momento, pensai che non avesse altro da dire e mi sembrò di vederlo mentre si passava una mano sui pettinatissimi capelli neri. Ma poi, come aveva fatto Imogen, aggiunse: «Tutto sommato, meglio così, benché la sua morte sia naturalmente un grosso colpo. La morte è sempre un colpo, anche quando ce l'aspettiamo. Sono contento che ci fossi tu con lei, Virginia. Grazie per tutto quello che hai fatto. Grazie per la tua bontà. Ti sono profondamente grato. E lo sarà anche Imogen, ne sono certo. Verrò lì oggi pomeriggio e spero di trovarti. Ora purtroppo devo scappare perché ho un appuntamento che non posso assolutamente rimandare, anche se penso che mi riuscirà molto difficile concentrarmi. Sì, la morte è decisamente un colpo.» Fu tutto. Riagganciò. Io feci altrettanto, poi mi guardai in giro e vidi Felix che mi ascoltava dalla soglia dell'uscio. «Un incarico tremendo, dover annunciare cattive notizie» osservò. «Ci sono state strazianti manifestazioni di dolore?» «Non esattamente.» «Quando morirò io, nessuno piangerà al mio funerale. Non gliene fre-
gherà niente a nessuno. Tu, naturalmente, non ci verrai neppure.» «Desideri che ci venga? Mi dispiacerebbe deluderti in un'occasione simile.» «Sei invitata, naturalmente, ma so bene che non fingerai di essere addolorata. Però è deprimente saperlo in precedenza. In fin dei conti, abbiamo avuto dei momenti felici, insieme, non ti pare?» Era un atteggiamento che assumeva qualche volta e che io non sopportavo. Mi alzai di scatto. «A meno che non ti capiti un incidente mentre guidi una di quelle tue macchine rubate, camperai probabilmente come Matusalemme. Può darsi che me ne vada prima io. Bene, esco, ora, e non so quando tornerò. Tu ripartirai per Londra, immagino.» «Non vuoi che rimanga qui?» «Non m'importa di quello che fai, ma non c'è motivo perché tu ti trattenga ancora.» «Tranne il fatto che mi fa piacere stare un poco con te, di tanto in tanto. Ma tu mi detesti. Dimentico sempre fino a che punto, quando sono lontano da te. Bisogna che veda quel certo sguardo nei tuoi occhi, per ricordarmene.» «Non ti detesto affatto» ribattei. «Ci ho provato, ma non mi riesce. Il fatto è che saresti un ottimo marito... per una donna piena di soldi. Amante della casa, di buon carattere, affettuoso. Se avessi alle spalle una barca di denaro, forse impareresti persino a rigare diritto. Forse scopriresti che ne varrebbe la pena e faresti felice tua moglie.» «Eh, ma allora devi odiarmi addirittura, se puoi dire cose simili» sospirò lui. «Bene, quando tornerai, non sarò più qui.» Nell'ingresso, prese il soprabito che avevo appeso all'attaccapanni e mi aiutò a indossarlo. E approfittò della vicinanza per darmi un bacetto leggero sulla nuca. «L'ho pagato davvero quel profumo, sai» mormorò. «E sono felice che tu l'abbia accettato.» Il lato peggiore della situazione era che qualche volta diceva la verità. Così non si sapeva mai a che punto si era, con lui. 2 La casa della signora Arliss, all'epoca in cui era stata costruita, era in aperta campagna, ma nel giro degli ultimi trent'anni la periferia di Allin-
gford l'aveva raggiunta e circondata, anche se il grande giardino e l'alta barriera di faggi giganteschi che lo recingevano, le avevano conservato la primitiva intimità, isolandola dalle case circostanti. Un lungo viale fiancheggiato da rododendri, che in quella stagione fiammeggiavano di fiori purpurei, portava fino all' ingresso; alti alberi frondosi ombreggiavano un prato in declivio e tutto l'insieme era abbellito da artistiche formazioni rocciose e da lunghe, geometriche bordure di piante erbacee. Nell'ultimo anno il giardino era stato particolarmente curato da Jim Bodwell, marito dell'efficientissima domestica della signora Arliss, un uomo alto e inagrissimo sui cinquant'anni, dal viso ossuto e dagli occhi di un grigio acquoso. Oltre che il giardiniere, Bodwell faceva anche da autista per la Rolls della vecchia signora e si rendeva utile in mille faccende per la casa. Quando arrivai al cancello, era come sempre in giardino, intento a zappettare un'aiuola. Come mi vide, si raddrizzò e mi venne incontro. Mi aprì lo sportello dell'auto e si trasse in disparte, appoggiandosi alla sua zappa. Come sempre, aveva un'espressione tremendamente riservata. «Che tristezza, vero?» osservò. «Ma prima o poi quel momento viene per tutti. Non so se sia giusto che io me ne stia qui fuori a lavorare come se niente fosse, ma d'altra parte non ho niente da fare in casa. E il giardino basta trascurarlo un poco per avere poi a pentirsene per mesi. E del resto, lavorare aiuta a non pensare troppo. Immagino che venderanno tutto, ora.» Lo disse con una sfumatura di ansia e questo mi fece riflettere che per i Bodwell il punto più importante, nella morte della signora Arliss, era che senza dubbio avrebbero perduto il posto. «Non lo so» risposi. «Nel pomeriggio arriveranno la signorina Dale e il signor Tustin. Saranno loro a decidere, ma non credo che lo faranno così sui due piedi.» «Ma la casa non la terranno di certo. Hanno entrambi casa propria e un posto come questo non è adatto a chiunque. Troppo grande e antiquato per la maggior parte della gente di oggi, anche se mia moglie e io ci siamo trovati benissimo. Ma di frazionarlo in appartamenti non c'è neanche da parlarne e tenerlo come residenza di famiglia non è così semplice, senza contare che i nuovi residenti, chiunque fossero, potrebbero non sapere che cosa farsene di noi due.» «Be', non vi riuscirà difficile trovare un altro impiego. Un bravo giardiniere e una domestica in gamba oggi valgono quanto pesano. E sono certa che otterrete ottime referenze.»
«Già, ma chi ce le darà, adesso che la signora Arliss è morta?» riprese lui. «La signorina Dale? O il signor Tustin? Non ci conoscono per niente, nessuno dei due.» «Ma sanno benissimo quel che pensava di voi la signora Arliss. Questo potrebbe bastare. Penso che non abbiate alcun motivo di preoccuparvi.» Mi avviai verso la casa, un edificio piuttosto bruttino con quei suoi muri di mattoni rosso scuro (del genere che non dovrebbe subire i danni del tempo), le chiazze di edera verde scuro, le torrette ai quattro angoli e le file di alte finestre a ghigliottina che sembravano occhi senza sguardo. Nonostante da sua mole, non riusciva nemmeno a essere imponente. Mentre salivo la gradinata, la porta d'ingresso si aprì e sulla soglia apparve Meg Randall. «Vi ho vista arrivare» spiegò. «Sono così contenta che siate tornata. Io... non mi sento troppo a mio agio, da sola. Sarò sciocca, ma non posso farci niente!» Era pallidissima e coi nervi tesi. Pallida lo era sempre, ma di solito si trattava di un pallore sano, cui gli occhi azzurri e gravi conferivano una sorta di splendore. Tutto questo era sparito durante le lunghe ore di quella notte difficile, lasciandola più fragile e minuta che mai, con i capelli biondi che le ricadevano molli sulle spalle e la sgualcita camicetta blu, con quei pantaloni e quei sandali in tinta, che aveva indosso dalla sera avanti. «Ma non siete sola!» osservai mentre mi sfilavo il soprabito. «C'è la signora Bodwell.» «Sì, ma non riesco a scambiare una parola, con lei! Si è trincerata in cucina e, salvo una breve apparizione per portarmi la colazione, non l'ho più vista. Non è mai stata una chiacchierona, è vero, e la signora Arliss diceva sempre che questo era uno dei suoi meriti principali, ma sapeste che silenzio, qui dentro, da quando voi e il dottor Wickham ve ne siete andati! Un silenzio da far venire i brividi, io... be', tanto vale che lo ammetta sinceramente, io avevo paura, ecco! È stupido da parte mia, lo so, me lo dico da sola, ma questo non cambia le cose!» «Penso che i Bodwell siano molto preoccupati per il loro futuro» spiegai. «Anche se due domestici come loro non Testeranno certo disoccupati a lungo!» «Io mi chiedo quale sarà per me, il futuro!» sospirò Meg. Si avviò verso il salottino dove la povera signora Arliss aveva trascorso tante ore, preferendolo al grande salotto troppo solenne. Io la seguii, calpestando le chiazze di colori vivaci che il sole stampava sul pavimento, fil-
trando attraverso i vetri piombati dell'ampio finestrone a metà scala. Quando mi accomodai su una delle basse poltroncine ricoperte di velluto dove la signora Arliss soleva sedersi per lavorare a uno dei suoi ricami, vidi il suo ultimo lavoro, un pezzo di "patchwork", rimasto lì sul tavolino sotto la finestra, insieme con un ditale d'oro e un paio di occhiali. Che cosa se ne poteva fare di oggetti di quel genere?, mi domandai. Gli abiti si poteva regalarli ai poveri, i mobili si potevano vendere, ma un ricamo non finito? Lo si buttava via? Sembrava una crudeltà! «Non avete bisogno di decidere così sui due piedi» dissi a Meg. «A meno che non abbiate premura di andarvene. È così?» Si era lasciata cadere su un delizioso divanetto vittoriano di una grazia un po' rigida che contrastava stranamente con l'abbandono delle sue esili membra giovanili. «Non so nemmeno io che cosa ho voglia di fare» rispose. «Può sembrare una forma di egoismo pensare a se stessi in un momento come questo, ma non si può farne a meno. Non era nelle mie intenzioni restare qui così a lungo. Voglio dire, avevo capito subito di essermi messa in un vicolo cieco. Lavoro facile, certo, e ben pagato. La signora Arliss è sempre stata estremamente buona con me e io avevo finito per volerle molto bene, ma con tutto ciò a volte era una noia da morire e poi non avevo nessun avvenire, qui. Dicevo sempre a me stessa che avrei dovuto cercarmi qualcos'altro, un posto che mi offrisse qualche prospettiva di miglioramento, ma poi la signora Arliss mi diceva qualcosa che mi faceva capire quanto facesse affidamento su dì me e tutt'a un tratto mi tendevo conto che, a lasciarla, sarei stata troppo ingrata. In fondo, non le importava gran che di quei suoi parenti, e non mi pare che loro si curassero gran che di lei, vero? In pratica, aveva soltanto voi e me e nessun altro. A volte avevo la sensazione di saperne sul suo conto più di tutti, compresa voi. A esempio, lo sapevate che giocava?» La guardai, e il mio volto dovette esprimere lo sbalordimento più totale. «Giocava?» ripetei. «La signora Arliss?» Meg annuì con tanto vigore che i suoi lunghi capelli biondi svolazzarono. «Sicuro, scommetteva alle corse. Faceva fare a me le giocate e mi aveva fatto giurare che non avrei mai detto niente a nessuno. Mi aveva confessato che, se i suoi parenti lo avessero saputo, avrebbero certo cercato di farla interdire, impedendole così di usare il proprio denaro. E quelle scommesse erano diventate l'unico interesse della sua vita, capite?»
«Ma perdeva o vinceva?» «Credo che restasse più o meno alla pari» spiegò lei. «Puntava forte, ma anche se forse perdeva un po' più di quanto vincesse, non credo che la differenza fosse molta e come vi ho detto quelle scommesse erano il suo unico vero piacere.» «Chissà come mai non si è confidata con me!» Ero sorpresa io stessa di sentirmi tanto amareggiata nello scoprire che la signora Arliss aveva avuto così scarsa confidenza verso di me. «Diceva che vi sareste preoccupata troppo, come vi preoccupavate per vostro marito.» Meg sbadigliò, nascondendo la faccia in un cuscino. «Gesù, se sono stanca» mormorò. «Credo di non essere mai stata tanto stanca in vita mia.» Poi girò di nuovo la testa, mi guardò. «Nessuno parla mai di vostro marito» osservò. «C'è qualcosa che non va?» «Be', diciamo che ha dei lati un po' difficili.» «Strano, basta che qualcuno faccia il suo nome perché tutti ammutoliscano all'improvviso...» Squillò il telefono e Meg balzò in piedi. Era sempre lei a rispondere, in casa. Ascoltò un poco, poi disse: «C'è qui la signora Freer. Forse sarà meglio che parliate con lei.» Mi tese il microfono. Mi alzai a mia volta. «Sì?» «Virginia? Sono Patrick» disse la gradevole voce tenorile di Patrick Huddleston. «Ho appena saputo da Imogen che la signora Arliss è morta e ho telefonato per chiedere se posso essere utile in qualcosa.» «Non saprei. Non so bene che cosa bisogna fare. Il dottor Wickham ha detto che avrebbe pensato lui a prendere gli accordi con l'impresa di pompe funebri. Io sono venuta qui in attesa che arrivino Imogen e Nigel. Hanno detto che verranno oggi pomeriggio.» «Oggi pomeriggio? Benissimo, penso che verrò anch'io, allora. A meno che non abbiate bisogno di me adesso. Sei certa di non avere bisogno di niente?» «Grazie, ma per ora non si può fare altro che aspettare.» «Sì, è vero, ma se ci fosse qualcosa...» Fece una pausa. «La signora Arliss era una cara amica e sarò lieto di poter rendermi utile. Bene, se ci fosse qualcosa da fare, puoi chiamarmi qui in studio, fino a mezzogiorno. Sennò ci vediamo nel pomeriggio.» «D'accordo. Grazie.» «Come se la cava Meg?»
«Abbastanza bene, tutto considerato.» «È così giovane, povera figliola! Sono contento che non abbia dovuto rimanere lì sola, per quanto ci siano i Bodwell. Mi sembrano due brave persone, pronte a prestarsi nei momenti difficili. Bene, telefonami se dovessi avere bisogno di me. Ciao.» Tornai a sedermi. «Avete qualcuno, una famiglia dove potreste appoggiarvi per qualche tempo?» domandai a Meg. «I miei genitori abitano a Devon. Posso sempre tornare da loro, ma non credo che lo farò. Non andiamo troppo d'accordo. Continuano a trattarmi come se avessi bisogno della baby-sitter ogni volta che loro escono di casa. Ma ho qualche risparmio, perciò non ho problemi immediati. Penso che andrò a Londra a cercare lavoro. Mi piacerebbe trovare un posto in qualche ufficio, in mezzo alla gente, tanto per cambiare. Ma non so, forse potrei trovare qualcosa anche qui ad Allingford. Conosco tanta gente e il signor Huddleston una volta mi ha detto che avrebbero bisogno di un'impiegata, allo studio. Potrebbe averlo detto tanto per dire, naturalmente, ma penso che mi piacerebbe molto lavorare in uno studio legale. Alla signora Arliss piaceva molto, il signor Huddleston. Diceva che è molto buono, per essere un avvocato!» «Ciononostante, non gli ha mai detto niente delle scommesse!» Meg si oscurò in viso, confusa. «Forse avrei fatto meglio a non parlarne neanch'io. Ora mi dispiace di averlo fatto.» Si aprì la porta ed entrò la signora Bodwell, reggendo un vassoio con tazze e teiera. Alta, dall'aria tranquilla, aveva all'incirca la stessa età del marito, capelli grigio acciaio e grandi occhi scuri e severi nel viso incolore, dai tratti fini. Era vestita di nero da capo a piedi, ma non perché portasse il lutto per la signora Arliss: non l'avevo mai vista vestita diversamente. «Vi ho fatto un po' di tè, signora Freer» annunciò con quella sua voce sommessa e senza inflessioni. «Ho pensato che ne avreste avuto bisogno, voi e la signorina Randall. Restate a pranzo?» «Se non vi sarà di troppo disturbo... Sennò la signorina Randall e io potremmo benissimo andare a pranzo fuori.» «Non sarà di nessunissimo disturbo.» La signora Bodwell posò il vassoio su un tavolino. «Piuttosto desidererei sapere se arriverà qualcuno della famiglia. Per il pranzo non ci sarebbero comunque problemi, perché ho il frigorifero pieno, ma se qualcuno si fermerà per da notte, dovrò saperlo in
tempo per cominciare a preparare le camere.» «Oggi pomeriggio arriveranno la signorina Dale e il signor Tustin e probabilmente si fermeranno a dormire qui, se voi potete farcela.» Sapevo che ce l'avrebbe fatta egregiamente. Con la sola eccezione di qualche piccolo aiuto da parte del marito e di una donna che veniva a darle una mano due mattine per settimana, accudiva da sola a quella casa enorme da più di un anno e non mi risultava che si fosse mai lamentata di avere troppo lavoro. «Posso aiutarvi io, se volete» offrii. «Potreste aiutarmi a fare i letti, se desiderate avere qualcosa che vi tenga occupata. Si tratterranno a lungo, la signorina Dale e il signor Tustin?» «Fin dopo il funerale, suppongo.» «Non si sa ancora quando sarà, vero?» «No, ma entro due o tre giorni, penso.» Lei fece un cenno d'assenso, riflettendo. «Jim e io dovremo cercarci un altro posto. Sarà un grosso dispiacere andarsene di qui. Ci stavamo tanto bene. Non vorremmo mettere a disagio nessuno, ma dobbiamo pensare al nostro avvenire e prima ci sistemiamo, meglio è.» «Forse la signorina Dale e il signor Tustin vi chiederanno di restare qui finché non verrà venduta la casa» osservai. «Una casa in disordine fa brutta impressione ai passibili acquirenti e voi l'avete sempre tenuta così bene!» «No» ribatté la signora Bodwell «non ci teniamo più a restare qui, ora che la signora Arliss se n'è andata. Sarebbe una responsabilità troppo grande, badare alla casa da soli.» La guardai un po' stupita, chiedendomi se fosse davvero strano come sembrava a me che i Bodwell fossero così impazienti di andarsene o se invece fosse naturale che gente come quei due, senza una casa propria, forse senza denaro e con molti timori per il proprio futuro, nutrissero verso la classe dei loro datori di lavoro maggiore sfiducia di quanta non avessero mai lasciata trapelare. Ripetei quel che avevo già detto a suo marito. «Troverete subito da sistemarvi.» «È che preferiamo sapere a che punto siamo, capite?» precisò lei. Poi guardò fuori della finestra. «Ecco che arrivano quelli delle pompe funebri» annunciò. «Sapete se la povera signora sarà seppellita o cremata? Io credo che dei avrebbe preferito la sepoltura.» Posai bruscamente la tazza di tè che avevo in mano. Toccava a me ac-
compagnarli di sopra, nella camera buia dove la povera signora giaceva in gelida solitudine. «A meno che la signora abbia lasciato istruzioni particolari nel testamento, toccherà ai familiari decidere» risposi e uscii per andare incontro ai due incaricati che stavano raggiungendo l'ingresso in quel momento. Mi salutarono con cerimoniosa cortesia, si presentarono e chiesero di poter vedere la defunta. La defunta!, pensai. Il corpo. I resti. Non più la signora Arliss ma soltanto ciò che, a essere sinceri, era diventato un grosso incomodo per una quantità di persone, qualcosa di cui liberarsi al più presto possibile. Subito dopo giunse un altro visitatore, il reverendo Matthew Bailey, vicario di St. Hilary, la chiesa che la signora Arliss aveva frequentato per cinquant'anni. Matthew Bailey, un giovane prete molto serio che parlava sempre in uno strano tono sommesso e un po' roco anche quando predicava dal pulpito, era ad Allingford solo da cinque anni e la signora Arliss lo aveva sempre considerato alla stregua di un ragazzotto un po' immaturo per il quale non era il caso di avere troppi riguardi. Ciononostante, nella breve conversazione che ebbe luogo fra noi due, parlò della vecchia signora con profondo rispetto e persino con affetto, ricordando la sua fede, il suo animo caritatevole e affermando che tutti avrebbero sentito a lungo la sua mancanza. Circa un'ora dopo la colazione, arrivò anche Patrick Huddleston. Sbarcò dalla sua nuova Rover bianca con aria quasi festosa, come se invece che a fare una visita di condoglianze andasse a un matrimonio. Ma Patrick era sempre così. Snello e ben proporzionato, abitualmente vestito di grigio chiaro con camicie sgargianti, appariva sempre più giovane dei suoi trentasette anni, forse proprio grazie a quella sua insopprimibile gaiezza che probabilmente doveva sembrare un po' fuori luogo anche nello studio di un avvocato. Entrò in casa sorridendo, ma forse con quel sorriso voleva esprimere soltanto comprensione e cordialità, perché osservai che quel giorno aveva indossato una semplice camicia bianca. I suoi capelli nerissimi e ondulati, un po' più lunghi del necessario, accentuavano le caratteristiche del viso scarno e nervoso, abbronzatissimo, con occhi neri dalle lunghe ciglia arcuate. Come vide Meg, de cinse le spalle con un braccio, l'attirò contro il proprio petto e le sfiorò una tempia con un rapido bacio. Era palesemente niente più che una platonica forma di saluto ma l'intenso rossore che invase le guance della ragazza mi fece sospettare che per lei significasse molto
più di quanto Patrick non avesse inteso. Al rossore seguì con pari rapidità un'espressione quasi imbronciata, come se Meg cercasse di cancellare in qualche maniera l'effetto di quell'attimo di debolezza. Dopo, Patrick mi posò una mano su una spalla, premendola gentilmente. «Che cosa terribile, vero?» sospirò. «Non è ancora arrivato nessuno?» «No.» Mi avviai con lui verso il salotto che mi sembrava la stanza più adatta per una riunione di famiglia. «Resterò qui finché non arrivano Imogen e Nigel, ma dopo me ne tornerò a casa. Qui non ho più niente da fare, ormai.» «Vorranno che resti qui anche tu, vedrai» obiettò Patrick. «Ti pare davvero che l'uno o l'altra di quei due sia disposto ad assumersi qualche responsabilità? Ma forse sarebbe chiederti troppo davvero! Ti sei già prodigata tanto e devi essere stanca morta. A proposito, ho fatto pubblicare d'annuncio della morte della signora Arliss sul "Times" e sull'"Allingford Echo", precisando che il funerale avrà luogo dopodomani alla chiesa di St. Hilary. Ho già preso tutti gli accordi col vicario. Spero di avere fatto bene. Ho pensato che Imogen e Nigel sarebbero stati contenti di trovare tutto sistemato.» «Lo penso anch'io.» Nonostante il sole che batteva sulle finestre, il salotto era gelido. Ma quella stanza enorme era sempre gelida, a quanto ricordavo. Aveva un soffitto altissimo, ornato di stucchi e con un enorme lampadario di cristalli. I mobili erano per la massima parte in mogano scuro, con sedie ricoperte di seta lucente sulle quali pareva che non si fosse mai seduto nessuno. Sopra il camino di marmo erano appesi i ritratti della signora Arliss e di suo marito nel fiore degli anni e una collezione di miniature raccolte tanti anni prima dal signor Arliss e amorosamente conservate dalla sua vedova. Un'alta porta-finestra dava su una terrazza delimitata da una bassa balaustra di pietra: andai a spalancarla, con la speranza di poter far entrare nella stanza un po' del calore che inondava il giardino. Patrick venne a fermarsi accanto a me. «Questo salotto costituisce una splendida raccolta di pezzi d'antiquariato, non ti pare? Con d'attuale passione per il periodo vittoriano dovrebbe valere un patrimonio.» «Credo che ci sia ben poco di autentico.» «Credi? Be', la casa però dovrebbe valere parecchio. Fortunata Imogen.» «L'ha dunque lasciata a lei, da signora Arliss?» «A eccezione di poche cose. Intendiamoci, non ho ancora controllato,
ma a quanto ricordo era così, nel suo ultimo testamento.» «Sarà un brutto colpo per Nigel.» «Oh, ma lui se la cava benissimo da solo. Sta facendosi un nome e non ha abitudini stravaganti come Imogen.» «Ma...» cominciò Meg, poi s'interruppe bruscamente come aveva cominciato. Patrick e io ci voltammo di scatto verso di lei. Era ritta con le spalle al camino e il suo viso era di nuovo ricoperto di un intenso rossore. Ci fissò per un attimo come se avesse paura di noi poi ci voltò bruscamente le spalle e si aggrappò con entrambe le mani alla mensola del camino, alzando lo sguardo ai ritratti giovanili degli Arliss, quasi cercasse un'ispirazione. «Qualcosa non va, Meg?» domandò Patrick. «No... no» rispose lei con un filo di voce. «Vi sembrerà indecente che si discorra di queste cose mentre la povera signora è morta solo da poche ore e non so darvi torto» riprese Patrick. «Ma purtroppo così va il mondo!» «Il fatto è...» mormorò lei, poi s'interruppe di nuovo. «Sì?» Patrick sapeva mostrarsi così gentile e pieno di comprensione che non mi parve più tanto strano se Meg, come pensavo, aveva preso una cotta per lui. «Oh, siete proprio sciocco!» esclamò a un tratto la ragazza. «Siete il suo avvocato e non sapete nemmeno...» Poi si girò di scatto e corse fuori dalla stanza. Patrick guardò me, inarcando un sopracciglio. «Ma che cos'è questa storia?» «Ho la sensazione che intendesse riferirsi al fatto che negli ultimi tempi la signora Arliss scommetteva grosse somme alle corse» spiegai. «Lo sapevi?» Patrick sbarrò gli occhi. «Oh buon Dio, no! Dici sul serio?» «Penso che Meg parlasse seriamente quando me lo ha detto. Lo aveva tenuto accuratamente nascosto a tutti per il timore che la giudicassero matta. Però, a quel che mi ha detto Meg, giocava forte ma alla resa dei conti le vincite compensavano le perdite, o restavano poco al disotto.» Patrick fece una risatina sommessa. «Scommettere sui cavalli, alla sua età! Era davvero una donna straordinaria! Spero che almeno si sia divertita. Però vorrei proprio sapere che cosa ho fatto perché Meg abbia a darmi dello sciocco!»
Era scritto che non potesse saperlo perché in quel momento trillò il campanello dell'entrata, si udì il passo pesante della signora Bodwell che attraversava l'atrio e un attimo dopo Nigel Tustin entrava in salotto. Indossava un impeccabile doppiopetto scuro perfettamente stirato, con camicia bianca e cravatta nera palesemente nuova di zecca. Le sue guance paffute sembravano un po' più smorte del solito, ma gli occhi erano sereni. Senza parlare, strinse la mano a me e a Patrick poi si piantò al centro della stanza, guardandosi pensierosamente intorno come se ne stesse valutando l'idoneità, per sapere come si sarebbe sentito quando fosse stato lui il proprietario. «Sono contento che siate qui tutti e due» disse poi. «Imogen non è ancora arrivata?» «No, ma credo che sarà qui fra poco, ormai» risposi. «E Paul?» «Non ne so niente.» «Purtroppo non si può fare più niente, ormai» sospirò Nigel. «Ma comunque sia, si sente una certa responsabilità, in questi momenti. Sono già stati presi gli... gli accordi?» «Ho parlato io stesso con l'impresa delle pompe funebri e col vicario, se è questo che intendi» rispose Patrick. «Il funerale è fissato per dopodomani.» «Sei stato molto premuroso. Te ne sono profondamente grato. Non ci sono problemi, dunque.» «Problemi? E quali problemi dovrebbero esserci?» «Oh, non lo so. È proprio sorprendente che alla mia età io non abbia la minima esperienza di queste cose. Il certificato di morte, tanto per dirne una. Non c'è nessuna difficoltà, spero.» «Mio caro Nigel, tua zia aveva ottantatré anni, aveva avuto un colpo tre settimane fa, poi si era ripresa, ma ieri ne ha avuto un altro e stamattina è morta. Era presente anche il dottor Wickham, il che esclude l'eventualità di qualsiasi inchiesta, se è a questo che alludevi.» «No, no, certo. Scusami, mi sento un po' frastornato. Aspettavo questa notizia fin dal giorno che ha avuto il primo colpo, ma adesso che è arrivata, quasi non riesco a crederci. L'ho sempre vista qui, da quando sono al mondo, sembrava che non dovesse morire mai. Una donna straordinaria. È sempre stata tanto buona con me. Forse... che ne dite?... dovrei salire a salutarla per l'ultima volta, no?» «Ma certo, se vuoi» rispose Patrick. «Vengo con te?»
«No, no, grazie, preferisco essere solo... Tanto per dirle addio... È strano, sai, ho visto tanta gente morire in guerra, ma erano morti violente, per la maggior parte di uomini giovani e in situazioni caotiche. È la prima volta che vedo qualcuno che è morto in pace, nel proprio letto. E mi sembra tanto più terribile. Bene, torno subito.» Nigel uscì col suo consueto passo tranquillo. «Perché non gli hai detto subito che non gli toccherà niente? Si sarebbe messo l'animo in pace» osservai. «Non sono affatto certo che non gli tocchi niente» rispose Patrick. «Forse avrei fatto meglio a controllare, prima di venire qui, ma non pensavo che ci fosse tanta fretta. Ritenevo che si dovesse lasciar passare almeno qualche giorno, prima di tirare in ballo argomenti del genere.» Guardai fuori della porta-finestra che io stessa avevo spalancata. Sulla terrazza, a pochi passi dalla finestra, c'era una candida panchina e tutt'a un tratto fui presa da un desiderio intenso di andare a sedermi su quella panchina e di sentirmi intorno la frescura e la vita del giardino, invece della vecchiaia e della morte che permeavano la casa. Esitai un attimo appena, poi uscii e andai a sedermi sulla panchina. In un'aiuola piena di tulipani e non-ti-scordar-di-me, appena sotto la terrazza, un merlo si dava un gran da fare per tirar fuori dal terreno un grasso verme e io mi ritrovai a riflettere sul devoto amore paterno degli uccelli che dedicano le intere giornate al compito di nutrire la loro famelica prole. Da questo fu facile passare a chiedermi come sarebbe stata la mia vita con Felix se avessimo avuto figli. Sarebbe cambiato qualche cosa? Ma Felix era lui stesso così infantile che mi riusciva difficile vederlo nelle vesti di padre e tutto sommato si poteva considerare una fortuna il fatto che non ci fossero dei figli di cui preoccuparsi. Però la signora Arliss sarebbe stata contenta se ne avessimo avuti. Dopo la morte di Mary le era rimasta in cuore una immensa riserva di amore materno insoddisfatto. Né Nigel né Imogen avevano saputo farsi amare da lei. Io avevo fatto del mio meglio, ma la signora Arliss avrebbe voluto una persona più giovane, giovane come era Mary quando se n'era andata, giovane come... quel pensiero mi folgorò all'improvviso... giovane come Meg Randall. Era possibile che avesse cambiato un'ennesima volta il proprio testamento senza dirne niente a Patrick che senza dubbio avrebbe cercato di dissuaderla, e che avesse lasciato erede di ogni sua ricchezza Meg Randall? Per questo Meg era così sconvolta, perché lei ne era al corrente e l'atterriva il
pensiero di dover affrontare i familiari della defunta, quando il testamento sarebbe saltato fuori? Il pensiero che potessero impugnare quel testamento, come quasi certamente avrebbero fatto, accusandola di essere una ragazza perfida e intrigante che aveva approfittato della situazione per circuire la vecchia signora, indifesa e indebolita dall'età, e arricchirsi smisuratamente inducendola a nominare lei come propria erede universale? E forse era proprio ciò che aveva fatto... Che cosa ne sapevo io, in fondo, di Meg Randall? Il mio matrimonio aveva scosso profondamente la mia fiducia nel prossimo, il sospetto, ora, proliferava facilmente nel mio cervello. Dovetti riconoscere che non ero più così lineare e fiduciosa com'ero stata prima di conoscere Felix. Con il calore del sole che mi batteva sul viso, i cinguettii degli uccelli e il profumo dei fiori che riempivano il giardino, mi si chiusero gli occhi. Non so quanto tempo fosse passato quando mi svegliai, ma lungo o breve che fosse stato, riemersi da quel sonnellino più stanca di quando m'ero addormentata. Strofinandomi gli occhi, mi alzai e tornai verso la finestra aperta. In salotto, Imogen e Patrick Huddleston erano strettamente abbracciati e il bacio che si stavano scambiando non aveva affatto l'aria di essere un platonico bacetto di saluto. Ci si erano sperduti entrambi, dimentichi di tutto il resto. Ignari, senza alcun dubbio, della ragazza pallida che vedevo sulla soglia dell'atrio, con gli occhi fissi su di loro e un'espressione di doloroso stupore. Fu questione di un attimo, poi Meg fece un rapido dietrofront e scomparve. Mi ritrassi a mia volta e tornai a sedermi sulla panchina. Vi restai per un paio di minuti poi mi alzai di nuovo, mi avviai verso la finestra tossicchiando ed entrai in salotto. Imogen e Patrick erano seduti ai due lati del camino, ma sul viso della giovane donna aleggiava l'ombra di un sorrisetto canzonatorio, come se lei avesse capito benissimo il significato di quell'improvviso accesso di tosse. Imogen indossava un tailleur di flanella grigia, semplicissimo e un po' fuori moda, come se l'avesse recuperato dal fondo di un armadio soltanto per quell'occasione. «Oh, salve, Virginia» esclamò. «Patrick mi stava dicendo quanto ti sei prodigata. Naturalmente sarei venuta ieri, se solo avessi potuto immaginare quel che stava per accadere. Povera zia Evelyn! Ma, tutto sommato, penso che sia meglio così.» «Non ti avrebbe nemmeno riconosciuta, anche se fossi venuta» precisai.
«Ma adesso che ci sei tu, io me ne ritorno a casa.» «Dimmi di questi Bodwell, prima. Restano qui o no? Quella donna mi fa venire la pelle d'oca, così solenne e impassibile, sembra proprio una governante da palcoscenico, non ti pare? Io non mi fido mica tanto! Mi ha già chiesto le referenze, figurati! Le ho detto che a noi avrebbe fatto comodo se lei e suo marito si fossero fermati ancora per un po', ma mi pare che non ne abbiano nessunissima voglia. Secondo me è anche una bella mancanza di riguardo!» «Be', sai, io credo che si preoccupino unicamente dei propri comodi» le feci osservare. «Desiderano sistemarsi.» «Tutti lo desideriamo» ribatté Imogen. «Bene, ci vediamo in questi giorni, spero.» «Certo.» Mentre mi avviavo alla porta, mi domandai se non fosse il caso di cercare Meg Randall per invitarla a venire via con me, lasciando liberi Imogen e Patrick: Nigel non sarebbe stato certo un inciampo, visto che la sua unica preoccupazione era quella di curiosare per la casa applicando immaginari cartellini col prezzo agli oggetti che, pensava, sarebbero ben presto diventati di sua proprietà. Alla fine, risolsi di lasciare Meg a sbrogliarsela da sola - cosa che prima o poi tutti dobbiamo imparare a fare - e mi avviai verso la mia auto. Fu una grossa sorpresa trovare Meg seduta sulla poltroncina accanto a quella di guida. Stava tutta piegata in avanti, con la testa fra le mani e i lunghi capelli biondi che le nascondevano il viso. Al rumore dello sportello che si apriva, trasalì visibilmente e si raddrizzò di scatto, gettando indietro i capelli. «Vi dispiace se vengo a casa con voi?» domandò. «Ho tanto bisogno di parlare con qualcuno!» «D'accordo» risposi mentre sedevo e avviavo il motore. «C'è qualcosa che vi preoccupa, all'infuori di quella storia delle scommesse, vero? Si tratta forse del testamento? La signora Arliss ha lasciato a voi tutto il suo denaro? Se è così, non avete alcun motivo di preoccuparvi. Il denaro era suo e aveva il diritto di disporne come voleva.» Guidavo lentamente, lungo il viale fiancheggiato di rododendri. Non vedevo la faccia di Meg, ma non mi sfuggì lo sbalordimento che traspariva dalla sua voce. «A me? Come vi è venuta un'idea simile?» «Non è così?»
