Nalini Singh
IL PROFUMO DEL SANGUE Romanzo
Traduzione di Chiara Brovelli
Per la vera Ashwini, che non è affatto paz...
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Nalini Singh
IL PROFUMO DEL SANGUE Romanzo
Traduzione di Chiara Brovelli
Per la vera Ashwini, che non è affatto pazza (a meno che non sia io a portarla alla follia). Due amiche del cuore, due sorelle, non potrebbero chiedere di meglio.
Titolo originale Angel’s Blood ISBN 978-88-429-1864-6 Visita www.InfiniteStorie.it il grande portale del romanzo In copertina: foto © Getty Images elaborazione grafica di Gabriele Sina Grafica: Rumore Bianco
Copyright © Nalini Singh 2009 All rights reserved © 2011 Casa Editrice Nord s.u.r.l. Gruppo editoriale Mauri Spagnol
Prima edizione digitale 2010
1 Quando Elena si presentava come una cacciatrice di vampiri, la gente invariabilmente reagiva con un sussulto, seguito dalla solita domanda: «Vuoi dire che te ne vai in giro a conficcare paletti aguzzi nei loro cuori malvagi e putridi?» D’accordo, forse le parole erano diverse, ma il senso era quello. Quanto le sarebbe piaciuto scovare ed eliminare lo stupido narratore del Quattrocento che si era inventato quella storia. Ma con ogni probabilità se n’erano già occupati gli stessi vampiri, quando i primi di loro erano finiti in quello che all’epoca doveva svolgere le funzioni di un pronto soccorso. Elena non li impalava. Li inseguiva, li catturava e li restituiva ai legittimi proprietari: gli angeli. Qualcuno chiamava quelli come lei «cacciatori di taglie», ma il biglietto da visita rilasciato dalla Corporazione l’autorizzava a «dare la caccia a vampiri e simili»: quindi era una professionista a tutti gli effetti, con tutti i vantaggi che ne derivavano, inclusa un’indennità a copertura dei rischi. Si guadagnava bene, in effetti. Compensava il fatto che, di tanto in tanto, qualche collega si ritrovava con la giugulare recisa. Ciò nonostante, quando il suo polpaccio cominciò a indolenzirsi e a farle male, Elena decise che era tempo di chiedere un aumento. Era immobile da due ore in un vicolo del Bronx, incastrata in un angolo in cui non aveva nemmeno lo spazio per girarsi. Era alta – persino troppo alta –, aveva occhi color argento e capelli così chiari da sembrare bianchi... Già, i capelli: una vera rottura. Come diceva Ransom – con il quale lei aveva un altalenante rapporto di amicizia – era come portarsi sempre appresso un cartello che diceva: EHI, SONO QUI. E, dal momento che sulla sua chioma le tinte non duravano più di due minuti, lei aveva un’enorme collezione di cappellini lavorati a maglia.
Fu tentata di calarsi sul naso quello che portava, ma ebbe la sensazione che, così facendo, sarebbe solo riuscita a rendere ancora più insopportabile l’atmosfera maleodorante di quell’angolo umido e malsano di New York. E stava riflettendo sulla possibilità di usare uno stringinaso quando... udì un fruscio alle sue spalle. Si voltò... e si ritrovò faccia a faccia con un gatto che la fissava, sospettoso. Al buio, gli occhi del felino avevano un riflesso argenteo. Aveva l’aria soddisfatta. Mentre si domandava se i suoi occhi brillassero in modo altrettanto bizzarro, Elena riportò l’attenzione sulla strada. Per fortuna, aveva ereditato la pelle scura e dorata della nonna, di origine marocchina, altrimenti avrebbe corso il rischio di essere scambiata per un fantasma. Si massaggiò il polpaccio. «Dove diavolo sei?» Il vampiro in questione l’aveva coinvolta in un inseguimento, ma solo perché nemmeno lui sapeva bene cosa stava facendo, quindi era imprevedibile. Una volta, ridendo come un idiota, Ransom le aveva chiesto se la turbasse il fatto di catturare vampiri indifesi soltanto per riportarli a una vita che, a tutti gli effetti, era di schiavitù. No, per lei non era affatto un problema. Come non lo era per il malcapitato. Nel preciso istante in cui supplicavano un angelo di Crearli, ossia di tramutarli in Creature quasi immortali, i vampiri sceglievano di diventare schiavi per un periodo di cento anni. Se fossero rimasti umani, e quindi avessero riposato in pace nelle loro tombe, non sarebbero stati vincolati da un contratto firmato con il sangue. Sì, forse gli angeli approfittavano della loro posizione; del resto, però, un contratto era un contratto. Un lampo illuminò la strada. Finalmente! Ecco il suo obiettivo: aveva un sigaro tra i denti e parlava con qualcuno al cellulare. Ormai si vantava di essere un Creato e,
secondo lui, nessuno di quegli angeli smorfiosi poteva più dargli ordini. Anche a qualche metro di distanza, Elena riuscì a sentire il puzzo di sudore. Era al primissimo stadio del vampirismo: non si era ancora disfatto del grasso corporeo, che con il tempo spariva quasi fosse un superfluo maglione d’estate, e già pensava di potersene infischiare del contratto che aveva firmato? Idiota. Uscendo dal vicolo, Elena si tolse il berretto e lo ficcò nella tasca posteriore dei pantaloni. I capelli le scesero sulle spalle in una morbida nuvola splendente, dai riflessi più unici che rari. Sapeva di non correre rischi. Non quella notte. Forse i vampiri locali la conoscevano bene, ma quello che aveva davanti aveva uno spiccato accento australiano. Era arrivato da poco da Sydney, e il suo padrone lo rivoleva laggiù. E in fretta. «Hai da accendere?» Il vampiro sussultò e il telefono gli sfuggì di mano. Elena si trattenne a stento dall’alzare gli occhi al cielo. Non era nemmeno completamente formato: i canini che aveva snudato per la sorpresa erano denti da latte. Non c’era da stupirsi che il suo padrone fosse andato su tutte le furie. Quello stupido doveva essersela squagliata dopo poco più di un anno di servizio. «Chiedo scusa», disse lei con un sorriso, mentre lui si chinava a raccogliere il telefono e la scrutava da capo a piedi. Elena sapeva perfettamente che cosa vedeva: la classica pollastrella bionda e svampita, con un paio di pantaloni neri di pelle e una maglia aderente con le maniche lunghe, dello stesso colore. Niente armi in vista. Tirando le debite conclusioni, il giovane Creato commise l’errore di rilassarsi. «Certo, dolcezza.» Elena portò una mano dietro la schiena, infilandola sotto la maglia. «Dovresti vergognarti. Il signor Ebose è molto deluso dal tuo comportamento.» In un lampo, chiuse il collare intorno
al vampiro, che non ebbe nemmeno il tempo di afferrare il senso di quel rauco rimprovero. Strabuzzò gli occhi iniettati di sangue, ma non urlò. Al contrario, rimase fermo dov’era, in silenzio: i collari dei cacciatori avevano il potere di paralizzare le prede. Il volto del vampiro era una maschera di paura. Elena ne avrebbe quasi provato compassione, se non avesse saputo che, durante la fuga, lui aveva sgozzato quattro umani. Un comportamento inaccettabile. Gli angeli proteggevano sempre le loro Creature, ma a determinate condizioni: in quel caso, il signor Ebose l’aveva autorizzata a usare tutta la forza necessaria. Elena mise subito in chiaro le sue intenzioni: se fosse stata costretta, non avrebbe esitato a fargli del male. Il volto del vampiro perse anche il poco colore che era riuscito a mantenere fino a quel momento. Poi lei gli sorrise. «Vieni con me.» S’incamminò con il vampiro che le trotterellava dietro come un cagnolino obbediente. I collari erano davvero una grande invenzione! La sua amica del cuore, Sara, preferiva trafiggere i bersagli con delle frecce speciali, munite di un chip di controllo identico a quello dei collari. Non appena veniva a contatto con la pelle della preda, il chip emetteva una sorta di campo elettromagnetico, che mandava temporaneamente in corto circuito i processi neurali del vampiro, inducendolo ad accogliere qualsiasi suggestione provenisse dal suo cacciatore. Elena non ne conosceva bene il funzionamento, ma era perfettamente consapevole dei suoi limiti e vantaggi. È vero, rispetto a Sara doveva avvicinarsi di più agli obiettivi; ma, almeno, non correva il rischio di mancare il bersaglio e di colpire un passante innocente. All’amica era successo, una volta, e le spese legali le erano costate la paga di sei mesi. Quanto si era infuriata... A quel ricordo, le labbra della giovane s’incurvarono in un sorriso. Arrivata all’auto, che aveva parcheggiato poco distante, aprì la portiera dal lato del
passeggero: «Sali», disse alla sua preda. Il baby vampiro fece non pochi sforzi per strizzare la sua mole all’interno dell’abitacolo. Dopo essersi accertata che avesse allacciato la cintura, Elena chiamò il capo della sicurezza del signor Ebose. «L’ho preso.» La voce all’altro capo del telefono le diede istruzioni: avrebbe dovuto consegnare il pacco presso una pista d’atterraggio privata. Per nulla sorpresa dalla località prescelta, Elena riappese e partì, in silenzio. Qualunque tentativo di conversazione sarebbe stato inutile, dal momento che il vampiro aveva perso le sue facoltà verbali nell’istante in cui lei l’aveva bloccato. Il mutismo temporaneo era un effetto collaterale della camicia di forza neurale creata dal collare. Prima dell’avvento dei dispositivi con chip integrato, la carriera del cacciatore era una scelta suicida: persino i vampiri appena Creati erano in grado di dilaniare un essere umano. Certo, stando alle ultime ricerche i cacciatori non erano propriamente umani... ma, in fondo, non si distaccavano granché dalla specie. Arrivata a destinazione, Elena superò i controlli di sicurezza e raggiunse la pista, secondo le indicazioni. La squadra incaricata di scortare il vampiro fino a Sydney era appostata accanto a un lucente jet privato. La giovane consegnò il prigioniero, e gli uomini le fecero segno di accomodarsi sul velivolo. Doveva accompagnarlo personalmente in cabina: prima del decollo, nessuno era autorizzato a toccarlo, a parte lei. Evidentemente, il signor Ebose aveva assoldato un team di avvocati in gamba: non voleva correre il rischio di essere denunciato dall’Autorità per la Protezione dei Vampiri. Non che l’APV fosse mai riuscita a far valere accuse di crudeltà. Era sufficiente che gli angeli mostrassero un paio di fotografie di esseri umani con la gola dilaniata, e la giuria avrebbe immediatamente assolto l’accusato, oltre a concedergli
una medaglia. Elena scortò il vampiro sulla scaletta, fino alla grande cassa aperta sistemata in fondo alla cabina riservata ai passeggeri. «Dentro.» Lui obbedì, poi si voltò a guardarla. Era terrorizzato: aveva già la camicia zuppa di sudore. «Spiacente, amico. Hai ucciso tre donne e un anziano, e non meriti nessuna pietà.» Chiuse lo sportello della cassa, sbattendolo, e lo assicurò con un lucchetto. Il collare l’avrebbe accompagnato fino a Sydney, per poi essere restituito alla Corporazione, secondo il protocollo. «È pronto, ragazzi», disse ai quattro uomini della sicurezza, che l’avevano seguita a bordo del jet. Il responsabile la squadrò da capo a piedi. Aveva gli occhi di un colore alquanto insolito, simile a quello delle uova di pettirosso. «Nemmeno una ferita. Impressionante », osservò, mentre le consegnava una busta. «Come d’accordo, il compenso è già stato versato sul tuo conto, presso la Corporazione.» Elena diede un’occhiata alla distinta di versamento e inarcò le sopracciglia. «Il signor Ebose è stato generoso.» «Il bonus è per averlo catturato tempestivamente, e senza recargli danno. Il capo ha dei progetti su di lui. Il vecchio Jerry era il suo segretario preferito.» Elena sussultò. Il problema di essere fondamentalmente immortale era che potevi subire torture di ogni genere, e non morire. Lei aveva assistito in prima persona all’amputazione di tutti e quattro gli arti di un vampiro... senza anestesia. Quando la squadra di salvataggio della Corporazione l’aveva liberato dai suoi aguzzini – un gruppo animato dall’odio per i Creati – il vampiro non era più in grado di ragionare, né di formulare pensieri coerenti. Ma un video che riprendeva quello scempio mostrava chiaramente come avesse mantenuto la lucidità per tutto il tempo in cui era stato seviziato. Ovviamente, gli angeli si
guardavano bene dal mostrarlo alla folla di postulanti che si presentavano alla loro porta per essere Creati vampiri. Oppure... chissà, forse li invitavano a guardarlo. Gli angeli Creavano solo un migliaio di vampiri l’anno. E, a quanto aveva potuto vedere la giovane, gli aspiranti erano centinaia di migliaia. Perché? Dal suo punto di vista, l’immortalità aveva un costo troppo elevato. Meglio vivere liberi e diventare polvere quando veniva il proprio momento, piuttosto che finire chiusi in una cassa di legno, in attesa di conoscere il proprio destino. Elena provò un senso di disgusto al pensiero di una simile esistenza. «Per favore, ringrazia il signor Ebose per la sua generosità», disse, infilando ricevuta e busta in una tasca dei pantaloni. Il bodyguard chinò la testa per annuire, ed Elena intravide i contorni di quello che sembrava il disegno di un corvo, tatuato sul cranio rasato. L’uomo era troppo alto perché lei potesse esserne certa, ma gli altri tre – più bassi – portavano tutti il medesimo marchio. «Sei libera, vedo», notò il capo della sicurezza, osservando i semplici cerchi d’argento che portava alle orecchie. Niente oro o ambra, che avrebbero indicato rispettivamente che era sposata o sentimentalmente impegnata. Ma Elena non commise l’errore di pensare che volesse chiederle un appuntamento. Le guardie della Fratellanza Alata osservavano il celibato, in servizio. Inoltre, probabilmente lei non rappresentava una tentazione abbastanza allettante, considerato che la punizione, in caso di inosservanza, consisteva nell’amputazione di una parte del corpo (anche se non era mai riuscita a capire quale...) «Sì. E lo sono anche dal punto di vista lavorativo.» Di solito, preferiva portare a termine un incarico, prima di accettarne un altro. C’erano sempre vampiri da cacciare. «Forse il signor Ebose vuole che gli recuperi un altro rinnegato? »
«No. Ma ha un amico che ha bisogno di te.» La guardia le passò un’altra busta, questa volta sigillata. «L’appuntamento è per domattina alle otto. Per favore, cerca di esserci... la Corporazione ha già dato la sua approvazione e il deposito è già stato pagato.» Se la Corporazione aveva sottoscritto il contratto, si trattava di una caccia legittima. «Certo. Qual è il luogo dell’incontro?» «Manhattan.» Elena si sentì raggelare. C’era un solo angelo per cui sarebbe stata sufficiente quell’unica parola, come indirizzo. Persino tra loro c’era una gerarchia, e lei sapeva molto bene chi era al vertice. Poi, com’era venuta, la paura passò. Per quanto il signor Ebose potesse essere potente, era alquanto improbabile che conoscesse un arcangelo, un membro del Quadro dei Dieci, l’organo preposto a decidere chi sarebbe stato Creato vampiro, e chi avrebbe compiuto la Creazione. «C’è qualche problema?» Elena sollevò la testa di scatto, udendo la domanda pacata della guardia. «No, certo che no.» Finse di dare un’occhiata all’orologio. «Ora sarà meglio che vada. Saluta il signor Ebose da parte mia.» Con ciò, uscì dal lussuosissimo jet privato, ben felice di allontanarsi dal tremendo fetore del suo carico. Non era mai riuscita a spiegarsi perché venissero Creati tanti idioti. Forse, all’inizio non erano male, ma diventavano dei poveri dementi dopo qualche anno che bevevano sangue. Chissà che effetti aveva quella roba sul cervello... Tale teoria, però, non riguardava la sua ultima preda, che doveva essere stata Creata da non più di due anni. Con una scrollata di spalle, montò in macchina. Voleva strappare quella busta con i denti, pertanto aspettò di essere a casa, nel suo bell’appartamento a sud di Manhattan. Poiché i cacciatori passavano la maggior parte del tempo a inseguire creature disgustose, tendevano a trasformare le proprie
abitazioni in rifugi intimi e accoglienti. E quella di Elena non faceva eccezione. Entrando, lanciò via gli stivali con un calcio, e si diresse verso la lussuosissima vasca con doccia incorporata. Normalmente seguiva sempre lo stesso rituale: lavava via il sudiciume dalla pelle e si coccolava con le creme e i profumi che amava collezionare. Ransom la prendeva sempre in giro per le sue manie da ragazzina. L’ultima volta che aveva dato fiato alla sua boccaccia, però, lei gli aveva risposto per le rime, facendogli osservare che i suoi lunghi capelli neri avevano un aspetto molto curato, probabilmente grazie al balsamo. Quella sera, tuttavia, non ebbe né la pazienza, né la voglia di viziarsi. Si spogliò, si lavò via rapidamente il tanfo della sua ultima preda, che se l’era fatta sotto per la paura, e indossò un pigiama di cotone. Quindi, si spazzolò i capelli e preparò un caffè. Se ne versò una tazza e la portò al tavolino, badando a posarla su un sottobicchiere... Solo allora cedette alla curiosità che la stava divorando, e strappò la busta tutto d’un colpo. La carta era spessa, la filigrana elegante... e il nome in calce la terrorizzò a tal punto che le venne voglia di darsi alla fuga. Sì, avrebbe voluto scappare per rifugiarsi nel buco più lontano e minuscolo che fosse riuscita a trovare. Incredula, fece scorrere il foglio una seconda volta. No, le parole non erano cambiate. Gradirei averti ospite a colazione. Alle otto. Raphael L’indirizzo non c’era, ma sarebbe stato superfluo. Elena sollevò gli occhi e vide la colonna piena di luce della Torre degli Arcangeli, attraverso le enormi vetrate che rendevano quell’appartamento esageratamente costoso... e al tempo stesso affascinante. Poteva starsene seduta a guardare gli angeli che
spiccavano il volo dalle terrazze più alte... e, in tutta onestà, non esisteva piacere che la facesse sentire più in colpa. La notte, apparivano come ombre morbide e scure. Di giorno, invece, le ali brillavano al sole, e i loro movimenti erano incredibilmente aggraziati. Andavano e venivano dalla mattina alla sera, ma talvolta li vedeva semplicemente seduti sul bordo delle terrazze, con le gambe a penzoloni. Dovevano essere gli angeli più giovani, anche se il concetto di giovinezza era relativo. Sebbene sapesse che molti di loro erano più vecchi di lei di decenni, quella vista riusciva sempre a strapparle un sorriso. Era l’unico momento in cui li vedeva comportarsi in un modo che poteva essere definito normale. Solitamente erano freddi e distanti, così lontani dall’esistenza monotona degli umani da essere oltre la loro comprensione. L’indomani mattina, anche lei sarebbe stata lassù, nella torre di luce e vetro. Ma non per incontrare uno degli angeli più giovani, e probabilmente più accessibili. No: domani si sarebbe seduta di fronte all’arcangelo in persona. Raphael. Si piegò in avanti, in preda a un conato di vomito.
2 Superato l’improvviso attacco di nausea, Elena decise di chiamare la Corporazione. «Devo parlare con Sara», disse all’impiegata della reception. «Mi dispiace. La direttrice ha già lasciato l’ufficio.» Riappese e compose il numero di casa dell’amica. Quest’ultima rispose al primo squillo. «Ma guarda... chissà perché, immaginavo che mi avresti chiamata.» Elena serrò la mano intorno al telefono. «Sara, ti prego, dimmi che ho avuto un’allucinazione... Non vorrai davvero che lavori per un arcangelo?» «Ecco... ehm...» Sara Haziz, direttrice della Corporazione per gli Stati Uniti, una vera dura, d’un tratto sembrò più nervosa di un’adolescente. «Diamine, Ellie, non potevo mica rifiutarmi.» «Perché, cosa ti avrebbe fatto? Ti avrebbe uccisa?» «Probabile. Il suo leccapiedi vampiro è stato chiaro. Lui vuole te. E non è abituato a sentirsi dire di no.» «Ma tu ci hai provato?» «Sono la tua migliore amica. Dammi un po’ di fiducia.» Elena si lasciò cadere sui cuscini del divano, lo sguardo fisso sulla torre. «Di che si tratta?» «Non lo so.» Sara emise dei versi sommessi, come se stesse coccolando qualcuno. Poi aggiunse: «Non preoccuparti: non intendo sprecare fiato per cercare di calmarti. Sarebbe inutile. E poi, la piccola è sveglia. Non è vero, tesoro?» Alla domanda seguì uno schiocco di baci. Elena stentava ancora a credere che Sara si fosse sposata. E che avesse avuto una figlia, per giunta. «Come sta la mia versione in miniatura?» L’amica aveva chiamato la piccola Zoe Elena. Accidenti, Elena aveva pianto come una bambina, quando l’aveva saputo. «Spero ti stia facendo passare le pene dell’inferno.»
«No, Zoe adora la sua mammina.» Altri schiocchi di baci. «E ha detto di riferirti che diventerai tu la sua versione in miniatura, non appena sarà cresciuta di qualche spanna. Lei e Slayer sono una squadra vincente.» Elena scoppiò a ridere, al pensiero del cane mostruoso che si divertiva a bagnare di saliva chiunque incontrasse. «Dov’è la tua dolce metà? Credevo gli piacesse occuparsi della bambina.» «Infatti.» Elena immaginò il suo sorriso, all’altro capo del telefono, e sentì le viscere attorcigliarsi. Non che invidiasse all’amica la sua felicità, e tanto meno il marito. No, il problema era più profondo: Elena sentiva il tempo scivolarle tra le dita. Durante l’ultimo anno, tutte le sue amiche avevano iniziato nuove fasi della vita, mentre lei rimaneva in un limbo: una cacciatrice di vampiri ventottenne senza legami né affetti. Sara aveva appeso arco e frecce, se non per qualche urgente battuta di caccia, e si era seduta dietro una scrivania per svolgere il compito in assoluto più difficile nella Corporazione. Suo marito, un segugio dalle capacità letali, si era messo a fabbricare strumenti per cacciatori – quando non cambiava pannolini – e, a giudicare dal suo ampio sorriso, era assolutamente soddisfatto della scelta. Diavolo, persino Ransom andava a letto con la stessa ragazza da due mesi. «Ehi, Ellie, ti sei addormentata?» chiese Sara. In sottofondo, si sentivano gli strilli della piccola. «Stai sognando il tuo arcangelo?» «Diciamo piuttosto che sono tormentata dagli incubi », mormorò, socchiudendo gli occhi: un angelo stava atterrando sul tetto della torre. Il cuore le si fermò un istante, quando lei lo vide allargare le ali per rallentare la discesa. «Mi stavi dicendo qualcosa a proposito di Deacon. Come mai non è a casa a fare il papà, stasera?» «È andato ai grandi magazzini con Slayer, a comprare il gelato. Doppio cioccolato e fragola... hai presente quello pieno
di pezzettoni? Gli ho detto che le voglie rimangono per un po’, dopo il parto.» Avrebbe dovuto ridere della soddisfazione con cui l’amica aveva preso in giro il marito, ma era attanagliata dalla paura. «Sara, per caso il vampiro ti ha detto perché vuole proprio me?» «Ma certo. Ha detto che Raphael vuole la migliore.» «Sono la migliore», mormorò Elena l’indomani mattina, mentre smontava dal taxi davanti alla magnifica Torre degli Arcangeli. «Sono la migliore.» «Ehi, signorina, pensa di pagarmi o intende continuare a parlare da sola?» «Come? Oh.» Tirò fuori una banconota da venti dollari, si chinò in avanti e la ficcò nel palmo del tassista, tutta accartocciata. «Tenga il resto.» Il cipiglio dell’uomo si trasformò in un ghigno. «Grazie ! Caccia grossa, eh?» Non gli chiese come mai l’avesse catalogata come una cacciatrice. «No. Ma è molto probabile che presto farò una pessima fine. Tanto vale fare una buona azione, e aumentare le mie chance di andare in paradiso.» Il tassista la trovò molto divertente. Rideva ancora, quando ripartì, lasciandola all’inizio dell’ampio sentiero che portava all’ingresso della torre. Il sole, quel mattino, era particolarmente luminoso, e il riflesso sulle pietre bianche era insopportabile. Elena prese gli occhiali da sole, che aveva appeso alla scollatura della camicia; grazie al cielo li aveva con sé, o non avrebbe saputo come proteggere i suoi occhi stanchi. Al riparo delle sue lenti scure, riuscì a distinguere le ombre che prima le erano sfuggite. Naturalmente, sapeva che erano lì... ma la vista non era il suo senso primario, quando si trattava dei vampiri. Molti si trovavano ai lati della torre, ma ce n’erano almeno
altri dieci nascosti nei dintorni, o intenti a passeggiare nel boschetto perfettamente curato. Erano tutti in abito scuro e camicia bianca, con i capelli lucenti dal taglio perfetto, in puro stile FBI. A completare il look da agente segreto contribuivano gli occhiali da sole neri e gli auricolari discreti. Ma, commenti interiori a parte, Elena sapeva che quei vampiri non avevano nulla in comune con quello cui aveva dato la caccia la sera prima. Non erano dei novellini. Il loro profumo intenso – oscuro, ma per nulla sgradevole – e il fatto che stessero di guardia alla Torre degli Arcangeli lasciavano intendere che erano furbi e molto, molto pericolosi. Mentre li osservava, due di loro uscirono dal folto degli alberi e le si pararono davanti, sul sentiero, sotto i raggi del sole. Nessuno dei due prese fuoco. Se avessero avuto una reazione così violenta alla luce del sole – un’altra leggenda abbracciata dai produttori cinematografici – il suo lavoro sarebbe stato dannatamente più facile. Avrebbe dovuto soltanto aspettare che finissero al tappeto, l’uno dopo l’altro. Invece no: la maggior parte dei vampiri era perfettamente in grado di andarsene in giro ventiquattr’ore su ventiquattro. E i pochi che soffrivano di fotosensibilità non «morivano» comunque, al sorgere del sole. Si limitavano a trovarsi un posticino all’ombra. «E tu stai temporeggiando», si disse. «Di questo passo, tra poco comincerai a comporre un’ode ai giardini », borbottò sottovoce. «Sei una professionista. Sei la migliore. Puoi farcela.» Fece un respiro profondo e si avviò verso l’entrata, cercando di non pensare agli angeli che le volavano sopra la testa. Nessuno sembrò prestarle attenzione e, quando arrivò alla porta, il vampiro di turno le rivolse un breve cenno con la testa e la invitò ad accomodarsi. «Dritta, fino al banco della reception.» Elena sbatté le palpebre e si tolse gli occhiali da sole. «Non controllate i documenti?»
«Sappiamo del suo appuntamento.» Il suo profumo seducente – una caratteristica alquanto insolita, che qualcuno leggeva come un adattamento evolutivo volto a confondere i cacciatori – l’avvolse come una carezza sinistra. Elena lo ringraziò e passò oltre. L’atrio, dotato di aria condizionata, era uno spazio immenso dominato da un marmo grigio venato di oro. Un impareggiabile esempio di ricchezza e buon gusto, capace di mettere in soggezione qualunque visitatore. D’un tratto, Elena fu molto felice di aver abbandonato il solito look – jeans e maglietta – in favore di un paio di calzoni neri confezionati su misura, abbinati a una camicia bianca che indossava per la prima volta. Aveva addirittura raccolto la chioma in un French twist, e si era infilata un paio di scarpe con il tacco. I suoi passi risuonavano secchi sul pavimento di marmo, mentre attraversava l’atrio come un’elegante donna d’affari. Notò tutto quello che la circondava, dal gran numero di vampiri di guardia, alle deliziose (anche se lievemente bizzarre) composizioni floreali, all’aspetto incredibilmente giovanile della receptionist, una succhiasangue molto, molto vecchia, con il viso e il corpo di una trentenne in forma smagliante. «Signorina Deveraux! Piacere, io sono Suhani.» La donna si alzò dalla sedia e girò intorno alla scrivania. Era anch’essa di pietra, ma di un’ambra nera lucidissima, che rifletteva qualunque cosa con la precisione di uno specchio. «Sono davvero lieta di conoscerla.» Elena le strinse la mano e percepì il flusso del sangue fresco e il battito accelerato del suo cuore. Avrebbe voluto chiederle con chi avesse fatto colazione – il sangue era particolarmente potente – ma riuscì a trattenersi prima di mettersi nei guai. «Grazie.» Suhani continuò a sorriderle. Un sorriso che parlava di conoscenze antiche, e vantava secoli di esperienza. «Ha fatto
presto.» Diede un’occhiata all’orologio. «Manca ancora un quarto d’ora alle otto.» «C’era poco traffico.» L’ultima cosa che voleva era cominciare quell’incontro con il piede sbagliato. «Sono troppo in anticipo?» «Oh, no. Lui la sta aspettando.» Il suo sorriso lasciò il posto a un’espressione lievemente delusa. «La facevo più... più spaventosa.» «Non mi dica che guarda Il cacciatore e la preda...» Quel commento disgustato le uscì dalle labbra prima di riuscire a contenersi. Suhani le rispose con un ghigno così umano da lasciarla a bocca aperta. «Temo di sì. Quel programma è troppo divertente. S.R. Stoker, il produttore, è un ex cacciatore di vampiri.» Certo, come no. E lei era la Fatina dei Denti. «Mi lasci indovinare: si aspettava che portassi una grande spada e avessi gli occhi rossi?» Scosse la testa. «Lei è un vampiro. Dovrebbe sapere che sono tutte invenzioni.» L’espressione sorridente di Suhani scivolò via, rivelando un’oscurità più fredda e disinvolta. «Sembra molto sicura del mio vampirismo. La maggior parte delle persone non se ne accorge.» Non era il momento di tenere una lezione di biologia del cacciatore. «Ho parecchia esperienza.» Scrollò le spalle, come se non fosse importante. «Saliamo?» D’un tratto, la donna apparve sinceramente confusa e agitata, o almeno diede l’impressione di esserlo. «Chiedo scusa, non era mia intenzione trattenerla. Da questa parte, prego.» «Nessun problema. In fondo, si è trattato solo di un minuto.» E, in tutta onestà, le era grata di averle offerto la possibilità di mettere ordine nei propri pensieri. Se quella succhiasangue così sensibile era in grado di affrontare Raphael, poteva farlo anche lei. «Lui com’è?»
Suhani ebbe un istante di esitazione, mentre camminava, ma si riprese subito. «È... un arcangelo.» La sua voce tradiva soggezione e paura. La sicurezza di Elena subì una brusca caduta. «Lo vede spesso?» «No, perché dovrei?» fece la receptionist, con un sorriso perplesso. «Lui non passa mai dall’ingresso. Può volare. » Elena si sarebbe presa a schiaffi. «Giusto.» Si fermò di fronte alle porte dell’ascensore. «Grazie.» «Di nulla.» Suhani inserì il codice di sicurezza sul touch screen accanto all’ascensore. «La porterà direttamente sul tetto.» Elena rimase un istante in silenzio. «Sul tetto?» «La aspetta lassù.» Allarmata, ma consapevole del fatto che un ritardo non le avrebbe dato nessun vantaggio, Elena entrò nella spaziosa cabina rivestita di specchi. Si voltò a guardare Suhani e, non appena si richiusero le porte, ripensò suo malgrado al vampiro che aveva chiuso in una cassa meno di dodici ore prima. Adesso sapeva che cosa si provava a trovarsi dall’altra parte. Se non fosse stata sicura di essere sorvegliata, avrebbe abbandonato l’atteggiamento professionale, per mettersi a camminare in circolo come una povera folle. O come un ratto intrappolato in un labirinto. L’ascensore cominciò a salire con un movimento fluido che lasciava intendere quanto dovesse essere costato. I numeri che scintillavano sul pannello LCD si susseguivano a una velocità da capogiro. Elena decise di smettere di contare dopo aver superato il settantacinquesimo piano. Si guardò allo specchio con il pretesto di sistemare la cinghia della borsa, attorcigliata su se stessa... In realtà, voleva assicurarsi che le armi fossero ben nascoste. Nessuno le aveva ordinato di venire disarmata.
Finalmente l’ascensore si fermò, in modo altrettanto fluido, e le porte si aprirono. Senza concedersi la minima esitazione, Elena uscì, e si ritrovò all’interno di una piccola gabbia di vetro. Capì subito che si trattava del guscio che ospitava la cabina, oltre il quale c’era il tetto... Non c’era nemmeno un parapetto simbolico a proteggere da cadute accidentali. Evidentemente, all’arcangelo non interessava mettere a proprio agio i suoi ospiti. Ma Elena non poteva certo definirlo un cattivo padrone di casa: al centro di quell’ampio spazio aperto, c’era una tavola imbandita, con croissant, caffè e succo d’arancia. Una seconda occhiata rivelò che il tetto non era di semplice calcestruzzo. Era stato rivestito con piastrelle grigio scuro, che brillavano argentee sotto i raggi del sole. Erano splendide, e indubbiamente costose. Uno spreco stravagante, pensò lei, prima di rendersi conto che il tetto non era certo uno spazio inutile, per una creatura alata. Di Raphael non c’era traccia. Elena mise la mano sul pomello della porta di vetro, l’aprì e uscì dalla gabbia. Per fortuna, le piastrelle erano ruvide: in quel momento soffiava solo una brezza leggera, ma a quell’altezza poteva alzarsi all’improvviso un vento tagliente e i tacchi alti non le avrebbero garantito nessuna stabilità. Si domandò se la tovaglia fosse stata fissata al tavolo. Altrimenti, c’era il rischio che volasse via, portando con sé stoviglie e cibo. D’altronde, forse sarebbe stato meglio così. Quand’era nervosa, faceva fatica a digerire. Lasciò la borsa sul tavolo e si avvicinò con cautela verso il bordo del tetto. Poi guardò giù. Fu invasa da una sensazione di euforia, davanti allo spettacolo incredibile degli angeli che entravano e uscivano dalla torre. Sembravano così vicini che avrebbe potuto toccarli, e quelle ali possenti la attiravano come il canto delle sirene. «Attenta.» La voce era sommessa, il tono divertito.
Ma Elena non trasalì. Aveva già percepito lo spostamento d’aria generato dal suo atterraggio silenzioso. «Mi prenderebbero, se cadessi?» gli chiese, senza voltarsi a guardarlo. «Se ne hanno voglia.» L’arcangelo le andò vicino ed Elena scorse le sue grandi ali con la coda dell’occhio. «Vedo che non soffri di vertigini.» «Mai sofferto.» Era terrorizzata dalla sua potenza, ma riuscì a mantenere un tono assolutamente normale. L’alternativa sarebbe stata mettersi a strillare. «Non ero mai stata così in alto.» «E come ti sembra?» Elena respirò profondamente e fece un passo indietro, prima di voltarsi a guardarlo. L’impatto fu di una violenza travolgente. Era... «Bellissimo.» Aveva gli occhi di un azzurro purissimo, intenso: sembrava quasi che un artista celeste avesse triturato degli zaffiri per mescolarli ai suoi colori, e gli avesse dipinto le iridi con il più fine dei pennelli. Ancora vacillante per quello shock visivo, Elena avvertì un’improvvisa raffica di vento, che sollevò i capelli neri dell’arcangelo. In realtà, definirli neri sarebbe stato banale e riduttivo. Erano corvini e contenevano echi della notte, vividi e appassionati. Aveva un taglio scalato, all’altezza della nuca, che lasciava scoperti i lineamenti marcati del viso. Il desiderio di accarezzarli le fece formicolare le dita. Sì, era bellissimo, ma possedeva la bellezza di un guerriero, o di un conquistatore. L’immensa potenza di quella creatura era incisa su ogni centimetro quadrato di pelle, su ogni parte del corpo. E che dire della squisita perfezione delle ali? Le piume di un bianco tenue sembravano spolverate d’oro. Ma un’occhiata più attenta rivelò che ogni singolo filamento di ogni singola piuma aveva una punta dorata. «Sì, quassù è meraviglioso», disse lui, interrompendo
l’incantesimo di cui Elena era caduta vittima. Lei sbatté le palpebre, e sentì che il suo viso stava riprendendo colore. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato. «Già.» Il sorriso di Raphael, quasi beffardo, tradiva una punta di soddisfazione maschile, oltre che una distinta capacità di concentrazione, potenzialmente letale. «Sediamoci a fare colazione, e a parlare.» Furiosa per essersi fatta cogliere alla sprovvista dalla sua bellezza fisica, si rimproverò morsicandosi l’interno della guancia. Non sarebbe caduta nella stessa trappola una seconda volta. Raphael era palesemente consapevole della sua straordinaria avvenenza e dell’effetto che aveva sui mortali. E ciò lo rendeva un arrogante FDP, che lei avrebbe dovuto respingere senza discussioni. Raphael tirò indietro la sedia e aspettò. Elena si fermò a un paio di spanne di distanza, intimidita dalla sua altezza e dalla sua forza. Non era abituata a sentirsi piccola. O debole. Il fatto che la sua mera presenza destasse in lei entrambe le sensazioni la fece adirare al punto che decise di tentare una rappresaglia. «Non sono a mio agio quando ho qualcuno alle spalle.» Una scintilla di sorpresa balenò negli occhi azzurri e intensi dell’arcangelo. «Non dovrei essere io a temere di ritrovarmi un pugnale conficcato nella schiena? Sei tu che porti armi nascoste.» Il fatto che l’avesse indovinato non significava nulla: i cacciatori erano sempre armati. «La differenza è che io posso morire. Tu no.» Visibilmente divertito, Raphael si portò dall’altro lato del tavolo. Le ali sfiorarono le piastrelle splendenti, lasciando una scia brillante d’oro bianco. L’aveva fatto di proposito, non c’era il minimo dubbio. Gli angeli non spargevano sempre polvere angelica. Quando accadeva, i mortali e i vampiri si
precipitavano a raccoglierla. Un granello di quella sostanza luminosa valeva più di un diamante. Ma, se Raphael pensava che si sarebbe messa in ginocchio per raccattarla da terra, sbagliava di grosso. «Tu non hai paura di me», disse lui. Non era così stupida da mentire. «Sono pietrificata. Ma non credo che tu mi abbia fatta venire fin qui solo per buttarmi giù dal tetto.» La bocca dell’arcangelo s’incurvò, come se le sue parole l’avessero divertito. «Siediti, Elena.» Il suo nome aveva un suono diverso, sulle sue labbra. In quel medesimo istante, lei ebbe la sensazione che l’avesse legata. Sembrava quasi che avesse acquisito un potere su di lei, semplicemente chiamandola per nome. «Come hai detto tu stessa, non ho intenzione di ucciderti. Non oggi.» La giovane si accomodò, le spalle rivolte alla cabina di vetro dell’ascensore. Con una cavalleria d’altri tempi, Raphael aspettò che si fosse seduta, per poi fare lo stesso, sistemando le ali in modo tale che ricadessero con eleganza sullo schienale appositamente studiato. «Quanti anni hai?» gli domandò, prima di riuscire a mettere un freno alla sua curiosità. Raphael sollevò un sopracciglio dall’arco perfetto. «Non hai il minimo istinto di autoconservazione?» Il tono era scherzoso, ma Elena non poté non cogliere la nota dura e tagliente che si celava sotto la superficie. Un brivido le corse lungo la spina dorsale. «Sembrerebbe di no... dal momento che sono una cacciatrice di vampiri.» Qualcosa di oscuro e squisitamente pericoloso si mosse nelle profondità cristalline di quegli occhi, che non sarebbero mai potuti appartenere a un umano. «Una cacciatrice nata, non addestrata.» «Esatto.» «Quanti vampiri hai catturato, o ucciso?»
«Le cifre le conosci. Per questo sono qui.» Un’altra raffica di vento spazzò il tetto, e questa volta fu abbastanza forte da far traballare le tazze e da liberare alcune ciocche di capelli dalla sua acconciatura. Non si preoccupò di sistemarle, però; preferì concentrare tutta la sua attenzione sull’arcangelo. Anche lui la stava osservando, come un grande predatore potrebbe guardare un coniglietto indifeso. «Dimmi che cosa sai fare.» Era un ordine vero e proprio, e il tono della voce una lama che voleva metterla in guardia. L’arcangelo aveva perso il senso dell’umorismo. Elena si rifiutò di distogliere lo sguardo, anche se dovette affondare le unghie nelle cosce per ancorarsi al suo posto. «Riesco a sentire l’odore di ciascun vampiro, e sono in grado di distinguerne uno in particolare dal resto del branco. Tutto qui.» Un’abilità completamente inutile, a meno che non si abbracciasse la carriera del cacciatore. Nel suo caso, però, non si era trattato affatto di una scelta. «Che età deve avere un vampiro, perché tu ne percepisca la presenza?» Strana domanda: dovette prendersi un momento per riflettere, prima di rispondere. «Be’, il più giovane che ho catturato aveva due mesi. Ma è stata un’eccezione: di solito, aspettano almeno un anno prima di fare qualche pazzia.» «Quindi non hai mai avuto contatti con vampiri più giovani?» Elena non riusciva a capire dove volesse andare a parare. «Contatti? Certo. Ma non come cacciatrice. Tu sei un angelo, e saprai senz’altro che le loro funzioni sono limitate, durante il primo mese dalla Creazione.» Era appunto quel primissimo stadio di sviluppo che continuava ad alimentare il mito dei vampiri come zombie privi di vita, dotati di forza di volontà dai rispettivi Creatori. Durante le prime settimane, davano realmente i brividi. Avevano gli occhi sgranati, lo sguardo assente, erano pallidi e
sciupati, e i loro movimenti erano assolutamente scoordinati. Per tale motivo le bande che odiavano i vampiri preferivano attaccare quelli appena Creati. Per molti era di gran lunga più facile mutilare e torturare un cadavere ambulante, piuttosto che l’amico del cuore. O il cognato, nel caso di Elena. «Quando sono così giovani, non sono nemmeno in grado di nutrirsi. Quanto a scappare, figurarsi.» «Ciò nonostante, faremo un test.» L’arcangelo prese il succo di frutta e bevve un sorso. «Mangia.» «Non ho fame.» Raphael posò il bicchiere. «È un dannato insulto disdegnare la tavola di un arcangelo.» Era la prima volta che lo sentiva dire, ma non prometteva nulla di buono. «Ho mangiato prima di venire qui», disse, mentendo spudoratamente. Non era riuscita a mettere quasi niente nello stomaco, al di là di un po’ d’acqua. «Allora bevi.» Il tono autoritario le fece capire che si aspettava obbedienza immediata. Ma Elenasisentìscattarequalcosadentro. «Altrimenti?» Il vento si fermò. Persino le nubi sembrarono immobilizzarsi. E la morte le sussurrò all’orecchio.
3 Il suo primo impulso fu di afferrare il pugnale che teneva nello stivale e di fare qualche danno, prima di andarsene da quel posto maledetto; invece si costrinse a restare dov’era. In verità, non sarebbe riuscita a percorrere più di mezzo metro, prima che Raphael le rompesse ogni singolo osso. Così era finito un vampiro che aveva pensato di tradirlo. L’avevano ritrovato in mezzo a Times Square. Vivo. Stava ancora tentando di gridare: «No, Raphael! No!» ma, a quel punto, la sua voce era ridotta a uno stridio, la mascella appesa ai tendini filamentosi, le carni dilaniate. Elena, che in quel periodo era impegnata in una battuta di caccia fuori dal Paese, aveva visto la notizia al telegiornale, a cose avvenute. Il vampiro era rimasto a terra in agonia per tre ore, prima di essere raccolto da due angeli. Tutti a New York – diamine, in tutti gli Stati Uniti! – sapevano che era lì, ma nessuno aveva osato aiutarlo, dal momento che recava sulla fronte il marchio fiammeggiante di Raphael. Nelle intenzioni dell’arcangelo, la punizione del vampiro sarebbe dovuta servire come monito, affinché la gente non dimenticasse chi e che cosa era. Aveva funzionato. Adesso, il suo nome era sufficiente a evocare un timore viscerale. Ma Elena non si sarebbe messa a strisciare, per nessuno al mondo. L’aveva deciso la sera in cui il padre le aveva ordinato di mettersi in ginocchio e supplicarlo, e allora forse – già, forse – l’avrebbe accolta nuovamente in famiglia. Non gli rivolgeva la parola da dieci anni. «Dovresti stare più attenta a come parli», disse Raphael, in quel silenzio innaturale. Lei non si abbandonò al sollievo: la promessa di una minaccia era ancora sospesa nell’aria. «Non mi piace giocare », rispose.
«Impara.» Raphael si appoggiò allo schienale della sedia. «Avrai una vita molto breve, se ti aspetti onestà e sincerità da tutti.» Sentendo che il pericolo era passato, almeno per il momento, Elena fece appello alla forza di volontà per allentare i pugni. L’impeto del sangue che tornava a scorrere nelle dita le provocò un dolore lancinante. «Non ho mai detto di aspettarmi nulla del genere. Gli esseri umani mentono. I vampiri mentono. Persino...» Si trattenne. «Non vorrai cominciare proprio adesso a comportarti con discrezione?» Il tono le parve di nuovo divertito, ma comunque tagliente, e le sfiorò la pelle come la lama di un rasoio. Elena guardò quel viso perfetto e si rese conto di non essersi mai trovata di fronte a una creatura così letale. Mai in vita sua. Se non l’avesse compiaciuto, Raphael l’avrebbe uccisa con la stessa facilità con cui avrebbe potuto schiacciare una mosca. Elena avrebbe fatto meglio a ricordarselo, per quanto tale consapevolezza la facesse infuriare. «Hai detto che mi sarei dovuta sottoporre a un test, o sbaglio?» In quell’istante, le ali dell’arcangelo si mossero lievemente, attirando la sua attenzione. Erano davvero belle, ed Elena non poté fare a meno d’invidiargliele. Essere in grado di volare... che dono straordinario. Raphael spostò lo sguardo su un punto sopra la sua spalla sinistra. «Più che di un test, si tratta di un esperimento. » «C’è un vampiro, dietro di me», disse Elena senza voltarsi. «Ne sei sicura?» le chiese lui, l’espressione immutata. Dovette fare uno sforzo per non girarsi a guardare. «Sì.» L’arcangelo annuì. «Guarda tu stessa.» Elena esitò, non sapendo se fosse peggio dare le spalle a un arcangelo enigmatico e altamente imprevedibile, o a un vampiro sconosciuto. Alla fine, la curiosità ebbe la meglio. Sul viso di Raphael era comparsa un’espressione alquanto soddisfatta, e
volle comprenderne l’origine. Spostandosi lievemente sulla sedia, si girò da un lato con tutto il corpo, così da mantenere l’arcangelo entro il suo campo visivo. E si ritrovò a guardare... le due Creature comparse alle sue spalle. «Gesù!» «Potete andare.» Il tono autoritario dell’arcangelo suscitò un lampo di terrore negli occhi del vampiro che serbava sembianze vagamente umane. L’altro corse via, da animale quale era. Elena continuò a osservarli mentre varcavano la porta di vetro, e deglutì. «Quanto tempo aveva quel...» Non riuscì a definirlo un vampiro, ma non poteva nemmeno considerarlo un umano. «Erik è stato Creato ieri.» «Non sapevo che camminassero, a quell’età», commentò, sforzandosi di usare un tono professionale, quando in realtà era terrorizzata. «Ha avuto un piccolo aiuto.» L’intonazione le fece capire che non avrebbe avuto altre informazioni, al riguardo. «Bernal, invece, è di poco più... anziano.» Elena allungò la mano per prendere il succo d’arancia che aveva rifiutato poco prima. Ne bevve un sorso nel tentativo di lavar via il fetore che aveva assorbito attraverso i pori della pelle. I vampiri più vecchi perdevano quella sgradevole caratteristica. Al di là di qualche caso insolito, come la guardia all’ingresso del palazzo, odoravano semplicemente di vampiro, così come lei odorava di essere umano. Al contrario, quelli molto giovani emanavano un tanfo di carne putrida (o di cavolo marcio), di cui riusciva a liberarsi soltanto sfregandosi per ben tre volte. Per quello aveva cominciato a collezionare bagnoschiuma e profumi. Dopo il suo primo contatto con un esemplare appena Creato, aveva temuto che non sarebbe mai più riuscita a togliersi quel fetore dalla testa. «Non credevo che la vista di un vampiro appena Creato
potesse turbare tanto una cacciatrice.» Il volto dell’arcangelo apparve curiosamente in ombra. A Elena ci volle un istante per rendersi conto che aveva sollevato leggermente le ali. Non sapendo se tale gesto significasse che si era infuriato, o che si stava semplicemente concentrando su qualcosa, posò il bicchiere sul tavolo. «Non sono turbata. Sul serio.» Ed era abbastanza vero, ora che era passato il primo impulso di disgusto. «È l’odore... ti forma una sorta di patina sulla lingua. E, per quanto gratti, è difficilissimo liberarsene.» Sul volto di Raphael comparve un’espressione di vivo interesse. «È davvero così forte?» Elena rabbrividì e diede un’occhiata alla tavola imbandita, alla ricerca di qualcos’altro che potesse aiutarla a cancellare quel fetore. Quando Raphael le passò un pompelmo tagliato a metà, lo prese e vi affondò i denti con immenso piacere. «Mmm», disse, con gusto, mentre i succhi acidi del frutto attenuavano almeno in parte quella sensazione sgradevole. Quel tanto che bastava per consentirle di pensare. «Se ti chiedessi d’inseguire Erik, saresti in grado di farlo?» Tremò, al ricordo di quegli occhi quasi morti, non del tutto vivi. Non c’era da meravigliarsi se la gente credeva a tutte quelle storie che descrivevano i vampiri come morti ambulanti. «No, temo sia troppo giovane.» «E Bernal?» «In questo preciso momento si trova al pianoterra del palazzo.» L’odore del vampiro appena Creato era talmente malsano da permeare l’intero edificio. «Nell’atrio. » Le ali dalle punte dorate si spiegarono, gettando un’ombra sul tavolo, mentre Raphael batteva le mani in un lento applauso. «Ben fatto, Elena. Ben fatto.» Lei sollevò lo sguardo dal pompelmo, rendendosi conto troppo tardi di avergli dimostrato la propria abilità, quando avrebbe fatto meglio a rivelarsi un’incapace, così da togliersi da
quell’imbroglio, qualunque esso fosse. Merda. Se non altro, Raphael le aveva dato un’idea del lavoro che intendeva affidarle. «Vuoi che catturi qualche furfante?» Lui si alzò dalla sedia con un movimento fluido e improvviso. «Aspetta un momento.» Paralizzata, lo osservò avviarsi verso il margine del tetto. Tale era il suo splendore, che il solo fatto di vederlo muoversi le provocò una stretta al cuore. E non le importava sapere che era soltanto un miraggio, perché quella creatura era letale quanto il coltello per sfilettare che portava legato a una coscia. Nessuno, nemmeno lei, poteva negare che l’arcangelo Raphael fosse stato creato per essere ammirato. Per essere venerato. Quel pensiero del tutto fuori luogo la scosse dallo stupore in cui era caduta. Spinse indietro la sedia e fissò strenuamente la schiena dell’arcangelo. La stava confondendo di proposito? Proprio in quel momento, lui si voltò, ed Elena incrociò i suoi occhi di un azzurro tormentoso. Per un attimo, pensò che stesse rispondendo alla sua domanda. Poi, Raphael distolse lo sguardo... e superò il margine del tetto. Elena scattò in piedi... solo per rimettersi seduta, arrossendo, quando l’arcangelo si sollevò in aria per andare incontro a una creatura che lei fino a quel momento non aveva notato. Michaela. L’equivalente femminile di Raphael, di una bellezza così intensa che Elena riuscì a percepirne la forza anche da quella distanza. D’un tratto, si rese conto che stava assistendo in prima persona a un incontro a mezz’aria tra due arcangeli. «Sara non ci crederà mai.» Per un attimo dimenticò il tanfo del giovane vampiro, completamente rapita dalla scena che aveva davanti agli occhi. Le era capitato di vedere Michaela in fotografia, ma la realtà era ben più stupefacente. La sua pelle aveva il colore del cioccolato al latte, e una cascata di capelli lucenti le scendeva fino alla vita in una massa selvaggia. Il suo corpo era la quintessenza della femminilità,
snello e formoso al tempo stesso, mentre il bronzo delicato delle ali brillava in contrasto con la tonalità intensa della pelle. E il viso... «Accidenti!» Non c’era bisogno di avvicinarsi per capire che il suo volto era la forma stessa della perfezione. A Elena sembrò di scorgere anche i suoi occhi, di un verde brillante e incredibile, ma sapeva che era solo la sua immaginazione. I due arcangeli erano troppo lontani. Del resto, non faceva molta differenza. Michaela aveva un viso capace di fermare il traffico, e anche di causare qualche tamponamento. La giovane aggrottò le sopracciglia. Nonostante il suo apprezzamento nei confronti dell’aspetto di Michaela, aveva non pochi problemi a pensare razionalmente. E questo significava soltanto una cosa: che quel dannato arrogante dagli occhi azzurri stava davvero offuscandole la mente. Voleva che si gettasse ai suoi piedi, adorante? Be’, gliel’avrebbe fatta vedere lei. Nessuno sarebbe mai riuscito a trasformarla in una marionetta. Nemmeno un arcangelo. Quasi l’avesse letta nel pensiero, Raphael disse qualcosa a Michaela e tornò a posarsi sul tetto. Questa volta, l’atterraggio fu molto più appariscente. Elena era certa che si fosse fermato per mettere in mostra il disegno che decorava la superficie interna delle ali. Sembrava quasi che un pennello intinto nell’oro fosse partito dall’estremità superiore di ciascuna ala per poi scendere, tracciando una linea che si faceva sempre più bianca via via che si avvicinava al fondo. Per quanto furiosa, Elena dovette guardare in faccia la realtà: se il diavolo – o un arcangelo – le avesse offerto le sue ali, avrebbe potuto considerare l’ipotesi di vendergli l’anima. Ma gli angeli non Creavano altri angeli. Creavano solo vampiri succhiasangue. Da dove venissero quelle creature alate, non lo sapeva nessuno. Dal canto suo, Elena immaginava che nascessero da esemplari della stessa specie, anche se, a pensarci
bene, non aveva mai visto angeli in fasce. I suoi pensieri vagarono di nuovo, mentre osservava la grazia fluida della camminata di Raphael, così seducente, così... Si alzò in piedi di scatto e rovesciò la sedia, che cadde pesantemente sul pavimento di piastrelle. «Esci. Subito. Dalla. Mia. Testa!» Raphael si fermò. «Hai intenzione di usare quel pugnale? » Le sue parole erano di ghiaccio. Nell’aria c’era odore di sangue, ed Elena si rese conto che era il suo. Abbassando lo sguardo, vide la sua mano stretta intorno alla lama del coltello, che aveva sfilato istintivamente dal fodero legato alla caviglia. Non avrebbe mai commesso un simile errore. L’arcangelo la stava costringendo a farsi del male, dimostrandole che, per lui, non era che un giocattolo con cui divertirsi. Invece di lottare, strinse ancora più forte. «Se vuoi che faccia qualcosa per te, bene. Ma non accetterò di essere manipolata.» Raphael si fermò un istante a fissare il sangue che gocciolava dalla mano stretta a pugno. Non ebbe bisogno di dire nulla. «Avrai anche il potere di controllarmi», disse lei, in risposta alla sua espressione derisoria. «Ma, se ciò fosse sufficiente per sbrigare la faccenda che ti preme risolvere, non avresti mai inscenato questa farsa dell’ingaggio. Tu hai bisogno di Elena Deveraux, e non di uno dei tuoi leccapiedi succhiasangue.» La sua mano si aprì con uno spasmo violento, nell’istante in cui Raphael le fece mollare la lama, che cadde a terra con un tonfo smorzato dalla pozza di sangue che si era raccolta sul pavimento. Elena rimase immobile, non fece nulla per fermare l’emorragia. Non si mosse neppure quando Raphael le si avvicinò, fermandosi a un paio di spanne. «Credi di avermi messo con le spalle al muro?» Il cielo era completamente terso, ma Elena non poté non sentire le violente raffiche di vento che preannunciavano l’arrivo di un temporale e
le sferzavano i capelli. «No.» Lasciò che il profumo di Raphael – il profumo intenso e pulito del mare – si posasse sulla patina che il vampiro le aveva lasciato sulla lingua. «Sono pronta ad andarmene senza guardarmi indietro, e a restituire il deposito che hai già versato alla Corporazione.» «Non ti è concessa una simile opzione», rispose lui, mentre prendeva un tovagliolo e glielo avvolgeva intorno alla mano. Stupita da quell’atto inaspettato, Elena chiuse le dita per favorire l’arresto dell’emorragia. «Perché no?» «Perché voglio che sia tu a occupartene», disse lui, come se ciò bastasse a spiegare ogni cosa. E, per un arcangelo, era sufficiente. «Di che cosa si tratta? Devo recuperare qualcuno?» «Sì.» Il sollievo la invase come la pioggia che sentiva ormai vicinissima. Ma, no, era il profumo di Raphael, quel fresco assaggio d’acqua. «Ho bisogno soltanto di un indumento indossato di recente dal vampiro. Se hai anche una vaga idea di dove potrebbe trovarsi, ancora meglio. Altrimenti, chiederò ai geni del computer della Corporazione di controllare la rete dei trasporti pubblici, i documenti bancari e così via.» La sua mente si era messa al lavoro, e già considerava e scartava opzioni. «Hai frainteso, Elena. Non si tratta di un vampiro.» Quelle parole la bloccarono. «Stai cercando un essere umano? Be’, posso fare anche quello, ma non sarei molto meglio di qualsiasi investigatore privato.» «Hai ancora un tentativo.» Non era un vampiro. Non era un umano. Non restava che... «Un angelo?» chiese in un sussurro. «No, non può essere.» «No», confermò lui e, ancora una volta, Elena avvertì il tocco freddo e leggero del sollievo. Un sollievo che durò finché lui non aggiunse: «Un arcangelo».
Elena lo fissò. «Stai scherzando.» Gli zigomi di Raphael, duri e severi, spiccavano sulla pelle liscia, baciata dal sole. «No. Il Quadro dei Dieci non scherza.» A quel riferimento, Elena si sentì raggelare. Se Raphael era un esempio del loro potere letale, lei non avrebbe mai voluto trovarsi faccia a faccia con quel corpo augusto. «Perché date la caccia a un arcangelo?» «Non deve interessarti», disse, con un tono che non ammetteva repliche. «Ma, se riuscirai a trovarlo, sarai ricompensata con più denaro di quanto potrai spendere in tutta la vita.» Elena diede un’occhiata al tovagliolo macchiato di sangue. «E se, invece, dovessi fallire?» «Non fallire, Elena.» Il suo sguardo era mite, ma il suo sorriso lasciava intendere cose che era meglio non dire a voce alta. «Mi affascini... Non sopporterei l’idea di doverti punire.» Elena ripensò al vampiro in Times Square, quell’ammasso di membra dilaniate che un tempo era stato una persona... Era quello il concetto di punizione, per Raphael.
4 Seduta su una panchina, Elena fissava le anatre che nuotavano nel laghetto di Central Park. Era andata lì con la speranza di mettere ordine nei suoi pensieri, ma evidentemente il tentativo non stava sortendo l’effetto sperato. Riusciva solo a pensare a quei pennuti: si domandava se sognassero. Probabilmente no. Che cosa poteva sognare un’anatra? Pane fresco, un bel volo verso... già, dove diavolo andavano le anatre? Volo. Trattenne il respiro, mentre una serie di ricordi le attraversava la mente, come istantanee che si succedevano l’una dopo l’altra: le splendide ali striate d’oro, lo sguardo potente, il luccichio della polvere d’angelo. Si strofinò gli occhi con i polsi, sforzandosi di cancellare quelle immagini. Ma non funzionò. Era come se Raphael avesse impiantato un dannato messaggio subliminale nella sua testa, che continuava a vomitare visioni di cose cui non voleva assolutamente pensare. Non sarebbe rimasta sorpresa, se avesse scoperto che era andata proprio così; anche se, in realtà, non ne avrebbe avuto il tempo. Non si era trattenuta nemmeno un minuto, dopo che lui le aveva intimato di non fallire. Stranamente, l’aveva lasciata andare. Adesso le anatre stavano litigando, schiamazzavano l’una contro l’altra e immergevano il becco in acqua. Gesù, nemmeno loro riuscivano a stare tranquille. Diamine, come poteva pensare con tutto quel chiasso? Con un sospiro, si appoggiò allo schienale della panchina, e sollevò lo sguardo al cielo che si estendeva limpido sopra la sua testa. Quell’azzurro così intenso le fece tornare in mente lo sguardo di Raphael. Sbuffò. Quel colore si avvicinava alla vivida tinta degli occhi dell’arcangelo quanto uno zircone cubico si avvicinava a un diamante. Non era che una pallida imitazione. Eppure era bello. Forse, se l’avesse fissato abbastanza a lungo, sarebbe riuscita a
dimenticare quelle ali che la tormentavano. No, non c’era verso. Continuavano a invadere il suo campo visivo, trasformando l’azzurro in oro e bianco. Corrugò la fronte e si sforzò di vedere oltre quell’illusione. Mise a fuoco lunghi filamenti dalle estremità dorate. Il cuore le batteva all’impazzata, ma non aveva abbastanza energia per essere spaventata. «Mi hai seguita.» «Ho avuto l’impressione che ti servisse un po’ di tempo per restare da sola.» «Potresti abbassare quell’ala?» gli domandò, cortese. «Mi copri la visuale.» L’ala si ripiegò con un fruscio singolare, che Elena non avrebbe mai associato a nessun altro movimento se non a quello degli arti angelici. Degli arti di Raphael, per la precisione. «Non mi guardi negli occhi, Elena?» «No», rispose lei, continuando a fissare il cielo. «Ogni volta che lo faccio, mi confondi la mente.» Una risatina maschile, bassa, rauca e... dentro la sua testa. «Evitare il mio sguardo non ti servirà a niente.» «Non l’avevo nemmeno pensato», disse sommessamente, con le viscere che le ardevano dalla rabbia. «Ti diverti così? Costringendo le donne a gettarsi ai tuoi piedi?» Silenzio. Poi, il rumore delle ali che si spiegavano e si richiudevano di scatto. «Stai sprecando le vite a tua disposizione. » Elena si azzardò a guardarlo. Era in piedi ai margini del laghetto, girato verso di lei. I suoi occhi azzurri si erano scuriti fino ad assumere il colore del cielo a mezzanotte. «Ehi, tanto morirò comunque.» Una frase del genere tendeva a ingentilire le persone. «L’hai detto tu stesso... puoi fottermi in qualunque momento, con il solo potere della mente. Scommetto che è soltanto uno dei tuoi trucchetti. Dico bene?» Raphael le rispose con un cenno regale, mentre un raggio di
sole accentuava la sua bellezza. Un dio oscuro, si disse Elena, e capì subito che quel pensiero era suo. Perché ciò che la disgustava, in lui, al tempo stesso l’attirava. Il potere. Non era un uomo che poteva sfidare e sperare di battere. E una parte di lei – la parte più ardente e femminile – apprezzava quel genere di forza, per quanto la facesse infuriare. «Allora, dimmi: se sei in grado di fare tutte queste cose, di che cosa sarà mai capace quest’altro arcangelo?» Distolse lo sguardo dal suo fascino erotico e seducente, riportandolo sulle anatre. «Immagino che mi ridurrà in polpette prima ancora che io riesca ad avvicinarmi.» «Sarai protetta.» «Io lavoro da sola.» «Non questa volta.» Il suo tono era acciaio puro. «Uram ha un debole per la sofferenza fisica. Il marchese de Sade era un suo allievo.» Elena non aveva nessuna intenzione di mostrargli quanto quelle parole l’avessero terrorizzata. «Quindi, è un pervertito.» «Anche.» Riuscì a impregnare quella risposta così concisa di sangue, dolore e orrore. Emozioni contrastanti le penetrarono attraverso i pori della pelle, e le serrarono la gola, soffocandola e provocandole un senso di nausea. «Finiscila», disse, secca, incrociando di nuovo il suo sguardo. «Ti faccio le mie scuse.» Le sue labbra s’incurvarono lievemente. «Non credevo che fossi così sensibile.» Elena non ci credette neppure per un momento. «Hai detto che si chiama Uram? Parlami di lui.» Non sapeva granché dell’altro arcangelo, al di là del fatto che governava una grossa fetta di Europa. «È la tua preda.» Il volto di Raphael si chiuse su se stesso, gli occhi da blu si fecero quasi neri e la sua espressione divenne quella di una statua greca. Distante. Imperscrutabile. «È tutto
quello che devi sapere.» «Non posso lavorare così.» Elena si alzò dalla panchina, ma badò a non avvicinarsi. «Sono brava nel mio lavoro perché riesco a entrare nella testa dell’obiettivo, a predire dove andrà, che cosa farà e chi contatterà.» «Affidati al tuo talento innato.» «Anche se sentissi l’odore degli arcangeli» – cosa che non era assolutamente in grado di fare – «non stiamo parlando di magia», gli fece notare, frustrata. «Mi serve un punto di partenza. Se non vuoi dirmi nulla, dovrò estrapolarlo dalla sua personalità, dai suoi schemi comportamentali. » Raphael si avvicinò, annullando la distanza che lei aveva cercato di mantenere. «Non possiamo prevedere i suoi movimenti. Non ancora. Dobbiamo aspettare.» «Aspettare che cosa?» «Il sangue.» Quell’unica parola ebbe il potere di gelarla. «Che cos’ha fatto?» Raphael sollevò un dito e le sfiorò lo zigomo. Elena sussultò. Non perché le stesse facendo male. Al contrario. I punti che toccava... era come se avesse un filo diretto con la sua parte più ardente e femminile. Una sola carezza la fece bagnare in modo imbarazzante. Ma non si tirò indietro: non voleva arrendersi. «Che cos’ha fatto?» ripeté. Il dito scese sulla mascella e seguì la linea del collo, procurandole un piacere tormentoso e assolutamente non voluto. «Niente che ti serva sapere. Niente che possa aiutarti a rintracciarlo.» Elena alzò una mano e spinse via la sua, ben sapendo di esserci riuscita solo perché lui gliel’aveva permesso. E tale consapevolezza la fece andare in collera. «Hai finito di fare i tuoi giochini sessuali?» gli chiese, a bruciapelo. Il sorriso di Raphael si fece più concreto, e i suoi occhi
cangianti passarono dal nero a una tinta più vicina al cobalto. Erano vivi. Elettrici. «Non stavo facendo nulla alla tua mente, Elena. Non questa volta.» Oh, merda.
Le aveva mentito. Era ovvio, le aveva mentito. Elena si lasciò andare a un sospiro di sollievo e collassò sul suo divano. Non era così idiota da provare attrazione per un arcangelo. Quindi, restava soltanto l’opzione numero due: Raphael aveva giocato con la sua mente, e le aveva detto il contrario solo per confonderla di più. Quella fastidiosa vocina nella testa continuava a sussurrarle che quel genere di manipolazione non combaciava con ciò che sapeva dell’arcangelo. Sul tetto, non aveva avuto problemi ad ammettere di essere entrato nella sua mente. Sembrava superiore alla menzogna. «Ah!» disse a quella vocina. «Le cose che so di lui non basterebbero nemmeno a riempire un ditale... sono secoli che manipola i mortali. È bravo.» No, non bravo. Esperto. E adesso, lei era nelle sue mani. A meno che l’arcangelo non avesse cambiato idea, da quando lei aveva alzato il culo dalla panchina in riva allo stagno delle anatre. Il suo umore migliorò un pochino. Aprì il portatile che aveva sistemato sul tavolino, lo avviò e, grazie alla connessione wireless, controllò il suo conto presso la Corporazione. La lista dei movimenti mostrava un bonifico ricevuto di recente. «Troppi zeri.» Respirò profondamente, e li contò di nuovo. «Sono ancora troppi.» Al confronto, la cospicua somma versata dal signor Ebose si riduceva a una manciata di spiccioli senza valore. Con le mani sudate, deglutì e fece scorrere la pagina sul video. Il pagamento era stato effettuato dalla «Torre degli Arcangeli, Manhattan». Lo sapeva già prima di controllare, ma
vederlo nero su bianco fu uno scossone. Adesso, lavorava ufficialmente per Raphael. Soltanto per lui. La sua situazione, segnalata dalla Corporazione, non risultava più «attiva», ma «impegnata a tempo indeterminato ». Richiuse il laptop e rivolse lo sguardo alla torre. Non riusciva a credere di essere stata in cima a quell’edificio che penetrava le nuvole, proprio quella mattina, e di aver osato discutere con un arcangelo. Ma, soprattutto, non riusciva a credere alla missione che le era stata affidata. Aveva la sensazione che migliaia di creature minuscole le stessero attraversando lo stomaco, procurandole un senso di nausea, di panico... e anche una strana e vivace eccitazione. Quello era il genere d’incarico che faceva nascere leggende intorno ai cacciatori. Naturalmente, per entrare nella leggenda, dovevi essere morta. Quasi sempre, almeno. Fortunatamente, lo squillo del telefono interruppe quella linea di pensiero. «Che c’è?» «Buona giornata a te, luce dei miei occhi», disse la voce allegra di Sara. Elena non si lasciò ingannare. L’amica non era diventata la direttrice della Corporazione per la sua simpatia. Piuttosto, aveva dimostrato di avere nervi d’acciaio, e la forza di volontà di un bull terrier. «Non posso rivelarti niente. Quindi, puoi risparmiarti le tue domande.» «Andiamo, Ellie. Sai che so mantenere un segreto.» «No. Se te lo dico, ti uccideranno.» Raphael era stato molto chiaro, al riguardo, al laghetto di Central Park. Dillo a qualcuno – uomo, donna o bambino – e non esiteremo a eliminarlo. Senza eccezioni. Sara sbuffò. «Non esagerare. Io...» «Sapeva che me l’avresti chiesto», la interruppe, cercando di ricordare cos’altro le avesse detto l’arcangelo di New York, con la sua voce suadente. Una lama nuda in un fodero di velluto: sì, non avrebbe potuto descriverla in modo migliore.
«Oh?» «Se te lo dicessi, non eliminerebbe soltanto te e Deacon, ma anche Zoe.» La furia che crepitò lungo il filo del telefono era puro istinto materno. «Che bastardo!» «Sono pienamente d’accordo.» Evidentemente, l’ira fumante di Sara le impedì di parlare per alcuni lunghissimi secondi. «Se ti ha fatto una minaccia simile, deve trattarsi di qualcosa di grosso.» «Hai visto il bonifico?» «Diavolo, se l’ho visto! Ho pensato che il contabile avesse combinato un casino, e avesse depositato l’intera somma sul nostro conto, anziché la sola percentuale che spetta alla Corporazione.» Espirò rumorosamente. «Bambina, sono un bel po’ di soldi.» «Non li voglio.» Elena si sentiva soffocare. Avrebbe tanto desiderato condividere l’assurdità di quell’incarico con Sara, e con quell’idiota di Ransom, ma non poteva. «Mi ha già divisa dai miei migliori amici.» Strinse la mano in un pugno. «Che ci provi», disse Sara. «Dunque, non puoi parlarmi dei dettagli. Dev’essere per forza una faccenda di estrema importanza. Ma scoprirò comunque di che cosa si tratta. Ho già una mia idea, in proposito.» «Sul serio?» chiese Elena, con un brivido di eccitazione. «Devi dare la caccia a un vampiro assassino?» Fece una pausa. «Okay, non puoi rispondermi... ma, siamo serie, di che altro potrebbe trattarsi?» Elena si accasciò di nuovo sul divano. «Ricordi quel vampiro che si ribellò, e divenne un furfante ?» «Ce n’è stato più d’uno», disse Elena in tono leggero, anche se si sentiva già raggelare il sangue. «È successo una ventina d’anni fa. L’abbiamo studiato al corso della Corporazione.»
Non venti, pensò Elena, diciotto. «Slater Patalis.» Quel nome le scivolò dalle labbra come un incubo. Non ne aveva mai parlato con nessuno, nemmeno con l’amica del cuore, cui confidava sempre tutto. «Quanti ne ha uccisi? » chiese – si costrinse a chiedere – prima che le antenne di Sara cominciassero a vibrare. «Secondo i dati ufficiali, cinquantadue in un mese», fu la macabra risposta. «Ufficiosamente, però, pensiamo siano stati di più.» Elena udì un cigolio, e immaginò l’amica che si appoggiava allo schienale dell’enorme poltrona in pelle, che adorava quasi come una seconda figlia. «Da quando sono direttrice, ho accesso a documenti riservati di qualunque genere.» «Vuoi condividere qualcosa con la sottoscritta?» Elena decise di concentrarsi sul presente, ignorando gli echi di un passato che nulla avrebbe potuto cambiare. «Mmm, perché no... in fondo, sei la mia vice sotto ogni punto di vista, se non ufficialmente.» «Bleah», commentò lei, facendo la linguaccia. «Niente lavoro da scrivania, per me. Ti ringrazio.» Sara si lasciò andare a una risata sommessa. «Imparerai, a suo tempo. In ogni caso, secondo il rapporto ufficiale, Slater era affetto da un disturbo mentale, prima della Creazione. Una malattia che, in qualche modo, era riuscito a nascondere.» «Un grave disturbo antisociale della personalità.» Prima di sentire il commento di Sara, Elena aveva creduto di conoscere tutti i dettagli inquietanti della vita e dei crimini del più infame vampiro killer della storia recente. «Abusi e maltrattamento di animali durante l’infanzia. Il classico profilo dell’assassino seriale.» «Troppo classico», sottolineò Sara. «È solo un mucchio di stupidaggini, inventate dalla Corporazione per via delle pressioni del Quadro dei Dieci.»
Per un istante, Elena ebbe l’orrendo sospetto che Slater Patalis non fosse morto realmente, e che il Quadro l’avesse salvato per qualche motivo perverso. Ma un attimo dopo tornò a pensare razionalmente: non solo aveva visto il video dell’autopsia, ma si era introdotta nel magazzino e aveva trovato la fiala in cui era conservato il sangue di Slater. Annusandolo, i suoi sensi avevano risposto nel modo giusto. Vampiro, le aveva sussurrato quel sangue. Vampiro. E, quando lei aveva stappato la boccetta, aveva mormorato qualche parola con la sua voce distinta e ipnotica. Vieni qui, piccola cacciatrice. Assaggia. Si morsicò con forza il labbro inferiore, sino a farlo sanguinare, nel tentativo di cancellare il ricordo del sangue di Patalis. Almeno finché non fosse giunta l’ora degli incubi. «Hai intenzione di dirmi la verità?» chiese a Sara. «Slater era normale, quando ha chiesto di essere Creato », le rispose l’amica. «Sai bene quanto siano fanatici gli angeli, nell’esaminare la rosa dei candidati. All’epoca, era stato sottoposto a una sfilza di esami e analisi... diamine, poco mancava che lo sezionassero. Comunque, alla fine era risultato assolutamente pulito e in salute, fisicamente e mentalmente.» «Quelle voci», sussurrò Elena, con occhi sgranati. «Abbiamo sempre pensato che fossero semplici leggende metropolitane. Ma se quello che dici è vero...» «... significa che la Creazione ha un effetto collaterale estremamente negativo. Una piccolissima minoranza di candidati si ritrova con il cervello in panne, e riporta danni irrimediabili. E la Creatura che emerge da quel disastro non è sempre umana.» Parlare dei vampiri come di essere umani era piuttosto bizzarro, ma Elena capiva perfettamente che cosa intendeva l’amica. L’umanità, nel suo complesso, comprendeva anche i vampiri. Come sapeva dalla storia della sua stessa famiglia,
questi ultimi potevano accoppiarsi e addirittura concepire figli con gli esseri umani. Il concepimento era molto difficile, ma non impossibile e, sebbene i bambini – tutti mortali – potessero soffrire di anemia o di altri disturbi correlati, per il resto erano assolutamente normali. Prima regola della biologia: se due creature possono accoppiarsi, probabilmente appartengono alla stessa specie. Tale regola, tuttavia, non si applicava alla specie di Raphael. Gli angeli attiravano frotte di groupie, per lo più vampiri donne, anche se di tanto in tanto veniva ammessa anche qualche umana che si faceva notare per la sua straordinaria bellezza. Dissolutezza a parte, però, Elena non aveva mai sentito parlare di un bambino nato da un angelo e un essere umano, o da un angelo e un vampiro. Forse, semplicemente, gli angeli non procreavano. Forse i loro figli erano i vampiri che Creavano. Sangue al posto del latte. Immortalità in luogo dell’amore. Una presa in giro dell’infanzia. Ma, di nuovo, che cosa poteva saperne Elena dell’infanzia? «Sara... ho bisogno di avere libero accesso ai computer e agli archivi della Corporazione.» «Solo la direttrice ha libero accesso.» Il tono di Sara ricordava il celebre acciaio Haziz. «Promettimi che prenderai in considerazione il ruolo di vicedirettrice, e ti darò quello che mi hai chiesto.» «Mentirei», disse Elena. «Impazzirei, dietro una scrivania. » «Lo pensavo anch’io, una volta, e adesso sono felice come una Pasqua.» «C’è un’enorme differenza fra noi due, signora direttrice. » Lasciò che fosse il suo tono a parlare per lei. «Vuoi un’assistente? Sceglila tra le cacciatrici sposate. Non sprecare una posizione simile per la sottoscritta.» Sara sospirò. «Il fatto che tu sia single non significa che ti voglia là fuori, sotto il fuoco nemico. Sei la mia migliore amica. Non abbiamo lo stesso sangue, ma ti considero come una
sorella.» Gli occhi di Elena si colmarono di lacrime. «Idem.» Quando la sua famiglia l’aveva disconosciuta, era stata Sara a rimetterla in sesto. Il loro legame era praticamente indistruttibile. «Sai bene che non sono fatta per condurre una vita ‘al sicuro’. Sono nata per fare quello che faccio.» Era una cacciatrice. Un segugio. Una solitaria. «Ma perché mi disturbo a parlare con te?» Le parve di vederla, mentre scuoteva la testa. «Ti sto già registrando, così potrai accedere ai dati che ti servono con un semplice login.» Era questo che Elena amava, della Corporazione. Nessun caotico lavoro d’ufficio: i cacciatori sceglievano il loro direttore, cui affidavano il compito di prendere tutte le decisioni. Niente riunioni, niente consigli. Nessuna fottuta perdita di tempo. «Ti ringrazio.» «Ah-ha.» Sentì un rumore di dita che picchiettavano sui tasti. «Un piccolo avvertimento: ho la sensazione che certi file ad alta sicurezza siano monitorati attraverso un discreto sistema di controllo.» «Monitorati da chi?» Ma conosceva già la risposta. «E con quale autorità?» «La stessa con cui possono ingaggiare i miei cacciatori senza dirmi che accidenti succede», rispose Sara, con violenza. «Sono diventata direttrice per proteggere i cacciatori. Raphael dovrà stamparselo bene in testa...» «No!» gridò Elena. «Ti prego, Sara, non andare da lui. Il solo e unico motivo per cui sono ancora viva è che ha bisogno che faccia una cosa per lui. Altrimenti, è probabile che avresti trascorso un delizioso pomeriggio a identificare il mio cadavere all’obitorio.» Il suo cadavere... o quello che ne restava. «Gesù, Ellie. Ho giurato di proteggere i miei cacciatori, e non mi rimangerò la parola solo perché una spaventosa Creatura di Raphael...»
«Allora, fallo per Zoe», la interruppe. «Non vorrai che cresca senza una madre.» «Stronza.» La voce di Sara era vicinissima a un ringhio. «Se non ti volessi così bene, dovrei venire lì a pestarti. Questo è un dannato ricatto. Non si scherza con i sentimenti.» «Promettimelo, Sara», ripeté Elena, serrando la mano intorno alla cornetta. «Questa missione è la più difficile che abbia mai avuto. Fa’ in modo che non debba preoccuparmi anche per te. Promettimelo.» Seguì una lunghissima pausa. «Prometto che starò lontana da Raphael... a meno che non ritenga che tu stia correndo un pericolo mortale. È il massimo che avrai, da me.» «Me lo farò bastare.» Doveva assicurarsi che l’amica non venisse mai a sapere che quella missione significava una morte quasi certa. Un passo falso e... addio, Elena P. Deveraux. In quell’istante si udì un bip. «Ho sotto un’altra chiamata... dev’essere Ash», disse Sara. Stando alle sue ultime notizie, Ashwini, altrimenti nota come Ash, o Ashblade, si trovava nella regione dei Bayou, sulle tracce di un vampiro cajun che aveva l’abitudine di inimicarsi gli angeli... e che, in quel periodo, stava giocando al gatto e al topo con lei. «È ancora giù, in Louisiana?» «No. Il nostro amico ha deciso di fare un tour dell’Europa. » Sara sbuffò, in modo molto poco elegante. «Sai, un giorno o l’altro la farà infuriare sul serio, e si ritroverà nudo come un verme, tutto ricoperto di miele e con un cartello con la scritta MORDIMI intorno al collo.» «Voglio dei biglietti per lo spettacolo.» Elena riattaccò, mentre l’amica rideva della sua battuta. Poi si strofinò il viso, e decise che era giunto il momento di mettersi al lavoro. Quella battuta di caccia si sarebbe conclusa con un fiasco, indipendentemente dai suoi sforzi... tanto valeva provare a uscirne integra.
Tirò fuori la camicia bianca dai pantaloni neri, che cambiò con un paio di jeans, e si legò i capelli in una coda di cavallo. Quindi, aprì il computer per la seconda volta. Pur sapendo che era il Quadro a pagarla, non le piaceva granché l’idea che spiasse quello che faceva; così, aprì un browser e andò sull’home page di un popolare motore di ricerca, anziché entrare nel database della Corporazione. A quel punto, digitò la parola che voleva cercare: «Uram».
