azienda moderna la prima collana di management in Italia
n. 429
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azienda moderna la prima collana di management in Italia
n. 429
I lettori che desiderano essere informati sui libri e le riviste da noi pubblicate possono consultare il nostro sito Internet: www.francoangeli.it o scrivere, inviando il loro indirizzo a: "FrancoAngeli, viale Monza 106, 20127 Milano"
MASSIMO BRUSCAGLIONI STEFANO GHENO
IL GUSTO DEL POTERE EMPOWERMENT DI PERSONE ED AZIENDA
FrancoAngeli
3° edizione. Copyright © 2000, 2002 by FrancoAngeli s.r.1., Milano, Italy
Ristampa 4 5 6
Anno 2007
2008
2009
È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata a qualsiasi titolo, eccetto quella ad uso personale. Quest'ultima è consentita nel limite massimo del 15% delle pagine dell'opera, anche se effettuata in più volte, e alla condizione che vengano pagati i compensi stabiliti dall'art. 2 della legge vigente. Ogni fotocopia che eviti l'acquisto di un libro è illecita ed è severamente punita. Chiunque fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per farlo, chi comunque favorisce questa pratica commette un reato e opera ai danni della cultura. Stampa: Tipomonza, via Merano 18, Milano.
Indice
A coloro che non smettono di cercare 1. Per cominciare
1. La parola empowerment 2. Empowerment è una moda 3. Perché empowerment oggi 4. Gratitudine a molte persone, aziende, istituzioni, Risfor 5. Indice ragionato 6. Qualche precauzione e avvertenza
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2. Empowerment organizzativo e psicologico
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1. L'approccio dell'empowerment nell'impresa 2. Storia, autori, categorie psicologiche che portano all 'empowerment 3. L'essenza dell'empowerment come rapporto di 2° livello
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3. Piacere di lavorare
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1. Nuovo lavoro e nuova cultura del lavoro 1.1. Riconoscimento della natura primaria del lavoro come attività generativa 1.2. La nuova razionalità trasparente del funzionamento aziendale in quanto orientato al cliente 1.3. Il lavoratore meno "dipendente" e più "adulto"; il nuovo contratto basato sulla responsabilità 1.4. Dalle resistenze al gradimento dell'innovazione continua 1.5. Stress, ma anche gratificazione per la richiesta di crescenti prestazioni eccellenti 2. L'organi7zazione dell'impresa, tra ragione ed emozione
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4. Il processo operativo di apertura di nuove possibilità: self empowerment
1. L'apertura di nuove possibilità: essenza del potere e dell'empo5
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werment 2. Preghiera al lettore: esemplificare una nuova possibilità desiderata 3. Le fasi operative del processo di self empowerment 3.1. La fase dell'emergere e del chiarirsi di un nuovo desiderio 3.2. Fase di costruzione di una nuova pensabilità 3.3. Fase dell'apertura della nuova possibilità operativa
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5. Esercizi di potere
1. Il potere personale 2. Esercizi di potere 2.1. Il desiderio fermo 2.2. Se il desiderio non c'è 2.2.1. La rivisitazione del passato 2.2.2. Il balzo nel futuro 2.2.3. Lo Z.B.B. 2.2.4. La margherita delle possibilità 2.3. Altri brevi autotest 3. Principi operativi orientativi
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1. Utilizzi applicativi 1.1. Uso dell'approccio empowerment per lo sviluppo delle persone e della cultura organizzativa 1.2. Uso dell'empowerment a supporto dei processi educativi 1.3. Intervento organizzativo di empowerment 1.4. Empowerment ispiratore del modello di funzionamento organizzativo 2. Modelli e tipi di empowerment 2.1. Empowerment di gruppo 2.2. Empowerment organizzativo 2.2.1. Salti di qualità e discontinuità organizzative, con un forte coinvolgimento delle risorse 2.2.2. Management by vision e carte dei valori 2.2.3. Percorsi di sviluppo individualizzato 2.3. Empowerment di comunità 1. Apprendimento come potenziamento: la progettazione quadricomponenziale della formazione 1.1. Formazione orientamento 1.2. Formazione competenza 1.3. Formazione elaborazione 1.4. Formazione azione 6
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6. Empowerizzare l'impresa
7. Formazione incisiva
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2. Incisività nell'operatività del formatore 2.1 Analisi dei bisogni ma anche dei desideri 2.2. Verifica dei passaggi cruciali e contributo alla valutazione dei risultati 2.2.1. I manager valutano la formazione come supporto alla realizzazione della visione 2.2.2. La metodologia dei passaggi cruciali nella valutazione della formazione fatta dai formatori 2.3. Il contratto psicologico d'aula del formatore empowering 3. La comunicazione generativa 3.1. "Provocazioni" orientate alla comunicazione generativa 3.2. Suggerimenti operativi tra chi vuole facilitare la comunicazione generativa: il periodo di passaggio della "comunicazione incisiva"
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8. Rendere incisivo il colloquio di counseling
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1. Orientamenti operativi su ciascuna fase del colloquio 1.1. Fase dell'emergere e del chiarirsi di un nuovo desiderio 1.2. Fase di costruzione di una nuova pensabilità positiva 1.3. Fase della trasformazione da pensabilità a possibilità 1.3.1. Elaborazione interna 1.3.2. Risorse esterne 1.3.3. Sperimentazione 2. Indicatori per la misurazione dei risultati di empowerment nell'orientamento tramite counseling 2.1. L'orientamento come processo di elaborazione della "configurazione delle possibilità" della persona 2.2. Esempi di indicatori per la misurazione dei risultati immediati "alla fine" dell'intervento d'orientamento 2.3. Esempi di indicatori per la misurazione dei risultati nel "durante" dell'intervento d'orientamento 2.3.1. Sub-processo di apertura di nuova "pensabilità positiva" (visioning) 2.3.2. Sub-processo di mobilitazione ed acquisizione risorse 2.3.3. Sub-processo di depotenziamento (specifico ed applicativo) di problematichestoriche soggettive della persona interessata 2.3.4. Sub-processo della sperimentazione
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9. Andare oltre: la scala dei desideri
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1. Bisogni e desideri 1.1. A cosa serve saper distinguere tra bisogni e desideri e saper 7
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valorizzare questi ultimi 1.2. Suggerimenti d'uso, della differenziazione bisogno-desiderio per gli operatori delle professioni aiuto alle persone 1.3. Proposte di ricerca 2. La scala dei desideri 2.1. Esempio applicativo di scala dei desideri 3. Tempo per desiderare, desiderare per avere tempo 3.1. Come liberarsi dalla schiavitù del tempo 3.2. Come godere (o come rovinarsi) la vita e il tempo, con le stesse cose 10. Percorsi e leve per il cambiamento
1. Cambiamento quale e cambiamento come 2. Cinque tipi di percorsi e metodi di cambiamento 2.1. Processo "drastico" del cambiamento 2.1.1. Caratteristiche defmitorie 2.1.2. Esempi di processo "drastico" 2.1.3. Principali pregi e difetti del processo "drasticoforzato" 2.1.4. Tipologia degli innovatori 2.2. Processo "armonico" del cambiamento 2.2.1. Caratteristiche defmitorie 2.2.2. Esempi di processo "armonico" 2.2.3. Sintesi di pregi e limiti 2.2.4. Tipologia degli innovatori 2.3. Processo del cambiamento del tipo "creazione del nuovo polo" 2.3.1. Fasi del processo di cambiamento del "terzo tipo", ovvero della creazione di nuovo polo, ovvero di tipo grattacielo-fattoria 2.3.2. Caratteristiche definitone 2.3.3. Altri esempi di processo di cambiamento per creazione di nuovo polo 2.3.4. Vantaggi e costi del cambiamento del terzo tipo 2.3.5. Tipologia di protagonisti e funzioni 2.4. Processo "strumentante" del cambiamento 2.4.1. Introduzione: ciò che sembra non servire, e poi invece... 2.4.2. Caratteristiche defmitorie del modello "strumentante" del cambiamento 2.4.3. Esempi 2.5. Processo "possibilitante" del cambiamento 2.5.1. La sequenza con cui l'iniziale possibilitazione può poi diventare cambiamento, anche rapidamente 8
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11. Bibliografie
1. Due libri essenziali e complementari 2. Alcuni libri, in lingua italiana, sull'empowerment e sulle tematiche della leadership, dei gruppi di lavoro, del potere, a cura di E. Lentini 3. Bibliografia
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A coloro che non smettono di cercare
Potere è bello. Non è un caso che, pur criticandolo in molti, quasi tutti lo cercano. Il potere autentico si manifesta infatti non impedendo agli altri, ma permettendo, aprendo nuove possibilità. L'aumento delle possibilità, proprie ed altrui, costituisce l'essenza del potere. L'obiettivo dunque è quello di aumentare il potere, di diffondere il potere, di permettere a tutti il potere. L'approccio dell'empowerment, le sue tecniche e le sue applicazioni (esposte in questo volume), vogliono rendere potenti persone ed aziende: dove essere "potenti" (alla lettera: che possono) significa usare al meglio le proprie risorse per soddisfare bisogni, obiettivi, desideri; significa sentire di avere influenza e controllo ("control") su ciò che accade nel proprio lavoro e nella propria vita; significa sentirsi protagonisti di sé stessi e di ciò che si fa e si è con gli altri. Aziende e persone sono sempre di più sollecitate da nuove esigenze ed aspirazioni: 'sul lavoro poi la necessità di essere bravissimi e fornire risultati nuovi ed eccellenti è oramai diventata caratteristica della normalità. Ci vogliono allora nuovi approcci, metodi, mentalità, strumenti; ci vuole anche una nuova concezione del potere, sia culturale e sociale sia dentro di sé. L'approccio dell'empowerment propone un orientamento ed una pista operativa molto incisiva in questa direzione. Il libro è dedicato a persone ed imprese che ricercano: non a chi è già totalmente soddisfatto, non a chi ha perduto la voglia di ricercare. Volevamo scrivere e pubblicare questo libro già da parecchio tempo. Ce lo chiedevano coloro che hanno sperimentato sul campo i risultati dell'approccio empowerment: nella maggiore incisività della formazione, nei colloqui di counseling personalizzato, nell'intervento aziendale a supporto delle innovazioni, nell'assistenza alla crescita delle persone sul lavoro, nel team building, nella lettura della corrispondenza tra ciò che avviene 11
al livello "macro", di aziende e mondo del lavoro, e ciò che avviene a livello "micro", dentro il mondo vivo della persona e del suo mondo interno sollecitato verso nuove risposte e nuovi desideri. Già parecchi anni fa volevamo quindi scrivere un libro di panoramica sistematica sugli autori ed i contributi sull'empowerment: poi questo libro l'harmo fatto bene altri (Claudia Piccardo, 1995). Successivamente volevamo scrivere un manuale organico, che spiegasse sistematicamente come si fa nelle varie applicazioni: potenziamento personale; sviluppo dell'organizzazione; formazione; sviluppo risorse umane; colloquio; team building; orientamento; cultura del lavoro. Ma l'approccio empowerment corre continuamente in avanti, sviluppa nuove possibilità ed altre ne prepara. Ci siamo infine decisi alla scelta che forse era ovvia fin dall'inizio: rinunciare alla pretesa di completezza e cercare di fornire al lettore quanto, sia nella nostra prassi sia nella nostra elaborazione teorica, ci sembra ad oggi più utile, più sperimentato nel fornire risultati, più stimolante per andare avanti. Potere è bello, anche perché il potere autentico per sua natura genera nuovo potere, in un circolo virtuoso che si autoalimenta e di cui non si può decidere a priori il punto finale. Forse proprio in questo sta la bellezza (ed anche l'incertezza e l'inquietudine) del lavorare moderno e forse dell'intero vivere in questo tipo di società moderna in cui il nuovo non si ferma mai ed, in corsa, cerca l'integrazione con l'antico. Tutto ciò ci sembra bello ed anche un po' difficile: per le imprese e per le persone. Con l'approccio e la proposta del potere-empowerment vogliamo fornire "una possibilità in più". Massimo Bruscaglioni Stefano Gheno
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1. Per cominciare
Questo libro è dedicato a coloro che sono interessati all'approccio dell'empowerment: o perché già ritengono che, come diciamo noi, fornisca "una marcia in più" da aggiungere agli strumenti già esistenti, o perché sono incuriositi e vogliono verificare in prima persona cosa è ed a cosa può servire. Il volume tratta principalmente: • dell'approccio dell'empowerment in azienda • delle metodologie di self empowerment per le persone • delle tecniche per professionisti addetti ad aiutare persone ed aziende nel loro sviluppo (esempi: formazione, orientamento, intervento organizzativo, colloquio, counseling). Come è nella nostra mission personal professionale, lo abbiamo scritto collegandoci da una parte al mondo delle aziende e delle persone che vi lavorano, dall'altra al mondo della ricerca e degli studi scientifici. Nel successivo paragrafo "Indice ragionato" proporremo la sintesi e la logica degli argomenti trattati. Qui vogliamo però subito fornire una lettura di cosa è l'empowerment (molti sicuramente se lo domandano) e perché è "di moda".
1. La parola empowerment Empowerment significa processo di "impoteramento", di aumento del potere. Il power, il potere di cui si occupa l'empowerment non è primariamente quello (che spesso per primo viene in mente) di qualcuno su qualcun altro; è invece soprattutto il potere come patrimonio personale di chi lo possiede, lo ha in sé, lo può "poi" usare nel rapporto con le cose e le persone importanti nella sua vita. 13
La parola "potere" ha infatti almeno due significati ben distinguibili: a) potere "relazionale": potere di qualcuno su qualcun altro, "influenza" nella sua definizione più semplice. È il significato di potere più diffuso nella cultura. potere "personale": potere che sta dentro la persona, che significa soprattutto "possibilità", che è influenzato da fattori interni della persona ancor prima che da fattori esterni. Potere non a somma zero (quanto più ne ha uno tanto meno l'altro) ma aumentabile (o diminuibile) in maniera non limitata a priori.
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Parlando di potere relazionale si tende a parlare di fattori di tipo economico, militare, di ruolo. Parlando di potere personale, interno, si confina con fattori più psicologici quali motivazione, energia, fiducia in sé, speranza. Con più precisione la ricerca ha evidenziato quattro componenti psi-
cologiche principali:
• la valorizzazione dei fattori interni di causa (interna! locus of control): tendenza a investire psicologicamente sui fattori interni che influenzano ciò che accade o accadrà alla persona (oggettivamente ci sono sempre sia fattori interni che esterni). Esempio: la sottolineatura degli aspetti per cui la propria carriera lavorativa dipende da sé, e non solo da altri o dal sistema o dalla fortuna; • la tendenza ad avere fiducia nella capacità di usare bene le proprie risorse (self efficacy). In ogni occasione infatti la persona tende sia ad avere fiducia di usare bene le proprie risorse sia ad avere timore di non saperle mobilitare ed usare al meglio (esempio: il timore dell'esame anche di chi è molto ben preparato). Esempio: orientamento alla fiducia che, davanti a un problema o situazione difficile, la persona saprà mobilitare le proprie migliori conoscenze e capacità; • il pensiero operativo positivo (operative positive thinking): investimento operativo sulle risorse disponibili più che sulle risorse mancanti. Infatti sul lavoro, quasi per definizione, le risorse necessarie sono quasi sempre in parte disponibili ed in parte mancanti. Il pensiero operativo spinge a privilegiare l'investimento, sia psicologico che operativo, sulle risorse disponibili.
1. Secondo questa definizione, volutamente semplificata, si dice che la persona A ha potere sulla persona B quando l'influenza che A esercita su B è sistematicamente maggiore della influenza che B esercita su A.
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Ci si può per esempio impegnare per vedere cosa si può fare e, al limite, impegnare invece per dimostrare cosa e perché non si può fare (in genere, con l'impegno, si può riuscire sia nell'uno che nell'altro!) • la "speranzosità" (hopefullness) o tendenza a sperare che, nell'ambito delle cose che all'esterno avverranno e non sono controllabili nè prevedibili, ci saranno anche aspetti positivi, fattori "intervenienti" che faciliteranno (oltre a quelli negativi, problematici, di aumento delle difficoltà). Esempi di "intervenienti": comparsa di nuovi materiali o strumenti informatici; cambiamento delle preferenze del mercato; innovazione organizzativa. Le dimensioni succitate sono evidenziate tra l'altro dai primi risultati di ricerca di due importanti studiosi americani, Zimmermann e Rappaport (1988). Furono per primi questi due psicologi di comunità, nel corso degli anni '80, a rivalorizzare la parola empowerment (fino ad allora poco usata) ed a definire le dimensioni di questo costrutto. Nel giro di pochissimo tempo il concetto di empowerment fu "adottato" dal mondo del lavoro, delle organizzazioni, delle risorse umane, del management. Questo fatto colpisce perché in genere passano molti anni prima che ci sia passaggio tra mondi diversi (quali: mondo della psicologia e mondo del management; mondo della ricerca sociale e mondo della prassi operativa aziendale). Il rapido e contemporaneo successo dell'empowerment in mondi così diversi, quali azienda e psicologia di comunità, è probabilmente dovuto anche ad una sintesi originale che esso propone tra forza e debolezza, tra benessere e disagio, tra capacità e difficoltà, tra disponibilità e lacuna. Si nota per esempio che nella tradizione succede che: a) nel "mondo della forza" ci si occupa dei forti con la cultura della forza (vedi la realtà o almeno l'immagine delle "Forze Armate"); b) nel "mondo della debolezza" ci si occupa dei deboli con la cultura della debolezza (vedi la tradizione storica dell'assistenza). L'approccio dell'empowerment propone di occuparsi della debolezza (lacune, problemi, difficoltà, disagi) con la cultura della forza (risorse, capacità di nozione, capacità, opportunità). Talvolta ci viene domandato a "quali" persone o aziende serve l'empowerment (ed a quali non): noi rispondiamo che serve soprattutto a coloro che sono alla ricerca, in tensione verso qualcosa, che quindi hanno un po' 15
di forza e risorse, altrimenti non potrebbero porsi in tensione ed alla ricerca, ma a cui anche manca qualcosa che invece vorrebbero-dovrebbero avere.