«Certo che no! Mi voleva bene, credo, ma non tanto da fare una cosa del genere! E in ogni caso...» S'interruppe bruscamente. «Allora qual è il guaio?» Meg emise un profondo sospiro. «Non fanno altro che pensare al denaro, vero? Tutti quanti. Si preoccupano soltanto di quello. Anche il signor Huddleston... So che li avete visti anche voi quando li ho visti io. Non mi sarei mai aspettata una cosa simile da lui, ma che cosa può volere da una donna come quella se non il suo denaro?» «C'è chi la trova molto attraente» obiettai. «È grassa e vecchia... Scusatemi, non intendo proprio "vecchia" (non credo che sia più anziana di voi) ma... capite che cosa voglio dire, vero?» «Capisco. Ma nemmeno Patrick è molto giovane!» Svoltai nella strada che portava in centro. «Ma che cosa c'è, Meg? Che cos'è quello che volete dirmi?» «Solo che non c'è più denaro, capite? Non c'è più un penny. Un anno fa la signora Arliss ha ceduto tutto quello che aveva in cambio di una rendita vitalizia e adesso che lei è morta, non c'è più il becco d'un quattrino. Più niente. Non c'è più niente per nessuno.» 3 Non mi riesce di pensare, quando guido. So che questo significa che non sono una brava guidatrice: devo concentrarmi troppo su quel che faccio. Senza staccare gli occhi dalla strada che ora si snodava tra casette un po' arretrate, con graziosi giardinetti pieni di fiori sul davanti, mi diressi verso l'antica piazza del mercato. Dopo un paio di minuti, Meg domandò con voce querula: «Allora?» Sembrava delusa, come se, convinta di avere lanciato una grossa bomba, avesse scoperto che si trattava soltanto di un mortaretto bagnato. Com'è facile non prendersela di fronte alla prospettiva di una catastrofe economica che riguardi soltanto gli altri! «Mi fermerò al Whitefield a comprare qualcosa» dissi. «Restate a cena con me, stasera, così potremo parlarne.» Il Whitefield era il supermercato all'angolo della piazza del mercato e là c'era un parcheggio dove una volta tanto trovai un posto libero. Infilai dieci pence nel parchimetro ed entrai nel negozio. Meg non si offrì neppure di accompagnarmi. Rimase rannicchiata al suo posto, i capelli di nuovo rica-
denti in avanti a nasconderle il viso. Non ero certa che non si fosse rimessa a piangere. Comprai due bistecche, patatine fritte, piselli, budino al latte, pane nero e una bottiglia di whisky. Ne bevo assai di rado, tranne quando mi sento poco bene e molto stanca, dopo un lungo viaggio, a esempio, e quel giorno mi sentivo proprio come se avessi viaggiato per chilometri e chilometri. Se Meg non lo avesse gradito, avevo in casa dello sherry. Risalita in macchina, tornai finalmente in Ellsworthy Street, mentre Meg se ne stava in assoluto silenzio al mio fianco. Come aprii la porta di casa, provai la sensazione di avere già vissuto quei momenti. Odore di sigaretta, ancora, troppo fresco per essere un residuo della mattina. Dunque Felix non aveva mantenuto la promessa di andarsene. Altri odori mi dissero che era ancora lì: aglio, cipolla, paprika, vino, il tutto fuso in un aroma ricco e appetitoso proveniente dalla cucina, un profumo meraviglioso e invitante che un povero essere esausto com'ero io in quel momento avrebbe dovuto accogliere con gioiosa gratitudine. Io invece mi ritrovai a chiedermi se sarei stata capace di mandar giù un solo boccone. Felix ci sentì entrare ed emerse dalla cucina. «Questa è Meg Randall» annunciai. «Rimane a cena. Spero che i tuoi manicaretti bastino per tre.» E aggiunsi, rivolgendomi a Meg: «Lui è quel mio marito del quale non si parla mai.» «Ma...» cominciò lei, poi azzittì di colpo, arrossendo violentemente, come faceva tanto spesso. «Ma pensavate che fossimo separati» finii io. «Infatti, lo siamo. Questo è soltanto un breve interludio. Ora andiamocene in salotto e lasciamo che Felix ci prepari qualcosa da bere, poi riprenderemo il discorso che mi stavate facendo in macchina.» Meg sembrava profondamente imbarazzata. Era ancora abbastanza giovane per pensare che la gente di mezza età non avrebbe dovuto avere rapporti di quel tipo, tanto complicati da perderci la trebisonda. Felix se ne avvide subito e gli dispiacque per lei. «Sì, siamo separati, ma siamo rimasti sempre buoni amici» spiegò, offrendole il "cliché" capace di semplificare la situazione, ai suoi occhi. «Non è davvero il caso di litigarle soltanto perché si è scoperto che la vita in comune non funziona troppo bene!» Gli occhi di Meg andavano a turno da me a Felix mentre lei pensava
(glielo si leggeva in viso) che doveva trattarsi di uno di quei misteriosi disaccordi sessuali dei quali ci si rifiuta sempre di parlare apertamente, nascondendo la verità dietro gli equivoci e le piccole reciproche calunnie. In realtà, non era affatto così. Se Felix e io non fossimo andati tanto bene sul lato sessuale, il nostro matrimonio sarebbe finito molto prima. Mentre passavo in salotto con Meg, dissi: «Beviamo qualcosa intanto. Volete whisky o sherry? Temo che non ci sia altro!» Scelse lo sherry. Dissi a Felix che io volevo whisky e, per il caso che avesse dimenticato come mi piaceva, gli raccomandai di mettervi poca acqua. Lui preparò le bevande, versando per sé un whisky molto annacquato. C'era sempre andato molto cauto coi liquori. Era capace di starsene in mezzo a un gruppo di amici che bevevano come spugne e far durare un solo bicchiere per una serata intera. Probabilmente avvertiva che sarebbe bastato poco alcool in più per fargli perdere del tutto quel suo precario contatto con la realtà. «Meg ha informazioni che sembrano incredibili sul conto della signora Arliss» gli spiegai. «Coraggio, Meg, raccontateci tutto.» Mentre beveva un piccolo sorso di sherry, lei lanciò a Felix un'occhiata incerta. «Va tutto bene, può sentire anche lui» la rassicurai. «Se lo mandassimo via, otterremmo soltanto di farlo stare a origliare alla porta!» «Oh, non c'è motivo perché non debbano saperlo tutti, ormai, suppongo» esclamò lei. «È solo che non ho ancora avuto il tempo di raccogliere le idee. La signora Arliss insisteva sempre tanto perché non dicessi niente a nessuno! Diceva che era uno dei miei doveri più importanti non parlare dei suoi affari. E a me non dispiaceva affatto tenermi per me sola quel che sapevo perché pareva che il gioco fosse l'unico piacere che la vita le offriva e, se la signorina Dale e il signor Tustin lo avessero scoperto, l'avrebbero certo costretta a rinunciarvi. Ma quest'altra storia era diversa. Ho pensato che fosse mio dovere informarne il signor Huddleston. Sapevo che si sentiva responsabile nei confronti della signora e tutte le volte che mi vedeva si interessava sempre della sua salute, di quel che facevo io e così via. Si preoccupava sul serio di lei e lei aveva fatto questa cosa terribile e mi proibiva di parlargliene. Mi sentivo così colpevole!» «Alludete al vitalizio?» domandai. «Ma come aveva potuto farlo all'insaputa del signor Huddleston?» «Lui non si era mai occupato delle questioni finanziarie. Da anni la signora aveva affidato a uno studio di commercialisti l'amministrazione del
proprio patrimonio e pensavano loro a tutto, tasse, investimenti, riscossione degli interessi... Mi disse che le avevano sconsigliato di fare quel vitalizio, ma lei si era fatta l'idea che un vitalizio fosse l'unico mezzo per ricavare da un capitale il massimo reddito possibile e pagare meno tasse, così aveva fatto di testa propria. Una volta mi disse più o meno che non le importava affatto di non lasciare niente in eredità a nessuno, ma credo che alla fine se ne sia pentita perché pochi giorni prima di morire mi confessò che intendeva fare quel ch'era giusto per da signorina Dale, la sua unica nipote. Però non ho la più pallida idea di quel che intendesse fare.» «Un momento» s'intromise Felix, centellinando da sua diafana bevanda. «Non ho udito il principio di questo discorso. Volete dire che il denaro della signora Arliss è stato investito tutto in un vitalizio che naturalmente cessa con la sua morte e così non c'è più il becco di un quattrino per nessuno?» Meg annuì. «E sono certa... ora ne sono certa... che avrei dovuto parlarne col signor Huddleston. Lui forse avrebbe potuto impedirle di farlo. Ora non so come farò a guardarlo ancora in viso. Lui pensava che la signora si fidasse di lui, capite, perché la sua compagnia le faceva tanto piacere. Era felice quando veniva a trovarla. Ma a me invece diceva che il signor Huddleston era ben diverso dal padre e secondo lei non c'era da fidarsene troppo. Io... io ho sempre pensato che avesse torto e glielo dissi, anche, ma lei ribatté che io ero... be', non ha importanza. Chissà, può darsi che avessi torto io. Forse è vero che non c'è da fidarsi di lui. Tuttavia sento che avrei dovuto dirgli quel che da signora Arliss stava facendo.» «Quel che non capisco è "perché" lo abbia fatto» osservai. «Anche se avesse depositato il denaro su un semplice libretto di risparmio le avrebbe fruttato molto più di quanto le occorresse per vivere!» «Oh!» esclamò Felix con uno di quei suoi sorrisetti da saccente. «Odio, naturalmente. Puro e semplice odio per i suoi cari nipoti, per i quali lei non ha mai significato nient'altro che denaro. Deve essere stato splendido, per lei, trovarsi lì sul letto di morte sapendo di essersi fatta gioco di loro! Non posso fare a meno di ammirarla. È stato davvero un bello scherzo!» «Oh no, non credo affatto che sia stato così» protestò Meg. «Io penso che in realtà dentro di sé fosse spaventata da quella sua insana passione per il gioco e temesse di ritrovarsi a un tratto senza più una sterlina. Talvolta capita ai vecchi, no? Si convincono di essere poveri in canna quando invece sono ancora ricchissimi. Così ha voluto investire il proprio denaro in modo che nemmeno lei potesse più toccarlo, assicurandosi al tempo stesso
una rendita cospicua e sicura.» «No, no, mia cara» insistette Felix. «Questo lo pensate voi perché avete un animo gentile e siete portata a pensare sempre bene di tutti, al contrario della mia cara moglie che vede sempre il lato peggiore di ciascuno... o quanto meno il mio. Ma da verità è che la signora Arliss ha giocato ai suoi parenti un bellissimo scherzo, facendosi coccolare da loro mentre sapeva che alla sua morte non ci sarebbe stato niente per nessuno. Odio è forse una parola troppo forte, lo ammetto, ma vogliamo chiamarlo quanto meno disprezzo? Vedete, con Virginia, alla quale era sinceramente affezionata, non ha mai finto che le avrebbe lasciato qualcosa. È sempre stata perfettamente sincera e leale con lei. Ma questa storia del gioco è del tutto nuova per me. Ho perso anche questo lato della vostra conversazione.» «Alla signora Arliss piaceva scommettere alle corse, tutto qui» spiegai. «E temeva che se Imogen e Nigel lo avessero saputo, potessero farla interdire e impedirle di toccare il proprio denaro.» «Capisco. Sì, sarebbe stato possibile. Indiscutibilmente il gioco è una passione anche più pericolosa quando si sono passati gli ottanta. Sarebbe stato logico che prendessero un provvedimento del genere. Al loro posto, io lo avrei fatto di certo. Ma non ne hanno mai saputo niente, è così?» «Io non ho mai detto niente a nessuno fino a oggi» dichiarò Meg. «Ma quel silenzio mi pesava, mi faceva stare a disagio. Detesto i segreti, io! Mi piace essere schietta con tutti. Come si fa a star sempre a pensare quel che si può o non si può dire! E mi pesava soprattutto non dover dire niente a Patrick perché era... almeno a me sembrava... tanto affezionato alla signora Arliss. Ma forse mi sbaglio, tutto sommato. Temo proprio di non valere niente a giudicare il mio prossimo.» Non si era accorta di essersi lasciata sfuggire un confidenziale "Patrick" al posto del formale "signor Huddleston" che era stata attenta a usare fino a quel momento, ma naturalmente quel particolare non sfuggì a Felix che mi gettò una rapida occhiata interrogativa prima di riprendere il discorso con la ragazza. «Bene, resta pur sempre la casa» disse in tono incoraggiante. «Coi tempi che corrono, varrà almeno centomila sterline, sicché alla resa dei conti qualcosina rimane!» «No» ribatté lei. «Nooo?» «No. Si può fare una sorta di vitalizio anche su una casa. Si pagano gli interessi finché si è al mondo ma quando il beneficiario muore la casa di-
venta proprietà della società assicuratrice.» «E la signora aveva fatto anche questo?» Meg annuì. «Non rimane più niente di niente, vi dico.» Felix fece una risatina gorgogliante. «Pulita come un osso, eh? Non si può fare a meno di ammirarla, perbacco!» «Almeno i mobili ci saranno» osservai io. «Non avrà fatto fuori anche quelli, spero! Non che ci sia gran che di pregevole, ma qualche migliaio di sterline si potrà pure ricavarne. Poi c'è la Rolls e anche quella dovrebbe valere un bel po' di quattrini.» «E le miniature» aggiunse Felix. «Sono senza dubbio le cose di maggior valore che ci siano in casa. Chissà a chi toccheranno!» Mi ero completamente scordata della collezione di miniature raccolte dal defunto signor Arliss. Non sapevo assolutamente niente del loro valore, né estetico né venale, ma a giudicare dall'abbigliamento delle persone che avevano posato per quei ritratti dovevano risalire alla fine del '700 e ai primi dell'800. Benché non le avessi mai osservate con particolare attenzione, mi erano sempre sembrate cosine deliziose. La signora Arliss ne parlava, qualche volta, ma più per mettere in evidenza la passione con la quale il signor Arliss le aveva raccolte che non per sottolineare il valore che esse potevano avere per lei stessa. Appese alla parete del salotto, quelle miniature erano oltretutto alla portata di qualsiasi ladro, ammesso che valesse la pena di rubarle. «Avete appena detto che la signora Arliss intendeva fare per Imogen ciò che era giusto, vero?» osservai. «Ma Patrick mi disse una volta che doveva avere lasciato tutto alla nipote. C'era qualche lascito per una o due altre persone, ma il resto doveva toccare tutto a Imogen. Ma se all'atto pratico quel "tutto" equivale a "niente", allora la povera donna doveva avere le idee molto più confuse di quanto non pensassimo, alla fine.» «Non lo credo» ribatté Meg. «So che lunedì scorso aveva telefonato al signor Huddleston per dirgli di venire da lei il giorno seguente, sicché io mi domandai se avesse in mente di cambiare un'altra volta il testamento. Quel giorno non vidi l'avvocato perché ero fuori, dal parrucchiere, ma lui tornò ancora il mercoledì, soltanto per chiedere come stava la signora e mi disse che lei gli aveva fatto distruggere il suo ultimo testamento. Pensai che in esso la signora avesse lasciato il proprio denaro al signor Tustin, cosa che mi sembrò alquanto strana, visto che non c'era più denaro. Però a me pareva che il suo cervello fosse perfettamente normale.» «Può darsi che qualche volta si dimenticasse di certe cose, come quel vi-
talizio, a esempio» le fece osservare Felix. «Poi quando si rendeva conto di ciò che aveva fatto era presa dalla paura, una grande paura, perché sapeva che si sarebbe potuto farla interdire. In fin dei conti, doveva avere una rendita piuttosto sostanziosa e se Imogen e Nigel fossero arrivati a metterci sopra le mani, avrebbero potuto godersela loro, invece di lei!» «Ma adesso che cosa faccio, io?» gemette Meg. «Il signor Huddleston scoprirà tutto, perché è lui l'esecutore testamentario, vero? Oh, signora Freer, vi prego, diteglielo voi!» «A che servirebbe?» obiettai. «Dovrebbe pur sempre rivolgersi a voi per sapere come sono andate le cose.» «Sì, ma...» Si torse le dita lunghe e sottili con un gesto che esprimeva bene la sua disperazione. «Se gli spiegaste voi perché non gli ho mai detto niente... Se gli faceste capire come mi sento in colpa... No, questo no. Non voglio scusarmi con lui per niente. La verità è che non desidero parlare con lui più di quanto sia strettamente necessario, per il momento. È sciocco da parte mia, ma... be', è molto diverso da come lo avevo giudicato.» Era ancora ossessionata dall'immagine di Patrick e Imogen strettamente abbracciati. Felix, naturalmente, si chiedeva che cosa la turbasse tanto cosicché le batté gentilmente una mano su una spalla, in un gesto rassicurante. Il contatto fisico sembrò rincuorarla un poco. Lo guardò infatti con un pallido sorriso, diciamo l'ombra di un sorriso, che valse tuttavia ad attenuare in parte l'infelicità che le si leggeva in viso. «Non dovete preoccuparvi di niente» disse Felix. «Secondo me, vi siete comportata com'era giusto che faceste. Huddleston non può trovar niente da ridire. La signora Arliss ha avuto fiducia in voi e voi non l'avete tradita. Vorrei averla io una segretaria nella quale poter riporre altrettanta fiducia!» «Ma ce l'hai una segretaria, fidata o infida che sia?» domandai. «Ma certo che l'ho!» ribatté lui con una sfumatura di sdegnosa durezza. «Un'ottima ragazza che si chiama Clementine. Se non l'avessi, o se dovessi trovare in lei qualche pecca, offrirei subito il suo posto a questa affascinante figliola, pregando il cielo perché accettasse. Ammiro incondizionatamente la sua lealtà e il suo senso del dovere. Ma Clementine è molto brava e ce la mette tutta, perciò sarebbe ingiusto licenziarla. No, io posso darvi soltanto un consiglio, mia cara: dite tutto a Huddleston e state pur certa che non vi biasimerà affatto.» Io naturalmente vedevo soltanto il solito Felix che recitava la parte dell'uomo d'affari cosciente delle proprie responsabilità, esperto delle cose
del mondo e ben contento di poter mettere la propria esperienza al servizio di una povera fanciulla angosciata: conoscevo fin troppo bene quel quadretto e mi pareva che nemmeno una povera fanciulla angosciata qual era Meg in quel momento potesse lasciarsene ingannare. Ma dimenticavo che qualche tempo addietro me n'ero lasciata ingannare io stessa! Ero tanto più sempliciotta io, a quel tempo, o la tecnica di Felix s'era fatta più grossolana? Ma che importava, ora! Le sue intenzioni parevano buone e almeno non era arrivato al punto di offrire a Meg il posto di quella quasi certamente inesistente Clementine. «Ora bevete un altro goccetto intanto che io finisco di preparare» concluse Felix. «Sono un po' in pensiero per il mio stufato perché non mi è riuscito di trovare il pepe in grani. Non me la cavo troppo bene nella cucina di Virginia. Per quel che ne so non c'è pepe in grani e purtroppo non ho pensato a comprarne quando sono uscito a far spese stamattina. Spero che vorrete perdonarmi se non tutto sarà perfetto: è solo colpa del fatto che sono estraneo all'ambiente!» Si alzò, riempì di nuovo i nostri bicchieri e sparì oltre la porta della cucina. Sedemmo finalmente a cena e quel che Felix aveva modestamente definito "stufato" risultò essere un piatto non meno delizioso degli aromi che lo avevano preceduto. Mi era sembrato di non avere appetito e avevo pensato che non sarei certo riuscita a mandar giù un solo boccone di quella roba così piccante e complicata, ma mi ero sbagliata di grosso. Era esattamente quello di cui avevo bisogno. E il Borgogna col quale Felix l'accompagnò contribuì non poco a darmi una sensazione di torpida serenità. Si finì con un assortimento di formaggi deliziosi che Felix aveva scovato ad Arlington, non riuscivo a immaginare dove. Parlò quasi sempre lui, raccontando a Meg come avesse lavorato un tempo con una compagnia petrolifera in Iran e descrivendo la vita dura ma ricca di ricompense che aveva condotto laggiù. Io, che non avevo mai sentito parlare di quell'episodio, lo ascoltavo interessata ma come in sogno. Probabilmente, pensavo, aveva conosciuto di recente, forse in un bar di Londra, qualcuno che aveva veramente lavorato in Iran con una compagnia petrolifera e ora ci riammanniva in versione personale ciò che quel tizio gli aveva raccontato. Poco dopo si offrì di riaccompagnare a casa Meg in auto. Non sembrava che lei avesse molta voglia di andarsene, ma Felix osservò casualmente che io avevo l'aria molto stanca e che avrei dovuto andarmene subito a letto. Meg capì l'antifona, ci ringraziò per averla lasciata parlare
tanto e si congedò. Se ne andarono con la mia macchina perché Felix era venuto in autobus giustificandosi col dire di avere appena venduto la sua automobile a un cliente che abitava lì intorno. Se poi fosse la verità o un'altra delle sue solite menzogne, intesa a nascondere chissà che, sapevo fin troppo bene che non sarei mai riuscita a scoprirlo. Rimasta sola, caricai e «misi in moto la lavapiatti poi salii in camera mia a spogliarmi, infilai camicia da notte e vestaglia e, quando Felix rientrò, me ne stavo sdraiata sul divano in salotto intenta a sfogliare un giornale. Felix sedette, si accese una sigaretta poi osservò: «La piccola è innamorata di Huddleston, vero?» «Così mi pare.» «E lui?» «Penso che non si accorga nemmeno della sua esistenza.» «Peccato. È una ragazzina incantevole.» Avrei potuto raccontargli la scena tra Patrick e Imogen alla quale avevamo assistito Meg e io, ma avevo smesso da tempo di dire a Felix più di quanto non fosse strettamente necessario. Il mio caro marito aveva un'abilità tutta particolare per distorcere le osservazioni più banali, arricchendole di significati che mai nessuno aveva inteso mettervi. Tuttavia mi sentivo più indulgente di quanto non fossi mai stata nei suoi confronti. La sua gentilezza verso Meg, il suo stufato e il suo vino mi inducevano ad ammettere che possedeva almeno qualche virtù. E andavo persino scoprendo che mi piaceva vedere qualcuno per casa, soprattutto un uomo che sedeva lì di fronte a me a chiacchierare, rompendo la monotonia della mia silenziosa solitudine. Felix scosse la sigaretta facendo cadere la cenere nel piattino che aveva posato sul pavimento accanto a sé. «Hai davvero l'aria di essere terribilmente stanca» mormorò. «Perché non te ne vai a letto?» «Vado, vado. Volevo soltanto assicurarmi che avessi chiuso tutto per bene.» Un'osservazione oltremodo casalinga. «Ma certo che ho chiuso! Con tutti i catenacci.» Mi guardò accigliato. «Sono certo che quella vestaglia l'avevi indosso anche l'ultima volta che ti ho vista!» «È probabile. L'ho da anni.» «Ma perché non ti compri qualcosa di più carino?» «A che scopo? Tanto non c'è nessuno che mi vede e questa è così como-
da!» «Lo sai perché te la sei messa stasera e sei scesa a sdraiarti lì così vestita? Soltanto per dimostrare che io non conto assolutamente niente per te. Ma anche se è così, non mi piace vedere che ti lasci andare in questo modo. Sei ancora una donna attraente, che diamine, non dovresti essere così pronta a rinunciare.» «Rinunciare a che cosa?» «Be', mettiamo... alle speranze di risposarti, di fare un matrimonio più felice del primo! Sai, spesso sono preoccupato per te. Non mi piace l'idea di avere forse rovinato la tua vita. Sarei contento di vederti ricominciare una nuova esistenza.» «Non hai niente di cui preoccuparti» lo rassicurai. «Sto benissimo così. È la tua vita che hai rovinato. E qualche volta anch'io me ne preoccupo. Prendiamo questa storia del petrolio in Iran, a esempio! Devi avere ascoltato con molta attenzione il tizio che ti ha raccontato tutti quei particolari che hanno reso il tuo racconto tanto convincente! Se avessi messo la metà di tanto impegno in qualcosa di buono, saresti certo diventato vicepresidente di qualcosa o un famoso avvocato o un celebre chirurgo o chissà che! Hai molto talento, Felix, ma non hai mai voluto usarlo per combinare qualcosa di utile.» «Ma ho raccontato quella storia a Meg soltanto perché mi era sembrato che avesse bisogno di un diversivo» si giustificò lui, ignorando, forse di proposito, il vero significato delle mie parole. Non era possibile che non lo avesse afferrato: troppe volte avevamo discusso di quell'argomento, in passato! «Mi dispiaceva per lei. Una ragazza tanto graziosa! La lealtà è una dote affascinante. Certo, non se quanto di ciò che le ho detto risponda al vero. Io stesso non ho creduto a tutto quel che mi ha detto quel tizio. C'è tanta gente in giro che racconta frottole! Non sono io il solo e le mie almeno sono sempre innocue, non è vero? Ma come ti dicevo, sono molto preoccupato per te. Vivere così sola non può essere piacevole e io so che è tutta colpa mia. Sono stati i miei difetti a spaventarti per tutto il resto dalla tua vita e questo è un grosso dolore per me. Mi sento un peso sulla coscienza.» Probabilmente era sincero. Aveva una coscienza molto attiva, anche se essa operava per vie alquanto misteriose. «Al tuo posto non mi preoccuperei affatto» dissi. «Per me va benissimo così. E in un certo senso, direi che fra noi due esiste un rapporto abbastanza piacevole. Con nessun altro potrei permettermi di essere scortese come
posso esserlo con te e questa, credimi, è una comodissima valvola di sicurezza. L'unica cosa che vorrei sapere è perché sei venuto qui.» Sbatté rapidamente le palpebre come se, per un attimo, fosse stato sul punto di confidarmi qualcosa. Ma, se era stato così, cambiò subito idea. «Ma te l'ho detto! Ero da queste parti e ho pensato che sarebbe stato un vero peccato non approfittarne per venire a farti una visitina. Ma domattina devo andarmene, vero?» «A meno che tu non abbia un motivo importantissimo per rimanere.» Mi alzai. «Ti sarai preparato il letto nella camera degli ospiti, immagino.» «Sì. Ci vediamo domattina, allora.» «D'accordo. Buona notte.» «Buona notte.» Salii in camera, mi infilai sotto le coperte e mi addormentai non appena posata la testa sul guanciale. La mattina seguente, Felix mi portò il tè a letto. Lo faceva sempre, quando eravamo insieme, e una volta di più mi godetti quel lusso. Poi scese a preparare la colazione, ma dovetti ingollarla a precipizio perché ero di turno all'ambulatorio ed ero già in ritardo. Quando uscii, Felix mi accompagnò fino all'auto, mi baciò su un orecchio e mormorò: «Bene, arrivederci e grazie per l'ospitalità. Forse tornerò qualche altra volta, tanto per vedere come te la cavi. Ho la sensazione che ti senta molto più sola di quanto non voglia ammettere.» Provai una lieve fitta di rimorso, perché naturalmente ero stata tutto tranne che ospitale. Ma che mi sentissi isola... questo rifiutavo di ammetterlo. Troppa gente di mia conoscenza si lamenta della propria solitudine, ma al tempo stesso confessa di sentirsi tanto oppressa e annoiata dal suo prossimo da essere spinta a una sorta di maniacale misantropia. Sapevo di avere io stessa quella tendenza, ma facevo il possibile per controllarmi. Mentre partivo, salutai ancora Felix agitando una mano - come a dirgli che, sì, eravamo amici - e riuscii ad arrivare in ambulatorio con soli dieci minuti di ritardo. Avrei potuto risparmiarmi i saluti. Alle cinque e mezzo di quel pomeriggio, quando tornai a casa dopo una giornata più faticosa del solito, Felix era sempre lì. Appena aprii la porta, avvertii il noto odore di sigaretta e infatti il mio beneamato consorte se ne stava placidamente disteso sul divano del salotto, proprio come lo avevo trovato il giorno avanti, unicamente occupato a fumare. La propensione di Felix per la pigrizia era davvero eccezionale. A volte, ricordavo, restava ore e ore immobile, a fantasticare. Per-
ciò sarei rimasta addirittura sbalordita se lo avessi trovato a leggere un libro o un giornale! «Ci ho ripensato, dopo che tu te n'eri andata» disse subito, in tono apologetico. «Forse è meglio che mi trattenga per il funerale. Volevo bene alla vecchia e credo che anche lei avesse un debole per me.» «Eh no, questo non te lo lascio fare davvero» scattai, esasperata. «E già stato fin troppo difficile spiegare a quella gente le complicazioni del nostro matrimonio e non voglio che adesso si mettano in testa che ci stiamo riconciliando!» «Importerebbe qualcosa se lo pensassero?» «Certo! Mi secca che la gente metta il naso nelle nostre faccende private, come farebbero certamente in questo caso. Perciò preferisco non offrire loro l'occasione di cominciare a inarcare le sopracciglia, specialmente a un funerale.» Sospirò. «E va bene. Niente funerale. Ma posso restare qui anche stanotte? Ho pensato che potremmo andar fuori a cena.» «Ci sono due bistecche in frigorifero. Le avevo comprate ieri sera per Meg e me, quando ancora non sapevo che ti saresti occupato tu della cucina. Mangeremo quelle. Non ho nessuna voglia di uscire.» «D'accordo, le preparo io. E vorrai bere qualcosa, ora, immagino. Il solito whisky?» «No, stasera sherry, grazie.» «Bene, mi fa piacere. Ieri sera ho creduto che ti stessi abituando a bere, cosa che potrebbe diventare pericolosa per una donna sola come te. Potresti prendere l'abitudine di sbevazzare a tutte le ore e finiresti per ritrovarti alcolizzata senza nemmeno rendertene conto. Potrei citarti molti casi del genere. Gasi tristissimi.» «Non sono affatto un'alcolizzata» sbottai esasperata. «E questa tua sollecitudine per me mi dà soltanto il voltastomaco!» «Mi dispiace, scusami, parlavo soltanto a fin di bene» si giustificò lui. «Ora siedi e rilassati intento che ti preparo lo sherry.» Uscì e io mi sedetti, mi sfilai le scarpe dando un calcio in aria poi mi abbandonai contro lo schienale a occhi chiusi e sbadigliai un paio di volte, riflettendo che tutto sommato era piacevole avere qualcuno che ti serviva così. Credo che mi sarei addormentata nel giro di qualche altro secondo se non mi avesse fatta sobbalzare bruscamente lo squillo del campanello alla porta d'ingresso. Recuperai velocemente le scarpe e andai ad aprire. Era Imogen, che ave-
va lasciato l'auto davanti al cancello. Mi accorsi subito che c'era qualcosa che non andava. Imogen indossava lo stesso sobrio abito grigio del giorno avanti, era truccata e pettinata con la massima cura, ma aveva un'aria strana, svagata; mi fissava con occhi che parevano sporgere dall'orbita. Non faticai davvero a immaginare che cosa la turbava tanto. «Scusami se ti piombo addosso a questa maniera» esclamò mentre l'accompagnavo in salotto, «ma devo assolutamente parlarti. Quella piccola vipera traditrice, Meg Randall, si è confidata con te, vero? Voglio sapere che cosa ti ha detto!» «Siediti e bevi qualcosa, intanto. Tra parentesi, non penso affatto che Meg sia una vipera traditrice. Io la considero una brava ragazza.» Invece di sedersi, Imogen prese a camminare su e giù per la stanza. «Una piccola vipera traditrice» ripeté a denti stretti. «Va bene, whisky. Oh, ma deve pure esserci il modo di vedersela con lei! Patrick dice di no, che dobbiamo rassegnarci e accettare le cose così come stanno, ma io non lo credo. Deve esserci la possibilità di fare qualcosa!» Aveva la voce roca per la collera. La lasciai per andare in sala da pranzo a prendere bottiglie e bicchieri. Felix aveva già preparato il mio sherry e ora stava versando un whisky per Imogen. Evidentemente aveva udito tutto. «D'accordo» mi sussurrò. «Non mi farò vedere. Preferisci così, vero?» «Tutto sommato, sì. È già abbastanza fuori di sé!» «Puoi darle torto? Non è piacevole vedersi sparire sotto gli occhi un patrimonio sul quale si era fatto conto!» Mi tese i bicchieri per Imogen e per me e io tornai in salotto. Sapevo che Felix sarebbe rimasto ad ascoltare dietro l'uscio, perciò il gesto di richiuderlo dopo avere posato i bicchieri fu una pura e semplice formalità, ma almeno Imogen non si sarebbe accorta che lui era lì. Non avevano mai avuto la minima simpatia l'uno per l'altra, quei due. Pareva che si vedessero reciprocamente com'erano in realtà, con chiarezza esasperante, e riuscivano a punzecchiarsi a vicenda in maniera addirittura offensiva, cosa che quel giorno avrebbe potuto mandare Imogen completamente fuori dei gangheri, uno spettacolo al quale avevo già assistito un paio di volte e che non mi aveva divertita per niente. Quando le porsi il suo bicchiere, Imogen mi piantò gli occhi in viso. «Lo sai che non c'è più un soldo, vero?» disse. «Sì, me lo ha detto Meg ieri sera.» «E prima non ne avevi mai saputo niente?»
«No.» «Perché se pensassi che lo sapevi e che...» Continuò a fissarmi con occhi colmi di misteriose minacce. «Calmati» ribattei. «Anche se così fosse, non avresti potuto fare niente, non ti pare? Ma non lo sapevo. È stato un colpo per me come per te.» «Oh no! Tu non ti aspettavi niente, penso.» «No, certo. La cosa non mi riguarda personalmente, ma sono rimasta sbalordita lo stesso. Tuttavia non posso biasimare Meg per non avere mai detto niente a nessuno. Ha fatto quel che riteneva il proprio dovere nei confronti della signora Arliss.» «Avrebbe dovuto dirlo almeno a Patrick. Lui forse poteva fermarla. Quella piccola idiota avrà pur capito che zia Evelyn non aveva più il cervello a posto e che qualcuno avrebbe dovuto prendersi cura di lei! Meg non aveva alcun diritto di assumersi quella responsabilità, è troppo giovane e inesperta. Del resto io non mi sono mai fidata troppo di quella ragazza. Non sarei sorpresa di scoprire che in tutti questi mesi si è messa in tasca ben più dello stipendio! Ma Patrick mi aveva assicurato che era una ragazza tanto per bene. Intanto era innamorata morta di lui e Patrick non ha mai neppure pensato che potesse tenergli nascosto qualcosa di importante. Vanità maschile! Gli ho riso in faccia quando me lo ha detto, e lui si è presa una di quelle rabbie! Non lo ha dato a vedere, naturalmente, è troppo educato, ma Meg sapeva bene come se la sarebbe presa! Per questo aveva tanta paura a dirglielo! Le sta bene. Suppongo che avrà finalmente perso tutte le illusioni riguardo i sentimenti che Patrick poteva avere per lei.» Pareva quasi che Imogen fosse gelosa di Meg! «Non eri presente quando glielo ha detto?» «No, gli ha telefonato stamattina mentre io ero ancora a letto, ma poi l'ho trovata in un tale stato! E Patrick mi ha detto di avere fatto subito qualche indagine e di avere accertato che Meg aveva proprio detto il vero. Non c'è più un penny. E quel che ti dà la nausea è che nel suo testamento zia Evelyn lasciava tutto a me... Tutto, capisci? E non c'è più niente!» «Ti capisco, e mi dispiace profondamente, credimi» esclamai. «Dev'essere un colpo tremendo. Ma almeno restano la Rolls e i mobili e le famose miniature che dovrebbero avere un discreto valore. Potrai sempre ricavarne parecchie migliaia di sterline.» «Migliaia di sterline!» fece eco lei in tono sprezzante. «Che cosa vuoi che ti diano, di questi tempi! Praticamente zero!» «Be', io sarei ben contenta se qualcuno mi lasciasse in eredità uno zero
di quella fatta» ribattei. «E in fin dei conti, tu non sei povera, Imogen. Capisco che deve essere stato un colpo, ma se pensi alle tasse e a tutto il resto... alla resa dei conti non dovrebbe essere poi un disastro così grave, per te. È meglio che cerchi di rassegnarti. Accetta la situazione così com'è senza lasciartene sconvolgere più del necessario!» Mi gettò una strana occhiata inespressiva che tuttavia mi parve agghiacciante, tale era l'intensità dei sentimenti che si intuivano dietro quel vuoto, sentimenti dei quali non riuscivo a indovinare la natura: collera o inquietudine esasperata o forse addirittura disperazione, benché la semplice supposizione che di questo potesse trattarsi bastava a rendermi profondamente perplessa. «Non capisci» mormorò Imogen con voce sorda. «Mi dispiace» mi scusai. «Vorrei tanto poterti dire qualcosa di consolante. Non sei nei guai, vero, Imogen?» Sapevo che la madre di Imogen e la signora Arliss avevano ereditato uguale somma dai genitori, solo che la signora Arliss aveva poi sposato un uomo molto ricco e la signora Dale uno molto povero, così che Imogen non aveva ereditato dalla madre tanto quanto aveva sempre sperato di ereditare dalla zia. Ma nonostante tutto, mi era sempre sembrato che avesse molto più di quanto bastava a soddisfare le sue necessità, come dimostrava il fatto che non avesse mai avuto bisogno di lavorare. «Niente che possa definirsi veramente un guaio» rispose Imogen con la stessa voce atona. «No, è stupido da parte mia, tu non puoi fare niente, anche se lo volessi. Avevo pensato che forse avresti potuto essermi utile, dicendo a esempio che zia Evelyn negli ultimi tempi aveva dato prova di essere un po' squilibrata e che in tal modo fosse possibile cancellare quel vitalizio o fare comunque qualcosa... Ma hai ragione, come ha ragione Patrick, non si può fare altro che accettare la situazione. Così mi toccherà vendere la mia casa, tanto per cominciare, e andare a vivere in qualche orribile appartamentino in periferia - ed è forse questo che mi spaventa più di tutto - perché una vecchia casa come la mia costa un occhio della testa soltanto di manutenzione, capisci? L'anno passato ho avuto un'invasione di funghi parassiti in cantina e so soltanto io che cosa mi è toccato spendere per disinfestarla. E le tasse in continuo aumento e lutto il resto! Non so come sia, ma ho sempre il conto corrente scoperto. L'inflazione, suppongo. E... be', un'infinità di altre cose, ma niente che possa definirsi un guaio... oh no!» Lo disse con intonazione sarcastica, come per farmi capire che io non
avevo la più pallida idea dei guai che stava passando. Dopo di che finì in fretta il suo whisky e se ne andò. Felix fece altrettanto la mattina seguente. Il funerale era stato fissato per le undici, cosicché ebbi il tempo di accompagnarlo alla stazione prima di andare a St. Hilary. Davanti alla chiesa c'era un'interminabile fila di automobili poiché, anche se aveva pochi amici intimi, la signora Arliss era stata in buoni rapporti con una quantità di persone che in una maniera o nell'altra avevano debiti di riconoscenza nei suoi confronti. La chiesa era affollata. Mi fu indicato un posto accanto a Meg Randall, che aveva dall'altra parte Paul Goss, il nipote di Imogen. Non lo conoscevo molto bene. Quand'era piccalo, Paul era venuto spesso a trascorrere le vacanze dalla signora Arliss, ma evidentemente col passare degli anni aveva avuto modo di trascorrerle in maniere più piacevoli e le sue visite alla prozia si erano fatte sempre più rade. La signora Arliss ne era stata addolorata, ma suppongo che per un ragazzo dell'età di Paul dovesse essere abbastanza noioso trascorrere due o tre settimane con una vecchia signora di oltre ottant'anni. Paul ora ne aveva ventidue ed era un bel ragazzone alto e ben piantato, con folti capelli neri, viso colorito e brillanti occhi neri, come Imogen. Si era appena laureato in storia all'università di Bristol e lavorava da qualche mese con un editore che pubblicava libri di storia e sociologia. I suoi genitori erano morti entrambi: la madre, sorella di Imogen, era deceduta in un incidente d'auto quando lui aveva quindici anni e il padre era morto di infarto tre anni dopo. Imogen l'aveva ospitato per qualche tempo in casa propria, ma ora Bauli viveva per conto proprio in un appartamento di Battersea. Imogen era in un banco di fronte a noi con Patrick Huddleston, ma non vidi Nigel. Arrivò in ritardo, ansimando leggermente ma camminando come sempre con calma compostezza, come se si sentisse certo che il rito non sarebbe cominciato senza di lui. I Bodwell non c'erano. Il reverendo Matthew Bailey celebrò la funzione con la sua solita voce sommessa e un po' roca, guardando un punto del pavimento come se parlasse a quello; dopo il rito funebre buona parte della gente che aveva affollato la chiesa se ne andò alla spicciolata e soltanto pochi affezionati seguirono il feretro al cimitero. Il bel sole splendente degli ultimi giorni era sparito e ora soffiava un vento gelido che ammucchiava nel cielo bassi nuvoloni grigi e si portava via la maggior parte delle parole del vicario. Gli alberi ai margini del camposanto agitavano scompostamente i rami con rochi fruscii e la bara di le-
gno grezzo, coperta fino a qualche momento prima da un tappeto di erba artificiale verde smeraldo, apparve straordinariamente piccola mentre la calavano nella fossa, benché la signora Arliss non fosse stata di corporatura molto inferiore al normale. Forse la morte l'aveva rinsecchita. Al momento di gettare la terra sopra la bara, il signor Robertson - o forse era il signor Jarvis, direttore della mesta cerimonia - trasse di tasca un sacchettino di plastica e sparse sul coperchio una manciatina di ciò che esso conteneva e che mi sembrò sabbia disidratata. Fui tanto sconcertata da quella strana, asettica versione dell'antico rito che quasi non prestai attenzione alla solennità delle parole che lo accompagnarono. E del resto, anche se ci fossi stata attenta, non ne avrei udito molto, perché le parole volarono via sulle ali del vento. Mentre sostavamo dì, accanto alla fossa, il tempo andò rapidamente peggiorando, tanto da farmi pensare che prima di sera sarebbe scoppiata una violenta bufera. Stavamo tornando verso le automobili, quando Imogen mi afferrò bruscamente per un braccio. «Vieni da noi, vero?» domandò. «Se vuoi, sì» risposi. «Si farà uno spuntino. I Bodwell hanno detto che ci avrebbero pensato loro. Dopo me ne tornerò a casa mia, penso. Non c'è scopo a Testare qui, ti pare? Patrick sistemerà ogni cosa e semmai potrai dargli una mano tu, se è necessario. Non so che cosa abbiano intenzione di fare Nigel e Paul, ma quanto a me non vedo l'ora di andarmene. Non mi è mai piaciuto stare qui, lo sai. Le visite a zia Evelyn mi davano sempre ai nervi e lei lo sapeva. Perciò si è comportata come ha fatto. Se fossi stata capace di fingere, forse le cose sarebbero andate in ben altro modo, ma non sono mai stata abile nel nascondere i miei sentimenti.» Emise un profondo sospiro, prima di proseguire: «Grazie a Dio, anche il funerale è finito. Tanto vale che mi abitui all'idea che le cose sono quel che sono. Chissà che alla resa dei conti la situazione non risulti meno peggiore di quanto sembra!» Lasciò il mio braccio e si avviò verso una delle maestose berline nere appartenenti all'impresa di pompe funebri. Mi accodai con la mia macchina. Quando arrivammo a casa Arliss, cominciava a piovere e sembrava aleggiasse nell'aria una sorta di presagio autunnale. O forse era soltanto una mia sensazione. Quella casa era sempre stata gelida, anche quando allegre fiammate ardevano nei caminetti, ma quel giorno mi parve addirittura desolata. Poi mi resi conto che la desolazione era soprattutto nella mia mente e che cominciavo finalmente a senti-
re il dolore per la perdita della mia vecchia amica, ma v'era pure in quelle immense stanze silenziose un gelo che mi dava i brividi. E, per di più, non c'era ombra di spuntino. Il lungo tavolo della sala da pranzo era vuoto. Non c'erano nemmeno i Bodwell. E neppure le miniature allineate lungo una parete del salotto. Al loro posto era rimasta soltanto una lunga fila di ovali macchie pallide sulla tappezzeria, a indicare il posto dov'erano rimaste appese per tanti e tanti anni. 4 In un primo momento, fenomeno abbastanza strano, sembrò più grave la mancanza dello spuntino che non la sparizione delle miniature. Dall'intensità del nostro desiderio di mangiare qualcosa, si sarebbe potuto pensare che fossimo digiuni da giorni. Nigel si diede un gran da fare con le bevande, ma queste non bastarono a calmare i morsi della fame. Un paio di volte vidi qualcuno gettare un'occhiata perplessa alla parete dov'erano state appese le miniature e udii Patrick borbottare qualcosa a proposito di polizia, ma a quanto pareva nessuno era disposto a muovere un passo finché non fosse stato risolto il problema alimentazione. Alla fine fu Meg a risolverlo. Con l'aiuto di Paul, riuscì a mettere insieme un po' di roast-beef freddo, un piatto d'insalata piuttosto moscia, pane e formaggio. Un pasto gelido e deprimente che ben si accordava con quella funerea giornata autunnale. Nigel a sua volta scomparve in cantina e ne riemerse poco dopo con due bottiglie di "Chateau Neuf du Pape" che naturalmente non erano alla temperatura adatta ma che, disse, sarebbero pur state meglio che niente. Non ero certa che avesse ragione. Il vino così freddo parve accrescere, se possibile, il gelo dell'ambiente. Finito lo spuntino, Meg preparò il caffè, che se non altro era caldo, e finalmente, lasciando lì sul tavolo i resti dello spuntino, come se tutti avessimo scordato che non c'era la signora Bodwell a sparecchiare, tornammo in salotto. E lì non ci fu più modo di evitare la questione delle miniature. Patrick andò a telefonare. «A chi telefoni?» gli domandò Imogen. «Alla polizia, naturalmente.» Lei ribatté subito che l'idea di doversela vedere anche con la polizia, in un momento come quello, era veramente troppo. «Non vedo l'ora di andare a coricarmi un poco» protestò. «E in ogni caso, a chi gliene importa di quelle stupide cose?»
