KAY HOOPER IL SUSSURRO DEL MALE (Whisper Of Evil, 2002) A mia madre Prologo Maggio... dodici anni prima Non sapeva cosa ...
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KAY HOOPER IL SUSSURRO DEL MALE (Whisper Of Evil, 2002) A mia madre Prologo Maggio... dodici anni prima Non sapeva cosa fosse peggio, la nausea o il terrore. L'una minacciava di soffocarla, mentre l'altro era un dolore freddo che trapassava le ossa. Tutto quel sangue. Come poteva un corpo contenere tanto sangue? Abbassò lo sguardo e vide una striscia scarlatta allungarsi sul pavimento di legno verso la punta della sua graziosa scarpa. Il pavimento era vecchio e appéna imbarcato. Quel tanto che bastava. Era quella la ragione logica, certo, la mente capiva che il sangue non stava realmente allungandosi verso di lei, stava solo scorrendo lungo la linea di minima resistenza, in discesa, e per caso lei era sul tragitto. La sua mente questo lo sapeva. Ma il terrore sopraffaceva ogni ragione logica. Il sangue era un dito cremisi che si arricciava verso di lei, cercandola, lento, accusatorio. Voleva toccarla, voleva... marchiarla. Sono stata io. Io ho fatto questo. Le parole le riecheggiarono nella testa mentre fissava quel dito di sangue minaccioso. Era ipnotico, osservare il sangue muoversi a poco a poco verso di lei, aspettare che la toccasse. Era quasi preferibile guardare cos'altro c'era nella stanza. Si mosse prima che il sangue la raggiungesse, spostandosi con un sussulto di lato. Fuggendo. E si costrinse ad alzare gli occhi, a guardare la stanza. Guardarla. La stanza era un disastro. Mobili rovesciati con la tappezzeria strappata e cuscini sparpagliati, vecchi giornali e riviste ammuffiti sparsi in giro, i tappetini fatti con ritagli di stoffa ammucchiati sul pavimento o buttati alla rinfusa su un tavolo capovolto. E, dappertutto, macchie cremisi che imbrunivano diventando color ruggine nell'asciugarsi. C'era la disperata impronta rossa di una mano sulla parete vicino a dove
avrebbe dovuto trovarsi il telefono, anche se l'apparecchio era stato strappato e adesso giaceva in un groviglio impotente accanto al caminetto. Le pallide tendine della finestra recavano anch'esse l'impronta di una mano insanguinata, e l'asta era stata staccata da un lato, nel vano tentativo di chiedere aiuto o perfino di fuggire. Non c'era stato nessun aiuto, nessuna fuga. Nessuno scampo. La morte non era giunta velocemente. C'erano così tante ferite da taglio, per la maggior parte poco profonde. Dolorose, ma non fatali; almeno non subito. La camicia un tempo bianca era quasi completamente rossa, qua e là d'un colore acceso, dove il sangue era ancora fresco, scurita in un cremisi rugginoso dove aveva cominciato ad asciugarsi. E l'indumento era strappato e lacero, come i pantaloni, crivellati dai furiosi fendenti del coltello. Furore. Così tanto furore. Udì un piagnucolio, e per un istante provò un brivido dietro la nuca all'idea terrificante che il cadavere potesse emettere lamenti pietosi come quello. Ma poi realizzò che il suono veniva dalla sua stessa gola, dal profondo di sé, dove non c'era alcun linguaggio, soltanto orrore primordiale. Colpa mia. Colpa mia. L'ho fatto io. Questo è ciò che la sua mente continuava a ripetere, più e più volte, ottusamente, come una litania, mentre dalle profondità della sua anima quel mugolìo senza parole vibrava come una creatura sperduta e in pena. Si guardò intorno quasi ciecamente, cercando di non vedere il sangue, il furore, l'odio, e d'un tratto lo scintillio di qualcosa di metallico catturò la sua attenzione. Argento. Una catenina d'argento con un medaglione a forma di cuore giaceva accanto al corpo, a pochi centimetri dalle dita macchiate di sangue. Le ci vollero diversi, lunghi istanti per riconoscere e comprendere ciò che stava vedendo. Catenina d'argento. Medaglione. Catenina d'argento. Medaglione. «No» sussurrò. Paralizzata, abbassò di nuovo gli occhi e vide il dito di sangue svoltare all'improvviso, incurvarsi verso di lei con determinazione, e prima che potesse muoversi le toccò la pallida punta della scarpa da ballo. La stoffa leggera assorbì il sangue rapidamente, la macchia scarlatta che si allargava, avvolgendo la sua carne contratta. Colpa mia. Colpa mia.
Sono stata io. Gemette e sollevò le mani tremanti per nascondersi il viso, incapace di guardare un istante di più. Aspettando che il sangue le coprisse il piede e poi cominciasse a salirle su per la gamba nuda, sfidando la legge di gravità nella sua determinazione a inghiottirla. Attese quella sensazione fredda, bagnata. Ma non giunse. Il silenzio si chiuse su di lei, spesso e curiosamente attutito, come quando in un mattino nevoso la terra è coperta da centimetri di bianco. Realizzò che era tutta protesa in ascolto, nell'attesa di... qualcosa. Era peggio non guardare. La sua immaginazione vedeva solo il sangue che si allungava verso di lei, vedeva una mano insanguinata, una faccia accusatoria striata di scarlatto che si ergeva su di lei, occhi sofferenti colmi di condanna... Annaspò e tolse di scatto le mani dal viso. Non c'era nessun corpo. Né sangue. Nessuna stanza messa sottosopra. Percorse con lo sguardo un soggiorno che aveva l'aspetto di sempre: sobrio e un po' squallido, la tappezzeria floreale del divano e alle finestre sbiadita dal tempo e dal sole, i tappetini, un allegro tentativo di dare colore e nascondere le magagne del vecchio pavimento di legno. Abbassò gli occhi per scoprire la sua scarpina da ballo immacolata, senza segni di sangue e nemmeno di polvere, giacché lei era stata così accurata, così decisa ad apparire al meglio quella sera. A essere perfetta. Molto lentamente, uscì di casa indietreggiando. Diede un'altra lunga occhiata alla camera ordinata, poi chiuse la porta con una mano che non voleva smettere di tremare. Restò in piedi sulla veranda, fissando la porta, e a poco a poco il mugolio in fondo alla gola ribollì in una risata. Una volta cominciata, non riusciva a fermarla. Fluiva fuori di lei come qualcosa con una vita propria, il suono acuto, così alto da essere certa che si sarebbe abbattuto sul portico di legno e infranto in un milione di pezzi. Si serrò la mano sulla bocca e la risata traboccava ancora fuori, finché la gola le fece male, finché quel suono la terrorizzò quasi più dell'inesplicabile scena di cui era stata testimone. Finché, finalmente, si spense. La mano le ricadde mollemente lungo il fianco, e sentì se stessa mormorare fiocamente: «Dio mi aiuti.»
Marzo... oggi Quando George Caldwell andò a letto era tardi, soprattutto perché aveva navigato in Internet in cerca delle migliori offerte di viaggio. Progettava un giro alle Hawaii. Stava sempre pianificando qualcosa. Amava i cataloghi, amava occuparsi dei dettagli, amava fare progetti Talvolta l'evento in sé era meno divertente che organizzarlo. Be', la maggior parte delle volte, se doveva essere onesto. Ma non stavolta. Questo sarebbe stato il viaggio di una vita, quello era il piano. Quando il telefono squillò, rispose dalle profondità di quello che era stato un sogno piacevole. «Sì, cosa c'è?» «La pagherai.» Caldwell cercò a tentoni la lampada sul comodino e sbatté le palpebre quasi accecato dalla luce. Gli ci volle un momento prima di mettere a fuoco la sveglia tanto da vedere che erano le due. Del mattino. Spinse da parte le coperte e si drizzò a sedere. «Chi è?» domandò in tono indignato. «La pagherai.» Era una voce bassa, un sussurro, in realtà, senza caratteristiche identificabili; non poteva nemmeno dire se stesse parlando con un uomo o con una donna. «Di che sta parlando? Pagare per cosa? Chi diavolo è?» «La pagherai» sussurrò la voce un'ultima volta, poi, piano, riagganciò. Caldwell rimase con il ricevitore alzato lontano dall'orecchio e lo fissò per un istante, infine, lentamente, riattaccò. Pagare? Pagare per cosa, per l'amor di Dio? Voleva ridere. Cercò di farlo. Soltanto uno stupido ragazzino, probabilmente, o un tizio strampalato abbastanza adulto da dover avere più buonsenso. Invece di chiedergli se il suo frigorifero funzionava, gli aveva detto un'altra frase idiota, tutto qui. Tutto qui. Tuttavia, Caldwell sprecò un minuto a chiedersi chi avesse fatto arrabbiare ultimamente. Lì per lì non gli venne in mente nessuno, e scrollando le spalle si rimise a letto e spense la lampada. Soltanto uno stupido ragazzino, tutto qui. Era tutto qui. Se lo tolse di mente e alla fine si riaddormentò, sognando ancora una
volta le Hawaii, spiagge tropicali con sabbia bianca e acqua azzurra cristallina. George Caldwell aveva dei progetti. Non aveva progettato di morire. 1 Martedì 21 marzo Chiunque avesse dato alla città il nome Silence doveva essersi divertito un mondo, pensò Nell mentre chiudeva lo sportello della Jeep fermandosi sul marciapiede accanto al veicolo. Per essere un paese relativamente piccolo, non lo si sarebbe definito tranquillo neppure in un giorno qualunque; in quella mite giornata feriale di marzo inoltrato, almeno tre gruppi di studenti cercavano di raggranellare soldi per un motivo o per l'altro con chiassosi e allegri autolavaggi in due piccole aree di parcheggio e una vendita di dolci nello spiazzo erboso del paese. E c'erano parecchi clienti disponibili per i ragazzi, anche se le nuvole in aumento promettevano un temporale. Nell curvò le spalle e s'infilò le mani fredde nelle tasche della giacca. Il suo sguardo irrequieto scandagliò cautamente la zona, studiando qualche volto occasionale mentre coglieva frammenti di conversazione delle persone che le passavano accanto. Facce calme, chiacchiere innocue. Niente fuori dell'ordinario. Non sembrava affatto un paese nei guai. Attraverso il finestrino della Jeep, Nell lanciò un'occhiata al giornale ripiegato sul sedile; sul quotidiano locale del giorno prima non c'era molto che indicasse problemi. Non molto, ma di sicuro qualche accenno, specialmente per chi sapesse leggere tra le righe. Non lontano da lei c'era un distributore di giornali con l'ultima edizione, e poteva leggere facilmente il titolo che annunciava la decisione del consiglio comunale di acquistare un terreno su cui costruire una nuova scuola media. A quanto pareva, in prima pagina non c'era menzione di qualcosa di più importante. Nell andò ad acquistarne una copia e tornò accanto alla Jeep scorrendo rapidamente le tre sottili sezioni. Lo trovò dove si aspettava che fosse, tra i necrologi. George Thomas Caldwell,
42 anni, deceduto in casa inaspettatamente. C'era dell'altro, come naturale. Un lungo panegirico dell'uomo relativamente giovane, benemerenze locali e statali, riconoscimenti d'affari. Era stato un uomo di grande successo, George Caldwell, e insolitamente benvoluto per uno nella sua posizione. Ma era l'inaspettatamente che Nell non riusciva a digerire. La trovata davvero di cattivo gusto di qualcuno? O era il dipartimento dello sceriffo a rifiutarsi di confermare le speculazioni dei media di uno o due giorni prima in merito alla presunta morte violenta di George Caldwell? Inaspettato. Oh, sì. L'omicidio in genere lo è. «Gesù. Nell.» Lei ripiegò meticolosamente il giornale e lo infilò sotto il braccio voltandosi a fronteggiarlo. Le fu facile mantenere un'espressione impassibile, la voce controllata. Aveva fatto un sacco di pratica, e quello era un incontro per il quale era pronta. «Salve, Max.» In piedi a non più di un braccio di distanza, Max Tanner la guardava, decise lei, quasi come se avesse scoperto di avere qualcosa di sgradevole sotto la suola della scarpa. Difficile stupirsene, pensò. «Che diavolo ci fai qui?» La sua voce un po' malferma rivelava che non riusciva a essere distaccato e indifferente come avrebbe voluto. «Potrei dire che sono soltanto di passaggio.» «Potresti. Qual è la verità?» Nell scrollò le spalle, mantenendo un atteggiamento noncurante. «Credo che tu possa indovinarlo. Il testamento è stato finalmente riconosciuto valido, così devo sbrigare un bel po' di cose. Controllare la situazione, sgomberare la casa, predisporne la vendita. Ammesso che mi risolva a farlo, naturalmente.» «Vuoi dire che non sei sicura?» «Riguardo a vendere?» Nell si concesse un sorriso ironico. «Mi è venuto qualche dubbio.» «Scaccialo» disse lui in modo teso. «Tu non appartieni a questo luogo, Nell. È sempre stato così.» Lei fece finta che l'osservazione non la ferisse. «Be', su questo siamo d'accordo. Tuttavia, le persone cambiano, specialmente in... quanto? Una dozzina d'anni? Forse potrei imparare ad appartenervi.» Lui fece una risatina. «Sì? E perché dovresti volerlo? Cosa mai potrebbe
esserci in questa squallida cittadina da interessarti?» Nell aveva imparato cosa fosse la pazienza in quella dozzina d'anni, e la cautela. Così a quella domanda aspra si limitò a rispondere con un mite: «Forse nulla. Vedremo.» Con un sospiro Max si ficcò le mani nelle tasche del giubbotto di pelle, fissando il centro del paese come se il banchetto di dolci lo affascinasse. Mentre lui stava decidendo cos'altro dire, Nell lo studiò. Non era cambiato molto, pensò. Più vecchio, certo. Fisicamente più robusto adesso, da poco superata la trentina; probabilmente correva ancora, praticava ancora le arti marziali che erano state da sempre la sua passione. In aggiunta, naturalmente, al quotidiano lavoro fisico di un allevatore di bestiame. Qualunque cosa stesse facendo, sicuramente lo manteneva in una forma eccellente. Il viso asciutto era un po' più vissuto, ma proprio come per molti uomini, i lineamenti quasi troppo carini della giovinezza stavano maturando con l'età in un'autentica e sensazionale bellezza; bellezza che non era per nulla sciupata dalla sottile linea severa della bocca. Il passare degli anni aveva a stento lasciato su quel viso un qualche segno negativo. Sulle tempie potevano esserci alcuni fili d'argento nei capelli scuri, e non ricordava le rughette agli angoli degli occhi castani dalle pesanti palpebre... Occhi da alcova. Era rinomato in tutta la scuola per gli occhi sensuali e il carattere impulsivo, entrambi doni di una nonna creola. La maturità non aveva smorzato il calore ardente in agguato in quegli occhi scuri; si domandò se gli avesse insegnato a controllare il temperamento. Certamente aveva insegnato a lei a controllare il suo. «Hai un gran bel fegato, devo riconoscerlo» disse lui alla fine, riportando sul viso di lei quello sguardo intenso. «Perché sono ritornata? Dovevi sapere che l'avrei fatto. Con Hailey che se n'è andata via, non c'era nessun altro a... prendersi cura delle cose.» «Non sei tornata per il funerale.» «No.» Non offrì alcuna spiegazione, alcuna difesa. La bocca di lui si serrò ancora di più. «La maggior parte della gente qui attorno diceva che non l'avresti fatto.» «Tu che cosa dicevi?» domandò lei, costretta a farlo. «Io sono stato scemo. Ho detto che saresti tornata.» «Spiacente di averti deluso.» Max scosse la testa una volta, un diniego quasi violento, e la sua voce s'indurì. «Tu non puoi deludermi, Nell. Ho perso dieci dollari per una
scommessa, tutto qui.» Nell non sapeva cosa avrebbe dovuto dire, ma fu salvata da una voce femminile che esclamava sorpresa il suo nome. «Nell Gallagher? Mio Dio, sei davvero tu?» Nell si girò a metà e abbozzò un debole sorriso per la sensazionale rossa che si precipitava verso di lei. «Sono io, Shelby.» Shelby Theriot scosse la testa e mentre li raggiungeva accanto all'auto di Nell ripeté: «Mio Dio.» Per un momento, sembrò che avrebbe gettato le braccia al collo di Nell in un abbraccio esuberante, ma al dunque fece soltanto un gran sorriso. «Sapevo che alla fine ti saresti fatta viva, con la casa e tutto il resto di cui occuparsi qui, ma immaginavo che sarebbe stato più tardi, forse in estate, anche se non so perché. Ciao, Max.» «Ciao, Shelby.» Lui stava lì in piedi con le mani in tasca, inespressivo; adesso gli occhi scuri che guizzavano avanti e indietro tra le due donne. Nell mantenne lo sguardo sul viso raggiante di Shelby. «Pensavo di aspettare fino all'autunno o finché la stagione dei temporali fosse quasi passata» disse con scioltezza «ma è capitato che avessi un po' di tempo prima di cominciare un nuovo lavoro, così sono venuta giù.» «Giù da dove?» domandò Shelby. «Dalle ultime che avevamo sentito eri da qualche parte all'Ovest.» «Sentito da Hailey?» «Sì. Lei diceva che eri... be', credo che abbia usato la parola "invischiata", con un tipo a Los Angeles. O forse era Las Vegas. A ogni modo da qualche parte all'Ovest. E che stavi frequentando corsi serali all'università. Almeno credo che abbia detto così.» Invece di commentare l'informazione, Nell disse soltanto: «Vivo nel distretto della Columbia ora.» «Ti sei mai sposata? Hailey ha detto che ci eri arrivata vicino una volta o due.» «No. Non mi sono mai sposata.» Shelby fece una smorfia. «Nemmeno io. In realtà, sembra che metà della nostra classe di diploma sia ancora nubile oggi, anche se abbiamo raggiunto quasi tutte la trentina. Deprimente, vero?» «Forse alcune di noi stanno meglio da sole» suggerì Nell, mantenendo il suo tono leggero. «Ci dev'essere qualcosa nell'acqua» disse Shelby cupamente. «Davvero, Nell, questo sta diventando un posto strano. Hai sentito degli omicidi?» Nell corrugò la fronte. «Omicidi?»
«Sì. Quattro finora, se conti George Caldwell; te lo ricordi, Nell? Certo, lo sceriffo non si è precipitato a mettere quest'ultimo decesso nell'elenco insieme agli altri, ma...» Max la interruppe. «Ci sono stati degli omicidi in precedenza, Shelby, proprio come in qualunque altra città.» «Non come questi» insistette Shelby. «La gente qua si fa ammazzare, e il motivo generalmente è piuttosto ovvio, proprio come chi sia l'assassino. Nessun mistero tipo stanza chiusa a chiave o altri sconcertanti interrogativi da romanzo giallo, non a Silence. Ma queste morti? Tutti eminenti e onesti uomini del paese con la reputazione immacolata come un giglio; poi vengono assassinati e i loro segreti cominciano a fuoriuscire come da un argine crollato.» «Segreti?» chiese Nell con curiosità. «Proprio così. Adulterio, appropriazione indebita, gioco d'azzardo, pornografia... scegli tu. È stata una vera e propria Peyton Place da queste parti. Finora non abbiamo saputo nulla dei segreti del povero George, ma è ancora presto. I segreti degli altri tre sono divenuti di dominio pubblico nel giro di un paio di settimane dalla loro morte. Così temo che sia soltanto questione di tempo, dopodiché scopriremo su George più di quanto avremmo mai voluto sapere.» «Gli assassini sono stati presi?» «Niente affatto. Il che è un'altra cosa strana, se vuoi la mia opinione. Quattro eminenti cittadini uccisi negli ultimi otto mesi, e lo sceriffo non riesce a risolvere nemmeno uno degli omicidi? Farà una fatica del diavolo a farsi rieleggere.» Nell lanciò un'occhiata a Max, che si stava lievemente accigliando ma non faceva alcun commento, poi tornò a guardare Shelby. «Suona un po' strano, ma sono sicura che lo sceriffo conosce il suo lavoro, Shelby. Tu ti sei sempre agitata troppo.» Shelby scosse la testa, ma poi rise. «Sì, penso che sia così. Oh, diamine... è già tanto tardi? Devo andare. Ascolta, Nell, voglio proprio rimettermi in pari; posso chiamarti tra un giorno o due, dopo che ti sei sistemata? Potremmo pranzare insieme o qualcosa del genere.» «Sicuro, mi piacerebbe molto.» «Fantastico. E se nel frattempo ti senti sola in quell'enorme casa vecchia e vuoi qualcuno con cui parlare, mi chiami tu, d'accordo? Sono ancora una nottambula, dunque va bene a qualsiasi ora.» «Ricevuto. Ci vediamo, Shelby.»
Con un cenno di saluto a Max, la rossa se ne andò di corsa, e Nell mormorò: «Non è cambiata molto.» «No.» Nell sapeva che la cosa migliore sarebbe stata salire in macchina e andarsene, ma si sorprese a dire lentamente: «Questi omicidi paiono davvero insoliti. E restare insoluti così a lungo... Lo sceriffo non ha almeno qualche sospetto?» Max fece una strana risatina. «Oh, sì, ne ha qualcuno. Uno in particolare.» «Uno?» «Sì, uno. Me.» Con un'altra risata, si girò sui tacchi e si allontanò. Nell lo seguì con lo sguardo finché scomparve dietro l'angolo. Poi guardò la cittadina indaffarata che sembrava ignorare il temporale in arrivo e, quasi sottovoce, mormorò: «Benvenuta a casa, Nell. Benvenuta a casa.» In piedi alla finestra del suo ufficio, Ethan Cole stava osservando la Main Street. Aveva una vista eccellente sulla maggior parte della strada, specialmente l'area intorno all'edicola. Così vide l'incontro palesemente teso tra Nell Gallagher e Max Tanner, vide Shelby Theriot unirsi a loro per qualche momento prima di scappar via con la sua tipica fretta. Vide Max allontanarsi rigidamente e Nell osservarlo fin quando non sparì. Bene, dunque. Che dire di questo? Ethan aveva saputo che Nell stava ritornando a Silence, naturalmente. Wade Keever non era riservato quanto avrebbe dovuto sulle faccende legali di cui si occupava, specie dopo aver bevuto qualche drink, ed Ethan di solito gliene offriva due o tre almeno un paio di volte al mese, solo per mantenersi informato. Così sapeva che Nell aveva acconsentito, con una certa riluttanza secondo Wade, a tornare al paese almeno quel tanto da sgomberare la vecchia casa, decidere quali possedimenti di famiglia conservare e fare qualunque altra cosa spettasse all'ultima discendente dei Gallagher ancora vincolata a quel luogo. Al diavolo, forse avrebbe soltanto organizzato un'enorme svendita all'aperto e poi appiccato il fuoco alla casa ancestrale per tornarsene nel distretto della Columbia purificata dal passato. Ethan dubitava che avrebbe voluto tenersi granché, almeno se tutte le vecchie storie e dicerie avevano qualcosa di vero. E dato che negli ultimi dodici anni non era tornata a casa nemmeno per i funerali di famiglia, sembrava proprio che alcune di quelle storie fossero vere.
Ethan contrasse inconsapevolmente le labbra mentre osservava Nell risalire sulla sua splendida Grand Cherokee e allontanarsi. Più tardi avrebbe controllato la targa, decise, solo per scrupolo, ma non si aspettava di trovare qualcosa che non sapesse già. Lui sapeva un sacco di cose. Essere lo sceriffo di una piccola comunità di solito molto unita lo richiedeva, naturalmente. Assai spesso il buon lavoro di polizia nel distretto di Lacombe, e in particolare a Silence, si riduceva a ciò che sapeva della gente del posto molto prima di avere un crimine da risolvere. Così si faceva un dovere di conoscere cosa stesse combinando quasi chiunque, al di là che si trattasse di occupazioni illegali. «Sceriffo?» Distogliendo lo sguardo dalla finestra scoprì impalato davanti alla scrivania Justin Byers, uno dei detective della Divisione investigativa criminale, la CID. Incoraggiava i suoi uomini a venire a cercarlo se avevano bisogno di parlargli, evitando l'antiquato sistema dell'interfono; principalmente perché era antiquato, ma anche perché odiava il suono metallico, quasi lugubre delle voci che passavano attraverso l'aggeggio. «Che succede, Justin?» «Ho qualche difficoltà a rintracciare tutte le informazioni finanziarie su George Caldwell. Niente di veramente sospetto, solo alcuni investimenti piuttosto sparsi e un po' troppi dettagli inspiegati per i miei gusti. Pensavo che forse se ottenessimo un mandato per la sua documentazione personale...» Ethan sorrise. «Apprezzo il tuo entusiasmo, Justin, ma dubito che il giudice Buchanan rilascerà un mandato sulla base delle nostre sensazioni. Scopri quello che puoi, ma non fere pressioni su nessuno, e non andare dalla vedova, d'accordo?» «Sue Caldwell si considera ancora la sua vedova? Voglio dire, vivevano separati da quanto? Due o tre anni?» «Più o meno.» Ethan scrollò le spalle. «Ma erano ancora sposati, e lei è l'erede legittima. Da quanto ho sentito, è addolorata. Dunque lasciala in pace.» «Va bene, certo. Solo perché lo sappia, occorrerà un po' a raccogliere tutte le informazioni che voleva...» «Capito.» Il sorriso disinvolto di Ethan durò finché il detective lasciò la stanza, poi sbiadì. Non si fidava completamente di Justin Byers. Ma quanto a questo, non si fidava completamente almeno di tre delle sei persone
che aveva dovuto assumere da quando nell'ultimo anno la nuova autostrada aveva reso il paese molto più trafficato. A Ethan piaceva avere intorno a sé persone che conosceva, e tre degli acquisti più recenti, incluso Byers, non erano nati e cresciuti a Silence. Non era certo un delitto, e tutti avevano vantato buone credenziali e raccomandazioni, per non parlare dell'esperienza. Eppure. Tornando alla sua comoda sedia dietro la scrivania, Ethan aprì il cassetto centrale e tirò fuori una cartella marroncina. Dentro c'erano le copie di tre rapporti che il suo ufficio aveva sottoposto, come richiesto, al procuratore distrettuale. Il rapporto sulla prima morte era abbastanza chiaro. Peter Lynch, cinquant'anni, era deceduto all'improvviso, apparentemente per un attacco di cuore. Solo per l'insistenza della moglie sconvolta era stata eseguita un'autopsia, risoltasi con l'inaspettato ritrovamento di veleno. Dato che sul momento la casa non era stata trattata come la scena di un delitto, ritornare a perquisirla non avrebbe prodotto niente di utile a far luce sull'accaduto, ma secondo il medico legale qualcuno poteva aver infilato qualche capsula di nitroglicerina dentro una boccetta di vitamine. Era noto che Lynch prendeva vitamine a manciate, e non era stato trovato nessun altro farmaco, con o senza ricetta obbligatoria, così esisteva la possibilità che il medico legale avesse ragione. La cosa interessante era che una volta cominciato a perquisire seriamente la casa per verificare se Lynch avesse conservato e usato qualche farmaco, avevano scoperto in una nicchia segreta in fondo al ripostiglio una quantità di materiale pornografico veramente morboso. Ragazzine agghindate e imbellettate per sembrare prostitute, poi fotografate con uomini che avrebbero potuto essere i loro padri. O nonni. E al solo pensiero di ciò che facevano Ethan si sentiva ancora torcere le budella. «Lurido pervertito» bofonchiò sottovoce. La moglie di Lynch era rimasta comprensibilmente inorridita e mortificata, specie quando quella prima scoperta aveva portato ad altre, compresa la prova di viaggi compiuti da Lynch che di sicuro non avevano a che fare con il lavoro. Non solo aveva visitato spesso una casa giù a New Orleans che provvedeva a soddisfare Uomini con le sue particolari inclinazioni sessuali, ma aveva anche mantenuto un'amante in quella città. Una ragazza minorenne più giovane della sua stessa figlia. Accigliatosi, Ethan passò al rapporto sul secondo caso, il quale, di nuo-
vo, al principio era parso semplice. Luke Ferrier, trentott'anni, apparentemente si era suicidato lanciando la sua auto in un canale paludoso. L'acqua nei polmoni dimostrava che era annegato, e l'ipotesi del suicidio sembrava abbastanza attendibile. Ma un collega aveva insistito, a gran voce, che Luke non era tipo da suicidio, così gli uomini di Ethan avevano dato un'occhiata più da vicino. Immaginando che il motivo più probabile perché un uomo giovane e sano senza molti legami familiari decidesse di uccidersi fossero i soldi, avevano frugato nei suoi documenti finanziari e in quelli della società per cui lavorava. Di nuovo, il risultato li aveva sorpresi, non tanto per aver trovato la prova di un'appropriazione indebita, ma perché sembrava che Ferrier avesse restituito ogni centesimo "preso in prestito" mesi prima del suo presunto suicidio. Nessuno si era insospettito, e lui l'aveva fatta franca. Allora perché suicidarsi? Il medico legale aveva asserito che senza dubbio esistevano barbiturici e rilassanti muscolari che non permanevano a lungo nel corpo; Ferrier poteva esser stato drogato e la sua macchina diretta verso quel canale mentre era privo di conoscenza, senza che niente venisse alla luce nella successiva autopsia. Era possibile. Ma l'argomento decisivo era venuto fuori quando, scavando un po' più a fondo, avevano scoperto non solo un'abitudine apparentemente cronica al gioco d'azzardo ma anche un ricco conto in banca a Baton Rouge e una cassetta di sicurezza contenente, tra le altre cose, un biglietto aereo per il Sud della Francia datato un mese dopo la morte di Ferrier. Altri documenti nella cassetta indicavano che era stato in procinto di trasferirsi e lasciare Silence. Allora perché suicidarsi? «Niente suicidio» disse Ethan, di nuovo sottovoce. «Maledizione.» Il terzo rapporto concerneva il decesso di Randal Patterson, quarantasei anni, occorso appena due mesi prima. A quel punto con il palpabile disagio e le chiacchiere dilaganti in paese, i detective e gli agenti di Ethan non avevano fatto lo sbaglio di presumere nulla, se non il peggio. Trovare un maschio adulto relativamente giovane e apparentemente sano morto per qualsiasi causa sarebbe stato sufficiente ad allertarli; trovare il suddetto maschio adulto fulminato dall'elettricità nella sua Jacuzzi per colpa di un filo elettrico ad alta tensione lasciato cadere nella vasca da una vicina finestra innalzò un'enorme bandiera rossa.
E la bandiera gli venne letteralmente sventolata in faccia quando l'indagine successiva rivelò lo sconcio segretuccio di Randal Patterson: una stanza ben equipaggiata nello scantinato con una quantità di congegni e attrezzi sadomaso, e un bel mucchio di gomma e pelle nera. Fruste. Maschere. Catene. Finora non erano riusciti a scoprire con chi Patterson avesse inscenato i suoi giochetti, ma era solo questione di tempo. Solo questione di tempo. «Merda» bofonchiò sommessamente Ethan. Non c'era ancora, naturalmente, un rapporto completo su George Caldwell. Erano passati soltanto pochi giorni, dopo tutto, da quando era stato trovato. Ucciso da un colpo d'arma da fuoco alla testa, senza alcuna pistola in vista. Difficile non definire questo un omicidio. Ma, finora, nulla di osceno o illegale era saltato fuori. Finora. Ethan chiuse la cartella e fissò con aria cupa nel vuoto. Non gli piaceva tutto questo. Non gli piaceva nemmeno un po'. Nell scese dalla Jeep e si fermò a contemplare la grande casa di assi bianche posta a una certa distanza dalla strada e circondata da imponenti querce. La casa si estendeva scomposta senza molto rigore architettonico, cosa non sorprendente considerato che la centenaria costruzione originaria era stata ristrutturata e allargata diverse volte negli ultimi decenni con il crescere della famiglia che ospitava. Ironia della sorte, pensò Nell, che lei fosse lì, un secolo dopo che i primi Gallagher avevano messo radici in quel posto, presumibilmente con grandi speranze e determinati a mettere su una famiglia. Lei era lì. Da sola. Ultima della stirpe, almeno a Silence. E ci stava a malincuore, per di più. Sospirò e girò intorno alla Jeep per aprire il portellone posteriore. Il bagagliaio era pieno, tra valigia, borsa da viaggio e diverse buste con la spesa che aveva fatto in paese. Stava giusto per afferrare un paio di buste e dirigersi verso la casa quando un senso diverso dall'udito le fece volgere gli occhi verso la strada. Una volante del dipartimento dello sceriffo stava svoltando sul vialetto d'accesso. Non proprio sorpresa, Nell si appoggiò contro il portellone aperto e atte-
se. La macchina si fermò accanto alla Jeep e ne uscirono due agenti. Il più alto, inaspettatamente, era una donna; doveva essere oltre un metro e ottanta, giudicò Nell, e vantava misure da paginone di rivista che indubbiamente erano state più una sventura che una benedizione nella professione che aveva scelto. Era anche carina in un modo oscuramente esotico che denunciava un'eredità creola molto comune nella zona. Il suo più anziano compagno era probabilmente un metro e settantasei o settantasette, biondo, la prestanza da ragazzo, un largo e accogliente sorriso. Era uno di quegli uomini che mantengono un aspetto quasi immutato tra i venti e i sessant'anni, e solo allora sembrano invecchiare. «Salve, Miss Gallagher. Io sono Kyle Venable, e questa è Lauren Champagne.» Nell non poté fare a meno d'inarcare un sopracciglio guardando la donna, che replicò asciutta: «Una delle mie molte croci.» «Felice di conoscervi entrambi» disse Nell con un debole sorriso. «Credo. Non ho rispettato un segnale di stop o qualcosa del genere?» «Oh, no» si affrettò a rassicurarla l'agente Venable. «Lo sceriffo voleva soltanto che venissimo qui a controllare la casa per lei. È rimasta disabitata per qualche tempo, capisce, e siamo particolarmente attenti a tenere d'occhio le cose. Ci sono ancora vagabondi in giro, specie così lontano dal paese. Se vuole darci le chiavi, ci accerteremo che sia tutto a posto prima che lei entri.» Nell non esitò a infilare la mano nella tasca della giacca e a tirar fuori una chiave. «Lo apprezzo davvero, grazie» disse. «Non ci vorrà molto» disse Venable, prendendo la chiave e toccandosi educatamente la visiera del berretto. Poi, insieme alla sua compagna, risalì il vialetto lastricato fino alla porta d'ingresso. Restando dov'era, Nell li osservò sparire dentro la casa. Inutile fingere con se stessa di non essere incredibilmente tesa: poteva soltanto cercare di non sembrarlo. Sentì una fitta fin troppo familiare alla tempia sinistra e si massaggiò la zona con tre dita in un lenitivo movimento circolare. «Non ora» sussurrò. «Cristo, non ora.» Si frizionò più forte, ordinando al corpo e alla mente di obbedire al suo comando disperato. Probabilmente non ci vollero più di dieci minuti prima che ricomparissero gli agenti, ma parvero eterni. «Sgombro» disse allegramente Venable mentre raggiungevano Nell vicino alle auto. «Sembra che tutte le finestre e le porte abbiano serrature ro-
buste, ma forse dovrebbe farsi installare un buon sistema di sicurezza, Miss Gallagher. Oppure prendersi un grosso cane.» «Grazie, agente.» Mentre lui le rendeva la chiave rivolse a entrambi un cenno del capo e un sorriso di gratitudine, aggiungendo: «Probabilmente non resterò così a lungo da averne bisogno, ma di sicuro terrò la porta chiusa a chiave mentre sono qui.» «Noi passeremo piuttosto spesso nei normali pattugliamenti, così terremo d'occhio la casa.» Venable accennò verso il bagagliaio pieno. «Nel frattempo, saremmo lieti di aiutarla a portare dentro un po' di questa roba.» «Oh, no, grazie, posso cavarmela. Apprezzo l'offerta, però.» Lui si toccò di nuovo la visiera, sorridendo. «D'accordo, ma non esiti a chiamare se ha bisogno di qualcosa. Qualsiasi cosa.» «Non esiterò.» I due agenti risalirono sulla loro auto, e Nell si volse deliberatamente a scaricare la Jeep invece di guardarli andar via. Quando raggiunse la veranda sul davanti carica di buste della spesa, constatò che la volante con gli agenti aveva raggiunto la fine del lungo viale, e si stava immettendo sulla strada diretta al paese. Avevano lasciato la porta d'ingresso aperta, protetta soltanto dalla vecchia zanzariera a telaio, e solo per un attimo lei restò lì in piedi cercando di farsi forza sia mentalmente che emotivamente. Un'altra fitta alla tempia la spinse a entrare in casa prima che fosse del tutto pronta, ma probabilmente fu un bene. Senza qualche sorta di sprone, non era affatto sicura che ce l'avrebbe fatta. Entrò in un atrio spazioso, familiare in modo sconcertante con il suo lucido pavimento di legno e il tavolo rotondo col piedistallo. Avrebbero dovuto esserci dei fiori sul tavolo, naturalmente, e sotto non c'era sempre stato un tappeto? Scrollandosi di dosso quelle vaghe meditazioni, Nell si spostò oltre le scale verso la cucina, evitando volutamente di guardare attraverso qualsiasi porta oltrepassasse. Sala da pranzo da un lato, soggiorno dall'altro, bagnetto sotto le scale, e nessun bisogno di controllare alcuna di quelle stanze. Non ancora. Non ancora. Posò le borse della spesa sul bancone e concesse solo una rapida occhiata alla luminosa cucina gialla e bianca, poi tornò alla Jeep. Aveva bisogno di portare tutto dentro, e il più presto possibile; le fitte alla tempia erano diventate un pulsare doloroso, altrettanto ritmico e inevitabile del suo battito cardiaco.
Ci riuscì a malapena, scaricando il bagaglio nell'atrio e chiudendo a chiave la porta d'ingresso prima di tornare vacillando in cucina. Rovistò tra le buste in cerca dei pochi generi deperibili da mettere nel frigorifero, combattendo tenacemente il capogiro mentre si diceva che avrebbe dovuto almeno trovare una poltrona prima di... L'oscurità la sommerse, e Nell si accasciò in silenzio sulle polverose mattonelle del pavimento. 2 Era un po' come la meditazione, pensò. Se chiudeva gli occhi e si concentrava, si concentrava davvero, il suo corpo sembrava diventare molto leggero, quasi senza peso, e qualche parte di lui era in grado di fluttuare per un po'. A volte si librava semplicemente senza meta, non curandosi di dove andasse, gustando le sensazioni di lasciarsi trasportare libero dai legami della carne. Vera libertà. Senza pensare a nulla. Talvolta, comunque, focalizzava tutta l'energia e la volontà per controllare la sua direzione, si concentrava per raggiungere un posto particolare, perché c'era qualcuno di speciale che doveva trovare. Come lei. Lei era facile da trovare. La connessione stabilita senza sforzo tanto tempo fa lo guidava velocemente da lei. Lei si stava muovendo per la cucina, mettendo via la spesa. Preoccupata, forse perfino turbata o snervata dai temporali che rombavano tutt'intorno in quell'agitata notte di primavera. Sembrava un po' pallida, pensò, e aveva un cerotto quadrato sulla fronte appena sopra il sopracciglio destro. Si chiese se fosse caduta. Si chiese cosa sarebbe successo se avesse allungato una mano e l'avesse toccata. Quasi lo fece, ma si fermò. No. Non adesso. Non ancora. C'erano cose che doveva fare prima. Un lavoro che doveva finire. Lui non era tipo da evitare le proprie responsabilità, dopo tutto. Non era quello il modo in cui era stato cresciuto, e non era il suo carattere. Un uomo finiva quello che cominciava. Inoltre, c'era un mucchio di tempo per Nell. Tempo per scoprire la verità sul perché fosse tornata a casa, Tempo per scoprire quanto rammentasse. Lei gli passò accanto, intenta a sistemare un paio di scatole in un armadietto in alto, e fu quasi certo di sentire il profumo dei suoi capelli, un aroma pulito come la luce del sole.
Quasi allungò la mano a toccarla. Quasi. Mercoledì 22 marzo Nell si svegliò così bruscamente che udì il proprio grido, strano e attutito, spezzarsi. Sedeva sul suo letto, fissando le mani ancora sollevate e protese come se si fosse allungata per prendere qualcosa. Le mani tremavano visibilmente. Si sentiva rigida, così tesa che i muscoli protestavano con fitte acute. Le sue dita si curvarono lentamente, e si costrinse a rilassare le braccia, ad abbassarle, a rilassarsi. La camera da letto era inondata dalla luce del mattino, il temporale della notte scorsa pareva scomparso da tempo, e dalla finestra leggermente aperta entrava una fresca, umida brezza che agitava le tende. Odorava di umidità e di terra, come la primavera. Non doveva spremersi per ricordare il sogno. Era sempre lo stesso. Variavano piccoli dettagli, ma la trama non era mai cambiata. E anche se non accadeva ogni notte, era abbastanza frequente da essere fin troppo familiare per Nell. «Non sarei dovuta tornare qui» si sentì mormorare. Aveva sperato che dopo tanti anni tornare non avrebbe peggiorato le cose. Ma avrebbe dovuto avere più buon senso. Perfino mentre guidava per venire quaggiù l'aveva saputo, aveva sentito intensificarsi la sensazione lacerante con cui aveva vissuto così a lungo, come se una corda legata a qualcosa nei suoi più intimi recessi fosse strattonata con insistenza. Adesso lo strappo era costante, incalzante. Impossibile da ignorare. Irrigidita, Nell scivolò fuori dal letto e andò a farsi una doccia, lasciandosi sferzare dall'acqua calda mentre si concentrava per puntellare le sue difese. Era difficile, più difficile di quanto fosse mai stato prima, ma quando fu vestita e si avviò di sotto, lo strappo dentro di lei era almeno tollerabile, smorzato e acquietato quel tanto da non farla più sentire sul punto di spezzarsi. Non sarei dovuta tornare qui. Come posso fare ciò che devo con questo dentro? «Nell» A metà dell'atrio si fermò con un sussulto e si voltò, fissando dietro di sé, intorno a sé. Ma non c'era nessuno lì. Assolutamente nessuno. «Non sarei dovuta tornare qui» mormorò.
«È una domanda piuttosto semplice.» Ethan fissava Max Tanner al di là della sua scrivania con un sorriso di prammatica. «Dov'eri sabato notte, Max?» «Vuoi dire dov'ero quando hanno sparato a George Caldwell?» Max rivolse allo sceriffo un sorriso non più autentico del suo. «Ero a casa, Ethan. Da solo.» «Niente testimoni.» «E così niente alibi.» Max scrollò le spalle, cercando di apparire il più possibile rilassato. «Spiacente, non sapevo che me ne servisse uno.» «Non lo sapevi?» «No..» Ethan annuì, la bocca contratta come se fosse immerso in una pensierosa riflessione. «Tu e George avevate le vostre divergenze, credo.» Credeva. Lui lo sapeva maledettamente bene ma doveva fare i suoi giochetti. Così Max stette al gioco. «Voleva comprare una proprietà qui in paese e io non volevo venderla. Aveva raddoppiato l'offerta, io gli avevo risposto che non era in vendita; e questo è quanto. Difficilmente qualcosa per cui uccidere un uomo.» Ethan annuì di nuovo, le labbra ancora contratte. «Ma c'era dell'altro, non è vero? Qualcosa riguardo a una cambiale su quel tuo ranch?» «Lui ha reclamato il credito. Io ho pagato. Fine della storia.» «Davvero? Da quello che ho sentito, hai dovuto svendere un terzo del tuo bestiame per pagare quella cambiale.» «E allora? Sono rimasto con due terzi della mandria e libero da qualsiasi debito con la banca.» «Ma hai perso soldi nell'affare. Il prezzo per i manzi era molto basso quando hai dovuto vendere.» «La scelta del momento avrebbe potuto essere migliore» ammise Max. «Ma erano affari, Ethan, niente più di questo. George ha reclamato il credito: io l'ho pagato. Lui ne aveva il diritto: io ho onorato le mie obbligazioni.» «Tu eri arrabbiato a morte, lo sapevano tutti. Hai chiamato il povero George una sanguisuga, a quanto ho sentito.» Max pensò tetramente a quanto sarebbe stato facile diventare paranoico in un paese dove lo sceriffo "sentiva" un dannato mucchio di cose, comprese troppe conversazioni private, Ma tutto ciò che disse fu: «Ero infuriato. L'ho superata. E questo accadeva due mesi fa.»
Ethan inarcò un sopracciglio e Max capì che, sebbene mal volentieri, era almeno in parte convinto che anche se lui avrebbe potuto comportarsi in modo violento in un accesso d'ira, era improbabile che facesse qualcosa di sconsiderato una volta sbollita la collera. Per quanto ci provasse, lo sceriffo non riusciva proprio a convincersi di aver trovato un motivo perché Max avesse assassinato George Caldwell, ancor meno una qualsiasi prova che potesse averlo fatto. Non ancora, a ogni modo. Tuttavia, Max non si rilassò. Conosceva Ethan Cole. Bruscamente lo sceriffo disse: «E così Nell Gallagher è tornata in città.» «Sì. L'ho vista ieri.» «Le hai anche parlato, non è vero?» Max lanciò un'occhiata verso la finestra e si rese conto che offriva un ottima vista sulla Main Street. «Ci siamo salutati. Non molto più di questo.» «Suppongo che sia tornata per sgomberare la vecchia casa, sistemare la proprietà di famiglia.» «Così ha detto.» «Resterà qui?» «Ne dubito.» «È ancora così carina com'era allora?» «La definirei stupenda» replicò Max tranquillamente. «Proprio com'è sempre stata.» Pensosamente, Ethan disse: «Sì, ma era un tantino strana, se ben ricordo. Non poi così timida quanto... introversa. Una solitaria. Con quel viso, tuttavia, i ragazzi le correvano dietro fin da quando aveva dodici anni. Tutto quel tempo, e nessuno di noi fece molti progressi con lei; tranne te, cioè.» Dal momento che era stata un'affermazione più che una domanda, Max si limitò a dire «Non si lasciava avvicinare facilmente.» Non aveva intenzione di ammettere che le era arrivato vicino nel senso più vero del termine solo una volta, e aveva pagato un prezzo molto alto per questo. «Considerata la storia della sua famiglia e come loro tendevano a isolarsi laggiù, probabilmente non è così sorprendente.» Ethan lo fissò con le sopracciglia sollevate. «Credi che fosse questo? Be', forse. La famiglia spaventava diversi sedicenti corteggiatori allontanandoli dalle ragazze, questo è certo, specie quella loro vecchia nonna stramba. E rammento che papà mi avvertì di non fare arrabbiare Adam Gallagher, e di sicuro corteggiare una delle sue ragazze l'avrebbe fatto imbestialire.»
Max scrollò le spalle. «Ho sempre pensato che lui fosse più possessivo con Hailey. Forse perché era più grande e prese quasi il posto di sua madre dopo che Grace scappò.» «Scappare sembra essere un tratto di famiglia.» Sapendo dove voleva arrivare. Max attese in silenzio. «Fu la sera del ballo del diploma di Nell, non è così? Lei fece la valigia e se ne andò via; lasciandoti lì tutto agghindato, come uno stupido.» «Più o meno è così» replicò Max. «Correva voce che voi due avevate litigato.» «Le voci si sbagliavano, come al solito.» «Allora che successe?» «Non saprei.» «Davvero non hai mai saputo perché scappò via?» «Non l'ho mai saputo.» Con un'altra scrollata di spalle, Max disse: «Ho sentito un mucchio di voci confuse in seguito, proprio come chiunque altro. Forse qualcuna era vera. Forse suo padre la buttò fuori di casa per qualche ragione. Forse c'era qualcun altro che le piaceva molto più di me, e scappò via con lui quella sera. O forse aveva scoperto dov'era Grace e voleva stare con sua madre, e scelse quella sera per andarsene. Forse una di queste voci era la verità. O forse no. L'unica persona che avrebbe potuto dire la verità era lontana; e non si prese il fastidio di scrivere, almeno non a me.» «Ahi.» Ethan sorrise. «Avresti dovuto puntare sulla sorella maggiore. Mi sono sempre chiesto perché tu non l'abbia fatto, visto che andavi a scuola con lei.» «Tu sei sempre stato più interessato a Hailey di quanto lo fossi io.» Seccamente, Ethan disse: «Chiunque avesse i pantaloni era interessato a Hailey. Non era bellissima ma, Cristo, quella ragazza emanava un gran fascino. Difficile staccarle gli occhi di dosso quando camminava per strada.» Max rimase in silenzio. «Pensi che ci sia qualcosa di vero nelle storie su di lei?» «Lo sa Dio. Qualcosa spinse suo padre a diseredarla.» Max propinò allo sceriffo un sorriso ironico. «Avrei creduto che se c'era uno che poteva sapere la verità saresti stato tu, Ethan, visto quanto sei bene informato su tutta Silence.» «Oh, penso che alla fine arriverò alla verità anche su questo.» Ethan ricambiò il sorriso. «Lo faccio sempre.» Decidendo che il colloquio era finito, Max si alzò in piedi. «Sì, be', so
che hai altre cose a cui pensare in questi giorni. Con quattro morti sospette, e irrisolte, negli ultimi otto mesi, sappiamo tutti dove debba appuntarsi la tua... attenzione.» Anche Ethan si alzò, ma senza offrirgli una stretta di mano. «Non ho bisogno che mi rammenti qual è il mio lavoro.» Mentre Max si voltava per andarsene, aggiunse nello stesso tono gradevole «Oh, Max? Ti ho detto di non lasciare la città, vero?» «Me l'hai detto. E non devi preoccuparti. Non vado da nessuna parte.» «Assicurati di non farlo.» Fin troppo consapevole che lo sceriffo era deciso ad avere l'ultima parola a ogni costo, Max si limitò ad annuire e lasciò l'ufficio. Non si era reso conto di quanto fosse teso finché non svoltò l'angolo, fuori dalla visuale della finestra di quell'ufficio, e istintivamente cercò di distendere le spalle nello sforzo di rilassarsi. Dannato Ethan Cole. Era già brutto vedere un ragazzo che ti piaceva diventare un uomo che non ti piaceva; dai a quell'uomo un distintivo e un'autorità quasi illimitata, per non parlare del rancore, e le cose potevano farsi sgradevoli in fretta. Cercando di scuotersi di dosso l'inutile amarezza, Max raggiunse il suo camioncino. Accese il motore ma non innestò subito la marcia. Invece si ritrovò a pensare a Nell. Di nuovo. Per tutta la notte, ascoltando il temporale rimbombare su Silence, si era agitato e rigirato pensando a Nell. Interrogandosi. Che genere di vita aveva fatto negli ultimi dodici anni? Perché aveva mancato di tornare a casa perfino per i funerali di suo padre e di sua nonna? Cosa c'era dietro lo strano, nervoso sorriso di Hailey ogni volta che era saltato fuori l'argomento della sorella minore? Più di tutto, si era domandato se qualche altro uomo fosse riuscito ad avvicinarsi a lei anche solo una volta. Lei era cambiata, questo era evidente. Ancora bella, quanto a ciò non aveva mentito a Ethan. Ma gli incredibili occhi verdi dall'intensità spaventosa adesso erano cauti e diffidenti, e aveva un'aria di tranquillità, di compostezza che anni prima non c'era stata. A quel tempo lei era tutto tranne che tranquilla. Max pensò alla ragazza sedicenne che aveva notato la prima volta in quel caldo giorno d'estate di quasi quattordici anni addietro, mentre cavalcava a pelo una piccola cavalla roana, i calzoncini indecentemente corti che lasciavano nude gran parte delle lunghe gambe abbronzate e la bianca
camicetta di cotone troppo sottile per lasciarlo indifferente. Gli era sembrata selvatica, un po' stramba, con quel sorriso incerto e la risata improvvisa, quasi incontrollata, argento vivo nell'aria pesante, umida. I capelli color miele le ondeggiavano intorno alle spalle, scintillando alla luce del sole, e i suoi occhi verdi sgranati lo avevano fissato con una strana aria interdetta di... riconoscimento. Metà bramosi, metà timorosi. Max scacciò il ricordo di quello sguardo ammaliante e innestò cupo la marcia. Basta. Basta con questo. Nell Gallagher era tornata a casa solo il tempo sufficiente a prendere qualche fotografia e qualche bambola della sua infanzia, e poi avrebbe lasciato Silence per sempre. Lui non era così sciocco da restare invischiato con lei. «Non questa volta» bofonchiò. «Non di nuovo.» Sorprendentemente la casa destò pochi ricordi in lei, buoni o cattivi, forse perché era stata assai rinnovata dall'ultima volta che l'aveva vista. Nei tessuti scuri e nel disegno della carta da parati vantati dalla maggior parte delle stanze era facile scorgere il gusto di Hailey, e in effetti Nell percepiva la presenza della sorella in maniera quasi opprimente. Non si aspettava di sentirsi così a disagio, e ciò, insieme a tutto il resto, alla fine la indusse a uscire di casa. L'abitazione dei Gallagher era situata su una proprietà che una volta, molto tempo prima, era stata una fiorente piantagione di canna da zucchero. Con il passare degli anni parte della terra era stata venduta e l'attività agricola nella tenuta rimasta alla famiglia veniva svolta da contadini affittuari, che perlopiù coltivavano soia e patate dolci. Negli ultimi venticinque anni la ricchezza familiare era stata costituita dalle entrate dei fittavoli e dalle fortunate speculazioni di Adam Gallagher nel mercato azionario. C'era quasi sempre stato abbastanza denaro, e spesso più che abbastanza, per vivere in modo confortevole. Lei e Hailey da bambine avevano posseduto cavalli e, per il loro diciassettesimo compleanno, avevano ricevuto in regalo dal padre splendide automobili, da utilizzare però sotto stretta sorveglianza tanto che le chiavi in genere le teneva Adam. Secondo l'inventario fornito a Nell dall'avvocato di famiglia, i cavalli e le auto non c'erano più da tempo; la vecchia Lincoln di Adam Gallagher era l'unico veicolo rimasto, ed era parcheggiata da un rivenditore di Silence in attesa di essere venduta. Anche altre cose avrebbero dovuto essere vendute. Nell non aveva idea di cosa sarebbe rimasto al momento in cui debiti e tasse fossero stati paga-
ti, e non se ne dava molto pensiero. Non era tornata a casa sperando di trarre vantaggio dalla morte di suo padre, dopo tutto. Si allontanò a piedi dalla casa senza guardarsi indietro, lasciando che fosse l'istinto o il subconscio a scegliere tra le tante tracce di sentieri nel bosco. C'erano probabilmente due ettari o più di foresta che separavano la casa dei Gallagher dalle fattorie e dagli allevamenti circostanti; la volta del fogliame creava un fresco, oscuro rifugio dove Nell aveva trascorso molte ore dell'infanzia, specie durante le calde e umide estati. Adesso non sembrava proprio così pacifico come era parso allora. Nell continuò a camminare, nonostante avvertisse un senso d'inquietudine fin troppo familiare per ignorarlo. Si fermò diverse volte, guardandosi intorno con uno sguardo indagatore, ma non vide altro che l'immoto sottobosco verde, in parte ancora bagnato dai temporali della notte precedente. Quella percezione le era appena affiorata alla coscienza quando udì il profondo, rollante rimbombo di un tuono. Sbatté le palpebre, e da un istante all'altro la scena intorno a lei mutò bruscamente. Era notte, non giorno, e infuriava il temporale. Sentiva la pioggia sferzata dal vento pungerle la pelle, perfino accecarla momentaneamente finché riuscì a voltare la schiena contro la sua violenza. Si asciugò gli occhi e sbatté le palpebre, cercando di vedere, nel bagliore dei fulmini, ciò che era destinata a vedere. Una figura con indosso una scura cerata si muoveva lungo un sentiero divergente da quello su cui si trovava lei. Pensò che fosse un uomo ma non poteva esserne certa; la cerata aveva un cappuccio che ne copriva la testa, e dato che si stava allontanando in senso obliquo, la faccia non era visibile. Il corpo che portava in spalla era invece molto visibile. Era una donna, Nell era sicura di questo. Le braccia nude ciondolavano, e i lunghi capelli bagnati ondeggiavano. Sembrava avvolta in un lenzuolo o in un telo chiaro bagnato che le aderiva alla pelle, ed era inerte. «Nell?» Ignorando quel richiamo, Nell tentò di muoversi, di seguirlo e scoprire dove stesse andando. Stava per seppellire la vittima di un omicidio? Stava trasportando una donna incosciente nel profondo della foresta per... farne ciò che voleva? Chi era lui? Chi era la donna? Cercò di seguirlo, ma qualcosa le si avvinghiò, la fermò, e quando abbassò lo sguardo vide dei grossi viticci attorcigliati intorno ai suoi polsi, che la tenevano immobile. Riuscì a sollevare leggermente le braccia, le dita contratte a pugno per lo sforzo, ma i rampicanti la bloccavano.
«Nell!» Guardò rapidamente attraverso la pioggia sferzante, cercando almeno di vedere quale direzione prendeva la figura ammantata. Ma il folto sottobosco agitato dal vento era così sconvolto e squassato dalla pioggia intensa e dai brillanti bagliori dei fulmini che adesso non riusciva a scorgerlo. Lui era scomparso... «Nell!» Sbatté le palpebre. Il giorno era tornato. La tempesta scomparsa. Niente pioggia, nessun tuono o fulmine, né Vento. E i viticci che le serravano i polsi erano due mani forti. Alzò lo sguardo per scoprire Max che la guardava accigliato, e per un attimo pensò ironicamente che l'universo aveva un bizzarro senso dell'umorismo. O era così, oppure era deciso a tormentarla. «Sto bene» disse, sgomentata dal tremito nella propria voce. «Puoi lasciarmi ora.» «Non ne sono così sicuro.» Se possibile, il suo cipiglio si intensificò. «Che diavolo è successo, Nell? Eri lontana un milione di chilometri.» Fu tentata di dirgli che era stata molto più lontana di quanto i chilometri potessero mai misurare, e invece rispose: «Sognavo a occhi aperti, tutto qui.» E immediatamente si mise sulla difensiva. «Che cosa ci fai tu quaggiù?» «Ero uscito a cavalcare e ho sentito qualcosa» disse lui, senza scusarsi per il fatto di trovarsi sulla terra dei Gallagher e non sulla propria. Sembrò rendersi conto per la prima volta che la teneva per i polsi e bruscamente mollò la presa. «Sentito cosa?» chiese Nell, più scossa di quanto volesse ammettere. Si massaggiò i polsi meccanicamente e notò la presenza di un grosso baio castrato che se ne stava paziente legato a qualche metro di distanza. «La tua voce. Hai gridato.» «Cosa ho gridato?» domandò lei, riluttante ma bisognosa di saperlo. «No. L'hai detto ancora un paio di volte prima che ti raggiungessi, poi sei ammutolita. Sogno a occhi aperti? Non propinarmi queste sciocchezze, Nell. Sembrava che qualcosa o qualcuno ti stesse facendo del male, ed eri bianca come un lenzuolo. Sei ancora bianca, quanto a questo.» Scegliendo con cura le parole, Nell disse: «Faccio sogni a occhi aperti molto... vividi. Ma, come puoi vedere, nessuno mi sta facendo del male. Nessuno mi sta importunando. Sono perfettamente a posto. Apprezzo la tua sollecitudine, ma sto bene.»
«Davvero? E che dire di quello?» indicò il cerotto sul suo sopracciglio destro. Nell scrollò le spalle. «Non ho ancora riacquistato... familiarità con la casa, e ho sbattuto contro un armadietto mentre non guardavo. È solo un graffio.» Adesso Max non era aggrondato, ma il suo sguardo era fisso in modo sconcertante. «Sta ancora succedendo, non è vero?» «Non so cosa intendi.» «Gli svenimenti. Hai avuto un blackout, è così che ti sei fatta male.» Lei quasi lo negò ma alla fine scrollò di nuovo le spalle e adottò un tono ironicamente liquidatorio. «Ognuno ha i suoi guai. Io svengo di tanto in tanto, tutto qui.» «Hai mai scoperto che cosa lo provochi?» «Stress, dicono i dottori. Credo che tornare qui sia stato più stressante di quanto mi rendessi conto.» «È questo ciò che è successo qui, adesso?» Scosse la testa prima che lei potesse replicare, e si rispose da solo. «No, tu non eri incosciente. I tuoi occhi erano spalancati. Ma le pupille erano dilatate, e ho avuto la sensazione... che tu fossi da qualche altra parte.» «Ovviamente non ero da qualche altra parte. Ero proprio qui.» Nell non sapeva bene perché si ostinava a restare aggrappata alla finzione che in lei fosse tutto a posto, normale. Se non le aveva dimenticate, Max conosceva cose che nessun altro a Silence sapeva di lei. Ma fintanto che non l'avesse ammesso, non sarebbe stata lei a ricordarglielo. Lui quasi annuì, come se si aspettasse il diniego, ma disse: «Sì, tu eri qui. Perché, Nell? Con tutto quello che devi fare a casa, cosa ti ha portato qui fuori?» «Volevo andare a fare una passeggiata, semplice.» Di nuovo, si mise sulla difensiva. «Che ti prende, Max? Questa è ancora terra dei Gallagher, e ho tutto il diritto di passeggiarci sopra. Non te l'ho ancora venduta.» Lui serrò la bocca. «Nel caso avessi dimenticato cosa ti ha raccontato ieri Shelby, ultimamente qui intorno delle persone sono morte. Non è particolarmente sicuro andarsene in giro da sola nei boschi.» «Secondo quanto avete detto tu e Shelby sono morti degli uomini. Non delle donne.» «Finora. Ma non c'è motivo di sfidare la fortuna, Nell.» «Posso badare a me stessa.» «Davvero?» Lui fece una breve risata. «Tu non eri cosciente quando so-
no arrivato qui. Chiunque avrebbe potuto avvicinarsi e... farti qualunque cosa.» «Io sto bene, e posso badare a me stessa» insistette Nell facendo un passo indietro per accentuare quell'indipendenza. «Non voglio privarti della tua cavalcata, Max.» Per un istante lui sembrò voler discutere, ma poi imprecando sottovoce si accinse a rimontare a cavallo. Raccolse le redini e fece voltare l'animale verso la sua proprietà, ma prima di allontanarsi si fermò a pronunciare un ultimo, perentorio avvertimento. «Stai attenta, Nell. Chiunque abbia ucciso quegli uomini sembra intenzionato a scoperchiare dei segreti. E sappiamo entrambi che tu hai una montagna di segreti da proteggere.» Lei non si mosse né disse nulla, si limitò a osservarlo allontanarsi a cavallo finché la foresta lo inghiottì. Il suo arrivo era stato fortuito come sembrava? E che dire della visione che aveva interrotto? Lei aveva forse visto la scena di un omicidio, lì, nel bosco, o qualcosa di altrettanto malvagio? Chi era l'uomo, e la donna? Nell restò dov'era per parecchi minuti, guardandosi intorno, cercando qualche segno che potesse rispondere alle sue domande. Ma la foresta adesso era tranquilla e non rivelava nulla, e la peculiare porta nella sua mente rifiutava di aprirsi. Fantastico. Proprio fantastico. L'universo era disposto a offrirle un'apparizione fugace, ma nessun vero aiuto. Come al solito. Sospirando, Nell si guardò intorno ancora una volta e soltanto allora realizzò dove si trovava. Dodici anni avevano cambiato ogni cosa, così forse era per questo che non l'aveva riconosciuto subito. La grande quercia non sembrava poi tanto diversa; una dozzina d'anni nella vita di un albero simile erano un tempo quasi irrilevante. C'erano rampicanti intrecciati intorno al tronco che prima non esistevano, rampicanti che Nell dovette scostare per trovare il cuore rozzamente inciso con le loro iniziali. Lui l'aveva sorpresa qui un giorno d'autunno di tanto tempo fa, mentre incideva le sue speranze sull'albero con un temperino arrugginito, e dopo non era più servito a molto fingere. Nell osservò le proprie dita seguire le lettere NG e MT, poi sospirò e lasciò che i rampicanti le nascondessero di nuovo. E solo allora riconobbe i rampicanti.
Edera velenosa. Non poté fare a meno di ridere, anche se in modo triste. L'universo, pensò, era indubbiamente deciso a tormentarla. Si voltò e si fece strada attraverso il bosco verso casa, sperando di lavarsi via dalle mani l'umore della pianta prima che la sua mancanza di cautela si risolvesse in un esantema. Un brutto esantema. 3 Ethan Cole alzò gli occhi dalla scrivania evitando a malapena di corrugare la fronte alla vista del sindaco di Silence. Come lui, anche lei non amava l'interfono; diversamente da lui, non amava nemmeno il telefono e così tendeva a presentarsi senza alcun preavviso. Un piccolo preavviso gli sarebbe servito. «Ethan, ci sono novità riguardo alla morte di George Caldwell?» domandò lei senza preamboli. Lo sceriffo fece un simbolico tentativo di alzarsi, in gran parte sprecato dato che lei sprofondò immediatamente in una poltrona per gli ospiti, poi si rimise seduto e fece mostra di estrarre una cartelletta da una pila di rapporti e di studiarne preoccupato il contenuto. «Be', no, Casey, non vedo nulla che tu non conosca già. E se mi avessi telefonato avrei potuto dirtelo e risparmiarti il viaggio.» Il sindaco Lattimore scrollò le spalle, fissandolo in viso con i suoi occhi azzurri. «Stavo venendo da queste parti e ho pensato di fare un salto. Ethan, ho ricevuto Una dozzina di telefonate oggi, e non ho dato risposta a nessuna delle domande che mi hanno fatto.» «Quali domande?» «Quello che ti aspetteresti. Che cosa sta succedendo? Perché noi non riusciamo a scoprire chi ha ucciso George Caldwell e gli altri e a fermarlo?» Ethan s'irrigidì. «Anche supponendo che tutti e quattro siano stati uccisi, chi dice che sia stata la stessa persona?» «Gesù, Ethan, non vorrai suggerire che abbiamo quattro diversi assassini in giro per Silence.» «Potrebbe essere il minore dei mali possibili» disse lui con un sospiro. «Ci serve solo che si cominci a parlare di un serial killer per gettare nel panico il paese, questo è maledettamente sicuro.» «Forse siamo già nel panico» osservò il sindaco. «La gente ha paura,
puoi sentirlo dalle loro voci.» «Lo so.» «Allora che cosa devo dire?» Irritato, Ethan rispose: «Digli di chiudere a chiave la porta la notte, di fare attenzione, e di badare ai fatti loro.» «E cosa dico agli elettori quando mi chiedono perché abbiamo dei pubblici ufficiali che non stanno facendo il lavoro per cui sono stati nominati?» «Digli che stiamo facendo il nostro lavoro maledettamente bene. Guarda, Casey, non so cos'altro dirti. I miei agenti si stanno dannando per riuscire a risolvere questa faccenda. Io non ho preso un giorno libero da gennaio, e il mio fondo per gli straordinari è volato fuori dalla finestra mesi fa. Lavoriamo alle indagini, e questo è tutto ciò che possiamo fare. Se qualcun altro ha un suggerimento utile, sarei contento di sentirlo.» «Non hai ancora un sospetto nemmeno per uno degli omicidi?» Lui esitò, poi disse: «Ho interrogato Max Tanner per le morti di Ferrier e Patterson.» Lei sollevò un sopracciglio. «Dalle ultime che sapevo, tu eri convinto che l'annegamento di Luke Ferrier fosse un suicidio o un incidente.» «Sono venute alla luce alcune cose che rendono l'omicidio almeno altrettanto probabile di un incidente.» «Capisco. E qual è il collegamento con Max Tanner?» Ethan non era tenuto a spiegare il suo parere o le sue indagini al sindaco, non direttamente a ogni modo, ma aveva imparato che quando Casey Lattimore faceva delle domande si aspettava risposte. E poteva essere una rompiscatole di prima categoria finché non le otteneva. Così, con riluttanza, rispose: «Pare che Ferrier avesse preso in prestito dei soldi da Max qualche settimana prima di morire.» «Questo l'hai saputo da Max?» «No. Da qualcuno che ha sentito Max dire a Ferrier che voleva l'immediata restituzione del prestito.» Il sindaco si accigliò. «Correggimi se sbaglio, ma uccidere Ferrier non sarebbe stato un modo stupido di ottenere la restituzione di un prestito?» «Max ha un caratteraccio, lo sanno tutti. Potrebbe averlo fatto istintivamente.» «Spingendo l'auto di Ferrier dentro un canale? Questa teoria non sarebbe più sensata se qualcuno avesse picchiato a morte Ferrier piuttosto che cercare di annegarlo? Intendo dire, se sospetti Max dell'omicidio?»
Ethan odiava le donne logiche. «Ho detto che ho interrogato Max, non che lo considero un sicuro sospetto.» Senza commentare il suo tono burbero, lei disse semplicemente: «E la morte di Patterson? Cosa ti fa sospettare che Max sia coinvolto?» «Sappiamo che l'assassino è rimasto per un po' fuori dalla finestra di quel bagno prima di far cadere dentro il filo elettrico, e abbiamo trovato l'impronta di una scarpa. Il modello e la misura combaciano con gli stivali che Max indossa di solito.» «Desumo che avete controllato gli stivali di Max?» «Sì.» «E...?» «E niente. Solo dall'impronta non possiamo provare che ci fosse lui fuori da quella finestra.» «Cos'altro avete?» «Non molto» ammise Ethan. Piuttosto che interrogarlo ulteriormente su quel punto, lei si limitò a sospirare e disse: «Suppongo che tu sia ancora contrario a far intervenire un aiuto esterno?» Lui serrò la mascella. «È così. Questi sono omicidi per rancore, e ciò significa che tutte le risposte stanno proprio qui a Silence. Che ci sia un unico assassino o più di uno, nessun estraneo potrà far meglio o più in fretta di noi nel mettere insieme i pezzi.» «Sono passati otto mesi, Ethan.» Lo sceriffo fece un profondo respiro e disse con calma: «E le prime quarantottore dopo un omicidio sono cruciali. Sì, Casey, lo so. So anche che ti senti qualificata a giudicare le indagini perché l'anno passato hai fatto un corso all'FBI.» «Questo non è...» «Non sto dicendo che non sia stata una cosa intelligente. Un sindaco dovrebbe sentirsi qualificato a sovrintendere quasi a ogni aspetto dell'amministrazione cittadina. Ma l'esercizio della legge è un settore specifico, e difficilmente un corso di Tecniche d'investigazione criminale può sostituire quindici anni di esperienza sul campo.» Benché sapesse benissimo che lui la stava volutamente spingendo sulla difensiva, Casey Lattimore replicò: «Io non ho mai preteso di essere un'esperta, Ethan. E certamente non sto cercando di dirti come fare il tuo lavoro.» «Questo lo apprezzo, Casey.»
Il sindaco si alzò in piedi, aggiungendo in tono mellifluo: «Ma a giudicare dalle telefonate che continuo a ricevere, i cittadini di Silence vogliono fatti, e li vogliono subito. Tuttavia, non possiamo permetterci alcuno sbaglio. Ciò significa che farai meglio a essere maledettamente sicuro delle tue prove prima di puntare i riflettori su chiunque.» Perfino su Max Tanner. Non aggiunse quest'ultima frase ad alta voce. Non aveva bisogno di farlo. «Non ti preoccupare» disse lo sceriffo. «Conosco il mio lavoro.» Invece di convenirne con lui, lei disse semplicemente: «Tienimi informata, vuoi? Il consiglio comunale è sotto pressione quanto noi, Ethan; agli elettori non piacerà pensare che ce ne stiamo tutti con le mani in mano.» «Intendi dire che potrebbero agire?» Il sindaco mantenne il tono mite. «I pubblici ufficiali eletti non possono permettersi di non fare nulla a lungo, questo lo sai.» Non attese una replica e si diresse verso la porta, girando a metà il capo per aggiungere: «Ne riparleremo, ne sono sicura.» «Sì» convenne lo sceriffo. «Sono certo di sì.» Giovedì 23 marzo Nel girovagare per il centro di Silence quella mattina Nell scoprì che la maggior parte della gente aveva dimenticato i vecchi scandali e problemi. La maggior parte. C'erano, in effetti, parecchi nuovi arrivati nella zona, specie da quando la recente autostrada aveva portato un traffico più intenso ai confini della cittadina. Solo nell'area del centro contò una dozzina di nuove attività commerciali, perlopiù del genere prevedibile, come boutique di vestiario e negozi di oggettistica. Tutti godevano di un animato traffico pedonale. C'era anche, notò, una presenza di polizia insolitamente forte in paese. Contò tre diverse volanti di pattuglia, come anche un paio di agenti che percorrevano i marciapiedi. Nell aveva diverse ragioni per essere in paese. Doveva vedere l'avvocato di famiglia per firmare vari documenti; fece visita a un perito assicurativo per farsi segnalare degli esperti cui far valutare alcuni mobili e oggetti d'arte della casa; e trascorse un po' di tempo sia alla biblioteca che al palazzo di giustizia. Era passata l'ora di pranzo quando Nell uscì dal tribunale, e dopo un'occhiata all'orologio, scelse un caffè del centro e si trovò un séparé piuttosto
isolato sul retro. Fortunatamente la cameriera era poco curiosa, il cibo buono, e Nell si gustò una tranquilla mezz'ora sola con i suoi pensieri. «Wade Keever dice che hai rifiutato la mia offerta.» Alzò lo sguardo per scoprire Max che la guardava scontento. Si rilassò e sorseggiò il caffè per concedersi un istante, poi disse: «Parla a sproposito. Io ho detto che l'avrei presa in considerazione, tutto qui. Semplicemente non ho ancora deciso in merito.» «È un'offerta equa. Non ne otterrai una migliore, Nell, non per quella terra.» «Questo lo so.» «Allora perché l'esitazione?» Lei lanciò un'occhiata in giro, grata che la maggior parte del caffè fosse deserta e nessuno sembrasse prestare attenzione a loro. Tuttavia, mantenne la voce bassa. «Te l'ho detto. Non sono così sicura di voler vendere.» Max s'infilò nel séparé, di fronte a lei. «Perché no?» Nell non sprecò tempo o energia a commentare i suoi modi. «Perché non sono sicura. Senti, Max, so che vuoi quella terra e so che vuoi che me ne vada. Ma forse non sono poi così impaziente di tagliare i miei ultimi legami con questo posto. Non devi preoccuparti, comunque; non venderò la terra a nessun altro. Confina con la tua proprietà, e avrai il diritto di prelazione. Se decido di venderla.» Invece di obiettare o protestare, Max cambiò bruscamente argomento. «Qualche altro blackout?» Nell scosse la testa. «E che mi dici di... quell'episodio nel bosco? È successo di nuovo?» «Non è successo nulla, Max.» «Non propinarmi la storiella del sogno a occhi aperti, Nell. Credi che non ricordi quello che ti capitava? Le visioni?» Con uno sforzo, lei racimolò un sorriso ironico. «Speravo quasi che l'avessi dimenticato.» «Ti succede ancora, non è vero? Proprio come per i blackout.» «Pensavi che sarebbe cessato? Che alla fine l'avrei superato?» Nell non poté fare a meno di ridere, ma non fu certo un suono divertito. «Le maledizioni ti accompagnano per tutta la vita, Max, non lo sapevi?» «La chiamavi così. La maledizione dei Gallagher.» «Sembra che quasi tutte le famiglie abbiano qualcosa. Cugini che non possono andare d'accordo. Alterchi sulla proprietà. Problemi di salute. Una moglie pazza chiusa a chiave in soffitta. Noi abbiamo una maledizione.»
«Non mi hai mai detto chi altro l'avesse nella tua famiglia.» Nell scosse la testa, rammentando a se stessa che era fin troppo facile confidarsi con certe persone. Con lui. «Non importa. Per rispondere alla tua domanda, sì, mi succede ancora. Vedo cose che non ci sono. Sento perfino delle voci, talvolta. Così se vuoi provare che sono incapace di prendere decisioni sulla tenuta, potresti offrire al giudice almeno qualcosa su cui riflettere.» Lui serrò la bocca. «Non si tratta certamente di questo, maledizione.» «No?» «No.» Nell scrollò le spalle ma mantenne lo sguardo fisso sul suo viso. «Be', dovrai perdonarmi se sono un tantino suscettibile sull'argomento. Keever è stato abbastanza indiscreto da lasciar intendere che qualcuno aveva messo in dubbio la mia idoneità a ereditare la proprietà.» «Qualcuno? Non ha detto chi?» «Non è stato indiscreto a tal punto.» Max si accigliò. «Hailey è stata diseredata, e da quello che ho sentito non c'erano scappatoie in quella parte del testamento. Vero?» «Vero, almeno da un punto di vista legale. Dunque sono l'unica erede.» «Potrebbe essere stata Hailey?» «Sicuro.» «Ma tu non credi che sia così?» Nell scrollò di nuovo le spalle. «Penso che non sia da lei tramare nell'ombra se vuole battersi per questo, ma forse è cambiata in una dozzina d'anni.» «Ma se non è lei, senza nessun Gallagher rimasto a Silence, chi trarrebbe beneficio se tu fossi dichiarata incapace o ti venisse negata la possibilità di ereditare?» «Per quanto ne so... nessuno.» Il suo tono fu cauto. «Eccetto qualcuno che potrebbe voler comprare della terra che tu non vuoi vendere? Gesù, Nell, avrei creduto che mi conoscessi abbastanza bene da sapere che non è il mio modo di fare.» «Fino a questa settimana, non ti avevo visto né parlato da dodici anni, Max.» «E di chi è la colpa?» domandò lui rudemente. Per la prima volta, Nell evitò i suoi occhi scuri, fissando la tazza di caffè semivuota davanti a sé. Ignorando la domanda sospesa nell'aria tra loro, disse pacatamente: «Quanto si può essere buoni giudici a diciassette anni?