5 Raphael si richiuse la porta alle spalle e si avviò verso il centro dell’enorme biblioteca al piano seminterrato del grande cottage, una costruzione elegante e splendida sull’isola di Martha’s Vineyard. Nel camino ardeva un bel fuoco, unica fonte d’illuminazione oltre ai candelabri a muro, che in realtà creavano più ombre che luce. Là sotto, si avvertiva il senso del trascorrere del tempo: l’atmosfera che vi si respirava non lasciava dubbi che quel locale fosse molto più antico dell’abitazione soprastante. «È fatta», disse, mentre prendeva posto su una delle poltrone disposte a semicerchio davanti al fuoco. Faceva troppo caldo, per lui, ma alcuni dei suoi fratelli venivano da climi più miti, e sentivano nelle ossa la promessa dell’arrivo dell’autunno. «Avanti», disse Charisemnon. «Parlaci della cacciatrice. » Raphael si appoggiò allo schienale, e diede un’occhiata agli arcangeli che sedevano lì con lui. Era una seduta del Quadro dei Dieci. Una seduta incompleta, però. «Dovremo sostituire Uram.» «Non ancora. Non finché...» sussurrò Michaela, con lo sguardo tormentato. «È davvero necessario dargli la caccia? » Neha le mise la mano sulla spalla. «Non abbiamo scelta. Non possiamo permettere che soddisfi i suoi nuovi appetiti. Se gli umani dovessero scoprire...» Scosse la testa, con gli occhi a mandorla colmi di un’oscura conoscenza. «Ci temerebbero quasi fossimo mostri.» «Ci temono già», osservò Elijah. «Per mantenere il potere, ci siamo trasformati tutti in mostri, seppure in minima parte.» Raphael era d’accordo con lui. Elijah era uno tra i più anziani del gruppo. In un modo o nell’altro, governava da millenni, ma i suoi occhi non mostravano nessun segno di noia, nemmeno in un momento come quello. Forse perché possedeva qualcosa che
gli altri non avevano: un’amante dalla lealtà irreprensibile. Elijah e Hannah stavano insieme da oltre nove secoli. «Ma c’è una notevole differenza tra ispirare timore reverenziale e far inorridire», osservò Zhou Lijuan. Raphael non ne era così sicuro, ma Lijuan veniva da un’altra epoca. In Asia, governava attraverso una rete matriarcale che la venerava dagli albori dei tempi. Se Elijah era anziano, Lijuan era addirittura antica: ormai era parte integrante della cultura della Cina – sua madrepatria – e delle terre circostanti. Su di lei si mormorava una miriade di storie, ed era considerata una sorta di semidea. In confronto, i cinquecento anni di dominio di Raphael erano un’inezia. Ma ciò sarebbe potuto andare a suo vantaggio. A differenza di Lijuan, infatti, l’arcangelo di New York era ancora in grado di comprendere i mortali. Già prima della trasformazione da angelo in arcangelo, aveva preferito il caos della vita alla pace elegante scelta dai suoi fratelli. Viveva in una delle città più caotiche del mondo, e spesso si fermava a osservarne gli abitanti, a loro insaputa. Così com’era successo con Elena Deveraux, quello stesso giorno. «Non c’è nessun dubbio che sia necessario mantenere il più assoluto riserbo», disse, interrompendo i singhiozzi sommessi di Michaela. «Non possiamo permettere che qualcuno scopra che cos’è diventato Uram. È sempre stato così, da quando siamo al mondo.» Lentamente, passò in rassegna i colleghi, che annuirono. Persino Michaela si asciugò le lacrime e si appoggiò allo schienale della poltrona. Con gli occhi limpidi e le guance arrossate, era bella al di là di ogni possibile paragone. Anche tra gli angeli, era sempre stata la stella più luminosa: non le erano mai mancati amanti e attenzioni. Proprio in quell’istante i loro sguardi s’incrociarono, e Raphael lesse nei suoi occhi una domanda sensuale cui preferì non rispondere. Dunque è così. Non era in pena per Uram, ma per se stessa. Sì, ciò si accordava maggiormente alla sua personalità.
«Dunque si tratta di una cacciatrice», disse Michaela dopo un momento, con il tono lievemente irritato. «È per questo che l’hai scelta?» «No.» Mentre rispondeva, Raphael si domandò se fosse il caso d’informare Elena di quella nuova minaccia. Michaela non amava avere rivali: era l’amante di Uram da quasi mezzo secolo. Un impegno straordinario, per una creatura dal temperamento così volubile. «L’ho scelta perché ha un olfatto impareggiabile.» «Allora perché aspettare?» chiese Titus. Il suo tono sommesso era in netto contrasto con la sua figura muscolosa e scintillante. Sembrava scolpito nell’ambra nera, rozzamente sbozzato come la fortezza sulle montagne in cui aveva fissato la propria dimora. «Perché Uram non ha ancora oltrepassato la linea finale. » Silenzio. «Ne sei certo?» domandò Favashi, gentile. Era la più giovane del Quadro, la più mortale nel modo di pensare. Il suo cuore e la sua anima non erano stati intaccati dallo scorrere inesorabile del tempo. «Se non ha ancora...» «È inutile coltivare vane speranze», la interruppe Astaad, con i soliti modi bruschi. «La notte in cui è fuggito dall’Europa, ha ucciso tutte le persone al suo servizio. » «Perché, allora, non ha oltrepassato l’ultima linea? Perché non ha fatto... quello che non dobbiamo fare in nessun caso?» chiese Favashi, per nulla disposta ad arrendersi. Nonostante la gentilezza, era quella sua tenacia a garantirle il dominio sulla Persia. Si piegava, ma non si spezzava. Mai. «Possiamo recuperarlo, no?» «No», le rispose Neha, tanto fredda quanto lei era calda. Nella sua terra natia, l’India, i serpenti erano venerati come divinità, e lei era adorata come la Regina dei Serpenti. «Ho già indagato con i nostri medici. È troppo tardi. Il suo sangue è veleno, ormai.»
«Non potrebbero sbagliarsi?» domandò Michaela, alquanto preoccupata. «No.» Gli occhi di Neha si spostarono da una parte all’altra della stanza. «Ne ho mandato un campione anche a Elijah.» «E io ho chiesto a Hannah di esaminarlo», disse lui. «Neha ha ragione. Per Uram è troppo tardi.» «È un arcangelo... Anche se quella cacciatrice dovesse trovarlo, non sarà mai in grado di ucciderlo», osservò Lijuan. I suoi luminosi capelli bianchi sembrarono muoversi, anche in assenza di vento. L’età donava poteri straordinari, al punto che apparire «umani» – sotto qualunque aspetto – diventava quasi impossibile. Anche i suoi occhi possedevano una strana tonalità grigio perla che non era di questa terra. «Dovrà occuparsene uno di noi.» «Lo vuoi morto solo perché ha minacciato il tuo potere !» ribatté Michaela, secca. Lijuan la ignorò, come Raphael avrebbe potuto ignorare un essere umano. Aveva visto arcangeli andare e venire. Soltanto lei era rimasta. Uram era stato quello più vicino a lei, come età. «Raphael?» «La cacciatrice ha l’incarico di trovare Uram», rispose lui, e in quell’istante rivide lo sguardo terrorizzato di Elena, quando le aveva illustrato il suo compito. «Penserò io a giustiziarlo. Siete d’accordo?» «Sì», risposero tutti, l’uno dopo l’altro. Persino Michaela. Aveva più a cuore la sua vita, che non quella di Uram. Lo sapevano tutti che, se quest’ultimo si trovava a New York, era per lei. Se avesse superato quell’ultima linea, la sua ex amante sarebbe diventata la sua preda più ambita. Dunque, la decisione era presa. Raphael rimase nella biblioteca, mentre i membri del Quadro si congedavano, a uno a uno. Era raro che si riunissero tutti nello stesso posto. Possedevano un potere incommensurabile, ma era
meglio non tentare i giovani. Qualche angelo aspirava a prendere il loro posto, quando morivano. Ed erano sempre i giovani a coltivare simili illusioni. I più anziani erano abbastanza saggi da sapere che, per diventare arcangelo, bisognava rinunciare a parte dell’anima. In breve, nella stanza rimase soltanto Elijah, seduto su una poltrona all’estremità opposta del semicerchio. «Non torni a casa da Hannah?» gli chiese Raphael. Le ali candide di Elijah si spostarono appena, mentre allungava le gambe e si appoggiava allo schienale. «Lei è sempre con me, ovunque vada.» Raphael non poteva sapere se intendesse dire in senso letterale. Si diceva che alcune coppie angeliche di vecchia data riuscissero a creare senza il minimo sforzo una connessione mentale oltre il tempo e lo spazio. Ma, anche ammesso che fosse vero, non ne parlava mai nessuno. «Allora puoi davvero ritenerti fortunato.» «Già.» Elijah si chinò in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. «Com’è potuta succedere una cosa del genere a Uram? Perché nessuno se n’è accorto?» Raphael si rese conto che Elijah non riusciva davvero a spiegarselo. «Non aveva una vera compagna, e Michaela pensa solo a se stessa.» «Sono parole dure», commentò Elijah, che pure non respinse il suo riassunto conciso. «Tu hai Hannah, che ti dice se ti stai avvicinando al limite. Uram era solo.» «Ma c’erano i domestici, gli assistenti, gli altri angeli.» «Uram non è mai stato molto clemente. Qualunque dimostrazione di coraggio veniva ricompensata con la tortura. Per questo, il suo castello era pieno di persone che lo odiavano, o lo temevano. A nessuno importava se viveva o moriva.» Elijah sollevò lo sguardo, con gli occhi limpidi, quasi umani.
«Ecco una lezione da imparare, Raphael.» «Adesso ti stai comportando come un fratello maggiore. » Elijah scoppiò a ridere. A parte Favashi, era l’unico arcangelo a farlo, e in modo assolutamente sincero. «Volevo solo dire che in te vedo un leader. Ora che abbiamo perso Uram, il Quadro dei Dieci rischia di frammentarsi... sai bene che cos’è successo, l’ultima volta che ci siamo divisi.» Era cominciata l’Era Oscura, in cui i vampiri facevano il bagno nel sangue, e gli angeli erano troppo occupati a farsi la guerra per curarsene. «Perché io? Sono più giovane di te, e di Lijuan.» «Lijuan non... non è più di questo mondo.» Elijah corrugò la fronte. «Credo sia l’angelo più anziano che esista. Ormai è al di sopra di questi problemi futili.» «Questo non è un problema futile.» In realtà, Raphael capiva perfettamente cosa intendesse dire. Lo sguardo di Lijuan non era più rivolto a questo mondo, ma a un punto lontano. «Ma perché non tu? Sei il più stabile di tutti noi.» Elijah spiegò le ali, mentre rifletteva. «Il mio dominio nel Sud America non è mai stato messo in discussione.» Scosse la testa. «È vero, ho il pugno di ferro con i dissidenti, ma non amo uccidere, né spargere sangue. Per tenere unito il Quadro, serve un leader più pericoloso di chiunque altro.» «Mi stai dando del brutale», commentò Raphael, in tono sommesso. Elijah scrollò le spalle. «Tu ispiri paura senza essere crudele come Astaad, o capriccioso come Michaela. Per questo ti scontravi con Uram: eri troppo vicino a portargli via quello che gli apparteneva. Sei già il nostro leader, che tu ne sia consapevole o no.» «E adesso una cacciatrice è sulle sue tracce.» In quell’immagine, Raphael vide il suo futuro. Un futuro in cui sarebbe stato cacciato come un animale. Da una donna con i
capelli del colore dell’alba, e gli occhi d’argento come quelli di un gatto. «Torna a casa dalla tua Hannah, Elijah. Farò quello che devo.» Avrebbe fatto scorrere del sangue, ponendo fine alla vita di una creatura immortale. Una definizione inappropriata, naturalmente: gli arcangeli potevano morire... ma solo per mano di un altro arcangelo. «Ti riposerai, questa notte?» gli domandò Elijah, mentre si alzavano entrambi. «No. Devo parlare con la cacciatrice.» Con Elena.
6 Elena completò le sue ricerche preliminari su Uram, e si adagiò contro lo schienale del divano. La nausea le ostruiva la gola come un pugno pulsante. L’arcangelo aveva governato – e ancora governava, a quanto ne sapeva il resto del mondo – alcune zone dell’Europa orientale, e tutta la vicina Russia. Come gli Stati Uniti, tutti quei Paesi avevano presidenti e primi ministri, parlamenti e consigli, ma sapevano tutti che il vero potere era nelle mani degli arcangeli. Governo, affari, arte: non c’era nessun settore su cui non avessero una certa influenza. A quanto pareva, Uram era un tipo molto pratico ed efficiente. L’aveva scoperto leggendo la prima storia che aveva trovato: un articolo che riguardava il presidente di un minuscolo Paese dell’ex Unione Sovietica. Černov, così si chiamava, aveva commesso l’errore di sfidarlo pubblicamente, chiedendo ai cittadini di boicottare gli affari dell’arcangelo draconiano, e dei suoi «figli vampiri », in favore di quelli gestiti dagli umani. Elena non era d’accordo con la retorica del capo dello Stato: anche l’umanocentrismo era un pregiudizio, in un certo senso. E che dire di tutti quei poveri vampiri che volevano solo mantenere le proprie famiglie? Molti di loro non acquisivano subito potere, in seguito alla trasformazione. Per quelli, occorrevano secoli. E alcuni erano destinati a rimanere deboli per sempre. Dopo aver letto i primi paragrafi dell’articolo, che riassumevano la linea politica di Černov, Elena si era aspettata una conclusione che descrivesse la sua cerimonia funebre. Con sua grande sorpresa, invece, aveva scoperto che il presidente era ancora vivo... se così si poteva definire. Poco dopo aver pronunciato i suoi commenti incendiari, Cernov era rimasto vittima di un incidente d’auto: il suo autista aveva perso il controllo del volante, e si era scontrato
frontalmente con un autocarro che viaggiava in direzione opposta. Lui se l’era cavata senza nemmeno un graffio, fatto che aveva del «miracoloso». Il presidente, invece, non era stato altrettanto fortunato. Aveva riportato così tante fratture, in tutto il corpo, che, secondo i medici, non avrebbe mai recuperato pienamente l’uso degli arti. Le cavità oculari si erano infossate nel cranio, provocando la distruzione dei bulbi, e la gola era rimasta schiacciata abbastanza da danneggiare le corde vocali... ma non da ucciderlo. Non era più in grado di reggere una penna o di dattilografare. Aveva perso l’uso della parola. Aveva perso la vista. Nessuno aveva osato dirlo a voce alta, ma il messaggio era giunto forte e chiaro. Chi sfidava Uram veniva messo a tacere. Il politico che aveva preso il posto di Černov aveva proclamato la propria obbedienza all’arcangelo prima ancora di giurare fedeltà al governo. Nonostante tutto, almeno Raphael non era un tiranno. Certo, governava il Nord America con il pugno di ferro, ma non s’immischiava mai nelle questioni umane più futili. Qualche anno prima c’era stato un candidato alla poltrona di primo cittadino che aveva giurato di farsi beffe dell’arcangelo, se fosse stato eletto. Raphael l’aveva lasciato condurre la sua campagna elettorale, limitandosi ad accennare un sorriso quando qualche audace reporter osava avvicinarlo. Quel sorriso – che lasciava intendere quanto trovasse ridicola l’intera situazione – era bastato ad affondare le speranze dell’aspirante sindaco, facendole colare a picco come il Titanic. Il candidato se l’era svignata e non si era fatto più vedere. Raphael aveva vinto senza versare una sola goccia di sangue. E aveva mantenuto la propria autorità agli occhi della popolazione. «Questo non è indice di bontà», mormorò, preoccupata dalla
direzione che stavano prendendo i suoi pensieri. Forse Raphael brillava, in confronto a Uram, ma ciò non significava granché. Era stato lui a minacciare di fare del male alla piccola Zoe. Lui, e nessun altro. «Bastardo», borbottò, ripetendo l’insulto di Sara. Quella minaccia lo poneva allo stesso livello di Uram. L’arcangelo dell’Europa orientale era arrivato al punto di distruggere un’intera scuola di bambini dai cinque ai dieci anni, dopo che gli abitanti del villaggio gli avevano chiesto di portar via il suo vampiro cucciolo. Elena avrebbe disapprovato una simile richiesta, se il vampiro in questione non si fosse procurato il sangue con la forza. Ma aveva già violato diverse donne, lasciandole inferme e indebolite. I loro uomini si erano rivolti a Uram, per chiedere aiuto, e lui aveva risposto uccidendo i loro bambini e rapendo le loro compagne. Erano passati più di trent’anni, e nessuna di quelle poverine si era più rivista. Il villaggio non esisteva più. Era un essere malvagio, senza dubbio. E lei era... Qualcosa batté contro la lastra di vetro della finestra. Elena abbassò istintivamente la mano, per afferrare il pugnale nascosto sotto il tavolino. Poi alzò gli occhi e il suo sguardo incrociò quello di un arcangelo. Sarebbe dovuto apparire meno imponente, sullo sfondo dello skyline scintillante di Manhattan, invece era addirittura più bello di quanto non fosse alla luce del sole. Aveva un tale controllo del corpo, che doveva muovere appena le ali per mantenere la posizione: il mero potere di quella creatura la investì con la violenza di un pugno, anche attraverso il vetro. Elena deglutì e si alzò. «Quella finestra non si apre», disse, domandandosi se riuscisse a sentirla. Lui indicò un punto, in alto. La giovane sgranò gli occhi. «Il tetto non è...» Ma lui se n’era già andato. «Dannazione!» Furiosa con l’arcangelo, che l’aveva colta di
sorpresa, e le aveva provocato un moto d’attrazione sicuramente fatale, rimise il pugnale al suo posto, chiuse il portatile e uscì dall’appartamento. Impiegò alcuni minuti per arrivare sul tetto e aprire la porta. «Non vengo là fuori!» gridò, non vedendolo. L’estremità superiore del palazzo in cui viveva era stata disegnata da un architetto all’avanguardia, che privilegiava la forma rispetto alla funzionalità: davanti a lei, si estendeva una serie di picchi dentellati e irregolari. Era praticamente impossibile camminarvi sopra senza scivolare, e la caduta sarebbe stata di sicuro mortale. «No, grazie », mormorò. Il vento le sferzava i capelli scoprendole il viso, mentre aspettava tenendo la porta socchiusa. «Raphael!» Forse, pensò, l’architetto non aveva progettato affatto un edificio all’avanguardia. Semplicemente, covava un odio profondo nei confronti degli angeli. E l’ipotesi non le dispiacque affatto. Per quanto fosse rapita dalla bellezza delle loro ali, non si faceva illusioni riguardo alla bontà d’animo di quelle creature. «Bontà d’animo. Puah!» Sbuffò, e un attimo dopo Raphael le atterrò di fronte, bloccandole la visuale con le ali. Senza volerlo, Elena indietreggiò di un passo e lui ne approfittò per infilarsi all’interno del palazzo. Quando si fu ripresa, Raphael aveva già richiuso la porta alle sue spalle. Dannazione, non sopportava che riuscisse a farla sentire come una novellina alle prese con il suo primo vampiro. Se la situazione non fosse cambiata, avrebbe finito per perdere la propria autostima. «Che cosa vuoi?» gli chiese, incrociando le braccia. «È così che accogli i tuoi ospiti?» Le sue labbra erano la sensualità personificata: piene, ed estremamente seducenti. Elena fece un altro passo indietro. «Finiscila.» «Di fare cosa?» Nell’azzurro intenso di quegli occhi apparve uno sguardo sinceramente confuso.
«Niente.» Riprendi il controllo, Elena. «Perché sei qui?» La fissò per alcuni lunghi secondi. «Vorrei parlarti della tua missione.» «Parla.» Raphael diede un’occhiata al pianerottolo dismesso. Le scale di metallo erano arrugginite, e l’unica lampadina sembrava sul punto di bruciare. Un tremolio. Un altro. La luce tenne per due secondi. Poi di nuovo un tremolio. Un altro. Continuava a ripetersi lo stesso schema, che cominciava a far impazzire la giovane. Raphael, invece, non sembrava nemmeno farci caso. «Non qui, Elena. Mostrami il tuo appartamento.» Sentendosi rivolgere quell’ordine, lo fulminò con un’occhiata arcigna. «No. È una questione di lavoro... andremo al quartier generale della Corporazione, e useremo una sala riunioni.» «Non c’è problema, per me.» Alzò le spalle, ed Elena non poté fare a meno di notare quanto fossero ampie. «Io sarò lì in pochi minuti, ma a te ci vorrà una buona mezz’ora, forse di più... c’è stato un incidente, lungo la strada. » «Un incidente?» La sua mente fu invasa dai macabri dettagli dell’«incidente» di cui aveva appena letto. «Siamo sicuri che non sei stato tu a provocarlo?» Raphael le rivolse uno sguardo divertito. «Se volessi, potrei costringerti a fare qualunque cosa. Perché dovrei ricorrere a simili manovre?» La schiettezza con cui sottolineò il suo potere – e l’impotenza di lei – le fece prudere le mani per il desiderio di stringere un pugnale. «Non dovresti guardarmi in quel modo, Elena.» «Perché?» gli domandò, mossa da un istinto suicida che, fino a quel momento, non pensava di avere. «Hai paura?» Raphael si piegò in avanti, facendosi più vicino. «Ho sempre avuto guerriere, come amanti. La forza m’intriga.»
Non gli avrebbe permesso di giocare con lei in quel modo, per quanto il suo corpo la pensasse altrimenti. «T’intrigano anche i pugnali? Se provi a toccarmi, ti farò a pezzetti. Non m’importa se mi getterai dal primo balcone.» Raphael sembrò fermarsi a riflettere. «Non sceglierei mai questa punizione. Sarebbe troppo rapida.» Elena si ricordò che non aveva davanti un uomo. Raphael era l’arcangelo che aveva ridotto in frantumi le ossa di un vampiro dissenziente. «Non ti farò entrare in casa mia, Raphael.» Non l’avrebbe ammesso nel suo nido, nel suo porto sicuro. Seguì un istante di silenzio, gravato dalla pressione schiacciante di una minaccia nascosta. Elena rimase immobile : meglio fermarsi, per quella sera. Per quanto fosse una valida cacciatrice, era tutt’altro che indispensabile, soprattutto per un arcangelo. Gli occhi azzurri di Raphael parvero incendiarsi, mentre il suo potere crepitava nell’aria circostante. Elena stava per mettersi a correre, nel tentativo di seminarlo nei confini ristretti del pozzo delle scale... quando lui parlò. «Allora, andiamo alla Corporazione.» La giovane sbatté le palpebre, incredula. «Ti seguo in macchina.» Elena guidava un’auto della Corporazione; come molti colleghi cacciatori, trascorreva parecchio tempo all’estero, e riteneva che non valesse la pena averne una propria. «No.» L’afferrò per il polso. «Non mi va di aspettare. Ci andremo volando.» Le si fermò il cuore. Letteralmente. Quando riprese a battere, Elena riuscì a stento a parlare. «Come?» chiese, con uno squittio ben poco dignitoso. Ma Raphael stava già aprendo la porta, trascinandola sul tetto. Elena puntò i talloni. «Aspetta!» «A te la scelta: voliamo alla Corporazione, o andiamo a casa
tua.» L’arroganza di quell’ordine le tolse il fiato. Insieme con la furia del suo tono di voce. L’arcangelo di New York non amava sentirsi dire «no». «Non scelgo né l’una né l’altra opzione.» «È una risposta che non posso accettare.» Le diede uno strattone. Elena oppose resistenza. Volare era il suo più grande desiderio, ma certo non voleva farlo tra le braccia di un arcangelo che, nell’attuale stato d’animo, avrebbe potuto decidere di lasciarla cadere di sotto. «Perché tanta urgenza ?» «Non ti lascerò cadere... non stasera.» Il suo viso era talmente perfetto che poteva appartenere a un dio dell’antichità. Ma non mostrava la minima traccia di compassione. Del resto, raramente gli dei si erano mostrati compassionevoli. «Basta!» Un attimo dopo, Elena si ritrovò sul tetto, senza ricordare di aver percorso i pochi passi che la separavano dal pianerottolo. Un’ondata di collera l’attraversò come un fulmine bianco e frastagliato, ma Raphael la prese tra le braccia e la sollevò prima che potesse fare altro che socchiudere le labbra. A quel punto, entrò in gioco l’istinto di sopravvivenza. Prepotentemente. Elena gli circondò il collo con le braccia, aggrappandosi a lui con tutte le sue forze, mentre le ali di Raphael prendevano slancio e si allontanavano dal tetto a una velocità vertiginosa. Il vento le sferzò i capelli, scoprendole il viso, e le fece lacrimare gli occhi. Poi, una volta raggiunta la quota desiderata, Raphael modificò l’angolazione di volo, riparandola dalle raffiche. Elena si domandò se l’avesse fatto di proposito, ma si rese subito conto di essere caduta in trappola: stava tentando di umanizzarlo. Raphael però non era umano. Neanche in minima parte. Le sue ali le coprivano completamente la visuale. Girò la testa per dare un’occhiata al panorama, ma non c’era molto da vedere: Raphael era salito oltre le nuvole. Le venne la pelle
d’oca in tutto il corpo, mentre il freddo le penetrava nelle ossa. Poco mancava che si mettesse a battere i denti, ma doveva dire qualcosa per dar sfogo alla rabbia, prima che la logorasse. «Ti ho già detto», disse a denti stretti, «che non devi confondermi la mente.» Raphael abbassò lo sguardo su di lei. «Hai freddo?» «Complimenti, ci sei arrivato», gli rispose, e il suo fiato creò una nuvola di vapore nell’aria gelida. «Non sono fatta per volare.» Senza alcun avvertimento, Raphael si tuffò in picchiata. Lo stomaco di Elena precipitò in caduta libera, mentre un’euforia selvaggia iniziò a scorrerle nelle vene. Stava volando! Forse non era stata una sua scelta, ma non si sarebbe data la zappa sui piedi. Tenendosi ben stretta, assorbì ogni istante di quell’esperienza, per poterlo riassaporare più tardi. Fu allora che capì che non doveva temere una caduta accidentale: le braccia di Raphael la cingevano forti come roccia, infrangibili, immobili. Chissà se sentiva il suo peso. Si diceva che gli angeli fossero molto più forti sia degli umani, sia dei vampiri. «Va meglio?» le chiese, accostandole le labbra all’orecchio. Il timbro caldo della sua voce la fece sussultare. Sbatté le palpebre e si accorse che stavano volando all’altezza dei grattacieli. «Sì», rispose, secca. Non aveva nessuna intenzione di ringraziarlo, pensò, spinta dal suo spirito ribelle. In fondo, non le aveva chiesto il permesso, prima di afferrarla e levarsi in volo. «Non hai risposto alla mia domanda.» Divertito, commentò: «Più che una domanda, mi sembrava un’affermazione». Elena socchiuse gli occhi. «Perché continui a insinuarti nella mia mente?» «È più pratico, anziché aspettare di convincerti a fare qualcosa.» «È una forma di stupro, lo sai?»
Il gelido silenzio che seguì le fece tornare la pelle d’oca. «Attenta, con le tue accuse.» «È la verità», insistette lei, con le viscere attorcigliate per il terrore. «Ti ho chiesto di non farlo! E tu sei entrato lo stesso. Come diavolo lo chiameresti, tu?» «Gli uomini non sono niente, per noi», le rispose. «Siete come formiche che possiamo schiacciare e rimpiazzare a piacere.» Elena rabbrividì, e questa volta fu solo per paura. «Allora perché ci lasciate vivere?» «Perché ci divertite, ogni tanto. E avete la vostra utilità. » «Già, siamo cibo per i vostri vampiri», disse lei, disgustata da se stessa per aver visto in lui un briciolo di umanità. «Tanto per sapere... avete una prigione piena di ‘snack’ per i vostri piccoli?» Raphael la strinse più forte, togliendole il respiro. «Non ne abbiamo bisogno. Gli ‘snack’ si offrono da soli su vassoi d’argento. Ma immagino tu lo sappia: dopotutto, tua sorella è sposata con un vampiro.» L’insinuazione non avrebbe potuto essere più chiara. Aveva appena dato della «puttana per vampiri» a sua sorella Beth. Quell’espressione sprezzante veniva utilizzata per descrivere donne – e uomini – che accompagnavano gruppi di vampiri nei loro spostamenti, offrendo il proprio corpo come cibo in cambio dei fugaci piaceri che il vampiro in questione decideva di concedere. Ogni vampiro si nutriva in modo diverso, e in modo diverso procurava dolore o piacere. E, tra le puttane, c’era chi era disposto ad assaggiare tutto, e a farsi assaggiare a sua volta. «Mia sorella deve rimanere fuori da questa storia.» «Perché?» «Stava con Harrison già prima che diventasse un vampiro. Non è una puttana.» Raphael le rispose ridacchiando: il suono più freddo e
pericoloso che avesse mai sentito. «Mi aspettavo qualcosa di meglio, da te. Non è forse vero che la tua famiglia ti definisce un abominio? Credevo avessi simpatia per chi ama i vampiri.» Se avesse trovato il coraggio di lasciar andare il collo dell’arcangelo, avrebbe potuto affondargli le unghie nelle guance. «Non intendo parlare con te della mia famiglia.» Per la precisione, non intendeva farlo né con lui, né con nessun altro. Mi disgusti. Praticamente, erano le ultime parole che le aveva rivolto suo padre. Jeffrey Deveraux non era mai riuscito a spiegarsi come avesse potuto mettere al mondo una «creatura» come lei, un «abominio» che si rifiutava di seguire i dettami della sua nobile famiglia, e che non voleva piegarsi a un matrimonio di convenienza per espandere ulteriormente l’impero Deveraux. Le aveva ordinato di rinunciare alla professione di cacciatrice, senza preoccuparsi del fatto che chiederle di soffocare le sue abilità equivaleva a obbligarla a uccidere una parte di sé. Allora vattene, vai a rotolarti nel fango. E non disturbarti a tornare. «Dev’essere stato... interessante, il momento in cui tuo cognato ha scelto di essere Creato vampiro», osservò Raphael, ignorando le sue parole. «Tuo padre non ha ripudiato Beth, e nemmeno Harrison.» Elena deglutì. Non voleva ripensare alla speranza che aveva osato coltivare, quando Harrison era stato riaccolto in famiglia. Si era illusa che suo padre fosse cambiato, e che finalmente l’avrebbe guardata con lo stesso affetto che dimostrava a Beth e ai due figli più piccoli che aveva avuto da Gwendolyn, la sua seconda moglie. Di Marguerite, la madre di Beth ed Elena, non si parlava mai. Era come se non fosse mai esistita. «Quello che ha fatto o non ha fatto mio padre non ti riguarda», disse, con la voce stridula a causa dell’emozione che stava trattenendo. Jeffrey Deveraux non era cambiato. Non si
era nemmeno disturbato a richiamarla. E, con il tempo, Elena aveva capito che, se aveva accettato Harrison, l’aveva fatto semplicemente perché era il rampollo di una famiglia che controllava un’importante società legata alla Deveraux Enterprises. Diversamente, non aveva nessun bisogno di una figlia che aveva scelto di seguire la sua «disonorevole e disumana» capacità di rintracciare i vampiri con l’olfatto. «E che mi dici di tua madre?» Un sussurro oscuro. Qualcosa scattò, dentro di lei. Lasciò andare il collo di Raphael e scalciò con le gambe, mentre sollevava le mani per rovinare quel viso così perfetto. Un gesto suicida. Ma, se c’era un argomento riguardo al quale Elena non riusciva a essere razionale, era proprio sua madre. Non poteva sopportare che quell’arcangelo – quell’essere immortale che non si curava affatto della fugace vita umana – osasse servirsi dell’esistenza effimera di Marguerite Deveraux per colpirla. Avrebbe voluto fargli del male, pur sapendo che sarebbe stato del tutto inutile. «Non osare mai più...» Raphael mollò la presa.
7 Elena urlò... e atterrò pesantemente sul sedere, abbassando le mani per attutire l’impatto con le piastrelle del pavimento. «Ummph.» Imprecò silenziosamente per essersi lasciata sfuggire quel verso di sorpresa e, seduta a terra, cercò di riprendere fiato. Raphael era in piedi sopra di lei, e sembrava uscito da un quadro che raffigurava il paradiso e l’inferno. Uno dei due. O entrambi. Elena poteva capire come mai i suoi antenati avessero visto in quelle creature i guardiani degli dei, ma non era affatto sicura che lui non fosse un demone. «Questa non è la sede della Corporazione», riuscì a dire, dopo alcuni istanti. «Ho deciso che avremmo parlato qui.» Le tese una mano. Lei la ignorò e si alzò in piedi, soffocando a stento l’impulso di massaggiarsi l’osso sacro dolorante. «Getti sempre a terra i tuoi passeggeri?» mormorò. «Non sei molto gentile, dopotutto.» «Sei il primo umano che trasporto, dopo secoli.» Nell’oscurità, i suoi occhi azzurri parevano quasi neri. «Avevo dimenticato quanto siete fragili. Ti sanguina il viso.» «Cosa?» Elena si portò la mano alla guancia. Il taglio era talmente sottile che si sentiva appena. «Come... com’è successo?» «Il vento. I capelli.» Raphael si voltò, e si avviò verso la gabbia di vetro. «Asciugati il sangue, se non vuoi offrire l’ultimo goccetto della sera ai vampiri della torre.» Elena si pulì il viso con la manica della camicia, quindi strinse le mani a pugno e lanciò un’occhiata fulminante all’arcangelo, che si stava allontanando. «Se pensi che ti seguirò come un cagnolino...» Lui si voltò a guardarla da sopra la spalla. «Potrei farti strisciare, Elena.» Non vi era traccia d’umanità sul suo viso: non vi era nulla, oltre al bagliore del suo potere immenso. Era così
forte che lei avrebbe voluto sollevare una mano per ripararsi gli occhi. «Vuoi davvero che ti costringa a metterti carponi?» In quell’istante, Elena capì che l’avrebbe fatto sul serio. Qualcosa che aveva detto, o fatto, l’aveva spinto oltre il limite. Se voleva sopravvivere a quell’incarico, e conservare intatta la propria anima, doveva mettere da parte l’orgoglio... altrimenti, Raphael l’avrebbe spezzata. Quella consapevolezza bruciante le scese lungo l’esofago e si fermò come una pietra in fondo allo stomaco. «No», rispose. Si sentiva così offesa che, se avesse potuto, gli avrebbe piantato un pugnale in gola. Raphael continuò a guardarla per alcuni lunghissimi istanti, e quel gelido momento di stallo le gelò il sangue. Intorno a lei splendeva un milione di luci, mentre sul tetto regnava l’oscurità, interrotta soltanto dal bagliore dell’arcangelo. Elena aveva già sentito parlare di quel fenomeno, ma non si sarebbe mai immaginata di poterne essere testimone. Quando un angelo brillava, acquisiva un potere assoluto, un potere volto a uccidere o a distruggere. Quella luce significava soltanto una cosa: che l’angelo stava per fare a pezzi la persona che aveva davanti. Elena lo fissò, per nulla disposta a cedere. Non ne era capace. Si era spinta al limite delle sue possibilità. Un solo gesto, uno qualunque, e si sarebbe messa a strisciare. Mettiti in ginocchio e supplicami, e magari ci ripenserò. Non l’aveva fatto allora. Non l’avrebbe fatto adesso. Qualunque fosse stato il prezzo da pagare. Proprio quando pensava che fosse ormai giunta la fine, Raphael si voltò e proseguì verso la gabbia dell’ascensore. Tra un respiro e l’altro, il suo bagliore cominciò ad attenuarsi. Elena lo seguì. Il sudore le scorreva lungo la spina dorsale, e il gusto agro della paura le riempiva la bocca. A partire da quel momento, l’arcangelo Raphael sarebbe diventato la creatura più odiosa dell’universo. Le tenne la porta aperta, e lei entrò senza dire una parola. E,
quando lui le si mise accanto e le sfiorò la schiena con le ali, s’irrigidì e tenne lo sguardo fisso sulle porte dell’ascensore. Un secondo dopo arrivò la cabina. Elena entrò e Raphael la seguì. Per i suoi sensi di cacciatrice nata, il profumo dell’arcangelo era come carta vetrata. Le prudeva la mano per il desiderio d’impugnare il coltello. La sensazione dell’acciaio freddo l’avrebbe aiutata a concentrarsi, ma sarebbe stata soltanto una sicurezza illusoria, che avrebbe rischiato di causarle pericoli ben più seri. Potrei farti strisciare, Elena. Serrò i denti con tale forza che la sua mascella ne risentì. E, non appena si aprirono le porte dell’ascensore, uscì senza aspettare Raphael... ma per fermarsi subito dopo. Il concetto di arredamento aziendale doveva essere cambiato, se quello che aveva davanti era considerato appropriato per una società. La moquette era nera e sontuosa, come le pareti scintillanti. E gli unici mobili che lei vedeva – un paio di tavolini decorativi – avevano la medesima sfumatura esotica e sfarzosa. L’ambiente sembrava emanare un colore nascosto. Una possibilità. Due composizioni di rose rosso sangue, disposte in vasi di cristallo posizionati sui tavolini, creavano un ricco contrasto. E così pure il lungo quadro rettangolare appeso a una parete, cui Elena si avvicinò, ipnotizzata. Sulla tela c’erano mille sfumature di rosso, il cui aspetto furioso aveva una fredda logicità, e una sensualità che parlava di sangue e di morte. Sentì le dita di Raphael sulla spalla. «Dmitri ha talento. » «Non toccarmi.» Le parole le scivolarono dalla lingua come lame di ghiaccio. «Dove siamo?» Si voltò a guardarlo, e dovette fare uno sforzo per non cercare un’arma. Nei suoi occhi c’erano fiamme blu, ma nessun cenno di violenza. «Siamo al piano dei vampiri... il piano che usano per... be’, lo vedrai tu stessa.»
«Perché? So già tutto sui vampiri.» Le labbra di lui accennarono un sorriso. «Allora non rimarrai sorpresa.» Le offrì il braccio, ma lei lo rifiutò. «Che spirito ribelle. Da chi l’hai ereditato? Certo non dai tuoi genitori.» «Un’altra parola sui miei genitori e me ne frego se poi mi ridurrai in un milione di fottutissimi pezzi», sibilò lei. «Ti caverò il cuore e lo darò in pasto ai cani randagi.» Raphael sollevò un sopracciglio. «Sei sicura che ne abbia uno?» domandò, prima di avviarsi lungo il corridoio. Lei lo raggiunse. «Probabilmente sì, fisicamente parlando. Ma spiritualmente... assolutamente no.» «Che cosa ci vuole per spaventarti sul serio?» Dal tono della voce, sembrava davvero curioso. Ancora una volta, Elena ebbe l’impressione di aver sfiorato il sottile margine del pericolo, e di esserne uscita indenne. Ma se l’era vista brutta. Si domandò se sarebbe stato ancora clemente quando lei avesse portato a termine l’incarico, e non gli fosse più stata utile. Be’, non sarebbe rimasta lì per scoprirlo. «Sono nata cacciatrice», rispose. Nel frattempo, si annotò mentalmente che avrebbe dovuto organizzare un piano di fuga. La Siberia le parve un buon nascondiglio. «Pochi sanno che cosa significa. Che cosa comporta.» «Perché non me lo spieghi?» Spinse una porta di vetro e aspettò che Elena avesse varcato la soglia, prima di richiuderla. «Quando ti sei accorta di percepire l’odore dei vampiri?» «Non c’è stato un momento preciso.» Alzò le spalle. «Sono sempre stata in grado di farlo. Ma ho dovuto aspettare di compiere cinque anni, per capire che non tutti possedevano quella capacità. Che era una cosa anormale. » Si lasciò scappare quell’aggettivo... quello che ripeteva sempre suo padre. «Credevo che potesse farlo chiunque», disse, serrando le labbra. «Così come un angelo giovane crede che tutti possano volare.»
Dalla rabbia spuntò un briciolo di curiosità. Quindi esistevano angeli bambini. Ma dove? «Sì. Ho capito che il nostro vicino era un vampiro prima di chiunque altro. E, senza volerlo, un giorno ho svelato il suo segreto.» Si sentiva ancora in colpa, anche se allora era solo una bambina. «Stava cercando di farsi passare per umano.» Raphael corrugò la fronte, contrariato. «Avrebbe fatto meglio a lasciare il posto a qualcun altro. Perché accettare il dono dell’immortalità, se si vuole restare umano?» «Su questo mi trovi d’accordo», disse lei, alzando le spalle. «Alla fine, il signor Benson fu costretto a trasferirsi, a causa del trambusto che scoppiò nel quartiere.» «Non era un ambiente molto tollerante... la casa in cui sei cresciuta, intendo.» «No.» E il massimo esempio d’intolleranza era stato suo padre. Per lui era stato una vera umiliazione il fatto che sua figlia fosse un mostro. «Qualche anno dopo, mi sono imbattuta in Slater Patalis, mentre se ne andava in giro per il Paese a seminare delitti.» Le si fermò il cuore, gelato dall’orrore segreto suscitato da quel nome. «Uno dei pochi errori che abbiamo commesso.» Non proprio un errore, pensò lei. Non se era stato normale al momento della Creazione. Ma non poteva dire una cosa simile senza tradire Sara. «Quindi, come puoi vedere, sono avvezza ad avere paura. Sono cresciuta sapendo chi era l’uomo nero appostato fuori casa.» «Mi stai mentendo, Elena.» Raphael si fermò davanti a una massiccia porta nera. «Ma lascerò correre. Presto mi confiderai perché sei così ansiosa di giocare con la morte.» Elena si domandò se nei dossier dell’arcangelo comparissero anche i nomi di Ariel e Mirabelle. Chissà se conosceva la verità, sulla tragedia che aveva distrutto sua madre, e aveva trasformato suo padre in un estraneo. «Sai cosa si dice di chi è troppo sicuro
di sé.» «Precisamente.» Fece un piccolo cenno d’assenso. «Quindi, stasera ti mostrerò perché quelle che chiami ‘puttane’ scelgono i vampiri, come amanti.» «Non c’è nulla che possa farmi cambiare idea. Sono soltanto tossicodipendenti.» «Che caparbietà», mormorò lui, mentre apriva la porta con una spinta. Sussurri, risate, il tintinnio di bicchieri. Suonava come un invito. Con lo sguardo, Raphael la sfidò a entrare. Da vera sciocca, accettò la sfida. Fece scivolare nella mano il pugnale che teneva nel fodero legato intorno al braccio, ed entrò. Sentiva lo sguardo perforante dell’arcangelo sulla schiena, consapevole della nuda vulnerabilità della sua spina dorsale... ma un attimo dopo spalancò la bocca, scioccata. I vampiri stavano dando un cocktail party. Elena sbatté le palpebre, mentre osservava le romantiche luci soffuse, i divani eleganti, gli antipasti accompagnati da sottili flûte di champagne. Il cibo era chiaramente destinato agli umani, uomini e donne, che parlavano, ridevano e flirtavano con i loro ospiti vampiri. I completi maschili aderivano alle spalle muscolose e flessuose, mentre gli abiti da cocktail andavano dal lungo e attillato al corto e sexy. I colori dominanti erano il rosso e il nero, con qualche audace spruzzata di bianco. La conversazione si arrestò nell’istante in cui notarono la sua presenza. Ma non appena videro chi c’era alle sue spalle, tirarono tutti un sospiro di sollievo: la cacciatrice era tenuta al guinzaglio dall’arcangelo. Soffocando l’istinto infantile di mostrare che si stavano sbagliando, Elena fece scivolare discretamente il pugnale nel fodero. E fece appena in tempo, perché un vampiro le stava già venendo incontro, con un calice di vino in mano. Almeno, sperò che fosse vino... quel liquido rosso scuro poteva anche essere
sangue. «Buonasera, Elena.» La voce era affascinante e profonda, ma a intossicarla fu il suo profumo: ricco, misterioso e sensuale. «Il vampiro della porta», sussurrò lei, con la gola secca. Solo quando si trovò schiacciata contro il calore pulsante di Raphael si rese conto di essere indietreggiata davanti al fascino graffiante di quell’invisibile carezza. «Mi chiamo Dmitri.» Le sorrise, mostrando una fila di denti bianchi e scintillanti, nessun canino in vista. Era un vampiro anziano, esperto. «Vieni, balliamo.» Elena avvertì un insolito calore tra le gambe, una reazione involontaria al profumo di Dmitri, che esercitava un fascino molto speciale – e altamente erotico – sulla cacciatrice nata. «Smettila subito, o giuro che ti trasformo in un eunuco.» Dmitri abbassò lo sguardo, e notò la lama che premeva contro la chiusura lampo dei suoi pantaloni. Quando sollevò di nuovo la testa, mostrò un’espressione non poco infastidita. «Se non vuoi giocare, perché sei venuta?» Il profumo si dissipò, come se il vampiro si fosse ritirato in se stesso. «Quando siamo qui vogliamo stare tranquilli e divertirci. Porta le tue armi altrove.» Elena arrossì, e si sbarazzò del pugnale: aveva appena compiuto un grosso passo falso. «Raphael.» L’arcangelo l’afferrò per il braccio. «Elena è qui per imparare. Non capisce perché gli umani siano così attratti da voi.» Dmitri sollevò un sopracciglio. «Sarei felice di mostrartelo. » «Non stasera.» «Come vuoi, sire.» Così si rivolgevano a lui, per mostrargli il loro rispetto. Con un piccolo cenno del capo, Dmitri si allontanò... ma solo dopo aver avvolto Elena con un viticcio del suo profumo. L’ultimo attacco prima di congedarsi. Il lento sorriso del vampiro le fece capire che sapeva esattamente di suscitare in lei una certa attrazione. Ma l’effetto
si fece più debole a ogni passo, fino a quando Elena non smise di desiderare il dolore sensuale del suo tocco. Il profumo di Dmitri era uno strumento di controllo della mente, che aveva la stessa efficacia di quello di cui si serviva Raphael. Per la prima volta, tuttavia, la giovane cominciò a intuire come mai alcuni cacciatori si lasciassero attirare in relazioni sessuali – e talvolta anche romantiche – dalle stesse creature cui davano la caccia. Naturalmente, non cacciavano quelli come Dmitri. «È abbastanza vecchio da aver ripagato più di una volta il suo debito di cento anni.» Per non parlare del suo notevole potere personale: non aveva mai incontrato un vampiro con un magnetismo simile. «Perché sta con te?» La mano di Raphael le marchiava il braccio, bruciando la stoffa della camicia per lasciarle un segno sulla pelle. «Ha bisogno di sfide continue. E, stando al mio servizio, ha l’opportunità di soddisfare le sue necessità.» «In più di un modo», mormorò lei, osservando il vampiro che si avvicinava a una biondina piccola e formosa, e le metteva la mano sulla vita. Lei sollevò lo sguardo, rapita. Non c’era da sorprendersi: Dmitri possedeva una bellezza da sogno erotico: capelli corvini di seta, occhi scuri, carnagione olivastra... Evocava la sensualità mediterranea, piuttosto che il gelido clima slavo. «Non sono un mezzano», disse Raphael, chiaramente divertito. «I vampiri che vedi in questa stanza non hanno bisogno di simili servigi. Guardati intorno, e dimmi se riconosci qualcuno.» Elena corrugò la fronte, pronta a ribattere seccamente. Invece, sgranando gli occhi, scorse una brunetta con le gambe lunghissime... «Non può essere. Quella è Sarita Monaghan, la top model.» «Vai avanti.» Spostò lo sguardo sulla bionda tutta curve di Dmitri. «Anche
lei l’ho già vista da qualche parte. In un programma televisivo, forse?» «Sì.» Confusa, continuò a scrutare la stanza. C’era il famoso conduttore di un notiziario TV, dalla mascella marcata, felicemente seduto su un divano con una succhiasangue dalla sorprendente chioma rosso fuoco. Poco distante, alla loro sinistra, sedeva una robusta coppia di New York, azionisti di maggioranza di una società di Fortune 500. Bella gente. Elegante. «Sono qui per libera scelta?» Ma conosceva già la risposta. Non vedeva nessuno sguardo disperato, né gli occhi vitrei di chi si era fatto rubare la volontà. Al contrario, l’atmosfera era intrisa di divertimento, amoreggiamenti e sesso. Sì, decisamente sesso, il cui languido calore gocciolava dai muri. «La senti, Elena?» Raphael le afferrò anche l’altro braccio, e se la strinse al petto, sfiorandole l’orecchio con le labbra mentre le parlava. «È questa la droga che cercano, la loro dipendenza: il piacere.» «Non è la stessa cosa», rispose, ferma. «Le puttane dei vampiri sono come i civili che seguono l’esercito. Nient’altro.» «L’unica differenza è la loro ricchezza, e la bellezza.» Dovette riconoscere che aveva ragione. «D’accordo, ritiro tutto. I vampiri e le loro groupie sono tutti belli e in salute.» Non riusciva a credere ai suoi occhi: il conduttore del telegiornale stava infilando la mano nello spacco della gonna della sua partner, completamente ignaro di quello che gli accadeva intorno. Raphael si lasciò sfuggire una risatina. «No, non sono belli. Ma non sono nemmeno malvagi.» «Non l’ho mai detto», ribatté lei, gli occhi fissi sull’espressione di piacere dipinta sul volto del conduttore, mentre accarezzava la pelle pallidissima della rossa. «Sono
persone come le altre, ma...» Deglutì, sentendo gemere un’altra donna: la bocca del suo amante vampiro era sospesa sulla vena che le pulsava nel collo, un sussurro caldo che prometteva estasi. «Ma?» Raphael sfiorò la sua vena con le labbra. Elena sussultò, chiedendosi come accidenti fosse finita tra le braccia dell’arcangelo... la creatura cui avrebbe voluto conficcare un coltello nel cuore. «Non mi piace il modo in cui i vampiri riescono a rendere schiavi gli esseri umani.» «E se fossero gli umani a voler diventare schiavi? Vedi qualcuno che si lamenta?» No. Tutto quello che vedeva erano le sontuose pennellate di un gioco sensuale, di un mix erotico di uomini e donne, vampiri e umani. «Mi hai portata a una dannata orgia?» Raphael ridacchiò di nuovo, e questa volta la sua risata fu come un liquido caldo, simile a caramello fuso, che le scorreva sulla pelle. «Qualcuno esagera un po’, ma non è altro che un party per trovare un compagno.» Le sue mani le accarezzavano le braccia, su e giù, mentre il suo alito le scompigliava i capelli che si arricciavano sulle tempie. Per un fugace istante, Elena esitò. Che cosa avrebbe provato se si fosse appoggiata a lui, e avesse lasciato che... Oh, Gesù. Ma che cosa le stava succedendo? «Ho visto abbastanza. Andiamocene.» Cercò di liberarsi dalla sua presa. Ma lui la circondò con le ali per bloccarle la visuale. Elena sentì il suo petto caldo e duro premerle contro la schiena. «Sicura?» sussurrò. La sua pelle era così sensibile alle labbra dell’arcangelo, che lei dovette sforzarsi di non tremare. «Sono secoli che non prendo un’amante umana. Ma tu hai un sapore... intrigante.»
8 Un’amante umana. Quelle parole la liberarono dalla prigione di piacere sensoriale che l’arcangelo di New York le aveva tessuto intorno. Per lui, non era altro che un giocattolo. Una volta ottenuto ciò che voleva, l’avrebbe gettata via, come qualsiasi oggetto usato. «Trovati un’altra per divertirti. Io non sono sul mercato.» Cercò di staccarsi e, questa volta, lui la lasciò andare. Cauta, si voltò a guardarlo. Si sarebbe aspettata una reazione furiosa, per via del suo rifiuto, invece Raphael indossava una maschera infrangibile, attenta e vigile. Si domandò se avesse voluto giocare sin dall’inizio. Perché diamine un arcangelo avrebbe dovuto prendere un’umana come amante, quando aveva a disposizione un harem di splendide succhiasangue? Qualunque commento si potesse fare sulla dieta dei vampiri, bisognava ammettere che faceva miracoli per la pelle e per il corpo. Tutti coloro che erano stati Creati da oltre cinquant’anni erano snelli, e avevano la pelle perfetta. E il loro fascino aumentava di anno in anno, anche se la forza intrinseca dipendeva dal singolo individuo. Elena aveva incontrato vampiri vecchissimi che rimanevano più prede che predatori; ma quelli davvero potenti... Alcuni, come Dmitri, erano particolarmente bravi a nascondere la propria potenza, e il proprio incredibile carisma, a meno che non volessero utilizzarli. Altri si erano spinti troppo oltre lungo la linea temporale, e a poco a poco stavano perdendo i loro poteri. Ma anche quelli deboli – quelli che non si erano mai nemmeno avvicinati a ciò che Dmitri era adesso – erano straordinariamente belli. «Ho afferrato la lezione», disse, quando Raphael rimase in silenzio. «Dovrei essere più tollerante nei confronti delle pratiche sessuali altrui.»
«È un modo interessante di considerare la situazione. » Finalmente, abbassò le ali e le ripiegò con cura dietro la schiena. «Ma hai visto solo la punta dell’iceberg.» Elena si domandò se, a quel punto, il conduttore del notiziario avesse già infilato le dita nelle mutandine della partner. «Mi è bastato.» Avvampò all’idea dei giochi erotici d’ogni genere che si stavano consumando alle sue spalle. «Sei una puritana, Elena? Credevo che i cacciatori fossero più disinvolti.» «Non sono affari tuoi, dannazione», mormorò lei. «Se non ce ne andiamo, accetterò l’offerta di Dmitri.» «Credi che m’importi?» «Certo che t’importa.» Incrociò il suo sguardo, e si costrinse a mantenere la propria posizione. «Una volta che il vampiro avrà affondato un canino nel mio corpo, non sarò più in grado di camminare, né di lavorare.» «Non avevo mai sentito paragonare un uccello a un canino... Dovrò riferire a Dmitri che opinione ti sei fatta sulle sue abilità.» Elena era perfettamente consapevole del rossore che le incendiava le guance, ma non volle dargli vinta quella schermaglia verbale. «Canini, uccello, che differenza fa? Per un vampiro, è sempre questione di sesso.» «Ma non per un angelo. Il mio uccello ha uno scopo altamente specifico.» Una vampata di desiderio – acuto, pericoloso e assolutamente spontaneo – le inondò il petto con tale forza da impedirle quasi di respirare. Il rossore si affievolì, e il calore che aveva invaso le sue membra si spostò... verso una zona bassa e umida. «Ne sono certa», disse dolcemente, restando immobile, anche se il suo stesso corpo la stava tradendo. «Soddisfare tutte quelle groupie succhiasangue dev’essere stancante.» Raphael socchiuse gli occhi. «Quella bocca rischia di metterti in guai grossi, che non saresti in grado di gestire. » Peccato che
stesse guardando quella stessa bocca con uno sguardo tutt’altro che critico. Sembrava desiderare che le sue labbra gli si stringessero intorno. «Mai, all’inferno», riuscì a dire Elena, rauca, mentre le si addensava il sangue nelle vene. Raphael non finse di non comprendere quel commento inaspettato. «Allora mi assicurerò di essere in paradiso, quando succederà.» Lo sguardo di sfida si tinse di indaco scuro, mentre si voltava per aprire la porta. Elena uscì, con passo misurato, dopo aver lanciato un’ultima occhiata furtiva e colpevole al party alle proprie spalle. Dmitri la stava fissando, mentre con le labbra sfiorava la pelle color crema del collo arcuato della bionda, la mano pericolosamente vicina al morbido pendio dei suoi seni. Mentre la porta si chiudeva, Elena vide scintillare i suoi canini. Lo stomaco le si contrasse, in preda a una fame feroce e scioccante. «Entreresti dolcemente nel suo letto?» le domandò Raphael, con la bocca accostata al suo orecchio, e la voce tagliente come una lama sguainata. «Ti metteresti a gemere, e a supplicare?» Elena deglutì. «Diamine, no. Dmitri è come una torta al cioccolato con doppia glassa. Sembra buona, tanto che ti viene voglia di mangiarla tutta, ma in realtà è troppo dolce. Nauseante.» La natura sensuale del vampiro la soffocava come una coperta pesante. La disgustava, pur attraendola. «Se lui è una torta, io che cosa sarei?» Le labbra sensuali e crudeli di Raphael le sfiorarono la guancia, la mascella. «Veleno», rispose in un sussurro. «Un veleno splendido e seducente.» Alle sue spalle, Raphael si fece così immobile che le ricordò la quiete prima della tempesta. Ma, quando quella scoppiò, la raggiunse come una voce liscia e setosa che si spinse dentro di lei, in profondità, lasciandola completamente nuda. «Eppure sono certo che preferiresti annegare nel veleno, piuttosto che
rimpinzarti di dolce.» Le mani si chiusero sui suoi fianchi. Il desiderio le salì in gola, brutale ed esigente. «Del resto, conosciamo entrambi la mia vena autodistruttiva.» Si allontanò, appoggiando la schiena al muro, e lo guardò. Dovette sforzarsi di costringere il suo corpo a non prepararsi a una penetrazione che lei non avrebbe mai permesso. «Non ho nessuna voglia di diventare il tuo giocattolino.» I lineamenti del suo viso erano duri e maschili, ma, in quell’istante, le sue labbra erano pura tentazione, morbide e sensuali come potevano essere solo quelle di un uomo. «Se ti facessi sdraiare sulla mia scrivania e infilassi le mie dita dentro di te, in questo momento, sono certo che avrei una risposta diversa.» Elena serrò le cosce, mentre il desiderio di essere posseduta l’attraversava come uno spasmo. D’un tratto non riuscì a vedere null’altro che le sue dita lunghe e forti che entravano e uscivano dal suo sesso, mentre giaceva impotente sulla sua scrivania. Chiuse gli occhi, ma riuscì solo a peggiorare la situazione, così li riaprì e fissò la parete nera scintillante che aveva di fronte. «Non so che razza di schifose perversioni abbiano luogo in questo palazzo... in ogni caso, non voglio prendervi parte.» Raphael scoppiò a ridere, una risata piena di oscura consapevolezza maschile. «Devi essere cresciuta nella bambagia, se trovi tutto questo perverso.» Una frecciata simile la incitava a rispondere. Ma resistette alla tentazione. D’accordo, non era così disinvolta come altre cacciatrici, e allora? La banda del testosterone l’aveva soprannominata Vergine Vestale, dopo che aveva rifiutato tutti quelli che ci avevano provato, l’uno dopo l’altro. In realtà, vergine non lo era, ma sarebbe stata al gioco, se fosse servito a salvarla dai giochi erotici di Raphael. «E vorrei che la mia vita rimanesse com’è, grazie infinite. Adesso potremmo fare questa riunione, prima che mi addormenti?»
«Il mio letto è molto comodo.» Si sarebbe presa a schiaffi per avergli servito quell’assist, soprattutto perché il suo cervello stava già proiettando immagini di lui a letto, con le ali spiegate, le cosce nude, l’uccello... Digrignò i denti. «Che cosa volevi dirmi?» Nei suoi occhi comparve uno strano luccichio, ma le disse soltanto: «Vieni». E si avviò di nuovo verso l’ascensore. Elena si mise a correre per raggiungerlo, irritata dal modo in cui dava per scontato che l’avrebbe seguito come un cagnolino. Per una volta, però, tenne la bocca chiusa. Voleva allontanarsi il più possibile dal piano dei vampiri, con il suo tanfo di sesso, piacere e dipendenza. Il tragitto in ascensore fu molto breve e, questa volta, uscendo dalla cabina Elena si trovò in un ambiente di classe. Il colore dominante era un bianco freddo, con eleganti sfumature d’oro bianco. Quando Raphael la fece accomodare nel suo ufficio, lei notò che la scrivania era un enorme blocco nero di pietra vulcanica levigata. Se ti facessi sdraiare sulla mia scrivania e infilassi le mie dita dentro di te, in questo momento, sono certo che avrei una risposta diversa. Bloccò quel pensiero prima che s’insinuasse di nuovo nella sua mente, e si tenne al di qua della scrivania, mentre Raphael la superava per raggiungere la vetrata. L’arcangelo si fermò ad ammirare le luci della città e, più in là, la linea scura dell’Hudson. «Uram si trova nello Stato di New York.» «Che cosa?» Quel passaggio improvviso alla modalità di lavoro l’allarmò, e al tempo stesso le diede un forte sollievo. Alzò le mani per sistemarsi i capelli arruffati e scompigliati dal vento, e li legò in una coda di cavallo ben fatta. «Questo semplifica enormemente il nostro lavoro. Non devo fare altro che allertare la rete dei cacciatori, nel caso si palesasse un angelo
con le ali grigio scuro.» «Vedo che hai studiato.» «Segue uno schema peculiare, come il tuo», osservò Elena. «Quasi fosse una limantria.» «Non allerterai nessuno.» Elena serrò la mascella, e in breve si spense anche l’ultimo bagliore di desiderio che le era rimasto. «Come posso lavorare, se mi privi degli strumenti necessari?» «Non ti serviranno a nulla, in questa missione.» «Oh, andiamo!» gridò alla sua schiena. «È un grosso e fottutissimo angelo con un paio di ali che non ha nessun altro. Non passerà inosservato. Per favore, potresti guardarmi, quando parliamo?» Raphael si voltò, gli occhi accesi da fiamme azzurre. Il potere lo lambiva con onde che Elena riusciva quasi a sentire. «Uram non si farà notare. Come non mi faccio notare io.» Elena aggrottò le sopracciglia. «Ma di che cosa stai parl... oh, cazzo.» Non c’era più. Sapeva che doveva essere lì, ma si era reso invisibile. Deglutì, fece qualche passo verso la posizione che aveva occupato poco prima, e allungò un braccio. Sentì la pelle calda di un uomo. Una mano fantasma si chiuse intorno al suo polso, proprio quando lei stava per ritirare il braccio. Poi un dito le fu risucchiato dalla bocca che aveva fissato fino a pochi minuti prima, e quel calore rovente e umido le provocò una nuova e violenta pulsazione tra le cosce. In quell’istante, si rese conto che l’estremità del suo dito era invisibile. «Smettila!» Lo liberò con uno strattone, e indietreggiò incespicando fino a urtare la scrivania. Raphael ricomparve come un miraggio, e un attimo dopo si solidificò. «Volevo solo farti capire.» Le si mise di fronte, bloccandola. «Di solito ti metti a succhiare le persone, per dimostrare
qualcosa?» Chiuse le dita. «Che diavolo era quello?» «Un incantesimo», rispose, seguendo con gli occhi la forma della sua bocca. «Ci permette di muoverci in mezzo alle masse senza farci vedere. È una delle caratteristiche che ci distinguono dagli angeli.» «Per quanto tempo puoi rimanere così?» Si sforzò di non chiedersi a che cosa pensasse, quando la guardava in quel modo, ricordando che aveva rivolto una minaccia alla bimba di Sara, e alla sua stessa vita. Ma non era facile, quando le stava così vicino, concreto e palpabile. Sembrava quasi umano. Oscuramente e sessualmente umano. «Duro finché serve», le rispose in un sussurro, ed Elena intuì che il doppio senso era palesemente voluto. «Uram è più vecchio di me e ha un potere maggiore. Gli basterebbe fare...» S’interruppe in modo brusco, ed Elena capì che stava per rivelarle più di quanto dovesse. «Quando è al massimo della sua potenza, può restare invisibile praticamente all’infinito. Se indebolito, è in grado di mantenere l’incantesimo per buona parte del giorno, mentre la notte si nasconde.» «Stiamo dando la caccia all’Uomo Invisibile?» Elena si piegò ulteriormente all’indietro, arrivando quasi a sedersi sulla scrivania. Le mani dell’arcangelo erano appoggiate sul ripiano scintillante, accanto ai suoi fianchi. Ma quando si era fatto così vicino? «Per questo abbiamo bisogno del tuo fiuto.» «Il mio fiuto riconosce i vampiri», disse frustrata. «Non gli angeli. Non riesco a sentire il tuo odore.» Raphael liquidò quel particolare come se non significasse nulla. «Dobbiamo aspettare.» «Aspettare che cosa?» «Il momento giusto.» Le ali si sollevarono, ostruendole la vista, e avvolgendo entrambi con un manto di oscurità. «E, mentre aspettiamo, soddisferò una mia necessità: voglio capire
se sei davvero acida come sembri.» La rete di sensualità che le aveva gettato addosso si chiuse con uno scatto. Senza il minimo preavviso, Elena scivolò all’indietro, fino ad attraversare tutto il ripiano della scrivania, spargendo fogli ovunque. Con il cuore che le martellava nel petto per quella fuga fulminea, gli disse, ansimante: «Non voglio essere il tuo snack, il tuo giocattolino, o la tua partner di scopate. Te l’ho già detto. Trovati un vampiro in cui affondare i tuoi canini». Uscì a grandi passi dalla stanza e scese nell’atrio, senza attendere una risposta. Con un certo stupore, notò che nessuno tentò di fermarla. Quando arrivò al pianoterra, trovò un taxi fermo davanti all’ingresso. Era lì per lei. Stava per dire all’autista di andarsene, quando si rese conto di non avere soldi con sé, ma era mezzanotte, faceva freddo, e non aveva nessuna voglia di tornarsene a casa a piedi. Si accomodò sul sedile posteriore. «Mi porti via da questo dannato posto.» «Ma certo.» La voce del tassista era liscia. Troppo liscia. Elena sollevò lo sguardo a incrociare il suo, nello specchietto retrovisore. «Adesso i vampiri guidano anche i taxi?» Lui sorrise, ma non riuscì a eguagliare il fascino innato di Dmitri... E non possedeva neppure la pericolosa sensualità dell’arcangelo, che sembrava determinato a trasformare il loro rapporto in una relazione sessuale. Puah! Prima che succedesse una cosa del genere, sarebbe sceso il gelo sul dominio personale di Lucifero. Il sesso non era nel menu. E nemmeno lei.
9 Raphael osservò il taxi che si allontanava, stupito che Elena l’avesse preso. Era sicuramente la più imprevedibile tra quanti erano al suo servizio. Naturalmente, lei avrebbe avuto da ridire in proposito, pensò divertito, come poteva esserlo soltanto un essere immortale e dai poteri letali. La porta alle sue spalle si aprì. «Sire?» «Dmitri, stai alla larga dalla cacciatrice.» «Come desideri.» Una pausa. «Potrei ridurla alla supplica. A quel punto, non disobbedirebbe più ai tuoi ordini.» «Non voglio.» Con sua grande sorpresa, si scoprì sincero, nel pronunciare quelle parole. «Sarà più efficace, se conserverà il suo spirito intatto.» «E dopo?» La voce del vampiro era carica di trepidazione. Una trepidazione molto sensuale. «Posso averla, al termine della missione? Lei mi... attira.» «No. Dopo sarà mia.» Se mai Elena si fosse ridotta a supplicare, l’avrebbero udita soltanto le sue orecchie.
10 L’avrebbe uccisa. Elena si rizzò a sedere sul letto, un autentico capolavoro artistico. La testiera era un pezzo unico di metallo finemente modellato, mentre le lenzuola e le gonfie trapunte bianche, tono su tono, erano ricamate con minuscoli fiorellini. A destra, si apriva la doppia portafinestra che dava su un piccolo terrazzo privato – trasformato in un giardino in miniatura – dal quale s’intravedeva la Torre degli Arcangeli. Le pareti della stanza erano rivestite con una carta da parati dal pesante disegno color crema, con tocchi d’argento e di blu che richiamavano la moquette blu scuro. Le tende della portafinestra erano bianche e trasparenti, ma c’erano anche due tende più pesanti, di broccato, che normalmente lei teneva legate. Nell’angolo opposto della camera, enormi girasoli spiccavano sullo sfondo bianco di un grande vaso di porcellana cinese, portando nella stanza uno sprazzo di luce. Quel vaso le era stato donato da un angelo cinese, in segno di riconoscimento per avergli riportato uno dei suoi vampiri ribelli. Era una giovane che aveva a malapena completato il suo Contratto, e aveva deciso di non avere più bisogno della protezione angelica. Elena l’aveva trovata rannicchiata – e terrorizzata – in un sex shop che soddisfaceva una clientela alquanto bizzarra. Quell’incarico l’aveva portata nelle viscere della malavita di Shanghai... Il vaso, però, era un autentico pezzo di luce, che il tempo non aveva minimamente offuscato. L’intera stanza era un rifugio sicuro: aveva impiegato mesi a renderla perfetta. In quel momento, tuttavia, non sarebbe stato diverso se si fosse trovata in una qualsiasi baracca a sud di Pechino, seduta su un pavimento di terra battuta. Nonostante gli occhi aperti, non vedeva altro che l’immagine fissa di quel vampiro in Times
Square, cui nessuno aveva osato dare un fottutissimo aiuto. Sapeva che non avrebbe fatto la stessa fine, non se Raphael voleva tenere tutto nascosto, ma ormai era quasi certa di essere morta. Le aveva detto dell’incantesimo. Per quanto le risultava, nessun cacciatore, nessun umano sapeva di quel particolare potere degli arcangeli. Era come se avesse visto in faccia il suo sequestratore: non importava che cosa le avrebbe detto, in seguito, ormai sapeva che era morta. «Non. Esiste. ’Fanculo.» Strinse la bella trapunta di cotone egiziano, e considerò le opzioni a sua disposizione. Prima opzione: tentare di tirarsi indietro. Risultato probabile: morte, dopo una dolorosa tortura. Seconda opzione: portare a termine l’incarico e sperare. Risultato probabile: morte, probabilmente senza tortura (positivo). Terza opzione: far promettere a Raphael che non l’avrebbe uccisa. Risultato probabile: un giuramento era una cosa seria, quindi sarebbe sopravvissuta. Ma avrebbe potuto torturarla fino a portarla alla follia. «Sarà meglio pensare a un giuramento migliore», borbottò tra sé. «Niente morte, niente tortura e, decisamente, niente trasformazione in vampiro.» Si morsicò il labbro inferiore, mentre si domandava se avrebbe potuto estendere il giuramento agli amici e alla famiglia. La famiglia. Già, certo. Loro la disprezzavano, ma non voleva essere costretta ad assistere alla loro distruzione. Il sangue che gocciolava sul pavimento di piastrelle... Drip. Drip. Drip. Una richiesta di grazia, sibilante, gorgogliante.
Alzò lo sguardo: Mirabelle era ancora viva. Il mostro le sorrideva. «Vieni qui, piccola cacciatrice. Assaggia. » Drip. Drip. Un rumore bagnato e lacerante, osceno e velato, uscito da un incubo. Elena spinse via la trapunta e mise giù le gambe dal letto. Quel ricordo aveva la capacità di annientare tutto il calore della sua anima. Seduta sul materasso, con la testa tra le mani, fissò il blu intenso della moquette e cercò di alienarsi mentalmente. Era l’unica via di fuga, quando i ricordi trovavano un punto debole nelle sue difese e riuscivano a insinuarsi nella sua testa, con artigli avidi e velenosi, come quelli di... Qualcosa si schiantò sulla terrazza. Elena aveva afferrato la pistola che teneva sotto il cuscino, e l’aveva puntata contro la portafinestra senza nemmeno rendersi conto di essersi mossa. La mano era ferma, il corpo attraversato da una scarica di adrenalina. Attraverso le tende trasparenti, non si vedeva nessuno, ma solo un cacciatore molto stupido avrebbe abbassato così facilmente la guardia. E lei stupida non era. Si alzò, senza badare al fatto che indossava solo una canotta bianca e un paio di shorts verde menta, tagliati sui fianchi e decorati con un grazioso nastrino rosa. Senza distogliere lo sguardo dal balcone, usò la mano libera per spingere indietro le tende trasparenti, una alla volta. Per fortuna, non c’era traccia di vampiri incazzati. Quei bastardi non potevano volare, anche se una volta ne aveva visti tre che scalavano un grattacielo come un branco di ragni a quattro zampe. L’avevano fatto per scherzare... ma, se c’erano riusciti loro, avrebbero potuto farlo anche altri. Controllò una seconda volta. Niente vampiri. E niente angeli.
Il braccio cominciava a farle male, per lo sforzo di tenere l’arma in posizione, ma non era ancora il momento di trarre un sospiro di sollievo. Gettò lo sguardo verso le estremità del terrazzo. Nonostante le numerose piante, tra cui i rampicanti che pendevano dalla tettoia, non c’era nulla che le bloccasse la vista. Se ci fosse stato qualcuno appeso, ne avrebbe visto i polpastrelli. Inoltre, qualunque intruso avrebbe lasciato dei segni sul gel che lei vi spruzzava ogni settimana. Era una sostanza prodotta appositamente per i cacciatori, e costava un occhio della testa, ma era molto efficace per scoraggiare illegittime violazioni di proprietà. In condizioni normali, si uniformava a qualunque superficie, ma, una volta toccata da un vampiro, da un umano o da un angelo, assumeva una sfumatura rosso vivido, che nessuno si sarebbe fatto sfuggire. Il gel era ancora intatto, e l’olfatto della cacciatrice non percepiva nessun vampiro. Si rilassò lievemente, e abbassò lo sguardo. All’improvviso, inarcò le sopracciglia. Accanto alle lussureggianti begonie rosse, c’era un tubo di plastica che conteneva un messaggio. Quella scoperta la lasciò parecchio contrariata: gli steli delle begonie si spezzavano molto facilmente. Se l’autore di quel gesto aveva danneggiato anche minimamente le sue piante adorate – che era riuscita a far fiorire nonostante le prime avvisaglie d’autunno – l’avrebbe pagata cara. Una volta convinta che la zona fosse sicura, abbassò la pistola e aprì la portafinestra. La brezza le portò le pulsazioni vive e vibranti della città, ma nulla di più. Ciò nonostante, si mantenne estremamente cauta mentre si sporgeva e, con l’aiuto di un piede, faceva rotolare il tubo verso di sé. Era quasi riuscita a portarlo dentro, quando notò una piuma che cadeva lentamente fino ad atterrare su una felce. Elena spostò il tubo da una parte con un calcio, sollevò la pistola
e la puntò verso la tettoia del terrazzo: il tizio che l’aveva installata le aveva dato della pazza, per essersi privata di una parte del panorama, ma evidentemente aveva sottovalutato i pericoli che potevano giungere dall’alto. Certo, aveva sacrificato parzialmente la vista, ma nessuno avrebbe potuto tenderle un’imboscata senza che lei se ne accorgesse... Evidentemente, aveva riposto troppa fiducia in quel riparo, se si era lasciata sfuggire quell’ospite indesiderato. Non sarebbe più successo. «Questo proiettile trapassa la pietra, figurarsi la finta roccia su cui sei seduto», gridò. «Scendi da quel tetto, dannazione, prima di romperlo!» Udì subito il battito di un paio d’ali. Un secondo dopo, si ritrovò davanti un viso d’angelo, con le gote arrossate, che la guardava, sottosopra. Elana sgranò gli occhi. Non sapeva che gli angeli potessero fare una cosa simile. «Sei il ragazzo delle consegne? Raddrizzati, mi stai facendo girare la testa.» L’angelo annuì, e si raddrizzò. Sembrava uno di quei mitici cherubini tanto amati dai pittori rinascimentali, con il viso tondo e dolce, e una massa di riccioli dorati. «Chiedo scusa! Non avevo mai visto una cacciatrice. Ero curioso.» Sgranò gli occhi, mentre abbassava lo sguardo e sbatteva le ali ancora più velocemente di quanto gli servisse per mantenere la posizione. «Alza quegli occhi, se non vuoi che ti buchi un’ala.» Tirò su la testa di scatto, le guance paonazze. «Scusa! Scusa! È che sono appena uscito dal Rifugio. Io...» Deglutì rumorosamente. «Non avrei dovuto dirtelo! Ti prego, non riferirlo a Raphael.» Vedendo che era sul punto di piangere, Elena annuì. «Rilassati, ragazzino. E, la prossima volta che devi fare una consegna, usa la porta d’ingresso.» Sussultò. «Raphael ha detto di fare così.» La giovane sospirò, e lo mandò via con un gesto della mano.
«Adesso sparisci. Penso io a Raphael.» L’angelo sembrava terrorizzato. «No, è tutto okay. Ti prego, no. Lui... potrebbe farti del male.» Le ultime tre parole furono poco più che un sussurro. «No, non lo farà.» L’avrebbe costretto a farle quel giuramento. Anche se non aveva idea di come avrebbe fatto. «Adesso vai... Dmitri è geloso.» Il ragazzo si fece pallido e spiccò il volo così velocemente che lei riuscì appena a vederlo. Be’, interessante. Secondo l’opinione comune, gli angeli controllavano i vampiri. E se, invece, il potere fosse stato più fluido? Era un’eventualità da valutare. Più tardi. Dopo aver fatto promettere a Raphael che non l’avrebbe uccisa, mutilata o torturata. Chiuse la portafinestra dopo aver controllato e annaffiato le sue preziose begonie – notando con piacere che quella gialla era in fiore –, tirò le tende e fece scivolare di nuovo la pistola sotto il cuscino. Solo allora raccolse il tubo con il messaggio. Non fece a tempo ad aprirlo, che squillò il telefono. Pensò d’ignorarlo. La curiosità la stava uccidendo. Una rapida occhiata al display, però, le annunciò che era Sara a chiamarla. «Ehi. Come va, direttrice ?» «Stavo per farti la stessa domanda. Ieri sera mi sono giunte voci davvero bizzarre.» Elena si morsicò il labbro. «Da chi?» «Da Ransom.» «Figurarsi», borbottò. Il cacciatore aveva il più strano degli hobby, considerata la sua passione per pistole e armi in genere. E il fatto di vivere in una metropoli con un forte inquinamento luminoso non sembrava scoraggiarlo. «Stava osservando le stelle, vero?» Sara espirò rumorosamente. «Con il suo
superfantamegaultratelescopio. E mi ha detto che tu stavi... ehm... volando?» Quell’ultima parola suonò come una domanda incredula. «Dovrò ringraziarlo per avermi dato della stella.» «Non riesco a crederci», sussurrò Sara. «Oh, mio... Eri davvero lassù? Stavi volando?» «Sì.» «Con un angelo?» «Un arcangelo.» Seguirono alcuni lunghissimi secondi di assoluto silenzio. Poi, Sara esclamò: «Merda». «Ah – ha», fece lei, ricominciando a svitare il tappo. «Che cosa stai facendo? Ti sento respirare.» Elena ghignò. «Siamo un po’ ficcanaso, eh?» «Sta nel manuale dell’amica del cuore. Avanti, spara, mentre mi riprendo dallo shock.» «Ho ricevuto una consegna da un angelo, pochi minuti fa.» «Di che si tratta?» «Sto cercando di...» Le parole le morirono sulle labbra, quando riuscì a rimuovere il coperchio. Con dita tremanti, fissò il contenuto del tubo, che era stato foderato con diversi strati d’imbottitura. Probabilmente, il baby angelo avrebbe dovuto effettuare quella consegna con molta più cura. «Oh.» Non riuscì a dire altro. «Ellie? Mi stai uccidendo.» Con il cuore in gola, Elena estrasse delicatamente dal tubo una scultura dalla squisita manifattura. «Mi ha mandato una rosa.» Dall’altro capo del telefono giunse una sbuffata delusa. «So che non ti capita spesso di avere appuntamenti, tesoro, ma le vendono al negozio all’angolo per cinque dollari.» «È di cristallo.» Mentre parlava, notò che la rosa rifletteva la luce in modo del tutto particolare. Spalancò la bocca.
«Impossibile.» «Impossibile cosa?» Incredula, Elena aprì un cassetto lì vicino e tirò fuori un coltello tagliatutto che non usava molto spesso, per via del peso. Provò a scalfire un piccolo segmento dello stelo. Niente, la lama non lasciò nessun segno. E, quando provò a fare il contrario, la rosa scalfì la superficie d’acciaio «antigraffio». «Oh, merda.» «Ellie, giuro che vengo lì e ti riduco in polpette, se non mi dici che cosa sta succedendo. Che cos’è? Una rosa mutante succhiasangue?» Soffocando una risata, Elena fissò l’oggetto meraviglioso che teneva tra le mani. «Non è di cristallo.» «Zirconia cubica?» chiese Sara, secca. «Oh, aspetta. È di plastica.» «Diamante.» Silenzio. Un colpo di tosse. «Ti dispiacerebbe ripetere?» Elena sollevò la rosa, in modo che catturasse la luce. «Diamante. Purissimo. Un pezzo unico.» «Impossibile. Sai quanto avrebbe dovuto essere grande, per ricavarci una rosa? A meno che non sia microscopica. » «È grande quanto il palmo della mia mano.» «È impossibile, ti ho detto. Il diamante non viene scolpito. Davvero, non è possibile.» Dalla voce, però, sembrava senza fiato. «Un uomo ti ha mandato una rosa di diamante?» «Non si tratta di un uomo», rispose Elena, cercando di frenare la quintessenza della sua parte femminile, deliziata e meravigliata da quel magnifico dono. «È un arcangelo. Un arcangelo molto pericoloso.» «I casi sono due: o si è preso una bella infatuazione per te, o è molto generoso con chi lavora per lui.» Elena rise di nuovo. «Nah, vuole solo infilarsi nelle mie
mutandine.» Aspettò che Sara finisse di soffocare all’altro capo del telefono, e poi continuò: «Ieri sera l’ho rifiutato. E non credo che gli piaccia sentirsi dire di no». «Ellie, cara... ti prego, dimmi che mi stai prendendo in giro.» La stava supplicando. «Se l’arcangelo ti vuole, ti avrà. E...» S’interruppe. «È tutto okay, Sara», le rispose in tono sommesso. «Se riuscisse ad avermi, mi distruggerebbe.» Gli arcangeli non erano esseri umani. Non vi si avvicinavano neanche lontanamente. Una volta soddisfatti i propri piaceri, non si curavano più dei loro giocattoli. «Per questo non mi avrà mai.» «Come intendi assicurarti che non venga a cercarti più tardi?» «Lo costringerò a giurare.» «Mmm», fece Sara. «Okay, sto controllando nei miei dossier. Qui leggo che gli angeli prendono i giuramenti molto sul serio. Sì, ma devi stare attenta a formularlo come si deve. Bada, è un do ut des: vorrà anche lui la sua libbra di carne. Probabilmente in senso letterale, nel tuo caso.» Elena rabbrividì: d’un tratto, l’idea non era più così sgradevole. E non era per via del diamante... ma per l’altissima carica erotica della sera prima. Per quanto oscura fosse stata quell’esperienza, coperta per giunta da un velo di malignità, non aveva mai flirtato con nessuno in quella maniera. Il suo corpo aveva cantato per lui, sebbene l’avesse appena sfiorata. Che cosa sarebbe successo se l’avesse penetrata, con forza, con ardore... ancora e ancora? Arrossì in volto e serrò istintivamente le cosce, mentre il cuore iniziò a batterle all’impazzata. «Restituirò la rosa. » Era un’opera mirabile, assolutamente straordinaria, ma non poteva tenerla. Sara fraintese. «Non sarà sufficiente. Devi avere qualcosa, per poter negoziare.»
«Lascia che ci pensi io.» Elena cercò di usare un tono sicuro, quando, in realtà, non aveva la minima idea di come poter contrattare con un arcangelo. Vorrà anche lui la sua libbra di carne. Senza il minimo preavviso, la sua mente le restituì le parole che le aveva detto Sara poco prima, che si mescolarono al ricordo del corpo violato di Mirabelle, tornato a galla dall’abisso in cui l’aveva gettato. Le si gelò il cuore. E se Raphael avesse preteso un prezzo più alto della morte?