«A Nigel, forse» ribatté Patrick. «La signora Arliss le aveva lasciate a lui. Potrebbe voler riscuotere almeno l'assicurazione, se non altro, e per farlo bisogna chiamare la polizia.» «In realtà...» proruppe Meg, poi si fermò di botto in quella sua maniera caratteristica, confusa come se rimpiangesse di aver aperto bocca. «Sì?» fece Patrick, palesemente spazientito, con la mano sul ricevitore. «Credo che non fossero affatto assicurate» finì Meg. «La signora Arliss aveva smesso da un pezzo di pagare le rate. Diceva che non ne valeva la pena. Io ho tentato più volte di farle firmare gli assegni, ma lei ribatteva sempre che non importava, che lo avrebbe fatto un altro giorno, ma poi non se ne faceva mai niente.» «Allora, Nigel» riprese Patrick «devo telefonare alla polizia per vedere se riescono ad acciuffare i Bodwell prima che spariscano o dobbiamo lasciar perdere?» «Le aveva lasciate a me?» esclamò Nigel sorpreso ma, pareva, anche un po' allarmato, come se vedesse in quel fatto qualcosa di anormale. «Ma do credevo che avesse lasciato tutto a Imogen, me lo avevi detto tu stesso l'altro giorno, no?» «Non avevo ancora controllato» precisò Patrick. «Sapevo che Imogen era l'erede universale, ma non ricordavo i particolari degli altri legati. Poi sono andato a guardare e ho visto che la signora Arliss lasciava a te la collezione di miniature, i libri di suo marito a Paul e tutto il resto a Imogen. Ma come sapete tutti, il resto non esiste più. E ora, se Meg ha ragione per quanto riguarda l'assicurazione, temo che non ci sarà più niente neppure per te, se non riusciamo a ritrovare le miniature.» «Sicché l'unico che erediterebbe qualcosa, in fin dei conti, sarebbe Paul. Anche se non è gran che, visto che quei libri non sono niente di speciale. Il vecchio demonio!» proruppe Imogen. «Ci ha giocato un bel tiro, no? Non voleva che guadagnassimo niente dalla sua morte!» «Be', non poteva sapere che qualcuno avrebbe rubato le miniature, ti pare?» fece osservare Patrick. «Non vorrai insinuare che si era messa d'accordo coi Bodwell prima di morire!» «Non arrivo a tanto, ma perché diavolo questa sciocca non ha detto a nessuno che la sua padrona aveva perduto il cervello? Era diventata totalmente irresponsabile e voi, Meg, non avevate alcun diritto di tenervi per voi fatti di questo genere!» «Non credo che si possa biasimare Meg per non averci avvisati» intervenne Nigel. «Giovane com'è, non poteva assumersi simile responsabilità!
E se lei ha creduto che il suo dovere fosse prima di tutto quello di essere leale verso la sua padrona, penso che questo torni anzi a suo credito.» «Forse è anche colpa mia se le cose sono andate come sono andate» confessò Patrick che frattanto aveva rinunciato a telefonare. «Lunedì scorso la signora Arliss mi aveva convocato per farmi distruggere un testamento che aveva fatto circa un anno fa, col quale lasciava le miniature a Imogen e tutto il resto a Nigel. Intendeva fare ciò che era giusto per Imogen che era del suo stesso sangue, mi disse, perciò voleva che restasse valido il testamento precedente. Naturalmente pensai che intendesse lasciare il grosso del suo patrimonio a Imogen e soltanto un legato a Nigel e a Paul e sono certo che in realtà fosse convinta di stare facendo proprio quello. Aveva soltanto dimenticato che non esisteva più un patrimonio. Sono d'accordo con Imogen che la signoria Arliss fosse molto meno lucida di quanto credessimo noi, ma sono anche d'accordo con Nigel che non sia da biasimare Meg per non avere detto niente a nessuno. Non poteva sapere che la situazione fosse tanto complessa. E ora, posso chiamare la polizia, Nigel?» «Sì, sì, va bene» rispose l'interpellato. «Condivido la ripugnanza di Imogen per l'idea di avere in casa i poliziotti in un giorno come questo, ma naturalmente capisco che non si può farne a meno. Ti sarò grato se vorrai farlo tu, Patrick.» «Conosco personalmente l'ispettore Roper, del reparto investigativo» asserì Patrick. «Chiederò di parlare con lui.» Prese di nuovo il telefono, fece un numero, chiese dell'ispettore, parlò brevemente, ebbe una breve risposta, chiuse con un grazie e tornò a posare il ricevitore. «Saranno qui nel giro di pochi minuti» annunciò. «Frattanto, volete dirmi se qualcuno di voi sa qualcosa di preciso su queste miniature? Chi le ha fatte, quando e via dicendo. La polizia vorrà una descrizione per quanto possibile esatta. Sì, le ho viste anch'io non so quante volte, ma dubito che saprei riconoscerne anche soltanto una.» «Nemmeno io» ammise Imogen. «Per me erano soltanto una sfilza di donnette leziose. Ma vorrei proprio sapere, invece, che fine hanno fatto i Bodwell. Com'è che sono arrivati in casa di zia Evelyn, tanto per cominciare? Sono comparsi dal nulla o avevano delle referenze precise? Mi pare che nessuno di noi ne sappia gran che sul loro conto!» «Avevano referenze ottime» spiegò Patrick. «Le ho controllate io stesso. Avevano lavorato per sette tanni in casa di una coppia anziana ed erano venuti via soltanto perché quei due si erano trasferiti in Portogallo. Aveva-
no rilasciato ai Bodwell un regolare benservito, ma io ho telefonato e ho potuto parlare col marito, certo sir Oswald Smith non so più cosa, non ricordo più il nome intero ma l'ho annotato da qualche parte... Mi ha detto che erano bravissima gente.» «Smith-Ogilvie?» mi scappò detto prima che potessi frenarmi. Patrick mi guardò sorpreso. «Sì, esatto. Sei stata in gamba a ricordartene! Probabilmente te l'avevo detto io.» «Sì» mormorai. «Penso proprio che me lo abbia detto tu.» Ma non era vero, Patrick non mi aveva mai detto niente. Mi sentii arrossire e mi infuriai con me stessa per quel che avevo detto. Mi era sfuggito prima che potessi riflettere. Perché quel nome, Smith-Ogilvie, mi era terribilmente familiare: era l'"alias" preferito di Felix. Una volta, prima che scoprisse di non poter fare giochetti del genere con me, mi ero ritrovata registrata in un albergo come lady Smith-Ogilvie. Me n'ero andata la sera stessa, invece di fermarmi per le due settimane che avevamo preventivato, e Felix mi aveva raggiunta a casa il giorno seguente, querulo e perplesso di fronte al mio rifiuto di accettare quella promozione sociale. Lui non aveva inteso fare niente di men che onesto, dichiarò; i disonesti, semmai, erano quei tipi che gestivano gli alberghi e che ti servivano con premura molto maggiore se ti presentavi con un titolo e un nome altisonante, invece che come un qualunque signor Freer. Faceva parte anche quello del deplorevole sistema sociale britannico, aveva sostenuto, che in realtà era soltanto una gigantesca camorra nella quale era da sciocchi lasciarsi invischiare. Alla fine di quella sua perorazione era quasi riuscito a convincermi, ma per fortuna non aveva mai più tentato di coinvolgermi nelle prodezze di sir Oswald. Fino a quel momento, almeno, quando scoprii che i Bodwell erano suoi amici, oltre che ladri. E io c'ero dentro fino al collo. Dovevo pensare in fretta e decidere quel che mi conveniva dire. Avrei potuto spiattellare tutto alla polizia, naturalmente, dare l'indirizzo di Felix e spiegare che da lui avrebbero certo saputo dove cercare i Bodwell. Ma per il semplice fatto di essere stata sposata a quell'uomo, mi riusciva arduo far conoscere agili altri la piena estensione delle sue malefatte. Mi era sempre sembrato un dovere coprire Felix per quanto possibile, anche se al tempo stesso cercavo di non lasciargliene passare troppe. Ma almeno, dopo i primi tempi del nostro matrimonio, quando pensavo ancora che sarei arrivata a guarirlo con la forza del mio amore, ero sempre stata attenta a non lasciargli credere di essere riuscito a imbrogliarmi. Era tutto
quel che avevo saputo o potuto fare ma benché non avessi ottenuto alcun risultato, non avevo mai provato la tentazione di confidarmi con qualcuno, parlando delle sue bugie, dei suoi piccoli reati e della sua innata disonestà. Finii per non dire niente alla polizia né di Felix né di sir Oswald SmithOgilvie. Non fu difficile, perché nessuno si aspettava niente da me. Arrivarono circa un quarto d'ora dopo la telefonata di Patrick, prima un giovane sergente investigatore insieme con un agente in uniforme, poi l'amico di Patrick, l'ispettore Roper, un uomo robusto con un bel viso tondo e levigato, capelli neri un po' radi sulla fronte sporgente, lo sguardo penetrante e la voce gelida e incisiva. Chiese a tutti una descrizione dei Bodwell, prestando particolare attenzione a quella di Meg, un po' perché lei li aveva conosciuti meglio di noi altri e un po' perché fu subito chiaro che aveva, come hanno spesso i giovani, una spiccatissima capacità di osservazione. Ma se a proposito dei due domestici aveva notato molti particolari che a me erano completamente sfuggiti, nemmeno lei seppe dire niente a proposito delle miniature. L'unico che pareva saperne qualcosa era Nigel. «Mi pare che fossero una trentina» disse infatti. «Però non ho la più pallida idea di quel che potrebbero valere, con l'attuale inflazione. Fra le trenta e le quarantamila sterline, forse, benché il loro valore fosse di gran lunga inferiore quando le comprò lo zio. Ve n'erano parecchie di Larborough, uno dei più noti miniaturisti della fine del secolo scorso, alcune di De Ligne, un poco più recenti ma finissime, e alcuni pregevoli ritratti dell'italiano Rosella, all'incirca dello stesso periodo. Tutte erano su avorio e, mi pare, di donne (per lo più giovani) e questo, non so perché, accresce il loro valore. Pare infatti che le miniature di uomini, con la sola eccezione di alcuni ritratti di personaggi famosi (conoscerete tutti, immagino, quello celeberrimo e stupendo di Cromwell), non siano mai state apprezzate come quelle femminili. I collezionisti sembrano avere una spiccata preferenza per le belle signore.» Vidi un fugace sorriso aleggiare per un attimo sulle labbra del sergente, provocato probabilmente dalla supposizione di Nigel che l'ispettore Roper avesse dimestichezza con una miniatura di Cromwell, o di qualunque altro sia pure eminente personaggio. Il sergente era un bel ragazzo con capelli biondi e ricciuti, il viso quadrato e abbronzatissimo nel quale splendevano due occhi azzurri che sembravano persino troppo innocenti per uno che doveva guazzare ogni giorno nelle fangose acque del crimine. L'agente venuto con lui era un po' più anziano e con un'aria molto seria che, se non fosse stato in uniforme, avrebbe potuto farlo scambiare per un compunto
direttore di banca. All'infuori di qualche parola che sussurrò all'orecchio del sergente, non aprì bocca da quando entrò a quando uscì. Nemmeno il sergente parlò molto, del resto, ma l'ispettore gli affidò l'incarico di rilevare le impronte digitali in cucina e nella camera dei Bodweld e poi di prendere anche tutte le nostre per poter isolare quelle dei due domestici. Il tempo trascorreva lentamente. Dopo un poco Meg venne a sedersi accanto a me e mi sussurrò all'orecchio, come se avesse paura di farsi sentire dai poliziotti: «Mi piace terribilmente!» «Chi?» ribattei stupita. «L'ispettore Roper?» «Oh no! Vostro marito. Ha un tremendo fascino.» «È quel che ho sempre pensato anch'io.» «E che vita avventurosa ha avuto, vero? Me ne ha parlate molto.» «Sono certa che non vi avrà detto neppure la metà.» «Sembra persino un peccato...» S'interruppe di colpo, come se non avesse il coraggio di finire la frase, cosa che le accadeva con una certa frequenza. Finii io per lei. «Che ci siamo lasciati? Be', sono cose che capitano. Abbiamo mentalità troppo diverse.» «Stava spesso lontano da voi?» riprese Meg. «Credo che al vostro posto io sarei andata con lui. Ma certo che se a voi non piace viaggiare, sarebbe stato un guaio!» «A quale dei suoi viaggi state pensando in particolare?» «Quella traversata della Groenlandia con gli sci, a esempio.» «Io non so sciare.» «Ne ha parlato come di un viaggio favoloso.» «Non lo metto in dubbio.» «Certi tramonti fantastici, ha detto. Ma voi ve la sarete presa, naturalmente... voglio dire per il fatto che lui se ne andava via così, lasciandovi a casa.» «No, no, non me la sono mai presa, assolutamente. Ho sempre preferito restarmene a casa.» «Ma allora perché... Oh, scusatemi se sono indiscreta! Non sono affari miei, naturalmente.» «Non c'è niente da scusare. Sono contenta che Felix vi piaccia.» Mi guardò perplessa. Era chiaro che trovava sconcertante il mio modo di fare, ma lasciò cadere l'argomento. Erano già quasi le cinque quando finalmente potei congedarmi e tornare a casa. Una volta tanto mi avrebbe fatto piacere trovare Felix ad aspettarmi, ma
la casa era deserta. Non che ci tenessi a scoprire che cosa sapeva mio marito sul conto dei Bodwell, ma dopo le fatiche di quella giornata sarebbe stato piacevole farsi preparare da lui una bibita corroborante e lasciarlo chiacchierare a ruota libera di qualsiasi sciocchezza gli fosse passata per la testa. Invece il solo rumore che mi faceva compagnia era l'ululato del vento su per la gola del camino. Decisi che da situazione richiedeva, una volta di più, il sostegno di un buon Whisky. Mi preparai una razione e me la portai in salotto dove accesi subito la stufa elettrica perché, sebbene si fosse in maggio, faceva un freddo boia e mi ci accoccolai accanto chiedendomi che cosa avrei potuto preparare per la cena. Mi sembrò che un uovo sodo fosse un'idea buona al pari di qualunque altra, col vantaggio che non avrei avuto alcun bisogno di precipitarmi subito attorno ai fornelli. Potevo restarmene lì finché mi fosse piaciuto, a bere e a scaricare la tensione fino al momento in cui non mi fossero rimasti più pensieri nel cervello. Tutto sommato, finii per essere contenta che non ci fosse Felix. Se fosse stato lì, avrei certo cominciato a discutere con lui, cercando di tirargli fuori la verità sui Bodwell e rifiutando di credere una sola parola di quel che mi avrebbe detto. La solitudine era certo più riposante di un diversivo quale sarebbe stato una discussione di quel genere. Ma la mia solitudine fu di breve durata. Era passata sì e no una mezz'ora quando squillò il campanello dell'ingresso. Mi fece piacere vedere che era Paul. Non lo conoscevo molto, ma almeno i nostri rapporti erano privi di qualsiasi complicazione: niente argomenti tabù, nessuna necessità di evasive cautele nel parlare. «Come sei arrivato?» domandai. «Non hai la macchina, mi pare.» «Sono venuto a piedi. Mi piace camminare.» Lo feci passare in salotto, gli offrii da bere e aspettai che mi dicesse come mai era venuto da me. Immaginai che desiderasse qualche consiglio, forse a proposito dei libri lasciatigli dalla signora Arliss (come fare per venderli ad Allingford, per esempio) o di qualche altra faccenduola personale. Fui quindi profondamente stupita quando domandò, senza preamboli: «Felix è stato qui, vero?» «Sì, infatti.» «È ancora qui?» «No, se n'è andato stamattina.» «Ne siete certa?» «Sì, T'ho accompagnato io stessa alla stazione, prima del funerale. Ma
perché? Che cosa vuoi da lui, Paul?» Mi guardò imbarazzato, bevve un sorso della sua bibita poi posò il bicchiere e si strinse le mani, facendo crocchiare le giunture. Aveva mani forti e ben fatte, ma pareva che in quel momento non sapesse cosa farne. «Oh niente, volevo soltanto sapere se si trovava ancora da queste parti» rispose. «Meg mi ha detto che era qui e siccome sappiamo tutti che tipo è e quali guai vi ha fatto passare, è stato naturale chiedersi... Sì, voglio dire, se "era" qui mentre noi eravamo al funerale, si poteva pensare... Oh certo, è assai più probabile che siano stati i Bodwell, a prendere le miniature, tuttavia è pur sempre una possibilità da tenere in considerazione. Però non volevamo parlarne alla polizia per non creare altri problemi a voi, non so se mi spiego. Vorremmo soltanto parlare con lui e mettere in chiaro le cose.» «Davvero gentile!» Non seppi evitare una sfumatura sarcastica nel tono della mia voce, ma in realtà era stato un pensiero gentile da parte loro. «Resta però il fatto che mai nessuno è riuscito a scoprire niente di cui potesse fidarsi, parlando con Felix. Comunque, come ti ho detto, l'ho accompagnato alla stazione io stessa prima del funerale, sicché se le miniature sono sparite più tardi, potete essere certi che non le ha prese lui.» Fece crocchiare di nuovo le nocche delle dita. La camminata nel vento della sera gli aveva ravvivato il colorito delle guance e scompigliato i capelli bruni, facendolo apparire molto giovane, forte e sano. «Come non detto, allora» ribatté. «Spero che non ve ne abbiate a male per quel che sono venuto a dirvi. Io non volevo, ma Imogen ha insistito tanto, dicendo che qualcuno doveva pur farlo. E le probabilità che qualcuno conoscesse il valore di quelle miniature sono maggiori per lui di quanto non lo siano per gente come i Bodwell, che in fin dei conti sono rimasti in casa di zia Evelyn per quasi un anno senza dare mai adito al minimo sospetto, benché Imogen non sia affatto certa della loro onestà. Lei dice che avrebbero potuto facilmente mettersi in tasca assai più del loro salario senza che nessuno si accorgesse di niente, ma sapete com'è Imogen quando va in collera. Deve sempre gettare la croce addosso a qualcuno, e in questo momento è addirittura furiosa per la storia che non c'è più un soldo. Meg dice di essere certa che i Bodwell non hanno mai rubato un filo, fino a oggi intendo, benché ammetta che possano aver fatto la cresta sulle spese a sua insaputa. Però lei non lo crede. Mi piace molto Meg, e a voi? C'è in lei qualcosa... non so come dire... Qualcosa che ti conquista, ecco. Non lo avevo mai notato prima, benché ci fossimo visti molte volte. Forse è l'atmosfera di giornate come questa che porta a galla le doti della gente. Che ne
dite?» «Oh, hai indubbiamente ragione» risposi in tono molto grave. Era indiscutibile che quella giornata avesse portato a galla certe doti di Paul che non avevo mai sospettato, a cominciare da quella sua parlantina. «Penserete che sono uno sciocco» mormorò. «Perché dovrei?» «A proposito di Meg. Del modo come mi sono improvvisamente innamorato di lei.» «Sono cose che capitano» lo rassicurai. «Ma in questo caso... Be', lei è innamorata pazza di Patrick, lo vedrebbe anche un cieco. Cosicché io sto perdendo il mio tempo!» «Hai sempre la possibilità di metterti in lizza. Potrebbe darsi che la passione per Patrick risultasse un po' deludente per Meg.» «Per via di Imogen, intendete?» Non mi aspettavo che arrivasse così in fretta al punto, ma dopo una breve esitazione annuii. «Però non so se questo significhi molto» aggiunsi. «C'è qualcosa fra quei due, è vero, e Meg la prende molto sul serio, ma sai anche tu come sono fatti. Sono dello stesso stampo. Capacissimi di scordarsi tutto, l'uno e l'altra, non appena tornano a casa propria.» «Allora Patrick potrebbe ricominciare a fare il filo a Meg, così, tanto per divertirsi?» Lo guardai, a disagio. «È una cosa molto seria per te, Paul?» Si strinse nelle spalle, sforzandosi di fingere che non fosse così. «Forse scorderò tutto anch'io non appena tornerò a casa» disse. «E in ogni caso, non posso stare qui a battermi. Ho un lavoro, io. Mi hanno dato un breve permesso giusto per il funerale, ma non posso restar qui all'infinito. Perciò è meglio che cerchi di scordarmi tutto quanto, non vi pare? A meno che non ci sia qualche probabilità che Patrick e Imogen facciano sul serio, lo credete possibile? Si conoscono da anni e finora non mi era mai sembrato che nutrissero alcun interesse particolare l'uno per l'altra.» «Be', non sono più nel fiore della prima giovinezza, né lui né lei, e potrebbe darsi che abbiano desiderio di sistemarsi.» «Cioè sposarsi, intendete?» Paul sembrava decisamente incredulo. «S'è visto di peggio» mormorai. «Del resto, ora che mi ci fai pensare, direi che sono fatti l'uno per l'altra!» «Tutto sta a vedere se loro due se ne rendono conto!» Scoppiò improvvisamente a ridere. «Imogen che si trasforma in una brava moglie! Sarebbe
un bel fenomeno, no? Ma forse, ora che ha scoperto di non essere più un' ereditiera, il matrimonio potrebbe sembrarle più attraente che nel passato!» Trangugiò di un colpo il resto della sua bibita. «Ma non sono venuto per parlare di Imogen o di me. Volevo soltanto sapere se c'era ancora Felix.» «Be', non si può certo dire che abbia parlato molto di te» obiettai. Non desideravo affatto riesumare l'argomento Felix. «Però so che cosa farei io al tuo posto, se fossi innamorato di Meg. Parlando con me, ha accennato all'intenzione di cercarsi un lavoro a Londra; fossi in te, cercherei di persuaderla che è un'ottima idea.» Paul corrugò la fronte. «Non voglio averla di rimbalzo. Equivarrebbe a cercare guai.» «Ma averla a Londra sarebbe già un primo passo, non ti pare? Poi non ci sarebbe alcun bisogno di precipitare le cose. Potresti limitarti a essere molto gentile con lei, mentre aspetti che le passi la cotta per Patrick.» «Sì, capisco. Potrebbe essere una buona idea, se lei mi desse retta. Bene, grazie per avere avuto la pazienza di ascoltarmi.» Si alzò. «Allora non siete in collera con me per quel che ho detto sul conto di Felix?» «Ma no, era una domanda logica, temo!» Mi cucinai finalmente il mio uovo e me ne andai a letto di buon'ora, ma trascorsi una notte agitatissima. Il rumore del vento mi svegliava continuamente e appena sveglia cominciavano a turbinarmi nella mente mille pensieri che mi impedivano di riaddormentarmi. Andavo chiedendomi che cosa fosse venuto a fare Felix ad Allingford. Non avevo creduto una parola di quanto aveva detto a proposito del fantomatico cliente dei dintorni al quale aveva venduto una delle sue non meno fantomatiche macchine usate. Allingford era totalmente fuori zona per lui. E tanto meno avevo prestato fede al suo supposto desiderio di fare una capatina a vedere come me la cavavo. Sì, nei cinque anni trascorsi da quando ci eravamo separati, era venuto a trovarmi due o tre volte, e sempre come ora, senza alcun preavviso né alcun motivo apparente, ma adesso che ero al corrente dei suoi rapporti con i Bodwell ero quasi certa che fosse venuto lì per loro e che fosse coinvolto nel furto delle miniature, anche se non lo aveva compiuto personalmente. Ma se le cose stavano davvero così, che cosa dovevo fare io? Permettere che la passasse liscia? Aspettare che fosse la polizia a scoprirlo? Oppure buttar là qualche allusione che potesse indirizzare le ricerche su di lui, e poi aspettare che lo arrestassero, lo processassero e lo sbattessero in galera? In una maniera o nell'altra, era sempre riuscito a evitare la prigione e ora
avrei dovuto essere proprio io a mandarcelo? Del resto le mogli non possono testimoniare contro il proprio marito, no? Ma potevo restarmene lì senza far niente? Il giorno seguente, dovetti andare come al solito all'ambulatorio dove mi toccò una delle mie pazienti più difficili, che non riusciva a capire come mai non fossi capace di guarirla di tutti i suoi dolori, anche se aveva settantacinque anni e una artrite gravissima. Di solito, provavo una profonda pena per lei e facevo il possibile per tenerla su di morale, ma quel giorno non risposi ai suoi lamenti e mi ritrovai a guardarla quasi con malevolenza, come se scaricasse egoisticamente su di me i suoi guai per il solo piacere di infastidirmi. Fui distratta e scorbutica con tutti e quando scoccarono finalmente le cinque, me ne andai di volata senza salutare nessuno. Ma invece di tornare a casa, andai alla stazione e feci un biglietto per Paddington. Il tragitto da Allingford richiedeva soltanto cinquanta minuti ed ebbi la fortuna di dover aspettarne soltanto dieci prima che arrivasse un treno. A Paddington presi un taxi e arrivai in Little Carbery Street alle sette meno un quarto. Non era molto probabile che Felix fosse in casa, a quell'ora, ma conoscevo parecchi posti dove avrei potuto cercarlo. E in ogni caso, stavo facendo qualcosa e tanto bastava per allentare un poco la mia tensione. Pagato il tassista, entrai e mi avviai su per la scala. Era sudicia come al solito. La casa era alta e stretta, in stile georgiano, una delle poche sopravvissute in una strada dove i dignitosi marciapiedi a terrazza di un tempo avevano ormai lasciato il posto ad anonimi edifici moderni occupati da uffici o da appartamenti. Il nostro appartamento (fui sorpresa di scoprire che continuavo a chiamarlo così) si trovava al secondo piano. Inerpicandomi su per gli scalini altissimi e consunti, lo raggiunsi e suonai il campanello. Udii immediatamente rumor di passi all'interno, ma non era il passo di Felix. Era il rumore secco di tacchi alti e infatti fu una donna ad aprire la porta. Mi ci volle qualche momento per riconoscere la signora Bodwell. I suoi capelli grigi erano diventati di un bel color rame, il trucco accurato le toglieva almeno dieci anni e invece del solito vestito nero indossava un completo giacca-pantaloni di ottimo taglio, verde smeraldo. Portava inoltre vistosi orecchini a pendente neri e oro che ondeggiarono al brusco passo indietro che lei fece, come nella speranza di potersi sottrarre al confronto. Ma parve pentirsi quasi subito di quel movimento inconsulto, perché mi piantò gli occhi in viso con un sorrisetto sardonico sulle labbra. «Proprio quel che temevo» confessò. «Ma non credevo che sareste venu-
ta così presto!» 5 «Posso entrare?» domandai. Esitò un attimo poi si strinse nelle spalle e si fece da parte. Le sue maniere erano totalmente diverse da quelle della signora Bodwell da me conosciuta. Nessuno avrebbe mai potuto scambiare per una domestica questa donna disinvolta e persino un pochino altezzosa. Se aveva perduto molto della sua passata calma dignitosa, aveva acquistato ben di più in sicurezza di sé. Mi fece passare in soggiorno, una stanza rettangolare con due alte finestre, il soffitto altissimo e un camino in marmo intagliato, di delicata fattura. Felix aveva avuto molta cura della casa e la stanza era arredata meglio di quanto non fosse stata quando vi avevo vissuto io. «Abitate qui?» domandai alla Bodwell. «Soltanto come rifugio temporaneo» rispose lei. «Felix è stato molto gentile a ospitarci qui finché non avremo trovato un altro posto.» «Dello stesso genere di quello che avevate?» «E perché no? È il lavoro che sappiamo fare meglio e che ci consente di restare insieme. È molto importante per mio marito e me. Siamo già stati costretti a restare divisi per troppo tempo.» «Vi farete raccomandare un'altra volta da sir Oswald Smith-Ogilvie?» Lei mi guardò di nuovo con quel suo sorriso sardonico. Non si era seduta. Ritta davanti al camino, si appoggiava con un gomito alla mensola. Mi resi conto che i suoi bei capelli color rame erano una parrucca. «Sicché lo avete saputo» disse. Per la prima volta la sua voce ebbe il tono che conoscevo, piatto e uniforme. «Sì, spero che ci aiuterà ancora. È un buon amico, Felix.» «Tutto sta a vedere se io dirò alla polizia dove può trovarvi» osservai. «Nel qual caso, nemmeno sir Oswald potrà esservi di molto aiuto.» «La polizia?» fece eco lei inarcando le sopracciglia tinte. «E perché mai dovrebbe interessarsi di noi?» «Sentite, non è il caso di fingere» ribattei. «Ormai lo sanno tutti che le miniature le avete prese voi! Ma se sarete ragionevoli, si potrà forse trovare qualche accomodamento che vi tenga fuori dai guai.» «Le miniature?» ripeté come se non capisse. «Non so di cosa stiate parlando!» «Oh, non fate la stupida!» proruppi irritata. «Se ve ne siete già liberati,
purtroppo temo di non poter fare più niente per voi, ma se le avete ancora, credo di poter sistemare le cose per voi e per Felix.» Lei scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghi orecchini. «Davvero, non so di cosa stiate parlando» insistette. «Intendete quei quadrettini che sono in salotto?» «Esatto, proprio quelli.» «Ma perché, che cosa è accaduto?» «Sono spariti contemporaneamente a voi due. Intendete forse dirmi che è stata una coincidenza?» «Spariti? Rubati, volete dire?» «Per l'amor di Dio, signora Bodwell, smettiamola di menare il can per l'aia! Non desidero restare qui più a lungo dello stretto necessario e sono certa che nemmeno voi lo desiderate. Non m'importa niente né di voi né di vostro marito, né di quel che avete fatto. Sono venuta qui soltanto perché desidero tenere fuori dai guai Felix. Perché questo mi importi tanto non lo so, ma il fatto è che mi importa. E se voi pensate di dovergli qualcosa, come mi sembra che sia, cercate di ragionare e piantatela di fingere che le miniature non le avete prese voi.» Lei mi guardò corrugando la fronte e passandosi un dito lungo la mandibola, poi disse, assolutamente a sproposito: «Mi chiamo Rita.» «Va bene, Rita: dove le avete messe?» Rita sospirò. «Secondo me» riprese «la prima cosa da fare è discuterne con Jim e Felix. Sono andati a bere qualcosa in un bar qui vicino e non dovrebbero tardare, ma se voi avete tanta fretta come dite, possiamo raggiungerli là. Non mi va l'idea di parlare di queste cose a loro insaputa. E forse darete più peso alle loro parole di quanto non ne abbiate dato alle mie.» Se pensava che le bugie di tre persone sarebbero state più efficaci, per me, che quelle di una sola, probabilmente aveva ragione. Basta il peso del numero per confondermi le idee. Ma a parte questo era chiaro che non intendeva dirmi niente senza consultarsi con Jim e Felix, perciò tanto valeva accettare la sua proposta. Mi alzai. «D'accordo» dissi. «Andiamo.» Oltre tutto ero ben contenta di andarmene da quella casa che mi aggrediva con valanghe di ricordi, ricordi di felicità, di disperazione, di rassegnazione... di giorni che volevo dimenticare. Troppe emozioni. Se fossi rimasta lì ancora per un poco, pensai, avrebbero potuto confondermi le idee e farmi accettare qualsiasi cosa. Uscii in fretta, sottraendomi al fascino, al
pericolo, alla tristezza di quelle stanze. Quante volte ero stata con Felix nel locale dove mi portò la Bodwell! Era un barettino poco lontano da casa, quasi sempre affollato di persone che si conoscevano tutte e che guardavano con palese mancanza di simpatia qualsiasi faccia nuova. Jim e Felix erano là in mezzo, a chiacchierare allegramente, amministrando con cura un grande boccale di birra. Quando mi videro entrare con Rita si staccarono dal gruppo e, senza mostrare alcuna sorpresa per la mia presenza, ci accompagnarono a un tavolino d'angolo. Poi portarono a Rita un gin e acqua tonica e a me uno sherry. Uno sherry orribile, scoprii subito, come si beve generalmente in quel tipo di locale, ma la cosa non aveva la minima importanza. Non desideravo davvero che mi aiutasse a scacciare ogni pensiero e a godermi la serata. Felix sedette vicino a me e mi passò un braccio attorno alle spalle. «Una splendida idea!» esclamò. «Ma suppongo che tu sia venuta per qualche importante motivo, non soltanto per il piacere della nostra compagnia.» Mi levai di dosso il suo braccio. «Le miniature» spiegai. «Ho passato quasi tutta la notte a chiedermi che cosa avrei potuto fare e sono arrivata alla conclusione che se le restituirete spontaneamente, farò del mio meglio per evitare che la famiglia sporga denuncia. Sono toccate in eredità a Nigel, perciò penso che in ultima analisi toccherà a lui decidere, ma non credo che sia un uomo vendicativo. Però dovete restituirle immediatamente. Se non lo farete, dirò alla polizia tutto quel che so.» Per un momento nessuno parlò, poi Rita disse: «Sta continuando con questa storia da quando è arrivata, minacciando di cacciarci in chissà quali guai, sicché ho pensato che fosse meglio parlarne tutti insieme.» «Giusto» convenne Felix, soprappensiero. «Sì, certo.» Bevve un piccolo sorso di birra. «Ti spiace cominciare dal principio, Virginia, e spiegarci cos'è che ti scombussola tanto?» «Come se non lo sapessi!» proruppi. «Sparite le miniature, spariti i Bodwell, sparito tu... che soltanto il giorno avanti mi avevi fatto notare che quelle miniature erano i soli oggetti di valore in tutta la casa! Se le abbia prese tu stesso o se abbia incaricato i Bodwell non lo so: so soltanto di averti accompagnato alla stazione, ieri mattina, ma di non averti visto salire su un treno. Ti ho lasciato alla biglietteria. Sarebbe stato fin troppo facile farti riportare in taxi a casa Arliss, sapendo che sarebbe stata vuota perché tutti erano al funerale, e prendere le miniature. O forse le hanno prese d
Bodwell, invece, e poi ti hanno raggiunto qui. Sono disposta ad aiutarti a sistemare le cose, se posso, ma non permetterò che tu tratti a questo modo i miei amici. Sospettano già che tu c'entri per qualcosa nel furto, ma per amor mio non hanno ancora detto niente alla polizia e devo riconoscere che sono stati molto buoni, ma non permetterò che tu te ne approfitti.» «Un momento» disse Felix mentre i Bodwell mi fissavano impassibili. «Qualcuno ha rubato quelle miniature, è così?» «Come se non lo sapessi...» «Aspetta! Rispondi sì o no. Voglio avere un quadro esatto della situazione. Sono state rubate?» «Sì.» «Mentre c'era il funerale?» «Sì.» «E siccome i Bodwell hanno deciso di andarsene proprio mentre c'era il funerale, li hanno sospettati del furto?» «Naturale.» «E per qualche motivo tu hai dedotto che io ne fossi coinvolto e sei venuta a cercarli a casa mia. Come mai?» «Avevo saputo che erano stati assunti dalla signora Arliss grazie alle referenze di sir Oswald Smith-Ogilvie, sicché sapevo bene dove cercarli.» «Capisco. E naturalmente tu ti sei subito associata al poco caritatevole giudizio sulla loro condotta. Non ti è neppure passato per da testa che potessero avere un buon motivo per andarsene da quella casa, un motivo che non aveva niente a che vedere con la polizia.» «Non mi sembra molto probabile. Andarsene così, all'improvviso, senza avvertire nessuno, senza lasciare due righe di giustificazione, senza preparare lo spuntino come avevano promesso di fare... Non ti sembra alquanto sospetto?» «Oh, niente spuntino funebre!» Felix annuì ripetutamente come se capisse, ora, il mio comportamento. «Una bella seccatura per tutti quanti! Be', io mi domando...» Guardò i Bodwell. «Non sarebbe meglio spiegarle perché siete venuti via?» I due si scambiarono un'occhiata senza parlare. «Io la conosco bene» riprese Felix. «Una volta agguantato un osso, non lo molla più!» «E allora diglielo» borbottò Rita. «Ma questa storia non mi piace. Non mi piace per niente. Non abbiamo fatto niente di male, noi. E non possiamo certo ridarle le sue dannate miniature, ti pare?»