2. Empowerment è una moda? Ci si può domandare se empowerment sia solo una "moda"; e comunque perché se ne parli molto oggi. Secondo noi: • empowerment è "soltanto una moda" se ci si limita al primo dei suoi tre usi possibili, quello di parola ri-aggregatrice di concetti non nuovi (esempi: responsabilità, autonomia, discrezionalità, partecipazione, delega, valorizzazione della persona e del team); • è una moda che peraltro lascerà tracce permanenti (anche una volta passata) se si valorizzano alcuni suoi principi originali ed orientamenti: alle opportunità e non solo ai problemi; ai desideri e non solo ai bisogni; alla aggiunta di possibilità e non solo alla oscillazione tra stabilità e cambiamento; alla vision e non solo agli obiettivi ed alle pianificazioni; all'analisi dei successi e non solo degli insuccessi; • costituisce un costrutto ed un "approccio" nuovo e importante, se lo si usa per produrre anche nuove metodologie e strumenti: utilizzabili dagli interessati, persone e organizzazioni (self empowerment) e degli operatori professionisti (formatori, orientatori, operatori sociali, ma anche per certi versi, manager, responsabili, politici). A questo terzo ruolo ed uso dell'empowerment è dedicato in particolare questo libro, allo sforzo di evidenziare metodi e strumenti per aumentare l'empowerment di persone, aziende, istituzioni.
3. Perché empowerment oggi Secondo chi scrive non è un caso che l'approccio dell'empowennent emerga proprio oggi, alla vigilia del terzo millennio. Infatti è risaputo che negli ultimi trent'anni ci sono state profonde trasformazioni strutturali: però non è facile trasformare corrispondentemente gli strumenti mentali della persona moderna. Si avvertiva e si avverte l'esigenza di costrutti che forniscano aria nuova sul piano della cultura ed una marcia in più sul piano operativo. Infatti: 16
a) sul piano strutturale (ci riferiamo qui alle società cosiddette post industriali o moderne-post moderne) Molte società sono diventate quasi improvvisamente ricche ed in particolare liberate dalla centralità dei bisogni primari di sopravvivenza; emergono continuamente nuove possibilità e risorse (in particolare scientifichetecniche-produttive); si moltiplicano i problemi ma anche le opportunità e le possibilità. Le risorse che contano sono diventate il know how, il sapere, i beni e gli strumenti non materiali: si apre la possibilità di un nuovo protagonismo all'uomo, ed alle sue capacità intellettuali ed emozionali. La qualità della vita cessa di essere solo slogan (o cosa riservata per pochi) e diventa aspirazione di molti e per certi versi problema centrale da risolvere. Il lavoro è molto cambiato: lontani i tempi della condanna biblica, sempre più emerge la natura intrinseca "generativa" e tendenzialmente piacevole del lavorare. Del resto le aziende, industriali e di servizi, sembrano sempre più laboratori che non officine. b) sul piano delle persone e della mentalità Sono incredibilmente aumentati beni e servizi di cui le persone dispongono, e quindi le aspirazioni ulteriori di qualità della vita. Cresce quindi l'esigenza di un approccio che aiuti le persone a cogliere le opportunità, ad aprire possibilità, a beneficiare di un ambiente ricco, a perseguire desideri e non solo bisogni, a superare impossibilità obsolete, a fronteggiare ed usare con piacere il cambiamento godendosi al contempo gli aspetti sia di tradizione che di stabilità. Con un concetto sintetico: ad avere molte possibilità, poter scegliere, sentire responsabilità e protagonismo sulla propria vita. Sul lavoro e in azienda si tratta di cogliere le opportunità dell'innovazione continua, di imparare a lavorare in maniera nuova per processi, orientati al cliente, con il vecchio approccio negoziale che diventa invece "generativo", col piacere più che con la sofferenza di lavorare*.
* Il Presidente della Fiat, Paolo Fresco, ha affermato in una nota intervista che in USA le persone dicono che lavorare è un piacere mentre in Italia una sofferenza. Probabilmente non è davvero tanto diverso il piacere o la sofferenza del lavorare, quanto la cultura la quale prevede che sia sottolineato e verbalizzato l'uno o l'altro dei due aspetti inevitabilmente coesistenti (il lavoro come piacere ed il lavoro come sofferenza). 17
c) Sul piano delle aziende C'è oggi esigenza di persone con iniziativa, in crescita continua, protagoniste della propria responsabilità, capaci di usare strumenti ma anche di alimentare il lavoro con le migliori doti personali. Altrimenti come si fa a cogliere obiettivi oggi necessari quali le prestazioni aziendali eccellenti, l'innovazione continua, la competitività allargata, l'orientamento reale al cliente, il lavoro per processi, l'aumento continuo dei risultati a parità di risorse?! L'analisi che noi proponiamo è che l'empowerment emerge oggi di moda perché propone un approccio, anche culturale, che fornisce alle persone nuova strumentazione, concettuale e professionale, nelle nuove sfide di aziende, persone, lavoro. Ribadiamo che l'approccio dell'empowerment, nei suoi aspetti più consistenti e non solo di moda, è soprattutto utile in quanto fornisce nuovi metodi e strumenti. 4. Gratitudine a molte persone, aziende, istituzioni, Risfor Vogliamo qui esprimere gratitudine a molte persone, aziende, istituzioni. Esse delineano anche il percorso fatto sull'empowerment da chi scrive, e da dove siamo partiti per le elaborazioni che proponiamo in questo libro. In particolare ringraziamo: tra gli studiosi Julien Rappaport e Marc Zimmerman, primi maestri in campo di psicologia di comunità, e R.M. Kanter, prima consistente contributrice in campo manageriale (di Zimmerman e Rappaport è stata in particolare innovativa ed importante la raccolta dedicata all'empowerment nel 1990 nell'American Journal of Community Psychology); Donata Francescato, che per prima ci indirizzò dicendoci "ciò che voi state cercando lo stanno studiando in Usa e lo chiamano empowerment". E con cui continua - seppure distanza - un lavoro intellettuale affine. (di Donata Francescato ricordiamo innanzitutto Oltre la psicoterapia: percorsi innovativi di psicologia di comunità; Nis, Roma, 1993; Amore e potere; Mondadori, Milano, 1998; i membri dello NTL (National Training Laboratory Institute for Applied Behavioral Sciences) di Boston, presso il quale avemmo il primo trai18
ning personal professionale in empowerment nel 1989, ed i membri del Tavistock Institute di Londra; Claudia Piccardo che ha scritto il primo bel libro italiano sull'empowerment, e con cui scambiammo fin dall'inizio materiali, opinioni ed anche (con stima e amicizia) qualche divergenza interpretativa (di Claudia Piccardo ncordiamo il volume Empowerment, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995); Enzo Spaltro, che da molti anni studia il sentimento del potere e parla della nuova cultura adeguata alla società delle "risorse abbondanti" (di Enzo Spaltro ricordiamo, a proposito, il libro Sentimento de/potere, Boringhieri, Torino, 1984). Ancora molti studiosi delle Università italiane, rispetto ai quali sentiamo un'affinità di fondo nel nostro modo di procedere e d'agire sull'empowerment, sia nel campo della psicologia sociale e di comunità — come Piero Ameno, Dora Capozza, Augusto Palmonari, Maria Luisa Pombeni, Assunto Quadri°, Gian Piero Quaglino, Giancarlo Trentini, Bruna Zani —, sia della psicologia del lavoro e delle organizzazioni e della sociologia — come Francesco Avallone, Massimo Bellotto, Federico Butera, Domenico De Masi, Cesare Kaneklin, Vincenzo Mayer, Guido Sarchielli —, sia nelle scienze dell'educazione — come Cesare Scurati e Duccio Demetrio. (Nella rivista Risorsa Uomo, diretta da Vincenzo Majer, pubblicammo i primi contributi: "orizzonte empowerment: significati ed approcci", n. 3/1994, ed "empowerment nelle organizzazioni", n. 4/1995: relazioni presentate nel convegno Risfor sull'empowerment, del settembre 1994). Infine altri colleghi stimati del mondo della psicologia di comunità, come Caterina Arcidiacono, Bianca Gelli e Anna Putton.
La nostra gratitudine va inoltre alle molte aziende che hanno utilizzato l'approccio empowerment ed hanno contribuito ad evidenziarne l'efficacia in Italia, ed ai colleghi del team di Risfor. Tra le aziende ricordiamo in particolare AEM, Bayer, Bracco, Credem, Deutsche Bank, Hewlett Packard, Hyc, INPS, [PER, Kraft, Medal, Memc, Omnitel, Pirelli, RCS: con cui abbiamo svolto sul campo formazione e interventi significativi a supporto dell'innovazione. Con alcune di loro e con altre abbiamo anche costruito "Empowerment Space", in cui studiare i possibili strumenti per compiere veri e propri salti di qualità nello sviluppo delle persone, delle risorse umane, dell'azienda. 19
Tra le Scuole: Politecnico di Milano-MIP-Poliedra; CFMT: Formez, Formazione Professionale in lingua italiana della Provincia autonoma di Bolzano; ISFOL; ISVOR Fiat. In tanti lavori con loro abbiamo innescato un bellissimo circolo virtuoso tra marcia in più consentita dall'approccio empowerment e sviluppo di nuove metodologie e tecniche. Affetto e gratitudine speciali alla AIF, Associazione Italiana Formatori. Tra le Società di Consulenza, in particolare: Andersen Consulting; COM; CTC; ISMO; MIDA; S3; TESI. Tra i colleghi ed amici consulenti stimati con cui abbiamo insieme, non tanto parlato ma molto vissuto empowerment: Dante Bellamio, Donata Fabbri, Ennio Baldini, Cristina Koch, Ulderico Capucci, Maurizio Castagna, Enrico Auteri, Franco Angeli, Adriano De Maio, Antonio Roversi, Magi Rotondi, Mario Tancredi, Roberto Barabino, Pier Luigi Amietta, Pino Pollina, Pino Varchetta, Vito Volpe, Vanna Olivieri, Raffaella Pederneschi, GianPaolo Prandstraller, Romano Trabucchi.
Per certi versi soprattutto siamo grati ai colleghi del team Risfor2 con i quali l'approccio empowerment è stata una scoperta condivisa, un amore professionale, un impegno nel generare modalità nuove di essere utili alle persone ed alle organina7ioni. In particolare (oltre ai sottoscritti Massimo Bruscaglioni e Stefano Gheno) Marina Capizzi, Massimiliano Colombo, Delia Duccoli, Daniela Ferri, Elisabetta Camussi, Paola Zucca, Elena Zucchi. Con loro abbiamo studiato e ricercato, sperimentato, operato. Abbiamo anche dato vita ad una scuola per giovani, sulle applicazioni professionali dell'approccio empowerment, e approfondito (con seminari ripetuti da diversi anni) temi quali: il self development tramite self empowerment, lo sviluppo del potenziale, la skill innovazione, il colloquio di counseling, il team building empowerment oriented, la leadership empowering. Con tutti è stato ed è molto bello occuparsi di formazione all'empowerment ed anche di utilizzo dell'approccio empowerment per apportare una marcia in più sui temi dell'azienda, delle persone sul lavoro, delle innovazioni organizzative, dei processi di trasformazione.
2. Risfor è la Società, fondata da Massimo Bruscaglioni con alcuni colleghi senior nel 1991, specializzata nel fornire strumenti e metodi e servizi innovativi a coloro che fanno formazione. Si è anche progressivamente specializzata nelle ulteriori tecniche applicative permesse dall'approccio empowerment nelle organizzazioni e per le persone.
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5. Indice ragionato L'empowerment delle aziende e l'empowerment delle persone che vi lavorano sono, secondo la nostra esperienza, non in conflitto tra di loro ma anzi compenetrati e non scindibili. Sono potenti le aziende in cui le persone si sentono potenti, sono potenti le società e le istituzioni i cui componenti si sentono potenti. È una sorta di circolo virtuoso che supera la cultura della conflittualità e della scarsità, ereditate da millenni e secoli di lotta per la sopravvivenza. Per esempio è difficile attribuire all'interesse dell'azienda o invece della persona, voci quali: lo sviluppo personal professionale delle persone, la capacità innovativa, l'orientamento al cliente, la generatività del lavoro, il continuo sforzo di imparare e migliorare, la produttività, l'apprezzamento del mercato e dei clienti verso prodotti e servizi, l'utilizzo del potenziale delle persone. Non abbiamo quindi usato la classica suddivisione in parti quali l'empowerment della persona e l'empowerment dell'azienda. La sequenza dei capitoli cerca di seguire quello che può essere l'interesse del lettore, la sua voglia di capire, appropriarsi, utilizzare. Resta il fatto inevitabile che il "focus di partenza" di alcuni capitoli può essere, inizialmente, più quello della persona o dell'impresa o del lavoro. Nei capitoli 2 ("empowerment organizzativo e psicologico") e 6 ("empowerizzare l'impresa") il focus di partenza è quello dell'impresa: come aumentare il suo potere "con" le sue persone; come aumentarne la capacità di fronteggiare problemi e soprattutto di cogliere le opportunità; come avere una marcia in più a supporto dell'innovazione realizzata tramite le risorse umane: e le persone: che sono le protagoniste più preziose ma che talvolta avvertono difficoltà e propongono sfide nuove da superare. Nei capitoli 4 ("il processo operativo di apertura di nuove possibilità, self empowerment") e 5 ("esercizi di potere") si parte dal focus della persona e si descrive la metodologia guida per l'aumento del potere. Il modello operativo del self empowerment è un nostro contributo originale, elaborato insieme ai colleghi del team di RISFOR: speriamo e crediamo possa essere utile alle persone interessate ed agli operatori addetti nelle professioni e ruoli di supporto: vuoi in ruoli specialistici vuoi in ruoli di responsabilità e management. Il modello del self empowerment esposto è uno strumento operativo per il self development (tecnica dell'apertura di nuova possibilità), e costituisce anche un modello con qualche originalità di processo dell'apprendimento. 21
Nei capitoli 7 ("formazione incisiva") e 8 ("rendere incisivo il colloquio di counseling") si propone un affondo sull'utilizzazione dell'empowerment per rendere più efficaci la formazione ed il colloquio: attività sempre più importanti ed in cui è sempre più sentita l'esigenza di salto di qualità, di strumenti più efficaci, di risultati misurabili più consistenti anche se senza maggiore dispendio di risorse. Nel capitolo 3 si parla del lavoro e del "piacere di lavorare", piacere che paradossalmente tanto è noto quanto negato nei dichiarati e nella letteratura ufficiale. Siamo talmente abituati alla storica cultura del "bisogno-mancanzamalessere" che diventiamo pudici e persino falsificatori sul riconoscimento esplicito delle cose belle e piacevoli. Il problema è che invece si vive e si cresce soprattutto alimentandoci di riconoscimenti e gratificazioni. L'empowerment è per sua natura uno strumento per "andare oltre". Lo sottolineano alcuni dei principi stessi dell'approccio empowerment, quali quelli dell'aggiunta, della apertura di possibilità, della nuova pensabilità. Nei capitoli 9 ("andare oltre: la scala dei desideri") e 10 ("percorsi e leve per il cambiamento") proponiamo alcune esemplificazioni ed in particolare: la continuazione della scala dei bisogni in "scala dei desideri", e la tipologia "multipossibilitante" dei percorsi e delle leve del cambiamento. Diversi titoli di paragrafi e sottoparagrafi, sparsi nei capitoli, sono scritti in corsivo: ciò serve per segnalare che sono approfondimenti un po' specialistici, magari un po' difficili da leggere, dedicati a chi studia e/o approfondisce in vista di una sofisticazione professionale. Magari alcuni lettori preferiranno saltarli o leggerli per ultimi, mentre altri li cercheranno per primi.
6. Qualche precauzione ed avvertenza Al lettore ci permettiamo di consigliare in particolare qualche "precauzione d'uso" circa la natura e l'uso dell'empowerment:
I) Empowerment come caratteristica non globale esistenziale ma bensì relativa al rapporto della persona con uno specifico aspetto o area della propria vita. Certe caratteristiche dell'empowerment, fin da quelle psicologiche fondanti (vedi precedente paragrafo "la parola empowerment"), possono far 22
pensare che l'empowerment sia una caratteristica di personalità, quasi esistenziale. Noi consideriamo, e consigliamo di considerare, l'empowerment come qualcosa che riguarda il rapporto della persona con uno specifico oggetto (con un'altra persona, con una propria capacità da sviluppare, con un desiderio) o al massimo con un'area della propria vita, sia pur ampia (l'area lavorativa; l'area affettivo-familiare; l'area sociale e del rapporto con le istituzioni). Tanto è vero che il vissuto di empowerment può, in un certo momento-periodo, essere positivo in alcune aree della vita e negativa in altre. Così come può essere positivo o negativo, nella stessa area, in periodi temporali diversi. È anche vero che se una persona tende a sentirsi empowered nelle aree tradizionalmente centrali della vita (esempi: lavoro, famiglia, rapporti sociali), sarà facile pensare all'empowerment come caratteristica globale tout court della persona. Però se consideriamo l'empowerment come specifico rispetto a qualcosa, l'approccio ha utilità, sviluppa metodologie e strumenti, fornisce aiuto. Mentre se, al contrario, pensiamo che una persona tende ad avere/non avere empowerment, serve a poco operativamente. II) Empowerment come metodo e tecnica, non come ideologia; strumento in "aggiunta", non in sostituzione dei precedenti Il nostro sforzo, ed il nostro tentativo di contributo, è soprattutto sull'uso dell'approccio empowerment per evidenziare nuovi metodi, tecniche, strumenti. Per esempio: di self development, di formazione, di management, di colloquio, di orientamento. Certamente quella dell'empowerment può diventare una vera e propria cultura (contrapposta per certi versi a quella della rassegnazione o a quella del cambiamento deterministico). Però il suo valore principale sta nel fornire principi operativi aggiuntivi per l'auto-etero aiuto a persone e organizzazioni. In particolare è nella stessa natura intrinseca di questo approccio l'orientamento ad aggiungere anziché sostituire. In questo senso l'approccio dell'empowerment si differenzia da quello del cambiamento pianificato: la meta è infatti quella dell'aumento delle possibilità, per poter scegliere e sentirsi quindi responsabili e protagonisti di sé. Anche se poi è evidente che l'aumento di possibilità tendenzialmente favorisce di fatto il cambiamento; è però profonda la differenza. Noi proponiamo che per certi versi il maggior pregio dell'approccio empowerment stia nella sua essenza operativa di "processo di possi23
bilitazione": vero e proprio terzo e diverso polo rispetto a quelli della stabilità da una parte e del cambiamento programmato dall'altra. Di sicuro è utile per uscire dalla paralisi a cui costringe a volte l'impossibilità di scelta nella bipolarità stabilità-cambiamento (stabilità e cambiamento vengono spesso usati entrambi come positivi, per esempio in politica, ma non sono coincidenti e né sempre facili da integrare tra di loro).