11 Posò il tubo sulla scrivania di Raphael. «Non posso accettarlo. » Lui sollevò un dito, dandole sempre la schiena. Era davanti alla finestra, con il telefono all’orecchio. Le parve strano vedere l’arcangelo con un apparecchio così moderno, ma la sua reazione non aveva nessun senso logico: benché sembrassero usciti da una leggenda, o da una favola, erano all’avanguardia in fatto di tecnologia. Nessuno sapeva quanta verità si celasse dietro quelle leggende. Per quanto gli angeli appartenessero alla storia dell’umanità sin da quando erano apparsi i primi dipinti sulle pareti delle caverne, restavano comunque avvolti dal mistero. E, poiché i suoi simili non sopportavano le lacune storiche, si era inventato un migliaio di miti per spiegarne l’esistenza. Alcuni li definivano «discendenti degli dei», mentre altri li consideravano semplicemente esponenti di una specie più avanzata. Una cosa era certa: governavano il mondo, e ne erano consapevoli. Sua Altezza continuava a parlare a bassa voce. Irritata, Elena cominciò a curiosare per la stanza. La sua attenzione fu attratta dai profondi scaffali lungo la parete laterale. Erano di ebano autentico, o di un legno trattato per assomigliarvi, e mettevano in mostra una schiera di tesori. Notò un’antica maschera giapponese di un oni, un demone. Aveva un’aria birichina, quasi fosse stata realizzata per una festa di bambini. La lavorazione era precisa, i colori brillanti, ma Elena riuscì a sentire l’età di quel pezzo fin nelle ossa, quasi fosse un peso schiacciante. Accanto, c’era una piuma. Aveva un colore straordinario: un blu purissimo e intenso. Aveva sentito parlare di un angelo dalle ali blu, che era stato avvistato in città negli ultimi due mesi, ma di certo quelle voci non potevano essere vere, no? «Naturale o sintetica?» sussurrò,
quasi parlasse tra sé. «Oh, è assolutamente naturale», le rispose la voce liscia di Raphael. «Illium era molto triste, quando è stato privato delle sue preziose piume.» Elena si voltò, con la fronte corrugata. «Perché hai danneggiato una creatura così bella? Per gelosia?» Qualcosa brillò negli occhi di Raphael. Un fuoco che si sarebbe rivelato letale, se l’avesse liberato. «Non t’interesserebbe granché. Gli piacciono le donne sottomesse.» «E allora? Perché prendergli le piume?» «Doveva essere punito.» L’arcangelo alzò le spalle, e andò a mettersi a un paio di spanne da lei. «Ha sofferto molto a non poter volare, ma, tempo un anno, le piume gli erano già ricresciute.» «In un batter d’occhio.» Il livello di pericolo sembrò smorzare il suo sarcasmo. «Per un angelo, sì.» «E dimmi, le piume gli sono ricresciute come prima?» Elena si sforzò di non guardarlo negli occhi: a prescindere da ciò che diceva, quel contatto lo aiutava a insinuarsi nella sua mente. Ma non riuscì a distogliere lo sguardo, nemmeno quando le fiamme nei suoi occhi assunsero l’aspetto di minuscole lame turbinanti. «Allora?» chiese di nuovo, con voce rauca, per il desiderio ardente che la colse all’improvviso. «No», rispose lui, allungando una mano per tracciare il contorno del suo orecchio. «Erano ancora più belle. Blu, orlate d’argento.» Il suo tono arcigno la fece sorridere. «Sono i colori della mia camera da letto!» Una vampata di calore sfrigolò in mezzo a loro. Un calore potente. Vibrante. Senza distogliere lo sguardo dal suo, Raphael scese con il dito a sfiorarle la mascella, e poi il collo. «Sicura di non volermi invitare?»
Era così bello. Ma era anche un maschio. Molto maschio. Solo un assaggio. A parlare era l’oscurità che si portava dentro, quella piccola anima buia concepita sul pavimento zuppo di sangue di una cucina, il giorno in cui aveva perso la sua innocenza. Drip. Drip. Drip. «Vieni qui, piccola cacciatrice. Assaggia.» «No.» Si allontanò con uno strattone, i palmi umidi e lucidi per la paura. «Sono venuta solo per restituirti la rosa, e per chiederti se avevi altre informazioni su dove possa trovarsi Uram.» Raphael abbassò la mano. Elena si era aspettata una reazione furiosa, davanti al suo rifiuto, invece lui aveva un’espressione contemplativa. «Sono bravo a cancellare gli incubi.» Elena s’irrigidì. «E a crearli, direi. Hai abbandonato quel vampiro in mezzo a Times Square per ore.» Basta, Elena, le ordinò la sua mente. Per l’amor di Dio, basta! Devi fargli giurare che non ti farà del male... ma la sua bocca non voleva ascoltarla. «L’hai torturato!» «Sì.» Nella sua voce non c’era nemmeno un briciolo di rimorso. Elena aspettò. «Tutto qui? Non hai nient’altro da dire ?» «Ti aspettavi che mi sentissi in colpa?» Il suo viso si fece immobile, gelido come brina. «Non sono umano, Elena. E non lo è neanche chi obbedisce ai miei comandi. Per noi, le vostre leggi non hanno nessun valore.» La giovane strinse le mani con tanta forza da provare dolore. «Quali leggi? Quelle del vivere civile? Della coscienza ?» «Chiamale come vuoi, ma ricordati questo.» Si chinò verso di lei, e il suo gelido sussurro le sferzò la pelle con la violenza di
una frustata. «Se dovessi fallire, o venire meno ai miei doveri, i vampiri saranno completamente liberi, e New York sarà inondata dal sangue degli innocenti. » Drip. Drip. Drip. Elena barcollò, sotto l’impatto di quelle immagini brutali. La prima era un ricordo. La seconda un futuro possibile. «I vampiri non sono tutti malvagi. Solo una piccola parte perde il controllo... come accade a noi umani.» Raphael le accarezzò una guancia. «Ma loro non sono umani, dico bene?» Non rispose. La sua mano era rovente, la sua voce glaciale. «Rispondimi, Elena.» L’arroganza che manifestò in quel momento le tolse il fiato... ma la cosa peggiore era che poteva permettersi di comportarsi in quel modo. Il suo potere... era sconcertante. Lasciava senza parole. «No», ammise Elena. «I vampiri accecati dalla sete di sangue uccidono con una malvagità unica... e non si fermano mai. Potrebbero fare migliaia di vittime.» «Dunque, capisci che è necessario esercitare un controllo di ferro.» Si avvicinò ancor di più, finché i loro corpi non si toccarono. Poi fece scivolare la mano fino ad accarezzarle la vita. Elena non poteva più vedere il suo viso, senza chinare indietro la testa, e in quel momento le parve uno sforzo troppo grande. Non desiderava altro che sciogliersi. Sciogliersi, e portare Raphael via con sé, così che potesse fare qualcosa di erotico e sensuale a quel corpo che lo desiderava ardentemente. «Basta parlare di vampiri», le disse, appoggiandole le labbra all’orecchio. «Sì», sussurrò lei, accarezzandogli le braccia. «Sì.» L’estasi si diffuse nel suo flusso sanguigno, un piacere
mordente cui non aveva nessuna voglia di opporsi. Avrebbe voluto stappargli i vestiti per scoprire se gli arcangeli erano fatti come gli uomini, leccare la sua pelle, marchiarla con le unghie, mettersi a cavalcioni sopra di lui, possederlo... e farsi possedere. Nient’altro aveva importanza. Le labbra di Raphael sfiorarono le sue, ed Elena si lasciò sfuggire un gemito. Le mani che le aveva posato sui fianchi strinsero la presa, mentre la sollevava senza alcuno sforzo apparente e cominciava a baciarla con passione. Un fuoco passò attraverso l’erotismo di quel bacio a bocca aperta, e percorse il suo corpo sino a farle arricciare le dita dei piedi, per poi fermarsi nella V tra le cosce. «Fa caldo», mormorò, quando la lasciò respirare. «Troppo caldo.» Cristalli di ghiaccio argentato si formarono improvvisamente nell’aria, e una foschia rinfrescante l’avvolse penetrando nei suoi pori, come una carezza possessiva. «Va meglio?» La baciò di nuovo, senza darle il tempo di rispondere, infilando la lingua tra le sue labbra, e premendo su di lei con il suo corpo duro e perfetto e... Nient’altro aveva importanza. Non era vero. Le importava di Sara. E di Beth. E di se stessa. Le labbra di Raphael scesero lungo il collo, fino alla zona lasciata scoperta dalla scollatura. «Bella.» Sono secoli che non prendo un’amante umana. Ma tu hai un sapore... intrigante. Per lui, era solo un gioco. L’avrebbe usata, per poi gettarla via. Raphael aveva il controllo assoluto sulla sua mente. Con un urlo di puro terrore, lo allontanò con un calcio. Usò così tanta forza da finire a gambe all’aria. Il dolore scioccante
dell’osso sacro contro il pavimento recise gli ultimi viticci di quel desiderio che l’aveva colta all’improvviso, con prepotenza. Un desiderio viscerale, che dava assuefazione, e che riuscì a farla sembrare una sciocca persino in quel momento. «Bastardo! È lo stupro che ti eccita?» Per un fugace secondo, ebbe l’impressione che lo shock avesse adombrato il volto dell’arcangelo, ma subito ricomparve la consueta espressione arrogante. «Ci ho provato. Ne valeva la pena.» Alzò le spalle. «Non puoi dire che non ti sia piaciuto.» Era così furiosa che non si fermò a pensare, a considerare il motivo per cui era andata lì. Lanciò un altro grido e si avventò su di lui. Con sua grande sorpresa, riuscì a mettere a segno qualche pugno ben assestato, prima che lui l’afferrasse per le braccia e la costringesse ad arretrare fino al muro. Spiegò le ali, coprendole la visuale. Solo quando gridò: «Lasciaci soli!» Elena si rese conto che era entrato qualcun altro. «Sì, sire.» Il vampiro della porta. Dmitri. Era stata così fottutamente disorientata, così piena di quel desiderio creato ad hoc da Raphael, e poi tramutatosi in collera, che non si era nemmeno accorta del suo arrivo. «Ti ammazzo!» Elena si sentiva profondamente umiliata: il terrore dello stupro l’aveva portata vicino alle lacrime. Avrebbe dovuto aspettarsi delle tattiche simili, da parte di Raphael, ma non l’aveva fatto. E ciò faceva di lei un’idiota di prima categoria. «Lasciami andare!» L’arcangelo abbassò lo sguardo su di lei: i suoi occhi azzurri si erano fatti improvvisamente scuri, come il cielo prima di una tempesta. «No. Se continui così, mi costringerai a farti del male.» Per un breve momento, il cuore prese a batterle all’impazzata. Allora gl’importava di lei. «Esci dalla mia testa!»
urlò ancora. «Non sono nella tua testa, cacciatrice della Corporazione. » Si era rivolto a lei usando la sua qualifica professionale e quella formalità la colpì come uno schiaffo verbale, facendola tornare in sé. Invece di dare sfogo alla furia che le faceva ribollire il sangue, fece una serie di respiri profondi e cercò di rifugiarsi in un angolo calmo della sua mente, lo stesso in cui trovava rifugio ogniqualvolta i ricordi di Ariel... No, non poteva tornarci di nuovo. Perché il passato non voleva lasciarla in pace, quel giorno? Fece un altro respiro profondo. Il profumo del mare, fresco, frizzante, potente. Raphael. Elena aprì gli occhi. «Sto bene.» Lui aspettò alcuni lunghissimi secondi, prima di lasciarla andare. «Vai. Discuteremo più tardi.» Le prudeva la mano, per il desiderio di afferrare un’arma, ma si limitò a voltarsi e a uscire dall’ufficio. Non aveva intenzione di morire. Non prima di aver cavato a Raphael quegli occhi bugiardi, per gettarli nel pozzo nero più profondo e lurido che fosse riuscita a trovare. Non appena sentì richiudersi le porte dell’ascensore, Raphael chiamò la sicurezza nell’atrio. «Non perdetela di vista. Assicuratevi che non si faccia del male.» «Sì, sire», rispose Dmitri, ma all’arcangelo non sfuggì una nota d’incredulità nella sua voce. Riappese senza rispondere alla domanda sottintesa. Perché aveva lasciato vivere la cacciatrice, dopo che l’aveva aggredito? È lo stupro che ti eccita? Serrò le labbra e strinse le mani a pugno, finché le nocche non divennero bianche. Era stato accusato di molte cose, nel corso
dei secoli, e molte ne aveva fatte. Ma non aveva mai preso una donna contro la sua volontà. Mai. E non l’aveva fatto neanche questa volta. Qualcosa, però, era successo. Per questo aveva permesso a Elena di aggredirlo. Lei aveva avuto bisogno di sfogare la sua rabbia e lui aveva provato un tale disgusto per se stesso da lasciarsi colpire. C’erano tabù che non andavano mai infranti. E il fatto di aver oltrepassato una linea che aveva tracciato lui stesso secoli prima lo indusse a interrogarsi sul suo stato mentale. Sapeva che il suo sangue era pulito – aveva fatto gli esami il giorno prima – pertanto non poteva trattarsi di una tossina che gli stava attaccando il cervello, facendogli perdere il controllo dei suoi poteri. E ciò lo poneva di fronte all’ignoto. Imprecò sommessamente, in una lingua antica e ormai morta da tempo. Non poteva rivolgersi a Neha, la Regina dei Veleni. Avrebbe intravisto in lui una debolezza, e si sarebbe mossa immediatamente per colpirlo. Dei membri del Quadro che potevano conoscere la risposta, poteva fidarsi soltanto di Lijuan ed Elijah. Ma Lijuan non s’interessava più dei poteri minori: era andata troppo oltre, e non apparteneva più a questo mondo. Riguardo a Elijah, non era del tutto sicuro di poter affermare la stessa cosa, ma era indubbiamente lui l’erudito del gruppo. Il problema era che Lijuan rifuggiva dagli apparecchi moderni, come il telefono. Viveva in un complesso nascosto sulle montagne, nel cuore della Cina. Avrebbe dovuto volare da lei oppure... serrò il pugno ancora più forte. Non poteva lasciare la sua città, mentre Uram vagava libero. Quindi, gli restava un’unica scelta. Mentre si stava voltando per uscire, il suo sguardo cadde sul tubo per messaggi che gli aveva riportato Elena. La Rosa del Destino era un tesoro antico, che si era guadagnato quand’era ancora un giovane angelo, al servizio di un arcangelo vissuto
secoli prima. La leggenda voleva che fosse stato creato dal potere combinato dei membri del primo Quadro. Raphael non sapeva se fosse vero, ma era senza dubbio un oggetto d’immenso valore. Non sapeva esattamente perché l’avesse dato a Elena, ma avrebbe fatto in modo che tornasse a lei. Ormai, portava il suo nome. Afferrò il tubo e si diresse al piano attico, nella stanza nera come la pece situata al centro. Le congreghe umane la consideravano un luogo maligno: per loro, il buio era male. Talvolta, però, l’oscurità non era che uno strumento, né buono, né cattivo. Dipendeva dall’anima di chi lo utilizzava. La sua mano si strinse intorno al tubo. Per la prima volta dopo secoli non sapeva chi fosse. Non era buono. Non lo era mai stato. Ma non era mai stato neppure malvagio... fino a quel giorno. Veleno Erano degli stupidi, tutti quanti. Credevano che sarebbe morto. Rise, nonostante il dolore che gli perforava gli occhi e gli lacerava il corpo. Un’agonia che minacciava di trasformare le sue viscere in acqua, e di ridurre le sue ossa in poltiglia. Rise finché la sua risata non fu l’unico suono nell’universo: l’unica verità. Oh, no, non sarebbe morto. Sarebbe sopravvissuto a quella prova che chiamavano «veleno». Era solo una bugia. Un tentativo di consolidare il loro potere. Non solo sarebbe sopravvissuto, ma ne sarebbe uscito forte come una divinità. E, allora, il Quadro dei Dieci avrebbe tremato, e la terra sarebbe stata solcata da scuri fiumi di sangue. Ricco, nutriente, sensuale... sangue.
12 Elena uscì dalla porta della torre e proseguì per la sua strada, ignorando il taxi che la stava aspettando. Una collera incandescente – più ricca, più profonda e più mortale di qualunque altra sensazione avesse provato – si propagò in tutte le terminazioni nervose, causandole dolore, ma al contempo tenendola in vita e spronandola ad andare avanti. Quel bastardo. Quel dannato bastardo! Aveva le lacrime agli occhi, ma si fece forza. Lasciarsi andare equivaleva ad ammettere che si era aspettata qualcosa di più da Raphael. Qualcosa di umano. Le sue narici colsero un odore familiare: si girò sui tacchi, con il pugnale in mano. «Tornatene a casa, vampiro. » La sua voce era furia liquida. Dmitri rispose con un inchino cortese. «Vorrei poterti obbedire, mia signora.» Le lenti dei suoi occhiali da sole riflettevano l’immagine di lei fumante di collera. «Sfortunatamente, però, ho avuto altri ordini.» «Tu fai sempre quello che ti dice il tuo padrone?» Dmitri serrò le labbra, che si ridussero a una linea sottile. «Gli sono fedele.» «Sì, certo. Come un cagnolino.» Elena si conficcò le unghie nel palmo: aveva voglia di spillare sangue. «Se te lo chiedesse, ti metteresti addirittura seduto a mendicare? » D’un tratto, se lo ritrovò davanti. Si era mosso come un fulmine, e le aveva afferrato la mano destra senza lasciarle neppure il tempo di prendere fiato. «Non esagerare, cacciatrice. Sono il responsabile della sicurezza di Raphael. Se dipendesse da me, a quest’ora ti avrei già incatenato e frustato a sangue.» Il suo profumo erotico rese quell’immagine ancora più barbara. «Sbaglio o Raphael ti aveva detto di smetterla di fare questi giochetti con il tuo profumo?» Fece scivolare un pugnale
dal fodero che teneva legato al braccio, afferrandolo con la mano più debole. Più debole rispetto all’altra, ma comunque forte. Tutti i cacciatori sapevano battersi con entrambe le mani. «Quello è successo ieri sera», disse, chinandosi su di lei. Il suo viso era disegnato in modo perfetto, e la curva delle labbra aveva una punta di crudeltà. «Credo che oggi sia parecchio infuriato con te. Non gli dispiacerà affatto, se ti do un discreto morso.» Di proposito, le mostrò un canino luccicante. «Qui, in mezzo alla strada?» chiese lei, sollevando lo sguardo verso la linea della sua gola, vividamente consapevole della spinta del suo pene in erezione. Dmitri non si disturbò a guardarsi intorno. «Siamo vicino alla Torre degli Arcangeli. Queste strade sono nostre. » Elena sorrise. «Io non sono vostra, però. Fottiti.» Con un movimento fulmineo del braccio, gli tagliò la gola da parte a parte. Dall’arteria recisa sgorgò subito un impetuoso fiotto di sangue, ma Elena si era già scansata per evitarlo. Dmitri si portò le mani al collo e cadde in ginocchio. Gli occhiali da sole gli scivolarono dal naso, rivelando gli occhi fiammeggianti. E quelle fiamme promettevano morte. «Non fare il bambino», disse lei sottovoce, mentre ripuliva la lama nell’erba e la riponeva nel fodero. «Sappiamo entrambi che un vampiro della tua età impiega una decina di minuti a riprendersi.» Una violenta zaffata di odore vampiresco l’avvolse, forte e improvvisa. «Stanno arrivando i tuoi leccapiedi a soccorrerti. Grazie della piacevole chiacchierata, caro Dmitri.» «Troia» fece lui, in un gorgoglio. «Grazie.» Le stava sorridendo. Un sorriso duro, letale, spaventoso come l’inferno. «Mi piacciono le troie.» Le sue parole erano già diventate più chiare: stava guarendo più rapidamente di quanto
si fosse aspettata. Ma a preoccuparla fu soprattutto il desiderio oscuro che si celava sotto il suo tono di voce. Dannazione: quel pervertito aveva goduto, quando gli aveva tagliato la gola. Merda. Si voltò e si mise a correre. Una volta guarito, non avrebbe tardato a seguirla. E in quel momento, più che di essere uccisa, temeva di lasciarsi sedurre fino a perdere il suo fottuto controllo. Era sufficiente che le si avvicinasse per provocarle un desiderio struggente, mentre il suo potere svaniva completamente se non riusciva ad avvolgerla con il suo profumo. Elena non aveva mai immaginato che potesse esistere una compulsione così potente. Ma non c’era da sorprendersi, considerata la posizione che occupava. Raphael l’aveva presa alla sprovvista. Era stato fulmineo. Fino a quel momento, Elena aveva imparato a riconoscere le sue intenzioni, e a cogliere lo strano senso di disconnessione tra mente e corpo che aveva accompagnato i tentativi precedenti. Questa volta, però, non c’era stata nessuna avvisaglia. Un attimo prima stava pensando ai vampiri serial killer, e quello dopo se l’era ritrovato addosso, mentre tentava d’infilarle la lingua in gola. Se non avesse reagito, sarebbero andati ben oltre. Arrossì. Non per la collera, che pure c’era. Per il desiderio. Per la sensazione di calore che l’aveva avvolta. Forse non desiderava Dmitri, almeno quando non era sotto l’effetto del suo odore; ma voleva l’arcangelo. E, se, da una parte, questo faceva di lei una candidata per il manicomio, dall’altra non giustificava in nessun modo quello che lui le aveva fatto. In un attimo lasciò l’area riservata della torre e si ritrovò in mezzo al traffico cittadino. Tuttavia non rallentò affatto, aumentò addirittura il passo. Mentre correva, infilò la mano in tasca, tirò fuori il cellulare e digitò un numero di emergenza. «Ho bisogno che qualcuno mi venga a prendere», disse
ansimando. «Invio le coordinate.» Premette un tasto e attivò il GPS, che avrebbe trasmesso la sua posizione ai computer della Corporazione. Non poteva in nessun modo rimanere ferma in un punto: i giochi sarebbero finiti nell’istante stesso in cui l’avesse fatto. Si guardò intorno alla ricerca di un taxi, ma naturalmente non ve n’era traccia. Due minuti dopo, il desiderio tornò ad avvolgerla con i suoi viticci, palpandola e accarezzandola. Elena avvertì una forte sensazione di calore alla bocca dello stomaco. Si diede un pugno in quel punto, fece un respiro profondo e svoltò bruscamente a sinistra. L’uno dopo l’altro, vide sfrecciare i grandi magazzini lussuosi, seguiti dal Covo degli Zombie, il luogo di ritrovo preferito dai vampiri e dalle loro puttane. La sua mente fu invasa dalle immagini delle scene erotiche che aveva visto la sera prima. Opulente. Sensuali. Seducenti. Puttane non era il termine giusto. Quelle persone avevano sviluppato una dipendenza assoluta nei confronti dei vampiri, e la cosa peggiore era che non poteva biasimarle. Se mai Raphael fosse riuscito a infilarsi nel suo letto – cosa impossibile, perché alla prima opportunità gli avrebbe tagliato le palle – probabilmente avrebbe passato il resto della vita a struggersi dal desiderio. Furiosa, sollevò le braccia e scartò per evitare un ragazzino su uno skateboard. «Dov’è il vampiro?» le gridò quest’ultimo, saltando giù dalla tavola tutto eccitato. «Però, che eleganza...» Oh, cazzo! Elena si voltò e vide Dmitri che stava guadagnando terreno. Il sangue aveva formato un fiore scarlatto sulla camicia, ma il collo era intatto e il bel viso completamente pulito. Lei si voltò di scatto e si lanciò nel traffico, attraversando
la strada fra clacson, imprecazioni e grida d’ogni genere. Un turista cominciò a scattare delle foto. Grandioso. Probabilmente, l’avrebbe ritratta mentre veniva morsa da un vampiro, prima che Dmitri la tramutasse in un essere strisciante e supplicante, con l’ossessione del sesso. D’un tratto, si ritrovò con la pistola in mano. Preferiva i pugnali, ma, se voleva fermare quel figlio di puttana prima che riuscisse a raggiungerla, doveva sparargli al cuore. C’erano pochissime probabilità di ucciderlo e, se ci fosse riuscita, sarebbe stata accusata di omicidio. A meno che, naturalmente, non avesse dimostrato che si era trattato di legittima difesa. Già s’immaginava la scena: «Vostro Onore, voleva scoparmi fino a ridurmi a una marionetta senza cervello. E voleva fare in modo che mi piacesse». Oh, avrebbe funzionato senz’altro. Con la fortuna che aveva, si sarebbe trovata davanti un vecchio giudice all’antica, convinto come suo padre che le donne fossero semplici pedine, capaci soltanto di allargare le gambe. Una nuova ondata di rabbia le fece ribollire il sangue. Stava per voltarsi, con l’indice già puntato sul grilletto, quando una motocicletta le si parò davanti. Era tutta nera, così come l’abbigliamento e il casco del motociclista. Sul serbatoio, c’era una G dorata, piuttosto discreta. Elena si girò, saltò sul sellino e si tenne forte per non cadere. Dmitri fece appena in tempo a sfiorarle una spalla, mentre la motocicletta ripartiva a tutta velocità. Elena si voltò e lo vide immobile sul marciapiede, con lo sguardo fisso su di lei. Le mandò un bacio con la mano. Raphael chiuse la porta della stanza nera. Per un attimo rimase immerso nel buio più completo, riflettendo sul da farsi. Lijuan si era estraniata totalmente dall’umanità. Quello che era accaduto tra lui ed Elena, invece, era stato
molto umano. E molto reale. Serrò la mascella, sapendo di non avere altra scelta. Non con una madre come Caliane. Se quello era l’inizio di una specie di degenerazione... D’istinto, si portò al centro della stanza, e concentrò le sue capacità angeliche su un raggio di luce che brillava dentro di lui, nascosto in profondità. Come l’incantesimo dell’invisibilità, anche quella era una cosa che potevano fare soltanto gli arcangeli. Ma esigeva un prezzo molto più alto. Nelle dodici ore successive sarebbe rimasto in uno stato di Quiete, e sarebbe stato governato da una parte del suo cervello che non aveva mai conosciuto pietà né compassione, e mai le avrebbe conosciute. Per quel motivo usava raramente tale forma di comunicazione: perché dopo diventava molto più simile al mostro che si annidava nel suo cuore, e nel cuore di tutti gli arcangeli. Il potere era una droga: non si limitava a corromperti, ti distruggeva. Era stato in una di quelle occasioni che aveva punito il vampiro in Times Square. Non v’erano dubbi riguardo al fatto che il ribelle avesse meritato un castigo, ma la sua punizione era stata particolarmente malvagia, a causa dello stato di Quiete. Pertanto, di volta in volta, Raphael si assicurava di non avere in agenda nulla di potenzialmente distruttivo. Ma il problema era che a freddo vedeva le cose sotto una luce diversa, e poteva cambiare facilmente idea. In ogni caso, in quell’occasione era costretto a farlo. Pronto e concentrato, spiegò le ali in tutta la loro estensione, sfiorando le pareti della stanza con le punte. Il sapore dell’oscurità gli solleticava la gola. Umani e vampiri erano convinti che le ali angeliche fossero prive di sensibilità, eccezion fatta per la linea arcuata sopra le spalle, ma in realtà, per qualche scherzo biologico, gli angeli percepivano perfettamente qualsiasi impatto sulle ali, che fosse al centro o all’estremità delle piume primarie.
A quel punto, Raphael s’immerse nell’oscurità, quasi fosse pura energia. In realtà l’energia proveniva da lui, ma la mancanza di stimoli – una sorta di privazione sensoriale – amplificava la sua percezione a livelli laceranti. All’inizio sentì una sorta di mormorio nel sangue, poi una sinfonia, e infine un crescendo tonante che riempiva ogni singola vena, allungando i tendini fino al punto di rottura, e accendendolo dall’interno. In quel preciso istante – prima che si verificasse un’implosione interna che avrebbe potuto tramortirlo per ore – alzò le mani e scaricò quell’immensa energia sulla parete che aveva di fronte. La massa si deformò e si fuse, formando una pozza agitata, le cui profondità color ebano non riflettevano nulla. Svelto, prima che cominciasse a ribollire e tentasse di tornare nel suo corpo, la utilizzò per cercare Lijuan. L’abilità di comunicare a enormi distanze aveva la stessa origine dei poteri mentali; a differenza di essi, però, era così potente da dover essere contenuta. Le pareti della stanza nera erano in assoluto il contenitore più efficace, ma, in caso di necessità, lui poteva servirsi anche di altri oggetti e superfici. Se avesse tentato d’inviare il suo messaggio dall’altra parte del mondo, con la sola forza del pensiero, probabilmente avrebbe mandato in pezzi il suo cervello e, nel farlo, avrebbe distrutto anche il palazzo. Di fronte a lui, la massa turbinante rallentò sino a fermarsi completamente. Il fluido assunse un aspetto liscio, fino a diventare vetro nero. All’interno c’era un volto familiare. Nient’altro. La ricerca era molto specifica: gli avrebbe mostrato soltanto Lijuan. «Raphael», disse lei, palesemente sorpresa. «Hai osato impiegare un potere simile mentre Uram si trova nel tuo Stato?» «Era necessario. E comunque recupererò le forze prima che passi allo stadio successivo.» Lijuan annuì lentamente. «Sì. Non ha ancora superato l’ultima linea, vero?»
«Quando lo farà, ce ne accorgeremo tutti.» Se ne sarebbe accorto il mondo intero. «Devo farti una domanda.» Lei lo guardò con i suoi occhi impenetrabili. Erano così chiari che si distingueva appena l’iride dalla sclera. «In ognuno di noi si annida un mostro, Raphael. Qualcuno sopravvive, qualcun altro cede. A te non è ancora successo. » «Ho perso il controllo della mia mente», ammise, senza chiedersi come facesse a sapere certe cose. Lijuan era più spettro che essere umano. Era un’ombra che si muoveva fluida tra mondi che nessun altro vedeva. «È l’evoluzione», sussurrò lei, con il viso increspato da un sorriso che non era esattamente un sorriso. «Se non cambiassimo, ci ridurremmo in polvere.» Raphael non riuscì a capire se stesse parlando con lui o tra sé. «Se continuo a perdere il controllo, come arcangelo non servo più a nulla. La tossina...» «Quello che ti sta succedendo non ha nulla a che vedere con il Flagello.» Agitò una mano grinzosa. Tra loro era l’unica a mostrare i segni dell’età, seppur minimi. Sembrava andarne fiera. «È un’esperienza completamente diversa.» «Che cosa?» Gli stava mentendo? Stava tirando per le lunghe la conversazione per indebolirlo? Non sarebbe stata la prima volta in cui due arcangeli si mettevano in combutta per farne crollare un terzo. «Chissà, forse non sai nulla, e stai solo giocando a fare la divinità?» Raphael vide il gelo, in quegli occhi ciechi. Un guizzo di emozioni talmente diverse da risultare del tutto ignote. «Io sono una dea. La vita e la morte dipendono da me.» Quel vento spettrale che solo lei sapeva generare le spostò indietro i capelli. «Mi basta un pensiero per distruggere migliaia di creature.» «La morte non c’entra con la divinità. Se così fosse, Neha sarebbe accanto a te, in questo momento.» La Regina dei Serpenti, e dei Veleni, si lasciava dietro una scia di corpi
ovunque passasse. Nessuno osava discutere con lei. Darle contro significava andare in cerca della morte. Lijuan alzò le spalle. Un gesto stranamente umano. «È una bambina sciocca. La morte rappresenta soltanto metà dell’equazione. Una dea non deve solo togliere la vita. Deve anche darla.» La guardò, colse la bellezza insidiosa delle sue parole e si convinse di ciò che fino a quel momento aveva soltanto sospettato: Lijuan aveva acquistato un nuovo potere. Un potere di cui si mormorava, ma al quale nessuno aveva mai creduto. «Puoi far camminare i morti?» Non era in grado di farli tornare in vita, ma avrebbero camminato e parlato, e le loro carni non sarebbero marcite. Gli rispose con un semplice sorriso. «Stiamo parlando di te, Raphael. Non hai paura che possa usare il tuo problema per distruggerti?» «Non credo tu sia così interessata a New York.» Lijuan scoppiò in una risata. Un suono freddo, sepolcrale e solare al tempo stesso. «Sei in gamba, Raphael. Molto più in gamba degli altri. Ecco che cosa devi sapere: non bisogna mai perdere il controllo.» «Ho costretto una donna a desiderarmi», disse in tono maligno, feroce. «Per Charisemnon non sarà nulla, ma per me non è così.» L’altro arcangelo governava gran parte dell’Africa del Nord. Se vedeva una donna che incontrava il suo gusto, se la prendeva, senza pensarci troppo. «Come definiresti il suo comportamento, se non come una totale perdita di controllo?» «C’erano due persone nella stanza.» Per un attimo, non capì. Poi comprese, e gli si gelò il sangue. «Vuoi dire che lei ha la capacità d’influenzarmi? » Non si era più trovato sotto il controllo di un’altra creatura da quand’era sfuggito alla gentile commiserazione di Isis, dieci secoli prima. «La uccideresti, se lo facesse?»
Isis, l’aveva uccisa: era stato costretto, per sfuggire a quell’angelo potente che aveva tentato di tenerlo prigioniero. E non era stata la sua unica vittima. «Sì», rispose, ma una parte di lui non era più così sicura. È lo stupro che ti eccita? L’impatto di quelle parole riverberava ancora nella notte infinita che chiamava «anima». Spostò rapidamente gli occhi sul volto di Lijuan. «Se mi stava controllando, non me ne sono accorto.» Altrimenti, non l’avrebbe accusato di stupro. «Ne sei sicuro?» La fissò. Non era in vena di giochi. Il sorriso di Lijuan si fece ancora più ampio. «Sì, sei un tipo sveglio. No, la tua piccola cacciatrice non ha il potere di piegare un arcangelo ai suoi capricci. Ti sorprende il fatto che sapessi di lei?» «Hai spie nella mia torre, come le hai ovunque.» «E tu hai spie nella mia dimora?» chiese lei, con il tono affilato come una lama di rasoio. Raphael sollevò uno scudo, rimandandole di riflesso il suo potere tagliente. «Tu che ne dici?» «Dico che sei molto più forte di quanto gli altri si rendano conto.» Il suo sguardo si fece calcolatore, anche se il tono era sempre meno formale. Si sarebbe maledetto per aver commesso un errore, ma sapeva che quello era il suo modus operandi. Per parlare con lei dovevi essere – se non un suo pari – almeno abbastanza forte da rendere il confronto interessante. «Se non fossi una donna, penserei che hai bisogno di dimostrare chi ha l’uccello più grosso.» Lijuan si lasciò sfuggire un risolino, ma la sua voce era come... remota. «Oh, ce l’hai tu. L’ho scoperto quando ero ancora interessata a certe cose.» Agitò una mano. «Saresti stato un ottimo amante.» Le sue labbra si fecero sensuali, e un ricordo
sbiadito accese delle scintille nel gelo invernale dei suoi occhi. «Hai mai danzato con un angelo in volo?» Il ricordo di quell’episodio lo colpì come un pugno. Sì, l’aveva fatto. Ma non per piacere. Comunque, non disse nulla. Si limitò a osservare e ascoltare, sapendo di essere il suo pubblico. «Una volta ho avuto un amante che è riuscito a farmi sentire umana», disse lei, sbattendo le palpebre. «È straordinario, vero?» Raphael provò a immaginare che angelo doveva essere stata da giovane, e scoprì che la risposta non gli piaceva. «È ancora con te?» le domandò, per pura formalità. «L’ho fatto uccidere. Un arcangelo non può mai essere umano.» Il suo volto divenne sempre più ultraterreno: una caricatura di lineamenti angelici, con la pelle sottile come carta sulle ossa che splendevano al di sotto. «Ci sono esseri umani – forse, uno su mezzo miliardo – che riescono a farci sentire diversi da quello che siamo. Le barriere cadono, le fiamme divampano e le menti si fondono.» Raphael rimase in assoluto silenzio. «Devi ucciderla.» Le pupille di Lijuan si erano dilatate fino a divorare le iridi, i suoi occhi ardevano di un fuoco nero, e il viso era una maschera scheletrica in fiamme. «Se non lo farai, e sinché non lo farai, non potrai sapere con sicurezza quando le barriere cadranno di nuovo.» «E se non la uccidessi?» «Allora sarà lei a uccidere te. Ti renderà mortale.»
13 Ransom fermò la motocicletta nei Sotterranei del quartier generale della Corporazione. Si tolse il casco e lo appese alla manopola destra del manubrio. «Accidenti, hai una vita decisamente movimentata, Elieanora.» Elena strofinò una guancia contro la treccia che gli scendeva lungo la schiena. In quel momento gli era troppo riconoscente per dirgli di non usare quello stupido nome. Non solo non era il suo – okay, forse sul certificato di nascita – ma la faceva sentire una vecchia di cent’anni. Per quanto l’amico sostenesse che era stata lei a confessargli il suo nome segreto, una sera in cui aveva bevuto troppo, Elena era convinta che l’avesse appreso consultando illegalmente qualche database. Ransom allungò una mano all’indietro e le accarezzò una coscia. «È la mia serata fortunata?» «Aspetta e spera», gli rispose. Il suo viso straordinariamente affascinante si contrasse in un ampio ghigno. «Ci ho provato. Non si sa mai.» Aveva gli zigomi alti, la carnagione dorata, ereditata dagli antenati Cherokee, e un paio di occhi verdi che aveva preso dal ramo irlandese della famiglia (durante un breve soggiorno in una colonia penale australiana): era così bello che veniva voglia di leccarlo come un gelato. Era quasi un peccato che fossero soltanto amici. Quasi. «La notte in cui verrò a letto con te, piangerai come un bambino.» Ransom sgranò gli occhi, mentre si slacciava il giubbotto di pelle. «So che sei una patita di coltelli e pugnali... ma anche a letto? Non credi di esagerare?» Elena si chinò verso di lui, e gli mise le mani sulle spalle. «Se facessimo sesso, smetteremmo di essere amici. E sarebbe davvero triste, dolcezza.» Provò un immenso sollievo nel fare qualcosa di assolutamente normale, come prendere in giro
Ransom. «Non sai cosa ti perdi», disse lui, circondandole la vita con un braccio. «Credo che riuscirò a sopravvivere.» Non avrebbe mai voluto rovinare la loro amicizia. Ed era esattamente quello che sarebbe accaduto, nell’istante in cui fosse entrato in gioco il sesso: Ransom non era fatto per i rapporti intimi. Forse non andavano a letto insieme, ma Elena era convinta di conoscerlo molto meglio della sua ragazza. Era addirittura pronta a scommetterci. «E non dirò a Nyree che volevi provarci...» Un’ombra attraversò il bel viso del cacciatore. «Nyree mi ha lasciato.» «Be’, questa è nuova. Di solito sei tu quello che molla e scappa.» «Ha detto che ho difficoltà a impegnarmi.» Le strinse la vita, quasi volesse aggiungere enfasi alle sue parole. «Ma come le sarà venuto in mente?» Elena gli accarezzò una guancia. «Ehm... Ransom, la relazione più lunga che hai avuto, senza contare me e Sara, è stata quella con Nyree, ed è durata... quanto? Otto settimane?» «E chi vuole impegnarsi?» ribatté lui, aggrottando le sopracciglia. «Ci siamo divertiti... Ma mi basta entrare in un bar per trovare un’altra sventola.» Nonostante tutti i problemi che le stavano complicando la vita – un incarico che prometteva di portarla a una morte sicura, un vampiro pervertito alle calcagna e un arcangelo dotato di superpoteri – per un attimo riuscì a spostare l’attenzione su qualcosa di diverso. «Accidenti! Devo essermi persa qualcosa... Allora Nyree non ti è indifferente !» Ransom lasciò cadere le braccia. «Le avevo persino permesso di lasciare delle cose a casa mia. Robe da donna. » E per lui, pensò Elena, un gesto del genere equivaleva a un certificato di matrimonio. «E...?»
«E cosa?» Vedendo che la sua domanda non la portava da nessuna parte, Elena cambiò tattica. «Dunque è questo che vuoi? Trovarti una ragazza che venga a letto con te senza fare la difficile?» «Cos’è, adesso fai la puritana?» Elena scrollò le spalle. I muscoli indolenziti le ricordarono quanto li aveva tesi poco prima. «Ehi, non sono affari miei se tu e Nyree avete deciso di trovarvi altri compagni. » Ransom sbiancò in volto. «Se qualche bastardo osa metterle le mani addosso, canterà da soprano per il resto della sua vita.» «Forse dovresti dirlo a lei.» Per ora, non era in grado di dargli altri consigli. Era giunto il momento di tornare alla sua vita da incubo. «Alza il tuo bel culo, adesso. Dobbiamo incontrarci con Sara.» «Sta arrivando», sentenziò lui, mentre si sdraiava sulla sella della moto, con un’eleganza e una disinvoltura che avrebbero fatto perdere la testa alla maggior parte delle donne. «Quando hai chiesto di mandare qualcuno a recuperarti, mi ha detto di darmi una mossa e di assicurarmi che tu rimanessi nascosta finché non avesse capito che costa stava succedendo.» Elena rammentò le insinuazioni dell’amica a proposito di possibili spie nella Corporazione. Spie di Raphael. Chiuse le mani a pugno. «Odio gli uomini.» Ransom si rizzò a sedere, con il viso totalmente privo di espressione. «Cos’è successo?» Se gliel’avesse detto, lui si sarebbe subito offerto di darle una mano nella sua caccia all’arcangelo. Elena lo definiva un amico «a intermittenza», perché metà delle volte finivano per litigare. Nelle situazioni critiche, però, era sempre pronto a sostenerla. Ma quella che stava combattendo era una guerra privata. «Cose personali», gli rispose, nello stesso istante in cui Sara usciva dall’ascensore. Era una donna minuta, con la carnagione che ricordava il
caffè aromatizzato alla cannella, e due grandi occhi castani messi in risalto dai folti capelli scuri. Portava una frangia diritta, mentre dietro le punte erano arricciate all’insù per lasciare scoperto il collo. Il completo bordeaux e la camicia di pizzo bianca tradivano il suo ruolo di dirigente, a differenza delle scarpe tacco dodici. «Puzzi come una che ha appena corso una maratona», fu il suo saluto all’amica. Poi si voltò verso Ransom. «Quanto a te, sembri un poverino che è stato scartato da uno spettacolo di motociclismo.» «Ehi!» fece Ransom, offeso. «Tanto per informarti, sono un motociclista provetto.» Sara lo ignorò, e rivolse all’amica uno sguardo penetrante. «Ellie, tesoro, ti dispiacerebbe dirmi perché l’ufficio è stato bombardato di telefonate che denunciavano la presenza di un vampiro malvagio che si aggira in libertà, di una maniaca armata di pugnale e – oh, questa è la mia preferita – di un’assassina con la pistola?» «Posso spiegarti.» Sara incrociò le braccia e cominciò a battere il piede avvolto nell’elegante décolleté. «Perché hai tirato fuori la pistola, oltre al pugnale? Spero vivamente che tu non abbia usato né l’una né l’altro senza autorizzazione: se l’APV viene a saperlo, siamo fottuti.» Elena si massaggiò la nuca. «Sono stata costretta. Quel vampiro ha tentato di costringermi ad andare a letto con lui. E, quando ho rifiutato, ha iniziato a darmi la caccia.» Ransom cercò di trattenere una risata. «Perché gli hai detto di no? Sei in astinenza da un’eternità, ormai.» Elena gli lanciò un’occhiataccia, prima di rivolgersi nuovamente a Sara. «Sai bene che non mi sarei mai sognata di usare la pistola, se non fossi stata costretta.» Sara sollevò una mano. «E come avresti ‘rifiutato’ la sua offerta, esattamente?»
«Gli ho tagliato la gola.» Nei garage scese il silenzio più assoluto, rotto soltanto dal rumore dell’acqua che gocciolava da qualche parte, in lontananza. Sara si limitò a fissare l’amica. E così pure Ransom. Poi quell’idiota scoppiò in una risata isterica. Rise così forte che cadde dalla moto e finì disteso sull’asfalto. Elena lo avrebbe preso a calci, se non avesse temuto che lui ne avrebbe approfittato per trascinarla a terra. «Smettila, prima che faccia lo stesso con te.» Ransom provò a smettere di ridere, ma non ebbe troppo successo. «Gesù, Ellie. Sei grandiosa.» «Io direi piuttosto che sei una calamita attira guai», borbottò Sara. «Io...» cominciò Elena, nel tentativo di difendersi. Sara sollevò di nuovo la mano e cominciò a contare. «Per colpa tua, mi sono ritrovata sul cellulare messaggi del governatore e del fottutissimo presidente degli Stati Uniti.» Alzò il primo dito. «Per colpa tua, mezza New York è convinta che ci sia un vampiro impazzito che vaga per le strade in libertà.» Alzò il secondo. «Per colpa tua, mi sono venuti altri tre capelli grigi!» A quell’ultima osservazione, Elena si lasciò sfuggire un ghigno. «Ti voglio bene anch’io.» Alla fine, Sara scosse la testa e percorse i pochi passi che le separavano, per stritolarla in un abbraccio. Dopo tanti anni di amicizia, avevano trovato il modo di aggirare il problema dell’altezza: Elena si piegò leggermente, Sara si sollevò sulla punta dei piedi, e s’incontrarono a metà strada. «Sei nei guai, Ellie?» le chiese l’amica, guardandola negli occhi. Elena si morsicò il labbro inferiore. «Abbastanza. Io e Raphael abbiamo avuto una piccola... ehm... discussione.» Per qualche motivo bizzarro, non volle menzionare quello che le aveva fatto. Forse perché era terrorizzata da ciò che avrebbe
potuto fare ai suoi amici: cacciatori o no, Sara e Ransom non avevano speranze con un arcangelo. O forse c’era una ragione molto più pericolosa. «E, a quanto pare, Dmitri pensa che questo faccia di me una preda.» «Il vampiro?» chiese Sara. «Il capo della sicurezza di Raphael?» «Proprio lui.» Si passò una mano tra i capelli. «Non ci crederete... ma, quando gli ho tagliato la gola, ha goduto. Crede che io sia la cosa più eccitante che esista, dopo il ghiacciolo al sangue.» «Non esistono ghiaccioli al sangue.» Questo era Ransom, naturalmente. «Esatto!» Elena levò le mani al cielo. «Non conosco nemmeno tutte queste stronzate da vampiri!» «D’accordo, non è grave come pensavo», mormorò Sara. «Credi che presenterà un reclamo all’APV?» Elena ripensò al bacio che le aveva mandato con la mano, quand’era partita in sella alla motocicletta di Ransom. «No. Si sta divertendo troppo.» «Questo è un vantaggio per la Corporazione, ma non per te.» Sara riprese a battere il piede. «D’accordo, rimarrai nei Sotterranei finché non ti sarai messa in contatto con Raphael, per chiedergli di mettere un freno a Dmitri. Nel frattempo, Ransom si occuperà del vampiro amante delle donne...» «No», la interruppe Elena. Il giovane si rialzò dal pavimento, e si diede una pulita ai calzoni. «Credi che non ne sia capace?» domandò, tagliente. «Non essere così maschio», ribatté lei, secca. «Dmitri sfrutta il potere del profumo.» Anche Ransom era un cacciatore nato: la sua natura si faceva sentire in modo meno prepotente, rispetto a Elena, ma era comunque vulnerabile. Un’altra pausa di silenzio. Sara spostò gli occhi da Elena a Ransom. «Okay, cambio di programma. Chiederò a Hilda di
occuparsi del signor Vamp, se dovesse farsi vivo di nuovo.» Hilda era un’umana. Ma era in grado di sollevare un’automobile, se necessario, ed era una delle pochissime persone a essere totalmente immuni dai poteri dei vampiri. «’Fanculo.» Ransom voltò loro le spalle e si lanciò in una serie d’imprecazioni. «Dal momento che qui sono inutile, vado a ubriacarmi.» Elena gli mise una mano sulla spalla. «Non sei inutile. Sei un bel bocconcino, e non conosco ancora l’orientamento di Dmitri. Potrebbe essere bisessuale. Abbi pazienza, Ransom: sto solo cercando di proteggere un amico. Faresti lo stesso anche tu, se ti trovassi nei miei panni. » «Tu non sei caduta nella trappola del profumo. Non ti sei risvegliata completamente nuda, con il tuo fottuto corpo cosparso di morsi.» Non si era certo aspettata che tirasse fuori quell’incidente. Non l’aveva mai fatto. Forse quella Nyree gli faceva davvero un buon effetto. «È vero», mormorò. «Già. È meglio che tu non vada da Nyree, finché sei di questo umore. Potresti farle del male. Vai a ubriacarti.» Ransom espirò con un sibilo. «Comunque, probabilmente sarà fuori.» Sara sembrò sul punto d’intervenire, ma Elena le intimò di tacere con il solo movimento delle labbra. «Se era così furiosa, si sarà presa qualche giorno di permesso... che lavoro hai detto che faceva?» «La bibliotecaria.» Ransom e una bibliotecaria? «Scommetto che ne ha approfittato per mettersi un vestitino sexy...» Fu così svelto che Elena riuscì appena a farsi da parte, mentre accendeva la moto e usciva a tutta birra dal garage. La giovane si strofinò le mani. «Bene, il mio compito è finito.» Una vera fortuna, poiché non sapeva dove l’avrebbe portata quel discorso sulla bibliotecaria e sul suo abitino seducente.
«Allora fa sul serio?» chiese Sara, stupita. «Non vuole solo portarsela a letto?» «Sì.» Elena infilò i pollici nei passanti dei jeans, e si dondolò all’indietro. «Non mi piacciono i Sotterranei.» «È un vero peccato.» Sara tornò nei panni della direttrice. «Perché non ho intenzione di perdere la mia cacciatrice migliore – e non osare dirlo a Ransom – per colpa di un vampiro malato di sesso. Entriamo in ascensore.» Elena seguì l’amica nella cabina e rimosse il pannello che celava una tastiera ausiliaria. Digitò il codice per raggiungere il nascondiglio segreto (ce n’era uno in ogni edificio della Corporazione), e rimise il pannello al suo posto. «È vero che a Los Angeles i nascondigli sono nella tromba dell’ascensore?» Sara annuì. «Sono dei loculi minuscoli collegati tra loro... ma decisamente troppo affollati. Il nostro è molto meglio.» Le porte si aprirono davanti a una rete di locali sotterranei, talmente vecchi da risalire all’epoca della prima Corporazione Americana: e gli eventi di quell’epoca erano uno dei motivi per cui New York era la residenza permanente del direttore della Corporazione e, di conseguenza, la sede del quartier generale degli Stati Uniti. «Sarà anche migliore, ma scommetto che in California non devono schivare scarafaggi carnivori, con un debole per la carne umana», disse Elena, uscendo dalla cabina. Le fondamenta del palazzo erano solide e massicce, ma sotto c’era solo un pavimento di terra battuta, che si estendeva a perdita d’occhio. Se anche un estraneo fosse arrivato là sotto, molto probabilmente avrebbe abbandonato la sua esplorazione prima di scoprire la verità. «I cacciatori attaccabrighe mangiano scarafaggi a colazione. » Sara usò un tono scherzoso, ma la sua espressione era seria. «Stai bene? Io devo tornare di sopra per verificare i danni.» Elena annuì, e allungò una mano per impedire alle porte di
chiudersi. «Hai ricevuto davvero un messaggio dal presidente?» Era un tentativo di attenuare la paura che si stava insinuando nella sua mente come un gelido viticcio, senza alcun avvertimento, mentre la parte più primitiva del suo cervello reagiva a qualcosa che non riusciva ancora a comprendere. Sara annuì. «Ha sentito le ultime notizie... voleva sapere se rischiamo l’attacco di un’ondata di vampiri assetati di sangue.» «Nervosetto, l’amico.» Sara rispose con una sbuffata. «Ti rendi conto di quanti vampiri ti stessero dando la caccia? Resta qui e cerca di sistemare le cose con Raphael il prima possibile...» Quando le porte si richiusero, e si ritrovò nell’oscurità più completa, Elena non era nemmeno sicura di voler rivolgere ancora la parola all’arcangelo. Aveva pensato... In verità, non sapeva che cos’avesse pensato. La sua mano si tirò indietro involontariamente, quando il suo corpo ricordò il modo in cui Raphael l’aveva costretta a farsi del male. Da quell’episodio al momento in cui aveva provato quell’irresistibile desiderio fisico non erano passate neanche ventiquattr’ore. Serrò le labbra. Forse quel bastardo aveva cominciato a confonderle la mente sin dall’inizio; le aveva lasciato credere di agire in libertà, mentre in realtà le stava facendo fare quello che voleva lui. «Il che fa di lui un arcangelo, e di me un’idiota», disse, percorrendo dieci passi a sinistra e tastando il terreno fino a raggiungere la base della colonna. Qualche minuto dopo, dissotterrò la scorta di torce costruite apposta per resistere alle intemperie. Ne prese una, si assicurò che funzionasse, e sotterrò di nuovo le altre per il cacciatore successivo, prima di attraversare quella giungla di calcestruzzo, metallo e terra. Impiegò dieci minuti a raggiungere l’ingresso dei Sotterranei. La porta doveva essere stata partorita dalla mente di qualche tossico: la lamiera era tutta contorta, coperta di graffiti e crivellata di fori. Ma lei sapeva che, dietro, c’erano venti
centimetri di acciaio purissimo. Puntò la torcia su quella che sembrava una tastiera in disuso, e digitò un codice. Benvenuta, Elena. Il messaggio apparve sul minuscolo display, precedendo la fuoriuscita di uno scanner per retina. Elena vi accostò l’occhio, e due minuti dopo era dentro. Ma quella era solo la prima barriera. Il rifugio, infatti, era stato progettato per resistere all’assalto di un nemico che avesse costretto un cacciatore a farlo entrare. In piedi nel cubicolo d’acciaio, apparentemente solido, Elena aspettò che Vivek le aprisse la seconda porta. Nell’istante stesso in cui varcò la soglia, fu scannerizzata da una serie di laser. Tutte le sue armi furono registrate, così come l’assenza di armi biologiche e chimiche. «Barev, Elena.» Il saluto giunse da alcuni altoparlanti nascosti. «Barev, Vivek. Com’è il tempo in Armenia, in questi giorni?» Il direttore dei Sotterranei era un appassionato di lingue. Nel tempo, era diventato un gioco indovinare l’origine dei saluti con cui accoglieva i visitatori. «Nuvoloso, possibilità di precipitazioni pari al tre per cento.» Con un ghigno, Elena imboccò il corridoio principale. «Allora, quali sono i tuoi progetti per me, oggi, Grande Conoscitore di Tutte le Cose?» Vivek scoppiò a ridere. Se ne stava al sicuro nella sua stanzetta al centro dei Sotterranei, a prova di bomba, di alluvione, di terremoto e, probabilmente, della fine del mondo. «Una partita a Scarabeo.» «Coraggio. Mi devi ancora trecento dollari.» «Solo perché hai imbrogliato.» C’era una punta di meschinità nel suo tono, ma quello era Vivek. Viveva là sotto per scelta, ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette. Lassù non sono niente. Solo un fardello. Quaggiù sono il re. Inutile discutere con lui. Vivek aveva il controllo su tutto, nei
Sotterranei. «Dammi qualche minuto, mi faccio una doccia.» Raphael non era un vampiro, ma la sua essenza mascolina e primitiva le era penetrata nel cervello, nella pelle, in ogni singolo poro. Quanto avrebbe voluto che se ne andasse!
14 «Come hai fatto a perderla?» Raphael fissò Dmitri, con espressione impassibile. «Mi ha tagliato la gola.» L’arcangelo notò la sua camicia pulita e i capelli umidi. «Dev’essere successo appena siete usciti da qui, se hai avuto il tempo di darti una ripulita.» «Infatti. Non ha voluto che la scortassi fino a casa.» «Sei stato tu ad aggredirla per primo?» gli domandò, calmo. In effetti, la risposta di Dmitri avrebbe solo testimoniato la sua lealtà. «Volevo assaggiarla.» Raphael lo colpì senza alcun preavviso, facendolo finire a terra con la mascella rotta. «Ti avevo detto che era off limits. Vuoi forse sfidare la mia autorità?» Il vampiro si rialzò, aspettando che la mascella guarisse quanto bastava per consentirgli di parlare. «Avevate litigato.» «Sì, ma non avevo ritirato gli ordini.» Dmitri chinò la testa. «Le mie scuse, sire. Non mi ero reso conto che il suo sangue fosse tuo.» Il suo sguardo mostrava delusione, ma nessun cenno di ribellione. «Mi sorprende che tu mi abbia rotto solo la mascella.» Con la lucidità abbagliante che derivava dallo stato di Quiete assoluta, Raphael comprese che era sincero. «Mi servi intero. Abbiamo del lavoro da sbrigare.» «Posso rintracciarla.» Era un segreto che nessun mortale conosceva. I vampiri come Dmitri – in grado d’ipnotizzare i cacciatori con il proprio profumo – in talune occasioni riuscivano a ribaltare le situazioni a proprio favore. «Non sarà necessario. » Era la sua caccia: sapeva dove lei sarebbe andata a rifugiarsi. E, in caso contrario, Raphael sapeva a chi chiedere. E avrebbe ottenuto le risposte
che cercava. «Che cosa vuoi che faccia?» chiese Dmitri, con voce quasi normale. Era abbastanza anziano da guarire con una certa rapidità, soprattutto quando riportava ferite superficiali. «Procurami l’indirizzo di casa della direttrice della Corporazione, e quello di Ransom Winterwolf.»
15 Elena compose la parola RIFUGIO e aspettò che Vivek pensasse alla sua. «Magari in questo secolo, V.» «Un po’ di pazienza.» Vivek se ne stava seduto, completamente immobile, ma non era un atto di autodisciplina. Aveva perso la sensibilità dal collo in giù a causa di un incidente in cui era rimasto coinvolto da bambino. Altrimenti sarebbe stato un cacciatore nato. Invece, oltre a ricoprire il ruolo considerevole di direttore dei Sotterranei, prestava occhi e orecchie alla Corporazione, sorvegliando un mondo con cui comunicava attraverso la connessione wireless della sua sedia a rotelle high – tech. Spesso, sapeva quello che le persone stavano per dire prima ancora che le parole uscissero dalle loro labbra. Mormorò qualcosa sottovoce e, sulla tavola computerizzata, le lettere si spostarono a formare la parola CASA. «Allora, Ellie?» Era evidente che non si stava riferendo al gioco. Elena tamburellò con le dita sulla coscia. «Devo parlare con Sara.» «Sei in regime di blackout. Non puoi avere contatti con il mondo esterno.» «Allora parlale tu... dille che è in pericolo. Lo sanno tutti che è l’unica persona a conoscere il mio nascondiglio. » E a preoccuparla non era Dmitri. Vivek utilizzò un comando vocale per aprire la porta attraverso cui era entrata poco prima. «Esci. Ti farò rientrare dopo aver fatto la telefonata.» Elena non era in vena di accettare un simile comportamento infantile. «Non ho intenzione di rubare i tuoi dannati codici.» «Esci, o non faccio nulla.» La giovane diede una spinta alla console, e uscì. «Sbrigati. » La porta si richiuse sbattendo alle sue spalle. Elena vi si appoggiò con la schiena e si lasciò scivolare fino a
sedersi per terra. Non si soffermò neppure a considerare l’ipotesi che anche Ransom potesse essere in pericolo. Non era abituata a pensare a lui come a una persona vulnerabile. Non si sarebbe preoccupata neanche per Sara, se non avesse avuto la bambina. Lei era in grado di badare a se stessa; mentre Deacon, suo marito, era un letale figlio di puttana. Ma, per Dio, Zoe era così piccola. La porta si riaprì. «Sara vuole parlarti», le comunicò Vivek, stizzito. Quando rientrò nella stanzetta del blackout, Elena lo trovò imbronciato: ciò significava che Sara non voleva che ascoltasse. Elena ebbe un sussulto. Quando Vivek era arrabbiato, la vita nei Sotterranei diventava estremamente difficile: variazioni di temperatura tali da sciogliere le ossa, strani odori nell’aria, cibo che sapeva di segatura. Una volta, le era toccato trascorrere là sotto un mese insopportabile, dopo che Vivek aveva litigato con Sara. Quando si dice una «tempesta di merda». Ma i suoi sbalzi di umore non erano nulla, se c’era in ballo la vita di Sara. Elena sollevò il ricevitore del telefono. Era così vecchio da essere a prova di hacker. «Sara, devi trasferirti quaggiù con la tua famiglia.» «La direttrice della Corporazione non scappa», rispose l’amica in tono severo, rivelando la durezza che le aveva consentito di mantenere la sua posizione in un ambiente dominato dal testosterone. «Non essere idiota!» Elena strinse la mano così forte che le unghie le lasciarono delle mezze lune sul palmo. «Dmitri non è un baby vampiro. È il capo della sicurezza di Raphael!» «C’è un’altra cosa di cui dobbiamo parlare... quanto è stato pesante il litigio fra te e l’arcangelo?» Elena si sentì gelare l’anima. «Perché me lo chiedi?» «Perché sono rientrata in ufficio e ho trovato un nuovo messaggio... ti sta cercando, Ellie.»
«Gli parlerò...» «Devi stargli lontana», la interruppe Sara, secca. «Tu non hai sentito quel messaggio. Se una lama potesse parlare, suonerebbe esattamente così.» Elena imprecò sottovoce. Che cosa diavolo era successo dopo che aveva lasciato la torre? Lui l’aveva lasciata andare senza opporsi. E allora perché la stava cercando, adesso? «Sicura che sia tanto arrabbiato?» «Direi piuttosto ‘letale’. Sì, credo renda meglio l’idea. » A giudicare dalla voce, era realmente preoccupata. «Che cos’hai fatto per far incazzare tanto un arcangelo?» La sua lealtà verso l’amica lottò contro il bisogno inspiegabile di mantenere il segreto riguardo a ciò che era successo nell’ufficio di Raphael. «L’ho colpito.» Sara fece un respiro profondo. «Hai colpito un arcangelo? » Elena ripensò al senso di pericolo che emanava da Raphael, simile a una radiazione di calore. «È stata tutta colpa sua. Si calmerà non appena smetterà di pensarci.» «Gli arcangeli non sono molto bravi a chiedere scusa. » Ogni sillaba trasudava sarcasmo. «Non importa che cosa ha fatto, dovrai strisciare a terra, o ti ridurrà in polvere.» «Non mi umilierò.» Per nessuno. «Lo sai.» «Certo che lo so, stupida. Stavo solo cercando di chiarire il concetto.» «E il concetto sarebbe che sono morta.» Non avrebbe mai chiesto scusa a quel bastardo. Nemmeno per salvarsi la pelle. «Più o meno.» «Questo dimostra il mio concetto.» «E sarebbe?» «Che devi portare Zoe e Deacon in un posto sicuro. Se Raphael mi sta dando la caccia, verrà da te e dai tuoi cari per sapere dove mi nascondo.» Si fermò per ricacciare la bile che le era salita in gola. La sua vita era una cosa, ma... «Non lascerò
che il mio orgoglio metta in pericolo la tua famiglia. Lo chiamerò e...» «Zitta», disse, in tono sommesso. Ma furioso. «Porterò Zoe fuori città. Io e Deacon sappiamo badare a noi stessi.» «Sara, mi dispiace.» «Credi davvero che ti permetterei di barattare la tua anima senza fare niente?» Detto ciò, riappese. Elena si sentì uno schifo, ma sapeva che la sua più cara amica l’avrebbe perdonata. Inoltre, quando Sara si arrabbiava significava che era pronta a entrare in azione. Stava per riagganciare, ma all’ultimo momento esitò. Con una rapida occhiata, notò che Vivek le aveva voltato la schiena di proposito. Decise di approfittarne: premette il tasto per interrompere le chiamate interne, e compose un numero esterno. «Sbrigati», mormorò sottovoce, mentre all’altro capo il telefono squillava senza interruzione. «Beth Deveraux Ling, chi parla?» Al suono di quella voce familiare, le lacrime minacciarono di offuscarle la vista. Ma le fermò senza difficoltà: ci era abituata. «Beth, sono Elena.» «Perché continui a usare quel nome?» le chiese la sorella. Le parve quasi di vederla, mentre aggrottava le sopracciglia. «Sai che papà preferisce che usi quello intero. O Nell, se devi proprio abbreviarlo.» «Non ho tempo per queste cose. C’è Harrison?» «Non ha nessuna voglia di parlare con te.» Abbassò la voce. «Non so nemmeno perché lo sto facendo io. Hai consegnato mio marito a un angelo.» «Sai perché l’ho fatto», le rammentò Elena. «Se non fossi intervenuta, un altro cacciatore avrebbe avuto l’ordine di giustiziarlo. Gli angeli non amano perdere ciò che gli appartiene.» «Lui non è una loro proprietà!» ribatté la sorella, vicina alle
lacrime. Elena si strofinò le tempie con le dita. «Ti prego, Bethie. Fammi parlare con Harrison. È importante.» Beth era una persona molto nervosa, e per giunta incredibilmente viziata. «È meglio che senta quello che ho da dirgli.» Seguì una pausa ostinata. Poi, finalmente, Beth cedette. Elena attese per diversi secondi, con gli occhi fissi sulla schiena di Vivek. L’uomo avrebbe scoperto che aveva usato la linea esterna nell’istante stesso in cui fosse uscito dal cubicolo; del resto, non aveva avuto scelta. E poi, non v’era nessun rischio per la Corporazione: se anche avessero rintracciato la telefonata, sarebbero risaliti a un apparecchio fittizio. «Elena?» A quella voce, scattò sull’attenti. «Harry, ascolta, ho bisogno di...» «Ascoltami tu», la interruppe lui. «Non ho tempo per le tue...» «Sto cercando di aiutarti», fece lui in tono di rimprovero. «Non so perché... forse non voglio passare alla storia come il cognato della cacciatrice ritrovata infilzata in Times Square! Non riesco a credere che tu abbia potuto insultare un personaggio importante come Dmitri.» Elena restò di sasso. «Lo sai?» «Certo che lo so. Dmitri è il vampiro più anziano, nella zona, e io faccio rapporto direttamente a lui, a meno che il mio padrone non pretenda un incontro faccia a faccia. » Il suo tono si fece più aspro. «Mi sono fatto un sacco di chiacchierate con Andreas, da quando hai messo fine alle mie speranze di fuga.» «Dannazione, Harry. Hai firmato un contratto... con il sangue!» «Non mi aspetto che tu comprenda il concetto di lealtà nei confronti della famiglia», le disse, sferrandole un colpo dritto al cuore. «Ma immagino che anche una persona come te tenga alla
propria vita.» «Ti ho chiamato per metterti in guardia.» Quell’idiota di suo cognato non sarebbe riuscito a ferirla. «Tu sarai anche un vampiro, ma Beth è mortale.» «Non per molto. Abbiamo presentato la domanda di Creazione.» La voce di Elena si fece di ghiaccio. «Non vorrai trascinarla in quel mondo. Ha la minima idea di quello che sta per sottoscrivere? O le hai fatto credere che sia tutto rose e fiori?» «Oh, credimi, Elieanora: sappiamo bene che non si tratta di perfezione... ma d’immortalità. Forse non puoi capirmi, ma amo Beth, e non voglio trascorrere l’eternità senza di lei.» Quelle parole la bloccarono: malgrado i suoi numerosi difetti, Harrison Ling sembrava davvero innamorato di sua moglie. «Ascoltami, Harry, possiamo continuare a litigare più tardi. Ora devi assolutamente nasconderti da Dmitri, finché le acque non si saranno calmate.» «Perché dovrei nascondermi?» «Perché verrà da te per sapere dove mi nascondo.» «L’ha già fatto, e gli ho detto che non so niente. E non ha avuto problemi a credermi. A quanto pare, sa benissimo quanto sei vicina alla tua famiglia.» «Tutto qui?» Elena corrugò la fronte. «Non ha usato le maniere forti?» «Certo che no. È stato un incontro civile.» Elena faticò a crederlo, ricordando il sorriso di Dmitri, mentre il sangue gli sgorgava copioso dal collo. «D’accordo », mormorò. «Purché voi non corriate rischi.» «Dove ti trovi?» Il suo istinto urlò per metterla in guardia. «Non serve che tu lo sappia.» «Consegnati», insistette Harry. «È questo che intendevo, quando ho detto che devi tenere alla tua vita. Se ti consegni
spontaneamente, Dmitri potrebbe essere clemente. E la nostra vita sarebbe più facile, se fossi io a riportarti da lui. Beth è d’accordo con me.» Ecco che cosa rappresentava, per sua sorella e il marito: era solo uno strumento per accattivarsi il favore di Dmitri. «Da quando sei diventato il suo magnaccia, Harry? » Cercò di ignorare il dolore che le opprimeva il petto. Lo sentì inspirare con un sibilo tagliente. «D’accordo, fatti ammazzare. Ti ha detto che ti sta cercando per conto del suo arcangelo?» «Che cosa?» «Sembra che Raphael si sia raffreddato.» Elena non conosceva il significato di quelle parole, ma il tono del cognato lasciava intendere che non fosse nulla di buono. «Grazie dell’avvertimento.» «È più di quanto tu abbia fatto per me.» Vivek cominciava a girarsi sulla sedia. «Devo andare.» Un istante dopo, aveva già riappeso. Vivek uscì dallo stanzino del blackout e andò dritto ai suoi computer. Elena si aspettava di vederlo esplodere, non appena si fosse accorto della telefonata non autorizzata; invece, si limitò a sospirare e a scuotere la testa, prima di girarsi sulla sedia per guardarla in faccia. «Perché ti sei disturbata a chiamarli, Ellie?» Nient’altro sarebbe riuscito a scuoterla come quella domanda. Le cedettero le gambe, e si lasciò cadere su una sedia. «Sono la mia famiglia.» «Ti hanno cacciata perché non eri dello stesso stampo. » Contorse le labbra. «Credimi, so come ci si sente.» «Lo so, Vivek.» La sua famiglia l’aveva fatto internare in un istituto, dopo l’incidente. «Ma non posso lasciare Beth in una posizione così vulnerabile, se ho la possibilità di proteggerla.» «Sai che non avrebbe problemi a lasciarti nei guai, se mai si presentasse l’occasione, vero?» Il suo tono era amaro come il
caffè più nero. «È sposata con un vampiro... prima viene lui.» Elena non poté controbattere, non con le parole di Harrison che le risuonavano ancora nelle orecchie. La sua famiglia era pronta a consegnarla a un vampiro d’alto livello. Per non parlare di quello che il vampiro in questione, e soprattutto il suo padrone, avrebbero potuto farle. «Sono fatti così», sussurrò. «Io, invece, sono diversa.» «Perché?» Vivek girò di nuovo la sedia verso il computer. «Perché ti preoccupi? Non ti vorranno mai bene.» Non sapendo cosa rispondere, Elena se ne andò. Ma quelle parole le penetrarono nella testa, scavando sempre più in profondità, e provocandole un dolore lacerante. «Ehi, Ellie!» Sollevò la testa di scatto, e vide un’altra cacciatrice ferma sulla porta di un dormitorio. Alta e magra, aveva una lunga chioma di capelli neri e lisci, e due occhi castani sempre vigili. Ashwini era una delle migliori. Ed era anche completamente pazza. Per quello le piaceva. «Ehi, tu», rispose, felice di poter dimenticare i propri pensieri, anche solo per qualche minuto. «Credevo fossi in Europa.» «Infatti. Sono tornata da un paio di giorni.» «Eri già rientrata, quando hai chiamato Sara? Dio... è successo solo ieri, giusto?» Ashwini annuì. «La missione ha preso una direzione inaspettata.» «Davvero?» chiese Elena, costringendosi a riportare la mente al presente. «Quel dannato Cajun.» «Oh... cos’è successo?» «Ero riuscita finalmente ad avvicinarmi, quando, d’un tratto, ha raggiunto un ‘accordo’ con l’angelo che mi aveva incaricata di recuperarlo.» Socchiuse gli occhi. «Uno di questi giorni lo trasformerò in un’esca per alligatori.»
Elena si lasciò sfuggire un ghigno. «E poi come faremmo a divertirci, noi altri?» «Fottiti», le rispose la collega con un ampio sorriso, prima di sbadigliare. Quindi, sollevò le braccia e allungò i muscoli, sinuosa come una gatta. «Mi piace dormire quaggiù.» «Cosa? Ti piace quest’atmosfera?» Elena alzò gli occhi al cielo. «Comunque, com’era l’Europa?» «Uno schifo. Ero nel territorio di Uram.» Elena ebbe uno strano presentimento. Non era una semplice coincidenza... la preveggenza di Ash era sempre piuttosto sinistra. «Com’è la situazione, laggiù?» L’altra alzò le spalle con un movimento agile, inconsapevolmente elegante. Stando alle voci che giravano all’interno della Corporazione, aveva studiato danza presso una compagnia prestigiosa, prima di decidere di darsi alla caccia. Una volta Ransom le aveva chiesto di esibirsi. C’erano volute due settimane perché i suoi occhi neri tornassero normali. «Uram sembra essere scomparso nel nulla. Le persone che vivono nel suo regno hanno paura della loro stessa ombra... credono che le stia spiando.» Elena colse un luccichio negli occhi della collega. «Ma tu non ne sei convinta, vero?» «C’è qualcosa di sospetto, in tutta questa storia. Anche il suo assistente, Robert Syles, non si vede da un po’. E Bobby adora le telecamere.» Ashwini scrollò le spalle. «Se vuoi sapere come la penso, sono impegnati in qualche battuta di caccia personale. Forse si tratta di angeli. Presto ne sapremo di più.» Un altro sbadiglio. «Farai meglio a tornare a dormire.» «Nah, sto già meglio. Ora devo farmi una doccia... tra poco devo uscire di nuovo.» Si voltò. «Oh, El, dimenticavo: sembra che siano stati rinvenuti diversi cadaveri decapitati, da quando Uram è sparito dalla faccia della terra. E pare che quei poveracci
fossero suoi domestici. L’avrà fatto in un impeto di collera. Per fortuna, non tocca a noi recuperare quei bastardi.» Elena annuì. D’un tratto, si sentì estremamente debole. «Già. È una vera fortuna.»
16 Raphael aveva raggiunto l’anonima casetta in un sobborgo del New Jersey, e stava applaudendo silenziosamente all’ingegno della direttrice della Corporazione. La donna aveva lasciato la sua splendida casa di arenaria per rintanarsi in quella casetta di legno, circondata da un centinaio di abitazioni del tutto simili. Sembrava una costruzione assolutamente normale, ma l’arcangelo sapeva bene che celava una vera e propria fortezza. Sapeva pure che la direttrice e il marito erano cacciatori molto esperti: a turno, facevano la guardia alla nuova dimora, armati, per non lasciarsi cogliere alla sprovvista dall’arrivo di eventuali vampiri. Naturalmente, per far fuoco avevano bisogno di vedere. E i loro comuni sensi mortali non sarebbero mai riusciti a percepire la sua presenza. Si era avvolto nell’incantesimo dell’invisibilità non appena si era lanciato dal terrazzo della sua suite al piano attico, tuffandosi nella luce sempre più debole del cielo di Manhattan. Ormai aveva recuperato quasi del tutto i suoi poteri. Mentre era in volo si era fatto completamente buio, e adesso stava guardando attraverso le finestre illuminate da una luce dorata. Luce. Calore. Illusione. Quel cortile di periferia, dall’aspetto ordinario, pullulava di sensori, probabilmente collegati a trappole esplosive comandate dall’interno dell’abitazione. Inoltre, doveva esserci un seminterrato che portava a un’uscita segreta: nessun cacciatore avrebbe corso il rischio di restare intrappolato con la propria famiglia. Se non si fosse trovato nello stato di Quiete, probabilmente ne sarebbe rimasto impressionato. Il sistema di sicurezza era molto efficiente, e sarebbe bastato a tenere alla larga qualsiasi vampiro appartenente ai livelli più alti della gerarchia. Ma, con ogni probabilità, non sarebbe stato sufficiente a tener lontano Dmitri: era troppo esperto. Sebbene anche lui avrebbe dovuto
far fronte alle armi di difesa. Quanto a Raphael, non aveva nemmeno bisogno di mettere piede in quella casa. Invece dovresti, sussurrò una parte della sua mente, quella più primitiva e vile. Dovresti dare loro una lezione. Devono sapere che nessuno può opporsi a un arcangelo e uscirne vincitore. Considerò il suggerimento con la gelida razionalità dello stato emotivo in cui si trovava, e lo ignorò. La direttrice della Corporazione era una donna intelligente, e un’ottima lavoratrice. Ucciderla sarebbe stato un gesto insensato: avrebbe gettato la Corporazione nel caos, e avrebbe incoraggiato diversi vampiri insoddisfatti a tentare la fuga dai rispettivi padroni. E forse qualcuno ci sarebbe riuscito. I cacciatori sarebbero stati in lutto per la morte del loro capo, e pertanto completamente inefficaci. Gli umani erano così deboli. Nessuno dei tuoi proverà a fuggire, sussurrò la stessa voce che gli aveva parlato poco prima. Una voce che sentiva solo durante i periodi di Quiete. Nessuno osa più disobbedirti, dopo aver assistito alla punizione esemplare di Germaine. Adesso Germaine si trovava da qualche parte nel Texas, ma non si era affatto dimenticato di quelle ore trascorse in Times Square. Erano impresse a fuoco nella sua memoria: nessuno sarebbe dovuto sopravvivere a un dolore simile. Raphael ricordò di essersi occupato del vampiro durante un altro periodo di Quiete. In seguito, ripensando a quell’episodio, era stato molto scontento di ciò che aveva fatto. Attingendo ai suoi ricordi, aveva scoperto di provare... rimorso. Si era spinto troppo in là. Che idea ridicola. Che emozione ridicola. Lui era un arcangelo. E Germaine aveva osato tradirlo. La sua era stata una giusta punizione. Come lo sarebbe stata quella della direttrice della Corporazione, se gli avesse messo i bastoni tra le ruote. Uccidi la bambina, mormorò quella voce. Ammazzala davanti ai suoi occhi. Davanti agli occhi di Elena.
17 Un allarme scattò accanto al letto di Elena, strappandola da un sonno agitato. Già vestita, si alzò e si mise a correre. Vivek la stava aspettando, con la porta aperta. «Sbrigati! Al telefono! È Sara.» Scavalcò la sedia a rotelle, e sollevò il ricevitore. «Sara? » Sulla lingua sentiva il gusto orribile della paura, forte e pungente. «Scappa, Ellie», disse la voce dell’amica, in un sussurro. «Scappa!» Elena si sentì gelare le membra. «Zoe?» «Lei sta bene», rispose Sara, singhiozzando. «Non era qui. Dio, Ellie. Lui sa dove ti trovi.» Elena non pensò nemmeno per un attimo che stesse parlando di Dmitri. Nessun vampiro, per quanto potente, sarebbe riuscito a ridurre la sua migliore amica in quello stato. «Come lo sa? Che cosa ti ha fatto?» Le sue dita si strinsero intorno al manico di un pugnale, che solo in quel momento si accorse di aver sfoderato. «Come lo sa?» Dall’altro capo del telefono giunse una risata isterica. «Gliel’ho detto io.» Lo shock la paralizzò. «Sara?» Se l’aveva tradita, non le restava più nulla. «Oh, Ellie, è volato fino alla finestra e mi ha guardata negli occhi. Mi ha detto di aprirla, e io non ho avuto la minima esitazione!» La sua voce era quasi un urlo. «Poi mi ha chiesto dove fossi, e io gli ho risposto. Gliel’ho detto! Perché, Ellie? Perché mai avrei dovuto fare una cosa del genere?» Elena si lasciò andare a un sospiro di sollievo. Tremante, allungò una mano e si appoggiò al pannello dei computer di Vivek, in cerca di sostegno. «È tutto okay, Sara.» «Non è okay un cazzo! Ho tradito la mia migliore amica! Non dirmi che è tutto okay!»