Io pensavo di conoscere un mucchio di cose allora. E un mucchio di persone. Per la maggior parte mi sbagliavo.» «Nell...» Non voleva rispondere alla domanda che lui intendeva farle, non qui e non ora, così lo interruppe. «Ti farò sapere riguardo alla terra se e quando deciderò, Nel frattempo, non penso che ci sia altro di cui parlare, e tu?» Si assicurò che la sua voce fosse del tutto indifferente. Max s'irrigidì visibilmente, poi scivolò fuori dal séparé senza una parola e uscì a passo deciso dal caffè. Dietro Nell, una voce sommessa e leggermente divertita mormorò: «Sembra che tu sappia ancora come premere tutti i suoi tasti.» Lei raccolse la tazza e sorseggiò il caffè quasi freddo, scandagliando la stanza per accertarsi che nessuno la notasse parlare con qualcuno del séparé accanto senza guardarlo. Mantenne la voce sommessa come quella di lui. «Il carattere facilmente irritabile è sempre stato il suo tallone d'Achille.» «Una piccola ma fatale debolezza? Speriamo di no.» «Tu hai una mente così prosaica.» Lui ridacchiò. «Sì, me l'hanno già detto. Il mio unico difetto. A proposito, lo sapevi che Tanner ti ha seguito per il paese tutta la mattina?» «Ne ero quasi certa.» «Qualche idea del perché? Voglio dire, a parte l'eventualità più ovvia?» «Forse è sospettoso.» «Di te? Perché dovrebbe esserlo?» «Non lo so.» «Mmm. Sei ancora sicura su di lui?» Nell fece un lungo respiro. «Devo iniziare con una certezza. Questa è la mia certezza.» «D'accordo. Allora mi atterrò al piano.» «Fallo. Oh... sei stato giù alla casa?» «Ho controllato quel posto nel bosco di cui mi hai parlato, ma non ho trovato nulla. Non mi sono avvicinato alla casa, però. Perché?» Lei esitò, ma solo per un attimo. «Probabilmente non è nulla. Ho solo avuto la sensazione che ogni tanto qualcuno mi stesse osservando.» E stesse chiamando il mio nome. «Dentro casa?» «Forse attraverso una finestra, non lo so.» «Merda. Non mi piace.»
«Guarda, magari è soltanto la mia immaginazione.» «Sappiamo entrambi che tu non immagini le cose.» «Non sono mai tornata a casa prima. E dodici anni sono un tempo molto lungo. Probabilmente è soltanto questo.» «Oppure fantasmi, forse?» «Oh, diavolo, non nominarli nemmeno i fantasmi. Ho proprio bisogno di un altro motivo per non dormire la notte.» Dopo un istante, e con tono insolitamente gentile, lui disse: «È già abbastanza brutto essere catapultati nel mezzo di una situazione come questa senza doversi trascinare dietro anche il proprio bagaglio. Può diventare... davvero facile perdere la prospettiva. Se è troppo dura per te, dillo semplicemente.» «Io sto bene.» «Cerca di esserne davvero sicura, Nell. La posta in gioco è alta. Sono morte delle persone, qui attorno, ricordi?» «È una cosa che difficilmente potrei scordare.» Posò la tazza, lasciò sul tavolo una mancia per la cameriera, e si preparò a sgusciar fuori dal séparé. «Solo non farmi fretta, d'accordo?» «Ricevuto.» Nell non si guardò indietro né mostrò alcun interesse per l'altro séparé, camminò semplicemente fino al bancone per pagare il conto e uscì dal caffè. Justin Byers non aveva faticato troppo a inserirsi da quando era venuto a Silence un paio di mesi prima. Gli erano sempre piaciuti i piccoli paesi, preferendoli alle città ogni volta che c'era da fare una scelta, e così si sentiva perfettamente a suo agio lì. E le sue mansioni come detective della Divisione investigativa criminale del dipartimento dello sceriffo erano sia familiari che avvincenti, specie in quei giorni. Ma il motivo principale per cui gli piaceva il paese andava sotto il nome di Lauren Champagne. Agente Lauren Champagne. Justin non era mai stato incline a certe fantasie, almeno non più del maschio medio, ma aveva scoperto che il suo subconscio aveva un'idea tutta sua. Di fatto si stava svegliando ogni mattina in un groviglio di lenzuola con il cuore che martellava e la sconcertante percezione che i suoi sogni non fossero stati del tutto... innocenti. Il che rendeva maledettamente difficile essere disinvolto e professionale quando incontrava Lauren nel corso della giornata.
«Ciao, Justin» lo salutò lei con naturalezza quando s'incontrarono davanti al tribunale giovedì pomeriggio. «Ciao, Lauren.» Soppresse frettolosamente una fugace immagine di morbida carne nuda e si sforzò di essere professionale. «Dov'è Kyle?» «Dentro. Avevamo un po' di lavoro d'ufficio per il cancelliere del tribunale.» Scrollò le spalle. «Di cosa ti stai occupando?» «Sto ancora dietro alle informazioni finanziarie su George Caldwell. Lo sai, per un distinto, onesto banchiere, le sue finanze erano di sicuro intricate.» Lauren sorrise ironicamente, gli occhi scuri seri. «Non è forse la norma in questi omicidi?» «Sì, sembra sempre che ci sia dietro un pasticcio. Però non ci siamo ancora imbattuti in nessuno dei vizi segreti di George.» «Pensi che lo scoprirai?» Quasi senza aspettarselo, lui si trovò a replicare: «Be', diciamo solo che alcune cose mi lasciano perplesso. Queste documentazioni finanziarie, per cominciare. Non sono ancora stato in grado di rintracciarle tutte. Quanto ai suoi conti personali nella banca dove lavorava, su almeno uno ci sono stati dei versamenti regolari senza alcuna spiegazione di dove provenissero. Non si trattava di stipendio o gratifiche, e finora non sembra una rendita da investimento.» «Forse sua moglie lo sa.» «Forse, ma ho avuto ordini di non infastidirla.» Corrugando la fronte, Lauren disse: «Ordini dello sceriffo?» «Sì,» «Be'» fece lei dopo un istante «sono sicura che ha i suoi motivi.» A Justin non andava bene che lo sceriffo avesse i suoi motivi ma rammentò a se stesso che Lauren era qui da più tempo di lui e forse non voleva mostrarsi sleale nei confronti di Ethan Cole, così si limitò a dire: «Sta rendendo le cose un tantino difficili, tutto qui. Caldwell sapeva come maneggiare il denaro, e questo include come nasconderlo.» «Per evitare di pagare le tasse, pensi?» «Forse. O per metterne via una parte in caso lui e Sue alla fine avessero deciso di divorziare. Quello che lei non riusciva a trovare, lui non avrebbe dovuto dividerlo.» «Non così insolito per un uomo che stia contemplando l'idea del divorzio.» «No» convenne Justin. «Ma sarebbe bello sapere con certezza se il mo-
tivo era questo.» Lauren annuì ma non commentò, dato che il suo compagno, Kyle Venable, li raggiunse dicendo seccamente: «Abbiamo un paio di mandati da eseguire. Non è divertente?» «Uno spasso» concordò lei nello stesso tono. «Justin, buona fortuna con la tua indagine.» «Grazie. Ci vediamo, Lauren. Kyle.» «Saremo in giro» gli disse scherzosamente Kyle, poi seguì la sua alta e appariscente compagna verso la volante. Justin li osservò, be', osservò Lauren, finché entrarono nell'auto e si allontanarono, dopodiché proseguì per la sua strada. Passò quasi un'ora in tribunale a controllare registrazioni di proprietà, poi fece una terza visita alla banca di cui George Caldwell era stato vicepresidente. Nel momento in cui uscì e si diresse di nuovo verso il dipartimento dello sceriffo, si sentiva un bel po' frustrato. Non che fosse stato deliberatamente ostacolato, per la verità; trattandosi di un chiaro caso di omicidio, il giudice non aveva esitato a ordinare alla banca di rendere i suoi archivi accessibili per l'indagine. Il problema era che i documenti della banca sembravano puliti. Era la documentazione finanziaria personale di Caldwell a sembrare sospetta, ma non c'era niente di solido che potesse giustificare quel prurito alla nuca che diceva a Justin di continuare a scavare. Semplicemente lo sapeva, dannazione. Sapeva che nella storia c'era più di quanto fosse venuto alla luce finora. Il problema era come accidenti scoprirlo. Lo sceriffo avrebbe potuto rendergli le cose più semplici, invece gli aveva praticamente legato le mani e, anche se lo desiderava, non era una cosa di cui intendeva lamentarsi. Si stava muovendo con cautela con lo sceriffo, del tutto consapevole che questi non si fidava veramente di lui e inoltre stava nascondendo qualcosa. O cercava di farlo. Quella era un'altra cosa che Justin sapeva ma non poteva provare. E non era poi così sicuro di volerla provare, tutto considerato. Ma non aveva molta scelta. Non proprio impaziente di tornare alla base prima di quanto dovesse, lungo la strada si fermò per una tazza di caffè decente al bar del centro. Si sedette da solo a un tavolo sul davanti e fissò meditabondo il traffico che passava. Un paesino così carino.
«Salve, detective Byers...» Una delle giovani cameriere con cui aveva parlato forse un paio di volte stava in piedi accanto al suo tavolo con una busta in mano. «Hanno lasciato questa per lei.» Gliela passò. Il suo nome era scritto a stampatello; soltanto il nome, niente che lo identificasse come un poliziotto. Per qualche ragione questo lo infastidì. «Chi l'ha lasciata, Emily?» Lei scrollò le spalle e fece schioccare la gomma da masticare. «Non so. Vinny l'ha trovata sul bancone e mi ha detto di portargliela. Forse qualcuno che immaginava che sarebbe passato di qui. In genere lei lo fa, quasi ogni pomeriggio.» «Sì. Grazie, Emily.» «Prego.» Mentre lei si allontanava, Justin prese nota mentalmente di smetterla di essere così maledettamente prevedibile, poi fissò la busta, rigirandola tra le mani. La solita busta di tipo commerciale, trattata per sicurezza in modo che il contenuto non fosse facilmente visibile, almeno attraverso la carta. Ma ciò che conteneva aveva chiaramente forma e volume, qualcosa come un taccuino a giudicare dal tatto. La busta era stata maneggiata da tante di quelle persone che sapeva quanto fosse inutile preoccuparsi delle impronte digitali. Quanto a ciò che c'era dentro... Sprecò un paio di minuti a convincersi che qualcuno gli avesse spedito una cartolina d'auguri in anticipo, be', magari un biglietto di buon compleanno, sospirò, e aprì con cura il lembo sigillato. In effetti era un piccolo taccuino nero, del genere che certe persone si portano dietro in tasca o nella borsetta per annotare numeri di telefono o roba simile. Justin lo maneggiò con cura dai bordi, anche se l'istinto e l'esperienza gli dicevano che la superficie era lucida non a caso e non avrebbe fruttato alcuna impronta digitale. Dentro, una quantità di pagine a righe contenenti appunti. Due iniziali in cima a ogni pagina, seguite da un apparente elenco di date e somme di denaro. Le date su ciascun foglio erano a intervalli non inferiori a un mese, con alcuni salti di tre o quattro mesi, e almeno una pagina conteneva soltanto due date, a più di sei mesi di distanza. Lui non era un esperto, ma la calligrafia spigolosa, diversa dallo stampatello sulla busta, sembrava familiare. Somigliava a quella di George Caldwell. Corrugando la fronte, Justin tirò fuori il proprio taccuino e fece un elen-
co accurato di tutte le date, in ordine cronologico. Ne venne fuori una data per quasi ogni mese nell'arco degli ultimi tre anni. E nel confrontare la lista con i precedenti appunti, constatò senza entusiasmo che combaciavano con i ripetuti depositi in banca di Caldwell. Quei depositi inspiegati. Quelle entrate inspiegate. «Ricatto» mormorò Justin sottovoce. Era possibile. Forse più che possibile. Ciascuno degli uomini morti aveva condotto una doppia vita, una vita segreta, con crimini e peccati rimasti nascosti finché la loro morte aveva svelato quelle oscure verità. Sembrava che qualcuno si fosse spazientito per l'insuccesso di Justin nello scoprire il piccolo sgradevole segreto di George Caldwell e avesse deciso di aiutare l'indagine. Si trattava di un uomo? Oppure di una donna? Una delle vittime del ricatto? L'assassino? Ma nell'uno o nell'altro caso, perché dare il taccuino a lui? Perché passare una prova come quella a un detective che indagava sull'omicidio di George Caldwell? Per garantire giustizia? Oppure per qualche altro? Justin guardò le iniziali che intestavano ogni pagina. Ciascuna, presumibilmente, rappresentava un nome. La maggior parte non gli erano familiari, o almeno non suggerivano nessuno che lui conoscesse. Due coincidevano con nomi che conosceva, o pensava di conoscere. M.T. Max Tanner? Ed E.C. Ethan Cole? «Ah, merda» borbottò 4 Max non aveva programmato di star dietro a Nell tutto il giorno. Davvero non ne aveva intenzione. E dopo il freddo congedo al caffè, cercarla di nuovo sarebbe stato l'ultimo dei suoi pensieri. Ma si ritrovò a gironzolare dove poteva osservare la sua Jeep, e quando lei lasciò il paese pochi minuti dopo, la seguì a una discreta distanza finché svoltò nel viale della vecchia casa dei Gallagher. A quel punto era tardo pomeriggio, e lui aveva un mucchio di cose a cui badare al ranch. Ma una volta tornato a casa, pur cercando di concentrarsi sul lavoro, continuava a vagare con la mente. Lo tormentava la sgradevole
sensazione di dover essere da qualche altra parte. Gli era già successo, anni addietro. Un impulso a cui non aveva dato retta; una cosa che avrebbe rimpianto per sempre. Ed era successo di nuovo recentemente quando si era sentito spinto a sellare il cavallo e dirigersi verso la terra dei Gallagher, scoprendo Nell in mezzo al bosco e nel pieno di una di quelle sue "visioni" che la lasciavano spaventosamente vulnerabile. Aveva quasi dimenticato quanto tutto ciò fosse sconvolgente. Lei era fisicamente lì, con gli occhi aperti, il respiro profondo, ma al contempo stava da qualche altra parte. In qualche posto dove nessuno poteva seguirla. E dovunque si trovasse lo sforzo di arrivarci o semplicemente ciò che lei vedeva la lasciavano pallida e tremante. Una volta gli aveva detto, esitante, di non avere alcun controllo su quello che le succedeva né la minima idea della causa, ma ciò che vedeva in quei frangenti era sempre qualcosa che la terrorizzava. Quando l'aveva incalzata per avere dei particolari, tanti anni prima, lei aveva detto soltanto che "certi luoghi ricordano" ciò che vi è accaduto o che vi accadrà. Allora quella spiegazione non aveva avuto senso alcuno per lui. Ancora non ne aveva. Ma qualunque sensazione provasse riguardo alla stranezza di Nell, adesso il suo disagio e la sua ansietà permanevano. C'era qualche posto dove lui doveva essere, e non era al ranch. Al calare di quella mite notte primaverile, l'impulso incessante a essere da qualche altra parte, a fare qualcosa, lo stava portando alla follia. Resistette più a lungo possibile, ma le sensazioni continuarono soltanto a intensificarsi finché non poté più ignorarle. E quando il suo camioncino percorse la curva vicino al viale dei Gallagher, fu solo lievemente sorpreso di vedere la Jeep di Nell che si immetteva sulla strada. Le otto di sera. Dove stava andando? In pochi minuti, divenne evidente che si stava allontanando da Silence; imboccò la nuova autostrada e si diresse a sud, verso New Orleans. Max la seguì con cautela, senza nemmeno darsi la pena di cercare qualche scusa ragionevole per il suo comportamento. Non ce n'era nessuna. Non c'era niente di ragionevole in tutto questo, e lui lo sapeva maledettamente bene. Il traffico non era troppo intenso quel giovedì sera, così Max si tenne indietro più che poteva senza perdere di vista le luci posteriori della Jeep di Nell. E quando lei imboccò una rampa d'uscita a meno di venti chilometri
da Silence quasi non se ne accorse. Costretto a ridurre la distanza tra loro per non perderla di vista nell'oscurità, Max la seguì per diversi chilometri lungo una tortuosa strada di campagna finché lei accostò di fronte a un piccolo motel decisamente squallido dove, recitava l'insegna, le camere si affittavano sia a ore che per tutta la notte. Dato che c'erano soltanto un paio di auto parcheggiate davanti a due cottage, pareva che gli affari non fossero esattamente prosperi. Tutto si sarebbe aspettato Max, tranne questo. Spense le luci e accostò poco oltre la svolta, osservando la Jeep girare intorno all'insegna tremolante dell'ufficio e raggiungere direttamente l'ultimo cottage. Lei parcheggiò sul davanti, scese, e apparentemente usò una chiave per entrare nel cottage numero dieci. Max notò una debole luce accendersi nella stanza. Le tende erano tirate, così era impossibile vedere cosa stesse succedendo lì dentro. Tamburellò con le dita sul volante, preoccupato, poi imprecò sottovoce e fece marcia indietro verso il motel. Parcheggiò di lato a una certa distanza e sgattaiolò verso il cottage, stando attento a non tradire la sua presenza con il minimo rumore. Non abbastanza attento. Udì uno scatto metallico che riconosceva e si fermò di colpo prima ancora di sentire l'acciaio freddo della canna di pistola contro il collo. «Vedi, quello che non capisco è perché tu abbia voluto passare la maggior parte del giorno e della sera a seguirmi dovunque.» Nell si spostò dove poteva vederla ma mantenne l'arma puntata verso di lui. Era una grossa pistola, e lei la impugnava con disinvoltura. «Come sei arrivata qui fuori? Stavo tenendo d'occhio la porta.» Fu tutto ciò che gli riuscì di dire. «La finestra sul retro.» Nell fece un altro passo, poi accennò alla porta del cottage. «Vogliamo entrare?» Max la precedette, un po' timoroso di cosa poteva attenderli nella stanza. All'interno il suo sguardo indagatore incontrò soltanto la camera di un motel economico: l'unico letto sformato nel mezzo accanto a un comodino graffiato, un piccolo televisore imbullonato al logoro cassettone sulla parete di fronte, e la porta del bagno aperta a mostrargli che la minuscola camera era priva di ogni minaccia. Nell chiuse la porta dietro di sé, poi andò ad appoggiarsi contro il cassettone. Reggeva ancora la pistola, anche se non la puntava più verso di lui. «Sentiamo, Max. Perché mi hai seguito tutto il giorno?»
«Vuoi spiegarmi quella pistola?» Lei scrollò le spalle, sorridendo solo un po'. «Una donna sola deve essere prudente. Tocca a te.» «Forse non ho niente di meglio da fare che seguirti.» «Conosco la gestione di un ranch quanto basta per sapere che questa è una bugia. Hai già il tuo bel da fare. Riprovaci, Max.» Non voleva davvero confessare la verità, ma qualcosa negli occhi e nel sorrisetto di Nell lo ammonivano a prendere molto sul serio sia lei sia la pistola che reggeva con tanta indifferenza. «Ero preoccupato» disse infine. «Ho pensato che qualcuno doveva tenerti d'occhio.» «Perché?» «Stanno morendo delle persone, rammenti?» «Una spiegazione non abbastanza buona. Stanno morendo degli uomini, quattro in otto mesi. E anche se i bersagli diventassero donne, cosa ti rende così sicuro che io potrei essere uno di loro? Sono stata via per dodici anni, e sono tornata qui da pochi giorni soltanto per sbrigare qualche piccola faccenda prima di partire di nuovo. Sono solo di passaggio. Dunque perché qualcuno dovrebbe volermi uccidere?» «Hai detto tu stessa che qualcuno aveva messo in dubbio il tuo diritto a ereditare la tenuta.» «Sì, ma nessuno ha impugnato il testamento, che è stato riconosciuto valido. Io erediterò tutto. Così se qualcuno sta dietro a parte della proprietà, non otterrà nulla uccidendomi.» «Questo l'assassino non necessariamente lo sa» fece notare Max. «Ma se ne accerterebbe prima di liberarsi di me. E dato che oggi ho detto del mio testamento a Wade Keever, immagino che la maggior parte di Silence lo saprà, diciamo, entro domani pomeriggio. Anche prima, se stasera qualcuno gli offre da bere.» S'interruppe un momento, gli occhi verdi fissi sul suo viso, poi disse: «Inoltre, non sembra che l'assassino stia agendo per un utile personale. No, quali che siano le tue ragioni per avermi seguito, non includono la preoccupazione per il lascito di mio padre. Così mi piacerebbe sapere quali siano queste ragioni, Max. E sarebbe carino che mi raccontassi la verità.» «Ti ho detto la verità. Ero preoccupato per te.» «Allora dimmi perché.» Lui esitò, poi prese fiato e se ne liberò con asprezza. «Perché tu sei una minaccia per l'assassino, Nell. E non so bene in quanti siano a saperlo.»
Chiunque abbia mai vissuto in un piccolo paese, specie in un piccolo paese del Sud, sarebbe pronto ad ammettere che muoversi furtivamente di notte per qualunque motivo non fosse la cosa più facile del mondo. C'erano tutti quei lampioni stradali, tanto per cominciare, e la gente tendeva a lasciare accese anche le luci delle verande. Benvenuto, vicino. Vieni dentro e uccidimi. Lei scosse la testa mentre, da una zona non troppo illuminata ai margini del centro di Silence, osservava cautamente il traffico, Per un paese nervoso, c'era in giro troppa gente indaffarata in una sera feriale. Natura umana, ovvio. Per quanto potessero sentirsi nervose, in genere le persone semplicemente non si aspettavano mai che le cose davvero brutte capitassero a loro. Finché non succedeva. Udendo dei passi, si ritrasse subito nell'ombra e osservò una coppia di giovani passare oltre, tenendosi per mano. Incuranti di ogni possibile minaccia. Consapevole della pistola infilata dietro la cintola, spostò il peso ed emise un sospiro. Il fatto che finora le vittime erano state soltanto uomini non significava che le donne di questo paese fossero al sicuro, ma nessuno sembrava rendersene conto. Come minimo avrebbe dovuto esserci un coprifuoco... D'improvviso tutti i suoi sensi si acuirono, e s'immobilizzò completamente. In attesa. Il rumore del traffico si era affievolito, e non sentiva più l'odore dei fumi di scarico nella brezza umida. La cruda luminosità dei lampioni stradali sembrò attenuarsi ovunque, eccetto a un isolato di distanza, dove un uomo solitario camminava, le spalle ingobbite e le mani in tasca. Quando passava sotto un lampione, la luce sembrava ravvivarsi come se un faro lo stesso seguendo. Sorrise inconsciamente, lo sguardo fisso su di lui. L'umida brezza adesso le portava l'aroma della sua acqua di colonia. Profumo Polo. Poteva quasi sentire sotto i piedi il debole vibrare del terreno mentre lui camminava. O forse era il battito del suo cuore. L'osservò avanzare verso di lei. Aveva la testa china, ed era profondamente immerso nei suoi pensieri. Ignaro. Senza volere lei scosse la testa. Brutto essere così assorto da renderti vulnerabile. Peggio ancora farlo quando si vive in un paese dove brav'uomini apparentemente rispettabili finiscono all'obitorio. Lanciò un'occhiata circospetta in giro per accertarsi che non ci fosse
nessun altro in zona, e poi attese che lui l'avesse quasi raggiunta prima di sbucare fuori dall'ombra. «Salve» disse. Lui trasalì. «Gesù! Mi ha spaventato a morte.» «Oh, mi dispiace» disse lei in tono dolce, le dita che si chiudevano intorno al calcio della pistola mentre cominciava a estrarla dalla cintura dei jeans. «Non ne avevo certo l'intenzione.» Nell non sembrava allarmata per l'avvertimento di Max. «Perché dovrei essere una minaccia per qualcuno?» «Dimmi una cosa. Che hai visto nel bosco, ieri? Cosa ti ha mostrato la tua visione?» Lei non sbatté le palpebre né distolse lo sguardo, ma passò un lungo istante prima che rispondesse. «Ho visto una notte tempestosa. Un uomo con una cerata che trasportava una donna sulla spalla. Non so chi fosse lui. Non so chi fosse lei. Non so se lei era morta o viva.» «Dunque potrebbe essere l'omicida l'uomo che hai visto.» «Potrebbe. O qualcun altro, che forse stava perfino facendo qualcosa di del tutto innocente.» «Lo pensi davvero?» Sempre senza distogliere lo sguardo dal suo viso, Nell scosse piano la testa. «In realtà no. Qualunque cosa stesse facendo... non c'era nulla di innocente.» «E adesso la grande domanda. Hai visto il passato? O il futuro?» «Non so neanche questo.» «Ancora non riesci a dirlo?» «In genere no. A meno che non ci sia qualcosa nella visione a situarla nel tempo.» «E che mi dici di altri tipi di controllo? Puoi... provocare... una di queste visioni se vuoi?» «Non del tutto. Posso mettermi in un posto dov'è più probabile che avvenga, un posto dove sia successo qualcosa di violento, ma non funziona sempre. Non c'è nessun pulsante che possa premere, Max, nessun interruttore da far scattare quando voglio vedere qualcosa.» «Il che ti rende dannatamente vulnerabile, che lo ammetta o no. Se tu potessi vedere l'assassino, identificarlo, indirizzare su di lui la polizia, allora forse saresti al sicuro. Più al sicuro, a ogni modo. Ma non puoi farlo. E le altre persone non comprendono le tue capacità, Nell. Loro non com-
prendono, e tuttavia parlano. Speculano. Si domandano cosa sia in realtà la maledizione dei Gallagher. Ho sentito almeno tre persone chiedersi ad alta voce se questo inafferrabile assassino abbia una possibilità di nascondersi ora che la nostra strega locale è tornata a casa.» Tranquillamente, lei disse: «Così forse se lo sta chiedendo anche lui.» «Già.» «O forse» suggerì lei «non sa un accidente della maledizione dei Gallagher.» «Lui ne conosce di segreti, Nell, ricordi? Ogni uomo che ha ucciso aveva dei segreti, e quei segreti stanno uscendo fuori. Non ne so molto di assassini, ma questo sembra aver elaborato tutto il suo piano di gioco, e quel piano comprende rivelare gli aspetti oscuri della vita privata della gente. Così, secondo me, tu hai una doppia possibilità di diventare un bersaglio. Perché hai un segreto, e perché quel segreto, quella abilità, è una minaccia per lui.» «Non è affatto un segreto se la gente ne sta parlando.» «È qualcosa che tu cerchi di nascondere, e questo lo rende tale.» «Un... oscuro segreto?» «Alcuni lo chiamerebbero così. Questo paese non è cambiato poi molto, Nell, e la tua famiglia non ha mai fatto nulla per rendere la vostra "maledizione" qualcosa da capire e non da temere. La gente ha paura di quello che non capisce, e c'è chi ancora definisce oscure le capacità sensitive. Perfino maligne.» «Ed è per questo che mi chiamano strega.» «Sì, qualcuno lo fa.» Lei fece un bel respiro. «Ed è per questo che tu mi stavi seguendo? Perché credi che le mie potenzialità mi rendano un bersaglio?» «Sì.» Sorrise pallidamente. «Certo, io non sapevo che avessi una pistola. Suppongo che tu sappia come usarla?» «Sì, lo so.» Lei girò leggermente la testa, guardando verso la porta con lieve cipiglio. «Loro ci insegnano come farlo.» «Loro? Chi sono loro?» Prima che Nell potesse rispondere, l'uscio si aprì silenziosamente e Casey Lattimore entrò nella stanza. Chiudendo la porta dietro di sé, il sindaco di Silence disse in tono asciutto a Max: «Loro sono l'FBI. L'accademia di addestramento per gli agenti è a Quantico. Giusto, Nell?» «Giusto.»
«L'anno scorso» disse Casey Lattimore seduta sull'unica poltrona della stanza «alcune settimane dopo la morte di Peter Lynch, mi sentivo frustrata. Non che qualcuno potesse ritenerlo con certezza un omicidio, non a quel tempo, ma sembrava che nell'indagine non stesse succedendo nulla. Peggio ancora, io non capivo le procedure della polizia. Pensai che fosse necessario farlo.» «Così andò su a Quantico» concluse lentamente Max. «Fece quel corso per le autorità civili.» Era seduto sul letto, piuttosto guardingo. Lei annuì. «Ed è lì che m'imbattei in Nell.» Nell, ancora appoggiata contro il cassettone, disse: «La mia unità opera fuori Quantico, e talvolta, tra un incarico e l'altro, veniamo utilizzati come assistenti in alcuni corsi. Così finii accanto all'istruttore del gruppo di Casey quella settimana. Ci riconoscemmo a vicenda.» «Dopo dodici anni?» chiese Max. Casey disse: «Non dimenticarlo, al liceo ho insegnato a tutti e due. Non montarti la testa, Max, ma alcuni studenti restano davvero più impressi nella memoria di altri. Di te e di Nell mi ricordavo.» Max decise di non chiedere perché. «D'accordo, così riconobbe Nell. E poi?» «Be', non successe molto allora. Andammo a pranzo insieme un paio di volte. Chiacchierammo un po' di Silence. Raccontai a Nell delle mie preoccupazioni riguardo a quella morte recente che sembrava così difficile da risolvere per il nostro sceriffo e i suoi uomini.» «Ma non c'era molto su cui procedere» prosegui Nell «specialmente da lontano. Così non c'era proprio nulla che potessi fare, nemmeno offrire un suggerimento utile. Casey terminò il suo corso, e ci salutammo. Poi, un paio di mesi fa, lei mi chiamò. A quel punto, tre uomini erano morti, e la singolare svolta a proposito dei peccati che venivano poi alla luce sembrava indicare fortemente che esistesse un unico assassino. Un tipo di assassino molto insolito.» «Il che attirò l'interesse del Bureau?» Max la guardò con aria interrogativa. «Attirò l'interesse del mio capo, il comandante dell'unità a cui appartengo. È un esperto profiler, dotato tanto di istinto quanto di esperienza. Quando gli fornii tutte le informazioni che Casey mi aveva passato, fu in grado di tracciare un profilo del genere di persona cui probabilmente l'assassino apparteneva.» «E?»
Nell guardò il sindaco che disse: «E avemmo subito un problema. Secondo il profilo dell'agente Bishop, era probabile che l'assassino fosse un poliziotto.» Max fischiò sommessamente. «Ciò potrebbe spiegare perché gli omicidi sono rimasti insoluti.» «Già.» Casey sospirò. «Peggio ancora, questo significava che non potevo fidarmi della polizia locale, nessuno escluso. Erano tutti sospetti, dallo sceriffo Cole fin giù ai suoi agenti, ed era probabile che perfino quelli non direttamente implicati potessero sentirsi psicologicamente vincolati. Così non potevo comunicare a nessuno di loro l'informazione che il nostro assassino poteva essere un poliziotto.» Scosse la testa. «Avevamo bisogno dell'aiuto di investigatori esterni, e dovevamo tenere la cosa segreta perché non potevamo far circolare la notizia che il dipartimento del nostro sceriffo era ritenuto sospetto.» «Ma il Bureau è restio a inviare agenti se le autorità locali non hanno richiesto il nostro aiuto» proseguì Nell. «Prerogative degli Stati, giurisdizioni diverse, può diventare in fretta un brutto pasticcio se non stiamo molto, molto attenti a come maneggiamo le cose. Tuttavia; Casey era nella posizione di chiedere il nostro aiuto per una situazione eccezionale e autorizzarci ad avviare l'indagine, così la decisione fu presa.» «Di inviare te?» Max stava ancora cercando di far posto nella sua mente all'idea che Nell, la semiselvatica, stramba ragazza che rammentava così vividamente, fosse adesso un'agente federale. «Di avviare un'indagine sotto copertura» lo corresse lei. «Non volevamo agenti che vagassero per il paese facendo balenare il distintivo o infastidissero la polizia locale. Dovendo indagare sui poliziotti del posto mentre lavoravamo per risolvere la serie di omicidi, era difficile operare apertamente.» «C'era bisogno di qualcosa di molto meno appariscente e più sottile. Ovviamente. E di un agente che non avrebbe dato nell'occhio. Io sono stata scelta in parte perché ho un buon motivo, innocente e autentico, per essere qui. Sistemare le proprietà di mio padre.» Parlò senza emozione. «Era improbabile che perfino la persona più sospettosa potesse prendermi per qualcosa di diverso da una figlia riluttante che tornava a casa perché aveva delle incombenze da risolvere. Così ero perfetta per il lavoro.» Max scosse la testa. «Non ti avranno mica mandato quaggiù da sola?» «No.» Lui la fissò per un istante, poi guardò Casey.
«Nell è il mio contatto» disse lei. «Io non conosco l'altro agente, o gli altri agenti coinvolti.» «E così deve essere» disse Nell, fissando Max. «Sotto copertura significa in segreto. La sicurezza di un agente spesso dipende da quanto è sicura la copertura; quello che non sai, non puoi rivelarlo, consciamente o inconsciamente. Se tu non avessi costituito un potenziale problema, seguendomi in giro piuttosto palesemente oggi, non ci sarebbe stato alcun bisogno di raccontarti questo.» «Grazie infinite» bofonchiò lui. «Non c'è di che.» Casey sorrise lievemente, e disse: «Chiunque ti abbia notato seguire Nell, Max, probabilmente lo ascriverà a... un rinnovato interesse, vogliamo dire? Un vecchio pettegolezzo può avere i suoi vantaggi. Dato che c'è sempre stato un... mistero... riguardo a voi due, la gente tenderà a concentrarsi su quello.» «Fantastico» disse Max senza guardare Nell. «È sempre stata una mia ambizione sembrare un idiota che si strugge per amore.» «Meglio che sembrare un cacciatore in agguato o un assassino» gli rammentò Casey realisticamente. «Sappiamo tutti che dell'ultima cosa sono già sospettato.» Mantenne lo sguardo su di lei. «Il che mi porta a chiedermi perché voi due abbiate deciso di mettermi a parte di tutto questo. Non può essere soltanto perché ho seguito Nell. Non state correndo un certo rischio? Io potrei essere l'assassino, lo sapete.» «Tu non sei un poliziotto» gli rammentò Casey. «No, ma quel profilo potrebbe essere sbagliato.» «Non lo è» disse Nell. «Almeno non sui punti più importanti. Bishop è molto bravo in quello che fa.» Max scrollò le spalle. «D'accordo, ma anche i migliori a volte commettono degli sbagli. Io potrei sempre essere l'assassino.» «Non lo sei» disse Nell. «Tu non puoi saperlo.» «Sì, posso.» Attese finché con riluttanza lui incrociò il suo sguardo, e aggiunse pacatamente: «E sai perché.» Max avvertiva fin troppo bene la silenziosa attenzione di Casey per dire una qualsiasi delle cose che voleva dire a Nell. Non aveva idea di ciò che sapesse Casey, ma soprattutto non era intenzionato a riaprire vecchie ferite e a correre il rischio che Nell ci strofinasse sopra il sale.
Così si limitò a replicare: «Dunque io sono fuori dal vostro elenco di sospetti. Chi è sulla lista?» Casey rispose: «Più o meno chiunque altro, se vuoi la verità. Virtualmente tutti gli uomini.» «Siete sicure che l'omicida sia un maschio?» Nell annuì. «Piuttosto sicure. Secondo il profilo di Bishop, probabilmente è un bianco, fra i trentacinque e i quarantacinque anni, e quasi certamente un poliziotto, sebbene possa anche essere qualcuno per cui i poliziotti sono un hobby e l'interesse per loro un'ossessione. Come che sia, lui conosce le procedure di polizia, la medicina legale, e non ha la minima intenzione di compiere uno sbaglio.» «Non vuole essere preso? Credevo che la maggior parte dei serial killer lo volessero, almeno a un certo livello.» «Qui non siamo di fronte a un serial killer, almeno non nel senso comune del termine. Il nostro assassino non sceglie le vittime a caso o perché non ha alcuna relazione con loro. È qualcosa di personale per lui, molto personale. Sta scegliendo le sue vittime in modo da rendere pubblici i loro crimini o peccati segreti. Il che significa che le conosce, e probabilmente piuttosto bene. Non gli piacciono i segreti; a un certo punto della sua vita, forse nell'infanzia, qualcosa del genere lo ha danneggiato e in qualche maniera ha cambiato per sempre il suo mondo o la sua percezione di sé.» Max si accigliò. «Così vuole che la verità venga fuori, non importa a quale costo.» «Il suo movente sembra essere questo, almeno in parte. Crediamo anche che nell'uccidere intenda punire le vittime per i loro segreti. Chiunque fosse il responsabile del segreto che gli ha cambiato la vita, probabilmente era al di fuori della sua portata e in qualche modo è sfuggito alla punizione per quel peccato o crimine. Dato che non ha potuto ottenere giustizia per sé, cerca di ottenerla per gli innocenti vittime di questi uomini, o così crede lui.» Nell esitò, preoccupata. «Bishop pensa che ci sia anche dell'altro, qualche aspetto psicologico che aiuterebbe a spiegare il comportamento dell'assassino o la sua scelta delle vittime.» «Piuttosto vago» notò Max. Casey disse: «Per quello che ne capisco, tracciare un profilo è principalmente una congettura plausibile e intuitiva. Più un'arte che una scienza. Inevitabile che ci sia una certa cautela.» Nell era ancora accigliata. «Normalmente Bishop non è vago, credimi. E
i suoi profili tendono a cogliere nel segno. Ma qualcosa riguardo a questo omicida lo preoccupa, e credo che nemmeno lui sappia perché. Se non fosse immerso in un altro caso complicato, sarebbe quaggiù lui stesso a cercare di risolvere il rompicapo. Ora come ora, ho una linea diretta con lui e ordine di tenerlo informato.» «Ma tu non sei qui da sola» ripeté Max. «No.» «Quanto può essere efficace un agente quando sta facendo finta di essere qualcun altro?» «Noi ci muoviamo abbastanza bene da questo punto di vista, in realtà. La mia unità è... particolarmente adatta alle operazioni sotto copertura.» «Perché?» chiese Max. «Be', diciamo solo che, tra le altre cose, siamo tutti abituati a mantenere il segreto.» Lui la guardò perplesso. «Pensavo che lo fossero più o meno tutti i federali.» «Hai visto troppa televisione.» Casey rise. «Gli hai raccontato tutto questo, Nell, puoi anche dirgli il resto.» Nell scrollò le spalle. «Non è una cosa che il Bureau pubblicizzi, ma il Reparto speciale anticrimine è costituito per la maggior parte da agenti che hanno una o più... capacità investigative non ortodosse.» «Vale a dire?» «Abilità sensitive, Max. Alla fine ho trovato qualcosa di utile da fare con la maledizione dei Gallagher.» 5 Shelby Theriot era cresciuta a Silence, proprio come i suoi genitori. E diversamente da alcuni dei suoi amici, lei non era nemmeno andata via per il college; c'era una piccola università nel distretto, e vi aveva trovato tutta l'istruzione aggiuntiva che potesse sopportare dopo il liceo. Al tempo della scuola, era stata eletta Futura Miss Copertina, il che dimostrava soltanto che a quell'età i ragazzi erano pessimi giudici del carattere. A Shelby non importava un fico secco di come appariva, e in effetti aveva respinto diverse offerte che l'avrebbero forse avviata alla fama e alla fortuna come modella. Ma le piaceva molto stare dall'altra parte di una
macchina fotografica, e negli anni le sue foto avevano cominciato ad apparire in diverse riviste. Era ancora più un passatempo che una professione, principalmente perché Shelby non aveva davvero bisogno di una carriera, e anche perché non era affatto ambiziosa. Non aveva bisogno di una carriera perché i suoi genitori le avevano lasciato sia una bella casa che azioni di parecchie aziende prospere. Non era ambiziosa perché semplicemente non era nella sua natura. Faceva fotografie perché le piaceva e non le servivano né denaro né approvazione per legittimare qualcosa che era divertente e gratificante di per sé. Tutto ciò spiegava perché Shelby avesse passato la giornata a girovagare con la sua macchina fotografica, scattando foto qua e là di qualsiasi scenario o persona che catturasse la sua fantasia. La gente del paese la conosceva troppo bene per protestare; Shelby aveva contratto l'abitudine di regalare le foto ai suoi soggetti, passando loro allegramente anche i negativi se li richiedevano, e dato che non usava mai una foto senza permesso, nessuno si curava nemmeno delle istantanee poco lusinghiere che talvolta otteneva cogliendo alla sprovvista le persone. Dato che la luce era particolarmente buona quel giovedì, Shelby passò praticamente tutta la giornata fuori, smettendo solo quando l'oscurità la costrinse a farlo. Si fermò al caffè per la cena perché non le andava di cucinarsi qualcosa, civettò per alcuni minuti con Vinny e poi tornò a casa. La sua casetta, ai margini del paese, era l'immagine da cartolina di un villino bianco, completo di palizzata. Amava i fiori, ma non aveva il pollice verde, così pagava un giardiniere per mantenere in ordine tutto l'anno il giardino intorno alla casa; del resto della manutenzione si prendeva cura lei stessa, perfettamente capace di maneggiare con eguale perizia sia un pennello che un martello. Guidava una piccola, elegante Honda e viveva con un gatto di nome Charlie, attualmente l'unica figura maschile nella sua vita. Malgrado i volenterosi tentativi dei suoi amici di accasarla, Shelby doveva ancora incontrare un uomo per cui valesse la pena di rinunciare alla sua indipendenza, o alla libertà di lavorare nella camera oscura fino all'alba e di mangiare pizza fredda a letto a mezzanotte mentre guardava i suoi film dell'orrore preferiti. Quella particolare sera, dopo una giornata trascorsa felicemente con la sua macchina fotografica, intendeva rinchiudersi nella camera oscura a sviluppare la pellicola. Pregustava quelle ore di lavoro ed era curiosa di vede-
re quali immagini avesse catturato, dato che quasi sempre c'erano sorprese. Stavolta ci fu decisamente una sorpresa. «Che diavolo...» mormorò tra sé, fissando l'ultima istantanea di un rullino che aveva scattato intorno a metà pomeriggio. L'aveva divertita notare che Max Tanner stava seguendo Nell Gallagher per tutto il paese, e almeno due volte l'aveva colto appostato, intento a scrutare Nell e chiaramente ignaro di mostrarsi così partecipe. Shelby conosceva abbastanza bene Max da essere certa che non la stesse seguendo di nascosto per farle del male, e quella certezza l'aveva lasciata libera di speculare sui suoi motivi. Doveva essere quella faccenda dell'abbandono, decise. O si trattava solo di un rifiuto particolarmente sgradevole nel caso di un appuntamento per un ballo studentesco finito storto in modo umiliante? Comunque fosse, aveva scattato un'istantanea di Max appostato all'angolo del tribunale mentre Nell, apparentemente ignara della sua presenza, scendeva le scale verso la sua Jeep. Tutto questo era abbastanza ordinario, anche se interessante. Ciò che non era ordinario era la strana sagoma indistinta appena mezzo metro dietro Nell. Come ogni buon fotografo, Shelby ne sapeva un sacco di ombra e di luce. Aveva anche una solida familiarità con gli scherzi che una macchina fotografica poteva produrre, alcuni dei quali strani o lugubri. Conosceva le sovraesposizioni, i riflessi, i difetti della pellicola. «È decisamente strano» mormorò tra sé, dopo aver passato silenziosamente in rassegna le possibilità scartandole una per una. La macchina fotografica era a posto, e così la pellicola e la carta. Quando controllò attentamente il negativo, anch'esso recava la strana sagoma scura che sembrava aleggiare dietro Nell. Dunque qualcosa era decisamente stato lì, visibile almeno per la macchina fotografica. Ma non a occhio nudo, perché Shelby non aveva notato nulla d'insolito quando aveva inquadrato l'immagine. Accese le luci e si tirò indietro per fissare lo scatto appeso sopra i vassoi. Ogni dettaglio della foto era chiaro. L'edificio, Max, Nell. Tutto proprio come doveva essere, con la luce che cadeva in quel modo e le ombre dove avrebbero dovuto trovarsi. Ma dietro Nell, partendo da diversi centimetri sopra le scale ed ergendosi per oltre due metri, c'era un'ombra che non doveva star lì. Aveva vagamente la sagoma di un uomo e, anche se appariva più densa del fumo, certamente non era solida.
«Che diavolo è?» si domandò Shelby a voce alta. Non importa con quanta cura studiasse la foto, non riusciva proprio a trovare nulla di consistente per spiegare quel che vedeva. Ma quell'ombra era decisamente lì. Ancora di più, si poteva sostenere senza sforzi di immaginazione che essa incombesse su Nell, sembrava perfino allungarsi a toccarla. Avida. Minacciosa. Shelby ci mise un po' di tempo a rendersi conto che si stava sfregando distrattamente la nuca a causa di uno strano formicolio, e ci volle quasi un minuto perché ne riconoscesse il motivo. Le si erano drizzati i peli dietro il collo. Forse non era nulla. Probabilmente non era nulla. Ma Shelby aveva sempre dato ascolto al proprio istinto, e adesso le stava sussurrando un avvertimento urgente. «Gesù.» Lanciò un'occhiata all'orologio, poi prese una decisione e lasciò la camera oscura. Troppo tardi per una visita, forse, ma non per una telefonata. «Non occorre che tu lo faccia» disse Nell mentre Max la seguiva nell'atrio di casa. «Assecondami» la pregò lui. Nell lo guardò un istante, poi scrollò le spalle. «Fai come vuoi. Ma forse è meglio ricordarti che sono io quella con la pistola.» «È improbabile che lo dimentichi.» Max non si prese la briga di discutere sapendo fin troppo bene che non si stava comportando in modo molto logico. Attraversò il pianterreno, accendendo le luci e controllando porte e finestre. Assicuratosi che tutto era a posto, andò di sopra e ispezionò ogni stanza anche lì. Quando ridiscese, trovò Nell in cucina in attesa che fosse pronto il caffè. «Contento adesso?» chiese lei seccamente. Invece di rispondere, Max fece una domanda brusca delle sue. «Vuoi ammettere almeno che la tua presenza qui potrebbe essere una minaccia per questo assassino?» Lei si appoggiò contro il bancone e lo guardò fisso per un istante, poi sospirò. «Se lui sa della maledizione dei Gallagher, se crede nelle capacità sensitive, e se conosce qualche particolare riguardo alla mia abilità, forse.» «Gesù, sei cocciuta.» «Sono un poliziotto, Max, ricordi? Il rischio fa parte del mestiere.»
«Non il rischio inutile.» «In questa situazione, cosa intendi per "inutile"? So badare a me stessa. Sono armata. Sono addestrata nell'autodifesa. E sono qui in cerca di un assassino. È il mio lavoro.» «È davvero tutto qui? Soltanto il tuo lavoro?» «Cos'altro potrebbe essere?» «Sei venuta a casa anche per sistemare la proprietà di tuo padre.» Nell si voltò a tirar fuori le tazze e i cucchiaini. «Prendi latte o zucchero? Non credo di averlo mai saputo.» «Tutti e due.» La osservò mentre metteva l'occorrente sul bancone vicino alla caffettiera. «Vuoi rispondere alla mia domanda?» «Sì, sono venuta a casa anche per sistemare la proprietà di mio padre.» «Saresti tornata se non ci fosse stato anche il tuo lavoro?» «Credo che tu conosca la risposta.» «Tu lo odiavi, non è vero?» Nell versò il caffè e spinse una tazza lungo il bancone, così che potesse prepararselo come gli piaceva. In tono pratico disse: «Sì, lo odiavo. E penso che sia una terribile beffa che mi sia ritrovata tra le mani tutto il suo patrimonio.» C'erano un mucchio di domande che Max voleva fare, ma avvertiva il peso di un'opprimente cautela. Si stava muovendo in un campo emotivo minato con Nell, dove un solo passo imprudente prometteva distruzione, e il suo istinto lo ammoniva a non spingersi troppo in là. Non adesso. Non ancora. Così si limitò a dire: «Lui sapeva che eri entrata nell'FBI?» «No. Non ho scritto neanche a lui.» Max non abboccò all'esca. «Che mi dici di Hailey? Parlava come se sapesse dov'eri, cosa stavi facendo.» «Non lo sapeva. Non ho visto Hailey né ci ho parlato da quando lasciai Silence.» Lui si accigliò. «Allora lei si è inventata quelle storie?» Nell sorseggiò il suo caffè, poi sorrise. «Ha sempre inventato storie, Max. Non lo sapevi?» «Stai dicendo che era una bugiarda?» «Dolce, simpatica Hailey. Così incantevole, così affabile. E ci sapeva fare, non è vero? Aveva un modo di... tirarsi dietro le persone. Un modo di farsi credere dalla gente. Non esattamente il mio forte, eh?» «Nell...»
Bruscamente lei disse: «Mi chiedo cosa abbia fatto a nostro padre da indurlo a diseredarla. Tu lo sai?» «Hailey... scappò via con Glen Sabella. Lui era un meccanico, ed era sposato. Le chiacchiere dicevano che tuo padre fosse furioso, specie perché...» «Perché anche sua moglie e l'altra figlia erano scappate via senza una parola.» «Questa era l'opinione generale, sì. Credo che nessuno abbia mai avuto il coraggio di chiedere direttamente a Adam, ma era di pubblico dominio che lui avesse cambiato il testamento solo un paio di settimane dopo che lei se ne andò.» «A Wade Keever non piace parlare» mormorò Nell. «Non è l'avvocato più discreto in paese. Ma la sensazione generale era che a Adam non importasse un accidente di chi lo sapeva.» «No, di solito non gli importava.» «Sapeva essere misterioso riguardo a certe cose. La maledizione dei Gallagher, per esempio.» Nell lo fissò un istante, poi disse: «Era misterioso perché non la comprendeva. Non più di noi. Per lui era peggio, però. Lui non l'aveva.» «Cosa? Io ritenevo...» «Sì, lo credevano tutti. Poiché era la maledizione dei Gallagher, la gente immaginava che tutti noi l'avessimo. E lui non fece nulla per scoraggiarli dal pensarlo. Sua madre l'aveva, e sua figlia, e credo anche suo padre. Forse si sentiva lasciato fuori.» «Figlia. Soltanto tu? Non Hailey?» «No.» «Lei soleva scherzarci sopra. Al carnevale della scuola organizzava perfino la tenda della chiromante. Da quello che ho sentito, era davvero brava.» «Quel genere di cose non è difficile, con una discreta conoscenza dei tuoi vicini e un certo... talento teatrale. Hailey ha sempre avuto entrambi.» «Ma nessuna dote particolare?» «Non di tipo sensitivo, no.» Max ci pensò sopra un istante. «Ma la tua capacità sensitiva è autentica. Ed è ciò che ti ha fatto entrare nell'FBI?» «Mi ha fatto entrare nel Reparto speciale anticrimine. Ho dovuto superare tutti i consueti esami per essere ammessa nell'FBI.» «Aspetta un attimo... tu non ti sei diplomata al liceo.»
«Sì, invece. Sono anche andata all'università.» «Da sola?» Nell scrollò le spalle. «Mi ci sono voluti cinque anni invece di quattro, dato che nel frattempo lavoravo, ma ce l'ho fatta. Mi sono specializzata in informatica. Laureata in psicologia.» In quelle ultime ore Max aveva speso tanto di quel tempo a riadattare la sua precedente immagine mentale di Nell, che cominciava a girargli la testa. «E poi sei entrata nell'FBI?» Lei esitò, scosse la testa. «No, cercai di aiutare un'amica la cui sorella minore era stata rapita. C'era un poliziotto di larghe vedute che mi diede ascolto, e trovarono la ragazzina prima che potesse essere uccisa.» «Avevi avuto una visione?» «Sì. Vivevo in una piccola cittadina sulla costa occidentale. Il poliziotto cominciò a venire da me di tanto in tanto con alcuni dei suoi casi più enigmatici. A volte ero in grado di aiutarlo. Fu lui a presentarmi a un agente dell'FBI membro di una nuova unità che stavano costituendo insieme. Il Reparto speciale anticrimine. Loro pensavano che mi sarei inserita bene. Da quel che risulta, è stato così.» «Qualcosa di utile da fare con la maledizione dei Gallagher?» «Esattamente. Loro non mi trattano come una pazza. Non bisbigliano alle mie spalle né mi guardano nervosamente. Non pensano nemmeno che sia strana. Perché non lo sono. Sono soltanto una di loro, un altro investigatore con un paio di strumenti eccezionali che mi aiutano a fare il mio lavoro.» «Dare la caccia agli assassini?» «Assassini, Stupratori. Rapitori. Pedofili, In genere noi abbiamo a che fare con le peggiori bestie, perché di solito sono più difficili da catturare.» Dopo un istante lui disse: «Ha l'aria di un lavoro duro. Emotivamente, intendo.» «Bishop dice che il problema non è quello di trovare sensitivi autentici. Occorre però che siano in grado di gestire il lavoro in modo costante. Io posso farlo.» «Finora, intendi dire.» «Sì. Finora.» «Dunque... tu sfrutti le tue visioni come strumenti? Le usi per cercare di risolvere delitti?» «Per rispondere alle domande. Per procurarmi pezzi del puzzle. Tutto qui, di solito. Solo un po' di aiuto extra per i metodi investigativi più con-
venzionali.» «Che mi dici dei tuoi blackout?» «A che proposito?» «Lo sai cosa ti sto chiedendo, Nell. Come li affronti? Come ti prepari? Che succede se perdi coscienza durante un'indagine?» «Cerco di trovare qualcosa di morbido su cui cadere.» Lui posò la tazza sul bancone con un suono piuttosto enfatico. «Molto divertente.» Lei stava sorridendo debolmente, ma i suoi occhi verdi erano vigili. «È la verità. I blackout non arrivano mai senza avvertimento. Quando la testa comincia a farmi male a quel modo, mi assicuro di poter essere sola in qualche posto dove non verrò disturbata. Se sto lavorando con un compagno, lo avverto che sarò... inabile per circa un'ora. È tutto ciò che posso fare.» «E i tuoi colleghi agenti lo capiscono?» «I miei colleghi agenti di solito hanno il proprio fardello. Il nostro genere di capacità spesso è accompagnato da... effetti collaterali. Talvolta seri. Abbiamo tutti imparato a adattarci, a lavorare entro i nostri limiti.» Nell mantenne la voce controllata, disinvolta. «Davvero l'hai fatto?» «Sì.» La parola le era appena uscita di bocca quando la scena intorno a lei cambiò con impressionante rapidità. Era sempre la cucina, sempre notte, ma Max non era più lì in piedi a guardarla con i suoi scuri occhi pensosi. Invece, vide suo padre entrare a grandi passi dalla porta posteriore, i capelli castani bagnati, il viso come una nube temporalesca. Lei voleva ritrarsi, scappare. Fuggire. Ma poté soltanto restare paralizzata a guardare, ad ascoltare un uomo morto che bofonchiava qualcosa sottovoce mentre avanzava nella cucina. «Lei avrebbe dovuto dirmelo. Dannazione, avrebbe dovuto dirmi...» Scomparve oltre la porta che conduceva al resto della casa, e Nell restò con gli occhi fissi dietro di lui. Come sempre, era del tutto consapevole che stava avendo una visione, cosciente di quella particolare sensazione di sfasamento temporale che immancabilmente l'accompagnava. Ciò che vedeva significava sempre qualcosa, sempre. Cosa significava questo? Girò la testa per guardare verso la parete di fronte alla porta, dove stava
appeso il calendario. Era lì, a mostrarle una data di maggio dell'anno prima. Il mese in cui Adam Gallagher era morto. «Nell!» Con un sussulto, tornò di nuovo in sé, con la Vertiginosa sensazione di sfasamento temporale svanita bruscamente come una bolla di sapone. Alzò lo sguardo verso Max. Era solo vagamente consapevole delle sue mani che le afferravano le spalle, ma qualcosa nel viso di lui le fece esprimere i suoi pensieri a voce alta. «È stato ucciso anche lui. Mio padre è stato assassinato.» A Chicago stava piovendo. L'agente speciale Tony Harte era in piedi alla finestra a fissare la notte tetra, sorseggiando il suo caffè. Di norma odiava le notti piovose. E in particolar modo nel mezzo di un caso difficile in cui niente stava andando bene. E non era il solo. La tensione nella stanza dietro di lui era così spessa da tagliarla con un coltello. Un coltello vero, non metaforico. Soprattutto, Bishop era sempre ansioso e irrequieto ogni volta che Miranda era impegnata sul campo senza di lui. Probabilmente non c'era nessuno al mondo che rispettasse l'efficienza e le capacità di Miranda più di Bishop, ma questo non gli impediva di preoccuparsi per lei. Distogliendo lo sguardo dalla finestra, Tony sollevò un argomento che sperava avrebbe tenuto occupata la mente del suo capo, almeno per il momento. «Hai rivisto il profilo dell'assassino di Silence? Voglio dire, da quando abbiamo ricevuto le ultime informazioni?» L'agente speciale Noah Bishop alzò lo sguardo dalle fotografie dei reperti di prove materiali che stava esaminando e scosse la testa con aria un po' contrariata. «Nulla che abbiamo saputo di recente cambia il profilo.» «Sempre un poliziotto?» «Probabilmente sì.» «Sei sicuro?» Bishop si appoggiò alla sedia e abbracciò con un'occhiata il soggiorno della suite d'albergo come se potesse fornire risposte, gli occhi grigio chiaro acuti come sempre. La sua replica fu lenta. «Ufficiosamente? Più che sicuro, maledizione. Ma c'è sempre posto per il dubbio, Tony, lo sai.» «Sì. Ma tu tendi a essere terribilmente accurato, malgrado tutto. Se dici che sei più che sicuro, allora probabilmente lui è un poliziotto. Dura per i
nostri dover restare nell'ombra, cercare un assassino e insieme vigilare sulla polizia.» Bishop annuì, sempre accigliato. La cicatrice sulla guancia sinistra spiccava più chiaramente del solito, come accadeva sempre quando era teso o turbato. Un utile e preciso barometro del suo stato d'animo nei casi in cui perfino un altro sensitivo trovasse difficile o impossibile decifrarlo altrimenti. Non che questo fosse un caso del genere. Tony lo osservò. «Sei ancora preoccupato per qualcos'altro, non è vero? A Silence.» Dal momento che aveva imparato molto tempo prima l'inutilità di negare pensieri o sentimenti che un altro membro della sua squadra stava captando, Bishop disse semplicemente: «C'è una corrente nascosta che non riesco a individuare esattamente.» «Che genere di corrente nascosta? Emotiva o psichica?» «Tutte e due.» «In Nell? O nell'assassino?» Bishop fece una smorfia. «Ci sono molte correnti nascoste in Nell, ma sapevamo che sarebbero emerse. No, è qualcosa riguardo all'assassino che non riesco a mettere a fuoco. Penso che abbia un altro motivo per scegliere le sue vittime. Non soltanto perché hanno dei segreti che lui vuole smascherare. C'è qualcos'altro.» «Ha avuto a che fare con loro, forse?» Bishop scrollò le spalle. «Forse. Ho quasi la sensazione che sia qualcosa di più... personale per lui. Che i peccati per cui li sta punendo forse non siano solo quelli rivelati dai loro omicidi o dalle indagini. Che esista qualcos'altro. Se riuscissimo a scavare abbastanza a fondo da trovarlo...» «Dunque lui dice a se stesso che li sta uccidendo per punirli, per ottenere giustizia per le persone innocenti che hanno sulla coscienza, ma nel frattempo è una vendetta personale?» «Almeno in parte. Ma pensa sempre a se stesso come a un giudice e una giuria. Crede di svolgere un servizio per la società, si è convinto di questo, condannando e giustiziando quegli uomini per i loro peccati segreti.» «Ma anche per averlo danneggiato.» Bishop si passò le dita irrequiete tra i capelli neri, scompigliando un po' la vivida striatura bianca sopra la tempia sinistra. «Ho la sensazione che lui li disprezzi, tutti quanti, e per lo stesso motivo.» «Perché l'hanno ferito? Gli hanno mentito?»
«Forse. Dannazione, ho bisogno di andare laggiù. Avrei migliori probabilità di capire questo bastardo se fossi lì, sul posto.» Tony disse: «Be', a parte il fatto che pochi mesi fa la tua faccia è stata sbandierata su tutti i quotidiani nazionali quando abbiamo risolto quel caso di rapimento, cosa che ti renderebbe un po' difficile passare inosservato, abbiamo anche il problemuccio di un serial killer in attività, qui a Chicago.» «Non c'è bisogno che me lo rammenti, Tony,» «No, non pensavo di doverlo fare» mormorò Tony. «Senti, forse possiamo chiudere questo caso abbastanza presto da andare a Silence a dare una mano.» «Già.» Tony lo osservò ancora un istante, poi disse: «So cosa ti preoccupa davvero. Ma Miranda sta bene, lo sai,» «Sì. Per il momento.» Non era la prima volta che Tony si era chiesto se il legame psichico tra Bishop e sua moglie fosse una fortuna o una maledizione; insieme erano molto più potenti e precisi, sia come sensitivi che come investigatori, di quanto ciascuno dei due lo fosse da solo. Ma quando erano separati dalla necessità, come adesso, al lavoro su casi diversi, allora il legame spesso risultava un bel problema; o come minimo una distrazione. Bishop sapeva che Miranda attualmente era incolume e al sicuro perché, pur avendo chiuso le "porte" che collegavano le loro menti in modo da non distrarsi a vicenda, ciascuno manteneva una sensazione costante dello stato fisico ed emotivo dell'altro, qualunque fosse la distanza che li separava. Bishop sapeva che Miranda era al sicuro per il momento, proprio come Miranda sapeva che lo era lui, e percepiva anche che era preoccupato per lei. Tony non pretendeva di capirlo, ma come gli altri membri dell'unità ne era piuttosto intimorito. Perfino tra sensitivi abituati a molteplici, spesso straordinarie capacità paranormali, certe cose erano comunque impressionanti. Come ci si doveva sentire a essere così legati a un'altra persona che i pensieri e le sensazioni dell'uno scorrevano dentro l'altro con la stessa facilità? Essere così vincolati che se uno dei due fosse stato ferito anche l'altro avrebbe sanguinato? Era opinione di Tony che una simile intimità avrebbe richiesto a entrambi un'enorme fiducia e comprensione verso il proprio compagno e un
grado altrettanto grande di onestà con se stessi. Dubitava seriamente che qualunque coppia di sensitivi che non fossero coniugi o fratelli di sangue avrebbe potuto formare un tale legame. Ma non era soltanto un bene, come mostrava questa situazione. Bishop e Miranda erano stati insieme abbastanza a lungo, ormai, da aver imparato ad agire straordinariamente bene sia come squadra sia come singoli, quando le circostanze li separavano, ma la loro insolita intimità rendeva ciascuno per molti aspetti incompleto senza l'altro. Tony non aveva la minima preoccupazione a prestare servizio con uno dei due; pur privi della loro vitale metà, sia Bishop che Miranda erano formidabili sensitivi e investigatori, esperti e decisi poliziotti, e più che all'altezza per la maggior parte delle situazioni in cui si venivano a trovare. Ma sarebbe anche stato il primo ad ammettere che era ben più confortevole lavorare con loro quando stavano insieme, in piena collaborazione e attivi come se avessero un'unica mente e un unico cuore. Si creava tanta tensione in meno. Con tutto questo ben presente in mente, Tony parlò con attenzione. «Siamo davvero molto impegnati adesso, con mezza dozzina d'indagini importanti disseminate per il paese nello stesso momento. Dobbiamo usare tutte le nostre risorse e tutti i nostri assi. Ogni squadra sul campo deve avere un membro dominante, è una tua regola. Un capo investigatore con quanta più esperienza possibile che sia anche il sensitivo più potente.» Bishop disse: «Un'altra cosa che non hai bisogno di ricordarmi, Tony.» «Sto solo dicendo che il fatto che Miranda sia il capo può fare la differenza nel suo caso, e tu lo sai. Proprio come avviene con te qui, con Quentin in California e con Isabel a Boston. Inoltre, Miranda ha badato a se stessa per un bel po' di anni prima che tu la rintracciassi e riapparissi nella sua vita.» «Lo so.» «È cintura nera e tiratrice scelta, oltre a essere in grado di leggere nella mente di almeno due terzi delle persone che incontra. Tutto ciò le dà un gran vantaggio nell'ambito della sopravvivenza.» «So anche questo.» «Già. Tuttavia al momento niente di ciò fa un dannato briciolo di differenza, perché hai passato fin troppe notti insonni a letto da solo. Comincia a vedersi, capo.» «Senti chi parla.» Tony trasalì leggermente e si sentì avvampare. Dannatamente scomodo a
volte, pensò, lavorare con un sensitivo. Specie uno telepatico come Bishop. «Non preoccuparti di me.» Senza rimorsi, Bishop disse: «Già, che vuoi che sia vivere col terrore che la tua relazione faccia un passo avanti.» «Merda. Da quanto tempo l'hai saputo?» «Di te e Kendra?» Bishop fece un lieve sorriso. «Da più di quanto lo sappia tu, Tony. Molto prima che le sparassero.» Tony ci rifletté su, poi scosse la testa. «Sapevo che Quentin ci stava addosso ma credevo fosse soprattutto perché di solito lui è il compagno di Kendra sul campo. E perché molto spesso sa cose che non dovrebbe, maledizione a lui.» Con una certa curiosità, Bishop domandò: «Perché mai darsi la pena di tenerlo nascosto?» «Non lo so. Già, non lo so. L'hai detto tu stesso che ci sono pochi segreti in un'unità piena di sensitivi; a volte è divertente averne uno. Anche se stai solo illudendoti che sia così.» «Questo per quanto riguarda te. È proprio il genere di cosa che ti piace. Ma Kendra? Lei è troppo equilibrata per godersi una storia d'amore segreta.» Tony fece un gran sorriso. «Stai scherzando? Sono quelle equilibrate che perdono il controllo di sé, credimi.» «Ti prendo in parola.» «Fallo. Non sono nemmeno tanto sicuro di lei da rischiare che tutti ci osservino per vedere cosa succederà.» «Ricordati con chi stai parlando. In questa unità non abbiamo bisogno di osservare per sapere cosa sta succedendo.» «Sì, ma almeno così non ci sentiremo proprio come dei microbi sotto il microscopio.» Impassibile, Bishop disse: «Allora dovremo fingere disinteresse mentre vi guardiamo?» «Lo apprezzerei» replicò Tony fervidamente. Bishop lo guardò con aria interrogativa. «Hai forse in mente di usare quel genere di sottigliezza proprio adesso. Tony, stai cercando di distrarmi?» «Ci stavo provando, sì.» «Perché?» «Sai maledettamente bene perché. La tensione qui dentro. C'è qualcosa che non potresti dissimulare nemmeno se tu ci provassi. E non ci provi
mai.» In un blando tentativo di difendersi, Bishop disse: «Io sono sempre teso durante un'indagine.» «No, questa è una tensione diversa.» «E tu lo sapresti.» «Be', sì.» Bishop fece una leggera smorfia. «D'accordo, va bene. Cercherò di smettere di preoccuparmi riguardo a cose che non posso controllare. Nel frattempo, ti dispiacerebbe venir via da quella finestra e fare qualcosa di utile? Tipo lavorare?» «Credevo che non me l'avresti mai chiesto» replicò Tony allegramente, raggiungendo il suo capo al tavolo da lavoro. Ma prima di raccogliere una fotografia da esaminare, aggiunse pensieroso: «Tornando per un attimo a Silence, cosa ne pensi del legame che Nell ha laggiù? Le renderà il compito più semplice?» «No» replicò sobriamente Bishop. «Credo che lo renderà più difficile. Molto più difficile.» Tony sospirò. «E non c'è nulla che possiamo fare?» «Certe cose devono succedere...» «... proprio nel modo in cui succedono» terminò Tony. «Sì, temevo che l'avresti detto. E in certi casi, capo, è una bella scocciatura.» «Parlamene» disse Bishop. 6 «Non so se mi abituerò mai a questi tuoi... episodi» disse Max, lasciandole le spalle solo perché lei si era ritratta. Nell stava per ricordargli che non avrebbe dovuto farlo dato che lei non intendeva restare a lungo a Silence, ma invece finì per dire: «Sono snervanti, lo so. Specialmente per gli altri. Mi dispiace.» Lui scosse la testa. «Non importa. Spiegami soltanto alcune cose per favore, vuoi? Mi sto davvero stancando di brancolare nella nebbia di questa confusione.» Anche se le parole erano leggere, il tono non lo era affatto. «E prima che io cerchi di immaginare cosa diavolo intendi quando dici che anche tuo padre è stato assassinato, puoi cominciare dal principio?» «Si è fatto tardi» disse lei evasivamente, chiedendosi se si stava riferendo solo a quella sera oppure a qualcosa di molto più importante. Aveva il sospetto che fosse vera l'ultima ipotesi, e questo la infastidiva più di quan-
to volesse ammettere. «Lo so. Ma dubito che tu o io saremo in grado di dormire. Ho bisogno di capire, Nell. E penso che tu mi debba almeno questo.» Lei non protestò, fin troppo consapevole di dovergli molto di più. Qual era il prezzo per aver lasciato un uomo nel limbo? Alto. Forse troppo alto da pagare. Posò la tazza di caffè sul vecchio tavolaccio al centro della cucina e si mise seduta su una delle sedie con lo schienale a listelli. Attese che lui si sedesse di fronte, poi parlò lentamente: «Capire le visioni, intendi?» «Puoi spiegarle?» Nell scrollò le spalle. «Le comprendo un po' meglio di quand'ero adolescente, anche se ciò che allora sentivo istintivamente si è rivelato molto preciso.» «Ad esempio?» «Ciò a cui attingo effettivamente durante una visione. Gli specialisti direbbero che ho soltanto sperimentato quello che loro chiamano un "evento apparizionale". Che avrei visto, o almeno preteso di aver visto, il fantasma di mio padre camminare in questa stanza. Ma non è così.» «No? Cosa hai visto allora?» «Era... un ricordo.» «Un ricordo di chi?» Lei sorrise debolmente. «Nel senso più ampio, era un ricordo della casa.» «Stai dicendo che questa casa è infestata da fantasmi?» «No. Sto dicendo che la casa ricorda.» «Hai già detto qualcosa del genere, anni fa» fece notare Max. «Sostenevi che certi posti ricordavano. Ma non capisco cosa intendi. Come può una casa avere una memoria?» «Qualunque oggetto, una casa, un luogo, può avere un ricordo. La vita ha energia, Max. La vita è energia. Scomposti nella loro forma basilare, emozioni e pensieri sono energia: impulsi elettrici prodotti dal cervello.» «D'accordo. E allora?» «E allora l'energia può essere assorbita e trattenuta da un oggetto o da un luogo. Da mura e pavimento, dagli alberi, perfino dal terreno. È possibile che certi luoghi trattengano energia più di altri a causa di fattori che ancora non comprendiamo, perché la loro composizione fisica si presta a immagazzinarla, o ci sono campi magnetici; o forse la stessa energia è particolarmente potente in un dato momento e siamo noi che la imprimiamo in un
luogo con la nostra forza e intensità.» «Comunque accada, alcuni luoghi ricordano certe cose. Certe emozioni. Certi avvenimenti. L'energia resta intrappolata in un luogo, non vista né udita finché qualcuno con un'innata sensitività per quel particolare tipo di energia è in grado di attingervi.» «Qualcuno come te.» «Esattamente. Non c'è niente di magico riguardo a ciò che faccio, niente di oscuro o malvagio, o inumano. È solo una capacità, tanto naturale per me quanto per te l'istinto nel capire i cavalli. Un talento perfettamente normale, se vuoi, che non tutti hanno. Forse è genetico, come il colore degli occhi o l'esser destro o mancino; la mia famiglia sembra confermarlo, almeno in parte. D'altro canto, è più che possibile che ogni essere umano abbia potenzialmente delle capacità sensitive, che tutti abbiano un'area inutilizzata del cervello che potrebbe svolgere cose apparentemente sorprendenti se soltanto sapessimo come... attivarla.» Nell scosse la testa fissando il suo caffè con aria pensierosa. «Siamo abbastanza sicuri che certe persone siano predisposte a sviluppare una capacità sensitiva, benché in loro l'area del cervello deputata a controllare tale funzione sia attiva solo in parte o in modo intermittente, magari a livello inconscio; li chiamiamo "latenti". Di solito non ne sono consapevoli, sebbene un altro sensitivo spesso lo sia.» Max si accigliò, ma disse soltanto: «Però le capacità latenti talvolta divengono attive a un livello cosciente?» «È noto che sia accaduto. Per quanto possiamo dire, far diventare consapevole, attivo, un sensitivo latente richiede qualche sorta di innesco. Un trauma fisico o emotivo, in genere. Come uno shock al cervello, in senso letterale o figurato. Succede qualcosa, un incidente o una scossa emotiva, e si ritrovano alle prese con nuove capacità strane. Questo spiegherebbe perché persone che hanno subito ferite alla testa o certi tipi di crisi spesso in seguito riferiscano di esperienze sensitive.» «Non ne avevo idea» disse Max. «Non molti lo sanno. Neanch'io lo sapevo, finché sono entrata nell'unità e ho cominciato a imparare.» Scosse di nuovo la testa. «Comunque, nel mio caso particolare, il cervello capta un genere di energia elettrica prodotta da... intensi eventi emotivi o psicologici. Quegli eventi si lasciano dietro impressioni elettriche, energia assorbita dal luogo dove accade l'evento, e io ho l'abilità di percepire e interpretare tale forza.» Max parlò con cautela. «Percepire energia elettrica non mi sembra equi-
valga ad avere la visione di un morto?» «La mente interpreta l'informazione data e la traduce in una forma che riconosciamo e comprendiamo. Quello che è accaduto in questa stanza aveva una forma, una faccia, una voce; e tutto ciò è sopravvissuto come energia. Come un ricordo. Nello stesso modo in cui tu richiami alla mente uno dei tuoi ricordi, io posso richiamare il ricordo di un luogo. A volte piuttosto vividamente, altre solo per frammenti, immagini, sensazioni sparse e indistinte.» «D'accordo. Ammettendo che possa accettare tutto ciò, spiegami perché questa stanza ha trattenuto quella particolare scena, tuo padre che cammina in una cucina che deve aver attraversato un milione di volte. Perché? Tra tutto ciò che deve essere accaduto qui in decenni, tutte le scenate e le crisi emotive comuni in ogni cucina, perché quella scena così normale era tanto importante da essere trattenuta?» «Perché non era normale. Ciò che mio padre stava provando quando ha attraversato la cucina era... incredibilmente intenso. Lui era emotivamente devastato.» Max si accigliò. «Tu questo lo hai sentito?» «Percepito. In parte, almeno. Era difficile determinare esattamente le sue emozioni, semplicemente perché lui stesso ne era sopraffatto. Ma so che era sconvolto, sotto shock, che aveva appena scoperto qualcosa che non riusciva a credere.» «Qualcosa che lei avrebbe dovuto dirgli, non è questo che hai sentito?» «Sì. A giudicare dal calendario, deve essere stato quando ha scoperto ciò che lo ha indotto a diseredare Hailey. Lui è morto alla fine di maggio, e aveva cambiato il testamento solo poche settimane prima, non molto dopo che lei se n'era andata.» Ancora accigliato, Max disse: «Allora perché credi che sia stato assassinato? Nessuno sospettò che fosse nient'altro che un attacco di cuore.» «Sì, ma non c'era nessuno a sospettare, nessuno a dubitare o a interrogarsi qui sul posto. Il resto della famiglia era andato via e lui non aveva amici intimi. Sembrava un attacco di cuore: aveva l'età giusta ed era stato avvertito dal medico che le sue abitudini e il suo carattere lo ponevano nella categoria ad alto rischio. E poi non c'erano altre morti inspiegate a mettere in guardia qualcuno...» «Capisco perché qui nessuno avrebbe sospettato un omicidio, ma tu come puoi essere così sicura che sia stato ucciso? Lui pensava che stessero per ucciderlo, temeva per la sua vita nella visione?»
Per la prima volta, rendendosene conto, Nell rabbrividì. «No, lui non ne aveva idea» disse lentamente. «Non era né spaventato né preoccupato. La sua mente era interamente concentrata sul trauma che aveva subito, ma non era affatto impaurito o in pensiero per sé. Allora... devo aver colto qualcos'altro. Percepito qualcos'altro.» «Forse l'assassino?» Lei fece un profondo respiro. «Forse l'assassino.» Nate McCurry era spaventato. Al principio non lo era stato. Diavolo, quando era morto Peter Lynch non ci aveva quasi badato, e quanto a Luke Ferrier, be', Nate si era sempre aspettato che gli sarebbe capitato qualcosa di brutto. Ma quando la morte di Randal Patterson aveva svelato le sue inclinazioni sadomaso, Nate aveva iniziato a diventare nervoso. Perché lui aveva qualcosa in comune con Randal. E, stava cominciando a pensare, anche con gli altri. Non che Nate avesse qualche grosso segreto, non come le vittime. Lui non aveva infranto la legge, e non aveva nessuna frusta o catena nello scantinato o scheletri nell'armadio. Ma talvolta un uomo aveva cose che voleva tenere per sé; questo era del tutto naturale. Perfettamente normale. A meno che non ci fosse un pazzo in circolazione a punire le persone per i loro peccati. Era abbastanza nervoso da acquistare un sistema di allarme per casa sua, pagando il doppio per farlo installare rapidamente giacché, come gli aveva raccontato l'addetto, la compagnia era in arretrato con il lavoro perché erano arrivati troppi ordinativi. Dunque non era l'unico a essere nervoso a Silence. E almeno poteva sostenere che proteggersi era soltanto un buon affare. D'altronde lui vendeva polizze assicurative. E tutti sapevano che gli assicuratori erano molto insistenti sulla necessità di ridurre i rischi. Era questo che Nate stava facendo, riducendo i rischi. Ma era ancora spaventato. Il fatto di vivere solo non aiutava. Tremendo essere soli quando si ha paura. Teneva la televisione come rumore di sottofondo, perché uno scricchiolio di un ramo d'albero o l'improvviso grido di una civetta lì fuori lo facevano trasalire. Ma anche con il rumore di sottofondo, si ritrovava ad andare da una finestra all'altra e da una porta all'altra, controllando le serrature. Accertandosi.