AVVERTENZE PRATICHE PER IL LETTORE Il libro è dedicato: alle persone (in particolare in quanto lavorano) che cercano uno strumento in più per la propria ricerca, per il proprio tendere a nuove possibilità e desideri, per il proprio sviluppo personale; • ai manager ed a coloro per cui è importante il know how sullo sviluppo di persone e risorse umane; • ai formatori: • agli operatori delle professioni di supporto. •
I titoli di alcuni paragrafi e sotto-paragrafi sono scritti in corsivo. Sono quelli scritti per gli addetti ai lavori e/o per gli studiosi del tema. I titoli sono in corsivo, affinché sia più facile, a seconda del tipo d'interesse di ciascun lettore, trovarli subito o andare oltre. Leggibilità autonoma dei capitoli Abbiamo cercato di mantenere la leggibilità autonoma dei diversi capitoli, senza richiedere necessariamente la lettura sequenziale del libro dall'inizio alla fine. Ciò è stato facilitato anche dal fatto che alcuni paragrafi derivano dalla rielaborazione di dispense ed articoli scritti in specifiche occasioni. Ci scusiamo per alcune ridondanze rimaste; ci è stato peraltro detto di non eliminarle completamente: e perché possono risultare utili alla chiarezza e perché possono facilitare il lettore che vuole scegliere quali parti e comunque in che sequenza leggere.
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2. Empowerment organizzativo e psicologico
1. L'approccio dell'empowerment nell'impresa Abbiamo osservato il manifestarsi di tre livelli, tendenzialmente sequenziali: 1° livello: empowerrnent come parola-concetto aggregatore di orientamenti positivi preesistenti; 2° livello: emergere di principi e modelli originali dell'approccio specificatamente orientato all'empowerment; 3° livello: approccio dell'empowerment che fornisce nuove metodologie e permette nuovi tipi di risultati e di salti di qualità. Questa tendenza successiva dei tre suddetti livelli l'abbiamo rilevata sia nel successo avuto dal costrutto dell'empowennent negli ultimi dieci anni nel mondo delle aziende e nel mondo della psicologia di comunità; sia nel percorso che realizzano le singole persone quando si avvicinano al costrutto dell'empowerment, e progressivamente ne aumentano l'utilizzo (l'abbiamo osservato soprattutto nei corsi di formazione all'empowertnent per operatori professionisti e nella consulenza sul campo). Al 1° livello empowerment è una 'parola" che ha il pregio di "aggregare" in modo stimolante diversi e preesistenti orientamenti, tendenze evolutive, auspici: e che li aggrega con una certa originalità attorno ad un nuovo modo di concepire il concetto di potere (di qui la difficile traducibilità in italiano). Elementi aggregati a livello psicologico sono: • responsabilizzazione, tendenza a sottolineare la propria possibile influenza; 25
• autoefficacia, tendenza alla fidueia nella utilizzazione delle risorse di cui si dispone; • speranzosità (o contrario di di-speranza), tendenza a sperare che gli inevitabili mutamenti a venire abbiano aspetti anche positivi; • pensiero positivo operativo, tendenza a investire energie e azioni più sulle risorse disponibili che non su vincoli e risorse mancanti; • sentimento di padronanza sulla propria vita, controllo almeno cognitivo sui fattori che la influenzano; • consapevolezza delle proprie risorse e orientamento alla scelta per l'ottimizzazione del loro uso; • integrazione in un unicum di sentimenti di desiderio, di competenza, di voglia di passaggio all'azione (in un certo senso motivazione positiva). Elementi aggregati a livello organizzativo sono: aumento diffuso di autonomia, avvicinamento di discrezionalità, autorità, strumentazione della sede in cui si producono i risultati e la soddisfazione del cliente; o partecipazione, coinvolgimento, appartenenza, motivazione in particolare intrinseca; o abbondanza di comunicazione, facilitazione di rapporti; o lavoro in team; o cultura dello sviluppo delle risorse umane, della crescita; o importanza contemporanea e integrata della dimensione persona individuale, gruppo, organizzazione; o recupero e gestione di emozioni e sentimenti anche sul lavoro; o approcci del lavoro per obiettivi, della qualità e del miglioramento continuo, dello sviluppo organizzativo (0.D.). •
A questo primo livello, dell'empowerment come aggregatore, le applicazioni sono soprattutto: 1. lo sviluppo dell'autonomia operativa dei gruppi (self directed work teams o gruppi autogestiti); 2. lo sviluppo dei gruppi in formazione, non solo per l'apprendimento ma anche per la risoluzione dei problemi e per l'innovatività; 3. il leader come facilitatore e lo stile di leadership aiutato a diffondere empowerment; 4. le surveys e le metodologie di indagine sui diversi fattori di clima, di people satisfaction, di gradimento, anche dal basso verso l'alto.
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Al 2° livello, nell'empowerment cominciano ad evidenziarsi alcuni principi originali, culturali ed operativi; non solo quindi, come aggregazione del preesistente ma anche come apertura di strade nuove. È un livello ponte verso l'approccio dell'empowerment vero e proprio, che vedremo al terzo livello applicativo. Proviamo ad evidenziare sette dei più significativi principi originali dell'empowerment (sottolineando anche la loro differenza rispetto ad approcci più tradizionali): 1. l'apertura di nuove possibilità, come processo chiave di ogni sviluppo e come terza polarità per rompere l'oscillazione talvolta paralizzante tra stabilità e cambiamento; la metodologia, la teoria e la pratica dell'apertura di nuove possibilità e dell'aiuto che si può fornire in questo senso a persone e organizzazioni: l'approccio dell'empowerment diventa concreto, diventa metodo applicativo, proprio focalizzando che l'apertura di nuove possibilità è l'aspetto centrale ed essenziale del processo di empowerment; 2. il ruolo del desiderio è fondamentale nell'alimentare i processi evolutivi reali, ancora più di quello vissuto da necessità, problemi, bisogni: con i quali peraltro la dimensione e il desiderio si allea, anche per concretizzarsi e produrre progettualità concreta. L'attività di visioning è di conseguenza processo e risorsa cruciale dell' attività generativa, in azienda (metodologia di management) come nella vita della persona (costruzione di pensabilità positiva di situazioni migliori e di sé in tali situazioni); 3. all'importanza del miglioramento continuo si aggiunge l'attenzione sistematica alla possibilità del salto di qualità, anche con aspetti di discontinuità: concretamente attraverso l'analisi sistematica degli "intervenienti", cioè dei fattori nuovi nel frattempo emersi. L'assenza dell'empowerment quindi come metodologia del passaggio dal percepito impossibile al possibile realizzabile; 4. lo sviluppo come aggiunta, piuttosto che come sostituzione-cambiamento, e quindi il trattamento (assai diverso e molto più efficace) delle resistenze come resistenze all'aggiunta e non come resistenze al cambiamento; 5. la gestione dei problemi storici (qui con riferimento a quelli soggettivi individuali) per aggiramento, permettendo il rapido raggiungimento di obiettivi e desideri, invece che per loro pretesa di "risoluzione" (di solito mai raggiunta in sé, se non con un salto di qualità, un passaggio ad un livello superiore); 27
6. l'autorappresentabilità del soggetto, persona od organizzazione, non solo per quello che fa e per quello che vorrebbe essere, ma come insieme di tutte le possibilità che gli sono permesse dall'interno e che potrebbe realizzare operativamente con speranza di successo, anche se probabilmente in buona parte alternative tra di loro. Quindi Rappresentazione di persone e organizzazione come insieme di possibilità; 7. tradizionalmente ci si occupa delle aree forti con la tipica cultura "paterna": meritocratica, che valorizza le risorse possedute e l'attenzione alle capacità; che richiede crescenti risultati, che usa la comunicazione assertiva; e ci si occupa delle aree deboli con la tipica cultura "materna": protettiva, comprensiva, accettante, attenta ai bisogni che privilegia la comunicazione rassicurante. L'approccio empowerment propone invece l'utilizzo della cultura paterna delle capacità e delle risorse a supporto delle aree di debolezza, della loro gestione e del loro superamento per quanto possibile: delineando una sintesi originale dei ruoli delle inevitabili forze e debolezze compresenti e della loro utilizzazione. Applicando questi principi culturali in maniera operativa, si aprono strade e risultati nuovi, e metodologie per praticarli: si arriva così al terzo livello del "vero e proprio" empowerment, inteso come strumento per persone ed operatori. Al 3° livello l'approccio dell'empowerment si rivela come vero e proprio strumento in più che fornisce metodologie nuove, permette applicazioni e risultati con salto di qualità Applicando infatti i principi originali suddetti dell'empowerment, per esempio: Nell'organizzazione e management: • l'organizzazione per gruppi autogestiti diventa anche struttura portante dell'intera organiz7Azione (esempio: la nuova struttura produttiva degli stabilimenti Fiat) e concretizza anche l'intero disegno dell'organizzazione per processi orientata al cliente ed ai risultati fondamentali; • il management by vision diventa metodologia portante di management, dell'intera azienda innanzitutto ed anche di specifici gruppi o pensieri o processi • la cultura empowerment oriented si rivela (e non è una contemporaneità casuale) come la cultura corrispondente alle grandi innovazioni, al busi28
ness process reengineering, alla learning organization: fra l'altro il concetto di empowertnent funge da ponte di collegamento tra ciò che avviene a livello di grandi trasformazioni aziendali (livello "macro") e ciò che avviene dentro le singole persone (livello "micro"); • le metodologie di gestione e sviluppo delle Risorse Umane che consentono anche la personalizzazione, l'adeguamento alle specificità individuali di ciascuno, non solo ai livelli; • la rivisitazione con apporto di elementi innovativi di alcune skill quali leadership, decision making, problem solving, negoziazione; in particolare con nuove formulazioni che facilitano la generatività al posto del tradizionale orientamento a fronteggiare in qualche modo le necessità. Nella formazione, i principi dell'empowerment facilitano l'emergere di nuovi tipi di formazione oltre l'aula tradizionale: • il training on the job finalmente efficace, basato sull'uso di risorse già presenti nell'organizzazione (tutta la formazione tradizionale d'aula è basata invece sull'analisi dei bisogni, cioè delle mancanze); • la formazione come supporto al self development, cioè come concentrazione e messa a disposizione di risorse esistenti nell'ambiente per il self development, la crescita e la formazione autogestita • si evidenzia la metodologia della formazione "quadricomponenziale": che assume l'apertura di nuove possibilità come risultato e come processo dell'apprendimento e che struttura i percorsi formativi con quattro precisi e differenziati momenti formativi corrispondenti alle quattro grandi tappe logiche dell'empowerment (vedi cap. 7). Nelle professioni e prestazioni di supporto alla persona: • la metodologia del counseling individuale empowertnent oriented (vedi cap. 8) permette risultati importanti, con incontri singoli, o ripetuti al massimo due o tre volte (in particolare nelle aziende permette una metodologia professionale di counseling anche al top management, da sempre cercata e fmora mai trovata dagli operatori; • la metodologia di counseling empowerment oriented permette tra l'altro di prendere in carico l'intera persona, pur essendo l'obiettivo operativo e specifico (per esempio di supporto all'efficacia di ruolo, o di orientamento, o di mobilità), essa rappresenta quindi l'elemento evidente di una possibilità di gestire e sviluppare individualmente le risorse umane: laddove tradizionalmente ci si sapeva occupare di fasce, ruoli, gruppi, ma non di persone singole (la persona singola richiama infatti tutta la 29
sua globalità, distingue meno tra lavoro, esigenza globale, ruoli, aspirazioni complessive, capacità, punti di forza e di debolezza); • il modello operativo del self empowerment, o la metodologia del supporto professionale ad esso (ampiamente illustrato nel cap. 4), evidenzia come siano diversi metodi e strumenti da usare nell'ambito dell'aiuto di una persona su una specifica esigenza. Questo è molto rilevante, perché di solito nelle professioni d'aiuto c'è il rischio di un atteggiamento e un metodo unico. Per esempio corrispondono a diverse metodologie e strumenti nel processo applicativo di empowerment: la mobilitazione dell'io desiderante; il suo incontro con necessità, bisogni, richieste; la costruzione di pensabilità positiva e vision, la predisposizione dell'acquisizione risorse; il de-killering come aggiramento delle difficoltà personali e tecniche; la sperimentazione reversibile; la costruzione della margherita delle possibilità.
Riepiloghiamo quindi cosa è l'empowerment: 1. ad un primo livello è una parola concetto che riaggrega in modo originale tendenze preesistenti, sia organizzative che psicologiche, di tipo positivo. Peraltro corredando la parola concetto con una nuova consapevolezza delle basi psicologiche profonde e quindi della connessione tra il "macro", socio e organizzativo, ed il "micro", dentro alle persone; 2. ad un secondo livello è il delinearsi di nuovi principi originali, che prefigurano una nuova cultura applicativa, in particolare diversa sia da quella della stabilità che da quella del cambiamento; 3. a un terzo e attuale livello è un approccio vero e proprio con metodologie, attività operative, strumenti che aggiungono efficacia e permettono salti di qualità nei risultati. Detto tutto ciò, una piccola dedica. Questo libro è stato scritto innanzitutto per presentare il nostro approccio all'empowerment ed alcune sue applicazioni, nella speranza che possa risultare utile a persone e organizzazioni. In particolare a: — i manager per dirigere meglio e per dirigere aziende vive, generative, capaci sia di tradizione che d'irmovazione, fatte esistere da orgoglio di sé, della propria azienda, del proprio lavoro. L'approccio dell'empowerment può costituire per i manager una marcia in più, un'apertura di possibilità anche verso i salti di qualità che, come spesso succede, ieri erano fatti di impossibile e già domani diventeranno normalità; 30
— gli operatori della formazione e delle professioni d'aiuto come strumento tecnico di lavoro, aggiunta significativa nella cassetta degli attrezzi professionali; — più in generale, le persone che cercano di vivere bene la loro vita (ma questa è una categoria discutibile: sono tutti!) la proposta è rivolta per affrontare meglio i nuovi problemi e soprattutto le nuove opportunità di questa moderna società, apparentemente un po' pazza: liberata, ricca non più solo di bisogni ma anche di desideri, in cui quasi tutto cambia con grande rapidità, un po' stressante, fra l'altro non più disposta ad accettare i problemi dell'umanità di sempre, con anche nuovi disagi e disorientamenti. In questo senso il volume propone capitoli anche un po' specialistici, sull'empowerment organizzativo, sull'empowerment della persona, sull'empowerment nella formazione, sui fondamenti teorici dell ' empowerment. Ma proprio la nostra esperienza di applicazione dell'empowerment, e di consulenza sul campo, ha evidenziato che sempre meno si possono distinguere nettamente l'area lavorativa rispetto alla vita globale, le capacità di ruolo da quelle umane di base, la realizzazione di un bisogno o di un desiderio dal complesso delle mete di una persona o di un'organiz7a7ione. Nonostante nella nostra esperienza si parta quasi sempre (per tipo di consulenza svolta) da tematiche organizzative e professionali, pur tuttavia il successo deriva praticamente sempre dalla capacità di attraversare, almeno temporaneamente, il complesso delle aspirazioni, risorse, caratteristiche delle persone. Ciò non ci sembra casuale e porta ad istituire nuove regole generali, anche perché corrisponde in particolare a quattro precise linee evolutive dell'uomo, dell'organizzazione, della società moderna: 1. sempre più le prestazioni richieste sono a livello di eccellenza, e quindi le capacità di base umane sono chiamate a sostenere quelle specifiche e di ruolo; 2. sempre più si tratta di cogliere opportunità e non solo di risolvere problemi, e del resto sempre più i problemi si risolvono con salti di qualità permessi da nuove opportunità (l'esempio delle nuove tecnologie è eclatante); 3. sempre più i desideri hanno un ruolo rilevante accanto ai bisogni e alle necessità di sempre (anche in azienda, dove la vision diventa strumento cruciale di management); 31
4. sempre più è richiesta la capacità di successo qualitativo, oltre a quello di sempre quantitativo (nella qualità della vita così come nelle modalità di funzionamento aziendale, così come nei risultati forniti ai clienti di ciascuno). Da questo punto di vista l'approccio dell'empowerment è allora proposto a persone, a professionisti, a manager non solo per ruoli e aspetti specifici ma in tutte le sue occasioni: per sperimentare un approccio utile nella vita e soprattutto per perseguire i desideri che poi consentono anche di generare i risultati più importanti; per avere uno strumento e una tecnica per aiutarsi, per aiutare, per farsi aiutare; per avere una marcia in più per gestire le aree di propria responsabilità. Per qualcuno potrà avvenire che anche dopo qualche esperimento di avvicinamento con esito positivo, l'empowerment diventi uno strumento abituale; e per qualcuno potrà anche avvenire che lo apprezzi, e in parte lo adotti, anche come una sorta di cultura innovativa. Molti certamente vi troveranno la sistemati772zione di qualcosa che già praticavano, magari intuitivamente. E questo è un buon segnale, anche perché il processo di empowerment è in realtà un moltiplicatore in crescita dell'empowertnent in entrata.