«Controllo della mente», intervenne lei, prima che Sara avesse il tempo di lanciarsi in un’invettiva. «Gioca con noi come se fossimo dei giocattoli.» Di sicuro, l’aveva fatto con lei: con il suo corpo, con le sue emozioni. «Non ti saresti potuta opporre in nessun modo.» «Ma io sono immune a questi giochetti! Se occupo questa carica, è perché non sono soggetta ai trucchi dei vampiri. Come Hilda.» «Non si tratta di un vampiro», rammentò Elena all’amica sconvolta. «È un arcangelo.» Sara fece un respiro profondo, tremante. «Ellie, c’era qualcosa di strano in lui.» «Che intendi dire?» chiese Elena, la fronte corrugata. «Ha fatto qualcosa di... di male?» Dovette fare uno sforzo per pronunciare quella parola. Una parte di lei – una parte stupida e illusa – non voleva credere che Raphael potesse diventare malvagio. «No. Non ha neppure menzionato Zoe, né l’ha minacciata in nessun modo. Ma non ne aveva bisogno, no? È riuscito a torcere la mia mente quasi fosse un pretzel.» «Se può consolarti, a quanto pare riesce a farlo anche con i vampiri.» Pensò allo sguardo bestiale di Erik, e alla condiscendenza di Bernal. Sara tirò su con il naso. «Se non altro, quei succhiasangue non ce l’hanno con me. Devi uscire da quel maledetto palazzo. Lui sta venendo a prenderti e, considerato il suo stato mentale, potrebbe distruggere l’intera Corporazione per raggiungerti. Conosce tutti i codici... glieli ho dati io.» Si lasciò sfuggire un altro grido, breve. «Okay, adesso mi sono calmata. Ho detto a Vivek di cambiarli, ma non credo che questo lo fermerà. Ti vuole a tutti i costi. » «Me ne vado subito. E gli lascerò un messaggio, per avvisarlo che non sono più qui. Così non disturberà Vivek. »
«Vai nel Covo Blu.» Si riferiva a un furgone senza targa, che si sarebbe mescolato al traffico facendo «sparire» chi lo guidava. «Lo farò», mentì Elena. «Grazie.» «All’inferno, grazie di cosa?» disse Sara, con violenza. «Comunque, stai attenta: Raphael non aveva un comportamento normale. Mi è capitato di parlargli al telefono, in passato, e sai che non dimentico mai le voci. Be’, questa sera aveva un tono diverso: piatto, inespressivo... freddo. Non era collerico... solo... freddo.» Anche suo cognato le aveva detto che si era «raffreddato »... Ma perché? Raphael aveva molte caratteristiche, ma non le aveva mai dato l’impressione di essere freddo. Comunque, non aveva tempo di perdersi in simili dettagli. «Sto uscendo. Mi farò viva non appena possibile. E... non preoccuparti. Qualunque cosa succeda, non mi ucciderà. Ha bisogno di me, devo portare a termine una missione. » Riappese, prima che Sara si rendesse conto che c’erano cose peggiori della morte. Ad esempio, potevi ritrovarti a urlare, ancora e ancora, finché la voce non ti si spezzava. «Codici nuovi.» Un foglio di carta era appoggiato sul vassoio della stampante. «Usali per uscire... li cambierò di nuovo non appena sarai fuori dall’ascensore.» Elena annuì. «Grazie, Vivek.» «Aspetta.» Con la sedia, si spostò verso un armadietto confinato in un angolo. Elena non riuscì a capire che cosa fece, ma un attimo dopo l’anta si spalancò. «Prendila.» Elena impugnò una piccola pistola lucente. «Non servirà a molto contro un arcangelo, ma grazie comunque.» «Non mirare al corpo. Questi proiettili sono studiati appositamente per lacerare le ali degli angeli.» No! Il solo pensiero di distruggere l’incredibile bellezza di quegli arti piumati le provocò una fitta al cuore, un dolore quasi
fisico. «Tanto ricrescono. Prima o poi, guariscono », si costrinse a dire. «Ci vuole tempo. Da quanto abbiamo osservato, le ali sono la parte del corpo che guarisce più lentamente. Lo renderai inefficiente quel tanto che basterà per cavarti da quest’impiccio. A meno che...» Nel suo tono Elena distinse un accenno di paura. «Ti ho sentito parlare di controllo della mente. Se può esercitarlo anche a una certa distanza, dubito che ci sia un modo di aiutarti.» Elena s’infilò la pistola nel retro dei pantaloni, dopo essersi accertata che ci fosse la sicura. «In questo momento non mi sta controllando, quindi la sua abilità ha un limite.» O almeno lo sperava. «Non credo che verrà a disturbarti quaggiù, una volta saputo che me ne sono andata. Ma devi metterti al sicuro. Ashwini è ancora qui?» «No, e non credo ci fosse nessun altro, qua sotto.» I suoi occhi erano spaventati, ma risoluti. «Chiuderò la porta a chiave, quando sarai uscita, e mi nasconderò.» Indicò l’ingresso di una stanza segreta, nascosta dietro una parete. Aveva di che sopravvivere per giorni. «Stai attenta, Ellie. Dobbiamo finire la nostra partita.» Elena si chinò e, d’impulso, lo strinse in un abbraccio. «Quando tornerò, ti sculaccerò quel sedere ossuto.» Adesso, però, doveva pensare a non morire... e a restare tutta intera. Erano molte le parti del corpo di cui un cacciatore non poteva fare a meno, per rintracciare una preda. Raphael era davanti all’ascensore che, a quanto gli avevano detto, l’avrebbe portato nei Sotterranei. Apparentemente, però, non aveva nessun motivo per andare là sotto. L’oggetto delle sue ricerche, infatti, si era dato alla fuga. Aveva trovato un messaggio appuntato a una parete, accanto
alle porte dell’ascensore. Il chiodo era stato piantato con tale forza che sul pavimento erano caduti dei pezzetti d’intonaco. Vuoi giocare, caro angioletto? Allora giochiamo. Trovami. Era una sfida, pura e semplice. Una mossa davvero stupida, da parte della cacciatrice. Quando si trovava nello stato di Quiete, Raphael non poteva infuriarsi, ma era perfettamente in grado di comprendere qualunque strategia. Elena voleva trascinarlo lontano dalla Corporazione e dai suoi amici. Rifletté un momento. La parte primitiva del suo cervello gli sussurrò: Vuoi permetterle di portarti in giro come un cane al guinzaglio? Ti sta insultando. Strappò il biglietto dal muro. «Angioletto», lesse ad alta voce, mentre accartocciava il foglio. Sì, doveva imparare un po’ di rispetto. Quando fosse riuscito a trovarla, Elena avrebbe dovuto supplicarlo di avere pietà. Non voglio costringerla a supplicarmi. L’eco delle sue stesse parole lo fermò per diversi secondi, che sembrarono un’eternità. Si ricordò di com’era stato sedotto dal fuoco che le ardeva dentro, che era riuscito a destarlo dalla noia che lo affliggeva da secoli. Nonostante la Quiete, era risoluto a non farle del male. Sarebbe stato da sciocchi rompere un giocattolo nuovo, che prometteva di donargli un simile piacere. Ma c’erano altri modi di assicurarsi il rispetto, senza annientare l’oggetto della sua ricerca. La Corporazione poteva aspettare. Prima, Elena Deveraux doveva imparare a non giocare con un arcangelo. Al volante del Covo Blu, Elena percorse le strade di Manhattan decisa e determinata. Non aveva nessuna intenzione di nascondersi: così facendo, avrebbe soltanto causato altri problemi alle persone che amava. Era assolutamente sicura che
Raphael si sarebbe rivolto a tutti i suoi cari, finché non l’avesse trovata. Così, fece l’unica cosa sensata per garantire la loro sicurezza. Andò a casa. E aspettò, con la pistola in mano. Raphael era fuori da un condominio. Anche nel suo stato di Quiete, si rendeva conto di essere estremamente pericoloso. Se Elena si trovava là dentro, sarebbe stato versato del sangue. Nella sua mente non c’era posto per la flessibilità. Non avrebbe accettato la presenza di Elena, in quel luogo. Era una cosa che non poteva ammettere. Avvolgendosi ancora una volta nell’incantesimo dell’invisibilità, entrò nell’appartamento attraverso la porta d’ingresso, rompendo la doppia serratura a scatto senza il minimo sforzo. Sentì delle voci nella stanza adiacente. Un uomo e una donna. «E dai, piccola, dammi un’altra...» «Sono stufa di ascoltarti!» «Scusami, sono stato un idio...» «Un grandissimo imbecille, testardo e cocciuto. Credo renda meglio l’idea.» «’Fanculo!» Seguì un fruscio. Poi dei respiri irregolari. Raphael entrò nella camera da letto e inchiodò Ransom alla parete, prendendolo per la gola, senza dargli modo di dire una sola parola. Ma il cacciatore reagì in fretta, agitando le gambe e mettendosi a gridare: «Vattene, Nyree! Scappa!» Nyree? Qualcosa colpì Raphael alla schiena. Si voltò e, da sopra la spalla, vide una donna minuta e formosa che gli lanciava addosso qualunque cosa le capitasse a tiro. Quando le sue dita afferrarono un pesante fermacarte, l’arcangelo schioccò le dita e
la fece addormentare. Nyree crollò lentamente sul divano. Ransom si fermò. «Se le hai fatto del male... giuro che troverò il modo di ucciderti.» «Impossibile», rispose Raphael, mollando la presa. «Comunque, sta solo dormendo. Così possiamo chiacchierare meglio.» Con il pugnale stretto in mano, all’improvviso Ransom lanciò una stoccata alle ali dell’arcangelo. Colpì le piume di striscio, prima che Raphael gli bloccasse la mente, costringendolo a gettare la lama. Tentò di opporsi a quella costrizione, ma non c’era nulla da fare. Alla fine si arrese, con la fronte imperlata di sudore. «Interessante. Sei davvero forte», osservò Raphael. Avrebbe potuto ucciderlo, ma la Corporazione avrebbe perso uno dei suoi migliori cacciatori. «Non è nel mio interesse ammazzarti. Non provare più ad attaccarmi, e ne uscirai vivo.» «Fottiti», rispose Ransom, tentando di farsi avanti. «Non ti dirò mai dov’è Ellie.» «Sì, invece.» Fece appello ai propri poteri senza il minimo rimorso, seguendo soltanto un freddo proposito. «Allora? Dov’è?» Ransom sorrise. «Non lo so.» Raphael lo fissò. Sapeva che era sincero: nessuno poteva mentire, sotto costrizione. Girava voce che alcuni umani avessero una sorta d’immunità dai poteri angelici, così come altri erano immuni da quelli dei vampiri, ma Raphael non ne aveva mai incontrati, nei quindici secoli della sua esistenza. «Dove si nasconderebbe, se stesse cercando di proteggere i suoi amici?» chiese, invece. Ransom si sforzò in tutti i modi di non rispondere, ma la costrizione ebbe la meglio. «Non si nasconderebbe.» Raphael rifletté su quelle parole. «No, non lo farebbe, vero?» Si avviò verso la porta d’ingresso. «La tua signora si sveglierà
entro pochi minuti.» Ransom tossì, non appena Raphael lasciò libera la sua mente. «Ti devo un pugno alla mascella. E forse un occhio nero.» «Vieni pure a cercarmi», disse Raphael, vedendo in quel cacciatore un’altra possibile distrazione alla sua noiosa immortalità. «Non ti punirò nemmeno, se ci riuscirai. » Ransom, inginocchiato accanto alla sua donna, sollevò un sopracciglio. «Sicuro di essere ancora in giro, quando verrò a darti la caccia? Ellie ti starà aspettando, armata di un coltello per sfilettare.» «Posso assecondare i miei giocattoli», disse Raphael, «ma solo fino a un certo punto.» «Ma si può sapere che cazzo ha fatto?» chiese l’uomo, che stava palesemente cercando di prendere tempo, per concedere maggior vantaggio all’amica. Devi ucciderla. La voce di Lijuan era un freddo sussurro nella sua mente, crudele come i venti della Quiete. «È una cosa tra me ed Elena», rispose. «Farai meglio a tenerti fuori da questa guerra.» Il viso di Ransom si fece di pietra. «Non so come funzioni tra voi angeli, ma noi umani non abbandoniamo gli amici. Lei chiama, io rispondo.» «Fallo, e morirai», lo liquidò Raphael. «Non divido con nessuno ciò che mi appartiene.» Stando al suo orologio, stava fissando la torre da un’ora circa, seduta sul divano. Forse la scelta della location non era ovvia come aveva pensato. Corrugò la fronte e diede uno strattone alla maglietta che aveva indossato non appena tornata a casa. In quel momento, squillò il cellulare. Il cuore prese a batterle all’impazzata, quando riconobbe la suoneria che aveva assegnato all’amico. «Ransom? Oh, mio Dio, ti ha trovato!» «Calmati», disse lui. «Sto bene.»
«Hai la voce un po’ rauca.» «È forte quel bast... scusa, tesoro.» «Eh?» fece Elena, aggrottando le sopracciglia. «Nyree», spiegò lui. «Dice che uso un linguaggio troppo scurrile. Anche se si è lanciata in una sfilza di oscenità, quando si è svegliata dal pisolino in cui l’ha fatta precipitare il tuo bello, durante la nostra conversazione. » «Ti ha ferito?» «Mi ha insultato... Ma me la caverò.» Elena provò un’immensa sensazione di sollievo. «Sì, sì. Allora?» «Allora, quell’angelo grosso e cattivo, in grado di controllare la mente, è convinto che tu gli appartenga. Stile ‘Io non divido la mia donna con nessuno’.» Elena deglutì. «Mi stai prendendo in giro?» Ransom scoppiò a ridere. «Cielo, no! Questa storia è già fin troppo interessante, senza bisogno d’interventi.» «Oh, Gesù.» Si chinò in avanti, con lo sguardo fisso sul tappeto. Sì, l’aveva baciato. Le aveva trasmesso delle vibrazioni fortissime... cui aveva risposto, suo malgrado. Ma tutto ciò era normale, quando si aveva a che fare con vampiri e angeli potenti. Il sesso era soltanto un gioco. Non significava nulla. «Forse l’ha detto per innervosirmi. » Sì, era una spiegazione sensata. «No, dolcezza. Diceva sul serio.» La sua voce si fece seria. «Quel tipo ti vuole... ma non so se voglia fotterti o ucciderti.» Elena si tirò su e fissò la finestra che aveva davanti. Le si ribaltò lo stomaco. «Ehm, Ransom? Scusa, devo andare.» Silenzio. «Ti ha trovata.» Rapita dalle ampie ali di Raphael, che si librava in aria senza il minimo sforzo, richiuse il telefono e lo posò con cautela sul tavolino accanto al divano. «Non ti farò entrare », sussurrò, anche se non poteva sentirla.
Posso entrare ogni volta che mi va. Rimase pietrificata, cogliendo la chiarezza cristallina del suo tono. «Ti ho già detto... di non incasinarmi la mente!» Perché? Il gelo di quell’unica parola l’attraversò come nient’altro avrebbe potuto fare. Sara non si era sbagliata: c’era qualcosa di diverso in lui, quella sera. E per lei non significava nulla di buono. «Cosa c’è che non va?» Niente. Sono in stato di Quiete. «E questo che cosa diavolo significa?» Portò la mano verso la pistola, dietro la schiena, senza mai distogliere lo sguardo dal viso di Raphael, che la guardava attraverso il vetro. «E perché i tuoi occhi sono così... freddi?» Di nuovo quell’aggettivo. L’arcangelo spiegò le ali ancora di più, mostrando fino in fondo il disegno bianco e oro sulla superficie inferiore. Era talmente bello che minacciava di distrarla. «Molto furbo», disse Elena, concentrandosi sul suo volto. «Cercare di manipolarmi senza usare la mente.» Avevi ragione, quando hai detto che mi servi nel pieno delle tue funzioni. Un controllo eccessivo rischierebbe di piegare per sempre i tuoi percorsi mentali. «Stronzate», mormorò lei. Aveva quasi raggiunto l’arma. «Puoi controllarmi per un po’, ma, non appena smetti di farlo, sono di nuovo libera.» Ne sei sicura? Stranamente, sebbene fosse terrorizzata, non si sentiva vulnerabile come le succedeva di solito, davanti alla minaccia della costrizione mentale. Quando Raphael si comportava in modo arrogante e letale, l’attrazione sessuale aveva sempre la meglio sulle sue difese normali. Ma l’essere che aveva davanti era terribilmente freddo, e aveva la morte negli occhi... Chiuse la mano intorno al calcio della pistola.
18 «Sai una cosa?» fece lei, cercando di mantenere la calma. «Ti comporti come se fossi sotto l’effetto di qualche droga.» Per questo hai una pistola? La sua mano si bloccò sull’arma, mentre il sudore le si ghiacciava lungo la schiena. «Quale pistola?» I capelli di Raphael si scostarono dal viso, come mossi da un vento sferzante, ma lui mantenne la sua posizione senza alcuno sforzo apparente. Il suo volto aveva una bellezza tale da provocarle un tuffo al cuore. Sembrava quasi che fosse stato intagliato dal più abile degli artigiani: i lineamenti puliti erano la quintessenza della virilità. Era senza dubbio l’uomo più attraente che avesse mai visto. O, forse, per te sono semplicemente questo. Elena sussultò, destandosi da quell’incantesimo. E questa volta si rese conto che l’arcangelo non aveva giocato affatto con la sua mente: quel pensiero era frutto della sua stupidità. «‘Semplicemente questo’ che cosa?» chiese, giusto per farlo parlare. Sono soltanto attraente. Sbuffò. «Credimi, angioletto, ovunque passi le donne si girano a guardarti.» La maggior parte di loro vede solo la crudeltà, in me. Troppa, perché possa conciliarsi con la bellezza. Colta alla sprovvista da quell’apparente sincerità, Elena si ritrovò a fissarlo con occhi nuovi. Sì, era una creatura crudele. Non era né bello, né affascinante. Aveva una forza incredibile ed era estremamente pericoloso: la perfetta personificazione di tutto ciò che attirava i suoi sensi di cacciatrice. Per tutta la vita, lei era stata troppo forte, troppo veloce e troppo poco femminile per gli uomini mortali. Anche se la trovavano affascinante, dopo poco l’accusavano di farli sentire deboli. Castrati.
Non l’aveva mai dato a vedere, ma quella situazione la faceva soffrire. Eccome. Forse non era una bambolina come Beth, ma era una donna a tutti gli effetti. E apprezzava il maschio della specie; in particolare quel maschio. «Sai essere crudele», disse sommessamente. «Forse addirittura spaventoso. Ma non sei ancora diventato malvagio. » No? «No», gli rispose, con il palmo sudato sulla pistola. Sembri molto sicura di te. Eppure stamattina mi hai accusato di volerti stuprare. La sua collera si fece sentire in modo ancora più prepotente. Ignorando qualunque buon senso, portò la pistola lungo il fianco, mostrandola apertamente. «Questa mattina hai cercato di prendere con la forza qualcosa che avrei potuto darti spontaneamente, se solo avessi aspettato. » A quelle parole seguì una lunga pausa, accompagnata soltanto dal suo respiro, accelerato dall’adrenalina. Si domandò che cos’avesse sentito Raphael, là fuori, nell’oscurità vellutata della notte. Quale onestà. «Ho detto ‘che avrei potuto’. E devo proprio dirtelo, amico mio: le tue probabilità sono scese a zero nell’istante stesso in cui hai tentato quella bravata. Non verrò a letto con te. Non mi lascerò manipolare.» Nemmeno da un arcangelo che sembrava il dio del sesso. Raphael sembrò pensarci su. Incrociò il suo sguardo attraverso il vetro. Scrollò le spalle. Comunque, il sesso è piuttosto inutile. Quel commento la sorprese. Non si addiceva affatto all’uomo oscuro e sensuale che quella stessa mattina l’aveva divorata quasi fosse la sua caramella preferita. «Ti senti bene?» Si chiese se fosse sotto l’effetto di qualche droga angelica. Per tutta risposta, lui fece saltare in aria la lastra di cristallo
che li separava. Accadde così in fretta che Elena ebbe appena il tempo di sollevare un braccio per ripararsi gli occhi. Un attimo prima la finestra era intatta, e quello dopo era ridotta in pezzi, sulla sua moquette. Non fu sfiorata nemmeno da una scheggia. Quando abbassò il braccio, si trovò davanti un enorme quadrato scuro, attraverso il quale il vento entrava nel suo appartamento su ali lisce e setose. Raphael era scomparso. Elena abbassò gli occhi sulla pistola che stringeva in mano. Era spaventata, ma non per sé. Con dita tremanti, rimise la sicura. Aveva sparato istintivamente, per difesa, puntando alle ali dell’arcangelo, come le aveva consigliato Vivek. Un angelo privo di ali... «Oh, mio Dio.» Camminò sui frammenti di vetro – erano otto triangoli, perfettamente regolari –, arrivò al bordo e guardò di sotto. Sentì un sussurro di vento alle sue spalle. «Indubbiamente non soffri di vertigini.» Sarebbe potuta cadere, se le mani di lui non l’avessero afferrata ai fianchi. «Bastardo! Mi hai spaventata a morte! » Tentò di divincolarsi, per sottrarsi alla sua presa. Ma lui la tenne ferma, circondandole la vita con le braccia. «Fai la brava, Elena.» Lo strano tono della voce dell’angelo fece suonare un campanello d’allarme nella sua testa. Non poté fare a meno di tornare ai suoi pensieri precedenti: c’erano molte cose peggiori della morte. «Vuoi farmi cadere?» «Ti sei appena detta che non ti ucciderò. Che è molto più probabile che voglia torturarti.» Qualcosa scattò nella sua mente. «Esci. Dalla. Mia. Testa! » Strizzò gli occhi e si spinse verso l’esterno, facendo appello a tutta la sua forza di volontà. Una stupida reazione umana... del resto, Elena era umana in tutto e per tutto.
Alle sue spalle, Raphael inspirò. Allarmata, intensificò i suoi sforzi per fermarlo, anche se aveva davanti una caduta mortale. Elena non distolse lo sguardo: meglio guardare in faccia la morte che permettere all’arcangelo d’invaderle la mente. Non era forse anche quella una forma di umiliazione? Ma, dannazione, non avrebbe mollato senza lottare. Modificò la presa sulla pistola: questa volta, avrebbe mirato intenzionalmente alle ali. «Bene, bene», le disse Raphael all’orecchio. «A quanto pare, i cacciatori nati possiedono un’altra abilità.» Cominciava a dolerle la testa, ma continuò a mantenere la pressione, sperando che il suo cervello avrebbe imparato a farlo meccanicamente. Inutile pensarci, se prima non fosse riuscita a sfuggire a Raphael. Qualunque problema avesse, diventava ogni secondo più evidente che per lei era molto, molto pericoloso. «Perché sei qui? Perché mi stai facendo questo? È per Dmitri?» «Aveva l’ordine di non toccarti.» Stanca di sporgersi in avanti, si rilassò appoggiando il capo al suo petto. Raphael sostenne il suo peso senza il minimo sforzo. «Che cosa gli hai fatto?» «Ormai la mascella sarà guarita completamente.» Nell’oscurità della notte, le luci dei palazzi erano talmente numerose che ebbe la sensazione di trovarsi sull’orlo del mondo. Ma non era il vuoto ai suoi piedi la vera minaccia. «La violenza ti eccita?» «No.» «Ferirmi... farmi sanguinare... sono tutte cose che eccitano Dmitri. Vale anche per te?» insistette. «No.» «Allora perché cazzo mi stai tenendo qui in bilico?» «Perché posso farlo.» In quell’istante, Elena si rese conto che avrebbe potuto realmente spezzarla.
Così, gli sparò. Senza alcun avvertimento, senza alcuna seconda possibilità. Mirò semplicemente alle sue spalle, alla cieca, e fece fuoco. Nell’istante stesso in cui Raphael allentò la presa, Elena si gettò da un lato. Rischiò di cadere, ma si fidò dei suoi riflessi, e non rimase delusa. Atterrò sulle enormi schegge, che resistettero all’impatto, ma si tagliò ugualmente un lato del viso e il palmo delle mani, quando si aggrappò al vetro per non scivolare nella notte nera come la pece. Non appena fu in grado di fare leva, con una delle sue mosse più acrobatiche si girò e si portò sulla moquette, in posizione accovacciata. Si tolse i capelli dagli occhi e spostò lo sguardo verso Raphael. Era accasciato sui frammenti di vetro, appoggiato al tavolo su cui lei aveva posato il telefono poco prima, anche se ormai sembravano passate ore intere. Raphael stava fissando l’ala e, quando Elena seguì il suo sguardo, ebbe un moto di nausea. La pistola aveva fatto esattamente quello che aveva detto Vivek. Aveva distrutto quasi tutta la parte inferiore. Quello che aveva omesso di dirle era che le ali ferite sanguinavano. E il sangue aveva un colore rosso cupo, che gocciolava sul vetro e scivolava sulla superficie liscia fino a cadere sulla moquette, penetrando tra le fibre. Tremante, Elena si alzò in piedi. «Guarirà», mormorò, cercando di autoconvincersi. Se l’aveva reso storpio per sempre... «Tu sei immortale. La ferita guarirà.» Raphael sollevò la testa, e nei suoi occhi azzurri così incredibili e irreali si leggeva incomprensione e stupore. «Perché mi hai sparato?» «Mi stavi torturando. Ero terrorizzata. Probabilmente, mi avresti buttata di sotto più di una volta per poi venire a prendermi, solo per sentirmi urlare.» «Che cosa?» Raphael aggrottò le sopracciglia e scosse il capo, come se volesse schiarirsi la testa, poi guardò lo spazio
aperto dove poco prima c’era una finestra. «Sì, hai ragione.» Non era certo la risposta che si era aspettata. «Tu c’eri... quindi perché mi sembri incredulo?» Raphael spostò di nuovo lo sguardo, fino a incrociare il suo. «Durante la Quiete, sono... diverso.» «La Quiete? Che cos’è?» Non le rispose. «Ti capita spesso?» Lui serrò le labbra. «No.» «Quindi, adesso sei tornato normale?» Mentre glielo chiedeva, stava già correndo in cucina a prendere degli stracci. Quando tornò, lo trovò nella stessa posizione. «Perché non smette di sanguinare?» La sua voce salì di tono, mentre subentrava il panico. Lui la osservò mentre tentava di fermare l’emorragia, senza successo. «Non lo so.» Elena lanciò un’occhiata alla pistola che aveva lasciato dall’altra parte della stanza. Forse stava commettendo una sciocchezza, rimanendo lì... ma conosceva quel Raphael, e la cosiddetta «Quiete» – qualunque cosa fosse – l’aveva trasformato in un mostro orribile. E lei? Era forse meglio di lui? Quella pistola, il danno che gli aveva provocato... Afferrò il telefono e compose il numero dei Sotterranei, con le dita scivolose per il sangue che continuava a sgorgare dalla ferita. Davanti a lei, gli occhi azzurri dell’arcangelo sembrarono farsi più velati, mentre rovesciava la testa all’indietro. «Andiamo», lo esortò, sostenendogli una guancia con le dita macchiate di rosso. «Resta sveglio. Non farti prendere dallo shock.» «Sono un angelo», mormorò lui, biascicando le parole. «Lo shock è per i mortali.» Qualcuno, all’altro capo del telefono, rispose. «Vivek?» «Elena, sei viva!»
«Dannazione, che accidenti c’era in quei proiettili?» «Te l’ho detto.» «Sono stati testati?» «Sì. Diverse volte... dovrebbero darti venti minuti o mezz’ora di vantaggio. Il processo di guarigione comincia un istante dopo il ferimento.» Elena abbassò gli occhi sull’ala lacerata. «La ferita non accenna a guarire. Al contrario, peggiora di minuto in minuto.» «Impossibile.» La giovane riappese: era chiaro che Vivek non sapeva niente, e non poteva aiutarla. «Coraggio, Raphael! Che cosa devo fare?» «Chiama Dmitri.» Il suo viso si stava facendo grigiastro, una pallida maschera di morte che la terrorizzò. Con un nodo in gola, in parte per la paura e in parte per il senso di colpa, compose il numero della Torre degli Arcangeli, e si fece passare subito Dmitri. «Raggiungimi nel mio appartamento», gli ordinò. «Non...» «Ho sparato a Raphael. Sta sanguinando, e il sangue non si coagula.» Un istante di silenzio. «Raphael è immortale.» «Il suo sangue è rosso esattamente come il mio.» «Se gli hai fatto del male, ti ridurrò in tanti minuscoli pezzettini.» Con ciò, il vampiro riappese. «Sta arrivando», disse Elena a Raphael, mentre il cellulare le scivolava dalla mano insanguinata. «Non credo che abbia una bella opinione di me.» «È leale.» I capelli gli ricaddero sulla fronte, dandogli l’aspetto assurdo di un ragazzino. Un altro fiotto di sangue colpì Elena a una gamba. Era caldo, denso. «Perché diavolo non stai guarendo?» Negli occhi azzurri e vitrei dell’arcangelo colse un
momentaneo bagliore. «Perché tu mi hai reso un po’ mortale.» Furono le sue ultime parole, prima di perdere conoscenza. Probabilmente era stato lo shock a farlo parlare così. Elena era ancora al suo fianco quando arrivò Dmitri, accompagnato da diversi vampiri. Non si disturbarono a bussare: buttarono giù la porta. «Tenete ferma la cacciatrice.» Dmitri la ignorò, mentre i suoi lacchè la trascinavano via dall’arcangelo. La giovane avrebbe lottato, ma sapeva che sarebbe stato inutile. Erano in troppi, e lei non aveva con sé le sue armi con microchip incorporato. I collari erano contraddistinti da un numero di serie, e ogni singolo utilizzo veniva registrato dall’APV e dalla Corporazione, pertanto venivano impiegati soltanto durante le battute di caccia, o quando un cacciatore poteva dimostrare di essere stato seriamente minacciato da un vampiro. Ufficialmente, ciò serviva a impedire che i cacciatori diventassero troppo – e pericolosamente – sicuri di sé, ma sapevano tutti che il motivo reale era che i potenti vampiri non gradivano l’idea di essere vulnerabili a qualunque vecchio cacciatore che provasse rancore nei loro confronti. Ma, in quel momento, non aveva la minima importanza. «Aiutatelo!» Dmitri le lanciò un’occhiata astiosa e maligna. «Zitta. Se non sei ancora morta è solo perché voglio lasciare a Raphael questo privilegio.» Si portò una mano alla bocca e disse qualcosa a un trasmettitore che portava intorno al polso. «Entrate.» Due angeli corpulenti apparvero con una barella sull’apertura lasciata dalla vetrata. Le loro espressioni scioccate, alla vista di Raphael, le fecero capire che le sue condizioni erano peggiori di quanto avesse creduto. Le si strinse lo stomaco, ma gli angeli si ripresero in fretta e iniziarono a sistemare l’arcangelo sulla lettiga per trasferirlo alla torre. «Non sarebbe meglio portarlo subito a casa?» s’impuntò uno dei due, dalla chioma rossa.
«Il guaritore e i medici stanno andando là», rispose Dmitri. L’angelo annuì e sollevò l’estremità anteriore della barella, mentre il compagno si portò su quella opposta. «Ci vediamo là.» Elena non era sicura delle dinamiche di potere all’interno della stanza. Stando alla gerarchia comunemente conosciuta, dopo gli arcangeli venivano angeli, vampiri e umani, in tale ordine. Ma era chiaramente Dmitri a condurre lo show. Strano, pensò Elena: a differenza del giovane angelo che le aveva consegnato il regalo di Raphael, quei due erano anziani e potenti. Non appena ebbero portato via l’arcangelo, Dmitri iniziò a occuparsi di lei. Mentre si avvicinava, Elena maledisse quelle stupide regole sull’utilizzo delle armi con microchip integrato. Senza, era vulnerabile come una bambina. E il vampiro sembrava pronto farla a pezzi, a mani nude. Si fermò a una spanna da lei e le afferrò il mento, con le dita insanguinate, guardandola con gli occhi neri con una fiamma al centro. Lei ansimò. «I tuoi occhi...» C’era un cerchio rosso, al posto della pupilla: una chiazza che sembrava allargarsi, con i margini simili a lame. «Ma che diavolo...» Dmitri strinse la presa e si fece più vicino. Elena rimase paralizzata. Sapeva che, se lui avesse cercato di bere il suo sangue, non sarebbe riuscita a restare ferma: avrebbe tentato di raggiungere le sue armi. Non poteva evitarlo. Ma Dmitri la sorprese un’altra volta. Con le labbra le sfiorò l’orecchio, anziché il collo. «Rimarrò a guardarlo, mentre ti spezza. E poi leccherò il tuo sangue per dessert.» La paura, cruda e brutale, la prese alla bocca dello stomaco, ma si sforzò strenuamente di affrontare il vampiro con una certa disinvoltura. «Come va il collo?» Le dita di lui strinsero ancora più forte, e a quel punto fu sicura che le avrebbe lasciato i lividi. «Ai miei tempi, le donne
sapevano qual era il loro posto.» Non gli chiese che cosa intendesse, per non cadere nel suo tranello. Ma, apparentemente, Dmitri non aveva bisogno della sua collaborazione. «Dovevano starsene sdraiate, con le gambe aperte.» Elena socchiuse gli occhi. «Raphael non ha ritirato i suoi ordini: sono ancora off limits, per te. Farai meglio a stare attento.» Dmitri scoppiò a ridere, e la sua risata ebbe l’effetto della lama di un rasoio che le sfiorava la pelle. Le dita allentarono la presa, mentre lui si faceva sempre più vicino, finché non si ritrovò schiacciata contro il suo corpo muscoloso. Davanti agli occhi «vedeva» solo Dmitri: la sua furia letale, i suoi occhi... il suo profumo, che l’avvolse come la più lussuosa e oscena delle giacche, con il suo sentore di pelliccia, diamanti e sesso. «Spero ti mantenga in vita per molto, molto tempo.» Passò rapidamente la lingua sulla vena che le pulsava nel collo. «Spero m’inviterà a giocare.»
19 Un’ora dopo, Elena diede uno strattone alla fune che le legava le braccia alla sedia, riuscendo soltanto a stringere quella che le immobilizzava le caviglie. Dunque Dmitri aveva usato la stessa corda per tutti e quattro gli arti! Le aveva tirato le braccia dietro la schiena, bloccandole con la fune che poi aveva avvolto intorno alle caviglie. Dalle caviglie era andato ai polsi, alla vita, e infine dietro lo schienale. In pratica, era incatenata a una pesantissima sedia che non aveva nessuna speranza di rovesciare. «Sento odore di sangue, Elena», disse Dmitri strascicando le parole, quando rientrò nella stanza. «Stai flirtando con me?» Lei gli lanciò un’occhiata truce, ripensando a quanto si era divertito a spogliarla delle sue armi. Non era stato volgare. Al contrario: aveva dimostrato di essere la sensualità personificata. Quel dannato profumo intossicante era penetrato in lei come l’afrodisiaco più potente del pianeta. Era riuscita a mollare qualche calcio, prima che la legassero, le disinfettassero i tagli e la parcheggiassero in quello che aveva tutta l’aria di essere un salottino ai piani alti della torre. «Dov’è Raphael?» Dmitri le si mise di fronte. Si era tolto la giacca del vestito antracite e la cravatta rosso scuro, e indossava una camicia bianca. I primi bottoni erano lasciati deliberatamente aperti per mostrare un delizioso triangolo di pelle dorata. Non era abbronzatura, pensò Elena. Il vampiro veniva chiaramente da una zona più assolata. Da un posto esotico e... «Smettila!» Adesso che si stava concentrando, Elena riusciva a distinguere il profumo che lui stava spalmando su ogni centimetro della sua pelle. Le sorrise. Un sorriso che prometteva sofferenza. «Non ho usato i miei poteri su di te.» «Bugiardo.»
«D’accordo, lo confesso.» Si avvicinò ancora, chinandosi per appoggiare le mani ai braccioli della sedia. «Sei molto sensibile al mio profumo.» Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. «Anche sudata e insanguinata, hai un odore unico. Avrei voglia di prendere un bel bocconcino sostanzioso.» «Non in questa vita», replicò Elena, con voce rauca: dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per resistere a quel lento tentativo di seduzione. Aveva sbagliato a giudicare Dmitri. Non perdeva potere come gli altri vampiri anziani che lei aveva incontrato sul suo cammino. E ciò significava che apparteneva a una classe tutta sua... E, probabilmente, era perfettamente in grado di respingere gli effetti di un microchip di controllo. Quello era un segreto che i cacciatori avevano protetto con la vita: in alcune situazioni, quell’istante di spaesamento – in cui un vampiro credeva di essere stato etichettato e immobilizzato – era tutto ciò che avevi. Potevi approfittarne per fuggire o per fare qualche danno. «Perché hai questa fissazione per me?» Elena si sforzò di non pensare al difetto fatale del chip. Per quanto ne sapeva, soltanto gli angeli erano in grado di leggere la mente e, da parte loro, non avevano nessuna ragione per voler sabotare l’arma più efficace di un cacciatore, ma non intendeva correre rischi. «Sei proprio sexy.» Era vero. «Le donne ti si buttano addosso. Perché io?» «Te l’ho detto, rendi le cose interessanti.» Le sue labbra s’incurvarono leggermente, ma le punte rosse e fiammeggianti nei suoi occhi le ricordarono che non era proprio contento di lei, in quel momento. «Sai già che vivrai. » «Davvero?» «Almeno finché non avrai portato a termine il tuo incarico. » La guardò fisso negli occhi. Lei fece lo stesso. Era molto probabile che Dmitri conoscesse ogni dettaglio del compito che l’attendeva; in caso contrario,
non aveva nessuna intenzione di rivelargli i suoi segreti per scavarsi una fossa ancora più profonda. «Nemmeno immagini quanto mi faccia piacere.» «E tu che ne sai del piacere, cacciatrice della Corporazione ?» Il tono di lui si fece tagliente come una lama, mentre la sua pelle sembrava illuminata da un bagliore interno. Le si seccò la gola, quando si rese conto di essersi sbagliata di nuovo. Dmitri era davvero potente. Ed era molto anziano. «So che il piacere che prometti porterà inevitabilmente al dolore.» Dmitri sbatté le palpebre. Le sue ciglia erano tanto lunghe da sembrare irreali. «Ma, con un maestro di tale calibro, ogni sofferenza diventa piacevole.» I brividi le salirono lungo la schiena e le sfiorarono i capezzoli. «No, grazie.» «Non spetta a te decidere.» Dmitri si raddrizzò, mostrandosi in tutta la sua altezza. «Hai fame?» Elena trasalì, a quella domanda pragmatica. Si diede una scrollata, per liberarsi degli effetti di quel profumo intossicante, e si prese un momento per pensare. «Sto morendo di fame.» «Allora sarai nutrita.» Lei aggrottò le sopracciglia, all’udire quella frase, ma non disse nulla. Dmitri uscì dalla porta e ritornò dopo qualche minuto con un piatto coperto. Quando tolse il coperchio, Elena vide del pesce grigliato con una specie di salsa bianca, accompagnato da verdure saltate e patate novelle. «Grazie.» «Di niente.» Dmitri prese una sedia identica alla sua, e le si sedette davanti. Fu una sorpresa vedere che lui la spostava senza il minimo sforzo, quando lei non era riuscita nemmeno a inclinarla. «Con cosa vuoi cominciare?» Lei serrò la mascella. «Non mi farò imboccare da te.» Dmitri infilzò un pezzetto di carota. «Quelli che mi hanno accompagnato nel tuo appartamento... sai chi erano? » Elena tenne la bocca chiusa. Non si fidava: temeva che le
avrebbe ficcato qualcosa in bocca non appena avesse abbassato la guardia. «Erano membri dei Sette», disse il vampiro, rispondendo alla sua stessa domanda. «Come me. Siamo i vampiri e gli angeli che proteggono Raphael senza pensare al proprio avanzamento di carriera.» La curiosità divampò dentro di lei, al punto che non riuscì a trattenersi dal domandargli: «Perché?» «Il motivo non ti riguarda.» Dmitri sembrò godersi la carota. Anche se i vampiri non traevano nutrimento dal cibo, lei sapeva che potevano digerirne tranquillamente una certa quantità. Per tale motivo, quelli che appartenevano ai livelli inferiori riuscivano facilmente a farsi passare per umani. «Ma devi sapere che siamo pronti a rischiare la vita per sbarazzarci di chiunque rappresenti una minaccia per lui.» «Quindi dovrei esserti grata per il fatto che stai puntando quella forchetta verso la mia bocca?» Dmitri infilzò un pezzo di pesce, assicurandosi d’intingerlo nella salsa, che aveva un aspetto delizioso. «Finché Raphael non si sveglia, non posso farti del male. Ho ordini precisi, in proposito. Ma gli altri no. Se lasciassi a loro questa forchetta, e uscissi da quella porta, il concetto di ‘sofferenza’ acquisirebbe un significato del tutto nuovo, per te.» Elena espirò. «Liberami almeno le mani... sai che non posso farti nulla, senza le mie armi.» «Se lo faccio, sei morta.» Si portò la forchetta alla bocca. «Se sei ancora viva è solo perché sto tenendo lontani gli altri vampiri. Se dovessero sospettare che sei in grado di manipolarmi...» Non si fidava minimamente. Ma stava morendo di fame, e sapeva che il rifiuto del cibo l’avrebbe soltanto indebolita. Socchiuse le labbra, permettendogli d’imboccarla: il pesce era delizioso, come lasciava intendere l’aspetto. Lo tenne in bocca
per quasi un minuto, assaporandolo con attenzione. Solo quando fu convinta che non era avvelenato si decise a mandarlo giù. «Niente narcotici?» «Non servono. Tu non puoi volare.» Le diede un pezzetto di patata. «E Raphael vorrà vederti non appena si sarà svegliato.» «Come stanno le sue ali?» Dmitri sollevò un sopracciglio. «Sembra quasi che t’importi di lui.» Inutile mentire. «Infatti, è così. Volevo solo scappare... cominciava a comportarsi in modo davvero strano.» Prese il boccone. «Cioè, lui è immortale. Quel proiettile avrebbe dovuto darmi semplicemente un po’ di vantaggio. » «Giusto.» Le diede un altro boccone di cibo, ed estrasse i rebbi dalle sue labbra con una lentezza del tutto ingiustificata. Quando Elena socchiuse gli occhi, le rivolse quel sorriso freddo e pericoloso che restava sempre confinato alla bocca. «Per questo, da semplice cacciatrice sei appena diventata la minaccia numero uno degli angeli.» «Oh, per favore.» Scosse la testa, quando Dmitri le offrì dei broccoli. Li mangiò lui, con un sorriso, e in cambio le porse una forchettata di piselli. Elena aprì la bocca, mentre rifletteva su quelle parole. «Pistole di quel genere erano già state utilizzate, in passato.» Non poteva essere un segreto; non se erano state usate contro gli angeli. «Sì, lo sappiamo. Quei proiettili causano solo danni temporanei.» Scrollò le spalle. «Finora gli arcangeli li hanno sempre considerati un’arma equa, dal momento che gli umani non hanno molti altri modi per combattere gli esseri alati troppo invadenti.» «Forse ho sbagliato mira», mormorò lei. «Ho colpito un’arteria importante, o qualcosa del genere?» Conosceva molto bene la biologia dei vampiri, ma gli angeli erano tutt’altra storia. «Basta così», disse, quando Dmitri le porse un altro boccone.
Il vampiro posò la forchetta. «Dovrai conservare le tue domande per Raphael... se avrai ancora la lingua per rivolgergliele, naturalmente.» Si alzò e scomparve una seconda volta, per tornare poco dopo con una bottiglia d’acqua. Dopo averne bevuto un sorso, Elena tornò a guardare il vampiro. Era ancora tremendamente sexy, e sembrava sempre pronto a dilaniarle la gola. «Grazie.» Per tutta risposta, lui posò un dito sulla vena che le pulsava nel collo. «Così forte, saporita e dolcemente potente. Non vedo l’ora di cenare anch’io... Peccato non sia tu la mia cena.» Un attimo dopo, se n’era andato. Elena tenne d’occhio la porta, mentre cominciava a dimenarsi sulla sedia, decisa a slegarsi. Dmitri la stava proteggendo dagli altri vampiri, ma chi poteva sapere fino a quando sarebbe riuscito a farlo? L’unico problema era che a legare le corde era stato un maestro, o almeno così sembrava. Ma, con un maestro di tale calibro, ogni sofferenza diventa piacevole. Bondage. Probabilmente, a Dmitri piaceva legare le sue donne in posizioni d’ogni genere. Elena arrossì in volto. Non lo desiderava... non quando non l’attirava con quel dannato profumo. Ma, non appena il vampiro esercitava il suo potere su di lei, si scioglieva. E non le andava affatto di sciogliersi contro la sua volontà. Nemmeno per un arcangelo. Serrò la mascella, al ricordo di quello che era avvenuto nell’ufficio di Raphael. Adesso che gli aveva sparato, si sentiva un po’ meglio nei confronti dell’intero incidente. Come se avesse pareggiato i conti. Anche se era molto probabile che lui la pensasse diversamente, al riguardo. Aveva solo tentato di portarla a letto. E, per quanto volesse convincersi del contrario, Elena aveva apprezzato quella seduzione serrata... almeno fino a
quando lui non aveva cominciato a controllarle la mente. In cambio, lei l’aveva menomato. Forse irrimediabilmente. Buon Dio, gli aveva distrutto mezza ala. Sentì un bruciore agli occhi, quando le si riempirono di lacrime. Sbatté rapidamente le palpebre, ricacciando quell’emozione indesiderata. I cacciatori non piangevano. Nemmeno per un arcangelo. Ma... e se non si fosse ripreso? Il senso di colpa le formò un grosso nodo allo stomaco, che si faceva sempre più serrato, più rovente e più distruttivo. Doveva riuscire ad andare da lui, e verificare le sue condizioni di persona. «Non ho speranze», mormorò, sapendo che, al posto di Dmitri, avrebbe agito nello stesso modo, isolando la possibile minaccia. Con le braccia affaticate, e i muscoli dei polpacci doloranti, rinunciò a slegarsi, e si rilassò sulla sedia. Di sicuro non sarebbe riuscita a prendere sonno, ma poteva provare a riposare, preparandosi per il chiarimento, al risveglio di Raphael. Proprio quando i muscoli cominciavano a sciogliersi, si ricordò del buco nel muro del suo appartamento. «Dmitri!» Lui apparve un minuto dopo e, a giudicare dall’espressione, non era affatto contento. «Mi hai chiamato, mia signora?» Se le sue parole fossero state appena più taglienti, l’avrebbero fatta sanguinare. Sangue. Stava cercando di farsi uccidere? «Ho interrotto la tua... cena. Ti chiedo scusa.» Dmitri sorrise, senza rivelare i canini. Ma c’erano, ed Elena lo sapeva. «Stai offrendo te stessa come risarcimento? » «Volevo solo avere notizie del mio appartamento... il muro... l’avete chiuso?» «Perché dovremmo?» Scrollò le spalle e si voltò. «È solo un’abitazione umana.» «Brutto pezzo di...»
Dmitri si voltò di scatto. Il suo volto era diverso: letale, sinistro, soprannaturale. «Ho fame, Elena. Non costringermi a rompere la promessa che ho fatto a Raphael.» «Non lo faresti mai.» «Sì, se sarai tu a spingermi. Sarò punito, ma tu sarai morta.» Con quelle parole, se ne andò. La lasciò sola, con un dolore struggente al cuore che le martellava nel petto. La sua casa, il suo rifugio, il suo dannato nido era in balia delle intemperie, e lei non poteva farci nulla. Le venne voglia di raggomitolarsi e di piangere tutte le sue lacrime. Non era preoccupata per i singoli oggetti contenuti nell’appartamento, ma per il luogo in sé. Era la sua casa. Per molto tempo non ne aveva avuta una: dopo che suo padre l’aveva cacciata, era stata costretta ad alloggiare all’Accademia della Corporazione. Nulla di male, ma non era una vera casa. Terminato l’addestramento, aveva convissuto per un po’ con Sara. Quella sì, era stata una dimora comoda e accogliente; ma non sua. L’appartamento, invece, le apparteneva sotto ogni punto di vista. Una lacrima le rigò il viso. «Mi dispiace», disse, mentre cercava di convincersi che stava parlando al suo nido semidistrutto. In verità, quelle parole erano rivolte a un arcangelo. «Non ho mai voluto ferirti.» Una brezza fresca le attraversò la mente. Allora perché portavi una pistola?
20 Elena si fece zitta e tranquilla, come un piccolo topo davanti a un gatto grosso e cattivo, con i denti enormi. «Raphael? » mormorò, anche se conosceva quel profumo fresco e pulito – che le ricordava quello della pioggia – quasi fosse il suo. Ma non aveva nessun senso: com’era possibile che le avesse fatto entrare quel profumo nella testa? Adesso dormi, Elena. I tuoi pensieri mi tengono sveglio. Fece un respiro profondo. «Come stai? Come... come va la ferita?» Sei legata? «Sì.» Aspettò che rispondesse alla sua domanda. Bene. Non voglio che tu sparisca prima di aver avuto la possibilità di parlare con te a proposito del tuo gusto per le armi. D’un tratto, Raphael svanì dalla sua testa. Elena sussurrò di nuovo il suo nome, ma sapeva che non la stava più ascoltando. In breve, il senso di colpa si trasformò in rabbia. Quel bastardo... avrebbe potuto farla slegare, invece non era intervenuto. Aveva i polsi infiammati, la schiena dolorante a causa di quel dannato schienale, e... «E lui ha tutti i diritti di avercela con me.» Raphael l’aveva spaventata a morte, quella sera, tenendola in bilico sul cornicione, ma non le aveva fatto nessun male. Lei, invece, gli aveva sparato. Aveva un valido motivo per essere furioso. Ma non per quello lei doveva gradire la situazione. E poi, restava sempre il fatto che aveva tentato di costringerla a fare sesso con lui. Per quanto fosse stato umiliante, quella sera gli aveva detto la verità: se solo avesse aspettato, molto probabilmente gli si sarebbe strusciata contro alla prima occasione. Il solo pensiero la fece avvampare. Non appena fosse uscita da lì, si sarebbe fatta tatuare la scritta IDIOTA sulla fronte. Fin
dall’inizio si era ripetuta di essere cauta: non doveva dimenticare che per Raphael era solo una fonte di divertimento, che lui avrebbe gettato via non appena si fosse stancato. Ma, apparentemente, ai suoi ormoni non importava. L’arcangelo riusciva sempre a infiammarla. E la cosa peggiore era che lei non poteva attribuire quell’attrazione al mero desiderio. Raphael era un maschio troppo intrigante, non poteva essere una cosa così semplice. Quella sera, però... non era in sé. O forse sì, sussurrò un’altra parte della sua mente. Forse, l’estraneo cui aveva sparato era il vero arcangelo di New York, una creatura capace di torturare un altro essere fino a ridurlo a un oggetto urlante e distrutto, simile all’esemplare di un’arte mostruosa. Raphael aveva gli occhi chiusi, ma non dormiva davvero. Era caduto in un coma semicosciente, una condizione sconosciuta a umani e vampiri. Gli angeli parlavano di anshara, uno stato che poteva essere raggiunto solo da chi aveva superato il mezzo millennio di età, e che consentiva di usare la ragione e, al tempo stesso, di riposare profondamente. Mentre la sua parte consapevole era impegnata a guarire la ferita che gli aveva procurato Elena, la parte priva di conoscenza dormiva. L’ anshara era utile, ma non poteva essere provocato volontariamente. Si verificava soltanto quando un angelo veniva ferito gravemente. Una circostanza che si era verificata di rado, negli ultimi ottocento anni di vita di Raphael. Quand’era ancora giovane, e inesperto, qualche volta gli era capitato di ferirsi, o di essere ferito. Si rivide mentre danzava in cielo, prima che le sue ali s’impigliassero e lui precipitasse a terra, sapendo che il suo sangue avrebbe formato un tappeto rosso sul prato. Ricordi antichi. Del ragazzo che era stato.
Braccia e gambe fratturate, il sangue che sgorgava dalle labbra rotte. E lei, in piedi sopra di lui, che gli parlava con la sua voce sommessa. «Sstt, tesoro. Sstt.» Una sensazione di puro terrore gli attraversò le vene. Il suo cuore era gravato dalla consapevolezza di non potere nulla, contro di lei... sua madre, il suo incubo peggiore. Capelli corvini, occhi azzurri, era l’immagine femminile su cui era stato modellato. Ma allora era già vecchia. Molto vecchia. Non nell’aspetto, ma nell’anima. E, a differenza di Lijuan, non si era evoluta. Era solo... degenerata. Spostando lo sguardo sul presente, vide la ferita che si rimarginava, piuma dopo piuma, ma ciò non fu sufficiente a tenere a bada i ricordi. Durante l’anshara, la mente vomitava cose che per lungo tempo erano rimaste chiuse in qualche angolo recondito, e stendeva sull’anima un velo opaco che nessun mortale poteva sperare di comprendere. Erano i ricordi di centinaia di vite mortali. Era così vecchio... ma, no, non era ancora antico. Quei ricordi non erano interamente suoi. Alcuni appartenevano alla razza, erano i depositari segreti di tutta la loro conoscenza, nascosti nella mente dei bambini. Anche i ricordi di Caliane tornarono in superficie. Stava osservando il suo corpo danneggiato e sanguinante, da una posizione accovacciata, mentre con la mano gli scostava i capelli dal viso. «Adesso fa male, ma era necessario.» Il ragazzo a terra non era in grado di parlare. Stava annegando nel suo stesso sangue. «Non morirai, Raphael. Non puoi. Sei immortale.» Si chinò e gli stampò un fresco bacio sulla guancia dilaniata e insanguinata. «Sei figlio di due arcangeli.» La fiamma del tradimento divampò negli occhi del ragazzo, rimasti miracolosamente intatti. Suo padre era morto. Gli immortali potevano morire.
Un’ondata di tristezza investì Caliane. «Doveva morire, tesoro. Altrimenti, l’inferno avrebbe regnato sulla terra.» Gli occhi del giovane si fecero più cupi, più accusatori. Caliane trasse un sospiro, e poi sorrise. «E devo morire anch’io... per questo sei venuto a uccidermi, giusto?» Si lasciò andare a una risata sommessa, felice. «Non puoi uccidermi, mio dolce Raphael. Solo un altro membro del Quadro dei Dieci può annientare un arcangelo. E nessuno di loro mi troverà mai.» Quello era l’ultimo ricordo che aveva di Caliane... era stata lei a passargli quel frammento di memoria, mentre giaceva a terra ferito. Le sue condizioni erano talmente gravi che per mesi non era riuscito nemmeno a strisciare. Non aveva neanche alzato gli occhi per osservarla, mentre si alzava in volo. L’ultima immagine di sua madre era quella dei suoi piedi nudi che camminavano leggeri sul prato, lasciandosi dietro una scia di polvere d’angelo. «Madre», provò a dire. «Sstt, tesoro. Sstt.» Poi, una raffica di vento gli soffiò la polvere negli occhi. Al suo risveglio, Caliane se n’era andata. E davanti a lui c’era il volto di un vampiro. Figlio del sangue Si nutrì. Le sue ossa inaridite si gonfiarono, colmandosi di vita. Ma non gli bastava. Voleva di più. Molto di più. Era quella l’estasi che gli altri avevano tentato di tenergli nascosta, mentre accrescevano il proprio potere. Ma adesso avrebbero pagato. Il sangue gli gocciolò dai canini, mentre lanciava il suo grido di sfida. Un grido che squassò i vetri delle finestre di ogni edificio, nel raggio di un chilometro. Era giunto il momento.
21 Sul volto di Dmitri era dipinta un’espressione di puro sollievo. «Sire?» «Che ore sono?» chiese, con voce squillante. L’anshara aveva sortito il suo effetto. Ma presto Raphael avrebbe dovuto pagare il prezzo preteso. «È l’alba», gli rispose il vampiro, con il suo tono consueto. Raphael si alzò dal letto e fletté l’ala. «La cacciatrice?» «È legata, in un’altra stanza.» L’arto ferito era tornato normale, con un’unica differenza. L’arcangelo abbassò lo sguardo sul disegno interno. Le lisce pennellate d’oro erano interrotte nel punto d’impatto del proiettile di Elena. Adesso, la metà inferiore dell’ala aveva un disegno meraviglioso, oro su bianco: un’esplosione che partiva da un punto centrale. Raphael sorrise. Dunque, avrebbe portato per sempre il marchio della violenta reazione della giovane cacciatrice. «Sire?» fece Dmitri, curioso, notando il suo sorriso. Raphael tenne lo sguardo fisso sull’ala, e sul segno provocato dal suo stato di Quiete. Sarebbe stato un utile memento. «Le hai fatto del male, Dmitri?» Lanciò un’occhiata al suo secondo, e notò i capelli arruffati e gli abiti spiegazzati. «No.» Le labbra del vampiro s’incurvarono in un sorriso ferale. «Ho pensato che avresti reclamato per te quel piacere.» Raphael toccò la mente di Elena. Dormiva, esausta dopo la notte passata a tentare di liberarsi dalla fune che la imprigionava. «È una battaglia tra me e lei. Non voglio che s’intrometta nessuno. Assicurati che gli altri lo sappiano. » Il vampiro non poté nascondere la sua sorpresa. «Non la punirai? Perché?» L’arcangelo non era tenuto a rispondere a nessuno, ma Dmitri era con lui da più tempo di chiunque altro. «Perché sono stato io
ad aggredirla per primo. E lei è mortale.» Dmitri parve comunque poco convinto. «Elena mi piace, ma, se gira voce che non è stata punita, qualcuno potrebbe mettere in discussione il tuo potere.» «Assicurati che comprendano tutti che Elena ha un ruolo molto importante nello schema delle cose. Chiunque oserà sfidarmi, finirà per rimpiangere il trattamento che ho riservato a Germaine.» Dmitri sbiancò in volto. «Posso farti una domanda?» Attese, finché il silenzio di Raphael non lo invitò a continuare. «Come ha potuto ferirti così gravemente? Ho controllato il proiettile che ha usato... avrebbe dovuto causarti solo un lieve danno, per concederle un vantaggio di una decina di minuti.» Allora sarà lei a uccidere te. Ti renderà mortale. «Avevo bisogno di essere ferito», rispose, ambiguo. Dmitri sembrò frustrato. «Potrebbe succedere di nuovo? » «Farò in modo che non accada», disse Raphael, e in quel momento provò compassione per il leader dei Sette. «Non preoccuparti. Non sarai costretto a veder tremare questa città sotto il dominio di un altro arcangelo. Non prima dell’eternità.» «Ho visto che cosa possono fare.» Gli occhi del vampiro furono attraversati da un fiume turbinante di ricordi. «Sono stato alla mercé di Neha per un secolo intero. Perché non mi hai fermato, quando mi sono ribellato alla tua autorità?» «Avevi duecento anni», sottolineò Raphael, mentre si dirigeva verso il bagno. «Eri abbastanza vecchio per fare le tue scelte.» Dmitri sbuffò. «Ero solo arrogante. E non avevo le conoscenze che avrebbero supportato un simile atteggiamento. Ero un dannato cucciolo con illusioni di grandezza. » Fece una pausa. «Ti sei mai chiesto... se non fossi una spia?» «Se lo fossi stato, saresti morto.» Dmitri sorrise. Raphael
restava ogni volta sorpreso dalla lealtà che gli leggeva negli occhi. Era incredibilmente potente: avrebbe potuto avere una sua fortezza, e invece aveva scelto di offrire la sua vita a un arcangelo. «Adesso voglio farti io una domanda.» «Chiedi pure, sire.» «Perché credi che voglia risparmiare la vita a Elena?» «Hai bisogno di lei per rintracciare Uram. E poi... c’è qualcosa in lei che ti affascina. E non sono molte le cose in grado di affascinare un essere immortale.» «Inizi a sentire le prime avvisaglie della noia?» «La vedo all’orizzonte... come la combatti?» Raphael non era sicuro di averla combattuta. «Come hai appena detto tu, sono pochissime le cose capaci di affascinare un essere immortale.» «Ah.» Il sorriso di Dmitri assunse una valenza erotica. Non era raro vedere un’espressione simile, sul volto di un vampiro. «Dunque, devi assaporare ciò che ti affascina.» Elena si svegliò con la vescica piena. Per fortuna, i cacciatori venivano addestrati a trattenere i bisogni fisici: certe battute di caccia prevedevano ore e ore di sorveglianza immobile. Eppure non era un grande conforto. Ti mando Dmitri. Elena avvampò in volto. La sua pelle si fece rovente, quasi avesse riportato ustioni di terzo grado. «È tua abitudine spiare la gente?» Per quanto tentata, non provò a ricorrere allo scudo protettivo che aveva scoperto di poter sviluppare, con conseguente emicrania. Meglio riservarlo ai momenti in cui Raphael avrebbe tentato di confonderle davvero la mente. No. Di solito gli umani non sono molto interessanti. L’arroganza di quella risposta la sbalordì... ma giunse molto gradita. Era quello l’arcangelo che conosceva. «Non voglio che quel vampiro mi accompagni in bagno. Sono abbastanza sicura che cercherebbe di mordermi.»
Allora aspettami. Quelle parole le fecero venire voglia di urlare. «Chiedigli di slegarmi. Non posso certo tentare la fuga, con te in giro.» Non credo che Dmitri si fidi di te, con mani e piedi slegati. Stava per dirgli esattamente che cosa pensava del suo commento, quando la porta si aprì ed entrò il capo della sicurezza. Dall’aspetto doveva aver trascorso la notte in piedi. La camicia era spiegazzata, i capelli arruffati. Ma quell’aria scarmigliata riusciva solo a renderlo più sexy e attraente. «I vampiri dormono?» Dmitri le lanciò un’occhiata stupita. «Sei una cacciatrice. Non lo sai?» «So che dormite. Ma ne avete davvero bisogno?» Rimase perfettamente immobile, mentre lui andava a mettersi alle sue spalle. «Dmitri?» Le sue dita fredde le scostarono i capelli, per scoprirle la nuca. «Possiamo restare svegli più a lungo di voi umani. Ma, sì, il sonno serve anche a noi.» «Smettila», mormorò Elena, mentre lui continuava ad accarezzarla con le nocche. «Non sono in vena.» «Sembra promettente.» Sentì il suo respiro sulla nuca, un posto pericoloso per un vampiro che non si nutriva da un po’, come lasciavano intendere le sue mani fredde. «Che cosa posso fare per renderti dell’umore adatto?» «Slegami e fammi usare il bagno.» Dmitri ridacchiò, e un attimo dopo la giovane si sentì strattonare i polsi. Le funi caddero magicamente a terra. «Come diavolo...?» «Ho imparato la tecnica del bondage da un vero esperto dell’arte», sussurrò lui, giocherellando con i suoi capelli mentre la slegava del tutto. Avrebbe voluto dirgli di smetterla, in malo modo, ma in fondo non le stava facendo male. Inoltre, ora che Raphael era
sveglio, aveva la sensazione che non fosse il vampiro la vera minaccia. «Il bagno?» chiese balzando in piedi, non appena fu libera. «I miei muscoli...» si lamentò poi, gemendo. «Perché diamine hai stretto tanto? » Gli lanciò un’occhiata maligna. «Forse volevo fartela pagare», le rispose, massaggiandosi la gola con la mano. «Credevo ti piacesse il dolore.» Il viso del vampiro s’increspò in un sorriso oscuro. Un sorriso che prometteva cattiverie che le avrebbero fatto tanto male... «Ma tu non sei rimasta a giocare con me.» Elena annusò l’aria, sospettosa. Nessun profumo. Dmitri si stava comportando come un vampiro normale. E, per quanto fosse favoloso, non le fece perdere il controllo. Anche se non la lasciò del tutto indifferente: del resto, quale donna non avrebbe subito il suo fascino? «Per l’ultima volta, dov’è il...» Seguì la direzione della sua mano, che indicava una porticina lì vicino. «Grazie.» Una volta dentro, corrugò la fronte e tentò di usare il suo «scudo», anche se non era nemmeno sicura di possederlo: forse era solo il frutto della sua immaginazione, che stava oltrepassando ogni limite. In un momento simile, l’ultima cosa che desiderava era avere Raphael nella testa. Si prese una decina di minuti per svuotare la vescica, lavare il viso e i denti, utilizzando uno spazzolino monouso che aveva trovato sotto il lavabo, e pettinare i capelli con una graziosa spazzola usa e getta. Nel pacchetto c’era anche un piccolo fermaglio bianco, che usò per farsi una coda di cavallo. Il suo era finito chissà dove. Si guardò allo specchio: sì, poteva andare. I tagli sottili sul viso si notavano appena. I palmi erano un po’ doloranti, ma non l’avrebbero limitata nei movimenti. Quanto ai vestiti, la maglietta verde militare sembrava okay, e i pantaloni neri con i tasconi non erano troppo spiegazzati. Per morire, andavano
benissimo. Non che intendesse rendere le cose facili all’arcangelo. Con quel pensiero in mente, smontò svelta un rasoio usa e getta per procurarsi la lametta. «’Fanculo!» «Hai trovato il rasoio, Elena?» giunse la voce di Dmitri, dall’altra parte della porta. «Così mi ferisci. Sottovaluti a tal punto il mio quoziente intellettivo?» Elena gettò i pezzi di plastica nel cestino dei rifiuti. In qualche modo, il vampiro era riuscito a rimuovere la lama senza distruggere il rasoio. «Molto divertente.» Quindi, aprì la porta e uscì. Dmitri era all’estremità opposta della stanza, con la mano ferma sulla maniglia. «Raphael vuole vederti.» Dalla sua voce era sparita ogni traccia di cordialità. «Sono pronta.» Quella risposta parve divertirlo. «Sul serio?» «Che ne dici di darmi almeno un coltello?» provò a contrattare la giovane. «Così non sarebbe uno scontro totalmente impari.» Dmitri aprì la porta. «Se vuole ucciderti, non ci sarà nessuno scontro. Ma, per qualche motivo, non credo siano queste le sue intenzioni.» Era proprio quello che temeva. «Dove andiamo?» «Sul tetto.» Si sforzò di mantenere la calma, mentre si dirigevano verso l’ascensore e salivano all’ultimo piano. Ma non poteva certo dimenticare l’ultima volta in cui era stata lassù. Serrò la mano, al ricordo della spietata disinvoltura con cui Raphael le aveva mostrato la sua capacità di controllare la mente. Perché diamine Elena continuava a dimenticare la sua vera natura? Iniziò subito a concentrarsi, in modo da evitare pensieri «aperti». Le porte si dischiusero a rivelare la gabbia di vetro in cima al
tetto... Elena fu subito investita da un potentissimo déjà vu. Davanti a lei, nel mezzo di quel luogo meraviglioso, c’era una tavola imbandita, splendida e solitaria: tovaglia bianca, croissant, pompelmi, succo e caffè. C’era un’unica differenza: Raphael si trovava dalla parte opposta della terrazza, e le dava la schiena. Elena si dimenticò all’istante di Dmitri, uscì dalla cabina dell’ascensore e si diresse verso l’uscita. Le porte si richiusero subito alle sue spalle, ma si accorse a malapena che l’ascensore si era già rimesso in moto, per riportare di sotto Dmitri. Il suo sguardo era fisso sulle ali dell’arcangelo, e in particolare su quella che, poco prima, aveva visto sanguinare sul pavimento del suo appartamento. «Raphael», disse, uscendo dalla gabbia di vetro. Lui si voltò appena, un gesto che Elena interpretò come un invito a raggiungerlo. Doveva vedere con i suoi occhi che la ferita era guarita completamente. Le ali sembravano perfette, da quella distanza, ma le bastò farsi più vicino per notare quel cambiamento impressionante. «Sembra che il disegno dello sparo sia rimasto impresso sulle piume.» Raphael sollevò l’ala, così che potesse vederla per intero. «Credevo riguardasse solo la facciata inferiore, ma mi sbagliavo.» Elena rimase dov’era, intontita. Era una cicatrice, certo; ma era la più sorprendente che avesse mai visto. «Immagino ti renda conto che ciò rende le tue ali ancora più uniche.» E addirittura più disumane, nella loro bellezza. Raphael abbassò l’ala. «Stai dicendo che quello sparo voleva essere un trattamento cosmetico?» Elena non riuscì a interpretare il tono della sua voce. Cauta, gli si avvicinò di qualche passo, mantenendo comunque un paio di metri di distanza. Fu ancora Raphael a prendere la parola, precedendola. «Sei
ferita.» «Sono solo tagli superficiali.» Gli mostrò i palmi. «Non bruciano nemmeno.» «Sei stata fortunata.» «Già.» Il vetro era molto spesso: sarebbero state più aguzze le schegge di un piatto rotto. «Quindi?» Gli occhi dell’arcangelo si oscurarono fino a raggiungere una sfumatura vicina al nero. «La situazione è cambiata. Non c’è più tempo per giocare.» «Minacciare di buttarmi giù dalla finestra è un gioco, per te?» «Non ti ho minacciata, Elena.» Lei socchiuse gli occhi. «Mi stavi tenendo in bilico su quell’abisso scuro.» Una raffica di vento gli scostò i capelli dal viso. «Ma sei sopravvissuta. Mentre io ho impiegato parecchio tempo a guarire.» «Scusa.» Incrociò le braccia e corrugò la fronte, mettendosi sulla difensiva. «Qual è la punizione?» «L’accetterai docilmente?» Raphael dispiegò le ali in tutta la loro ampiezza. «Assolutamente no», mormorò. «Non ho dimenticato che cosa ha scatenato l’intero incidente.» «Non mi eccita l’idea di prendere una donna contro la sua volontà.» Colta di sorpresa, la giovane lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «Stai dicendo che non l’hai fatto apposta? » «Non ha importanza. Quello che conta è che con il danno che mi hai causato sono costretto a... fare rifornimento. » Elena sentì un brivido d’inquietudine correrle lungo la spina dorsale. «E questo che cosa vorrebbe dire? Hai bisogno anche tu di riposare?» «No. Mi servono iniezioni di energia.» «Come a un vampiro serve il sangue?»
«Più o meno.» Elena aggrottò le sopracciglia. «Non sapevo che gli angeli avessero simili necessità.» «Capita raramente.» Raphael ripiegò le ali e si fece più vicino. «Ci vuole molto perché il pozzo si esaurisca.» Elena se lo trovò accanto, senza averne neppure percepito il movimento. No, stava mentendo a se stessa. Era vicino perché gliel’aveva permesso. «Ieri sera mi hai spaventata a morte.» I suoi occhi azzurri, ora di un blu scurissimo, apparvero chiaramente sorpresi. «Di solito non ti spavento?» «Non così tanto.» Cedette al desiderio di toccargli l’ala, prima che i suoi neuroni urlassero per metterla in guardia. Ma tirò subito indietro la mano: nessuno poteva toccare le ali di un angelo, senza permesso. «Scusa.» Raphael spiegò l’ala «segnata». «Hai bisogno di convincerti che è reale? Che non è un’illusione?» Senza badare al fatto che la sua reazione lo divertiva, Elena fece scorrere le dita sulla parte dell’ala che aveva lacerato con il proiettile. «È così morbida», mormorò. Anche se riusciva a sentire il muscolo, e la forza poderosa che si celava sotto quelle piume soffici. Non riusciva a smettere di accarezzarla, attratta dalla sua calda vitalità, che percepiva come una pulsazione vivente. Tolse le mani. Non avrebbe voluto, ma sapeva di doversi fermare. Si guardò i polpastrelli, e notò che luccicavano. «Polvere d’angelo.» «Assaggiala.» Elena sollevò lo sguardo, vividamente consapevole delle ali che le si chiudevano intorno. «Vuoi che l’assaggi? » «Perché credi che gli esseri umani siano disposti a pagare una fortuna per averla?» «Pensavo fosse una sorta di status symbol... ‘Ehi, guarda la mia fiala di polvere d’angelo: è più grossa della tua.’» Fissò le scintille brillanti che le rivestivano i polpastrelli. «È buona?»
«Per qualcuno è una droga.» Si bloccò con l’indice accostato alle labbra. «Una droga che potrebbe confondermi la mente?» «No. Non ha nessun effetto sul cervello. È una droga per via del gusto... tutto qui.» Elena incrociò quegli occhi splendidi e pericolosi, e si rese conto che sarebbe riuscito a rendere allettante persino l’inferno. «È la tua vendetta?» chiese, mentre assaggiava cautamente la polvere con la punta della lingua. Ambrosia. Un brivido le attraversò il corpo. Arricciò le dita dei piedi, e per poco non si mise a fare le fusa. «Mmm... un lecca-lecca orgasmico.» Per giunta efficace. «E tu te ne vai in giro a spargere questa roba?» A quel pensiero, si sentì avvolgere dai viticci della gelosia. La represse sul nascere, mentre si diceva che avrebbe aggiunto l’aggettivo GRANDISSIMA davanti alla parola IDIOTA che si sarebbe tatuata sulla fronte. «Immagino che i mortali arrivino a strisciare per procurarsela.» Le labbra di Raphael s’incurvarono. «Oh, questa è una miscela realizzata apposta per te.» Le prese la mano, e la costrinse a passarsi sulle labbra un dito che non aveva leccato. «Quella che spargiamo comunemente è paragonabile al cioccolato più delizioso, o al più raffinato dei vini. Decadente, ricca e molto preziosa.» Elena non aveva nessuna intenzione di leccarsi quella polvere scintillante dalle labbra. Così si disse, almeno. «E questa miscela?» Ne sentì il sapore in bocca, senza sapere come ci fosse arrivato. Raphael le stava incredibilmente vicino, e le sue ali creavano un muro bianco e oro intorno a loro, mentre le sue mani calde e forti le stringevano i fianchi. «Che cos’ha di tanto speciale?» L’arcangelo chinò il capo e mormorò: «Sa di sesso». Elena mise le mani sul suo petto, ma non per protestare. Dopo
il sangue e la paura, aveva bisogno di toccarlo, di sapere che quella creatura gloriosa esisteva davvero. «Un’altra forma di controllo della mente?» Raphael scosse la testa, la bocca a un soffio dalla sua. «Quel che è giusto è giusto.» «Giusto?» Elena gli sfiorò il labbro inferiore con la lingua. Per tutta risposta, lui le strinse i fianchi ancora più forte. «Se ti leccassi tra le cosce, il tuo sapore avrebbe lo stesso effetto afrodisiaco su di me.»
22 Nessuna donna sul pianeta sarebbe riuscita a resistere al calore sessuale che Raphael emanava in quel momento. «È questa la tua idea di rifocillarti?» mormorò Elena, mordicchiandogli delicatamente il labbro inferiore. Lui le fece scivolare le braccia intorno alla vita. «Sesso e potere sono sempre stati legati.» A quel punto, la baciò. Elena si sollevò sulla punta dei piedi, per avvicinarsi, e lui la strinse forte a sé. Sollevò le ali, chiudendo fuori il mondo intero, mentre lei si aggrappava alla sua camicia e cercava di non annegare in quell’immensa ondata di piacere. La polvere d’angelo, erotica e afrodisiaca, sembrò penetrare in ogni centimetro della sua pelle, per raccogliersi nel punto rovente tra le cosce. Quella in eccesso si diffuse in tutto il corpo come un flusso di calore. I seni e le labbra ardevano di desiderio. «Come va il rifornimento di energia?» chiese senza fiato, quando la lasciò respirare. Gli occhi di lui erano ancora scurissimi, ma in profondità s’intravedevano sfavillanti scintille azzurre. «Meravigliosamente. » La sua risposta si perse nella foga del bacio successivo. Sotto le sue mani, il torace di Raphael era duro, scolpito, rovente. Desiderava disperatamente adattare il suo corpo a quello dell’angelo, assaggiarlo, baciarlo. Fece scorrere la mano verso l’alto, fino a trovare il colletto della camicia, e la infilò nell’apertura per accarezzargli la spalla. Per reazione, Raphael le afferrò il posteriore con una mano e la sollevò fino a premere la dura sporgenza dell’erezione contro la V tra le sue cosce. In lui non c’era nulla di estraneo o di angelico, in quel momento. Era semplicemente un maschio sexy e stupendo. Oltre che forte. Così forte da farla sentire estremamente femminile. Per la prima volta in vita sua, non dovette contenere
la sua forza di cacciatrice. Erano in pochi a sapere che i cacciatori nati, diversamente da quelli addestrati, erano più forti dei comuni esseri umani, probabilmente per sopravvivere all’incontro con un vampiro infuriato. «Sì», si limitò a dire Raphael, quando gli circondò la vita con le gambe. Continuò a tenerla sollevata come se non pesasse nulla, e quella forza virile era seducente quanto la mano che le circondava le natiche, sicura. «Baci bene, per essere una creatura alata», mormorò Elena, nell’intimità della sua bocca. Per poco non perdeva letteralmente la testa. «E la tua bocca rischia di metterti di nuovo nei guai.» L’arcangelo le infilò una mano sotto la maglietta, allargando le dita forti sulla sua spina dorsale, e provocandole una scossa di piacere. «Ti senti costretta?» «Molto.» In realtà, era stato sincero riguardo alla polvere d’angelo: era puro sesso, ma non sembrava aver avuto nessun effetto sulla sua mente... non più di quanto avesse fatto il desiderio che si era impossessato del suo corpo. In quel momento, Raphael cambiò presa. Continuò a sostenerla, tenendole una mano sotto il sedere, mentre l’altra scivolava davanti fino ad afferrarle un seno. Elena si sentì attraversata da una scarica elettrica. «Non perdi tempo», disse, interrompendo il bacio per prendere fiato. «I mortali non vivono a lungo.» Le pizzicò un capezzolo, attraverso il reggiseno. «Devo approfittarne finché posso.» «Non è divertente. Oh...» Elena si abbandonò al suo tocco, mentre si domandava che cosa accidenti le stesse succedendo. Non aveva mai perso la testa per i vampiri, sebbene ne incontrasse quotidianamente. Era accaduto a molti cacciatori: diavolo, i vampiri anziani non erano solo bellissimi, ma anche furbi, e sapevano esattamente come compiacere un amante. Dmitri ne era l’esempio perfetto.
Eppure Elena non aveva mai ceduto. Sapeva bene che, per quanto attraenti, la consideravano soltanto un diversivo. Aveva lottato duramente per difendere il suo diritto alla vita: non poteva certo attribuirvi un valore così basso. E adesso, eccola qui, avvinghiata a un arcangelo. «Per quanto tempo ti diletti con i tuoi giocattoli?» La mano di lui le circondò il seno. «Finché mi divertono. » Quella risposta avrebbe dovuto attenuare la sua attrazione... ma negli occhi di Raphael ardeva una sfrenata brama sessuale, accompagnata da una passione finora sconosciuta. «Non ho nessuna intenzione di divertirti.» Le mani di lui modellarono la sua carne sensibile. «Allora, sarà per poco tempo.» Il suo tono, però, diceva il contrario. «Adesso, apri la bocca.» Obbedì... per dirgli che non avrebbe preso ordini. Ma lui ne approfittò per intrappolare i suoi sensi con un’ondata di desiderio virile, e con il sapore erotico ed esotico della polvere d’angelo. Elena gli affondò le unghie nella schiena, eccitata dai muscoli robusti che sentiva sotto le dita. Raphael staccò le labbra dalle sue e cominciò a scendere lungo il collo, sfiorandola con i denti e lasciandole dei piccoli segni. «Muoio dalla voglia di scoparti, Elena. » La cacciatrice prese un respiro d’aria fresca, e poi seppellì il volto contro il suo collo, vividamente consapevole della sua mano sui suoi seni. «Che proposta romantica.» Le sue ali le accarezzarono la schiena, mentre le si avvolgevano intorno sempre più strette. «Preferisci dei versi ornati? Poesie in lode della tua bellezza?» Elena rise e leccò la sua pelle, assaporando appieno il suo profumo selvaggio ed essenzialmente virile. L’idea di Raphael che le faceva una serenata era così assurda... «No, apprezzo l’onestà.» Soprattutto se era avvolta da puro fuoco sessuale, un calore oscuro concentrato esclusivamente su di lei.
«Bene.» Raphael cominciò a muoversi. «Fermo.» Elena si dimenò e, con sua grande sorpresa, gli chiese di lasciarla andare. Nell’istante stesso in cui i suoi piedi toccarono terra, si staccò da lui... ma subito dopo dovette appoggiarsi al suo petto per mantenere l’equilibrio sulle gambe tremanti. Lui le mise una mano sulla vita, per sostenerla. «Non ho mai voluto possederti per gioco.» «E io non sono una preda facile.» Elena si passò il dorso della mano sulle labbra. Quando la tolse, era ricoperta da una polvere finissima e scintillante: chissà che aspetto aveva il resto della sua faccia. «Ho appena passato una notte legata su una sedia, amico.» «Stai dicendo che siamo pari?» chiese l’arcangelo, ripiegando le ali. Lo spazio che si creò improvvisamente tra loro le fece notare quanto fosse vicina al margine del tetto. Avanzò di qualche passo, e annuì. «Non sei d’accordo?» Vide uno scintillio negli occhi dell’arcangelo, che avevano il colore del più profondo degli oceani. «D’accordo o no, è un bene che tu ci abbia fermati. C’è una cosa di cui dobbiamo discutere.» «Di che si tratta?» «Sta per giungere il momento in cui dovrai guadagnarti il tuo compenso.» Paura ed euforia cominciarono a scorrerle nelle vene. «Hai individuato Uram?» «In un certo senso.» D’un tratto, il suo viso assunse un’espressione ascetica. Le ultime tracce di sensualità se ne andarono rivelando la splendida struttura ossea che nessun uomo avrebbe mai potuto possedere. «Prima mangiamo. Poi parleremo di sangue.» «Non ho fame.»
«Mangerai lo stesso», ordinò, deciso. «Non voglio essere accusato di maltrattare la mia cacciatrice.» «Cambia aggettivo. Non sono tua.» «Sul serio?» Le sue labbra s’incurvarono lievemente, ma non era affatto divertito. «Eppure ti ho lasciato il mio segno sulla pelle.» Elena si strofinò il dorso delle mani. Quella dannata polverina scintillante non voleva staccarsi. «Se ne andrà con una doccia.» «Forse.» «Lo spero... una cacciatrice che brilla nell’oscurità non riesce esattamente a fondersi con l’ambiente.» Gli occhi scurissimi di Raphael la guardarono con malizia. «Potrei leccartela via.» Le braci che bruciavano sommessamente nel suo corpo divamparono ancora, sciogliendola dall’interno. «No, grazie», disse. Sì ti prego, mormorarono invece le sue membra. «Devo comunque farmi una doccia.» Nello spazio di un secondo, l’austera espressione dell’arcangelo divenne pura sensualità. «Posso lavarti la schiena.» «Un arcangelo che si abbassa a lavare la schiena a una cacciatrice?» gli domandò, sollevando un sopracciglio. «Ci sarebbe un prezzo da pagare, naturalmente.» «Naturalmente.» Raphael drizzò la testa di scatto, senza alcun avvertimento. «A quanto pare, dovremo rimandare la nostra discussione. » Elena si voltò a guardare nella stessa direzione, ma non vide nient’altro che il cielo, la cui luminosità finì per abbagliarla. «Chi c’è, questa volta?» «Nessuno di cui tu debba preoccuparti», la liquidò, con la solita arroganza. Poi spiegò le ali, lasciandola senza fiato. Una creatura di tale bellezza non dovrebbe esistere, pensò.
Era inconcepibile. Soltanto tu mi trovi bello, Elena. Questa volta, non gl’intimò di uscire dalla sua mente. Lo cacciò fuori lei. Raphael sbatté le palpebre, il viso altrimenti senza espressione. «Questo tuo trucchetto... credevo di poterlo aggirare.» «Evidentemente no.» Per l’euforia, le sue labbra s’incurvarono in un sorriso che minacciò di dividerle la faccia in due. Dannazione, se davvero era in grado di... Ma la logica tornò subito a farsi sentire. Ogni volta che ricorreva a quell’espediente finiva per procurarsi un mal di testa infernale; meglio non fare la stupida, quindi, e conservare le energie per i momenti di reale necessità. «’Fanculo la logica.» Raphael le rispose a sua volta con un sorriso, che celava però una punta di crudeltà: le stava rammentando che l’uomo che aveva appena baciato era anche l’arcangelo di New York, che l’aveva tenuta in bilico sopra un abisso mortale, e le aveva sussurrato all’orecchio parole di morte. «Mangia. Io torno tra poco.» Ebbe un altro déjà vu, quando lo vide fare un passo all’indietro, oltre il bordo del tetto. Questa volta, Elena non si mosse, anche se il suo stomaco precipitò in caduta libera. Un attimo dopo l’arcangelo aveva già spiccato il volo. Il vento creato dalle sue ali le sferzò il viso. Ebbe la tentazione di restare lì a guardarlo, ma si voltò: era perfettamente consapevole di camminare su una linea molto sottile. Raphael la desiderava, ma il suo interesse per lei era nettamente distinto dai suoi doveri come arcangelo di New York. Non doveva dimenticarlo: anche ammesso che fosse sopravvissuta a Uram, avrebbe portato comunque il marchio della morte. E il motivo era semplice: sapeva troppo. E non l’aveva ancora costretto a pronunciare il suo giuramento.