«Be', non credo» convenne Felix. «Diglielo, dunque» lo esortò Jim. «Al punto in cui siamo, non abbiamo niente da perdere.» «Prendi un altro sherry» mi disse Felix. «No, grazie.» Lui bevve un altro sorso di birra. Come al solito, il livello della bevanda scendeva molto lentamente, nel suo boccale. «A proposito di quello spuntino...» cominciò poi. «Questo non ha importanza!» esclamai io. «Oh, sì, invece, è molto importante! Non avrebbero piantato tutto quanto se non avessero avuto una gran fretta. Il fatto è che non possono rischiare di trovarsi a tu per tu con la polizia. Le persone come doro partono in una condizione di inferiorità, capisci?» «Intendi dire che sono due pregiudicati? Lo avevo sospettato. Me io ha fatto pensare proprio Rita con quella sua osservazione a proposito della lunga separazione forzata tra dei e suo marito.» «Sì» confessò Felix. «Ecco perché hanno avuto bisogno di quelle referenze. Desideravano ripartire da zero e, che tu lo creda o no, hanno sempre rigato diritto da quando sono fuori. Ma purtroppo il loro precedente datore di lavoro era morto. Suicidio. Una storia penosa. Sicché non potevano più chiedergli aiuto. E in ogni caso dubito che li avrebbe comunque aiutati, anche se fosse stato in vita. Ma si dava il caso che fossero miei amici (ci eravamo conosciuti proprio qui, tanti anni fa) e io ho cercato di aiutarli a trovare un buon posto. Sono stato contento che lo avessero trovato in casa della signora Arliss, perché ero certo che sarebbe andato tutto per il meglio. Lei non si sarebbe mai sognata di indagare sulla loro vita privata e io sapevo che loro l'avrebbero aiutata a trascorrere tranquillamente gli ultimi anni della sua vita. Come difatti è stato. Questo non puoi negarlo, vero?» «No» ammisi. «Ma che cosa aveva contro di loro il precedente datore di lavoro? Che cosa gli avevano rubato?» «Ma niente gli avevano rubato! Assolutamente niente! Tu hai l'idea fissa del furto! No, purtroppo quel tizio era un alcolizzato e aveva l'abitudine di guidare quando aveva bevuto più del normale, così un giorno investì una bambina e l'uccise. A mio parere, sarebbero stati da perseguire i genitori che avevano lasciato andar fuori una bambina così piccola, ma il pover'uomo si lasciò prendere dal panico e fuggì. Dopo, cominciò a tormentarsi perché si riteneva responsabile dell'accaduto, e finì per confidarsi coi Bodwell. Bene, loro non lo denunciarono alla polizia perché gli erano affe-
zionati e non volevano che finisse nei guai, ma quello continuò a essere tormentato dai rimorsi e una notte ingerì una grossa dose di sonnifero, dopo avere scritto una lettera alla polizia, confessando di avere ucciso la piccola e di avere pagato i Bodwell perché non lo denunciassero. Era una sporca calunnia, ma Jim si beccò cinque anni e Rita tre. Fu una grossa ingiustizia, perché come si fa a prestar fede alla lettera di un alcolizzato che ha appena ingoiato una boccetta intera di barbiturici?» «Ricatto» osservai. «È una parola che non mi piace!» protestò Jim. Per la prima volta da quando lo conoscevo, aveva il viso cattivo. «Ci saranno state prove un po' più consistenti, immagino» aggiunsi. «Oh certo, la polizia si è data un gran da fare per mettere insieme qualcosa» ammise Felix «ma non è riuscita a trovare niente che una persona sana di mente avrebbe potuto prendere sul serio!» «Bene, però non vedo che cosa c'entri tutto questo con le miniature» insistetti io. «Ma è semplicissimo» ribatté lui. «Rita e Jim hanno aspettato che foste andati via tutti, prima di mettersi a preparare lo spuntino, ma quando Rita è andata in salotto per accertarsi che fosse tutto a posto, si è accorta che le miniature erano sparite. Erano là soltanto mezz'ora prima, ma ora la parete era nuda. Allora ha discusso con Jim che cosa convenisse fare e tutti e due hanno riconosciuto che con un certificato penale come il loro era meglio tagliare la corda. Così hanno fatto le valigie in fretta e furia e poiché non avevano un posto dove andare si sono rifugiati da me. Ora si stanno cercando un altro posto, ma finché non lo trovano, sarò ben contento di ospitarli. Come ti ho detto, sono vecchi amici e riferendoti tutto quel che so sul loro conto, voglio sperare che tu non causerai guai a loro e a me. Sono stati sempre più che onesti con la signora Arliss e l'hanno servita col massimo impegno possibile.» «Proprio così» osservò Rita con la faccia scura come se ora rimpiangesse di averlo fatto. «Non abbiamo toccato un filo, in quella casa. Avevamo deciso di rigare diritto e così è stato. E adesso ci piove addosso questa maledetta storia. Perché?, vi domando. Che cosa abbiamo fatto per meritarcelo?» «Siete scappati, tanto per cominciare» risposi. «Date le circostanze, sarebbe stato molto più saggio se foste rimasti per denunciare voi stessi il furto alla polizia.» Lei scosse la testa. «Non sapete niente, voi! Se in una casa viene a man-
care qualcosa, i primi a essere sospettati sono i domestici. E, in questo caso, nessuno avrebbe mai creduto alla nostra storia, così come non ci credete voi. Perché voi non ci credete, vero?» «Be', no» ammisi. «Ecco, vedete? No, noi abbiamo pensato che le cose si sarebbero chiarite. Non pensavamo che qualcuno arrivasse a rintracciarci così presto. Se non fosse saltata fuori la faccenda di sir Oswald, nemmeno voi avreste mai pensato di venire a cercarci a casa di Felix. E ora suppongo che dovremo andarcene anche da qui. Non possiamo certo restituire qualcosa che non abbiamo preso e, se voi andate alla polizia, per noi sarà la fine.» «Ma tu non hai intenzione di andare alla polizia, vero?» disse Felix mettendomi di nuovo il braccio attorno alle spalle. «So che non ti fidi di me, ma non c'è motivo perché questa tua diffidenza debba estendersi anche ai Bodwell che non hanno assolutamente niente da rimproverarsi.» «Salvo il fatto di essere una coppia di ricattatori incalliti» replicai. «Fare denaro speculando sulla morte di una povera bambina! Si può scendere più in basso?» «Vi ho detto che non mi piace quella parola» grugnì Jim. «Potreste scoprire che è pericoloso usarla con tanta disinvoltura.» Felix si girò verso di lui. «Non minacciarla! Non è la maniera buona, con lei. È una brava ragazza, lo vedrai da te se arriverai a conoscerla meglio. L'unica via da seguire è quella di appellarsi al suo buon senso. Convincerla che nessuno di noi sa niente riguardo alla scomparsa di quelle miniature. Allora lei manterrà la promessa che ci ha fatto e non creerà guai per nessuno.» «E come pensi di persuaderla, quando si è già fatta la sua idea?» domandò Rita. «Cercando di scoprire col ragionamento chi potrebbe averle prese.» Rita fece una risata sprezzante. «Potrebbe averle prese chiunque, in quella casa! Sono tutti affamati di denaro e sono fuori di sé perché non ne hanno trovato per niente. E Huddleston non è meglio degli altri. Aveva già fatto conto di sposare una donna ricchissima. L'unica che escluderei dall'elenco dei sospetti è la piccola Meg. È una ragazza per bene.» «Anche Paul non mi sembra il tipo che si preoccupi del denaro» osservai do. «Mi pare che gli importi soltanto di Meg.» «Be', è ancora giovane» ribatté Rita, come se questo bastasse a spiegare quella sua eccentricità. «I giovani non sono realistici.» «E Meg si preoccupa soltanto di Huddleston» aggiunse Felix. «Il quale
Huddleston si preoccupa soltanto di Imogen che non si è mai preoccupata di nessuno in vita sua. Che pena!» «Non ho detto che Huddleston si preoccupa di Imogen» obiettò Rita. «Ho detto soltanto che si era fatta l'idea di poterla sposare, se avesse ereditato il patrimonio. Ma non mi stupirei se ora andasse tutto a monte.» «Credi davvero che sarebbero arrivati a sposarsi, se fra tutti e due avessero avuto denaro sufficiente?» domandò Felix. «Certo! Sai, a fare la domestica se ne sentono, di cose!» «Ma questo che c'entra con le miniature?» domandai di nuovo, convinta che cercassero soltanto di sviare il discorso e che se li avessi seguiti su quella strada, sarebbe poi diventato sempre più difficile riprendere l'argomento. «Ma non capisci?» ribatté Felix. «Hai detto tu stessa che le ereditava Nigel, sicché è piuttosto difficile che le abbia rubate lui. E non penserai che Paul sia avido di denaro... per quanto non si può mai dire! Mentre invece sai benissimo che Imogen ha una fame disperata di soldi. Si è capito benissimo l'altro ieri quando è venuta a casa tua. Supponi dunque che desideri davvero sposarsi, mentre sa che non riuscirebbe ad avere Huddleston se rimane povera. Così si impadronisce degli unici oggetti di valore che siano in casa e li nasconde da qualche parte finché non potrà venderli. Questo significa che probabilmente le miniature sono ancora nella casa. Se riuscirai a organizzare una minuziosa ricerca, salteranno fuori.» «A meno che non le abbia già vendute Huddleston» suggerì Jim. «Potrebbero averle rubate di comune accordo e, in tal caso, addio miniature.» Mi alzai. «Ora basta con questa storia» esclamai. «Sono tutte sciocchezze. State soltanto facendo di tutto per confondermi le idee. Ma se domattina le miniature avvolte in un bel pacco si trovassero davanti alla porta di casa Arliss, non farò parola di quel che so. In caso contrario, dirò tutto alla polizia. E ora me ne torno a casa.» Scivolai tra la parete e il tavolo e uscii alla ricerca di un taxi. Mangiai qualcosa a una tavola calda di Paddington, poi presi il primo treno per Allingford. A Londra, in mezzo alle case alte, non mi ero quasi accorta del temporale che si andava addensando, ma quando uscii dalla stazione di Allingford per andare a prendere l'auto, fui investita da una folata di vento che per poco non mi buttò a terra. Erano quasi le dieci e mezzo quando arrivai a casa. Il vento faceva gemere le imposte e ululava nel camino. L'unico albero del mio giardino, u-
n'altissima betulla, sbatteva i rami contro il tetto con tanta violenza da farmi temere che al mattino avrei trovato chissà quante tegole divelte. Mi infilai ugualmente nel letto. Avevo la mente confusa per la stanchezza, non riuscivo più a connettere i pensieri. Solamente quando fui coricata, persuasa che mi sarei addormentata nel giro di cinque minuti, mi si schiarirono di colpo le idee e mi ritrovai perfettamente sveglia. Mi assillava soprattutto il pensiero di Felix, unito al senso di depressione che mi prendeva sempre dopo ogni incontro con lui. Se soltanto avessi potuto credere a quanto diceva! Sarebbe stato così riposante! Se fossi riuscita a convincermi che aveva detto la verità, quella sera, e che né lui né i Bodwell c'entravano per niente col furto delle miniature, mi sarei addormentata subito e avrei dormito placida come un bambino, dicevo a me stessa. Il desiderio di dormire divenne una sorta di smania, aggravata dal timore di avere dimenticato come si faceva e di essere condannata alla perpetua insonnia! Uno dei miei problemi era costituito dal fatto che Felix, lo sapevo benissimo, era di una lealtà a tutta prova con i suoi amici. Anche se si trattava di persone spregevoli, capaci di arrivare fino all'estrema bassezza del ricatto (cosa che lui non avrebbe mai fatto, ne ero certa), gli sarebbe sembrato assolutamente normale schierarsi al loro fianco se si fossero trovati nei guai. E a quanto pareva, per entrare nel novero dei suoi amici, bastava dimostrare un po' di simpatia per lui. Era tutto quel che chiedeva, e se ne mostrava grato in maniera persino commovente. Per me, questa era stata una delle sue caratteristiche più accattivanti, anche se talvolta finiva per esasperarmi. Ma anche questo faceva parte di quella sua confusione morale entro la quale pareva trovarsi tanto a proprio agio. Tuttavia, se avesse visto giusto e se le miniature le avesse prese davvero Imogen... A modo suo, Felix era astuto e la conosceva molto bene, anche se Imogen non aveva superato, con lui, la prova dell'amicizia. A lei, Felix non piaceva proprio per niente, perciò ero certa che lui non avrebbe provato alcun rimorso a diffamarla un poco, anche sapendo di dire il falso. Oltre tutto, sapeva che se fosse riuscito a convincermi che era lei la ladra, io non sarei più andata alla polizia a parlare dei Bodwell. Certo non ci sarei andata per denunciare Imogen. In fondo non mi importava molto che le miniature andassero a finire in mano dell'una o dell'altro: se le aveva prese Imogen, la cosa diventava un affare di famiglia fra lei e Nigel. Che se la vedessero fra di loro. Quel che mi turbava pro-
fondamente, invece, impedendomi di prender sonno, era il pensiero che col mio silenzio sui rapporti tra Felix e i Bodwell mi ero resa in un certo modo loro complice ed ero quasi responsabile del furto come probabilmente lo erano loro. Ma se Felix avesse detto la verità... Gli capitava, qualche volta. E così mi ritrovavo al punto di partenza, sveglia più che mai. Con gli occhi spalancati nel buio, ricominciai a chiedermi per l'ennesima volta come sarebbe stata la mia vita se non avessi conosciuto Felix. Un interrogativo sterile, ma che non ero mai riuscita a lasciarmi risolutamente alle spalle. Sarei rimasta una zitella tutta casa e lavoro, non infelice ma talvolta irrequieta per la sensazione che mi fosse mancato qualcosa? O avrei sposato un uomo onesto e responsabile, che avrei amato senza riserve e col quale sarei invecchiata tranquillamente? Oppure avrei commesso qualche altro errore, altrettanto grave se non peggiore di quello che avevo commesso sposando Felix? C'è gente che sembra predestinata ai matrimoni sbagliati! Facevo forse parte anch'io di quella schiera e alla resa dei conti me d'ero cavata meno peggio di quanto avrei potuto? Avevo conosciuto Felix a un ricevimento mentre ero a Londra per trascorrere un fine settimana con un'amica. Lui mi aveva telefonato il giorno dopo e la sera stessa mi aveva portata fuori a cena e la mia amica (non sono mai riuscita a scoprire quanto ne sapesse sul conto di Felix) aveva incoraggiato d'idillio dicendo che eravamo fatti l'uno per l'altra. Fu quella la prima volta che ebbi modo di ascoltare da storia della famosa traversata della calotta ghiacciata groenlandese sugli sci. Probabilmente Felix l'aveva letta da qualche parte o sentita raccontare da qualcuno che aveva veramente compiuto quell'impresa, ma allora io non avevo avuto il minimo dubbio sulla veridicità del suo racconto, che mi era sembrato entusiasmante, Altre storie avevano seguito la prima, tutte raccontate con vivacità pittorica e al tempo stesso con estrema modestia: c'era in lui una sorta di delicata ritrosia, una sensibilità d'intuito che mi erano sembrate eccezionali in un uomo dalla vita tanto movimentata cosicché, ancora prima di capire a che punto stavo arrivando, mi ero innamorata di lui. In questo aveva avuto una discreta importanza anche il suo aspetto fisico, naturalmente: mi piaceva guardare il suo viso triangolare e mobilissimo dagli occhi di un vivido azzurro semi-velati dalle palpebre un po' cascanti. Niente di strano, dunque, che avessi subito desiderato sposarlo. Il fatto veramente strano, invece, quei che mi sorprende ancora, quando
ci penso, era stato che fosse lui a desiderare di sposare me. Chissà, forse in quel periodo voleva un'esistenza più tranquilla e aveva pensato di poterla avere sposando me. Me lo sono chiesta tante volte. Ma se era stato così, si era ingannato sul mio conto non meno di quanto io mi fossi ingannata sul suo. Quel che lui aveva forse scambiato per tranquillità, era una sorta di timidezza che io naturalmente mi sforzavo di mimetizzare, ma sotto quell'apparenza si celiavano un carattere burrascoso, una pericolosa tendenza alla gelosia e una gran voglia di avere una vita un po' più avventurosa. Avventure del tipo di quelle che mi aveva raccontato, non di quelle che mi procurò in seguito. Fino a quel momento, tuttavia, mi ero dedicata ben di rado all'introspezione, non avevo mai neppure immaginato che mi sarei trovata rasila necessità di decidere da sola quali valori avessero per me tanta importanza da sacrificare per essi il mio matrimonio. Avevo sempre ritenuto che si trattasse di cognizioni che si possedevano senza bisogno di elucubrazioni mentali e che se si amava una persona questa fosse naturalmente senza difetti. Il risultato fu che quando si trattò di dimostrare il genere di comprensione sul quale probabilmente Felix aveva contato, mi rivelai un completo disastro. Il vento andò facendosi sempre più violento durante la prima parte della notte, così come la pioggia che sferzava le finestre, poi la bufera si calmò a poco a poco e quasi di pari passo parve calmarsi anche il mulinello dei miei pensieri. A un certo punto, arrivai persino a convincere me stessa che l'unica cosa da fare il giorno dopo se le miniature non fossero state restituite (e quasi certamente questo non sarebbe accaduto) era di parlare a Patrick dei rapporti tra Felix e i Bodwell, lasciando che fosse lui a decidere quali provvedimenti prendere. Ma Felix era riuscito a farmi dubitare di Patrick e la possibilità anche vaga che le miniature le avessero fatte sparire di comune accordo lui e Imogen mi indusse subito a riflettere quanto sarebbe stato sciocco da parte mia offrirgli quei tre come comodo capro espiatorio. Tuttavia il solo pensiero di andare io stessa alla polizia, senza poter consultarmi con nessuno, mi riempiva di vero terrore. Cercavo di convincermi che in realtà non esisteva alcun problema, perché Felix avrebbe avuto il buon senso di capire che bisognava assolutamente restituire le miniature, ma subito dopo mi sentivo di nuovo certa che non lo avrebbe fatto. Prima o poi avrei pur dovuto prendere una decisione, non avevo via di scampo. E finalmente vidi a un tratto la soluzione. Avrei raccontato tutto a Nigel. In fin dei conti le miniature erano sue, quindi il furto riguardava lui più di chiunque altro, era assai poco probabile che le avesse rubate lui e oltre tut-
to era un uomo posato e riflessivo che non si sarebbe certo lasciato trascinare da impulsi collerici. Avremmo potuto discutere con calma dell'accaduto e decidere insieme che cosa fare. Non sapevo neppure io cosa speravo di ricavare da un passo simile, visto che alla fine qualcuno avrebbe pur dovuto parlare alla polizia di quanto era accaduto, ma almeno mi sentii sollevata all'idea di poter condividere con qualcuno ogni responsabilità. Presa quella decisione, mi addormentai, finalmente, e non mi svegliai fino alle otto del mattino. Era una giornata grigia e pesante. Scendendo al pianterreno con la vestaglia che era stata tanto criticata da Felix, vidi il prato intriso di pioggia e costellato di serenelle strappate dal vento, ma l'aria era perfettamente calma ora. Presi il caffè con la mia solita fetta di pane tostato poi mi vestii, tirai fuori l'auto dalla rimessa e andai a casa Arliss. Il viale d'accesso era sbarrato da un grande olmo abbattuto dal vento. L'albero, già corroso da una grave malattia, era comunque condannato, ma fu ugualmente una pena vederlo lì con le radici all'aria, accanto all'enorme buca che esse avevano lasciato nel terreno. Scesi dall'auto e, aggirato l'ostacolo, proseguii a piedi tra le pozze d'acqua che costellavano il viale. Bastò quel breve tragitto per infangarmi le scarpe. Naturalmente, sulla soglia non v'era alcun pacco che potesse contenere le miniature e non era molto probabile che qualcuno lo avesse già ritirato. Veramente non mi ero aspettata di trovarlo, ma fu ugualmente una profonda delusione Ora, nella luce del mattino, la mia visita a Felix mi appariva come una grossa sciocchezza. L'unico risultato di quel passo era stato quello di rivelare ai Bodwell quanto fosse facile rintracciarli, cosicché ormai dovevano avere lasciato l'appartamento di Felix partendo per ignoti lidi. Suonai e la porta mi fu aperta da Nigel, vestito ancora del suo doppiopetto scuro con cravatta nera. Aveva le guance lievemente luccicanti per la rasatura recente. «Oh, Virginia!» esclamò con un largo sorriso. «Buongiorno. Che notte, eh? Hai visto l'albero? È crollato ieri sera con uno schianto infernale. Ero solo in casa e ho preso un bello spavento. Ora bisognerà chiamare qualcuno che venga a segarlo per poter sgombrare il viale. Conosci nessuno che possa farlo? Io non saprei proprio a chi rivolgermi, ma forse potremo trovarlo sulle pagine gialle.» Intanto mi aveva fatto entrare e aveva richiuso la porta. Gli feci il nome di un giardiniere che aveva già lavorato per me, rimuo-
vendo un albero diventato troppo grande per il mio minuscolo giardino e lui se lo segnò su un taccuino. «Sei venuta per vedere Imogen, immagino» disse poi. «È ancora a letto e credo che non si alzerà prima di mezzogiorno. Io avevo in mente di tornare a Oxford, oggi, ma naturalmente non posso passare con l'auto, ora. Potrei partire in treno, certo, e poi tornare qui a recuperare la macchina quando avranno sgombrato il viale, ma chissà quanto ci vorrà! Non so proprio che pesci prendere.» «Eh sì, è davvero un bel guaio» convenni. «Ma se non devi andartene subito, vorrei parlarti. Sono venuta per te, non per Imogen. Per le miniature.» Esitai un attimo. «Non ne avete saputo più niente, immagino.» «No, naturalmente, ma penso che la polizia le rintraccerà, prima o poi.» Non pareva molto preoccupato. «Roba di quel genere non è facile da vendere. Il furto di opere d'arte crea difficoltà maggiori di quanto i ladri non pensino. Certo le nostre miniature non hanno un pregio eccezionale e forse se venissero vendute una per una, senza chiasso, potrebbero anche passare inosservate, ma non credo che i Bodwell abbiano molta esperienza in questo campo. Secondo me hanno arraffato le prime cose di valore che gli sono capitate a tiro ed è probabile che prima o poi, quando scopriranno i rischi cui andrebbero incontro cercando di venderle, le mollino da qualche parte pur di liberarsene. In ogni caso, non ho alcuna intenzione di perdere la pace per questa storia. Zia Evelyn è stata molto buona a lasciarle a me. Probabilmente lo ha fatto perché sapeva che ero il solo della famiglia in grado di apprezzarne il valore ma poiché non me lo aspettavo, da delusione per la loro scomparsa non è poi tanto grave.» «Ma io ho scoperto dove sono i Bodwell» esclamai «e vorrei appunto discorrerne con te.» «Davvero?» ribatté lui, ma non sembrava per niente emozionato. «Vuoi dire che li hai rintracciati tu da sola? Sei straordinaria! Come hai fatto? Ma vieni, andiamo di là in salotto. Raccontami tutto. Mi sorprendi davvero, visto che a quanto pare la polizia non sa nemmeno da che parte cominciare.» E spalancò la porta del salotto. Credo di avere gridato. Qualcuno vicino a me lanciò un urlo. Lo udii, ma non era stato Nigel. Non mi resi conto di avere gridato, udii soltanto l'urlo e avvertii do shock alla vista di Imogen distesa sul pavimento in mezzo alla stanza con il viso e i capelli macchiati di sangue raggrumato, gli occhi sbarrati e la faccia color della cenere. V'era altro sangue sulle sue mani allargate e macchie di sangue sul suo vestito, lo stesso che aveva indossato il
giorno avanti, e ancora altre macchie sul tappeto. Il suo corpo appariva rigido come se fosse lì da molte ore. Alla parete erano allineate le miniature. 6 Nigel non perse la calma. Mi passò davanti fermandosi a circa un metro dal corpo di Imogen e rimase lì immobile, fissando il cadavere, poi si mosse (pensai) verso il telefono. Ma invece stava dirigendosi alla porta, per girare l'interruttore della luce che era lì vicino. Soltanto quando l'ebbe spenta, mi resi conto che la luce era accesa quand'eravamo entrati, un pallido bagliore giallo nella luce del giorno. «Non avresti dovuto farlo» osservai. «Dovevamo lasciare tutto come stava.» «Hai ragione» riconobbe con voce molto più ferma della mia. «È stato un gesto meccanico. E ormai, anche se la riaccendessi non sistemerei le cose. Diremo alla polizia che la luce era accesa, quando siamo entrati. Non credi anche tu che sia meglio fare così?» «Telefoni ora alla polizia?» «A meno che non preferisca farlo tu.» «No, no, telefona tu.» Prese il telefono, fece un numero, diede il proprio nome e l'indirizzo, poi spiegò che doveva denunciare un omicidio. Lo disse come se fosse una faccenda di tutti i giorni. Qualcuno rispose qualche cosa perché dopo avere ascoltato un momento riprese: «Senza alcun dubbio. Nessuno si ammazza e muore per un incidente spaccandosi la testa con una paletta del carbone. La vittima, avrei dovuto dirlo subito, è la signorina Imogen Dale, la nipote della signora Evelyn Arliss che come saprete è morta l'altro ieri... Sì, direi che la, signorina Dale è deceduta da parecchie ore, ma un'amica e do abbiamo scoperto il corpo appena ora... Sì, verrete subito? Bene, vi aspettiamo.» E riagganciò. Prima che lo dicesse Nigel, non aveva notato l'antica, pesante pala di rame per il carbone che ora lì sul pavimento accanto al corpo di Imogen. L'avevo vista centinaia di volte dentro il secchio di rame per il carbone che stava accanto al camino. Era strano che non avesse attirato subito la mia attenzione, ma del resto non mi ero neppure accorta che ci fosse la luce accesa!
A quanto pareva non avevo visto niente altro che il corpo di Imogen steso sul tappeto, ma ora mi costava uno sforzo enorme guardarlo. Mi sentivo come inchiodata lì sulla soglia, con una gran voglia di andarmene, ma incapace di fare un gesto. Nigel se la cavava molto meglio di me, ma, come aveva detto, lui aveva assistito a innumerevoli morti violente in guerra. Era la morte naturale che gli sembrava terribile. «È strano» osservò a un tratto. Aveva fatto lentamente il giro della stanza e si era fermato davanti all'alta porta-finestra. «Ricordo benissimo di averla chiusa col chiavistello, ieri sera» spiegò. «Ho fatto il giro di tutta la casa, prima di salire in camera, come faccio sempre a casa mia, proprio per assicurarmi che porte e finestre fossero tutte ben chiuse. Non avevo chiuso a chiave la porta d'ingresso perché tutti gli altri erano ancora fuori, ma questa sono certissimo di averla chiusa. E ora è aperta.» «Forse perché l'assassino se n'è andato da quella parte» osservai con una strana voce stridula che non pareva la mia. «Oppure voleva indurci a crederlo. Non è molto probabile che l'abbia aperta Imogen stessa per uscire in giardino, col tempo che faceva la notte scorsa. Bisogna farlo notare alla polizia.» Fui presa a un tratto da una collera furiosa verso Nigel per quella sua calma imperturbabile, quella sua padronanza di sé mentre io non mi sentivo più padrona di niente, neppure della capacità di comportarmi in maniera ragionevole. Mi sarebbe sfuggita chissà quale sciocchezza (e me ne sarei poi pentita amaramente!) se in quel momento non fosse suonato il campanello. «Eccoli» dissi e, sciolta all'improvviso dall'involontaria immobilità che mi aveva bloccata fino a un secondo prima, mi girai di scatto per andare ad aprire. «Sono stati rapidissimi» osservò Nigel mentre mi allontanavo. «Di un'efficienza ammirevole. Sorprendente.» Ma non erano i poliziotti. Era Patrick Huddleston che indossava di nuovo una delle sue fantasiose camicie e sfoggiava un sorriso sfavillante. «Virginia!» esclamò come se fosse sorpreso ma felice di trovarmi lì. Pareva sprizzasse buonumore e ne riversò su di me una dose generosa. «Ero venuto per riprendere la mia auto. Imogen non è ancora alzata, vero? O sì, una volta tanto? L'hai vista? Ti ha detto niente? Naturalmente mi rendo conto che per ora non posso recuperare la mia auto, ma volevo almeno sa-
pere se hanno già deciso qualcosa riguardo a quella pianta perché se ci vorrà tanto prima che la rimuovano, mi toccherà prendere un'auto a noleggio. Non sarà affatto un problema, naturalmente, volevo soltanto sapere a che punto stanno le cose. E vedere Imogen, se è possibile.» Non sapevo che cosa dire. Quella sua gaiezza, in quel momento, mi sconvolgeva addirittura. Mi venne voglia di urlare. Poi il suo tono cambiò bruscamente. «Che cosa c'è, Virginia? Non ti sentì bene?» «Vieni dentro» dissi. «Non so niente della tua auto, ma... Be', entra.» «È rimasta qui nell'autorimessa» spiegò lui. «Imogen mi ha detto di lasciarla qui, quando è caduto l'albero. Ma che cosa c'è, Virginia?» Come fu entrato e io ebbi chiuso la porta alle sue spalle, Nigel uscì dal salotto, sicché pensai di lasciare a lui l'incarico di comunicare a Patrick la notizia. Nigel accettò gravemente quella responsabilità. Tese una mano a Patrick che fu palesemente stupito di quel gesto: si conoscevano da anni e la formalità della stretta di mano era stata superata da un pezzo, nei loro rapporti. Huddleston strinse la mano che gli veniva tesa, inarcando le sopracciglia. «È accaduta una cosa incredibile, Patrick» annunciò Nigel con quel suo tono impersonale, come se parlasse di un fatto di ordinaria amministrazione. «Quasi non riesco a parlarne, ma mi sembra doveroso prepararti. So che eri molto affezionato a Imogen...» «Ma che cosa diavolo...» proruppe Patrick, scansando bruscamente Nigel e precipitandosi in salotto. Fu forse vigliaccheria, ma Nigel e io restammo dov'eravamo, guardandoci negli occhi. Dal salotto non proveniva alcun rumore. Finalmente Patrick riapparve sulla soglia col viso color della cenere sotto l'abbronzatura e gli occhi sbarrati. «Avrai già chiamato la polizia, naturalmente» disse con voce atona. «Naturalmente» ribatté Nigel. «Quando l'avete trovata?» «Pochi minuti fa. Virginia era venuta per parlare con me a proposito delle miniature, così siamo andati in salotto e... A proposito, le miniature sono di nuovo al loro posto. Strano che non me ne sia reso veramente conto fino a questo momento! Una bella sorpresa, no? Ma ormai che importanza ha, dopo quel che è accaduto!» «Erano già lì ieri sera quando Imogen e io siamo rientrati» disse Patrick. «Abbiamo cenato al Rose and Crown, poi ho riaccompagnato a casa Imo-
gen e le abbiamo trovate. Siamo rimasti qui un poco a fare congetture, poi è crollato l'albero, così non ho più potuto portar fuori la macchina e Imogen mi ha detto di metterla nella rimessa. Ecco perché sono tornato qui stamattina...» La sua voce svanì, come un filo d'acqua assorbito dalla sabbia. Aveva parlato con un tono privo di inflessioni, accuratamente controllato, ma concentrando la propria attenzione su ciò che diceva, come se cercasse in quel futile argomento una scappatoia che gli consentisse di ignorare l'argomento ben più importante che gli occupava la mente. «Stavamo per sposarci, sapete? Lo avevamo deciso proprio ieri sera.» «Oh, amico caro, che cosa terribile... terribile. Non so dirti quanto...» A questo punto Nigel ebbe un accesso di tosse che gli impedì materialmente di dire quanto gli dispiacesse e fu una bella fortuna per lui, perché il matrimonio era un argomento che lo aveva sempre messo in imbarazzo. A volte si comportava come se questo fosse una felicità meravigliosa che a lui era, chissà come, negata, mentre altre volte pareva considerarlo qualcosa di cui soltanto gli sciocchi potessero preoccuparsi. Del resto, io non me la cavavo meglio di lui, scioccata com'ero per lo stupore. Dopo un momento, Nigel si riprese. «Ma dov'eravate quando è caduto l'albero? A me era sembrato di essere solo in casa. Sapevo che voi due eravate fuori a cena, mentre Paul e Meg dovevano essere andati al cinema e non avevo sentito rientrare nessuno.» «A proposito, dove sono Paul e Meg?» domandai. «Qualcuno di voi lo sa?» «Sono usciti a far spese» rispose Nigel. «Abbiamo fatto colazione insieme, poi loro due sono andati in paese a comprare qualcosa da mangiare o che so io. Ma non dovrebbero tardare. Davvero eri qui anche tu quando è caduto d'albero, Patrick? Non ti ho visto da nessuna parte.» «Nemmeno noi abbiamo visto te» ribatté Patrick. «Non sono uscito» spiegò Nigel. «Ho visto dalla finestra quel che era accaduto. Era già molto buio (penso che mancasse poco alle undici) ma riuscivo ugualmente a distinguere il vuoto in mezzo agli alberi e siccome mi ero già spogliato, ho ritenuto inutile andar fuori.» «Invece Imogen e io siamo usciti» disse Patrick. «Abbiamo visto subito che la mia macchina era rimasta bloccata così l'ho spostata nella vostra rimessa e sono tornato a casa a piedi. Non è stata una passeggiata piacevole. Non pioveva ancora, ma tirava un vento terribile.» Io intanto cercavo di schiarirmi le idee su qualcosa che mi sembrava
molto importante. «Da quanto tempo eravate qui quando è caduto l'albero?» domandai. «Oh, una decina di minuti, direi, un quarto d'ora al massimo» rispose Patrick. «Perché me lo domandi? È importante?» Pensai che poteva essere della massima importanza, ma non volevo spiegare perché. «E le miniature erano già lì al loro posto, dici?» «Certo, è stata la prima cosa che abbiamo notata appena entrati in salotto. Avevamo ben altro di cui parlare, come puoi immaginare, ma sembrava un tale miracolo che siamo rimasti lì impalati a guardarle.» «Ed erano circa le dieci e mezza, dici?» Patrick aggrottò improvvisamente la fronte, fissandomi attentamente. «Virginia, a che cosa stai pensando?» Stavo pensando che se erano stati i Bodwell a restituire le miniature, dovevano essersi mossi a velocità supersonica, dopo che li avevo lasciati al bar di Paddington, per arrivare a riappenderle nel salotto di casa Arliss prima delle dieci e mezzo. Ma potevano anche avercela fatta, tutto sommato. Io ero arrivata a casa appena dopo le dieci e mezzo, pur essendo tornata in treno e avendo perso tempo a mangiare pesce e patate fritte. Se erano partiti subito, compiendo il tragitto in auto a velocità sostenuta, i Bodwell sarebbero potuti arrivare giusto in tempo per riappendere le miniature al loro posto prima che tornassero Imogen e Patrick. Entrare in casa non doveva essere stato un problema. Probabilmente avevano ancora le chiavi e Nigel non aveva messo il catenaccio interno. Forse, pensai, avevano appena finito di riappendere le miniature quando, udito qualcuno entrare dalla porta principale, se l'erano squagliata dalla porta finestra, che naturalmente era rimasta aperta. Dovevano aver certamente lasciato la macchina sulla strada, poiché non potevano rischiare di attirare d'attenzione entrando nel viale, cosicché anche se si erano attardati per qualche motivo, non erano rimasti intrappolati. E Imogen e Patrick non avrebbero certo notato un'auto ferma sulla strada a qualche distanza dal viale d'accesso alla casa. «A che cosa stai pensando?» domandò di nuovo Patrick che sembrava nutrire qualche sospetto. «Perché continui a preoccuparti di queste dannate miniature, quando Imogen... Oh Dio, Imogen!» Girò sui tacchi e tornò in salotto. Nigel emise un profondo sospiro.
«Poveretto!» mormorò. «Essersi decisi dopo tanto tempo e proprio ora... Ma vuoi che ti dica quel che sto pensando io, Virginia? Imogen era una donna robusta, forte, e se qualcuno l'avesse aggredita, si sarebbe difesa, avrebbe gridato, mentre io non ho sentito niente. Ero di sopra, a leggere tranquillamente, e non ho udito alcun rumore. Non ti sembra strano?» «Non li hai nemmeno sentiti entrare, se è per questo» obiettai. «Questa casa è costruita solidamente e il temporale faceva un tale baccano da soffocare qualsiasi rumore. E forse tu ti eri anche appisolato.» «Sì, forse hai ragione. Ero stanchissimo. Il funerale e tutto il resto... era stata una giornata molto pesante. Ma lo stesso... Vedi, potrebbe darsi che la povera Imogen sia stata colta di sorpresa, senza avere il tempo di gridare, da qualcuno che conosceva bene. Da uno di noi, voglio dire. Un pensiero angoscioso. Tu che ne dici, Virginia? Ho un'immaginazione troppo lugubre?» L'ultima persona al mondo ad avere, secondo me, un'immaginazione lugubre, anzi un'immaginazione e basta, era Nigel. Che però non era uno sciocco. Tuttavia, l'arrivo di Meg e Paul che tornavano dall'aver fatto la spesa mi fece dimenticare, per il momento, quella domanda. Bisognò raccontare ai due ragazzi quel che era accaduto. Se ne erano appena resi conto, avevano appena dato una rapida occhiata in salotto, quando sopraggiunsero i poliziotti. Nei pochi minuti che precedettero il loro arrivo, Meg aveva lasciato cadere la borsa della spesa, si era premute le mani sulla bocca come per soffocare un urlo, poi aveva nascosto il viso contro il petto di Paul. Vidi chiaramente che, se non avesse avuto le mani ingombre di pacchi, Paul l'avrebbe certamente abbracciata, ma prima che riuscissi a liberarlo dagli impacci, Meg lo aveva scostato bruscamente come se fosse lui che tentava di tenerla stretta, aveva raccolto la borsa caduta ed era fuggita in cucina. Presi i pacchi dalle mani di Paul e la seguii. La trovai indaffaratissima a riporre con la massima cura la roba che aveva comprato; poi a un tratto cadde a sedere davanti al tavolo e si prese la testa fra le mani. «Oh Virginia, la odiavo!» gemette. «La odiavo veramente. Quando ho scoperto quel che c'era fra lei e Patrick l'avrei uccisa. Cioè pensavo che l'avrei uccisa. Ma ora... vederla così...» «Io non lo direi alla polizia» l'ammonii. «Anche se credo che i poliziotti siano avvezzi alla gente che commette delitti immaginari!» «Certo che non glielo dirò, ma voi lo sapevate, vero? Così glielo direte voi, suppongo.»