2. Storia, autori, categorie psicologiche che portano all'empowerment È dalla ricerca psicologica che derivano le categorie concettuali più direttamente collegabili al costrutto di empowerment. Pertanto, se da un punto di vista esistenziale la categoria centrale dell'empowerment è quella a tutti cognitivamente accessibile - della possibilità, può essere utile — sia per una maggiore comprensione del costrutto sia per la sua applicazione metodologica — provare a classificare le categorie più prettamente psicologiche che vi afferiscono. Coerentemente all'orientamento della psicologia di comunità al cui interno si è formato, l'empowerment è un costrutto ponte tra la dimensione privata e quella pubblica della persona. Un intervento di empowerment agisce sulla dimensione psicologica personale del singolo, proponendosi di affrontare i suoi problemi partendo dai suoi punti di forza e rafforzando le sue competenze, ma anche sulla dimensione sociale dell'esperienza umana, secondo una prospettiva circolare: se i 32
singoli competenti ed empowered contribuiscono a rendere più competenti i gruppi e le reti a cui partecipano, queste a loro volta diventano setting ambientali che offrono nuovi stimoli alle persone che li frequentano."(Francescato, Leone, Traversi, 1993). Ciò implica che si debbano andare a ricercare i fondamenti concettuali dell'empowerment sia all'interno di una prospettiva psicologica individuale (e personologica) sia di una sociale (e interazionista). Partendo da una prospettiva individuale — a nostro avviso — due tra i contributi più significativi al tema dell'empowerment vengono da Julian Rotter (1966) e Albert Bandura (1995). Entrambi attribuiscono la motivazione del comportamento ad un sistema complesso di scopi e aspettative; sistema che non coincide automaticamente con il sistema di rinforzo, visto dai comportamentisti classici' essenzialmente come ricerca del piacere e allontanamento del non-piacere. Ciò che regola il comportamento dell'individuo nell'ambiente non è dunque solo il premio o la punizione direttamente conseguenti ad esso, ma pure il sistema di attese che, al riguardo, il soggetto formula. La personalità, in quest'ottica, risulta dal determinarsi di particolari interazioni tra l'ambiente e la persona, che producono il consolidarsi di esperienze. Quanto viene appreso in forza di tali esperienze formerà il bagaglio comportamentale dell'individuo. Va sottolineato che tali esperienze apprese non si presentano solo come risposta a stimoli ambientali e situazionali, ma pure come attività propria della persona che all'ambiente attribuisce senso ed in esso si muove. Rotter parla in questo senso di locus of control, luogo in cui è posto il controllo del rinforzo, cioè l'attribuzione o meno di una consequenzialità tra un comportamento agito e la sua conseguenza: l'autore giudica strategica per l'individuo la capacità di porre internamente a sé tale controllo, cosa questa che consentirà al soggetto di considerarsi attore responsabile degli eventi che lo vedono coinvolto. Per certi versi simile è il concetto, enunciato da Bandura, di selfefficacy, la capacità di percepirsi come efficace attore di azioni con esito 1. Entrambi gli autori possono essere ricondotti alla corrente dell'apprendimento sociale (social learning). Il social learning mantiene l'enfasi comportamentista circa l'importanza dell'apprendimento e la medesima prospettiva situazionista. Tuttavia se ne distacca strada facendo assumendo una posizione più complessa e sfumata, individuando importanti punti d'attenzione nell'interazionismo e nella necessità di porsi in una prospettiva fenomenologica per cogliere e correttamente interpretare la relazione esistente tra l'individuo e la situazione (cfr. Caprara, Gennaro, 1987). 33
positivo. Capacità quest'ultima che permetterà al soggetto di rappresentarsi un ventaglio di possibilità circa le conseguenze del proprio agire e, quindi, di evitargli una prospettiva univoca, tendenzialmente passivizzante. Un altro grande tema connesso alle categorie fondanti il concetto di empowerment è se queste vadano riferite a tratti stabili di personalità o vadano invece viste in termini puramente comportamentali. In ogni caso, anche volendo considerare l'empowerment come espressione di una precisa e definita personalità, ovvero come la risultante di tratti personologici che determinano in un individuo l'esistenza di un certo livello di empowerment dobbiamo ricordare che all'interno del contesto culturale in cui tale concetto si sviluppa la personalità ed i suoi tratti costitutivi viene sempre intesa in rapporto dinamico con il suo ambiente di riferimento. La personalità dunque non sarebbe una struttura cristallina, defmita una volta per tutte e che possiede sfaccettature tendenzialmente stabili nel tempo come propongono alcuni autori di orientamento psicoanalitico, ma soggetta a cambiamenti all'interno di un processo di apprendimento continuo. Forse il concetto che consente di spiegare meglio tale ipotesi è proprio quello di interna! locus of control. Il luogo di controllo è legato secondo Rotter alle attese dell'individuo circa le conseguenze del proprio comportamento; quindi è possibile trovare due differenti tipologie di soggetti a seconda che tali attese siano poste all'interno di sé oppure all'esterno, nel primo caso saremo di fronte a soggetti con una tendenza a definire responsabilmente le conseguenze dei propri comportamenti, a ritenere, cioè, di poter incidere sugli avvenimenti con le proprie azioni, nel secondo, al contrario ci troviamo di fronte a persone senza fiducia sulle possibilità di modificare gli accadimenti. In questo senso, il dentro ed il fuori vengono a coincidere con un sentimento di potenza oppure di impotenza e potremmo far coincidere il benessere personale del soggetto con la sua capacità di individuare un "egotismo attribuzionale", cioè la tendenza ad attribuire a sé ed ai propri comportamenti i risultati positivi, mentre quelli negativi saranno determinati dall'azione di altri soggetti o da fattori situazionali, al contrario il disagio (alcuni autori2 parlano proprio di depressione) deriverà da una tendenza generalizzata ad un'attribuzione esterna dei risultati positivi ed una interna di quelli negativi, da una attesa di soddisfazioni impossibili, nonché dall'individuazione di mete irrealistiche verso cui indirizzare le proprie azioni.
2. Cfr. Dweck, 1975.
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Il concetto di locus of control veniva inteso da Rotter in termini di tratti relativamente stabili di personalità; altri autori, più recentemente, hanno invece messo in relazione il luogo di controllo con la motivazione al successo ed il "senso d'impotenza acquisito"3. Se il senso d'impotenza è acquisito, sarà acquisibile anche un sentimento di potenza, in questo caso ci avviciniamo molto al self empowerment nella sua accezione costruzionista, anche se resta indubbiamente il problema di come potrà avvenire il processo globale di modifica della personalità per poter giungere a modificare quel senso d'impotenza. La prospettiva interazionista dell'empowennent trova il suo fondamento principale nel lavoro di Kurt Lewin (1951) e nella sua teoria di campo. Nella concezione lewiniana, per campo si intende la totalità dei fatti coesistenti nella loro interdipendenza. Ciò comporta che le leggi che regolano il campo non dipendano tanto dalle caratteristiche degli elementi che vi sono contenuti, quanto dalle loro relazioni. Quindi le proprietà di un fatto, di un evento, di un oggetto derivano dalla relazione con tutti gli altri fatti, eventi, oggetti presenti ora (ma anche nel passato e nel futuro) nella percezione del soggetto. Con la teoria di campo si pongono le basi di quella che verrà poi definita ecologia psicologica, che troverà molto spazio nella ricerca psicologica dopo la morte di Lewin. Secondo tale approccio il comportamento umano deve sempre essere visto in relazione al contesto in cui si attua. Per certi versi, dunque, il comportamento rappresenta un adattamento della persona alle: • risorse (ambientali) disponibili, • circostanze che si verificano. Ciò implica che possano essere corretti i comportamenti attraverso la modifica della disponibilità di risorse. In un'ottica di empowerment, quanto detto comporta il fatto che vada incoraggiata la ricerca e l'utilizzo delle risorse interne ed esterne al soggetto, più che interventi esterni che tentino di modificare il soggetto stesso. Possiamo individuare quattro principi fondamentali — potremmo dire punti di attenzione particolari — dell'intervento psicologico in prospettiva ecologica (Kelly, 1966): 1. interdipendenza tra le componenti di una determinata unità sociale; 2. distribuzione delle risorse in un dato ambiente; 3. adattamento, processo attraverso cui i soggetti modificano abitudini e/o comportamenti per fare fronte ad un mutamento situazionale; 3. Cfr. Hiroto, Seligman ,1975 35
4. successione, cioè la modalità di evoluzione del contesto per comprendere come una popolazione possa esserne avvantaggiata o svantaggiata. Una ricomposizione della prospettiva individuale e relazionale in chiave applicativa la possiamo trovare nel modello di Barbara Dohrenwend (1978) sullo "stress psicosociale". La Dohrenwend ricostruisce una sequenza causale di questo tipo: • l'interazione tra le situazioni ambientali definite e le caratteristiche psicologiche della persona può produrre eventi esistenziali stressanti; • tali eventi provocano nell'individuo reazioni transitorie che possono portare a conseguenze psicologiche diverse: —una sostanziale stabilità nell'assetto psicologico; —una patologia - intesa come perdurare nel tempo di una situazione di disagio psichico; —ma anche uno sviluppo della persona che impara a padroneggiare le situazioni di disagio e, pertanto, arricchisce le proprie potenzialità di adattamento. Dal suo modello possiamo ricavare differenti livelli di intervento, diversificati a seconda del momento della sequenza causale in cui si collocano e della modalità di azione che prevedono. Riguardo questo secondo livello — la modalità di azione —, possiamo individuare tipicamente cinque possibili tipologie di intervento sul disagio, che si differenziano in relazione al momento di azione attuato su di un continuum che va dal macro (il sistema sociale) al tnicro (la persona): 1. intervento sul contesto ambientale (azioni sociali e politiche) e personale — (azioni educative); 2. intervento organizzativo e di comunità sui mediatori situazionali (azioni sugli elementi di vantaggio e di svantaggio presenti nell'ambiente, sulla disponibilità di risorse, etc.); 3. intervento sulla crisi in quanto tale (azioni di emergenza); 4. intervento di training individuale sui mediatori individuali (azioni sulle aspirazioni, sui valori, etc.); 5. intervento terapeutico (azioni psicoterapeutiche). L'intervento di empowerment — inteso sia come counseling individuale di self empowerment sia come training empowerment oriented — si colloca al quarto punto di questo continuum. Come abbiamo visto — dunque — i riferimenti teorici dell'empowerment sono molti ed assai diversificati. Abbiamo provato a passare in rassegna 36
quelli che — a nostro avviso — sono i più significativi, anche se senza alcuna pretesa di essere esaurienti. Del resto, l'empowerment prima ancora che un costrutto teorico è un approccio alla realtà, che si traduce in atteggiamenti e comportamenti diversamente organizzabili ed interpretabili. E allora il passo successivo che vi proponiamo è quello di suggerire una nostra lettura di tale approccio, seguendo un ordine concettuale ma anche cronologico. Ci sarà d'aiuto in questo breve percorso presentare innanzitutto la disciplina scientifica la cui storia procede indissolubilmente legata a quella dell'empowerment: la psicologia di comunità. La psicologia di comunità cerca di capire le persone nei loro mondi sociali e di usare questa comprensione per migliorare la qualità della vita. Mira sia a capire che ad aiutare... Sta in una posizione ponte tra la psiche e il sociale, tra il privato e il pubblico (Orford, 1992) Questo brano è la prima citazione riportata nel libro di Donata Francescato ed altri (1993) Oltre la psicoterapia. Percorsi innovativi in psicologia di comunità e ci sembra illustri — sinteticamente ma in modo efficace — il nesso profondo tra l'empowerment e questa disciplina. Infatti, il concetto di empowerment nasce all'interno di quell'ampia corrente disciplinare ed applicativa chiamata psicologia di comunità. Risulta curioso notare come il termine "comunità" entri nella letteratura scientifica appena nel secolo scorso; ad opera del sociologo tedesco Tónnies (1887) che ne mette in evidenza le differenze rispetto al concetto di società. Mentre quest'ultima sarebbe un costrutto artificiale, fondata su basi utilitaristiche e contrattuali, la comunità possiede una vita reale ed organica, che si fonda sulla comprensione e sulla confidenza tra i suoi membri. In questa prospettiva la comunità rappresenta un tipo ideale di convivenza umana, preesistente alla società e sociologicamente contraddistinta dall'interdipendenza dei suoi sistemi di relazione, da una alta omogeneità rispetto a norme e valori presenti, dall'esistenza diffusa di elementi fortemente interiorizzati, da un forte senso di ingroup ed outgroup. Nel secondo decennio del nostro secolo, negli Stati Uniti l'attenzione alla comunità viene rivolta in particolare alla comunità locale4. Quest'ultima intesa non come pura associazione di persone ma come vera e 4. Secondo Park, (1952) la comunità umana presenta tre caratteristiche fondamentali: una popolazione organi772ta sul territorio; un radicamento nel territorio che occupa attraverso tradizioni, sentimenti di appartenenza, etc.; una popolazione mutualmente interdipendente. 37
propria unità basica della vita in comune della persona e, quindi, legata ad un dato territorio. In quest'ottica la persona può trovare nella comunità il luogo in cui vivere tutti gli aspetti fondamentali della propria vita, con tutte le relazioni sociali che le sono proprie. Nella seconda metà del secolo un gruppo di psicologi aderenti all'APA5 individuano nella comunità il luogo privilegiato di azione al fme di portare sollievo al disagio psicologico coinvolgendo la comunità locale6. La psicologia di comunità si propone di sviluppare una modalità innovativa di affrontare il problema dei soggetti deboli e disagiati, a cavallo tra l'orientamento clinico e l'azione sociale. I fondamenti disciplinari e di metodo della psicologia di comunità vengono sviluppati attraverso tre conferenze programmatiche svolte nell'arco di un ventennio. La prima, tenutasi a Swampscott — un sobborgo di Chicago — nel 1965 vede affermarsi un'irnmagine di psicologo inteso come agente del cambiamento sociale, che opera attraverso la propria partecipazione attiva nel contesto. L'azione "clinica" viene proposta in un'ottica rivoluzionaria rispetto agli approcci tradizionali rivedendo drasticamente la posizione di potere tra psicologo e cliente. Nella conferenza di Austin — dieci anni dopo — la psicologia di comunità fa proprio un approccio definibile come "ecologico": l'azione dello psicologo è centrata sul rapporto che intercorre tra l'individuo e il suo ambiente ed è nell'ambiente — interno ed esterno — che vanno cercate le risorse per l 'intervento. Tale posizione si consoliderà tredici anni più tardi, nella conferenza di Chicago. Le risorse disponibili possono e devono essere raccolte, possedute, utilizzate anche da quelle fasce della popolazione tradizionalmente ritenute deboli proprio perché mancanti dell'accesso a tali risorse. Il potere della persona, in questa prospettiva, sta nella sua capacità di utilizzare le risorse disponibili. Si tratta di un potere inteso come allargamento delle possibilità dell'individuo di essere e di agire con frutto nella storia. Da questo punto di vista, è facile cogliere la stretta connessione tra la nascita della psicologia di comunità e il clima creato dopo gli anni '60 negli Stati Uniti dal movimento per i diritti civili. Culturalmente veniva affer5. American Psychological Association, fondata attorno alla metà del nostro secolo con l'intento di far progredire la psicologia come scienza, professione, promozione del genere umano. 6. Nel 1963 era stato promulgato il "Community Menthal Healt Act" secondo il quale la società deve fornire cura e assistenza ai malati di mente coinvolgendo la comunità locale.
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mato che una categoria sociale — il cosiddetto black people considerato fino ad allora il prototipo stesso della debolezza — possedesse in effetti una propria forza ed una propria dignità, rispetto alla quale tutti i modelli tradizionali d'intervento sociale avevano fino ad allora fallito. Possiamo anche comprendere il motivo per cui il concetto di empowerment nasce all'interno di questa disciplina, fino a diventare — secondo alcuni autori (Le Bassé, Lavallée, 1993) — il focus della disciplina stessa. Scopo dell'intervento di comunità è ridare potere a quelle categorie, persone e gruppi di persone che tradizionalmente ne sono privi. Si tratta evidentemente di un potere personale, non necessariamente relazionale, ma che comunque ha un effetto dirompente per le conseguenze che porta sul piano individuale e sociale. Le due caratteristiche fondamentali della psicologia di comunità sono, innanzitutto, quella di considerare le persone nel contesto del proprio ambiente di vita, quindi, di utilizzare le conoscenze e competenze psicologiche per promuovere un cambiamento — personale e ambientale — fmalizz,ato ad un miglioramento della qualità della vita. In questa prospettiva l'empowerment è non solo un concetto affascinante ma anche, come vedremo, uno strumento formidabile. Attorno a tale costrutto o, per meglio dire, a fondamento di tale costrutto vengono portati dalla psicologia di comunità numerosi contributi. Le ricerche di Kieffer (1984), Rappaport (1981) e Zimmerman (1988) evidenziano un paradigma alternativo a quello della debolezza. Un paradigma in cui concetti come quello di speranza, di sviluppo continuo dell'individuo, di efficacia nel cambiamento, non assumono più la veste di pure e semplici enunciazioni di principio, di un desiderio impossibile, ma divengono fattori di sviluppo ed oggetto di intervento. È l'immagine di un uomo forte quella che ci pare emergere dalle pagine di questi autori. Un uomo che agisce sulla realtà con efficacia e responsabilità. Ed in questo senso la posizione di svantaggio non ha più la connotazione di tara, individuale o sociale che sia, ma di limitazione di possibilità da superarsi non nella direzione proposta dal superuomo nietzschiano, il cui contrattare — peraltro — è il sostanziale nichilismo del saggio, lo svuotamento di un significato ultimo, ma dalla apertura di nuove possibilità, prima non considerate dal soggetto o ritenute pregiudizialmente impossibili. È la categoria della possibilità e delle possibilità che, in questa prospettiva, riacquista significato.