Dannazione. Si avviò verso il tavolo imbandito, ed esitò. Meglio tornare all’ascensore, o restare sul tetto? Alla fine, scelse la prima opzione. Credeva di poter affrontare qualunque cosa fosse uscita da quella cabina, mentre era assolutamente certa di non poter sopravvivere a un arcangelo. Come prima cosa, afferrò il coltello posto accanto al suo piatto e lo fece scivolare nello stivale. Aveva una lama pensata per tagliare il bacon, ma era sempre meglio di niente. Poi cominciò a mangiare. Il cibo era carburante, e doveva fare il pieno se doveva andare a caccia. Il cuore pompò adrenalina nelle sue membra, insieme con il morso gelido della paura... che non fece che aumentare la sua eccitazione. Era nata per cacciare. Un rumore alle sue spalle destò i suoi sensi di cacciatrice. «Sempre furtivo, eh, Dmitri?» Aveva sentito il suo profumo nell’istante stesso in cui era uscito dall’ascensore. «Raphael dov’è?» Sorpresa dal suo tono brusco, lo osservò mentre si avvicinava al tavolo. Era sparita ogni traccia della sua elegante sensualità, insieme con tutto ciò che solitamente addolciva la sua vera natura. Scrutando quel viso affascinante, Elena capì che doveva aver assistito alla caduta di re, e al sorgere di nuovi imperi. C’era stato un tempo in cui doveva aver brandito una spada, pensò; era certa che avesse molte più cose in comune con un’epoca spietata di sangue e morte, che non con la civiltà cui alludeva il suo perfetto abito grigio. «È in riunione», gli rispose, indicando un punto nel cielo. Invece di seguire il suo dito, come avrebbero fatto molti umani, il vampiro continuò a fissarla con un’intensità che avrebbe terrorizzato molti, e che probabilmente avrebbe dovuto spaventare anche lei. «Che c’è?» «Che cosa vedi, cacciatrice della Corporazione?» La sua
voce profonda lasciava intendere cose che era meglio non vedere, orrori intrappolati nelle profondità della notte. «Vedo te, con una spada in mano», rispose, sincera. Il volto di Dmitri rimase calmo e misterioso. «So ancora danzare con l’acciaio. Se vuoi assistere allo spettacolo, sei la benvenuta.» Elena si bloccò nell’atto di prendere un piccolo croissant dal paniere. «Raphael ha ritirato l’ordine di non toccarmi? » Aveva creduto di no, ma era stata soltanto una sua supposizione. Che stupida. «No.» La brezza gli scompigliò per un istante i capelli. «Comunque, visto che morirai presto, voglio assaggiarti prima che sia troppo tardi.» «Grazie della fiducia.» Diede un morso al croissant, piuttosto adirata. Una cosa era pensare di non farcela, un’altra era sentirselo dire da qualcun altro. «Ma ti conviene restare fedele alle tue belle biondine. Il sangue di noi cacciatori è troppo aspro per il tuo palato.» «Le bionde sono troppo facili, non c’è gusto.» «Usi i tuoi poteri soprannaturali sulle donne?» Dmitri rise, ma fu più un’eco che un suono vero e proprio: non aveva nemmeno un briciolo del calore che Elena aveva imparato ad associare alla sua persona. E quell’eco parlava di migliaia di ieri, e di un’eternità di domani. «Se la seduzione è un potere, allora sì: ho avuto secoli per perfezionare ciò che un uomo è costretto a imparare in pochi, miserabili anni.» Elena rammentò l’espressione estatica della bionda, e l’avida sensualità dipinta sul volto del vampiro. Ma in quel momento non stava guardando la donna al suo fianco. «Hai mai amato qualcuna?» L’aria sembrò farsi immobile, mentre Dmitri la guardò senza battere ciglio. «Adesso capisco perché Raphael è tanto intrigato da te: non hai molta consapevolezza della tua mortalità.» In men
che non si dica, i suoi occhi dall’aspetto umano divennero pura ossidiana. Niente bianco, niente iridi: solo un nero puro e uniforme. Elena si trattenne a stento dall’afferrare il coltello che aveva infilato nello stivale. Con ogni probabilità, lui l’avrebbe decapitata prima ancora che fosse riuscita a sfiorarlo. «Bel trucchetto. Sai fare anche il giocoliere?» Seguì una pausa colma di morte. Poi, Dmitri scoppiò a ridere. «Ah, Elena. Credo proprio che mi dispiacerà vederti morta.» Elena si rilassò, e percepì il cambiamento nel suo umore ancor prima che il suo sguardo tornasse normale. «Buono a sapersi. Magari potresti dare il mio nome a una figlia.» «Non possiamo avere figli, lo sai. Solo i vampiri appena Creati sono in grado di farlo.» «Di solito mi occupo di vampiri sotto i cento anni... non ho molti contatti con gli anziani. Non abbastanza da intrattenermi con loro in lunghe conversazioni, comunque. » Finì il suo succo d’arancia. «Che cosa intendi per ‘appena Creati’?» «Sono i vampiri sotto i duecento anni.» Alzò le spalle, un gesto molto umano. «Non ho mai sentito di concepimenti o fecondazioni, dopo quell’età.» Duecento anni. Almeno il doppio della vita di un uomo. E Dmitri ne parlava come se non fossero niente. Quanti anni aveva, quindi? E quanti ne aveva colui che chiamava «sire»? «Ti rattrista? Il fatto di non poter avere figli?» Un’ombra gli oscurò il viso. «Non ho mai detto di non essere stato padre.» Il ritorno di Raphael le impedì di soffocarsi con il boccone che stava masticando. In qualche modo sentì di dover sollevare lo sguardo. Le sue ali, illuminate dal sole, sembravano brillare di luce propria. «Splendido», disse lei in un sussurro. «Vedo che sei caduta vittima del suo fascino», commentò
Dmitri. Elena si costrinse a distogliere lo sguardo, per riportarlo sul capo della sicurezza. «Geloso?» «No. Non ho bisogno degli avanzi di Raphael.» La giovane socchiuse gli occhi, ma evidentemente lui doveva dirle ancora qualcosa. «Ora non sei più nella posizione di giudicare chi sceglie i vampiri come amanti.» Un filo di profumo l’avvolse come un viticcio, insidioso e seducente. «Non se porti i colori di Raphael sulla pelle.» Si era scordata di quella dannata polverina. Sollevò una mano e si strofinò il viso. Quando si guardò le dita, riconobbe quel bagliore d’oro bianco. La tentazione di portarsele alla bocca per leccarle fu talmente forte che dovette fare uno sforzo per abbassare le mani, e stringere le cosce. La polvere lasciò delle strisce sul tessuto nero dei pantaloni: scie brillanti e accusatorie. Dmitri aveva ragione: si era lasciata conquistare dal fascino dell’arcangelo. Ma ciò non significava che si sarebbe concessa anche al vampiro, nonostante il suo aroma sensuale e peccaminoso. «Vedi di smetterla, o ti cavo i canini mentre dormi », disse sottovoce. «Dico sul serio, Dmitri.» Il suo profumo l’avvolse completamente, infiltrandosi addirittura nelle vene. «Sei così sensibile, Elena. Così squisitamente sensibile. Devi essere stata esposta alla nostra bellezza in tenera età.» Adesso c’era una punta di collera nel suo tono, come se trovasse quell’idea ripugnante. «Chi era?» le chiese, mentre faceva svanire quel viticcio del suo profumo. Drip. Drip. Drip. Vieni qui, piccola cacciatrice. Assaggia. Elena ebbe il voltastomaco. Aveva dimenticato il suo
profumo. Aveva seppellito il ricordo di quella vergognosa sensazione di calore che aveva avvertito in mezzo alle cosce, e l’incomprensione nella sua mente di bambina. «È morto», mormorò, mentre guardava Raphael che atterrava sul bordo del tetto, e si avviava verso di lei. «L’hai ucciso?» «Mi puniresti, se così fosse?» «No. Sarò anche un mostro, ma non tormento i bambini », le rispose, con voce stranamente gentile. Tacquero entrambi, quando si avvicinò l’arcangelo. La paura le strinse il petto in una morsa, quando lo vide veramente : splendeva di quell’immensa energia che prometteva morte. Elena spinse indietro la sedia e si alzò. Ma lasciò il pugnale nello stivale. Non aveva bisogno di contrastarlo, se la sua ira non era rivolta a lei. «Raphael », disse, quando andò a mettersi dalla parte opposta del tavolo. L’angelo la guardò con i suoi occhi azzurri e fiammeggianti, ma la sua attenzione era concentrata su Dmitri. «Dove sono i corpi?» «A Brooklyn. Erano...» «Sette», lo interruppe. «Michaela ha ricevuto una consegna speciale questa mattina: i loro cuori.»
23 «Uram?» chiese Elena, cercando di non pensare alla disgustosa «consegna» appena descritta da Raphael. «E...?» «Dopo», la liquidò l’arcangelo, interrompendola con un gesto della mano. «Prima andiamo sul posto, per vedere se riesci a trovare una pista.» «Lui è un arcangelo. Io sento i vampiri», sottolineò lei per la milionesima volta, ma nessuno dei due la stava ascoltando. «Ho organizzato il trasporto», disse Dmitri, ed Elena ebbe la sensazione che si stessero scambiando più informazioni di quante riuscisse a coglierne. Raphael scosse il capo. «La porto io. Più aspettiamo, più l’odore si dissiperà.» Le tese la mano. «Vieni, Elena.» Lei non discusse, divorata dalla curiosità. «Andiamo.» Un attimo dopo, si ritrovò stretta al petto dell’arcangelo, che la trasportò fino a un magazzino abbandonato in una zona remota di Brooklyn. Tenne gli occhi chiusi per quasi tutto il viaggio: Raphael era ricorso di nuovo all’incantesimo dell’invisibilità, e questa volta l’aveva esteso anche a lei. Il fatto di non vedersi le dava la nausea. «Lo senti?» le chiese lui, dopo essere atterrato su uno spiazzo sterrato. Elena prese un respiro profondo e fu investita da un miscuglio di odori. «Ci sono troppi vampiri. Non sarà facile distinguerli.» Non riusciva a scorgere nemmeno un succhiasangue, o qualunque altra creatura vivente, ma sapeva che c’erano... anche se nessuno sarebbe voluto finire in un luogo del genere. La rete metallica su entrambi i lati era crivellata di buchi, gli edifici erano ricoperti di graffiti, e l’erba sotto i loro piedi era incolta e diradata. Un senso di abbandono permeava ogni cosa, ma al di sopra di tutto c’era un tanfo di rifiuti marci... Mischiato
a un odore ancora più ripugnante. Elena inghiottì la bile che le era salita in gola. «D’accordo. Fammi vedere.» Raphael le indicò il magazzino che aveva di fronte. «Là dentro.» Il portello si aprì all’istante, scorrendo verso l’alto, anche se Raphael aveva parlato a bassa voce. Elena si chiese se fosse in grado di comunicare mentalmente con tutti i suoi vampiri. Ma non glielo domandò. Non ne ebbe il tempo. Perché, d’un tratto, il fetore d’immondizia e di abbandono fu spazzato via da un puzzo ben più rivoltante. Sangue. Morte. Il miasma nauseabondo di fluidi corporei lasciati a cuocere in un ambiente privo d’aria. Ebbe un conato di vomito. «Non avrei mai pensato di dire una cosa simile, ma vorrei che Dmitri fosse qui.» In un momento simile, il suo profumo seducente sarebbe giunto più che gradito. Quel pensiero fu subito seguito da un fresco profumo di pioggia. Lo inspirò, e poi scosse la testa. «No. Non posso permettermi di trascurare gli indizi. Grazie comunque.» Non ebbe più esitazioni, ed entrò in quel luogo orrendo. Il magazzino era enorme, ma l’unica luce proveniva da strette finestre che si aprivano nelle pareti, in alto. Il suo cervello non riuscì a spiegarsi lo splendore penetrante di quella luce, finché lei non sentì uno scricchiolio di vetri sotto i piedi. «Le finestre sono tutte rotte.» Raphael non rispose, ma andò a mettersi alle sue spalle come un’ombra notturna. Elena avanzò sui vetri, che scricchiolarono sotto i suoi passi, e si fermò su un tratto di cemento sgombro da detriti. Cercò di concentrarsi. Immobile, ampliò i suoi sensi, e cominciò a cercare. Drip. Drip.
Drip. No, pensò, digrignando i denti. Non era il momento di perdere il controllo. Drip. Drip. Drip. Scosse la testa, ma quel suono – il rumore sommesso delle gocce di sangue che cadevano su una superficie dura – non accennava ad andarsene. «Il gocciolio», disse a voce alta, rendendosi conto che non era nella sua testa. L’orrore le tolse il fiato, ma si costrinse a proseguire nell’oscurità, verso il fondo di quell’antro. A poco a poco, cominciò a mettere a fuoco quella scena da incubo. All’inizio, non riuscì a capire che cosa stava vedendo. Era tutto al posto sbagliato. Sembrava quasi che uno scultore avesse mescolato i suoi pezzi, rimettendoli a posto con una benda sugli occhi. Una gamba era stata conficcata nello sterno di una donna, mentre il torso terminava in un moncherino sanguinolento. E quell’altra creatura aveva due splendidi occhi azzurri, ma al posto sbagliato... la stavano fissando da uno squarcio che si apriva nel collo. Drip. Drip. Drip. E il sangue... era ovunque. Elena abbassò lo sguardo, in preda a un nuovo orrore. Era terrorizzata all’idea di trovarsi in mezzo a quella pozza. Provò uno schiacciante senso di sollievo, quando vide che i rivoli scorrevano lentamente, ed era possibile evitarli. Ma i corpi continuavano a gocciolare, appesi a un groviglio di corde come il più macabro dei puzzle. Adesso che aveva abbassato lo sguardo, non voleva più rialzarlo. «Elena.»
Udì il fruscio delle ali dell’arcangelo. «Un minuto», mormorò, con voce rauca. «Non c’è bisogno che guardi. Devi solo seguire l’odore. » «Mi serve un campione, se voglio andare da qualche parte. Quello che ha fatto recapitare a Michaela...» «I cuori? Michaela ha distrutto il pacco. Era in preda a una crisi isterica. Fai quello che puoi, qui. Dopo andremo a farle visita.» Elena annuì e deglutì. «Di’ ai tuoi vampiri di sgombrare l’area intorno al magazzino... almeno per un raggio di cento metri.» Stava ricevendo troppi impulsi sensoriali, come se la mera quantità di sangue stesse amplificando ogni cosa, inclusa la sua abilità di cacciatrice. «Lo stanno facendo in questo preciso istante.» «Se c’è qualcuno come Dmitri, deve abbandonare la zona.» «No, non c’è nessuno come lui. Vuoi sentire l’odore di quelli che sono entrati, per scartarli?» Poteva essere un’idea, ma, se avesse voltato le spalle a quella follia, non sarebbe più tornata sui suoi passi. «Qualcuno di loro si è avvicinato ai cadaveri?» Una pausa. «Illium si è incaricato di verificare se c’era qualche superstite.» «Mi sembra ovvio che sono tutti morti.» «C’era qualche dubbio su quelli sul pavimento...» Era rimasta così sconvolta da quei corpi appesi, da non prestare attenzione al mucchio sottostante. O forse si era rifiutata di vedere. Abbassò lo sguardo, e se ne pentì all’istante. A differenza degli altri, quelli sembravano addormentati, ammassati l’uno sull’altro. «Erano già sistemati così?» «Sì», rispose una voce nuova. Elena non si voltò, immaginando che si trattasse di Illium. «Le tue ali sono blu?» gli chiese, coprendo il dolore e la compassione che provava in quel momento con un velo di
sarcasmo. Le tre ragazze a terra erano così giovani... i loro corpi erano lisci, non segnati dal passare degli anni... «Sì. Ma il mio uccello no, nel caso te lo stessi chiedendo. » Fu quasi sul punto di ridere. «Grazie.» Quel commento l’aveva scossa dall’incubo in cui si era ritrovata, consentendole di pensare di nuovo razionalmente. «Il tuo profumo non interferirà con i miei sensi.» Il suo olfatto era dieci volte superiore a quello della maggior parte degli umani, ma, quando si trattava di cacciare, riusciva a sintonizzarsi esclusivamente sui vampiri. Almeno in condizioni normali. In quella situazione... Udì un rumore di passi che indietreggiavano. Aspettò, finché non ebbe sentito la porta che si richiudeva. «Gli hai tolto le piume e lui ti rimane fedele?» chiese, mentre con gli occhi seguiva i contorni dei cadaveri. Una sinfonia di membra intatte e ingarbugliate, e di spine dorsali curve, segnate soltanto dal gelido grigiore della notte. «Al mio posto, altri gli avrebbero tolto le ali.» Un angelo privo di ali. Le fece venire in mente la ferita che gli aveva procurato. «Perché sono tutti così slavati?» La razza dei cadaveri aveva perso ogni importanza. Bianco gesso o mogano opaco, le tre ragazze nel mucchio erano accomunate da un pallore che faceva pensare chiaramente a un vampiro, che si era nutrito del loro sangue fino a prosciugarle. Stava per fare un passo avanti, ma si fermò. «Il medico legale non è ancora stato qui. Non posso toccarli.» «Fa’ tutto ciò che devi. I nostri occhi saranno gli unici a vedere questo orrore.» Elena deglutì. «E le loro famiglie?» «Vorresti che il loro ultimo ricordo fosse una simile immagine di sofferenza?» Ogni singola parola era una fredda lama di rabbia. «Non sarebbe meglio inventare un incidente aereo o d’auto, in cui i corpi sono rimasti sfigurati al di là di ogni possibile riconoscimento?»
Drip. Drip. Drip. Sommerso dal sangue e dalla morte, il suo cervello lottò per respingere immagini di vecchi orrori, che il tempo non sarebbe mai riuscito a cancellare. «Gli altri non li ha dissanguati. Solo le tre ragazze.» «Con gli altri ha giocato.» E, in qualche modo, Elena capì che la creatura maligna che aveva macellato i corpi appesi al soffitto l’aveva fatto davanti alle tre ragazze, ancora vive: le aveva terrorizzate, e si era nutrito della loro paura. Si avvicinò ai tre corpi pallidissimi, evitando l’incubo gocciolante che cadeva dall’alto. Si accovacciò e scoprì l’esile collo di una delle tre, scostando i lunghi capelli neri. «Talvolta, quando muore un essere umano, riesco a percepire meglio l’odore nel punto da cui è stato succhiato il sangue», disse, cercando di coprire il rumore senza fine del sangue che gocciolava sul calcestruzzo, e si diffondeva in tutto l’ambiente. «Oh, Gesù.» D’un tratto, Raphael apparve oltre i cadaveri, con le ali spiegate e sollevate in una posizione piuttosto strana... Le ci volle un momento per capire che stava tentando di evitare la pozza di sangue. Un tentativo che non aveva avuto del tutto successo. Una delle due ali recava una vivace macchia rossa a un’estremità. Elena distolse lo sguardo, costringendosi a guardare il collo dilaniato della giovane che, da una certa distanza, le era parsa serenamente addormentata. «Non l’ha morsa per nutrirsi. Sembra piuttosto che le abbia strappato il collo.» Ripensò alla consegna ricevuta da Michaela e abbassò gli occhi. Anche il cuore non c’era più: era stato estratto dal petto. «Se avesse succhiato, ci avrebbe messo troppo tempo», osservò Raphael, con le ali sempre sollevate dal pavimento.
«Ormai doveva essere famelico. Aveva bisogno di un foro più grande di quello che possono procurare i denti.» Quella descrizione clinica ebbe un effetto calmante, sulla giovane. «Vediamo se riesco a individuare il suo odore.» Tese ogni singolo muscolo, si chinò per avvicinarsi al collo della ragazza e inspirò profondamente. Cannella e mele. Crema per il corpo dolce e vellutata. Sangue. Pelle. Una zaffata acida. Intensa. Un odore forte. Interessante. Stratificato. Pungente, ma non putrido. Ne restava sorpresa ogni volta. Quando i vampiri cedevano al male, non acquisivano magicamente un odore maligno. Conservavano quello di sempre. Se Dmitri fosse diventato un essere malvagio, avrebbe mantenuto il suo fascino, il suo profumo seducente di dolce al cioccolato, glassa e sesso, con ogni guarnizione possibile. «Ce l’ho. Credo.» Ma aveva bisogno di una conferma. Si raddrizzò, e aspettò che Raphael si fosse alzato prima di digrignare i denti e passare sotto il mattatoio che pendeva dal soffitto. Fece ogni singolo passo con estrema attenzione, sapendo che sarebbe potuta scappare da quel magazzino a gambe levate, se fosse stata sfiorata da una sola goccia di sangue. Drip. Udì uno splash accanto al suo piede. Vicino, troppo vicino. «D’accordo, penso che basti», mormorò, prima di fermarsi ad analizzare ancora una volta i vari strati olfattivi. In quel punto era molto, molto più difficile. Anche la paura aveva un suo odore – sudore, urina, lacrime e fluidi più oscuri – che copriva qualunque altra cosa. Annusò con attenzione, ma il terrore le strinse la gola come
una mano che minacciava di soffocarla, impedendole di percepire altro. «A quando risale la morte?» «A due o tre ore fa, forse anche meno.» Sollevò la testa di scatto. «Come avete fatto a individuare questo posto così in fretta?» «Ha fatto parecchio baccano, alla fine.» Il tono della sua risposta lo rese quasi irriconoscibile: era glaciale. Questa volta, però, il motivo della sua freddezza era l’ira, non il misterioso stato di Quiete in cui si trovava quando lei gli aveva sparato. «Un vampiro che vive nei paraggi ha chiamato Dmitri, dopo essere venuto a indagare personalmente. » «Questa mattina mi hai detto che mi sarei dovuta guadagnare il mio compenso. Ti aspettavi una cosa del genere?» «Sapevo soltanto che Uram avrebbe raggiunto un punto critico, prima o poi.» Spostò lo sguardo su quella visione da incubo. «Ma, no... non mi sarei mai aspettato un simile scempio.» Nessuno avrebbe potuto immaginarlo: orrori come quello non sarebbero dovuti esistere. Eppure... «Che cosa succederà a quel vampiro?» «Gli toglierò la memoria. Farò in modo che non ricordi nulla», le rispose, senza il minimo accenno di scuse. Elena si domandò se pensasse di fare lo stesso con lei; in ogni caso, non era il momento di chiederglielo. Raddrizzò le spalle e si concentrò ulteriormente. Niente. «C’è troppa paura, qui dentro. Dovrò farmi bastare quello che ho ricavato dal cadavere.» Indietreggiò con la stessa cautela con cui era arrivata sin lì, cercando di non pensare a ciò che penzolava dal soffitto. Drip. Una goccia di sangue cadde sul cuoio nero e lucido del suo stivale. In preda a un violento attacco di nausea, si voltò e si mise a correre, senza preoccuparsi del fatto che una simile reazione avrebbe potuto tradire la sua debolezza. Quel dannato
portello, che qualcuno aveva abbassato dopo che erano entrati, non voleva aprirsi. La sua mano scivolava sul metallo rovente. Stava per mettersi a urlare, quando riuscì a sollevarlo di un paio di spanne. Si sdraiò sul ventre e strisciò fino a ritrovarsi dall’altra parte, sulla terra sterile del cortile. Sotto il sole luminoso, si sollevò sulle ginocchia e vomitò. Raphael la raggiunse in un istante. Fece per allargare le ali per ripararla dal sole, ma Elena gli fece subito segno di abbassarle: aveva bisogno di quel calore... sentiva il gelo nell’anima. Non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimase in quella posizione. Ma, non appena si tirò su, si rese conto di essere osservata. Chi erano? I vampiri che aveva fatto uscire dal magazzino? Illium? Guardavano la cacciatrice mentre vomitava la colazione. Si pulì le labbra con un lembo della maglietta. In bocca aveva un sapore disgustoso, ma non si sentiva minimamente in imbarazzo: soltanto un mostro sarebbe rimasto impassibile davanti a una scena simile... un mostro come l’assassino che l’aveva cosparsa di sangue quando non aveva nemmeno l’età per uscire con un ragazzo. «Dimmi perché», riuscì a dire, con voce roca. «Più tardi», rispose Raphael, perentorio. «Adesso trovalo. » Aveva ragione, naturalmente. L’odore che si era lasciato dietro sarebbe svanito, se non si fosse affrettata. Senza dire nulla, con la punta dello stivale gettò un po’ di terra sulla sua povera colazione, e cominciò a correre lentamente intorno al magazzino, nel tentativo d’individuare il punto d’uscita di Uram. Molti vampiri usavano le porte, ma non era una regola generale. E quell’assassino aveva le ali. Un odore acido e pungente. Si fermò davanti a un piccolo ingresso laterale. Dall’esterno sembrava normale, ma, quando aprì la porta, Elena scoprì che la facciata interna era cosparsa d’impronte insanguinate. Erano
troppo piccole per appartenere a Uram. Spostò lo sguardo, mantenendolo allo stesso livello, fino a incrociare le ombre che penzolavano dal soffitto del locale. Richiuse la porta sbattendola. «Li ha fatti uscire... ha voluto che s’illudessero di avere una via di fuga.» Raphael rimase in silenzio, mentre Elena indietreggiava dalla soglia zigzagando. «Niente», fece lei. «Sento il suo odore solo perché una delle ragazze è riuscita a uscire, e ha dovuto riacciuffarla. » Si chinò a guardare l’erba marrone. «Sangue essiccato », disse deglutendo, e quel semplice gesto le provocò un dolore alla gola infiammata. «Quella poveretta era riuscita ad arrivare fin qui.» Corrugò la fronte. «C’è troppo sangue, però.» Accanto a lei, Raphael si pietrificò. «Hai ragione. C’è una scia che parte dalla porta.» Sapeva che lui aveva la vista più aguzza della sua. Come i rapaci, gli angeli erano in grado di scorgere i dettagli più piccoli anche in volo. «Non può essere di Uram», mormorò Elena. «L’avrei sentito.» Gli andò dietro, mentre seguiva la scia (dal canto suo, non riusciva a vedere più in là di un paio di metri). «Forse ha trascinato un cadavere qui fuori?» Erano giunti alla recinzione metallica. Elena s’inginocchiò per esaminare il piccolo buco visibile nella parte inferiore. «C’è del sangue, sui bordi del foro.» L’eccitazione la investì come un pugno a due mani. «Dovrò volare dall’altra parte.» Mentre Raphael si sollevava per scavalcare la rete, lei trovò un buco abbastanza grande da permetterle di passare di là. Il sangue era più evidente, sull’altro lato: non c’era erba a nasconderlo, solo terra battuta. La sua eccitazione lasciò il posto a una speranza struggente. «Qualcuno è passato di qui.» Si alzò in piedi e si ritrovò a guardare la porta di un piccolo capanno, probabilmente la guardiola del parcheggio abbandonato appena
più indietro. Era imbrattata di sangue. «Aspetta qui», ordinò Raphael. Elena lo afferrò per un’ala. «No.» L’occhiata che le rivolse non aveva nulla di amichevole. «Elena...» «Se una delle sue prede è sopravvissuta, la vista di un angelo la spaventerebbe a morte.» Lasciò andare l’arto piumato. «Vado io, per prima. Probabilmente è morta, ma non si può mai sapere...» «È viva», dichiarò lui, sicuro. «Vai a prenderla. Non abbiamo tempo da perdere.» «Una vita non è una perdita di tempo.» Strinse il pugno con forza. «Uram ucciderà migliaia di persone, se non lo fermiamo. E la sua depravazione aumenterà a ogni nuova vittima. » Istantanee dei corpi mutilati all’interno del magazzino si riversarono nella mente di Elena, come una cascata impetuosa. «Farò in fretta.» Si avviò verso la guardiola e prese un respiro profondo. «Sono una cacciatrice», disse ad alta voce. «Sono un essere umano.» Aprì la porta, assicurandosi di togliersi dalla linea di fuoco, nel caso la persona in questione fosse armata. Silenzio. Con la massima cautela percorse il capanno con lo sguardo... finché i suoi occhi non si posarono sul volto di una donna minuta con gli occhi scuri e a mandorla. Completamente nuda, era rivestita da una macchia di sangue color ruggine. Aveva le braccia intorno alle ginocchia, strette al petto, e si dondolava avanti e indietro... Davanti a sé, aveva ancora l’orrore di cui era stata testimone.
24 «Sono Elena», disse sommessamente, senza nemmeno chiedersi se l’altra si fosse accorta della sua presenza. «Adesso sei al sicuro.» Nessuna risposta. Indietreggiò e si voltò a guardare Raphael. «Ha bisogno di cure mediche.» «Illium la porterà da uno dei nostri guaritori.» L’arcangelo si avvicinò, ma la donna cominciò a piagnucolare non appena notò le sue ali. Aveva i muscoli così tesi che avrebbero dovuto spezzarle le ossa per farle distendere gli arti. «No.» Elena le si parò davanti, così che non potesse più vederlo. «Dovrà occuparsene un vampiro. Niente più ali.» La bocca di Raphael si ridusse a una linea sottile, ma non avrebbe saputo dire se per collera o impazienza. In ogni caso, non si mise a controllare la mente della donna. «Ho chiesto a Dmitri di venire qui. Se ne occuperà lui.» Le si gelò il cuore. «Nel senso che la ucciderà?» «Forse non le dispiacerebbe un simile gesto di compassione. » «Non sei Dio, non spetta a te prendere una decisione del genere.» L’espressione di Raphael era l’immagine del silenzio. «Non le succederà nulla, fino al tuo ritorno.» Elena lesse tra le righe. «E poi?» «E poi vedremo.» Un fuoco azzurro ardeva nei suoi occhi. «Potrebbe essere infetta. Dobbiamo sottoporla a un test. Se risulterà positiva, dovrà morire.» «Infetta?» Elena aggrottò le sopracciglia, e poi scosse il capo. «Sì, lo so... non ora.» «Esatto. Il tempo passa», disse lui, con il capo lievemente inclinato verso sinistra. «Dmitri sta per arrivare, ma non può
avvicinarsi finché non avrai individuato la scia di Uram. Non preoccuparti per lei. Il leader dei miei Sette ha un debole per le innocenti vittime di violenza.» Elena annuì, e si chinò. «Dmitri ti aiuterà», disse alla sconosciuta. «Vai con lui, ti prego.» La donna continuava a dondolarsi, ma il lamento cessò, e i suoi muscoli si fecero meno tesi. Elena pregò che Dmitri riuscisse a tirarla fuori di lì senza farle del male, mentre tornava a infilarsi sotto la rete metallica e passava dall’altra parte. «Puoi salire sul tetto?» chiese a Raphael. «Per capire se è decollato da lì.» L’arcangelo annuì e si alzò in volo, mentre lei girava intorno al magazzino. Finalmente trovò la via d’uscita di Uram, sul lato destro della costruzione, a un paio di metri da un vistoso foro nella recinzione metallica. Sapendo che Raphael la stava seguendo dall’alto, s’infilò nella fessura e passò nel lotto di terreno confinante, invaso da una vegetazione incolta. Sull’erba si notava una scia rossa, come se Uram vi avesse passato sopra la mano sporca di sangue. Un attimo dopo trovò una piuma brillante color grigio argento, punteggiata da vivaci chiazze color ambra. La sua bellezza delicata era un insulto, una presa in giro della sofferenza cruenta che lei aveva visto all’interno del magazzino. Vinse l’impulso di farla a pezzi e se la portò al naso, inspirando l’intenso odore di Uram. Individuò subito la caratteristica nota acida, accompagnata da un sentore metallico, che la fece pensare a una lama. Sangue raffinato. E c’era anche una punta di... sole. Elena rabbrividì e s’infilò la piuma in tasca, prima di proseguire. La traccia terminava al centro del campo. «Merda.» Si mise le mani sui fianchi e sbuffò; poi fece un cenno a Raphael, che atterrò con la solita grazia. «Uram se n’è andato volando.» «Sì», confermò lei. «Dannazione, non ho mai avuto questo problema, con i vampiri...» Si sentì bollire il sangue. Voleva
assolutamente acciuffare quel mostro e vendicare tutte quelle giovani vite. «Ma... Dmitri?» «Gli ho detto di avvicinarsi. E, comunque, gli angeli non si muovono sempre volando. Tu sei l’unica che può individuare la sua scia, quando si sposta via terra.» Fece una pausa. «Adesso ti riporto a casa, così potrai farti un bagno e prendere le tue cose.» Diede un’occhiata all’ala sporca di sangue, palesemente disgustato. «Anch’io devo darmi una ripulita.» Elena arrossì, al pensiero di quanto dovesse puzzare in quel momento. «Perché devo prendere le mie cose?» «Questa battuta di caccia non durerà a lungo, ma sarà intensa.» «Uram continuerà a uccidere», disse lei, serrando i pugni. «E lascerà una traccia del suo passaggio.» «Sì.» L’ira di Raphael, per quanto controllata, era così intensa che per poco non le tagliò la pelle. «Dovrai rimanere vicino a me, o a uno dei miei angeli, in modo da poterti portare sul posto non appena scopriremo un nuovo assassinio.» Elena si rese conto di non avere scelta. «Suppongo che mi costringeresti a farlo, se dicessi di no.» Seguì un istante di silenzio, interrotto soltanto dal fruscio dell’erba e delle ali degli angeli che atterravano alle sue spalle, probabilmente per cominciare a pulire. «Uram dev’essere fermato.» Il volto di Raphael era tranquillo, privo di espressione... e perciò tanto più pericoloso. «Non ti pare che un obiettivo simile giustifichi qualunque mezzo?» «No.» Ma la sua mente fu subito invasa da una serie infinita di diapositive: una donna con la bocca piena di organi che sarebbero dovuti restare all’interno del suo corpo; un’altra con la testa impalata su un braccio; una terza che la fissava dalle orbite vuote. «Ma collaborerò.» «Vieni.» Le porse il braccio.
Elena si avvicinò. «Scusa se puzzo.» Si sentì avvampare in volto. Lui la circondò con le braccia. «Sai di polvere d’angelo. » Con ciò, si alzò da terra e avvolse entrambi con il manto dell’invisibilità. Elena chiuse gli occhi. «Non ci farò mai l’abitudine.» «Credevo ti piacesse volare.» «Non mi riferivo a quello.» Si tenne più stretta, sperando di aver allacciato bene gli stivali. Non voleva certo spaccare la testa a qualche passante, se ne avesse perso uno. «Ma al fatto di essere invisibili.» «Non ci si abitua subito all’incantesimo.» «Vuoi dire che non è un dono innato?» chiese, soffocando un brivido di freddo, mentre continuavano a salire. «No. Viene con l’età.» Si morsicò la lingua, per reprimere la domanda che minacciava di uscirle dalle labbra. «Stai imparando a essere discreta, Elena?» Una nota divertita smorzò la furia che sentiva ardere sotto la sua pelle. «Io... io...» Cominciò a battere i denti. Al diavolo la discrezione, pensò, e un attimo dopo gli si strusciò addosso, circondandogli la vita con le gambe. Il suo corpo emanava un calore delizioso. «Sto cercando di non darti altri motivi per volermi uccidere.» Raphael modificò la presa per farla stare più comoda. «Perché dovrei ucciderti, quando posso semplicemente cancellarti la memoria?» «Non voglio perdere i miei ricordi.» Nemmeno quelli più dolorosi: erano parte di lei, della persona che era. Era diversa dalla giovane che ignorava che cosa significasse baciare un arcangelo. «Non portarmeli via.» «Saresti disposta a dare la vita, pur di conservarli?» le domandò, in tono sommesso.
Elena ci pensò. «Sì», rispose, in tono altrettanto pacato. «Preferirei morire come Elena, piuttosto che vivere come un’ombra.» «Siamo quasi arrivati al tuo appartamento.» Si costrinse ad aprire gli occhi: la finestra sventrata era stata riparata alla bell’e meglio con della plastica trasparente. Un lato si era già staccato e svolazzava mosso dal vento. Le si colmarono gli occhi di lacrime, ma si disse che era colpa dell’aria che le sferzava il volto. Raphael si diresse verso quell’angolo, e le chiese di scostare il telo quanto bastava per infilarsi all’interno. Una volta dentro, Elena allargò la fessura per farlo accomodare, e Raphael entrò richiudendo le ali. Il vento invase il salotto, fischiando, mentre la giovane si guardava intorno, con il cuore a pezzi. I frammenti di vetro erano ancora sul pavimento, da quando Raphael aveva infranto la finestra. E così pure il sangue dell’arcangelo. E il suo, nel punto in cui si era tagliata. Una violenta raffica di vento doveva aver scaraventato a terra la libreria e mandato in pezzi il vaso gemello di quello che teneva in camera. Il pavimento era pieno di carte, e le striature sulle pareti facevano pensare a una bufera, a un temporale che aveva distrutto quel poco che era rimasto intatto. La moquette stessa era umida, come l’aria che si respirava nella stanza. Se non altro, la porta era stata sistemata quel tanto che bastava perché restasse chiusa. Elena si domandò se fosse stata sbarrata dall’esterno con delle assi... e se i chiodi ne avessero danneggiato il legno pregiato. «Aspetta un momento», disse, mentre raccoglieva il telefono cellulare, che fortunatamente funzionava ancora. «Preparo la borsa.» Attraversò la moquette cosparsa di vetri e si diresse verso la camera da letto. «Ho il tempo di farmi una doccia?» «Sì.» Prima che lui cambiasse idea, andò a prendere un
asciugamano e della biancheria pulita. «Non mi piacciono i colori che hai scelto.» Elena si bloccò, con in mano un paio di slip di cotone. «Ti avevo detto di aspettare.» Lui entrò e si avvicinò alla portafinestra. «Vedo che ti piacciono i fiori.» «Raphael, vattene.» Le tremò la mano, per quanto la stava stringendo. Lui la guardò da sopra la spalla, con occhi gelidi e letali. «Vuoi litigare solo perché sono curioso?» «Questa è casa mia. Non ti ho invitato a entrare quando hai fatto saltare in aria la finestra e mi hai distrutto il soggiorno, e non l’ho fatto nemmeno oggi.» Stava per avere un esaurimento nervoso, ma si sforzò di mantenere il controllo. «Se non rispetti la mia volontà, giuro su Dio che ti sparerò di nuovo.» Raphael uscì sulla terrazza. «Aspetterò qui fuori. Va meglio, così?» Sorpresa che si fosse disturbato a chiederglielo, ci pensò su. «D’accordo. Ma chiudo la porta.» Raphael restò immobile, mentre Elena chiudeva la portafinestra e tirava le spesse tende di broccato. L’ultima cosa che vide fu il retro di un paio di ali dorate. Ogni volta restava colpita dalla loro bellezza, ma quel giorno era così desolata che non sarebbe riuscita ad apprezzarla. Si sentiva il cuore a pezzi. Se lo massaggiò con la mano chiusa a pugno, prima di entrare in bagno e aprire l’acqua della doccia. Girò la manopola per farla scendere bollente. Fu tentata di coccolarsi e di prendersi un po’ di tempo, ma ci ripensò: quelle povere ragazze meritavano maggiore considerazione. Così, cercò di sbrigarsi, si lavò i capelli con il suo shampoo preferito e usò un bagnoschiuma antibatterico. La polvere d’angelo se ne andò... quasi del tutto. Notò ancora qualche luccichio, mentre usciva dalla doccia, si asciugava e
indossava un completo intimo di cotone nero, un paio di pantaloni puliti con i tasconi, anch’essi neri, e una maglietta blu scuro. Non faceva ancora abbastanza freddo da portare le maniche lunghe durante il giorno, ma si sarebbe dovuta ricordare di prendere un giubbotto antivento. S’infilò calze e stivali, e si spazzolò rapidamente i capelli, prima di raccoglierli in una coda di cavallo. Infine, recuperò le armi dal suo nascondiglio segreto. Non poteva scacciare dalla mente le immagini nauseabonde di quel massacro, ma almeno era pulita e armata di tutto punto. Preparò una piccola borsa, e quando finalmente aprì le tende Raphael era scomparso. Pistola alla mano, aprì la portafinestra. Il messaggio era scritto chiaramente sullo strato di gel antintrusione con cui aveva trattato il muro della terrazza. L’auto ti sta aspettando in strada. Quindi, la porta d’ingresso non era stata inchiodata. Un piccolo gesto di compassione. Infilò la pistola sotto la maglietta, chiuse la finestra e prese la borsa. Stava per uscire, quando le venne in mente di non essersi più fatta sentire dai suoi amici, da quando aveva messo fine alla telefonata con Ransom, la sera prima. Sollevò il ricevitore e chiamò Sara. «Sono viva, anche se non posso dirti altro.» «Ellie, che diavolo sta succedendo? Ci sono angeli che volano per tutta la città, ragazze scomparse e...» «Non posso dirti nulla.» «Merda, allora è vero. C’è un vampiro killer.» Elena non la contraddisse, pensando fosse meglio lasciar circolare quella voce. Non aveva mai mentito a Sara, e non avrebbe cominciato adesso. Lo stesso fatto di tacerle qualcosa le costava fatica. «Tesoro, hai bisogno che mandi qualcuno a prenderti? Abbiamo dei nascondigli di cui nessun angelo è a conoscenza. » Pur fidandosi della Corporazione, non poteva abbandonare la missione che le era stata affidata. Ormai era diventata un fatto
personale. Quelle ragazze... «No, devo andare fino in fondo.» Uram andava fermato. «Chiamami, se hai bisogno.» Elena deglutì. «Mi farò sentire non appena posso. Dillo anche a Ransom, e non preoccuparti.» «Sono la tua migliore amica, è mio dovere preoccuparmi. Dai un’occhiata sotto il cuscino, prima di uscire di casa.» Elena riattaccò e prese un respiro per calmarsi. Quindi, andò in camera e fece come le aveva detto Sara. Le sue labbra s’incurvarono in un sorriso: le aveva lasciato un regalo. Rinvigorita, tornò nel soggiorno devastato. Apparentemente Raphael aveva risistemato il telo di plastica, però Elena sapeva che era una soluzione temporanea. Ma che importanza aveva? I danni avrebbero richiesto una ristrutturazione completa. Alla fine, comunque, sarebbe riuscita a far tornare il suo appartamento com’era. Aveva esperienza in fatto di ricostruzione... Non tollererò un simile abominio sotto il mio tetto. Tutta la sua roba era finita in alcuni scatoloni gettati in mezzo alla strada insieme con la spazzatura, dopo l’ultimo, brutale scontro con suo padre. Se n’era andata di casa e Jeffrey l’aveva punita cancellandola dalla sua vita. Sorprendentemente, era stata Beth a chiamarla... e ad aiutarla a salvare le poche cose risparmiate da pioggia e neve. Dei tesori dell’infanzia non c’era più traccia: Jeffrey aveva acceso un falò nel cortile dietro casa, e li aveva bruciati tutti. Un’unica lacrima sfuggì al suo controllo, ma Elena si affrettò ad asciugarla prima che le rigasse la guancia. «Sistemerò ogni cosa», promise a se stessa. E al posto della vetrata avrebbe fatto costruire un solido muro. Non avrebbe mai più voluto vedere gli angeli. Ma, già mentre lo pensava, sapeva che era una bugia. Raphael le era entrato nel sangue, come una droga mortale
che crea dipendenza. Ma non per quello gli avrebbe facilitato le cose, quando fosse stato il momento di seppellire i segreti del Quadro. «Prima dovrai acchiapparmi, caro il mio angioletto.» Una scarica di adrenalina trasformò il suo sorriso in un’espressione di sfida.
25 L’auto attendeva accanto al marciapiede, una pantera nera con un vampiro appoggiato alla carrozzeria scintillante. Un altro anziano, notò subito Elena. Portava un paio di occhiali da sole, e indossava un abito nero tono su tono. Il taglio di capelli lo faceva somigliare a un modello, ma le labbra... erano pericolose. Da mordere. Sensuali. «Ho l’ordine di non farti nessun male», disse, mentre le apriva la portiera posteriore. Elena gettò la borsa sul sedile, turbata dalla strana familiarità del suo profumo. «Promettente, come inizio.» Quando il vampiro si tolse gli occhiali, restò quasi abbagliata dai suoi occhi verdi, del tutto simili a quelli di un serpente. «Bu!» Elena non sussultò: era già troppo stupita da quello che stava vedendo. «Le lenti a contatto colorate non mi spaventano.» Le pupille del vampiro si contrassero. «Sono stato Creato da Neha.» «La Regina dei Veleni?» «La Regina dei Serpenti.» Le rivolse un sorriso lento e per nulla amichevole. Quindi, si rimise gli occhiali e si spostò per farla accomodare nell’auto. Elena accettò di salire solo perché il vampiro le aveva assicurato di non farle del male. Finché Raphael l’avesse tenuto al guinzaglio, non avrebbero avuto problemi. Ma aveva la netta sensazione che, nell’istante in cui fosse riuscito a liberarsi, avrebbe avuto bisogno di tutte le armi che si era legata al corpo. «Come ti chiami?» chiese al suo «autista». «Per te... Morte.» «Molto divertente.» Gli fissò la nuca. «Perché vuoi uccidermi?» «Perché sono uno dei Sette.» D’un tratto, Elena capì come mai ne aveva riconosciuto il
profumo: era nel suo appartamento, la sera in cui aveva sparato a Raphael. Era stato lui a tenerle le braccia dietro la schiena. Non c’era da stupirsi se voleva sventrarla. «Per tua informazione, Raphael e io ci siamo chiariti. Non è più un tuo problema.» «Noi proteggiamo l’arcangelo da minacce di cui nemmeno si rende conto.» «Grandioso», gli rispose, buttando fuori una boccata d’aria. «Comunque... sei entrato nel magazzino?» La temperatura all’interno dell’abitacolo scese improvvisamente. «Sì.» «Dunque, uccidere la sottoscritta non mi sembra una priorità», disse sommessamente. Ma a quel punto non stava più parlando con lui. «Dove mi stai portando?» «Da Raphael.» Elena osservò le strade che scorrevano fuori dal finestrino, e si rese conto che stavano lasciando Manhattan, in direzione del George Washington Bridge. «Da quanto tempo stai con lui?» «Fai un sacco di domande, per essere già morta.» «Che cosa posso dirti? Preferisco morire bene informata. » Avevano percorso solo un breve tratto del ponte, ma il panorama sembrava quello del Vermont. Gli alberi dominavano lo skyline, nascondendo le dimore lussuose che orlavano quel tratto di costa, quasi tutte con panorami mozzafiato, e terreni immensi. Aveva sentito dire che i viali d’accesso, da quelle parti, erano più lunghi di alcune strade, e il fatto di non riuscire a scorgere nemmeno una costruzione sembrava confermarlo. L’autista si fermò di fronte a un cancello in ferro, e premette un pulsante sul cruscotto. Nonostante l’aspetto antico, i due battenti si aprirono senza il minimo cigolio. Elena trattenne il respiro, quando imboccarono il lungo corridoio d’alberi. Sulle cartine, quella zona si chiamava Fort Lee/Palisades, ma persino i forestieri la chiamavano Enclave degli Angeli. Personalmente, Elena non conosceva nessuno che avesse mai varcato i cancelli
di quelle magnifiche dimore: gli angeli erano molto discreti, quando si trattava delle proprie residenze. Il viale era davvero lungo. Passarono alcuni minuti prima di riuscire a intravedere l’enorme villa, bianca ed elegante. Non c’erano dubbi che fosse stata costruita per una creatura alata, dal momento che il secondo e il terzo piano erano muniti di grandi terrazze. Il tetto era spiovente, ma non così tanto da impedire l’atterraggio. Enormi finestre prendevano quasi tutti i muri e, anche se da quel punto Elena non poteva esserne sicura, le parve che sul lato sinistro ci fosse una straordinaria vetrata colorata. Ma la cosa più impressionante erano le piante di rose – almeno un centinaio – che si arrampicavano sulle pareti, tutte ancora sorprendentemente in fiore. «Sembra uscita da una favola», osservò. Una di quelle favole misteriose e dense di pericoli. Il vampiro scoppiò a ridere, e per poco non soffocò. «Non crederai di trovare delle fate, là dentro?» le chiese, mentre fermava l’auto. «Sono una cacciatrice nata. Non ho mai creduto a certe cose.» Smontò e richiuse la portiera. «Entri anche tu?» «No.» Si appoggiò al cofano, con le braccia conserte. Gli occhiali a specchio le restituivano la sua immagine. «Aspetto qui... a meno che non cominci a strillare. In quel caso, voglio un posto in prima fila.» «Prima Dmitri, ora tu.» Scosse la testa. «Siete tutti sadici, voi vecchi vampiri?» Un altro sorriso... ma questa volta le mostrò di proposito un canino scintillante. «Vieni nel mio salotto, piccola cacciatrice, e ti farò vedere io.» Vieni qui, piccola cacciatrice. Assaggia. Un brivido di freddo annullò l’abbraccio caldo del sole. Senza rispondere alla provocazione del vampiro, Elena afferrò la borsa e si avviò verso la porta d’ingresso. In sottofondo,
sentiva il mormorio dell’Hudson. Chissà se la casa aveva una vista sul fiume, o se gli alberi lo nascondevano. Probabilmente non aveva nessuna importanza per una creatura che poteva sollevarsi in volo per godersi una visuale privilegiata. La porta si aprì prima che lei avesse avuto il tempo di afferrare la maniglia. Ad accoglierla c’era un comune vampiro, dall’aria esperta, ma non anziano come l’autista o come Dmitri. «Se vuole seguirmi.» Il tono affettato la lasciò perplessa. «Sembri un maggiordomo », osservò, dandogli il tu, come faceva con tutti quelli della sua specie. «Sono un maggiordomo, signorina.» Nemmeno lei sapeva che cosa si fosse aspettata... di sicuro, non un maggiordomo. Lo seguì in silenzio attraverso l’atrio, sotto una pioggia di colori brillanti creata dai raggi di sole che entravano dalla vetrata: non si era sbagliata, dunque, la vetrata c’era davvero. Si fermarono davanti a una grande porta di legno intagliato. «Il signore l’aspetta in biblioteca. Gradisce una tazza di caffè, o tè?» «Lo voglio anch’io un maggiordomo.» Si morsicò il labbro inferiore. «È possibile avere uno spuntino? Sto morendo di fame.» Da quando aveva rimesso, non aveva ancora mangiato nulla. Il vampiro rimase impassibile, ma Elena era sicura che la sua richiesta l’avesse divertito. «Il pranzo sarà servito tra poco.» «In tal caso, prendo un caffè, grazie.» «Ma certo.» Le aprì la porta. «Nel frattempo, se lo desidera, posso portare la borsa nella sua stanza.» «Sì, grazie.» Cielo, un vero maggiordomo, pensò, mentre gli consegnava la borsa ed entrava in biblioteca. Raphael era in piedi accanto alle enormi finestre che si aprivano nella parete di destra. Il sole alle sue spalle illuminava le sfumature dorate delle ali, creando un effetto spettacolare, che le impedì quasi di notare
che nella stanza c’era qualcun altro. La donna era accanto al camino. Aveva le ali color bronzo, e gli occhi di un verde che non poteva appartenere a un essere mortale. La pelle scura era di una tonalità splendida: sembrava quasi che l’oro fosse stato immerso nel bronzo, e poi mescolato a una tinta color crema. I capelli erano una massa di riccioli castani e dorati, che scendevano fino alla curva del fondoschiena, messo in risalto da una tutina che le aderiva al corpo come una seconda pelle. Anch’essa color bronzo, lasciava le braccia scoperte ed era chiusa sul davanti da una cerniera, abbassata quanto bastava per lasciar intravedere i seni perfetti. «Dunque è lei la cacciatrice che trovi tanto affascinante. » La sua voce era liscia come whisky con miele e panna: sensuale e velenosissima. Elena scrollò le spalle. «Direi piuttosto che mi trova utile.» L’arcangelo donna sollevò un sopracciglio. «Non ti ha mai insegnato nessuno a non interrompere i tuoi superiori? » Ogni singola parola grondava stupore, davanti a tanta insolenza. «Be’ ... sì, in effetti...» Elena lasciò che fosse il suo tono a dire il resto. La donna fece per alzare le dita, quando Raphael prese la parola. «Michaela.» Lei abbassò la mano. «Concedi troppe libertà agli umani.» «A ogni modo, la cacciatrice è sotto la mia protezione sino alla fine della missione.» Il sorriso di Michaela era un dolcissimo veleno. «È un vero peccato che Uram sia così creativo... mi sarebbe piaciuto insegnarti a stare al tuo posto.» «Non sono io quella che riceve in regalo cuori umani. » Quella frecciata cancellò il sorriso dal viso dell’arcangelo, che si tinse di rosso. «Non vedo l’ora di mangiare il tuo, quando mi verrà recapitato.» «D’accordo, adesso basta.» Raphael si portò di fronte a
Elena, per ripararla dalla furia di Michaela. La giovane non fu tanto stupida da rifiutare quell’offerta di protezione; anzi ne approfittò per risistemare le armi, assicurandosi che fossero a portata di mano. Tra esse c’era anche la piccola pistola che aveva trovato sotto il cuscino, identica a quella che aveva ricevuto in regalo da Vivek. Era Sara il vero angelo, pensò, mentre sfilava la rivoltella dalla fondina attaccata alla caviglia e la metteva in una tasca laterale dei pantaloni, da cui avrebbe potuto fare fuoco senza nemmeno estrarla. Quindi, fissò le ali di Raphael. Viste da vicino erano perfette e brillanti, al punto che non poté trattenersi dall’allungare un dito per accarezzarle. Per certe cose valeva la pena correre dei rischi. «Non abbiamo bisogno di lei», disse Michaela, con la voce che grondava potere. «Sì, invece.» Il tono di Raphael divenne un fuoco gelido. «E adesso calmati, prima d’infrangere le regole dell’ospitalità. » Elena si domandò di che cosa stesse parlando, mentre si rendeva conto che a lei non aveva mai parlato in quel modo. Oh, certo, in alcune occasioni era stato molto duro, ma mai così. Forse, quel tono era riservato ai suoi pari. Be’, che facessero pure: dal canto suo, non aveva il minimo desiderio di affrontarlo in quello stato d’animo. «Vuoi metterti contro di me per via di un essere umano? » Pronunciò l’aggettivo «umano» come se stesse parlando di un roditore. «Uram è in preda a un istinto omicida», proseguì Raphael, con lo stesso tono glaciale. Elena riusciva quasi a vedere le particelle di ghiaccio sospese nell’aria. «Non ho nessuna voglia di assistere a un’altra Età Oscura, soltanto per la tua mania di protagonismo.» «Mi stai paragonando a lei?» chiese Michaela, con una risata maligna. «Per me, hanno combattuto sovrani e imperatori,
rischiando la vita. Lei, invece, non è che un uomo in abiti femminili.» Elena cominciava davvero a odiarla. «Allora perché ci fai perdere tempo?» Seguirono alcuni istanti di silenzio, interrotti poi dal rumore inconfondibile delle ali che si ripiegavano. «Lascia andare la tua piccola cacciatrice. Mi occuperò di lei quando questa storia sarà finita.» «Grandioso.» Elena abbandonò il suo rifugio dietro le spalle dell’arcangelo. «Mettiti pure in coda.» Michaela incrociò le braccia sul petto, sollevando i seni. «Ma non mi dire... non vedo l’ora di sapere chi ti acciufferà per primo.» «Mi dispiace, ma temo che intrattenere te e i tuoi amici non sia tra le mie priorità.» Non era difficile avere fegato, sapendo di poter contare sulla protezione di Raphael. Riguardo a quello che sarebbe accaduto dopo... be’, con tutti i problemi che aveva, perché preoccuparsi di placare un arcangelo infuriato? Raphael le mise una mano sul fianco, e negli occhi verdissimi di Michaela balenò un lampo di rabbia. Bene, bene... la signorina non perdeva tempo. Stando ad alcuni articoli che Elena aveva letto la prima sera del suo ingaggio, Michaela e Uram avevano avuto un legame appassionato, durato diversi anni. Ma il suo amante non era ancora nella tomba, e lei aveva già scelto il sostituto. «Elena.» A giudicare dal tono, Raphael le stava ordinando di osservare le buone maniere. «Dobbiamo discutere di alcuni aspetti della tua missione.» Era troppo curiosa di conoscere la storia della degenerazione di Uram in vampiro, per perdere tempo a contrastare Michaela. Così, si cucì la bocca e aspettò che il padrone di casa proseguisse. In quel momento bussarono alla porta, e un istante dopo il
maggiordomo entrò con un servizio scintillante da tè e da caffè. I domestici lo seguivano con un carrello carico di ogni ben di Dio, che provvidero a trasferire sul tavolo di legno accanto alle finestre. «Desideri altro, sire?» «Sì, Montgomery. Assicurati che nessuno ci disturbi, a meno che non si tratti di un membro dei Sette.» Il maggiordomo annuì e lasciò la stanza, chiudendosi dietro la porta. Elena si avvicinò al tavolo e prese l’unico posto che potesse garantirle un certo vantaggio: a capotavola, con la libreria alle spalle. Michaela si accomodò di fronte a lei, mentre Raphael rimase in piedi. Forse la donna aspettava di essere servita, pensò Elena, sprezzante. Si versò del caffè e, in un attacco di generosità – okay, forse anche per irritare l’altra ospite –, ne versò una tazza anche a Raphael. Poi posò la caraffa. «Ora vi dispiacerebbe dirmi perché devo dare la caccia a questo figlio di puttana?» Michaela si lasciò sfuggire un sibilo. «Abbi un po’ di rispetto, quando parli di lui. È un angelo antico... La tua gracile mente umana non può nemmeno immaginare le cose che ha visto e fatto.» «Hai visto cosa c’era in quel magazzino?» chiese lei appoggiando la tazza, in preda a un improvviso attacco di nausea. Quelle immagini erano impresse a fuoco nella sua mente, e non se ne sarebbe mai liberata. Come quelle del vampiro torturato da un gruppo di detrattori della sua razza. «Sarà anche antico, ma ormai è solo un povero folle. O forse sarebbe meglio dire che si è fottuto il cervello. Sì, credo che questa espressione renda meglio l’idea.» Con un rapido gesto, Michaela buttò a terra le sue posate. «Non aiuterò un’umana a dargli la caccia, quasi fosse un cane rabbioso.» «Hai votato a favore», le ricordò Raphael, con la voce
tagliente come la lama di un coltello. «Vuoi ritrattare il tuo voto?» «Io lo amavo», fece lei, con gli occhi lucidi. Elena avrebbe anche potuto crederle, se non avesse colto quel lampo di furia solo pochi minuti prima. Quella donna non amava niente e nessuno, a parte se stessa. «Lo amavi abbastanza da morire per lui?» le domandò Raphael, in tono pacato e crudele. «Adesso ti manda i cuori delle sue vittime ma, quando avrà placato i suoi istinti sanguinari, vorrà il tuo.» Michaela si asciugò una lacrima, fingendo di riprendere il controllo. Molti uomini avrebbero perso completamente la testa per una come lei. «Hai ragione», sussurrò. «Ti prego di perdonare la mia emotività.» Prese un respiro profondo, che le sollevò ulteriormente i seni. «Forse dovrei tornare in Europa.» Dalle ricerche che aveva fatto, Elena aveva scoperto che la donna governava gran parte dell’Europa centrale, anche se non era chiaro dove finisse il suo dominio e dove cominciasse quello di Uram. «No», fece lui, risoluto. «È evidente che ti ha seguita sin qui... Se te ne andrai, lui farà lo stesso, e rischieremo di perdere le sue tracce fino a quando non sarà troppo tardi.» «Ha ragione», disse Elena, mentre si domandava perché Raphael non le avesse parlato della fissazione di Uram per Michaela. Forse per via degli omicidi. Forse un cacciatore poteva individuare un arcangelo solo dopo che aveva ucciso. Ma no: gli arcangeli uccidevano spesso. «Abbiamo una pista e, se continuerà a girarti intorno, avremo una vaga idea di dove cercarlo. Devi dirmi dove trascorri la maggior parte del tempo.» «Penserò io a farti avere una lista», disse Raphael. «Adesso, voglio che ascolti Michaela, mentre ci racconta come ha accolto il dono di Uram. Dopo ci dirai a che punto è la sua degenerazione.»
Elena socchiuse gli occhi, accecata dal sole che illuminava Raphael da dietro. «E io come faccio a saperlo?» «Hai già dato la caccia a vampiri degenerati.» «Sì, ma Uram non è un vampiro.» Era davvero curiosa di sapere perché diavolo un arcangelo aveva subito una simile trasformazione. Com’era successo? La rabbia che aveva provato all’inizio, quando le era stato assegnato quell’incarico, tornò a farsi sentire. «Ai fini di questa missione, è come se lo fosse», rispose lui, la voce dura come acciaio. «Michaela.» La donna si appoggiò allo schienale della sedia. «Mi sono svegliata sentendo dei colpi alla finestra. Ho immaginato che fosse un uccello rimasto chiuso dentro, e mi sono alzata per farlo uscire.» Un’immagine che pareva poco coerente con quella creatura così egoista. Eppure le sue parole sembravano profondamente sincere. Forse, per essere «umano» ai suoi occhi dovevi avere un paio d’ali. «Quando sono arrivata alla finestra, però, non c’era nulla. Stavo per voltarmi, quando mi è caduto lo sguardo sul prato, e ho notato uno strano cumulo al centro del giardino. Ho pensato che fosse un animale che si era trascinato lì per morire.» Nessuna traccia di disgusto, solo un senso di tristezza. E, di nuovo, sembrava sincera. Evidentemente, gli animali occupavano una posizione più elevata rispetto agli umani, nella visione del mondo di Michaela. Ed Elena non poté darle torto, dopo aver visto di che cosa erano capaci certi uomini. L’arcangelo donna prese un respiro profondo. «Ho aperto la porta che dà sulla terrazza, e ho chiesto a una delle guardie di sotto di dare un’occhiata. Come già sapete, era un sacco di iuta contenente sette cuori umani.» Fece una pausa. «Erano ancora caldi... così mi hanno riferito le guardie.»
26 Questa volta non le si ribaltò lo stomaco: se l’era aspettato. «Atteggiamenti simili – collezionare trofei, prendersi gioco di qualcuno o, come in questo caso, fare regali – sono tipici dei vampiri, nella fase in cui la sete di sangue prende il sopravvento. A quello stadio, somigliano più alle bestie che a noi umani.» «Questo già lo sappiamo, cacciatrice.» Michaela pronunciò quell’ultima parola quasi fosse un insulto, cancellando qualunque traccia della tenerezza mostrata nei confronti degli animali. «Allora, non ho altro da aggiungere.» Non era il suo campo, ed era inutile fingere altrimenti. Non si era mai sentito di un cacciatore che avesse inseguito un arcangelo. «Di una cosa sono assolutamente certa, però: Uram è molto più audace di qualunque vampiro. Ha osato bussare alla tua finestra», disse, rivolta a Michaela, che fu percorsa da un brivido. Come biasimarla? «Di questo passo, entro una settimana abbandonerà la fase bestiale, e comincerà a calcolare le sue mosse con estrema lucidità.» «Così presto?» chiese Raphael. Annuì. «Spesso, quando abbiamo a che fare con i primi omicidi di un vampiro degenerato, ci troviamo davanti a scene ‘caotiche’ come quella nel magazzino. Ma Uram ha agito di nascosto. Sapeva che l’avremmo preso, se non avesse nascosto la sua opera.» Raphael annuì. «Mentre i vampiri assetati di sangue non pensano così lucidamente.» «Nel sessanta per cento dei casi, restano come incantati davanti al loro primo assassinio.» Cadevano in uno stato a metà tra la brama di sangue e lo stupore, e diventavano insensibili a tutto ciò che li circondava. Una volta, Elena era riuscita persino a infilare il collare a un vampiro, mentre lui se ne stava
immobile, con un sorriso beato sul volto, e le mani ancora affondate nel torace della sua vittima. Cercò di allontanare quel ricordo. «Ho la sensazione che Uram non abbia mai attraversato questa fase di stupore. Altrimenti, quei sette cuori non sarebbero stati ancora caldi, al momento della consegna.» «Questa è una notizia... inaspettata. Una cosa simile l’avrebbe rallentato.» «Ma nemmeno i vampiri più sanguinari fanno stragi ogni notte», cominciò Elena. «Di solito fanno una pausa... dopo aver saziato la sete di sangue, e aver fatto il pieno di potere...» «Dimentichi che non è un vampiro.» Raphael si spostò leggermente, ed entrò nel suo campo visivo. «Non si fermerà. Per ora, sembra che uccida la notte e alle prime ore del mattino; quindi, possiamo approfittare del giorno per organizzarci. Se la sua degenerazione sarà davvero così rapida, presto comincerà ad ammazzare anche di giorno.» Elena sgranò gli occhi. «Stai dicendo che è costantemente assetato di sangue?» «Sì.» «Buon Dio.» Ciò faceva di Uram un mostro al di là di ogni comprensione. Nonostante la moquette, il rumore della sedia spinta all’indietro risultò comunque stridente. Elena sollevò lo sguardo: Michaela si era alzata. «Non posso restare qui a sentirti parlare di lui in questo modo. Tu non sai che cosa significhi perdere qualcuno che conosci da cinque secoli.» Guardò Elena negli occhi e, in quell’istante, lei le credette. «È vero. Mi dispiace.» Michaela liquidò la sua compassione con uno scatto delle dita. «Non so che farmene della pietà di una comune mortale. Raphael, devo parlarti in privato.» «Ti accompagno fuori.»
Quando uscirono dalla biblioteca, sfiorandosi di tanto in tanto le ali, Elena provò un violento moto di gelosia, al punto che portò la mano alla pistola prima ancora di rendersene conto. Fu la sensazione del metallo freddo contro il palmo rovente a farla tornare in sé. Digrignò i denti, si voltò dall’altra parte e si avventò sui sandwich, che divorò con gusto. Al ritorno di Raphael aveva placato i morsi della fame, e probabilmente fu per quello che non gli conficcò una forchetta nell’occhio, quando notò sulla sua ala della polvere d’angelo color bronzo. «Cos’è, segna il territorio come i gatti?» Lui seguì la direzione del suo sguardo e spiegò l’ala. «Michaela non è abituata a essere rifiutata.» Prese un elegante tovagliolo di stoffa e glielo porse. «Toglimela.» L’impulso di ribellarsi a un comando simile si scontrò con il bisogno di eliminare il marchio di quella puttana. Alla fine vinse la sua sciocca gelosia. «Voltati.» Raphael si girò con un movimento silenzioso e aggraziato. Elena inumidì il tovagliolo con un po’ d’acqua e lo accostò all’ala, badando a non sporcarsi lei stessa con quella sostanza appiccicosa. Una precauzione del tutto inutile. «Viene via senza problemi. Non è come la tua.» Persino adesso la luce del sole faceva scintillare i granelli rimasti sulla sua pelle, che Michaela aveva certamente notato. «Te l’ho detto, con te ho usato una miscela speciale.» Si sentì attraversare da una sensazione di calore, quasi si stesse sciogliendo. «Mi hai marchiata, angioletto?» «Preferisco farlo con il mio uccello.» Imbarazzata dalla vampata che avvertì tra le cosce, posò il tovagliolo sul tavolo. «Ho finito.» Lui fletté le ali e si voltò. «Sei davvero un mistero. Così temeraria nell’affrontare i vampiri e così puritana nei comportamenti sessuali.» «Non sono temeraria. In realtà, me la faccio sotto dalla paura.
Quanto al resto, il fatto di essere misteriosa è positivo, no? In fondo, tu getti via i tuoi giocattoli quando non ti divertono più...» Ma non protestò quando lui la sollevò per farla sedere sul tavolo. Allargò addirittura le gambe per fargli posto. Una parte di lei sentiva ancora freddo. Quello che aveva visto in quel magazzino aveva riportato in superficie troppe cose. Quel gocciolio tremendo tamburellava senza fine nella sua testa. Voleva dimenticare. E Raphael – l’arcangelo pericoloso, seducente, letale – era molto meglio di qualunque droga. «Niente polvere», mormorò, mentre lui faceva scivolare le mani sulle sue cosce, fino a raggiungere i fianchi. «Non ho tempo di lavarmela via.» Ma lui non la baciò. «Dimmi dei tuoi incubi, Elena.» Quelle parole la lasciarono di sasso. «Hai ricominciato a spiarmi?» Continuava a dimenticare che Raphael non aveva nessun rispetto per i confini della sua mente. Gli occhi di lui si tinsero di un azzurro cromato. «Non ne ho bisogno. Nei tuoi occhi non c’è sesso, ma morte.» Avrebbe voluto spingerlo via, ma una parte di lei – quella più infreddolita – non poté non gradire il calore del suo tocco, ed era eccitata da quella minaccia velata. Nessun altro uomo si era avvicinato tanto alla sua anima. Represse l’impulso di prenderlo a calci allungandosi all’indietro, con i palmi sul tavolo. Fortunatamente non erano vicini ai piatti, altrimenti si sarebbe ritrovata con i capelli immersi nel caffè. «Dunque sei molto esperto nel leggere il cuore delle donne...» «Sono al mondo da parecchio tempo.» Elena abbassò le palpebre. «Tu e sua altezza la troia reale avete mai scopato?» Raphael le strinse i fianchi. «Stai attenta. Non sarò sempre qui a proteggerti.»
«È un ‘sì’?» Le parve di vederli mentre si accoppiavano in volo... un’immagine abbagliante e straordinaria, dalle sfumature oro e bronzo. «No. Non l’ho mai presa, quando mi si è proposta.» «Perché no? È così sexy... gli uomini vedono solo tette e culo, in una donna.» «Io preferisco le labbra.» Si chinò e le morsicò quello inferiore, prima di sollevare la testa. «E le tue sono davvero succulente.» Quelle di Michaela avevano una bella forma, pensò Elena, mentre si lasciava travolgere da quell’ondata di piacere, ma erano sottili. «Non me la bevo. Chi diamine guarda le labbra?» «Se fossi in ginocchio, e le tue labbra fossero intorno al mio uccello, credo che le guarderei con molto, molto interesse. » Quell’immagine provocò una contrazione dei suoi muscoli interni, già umidi in previsione di ciò che sarebbe potuto seguire. «Com’è che per voi uomini siamo sempre noi donne a doverci mettere in ginocchio? Che ne dici del contrario?» Vide un lampo nei suoi occhi cobalto, mentre le mani scivolavano in basso, e i pollici accarezzavano l’attaccatura interna delle cosce. «Togliti i pantaloni.» Le si strinse lo stomaco. «Dobbiamo parlare di un assassino. » «Ma tu vuoi dimenticare.» «Non hai risposto alla mia domanda», disse senza fiato, tanto era il suo desiderio. «Ho sempre rifiutato Michaela perché non mi piacciono le vedove nere. Sono quasi convinto che Uram sia arrivato a questo a causa dei suoi sussurri velenosi.» Elena si rizzò a sedere, aggrappandosi ai suoi avambracci. «‘A questo’ cosa? Che cosa intendi?» I pollici di Raphael continuarono a muoversi ai margini di quella zona squisitamente sensibile che bramava una carezza più
decisa, più profonda. «Non c’è bisogno che tu lo sappia.» La collera ebbe la meglio sul desiderio fisico. «Non posso lavorare alla cieca.» «Trattalo come un vampiro. Come il vampiro più pericoloso dell’universo.» Un pollice premette sul clitoride, attraverso la stoffa. «E adesso, togliti i pantaloni.» Elena dovette fare uno sforzo per prendere un respiro. «Sicuro, come no? Dimmi di Uram.» Raphael si fece più vicino, e le sfiorò le ginocchia con le ali. Poi, con immensa delusione di Elena, spostò una mano... ma solo per infilarla sotto la T-shirt. Il cuore prese a rimbalzarle nel petto, quando lui le afferrò un seno, ma riuscì comunque a rivolgergli la domanda che la tormentava: «Perché riesco a sentire il suo odore solo adesso?» Raphael fece scivolare la mano dal seno, e la riportò sulla coscia, e poi sul ginocchio. Quindi, le infilò l’altra sotto il braccio, e la appoggiò al tavolo dietro la sua schiena, sfiorandole il seno con il bicipite. Le sollevò una gamba e se la mise intorno alla vita, mentre la tirava verso di sé. «Lo senti perché ha bevuto il sangue per la prima volta. » Le parti basse dei loro corpi si toccarono, ed Elena non riuscì a soffocare un gemito. Il desiderio le offuscava la mente. «Ma... non sono riuscita nemmeno a sentire Erik, il vampiro appena Creato.» «In quell’occasione ti avevo ingannata. Bernal ed Erik sono stati Creati più o meno nello stesso periodo, ma quest’ultimo ha potuto nutrirsi solo in seguito al test cui ho voluto sottoporti.» Il semplice fatto che fosse riuscito a dominare la sete di sangue di un giovane vampiro era un altro esempio del suo potere; ma non era di Erik che lei voleva parlare. «Perché? Perché Uram è diventato un vampiro?» «È ancora un arcangelo.» La fece dondolare contro il suo corpo, le sollevò la maglietta e si chinò a morderle un capezzolo attraverso il reggiseno.
Elena fece uno scatto e lo afferrò per i capelli. «Smettila. » Ma aveva già cominciato a succhiare, e... oh, dannazione, le piaceva. Sembrava promettere il miglior sesso che avesse mai immaginato... «Raphael.» Lui sollevò la testa. «Questa volta ti farò scegliere.» Elena abbassò la maglietta, sentendosi troppo vulnerabile. Il capezzolo le doleva in modo molto sensuale. «Sentiamo.» «Posso sbatterti sul tavolo e scoparti...» «Oppure?» Avrebbe voluto stringersi a lui, per mordicchiargli i tendini del collo. «Oppure, posso sbatterti sul tavolo e leccarti sino a farti raggiungere l’orgasmo, prima di scoparti.» «Oh.» Aveva qualche difficoltà a distogliere la mente dal calore pulsante che avvertiva tra le gambe. «Scelgo la terza opzione.» Raphael la tirò verso di sé, premendola contro la sua erezione. «Non c’è nessuna terza opzione.» Oh, al diavolo. Elena si chinò verso di lui e sfiorò la sua splendida gola con i denti. La vita era una sola, in fondo. Lui la strinse più forte, mentre lo succhiava e lo assaggiava. «La terza opzione prevede che tu debba succhiare qualche altra parte del mio corpo?» Dannazione, sapeva essere davvero seducente quando non pensava a ucciderla. A malincuore, lo leccò un’ultima volta prima di staccarsi. «Non scoperò con te, finché non mi avrai detto la verità su Uram.» Un’ombra attraversò il volto dell’arcangelo. «È un ricatto sessuale?» Gli rispose sbuffando. «Mi tratti come un cagnolino. Vai ad acciuffare quell’arcangelo... vampiro... o qualunque cosa sia, ma non chiedermi perché. Sarebbe troppo complicato per la tua testolina umana.» Abbandonò il tono zuccheroso, e gli lanciò un’occhiata torva. «Non vado a letto con gli uomini che mi
considerano una stupida senza cervello.» L’oscurità letale che aveva adombrato il viso di Raphael lasciò il posto a un’espressione divertita, ma Elena sapeva bene di camminare sul filo del rasoio. Per qualche motivo lui si stava mostrando indulgente... ma non aveva dimenticato che l’aveva costretta a chiudere la mano intorno a una lama. «Più cose sai, più diventi un peso, per noi.» «So già anche troppo», fece lei, decisa. «Non si tratta di proteggere me, ma gli arcangeli.» «Fidarsi di un mortale è quanto di più stupido si possa fare. Illium ci ha rimesso le sue splendide piume.» Oh, sapeva bene come toccarla sul vivo. «Non sono una semplice mortale. Sono Elena Deveraux, cacciatrice della Corporazione... colei che tu hai voluto trascinare in questa merda. Il minimo che tu possa fare è spiegarmi il motivo.» «No», fu la risposta secca dell’arcangelo di New York. «E non riuscirai a farmi cambiare idea. Nessun mortale deve sapere. Nemmeno la donna che voglio portarmi a letto.» A quel punto, il desiderio cedette il posto alla collera. «E questo dovrebbe rimettermi al mio posto, giusto?» Quel bastardo la baciò. E lei, furiosa, lo morsicò così forte da fargli sanguinare il labbro, che cominciava già a gonfiarsi quando Raphael si tirò indietro. «Adesso non siamo più pari, Elena. Ora sei in debito con me.» «Trattieni quello che ti devo dalla mia morte lunga e dolorosa», gli rispose, abbassando la gamba. «Credo sia ora di parlare di omicidi.» L’arcangelo si chinò su di lei, bloccandola con le braccia. «Stai di nuovo impugnando un coltello.» Elena serrò la mano intorno al manico. «Sei tu che mi spingi a diventare violenta.» Fece scivolare l’arma nello stivale, incrociò le braccia e cercò di non pensare al suo profumo seducente. «Che cosa ne è stato della superstite?»
«Dmitri l’ha portata dai nostri guaritori.» «Hai detto che potrebbe essere stata infettata. Da che cosa?» «Dalla follia di Uram.» Non si era aspettata una risposta così diretta, e impiegò un minuto a rispondere. «Non è possibile. La follia non è contagiosa.» «Quella di Uram potrebbe esserlo.» Cristo. «Ma lei è un’umana.» Di nuovo quella fiamma cobalto negli occhi di Raphael. «Lo era. Adesso i dottori ci diranno che cosa è diventata. » Fece una pausa. «Sappiamo che ha ingerito del sangue di Uram... Forse è stato un incidente, ma è più probabile che l’abbia costretta lui.» Elena non avrebbe ceduto alla compassione. Quella donna – o meglio quella ragazza – era sopravvissuta a un mostro che aveva cercato di annientarla. Meritava una fottuta medaglia per il coraggio che aveva dimostrato, e non pietà. «Se dovesse risultare infetta, la ucciderete? » «Sì.» Avrebbe voluto odiarlo, per quella risposta, ma non ne fu capace. «Quattro anni fa, c’è stata un’ondata di omicidi sulle sponde del Mississippi. L’assassino strangolava ragazzini, e poi gli cavava gli occhi.» «Un umano.» «Sì. Un cacciatore.» Un tempo, lei e Bill James erano stati amici: era stato il suo addestratore, prima di quella brutta storia. «Abbiamo dovuto catturarlo. E giustiziarlo. Io, Ransom e Sara.» Le questioni dei cacciatori venivano risolte dalla stessa Corporazione. Fu investita da una ventata d’aria fredda quando Raphael spiegò le ali, per poi ripiegarle. «Troppi incubi affollano la tua mente.» «Sono parte di me.» «L’hai ucciso tu?»
«Sì.» Si erano trovati l’una di fronte all’altro. «Sara era ferita gravemente, mentre Ransom era troppo lontano. E Bill stava per uccidere un ragazzino terrorizzato. Così, l’ho pugnalato al cuore.» Non aveva avuto il tempo di prendere la pistola... C’era sangue ovunque, ed Elena aveva visto il tradimento nei suoi occhi, mentre il cuore aveva battuto per l’ultima volta. Un caos di ricordi. Elena sollevò lo sguardo e si ritrovò a guardare negli occhi di qualcun altro. «Se quella ragazza è diventata un mostro, deve morire. Per il suo bene.» «Io sono un mostro, Elena?» Scrutò quel volto perfetto, e vide riecheggiare le crudeltà commesse in un tempo passato. «Non ancora», sussurrò. «Ma potresti diventarlo.» «È un sintomo della vecchiaia», disse, serrando la mascella. «La crudeltà.» Elena provò una fitta al cuore, sapendo che un giorno Raphael avrebbe potuto perdere la sua umanità. Era nascosta molto in profondità, ma c’era ancora. Eppure non poteva che essere lieta della sua immortalità. Una creatura magnifica come Raphael non doveva morire. «Parlami della Quiete.» Lui spiegò completamente le ali. «Dobbiamo andare da Michaela, per vedere se riesci a individuare una traccia... è molto probabile che Uram abbia trascorso ore a spiarla, prima di oggi.» Elena espirò, frustrata. «D’accordo. Ci andiamo volando? » Sussultò. Si stava abituando a viaggiare tra le sue braccia, accompagnata dal rumore solido e forte delle sue ali. «No», rispose, incurvando le labbra, come se avesse percepito la sua eccitazione. «Quando è qui in America, sta nella casa accanto.» «Comodo.» Per infilarsi nel letto di Raphael. Finalmente, lui si spostò quanto bastava per farla saltare giù dal tavolo. «Michaela è stata molte cose, nel corso dei secoli:
studiosa, cortigiana, musa ispiratrice... ma mai una guerriera.» Ho sempre avuto guerriere, come amanti. Si chiese se qualcuna di quelle donne fosse stata stupida quanto lei, e si fosse gettata tra le sue braccia, pur sapendo che, se messo alle strette, lui l’avrebbe uccisa dedicandole un ultimo pensiero. «È ora che cominci a guadagnarmi la paga.»
Sete di sangue
Si muoveva lentamente, con lo stomaco appesantito dal sangue. Si era lasciato andare, ma era stato meraviglioso. Immerse le dita nella scodella di sangue che aveva estratto dalle carni macellate, per conservarlo. Se le portò alle labbra, e le leccò. Il sapore gli parve piatto. Privo di vita. Deluso, sbatté la scodella sul pavimento, e una macchia rosso cupo apparve sul tappeto candido. Ma c’era ancora quella bellezza, di sopra. Sollevò lo sguardo, mentre il senso di fiacca pesantezza cominciava ad alleviarsi e lasciava il posto a una lenta anticipazione. Adesso sapeva... sapeva che il sangue doveva essere fresco. La prossima volta, l’avrebbe bevuto direttamente dai cuori che battevano ancora. I suoi occhi si fecero rossi, per un attacco di fame violenta. Sì... la prossima volta non avrebbe ucciso la preda... l’avrebbe tenuta in vita.