Osservava la notte procedere lentamente. Non dormiva. Aveva smesso di dormire da giorni. «Nell, stiamo parlando dello stesso assassino? Stai dicendo che tuo padre è stato la sua prima vittima?» Lei esitò, poi scrollò le spalle. «Non lo so. Forse, Forse quello è stato l'inizio del suo piano di esecuzioni.» «E lui era qui, in questa casa.» Di nuovo, lei esitò. «Non posso esserne sicura, Max. Ma ha senso. Mio padre fu trovato qui in casa, giusto?» «Sì.» «Nessuno sospettò che il corpo fosse stato spostato.» «Non che io abbia mai saputo. Ma dato che sembrava un attacco di cuore, dubito che qualcuno abbia perfino considerato l'idea.» Era vero, e Nell annuì. Max la osservò pensoso. «Anche se è stato spostato, ciò che tu hai intercettato si trovava proprio in questa stanza; dunque l'assassino probabilmente è stato qui a un certo punto.» Perfettamente consapevole di che cosa lo preoccupasse, Nell cercò di evitare di discuterne. «Sarebbe bello se potessi sbirciare di nuovo in quella scena per individuare meglio l'assassino, ma non sembra funzionare così. O almeno non è mai successo. Non vedo mai la stessa scena due volte.» «Vedi mai una seconda scena nello stesso posto?» «Finora no. È come se, attinta l'energia di un luogo, ne prosciugassi una parte, alleggerendo in qualche misura la pressione. Proprio come puoi sentire la scossa per l'elettricità statica quando tocchi qualcosa la prima volta, ma non quando lo rifai.» «Lo stesso oggetto può darti una seconda scossa se ti allontani per un po' e poi lo tocchi di nuovo» fece notare Max. «Una volta che l'elettricità statica ha la possibilità di riaccumularsi.» «Sì, ma finora non sono riuscita a conoscere la cornice di tempo, se ne esiste una, per questa specie di energia. Forse potrei tornare una settimana, un mese o un anno dopo e vedere qualcosa, ma ancora non sono stata capace di farlo. Posti diversi potrebbero avere cornici di tempo diverse a seconda dell'intensità dell'energia assorbita. Oppure questo particolare tipo di energia potrebbe dissiparsi completamente una volta che qualcuno sia in grado di coglierla. Non lo so.»
«Nessuno nella tua unità è ancora riuscito a capirlo?» Nell fece un lieve sorriso. «Be', a parte un bel carico di casi che occupano la maggior parte del nostro tempo, tra noi abbiamo anche uno spettro molto ampio di capacità paranormali da affrontare e comprendere. Lentamente e soprattutto attraverso l'amara esperienza delle indagini quotidiane, stiamo imparando quali siano i nostri ambiti e limiti, ma è una caratteristica individuale.» «E nessun aiuto dalla scienza.» «Già. La scienza, oggi, non può convalidare in maniera accettabile le capacità sensitive. Oh, ci sono sempre persone che fanno delle ricerche, ma la nostra sensazione è che la tecnologia e la metodologia scientifica odierne non siano in grado di misurare o analizzare efficacemente il paranormale. Non ancora.» Adesso era Max a sorridere, sebbene per un momento. «Suona un tantino semplicistico.» «Lo è, più o meno. Uno dei motivi per cui sono entrata nel Reparto speciale anticrimine è stato perché pensavo che Bishop e i suoi uomini avessero un modo molto ragionevole di guardare al paranormale. Loro non screditano nulla solo perché la scienza non può ancora spiegarlo. E non ho mai sentito un membro della squadra usare la parola "impossibile" riferendosi a qualunque aspetto del paranormale.» «Sembra davvero un bel modo di vivere.» Un po' sorpresa, Nell disse: «Una reazione inaspettata, per un allevatore cocciuto.» Max abbassò lo sguardo sulla tazza di caffè quasi vuota e disse lentamente: «Forse entrare in contatto col paranormale cambia il tuo modo di pensare su un mucchio di cose.» Nell era molto tentata di seguire quel sentiero per scoprire dove li avrebbe condotti, ma lo evitò. Non adesso. Non ancora. La lieve sensazione di nausea alla bocca dello stomaco le diceva che non era ancora pronta per affrontare il dolore che aveva inflitto a Max. Così scelse di restare sulla rete di sicurezza del terreno professionale. Pensò al motivo per cui si trovava lì. Ricordò a se stessa che c'era un pericoloso assassino in libertà. E quella era una ragione più che sufficiente per concentrarsi sul suo lavoro e mettere da parte il resto. Almeno per ora. Così disse soltanto: «Ciò che non cambia, in sostanza, è come si indaga su un omicidio o una serie di omicidi. Il prossimo passo per me è cercare
di andare sulle scene dei delitti. Di tutti i delitti. E non posso farlo sventolando il mio distintivo.» Il sorriso di Max si storse debolmente, mostrando che lui era consapevole di quel sentiero non preso, ma non protestò. «Credo che finalmente stiamo arrivando al vero motivo per cui tu e il sindaco vi siete confidate con me. Nell, hai bisogno di me, vero?» Quell'affermazione le inviò una piccola scossa, e fu costretta a rammentarsi che Max intendeva dire che aveva bisogno di lui professionalmente. Certo che intendeva questo. Scelse con cura le parole. «Le informazioni che siamo stati in grado di raccogliere ti indicavano come la persona del posto che probabilmente poteva essermi più utile. Tu conoscevi abbastanza bene tutte le vittime. La gente qui è pienamente consapevole della sfiducia e dell'astio che lo sceriffo prova per te e così non sarebbe sorpresa se venissi scoperto a... indagare sul caso per conto tuo in modo da discolparti. Possedere un tuo ranch ti rende possibile gestire un orario di lavoro flessibile senza destare alcun sospetto. E hai l'abitudine di cavalcare per la campagna, al di là dei confini della tua proprietà, utilizzando sentieri remoti e vecchie strade sterrate. Dunque hai una grande familiarità con la zona, e il genere di mobilità che mi occorre.» «E nessuno» concluse lui «sarebbe sorpreso o insospettito nel vederci insieme.» «Anche questo.» «È stata una tua idea, Nell?» Lei quasi lo negò, voleva farlo, ma alla fine rispose: «Era... abbastanza sensato. Tutto ciò che ti ho detto sommato alla mia certezza che tu non eri l'assassino...» «È stata una tua idea?» Lei attese un istante, troppo consapevole delle cose rimaste non dette e senza risposta. Era perfino più difficile di quanto si era aspettata. «È stato un mio suggerimento.» Lui fece un ampio respiro. «Non sono così sicuro che mi piaccia essere usato.» Nell si assicurò di non sembrare arrabbiata o sulla difensiva quando disse: «Conviene anche a te aiutarmi a scoprire la verità, lo sappiamo entrambi. Lasciato a se stesso, è più probabile che lo sceriffo ti arresti. Aiutando me, anzi noi, avrai la certezza di un'indagine imparziale interamente focalizzata sulla ricerca del vero assassino. E noi non intendiamo arrenderci
finché non lo troviamo.» «E tu consideri tuo dovere... sopportare la mia compagnia per tutta la durata delle indagini?» Di nuovo, Nell replicò con cautela, avvertendo con inquietudine l'ironica verità: Max era l'unica persona a Silence che avrebbe potuto capire la sua finzione. E c'era il rischio che lo facesse piuttosto presto. «Siamo entrambi adulti, Max. E dodici anni sono lunghi. Il passato è chiuso, finito. Adesso, qui, ciò che entrambi vogliamo è scoprire la verità su quanto sta accadendo a Silence. E questo è sufficiente.» Ma mentre pronunciava quelle prudenti bugie, lei sapeva che stava solo rimandando l'inevitabile. Presto o tardi Max avrebbe preteso la verità. Sperava soltanto di essere abbastanza forte da offrirgliela. «È sufficiente?» chiese lui. «È il mio lavoro. Il motivo per cui sono qui.» Max annuì lentamente, lo sguardo scuro fisso sul suo viso con un'intensità che lei avvertiva fin sotto la pelle. «Ed è l'unica ragione per cui sei qui. Questo è ciò che dovrei credere.» «Non sono tornata finché non sono stata costretta. Me l'hai fatto notare tu stesso.» «Non sei tornata... finché non hai avuto un motivo per farlo. Un comodo... sicuro... motivo professionale.» Davvero presto. «Come ho detto. È il mio lavoro.» Lei quasi trattenne il fiato, timorosa che avrebbe continuato a farle pressione. E più timorosa che non l'avrebbe fatto. Bruscamente, Max spinse indietro la sedia e si alzò. «D'accordo» disse, il viso impassibile. «Ci penserò.» Nell sentì di nuovo quella sensazione di nausea alla bocca dello stomaco, ma questa volta accompagnata da una fitta di dolore. Nascondendolo, disse: «Sarò qui domani. C'è abbastanza da mantenermi occupata in casa. Ma non metterci troppo, Max. Se decidi di rinunciare, dovrò escogitare qualcos'altro, un modo diverso per ottenere l'accesso alle scene dei delitti. E il tempo è un problema.» Sapeva di sembrare una professionista. Pratica e disinteressata. Lui annuì, ancora inespressivo. «C'è una cosa riguardo alle tue visioni che non hai spiegato, lo sai.» Lei lo sapeva. «Sì.» «Mi hai detto che talvolta vedi qualcosa che non è ancora accaduto. Il
futuro. Ma come può essere, se quelli che intercetti sono ricordi?» «Non lo so.» «Potrebbe essere una seconda capacità, completamente diversa? Precognizione?» «Bishop dice di no, e gli altri concordano.» Scrollò le spalle, conscia della propria tensione. «L'esperienza è essenzialmente identica, che io stia vedendo il passato o il futuro. Le stesse sensazioni, emozioni, la stessa consapevolezza di sfasamento temporale. Dunque è lo stesso fenomeno. L'altra faccia, forse, ma della medesima capacità.» «Come può un luogo conservare l'impressione, il ricordo, di un evento che non è ancora accaduto?» «Non lo so. Noi non lo sappiamo. Forse il tempo è più flessibile di quanto possiamo immaginare, niente affatto lineare, ma a forma di anello, o di una serie di anelli. Forse diverse linee temporali occupano lo stesso mondo fisico ma in dimensioni alternate, dimensioni che in qualche modo io sono capace di intercettare perché contengono un altro genere di energia a cui sono sensibile. O forse è una questione di destino, e il mondo fisico contiene l'energia degli avvenimenti futuri perché quegli avvenimenti accadranno, sono destinati ad accadere; in un certo senso sono già accaduti.» Max scosse la testa. «Questo è un po' troppo metafisico per me.» «Me l'hai chiesto tu.» Lei fece un debole sorriso, domandandosi se avrebbe mai potuto sostenere quella situazione, affrontarla, se non appoggiandosi al dovere e alla professionalità. No. Decisamente no. «La verità è che io non so come avvenga. So soltanto che avviene.» Sembrò che lui stesse per dire qualcos'altro, ma alla fine scosse nuovamente la testa. «Be', suppongo che io debba accettarlo. Per ora, a ogni modo.» Nell fu tentata di chiedergli se si aspettava che in seguito qualcosa sarebbe cambiato, ma ancora una volta evitò di andare più a fondo. Si alzò in piedi e lo accompagnò fino alla porta d'ingresso. «Ti farò sapere qualcosa domani» disse lui. «Va bene.» Lo guardò con aria grave, chiedendosi se la stesse respingendo per salvare le apparenze o per qualche altra ragione. Era stato terribilmente vicino a indovinare il vero motivo per cui era venuta qui, e da lì mancava solo un passo per capire anche che lo stava coinvolgendo nell'indagine per ragioni diverse da quelle superficiali che aveva dichiarato. Lui lo sapeva? E se era così, ne avrebbe approfittato per una piccola rivalsa?
Bruscamente, Max disse: «La scena che hai visto nel bosco. Un uomo che trasportava il cadavere di una donna.» «Forse un cadavere. Avrebbe potuto non essere morta.» «In entrambi i casi, potrebbe trattarsi di qualcosa che non è ancora accaduto.» Nell assunse un tono pragmatico. «Non c'è alcun modo per esserne sicuri. Ho controllato la documentazione dei casi di donne morte o scomparse nella zona, e nulla sembra corrispondere a quello che ho visto. Nessuna donna è stata vittima di omicidio da anni, almeno nessuna trovata nei boschi. Così forse non è ancora accaduto.» «E se non è ancora accaduto... potrebbe trattarsi di te. Potrebbe essere una visione del tuo futuro quella che hai visto.» «Non vedo mai il mio futuro.» «Intendi dire che non l'hai mai visto prima.» «So badare a me stessa, Max.» Le mani di Max si sollevarono leggermente, come se volesse afferrarla e scuoterla, ma alla fine strinse a pugno le dita lungo i fianchi e disse in tono teso: «Tu sei qui a indagare su una serie di omicidi, sei una minaccia per l'assassino, e hai visto qualcosa che potrebbe indicare la tua fine.» Nell non poteva rassicurarlo sulla propria sicurezza, dato che sarebbe stata una bugia. Così non fece neppure il tentativo. «Qualunque cosa io abbia visto non cambia nulla, e se quello è il modo in cui devo finire, allora è così che finirò. Sono qui per fare un lavoro, Max, e intendo portarlo a termine.» Fece una pausa, ma non abbastanza lunga da dargli l'occasione di ribattere. «Non disturbarti a dirmi di chiudere a chiave la porta. Lo farò.» «Desideri morire, Nell, è così?» «No. Buona notte, Max.» Si fissarono a vicenda per un istante, poi Max imprecò sottovoce e uscì, chiudendosi dietro la porta con un colpo secco. Nell tirò il chiavistello nello stesso modo enfatico, poi restò lì un attimo guardando le sue mani tremare. Aveva creduto di essere pronta, ma le poche ore passate in compagnia di Max avevano dimostrato che si sbagliava. Non lo era. Non lo sarebbe mai stata. Ma non c'era modo di tornare indietro. Non adesso. Nell sospirò, chiedendosi se ci fosse mai stato un momento in cui avrebbe potuto tornare indietro. Probabilmente no. Ognuno era costretto a trovare un equilibrio e ad affrontare il passato.
Prima o poi. Quanto a Max, tutto considerato, la sollecitudine mostrata per la sua sicurezza era decisamente inaspettata, e lei non era completamente certa di come si sentisse in proposito. Era spaventata, naturalmente, perché il castigo si rivelava tanto più duro quand'era preceduto da un interludio di spensierata felicità. Si guardò di nuovo le mani per costringerle a smettere di tremare, senza sorprendersi nel riuscirci solo in parte. Era stanca. Preoccupata. Impaurita. E per un istante fu tentata di aprire la porta e richiamare Max, perché restare sola in casa quella notte era quasi più di quanto potesse sopportare. La sua mano si allungò verso il pomello, ma Nell la costrinse a ricadere lungo il fianco. Io posso farlo. Posso badare a me stessa. Devo farlo. Attraversò l'atrio verso la cucina, fermandosi al tavolino del telefono con la segreteria automatica accanto alle scale. La lucetta stava lampeggiando. Quando Nell schiacciò il pulsante, il messaggio che sentì fu breve. "Nell, sono Shelby. Ascolta, mentre scattavo delle fotografie, oggi, ho colto qualcosa di... inaspettato. Penso che dovresti vederlo. Posso mostrartelo domattina, se ti va bene. Potrei restar fuori fino a tardi, stasera, ma mi puoi lasciare un messaggio sulla segreteria e farmi sapere a che ora." Nell diede un'occhiata all'orologio, poi prese il telefono. Poco prima di mezzanotte lui fece il suo esercizio di meditazione e inviò il suo alter ego onirico a far visita a Nell. Pensava che fosse il modo migliore per sorvegliarla senza dare troppo nell'occhio. La connessione lo portò da lei perfino più rapidamente di prima, e gli fece piacere essere in grado di seguire con tanta facilità quel sentiero consueto. Nonostante il passare del tempo, certe cose sembravano inalterabili. Come prevedeva lei era a letto, addormentata, e per un po' le aleggiò accanto limitandosi a guardarla. Affascinante starle così vicino mentre lei ne era completamente ignara. Essere in grado di fissarla indisturbato. Era una bella donna, perfino al buio. La notte rubava il colore, così i capelli sparsi sul cuscino erano di un nero scintillante e la pelle pareva pallida, liscia, i suoi lineamenti rilassati il ritratto di una delicata femminilità. Le coperte erano tirate su fino alle spalle. Tuttavia riusciva a vedere che indosso non aveva niente di frivolo o di sexy, forse solo una maglietta o qualcosa di simile, incolore e senza forma. Mentre la osservava, lei si agitò irrequieta, e un raggio di luna che filtra-
va dalla finestra le cadde sul viso, consentendogli di vedere un fugace, ansioso cipiglio. Per un istante lo colse alla sprovvista, lo scosse. Era semplicemente turbata perché si trovava di nuovo in quella casa dopo tanti anni? Era questo a rendere inquieto il suo sonno in quella tranquilla, pacifica notte? O la sua mente addormentata era in qualche modo consapevole di lui? Lei poteva percepirlo? Sentirlo? Provò un momento di disagio, perfino di paura, ma poi intuì le possibilità, ed erano troppo affascinanti e seducenti per ignorarle. Focalizzò la concentrazione e radunò abbastanza energia da sussurrare il suo nome, osservandola attentamente. Fu quasi certo che ci fosse stata una reazione, che di nuovo il cipiglio le avesse attraversato il viso e che la regolarità del suo respiro si fosse interrotta. Ah. Quanto sarebbe stata ricettiva? Fino a che punto poteva spingersi? Dopo aver riflettuto per un attimo, sussurrò di nuovo, stavolta dicendo a Nell di rigirarsi nel letto. Ripeté il comando, sommesso ma insistente, ordinandole di obbedire con la mente. Ci fu un'altra esitazione nel suo respiro, lei parve nuovamente accigliarsi, poi si voltò. Un successo di poco conto, pensò, ma una buona indicazione di controllo. Un buon inizio. Un altro strumento per il quale senza dubbio poteva trovare un impiego. Sì, decisamente. Avrebbe dovuto pensarci su. Esercitarsi ancora un tantino finché il suo controllo su di lei non fosse migliorato. Sorridendo, lasciò Nell ai suoi sogni inquieti. 7 Venerdì 24 marzo Ethan Cole chiuse la cartella dei documenti e guardò pensieroso il gruppetto riunito su scomode sedie dal rigido schienale al di là della scrivania. «Allora, cosa mi dite?» Justin Byers lanciò uno sguardo agli altri due detective della CID (insieme, i tre costituivano l'intera divisione di polizia giudiziaria del dipartimento dello sceriffo del distretto di Lacombe, sebbene gli agenti in uni-
forme li aiutassero, quando necessario) e realizzò tristemente che si aspettavano ancora una volta che lui fosse il portavoce. Che gli piacesse o no. «Questa settimana non abbiamo molto più di quanto avessimo la settimana scorsa» replicò realisticamente. «Sappiamo che tutte e quattro le vittime hanno ricevuto una telefonata la notte prima di essere uccise, chiamate effettuate da diversi telefoni pubblici in giro per il paese. Finora, non siamo stati in grado di trovare nessun testimone che abbia notato qualcuno fare le telefonate. Oltre a questo, non c'è niente di nuovo da riferire.» Se possibile l'espressione dello sceriffo si fece ancora più scura. «Nessuno dei segreti di George Caldwell è ancora venuto alla luce?» Mentendo senza scomporsi, Justin disse: «Finora no.» «Merda. Odio questo genere di attesa.» La sola detective donna, Kelly Rankin, disse: «Già, è davvero snervante.» Scosse la testa e distrattamente si scostò dal viso una ciocca ribelle di capelli chiari. Ethan fece un mezzo cenno d'assenso. «Sentite, abbiamo una pallida idea se questo bastardo abbia smesso di uccidere?» Justin disse: «Non c'è proprio modo di saperlo. Forse aveva solo quattro nomi sulla sua lista, o forse ne ha una dozzina. Finora non abbiamo trovato il comune denominatore: non esiste una persona con qualunque tipo di rancore che possiamo collegare a tutti e quattro gli uomini.» Kelly interloquì di nuovo. «Garantito, non abbiamo ancora setacciato la vita segreta delle vittime abbastanza accuratamente da trovare tutto ciò che ci serve; questi tizi mantenevano i loro peccati segreti molto ben nascosti. E quei peccati sono tutti così... diversi. Voglio dire, abbiamo scoperto pornografia, gioco d'azzardo, appropriazione indebita; e Dio solo sa quale sarà il segreto di Caldwell.» «Tutti differenti» rifletté Ethan. Lei annuì, gli occhi d'un azzurro intenso. «Sì. Dunque, forse stiamo sprecando tempo a vagliare i loro segreti in cerca di un comune denominatore, un solo nemico valido per tutti.» Justin disse: «Forse i segreti sono il comune denominatore.» Il terzo detective della CID, assentì con un cenno del capo. Sembrava stanco, fatto non molto sorprendente, gli occhi grigi iniettati di sangue e i capelli scuri venati di grigio piuttosto arruffati. «In realtà è l'unica cosa di cui siamo certi finora: almeno le prime tre vittime conducevano qualche genere di vita segreta. Perciò forse siamo di fronte a un omicida il cui unico fine è smascherare segreti. Forse nessuno di loro gli ha fatto nulla per-
sonalmente. Forse non gli piacciono le persone che fingono di essere qualcosa che non sono.» «Il che, se è vero, non renderà affatto più facile il nostro compito» concluse Justin con un sospiro. «Scordiamoci perfino di capire chi potrebbe essere il prossimo bersaglio. E se questo tizio non ha un collegamento tangibile con le vittime, e quindi sotto questo aspetto non abbiamo una pista da battere, allora le possibilità di prenderlo si riducono a zero, a meno che non commetta uno sbaglio.» Lo sceriffo gli lanciò un'occhiata piuttosto tetra. «Un atteggiamento davvero disfattista.» «Realistico. I serial killer senza alcun legame con le loro vittime vengono presi quando sbagliano. Punto.» Fermandosi tardivamente, aggiunse in tono diverso: «Almeno stando a tutto ciò che ho letto sull'argomento.» Dopo un lungo istante, Ethan inclinò la sedia all'indietro finché scricchiolò, e scosse la testa. «Ancora non sono convinto che si tratti di un unico assassino. Tanto per cominciare, ci sono quattro cause di morte nettamente diverse: veleno, annegamento, elettrocuzione e colpo di arma da fuoco. Quanto spesso un unico omicida varia i suoi metodi in una gamma così ampia?» «Non è un fatto frequente» ammise Justin. «Ma succede. Specie se uno dei suoi obiettivi è mettere in difficoltà la polizia.» «Forse. Ma a meno che voi non riusciate a svelare la vita segreta di George Caldwell, ammettendo che ne avesse una, o a scoprire qualche altro collegamento con le prime tre vittime, io sono incline a considerare il suo omicidio come un caso separato dagli altri tre.» Questo sorprese notevolmente Justin. Se Ethan Cole fosse stato una delle vittime del ricatto di Caldwell, avrebbe forse incitato i suoi investigatori a cercare un movente specifico per quell'omicidio? Oppure era convinto che tale movente avrebbe implicato qualcun altro e che sarebbe emerso prima che si potesse trovare la prova del vizio segreto di Caldwell? Magari Justin si sbagliava completamente sullo sceriffo, vedendo riluttanza o interferenza nell'indagine quando in realtà non ce n'erano affatto? Kelly disse: «Lui ha ricevuto una chiamata da un telefono pubblico proprio come gli altri la notte prima di essere ucciso, questo è certo.» Non era tanto un'obiezione, quanto un promemoria. «La gente riceve telefonate dalle cabine pubbliche, Succede.» Justin scambiò un'occhiata con gli altri due, poi disse: «Be', se scaveremo abbastanza a fondo, scopriremo la verità. In ogni caso, c'è una cosa che
distingue l'omicidio di Caldwell dagli altri. Lui è l'unico dei quattro di cui possiamo essere ragionevolmente certi che abbia visto il suo assassino.» Riflettendo ad alta voce, Kelly osservò: «Mi chiedo se significhi qualcosa. Se l'omicidio di Caldwell fa parte della serie, allora perché lui è stato ucciso così? Faccia a faccia, intendo dire.» Justin disse: «Luke Ferrier è stato reso incosciente da qualche droga mentre guidava e così è finito nel canale accidentalmente, oppure è stato prima narcotizzato, poi messo in macchina e spinto in acqua, giusto? Insomma, probabilmente lui non ha avuto alcuna opportunità di vedere il suo omicida.» Kelly lo guardò accigliata. «Be', suppongo di sì. Non c'era alcun segno di lotta, niente a indicare che Ferrier avesse opposto resistenza. Dunque, che sia stato suicidio o altro, è sensato immaginare che fosse privo di sensi e non potesse lottare. E dato che progettava di lasciare Silence, non mi bevo la teoria del suicidio.» Justin annuì. «D'accordo. Ma se ipotizziamo che l'assassino fosse lì con Ferrier, anche se non è stato visto, che abbia messo l'uomo nella macchina e l'abbia diretta verso il canale, allora l'unico omicidio dei quattro che spicca davvero per come è stato eseguito è il primo: quello di Peter Lynch.» «Già, l'assassino non l'ha visto morire» concordò Ethan. «Sempre che il veleno sia stato mischiato alle sue vitamine in qualche momento precedente e dunque non ci fosse modo di sapere quando lui avrebbe preso quelle particolari pillole.» «Non siamo nemmeno sicuri che sia andata così.» Justin sospirò. «Non siamo sicuri di un dannato mucchio di cose.» Kelly scosse la testa. «Qualcun altro ha l'impressione che questo tizio stia semplicemente giocando con noi?» «Io» disse Matt, scoraggiato. «Una sfida diretta alla polizia?» Justin rifletté, poi scrollò le spalle. «Forse. Ma a me sembra che abbia un suo piano di gioco ben predisposto e intenda attenervisi, non importa ciò che facciamo noi. Pare che ciascun omicidio sia ideato come parte della punizione della vittima. Peter Lynch, il patito della salute, viene avvelenato; Luke Ferrier, così orgoglioso dei suoi trofei di nuoto all'università, finisce annegato; Randal Patterson, famoso per la vanità personale, resta fulminato dall'elettricità nella sua vasca da bagno; e George Caldwell, che ha tenuto conferenze scolastiche sulla sicurezza delle pistole e possedeva un'estesa collezione di armi da fuoco,
viene ucciso da un colpo di pistola alla testa.» Kelly sbatté le palpebre verso di lui. «Gesù, hai ragione. Non ci avevo mai pensato in questo modo, ma... tutto quadra.» Anche Ethan lo stava fissando, e con aria molto pensierosa. Con la maggior disinvoltura possibile, Justin disse: «Forse quadra, ma è soltanto un'altra teoria e non ci aiuta nemmeno un po', a quanto pare. Non siamo affatto più vicini né a identificare questo tizio né a prevedere la sua prossima mossa o la sua prossima vittima.» «Credi che lui non abbia finito?» chiese Ethan. «Credo che per noi sarebbe uno sbaglio supporlo. Anche se la sua lista di delitti conteneva solo quattro nomi, la verità è che la sta facendo franca; finora, almeno. E quali che fossero le sue ragioni per iniziare a uccidere, il successo può soltanto incoraggiarlo. Se è intenzionato a punire il peccato, il fatto che non siamo stati capaci di fermarlo lo inciterà a continuare. Potrebbe anche decidere che è stato scelto da Dio appositamente per questo compito. E sappiamo tutti che se cerchi il vizio, anche in un grazioso paesino come Silence, sei destinato a trovarlo.» «Merda» disse Ethan. Sospirò. «D'accordo, gente: dobbiamo sapere se l'omicidio di Caldwell è legato agli altri. Scopritelo.» In tono accuratamente neutro, Justin suggerì: «Potrebbe essere una buona idea parlare con la vedova. So che la scelta del momento è pessima, ma...» Lo sceriffo imprecò di nuovo, ma sottovoce. «Va bene. Parla con chiunque sia necessario, ma scopri la verità.» «Non importa quale sia?» chiese Justin. «Non importa.» «Vedi cosa intendo?» Shelby indicò la fotografia che aveva appena sistemato sul grezzo tavolo di legno nella cucina di Nell. «Ho un altro paio di foto tue, ma questa era l'unica in cui è saltato fuori qualcosa che non riuscivo a spiegare. Lo definirei decisamente misterioso.» Nell si chinò sulla fotografia, corrugando la fronte. La parola che avrebbe scelto per descriverlo era sconvolgente. Vedersi mentre scendeva i gradini del palazzo di giustizia, del tutto ignara dell'ombra che incombeva minacciosa sopra di lei... Sentì un leggero brivido risalirle lentamente la spina dorsale. La sensazione che aveva avuto di essere osservata stava cominciando a sembrare molto più che semplice nervosismo per essere tornata a casa. «Non c'è niente che possa giustificarlo? Non è soltanto l'ombra di
qualcosa, qualche oggetto, fuori dell'inquadratura, o un problema con le lenti, o...» Shelby scosse la testa, gli occhi vivaci. «No. Ho considerato tutte le possibilità, e nessuna combacia. L'ombra non era visibile a occhio nudo, ma solo alla macchina fotografica. Ed è decisamente lì. A meno che tu non creda ai fantasmi... Ci credi, a proposito?» Nell fece un lieve sorriso senza alzare lo sguardo. «In realtà, sì. Ma secondo tutto ciò che ho sentito sull'argomento, è raro trovare la prova fotografica di un fantasma all'aperto. Non impossibile, bada bene, ma raro.» «Anche le dimensioni sono sbagliate» disse Shelby. «Intendo dire, se stiamo parlando del fantasma di un normale essere umano. La mia stima è che l'ombra sia alta circa due metri e dieci.» Nell seguì con un dito quella forma minacciosa, poi si rilassò con un sospiro, cercando di non rendere evidente che il lento brivido le stava lasciando gelide tracce lungo la spina dorsale, quasi non volesse cessare. «Ed è anche sul negativo?» «Sì.» Shelby sorseggiò il suo caffè, osservandola con i vivaci occhi. «È l'unica foto che ti ho scattato ieri, così non ho modo di sapere se l'ombra ti stesse... seguendo. Come stava facendo Max.» «Con Max posso cavarmela» disse Nell con disinvoltura. «Davvero?» «Tu non credi?» Lentamente, Shelby rispose: «Penso che quella tra te e Max sia una lunga storia. E probabilmente ci sono diversi interrogativi senza risposta. Ma, Nell, quello che può essere scusato, perfino perdonato, a una ragazza di diciassette anni non è così facile da tollerare in una donna vicina ai trenta. E Max non ha più ventidue anni, costretto da una fidanzata molto giovane e dalla sua... insolita famiglia a tenersi a distanza e magari a non fare troppe domande.» Più vivacemente, Shelby aggiunse: «Naturalmente, c'erano cose che doveva chiederti quando sei fuggita via. E dato che non poteva farlo perché tu non c'eri... Da ciò che ho sentito, lui affrontò tuo padre quella sera. Lo sapevi?» «No,» Nell si rifiutò di chiedere altro al riguardo, e una parte di lei sperava che Shelby si fermasse. Ma non era certo quello il suo stile. «Max non è mai stato tipo da lamentarsi in pubblico o raccontare i fatti suoi ad altre persone, questo lo sappiamo entrambe. Così tutto ciò che ho sentito era di seconda o terza mano. Ma perfino mio padre disse a mia madre che Adam Gallagher si vantava di come avesse preso a calci Max Tan-
ner giù per le scale di casa sua. Letteralmente.» Nell sussultò. Osservandola, Shelby disse: «La mia sensazione è che Max non avrebbe reagito, non contro tuo padre, non se non poteva essere sicuro di cosa ti avesse fatto scappare via a quel modo. Potrà avere un caratteraccio, ma Max non attacca alla cieca. Forse riteneva perfino che fosse colpa sua, pensava di aver fatto qualcosa che ti aveva spinto ad andar via. So che tuo padre ha sempre dichiarato che non sapeva perché tu fossi fuggita e dunque aveva incolpato Max per questo.» «Non fu a causa di Max.» «No. Io non l'ho mai pensato. Ma qualcuno sì, Nell. C'erano un mucchio di teorie, dallo stupro di un innamorato o una gravidanza imprevista all'idea che tu ti fossi trovata presa tra due uomini dispotici e non potessi più sopportarlo.» Invece di rispondere alla domanda implicita su cosa fosse effettivamente accaduto, Nell disse soltanto: «Sembra che Max abbia... tutto il diritto di essere amareggiato.» «Sì. Ma eccolo lì.» Shelby picchiettò la fotografia con un dito, sorridendo debolmente. «Un paio di giorni dopo che sei tornata in paese, lui ti sta seguendo, forse sta perfino vegliando su di te. Suppongo che sia capace di perdonare.» Di nuovo, Nell non rispose alla domanda implicita, ossia perché Max riteneva che lei si trovasse in pericolo. «Credo di sì. O forse vuole solo qualche risposta.» «Forse. E forse tu puoi cavartela con lui; almeno questa volta. Ma se fossi in te starei attenta, Nell. Come ho detto, lui non ha più ventidue anni. E al di là di come fosse dodici anni fa, non credo che adesso sia il tipo d'uomo da farsi dimenticare.» «Non lo è mai stato» mormorò Nell. «Certe cose restano con te, non importa quanto fuggi lontano.» Prima che Shelby potesse approfittarne, aggiunse con voce più decisa: «Dunque forse questa... ombra... mi sta seguendo, o forse ieri mi è soltanto capitato di passarle vicino. Il vecchio palazzo di giustizia, come ogni edificio simile, potrebbe ospitare dei fantasmi...» «E un tempo c'era la prigione nel seminterrato» le rammentò Shelby, accettando il cambiamento d'argomento senza scomporsi. «Mi pare di ricordare almeno una vecchia storia su un uomo ingiustamente accusato che si è suicidato lì. Non dicono forse che le morti ingiuste... suscitino... creino...
spiriti?» Nell scavò tra i frammenti di conoscenze e informazioni che la sua mente aveva assorbito negli ultimi anni. «Morti inique. Morti improvvise o violente. O persone con un compito che vogliono disperatamente portare a termine. Penso siano i più probabili candidati a restare e a far sentire la loro presenza invece di procedere oltre.» Shelby contrasse le labbra pensosamente. «Così si tratterebbe soltanto di un fantasma che aleggia intorno al tribunale, è questo che stiamo dicendo?» «Potrebbe essere.» «Mmm. E i fantasmi come questo sono inclini a incombere sui passanti in modo minaccioso?» «Non sono un'esperta, Shelby.» «Davvero?» «No.» «Non hai una palla di cristallo?» «Temo di no.» «Niente carte dei tarocchi?» Cominciando a sorridere, Nell rispose: «Spiacente.» «Be'» disse Shelby con scherzoso disappunto «che delusione. E io che mi aspettavo cose sfrenate e occulte, dalla nostra strega rediviva.» «Sì, Max mi ha detto che era l'opinione generale.» Shelby le fece un largo sorriso. «Non mi dire che pensavi che questo paese potesse essere cambiato. Oh, no. Sempre gretto e atterrito da qualsiasi cosa sia percepita come troppo diversa. Questa è Silence. O la maggior parte di Silence, a ogni modo.» «Sono sorpresa che tu abbia scelto di restare qui» buttò lì Nell. «Davvero? Non è così sorprendente, in realtà. Io vengo percepita come diversa; ma non troppo diversa da rappresentare una minaccia. Mi piace qui, tutto considerato.» Inclinò la testa da un lato come un uccello curioso. «Che mi dici di te? Non hai voglia di fermarti adesso che sei tornata a casa?» «Ci ho pensato una volta o due.» Nell scrollò le spalle. «Ma non mi piace molto sapere che spavento la gente. Perfino le persone più semplici sembrano timorose che scagli loro addosso una maledizione, o roba simile.» «Ma tu sei sensitiva» disse Shelby in tono pragmatico. Nello stesso tono, Nell disse: «Un mucchio di persone lo sono.»
«Io no.» Nell rise sottovoce. «Ti è venuto in mente che il fatto che quest'ombra sia visibile potrebbe non riguardare me ma avere a che fare con te?» Per un attimo Shelby si accigliò, poi scosse la testa. «No, perché se fosse così, avrei visto qualcosa di simile spuntar fuori nelle mie foto molto prima.» «Forse. Ma non sempre la capacità sensitiva è evidente dall'infanzia, sai. A volte... compare pienamente... nella maturità.» «Davvero?» «Così ho sentito.» «Compare dal nulla?» Nell esitò, poi rispose: «Be', di solito c'è un fattore scatenante. Uno shock o qualche altro tipo di trauma.» «Non mi è successo nulla di simile» disse Shelby, più delusa che sollevata. «Ho avuto una vita piuttosto noiosa e tranquilla, tutto sommato. E dato che non è mai accaduto prima, possiamo senz'altro ritenere che quest'ombra sia apparsa sulla foto perché lì c'eri tu, e non perché l'ho scattata io.» Cedendo, Nell disse: «Be', allora la domanda diventa: perché? Perché questa particolare ombra appare in questa particolare foto in questo particolare giorno? Sono perseguitata da fantasmi? Perché non lo sono mai stata prima? È il palazzo di giustizia a essere infestato? Se ciò fosse vero, dovresti aver già visto un'ombra su altre fotografie. Hai fotografato il tribunale in precedenza?» «Un sacco di volte. Con e senza gente. Ma non ho mai colto un'ombra simile.» Nell studiò la foto, cercando di vedere qualche sagoma identificabile senza crearne una con la sua immaginazione turbata. L'ombra aveva vagamente la forma di un uomo, ma pareva in qualche modo allungata, distorta. E Shelby aveva ragione, sembrava quasi... incombere minacciosamente su di lei. Un'anima caritatevole avrebbe potuto dire che l'ombra si curvava su di lei come se la stesse proteggendo. Nell pensò che sembrava più minacciosa che protettiva. «Mi comunica una brutta sensazione» disse Shelby. Sentendo la serietà di quell'affermazione e condividendo il sentimento, Nell tuttavia disse: «Un'ombra non può farmi del male.» «Sempre che sia soltanto un'ombra. Ma lì non c'è nulla che possa proiet-
tare un'ombra, Nell. Nessuna presenza fisica, cioè. Dunque forse è qualcos'altro. E forse può farti del male.» Aggrottò la fronte. «Prima non volevo dire nulla, ma oggi mi sembri un po'... fragile.» «Non ho dormito bene, tutto qui.» «Soltanto ieri notte, o da quando sei arrivata a casa?» Nell scrollò le spalle, il gesto parlava da sé. Seria, Shelby disse: «È per questo che credi nei fantasmi? Perché se è così, io ho una stanza degli ospiti molto confortevole dove sei la benvenuta.» «No, questa casa non è infestata.» Nell fece una lieve smorfia. «Niente rumori di passi sulle scale o catene che sbatacchiano nella notte o punti inspiegabilmente freddi. Non ho visto né sentito nulla... fuori dell'ordinario.» Non aveva intenzione di menzionare la visione di suo padre lì in quella stanza o ammettere che varie volte avrebbe potuto giurare che qualcuno avesse sussurrato il suo nome; non c'erano fantasmi in quella casa, ne era certa. Inoltre, anche se Shelby era stata una sorta di amica, da bambina, la sua natura riservata le aveva impedito di confidarle granché della sua vita o delle sue capacità, e ora non desiderava approfondire l'argomento. Sempre seria, Shelby disse: «Allora forse sono fantasmi emotivi a turbare il tuo sonno. Tornare a casa dopo tanti anni può non essere facile.» Nell evitò il tacito invito a parlare di ciò che la stava preoccupando, chiedendosi mesta se fosse la discrezione appresa di recente a causa del suo lavoro o la vecchia riluttanza ad aprirsi a renderla silenziosa. Comunque fosse, si udì dire: «Non ho mai dormito bene le prime notti in un letto nuovo. Passerà. E questo posto non lo sento davvero come casa mia, sai. A quanto pare, Hailey ha cambiato più o meno tutto dai tappeti alla carta da parati; non ho riconosciuto nemmeno metà del mobilio.» «Le piaceva far spese» osservò Shelby con un largo sorriso. «Già.» «In paese dicevano che tuo padre avesse quasi perso la testa cercando di far restare a casa la sola figlia rimasta. Le dava tutto ciò che voleva.» Nell avrebbe potuto osservare che sua sorella era sempre stata brava a volgere le circostanze a suo vantaggio, ma tutto ciò che disse fu: «Non ne sono sorpresa.» «Sembrava funzionare, anche. Voglio dire, lei pareva davvero felice. Finché ci furono dei mormorii su lei e Glen Sabella, e subito dopo venimmo a sapere che erano scappati.»
«Nostro padre è sempre stato... molto duro. Se lei avesse fatto qualcosa per deluderlo, non avrebbe esitato a dirle come si sentiva al riguardo.» «E l'avrebbe ripudiata?» Shelby scosse la testa. «Gesù, quanto si può essere determinati. Però non ripudiò te.» «Io non scappai via con un altro, non scappai con un uomo.» Nell vide gli occhi di Shelby stringersi, e aggiunse subito: «Comunque, come ho detto, non mi sento davvero a casa. Ma ho un sacco di cose per la testa, così non è sorprendente che non abbia dormito bene.» Shelby la guardò un istante, poi tamburellò con un dito sulla fotografia che ancora giaceva tra loro sul tavolo. «E questa?» «Non so come spiegarla» confessò Nell. «Forse gli stiamo solo... dando troppa importanza. Non saremo in grado di comprenderla, ma questo non significa che non sia... soltanto un'ombra.» «E se fosse qualcos'altro?» «Allora non ho idea di cosa sia. Ma... forse conosco qualcuno che potrebbe scoprirlo per noi. Ti dispiace se la tengo?» «No, certo che no. Ne ho fatta una copia per me, per rimuginarci su, ma questa è tua.» Shelby frugò nella borsa a tracolla e tirò fuori una busta. «Ti ho anche portato il negativo. Ehi, se questo tuo esperto ne viene a capo me lo dirai, vero?» «Certo.» Nell infilò la foto nella busta insieme al negativo, lo sguardo fisso su di lei. Si dibatté in silenzio per un istante, ma dato che ci stava riflettendo fin dal giorno in cui era arrivata e aveva parlato con Shelby, bruscamente decise di seguire il suo istinto. «Shelby... questi omicidi. Ti interessano, non è così?» «Ho sempre amato i misteri, lo sai.» Shelby fece un ampio sorriso. «Più sono oscuri meglio è. E questo è davvero molto oscuro. Perché?» Nell fece un lungo respiro. «Perché ho un favore da chiederti. E una storia da raccontarti.» Il lavoro era fiacco quel venerdì, così Nate McCurry lasciò la sua segretaria in ufficio a sbrigare le pratiche e disse che sarebbe andato in paese, con il pretesto di passare a trovare dei clienti. Quello che fece in realtà fu fermarsi in un bar a prendere un caffè per avere l'opportunità di ascoltare le ultime novità sull'indagine. E non era certo l'unico a farlo. Il posto era insolitamente affollato in quel mattino feriale, più o meno a metà strada tra l'ora di punta della colazione e quella del pranzo, con la maggior parte dei clienti che prendevano caffè
come Nate o facevano uno spuntino. A parte ciò, nessuno stava cercando di fingere. «Ho sentito che i poliziotti hanno trovato robaccia d'ogni genere che George Caldwell teneva nascosta» annunciò un cliente, seduto con le spalle al bancone in modo da poter vedere gli altri. «Tipo cosa?» domandò un altro. «Pornografia, a quel che ho sentito. Roba davvero oscena.» «Io ho sentito parlare di diamanti.» Qualcuno rise e un altro tizio, più vecchio e tarchiato, disse incredulo: «State dicendo che il povero vecchio George era un ladro di gioielli? Tralasciando il fatto che era goffo e pesante come me, non direi che qui intorno ci sia molto che possa interessare a un ladro di gioielli.» «Un mucchio di gente investe i propri soldi in oro o gioielli, Ben. Saresti sorpreso di quanti siano a farlo.» Ben Hancock scosse la testa e disse: «Non erano gioielli. O pornografia. Sarei sorpreso se avessero davvero trovato qualcosa. Finora, almeno.» «D'accordo, ma cosa pensi che stesse combinando? Deve aver fatto qualcosa, Ben, altrimenti non si sarebbe ritrovato con la testa spappolata.» Con un'alzata di spalle, l'uomo replicò: «Se dovessi tirare a indovinare, direi che il maggior problema di George è che era un ficcanaso. Sempre a curiosare in fatti che non lo riguardavano. Sempre a buttar giù appunti e a compilare quelle sue liste.» «Ma perché qualcuno avrebbe dovuto ucciderlo per questo?» «Sto solo dicendo che potrebbe aver trovato qualcosa che dava fastidio a qualcuno, semplice. Tutta questa faccenda riguarda i segreti, non è così? Forse allora non è stato un segreto di George a metterlo nei guai. Forse è stato il segreto di qualcun altro.» «E di chi?» «Diavolo, non lo so. Dell'assassino, magari...» Qualcun altro disse, in tono fiducioso: «Forse il caso non riguarda i segreti, ma soltanto qualcosa di consueto. Come i soldi.» A quel punto Nate McCurry intervenne, accertandosi che la sua voce non suonasse troppo interessata: «Se credete ai giornali, la gente viene uccisa per i soldi ogni giorno. Ma ci sono anche motivi diversi. E se considerate gli altri tre uomini morti, due di loro avevano dei segreti che non erano legati ai soldi.» «È vero» convenne Ben. «E George era separato da Sue da molto tempo. Il loro matrimonio, come sapete, aveva avuto dei problemi, quale che fosse
la ragione. Forse era solo una crisi di mezza età, come continuava a dire lei, o magari c'era sotto qualcos'altro.» Una delle poche donne nel caffè disse: «Ho sentito che c'era di mezzo un'altra, ma se è così, di sicuro lui non la mostrava in giro.» «Sposata» suppose Ben. «Oppure lui non voleva dare a Sue nessuna arma da usare in tribunale.» Chiaramente parlando per amara esperienza, un altro cliente disse: «Il giudice tende a riconoscere alla moglie una liquidazione più cospicua se il marito ha un'amante, specie se la cosa è risaputa.» In tono paziente, Nate disse: «Sì, ma tradire una moglie che aveva già lasciato e con cui non viveva da due o tre anni avrebbe reso George un bersaglio per l'assassino? È un segreto, o un peccato, sufficiente da indurre l'assassino a volerlo punire?» Ben fece una smorfia. «Gesù, quanti di noi possono dire di non avere almeno un paio di segreti e qualche peccatuccio nascosto? Se il metro che l'omicida sta usando è questo, allora nessuno è al sicuro.» Cercando di non sembrare disperato come si sentiva, Nate disse: «La polizia non ha trovato nessun altro collegamento tra gli uomini, a parte i segreti?» «Riguardo a George non lo sappiamo ancora» rammentò Ben. «Sì, ma gli altri?» «Secondo i giornali è l'unico collegamento, Naturalmente, non sappiamo se la polizia stia rendendo pubbliche tutte le informazioni. Forse Ethan e i suoi uomini sanno qualcosa che non raccontano.» «Io credo che non sappiano un bel niente» borbottò qualcun altro a voce alta. «Si stanno mordendo la coda, secondo me.» Stavano ancora riflettendo su quest'ultima affermazione quando un uomo alto si alzò da un séparé in ombra sul retro e avanzò fino al bancone per pagare il conto. Scambiò qualche parola gentile con Emily quando lei emerse dalla cucina per prendere i soldi, poi salutò gli altri con un allegro: «Buona giornata, gente» e uscì dal caffè. Il campanello sulla porta tintinnò, la cameriera tornò in cucina, e i clienti rimasero a fissarsi reciprocamente. «È sempre stato qui?» chiese qualcuno a disagio. «Tutto il tempo» confermò Ben. «Non l'avevi visto lì dietro?» «No, Ben, io non l'avevo visto. Gesù.» Qualcun altro bofonchiò: «Dovrebbero far loro indossare l'uniforme, a tutti quanti, anche ai detective.»
«Coscienza sporca?» «Diamine, no. Ma lui non dovrebbe origliare di nascosto.» «Fa parte del suo lavoro» osservò Ben, chiaramente divertito dalla contrarietà che lo circondava. «Merda.» Nate McCurry sbirciò dalla finestra accanto al suo tavolo per guardare il detective Justin Byers allontanarsi a piedi. Era spaventato. Davvero spaventato. 8 «Posso cavarmela» disse Shelby. «Lo so. Ma stai attenta, d'accordo?» «Lo farò se lo farai anche tu.» Nell sorrise. «Starò attenta.» «Sono lieta di sentirlo. E ascolta, l'offerta di usare la stanza degli ospiti è sempre valida, dunque non esitare. Se non altro, potresti volere un po' di compagnia.» Le parole le erano appena uscite di bocca quando dalla finestra aperta della cucina udirono un fischio acuto e la voce di Max che chiamava Nell. «O forse questo non sarà un problema» mormorò Shelby, divertita. Lanciando uno sguardo alla busta con la foto che oltre all'ombra minacciosa mostrava Max appostato che la sorvegliava, Nell disse: «Ritengo che sarebbe inutile fingere che sia solo la visita fortuita di un vicino per augurare il buon giorno.» «Del tutto inutile» replicò Shelby con un sorriso mentre si alzava. «Ti chiamerò se e quando avrò qualcosa. Ma ora me ne vado. Non darti la pena di accompagnarmi fuori, porta soltanto i miei saluti a Max, d'accordo?» Nell prese Shelby in parola e non l'accompagnò. Invece, ripose la busta al sicuro in un cassetto, poi s'infilò la giacca leggera appesa accanto alla porta sul retro. Come si aspettava, trovò Max in sella al suo baio castrato affiancato da un cavallo pezzato anch'esso sellato. «Ho pensato che tanto valeva avviarci di buon'ora» esordì senza nemmeno dirle buon giorno. «Shelby ti saluta» replicò Nell in tono ironico. Udirono entrambi la macchina di Shelby accendersi rombando sul davanti della casa, poi l'allegro suono del clacson mentre si dirigeva di nuovo
verso il paese. Max fece una smorfia. «Avrei dovuto telefonare, prima.» Con disinvoltura, Nell replicò: «Come ha detto il sindaco, se la gente ci vede insieme, è probabile che si concentri sulla storia passata invece di ipotizzare un collegamento con gli omicidi. Di sicuro per Shelby è stato così. Non so te, ma a me la cosa non disturba.» Lui le passò le redini del cavallo pezzato. «Sopporterei di tutto pur di scoprire chi ha ucciso quegli uomini.» Nell decise di non esaminare troppo da vicino quell'osservazione tagliente. Accarezzò l'animale, ma prima di montare indugiò dicendo: «Per quanto ne sai, potrei non essermi avvicinata a un cavallo da dodici anni.» «Se è così, ti ricorderai presto come si fa. I cavallerizzi nati non perdono mai il loro talento.» Nell saltò agilmente in groppa all'animale e si sistemò sulla sella. «Be', in realtà vado ancora a cavallo, quando ne ho l'occasione.» «E trovi molte occasioni, nel distretto della Columbia?» «Qualcuna. Io lavoro spesso fuori del distretto federale, lo sai.» Fece una breve pausa. «Deduco che hai deciso di aiutarmi e ritieni che il modo migliore di andare sul luogo del delitto sia a cavallo.» «Non l'ho detto?» Nell si soffermò a chiedersi per quanto tempo lui avrebbe covato del risentimento, poi pensò che il suo atteggiamento non sarebbe migliorato, almeno finché lei continuava a tenerlo a distanza. Saperlo non aiutava molto. Non aiutava affatto. In tono affabile disse: «Probabilmente è una buona idea, almeno per i primi due omicidi. Il canale dov'è annegato Luke Ferrier è il più vicino, vero?» «Sì.» «Fai strada.» In silenzio, lui fece girare il baio e si avviò attraverso i boschi. Nell lo seguì, cercando di prendere familiarità con l'andatura gradevole del pezzato, gustando il leggero tepore del mattino e i freschi aromi della primavera. Voleva tenere occupata la mente, evitando che fosse troppo ricettiva; la notte agitata l'aveva lasciata indolenzita e turbata, uno stato niente affatto alleviato dalla lugubre fotografia di Shelby, o dalla silenziosa insistenza di Max, ansioso di avere risposte a domande che lei non era ancora pronta ad affrontare. Non era certo la condizione migliore per andare in cerca di prove, psi-
chiche o materiali. In effetti era la peggior condizione possibile. Per l'ennesima volta, si domandò se si stesse comportando in modo poco professionale: non aveva detto a Bishop che si sentiva troppo coinvolta nella situazione per fare il suo lavoro in maniera efficace. Ma la risposta che si diede fu la stessa a cui era sempre giunta. Se lo avesse fatto, avrebbe soltanto confermato di essere una codarda, di aver paura di affrontare il passato al punto da permettere che questo le rovinasse il presente e il futuro. Non poteva tirarsi indietro, giusto? Era così? Doveva affrontarlo, non importa quanto le costasse. Era impossibile andare avanti finché non la smetteva di guardarsi indietro, lo sapeva fin troppo bene. E lei aveva bisogno di andare avanti. Per il bene di Max quanto per il proprio. Abbassò lo sguardo e soffocò un sospiro che soltanto le orecchie volte all'indietro del cavallo potevano aver colto. Perché doveva essere tutto così maledettamente difficile? Max si fermò a una biforcazione del sentiero che stavano seguendo e si voltò sulla sella per guardare verso di lei. «Suppongo che ti abbiano detto della casa di tua nonna?» «Sì, me l'hanno detto.» Nell fermò il proprio cavallo, fissando il sentiero verso sud che per tutta l'infanzia l'aveva condotta a una vecchia casa al margine di un campo arato dove sua nonna aveva scelto di vivere da sola. «È stata distrutta da un incendio.» «Era rimasta vuota fin da quando lei morì» le raccontò Max. «Io venivo a cavallo piuttosto regolarmente da queste parti e non ho mai visto in giro nessuno né ho notato segni di vandalismo. Per quanto posso dire, una volta sgombrato il posto, tuo padre e Hailey non ci andarono più, e nessuno del paese lo avrebbe fatto; tranne forse qualche ragazzino per una sorta di sfida.» Ben consapevole che la casa di sua nonna era stata a lungo considerata dai ragazzi un posto spettrale, infestato da fantasmi, a cui avvicinarsi solo per dimostrare il proprio coraggio, Nell si limitò ad annuire. «Si accorsero che aveva preso fuoco ed era stata rasa al suolo dopo un paio d'anni. Il capo dei pompieri immaginò che fosse stata colpita da un fulmine.» Ironicamente, Nell osservò: «E nessuno fu molto sorpreso, giusto? Alla fine Dio aveva abbattuto il maligno...» Lui fece una smorfia. «Ho sentito una o due persone definirla una puni-
zione divina. Lei aveva fatto di tutto perché la gente la temesse, Nell, lo sai.» «Era una vecchia eccentrica che stava per conto suo perché le visioni con cui viveva la terrorizzavano.» Sorpresa dalla propria crudeltà, Nell fece uno sforzo per mantenere calma la voce. «Certe persone non si abituano mai. Lei non l'ha fatto. Vedeva tragedie che non poteva evitare e cercava di tenerle nascoste agli altri. Non era colpa sua se loro non capivano.» Dopo un lungo istante, Max disse: «Hai ragione. Mi dispiace. Senti, questo sentiero è la via più breve per il canale, ma se preferisci passare prima dalla casa di tua nonna...» «No, grazie. Preferisco andare direttamente al canale.» «D'accordo. Da questa parte, allora.» Nell lo seguì mentre prendeva il sentiero alternativo, lanciando all'altro soltanto una breve occhiata. Prima o poi avrebbe dovuto andarci, naturalmente, costringersi ad affrontare la vista dello scheletro di quella casa completamente bruciata. E ricordare. Ma preferiva farlo da sola. Doveva farlo da sola. «Mi sta chiedendo se lui aveva un posto segreto?» Sue Caldwell fissò Justin sbigottita. «Be', sì, un posto che gli piaceva tenere solo per... mettere da parte ciò che non voleva mostrare ad altre persone, diciamo.» Justin rese la sua voce uniforme, rasserenante. Col pallido viso che arrossiva improvvisamente, Sue disse: «Se intende sapere se aveva qualche orribile nascondiglio come Peter Lynch, la risposta è no. Mio marito non aveva nessun segreto sconcio, detective Byers.» Pur non potendo evitare di pensare al taccuino nero che ancora si portava dietro, Justin si affrettò a rassicurarla che non aveva affatto inteso suggerire una cosa simile. «Ma perfino gli uomini migliori hanno qualcosa che non vogliono che divenga... di dominio pubblico. Una pila di vecchie riviste, forse; qualcosa del genere.» Rigidamente, ora, Sue disse: «Riguardo a questo non saprei, detective. Di sicuro lui non ha mai avuto quel genere di roba mentre viveva qui con me.» Conscio di non avere la minima speranza di ottenere un mandato di perquisizione per la casa dalla quale George Caldwell si era trasferito quasi tre anni prima della morte, Justin non si era nemmeno dato la pena di richiederlo. Inoltre, immaginava che qualunque uomo con un piano di ricat-
to si sarebbe maledettamente assicurato di averne la prova a portata di mano, non nascosta nella casa di una moglie ormai estranea. E dopo aver trascorso più di mezz'ora a parlarle, Justin era anche convinto che Sue Caldwell non avesse conosciuto affatto suo marito. Gli dava l'impressione di una di quelle persone prive d'immaginazione che prendono tutto in modo superficiale, una moglie abbandonata ancora onestamente perplessa sul perché suo marito l'avesse lasciata e in sostanza convinta che alla fine lui sarebbe ritornato a casa. Bruscamente, Justin disse: «Mi perdoni, ma è vero che il vostro matrimonio si è rotto per un'altra donna?» «No, non è vero» disse lei recisamente, gli occhi lucidi d'indignazione. «George stava attraversando una crisi di mezza età, tutto qui. Comprò quell'auto rossa, cominciò a fare viaggetti dappertutto e a indossare abiti vistosi, proprio il genere di cose che ti aspetteresti. Stava per compiere quarant'anni e non poteva sopportare il pensiero di perdere la sua giovinezza. Ma non c'era nessun'altra donna. Se ci fosse stata l'avrei saputo.» Justin ne dubitava, ma non contestò la sua asserzione. «Capisco. E lei non riesce a pensare a nessun nemico che potrebbe essersi fatto durante il vostro matrimonio o dopo che si trasferì?» «No di certo. George era un brav'uomo, lo dicevano tutti.» Improvvisamente tirò su col naso. «Un brav'uomo. Dev'essere stato quel maniaco di cui parlano tutti, quello che ha ucciso gli altri uomini. Perché non c'era alcun motivo, proprio alcun motivo, per uccidere George.» Justin riconosceva il rifiuto quando lo sentiva; in nessun modo Sue Caldwell sarebbe stata disposta a credere che suo marito avesse avuto qualche segreto nascosto a causa del quale era stato ucciso. Lei non era nemmeno capace di pensarlo. Poteva accostare la sua morte a quella degli altri uomini soltanto perché un "maniaco" stava compiendo quegli omicidi, uccidendo senza alcun senso, e il fatto che le altre vittime avessero condotto una vita segreta non significava, naturalmente, che anche George lo avesse fatto. Immaginando che non avrebbe ottenuto nient'altro dalla vedova Caldwell, Justin disse di nuovo qualche parola rasserenante e si apprestò a prendere congedo. Quindici minuti dopo, accostò l'auto nel parcheggio dell'edificio dove Caldwell aveva vissuto, e rimase seduto a riflettere per alcuni istanti. Avevano perquisito l'appartamento. Interrogato i vicini. Setacciato l'auto sportiva rossa con minuziosa attenzione. Frugato nel suo ufficio in banca, nella
cassetta di sicurezza che aveva lì. Niente. Ma se George Caldwell era stato un ricattatore, allora da qualche parte doveva essercene la testimonianza. Doveva aver conservato qualche prova contro le sue vittime, qualcosa che teneva sospeso sulle loro teste per indurli a pagare. Justin non era ancora del tutto convinto che fosse stato proprio l'assassino a inviargli il taccuino. Sembrava la cosa più probabile. A rigor di logica, pensò, ciò avrebbe significato che l'assassino non era tra le vittime del ricatto: perché procurare alla polizia la prova che avrebbe fornito un movente per l'omicidio? Ma d'altra parte poteva trattarsi di un eccellente diversivo. Con parecchie vittime di ricatto tra cui scegliere, l'assassino pensava forse di perdersi nel mucchio senza attirare l'attenzione della polizia più di chiunque altro. Nascondersi restando in piena vista. Era abbastanza sensato. Naturalmente, poteva anche essere vero che svelare i peccati di Caldwell per lui fosse stato più importante che proteggere se stesso, e spedire il taccuino a uno dei poliziotti era il solo modo in cui poteva farlo. Una terribile ossessione. Justin tirò fuori da una tasca interna il taccuino nero e lo sfogliò lentamente. Non era stata trovata, naturalmente, alcuna impronta digitale. Aveva utilizzato la sua attrezzatura per rivelarle cospargendo di polvere ogni maledetta pagina, senza trovare nemmeno una macchia. Si trattava palesemente di una "prova costruita". O altrimenti di un uomo molto, molto accurato. Non era del tutto certo che la calligrafia fosse quella di George Caldwell, così restava ancora un punto interrogativo. Considerava l'ipotesi del ricatto più una possibilità che una probabilità. Ma il proseguimento delle indagini in quella direzione era giustificato. Se avesse svelato il motivo per cui George Caldwell era morto avrebbe trovato la pista giusta. Lo credeva davvero. Così continuò a spremersi e a studiare quel dannato taccuino. Ora che aveva avuto tempo di riflettere, poteva indicare almeno due possibili corrispondenze per quasi ogni serie di iniziali, e talvolta tre o quattro, ma l'unico modo di conoscere con certezza l'identità delle vittime del ricatto, supponendo che di questo si fosse trattato, era trovare la prova che Caldwell avrebbe dovuto usare contro di loro. E Justin doveva indagare con cautela, perché non desiderava rischiare
che lo sceriffo Cole scoprisse cosa stava cercando; finora, Ethan Cole era l'unica corrispondenza che Justin aveva individuato per le iniziali E.C. Il che significava che non poteva raccontare allo sceriffo del taccuino nero. Non finché non fosse stato in grado di escludere Cole come possibile vittima del ricatto. E possibile assassino. Alzò di nuovo lo sguardo per esaminare l'edificio dove aveva vissuto George Caldwell, poi tirò mentalmente una moneta, sospirò e uscì dalla macchina. Se Caldwell era stato un ricattatore, lì doveva trovarsi la prova. Se solo Justin avesse potuto scoprirla. «Era lo scorso settembre» rammentò Max a Nell mentre camminavano a qualche metro da uno dei pochi canali nei dintorni, esaminando deboli tracce su uno spiazzo di terreno sabbioso. «Da buoni poliziotti, tirarono fuori l'auto dall'altro lato e cercarono di non distruggere le possibili prove, ma sono sorpreso che tu possa ancora vedere qualcosa dopo tutto questo tempo.» Lei s'inginocchiò e seguì col dito il bordo netto dell'orma di un copertone. «Questo è ciò che è rimasto delle impronte? Nessun altro mezzo è stato qui?» «Ne dubito, visto quanto è difficile far arrivare un veicolo, ma non c'è modo di esserne assolutamente certi. Per quel che vale, io sono venuto quaggiù il giorno dopo, e a quanto ne so queste sono le impronte delle ruote dell'auto di Luke Ferrier.» «Secondo il rapporto, la conclusione iniziale parlava di suicidio, giusto?» «Giusto.» «In seguito fu stabilito che Ferrier poteva essere stato drogato e la macchina diretta deliberatamente verso l'acqua.» «Sì.» Nell socchiuse gli occhi, cercando di mettere a fuoco ciò che stava sentendo. Si aspettava che fosse difficile con Max vicino, e lo era, ma anche così c'era qualcosa di... latente. Provava una sensazione strana, diversa da ciò a cui era abituata, da ciò che avrebbe dovuto essere. Quasi come se stesse cercando di percepire attraverso un velo. Qualunque cosa si trovasse dall'altra parte era tanto fioca e vaga da sembrare il mormorio di un'eco, e tentare di raggiungerla era frustrante. «Nell?»
«Aspetta. C'è qualcosa...» Si concentrò per quelle che sembrarono ore, poi alla fine si alzò con un sospiro. «Maledizione.» «Cosa?» «È troppo vago per afferrarlo. Qualunque cosa sia successa qui fuori è avvenuta velocemente, troppo velocemente per lasciare abbastanza energia.» Guardò perplessa il segno dello pneumatico. «Ma quell'impronta mi dice che probabilmente lui stava cercando di fermare la macchina prima che finisse nell'acqua, altrimenti le tracce non sarebbero durate così a lungo né sarebbero state tanto profonde.» «Allora non è stato un suicidio; e lui non era incosciente quando la macchina è sprofondata.» «L'idea che l'omicida si fosse assicurato che Ferrier fosse privo di sensi prima di ucciderlo mi ha sempre lasciato perplessa» confessò Nell. «Non combacia con ciò che è accaduto alle altre tre vittime. In effetti, se ritieni che Caldwell abbia visto il suo assassino e saputo che stava per essere ucciso, allora puoi sostenere che tutti e quattro abbiano sofferto fisicamente o emotivamente poco prima di morire.» «Non stai includendo tuo padre nel gruppo?» Nell scosse la testa. «Per ora no. Qualunque certezza io abbia, resta il fatto che non c'è alcuna prova che la morte di mio padre sia stata nient'altro che naturale, ancor meno che questo omicida sia anche il suo assassino. Sempre che non riesca a trovare quella prova, devo considerare la sua morte distinta dalle altre.» Scrollò le spalle. «Forse ha soltanto fatto infuriare qualcuno e pagato per questo con la sua vita. Lui era... molto bravo a far infuriare la gente.» Gli occhi di Max si strinsero ma in quel momento non fece domande al riguardo. «Però le altre quattro morti sono state programmate, e nei dettagli. E tutti loro hanno sofferto. Faceva parte della punizione?» «Avrebbe senso. Potrebbe anche spiegare perché il primo, Peter Lynch, sia l'unico che probabilmente non era in presenza dell'assassino quando è morto. Uccidere a distanza, da lontano, potrebbe essere stato una specie di esperimento fallito. Forse l'omicida pensava che sarebbe stato più sicuro, non lo so. Ma l'agonia fisica che Lynch ha patito per l'avvelenamento non era sufficiente per l'assassino. Non era una punizione abbastanza soddisfacente. Lui voleva essere lì. Voleva osservare.» «Cristo.» Storcendo leggermente la bocca, Max aggiunse: «Una specie di necrofilo.» «Ha ucciso almeno quattro uomini, Max, e forse cinque. Direi che la
morte sia indiscutibilmente uno dei suoi... interessi.» «E sostieni ancora che sia un poliziotto?» «Bishop lo ritiene probabile. Io sono d'accordo.» Senza attendere che lui facesse commenti, Nell si allontanò e iniziò a studiare la zona con occhio critico. Il luogo era remoto: non c'erano case né recinti da pascolo in vista. Quasi inaccessibile: l'auto era stata condotta dall'autostrada attraverso delle radure nel bosco collegate tra loro quasi a formare un percorso. In effetti il modo migliore di raggiungere quel lato del canale era a cavallo. Quel tratto non era nemmeno visibile dall'autostrada, e infatti la macchina di Ferrier era stata scoperta solo a causa di un paio di adolescenti che passavano a cavallo. «Quali segni indicano che l'omicida sia un poliziotto?» domandò Max. Stava in piedi senza muoversi, le mani in tasca, lievemente accigliato mentre la osservava. Nell sentiva che la stava guardando ma cercò di rendere la voce distaccata e impersonale quando gli rispose. «Il segnale più evidente è quanto sia stato attento a variare i suoi omicidi. Non c'è stato nulla d'impulsivo in questi quattro delitti, nulla che sia dovuto all'impeto di un momento, dunque è chiaro che ha programmato ogni passo. Il fatto che è stato attento a non stabilire alcun tipo di ipotesi che potesse aiutare a identificarlo indica che possiede esperienza nel campo delle procedure di polizia. Ancora di più, sta misurando la sua abilità e la sua intelligenza contro gli avversari che conosce meglio: gli altri poliziotti.» «Prendetemi se ci riuscite» disse lentamente Max. «Prendetemi se siete abbastanza bravi.» «Esattamente. Sta mettendo alla prova la loro tempra. E in questo c'è un taglio personale, la sensazione che parte del suo piano consista... nell'umiliare la polizia. Farli apparire inetti per la loro incapacità a prenderlo. Non sarei sorpresa se una futura vittima, supponendo che non lo fermiamo, fosse un poliziotto. Penso che abbia un rancore personale contro qualcuno nel dipartimento dello sceriffo.» «È un'idea tua o di Bishop?» Nell pensò che ci fosse una sfumatura personale in quella domanda, ma tutto ciò che disse fu: «È una sensazione che ho avuto da quando sono tornata qui. Non c'è nulla di concreto su cui basarla.» «Solo una sensazione di cui ti fidi.» Lei annuì. «Molto di quello che faccio è basato su questo genere di cose.»
«Impressioni. Intuito.» «Tu sai che è più di questo.» Lui fece cenno di sì, ma disse: «Tuttavia, sembra che tu stia tracciando un profilo per conto tuo. Addestramento dell'FBI?» «Abbiamo tutti studiato scienze del comportamento, e la maggior parte di noi ha una formazione in psicologia al proprio attivo. È come per ogni altro tipo di caccia: devi conoscere la tua preda se intendi acciuffarla.» Nell scrollò le spalle, poi si avviò verso il bosco dove erano legati i loro cavalli. «In ogni caso, qui non c'è nulla che possa intercettare. Che mi dici della casa di Ferrier? È ancora disabitata?» «Sì. Era in affitto, ma nessuno si è mostrato interessato a viverci da quando lui è stato ucciso.» Max la seguì fino ai cavalli. «I proprietari hanno impacchettato la sua roba personale e l'hanno messa in magazzino, dato che non è saltato fuori nessun parente a rivendicare nulla. Credi di poter scovare qualcosa lì?» «Non lo saprò finché non ci provo.» Nell montò sul pezzato. Max seguì l'esempio, salendo di slancio in sella al baio e raccogliendo le redini. «Casa sua sta a circa tre chilometri da qui in linea d'aria. Attireremo meno attenzione se ci andiamo a cavallo.» «Ti seguo.» Lui si avviò, e per circa dieci minuti cavalcarono in silenzio. Un silenzio piuttosto teso, in realtà. Nell poteva sentirlo dentro di sé e vederlo nella postura delle spalle di Max. Poi lui scelse di dirigersi lungo il margine di un campo arato dove potevano cavalcare appaiati, e non appena lei lo affiancò disse bruscamente: «Una volta non mi hai detto che sei sensitiva fin da quando eri piccola?» «Potrei averlo fatto. La prima visione che ricordo chiaramente risale a quando avevo circa otto anni. Perché?» «È una cosa con cui sei nata? O si è manifestata in seguito?» Nell gli lanciò una rapida occhiata. «Ci sono nata. Scorre nella mia famiglia, rammenti? Probabilmente ho avuto visioni quando ero più piccola ma non comprendevo cosa stesse accadendo e ora non riesco a ricordarle. È piuttosto tipico della maggior parte dei sensitivi.» «Che mi dici dei blackout?» «A quale proposito?» Insolitamente paziente, anche se la sua voce suonava ancora un po' nervosa, Max disse: «Che età avevi la prima volta che hai avuto un blackout?»
«Circa la stessa età, suppongo. Nessuno mi ha mai raccontato di episodi precedenti, ma potrebbero esserci stati.» «Dunque sono collegati. I blackout e le tue visioni.» «Forse. Una teoria è che certe esperienze psichiche vengano attivate o intensificate dall'eccesso di energia elettrica nel cervello. È almeno teoricamente possibile che un accumulo di quel genere di energia possa... sovraccaricare il cervello e causare periodici blackout come effetto collaterale. Sono stati riferiti altri tipi di effetti collaterali fisici.» Max voltò la testa e la fissò. «Dunque non è affatto lo stress.» Lei accennò un sorriso. «Uno stress particolare. Non emotivo, ma legato alla... chimica del cervello.» «E se succede troppo a lungo o troppo spesso? Non danneggerà il cervello?» «Finora non l'ha fatto.» Max imprecò sottovoce. «Ma potrebbe?» Nell tirò le redini fermando il cavallo quando lui arrestò il suo. «Non lo so. Nessuno lo sa. Forse.» Si stava sentendo più esposta a ogni istante che passava, e arrabbiata con lui per quelle domande incalzanti. Anche lui sembrava piuttosto arrabbiato. «Allora come diavolo puoi giustificare di metterti deliberatamente in situazioni in cui è probabile che le tue capacità si attivino? Cristo, Nell, stai giocando alla roulette russa con la tua vita.» «È la mia vita» gli rammentò lei in tono teso. «Inoltre, è tutto teorico. Noi non sappiamo esattamente che cosa succeda al mio cervello, Max. Nessuno lo sa. Dal punto di vista medico una tomografia assiale computerizzata e altri esami mostrano un'intensificata attività elettrica perfino in zone del cervello normalmente considerate inattive, il che sembra vero per ogni sensitivo esaminato finora. Ma qualunque cosa accada non sembra che stia danneggiando nessuno di noi; fare degli esami medici periodici per verificarlo è uno dei requisiti per i membri sensitivi della nostra squadra. Forse il nostro cervello si adatta all'eccesso di energia, non ne ho idea. Tutto quello che so è che non ci sono segni di danni organici.» «Finora.» Lei fece un profondo respiro. «D'accordo, non c'è alcun danno finora. Forse non ci sarà mai. O forse un giorno mi sveglierò con il cervello fuso. È questo che vuoi sentirmi dire?» «Voglio che mi dica perché stai facendo di tutto per scatenare esperienze che possono ucciderti, Nell.»
Lei disse in tono fermo: «Posso fare del mio meglio per usare le mie capacità nel modo più positivo possibile, o posso nascondermi da esse e dal mondo. Preferiresti questo, Max, che finissi come mia nonna? Che mi nascondessi in una casetta nei boschi, tenendo tutti a distanza mentre vivo nel terrore di esperienze sulle quali non ho assolutamente alcun controllo?» «No, certo che no. Ma ci deve essere una via di mezzo.» «Questa è la mia via di mezzo. Io lavoro con persone che stanno facendo del loro meglio per comprendere e dominare le capacità sensitive, persone che si prendono cura l'una dell'altra. E uso le mie capacità deliberatamente, cercando di avere maggior controllo così da non essere colta alla sprovvista ogni dannata volta che mi capita. Riesci a capirlo?» Dopo un lungo istante, Max annuì. «Sì. Sì, riesco a capirlo.» Sollevò le redini, e i cavalli ripresero ad avanzare. «Ma è una scelta pericolosa, Nell.» Non aveva idea di quanto fosse pericolosa, pensò lei mentre lo seguiva. Non ne aveva la più pallida idea. 9 Era facile vedere perché la casa non aveva destato alcun interesse in aspiranti affittuari nei mesi trascorsi dalla morte di Ferrier. Senza dubbio costruita originariamente per ospitare un agricoltore fittavolo o lavoratori immigrati che avrebbero faticato nei campi vicini, era una casetta alla fine di una lunga strada sterrata che in estate sarebbe stata insopportabilmente polverosa, e anche se sembrava in condizioni decenti non c'era nulla di minimamente invitante nel suo aspetto scialbo. Legarono i cavalli al margine del bosco fuori dalla visuale della strada e attraversarono a piedi il cortile posteriore infestato da erbacce. «Dubito che qualcuno ci avrebbe visto se fossimo passati dal davanti» disse Max «ma ci sono un paio di vicini lungo la strada che avrebbero potuto accorgersi di noi.» «I vicini sono stati interrogati?» domandò Nell mentre salivano i gradini del portico sul retro. Infilò la mano nella tasca della giacca e tirò fuori un piccolo astuccio di pelle con la cerniera. «Penso che Ethan abbia inviato quaggiù un paio dei suoi, anche se tardi. Per quanto ne so, nessuno ha riferito di aver visto o sentito nulla di sospetto, ma tu conosci meglio di me i rapporti della polizia.» Adocchiò il piccolo astuccio che lei stava aprendo, e aggiunse: «È ciò che penso?»
«Probabilmente.» Nell scelse uno dei piccoli attrezzi e si chinò mettendosi al lavoro sulla serratura della porta. «Arnesi da scassinatore?» «Chiamiamoli arnesi per aprire serrature e non parliamone più, che ne dici?» «Roba pagata con i soldi dei contribuenti?» si domandò lui ironicamente. «No. Per caso sai quanto tempo è passato da quando qualcuno è stato in questa casa?» «Non su due piedi, no. Il Bureau vi ha mandato a scuola da uno scassinatore?» «Ci ha insegnato Bishop. Pensava che questa abilità potesse risultare utile. Aveva ragione.» «Faceva lo scassinatore prima di entrare nell'FBI?» «A dire il vero, credo che stesse studiando psicologia criminale e legge quando l'FBI lo convocò. Non ho idea di come abbia acquisito le sue capacità più... esoteriche.» «Ne possiede molte?» «Qualcuna.» Max la guardò corrugando la fronte quando un leggero scatto annunciò il suo successo con la serratura. «Questa è violazione di domicilio con effrazione, non è vero?» «Te ne importa?» ribatté Nell, raddrizzandosi e aprendo la porta con una spinta. «In realtà no.» Max la seguì dentro la casa. «Ma se Ethan o qualcuno dei suoi ci pesca quaggiù, mi troverò in guai seri.» «Mmm. Lui è convinto che tu abbia ucciso Ferrier, non è così?» «Vuole esserne convinto, C'è una differenza.» «Dunque voi due siete sempre in contrasto?» Con finta sorpresa, Max disse: «Wade Keever non ti ha aggiornato?» Lei sorrise leggermente. «In effetti lo ha fatto.» «Sì, l'avevo pensato. Fargli sapere una cosa è il modo più rapido, salvo affiggere manifesti, per renderla pubblica.» Max scrollò le spalle. «Io ed Ethan non siamo in buoni rapporti da molto tempo, lo sai. E conosci il perché.» Nell gli lanciò un'occhiata, poi rivolse lo sguardo all'ambiente piuttosto trascurato che li attorniava. La casa era ammobiliata, anche se di sicuro non c'era nulla di cui entusiasmarsi nell'arredo logoro e consunto. La mi-
nuscola cucina conteneva il minimo indispensabile in fatto di elettrodomestici, il piccolo soggiorno vantava soltanto un divano imbarcato e una poltrona scolorita, e attraverso la porta della stanza da letto poteva vedere un vecchio letto di ottone. «Di certo Ferrier non spendeva più di quanto guadagnava, vero?» «Pare che stesse mettendo da parte tutti i guadagni illeciti per finanziare il progetto di trasferirsi nel Sud della Francia. Almeno così ho sentito.» Nell aggrottò la fronte e si avviò verso la camera da letto, scegliendo automaticamente quella stanza perché in una casa tendeva a essere la più personale. Nell'attimo in cui varcò la porta, vide un flash di qualcosa: movimento, colore, la debole eco di una trepidante risata, l'aroma di un profumo. Si fermò appena dentro la stanza, chiudendo gli occhi e concentrandosi. Dietro di lei, Max rimase in piedi sulla soglia e la osservò, silenzioso. Per un istante o due il miscuglio di impressioni fu solo rumore e colori nella sua mente, poi l'energia dell'attività più intensa che quella stanza aveva contenuto affiorò alla superficie della sua coscienza, e Nell aprì gli occhi di soprassalto per scoprire il piccolo spazio spoglio drasticamente mutato. La forte luce solare che affluiva dalle finestre senza tende era scomparsa. Era notte, e c'erano candele accese in tutta la stanza che proiettavano un dorato bagliore sulle coperte scompigliate del vecchio letto d'ottone. E sulle due persone che vi giacevano. Nell riconobbe l'uomo dalle foto che aveva visto, un tipo moro dalle ampie spalle e dal viso attraente, crudele. Era disteso sulla schiena, e sorrideva alla donna nuda a cavalcioni su di lui. La donna, dai capelli neri che le fluivano lungo la schiena, lo cavalcava con un'ardente, avida insistenza. I gemiti e le grida gutturali alla fine eruppero in uno sfrenato orgasmo con una risata di puro trionfo. La sua testa si voltò, vividi occhi beffardi sembrarono fissarla mentre la donna rideva di nuovo. Vittoria. Conquista. Ho vinto. Ho vinto ancora. «Gesù.» La sua stessa voce interruppe la visione e Nell si trovò a fissare, scossa, il materasso macchiato sul vecchio letto. Non c'era nessuno lì. Nessuna coperta arruffata. Né candele disseminate per la stanza a fornire un intimo bagliore. Nessuna risata beffarda. «Gesù» ripeté in tono sommesso. «Nell?»