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3. L'essenza dell'empowerment come rapporto di secondo livello L'approccio dell'empowerment caratterizza — in una precisa direzione — il tipo di "gestione" che la persona ha del suo rapporto con un preciso oggetto della realtà circostante ovvero con un'area della sua vita. L'empowerment, quindi, caratterizza il tipo di rapporto di una persona con il suo rapporto con un certo oggetto: si tratta — in un certo senso — di un rapporto di II livello, di un meta-rapporto; per questo motivo frequentemente utilizzeremo il termine "posizione" per denominare questo rapporto di 11 livello. Per chiarire ulteriormente cosa intendiamo esattamente per rapporto di I o II livello proponiamo i seguenti esempi: • rapporto di I livello; il rapporto che una persona ha con il proprio lavoro (o con un'altra persona, o con un'Istituzione) può essere piacevole o spiacevole, importante o poco significativo, etc. In tutti questi casi avremo a che fare con un rapporto di I livello; • rapporto di II livello; la posizione che una persona ha verso un proprio rapporto (del tipo di quelli prima descritti di I livello: con il lavoro, con altre persone, con le Istituzioni, etc.) può risultare — nel tempo — stabile o orientata al cambiamento di tale rapporto, di accettazione o di rifiuto di esso, attenta o disattenta rispetto alle sue caratteristiche, etc. Tutto ciò indica rapporti di II livello. La posizione di empowerment esprime un ben preciso tipo di rapporto che l'individuo ha nei confronti del proprio rapporto con un oggetto. Ad esempio, la posizione di empowerment spinge la persona a costruirsi mentalmente ulteriori possibilità di rapporto tra sé e il proprio lavoro (o tra sé ed altre persone, o tra sé e le istituzioni), per potere poi scegliere tra queste diverse possibilità costruite, ovvero tra i vari tipi di rapporto che può essa stessa prefigurare. Questa riflessione sulla natura base del concetto di empowerment aiuta a capirne alcuni aspetti applicativi. In particolare evidenzia come il livello di empowerment sia relativo alla persona, ma non la caratterizzi globalmente in sé, ma quale "gestore" di una precisa area della propria vita. La specifica area riguarda un tipo di oggetto, ovvero i rapporti del soggetto con un insieme di oggetti di natura specifica. In questo modo si può dire che l'empowerment è un concetto che caratterizza in una precisa "direzione" il tipo di gestione che l'individuo ha dei suoi rapporti con una specifica area di oggetti della sua realtà circostante. 40
La direzione precisa in cui l'empowerment indirizza la posizione del soggetto rispetto ad un oggetto (la sua personale gestione di un'area di rapporti) corrisponde, in particolare a tre orientamenti fondamentali: 1. la tendenza alla continua costruzione mentale di diverse possibilità di rapporto tra sé e l'oggetto; 2. la, tendenzialmente continua, scelta tra le diverse possibilità costruite mentalmente (e magari anche parzialmente sperimentate), al fme di metterne operativamente in atto una; 3. la valorizzazione dell'opportunità di una "contaminazione" sinergica tra le diverse possibilità del soggetto, della varianza possibile nella loro scelta, della praticabilità della continua sperimentazione. In ogni caso è bene ricordare che l'empowerment di un soggetto è — almeno nella nostra accezione — relativo sempre ad un'area o un oggetto specifico del mondo con cui la persona è in relazione, non è una caratteristica globalizzante del soggetto in sé. Certo che se la persona si trova ad avere un buon livello di empowerment relativamente a tutte le aree più significative del suo relazionarsi con la realtà, allora sarà possibile parlare di empowerment tout court del soggetto: ciò però rappresenta un errore concettuale — anche se veniale — che non deve far dimenticare che l'empowerment di qualcuno è sempre relativo a qualcosa di specifico' e che, quindi, ha conseguenze visibili e specifiche nel suo rapporto operativo con la realtà circostante. Lo schema di fig. 1 mette in evidenza l'intrinseca circolarità del concetto-processo dell'empowerment. Tale circolarità può assumere una direzione "virtuosa", di aumento dell'empowerment, ma anche "viziosa", di diminuizione dell'empowerment, ove si considerino i termini e le categorie inverse: dis-empowerment al posto di empowerment, e così via. Ciò consente di evidenziare alcune caratteristiche interessanti sia in termini di logica del processo sia di applicazione.
7. Questa osservazione circa la specificità d'area del livello di empowerment ci permette, tra l'altro, di spiegare come si incontrino sovente persone che inserite in un certo contesto d'azione presentano un atteggiamento positivo, orientato alla soluzione, costruttivo mentre in altri contesti — che pure gli sono altrettanto propri — sembrano virare verso atteggiamenti definibili negativamente. Tali osservazioni ci fanno indubbiamente propendere verso un'interpretazione dell'empowerment della persona come sganciata dai tratti più profondi e stabili.
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• INPUT
PROCESSO DI EMPOWERMENT
OUTPUT
•
• Empowerment Iniziale: risorse e fattori che permettono il processo di empowerment
•
SVILUPPO DELL'OUTPUT
Aumentato livello di empowerment
Conseguenze operative dell'aumento del livello di empowerment
RETROAZIONE L'aumentato livello di empowerment (output) diventa esso stesso input per successivi processi di ulteriore empowerment
Fig. 1
Rispetto allo schema presentato, possiamo notare che: • il livello di empowerment di un soggetto relativamente ad un oggetto od area non è mai né nullo né totale, è invece sempre "maggiore" o "minore"; • le componenti dell'empowerment in quanto "livello-caratteristica" del soggetto (output) ricompaiono anche come fattori causali in ingresso nel processo di empowerment. Così, ad esempio, dimensioni quali la fiducia del soggetto circa la propria efficacia, la motivazione intrinseca verso l'oggetto, il suo orientamento all'autodeterminazione, si ritrovano sia come esiti che come caratteristiche attivanti di empowerment (in questo senso il processo di empowerment è intrinsecamente circolare e sistemico). Riguardo all'intervento sull'empowerment del soggetto, fmalizzato al suo aumento, si evidenziano soprattutto due caratteristiche: 1. si tratta di un intervento che favorisce l'avviarsi di un circolo virtuoso (vs. circolo vizioso); 42
2. può trattarsi di un intervento centrato sulla generazione o immissione di input che inneschino il circolo virtuoso (o lo re-inneschino se per qualunque motivo si fosse interrotto o avesse cambiato direzione). Si tratta comunque di un intervento portato su di un processo circolare e che agisce su tale dinamica. È quindi necessario, per operare con efficacia, una buona conoscenza di come il circolo virtuoso (e quello vizioso) tendono a funzionare per quel dato soggetto e in riferimento a quel dato oggetto, o area. L'intervento di empowerment appartiene alla "famiglia" degli interventi psico-sociali, essendo necessariamente fondato sull'uso di risorse e di meccanismi di funzionamento tipici del soggetto specifico e delle sue particolari modalità di gestione del rapporto con aree specifiche della sua vita e del suo ambiente. Naturalmente sarà possibile ipotizzare, preliminarmente, interventi di altro tipo i cui risultati funzionino da input nel processo di empowerment oppure ne alimentino positivamente il circolo virtuoso. In tal senso possono utilizzarsi interventi di tipo pedagogico, quali l'insegnamento di una nuova competenza, o di natura direttiva, quali l'imposizione di una particolare sperimentazione o la modifica di una caratteristica ambientale, interventi in sostanza che creino risorse utilizzabili nel circolo virtuoso dell'empowerment. L'operatore non fornisce direttamente empowerment alla persona, ma ne facilita il processo. Anche assumendo il contributo portato da altri ruoli operativi come risorse preliminari.
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3. Piacere di lavorare
1. Nuovo lavoro e nuova cultura del lavoro Nonostante tutti gli sviluppi avuti dal pensiero organizzativo verso una prospettiva di valorizzazione e di gratificazione della persona, è pur vero che nelle aziende è diffuso anche molto disagio. In particolare perché in molti settori tende a diminuire il numero delle persone necessarie; perché ci sono notevoli aspetti di stress; perché l'evoluzione è in certi settori più lenta di quanto ci si aspetterebbe. Non si può però sottovalutare il procedere inesorabile di una "onda larga" dell'evoluzione del lavoro nelle aziende, sia pure con punte molto avanzate e punte molto arretrate (a seconda del tipo di settore, di azienda, di condizioni ambientali, di storia aziendale). Abituati a cogliere soprattutto esigenze, problemi, lacune, si tende a parlare molto degli aspetti di arretratezza. Vorremmo qui però proporre di parlare anche delle punte avanzate: e perché sono queste che delineano il futuro, e perché la spinta alla innovazione migliorativa è più forte, è dimostrato, laddove le cose vanno bene (con eccezione per i cambiamenti drastici e traumatici, che sono invece più sollecitati dall'andare male delle cose). È proprio dalla consapevolezza dell'onda larga, dell'evoluzióne del lavoro nelle aziende, che nasce la speranza, e nasce anche il dovere-diritto di cercare di accelerarla, completarla, utilizzarla, tradurla in concreti sistemi operativi. Proponiamo qui l' esplicitazione di cinque principali caratteristiche (o contenuti qualitativi) dell'onda larga dell'evoluzione del lavoro nelle organizzazioni.
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1.1. Riconoscimento della natura primaria del lavoro come attività generativa Il lavoro è per definizione attività generativa; lavorare significa mettere al mondo cose che prima/altrimenti non c'erano, utilizzando capacità ed energia, intelligenza, know how. Millenni e secoli di risorse scarse e di povertà, hanno fatto velo a questa evidente caratteristica intrinseca della natura "generativa" del lavoro. L'automazione, diminuendo progressivamente la quantità di quel lavoro esecutivo che non richiede particolari capacità e intelligenza, favorisce il riemergere di questa consapevolezza. Lavorare significa generare, generare è attività tendenzialmente piacevole, lavorare è attività tendenzialmente piacevole, gratificante, realizzativa (come benissimo sanno e dichiarano quasi tutti coloro che fanno un lavoro almeno minimamente qualificato). Il primo indicatore della arretratezza-sviluppo di un'azienda, della sua gente, della loro cultura, è proprio l'attribuzione al lavorare di connotazioni di sofferenza-necessità-maledizione piuttosto che di positività-impegnorealizzazione.
1.2. La nuova razionalità trasparente del funzionamento aziendale in quanto orientato al cliente L'orientamento al cliente sembra essere emerso recentemente come necessità, di mercato e di concorrenza: invece rappresenta anche l'inizio di una vera e propria rivoluzione culturale all'interno dell'azienda e del mondo del lavoro. Infatti l'orientamento al cliente rende chiari e condivisi i risultati essenziali da raggiungere nell'impresa: diminuzione dei costi unitari, miglioramento della qualità, accelerazione dei tempi, customer satisfaction. Si crea così l'elemento di imprinting della chiarezza e della trasparenza: infatti, su questi risultati, orientati dal/al cliente, si basano in modo trasparente i processi aziendali principali e il principio fondante del modello di funzionamento organizzativo per processi. Prima o poi si chiariscono, e inevitabilmente si riformulano, anche gli orientamenti chiave per la diffusione del potere e dell'autorità, per lo stile di leadership, per i rapporti tra persone e funzioni. L'orientamento al cliente risulta rivoluzionario anche all'interno del45
l'azienda, perché ri-chiarisce la razionalità evidente e trasparente del funzionamento aziendale, che si era in buona parte inevitabilmente persa negli stadi precedenti dell 'evoluzione industriale. È illuminante la considerazione che l'azienda può sopravvivere anche senza l'azionista (viene acquisita da un altro) ed anche senza gli attuali lavoratori (ne vengono assunti altri): ma non sopravvive invece se non ha i clienti.
1.3. Il lavoratore meno "dipendente" e piu' "adulto"; il nuovo contratto basato sulle responsabilita' La persona diventa oggi finalmente adulta, cioè meno "dipendente" e più soggetto protagonista di quello che fa anche in azienda. Ciò è anche legato ad alcuni fenomeni oggettivi tendenzialmente in aumento con l'avanzare dell'onda larga di evoluzione delle aziende: la mobilità, all'interno ed interaziendale; l'aumento del lavoro qualificato e l'aumento di autonomia e discrezionalità, anche ai livelli bassi più vicini al cliente ed alla determinazione dei risultati; l'esigenza inderogabile di crescita continua del know how; la formulazione aziendale non solo di obiettivi ma anche di vision e valori; la cessata garanzia senza fine del posto di lavoro assicurato; la valutabilità reciproca più facile tra azienda e persona. Inoltre l'orientamento ai risultati-processi rivolti al cliente, e la razionalità nel funzionamento aziendale che ne consegue (vedi punto precedente), rende esigenze e regole immediatamente trasparenti alla persona, che prima invece doveva dipendere da altri per conoscerle. L'individuo in azienda è oggi meno strutturalmente debole, si affaccia al rapporto con l'azienda (che ha bisogno di persone di valore) come soggetto co-protagonista del rapporto: non più "dipendente" ma "costituente" dell'azienda. C'è il nuovo imprinting scelta, cruciale per ogni aspetto successivo: l'azienda sceglie la persona e la persona sceglie l'azienda, sia all'inizio che ripetutamente per tutto il periodo di lavoro. Il nuovo contratto psicologico basato sulla responsabilità, vede la persona responsabile di crescere continuativamente in competenze, mentre lavora e genera risultati, e l'azienda responsabile di fornire l'ambiente e le risorse per poter crescere. Estremamente significativo è, in questo senso, l'esempio della formazione: sempre meno "somministrata" dall'azienda sui dipendenti, e sempre più autogestita dalle persone come "self development", assistita dall'azienda che mette a disposizione le risorse. 46
Il rapporto tra persona e azienda si rivela oggi, nella società moderna meno povera e arretrata per quello che è: alleanza, un patto di reciproco interesse e sinergia: evidentemente non priva di contrasti e divergenze e conflitti, ma sostanzialmente alleanza. In questo senso negli anni della industrializzazione non ancora avanzata, alcuni aspetti contingenti hanno rischiato di confondere le idee sulla sostanza di fondo, inevitabile ed auspicabile, del rapporto tra persona e azienda.
1.4. Dalle resistenze al gradimento dell'innovazione continua La crescita, lo sviluppo, l'innovazione fanno parte delle regole intrinseche dell'azienda come della persona che lavora; in questo senso infatti l'attività lavorativa è simile allo sport agonistico, agli hobbies impegnativi, alla scienza ed alla tecnica: la tensione a migliorare continuamente i risultati, e per questo innovare, costituisce parte intrinseca del gioco; è anzi uno degli aspetti fondamentali che lo rende piacevole, soprattutto nel senso di stimolante ed achieving. Miglioramento ed innovazione perseguiti sono continui ma avvengono anche per salti di qualità e anche questo aspetto è positivamente determinante soprattutto per il senso del futuro e della speranza. Là dove l'onda larga dell'evoluzione aziendale è più avanzata sta cambiando la cultura rispetto all'innovazione: dalle resistenze al cambiamento si passa seminai alla insoddisfazione per le stabilità troppo prolungate (vedi gli esempi della cultura della mobilità rapida all'interno dell'azienda; oppure la tendenza agli incarichi speciali innovativi contemporanei agli incarichi più stabili di struttura). Anche perché l'essenza della innovazione evolutiva è in fondo il passaggio dall'impossibile al possibile, una delle aspirazioni caratterizzanti e specifiche della razza umana. Le persone sono in realtà molto orgogliose quando parlano delle innovazioni fatte, dell'impossibile diventato possibile (tecnologico, organizzativo, nel prodotto-servizio erogato): è vero che vi sono prima contingenti e fisiologiche "resistenze" ma poi la "eroticità" della generazione e dell'innovatività sul lavoro prevale rapidamente.
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1.5. Stress, ma anche gratificazione per la richiesta di crescenti prestazioni eccellenti Si potrebbe avere perso la consapevolezza che — anche sul lavoro — è gratificante (anche se stressante) essere richiesti ed attesi di prestazioni eccellenti, intese come al meglio del proprio possibile: esattamente nello stesso modo in cui ciò è evidente per esempio negli sport come nella scienza, nell'amore come negli hobbies, nell'azione sociale pubblica come spesso nelle attività organizzate con gli amici. Puntualmente ricerche vecchie e nuove confermano che è molto importante, per le persone che lavorano, anche se di basso livello di responsabilità, l'evidenza delle prestazioni eccellenti della propria azienda, in particolare in rapporto diretto con i clienti. Anche nel lavoro il meglio viene fatto se c'è emozione e questa c'è se le mete fanno sì che valga la pena di emozionarsi. La "vision" stessa è un aggregatore di attese-speranze di risultati rilevanti, per cui vale la pena di faticare, impegnarsi, rischiare, anche temporaneamente soffrire. Del lavorare ed organizzare fa parte intrinseca, anche il proporsi e proporre obiettivi ambiziosi, generare e provare emozioni. Potremmo chiederci ora quale sia il nesso tra questa onda larga e l'empowerment. L'onda larga è causata e alimentata da aspetti "oggettivi" che riguardano oggi l'intero mondo delle aziende, quali per esempio: la automazione e l'informatizzazione; l'aumento della istruzione di base; la internazionalizzazione; lo sviluppo della società dei servizi; la competizione globale. Crediamo che l'approccio dell'empowerment, non a caso sviluppatosi in questi anni, sia un eccezionale strumento (culturale e metodologico) per aiutare queste evoluzioni: per aiutare le zone più arretrate ad un più rapido sviluppo, per rendere possibile l'accelerazione dell'innovazione, per esplorare e invadere ciò che ancora sembra impossibile. Soprattutto l'approccio dell'empowerment sul lavoro sembra essere capace di dare supporto alle persone, all'aspetto azienda fatta di persone concrete, al collegamento tra le grandi innovazioni ("macro") e ciò che succede dentro la persone ("micro"). Infatti molte delle evoluzioni, realizzate o prevedibili, sono positive, apprezzate, auspicate: ma la persona rischia di sentirsi in difficoltà, di temere di non farcela; vuole aiuto. Le cose che abbiamo finora descritto sono largamente rilevabili già da oggi nelle cosiddette aziende avanzate, laddove c'è stato più sviluppo. 48
Purtuttavia può venire naturale l'accusa di utopia: questa è infatti una accusa spesso avanzata quando si utilizza l'approccio dell'empowerment, del visioning positivo, della spinta al miglioramento come intrinseca all'azienda ed anche alla persona. Vorremmo evitare la trappola della contrapposizione "ideologica" tra pessimisti ed ottimisti (che tra l'altro spesso si scambiano repentinamente ruolo su diverse aree ed aspetti) e invece proporre due criteri crediamo accettabili anche in termini scientifici:
A. criterio di concretezza Proponiamo come criterio di attribuzione della concretezza, il seguente: è concreto ciò che ha conseguenze osservabili e misurabili: ed è tanto più concreto quanto più tali conseguenze sono rilevanti oggettivamente (cioè in maniera osservabile e misurabile). La nostra ricerca (fatta mediante l'interrogazione delle persone a distanza di tempo) tende ad evidenziare che c'è una inversione di quanto emerge rispetto alle tradizionali attribuzioni di concretezza ed astrattezza: le cose che hanno avuto conseguenze più osservabili e rilevanti, sono quelle definite nel quotidiano come astratte e talvolta utopiche. Per esempio: inizio di progetti; vision; sogni organizzativi; tentativi di innovazioni apparentemente a fondo perduto.