27 Elena non rimase affatto sorpresa dall’eleganza del palazzo che Michaela aveva scelto come residenza newyorkese. Forse era una troia doppiogiochista, ma non era un caso se nei secoli si era fatta una reputazione come musa degli artisti. «È qui che abbiamo trovato... il regalo», le disse uno dei vampiri che facevano da guardia alla tenuta, indicandole un punto in cui l’erba era chiazzata di sangue. La nota acida dell’odore di Uram era molto forte, nonostante la presenza del vampiro. I casi erano due: o l’arcangelo aveva mischiato qualche goccia del suo sangue a quello dei sette cuori umani, o era atterrato sul prato. In quel caso, era davvero sfrontato... Le si accapponò la pelle al solo pensiero. «Puoi allontanarti da questa zona?» Lui annuì brevemente, ma non si mosse di un passo. «Una volta mi hanno dato la caccia.» Elena sollevò lo sguardo verso Raphael e Michaela, che conversavano sulla terrazza di un piano alto. Si sarebbero risentiti, se avesse pestato l’idiota che aveva accanto? Non aveva tempo per simili stronzate. «Non dev’essere stato così terribile, se sei ancora qui.» «La mia signora mi ha frustato fino a scorticarmi la schiena, e con la pelle si è confezionata un portamonete.» Come si conciliava un’informazione del genere con la teoria dell’origine celeste degli angeli? «Eppure continui a servirla.» Non faceva fatica ad attribuire un simile comportamento a quella troia alata. Il vampiro sorrise, mostrandole i denti. «Era un portamonete stupendo.» Poi, finalmente si allontanò. Elena avrebbe fatto meglio a guardarsi le spalle, quando il vampiro era nei paraggi. Non poteva sapere cos’altro gli avesse fatto l’arcangelo, nel corso dei secoli, ma di sicuro non c’era completamente con la
testa. «L’immortalità comporta troppi svantaggi», mormorò, mentre aggiungeva alla sua lista mentale la possibilità di diventare un portamonete. Il suo sguardo tornò sull’erba insanguinata. S’inginocchiò e individuò nuovamente l’odore di Uram, quindi cominciò a camminare in tondo, descrivendo cerchi sempre più ampi. L’odore di Uram permeava l’intera area. Quasi certamente aveva toccato terra, ed era rimasto lì fuori avvolto dall’incantesimo dell’invisibilità, all’insaputa delle guardie. Elena avrebbe potuto temere di finirgli addosso, ma l’odore, per quanto penetrante, non era forte come se fosse ancora nei paraggi. Elena si chiese se gli arcangeli fossero in grado di percepire la presenza dei propri fratelli, nonostante l’incantesimo. Altrimenti, non c’era da stupirsi se Michaela era spaventata a morte. Per nulla sorpresa, notò che l’odore diventava particolarmente intenso ai margini del prato. Alzò lo sguardo verso la fila di finestre al terzo piano. La stanza di Michaela era proprio al centro. Se fosse stata una missione normale, Elena si sarebbe lasciata andare a un enorme sorriso. Con una traccia così recente, sarebbe riuscita a stanare la preda entro sera. Ma i vampiri non volavano. Eppure, pensò, adesso conosceva il tallone d’Achille di Uram. L’ossessione per Michaela avrebbe ristretto i suoi margini di caccia. Sollevò di nuovo lo sguardo, concentrata come una vera cacciatrice. Aveva bisogno della mappa dei movimenti di Michaela, che Raphael le aveva promesso.
Man mano che procedeva nella sua ricerca metodica, Elena si allontanava sempre più dal palazzo. Raphael teneva d’occhio
Riker, il preferito di Michaela, pronto a esaudire ogni suo comando. Non gl’importava affatto che Elena godesse della protezione di Raphael... anche se, forse, l’arcangelo avrebbe dovuto ucciderla nell’istante stesso in cui si era ripreso dalla ferita all’ala. Se Lijuan aveva ragione, quell’umana gli sarebbe stata fatale. Erano secoli che non pensava più alla morte. Ma Elena l’aveva reso mortale, almeno in parte. E mortale lo era anche lei: sarebbe morta, se Riker le avesse dilaniato la gola. E la sua padrona era abbastanza scostante da dare un ordine del genere. Sapeva che Raphael non avrebbe scatenato una guerra per un essere mortale. La Rosa del Destino. Raphael ripensò a quell’antico tesoro. Nella sua lunga esistenza, non aveva mai considerato l’ipotesi di donarlo a qualcuno. Finché non aveva conosciuto Elena, la sua mortale. Forse, dopotutto, per lei avrebbe anche sfidato Michaela. «Le guardie sono ai loro posti?» «Certo.» Evidentemente non erano sufficienti. L’intero Quadro aveva previsto che Uram sarebbe andato da lei; eppure si era fatta cogliere impreparata. «Ti servono rinforzi? Forse sei a corto di uomini, qui.» «No», rispose Michaela, orgogliosa, mentre si avvicinava al bordo della terrazza e osservava i progressi di Elena. «Se la tua cacciatrice riesce a sentire il suo odore, significa che Uram mi ha spiata abbastanza a lungo da lasciare una traccia.» Raphael avrebbe potuto chiedere conferma a Elena, ma, dopo l’incidente che l’aveva portato alla Quiete, preferiva non entrare nella sua mente. Era forse un segno della debolezza da cui Lijuan l’aveva messo in guardia? Un attacco di scrupoli umano? Probabile. Del resto non gli era mai piaciuta la metamorfosi che subiva quando cadeva in quello stato. E l’ultima volta... era
andato un po’ troppo vicino alla follia di Caliane. «È cambiato qualcosa, in te?» chiese a Michaela, sotterrando quell’antico ricordo. La pelle della donna si fece così tesa che le estremità affilate delle sue ossa minacciarono di tagliarla. «No, non è cambiato nulla. Non ho ancora il dono dell’invisibilità. » «Una vera sfortuna.» Michaela rise. Un suono che induceva gli uomini a pensare al sesso. La prima volta che Raphael l’aveva vista, lei aveva le labbra strette intorno all’uccello dell’arcangelo che governava l’antica Bisanzio. Aveva incrociato il suo sguardo mentre portava il compagno alla sua piccola morte di piacere e, in quell’istante, Raphael aveva intuito che un giorno lei avrebbe avuto un proprio dominio. Vent’anni dopo, l’arcangelo di Bisanzio era morto. Elena s’inoltrò nel bosco che divideva la proprietà di Raphael da quella di Michaela. «Ne hai parlato con Lijuan?» domandò l’arcangelo, mentre osservava la giovane cacciatrice che contraeva le labbra, concentrata. Aveva una bocca così carnosa e sensuale. Era ansioso di vederla scorrere su tutto il suo corpo. Ma anche lei andava domata, come tutte le guerriere. «Lijuan parla per enigmi», rispose Michaela, sprezzante. «Non sa spiegare perché quell’incantesimo mi sfugga.» In circostanze normali, una mancanza simile non avrebbe costituito una grave preoccupazione: Michaela possedeva altre abilità, più o meno note, ma nessuno avrebbe potuto mettere in dubbio il suo status di arcangelo. In quella situazione particolare, tuttavia, si trovava in netto svantaggio: l’incantesimo, infatti, era garanzia d’immunità. Raphael non poteva nascondersi da Uram, ma la cosa era reciproca. «Richiama Riker.» «Perché?»
«Tu non puoi vedere Uram, Elena invece riesce a sentirne l’odore.» Michaela provò a liquidare la questione con poche parole. «Riker la sta solo tenendo d’occhio, nulla di più. E, comunque, esistono altri cacciatori se mai dovesse perdere il controllo... È solo un’umana, Raphael. Non sa nulla dei piaceri che potrei farti provare io.» L’arcangelo spiegò le ali. «Credevo che le tue simpatie andassero a Charisemnon. Un tempo eravate amanti.» Gli occhi verdi della donna incrociarono i suoi, mentre lui si avvicinava al margine della terrazza costruita per le creature alate. Non c’erano né parapetti né altro che potessero impedire una caduta mortale. «Ma non ho mai assaggiato te. Posso fare cose che trasformerebbero l’eternità in un sogno erotico.» «Il problema è che i tuoi amanti sembrano destinati ad avere una vita molto breve.» Raphael spiccò il volo e attraversò il giardino, diretto verso il bosco. Riker era fermo a un paio di metri da Elena, con un sorriso minaccioso stampato sul viso. Tutt’altro che spaventata, lei brandiva un pugnale e aveva assunto la posizione da combattimento corpo a corpo. Stava per dire qualcosa, quando Raphael atterrò alle spalle del vampiro. «Sei sul mio territorio.» Gli posò una mano sulla spalla e l’altra sulla schiena. «Qui, la tua signora è un’ospite.» Fu l’unico avvertimento che gli diede, prima di trapassare vestiti, carne e muscoli fino ad afferrare il cuore, che batteva all’impazzata. Un attimo dopo gliel’aveva estratto dal petto e Riker giaceva a faccia in giù sul terreno, in preda alle convulsioni. «Perché?» Raphael sollevò lo sguardo a incrociare gli occhi atterriti e disgustati di Elena, che fissavano quel cuore pulsante. «Ci sono dei confini da rispettare. E non soltanto per i mortali...»
Elena strinse il pugnale con tanta forza da farsi venire le nocche bianche. «E così l’hai ucciso?» L’arcangelo gettò a terra il cuore e si guardò la mano insanguinata, domandandosi se Uram avesse strappato i cuori delle sue vittime nello stesso modo. «Non è morto.» «Ma...» Elena deglutì e fece un passo indietro, mentre lui si avvicinava. «So che i vampiri possono sopportare mutilazioni di ogni genere... ma sopravvivere senza il cuore...» «Hai di nuovo paura di me.» Non vedeva quello sguardo dal loro primo incontro, sul tetto della torre. «Hai appena strappato il cuore di un vampiro a mani nude! Come potrei non aver paura?» Raphael abbassò gli occhi sulla sua pelle imbrattata di sangue. «Non ti farei mai una cosa del genere, Elena.» «Mi stai dicendo che la mia morte sarà rapida e indolore? » «Forse potrei tenerti con me come schiava, invece di ucciderti.» «Spero vivamente che sia solo una battuta perversa», rispose, mordace, mentre rinfoderava il pugnale. «A questo punto possiamo anche rientrare, così potrai lavarti via quel sangue. Comunque, ho perso la traccia.» «Pensi che se ne sia andato volando?» «Sì, credo di sì.» Incrociò le braccia e indicò con un cenno la dimora di Michaela. «Ti sei procurato la mappa dei suoi movimenti?» «L’avrò entro un’ora.» Mentre camminavano, Raphael si chiese perché mai desse tanta importanza all’opinione di una comune mortale. «Vuoi ripercorrere i suoi spostamenti per vedere se riesci a sentirlo?» «Sì», rispose lei, mentre avanzava con passo determinato. «Se è ossessionato come pensate – diamine, la sta corteggiando donandole cuori insanguinati! – non si allontanerà molto da lei.» «No, lo penso anch’io.» I figli del sangue uccidevano sempre
un altro angelo, prima di degenerare completamente. In molti casi, si sceglievano quello cui erano stati più vicini: un macabro sacramento, quasi volessero recidere ogni legame con l’esistenza passata. Elena annuì. «Potremo sfidarlo nel suo covo, durante il periodo d’indolenza che segue all’ingerimento di sangue. Ammesso che valga anche per quelli della vostra specie... » Lo guardò, e spostò gli occhi sulla mano e l’avambraccio insanguinati. Quindi, prese un respiro e si voltò. Raphael serrò la mano a pugno. «Per quanto ne sappiamo, i figli del sangue...» «Figli del sangue?» lo interruppe, accigliata. «Avete un nome per quelli come Uram? Dunque non si tratta di un incidente...» L’arcangelo ignorò la sua domanda implicita. «I figli del sangue si comportano esattamente come i vampiri, quando cedono alla gola. Dopo un pasto abbondante, Uram sarà pigro, indolente e vulnerabile.» Elena non fece nulla per mascherare la sua collera, davanti al modo in cui si era rifiutato di darle una risposta. Qualunque cosa avesse voluto dire, tuttavia, andò persa nel momento in cui le squillò il cellulare. Lo tirò fuori dalla tasca e aprì lo sportellino per rispondere. «Pronto? » Un attimo dopo, nei suoi occhi apparve il caos. «Che cosa?» Pausa. «Io...» Per la prima volta, Raphael la vide insicura. «Sì, ci sarò.» Richiuse il telefono. «Devo assentarmi per un po’. Sarò di ritorno prima che Michaela ti consegni la mappa.» «Dove vai?» La sua espressione non gli piaceva per niente. Elena gli lanciò un’occhiata durissima. «Non sono affari tuoi.» Si sarebbe dovuto infuriare. E una parte di lui – la parte che aveva accumulato un millennio di arroganza – s’infuriò. Ma per il resto era piuttosto incuriosito. «Vuoi un po’ della mia medicina?»
Elena scrollò le spalle, serrando le labbra. «Si tratta di tuo padre.» «Che c’è, adesso riesci anche ad ascoltare le conversazioni degli altri?» chiese, stringendosi nelle spalle. «Nemmeno gli arcangeli sono in grado di fare quello che dici.» Non era sempre vero, però in quel caso aveva giurato di non origliare. «Ma ho fatto le mie ricerche.» «Buon per te.» Se le parole avessero avuto il potere di tagliare, Raphael si sarebbe ritrovato a brandelli. Abbassò gli occhi sul pugno insanguinato, e si domandò se in quel momento lei lo considerasse un mostro. «Jeffrey Deveraux è l’unico essere umano che sembri incapace di gestire.» «Come ti ho appena detto, non sono affari tuoi.» Aveva la mascella talmente tesa che iniziava a farle male. «Ne sei sicura?» La domanda di Raphael continuava a risuonarle nella testa, mentre saliva i gradini che conducevano all’ingresso dell’elegante casa di arenaria che Jeffrey Deveraux aveva trasformato nel suo ufficio personale. Ne aveva anche un altro, a un piano alto di un grattacielo, ma era lì che avvenivano tutti gli incontri più importanti. Di fatto, vi si accedeva solo dietro suo esplicito invito. Elena non aveva mai varcato quella soglia. Si fermò un istante davanti alla discreta placca di metallo, a sinistra della porta. IMPRESE DEVERAUX, DAL 1701. La famiglia Deveraux aveva origini molto antiche. Probabilmente, le prime registrazioni risalivano al periodo del caos primordiale. Elena serrò le labbra. Peccato che l’altro lato della famiglia non fosse altrettanto illustre. Marguerite era un’immigrata orfana cresciuta da varie famiglie adottive nei sobborghi di Parigi: la storia della sua famiglia si limitava alle
origini marocchine della madre. Ma era una donna stupenda, dalla pelle dorata e dai capelli biondissimi, quasi candidi. E le sue mani... erano piene di talento, capaci di tessere incantesimi. Elena non era mai riuscita a comprendere come mai i suoi genitori si fossero sposati. Probabilmente, non l’avrebbe mai capito. L’unico genitore che avrebbe potuto dirglielo era morto, e quello che restava sembrava aver dimenticato di aver avuto una moglie di nome Marguerite: una donna dall’accento particolare, le cui risate frequenti avevano bandito il silenzio dalla loro casa. Chissà se suo padre pensava mai ad Ariel e Mirabelle, o se aveva cancellato anche loro. Gli occhi di Ari la fissavano, mentre strillava. Il sangue di Belle sulle piastrelle della cucina. Il suo piede nudo che scivolava sul liquido, l’urto contro il pavimento quando cadde. Il palmo bagnato e caldo. Una mano stringeva un cuore che batteva ancora. Scosse la testa, cercando di cancellare quel guazzabuglio di immagini nauseabonde. Quello che aveva fatto Raphael... le aveva ricordato per l’ennesima volta che non era un essere umano. Nemmeno lontanamente. Ma non era neanche il mostro che era venuta ad affrontare. Schiacciò il pulsante del citofono, alzando lo sguardo verso la discreta telecamera di sicurezza. Molto probabilmente, la maggior parte dei dirigenti non la notava nemmeno. Un secondo dopo si aprì la porta. Dall’altra parte non c’era Jeffrey, come ci si poteva aspettare: suo padre era un uomo troppo importante per andare ad aprire alla maggiore delle sue figlie ancora in vita. Anche se non la vedeva da dieci lunghi e gelidi anni. «La signorina Deveraux?» domandò la brunetta, rivolgendole un sorriso meccanico. «Prego, si accomodi.» Elena restò subito colpita dalla carnagione spettrale della
donna, messa in risalto dal suo abitino blu navy. Era l’immagine perfetta dell’assistente del capo. Gli unici tocchi vistosi, nel suo look, erano il diamante scintillante che portava al medio della mano destra e il colletto alla coreana della giacca. Elena fece un respiro profondo, mentre le sue labbra s’incurvavano verso l’alto. La donna irrigidì la schiena. «Io sono Geraldine, l’assistente personale del signor Deveraux.» «Elena.» Le strinse la mano, gelida. «Le suggerirei di farsi prescrivere una cura a base di ferro.» La donna ebbe un breve sussulto. «Lo prenderò come un consiglio.» «Bene.» Chissà se suo padre aveva idea delle occupazioni extracurricolari della sua segretaria. «Mio padre?» «Mi segua, prego.» Un attimo di esitazione. «Lui non sa nulla.» Più che una supplica, sembrò la dichiarazione stizzita dell’allieva di una scuola privata, che aveva combinato qualcosa di male. «Ehi, quello che fa nel tempo libero è solo affar suo.» Elena scrollò le spalle, mentre ripensava a Dmitri chino sul collo della biondina. E allo sguardo famelico che aveva visto nei suoi occhi, quando gli aveva tagliato la gola. «Spero solo ne valga la pena.» La donna le rispose con un sorriso dolce e intimo, prima di guidarla lungo il corridoio. «Oh, sì. È meglio di qualunque cosa possa immaginare.» Elena aveva qualche dubbio in proposito. Ma i dubbi sparivano non appena ripensava alla mano di Raphael sul suo seno, forte, possessiva e molto pericolosa. Peccato non riuscisse a cancellare l’immagine di quella stessa mano che affondava nel torace del vampiro, per strappargli il cuore. Geraldine si fermò davanti a una grande porta di legno. Bussò piano, e si tirò indietro. «Entri. Suo padre la sta aspettando.» «Grazie.» Mise la mano sul pomello.
28 Jeffrey Deveraux era in piedi accanto al camino, con le mani infilate nelle tasche del vestito gessato che doveva essersi fatto confezionare su misura, considerata la sua altezza. Elena aveva preso dal padre, un metro e novanta di statura, mentre Marguerite superava appena il metro e cinquanta. I suoi occhi grigio chiaro la guardarono con l’espressione cauta di un falco, o di un lupo. I lineamenti del volto erano sporgenti e affilati, e i capelli tirati indietro mettevano in evidenza l’attaccatura a V. Alla sua età, sarebbero dovuti essere grigi; invece, era passato da un biondo aristocratico a un bianco purissimo. Quel colore gli donava, anche se gli induriva ancora di più il viso. «Elieanora.» Finì di pulire gli occhiali e se li rimise sul naso. Le lenti sottili e rettangolari avevano lo stesso effetto di una parete spessa venticinque centimetri. «Jeffrey.» «Non fare la bambina», replicò lui a denti stretti. «Sono tuo padre.» Elena scrollò le spalle e, senza rendersene conto, assunse una postura aggressiva. «Mi hai fatto chiamare, eccomi qui», disse, furiosa. Dopo dieci anni d’indipendenza, era bastato un istante davanti al genitore per tornare a essere l’adolescente che elemosinava il suo affetto, ricevendo in cambio un calcio nello stomaco. «Sono deluso. Speravo che le tue frequentazioni ti avessero insegnato le buone maniere.» «Le mie frequentazioni sono sempre le stesse», gli rispose, aggrottando le sopracciglia. «Avrai conosciuto Sara, la direttrice della Corporazione, e Ransom...» «Quello che fanno i tuoi amici cacciatori non m’interessa », la interruppe, con una smorfia di disgusto.
«Lo immaginavo.» Ma perché diavolo si era affrettata a obbedire ai suoi ordini? L’unica scusa cui riuscisse a pensare era lo shock di quella telefonata. «Allora perché li hai tirati in ballo?» «Mi riferivo agli angeli.» Elena sbatté le palpebre, ma subito dopo si domandò perché fosse tanto sorpresa. Jeffrey era coinvolto in tutti gli affari più importanti che si concludevano in città, non tutti strettamente legali. Ma l’avrebbe scorticata viva se lei avesse osato insinuare che il suo lavoro non era assolutamente pulito. «Rimarresti sorpreso, se sapessi cosa considerano accettabile.» La giustizia spietata di Raphael, la sensualità vorace di Michaela, la passione per le stragi di Uram. Niente di tutto quello si adattava alla percezione che suo padre aveva degli angeli. L’uomo liquidò le sue parole con un gesto della mano, come se non avessero nessuna importanza. «Devo parlarti della tua eredità.» Elena serrò il pugno. «Del fondo che mi ha lasciato mia madre, vorrai dire.» Per lui, sarebbe potuta morire di fame in mezzo a una strada. Il volto dell’uomo s’irrigidì. «Buon sangue non mente, a quanto pare.» Era a un passo dal dargli del bastardo, ma, ironia della sorte, fu la voce di sua madre a fermarla. Marguerite l’aveva cresciuta insegnandole a rispettare suo padre. Naturalmente non poteva farlo, ma rispettava il ricordo di lei. «Grazie a Dio», disse, lasciando a lui l’interpretazione di quell’insulto. Jeffrey si voltò e si diresse verso la scrivania, sistemata sotto le finestre sul lato opposto della stanza. I suoi passi furono attutiti dal tappeto persiano di un bordeaux intenso. «Il fondo è scaduto quando hai compiuto venticinque anni.» «Arrivi un po’ in ritardo, no?» L’uomo prese una busta. «Gli avvocati ti avevano mandato
una lettera.» Sì, ricordava di aver gettato nel cestino la busta ancora chiusa. Aveva creduto che fosse l’ennesimo tentativo di convincerla a vendere le azioni dell’azienda di famiglia, ereditate dal nonno paterno, un uomo che le aveva voluto davvero bene. «Hanno avuto non poche difficoltà a rintracciarti.» «Non scaricare sugli altri la tua pigrizia.» Jeffrey tornò da lei e le ficcò in mano la busta. «Il denaro è stato depositato su un conto fruttifero a tuo nome. I dettagli sono tutti lì dentro.» Elena non abbassò lo sguardo. «Perché hai voluto incontrarmi? » Dietro le lenti, gli occhi grigio chiaro si fecero più piccoli. «Per quanto trovi ripugnante la carriera che hai scelto... » «Non è stata una scelta», lo interruppe, fredda. «Ricordi? » Il silenzio con cui le rispose le fece capire che non doveva più fare riferimento a quel giorno maledetto. «Stavo dicendo, per quanto trovi ripugnante la carriera che hai scelto, devo riconoscere che ti fa incontrare persone potenti.» Le si rivoltò lo stomaco. Ma che diavolo si era aspettata? Sapeva di non contare nulla, per suo padre. Eppure era andata da lui. Invece d’inveire come avrebbe fatto da ragazzina, tenne la bocca chiusa: voleva sapere esattamente che cosa voleva da lei. «Sei finalmente nella posizione di aiutare la tua famiglia. » La fissò con occhi di ghiaccio. «Una cosa di cui non ti sei mai preoccupata.» La mano di lei si strinse intorno alla busta. «Sono soltanto una cacciatrice», disse, usando le sue stesse parole contro di lui. «Che cosa ti fa pensare che mi riservino un trattamento migliore?» «Ho sentito che trascorri molto tempo con Raphael», rispose,
imperturbabile. «E che lui potrebbe accettare i tuoi suggerimenti.» Elena si disse che non stava insinuando quello che immaginava... Rabbrividì internamente, mentre incrociava il suo sguardo. «Vuoi fare prostituire tua figlia?» «No», fece lui, impassibile. «Ma, se lo sta già facendo per conto suo, non vedo perché non approfittarne.» Si rese conto di essere sbiancata come un lenzuolo. Senza dire una parola, si girò e uscì dalla porta, che si richiuse sbattendo alle sue spalle. Un istante dopo, sentì il rumore di qualcosa che s’infrangeva, l’urto dissonante del cristallo sbattuto contro il muro. Si fermò, stupita all’idea di aver provocato una reazione simile: Jeffrey Deveraux era sempre molto controllato. «Signorina Deveraux?» fece Geraldine, sbucando da dietro l’angolo. «Ho sentito...» Esitò, e non riuscì a finire la frase. «Le suggerisco di sparire per un po’», le disse, dirigendosi verso la porta. Suo padre doveva essersi arrabbiato perché lei aveva osato sfidarlo, a differenza della sua banda di leccapiedi. Di sicuro non era sconvolto per il fatto di averle dato della puttana. Poco prima di uscire, Elena si voltò a guardare l’assistente. «Oh, Gerry... fa’ in modo che lui non venga mai a saperlo.» La donna annuì, muovendo la testa a scatti. Mai come quel giorno Elena fu grata al rumore del traffico cittadino. Senza voltarsi, scese i gradini e si allontanò dall’uomo il cui sperma aveva contribuito alla sua nascita. Strinse di nuovo la mano a pugno, e in quel momento si ricordò della busta. Fece uno sforzo per calmarsi, quel tanto che bastava per pensare lucidamente, e l’aprì. Era l’eredità che le aveva lasciato sua madre, e non avrebbe permesso a Jeffrey di screditarla. Non era una grossa somma: gli averi di Marguerite erano state divisi tra le due figlie ancora in vita, e consistevano nel
denaro ricavato dalla vendita delle sue trapunte. Non ne aveva mai avuto bisogno, perché Jeffrey le passava una sostanziosa somma ogni mese. Una risata maschile, due mani forti che la lanciavano in aria. Elena vacillò, per il violento impatto di quel ricordo, che si affrettò a scacciare. Era un mero desiderio. Suo padre era sempre stato un rigido sostenitore della disciplina, incapace di perdonare, ma – Elena non poteva negarlo – aveva davvero provato dei sentimenti per quella moglie parigina. L’aveva coperta di soldi, e non aveva perso occasione per regalarle dei gioielli. Dov’erano finiti tutti quei tesori? Erano andati a Beth? Non era particolarmente interessata al valore monetario di quegli oggetti, ma le sarebbe piaciuto avere qualcosa che fosse appartenuto a sua madre. Tutto quello che sapeva era che, un’estate, era tornata dal collegio per le vacanze, e dalla casa di famiglia era scomparsa ogni traccia dell’esistenza di Marguerite, Mirabelle e Ariel, inclusa la trapunta che Elena aveva custodito gelosamente dal suo quinto compleanno. Era come se sua madre e le sue sorelle maggiori fossero vissute solo nella sua immaginazione. Qualcuno la colpì a una spalla. «Ehi, tipa! Levati dal cazzo!» Lo studente, magro e allampanato, si voltò e le mostrò il medio. Elena restituì il gesto, meccanicamente, felice che l’avesse scossa da quello stato di paralisi. Una rapida occhiata all’orologio confermò che aveva ancora un po’ di tempo. Decise di occuparsi subito della questione del fondo, e si diresse verso la filiale indicata nella lettera, che per fortuna non era distante. Aveva già compilato tutti i moduli e si stava alzando per andare, quando il direttore le chiese se volesse vedere il contenuto della cassetta di sicurezza. Elena fissò il suo volto gonfio, che faceva pensare a troppe leccornie e poco esercizio fisico. «Una cassetta di sicurezza, ha
detto?» Lui annuì, sistemandosi la cravatta. «Esatto.» «Non ho bisogno di una chiave e della firma registrata sulla tessera di accesso?» chiese, corrugando la fronte. Lo sapeva per essersi trovata in una situazione simile durante una missione particolarmente complicata. «Normalmente sì», rispose lui, raddrizzandosi la cravatta per la seconda volta. «Ma la sua situazione è piuttosto insolita.» Traduzione: suo padre aveva mosso parecchi fili, per qualche motivo noto solo a Dio. «D’accordo.» Cinque minuti dopo, la sua firma era stata verificata, e le era stata consegnata una chiave. «Se vuole seguirmi nel caveau... Il nostro sistema prevede che io abbia la chiave d’accesso a quest’ultimo e che resti a lei quella della cassetta.» Detto ciò, il direttore si voltò e la guidò all’interno del vecchio e solido edificio, verso la parte posteriore. Le cassette di sicurezza erano nascoste dietro una serie di porte elettroniche, che mal si accordavano alle viscere di quella struttura storica. Elena. Capì subito di non aver immaginato quel sussurro oscuro. «Vattene.» L’uomo che la precedeva si voltò a guardarla da sopra la spalla, sbalordito, e lei finse di controllarsi le unghie. Sei in ritardo. La giovane socchiuse gli occhi, digrignò i denti e si domandò se valesse la pena farsi venire una tremenda emicrania, solo per tenerlo fuori dalla sua testa. Troverai un’auto ad aspettarti all’uscita. Si fermò, con gli occhi fissi sulla giacca del direttore. Riusciva a sentire la sua paura. «Chi ha chiamato qualche minuto fa?» Lui si voltò a guardarla, in preda al panico come un coniglio
che si sente minacciato. «Nessuno, signorina Deveraux.» Con un freddo sorriso, Elena gli lasciò intendere che era riuscito a farla infuriare. «Mi mostri la cassetta.» Palesemente sorpreso da quella dimostrazione di grazia, l’uomo obbedì. Elena aspettò che avesse posato sul tavolo la lunga scatola di metallo, prima di congedarlo con un gesto della mano. Non era che una formica nell’esercito di Raphael. Rimasta sola, Elena fissò la parete che aveva di fronte. «Raphael?» provò a chiamare. Niente. Le labbra serrate, aprì la cassetta e sollevò il coperchio, aspettandosi di trovare... in realtà, non avrebbe saputo dire che cosa si fosse aspettata. Certo, non quello che trovò. Custodie di gioielli, lettere legate da un nastro, foto, la ricevuta di un armadietto usato come deposito. In cima c’era un taccuino rivestito di cuoio nero, con il taglio dorato. Lo toccò con un dito, che ritirò prontamente, prima di rimettere il coperchio. Non poteva farlo. Non quel giorno. Richiamò il direttore, dopo aver richiuso la cassetta, e gli chiese di riporla al suo posto. «Da quanto tempo è qui?» Lui diede un’occhiata al dossier che aveva con sé. «Sembra sia stata aperta quindici anni fa.» Elena gli strappò le carte di mano prima che potesse fermarla, e fissò la firma in fondo alla prima pagina. Jeffrey Parker Deveraux. Quindici anni prima... l’estate in cui il padre aveva fatto sparire ogni traccia di sua madre e delle sue sorelle maggiori. Peccato che quella cassetta raccontasse un’altra storia. Maledetto! Spinse il dossier verso il direttore, attraversò le stanze opulente della banca e si avvicinò alle porte a vetri, che una guardia giurata aprì prontamente. «Grazie.» L’uomo le rivolse un sorriso, che lasciò subito il posto a un’espressione scioccata. Elena seguì la direzione del suo
sguardo e vide una creatura incredibilmente affascinante, appoggiata a un lampione. Aveva due splendide ali blu. Quel lato della strada era sgombro, mentre sembrava che l’intera popolazione di New York si fosse riversata sul marciapiede di fronte. Elena uscì. «Illium.» «Al tuo servizio.» L’angelo fece un cenno con la mano alla Ferrari alle sue spalle, naturalmente rossa. Elena sollevò un sopracciglio. «Come pensi di farci entrare le tue ali?» «Ahimè, io posso soltanto guardare.» Le lanciò le chiavi, che lei afferrò di riflesso, aggrottando le sopracciglia. «Di chi è quell’auto?» «È di Dmitri.» Per poco non scoppiò a ridere, cosa che non aveva assolutamente previsto. «E la mappa?» Gli occhi dorati di Illium, messi in risalto dai capelli neri striati di blu, si spostarono sull’auto. «È nel vano portaoggetti.» Certo, non le sarebbe dispiaciuto provocare Dmitri, facendosi un giro sul suo prezioso giocattolino, ma... «Mi serve una macchina che non dia nell’occhio.» «C’è un garage sotterraneo, a due isolati più a est. Entra, e cambiala.» Si staccò dal palo e spiegò le ali. «Ti stai mettendo in mostra?» «Oui», le rispose, con un sorriso che era puro fascino maschile. «I capelli sono veri?» Annuì. «E anche gli occhi, nel caso te lo stessi domandando. » Un altro sorriso beffardo. Elena notò una piuma che cadeva ondeggiando verso il marciapiede. «Scatenerai un tumulto, se non la raccogli. » Illium seguì la direzione del suo sguardo. «La farò cascare dal cielo. Qualcuno riceverà una piccola magia.»
La giovane sbuffò, ma quel pensiero la commosse. Aprì l’auto e si mise al volante. Dall’altra parte della strada, le telecamere dei telefonini scattavano foto in continuazione, a una velocità folle. Elena alzò gli occhi al cielo. «Adesso vola via, prima che ti saltino addosso.» «Sarò anche affascinante, Elena, ma sono piuttosto pericoloso », rispose, con un lieve accento inglese. «Non ho mai avuto dubbi, al riguardo.» Avviò il motore e partì. Lui si levò in volo alle sue spalle. Poteva essere pericoloso, ma non era un arcangelo. E perché diavolo Raphael le aveva mandato quel... Ma certo. Lui sapeva. Sapeva perché suo padre l’aveva mandata a chiamare e aveva rivolto la parola alla figlia che da dieci anni considerava immondizia. Non solo: aveva anche previsto la sua reazione. E le aveva offerto la migliore vendetta possibile. Le sfuggì un ghigno. La figlia disconosciuta di Jeffrey Deveraux era abbastanza importante da meritare una scorta come Illium... Probabilmente, in tutto lo Stato non c’era persona che non l’avesse già saputo. Il suo cellulare squillò proprio in quel momento, quasi avesse colto la sua imbeccata. Era ferma a un semaforo, e rispose. «Sara? Hai l’orecchio fino.» «E tu ti stai intrattenendo con un angelo che sembra uscito da un sogno erotico.» «Sono tutti stupendi.» Ma un commento simile non era sufficiente. Non per lei. «Ma non hanno ali blu screziate d’argento.» «L’hai visto in TV?» «Immagini scattate con i cellulari. Non capita spesso di vedere un angelo a spasso per la strada», rispose Sara con un
sospiro. «Mi è giunta voce di quello che sta succedendo, ma non ho ancora visto delle foto scattate da vicino. Sembra piuttosto affascinante, comunque. Non mi dispiacerebbe mordicchiare quel bel cul...» Elena scoppiò a ridere. «Frena gli entusiasmi, ragazza. Sei sposata, ricordi?» «Mmm... a proposito di morsi, Deacon...» «Stop! Troppe informazioni!» Il semaforo era di nuovo verde. «Ti richiamo tra qualche minuto.» Stava per svoltare nel garage, quando si ritrovò in grembo una piuma blu. Contrasse le labbra, ma a quel punto era troppo tardi per sollevare lo sguardo. Entrò nell’oscurità del parcheggio sotterraneo e si fermò vicino alla figura immobile del vampiro che l’aveva accompagnata da Raphael. Portava gli occhiali da sole, nonostante il buio. Probabilmente lei avrebbe fatto lo stesso, se avesse avuto i suoi occhi. Scese dall’auto, si sciolse i capelli e s’infilò la piuma appena sopra l’orecchio. «Se quel fiorellino blu non si decide a fare più attenzione, perderà di nuovo tutte le sue piume. » Elena si legò nuovamente i capelli, recuperò la mappa e indicò la berlina piuttosto vecchiotta alle sue spalle. «Le chiavi?» chiese, lanciandogli quelle della Ferrari. «Nel cruscotto.» Il vampiro s’infilò le chiavi in tasca e si staccò dalla portiera del passeggero cui era appoggiato. «Raphael vuole che tu faccia rapporto ogni dieci minuti. » «Di’ al capo che chiamerò quando avrò qualcosa da riferire, Serpentello.» Il vampiro sollevò gli occhiali sopra la testa, abbagliandola con i suoi inquietanti occhi da rettile. «Preferisco Venom.» Veleno. Elena sollevò un sopracciglio. «Non dirai sul serio.» «Sempre meglio di un nome effeminato come Illium. E, comunque, che diavolo significa?» Le rivolse un sorriso
tagliente, mostrandole i canini. L’aveva fatto apposta, pensò Elena. Decisamente. Malgrado le sue espressioni moderne, Venom era troppo vecchio per commettere errori. «E lo sei davvero?» «Che cosa?» «Velenoso.» Un altro sorriso feroce. Si passò la lingua sulla punta di un canino e, quando la tolse, Elena scorse una goccia di liquido dorato. «Assaggiami e lo scoprirai.» «Magari più tardi, quando sarò sopravvissuta a Michaela. » Venom scoppiò a ridere. Una risata virile che attirò l’attenzione di una donna che stava uscendo dall’ascensore all’estremità opposta del garage. La signora lasciò cadere la borsa e si mise a guardarli, attonita. Lui fece finta di niente e continuò a fissare Elena. Abbassò gli occhiali. «Nessuno sopravvive all’Alta Sacerdotessa di Bisanzio. » Le venne la pelle d’oca: quel titolo lasciava intendere quanto fosse antica quella creatura. Senza rispondere, aprì la portiera della berlina e si mise al volante. Prima di mettere in moto, abbassò tutti e quattro i finestrini. Mentre lasciava il garage, vide Venom che si avvicinava alla donna ferma all’ascensore.
29 Stava guidando da una decina di minuti, quando si rese conto di non aver richiamato Sara. Individuò una zona di carico e scarico merci, accostò e digitò il numero dell’amica, che rispose al primo squillo. «Le voci si moltiplicano a una velocità folle. Dicono che l’angelo blu si è levato in volo tenendoti tra le braccia. » «Gli angeli non si sporcano le mani trasportando noi mortali.» A meno che non fosse necessario un trasferimento ultrarapido. «C’è qualcos’altro che dovrei sapere?» «Sono scomparse delle ragazze. Quindici, in una sola settimana.» Adesso, a parlare era la direttrice. «Prendi quel bastardo, Ellie.» «Lo farò.» Quindici? Dove diavolo erano gli altri sette cadaveri? «Hai idea di quando sia successo?» «Non hai già queste informazioni?» «No.» I casi erano due: o gli angeli non sapevano tutto, o le stavano deliberatamente nascondendo qualcosa. La sua mano si strinse intorno al telefono. «Avanti, dammele tu.» «Non c’è molto da dire. Il primo gruppo è scomparso due giorni fa; il secondo ieri notte, o questa mattina presto. » «Grazie, Sara. Dai un bacio a Zoe.» «Tu stai bene?» le domandò l’amica, preoccupata. «Te lo giuro, Ellie: basta che ci chiami e troveremo il modo di aiutarti.» Sapeva che l’avrebbero fatto. La Corporazione era sopravvissuta nei secoli grazie all’assoluta lealtà dei suoi membri. «Sto bene. Devo catturare quel mostro.» «D’accordo. Ma, se la situazione dovesse degenerare, ricordati che ci siamo noi a coprirti le spalle.» «Lo so.» Le venne un groppo in gola, e Sara cercò di farla ridere con la battuta successiva.
«Aswhini a volte è davvero sinistra. Ha chiamato un’ora fa per dirmi che ha una scorta segreta di lanciagranate portatili, e pensava potesse interessarti. Sai qual è stata la mia risposta? ‘E perché cazzo dovrebbero servirle? ’» «Ash... non cambia mai», commentò Elena, ridendo. «Comunque, quei dannati affari potrebbero esserti utili, contro tu sai cosa. Basterà una parola, Ellie.» «Grazie, Sara.» Riattaccò, prima di cedere alla tentazione di rivelarle più di quanto avrebbe dovuto. Fece un respiro profondo, riavviò il motore e proseguì verso la Torre degli Arcangeli. Come c’era da aspettarsi, Michaela aveva trascorso la maggior parte del tempo nella sua residenza o nei dintorni della torre, al di là della sosta occasionale in un grande magazzino. Stava per lasciare la strada principale, per perlustrare la zona, quando lo sentì. Acido e sangue. Inchiodò con uno stridore di freni e smontò dall’auto, incurante del tassista che imprecava dietro di lei. Poi, con estrema cautela, compì un giro su se stessa. Eccolo. Saltò di nuovo in macchina, parcheggiò in doppia fila e uscì. Adesso che aveva trovato la scia, sarebbe stato meglio proseguire a piedi. Un altro profumo giunse alle sue narici. Cioccolato fondente, dal gusto intenso. Peccaminoso. Seducente. Si fermò e annusò. «Dmitri.» Doveva essere passato di lì, oppure si trovava ancora nelle vicinanze. Con qualsiasi altro vampiro, sarebbe riuscita a distinguere le scie. Ma la presenza di Dmitri era troppo forte, e la scia di Uram era più vecchia... «Merda.» Tirò fuori il cellulare e chiamò Raphael. «Elena.» Le s’infiammò il sangue, all’udire quella voce: conteneva sesso e ghiaccio, dolore e piacere. «Il profumo del tuo capo della sicurezza mi sta facendo perdere la pista.» «L’hai trovata?»
«Sì. Puoi richiamare Dmitri?» Una pausa. «Già fatto.» «Grazie.» Riattaccò. Ancora pochi istanti e quella voce le sarebbe entrata nell’anima, senza più abbandonarla. Invece, si schiarì la mente, si concentrò e ricominciò a cercare. Il profumo del vampiro si stava indebolendo a una velocità impressionante. O correva come un fulmine, o si era servito di qualche veicolo. Non che le importasse, l’unica cosa che contava era che aveva perso... no, invece, eccola. Svoltò a sinistra e cominciò a correre. Aveva percorso cinque isolati, quando qualcosa la indusse a sollevare lo sguardo. Il cielo, che fino a poco prima era sereno, si stava facendo grigio e cupo. All’improvviso, Elena scorse un lampo di blu, che scomparve subito dopo. Illium. Era la sua guardia del corpo? Liquidò quella domanda con una scrollata di spalle e si fermò in mezzo a una zona residenziale. L’unico negozio era una drogheria che sorgeva discreta tra due condomini. Il traffico pedonale era meno intenso, rispetto agli isolati che si era lasciata alle spalle, ma era comunque costante. Elena si accorse degli sguardi nervosi di alcuni passanti, e si rese conto di avere in mano uno dei suoi pugnali da lancio, dalla lama lunga e sottile. «Signorina», la chiamò una voce tremante alle sue spalle. Non si voltò. «Agente, sono impegnata in una battuta di caccia. Il tesserino della Corporazione è nella tasca posteriore sinistra dei miei pantaloni.» I cacciatori erano autorizzati a portare armi d’ogni genere, ed Elena non si muoveva mai senza i documenti. «Ah...» Gli mostrò la mano sinistra, vuota. «Lo prendo, okay?» Il vento le portò quel sentore acido. Sangue denso, scuro. Dannazione, dannazione! Avrebbe dovuto inseguire la sua
traccia, invece di perdere tempo con quello sbirro novellino, che non sapeva nulla dei cacciatori. Ma che diavolo insegnavano all’accademia di polizia? La donna davanti a lei si mise a urlare, mentre un lampo blu scendeva sulla strada in picchiata. Elena lanciò un’occhiata al poliziotto, vide la sua espressione stupefatta, e corse via: era certa che non l’avrebbe seguita. Aveva il classico sguardo di chi veniva colpito da un angelo. Circa il cinque per cento della popolazione era soggetto a quel fenomeno. A quanto pareva, avevano scoperto un rimedio per combatterlo, ma la maggior parte della gente non voleva essere «curata». «Quando vedo un angelo, ho davanti a me la perfezione », aveva dichiarato un uomo in un documentario trasmesso di recente. «Nei brevi istanti in cui sono vittima della loro magia, la vita reale non esiste più, e il paradiso è a portata di mano. Perché dovrei rinunciarci?» Per un momento fugace, Elena l’aveva invidiato. Erano diciotto anni che non credeva più nell’esistenza di un guardiano celeste. Quando la telecamera si era fermata sullo speaker, colpito da un angelo, le era venuto un conato di vomito. Aveva un’espressione di adorazione, pura e cieca. Era quel tipo di devozione che trasformava gli angeli in dei. No, grazie. Non faceva per lei. Dopo qualche minuto, l’odore di Uram le provocò un dolore alla gola. Si guardò intorno, e si rese conto di essere finita in una bella zona residenziale, da qualche parte a est di Central Park. Doveva essere una zona molto ricca, a giudicare dalle dimensioni degli edifici: non c’erano i soliti palazzoni pieni di appartamenti. Un attimo dopo, individuò il posto. Senza preoccuparsi troppo, scavalcò il cancello di ferro battuto di una villa: ci avrebbe pensato Raphael a sistemare le cose, se qualcuno l’avesse vista. Notò un sentierino alla sua destra, lo imboccò e si portò sul retro della casa.
«Un parco privato.» Stupefacente: non aveva mai pensato che potesse esistere una cosa simile, a Manhattan. Quel rettangolo lussureggiante era circondato da dimore del tutto simili alla prima, dallo stile vagamente europeo. Elena aggrottò le sopracciglia e tastò il muro dell’edificio, ma quello non le comunicò nessuna sensazione di antichità. Era un falso, pensò, delusa. Qualche costruttore doveva aver acquistato quell’appezzamento di terreno, su cui aveva creato un complesso con giardino all’inglese, che doveva avergli fruttato una montagna di soldi. Gli angeli avevano soldi da buttare. E l’odore era così potente... ma non fresco. «È stato qui. Ma se n’è andato.» «Ne sei sicura?» Fece un salto, sollevando la mano che brandiva il pugnale: Raphael era alle sue spalle. «Ma dove diavolo...? Hai usato l’incantesimo?» Lui ignorò la sua domanda. «Dov’era?» «In casa, credo», rispose Elena, cercando di riportare il battito cardiaco a un ritmo normale. E dovette fare uno sforzo per non piantargli la lama nel cuore, per averla spaventata a morte. «Credevo non sfoggiassi i tuoi poteri in pubblico.» «Non ci sta guardando nessuno.» Spostò gli occhi sulla piuma blu che lei si era infilata tra i capelli. «Sono tutti impegnati a guardare le acrobazie di Illium.» Elena ignorò l’oscura possessività che aveva notato nel suo sguardo. «Dobbiamo entrare.» Lo aggirò e fece per andare all’ingresso posteriore, quando lui l’afferrò per un braccio. Si fermò, pronta a scrollarselo di dosso, ma si rese conto che voleva soltanto toglierle la piuma dai capelli. «Oh, per l’amor di Dio», mormorò. «Contento, adesso?» «No, Elena. Non lo sono affatto», le rispose, mentre stringeva la piuma nella mano. Quando la riaprì, dal palmo cadde una
pioggia di polvere blu brillante. Lei preferì non chiedergli come ci fosse riuscito. «Vuoi scassinare la serratura?» «Venom dice che non sente cuori che battono, là dentro. » Le si strinse lo stomaco. «Morte? Sente odore di morte? » «Sì.» Mollò la presa, e s’incamminò davanti a lei. Elena diede un’occhiata al lato della casa e alla strada: Venom era fermo nel cortile, accanto al cancello, che probabilmente non era più chiuso a chiave. Aveva il classico aspetto di una guardia del corpo. Una presenza normale, in un quartiere lussuoso come quello. Soddisfatta, al pensiero che avrebbe impedito a chiunque d’interromperli, seguì l’arcangelo alla porta. «Aspetta», gli disse, quando lo vide mettere la mano sul pomello. «Potremmo far scattare qualche allarme, e attirare l’attenzione di qualcuno.» «Ce ne siamo già occupati.» Era sorprendente la velocità di alcuni vampiri. «Venom? » Raphael annuì, rapido. «È un esperto.» «Perché la cosa non mi sorprende?» mormorò lei, lottando contro il violento attacco di nausea scatenato dall’odore che filtrava attraverso la porta. «Oh, Dio.» Raphael la aprì completamente. «Vieni.» Le porse la mano. «Sono una cacciatrice.» Poi però Elena chiuse le dita intorno alle sue. Non se la sentiva di affrontare da sola un simile livello di depravazione e malvagità. Varcarono la soglia insieme, e Raphael non ebbe problemi a passare con le ali. «È una casa pensata per un angelo », disse lei, mentre osservava la pianta aperta del piano terra. Non c’erano pareti, e sul tappeto del soggiorno c’era una macchia di Rorschach rossa su fondo bianco. Si sarebbe aspettata una violenta esplosione di colori, invece la sfumatura dominante era un grigio informe. Le tende proiettavano ombre pesanti, che sembravano smorzare i suoni...
amplificando qualunque altra cosa. Putrefazione. Acido. Sesso. I gusti le si mescolarono sulla lingua, minacciando di rivoltarle lo stomaco. «Ha fatto sesso con loro.» Raphael guardò i cadaveri legati alle travi, con gli occhi accesi da fiamme azzurre. «Sei sicura?» «Lo sento.» Forse i vampiri erano le uniche creature che lei riuscisse a rintracciare attraverso l’odore, ma il suo senso dell’olfatto era comunque più sviluppato di quello di un comune mortale. O di un arcangelo, a quanto pareva. «Niente sangue.» Elena fissò le macchie sul tappeto. «E quelle come le chiami?» Non avrebbe più guardato in alto, si disse. Non avrebbe reso più vivide le immagini orrende che un’unica occhiata fugace le aveva stampato nella mente. Membra appese che ondeggiavano alla brezza del condizionatore, volti paralizzati in uno spasmo di terrore. Pelle pallida dilaniata, labbra tinte di blu, capelli usati come un cappio. Raphael le strinse la mano e la fece indietreggiare dal margine di quell’abisso che sembrava chiamarli. «Non ha bevuto il loro sangue. Le ferite sono brutali, ma non ci sono segni di morsi.» Elena sapeva già che nessun medico legale avrebbe esaminato i resti delle vittime. Se volevano una chance di trovare Uram, doveva esaminarli con i suoi occhi. Doveva essere sicura. Era il suo lavoro. «Tirale giù», disse, con voce rauca. «Devo vedere le ferite da vicino.» Raphael le lasciò andare la mano. «Dammi il pugnale. » Glielo posò sul palmo, di piatto, e lo guardò mentre si avvicinava all’esplosione vermiglia del soggiorno, con le ali tese verso l’esterno, lievemente allargate, in modo che non strisciassero sul pavimento. Gli bastò sbatterle una volta per
generare una folata di vento. I corpi ondeggiarono. Elena corse alla porta e uscì nel giardino, dove vomitò tutto quello che aveva mangiato. Era la seconda volta, da quella mattina. Continuò ad avere tremendi crampi allo stomaco anche dopo averlo vuotato e, quando qualcuno le passò il boccaglio di una canna dell’acqua, vi si aggrappò quasi fosse una fune di salvataggio. Si sciacquò bocca e viso, prima di bere avidamente l’acqua che sapeva di plastica, quasi fosse nettare. «Grazie.» Lasciò cadere il tubo e sollevò lo sguardo. Venom le rivolse un sorriso, lento e beffardo. «Una cacciatrice grande e grossa che si spaventa davanti a un po’ di sangue...» Chiuse il rubinetto. «Hai distrutto le mie illusioni.» «Povero piccolo», fece lei, asciugandosi il viso con la mano. Il vampiro le mostrò i denti brillanti e bianchissimi, messi in risalto dalla tonalità esotica della sua carnagione. «Va meglio?» le chiese, fingendo di preoccuparsi. «Mordimi.» Gli diede la schiena e si costrinse a salire di nuovo i gradini che l’avrebbero riportata in quel mattatoio. «Oh, ne ho tutta l’intenzione», disse lui con voce strascicata, allusivo. «Ovunque.» Senza neppure voltarsi a guardare, Elena lanciò un pugnale nella sua direzione ed ebbe la soddisfazione di sentirlo imprecare, quando lui lo afferrò per la lama e si ritrovò con il palmo aperto. Recuperate le forze, la giovane oltrepassò la soglia. Raphael era in soggiorno. Prima di deporre l’ultimo cadavere sul tappeto, si fermò un istante a cullare il corpo di quella povera donna. Quando la sistemò supina in fondo alla fila, Elena deglutì e gli si avvicinò. «Mi dispiace. » Non gli spiegò nulla. Non poteva dirgli la verità, non su quello. L’arcangelo alzò lo sguardo. «Non devi scusarti. È un bene provare orrore davanti a certe cose.»
«Succede anche a te?» gli domandò, curiosa. «Non abbastanza.» Un’antica oscurità attraversò il suo viso. «Ho assistito a tali malvagità che, in confronto, la morte di queste poveri innocenti mi tocca appena.» L’assenza di umanità nelle sue parole le provocò una stretta al cuore. «Parlami di quegli orrori.» S’inginocchiò. «Così che possa dimenticare questo scempio.» «No. La tua mente è già affollata da troppi incubi.» Incrociò il suo sguardo. «Trova Uram. Questo può aspettare. » Elena capì che lui aveva ragione, quindi uscì. Trascorse una decina minuti lacerando la via di fuga dell’arcangelo. Quasi tremava per la frustrazione, quando rientrò in casa per comunicare quello che aveva scoperto. «Se n’è andato volando.» Raphael indicò i corpi con un cenno. «Allora dobbiamo esaminare le vittime, per cercare qualche indizio.» Lei annuì, muovendo la testa a scatti, e andò a inginocchiarsi accanto al primo corpo. «È stata tagliata dal collo all’ombelico, con una lama poco tagliente.» Gli organi interni non erano più al loro posto. «Per caso hai trovato quello che manca?» «Sì. C’è... una collezione nell’angolo alle tue spalle.» La bile le irritò la gola, ma Elena strinse i denti e proseguì: «Non c’è nessun segno di morsi. Niente che ci induca a pensare che abbia usato qualcosa che non fosse un coltello». Quando passò al secondo cadavere, si rese conto di non aver osservato il volto della poverina. Era un errore: Uram poteva averle succhiato il sangue da lì. Una volta aveva visto un cadavere che era stato prosciugato con un bacio. Con lo stomaco in subbuglio, fece per toccare la faccia della vittima, ma si fermò. «Ho bisogno di un paio di guanti.» «Dimmi che cosa vuoi vedere.» Le ali di Raphael occuparono il suo campo visivo, quando andò a mettersi dall’altra parte del cadavere.
«Non essere stupido», mormorò, allontanandogli la mano mentre stava per toccare la donna, dimenticando che era stato lui a tirarla giù dal soffitto. «Potrebbe essere infetta come la superstite della strage nel magazzino.» Quegli occhi di un azzurro incredibile incrociarono i suoi. «Sono immortale, Elena.» Quel richiamo la colpì con la forza di un martello. Certo che era immortale. Come poteva averlo dimenticato? «La bocca.» Lei distolse lo sguardo da quel volto che non aveva più nulla di umano. «Aprile la bocca.» Raphael l’accontentò, deciso ed efficiente. Grazie al cielo il rigor mortis era passato, così non fu costretto a spezzarle la mascella, anche se per lui sarebbe stato un gioco da ragazzi. Elena recuperò una piccola torcia dalla tasca laterale dei pantaloni, e illuminò la cavità orale. «Niente morsi.» Passarono in rassegna anche gli altri corpi, con metodica precisione. Tutte le donne erano state squarciate con un pugnale, più o meno crudelmente. La prima era ancora viva, quando l’aveva sventrata, l’ultima era già morta. «Non c’è nessun segno di morsi. Ma potrebbe aver succhiato il sangue dalle ferite.» O dalle viscere. «Mordere le vittime per berne il sangue fa parte del gioco.» «Allora non si è nutrito, non c’è dubbio.» Si era limitato a torturarle. «Un figlio del sangue non sarebbe riuscito a resistere alla tentazione di bere.» I pezzi del puzzle cominciavano a incastrarsi. «Prima ha ucciso queste donne, e poi quelle del magazzino.» L’aria condizionata aveva preservato i cadaveri, ma uno sguardo più attento rivelò che la morte doveva risalire a uno o due giorni prima: il colore del sangue secco sulle pareti, l’assenza di rigor mortis, le macchie ipostatiche comparse sui corpi quando il cuore aveva smesso di pompare il sangue, che era filtrato verso
il basso per effetto della gravità. Ai cacciatori veniva richiesto di seguire un corso sugli effetti della morte: spesso erano i primi a trovare le vittime di un vampiro. Elena provò a esercitare una lieve pressione sulle macchie violacee, ma non notò nessuno scolorimento: la pelle non diventava pallida per poi riprendere colore. Il livor mortis era cominciato da tempo. «Ha usato queste ragazze per fare pratica.» «Eppure hai seguito il suo odore sino a qui.»
30 Elena si dondolò sui talloni, mentre fissava l’unica macchia di sangue che non si adattava allo schema temporale che aveva ricostruito: quella sul tappeto. Era troppo fresca. «Hai ragione. Quel bastardo è tornato ad ammirare la sua opera!» «Metterò qualcuno di guardia», disse Raphael, alzandosi dopo di lei. L’arcangelo aveva i polpastrelli sporchi di sangue e gli abiti macchiati nei punti in cui aveva sfiorato i cadaveri. Vedendolo così, Elena ripensò al loro ultimo incontro: il pugno insanguinato, il ritmo atterrito di un cuore che batteva. In qualche modo, non le parve più tanto spaventoso. Uram aveva giocato con le sue vittime, come un gatto con un topo che vuole solo tormentare, ma non mangiare. L’arcangelo di New York era spietato, duro e letale, ma non torturava mai nessuno senza un motivo. Ogni sua azione aveva uno scopo, foss’anche solo terrorizzare la gente, così che nessuno osasse più tradirlo. «Non credo che tornerà», disse Elena, mentre andava in cucina per lavarsi le mani. «È venuto qui dopo la strage nel magazzino per godersi la sua opera maligna, o per riposare. Ma guarda questa.» Indicò una scodella che era rotolata sotto il tavolo. «L’ha gettata via... forse dopo aver assaggiato il sangue che conteneva, e che evidentemente non l’ha soddisfatto.» «Questa era la sua casa dei divertimenti, ma dev’essersi reso conto di preferire i giocattoli vivi.» «Sì, vuole carne fresca.» Quella frase suonò un po’ fredda, ma lei doveva mantenere un certo distacco. Se si fosse concessa di sentire... Raphael annuì. «Credi che si nutrirà ancora, questa notte?» «Anche se fosse costantemente assetato di sangue, direi che è poco probabile, dopo la scorpacciata che ha fatto al magazzino.» In quell’istante, il rombo di un tuono squassò la terra, e cominciò a piovere a dirotto, come se qualcuno avesse aperto un
rubinetto. «Merda!» Elena si voltò verso la porta. «Merda! Merda! Merda!» Raphael la lasciò sfogare, e poi le chiese, calmo: «Non hai detto che Uram se n’è andato volando?» «Non ci sarà più nessuna traccia. Uram sarà cancellato dalla città intera.» Si lasciò andare a un piccolo urlo. «La pioggia è l’unica cosa che rovina le piste. Per questo i vampiri preferiscono i luoghi piovosi.» Avrebbe voluto uccidere le divinità della pioggia, ma si accontentò di prendere a calci la pietra del piano di lavoro della cucina. «Che male, cazzo!» Raphael fece un cenno verso la porta. «Occupati dei corpi.» Elena non ebbe bisogno di voltarsi per capire che era arrivato Dmitri. Il suo profumo l’avvolse come un dannato mantello. «Smettila, vampiro, o giuro su Dio che t’impalo con la tua stessa gamba.» «Non sto facendo niente, Elena.» Lei guardò il suo viso teso e tirato, e capì che non la stava prendendo in giro. «Merda. Sono distrutta. Troppa adrenalina. Sto per crollare.» Le sue abilità si riducevano a zero, prima di un crollo. «Tanto vale farmi qualche ora di sonno.» Non aveva dormito più di un’ora o due, la notte precedente, legata su quella dannata sedia. «In ogni caso, non posso fare niente finché Uram non riprenderà a muoversi.» Doveva aspettare che uccidesse di nuovo. «Stai tenendo d’occhio Michaela?» chiese a Raphael. «Potrebbe essere la nostra esca migliore.» «È un arcangelo», le rammentò lui. «Prestarle le mie risorse equivarrebbe a dire che le sue sono insufficienti.» «Non vuole?» Elena scosse la testa. «Allora prego Dio che abbia degli uomini validi, e che tu possa contare su spie in gamba.» Irritata dall’arroganza degli angeli, dalla pioggia e dall’intero fottuto universo, uscì da quella casa senza nemmeno
voltarsi. Venom era rimasto al cancello. Bagnato era ancora più affascinante. Maledetto. «Mi serve un’auto.» Con sua grande sorpresa, lui le fece cadere un mazzo di chiavi sul palmo della mano, e le indicò la berlina che aveva parcheggiato in doppia fila. «Grazie.» «Di nulla.» Il vampiro stava giocando con lei, ma Elena non era dell’umore giusto per ribattere. Superò il cancello e andò verso l’auto. Vai a casa mia, Elena. Ci vediamo là. Aprì la portiera e si mise al volante, togliendosi la pioggia dal viso e sentendone la freschezza sulla lingua. Ma, no, quello era Raphael. Stava aspettando una risposta. «Sai una cosa, arcangelo? Credo sia giunto il momento di accettare la tua offerta.» Quale, in particolare? «Quella di scoparmi fino a ridurmi all’oblio.» Doveva dimenticare: il sangue, la morte, le viscere del male sparse sulle pareti di quella casa dall’aspetto innocente. Un uomo migliore non approfitterebbe di te nello stato in cui ti trovi. «Fortuna che non sei un uomo.» Già. Un’unica parola che grondava erotismo. Di riflesso, Elena strinse le cosce. Infilò la chiave nel blocco dell’accensione, avviò il motore e partì. Il profumo della pioggia e del mare svanì dalla sua mente: Raphael se n’era andato. Ma lo sentiva ancora sulla lingua, come se avesse emesso qualche feromone esotico in grado di farle percepire l’odore degli angeli, e non quello dei vampiri. Non che gliene importasse qualcosa. I corpi appesi, le ombre sul muro...
No, niente ombre, questa volta. Strinse le mani intorno al volante, mentre si fermava a un semaforo rosso. Aveva gli occhi annebbiati dalla pioggia e dai ricordi. «Ricacciali indietro», si ordinò. «Non ricordare.» Ma era troppo tardi. Un’unica ombra terrificante apparve sulla parete della sua mente, mossa dalla brezza che entrava dai finestrini aperti. Sua madre aveva sempre amato l’aria fresca. Qualcuno alle sue spalle suonò il clacson, e lei si rese conto che il semaforo era diventato verde. Ringraziò mentalmente l’automobilista di averla scossa dai suoi ricordi, e cercò di concentrarsi sulla guida. La pioggia avrebbe dovuto rendere le strade un inferno, invece erano stranamente tranquille. Come se l’oscurità del cielo nascondesse una forza malvagia che aveva catturato la popolazione e l’aveva portata sottoterra, verso la morte. In un attimo Elena si ritrovò nell’enorme ingresso della Grande Casa, la dimora che Jeffrey aveva comprato dopo... Dopo. Era davvero una Grande Casa per quattro persone. Il piano mezzanino era circondato da una balaustra bianca di metallo, molto resistente. Elegante e antica, era la casa perfetta per un uomo che ambiva alla poltrona di sindaco. «Mamma, sono a casa!» Silenzio. Troppo silenzio. Il panico le strinse la gola, le bruciavano gli occhi, e in bocca aveva il sapore del sangue. Si accorse di essersi morsicata la lingua. Aveva paura. Era terrorizzata. Ma, no, non c’era traccia di vampiri. «Mamma?» chiamò ancora, con voce tremula. Mentre guardava quella stanza enorme, si domandò perché sua madre avesse lasciato una scarpa con il tacco alto in mezzo al pavimento di piastrelle. Forse l’aveva dimenticata. Marguerite era molto particolare. Bella, ribelle, artistica. A volte
dimenticava i giorni della settimana, o indossava due scarpe diverse, ma a Elena non importava. Quella scarpa la trasse in inganno, inducendola a entrare. Un rumore. Uno schianto. Il ricordo si frantumò sotto il peso della spaventosa realtà del presente. Inchiodò l’auto, non appena si rese conto che qualcosa era rimbalzato sul suo parabrezza. «Gesù.» Slacciò la cintura, aprì la portiera e scese dall’auto. Aveva investito qualcuno? Il vento le sferzava i capelli, mentre la pioggia cadeva con violenza. Il temporale era arrivato dal nulla, un anomalo segnale sul radar della natura. Elena affrontò le raffiche e si portò davanti al cofano. In quel momento, si rese conto che non c’era nessun altro oltre a lei lungo quel tratto di strada. Forse la gente aveva deciso di aspettare che smettesse di piovere. Sbatté le palpebre per togliersi qualche goccia dagli occhi, e immaginò che avrebbero dovuto attendere a lungo. Sul parabrezza c’era una foglia, incastrata sotto uno dei tergicristallo, ancora in movimento. Davanti all’auto, a un paio di metri, c’era un grosso ramo. Elena tirò un sospiro di sollievo e diede un’ultima occhiata sotto il veicolo, tanto per essere sicura. Niente. C’era solo un ramo staccato dal vento. Tornò al volante, chiuse la portiera con forza e accese il riscaldamento: sentiva freddo fin nelle ossa. Stava congelando. Si asciugò il viso con il palmo della mano e percorse il resto del tragitto concentrandosi sul presente. I fantasmi continuavano a sussurrarle all’orecchio, ma si rifiutò di ascoltarli. Se li metteva a tacere, non potevano toccarla, né trascinarla di nuovo in quell’incubo. Stava per fermare l’auto davanti al cancello di Raphael, quando sentì squillare il cellulare nella tasca. Era bagnato fradicio, ma sembrava funzionare ancora. Sollevò lo sportellino per rispondere, e riconobbe subito il numero. «Ransom?» «E chi, se no?» In sottofondo si sentiva una musica jazz. «Mi
sono giunte delle voci, Ellie.» «Non posso dirti...» «No», la interruppe. «Intendevo dire che ho sentito delle cose che dovresti sapere.» «Continua.» Ransom aveva conoscenze speciali. Era cresciuto in strada e, a differenza di altri, non aveva mai rinnegato le proprie origini. In effetti, nella gerarchia della strada, un cacciatore occupava una posizione addirittura migliore dei capi banda. «Negli ultimi giorni ci sono vampiri e angeli ovunque.» «Già.» Non era una novità. Raphael aveva sguinzagliato tutti i suoi alla ricerca delle tracce di Uram o delle sue vittime. «Si mormora di ragazze scomparse.» «Ah-ha.» «È il caso che metta in guardia le prostitute?» le chiese, con voce tesa. Elena sapeva che aveva delle amiche tra le squillo di strada, e d’alto bordo. «Lasciami pensare.» Ripensò ai particolari che aveva raccolto sulle vittime. «Credo che non corrano rischi, una volta tanto.» «Sei sicura?» «Sì. Gli obiettivi avevano l’aria... innocente.» «Stai dicendo che erano vergini?» Elena non aveva nemmeno pensato di controllare. Un errore cui avrebbe rimediato il prima possibile. «È probabile. Comunque, faresti bene ad avvertire le tue amiche di tenere gli occhi aperti.» «Grazie del consiglio.» Buttò fuori una boccata d’aria. «Ma non è per questo che ho chiamato. Sembra che ci sia una taglia sulla tua testa.» Elena rimase pietrificata. «Cosa?» «Già, e c’è dell’altro.» La collera di Ransom viaggiò da un capo all’altro del telefono. «Sembra che un arcangelo ti voglia
morta. Si può sapere che cosa diavolo gli hai fatto? » Elena corrugò la fronte. «Che cosa le ho fatto. È una donna.» «Ah, allora non c’è da preoccuparsi...» La sua voce era irritazione pura. «Stando ai pettegolezzi, vuole la tua testa su un vassoio d’argento... letteralmente...» «Dio, grazie di averlo specificato.» «... comunque, la caccia non è stata ancora autorizzata. » Michaela, quella troia, stava ricorrendo a squallidi giochi mentali. «Apprezzo l’avvertimento.» «Allora, che cosa pensi di fare? Te la dai a gambe o uccidi l’arcangelo?» «Vedo che ho tutta la tua fiducia!» Ransom sbuffò. «Diamine, non è che non abbia fiducia in te. È solo che mi hai nominato nel testamento...» «Valgo troppo da viva, in questo momento.» «E quando avrai portato a termine il tuo incarico?» Qualcuno le aprì la portiera dall’esterno, e un paio di ali occupò tutto il suo campo visivo. «A quel punto, riconsidererò le opzioni a mia disposizione. Ci sentiamo più tardi.» Richiuse il telefono, prima che Ransom potesse aggiungere altro, e sollevò lo sguardo verso quegli occhi dall’azzurro impossibile. «Michaela mi vuole morta.» L’espressione di Raphael restò immutata. «Non permetto a nessuno di rompere i miei giocattoli.» Quella risposta avrebbe dovuto irritarla, invece Elena sorrise. «Però... ora sì che mi sento al sicuro!» «Con chi stavi parlando?» «Non ti sembra di essere un po’ troppo possessivo?» Lui le toccò la guancia con la mano bagnata, e la sua presa le fece capire che non ammetteva compromessi. «I miei giocattoli sono soltanto miei.» «Attento», mormorò lei, posando un piede sul terreno fradicio, fuori dall’auto. «Potrei arrabbiarmi. Comunque, ho una
domanda.» Silenzio. «Erano vergini?» «Come lo sai?» «Il male è prevedibile.» Era una sporca menzogna. Talvolta il male s’insinuava nella tua vita come un ladro, e ti portava via ciò che avevi di più caro, lasciando soltanto delle ombre su una parete. Un’ombra sottile, che oscillava quasi con delicatezza. Quasi fosse su un’altalena. Raphael si passò il pollice sul labbro inferiore. «Vedo ancora incubi nei tuoi occhi.» «Mentre nei tuoi vedo sesso.» Raphael raddrizzò la schiena e tirò Elena fuori dall’auto. Alle sue spalle, le ali si allargarono verso l’esterno, bagnate e scintillanti. C’era qualcosa di selvaggio nella sua bocca sensuale, e nel modo in cui s’incurvava. Elena si sporse in avanti e gli mise le braccia intorno al collo, pronta a godersi la forza che emanava da quella creatura. Quel giorno avrebbe infranto qualsiasi regola. Al diavolo il sesso con i vampiri, sarebbe andata direttamente alla fonte. «Allora, come fa sesso un arcangelo?» Una raffica di vento li investì, portando via le sue parole. Ma Raphael aveva sentito. Si chinò su di lei e le sfiorò le labbra con le sue. «Non ho ancora accettato di venire a letto con te.» Elena sbatté le palpebre, corrugò la fronte e si tirò indietro. «Cos’è, adesso giochi a fare il prezioso?» Lui si voltò. «Vieni. Mi servi in piena forma.» Insultandolo sottovoce, la giovane chiuse la portiera dell’auto – gli interni, ormai, erano fradici – e si avviò verso la villa. Raphael le camminava accanto, silenzioso. Ma non pareva affatto tranquillo, non più di un giaguaro che tiene a freno la sua pericolosità letale. Era ancora accigliata, quando raggiunsero la
porta. Il maggiordomo li fece accomodare. «Ho preparato il bagno, signore.» Quindi, lanciò un’occhiata a Elena, incuriosito. «Signorina.» Raphael lo congedò con uno sguardo, e l’uomo scomparve fondendosi con i pannelli di legno che rivestivano le pareti. «Il bagno è al piano superiore.» Elena salì le scale con passo pesante. L’aveva stuzzicata a livelli impossibili, e adesso, quando lei aveva davvero bisogno di lasciarsi andare, si metteva a giocare. Proprio come si fa con un giocattolo, pensò. Bene, se era ciò che voleva... «Sei riuscito a scoprire se aveva avuto rapporti sessuali con quelle ragazze?» «Sì, ma solo nella casa nel parco. Le vittime del magazzino non sono state toccate, da quel punto di vista... per questo pensiamo che le altre fossero vergini, prima che lui le prendesse.» Raphael era dietro di lei, così vicino che il suo respiro le accarezzava la nuca. «In fondo al corridoio, terza porta a sinistra.» «Molto obbligata», gli rispose, sarcastica, notando che oltre il parapetto a destra c’era soltanto aria. Il vuoto. Come se il cuore della casa fosse un enorme spazio aperto. «Significa qualcosa? Il contatto sessuale?» chiese Raphael «Forse. Sui cadaveri non c’erano segni, al di là delle ferite mortali, quindi è probabile che le vittime fossero consenzienti. Almeno all’inizio.» Gli arcangeli erano carismatici, sexy, e incredibilmente irresistibili. Forse Uram era diventato un mostro, ma esternamente doveva essere affascinante quanto l’arcangelo di New York. No, pensò subito: Raphael apparteneva a una categoria a parte. «Oppure, è successo dopo la morte.» Era troppo stanca per provare disgusto. «Possibile.» Raggiunse la terza porta e mise la mano sul pomello. «Forse, per un breve periodo, ha sublimato l’urgenza di nutrirsi con il sesso.
Ma adesso solo il sangue riesce a soddisfarlo.» Strinse la presa. «Altre donne moriranno, perché ho perso il suo odore.» «Ne morirebbero di più se tu non fossi nata», ribatté lui, concreto. «Sono al mondo da secoli, Elena, credimi, due o trecento morti sono un piccolo prezzo da pagare per fermare un figlio del sangue.» Due o trecento? «Non gli permetterò di arrivare a tanto.» Aprì la porta con una spinta, ed entrò nel regno della fantasia. Ferma sulla soglia, rimase senza fiato mentre osservava la stanza. Un bel fuoco ardeva nel camino alla sua sinistra, e le fiamme dorate illuminavano la pietra scura del focolare. Davanti c’era un enorme tappeto bianco, dall’aria confortevole e soffice... sembrava fatto apposta per rotolarcisi sopra. Nudi. Quando si dice «abbandonarsi ai piaceri»... Sul lato opposto della stanza si apriva una porta che doveva condurre alla stanza da bagno. Sì, Elena intravedeva i sanitari di ceramica bianca, e il piano del lavabo dello stesso marmo del camino. Dentro l’attendeva una vasca piena d’acqua calda, di cui aveva un disperato bisogno. Eppure non si mosse. Tra il camino e il bagno c’era un letto, il più grande che avesse mai visto: avrebbe potuto ospitare dieci persone senza che si toccassero. Era molto alto rispetto al pavimento, e aveva un design molto semplice, senza testiera. Le lussuose lenzuola blu notte promettevano di sfiorare la sua pelle con una carezza esotica. Diede un colpo di tosse per schiarirsi la gola. «Perché... un letto così grande?» Lui le mise le mani sui fianchi e la spinse avanti. «Per le ali, Elena.» Con un fruscio improvviso, le spiegò in tutta la loro ampiezza; poi fece scattare la serratura. Era sola con l’arcangelo di New York. Davanti a un letto disegnato per ospitare un paio d’ali.
31 Il suo corpo scelse proprio quel momento per cedere ai brividi. La breve risata di Raphael, forte e virile, lasciava intendere che sapeva di averla già fatta sua. «Penso sia meglio fare un bagno, prima.» «Credevo volessi fare il difficile.» Le accarezzò la gola con un dito, provocandole un brivido di natura diversa. «Voglio solo stabilire alcune regole, prima.» Elena si sforzò di avanzare fino alla stanza da bagno. «Le conosco già. Non aspettarti niente al di là di una danza tra le lenzuola, niente occhioni dolci, eccetera.» Il tono era disinvolto, ma mentre pronunciava quelle parole provò uno strappo al cuore. No, si disse, sconvolta e atterrita. Elena P. Deveraux non sarebbe mai stata tanto stupida da donare il suo cuore a un arcangelo. «È solo... oh, merda!» esclamò, entrando nella stanza da bagno. «È più grande della camera da letto!» Quasi. La «vasca» aveva le dimensioni di una piccola piscina da cui si alzava il vapore, una pura tentazione sensuale. Sulla destra c’era la zona doccia, senza pareti di vetro, delimitata soltanto da piastrelle screziate d’oro. Le si accese una lampadina in testa. «Le ali», sussurrò. «Ogni cosa è stata pensata per ospitare le tue splendide ali.» «Sono felice che ti piacciano.» Il rumore di qualcosa di bagnato che cadeva sul pavimento la indusse a girare la testa. La camicia di Raphael era per terra, sulle piastrelle fresche e bianche. Per poco lei non si mise a sbavare, vedendolo a torso nudo. Smettila, si rimproverò. Ma era difficile non restare a bocca aperta davanti al più bel corpo che avesse mai visto. «Che cosa fai?» Lui sollevò un sopracciglio. «Il bagno.» «E le regole?» chiese Elena, mentre le sue dita afferravano
l’estremità della maglietta bagnata, pronte a sfilarla da sopra la testa. Lui si tolse gli stivali e li gettò in un angolo con un calcio, mentre la guardava togliersi la T-shirt, rivelando il modesto reggiseno sportivo che portava sotto. «Possiamo discuterne mentre facciamo il bagno.» La sua voce prometteva sesso... ed Elena ne comprese il motivo quando abbassò lo sguardo. La pioggia aveva trasformato il suo reggiseno nero in una seconda pelle: il tessuto morbido aderiva perfettamente ai capezzoli, mettendoli in risalto. «D’accordo.» Non riuscendo a guardarlo e a pensare contemporaneamente, gli diede la schiena e si tolse stivali e calze, prima di slacciarsi il reggiseno. Aveva già portato le mani alla vita dei pantaloni, quando sentì il calore del suo corpo dietro di lei. Un attimo dopo le stava togliendo l’elastico dai capelli. Fu particolarmente delicato, non le fece nessun male. Le ciocche bagnate ricaddero sulla schiena nuda. Le labbra di lui le sfiorarono il collo. Calde. Peccaminose. Elena rabbrividì di nuovo, mentre la pelle d’oca si diffondeva su ogni centimetro del suo corpo. «Niente imbrogli.» Le mani grandi e calde di Raphael salirono lungo il torace umido fino ad afferrarle i seni. Quel gesto audace la fece sussultare. Gemette. «Basta così, ho freddo.» Anche se era molto bravo a scaldarla dall’interno. La baciò ancora sul collo. Elena mise le mani sopra le sue e chinò la testa da un lato, per rendergli le cose più facili. Lui fece scorrere la lingua sulla sua pelle, inseguendo una goccia di pioggia caduta dai capelli. Le leccò la nuca e la spalla, prima di risalire. Poi infilò i pollici nella vita dei suoi pantaloni, mentre lei raddrizzava la schiena. «No...» disse, staccandosi. «Prima le regole.» «Sì, le regole sono molto importanti.» Aspettò che le girasse intorno, per mettersi davanti a lei, ma
non lo fece. Le labbra di Elena s’incurvarono in un sorriso: dal momento che aveva deciso di vivere pericolosamente, tanto valeva farlo sino in fondo. Si slacciò i pantaloni e se li sfilò insieme con gli slip, gettandoli da una parte con un calcio. Quindi, si voltò a guardarlo da sopra la spalla. Gli occhi di Raphael furono illuminati da un lampo cobalto. Vivi e vividi, in un modo che proclamava la sua immortalità. Elena restò senza fiato, ma sapeva di dover tenere duro. Gli rivolse un sorriso malizioso e salì i gradini costruiti lungo un lato della vasca; quindi, entrò in acqua. «Ooooooh.» Calore liquido. Il paradiso. S’immerse completamente, poi tornò fuori con la testa, e si tolse i capelli dagli occhi. Raphael era dove l’aveva lasciato, e la stava osservando con i suoi occhi impossibili. Ma questa volta lei non si lasciò ipnotizzare: adesso il suo corpo nudo era lì, per il suo diletto. L’arcangelo era l’incarnazione delle fantasie femminili, con quel petto scolpito dai muscoli levigati che servivano a sostenere il suo peso quando si levava in volo. Con lo sguardo gli accarezzò i contorni del torace e l’addome, per poi scendere. Prese un respiro e si costrinse a guardare più su. «Entra.» Raphael sollevò un sopracciglio, poi obbedì. Mentre entrava in acqua, Elena si ritrovò a fissare i muscoli di quelle cosce possenti: che cosa avrebbe provato a essere circondata da tanta forza, quando l’avesse penetrata? Le si strinse lo stomaco. Non aveva mai desiderato un uomo con tanto ardore, né era stata mai tanto consapevole della propria femminilità. Raphael avrebbe potuto spezzarla come un ramoscello. E, per una cacciatrice nata, non era una minaccia... bensì la più oscura delle tentazioni. Chiuse a pugno la mano sott’acqua, ricordando il modo in cui l’aveva costretta a tagliarsi. Non l’aveva dimenticato : non coltivava illusioni riguardo al fatto che sarebbe cambiato,
diventando più umano. No. Raphael era l’arcangelo di New York, e doveva farsi trovare preparata se voleva portarselo a letto. L’acqua sciabordava contro i suoi seni, mentre lui si accomodava all’estremità opposta della vasca, con le ali ripiegate dietro la schiena e i capelli che cominciavano ad arricciarsi per il vapore. «Perché aspetti tanto?» Impossibile non notare la vistosa erezione. «Quando hai vissuto a lungo come me, impari ad apprezzare nuove sensazioni. Sono rare, nella vita di noi immortali.» Senza accorgersene, Elena si era fatta più vicina. Lui le circondò la vita con un braccio e la tirò a sé, mentre lei si metteva a cavalcioni sopra di lui e incrociava le gambe dietro la sua schiena. Raphael la strinse a sé con forza. «Il sesso non è una cosa nuova per te.» Lei sospirò, mentre accarezzava il suo membro deliziosamente eretto con la parte più calda del proprio corpo. Non avrebbe saputo trovare un aggettivo per descrivere la sensazione stupenda che stava provando. La sensazione di lui. «Tu sì, però.» «Non sei mai stato con una cacciatrice?» Sorrise, e gli mordicchiò il labbro inferiore. Ma lui non rispose al suo sorriso. «Non sono mai stato con Elena.» Il suo tono era così virile e il suo sguardo così intenso che Elena sentì di essere totalmente sua. Gli circondò il collo con le braccia e si allungò all’indietro, per guardarlo. «E io non sono mai stata con Raphael. » In quel momento avvertì un cambiamento nell’aria, nella sua anima. Poi lui le posò le mani sulla schiena, in basso, e quella sensazione passò. Non era stato niente, si disse; solo la sua immaginazione iperattiva. Era stanca, frustrata e divorata dal
desiderio di quell’uomo, che non le aveva mai nascosto di poterla uccidere. «Le regole», disse Raphael, guardandola negli occhi. Lei si avvicinò ancora, senza smettere di strusciarsi contro il suo membro. In quel momento aveva bisogno del piacere che solo Raphael poteva darle. E, per averlo, era persino disposta ad accettare un pizzico di crudeltà. «Allora?» L’arcangelo la fermò con le sue mani forti. «Finché durerà, sarò il tuo unico amante.» Elena tese i muscoli, avvertendo il tono assoluto e possessivo di quell’affermazione. «Finché durerà che cosa?» «Il desiderio che proviamo l’uno per l’altra.» Dal canto suo, Elena temeva che quella brama furiosa non l’avrebbe mai abbandonata. Sarebbe arrivata alla tomba struggendosi per l’arcangelo di New York. «Solo se accetterai una condizione.» «Avanti», disse, per nulla contento. «Nemmeno tu potrai andare con altre, siano donne, vampiri o angeli.» Affondò le unghie nelle sue spalle. «Non sono disposta a dividere il mio amante.» Forse era un giocattolo, ma con gli artigli. L’espressione di Raphael si ammorbidì, e nei suoi occhi cobalto balenò un lampo di soddisfazione. «Affare fatto.» Elena si era aspettata di lottare. «Dico sul serio. Non avrai nessun’altra. Mozzerò le mani a chi oserà toccarti, e getterò il suo cadavere dove nessuno potrà mai trovarlo. » Sembrò divertito dalla sua macabra minaccia. «E a me? A me che cosa farai? Mi sparerai di nuovo?» «Non mi sento in colpa per questo.» Invece sì. Un po’. «Ti fa ancora male?» Raphael scoppiò a ridere, e il piacere di quella risata fu come una carezza. «Ah, Elena, sei una continua contraddizione. No, non fa male. È guarita, ormai.»