Lei si voltò lentamente. «Che cosa hai visto?» «Hailey. Ho visto Hailey.» Prima di uscire di casa Shelby indugiò per dare un'ultima occhiata alla sua copia della fotografia di Nell che usciva dal tribunale, e si accigliò mentre la contemplava. Non le veniva in mente nulla di nuovo, eccetto che probabilmente si sarebbe pentita di quello che stava per fare. Probabilmente. Raccolse le sue macchine fotografiche e si diresse verso il paese. Doveva farlo sembrare casuale e, come Shelby sapeva bene, era un gioco di prestigio apparire disinvolta quando non lo si era affatto. Il primo passo era girovagare scattando fotografie a qualunque cosa catturasse la sua immaginazione. Lo faceva comunque la maggior parte dei giorni, dunque nessuno se ne sarebbe stupito. E non fu molto sorpresa di scoprire che praticamente chiunque avesse incontrato nella mezz'ora seguente era ansioso di discutere degli omicidi. Fu perfino meno sorpresa di constatare che c'era un altro argomento principale di conversazione. Nell. Almeno quattro persone fermarono Shelby mentre attraversava con disinvoltura la zona del centro, e tutte volevano parlare di Nell. «Hai sentito? Nell Gallagher sta girando qui intorno, anche se non in paese, e sai bene che questi omicidi sono iniziati poco dopo la morte di suo padre...» «Si dice che sia tornata perché lei sa chi è l'assassino, proprio nel modo in cui quei Gallagher sapevano sempre le cose...» «Nell Gallagher non è tornata a casa solo per sistemare la tenuta di suo padre, ma perché ha paura che Hailey salti fuori e si batta con lei per la proprietà...» «Pare che lo sceriffo le abbia chiesto di venire, in modo che possa dirgli chi è l'assassino...» Shelby non suggerì alcuna teoria, ma si limitò a prestare ascolto, sorridere, annuire, domandandosi come la gente potesse costruire una tale gamma di possibilità intorno al granello di verità del ritorno a casa di Nell. Era affascinante, e piuttosto terrificante. Non c'era bisogno di essere sensitivi per cogliere i sentimenti della gente del paese. Tutti erano impauriti. Erano spaventati e cercavano risposte.
Sfortunatamente, ben presto avrebbero rinunciato alle risposte e cercato semplicemente qualcuno, chiunque, da incolpare per aver sconvolto il paese. E con un omicida senza volto che vagava libero in barba alla legge e al castigo, Nell sembrava la favorita a divenire quel bersaglio. Ciò rese Shelby più determinata che mai a scoprire la verità. «Shelby, tu conosci Nell Gallagher, non è vero?» Scattò una foto per dimostrare che aveva un motivo per gironzolare intorno al palazzo di giustizia e poi si voltò a sorridere allo sceriffo Cole. «Sicuro, Ethan, la conosco. Perché?» Lui fece una lieve smorfia. «Sai dove è stata negli ultimi dodici anni? Che cosa ha fatto?» «No davvero. Ho sentito delle cose, naturalmente, proprio come sarà capitato a te, perlopiù da Hailey prima che se ne andasse, ma nulla direttamente da Nell.» Stavolta la sua domanda fu più insistente: «Perché?» «Ero soltanto curioso» sorrise lui. «Colpa del mio carattere, lo sai.» «Avrei creduto che tutta la tua curiosità fosse assorbita dall'indagine su questi omicidi.» Il sorriso di Ethan si fece ironico. «Diavolo, sono un essere umano. Nell torna in città, bella come un tempo, apparentemente nubile, e ancora misteriosa. Almeno, io ho sempre pensato così. Naturale che sia curioso.» Shelby sollevò le sopracciglia. «Allora perché non lo chiedi a lei che cosa ha fatto in questi ultimi anni?» «Per alimentare i pettegolezzi?» La sua voce era ironica quanto il sorriso. «La gente sta già parlando di Max che la pedinava come un idiota infatuato; manca solo che io mi mostri appena un po' interessato, e in un batter d'occhio tutti ci vedranno invischiati in qualche specie di triangolo amoroso.» «E quella sarebbe un'impressione sbagliata. Naturalmente.» Gli occhi di lui si strinsero. «Naturalmente.» Shelby decise che era tempo di cambiare argomento. «Ho sentito che voi ragazzi non avete fatto molti progressi indagando sull'omicidio di George Caldwell.» «Non rendiamo pubbliche tutte le nostre scoperte, Shelby.» «Non l'ho letto sui giornali, Ethan. L'ho sentito dire. Pettegolezzi, lo sai. A Silence se ne fanno un mucchio. Ho sempre pensato che chiunque abbia dato il nome al nostro paese avesse un gran senso dell'umorismo.» Aggrottando la fronte, lo sceriffo disse: «Stai dicendo che i miei uomini hanno parlato a sproposito?»
Shelby scrollò le spalle. «Sono frustrati, suppongo. È inevitabile che lo siano. E probabilmente sulla difensiva ogni volta che qualcuno pretende di sapere cosa stia facendo l'ufficio dello sceriffo per acciuffare questo assassino, così è naturale che parlino un po'. Ma se ti fa star meglio, non ho sentito niente di specifico sull'indagine. Solo un senso di fallimento generale.» «Fantastico. Proprio fantastico.» «Be', è abbastanza ovvio, sai. Non è che nella vostra prigione ci sia qualcuno accusato di quattro omicidi.» Perentorio, Ethan replicò: «Non abbiamo alcuna prova consistente che l'annegamento di Luke Ferrier sia stato nient'altro che un incidente o un suicidio.» «Un incidente? Ethan, tutti conoscono la zona dove la macchina è finita nel canale, e a quanto ho sentito un'auto non poteva arrivare così lontano dalla strada, a meno che non fosse stata guidata con attenzione e di proposito.» «Questo non esclude il suicidio, Shelby.» «Però pare che dopo la sua morte siano venuti alla luce un ricco conto in banca e dei biglietti aerei per l'estero. Sembra più che intendesse svignarsela. E non è una strana coincidenza che un uomo in quella situazione si suicidi mentre altre persone vengono uccise apparentemente a causa dei loro segreti?» Il cipiglio di Ethan s'intensificò. «Dunque è di dominio pubblico, eh?» «Alludi al fatto che qualcun altro ha collegato i segreti agli omicidi? Oh, sì. Sono segreti maledettamente grossi, Ethan. Spiccano in questa tranquilla cittadina. E a giudicare da quello che ho sentito, ogni uomo a Silence tra i diciotto e i sessant'anni sta esaminando il proprio passato e la propria coscienza, chiedendosi se abbia fatto nulla per dipingersi sulla schiena un bel bersaglio.» «Merda.» «Nessuno si è ancora fatto prendere dal panico. Ma presto succederà.» Shelby esitò, poi disse lentamente: «Hai considerato la possibilità di chiedere aiuto?» «Non farò intervenire gente da fuori» rispose lui enfaticamente. «È un problema nostro, e ce ne occuperemo noi.» «Non gente da fuori. Nell.» «Intendi dire perché pare che sia sensitiva? Io non credo a quelle fandonie.» «Non devi necessariamente crederci per usare uno strumento che forse
potrebbe aiutarti, no? È noto che i poliziotti utilizzino dei sensitivi, anche se non vogliono ammetterlo pubblicamente. Che danno potrebbe fare chiederglielo? Ethan, la gente sta già parlando di lei.» «Sì, lo so.» «E che accadrà se l'assassino se ne accorge e si preoccupa?» «Credi che si preoccuperebbe di meno se la convocassi alla stazione di polizia per parlarle?» «Non convocarla. Fallo in modo informale.» «Non credo.» Deliberatamente, Shelby disse: «Dunque sei così riluttante a far pensare alla gente che le stai dietro come Max da non volerle nemmeno chiedere se può aiutarti? Mia mamma lo chiamava darsi la zappa sui piedi.» La bocca di lui s'irrigidì. «E ti ha mai messo in guardia dal ficcare il naso dove non era desiderato?» «Spesso.» «Avresti dovuto darle ascolto, Shelby.» Lo sceriffo si voltò e si allontanò. La rigida postura delle spalle smentiva la sua aria disinvolta. Quando si fermò sul limite del marciapiede, Shelby gli scattò distrattamente una foto, accertandosi di mantenere il viso piacevolmente indecifrabile. Almeno sperava di riuscirci. Era complicato non far capire che sapeva più di quanto stesse dicendo. E nutriva il sospetto che sarebbe divenuto ancor più complicato col passare del tempo. Aveva la sensazione che si sarebbe divertita. Certo, la faccenda era seria. E poteva rivelarsi pericolosissima. Ma ciò non riusciva affatto ad affievolire il suo vivo interesse. Osservò Ethan Cole allontanarsi rigido, poi s'incamminò in un'altra direzione. Comunque, il primo compito era stato facile. Dubitava che il prossimo lo sarebbe stato. Max fermò il cavallo e rimase un istante a fissare in silenzio la casa di famiglia dei Gallagher. Poi voltò la testa e guardò Nell. «Non ho mai sentito dire che Hailey avesse una relazione con Luke Ferrier. Lui non era sposato, e nemmeno lei. Perché tenerlo nascosto?» Visto che quella risposta la conosceva, Nell si limitò a dire: «Ciò che voglio scoprire è se Hailey era stata coinvolta con qualcuno degli altri uomini.»
«Pensi che lei fosse il collegamento tra loro?» «Non so che dire. Ma tutti sono stati puniti per i loro segreti, e almeno Ferrier aveva una relazione segreta con mia sorella.» Max si accigliò. «È noto che Peter Lynch manteneva un'amante a New Orleans e collezionava materiale pornografico di natura morbosa, ma non ho mai sentito dire che fosse coinvolto con qualcuno del luogo.» Nell rivolse lo sguardo verso la casa con aria pensierosa. «Tuttavia è molto probabile, dato che il suo segreto era di natura sessuale. E forse anche Randal Patterson; era lui quello con l'attrezzatura sadomaso nello scantinato, giusto?» «Giusto. A quanto ne so, nessuno è stato in grado di scoprire con chi facesse i suoi giochetti.» Scosse lievemente la testa. «Credi seriamente che potrebbe essere stata Hailey?» Era una domanda a cui Nell non era ansiosa di rispondere, ma sapeva di non avere molta scelta. Così fece un ampio respiro e disse: «Scopriamolo. La casa di Patterson non è raggiungibile a cavallo?» «Sì. Ma sei sicura di esserne all'altezza?» «Che cosa intendi?» «Non mi serve essere un sensitivo per capire che sforzo ti richieda... attingere a una delle tue visioni. Forse dovremmo aspettare, Nell. Concederti un po' di tempo.» «È l'unica cosa che non abbiamo» disse lei laconicamente. «Questo genere di assassini tende a intensificare l'attività prima o poi, e più tempo passa, più è probabile che lo faccia. Potrebbe uccidere di nuovo tra due mesi, o domani.» Esitò. «Ma se tu hai bisogno di tornare al ranch...» «No, non è un problema. Ho un buon sovrintendente e una buona squadra, perciò il lavoro verrà svolto lo stesso. Ma penso ancora che tu dovresti riposare un po' prima di andare a casa di Patterson.» Nell stava per obiettare quando sentì la fitta rivelatrice alla tempia sinistra che annunciava l'avvicinarsi di un blackout. Dannazione... dannazione... dannazione... Max avrebbe insistito per restare a vegliare su di lei se l'avesse saputo, e questa era una cosa a cui non era preparata. Non qui. Non ora. Così, in tono dolce, si limitò a dire: «Credo che potremmo rimandare fino al pomeriggio. Ho delle faccende da sbrigare qui, e nonostante quello che hai detto sono sicura che dovresti almeno farti vivo al ranch. Puoi tornare verso le tre o giù di lì?» «Sì, ma...»
Prima che potesse terminare la frase, lei aggiunse: «E non devi venire dentro a controllare tutte le finestre e le porte. La possibilità che l'assassino mi consideri una minaccia è sensata, così sto prendendo delle precauzioni. Il mio compagno resta sempre qui vicino.» «Io non ho visto nessuno.» «Non dovevi notarlo.» Fece un lieve sorriso per eliminare l'acredine, poi smontò da cavallo e gli passò le redini. «Ma lui è vicino, credimi.» Max lanciò un'occhiata verso la casa come se cercasse d'individuare qualcuno appostato lì intorno, poi abbassò lo sguardo su di lei, la bocca che si storceva. «E naturalmente io non devo chiedere chi è?» «Puoi farlo. Ma non aprirò bocca. Te l'ho detto, Max. Sotto copertura vuol dire in segreto.» «Potrei risponderti male, ma non lo farò.» «Lo apprezzo molto.» Lui sollevò le redini e si accinse a spronare i cavalli, ma si fermò. Distolse lo sguardo da lei e poi, come se non potesse farne a meno, disse rudemente: «Sono riuscito a dimenticarti.» Nell si costrinse a parlare in tono fermo, a comportarsi come se ciò non avesse importanza. «Non mi sono mai aspettata nulla di diverso.» «Davvero?» «No.» Sempre senza guardarla, la voce ancora ruvida, lui disse: «Sarò di ritorno verso le tre.» Voltò i cavalli e si allontanò attraverso il bosco. Lei lo osservò finché non restò in vista, poi s'incamminò lentamente verso la casa. Perfino prima di aprire la porta sul retro capì di non essere sola, così non fu sorpresa di trovare il suo compagno in cucina a bere un po' di caffè. «Dunque non sei l'unica a sapere quali tasti emotivi premere» osservò lui. E quando Nell lo fissò, aggiunse in tono di scusa: «La finestra è aperta. Le voci arrivano quaggiù, lo sai.» «E il tuo udito è maledettamente buono.» «Mi dispiace. In questo lavoro in genere viene considerato un vantaggio.» Lei si versò una tazza di caffè e lo sorseggiò, poi aggrottò la fronte mentre un'altra fitta alla tempia le rammentava che presto avrebbe dovuto trovare qualcosa di morbido su cui stendersi. «Non ha importanza ora. Ho delle cose da raccontarti e una fotografia da mostrarti. E non ho molto tempo.»
«Blackout in arrivo?» «Sì.» «Un tantino vicino all'ultimo, non è così?» «Già.» «Perché le visioni sono più intense del solito? O perché sei a casa?» «Cristo, chi lo sa,» Nell curvò le spalle, più che altro nel tentativo di alleviare la tensione. «Forse per entrambi i motivi. Casa mia non è esattamente un luogo rilassante, adesso. A ogni modo, ho soltanto pochi minuti.» «E se Tanner torna qui prima che tu ne esca?» «Non durano mai più di mezz'ora.» «Vuoi dire che non è mai successo finora.» Nell cercò la busta con la foto e il negativo di Shelby, poi raggiunse il suo compagno al tavolo. «Tu e Max avete molto in comune. Un giorno dovreste scambiare due chiacchiere.» «Me ne ricorderò.» Le prese la busta e l'aprì. «Che cos'è?» «Potrebbe essere un problema.» Lui fece scivolare fuori la foto e la fissò per un istante, poi guardò Nell serio. «Elimina pure il condizionale: è un maledetto problema.» «Sì. Lo temevo.» Justin perquisì l'appartamento di George Caldwell due volte da cima a fondo. Controllò gli armadi, bussò sulle pareti, cercò sotto gli angoli del tappeto: fece di tutto nello sforzo di trovare un nascondiglio segreto. Ma invano. «Merda.» «L'abbiamo già fatto, lo sai.» Justin alzò lo sguardo con un sussulto scoprendo una delle sue colleghe detective della CID, Kelly Rankin, in piedi sulla soglia con un sorriso interrogativo sul viso. Sempre pensando al taccuino nero che aveva in tasca, accennò una sconsolata scrollata di spalle. «Sì, ma speravo di trovare qualcosa stavolta.» «Un colpo di fortuna?» «No, purtroppo.» Scrollò di nuovo le spalle. Kelly annuì. «Continuo a pensare che ci sia sfuggito qualcosa. Anche tu?» «Diavolo, non lo so. Dev'essere così, giusto? Altrimenti saremmo più vicini a risolvere questa storia.»
«Forse. O forse no. Alcuni delitti non vengono mai risolti, lo sai.» Justin si lanciò un'ultima occhiata intorno e poi la raggiunse nel corridoio. Chiudendo a chiave la porta dell'appartamento dietro di sé disse: «E pensare che credevo di essere io a sentirmi abbattuto.» «Non sono abbattuta. Soltanto scoraggiata. Stiamo girando a vuoto, senza arrivare da nessuna parte. La gente sta cominciando a guardarci come se fossimo degli incapaci.» «Non esagerare.» «Nemmeno il capo è troppo contento. Non so se l'hai notato, ma lo sceriffo sta davvero perdendo la pazienza.» «In effetti sembra un tantino suscettibile.» Lei gli fece un gran sorriso mentre scendevano le scale per uscire dal palazzo. «E piantala di imitare l'accento del Sud. Non ne sei capace.» «Sì, lo temevo. Ma ho notato che lo sceriffo Cole è piuttosto nervoso. Non mi sorprende, sai. Fino a questa serie di omicidi, aveva tra le mani una bella e tranquilla cittadina. Nessun trambusto, nessuna seccatura.» «Essere un detective era piuttosto noioso, a quanto ho sentito. Prima che tu e io fossimo assunti, ne avevano soltanto uno, Matthew, e per la maggior parte veniva utilizzato come spia dello sceriffo.» Justin le lanciò un'occhiata e lei fece una smorfia. «Lo sai che è vero. Cole sorveglia attentamente più o meno tutti in paese, e Matthew gli risultava comodo. Probabilmente è per questo motivo che Matthew non sembra avere la minima idea di come indagare su un omicidio, figuriamoci su quattro.» «Lui sta facendo la sua parte» protestò Justin. «Sta facendo ciò che gli viene detto, punto. Senza alcuna iniziativa. E anche gli altri poliziotti non si danno troppo da fare. Siamo tu e io quelli che stanno fuori a tutte le ore per vagliare ogni frammento d'informazione e scavare in cerca di nuove prove.» «Be', finora non abbiamo scovato granché...» Kelly scrollò le spalle. «Senti, Justin, noi veniamo entrambi da fuori, siamo nuovi in questo paese e per questa gente, e dunque possiamo essere un tantino più obiettivi. Forse possiamo vedere le cose un po' più chiaramente. Magari dovremmo tenere gli occhi aperti e non prendere tutto per quel che sembra. E guardarci le spalle.» Erano ormai nell'atrio dell'edificio, e Justin si accigliò leggermente mentre la guardava. «Tu pensi che il colpevole sia un poliziotto.» «Penso che troppi membri del dipartimento dello sceriffo di Lacombe
non siano stati tanto... pronti a collaborare. Nulla di più.» Non attese la sua replica, e aggiunse: «Ho parcheggiato sul retro. Ci vediamo più tardi, Justin.» Lui restò a fissarla, pensieroso. Non era molto sorpreso che Kelly avesse notato qualcosa di strano riguardo all'indagine, perché era ragionevolmente certo che qualunque bravo poliziotto l'avrebbe fatto, e lei non faceva eccezione. Ciò che lo sorprendeva era che Kelly avesse scelto di condividere quella preoccupazione. Con lui. Forse perché erano gli acquisti più recenti nel dipartimento, e dunque pareva improbabile che fossero coinvolti negli omicidi o in qualsiasi insabbiamento dell'indagine? Oppure Kelly in qualche modo sapeva, o sospettava, che Justin non era esattamente quello che sembrava? «Merda» bofonchiò. Si fermò a pensarci per un paio di minuti, poi scrollò le spalle e uscì dal portone. Non serviva a nulla preoccuparsi. In ogni caso, il consiglio di Kelly era buono: tenere gli occhi aperti, e guardarsi le spalle. Ma quando giunse all'auto la sua attenzione fu distolta dalla sensazionale rossa seduta sul cofano. Lei lo accolse con un sorriso che, almeno sul momento, gli fece dimenticare la passione non corrisposta per Lauren Champagne. «Salve, Justin. Ti ricordi di me?» Lui si schiarì la gola. «Salve, Shelby. Che succede?» «Divertente che tu debba chiederlo.» 10 Erano quasi le tre quando Max si avvicinò alla casa dei Gallagher, questa volta molto più silenziosamente di quanto avesse fatto ore prima. Non voleva ammettere che sperava di sorprendere il compagno di Nell appostato lì intorno, ma almeno in parte era vero. Il resto della verità era semplicemente che si sentiva alquanto turbato, preoccupato di ciò che Nell stava rischiando per essere lì a svolgere il suo compito, e arrabbiato con se stesso per il modo in cui prima aveva preso commiato, dimostrando fin troppo chiaramente un'altra verità. Se avesse superato sul serio la sua storia con Nell, non avrebbe sentito la necessità di convincerla. Non era mai stato capace di fingere disinteresse con Nell. Da quella pri-
ma estate, la sua consapevolezza di lei era stata immediata e assoluta, un intenso groviglio d'intricate esigenze ed emozioni che avevano rasentato l'ossessione. Era stato capace di nascondere i propri sentimenti agli altri, anche perché lei aveva tanto insistito affinché la loro crescente intimità restasse il più privata possibile. Ma tra loro due non c'era stata alcuna incertezza, alcuna esitazione. Si appartenevano a vicenda, e ne erano entrambi assolutamente certi, come se quella verità fosse stata impressa nelle molècole dei loro corpi. Max non aveva modo di sapere come potesse essere stata la vita di Nell da quando se n'era andata da Silence, abbandonandolo, e non aveva idea del motivo per cui tanti anni prima era scappata via senza lasciarsi dietro nemmeno un biglietto di spiegazione. Ma sapeva quello che lui provava ancora, e far finta di nulla sarebbe stato quasi impossibile. Così, naturalmente, era furibondo. Smontò e legò i cavalli ai margini del bosco, poi attraversò il piccolo cortile posteriore fino alla porta della cucina. Era aperta, solo il diafano schermo della zanzariera forniva qualche sorta di barriera contro chiunque o qualunque cosa volesse entrare, e lui imprecò sottovoce attraversando il minuscolo ingresso della cucina. Lei stava parlando al telefono cellulare, seduta al tavolo, e lo guardò senza sorpresa. «Sì, lo so» stava dicendo «forse sarà una ricerca inutile. Probabilmente sarà così, in effetti. Ma dovremmo almeno provarci e vedere se salta fuori qualcosa.» Restò in silenzio, e anche se non riusciva a distinguere le parole, Max poté sentire il rimbombo di una forte voce maschile all'altro capo. Era un particolare che aveva notato con certi telefoni cellulari e determinate voci. «No, andremo a controllare la casa di Patterson» disse lei. «Sì. Lo farò.» Corrugò la fronte mentre l'uomo parlava a lungo, poi disse: «Be', sappiamo che lui lo farà prima o poi, giusto? Dovrò soltanto stare attenta a quello che gli dico. Così quando e se si farà vivo, suppongo che improvviserò. D'accordo.» Interruppe la conversazione e poi fece scivolare il telefonino nella tasca della giacca appesa allo schienale della sedia. Immediatamente, Max disse: «Precauzioni, eh? La porta è rimasta spalancata, Nell.» «L'ho aperta solo pochi istanti fa» disse lei. «Sapevo che stavi arrivando. Il caffè è ancora caldo, se ne vuoi un po'.»
Dato che lei non pareva intenzionata a tornare su quanto si erano detti quel giorno, lui fu più che disposto a seguirne l'esempio. Almeno per ora. Annuì e andò a prepararsi una tazza di caffè, dicendo: «Quello era il tuo capo?» «Sì.» «Quale sarebbe la "ricerca inutile"?» «Trovare Hailey. Bishop incaricherà qualcuno a Quantico di rintracciarla.» Un po' sorpreso, lui chiese: «Perché aveva una relazione con Luke Ferrier?» «Motivo sufficiente per cercare di trovarla. Potremmo chiederle quello che sa.» «Davvero non sei più stata in contatto con lei?» Nell scosse la testa. «Keever ha detto che circa una settimana dopo che se n'era andata mio padre aveva ricevuto un messaggio da lei, in cui lo informava che non sarebbe mai più tornata e gli diceva di non darsi la pena di cercarla. Fu allora che lui la escluse dal testamento, così forse il messaggio conteneva qualcosa che l'aveva reso ancora più furioso, non lo so. Non sapevo nemmeno che se ne fosse andata finché non parlai con Keever dopo che mio padre morì.» «Lui come sapeva dov'eri?» «Non lo sapeva. Lo chiamai io.» «Perché?» Nell fece un breve respiro e disse sommessamente: «Sapevo che mio padre era morto. Lo sentivo. Possiamo cambiare argomento adesso, per favore?» Max avvertiva di essere troppo esposto per desistere. Sapeva maledettamente bene quanto questo punto fosse importante, così aggiunse con ostinazione: «Tu hai detto che lo odiavi, allora perché t'importava che fosse morto?» «Non ho detto che m'importava. Ho detto che lo sentivo.» «Sentivi cosa? Lo sentivi morire?» «Sentivo... la sua assenza. Max...» «Sembra quasi che tu sia stata in "contatto" con lui per tutti questi anni.» «In un certo senso, lo ero. Legami di sangue, Max. Malgrado tutto, non possiamo sfuggirli.» «Che mi dici di tua nonna? Hai sentito anche la sua assenza?» «No» replicò lei con evidente riluttanza.
«Soltanto tuo padre?» «Soltanto lui.» «Allora era più del legame di sangue. Hai detto che non condivideva la maledizione dei Gallagher, che lui non era sensitivo.» «Non lo era.» «Ma tu hai percepito la sua morte?» Dopo una pausa, come per interrompere deliberatamente il ritmo pressante delle sue domande, lei disse: «No, Max. Non ora. Sono tornata qui per compiere un lavoro, ed è su questo che devo concentrarmi, perché è in gioco la vita delle persone. Se vuoi aiutarmi, bene. Altrimenti vattene al diavolo fuori da casa mia, e stammi lontano.» La resistenza di Nell non contribuì certo a placare la sua collera, e la voce di Max mostrò la tensione dello sforzo per sembrare calmo. «Capisco. Be', almeno dimmi una cosa Nell, vuoi?» «Vediamo.» «Dimmi che affronteremo il discorso prima che tu scappi di nuovo. Che sarai disposta a rispondere ad alcune ragionevoli domande. Penso che almeno questo me lo debba.» «Credo di doverti... una spiegazione, sì. E la otterrai, Max. Prima che io lasci Silence. È sufficiente?» «Suppongo che dovrà esserlo.» Nell non mise in discussione quel consenso riluttante, e si limitò ad annuire. Max sospirò e cercò di nuovo di mantenere calma la voce. «Allora chi ti aspetti che si faccia vivo?» «Ethan.» «Ethan? Perché?» «La maledizione dei Gallagher.» Fece un sorriso ironico mentre finalmente lui la raggiungeva al tavolo. «Ethan non ci crede, ma noi riteniamo che per disperazione forse verrà da me in cerca d'aiuto. Sempre supponendo che non sia lui l'assassino. In ogni caso... venire da me potrebbe essere lo stesso una buona idea. Per scoprire quello che so.» «Dunque perché il tuo capo pensa che lui si farà vivo?» «È una deduzione logica.» Max aveva la sensazione che fosse più di questo, ma decise di non discutere. Nell disse: «Non te l'ho chiesto prima, ma tu credi che Ethan sarebbe capace di uccidere?»
«Uccidere, sì. Ma essere l'autore di questi omicidi, no» rispose Max. «Perché no?» «Per essere onesto, penso che a Ethan manchi l'immaginazione per una cosa del genere. Lui è molto diretto e piuttosto ovvio nelle sue simpatie e antipatie, lo so meglio di chiunque altro. La sottigliezza non è il suo forte. Inoltre, se tu e il tuo capo avete ragione sul fatto che al cuore di tutto ci sia qualche segreto sepolto da tempo, sarei molto sorpreso di trovarne uno nel passato di Ethan.» «Supponendo che non sia lui» disse Nell «pensi che si renda conto che potrebbe trattarsi di un poliziotto?» «Non lo so. Ma di una cosa sono quasi certo. Quando occorre scavare in cerca della verità, lui non si ferma finché la trova. Non importa chi si metta sulla sua strada.» Bishop si accigliò guardando la fotografia scannerizzata appena uscita dalla stampante a colori, e disse sommessamente: «Merda.» Tony andò a scrutare da sopra la sua spalla l'istantanea di Nell che scendeva i gradini di quello che sembrava un palazzo di giustizia, con un uomo sullo sfondo che la osservava, e in primo piano... «Quello non è un fantasma, vero?» «No.» «Allora che diavolo è?» Bishop gli passò la foto, il viso tetro. «Il male.» Tony girò intorno al tavolo da lavoro e si mise seduto, fissando la fotografia con la fronte corrugata. «Davvero? In che senso? Una forza? Una presenza?» «Probabilmente entrambi.» «Nell ne era consapevole?» «No. E questo mi preoccupa davvero.» «Chi ha scattato la foto?» «Una sua amica. Un'amica che l'ha ritenuta abbastanza insolita da portarla a Nell.» «Un'amica sensitiva?» «Nell dice di no. Dunque la macchina fotografica ha catturato qualcosa che era fisicamente lì, anche se non visibile a occhio nudo.» Tony posò la foto sul tavolo e si appoggiò indietro, mostrandosi sempre più preoccupato. «Nell è in grado di intercettare la traccia d'energia lasciata in stanze e altri luoghi da emozioni estreme, giusto?»
«Giusto.» «Che mi dici del "senso del ragno"?» Bishop annuì. «Concentrandosi lei può intensificare gli altri sensi. Così è difficile che qualcosa o qualcuno la prenda alle spalle, se è questo che stai chiedendo.» «Sì. Ma queste... presenza... l'ha fatto. Incombe su di lei, e in un modo che di sicuro non definirei amichevole.» Tony picchiò sulla foto con un dito. «È per questo che sapevi che non era un fantasma?» «In parte. Gli spiriti disincarnati nel senso tradizionale, quelli senza un corpo fisico, lasciano una distinta traccia emotiva, ed è probabile che Nell l'avrebbe colta.» Tony si accigliò. «Dunque lei avrebbe saputo se c'era in giro un fantasma, anche se non è una medium?» «Probabilmente. Per quanto possiamo dire la sua abilità è unica, ma abbiamo sviluppato alcune teorie, la maggior parte delle quali ancora non verificate. Molto probabilmente la traccia d'energia di fantasmi e altri spiriti disincarnati è abbastanza simile a ciò che la sua mente intercetta, perciò lei sarebbe perlomeno sensibile a tale forza. È incapace di comunicare con uno spirito nel modo in cui può farlo una medium, ma è decisamente consapevole di una presenza.» «Però Nell non ha percepito questa presenza. Perché non aveva la giusta traccia di energia?» «Perché non era un fantasma o uno spirito, e perché il suo corpo fisico esisteva da qualche altra parte. Proiezione astrale, Tony. Fuori del corpo.» «Intendi dire che questa è l'energia spirituale di qualcuno che è vivo e vegeto e proprio lì a Silence?» Bishop annuì. «Vivo perlomeno. Vegeto è opinabile. Tony ci rifletté alcuni istanti, poi disse:» Tu credi che sia anche una forza. Cosa te lo fa pensare? «Guarda la sua forma, quanto è allungata e distorta. È a stento riconoscibile come qualcosa di perfino remotamente umano. Una normale proiezione astrale che sia visibile assume la forma percettibile del corpo che conosce meglio, il corpo fisico che occupa normalmente. In altre parole ciò che vedresti somiglierebbe alla persona che rappresenta.» «Questo» mormorò Tony «somiglia a un mostro.» «Esattamente. Si tratta della manifestazione fisica di una mente molto disturbata. Ma, soprattutto, guarda le sue dimensioni, la postura minacciosa. La pura energia mentale richiesta per proiettare qualcosa di quella
grandezza a una qualunque distanza indica un intelletto estremamente potente, sinistro.» «E non potrebbe essere qualcosa di innato o intrappolato in quest'area, in questo edificio, giusto?» «Giusto.» «Allora... stava seguendo Nell. Osservandola.» «Questo è ciò che sembra.» «E noi non ne sapevamo nulla.» «Noi» disse Bishop incupito «non ne sapevamo nulla.» Tony fece una smorfia. «Merda, Suppongo che possiamo ritenere verosimile che si tratti dell'assassino che stanno cercando laggiù.» «Esiste una possibilità maledettamente buona che sia così. Io adoro le coincidenze, ma dubito seriamente che ci siano due diverse forze maligne attive a Silence nello stesso momento e che quella a cui non diamo la caccia possa essersi focalizzata su Nell.» «Già.» Tony fece un profondo respiro e lo esalò lentamente. «E immagino sia poco realistico pensare che questa... cosa la stesse seguendo solo perché lei sta bene in jeans.» «Probabilmente. Così la questione è: perché la stava seguendo? La sua copertura è saltata, almeno per quanto concerne l'assassino? O... questa forza... è interessata a lei per qualche altro motivo?» «Nell non ha modo di scoprirlo? In sicurezza, intendo, senza rivelare all'assassino quello che sta facendo?» Bishop scosse la testa. «Non riesco a trovare una soluzione. Può stare in guardia e cercare di tenere i sensi allertati, ma questa forza è maledettamente pericolosa. E se lei intercettasse qualcosa direttamente, l'assassino potrebbe scatenarle contro un attacco psichico e fisico. Nell'ipotesi migliore, scoprirebbe chi lei sia in realtà e che lo sta cercando.» «E nella peggiore?» «Se lui è psichicamente potente quanto ritengo e Nell gli apre la propria mente... se questa fotografia è prova di un'autentica, controllata proiezione astrale e non soltanto di un raro, spaventoso evento... se Nell è diventata un centro focale della sua attenzione, per qualunque motivo... allora lei è in pericolo. E non il genere di pericolo che possa essere tenuto a bada con i proiettili o con Un distintivo.» «Un mucchio di se» fece notare Tony dopo un istante. «Lo so. Il problema è che potrebbero rivelarsi tutti sensati.» «Così siamo di fronte a un sinistro assassino dalla mente distorta, che
per di più è un poliziotto e un sensitivo. Sono paranoico, o ultimamente l'universo sembra divertirsi ai nostri danni?» «Sei paranoico. Ma questo non significa che tu non abbia anche ragione.» Bishop si passò le dita inquiete tra i capelli e si accigliò. «Lo sai, per sua stessa definizione, il male è qualcosa al di là del normale, o almeno di ciò che la maggior parte della gente considera normale. Forse dovremmo aspettarci che i criminali a cui diamo la caccia siano in qualche modo sensitivi finché non venga dimostrato altrimenti.» «Probabilmente si risparmierebbe tempo» convenne Tony ironico. «Sì. E se penso a quanto sta accadendo a Silence, mi chiedo se non debba richiamare Nell.» «Ma se lei crede che l'omicida abbia iniziato la serie l'anno scorso uccidendo suo padre, pensi davvero che sia disposta a farsi estromettere dal caso?» «No. Maledizione.» «E lei si trova già lì ed è coinvolta, legata a ciò che sta accadendo. Se è destinata ad affrontare tutto ciò...» «... renderei la situazione ancora peggiore richiamandola. Sì, lo so. Lo so.» «Nell è consapevole di ciò che potrebbe essere questa... cosa, giusto? Sa che deve stare in guardia?» «Per quanto possa servirle, sì. Ma sarà difficile se non impossibile per lei difendersi se non saprà perché questa forza malvagia la sta sorvegliando.» Tony ci pensò sopra, poi chiese: «Qualcun altro può farle scudo? Psichicamente?» Bishop scosse la testa. «Ricordi cosa succede a Miranda quando protegge la propria mente? O quando lo faccio io? Tutti i sensi extra vengono attutiti, perfino bloccati, e finiamo per ritrovarci psichicamente ciechi, Possiamo proteggere noi stessi, oppure possiamo usare le nostre capacità per metterci in contatto e indagare, ma non le due cose allo stesso tempo. Nell ha bisogno del vantaggio delle sue capacità sensitive per scoprire ciò che sta accadendo a Silence, così non può permettersi di indebolirle in nessun modo. Può cercare di concentrarsi su luoghi specifici in momenti specifici, ma è l'unica precauzione che possa prendere.» «Non è una grande protezione» fece notare Tony. «Non è affatto una protezione.» Dopo un momento, Tony disse: «Ha scelto lei di farlo, capo. Non
gliel'hai ordinato tu. Non l'hai mai ordinato a nessuno di noi.» «Pensi che abbia importanza, Tony?» la voce di Bishop era molto calma. Lui fece per replicare, ma alla fine realizzò che non c'era nulla da dire. Nulla che potesse aiutare. Assolutamente nulla. La casa dove aveva vissuto Randal Patterson era piuttosto ampia per una persona sola, sebbene non certo un castello. E date le sue apparenti abitudini personali, Nell non fu sorpresa di scoprire che fosse anche piuttosto isolata dalle abitazioni circostanti. Non c'era nulla che si potesse definire un "vicinato" in quella zona rurale, costituita da case sparse lungo viuzze di campagna. Quella di Patterson si ergeva nel mezzo di un appezzamento di oltre trenta ettari, lontana dalla strada così che non era visibile ai passanti. «Suppongo che la riservatezza fosse un problema» disse ironico Max quando lasciarono i cavalli sul retro della casa e si avvicinarono attraverso il giardino ben curato. «Già. Impossibile udire le grida provenienti dallo scantinato. Sei sicuro che nessuno viva qui? Il posto è estremamente ordinato.» «Randal contrattava il lavoro di giardinaggio a stagione, e aveva già pagato per quest'anno.» Max scrollò le spalle quando Nell lo interrogò con lo sguardo. «Alcuni operai fanno il lavoro di giardinaggio al ranch, e me l'hanno detto. Quanto alla casa, è ancora molto simile a quando morì Randal, dato che ne era il solo proprietario. L'unico parente è un cugino che vive sulla costa occidentale, e si dice che sia interessato soltanto al denaro che resterà quando la proprietà verrà liquidata.» Nell si fermò sulla splendida veranda lastricata in pietra per dire con ironia: «Quello che è davvero sorprendente è che qualcuno abbia realmente scoperto dei segreti contro cui scagliarsi. Per la maggior parte, i segreti non sembrano restare tali molto a lungo a Silence.» «Che posso dire? Wade Keever era l'avvocato di Randal.» «Naturalmente.» Nell tirò fuori il suo astuccio con gli attrezzi e si mise al lavoro sulla porta. Osservandola, Max disse: «Sei sicura che sia una buona idea?» «Perché no? Se la violazione di domicilio con effrazione ti preoccupa, aspetta qui fuori.» «Non è questo. Giù al canale non sembrava che ti preoccupasse, ma Randal è morto in questa casa, e soltanto un paio di mesi fa. Inoltre, di-
mentichi i tristi giochetti che inscenava nello scantinato. Se intercetti quello...» «Io non ho poteri empatici, Max. Non sento il dolore delle altre persone, o le sue impressioni residue. Per me, avere una visione è come guardare la scena di un film. Sono soltanto un'osservatrice.» «Hai detto che percepivi quello che tuo padre stava sentendo quando l'hai visto.» «Percepivo, sì. Ma è una conoscenza... una consapevolezza, non una condivisione di sensazioni.» Questo sollevò Max, ma non del tutto. «Però le visioni ti tolgono molta energia.» «Ci vuole concentrazione, proprio come per ogni altro sforzo fisico o mentale.» Il suo tono lievemente caustico fece decidere a Max di cambiare argomento. «Per quanto riguarda i luoghi dei delitti, questo è l'ultimo dove posso portarti. Perlomeno a cavallo e inosservati. La moglie di Peter Lynch vive ancora nella casa dove lui è morto, e George Caldwell aveva un appartamento in città; non riusciremo ad avvicinarci a quei luoghi senza essere visti o senza incappare in un poliziotto.» «Bene, se lo sceriffo chiederà il mio aiuto, suggerirò di cominciare con quei due posti.» Max attese finché lei sbloccò la serratura della porta e si raddrizzò, poi aggiunse: «Tu dici se ma intendi quando, non è vero? Sei certa che verrà da te in cerca d'aiuto.» «Non potevo contarci, quando sono arrivata qui.» «Il che spiega almeno in parte il motivo per cui mi hai chiesto di aiutarti. Sì, l'avevo immaginato. E adesso che sai che Ethan si farà vivo?» Nell mantenne lo sguardo su Max mentre apriva la porta con una spinta. «Lui può consentirmi l'accesso alle altre scene del delitto. Potrebbe perfino condividere i dettagli dell'indagine, aiutandomi a trovare prima l'assassino.» Quelle parole misurate spuntavano le armi a qualsiasi obiezione, e Max era certo che Nell si fosse espressa così intenzionalmente. E lo stesso valeva per ciò che lei aggiunse in tono tranquillo. «Quali che siano le tue divergenze con Ethan Cole, resta il fatto che lui è lo sceriffo, qui, e può rendere il mio compito più facile.» «Sempre che lui non sia l'assassino.» «Hai cambiato idea su questo punto?»
Max esitò. «Io non credo, non posso credere, che lui abbia ucciso quattro uomini. Cinque se contiamo tuo padre. Ma ciò non significa che non sia un uomo pericoloso, Nell.» «Cercherò di ricordarmelo.» Entrò nella casa di Randal Patterson. Max la seguì, fin troppo consapevole di non avere alcun diritto di farle domande o di contestare quanto aveva deciso di fare, si trattasse di usare le sue capacità sensitive per dare la caccia a un assassino o di passeggiare lungo la Main Street al braccio di Ethan Cole. Max aveva le proprie idee sul motivo per cui lei era così distaccata. Il desiderio di tenerlo a distanza, in modo che qualunque cosa ci fosse tra loro non interferisse con l'indagine, c'entrava solo in parte. Il problema era che lei aveva messo bene in chiaro di non essere pronta a discutere del passato, e finché non lo fosse stata Max poteva fare ben poco per ridurre quella distanza, tantomeno sperare di avere qualche influenza sulle sue decisioni. Se le avesse fatto troppe pressioni, Nell sarebbe stata capace di chiamare il suo capo o il suo invisibile compagno per farlo sbattere al fresco mentre lei continuava il suo lavoro. La ragazza di dodici anni addietro non avrebbe potuto farlo, ma la donna che aveva di fronte adesso senz'altro sì. Quando si trovarono nell'atrio di quella che era una casa arredata in modo professionale, Nell disse: «Voglio controllare prima la camera da letto e il bagno, dove lui è morto. Non che mi aspetti di trovare qualcosa di utile...» «Perché no?» domandò Max mentre percorrevano il corridoio che portava alle stanze da letto. «Perché è stato fulminato con l'elettricità. Ogni insolito sovraccarico d'elettricità in un'area tende a distruggere qualunque altra traccia di energia.» «Ha senso, suppongo.» Si fermò appena dentro la soglia e la osservò muoversi per la stanza da letto, molto elegante ma stranamente impersonale. Malgrado le perplessità di Nell sulla probabilità di intercettare qualcosa, lui era attento al più lieve cambiamento nel suo viso e quando colse la fugace comparsa di un'espressione accigliata disse subito: «Cosa c'è?» Più a se stessa che a lui, Nell disse: «Di nuovo quella sensazione misteriosa. Come se fosse tutto distante.» «Di nuovo? Non è a causa dell'elettricità?» Lei lo guardò e corrugò la fronte mentre si dirigeva verso la porta del bagno. «No, a meno che non ci fosse qualche sorta di elettricità giù al canale dove è annegato Ferrier. Ho avuto la stessa sensazione anche lì.»
Max non aveva bisogno di comprendere completamente le sue capacità per essere diffidente di qualsiasi cosa Nell ritenesse fuori dell'ordinario, e avanzò nella stanza in modo da poterla osservare mentre lei entrava nel bagno. «Allora cosa potrebbe provocarlo?» «Non lo so.» Nell guardò il lavandino immacolato, gli asciugamani firmati appesi in perfetto ordine, le candele e i diversi flaconi e vasetti decorativi sistemati intorno alla vasca da bagno incassata. Raccolse un vasetto, studiando per un istante i cristalli di sale marino, poi lo posò e andò ad aprire l'armadietto della biancheria. «Patterson non era sposato, giusto?» chiese dopo un momento. Dalla soglia Max rispose: «Giusto. Una volta lo era stato, anni fa, ma divorziò definitivamente quando io ero al college, e subito dopo lei si trasferì fuori città. Perché vuoi saperlo?» «Frequentava qualcuna? Apertamente, voglio dire.» «La sua vita sociale si limitava agli eventi legati alla chiesa» disse Max. «Uno dei motivi per cui la sua stanza dei giochi nello scantinato è stata uno shock per la gente.» Nell allungò la mano nell'armadietto della biancheria e tirò fuori una boccetta semivuota di sali da bagno alla lavanda. «Suppongo che tu non abbia mai notato se profumava di lavanda?» Sollevando un sopracciglio, Max rispose: «No, spiacente.» Se era divertita dal tono della risposta, Nell non lo lasciò trapelare. La sua voce era seria quando disse: «Non è quello che definiresti un profumo da uomo.» «Già. Ma visto ciò che è stato trovato nello scantinato, sembra ovvio che di tanto in tanto avesse delle donne in casa.» Ancora lievemente accigliata, Nell rimise i sali da bagno nell'armadietto e lo richiuse. «Sì. È ovvio, non è così?» Mentre lei usciva dal bagno, Max indietreggiò nella stanza da letto dicendo: «Ma nessuno sa chi fossero, è questo che ti lascia perplessa?» «Lui è stato ucciso a gennaio, Max. E Silence è un paese piccolo. Se per anni Randal Patterson ha avuto delle compagne disponibili, sicuramente almeno una di loro sarebbe ormai stata identificata.» «Non lo so, Nell. Perfino oggigiorno ci sono cose che è meglio mantenere riservate, e riterrei che i giochi sadomasochistici si collochino in testa alla lista. Forse quelle donne sono troppo imbarazzate o impaurite per farsi avanti.» «Sì, forse.»
«O forse c'era soltanto una donna, l'appuntamento fisso del sabato sera di Randal per anni. Esistono relazioni durate più a lungo senza nemmeno un'esigenza sessuale in comune. E un'unica compagna sarebbe stata di sicuro meno notata e molto più difficile da scoprire.» Nell annuì. «È sensato.» Max aggiunse: «Voglio dire, Gesù, quante donne potrebbero esserci a Silence dedite a quel genere di cose?» «Dimmelo tu.» Lui scosse la testa. Desiderava convincersi che lei stesse insinuando un interesse puramente personale. «Non ne ho la minima idea, visto che non ho mai fatto certe cose. Ma sarei davvero sorpreso se ce ne fossero molte.» «Lo sarei anch'io. Ma stiamo presupponendo un fatto.» «Quale?» «Che il suo compagno di giochi fosse una donna.» Dopo un istante Max disse: «Credo che tu abbia ragione.» «Sì. Dov'è lo scantinato?» «Dato che non sono mai stato qui prima, non ne ho la più pallida idea.» Sapeva di sembrare scontroso e mentalmente si ripromise di controllare di più le sue emozioni. O almeno di smettere di renderle così maledettamente evidenti. Nell gli lanciò un'occhiata che non riuscì affatto a interpretare, poi fece strada fuori della camera da letto, dicendo: «Di solito c'è una scala da qualche parte vicino alla cucina, credo.» La trovò senza difficoltà, in un piccolo corridoio accanto alla lavanderia, e indicò con un gesto il catenaccio. Qualsiasi cosa si trovasse oltre la porta doveva restare un segreto, in quella casa. «È chiuso a chiave?» «Non credo, dato che la polizia è stata qui.» Non lo era, e Nell non esitò ad aprire la porta. Accese l'interruttore della luce e si avviò giù per le scale. Max non era affatto impaziente di vedere quel posto per una varietà di ragioni, ma soprattutto per la natura sessuale di ciò che vi avrebbero trovato. Non era tipo da imbarazzarsi facilmente, né lo si sarebbe potuto definire un puritano, ma ciò che c'era stato tra lui e Nell gli impediva di starle accanto osservando con impersonale distacco la stanza dei giochi carnali di un altro uomo. Specialmente dopo aver sentito quell'odore... Fu la prima cosa che notò: un odore forte, stantio, di sudore e altre secrezioni mischiato all'aroma acre di pelle e gomma. Perfino prima di rag-
giungere il fondo delle scale, cercò di farsi forza per affrontare ciò che li attendeva. Ma farsi forza non aiutava affatto. 11 «Gesù Cristo.» La sua stessa voce gli sembrò estranea, ma Max non ne fu sorpreso. Malgrado l'assenza di finestre, le forti luci illuminavano a giorno il locale, e tutto era chiaramente visibile. Lo scantinato era grezzo, il pavimento di calcestruzzo e le pareti a blocchi color cenere non tinteggiate, con le tubature idrauliche, i condotti del riscaldamento e i cavi elettrici esposti. All'altro capo dell'ambiente, la caldaia e quello che pareva un congelatore erano seminascosti dietro uno strano paravento esotico. Nell'angolo vicino, un tappeto orientale dall'aria molto costosa creava una "stanza" imbottita in cui era collocato uno stupendo letto di mogano completo di uno sfarzoso corredo dagli intensi colori scuri. Accanto c'era perfino un comodino con in cima una graziosa lampada schermata. Contro la parete sotto le scale c'era una zona chiusa che probabilmente ospitava un bagno, Max non avrebbe potuto dirlo con certezza da dove si trovavano. In ogni caso era molto meno... interessante del resto dello scantinato. Un altro tappeto orientale dai colori fastosi occupava il centro dell'enorme stanza, di dimensioni tali da fornire spazio in abbondanza per l'equipaggiamento e gli attrezzi. C'erano oggetti che Max non voleva nemmeno cercare di identificare; vari aggeggi erano appesi a un graticcio sulla parete lontana, perlopiù in pelle nera borchiata d'argento. C'erano marchingegni di legno con annessi legacci per polsi e caviglie adatti a costringere un corpo in posizioni scomode, degradanti e dolorose; uno in particolare era costituito da una grossa struttura verticale a forma di X, un altro somigliava a una gogna medievale, mentre un terzo era una sorta di cavallo di legno, completo di sella. E c'erano attrezzi il cui scopo era evidente dalla forma, e altri più enigmatici quanto al disegno e alla funzione. E sugli scaffali accanto al graticcio giacevano utensili e "giocattoli" facilmente riconoscibili: vibratori multicolori di diverse misure, fruste di pelle ritorta con il manico borchiato, larghe verghe per sculacciare e bende per gli occhi di seta nera. Consapevole del proprio turbamento, Max non osò guardare Nell.
«Be'» disse lei in modo piuttosto asciutto «almeno non lo faceva per strada.» A Max sfuggì una risatina stupita. «Dunque è questo il tuo atteggiamento? Vivi e lascia vivere?» Finalmente la guardò, accorgendosi che un debole, ironico sorriso le incurvava la bocca. «Perché no?» rispose lei. «Ho dato la caccia a troppi animali rabbiosi che per i loro morbosi motivi distruggevano la vita altrui per preoccuparmi troppo di ciò che degli adulti consenzienti fanno in privato.» «E se non fossero stati tutti consenzienti?» «Allora sarebbe diverso.» Nell si guardò intorno, il sorriso che sbiadiva. «Ma non credo che quaggiù sia stato fatto nulla contro la volontà dei partecipanti.» «No? Non dirmi che non c'è una traccia di energia cui attingere in un posto simile.» Lei esitò e gli lanciò una rapida occhiata prima di rispondere. «Non lo so ancora. Ho messo in atto una sorta di scudo, un modo per cercare di controllare le capacità.» «Così non verrai colta alla sprovvista.» «Esattamente.» Si allontanò dal fondo delle scale fino a raggiungere il bordo del tappeto posto al centro dello scantinato. «Comunque...» Anche Max fece un paio di passi, così da vederle il viso mentre chiudeva gli occhi e si concentrava. Stava acquistando un po' più di familiarità con le sue visioni ormai, perciò quando lei aprì gli occhi non fu sorpreso dal loro aspetto fisso, vitreo: scrutavano in un'oscura distanza che lui non avrebbe mai potuto percepire. Come sempre, ebbe il forte impulso di toccarla, trattenerla in qualche modo, guidato dalla penosa sensazione che senza un'ancora potesse andare alla deriva lontano da lui. Era un'idea tanto opprimente che fece un altro passo verso di lei allungando la mano per afferrarle un braccio. Esitò solo perché allora lei voltò la testa. Si sentì trapassato da quello sguardo, un'esperienza resa ancora più sconcertante da quegli occhi scurissimi. Era come fissare le insondabili profondità di un ombroso lago di montagna. Passarono i secondi. Dapprima la sua espressione era perplessa, incerta, come se stesse cercando qualcosa che non era interamente sicura di voler trovare. Voltò la testa di nuovo, scandagliando la stanza. Trascorsero altri secondi. Poi d'improvviso annaspò, le guance s'inondarono di un rossore che presto svanì, lasciandola più pallida di prima. Qualunque cosa stesse ve-
dendo, era chiaramente un terribile shock. Le dita di Max si chiusero sul suo braccio. «Nell?» Come era già accaduto nel bosco, lei non gli rispose subito. Era innaturalmente immobile e i suoi occhi sgranati sembrarono farsi ancor più scuri e distanti. Passò un minuto. Due. «Nell?» Le afferrò l'altro braccio e la fece voltare verso di sé. Lei si lasciò guidare come se fosse un fantoccio, senza proteste, dimentica di ogni possibile pericolo. Tutto ciò lo spaventò a morte. «Dannazione, Nell...» Max la scosse. Lei sbatté le palpebre, alzò lo sguardo smarrito verso di lui mentre i suoi occhi lentamente si illuminavano e riassumevano il loro colore verde. Ma sembrava confusa, e il viso restava pallido. Troppo pallido. «Max? Cosa...» «Stai bene?» «Certo che sto bene...» Le parole le erano a stento uscite di bocca quando trasalì, chiaramente sofferente. Allungò la mano sulla tempia sinistra, le dita che massaggiavano in un movimento automatico. «No» sussurrò. «Nell, cosa c'è che non va?» «Non succede in questo modo, non dovrebbe succedere così...» «Nell?...» «Non senza preavviso» mormorò lei. Lo guardò con uno strano miscuglio di rabbia e impotenza, poi chiuse gli occhi, emise un lieve sospiro e svenne tra le sue braccia. Nate McCurry non era per nulla certo di aver fatto la cosa giusta, ma riteneva di non avere troppa scelta. Doveva proteggere se stesso, no? E cos'altro poteva fare? Non gli ci era voluto molto per decidere che non poteva rivelare allo sceriffo quanto sapeva. Se i suoi sospetti in quella direzione erano giusti, Ethan Cole ne sapeva altrettanto e stava mantenendo il segreto perché anche lui aveva paura. Il che per molti aspetti lasciava perplessi, soprattutto perché era risaputo che Ethan Cole non s'impauriva facilmente. Così Nate aveva considerato con cura i restanti membri del dipartimento dello sceriffo e organizzato un incontro segreto con l'unico poliziotto di cui pensava di potersi fidare, l'amico d'infanzia con cui aveva fumato sigarette
di nascosto alle riunioni del liceo e combinato scherzi a Halloween che per poco non li avevano fatti finire al fresco. Era stato molto tempo fa, ma negli anni seguenti avevano continuato ad avere contatti occasionali, e Nate pensò che solo lui avrebbe potuto comprendere la sua paura senza biasimarlo, il vecchio amico che gli aveva vomitato sulle scarpe quando avevano sorpreso, tra la curiosità e lo schifo, due loro insegnanti appassionatamente avvinghiati nel guardaroba della scuola. All'epoca Nate era dodicenne. Aveva ancora degli incubi al riguardo, ed era quasi convinto che la vista delle mani pallide e lentigginose del vecchio Mr Hensen che frugavano sotto la gonna spiegazzata di Mrs Gamble e le palpavano i carnosi seni avesse reso la sua vita sessuale da adulto alquanto problematica. Naturalmente, non l'aveva mai confidato a nessuno, nemmeno al suo amico di fanciullezza. «So di cosa sto parlando» disse in tono insistente, cercando di non sembrare nervoso, anche se erano soli, lì nel vicolo dietro il supermercato. «Ci ho pensato e ripensato, ed è l'unico legame tra noi. Voglio dire, non sono sicuro di George, ma per gli altri tre è maledettamente certo. E lo è per quanto mi riguarda.» «Ti stai sbagliando, Nate. Lei se n'è andata molto tempo fa.» «Davvero? Magari è rimasta nei dintorni per vendicarsi di noi? Peter Lynch è morto l'estate scorsa, rammenti? Non molto tempo dopo che lei se n'era andata, stando alle apparenze; e lui l'aveva trattata malissimo, me lo disse lei. Lo stesso vale per Luke Ferrier. E quanto a Randal Patterson, mi raccontò che aveva passato il limite, facendole davvero male, mentre lei si aspettava qualche innocuo giochetto.» «E cosa si aspettava da te, Nate?» Nate fece una smorfia. «Di spassarsela, per quanto ne so. Ma era strana, sai? Un istante pareva appassionata e quello dopo rideva come una iena. A letto era davvero brava, lo devo riconoscere, ma... era più di quanto potessi affrontare, e non m'importa ammetterlo.» «Perciò l'hai scaricata.» «Non è stato così. Le dissi solo che voleva più di quanto potessi darle. E lei scoppiò a ridere. Rise e buttò indietro la testa. Disse che me ne sarei pentito. Ecco ciò che disse.» «E suppongo che tu l'abbia fatto, Nate.» «Oh, Cristo, altro che. E ha senso, giusto? Che sia opera sua? Che lei sia
tornata per prendersi la rivincita e adesso stia dando la caccia a tutti noi?» «Nate...» «Non guardarmi in quel modo compassionevole, dannazione. So che è lei, e anche uno di voi poliziotti dovrebbe saperlo. Tutti dicono che questa storia riguarda uomini puniti per i loro segreti e peccati. E io ti dico che il peccato per cui tutti noi dobbiamo pagare è quello di essere stati con lei e poi di averla scaricata. Lei si sta assicurando che sia così.» «Hai qualche prova, Nate, o sei soltanto paranoico?» «È il tuo lavoro trovare le prove, no? E ora che ti ho detto dove cercare puoi farlo. Puoi trovare la prova, e puoi trovare lei, e tutto il dannato dipartimento dello sceriffo ti farà una gran bella festa. Specialmente Ethan Cole, lui probabilmente ti organizzerà una parata.» «Perché dovrebbe?» «Perché probabilmente è preoccupato per la sua pellaccia. C'è andato a letto anche lui.» Era caratteristico dei blackout di Nell che si destasse bruscamente, senza la sensazione di intorpidimento che generalmente accompagnava il risveglio dal sonno. Un istante era del tutto priva di sensi, sprofondata in un'incoscienza senza sogni, e quello seguente i suoi occhi erano aperti e lei era completamente vigile. Così quando si svegliò la sua prima percezione nitida fu che si trovava in una casa sconosciuta. Era distesa su un comodo letto, interamente vestita tranne per le scarpe e la giacca, ed era avvolta da una sottile coperta. Un paio di finestre aperte facevano entrare la luce del giorno morente insieme a una fresca brezza. E il suono attutito di voci. Nell scostò la coperta e scivolò fuori del letto. Un'occhiata all'orologio le mostrò che era rimasta svenuta per poco meno di un'ora, il che era consueto. Erano appena passate le cinque. Guardò in giro per la stanza, studiando lo scintillante mobilio scuro, il bel tappeto antico che ricopriva gran parte del pavimento di legno. Non vedeva alcuna fotografia, ma diversi pregevoli paesaggi a olio conferivano alla stanza un'atmosfera pacifica, all'antica. E, debolmente, percepì l'aroma dell'acqua di colonia di Max. «Oh, accidenti» borbottò sottovoce, più turbata di quanto volesse ammettere perfino con se stessa. Raggiunse una delle finestre, fermandosi da un lato per scrutare con cautela attraverso le tende trasparenti. La stanza al primo piano dava sul da-
vanti della casa, così Nell si ritrovò a guardare il viale d'ingresso e un giardino ben curato. Una volante del dipartimento dello sceriffo era parcheggiata sul vialetto. I due agenti erano in piedi ai lati della macchina, entrambi di fronte a Max. Parevano rilassati e disinvolti, nell'atteggiamento ingannevolmente inoffensivo che avevano la maggior parte dei poliziotti quando erano intenti a non apparire brutali com'erano in realtà. E Max stava in piedi davanti alla macchina, quasi bloccando loro l'accesso alla casa, le braccia incrociate sul petto in un linguaggio corporeo che al meglio era guardingo e al peggio ostile. Dapprima il mormorio delle voci era indistinto, e Nell si concentrò, focalizzandosi sulla vista e sull'udito così da incanalare un po' di energia e intensificare quei sensi, come le avevano insegnato. Bishop era il migliore nell'utilizzare quello che molto tempo prima Miranda aveva soprannominato il "senso del ragno", e aveva insegnato ai suoi agenti a usare un aspetto della stessa capacità. E alle volte risultava utile. Come adesso. «Non ce la stiamo prendendo con te, Max» stava dicendo l'agente Venable in tono pragmatico. «Lo sceriffo ci ha mandato a controllare chiunque sia in zona.» Il suo compagno, la favolosa Lauren Champagne, aggiunse nello stesso tono: «Il paese è nervoso, lo sai. Così cerchiamo di far vedere che la polizia è presente.» «Fate visita a ogni casa?» domandò Max con scetticismo. «Quelle isolate, sicuro.» Fu Lauren a rispondere, sorridendo debolmente. Ma i suoi occhi scuri erano vigili. «E stiamo chiedendo a tutti di riferire qualunque cosa ritengano strana, non importa quanto sembri insignificante.» «La maggior parte di noi sta facendo doppi turni, così abbiamo in giro più pattuglie a tutte le ore» aggiunse Kyle Venable. «Dacci solo un colpo di telefono, e saremo qui nel giro di pochi minuti.» «D'accordo. Lo farò. Se noto qualcosa di strano.» Nell fece una smorfia, riconoscendo che quel congedo non avrebbe potuto essere più brusco a meno che lui non gli avesse detto chiaramente di andare al diavolo fuori della sua proprietà. I due agenti si scambiarono di nuovo un'occhiata, poi scrollarono le spalle e risalirono in auto. Senza aspettare la loro partenza, Nell andò nel bagno attiguo a spruzzarsi un po' d'acqua sul viso e a pettinarsi i capelli con le dita, come faceva sempre. Voleva evitare perfino di darsi un'occhiata allo specchio sopra il
lavabo, ma alla fine fissò piuttosto tetra il proprio riflesso. Era consapevole di essere troppo pallida, ma fu di gran lunga più turbata dalle deboli ombre violacee sotto gli occhi. Il giorno prima non c'erano. E oggi, per la prima volta, aveva perso i sensi due volte, la seconda con un preavviso di appena un minuto o due invece dei venti circa a cui era abituata. Cosa le stava succedendo? Come la maggior parte dei sensitivi che conosceva, Nell viveva con la consapevolezza che la sua sensibilità e la capacità di interpretare energie elettriche e campi magnetici avrebbe potuto infine danneggiare il cervello. Specialmente se forzava se stessa e quelle capacità, usandole troppo spesso o troppo a lungo. Nessuno sapeva realmente cosa poteva accadere, ma le possibilità erano allarmanti. E per i sensitivi membri del Reparto speciale anticrimine, c'era anche la consapevolezza che il loro lavoro potesse accrescere il rischio di svegliarsi un giorno, come con disinvoltura Nell aveva detto a Max, con il cervello fuso. A differenza degli altri sensitivi, non potevano permettersi il lusso di lasciare che le loro abilità restassero incontrollate, di aspettare che queste si manifestassero liberamente. No, i sensitivi del Reparto speciale anticrimine si sforzavano sempre di dominare e utilizzare ogni capacità, di solito in situazioni estremamente stressanti e pericolose e spesso spingendosi oltre il limite, perché quello sforzo poteva fare la differenza tra acciuffare i mostri a cui davano la caccia o lasciare loro ancora un giorno, una settimana o un anno per distruggere altre vite innocenti. Per alcuni dei sensitivi, era probabile che prima o poi ci sarebbe stato un pesante prezzo da pagare. Certe capacità psichiche, per esempio, richiedevano una grande resistenza fisica, mentre altre sembravano creare campi magnetici sempre più potenti all'interno del cervello. Nell apparteneva all'ultimo gruppo. Con Max lei era stata schietta e disinvolta rispetto ai rischi, ma la verità era che Bishop la teneva d'occhio da vicino perché aveva abilità uniche perfino nella sua considerevole esperienza del paranormale, e nessuno poteva nemmeno azzardare un'ipotesi su quanta energia elettrica il cervello di Nell fosse capace di produrre, e di sopportare. Cominciava a sembrare che lei fosse più vicina ai suoi limiti di quanto
non lo era mai stata prima. Nell fissò la donna dall'aria ossessionata che si mordeva il labbro nello specchio, poi distolse lo sguardo borbottando un'imprecazione. Preoccuparsene, lo sapeva, non avrebbe cambiato un maledetto accidente. Tutto ciò che poteva fare era cercare di arrivare a capo di questi omicidi il più rapidamente possibile. Trovò le sue scarpe e le indossò, poi raccolse la giacca e ripescò dalla tasca il telefono cellulare. «Sì.» La sua voce era, come sempre, calma e fatale, qualcosa di profondamente radicato e del tutto sicuro di sé e del suo posto nell'universo. Un fatto per cui lo invidiava. «Sono io. Sei nei paraggi?» «A circa cento metri dalla casa. Vicino quanto potevo arrivare senza essere visto. Ti avrei dato altri quindici minuti e poi sarei venuto dentro a cercarti. Stai bene?» «Sto bene. Mi sono appena svegliata.» «Due blackout in un giorno non vanno bene, Nell.» «D'accordo, forse ho esagerato.» Cercò di rendere la voce divertita e noncurante. «Ma sono in piedi e operativa.» «Non mi piace.» «Neanch'io ne sono entusiasta. Ma non ho scelta e tu lo sai.» «Sì, be', c'è qualcos'altro che so. Ordini dall'alto dicono che faremo meglio a guardarci le spalle. Quell'ombra sulla fotografia è proprio ciò che pensavamo.» «Merda. Speravo che ci fossimo sbagliati.» Nell cercò d'ignorare il brivido che le strisciava lungo la spina dorsale. Stava diventando una sensazione familiare. «Non siamo così fortunati. Ti sta tenendo d'occhio Nell, o almeno quella volta lo stava facendo. E non abbiamo modo di sapere perché.» «In ogni caso mi sta addosso, è così?» «Questa è l'opinione generale. Forse sa chi sei, oppure ti percepisce come una minaccia. Magari è un sensitivo. Se l'hai incontrato casualmente da quando sei arrivata qui, potrebbe aver intuito le tue capacità ed essersi reso conto che potresti fermarlo.» Lei fece un profondo respiro. «D'accordo. Allora devo muovermi più in fretta.» «Più in fretta significa che potresti diventare imprudente.» «In caso contrario potrei ritrovarmi morta.»
Lui imprecò. Nell non aspettò che facesse altre obiezioni e chiese: «Avete avuto fortuna nel trovare Hailey?» «Non ancora. Hai detto che probabilmente avrebbe cambiato nome, che avesse sposato Sabella o no, e forse ha cambiato anche altre cose.» «Sì.» «Questo lo renderà più difficile.» «Lo so. Ma abbiamo bisogno di rintracciarla,» «Un'altra connessione con lei in casa di Patterson?» suppose lui. «Puoi ben dirlo.» Lui non domandò particolari, disse soltanto: «Allora metterò il fuoco addosso ai ragazzi di Quantico. E nel frattempo?» Sapeva cosa le stava chiedendo. «Nel frattempo... devo pensare a qualcosa da raccontare a Max.» «Che ne dici della verità?» «Quale?» domandò lei seria. «La sola alla quale lui sia interessato, direi. Ti ha portato quaggiù, sai. Ti ha sorretto in grembo per tutta la strada. A cavallo per di più. Mi ha davvero impressionato.» Impressionava anche Nell, ma non era disposta ad ammetterlo. «È sempre stato un cavallerizzo nato.» «E un vero cavaliere?» «Certi uomini sono così.» «Non saprei. Senti, un paio di agenti si sono fatti vivi pochi minuti fa.» «Sì, li ho visti.» «Stanno pattugliando tutto il distretto per tenere un occhio vigile sui cittadini e prestare particolare attenzione ai posti fuori mano, come il ranch. E casa tua. Se vanno laggiù e scoprono che non ci sei, sebbene la tua Jeep sia sul vialetto, potrebbero cominciare a fare domande imbarazzanti.» «Dirò che sono andata a cavalcare con Max. Nessuno ne sarà sorpreso.» «Lui non ha detto che stavi lì.» «Nessuno sarebbe sorpreso nemmeno di questo.» Lui ridacchiò. «Lo sai, se questa situazione non fosse tanto pericolosa, mi piacerebbe sedermi pacifico e osservare voi due che cercate di risolvere il vostro rapporto.» «Tu non ti sei mai seduto pacifico in vita tua.» «C'è sempre una prima volta.» La sua voce si fece seria. «I blackout sono un avvertimento, Nell, lo sai. Non puoi continuare a esagerare e aspet-
tarti di passarla sempre liscia.» «Lo so.» «Allora stai attenta.» «Farò del mio meglio.» «Perché questo non mi rassicura?» Senza attendere una replica, lui interruppe il collegamento. Nell rimise lentamente il telefono in tasca. Sottovoce, mormorò: «Probabilmente per la stessa ragione per cui non rassicura me. Non ho più molto tempo.» Ethan Cole ci aveva rimuginato su tutto il giorno. Voleva dare la colpa a Shelby per avergli messo l'idea in testa, ma in verità da almeno un paio di giorni stava pensando che forse avrebbe potuto vedere se c'era qualcosa che Nell Gallagher potesse dirgli riguardo alla serie di omicidi a Silence. Non che lui credesse in alcuna di quelle fandonie sul paranormale, naturalmente. E non era impaziente che i pettegoli in paese speculassero sul suo interesse per Nell; Shelby aveva avuto ragione su questo, maledizione. Ma aveva la sensazione che Nell potesse aiutarlo, e non era pronto a esaminare troppo da vicino quella sensazione, che appariva confusa con altre, come il desiderio di rivederla, di parlarle. Come il crescente bisogno di sistemare le cose con Max, e lasciarsi dietro il passato una volta per tutte. Come il senso di timore rimasto sospeso sopra di lui e sempre più forte ogni giorno che passava. E come l'inquietante sensazione che quello che stava accadendo nel suo paese fosse più sinistro e contorto di quanto potesse immaginare. Più turpe di qualunque misfatto potesse concepire. Ma intendeva fare il suo lavoro, e ciò significava parlare con Nell prima possibile. Questo era molto chiaro, del tutto ragionevole e logico. Lei era una potenziale fonte di informazioni, semplice. Per fare efficacemente il suo lavoro, avrebbe davvero dovuto andare a parlarle. Così quando la pattuglia che controllava la casa dei Gallagher riferì che lei non c'era, anche se la sua Jeep era parcheggiata nel vialetto, lui approfittò dell'occasione. «Non preoccuparti, Steve» disse all'agente Critcher. «Probabilmente è uscita a passeggiare nel bosco.» "O a cavalcare con Max" aggiunse in silenzio "come era solita fare." «Non possiamo rincorrere ogni cittadino del distretto solo perché esce a sgranchirsi le gambe e a prendere un po' d'aria. Manderò qualcuno a controllare domattina o lo farò io stesso.»
«Va bene, sceriffo. Vuole che restiamo da queste parti finché lei non ritorna a casa?» «No. Continuate il vostro giro.» «Ricevuto. Passo e chiudo.» Ethan mise da parte distrattamente il microfono della radio e si appoggiò sulla sedia facendola scricchiolare, poi corrugò la fronte accorgendosi di Justin Byers in piedi sulla soglia del suo ufficio. «Non volevo interromperla» disse Byers. «Sono soltanto le pattuglie che fanno rapporto. Tu hai qualcosa da riferire?» «Ho una domanda, sceriffo.» «Oh? E quale sarebbe?» «Mi stavo solo chiedendo se lei sa perché George Caldwell, circa una settimana prima di morire, abbia passato ore al tribunale studiando i registri delle nascite del distretto di Lacombe. Nel suo appartamento non riesco a trovare nulla che spieghi cosa stesse facendo o perché.» Ethan fissò il detective a occhi sgranati: «I registri delle nascite?» «Sì.» «Come lo sai?» «Qualcuno l'ha visto. E secondo l'impiegata, lui aveva chiesto di vedere quei registri. Per gli ultimi quarant'anni.» «Non c'è un collegamento col suo lavoro?» «Per quanto sono stato in grado di scoprire, no. Ma più di una persona mi ha detto che talvolta lui frugava tra i registri della parrocchia e del tribunale, in apparenza per puro interesse.» Ethan grugnì. «È sempre stato un bastardo ficcanaso.» «Allora forse era soltanto curiosità.» «L'impiegata non sapeva se stesse cercando qualcosa di più specifico?» «No. E a quanto ho potuto vedere, se aveva copiato alcuni dei registri che esaminava, non teneva le copie da nessuna parte nel suo appartamento o nel suo ufficio. A meno che, naturalmente, l'assassino non le abbia prese.» Lentamente, Ethan disse: «Ricapitoliamo: non sai se George aveva trovato quanto stava cercando, e neppure se stesse cercando qualcosa di specifico, ancora meno se tutto ciò avesse qualche legame con la sua morte.» «Già» ammise Byers. «Non lo so. Ma finora è l'interrogativo più interessante che abbia trovato nel recente passato di George Caldwell.» «Allora ti suggerisco di trovare una risposta a quell'interrogativo, detec-
tive» disse Ethan. «E vedi di essere educato quando chiedi aiuto all'impiegata. Riguardo alle buone maniere Libby Gettys è peggio della mia vecchia maestra.» Serio come al solito, Byers si limitò a reagire alla battuta con un solenne cenno del capo. «Verificherò. Ma ci vorrà del tempo per setacciare i registri delle nascite degli ultimi quarant'anni, specie quando non so cosa sto cercando.» «Ok. Fai del tuo meglio. E... Justin? Per il momento mantieni il segreto su questo. Non c'è alcun motivo di dare ai pettegoli qualcos'altro su cui speculare.» Byers annuì, sempre serio, e se ne andò. Ethan fissò il proprio ufficio, sentendo quella strisciante sensazione di timore farsi ancora più vicina, «Merda» borbottò. 12 Nell si fermò in fondo alle scale. Attraverso la zanzariera constatò che la volante del dipartimento dello sceriffo se n'era andata, ma Max non si vedeva da nessuna parte. Tuttavia era vicino, lei lo sapeva. Si diresse verso quello che chiaramente era l'ufficio o lo studio di Max ed entrò. La lampada da tavolo era accesa insieme a un altro paio di luci e a un personal computer con il salva schermo su cui scorrevano immagini di arti marziali, e sul piano della scrivania c'era un registro aperto. Non aveva bisogno di usare nessuno dei suoi sensi per indovinare che lui stava lavorando lì quando erano arrivati gli agenti. Probabilmente aspettando paziente che lei uscisse dal blackout e gli dicesse cosa diavolo stava succedendo. Nell non aveva voluto pensare a come era giunta lì dall'abitazione di Randal Patterson, anche se non era sorpresa che Max l'avesse portata a casa sua piuttosto che da un dottore o all'ospedale. Lui non aveva mai compreso le sue capacità o gli svenimenti, ma Nell gli aveva fatto capire che per lei erano normali. Dunque non si sarebbe lasciato cogliere dal panico per la sua improvvisa perdita di coscienza. Non Max. Anzi, sapere che lei era un'agente dell'FBI sotto copertura impegnata in un'indagine per omicidio l'avrebbe reso ancora più restio ad affidarla a qualcun altro, specie in uno stato così vulnerabile. Max si era convinto che lei non corresse alcun pericolo immediato a causa dei blackout, almeno dal
punto di vista medico, perciò riteneva normale portarla in un posto sicuro e confortevole e aspettare che rinvenisse. Nell sapeva che impressione davano i blackout. Fondamentalmente era come se lei stesse dormendo. Polso e respirazione regolari, niente febbre, reazione della pupilla normale. Pareva addormentata e per nulla in pericolo. Ed era una cosa a cui lui aveva già assistito, più di una volta, anche se diversi anni fa. Avrebbe saputo che lei stava bene. Così Max l'aveva condotta lì, a cavallo, e aveva il forte sospetto che fosse riuscito a portarla dentro casa senza che nessuno dei suoi aiutanti al ranch se ne accorgesse. Scuotendo la testa in modo quasi inconsapevole, Nell vagò nella stanza fino all'alta libreria che fiancheggiava il caminetto e cominciò a scorrere distrattamente i titoli. Ma il suo interesse, all'inizio ozioso, si fece subito più vivo mentre passava lentamente le dita lungo il dorso dei libri. Psicologia e parapsicologia. Fantasmi e presenze. Telepatia. Precognizione. Telecinesi. Spiritismo. Guarigioni. Proiezione astrale. Vista a distanza. Chiaroveggenza. La sua libreria era meravigliosamente rifornita, con volumi che spaziavano, dalle profezie di Nostradamus e le inesplicabili diagnosi e predizioni sensitive di Edgar Cayce agli esperimenti governativi sulla vista a distanza durante la Guerra fredda. E tutti davano l'impressione di essere stati letti, visti i numerosi segnalibri per indicare le pagine con passaggi interessanti. Nell sentì una stretta al cuore, e si domandò quando Max si fosse rivolto per la prima volta a quei libri in cerca di risposte. Era stato subito dopo la sua partenza, quando lui aveva cercato di aprire una porta soltanto per scoprire che non era in grado di farlo? Aveva imparato a odiarla allora? «Sono stata una pazza a tornare qui» mormorò Nell. «Speriamo di no» disse Max dalla soglia. Il suo tono mutò quando aggiunse: «Stai bene?» Nell si voltò a guardarlo, annuendo lentamente. «Sto bene. È stato soltanto un blackout, lo sai.» «Davvero? Soltanto un blackout? Hai detto tu stessa che c'era qualcosa di diverso al riguardo. O non ricordi di avermelo detto?» «Ricordo.» Si chiese se lui restava in piedi sulla soglia per impedirle di andarsene; si aspettava che scappasse da casa sua? Probabilmente. «È stato un po' improvviso, tutto qui. Di solito ho un preavviso maggiore.» «Rammento. Allora cosa significa che questa volta non hai avuto alcun
preavviso?» Lei si sforzò di sorridere. «Accidenti, non lo so. Come ti ho detto, tutto questo è piuttosto teorico al momento. Suppongo che... lo stress mi stia richiedendo un tributo maggiore di quanto mi fossi resa conto.» «Il blackout era un ammonimento a fermarsi.» «Forse. O a rallentare. O magari era solo un avvenimento casuale senza significato. Non scapperò, Max, se è per questo che stai bloccando la soglia.» «Sei già scappata una volta» le rammentò lui, la voce d'improvviso rude. «Era diverso.» «Davvero? So che ancora non ne vuoi parlare, ma c'è una cosa che devo sapere, Nell. È stato qualcosa che avevo fatto? Era colpa mia?» «Allora?» domandò Shelby. «Lui non ne sa nulla» replicò Justin, raggiungendola nell'automobile. «O dice di non saperlo.» Justin si appoggiò indietro e la guardò con aria pensosa. «Correggimi se sbaglio, ma tu non conosci Ethan Cole da una vita?» «Non sbagli.» «Ma lo sospetti di... cosa? Sapere più di quanto sia disposto a dire su questa serie di omicidi?» «Come minimo» replicò lei prontamente. «Perché?» «Ti ho detto perché.» «Mi hai detto perché sei venuta da me con le informazioni su George Caldwell e sui documenti che lui stava esaminando. Nel dipartimento dello sceriffo io sono l'acquisto più recente, di fatto estraneo al paese e dunque piuttosto al di fuori della lista dei sospetti, almeno per te.» Fece un ampio respiro. «Non mi hai detto perché tutto ciò ti interessa, perché credi che qualcuno nel dipartimento dello sceriffo possa essere sulla lista dei sospetti, in primo luogo, e inoltre per quale ragione lo sceriffo Cole sia in cima a quella lista.» «Suppongo che dovrei cominciare a rispondere dalla prima domanda.» «Vorrei che lo facessi.» Shelby scrollò le spalle. «Mi interessa perché questa è la mia città. Mi interessa perché sono curiosa di natura, come chiunque ti dirà. E mi interessa perché detesto gli assassini.» «D'accordo» disse lui lentamente. «E il resto?»