B. criterio della potenza nella spinta di miglioramento Proponiamo di misurare la potenza di un atteggiamento nei riguardi della spinta al miglioramento attraverso la misurazione delle concrete attività e delle energie che, in maniera osservabile e misurabile, quell'atteggiamento porta ad investire in direzione innovativa e migliorativa. Si nota facilmente che sono proprio le persone e i sistemi sociali con atteggiamento valorizzante e positivo ad avere una maggiore potenza di spinta al miglioramento. Al contrario nelle persone e nei sistemi sociali più critici e più svalorizzanti, la potenza della spinta al miglioramento è minore, laddove misurata non a parole ma in azioni, attività, risultati. In parole più semplici e con una verificabilità immediata: laddove si tende a sottolineare che le cose vanno male si agisce meno per migliorare, mentre laddove si tende a sottolineare gli aspetti per cui le cose vanno bene si agisce di più per innovare e cambiare in meglio. Questa osservazione è importante, perché molte persone di buona fede 49
credono che il valorizzare l'attuale, il lavorare su vision positive del futuro e sperare, l'usare il pensiero positivo, l'avere fiducia, rischi di portare a diminuire la forza e la potenza investite nella voglia di cambiare. Ciò, nella nostra esperienza, capita anche a molti giovani. Al di là delle cause più o meno profonde, crediamo utile sottolineare che si tratta proprio di un errore anche scientifico. È infatti proprio laddove c'è più positività che si riesce ad innovare e migliorare.
2. L'organizzazione dell'impresa, tra ragione ed emozione Se il lavoro è vecchio almeno quanto l'uomo, altrettanto non si può dire della sua organizzazione. Infatti, prima della rivoluzione industriale risulta un po' difficile individuare un'organizzazione del lavoro così come la possiamo intendere oggi. Anzi, per certi versi, nell'antichità classica il lavoro era dominio di una particolare categoria di uomini: i servi. L'uomo libero non lavorava, si dedicava ad altre attività: la filosofia e il diritto, la guerra e lo studio, il governo e la religione. Il lavoro — almeno fino al medioevo — era un'attività prettamente servile, cioè di puro "servizio", svincolato per lo più dai suoi fini. In occidente è solo con il medioevo che si afferma l'uomo-lavoratore come "nuova" categoria sociale, altra dal servo dell'antichità classica. Il lavoro — che definiamo ancora pre-organizzativo — si differenzia tra lavoro "artigiano", con un elevato valore aggiunto legato alla produzione di beni o servizi tendenzialmente unici e fondati sulla competenza esclusiva o elitaria del lavoratore (ad esempio, la costruzione delle cattedrali o la realizzazione di capolavori artistici), e "servile", di puro supporto esecutivo svincolato dal fine ultimo e dal rapporto con la committenza. L'introduzione sistematica di tecnologie produttive che avviene con la rivoluzione industriale cambia radicalmente le regole del gioco: viene superata la logica del lavoro artigiano, la macchina rende ripetibile in infiniti esemplari il pezzo prodotto quindi il lavoratore diviene il "servo" della macchina. Uno dei problemi fondamentali dunque diviene l'organizzazione di questi nuovi "servi" nei luoghi di produzione. Pare che il verbo organizzare trovi la sua radice nell'etimo greco organon, che significa strumento (in particolare strumento musicale). Nella nostra lingua tale termine risulta presente fin dal medioevo. Dapprima per indicare il formarsi biologico degli organi e quindi portando un implicito sen50
so di costruzione; sarà solo nel XVII secolo che il verbo "organizzare" verrà ad assumere il senso estensivo di ordinare, disporre. L'etimologia e la storia filologica di questo termine ci consente irmanzitutto di evidenziare un senso generale dell'organizzazione collegato a regole e leggi lineari e ordinate, rimandabili ad un ordine assoluto, tendenti alla semplificazione, alla classificazione, all'ordine. Ed in effetti in tutte le defmizioni classiche di organizzazione (naturalmente "post" rivoluzione industriale) possiamo ritrovare come elemento comune il riferimento alla razionalità. Non a caso, dunque, la prima teoria moderna dell'organizzazione del lavoro è propria di una concezione ingegneristica e strutturalista dell'organizzazione, che viene rappresentata sotto forma di una sorta di diagramma di flusso comportamentale; l'organizzazione è innanzitutto intesa come una macchina. Nel campo delle organizzazioni di lavoro tale riferimento troverà la sua massima espressione in termini di linearità logica e comportamentale nello Scientific Management (tradotto in Italia negli anni '20 con Organizzazione Scientifica del Lavoro), teorizzato e descritto dall'ingegnere Frederick Winslow Taylor all'inizio del nostro secolo. Taylor (1903, 1911, 1912) concepisce un'organizzazione assolutamente lineare, costruita appunto come una macchina, in cui i diversi elementi si integrano come ingranaggi perfettamente oliati. I comportamenti organizzativi in questa rappresentazione sono direttamente e perfettamente conseguenti al livello superiore e motivati dall'interesse economico del lavoratore, soddisfatto attraverso un nesso direttamente proporzionale tra compenso e lavoro. Anche le decisioni assunte nell'organizzazione evidentemente dipendono dal risultato da ottenere in termini di produzione e, quindi ultimamente, di redditività e da null'altro. Anche se, tutto sommato, in un modello talmente lineare, il problema della decisionalità, o almeno della decisionalità complessa, non rientra più di tanto. Infatti, che decisioni dovranno mai prendere gli ingranaggi di una macchina: per definizione si possono muovere in un modo solo. Potremmo dire che nell'ottica di Taylor la decisione è solo quella iniziale; a partire da questa, l'organizzatore fa discendere in maniera logica tutti i comportamenti, i nessi, le procedure che la vanno a soddisfare. In questo senso, la buona organizzazione, quella "scientifica", esclude decisamente qualunque intervento decisionale del lavoratore: esiste un'unica via corretta, la one best way, un metodo unico e migliore per risolvere i problemi e prendere le decisioni. Al di fuori di questa via, il dover prendere 51
decisioni diminuisce la certezza di un'interpretazione univoca dei comportamenti e, di conseguenza, allarga imprevedibilmente il range delle possibilità in termini di risultati che nella logica tayloristica non possono, al contrario, che essere assolutamente prevedibili. La principale declinazione operativa di questo pensiero sta nell'individuazione, attraverso uno studio scientifico, di metodi di lavoro rigidamente prescrittivi. Tale declinazione ha portato alla formulazione di sistemi di "misurazione tempi e metodi", in cui rilevatori esperti vanno ad osservare i comportamenti produttivi per ridurre od eliminare tempi morti e poter addestrare i lavoratori ad attuare sequenze "perfette" di comportamenti finalizzati ad un risultato che è solo dell'organizzazione non del singolo. L'apoteosi del razionalismo tayolorista applicato si ha poi con l'introduzione sistematica di tecnologie rigide nella fabbrica fordista. La catena di montaggio — con la sua evidente caratteristica di ripetitività obbligata nei comportamenti della persona che vi lavora — si sposa egregiamente con il principio dei tempi e metodi. È indiscutibile che si possa cogliere nella concezione tayoloristica e dei suoi epigoni fordisti una precisa lettura antropologica. Da un lato l'organizzazione scientifica riduce l'arbitrio di chi ha il potere rispetto al lavoratore che non ne possiede, dall'altro è — per certi versi — un bene che il lavoratore sia privo di decisionalità e, quindi, di potere, dato che è presente nell'uomo una innata tendenza a sfuggire ai propri doveri portando nel lavoro una flemma che mal si concilia con le esigenze dell'impresa. Per il suo bene — pertanto — va distinto con chiarezza nell'organizzazione chi decide e chi esegue — cioè il lavoratore, anche se chi decide dovrà in qualche modo coinvolgere gli esecutori al di là del mero incentivo economico. Tanto è vero che lo stesso Taylor tra i principi fondamentali della sua teoria indica la necessità di una "collaborazione" tra chi guida e chi esegue: «nessun sistema organizzativo ... può venire applicato in maniera meccanica. Opportuni rapporti personali devono essere mantenuti tra datori di lavoro e manodopera...». Tuttavia, nella storia del pensiero organizzativo, una concezione rigidamente razionalistica dell'organizzazione cessa ben presto di essere attuale: già negli anni '20 lo sviluppo della psicologia industriale porta pesanti perplessità circa la fiducia complessiva da dare all'impianto teorico taylorista sottolineando la necessità di considerare i fattori personali del lavoratore nella determinazione degli standard organizzativi, nonché la sostanziale — se non addirittura patogenetica — inefficacia di un'impostazione parcelliz52
zata e frammentaria del lavoro umano. A cavallo delle due guerre mondiali, una lettura non razionale ma psicologica dell'organizzazione inizia ad affermarsi. Elton Mayo condusse una serie di ricerche, tra il 1927 ed il 1932 alla Western Electric, che — a partire dalla constatazione empirica dell'esistenza di fattori comportamentali che sfuggono alla one best way — portarono ad affermare innanzitutto l'influenza di elementi informali, di natura emotiva e relazionale, sul rendimento della manodopera. Tali risultati portarono a definire una vera e propria scuola di pensiero organizzativo — ideologicamente antagonista all'Organizzazione Scientifica del Lavoro — denominata "Relazioni Umane". I principi fondamentali concettuali di tale scuola sono, sinteticamente: • l'importanza del cosiddetto fattore umano dell'organizzazione, cioè di quegli aspetti relativi alle dinamiche della persona nel suo rapporto con gli altri e con l'ambiente; • l'importanza degli aspetti informali o psico-sociali dell'organizzazione, che risultano più determinanti di quelli formali (economici-strutturali) nel produrre il successo del funzionamento organizzativo. Come abbiamo già detto, il lavoro di Mayo e degli altri autori della corrente delle relazioni umane non si sostituisce all'influenza del pensiero di Taylor e dei suoi successori, piuttosto va a integrarsi ad esso, portando ad una lettura ambivalente ed alternata del funzionamento organizzativo. Addirittura alcuni autori (Bendix, 1956; Wilenslcy, Wilensky, 1951), sottolineando la sostanziale contraddittorietà dei risultati delle ricerche fatte nel solco delle relazioni umane, spiegano il successo che comunque ha avuto questa scuola con un desiderio implicito di edulcorare la durezza dell'orientamento taylorista con elementi più soft quali il "clima", il "morale" con finalità più opportunistiche che di effettivo sviluppo. In ogni caso dobbiamo constatare che il varco aperto dalle relazioni umane portò a sviluppare un livello di spiegazione dell'organizzazione centrato sulla persona invece che sulla struttura. In questo senso il focus del pensiero organizzativo diviene, a partire dagli anni '30, la persona intesa come sistema complesso di dinamiche psicologiche interne ed esterne. Il contributo in questo senso maggiore lo dobbiamo, da un lato, alla scuola motivazionalista americana — innanzitutto con Maslow e poi con autori quali Argyris, Herzberg e Likert —, dall'altro alle scuole di derivazione psicodinamica, in particolare con autori quali Bion. I motivazionalisti permetteranno il superamento della concezione potenzialmente manipolatoria delle relazioni umane affermando la centralità 53
dello sviluppo della persona al lavoro e proponendo una riorganizzazione tesa ad eliminare dal lavoro stesso quegli aspetti stupidi, ripetitivi, ultimamente alienanti. Lo stesso Maslow (1954), che nella sua famosa scala mette al vertice il bisogno di auto realizzazione dell'uomo, sembra portare ad un ribaltamento della prospettiva organizzativista classica: i bisogni umani non devono essere più considerati come dipendenti dalla variabile organizzativa, ma al contrario le organizzazioni saranno "buone" se favorevoli alla soddisfazione dei bisogni umani. Argyris (1957), tra i motivazionalisti, sarà poi quello che metterà più in evidenza la dissonanza tra bisogni umani e organizzativi. Secondo l'autore le grandi organizzazioni impediscono un passaggio armonico dell'individuo dalla fase immatura del suo sviluppo a quella adulta e proprio la razionalità formale dell'organizzazione rappresenta l'ostacolo maggiore alle trasformazioni dell'adulto: attività, indipendenza, capacità di adattamento, capacità di programmazione, assunzione di responsabilità. Abbiamo dunque una lettura delle grandi organizzazioni di lavoro tendenzialmente negativa, oscurata da obiettivi e da dinamiche che non favoriscono la persona. Lettura del resto confermata da autori di diverso orientamento come Bion: l'organizzazione può essere intesa come un sistema dinamico di affetti che si relazionano ed agiscono attorno, ma talvolta indipendentemente, dagli obiettivi organizzativi dichiarati ed espliciti. Tale tema è stato indagato approfonditamente da studiosi di orientamento psicoanalitico, che più che interessarsi ai meccanismi organizzativi hanno affrontato l'organizzazione come gruppo in cui agiscono dinamiche socio-affettive particolari. Nota Bion (1961): «Ogni gruppo di persone riunite per lavorare manifesta un'attività di lavoro di gruppo, cioè un funzionamento mentale inteso a perseguire l'obiettivo in questione... questi obiettivi sono talvolta impediti, e occasionalmente favoriti, da tendenze emotive di origine oscura». Secondo tale concezione dunque in una organizzazione di lavoro, il lavoro si esprime a due livelli — tendenzialmente conflittuali —, un lavoro "esterno", tendenzialmente coincidente con l'attività propria dell'organiz7.2zione, ed un lavoro "interno", della mente, connesso al primo nelle sue finalità ma talvolta interferente con esso sulla spinta di dinamiche inconsce e determinato da pulsioni anche distruttive. Apparentemente, dunque, il pensiero organizzativo sembra impattare con un problema di scelta di priorità. L'attenzione alla "macchina" porta ad una riduzione della dimensione personale, che può essere solo parzialmente corretta da interventi di facciata sul livello relazionale. L'attenzione alla persona entra, invece, in conflitto con le esigenze organizzative provocando 54
— nella migliore delle ipotesi — uno scollamento tra dimensione del lavoro e personale dell'individuo. L'apertura al fattore umano dell'organizzazione e i suoi sviluppi operativi portano a focalizzare l'attenzione sul problema dello stile manageriale: l'importanza di una corretta comunicazione, la centralità degli elementi motivazionali, la gestione processuale delle dinamiche del gruppo di lavoro condurranno ad un superamento della tradizionale dicotomia tra stile orientato al compito (task oriented) ed orientato alla relazione (relations oriented) proposta dalla managerial grid di Blake e Mounton (1951). Il nuovo management per adeguarsi alle sfide offerte dal più recente sviluppo organizzativo viene ad assumere sempre più responsabilità nella "facilitazione" del processo di lavoro, piuttosto che responsabilità dirette nel risultato del lavoro stesso. Un termine come coach, riferito al management aziendale, sta prendendo con sempre maggiore enfasi il posto del tradizionale leader. Questo a fronte di una richiesta sempre più pressante di assunzione personale di responsabilità rivolta al singolo lavoratore. Nelle nuove organizzazioni di lavoro, dunque, il potere sembra passare di mano. Il compito fondamentale del management più innovativo sembra essere quello di sviluppare l'empowerrnent dei propri collaboratori. Ci piace pensare ad un ritorno alla centralità del contributo unico e irripetibile che il lavoratore "artigiano" citato all'inizio di questo scritto portava al suo "cliente". Aggiungendo che questo nuovo lavoratore non opera più all'interno di botteghe o di corti di mecenati, ma in organizzazioni al tempo stesso uguali e diversissime da quelle descritte da Taylor. Uguali (o almeno simili) nel tentativo di ordinare quantitativamente e qualitativamente il processo di lavoro, diversissime nel loro configurarsi come rete di competenze autonome ma interrelate (Butera, 1997).
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4. Il processo operativo di apertura di nuove possibilità: self empowerment
Ci permettiamo d'indicare al lettore questo capitolo come particolarmente importante. Lo schema operativo del self empowerment permette infatti di concretizzare in metodo e tecnica l'approccio generale dell'empowerment e di utilizzarlo: sia per l'aumento del proprio potere personale sia, nei ruoli professionali di supporto, per aiutare l'aumento del potere delle persone-clienti. Descrivendo infatti le varie fasi del processo (e l'aspetto chiave di ciascuna di esse) è possibile passare da un generico atteggiamento di aiuto ad un sapere come fare per dare un contributo utile ed incisivo. Esempi: ci sono fasi in cui bisogna aiutare a sognare ed altre in cui bisogna indirizzare a sperimentare concretamente; fasi in cui incoraggiare la forza del desiderio ed altre in cui è utile aiutare ad evitare la distruttività potenziale di alcuni problemi storici della persona. Quello che esponiamo è prima di tutto un modello descrittivo di come avviene, per sua natura, il processo di apertura di una nuova possibilità all'interno del soggetto. Questo modello lo abbiamo individuato attraverso la ricerca, teorica e sul campo, lavorando con persone, gruppi, organizzazioni. L'utilizzazione del modello, da noi sperimentata nell'arco degli ultimi dieci anni, è descritta nei capitoli successivi: per aiutare singole persone attraverso il counseling, per aiutare gruppi nel loro team building, per aiutare organizzazioni e loro parti impegnate in piccole e grandi innovazioni, per rendere la formazione più incisiva e più coerente con l'apprendimento, per fornire consulenza laddove le sfide belle ma difficili richiedono nuove aperture e salti di qualità. In questo capitolo è descritto come funziona il processo. Il soggetto può essere sia un individuo, sia un gruppo, sia una unità organizzativa. In questo capitolo il riferimento prevalente è alla persona, sia per l'importanza e 56
l'originalità di tale ambito applicativo, sia perché è più facile avervi chiarezza. 1. L'apertura di nuove possibilità: essenza del potere e dell'empowerment L'obiettivo del processo di empowerment è quello della apertura di una nuova possibilità all'interno del soggetto: proponiamo quindi di assumere la possibilità come "unità di misura" dell'empowerment. La presenza di più possibilità è infatti la condizione necessaria affinché la persona possa scegliere, e la (meta) possibilità di scegliere è la condizione necessaria per l'assunzione di responsabilità. In ottica di empowerment si può addirittura ipotizzare una concezione non tradizionale dell'identità o almeno della auto riconoscibilità della persona: secondo cui la persona "è" individuata dall'insieme di tutte le possibilità che gli sono presenti dall'interno. Intendiamo qui per possibilità, interna alla persona, qualcosa di diverso e molto più consistente di una semplice fantasia ad occhi aperti. La possibilità diventa tale, come descriveremo nel paragrafo successivo, a conclusione di un processo impegnativo e laborioso. La focalizzazione del concetto di apertura ed aggiunta di nuova possibilità può essere molto utile rispetto ad aree applicative oggi importanti quali: • formazione apprendimento: l'apertura di una nuova possibilità può essere considerata come il risultato concreto e reale di un processo di apprendimento e della formazione organizzata a suo supporto. In queste senso apprendere non è ancora cambiare, però presenta un risultato già rilevabile: la presenza di una nuova possibilità che, se praticata operativamente, determina cambiamento; • flessibilità: la presenza di una costellazione plurima di possibilità costituisce, secondo questo modello, l'essenza della flessibilità. La persona può spostarsi, operativamente, da un comportamento all'altro solamente se dispone délle diverse opzioni come sua possibilità interna; • cambiamento: si interpretano molto spesso le dinamiche del cambiamento come dinamiche di resistenza. Questo modello porta a focalizzare una fase preliminare fondamentale del processo di cambiamento: quella in cui il soggetto acquisisce la possibilità di "poter cambiare". Chiarendosi inoltre che, nel processo di cambiamento di organizzazioni -
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e società moderne, il processo fondamentale non è tanto quello della rivoluzione (annullamento di una configurazione ad opera di un'altra) ma quello della aggiunta; • sviluppo aziendale: è sempre più evidente come le aziende, che pure usano quasi sempre la terminologia del cambiamento, perseguano prima di tutto l'obiettivo dell'ampliamento delle possibilità (nei prodotti, nelle tecnologie, nei mercati, nell'organizzazione). L'evoluzione concreta, ed il cambiamento, derivano quasi sempre da un processo complesso in cui i vantaggi delle nuove possibilità aperte si affermano progressivamente su quelli delle possibilità precedenti. Cosicché il passaggio chiave, anche se meno appariscente, è proprio quello della apertura e sperimentazione della nuova possibilità; • le persone nel quotidiano: spessissimo le persone dicono di voler cambiare; e per questo chiedono consulenza, orientamento, nuovi strumenti; si iscrivono a corsi di formazione; cercano e frequentano nuovi ambienti; vanno in psicoterapia. Ma poi è evidente che non vogliono cambiare. Altrettanto evidente è però che cercano qualcosa e che qualcosa inizia a succedere. Qui il modello propone che, semplicemente ed efficacemente, si cerchino non cambiamenti ma ampliamento delle proprie possibilità: di cui solo alcune e solo più avanti diventeranno protagoniste di cambiamento. Qui viene proposta una chiave di lettura ("modello", nel senso scientifico ingegneristico) di come si apre una nuova possibilità: per potere la persona aiutare se stessa e/o per potere l'operatore professionista essere più efficace nell'aiuto. "Self' empowerment perché comunque è enfatizzato il protagonismo del soggetto, essendo l'eventuale operatore di supporto un facilitatore di tale protagonismo.