«Che cosa vi fa pensare che possa dirlo?» «Perché è quel che farei io al vostro posto.» «Non credo che lo fareste davvero.» «Ma chi altri poteva avere un movente?» «Grazie al cielo non tocca a me scoprirlo» ribattei. «E nemmeno a voi. Non ne sappiamo molto sulla vita privata di Imogen. Potrebbe essere stato qualcuno che l'aveva conosciuta in passato, qualcuno spinto dalla gelosia perché ha saputo che lei e Patrick avevano deciso di sposarsi. Potreste non essere la sola persona che l'odiava per questo. In ogni caso, aveva qualche guaio, ne sono certa, e può darsi che quel che temeva le sia piombato addosso.» Lei scrollò leggermente la testa, come se ciò che dicevo fosse una fantasia senza fondamento, poi si alzò e riprese a sistemare con maggior calma pacchetti e scatolette. Appena arrivati, i poliziotti ci confinarono tutti nel salottino della signora Arliss per non avere nessuno tra i piedi mentre ispezionavano il salotto dove avevamo trovato il corpo di Imogen. Pareva che ve ne fosse tutta una squadra. Uno era il giovane sergente già venuto il giorno avanti quando Patrick aveva denunciato la scomparsa delle miniature, ma invece dell'ispettore Roper, stavolta c'era il sovrintendente investigatore Chance, un tipo che sembrava flaccido nonostante la magrezza, che strascicava i piedi e la voce come se fosse perennemente stanco. Ci guardò come se gli fossimo antipatici in massa, prima di annunciare con molto riguardo che desiderava interrogarci uno per uno in sala da pranzo e che gli dispiaceva moltissimo se l'attesa ci sarebbe sembrata troppo lunga. «Vorrà interrogarci sui nostri alibi» osservò Paul quando il sovrintendente uscì. «Io non ne ho» dichiarò Nigel. «Sono rimasto solo nella mia stanza per tutta la sera.» «Paul e io siamo stati sempre insieme» disse Meg. «Siamo andati al cinema e credo che fossero più o meno le undici quando siamo rientrati. Siamo saliti subito e dopo... esserci augurata la buona notte, siamo entrati ciascuno nella propria camera.» La sua breve esitazione mi indusse a sospettare che lo scambio della buonanotte avesse richiesto qualche tempo. Mi domandai se, accanto a un bel ragazzo come Paul, Meg non stesse già superando la cottarella per Patrick o se invece non si stesse servendo di Paul per dimenticare i propri dispiaceri.
«E tu, Virginia?» s'informò Patrick. Aveva ancora il viso triste e scavato, ma il suo sguardo era vigile e penetrante. «Per essere sincera, sono andata a Londra, uscendo dall'ambulatorio» confessai. «Sono tornata a casa verso le dieci e mezzo.» «A Londra?» fece eco Nigel sbalordito, come se avessi compiuto chissà quale eccentricità. «Santi numi! Io mi guardo bene dall'andare a Londra, ormai, se posso farne a meno. Il fracasso, il traffico, gli stranieri! Mai che si riesca a trovare un taxi quando se ne ha bisogno. Che cosa ci sei andata a fare? Oh no, scusami, non sono affari miei.» «Per carità! Sono andata per parlare con Felix. Volevo discutere con lui di due o tre cosette.» «Sicché» riprese Patrick «nessuno di noi ha un alibi, dato che il delitto è stato commesso quasi certamente dopo le undici. Io me ne sono andato verso quell'ora e Imogen era ben viva. Meg e Paul devono essere rientrati poco dopo e non è molto probabile che il fatto sia accaduto in quel breve lasso di tempo. Sempre che accettiate la mia parala che Imogen era viva quando me ne sono andato. Non siete tenuti a credermi. E forse non mi credete davvero.» La sua voce si era fatta di nuovo monotona, come se parlasse con se stesso. Si era avvicinato alla finestra e fissava il giardino col viso accigliato. «Amico mio, non dite queste cose» lo rimproverò Nigel. «Servono soltanto a innervosirci. Piuttosto, chissà se si potrebbe avere una tazza di tè? Meg, credete di poterci fare un po' di tè? Penso che lo accetteremmo tutti molto volentieri.» Meg si alzò dal divano dove si era appena seduta e andò in cucina. Ma quando ricomparve col vassoio del tè, Nigel era già stato chiamato dal sergente in sala da pranzo e quando tornò il tè era ormai freddo, ma lui, scuro in viso e con d'aria assente, parve non pensarci più. Dopo di lui, fu chiamata Meg, poi toccò a Paul e infine a Patrick. Io fui l'ultima. Mentre aspettavo il mio turno, osservai che tornavano tutti con un'aria molto pensierosa. Più nessuno parlava, ma era un silenzio carico di ostilità, come se già cominciassimo a sospettare l'uno dell'altro. Nella sala da pranzo, il sovrintendente Chance sedeva a un capo del lungo tavolo di mogano e il sergente si accomodò dall'altro capo, tenendosi davanti un taccuino del quale aveva già riempito molte pagine. Mi fissò con un sorriso incoraggiante. Come fui a mia volta seduta sulla sedia che il sovrintendente mi indicò,
diedi nome e indirizzo e spiegai quali fossero i miei rapporti con la defunta signora Arliss e i suoi familiari. «E come mai siete venuta qui stamattina?» domandò Chance. Mentre aspettavo il mio turno, avevo avuto tutto il tempo per studiare una versione purgata della verità circa le mie più recenti avventure. «Sono venuta per quelle miniature» spiegai. «Ero molto preoccupata per il modo com'erano scomparse, capite? Ne siete certo al corrente anche voi. Sicché sono venuta per chiedere al signor Tustin se c'era qualche novità.» «Senza sapere che nel frattempo erano state restituite?» «Esatto.» «Quando lo avete saputo?» «Nello stesso momento in cui ho visto il corpo della signorina Dale.» «Ed è questo l'unico motivo che vi ha condotto qui? Il desiderio di parlare col signor Tustin? Avevate forse qualche idea riguardo alla sparizione delle miniature?» Scossi la testa. «No, soltanto quello che avevamo pensato tutti, cioè che le avessero prese i Bodwell.» «Già, i Bodwell.» Chance unì le dita delle due mani, dita lunghe e sottili, dalle nocche marcate. «Forse vi interesserà sapere che i Bodwell sono stati identificati per mezzo delle loro impronte digitali. Una coppia pericolosa, che si introduceva nelle case come hanno fatto qui, cercando materiale che potesse prestarsi a un ricatto. E se non c'era niente da fare in tale campo, se ne andavano ben presto, portandosi via qualcosa che non desse nell'occhio. Sono stati entrambi in galera più di una volta. Ma qui pare che si siano comportati diversamente dal solito, come se intendessero cambiare vita e rigare diritto, dopo l'ultima condanna, anche se le referenze grazie alle quali hanno ottenuto il posto erano false. Parevano rilasciate da un certo sir Oswald Smith-Ogilvie ma a quanto ci risulta non è mai esistito nessun sir Oswald Smith-Ogilvie.» «Mio Dio!» mi scappò detto. E subito, dall'occhiata sorpresa che Chance mi lanciò, mi resi conto che avrei fatto meglio a tenere la bocca chiusa. «Può anche essere che rigassero davvero diritto» riprese il sovrintendente. «Erano stati qui un anno senza arraffare niente, a quanto pare. La signorina Randall è certa che non abbiano mai fatto la cresta sulla spesa e da quanto ne so, non mi pare che la signora Arliss costituisse una potenziale vittima per un ricatto. Non era certo la sua occasionale passioncella per le scommesse che potesse offrire loro un'arma. Sicché, all'infuori della scomparsa delle miniature, non è accaduto niente di sospetto durante la loro
permanenza in questa casa. È ora, la loro strana riapparizione fa sembrare ancora meno probabile che siano stati loro ad appropriarsene. Secondo me, invece, i Bodwell hanno scoperto il furto e, sapendo che con una fedina come la loro sarebbero stati i primi sospettati, si sono lasciati prendere dal panico e hanno tagliato la corda. Mi pare assai poco probabile che le avrebbero restituite, se fossero stati loro a rubarle.» «Anche a me» convenni. «Resta tuttavia il fatto che qualcuno le ha rubate, o quanto meno le ha prese, diciamo, e poi le ha rimesse al loro posto. Avete un'idea di chi potrebbe averlo fatto?» «Che importanza ha?» ribattei. «Voglio dire, di fronte a ciò che è accaduto?» «Mi pareva che foste stata proprio voi a tirare in ballo l'argomento» ritorse lui. «Non avete detto di essere venuta qui stamane perché avevate qualche idea a proposito delle miniature?» «Sì, ma non sapevo ancora niente di quanto era accaduto alla signorina Dale.» «E se vi fosse una connessione tra i due fatti?» «Ma le miniature erano state rimesse a posto prima che la signorina Dale e il signor Huddleston rientrassero, ieri sera» obbiettai. «Il signor Huddleston ne è certissimo. Perciò l'omicidio non può essere stato commesso dall'eventuale ladro, diciamo, colto sul fatto dalla signorina Dale. E del resto, anche se fosse stato proprio così, non mi sembra un motivo sufficiente per un omicidio, no?» «Forse no, ma sareste molto sorpresa se vi raccontassi qualcuno dei motivi che spesso inducono la gente a uccidere. E la coincidenza fra i due avvenimenti è per lo meno strana. Sapreste dirmi se le miniature sono state rimesse esattamente ognuna al proprio posto?» «Temo proprio di averle a malapena guardate, stamattina. Ero troppo sconvolta. E in ogni caso non le avevo mai osservate con tanta attenzione da poter ricordare in che ordine fossero disposte.» Chance annuì, con espressione annoiata. Era già stufo di me, evidentemente. «È quel che dicono tutti. Soltanto il signor Tustin pare interessarsi seriamente di quelle miniature. Ed è naturale, del resto, visto che sono sue. Ma nemmeno lui sa dirmi con certezza come erano disposte. Bene, lasciamo questo argomento, ora. Conoscevate molto bene la signorina Dale, se non Sbaglio.»
«La conoscevo da molto tempo, ma non molto bene» precisai. «Ci davamo del tu, ma non eravamo proprio amiche.» «Era ricca?» «A sentir lei, era sempre a corto di denaro.» «Molti ricchi lo dicono.» «È vero, ma so per certo che per lei è stato un brutto colpo scoprire che non avrebbe ereditato un soldo dalla signora Arliss. Ha detto che avrebbe dovuto vendere la sua casa e trasferirsi in un appartamentino in affitto.» «Sapete di dove le veniva il denaro? Lavorava?» «No. Credo che avesse ereditato una certa somma dalla madre.» «Sorella della signora Arliss?» «Sì.» «Allora sarà stata ricca anche lei, no?» «Non molto. Le due sorelle avevano probabilmente ereditato la stessa somma dai genitori, ma poi la signora Arliss aveva sposato un uomo ricco, mentre il signor Dale era povero. Inoltre i Dale avevano due figlie, Imogen e Jennifer, cosicché alla loro morte il patrimonio familiare fu diviso in due. Non deve essere stato molto per nessuna delle due sorelle.» «Questa Jennifer Dale sarebbe la madre del signor Goss?» «"Era" la madre di Paul. Aveva sposato un giornalista. Di fama molto modesta, per altro. Perì in un incidente d'auto quando Paul era ancora piccolo. Il padre morì d'infarto dopo due o tre anni e Paul andò a vivere per qualche tempo con Imogen che fu molto buona con lui.» «Una donna generosa, allora, anche se non molto ricca.» «Generosa con Paul, almeno.» «Benvoluta?» Non sapevo bene che cosa rispondere a quella domanda, perciò scantonai. «Penso di sì.» «Non era donna da farsi dei nemici?» «Non credo. Ma non ne sapevo molto della sua vita privata.» «Non vi ha mai detto di aver paura di qualcuno?» Esitai e Chance lo notò subito. «Sì?» insistette. «Non proprio» dissi. «Stavo cercando di ricordare esattamente quel che mi aveva detto. Fu subito dopo aver scoperto che non poteva contare sulla sperata eredità della zia. Era venuta a casa mia e mi era sembrata così sconvolta che le chiesi se avesse qualche guaio. Rispose che non si trattava di un vero guaio, ma ebbi l'impressione che non fosse sincera, però sono
certa che non accennò a paure di nessun genere.» «Siete stata sorpresa quando avete saputo che lei e il signor Huddleston si erano fidanzati?» «Credo di non avere prestato molto interesse alla notizia. C'era ben altro cui pensare.» «Sì, certo.» Il sovrintendente mi guardava, ma pareva che il suo sguardo fosse focalizzato piuttosto su qualcosa che stava alle mie spalle. «Ora vorrei rivolgervi soltanto un'altra domanda, poi vi lascerò in pace. Così, come fatto di ordinaria amministrazione, vi spiace dirmi dove eravate ieri sera fra le nove e mezzanotte?» «Alle nove?» ripetei. «Ma a quell'ora la signorina Dale non era a cena col signor Huddleston al Rose and Crown?» «Può darsi, ma non abbiamo ancora controllato e quanto all'esame medico, il poco che sappiamo finora è estremamente incerto.» «Bene, alle nove ero a Londra» dichiarai. Mi aspettavo quella domanda, naturalmente, e avevo preparato una risposta soddisfacente, soppesando con cura ciò che mi conveniva o non mi conveniva dire. «Sono uscita più o meno alle cinque dall'ambulatorio dove presto servizio per qualche ora al giorno e sono andata a prendere il treno per Paddington. Desideravo parlare con mio marito. Era stato qui da me un paio di giorni e avevamo discusso del nostro divorzio. Siamo separati da cinque anni ma finora non ci avevamo mai pensato, non so nemmeno io perché. Quando ci siamo salutati, gli ho promesso che ci avrei pensato su e gli avrei fatto sapere qualcosa. E naturalmente, pensandoci, mi sono chiesta come mai non avessimo sistemato le cose una volta per tutte, così ho deciso improvvisamente di andare a Londra per riparlarne con lui. Avrei potuto telefonargli, certo, ma ho pensato che già che c'eravamo sarebbe stato meglio discutere tutti i particolari, avvocati, capite, e tutto il resto... senza alcuna fretta. Così ci siamo trovati e abbiamo sistemato tutto quanto, poi sono andata a mangiare qualcosa a Paddington e...» Non so come mai, ma a questo punto ebbi la netta sensazione che stavo chiacchierando troppo. Perché sarei stata a raccontargli le mie faccende private nei minimi particolari, se non perché avevo qualcos'altro da nascondere? E quel che avevo detto doveva avere avuto l'aria dell'imparaticcio, come infatti era. Qualcosa nell'espressione di Chance mi diede la netta sensazione di aver commesso un errore, ma ormai non potevo più fermarmi. «Sono arrivata ad Allingford intorno alle dieci e un quarto» proseguii.
«Ho ripreso l'auto che avevo lasciato alla stazione e alle dieci e mezzo ero a casa. Da quel momento in poi, sono sempre stata sola, perciò non posso provare di non essere uscita di nuovo.» Il sovrintendente annuì con aria assente, come se avesse smesso di preoccuparsi di me: in realtà, non se n'era mai preoccupato per niente. Dopo avermi chiesto l'indirizzo di Felix, che il sergente annotò sul suo taccuino, disse che niente mi impediva di tornarmene a casa mia, se lo desideravo. Lo desideravo e come, ma prima tornai a fare una capatina in salottino, dove gli altri avevano frattanto raggiunto la fase dei panini col caffè, e domandai se potevo essere utile in qualcosa. Ma poiché pareva che nessuno sapesse che farsene di me, raggiunsi la mia macchina e, dopo una serie di complicatissime manovre per districarmi dalle auto della polizia che ingombravano il viale, me ne tornai in Ellsworthy Street. Sulle prime, provai un senso di profondo sollievo per il semplice fatto di essere sola nella mia macchina, ma a un tratto mi resi conto che stavo guidando da insensata e che per poco non avevo messo sotto un ciclista. Da quel momento, guidai a passo di lumaca e all'improvviso fui travolta dalle emozioni di quella mattina. Lasciata l'auto in strada, mi precipitai in casa e corsi al telefono. Feci il numero di Felix e lasciai suonare a lungo, ma nessuno rispose. Stavo per riagganciare, chiedendomi che cosa diavolo avrei potuto fare, ora, quando udii la sua voce. «Oh, Virginia, sei tu!» esclamò. «L'avevo immaginato. Stavo salendo le scale quando ho sentito il telefono. È successo qualcosa?» «Sì. Hanno ammazzato Imogen, la notte scorsa. Qualcuno le ha sfondato il cranio con la paletta del carbone. E le miniature sono tornate al loro posto... forse lo sapevi già. Ho detto alla polizia che ieri sera sono venuta da te per parlare del nostro divorzio, ma non ho accennato ai Bodwell né a sir Oswald Smith-Ogilvie né al colloquio di ieri sera fra noi quattro.» «Ma tu vuoi divorziare, adesso?» domandò lui, palesemente sgomento. «Non ne hai mai fatto parola. Non ti trovi più bene così?» «Stai a sentire» ribattei. «L'ho soltanto detto alla polizia. Non so nemmeno io perché non ho riferito la verità e forse è stata una grossa idiozia, ma desideravo tenerti fuori dei guai. Perciò conferma anche tu la stessa cosa. Ricordati che siamo stati lì, a casa tua, e abbiamo deciso di divorziare. Io non sono mai venuta al bar e men che meno ho visto i Bodwell. E se riuscirai anche tu a tenere nascosti i tuoi rapporti con quei due, forse potrai restare fuori da questa orribile storia, tanto più se hai un allibi per la tarda
serata di ieri. Ma non inventartene uno, la polizia ti smaschererebbe subito. Ora, io non so dove va di solito la gente come i Bodwell quando vuole sparire, ma se fossi in te consiglierei loro di. andarci subito.» Per un poco dall'altra parte del filo vi fu un profondo silenzio. Aspettai, per lasciare a Felix il tempo di afferrare bene quel che avevo detto. Finalmente, in tono sommesso, quasi di paura, mormorò: «Non posso, Virginia.» «Non puoi che cosa?» «Dire ai Bodwell di sparire.» «Perché no?» «Perché non sono più qui.» «E dove sono andati?» «Non lo so. Appena te ne sei andata tu, ieri sera, hanno fatto le valigie e sono partiti. Hanno detto che sarebbero andati a cercare lavoro in Scozia, ma non so se lo abbiano fatto davvero. Non sempre dicevano la verità, sai. Possono essere andati in qualsiasi posto.» 7 Due ore dopo, poco più poco meno, squillò il campanello dell'ingresso. Era Felix, ma non ne fui veramente sorpresa. Lo avevo inconsciamente aspettato, mentre ingannavo il tempo riordinando tutti gli armadi e armadietti di cucina, lavoro che detestavo e che rinviavo sempre fino ai limiti dell'impossibile. Ma quel giorno non sarei potuta stare con le mani in mano. Tuttavia la mia accoglienza non fu molto cordiale. «Che ci fai qui?» domandai. «Volevo saperne un po' di più» spiegò. Aveva lasciato l'auto in strada, ma teneva con sé una valigetta, segno evidente che non intendeva ripartire subito. «Non sei mai molto brava col telefono. Mi sembra sempre di vederti contare mentalmente gli scatti. E soprattutto non voglio che tu ti metta nei pasticci con la polizia per colpa mia. Ma ti sbagli di grosso sul conto dei Bodwell, sai. Non le hanno rubate loro le miniature. Quante volte te lo debbo dire?» «E allora, chi le ha prese?» Non accennai al fatto che la mia ferma convinzione della sera avanti sul loro conto non era più tanto ferma. «Mi sembra ovvio» ribatté lui. Frattanto era entrato in casa, si era chiusa
la porta alle spalle e mi aveva seguita in soggiorno. «A me no» ritorsi. «Non possiedo il tuo intuito per la mentalità criminosa.» «Non c'è stato niente di criminoso. Be', relativamente, diciamo.» Si accomodò sul divano e accese una sigaretta. «Non dirmi che non sei in grado di risolvere un problema tanto semplice.» «A te è sempre piaciuto fare il misterioso, vero?» Sedetti anch'io. «Illuminami, ti prego.» Aspirò un'intensa boccata e lasciò uscire il fumo dalle narici. «Sarcastica, come al solito» sospirò poi. «Non cambierai mai, vero?» «E tu? Per esempio, non smetterai mai di fumare, vero?» «E perché dovrei? Perché è dannoso alla salute? A chi importa se vivo o crepo? Sono la persona più inutile del mondo. E poi, chissà che proprio io sia uno dei fortunati che fumano cinquanta sigarette al giorno e campano fino a ottant'anni!» «È quel che pensano tutti.» «Smetterò quando non potrò più permettermelo.» «Non dirmi che adesso paghi tutte le sigarette che fumi! Possibile che tu non abbia qualche fonte a buon mercato dove rifornirti!» «Be', dì tanto in tanto mi capita la fortuna di averle a buon mercato da un amico, questo è vero, ma non sempre. E tieni conto che è quasi il mio unico vizio. Bevo molto meno di te, tanto per dirne una. Ma io mi guardo bene dal criticarti. Secondo me, si deve avere qualche piccolo vizio, per restare un essere umano.» «Torniamo alle miniature. Chi le aveva prese, allora?» «Nigel, è logico.» «Ma sono sue! Lo hai detto tu stesso, ieri. Perché avrebbe dovuto rubarle?» «L'ho detto prima che ricomparissero» precisò Felix. Sotto le palpebre un po' cadenti, i suoi vividi occhi azzurri brillavano di un segreto sapere. «Dimmi un po', quando ha scoperto che la zia le aveva lasciate a lui?» «Non lo so, non ho neppure avuto il tempo di pensarci.» «Se ben ricordo, l'altra sera, quando è venuta qui, Imogen ti ha detto che la signora Arliss aveva lasciato tutto a lei. Le cose di valore, mi pare che abbia detto (io ero di là, ricordi? Ma ho sentito tutto). E le miniature sono senza dubbio oggetti di valore. Perciò fino a quel momento, Imogen e probabilmente anche Nigel erano convinti che sarebbero toccate a lei. Ma un tipo come Nigel avrà certamente pensato che spettassero a lui di diritto, e
in questo non so dargli torto. È l'unico membro della famiglia in grado di apprezzarle nel loro giusto valore. Imogen le avrebbe vendute senza pensarci due volte, ma Nigel le terrebbe come un tesoro. Dimmi una cosa: è arrivato in ritardo al funerale?» A volte l'intuito di Felix mi faceva venire la pelle d'oca. «Proprio così!» «Ecco! Ha aspettato che tutti fossero usciti per il funerale, ha preso le miniature e le ha nascoste da qualche parte, un'impresa che gli avrà portato via soltanto pochi minuti, poi vi ha raggiunti in chiesa. Non poteva certo immaginare che sarebbero stati proprio i Bodwell a dargli una mano tagliando la corda, per la paura di essere sospettati del furto. Poi Huddleston gli ha detto che le miniature erano state lasciate a lui e Nigel si è reso conto di avere rubato a se stesso. Una tremenda sciocchezza, perché ora se voleva metterle in mostra doveva rivelare quel che aveva fatto. Poteva scegliere tra due soluzioni: un'aperta confessione, che non gli avrebbe procurato alcun danno perché erano comunque sue ma lo avrebbe fatto apparire come uno sciocco, oppure una silenziosa restituzione, non appena fosse rimasto solo in casa. E ieri sera, tutti gli altri erano fuori, vero?» «Sì, sono rimasti fuori tutti fino alle dieci e mezzo. Era perfettamente solo.» I ricordi andavano precisandosi nella mia mente. «Soltanto dopo il ritorno dal funerale Patrick ha detto a Nigel che le miniature erano state lasciate a lui e Meg ha aggiunto che non erano assicurate perché la signora Arliss aveva smesso di pagare il premio dell'assicurazione. Ma se hai ragione, Felix, allora le miniature non hanno niente a che vedere con l'uccisione di Imogen, mentre se le avessero prese i Bodwell...» M'interruppi, riflettendo. «Oh, ma non riesci proprio a toglierti dalla testa questa idea!» proruppe Felix. «Se le avessero prese, me lo avrebbero detto.» «E perché?» «Perché siamo amici. Non mi avrebbero mai nascosto una cosa simile.» «Non condivido la tua sfiducia. Però la tua teoria a proposito di Nigel mi sembra ottima. Quadra. E se invece lui fosse arrivato tardi in chiesa soltanto perché non riusciva a trovare la cravatta nera o qualcosa del genere e fossero stati proprio i Bodwell a prendere le miniature...» Feci un'altra pausa. «Hai detto che sono andati via ieri subito dopo da mia partenza, dicendoti che si sarebbero recati in Scozia, ma se invece avessero preso sud serio le mie parole e deciso che sarebbe stato meglio restituire le miniature? Avrebbero potuto trovarsi alla casa prima che Imogen e Patrick rien-
trassero e aver appena finito di rimetterle al loro posto quando hanno sentito arrivare qualcuno. Da principio avevo pensato che fossero scappati attraverso il giardino e che di conseguenza non avessero avuto niente a che fare col delitto, ma supponi che invece stessero avviandosi verso la porta principale e che quindi abbiano dovuto nascondersi in qualche stanza finché Patrick non se n'è andato e che poi Imogen li abbia scoperti e minacciati di chiamare la polizia... Jim potrebbe avere perduto la testa e... No, perché mai Imogen avrebbe dovuto disturbarsi a chiamare la polizia se avevano già restituito le miniature? Era troppo pigra per essere vendicativa. Tutto sommato, potrebbe essere giusta la tua idea a proposito di Nigel.» «Ma certo che è giusta! Logica e semplice. Come tutte le buone idee. Devi toglierti dalla testa che il delitto, il furto e la fuga dei Bodwell siano in qualche modo collegati soltanto perché sono accaduti a breve distanza l'uno dall'altro. Pensa a tutto ciò che accade al mondo contemporaneamente, nascite, morti, delitti, rivoluzioni, incendi, inondazioni... Non vorrai addossare tutto quanto ai Bodwell, no? E ora, che ne diresti di andare fuori a cena, una volta tanto? Mi par di ricordare che al Rose and Crown non si mangi niente male.» Il Rose and Crown era un vecchio ristorante di Allingford con una bella facciata georgiana. All'interno, i soffitti bassi e le scure travi scoperte erano di un periodo ancora più antico. Nell'immenso camino del bar, però, splendevano finti tizzoni arrossati dal riverbero di lampadine nascoste e alle pareti luccicavano innumerevoli tegami e utensili di rame. La sala da pranzo era fiocamente illuminata dalle candele disposte sui tavoli e da tenui luci diffuse celate fra le travi. Io preferisco vedere bene quel che mangio, ma sapevo che lì il cibo era ottimo, anche se molto caro. Non sapevo se Felix intendesse pagare di tasca propria o se a un certo punto avrebbe cominciato a trafficare con la mia borsa, trasferendo nelle proprie tasche un certo numero di banconote, così da apparire come anfitrione quando il cameriere avrebbe presentato il conto, perciò prima di uscire mi accertai di avere con me denaro sufficiente. Indossai un abito lungo, non perché fosse necessario ma perché desideravo sentirmi diversa da come mi ero sentita per tutto il giorno e mentre mi vestivo, mi resi conto a un tratto che ero contenta di uscire a cena, fosse pure con Felix. Senza contare che siccome non avevo comprato niente, quel giorno, se fossimo rimasti in casa avremmo dovuto limitarci a un paio di uova e a qualche scatoletta. Lasciai che fosse Felix a ordinare e mentre lo guardavo, osservai come
la sua aria distinta, che ben si addiceva alla sua età, si fosse accentuata col passare degli anni e non potei fare a meno di chiedermi come ci fosse arrivato. Chi stava prendendo a modello? Suo padre? Per quel che ne sapevo, Felix lo aveva sempre detestato ma questo non escludeva che avesse anche nutrito dell'ammirazione per lui. Naturalmente, sul conto del signor Freer senior sapevo soltanto quanto detto da Felix stesso e cioè che era stato nell'esercito, che si era sposato soltanto dopo essere andato in pensione e che la moglie, molto più giovane di lui, lo aveva piantato dopo appena qualche anno, lasciandolo col figlioletto sulle braccia. Lui allora si era messo a convivere con un'altra donna e poiché a quel tempo l'opinione pubblica non era certo molto aperta in fatto di moralità, soprattutto in un posto come il paesetto del Norfolk dove si era stabilito, alla piccola famiglia era stato dato l'ostracismo. Così Felix era cresciuto con la costante sensazione di essere un reietto e questo io aveva spinto a cercare rifugio nei sogni a occhi aperti. A peggiorare la situazione, suo padre era stato un uomo violento, che alternava manifestazioni di affetto quasi morboso per il figlio a esplosioni di collera quasi pazzesche. Tuttavia, aveva voluto che Felix ricevesse una buona istruzione, benché il ragazzo odiasse la scuola quasi quanto la propria casa. L'autorità, di qualunque genere fosse, gli era sempre riuscita intollerabile. Ritenevo che ci fosse molto di vero in quella storia, anche se invece che colonnello, come mi aveva raccontato Felix, il vecchio Freer era stato probabilmente soltanto un sergente e l'istituto superiore che mio marito diceva di avere frequentato era soltanto la scuola secondaria del paese. Ma dopo tutto questi miei sospetti potevano anche essere infondati. A volte Felix era capace di dire la verità vera, anche se in quei casi riusciva molto meno convincente di quando raccontava panzane. Ordinò salmone affumicato, spezzatino di vitello alla crema e funghi e una caraffa di vino rosso. Mentre il cameriere si allontanava, dissi: «Dimmi una cosa, Felix. Quale è stato il vero motivo che ti ha condotto da me, l'altra sera? Valevi vedere i Bodwell?» «Ma tu hai proprio l'idea fissa dei Bodwell!» proruppe. «Perché mai avrei voluto vederli? Come ti ho detto, sono capitato da queste parti e mi è venuto voglia di sapere come stavi.» «O forse ti avevano avvertito che la signora Arliss era in fin di vita e tu hai pensato che avresti potuto cavarle qualcosina prima che se ne andasse.»
«Gesù, a volte mi fai venire la pelle d'oca, sai? Che razza di cose vai immaginando! Volevo bene alla povera signora Arliss, lo sai anche tu.» «Oh sicuro! E anche lei aveva un debole per te, anche se ti disapprovava. Ti sarebbe bastata qualche moina per indurla a lasciarti un ricordino, forse anche qualcosa di un certo valore.» «Ma per chi mi hai preso, per un avvoltoio?» Sorseggiò un poco di vino. «Per quanto, a pensarci bene, credo che l'avvoltoio sia vittima di una grossa calunnia, probabilmente soltanto perché è così brutto, poveretto! In fondo, compie un utilissimo servizio sanitario e contribuisce a mantenere l'equilibrio della natura. A proposito, hai notato come da qualche tempo l'equilibrio della natura sia diventato un argomento sacro? Non capisco perché. La natura è stata sempre squilibrata in un senso o nell'altro fin dalla notte dei tempi e l'aiuto che l'uomo le porge attualmente, ritenuto tanto deleterio, fa soltanto parte del normale processo.» Rifiutai di lasciarmi fuorviare. «Tu non sei brutto come l'avvoltoio» ribattei «e non vedo niente di sanitario nel fatto di alleggerire di qualche oggetto prezioso una vecchia moribonda. In ogni caso, se non ci avesse pensato lei, avresti sempre potuto rimediare direttamente facendoti scivolare in tasca qualcosa mentre te ne andavi. Non avresti corso alcun rischio, anche se lo si fosse scoperto. I tuoi soci, i Bodwell, non ti avrebbero denunciato di certo, mentre Imogen e Nigel sarebbero stati zitti per non sconvolgere "me". È per questo che eri venuto, vero? Ma purtroppo sei arrivato tardi.» «Oh, pensala come ti pare» borbottò finalmente lui, il che era in pratica un'ammissione. «So che non c'è verso di farti cambiare idea, quando ti sei ficcata in testa qualcosa. Ma oggi sono venuto soltanto per il motivo che ti ho detto. Ti sono grato per avere cercato di tenere nascosti i miei rapporti con i Bodwell, ma non era assolutamente necessario, credimi. Per quanto mi riguarda, ti consiglio di andare alla polizia e di dire tutta la verità.» «Non vedo come potrei farlo, ormai. Mi sono alquanto compromessa, non ti pare?» «Relativamente. La gente è sempre pronta a compatire una donna che cerca di proteggere il proprio marito. E per essere sincero, non credo di avere bisogno di essere protetto. Ho fiducia nei Bodwell. Sono certo che hanno rigato diritto per tutto il tempo che sono rimasti qui e che ieri sera non si trovavano da queste parti, ma in viaggio verso la Scozia come mi avevano detto. Secondo me, il delitto è collegato con qualcosa che riguarda il passato di Imogen... un innamorato geloso cui non andava a genio di es-
sere soppiantato da Huddleston o qualcosa del genere. Certo sapevi anche tu che se l'intendevano da tempo, no?» «No, l'ho scoperto soltanto in questi giorni. Ma tu come lo sapevi?» «Li ho visti una volta in un ristorante. Saltava agli occhi!» «Patrick ha detto che soltanto ieri sera avevano deciso di sposarsi.» «Adesso? Dopo avere scoperto che Imogen non avrebbe ereditato un penny? Interessante, non ti pare?» «Cioè sospetto, intendi?» «Ma no, intendo esattamente quel che ho detto. Probabilmente io trovo il comportamento dei miei simili molto più interessante di quanto non accada a te. Forse perché c'è in me qualcosa che è sempre stato frustrato. Se avessi avuto modo di lasciar via libera a quel qualcosa, forse tutto sarebbe andato in maniera ben diversa per me. Sarei diventato un artista, magari un attore o uno scrittore e se da giovane non avessi dovuto arrabattarmi tanto per vivere...» L'interruppi. «Felix, questa lagna l'ho sentita mille volte, ormai, e può anche darsi che ci sia qualcosa di vero, a parte il fatto che anche gli attori e gli scrittori a volte debbono arrabattarsi mica male, ma perché stai cercando di ficcarmi in testa che sia Patrick d'assassino?» «Ma sto cercando di fare esattamente il contrario!» «Non direi. Ci stai arrivando per vie traverse, ma è proprio quel che vuoi indurmi a pensare.» «Intendevo dire che mentre non si capirebbe perché Patrick avrebbe dovuto uccidere la donna con la quale si era appena fidanzato, evidentemente per amore e non per il suo denaro, visto che non ne aveva, una persona che invece avrebbe potuto desiderare la morte di Imogen è quella povera piccola segretaria, Meg Randall. E l'idea non mi piace, naturalmente. È una ragazzina incantevole! Ci intendevamo perfettamente, lei e io.» «È troppo minuta» obiettai. «Non credo. "Sembra" fragile, ma questo non significa necessariamente che non sia forte. Se avesse colto Imogen di sorpresa, avrebbe potuto conciarla per le feste.» «Non stai parlando sul serio, vero?» Non rispose. Serio o no, riflettei, se a Felix poteva venire in mente una cosa del genere, forse ci avrebbe pensato anche la polizia e la povera Meg si sarebbe ipotuta trovare nei guai. Cominciai a preoccuparmi per lei. Non era riuscita a nascondere a nessuno i propri sentimenti nei confronti di Imogen e non
aveva alibi. Lei e Paul erano saliti insieme e si erano salutati in corridoio prima di entrare ciascuno nella propria camera, ma non si poteva escludere che dopo fosse scesa di nuovo. Però, perché mai l'avrebbe fatto? Non poteva certo sapere che Imogen era lì in salotto. Poi rammentai che quando Nigel e io avevamo scoperto il cadavere di Imogen, la luce in salotto era ancora accesa. Forse Meg aveva visto il filo di luce sotto la porta mentre saliva ed era ridiscesa per spegnerla, così aveva trovato Imogen, una Imogen felice ed espansiva, forse persino trionfante e crudele, che aveva provato piacere nel raccontarle del proprio fidanzamento con Patrick, stuzzicandola fino al punto che la povera figliola aveva perduto la testa. Qualcuno l'aveva pure perduta, la testa, e quel qualcuno poteva anche essere Meg. Era una teoria sgradevolmente plausibile. Felix e io mangiavamo in silenzio, come vecchi coniugi che si conoscevano troppo bene per disturbarsi a tenere viva una conversazione qualsiasi, quando a un tratto Felix esclamò: «C'è Huddleston!» Patrick ci aveva visti appena entrato e stava già dirigendosi verso il nostro tavolo. «Siete solo?» domandò Felix. «Sedete qui con noi.» «Non disturbo?» Patrick prese una seggiola e la trascinò al nostro tavolo. «Quando siete arrivato? Sapevo che eravate stato qui, ma pensavo che foste tornato a Londra.» «Virginia mi ha telefonato per dirmi di Imogen e sono venuto di nuovo, pensando che forse sarei potuto essere utile.» «Capisco.» Patrick sembrava esausto e distratto. Quando il cameriere venne al tavolo, parve seccato di dover pensare a scegliere qualcosa e senza nemmeno guardare la lista ordinò un filetto ai ferri. «Non so nemmeno io perché sono uscito, ma in casa non resistevo più. Ieri sera ero qui con Imogen. È stato sciocco tornarci stasera. Mi sembra di non riuscire a pensare con chiarezza... Oh, grazie» disse vedendo che Felix gli stava versando del vino. «Ditemi una cosa, Freer... non intendo farne un caso, non me la sentirei nemmeno, ma sbaglio pensando che siate voi quel sir Oswald Smith-Ogilvie?» «Be', se la mettete così... sì, sono io» ammise Felix. «Ma come ci siete arrivato?» «Be', è un chiodo che ho avuto in testa da quando sono spariti contemporaneamente le miniature e i Bodwell e noi si pensava che fossero stati loro a prendersele. Io avevo detto qualcosa a proposito delle loro referenze,
firmate da un certo sir Oswald Qualchecosa. Non ricordavo più il cognome, ma Virginia lo disse subito, benché avesse ancor meno di me motivo di ricordarselo. Poi diventò tutta rossa e parve furibonda con se stessa per averlo nominato. Al momento, mi sembrò abbastanza strano, ma non vi prestai molta attenzione. Poi, stamattina, ha detto di essere venuta a Londra ieri sera per parlare con voi e tutt'a un tratto mi è venuto in niente che poteva averlo fatto perché sapeva che quelle referenze le avevate firmate voi e che eravate immischiato con i Bodwell. In fin dei conti sappiamo tutti che tipo siete e che razza di vita le avete fatto fare.» Bevve un sorso di vino prima di aggiungere: «Sia detto senza offesa.» Felix non rispose subito. Continuò a mangiare il suo spezzatino, mentre probabilmente rifletteva se gli conveniva fare l'offeso e fino a che punto. Alla fine parve decidere che non era il momento adatto. «Dovete capire una cosa» disse con un certo calore. «Ho soltanto cercato di aiutare i Bodwell perché avevo fiducia in loro. Sapevo che erano sinceri dicendo di voler cominciare una nuova vita, ma forse io ne so un po' più di voi sulle difficoltà cui si va incontro quando si è stati in galera. Ho avuto modo di prestare la mia assistenza come volontario a molta gente che si trovava in quella situazione e so come a volte ci si senta spinti ad aiutarla, anche a costo di correre qualche rischio. Naturalmente non avrei mai permesso che i Bodwell entrassero in casa della povera signora Arliss se non fossi stato certo al cento per cento che potevo fidarmi di loro.» A quanto mi risultava, l'unica assistenza che Felix avesse mai prestato a criminali più o meno redenti era stata quella di trincare con loro al bar e probabilmente lo sapeva anche Patrick, perché fece un gesto d'impazienza. «Lasciamo perdere» esclamò. «In effetti, credo che i Bodwell abbiano sempre fatto il loro dovere, con la signora Arliss. Lei era comunque convinta di essere stata fortunata a trovare dei domestici tanto bravi e alla fine, quando la povera donna non aveva più il cervello molto a posto, sono stati entrambi molto buoni con lei. Ora però vorrei proprio sapere dove si sono cacciati.» «Strano!» mormorò Felix soprappensiero. «Strano che io desideri sapere dove sono? Ma è soltanto perché vorrei scoprire se le miniature le hanno prese davvero loro e se poi per qualche motivo, forse collegato con il viaggio di Virginia a Londra, le hanno restituite. In tal caso, capite, potrebbero aver visto qualcosa di ciò che è accaduto l'altra sera nel salotto di casa Arliss.» «No, non intendevo riferirmi a questo» spiegò Felix. «Mi è sembrata
strana la vostra affermazione che la signora non avesse più il cervello a posto, negli ultimi tempi, mentre i Bodwell mi hanno detto che era perfettamente normale. Il primo colpo le aveva lasciato una lieve paralisi al lato destro del corpo e una certa difficoltà di parola, ma il suo cervello era rimasto perfettamente sano. Sono stati espliciti su questo punto.» Patrick alzò di scatto la testa, fissando a lungo, intensamente, Felix che ricambiò lo sguardo. «Mi domando come mai» mormorò alla fine. «Come mai mi hanno detto questo?» ribatté Felix. «Ma perché erano a conoscenza che ero affezionato alla vecchia signora e che desideravo sapere come stava veramente.» E di conseguenza sapere come trattarla se fosse venuto a farle una visitine, pensai. «No, no, come mai fossero tanto certi che la signora Arliss era perfettamente normale» precisò Patrick. «Nell'ultima sua settimana di vita, aveva fatto una cosa molto strana che mi ha fatto credere che avesse la mente un po' confusa. Mi aveva chiamato a casa sua per dirmi di distruggere l'ultimo testamento fatto perché, disse, voleva fare ciò che era giusto per Imogen. In quell'ultimo testamento, che distrussi secondo la sua volontà, la signora Arliss aveva lasciato le miniature a Imogen e tutto il resto a Nigel. Cosicché quel che era giusto fare per Imogen avrebbe dovuto significare lasciare a lei il denaro e a Nigel le miniature. Al momento, non vidi niente di strano in questo, perché naturalmente non sapevo che non c'era denaro di sorta. Ma la signora Arliss lo sapeva benissimo e di conseguenza distruggere quel testamento significava diseredare completamente Imogen. E allora non è logico pensare che la povera signora avesse dimenticato di non possedere più un penny? E questo non significa forse che non aveva più il cervello a posto, anche se sembrava il contrario? È chiaro che non sapeva più quel che faceva.» Questo era stato proprio l'argomento di una lunga discussione tra me, Felix e Meg, la sera dopo la morte della signora Arliss, ma né Felix né io aprimmo bocca, ora. Il cameriere portò il filetto a Patrick che si mise a mangiare soprappensiero, con una strana espressione tormentata, come se quanto aveva appena detto avesse per lui un'importanza enorme. «Ma che cosa importa tutto questo, ormai?» dissi. «Non vi può essere alcun collegamento fra il testamento e il delitto, non ti pare? E adesso è soltanto questo che conta.»