Shelby esitò quel tanto da far sembrare vera la sua apparente riluttanza. «Penso che qualcuno nel dipartimento dello sceriffo possa essere coinvolto sulla base di alcune cose che ho visto e sentito. Nulla di preciso, più una sensazione che altro.» «Un'argomentazione un po' debole, Shelby.» «Sì. Ma mi sto sbagliando?» Invece di rispondere, lui disse: «Quello che ancora non hai spiegato è perché credi che lo sceriffo Cole sia in cima alla tua lista di sospetti.» «Perché lo conosco. E so che... non si sta comportando come fa di solito quando vuole arrivare fino in fondo.» «E per questo pensi che stia nascondendo qualcosa?» «È quello che ha destato il mio interesse, Justin. E che mi ha spinto a osservarlo. E dopo averlo osservato, sono tornata a casa e ho controllato tutte le fotografie che avevo scattato in giro per il paese negli ultimi anni.» «Dunque?» Shelby allungò la mano nella sua grossa borsa di tela e tirò fuori una busta. «Ecco ciò che ho trovato.» Justin aprì la busta ed esaminò lentamente ciascuna delle foto. «Non è di certo decisivo» disse alla fine. «No. Ma è... interessante, non è vero, Justin? È molto, molto interessante.» Mentre Nell stava ancora cercando di decidersi su come rispondere a Max, lui disse bruscamente: «Senti, sono le sei passate, e so dannatamente bene che non hai mangiato dall'ora di pranzo. La governante mi lascia sempre la cena nel forno. Perché non parliamo mentre buttiamo giù un boccone?» In tono asciutto, aggiunse: «Ti darà più tempo per decidere cosa raccontarmi.» Nell non protestò, anche perché sapeva che il cibo le avrebbe fornito energie di cui aveva estremo bisogno; era inspiegabilmente stanca, una sensazione molesta dato che di solito dopo un blackout si sentiva riposata. Così tutto ciò che disse fu: «Suppongo che un allevatore indaffarato abbia bisogno di una governante.» «Sì, se odia il lavoro domestico e non sa cucinare» replicò Max con franchezza. «Vieni.» Mezz'ora più tardi, stavano condividendo un delizioso e decisamente abbondante pasticcio di pollo con insalata, seduti l'uno di fronte all'altra a un tavolino di quercia in un tinello attorniato da finestre che si affacciavano
sul terreno ondulato del suo ranch. Ora naturalmente le finestre erano scure, e quelle vetrate nere davano a Nell la brutta sensazione di essere osservata. O almeno, pensò che la causa del suo disagio fosse quella. Max mantenne la conversazione misurata e disinvolta mentre mangiavano, una cortesia che Nell apprezzò, anche se era sempre consapevole che la domanda di Max restava sospesa sopra di lei come una spada. Cosa voleva veramente sapere? La verità? Quale verità? Quanta parte della verità? E se anche fosse stata in grado di offrirgli la verità di cui aveva bisogno? Cosa sarebbe cambiato? Come si sarebbe sentito dopo aver saputo, riguardo al passato... riguardo a lei? Lui versò il caffè e sparecchiò la tavola, lasciandole altro tempo per riflettere, e infine le fece di nuovo la domanda per la quale gli premeva avere una risposta. «Fu per colpa mia che te ne andasti?» «Ma se quel giorno non ti vidi nemmeno.» «Fu colpa mia?» ripeté lui in tono fermo. «No.» Dopo un istante, Max si sistemò sulla sedia, incrociando le braccia sul petto nel palese atteggiamento di chi con cortesia e pazienza attende spiegazioni. Era un'immagine così inequivocabile che lei non poté fare a meno di sorridere. «Sei sempre diretto, eh, Max?» «Non sono cambiato. Io non credo nel nascondere le cose, rammenti?» Lo rammentava. Era stato parte di ciò che l'aveva attratta fin dal principio, quella sua tendenza a mostrare i propri sentimenti apertamente e senza giustificazione, a proclamare con ogni parola e gesto e perfino con la postura del corpo esattamente che tipo d'uomo era. In lui non c'era nulla di nascosto. Nulla d'ingannevole. Nulla di segreto. Si domandò, non per la prima volta, se il loro fosse stato un caso di opposti che si attraggono, almeno al principio. Perché sotto quell'aspetto di sicuro era stata diversa da lui quanto la notte dal giorno, tanta parte di lei nascosta sotto la superficie o dissimulata. Così tanto di non rivelato, trattenuto in silenzio. L'unico attrito che avessero mai avuto era stato sulla sua assoluta insistenza che la loro crescente intimità restasse privata. E segreta. Sperando in una sia pur breve tregua, lei disse: «Una cosa sembra essere
diversa, almeno a giudicare dai libri nella tua libreria. Una volta non credevi nel paranormale.» Le sue spalle larghe si sollevarono e ricaddero in una debole scrollata. «Come ti ho già detto, forse entrare in contatto col paranormale cambia il tuo modo di pensare su un mucchio di cose. Diverse... possibilità si schiudono. Oppure no... Ho avuto un sacco di tempo per pensare, Nell. Dodici anni.» Lei voleva scusarsi, almeno in parte, ma non poteva. Trovandosi di fronte alla stessa situazione, sapeva che avrebbe agito esattamente nel medesimo modo. Tutto ciò di cui si rammaricava era l'inevitabilità. Cautamente disse: «Nessuno di noi può tornare indietro e cambiare il passato, Max.» «Questo lo so.» «Allora che importanza ha?» La bocca di lui si serrò. «Ha importanza. Cosa ti stava preoccupando tanto quella settimana, Nell? Se non era per me o per qualcosa che avevo fatto, di che si trattava allora?» Nell aveva deciso di dirglielo, ma quando arrivò al dunque evitò ancora una volta di parlarne. Perfino di affrontare il problema. Tuttavia non stava cambiando del tutto argomento come avrebbe potuto credere lui quando disse evasivamente: «Non vuoi sapere che cosa ho visto nello scantinato di Randal Patterson?» Max fece un lungo respiro, con quell'atteggiamento di estrema pazienza. «Va bene. Cosa hai visto nello scantinato di Randal?» Nell avvolse le mani intorno alla tazza di caffè e abbassò lo sguardo, aggrottando la fronte. Non era stata eccessivamente imbarazzata da ciò che avevano trovato nello scantinato, ma non aveva alcuna intenzione di descrivere gli sgradevoli particolari della sua visione. «Ho di nuovo visto Hailey» replicò semplicemente. «Vuoi dire che lei era... coinvolta... con Randal?» Con una lieve smorfia che non poté evitare, Nell finalmente incontrò il suo sguardo. «Completamente coinvolta. Intimamente coinvolta. E mi è... sembrato che fossero molto... intimi. Credo che Hailey sia stata, almeno per un po', il suo appuntamento fisso del sabato sera.» Max si appoggiò indietro sulla sedia, fissandola con la fronte aggrottata. «Gesù. Non si conoscono mai davvero le persone...» «Già.»
«Però ho la sensazione che, sebbene turbata dalla visione, tu non fossi veramente sorpresa? Ti aspettavi di vederla lì, non è vero?» Nell non esitò. «Sì.» «Perché? Per il suo rapporto con Luke Ferrier?» Stavolta lei esitò, ma solo per un momento, «Quando Bishop si è mostrato così sicuro di percepire qualcos'altro, qualche fatto inafferrabile ancora sconosciuto che collegava le vittime tra loro, mi sono chiesta se stesse ricevendo qualcosa da me, una specie di... connessione tramite una terza persona, e fosse per questo che non riusciva a individuarne esattamente il contenuto.» «Dunque parte del profilo è stato sviluppato con mezzi psichici?» «Be', non il profilo ufficiale. Possono esserci aspetti sensitivi in alcuni dei suoi profili, ma in genere si basano sul lavoro di indagine, sull'esperienza investigativa e sulla psicologia della mente criminale. Ma lui ha percepito qualcosa riguardo all'assassino fin dal principio, ancora prima di inviare qualcuno quaggiù, e forse ciò è avvenuto attraverso qualcuno collegato a Silence.» «Attraverso te?» «Credo di sì.» «Perché non il sindaco? Lei aveva parlato con Bishop prima che inviasse qualcuno.» Nell scosse la testa. «Anche il miglior sensitivo con doti telepatiche può soltanto leggere nella mente di una certa percentuale di persone. Bishop non poteva leggere in quella di Casey.» «Ma può leggere nella tua?» «In parte. È difficile da spiegare, ma alcuni sensitivi hanno una sorta di scudo naturale appena al di sotto del livello dei loro pensieri coscienti, specie quelli sensibili a certi tipi di energia elettrica. Se mi tocca, in genere Bishop sa cosa sto pensando, ma non sarebbe necessariamente in grado di percepire niente di più profondo dei miei pensieri coscienti. Io non stavo pensando che Hailey fosse un possibile collegamento tra gli uomini, non in quel momento, ma forse dentro di me qualcosa di più profondo del pensiero s'interrogava, e forse è questo ciò che Bishop poteva percepire, pur non mettendolo completamente a fuoco.» «E tutto questo toccandoti...» «Le sue doti telepatiche si manifestano tramite contatto. Per leggere nella mente della maggior parte delle persone gli è necessario toccarle.» Nell scrollò le spalle. «Come ho detto, lui non poteva leggere nella mente di
Casey. Così qualunque cosa stesse ricevendo gli giungeva attraverso me. È stato durante il viaggio per venire quaggiù che mi sono domandata se poteva avere qualcosa a che fare con Hailey.» Per un momento sembrò che Max volesse continuare a focalizzare la conversazione su Bishop, ma poi scosse appena la testa come dicendosi silenziosamente di no, e chiese: «Allora credi che Hailey sia collegata in qualche modo anche agli altri due uomini?» «Penso che cominci a sembrare una seria probabilità.» «Non vorrai insinuare che lei ha ucciso qualcuno di loro? Il tuo capo è sicuro che l'assassino sia un poliziotto maschio.» «Anche il miglior profiler, benché sensitivo, sbaglia di tanto in tanto. Specie se non ha tutte le informazioni che gli servono o se le... emozioni offuscano le cose. Forse questa volta Bishop si sbaglia. Forse ci sbagliamo tutti. Forse l'assassino non è un uomo, non è un poliziotto. Dopo tutto, nessuno degli omicidi ha richiesto una forza inusuale, dunque potrebbe averli commessi una donna. Ciò spiegherebbe anche perché Luke Ferrier sia stato drogato prima che la sua auto venisse indirizzata in quel canale, poiché la maggior parte delle donne non avrebbe mai potuto sopraffarlo se fosse stato cosciente e in grado di lottare.» «Rispondi alla mia domanda, Nell. Non stai dicendo che Hailey ha ucciso qualcuno di loro, vero?» Pensierosa, Nell lasciò cadere di nuovo lo sguardo sulla tazza di caffè. «No, non sto dicendo questo. No. Ma credo che lei sarebbe capace di uccidere, perfino quattro uomini, se avesse un motivo valido.» «E vostro padre? Hailey avrebbe potuto uccidere anche lui, per un motivo valido?» Nell osservò le proprie dita serrarsi intorno alla tazza e cercò consapevolmente di rilassarle. La verità. «Nell?» Sforzandosi di assumere un tono pragmatico, come se non fosse nulla d'importante, lei disse: «Sì. Per un motivo valido, Hailey potrebbe aver ucciso anche lui.» «E aveva un motivo valido per farlo?» La verità. «Sì» rispose infine Nell. «L'aveva.» «Ho già perquisito due volte questo posto di persona» disse Justin quan-
do lui e Shelby entrarono in casa di George Caldwell. Era un appartamento abbastanza tipico al secondo piano, arredato in modo professionale e convenzionale, con l'unica anomalia di una poltrona e un tappeto vistosamente mancanti di fronte al televisore in soggiorno. Fu una cosa che Shelby notò. «È lì dove...?» «La poltrona e il tappeto sono stati analizzati. Erano entrambi... be', erano prove.» Shelby fece una smorfia. «Oh.» «Sei stata tu a volerlo fare» le rammentò lui. «Lo so, lo so. Senti, non hai detto che ti sei concentrato principalmente sulla ricerca di un nascondiglio segreto? Per la faccenda del ricatto?» «Sembrava la cosa più probabile.» «E non hai trovato nulla. Allora diciamo che non c'è alcun nascondiglio segreto perché non ci sono segreti. Stabilito ciò, dev'esserci qualcosa qui, probabilmente in piena vista, per dimostrare che George non era un ricattatore.» «Sembri molto sicura di questo» «Lo sono. George non era un ricattatore.» Justin era ancora stupito di sé per essersi confidato con lei riguardo al taccuino nero, ma data l'immediata e decisa reazione di Shelby, perlomeno ciò era servito a sottolineare i suoi dubbi crescenti. Tuttavia disse: «Abbiamo le copie dei registri delle nascite del tribunale da esaminare, forse quelle ci diranno qualcosa.» «Immagino che sarà così» disse distrattamente Shelby mentre continuava a fissare accigliata in giro per l'appartamento. «Certe persone pensavano che George fosse soltanto un ficcanaso, ma non era uomo da sprecare il suo tempo. Se stava esaminando quelle registrazioni con l'interesse che Ne... io credo di aver notato, allora è perché stava dietro a qualcosa di preciso.» Gli occhi di Justin si strinsero lievemente, ma non fece commenti su quello che era suonato quasi come un lapsus. Invece disse: «Puoi fidarti: non c'è nulla di neanche lontanamente utile nella camera da letto. A meno che tu non ritenga sospetti dei vecchi numeri di "Playboy".» «Che mi dici di questa stanza? Cosa c'è nei cassetti della scrivania?» Non è una scrivania molto grande, il tipo di mobile che alcune persone usano in casa per tenerci le infinite scartoffie domestiche. «Perlopiù informazioni finanziarie private. Libretto degli assegni, estratti conto, quel genere di cose. I documenti importanti li teneva in banca, ma
c'è un libretto d'investimento a nome del figlio di dieci anni. Secondo la vedova, Caldwell stava accumulando un fondo per l'università. E documenti riguardo a qualche altra operazione finanziaria personale. Non è saltato fuori nulla.» «Forse salterà fuori adesso» disse Shelby, sedendosi alla scrivania e aprendo un cassetto. Justin la osservò per un momento. «È solo una scusa per ficcanasare, giusto?» Lei sorrise senza guardarlo. «Non essere ridicolo. C'è una scatoletta di ricevute e roba simile qui, l'hai controllata?» «Penso che l'abbia fatto Matt Thorton.» D'improvviso rammentò l'avvertimento di Kelly e si sentì a disagio. «Ma è stato diverso tempo fa, così forse dovrei ricontrollarla giusto per accertarmi che non contenga nulla di utile.» Shelby gli passò la scatoletta di cartone, e Justin la portò al divano e si mise seduto. Come lei aveva fatto notare, quando la aprì vide che conteneva principalmente ricevute varie. C'erano diverse matrici di biglietti del cinema e della lotteria, alcuni tagliandi per autolavaggi e pranzi in offerta speciale, e numerose ricevute per l'anno in corso, forse da dedurre dalle tasse. C'era anche un foglietto chiaramente strappato da un taccuino tascabile. Un pagherò scritto a mano per un centinaio di dollari, firmato da Luke Ferrier. Matt Thorton l'aveva tralasciato per caso? Non ne aveva colto l'importanza? «Shelby?» «Sì?» Stava guardando accigliata il registro aperto davanti a sé sulla scrivania. «Caldwell giocava a poker?» «Non so. Sono sicura che potrei scoprirlo. Perché?» «Se è così, avrebbe giocato con Luke Ferrier?» Lei lo guardò. «Be', ricordati che nessuno di noi sapeva che Ferrier aveva un problema col gioco d'azzardo. Dunque non ne sarei sorpresa. Tuttavia dubito che George possa aver preso l'abitudine di giocare; non era molto incline a rischiare i suoi soldi.» «Ne sei sicura?» «Sì, abbastanza.» «E se Ferrier gli avesse dovuto un centinaio di dollari per qualche specie
di debito di gioco?» Shelby inarcò un sopracciglio. «Vuoi sapere se George avrebbe cercato di riavere indietro i suoi soldi? No, probabilmente no. Un centinaio di dollari non avrebbero significato molto per lui. Ma si sarebbe convinto a non accettare più alcun pagherò da Ferrier, o magari soltanto a non giocarci più insieme. Non si sarebbe fatto fregare due volte.» Per Justin era sensato. Fissò il foglietto nella sua mano, rimuginando. Dunque, con ogni probabilità, Caldwell aveva giocato a poker o a qualche altro gioco d'azzardo con Luke Ferrier almeno una volta; sia Peter Lynch che Randal Patterson erano stati clienti della sua banca. Non pareva un collegamento sufficiente tra i quattro uomini per motivare i tre omicidi precedenti, pensò Justin, ma se avesse spiegato almeno in parte l'omicidio di George Caldwell? Se l'uomo che tutti definivano come troppo indiscreto fosse diventato curioso riguardo ai tre omicidi, e avendo frequentato le vittime avesse saputo o sospettato qualcos'altro che li collegava? Se fosse stata la ricerca d'informazioni o di verifiche dei suoi sospetti ciò che in realtà ne aveva causato l'uccisione? Un mucchio di se. E Justin non aveva modo di sapere nemmeno se era sulla pista giusta, maledizione. «Ehi» disse Shelby. «Cosa c'è?» «Quelle entrate non spiegate di George. Quali erano le date dei versamenti?» Justin tirò fuori il taccuino nero che continuava a portare con sé e lesse le date dei pagamenti del presunto ricatto. «Combaciano» disse Shelby. «Tutte quante.» «Nel registro? Come sono annotate?» «Aspetta un attimo, lui ha una specie di codice privato qui...» Shelby aggrottò la fronte e ricontrollò diverse pagine, poi annuì. «Oh, capisco. Sembra che circa tre anni fa abbia trasferito a nome di suo figlio alcune proprietà date in affitto, e da allora in poi stava depositando le entrate su quel conto come parte del fondo di studio che stava accantonando.» «Un'operazione del tutto innocente» disse Justin. «Te l'avevo detto. George non era affatto un ricattatore.» In tono tranquillo, Justin disse: «Allora perché l'hanno ammazzato?» Shelby si appoggiò indietro sulla sedia della scrivania e lo guardò con aria ferma. «Se non era un ricattatore, se non aveva qualche altro profondo,
oscuro segreto, allora deve essere stato una minaccia per l'assassino. Sapeva qualcosa, forse. Così doveva morire. È l'unica possibilità che abbia senso.» «E l'assassino si sarebbe ritrovato con un omicidio che aveva fortemente bisogno di collegare agli altri in modo che la polizia non cominciasse a cercare un movente specifico per quel delitto.» La voce salda quanto lo sguardo, Shelby disse: «Dunque ha fabbricato una prova del ricatto. Un buon argomento a favore della tesi che sia coinvolto un poliziotto. Sarebbe stato piuttosto facile per un poliziotto con almeno un certo accesso ai conti in banca di Caldwell individuare i ripetuti versamenti e preparare quel taccuino per legare questo omicidio agli altri.» «Abbastanza facile» convenne Justin. «E se non foste riusciti a trovare informazioni sulle persone che poteva aver ricattato, non sarebbe stato così sorprendente. Probabilmente gli altri poliziotti non avrebbero neppure indagato ulteriormente per trovare la prova che George fosse davvero un ricattatore. Voglio dire, tutti si aspettavano che dopo ogni omicidio venissero a galla oscuri segreti. Ciò rendeva le cose più semplici per l'assassino.» «Il che ci riporta alla domanda principale» disse Justin. «Perché George Caldwell è stato ammazzato?» Mentre il giorno passava lentamente Nate McCurry si sentiva sempre più inquieto, e non era del tutto certo del perché. Aveva la fastidiosa impressione che in qualche punto di quella lunga giornata avesse visto o sentito qualcosa a cui sul momento non aveva prestato abbastanza attenzione, qualcosa d'importante. Quando cadde l'oscurità, stava letteralmente misurando il pavimento a passi lenti, controllando ripetutamente il sistema di allarme su porte e finestre. Avrebbe preferito non vivere da solo. Quando il telefono squillò, quasi trasalì dallo spavento. Guardò l'apparecchio per un istante, come se fosse una vipera pronta a colpirlo, poi emise una tremula risatina e tirò su il ricevitore. «Pronto?» «La pagherai.» Era una voce bassa, un sussurro in realtà, senza caratteristiche per identificarla; non c'era nemmeno una sensazione che gli dicesse se stava parlando a un uomo o a una donna. Nate sentì un brivido ghermirgli la spina dorsale con gelidi artigli. «Cosa? Chi diavolo è?» domandò con la voce tremante.
«La pagherai.» Fece un lungo respiro e cercò di non sembrare fuori di sé dal terrore. «Senti, chiunque tu sia: io non ho fatto niente di male. Non ho fatto del male a nessuno. Lo giuro.» Ci fu una strana risata soffocata, sempre priva di identità ma che curiosamente conteneva insieme incredulità e disgusto, e poi di nuovo il sussurro: «La pagherai.» Il collegamento fu interrotto con un sommesso suono metallico, e il segnale di linea libera ronzò nelle orecchie di Nate. Riappese lentamente il ricevitore e lo fissò senza vedere o sentire nient'altro che il proprio terrore. «Oh, Gesù» mormorò. 13 «Che motivo aveva, Nell?» chiese con fermezza Max. «Perché Hailey avrebbe dovuto uccidere vostro padre?» «Perché lei lo amava.» Max si accigliò. «Questa dovrai spiegarmela.» Nell se ne rendeva conto, ma doveva farlo a modo suo. «Mi hai chiesto cosa accadde la sera del ballo studentesco. Hailey raccontò a nostro padre che progettavo di andarci con te. Una sua amica lavorava nella boutique del paese dove avevo comprato il mio vestito. Così lei sapeva, da giorni, che ci sarei andata. Una volta mi aveva visto a cavallo con te, così mise insieme due più due. E trattandosi di Hailey, tenne in serbo l'informazione per usarla quando fosse stata utile al suo scopo. Mi disse che lo sapeva da un paio di giorni prima del ballo, soprattutto perché mi vedeva preoccupata, credo. Per questo in quegli ultimi due giorni ero turbata, perché sapevo che lei glielo avrebbe detto rovinando tutto.» Lentamente, Max disse: «Sapevo che non eravate molto intime, ma non immaginavo che ci fosse tanta tensione tra voi.» Pragmaticamente, Nell disse: «Lei non riusciva a perdonarmi di essere la favorita di nostro padre.» «Tu lo odiavi. Perfino allora, lo odiavi.» «Sì. Lo odiavo quanto Hailey lo amava. O forse lo amavo quanto lei lo odiava.» Scosse un po' la testa. «Ci sono certe domande alle quali nemmeno... col tempo e la distanza si può rispondere.» Max esitò, poi proseguì come forzandosi a dire qualcosa che si era tenu-
to chiuso dentro per molto tempo. «Tu non hai mai voluto parlarne, ma a volte avevo la sensazione che fossi atterrita. Atterrita da lui.» «Lo ero.» «Ti ha fatto del male.» «Non fisicamente. E non ci ha mai molestate, se è questo che stavi pensando.» Osservandolo, dal guizzo nei suoi occhi scuri vide che Max aveva come minimo sospettato che suo padre potesse averlo fatto. Scosse la testa. «No, lui non ha mai posato una mano su nessuna di noi due. Io e Hailey non siamo nemmeno mai state sculacciate da bambine. Ma eravamo... sue. Non soltanto le sue bambine, le sue figlie, ma sue proprietà. Come la terra, la casa e la macchina: come ogni altra cosa che gli apparteneva.» «Nell...» «Nessuno ci avrebbe mai amato più di lui. È questo che ci diceva, ogni sera della nostra vita, prima che andassimo a dormire. Si sedeva sul bordo del letto e ce lo diceva. Nessuno ci avrebbe mai amato di più. Nessuno avrebbe mai avuto cura di noi come faceva lui, proteggendoci, vegliando su di noi. Sarebbe stato l'unico uomo della nostra vita. Il solo che avesse importanza per noi. Si sarebbe assicurato di questo. Avrebbe fatto... qualsiasi cosa per assicurarsene. Perché noi eravamo sue. Per sempre.» «È morboso» disse Max alla fine. «Certo che è morboso. Perfino di più, è malvagio. C'è una vena di malvagità che scorre nella mia famiglia da lungo tempo, che è parte di noi quanto la maledizione dei Gallagher.» «Tu non sei malvagia.» Deliberatamente, lei disse: «C'è qualcosa di oscuro dentro di me, Max, e tu lo sai bene.» «Forse quello che per te è oscurità altri lo vedrebbero come forza.» «Forse. Ma gli altri non vedono tutto, non è così?» Lui restò in silenzio. Nell tornò all'argomentò di suo padre. «Probabilmente uno psicologo direbbe che i... bisogni... di mio padre provenivano dai più remoti rifiuti subiti nella sua vita. Suo padre lo detestava intensamente, non ne faceva mistero, ed ebbe la sfortuna di rompersi il collo cadendo per le scale quando il figlio muoveva appena i primi passi, così il rifiuto fu completo. Di mia nonna sai già, ma quello che non sai è che lei aveva paura di suo figlio.» «Perché?» «Non ha mai voluto dirmelo. Non l'ha mai confidato a nessuno, per quanto ne so. Ma credo fosse qualcosa che aveva visto in una delle sue vi-
sioni, un fugace barlume del futuro che la terrorizzò. Qualunque cosa fosse, la indusse a respingerlo molto presto.» «È per questo che tu avevi paura di lui? Perché ne aveva lei?» Nell esitò, poi scrollò le spalle di scatto. «Crescendo, io ebbi le mie... visioni. A volte intercettai scene accadute nel passato. Vidi l'oscurità dentro di lui, vidi quanto il suo bisogno d'amore fosse contorto, quanto fosse... distruttivo. Sapevo che era innaturale. Perfino prima di essere abbastanza grande da capire perché.» «Non ti sei mai sentita vicina a lui?» «Vorrei poter dire di sì, ma...» Scosse la testa. «Al tempo in cui mia madre entrò a far parte della sua vita, lui aveva deciso che non avrebbe perso nessun altro che amava. Così restò aggrappato a lei più forte che poté. Aggrappato a tutte noi. I primi ricordi che ho sono di lui... che mi osserva. Che mi gironzola sempre vicino. Nei miei primi incubi mi vedevo intrappolata, o persa, e sapevo che c'era... qualcosa... che m'inseguiva furtivamente.» «Cristo.» Nell sbatté le palpebre, riavendosi da quei freddi ricordi, e si sforzò di sorridere. «Non fu particolarmente piacevole crescere in quel modo. Ed era sviante, per un bambino. Perché lui non mi picchiava mai, non mi minacciava mai, non faceva mai nulla che un padre amorevole non avrebbe dovuto fare. Eccetto amarmi così tanto che non potevo respirare.» Justin prese Charlie dal proprio grembo e con un'ultima carezza posò dolcemente il gatto sul pavimento. «Naturalmente ti rendi conto che esaminare questi registri delle nascite del comune ci prenderà tutta la notte.» «Per questo ho preparato il caffè» disse Shelby posando il vassoio sul tavolino e raggiungendo Justin sul divano. «Caffeina e spuntini in abbondanza ci gioveranno.» Di sicuro Justin aveva passato notti peggiori che starsene seduto su un comodo divano accanto a una rossa favolosa, così non era incline a lamentarsi. Ma la sua professionalità innata gli imponeva di esprimere un'ultima protesta. «Non sono ancora pienamente convinto che dovresti aiutarmi.» «Perché non è il mio lavoro?» «Perché è il mio lavoro. Tu non sei un poliziotto e non dovresti essere coinvolta in simili faccende. Questa è un'indagine per omicidio e non ho alcun diritto di metterti in pericolo.» «Io non sono in pericolo. Sto con te.»
«Shelby, è molto probabile che non saremo in grado di fermare questo tizio tanto presto. Voglio dire, a meno che non troviamo qualcosa d'incredibilmente rivelatore in queste vecchie registrazioni, non siamo affatto più vicini a capire chi sia. Il che significa che potrebbe uccidere di nuovo. E se ha ucciso George Caldwell perché sapeva qualcosa, allora chiunque sia coinvolto nell'indagine è a rischio.» Sempre allegra, lei disse: «In altre parole, se ci ficco il naso c'è pericolo che me lo ritrovi mozzato.» «Come minimo.» «Sono disposta a correre il rischio.» Lui la fissò. «Questo lo so. Quello che non riesco a capire è perché.» «Non ti ha convinto la mia ardente devozione per questo paese, eh?» Justin sbatté le palpebre. «No. Spiacente, no.» «O il fatto che io detesti gli omicidi?» «Dannazione, so che c'è un altro motivo.» Shelby fece un largo sorriso. «Già. Ma anche tu, lavoro a parte, dedichi una stupefacente quantità di tempo a cercare di risolvere questa storia.» «Io sono un poliziotto» mormorò lui dopo un istante di apprensione. «Sì, sarà per questo» disse lei seccamente. «Shelby...» «Senti, Justin, noi vogliamo entrambi scoprire la verità. Non è forse ciò che conta?» Si chinò per aprire la cartella dei documenti sul tavolino. «Insieme possiamo setacciare queste copie dei registri delle nascite nella metà del tempo che ti ci vorrebbe da solo. Io sono perfettamente al sicuro qui con te. E se qualcuno si chiede perché la tua auto è rimasta parcheggiata di fronte a casa mia tutta la notte, be', siamo entrambi adulti, dunque non sono soltanto affari nostri?» «In questo paese? Affari di tutti.» Shelby fece di nuovo un largo sorriso. «Vero, ma il punto è che se anche l'assassino lo notasse, penserebbe che hai passato la notte nel mio letto. Giusto?» «Sì, probabilmente.» Justin si trattenne appena in tempo dal dire che l'idea aveva attraversato anche la sua mente, e più di una volta nelle ultime ore. «Bene, allora. L'assassino non avrà la minima idea che io sia interessata all'indagine, ancora meno che ti sto aiutando. Dunque non c'è nulla da temere.» «Vorrei poterlo credere» disse Justin.
«Tu ti preoccupi troppo.» «E tu non lo fai abbastanza.» Lei gli passò metà dei registri delle nascite con un sorriso che ebbe uno strano effetto sulla sua pressione sanguigna. «Forse è così, ma sono più sveglia di quel che sembra e se c'è una cosa che conosco davvero bene è questo paese, perciò ti aiuterò a risolvere il caso, Justin. Contaci.» Max tirò un sospiro e cercò di mantenere la voce fredda e controllata. «Dunque lui vi soffocava.» «Ci soffocava. Ci manipolava. Travisava i nostri sentimenti. Era un maestro nell'usare il senso di colpa, anche se non me ne resi conto per molto tempo. E senza minacciarci direttamente ci aveva convinto, o almeno aveva convinto me, che non gli saremmo mai sfuggite.» Lentamente, Max disse: «È uno dei motivi per cui non l'hai mai detto a nessuno. Non vedevi come qualcuno avrebbe potuto aiutarti, vero, Nell?» Lei sapeva cosa le stava chiedendo. «No. Non è che non mi fidassi di te, Max. Ero solo convinta che non c'era nulla che avresti potuto fare. Inoltre, la nostra storia era... a parte. Volevo tenerla separata dal resto della mia vita. Era un segreto, qualcosa di mio che non dovevo condividere con lui. Con nessun altro. Un... posto speciale che sembrava felice e sicuro. Che sembrava normale.» Max si allungò attraverso il tavolo e le prese una mano, tenendola con forza. «Vorrei che me lo avessi detto, Nell. Forse avrei potuto fare qualcosa. Avremmo potuto lasciare Silence insieme...» Lei si ritrasse dolcemente e si appoggiò allo schienale, lasciando cadere le mani in grembo. «Un mucchio di ragazze non sono molto pratiche a diciassette anni, ma io lo ero, almeno sotto certi aspetti. Le tue radici erano qui. La tua vita era qui. Il ranch che stavi mettendo su con tanta fatica. Tua madre. Come avrei potuto portarti via da tutto questo?» «Nell...» Lei scosse la testa per interromperlo e spostò di nuovo l'attenzione verso le strane e dolorose vicende della sua famiglia. «Quando si trattava di mio padre, mi sentivo quasi... paralizzata. Incapace di agire, di fare un solo passo per cambiare le cose, cambiare ciò con cui fin da piccola avevo vissuto ogni giorno. Era semplicemente così. Da piccola ricordo di aver visto mia madre implorare mio padre. Dirgli che non poteva respirare, che ogni volta che si girava lui era lì, a insistere che lo amasse... un tantino di più. Non importa quanto fosse amato, non era mai abbastanza. Hailey lo adora-
va, faceva tutto ciò che poteva immaginare per fargli piacere, ma lui aveva quel modo di... sorridere tristemente ogni volta che era deluso. Ed era sempre deluso. Nessuno avrebbe potuto amarlo abbastanza da renderlo felice.» Max parlò con qualche difficoltà. Quello non era ciò che più gli premeva dire. «Lui era sempre così arrabbiato con le altre persone, così odioso.» «Lo so. Era come se odiasse tutto e tutti eccetto la sua famiglia. Dentro, con le porte chiuse e il resto del mondo fuori, era molto tranquillo, non alzava mai la voce. Ma era davvero implacabile. Noi dovevamo amarlo tutto il tempo. Dovevamo dirglielo in continuazione, dimostrarglielo. Dovevamo amarlo così tanto che in noi non ci sarebbe mai stato posto per amare nessun altro.» Nell scrollò di nuovo le spalle. «Allora non avevo modo di comprenderlo, naturalmente. Ero una bambina. Quando diceva che mi amava, pensavo che fosse vero. Mi sentivo male perché non potevo amarlo come lui amava me. Ero una figlia orribile, lo sapevo, perché ero più felice lontano da lui e volevo nascondergli i miei veri pensieri e sentimenti. Credevo perfino che mamma l'avesse lasciato per colpa mia... e gli avesse spezzato il cuore.» «Te lo disse lui?» «Era una litania quotidiana, ripetuta con gli occhi tristi e la voce tremula. Lui l'aveva amata così tanto, e lei se n'era andata lontano da lui. Lontano da Hailey e da me, le sue stesse figlie. Lei non ci aveva voluto. Non ci aveva amato affatto. Soltanto lui ci amava.» «Gesù» mormorò Max. «Hailey era più grande quando perdemmo nostra madre, ma era un'età critica per lei, quei primi anni dell'adolescenza in cui tutto conta... così tanto. Per questo si sentì in dovere di prendere il posto di nostra madre in ogni modo possibile. Fece del suo meglio per mandare avanti la casa, cucinava e puliva, e badava a me malgrado la gelosia che nutriva nei miei confronti; e amava nostro padre con una ferocia che lui non riconobbe mai. Era questa l'ironia, capisci. Hailey era sempre quella che lo amava di più, ma lui non riusciva a capirlo. Era troppo occupato a cercare di farsi amare da me.» Riflettendo, Max disse: «Hailey somigliava a lui. Tu somigliavi a vostra madre.» «In parte era per questo. Ma soprattutto era perché io non lo amavo. Proprio come mia madre, stavo facendo del mio meglio per allontanarmi da lui. Cercando lo spazio per respirare. Cercando di avere una vita mia. E
lui non poteva sopportarlo. Così si aggrappava più forte. Respingeva l'amore di Hailey, forse perché non ha mai apprezzato ciò che veniva dato gratuitamente, non so. So solo che lei mi odiava con la stessa ferocia con cui amava lui.» Max cercò d'immaginare cosa potesse aver significato tutto ciò per una ragazza sensibile come Nell. Abbandonata dalla madre, detestata dalla sorella rancorosa, soffocata dal padre. Intrappolata tra due persone volitive: Adam che la tirava verso di sé disperatamente e Hailey che cercava con altrettanta urgenza di allontanarla. E con gli occhi della mente tornò all'estate in cui l'aveva notata per la prima volta: timida e insieme sfrenata, un calderone d'emozioni ribollenti appena sotto la superficie di quegli strani occhi riservati. Aveva senso, ora. Tante cose avevano senso. Per certi versi titubante con lui, ma anche bramosa, incerta riguardo al toccare o all'essere toccata, stranamente sorpresa nello scoprire il piacere. Ma era così giovane, e lui aveva supposto che fosse per questo. Adesso però fu costretto a chiedersi se non le avesse fatto troppe pressioni, se la sua travolgente ossessione per lei, la crescente intolleranza per la segretezza che gli imponeva, si fossero sommate alla tensione presente nella vita di Nell. Finché era divenuta insopportabile. Lei si alzò in piedi, muovendosi lentamente. Troppo lentamente. Come se stesse male. «Sono un po' stanca. Ti dispiacerebbe darmi un passaggio fino a casa?» Max non protestò. Vedeva che era stanca, più che stanca, e non gli piacevano le deboli ombre violacee sotto i suoi occhi. Aveva la forte sensazione che lei fosse prossima a un punto di rottura, fisico, emotivo o psichico, e temeva di poter fare o dire qualcosa che potesse spingerla oltre quella soglia pericolosa. Il ritorno alla casa dei Gallagher fu silenzioso, e Max non cercò di rompere quel silenzio. Né si diede la pena di annunciare la sua intenzione di perquisire la casa e controllare tutte le serrature su porte e finestre prima di lasciarla lì da sola: lo fece e basta. Quando ebbe finito lei lo stava aspettando nell'atrio e aprì la porta mormorando un grazie. Sembrava così indicibilmente stanca che Max quasi se ne andò senza dire altro. Tuttavia quando uscì sul portico si ritrovò a voltarsi e a fare suo malgrado una domanda sciocca. «Nell, tu sei scappata da lui? O sei scappata da me?»
Per un attimo non pensò che gli avrebbe risposto, ma poi lei sospirò e disse: «Dall'amore, Max. Sono scappata dall'amore. Buona notte.» Nell chiuse la porta, e lui udì il chiavistello scattare docilmente. Appostato a meno di venticinque metri dalla casa, Galen osservò il camioncino di Tanner tornare lentamente indietro lungo il vialetto e svoltare sulla strada principale verso il paese. Tutto sommato, si sarebbe sentito meglio se Tanner fosse rimasto lì per la notte. Con una lieve smorfia, si allungò per prendere il telefono cellulare e fece una chiamata. Risposero al primo squillo. «Sì.» «Rischio di pagarla questa» annunciò Galen senza preamboli. «Potrà anche essere la Louisiana in marzo, ma le notti sono ancora piuttosto gelide. Specie se le passi in un bosco.» «Deduco che Nell sia a casa per la notte.» «Così sembra. E da sola. Tanner l'ha riportata qui e ha controllato la casa, poi se n'è andato. Non sembrava affatto felice, tra parentesi. In effetti, direi che si stesse dirigendo verso il bar più vicino.» «Non è uno che beve.» «Figurati.» Galen sospirò. «Sai, non mi sento un granché come cane da guardia. Se ciò che minaccia Nell è quello che pensiamo, non posso fare un dannato accidente per proteggerla, qui fuori.» «Non c'è nulla che potresti fare neanche dentro casa, non contro un assassino capace di usare l'energia della sua mente. Deve proteggersi da sé.» Galen rimuginò un istante, poi disse: «Il fatto è che quella non è l'unica minaccia, e forse nemmeno la minaccia peggiore. Se questo bastardo la sta sorvegliando, potrebbe vedere o sentire abbastanza da convincersi a mettere Nell in cima alla sua lista nera e darle la caccia.» «Sì, potrebbe farlo. Ed è per questo che tu devi restarle incollato.» «E tu?» «In che senso?» «Lo sai cosa ti sto chiedendo, maledizione. L'assassino avrebbe qualche motivo di sospettare che tu non sia quello che sembri?» «Non vedo come.» «In ogni caso, guardati le spalle.» «Certo. E tu fai lo stesso.» Galen rise. «Al diavolo, io sono invisibile. Non è nemmeno lontanamen-
te probabile che possa far scattare gli allarmi psichici di questo bastardo.» «Già, ma tu stai tenendo d'occhio Nell. E se lui sta facendo lo stesso...» «Sì, lo so. Ma sono stato prudente, e dubito che mi abbia visto.» «Però non dimenticare che non sappiamo ancora con quale genere di capacità ci stiamo confrontando. Lui potrebbe notare più di quanto possiamo immaginare.» «Ci sono un mucchio di cose che ancora non sappiamo, e la cosa non mi piace» dichiarò incisivamente Galen. «Neanche a me. Perché un fatto è certo. Ci sarà un altro omicidio. Presto.» Galen allertò tutti i suoi sensi fissando la casa dei Gallagher, gli occhi acuti che scandagliavano in cerca di qualunque minaccia. «Sai chi sarà la vittima?» No. Ma non sarà l'ultima. Sabato 25 marzo «Nell.» Si svegliò tanto bruscamente che quel sussurro si stava ancora affievolendo nel silenzio. Aveva le braccia protese, allungate nel tentativo di afferrare... ciò di cui aveva bisogno. Ciò che voleva così intensamente da struggersi. Le mani stavano tremando. Si sentiva rigida, così tesa che i muscoli protestavano con acute fitte. Sempre, quando gli incubi le tormentavano il sonno, avvertiva il bisogno di protendersi per afferrare la parte mancante di se stessa. Come il dolore fantasma di un arto perduto, qualcosa dentro di lei si struggeva per essere completo. Perché lei non era intera, non lo era più stata da quando aveva lasciato Silence. Nell lo sapeva. E saperlo non lo rendeva più facile. Nemmeno pensarci migliorava le cose. Cominciò a scostare le coperte, girando la testa per lanciare un'occhiata verso la finestra e il luminoso mattino all'esterno, e fu soltanto allora che vide la bambola. Giaceva appoggiata contro l'altro cuscino del letto matrimoniale, il suo corpo di plastica rigido, il vestito ornato di gale ingiallito dal trascorrere di oltre venticinque anni. Ma i riccioli dorati erano ancora graziosi, il viso tondo privo di segni, e i grandi occhi azzurri sempre luminosi com'erano stati in quel quarto Natale di Nell. Quel familiare, lieve brivido freddo le percorse la spina dorsale. Nell si allungò e sollevò lentamente la bambola, tenendola con cura. Co-
sì leggera adesso, così piccola, eppure allora era stata grande quasi quanto lei. Un'amica che aveva prestato ascolto ai segreti sussurrati che nessun altro aveva udito. Odorava vagamente di naftalina e di polvere. «Eliza. Che cosa ci fai qui?» Lisciò la gonna della bambola, perplessa. Com'era finita sul suo cuscino? La bambola era stata messa via da così tanti anni che Nell l'aveva completamente dimenticata, e di certo non era andata a ripescarla perché non le piaceva dormire da sola. Anche se avesse saputo in quale cassa o baule fosse stata riposta, non si era neanche azzardata a far capolino in soffitta. Quanto alla possibilità che qualcun altro, qualcuno in carne e ossa, avesse collocato la bambola lì durante la notte, come poteva essere? Galen era di fuori, e fintanto che lui stava lì nessuno poteva passare attraverso porte o finestre senza essere notato. Almeno nessuno che lui potesse vedere. Non c'erano fantasmi nella casa, di questo Nell era certa, nessun Gallagher disincarnato che avesse scelto di restare e infestare il luogo. Così se escludeva un visitatore in carne e ossa o un fantasma, l'unica possibilità che restava... Sentì un altro lento, strisciante brivido. Non ci volle un gran salto d'immaginazione per pensare alla foto scattata da Shelby e all'idea che raffigurasse una mente disturbata, con ogni probabilità la mente dell'assassino, e chiedersi: Quella... cosa... l'aveva osservata almeno una volta: la stava osservando anche qui, in casa? Questo spiegava il suo crescente disagio, il sonno turbato da qualcosa di più dei suoi sogni? La bambola sul cuscino doveva scuoterla, o spaventarla? Se così, perché? Come faceva l'assassino a sapere per quale motivo lei era lì? L'assassino... la conosceva? Era questo che preoccupava Nell più di tutto. Non solo la misteriosa comparsa di una bambola sul suo cuscino, ma la comparsa di quella bambola. Perché c'erano un mucchio di giocattoli riposti in soffitta, scatole e bauli pieni delle cose che generazioni di piccoli Gallagher si erano lasciate dietro crescendo. Un mucchio di bambole. Ma quella era appartenuta a Nell venticinque anni prima. L'assassino come l'aveva saputo? A meno che l'assassino non fosse Hailey. Nell non sapeva se avrebbe trovato delle risposte lì in casa, ma sapeva che doveva cercarle. Specialmente ora. Così non appena si fu vestita ed
ebbe buttato giù un paio di tazze di caffè, andò di sopra. Una delle due stanze da letto in cui aveva avuto più paura di entrare, figuriamoci a sgomberarla, era quella appartenuta a sua madre, rimasta chiusa a chiave dal giorno in cui era scomparsa fino alla morte di suo padre. Restò in piedi davanti a quella porta chiusa per almeno un minuto o due, cercando di prepararsi emotivamente, poi girò il pomello ed entrò nella stanza. Anche se la casa era rimasta disabitata dalla morte di suo padre, attraverso Wade Keever Nell aveva disposto di far venire un servizio di pulizia circa un mese prima del suo arrivo, così non trovò la quantità di polvere che ci sarebbe stata altrimenti. Tuttavia la stanza da letto al piano di sopra era lugubremente quieta, buia perché le tende erano ancora tirate come suo padre aveva preteso che restassero sempre, e odorava di stantio. Una parte di lei sapeva che avrebbe dovuto stare in guardia ed evitare l'impulso di percepire i segreti di quel luogo: era stanca, troppo stanca per proteggersi appieno, e lo sapeva. Ma sapeva anche qualcos'altro. In realtà non aveva scelta. Allora devo muovermi più in fretta. Più in fretta significa che potresti diventare imprudente. In caso contrario potrei ritrovarmi morta. Stava esaurendo il tempo. Nell chiuse gli occhi e fece un profondo respiro, poi distolse lo sguardo dalla finestra, fissando la stanza illuminata dal mattino per la prima volta dopo quell'unica breve occhiata dalla soglia, un paio di giorni prima, quando aveva fatto un giro per vedere cosa fosse necessario fare. Nemmeno Hailey era stata capace di convincere Adam Gallagher a riarredare questa stanza. Era esattamente come sua madre l'aveva lasciata più di vent'anni prima. Spazzole col manico d'argento, scuro per l'ossidazione, giacevano sulla toletta tra le due finestre, e su un vassoio a specchio riposavano boccette di profumo di vetro molato, il tappo posato accanto a un flacone che già da molto tempo aveva perso il suo contenuto per l'evaporazione. Il resto della stanza era altrettanto femminile, con fine mobilio francese, il corredo del letto ornato di gale, e soffici tappeti sbiaditi sul pavimento di legno. Nell fece un passo verso il centro della stanza, fece un altro profondo respiro, e chiuse gli occhi in modo da concentrarsi. Era stata attenta a tenere alta la guardia in casa durante tutte quelle ore insonni. E si era fatta sor-
prendere soltanto una volta, in cucina, da quella visione del padre che attraversava la stanza. Nient'altro, da allora. E adesso era dura abbassare la guardia, con la paura di ciò che avrebbe potuto vedere. Ma che scelta aveva? Lei doveva sapere. Doveva sapere. Almeno qui non ebbe l'impressione che tutto fosse distante, tenuto lontano da lei, non provava più la sensazione di cercare di scrutare attraverso un velo. E quasi nell'istante in cui si rilassò, Nell percepì il senso di sfasamento del varcare una porta nel tempo. Ancora prima di aprire gli occhi, udì una voce che frugava nei suoi ricordi, lasciandosi dietro nervi scoperti e dolorosa vulnerabilità. «Io ti amo, tesoro.» Nell aprì gli occhi di soprassalto. Ai margini della visione c'era quell'aura smorzata, quasi sfuocata, che notava sempre, così la sua attenzione fu immediatamente diretta al centro, come verso un palcoscenico. La stanza era la stessa, eppure vividamente diversa, una lampada accanto al letto che forniva l'unica luce, poiché era notte. Era tardi. E sebbene i suoi genitori avessero dormito in camere diverse fin da quando Nell poteva ricordare, erano entrambi lì, adesso. Allora. «Io ti amo, Grace.» La sua voce era rauca, ansante, e il volto paonazzo e imperlato di sudore. Stava sorridendo, lo sguardo fisso sul viso, distolto, di sua moglie. Hell voleva voltare lo sguardo, voleva disperatamente chiudere gli occhi, far cessare tutto, ma doveva guardare, doveva vedere. Doveva restare lì, a pochi passi di distanza dal letto dove suo padre stava stuprando sua madre. 14 Grace Gallagher piangeva. Un suono dimesso, accorato. Sofferente e pietoso. Come un cucciolo che uggiola. Le braccia erano allungate sopra la testa, i polsi trattenuti dalla possente stretta di suo marito. Le coperte erano per metà giù dal letto, come se ci fosse stata una lotta, ma la stanza era stranamente quieta adesso. Soltanto lui si muoveva. Con una mano le teneva i polsi contro il cuscino al di sopra della testa, e con l'altra si puntellava sul letto, accanto a lei. Grace indossava la sua camicia da notte. Era rosa, con fiori bianchi. L'orlo era alzato sopra la vita, e il corpetto, sbottonato e aperto, lasciava
scoperti i seni. Le gambe disgiunte giacevano mollemente sul letto, e lui ci stava in mezzo. Non indossava il pigiama, solo un paio di mutande calate sulle ginocchia. Continuava a dire che l'amava, più e più volte, mugolando le parole a ogni spinta del corpo. «Ti amo, Grace... ti amo...» Le stava facendo male. Lei piangeva. Il viso era bagnato di lacrime, e quel lamento era così colmo di dolore. Così tremendo. Come se la stesse pugnalando. Come se stesse uccidendo qualcosa dentro di lei. Il letto cigolava ritmicamente, ora, mentre lei rimbalzava come una bambola di pezza, floscia sotto di lui che s'ingobbiva e spingeva tra le sue gambe. Finché finalmente lui gemette e sussultò, premendosi con forza contro di lei come se volesse spingerla attraverso il materasso, inchiodarla al pavimento sottostante. Così che non potesse sfuggirgli. Così che non potesse sfuggirgli mai. Poi crollò sopra di lei, ansimando rocamente, e per alcuni minuti tutto ciò che Nell poté udire fu sua madre che piangeva e suo padre che respirava a fatica. Voleva distogliere lo sguardo, chiudere gli occhi. Perché non poteva far nulla? Perché non poteva fermarlo? Alla fine, Adam Gallagher si staccò dal corpo inerme di sua moglie e si drizzò a sedere sui talloni tra le sue gambe aperte, tirandosi su le mutande. E immediatamente lei si scostò da lui girandosi su un fianco e raccogliendo le gambe, serrandole come nel patetico tentativo di impedire ciò che era già avvenuto. Dita tremanti tirarono la graziosa camicia da notte sopra i seni e poi si strinsero a chiuderne i lembi, incapaci di abbottonarli. Era raggomitolata come un neonato, piangendo sempre in quel modo terribile, mugolando la sua protesta, il rifiuto che lui aveva ignorato. Lui le mise la mano sul fianco e la strofinò un po', sorridendole come a un'amante soddisfatta, appagata. «Io ti amo, Grace. Ti amo.» Nell vide che la madre rabbrividì ritraendosi dal suo tocco, ma non aprì gli occhi, e continuò a mormorare: «No... no... no...» «Io ti amo.» «No... no...» Nauseata, Nell distolse lo sguardo dal letto, lottando disperatamente per uscire dalla visione e tornare a un tempo in cui l'uomo che l'aveva generata era morto e sepolto e non avrebbe mai più potuto fare del male a nessuno. Invece, guardando verso la porta socchiusa, vide che non era l'unica testimone di quel brutale stupro coniugale.
Rimasta inosservata, la bambina stava in piedi sulla soglia e fissava i due nel letto, shoccata, confusa, la bocca aperta e tremante. Era in camicia da notte, i lunghi capelli scuri arruffati, e fissava i suoi genitori come se fossero due orribili sconosciuti che la terrorizzavano. Hailey. Non doveva avere più di quattro anni, pensò Nell. Non era abbastanza grande da comprendere ciò che aveva appena visto, tuttavia tale esperienza avrebbe avuto un profondo effetto sul suo sviluppo emotivo, psicologico e sessuale. Mentre Nell la osservava paralizzata dall'orrore, la bambina tremando visibilmente si ritrasse in silenzio dalla porta e sparì dalla vista. I suoi genitori non si erano accorti di lei. «Oh, Dio» si sentì dire Nell con voce scossa. Le sue parole frantumarono la visione, e si ritrovò a sbattere le palpebre mentre la luce del giorno sembrava riversarsi nella stanza. La soglia era deserta, e quando si voltò lentamente a guardare il letto lo ritrovò vuoto e ben rifatto, le coperte senza una piega. Raggiunse una delle finestre e si fermò a guardare verso il sentiero che portava alle rovine della casa di sua nonna. Ceneri del passato. Erano soltanto ceneri? Tutto lì fuori sembrava così luminoso e netto, così... crudo. I margini delle cose non erano confusi, sfumati, come nelle sue visioni. Il presente si distingueva sempre dal passato e dal futuro, recava sempre l'impronta chiara e definita dell'adesso. Adesso Adam Gallagher era nella tomba da quasi un anno. Adesso le sue figlie erano finalmente libere da lui. Lo erano davvero? Fissando fuori verso i margini netti, luminosi del presente, pensò alla visione. Hailey sembrava aver avuto circa quattro anni, il che significava che Nell era nata nel giro dell'anno seguente. Era forse stata testimone del suo concepimento? Era figlia di uno stupro, il frutto di un seme piantato con la forza nel grembo riluttante di sua madre? Il suo completo rifiuto del padre era stato tanto istintivo quanto appreso? Gesù. Nell appoggiò la fronte contro il vetro fresco e chiuse gli occhi. A parte il suo dolore e disgusto, che dire della povera Hailey? Quella scena perversa di cui era stata testimone senza dubbio aveva traviato anche lei, dandole un'idea ancora più crudelmente distorta di ciò che doveva essere l'amore. Era per questo che si era legata a uomini sadici, si era sentita spinta a
soddisfare i loro bisogni perversi? Era per questo che lei li aveva uccisi? Quando Ethan Cole bussò alla porta di Nell quella mattina tardi, non era del tutto sicuro di cosa aspettarsi. O di come si sentiva. Ma visto che aveva passato più tempo di quanto voleva ammettere a raccontarsi che era un professionista e poteva gestire quel colloquio come un professionista, fu sconcertante scoprire che il discorsetto d'incoraggiamento non era servito a nulla. Aveva dimenticato che quegli occhi verdi avevano la capacità di rubargli il respiro, e in qualche modo di fargli sentire quanto fosse importante che lui la aiutasse. «Salve, Ethan.» Lei lanciò uno sguardo all'agente appoggiato al cofano dell'auto del dipartimento dello sceriffo dietro di lui, e aggiunse: «Vuoi entrare? O dobbiamo evitare ogni pettegolezzo e parlare qui fuori sul portico?» «Per Dio, Nell» borbottò lui. Con un lieve sorriso, lei uscì sulla veranda e fece strada verso la zona dove sedersi a sinistra della porta d'ingresso, in piena vista. C'erano vari elementi d'arredo in ferro battuto, comprese un paio di sedie e un piccolo tavolo. Nell si accomodò su una delle sedie. «Suppongo che quelle vecchie debba averle prese Hailey. Ai miei tempi erano di vimini.» «Ci sono stati un mucchio di cambiamenti» replicò Ethan, e si mise seduto. «Sì, l'ho notato. Come te la sei passata, Ethan?» «Abbastanza bene, Nell. E che mi dici di te?» «Non posso lamentarmi. Ho sentito che ti sei sposato.» «Ho anche divorziato. E tu?» «Nessuna delle due. Ma lo sai.» «Sì, ho controllato la targa della tua Jeep. Ho verificato ciò che potevo, senza fare una richiesta ufficiale.» «E dunque?» «Niente. Nessun precedente per la polizia, nemmeno una contravvenzione stradale, e paghi le bollette e le tasse puntualmente.» «Bello sapere che la mia vita pubblica è pulita.» «E quella privata?» «Oh, quella è un tantino più complicata.» Nell scrollò le spalle. «Ma non
vale forse per tutti?» «Suppongo di sì.» Lui annuì, poi sospirò. «D'accordo, tolte di mezzo queste sciocchezze, che ne dici se parliamo di ciò che conta?» Lei stava ancora sorridendo, ma gli occhi verdi erano guardinghi. «Va bene.» «Ho sentito che hai rivisto Max da quando sei tornata.» «Già.» Nell non spiegò né aggiunse particolari. «Ti ha raccontato di questi omicidi?» «Diverse persone me ne hanno parlato, Ethan. Nessuno chiacchiera d'altro in questo momento.» «E allora?» «E allora... una triste faccenda per Silence.» Lui la guardò torvo. «Vuoi che sia io a chiedertelo, non è così?» «Stai scherzando? Certo.» Ma prima che lui potesse far altro che borbottare un'imprecazione sottovoce, Nell scosse la testa e molto più seriamente disse: «No, io ti devo più di questo.» «Tu non mi devi nulla, Nell.» «Davvero? Non l'hai mai detto a Max, eh? Riguardo alla sera che me ne andai.» «Mi chiedesti di non farlo. Io lo promisi. Così non l'ho fatto.» «E mio padre?» «Anche con lui ho fatto quello che volevi. Andai da lui e gli dissi che ti avevo visto salire su un autobus diretto fuori città e avevo trovato la tua macchina parcheggiata alla stazione.» Ethan fece una breve pausa. «Lui pensò che fossi partita con Max o avessi programmato d'incontrarlo da qualche parte, proprio come avevi supposto. Ci volle un po' di tempo, ma riuscii a convincerlo che Max era al ranch e non progettava di andare in nessun posto.» Lo sguardo fisso nel nulla, Nell disse distrattamente: «Sapevo che era più probabile che ci credesse se era un poliziotto a dirglielo, benché tu sia il fratellastro di Max.» Ethan disse: «Come chiunque altro, Adam sapeva che c'era cattivo sangue tra me e Max. Sapeva che non avrei mentito per lui. Non gli è mai venuto in mente che potessi mentire per te.» «Perché l'hai fatto, a proposito? Mi sono sempre chiesta se fosse stato più per ferire Max che per aiutare me.» «Se avessi voluto ferire Max, gliel'avrei raccontato molto tempo fa.» «Forse. O forse ti bastava sapere che avevi aiutato la sua ragazza a fug-
gire. Tu immaginavi che ciò lo avrebbe ferito.» «E così tu. Voglio dire, dovevi sapere che chiedere aiuto a me per scappare, avrebbe reso ancora peggiore il fatto di averlo abbandonato, almeno ai suoi occhi.» «Sì. Lo sapevo. Dunque sono lieta che non gliel'abbia mai detto. E mi sto ancora chiedendo perché tu mi abbia aiutato.» Lui esitò, attese finché lei incrociò il suo sguardo, e poi disse lentamente: «I tuoi occhi, quella sera. Non avevo mai visto nessuno così... disperato. Così atterrito. Non spettava certo a me aiutarti, naturalmente, specie giovane com'eri. Ma ero abbastanza giovane anch'io da non pensare in termini pratici. Inoltre, non dubitavo che saresti partita qualunque cosa avessi detto o fatto, e sembrava più saggio aiutarti... minimizzare le ricadute.» «Tu lo facesti. E te ne sono grata.» «Non al punto da spedirmi una cartolina da qualche posto lungo la strada e farmi sapere come te la passavi.» «Mi dispiace. Mi sembrava meglio... tagliare tutti i legami con Silence.» «E lo hai fatto?» Il suo sorriso si storse. «Ho tentato, lo sa Dio.» Lui annuì lentamente, lo sguardo fisso su di lei. «Dovevi immaginare che un giorno saresti dovuta tornare.» «Sì. Solo non pensavo che sarebbe stato così duro.» «A causa dei morti? O dei vivi?» «Di entrambi.» «Scappare non risolve mai davvero le cose, non è così?» A Nell sfuggì il soffio di una risata: «Dipende da ciò che stai cercando di risolvere.» «Tu cosa stai cercando di risolvere, Nell?» «Non ha importanza, ora.» «Davvero?» Lei fece un ampio respiro. «Le ragazze scappano, Ethan. Specie dai padri autoritari.» «E dai fidanzati?» «Lui non è mai stato autoritario. E ti dissi allora che la mia partenza non aveva niente a che fare con Max.» «Niente, salvo la tua smania di assicurarti che fosse al riparo dalla collera di Adam.» «Semplicemente non volevo che lui incolpasse Max. Né alcun altro. An-
darmene era una mia decisione.» Ethan annuì. «Sì. Solo che quella sera eri sconvolta dalla paura, Nell. E mi sono sempre chiesto perché. Dopo tutti quegli anni con Adam, quale fu la goccia che fece traboccare il vaso? Che successe per farti credere che scappare fosse la tua unica scelta?» «È una lunga storia» disse Nell dopo un istante. «Forse avremo tempo di parlarne in seguito. Per ora, credo che dovremmo concentrarci sulla ricerca dell'assassino. È per questo che sei venuto quaggiù, oggi, non è vero?» Ethan accettò di cambiare argomento, sia pure con una debole smorfia. «Solo perché tu lo sappia, io non credo in tutte quelle idiozie sul paranormale.» «In tal caso» disse Nell risoluta «non c'è nulla che possa fare per aiutarti.» «Senti, non rendermi le cose difficili, d'accordo? Abbiamo infilato un fiasco dietro l'altro in questa indagine, e sto diventando disperato. Diavolo, a questo punto sarei disposto a scrutare nelle viscere di un pollo. Forse invece tu puoi guardare nella tua sfera di cristallo e dirmi qualcosa di utile.» «Io non ho una sfera di cristallo, Ethan. Quanto alle viscere del pollo, dubito che sarebbero utili. E poi che schifo...» Lui fece una smorfia, ma non sorrise sul serio. «Be', qualunque diavolo di cosa tu debba fare, puoi aiutarmi o no?» Nell non la tirò per le lunghe. «Non lo so. Ma sono disposta a provare.» Lui sentì un enorme sollievo, ma cercò di nasconderlo dicendo subito: «Fantastico. Qual è il primo passo?» «Mi piacerebbe vedere dove sono morti Peter Lynch e George Caldwell.» «La prima vittima e quella più recente. Perché loro?» Nell aveva una risposta pronta. «Nel caso di Lynch voglio vedere se riesco a intercettare qualcosa dopo tutto questo tempo. Quanto a Caldwell, finora non è venuto alla luce nessun segreto, vero?» «No.» «Il che rende quell'omicidio diverso dagli altri, almeno a quanto ho letto e sentito.» «Va bene.» Ethan guardò l'orologio. «Possiamo controllare l'appartamento di George in qualsiasi momento, ma dato che questo pomeriggio Terrie Lynch è fuori, e io ho la chiave della casa, sarebbe meglio andare prima lì.» Nell si alzò, cercando di non mostrarsi contratta: non voleva spiegare
perché era così rigida e dolorante. Anche Ethan si alzò, e la osservò con improvvisa sollecitudine. «Sei certa di essere in grado di farlo? Scusa se te lo dico, ma sembri piuttosto debole.» Era proprio riuscita a non farglielo notare. Nell sorrise. «Ho cominciato a sistemare la casa, a dividere le cose e a pulire. Una gran fatica. Ma sto bene. Lasciami chiudere a chiave le porte, e poi possiamo andare.» Mentre era dentro fece un paio di rapide telefonate, ma senza attardarsi. Ethan la aspettava sul portico, e quando lo raggiunse pochi minuti dopo gli disse: «Deduco che non vuoi che si sappia che sei venuto in cerca d'aiuto dalla strega locale.» «È una domanda?» «No. Mi chiedevo solo se sia stato saggio portarsi dietro un agente.» «Posso fidarmi, Steve Critcher terrà la bocca chiusa, altrimenti non l'avrei portato con me.» «Oh. Pensavo che te lo fossi portato dietro per assicurarti che nessuno, vedendoci insieme, si metta in testa che il tuo interesse per me sia personale. Sei più o meno tra l'incudine e il martello, non è così? Sia che credano che il loro sceriffo è andato dalla strega locale in cerca d'aiuto per risolvere gli omicidi, sia che pensino a un intrigante triangolo amoroso.» Ethan la guardò torvo. «E tu sei tanto sicura che me ne freghi qualcosa di ciò che pensa la gente?» «La gente? No. Max, sì. Tutto considerato, Max è l'ultimo uomo al mondo con cui vorresti scontrarti davvero. E lo stesso vale per lui.» Ethan la fissò, si schiarì la gola, e con molta attenzione disse: «L'ho interrogato riguardo a questi omicidi, sai.» «Lo so. So anche che non l'hai mai sospettato seriamente. Quando farai la pace con lui, Ethan? Non credi che il momento sia arrivato da un pezzo?» «Non è il caso di discuterne, ora.» Deliberatamente, aggiunse: «Forse avremo tempo di farlo in seguito.» «Forse» convenne Nell con un debole, triste sorriso. Galen osservò la macchina dello sceriffo che usciva dal vialetto di Nell, e disse al telefono: «Il problema in tutta questa storia è che ci sono troppi fili che dobbiamo intrecciare.» «L'ho notato. Nessun segno del nostro osservatore?»
«Soltanto la faccenda della bambola. Resteremo tutti svegli d'ora in poi.» «Approvo. E Nell sta cominciando a credere che potrebbe essere Hailey?» «Be', è sensato, specie se ammettiamo la possibilità che potrebbe aver ereditato la maledizione di famiglia, dopo tutto. Lei frequentava di sicuro due delle vittime, oltre a Adam Gallagher. Se Nell può collegarla a Lynch e Caldwell...» Sospirò. «Ho riferito tutto a Bishop. Lui non ha cambiato idea sul profilo.» «Fare marcia indietro non è proprio nel suo stile.» «D'accordo. E nemmeno sbagliarsi. Ma se Hailey è la persona che stiamo cercando...» «Allora lui si sbaglia. Non sarebbe la prima volta. Non sarà l'ultima.» «E io che lo credevo un supereroe.» «Diglielo in faccia.» Galen sogghignò, anche se non era particolarmente divertito. «Nemmeno se crepi, o meglio, se crepo. Senti, Nell ha voluto mostrarsi calma riguardo alla storia della bambola, ma credo che ne sia seriamente sconvolta. Aveva un'aria distrutta, stamattina, e quello che abbiamo scoperto a casa di sua nonna non certo ha migliorato la situazione.» «Lei lo ha raccontato allo sceriffo?» «Non ancora. Penso che voglia portarlo laggiù più tardi e parlargliene. Forse lo dirà anche a Tanner. Suppongo ritenga che ciò spiegherebbe molte cose.» «Non è così?» «Be', mette in relazione alcune questioni in sospeso del passato. Ma quanto al presente? Maledizione.» Fece una pausa. «Hai detto che ieri notte c'è stato un altro omicidio. Si sa nulla di preciso?» «Ufficialmente, no. In paese non se ne parla affatto. Ma credo che sia accaduto durante la notte.» «Non sai di chi si tratta? Dove è accaduto?» «No. E dato che è sabato non possiamo contare che venga denunciata la scomparsa della vittima perché non si è presentata al lavoro. Se viveva sola... potrebbe passare un po' di tempo prima che venga trovato il corpo.» «Merda.» «Ti farò sapere se scopro qualcosa. Nel frattempo, fai buona guardia su Nell, Lo sceriffo Cole è ancora molto lontano dall'essere scagionato.» «Dobbiamo scoprire da che parte sta, e subito.»
«Concordo. Se hai qualche suggerimento...» Galen sospirò. «No. Nell è convinta che passando un po' di tempo con lui lo capirà. Io non ne sono tanto sicuro. Non ha poteri telepatici, dopo tutto. O di chiaroveggenza.» «No, ma è capace di cogliere una sensazione dalle cose, dalle persone. Forse sarà sufficiente.» «Sei disposto a scommettere la sua vita?» «No. Ma forse saremo costretti a farlo.» La casa di Lynch era un vecchio edificio adagiato in modo un po' scomposto su due ettari di terreno, piuttosto isolato in una zona dove campi coltivati e pascoli tendevano a separare le case. Così, per quanto poteva dire Nell, nessuno si era accorto che la macchina dello sceriffo si era accostata al vialetto. Lasciando il silenzioso agente appoggiato al cofano della volante, Ethan fece strada fino alla porta d'ingresso. «Cosa fai esattamente?» domandò mentre la apriva. «Voglio dire, se non hai una sfera di cristallo.» Nell gli spiegò brevemente come intercettava l'energia di un luogo, e non fu affatto sorpresa quando le sembrò incredulo. Ma lui si limitò a dire: «E questo come mi aiuterà?» «Potrei essere in grado di dirti cosa è accaduto in questa casa.» Nell scrollò le spalle. «Ciò che tendo a captare sono gli avvenimenti più intensi, così se c'è stata qualche violenza, qualche minaccia, è probabile che la colga.» «Questo non è stato un omicidio violento.» «No, ma a quanto ho sentito, pensate che nelle vitamine di Lynch sia stato messo del veleno, giusto?» «Ci sono troppi pettegoli in questo paese» borbottò Ethan quasi sottovoce. «Non è divertente quando sparlano di te, vero?» Senza dargli la possibilità di rispondere, lei aggiunse: «L'assassino doveva mettere il veleno nelle boccette, dunque può essere stato qui in casa. Progettare un omicidio è un'esperienza piuttosto intensa anche senza l'uccisione vera e propria.» Quando entrarono, Ethan la guardò aggrottando la fronte. «Passi molto tempo a captare scene di omicidi?» Rimproverandosi per il passo falso, Nell replicò con calma: «È un mondo malvagio. È sorprendente quanti luoghi conservino i ricordi delle cattiverie commesse.»
Stavolta fu Ethan a scrollare le spalle. «D'accordo. Vorrai fare un giro, toccare gli oggetti. Verificare le vibrazioni.» «Le vibrazioni?» «Ti ho chiesto di non rendermi le cose difficili al riguardo.» Nell sorrise, ma quando entrò nel soggiorno e iniziò a guardarsi intorno disse: «In realtà non devo toccare nulla. Lui dov'è morto?» «Nella stanza da letto, di sopra.» «Era solo quando è morto?» «Sì. Terrie era già uscita per un appuntamento in paese. La routine di Peter consisteva nell'ingurgitare le sue vitamine con una bevanda a colazione, fare qualche telefonata dallo studio di fronte all'ingresso, poi allenarsi per circa un'ora nella stanza accanto alla camera da letto. Aveva una tuta da ginnastica quando è stato trovato morto. Sembrava che stesse andando a farsi la doccia quando il cuore ha ceduto.» «Non è poi così insolito, suppongo, avere un attacco di cuore per un uomo della sua età dopo aver fatto esercizio fisico.» «Così ha detto il dottore. Noi ne eravamo convinti. Finché Terrie ha avuto una crisi isterica e ha preteso l'autopsia.» «E così è saltata fuori la prova di un veleno.» «Sì. E a quel punto la scena del delitto non era esattamente intatta. Comunque abbiamo perquisito il posto. E suppongo tu abbia sentito cosa abbiamo trovato nascosto nel ripostiglio.» «Materiale pornografico.» «Roba davvero forte. Oltre alle prove che avesse un'amante molto giovane a New Orleans.» Senza emozione, Nell domandò: «Nessun segno di altre... perversioni?» «Solo la pedofilia» replicò asciutto Ethan. Stava per aggiungere che la considerava una perversione più che sufficiente per un uomo, quando vide la faccia di Nell mutare in modo quasi impercettibile. Lei voltò lievemente la testa, guardando verso l'esterno della casa con qualcosa negli occhi che Ethan interpretò come inquietudine. Pensando che avesse una visione, le chiese: «Che c'è? Vedi qualcosa?» «Non ancora.» Lei sospirò, e quando lo guardò i suoi occhi erano decisamente a disagio. «Meglio che tu dica al tuo agente di lasciar entrare Max.» La sorpresa di Ethan fu breve. «Non ho sentito il suo camioncino. Sei sicura che sia lì fuori?» «Sta giusto svoltando sul viale.»