2. Preghiera al lettore: esemplificare una nuova possibilità desiderata Vorremmo pregare il lettore, nel paragrafo e nei i capitoli successivi, di avere sempre in mente un esempio di suo desiderio-obiettivo-possibilità da aprire: a cui riferire la declinazione applicativa delle cose via via illustrate. 58
Noi faremo esempi, ma sono inevitabilmente limitati, ristretti nel testo, poco significativi in quanto altrui. Questa è quasi una supplica, quasi una conditio sine qua non, per una ragione precisa: l'empowerment è in quanto applicato a qualcosa; non è grandezza e contenuto autonomo in sé. Per questo è facile, ci pare, parlarne se applicato a qualcosa di preciso, mentre è difficile scriverne in generale. Senza avere in mente un proprio esempio, la trattazione del libro risulterà evidentemente astratta. Quando si dice che una persona o una organizzazione è empowered, si dovrebbe dire più correttamente che c'è empowerment rispetto a molte aree ed a molti oggetti, e che c'è tendenza a costruire empowerment su quelle cose specifiche rispetto alle quali di esso si manifesta nuova esigenza e desiderio. Tanto è vero che, il sentimento di empowerment di una persona può cambiare da periodo a periodo (anche se generalmente non in tempi brevi) e da area ad area della vita (lavorativa, affettiva, dei rapporti sociali). Quindi lettore, la preghiamo: abbia un suo esempio vero in mente, grande o piccolo, scelto come vuole: altrimenti, nonostante il tentativo nostro di esemplificazione, tutto sembrerà astratto, esclusivamente per addetti ai lavori: il rischio di uno di quei libri in cui chi scrive lo fa solo per le persone con cui dialoga e studia abitualmente, che sanno già cosa dire e riferito a cosa. Per facilitare la formulazione di esempi abbiamo provato a scrivere qui di seguito un elenco intitolato "vorresti": richiamando esempi di desideri che, soprattutto negli incontri di counseling, emergono da subito o dopo i primi passaggi.
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Vorresti... perdere peso; non avere paura del tuo capo; diventare così bravo da prendere il posto del tuo capo; il tuo lavoro non è male, però pensi che dovresti trovarne o inventarne uno che ti renda più contento; vorresti essere più autonoma da tuo marito (moglie) o forse no; ti piacerebbe essere un bel vecchio, mentre invecchi; vorresti sapere cosa vuoi; vorresti capire perché non trovi un marito (moglie), e se lo vuoi trovare; vorresti trasmettere entusiasmo ai tuoi collaboratori; essere più bravo a gestire i tuoi collaboratori; vorresti non essere intralciato dalla convin59
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zione che a tuo padre non piacevi e/o che tua madre non ti voleva veramente bene; vorresti non avere paura, non temere di perdere sicurezza facendo quello che ti piace: cambiare città, cambiare lavoro, mettere su una attività in proprio; vorresti ridare vita al rapporto con tua moglie; vorresti un bel rapporto con tuo figlio; vorresti ricominciare a studiare; riprendere quello che sei stato costretto a lasciare quando avevi vent'anni. Vorresti iscriverti ad una scuola di ballo; uscire dalla prigione di rapporti che non dicono più niente; vorresti che il tuo team funzionasse meglio; che i servizi che offrite fossero più apprezzati; sentirti integrato nelle cose che contano; vorresti che la Direzione Generale considerasse importante la formazione, lo sviluppo risorse umane, il tuo lavoro; vorresti fare un salto di qualità ma non sai qual è; vorresti essere più capace in questo, quell'altro o in quell'altro ancora; vorresti sentirti davvero utile alle persone che aiuti; che ci fosse davvero un risultato, più visibile; e non in tempi tanto lunghi da farti chiedere se il risultato c'è, se sei stato davvero utile; vorresti essere davvero sicuro di valere come persona, di essere all'altezza del ruolo che occupi; vorresti sapere, capire perché ti sei fermato dopo una carriera così rapida. Vorresti ricominciare a crescere; vorresti che quel rapporto con quella persona non fosse così disastroso; vorresti che il tuo essere razionale e le tue emozioni fossero un po' più vicine. Vorresti che... va bene che va tutto bene... però allora perché sento un disagio; vorresti che le persone della tua azienda, guidate da te, lavorassero di più per risultati, in team, per processi orientati al cliente; che fossero più contenti e più impegnati. Vorresti essere più capace di farti apprezzare, seguire, amare; vorresti, avendo ottenuto tutto, piacerti di più; vorresti quello che c'è dietro a quello che dici di volere sapendo che non è poi tanto vero: scrivere e pubblicare poesie, avere una relazione con Claudia Schiffer, diventare direttore generale, fare l'allenatore di una squadra di calcio, trovare il principe azzurro; vorresti che nella tua azienda tutti fossero orientati al cliente, interno ed esterno, responsabilizzati, proPositori di nuove iniziative, attenti a 60
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sviluppare know how: e ti domandi cosa puoi fare perché pensi che qualcosa puoi fare; vorresti essere più deciso; più partecipativo; più emozionato; meno emozionato; vorresti dare di più a quelli che ti stanno intorno; vorresti ricevere di più da quelli che ti stanno intorno.
3. Le fasi operative del processo di self empowerment Il modello del self empowerment permette di evidenziare come nelle diverse fasi del processo siano utili azioni diverse e mobilitazione di differenti tipi di risorse. Ciò diviene di grande utilità nel momento in cui si passa all'azione operativa, dato che evita di concepire l'empowerment come concentrato di buone intenzioni ma povero di fatti. In fig. 1 il processo e le fasi di apertura di una nuova possibilità sono descritte in relazione alla persona individuale e in termini di come tende ad avvenire naturalmente. Nei prossimi capitoli sarà visto anche come guida all'aiuto da parte di operatori professionisti e/o relativamente in soggetti collettivi, gruppi od organizzazioni.
3.1. Fase dell'emergere e/o del chiarirsi di un nuovo desiderio Il processo di empowerment si fonda sul desiderio più che sul bisogno, sull'energia fornita da una tensione positiva più che sul sentimento di mancanza, sul tendere a ciò che si vorrebbe ottimalmente più che sull'esigenza della necessità o della soluzione di un problema. Pertanto, il protagonista che dà l'avvio al processo è quella funzione dell'io che chiamiamo "desiderante": se non c'è desiderio — nell'ottica di questo modello — è perché o la persona non è "presente" (il suo essere psicologico è altrove), oppure perché il desiderio non riesce ad emergere o a chiarirsi alla persona.
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Fig. 1 - Schema riassuntivo, descrittivo del processo di golf empowerment per l'apertura di una nuova possibilità
1.1. nuova attivazione dell'Io desiderante della persona
I) FASE 1.2.
nuovo emergere di un problema, bisogno, necessità, richiesta, opportunità
DELL'EMERGERE E/0 CHIARIRSI DI UN NUOVO DESIDERIO
\4->17 1.3. incontro tra io desiderante e bisogno
1.4. emergere e/o chiarirsi di un nuovo desiderio specifico
2. costruzione di nuova pensabilità positiva (del desiderio prefigurato come realizzato, e di sé in tale situazione)
3.2. reperimento risorse esterne (es.: capacità; informazioni; rapporti; sponsor)
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Sperimentazione Iniziale (simbolica e/o motto parziale)
3.3. elaborazione risorse interne. In particolare aggiramento dei problemi soggettivi storici personali
4. sperimentazione operativa parziale (comunque reversibile) della nuova possibilità
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Il) FASE DI COSTRUZIONE DI NUOVA PENSAMITA'
III) FASE DELL'APERTURA DELLA NUOVA POSSIBILITÀ
Anche l'eventuale stato di bisogno, di necessità, di problema, di disagio, d'insoddisfazione può — tuttavia — essere utilizzato come molla iniziale del processo di self empowerment, purché se ne elabori l'energia in termini di desiderio (o di energia desiderante). Più in dettaglio le fasi si distinguono in: 1.1. la "ri-mobilitazione della funzione desiderante", considerata come naturalmente presente nella dimensione psicologica della persona, anche se può essere coartata o temporaneamente sopita o quasi timorosa di emergere; 1.2. i bisogni o le necessità (tradizionalmente presenti o non ancora soddisfatti) propri o altrui, le nuove richieste ricevute dalla persona, le nuove opportunità offerte dall'ambiente, sono tre volti di ciò che si sposa con l'emergere desiderante. Questi te oggetti sono ciò che fa scattare la congiunzione con la funzione desiderante dell'io e così generano un desiderio più specifico (embrione di una nuova progettualità personale). A tale riguardo si possono portare numerosi esempi: il ricercatore che coglie nuovi bisogni, nuove possibilità tecnologiche, nuove attese che gli sono rivolte; l'imprenditore che cerca l'incontro tra la sua voglia di realizzare e i nuovi bisogni del mercato; un'opportunità di sviluppo non ancora raccolta da nessuno; 1.3. e 1.4 a questo punto emerge quel desiderio specifico cui la nuova possibilità potrà dare risposta (almeno potenzialmente). La costruzione di una nuova pensabilità positiva - che è la fase successiva - è appunto finalizzata a sviluppare l'iter del nuovo desiderio verso la sua realizzabilità.
3.2. Fase di costruzione di una nuova pensabilità La persona costruisce la rappresentazione mentale della situazione di desiderio realizzato, con una visione altamente positiva di sé stesso mentre realizza ciò che ha pensato. In questa fase non si considerano le modalità e le risorse con cui si potrà arrivare a realizzare davvero la pensabilità. La persona deve innanzitutto riuscire a proiettarsi il "film" della situazione realizzata (con dovizia di particolari, quindi sapendo esattamente cosa avviene, cosa fare, come si sente, come reagiscono gli altri e così via). Può essere utile, prima di avviarsi a descrivere le caratteristiche della pensabilità e della sua costruzione, provare a formulare alcuni esempi di 63
oggetti-desideri a cui ci si può concretamente riferire. Esempi tratti dalla quotidianità di giovani e adulti possono essere: diventare più adulto (o più "ragazzo"); ottenere un titolo di studio; "conquistare" un ragazzo o una ragazza; sposarsi; avere un figlio; imparare a ballare; imparare una lingua straniera; essere più bravo nel rapporto con il proprio partner o con il proprio figlio; manifestare un po' meno (o un po' di più) emozioni in un'area della propria vita; cambiare luogo di residenza; diventare un leader; proporre una nuova iniziativa al proprio capo; accettare una proposta insolitamente stimolante; far valere di più le proprie ragioni; imparare ad applicarsi con impegno; agire in modo meno (o più) conformista. Volendo fare un più specifico riferimento al mondo del lavoro e delle imprese, l'analisi approfondita di molti casi evidenzia come, ad esempio: • molte persone che vorrebbero essere meno autoritarie e più partecipative non riescono ad immaginare se stesse positivamente nella situazione desiderata (ad esempio capita che non riescano ad immaginarsi comportamenti più partecipativi, ma al contrario immaginano che sarebbero meno capi se fossero meno autoritari e che in tal modo prevarrebbe l'anarchia totale); • molti aspiranti manager (specie dell'area tecnica) portano dentro di sé concezioni negative del lavoro dirigenziale: non si tratta di un "vero" lavoro ma di politica, di esercizio di potere sugli altri, di pubbliche relazioni; • molte imprese con un know how forte e specialistico non riescono a immaginarsi orientate al cliente; Allora il problema può non consistere primariamente nella "resistenza al cambiamento" e/o nell'attaccamento al ruolo di potere e/o nella paura del nuovo, ma spesso il problema sta nell'incapacità del soggetto d'im64
maginarsi diverso (e con un valore positivo in questa diversità), perciò non può nemmeno fare azioni in tale direzione. Si pensi, ad esempio, al fatto che molta della formazione cosiddetta di "sensibilizzazione" o di "orientamento" possa operare nella direzione dell'ampliamento delle possibilità. A questo punto si prenderanno in esame alcune caratteristiche basilari della costruzione di una nuova pensabilità positiva, infatti: la costruzione di una pensabilità consiste appunto in una "costruzione" che richiede un impegno prolungato. Si tratta di "girare il film" (sia pure solo a livello mentale) assumendo sia il ruolo di regista che di attore protagonista. Alcune scene potranno riuscire quasi immediatamente, altre richiederanno molto tempo e diversi tentativi successivi. Spesso (ma naturalmente questo dipende dal tipo di desiderio o contenuto) possono essere necessari mesi, talvolta anche anni, comunque non si tratta di un'attività istantanea della fantasia. Se la costruzione di pensabilità è immediata - se improvvisamente e in fretta si vede il desiderio realizzato nei suoi particolari - significa che c'è stato un periodo precedente, magari inconsapevole, di lavoro psicologico sulla costruzione; la pensabilità svolge, nel successivo iter di self empowerment, alcune funzioni fondamentali: 1) essa guida la persona nell'acquisizione e nell'elaborazione di risorse, nonché nella sperimentazione (senza adeguata pensabilità può addirittura accadere che le risorse siano a portata di mano e che la persona non se ne accorga); 2) essa può fornire energia al successivo - faticoso - processo di trasformazione della pensabilità in possibilità reale. Nei contesti aziendali-manageriali la pensabilità positiva viene spesso denominata "vision": una rappresentazione del futuro per cui valga la pena di impegnarsi e rischiare; la costruzione di una nuova pensabilità positiva può utilizzare risorse molto diverse tra loro: 1) il desiderio, innanzitutto, e la sua energia, 2) la creatività, 3) le metodologie per l'uscita dai vincoli attuali (ad esempio il reengeenering nelle imprese), 4) le risorse nuove che potranno consentire nuove situazioni, 5) la capacità di pensare anche per discontinuità e quindi di concepire salti di qualità e non solo miglioramenti progressivi. Aiuta molto anche l'utilizzo di elementi esterni quali la testimonianza di persone che realizzano - o hanno già realizzato - concretamente un desiderio analogo a quello del nostro soggetto; .,› il desiderio-pensabilità si alimenta anche grazie ai sogni e, talvolta, alla pura fantasia. Tuttavia, generalmente, si differenzia da questi per il suo
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realismo. In altre parole, nessuna delle condizioni del film della mia pensabilità può essere oggettivamente impossibile; l'aspetto cruciale del ruolo svolto dall'operatore nella fase della pensabilità è anche quello di separare la fase della concezione mentale da quella della realizzazione. In questo modo si impedisce che si mescolino e si paralizzino reciprocamente tre diverse possibili difficoltà: 1) la difficoltà di far emergere ciò che si desidera davvero, 2) la difficoltà a comprendere quali risorse e metodologie ci si debba poi procurare e quali sequenze operative realizzare, 3) la difficoltà a procurarsi realmente le risorse necessarie e a rendere operativi i piani formulati. Certamente tutti questi elementi di criticità andranno poi affrontati in una prospettiva positiva, in un primo momento però la fase della pensabilità permette di rappresentarsi il futuro senza paralizzarsi operativamente sui mezzi e sui metodi.