Lo vidi trasalire violentemente e subito ebbi rimorso di avergli ricordato così all'improvviso la morte di Imogen. Posò forchetta e coltello come se avesse scoperto a un tratto di non poter inghiottire un altro boccone. «Scusatemi, ma non sono molto a posto col cervello nemmeno io, oggi» mormorò. «Ho un mulino a vento nella testa. Forse non riesco a togliermi dalla mente il testamento che ho distrutto perché penso a ciò che significava per Imogen tutto quel denaro che pensava di ereditare. È stato il motivo per il quale non ci siamo mai sposati. Perché lei si era messa in testa che io la sposavo soltanto per il suo denaro e che se non ne avesse avuto io l'avrei piantata. Credo che quell'idea la turbasse profondamente: ha continuato a esserne convinta fino a ieri sera, quando finalmente sono riuscito a persuaderla che il denaro non contava assolutamente niente per me e che era soltanto lei che volevo. È stata da prima volta che mi ha preso veramente sul serio. Non so come avrebbe funzionato, dato che avevamo tatti e due un carattere piuttosto difficile, ma vi assicuro che desideravo ardentemente di sposarla. Non immaginate quanto!» «So che non dovrei farti una domanda simile» dissi. «Ma Meg ha mai significato qualcosa per te?» «La piccola Meg?» ripeté Patrick con un sorrisetto a fior di labbra. «Probabilmente tu pensi che do sia stato crudele con lei, e forse è vero. Ma se è così, è stato unicamente perché non avevo capito quanto fosse vulnerabile e... immatura, diciamo. Ma non credo che si sia trattato di un sentimento molto profondo e mi pare che non le sia riuscito difficile trasferirlo su Paul che oltretutto è molto più adatto a lei di quanto non avrei potuto essere io. E mi sembra che anche Paul nutra qualcosa più di una semplice simpatia per la ragazzina. Così tutto andrebbe per il meglio. Ma in ogni caso, Virginia, ti prego, non te la prendere con me se ho sbagliato con Meg. Non l'ho fatto apposta e ti assicuro che per oggi ho già sopportato tutto quanto posso sopportare!» Riprese a cincischiare il suo filetto, ma prima di essere arrivato a metà rinunciò definitivamente a mangiare e si appoggiò allo schienale della seggiola. «Sono stato uno sciocco a uscire» sospirò. «Avrei fatto meglio a restarmene in casa. Comunque, vi ringrazio per avermi sopportato.» Chiamò con un cenno il cameriere perché gli portasse il conto, ma Felix finse di non accorgersene. «A proposito dei Bodwell e della vostra idea che possano avere visto qualcosa» domandò. «Che cosa pensate che avrebbero fatto in tal caso?»
Patrick corrugò la fronte. «Erano ricattatori, no? Così hanno lasciato capire i poliziotti. Probabilmente avrebbero cercato di cavare denaro da quanto avevano visto.» «Sicché, se riusciste a rintracciare i Bodwell, molto probabilmente potreste scoprire chi è l'assassino.» «Allora voi sapete dove sono» proruppe Patrick improvvisamente attento. Poi si rivolse a me. «Lo sa, vero, Virginia?» «Temo di non averne la minima idea» mi schermii. «Lo sai, Felix? È una cosa molto seria, non un giochetto, te ne rendi conto?» «Io so soltanto quel che ti ho riferito» dichiarò Felix. «Hanno detto che andavano a cercare lavoro in Scozia.» Il viso smunto di Patrick si colorò leggermente, mentre si chinava verso Felix. «Io credo che voi sappiate dove sono e che cerchiate di coprirli!» Felix scosse la testa. «No!» «Credo che vi abbiano detto quel che avevano visto.» La voce di Patrick si era fatta improvvisamente roca. «Credo che sia per questo che siete venuto qui!» «Per tentare un piccolo ricatto per conto mio?» Felix non sembrava affatto in collera, ma soltanto profondamente interessato. «E perché no?» Patrick tremava, ora, e pareva lui in preda a una violenta collera. «Forse i Bodwell hanno avuto paura a immischiarsi in un delitto, ma potreste non averne avuta voi. In fondo, che cos'è un misero omicidio, quando si può cavarne un grosso profitto?» «Ma io sono molto più codardo dei Bodwell» ribatté calmo Felix. «E non ho mai ricattato nessuno, non rientra nel mio schema. Vero, Virginia?» «A quanto ne so io, sì.» «E se lo dice lei, potete fidarvi» concluse Felix. «Onestamente, credo che ti sbagli di grosso, Patrick» intervenni io. «Se Felix avesse saputo chi è l'assassino, si sarebbe tenuto ben lontano dalla sua strada, te l'assicuro!» Patrick fissò a turno il viso di Felix e il mio, poi la sua collera sembrò svanire di colpo com'era nata. «Scusatemi» mormorò. «Non ho davvero il cervello a posto, stasera. Dimenticate quel che ho detto, volete? Siete stati molto pazienti con me, ma ora credo che farò meglio a finire la serata sbronzandomi in casa mia. Arrivederci!»
Pareva sul punto di scoppiare a piangere. Si alzò di scatto e si precipitò come un ubriaco verso la porta. «Accidenti, non ha pagato la sua bistecca!» osservò Felix. «Pazienza. Ho tanto denaro nella borsa.» «Oh, anch'io, se è per quello! Be', una certa somma, diciamo. Ma il filetto ai ferri costa una barca di soldi. Forse dovrò chiederti un piccolo prestito. Però ho la mia carta di credito, così domattina stessa posso incassare un assegno e restituirti tutto. Sai, desideravo proprio offrirti una bella serata, una volta tanto, ma quel povero cristo era in un tale stato, non ti pare?» Finì per farsi prestare quattro sterline, che erano molto più di quanto costasse il filetto, ma sempre meno di quanto mi aspettavo, anche se ero convinta che la mattina seguente avrebbe scoperto di avere dimenticato a casa la carta di credito, trovandosi così nella necessità di farsi prestare qualcos'altro. Ma in quel momento non me ne importava. Ammorbidita dall'ottima cena e dal vino, mi sentivo persino grata a Felix per la sua compagnia. Mentre ci dirigevamo verso l'auto, mi passò un braccio attorno alle spalle e io mi appoggiai a lui. Chissà, pensai, se in passato avessimo sistemato le cose in modo da stare insieme solo una volta ogni tanto, forse il nostro matrimonio non sarebbe andato a rotali. «Una cosa è certa» osservò Felix mentre tornavamo a casa. «Huddleston ha una paura folle dei Bodwell.» «Che cosa te lo fa pensare?» «Non ti sei accorta che cercava disperatamente di scoprire quel che so sul loro conto? Ci ha provato e riprovato in tutti i modi.» «Questo non significa che ne abbia paura. Probabilmente pensa soltanto che sappiano qualche cosa che farebbe comodo alla polizia.» «Per me, ha paura.» «Ma perché?» «Be', supponiamo che lui e Imogen non abbiano affatto deciso di sposarsi, ieri sera. Abbiamo soltanto la sua parola, no? Supponiamo invece che lui le abbia chiesto di sposarlo, compiacendosi della propria magnanimità, visto che lei non ereditava il denaro che entrambi si aspettavano, e che Imogen abbia rifiutato. Ti sembra impossibile che in un impeto di collera, come gli è accaduto stasera, una collera cieca, provocata dalla sua vanità offesa, sia arrivato a romperle la testa?» «E i Bodwell lo avrebbero visto, e lui ora si sta chiedendo quando cominceranno a ricattarlo? No, ti confesso che proprio non lo vedo. Patrick
sarà anche un pallone gonfiato, ma sono certa che non rischierebbe mai di compromettere il proprio avvenire per un motivo simile!» Felix sospirò. «Eh sì, probabilmente hai ragione. Tu lo conosci meglio di me. Ma vorrei proprio sapere qualcosa dei Bodwell! Comincio a chiedermi se davvero non siano venuti qui ieri sera prima di partire per la Scozia. Dopo tutto...» S'interruppe. Rimase zitto per un lungo momento, tanto che alla fine domandai: «E allora?» «Soltanto un'idea» mormorò. «Niente d'importante.» Dal tuo tono compresi che era comunque deciso a non dire niente, importante o no che fosse. Se avessi insistito, mi avrebbe raccontato qualche frottola, perciò rimasi zitta. Continuammo il tragitto verso casa in silenzio. Una volta arrivati, ci versammo da bere, poi do accesi la radio perché era l'ora del notiziario e avevo scoperto che una bella razione di catastrofi economiche, scioperi, dimostrazioni violente, colpi di Stato e rapine era quanto di meglio avrei potuto trovare per capitolare a letto morta di sonno. Quella sera, poi, ero già morta di sonno, tanto che chiusi gli occhi ancora prima di aver finito di bere. Ma li spalancai di colpo, completamente sveglia. La voce impersonale dell'annunciatore stava dicendo: «I corpi dell'uomo e della donna uccisi a colpi di rivoltella e rinvenuti stamattina all'alba dentro un'automobile nei pressi di Deepstead, un paese a circa quindici chilometri da Allingford, sono stati identificati per quelli di James e Rita Bodwell, già ricercati dalla polizia che voleva interrogarli nell'ambito delle indagini per l'uccisione di Imogen Dale.» 8 Felix afferrò la radio stringendola come se volesse spremerne fuori altre notizie poi, quando la voce impersonale passò a descrivere un piccolo massacro in una delle caotiche nuove nazioni africane, la spense, restando tuttavia a guardarla immobile e accigliato, pallido in viso come non lo avevo visto mai. Palesemente sbalordito e perplesso, si passò una mano su una guancia, mordendosi il labbro inferiore. «Virginia» disse dopo un momento «perché non vieni a Londra con me, questa notte?» «E perché?» «Se ti lascio qui, finirai per trovarti immischiata in questa faccenda»
spiegò «e quella è gente pericolosa. Sarei molto più tranquillo sapendoti al sicuro.» «Quale gente?» «Uno di loro... Nigel, Paul, Huddleston. Forse persino la piccola Meg. Potrebbe essersi procurata una rivoltella.» «E dove?» «Che ne so, io! Ma dev'essere senz'altro uno di loro.» «Non stai saltando alle conclusioni?» obiettai. «I Bodwell erano criminali, con un passato da criminali. Forse qualcuno che apparteneva a quel passato li ha seguiti fin qui e li ha fatti fuori! Lo hai detto tu stesso che non tutto ciò che è accaduto dev'essere necessariamente collegato.» Lui scosse la testa. «Le coincidenze cominciano a essere un po' troppe. Perché avrebbero dovuto ammazzarli proprio nelle vicinanze di Allingford? Devono essere venuti qui ieri sera e avere visto l'assassino di Imogen. Avranno cercato di spremergli qualcosa e quello ha fatto fuori anche loro.» «Ma perché a colpi di rivoltella? O meglio, se l'assassino aveva una rivoltella, perché non l'ha usata anche con Imogen, invece di ripiegare su una stupida paletta del carbone?» Felix ebbe uno scatto d'impazienza. «Ma come vuoi che lo sappia! Quel che so è che non mi piace l'idea che tu continui a immischiarti con quella gente! Sono una fonte di guai.» «Ma io non costituisco un pericolo per nessuno! Non so niente di niente, io!» Mi venne vicino e mi posò le mani sulle spalle, scrollandomi leggermente. «Virginia, vuoi fare come ti dico, una volta tanto? Vieni a Londra con me.» Mi liberai della stretta. «Spiacente, Felix, ma penso che sarebbe una grossa sciocchezza. Indurremmo la polizia a sospettare che io abbia qualcosa da nascondere. Piuttosto resta qui tu, se ti è venuto il complesso del protettore.» «D'accordo, come vuoi.» «Ma perché credi che siano venuti qui?» domandai ancora. «Perché non se ne sono andati dritti in Scozia, se intendevano davvero andarci?» Mi toccò ripetere la domanda, perché Felix pareva non avere sentito una parola, e stavolta la sua voce divenne improvvisamente stridula per l'esasperazione. «Ma che cosa diavolo vuoi che ne sappia io? Hanno detto che andavano in Scozia, punto e basta.»
«Saranno venuti a riportare le miniature?» «No, no e no! Non le avevano prese loro!» «E tu come lo sai? Mica ti dicevano tutto quel che facevano, no? O sì? Sei tanto certo a proposito delle miniature perché conosci il vero motivo che li ha indotti a tornare qui?» Lo vidi stringere e allargare i pugni, come se stesse facendo uno sforzo enorme per non perdere le staffe. «Virginia, ascolta» disse alla fine in tono di disperata pazienza «forse non ci hai pensato, ma si dà il caso che fossero miei amici. Avere saputo a un tratto che sono morti a quella maniera è stato un colpo piuttosto duro e questo tuo insistere a spararmi domande non è esattamente un aiuto. Fra un momento, se ti conosco bene, mi domanderai addirittura se sono stato io. Qualunque cosa accada è sempre colpa mia, figurati se non lo so. Non mi aspetto altro da te. Ma almeno questa volta, mi sarei aspettato un po' più di comprensione da parte tua!» «Ma io non ti ho rimproverato assolutamente niente!» protestai. «E sono certissima che non hai niente a che vedere con la loro morte. La violenza, come il ricatto, non rientra nei tuoi schemi. Avevo soltanto pensato che tu potessi conoscere il motivo per il quale erano tornati.» Scosse la testa. «Non so niente più di quel che sai tu, a questo proposito. E non prendere quell'aria scettica. Oh Dio, ma perché sono venuto qui l'altra sera! Pensavo che tu potessi aiutarmi. Via via che passano gli anni, si fa sempre più vivo in me il desiderio di cambiar vita, di diventare la persona che tu vorresti che fossi. Così sono venuto qui, sperando di trovare... be', diciamo pure un rifugio, mentre faccio un po' di pratica per diventare un cittadino onesto e rispettabile. E tutto quello che ti è passato per la mente è stato che fossi venuto qui per rubare qualche gingillo prezioso a una moribonda.» «Mio povero vecchio scheletro in cerca di un armadio dentro il quale nasconderti!» esclamai. «Oh Felix, se non l'avessi già sentita tante volte, questa musica! Ma resta pure qui finché vorrai. Sono certa che sarà molto più saggio che non tornare precipitosamente a Londra. La polizia vorrà certo farti qualche domanda, prima o poi. Al tuo posto, ci andrei, senza aspettare che vengano a cercarti.» Mi lanciò un'occhiata di traverso, sospirando. «Non hai tutti i torti. Ci penserò. Forse ci andrò domattina.» Non fu necessario, perché furono i poliziotti a venire da noi. Stavamo facendo colazione quando arrivarono il sergente ricciuto e un agente del
reparto investigativo. Io avevo trascorso un'altra notte agitata. Non riuscivo a togliermi dalla mente il patetico appello che Felix mi aveva rivolto la sera avanti e che io avevo respinto perché quelle parole le avevo già sentite troppe volte in passato. Ma ora mi tormentava un dubbio: e se questa volta fosse stato sincero? Il mio rifiuto lo avrebbe aiutato soltanto a diventare un freddo egoista. Avevo creduto di essermi liberata per sempre da problemi di quel genere. Da anni avevo deciso di non credere mai più a nessuna delle sue promesse di redenzione e mi ero resa conto che non avrei mai potuto accettare l'unico sistema di vita che Felix sembrava capace di offrirmi. Ci avevo provato, un tempo, e ne avevo ricavato soltanto una profonda infelicità. Tuttavia c'era in lui qualcosa che buttava sempre all'aria i miei giudizi, inducendomi a pensare che forse avrei dovuto fare un altro tentativo. Anche dopo tanti anni, pareva che Felix nutrisse ancora un sincero affetto per me e l'affetto non è merce della quale vi sia tanta disponibilità da consentire di sprecarla. Nelle ore notturne quel pensiero aveva assunto un'importanza enorme. Di giorno, certo, era molto più facile restare aggrappati ai suggerimenti del buon senso, ma mentre ero lì sola, al buio, incapace di prender sonno, il desiderio di avere ancora qualcuno che mi amasse, pur con tutti i suoi difetti, era diventato così intenso da farmi paura. A volte mi sentivo certa che arrendersi a quel desiderio sarebbe stato il colmo dell'assurdità, ma un momento dopo si insinuava in me il dubbio che la vera idiozia sarebbe stata quella di resistervi. Il risultato fu che quando Felix mi portò il tè a letto, lo trattai con stizzosa ingratitudine, come se fosse lui il responsabile dei miei conflitti notturni e questo lo ferì così profondamente che quando ci ritrovammo a colazione eravamo entrambi muti e imbronciati. L'arrivo dei poliziotti fu un sollievo. Li accompagnammo in soggiorno e non appena fummo seduti, il sergente domandò se avevamo saputo quel ch'era accaduto ai Bodwell. Risposi che l'avevamo udito alla radio la sera avanti. Il sergente guardò Felix. «Voi li conoscevate, vero?» «Sì, li conoscevo. Ve lo avrà detto il signor Huddleston, immagino.» «Esatto, signore. Ha detto che avevano referenze firmate da voi quando si sono presentati a chiedere lavoro alla signora Arliss.» «Con una firma falsa, non lo ha detto?» «Stavo proprio per arrivare a questo, signore» ammise il sergente con un
gaio sorriso, quasi che firmare con un nome falso una lettera di referenze fosse un'astuzia geniale che lui non poteva fare a meno di ammirare. «Li conoscevate molto bene, dunque?» «Abbastanza bene.» «Conoscevate anche il loro passato?» «Certo.» «Quando li avete visti l'ultima volta?» «L'altro ieri sera. Poco dopo le nove, credo. Appena lasciata la casa della signora Arliss sono venuti da me probabilmente con l'intenzione di fermarsi un giorno o due mentre decidevano che cosa fare. Ma la sera stessa è venuta a cercarmi mia moglie e, quando li ha visti, ha minacciato di denunciarli alla polizia se non avessero restituito immediatamente le miniature che, diceva lei, avevano rubato. Non era assolutamente vero, ma loro hanno avuto paura e hanno deciso di andare a cercare lavoro in Scozia.» Il sergente si rivolse a me. «Infatti, signora Freer, non le avevano rubate loro. Il signor Tustin ha ammesso di averle prese lui e di averle poi rimesse al loro posto quando si era accorto che la loro scomparsa aveva causato un mezzo putiferio. È stato interrogato ieri sera, dopo che il rinvenimento dei due cadaveri ci aveva indotti a pensare che i Bodwell fossero tornati qui appunto per restituire quelle miniature. Ma ormai è chiaro che dovevano essere venuti per tutt'altro motivo.» Felix mi lanciò un'occhiata tipo "te-l'avevo-detto-io", prima di commentare: «Ero certo che le avesse prese Tustin.» «Ora però vorremmo sapere da voi se avete un'idea del perché i Bodwell sarebbero tornati qui» riprese il sergente. Felix rifletté un momento poi scosse la testa. «Ma siete certo che fossero venuti proprio qui?» domandò. «Li hanno trovati a una certa distanza da Allingford, no? Così almeno hanno detto alla radio.» «Sì, l'auto era a un centinaio di metri dalla strada maestra, in un viottolo di campagna nei pressi di Deepstead che si trova a una quindicina di chilometri da qui» ammise il sergente. «E in realtà niente prova che siano venuti ad Allingford, anche se sembra molto probabile.» «Secondo me» ribatté Felix «questo è l'ultimo posto al mondo dove sarebbero venuti.» «Allora non avete un'idea del motivo per il quale potrebbero essere tornati?» «No, io so soltanto che avevano detto di andare in Scozia.» «Li avete visti partire?»
«Li ho visti mettere in macchina le valigie e andarsene, se è questo che intendete.» «Non c'era nessun altro con loro?» «No.» «Perché è chiaro che a Deepstead ce li ha portati qualcuno, da qui oppure da Londra. Bodwell, infatti, era sul sedile accanto al posto di guida e sua moglie dietro. Al volante non c'era nessuno dei due. Per dire il vero, probabilmente erano già morti entrambi all'inizio del viaggio. Se l'assassino avesse voluto portarli in quel posto isolato prima di ucciderli, sarebbe stato seduto accanto al guidatore, con la pistola puntata contro un fianco per costringerlo ad andare dove gli diceva lui. A meno che non fosse qualcuno del quale i Bodwell si fidavano, naturalmente.» Il sergente si rivolse di nuovo a me. «Voi quando li avete visti l'ultima volta, signora Freer?» «Credo che fossero circa le otto e mezzo. Eravamo in un bar in fondo a Little Carbery Street, a Londra. Dopo io sono venuta via e alle dieci e mezzo circa ero a casa. L'ho detto al signor Chance, senza dirgli, però, di" aver visto i Bodwell.» Il sergente lo sapeva già, evidentemente. «Sì. E voi, signor Freer, vi dispiace dirmi che cosa avete fatto dopo che i Bodwell se ne sono andati?» Felix scoppiò a ridere. «Sicché pensate che sia io la persona della quale si fidavano, è così?» «È solo questione di ordinaria amministrazione, signore» si scusò il sergente. «Volete spiegarmi come me ne sarei andato via, dopo averli uccisi?» ritorse Felix. «L'assassino potrebbe essersene andato in due maniere» spiegò pazientemente il sergente. «Poteva aver lasciato in precedenza la propria auto lì nel viottolo ed essersi allontanato con quella, e le sue tracce sarebbero state cancellate dalla pioggia, oppure può essersene andato a piedi.» «Nel qual caso deve essersi inzuppato come una spugna.» «Direi di sì. Ora, dove eravate voi l'altra sera?» Felix parve riflettere. Ero certissima che aveva la risposta bell'e pronta, senza alcun bisogno di pensarci su, ma riteneva opportuno ostentare un certo imbarazzo. «Dunque, vediamo» mormorò. «L'altro ieri sera... Ah sì, ora ricordo. Mia moglie era tornata qui, i Bodwell se n'erano andati anche loro e fra questo e quello io mi sentivo un po' agitato, perciò sono uscito di nuovo e sono tornato al bar. Lì ho trovato degli amici che abitano anche loro in Lit-
tle Carbery Street, al 66, John e Mirtle Lewis, e siamo rimasti a chiacchierare fino all'ora di chiusura, poi sono andato a casa loro e ci sono rimasto fino all'una, più o meno. Sapete, John è un chiacchierone formidabile e quella sera era in vena di spiegare cosa si dovrebbe fare per rimettere in sesto il mondo. Secondo me, gli ho obiettato, non si riuscirà mai a rimetterlo in sesto finché la medicina non avrà scoperto una pillola miracolosa capace di cambiare la natura umana, anche se questo vi sembrerà un punto di vista alquanto pessimistico. Oh bene, ma non è questo che volevate sapere, vero? Si tratta soltanto del mio alibi. Bene, il signor e la signora Lewis possono confermarlo.» «Grazie, signore.» Il sergente annotò sul suo taccuino l'indirizzo dei Lewis, poi si rivolse a me. «Desiderate aggiungere qualcosa, signora Freer?» «No, grazie.» «Siete certa di non avere idea del motivo per il quale i Bodwell possano avere voluto tornare ad Allingford?» «Temo proprio di no. Forse erano venuti a riprendersi qualche cosa che avevano dimenticato...» «E hanno visto la persona che ha ucciso la signorina Dale.» «Potrebbe essere, no?» «Sì, ma ho la sensazione... niente di concreto, credetemi, soltanto una mia sensazione, che il motivo che li aveva ricondotti qui sia il nocciolo delle nostre indagini. Se vi venisse in mente qualcosa, di qualsiasi genere, che possa avere qualche attinenza con i fatti, vi saremo molto grati se vorrete mettervi in contatto con noi.» Ci ringraziò per l'aiuto che gli avevamo dato e se ne andò con il suo agente. Usciti i due poliziotti, andai in cucina a mettere nella lavastoviglie i piatti della colazione, poi salii a rifare i letti. Quando scesi, infilai il soprabito e mi affacciai alla porta del soggiorno. Felix era sdraiato sul divano con gli occhi fissi al soffitto e una sigaretta ciondolante fra le dita, immerso in uno dei suoi stati semi-ipnotici, ma mi aveva sentita e si girò verso di me. Come mi vide col soprabito, volle sapere dove stavo andando. «A parlare con Nigel» risposi. «Voglio chiedergli una cosa. Vieni anche tu?» «Non credo. Ho dormito male, stanotte, e sono stanco.» «Non vuoi telefonare ai tuoi amici, i Lewis?» «Perché dovrei?» «Per spiegare quel che debbono dire alla polizia a proposito della serata
che avreste trascorso insieme.» «Vuoi dire che non credi a quel che ho raccontato?» «Il guaio è che io non so mai quando dovrei credere a quello che dici e quando non dovrei.» Si alzò di scatto a sedere. «Vuoi dire che pensi che sia io la persona di cui i Bodwell si fidavano, la persona che li ha portati a Deepstead, come ha detto quel maledetto sergente? Signore, ma che cosa penserai ancora! E perché proprio a Deepstead, in ogni caso? Non sapevo neppure che esistesse quel posto, prima di sentirne parlare alla radio, ieri sera!» «Chiunque li abbia lasciati là, deve averlo fatto perché si pensasse che tornavano da Allingford e la polizia sospettasse qualcuno di qui.» Sembrava allibito. «No, senti, è troppo complicato per me! Io sono un'anima semplice, cose di questo genere non le concepisco! Ma non hai bisogno di preoccuparti, quel che ho detto al sergente a proposito dei Lewis è la pura e semplice verità. Non sarei tanto sciocco da inventare una storia simile.» Pensai che probabilmente era vero e me ne andai, dicendo che non sapevo quando sarei tornata. Nel viale che portava a casa Arliss trovai un grosso autocarro che sbarrava il passaggio e un gruppo di operai che stavano segando l'albero caduto. Tornai indietro e lasciai l'auto fuori del cancello perché non ingombrasse la strada all'autocarro nel caso avesse dovuto andarsene prima di me e raggiunsi la casa a piedi, attraverso il prato. Era una mattinata tiepida, un po' nebbiosa, e l'erba ancora bagnata mi dava la sensazione di camminare sopra una spugna. Alzando gli occhi a guardare la casa mi sembrò che fosse diventata diversa dal solito, ma mi resi conto che doveva essere soltanto effetto della nebbia che la faceva apparire più lontana. Tuttavia mi pareva che la sua facciata non troppo bella avesse assunto ora una sorta di espressione impenetrabile, come a nascondere chissà quali segreti. La casa sapeva che cosa era accaduto lì dentro due sere avanti. Le case sanno sempre tutto. Oltrepassando l'albero caduto e la grande buca lasciata dalle radici, mi trovai all'improvviso faccia a faccia con Nigel che sorvegliava gli uomini con l'espressione di chi è convinto che le cose non siano mai fatte a dovere se non c'è lui a controllare. «Oh, Virginia!» esclamò quando mi vide. «Hai saputo quel che è successo ai Bodwell, vero? Terribile! E certamente collegato con la morte della povera Imogen, anche se non arrivo a vedere come. Hai qualche idea,
tu?» «Non so, forse avranno visto l'assassino e cercato di ricattarlo, penso. Si dedicavano volentieri al ricatto. Ma c'è una questione della quale parlavo appunto con Felix stamattina. Imogen è stata uccisa con la paletta del carbone, mentre ai Bodwell hanno sparato. Se dunque l'assassino aveva una rivoltella, come mai non l'ha usata per uccidere Imogen?» «Domanda intelligente» osservò Nigel. «Non ci avevo pensato. Difatti, come mai? Tutto quel che posso dirti io, è da dove proviene la rivoltella. L'ho detto anche alla polizia. Era di mio zio, che l'aveva dalla prima guerra mondiale e la teneva sempre nell'ultimo cassetto della scrivania, nel salottino. Ricordo benissimo che la tirava fuori per mostrarmela, quand'ero piccolo, la teneva come un trofeo e dopo la sua morte, zia Evelyn ha continuato a tenerla come suo ricordo. E questo significa che l'assassino dei Bodwell è qualcuno di casa, qualcuno che sapeva dov'era la rivoltella; non è stata la vendetta di qualche criminale venuto da Londra. E non soltanto di casa, in senso stretto, perché nel novero dei sospetti includo anche Patrick. Anzi, dal tuo punto di vista» aggiunse con una risatina nervosa «sono da includere anch'io. Avrai saputo della mia incredibile indiscrezione a proposito delle miniature.» «Be', le hai rubate a te stesso, no?» «Proprio così. Non capisco nemmeno io come mai lo abbia fatto, non mi capita spesso di cedere a un impulso. Un impulso pazzesco, oltre tutto. Perché è stata una vera e propria pazzia. In fin dei conti, non credo di essere il tipo che si lascia trascinare dagli impulsi, che ne dici?» In effetti, non conoscevo nessuno meno impulsivo di Nigel. «No davvero» dissi. «Ma tutti abbiamo i nostri momenti di debolezza.» «L'ho fatto in un impeto di collera» ammise lui. «Credevo che la zia le avesse lasciate a Imogen, che non avrebbe saputo apprezzarle. Sono bellissime, sai, indipendentemente dal loro valore. Non mi sognerei mai di venderle, io. Poi, dopo il funerale, ho scoperto che la zia de aveva lasciate a me e a questo punto la cosa più sensata da fare, credo, sarebbe stata quella di ammettere che le avevo prese io. Alla resa dei conti, non avevo commesso niente di illegale. Ma me ne è mancato il coraggio e quella sera, mentre ero solo in casa, ho pensato che sarebbe stato molto più semplice rimetterle al loro posto. Pensavo che tutto sarebbe finito lì, ma quando ho sentito della morte dei Bodwell, ho capito che era mio dovere dire la verità alla polizia. Pensavano tutti che de avessero rubate loro, lo sai, e che poi chissà perché fossero venuti a restituirle e che questo fosse in qualche mo-
do collegato con la loro morte. A questo punto non potevo più tacere, avevo il dovere di confessare che ero io il colpevole. È stata una cosa umiliante. Mi sentivo profondamente sciocco. Ma ora sono contento di averlo fatto e di non avere più niente sulla coscienza.» «La polizia mi ha chiesto se avevo un'idea del motivo che aveva ricondotto qui i Bodwell» l'informai. «Ho detto di no.» «Lo stesso ho fatto io. E hanno fatto Patrick, Paul e Meg. Uno di noi mente, suppongo, ma non saprei proprio dire ohi.» «La rivoltella è indubbiamente un indizio a carico di uno di voi» osservai. Nigel fece un sorrisetto sforzato. «Non dimenticare che forse potremmo includere anche te, mia cara Virginia. Conosci la nostra casa quanto basta per sapere dove si trovava la rivoltella. Per non parlare di Felix! Patrick mi ha detto che è di nuovo qui.» «Sì, è venuto non appena ha saputo della morte di Imogen.» «È in possesso di qualche informazione?» «No, ma gli piace trovarsi al centro dell'azione. Ha una mente indagatrice. Ora se non ti spiace andrei a fare quattro chiacchiere con Meg.» «Ma certo! Povera figliola, è troppo giovane per trovarsi immischiata in una tragedia simile. Ma forse i giovani sono meno sensibili all'orrore di quanto non lo siamo noi più anziani. A me sembra di essere stato straordinariamente freddo e indifferente a quell'età.» Si congedò da me con un cenno del capo e si allontanò attraverso il prato. Trovai Meg in cucina, intenta a lavare l'insalata. Era ancora più pallida del solito e stava china sopra il lavello con le spalle curve come se fosse invecchiata a un tratto. Si girò, udendomi entrare, e mi accolse con un sorrisino smorto. «Cucinare non è il mio mestiere» osservò. «Ma qualcuno deve pur farlo. La signora Jones, che veniva a dare una mano per le pulizie, ha telefonato per dire che lei non aveva nessuna intenzione di continuare a venire in una casa dove si ammazza la gente. D'altra parte la polizia non consente a nessuno di allontanarsi e dobbiamo pure mangiare. Paul mi aveva invitata a pranzo fuori, ma non me la sono sentita. Provo l'impulso di nascondermi. Non vi è mai capitato? Paul dice che da un momento all'altro ci troveremo addosso i giornalisti ma io spero di no: impazzirei del tutto!» «Se dovessero venire, lasciate che sia Nigel a sbrigarsela con loro» consigliai. «Se la caverà benissimo. Non vedo perché dovrebbero disturbare
voi. Posso aiutarvi a preparare il pranzo?» «Oh, non sto facendo niente di speciale e non c'è nessuna fretta.» Si mise a tritare l'insalata come se volesse distruggerla. «Il guaio è che ho una paura terribile. Voi no?» «In un certo senso sì, credo. Paura di quel che potrebbe saltar fuori. È questo che intendete?» «Credo di aver paura di scoprire che cosa può essere la vita. A un tratto tutto è così diverso da quel che pareva e penso che non tornerà mai più a essere come prima. Vi sembra tremendamente infantile, vero?» «È un'esperienza attraverso la quale passiamo tutti, prima o poi.» Io c'ero passata quando avevo cominciato a scoprire la vera identità di Felix. «Ma di solito ci si passa un po' meno bruscamente di quanto non sia accaduto a voi. La polizia vi ha interrogato ancora, ieri sera?» «Sì, ma soltanto il sergente. È stato molto gentile. Non aveva l'aria di credere che fossi io l'assassina. Ma del resto credo che anche se lo pensassero, non lo farebbero capire. Il signor Chance ha parlato a lungo col signor Tustin che gli ha detto di quella rivoltella che si trovava nel cassetto della scrivania. Lo sapete?» «Me ne ha parlato proprio lui poco fa. L'ho incontrato in giardino. Ma la polizia è certa che sia quella l'arma del delitto? L'hanno trovata?» «Non credo. Ma è logico. L'assassino non l'avrà poi lasciata lì in bella vista. L'avrà buttata da qualche parte. Però siccome l'arma che la signora Arliss teneva in quel cassetto è sparita, è quasi certo che l'abbia usata l'assassino.» Aveva smesso di trafficare con l'insalata e si era seduta al tavolo di cucina. Il suo visino pallido era segnato dalla stanchezza. «A chi è venuto in mente di andare a guardare nel cassetto?» domandai. «Chi ha scoperto che la rivoltella non c'era più?» «Il signor Tustin. Quando la polizia è venuta a dirci che fine avevano fatto i Bodwell, lui è andato difilato ad aprire l'ultimo cassetto della scrivania e ha esclamato: "Oh, questo è molto interessante". Poi ha detto tutto alla polizia.» «Sicché era certo fin dal principio che i Bodwell li aveva uccisi qualcuno della casa, o qualcuno che la conosceva bene.» Meg annuì, poi aggiunse: «Ma se fosse stato lui, non avrebbe certo attirato l'attenzione sulla scomparsa della rivoltella, non vi pare?» Così restavano Patrick e Paul, le due persone per le quali aveva battuto, o batteva tuttora, il cuore della piccola Meg.
«Forse Nigel sta giocando d'astuzia» dissi per consolarla. «E magari l'assassino è proprio lui!» Mi guardò con espressione indagatrice. Non le dispiaceva quell'ipotesi, ma disse: «Non parlerete sul serio, vero?» «Perché no? Credo che i numeri li avrebbe. A quanto dice lui, si è comportato con ferocia inaudita, in guerra. Aveva sempre le mani sporche di sangue. Il guaio è che non vedo perché mai avrebbe dovuto uccidere Imogen. Non riesco a trovare nessun movente.» «E nemmeno per uccidere i Bodwell» aggiunse lei. «I Bodwell sono stati uccisi perché avevano visto l'assassino di Imogen, questo è chiaro. Ma ditemi una cosa, Meg. Voi conoscevate i Bodwell molto meglio di noi: vi sembra possibile che avessero scoperto qualcosa sul conto di qualcuno, qui, e che cercassero di ricattarlo? Perché io sono convinta che siano tornati per questo, l'altra sera. Per estorcere a quel tizio tutto quel che potevano, prima di partire per la Scozia.» Non mi aspettavo una risposta positiva alla mia domanda. Ero certa che non sapesse niente. Ma ancora meno mi aspettavo la reazione che quella domanda provocò. Meg mi guardò per un attimo inorridita, poi fu travolta da un violento scoppio di lacrime. Piangeva rumorosamente, come una bambina, premendosi sugli occhi le mani strette a pugno, il corpo esile scosso da sussulti. Tutte le emozioni che le si erano accumulate dentro in quei giorni, a cominciare dalla morte della signora Arliss, si sfogavano ora in singhiozzi convulsi. Poi si aprì la porta ed entrò Paul. «Che cosa diavolo le avete fatto?» mi urlò, infuriato, stringendo Meg fra le braccia. A tutta prima parve che dei volesse respingerlo, ma poi si aggrappò a lui, nascondendo il viso contro il suo petto. Paul mi guardò di sopra la testa della ragazza. Non avrei mai immaginato che il suo bel viso giovane e allegro potesse esprimere tanta malevolenza. «Siete stata voi a farla piangere?» «Io non ho fatto proprio niente» ribattei. «Aveva bisogno di sfogarsi, penso.» «Ma perché piange?» «Non ha importanza.» «Sì che ha importanza! Che cosa le avete detto?» «Perché non lo domandi a lei? Stavamo chiacchierando e a un tratto è scoppiata a piangere. Non credo che ci sia niente di strano!»