«Una visione?» «No.» Ethan decise di non cercare di capire. «Allora sta proprio giocando al cane da guardia, eh? O è perché sei insieme a me?» «Per entrambi i motivi, direi.» Ethan non poteva dire come lei si sentisse in proposito. Non era neppure certo delle proprie sensazioni. «D'accordo. E io dovrei permettergli di assistere a un'indagine ufficiale?» Nell sospirò di nuovo. «Senti, l'ultima cosa che voglio è aumentare la tensione tra voi. Ma tu conosci Max, è testardo. Lui sa che cercherò di usare le mie capacità qui, e sa che pago un prezzo per farlo, così a meno che non lo arresti non potrai fermarlo.» «Prezzo? Che genere di prezzo?» Nell semplificò. «Mal di testa, svenimenti. Ci vogliono molte energie, Ethan, e talvolta il mio corpo si ribella. Max lo sa. Lui... si preoccupa.» Scosse la testa. «È un rischio che sta a me correre, e voglio aiutarti, se posso. E se Max vuole restarmi vicino la cosa non ti deve piacere. Ma in cima alla lista delle priorità hai un'indagine per omicidio, così possiamo comportarci tutti da adulti. Non credi?» «Pensi che basterà con Max?» «Sì, se dici al tuo agente di lasciarlo passare prima che lui perda il controllo dei nervi.» Dopo un istante, Ethan annuì e si allungò a prendere la radiotrasmittente agganciata alla cintura. Ordinò all'agente Critcher di lasciar entrare in casa Max poi riabbassò il volume. Non desiderava essere disturbato dalle chiamate ma voleva sentire se qualcuna fosse diretta a lui. «Grazie» disse Nell. Ethan grugnì. «Avrei dovuto sapere che l'avevi chiamato. È stato quando sei rientrata in casa, giusto?» Nell esitò solo un istante. «Non l'ho chiamato.» «Allora come sapeva che eravamo qui? Cristo, non dirmi che ti sta sorvegliando così da vicino?» Le fu risparmiato di dover rispondere quando udirono la porta d'ingresso aprirsi, e un attimo dopo Max entrò nel soggiorno. Nell capì immediatamente dalla sua espressione diffidente ma calma che aveva deciso di tenere i nervi sotto controllo ed evitare ogni braccio di ferro con Ethan. Così si rilassò, almeno in parte. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era che quei due si azzannassero a
vicenda. Invece di salutarlo, Nell disse a Max: «Ho pensato che forse avrei potuto dare una mano a Ethan nell'indagine per gli omicidi.» Lo sceriffo sollevò un sopracciglio verso di lei, in segno di muto apprezzamento per la sua discrezione. E Max, rivolgendo un breve cenno del capo a Ethan, si limitò a dire: «Scoperto niente, finora?» «Non abbiamo neanche avuto il tempo di cominciare. Ethan, hai detto che lui è morto di sopra?» «Nella camera da letto.» «Fammi strada.» 15 Nell non era affatto sicura che sarebbe riuscita a intercettare qualcosa con Ethan e Max così vicini, la tensione tra loro era inespressa ma evidente. E inoltre, dato il suo stato, avrebbe preferito non usare le sue capacità così presto, dopo il trauma della visione avuta quella mattina. Ma era più consapevole che mai dell'inesorabile scorrere del tempo, e sapeva che non poteva permettersi di aspettare. «Allora come funziona?» domandò Ethan quando ebbero raggiunto l'ariosa stanza da letto piena di luce. Nell si fermò al centro, presso il fondo del letto, guardandosi intorno, e rispose distrattamente: «Mi concentro e cerco di intercettare l'energia e i ricordi trattenuti dalla stanza.» «E noi ce ne stiamo immobili senza darti fastidio?» Lei lo guardò e sorrise. «Qualcosa del genere.» Max le chiese: «Sei sicura di essere in condizioni di farlo, Nell?» «Sto bene.» Non gli diede l'opportunità di domandare o protestare, ma chiuse semplicemente gli occhi e iniziò a concentrarsi, sforzandosi di abbassare le sue difese e aprirsi, mettersi in contatto. Dato che Peter Lynch era morto in quella stanza più di otto mesi prima e che la sua morte era stata improvvisa, Nell non si aspettava di cogliere quell'evento. Aveva scoperto di vedere raramente una scena di morte vera e propria, un fatto che la sollevava e insieme la rendeva perplessa. Ma spesso percepiva qualcosa dei minuti precedenti o successivi, a seconda della violenza o dell'intensità dell'emozione coinvolta, e dato che si stava concentrando su Peter Lynch e sulla sua morte, si aspettava di perce-
pire qualcosa che fosse legato a ciò. Invece... Al principio era difficile da afferrare, come se dovesse aprirsi un varco attraverso una barriera, e avvertì vagamente che stava usando più energia del solito per riuscirci. Infine, sentì quella distinta sensazione di sfasamento temporale, ma di nuovo velata, stranamente distante, e provò inquietudine ancora prima di aprire gli occhi e ritrovarsi in un'altra stanza, un soggiorno. Una stanza del tutto sconosciuta. Nell si guardò intorno, cercando di capire dove si trovasse e di individuare qualcosa che indicasse il momento, che le dicesse quando questo era accaduto. Su un tavolino c'era una rivista aperta a faccia in giù, e quando si avvicinò notò che era del gennaio dell'anno precedente. La maggior parte della gente leggeva le riviste nel mese in cui uscivano, non era così? Restò in piedi guardandosi intorno, a disagio. Dove si trovava? E perché era lì? Quella era decisamente una visione: i margini erano confusi, sfuocati, la sua attenzione come sempre diretta verso il centro. Ma c'era qualcosa di peculiare riguardo alla sensazione che dava, al punto che Nell sentì un brivido freddo di autentica paura. Il suo primo impulso fu di sforzarsi di uscire dalla visione, ma la curiosità innata e il bisogno ancora più profondo di comprendere i limiti delle proprie capacità la fecero esitare. E in quell'istante, vide Hailey incedere nella stanza, chiaramente turbata. Ethan era subito dietro di lei. «Cosa, non dovrei essere arrabbiato?» domandò lui, afferrandole il braccio e facendola voltare proprio mentre giungevano accanto a Nell. «No. Non ne hai alcun diritto, Ethan, e lo sappiamo entrambi.» «Nessun diritto? Sono stato nel tuo letto per due mesi: questo non mi dà il diritto di sentirmi un tantino turbato quando scopro che te la facevi anche con Peter Lynch?» «Te l'ho detto, non sono affari che ti riguardano. Noi non abbiamo una relazione, Ethan, noi scopiamo.» Pronunciò quella parola volgare apposta, con godimento. «Punto. Tu ti diverti, io mi diverto, tutto qui. Niente lacci, aspettative, o obblighi da ambo le parti.» Ethan non sembrava convinto, la sua faccia era tesa, gli occhi tetri. «Nemmeno il rispetto, eh?» Hailey rise, e il sorriso che gli rivolse era incredulo. «Rispetto? Cosa c'entra il rispetto? Se l'avessimo fatto fuori, nell'immondizia, invece che in un letto, non saremmo stati affatto diversi da due cani randagi che si incon-
trano quando uno dei due è in calore.» «Allora chi di noi due era in calore?» domandò lui rudemente. «Chi sentiva un prurito che aveva bisogno di farsi grattare?» Hailey rise e con uno strattone liberò il braccio dalla sua stretta. «Io, naturalmente. Io sono sempre in calore, non lo sapevi? Non l'avevi sentito dire? Gesù, Ethan, conoscevi benissimo la mia reputazione molto prima di venire da me. E che mi dici delle cicatrici lasciate da una frusta sulla mia schiena? Le bruciature di sigaretta? Non hai mai nemmeno fatto domande su quelle, vero? Perché è proprio ciò che ti aspettavi di trovare quando mi hai tolto i vestiti, non è così?» «Hailey...» «Le puttane sono sempre marchiate, non è vero, Ethan? Non con una lettera scarlatta, forse, ma siamo sempre marchiate. Così gli uomini come te non si sentiranno in colpa a buttarci fuori dal letto a calci prima dell'alba.» «Per Dio, io non ti ho mai chiesto di andartene. Mai.» «Non hai dovuto chiederlo. Io sapevo cosa volevi. So sempre cosa vogliono gli uomini.» Gli voltò bruscamente le spalle, sul punto di precipitarsi fuori dell'appartamento, ma poi si bloccò, Nell si ritrovò a fissare gli occhi sgranati di sua sorella ed ebbe l'improvvisa, terrificante consapevolezza che Hailey la vedeva. Lei stava realmente, fisicamente lì, nel passato. Non era più soltanto una testimone. «Sono proprio un bel detective» borbottò Justin. «Non ho neppure una pallida idea di cosa sto cercando.» Per quanto riluttante, Shelby doveva convenire con lui, almeno sul fatto che la loro ricerca era stata infruttuosa. «Un sacco di nascite in questo distretto negli ultimi quarant'anni. Senti, sei sicuro che nella scrivania di George, in banca, non ci fosse nulla che spiegasse il suo interesse per questi vecchi documenti?» Justin si chinò in avanti, lasciando cadere diversi fogli sulla pila di registri sopra il tavolino, poi si stirò distrattamente. «Non ho notato nulla. Cristo, guarda che ora è. Non avevamo appena fatto colazione?» Shelby sentì lo stomaco brontolare e gli fece un largo sorriso. «La pancia mi dice che quelle ciambelle le abbiamo mangiate da un pezzo. Perché non diamo ai pettegoli davvero qualcosa di cui parlare e andiamo al caffè per pranzo?» «Non sei stanca? Siamo rimasti a spulciare questi dannati documenti per
ore.» «Sono una nottambula nata, e non è così insolito per me saltare una notte di sonno, se ne vale la pena.» Scrollò le spalle. «Comunque, dato che domani è domenica, possiamo dormire quanto ci pare. Allora, che diavolo! Hai detto che era il tuo fine settimana libero, giusto?» «Ufficialmente sì. Lo sceriffo Cole ci sta facendo fare gli straordinari, ma ha insistito affinché tutti avessero almeno un fine settimana libero al mese, e questo è il mio. Così, a meno che non salti fuori un altro cadavere, nessuno si aspetta di vedermi in ufficio.» «Vuoi andare a casa a riposarti? O preferisci pranzare al caffè? Forse possiamo capire come trovare il bandolo di ciò che George stava cercando nei registri delle nascite.» Justin era dubbioso al riguardo, ma si stava godendo la compagnia di Shelby ed era di gran lunga troppo sfasato per pensare a dormire, perciò convenne che il pranzo sembrava una buona idea. C'era parecchio movimento in paese quel sabato pomeriggio, ma la ressa dell'ora di pranzo si stava già assottigliando e non ebbero difficoltà a trovare un séparé piuttosto appartato sul fondo. Perfettamente consapevole delle occhiate furtive di cui erano oggetto, Shelby riuscì a non ridere, ma quando la cameriera si allontanò con la loro ordinazione disse a Justin: «Vivere a Silence è come stare in un acquario.» Noncurante, Justin chiese: «Sono interessati al fatto che tu sei con me, o al fatto che io sono con te?» «Entrambe le cose, direi. Tu sei coinvolto nell'indagine, e ovviamente tutti badano a quello che fai. Quanto a me, be', diciamo solo che di rado vado a pranzo con uomini attraenti.» «Mi sorprende. E comunque ti ringrazio.» Lei ridacchiò piano. «Dato che di solito giro per il paese con le mie macchine fotografiche e vedo un mucchio di cose, conosco la maggior parte degli uomini di Silence molto bene. Troppo bene, credo. Perciò mi è difficile immaginare qualcuno di loro come un fidanzato o un amante.» «Perché la tua telecamera nascosta li ha sorpresi mentre erano se stessi?» suppose Justin sagacemente. «Qualcosa del genere. È sorprendente come le persone si comportino in pubblico.» Justin non chiese particolari su ciò che aveva visto, ma si domandò se uno dei corteggiatori speranzosi che senza dubbio Shelby aveva respinto avesse la minima idea del perché. Ma prima che potesse dire qualcosa, lei
stava fornendo allegramente alcuni dei dettagli più scabrosi. «Voglio dire, è difficile biasimare qualcuno che si gratta in pubblico, o che traffica con uno stuzzicadenti; ma mettersi le dita nel naso e pulirsi le orecchie con il mignolo supera davvero il limite, sai? E ho perfino visto un tizio tagliarsi i peli del naso con uno di quei piccoli rasoi a pile. L'ho trovato estremamente sconvolgente. E per nulla attraente.» Justin rise. «Chiaramente dovrai ridimensionare le tue pretese.» «O metter via le macchine fotografiche» convenne lei sconsolata. «Ma non sono pronta a fare né l'uno né l'altro. Il che rende positivo il fatto che non m'importi di stare sola la maggior parte del tempo.» «Be', per l'amor di Dio, se faccio qualcosa di disgustoso dimmelo, d'accordo?» Shelby gli fece un largo sorriso. «Non credo che lo farai.» Lui la scrutò dubbioso per un momento mentre Emily gli versava il caffè, e quando la cameriera se ne fu andata, disse: «Tu hai delle foto mie, vero? Istantanee prese di nascosto?» «Solo qualcuna.» «Gesù.» Cercò di rammentare se avesse fatto nulla di imbarazzante, ma trovò impossibile richiamare alla mente movimenti o gesti che probabilmente erano inconsapevoli. In tono più serio, Shelby disse: «Uno dei motivi per cui ho deciso di parlarti dell'indagine è che nelle ultime settimane ogni tanto ti avevo osservato. È evidente che sei impegnato nel tuo lavoro e che lo fai bene. Sei sempre molto concentrato su ciò che stai facendo, eppure presti sempre attenzione alla gente intorno a te.» «Non ho visto te e le tue macchine fotografiche» fece notare lui, ironicamente. «Questo perché non volevo che tu mi vedessi. Non che ti stessi spiando, è solo che ho sviluppato l'abilità di osservare le persone senza che se ne accorgano.» «Come hai tenuto d'occhio lo sceriffo Cole» disse Justin, decidendo di portare la conversazione in una direzione meno personale. Shelby si conformò volentieri. «Esattamente. Rammenti, ho osservato Ethan Cole per anni, così quando gli ho prestato maggiore attenzione dopo il primo omicidio mi sono accorta che si stava comportando in modo diverso. Per lungo tempo non ho trovato nulla di concreto, ma quando ho raggruppato tutte le sue fotografie ho scoperto quello che ti ho mostrato.» Nell'entusiasmo, Shelby mise la mano nella grande borsa di tela che por-
tava sempre con sé e tirò fuori la busta che aveva mostrato a Justin il giorno prima. «Queste foto significano qualcosa, Justin, e lo sappiamo tutti e due.» Allarmato, lui lanciò una rapida occhiata in giro per il caffè e, come si aspettava, vide che diverse persone avevano notato il gesto di Shelby. A peggiorare le cose, prima che potesse fermarla lei aprì la busta, prese le foto e le mise sul tavolo. «Dai un'altra occhiata.» Justin sapeva che una sua protesta avrebbe soltanto attirato maggiore attenzione, ma mentre chinava il capo e guardava le fotografie, disse sottovoce: «Vorrei davvero che non le avessi tirate fuori, Shelby. Non qui e ora.» «Perché no? Tutti in paese mi hanno visto mostrare in giro le mie foto, dunque non c'è niente di strano. Probabilmente dedurranno che ti sto soltanto mostrando delle foto che ti ho scattato.» «Sì, ma se la persona sbagliata sta osservando, o ne sente parlare, potrebbe insospettirsi. Potrebbe pensare che la tua macchina fotografica nascosta l'abbia sorpreso a fare qualcosa che la legge non deve sapere.» Dopo un istante, Shelby disse: «D'accordo, è stato stupido da parte mia. Ma il danno, se ce n'è uno, ormai è fatto, dunque potresti anche guardarle.» Poco propenso a rivelare un eccessivo interesse, Justin sfogliò rapidamente le fotografie e poi le ripassò a Shelby con un debole sorriso a beneficio degli osservatori. «Convengo che potrebbero essere importanti. Ma lo sceriffo parla con un mucchio di gente ogni giorno in paese: ovvio che possa aver parlato anche con gli uomini assassinati.» Shelby ripose le foto nella borsa e cercò di mantenere neutra la sua espressione. Non aveva davvero paura, ma Nell l'aveva avvertita di stare molto, molto attenta, ed era abbastanza certa che Justin avesse ragione sul fatto che fosse stato uno sbaglio. Ma dato che era compiuto, non c'era altro da fare che andare avanti. «Sì, ma se tu avessi controllato il retro di ciascuna delle foto, ci avresti trovato una data scritta a matita. Ho tirato fuori tutti i negativi e controllato i singoli scatti.» «Dunque?» «Ethan ha parlato con ogni vittima il giorno prima che venisse assassinata. Quante sono le probabilità che questo sia accaduto per caso, Justin?» «Scarse» disse lui lentamente. «Molto scarse.» «Oh, mio Dio» sussurrò Hailey, per una volta visibilmente impressiona-
ta: Doveva essere un'esperienza davvero sconvolgente vedere l'immagine di sua sorella (e Nell non aveva idea del proprio aspetto ma supponeva di apparire spettrale) che osservava un'intima e turbata discussione tra lei e un amante, soprattutto perché Nell a quel tempo era scomparsa da oltre dieci anni. Cosa poteva aver pensato Hailey? Che stava sperimentando qualcosa di piuttosto comune negli annali del paranormale, una visita da parte di un membro della famiglia appena deceduto? Aveva pensato che Nell fosse venuta da lei al momento della sua morte per dirle addio? Nell avrebbe voluto parlarle, rassicurarla che non era morta, ma soltanto... cosa? Soltanto in visita dal futuro? Durò solo un attimo, perché malgrado l'esitazione Nell era troppo traumatizzata per non ritrarsi istintivamente: lottò per far cessare la visione e tornare al presente. Quello che vedeva si oscurò quasi subito, il viso traumatizzato di Hailey che svaniva in una foschia sempre più scura, e per un pauroso, apparentemente infinito periodo di tempo Nell si sentì inghiottita da qualcosa di nero e immenso. Qualcosa che non era così vuoto come avrebbe dovuto, perché lei non era sola lì. Qualcuno... qualcosa... le stava vicino, osservandola, quasi toccandola... allungandosi verso di lei... Disperata, spinta dall'opprimente certezza che se l'avesse toccata lei sarebbe morta, Nell lottò per liberarsi dalla morsa della tenebra soffocante. Sembrò consumarle ogni particella di volontà ed energia, proprio come un estremo sforzo fisico tende alle fibre dei muscoli fino a lacerarle nella tensione di fare ciò che viene loro richiesto. E poi fu libera dall'oscurità, dal passato, di nuovo nel presente con una rapidità terrificante quasi quanto la visione. Un dolore accecante le esplose nella testa e sentì se stessa urlare. Mai in vita sua aveva provato un dolore simile. Una fitta incredibile, come se qualcosa stesse cercando di aprirsi un varco per entrare nel suo cervello o per uscirne, qualcosa di caldo e sinistro... «Nell.» «Il male» mormorò mentre apriva gli occhi. Dapprima, vide solo tenebra, ma tutto s'illuminò rapidamente finché si trovò a fissare una camicia blu scuro e una giacca di pelle nera. «Nell, per l'amor di Dio...» Sentiva confusamente le mani di Max stringerle le braccia, e quando alzò lo sguardo verso di lui si accorse che era pallido e sconvolto. Finché lui
non le afferrò i polsi non si rese conto che si stava premendo le mani sul viso, con forza, come se stesse cercando di... trattenere qualcosa. «Non è un blackout stavolta, vero?» domandò Max, scostandole gentilmente le mani dal volto. «Mmm... no» disse lei infine, la voce a stento più forte di un sussurro, perché qualunque suono le provocava dolore. «Vertigini. Penso... penso che farei meglio a sedermi un attimo.» Max la guidò per alcuni passi fino a una panca ai piedi del letto dei Lynch. Fu soltanto allora che lei vide Ethan, appoggiato contro l'armadio con le braccia incrociate sul petto. Pareva privo d'espressione, ma anche lui era un po' pallido, proprio come Max. Nell riuscì ad abbozzare un sorriso incerto. «Suppongo di aver dato spettacolo, eh?» Mantenne la voce bassa. «Be', potresti usare dei lustrini o qualche luce al neon per vivacizzare le cose, ma il silenzio mortale e lo sguardo fisso lontano chilometri erano maledettamente efficaci.» Ethan guardò l'orologio. «Per venti minuti sei stata uno zombie.» «Cosa?» Max si sedette accanto a lei. «Dopo un po' ho cercato di risvegliarti.» «Io ho suggerito uno schiaffo» disse Ethan «ma Max ha detto di no.» «Perché c'eri dentro così profondamente?» le chiese Max, ignorando il commento di Ethan. Il capogiro era passato, ma a Nell faceva ancora male la testa e le era difficile pensare chiaramente. «Era... io... io non ero qui.» «Curioso, sembrava che lo fossi.» «Ethan, chiudi quella boccaccia! Nell, di cosa stai parlando? Se non eri qui, allora dov'eri?» «Sì, diccelo» incalzò Ethan. Se le fosse stato concesso qualche minuto di pace e tranquillità per pensare, forse lei avrebbe fatto una scelta diversa. Ma con l'insistenza di Max e l'atteggiamento piuttosto provocatorio di Ethan sommati al dolore lancinante alla testa, Nell agì d'impulso. «Sarò felice di dirtelo» disse fissando lo sceriffo. «Non appena tu ci dirai quanto a lungo sia durata la tua relazione con Hailey.» Il silenzio fu penetrante e durò diversi istanti, con Ethan che la squadrava senza un battito di ciglia. Poi alla fine, lentamente, lui disse: «Te lo ha raccontato lei.» «Non ho comunicato in alcun modo con mia sorella per quasi dodici an-
ni, Ethan. E nessun altro lo sapeva, non è così? Hailey ha insistito sulla segretezza.» «Sicuro come l'oro che io non lo sapevo» mormorò Max. Ethan gli lanciò un'occhiata, poi riportò lo sguardo su Nell. «Sì, ha insistito sulla segretezza. Non ha mai voluto dirmi perché. Non avevamo alcun motivo di nasconderlo, dopo tutto. Eravamo entrambi maggiorenni e liberi. All'epoca il mio matrimonio era già finito, e lei non si vedeva con nessun altro. Almeno non pubblicamente. Durò soltanto un paio di mesi.» «Allora come scopristi di lei e di Peter Lynch?» domandò Nell. Dapprima non pensò che lui avrebbe risposto, ma alla fine lo fece. «Penso che lei volesse che lo scoprissi. Eravamo a casa mia e le serviva qualcosa dalla borsetta, non ricordo cosa. Mi chiese di andargliela a prendere. La borsa aveva una tasca interna con la cerniera aperta, e una fotografia sporgeva fuori. Era un'istantanea di lei e Peter.» Il suo viso si contorse leggermente. «Stavano facendo una specie di gioco erotico. Lei era vestita da... scolaretta. Suppongo perché a lui piacevano giovani.» Ormai Nell sapeva bene delle imprese sessuali di Hailey, ma provò lo stesso una fitta di dolore per la sorella. Qualcosa nel modo in cui Ethan parlava di lei indicava che con lui avrebbe potuto essere una relazione seria, forse perfino duratura. Nell si domandò se Hailey l'aveva saputo, se l'avesse distrutta di proposito. E se così, perché? Perché si sentiva indegna? Perché a quel punto c'erano già state fin troppe cicatrici sul suo corpo e sulla sua anima per i giochetti di uomini sadici? O perché sapeva che qualunque vera relazione era impossibile finché Adam Gallagher era vivo? Fermamente, Nell disse a Ethan: «Da quanto tempo sapevi che Hailey è l'elemento comune in questi omicidi?» «Non sono sicuro che sia vero nemmeno adesso» disse subito lui. «Per quanto ne so, lei non è mai stata coinvolta con George Caldwell.» «Ma gli altri? Lynch, Ferrier, Patterson. Tu sapevi che lei era stata con loro.» Lui esitò. «Come ho detto, ho scoperto di Lynch molto tempo prima che fosse ucciso. Molto prima che Hailey se ne andasse. Quanto agli altri due... Ferrier una volta si ubriacò e si vantò con me di aver passato qualche nottata piacevole con Hailey, negli anni. Non una relazione vera e propria, solo sesso di tanto in tanto, quando nessuno dei due stava con qualcun altro.» «E Patterson?» Ethan scrollò le spalle. «Quando ho visto tutta quella merda nel suo
scantinato, ho capito che Hailey probabilmente era legata a lui.» «A causa delle sue cicatrici? I segni della frusta, le bruciature di sigaretta?» Lui indietreggiò. «Sì.» Anche con la testa che martellava, Nell era concentrata intensamente sullo sceriffo, cercando di percepire una sensazione che le dicesse, una volta per tutte, se poteva fidarsi di lui, se poteva escluderlo dagli indiziati. Il suo coinvolgimento con Hailey lo rendeva ancora più sospetto, almeno stando alle apparenze e assumendo che Hailey fosse davvero il fattore comune negli omicidi, ma Nell aveva l'impressione che fosse tutto molto più complicato. Non le piaceva rivelare la vita privata di Ethan ad altri, perfino a Max che malgrado tutta la rabbia e i vecchi rancori tra loro non avrebbe mai giudicato le scelte del suo fratellastro; ma sentiva di non potersi tirare indietro, non adesso. Lei doveva sapere. «Tu non le hai mai chiesto delle cicatrici. Perché?» «Come diavolo lo sai?» «Perché l'ho visto, Ethan. Ho visto il litigio che hai avuto con Hailey più di un anno fa. Era gennaio? Febbraio? In un soggiorno, suppongo nel tuo appartamento. Tu avevi scoperto la sua relazione con Lynch, ed eri sconvolto. Hailey fu... piuttosto brutale. Ma si fece un dovere di dirti che non l'avevi mai interrogata sulle cicatrici. Ovviamente credeva di sapere per quale motivo, ma io suppongo che avesse torto. Si sbagliava?» Per la prima volta Ethan era chiaramente scosso. «Gesù. Parli come se fossi stata lì.» «C'ero. Proprio adesso, ero lì. Rispondi alla domanda, Ethan. Perché non hai mai domandato a Hailey delle cicatrici?» «Perché pensavo di sapere come se le era procurate.» «Pensavi che fosse stato nostro padre.» Lui annuì, il movimento spasmodico, come la sua voce. «Aveva senso, almeno per me. Tu e tua madre scappaste via a quel modo, così atterrite da lui, le cicatrici di Hailey... perfino la maniera in cui lei parlava di Adam, come se lo adorasse, e allo stesso tempo lo odiasse a morte. Era tutto così dannatamente estremo. Nessuna delle cicatrici era recente per quanto potessi dire e ho pensato... ho creduto che avesse subito abusi da bambina. Cercai di farla parlare della sua infanzia, ma lei non voleva. Diventava maledettamente suscettibile. Con me non voleva parlare affatto della sua vita e rese chiaro che se avessi insistito l'avrei spinta fuori della porta. Così
smisi di provarci.» Max si mosse leggermente, ma non disse nulla. Quando gli lanciò uno sguardo Nell capì: sapendo che nessuna delle due sorelle aveva subito abusi sessuali dal padre, si stava interrogando sulla visita allo scantinato di Patterson e su cosa lei avesse visto lì. Nell guardò di nuovo Ethan, esitò, poi bruscamente prese una decisione. L'istinto e le sue percezioni le dicevano che Ethan Cole non era un assassino, e se si fosse sbagliata allora avrebbe dovuto cambiar mestiere. Tranquillamente, disse: «Nostro padre non ha mai abusato di noi a quel modo. Patterson le ha fatto quelle cicatrici. Lei era... molto giovane quando fu coinvolta con lui la prima volta.» «Quanto giovane?» chiese Max, ricordando ancora lo shock di Nell in quello scantinato. Con riluttanza lei disse: «Sembrava avere circa... dodici o tredici anni. Non di più. Proprio il periodo in cui perdemmo nostra madre.» Ethan sembrò nauseato, ma da buon poliziotto afferrò il significato di ciò che Nell aveva detto. «Sembrava? Tu hai visto anche quello?» «Sì. Ho... ho fatto una visitina di nascosto a casa Patterson.» «Sei stata nello scantinato.» Nell annuì. «Quello che ho intercettato lì mi ha mostrato la loro... relazione.» Dopo un momento e senza alcuna convinzione nella voce, Ethan disse: «Sono tutte stronzate. Non è umanamente possibile che tu l'abbia visto, come non puoi aver visto Hailey con me.» «Già. Però è così.» «Non ha alcun senso» protestò lui, la voce che si alzava. «Mi hai detto tu stessa che ciò che vedi sono i ricordi di un posto. Io non sono mai stato qui con Hailey, così come avresti potuto... come diavolo lo chiami... intercettare una cosa successa tra lei e me?» «È una buona domanda» osservò Max tranquillamente. «E io vorrei avere una buona risposta.» Nell sospirò. «Non so come sono stata in grado di farlo, Ethan. Forse perché mi stavo concentrando su Peter Lynch e tu eri qui, così ho seguito quel collegamento fino a vedere te e Hailey discutere di Lynch.» «Oh, sì, è davvero molto sensato» ringhiò Ethan. «Senti, mi dispiace di non poter collegare tutto in modo netto e chiaro. Ma la verità è che stiamo soltanto cominciando a comprendere come funzionano le capacità sensitive, e ci sono ancora più domande che risposte.
Non posso spiegare come sono stata in grado di vederlo, so soltanto che l'ho visto. Io ero lì, nel passato, testimone di quella scenata tra te e Hailey.» «Il che» fece notare Max, sempre tranquillo «è qualcosa di nuovo per te, giusto? Il ricordo che intercetti di solito non è avvenuto in un altro luogo.» Lei annuì. «Avevo una sensazione diversa fin dal principio. Ho dovuto... spingermi oltre, usare la mia energia in maniera differente. Forse in qualche modo mi sono spinta troppo lontano.» «E dritta nei ricordi di Ethan?» suggerì Max. Ethan imprecò. «Be', se questo non è raccapricciante, non so cosa lo sia. Perfino se fosse possibile. Ma non lo è.» Rammentando lo sguardo impietrito di sua sorella, Nell fu tentata di spiegare a entrambi quanto quella "visione" fosse stata diversa. Ma la testa le martellava ed era stanca... e c'era ancora un'altra cosa che doveva fare. Si alzò in piedi, senza rifiutare l'aiuto di Max o protestare per la stretta che lui le mantenne sul braccio. E quando l'ondata di vertigini passò, disse: «Ethan, dovrai mandar via l'agente. C'è una cosa che devo mostrarti.» Alzò lo sguardo verso Max. «Una cosa che devo mostrare a tutti e due.» 16 La casa appartenuta a Pearl Gallagher non era mai stata un granché. Era una casupola dal tetto di lamiera con quattro stanzette che l'anziana donna aveva insistito a non rimodernare perché le piacevano le cose semplici. L'unica comodità moderna che avesse mai vantato era un impianto idraulico interno, dovuto soltanto all'insistenza di Adam Gallagher. Tuttavia era stata come un santuario per Pearl, e forse non c'era da sorprendersi se la casa non le fosse sopravvissuta a lungo. Non ne era rimasto molto. Le fondamenta a blocchi di cemento in realtà erano l'unica cosa rimasta in piedi intorno ai resti carbonizzati di sostegni e travi di legno crollati, alla lamiera contorta e ad alcuni oggetti stranamente intatti, come il lavello da cucina perfettamente in piano e sorprendentemente pulito su un bancone di legno in gran parte bruciato, e la vecchia testata del letto di ottone che si stagliava in quella che era stata la stanza da letto, circondata adesso dai resti inceneriti del tetto. «Perché siamo qui?» domandò Ethan, le mani sui fianchi mentre esaminava le rovine. Né lui né Max sembravano essersi accorti che il luogo era stato visitato di recente, e se l'avessero notato senza dubbio avrebbero pen-
sato a un atto di vandalismo. «Così lo dovrò raccontare soltanto una volta.» Nell si sforzò di sorridere. Dolcemente liberò il braccio dalla stretta di Max e si mise di fronte ai due uomini. «La sera del ballo studentesco venni qui a casa della nonna per mostrarle il mio vestito. Quando bussai lei non rispose, così entrai. Potevo sentire la doccia, e decisi di aspettare qualche minuto, finché lei fosse venuta fuori. Volevo proprio che vedesse il mio vestito.» Nell ammutolì, e anche se sapeva di non aver mutato espressione, doveva esserci stato qualcosa sul suo viso, perché Max fece un passo verso di lei. «Nell?» La sua voce era bassa, preoccupata. Lei si sforzò di continuare, di parlare con calma. «Avevo avuto visioni in precedenza, ma perlopiù erano state rapide, fugaci. Scene che potevo facilmente riconoscere e avevo imparato ad accettare come parte della mia vita. Parte della maledizione dei Gallagher. Nulla di particolarmente drammatico o tragico, solo inquietante. Ma quella sera... vidi qualcosa di diverso.» «Cosa?» domandò Ethan, affascinato suo malgrado. «Vidi un omicidio.» In tono fermo e distaccato, conquistato a fatica, lei descrisse quello che aveva visto, il sangue e i segni di una lotta violenta, il corpo che giaceva in modo da non consentirle di scorgere il volto. «Così tu non sai chi fosse?» disse Ethan. «Sì. Sì, lo so. Lo capii allora.» «Come, se non potevi vedere la faccia?» chiese Max. «Cera un medaglione. Un medaglione d'argento che riconobbi.» Nell si voltò e fece strada dietro alle rovine dove, molti anni prima, uno scantinato era stato ricavato nel terreno a pochi metri dalla porta posteriore. «Sapevo che il corpo doveva essere stato sepolto o nascosto qui vicino. Non ero sicura di dove cominciare a cercare, specie dopo tutti questi anni, e dopo quella visione nel bosco.» Lanciò un'occhiata a Max e lui annuì. «Hai visto qualcuno che trasportava il corpo di una donna. Dunque è per questo che non eri preoccupata che potesse essere una morte futura: sapevi che era già accaduto.» «Ero abbastanza certa che fosse così. Ma nella visione il corpo veniva trasportato verso questa casa in una notte tempestosa, e io sapevo che lei... lei era stata uccisa qui, all'interno. Ho pensato che lui avesse progettato di seppellirla in qualche altro luogo ma non era riuscito a farlo a causa del temporale. Così la riportò qui.»
Ethan fissò le vecchie porte deformate e scheggiate dello scantinato. «Ci stai dicendo che lì sotto c'è un cadavere?» «Stamattina sono venuta quaggiù a guardare in giro. Avevo dimenticato la cantina sotterranea; per gran parte della mia infanzia di fatto era stata nascosta da un vecchio capanno per gli attrezzi e non veniva utilizzata. Ma dopo aver frugato per un po' dentro la casa, me ne sono ricordata. Le porte erano chiuse con un lucchetto, ma le ho aperte.» Max ed Ethan si scambiarono un'occhiata, poi si chinarono entrambi ad aprire le porte inclinate rivelando i gradini di pietra che conducevano nell'oscurità. Avvertirono subito un odore di umido e di rancido. «Ho lasciato dentro un paio di lampade a pile» disse Nell, avviandosi giù per gli scalini. Gli uomini la seguirono. In fondo, lei prese le lampade da una vecchia mensola traballante sistemata da un lato e le accese. Poi avanzò solo di qualche passo, illuminando uno spazio dai muri di terra di appena tre metri per due e alto meno di un metro e ottanta. Abbassando leggermente la testa, come faceva Max, Ethan disse: «Allora dove...» Non dovette terminare la domanda. Ai piedi di Nell c'era una fossa. Terra scavata di fresco era ammucchiata su ambo i lati della buca poco profonda. E dentro giaceva uno scheletro che era stato solo in parte scoperto. Nell mise una delle lampade ai piedi della fossa, girò intorno alla terra ammonticchiata fino al lato opposto e sistemò la seconda lampada appena sopra il teschio che brillava debolmente. «Gesù» mormorò Ethan. «Chi è?» «Mia madre.» Nell s'inginocchiò, chinandosi in avanti a indicare un medaglione d'argento ossidato attaccato a una catenina che ora riposava tra ossa e terra. «Nel medaglione ci sono i ritratti di Hailey e me. Lei lo portava sempre.» Max fece un lungo respiro e lo rilasciò lentamente. «Lei non è mai partita.» «Non è mai partita. È sempre stata qui in tutti questi anni, molto più vicino di quanto abbia mai...» Nell scosse la testa. La lampada che brillava verso l'alto conferiva al suo viso un'espressione spiritata. O forse non era soltanto la luce. «Lei non ha lasciato suo marito. Non ha abbandonato le sue figlie. Era qui. Tutto il tempo, lei era qui.» «Chi l'ha uccisa?» chiese Ethan. «L'ha uccisa l'amore» mormorò Nell. «L'ha uccisa mio padre.»
Alla fine del pranzo, a Justin e Shelby non era spuntata alcuna idea nuova su come scoprire cosa avesse reso George Caldwell così interessato ai vecchi registri delle nascite del comune. Il che non voleva dire che non si fossero divertiti nel provarci. O forse avevano semplicemente gradito la reciproca compagnia. Justin preferiva non chiederselo. La folla del pranzo era quasi del tutto scomparsa quando finirono il pasto e si prepararono ad andarsene, ma Justin era consapevole che alcuni poliziotti fuori servizio e vari clienti curiosi li avevano notati, manifestando un velato interesse per lui e la sua compagna. Quello che non sapeva era se ciò si sarebbe rivelato pericoloso per Shelby. «Penso che ti preoccupi troppo» disse lei quando salirono sulla sua auto. «E comunque hai bisogno del mio aiuto.» Lui mise le chiavi nel quadro e indugiò, guardandola. «Ne ho proprio bisogno, eh?» «Sì. Due teste sono meglio di una.» «Be', se questo è il tuo solo motivo...» «Andiamo, di chi altro puoi fidarti? C'è nessuno nel dipartimento dello sceriffo di cui sei assolutamente sicuro?» «No, ma... Shelby, se abbiamo ragione, George Caldwell probabilmente è stato ucciso perché aveva scoperto qualcosa che minacciava l'assassino. Per nessun altro motivo. Non per nobili principi, come la ricerca della verità o della giustizia, né per un altro ideale. È morto perché sapeva qualcosa che non avrebbe dovuto. Perché avrebbe potuto mettersi sulla strada dell'assassino. Giusto?» «Sì.» «Allora non credi che non esiterebbe a liberarsi di chiunque altro costituisse anche soltanto una potenziale minaccia? Perfino di una curiosa rossa che potrebbe aver puntato le sue macchine fotografiche nella direzione sbagliata una volta o due?» «Se fossi stata una minaccia, si sarebbe liberato di me molto tempo fa.» «Potrebbe non essergli venuto in mente che tu fossi una minaccia. Finché non ti ha visto con me. Finché non ha visto che mi mostravi un fascio di fotografie.» «Cosa che faccio continuamente. Anche se fosse sospettoso, dovrebbe sapere che mi sto comportando come sempre, allora perché dovrebbe allarmarsi?»
«Per quanto ne sappiamo, neppure George Caldwell aveva fatto molto: ha solo controllato dei registri delle nascite del comune.» D'improvviso Shelby si accigliò. «Lo sai, è un buon argomento. L'assassino come poteva sapere che George fosse una minaccia per lui? Anche se era appostato fuori del palazzo di giustizia e ha visto George controllare le registrazioni, non c'era nulla di insolito in questo. Voglio dire, era qualcosa che George faceva piuttosto spesso. Allora dov'era la minaccia?» Confuso, Justin corrugò la fronte. «Ci ho già pensato. Qualunque cosa lui abbia trovato... deve averne parlato a qualcuno. Forse perfino all'assassino.» «Perché non si rendeva conto che era pericoloso?» «Probabilmente. Per George poteva essere solo qualche notizia ghiotta. Ma per l'assassino...» «Una minaccia.» Shelby scosse la testa. «Registri delle nascite. Non penserai che avesse scoperto che qualche illustre, onesto cittadino era un figlio illegittimo o roba del genere, vero? Perché non credo che ciò abbia importanza nell'epoca in cui viviamo. Di certo non al punto da uccidere.» Justin rimuginò un istante, poi accese distrattamente la macchina. «A meno che non ci fosse una questione legale. Forse una sorta di eredità che dipendeva dalla legittimità.» «Di nuovo: nell'epoca in cui viviamo?» «Ci sono ancora delle leggi molto vecchie, Shelby, alcune di esse arcane. E potrebbe essere non tanto una questione di illegittimità in sé quanto qualcos'altro; diciamo una faccenda di famiglia o la destinazione di un patrimonio con un vincolo legale a una particolare discendenza familiare. È possibile, almeno. O la minaccia potrebbe essere ancora più semplice: un segreto di famiglia che l'assassino non voleva che fosse rivelato, per qualsiasi motivo.» «Ancora un rompicapo» sospirò Shelby. «Suppongo che non abbiamo speranza di capire a chi George potrebbe aver raccontato quel che aveva trovato nei registri delle nascite.» «Lui era un banchiere. Parlava tutto il giorno con la gente. E a quanto ne so, era piuttosto amichevole anche fuori della banca.» «Allora cominciamo con tutto il paese e cerchiamo di restringere il campo?» Stavolta fu Justin a sospirare. «Adesso cominci a capire perché non abbiamo avuto alcuna fortuna nel risolvere il suo omicidio.» Un improvviso bussare sul finestrino di Justin li fece sussultare entram-
bi, e guardando fuori videro diversi agenti che sogghignavano in piedi accanto alla macchina. Justin tirò giù il finestrino. «È vietato il parcheggio sulla Main Street» redarguì l'agente Steve Critcher in tono severo. «In realtà è consentito» fece notare allegramente Shelby, chinandosi avanti a guardare oltre Justin. «Intendevo un certo genere di parcheggio» disse l'agente «come sapete bene. E in piena luce del giorno, per di più.» Ignorando l'allusione, Justin disse: «Voi ragazzi non avete niente di meglio da fare che tormentare colleghi poliziotti che sono fuori servizio?» «Veramente no» replicò Lauren Champagne, sorridendo. «Non al momento, comunque» interloquì il suo compagno, Kyle Venable. «Un sabato tranquillo, per la maggior parte. E abbiamo appena finito la pausa pranzo.» «Così stavamo solo passeggiando, ehm, voglio dire pattugliando le sinistre strade di Silence, facendo del nostro meglio per tenere a bada i cattivi.» Steve divenne improvvisamente sobrio. «O discutendone, a ogni modo. I pettegolezzi dicono che lo sceriffo sta per far intervenire i federali. Non ha davvero scelta, pare.» Justin disse: «Credo che lo sceriffo Cole abbia sempre una scelta.» «Forse finora l'aveva, ma il consiglio comunale sta facendo molto chiasso. Hanno tenuto una riunione d'emergenza ieri sera, lo sai.» «No» disse Justin «non lo sapevo. Così stanno spingendo Cole a far intervenire gente da fuori?» «Già.» Steve sorrise. «Anche se personalmente credo che lui sua cercando aiuto più vicino a casa. Un aiuto paranormale,» Canticchiò le prime note del tema di The Twilight Zone. «Questo non puoi saperlo, Steve» obiettò mitemente Lauren. «No, non posso saperlo. Ma mi piacerebbe conoscere un altro motivo per cui lo sceriffo avrebbe portato Nell Gallagher a visitare la casa dei Lynch. Quando Terne Lynch non era lì, fra parentesi.» «Non penserai davvero che lo sceriffo Cole creda in quella roba?» chiese Lauren. «Avrei detto di no. Ma forse è davvero disperato.» «Oppure» suggerì Justin «sta solo considerando ogni possibilità. Si suppone che lei sia dotata, non è così?» «Così dicono» replicò Kyle laconicamente. «Sono tutte stronzate» ribadì Steve. «Se dei poliziotti addestrati non rie-
scono a scoprire chi sta compiendo questi omicidi, allora nessun presunto sensitivo lo farà. Se chiedete a me, lo sceriffo dovrà far intervenire i federali, e al più presto.» Kyle disse: «Abbiamo fatto una scommessa. Finora c'è più o meno il cinquanta per cento di probabilità che per la metà della settimana prossima saremo tutti lì a mostrarci condiscendenti con i federali.» «Che gioia» mormorò Justin. Steve fece un'alzata di spalle esagerata. «Diavolo, forse dovremmo solo ammettere che non siamo all'altezza e srotolare il tappeto di benvenuto. Almeno poi loro potrebbero beccarsi parte delle critiche.» Shelby domandò: «Vi stanno bersagliando?» Lui fece una smorfia. «Diciamo solo che mi è stato chiesto più di una volta com'è che noi abbiamo consentito che dei distinti, onesti cittadini venissero assassinati.» Con ironia Shelby disse: «Distinti, onesti cittadini con stanze da giochi sadomaso nello scantinato?» «Quel punto viene comodamente dimenticato, proprio come il gioco d'azzardo, l'appropriazione indebita e la raccolta di materiale pornografico.» Kyle disse: «Perché non parli un po' più forte, Steve, così che tutta la Main Street possa sentirti? Potrebbero esserci un paio di persone che ancora non conoscono tutti i fatti.» Impenitente, Steve ribatté: «Se pensi che ci sia un'anima sopra i quattordici anni in tutto il distretto di Lacombe che non sappia esattamente cosa sta succedendo, sei matto.» «Già. Ma lo sceriffo ci licenzierà tutti se scopre che ne stiamo parlando come se non fosse più importante di ciò che abbiamo mangiato a pranzo. Usa la testa, Steve.» La replica di Steve andò perduta quando le ricetrasmittenti alla cintura di tutti gli agenti insieme a quella che Justin aveva nell'auto richiesero improvvisamente attenzione con un suono aspro e roco. Max guardò intensamente Nell ma non disse nulla. Ethan si accovacciò e fissò cupo lo scheletro. «L'ha uccisa Adam? Sei sicura di questo?» «Chi altro potrebbe essere stato? Fu lui a sostenere che lei se n'era andata, che era scappata via. Aveva accesso alle sue cose e potrebbe averne messe alcune in valigia ed essersene liberato per far credere che lei avesse preso con sé vestiti ed effetti personali. Nessun altro potrebbe averlo fatto.
E lui era così arrabbiato e amareggiato per la sua fuga che nessuno si fermò a chiedersi se lei se ne fosse andata davvero.» Ethan sospirò, ancora fissando ciò che restava di Grace Gallagher. «Probabilmente dopo tutto questo tempo sarà difficile scoprire come è stata uccisa.» «Nella visione notai delle ferite da taglio. Numerose ferite. Ma credo che nessuna fosse mortale. Forse lui lasciò cadere il coltello durante la lotta, non lo so. So che ci fu una lotta, violenta, l'intera stanza era devastata.» La voce di Nell era salda. «In ogni caso, sono abbastanza certa che abbia il collo spezzato. Un patologo legale potrebbe essere in grado di stabilirlo.» Ethan la guardò sollevando le sopracciglia. «E di che altro sei abbastanza certa?» «Il corpo è rimasto scoperto per un lungo periodo, infine è stato seppellito in questa fossa poco profonda. Puoi vedere che sono rimasti solo brandelli di indumenti, ma tanto lacerati quanto consumati, e ci sono dei segni appuntiti su alcune ossa. Segni di denti, penso. Probabilmente topi.» La sua voce restò composta, pragmatica. «Sto pensando che lui non aveva tempo di seppellirla subito, così la lasciò semplicemente quaggiù, coperta con una vecchia tela cerata o qualcosa del genere. Sono arrivati i topi, forse anche altri animali. Al momento in cui poté seppellirla, non c'era rimasto molto.» «È questo che pensi?» «Sì.» Perplesso, Ethan disse: «Perché ho la sensazione che tu sappia di cosa stai parlando?» Nell non esitò. Allungò la mano nella tasca della giacca tirando fuori un piccolo portadocumenti di pelle e glielo lanciò al di là della fossa. «Perché in effetti lo so.» Ethan l'aprì, poi si drizzò a sedere sui talloni fissando il distintivo dell'FBI e il documento d'identità. «Cristo.» Nell non poté evitare di sorridere, anche se debolmente, per la sua incredulità. «Non si conoscono mai fino in fondo le persone, vero?» «Mi stai dicendo che sei un poliziotto? Un poliziotto federale?» «Esatto.» Ethan alzò lo sguardo verso Max. «Tu ne sai qualcosa?» «L'ho scoperto un paio di giorni fa.» Alzandosi lentamente, Ethan guardò accigliato il portadocumenti di Nell che ancora teneva aperto in mano, poi lo chiuse e lo rilanciò a lei. «E per
una coincidenza sei venuta a sistemare la tenuta di famiglia proprio quando noi siamo nel mezzo di un'indagine per omicidio.» «Temo di no.» La sua mascella si serrò. «Tu sei qui ufficialmente. E io non sono stato consultato e neppure informato. Vuoi dirmi perché?» Nell scelse con cura le parole. «Attraverso canali ufficiali è stata avanzata all'FBI la richiesta di un profilo del killer all'opera qui a Silence. Il profilo iniziale indicava che c'era un'alta probabilità che l'assassino fosse un poliziotto.» Ethan si voltò e uscì dallo scantinato. «Pensi che sia arrabbiato?» mormorò Nell. «Dubitavi che lo sarebbe stato?» Nell sospirò e si alzò in piedi. «No. Spero solo che non vada fuori dai gangheri.» «Abbiamo imparato tutti e due a tenere a bada i nervi un po' meglio.» «Questo l'ho notato.» Max fece un mezzo sorriso, ma disse: «Nell... tua madre. Mi dispiace. Ma almeno puoi essere certa che non ti ha abbandonato spontaneamente.» «Sì. Vorrei soltanto averlo saputo molto tempo fa.» Chiaramente riluttante a discuterne, aggiunse: «Lasceremo le lampade quaggiù per ora. Spero che Ethan acconsenta a inviare i resti al laboratorio dell'FBI per le analisi.» «E se non lo facesse?» «Malgrado ciò che pensa riguardo alla possibilità che uno dei suoi sia un assassino, mantenere segreta la scoperta di questi resti è nel suo interesse, almeno per ora. Questo paese non ha bisogno di affrontare un altro omicidio, anche se risale a più di vent'anni fa. Specialmente se risale a più di vent'anni.» «E tu?» «Io cosa?» «Tu non hai bisogno di affrontarlo?» «Io l'ho affrontato.» Nell girò intorno alla fossa senza guardare più in basso, poi salì i gradini e uscì dallo scantinato. Alquanto tetro, Max la seguì. Trovarono Ethan che esaminava un'altra volta lo scheletro bruciato della casa, ma chiaramente pensava ad altro. La sua faccia era decisamente scura. Non appena lo raggiunsero, disse in tono risoluto: «Il vostro profiler è sicuro che si tratti di un poliziotto?»
«Piuttosto sicuro. Almeno, lo era quando sono venuta quaggiù.» Ethan girò la testa per squadrarla con aria severa. «E adesso?» «Credo che lo sia ancora. Ma io ho avuto qualche dubbio.» Nell scrollò le spalle. «Non sono un'esperta di profili, anche se ho studiato per un certo tempo scienze del comportamento. Potrei facilmente sbagliarmi.» «Ma?» «Ma... c'è Hailey.» «Non crederai sul serio che Hailey possa aver ucciso quattro uomini a sangue freddo?» «Finora non abbiamo trovato un collegamento migliore tra gli uomini. Tutti loro avevano dei segreti, piuttosto disgustosi, e tra questi c'era il fatto che a un certo punto avevano avuto una relazione sessuale con Hailey.» «Ti ho detto che non credo che George Caldwell avesse alcun tipo di relazione con Hailey.» «Allora forse» suggerì Max «lui è stato ucciso per un motivo diverso. Perché sapeva qualcosa, aveva scoperto qualcosa. Perché era una minaccia. Forse il motivo per cui i tuoi uomini non hanno trovato alcun segreto nella sua vita è perché lui non ne aveva.» «Credici o no, mi era già venuto in mente» ringhiò Ethan. «Conosco il mio lavoro, Max.» «Non ho mai detto il contrario.» «Strano, è ciò che ti ho sentito dire.» «Stai immaginando le cose.» Nell non era così stanca da non riconoscere i segni della tensione crescente tra i due uomini. Max era preoccupato perché credeva che lei stesse rifiutandosi di "affrontare" la scoperta della verità sulla madre, ed Ethan era furioso perché l'FBI era stata lì, proprio sotto il naso, a sua insaputa e senza il suo consenso. Tutti e due volevano sfogarsi. Con quel feroce mal di testa, Nell temeva che se l'avessero fatto avrebbe sparato a tutti e due. «Il punto» disse prima che un litigio potesse iniziare davvero «è che per tre omicidi su quattro possiamo collegare le vittime a Hailey. Ogni vittima aveva una relazione sessuale segreta con lei. E ognuna, secondo il profilo, è stata uccisa come punizione per i suoi peccati. Uccisa perché l'assassino non era in grado di ottenere giustizia per sé.» «Stai dicendo che Hailey potrebbe averli uccisi perché tutti loro le avevano fatto del male?» domandò Ethan. «È possibile.»
«Sì? Allora spiegami perché Patterson è stato ucciso più di vent'anni dopo aver fatto i suoi giochetti sadici con lei nello scantinato. Se, vale a dire, tu hai ragione sull'età di Hailey quando accadde per la prima volta.» «Noi non sappiamo se la loro relazione terminò quando Hailey era una bambina» fece notare Nell. Ethan non era così turbato da quell'eventualità come avrebbe potuto esserlo il giorno prima. «D'accordo, ma la questione rimane.» Rammentando la visione di Hailey bambina che assisteva a un brutale stupro coniugale, Nell disse: «Probabilmente è stato un accumularsi di cose. Essere ferita non soltanto una volta, ma ripetutamente. Gli anni passavano, le ferite si accumulavano, e alla fine Hailey non ha più potuto sopportarlo.» «Lei se ne andò» disse Ethan. «Forse si era davvero stufata, ma la sua reazione fu lasciare Silence. Credi che sia rimasta nascosta da qualche parte qui vicino per gli ultimi otto mesi, uccidendo l'uno dopo l'altro gli uomini che l'avevano maltrattata? E nessuno l'ha vista, nemmeno di sfuggita?» Senza rispondere alle sue domande, Nell disse: «C'è un ulteriore elemento che mi fa sentire sicura che Hailey sia coinvolta.» «E sarebbe?» «Il primo uomo a morire l'anno scorso è stato nostro padre.» «Aspetta un minuto. Tu pensi che anche Adam sia stato assassinato?» «Sì. Penso...» «Nell.» Dopo un attimo d'allarme, Nell alzò le mani per massaggiarsi le tempie. Era solo il mal di testa, tutto qui. Solo questo strano, martellante mal di testa. Non c'era nessuno che le sussurrava all'orecchio. Nessuno. «Stai bene?» chiese Max. «Sì. Ethan, so che si suppone che lui sia morto a causa di un attacco di cuore, ma penso sia perlomeno possibile che...» «Ti sbagli. Ti sbagli riguardo a tutto questo.» «Nell?» Lei fissò Ethan per un istante, poi scosse la testa. «Scusa. Mi... dispiace. Ho qualche problema a concentrarmi.» «Hai bisogno di riposare» disse Max con una voce che senza dubbio si poteva definire risoluta. «Se è in arrivo un blackout...» «Non è così. Almeno, non credo. Ho soltanto mal di testa, tutto qui.»
Nell sospirò. «Probabilmente ho bisogno di riposare. Ethan, posso far portare le spoglie al laboratorio dell'FBI per le analisi, se ti sta bene. Sarà il modo più rapido, e più segreto, così nessuno in paese lo saprà finché non sarai pronto a renderlo pubblico.» Ethan imprecò sottovoce, ma disse: «Se dietro questo c'è Hailey invece che un poliziotto, tenerlo segreto non avrà importanza. Ma nel caso che il vostro profiler abbia ragione, penso sia meglio che non se ne occupi nessuno dei miei.» «Allora organizzerò tutto io.» Lui annuì. «Per quanto ne so, gli agenti dell'FBI raramente lavorano da soli. Hai un compagno qui, non è vero?» Nell non esitò. «Come dici, di rado lavoriamo da soli. Ma a volte dobbiamo lavorare segretamente, dietro le quinte. Perfino sotto copertura.» «E io non devo fare domande, suppongo.» «Lo apprezzerei.» Nell sorrise. «Ti prego, non pensare a noi come a spie, Ethan. Stiamo facendo il nostro lavoro, proprio come te. Cercando di fare la cosa giusta, proprio come te. Cercando di prendere un assassino, proprio come te.» «Va bene, messaggio ricevuto,» Ethan abbassò le spalle con l'aria di accettare, per quanto con riluttanza, qualcosa che non gli piaceva ma che non poteva davvero evitare. «Vuoi ancora vedere la casa di George Caldwell oggi?» Nell non aspettò che Max obiettasse. «Forse più tardi, questo pomeriggio, se me la sento.» «Voglio sentire tutta la storia riguardo alla morte di Adam» disse Ethan. «E al più presto.» «Lo so.» «Ma per ora devo tornare in paese e tu hai visibilmente bisogno di riposare.» Ethan guardò Max. «Deduco che tu rimani?» «Sì.» Tutto ciò che Nell disse fu: «Dovremmo chiudere le porte dello scantinato giusto in caso che qualche ragazzino vagabondi fin qui, ma ci sarà qualcuno a prelevare i resti nel giro di un'ora. Con un po' di fortuna, già domani potremmo avere almeno i risultati preliminari.» «Lavoro rapido» grugnì Ethan. Andò a chiudere le porte dello scantinato, poi tornò da loro e camminarono attraverso il bosco fino alla casa dei Gallagher. In precedenza Ethan aveva fatto scendere il suo agente in paese prima di raggiungere lì Nell e Max, così la sua macchina lo aspettava.
«Più tardi fammi sapere se ti senti in grado di vedere l'appartamento di Caldwell» disse Ethan a Nell. E aggiunse in tono categorico: «D'ora in avanti mi aspetto di essere tenuto informato riguardo alle attività dell'FBI.» «Lo sarai.» La radio di Ethan gracchiò in modo sommesso ma perentorio, e lui si allungò per alzare il volume e rispondere alla chiamata. Tutti e tre udirono la voce allarmata del centralinista. «Sceriffo, ne abbiamo un altro. Un altro omicidio.» 17 «Non dovevi restare» disse Nell. Max si dibatté in silenzio ma decise che non giovava a nulla discuterne, almeno non in quel momento. Così ignorò la questione. «Il tuo compagno si sta prendendo cura... delle spoglie?» «Più o meno. Sta sovrintendendo alla rimozione.» «Non può certo tenerti d'occhio da laggiù. Proprio un bel guardiano.» Nell fece un debole sorriso. «Sa che tu sei qui.» Sorseggiò il caffè, tenendo lo sguardo fisso sul buio caminetto. Quel soggiorno non era il suo posto preferito nella casa. Spalancare i pesanti tendaggi non serviva a ravvivarlo, ma il divano era comodo ed era infinitamente preferibile riposare lì piuttosto che a letto, cosa sulla quale altrimenti Max avrebbe insistito. «Non eri sorpresa riguardo a quest'ultimo omicidio» osservò lui. «No. Ero stata... avvertita che probabilmente ce ne sarebbe stato un altro. E il fatto che sia accaduto così presto è un brutto segno. Un bruttissimo segno. Stiamo esaurendo il tempo.» Dalla poltrona accanto al camino, dove poteva tenerla d'occhio, Max disse: «Tu fai quello che puoi. Nessuno si aspetta di più.» «Sì, lo so.» «Il mal di testa è passato?» «Be', c'è ancora un debole pulsare» ammise lei. «Ma non è forte come prima. E almeno...» «Almeno cosa?» «Almeno non annunciava un blackout.» Max si accigliò. «Non è questo che stavi per dire,» «Leggi nel pensiero, adesso?» Max si chinò per poggiare la tazza sul tavolino, e disse con disinvoltura: «Nel tuo, talvolta, sì. Ma lo sapevi.»
Finalmente Nell lo guardò, impassibile. «Lo sapevi» disse lui come se lei avesse obiettato. «Anche se hai fatto il possibile per tenermi fuori dalla tua vita da quando sei tornata a casa, hai sempre saputo che non potevi farlo. Non completamente.» «Quella porta è chiusa.» «Sì. Tu l'hai chiusa. E in tutti questi anni hai rifiutato di aprirla di nuovo, salvo per quei momenti in cui la tua guardia si abbassava, quando eri troppo stanca, o troppo turbata, o a volte quando stavi sognando. Allora si apriva, solo un tantino. Allora potevo avere una fugace apparizione della tua vita, un flash dei tuoi sentimenti.» «Io non ho mai avuto intenzione...» «Di chiudermi fuori? O in primo luogo di lasciarmi entrare?» Fece una pausa, ma quando lei non rispose, disse quasi dolcemente: «Hai un'idea di quanto fosse frustrante per me sapere che quella porta era lì, e non essere in grado di aprirla io stesso?» Nell fece un lungo respiro, senza distogliere lo sguardo, negli occhi un'espressione cauta e insieme tramortita, come se si aspettasse qualcosa di brutto. «Sì. Lo so. Mi dispiace.» «Avresti potuto lasciarmi libero.» Lei si ritrasse. «Io non volevo... ho tentato. Non ci sono riuscita.» «E adesso?» Lei titubò visibilmente, ed evitò di rispondere a quella domanda. Con un'occhiata all'orologio, disse: «È passata quasi un'ora da quando Ethan se n'è andato. Mi domando se...» «Non cambiare argomento, Nell.» «Senti, non credi che un altro omicidio abbia la precedenza su...» «No. Non lo credo. Non questa volta. Ethan ha messo in chiaro che non ti avrebbe consentito l'accesso alla scena di quest'ultimo delitto finché i suoi uomini non avessero fatto il loro lavoro, sia per evitare di mettere in allerta l'assassino se è un poliziotto, sia per mantenere solida la tua copertura il più a lungo possibile. Dunque ci vorrà almeno qualche ora prima che ci sia qualcosa di nuovo da esaminare.» «Anche così...» «Anche così, tu preferiresti parlare di qualcos'altro. Qualunque cosa tranne noi.» «Non c'è alcun "noi".» Nell posò la tazza sul tavolino e si alzò in piedi, spostandosi davanti al caminetto. «Sono passati dodici anni, Max. Siamo cambiati tutti e due. Lo hai confermato tu stesso. Hai detto che ti eri libera-
to di me.» «E tu mi hai creduto?» Rise con sarcasmo alzandosi anche lui. «Hai davvero pensato che potesse esserci qualcun'altra per me? Hai creduto che mi sarei accontentato di qualcosa di... ordinario? Qualcosa che non avrebbe mai potuto avvicinarsi a quello che c'era tra noi? Avresti potuto? L'hai fatto?» «Sai che non è così.» «Proprio come tu sai che non l'ho fatto io.» Nell giocherellò con una scatola dorata sulla mensola del camino, poi raddrizzò una fotografia della sua famiglia con la cornice nera scattata oltre trentacinque anni prima. «Anche così, dodici anni sono lunghi...» «Lo so. Cristo, lo so. E non dirò che non ho cercato di dimenticarti, Nell. Perché l'ho fatto. Non volevo ammettere neppure con me stesso che nessun'altra poteva prendere il tuo posto, significare per me quello che significavi tu. Ma alla fine ho dovuto riconoscerlo. Perché nessuna poteva farlo. Nessuna c'è nemmeno arrivata vicino.» «Forse semplicemente non hai consentito che ciò avvenisse.» Fissò la fotografia, desiderando di non sentire la sua voce, la sua insistenza. Desiderando che la testa smettesse di farle male. «Per dodici anni mi sono detto che tu non saresti tornata. Non ti era importato nemmeno abbastanza da spedirmi una cartolina d'auguri di Natale da qualche posto lungo la strada e farmi sapere che di tanto in tanto avevi un pensiero per me. Dodici anni a raccontarmi che ero un idiota. Poi la settimana scorsa cammino per la Main Street ed eccoti lì.» «Mi dispiace.» Nell fissava la vecchia fotografia, vagamente turbata da qualcosa, Ma le faceva male la testa. Le faceva male quasi quanto a casa di Lynch. «Nell, adesso capisco perché sei scappata via.» La sua voce era più vicina ora, appena dietro di lei. «Dopo quella visione la sera del ballo studentesco, dovevi essere spaventata a morte. Credendo che tuo padre avesse ucciso tua madre, che non avrebbe mai lasciato spontaneamente che nessuna di voi andasse...» «Cercai di dirlo a Hailey» mormorò lei, sbattendo le palpebre perché le sembrava che le si stesse offuscando la vista. «Ma non voleva credermi. Disse che lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non ci avrebbe mai fatto del male. Lei era... Non c'era modo di convincerla. Non eravamo mai andate d'accordo, e a quel punto eravamo come estranee. Così scappai.»
«Lontano dall'amore. Quando hai detto così, ho creduto... Ma era dal suo amore che scappavi, non è vero? Un amore così possessivo, così geloso, che ha ucciso quello che amava piuttosto che concedergli la libertà.» «Sapevo che lui era capace di farlo ancora. Di uccidere una di noi se cercavamo di andarcene. O uccidere qualcuno che noi... Sapevo che poteva farlo. E anche se disse che non mi credeva, nel profondo anche Hailey doveva saperlo, perché gli teneva nascoste tutte le sue relazioni. Perfino quella con Ethan.» «Nell...» «Suppongo che Glen Sabella fosse il primo di cui le fosse importato qualcosa, tanto da fuggire con lui.» Nell si allungò per toccare la fotografia, il suo sconcerto che aumentava. «Chi è...» Un dolore lancinante le perforò il cranio, come se qualcuno ci avesse conficcato un chiodo, e prima ancora che potesse prendere fiato per urlare, tutto divenne nero. Il corpo di Nate McCurry giaceva scomposto di traverso sul letto, un coltello da macellaio della sua cucina piantato nel torace. Indossava soltanto un paio di mutande, ma dallo stato di disordine del letto, dal fatto che lui era steso sopra le coperte e dall'ora stimata della morte, sembrava che quella mattina fosse riuscito a scendere dal letto prima di essere ucciso. «Una bella sveglia» borbottò Ethan. «Sì.» Justin era in piedi accanto allo sceriffo, entrambi osservavano all'opera i due soli specialisti di medicina legale che il distretto di Lacombe poteva vantare. Uno fotografava il cadavere e l'altro stava analizzando con cura ogni possibile superficie nella stanza per trovare delle impronte digitali. «Parlando di sveglie, lui ha ricevuto una telefonata come gli altri?» Justin annuì. «Ieri notte. La funzione che identifica il numero della chiamata in arrivo sul suo telefono mostra che proveniva da una delle cabine pubbliche in paese.» «Ma non abbiamo trovato prova di una vita segreta. Finora.» «Finora» convenne Justin. «Nessuna stanza o scomparto segreto, nessun doppio fondo negli armadi, nessuna cassaforte nascosta. I documenti cartacei rinvenuti sembrano a posto, solo conti e appunti personali, e se Kelly avesse trovato qualcosa d'insolito nel suo ufficio, avrebbe chiamato. Stando alle prove ottenute, lui era un agente assicurativo perfettamente normale, sempre che ne esista uno.»
A quella battuta Ethan fece un debole sorriso, ma disse solo: «Stavolta l'assassino è arrivato molto, molto vicino: l'ha pugnalato nel petto. A meno che non abbia intenzione di strangolare la sua prossima vittima.» «Pensa che ci sarà un'altra vittima?» «Tu no?» Con un sospiro Justin disse: «Certo, non lo stiamo fermando, lo so. E il fatto che abbia ucciso ancora e così presto...» «È un brutto segno. Sì. Forse la paura l'ha spinto a muoversi più in fretta, oppure per qualche ragione che ancora non conosciamo deve uccidere più spesso. O magari non c'è più nulla che possa trattenerlo. E noi non abbiamo modo di sapere quale sia il motivo.» Justin guardò lo sceriffo con aria pensosa. «Senta, sono maledettamente certo che George Caldwell non avesse alcun segreto da nascondere. E credo che anche lei sia della stessa idea. Giusto?» Ethan annuì. «Penso che se fosse esistito un segreto ormai l'avremmo scoperto.» «D'accordo. Ma siamo sicuri almeno al sessanta per cento che lui sia stato ucciso dallo stesso uomo.» «Lo stesso assassino, a ogni modo» borbottò Ethan. Justin non si lasciò sfuggire il commento, ma disse soltanto: «Il che deve significare che Caldwell era una minaccia per l'assassino o in qualche modo è finito sulla sua strada, rendendosi un bersaglio.» «È probabile.» «Ricorda che le ho domandato per quale motivo Caldwell avrebbe esaminato i registri delle nascite del comune?» «Sì. Non ho avuto occasione di chiederti se avevi trovato qualcosa.» «Be', non ho ancora scoperto nulla. O almeno nulla che sembri importante. Ma resta l'unica cosa senza spiegazione che Caldwell stava facendo nelle settimane precedenti al suo omicidio. Dunque lui deve aver trovato qualcosa, qualche genere d'informazione che ha passato all'assassino in tutta innocenza o accidentalmente. Un'informazione che l'assassino ha considerato una minaccia.» «E George è stato ucciso per chiudergli la bocca.» «Non c'è altra spiegazione, almeno per me.» Ethan rimuginò un istante. «Ma come possiamo scoprire di cosa si trattasse? Hai detto che erano più di quarant'anni di registrazioni di nascite del comune, giusto?» «Giusto. Negli ultimi quarant'anni sono nati moltissimi bambini, questo
posso assicurarglielo. E non sappiamo nemmeno se ciò che cerchiamo abbia a che fare con le nascite o con qualcos'altro. Il luogo di nascita, il nome dei genitori, i bambini nati morti o i ragazzini morti giovani, i testimoni della nascita, i dottori che hanno seguito il parto... Ma non ho notato nulla per cui valesse la pena di uccidere.» «Tu sei nuovo della zona» osservò Ethan «dunque potresti non aver fatto caso a ciò che una persona nata e cresciuta qui avrebbe potuto notare.» «Già» disse Justin dopo una lieve esitazione, indeciso se menzionare il coinvolgimento di Shelby. «Hai le copie delle registrazioni?» «Sono chiuse a chiave nel bagagliaio della macchina.» «Quando torniamo in ufficio, portamele. Se lì c'è qualcosa di strano, sono disposto a scommettere che lo scoprirò altrettanto o più rapidamente di chiunque altro.» «George Caldwell potrebbe essere stato ucciso per averlo fatto» gli rammentò Justin. A Ethan non piaceva pensare che uno dei suoi uomini potesse essere un traditore, o che uno di loro fosse un agente dell'FBI che operava sotto copertura, ma sapeva con certezza che non poteva permettersi di sottovalutare la cosa. Così continuò a parlare con Justin Byers come se l'ombra di quelle due possibilità non gli avesse mai attraversato la mente. «George aveva difficoltà a tenere la bocca chiusa» disse a Justin. «Io no. Inoltre, è facile che non si fosse reso conto che quanto sapeva rappresentasse una minaccia. Io sicuramente lo so.» «Se scopre qualcosa.» «Sì. Se scopro qualcosa.» «E se non lo fa?» «Allora saremo a un punto morto, come adesso.» Ethan scrollò le spalle. «Ormai sono disposto a tentare di tutto.» «Incluso il paranormale? Per esempio parlare con una sensitiva?» Cupo, Ethan replicò: «O Steve Critcher è meno discreto di quanto pensassi, o qualcun altro mi ha visto parlare con Nell Gallagher.» Senza rispondere direttamente, Justin si limitò a dire: «È un paese piccolo. Difficile fare qualsiasi cosa senza essere notati.» «A meno che tu non abbia qualche segreto da nascondere?» Justin sorrise ironicamente. «Sì, questo non sono ancora riuscito a capirlo del tutto. Quanto alla sua chiacchierata con Nell Gallagher... è stata in grado di suggerirle qualcosa di utile?»
Stavolta Ethan esitò. «Forse. Preferirei non dire nulla finché non avremo controllato ogni dettaglio riguardante Nate McCurry. Voglio sapere con chi parlava, chi erano i suoi amici, chi ha frequentato negli ultimi dieci anni, e chi gli puliva i denti.» «Matt è fuori proprio adesso con un paio di agenti a raccogliere quelle informazioni. Cosa spera che trovino?» «Un segreto» disse Ethan. «Un segreto che tutti questi uomini avevano in comune.» «Intende dire che avevano tutti lo stesso segreto? A parte le sgradevoli abitudini che abbiamo scoperto?» «Credo di sì. Tutti eccetto George, finora. Voglio sapere se anche per Nate era così.» «Potrebbe essermi d'aiuto se sapessi...» «Lo so, ma preferirei non... influenzare il tuo giudizio quando non ho nulla di solido, nessuna prova che possa portare in tribunale per suffragare questa... teoria.» «Soltanto informazioni fornite da una sensitiva?» Con una smorfia, Ethan annuì. «Esattamente. Una cosa che, tra parentesi, non sembra sorprenderti troppo.» «Non m'importa se troviamo le risposte nelle foglie di tè, basta riuscirci» disse Justin con franchezza. «In vita mia ho visto cose tanto misteriose da non screditare nulla su due piedi. Forse alcune persone sono in grado di vedere ciò che è impossibile per il resto di noi. Forse è soltanto un'altra capacità, rara ma umana. Chi sono io per dire che non può essere reale?» «Be', io non sono così indifferente al riguardo, ma sono anche molto meno sicuro delle mie certezze di quanto lo fossi ieri.» Ethan sospirò. «Staremo a vedere. Io torno in ufficio. Ho un mucchio di rapporti e chiamate di cui occuparmi. Resta qui e fai mettere i sigilli. E vedi di far portare il cadavere fuori di qui segretamente.» «Farò del mio meglio.» Justin osservò lo sceriffo andar via, poi riportò lo sguardo sui due tecnici che ancora lavoravano in silenzio. Non sospettava di loro, ma di sicuro era meglio sorvegliare ogni possibile aspetto dell'indagine solo per rendere maledettamente certo che nulla venisse tralasciato. Non era sorpreso che Ethan Cole non avesse voluto raccontare tutto ciò che sapeva: lui stesso non era stato molto loquace né del tutto sincero. Si domandò se quella reticenza sarebbe tornata a ossessionarli entrambi, poi scacciò il pensiero.
Al momento non poteva farci nulla. Stava giusto per chiedere al fotografo se aveva già finito quando Brad parlò per primo. «Ehi, Justin? Voi ragazzi avete visto questo?» «Visto cosa?» Justin raggiunse il fotografo accanto al letto. «L'ha colto la lente del mio zoom» spiegò Brad. «Vedi quel pezzetto di stoffa che sporge oltre l'orlo delle mutande?» Justin si chinò corrugando la fronte. «Sì. Allora?» «Allora non credo che sia parte delle mutande. Indossa dei normali boxer di cotone, e quel pezzetto di stoffa è di seta. Seta di colore vivace, in effetti.» «Una specie di fodera, forse?» «No, a meno che non se la sia fatta da sé. Io uso quella marca, e sono soltanto di cotone. Non hanno fodera.» Justin aveva indagato su troppi omicidi perché fosse imbarazzato, così non esitò a chinarsi ancora più vicino e afferrare il pezzetto di stoffa. Tirò dolcemente, con cura, cominciando a estrarlo dalle mutande del morto. «Sembra un foulard» mormorò Brad, osservando il lembo di lucida seta azzurra. «Un foulard da donna. Si vedono dei fiorellini... ehi, che diavolo succede?» Incontrando un'improvvisa resistenza, Justin smise di tirare e cambiò posizione così da poter sollevare con circospezione l'elastico delle mutande. «Cristo.» «Cosa?» Justin esitò, lanciò uno sguardo agli occhi aperti ma ciechi di Nate McCurry, e mormorò: «Spiacente di farti questo, amico, ma devo proprio.» «Devi cosa?» domandò Brad. «Aiutami a tirargli giù le mutande, Dovrai fare una fotografia.» Brad apri la bocca, poi la chiuse e piuttosto cautamente aiutò Justin ad abbassare le mutande intorno alle ginocchia dell'uomo. Quando i genitali furono esposti, il fotografo borbottò qualcosa sottovoce, poi ammutolito cominciò a scattare fotografie. La specialista delle impronte digitali, il cui inverosimile nome era Dolly Sims, si avvicinò ai piedi del letto, studiò il cadavere per un momento, poi disse a Justin: «Voi ragazzi avete mai considerato che potreste star dando la caccia a una donna?» «No, almeno finora» disse Justin. Lei annuì. «Be', direi che ci sono ottime probabilità che questo sia stato
fatto da una donna. Forse una donna schernita. O soltanto una che era davvero infuriata.» «Sì» mormorò Justin, abbassando lo sguardo su quello che era stato fatto a Nate McCurry. «Davvero infuriata.» Il vivace foulard di seta era stato legato in un bel fiocco intorno al pene e ai testicoli dell'uomo. Essere in una zona rurale aveva i suoi vantaggi: Galen ebbe la soddisfazione di sapere che i resti che lui e Nell avevano scoperto quella mattina erano stati rimossi e portati al laboratorio dell'FBI da una squadra molto efficiente che era arrivata e ripartita senza essere notata da nessuno dei locali. Almeno, era abbastanza sicuro che fosse così. Non era ancora buio quando Galen si sistemò di nuovo al suo posto per sorvegliare la casa dei Gallagher. Dato che il camioncino di Tanner era sempre parcheggiato lì davanti, sapeva che Nell non era sola, ma mentre studiava l'abitazione si sentì stranamente inquieto. Qualcosa era diverso, e lui non sapeva cosa fosse. Qualcosa che vedeva? Qualcosa che sentiva? Quando il suo telefono cellulare squillò, fu decisamente sollevato nel vedere che la chiamata proveniva da Nell. «Tanner ti sta dando il tormento?» domandò senza preamboli. «Non ancora» replicò Max senza scomporsi. «Al momento Nell è priva di sensi, e io voglio parlare con te. Faccia a faccia.» Galen ebbe un attimo d'esitazione. «Nell sta bene?» «Non lo so.» «Da quanto tempo è rimasta svenuta?» «Più di un'ora.» Stavolta, Galen non esitò. «Sarò subito lì.» Non ci mise più di due minuti a raggiungere la porta d'ingresso, dove trovò ad aspettarlo un Max Tanner incupito. A Galen era già capitato di trovarsi in quella situazione, "incontrare" per la prima volta qualcuno che aveva sorvegliato di nascosto abbastanza a lungo da sentire di conoscerlo piuttosto bene, ma non biasimò Max per la sua palese diffidenza. «Io sono Galen.» Entrò in casa, senza offrire altro che la breve presentazione. «Max.» Contrasse le labbra, come rendendosi conto dell'assurdità di pre-
sentarsi a quest'uomo, ma si limitò a voltarsi e a fare strada fino in soggiorno. «Nell è di sopra, a letto» aggiunse. «Dici che è rimasta svenuta per più di un'ora?» «Sì. Ho cercato di svegliarla poco prima di chiamarti, ma non sono riuscito a ottenere nessun tipo di risposta. Il polso e la respirazione sono normali, e il suo colorito è buono. Migliore di com'era quando ha avuto il collasso.» «Collasso? Non era il solito tipo di blackout? Non c'è stato alcun preavviso?» Fronteggiando l'altro uomo davanti al caminetto spento, Max disse: «Nessun preavviso. Stavamo parlando, e lei è svenuta letteralmente nel mezzo di una frase. Non l'ho mai vista svenire in modo così veloce e brutale.» «Stava peggiorando» notò Galen. «Aveva più blackout e con maggior frequenza. Con un dolore più intenso. E non credo che stesse dormendo bene di notte.» «Dunque ho ragione a pensare che questo non è normale per lei.» Galen lo guardò. «Abbiamo lavorato insieme solo qualche volta, ma da quello che mi hanno detto, no, non è normale. Finché non è tornata a Silence, Nell ha avuto in media un blackout ogni due o tre mesi. È qui da meno di una settimana, e con questo siamo almeno al quarto blackout.» «È perché sta usando troppo spesso le sue capacità? Sforzandosi troppo?» «Non lo so.» «Faresti bene a saperlo» disse Max in tono aspro, quasi violento. «So che per lei il reparto speciale a cui voi tutti appartenete le ha migliorato la vita, ma questo non vi dà il diritto di spremerla, di sfinirla, finché non si ritroverà in coma con il cervello fuso.» In tono mite, Galen disse: «Nel caso in cui non te ne fossi reso conto, nessuno spreme Nell più di quanto non faccia lei stessa. E solo perché tu lo sappia, non è certo la politica della compagnia sfinire gli agenti sul campo e poi gettarli via. Manda all'aria il libro paga, per non dire del reclutamento.» Max fece un profondo respiro e fece un visibile sforzo per controllare la sua collera e la sua ansietà. «Forse no, ma perfino Nell ha ammesso che alcuni sensitivi facendo questo lavoro rischiano qualcosa di più che un proiettile. Lei è chiaramente una di loro.» «Piuttosto vero. Come è vero che non sappiamo quale prezzo Nell po-
trebbe pagare alla fine per usare le sue capacità in questo lavoro. Ma lei conosce i rischi. E li accetta.» «Perché desidera morire, maledizione.» «È questo che credi?» Max esitò, poi disse: «Credo che una parte di lei lo voglia, sì. È convinta di provenire da qualcosa di malvagio e che la sua famiglia sia maledetta. Che lei sia maledetta. Condannata a vivere la sua vita da sola. Incapace di lasciar avvicinare qualcuno perché ha paura che la tenebra dentro di lei faccia del male a chiunque abbia caro.» Max scosse la testa. «Tornare a casa ha solo peggiorato le cose, dato che ha trovato la prova che Adam ammazzò sua moglie, e che Hailey non soltanto era coinvolta con uomini sadici ma potrebbe aver deciso di ucciderli. Un bell'albero genealogico.» Galen era indeciso, ma poi disse: «Prima che noi venissimo quaggiù Bishop... sai chi è Bishop, vero? Il capo del Reparto speciale anticrimine. Be', in privato mi ha detto che era convinto che i blackout di Nell fossero provocati solo indirettamente dalle sue capacità. Lui crede che abbiano qualcosa a che fare con il suo passato.» «In quale modo?» «Questo è il problema. Potrebbe essere qualche trauma che lei ha rimosso per tutti questi anni, qualcosa che non è stata in grado di affrontare direttamente. Probabilmente è legato alle sue capacità, dato che piuttosto spesso sembra che utilizzarle le provochi un blackout, anche se per ora non c'è modo di esserne sicuri. Ma il fatto è che Bishop ha detto che se avesse avuto ragione, e se questa indagine avesse portato Nell ad affrontare il suo passato, a esaminare le sue radici qui, probabilmente i blackout sarebbero divenuti più frequenti o più stancanti man mano che lei si avvicinava a ciò che li provocava.» Max era preoccupato. «Hai riferito il fatto che i blackout le venivano più spesso?» «Sì. Bishop ha detto di badare a ciò che lei stesse dicendo o facendo quando i blackout la colpivano. C'è un fattore comune? Un determinato luogo? Una certa linea dell'indagine? Qualunque segnale che indichi qualcosa in particolare a cui la sua mente fa resistenza.» Con la fronte aggrottata Max disse: «So che ha avuto un blackout il giorno in cui è arrivata, probabilmente in casa. E oggi stava qui quando è svenuta. Ma è svenuta anche a casa di Patterson, dopo una delle sue visioni.»