Voleva fare la dura, ma quel sorriso la fece sciogliere. «Allora, dimmi: che cosa eccita un arcangelo?» «Una cacciatrice nuda è un buon inizio.» La strinse più forte contro la sua erezione, tenendola ferma quando lei si sarebbe voluta dimenare. «Le ali», le disse mentre le baciava il collo, e trovava quel piccolo punto sensibile appena sopra la clavicola. Riuscì ad ammorbidirla, tanto che ricambiò il favore. «Le ali?» chiese lei, mordicchiandogli i tendini del collo, mentre un languido calore s’impadroniva di tutto il suo corpo. Aveva creduto di volere una scopata rapida e violenta, capace di fotterle il cervello sino a farle passare la scarica di adrenalina. Ma adesso, tra le sue braccia, cominciava a pensare che una lenta discesa nell’oblio sarebbe stata di gran lunga migliore. Non ottenendo risposta, decise di esplorare quel territorio per conto proprio. Con una mano accarezzò decisa l’estremità superiore dell’ala destra. Sentì il suo corpo irrigidirsi, e si domandò se avesse fatto qualcosa di molto piacevole o, viceversa, qualcosa che non avrebbe mai dovuto fare. Dal momento che il suo membro continuava a pulsare sotto di lei, duro e rovente, decise che gli piaceva, e lo accarezzò di nuovo. Questa volta, Raphael rabbrividì. «Sono erogene?» Elena socchiuse gli occhi e gli tirò dolcemente i capelli per allontanarlo dal suo collo. «Sua altezza la troia ha strofinato le ali contro le tue.» L’arcangelo non si liberò dalla sua presa, anche se sapevano entrambi che avrebbe potuto farlo in un secondo. «Solo in alcune situazioni.» Un lungo dito cominciò a descrivere dei cerchi intorno ai suoi capezzoli. Elena gli schiaffeggiò la mano. «Non me la bevo.» Allora Raphael spostò il dito sull’incavo del gomito, procurandole un brivido. «Questo punto è così sensibile, in situazioni normali?» «Hmph», fece lei, mentre mollava i capelli e si lasciava
baciare. Quando si staccarono per prendere fiato, lui le disse: «Sì, sono sensibili. Ma diventano erogene solo in situazioni molto sensuali... e con te succede sempre». «Suppongo che mille anni insegnino molte cose sulla seduzione», sussurrò lei contro le sue labbra. Labbra perfette, che avrebbe potuto mordicchiare per ore. «Sei così scaltro... e astuto...» «Per una guerriera, forse.» Era troppo occupata a baciarlo per rispondergli prontamente. Tutto il suo corpo era concentrato su quello dell’arcangelo, e la sua pelle era così sensibile che temette di scoppiare. «Nella vasca da bagno?» Lui scosse la testa. «Voglio vederti nel mio letto.» «Un’altra cacciatrice che s’innamora», mormorò Elena. «Dov’è il sapone?» Raphael allungò una mano lungo il bordo della vasca e afferrò una saponetta quasi trasparente. Mentre s’insaponava le mani e cominciava a massaggiarle le spalle, Elena fu avvolta da un profumo pulito e vivace, molto simile a quello di Raphael: sapeva di vento, acqua e foreste. «Sono in molte a innamorarsi?» gli domandò lui, mentre le sue mani scendevano a insaponare la parte esposta dei suoi seni. Elena s’irrigidì ulteriormente, nella parte bassa del corpo. «I vampiri sono sexy», lo schernì. «E di solito gli angeli sono troppo boriosi per preoccuparsi di noi umani. Ho sempre pensato che foste troppo evoluti per apprezzare certi piaceri.» Raphael la guardò da sotto le ciglia scure, e fece scivolare le mani insaponate sotto il livello dell’acqua, per farle cose indubbiamente poco lecite. «Allora imparerai qualcosa, questa notte.» Elena si mosse sopra le sue dita, incitandolo a continuare. «Sì, così... ti prego.»
L’arcangelo le passò la saponetta, ma lasciò l’altra mano dov’era, accarezzandola con una pazienza che la maggior parte degli uomini non avrebbe appreso nemmeno se fosse campata mille anni. «Coraggio, cacciatrice. Tocca a te istruirmi.» Ansimante, disse: «Lezione numero uno... dai sempre a una cacciatrice quello che vuole». Mentre lui la portava a un inevitabile crescendo, lei s’insaponò le mani e cominciò a esplorare il suo corpo. I tendini, i muscoli forti... era meraviglioso sotto ogni punto di vista. «Oh!» Lasciò cadere il sapone e si aggrappò alle sue spalle con le mani scivolose, mentre lui le prendeva il clitoride tra due dita, minacciando di portarla all’orgasmo. «Fermo», sussurrò, e lui obbedì... solo per infilare due dita dentro di lei, in profondità. «Lasciati andare.» Le baciò il collo. «Lasciati andare.» Lasciarsi andare? Non c’era mai riuscita, neanche la prima volta. Nella sua innocenza, si era stretta con tanta forza al suo compagno da fratturargli una clavicola. Ma Raphael non era umano, non si sarebbe spezzato e non l’avrebbe accusata di essere una schizzata. E poi un piacere primitivo decise per lei. L’arcangelo coinvolse le sue labbra in un bacio selvaggio, in un duello di labbra e lingua, mentre le sue dita continuavano a penetrarla con movimenti vigorosi e sempre più veloci. Elena raggiunse il culmine con un’esplosione deliziosa, mentre tutto il suo corpo si tendeva fin quasi a farle male. Nel frattempo, Raphael aveva finito d’insaponarla. Quando le disse di chinare indietro la testa per sciacquarsi i capelli, obbedì con un sorriso sognante. Ci si sarebbe anche potuta abituare, pensò, rifiutandosi di pensare al futuro. In verità, le sue prospettive di vita erano ben lontane da quelle di un comune mortale. I cacciatori rischiavano continuamente la vita. E, come se non bastasse, lei era sulle tracce di un arcangelo impazzito. «Alzati.» Obbedì e, mentre si alzavano insieme, lo baciò.
Un guizzo sorpreso illuminò gli occhi dell’arcangelo. «Fino a quando potrò aspettarmi una condiscendenza così piacevole?» «Aspetta e vedrai.» Si lasciò guidare fino all’angolo della doccia, dove Raphael eliminò i residui di schiuma prima di prendere un telo blu cielo. Elena lo accettò con piacere e cominciò ad asciugarsi: moriva dalla voglia di guardarlo, mentre faceva lo stesso. Si muoveva con assoluta disinvoltura, come se non conoscesse l’effetto che le faceva la semplice vista del suo corpo. E ciò la intrigava ancora di più. Era chiaro che si rendeva conto di essere bellissimo, e di risultare irresistibile agli occhi delle donne mortali. Ma in quel momento lei capì che non c’era vanità, dietro la sua arroganza. Ed era giusto così: in fondo, Raphael era un guerriero, e il suo aspetto affascinante era semplicemente un’altra arma del suo arsenale. Senza alcun avvertimento, allargò le ali e le scrollò, facendole piovere addosso una pioggia di goccioline. «Ehi!» fece lei, avvolgendosi nel telo. Poi prese un altro asciugamano per tamponargli le piume. «Si asciugano da sole.» «Ma sarà altrettanto piacevole?» Lanciò un’occhiata eloquente al suo membro eretto, e fece scivolare il morbido telo sulle ali, con estrema cura. «Sbrigati, Elena.» Di nuovo quel lampo cobalto nei suoi occhi. «Sono pronto a scoparti fino a ridurti all’oblio. » Oh, Dio. Elena lasciò cadere il telo, lo costrinse a chinare il capo e lo baciò con passione. E lui apprezzò, a giudicare dalla reazione. Le tolse di dosso l’asciugamano e la sollevò, sino a farle mettere le cosce intorno alla sua vita. Quindi, interruppe quel bacio e uscì dalla stanza da bagno. «Ora tocca a me, cacciatrice.»
32 Raphael la posò delicatamente sul letto. «Bello», fece lei con un sospiro, gustandosi la sensazione decadente delle lenzuola sulla pelle. L’arcangelo la guardava in modo così virile, e così possessivo, che per un istante lei si domandò se non avesse commesso un errore. E se avesse voluto tenerla con sé? «Hai mai avuto una schiava?» Le labbra di lui s’incurvarono lievemente, ma il divertimento fu temperato dall’urgenza sensuale. «Molte.» L’afferrò per le caviglie e le allargò le gambe. «Tutte ansiose di compiacermi... in ogni modo possibile.» Elena provò a scalciare, ma lui la trascinò verso di sé. A giudicare dall’espressione, non pensava ad altro che al sesso... che di lì a poco avrebbe fatto con lei. «Alcune di loro avevano studiato anni per soddisfare un uomo fino a portarlo all’estasi. Le donne vampiro, poi, avevano alle spalle secoli di pratica.» «Bastardo», affermò lei sferzante, ma aveva i muscoli tesi e i seni in fiamme. Lui la sollevò, così che gli andasse incontro mentre la penetrava con un unico movimento deciso. «Ma a nessuna di loro ho mai proibito di avere altri amanti.» Elena inarcò la schiena, mentre tentava di assorbire l’impatto della penetrazione, e di quell’estasi piena. Quando riuscì finalmente a prendere fiato, lo trovò nella medesima posizione, come se anche lui stesse lottando per controllarsi. «Non mi sembri il tipo cui piace condividere le proprie cose.» «No», rispose, mentre cominciava a uscire con un movimento volutamente lento. «Se una di loro andava con un altro uomo, c’erano dozzine di donne pronte a rimpiazzarla. Non m’importava granché.» Elena aveva perso quasi del tutto la capacità di ragionare, concentrata com’era sul punto d’unione dei loro corpi. L’ultimo
briciolo di lucidità crollò sotto la forza vertiginosa e seducente delle sue parole. Raphael tornò dentro di lei, facendola ansimare. «Se prenderai un altro amante, Elena, quello che gli farò diventerà un incubo che rimarrà impresso per sempre nella memoria umana.» Poi le parole cessarono, e rimase solo movimento: il movimento viscido di un corpo sull’altro, il botta e risposta di un uomo e una donna, e l’esplosione erotica e potente che portò entrambi all’estasi. L’ultimo pensiero di Elena fu quello di aver sottovalutato la forza del loro reciproco desiderio.
Quando si svegliò, si rese conto di essere distesa su qualcosa di caldo, morbido e setoso. Allargò le dita e si accorse che stava accarezzando... «Oh!» Si rizzò a sedere, inorridita, ma un pesante braccio maschile la costrinse a sdraiarsi di nuovo. «Le tue ali», sussurrò, accarezzandone una. «Sono forti.» Una pigra dichiarazione maschile, piena di... di qualcosa. Era sul punto di voltarsi per guardarlo, quando notò in che stato si trovava. «Oh, no... dimmi che non l’hai fatto !» Era tutta uno scintillio, dalla testa alla punta dei piedi. La polvere d’angelo le era penetrata in ogni poro, le aveva coperto le sopracciglia... e le era entrata persino in bocca. La miscela speciale. La mano di lui le accarezzò il fianco, la vita, il seno. «Non l’ho fatto... apposta.» Era imbarazzo quello che aveva sentito nella sua voce? Corrugò la fronte e si passò la lingua sulle labbra, leccando un po’ di quella sostanza scintillante. Provò subito uno strano formicolio, e una sensazione di calore... come se non stesse già bruciando. «Forse siamo stati un po’ troppo... precipitosi?»
Raphael la strinse ancora più forte. «Hai qualcosa di cui lamentarti?» Elena sorrise. Aveva ragione: l’arcangelo aveva perso il controllo. «Diamine, no.» Si dimenò tra le sue braccia, per voltarsi a guardarlo in faccia. «Sembri... diverso.» Non avrebbe saputo dire che cosa fosse cambiato, eppure... Raphael si fece scuro in volto. «Mi hai reso un po’ più umano.» Un flash: Raphael che perdeva sangue da una ferita da arma da fuoco. «E questo che cosa significa?» «Non lo so.» Il suo bacio fu un attacco di febbre e, prima che Elena se ne rendesse conto, Raphael era dentro di lei. Un amplesso veloce, furioso e assolutamente sublime. Molto, molto più tardi, quando ormai si annunciava un nuovo giorno, Elena cercò di lavar via dalla pelle la polvere d’angelo, senza troppo successo. Continuava a brillare, ma in modo meno appariscente. E, grazie al cielo, quella roba non era fosforescente. Si voltò verso Raphael, che la guardava rivestirsi dalla sua posizione rilassata accanto al camino. «Se qualcuno dovesse assaggiare questa roba mi salterebbe addosso?» «Sì», rispose lui, con uno scintillio negli occhi. «Quindi, fa’ in modo che non accada.» Elena si fermò un momento, davanti alla minaccia contenuta in quel comando. «Non andare in giro ad ammazzare gente per me, Raphael.» «Hai fatto la tua scelta.» Andare a letto con un arcangelo. «Credo che l’eccitazione sessuale stia svanendo», mormorò, mentre s’infilava un paio di pantaloni cachi con i tasconi e una T-shirt nera. Si mise anche un maglione, sempre nero. Era mattino presto e fuori era ancora buio; la pioggia aveva fatto abbassare la temperatura. «Dico sul serio, Raphael. Prova a uccidere qualcuno e verrò a darti la caccia.» Gli mostrò di
proposito le sue armi – inclusa la pistola speciale – mentre le tirava fuori dalla borsa per nascondersele addosso. Lui la guardò impassibile, le ali illuminate dalle fiamme alle sue spalle e il corpo nudo, con l’eccezione di un paio di pantaloni neri. «È già finita la luna di miele?» Elena attraversò il tappeto per guardare il volto che avrebbe popolato i suoi sogni per il resto della sua vita. «Assolutamente no.» Mise le mani a pugno sul suo petto nudo, e aspettò che si abbassasse per baciarlo. «Se vuoi considerarmi un giocattolo, fai pure. Ma non ti aspettare che mi comporti come tale.» Lui le mise una mano sulla nuca, bloccandola in segno d’avvertimento. «Non tentare di domarmi, piccola cacciatrice. Non sono...» Il resto della frase fu soffocato da uno schianto lacerante. Vieni qui, piccola cacciatrice. Assaggia. «Elena.» Il suo tono tagliente la riportò al presente. «Sto bene.» Si schiarì la gola. «Okay, ci siamo chiariti. Ha smesso di piovere...» «Che cosa vedi?» Lo guardò negli occhi e scosse la testa. «Non riesco ancora a dirtelo.» Forse non lo sarebbe mai stata. Non minacciò di strapparle quell’informazione con la forza. «Pioviggina ancora... È probabile che Uram sia ancora in uno stato di Torpore.» «Già.» Si staccò da lui e incrociò le braccia. «A questo non avevo pensato. Non amano il freddo, vero?» Una domanda retorica. «Soprattutto dopo una scorpacciata.» «Ricorda che non è un vampiro.» Elena buttò fuori una boccata d’aria, frustrata. «E allora che cosa diavolo è? Dimmelo, accidenti!» «È un Angelo del Sangue.» Raphael si avvicinò alla finestra, ma lei sapeva bene che in quel momento stava vedendo immagini molto più sinistre del buio che precedeva l’alba. «È un
autentico abominio, una creatura che non sarebbe mai dovuta esistere.» La collera che emanava dal suo corpo era quasi una forza fisica. «È il primo?» gli domandò Elena. «Che io ricordi, è il primo arcangelo a essere diventato un figlio del sangue. Ma Lijuan dice che ce ne sono stati altri.» La giovane ripensò all’esponente più antica degli arcangeli. Lijuan era l’unico membro del Quadro a mostrare i primi segni di vecchiaia. Non che offuscassero la sua bellezza esotica: il viso, le ossa, gli occhi chiarissimi. Eppure c’era qualcosa di sbagliato, in lei. Quasi non appartenesse più a questo mondo. «Dunque è il primo arcangelo di cui tu sia a conoscenza », mormorò Elena, riflettendo su quelle parole. «E che mi dici degli angeli comuni?» «Ottima domanda, Elena.» Non si voltò a guardarla. Le apparve di nuovo distante, come quando l’aveva incontrato la prima volta sul tetto della torre. Sembravano essere passate settimane, da quel giorno. «Quelli li abbiamo bloccati senza problemi. Erano quasi tutti giovani maschi con un intelletto molto ridotto, rispetto a quello che Uram sembra aver conservato dopo la transizione.» «Di quanti angeli stiamo parlando?» Elena fissò la sua nuca, come se potesse costringerlo a parlare con la sola forza dello sguardo. «Uno all’anno?» Raphael incrociò i suoi occhi attraverso il riflesso scuro della finestra, mentre andava a mettersi alle sue spalle. «No.» Elena ricacciò la frustrazione, e andò ad appoggiarsi al vetro, così da poterlo guardare in faccia. «Evidentemente siete molto bravi a coprire le tracce dei figli del sangue... gli umani non hanno nemmeno delle leggende, su questi mostri.» «In molti casi, solo le vittime hanno conosciuto la verità... e pochi minuti prima di morire.» «Questo mi fa sentire molto speciale.» Senza accorgersene,
Elena aveva cominciato a tracciare il delicato contorno di una piuma, vicino al bicipite. «Dimmi una cosa... questi figli del sangue... sono dei poveri folli?» Raphael la guardò da sotto le ciglia folte e peccaminose. «Tutti noi corriamo il rischio di diventarlo.» Allarmata da quella strana risposta, lasciò cadere la mano lungo il fianco. «Senza nessun preavviso? Non mi ricordi che, più cose so, più rischi corro?» «Sai già troppo.» Le rivolse un sorriso che sapeva di rabbia, crudeltà e cose che era meglio non immaginare. «È un bene che tu sia venuta a letto con me. Nessuno oserà toccare la mia amante.» «Peccato che gli immortali abbiano interessi tanto fugaci. » Il freddo della finestra cominciava a penetrarle nelle ossa, ma rimase dov’era. «Visto che so già troppo, dimmi perché alcuni angeli si trasformano in vampiri.» La sua espressione si fece serrata. «Sei ancora un essere umano.» Elena si trattenne a stento dal prenderlo a calci. «Sono anche una cacciatrice che insegue un arcangelo. Sei stato tu a coinvolgermi in questa storia. Dammi gli strumenti che mi servono per combattere.» «Il tuo compito è trovare Uram. Abbiamo bisogno della tua abilità.» Abbiamo. Il Quadro dei Dieci. «Come posso svolgere il mio lavoro se continui a ostacolarmi ?» Dovette fare uno sforzo tremendo per controllare la rabbia. «Più cose so sull’obiettivo, maggiori sono le probabilità che riesca a predirne i movimenti!» Raphael le passò un dito sulla guancia. «Sai perché Illium ha perso le piume?» «Perché eri di cattivo umore?» gli gridò in faccia, frustrata. «Smettila di cambiare argomento.»
Raphael ignorò il suo comando. «Perché ha rivelato a un’umana la nostra più oscura verità.» Davanti a quel tono solenne, Elena non poté ignorare la sua età, la sua immortalità. Catturata da quelle parole, gli chiese cosa fosse successo alla donna. «Le abbiamo tolto i suoi ricordi. Mentre Illium ha ricevuto il divieto di rivolgerle la parola.» «L’amava?» «Forse.» Il suo viso diceva che non era poi così importante. «Ha vegliato su di lei sino alla fine dei suoi giorni, anche se lei nemmeno lo riconosceva. È amore, questo?» «Non lo sai?» «Ho visto migliaia di definizioni dell’amore, nel corso dei secoli. Non esiste una costante.» La fissò, impassibile. «Se Illium amava quella mortale, si è comportato da stupido. Sono secoli che è tornata polvere.» «Sei senza cuore», mormorò Elena, mentre avvertiva il tepore del sole che sorgeva alle sue spalle. Da quanto erano lì? La notte aveva lasciato il posto all’alba... «Non avresti potuto concedergli di vivere con la donna che amava?» «No.» I lineamenti erano duri, netti. Il suo viso era privo di compassione. «Se un mortale sa, presto saprà anche qualcun altro. Non avete molto rispetto per i segreti.» In quell’affermazione assoluta, Elena vide il suo futuro. «Non togliermi i miei ricordi», lo supplicò, ancora. «Dammi la caccia, se devi. Ma non rubarmi la memoria.» «Preferiresti morire?» «Sì.» «E sia.» Il tono perentorio di quelle due brevi parole le incendiò il sangue. Le aveva pronunciate quasi fossero un voto. «Ti rendi conto che dovrai darmi la caccia, per uccidermi ?»
Il sorriso di Raphael celava la fredda arroganza di un uomo che sapeva esattamente quanto potesse essere pericoloso. «Servirà a spezzare la noia dell’età.» Elena sbuffò e guardò fuori dalla finestra. «Ha smesso di piovere. Esco... Forse Uram non ha trascorso la notte in stato di Torpore. Potrei trovare una traccia.» «Prima mangia.» Raphael indietreggiò. «Non abbiamo mai smesso di cercarlo. Se avesse ucciso di nuovo, a quest’ora l’avrei saputo.» Per quanto nervosa, Elena sapeva che avrebbe fatto meglio a mettere qualcosa nello stomaco. «D’accordo, prendo un boccone al volo.» «Comincerai le tue ricerche dalla dimora di Michaela? » «Potrebbe essere una buona idea. Se è da queste parti, probabilmente le farà visita. C’è...» Fu interrotta da una suoneria familiare. «Dannazione, dove l’ho messo?» «Qui.» Raphael lo tirò fuori dai vestiti che aveva gettato sopra la borsa con la sua roba. «Prendi.» «Grazie.» Un’occhiata al display fu sufficiente a ribaltarle lo stomaco. «Ciao, Jeffrey.» Si domandò quale sarebbe stato il suo commento, se gli avesse detto che con lei c’era un arcangelo seminudo. Probabilmente le avrebbe chiesto di concludere qualche accordo, approfittando dei postumi della nottata di sesso. Osservò il profilo di Raphael, mentre accendeva un portatile che fino a quel momento non aveva notato, e si lasciò sfuggire un ghigno serrato. «Che cosa vuoi?» L’istinto di riappendere le faceva ribollire il sangue... ma si sarebbe staccata un braccio a morsi piuttosto che permettere a quell’uomo di trasformarla in una codarda piagnucolosa. «Devi venire nel mio ufficio.» Qualcosa nel tono del padre riuscì ad attraversare gli strati complessi e turbolenti della sua collera. «C’è qualcuno, con te?»
«Subito, Elieanora.» Poi, riattaccò. «Devo raggiungere mio padre in ufficio.» Raphael distolse lo sguardo dal laptop, e alzò un sopracciglio. «Credevo che gli avessi già parlato ieri.» Elena non si disturbò a chiedergli come lo sapesse: né lei né Jeffrey si erano preoccupati di moderare i toni. «È successo qualcosa. L’auto è ancora dove l’ho lasciata?» Raphael aspettò un momento prima di rispondere; probabilmente stava comunicando mentalmente con i vampiri. «Ti accompagna Dmitri.» «D’accordo.» Fece per uscire, svelta. «Se è un altro dei suoi giochetti di potere... Accidenti, non intendo mollare tutto solo perché me lo chiede lui.» Tirò fuori il telefono e lo richiamò. «Sono impegnata in una battuta di caccia», disse, non appena lui le ebbe risposto. «Non ho tempo per giocare alla famigliola felice.» «Ma forse troverai il tempo di ripulire il disastro lasciato dal tuo amico.» Le si gelò il cuore. «Ma di che cosa stai parlando?» «Sono quasi certo che era ancora viva, quando l’ha aperta in due per mostrare la cassa toracica rotta.»
33 Raphael ce la portò in volo, e atterrò in strada con una grazia e una fluidità che avrebbero lasciato di sasso chiunque li avesse visti; ma era troppo presto perché ci fosse in giro qualcuno, soprattutto in un quartiere così esclusivo. La investì nell’istante stesso in cui toccarono terra: quell’odore acido ormai familiare, con un sentore di sangue denso e sostanzioso. «Uram», disse a Raphael, mentre cominciavano a salire i gradini. «Sa che sono sulle sue tracce.» L’arcangelo scrutò la strada. «Deve averlo letto nella mente di qualcuno. Oppure, ti ha visto all’opera.» «L’incantesimo dell’invisibilità.» Con le labbra serrate, spinse la porta che suo padre aveva promesso di lasciare aperta. «Jeffrey è nello studio. Ha detto che il corpo è nell’appartamento al piano di sopra.» Un’estensione del suo ufficio, o così aveva sempre pensato. Andarono subito di sopra. Stava per aprire la porta, quando le tornò in mente Geraldine. Pelle pallida, abito impeccabile, l’odore di vampiro che si mescolava al suo profumo. «Dannazione.» Entrò. Nel soggiorno non c’era nessuno. Facendo attenzione a non calpestare prove importanti, seguì l’odore di Uram fino alla porta della camera da letto. La donna era nell’esatta posizione descritta da suo padre. Sembrava quasi che qualcuno avesse cominciato a eseguire un’autopsia, e fosse stato interrotto a metà. Il torace era aperto a rivelare le viscere, e brandelli di pelle penzolavano dalla cassa toracica. Ma non era quello ad averla paralizzata, sul gradino d’ingresso. Non era Geraldine. Quella donna aveva la pelle dorata tipica dei climi tropicali, e i capelli biondi e chiarissimi. Lineamenti sottili, non molto alta di statura, labbra che dovevano essere
state avvezze a sorridere, in vita. Elena serrò i pugni. «È stato Uram, non ho dubbi.» Una verità pronunciata a denti stretti. «Seguirò il suo odore.» Stava per andarsene, quando Raphael l’afferrò per un braccio. «Non correre rischi sciocchi solo perché sei in collera con tuo padre.» «Non sono in collera.» Le sue emozioni erano un miscuglio caotico che nemmeno lei riusciva a comprendere. «Somiglia a mia madre», disse senza pensarci troppo. Una copia sbiadita, che però non aveva nulla a che fare con l’eleganza algida della seconda moglie di Jeffrey: Gwendolyn. «Era la sua amante.» «Tu lo sapevi?» Ma certo... il Quadro dei Dieci si fidava solo delle persone su cui aveva investigato a fondo. «Non importa. Il problema non è mio padre: Uram ha cominciato a dare la caccia a me e alla mia famiglia. Sta tentando di adescarci.» Raphael la lasciò andare ed entrò nella camera da letto. «Tuo padre ha detto che era ancora calda, quando è arrivato?» Lei annuì, muovendo la testa a scatti, come se le sue membra non fossero sintonizzate. «Le ha sentito le pulsazioni. » Dio solo sapeva perché. «Quindi, Uram non si è trattenuto a lungo. Al massimo un paio d’ore.» «Non credo abbia bevuto il suo sangue. Non ci sono segni, oltre a quelli che hanno causato la morte.» «Probabilmente è ancora satollo, dopo la scorpacciata. » Non riusciva a credere che il suo tono fosse tanto normale, quando avrebbe voluto urlare. Jeffrey aveva vietato a lei e a Beth di parlare di Marguerite, dopo la sua morte, eppure aveva tenuto con sé quella donna, l’ombra di sua moglie. D’altro canto, quella poverina non era minimamente responsabile dell’ipocrisia di suo padre: meritava che il suo assassino fosse consegnato alla giustizia, e ricevesse la punizione che il Quadro riservava ai propri membri.
«Satollo», ripeté, sforzandosi di radunare i pensieri che sfrecciavano nella sua mente. «Ma non stupido.» Uram stava cominciando a comportarsi come un essere razionale. «La maggior parte dei vampiri in preda alla sete di sangue non raggiunge quello stadio prima di tre o quattro mesi. L’unico a essere sopravvissuto tanto a lungo, dopo la trasformazione, è stato...» Il nome le rimase bloccato in gola: un male tagliente, feroce. «Slater Patalis», disse Raphael, concludendo la frase al suo posto. «È arrivato Venom, per ripulire. Io volo sopra la casa. Ho chiesto a Dmitri di tenersi a distanza.» «Bene.» Elena si voltò: non sopportava più la vista di quella donna. «E mio padre?» «Sa solo che la sua amante è stata assassinata da una canaglia di vampiro. È nel nostro interesse diffondere una voce simile.» Elena sentì il profumo di Venom mentre scendevano al piano di sotto. «La donna ha famiglia», disse quest’ultimo. «Ma nessuno abita qui a New York.» Un pensiero improvviso le tolse il respiro. «Aveva figli? » Forse aveva un fratello o una sorella... «No, di questo sono sicuro», disse Raphael. «Dobbiamo evitare che qualcuno trovi il corpo.» «Naturalmente. Farò in modo di creare una pista che conduca fuori città», assicurò Verom, prima di salire al piano di sopra. «A proposito, Jason è tornato.» Giunta all’ingresso, Elena lottò contro l’impulso di entrare nello studio del padre, sapendo che l’incontro si sarebbe trasformato nell’ennesimo match. «Chi è Jason?» chiese a Raphael, mentre cercava di cancellare dalla sua mente il profumo di Venom, e di concentrarsi sulla traccia lasciata da Uram. «Uno dei Sette.»
L’Angelo del Sangue era uscito dalla porta posteriore, pensò Elena, mentre si dirigeva da quella parte. «Perché vuoi sbarazzarti del cadavere? L’ha squarciata, d’accordo, ma sembra il classico assassinio commesso da un vampiro che ha perso il controllo.» «Uram potrebbe aver lasciato delle tracce sul corpo.» Aprì la porta sul retro, sentì il palmo appiccicoso e abbassò lo sguardo. La pelle era sporca di sangue. «Ci sta stuzzicando.» Avrebbe voluto lavarsi la mano, ma si accontentò di strofinarla contro i pantaloni: non voleva rischiare di perdere la traccia. Era fresca, pulita e vivida. Una bella fortuna: la pioggia aveva lavato via tanti odori, e quelli nuovi erano più ricchi, più intensi. A un paio di metri dalla porta c’erano delle gocce di sangue. Non volle nemmeno chiedersi da dove venissero, ricordandosi che Uram amava prendere dei souvenir... «Michaela?» «L’ho già avvertita.» Riusciva quasi a vedere l’odore dell’arcangelo, nell’aria carica di ozono. Cominciò a correre, mentre Raphael la seguiva volando. Un gruppo di pendolari mattutini dovette farsi da parte, quando lei sbucò a tutta velocità dal vialetto alle spalle dell’edificio, ma nessuno levò gli occhi al cielo. Raphael aveva usato l’incantesimo, pensò. Le vennero i brividi, al pensiero che Uram potesse averla spiata in qualsiasi momento, da quand’era cominciata la sua caccia. Un’altra goccia di sangue, seppellita sotto l’asfalto dal calpestio dei piedi che correvano in ogni direzione. Continuò a correre, schivando eleganti uomini d’affari e senzatetto che spingevano i loro carrelli con la stessa disinvoltura. Altro sangue: questa volta era una chiazza abbastanza grande da indurre i passanti ad aggirarla con cautela. Elena si domandò se qualcuno avesse chiamato la polizia. Probabilmente no: in fondo, erano a New York. Raphael avrebbe dovuto mandare una squadra di pulizia
anche lì. Memorizzò quel punto, e continuò a seguire l’odore, mentre l’eccitazione le entrava in circolo come la più potente delle droghe. Era nata per quello. Per cacciare. Aveva la sensazione di nuotare in una pozza di acido incendiato dal sole, quando si ritrovò davanti a un palazzo che aveva un’aria sorprendentemente familiare. Ma dov’era? Sbatté le palpebre, per svegliarsi dallo stato di trance in cui era caduta, e lesse la targa all’ingresso. IL NUOVO MUSEO DEI BAMBINI FINANZIATO DALLE IMPRESE DEVERAUX Le si gelò il sangue, e in bocca sentì il sapore della paura. Poi lesse i caratteri più piccoli e si rese conto che il museo era chiuso per rinnovo. Se fossero entrati dei bambini... È nell’edificio? Elena vinse il desiderio di lasciarsi avvolgere dal profumo della pioggia, di Raphael, e si aggrappò agli echi della traccia lasciata da Uram. «Sì, oppure l’abbiamo mancato per un pelo.» Mentre si domandava se si fosse introdotto con la forza, controllò la porta e verificò che era chiusa. Corrugò la fronte, concentrata. «L’odore è meno forte, vicino all’ingresso.» Indietreggiò di un paio di metri e si voltò lentamente. Eccolo! Si schiacciò contro il muro del palazzo e si portò sul retro, spinta da paura, rabbia ed eccitazione per la caccia. Il parcheggio era vuoto, ma non era quello l’oggetto del suo interesse. La porta posteriore era aperta, e dondolava lentamente avanti e indietro, mossa dalla brezza che soffiava leggera. Con il cuore in gola, Elena seguì la pista ed entrò. Non dovette fare molta strada. Geraldine giaceva raggomitolata sul pavimento, accanto alla soglia, come se fosse stata scaricata da qualcuno che andava di
fretta. Elena si accovacciò e... «Oh, Gesù!» Geraldine aveva la gola tagliata, ma era lucida, con gli occhi sbarrati per il terrore. Come diavolo faceva a essere ancora viva? «Resista.» Armeggiò con il cellulare. «Chiamo subito un’ambulanza.» «Non farlo.» L’ombra di Raphael riempì lo specchio della porta, togliendole la luce. «Illium la porterà da un guaritore. Sarà qui a momenti.» Elena lo guardò negli occhi, sapendo che non c’era tempo per discutere. «D’accordo.» Voleva che le promettesse che non le sarebbe accaduto nulla. «Dovremo cancellare i suoi ricordi.» Evitò di aggiungere, «se sopravvivrà». Geraldine tossì, mentre Raphael la prendeva tra le braccia. «V-vamp...» riuscì a dire la donna, stringendosi la mano intorno alla gola. Più che suoni, emise aria, ma Elena capì. Non era un’accusa, bensì una richiesta. Raphael se ne andò prima che la donna potesse aggiungere altro. Elena annusò gli odori intorno a lei, e si rese conto che Uram non era andato oltre quel punto. Tornò nel parcheggio e si portò sul lato opposto rispetto all’edificio, cercando un’altra traccia. Niente. Quel bastardo aveva scaricato Geraldine ed era volato via, quando lei e Raphael si erano avvicinati troppo. Elena tornò davanti al museo, e l’arcangelo la raggiunse. «La tua squadra di pulizie dovrà fare gli straordinari, oggi.» «È necessario.» «Portami da Michaela.» «Cosa ti fa pensare che sia andato da lei?» «Geraldine portava un anello di diamanti quando l’ho incontrata la prima volta. Adesso non l’aveva e, a giudicare dalla piccola fascia bianca che le ho notato sul dito, non credo che se lo fosse mai tolto.» Un attimo dopo, Raphael la sollevò da terra, mettendole un braccio intorno alla schiena e l’altro sotto le ginocchia.
L’incantesimo dell’invisibilità le scivolò addosso come acqua. «L’hai fatto?» Si strinse forte a lui e chiuse gli occhi per non vedere il suo corpo che svaniva nell’aria sottile. Quella vista le dava ancora la nausea. «Hai iniziato la Creazione di Geraldine?» «No.» «Perché? Forse non ha altre possibilità di sopravvivere. E sono certa che sarebbe felice di diventare un vampiro. Così, saremmo tutti contenti.» Un vento che prometteva un altro acquazzone le sferzava i capelli e le accarezzava le guance. «Stai chiedendo di nuovo informazioni proibite.» «Sei stato tu a mettermi sulla strada di quel mostro... insieme con tutti i miei cari.» A quel pensiero, si fece prendere dal panico. «Sara, mia sorella!» «Abbiamo già messo in guardia tutte le persone che hanno qualche legame con te: sanno che potrebbero essere prese di mira da un vampiro.» Lo strinse ancora più forte. «Non servirà a molto, contro un arcangelo. Vero?» «Già. L’unica cosa che possa fermarlo è la morte.» «E come lo ucciderai?» «Gli strapperò il cuore e riempirò la cavità nel suo petto con il mio potere... Lo distruggerò dall’interno.» Elena deglutì, a quella descrizione così vivida. «E lui potrebbe fare lo stesso a te?» «È un arcangelo.» In altre parole, sì. Elena sentì gli artigli della paura affondare nel suo cuore: paura per una creatura che viveva da più vite di quante lei ne potesse immaginare. «Perché solo un arcangelo può uccidere un altro arcangelo?» «Con l’età, acquisiamo potere... incluso quello di porre fine alla vita di un immortale.» E di dare la vita, pensò Raphael, ricordando le vaghe allusioni di Lijuan. Ma una vita che non aveva nulla di quello che avrebbe dovuto avere. «È uno dei
prerequisiti necessari per entrare nel Quadro dei Dieci. Dobbiamo essere in grado di distruggerci a vicenda, in caso di necessità.» «Non mi stai dando troppe informazioni?» «Ci saresti arrivata comunque.» Quella piccola cacciatrice aveva un’intelligenza spiccata, testarda e implacabile. In tanti secoli, lui non aveva mai incontrato una guerriera capace di sfidarlo in quel modo. «La donna che abbiamo trovato... chi è?» «Geraldine, la segretaria di mio padre.» «Tuo padre ha assunto un’amante dei vampiri?» «Non lo sapevi?» Sbuffò. «Credevo conoscessi anche i più piccoli dettagli della mia storia.» «Non ho mai avuto nessun interesse per le assistenti.» «Già... be’, Jeffrey non sa delle sue attività extracurricolari.» «Illium dice di averla vista all’Erotique. È una ballerina. » L’Erotique era un club per vampiri di un certo livello, che volevano divertirsi con umani già istruiti riguardo ai loro gusti. «Ho sentito dire che le donne dell’Erotique sono considerate le geishe dell’Ovest.» Raphael colse il tono tagliente della domanda, e si domandò che cosa intendesse. «Un paragone adatto, direi. » Elena gli affondò le unghie nel collo. «O forse sarebbe più giusto dire che assecondano uomini che non hanno intenzione di sforzarsi.» «L’Erotique è frequentato da vampiri di entrambi i sessi.» Raphael fece una pausa, e poi continuò: «Gli angeli non ne sono così attratti». La giovane ritirò lievemente le unghie. «E quelle ballerine... guadagnano bene?» L’arcangelo si mise in contatto con Illium per darle la risposta. «Sì.» «Allora perché Geraldine fa due lavori? Se sopravvivrà, dovremo torturarla per saperne di più.»
«Non sarà necessario. È molto probabile che lavorasse come spia per un concorrente con i canini aguzzi.» «Non mi hai ancora detto una cosa: perché fiorellino blu era all’Erotique?» «Ha un debole per i mortali.» Era per quello che era caduto. «E se dovesse innamorarsi di nuovo? Che cosa succederebbe? » «Può tranquillamente amare la sua mortale, finché preserva i nostri segreti.» «Peccato che lei morirà tra qualche decina di anni, mentre lui vivrà per secoli.» «Già.» Raphael capì che non stava più parlando di Illium. «L’immortalità ha il suo prezzo.» Elena si strinse a lui più forte. «Un prezzo un po’ troppo alto, per i miei gusti. Inchinarsi e umiliarsi davanti a un padrone? Diavolo, no», disse, in tono aspro. «Forse è per questo che Create tanti vampiri scegliendo fra una massa di idioti. Sono gli unici così stupidi da candidarsi.» Raphael la strinse. «Così insulti il Quadro dei Dieci.» «Conosci il signor Ebose. Sai chi ho dovuto recuperare per lui. Andiamo, sii serio: che qualifiche aveva per aspirare all’immortalità, al di là della sua idiozia?» «È un’informazione che non posso darti.» «So già troppi segreti... uno in più che differenza fa?» Raphael scese di quota sfruttando le correnti d’aria, mentre Elena si stringeva a lui sempre più forte, per paura di cadere. «Siamo arrivati.» Elena tirò un respiro di sollievo, ma un attimo dopo l’arcangelo sentì le sue labbra che gli sfioravano la mascella. «Stare con te è una frustrazione continua.» Raphael atterrò nel bosco che separava la sua dimora da quella di Michaela, interruppe l’incantesimo dell’invisibilità, e incrociò gli occhi argentei e vividi di Elena. «Ho chiesto ai miei
uomini di sorvegliare Sara, Ransom, tuo padre, le tue sorelle e le loro famiglie.» Una serie di ombre attraversò il volto della cacciatrice, e i suoi occhi si fecero più scuri e vigili, svelando la sua prontezza. «Grazie.» «Consideri un idiota anche Harrison?» le domandò lui, riferendosi a suo cognato. «È un vampiro, in fondo.» Elena socchiuse gli occhi. «Ho una domanda... c’è una cosa che ho bisogno di sapere.» «Riguarda Beth», fece lui, attratto da quel volto così espressivo. Per essere una cacciatrice, le sue difese erano sorprendentemente deboli... Era come se, in qualche modo, riuscisse ancora a scorgere un po’ d’innocenza nel mondo. Allora sarà lei a uccidere te. Ti renderà mortale. Non valeva la pena sacrificare un po’ d’immortalità, in cambio di quel miscuglio di forza e innocenza che vedeva nella persona che aveva accanto? «Quando Harrison è stato Creato, nessuno gli ha garantito che avremmo accettato anche sua moglie.» «È possibile?» chiese Elena. «Beth potrebbe essere una candidata?» «Che cosa t’importa? Ti trattano come spazzatura.» Elena strinse la mano a pugno. «Sì, be’... di’ pure che amo essere maltrattata.» Scrollò le spalle. «Non importa se mi fa uscire di senno la metà delle volte. È mia sorella.» «Come Ariel e Mirabelle?»
34 A quelle parole, Elena rimase di sasso. «Non voglio parlare di quella storia.» Raphael conosceva i fatti, ma la strana fragilità nella voce di Elena gli fece capire che c’era molto di più. «Beth non è idonea.» «Ne sei sicuro?» «Sì.» Si era premurato di appurarlo... perché lei avrebbe voluto saperlo. «Merda.» Elena si passò una mano sul viso. «Harrison è un idiota, però ama davvero mia sorella.» «Ma è più forte l’amore per l’immortalità», dichiarò Raphael, forte della sua lunga esperienza. «Altrimenti, avrebbe rimandato la Creazione finché non fosse stato sicuro che avremmo accettato anche lei.» Elena lo guardò, con un’espressione imperscrutabile dipinta sul volto. «Credi ancora in qualcosa di buono?» «Se riusciremo a uccidere Uram, forse potrò credere che non è sempre il male ad avere la meglio.» Forse. Aveva visto commettere troppe malvagità per credere nelle favole che confortavano gli umani. Elena scosse la testa e si avviò verso la dimora di Michaela. «Muoio di fame.» «Hai corso parecchio.» L’arcangelo inviò un messaggio al maggiordomo, chiedendogli di preparare uno spuntino adatto a una cacciatrice. «Che cosa ti succede, se non mangi?» Un’altra domanda che nessuno aveva pensato di rivolgergli nell’ultimo millennio. «Sbiadisco.» «Cioè t’indebolisci?» Elena si accovacciò e tastò il terreno, per poi portarsi le dita al naso. «Mi era parso di sentire qualcosa, ma adesso non c’è più.»
Raphael aspettò che si fosse rialzata, prima di risponderle. «No. Sbiadisco letteralmente, divento uno spettro. È il cibo che ci tiene ancorati al nostro aspetto fisico.» «Allora perché gli altri angeli non si mettono a stecchetto ? Così otterrebbero l’invisibilità.» «Non è la stessa cosa. Senza cibo non diventiamo invisibili : ci affievoliamo e perdiamo le forze. Non è una bella cosa.» «Quindi, se volessi indebolire un angelo, dovrei farlo morire di fame?» «Sì, ma dovresti tenerlo rinchiuso per almeno mezzo secolo.» Elena si lasciò prendere dallo sgomento. «L’inedia è un concetto relativo», spiegò l’arcangelo. «A differenza dei vampiri, gli angeli non sbiadiscono facilmente.» «I vampiri non sbiadiscono. Avvizziscono», mormorò lei, e Raphael ebbe l’impressione che stesse ricordando qualcosa. «Più sono vecchi, più avvizziscono.» Si fermò al limitare del prato di Michaela, e sollevò gli occhi verso la sua finestra. «Ma suppongo che il concetto sia lo stesso.» «Già.» Raphael seguì la direzione del suo sguardo, e ricordò di averle visto fare la stessa cosa anche il giorno prima. «Lo senti?» «Sì.» Elena si morsicò il labbro inferiore e si voltò a guardare la strada da cui erano venuti, prima di riportare l’attenzione sulla finestra. «C’è qualcosa di strano.» «È tutto troppo tranquillo. Dove sono le guardie?» Raphael percorse l’intera area con lo sguardo, cercando le ali di Uram. «Non può essere arrivato molto prima di noi. Geraldine ha detto che lui l’ha gettata a terra non appena ci ha sentiti.» Elena lo guardò con occhi socchiusi. «Che cosa intendeva fare? Voleva trasformarla in una creazione artistica, per scioccare chi l’avesse trovata?» «Sì.» «Già... Potresti sorvolare la zona?»
Raphael ripiegò le ali e spiccò un balzo verso l’alto, levandosi in volo. Aveva sempre dato per scontata la capacità di volare... finché non aveva visto il desiderio negli occhi della cacciatrice. Nessun segno visibile. La comunicazione mentale avveniva ormai senza sforzi. «Io entro.» Era sorprendente come lei riuscisse a parlargli. Elena era convinta di esprimersi semplicemente ad alta voce, mentre lui prelevava il messaggio dalla sua testa, ma non era affatto così... Istintivamente, lei sapeva convogliare i suoi pensieri in modo tale che non si perdessero nella confusione della sua mente. Inoltre, era in grado di bloccarlo in qualsiasi momento. Le procurava dolore, ma poteva farlo. L’arcangelo non ne era affatto felice, ma lo trovava decisamente intrigante. Prese una corrente discendente e le atterrò accanto. «Non ti lascerò entrare da sola.» Nessun mortale poteva sperare di vincere, contro Uram. Elena non discusse. Il suo sguardo concentrato – lo sguardo di una cacciatrice nata – diceva che in quel momento lo considerava semplicemente un altro strumento. Annuì, decisa, e coprì la distanza che la separava dal palazzo. Invece di servirsi dell’ingresso principale, scassinò le porte scorrevoli su un lato. «Sono sommersa dal suo odore», sussurrò. «È qui.» Raphael le mise una mano sulla schiena. «Entro io per primo.» «Non è il momento per queste stronzate da macho.» «Potrebbe essere una trappola. E tu sei mortale.» Varcò la soglia e scrutò la stanza... era la biblioteca. «Vieni.» Elena lo seguì con passo felpato. «L’odore è più intenso, qui dentro.» Raphael uscì dalla biblioteca e passò nel locale adiacente. Riker era impalato al muro di fronte: la gamba di legno di una
sedia gli trapassava la gola. Era ancora vivo, ma privo di conoscenza, probabilmente a causa di un colpo alla testa, a giudicare dal sangue che gli colava lungo le tempie. «Gesù», mormorò Elena. «Non è molto fortunato in questi giorni. Lo lasciamo qui?» «Non guarirà, finché non verrà rimosso il paletto.» «Allora andiamo. Posso occuparmi di un solo psicopatico alla volta.» Con il capo, gli fece segno di andare a sinistra. Raphael si avviò in quella direzione, e non fu affatto sorpreso di trovare un’altra guardia impalata su una scultura irresistibile, che risaliva al periodo della relazione tra Michaela e Charisemnon. L’angolazione della testa del vampiro non lasciava dubbi sul fatto che fosse morto. «Gli ha spezzato il collo?» «L’ha decapitato», rispose, mostrandole la testa che penzolava dal resto del corpo. «E gli ha strappato il cuore. Ma non è stato un gesto premeditato: ha dovuto farlo per toglierselo dai piedi.» Mise un piede sul primo gradino della scala. «No.» Elena gli indicò la direzione opposta. «È in una zona più interna della casa.» Uno strillo lacerò l’aria. Raphael le impedì di mettersi a correre. «È quello che vuole lui.» La superò e si diresse verso quel grido. Uram era un mirabile stratega, e ormai doveva aver capito che Elena era la chiave di volta dell’intera missione. Eliminandola, sarebbe riuscito a eludere il Quadro dei Dieci per anni. Certo, c’erano altri cacciatori nati, ma nessuno con il suo talento naturale. E, se non fosse stato giustiziato entro mezzo secolo dalla degenerazione, avrebbe potuto acquistare tanto potere da dominare su tutti. E il mondo sarebbe stato inondato dal sangue. Elena lo strattonò per un’ala. Lui si voltò a guardarla da sopra la spalla, per avvertirla che non doveva distrarlo: un passo falso sarebbe stato fatale anche per una creatura immortale. Elena gli
stava indicando il piano superiore. Annuì. Lo so. La casa di Michaela aveva i soffitti alti, come la maggior parte delle dimore degli angeli, e si sviluppava tutt’intorno al soggiorno. Uram non avrebbe atteso di sotto. Dunque, Raphael si trovava in una posizione di svantaggio. In origine, la villa era stata costruita per una famiglia umana, e non era dotata di portefinestre che gli consentissero di entrare volando. Avrebbe dovuto usare la porta. Elena lo strattonò di nuovo, finché lui non accostò l’orecchio alle sue labbra. «Lasciami entrare per prima, per distrarlo. Tu entrerai subito dopo: non avrà il tempo di uccidermi.» Se gli avessero delineato uno scenario simile prima del suo incontro con Elena, la sua risposta sarebbe stata immediata: sì, manda la cacciatrice a distrarlo. Se fosse morta, sarebbe stato un piccolo prezzo da pagare per vincere la guerra. Ma ormai l’aveva conosciuta, l’aveva posseduta. Adesso gli apparteneva. Elena socchiuse gli occhi, come se fosse in grado di leggergli nel pensiero. «Resta a terra.» Sapeva di averla spaventata. «Lui mirerà alla testa. Rotola sul pavimento.» La giovane annuì. «È là dentro, ne sono sicura. Il suo odore mi è entrato nel sangue. È denso, pesante...» Un attimo dopo, stava per aprire la porta. Gli istanti successivi si susseguirono a una velocità disumana. Elena rotolò nella stanza, mentre grosse schegge di legno saltavano via dagli stipiti e dal montante della porta. Subito dopo Raphael entrò nella sala, con un urlo di rabbia, mentre Uram cercava di colpire la cacciatrice con saette di pura energia. L’arcangelo di New York spiccò un balzo e radunò le forze per rispondere al fuoco: era quello uno dei motivi per cui era stato scelto per guidare la missione. Solo quattro membri del Quadro erano in grado di creare quei fulmini. Era un dono che
veniva con il tempo, ma solo se si aveva una certa predisposizione. E, a differenza di quanto si verificava durante la Quiete, l’energia non doveva provenire necessariamente dall’interno: Raphael si levò in volo verso il soffitto e attinse a quella dell’impianto elettrico, mandando in corto circuito la lampada sottostante. Lanciò la sua saetta prima ancora che Uram si fosse accorto della sua presenza. Lo colpì al centro del petto, scaraventandolo contro il muro. Ma era anch’egli un arcangelo, e rispose subito con una palla di fuoco rossa e incandescente. Raphael la schivò: se l’avesse colpito alle ali, sarebbe andato giù. Il fuoco degli angeli era una delle poche cose in grado di danneggiare realmente un immortale. Insieme con le armi da fuoco, si corresse. Elena, sbaglio o ti ho visto prendere quella piccola pistola con cui ha tentato di abbattermi? Seguì un altro scambio di lampi rossi e blu, che provocarono delle voragini nelle pareti, mentre la polvere fluttuava piano verso il pavimento. Durante il combattimento, Raphael tenne gli occhi fissi su Uram, cercando di vedere il mostro che era diventato. Ma l’aspetto era sempre lo stesso, e i canini restavano nascosti mentre tentava di parare i suoi colpi, attaccandolo a sua volta. Una palla di fuoco gli bruciacchiò un’ala. Con una scrollata, Raphael si liberò del dolore alle terminazioni nervose, e rispose colpendo l’avversario all’estremità dell’ala sinistra. Uram mostrò i denti e lanciò un ululato, e in quel momento apparve in tutta la sua brutalità: gli occhi rossi e fiammeggianti, i canini che si allungavano oltre le labbra... e il fuoco tra le mani. Il sangue l’aveva reso più forte. Era quella l’attrattiva, la tentazione, la follia. Quando il Flagello s’impossessava dell’angelo, ne accresceva il potere all’ennesima potenza. Ma la cosa peggiore era che aveva perso
completamente il senno. Tuttavia Raphael non era un pivellino, e non si sarebbe fatto mettere con le spalle al muro. All’ultimo momento scese in picchiata verso il pavimento, e il fuoco dell’avversario andò a sbattere contro la parete, creando una finestra sul mondo esterno. Senza esitare, Raphael gli lanciò contro una saetta di energia. A quel punto, si udì uno scoppio: Uram si chinò da un lato, vacillando, e Raphael notò lo squarcio nella parte inferiore dell’ala. Mirò al punto vulnerabile e fece fuoco, provocandogli un danno considerevole. Ma Uram si stava già muovendo: schivò il secondo fulmine e volò fuori dal buco che si era aperto nella parete. Raphael lo seguì. Finché Uram era ferito, poteva raggiungerlo. Era appena uscito alla luce del giorno, quando fu investito da un corpo e cominciò a precipitare a spirale; solo l’esperienza gli permise di attutire il colpo, atterrando su un tratto di terreno più o meno sgombro. Michaela. Al posto del cuore, aveva una sfera di fuoco rosseggiante. Senza fermarsi a pensare, le infilò nel torace una mano avvolta da fiamme blu, e tirò via quelle rosse che scaraventò contro il muro, disperdendone la forza distruttiva. Davanti ai suoi occhi, il cuore di Michaela cominciò subito a rigenerarsi. «Elena!» «Sono qui.» Gli toccò il braccio, fissando terrorizzata il petto dilaniato dell’arcangelo. «Ma cosa...» Raphael lasciò Michaela dov’era, circondò la vita di Elena con un braccio e si levò in volo. «Trovalo.» Lei si tenne stretta e annuì, attenta. Quando raggiunsero l’apertura nel muro, indicò un punto verso l’alto, e poi Manhattan. Per quanto Raphael fosse veloce, adesso Uram aveva un vantaggio. Inoltre, lui aveva una passeggera, ed era ugualmente ferito. Ma erano vicini... vicinissimi... finché non
sorvolarono il tratto dell’Hudson che scorreva sopra il Lincoln Tunnel. Il fiume ribolliva sotto di loro, ma nell’aria non c’era più traccia del mostro. Raphael scese fino a sentire una spruzzata d’acqua sul viso, ma Elena scosse la testa. «Conosce l’effetto dell’acqua», disse, frustrata. «I casi sono due: o si è tuffato, o ha sfiorato la superficie del fiume, sapendo che l’umidità avrebbe coperto il suo odore.» Raphael represse l’impulso di sprecare il suo potere in un vano accesso d’ira, e scese in picchiata sul fiume, intorno al punto in cui avevano perso le tracce di Uram. «Niente», disse Elena. «Cazzo!» L’arcangelo fece eco alla sua frustrazione, seppure in silenzio, e tornò all’abitazione di Michaela, attraverso un cielo carico di nuvole. Nel frattempo, ordinò a Dmitri d’inviare due squadre di ricerca su entrambe le rive del fiume. Le possibilità che quel tentativo desse qualche frutto erano incredibilmente scarse: Uram avrebbe dovuto mantenere l’incantesimo dell’invisibilità solo per brevissimo tempo, finché non fosse riuscito a trovare un nascondiglio. E per un arcangelo, anche se ferito, era un gioco da ragazzi. Michaela era rimasta dove l’aveva lasciata, ma adesso il suo cuore aveva ripreso a battere nel petto devastato. I suoi occhi erano colmi di terrore: un terrore decisamente sorprendente. Michaela era al mondo da troppo tempo, per conoscere la vera paura. «È pazzo», disse, quando Raphael le si accovacciò accanto, prendendole la mano. «Non è rimasto nulla dell’uomo che era un tempo.» Mentre parlava, le usciva una schiuma rossa dalla bocca. Raphael notò che Elena si era fatta da parte, per concedere loro un po’ di privacy. Michaela l’avrebbe uccisa, se solo le avesse rivolto la parola, manifestandole la propria compassione.
Era così umana, la giovane cacciatrice. «Tornerà a prenderti.» Uccidere un altro angelo era un terribile rito di passaggio, una pulsione che i figli del sangue non potevano controllare. E, una volta che si fissavano con qualcuno, l’oggetto del loro interesse restava immutabile. Michaela diede un colpo di tosse. «Ha detto che sono l’ultima cosa che lo lega a questa esistenza. E che, una volta morta, sarà libero di Innalzarsi. Innalzarsi verso che cosa?» «Verso la morte. Una morte senza fine», rispose Raphael, continuando a tenerle la mano. Michaela era un cobra, ma un cobra di cui avevano bisogno. Se l’avessero persa, i Dieci si sarebbero trovati in una situazione di grave squilibrio. C’era una persona che avrebbe potuto prendere il posto di Uram, ma nessun altro avrebbe potuto sostituire Michaela. «Dov’eri?» «Mi ha strappato il cuore prima di accanirsi sulle mie guardie, poi è tornato da me e mi ha lasciata sul tetto priva di conoscenza. Ero quasi guarita, quando mi ha messo quel fuoco nel petto.» Tossì di nuovo, questa volta senza sputare sangue. «Non ha avuto il tempo di diffondere le fiamme.» Sapevano entrambi che, se l’avesse fatto, sarebbe morta dopo una lenta agonia. «Vai.» Spostò lo sguardo sull’ala. «Sei ferito. Devi guarire prima di lui.» Raphael annuì e si alzò, sapendo che di lì a pochi minuti avrebbe recuperato tutte le sue funzioni. «Ho visto una guardia all’ingresso, mentre Riker è impalato accanto alla libreria. Dove sono gli altri uomini?» «Morti», rispose lei, sollevando la mano sinistra. All’anulare brillava un diamante insanguinato. «Sono sul tetto.» «Te ne manderò degli altri.» Questa volta non discusse. «Non m’inviti da te?» Si stava riprendendo, e si preoccupò subito di nascondere la paura che l’attanagliava: come tutti gli immortali, aveva imparato a farlo
molto presto. Raphael la guardò negli occhi. «Devi restare qui, a fargli da esca.» Il suo sguardo si riempì nuovamente di terrore. «Non tornerà questa notte.» «No... la ferita è troppo grave. Fa’ riparare il muro finché è fuori combattimento.» Sollevò lo sguardo verso l’enorme voragine. «Fa’ quello che puoi. Io ti manderò alcuni dei miei angeli.» Michaela si mise a sedere, senza preoccuparsi di coprire il petto nudo. Il suo corpo era un’arma, che lei non esitava a usare. Ma non era quello a tormentarla, adesso. «Se mi circondo di guardie non sarò meno appetibile, come bersaglio?» In quel momento stava ragionando come un arcangelo, perfettamente consapevole del fatto che Uram dovesse morire. «Come ben sai, è così arrogante che se ne infischia persino degli altri arcangeli.» Michaela sollevò gli occhi, colmi di dolore. «Io lo amavo. Per quanto possa amare un arcangelo.» Raphael rimase in silenzio, e la lasciò riflettere su come l’immortalità l’avesse trasformata. Andò a cercare Elena, che lo stava aspettando al margine del prato. La giovane guardò subito l’ala. «Ti ha ferito», disse, con rabbia. «L’ho ferito anch’io, e in modo più grave.» «Quel bastardo è riuscito a scappare.» Diede un calcio alle foglie, mentre camminavano. «Come sta sua altezza la troia reale?» «È viva.» «Peccato.» Il tono era caustico, ma Raphael ricordò la compassione che le aveva mostrato in un altro momento. L’afferrò per un braccio. «Non mostrarle mai la tua pietà: ne approfitterebbe per distruggerti.» «Perché l’hai salvata?»
Lui fece scivolare la mano fino al gomito, e poi la tolse. «È necessaria. Per quanto possa sembrare impossibile, è più umana di Charisemnon e di Lijuan.» Elena tacque, mentre sbucavano nel suo giardino ed entravano in casa. Montgomery li stava aspettando. La preoccupazione per le ferite di Raphael gli fece perdere il suo consueto riserbo. «Sire? Devo mandare a chiamare un guaritore?» «Non sarà necessario», rispose l’arcangelo. Poi, vedendo che il vampiro continuava a torcersi le mani, gli mise una mano sulla spalla. «Stai tranquillo. Sarò guarito prima di sera.» Montgomery si rilassò. «Devo servire il pranzo al piano di sopra? È quasi mezzogiorno.» «Sì.» Si voltò verso Elena, mentre l’uomo si avviava lungo il corridoio. «A quanto pare, ci aspetta un altro bagno insieme.» Aveva addosso il sangue di Geraldine e di Michaela, per non parlare delle chiazze scarlatte delle sue stesse ferite. Elena sussultò, mentre si passava la mano sulle guance, dove i calcinacci del muro le avevano procurato dei piccoli graffi. «Io faccio una doccia veloce. Se mi mettessi a mollo nell’acqua, probabilmente mi si staccherebbe la pelle.» Diede un’occhiata ai suoi vestiti, sporchi di sangue dopo il volo tra le braccia di Raphael. «Dannazione, credo di non aver portato nient’altro.» Raphael stava per risponderle, quando si udì un fruscio d’ali che annunciava l’arrivo di un altro angelo: un angelo che voleva farsi sentire. Sollevò lo sguardo e vide Jason, che chinò il capo in segno di rispetto. «Sire, abbiamo un problema.»
35 Elena non riusciva a togliere gli occhi dal nuovo arrivato. I capelli neri legati in una coda, il viso... non aveva mai visto nulla di simile. Il lato sinistro era interamente coperto da un tatuaggio esotico composto da puntini e volute, e l’inchiostro nero purissimo risaltava sulla pelle scura e luminosa. Aveva qualcosa che ricordava la Polinesia, anche se i lineamenti marcati la fecero pensare ai suoi antenati. La Vecchia Europa e i venti esotici del Pacifico... una combinazione dannatamente sexy. «Jason», lo salutò Raphael. «Sei ferito», disse l’altro, portando subito gli occhi sull’ala. «Quello che ho da dirti può aspettare.» Si mosse lievemente e, sentendo il fruscio delle sue ali, Elena si rese conto di non averle viste veramente. Corrugò la fronte e strizzò gli occhi, ma, per quanto si sforzasse, riusciva a vedere soltanto un’ombra indistinta. L’ingresso era buio, quando il sole non filtrava attraverso la vetrata colorata. «Dove sono le tue ali?» gli chiese, non riuscendo a trattenersi. Jason le lanciò un’occhiata imperscrutabile, e poi allargò un’ala. Era di un cupo color fuliggine e, anziché riflettere la luce, sembrava assorbirla. Per quello, i contorni apparivano sbiaditi nella stanza buia. «Immagino che sarai strepitoso, come ricognitore notturno.» L’angelo spostò lo sguardo da lei a Raphael. «Il mio rapporto può aspettare, ma è importante che tu sappia.» «Ti raggiungo tra un’ora.» «Se per te va bene incontrarci verso sera, vorrei andare a controllare qualcos’altro.» «Contattami al tuo ritorno.» Con un breve cenno d’assenso, Jason se ne andò. Elena non disse nulla finché non si gettarono sul pranzo, dopo essersi dati una ripulita. Quando parlò, cominciò dalle cose importanti. «Il
tuo maggiordomo mi ha fatto il bucato », disse, seduta a gambe incrociate sul letto. Aveva trovato i pantaloni con le tasche laterali e la maglietta del giorno prima lavati e stirati. Raphael sollevò un sopracciglio. Era seduto di fronte a lei, con una gamba sul materasso e l’altra piegata lungo un lato del letto. L’ala ferita era adagiata sulle lenzuola, per favorire una guarigione ottimale. Elena aveva provato un piacere immenso quando le aveva chiesto di spalmargli un unguento speciale su tutta la parte danneggiata. Era troppo dolorante e frustrata per mentire a se stessa riguardo alla sensazione di quel momento. E quella richiesta mostrava chiaramente come fosse cambiato il loro rapporto: le aveva concesso di restargli accanto, mentre guariva. Non era arrivato Dmitri per legarla a una sedia. «Ne dubito fortemente», disse Raphael. «Montgomery si occupa della gestione della casa... non si abbasserebbe mai a fare il bucato.» «Sai che cosa voglio dire, arcangelo. È un po’ come la fatina delle faccende domestiche...» «Non so perché, ma questo paragone non mi rende così entusiasta.» «Abbi pazienza.» Diede un morso a un sandwich ripieno di ogni ben di Dio. «E così, Jason è la tua spia. O forse dovrei dire il capo delle tue spie?» «Molto acuta, cacciatrice», le rispose, divorando l’altra metà del sandwich. «Anche se qualcuno potrebbe obiettare che il suo viso lo rende troppo riconoscibile.» «Quel tatuaggio... sarà stato dolorosissimo.» Sussultò, non aveva mai trovato il coraggio di farsene uno. Ransom aveva provato a convincerla quando si era fatto tatuare il braccialetto, ma la vista del sangue che veniva asciugato con il tampone non l’aveva ispirata granché. «Quanto tempo pensi ci sia voluto?» «Esattamente dieci anni», disse Raphael, guardandola con quegli occhi che sembravano vedere fin nella sua anima.
Elena scosse la testa e finì il suo sandwich. «La pazzia assume tante forme diverse...» «Un morso?» le domandò lui, porgendole una mela. «Mi stai tentando, arcangelo?» «Oh, ma tu sei già caduta, cacciatrice.» Con un coltello affilato, ne tagliò una fettina e gliel’accostò alle labbra. «La tua bocca mi affascina», disse, osservandola mentre ne addentava l’estremità. Il calore languido che Elena avvertiva nel corpo ogni volta che gli stava vicina sembrò farsi più intenso: era un battito vivo ed esigente, che si diffondeva in tutte le sue membra. Inghiottì il boccone, strisciò intorno al cibo sistemato sul materasso e gli s’inginocchiò di fronte. Quando lui le porse nuovamente la mela, vi diede un morso, mentre con la mano gli afferrava il polso. Lo guardò negli occhi, gustandosi il calore vivente della sua carne sotto i polpastrelli. Era più erotico di un bacio. Con la bocca, gli sfiorò le dita. Un’espressione eccitata attraversò il bel volto di Raphael, e il suo sguardo le fece intuire perfettamente dove avrebbe voluto vedere le sue labbra. Invece, le chiese: «Un’altra fettina?» A malincuore, lei scosse la testa. «Tu devi pensare a guarire, mentre io devo rimettermi sulle tracce di Uram.» Non poteva essere andato lontano. Molto probabilmente era dovuto tornare in uno dei nascondigli che aveva già utilizzato in precedenza. «Potremmo non avere un’altra occasione come questa.» Raphael posò il coltello e il resto della mela, e le passò un dito sulle labbra. «Hai sentito cos’ha detto Michaela? » «Che è un mostro fatto e finito?» Elena scrollò le spalle, mentre pensieri lussuriosi l’avvolgevano come un profumo inebriante. «Non mi sorprende, dopo quello che abbiamo visto nel magazzino.» «Mi daresti la caccia, Elena? Se diventassi un figlio del
sangue?» Il cuore le si gelò nel petto. «Sì. Ma tu non diventerai mai un mostro.» Mentre pronunciava quelle parole, ripensò alla lama che le tagliava il palmo della mano, e al vampiro in Times Square. Raphael le rivolse un sorriso privo di umorismo. «È una speranza, non puoi saperlo.» Scosse la testa. «Siamo tutti sensibili al fascino del potere. Il sangue lo rende più forte, più difficile da sconfiggere.» Elena prese il suo volto tra le mani, e guardò in quegli occhi che avevano visto migliaia di albe, quando lei non era che un piccolo bagliore nello schema dell’universo. «Ma tu hai un vantaggio», sussurrò. «Adesso sei un po’ più umano.» L’Angelo del Sangue Pensavano che fosse fuori combattimento. Fu questo il loro errore. Un dolore atroce si diffuse all’ala e al petto, mentre ciò che restava del fuoco blu di Raphael tentava di penetrare in profondità per ardere con maggior vigore. Digrignò i denti, uscì dal suo nascondiglio e percorse un breve tragitto in volo, fino a raggiungere un’area pubblica che il cielo coperto trasformava in un perfetto terreno di caccia. Grazie all’incantesimo dell’invisibilità, riuscì a dilaniare la gola a due vagabondi prima ancora che si fossero accorti di essere seguiti. Il loro sangue prese a scorrergli nelle vene alla velocità della luce, buttando fuori il fuoco blu finché non si dissipò nell’aria, innocuo. Non essendo più impegnato a respingere un attacco, il suo corpo si concentrò sulla riparazione di muscoli e cartilagine. Quando chinò il capo sopra la quinta gola — sulla carne morbida e delicata di una giovane donna, il suo nutrimento preferito – era pronto a volare di nuovo... almeno
quanto bastava per eliminare quella cacciatrice mortale. Uccisa lei, nessuno sarebbe stato più in grado di rintracciarlo. Sorrise e si asciugò il sangue dalla bocca con un fazzoletto candido. Sì caldo era decisamente meglio. Per un attimo, considerò l’ipotesi di prendere un’altra vittima, ma sapeva di non averne il tempo. Doveva colpire prima che si aspettassero il suo arrivo, finché Raphael teneva la guardia abbassata e la cacciatrice si credeva al sicuro. Dopo, avrebbe affondato i canini nel cuore di Michaela, e avrebbe bevuto il suo sangue direttamente dalla fonte. L’avrebbe tenuta con sé. L’impulso di farla a pezzi era schiacciante, ma l’avrebbe represso. Perché uccidere colei che avrebbe potuto procurargli un potere così squisito? I mortali erano troppo deboli, ma un arcangelo... Ah, avrebbe potuto bere da lei per l’eternità. E lei sarebbe guarita ogni volta. Chissà se aveva detto a Raphael che aveva già bevuto il suo sangue. Si leccò le labbra. Era così dolce... Potente. Piccante. E adesso, anche Michaela aveva un pezzetto di lui dentro di sé. Sì, un arcangelo era la fonte di nutrimento più sublime. Le avrebbe costruito una bella gabbia, da cui avrebbe potuto osservarlo mentre giocava con gli altri suoi prediletti... così si sarebbe resa conto di essere la fortunata, la prescelta che l’avrebbe nutrito per l’eternità. Prima, però, doveva spezzare il collo alla cacciatrice.
36 Raphael uscì sulla terrazza al terzo piano. Le parole di Elena erano ancora vivide nella sua mente. Adesso sei un po’più umano. Lijuan gli aveva consigliato di ucciderla proprio per quel motivo. La sua reazione alla ferita da arma da fuoco, al dolore e al sangue gli aveva mostrato quanto fosse pericolosa quella cacciatrice. Ma... se, con il pericolo, fosse arrivato qualcos’altro? Se, ad esempio, Elena l’avesse reso immune dalla follia derivante dal potere, e dall’età? In fondo, era uscito dallo stato di Quiete molto prima del tempo. Mentre attendeva il ritorno di Jason, ripensò alla sua condizione prima di conoscere Elena. Si era insinuato nella sua mente senza la minima esitazione. Sarebbe riuscito a rifarlo? Sì, pensò, non facendosi illusioni riguardo alla propria bontà. Era assolutamente in grado di fare la stessa cosa. Ma avrebbe voluto farlo? Era quella la vera domanda. Jason atterrò sul balcone con un movimento fluido che lo rendeva la migliore delle spie. «Mi aspettavo di trovare Illium.» «È rimasto con Elena.» Avrebbe voluto darle anche un vampiro come autista, ma la sua vicinanza le avrebbe impedito d’individuare la pista lasciata da Uram. Quindi, si era messa lei al volante dell’auto, mentre Illium la sorvegliava dall’alto. Raphael era costretto a casa per via dell’ala colpita dal fuoco d’angelo: stava guarendo rapidamente, ed era già in grado di volare, ma uno sforzo simile l’avrebbe privato delle forze necessarie per affrontare Uram. Elena era via da quasi tutto il giorno, e aveva continuato a chiamarlo per aggiornarlo sui suoi spostamenti. Con sua grande sorpresa Raphael si rese conto di sentire la sua mancanza, pur avendo diverse cose di cui occuparsi. Era diventata importante... quella mortale dallo spirito guerriero. «Coraggio, racconta.» «È come pensavi», disse Jason. «Lijuan risveglia i morti.»
Raphael fu investito dalla brezza frizzante che soffiava dal fiume, e si domandò se Lijuan sarebbe stata la stessa se non avesse ucciso l’umano che aveva minacciato di farla diventare un po’ più mortale. «Ne sei sicuro?» «L’ho vista.» «E i morti... vivono?» Si voltò a guardare l’angelo. Gli occhi di Jason si velarono di una repulsione profonda. «Non la chiamerei ‘vita’... ma in loro c’è qualcosa, un barlume della persona che erano prima di morire.» Era peggio di qualunque cosa avesse immaginato. «Dunque, non sono marionette, come pensavamo?» «Sì, ma sono anche qualcosa di più. Sono in grado di camminare, vedere e sentire, ma non di parlare. Anche se il silenzio è annullato dalle urla nei loro occhi. Sanno che cosa sono.» Persino l’anima di un arcangelo era sensibile alla gelida mano dell’orrore. «Per quanto tempo può tenerli in vita?» «Di tutti i rinati che ho visto, il più vecchio aveva un anno. Cominciava ad avere un aspetto senile, e aveva perso da tempo quella scintilla di cui ti ho appena parlato. » Una pausa. Poi, l’angelo disse: «È una fortuna, per loro, quando muore quella parte dell’anima». «E Lijuan ha il controllo assoluto su di loro?» «Sì. Al momento, ci gioca come farebbe con un giocattolo nuovo. Ma un giorno potrebbe trasformarli in un esercito.» La mano fredda dell’orrore si strinse intorno al cuore di Raphael. Se i rinati avessero iniziato a marciare sui viventi, la civiltà sarebbe andata distrutta, e il terrore si sarebbe impadronito del mondo. «E quelli che risveglia... sono i morti più recenti?» «No», fu l’inquietante risposta di Jason. «Quelli sono i più facili, ma ha cominciato a rianimare anche le persone decedute da tempo... persino i cadaveri... putrefatti. A quanto pare, è in
grado di rivestirli di carne.» Jason si fermò. «Che c’è?» «Sembra che questa carne provenga da cadaveri più recenti che Lijuan non ha interesse a risvegliare. Inoltre, so per certo che devono bere sangue per sopravvivere.» Jason abbassò ulteriormente la voce. «Si mormora che lei ottenga qualcosa, da queste rinascite. In qualche modo, riesce ad assorbire potere.» Una specie differente di figli del sangue, pensò Raphael. Se era davvero così, non era ancora nato il cacciatore – umano, vampiro, o angelo – in grado di distruggere Lijuan. «Di’ ai tuoi uomini di non perderla d’occhio.» Come aveva intuito Elena, Jason era perfetto come capo delle sue spie. «Dobbiamo sapere se comincia a risvegliare masse di morti.» Il Quadro dei Dieci non poteva fare molto, finché Lijuan giocava sul suo territorio. Inoltre, la maggior parte dei membri avrebbe preferito non fare nulla. Ciascuno di loro aveva i propri passatempi, le proprie perversioni. E Raphael non poteva giudicarli... nemmeno lui avrebbe tollerato le loro interferenze. Elena riusciva a scorgere un briciolo di umanità, in lui. Ma era abbastanza umano da poter sfuggire al destino di Lijuan? «Va’ a riposare. Riprenderemo il discorso più tardi.» Jason si lasciò cadere dalla terrazza, prima di salire in verticale, le ali visibili finché non superò lo strato di nubi. Per quello preferiva la notte. Dmitri. Sire. La risposta giunse da vicino, e dopo pochi istanti il vampiro arrivò sulla terrazza. Era appena stato dai guaritori. «Venom mi ha riferito che le operazioni di pulizia nell’ufficio di Deveraux e al museo sono state completate nel pomeriggio. Geraldine è morta.» Il primo pensiero di Raphael fu per Elena: la morte dell’assistente l’avrebbe rattristata, benché fosse praticamente un’estranea. «E che mi dici della superstite che abbiamo trovato
nel magazzino?» «Sono riuscito a risalire alla sua identità. Si chiama Holly Chang, e ha ventitré anni.» Dmitri giunse le mani dietro la schiena. «Non ha la variante della tossina, ma le analisi hanno mostrato qualcos’altro.» Raphael rammentò la conversazione con Elena. «È necessario che muoia?» «Non a questo stadio. Non è contagiosa... inoltre, abbiamo bisogno di scoprire che cosa le ha fatto Uram.» «È ancora umana?» Dmitri si prese un momento per rispondere, poi corrugò la fronte. «Nessuno sa dire che cosa sia... ha bisogno di sangue, ma non quanto un vampiro; e il cibo le dà energia. Potrebbe essere il risultato di un tentativo interrotto di conversione.» «Senza la procedura appropriata, e con il carattere mutante nel sangue di Uram, sarebbe stato impossibile.» «Guaritori e medici credono che sia una di quelle persone che vengono Create senza difficoltà... ma tentare di convertirla adesso, dopo una trasformazione parziale, potrebbe esserle fatale.» C’era una rabbia repressa da tempo, nella voce di Dmitri. Come Holly Chang, era stato Creato contro la sua volontà. Tutto perché Isis conosceva la debolezza di Raphael... sapeva che aveva un cuore. E sapeva che Dmitri discendeva da un mortale che un tempo l’arcangelo aveva chiamato «amico». Così, aveva rubato la mortalità di Dmitri... e aveva costretto Raphael a guardare. Era successo quasi mille anni prima. E da allora quest’ultimo aveva creduto che il suo cuore fosse morto. Finché Elena non era diventata importante. «Tranquillo. Non abuseremo di lei, ma dobbiamo controllare i suoi progressi.» Se avessero trovato in lei il marchio dei figli del sangue, avrebbero dovuto ucciderla. Dmitri annuì. «È sorvegliata ventiquattr’ore su ventiquattro. » Un’altra pausa. «Se posso, sire...»