Paul mi fissò con espressione un po' corrucciata; incerto se credermi o no. «Meg, tesoro» disse poi, con una certa esitazione «che cosa è accaduto?» Meg gemette più forte e si strinse di più a lui. Paul le passò una mano sui capelli, glieli scostò dal viso, la baciò sulla fronte. Meglio lasciarli soli, pensai. Ma prima che fossi arrivata alla porta, Paul domandò ancora: «L'avete spaventata da morire, vero? Avete detto qualcosa che l'ha atterrita.» «Non lo so, può anche darsi» risposi e me ne andai. Tornata a casa, trovai Felix sul divano, esattamente come lo avevo lasciato. Pareva non essersi mosso da quando ero uscita: c'erano soltanto più mozziconi nel portacenere che aveva a portata di mano. Girò la testa a guardarmi. «Be', che cosa sei riuscita a tirar fuori da Nigel?» «Un paio di cosette piuttosto interessanti.» «Avevo ragione a proposito delle miniature, no?» mi stuzzicò lui. «Ma hai dovuto sentirtelo dire dalla polizia per crederci!» «Nigel mi ha detto che probabilmente la rivoltella usata per uccidere i Bodwell apparteneva alla signora Arliss» ripresi senza tener conto della provocazione. «La teneva nell'ultimo cassetto di una scrivania e adesso è sparita.» «La signora Arliss teneva una rivoltella? È straordinaria, quella gente! Chi avrebbe mai pensato una cosa simile!» «Ho parlato anche con Meg.» Mi sfilai il soprabito e lo gettai su una sedia. «Ho voglia di bere.» «Che cosa vuoi, whisky?» «Sì, grazie.» Uscì, borbottando qualcosa in tono di disapprovazione, e tornò dopo un momento con due bicchieri. «Che cosa stavi dicendo a proposito di Meg?» domandò mentre si rimetteva a sedere. «Soltanto che ho parlato con lei. Ma c'è qualcosa di strano in quella ragazza, Felix. Soltanto perché le ho chiesto se pensava che i Bodwell potessero avere scoperto qualche cosa sul conto di qualcuno, lì in casa, ha avuto un attacco isterico. Piangeva, gridava, tremava tutta. Poi è entrato Paul e quando l'ha vista in quello stato mi ha accusata di averla spaventata e lo strano è che credo proprio di averlo fatto!» Felix bevve cautamente un sorso della sua bibita e dopo posò il bicchiere
a una certa distanza, come se volesse farla durare a lungo mentre io ne bevevo due o tre. «Sicché sa qualcosa che non vuole rivelare a nessuno» osservò. «O forse si è soltanto resa conto di quel che intendevi dire e ora la tensione si è fatta eccessiva, per lei. Dovrebbe essere qualcosa che riguarda Huddleston, naturalmente.» «È quel che ho pensato anch'io. Non credo che avrebbe cercato di proteggere nessun altro, nemmeno Paul. E del resto i Bodwell lo conoscevano appena.» «Certo.» Parve improvvisamente immerso in profonda riflessione. Le palpebre scesero fino a nascondergli quasi del tutto gli occhi, mentre sulla sua fronte apparivano rughe profonde. Intrecciò le dita come se fosse immerso in una sorta di trance, o quanto meno avesse dimenticato di non essere solo. Evidentemente era tutto preso da un suo problema. Ma a un tratto fu di nuovo pienamente cosciente e i suoi occhi azzurri si fissarono nei miei. «Speravo di non dovertene parlare» confessò «ma devo ammettere di non essere stato del tutto franco con te a proposito dei Bodwell.» «Ma che mi dici!» «No, non fare così, si tratta di una cosa molto seria.» Si passò una mano sulla fronte e le rughe sparirono di colpo. «Erano miei amici, capisci» riprese con un'espressione più conciliante che mai. «Mi fidavo di loro. Ero assolutamente convinto che non si sarebbero mai più lasciati trascinare a ricattare qualcuno. Mi hanno detto qualcosa a proposito di Huddleston, aggiungendo che avrebbero potuto cavarne chissà quanto se avessero voluto servirsene, ma lo dicevano ridendo, sicché ho creduto che fosse tutto uno scherzo e che non pensassero neppure lontanamente di farlo. Per questo non ho detto niente, perché non volevo creare complicazioni inutili e tradire la fiducia che avevano riposto in me. Gli amici sono molto importanti per me, lo sai, e in nessun modo vorrei essere sleale verso di loro. Non era tutta ipocrisia. Un amico, di qualunque stampo fosse, serviva a dare a Felix la sensazione di non essere un uomo inutile come qualche volta, pur senza ammetterlo, riconosceva lui stesso. Ma in quel momento non ero nelle condizioni di spirito adatte per lasciarmi commuovere da considerazioni di quel genere.» «Ma che cos'è questa storia?» domandai. «I Bodwell mi hanno detto che cosa ha fatto Huddleston.» «E cioè?» «Oh, una piccolezza! Pare che dopo il primo colpo apoplettico, la signo-
ra Arliss lo avesse fatto chiamare per stendere un nuovo testamento e...» Lo interruppi. «Glielo ha fatto distruggere, il testamento!» «No, è proprio questo il punto» ribatté Felix. «È questo che i Bodwell avevano scoperto. Huddleston scrisse il testamento secondo le istruzioni della signora Arliss, poi chiamò i Bodwell perché firmassero come testimoni. Ed è questo che lui ha distrutto di nascosto, un testamento col quale, suppongo, la signora Arliss lasciava il denaro a Nigel e le miniature a Imogen. Aveva detto di voler fare per la nipote quel che era giusto, no? E dei sapeva che le miniature erano le sole cose di valore rimaste. Ma Huddleston non lo sapeva. Lui credeva che avesse denaro a palate, ma non più la testa a posto, così pensò che se avesse distrutto quel testamento, sarebbe rimasto valido quello che la signora aveva fatto in precedenza e tutto quel bel denaro sarebbe toccato a Imogen che lui intendeva sposare. Un errore deplorevole e pericoloso che lo mise in potere dei Bodwell. Per questo ieri sera ha cercato disperatamente di scoprire quanto ne sapevo sul doro conto. E temo sia proprio questo il motivo che li aveva ricondotti qui d'altro ieri sera. Nonostante tutte le belle promesse che mi avevano fatto, volevano spremere da Huddleston tutto quel che potevano, prima di partire per da Scozia.» «Ma come sapevano che lui andava dicendo che da signora Arliss lo aveva fatto chiamare per distruggere un testamento e non per farne uno nuovo?» «Rita lo aveva udito mentre lo raccontava a Meg, ancora prima che da signora morisse.» «Capisco. Sicché tu pensi che siano venuti qui per estorcere un po' di denaro a Patrick, che abbiano scoperto chissà come che lui era andato a casa Arliss con Imogen, do abbiano seguito, lo abbiamo visto uccidere Imogen e, pensando di poter ottenere una somma maggiore, abbiano tirato troppo la corda finendo come sono finiti. Tuttavia, c'è un "ma". Perché Patrick avrebbe ucciso la donna che intendeva sposare? Questo non me do hai detto.» «Posso solo supporlo. Vanità offesa perché lei lo ha respinto.» «Non lo credo.» «E allora perché non la vanità offesa di Imogen? Metti che lui si sia rifiutato di sposarla perché non aveva più un soldo e lei, infuriata, lo abbia minacciato di far raccontare dai Bodwell la storia del testamento distrutto; non potrebbe aver perduto le staffe al punto di darle una palettata in testa?»
9 Rimuginai un poco su quell'idea. «Non è impossibile» ammisi alla fine. «Non sembri impressionata.» «Non lo so. Mi pare di non conoscere più nessuno di quella casa! Solo qualche giorno fa avrei detto che tutto quel che è accaduto era impensabile.» Mi alzai. «Vado a preparare qualcosa da mangiare. Ma temo che dovrai accontentarti di qualche panino.» «Per me va benone.» Giunta alla porta, mi fermai. «Felix, ti sembrerà melodrammatico, ma se nelle nostre supposizioni c'è del vero, non credi che Meg possa essere in pericolo?» «Non lo escluderei.» «Però non credo che sappia qualcosa di preciso, fa anche lei solamente delle supposizioni.» «A meno che i Bodwell non le abbiano detto di aver fatto da testimoni alla firma di quel testamento.» «Non credi che dovremmo andare alla polizia?» «A raccontare quel che mi hanno detto i Bodwell? E pensi che mi crederebbero?» «Perché no?» «Perché Huddleston negherebbe tutto, naturalmente, e sarebbe soltanto la mia parola contro la sua. E lui è un cittadino rispettabile.» Non seppi dargli torto. Andai in cucina dove preparai alcuni panini e il caffè, chiedendomi intanto, per la millesima volta, che cosa provasse veramente Felix, nel proprio intimo. Di solito, in superficie, pareva certissimo che qualsiasi panzana gli venisse in mente di raccontare, gli altri se la bevessero pari pari, eppure al tempo stesso si sarebbe detto che, dentro di sé si aspettasse di non essere creduto, cosa che appariva più evidente proprio quando diceva la verità. Aveva sempre una terribile paura di essere scoperto e a volte questo mi pareva tanto patetico da farmi desiderare di proteggerlo, anche se sapevo che sarebbe stato perfettamente inutile: cercare di proteggere Felix contro se stesso sarebbe stata soltanto un'affascinante maniera di perdere tempo. Misi panini e caffè su un vassoio e tornai in soggiorno. Finito lo spuntino, avvertii Felix che uscivo a far spese e mi avviai verso Whitefield per comprare qualcosa per cena. Il mercato era un po' lontano,
ma andai ugualmente a piedi, invece di prendere l'auto, perché volevo restare un po' sola per riflettere indisturbata. Non ero in vena di cucinare, perciò comprai soltanto qualche fetta di carne, un cavolfiore e frutta, ma fare la spesa per due, invece che per me sola come sempre, mi diede un penoso senso di nostalgia. Ero quasi contenta di quel diversivo e quando mi accinsi a tornare a casa mi resi conto che avevo riflettuto ben poco sugli argomenti che mi stavano a cuore, perdendomi invece a rimuginare stupidamente sul piacere di comprare due scaloppe invece di una sola e un cavolfiore che non fosse il più piccolo sul banco: un piacere estremamente pericoloso, considerando che lo stesso Felix stava mostrando segni di un certo istinto domestico. Camminai lentamente, per lasciare a me stessa il tempo di rammentare che la vita con Felix era intollerabile. Almeno per me. Altre donne, probabilmente, sarebbero state felici con lui. Dovevo lealmente riconoscere che la sua disgrazia, oltre che la mia, era stata quella di affezionarsi proprio a me. Come aprii la porta di casa, udii delle voci provenienti dal soggiorno. Il visitatore era Nigel. Portai la mia borsa in cucina, poi raggiunsi i due uomini. Appena mi vide, Nigel si alzò e mi venne incontro esclamando: «Oh, Virginia!» quasi fosse un po' stupito di trovarmi lì, in casa mia, poi rimase a fissarmi con un'espressione preoccupata che mi mise subito in allarme. «Che c'è, Nigel?» domandai. «Meg. È scomparsa. Sono venuto qui a vedere se per caso fosse da voi, ma Felix mi ha già detto di no.» «Difatti. Io non l'ho più vista da stamattina. Ma come sarebbe a dire, scomparsa?» «Pare che se ne sia andata, senza dire niente a nessuno.» «Quando?» «Non lo sappiamo. Pensavo che stesse preparando il pranzo, ma a un certo punto mi sono accorto che si faceva tardi e lei non si vedeva. Sulle prime, non ho detto niente, naturalmente, perché è già molto che si dia tanta pena per noi, ma quando ho visto che erano ormai le due e un quarto, ho cominciato a pensare che doveva essere accaduto qualcosa. Sono andato a cercarla per tutta la casa ma non l'ho trovata da nessuna parte. Né in casa né in giardino c'era traccia di lei.» «E Paul?» osservai. «Non era preoccupato?» «Non sono certo, ma ho avuto la sensazione che avessero litigato. L'ho trovato intento a sfogliare i libri che gli ha lasciato zia Evelyn, scegliendo
quelli che desiderava tenere, e quando gli ho chiesto se avesse visto Meg, ha risposto con un grugnito. Poi ha detto che lui, comunque, non aveva nessuna voglia di mangiare.» «L'ultima volta che li ho visti io non stavano davvero litigando» osservai, ricordando Meg che singhiozzava tra le braccia di Paul. «Ma se poi hanno fatto baruffa, questo spiegherebbe tutto, no? Può darsi che Meg sia uscita proprio per allontanarsi da Paul.» «Sono certo che è così» dichiarò Felix. Ebbi immediatamente la certezza che le cose non stavano affatto così, o quanto meno che Felix non lo pensasse affatto. Conoscevo troppo bene le intonazioni della sua voce per non capire che era il primo a non credere a quanto aveva detto. E oltre tutto non riuscivo a togliermi dalla mente il tormentoso sospetto che Meg potesse sapere qualcosa di pericoloso. «Si è portata via qualcosa?» domandai. «Una valigia, o altro?» Nigel parve un po' confuso. «Temo proprio di non avere idea di quel che si porterebbe via una ragazza se decidesse improvvisamente di tagliare la corda. Ho dato un'occhiata in camera sua e ho avuto l'impressione che anche se ha preso qualcosa, si tratta di ben poco. L'armadio era pieno di vestiti e i cassetti di... calze e cose del genere. Sulla toeletta c'erano i soliti cosmetici, spazzole eccetera, ma quando sono riuscito a indurre Paul ad aiutarmi nelle indagini, ci è sembrato che mancasse la borsetta. Capisco che questo potrebbe significare che abbia semplicemente deciso di andare a far colazione fuori, soltanto perché desiderava stare lontana da Paul e da me, per non parlare della casa, ma sono preoccupato. Per essere sincero, sono molto agitato, oggi, e mi rendo conto di essere incline a immaginare il peggio. Ti sembro sciocco, vero?» «Che cosa sarebbe il peggio, secondo voi?» domandò Felix. «Be', che le sia accaduto qualcosa di male, no?» «Non che abbia semplicemente deciso di andare alla polizia?» Ci eravamo seduti tutti e «tre e Nigel, con le mani sulle ginocchia tondeggianti, girava lo sguardo dall'una all'altro di noi due come se sperasse di poter scoprire, dalla nostra espressione, qualcosa di importante. «La polizia!» esclamò. «Santi numi! Non ci avevo proprio pensato. Credete che sapesse, o pensasse di sapere, qualcosa di particolare sulle paurose vicende di questi giorni, qualcosa che ha ritenuto di dover comunicare alla polizia? Difatti è scomparsa dopo la visita dei poliziotti. È possibile che qualche loro osservazione l'abbia indotta a riflettere su qualche cosa che sapeva ma che non aveva capito nel suo pieno significato? Voi che ne
dite?» «Sono venuti ancora i poliziotti?» domandai, rendendomi conto soltanto dopo aver parlato di averlo detto come se i poliziotti fossero bestiacce che avessero invaso la casa. Nigel continuò a massaggiarsi le ginocchia. «Ma sì! Volevano guardare le nostre scarpe. Per vedere se erano infangate, capite, nel caso che fosse stato uno di noi a portare i Bodwell in quel viottolo dove sono stati ritrovati e poi a tornarsene a casa a piedi, sotto la pioggia. Una passeggiata un po' lunghetta, in una notte simile, direi. Io certo non l'avrei fatta davvero! Non so bene che cosa pensi la polizia di tutti noi, ma il fatto è che si sono portate via tutte le scarpe che avevamo addosso quella sera. Le mie però erano state lucidate. Lo faccio sempre, ogni mattina, ma a loro sarà certo sembrato sospetto. Le scarpe di Meg e di Paul invece erano infangate, ma erano usciti insieme a fare la spesa la mattina dopo il temporale e naturalmente soltanto a percorrere il viale c'era da infangarsi fino alle caviglie.» «È vero, mi sono infangata anch'io soltanto per fare a piedi il tratto dov'era caduto l'albero» dissi. «Pensi che la sparizione di Meg abbia qualcosa a che vedere con questo?» «Vorrei proprio saperlo» mormorò Nigel. «Sembri convinta che mi stia preoccupando per niente, no?» «Be', non è detto» osservò Felix. «Io aspetterei ancora un po', prima di avvertire la polizia. Se ci è andata lei, non la tratterranno a lungo. Può darsi che la ritroviate a casa, al vostro ritorno.» «Lo spero.» Nigel si alzò. «Lo spero proprio. Forse io sono troppo incline a preoccuparmi. Ma dopo tutto quel che è accaduto, sono portato a pensare che potrebbe essersi messa in qualche guaio, qualche guaio terribile. C'è qualcuno che non ha scrupoli, fra noi, qualcuno spietato e pericoloso. E Meg mi sembra tanto ingenua. Troppo fiduciosa. Oh, spero proprio che abbia ragione tu e che non ci sia motivo di preoccuparsi!» Si alzò, avviandosi verso la porta. Lo accompagnai, poi tornai in soggiorno. Felix si era nuovamente disteso sul divano, in apparenza perfettamente tranquillo e rilassato. «Non ti capisco» osservai. «Non sembri affatto preoccupato per Meg, eppure poco fa hai ammesso tu stesso che poteva trovarsi in pericolo. Che cosa ti è successo? Non te ne importa niente?» «Me ne preoccupo, sì, tanto che ho fatto qualcosa per proteggerla» rispose lui. «Mi è sembrato più prudente.» «Tu? E che cosa hai potuto fare?»
«L'ho levata di mezzo, tutto qui.» «L'hai levata di mezzo?» «Semplice: l'ho mandata a Londra. In Little Carbery Street, per essere esatti.» «A casa tua? E come diavolo hai fatto?» «Be', si dà il caso che nutra un certo rispetto per me e sia disposta ad ascoltare i miei consigli. So che ti sembra impossibile che qualcuno possa nutrire rispetto per me e mi prenda sul serio, ma quella graziosa e intelligente figliola mi tiene in grande considerazione e questo mi dà una sensazione meravigliosa e confortante, lascia che te lo dica, dopo il trattamento che ricevo di solito. Sicché cerco di farla durare.» «Ma quando hai visto Meg?» «Poco dopo che tu eri uscita. È venuta per chiedermi consiglio su quel che doveva fare. Era andata a fare una passeggiata, ha detto, per cercare di raccogliere le idee, poi le è venuto in mente che io sarei certo stato in grado di aiutarla. Era proprio come avevamo pensato. I Bodwell le avevano detto di essere stati testimoni alla firma di un testamento e a un tratto lei si era resa conto che questo contrastava con quanto aveva dichiarato il suo beneamato Huddleston, e cioè di essere stato convocato dalla signora Arliss per "distruggerlo", un testamento. Non aveva neppure pensato di poter essere in pericolo per il semplice fatto di conoscere quel segreto, ma era profondamente sconvolta, dibattuta fra l'idea che fosse suo dovere andare alla polizia a riferire ciò che sapeva e il timore di procurare in tal modo un guaio a Huddleston. È una gran brava figliola, Virginia, onesta, leale e sensibile. Vorrei che ce ne fossero di più come lei.» «Ma perché non le hai consigliato di andare alla polizia? Il suo racconto avrebbe potuto confermare il tuo, non sarebbe stata più soltanto la tua parola contro quella di Patrick.» Felix sospirò. «Quante domande fai, Virginia!» «Perché non d'hai mandata, dimmelo!» «Perché, riflettendoci bene, non ero molto certo che le convenisse farlo.» «Sicché le hai messo paura e l'hai indotta ad andare a nascondersi a casa tua.» «Nemmeno per sogno! Ho soltanto accennato all'eventualità che potesse desiderare di starsene per un poco sola e in pace, per riflettere sui suoi problemi. È sembrata molto grata. Oh Dio, sì, le ho detto che forse poteva correre qualche pericolo, qui, se avesse rivelato a qualcuno ciò che sapeva, ma sono stato bene attento a non spaventarla troppo.»
«No, solo quanto bastava per spedirla a Londra in preda al panico, senza nemmeno prendersi uno spazzolino da denti!» «Be', sai, a volte penso che si dia troppa importanza agli spazzolini da denti.» «Le hai dato le chiavi di casa?» «Ma certo!» La sua espressione mi lasciava perplessa. Aveva un'aria vagamente soddisfatta, una sorta di calma beata, e questo di solito significava che stava inseguendo qualche fantasticheria particolarmente gradevole. Fui presa a un tratto da un sospetto. «Felix, è vero quel che hai detto?» «Dalla prima parala all'ultima.» «Sicché Meg sarebbe venuta qui a chiederti consiglio, riferendoti quel che le avrebbero raccontato i Bodwell a proposito del testamento e tu d'hai spedita a Londra?» «È quel che ti ho detto, no?» Guardai l'ora. «Non sarà ancora arrivata a casa tua, ma tra un poco telefonerò là e sentirò quel che mi dice lei» dichiarai. «Stavo proprio per suggerirtelo» ribatté lui. «Ha molta simpatia per te, sarà contenta di sentirti. La tua telefonata la rassicurerà.» Dunque doveva essere vero. Ma continuavo a sentirmi perplessa davanti a quella sua aria soddisfatta. Mi stava nascondendo qualcosa, ne ero certa, anche se non riuscivo a immaginare se si trattava di qualcosa che gli aveva detto Meg o di qualcosa che aveva fatto lui. Ma poiché sapevo fin troppo bene che de domande non sarebbero servite a nulla, me ne andai in cucina a vuotare la mia borsa della spesa. Avevo appena cominciato quando squillò il campanello dell'ingresso. Era il sovrintendente Chance accompagnato dal giovane sergente che mi guardò con un sorriso così aperto e cordiale da far pensare che fosse proprio contento di vedermi. Chance, invece, borbottò a malapena un brusco buongiorno ed entrò strascicando i piedi, come se fosse lì per una questione di trascurabile importanza che non meritava spreco di energie. Li feci passare in soggiorno, dove Felix, sempre disteso sul divano, pareva immerso in un sonno profondo. Ma stava semplicemente con gli occhi chiusi e udendo entrare i due poliziotti li spalancò di colpo, subito vigile e attento, pronto, si sarebbe detto, ad affrontare l'interrogatorio. Invitò i due a sedere e offrì loro da bere. I due rifiutarono le bevande ma accettarono la
sedia, anche se da parte di Chance sembrava esservi una qualche riluttanza a mettersi seduto, come se temesse con questo di trovarsi poi trascinato in un rapporto amichevole con Felix e con me, che era evidentemente l'ultima cosa che desiderava al mondo. «Vorrei rivolgervi un paio di domande soltanto» spiegò. «Non vi ruberò molto tempo. Desidero controllare qualcosa che avete detto stamattina al sergente Peabody, signor Freer, e cioè l'ora esatta in cui i Bodwell se ne sono andati da Londra dopo il colloqui con la signora Freer. Potete dirmela?» «Mi pare di avere già detto al sergente che erano circa le nove» rispose Felix. «Ne siete certo? Non vi è venuto in mente qualcos'altro, più tardi?» «No, erano proprio le nove, tutt'al più pochi minuti dopo» confermò Felix. «Siete certo che non fosse più presto?» «Certissimo, minuto più minuto meno.» «Peccato» mormorò Chance col tono rassegnato di chi è abituato alle delusioni. «Ne siete assolutamente certo, dunque?» «Assolutamente.» «Poi c'è la questione del motivo che può averli indotti a tornare qui» riprese l'ispettore. «Vi è venuto in mente qualcosa, da quando avete parlato col sergente Peabody, stamattina?» Felix scosse la testa senza esitare, con l'espressione amichevole di chi è ben disposto a collaborare. «Temo proprio di no, purtroppo.» «Ma voi li conoscevate bene, vero?» «Quanto meno pensavo di conoscerli.» «Vi hanno mai fatto capire di sapere qualcosa sul conto di qualcuno che abita qui? Qualcosa per cui valesse la pena di tornare per cercare di spremere quanto era possibile, prima di partire alla ricerca di un nuovo posto?» «No» rispose pronto Felix. «Anche se lo hanno fatto, a me non hanno detto niente.» Fui sul punto di protestare. E il testamento per il quale avevano fatto da testimoni? Il testamento che avrebbe potuto essere un'ottima arma di ricatto nei confronti di Patrick? Stavo per dirlo, quando mi resi conto che sapevo solo quel che mi aveva detto Felix e che poteva essere soltanto un'altra delle sue brillanti invenzioni. Un'invenzione un po' troppo complessa, per il suo tipo, ma questo non bastava certo a garantire che fosse la verità. E in
ogni caso, era chiaro che lui non intendeva parlarne, per il momento. Non sapevo perché, ma capivo fin troppo bene che se avessi parlato io, Felix sarebbe stato capacissimo di negare tutto quanto. «Non ci avevo pensato» stava intanto dicendo Felix che sembrava tutto preso da un'idea e più che mai ansioso di rendersi utile. «Ma ora che ne avete parlato voi, mi sembra possibile che potessero avere un'arma ai danni del signor Tustin. Ma ci avrete pensato anche voi, naturalmente.» «Intendete dire che potrebbero averlo visto prendere le miniature?» precisò Chance. «È abbastanza probabile, non vi pare? Erano ancora in casa, quando le ha prese.» «Sì, è possibile, certo.» Ma Chance non pareva affatto entusiasta dell'idea. «Tuttavia, è praticamente impossibile che il signor Tustin si sia lasciato ricattare per questo. Quando i Bodwell sono tornati qui, lui ormai sapeva che le miniature erano sue e che quindi non aveva commesso alcun reato prendendole, quali che fossero le sue intenzioni al momento in cui lo aveva fatto.» «Ma lo sapevano i Bodwell? Questo è il punto» ribatté Felix. «Per loro, il motivo del ricatto poteva essere ancora valido. Sapevano certamente che il signor Tustin è ricco e molto sensibile per ciò che riguarda la sua reputazione. Era facile pensare che sarebbe stato disposto a pagare qualcosina per il loro silenzio.» «Mmm. Sì. Certo.» Chance parve rimuginare su quell'idea, anche se niente sul suo viso lasciava trapelare quel che ne pensava. «Ma siete proprio certo che i Bodwell non siano partiti da Londra prima delle nove?» Felix annuì con espressione grave. «Spiacente di non poter essere di maggiore aiuto.» Fu lui ad accompagnare alla porta i due poliziotti e, non appena rientrò in soggiorno, l'aggredii. «I Bodwell non ti hanno mai detto di avere visto Nigel prendere le miniature, vero?» «Vero.» «E allora perché tirare in ballo il povero Nigel?» «Be', mi dispiaceva non avere proprio niente da dire. Desideravo offrire loro qualche traccia e quella era una teoria buona come qualunque altra, no?» «Meno male che non hai addirittura insinuato che sia stato lui ad ammazzare Imogen, anche se ci sei andato abbastanza vicino!» «Non siamo affatto certi che non lo abbia fatto, anche se non abbiamo
ancora scoperto un movente valido. Ma non si può mai sapere, potrebbe saltar fuori in seguito.» «Dimmi una cosa: come mai Chance desiderava tanto farti ammettere che i Bodwell erano partiti da Londra prima delle nove?» «Ma è evidente, mia cara!» Tornò a distendersi comodamente sul divano. «Supponi che avessero la possibilità di ricattare qualcuno, come nel caso di Huddleston, e che avessero deciso di spremergli una certa somma, non è improbabile che gli avessero telefonato prima di muoversi per essere certi che ci fosse il denaro e per fissare un appuntamento. Ora supponiamo che si trattasse veramente di Huddleston, che lui li abbia fatti venire a casa Arliss, che si sia impadronito della rivoltella, abbia sparato ai Bodwell appena arrivati, e che poi li abbia trasportati a Deepstead, lasciandoli in quel viottolo fra i campi, e infine si sia liberato dell'arma. In tutto questo avrebbe dovuto essere coinvolta anche Imogen, naturalmente, che lo avrebbe seguito in macchina per riaccompagnarlo a casa quando lui fosse sceso dall'auto dei Bodwell. In seguito Huddleston potrebbe essersi spaventato, avere avuto paura che Imogen vuotasse il sacco se fosse stata torchiata un po' e averla uccisa. In altre parole, i Bodwell non sarebbero stati uccisi perché avevano visto l'assassino di Imogen, ma sarebbe stato il contrario: Imogen sarebbe stata uccisa perché sapeva chi era l'assassino dei Bodwell. E Chance è persuaso che tutto questo quadri alla perfezione.» «Ma l'elemento tempo manda tutto all'aria!» «Esatto. Se i Bodwell non sono partiti da Londra prima delle nove, non possono essere arrivati qui prima delle dieci e un quarto, come minimo. E non ci sarebbe stato il tempo materiale perché Huddleston li uccidesse, li trasportasse fino a Deepstead, distante più di quindici chilometri, e fosse di nuovo a casa con Imogen prima delle dieci e tre quarti, quando è caduto l'albero. Non avrebbe potuto farcela.» «Nemmeno se avesse viaggiato a tutta velocità?» «Lungo viottoli di campagna, con due cadaveri a bordo? Avranno anzi viaggiato a velocità ridottissima, ne sono certo, per non correre il rischio di attirare l'attenzione. Inoltre non sapevano che l'albero sarebbe caduto. Non avevano nessuna fretta.» «Sì, capisco.» Ma mi aveva colpita l'ingegnosità della sua teoria e mi dispiaceva dovervi rinunciare. «Quando l'hai fatta questa pensata?» «Quando Chance ha cominciato a martellarmi con l'ora della partenza dei Bodwell da Londra. Ho capito subito a cosa mirava e ti confesserò che mi era quasi venuta la tentazione di dirgli che erano partiti mezz'ora prima,
tanto per fargli piacere.» «Sicché non sono stati necessariamente Patrick e Imogen. Ma potrebbero essere stati Meg e Paul.» «Sì, solo che nessuno dei due possiede un'auto, perciò quello che ha seguito la macchina dei Bodwell dovrebbe avere preso la Rolls, un'auto un po' troppo vistosa, non ti pare? Avrebbero potuto prendere la macchina di Imogen, naturalmente, visto che lei era fuori con Huddleston, ma ci sarebbe stato il pericolo che lei rientrasse prima di loro e si accorgesse della sparizione. Resta comunque il fatto che il loro unico alibi sarebbe quello di essere stati al cinema assieme, che non è per niente un alibi, mentre Imogen e Huddleston erano al Rose and Crown, dove qualcuno ricorderà certo di averli visti.» «E senza dubbio Chance ha già controllato se Patrick ha detto la verità riguardo all'ora in cui sarebbero usciti dal ristorante.» «Mi domando...» S'interruppe e, posando i piedi sul pavimento con un volteggio, si alzò. «Sai, penso di rifarlo do questo controllo. Vado a fare quattro chiacchiere col cameriere. Ma dovrò bere qualcosa, naturalmente, e avrei bisogno di un piccolo prestito. Mi sono completamente dimenticato di andare in banca, oggi; ci andrò senz'altro domani.» Gli feci il piccolo prestito e lui se ne andò. Soltanto dopo che fu uscito intuii a un tratto in quale nuova fantasia si stesse crogiolando. Ora vedeva se stesso come un grande investigatore e stava recitando quella parte fin dal mattino. Le sue reticenze con la polizia non significavano che avesse qualcosa da nascondere o che temesse di non essere creduto, ma semplicemente che voleva essere lui a risolvere il caso. L'aver mandato Meg a Londra rientrava nello schema. Solitamente i grandi investigatori da romanzo hanno l'abitudine di nascondere i testi chiave in oscuri alberghetti, finché non arriva il momento di presentarli con un sensazionale colpo di scena. Se non che, ricordai, quei testi avevano la deprecabile abitudine di sparire proprio nel momento in cui c'era maggior bisogno di loro. Anche questo rientrava nello schema. Quel pensiero era piuttosto preoccupante, ma in fondo non lo prendevo troppo sul serio: Meg non sapeva quale parte le fosse toccata nel fantasioso schema di Felix e di conseguenza per lei forse non valevano le regole del gioco. Tuttavia, avrei preferito che Felix l'avesse mandata alla polizia anziché a Londra. In fin dei conti, che altro poteva fare se non perdere tempo finché non avesse deciso di andare a raccontare ai poliziotti quel che sapeva a
proposito dei Bodwell e del testamento, cosa che avrebbe pur dovuto fare, prima o poi, nonostante il suo desiderio di proteggere Patrick? Il fatto stesso che fosse sparita avrebbe rivelato alla polizia che Meg aveva qualcosa da nascondere e a quel punto non ci avrebbero messo molto a farla cantare. Meg era fragile, non sapeva resistere alla minima pressione, avrebbe ceduto ben presto. Naturalmente, prima avrebbero dovuto rintracciarla, ma ero persuasa che questo non sarebbe stato molto difficile. Tutto sommato, era un vero peccato che il grande investigatore non se ne fosse reso conto. Tornò in capo a un'ora, grave e assorto. Non aveva molto da dire, salvo che Imogen e Patrick erano rimasti al Rose and Crown, la sera del delitto, fino alle dieci e un quarto circa, come aveva detto Patrick. Di conseguenza, cadeva irrimediabilmente l'ipotesi che, dopo quell'ora, avesse potuto uccidere i Bodwell, trasportarne i corpi fino a Deepstead e rientrare a casa Arliss prima che l'albero crollasse. «Ne ero certo» dichiarò Felix. «Ma bisogna sempre controllare. E ora che ne diresti di telefonare a Meg per sentire se tutto va bene?» Stavo già per farlo. Composi il numero dell'appartamento di Felix e lasciai suonare almeno dieci volte prima di posare il ricevitore. «Non è ancora arrivata» dissi. Felix corrugò la fronte. «Ma deve esserci! È partita da tanto tempo!» «Forse ha pensato di fare qualcos'altro, prima di andare a casa tua» riflettei. «Sì, dev'essere così. Riproveremo più tardi. Che si mangia? Vuoi che cucini io?» «No, grazie, sono soltanto delle scaloppine, faccio da me.» Parve sollevato, come se avesse troppe cose cui pensare per poter concentrarsi sui problemi culinari. Tuttavia continuò ad aggirarsi per la cucina, così che me lo ritrovavo sempre fra i piedi, anche se stava quasi sempre zitto, sorseggiando lentamente uno dei suoi whisky molto annacquati. Ma evidentemente gli serviva un uditorio per le sue profonde riflessioni. «No» mormorò alla fine, mentre le scaloppine cominciavano a sfrigolare. «Non va.» «Hai scoperto un buco in qualche brillantissima idea?» m'informai. «Stavo riflettendo che Huddleston potrebbe aver dato appuntamento ai Bodwell a Deepstead "prima" di andare al Rose and Crown. Non ho pensato di controllare a che ora lui e Imogen erano arrivati. Se fossero andati a Deepstead invece che ad Allingford, i Bodwell avrebbero avuto un maggior margine di tempo dopo la partenza da Londra. Ma, a parte il fatto che
la polizia ha certamente controllato l'alibi di Huddleston meglio di quanto non abbia fatto io, i Bodwell non avrebbero mai accettato un appuntamento in un posto così fuori mano. Erano professionisti, non avrebbero mai commesso un errore così grossolano. Però, l'unico altro movente che sono riuscito a trovare per d'uccisione di Imogen è maledettamente complicato, non ti pare? Voglio dire, il fatto che lei avesse minacciato Huddleston di svelare l'imbroglio del testamento. No, no, non mi piace. Credo nelle idee semplici, io!» «Tuttavia, pare che nessun altro potesse avere un movente» obiettai. «Tranne Meg. Anche se non sì può escludere che sia stata capace di sfondare da testa a Imogen con da piada del carbone, non mi sembra credibile che sappia maneggiare una rivoltella.» «Che ne diresti di Paul, allora? Se amasse Meg ad punto di volersi sacrificare per dei, al punto di uccidere Imogen perché lei potesse sposare Patrick e vivere felice? Non è semplice e romantico?» «Sto parlando sul serio, Virginia» mi rimproverò lui, stizzito. «Scusami, ma è tanto strano vederti una volta tanto schierato dalla parte degli angeli, che ne sono addirittura strabiliata.» «È una sfida all'immaginazione» ribatté lui. «Per questo mi interessa tanto.» «Come viaggiare in metropolitana senza pagare il biglietto» rimbeccai. «Ricordo quanto ti scervellavi per trovare il modo di viaggiare a sbafo, benché alla fine, quando l'avevi trovato, si scopriva che sarebbe stato assai meno faticoso pagare il biglietto. Deve essere una faticaccia improba voler fare il furbo.» «Non cercavo di fare il furto, volevo soltanto protestare contro il sistema. Mandano un profumino quelle scaloppe!» «Già che ci siamo, tanto vale che mangiamo qui» dissi, prendendo forchette e coltelli da un cassetto e disponendoli sul tavolo della cucina. «Dopo ritelefonerò a casa tua per sentire se Meg è arrivata. Ma che facciamo se non c'è?» «Dev'essere arrivata, oramai.» «Ma se non è arrivata?» «Ci sarà, non preoccuparti. Desiderava anche lei andare via, è stata felice quando le ho suggerito di andare a casa mia. L'unica cosa...» S'interruppe. «Sì?» «Chissà se lo avrà detto a qualcuno prima di partire! No, credo proprio
di no. Non voleva che nessuno sapesse dove andava. Riprova, la troverai senz'altro, ora.» Ma quando ci riprovai, dopo un'altra mezz'ora, il telefono continuò a squillare a vuoto. Finalmente anche Felix cominciò a dare segni di preoccupazione. «Mi aveva promesso che non sarebbe uscita né avrebbe aperto la porta a nessuno» esclamò. «Le ho detto che c'era qualcosa da mangiare nel frigorifero e che io mi sarei fatto vivo domani.» «Domani? E che cosa sarà cambiato, domani? Meg non sarà sempre in pericolo come oggi? Se esisteva davvero un motivo valido per spedirla a Londra, ora che c'è non è meglio che ci resti?» «Ma c'è, poi? O ha cambiato idea e non c'è andata affatto? Oppure... qualcuno l'ha fermata?» «Forse è tornata a casa. Forse si è calmata dopo avere parlato con te ed è semplicemente tornata a casa. Telefono per sentire se c'è.» «Brava, telefona subito.» Nella voce di Felix vibrava una nota di ansia impaziente. Feci il numero degli Arliss e al primo squillo rispose Paul. Doveva essere stato vicino al telefono, in attesa che squillasse, ma quando udì la mia voce non riuscì a nascondere la delusione. «Oh, siete voi, Virginia!» «Sì. C'è Meg?» «No, non è a casa.» «Siamo stati in pensiero per lei, da quando è andata via di qui. Sai dove sia?» La voce di Paul si fece improvvisamente stridula. «Non lo so e ho un diavolo per capello. Meg non è tipo da fare cose del genere. Voglio dire sparire così, senza dire una parola a nessuno. Sì, è vero, avevamo litigato, e io credevo che se ne fosse andata per quello ma che sarebbe tornata appena si fosse calmata, ma non è tornata, non ha telefonato e io non so più che cosa fare!» «Perché avete litigato?» m'informai. «Oh, per una sciocchezza! Io avevo fatto qualche commento poco lusinghiero sul conto di Patrick, dicendo che era stato uno sciocco se, come avvocato di zia Evelyn, non si era neppure accorto che la zia s'era mangiata tutto il patrimonio, e Meg è andata su tutte le furie perché avevo osato criticare il suo amato Patrick. Non capisco come possa essere così attaccata a lui, con tutto quello che sa sul conto suo e di Imogen. Deve pure essersi accorta che per Patrick lei non esiste nemmeno!»