«Il primo blackout poteva essere dovuto allo stress quanto a qualsiasi altra cosa» suggerì Galen. «Tornare a casa dev'essere stato incredibilmente difficile, specie sapendo che le sarebbe toccato cercare i resti di sua madre.» Max lanciò un'occhiata all'orologio. «È priva di sensi da un'ora e mezzo ormai. È troppo.» «Le daremo un'altra mezz'ora. Se per allora non si sveglia, o noi non riusciamo svegliarla, c'è una cosa che possiamo provare. Un altro sensitivo può cercare di contattare la sua mente.» «Tu?» «Io non ho poteri telepatici. Ma un altro membro della squadra sotto copertura qui ne è dotato.» Piuttosto seccamente, Galen aggiunse: «Oppure potresti provarci tu. L'hai già fatto, a proposito?» «Io non sono un sensitivo.» «No, ma sei legato a lei. Provaci.» Max sembrò allarmato e anche un po' seccato, ed evitò gli occhi di Galen quando disse: «Lei non mi lascerà entrare. Non mi farà nemmeno avvicinare. Talvolta la sua guardia si abbassa e afferro un'apparizione fugace, il guizzo di un pensiero, ma poi... A ogni modo, tu come diavolo lo sai?» «Mi dispiace, ma non ci sono molti segreti in una squadra di sensitivi, specie quando così tanti sono telepatici. Bishop sapeva che lei era legata a qualcuno e lo era stata per un bel po'. Abbiamo supposto che fossi tu.» «Bishop» borbottò Max. Non troppo sorpreso dalla reazione, Galen disse gentilmente: «So che può essere una gran seccatura. È molto irritante dover trattare con qualcuno che non si sbaglia spesso. Ma nel caso tu abbia qualche dubbio, Nell non è innamorata di lui. Bishop ispira soltanto un'incredibile fedeltà ai suoi agenti. Non ho mai visto niente di simile, in effetti. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che, da solo, lui ha cambiato le loro vite.» Max gli lanciò un'occhiata, poi si schiarì la gola e cambiò argomento. «Hai detto che dovremmo considerare qualunque cosa Nell stesse facendo o dicendo quando è crollata, giusto?» «Potrebbe fornirci un pezzo del puzzle, sì.» «D'accordo. Per caso sai se i precedenti blackout qui in casa siano venuti con qualche preavviso?» «Sono abbastanza sicuro che sia stato così tutte e due le volte. Del secondo lo so per certo, perché ho parlato con lei poco prima e mi ha avvisato.»
«Solo i soliti blackout, quelli che ha sperimentato per la maggior parte della sua vita?» «Giusto.» «Ma quando è svenuta a casa Patterson, e poi qui, oggi, non c'è stato alcun preavviso. So che è emersa dalla visione con un brutto mal di testa, ma ha insistito nel dire che non era l'avvertimento di un blackout. Tuttavia era abbastanza forte da renderla pallida e in seguito più di una volta è parsa perdere il filo della conversazione.» Non aggiunse che Nell era stata anche meno in guardia, una vulnerabilità di cui lui aveva approfittato per spingerla a parlare del loro rapporto. «Sembrava... distratta, quasi stesse cercando di prestare ascolto a qualcosa.» «Che cosa aveva visto a casa di Patterson?» «Una visione molto intensa in cui Hailey, da ragazzina, era... coinvolta... con un uomo che amava fare giochi sadomasochistici.» Galen annuì. «Oggi era con te e lo sceriffo a casa di Lynch. Una visione, ma nessun blackout, almeno non subito. Tutto ciò che mi ha detto quando ha fatto il suo rapporto dopo che voi due siete tornati qui, è che aveva avuto una visione in apparenza non collegata con la morte di Lynch. Una visione che le aveva indicato che Hailey e lo sceriffo Cole un tempo avevano avuto una relazione. Ha detto che la visione era strana, che sembrava diversa, ma non ha spiegato come.» «La cosa in comune sembra essere Hailey» disse Max lentamente. «Hailey e le sue relazioni.» «Sembri dubbioso.» «In qualche modo sento che non quadra. Posso a stento accettare la possibilità che Hailey sia nascosta qui vicino da qualche parte e si stia vendicando degli uomini che la maltrattavano. Ma ciò non spiega i blackout di Nell. Tutte e due le volte che ha perso i sensi con un breve o senza alcun preavviso, le visioni che aveva appena sperimentato erano in qualche modo insolite: l'intensità di quanto ha visto a casa di Patterson, e poi la stranezza di quest'ultima visione, in cui Ethan e Hailey stavano in un luogo completamente diverso.» «Dunque pensi che non sia tanto ciò che ha visto quanto come l'ha visto che potrebbe aver scatenato i blackout?» «Tutto quello che so è che Nell sta sperimentando cose che non ha mai sperimentato prima. Non è solo una faccenda di blackout che diventano più frequenti e più intensi, ma le visioni stesse stanno cambiando. Però anche questo non ha molto senso. A volte sembra che le sue capacità stiano
diventando sempre più potenti, e altre volte sembrano quasi indebolite... smorzate.» «Come se fosse all'opera qualche influenza esterna? Qualcuno o qualcosa che la ostacola almeno parte del tempo?» «Questo è possibile? Ho letto parecchi studi sul paranormale, ma in merito la ricerca è molto vaga...» «La ricerca ufficiale, sì. Fortunatamente noi abbiamo le nostre fonti. Sì, è decisamente possibile che un sensitivo venga bloccato o influenzato da un altro. E noi abbiamo motivo di credere che l'assassino, si tratti di Hailey o di qualcun altro, sia un sensitivo piuttosto potente.» Max lo fissò per un lungo istante, poi disse: «Allora forse è questo. Senti, e se tutti noi, perfino Nell, stessimo guardando a questa storia nel modo sbagliato? Se stessimo vedendo soltanto quello che qualcuno vuole che vediamo? E se Nell fosse così sicura che il colpevole sia Hailey perché è ciò che il vero assassino vuole che lei creda?» Galen disse lentamente: «Il profilo originale diceva che probabilmente l'assassino era un poliziotto. Unisci conoscenza e perizia investigativa con l'abilità di un sensitivo e...» «E ottieni un assassino capace di ingannarti» concluse Max con aria cupa. 18 «Nell.» Voleva ignorare il richiamo. Il dolore non era così forte qui, dov'era buio e tranquillo, e non era preoccupata di nulla. Non doveva pensare a degli assassini, né alla propria stirpe malvagia, e neppure al fatto che questa volta sarebbe stato difficile lasciare Max. Niente la angustiava. Tutto andava bene. «Devi svegliarti, Nell.» Una fitta le squarciò il cervello come un coltello rovente, e Nell sussultò, cercò di ritrarsi ulteriormente nell'oscurità. Se solo quel sussurro se ne fosse andato e l'avesse lasciata in pace... «Non è rimasto molto tempo.» Si sentiva tirata, trascinata fuori dalla pacifica oscurità verso la fredda incertezza della coscienza, e resistette più che poté. «Hai bisogno...» Nell aprì gli occhi e si drizzò a sedere in un unico movimento. La testa
le pulsò subito, ma almeno era un dolore sordo, un indolenzimento più che una sofferenza. Ora che ci pensava, si sentiva indolenzito l'intero corpo. La questione era: perché? Massaggiandosi cautamente le tempie, Nell mormorò: «Che diavolo è successo?» Era nella sua stanza con la lampada accesa, sul suo letto. Coperta da una trapunta, ancora vestita eccetto per le scarpe. Quando riuscì a mettere a fuoco l'orologio, le indicò soltanto che era stata priva di sensi per almeno un'ora, forse di più. Probabilmente di più. Gesù, cosa l'aveva fatta svenire stavolta? Era giù a parlare con Max, giusto? Seduti a bere il caffè. O stavano in piedi? Lui aveva insistito che parlassero di loro, del loro rapporto, la testa le stava facendo davvero male e... e cosa? Un altro di quei misteriosi blackout improvvisi, evidentemente. Forse era soltanto più stanca di quanto si fosse resa conto, oppure il suo cervello era sovraffaticato dal ricorso troppo frequente alle sue capacità. L'ultima possibilità era alquanto terrorizzante, ma Nell l'accantonò. Non poteva farci nulla adesso. Nulla. «Nulla?» Il sussurro era così leggero che fu quasi certa di non averlo udito davvero. Quasi certa. Tuttavia, prestò ascolto intensamente per diversi istanti, e adesso tutto ciò che udiva era un debole mormorio di voci, di sotto, voci maschili. Non disponeva di molta energia per intensificare il suo udito, ma quel poco che poté utilizzare le consentì di essere piuttosto sicura che Max stesse parlando con qualcuno. Galen. «Oh, fantastico.» Gli ultimi due uomini al mondo che avrebbe voluto veder discutere della situazione, e di lei, naturalmente. Nell scostò la trapunta e scivolò cauta fuori dal letto. Una doccia, ecco di cosa aveva bisogno. Una lunga, calda doccia per alleviare l'indolenzimento e rinfrescarsi le idee. Poi, magari, avrebbe potuto tentare di capire cosa c'era in lei che non andava. Ma, d'altro canto, forse lo sapeva già. «È sveglia» disse Max. Galen annuì, poi prestò ascolto per un istante. «È sotto la doccia. Tu la conosci meglio di me, ma direi che non sarà troppo contenta di trovarci
quaggiù a parlare.» «Sarà infuriata» convenne Max. «In ogni caso siamo entrambi d'accordo che sia tempo di mettere sul tavolo alcune delle nostre carte. Specie se c'è anche solo una possibilità che Nell sia influenzata da qualcun altro.» «Questa è la parte che detesterà.» «Sì, lo so.» Max scosse la testa. «La questione è chi sta esercitando tale influenza? Nonostante il profilo... è probabile che possa essere Hailey piuttosto che un estraneo?» «Stando all'apparenza, sì. Il genere d'influenza e di controllo di cui stiamo parlando è raro perfino tra i sensitivi. Talvolta è possibile tra coniugi o fratelli di sangue.» «Ma?» «Ma a parte il fatto che Nell è sicura che Hailey non sia mai stata sensitiva, nel corso degli anni abbiamo incontrato non pochi assassini con doti sensitive apparentemente intensificate dalla malvagità della loro mente perversa. Erano capaci di cose incredibili, comprese forme di controllo mentale.» «È sensato. E suppongo che l'assassino abbia cominciato a influenzare Nell perché è diventato sospettoso. Ma che cosa l'avrebbe tradita?» «Non c'è alcun modo di esserne sicuri.» Galen esitò, poi aggiunse: «Ma fin quasi dal primo giorno abbiamo saputo che l'assassino stava osservando Nell, o che l'aveva fatto almeno una volta.» Spiegò della fotografia scattata da Shelby e del consenso unanime riguardo al suo probabile significato. «Gesù.» Incredulo, Max disse: «Mi stai dicendo che questo maniaco sta entrando e uscendo a suo piacimento dalla mente di Nell...» «No, non nel senso di una comunicazione diretta. Se ciò fosse accaduto Nell l'avrebbe saputo. Ma di sicuro la sta osservando, almeno di tanto in tanto. Quanto al modo in cui lui riesca a bloccarla, forse perfino a influenzarla, la mia idea è che abbia stabilito il contatto quando lei era priva di sensi o addormentata, mentre tutte le sue difese erano abbassate, e poi abbia attivato una sorta di suggestione postipnotica nel profondo della sua mente così da scatenare i mal di testa, forse perfino i blackout, ogni volta che lei si fosse avvicinata a quello che lui sta cercando di proteggere.» «Non avevo idea che questo fosse possibile.» «Come ho detto, ci siamo imbattuti in alcuni sensitivi seriamente disturbati. Se abbiamo imparato qualcosa, è che quando si tratta della volontà della mente umana, niente è impossibile.» «Come diavolo dovrebbe proteggersi Nell?»
«Non può farlo» rispose Galen in tono pragmatico. «Oh, potrebbe innalzare uno scudo intorno alla sua mente, ma lei non ha doti telepatiche, e dunque non ha mai dovuto imparare a farlo al fine di proteggersi. Probabilmente lo scudo non sarebbe abbastanza solido da difenderla da un'influenza tanto potente, visto che in questo momento le risorse di Nell non sono esattamente al massimo. Bloccare un collegamento telepatico è una cosa, proteggersi da uno psicopatico deciso a tutto è ben diverso.» «Hai detto che c'era un altro agente qui, con poteri telepatici...» «Sì, ma aiutare Nell a puntellare le sue difese mentali non è una cosa che qualunque sensitivo con poteri telepatici possa fare. I medium sono stranamente isolati, incapaci di comunicare tra loro per aiutarsi a vicenda o incrementare la propria forza. C'è soltanto un'eccezione che io conosca.» «Quale?» «I coniugi. Sembra necessaria una sorta di fiducia molto speciale, e un'intimità straordinaria, per consentire a due sensitivi di condividere le loro doti.» Dopo un istante, Max disse: «E se uno dei... coniugi non è sensitivo? Che genere di legame può esserci allora?» «Dovresti saperlo meglio di me.» Galen attese che Max incrociasse il suo sguardo, poi aggiunse: «Ma da quello che mi hanno detto, il legame tra due amanti, di cui soltanto uno è sensitivo, è diverso da coppia a coppia. Dipende dalle doti del sensitivo. E dalla forza del rapporto fisico ed emotivo tra gli amanti. A volte c'è un effettivo collegamento telepatico o empatico, altre no.» «Non è una questione che sia stata studiata a fondo, suppongo.» «Nemmeno da noi. Come ho detto, è difficile mantenere dei segreti in un gruppo di sensitivi, ma certe faccende restano ugualmente private.» «Sì.» Max accantonò l'argomento, almeno per il momento. «Senti, prima che Nell scenda giù, c'è un'altra cosa.» Si voltò verso la mensola del camino per prendere una fotografia incorniciata, e la passò a Galen. Studiandola, Galen notò che si trattava di una vecchia foto di famiglia che sembrava opera di un professionista. Era stata fatta davanti alla casa, con Adam Gallagher, la sua giovane moglie e sua madre in piedi sui gradini, e altre due donne accanto alla porta d'ingresso. Grace Gallagher pareva infelice, e incinta di diversi mesi, e le due donne sullo sfondo, dai grembiuli e dalla posizione nella fotografia, sembravano le domestiche di famiglia. «Che cosa dovrei vedere?» chiese Galen.
«Appena prima di svenire, Nell stava osservando soprappensiero questa foto.» Max scrollò le spalle. «Noi stavamo... diciamo solo che la discussione era un po' tesa.» «Va bene. E allora?» «E allora, tutto a un tratto, lei si è accigliata guardando la fotografia, stava per chiedere qualcosa... ed è svenuta. Ho controllato il retro della foto, e dalla data direi che è stata scattata pochi mesi prima che nascesse Hailey.» «Nell avrà riconosciuto i suoi genitori, naturalmente. Sua nonna. Dunque dev'essere stata una di queste donne a catturare la sua attenzione.» «È quello che ho pensato. A quanto ricordo, un tempo Adam Gallagher se la cavava abbastanza bene con i suoi investimenti tanto da permettersi delle domestiche. Non vivevano in casa, ma di sicuro venivano quotidianamente.» Galen annuì. «Nell non lo sapeva? Voglio dire, anche se la foto era stata scattata prima che nascesse, non avrebbe semplicemente dedotto che le due donne erano delle domestiche? Dalla posa e dal loro abbigliamento pare piuttosto ovvio. Strano che compaiano in un ritratto di famiglia, ma...» «Non così strano conoscendo Adam Gallagher. A lui piaceva vedersi come il benevolo patriarca e signore di tutto ciò che contemplava: mostrare il personale di servizio in una fotografia di famiglia accresceva soltanto l'immagine che aveva di sé.» Galen sollevò un sopracciglio, e disse: «Dunque Nell avrebbe certamente dedotto che queste donne erano delle domestiche. Allora perché il suo interesse per una di loro o per entrambe?» «Ciò che mi ha preoccupato è che non è riuscita nemmeno a terminare la frase. Appena notata la foto, ha perso i sensi.» «Forse perché era arrivata troppo vicino a quello che l'assassino sta cercando di proteggere. Oppure potrebbe essere una pura coincidenza.» «Una pura coincidenza» ripeté Max. «Il solo modo che riesco a immaginare per verificare questa teoria è far rivedere la foto a Nell.» «E magari farla svenire di nuovo per un paio d'ore.» «Già. Non è un rischio che voglio correre. Così stavo pensando che tu potresti far esaminare la foto. Potresti sfruttare le fonti dell'FBI per dare un nome a quei volti. Probabilmente non è nulla. Ma forse c'è un motivo per cui Nell non dovrebbe fare domande su una di quelle donne o su tutte e due.» Galen annuì e girò la cornice in modo da aprire il retro e tirar fuori la foto. «Posso usare il computer portatile di Nell, scannerizzarla e spedirla via
modem a Quantico. Ma a meno che una di queste donne non abbia dei precedenti penali o risulti scomparsa o uccisa, sarà improbabile rintracciarle negli archivi dell'FBI. Questa è una fotografia professionale, probabilmente fatta da un fotografo locale. Non sono informazioni contenute nei computer della polizia federale. Conosci qualcuno in paese che potrebbe verificarlo in modo riservato?» Max esitò, poi disse: «Forse.» Galen sorrise debolmente. «Potresti sempre incaricare Justin Byers. Dopo tutto... lui è il tuo uomo a Silence, Non è così?» «Ma perché non me l'hai detto prima.» «Perché non potevo.» Shelby aggrottò le sopracciglia. «Nell mi ha raccomandato di non dire nulla se non ci fosse stato un altro omicidio.» La sua espressione si fece più preoccupata. «Ora che ci penso, lei ha detto finché, non se. Credo che se lo aspettasse. Povero Nate.» «Se lei è un'agente dell'FBI, certo che se lo aspettava. Se hanno elaborato un profilo, come mi hai detto, sapevano maledettamente bene che era probabile un altro omicidio.» Justin sembrava alquanto seccato. «Penso che ci fosse di più.» Shelby scosse la testa. «Non importa. Il punto è che Nell mi ha chiesto di... suggerirti questa linea d'indagine. I registri delle nascite. Non poteva farlo di persona, se voleva restare sotto copertura, e sapeva di potersi fidare di te.» Justin la guardò piuttosto serio. «E come lo sapeva?» «Lo sapeva e basta. Sembrava del tutto certa. Ehi, Nell è una sensitiva. Non poteva sbagliarsi. Ti andrebbe una tazza di caffè?» «No, grazie. Passavo solo per chiederti se sapevi niente di utile su Nate McCurry. E per dirti che lo sceriffo Cole vuole esaminare i registri delle nascite di persona.» «Non so molto di Nate, almeno non qualcosa che possa aiutare a risolvere questo omicidio. Quanto a Ethan, non sembri troppo sorpreso dal suo interesse per quelle registrazioni.» Sorrise improvvisamente. «Ti è giunta voce che puoi fidarti di lui, giusto?» Justin contò in silenzio fino a dieci, ma anche così il suo tono fu piuttosto teso quando disse: «E tu da quanto tempo lo sapevi?» «Mmm... da un po'.» «Un'altra cosa che non dovevi dirmi?» Shelby fece una lieve smorfia di scusa, «Mi dispiace, Justin, ma ho promesso a Nell che avrei fatto esattamente quello che mi diceva. Era come se
lei... sapesse che tutto doveva succedere in un certo ordine. O forse non si trattava di una premonizione e stava seguendo la prassi investigativa dell'FBI. In entrambi i casi, io ho promesso che avrei seguito le sue istruzioni alla lettera.» «Oh-oh. Allora quanto tempo ti ci è voluto per trovare quelle fotografie che apparentemente implicavano Cole?» «Non così tanto» ribatté Shelby vivacemente. «Lui parla più o meno con tutti, lo sai, e ho delle sue foto che risalgono molto indietro, così non è stato difficile. Certo, ho dovuto truccare un tantino le date per far sembrare che aveva parlato con gli uomini assassinati appena prima che fossero uccisi, ma...» «Gesù, Shelby.» «Be', tu non mi avresti permesso di seguirti se non ti avessi fornito un buon motivo per diffidare di Ethan ancor più di quanto già facevi. E il profilo indicava che l'assassino poteva essere un poliziotto, così Nell non voleva correre il rischio che tu potessi confidarti con il collega sbagliato. Molto meglio che tu parlassi con me, visto che io non dovevo soltanto scoprire cosa sapevi e sospettavi ma anche spingerti verso i registri delle nascite.» «Gesù» ripeté lui. Lei lo guardò dritto negli occhi, sorridendo solo un po'. «Ero l'unica a mentire?» «Potrei accusarti di aver ostacolato il corso della giustizia, te ne rendi conto?» ringhiò lui, non volendo arrendersi tanto presto. «Immagino che potresti farlo. E tu di cosa potresti essere accusato? Voglio dire, cosa rischia un investigatore privato quando sotto copertura entra in un corpo di polizia locale? Forse non sarà illegale, ma i tuoi colleghi non saranno infuriati?» Justin, seduto sul divano di Shelby, mise i gomiti sulle ginocchia e si sfregò lentamente il viso con le mani. «Cristo» borbottò. «I segreti davvero non restano tali a lungo qui.» «Già. Chiunque abbia dato il nome a questo paese aveva un fantastico senso dell'ironia.» «Mi stai dicendo che Nell ha sempre saputo che io stavo lavorando per Max?» «Evidentemente sì. Suppongo che lei non gli abbia detto che lo sapeva, eh? Forse perché lui stesso non era stato sincero in proposito.» Justin fece un lungo respiro mentre si raddrizzava di nuovo sul divano.
«Oh, che trama intricata. Immaginavo che qualcuno ci sarebbe inciampato.» «Stai mischiando le metafore, credo. Senti, se può farti star meglio Nell è davvero in gamba, Justin. Ed è sempre stata riservata anche prima di ottenere quel distintivo federale. Inoltre, all'FBI erano piuttosto sicuri che l'assassino fosse un poliziotto, così tutti dovevano restare sotto copertura e all'erta, dunque...» «Tutti?» «Sì, be', penso che ce ne siano altri. Non lo so per certo, perché Nell non ha voluto dirlo, ma non credo che lei sia quaggiù da sola.» «Lo sceriffo Cole questo lo sa?» «Adesso sì, presumo. Nell aveva in programma di dirglielo oggi. Mi ha lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica, e l'ho ascoltato quando mi hai riportato qui dopo pranzo.» «Quindi gliel'ha detto prima che ricevessimo la chiamata riguardo a Nate McCurry?» «Sì, penso di sì. Perché?» «Un altro abile bugiardo» disse Justin con un sospiro. «Lui ha ammesso di aver parlato con Nell ma ha dichiarato che era soltanto per ottenere il suo parere di sensitiva sull'indagine.» «Probabilmente è vero, almeno prima che Nell gli dicesse chi è in realtà.» Justin si accigliò. «Se le cose stanno così, allora deve avergli detto che il profilo dell'FBI indicava che l'assassino era un poliziotto.» «Il piano era questo» «Lui non si è comportato come se sospettasse di me. Perché è un bravo attore, o perché Nell gli ha detto di me?» «Non direi che lui sia un bravo attore, ma è sempre stato capace di tenere per sé i suoi pensieri. Vuoi che chiami Nell e glielo chieda?» «No. Non subito, comunque. Ho parlato con Max circa un'ora fa, e ha detto che Nell stava dormendo.» «Dormendo? A quest'ora?» «Un blackout.» «Nell ha dei blackout? Perché?» Con vaga ironia, Justin disse: «Vuoi dire che c'è qualcosa che non sai?» «Spiegami soltanto dei blackout, per favore.» Lui lo fece, in modo stringato, poi aggiunse: «Ovviamente è stata sottoposta a una grande tensione. Tornare a casa dopo tanti anni e stare qui sot-
to copertura. E usare le sue capacità le costa molta energia anche normalmente. Max è preoccupato per lei.» «Lo sono anch'io» ammise Shelby. «Quando ero a casa sua, ieri mattina, aveva un'aria terribilmente stanca. E preoccupata. E visto che l'assassino sospetta di lei...» «Aspetta un attimo» Justin la fissò. «So che anche Max era in ansia per questo, ma a te sembra più una certezza che una possibilità. Perché l'assassino dovrebbe sospettare di Nell? Non intendo vantarmi, ma se io non ho pensato che lei fosse un poliziotto federale, dubito che chiunque altro l'abbia fatto.» Shelby spiegò della fotografia che aveva scattato e del suo probabile significato. «Merda. Vuoi dire che l'assassino, probabilmente un poliziotto, è anche un sensitivo?» «Pare l'opinione prevalente. Sì.» «Il caso si fa ancora più complicato.» «E ancora più sinistro» sospirò Shelby. «Quella fotografia ha scosso Nell, e non la biasimo. Dev'essere terribile sapere che un tremendo assassino ti stia osservando aleggiando nell'aria, invisibile. Come può sapere quando lui la controlla?» Justin si appoggiò allo schienale preoccupato. «Lui? Dopo ciò che è stato fatto a Nate McCurry, ero quasi convinto che stessimo cercando una donna.» «Un donna poliziotto? Ce ne sono solo cinque o sei a Silence, non è così?» «Più o meno.» «Nessuna possibile sospetta?» Justin pensò fugacemente a Kelly Rankin e al suo assennato avvertimento di guardarsi le spalle. Solo una brava poliziotta che avvertiva un collega, o qualcosa di più? «Non le conosco abbastanza bene da fare supposizioni. Ma quest'ultimo omicidio... far quello a McCurry...» «Un gesto sprezzante?» «O furioso,» «Oppure» suggerì Shelby «inteso ad apparire tale. Sai, se fossi un assassino che cerca di confondere la polizia, potrei tentare qualcosa di simile.» «Per depistarci?» «Be', pensaci. Nei primi tre omicidi, tutto va esattamente come progetta lui. Gli uomini muoiono, i loro sporchi segreti cominciano a trapelare, e
voi poliziotti vi concentrate su quell'aspetto dei delitti. Proprio come lui vuole. Poi George Caldwell apparentemente ficca il naso dove non deve e diventa una vittima, e poiché l'assassino non può farlo rientrare altrettanto bene nel piano, all'improvviso quell'omicidio spicca tra gli altri. Voi lo esaminate in modo diverso, più attentamente. Adesso l'assassino ha un potenziale problema. Non state guardando ciò che lui vuole, così c'è una maggiore possibilità che scopriate ciò che lui desidera tenere nascosto. Perciò uccide ancora, prima di quanto ci si aspetti, e lascia un grosso, evidente indizio perché voi lo troviate.» Con un sorriso mesto, aggiunse «Dieci a cinque che scoprirete che quel foulard apparteneva a una donna particolare.» «E verremo di nuovo portati a spasso» disse Justin. Si fissarono a vicenda per un istante, poi Shelby disse: «Sai, penso che forse dovresti chiamare Max, e io dovrei chiamare Nell. Credo che sia ora per noi di mettere insieme tutte le nostre informazioni.» «È più che ora» disse Justin, e allungò la mano a prendere il telefono cellulare. Ethan era al telefono con il sindaco quando Justin passò dal suo ufficio poco dopo le sei per lasciare le copie dei registri delle nascite, così si limitò a coprire il ricevitore con la mano e a dire brevemente: «Grazie. Questo non dovrebbe essere il tuo fine settimana di riposo? Vai a casa e fatti un bel sonno. Hai un aspetto terribile.» «Quel foulard che abbiamo trovato da McCurry...» «Stiamo cercando di rintracciarne la provenienza, ma il sabato non è il giorno migliore per riuscirci velocemente. Se facciamo qualche progresso, ti chiamerò. Vai a casa.» Justin esitò, poi annuì e lasciò l'ufficio. Ethan staccò la mano dal ricevitore. «Casey, non sono incavolato perché tu li hai fatti intervenire. Be', non molto. Ma come hai potuto anche soltanto immaginare che potessi essere io...» «Semplicemente non potevo correre il rischio, Ethan, lo sai. Dovevamo condurre un'indagine completamente imparziale con gente non collegata al tuo ufficio, velocemente e in segreto. Non volevo tirare in ballo la polizia dello Stato, così l'FBI era la risposta migliore. Incontrare Nell è stato provvidenziale.» «Mi domando se lei sarebbe d'accordo» mormorò Ethan. Il sindaco Lattimore sospirò. «So che è stata dura per lei, tornare qui. Ma
forse alla fine si sentirà in qualche modo liberata.» «Sì. Forse. Senti, Casey, ho un nuovo omicidio da risolvere e una scrivania stracolma di lavoro. Parlerò con te domani.» «D'accordo. E io farò del mio meglio per impedire al consiglio comunale di prendere decisioni avventate.» «Come licenziarmi? Lo apprezzo molto.» «Sono spaventati, Ethan.» «Sì, lo so. Parleremo domani, Casey. Ciao.» «Buona notte, Ethan.» Lui riagganciò il telefono e per parecchi minuti restò a fissare pensosamente nel vuoto. Nate McCurry. Cristo. Nessuno lo sapeva ancora, o almeno così credeva lui, ma Nate era un altro degli ex amanti di Hailey. Neanche Ethan l'avrebbe saputo, senonché Nate aveva visto uscire lui e Hailey da un motel sull'autostrada e in seguito l'aveva avvertito: quella donna significava "guai". Ethan non l'aveva presa troppo bene. Tuttavia, aveva detto a Nate di badare agli affari suoi e di tenere la bocca chiusa su quelli degli altri, e da allora non aveva più pensato a lui. Fino a quel momento. Non aveva ancora visto le foto della scena del delitto, ma Justin gli aveva riferito ciò che lui e il fotografo avevano scoperto... per così dire. Quel foulard aveva lo scopo evidente di deridere e umiliare la vittima. Sembrava opera di una donna. Opera di Hailey. Ethan non aveva avuto intenzione d'innamorarsi di lei. Non voleva farlo. Quando iniziò tra loro, aveva creduto quello che chiaramente credeva lei, che si trattasse soltanto di sesso, un modo per spassarsela tra due persone che si conoscevano da una vita e stavano a proprio agio insieme. Il suo matrimonio a quel tempo si era sfasciato, e Hailey gli era parsa proprio ciò di cui aveva bisogno: un'amante, punto e basta. Per giunta, così esperta e disinibita da lasciargli per sempre ricordi davvero eccitanti. Poi, in qualche modo, con il passare delle settimane, si era reso conto di essere infastidito dalla sua insistenza sulla segretezza. Infastidito dalle pallide cicatrici sul suo corpo altrimenti stupendo. Dal suo rifiuto di parlare della loro vita fuori da quel letto condiviso per alcune ore alla settimana. Dallo sguardo nei suoi occhi ogni volta che aveva provato, goffamente, a chiederle qualcosa di più del sesso. Quello che lo turbava, adesso, era la certezza che fosse stata Hailey a far
precipitare quell'ultimo litigio. Lui l'aveva incalzata, cercando di avvicinarsi, e benché a letto tutto andasse splendidamente lei aveva scelto di lasciarlo piuttosto che consentirgli di approfondire il loro rapporto. Non era nel suo stile terminare una relazione tranquillamente: lei preferiva la rottura drammatica, aveva bisogno di controllare quel momento, come controllava ogni altra cosa nella sua vita. Bisogno di far finta che non le importasse. Ethan si domandò se non si stesse ingannando: a lei era importato davvero di lui? Ma allora, arrabbiato e confuso, gli era parso meglio non protestare quando lei aveva detto che era finita. Tempo, aveva pensato, avevano solo bisogno di tempo. Lei aveva bisogno di tempo. Tempo per se stessa, senza che lui la incalzasse, le facesse pressione. Così aveva aspettato qualche settimana. La scena che Nell aveva "visto" aveva realmente avuto luogo al principio di febbraio; Ethan non aveva provato ad avvicinare di nuovo Hailey fin quasi alla fine di marzo. L'aveva trovata gelida e sfuggente e si era detto che doveva essere paziente. Ma solo poche settimane dopo, senza che tra loro fosse cambiato nulla, Hailey aveva sconvolto il paese scappando con Glen Sabella, un uomo sposato padre di due figli. Per quanto ne sapeva, da allora nessuno a Silence l'aveva più vista. Eccetto, forse, cinque uomini assassinati. «Sei tu, Hailey?» mormorò. «Sei tu a far questo? E se è così... perché non sei venuta a darmi la caccia?» 19 Nell versò quella che doveva essere la sua terza tazza di caffè dal bricco sul tavolo, poi si rilassò pensando distrattamente che la sala da pranzo di quella vecchia casa di sicuro non aveva mai ospitato prima una riunione simile. Due agenti dell'FBI, un poliziotto diventato investigatore privato e poi di nuovo poliziotto, un allevatore con una laurea in scienze politiche, e una fotografa che aveva più l'aspetto di una modella. Nessuno di loro era esattamente quello che sembrava. Parevano tutti guardinghi, eccetto Shelby, naturalmente. «Qualcun altro vuole l'ultimo pezzo di pollo al sesamo?» Shelby attese che gli altri scuotessero la testa, poi, felice, tirò verso di sé il contenitore di
cartone. «Vorrei che avessimo portato anche un po' di quei pasticcini» disse a Justin. «Dove la metti tutta quella roba?» chiese lui, lievemente affascinato. «Io brucio, non accumulo. Calorie, intendo.» Fece ondeggiare le bacchette in direzione di Nell. «Ehi, prima intendevo chiederti come sapevi che Justin era a posto. Doti sensitive?» Nell accennò un sorriso. «Abbiamo verificato i precedenti di tutti nel dipartimento dello sceriffo, naturalmente. All'inizio Justin spiccava perché non era qui da molto tempo, si era trasferito da Atlanta, e non aveva alcuna famiglia. Inoltre, passare da poliziotto a investigatore privato e poi di nuovo a poliziotto sembrava decisamente... interessante.» «Credevo di aver nascosto quell'informazione» mormorò Justin. «Ci sei quasi riuscito» lo rassicurò Nell. «Noi però scaviamo più a fondo di un normale datore di lavoro, e a differenza di Ethan Cole abbiamo trovato la licenza di investigatore privato.» «Ma come sapevate che lui stava operando per conto di Max?» chiese Shelby. «Quando abbiamo controllato più attentamente, abbiamo scoperto che erano stati compagni di stanza al college. Inoltre Max gli aveva telefonato diverse volte poco prima che lui si trasferisse a Silence, eppure loro due non erano mai stati visti insieme in pubblico da quando Justin viveva qui. Dunque era sensato.» «Per noi, a ogni modo» mormorò Galen, sorseggiando il caffè. «Penso che tutto ciò sia affascinante» osservò Shelby. «Voglio dire, so che è un'indagine per omicidio e che degli uomini sono morti, ma scoprire ciò che accadeva dietro le quinte è decisamente affascinante.» «Ma è utile?» Nell allungò la mano e tamburellò con le dita sulla cartella di documenti posata sul tavolo. «Tu e Justin non avete scoperto proprio nulla di sospetto nei registri delle nascite?» «Niente che a noi sembrasse tale. Forse Ethan troverà qualcosa.» Justin disse: «Non gli ho detto che ne ho fatto delle copie o che ne avrei portate alcune qui, stasera. In realtà, non gli ho neanche detto che sarei venuto. Lui pensa che sia a casa.» Dato che sembrava provare un lieve senso di colpa, Nell disse: «Per Ethan è più importante esaminare i registri delle nascite che stare qui. Finora, non abbiamo niente di nuovo da dirgli, almeno non nel senso di una prova concreta o di una nuova pista. Inoltre, cercare di scoprire cosa c'entrino i registri delle nascite lo distrarrà. Ne ha già avuto più che abbastanza
delle capacità sensitive, almeno per ora.» Max si agitò leggermente e disse a Nell: «So che qualche giorno fa sei stata al tribunale. È stato allora che hai trovato un motivo per credere che i registri delle nascite potevano essere importanti?» Lei annuì. «Dover sistemare la tenuta di famiglia mi dava una buona ragione per andarci almeno una volta, ma non stavo davvero cercando indizi circa gli omicidi. Poi, mentre ero lì, ho percepito una fugace immagine di George Caldwell, e ho saputo che esaminando dei vecchi registri delle nascite del comune aveva scoperto qualcosa di inaspettato. Non potevo dire cosa fosse, ma mi sentivo sicura che era stato ucciso a causa di quello.» Justin la stava fissando. «E credi ancora che Hailey possa essere l'assassina?» Nell rispose con attenzione, proprio come faceva sempre quando si trovava di fronte a quella domanda. «Hailey pare il comune denominatore dei primi tre omicidi. Finora, non è emerso alcun legame con George Caldwell, ma penso che lui sia stato ucciso per un motivo diverso.» «E Nate McCurry?» «Troppo presto per sapere qualcosa di certo. Ma a giudicare da ciò che hai detto su quel foulard, è possibile che sia stato ucciso da una donna.» «E l'idea di Shelby, ossia che potrebbe essere una mossa per fuorviarci?» «Anche questo è possibile.» Nell sospirò. «Poco fa ho ricevuto un messaggio di posta elettronica da Quantico: non hanno avuto alcuna fortuna nel rintracciare né lei né Glen Sabella, dunque potrebbero essere qui vicino.» «Ma quanto è probabile?» obiettò Max. «Tutti questi mesi e nessuno che l'abbia vista? Inoltre, sembra che questo assassino sia un potente sensitivo, e tu sei certa che Hailey non lo è mai stata.» «Credi sia una coincidenza che le prime tre vittime fossero tutte suoi ex amanti?» «Penso che il termine "amante" sia esagerato. In ogni caso non lo ritengo una coincidenza. Semplicemente non credo che Hailey abbia ucciso quegli uomini.» «Allora sono stati uccisi a causa sua.» Appena quelle parole le uscirono di bocca, Nell si rese conto con uno strano brivido che era la verità. «A causa sua» ripeté lentamente. Max corrugò la fronte. «Sappiamo che Patterson faceva i suoi giochetti masochistici con Hailey nello scantinato quando lei era soltanto una bambina e, secondo Ethan, Lynch la vestiva come una ragazzina per i suoi sti-
moli sessuali. Che dire di Ferrier? Tu hai detto che erano legati, ma non che lui le facesse del male.» Nell scosse la testa lentamente. «Non penso che abbia fatto qualcosa che Hailey spiacesse.» «Puah» mormorò Shelby. Nell concordò con una smorfia. «Certo, la maggior parte delle donne non avrebbero gradito, ma Hailey... sembrava goderne, perfino estasiarsi, almeno a giudicare da ciò che ho visto. Ma questo non significa che lui non abbia abusato di lei in qualche modo.» Galen disse: «Forse, dal punto di vista di qualcun altro, l'ha fatto. Forse questi uomini, a parte Caldwell, sono stati uccisi come punizione per ciò che hanno fatto a Hailey.» «Perché le hanno fatto del male?» chiese Shelby. «Forse» disse Nell. «O perché l'hanno... corrotta. L'assassino, chiunque sia, potrebbe aver incolpato gli uomini piuttosto che Hailey per il suo stile di vita. Lui vede o in qualche modo scopre quelle relazioni segrete, sessualmente brutali, e crede che loro l'abbiano "profanata".» «Perché è innamorato di lei?» suggerì Galen. «Potrebbe essere. Odio e gelosia combinati possono creare un forte movente.» «Perché cominciare a ucciderli proprio allora?» chiese Max, poi si rispose da solo. «Già, lei se n'era andata. Era scappata con un altro uomo ed era stata diseredata dal padre, dunque era improbabile che tornasse, e l'assassino ha incolpato gli uomini che erano stati con lei di averla allontanata da lui.» «Fila» disse Justin. «E a rendere le cose più difficili per noi, l'assassino potrebbe non avere mai avuto alcun contatto diretto con Hailey: molti amanti scherniti sono tali soltanto nella loro immaginazione.» Affascinata, Shelby disse: «Dunque lui potrebbe aver costruito l'intera relazione con Hailey nella propria mente, averla messa su un piedistallo, fantasticato su di lei... e poi ha iniziato a scoprire degli altri uomini. E invece di toglierla dal piedistallo, l'ha vista come una vittima e ha incolpato gli amanti.» «Probabilmente era il solo modo per continuare ad amarla» disse Nell. «Illudersi è uno dei meccanismi di difesa più forti.» Shelby tamburellò con le dita sulla cartelletta dei registri delle nascite. «Allora questi cos'hanno a che fare con tutto ciò?» Nell cercò di rammentare il flash che aveva avuto al palazzo di giustizia,
ma era stata un'immagine fugace, un'intuizione più che una visione vera e propria. «Non lo so. Forse nulla, direttamente. Voglio dire, potrebbero non riguardare Hailey, ma soltanto un'informazione che l'assassino non voleva fosse scoperta. Magari qualcosa che lo collegava ai primi tre omicidi.» «Oh, fantastico» borbottò Justin. «Ampliamo ancora di più il campo delle possibilità. Come mai ogni volta che scopriamo un elemento nuovo ci ritroviamo con più problemi di prima?» «La legge di Murphy» suggerì Shelby. «La questione» disse Galen «è qual è il nostro prossimo passo.» Stava guardando Nell. Invece di rispondere direttamente, lei disse: «Justin, Ethan aveva in programma di controllare i registri delle nascite stasera, non è vero?» «Sì. Nelle ultime settimane ha quasi sempre lavorato ben oltre la mezzanotte e poi si metteva a dormire sul divano dell'ufficio per qualche ora. Mi aspetto che faccia lo stesso anche stasera, specie dopo un altro omicidio. E io e Shelby possiamo garantirvi che da solo ci metterà ore e ore per esaminare tutti quei documenti.» «Io non credo certo di poter rintracciare un indizio sfuggito a voi due» disse Nell. «Tu sei un bravo poliziotto, e Shelby conosce questo paese e la sua gente. Dunque, per quanto riguarda le registrazioni, dovremo soltanto stare a vedere se Ethan nota qualcosa.» Max disse: «È troppo tardi perché tu esamini l'appartamento di Caldwell o la casa di Nate McCurry stasera, anche se fossi in grado di farlo. E considerando la possibilità che l'assassino in qualche modo ti stia influenzando quando usi le tue capacità...» «Non sono ancora sicura che ciò sia possibile» obiettò Nell, come aveva fatto quando Galen e Max avevano sollevato l'argomento in precedenza. «Lo sai che è possibile» disse Galen. «Sì, tecnicamente un sensitivo abbastanza potente potrebbe influenzare la mente di un altro. Ma non credo possa accadere a mia insaputa. Senza che me ne accorga.» «Se lui è capace di raggiungerti mentre sei addormentata o priva di sensi» fece notare Max «come potresti saperlo? Nell, tu hai avuto dei blackout troppo spesso, e sempre immediatamente dopo una visione oppure in seguito a un eccessivo sforzo. Chi può dire che lui non abbia trovato un modo per provocarti un blackout ogni volta che arrivi troppo vicina alla sua identità?» «Anche se è vero, non posso smettere di cercarlo» disse Nell. «È il mio
lavoro, la ragione per cui sono qui.» «Sì, lo sappiamo. Ma non risolverai il caso se continui a perdere i sensi o peggio... Sto solo dicendo che potrebbe non essere una buona idea cercare di usare di nuovo le tue capacità, almeno non così presto.» «Sono quasi le dieci» disse Galen dopo aver controllato l'orologio «ed è stata una giornata molto lunga. Che ne dite se ricominciamo domattina?» Nell avvertiva un senso di disagio per lo scorrere del tempo, ma lo attribuì al fatto che finalmente gli avvenimenti cominciavano a chiarirsi. Tutto qui. «Mi sta bene» disse fermamente. Erano le otto passate quando Ethan riuscì finalmente a sedersi alla scrivania con le copie dei registri delle nascite comunali, e ormai era così stanco da temere che non avrebbe visto qualcosa d'importante nemmeno se gli fosse finito sotto il naso. Tuttavia, bevve un po' di caffè, sintonizzò la televisione dell'ufficio sulla CNN con il volume al minimo, e cominciò a esaminare i documenti. Sarà stato almeno un paio d'ore e parecchie tazze di caffè dopo, quando un particolare catturò la sua attenzione. Si concentrò. Aveva già trovato le registrazioni di nascita di diversi agenti e della maggior parte dei trentacinque-quarantenni che conosceva in paese senza notare nulla di strano, ma quella registrazione in qualche modo lo insospettiva. Perché? Luogo, data, nome del padre, nome della madre... Nome della madre. Ethan Cole conosceva davvero bene la storia e la gente di Silence. Era il suo mestiere. Sapeva chi stava divorziando o si sarebbe sposato, chi aspettava un bambino, chi poteva trovarsi in guai finanziari, chi aveva problemi col bere, e chi tradiva la moglie. Tuttavia ciò riguardava il presente. Non si era mai interessato particolarmente agli avvenimenti che risalivano alla sua infanzia e perfino più in là. Come la maggior parte dei bambini, aveva accettato le cose per quel che sembravano, così se un amico d'infanzia gli avesse raccontato che sua madre, la sua vera madre, era morta anni prima, lui non avrebbe fatto domande o dubitato. Forse avrebbe provato solo un impeto di simpatia per un altro orfano, e magari si sarebbe lamentato per il nuovo matrimonio di suo padre con la madre di Max Tanner, in seguito al quale si era ritrovato con una nuova madre e un fratellastro più piccolo, ai quali suo padre dedicava
tutto il tempo e l'attenzione dopo il lavoro all'allevamento. Un gesto di solidarietà verso un amico d'infanzia, non certo un ricordo indelebile nella vita di Ethan. Fino a quel momento. Raccolse una matita e fece un cerchio intorno al nome che aveva trovato. «Lei l'ha cresciuto» mormorò. «Qui risulta come madre, alla nascita. Allora perché lui mi disse che la sua vera madre era morta?» «Non hai detto una parola sul fatto che ho contattato Galen.» Nell non alzò lo sguardo dalle copie dei registri delle nascite che stava studiando. «Cosa c'era da dire? È stata una scelta giudiziosa, probabilmente quella giusta. Avevamo raggiunto il punto in cui indubbiamente era meglio incontrarsi e scambiarsi le impressioni.» Fece una pausa, poi aggiunse ironicamente: «Tuttavia ci hai impartito una preziosa lezione. La prossima volta che saremo sotto copertura ci accerteremo che i telefoni cellulari non consentano a chiunque di accedere al menu per richiamare i numeri composti in precedenza.» «Ho pensato che fosse una possibilità.» «Be', vivi e impara.» «Sempre che si riesca a vivere.» Nell non si era sorpresa che Max, senza commenti o spiegazioni, fosse rimasto indietro quando gli altri se n'erano andati. Lui aveva aiutato Shelby a sparecchiare i resti della cena cinese che lei e Justin avevano portato, dando a Nell l'opportunità di scambiare due chiacchiere in privato con Galen. Poi, mentre gli altri salutavano Nell, aveva fatto un nuovo bricco di caffè. Ciò indicava che Max si aspettava di restare lì per un po'. Non aveva fatto che osservarla per gran parte della serata, e lei ne era stata più che consapevole. Lui non aveva detto molto riguardo al blackout, oltre a chiederle se si sentiva meglio, e dato che Galen era presente e Justin e Shelby erano arrivati poco dopo, non avevano avuto l'opportunità di continuare la loro discussione. Nell non ne era affatto dispiaciuta. Lui e Galen le erano sembrati perfettamente a proprio agio, e non ne era stata sorpresa: quando voleva Galen sapeva rendersi gradevole, e non era il tipo da giocare a fare il duro con altri uomini. Perciò Max aveva senza dubbio trovato sia istruttivo sia facile parlare con lui. Nell non aveva ancora avuto il coraggio di chiedere di cosa i due avesse-
ro discusso mentre lei era priva di sensi al piano di sopra, ma le possibilità la preoccupavano. Tuttavia, Max era parso calmo. Sorprendentemente calmo, visto quanto i blackout sembravano turbarlo. Perfino la rivelazione che Nell sapeva dall'inizio che Justin Byers stava lavorando per lui non sembrava averlo infastidito troppo, anche se la partecipazione di Shelby sulle prime lo aveva allarmato. Ma adesso Nell non aveva bisogno di guardarlo per percepire la sua tensione crescente: poteva sentirla nella sua voce. «Tu ed Ethan siete andati abbastanza d'accordo oggi, tutto sommato» osservò, ignorando il suo commento. «Quando vi deciderete a far pace?» «Quando sarà pronto. Io sono stato più che disposto per anni. Ma d'altro canto, è lui quello che sentiva di aver subito un torto.» Nell alzò lo sguardo, fissando al di là del tavolo le sopracciglia di Max che si inarcavano. «Non è certo stata colpa tua e nemmeno una tua scelta se suo padre ha lasciato il ranch a te. Inoltre Ethan sarebbe stato un pessimo allevatore, lo sanno tutti. Perfino lui se ne rende conto.» «Ritengo che sia un fatto di principio. O una questione di equità. Il ranch è stato della famiglia Cole per tre generazioni.» «E lui l'avrebbe venduto se l'avesse ereditato. Comunque, il padre gli ha lasciato altri beni e possedimenti. Il patrimonio fu diviso equamente tra voi due.» «Io ero il figliastro, eppure ho ereditato ciò che suo padre amava di più. Questo gli rode. Non posso farci niente.» «Così sta a lui fare la pace.» Nell sospirò. «Tu faresti la pace con Hailey se fosse qui?» «Non lo so» rispose Nell onestamente. «Mi piacerebbe chiederle perché ha fatto certe scelte nella vita. Vorrei sapere se è stata con tutti quegli uomini perché pensava di punire in qualche modo nostro padre per non averla amata. Oppure se desiderava punire se stessa per essere indegna del suo amore.» «È questo che pensi?» «È sensato. Forse mi sbaglio, forse Patterson l'ha sedotta o adescata in quello scantinato quando era una bambina, avviandola su un sentiero che ha dovuto seguire per il resto della sua vita.» «Ma?» «Ma non penso che sia stato così semplice. In effetti, non sarei affatto sorpresa se fosse stata lei a sedurre Patterson piuttosto che il contrario.»
«Davvero? Così giovane?» Nell esitò, poi disse: «Quando era ancora più piccola lei... vide certe cose in casa nostra. Cose che le avrebbero dato un'idea molto distorta dei rapporti tra uomini e donne.» Max restò silenzioso per un istante, poi disse: «E che mi dici di te, Nell? Vivere in quella casa come ha influenzato il modo in cui consideri i rapporti?» «Io me ne andai.» «Quando avevi diciassette anni. Ma qualunque psicologo ti direbbe che la maggior parte dei nostri atteggiamenti e delle nostre idee è già formata prima di raggiungere l'età adulta. Allora quanto sono distorte le tue idee circa i rapporti tra uomini e donne?» Nell si rendeva conto che la stava provocando deliberatamente, ma sapeva anche che era una domanda onesta, e fece del suo meglio per rispondere onestamente. «Io vivevo nel mio piccolo mondo, Max, questo lo sai. Anche da ragazzina, sapevo che c'era qualcosa di sbagliato in mio padre, qualcosa d'innaturale nel modo in cui trattava tutte noi. Così mentre Hailey osservava avidamente cercando di essere ciò che lui voleva o ciò che lei pensava che volesse, io tentavo di allontanarmi.» «E io?» «Tu?» «Perché eri attratta da me? Perché sono stato in grado di avvicinarmi a te quando nessun altro poteva?» Nell abbassò lo sguardo sulle registrazioni sul tavolo davanti a sé. «Non lo so. Non ricordo nemmeno di averti conosciuto finché... finché tornasti a casa dal college quell'estate.» «Avevi sedici anni.» Lei annuì. «A quel tempo restavo fuori casa più che potevo. Durante l'estate ero spessissimo in giro a cavallo. Esploravo campi e sentieri, boschi. Scivolavo fuori dal letto presto ogni mattina, mettevo un po' di frutta e un panino in una sacchetto, poi sellavo il mio cavallo e correvo via. La maggior parte dei giorni non tornavo a casa fino al tramonto.» «Tuo padre non era seccato che stessi fuori tutto il giorno?» «Non gli piaceva. Ma ormai ne avevo fatto una tale abitudine che non c'era molto che potesse dire al riguardo. Quando ero più giovane, a volte, mentre stavo fuori a cavalcare, udivo qualcosa, e lui era lì, nella sua macchina o su un altro cavallo, a osservarmi.»
Max fece un lungo respiro. «Questo spiega perché eri sempre così tesa e nervosa anche a chilometri di distanza da casa.» «Quando avevo sedici anni ormai aveva smesso di seguirmi così spesso. Suppongo si fosse reso conto che ero sempre da sola e non facevo mai nulla che lui potesse disapprovare. Ma di tanto in tanto spuntava ancora fuori senza preavviso, per controllarmi. Così sapevo che poteva farlo. Sapevo che non avrei potuto abbassare la guardia a lungo.» «Gesù.» Max scosse la testa. «È un miracolo che ti sia lasciata coinvolgere da me?» «Lo è?» «Be', dal mio punto di vista. Forse tu lo consideri il solo, grande sbaglio che hai fatto in vita tua.» Nell indietreggiò leggermente. «Non l'ho mai detto.» «No. Sei soltanto scappata dalla mia vita senza guardarti indietro. E dopo...» Respirò lentamente, ma la sua voce rimase tesa. «Dopo che avevamo fatto l'amore per la prima volta, proprio quel giorno. Avevamo fatto l'amore, e mentre stavo ancora cercando di far fronte a quell'evento... tu eri scomparsa.» «Ti ho detto perché.» «Dodici anni dopo, mi hai detto perché. Allora... tutto ciò che sapevo era che te n'eri andata. Avevi solo diciassette anni e, per quanto ne sapevo, eri completamente sola al mondo. Quante notti mi sono svegliato con i sudori freddi, terrorizzato che tu fossi sperduta da qualche parte e senza nessuno che ti aiutasse, forse perfino incinta, costretta a fare chissà che per sopravvivere.» «Mi dispiace. Mi dispiace di non averti detto addio, di non averti fatto sapere che stavo bene. Mi dispiace di essere stata troppo codarda per tornare in tutti gli anni trascorsi da allora. Ma fintanto che mio padre era vivo, io...» «Non dovevi tornare per farmi sapere che stavi bene. Non dovevi nemmeno tirar su il telefono o imbucare una cartolina.» La voce di Max era lenta, risoluta. «Ti bastava lasciarmi entrare... Cosa ti sarebbe costato aprire quella porta solo per un minuto, Nell?» Lei spinse la sedia lontano dal tavolo e se ne andò senza una parola. Max la seguì, e non fu sorpreso nel ritrovarsi in soggiorno, la stanza meno accogliente della casa. C'erano solo un paio di lampade accese, così l'ambiente era avvolto da una penombra fredda e silenziosa. Come aveva già fatto quel giorno, Nell si fermò davanti al caminetto spento e non parve
notare l'assenza della fotografia di famiglia sulla mensola. «Fa abbastanza freddo per accendere il fuoco, non credi? No, non importa, è così tardi comunque...» «Non questa volta» disse Max cupo. Le afferrò le spalle e la fece voltare. «Ora arriveremo in fondo, anche se dovesse costare caro a entrambi.» «Max...» «Io voglio sapere, Nell. Voglio sapere perché hai scelto di lasciarmi pensare che potessi essere morta o che stessi vivendo di stenti da qualche parte piuttosto che aprirti a me.» «Tu sapevi che non ero morta.» Non cercò di sfuggire alla sua stretta, restò semplicemente lì a guardarlo con occhi indecifrabili. Lui sorrise amareggiato, «Sì. È tutto ciò che sapevo, Questa forse era la cosa peggiore, è la cosa peggiore, la costante sensazione di te. Nei momenti più tranquilli posso quasi sentirti respirare. Sempre lì con me. E tuttavia non è così. Un lampo del tuo stato d'animo, come argento vivo. Il sussurro di un pensiero. Il barlume di un sogno. Poi scivoli di nuovo lontano da me. Fredda, distante, appena fuori portata... una parte di me che non posso nemmeno toccare.» «Mi dispiace.» «Ritenevo che tu lo stessi facendo deliberatamente, per punirmi.» «Punirti per cosa?» «Per averti amato. Per esserti arrivato troppo vicino. Per aver fatto ciò che ti aveva indotto a scappare.» «Non ho mai avuto intenzione... mi dispiace.» Lui la scosse leggermente. «Smettila di dirlo, dannazione. Tu non sapevi che sarebbe accaduto, vero? Non sapevi che fare l'amore con me ti sarebbe costato una piccola parte di te stessa e avrebbe aperto una porta che non avresti mai potuto richiudere completamente, almeno non per sempre.» «No. Non sapevo che sarebbe successo.» «E se lo avessi saputo?» «Cosa vuoi che dica? Che se l'avessi saputo non lo avrei fatto? Anche se qualcuno me l'avesse detto, mi avesse avvertito, non avrei compreso ciò che poteva significare. E probabilmente... non me ne sarebbe importato neanche se l'avessi compreso. Non allora. Io ti amavo, Max. Volevo appartenerti. E non credo che mi avrebbe fermato.» Una mano di Max si sollevò e le sfiorò la guancia. «Allora perché vuoi lasciarmi fuori adesso?» «Sono passati dodici anni.»
«Non è questo. Voglio la verità, Nell. Cos'è che non vuoi dirmi?» «Max...» «Cos'è che non vuoi che veda?» «Sei silenzioso» notò Shelby mentre si avvicinavano al centro di Silence. Stava guidando lei, dato che quella era la sua macchina, e Justin non aveva avuto molto da dire. «Stavo solo pensando all'indagine.» Lei lanciò un'occhiata al suo viso ombroso. «Sicuro di non essere ancora arrabbiato con me?» Lui sospirò. «Non sono mai stato arrabbiato, Shelby. Ma questa è una situazione pericolosa, e Nell non aveva alcun diritto di coinvolgerti.» «Lei non l'ha fatto. Ha chiesto se ero interessata. E si è assicurata che sarei stata con un poliziotto, nel caso l'avessi scordato.» «Non puoi stare con me ventiquattr'ore al giorno finché questa faccenda sarà finita.» «Non posso?» Lui le lanciò un'occhiata ma non disse nulla. «Sei solo stanco» disse Shelby. «Senti, se sei preoccupato per la mia incolumità, perché stanotte non resti a casa mia? Ho una stanza degli ospiti davvero confortevole.» Dopo un lungo istante, Justin disse: «Non sono stanco fino a quel punto.» Shelby prese la svolta che portava a casa sua e disse tranquillamente: «Be', anche la mia stanza da letto è molto bella, se preferisci quella. Ma devo avvertirti che dormo con le finestre aperte perfino d'inverno.» Justin attese finché l'auto girò nel vialetto prima di dire: «Se è un modo per scusarti, non c'è davvero bisogno che tu arrivi a tanto.» Per nulla offesa, Shelby rise. «No, non lo farei. Ma se non ti piace che sia la donna a farsi avanti, devi soltanto dirlo.» «Sono lusingato.» «Lo sei davvero?» «E perplesso.» Shelby spense il motore, si voltò verso il passeggero, poi si protese oltre la leva del cambio per baciarlo. Un paio d'istanti dopo, si tirò indietro appena quel tanto da mormorare: «Ancora perplesso?» Le sue braccia si strinsero intorno a lei. «No.» «Bene. Andiamo dentro.»
20 «Che cos'è Nell? Cos'è che non vuoi che veda?» «Te l'ho già detto.» C'era tensione in ogni tratto del suo corpo mentre lo fissava. «Tu non mi hai creduto, ma è vero. C'è il male nella mia famiglia, una tenebra più profonda dell'abisso. Ed è anche in me.» «Tu non hai mai fatto nulla di male in vita tua.» «Non puoi esserne sicuro.» «Sì che posso.» Le mani si strinsero sulle sue spalle. «Io posso.» «Io ho terribili incubi, Max, orrendi sogni colmi di sangue e violenza. Ogni notte da quando sono tornata a casa, ma anche prima, perfino anni fa. Lo sai. Ne hai colte delle fugaci apparizioni, non è vero?» «Sono soltanto sogni, Nell. Tutti li abbiamo, persino quelli oscuri e violenti.» «No, non come questi. Io conosco la mostruosità, credimi. L'ho vista più volte di quanto voglia ricordare. I miei sogni provengono dritti dall'inferno.» «E allora? Nell, la tua vita è stata l'inferno. Sopravvivere alla tua famiglia, a ciò che succedeva in casa, poi scappare quando non eri che una ragazzina, doverti costruire una vita da sola. Vivere con doti che a stento comprendevi. E poi diventare un poliziotto che indaga sulla peggior specie di delitti, sui più malvagi e feroci assassini. Certo che hai degli incubi. Senza quello sfogo, probabilmente avresti subito un esaurimento nervoso molto tempo fa. O saresti diventata come Hailey, segnata da tuo padre al punto da non poter avere una normale relazione.» «Cosa ti fa pensare che le cose stiano così?» «Scopriamolo.» Attirandola a sé, la baciò. Una parte di Nell si aspettava che stavolta sarebbe stato diverso, ma si sbagliava. Proprio come in quel tiepido giorno di primavera di dodici anni prima, nell'istante in cui le labbra di Max toccarono le sue e le sue braccia si chiusero intorno a lei, tutto ciò che avvertì fu la schiacciante sensazione di essere esattamente dove avrebbe dovuto. Lei apparteneva a Max. Era sempre stata parte di lui. Saperlo, fu come riconoscere una verità elementare. Malgrado tutti gli anni e la distanza tra loro, una parte di lei aveva sempre saputo che non sarebbe mai stata completa senza Max, e rendersene conto adesso le diede un senso di certezza e di libertà mai provato prima.
«Io lo so» disse Max. Nell non poté replicare, perché lui la baciò di nuovo, e lei baciò lui. Era un'emozione che non aveva più provato dall'ultima volta che Max l'aveva abbracciata in quel modo. Fu sommersa da una marea di pensieri e sensazioni, e quasi gridò perché era un piacere così naturale, così semplice. «Lasciami entrare, Nell.» «No... vedresti...» «Io voglio vedere.» La baciò ancora e ancora. Baci profondi e inebrianti, tanto insistenti che dentro di lei ogni ostacolo cedeva. «Io devo vedere.» Se le fosse stato concesso un istante per pensarci, chissà se avrebbe opposto resistenza. Nell non lo seppe mai, perché Max non le concesse quel tempo. Si sentì sollevare da quelle braccia e portare dal freddo soggiorno su per le scale, sorpresa della facilità con cui lui poteva farlo e del piacere che le dava. Poi le sensazioni la travolsero spingendo da parte tutto il resto. Indumenti che cadevano a terra, scivolandole contro la pelle. Le mani di Max su di lei, calde e forti, incalzanti. La sensazione del suo corpo poderoso sotto le proprie dita. Il cuore che le martellava in petto e il respiro che diventava rapido e affannoso. Poi il letto sotto di lei, morbidissimo e per nulla simile a quella sottile coperta di lana che li aveva a stento protetti dal freddo terreno primaverile. Con un senso di vertigine comprese che erano passati dodici anni, e anche il suo corpo voleva che lo comprendesse. Adesso non era affatto una ragazzina timida e spaurita, e Max non era più quel gentile, premuroso ragazzo così attento a non farle male, e che non poteva certo immaginare quale prezzo avrebbero pagato per quei pochi minuti d'incredibile intimità. «Nell...» Lui era un po' più rude ora, più diretto, più insistente, la brama di lei così intensa da accarezzarle gli istinti più profondi, accendendo in lei una reazione involontaria quanto il battito del suo cuore. Si protese verso di lui ciecamente, bisognosa di sentirlo vicino quanto umanamente poteva esserlo. Le sue braccia lo stringevano, e non era abbastanza vicino. Il suo corpo lo abbracciava, e non era abbastanza vicino. Aveva bisogno che fosse più vicino. Più vicino. Max era rimasto scioccato, la prima volta che era successo. Niente nella
sua vita l'aveva preparato all'incredibile intimità del contatto che Nell aveva offerto. Anzi, preteso. Passione e bisogno avevano disseccato tutto fuorché l'istinto, e nell'unirsi fisicamente con l'uomo che amava, Nell si sentì indotta ad amare nel modo più profondo possibile. Stavolta lui era pronto per questo. Max trattenne il respiro proprio come lei, fissandola negli occhi mentre i sensi, i pensieri, le emozioni di Nell si mescolavano con i suoi. Un'unione profonda, elementare e assoluta. I loro cuori battevano precisamente con lo stesso ritmo, il loro respiro era in perfetta sincronia, i loro corpi si muovevano con un'unica volontà. Loro erano una cosa sola. Ethan accantonò la registrazione di nascita che lo sconcertava e riprese a esaminare il fascio di copie. Ma mentre l'orologio sulla parete scandiva il tempo e lui leggeva un foglio dopo l'altro, cominciò a sentirsi irrequieto, a disagio. A un certo punto si alzò e girovagò per l'edificio, non tanto per controllare i suoi uomini quanto per il bisogno di muoversi un po' e schiarirsi le idee. Quando finalmente tornò alla scrivania, la domanda nella sua mente era chiara ma non per questo meno assillante. Non poteva essere quello, vero? Una cosa così semplice? La mia vera madre è morta. Morì quando sono nato. L'inesplicabile bugia di un ragazzino? O qualcos'altro? Era quasi mezzanotte quando, con più di metà delle registrazioni di nascita ancora da leggere, Ethan si appoggiò allo schienale della sedia e prese il documento che lo turbava. A quell'ora tarda di sabato non aveva modo di verificarlo, a meno di non chiederlo semplicemente. Una buona o una cattiva idea? Doveva portare qualcuno con lui, o andare da solo? Aprì il cassetto della scrivania e tirò fuori il prospetto per vedere chi era di turno quel fine settimana, ma anche prima di studiarlo sapeva dal precedente giretto che gran parte degli agenti erano ancora di servizio oppure stavano nella sala comune a giocare a poker o a chiacchierare tranquillamente. Alcuni di quelli sposati magari erano andati a casa dalle famiglie, ma gli altri avrebbero continuato il loro lavoro proprio come facevano da settimane. In attesa. Ethan mise via il prospètto, ancora indeciso. Raccolse di nuovo la regi-
strazione, fissando il nome cerchiato della madre. Presunta madre. Era un bravo poliziotto e sapeva che la gente trovava le più strane, inesplicabili ragioni per uccidere, ma non riusciva a pensare ad alcun motivo per cui quel nome su un registro delle nascite poteva aver causato la morte di George Caldwell. La mia vera madre è morta. Significava qualcosa? Ethan rifletté se fosse il caso di chiamare la casa dei Gallagher, ma scartò l'idea non appena gli venne in mente. No. Malgrado le sue parole rassicuranti al sindaco, lui non era affatto contento che l'FBI fosse stata chiamata in causa alle sue spalle, e adesso, maledizione, non si sarebbe certo messo a correre dietro a Nell, toccandosi il cappello e dicendo sì, signora, e no, signora, mentre lei e i suoi invisibili compagni risolvevano il caso. Inoltre, lei sembrava fin troppo convinta che l'assassino fosse Hailey, e più Ethan considerava quella possibilità meno la riteneva probabile. E anche se Nell non aveva ancora spiegato cosa sapeva della morte di Adam Gallagher, lui non capiva come quella morte, se pure non naturale, potesse condurre a Hailey. A quel tempo lei se n'era già andata ed era stata diseredata dal padre furioso, dunque perché tornare per ucciderlo? No, che Hailey fosse l'assassino non quadrava. Quanto alla registrazione di nascita... Decidendosi bruscamente, Ethan ripiegò il documento e se lo infilò in tasca, poi tirò fuori la sua pistola dal cassetto della scrivania e agganciò la fondina alla cintura. Si mise la giacca e si avviò verso la sala comune. Con diverse pattuglie in giro, c'erano solo un paio di agenti, e uno di loro era al telefono. Ethan si fermò accanto all'altro, seduto sull'angolo di un tavolo mentre contemplava il bersaglio da freccette appeso sul muro vicino. «Ciao, Kyle. Dov'è Lauren?» «È andata a casa a fare una doccia. Ufficialmente non siamo in servizio, ma...» «Sì, lo so.» Ethan lanciò un'occhiata per vedere se Steve Critcher era ancora al telefono, poi disse a Kyle: «Dovresti venire a fare un giretto con me.» «Sicuro. Dove andiamo?» «A casa di Matt Thorton. C'è una cosa che ho bisogno di chiedergli.» «Tu avevi paura» disse Max. «In parte era per questo, non è così? Ecco
perché hai tenuto la porta chiusa tutti questi anni. Ecco perché mi hai chiuso fuori con tanto accanimento quando sei tornata qui. Non riuscivo a comunicare con te.» «Avevo paura» ammise Nell. La pace della stanza da letto avvolta dalla luce soffusa della lampada le dava il coraggio di parlare. «A causa di come reagii la prima volta.» Lei esitò, poi sospirò. «Non ti biasimavo per questo. Ciò che accadde mi sconvolse, dunque sapevo che sarebbe stata dura anche per te. Eri un po'... confuso.» «Molto confuso. Ma anche affascinato, Nell, tu dovevi saperlo.» «Lo sapevo. Sapevo anche che ti rendeva diffidente. Ti spingeva a chiederti se avresti perso tutta la tua intimità. Le persone hanno bisogno di un posto tranquillo dentro di sé dove poter star sole, e tu avevi paura che non l'avresti mai più avuto.» «È per questo che chiudesti la porta così velocemente, non appena... non appena riuscimmo entrambi di nuovo a pensare.» «Non avevo paura soltanto della tua reazione, Max. La... forza di ciò che era successo mi spaventava. Non ero mai stata vicina a nessuno, in realtà, e poi all'improvviso mi ritrovai tanto vicino a te...» Max si spostò in modo da poter guardare verso di lei. «E adesso? La porta è quasi chiusa di nuovo. Non è stata sbattuta questa volta...» Nell non aveva bisogno di condividere i suoi pensieri per sapere che ciò lo turbava. «Max...» Scosse la testa. «Io non ho poteri telepatici, e nemmeno tu. Il nostro legame, questa porta... io non penso che debba restare sempre spalancata.» «È una regola?» «Non ti arrabbiare. Non sto cercando di chiuderti fuori perché non ti voglio. Sei una persona ragionevole, tutti e due lo siamo. Ma io... Ci sono cose che non voglio condividere con te, cose che non voglio tu veda.» «Gli incubi. Le visioni.» Lei abbozzò un sorriso. «Non c'è motivo per cui dovremmo rischiare entrambi di uscire di senno.» «Così posso condividere il piacere, la gioia, ma mai il dolore o la paura?» Nell si allungò per toccargli il viso, seguendo con la punta delle dita la linea dritta della sua bocca triste, cercando vanamente di ammorbidirla. «Sarebbe tanto brutto?» Max le prese la mano e la trattenne. «Io ti amo, Nell. Ti ho amato fin da
quando avevi sedici anni. E negli anni dopo che fuggisti, l'unica cosa che rendeva almeno sopportabile stare senza di te era quel minuscolo, lontano legame. A volte non riuscivo a percepire niente per mesi e mesi, ma poi, d'un tratto, sapevo come ti sentivi, se eri felice o triste, preoccupata... impaurita. Coglievo la fugace apparizione di un incubo o mi svegliavo da uno dei miei stessi sogni certo di averti sentito distesa accanto a me, di aver udito il tuo respiro.» «Lo so» mormorò lei. «Anch'io lo sentivo.» «E ogni volta che cercavo di trovarti te ne accorgevi. Perché non appena ci pensavo, avvertivo che tu non volevi. Tutto qui, soltanto quel forte diniego, quel rifiuto. Stai lontano. A volte mi sembrava soltanto di immaginarlo, eppure una parte di me sapeva che non era così.» «Max...» «Eri in grado di allontanarmi, deliberatamente, ma non potevi raccontarmi perché eri scappata via, o dov'eri, o se ti stavi costruendo una vita felice. E io non avrei potuto dirlo, non da quel poco che riuscivo a percepire. Ma sapevo che c'erano ferite, preoccupazioni e paure. E sapevo che tu eri sola.» «Talvolta è meglio essere soli.» Max annuì come se si fosse aspettato la risposta. «La verità è proprio questa, non è così, Nell? Tu devi essere sola, devi tenere chiusa quella porta tra noi, perché sei convinta che la maledizione dei Gallagher sia davvero una maledizione, qualcosa d'innaturale, oscuro, perfino maligno. Sei convinta che prima o poi ti farà impazzire.» Nell sospirò e fece una lieve risata priva di allegria. «Perché dovrei essere l'eccezione? Ha fatto impazzire tutti loro, dunque perché dovrebbe risparmiarmi?» Sommessamente, Max disse: «Conosco quelle storie. Dopo che tu sei andata via ho fatto una piccola ricerca. La maggior parte dei Gallagher che dicevano di possedere capacità sensitive finirono... sotto controllo medico.» «Intendi dire che finirono in celle imbottite a urlare come ossessi» lo corresse lei. «Per tutti loro è stato così, in realtà. Prima o poi. Alcuni, come mia nonna, hanno vissuto fino alla vecchiaia con le facoltà mentali ragionevolmente intatte, perciò venivano definiti soltanto eccentrici dai loro familiari e vicini. So che lei è rimasta lucida fino agli ultimi mesi di vita. Poi dovettero rinchiuderla.» «Nell...»
«Lei era una cugina dei Gallagher, capisci, oltre ad aver sposato mio nonno. Suo padre morì in manicomio. Risalendo indietro di duecento anni, molto prima che si stabilissero a Silence, i Gallagher hanno perso almeno un membro di ogni generazione a causa di una vena di pazzia. E avevano tutti la maledizione. Naturalmente, a quel tempo non la chiamavano così. In effetti la definivano un dono. Perfino una benedizione. Sussurravano: "Lei ha un dono", "Lui è un veggente". E ha portato alla follia ciascuno di loro.» «A te non succederà.» «No? Come lo sai, Max, quando nessun altro può offrirmi una garanzia? Una volta ti ho detto che nemmeno i dottori possono essere sicuri di cosa stia succedendo nel mio cervello, ma per la maggior parte concordano nel sostenere che tutta l'energia elettrica rilevata nei vari esami non è davvero di buon auspicio.» «So che a te non accadrà perché sono stato nella tua mente, Nell.» Le sue mani le scivolarono sotto le spalle, reggendola come se temesse che avrebbe tentato di sfuggirgli. «Ne ho sentito la forza e la potenza, e ne ho percepito la calma, fiduciosa razionalità. Cristo, tu sei la persona più equilibrata che conosca.» «Forse adesso. Ma che succederà dopo? Ti rendi conto che non esiste nemmeno un nome per quello che posso fare? Io vedo attraverso il tempo.» «I luoghi hanno ricordi, me l'hai detto tu.» «Sì. E attingere a quei ricordi almeno ha una spiegazione razionale, qualcosa che in parte comprendo e posso accettare come ragionevole. Ma non riesco a spiegare come posso vedere qualcosa che non è ancora accaduto. E non riesco a spiegare come potevo ritrovarmi a casa di Ethan mentre discuteva con Hailey quando ciò è accaduto più di un anno fa. E certo non riesco a spiegare come fossi in grado di essere lì, realmente lì nel passato. Lei mi ha visto, Max. Hailey si è voltata e mi ha visto.» Le sue braccia si strinsero intorno a lei. «Ne sei sicura?» «Sicurissima. Io ero lì, fisicamente nel passato.» Si sforzò di sorridere. «Pensi ancora che non stia impazzendo?» «E per questo che hai detto... Quando sei emersa da quella visione, la prima parola che hai detto è stata il male. Era per questo? Perché le tue capacità reagivano in modo diverso da quanto avevano fatto prima e tu eri convinta che fosse qualcosa di maligno?» «Non ricordo di averlo detto, ma probabilmente sì. È quello che sento.