«Da quando mi chiedi il permesso?» Il vampiro accennò un sorriso. «Elena ti rende vulnerabile. Non so come, ma è così.» Diede un’occhiata all’ala ferita. «Non guarisci più in fretta come un tempo.» «Forse un immortale ha bisogno di essere vulnerabile », disse Raphael, mentre il suo pensiero tornava all’«evoluzione » di Lijuan. «Io...» Squillò un cellulare. Raphael gli fece segno di rispondere, mentre si preparava a spiccare il volo. Ma Dmitri sollevò una mano per fermarlo. «È la direttrice della Corporazione.» Prese il telefono. «Direttrice.» «Non so in quale casino tu abbia voluto coinvolgere Ellie, ma ho la sensazione che abbia qualcosa a che vedere con la scomparsa di tutte quelle ragazze.» Il disprezzo che provava nei suoi confronti era un filo teso che vibrava per la collera. «Elena è fortunata ad averti come amica.» «Se dovesse succederle qualcosa, sappi che ti sparerò io stessa. Non m’importa chi sei», dichiarò Sara, con voce stridente. Se fosse stata un’altra persona a rivolgergli quella minaccia, l’avrebbe punita all’istante: un arcangelo doveva tenere segrete le proprie debolezze, pena la morte di milioni di persone. Ma non era mai stato un ipocrita. Aveva fatto cose inconcepibili, durante lo stato di Quiete, e una delle peggiori era stata costringere quella donna a tradire la sua migliore amica. Erano ben lungi dall’essere pari. «Hai qualche informazione da darmi?» «Sono stati appena scoperti cinque corpi a Battery Park, tutti dissanguati. Erano nascosti molto bene.» Uram aveva agito in fretta, per fare il pieno di energie. «Le autorità sono state avvertite?» «Spiacente, non ho potuto evitarlo.» Quella risposta gli fece
capire che era molto ben informata su ciò che accadeva in città. «Stanno trasportando le salme all’obitorio, a bordo di alcuni furgoni. Immagino che dovrai farle sparire. Bada a non uccidere gli inservienti.» «Non sarà necessario.» Intorno al suo duecentesimo compleanno, Venom aveva acquisito il potere d’ipnotizzare gli umani, come un cobra con la sua preda... Di sicuro, Elena ne sarebbe rimasta scioccata. Ma il vampiro usava di rado tale capacità: Neha non sarebbe stata felice di scoprire di aver perso una risorsa tanto preziosa. Tuttavia quel giorno gli sarebbe tornata utile; non potevano permettere che le vittime di Uram finissero sotto un microscopio. Il fatto che Holly fosse l’unica superstite non implicava che Uram non stesse costringendo le altre a bere il suo sangue tossico... «Grazie dell’informazione.» «Non ringraziarmi. Bada solo a proteggere Ellie dal mostro che hai scatenato.» Sì, Uram era un mostro. Dotato di una forza mostruosa. D’un tratto, il cuore prese a battergli all’impazzata, sebbene l’aria fosse immobile e non si udisse il fischio del vento. «Dai tutti i dettagli a Dmitri.» Riconsegnò il telefono al vampiro, e spiccò il volo. Sebbene l’ala gli dolesse, proseguì, cercando di mettersi in contatto con Illium. L’unica risposta fu un silenzio sordo e apatico. Non il vuoto della morte, ma qualcosa di molto vicino. Sentì poco di più, quando provò con Elena. Dolore, nausea, rabbia. Mandò un pensiero a Dmitri. Dimentica i cadaveri. Trovami Elena. Sto contattando i miei uomini. Jason. L’angelo dalle ali nere era un maestro nel coordinare le schiere di angeli al comando di Raphael. Trovami Illium. Gli è successo qualcosa. Sto arrivando. Chiamerò gli angeli in volo. Raphael spinse più forte, maledicendo la sua stupidità. Uram
non aveva bisogno di riposo, per guarire: non quando poteva accelerare il processo attraverso il sangue. Un altro vantaggio dei figli del sangue, un’altra particolarità che li induceva a credere di aver fatto la scelta giusta. A quel punto, Uram credeva di aver recuperato la sua lucidità: aveva cominciato a pensare e a prendere decisioni, ma la sua personalità era deformata in modo irrecuperabile, il suo cervello nuotava nella tossina. E la cosa peggiore era che tale degenerazione non era avvenuta dall’oggi al domani. I domestici di Uram dovevano esserne al corrente, ma, mentre lui poteva contare sui potentissimi Sette, l’arcangelo degenerato non aveva avuto accanto persone forti. A parte Michaela. Raphael contrasse le labbra: era sicuro che quest’ultima l’avesse aiutato a evadere tutti i protocolli che erano stati stabiliti proprio per evitare cose del genere. Forse voleva vedere Uram morto... ma era più probabile che volesse vedere che cosa sarebbe successo. Voleva capire se il resto del Quadro le stava mentendo. Raggiunse la parte di Manhattan di fronte a Castle Point, il punto da cui Elena l’aveva chiamato l’ultima volta. «Ho una sensazione positiva», aveva detto. «L’umidità nell’aria ha disperso un po’ l’odore, ma continuerò a girare finché non troverò una concentrazione maggiore.» «Ti manderò altri angeli.» «No, non toglierli dalle squadre di ricerca. Potrebbe essere un trucco. Ti farò contattare da Illium, non appena l’avrò individuato.» Evidentemente, era più vicina all’Angelo del Sangue di quanto avesse pensato. Stava sorvolando la zona alla ricerca della sua auto, quando scorse Illium. Le ali blu galleggiavano sull’acqua, accanto a un pontile. Raphael si tuffò ignorando gli astanti radunati sul molo, mentre la barca di salvataggio si dirigeva velocemente verso l’angelo. Diversi umani erano entrati in acqua e lo stavano
aiutando a tenere fuori la testa, ma non erano riusciti a sollevarlo per via del peso delle ali bagnate. All’arrivo di Raphael, si sparpagliarono in tutte le direzioni. Prese Illium, privo di conoscenza, e si sollevò di nuovo in volo, accompagnato dal rumore degli otturatori delle macchine fotografiche e dalle grida di meraviglia mista a dolore. L’angelo era molto conosciuto in città, sia per le ali blu, sia per la personalità contagiosa. Lo credevano morto, dimenticando che era immortale. Uram avrebbe potuto ucciderlo, ma aveva scelto la via più rapida: l’aveva semplicemente messo fuori combattimento, sgombrando la strada per arrivare al suo vero obiettivo. Illium, svegliati. Raphael era fermo al di sopra dello strato di nubi, e teneva tra le braccia il corpo malridotto dell’angelo: aveva le ali spezzate e le ossa fratturate per la velocità con cui era precipitato nel fiume. A giudicare dai lividi e dai tagli sulla pelle, doveva aver colpito qualcosa sott’acqua. Aveva perso un occhio. Sarebbe guarito completamente, ma avrebbe comunque sofferto. Al di là del suo aspetto appariscente, Illium era un soldato, un guerriero. Per quello Raphael non gli concesse nemmeno un momento di riposo: utilizzò i suoi poteri mentali per svegliarlo internamente. Illium rinvenne con un sussulto. Aprì l’occhio sano. «Quel bastardo era in agguato tra le nuvole», mormorò, senza perdersi in scuse inutili. «Era invisibile. Ellie...» Fu percorso da un brivido, mentre lottava contro il bisogno fisico di abbandonarsi a un sonno ristoratore. «Credo mi abbia visto andare giù. Da v-v-vicino. Lui sembrava guarito... ma debole.» L’ultima parola fu quasi un soffio, mentre sprofondava in un coma profondo da cui niente e nessuno l’avrebbe svegliato per almeno una settimana. Pur essendo molto più giovane di Raphael, forse era già in grado di raggiungere lo stato dell’anshara, che gli avrebbe garantito una guarigione molto più rapida, alleviando la sua
sofferenza. Altrimenti, una volta uscito dal coma, avrebbe provato dolore come qualunque altra creatura. E, con tante fratture, sarebbe stato straziante. Raphael lo sapeva molto bene. Aveva udito le ultime parole di sua madre mentre giaceva a terra sanguinante. A causa delle ali malridotte, non era stato in grado di rallentare la caduta, e aveva toccato il suolo a una velocità che avrebbe ridotto un mortale in mille pezzi. In verità, anche il suo corpo ne aveva risentito gravemente: era rimasto mutilato. Per quanto fosse giovane, c’erano voluti anni perché si riformassero tutti gli organi. Chi raggiungeva l’anshara, invece, guariva molto più velocemente. Ma non esisteva una cura magica. A meno che non fosse un angelo figlio del sangue, con una tossina in circolo. In mezzo alle nuvole intravide le ali nere di Jason. Aveva il viso tirato. «Lo prendo io», disse, le braccia allargate. Raphael gli consegnò il corpo di Illium, privo di conoscenza. «E gli altri?» «Li ho mandati a cercare la cacciatrice.» «Portalo da un guaritore.» Raphael si tuffò in picchiata sul molo, rendendosi invisibile prima di farsi scorgere dagli umani ancora assiepati sulla banchina. Quello che Illium si era sforzato di dirgli era molto importante: se Uram non era guarito completamente, non sarebbe stato in grado di percorrere lunghe distanze, gravato dal peso di Elena. Vivi, Elena, disse. Con la forza di volontà, la incitò a combattere, a uscire dall’oscurità che avvolgeva la sua mente chiudendola in una prigione soffocante. Vivi. Non ti ho dato il permesso di morire. Nessuna risposta. Silenzio. Un silenzio che non aveva mai conosciuto, in passato. Vivi, Elena. Una guerriera non si arrende al nemico senza combattere. Vivi!
37 «Zitto», mormorò Elena, destata dal suo sonno beato da una voce arrogante che insisteva per farla alzare. «Voglio dormire.» «Osi darmi ordini, mortale?» Un secchio d’acqua gelida le investì il viso, svegliandola e mettendola davanti a un incubo. All’inizio, non riuscì a capire che cosa avesse davanti agli occhi: era come se la sua mente si rifiutasse di mettere insieme i pezzi. E i pezzi erano tanti. Divisi, distorti, impossibili. Le si ribaltò lo stomaco. La nausea provocata dalla ferita alla testa, che aveva riportato quando Uram l’aveva fatta sbattere contro il cruscotto, si mescolò all’orrore della scena che aveva davanti. Lottò contro quella sensazione, sforzandosi di non apparire spaventata. Ma era dura. Si erano sbagliati, tutti quanti: Sara, Ransom, persino Raphael. Uram non aveva fatto solo quindici vittime. Aveva preso anche altre persone, di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza. La stanza era piena di prove della sua maligna follia: membra in putrefazione, una cassa toracica spolpata... Non c’erano né luce, né aria. Doveva essere una cella. Una cripta. Un... Svegliati, esci dall’oscurità! Era il suo sesto senso di cacciatrice, l’intuito che l’aveva resa diversa sin dalla nascita. Inghiottì la sensazione di panico e si concentrò. In effetti, la stanza non era completamente buia. Uram aveva oscurato le finestre, ma dai bordi filtrava luce sufficiente per consentirle di vedere l’ambiente ripugnante in cui si trovava. Era una luce troppo bianca e intensa per essere naturale, ed Elena pensò che dovesse essere già calata la notte. Ovunque c’erano cadaveri straziati, abbandonati come spazzatura. Non tutti erano mutilati, però: alla parete di fronte era incatenato il corpo avvizzito di quello che un tempo doveva essere stato un essere umano. Quel guscio di carne rinsecchito scelse proprio quel momento
per sbattere le palpebre. Era ancora vivo... «Gesù!» esclamò Elena, non riuscendo a trattenersi. Il mostro davanti a lei – quell’essere nascosto sotto le sembianze di un arcangelo – seguì la direzione del suo sguardo. «Vedo che hai conosciuto Robert. È stato un servitore leale, mi ha seguito attraverso gli oceani senza mai lamentarsi. Non è vero, Bobby?» Elena osservò l’espressione crudele dipinta sul suo volto, e si rese conto di non aver mai conosciuto il vero male. Robert era un vampiro, non c’erano dubbi: nessun umano sarebbe sopravvissuto a un tale livello di disidratazione. Era come se avesse perso ogni goccia d’acqua presente nel suo corpo, con l’eccezione del liquido che gli umettava gli occhi. Occhi che la supplicavano di liberarlo da quel supplizio. Uram si voltò di nuovo verso di lei, un guizzo allegro negli occhi, di uno splendido verde vivido. «Si credeva speciale solo perché l’ho portato con me. Ma, poi, mi sono dimenticato di lui per un po’...» Il suo sguardo potente si fece furioso, e le iridi si tinsero di rosso. Da brillante, il verde divenne putrido. Elena rimase completamente immobile nell’angolo in cui l’aveva gettata, domandandosi se lui avesse pensato di disarmarla. Non sentiva nulla sul suo corpo, ma forse Uram aveva trascurato qualcosa... ad esempio, il coltello che teneva tra i capelli, sottile come un punteruolo da ghiaccio, o la lama piatta infilata nel fodero all’interno dello stivale. Fletté le dita dei piedi, e con suo enorme sollievo appurò di non essere scalza. Quegli stivali erano un regalo che Ransom le aveva fatto per ridere un po’... Mai come in quel momento aveva voluto così bene a quell’idiota. Uram la guardò negli occhi, con sguardo penetrante. «Ma il mio fedele Bobby mi è stato utile», disse, voltandosi di nuovo verso il vampiro. «Non è vero? Ha fatto da spettatore ai miei giochetti, e ha molto apprezzato.»
Elena notò le mani accartocciate e bloccate dai ceppi, il corpo che si era ritirato, e andò su tutte le furie. Uram doveva sapere che cosa stava facendo: i vampiri erano quasi immortali, ma avevano bisogno di sangue per sopravvivere. Impedendo a Robert di nutrirsi, aveva costretto il suo corpo a divorare se stesso. Non sarebbe mai morto... non di fame. Ma ormai ogni singolo respiro doveva essere un’agonia, per lui. E se quel tormento si fosse prolungato ancora per molto tempo... La mente di Elena ritornò all’unico caso di vampiro condannato all’inedia in cui si fosse imbattuta. L’aveva trovato in un testo scolastico, durante l’ultimo anno all’Accademia della Corporazione. S. Matheson, così si chiamava, era stato coinvolto nella faida che aveva travolto la famiglia del suo signore, e qualcuno aveva pensato di chiuderlo in una bara di calcestruzzo e di seppellirlo sotto le fondamenta di un edificio in costruzione. L’avevano ritrovato dieci anni dopo. Vivo. Se così si poteva definirlo. Il costruttore che aveva involontariamente distrutto la bara aveva pensato di aver rinvenuto uno scheletro, e aveva avvisato le autorità. Il medico legale, eccitato all’idea di esaminare una mummia, era arrivato sul posto con una piccola squadra di agenti della polizia scientifica, che avevano cominciato a scattare foto e a prendere misure sotto gli occhi dei muratori. D’un tratto, però, un’assistente del coroner si era tagliata un dito mentre girava il cranio dello scheletro e, prima ancora di rendersene conto, l’aveva perso: l’osso tagliato di netto da un canino affilato come una lama di rasoio. Alla fine, erano intervenuti i paramedici e, dopo una serie ininterrotta di trasfusioni, il corpo di S. Matheson aveva cominciato a rigenerarsi. Ma il cervello aveva subito una metamorfosi irreversibile, e il vampiro non era più stato in grado
di parlare o fare alcunché, a parte sorridere come un idiota e aspettare che qualcuno si avvicinasse quanto bastava per poterlo attaccare. Era riuscito a mutilare tre dottori, prima di sparire senza lasciare traccia. Secondo l’opinione comune, se n’erano occupati gli angeli: un vampiro che divorava gli esseri umani era deleterio per i loro affari. Robert non aveva ancora raggiunto quello stadio. C’era qualcosa nei suoi occhi... qualcosa in grado di percepire e comprendere l’umanità. Elena osservò Uram che gli si avvicinava, coprendole la visuale. Poi il vampiro lanciò un urlo terribile. Elena fu tentata di gridare contro l’arcangelo, ma si trattenne e ne approfittò per avvicinare un piede. Ancora un po’... Poi Uram si voltò, le labbra che accennavano un sorriso. «Che ne pensi?» Elena si era fatta coraggio, sapendo che doveva aver fatto qualcosa di mostruoso. Ma niente avrebbe potuto prepararla a quella vista: la compassione per Robert le serrò la gola, provocandole un moto di rabbia. Uram gli aveva cavato gli occhi, e ora si stava portando le orbite alla bocca quasi volesse addentarle. Elena non batté ciglio. «Sei una dura.» L’arcangelo ridacchiò e gettò le sfere a terra, schiacciandole con il tacco dello stivale. «Niente cibo. » Accantonato il discorso Robert, che sembrava aver smesso di muoversi, Uram si pulì le mani in un fazzoletto e andò verso di lei. «Sei molto silenziosa e tranquilla, cacciatrice. Non fai nessun gesto eroico per salvare il povero vampiro?» Sollevò un sopracciglio, con un’espressione regale del tutto fuori luogo. «È solo un dannato succhiasangue», gli rispose, reprimendo un violento attacco di nausea. «Speravo ti tenesse occupato il tempo sufficiente per scappare.» Uram sorrise, ed Elena provò un brivido lungo la spina dorsale, quasi fosse sfiorata da mille dita simili a zampe di
ragno. Poi, senza dire nulla, il mostro si accovacciò e le mise una mano sulla caviglia. Fece un ampio sorriso, e gliela torse. Lo schiocco dell’osso le procurò un dolore lacerante, talmente intenso e violento da farla urlare. Raphael! Le si annebbiò la vista mentre perdeva di nuovo i sensi, quasi fosse circondata da due ali che la soffocavano. Ma la sua mente riuscì a percepire qualcosa, prima di cadere a spirale in quell’abisso oscuro. Dimmi dove sei, Elena. Il sudore le scendeva dalle tempie, seguendo le curve del viso, e le incollava la maglietta alla schiena. Ma si aggrappò alla voce di Raphael, e lottò con le unghie per restare sveglia. Uram era ancora accovacciato di fronte a lei, e aveva lo sguardo compiaciuto di chi ha intrappolato la sua preda. «Sai di acido», sussurrò. «Hai un odore intenso e distinto.» Uram sembrava incuriosito. «E che mi dici di Bobby? » le chiese, sorridendo di nuovo, mentre i suoi occhi tornavano rossi. «Vuole saperlo anche lui.» Elena deglutì. Acqua, disse mentalmente, aggrappandosi al desiderio disperato che Raphael la stesse ascoltando. Sento odore d’acqua. «Bobby», disse in un sussurro, «sai di polvere, terra e morte.» E c’è un rumore in sottofondo. Si concentrò. Sembra che qualcuno stia tagliando o spaccando qualcosa. È un rumore che dovrei conoscere. Uram le tolse una ciocca di capelli dal viso. Elena si aspettava che le spezzasse il collo, invece ritirò subito la mano. Nonostante il sollievo, si rese conto che si stava nutrendo del suo terrore, torturandola con l’incertezza. Quel bastardo la stava tenendo in vita per mero diletto... o forse no? «Perché sono viva?» Zitta, Elena. Oh, zitto tu. La sofferenza fisica mi irrita. Uram sorrise ancora, mentre con la mano le stringeva la
caviglia. Il dolore era talmente forte che Elena rischiò di precipitare nel vuoto, perdendo conoscenza... ma lui sapeva esattamente quando allentare la pressione. «Perché sei il suo punto debole. E, riflettendoci, ho capito che era più sensato non ucciderti.» È una trappola, Raphael. Non permettergli di farti del male. Non osare! Mi occupo io di lui. Tu pensa a restare viva. Quell’ordine riuscì quasi a farla sorridere, nonostante l’incubo che stava vivendo. «Non sono che un giocattolo, per lui.» «Naturalmente.» Uram le lasciò andare la caviglia e liquidò le sue parole con un gesto della mano. La prontezza della sua risposta la scosse più di quanto avrebbe voluto. Del resto, considerate le sue prospettive di vita, aveva tutto il diritto d’innamorarsi come una stupida. Innamorarsi. Oh, all’inferno. «Se sono così facilmente sostituibile, dove sta il mio valore come ostaggio?» «È semplice, cacciatrice», le rispose, senza nemmeno mostrare i canini, quasi fosse un vampiro Creato da secoli. «Raphael è molto possessivo, nei confronti dei suoi giocattoli.» La certezza con cui lo disse le gelò il cuore. «Sembri molto sicuro.» «In passato, quando regnavano ancora re e regine, abbiamo trascorso un secolo alla stessa corte.» Inclinò la testa. «Non lo sapevi?» «Sono solo un giocattolo, ricordi?» Gli sorrise a denti stretti. «Non mi racconta granché.» «Non è mai stato molto loquace, a differenza di Charisemnon. » Uram fece una smorfia disgustata. «Quello blatera in continuazione senza dire nulla. Quante volte ho desiderato tagliargli la laringe. E adesso potrei anche farlo.» Corrugò la fronte, e diede un calcio al femore che aveva accanto
al piede. «Qui dentro c’è un tanfo atroce», affermò, gli occhi velati dalla collera. Elena preferì non fargli notare che ne era lui il responsabile. «Mi stavi dicendo dei giocattoli di Raphael», disse, cercando di distrarlo con quell’argomento. Uram riportò l’attenzione su di lei e, per la prima volta, Elena notò le curiose striature bianche che correvano lungo la pelle del suo viso. Era come vedere le vene in trasparenza, ma erano del colore sbagliato... quasi vi scorresse una sostanza che non era sangue. «A corte avevamo la nostra scelta di schiave.» La sua voce era profonda e sincera: non c’era da stupirsi se era riuscito a incantare tante persone, in passato. E l’avrebbe fatto ancora, se qualcuno non l’avesse fermato. «Erano lì per soddisfarci, e noi le sfruttavamo a nostro piacere.» Le si chiuse la gola, davanti alla noncuranza e al disprezzo del suo tono. «Erano umane?» «Di solito erano troppo deboli, e non abbastanza belle. No, erano succhiasangue: i vampiri erano tenuti a venerarci già allora.» Non era esattamente quello che prevedeva il Contratto, ma Elena decise di stare al gioco. «Quindi, prendevate come schiave quelle che avevate Creato?» «No, sarebbe stato noioso. Ce le scambiavamo. Ma non devi compatirle...» Rise, e il suono non fu affatto sgradevole. «Ci supplicavano di portarle a letto. Negli harem si accapigliavano, se una veniva preferita alle altre. » Elena immaginò che le stesse dicendo la verità. «Una situazione vantaggiosa per tutti.» «C’erano le favorite...» Elena lo stava ascoltando solo per metà: era concentrata, stava cercando di capire dove potevano essere. Il rumore che aveva sentito poco prima era cessato, sostituito da qualcos’altro.
Automobili. Erano vicino a una strada, e a un corso d’acqua. L’ala ferita di Uram sembrava quasi guarita, ma, a giudicare da come la trascinava sul pavimento, non aveva ancora recuperato tutte le sue funzioni. Quindi, non dovevano essere lontano da dove lui aveva attaccato Illium. Pregò Dio che l’angelo dalle ali blu stesse bene: l’impatto con l’acqua era stato tremendo. Al suo posto, un essere umano non sarebbe di certo sopravvissuto. Non ne sono sicura, ma probabilmente siamo sulle sponde dell’Hudson, vicino al luogo in cui ha abbattuto Illium, disse mentalmente a Raphael, sperando che in qualche modo impedisse a Uram d’introdursi nella sua mente. Mi trovo in un locale con le finestre annerite. E l’odore... è disgustoso. Cerca un edificio abbandonato, un magazzino o una rimessa per barche... Non credo sia un condominio, altrimenti i vicini avrebbero avvisato le autorità. A meno che quei cadaveri non fossero i vicini, naturalmente. Ma in quel caso sarebbe stata denunciata la loro scomparsa. Elena era talmente concentrata che la sua mente commise un errore. Mosse gli occhi... e la mano di Uram le strinse la caviglia. Il dolore fu così forte da incendiarle tutte le terminazioni nervose. Questa volta non riuscì a lottare contro l’oscurità che l’avvolgeva come un manto. Se muori, cacciatrice, ti tramuterò in vampiro. Si ribellò a quel pensiero, e cercò di opporsi con tutte le sue forze. Non voglio bere sangue. E non puoi Crearmi, se sono morta. Ebbe l’impressione di nuotare in un liquido denso come sciroppo, ma alla fine riuscì a tornare in superficie, e a riprendere conoscenza... solo per chinarsi prontamente in avanti ed espellere il contenuto dello stomaco in un flusso di bile. Quando ebbe finito, si pulì la bocca con il dorso della mano, e sollevò la testa con deliberata lentezza. Uram non aveva cambiato posizione. «Non mi stavi ascoltando.»
Elena intravide qualcosa con la coda dell’occhio. «Scusa. Fa male.» Vedo un elmetto da cantiere. I muri non sono finiti. Cerca un edificio in costruzione. E quel mucchio... le sue armi! Erano così vicine che avrebbe potuto toccarle. «Spero che Raphael arrivi presto», disse lui, accigliato e deluso. «Non resisterai ancora a lungo.» «Sei sicuro che verrà?» «Oh, sì. Le schiave? Era pronto a battersi con noi, se solo sfioravamo la sua preferita.» Evidentemente, Uram lo trovava sorprendente. «Riesci a immaginarlo? Gli importava davvero di quelle.» Il confine fra mostro e arcangelo si fece d’un tratto molto più nitido di quanto lei avesse creduto. In qualche modo, Raphael era rimasto da questa parte, mentre Uram era passato di là. «È successo molto tempo fa», rispose. «Adesso è cambiato.» Uram fece una pausa. «Già. Forse non verrà. Forse ti lascerà qui.» Gli ridevano gli occhi. «Potrei legarti a Robert, in modo che possa nutrirsi. Che cosa ne dici, Bobby?» La creatura avvizzita appesa all’altro lato della stanza sembrò sussurrare qualcosa. Elena non riuscì a capire, ma Uram sì, perché rise così tanto da mettersi a dondolare sui talloni. «Sono felice di vedere che non hai perso il senso dell’umorismo», disse, ridacchiando. «Solo per questo meriti di essere accontentato. Ti attaccherò al seno della nostra mortale, così potrai succhiare come un bambino. » Quell’immagine orrenda trasformò la rabbia di Elena in qualcosa di freddo, duro e pericoloso. Non aveva problemi a nutrire un vampiro moribondo: diavolo, era un essere umano, e non una folle sadica come Uram. Ma non si sarebbe lasciata torturare fino alla morte da una mente che l’arcangelo aveva già spezzato. Approfittando della distrazione dell’arcangelo, fece per sfilarsi il pugnale dallo stivale. Quel movimento le provocò un dolore atroce alla caviglia, ma non fu quello a strapparle un
grido. D’un tratto, sentì il profumo del vento, della pioggia e del mare. In che punto della stanza ti trovi? Dalla parte opposta rispetto alle finestre. Uram è di fronte a me. C’è un vampiro incatenato alla parete alla mia sinistra, accanto a una finestra. Si chiama Robert. La sua vita vale poco. Si diletta a torturare i bambini. Un attimo dopo, il muro non c’era più, distrutto da quella che sembrò una potentissima raffica di vento. Elena vide una fiamma blu intorno al buco, e udì l’urlo di trionfo di Uram, che si alzò in piedi e la guardò. «Hai assolto il tuo scopo, l’hai portato qui anche se era ferito... sarà una preda facile.» Tirò indietro una mano, in cui lei scorse una palla rossa di fuoco. Se l’avesse sfiorata, sarebbe morta in un istante. Sorrise, compiaciuta. «Se sei così sicuro di te, uccidimi dopo. A meno che tu abbia paura di non sopravvivere...» Le sferrò un calcio alla caviglia fratturata, e il dolore le fece perdere i sensi.
Raphael lo colpì alla schiena con una saetta di pura energia, mentre lui si accingeva a mollare un altro calcio a Elena. Il fulmine ottenne l’effetto voluto: Uram lanciò un urlo rabbioso e si voltò, lanciandogli addosso il fuoco d’angelo rosso, mentre con un secondo fulmine scoperchiava la stanza. Raphael sapeva che Elena era sotto le macerie, ne percepiva ancora l’essenza vitale, anche se la sua mente era avvolta nell’oscurità. Vivi, le ordinò di nuovo, mentre si sollevava per combattere un male che doveva essere controllato. Sentiva la gente che urlava e correva, mentre le sfere di fuoco si abbattevano sugli edifici vicini. Un’auto inchiodò seguita da un’altra, e poi da una terza. Raphael si abbassò, schivando la saetta, e rispose all’assalto
riuscendo a bruciare l’avversario. Uram, che perdeva sangue da un taglio sul viso, gli lanciò addosso una tempesta di fuoco generata dall’energia vitale del sangue rubato, e intensificata dalla tossina che ormai era parte integrante delle sue cellule. Quando un angelo diventava un figlio del sangue, non poteva più tornare indietro. «Dopo che ti avrò ridotto in cenere, la città sarà mia!» gridò Uram, beffardo, mentre volava verso l’avversario con le mani trasformate in due torce. Raphael tentò di schivarlo, ma fu troppo lento: un attimo dopo, sentì un dolore lancinante alle ali, divorate dal fuoco d’angelo.
38 Salì fino alle nuvole, superando la zona in cui volavano gli angeli, finché la testa non cominciò a dolergli, e il fuoco non si spense per mancanza d’ossigeno. Poi scese in picchiata e sfruttò la velocità per scagliare il suo fuoco su Uram. L’Angelo del Sangue schivò tutte le saette tranne una, che lo colpì a una coscia. Raphael avvertì una fortissima tensione alle ali. In alcuni punti, il fuoco di Uram era ancora acceso, e avrebbe continuato ad ardere fino a divorargli completamente la carne. Gli restava solo una decina di minuti, poi sarebbe stato così debole da non riuscire più a volare. Sentì lo schiocco di un tendine che si rompeva, e rammentò. Era un po’ più umano, adesso. D’accordo. Meglio morire, piuttosto che diventare un mostro. Elena! Vivi! Continuava a inviarle quell’ordine. Devi vivere. Doveva sopravvivere. Il suo spirito era troppo intenso e vivace per spegnersi così facilmente. E in quel momento comprese... che quella fragile vita mortale era più importante della sua. Svegliati, cacciatrice! Finalmente riuscì ad avvicinarsi a Uram quel tanto che bastava per tentare un altro colpo, ma la sua scorta di energia si stava esaurendo. Sotto di lui, la città era quasi completamente buia, dal momento che entrambi attingevano a qualunque fonte di elettricità: i motori delle auto si fermavano, le batterie si scaricavano, i tralicci si sovraccaricavano. Ma Raphael non mollò, pur sapendo che il suo fisico avrebbe ceduto molto prima della rete. Colpì un’ala dell’avversario, ma non fu sufficiente. L’Angelo del Sangue aveva fatto il pieno di energie e, per quanto fosse indebolito, la sua ala era guarita più in fretta di quella di un angelo, o addirittura di un arcangelo. Uram rise e lanciò un’altra
sfera, ma questa volta mirò all’edificio semidistrutto. Elena! Raphael la intercettò con la spalla. Il dolore si diffuse in tutto il suo corpo, allorché il fuoco raggiunse le ossa e cominciò a consumarle. Sbatté le palpebre per evitare che il sudore gli entrasse negli occhi, e continuò a lottare, librandosi sull’appartamento per impedire a Uram di distruggerlo. «Che sciocco», lo schernì quest’ultimo. «Rinunceresti all’immortalità per una donna mortale?» Raphael gli rispose mantenendo la sua posizione, e deviando il fuoco d’angelo che Uram continuava a lanciare con un’energia inesorabile. Sentiva i suoi uomini che si stavano avvicinando e ordinò loro di tenersi alla larga. Solo un arcangelo poteva sopravvivere al fuoco d’angelo per più di qualche secondo. Poi, una saetta di Uram lo colpì alla spalla ferita. Il fuoco aveva già esposto l’osso bianco, sotto la carne, mentre i muscoli cedevano l’uno dopo l’altro. Ma lui continuò a combattere, e mise a segno diversi colpi, senza preoccuparsi del fatto che Manhattan era ormai completamente al buio. Più a est, nel Queens e nel Bronx, le luci cominciavano a spegnersi, inghiottite da un un’ondata lenta e scura. Oltre quelle aree c’erano altre riserve di elettricità, ma il suo corpo era prossimo a cedere. Assorbì tutta l’energia che poteva contenere, finché non gli brillò la pelle, e si preparò per l’ultimo scontro suicida. Se fosse venuto a contatto con il corpo di Uram, avrebbero preso fuoco entrambi. Un prezzo alto da pagare... ma un arcangelo degenerato in Angelo del Sangue avrebbe potuto lacerare il mondo, ponendo fine alla civiltà. Raphael cercò d’impedire a Uram di avvicinarsi, in attesa di coglierlo in fallo. Ma a fornirgli l’opportunità che aspettava non fu Uram, bensì una cacciatrice troppo ostinata per arrendersi. Dal lato aperto del condominio sventrato partirono dei proiettili che lacerarono le ali del figlio del sangue.
Uram urlò e cominciò a precipitare a spirale, senza smettere di lanciare sfere di fuoco d’angelo. Raphael lo seguì, avvicinandosi sempre più. Con una mano lo colpì al petto, mentre con l’altra gli sfondava la cassa toracica e arrivava al cuore. «Addio, amico mio», disse, sapendo che quel mostro non aveva più nulla dell’angelo che aveva conosciuto. Quindi, rilasciò un’ultima fiammata che si diffuse come una febbre nel corpo dell’avversario. Uram si aggrappò a lui e minacciò di trascinarlo giù con sé, ma Raphael doveva vivere: se non fosse sopravvissuto, sarebbe morta anche Elena. Si tirò indietro un attimo prima che Uram esplodesse in un lampo di luce candida, illuminando tutta Manhattan. Un secondo dopo, Uram era morto. Di lui, non restava nemmeno la polvere. Raphael sanguinava, e le ferite peggioravano via via che il fuoco d’angelo gli penetrava nella carne. Sarebbe dovuto atterrare; invece, sbatté le ali malconce per sollevarsi. Uno degli ultimi colpi disperati di Uram aveva colpito il palazzo. Elena doveva trovarsi al margine della struttura di otto piani, quando gli aveva sparato. Quella parte era andata distrutta, ma Raphael riusciva a sentire la vita di Elena. Sentiva la sua fiamma che si affievoliva pian piano. Elena, rispondimi. Gli rispose un suono pacato, sereno, quasi un bisbiglio. Resta un po’umano, Raphael. Vuoi? Una richiesta che non era nemmeno un suono, ma che per lui fu sufficiente. Seguì quel tenue legame mentale finché non vide il suo corpo appeso a un’insegna al neon: la spina dorsale era fratturata, le gambe erano contorte in una posizione innaturale. Ma gli sorrise, non appena se lo trovò davanti. In mano stringeva ancora la pistola con cui aveva salvato la vita di un numero inimmaginabile di persone. Non osò toccarla, per paura di farla cadere. «Non morirai. »
Elena sbatté le palpebre, lentamente. «Arrogante», disse in un gorgoglio di sangue. La mia voce non è granché. Ma io riesco a sentirti. Adesso dimmi il vostro segreto... Come si Creano i vampiri? Raphael riuscì a distinguere il tono beffardo di quel mormorio sempre più flebile. I nostri corpi producono una tossina che dev’essere purgata a intervalli regolari. Più siamo vecchi, più tali intervalli si prolungano. Uram ha aspettato troppo. Sì Abbiamo sviluppato una sorta d’immunità, che però ci copre solo fino a un certo punto. Dopo di che, la tossina comincia a legarsi alle nostre stesse cellule, e a mutare. Ma quell’immunità di base sarebbe stata sufficiente. L’unico modo per purificarci da quell’accumulo prima che raggiunga livelli critici consiste nel trasferirlo a un essere umano. La storia angelica narrava di un’epoca in cui gli angeli, disperati per aver perso tante vite mortali, avevano tentato di trasferirlo agli animali. Il risultato era stato una carneficina di cui nemmeno Lijuan voleva parlare. Otteniamo qualcosa da tale trasferimento... qualcosa che mantiene stabile la tossina... ma, anche dopo millenni, non sappiamo di che cosa si tratti. Ma... Elena fece una pausa, come se stesse radunando le forze, determinata a soddisfare la propria curiosità. Esistono... dei test? Per verificare la compatibilità? Raphael avrebbe risposto a ogni domanda, avrebbe tradito ogni segreto, se fosse servito a tenerla in vita. Solo alcuni sono in grado di sopravvivere alla tossina, e di usarla per trasformarsi in vampiri. Gli altri muoiono. E, nonostante la crudeltà generata dall’età, nessun immortale voleva macchiarsi di una simile strage. Promettere la vita e dare la morte significava addentrarsi nell’abisso. Prima dell’avvento dei test, solo un umano su dieci riusciva a completare la trasformazione. Ah... Ormai la sua voce non era nemmeno un sussurro.
I canini di Raphael si allungarono, e uno strano e delizioso sapore dorato gli riempì la bocca, mentre una lacrima gli scorreva lungo il viso. Era un arcangelo. Non piangeva da più di un millennio. Così adesso lo sai... sai perché vengono Creati tanti idioti. Nella mente di Elena risuonò una debole risata. Credo che una donna possa concedersi di essere stupida, in punto di morte. Sono pazza di te, arcangelo. A volte mi terrorizzi, ma voglio comunque danzare con te. Gli si fermò il cuore quando la voce di lei si affievolì fino a tacere del tutto, e si chinò in avanti, sopraffatto dal gusto della bellezza, della vita. «Non ti lascerò morire. Ho fatto esaminare il tuo sangue. Sei compatibile.» Elena fece uno sforzo per sollevare le palpebre, senza riuscirci. Ma la sua voce mentale, seppur debole, fu risoluta. Non voglio diventare una succhiasangue. Non fa per me. «Tu devi vivere.» La baciò, trasferendo nella sua bocca quel sapore dorato, quella miscela inebriante. Devi vivere. In quell’istante l’insegna cedette, staccandosi dal palazzo e precipitando a terra con uno schianto sconvolgente. Elena non cadde da sola, stretta com’era nell’abbraccio di Raphael, le loro bocche fuse in una sola. Caddero insieme, le ali dell’arcangelo quasi distrutte, la sua anima unita a quella di una mortale. Se questa è la morte, cacciatrice, ci rivedremo nell’aldilà, le disse mentalmente, mentre il fuoco d’angelo gli attraversava le ossa e arrivava a toccargli il cuore. Sara aveva lo sguardo rivolto verso l’alto, mentre le lacrime le rigavano il viso. L’arcangelo di New York stava precipitando, e tra le braccia stringeva un corpo dai lunghi capelli biondi, quasi bianchi. «Non puoi farmi questo, Ellie, cazzo», disse in un sussurro. Era talmente furiosa che riusciva a stento a dar forma
alle parole. Si era precipitata lì, armata di balestra, non appena le cose avevano cominciato a mettersi male. Ransom era arrivato pochi minuti dopo, armato di pistola. Ma lo scontro era avvenuto troppo in alto, perché potessero intervenire in qualche modo. E adesso Raphael stava cadendo, e non c’era nulla da fare. Era come osservare una scena al rallentatore: la sua migliore amica giaceva moribonda tra le braccia di un arcangelo, le cui magnifiche ali erano tremendamente danneggiate. Non c’era il tempo di attutire lo schianto: il palazzo distrutto sotto di loro era pieno di schegge acuminate e tubi rotti. C’era persino un’ascia piegata dalle macerie. Ovunque volgesse lo sguardo, Sara vedeva spigoli aguzzi. Troppo aguzzi. Mortali. Si abbandonò ai singhiozzi, tra le braccia di Ransom. Pianse per tutti e due, perché sapeva che lui avrebbe preferito la rabbia al dolore. Le si velarono gli occhi e, per un attimo, le parve di vedere tante ali che circondavano Raphael, morbide ombre scure immerse nel buio della notte. «Stanno salendo!» Diede uno strattone alla giacca di Ransom, mentre fissava incredula la scena davanti ai suoi occhi. «Non cadono più!» Raphael ed Elena erano nascosti da quella massa di ali, ma non aveva importanza. Ciò che contava era che non erano precipitati, non erano andati in mille pezzi mentre lei era costretta a osservare senza poter fare nulla. «Ellie è viva.» Ransom non volle contraddirla, anche se sapevano entrambi che il corpo dell’amica presentava ferite che non potevano essere guarite. Si limitò ad abbracciarla, fingendo che fosse tutto okay. Una settimana dopo, Sara sbatté giù il telefono dell’ufficio, e fissò Ransom. Deacon le era accanto, una presenza solida e immobile. Suo marito. La sua roccia. «Si rifiutano di rilasciare informazioni su Raphael o su Ellie.»
«Perché?» chiese Ransom, le labbra tese. «Gli angeli non sono tenuti a dare spiegazioni», gli rispose Sara, la bocca contorta in una smorfia. Il dolore che provava era talmente sincero e profondo che lei non era nemmeno consapevole dei propri movimenti. «Quella notte abbiamo imparato una lezione importante: ora sappiamo per certo che gli arcangeli sono mortali. Può darsi che Raphael sia morto, e che avremo a che fare con un nuovo governo della città.» «Non hanno nessun diritto di nascondercela!» esclamò Ransom, battendo il pugno sul bracciolo della sedia. «Siamo la sua famiglia.» Rimase pietrificato. «L’hanno consegnata a quel bastardo?» Sara scosse la testa. «Jeffrey è stato completamente tagliato fuori. Se non altro, a me rispondono.» «Chi?» «Dmitri.» Ransom si alzò e cominciò a misurare la stanza a grandi passi, come se non riuscisse più a stare seduto. «È un vampiro.» «Non so che cosa diavolo stia succedendo.» L’unica cosa certa era che Dmitri – e non un altro angelo – sembrava aver assunto il comando. Deacon aveva sfruttato le sue conoscenze solo per ottenere la stessa risposta. Adesso era lui a governare Manhattan. «Probabilmente è un’informazione inutile... ma, stando alle ultime notizie, Michaela ha lasciato la città subito dopo la morte di Uram.» L’identità dell’arcangelo deceduto era nota a tutti: era l’avvenimento del millennio, anche se gli angeli si rifiutavano di fornire anche la minima informazione. «C’erano tre arcangeli nella stessa città?» chiese Ransom, scuotendo la testa. «Non può essere una coincidenza. Tu che ne pensi, Deacon?» «Hai ragione. Ma ciò ci porta solo altre domande, e non ci dà nessuna risposta.»
Deacon andava sempre dritto al punto. Sembrava un tipo calmo, ma Sara riusciva a percepire la sua collera nella rigidità dei muscoli. Suo marito era molto cauto, quando si trattava di scegliere le amicizie, ed Ellie rientrava decisamente nella categoria. Gli sfiorò una coscia, mentre lui le metteva una mano possente sulla spalla. «Si dice che la torre sia chiusa anche agli altri angeli.» Ransom si passò una mano tra i capelli... quei capelli per cui Elena si divertiva a prenderlo in giro. Adesso gli scendevano sulle spalle, trascurati. «Credo che tu abbia ragione... sembra che Raphael sia morto, e che stiano cercando un sostituto.» Seduta alla scrivania, Sara spostò lo sguardo sulla città che per metà era ancora al buio. Molti fili e collegamenti elettrici erano andati distrutti durante lo scontro fra arcangeli, e per le riparazioni ci sarebbero voluti mesi. «Ma perché non ci restituiscono Ellie?» Era quello che Sara non riusciva a capire. «Lei è mortale. Non è una di loro.» Si sarebbe presa cura lei della sua migliore amica, cui era legata da una stima e da un affetto immensi. Ransom si voltò, e le rivolse uno sguardo indagatore. «Sei in forma?» Sara colse la palla al balzo. «Abbastanza da introdurmi in quella dannata torre.» «Vi darò dei microfoni», disse Deacon, dimostrandole per l’ennesima volta che aveva avuto un matrimonio fortunato. «A entrambi. Se qualcosa va storto, invierò una squadra a soccorrervi. Chi c’è, adesso?» «Kenji è nei Sotterranei», rispose Sara, pensando rapidamente. «Con Rose. Al momento non hanno impegni, quindi possono uscire quando vogliono.» «Falle salire. Io preparo i microfoni.» Un’ora dopo, Sara e Ransom erano accovacciati nei giardini intorno alla torre, posta sotto stretta sorveglianza. Il traffico
nell’area circostante era talmente ridotto che nessuno era riuscito ad avvicinarsi tanto, dalla notte del blackout. Sara intravide una possibile via d’entrata e fece segno a Ransom di seguirla. Dopo qualche secondo si trovavano nell’atrio al pianoterra, completamente al buio. «Mi aspettavo di vedervi già qualche giorno fa», disse una voce melliflua dall’altra parte del locale. Un attimo dopo si accese una luce tenue, come se qualcuno avesse premuto un interruttore. Sara riconobbe immediatamente di chi si trattava. «Dmitri.» Un breve cenno affermativo. «Al tuo servizio.» Poi, il vampiro spostò lo sguardo sul suo compagno. «E lui dev’essere Ransom.» «Facciamola finita con queste stronzate.» Ransom sollevò una balestra caricata con dardi muniti di chip assolutamente illegali: l’arma preferita della direttrice della Corporazione. «Io non lo farei», disse Dmitri, pacato. «In pochi secondi ti ritroveresti circondato dai miei uomini, e io sarei molto, molto meno disponibile.» Sara mise una mano sul braccio dell’amico, mentre cercava lo sguardo del vampiro. «Non siamo qui per batterci... vogliamo solo sapere che cos’è successo a Ellie.» Il vampiro raddrizzò la schiena. «Lasciate le balestre a terra, e venite con me. Qui siete al sicuro.» Sara e Ransom decisero di fidarsi e lo seguirono in ascensore. La direttrice sperò di aver fatto la scelta giusta: Ellie non l’avrebbe mai perdonata se si fosse messa in pericolo e avesse privato Zoe di una madre, e Deacon di una moglie. Il microfono consisteva in una trasmittente nascosta in un orecchio, con due supporti fissati sotto l’orologio e nel colletto. In quel momento, vibrò appena: Deacon la stava ascoltando, era lì con lei. La tensione allo stomaco si alleviò un pochino. Dopo potrai infuriarti con noi, Ellie. Dopo che avremo avuto la prova
che stai bene. Ti vogliamo troppo bene per non farlo. Dmitri rimase in silenzio, mentre salivano fino a raggiungere un piano completamente nero. Usciti dall’ascensore, la loro guida li condusse in una stanzetta e chiuse subito la porta, così che si ritrovarono immersi nell’oscurità, eccezion fatta per lo scintillio proveniente dalla città. Nonostante il blackout parziale, Manhattan risplendeva come un diamante. «Quello che vi dirò questa sera dovrà restare in questa stanza. Mi avete capito?» Ransom era fuori di sé dalla collera, ma lasciò che fosse Sara a rispondere. «Vogliamo solo sapere che cos’avete fatto a Ellie, nient’altro.» Forse avrebbe dovuto chiedergli notizie del «corpo» dell’amica, ma non ne fu capace. Finché non avesse visto il cadavere con i suoi occhi, non ci avrebbe creduto. Non voleva crederci. «Voi siete la sua famiglia», disse Dmitri, incrociando il suo sguardo. «Quella che si è scelta.» «Sì.» Negli occhi del vampiro Sara scorse una profonda comprensione, che non si era aspettata di trovare. Quelli antichi come lui sembravano dimenticare di essere stati esseri umani. «Dobbiamo vederla.» Anche in quel momento, una parte di lei – la parte più testarda e irrazionale – sperava in un miracolo. «Non è possibile», rispose Dmitri, sollevando una mano per fermare l’imprecazione di Ransom. «Ma vi assicuro che è viva. Forse non come avrebbe voluto, ma è viva.» Tale fu il sollievo di Sara che quasi non sentì quell’ultima frase. Ransom fu il primo ad afferrarne il senso. «Ah, Gesù. Ellie sarà incazzatissima, se l’avete trasformata in un vampiro.» Dmitri sollevò un sopracciglio. «Non vorrete punirci per aver preso questa decisione al posto suo...» «Siamo egoisti», rispose Sara per entrambi. «Vogliamo che viva.» Aveva la gola serrata per l’emozione, tanto che dovette concentrarsi per pronunciare la parola successiva. «Quando...?» «La guarigione sarà lenta. Aveva la spina dorsale frantumata
e le ossa fratturate», spiegò il vampiro con sincerità. «C’è chi vorrebbe approfittare della sua vulnerabilità per farle del male. Fino a quando non sarà in grado di difendersi, penseremo noi a proteggerla.» «Anche da noi?» chiese Ransom. «È questo che vuole? » «Ellie è in coma. Sono io a prendere tutte le decisioni, e preferisco peccare di cautela che mettere a repentaglio la sua vita.» Sara prese un respiro profondo. «Farei anch’io lo stesso. Se preparo una borsa con le sue cose, gliela farai avere? Per quando si sveglierà.» Perché si sarebbe svegliata. Era troppo ostinata per non farlo. Dmitri chinò la testa, condiscendente. «Elena è fortunata ad avervi come famiglia.»
Dopo essersi assicurato che tutti i cacciatori avessero lasciato la torre, Dmitri tornò nella stanza in cui si era svolto l’incontro, e uscì sulla terrazza. Un fruscio di piume annunciò la presenza di Jason, che emerse dalle ombre che l’avevano avvolto fino a quel momento. «Hai mentito.» «Ho dato solo un’informazione errata», rispose il vampiro, lo sguardo fisso sulle luci di una città ancora sconvolta dalla morte di un arcangelo. «Non sono pronti a conoscere la verità.» «Cosa gli dirai, quando, fra qualche mese, non l’avranno ancora rivista?» «Niente.» Le mani strinsero il parapetto. «Per allora, Raphael sarà guarito.» Una raffica di vento spazzò la terrazza, portando con sé gli odori familiari di una metropoli molto diversa dall’agglomerato di edifici sgangherati che l’arcangelo aveva scelto come proprio dominio. «Non avevo mai visto un arcangelo così malridotto», disse
Jason. «Il fuoco gli ha divorato le ossa molto più velocemente di quanto sarebbe dovuto accadere.» Dmitri ripensò alla ferita da arma da fuoco che gli aveva procurato Elena. «È cambiato.» Ma non potevano ancora sapere se quel cambiamento si sarebbe rivelato fatale. «Qualcuno, all’interno del Quadro, comincia ad avere delle mire sul suo dominio.» «Lo difenderemo noi, per lui», rispose Dmitri, la mascella serrata. «Finché non conosceremo con sicurezza le sue condizioni.»
39 Tre mesi dopo, quando Raphael si presentò alla seduta del Quadro, gli arcangeli riuniti restarono letteralmente a bocca aperta. Evidentemente, anche gli immortali l’avevano dato per spacciato. Invece, si lasciò scivolare sulla sedia e abbandonò le mani sui braccioli. «Mi è giunta voce che state discutendo su come dividere il mio territorio. » Neha fu la prima a reagire. «No, certo che no. Stavamo parlando del successore di Uram.» Raphael sorrise, e le lasciò passare la bugia. «Ma certo. » «Sei stato bravo a fermarlo», commentò Elijah. Charisemnon approvò, annuendo. «Peccato che la sua fine sia stata così plateale. Per un periodo, i mortali l’hanno ritenuto responsabile delle scomparse che si sono verificate nella tua zona... come sei riuscito a ribaltare le cose?» «Ho dei bravi assistenti.» Apparentemente, era stato Venom ad avere l’idea d’incastrare Robert «Bobby» Syles. Il farabutto giusto al momento giusto: data la sua perversa predilezione per i bambini, nessuno si era sentito in colpa per aver infangato il suo nome. Erano stati sufficienti una breve inchiesta giudiziaria, qualche accenno alle sue tendenze depravate e la prova che era entrato negli Stati Uniti: non era servito altro. Umani, vampiri e angeli non volevano credere che un arcangelo si fosse trasformato in un assassino. Mentre non era stato difficile giustificare la battaglia tra arcangeli: i più credevano che si fosse trattato di uno scontro per contendersi il controllo della regione, e non avevano bisogno di altre spiegazioni. Considerare Uram un killer sarebbe stato troppo: avrebbe rivoluzionato completamente il tessuto dell’universo, così come lo conoscevano. Charisemnon si lasciò sfuggire un verso dubbioso, mentre Titus annuì. Quindi, fu Favashi a prendere la parola. «Siamo
felici di vederti, Raphael.» Gli parve sincera, e le rispose con un lieve cenno del capo. Lei gli sorrise: quello splendido volto aveva fatto crollare regni. Ma l’arcangelo di New York non provò nulla: il suo cuore apparteneva a una mortale. «Quindi, stavate discutendo dei possibili successori?» «Della mancanza di successori», precisò Astaad. «Ce n’è uno che presto potrebbe diventare arcangelo, ma non lo è ancora.» «E il territorio di Uram non può restare senza guida.» Michaela incrociò lo sguardo di Raphael, da una parte all’altra della tavola rotonda. I suoi occhi avevano uno sguardo malizioso che lui conosceva fin troppo bene. Ma si limitò a dire che era disposta a sobbarcarsi una parte del lavoro. «Anche se ho già abbastanza cose di cui occuparmi. » «Davvero molto magnanimo da parte tua», mormorò Neha, con un’elegante punta di sarcasmo. «La tua sete di terra non ha fine?» «Perché suppongo che tu non abbia nessun interesse, al riguardo», ribatté lei, con un lampo negli occhi. Da quel momento si susseguì una serie di proposte e rifiuti, e si formarono alleanze e opposizioni. Solo Raphael e Lijuan si tennero in disparte. A un certo punto, lei gli toccò un braccio con le dita pallide e delicate. «Tu e Uram avete parlato molto, prima della sua morte? » «No. Allo stadio in cui era non parlava più.» «Un vero peccato.» Lijuan spostò la mano sul bracciolo della sua sedia. «Avrei voluto sapere qualcosa di più sugli effetti dell’esposizione a lungo termine alla tossina. » Raphael sollevò un sopracciglio. «Non starai pensando di...» Gli rispose con una risata sommessa, subito soffocata dalla discussione intorno a loro. «No, ci tengo alla mia salute mentale.» Dal canto suo, Raphael si domandò se Lijuan potesse essere
ancora considerata «mentalmente sana». Jason era riuscito a raccogliere ulteriori dettagli riguardo all’« altra» corte dell’arcangelo: metà dei suoi «cortigiani» erano rinati, che obbedivano costantemente ai suoi ordini. «Felice di sentirlo. Ho avuto non pochi problemi a uccidere un arcangelo potente come Uram, e non oso nemmeno pensare che cosa succederebbe, se diventassi anche tu una figlia del sangue.» Negli occhi di Lijuan brillò un misterioso lampo di malizia. «Oh, le tue lusinghe finiranno per darmi alla testa... » Si appoggiò allo schienale della sedia. «Ero curiosa per il semplice fatto che Uram sembrava avere un controllo migliore sugli impulsi, rispetto ai più giovani. Forse aveva ragione lui? Forse, una volta superato quel periodo problematico, potremmo ritrovarci dall’altra parte con un enorme potere?» «Il periodo problematico, come lo chiami tu, ci trasforma in assassini senza pari», le rispose Raphael, mentre osservava la discussione secondaria che vedeva impegnati Neha e Titus: il dolce veleno si scontrava con una volontà di granito. «Stando alle nostre ultime indagini, Uram ha ucciso quasi duecento persone in meno di dieci giorni.» «Però era in grado di pensare.» «Solo alla morte che avrebbe seminato.» Raphael dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per mantenere un tono pacato. Il fatto che Lijuan stesse considerando l’ipotesi di affrontare la trasformazione era un pessimo segno. «Se gli avessimo concesso un anno, avrebbe ucciso migliaia di persone, ingozzandosi ogni volta di sangue. È questo che rende un angelo un figlio del sangue: l’incapacità di fermarsi, di opporsi alla sete di sangue e di potere.» «L’ultimo l’ho ucciso, lo sapevi? Quello che gli umani consideravano il padre dei vampiri.» Rise, a quell’idea. «Era estremamente intelligente, ed è riuscito a sfuggirmi per anni. Mi aveva addirittura sottratto una zona del regno. »
«Una zona che ha dissanguato», le rammentò Raphael. «Non riusciva a controllare l’istinto omicida: era un burattino manovrato dal suo stesso desiderio. E questo tu lo consideri potere?» Lijuan gli rivolse uno sguardo imperscrutabile: nei suoi occhi c’erano cose che lui non aveva mai visto, e che non avrebbe mai voluto vedere. «Sei in gamba, Raphael. Non temere, non mi trasformerò. Al momento, non ho nessun interesse a farlo. Come ben sai.» Lui non si scusò. «Solo la stupidità giustifica l’ignoranza. » Quelle parole le strapparono un altro risolino. «Non ti sembra di essere un po’ crudele, nei confronti dei tuoi fratelli?» Raphael si fermò a riflettere. Se gli altri non si erano resi conto dell’evoluzione di Lijuan, presto avrebbero avuto una sorpresa alquanto spiacevole. «Credo abbiano raggiunto un accordo.» I sette arcangeli si erano divisi il territorio di Uram, soddisfacendo la propria sete di espansione. Che facessero pure: Raphael possedeva già uno dei regni più estesi e, soprattutto, uno dei più proficui e produttivi. Non aveva nessuna intenzione di disputarsi la regione che Uram aveva ridotto alla sottomissione. La debolezza non l’aveva mai intrigato. Lui preferiva le personalità combattenti. Alla fine della riunione, Michaela si avvicinò a Raphael, che stava discutendo con Elijah. «È un vero peccato che la tua cacciatrice sia morta», disse, quando furono rimasti soltanto loro tre. L’arcangelo la guardò in silenzio. Lei rispose con un ampio sorriso. «In ogni caso, ormai non serviva più a nulla.» Fece uno scatto con la mano, liquidando la sua vita quasi fosse una mosca. «Mi sarebbe piaciuto darle la caccia. Be’, tanto vale... sarò comunque molto occupata, ora che dovrò governare una parte delle terre di Uram.»
Elijah lanciò un’occhiata a Raphael. «Quella cacciatrice... ti piaceva?» Fu Michaela a rispondere per lui. «Oh, era molto possessivo nei suoi confronti. Mi aveva vietato di toccarla», disse, con un sorriso maligno. «Ma adesso è morta, e dovrai corteggiare me. Chissà, potrei anche accettarti come amante.» Raphael sollevò un sopracciglio. «Non sei l’unica donna tra gli angeli.» «Ma sono la più bella.» Gli rivolse un ultimo sorriso, tagliente come una scheggia di vetro, e uscì dalla sala, maestosa. Elijah la seguì con lo sguardo. «Sono davvero felice di non essermi mai tuffato in quello stagno.» «Mi sorprendi... credevo di essere l’unico a pensarla così.» «Stavo con Hannah da più di un secolo, quando l’ho incontrata la prima volta.» Scrollò le spalle. «Comunque, per usare un’espressione dei mortali, non sono il suo tipo. » «Tutti sono il suo tipo. E al tempo stesso nessuno.» Michaela pensava solo a se stessa. «Pensi che abbia mai tentato di sedurre Lijuan?» Elijah rise fin quasi a soffocare. «Attento, amico mio. Mi farai venire un attacco di cuore.» Raphael rimase impassibile. «Che cosa volevi dirmi, Eli?» Elijah tornò improvvisamente serio. «Lijuan. Risveglia i morti.» «Non siamo ancora in grado di dire se il suo potere sia positivo o negativo», gli rispose Raphael, sebbene si fosse già fatto una sua opinione in proposito. «È la più antica tra i membri del Quadro... non abbiamo termini di paragone per giudicare la sua evoluzione.» «Giusto», disse Elijah. Fece una pausa e sospirò. «Ma... Raphael, hai abbastanza esperienza da sapere che i poteri acquisiti con l’età sono fortemente legati a ciò che siamo. Il fatto che Lijuan possieda abilità connesse alla morte dice molte cose
sul suo conto.» «E di te che mi dici?» domandò Raphael, senza rivelargli il suo nuovo dono. «Che cosa ti ha portato l’età?» L’arcangelo gli rispose con un sorriso imperscrutabile. «Be’, certe informazioni sono segrete.» Si alzarono entrambi. «Quella cacciatrice... tenevi veramente a lei?» «Sì.» Elijah gli mise una mano sulla spalla. «In questo caso, sono addolorato per la tua perdita.» La sua comprensione sembrò sincera. «I mortali... brillano luminosi, ma la loro luce si estingue troppo in fretta.» «Già.»
Illium lo stava aspettando alla torre. «Sire.» Se Elena fosse stata lì, gli avrebbe chiesto come mai si rivolgevano a lui con quel titolo. E si sarebbe preoccupata per il suo angioletto blu. «Come procede la guarigione?» Illium allungò l’ala che aveva subito i danni peggiori, e sussultò per il dolore. «Sto molto meglio.» Diede un’occhiata al corpo di Raphael, perfettamente rigenerato. «La differenza tra un angelo e un arcangelo.» «Sta nell’età e nell’esperienza.» Raphael si avvicinò per osservare l’ala... e rise per la prima volta dalla sera in cui era precipitato con Elena. «Adesso capisco che cosa intendevi dire.» Illium sbuffò. «Sembro una dannata anatra.» In effetti, non era lontano dalla verità. Sopra la zona danneggiata erano cresciute piume bianche, morbide e... vaporose. «Spero che queste piumette cadano presto, per lasciare il posto a delle vere penne. Succederà, non è vero?» chiese, preoccupato. «Non riesci a volare?» Raphael aveva parlato con medici e guaritori, e sapeva che l’avevano autorizzato a compiere brevi voli.
«No. Ma non sono altrettanto efficienti.» Abbassò lo sguardo e deglutì. «Ti prego, dimmi che guarirò. Non mi era mai successo, prima.» Chissà che cos’avrebbe fatto Elena in quella situazione. Probabilmente ne avrebbe approfittato per prenderlo in giro. Gli si strinse il cuore. «Cadranno entro un mese. Hai perso buona parte dell’ala quando ti sei schiantato sull’acqua, inclusi strati di pelle e muscoli. Si sta rigenerando dall’interno, non devono semplicemente riformarsi le penne.» L’arcangelo notò il sollievo negli occhi di Illium, mentre abbassava l’ala. «Senza l’anshara, sarei ancora costretto a letto.» Raphael ripensò a quando si era trovato nella stessa situazione. Era stato isolato per mesi, per via delle sue limitate capacità mentali. Solo gli uccelli e Caliane sapevano dove si trovava. «Sì.» «Sire... devi ancora punirmi per aver perduto Elena, quel giorno.» Aveva i lineamenti tirati, e la sua personalità esuberante era sepolta sotto quelle parole formali. «Merito il tuo biasimo. Sono uno dei Sette, uno dei tuoi uomini più esperti... eppure gli ho permesso di prenderla.» Raphael scosse la testa. «Non è stata colpa tua.» Era stato lui a commettere l’errore fatale. «Avrei dovuto sapere che Uram poteva accelerare la guarigione con il sangue. » «Elena», cominciò Illium, e poi si fermò. «No, qualunque domanda sarebbe inutile, adesso. Sappi solo che i tuoi Sette sono con te.» Raphael lo guardò allontanarsi dalla terrazza, e poco dopo fece lo stesso. Si sentì sollevare dal vento, il corpo ancora dolorante ma completamente guarito. Di lì a poche settimane, sarebbe tornato nel pieno delle forze. Nel frattempo, i Sette si sarebbero occupati del suo territorio. Lijuan e Michaela, come Charisemnon e Astaad, non
avrebbero mai compreso tale lealtà nei confronti dell’arcangelo di New York. Probabilmente, solo Elijah e Titus avevano qualche speranza di capire quello che gli avevano dato i Sette. Dmitri era il più vecchio, Venom il più giovane, ma, insieme, i tre vampiri e i quattro angeli erano con lui da tanti secoli, e gli erano sempre stati leali. E ciò non significava che fossero delle nullità. In momenti diversi, era capitato a tutti di mettersi contro di lui, fino a rischiare la propria vita. In più di un’occasione, Charisemnon l’aveva messo in guardia da Dmitri. «Quel vampiro ha idee che vanno al di là della sua posizione», aveva detto l’arcangelo. «Se non stai attento, ti porterà via la torre.» Eppure quel vampiro aveva tenuto a bada tutti i suoi avversari durante i tre mesi che aveva trascorso in coma, per favorire il processo di guarigione. Durante il primo mese, era sprofondato addirittura in uno stato al di sotto dell’ anshara. Se Dmitri avesse voluto mettere fine alla sua vita immortale, avrebbe potuto trovare un accordo con un arcangelo, rivelando il suo nascondiglio. Invece, l’avevano protetto, tutti e sette. Soprattutto, avevano protetto il suo cuore. Dei bambini in un parco del New Jersey levarono gli occhi al cielo e lo guardarono a bocca aperta, mentre volava sopra di loro. E quel timore reverenziale lasciò il posto a grida di gioia, quando atterrò sul prato che circondava il parco giochi. Osservò le mamme e i papà che tentavano di contenere l’entusiasmo dei bambini, temendo che lo infastidissero. Nei loro occhi c’era paura, e sapeva che sarebbe stato sempre così. Se voleva governare, non poteva mostrarsi debole. Tante piccole mani cominciarono a toccargli le ali. Abbassò lo sguardo e vide un bimbetto con i riccioli neri e la pelle che parlava di sole e di terre lontane. Si chinò per prenderlo in braccio, e udì l’urlo di una donna. Ma il piccolo lo guardava con occhi innocenti. «Angelo.»
«Sì.» Raphael avvertì il battito caldo della sua umanità, e provò un po’ di conforto. «Dov’è la tua mamma?» Il bimbo indicò una giovane dall’aria terrorizzata. Raphael attraversò il campo e glielo mise tra le braccia. «Tuo figlio ha coraggio. Diventerà un uomo forte.» Il panico della donna lasciò il posto a un moto d’orgoglio. Mentre camminava in mezzo ai bambini, gli si avvicinarono in tanti per accarezzargli le ali. E, quando ritiravano le manine e le vedevano brillare per la polvere d’angelo, ridevano, felici e innocenti. Sara sollevò un sopracciglio, quando la raggiunse. «Ti metti in mostra, arcangelo ?» gli chiese, stringendo il manico della carrozzina. La piccola Zoe dormiva tranquilla, per nulla turbata da mostri e sangue. «Uram non si era mai mischiato agli umani», disse, invece di risponderle. Sara cominciò a spingere la carrozzina lungo un sentiero appena spruzzato di neve, la prima carezza dell’inverno. Nessuno osò interromperli. Quattro intrepidi bimbetti fecero per seguirli a pochi passi di distanza, ma furono subito richiamati dai loro genitori. La bimba sollevò le manine chiuse a pugno, mentre combatteva battaglie in sogno. Un atteggiamento del tutto adatto a lei: in fondo, Zoe Elena portava il nome di una guerriera. «Dmitri ci ha mentito?» gli domandò la donna, dopo diversi minuti di silenzio. «Ellie è morta?» «No. È viva.» Sara strinse le mani con tanta forza che le ossa bianche apparvero in trasparenza sotto la sfumatura miele scuro della sua pelle liscia. «Un umano non impiega tutto questo tempo a diventare vampiro. Una volta terminato il processo, qualunque esso sia, la maggior parte dei vampiri è già perfettamente funzionante. Be’, per lo meno sono in grado di camminare.» Raphael scelse con cura le sue parole. «Sì, hai ragione. Ma
molti vampiri non hanno la spina dorsale spezzata.» Sara annuì, muovendo la testa a scatti. «Sì, hai ragione. È solo che... mi manca, dannazione!» Zoe si svegliò, sentendo il grido angosciato della mamma, e cominciò a corrugare la fronte, contrariata. «Dormi, piccolina», le sussurrò Raphael. «Dormi.» La bimba sorrise, e le palpebre si abbassarono a formare due mezze lune sopra le guance paffute. «Che cosa le hai fatto?» domandò Sara, lanciandogli un’occhiata sospettosa. Raphael scosse il capo. «Niente. Ai bambini è sempre piaciuta la mia voce.» Una volta, all’alba della sua esistenza, era stato custode della nursery. Le nascite degli angeli erano rare, molto rare. Com’era logico che fosse, dicevano guaritori ed eruditi. Una razza immortale non aveva bisogno di molti eredi. Ma il fatto di essere immortali non li liberava dalla necessità di mettere al mondo dei figli. Il viso di Sara si ammorbidì. «Lo vedo. Quando le hai parlato... la tua voce era diversa dal solito.» Raphael scrollò le spalle, avvertendo il sospiro con cui il mondo accoglieva l’arrivo della notte. «Sara, Elena non vorrebbe vederti preoccupata.» «Allora perché diavolo non mi ha fatto nemmeno una telefonata? Sappiamo tutti che qualcosa non va!» Deglutì. «Ascolta, se è rimasta paralizzata, a noi non importa! Dille di smetterla di fare l’orgogliosa, e di chiamarmi.» Aveva un groppo in gola, ma non volle piangere davanti a lui. Un’altra guerriera. «Non può parlarti. Sta dormendo.» Sara sgranò gli occhi, colmi di dolore. «È ancora in coma? » «In un certo senso.» S’interruppe, ma non abbassò lo sguardo. «Fidati di me, mi prenderò cura di lei.» «Sei un arcangelo», disse lei, come se ciò spiegasse tutto.
«Non osare tenerla attaccata a delle macchine. Non lo sopporterebbe.» «Credi che non lo sappia?» Fece un passo indietro e spiegò le ali. «Devi fidarti.» La direttrice scosse la testa. «Non finché non l’avrò vista con i miei occhi.» «Mi dispiace, Sara, ma non è possibile.» «Sono la sua migliore amica. Siamo sorelle sotto ogni aspetto, se non dal punto di vista biologico.» Rimboccò le coperte alla bimba, prima di voltarsi. «Che diritto hai di tenerci lontane?» «Elena è anche mia.» Tese i muscoli, pronto a combattere. «Abbi cura di te e della tua specie, direttrice. Elena non sarà contenta se, al suo risveglio, troverà l’ombra di quella che eri un tempo.» Detto ciò, spiccò il volo. Il silenzio che avvertiva intorno era schiacciante. Svegliati, Elena. Ma lei continuava a dormire.
40 Svegliati, Elena. Elena corrugò la fronte, e sbatté le palpebre per cacciare via il suono della sua voce. Ogni volta che tentava di dormire, le diceva di svegliarsi. Quel maledetto. Non sapeva che aveva bisogno di riposare? Sara ha incaricato i suoi di darmi la caccia. Come se lui avesse qualcosa da temere, anche dal peggiore cacciatore di vampiri. Minaccia di raccontare ai media che sto compiendo esperimenti sul tuo corpo. Elena sorrise mentalmente. L’arcangelo aveva il senso dell’umorismo. Chi l’avrebbe detto? Ellie? Non la chiamava mai così, pensò con uno sbadiglio. La prima cosa che lei vide quando sollevò le palpebre fu l’azzurro. L’azzurro brillante, infinito e insondabile degli occhi di Raphael. E subito ricordò. Il sangue, il dolore, le ossa in frantumi. «Dannazione... se sono condannata a succhiare sangue, sappi che prosciugherò il tuo splendido corpo.» La sua voce era forte, la collera assoluta. L’arcangelo sorrise, e in quel sorriso Elena scorse tanta gioia che avrebbe voluto abbracciarlo e non lasciarlo mai più. «Puoi succhiare qualunque parte del mio corpo. Sei la benvenuta.» Elena non volle ridere: non volle arrendersi al desiderio che ardeva in quegli occhi immortali. «Ti avevo detto che non volevo diventare un vampiro.» Raphael le mise del ghiaccio tritato in bocca, per dare sollievo alla sua gola inaridita. «Non sei nemmeno un po’ felice, al pensiero di essere viva?» Era molto felice. Era con lui... Oh, be’, quanto poteva essere disgustoso il sangue? «Non ho intenzione di diventare una leccapiedi, come tutti i tuoi vampiri.»
«D’accordo.» «E berrò soltanto il tuo sangue.» Il sorriso di Raphael si fece ancora più smagliante. «Nulla in contrario.» «Significa che hai un impegno con me», aggiunse, sporgendo il mento. «Prova a scaricarmi per qualche pollastrella, e vedremo chi è immortale.» «Bene.» «Mi aspetto...» In quel momento Elena sentì degli strani bozzi sotto la schiena. «Chiunque mi abbia preparato il letto ha fatto un pessimo lavoro. È pieno di bitorzoli.» Quegli occhi azzurrissimi continuavano a ridere. «Sul serio?» «Ehi, non è divertente...» Non riuscì a finire la frase. Rimase senza fiato, quando girò la testa e capì su che cosa era sdraiata. Ali. Due splendide ali di un nero intenso e suggestivo. I bordi erano arricchiti dell’indaco e del blu del cielo all’alba, mentre le primarie erano d’oro bianco, vivaci e scintillanti. Ali fatte per volare di notte. Incredibili. E lei le stava schiacciando. «Oh, mio Dio! Sto schiacciando un angelo. Aiutami ad alzarmi.» Raphael le afferrò la mano, ma il tubo che aveva infilato nel braccio le impediva di muoversi. «Cosa...?» «È per tenerti in vita.» «Da quanto...?» chiese, spostandosi per dare un’altra occhiata dietro la spalla. La sua risposta si perse nel frastuono che riecheggiò nella sua mente. Non stava schiacciando nessuno... se non se stessa. «Ho le ali.» «Ali da guerriera.» Raphael le passò la mano sulla cresta, e la sensazione che lei provò si diffuse in tutto il corpo. «Ali come lame.» «Oh», fece lei, quando riuscì a parlare di nuovo. «Allora devo essere proprio morta.» Sì, aveva senso. Aveva sempre desiderato un paio d’ali, e adesso le aveva. Quindi, era morta, e in paradiso. Si voltò. «Tu somigli a Raphael. » Profumava di
mare, e quell’aroma fresco e pulito la fece vibrare tutta. Lui la baciò. E il sapore di lui era troppo reale, troppo terreno per essere frutto della sua immaginazione. Quando Raphael si staccò, rimase colpita dal suo sguardo colmo di emozione. Per lo shock, dimenticò quasi la magia delle sue nuove ali. «Raphael?» L’azzurro dei suoi occhi brillava in modo febbrile, e la sua pelle era tesa sopra gli zigomi. «Sono molto arrabbiato con te, Elena.» «E dov’è la novità?» scherzò lei, mentre gli accarezzava l’arco dell’ala. «Sono immortale, e tu hai rischiato la vita per salvarla a me?» «Che cosa stupida, eh?» Gli andò più vicina, fino a strofinare il naso contro il suo. Era uno di quei piccoli gesti che fanno normalmente due amanti per legarsi l’uno all’altra. Avevano appena cominciato a inventare un loro linguaggio segreto, ma quello che c’era tra loro prometteva già una felicità viva e profonda... Al solo pensiero Elena ebbe un tuffo al cuore. «Non potevo permettere che ti ferisse. Tu mi appartieni.» Che cosa arrogante da dire a un arcangelo. Raphael chiuse gli occhi, e abbassò la fronte fino a toccare la sua. «Sarai la mia morte, Elena.» Gli sorrise. «Non avevi bisogno di rendere più eccitante la tua noiosissima vita?» Quando lui sollevò le palpebre, fu abbagliata dall’intensità del suo sguardo. «Sì. E adesso mi sono assicurato che tu non muoia.» Era quasi convinta di aver immaginato le ali, ma quelle splendide piume del colore della notte erano ancora lì, quando provò a controllare con la coda dell’occhio. «Come accidenti siete riusciti ad attaccarmi delle protesi alla schiena mentre...» S’interruppe. «Okay, le ferite non mi fanno più male... Quanto sarà passato? Una settimana? No, probabilmente di più.»
Aggrottò le sopracciglia, cercando di riordinare qualche frammento di memoria. «Avevo delle fratture... alla spina dorsale?» L’arcangelo le sorrise ancora, la fronte sempre incollata alla sua, le ali allargate a racchiudere entrambi in un piccolo mondo privato. «Le ali non sono protesi, e tu hai dormito per un anno.» Elena deglutì. Sbatté le palpebre, sforzandosi di respirare. «Gli angeli Creano vampiri, non altri angeli.» «Esiste una... come potremmo chiamarla... scappatoia? » «Una scappatoia gigantesca, se ho delle ali!» Si aggrappò a lui, l’unica costante in un universo in continuo mutamento. «No, in realtà si tratta di un piccolo sotterfugio. Sei il primo angelo a essere stato Creato, da quando esisto.» «Che fortuna!» mormorò lei, mentre gli accarezzava la nuca e beveva il suo sospiro di piacere. Per un attimo, ebbe la sensazione di trovarsi fuori dal tempo. Era soltanto una donna, e Raphael era soltanto un uomo. Ma, come tutti gli istanti, sarebbe passato anche quello. «Quali sono i requisiti?» «Niente che siamo mai riusciti a manipolare, anche se gli angeli ci provano da millenni», rispose, imprigionandola con quegli occhi incredibili, che non appartenevano a questo mondo. «L’unica occasione che abbiamo di Creare un angelo si verifica quando il nostro corpo produce una sostanza chiamata ambrosia.» Un lampo di memoria: il calore dorato e fondente del suo bacio, quella dolcezza delicata, quella sensualità succosa, quel gusto erotico... «Il cibo mitico degli dei?» «Ogni mito contiene un po’ di verità.» Elena non poté farne a meno, e lo baciò di nuovo. Il suo sapore la invase come un’onda tumultuosa. Fu lui a staccarsi per primo. Le tue ferite erano molto gravi, Elena. E i dolori che provava internamente confermavano le sue
parole. Ma non per quello doveva accettare di buon grado quello che era successo. «Dimmi dell’ambrosia.» Un ordine dettato dall’irascibilità. Le labbra accostate alle sue, l’accontentò. «L’ambrosia viene prodotta istintivamente e una sola volta, durante la vita di un arcangelo.» Elena rivide le sue ali lacere, divorate dal fuoco d’angelo. «In punto di morte?» Esplorò il suo corpo, quasi volesse convincersi che era vivo. «Tutti noi siamo stati sul punto di morire, in più di un’occasione.» Scosse la testa. «Ma nessuno è mai riuscito a individuare ciò che scatena tale processo.» «Ma?» «Ma la leggenda vuole che l’ambrosia sia prodotta quando...» Elena trattenne il fiato. «... quando un arcangelo conosce il vero amore.» Il mondo si fermò mentre lei osservava quell’uomo magnifico che la teneva tra le braccia. «Forse ero biologicamente compatibile... tutto qui», disse in un sussurro. «Forse.» Le sfiorò il collo con le labbra. «Abbiamo l’eternità per scoprirlo. E, per l’eternità, tu sarai mia.» Elena gli mise le mani tra i capelli, mentre un’ondata di calore le attraversava il corpo. Ma non poteva arrendersi. Non prima di aver chiarito una cosa. «D’accordo... purché non pensi che questo ti dia il diritto di governare la mia vita.» Si sdraiò di nuovo, e Raphael si mise sopra di lei. «Perché no?» Lei sbatté le palpebre, davanti alla fredda arroganza di quella domanda, e si rese conto che la sua vita era diventata molto più interessante. Dopo aver dato la caccia a un membro del Quadro, adesso avrebbe imparato a danzare con un arcangelo. E, nel farlo, avrebbe dovuto cercare di non annullarsi. Un senso di euforia si diffuse nelle sue vene. «Sarà un viaggio appassionante, arcangelo.»
EPILOGO Elena aveva immaginato più volte di entrare dalla finestra di Sara e di spaventare a morte la sua migliore amica; ciò prima di rendersi conto che, pur essendo sveglia, non era in grado di muoversi. Per quello era ancora a letto quando Sara fu condotta – bendata – nella sua stanza al Rifugio. Raphael l’aveva fatta trasferire nella fortezza degli angeli subito dopo essere guarito, ma era riuscito a tenere nascosta la notizia. Solo i Sette e alcuni fidati medici e guaritori sapevano della sua presenza. In ogni caso, lui non aveva nemmeno provato a discutere quando lei gli aveva chiesto di vedere l’amica. Sara incrociò le braccia e digrignò i denti, mentre Dmitri la guidava attraverso la moquette. Il vampiro sembrava provare un piacere perverso nel diffondere il suo profumo intorno a Elena, troppo debole per difendersi. Sorprendentemente, dopo la trasformazione aveva mantenuto le sue abilità di cacciatrice e tutte le sue debolezze. A tal proposito, lei e Raphael stavano ancora «discutendo » del suo status professionale. L’aroma di Dmitri le sfiorò la pelle come una carezza voluttuosa di satin liquido; una carezza tentatrice, invitante. Elena si strofinò le braccia e lanciò un’occhiata torva al vampiro. Stava per dire qualcosa, quando Sara mormorò: «Non so che cosa spera di ottenere il tuo capo, facendomi rapire. In ogni caso, non intendiamo sospendere lo sciopero». Sciopero? Ciò spiegava come mai Raphael le era parso così allegro, quella mattina. Se i cacciatori rifiutavano di compiere il loro lavoro, probabilmente tutti i vampiri stavano venendo meno ai rispettivi contratti. «Adesso sì che mi scoppia la testa.» Sara si bloccò, e armeggiò con la benda che le copriva gli occhi, mentre Dmitri scivolava fuori dalla stanza... non prima di aver avvolto Elena con un’altra ondata del suo profumo
decadente. Lei stava ancora cercando di riprendere fiato, quando la benda di Sara cadde a terra. La direttrice sgranò gli occhi. Poi, la sua splendida pelle esotica impallidì. «Cristo, non svenire!» le urlò Elena, allungando le braccia quasi volesse sorreggerla. Sara si appoggiò a una sedia. «Devo avere le allucinazioni... oppure, il pesce che ho mangiato in aereo era condito con LSD.» «Se non vieni subito ad abbracciarmi, ti sparo.» La pistola che le aveva lasciato sotto il cuscino, nel suo appartamento, aveva salvato la vita a lei e a Raphael. «Sono io, stupida!» Sara deglutì, e un attimo dopo corse verso il letto. Si abbracciarono così forte da togliersi il respiro. Poi, balbettando, cominciarono a parlare l’una sopra l’altra, fra lacrime e risate. «Credevo fossi...» «... Raphael ha detto...» «E io mi sono opposta categoricamente...» «Subito...» «... e Ransom era pronto a venire...» «... mi sono svegliata e avevo le ali!» Si fermarono entrambe e si guardarono, ridendo. Poi ripresero a parlare. «Merda, hai davvero le ali.» Sara prese la tazza di caffè che qualcuno le aveva lasciato accanto al letto, e se la scolò. «È quello che penso?» La Rosa del Destino brillava sul ripiano del comodino. «Raphael è piuttosto ostinato.» Sara quasi soffocò, mise giù la tazza vuota e si batté ripetutamente il pugno sul petto. «Adesso spiegami perché hai le ali.» «Non so se posso. Sto ancora imparando... piuttosto, dimmi della storia dello sciopero.» Sara ghignò. «Mi ha permesso di arrivare qui, no?» disse, con
un sorriso compiaciuto. «Ci hanno impedito di vederti, Ellie. Ci hanno detto che eri viva, ma nulla di più. Credevamo fossi paralizzata...» Le mancò il fiato, e d’un tratto si ricordò del dolore che aveva patito. «Non potevi chiamarmi? Un anno, Ellie. Non ti fidavi di me?» Elena le strinse le mani. «Mi sono svegliata esattamente ventiquattr’ore fa. E tu sei la prima persona che ho chiesto di vedere. Ma non dirlo a Ransom, o diventerà geloso.» «Sei stata in coma per un anno?» Sara era sbalordita. «E com’è che ti muovi? E... i muscoli...» «Sì», la interruppe Elena, prima che si facesse prendere ancora dal panico. «Non lo so. Mi hanno spiegato qualcosa riguardo ai guaritori e agli esercizi che mi hanno fatto fare, ma faccio fatica a muovere le ali.» Sara scosse la testa e allungò una mano, che ritirò subito. «Agli angeli non piace quando...» Elena gliel’afferrò, e la posò sulle piume lisce. Le sue piume. «Sono sempre io.» Le dita sfiorarono l’ala. Non era paragonabile a quand’era Raphael a toccarla, ma provava comunque una certa intimità... Il genere di sensazione che potevano provare due amiche. «Ransom e Nyree stanno ancora insieme? » Sara annuì, gli occhi che le ridevano, mentre lasciava cadere la mano sulle lenzuola. «Nemmeno lui riesce a crederci. Cielo, hai le ali...» «Sì.» «Ma gli angeli non Creano altri angeli.» «Allora che cosa sarei, secondo te? Fegato macinato?» Un pensiero irritante si fece strada nella sua mente. Aveva appena detto di essere rimasta la stessa, ma era davvero così? Poteva ancora confidarsi con Sara, rischiando di svelare i segreti di un’intera razza? Più tardi, si disse. Ci avrebbe pensato più tardi. «Allora, ti piacciono le mie ali? Non sono la cosa più bella che
tu abbia mai visto?» Sara scoppiò a ridere. «Vanità, il tuo nome è Elena.» «Grazie infinite», disse, decisa. Perdere la sua amicizia era fuori discussione. «Coraggio, adesso raccontami tutti i pettegolezzi.» All’esterno, Raphael e Dmitri erano appollaiati sulle rocce dentellate che facevano da guardia al Rifugio. «C’è un’umana nel Rifugio», osservò l’arcangelo, i capelli spinti indietro dal vento. «Abbiamo infranto uno dei nostri tabù più sacri.» «Non ha idea di dove si trovi... e puoi sempre ripulirle la mente», osservò il leader dei Sette, pratico. «Già.» Ma non l’avrebbe fatto, e ciò lasciava intendere quanto fosse cambiato. «Oppure, potrei fidarmi della parola di Elena, riguardo al senso dell’onore della direttrice. » Dmitri annuì. Poi riprese a parlare, in tono pacato: «Elena ci cambierà». «L’ha già fatto.» Selvaggia e irrequieta come i venti che battevano le montagne, la sua cacciatrice non si sarebbe mai accontentata dello status quo. E, per una razza immortale, quello poteva essere il più rude dei risvegli. Il senso d’anticipazione gli scorreva nelle vene. «Jason è tornato», lo informò Dmitri, riportandolo al presente. «Quando?» «Due giorni fa. È stato ferito dai rinati di Lijuan, ma guarirà in una settimana.» Raphael annuì. Il futuro avrebbe visto cambiamenti ben più importanti della Creazione di un angelo.
Nalini Singh è nata nelle isole Fiji, ma è cresciuta in Nuova Zelanda, dove vive tuttora. Ha viaggiato molto, facendo i lavori più disparati: l’avvocato, la libraia, l’impiegata di banca, l’insegnante d’inglese e persino l’operaia in una fabbrica di caramelle. La sua vera passione, però, è sempre stata la narrativa, cui ora si dedica a tempo pieno. Il profumo del sangue è il primo romanzo della serie con protagonista Elena Deveraux, una serie che ha scalato le classifiche americane ed è stata tradotta con grande successo in tutto il mondo.