«Hai provato a telefonargli per sentire se lui ne sa qualcosa?» «Sì, l'ho chiamato in ufficio e poi ancora a casa. Non ne sa niente nemmeno lui. Pareva un po' preoccupato, ma in fondo non credo che gliene importi poi molto.» «Hai telefonato alla polizia?» «Non ancora. Pensando che forse desiderava restare per qualche tempo lontana da tutti, ho preferito non creare allarmismi. Ma ora è tardi, forse dovrei proprio farlo. Voi che ne pensate?» Stavo per dirgli che secondo me sarebbe stato meglio avvertire la polizia, quando Felix mi tolse di mano il ricevitore. Era rimasto vicino a me e aveva udito anche lui quasi tutto quel che Paul aveva detto. «Io aspetterei ancora, Paul» disse. «Dammi un po' di tempo e forse riuscirò a ritrovarla io. Penso che anche Meg preferisca che sia io a cercarla, anziché la polizia.» «Ma allora voi sapete dov'è?» domandò Paul. «Be', ne ho una mezza idea.» Mi venne voglia di strappargli il telefono di mano e dire a Paul di non credere alle parole di Felix, ma il mio ineffabile marito mi bloccò con un movimento del braccio. «Se mi fossi sbagliato» proseguì «ti ritelefonerò al più presto. Allora potrai andare alla polizia.» Posò il ricevitore. «Che cosa diavolo sei andato a raccontare a quel povero figliolo!» esplosi io infuriata. «Ora diventerà matto per la preoccupazione mentre tu non hai la più pallida idea di dove sia Meg, visto che a casa tua non c'è!» «Ma io "so" dov'è» ribatté lui serafico. «Mi è venuto in mente ora, mentre tu parlavi. Vieni, andiamo a prenderla.» Si avviò verso la porta, ma io non mi mossi. «E dove, se è lecito?» domandai. «Da Huddleston.» «Se ha detto di non averla vista!» «Niente lo obbligava a dire la verità, no?» «Che cosa ti fa pensare che sia da lui?» «Oh, non sa starne lontana. E alla fine è arrivata alla conclusione che se gli confiderà i propri sospetti sul suo conto a proposito del testamento, lui sarà in grado di spiegare tutto. Sono certissimo che è così. Vieni, non perdiamo altro tempo.» Qualcosa nel suo tono mi fece scorrere un brivido per la schiena. Con
quel suo straordinario intuito che faceva di lui un imbroglione tanto abile, Felix spesso vedeva giusto nel cuore della gente, mentre io di solito mi sbagliavo di grosso. Andai con lui, anche se gli credevo soltanto a metà. Partimmo con la sua auto. Non era ancora buio ma le prime ombre della sera creavano quella mezza luce ingannevole e pericolosa in cui l'oscurità sembra solida e gli ostacoli concreti appaiono incorporei e questo contribuiva ad aumentare la mia tensione. Un paio di tentativi di avviare una conversazione con Felix caddero nel vuoto. Sembrava interamente concentrato nella guida, ma conoscevo bene quella sua espressione, ingannevole come la semioscurità che ci attorniava. Felix sapeva guidare in maniera eccellente anche impegnando soltanto una piccola parte del suo cervello. La sua concentrazione di quel momento, dunque, o era una finta che rientrava nella parte di grande investigatore che si compiaceva di recitare, oppure significava che stava realmente riflettendo su qualcosa di cui non mi aveva parlato. Aggirata la piazza del mercato, imboccammo una delle strade laterali che portavano alla zona dove Patrick viveva solo, accontentandosi dell'aiuto di una domestica a mezzo servizio e pranzando al ristorante. Mentre svoltavamo nel viale di accesso alla casa, uno stabile suddiviso in appartamenti, di stile pseudo-georgiano, mi sentii certa che Patrick a quell'ora fosse ancora fuori a cena e che il nostro viaggio sarebbe risultato inutile. Ma proprio mentre Felix stava infilando l'auto in uno spazio libero del posteggio riservato, due figure emersero dall'ingresso, soffermandosi un attimo in piena luce. Meg e Patrick. Lui la teneva per un gomito, mentre le parlava in tono concitato. Poi i due proseguirono, dirigendosi verso un'auto ferma a pochi passi da noi. Felix arretrò rapidamente. «Ha la macchina» osservò. «Come ha fatto a portarla via da casa Arliss, se il viale era bloccato dall'albero?» «Non è la sua» spiegai. «Deve averla presa a nolo.» Stavo per scendere, con l'intenzione di chiamare Meg, ma Felix mi fermò, chinandosi davanti a me per richiudere lo sportello già aperto. «No, resta lì» ordinò. «Li seguiremo.» 10 Non impiegammo molto a capire dov'era diretta l'auto che ci precedeva. «La sta riportando a casa» esclamai.
«Bene. Era quel che speravo.» «Allora non hai mai creduto veramente che il pericolo per Meg fosse costituito da Patrick!» «Be', sempre meglio avere paura che buscarne, non ti pare?» «Oppure pensi che possa essere Meg a costituire un pericolo per Patrick?» «Non sarebbe impossibile. Sì, è vero, ti ho detto che sarei rimasto molto sorpreso se avessi scoperto che Meg sapeva usare una rivoltella, ma a quanto mi risulta gliene davano una come giocattolo, quando aveva un anno o due. Certi genitori hanno idee piuttosto bislacche!» «A ogni modo, pare che non abbia preso troppo sul serio il tuo suggerimento di andare a Londra.» «No, difatti. Penso che non abbia mai avuto intenzione di andarci. Ma parlare con me le è servito comunque per schiarirsi le idee. Si è resa conto che il suo desiderio più vivo era quello di poter offrire a Huddleston la possibilità di convincerla della propria fondamentale integrità morale. E a quanto pare c'è riuscito.» L'auto di Patrick si fermò a un semaforo e Felix fece altrettanto, dietro di lui. Era buio, ormai, e delle due persone che erano a bordo non vedevamo altro che il contorno delle teste che si stagliava contro la luce dei lampioni. Patrick non si voltò mai per guardarsi alle spalle né parve avere alcun sospetto di essere seguito. O se lo supponeva, non gliene importava nulla. Al verde ripartì, proseguendo diritto e Felix continuò a tallonarlo. Gli domandai perché lo facesse, invece di tornare in Ellsworthy Street, ma non rispose e io non insistetti. Aveva di nuovo il viso contratto in quella sua espressione di profonda concentrazione e sapevo che sarebbe stato inutile cercar di scoprire a cosa stava pensando. Oltre tutto, non era da escludere che non stesse pensando proprio a niente, anche se non lo avrebbe ammesso mai. Quando Patrick si fermò davanti al cancello di casa Arliss, Felix rallentò, probabilmente aspettando di vedere se entrava con Meg o se si limitava a farla scendere, ma come li vide uscire entrambi dall'auto e avviarsi su per il viale, andò a fermarsi anche lui proprio dietro la macchina di Patrick e scese. «Vieni» mi esortò. «È ora di mettere in chiaro le cose, altrimenti Dio sa quel che potrà ancora accadere.» «E le chiarirai tu?» ribattei. «Perché no?» Mi precedette lungo il viale. «Ho capito da un po' cosa deve essere accaduto, ma non sapevo che fare. Se avessi commesso un passo
farlo, avrei forse messo in guardia l'assassino. E non voglio che se la cavi così, come se niente fosse. Di solito, non sono un tipo vendicativo, lo sai, e oltre tutto nutro seri dubbi sul valore della punizione in quanto tale, ma i Bodwell, scusami se mi ripeto, erano miei amici e sento che è mio dovere smascherare il loro assassino. Dopo, sarà la polizia a intervenire.» «E non credi che sarebbe meglio se intervenisse subito, invece? Se sai qualcosa, perché non lo dici a loro?» «Io ho qualche vantaggio che la polizia non ha, lo vedrai da te.» C'era nella sua voce un'insolita severità che mi lasciò perplessa. Aveva realmente un piano per smascherare l'assassino, mi domandai, o si trattava soltanto della solita messinscena? Nessuno dei due parlò più, mentre salivamo la gradinata e lui suonava il campanello. Fu Meg ad aprire e dal modo come Felix le sorrise, abbandonando a un tratto la sua espressione preoccupata, pensai di avere visto giusto supponendo che si trattasse di una messinscena. Meg si sforzò di ricambiare il sorriso, ma non riuscì a nascondere l'imbarazzo, le guance pallide colorate da un subitaneo rossore. «Non sono andata a Londra, avete visto?» disse subito. «Devo restituirvi la vostra chiave. Oh, sono stata un'ingrata, perché voi vi siete mostrato così comprensivo, ma soltanto parlare con voi mi è stato di grandissimo aiuto. Quando ci siamo lasciati, ho cominciato a pensare che in fondo non c'era bisogno di correre a nascondersi. In verità, non desideravo altro che trovare il coraggio di parlare apertamente con Patrick. Così ho preso l'autobus e ho fatto un lungo giro, aspettando l'ora in cui lui sarebbe tornato a casa dallo studio, poi sono andata là e gli ho confidato le mie preoccupazioni. Bene, lui può spiegare tutto. Non è splendido? Non ho più niente di cui preoccuparmi. E ora mi sembra di essere stata così sciocca a sospettare di lui come ho fatto. Ma venite, entrate, così sentirete anche voi. Stava appunto per spiegarlo agli altri.» Ci fece passare in salotto. Quella stanza mi aveva sempre dato un senso di oppressione: l'ambiente tipico per le riunioni di persone che si vedevano reciprocamente più o meno come il fumo negli occhi. Nessuno aveva pensato a tirare le tende e i vetri delle lunghe finestre formavano gelide zone nere che riflettevano con nebulosa irrealtà l'interno della sala. Una sala che poteva essere l'ideale per condurvi un'inchiesta, se era questo che Felix aveva in mente di fare. Io però non lo credevo più, ormai, visto che si comportava con una cordialità appena sfumata da un lieve ritegno, come se non fosse certo di essere il
benvenuto e non come se fosse lì per accusare qualcuno. In salotto c'erano Nigel, Paul e Patrick: Nigel in piedi davanti al camino vuoto al quale voltava le spalle, Paul che stava alzandosi da uno scomodo divanetto, Patrick anche lui in piedi dietro una seggiola della quale stringeva la spalliera con le due mani come se fosse su un podio pronto a pronunciare un discorso. Ed era proprio così, infatti: il nostro arrivo lo distrasse soltanto per un istante. «Voglio fare una confessione» attaccò subito. «Avrei dovuto forse farla prima, ma non pensavo che la cosa avesse molta importanza finché Meg non mi ha fatto capire come certe mie azioni avevano potuto essere fraintese. Parlerò ora, dunque, se non avete niente in contrario. Si tratta delle ultime volontà e del testamento della signora Arliss.» Sorrise all'uditorio, come se non desiderasse che la situazione fosse presa troppo sul serio. Paul tornò a sedersi e Meg sedette accanto a lui. Felix si era accostato a una finestra e, girando le spalle alla stanzia, osservava il giardino immerso nell'oscurità. Pareva che invece di ascoltare Patrick studiasse la propria immagine riflessa nel vetro mentre io, seduta su una delle poltroncine vittoriane, fissavo attentamente il viso di Patrick. Che non mi rivelava gran che, tutto sommato. Non ci guardava come amici, ma quasi come se fossimo un gruppetto di clienti che non conosceva troppo bene ma che riteneva tuttavia suo dovere professionale rassicurare. «Il fatto è» riprese con la sua solita voce chiara e amabile «che quando, pochi giorni prima della sua morte, la signora Arliss mi mandò a chiamare, non lo fece soltanto perché distruggessi il suo ultimo testamento, ma per farmene redigere uno nuovo. Un testamento che mi sembrò incredibile. Allora non sapevo, naturalmente, che non possedeva più una sterlina da lasciare in eredità e credo che non lo sapesse più nemmeno lei, ormai. Dispose perché fossero assegnati alcuni legati a vecchi domestici che se ne erano andati da anni. Poi destinò una somma enorme per la costruzione di un ospedale ad Allingford che avrebbe dovuto portare il suo nome, un lascito che mi sbalordì quando mi resi conto che si trattava di una somma di molto superiore a quanto secondo me possedeva. Poi volle che si erigesse un monumento a suo marito nella piazza del mercato di Allingford e credo che sia stato proprio questo a farmi capire la realtà della situazione. La povera donna era completamente uscita di cervello e questo, come potete bene immaginare, mi lasciava con una tremenda responsabilità sulle braccia. Dovevo decidere in fretta quel che potevo fare. Cercare di dissuaderla con le buone da quella follia? Protestare ricordandole che prima di tutto aveva
il dovere di pensare ai suoi parenti? Questo, naturalmente, fu il mio primo impulso, ma sinceramente non credo che sarei arrivato a capo di niente. La sua sola preoccupazione, in quel momento, era di eternare il nome degli Arliss ad Allingford. Un tracollo di una tristezza sconvolgente in una donna realistica e in gamba com'era sempre stata la signora Arliss.» Patrick si schiarì leggermente la gola, quasi a scusarsi per essersi lasciato trascinare dai sentimenti. «Infine c'era una terza alternativa» riprese poi. «Ed era quella di lasciarle firmare il testamento che Imogen e Nigel avrebbero poi potuto impugnare dopo la sua morte. Ero certo che l'avrebbero spuntata senza troppe difficoltà e forse avrei dovuto decidere in questo senso. Ma mi si prospettò un'altra soluzione tanto più facile, che avrebbe evitato tutti i guai. Distruggere quel testamento pazzesco senza farne parola a nessuno. E fu ciò che feci. Lo feci per amicizia, spero che lo comprendiate. Io non ci guadagnavo niente. Desideravo soltanto evitare alla famiglia una fastidiosa azione legale. E nessuno ne avrebbe saputo niente, se la signora Arliss non fosse stata, nonostante tutto, ancora abbastanza in sé da rendersi conto che ci volevano dei testimoni alla firma e non avesse voluto chiamare i Bodwell perché presenziassero a quell'atto. Ma, al momento, nemmeno questo mi preoccupò. Li conoscevo soltanto come ottimi domestici, mai e poi mai avrei immaginato che svolgessero contemporaneamente la proficua attività di ricattatori. Ma quando, dopo la morte della signora Arliss, seppero che il suo testamento era stato redatto un anno fa, intuirono immediatamente quel che avevo fatto e suppongo che l'altro ieri sera fossero venuti qui appunto per cercare di spremermi denaro in cambio del loro silenzio. Ma disgraziatamente per loro, non riuscirono a trovarmi. È probabile che siano andati prima a casa mia e, saputo dal portiere che ero uscito con la signorina Dale, abbiano pensato di trovarmi qui. E difatti Imogen e io eravamo tornati a casa, ma io me ne ero già andato quando arrivarono i Bodwell. Così, invece di me, trovarono l'assassino di Imogen. Ma questo è un altro discorso. Ora io voglio soltanto che siano ben chiare le circostanze che mi hanno indotto a distruggere quel testamento, il "reato" del quale Meg è stata informata dai Bodwell e del quale aveva frainteso i motivi. Credo di essere riuscito a convincerla che non erano immorali come dei sembrava credere e spero che anche voialtri vorrete perdonarmi per quel gesto irresponsabile, inteso tuttavia soltanto ad aiutare voi.» Non arrivò fino a inchinarsi, quand'ebbe finito, ma aveva tutta l'aria di aspettarsi un applauso.
Nigel tossicchiò imbarazzato, spostandosi da un piede all'altro, Paul mise un braccio attorno alle spalle di Meg che si appoggiò a lui come se trovasse quella posizione oltremodo comoda, Felix si girò verso la sala accendendosi una sigaretta e piantò gli occhi in faccia a Patrick con espressione pensierosa. «Una bella storia davvero» osservò. «Fantasiosa. Mi piace. Risponde esaurientemente a tutti gli interrogativi. Disgraziatamente io non credo a una parola.» Patrick arrossì violentemente. «Che cosa intendete dire?» «È molto semplice» ribatté Felix. «I Bodwell mi hanno assicurato che la signora Arliss era perfettamente sana di mente fino al secondo colpo apoplettico. Inoltre si sa che aveva espresso il desiderio di voler fare ciò che era giusto per Imogen. Perciò, se partiamo dal presupposto che sapesse benissimo di non possedere più una sterlina, appare ovvio che con quell'ultimo testamento abbia inteso lasciare a Imogen l'unica cosa di valore che ancora le rimaneva, cioè le miniature, e a Nigel il resto di un patrimonio che non esisteva più. Ma voi non sapevate che non c'era più denaro, perciò avete distrutto quel testamento sperando che, in forza del testamento precedente, Imogen ereditasse quel che pensavate fosse un patrimonio ingente. E si può anche capirlo, visto che avevate intenzione di sposarla, ma poi le avete detto ciò che avevate fatto e questo non è stato molto astuto perché quando poi avete cercato di tirarvi indietro, lei vi ha ricattato minacciando di raccontare tutto se non l'aveste sposata. A questo punto avete perso la testa e le avete fracassato il cranio con la paletta del carbone. È questo che i Bodwell avevano visto dalla finestra.» Il rossore sul viso di Patrick sparì d'incanto, e la sua pelle abbronzata divenne quasi gialla. «Siete pazzo! Imogen e io avevamo deciso proprio quella sera che ci saremmo sposati! Lo desideravamo tutti e due. Il denaro non c'entrava per niente.» «Però ho ragione io per quanto riguarda il testamento» insistette Felix. «Tutte le chiacchiere a proposito dell'ospedale, del monumento e di tutto il resto ve le siete inventate voi per nascondere il vero motivo che vi ha indotto a distruggere il testamento, cioè la convinzione di assicurare a Imogen una cospicua eredità.» «E anche se fosse così» ribatté Patrick in un tono che andava facendosi più spavaldo «e con questo non è che intenda ammetterlo, sia chiaro, anche se fosse così, dicevo, questo significa forse che ho ucciso Imogen? Buon
Dio, l'amavo! L'amavo da anni!» Felix parve arrendersi. «Sicché non vi piace da mia teoria. In tutta franchezza, vi dirò che ne abbiamo parlato a lungo, Virginia e io, e nemmeno noi ne siamo troppo convinti. Imogen aveva vissuto per tanti anni senza essere sposata, non avrebbe fatto certo una tragedia se avesse dovuto andare avanti ancora così. Ma ho molte altre teorie. Quella a proposito di Nigel, per esempio.» Nigel sussultò. Pareva che fino a quel momento avesse pensato ad altro, con lo sguardo fisso alle miniature che erano sue solo perché Patrick aveva sbagliato i calcoli. «Domando scusa» disse. «Stavate parlando di me?» «Stavo solo supponendo che siate stato voi a uccidere Imogen e i Bodwell» spiegò Felix. «Santi numi!» «Non mi sembra affatto un'ipotesi sballata» proseguì Felix. «Supponiamo che i Bodwell vi abbiano visto mentre prendevate le miniature, che siano tornati qui per ricattarvi, che gli abbiate sparato e poi li abbiate portati a Deepstead e al vostro ritorno qui, bagnato fradicio, vi siate trovato davanti Imogen: potreste averla ammazzata perché non parlasse.» «Sì, certo» ammise cupamente Nigel. «Potrei. E naturalmente la mattina dopo mi sarei preoccupato di lucidarmi per bene de scarpe infangate, una cosa della quale non mi sono mai preoccupato in vita mia. C'è soltanto un "ma". Perché mai avrei dovuto avere paura di ciò che avrebbero potuto dire i Bodwell, visto che oramai avevo rimesso al proprio posto le "mie" miniature? Ammesso pure che dal canto loro avessero pensato di potermi spremere denaro, sono certo che sarebbero bastati pochi minuti di ragionevole colloquio per sistemare la questione. Anzi, sarebbe bastato che vedessero le miniature di nuovo al proprio posto perché capissero da soli di non «avere alcuna speranza.» «Temevo che ci avreste pensato» ammise Felix. «Avete ragione, naturalmente. I Bodwell avrebbero potuto tutt'al più rendervi ridicolo, ma dovreste essere un caso patologico per avere ritenuto una sciocchezza del genere movente sufficiente per un assassinio. Non che il nostro assassino non lo sia, un caso patologico. Gli assassini lo sono quasi sempre.» «Avete detto "il" nostro assassino» lo interruppe Meg. «Non avete una teoria anche per me?» «Be', per essere sincero, sì» ribatté Felix in tono quasi gaio, come se Meg dovesse sentirsi soddisfatta di non essere esclusa dal numero dei so-
spetti. «Voi avevate un ottimo motivo per uccidere Imogen, se mi consentite di tirare in ballo questo argomento. Eravate sconvolta dalla gelosia, da quando sapevate dei suoi rapporti con Huddleston, non è così? E siete abbastanza forte per averla colpita con la pala del carbone mentre, per quanto ne so, non è da escludere che sappiate maneggiare una rivoltella, perciò non è impossibile che abbiate ucciso i Bodweld...» Patrick non lo lasciò finire. «Questo è troppo!» proruppe incollerito. «Non intendo ascoltare altro! Meg non farebbe male a una mosca e, quanto alla sua gelosia, sarei lusingato di contare tanto per lei, ma non lo credo!» «Siete troppo modesto» ritorse Felix. «Io invece credo che sia proprio così, vero, Meg?» La ragazza guardò Patrick con un sorriso come a chiedergli scusa. «Be', suppongo di sì. Temo proprio di avere perduto la testa, per un certo periodo. Ma non dovete preoccuparvi, Patrick. Ormai posso parlarne tranquillamente, perché ho ritrovato il senno. Sono stata una imperdonabile sciocca, voi non ne avete alcuna colpa e in ogni caso è acqua passata, ormai. Se devo essere sincera, non so più nemmeno io che cosa credevo di provare. Dovete giudicarmi molto infantile!» «Ma, tanto per la cronaca» insistette Felix «sapete usare una rivoltella?» «No, non ne ho mai toccata una.» «E sapete guidare?» Meg parve perplessa. «No.» «Avete mai guidato?» «No.» «Avete mai avuto la patente?» «Mai.» Felix la fissò con un sorriso benevolo. «Bene, allora siete a posto. Questo è un fatto che può essere provato ed è una fortuna per voi perché l'assassino ha trasportato i Bodwell in auto fino a Deepstead. I fatti negativi sono più difficili da provare, in genere, e vi riuscirebbe un po' complicato convincere la polizia che non sapete sparare, che non siete capace di rompere la testa a qualcuno con una paletta per il carbone e che non siete più innamorata di Patrick, ma la polizia potrebbe appurare in quattro e quattr'otto se avete mai dato un esame di guida e ottenuto la patente. Siete certa di avere detto la verità a questo proposito? Perché se non fosse così, la polizia lo scoprirebbe subito.» Nessuno avrebbe potuto apparire più severo di Felix riguardo alla necessità, per gli altri, di dire la verità.
Meg scosse la testa. «Mi rendo conto di essere molto sciocca, ma non ho mai imparato a guidare. Del resto, siccome non sono mai stata in grado di comprarmi un'automobile, la cosa non ha mai avuto alcuna importanza per me.» «Lo pensavo» dichiarò Felix «ma volevo esserne certo. Così, rimane soltanto Paul.» L'espressione cortese e cordiale sparì a un tratto dal suo viso, e così anche l'atteggiamento un po' teatrale col quale aveva recitato fino a quel momento la parte del grande investigatore. A un tratto fu soltanto se stesso, come gli accadeva talvolta. Sembrava di parecchi anni più vecchio di quanto non apparisse di solito, come se anche quella sua attraente aria giovanile non fosse altro che una finzione. Lo sguardo duro e astuto di un uomo maturo ed esperto, un po' velato dalle palpebre leggermente cascanti, era fisso su Paul, che appariva oltremodo perplesso. «Sei sempre stato il mio sospetto numero uno» riprese Felix «perché mi piacciono le idee semplici e il tuo motivo per uccidere Imogen era il più semplice di tutti. L'hai uccisa per il suo denaro, vero?» Il viso di Paul, con le guance colorite che a volte lo facevano assomigliare tanto a Imogen, divenne purpureo. «Non capisco di cosa state parlando» ribatté lui. «Imogen non aveva un soldo.» «Sì che ne aveva» ritorse Felix. «Dal suo punto di vista, lei poteva anche ritenersi povera, ma molta gente l'avrebbe giudicata ricca. Aveva una rendita personale che poteva anche non essere sufficiente per le sue esigenze, ma che poteva costituire una tentazione per te, pur tenendo conto delle tasse di successione. E possedeva una deliziosa casetta ad Hampstead. Quanto può valere, secondo te? Ottanta, novantamila sterline? Era anche per questo che Imogen desiderava tanto il denaro della zia: per poter conservare quella casa. L'ho sentita dire che senza quel denaro sarebbe stata costretta a venderla per andare ad abitare in periferia. E tu eri il suo unico erede, no? Eri certo che sarebbe toccato tutto a te, finché non ti ha detto che stava per sposare Patrick.» Paul balzò in piedi, con viso e collo quasi paonazzi. «Se state parlando sul serio...» «Perché non dovrei?» lo interruppe Felix. «È così, no? Imogen era stata molto buona con te quand'eri un ragazzo, aveva sempre badato a te, era sempre stata pronta a rifornirti di denaro quando glielo chiedevi. O almeno finché non hai trovato un lavoro e sei andato a vivere per conto tuo. Forse
perché Imogen si era stancata di badare a te, pensava che dovessi essere finalmente autosufficiente e tu le portavi rancore per questo? Fosse così o no, tu hai comunque continuato a ritenerti il suo unico erede. Ma quella sera, quando tu e Meg siete tornati dal cinema, Imogen ti ha detto che avrebbe sposato Patrick. Non so con esattezza come siano andate le cose, ma ritengo che tu e Meg siate rientrati insieme, siate saliti nelle vostre camere e che poi tu per qualche motivo sia sceso di nuovo. Forse avevi visto trapelare la luce sotto la porta di questa stanza, hai immaginato che Imogen fosse ancora alzata e hai pensato di fare quattro chiacchiere con lei. L'hai trovata, infatti, e lei ti ha detto che stava per sposarsi con Huddleston. Era immensamente felice, vero? Perché aveva scoperto che Patrick la voleva per moglie anche se, secondo lei, non aveva un soldo. E tu ti sei reso conto che ben presto avrebbe fatto testamento in favore del marito (avrebbe certo provveduto lui a fare in modo che non se ne dimenticasse, suppongo) e forse Imogen ti ha anche preso un po' in giro perché non avresti più ereditato niente da lei. Era tipo da farlo, mi sembra di vederla. Sapeva essere molto crudele, quando voleva. Così tu, travolto dalla collera e dalla delusione, l'hai uccisa. E poi hai visto i Bodwell davanti alla finestra.» Paul mosse un passo verso Felix ma poi si trattenne, e io mi resi conto a un tratto di quanto apparisse giovane e forte e minaccioso nei confronti di Felix che pareva tanto più piccolo di lui. «Ve la state inventando via via che la raccontate, questa storia» esclamò Paul sghignazzando. «Vi piace tanto inventare! Ma nemmeno voi potete fingere di avere uno straccio di prova.» «L'ho, la prova» dichiarò Felix. Paul scosse la testa continuando a sorridere, ma era un sorriso stranamente fisso, come se glielo avessero dipinto in faccia. «Certo, certo» disse. «Lo sappiamo tutti che razza di bugie siete capace di raccontare. Ma lo scherzo è già durato fin troppo.» «Non è affatto uno scherzo» ribatté Felix. «Chiedilo a Meg. Chiedile di che cosa è venuta a parlarmi oggi pomeriggio. Quando è sparita, invece di prepararvi la colazione, era venuta da me, lo sapevi? Tu e lei eravate usciti insieme a fare spese, ieri mattina, e percorrendo il viale vi eravate infangati le scarpe, ma lei non aveva badato a quel particolare finché la polizia non ha voluto vedere le scarpe che avevate ai piedi la sera avanti. Allora si è ricordata che le tue erano già sporche quando siete usciti di casa. Ma non sapeva che cosa fare perché ha un certo debole per te e non voleva crearti guai inutili, però al tempo stesso è una ragazza coscienziosa e rispettosa
delle leggi e non le piacciono gli assassini. Così è venuta a confidarsi con me, certo che io l'avrei capita...» «Ma io non...» proruppe Meg, poi tacque di colpo portandosi una mano alla bocca e guardando a turno Felix e Paul. «Siete venuta o no a parlare con me, Meg?» domandò Felix con molta gentilezza. «Sì, ma io non... Cioè, non ho affatto...» S'interruppe di nuovo, lasciando la frase in sospeso. «Non pensavate che si trattasse di una questione tanto grave» concluse Felix per lei, ma non credetti affatto che fosse ciò che Meg aveva inteso dire. «Naturale, come avreste potuto? Desideravate soltanto essere rassicurata. Ma questa non è l'unica prova in mio possesso.» «Che non è affatto una prova» rimbeccò Paul. «Se credete di spaventarmi, vi ci vorrà qualcosa di meglio. Meg, non c'è una parola di vero in ciò che ha detto, no? Tu non ti sei mai preoccupata di quelle scarpe!» Meg, che stava fissando Felix come ipnotizzata, non rispose. «Ho una prova ben più valida» riprese Felix in un tono sommesso che mi fece scorrere un brivido per le spalle, tanto sembrava sinistro. «Una prova diretta. Si dà il caso che ti abbia visto sparare ai Bodwell. Ti sorprende, vero? Speravo che non sarei mai stato costretto a dirlo, non volevo essere immischiato in questa storia, speravo che la polizia sarebbe riuscita a scoprire l'assassino senza il mio aiuto. Vedi, c'ero anch'io con i Bodwell quando sono venuti qui con la speranza di poter cavare un po' di denaro a Huddleston. Non sono entrato in casa con loro perché non volevo che lui scoprisse che c'entravo anch'io. Sarebbe stato imbarazzante per Virginia, se lo avesse scoperto. Povera Virginia, le creo sempre dei guai, benché faccia di tutto per evitarlo. I Bodwell lasciarono l'auto davanti al cancello e fecero il viale a piedi, mentre io aspettavo in macchina. Poi, dopo un certo tempo, li udii tornare parlando con qualcuno, così per il timore che si trattasse di qualcuno che non desideravo incontrare, sgattaiolai fuori e mi nascosi. Quel qualcuno eri tu, Paul, che li imploravi e supplicavi perché non parlassero di qualcosa... Non sapevo di che cosa si trattasse, allora, ma era l'uccisione di Imogen, vero? E promettevi loro di mandare dell'altro denaro, tutto il denaro che saresti riuscito a racimolare. Poi, mentre eravate là tutti e tre davanti all'auto, hai tirato fuori la rivoltella e li hai uccisi a sangue freddo. Poi li hai caricati in macchina. Credo che Rita non sia morta subito, perché l'ho sentita gemere. Infine sei salito anche tu e te li sei portati via. Devi avere fatto una bella camminata sotto la pioggia, dopo avere
lasciato l'auto a Deepstead, ma sei giovane e robusto, non deve essere stata una fatica troppo grave. E suppongo che in camera tu abbia una stufetta elettrica, cosicché durante la notte hai potuto far asciugare i tuoi vestiti inzuppati.» Paul alzò i pugni. «Sono tutte menzogne, tutte menzogne!» urlò. «Non potete avere udito niente. Rita non...» Tacque di colpo, rendendosi conto di quanto era stato per dire, poi si scagliò contro Felix. A questo punto fu Nigel a sorprendermi. Se non avesse agito a quel modo, probabilmente Paul avrebbe ucciso anche Felix. Ma, rigido, anziano, pomposo com'era, Nigel diede prova di essere stato a suo tempo un addestratissimo combattente. Purtroppo nel corso dell'azione batté malamente la schiena e ne riportò un susseguente violento accesso di lombaggine, ma al momento si mosse con lo scatto di un ventenne e passò fulmineamente un braccio, da dietro, intorno al collo di Paul, costringendolo ad alzare la testa e facendogli perdere l'equilibrio, così che Felix ebbe il tempo di gettarsi a tuffo contro le gambe del ragazzo, sbilanciandolo definitivamente. Paul crollò sul pavimento e Nigel, svelto, si sedette a cavalcioni su di lui, tenendogli le braccia inchiodate, mentre Patrick, cercando di comportarsi come se scene del genere fossero abituali nei salotti dei suoi clienti, andava a telefonare alla polizia. Alla resa dei conti, non fu la messinscena di Felix che fece condannare Paul, perché all'arrivo della polizia il ragazzo negò che la tentata aggressione a Felix potesse essere presa come una confessione. Aveva semplicemente perduto la testa, dichiarò, sentendosi accusare a quella maniera. Ma la polizia scoprì sulle sue scarpe tracce di fango che non corrispondeva a quello del viale di casa Arliss bensì a quello del viottolo di Deepstead e altre tracce scoprì sui pantaloni che Paul aveva indossato quel giorno e che evidentemente non era riuscito a pulire del tutto. Felix, con sua grande delusione, non fu nemmeno chiamato a deporre al processo. Si era già visto nella parte del teste perfetto, lucido e determinante, ma anche senza il suo concorso Paul fu giudicato colpevole. Meg ne soffrì per qualche tempo e continuò ad andare a trovare Paul in prigione finché glielo consentirono, evidentemente dimentica della precedente grande passione per Patrick. Ma nemmeno quella per Paul sarà l'ultima della sua vita, penso. Accettò il posto offertole da Patrick nello studio legale Huddleston e Weekes e affittò un mini-appartamento ad Allingford,
dove la incontrai spesso in compagnia del giovane sergente che aveva collaborato con il sovrintendente Chance alle indagini sui tre omicidi. Quel giovanotto mi sembrava molto più solido di Patrick e di Paul e molto probabilmente più adatto a lei, ma la mia fiducia nei miei giudizi aveva subito un duro colpo e non me la sarei sentita di fare previsioni circa il suo avvenire. Felix si fermò ancora da me, la sera dopo l'arresto di Paul, e parlammo a lungo, durante e dopo la cena a base di panini e caffè. «Perché non mi hai detto la verità circa il motivo che ha spinto Meg a venire da te ieri pomeriggio?» domandai a un certo punto. «Perché mi hai detto che era per il testamento distrutto da Patrick, invece che per le scarpe infangate di Paul?» «Ma io ti ho detto la verità!» asserì lui. «Mi ha parlato soltanto del testamento distrutto.» «Intendi dire che non ha parlato affatto delle scarpe di Paul?» «Nemmeno una parola. Non ti sei accorta che stava per smentirmi, quando l'ho detto? Poi la curiosità l'ha indotta a tacere. Ho arrischiato un po', ma era tutto calcolato.» «Capisco. Ma il tuo alibi? La polizia non sarà per niente soddisfatta di quella tua storiella a proposito della serata trascorsa con i Lewis.» «Ma io sono stato con i Lewis, quella sera.» «Non sei venuto ad Allingford con i Bodwell?» «Nemmeno per sogno.» «E non hai udito Paul implorarli di non dire niente a proposito dell'uccisione di Imogen, né i gemiti di Rita né tutto il resto?» «Buon Dio, no! Non penserai davvero che non avrei mosso un dito se avessi assistito a una scena del genere! Non crederai che sia vigliacco fino a questo punto! Per quanto, a pensarci bene...» Fece una pausa, rimescolando lo zucchero nella tazzina del caffè. «Forse non hai tutti i torti, probabilmente avrei avuto troppa paura della rivoltella di Paul, per intervenire. Però credo che sarei andato difilato alla polizia.» «Sicché da tua storia è stata tutta un'invenzione!» «Che brutta parola! Vogliamo chiamarla esercizio dell'immaginazione? Vedevo tatto con estrema chiarezza, anche il modo come Paul si era impadronito della rivoltella e il motivo per il quale non se n'era servito con Imogen. Vedi, sono certo che non pensava di arrivare a ucciderla, finché non lo ha fatto. E credo che Imogen abbia avuto la sua parte di colpa nel farlo uscire dai gangheri fino a quel punto. In ogni caso, credo che l'abbia
colpita in un impeto di collera, ma quando sono comparsi i Bodwell a chiedergli denaro, ha avuto tempo per riflettere, così ha detto loro che andava in camera sua a prendere quel che aveva. E lo ha fatto, naturalmente, ma è andato prima nel salottino a prendere la rivoltella, poi li ha accompagnati fino alla loro macchina e il resto si è svolto esattamente come ho detto.» «Io continuo a chiamarle invenzioni.» Scosse la testa. «Potrei essere d'accordo con te se mi fossi sbagliato, ma ho avuto ragione, no?» «Non è questo il punto.» «Preferiresti che fossi prosaicamente accurato, sbagliando, piuttosto che immaginifico vedendo giusto?» «Non sono certa che non sia così.» Felix sospirò. «È un vero peccato che noi due non si riesca mai a capirsi!» «Pure questa è la verità.» «Ti voglio tanto bene, lo sai.» «Anch'io.» Subito dopo ci salutammo e salimmo nelle nostre camere. La mattina dopo, Felix mi portò il tè a letto, ma quando scesi scoprii che se n'era andato, lasciandomi un biglietto sul tavolo di cucina. «Ho preso cinque sterline dalla tua borsa per pagarmi il viaggio» c'era scritto. «Spero che non ti dispiaccia. Domani stesso ti manderò un assegno. C'è qualche motivo perché non si debba vederci, di tanto in tanto? Mi ha fatto molto piacere ritrovarmi con te. Avvertimi quando sarai alle prese con un altro omicidio. Chissà che non abbia trovato il lavoro che fa per me. F.» Mi preparai la colazione poi salii a rifare il mio letto e a disfare quello di Felix. In camera mia mi cadde l'occhio sul flacone di "Alliage" che Felix mi aveva portato pochi giorni avanti e scoppiai improvvisamente a piangere. Piansi in silenzio per più di un'ora. Sentivo tanto la sua mancanza! Da quando ci eravamo conosciuti, ero passata attraverso fasi diverse: lo avevo amato, odiato, ero arrivata quasi a sopportarlo e questo era stato senza dubbio il pericolo più grave per me, perché se mi fossi adattata a tollerarlo, mi sarei annullata completamente. E questo, suppongo, avrebbe avuto la sua importanza. Anche se a volte è difficile esserne certi. FINE