Quello che ho sempre sentito. Ed è più forte adesso, molto più forte. Max... non puoi negarlo: l'hai sentito anche tu. Quell'oscurità in me. I blackout che vengono più spesso e all'improvviso. Credo... temo che sia solo il principio della fine.» «Questo non l'accetto.» Fu tentato di ripetere quanto gli aveva detto Galen sulla segreta preoccupazione di Bishop, secondo il quale i blackout di Nell potevano essere dovuti almeno in parte a qualcosa che lei stava inconsciamente rimuovendo. Tuttavia lui temeva che potesse farle più male che bene. Il cervello umano tende a rimuovere cognizioni o esperienze solo per motivi molto validi, e forzare Nell ad affrontare qualcosa del genere prima che fosse pronta era davvero una cattiva idea. «So che non lo accetti.» Nell fece un debole sorriso. «Ehi, spero che tu abbia ragione.» «Ma giusto nel caso che non sia così, la porta resta chiusa.» «La maggior parte del tempo.» Gli mise le braccia intorno al collo. «Ma non sempre. Oggi mi hai chiesto se avrei potuto accontentarmi di qualcosa di ordinario, qualcosa che non avrebbe mai potuto avvicinarsi a quello che c'era tra noi. Non potrei. Max, questa è l'unica cosa buona che sia mai venuta fuori dalla maledizione dei Gallagher. E qualunque ne sia il prezzo, io lo pagherò.» «Gesù, Nell...» Lei lo baciò, invitandolo più vicino. Più vicino. Aprendo la porta. Galen aveva perfezionato da tempo l'abilità di sonnecchiare come un gatto, con tutti i sensi allerta, con metà della mente consapevole di ciò che gli succedeva intorno, mentre l'altra metà riposava. Grazie a un pisolino di venti minuti, di tanto in tanto, poteva restare al massimo dell'efficienza per settimane. Inoltre era in grado di reagire immediatamente a una minaccia o a qualsiasi chiamata. Perciò quando la chiamata giunse al suo telefono cellulare, predisposto per vibrare, rispose mentre i suoi occhi si stavano ancora aprendo. «Sì.» «Qualcosa da riferire?» «Niente che sia degno di nota. Ti ho già detto cosa è successo alla riunione. Byers e Shelby Theriot sono andati via da un pezzo, probabilmente a casa di lei.» «Sì?» «Sì. Avevano un'aria...»
«Che mi dici di Nell e Max Tanner?» «Be', lui non se n'è ancora andato.» Galen controllò l'orologio. «Mezzanotte passata. Direi che ormai resterà lì. Ci sono ancora luci accese al pianterreno, ma la lampada nella stanza da letto di Nell si è spenta pochi minuti fa.» «Non c'è nulla che ti preoccupi?» «Sembra una notte pacifica. Sento le rane e i grilli, perfino un gufo. Niente di sospetto nel bosco. E poi l'assassino ha colpito di recente, non credo che entrerà in azione tanto presto.» «Ti senti superfluo come cane da guardia?» «Abbastanza. Tanner non la perde di vista un secondo, e mi pare un osso davvero duro. Dunque lei è in buone mani.» «Allora forse sarebbe un buon momento per incontrarci.» «Non corriamo un rischio?» «Sì, ma ho delle cose che voglio mostrarti, e non posso sparire troppo a lungo. Meglio se ci vediamo vicino al paese.» «E daremo meno nell'occhio nel mezzo della notte. D'accordo. Dimmi dove.» Domenica 26 marzo Fare il suo esercizio di meditazione era un po' più difficile del solito, non perché fosse particolarmente stanco ma perché era agitato. Così doveva prima calmarsi, concentrarsi. Tutte idiozie, naturalmente. Ciò che davvero doveva fare era spiccare quel balzo mentale necessario ad abbandonare il suo corpo. Spesso si era domandato oziosamente cosa sarebbe successo se qualcuno l'avesse visto in quel momento. Una volta aveva usato una videocamera per registrarsi, curioso di scoprire che aspetto aveva il suo corpo quando lui ne era uscito, ed era rimasto deluso nel constatare che sembrava semplicemente assopito. Ma se qualcuno avesse cercato di svegliarlo? Lo avrebbe riportato di scatto nel suo corpo? Oppure toccandolo avrebbe interrotto la fragile connessione che lo teneva legato a quell'involucro di carne e ossa? Non ne aveva ancora fatto la prova, scegliendo con cura i momenti di meditazione per assicurarsi che nessuno potesse in alcun modo disturbarlo. Questo lo aveva gravemente limitato, e non era stato in grado di far visita a Nell tanto spesso quanto avrebbe voluto.
Così aveva fatto in modo che ogni visita contasse. Era davvero tardi quando lo fece sabato notte. In effetti era ormai domenica mattina. Giunse da lei rapidamente, come suo solito, andando dritto nella sua camera da letto. Lei non era sola. Loro giacevano vicini, quasi aggrovigliati, nudi sotto le coperte, e vederli così gli causò un profondo shock. Vederla così. Traviata. Proprio come Hailey. Voleva gridare, urlare e distruggere tutto nel suo dolore. Come poteva fargli questo? Come poteva concedersi a quel... quel sudicio bovaro? E questo era solo l'inizio, lo sapeva. Ci sarebbe stato un altro uomo e poi un altro ancora, e tutti l'avrebbero usata, scaricando il proprio seme dentro di lei per poi accanirsi sulla prossima anima infranta, sul prossimo angelo deturpato... «Nell.» sussurrò, torturato. «Come hai potuto? Io non volevo punirti. Non l'ho mai voluto. Mai.» Fluttuò più vicino, sapendo che se avesse avuto con sé il proprio corpo le lacrime gli sarebbero sgorgate lungo il viso. «Guarda cosa mi stai costringendo a fare...» Non era esattamente un incubo, ma a Nell quel sogno non piaceva. Sognava di essere in un posto molto scuro, e qualcuno le stava sussurrando di fare qualcosa. Voleva spostarsi più vicino a Max, sentire le sue braccia stringersi attorno a lei anche nel sonno, tenendola al sicuro, ma il sussurro la tormentava. E la preoccupava. Un istinto più profondo del pensiero le diceva che Max era in pericolo, che lei doveva tenere fermamente chiusa la porta tra le loro menti, e le loro anime, ed era necessario che si allontanasse da lui fisicamente. Odiava farlo. Odiava lasciarlo. Ma doveva. Sognò che si staccava dolcemente da lui, e scivolava fuori del letto. C'era la luce della luna, ora, che fluiva dentro le finestre, così riuscì a vedere facilmente i suoi vestiti. Il sussurro la incalzava, e lei ubbidì, indossando abiti caldi, le scarpe e una giacca. In completo silenzio, si preparò a uscire, e poi lasciò la stanza. C'erano le luci accese, di sotto, e questo la sorprese, Perché nessuno le aveva spente? Non che avesse davvero importanza, comunque.
Aprì la porta d'ingresso e uscì sulla veranda. Le chiavi. Non aveva le chiavi della macchina. Non importa. La voce voleva che lei camminasse. Non era molto lontano, doveva attraversare il bosco, era questo che diceva il sussurro. Nell sognò che era una notte fredda, per essere in marzo, ma la luna era quasi piena, ed era facile vedere la strada. Mentre camminava, il sussurro le indicò dove dovesse andare, glielo fece ripetere, poi la spinse un'ultima volta ad affrettarsi. Lei camminò più veloce. Non era lontano, così aveva detto lui. Niente affatto lontano, e una volta arrivata lì sarebbe stata contenta perché un vecchio amico era ad attenderla. Un vecchio amico. Per la prima volta, i suoi passi vacillarono. Un vecchio amico. Ma... «Nell.» Ma lei non aveva nessun vecchio amico a Silence. Non era forse così? Era scappata via da tutti molto tempo prima. «Nell, svegliati.» Era ancora meno contenta del sogno adesso, perché aveva i piedi freddi e la voce non pareva più un sussurro rasserenante, ma era aspra e insistente e in qualche modo la innervosiva. «Nell!» Stava per urlare a quella voce di lasciarla in pace, quando uno schiaffo la fece fermare. E la svegliò. Restò lì, sconcertata. Si trovava in una radura nel bosco illuminata dal chiaro di luna, senza la minima idea di come ci fosse arrivata. Sollevò istintivamente la mano verso la guancia dolorante, e fu scossa una seconda volta quando vide chi l'aveva colpita. «I rimedi tradizionali» disse Hailey piuttosto sardonica «sono sempre i migliori.» 21 «Gesù, dovevi colpirmi così forte?» domandò Nell, strofinandosi la guancia ancora dolorante. «Sei fortunata. Avrei potuto scaraventarti a terra. Gridare non sarebbe servito.»
«Be', non avevi bisogno di...» Nell s'interruppe e fissò sua sorella. «Che ci fai tu qui? Sei stata a Silence tutto il tempo?» «Solo da quando sei tornata.» «Allora... tu non hai ucciso quegli uomini?» «Certo che non li ho uccisi. Perché mai avrei dovuto farlo?» «Oh, non lo so. Forse perché ti maltrattavano?» Hailey rise. «So che non tutte hanno gli stessi gusti, sorellina, ma a me piaceva ciò che mi facevano.» «Che schifo.» «Non è il modo migliore per definirlo.» «Hailey...» «Senti, non abbiamo molto tempo per parlare. Vieni.» Nell la seguì mentre Hailey faceva strada nel bosco, realizzando solo tardi che si stavano allontanando dalla proprietà dei Gallagher. «Aspetta un minuto, dove stiamo andando? A proposito, cosa diavolo ci faccio nel bosco nel mezzo della notte?» «Non ti ricordi?» «Be'... stavo sognando. Credevo di sognare. Vuoi dire che stavo camminando nel sonno?» «Per così dire. Pensaci su. Cerca di ricordare quel sogno.» Nell ci provò, sempre seguendo la sorella. Aveva le idee stranamente confuse, e la sensazione di spingersi attraverso una spessa nebbia in cerca di qualcosa. Ma il tono di Hailey era stato troppo insistente per poterlo ignorare, così Nell si fece strada nella nebbia. Ricordava... di essere a letto con Max. Dopo aver fatto l'amore in quel modo incredibile si erano addormentati. C'erano ancora molte questioni da chiarire tra loro, eppure tanti nodi erano stati affrontati e risolti. Ricordava... il sonno pacifico sul quale a poco a poco era calata una sgradevole, spaventosa oscurità. E poi... aveva udito un sussurro? Un sussurro stranamente familiare, che le diceva di fare qualcosa? D'improvviso avvertì un dolore lancinante alla testa, e allungò la mano per massaggiarsi la tempia. «Maledizione. Non un altro blackout, non ora.» «Non vuole che pensi a lui quando sei sveglia. Pensare a lui ti porta più vicino a quello che non vuole che tu ricordi.» «Lui? Lui chi?» Hailey si fermò e si voltò per guardarla. Un raggio di luna si fece strada attraverso gli alberi e le brillò sul viso, illuminando il suo ironico, beffardo
sorriso. «Nostro fratello, Nell.» Galen usò la sua torcia tascabile ed esaminò il dossier della polizia. «È pazzesco scoprirlo ora» osservò cupo. «Sì.» «Ma come ci siamo riusciti?» «Gli omicidi sembravano confinati a Silence, opera di qualcuno del posto, perciò non abbiamo cercato all'esterno. Ma quando abbiamo collegato i primi tre omicidi con Hailey, ho cominciato a farmi delle domande. Riservata com'era, così attenta a mantenere segrete le sue relazioni sessuali, forse era stata coinvolta con almeno un uomo al di fuori di Silence. Così ho controllato i precedenti delle vittime di delitti simili nella zona. E tombola!» «Altri quattro uomini assassinati negli ultimi cinque anni» disse Galen. «Tutti si sono lasciati dietro famiglie e amici estremamente sorpresi di scoprire che quei bravi, rispettabili uomini nascondevano un segreto in genere di natura sessuale. Si trattava di distretti diversi, così nessuno dei poliziotti ha dedotto che stavano cercando un unico assassino. C'è perfino qualcuno in prigione per il primo omicidio.» «Sì. Suppongo che sia innocente.» «Sembra probabile. Questo ci aiuta a restringere il campo?» «Credo di sì. Ho fatto un controllo incrociato tra i cartellini di presenza di ogni agente e di ogni detective che è stato nel dipartimento dello sceriffo da almeno cinque anni e l'ora approssimativa in cui sono stati commessi questi omicidi. Qui a Silence, l'assassino poteva essere in servizio quando ha compiuto il delitto, ma ho immaginato che negli altri casi ciò non fosse probabile.» «E dunque?» «Ho trovato solo due nomi di poliziotti fuori servizio o assenti per altri motivi durante gli omicidi. Uno è lo sceriffo Cole.» «Ma siamo ragionevolmente certi che lui sia pulito, E l'altro?» «Kyle Venable.» «Gesù» disse Galen. «Sì. Niente male come sorpresa.» «Non stai dicendo sul serio» disse Nell, sollevando l'altra mano in modo da potersi massaggiare tutte e due le tempie. La nebbia era ancora più fitta
adesso, e insieme al dolore lancinante ciò le rendeva ancora più difficile concentrarsi. «Oh, sì, invece. Kyle Venable è nostro fratello. Fratellastro, a ogni modo. Nostro padre l'ha avuto con un'altra donna.» Hailey si voltò e riprese a camminare. Nell la seguì, cercando di pensare, di capire. «Quale donna? E quando accadde questo?» «Lo fai sembrare quasi un incidente d'auto.» «Hailey, io non...» Si sentiva il capogiro, la nausea. «Ascoltami» ringhiò Hailey, la voce intensa. «Ascolta la mia voce, Nell. Concentrati su questo.» «La mia testa...» «Lo so. Ma devi spingerti oltre il dolore, mantenere il controllo. Non puoi lasciare che lui ti blocchi stavolta.» «Mi blocchi?» «È stato nella tua testa per anni.» Nell si fermò, lo stomaco che le si rivoltava con tale forza che quasi rigettò. «Cosa?» «Voi avevate qualcosa in comune, Nell. Qualcosa oltre al sangue di nostro padre. La maledizione dei Gallagher. Andiamo, continua a camminare. Non abbiamo molto tempo.» Nell obbedì quasi ciecamente. «Ma cosa... come...?» «È successo, sorellina, prima che tu e io nascessimo. Come forse ricorderai, i nostri genitori avevano qualche... difficoltà a condividere lo stesso letto. Evidentemente, quelle difficoltà risalivano all'inizio del loro rapporto. Così il caro, vecchio papà si procurava qualche bella scappatella. Parecchie, in effetti, in quei primi anni. Le domestiche, generalmente.» «Oh, Cristo» mormorò Nell. «Sì, disgustoso, vero? Per quello che vale, credo che la maggior parte di loro fossero disponibili. Sedotte, probabilmente, ma non costrette. Lui sapeva essere molto affascinante quando voleva qualcosa, e spesso voleva sesso. Di solito sceglieva donne adulte, vedove o divorziate. Capisci, donne senza un uomo... E a lui piaceva variare, ed è per questo che da noi le cuoche e le governanti non duravano mai molto.» «Stai dicendo che dormiva con altre donne sotto il nostro tetto?» «Almeno qualche volta lo ha fatto» replicò Hailey con disinvoltura. «Io l'ho visto. Non rallentare adesso, dobbiamo affrettarci.» Nell la seguì, così intontita che non era certa di poter sentire nulla, eccet-
to il martellare nella sua testa. «E quando mise incinta la madre di Kyle Venable? Che successe allora?» «Be', per rendergli giustizia, lui non ne sapeva niente. Vedi, lei era diversa dalle altre. Mai sposata e sessualmente inesperta. Più giovane, più carina. Somigliava un po' a mamma, in realtà. Lui divenne ossessionato da lei, iniziò a cercare di controllarla proprio come faceva con noi. Lei s'impaurì e scappò, lasciò il paese.» «Incinta.» «Sì. Suppongo che fosse troppo spaventata da lui per chiedergli aiuto. Essere incinta senza un marito era ancora uno scandalo a quel tempo. Lei era cattolica, una brava ragazza, così l'aborto non sarebbe stato possibile nemmeno se avesse saputo come trovare un dottore disposto a farlo.» Nell stava ancora lottando per pensare, e c'erano così tante domande nella sua mente che non riusciva neppure a sceglierne una, così si limitò ad ascoltare. «Sua sorella, una giovane vedova, viveva vicino a New Orleans. Fu lì che lei andò. Raccontò la storia alla sorella ma le fece promettere che se le fosse successo qualcosa, lei non avrebbe cercato di contattare Adam Gallagher in nessun modo e non gli avrebbe fatto sapere che c'era di mezzo un bambino. Quando giunse l'ora, come avevano convenuto, si registrò all'ospedale usando il nome da sposata della sorella. Forse anche lei era in qualche modo veggente, perché morì durante il parto.» «Così la sorella, che viveva in condizioni piuttosto agiate da quando le era morto il marito, si ritrovò con un bambino da crescere. Non so perché abbia riportato Kyle qui. Forse pensava che avesse bisogno di stare vicino a suo padre. Forse era soltanto curiosa. Oppure pensò che un giorno avrebbe avuto bisogno di contattarlo. Ma non lo fece.» «Un figlio» mormorò Nell. «Un figlio primogenito: lui nacque un mese prima di me.» «Senza il nome dei Gallagher.» «Ma con la maledizione dei Gallagher. Lui seppe di essere diverso fin da ragazzino. Iniziò ad avere esperienze che non poteva spiegare. Spaventava a morte sua madre, e alla fine lei gli disse chi era suo padre. Un grosso sbaglio, sotto tanti aspetti.» «Cosa accadde?» «Da ragazzino lui era un guardone. Gli piaceva osservare le persone senza che lo sapessero. Cominciò a tener d'occhio papà. Sbirciando dalle finestre, nascondendosi dietro gli alberi. Vedeva che ci controllava come
se fossimo burattini o bambole. Lo vedeva ronzare sempre intorno a mamma, toccarla, accarezzarla come faceva lui, come se fosse il suo animale domestico preferito. Lo vide mentre se la faceva con le cameriere come una specie di signorotto medievale, trattando le altre donne come uno strumento per il proprio piacere.» «Tu come sai...» «E poi Kyle vide qualcos'altro.» Hailey si fermò e si voltò a fissarla. «Lui vide papà uccidere mamma.» Nell si rese conto che avevano raggiunto il margine del bosco e che al di là di un campo coltivato c'era una casa con diverse finestre illuminate, ma non staccò gli occhi da sua sorella. «Io ho cercato di dirtelo.» «Lo so. Ti ho perfino creduto, penso. Semplicemente non potevo ammetterlo. Ma era successo. E c'era un testimone.» «Lui stava osservando?» «Sì. Guardava attraverso la finestra. Li sentì litigare, sentì mamma dire che se ne sarebbe andata, portandoci via con sé. Papà l'accusò di avere un amante, disse che lei si era rovinata, che aveva lasciato che un altro uomo la traviasse. Cominciò a picchiarla.» Di colpo, Nell vide l'immagine chiara di una donna che si rannicchiava, piangendo, e un omone scuro che roteava grossi pugni. Sentiva una voce aspra che gridava la stessa parola più e più volte. Puttana. Puttana. Puttana. Udì i colpi, sordi e insanguinati, martellanti come la sua testa, fendevano la carne, rompevano le ossa, ferendola. La uccidevano. L'angoscia la travolse, e il dolore fu così intenso che le si piegarono le ginocchia. «Nell.» Aprì gli occhi che non si era resa conto di aver chiuso e fissò il viso curiosamente impassibile di sua sorella. «Io... ho visto. Io l'ho visto ucciderla.» «Dimmi una cosa» domandò ironicamente Galen. «Dimmi a che serve l'abilità sensitiva a un investigatore quando così di rado ti fa notare ciò che hai proprio sotto il naso?» «Lui ha delle "barriere protettive". Non è inusuale, specialmente in un piccolo paese. Non c'era nulla a indicare che le sue difese fossero in alcun modo diverse da quelle di chiunque altro a Silence.» «Sembri sulla difensiva.»
«Be', non sono contenta di non essermene accorta.» «Credevo che i sensitivi si riconoscessero a vicenda.» «Non sempre. Sarebbe troppo facile, no? L'universo, di norma, non fa simili regali.» «Oh-oh. E questo difettuccio è citato negli opuscoli del Reparto speciale anticrimine? Perché non ricordo di averlo letto quando mi sono arruolato.» «Cerchiamo di tenerlo segreto. Tende a turbare le nuove reclute.» «Suppongo di sì. Senti, pensi che dovremmo... Ehi. Cosa c'è? Hai visto qualcosa?» «No. Non ho visto nulla. Torna a casa di Nell.» «Tu che cosa farai?» «Chiamerò rinforzi.» «Io l'ho visto ucciderla» ripeté Nell. Hailey annuì. «Kyle ti trovò più tardi, quando tornò indietro a... curiosare sulla scena del delitto. Ti eri nascosta in un armadio, dove stavi giocando con una cucciolata di gattini prima che la violenza iniziasse. Eri davvero sotto shock. Forse lui si sentiva dispiaciuto per te. O forse la personalità di nostro padre aveva già cominciato a distorcere il suo modo di pensare e non voleva che la tua mente pura fosse corrotta dal vedere tua madre punita per essersi prostituita.» «Lui mi toccò» rammentò Nell. «Mi mise le mani ai lati della testa. Mi disse che sarebbe andato tutto bene. Che non avrei... mai fatto brutti sogni.» «Va detto a suo merito che cercò davvero di assicurarsene. Ma aveva soltanto tredici anni, e non possedeva il pieno controllo delle sue capacità. Non era abbastanza esperto per riuscirci. Non poteva rimuovere il ricordo, ma lo nascose, lo chiuse nella parte più oscura della tua mente. Senza neppure sapere cosa stesse facendo, creò anche un blocco, in modo che quando fossi stata sul punto di ricordare avresti avuto un blackout.» «Non erano le visioni?» Hailey scosse la testa. «Svenivi così spesso perché le visioni usano una parte della tua mente prossima al blocco. O forse implicano lo stesso tipo di energia elettrica, dato che sia le visioni sia il blocco vengono dalla maledizione dei Gallagher. Dalla nostra famiglia, dal nostro sangue.» Nell restò in silenzio per un momento, cercando di capacitarsene. «Hailey, tu come sai tutto questo?» «Ha importanza?»
«Penso di sì.» Hailey girò la testa e fissò lontano, al di là del campo, verso la casa illuminata, poi guardò di nuovo Nell e disse: «Non c'è tempo. Ascoltami. Quella tenebra di cui hai avuto paura per tutti questi anni non dipende da te, ma da Kyle. Quando ti toccò, lasciò senza volerlo nella tua mente qualcosa di sé, parte della sua energia, suppongo, della sua essenza. Eravate entrambi così giovani, nessuno dei due in grado di proteggersi da quel genere di energia, e lui andò così in profondità... Ecco come è stato in grado di stabilire il contatto quando tu sei tornata a casa.» «Lui è... collegato a me? Connesso alla mia mente?» «Non nel modo in cui lo è Max. Lui non può leggere i tuoi pensieri, non sa mai cosa stai pensando o provando; e se rifletti, ti renderai conto che non hai mai avuto una percezione di lui. Come di un'altra mente, intendo, di un'altra persona. Tuttavia è stato in grado di influenzarti, perfino di controllarti, quando eri addormentata o incosciente. Ecco spiegato il sussurro che hai udito talvolta nei sogni da quando sei tornata a Silence.» Nell fece un lungo respiro. Sembrava che la nebbia nella sua mente si stesse schiarendo, ma le era ancora difficile comprendere a fondo tutto ciò. «Lui è l'assassino. Kyle è l'assassino. E ha ucciso quegli uomini... a causa tua.» Con una smorfia, Hailey disse: «Tale padre, tale figlio, suppongo. Esistono solo due tipi di donne al mondo, secondo loro. E io sono del tipo sbagliato. Lui non poteva sopportare che una donna del suo stesso sangue fosse stata... profanata. Traviata. Per moltissimo tempo non è riuscito a incolpare me. Erano loro, quegli uomini, che mi avevano corrotto, e dovevano pagare per ciò che mi avevano fatto.» «Noi possiamo fermarlo, Hailey. Possiamo metterlo in una cella dove non farà mai più del male a nessuno.» «Sì, sarebbe bello. Ma prima dobbiamo acciuffarlo. E preferirei che lo facessimo prima che lui uccida Ethan.» Nell avvertì un brivido. «Cosa?» «Quella al di là del campo è la casa di Ethan. Kyle lo tiene lì dentro e ha intenzione di ucciderlo. Sta soltanto aspettando te.» «Me? È per questo che mi ha chiamato? Per vederlo mentre uccide Ethan?» «Il motivo dovrai chiederglielo tu, ma so che ti sta aspettando. E se non raggiungi la casa nel giro di un paio di minuti, lui capirà che qualcosa non va, e cercherà di entrare di nuovo nella tua mente. Non possiamo permet-
terglielo.» «Lui non entrerà di nuovo nella mia mente» disse Nell furibonda. Hailey sorrise. «No, non lo farà. Ricordando hai distrutto il blocco, Nell. E dunque la sua via d'accesso. Ma se se ne rende conto prima che siamo pronte, perderemo il fattore sorpresa. È così che lo chiamano, in tutti i libri polizieschi, vero?» «Questo non è un libro, maledizione.» «Sì, lo so. Le pistole sono vere.» Hailey allungò la mano nella giacca e tirò fuori una pistola, reggendola con una certa cautela mentre la passava a Nell. «Lui non ti ha lasciato portare la tua, così ecco. Credo che un agente dell'FBI dovrebbe sempre avere la pistola, tu no?» «FBI... Come lo sai?» «Non importa ora. Il punto è che devi entrare lì dentro, e probabilmente è meglio che lo faccia armata.» D'istinto Nell controllò che la pistola fosse carica e la sicura inserita, poi disse: «Perché diavolo non me l'hai detto prima, in modo che potessi far intervenire i rinforzi? Sono almeno a due chilometri di distanza da qualsiasi telefono utilizzabile. Nel controllare il suo fascicolo ho letto che Kyle è un tiratore scelto, dunque, nonostante il fattore sorpresa, non ho molto vantaggio.» «Cerca di fermarlo per un po'. Io andrò a cercare il tuo compagno.» «Galen è...» «Non lui. L'altro.» Nell sbatté le palpebre. «Voglio Galen. È un vero mastino.» «Vedrò quello che posso fare. Nel frattempo, tu potresti chiamare Max.» «Chiamare...» «Oh, diavolo, hai sempre potuto farlo, perfino da prima che incideste le vostre iniziali su quell'albero. Chiamalo. Potresti essere sorpresa da come lui possa aiutarti, adesso che Kyle non può più influenzarti.» Nell avrebbe voluto dire qualcosa, ma Hailey la salutò con aria piuttosto beffarda e si allontanò in fretta attraverso il bosco, per la strada da cui erano venute, lasciando Nell a borbottare tra sé. Hailey era sempre stata così, dannazione. Rispondeva solo alle domande che voleva, manipolava le persone spingendole a fare quello che desiderava senza prendersi la briga di spiegarsi. Malgrado lo stress e le tensioni tra loro, lei aveva sempre avuto l'abilità di trascinarsi dietro Nell, soffocando ogni obiezione o protesta. Fai questo, fai quello, le diceva, affrettati, ora. E alla fine Nell si ritrovava nei guai.
In quella situazione c'erano decisamente troppe cose che Nell trovava sconcertanti, ma mentre attraversava svelta e guardinga il campo in direzione della casa illuminata, la sua mente si schiarì: finalmente, l'istinto e le abilità acquisite con l'addestramento entrarono in azione. La situazione non era affatto facile. Era da sola, e pur essendo un'agente esperta le ci sarebbe voluto ben più della sorpresa per avere la meglio su un assassino psicopatico che si dava il caso fosse non soltanto un poliziotto ma anche suo fratellastro. E sensitivo, per giunta. Aveva bisogno d'aiuto. Chissà se Hailey sarebbe riuscita a chiamare i rinforzi in tempo. Nell doveva ipotizzare il peggio e predisporre i suoi piani di conseguenza, ecco ciò che l'addestramento e l'esperienza le dicevano. Lei era sola, e... Era sola? Pensò a questo mentre si avvicinava furtivamente a una delle finestre illuminate e con molta cautela scrutava dentro la casa attraverso lo spiraglio delle tende. La prima finestra non le rivelò nient'altro che una stanza deserta, che sembrava uno studiolo. Ma nella seconda, quella del soggiorno, scorse Ethan seduto su una sedia, i polsi ammanettati dietro la schiena. Aveva la testa penzoloni e Nell vedeva del sangue su un lato del viso, sebbene da quella angolazione non avrebbe potuto dire quanto fossero gravi le sue ferite. Anche Kyle Venable era nella stanza. Stava in piedi sulla soglia, appoggiato contro lo stipite della porta. Aveva un pezzo di corda tra le mani. Stava annodando un cappio. Era questo il destino di Ethan, il suicidio? Se l'avesse inscenato bene, di sicuro poteva sembrare plausibile. L'FBI avrebbe fornito il profilo indicante che l'assassino era un poliziotto e dopo tutto non c'era alcuna prova consistente che scagionasse Ethan. Soltanto la certezza di Nell. E se Kyle l'aveva condotta lì per assistere a quella morte, era improbabile che avesse intenzione di lasciarla vivere tanto a lungo da testimoniare. Un cadavere trovato con un biglietto, i moventi per omicidio e suicidio dolorosamente evidenti. Chi avrebbe dubitato? Lo sceriffo, l'ultimo degli amanti di Hailey ancora a Silence, si uccideva dopo aver assassinato tutti gli uomini che avevano corrotto la donna che aveva amato. Nell vide Kyle guardare l'orologio e accigliarsi, e subito si ritrasse dalla finestra. Fece il giro della casa fino alla porta d'ingresso. Controllò di nuovo la pistola, poi se la infilò dietro la schiena, nella cintura dei jeans, na-
scosta sotto la falda della giacca. Sapeva di poterla impugnare velocemente, ma sarebbe stata abbastanza rapida? Inutile fingere di non essere terrorizzata, sia perché era in procinto di affrontare un assassino sia perché era almeno possibile che Hailey avesse avuto ragione: in tutti quegli anni Kyle era rimasto appostato nella sua mente come un cancro, sottraendole parte della sua coscienza, distorcendo la sua immagine di sé? Nell non aveva avuto il tempo di assorbire ciò che le aveva raccontato Hailey, e ciò di cui si era resa conto da sola, ma quella possibilità pareva chiara. Era terrificante: qualcosa di estraneo era stato in lei per tutto quel tempo. Ma esisteva anche una speranza. E Nell ci si aggrappò. Il male che aveva visto in se stessa dipendeva da lui? Lei doveva sapere. Nell salì i gradini fino alla porta d'ingresso e mise la mano sul pomello, poi chiuse gli occhi. Max. Ho bisogno di te. Aprì la porta ed entrò nella casa, guardandosi intorno con le sopracciglia aggrottate, sbattendo le palpebre alla luce dell'atrio, facendo finta di svegliarsi da un sonno profondo. «Ciao, Nell. Vieni dentro.» Galen non si diede la pena di tornare al suo posto d'osservazione nel bosco, perché non appena si avvicinò alla casa vide la porta d'ingresso spalancata. Gli si torsero le budella, e stava estraendo la pistola prima ancora di posare il piede sul primo gradino. «Lei è andata via.» Max gli venne incontro sulla porta. Si era vestito in fretta e stava ancora infilandosi la giacca mentre parlava. «È a casa di Ethan.» Galen non fece alcuna domanda finché non furono sul camioncino di Max lanciato a tutta velocità, e allora tutto ciò che disse fu: «Ti sta comunicando qualcosa adesso?» «Sì, ma non capisco tutto. Sono frammenti. Hailey è qui. Venable ha preso Ethan e si sta preparando a ucciderlo. Venable è suo fratello. Cristo, come ha fatto a farla uscire di casa senza che noi due ce ne accorgessimo?» «Io non ero lì fuori nell'ultima ora» disse Galen. «Non pensavamo che si sarebbe mosso di nuovo così presto, e poi tu stavi in casa con lei.»
Max non perse tempo a recriminare. Strinse soltanto più forte il volante e pigiò sull'acceleratore non appena il camioncino raggiunse l'autostrada. «Suo fratello?» disse Galen, tirando fuori il telefonino e cominciando a digitare un numero. «Sì.» «Dobbiamo reclutare nuovi sensitivi. Troppo spesso i nostri si fanno sfuggire dettagli piuttosto importanti.» «Avrei preferito aspettare un po' più a lungo prima di punire Ethan» disse Kyle, facendo un cenno con la pistola per indicare a Nell di sedersi sul divano, a metà tra Ethan e lui. «Mi sarebbe piaciuto lasciare i miei colleghi poliziotti a brancolare nel buio ancora un po' in cerca dei peccati segreti di Nate McCurry, mentre Ethan faceva la figura dell'idiota. Ma all'inferno! Posso anche chiuderla qui.» Nell si mise seduta sull'estremità del cuscino, assicurandosi di poter raggiungere la pistola. Se ne avesse avuta l'occasione. «Non capisco» disse, fingendosi sconcertata. «Davvero?» «No.» Lanciò un'occhiata furtiva a Ethan. La sua testa penzolava sempre in avanti e gli occhi erano chiusi, ma ebbe l'impressione che fosse semicosciente. «Non capisco.» «Oh, è piuttosto semplice, Nell. Ho dovuto prendermi cura di te e di Hailey. Dovevo proteggervi. È questo il compito di un fratello maggiore.» «Noi non abbiamo un fratello» disse lei, non tanto per prendere tempo, quanto seguendo il proprio istinto. «So che non siamo mai stati presentati, ed è un peccato.» Stava sorridendo, rilassato. «Siamo cresciuti in case diverse e con madri diverse, dopo tutto. Ma Adam Gallagher era anche mio padre. Lui non sapeva di me, capisci. Non lo sapeva finché non gliel'ho detto io. Lo scorso maggio.» «Maggio? Vuoi dire... proprio prima che morisse?» «Be', il piano non era quello. Sapevo che lui era triste, avendo perso entrambe le sue ragazze. Tu eri andata via da anni, poi Hailey. Pensavo che avesse bisogno di sapere di me, che ciò l'avrebbe reso felice. Gli ho perfino proposto che cambiassi nome, in modo che la stirpe dei Gallagher non si estinguesse.» «E la maledizione dei Gallagher?» chiese Nell. Il sorriso di Kyle si allargò, ma i suoi occhi erano curiosamente spenti. «Pensavo che gli avrebbe fatto piacere più di ogni altra cosa.»
«Non è stato così, vero?» «No. Non è stato così. Mi ha sbattuto fuori di casa, ci credi? A dire il vero, mi ha scaraventato giù per i gradini.» Intensamente focalizzata sul volto di Kyle, Nell fu sorpresa nel cogliere un frammento, una voce aspra che gridava. «Lui ti ha chiamato bugiardo. Ha chiamato tua madre... puttana.» «Non avrebbe mai dovuto farlo» disse Kyle pacatamente ma con una punta di nervosismo nella voce. «Ho dovuto punirlo. Mia madre non era una puttana.» «Allora l'hai ucciso?» «Ho dovuto farlo. Lo capisci, vero, Nell? Dovevo ucciderlo.» 22 Nell sospirò e annuì lentamente. «Suppongo di sì. Ma come? Tutti hanno pensato a un attacco di cuore.» «Non è stato difficile provocare un attacco di cuore a un uomo che per anni era stato sul punto di averne uno. In effetti, ho usato la digitossina. E sono rimasto lì, certo, perché non volevo che chiamasse aiuto.» «L'hai guardato morire?» «Ho goduto nel farlo.» Per quanto avesse odiato suo padre, Nell realizzò in quel momento che non avrebbe provato sollievo nel vederlo crepare. Anche sapendo che lui aveva picchiato a morte sua madre... Picchiato? «Sapevo che aveva ripudiato Hailey» prosegui Kyle con calma. «Che aveva lasciato tutto a te. Onestamente non credevo che saresti tornata. Così ho fatto qualche controllo per vedere se c'era modo di ereditare, senza dover dimostrare la paternità, naturalmente.» «Perché non potevi farlo?» Nell si concentrò sulla conversazione, su di lui. Ci sarebbe stato tempo in seguito, sperava, per risolvere tutti i punti oscuri. «Perché lui non mi aveva riconosciuto. Forse legalmente avrei potuto ottenere il nome, ma poi? E non avevo bisogno della sua proprietà. Se tu non fossi tornata, avrei potuto fare qualcosa al riguardo. Ma poi sei arrivata.» D'improvviso la sua faccia si scurì. Nell si rese conto bruscamente di ciò che aveva visto quando l'aveva chiamata, quella notte, e disse lentamente: «Io sono qui perché tu volevi
che venissi. Perché tu... sei venuto da me. Tu hai visto, non è vero? Hai visto Max insieme a me.» «Nel tuo letto. Quel bovaro si è dato almeno una ripulita prima?» Lei scelse attentamente le parole. «Lui non mi ha corrotta, Kyle. Non mi ha traviata.» «Certo che l'ha fatto.» «No. Io amo Max. E lui ama me.» «Quello non è amore» disse Kyle sprezzante. «Avvinghiarsi tra le lenzuola? Essere in calore come animali? Hai mai guardato, Nell? Hai mai visto che aspetto hanno due corpi nudi e pelosi quando lo fanno? È abietto. Indicibilmente abietto. Almeno non ho dovuto guardarti. Ma Hailey...» «Tu l'hai seguita. L'hai osservata.» «Dovevo farlo. Lei era malata, dal tempo in cui era una bambina. Malata. Randal Patterson l'aveva infettata. Giù in quel suo scantinato.» La sua bocca si contorse. «Volevo ucciderlo allora. Ma ero soltanto un ragazzino, così non potei farlo.» Scrollò le spalle e si accigliò guardando la pistola che reggeva in una mano con apparente negligenza, e Nell colse l'occasione per lanciare una rapida occhiata a Ethan. Vide le sue palpebre tremolare, la testa muoversi appena un poco, e capì che adesso era pienamente cosciente. Ma non era il momento. Non ancora. Non ancora. Disse a Kyle la prima cosa che riuscì a pensare per tenere viva la conversazione. «Ci furono altri uomini dopo Patterson. Come potevi continuare a incolpare loro piuttosto che lei?» «Hailey non sapeva quello che stava facendo» rispose Kyle scandendo le parole. «Ma loro sì. Loro approfittarono di lei. So che era turbata quando vostra madre se ne andò, ma...» «Nostra madre non se ne andò, Kyle. Lui la uccise. Io l'ho visto.» Kyle la fissò per un istante senza batter ciglio, poi sorrise. «L'hai visto davvero.» «E tu me l'hai fatto dimenticare.» «Dovevo. Avevi il suo stesso sangue da prostituta nelle vene, e sapevo che sarebbe bastato un fattore scatenante. Vedere lei che veniva punita, sentirla piangere, supplicare e dirsi sincera quando era evidente che stava mentendo, quella puttana... tutto ciò avrebbe potuto essere sufficiente.» Nell si sentì rivoltare lo stomaco e lottò disperatamente per non mostrare la sua reazione. «Perché non hai... tentato con Hailey? Perché non hai provato a... curare la sua malattia nello stesso modo?»
«Lei non ha mai avuto il dono dei Gallagher. Oh, ho tentato, più di una volta, di raggiungerla, di toccarle la mente. Anche di farle visita mentre stava dormendo, come facevo con te. Ma non ha funzionato. Suppongo che fosse già corrotta allora, anche se non volevo ammetterlo.» «Tu mi facevi visita? Mentre dormivo?» Kyle sorrise di nuovo. «Continuamente, prima che scappassi via da Silence. Dopo che te ne sei andata... non so. Ti ho perso, in qualche modo. Non ero nemmeno sicuro di poterlo rifare, quando sei tornata, ma è stato veramente facile. Forse perché sapevo che eri lì, in casa. Dev'essere stato questo, non pensi? Il fatto di sapere dov'eri?» «Io... suppongo di sì.» «Non avevo idea che potessi spingerti a compiere delle azioni. Dapprima, ho cominciato dicendoti di girarti nel letto. Di alzarti e spazzolarti i capelli. Di andare su in soffitta a prendere la tua bambola.» «Mi chiedevo come fosse finita sul mio cuscino» disse Nell, sforzandosi di mantenere la voce calma anche se si sentiva accapponare la pelle. «Non sei riuscita a capirlo, onestamente? Non avevi la minima idea che fossi io?» Nell spostò lievemente il peso, mettendo le mani vicino ai fianchi ai lati del cuscino, come per puntellarsi. In tono tranquillo, disse: «Come potevo immaginare? Io non sapevo di te. Non sapevo di avere un fratello. E tu non mi avresti lasciato rammentare quello che avevi fatto per me.» «Non c'era alcun motivo perché tu ricordassi.» Kyle si accigliò. «Mi chiedo se sia per questo che hai lasciato entrare Max Tanner nel tuo letto, perché hai ricordato che avevi nelle vene il sangue di una puttana. È stato così?» Lei ignorò la domanda. «Qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, con Hailey? Perché hai cominciato a... punire gli uomini con cui era stata? È stato a causa della sua fuga con Glen Sabella?» Kyle rise. «Lei non sarebbe mai scappata con lui, Nell. Non le importava di lui più di quanto le fosse importato degli altri. Alimentava soltanto la sua malattia, non capisci? Dopo che la nonna morì, Hailey usò casa sua come un luogo d'incontro. Ma era tutto ciò che voleva da lui.» «Tu li hai spiati.» «Sicuro. Quell'ultimo giorno ebbero un diverbio su qualcosa. E lui la picchiò. Lei si limitò a ridere, ma... a me non piacque. Non mi piacque affatto. Hailey si vestiva e se ne andava sempre per prima, così aspettai. E non appena se ne fu andata, entrai. Avevo il mio manganello. Lui era forte,
ma lo colsi di sorpresa.» «Tu...» «Non avevo intenzione di ucciderlo. Solo di punirlo. Ma lui non la piantava di muoversi, non voleva star zitto e smetterla di gemere. Così continuai a colpirlo.» Sospirò. «Hailey era tornata indietro per qualcosa, non so cosa. Mi vide. Vide cosa gli avevo fatto. Fu allora che scappò via.» «Cosa... ne hai fatto di Sabella?» «Lo seppellii. E fu così facile, così semplice. Pensavo che mi avrebbe fatto un'impressione diversa, uccidere qualcuno che conoscevo, ma non è stato così. Era come schiacciare una mosca. Proprio lo stesso.» «Se guarda fuori da una delle finestre» disse Galen con la voce appena più alta di un sussurro «siamo spacciati. Con quella luna enorme, è chiaro come il giorno, qui fuori.» «Lui non sta guardando» disse Max, tenendo la voce altrettanto bassa. «Nell continua a farlo parlare.» «Questo vostro legame sta risultando utile» disse Kelly Rankin, controllando la sua arma per la terza volta. «Ma qualcuno vuole spiegarmi come funziona di preciso?» «Più tardi» le disse Justin. «Max, quanto tempo ancora può tenerlo occupato Nell?» «Non lo so. Alcuni minuti, forse.» Nell'ultimo quarto d'ora Max aveva compreso perché Nell aveva fatto bene a tenere la sua porta chiusa per la maggior parte del tempo: era incredibilmente difficile per lui concentrarsi su due luoghi nello stesso momento, figuriamoci mettere ordine nel groviglio di pensieri ed emozioni che appartenevano a entrambi. Nell stava cercando di aiutarlo, e lui lo sapeva. Si stava concentrando intensamente su Kyle Venable e su quello che stava dicendo, non consentendo a se stessa di pensare troppo. E manteneva attenuate le proprie emozioni, rifiutando di cedere all'orrore e al disgusto che quelle rivelazioni creavano in lei. Ma Max si sentiva ugualmente disorientato, sconcertato. Si aspettava che con la pratica avrebbe imparato, ed era maledettamente lieto che quella porta fosse aperta, adesso, mentre Nell affrontava un furioso assassino, tuttavia doveva ammettere che talvolta quel loro legame avrebbe potuto rivelarsi più un impaccio che un aiuto. «Ci sono soltanto le due porte.» Lauren Champagne si rannicchiò di nuovo accanto agli altri, accucciati all'ombra di una macchina agricola al
margine del campo. «Ma c'è una finestra che credo di poter aprire sull'altro lato della casa. Questo ci darà tre vie d'accesso. Tre possibilità.» Max la guardò e disse: «Lì dentro c'è il tuo compagno.» «Ti stai domandando se sarò in grado di ucciderlo, nel caso fossi costretta? Stanne certo.» Nella penombra, il suo viso pareva visibilmente tranquillo e calmo. «Non mi spaventa eliminare bestie simili.» «E lei è un'ottima tiratrice» mormorò Justin. Lauren lo guardò con aria interrogativa. «Il poligono di tiro» spiegò lui. «Ti ho visto esercitarti qualche settimana fa.» «Ah.» Galen disse: «Max, tu sei l'unico che non è un poliziotto. Se hai preso la pistola di Nell, passamela.» «Scordatelo.» «Max...» «Anch'io sono un ottimo tiratore.» «Non m'importa» gli disse Galen garbatamente. «Questa situazione è già abbastanza complicata senza che un civile venga coinvolto in una sparatoria.» «Non ci sarà una sparatoria» replicò Max. Imprecò sottovoce. «Nell è lì dentro. Credi davvero che voglia veder volare i proiettili?» «Stiamo esaurendo il tempo» disse Lauren. «E il tempo è il punto in questione. O meglio, il tempismo. Avremo solo una possibilità per fare tutto nel modo giusto.» Max restò immobile un istante. «Dobbiamo muoverci» disse. «Adesso.» «Uccidere... qualcuno che conoscevi? Vuoi dire che Sabella non era il primo?» Kyle scrollò le spalle. «Lui è stato il primo di qui. Ma Hailey talvolta usciva dal paese, e io non potevo lasciare che quei luridi bastardi la facessero franca, vero? Loro dovevano pagare. La infettavano sempre più, e dovevano pagare.» Nell, consapevole dello scorrere inesorabile del tempo, si spostò lievemente sul divano e disse: «E questo ci porta a Ethan, suppongo. Perché vuoi ucciderlo, Kyle?» «Lui non è diverso dagli altri.» «Davvero?» «No. Lui l'ha soltanto usata per poi scaricarla, come tutti. Ha alimentato
la sua malattia. Devo punirlo, proprio come ho fatto con gli altri.» «E che ne dici di me, Kyle? Io cosa ho fatto?» Mantenne lo sguardo fisso sul suo viso. «Hai lasciato entrare Tanner nel tuo letto. Anche tu sei infettata, Nell. Pensavo che il dono dei Gallagher ti avrebbe salvato, ma non è stato così. Non vedi che l'infezione è ovunque? Ho cercato in ogni modo di curarla, e penso... penso che l'unico sistema sia estirparla.» «Vuoi dire uccidermi.» «Devo estirpare l'infezione» disse Kyle, glaciale. «Mi ucciderai senza darmi l'opportunità di... pentirmi? Di cambiare?» Per la prima volta, Kyle sembrò esitare. «Io non voglio farlo.» «Allora non farlo.» Nell si alzò in piedi, attenta a non compiere alcun movimento brusco che potesse allarmarlo inducendolo a usare la pistola. Riuscì a voltarsi quel tanto che bastò per mostrare le dita della mano sinistra a Ethan nascondendolo a Kyle. Tenne dapprima il pugno chiuso, poi iniziò a stendere lentamente un dito dopo l'altro, facendo una breve pausa tra ogni gesto. Stava contando fino a cinque. Sperava solo che Ethan lo vedesse, e capisse, perché non era stata capace di pensare a un altro modo per avvertirlo. «Se ucciderai l'unico membro della tua famiglia che ti è rimasto qui a Silence, resterai solo» gli rammentò. «È davvero questo che vuoi?» Kyle scosse la testa, era più un rimprovero che una smentita, e allungò la mano libera per prendere la corda che aveva lasciato sul tavolo vicino quando Nell era arrivata. «Tutto ciò che voglio è...» Nell colse un guizzo nell'atrio dietro Kyle nello stesso istante in cui terminava il conteggio. E mentre prendeva la pistola percepì e insieme udì Ethan gettarsi di lato dando uno strattone alla sedia. «Buttala, Venable!» tuonò la voce di Galen. Forse fu l'addestramento o l'istinto a suggerirle che Kyle non avrebbe obbedito all'ordine. O forse era semplicemente il sangue dei Gallagher, o la loro maledizione. Kyle si girò, puntando la pistola verso di lei. Con la vista acuita dalla criticità del momento, Nell scorse il dito di lui serrarsi sul grilletto e la sua bocca torcersi in un ghigno. Era come se il tempo avesse rallentato la sua corsa. Lei stava sollevando la pistola che le aveva dato Hailey, lanciandosi verso una poltrona, unico riparo vicino. Vide Kyle sussultare prima di udire la detonazione della pistola, vide il fiore scarlatto sulla camicia della sua uniforme, poi un secon-
do proiettile colpirlo. Ironia della sorte, nell'impatto il suo corpo venne a trovarsi in una posizione migliore per spararle. La pistola le s'impennò in mano proprio mentre vedeva il rinculo dell'arma di Kyle. Poi qualcosa entrò in lei con la forza di un treno, e tutto divenne nero. Non appena Nell aprì gli occhi comprese che era passato del tempo. Molto tempo. Sentiva le palpebre pesarle, come se avesse dormito per ore, eppure stava bene, nonostante tutto. Almeno finché non si mosse. «Ahi. Maledizione.» «Ti sta bene. Non muoverti e non ti farà tanto male.» Voltò la testa con cautela e vide Max seduto accanto al letto. Il letto di un ospedale. La testa le martellava un tantino, e avvertiva una sensazione di costrizione alla spalla sinistra e al braccio. «Che è successo?» domandò. «Non ricordi?» Nell ci pensò e, lentamente, le tornò in mente tutto. O quasi tutto, comunque. «Kyle è morto?» «Sì.» Max fece una smorfia. «Anche se c'è voluto un proiettile da quasi ogni pistola. E ciò nonostante è riuscito a spararti.» Il che spiegava la costrizione che sentiva al braccio e alla spalla. Doveva trattarsi di una fasciatura pesante, Nell cercò a tentoni con la mano destra i comandi del letto, poi li usò per sollevare la testa di qualche centimetro. «Ahi» disse di nuovo quando la spalla cominciò a pulsare insieme alla testa. «Il proiettile non ha colpito organi vitali, vero?» «Sorprendentemente, no. È uscito senza far danni. Il dottore dice che domani ti faranno un bendaggio più leggero, poi porterai il braccio al collo per circa una settimana. Dice che guarirai presto.» Nell lo guardò, consapevole che il suo tono calmo e distaccato era stabile più o meno come la nitroglicerina. La porta psichica tra loro era solidamente chiusa: lei l'aveva serrata nell'istante in cui aveva realizzato che Kyle le avrebbe sparato, sapendo fin troppo bene che Max avrebbe condiviso il suo dolore e forse non solo quello. Ma anche senza quella forma di comunicazione diretta, conosceva Max Tanner. «Mi sento bene» gli disse. «Riposata, in effetti. Quanto tempo sono rimasta priva di sensi?» «Sono quasi le cinque, di domenica pomeriggio.» Lei sbatté le palpebre. «Che cosa? Ho dormito tutto il giorno?» «Il dottore ha detto che avevi bisogno di riposo per guarire. Galen mi ha informato che ti avevano già sparato in precedenza e anche quella volta avevi dormito per ore.»
«Dunque è per questo?» «Cosa?» «Sei turbato perché mi hanno già sparato?» Max fece un bel respiro e lo rilasciò lentamente, l'immagine di chi restava aggrappato al proprio sangue freddo o alla propria pazienza. «Sono turbato per il fatto che ti abbiano sparato e basta. Sia stavolta sia l'altra. Dovrai perdonarmi. L'averti visto stesa sanguinante non sarà uno dei miei ricordi preferiti.» «Non succede spesso. La maggior parte degli agenti portano a termine l'intera carriera estraendo a malapena la pistola. Sono rari i casi in cui vengono feriti.» «A te è successo due volte. E da quanto tempo sei nella polizia?» Nell gli sorrise. «Sto bene, Max. Davvero.» Lui la fissò per un istante, poi si allungò e le prese la mano. «Non farmelo di nuovo.» «Di sicuro cercherò di non farlo. Non è stato molto divertente.» «È per questo che hai chiuso la porta? In modo che non fossi in grado di provare quello che ti succedeva?» «Non volevo chiuderti fuori. Ma ho dovuto farlo. Avevi bisogno di reagire.» Max esitò, poi disse lentamente: «Senti, la notte scorsa ho compreso piuttosto chiaramente sia i benefici sia gli inconvenienti di comunicare a quel modo con te. Così adesso capisco perché preferiresti tener chiusa la porta.» «Ma?» «Ma... durante tutti questi anni senza di te, sapere che quella porta era lì, sempre, e che non potevo fare un maledetto accidente per aprirla è stato...» «Frustrante? Esasperante?» «Doloroso.» Lei sostenne fermamente il suo sguardo. «È Un altro inconveniente del legare il tuo destino a quello di un sensitivo. Mi dispiace, Max, ma non conosco alcun modo di cambiare le cose, di renderti in grado di controllarlo. Tutte quelle letture che hai fatto in questi anni... cercavi una risposta, giusto?» «Sì, più o meno.» «Be', non ne hai trovata una?» A Max sfuggì una lieve risata. «Diamine, non ho trovato nulla che arrivasse neppure vicino a spiegare cosa fosse successo tra noi, figuriamoci a
scoprire un modo per diventare un partecipante attivo, invece che passivo.» Nell scelse le parole con cura, fin troppo consapevole che, malgrado l'amore, Max alla fine avrebbe potuto anche decidere di non legare il proprio destino a una sensitiva. «È questo che vuoi? Diventare un sensitivo? O è più una questione di controllo, in realtà?» «È una questione di condivisione, Nell. Non voglio essere un sensitivo, non se tu sei disposta, sinceramente disposta, ad aprirti a me. Nei momenti brutti come in quelli belli.» «Se la porta fosse stata aperta quando mi hanno sparato, tu lo avresti sentito, Max. Te l'ho detto, avrebbe potuto...» «Avrebbe potuto procurarmi un dolore, sì. Ma se è una scelta tra dolori, allora voglio condividere i tuoi e accettare qualsiasi cosa accada. Perché malgrado il turbamento e i rischi, ogni volta che chiudi quella porta mi sento come se mi stessi cacciando dalla tua vita. Ogni volta. E questo mi fa male.» «Io non voglio chiuderti fuori. Non l'ho mai voluto.» «Lo stai facendo, adesso.» Max scosse la testa. «Da ciò che ho percepito ieri notte, so che ora sei piuttosto sicura di una cosa. L'oscurità che sentivi dentro di te, in tutti questi anni, in qualche modo dipendeva da Kyle. Il male era in lui, non in te. È così, vero?» «Io... credo di sì. Non posso esserne certa, naturalmente, ma appena mi sono svegliata ho provato un senso di leggerezza che non avevo mai sentito prima. Come se un peso fosse stato rimosso. Ma non c'è alcuna garanzia, Max. Nulla assicura che le mie capacità alla fine non... spezzeranno la mia mente.» «Sono disposto a correre il rischio. Sono stato senza di te dodici anni, Nell, e la sola cosa che so con assoluta certezza è che voglio starti vicino.» «E il mio lavoro? È importante per me.» «So che lo è» disse lui immediatamente. «Non ti chiederei mai di rinunciarci.» «Il tuo ranch è qui. La tua vita è qui.» «Troveremo un modo, Nell. Tutto ciò che devi fare è dirmi che lo vuoi anche tu.» «Lo fai sembrare così semplice» mormorò lei. «Questa parte lo è. Dimmi che mi ami e che vuoi passare la tua vita con me. Il resto si aggiusterà con il tempo.» «Max...»
«È davvero così semplice, lo sai. Quanto al resto, vedremo...» Lei non poté fare a meno di ridere, anche se in modo incerto. «Il nostro futuro condensato in due frasi?» «Be', costruiremo su quelle.» Nell si spostò istintivamente per volgersi verso di lui, ma una fitta lancinante alla spalla la fece sussultare. «Forse farei meglio a rimandare ogni decisione avventata finché avrò di nuovo l'uso di entrambe le braccia.» Max sollevò un sopracciglio verso di lei. «Stai prendendo tempo.» «No. Ti assicuro.» «È quello che sembra, dal mio punto di vista.» Nell rise di nuovo, stavolta con maggior allegria. Era grata che Max si stesse trattenendo dal farle pressione, perché malgrado le sue parole fiduciose sapeva che avevano molto su cui riflettere. «Forse potresti cambiare posizione» suggerì. Le dita di Max si strinsero intorno alle sue e lui cominciò ad avvicinarsi, ma Ethan entrò nella stanza, con un'aria molto stanca e un cerotto su una tempia che gli davano un certo fascino. «Allora sei sveglia» disse a Nell. «Bene. I dottori erano sul punto di somministrare un sedativo a Max.» «Divertente» disse l'altro. Nell sorrise a Ethan. «Non hai un brutto aspetto, tutto considerato.» «Mi sento un idiota» disse lui con franchezza. «Andarmene allegramente in giro con l'assassino. Oh, sì, sono proprio un gran poliziotto.» «Dove saresti dovuto andare con lui?» «Gli avevo chiesto di fare un salto a casa di Matt Thorton. Avevo trovato qualcosa che non mi tornava in quei registri delle nascite e volevo interrogarlo in proposito. Credevo di essere furbo a non andarci da solo. Ho scelto l'agente sbagliato per coprirmi le spalle.» «Pensavi che Thorton potesse essere l'assassino?» «Volevo soltanto sapere perché da ragazzino mi aveva raccontato che la sua vera madre era morta, quando non era vero.» «E perché l'aveva fatto?» Ethan fece una smorfia. «Era arrabbiato con lei. Non aveva voluto che prendesse parte a qualche stupida gita campestre, così lui aveva deciso che non era affatto la sua vera madre. Il che poteva anche andar bene, se non mi avesse raccontato la sua fantasia.» Nell si accigliò. «D'accordo, ma... cosa ha fatto scatenare Kyle? Voglio dire, perché ha deciso di ucciderti ieri notte?»
«Ho commesso il secondo sbaglio, ossia dirgli che stavo esaminando i registri delle nascite. Cercando qualcosa che potesse aver causato l'assassinio di George Caldwell.» «Bada che non sto dicendo nulla» osservò Max. «Lo stai dicendo forte e chiaro.» «Ragazzi.» Nell scosse la testa. «Ebbene, per caso ha detto per quale motivo l'ha ucciso?» «No, ma intendo scoprirlo.» «Nel frattempo» disse Nell «dove sono gli altri?» «In ufficio» rispose Ethan. «Adesso che tutti sono usciti allo scoperto, per così dire, ci è parso il momento giusto per preparare i rapporti e raccogliere le prove.» «E tanto vale approfittare degli agenti dell'FBI, no?» disse Max. «Già.» «Che mi dici di Hailey?» chiese Nell. «Non faceva parte delle truppe d'assalto, ieri notte, vero Ethan? Perché so che lei non sapeva sparare, e ha sempre fatto a pugni come una mocciosa.» Lui girò intorno al letto e la guardò perplesso, «No, Hailey non c'era. Perché hai pensato che sarebbe stata lì?» «È stata lei a dirmi che Kyle ti aveva preso e stava per ucciderti. Con un ceffone mi aveva riscosso dal torpore provocatomi da Kyle.» Nell corrugò la fronte guardando Ethan, poi Max. «È andata in cerca d'aiuto. Non è stata lei a trovarvi?» Con una strana espressione sul viso, Max disse: «Nell, Hailey non c'era ieri notte. Non avrebbe potuto esserci.» «Che cosa intendi dire? L'ho vista, Max. Le ho parlato. Lei era lì.» «Nell» disse Ethan, dopo aver scambiato un'occhiata con Max. «Il tuo capo si è messo in contatto un paio d'ore fa. I... resti che hai scoperto giù a casa di tua nonna... Il laboratorio dell'FBI è stato in grado di utilizzare le impronte dei denti per fare un confronto. L'identificazione è certa. Ma non si tratta di tua madre.» «È Hailey» terminò lentamente Max. «La loro stima è che sia stata uccisa quando si pensava che avesse lasciato Silence. È passato quasi un anno.» Epilogo Lunedì 27 marzo
Max sapeva a malapena battere a macchina con due dita, e mettere su carta quella lunga dichiarazione gli stava prendendo più tempo di quanto avesse previsto. «Perché devo scriverlo io?» domandò a Ethan. «Non dovrebbe farlo uno dei tuoi brillanti ragazzi?» «Sono indaffarati.» «Indaffarati? Due terzi di loro sono fuori servizio.» «Dopo aver esaurito i fondi per gli straordinari dell'intero anno, per un po' tutti prenderanno ferie e giorni di malattia. È una dichiarazione, Max, tu sai come compilarne una.» «Be', smettila di ronzarmi attorno, allora.» «Non ti sto ronzando attorno. Pensavo solo che forse ti interessava sapere che il capo di Nell è qui.» Max smise di scrivere. «Bishop?» «Sì.» «Che è venuto a fare?» «Pare che abbia appena concluso un'altra indagine a Chicago.» «Allora che ci fa qui?» Ethan sogghignò. «Sto cercando di decifrare se lo consideri un rivale o soltanto la persona che riporterà Nell in Virginia.» Max rifiutò di dargli soddisfazione, e disse: «Rispondi alla mia domanda. Che cosa ci fa qui?» «Sta chiarendo qualche punto oscuro. Ha fornito alcuni documenti necessari, come quel profilo originale dell'FBI, e sta offrendo la sua esperienza per risolvere le poche questioni rimaste. E poi deve recuperare i suoi uomini.» «Dov'è Nell?» «Sta parlando con lui nella sala riunioni.» Max spinse indietro la sedia e si alzò. «Dichiarazione finita?» chiese Ethan educatamente. «Non farmi dire cosa puoi farne della tua dichiarazione. La finirò dopo.» Ethan rise, ma non protestò quando Max lasciò l'ufficio dove si trovava per farsi strada nella stazione di polizia quasi deserta fino alla sala riunioni. Malgrado la provocazione di Ethan, Max non considerava Bishop una vera minaccia al suo rapporto con Nell, ma era proprio curioso di conoscerlo. Si fermò sulla soglia e notò Galen, che rilassato sfogliava il giornale del paese con i piedi sul tavolo. Anche Justin e Shelby stavano lì, seduti
all'estremità opposta del tavolo. Altre due persone erano nella stanza. Nell era vestita in modo disinvolto in jeans e maglione, la fascia a tracolla che le teneva immobile il braccio l'unico indizio della ferita alla spalla. Il trauma per aver scoperto che Hailey era morta, nonostante le fosse apparsa in modo tanto corporeo per aiutarla, non si era protratto per molto tempo: Nell era di gran lunga più ottimista riguardo a quel genere di eventi di quanto lo sarebbe stata la maggior parte della gente. Avrebbe dovuto immaginare che Hailey avrebbe cercato di controllare le cose a suo piacimento perfino dall'oltretomba. Quello era stato il suo commento ironico. Adesso, composta come sempre, stava discutendo con l'uomo appoggiato al tavolo, gli occhi fissi nei suoi. Era alto, probabilmente sul finire della trentina, vestito in modo informale, come gli altri, pantaloni scuri e giubbotto di pelle nera. Aveva un fisico robusto, da atleta, e dal contegno si capiva che era un tipo sicuro di sé. Era anche bello, moro, dallo sguardo penetrante, il genere d'uomo che piace alle donne. Aveva i capelli nerissimi, e un'abbronzatura naturale. L'aspetto di un divo del cinema, pensò Max, studiando con inquietudine quel profilo perfetto. Poi, d'un tratto, Bishop girò la testa, e Max provò uno shock. La cicatrice che segnava la sua guancia sinistra non ne deturpava i lineamenti, e anzi pareva un tratto distintivo; insieme al teatrale pizzetto nero e alla sottile striscia di capelli bianchi appena sopra la tempia sinistra gli conferiva un aspetto impressionante quanto insolito. Quello era un agente dell'FBI, pensò Max, che difficilmente avrebbe potuto lavorare sotto copertura. Max si fece avanti per essere presentato a Noah Bishop, e mentre si stringevano la mano notò che il suo bel viso era immobile e gli occhi fissi probabilmente sembravano glaciali a causa del loro colore argento pallido. O forse no. «Lieto di fare finalmente la sua conoscenza» disse Bishop, la voce profonda e non proprio fredda come quegli occhi. Max decise di non contestare quell'affermazione, dicendo semplicemente: «Una squadra interessante quella che ha messo insieme, agente Bishop. Nell mi ha raccontato che lei ha poteri telepatici. Telepatia tramite contatto, penso che abbia detto.» La bocca dura che s'incurvava lievemente, Bishop disse: «È così.»
«E questo cosa significa? Che può leggere nella mente di qualcuno toccandolo?» Cercò di non sentirsi diffidente per il fatto che si erano appena stretti la mano. Bishop scrollò le spalle, sempre sorridendo debolmente. «Circa il sessanta, settanta per cento delle volte, sì.» Shelby disse: «Chi l'avrebbe pensato? Agenti dell'FBI sensitivi.» «Che cosa s'inventeranno ancora?» mormorò Justin. Max, determinato a non chiedere in quale percentuale ricadeva, incrociò lo sguardo divertito di Nell e subito si domandò se i suoi pensieri non fossero così trasparenti che perfino un cieco avrebbe potuto leggerglieli, figuriamoci un sensitivo. Galen allora interloquì dicendo: «All'FBI non siamo tutti sensitivi, sapete.» Bishop lo guardò perplesso: «Be', tecnicamente parlando, tu lo sei.» «Solo secondo la tua definizione. E non mi convincerai mai di non aver aggiunto una postilla al manuale del Reparto speciale anticrimine solo per assicurarti che io avrei avuto le qualifiche per il lavoro.» «C'è un manuale?» Shelby guardò dall'uno all'altro con occhi vivamente interessati. Max, più curioso di sapere perché Galen fosse adatto al Reparto speciale anticrimine, aprì la bocca per domandarlo, ma vide Bishop guardare improvvisamente verso la porta, il viso che mutava in modo piuttosto teatrale. L'agente cominciò a sorridere, un sorriso vero, questa volta, e quegli occhi glaciali si riscaldarono, trasformando il professionista distaccato in un uomo felice a cui non importava granché di chi lo avrebbe notato. Oltrepassò Max diretto verso la porta, e questi si voltò in tempo per vedere la stupenda, sorridente Lauren Champagne entrare nella stanza e ritrovarsi sollevata con i piedi per aria in un abbraccio di benvenuto. Piuttosto impassibile, Justin disse: «Deduco che si conoscono.» «Puoi ben dirlo» sogghignò Nell. «Sono sposati.» Max la fissò. «Non mi hai mai detto che Bishop era sposato.» «No. Non l'ho fatto, vero?» Galen ridacchiò e disse: «È un inferno quando lei conosce tutti i tuoi tasti, eh?» «Smettila di seminare zizzania» disse Nell al suo compagno. «Chi, io?» «Tu ti diverti. Sentite, perché non ci mettiamo tutti a sedere?»
«La spalla ti sta dando fastidio?» le chiese Max. «Tasti, tasti dappertutto» mormorò Galen. Nell gli indirizzò un'occhiata minacciosa e disse a Max: «No, sto bene. Ma dato che oggi stiamo completando i rapporti e le dichiarazioni, probabilmente ci sono alcune cose di cui dobbiamo parlare.» «Non pensavo che fossero rimaste molte domande» osservò Galen piuttosto svogliatamente. «Alcune incongruenze» disse Bishop, mentre lui e sua moglie raggiungevano gli altri al tavolo. Justin, notando che gli occhi scuri di Lauren Champagne adesso erano di un blu elettrico, disse: «Lenti a contatto.» Lei gli sorrise. «È sorprendente come un paio di dettagli ti facciano sembrare diversa. Lenti a contatto castane, un flacone di tintura, un accento leggermente diverso. Io sono Miranda, a proposito.» «Perché usare un falso nome?» domandò Max. «Non è un falso nome, soltanto non è il mio.» Lei scrollò le spalle. «A volte è più rapido e facile prendere in prestito il nome e i precedenti di una persona reale, ed è per questo che abbiamo fatto in modo di poter contare su una serie di poliziotti e di altre persone utili in giro per il paese disposti a cedere temporaneamente la propria identità. La vera Lauren Champagne è un'agente di polizia che voleva prendersi qualche mese di vacanza dal suo lavoro in Virginia e fare un bel viaggio in macchina.» «Ogni indagine in cui siamo coinvolti è diversa» disse Bishop. «In questo caso, Nell aveva una copertura perfetta, giacché aveva un motivo legittimo per venire a Silence. Ma ci serviva anche qualcuno all'interno dell'ufficio dello sceriffo, qualcuno che potesse muoversi in mezzo agli altri poliziotti e osservarli, controllare gli archivi e i documenti, e così via.» «Ci voleva tempo» proseguì Miranda. «Così sono venuta quaggiù e mi sono sistemata, un paio di mesi prima che sapessimo che il testamento relativo alla proprietà di Adam Gallagher era stato riconosciuto valido e Nell potesse tornare.» «Al momento del mio arrivo» continuò Nell «Miranda aveva eliminato dalla lista dei sospetti gran parte dei poliziotti, ma ce n'erano diversi su cui non potevamo essere sicuri. E poi c'eri tu, Justin.» Fece un debole sorriso. «Eravamo certi che Max ti avesse coinvolto perché Ethan stava pensando di arrestarlo per gli omicidi, e lui aveva bisogno di qualcuno che stesse dalla sua parte tra coloro che indagavano. Ma anche se ci fossimo sbagliati, tu sei stato eliminato dai sospetti perché non eri a Silence da abbastanza
tempo.» «Sapevate di potervi fidare. Ed è per questo che hai mandato Shelby da me.» Shelby cominciò a ridere. Nell fece un largo sorriso. «Be', sì. Sapevo che la risposta al perché George Caldwell era stato ucciso si trovava in quei registri delle nascite, e io non potevo controllarli.» «Cosa c'era in quei registri?» domandò Shelby. «Nessuno me l'ha mai detto.» «Kyle aveva fatto un controllo per scoprire se poteva ereditare la proprietà di mio... di nostro padre» disse Nell. «Non aveva intenzione di andare da Wade Keever, data la sua reputazione di chiacchierone, oltre al fatto che era l'avvocato della famiglia Gallagher, così si è rivolto a un altro avvocato di Silence, uno che non avrebbe fatto troppe domande.» Nell sospirò. «Ma il compagno di golf di quell'avvocato era George Caldwell, il quale è venuto così a sapere delle faccende di Kyle. Curioso, Caldwell ha cominciato a scavare. L'ironia, dal nostro punto di vista, è che lì non c'era nulla da trovare. Nella registrazione di nascita di Kyle non c'era niente di sospetto.» «Tutte quelle ore a leggere registrazioni di nascita» piagnucolò Shelby. «Lo so. Mi dispiace. In realtà, per quanto possiamo dire, non riuscendo a trovare nulla nei registri, Caldwell ha domandato a Kyle se fosse imparentato con i Gallagher. A quel punto, grazie a Wade Keever, si stava diffondendo la voce che io sarei tornata a casa. Kyle ha avuto paura che Caldwell facesse a me la stessa domanda. Siccome voleva essere lui a scegliere quando dirmi che era mio fratello, senza che prima lo facesse qualcun altro, ha deciso di togliere di mezzo Caldwell. Un nuovo omicidio non significava nulla per lui, dopo tutto. Era come schiacciare una mosca fastidiosa. La messinscena del ricatto è stata soltanto un divertimento in più.» «Che mi dici dell'altro avvocato?» chiese Justin. «Non costituiva una minaccia più grave per Kyle?» «No, perché Caldwell non ha mai avuto l'occasione di raccontargli che cosa lo aveva reso curioso. Ma noi avevamo paura che Wade Keever potesse rappresentare una minaccia: non eravamo certi che sapesse nulla, ma se avesse saputo qualcosa sicuramente non sarebbe stato capace di tenere la bocca chiusa.» A un tratto Nell si accigliò e guardò Miranda. «Suppongo che possiamo lasciarlo tornare a casa, adesso.» «Ho già chiamato per ordinare il suo rilascio.» Miranda ridacchiò. «A-
veva smesso di minacciare un'azione legale e stava giocando a poker con l'agente che lo sorvegliava. Così ora ha davvero qualcosa da raccontare in giro.» «Vuoi dire che avete rapito Wade Keever?» esclamò Shelby, sogghignando. «Niente affatto» disse Miranda. «Gli ho soltanto suggerito che sarebbe stato meglio altrove finché non identificavamo l'assassino.» «Suggerito puntandogli addosso una pistola» mormorò Bishop. «Di notte, sotto un lampione stradale.» «Come se tu non avresti fatto la stessa cosa.» Bishop stava per negarlo, poi si fermò, rifletté, e di colpo sorrise. «Hai ragione. L'avrei fatto.» «Non hai ancora finito?» chiese Nell, entrando nel piccolo ufficio dove Max stava battendo la sua dichiarazione. «Quasi. Credo che Ethan mi abbia dato questa lista di domande solo per tenermi qui tutto il giorno.» «Ma su, potrebbe mai farlo?» domandò Nell, appollaiandosi su un angolo della scrivania. «Non meriti nemmeno una risposta.» «Mi fa piacere che abbiate fatto pace.» «È così che la pensi?» Nell fece un largo sorriso. «Be', sì.» Max sospirò. «Vedremo. Ascolta, prima intendevo chiederti se avevi deciso di continuare a cercare dove Adam ha seppellito tua madre.» «Ethan dice che lo faranno i suoi uomini. Poiché l'omicidio della mia visione era quello di Hailey e a ucciderla era stato Kyle, trovare i resti di mia madre è davvero l'ultima cosa rimasta da fare. Per chiudere il caso, intendo.» «Pensi che Kyle abbia sepolto il suo medaglione insieme a Hailey per depistarti nel caso fossi tornata?» «Forse. O forse si stava liberando di tutto ciò che in qualche modo apparteneva all'altra sorella, ossia a me. Non lo sapremo mai, suppongo.» «A meno che Hailey non torni di nuovo?» Nell sorrise. «Non penso che lo farà. Ha sbrigato le faccende che aveva in sospeso in una notte.» «E adesso è in pace?» «Spero di sì. Bishop dice che quel genere di visita avviene soltanto
quando uno spirito è pronto a muoversi oltre.» Max spinse indietro la sedia e la guardò esitante. «Bishop non ha detto anche che il programma per la squadra era di partire domattina presto?» «Sì, ma lui e Miranda sono già andati via.» Nell sorrise. «Considerato quanto tempo lei è stata quaggiù e il fatto che non si sono praticamente visti, credo che intendessero prendersi un po' di riposo sulla strada del ritorno a Quantico.» «Non so dove lui abbia passato le ultime settimane, ma direi che lei si è certamente guadagnata un po' di tempo libero.» Nell annuì. «Lavorano insieme il più possibile, ma talvolta devono seguire casi diversi. È dura per loro, credo.» Max si fece forza. «Immagino sia più facile perché si amano a vicenda. O più difficile.» «È una cosa con cui hanno dovuto fare i conti.» «Già. Hanno affrontato i problemi e trovato un modo per far funzionare la loro relazione.» Nell sospirò. «A proposito...» «Sì.» Max si domandò se appariva teso quanto si sentiva. «Ho cercato di non farti pressione, Nell. Ho tentato di darti il tempo di riflettere.» «So che l'hai fatto. Grazie.» Era così seria che lui sentì un brivido di paura. «Tu non stai per... Non partirai domattina. Vero?» «Max, sei sicuro? Veramente sicuro?» Stavolta fu lui a sospirare. «Se hai qualche dubbio, apri quella dannata porta. Io ti amo, Nell. Voglio passare il resto della mia vita con te.» Ancora seria, lei disse: «Anche se talvolta starò via per il mio lavoro? Secondo Bishop, il Reparto speciale anticrimine potrebbe destinare alcuni agenti ad altre zone del paese, visto che comunque viaggiamo spesso. Io potrei lavorare lontano dall'ufficio operativo di Baton Rouge. Lo accetteresti?» «Sì. Certo.» «Il mio lavoro a volte è pericoloso, lo sai. E non posso permettermi distrazioni nei momenti sbagliati. Così, se la porta restasse aperta, dovremmo entrambi imparare come cavarcela.» «Lo faremo.» «Ne sei sicuro?» «Apri la porta, Nell.» Lei lo guardò per un lungo momento, poi l'aprì. I pensieri di Max, le sue
emozioni, fluirono in lei. Così come la sua assoluta certezza. Nell trattenne il respiro e fissò i suoi occhi scuri. «Ti amo» disse lui. «Per noi è sempre stato destino, Nell. Non lo sapevi?» «Adesso lo so.» Attento a non urtare la sua spalla ferita, Max si protese e l'attirò tra le sue braccia, e di nuovo Nell ebbe la sensazione di essere a casa. Ma questa volta non c'era alcuna paura, alcuna riluttanza, nulla dentro di lei la spingeva a nascondergli una parte di sé. Questa volta non ci volle un atto fisico per indurre Nell ad aprirgli la sua mente e il suo cuore. E questa volta lei non poteva più chiudere la porta. Non più. «Ti amo, Max.» «Maledizione, era ora» disse lui, e la baciò. FINE