3.3. Fase dell'apertura della nuova possibilità operativa Quest'ultima fase permette, guida, la trasformazione della nuova pensabilità in possibilità potenziale del soggetto. Essa si determina attraverso lo svolgimento di tre sottofasi — sistematicamente interrelate tra loro — che presentano aspetti di sequenzialità ma anche di contemporaneità: 1. fase di sperimentazione reversibile. La sperimentazione corrisponde in un certo senso - a quella norma del buon senso che consiglia, ad un certo punto, di "buttarsi" e provare, se non altro per vedere che effetto fa e quali conseguenze porta. Più tecnicamente, la sperimentazione — ipotizzata subito dopo la pensabilità e spesso ancor prima di preoccuparsi di acquisire/elaborare risorse — sottolinea l'orientamento all'azione dell'approccio dell'empowertnent: il passaggio all'azione — più simbolica che concreta, anche piccola — indica il superamento da parte del processo di empowerment della soglia del livello mentale-psicologico e l'avvio della mobilitazione delle energie più significative anche per l'azione. Si nota, nei ruoli di supporto al self empowerment, che questa fase di sperimentazione simbolica iniziale rappresenta l'aspetto per certi versi più delicato: infatti, è particolarmente importante per il consulente prescrivere un'azione che sia al tempo stesso piccola (e priva di rischi di fallimento) ma ricca di significato. La sperimentazione può essere in particolare: 66
a. analogico/simbolica, ad esempio: la simulazione di un colloquio senza un reale interlocutore, un'azione — fisica o verbale — che alluda al superamento di una difficoltà, un comportamento deviante rispetto a quelli abituali, un'innovazione in un comportamento routinario; b. preliminare, ad esempio: scrivere il proprio curriculum, fissare telefonicamente l'appuntamento per un colloquio (naturalmente mantenendosi la possibilità di disdirlo), ricercare operativamente nuove informazioni. È importante che in questa fase le sperimentazioni siano tali da essere reversibili nei loro effetti, si tratta infatti di azioni finalizzate — per ora — a generare e raccogliere informazioni e feedback; c. la sperimentazione diviene — in un secondo tempo (dopo un po' di elaborazione e di acquisizione di risorse esterne) — iniziale e parziale, ad esempio: le primissime azioni del piano reale da intraprendere, iscriversi ad un corso, un primo incontro con nuove persone e/o nuovi ambienti. La sperimentazione in particolare serve: — per raccogliere informazioni su di sé, — per raccogliere informazioni sul rapporto tra sé e l'ambiente, — per il passaggio all'azione, — come anticipazione delle prime azioni reali, — come elemento cruciale - per la mobilitazione di energia positiva — dell'avvio del circolo virtuoso, — come verifica dell'oggetto del desiderio e della pensabilità, — per evidenziare: 1) le risorse che occorre ricercare ed acquisire, 2) quali elaborazioni interiori sono da fare e approfondire; 2. fase di acquisizione di risorse all'esterno. È questo Paspetto più evidente nel passaggio da pensabilità a possibilità. Le risorse da acquisire all'esterno possono essere, ad esempio: — competenze specifiche - quali conoscenze, metodologie, strumenti, capacità operative, — informazioni, — collegamenti - nuove relazioni con persone e ambienti, — sostenitori, alleati, sponsor (queseultimo aspetto è di estrema importanza per quel che riguarda il mondo delle imprese), — risorse diverse - economiche, organizzative, tecnologiche. Questa sembra la fase più ovvia ed anche - quantitativamente - più impegnativa. Alcune opportunità importanti vengono evidenziate peraltro proprio dal fatto di considerarla ovvia all'interno del processo di 67
empowerment, in particolare a valle della fase di pensabilità positiva — che alimenta energicamente (nel senso di motivare all'impegno) e indirizza correttamente (nel senso che tale impegno non sia dato per nulla) — e in interazione con l'elaborazione psicologica interna, senza la quale è facile che l'impegno presto decada (magari a fronte delle prime difficoltà) e che spesso l'apprendimento stesso perda la sua efficacia; 3. fase dell'elaborazione delle risorse interne. Rappresenta la fase più connotata in senso psicologico dell'intero processo. Si propone - essenzialmente - di mobilitare l'energia e le capacità migliori della persona, l'intero suo patrimonio psicologico (in particolare per alimentare il processo di crescita, di acquisizione, di sperimentazione) e — soprattutto — di elaborare le inevitabili difficoltà che si oppongono al processo di self empowerment, alla formulazione di una nuova pensabilità, al buttarsi nella sperimentazione. Fig. 2 - Fasi del Processo di Self Empowerment - Dettaglio sull'Elaborazione di Risorse Interne
3.2. REPERIMENTO RISORSE ESTERNE - acquisizione di nuove capacità altre risorse: informazioni, sponsor, rapporti
3.1. SPERIMENTAZIONE INIZIALE simbolico-analogica e/o molto parziale
3.3. ELABORAZIONE DI
RISORSE
INTERNE* tipicamente: mobilitazione di risorse personali positive finora trascurate aggiramento di difficoltà e blocchi personali soggettivi
4. SPERIMENTAZIONE OPERATIVA comunque reversibile
3.3.A. MOBILITA- ZIONE DELLE RI- SORSE POSITIVE DELLA PERSONA - per alimentare lo sviluppo - per motivare all'acquisizione di nuova pensabilità - per aiutare la spe- rimentazione
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3.3.B. AGGIRAMENTO DELLE DIFFICOLTA' SOGGETTIVE - Circa la formulazione di nuova pensabilità positiva Circa l'avvio della sperimentazione Circa l'efficacia delle nuove passihilit
L'elaborazione delle difficoltà merita che siano almeno accennati alcuni aspetti importanti: • contrariamente a quanto avviene in altri modelli psicologici, le difficoltà vengono considerate nei loro aspetti molto specifici e relativi all'oggetto: non una mancanza generale di fiducia in sé, ma una mancanza di fiducia in rapporto a quello specifico oggetto. Si lavora con la persona su quello specifico aspetto, non sull'intera personalità; • l'elaborazione agisce in alleanza sia con la sperimentazione operativa sia con l'acquisizione di nuove risorse, in una sorta di circolo virtuoso: la sperimentazione fornisce nuove informazioni su di sé utili per una nuova e più efficace elaborazione (che altrimenti andrebbe ad avvilupparsi progressivamente su se stessa), l'acquisizione di nuove risorse cambia i termini soggettivi attorno a cui l'elaborazione lavora, l'ela-borazione interna facilita nuove sperimentazioni e nuovo impegno ad acquisire competenze e risorse; • l'elaborazione — nel processo di self empowerment — non serve tanto a sciogliere/eliminare l'ostacolo (operazione di solito complessa e lunga), quanto a "saltare" o "by-passare" l'ostacolo. Tale aggiramento viene attuato, magari, utilizzando la costruzione di nuove mappe cognitive, percorsi in cui l'ostacolo non è più tale. Per capire quali siano i fattori tipici su cui l'elaborazione soggettiva personale interviene (ricordando sempre che non ci si riferisce a caratteristiche esistenziali generali, ma tendenze applicate a specifiche situazioni, obiettivi, desideri, sfide) si farà riferimento, in particolare, alla: fiducia in sé, ovvero l'aspettativa di saper mettere in atto i comportamenti corretti tra quelli di cui si è capaci; fiducia che comportamenti corretti porteranno buoni risultati; tendenza ad investire sulle risorse esistenti - sia interne che esterne piuttosto che su quelle mancanti; tendenza a considerare i propri comportamenti causa degli effetti collegati (locus of control interno); tendenza al pensiero positivo - sulle possibilità proprie e altrui; tendenza a pensare di poter influire, gestire, indirizzare e modificare le cose che ci riguardano (hopefullness); va1oriz7azione delle proprie competenze utili.
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La storia della persona — fin dalla giovane età — presenta inevitabilmente fattori di attacco a queste caratteristiche positive, veri e propri "killer" interni. Attraverso l'elaborazione ci si propone di aggirarli, per renderli innocui rispetto a ciò che al momento interessa di più. A tal fine il nostro approccio consente l'utilizzo di ogni mezzo disponibile: dalla riflessione profonda all'incoraggiamento a buttarsi e provare, dal recupero di risorse personali acquisite nel passato al salto immaginativo verso il futuro, dall'ascolto di ciò che viene dall'interno della persona all'utilizzo di aiuti e stimoli esterni. È tipico dell'approccio dell'empowerment sia ricorrere e valorizzare ogni possibile nuovo elemento interveniente che l'ascolto attento della propria realtà interna per comprenderne i messaggi. Abbiamo fin qui descritto il nostro contributo alla modellizzazione del processo dell'empowennent — che noi riferiamo nello specifico all'empowertnent della persona. È naturalmente possibile — in letteratura e sul campo — trovare altri modelli operativi e teorici, sia riferibili alle fasi del processo che al suo orientamento verso soggetti diversi. Nei capitoli successivi cercheremo tra l'altro di fornire una panoramica di tali differenti approcci.
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5. Esercizi di potere
1. Il potere personale "Potere" è bello; consente di soddisfare bisogni e realizzare desideri, generare risultati utili, importanti, guidare persone, sentirsi degni di attenzione e rassicurati (molti sostengono anche che esercitare potere è gratificante in sé). Si dimentica però spesso che il potere è di due tipi, quasi sempre la tradizione porta a pensare solo al primo tipo del "potere esterno relazionale" defmibile come influenza sugli altri, trascurando il secondo tipo del "potere personale interno". Focalizziamo mentalmente l'immagine estrema di una persona che, in una particolare area e momento della sua vita, non riuscisse a mobilitare la propria energia, non avesse desideri, non fosse motivata, non nutrisse speranze, non coltivasse progetti, non avesse fiducia nelle proprie capacità, non avesse voglia di niente. Questa persona, in quel campo e in quel momento, avrebbe conseguenze concrete simili a quelle di chi fosse completamente privo di potere relazionale: non potrebbe infatti fare azioni che la qualificano e che risultano utili per gli altri, non potrebbe generare risultati, non potrebbe lavorare per un futuro migliore proprio ed altrui (chi non ha provato, in qualche momento almeno, questa dolorosa situazione ed i suoi vissuti?!). Le conseguenze sono le stesse, forse ancor più accentuate, della mancanza di potere relazionale. L'approccio dell'empowerment sottolinea questa secondo dimensione del potere, denominato "potere interno" o "potere personale". La ricerca scientifica ha messo in evidenza e descritto alcuni dei fattori principali del potere personale individuale. Li riportiamo brevemente per capire le basi psicologiche dell'empowerment. 71
• Il sentimento di "autoefficacia": quella parte del vissuto di competenza derivante dalla fiducia nel proprio saper trovare, di fronte alle situazioni, le risorse migliori e più adatte tra quelle di cui la persona dispone. (Quando si sostengono gli esami, non c'è solo la paura di essere scoperti impreparati, ma anche, e spesso soprattutto, l'ansia di non saper usare al meglio durante l'esame la preparazione acquisita). • La valorizzazione della "collocazione interna della causalità". Ogni persona sa che quanto le accade è influenzato in parte dagli altri (external locus of control comprendente anche la fortuna, il sistema, la situazione) ed in parte dai propri comportamenti ed azioni (interna! locus of control). L'empowerment, o senso del potere personale, è collegato alla tendenza a valorizzare l'influenza personale, interna dell'autodeterminazione. (Quando si pensa alla propria crescita e carriera in azienda, che certamente è dipesa e dipende sia da se stesso che dagli altri, quale delle due innegabili realtà ciascuno tende ad evidenziare, sottolineare, considerare importanti, anche proiettandole sul futuro?). • La "speranzosità" (hope-fullness), il cui contrario non è la disperazione ma la disperanza: tendenza a pensare che il futuro, proprio e altrui, possa vedere miglioramenti. La ricerca evidenzia che la speranzosità si apprende: non tanto avendo buoni maestri (genitori, insegnanti, interlocutori), quanto soprattutto capendo come e perché avvengono le cose e funzionano i fenomeni, cioè i nessi di causalità. (Ci si autorizza a pensare che il futuro potrà essere migliore? Piace considerare "comprensibili" le cose della vita e del mondo, proprio e altrui?) • Ogni persona sa che — in ogni situazione — sono presenti sia vincoli, lacune, necessità, bisogni, sia risorse, opportunità, mezzi, possibilità. L'enfasi intenzionale ed operativa sul secondo set costituisce l'essenza del "pensiero positivo operativo": da non confondersi con l'ottimismo-pessimismo, che è immediato e percettivo; il pensiero positivo operativo riguarda invece l'azione - e perdura nel tempo. (Quando si affronta una nuova situazione, al di là delle emozioni immediate di ottimismismo-pessimismo, si autorizza se stessi a concentrarsi per operare sulle risorse più che sui vincoli, sulle presenze più che sulle mancanze, sui desideri ed opportunità più che sulle necessità e •problemi?) • Il vissuto di "responsabilità e protagonismo" nei riguardi della propria vita, derivante dal sentimento che la situazione in cui ci si trova è, alla lunga (non sempre invece nel breve termine), frutto di una scelta di cui noi stessi siamo stati gli operatori perché comunque disponevamo di di72
verse possibilità. (Quando si considerano le situazioni della propria vita attuale, per esempio lavorativa o affettiva o sociale, si tende a pensare che alla lunga esse risultano frutto di proprie scelte? Che si sarebbe potuto percorrere altre possibilità? Che si è quindi protagonisti della propria vita e che si continuerà ad esserlo in futuro?) Autoefficacia, speranzosità, collocazione interna della causalità, costituiscono alcune tra le principali dimensioni essenziali dell'empowennent o potere personale. L'inverso, il dis-empowerment, è costituito dalla tendenza a pensare e sentire che tutto dipende dagli altri, che non ci si può fidare nemmeno delle risorse possedute, che non ci si consente di sperare, che ci si sente imprigionati da vincoli, bisogni, mancanze, necessità. La parola chiave dell'empowerment, come qui la proponiamo al lettore, è "possibilità". Le possibilità, e la loro pluralità, come sintesi di potere e libertà, per potersi sentire "re" sulla scacchiera della vita che conta, cioè sulla scacchiera della propria vita. Prima di continuare il discorso, vorremmo proporre al lettore qualche esercizio basato sui criteri dell'empowerment: per una migliore comprensione di quanto esposto, per giocare un poco con il self empowerment, per trarne utilità magari provando piacere.
2. Esercizi di potere 2.1.11 desiderio fermo Il lettore provi a richiamare alla mente uno dei suoi desideri: in particolare uno di quelli per cui, da almeno un paio di anni, oggettivamente non compie azioni operative concrete tese alla sua soddisfazione. Potrebbe trattarsi di un cambiamento di lavoro, di una love story con Claudia Schiffer (o Robert Redford), di un miglioramento del rapporto col coniuge o con un figlio, dell'inizio o della ripresa di un hobby o interesse culturale; potrebbe essere qualcosa di molto intimo o di molto importante o di apparentemente banale: il desiderio è comunque molto personale. Adesso provi, caro lettore (e mi rivolgo a Lei poprio individualmente) ad immaginare questo Suo desiderio finalmente realizzato: provi a girare, nella sua mente, il "film" della situazione in cui ciò che desiderava è diventato realtà. Ne descriva, come nel copione di un film, cosa avviene, cosa fa e come si sente Lei che è il protagonista, cosa fanno le altre persone 73
intorno a Lei, cosa ci si dice, quali siano le azioni ed i comportamenti (tralasci invece, per regola dell'esercizio, l'aspetto di come e con quali mezzi si è arrivati alla situazione: si sposti in avanti nel tempo, e immagini che si siano già realizzate le condizioni, le risorse e i mezzi, anche se oggi mancanti). Con grande probabilità (la statistica dice otto casi su dieci), caro lettore avrà una sorpresa: Lei non riesce a girare il film, la prefigurazione del desiderio realizzato; riesce solo con qualche flash, qualche scena, qualche sequenza, ma non riesce a descrivere la situazione completa. Oppure, sorpresa ancora più grande, nel film Lei non è prevalentemente contento, non si trova a suo agio, non prova vissuti soprattutto positivi. Questa previsione di probabilità, che mi sono permesso di avanzare e che Lei può mentalmente verificare, è dovuta al fatto che Le avevo chiesto di concentrarsi non su un desiderio qualsiasi ma su un desiderio "fermo": non uno di quelli in vista della cui reali~zione magari ancora ieri aveva fatto azioni operative, bensì uno di quelli per cui da almeno due anni Lei, oggettivamente, non compie azioni (non risponde a inserzioni di ricerca lavoro, non si procura l'indirizzo di Claudia Schiffer...).
Spiegazione dell'esercizio. Per la costruzione concreta di un desiderio è fondamentale la laboriosa attività (non la semplice fantasia-flash) di costruzione di pensabilità del desiderio soddisfatto e di sé almeno prevalentemente contento in tale situazione ("pensabilità positiva"). Dice Messner (1994), a proposito delle sue scalate degli ottomila metri: «uno pensa qualcosa, concepisce cioè un'idea, poi sviluppa l'idea nella mente sino a farne un'utopia reale; infine in una terza fase, si ritrova nella condizione di tradurla in realtà».
Consigli d'azione. Le propongo, caro lettore, di lavorare sulla costruzione del film, sulla pre-rappresentazione mentale del Suo nuovo lavoro, o della Sua nuova love story, o del Suo nuovo rapporto con Sua moglie o Suo figlio. È un "lavoro" impegnativo e duraturo, non una fantasia immediata: ci vorranno delle settimane, in genere dei mesi, qualche volta (per i desideri più impegnativi) un paio di anni. Quando avrà compiuto questa attività di costruzione di pensabilità positiva del desiderio realizzato, Lei potrà agire, guidato da tale copione, con azioni sperimentali. Peraltro durante tale attività di pensabilità, può accadere qualche variante: per esempio può accorgersi che non era quello un vero desiderio, e ne emergerà uno davvero Suo per il quale lavorare; oppure, strada facendo, il desiderio iniziale si modifi74
cherà, e probabilmente diventerà più gratificante in quanto più collegato col mondo che lo circonda, aumentando il circolo virtuoso delle soddisfazioni. 2.2. Se il desiderio non c'è
Dirà qualche lettore: non mi viene in mente alcun desiderio (in generale, o rispetto ad un'area specifica della vita). Ci sono periodi e/o aree della propria vita in cui non si provano desideri. Due casi: o si sono appagati tutti i desideri, oppure si è poco fermi e tristi: qui ci occupiamo della seconda possibilità (la prima è solo da godere finché dura il momento magico). Proponiamo al lettore alcuni esercizi, per vedere se prova qualche beneficio, utilità, stimolazione attuale del desiderio. Uno dei principi dell'empowerment è che desideri' non ancora realizzati costituiscono una ricchezza, un patrimonio della persona: (al contrario della cultura tradizionale, dove invece i desideri non soddisfatti sono presentati e spesso vissuti come fattore di frustrazione e/o velleità)2. 2.2.1. La rivisitazione del passato
Provare a ricordare cosa si desiderava (quasi come sogno, possibile ma lontano) quando si sono finiti gli studi; oppure quando si parlava da fidanzati con la propria futura moglie/marito; oppure quando si è iniziato il proprio attuale incarico organizzativo; e/o in altri momenti significativi della propria vita passata.
1. Per desideri si intendono qui quelli oggettivamente non impossibili nella loro realizzazione, indipendentemente dall'ampiezza di energie e risorse da mobilitare e/o acquisire. I desideri vanno distinti dalle fantasie o dai sogni - pur se molto piacevoli e desiderabili: ad esempio è oggettivamente impossibile cambiare la propria età anagrafica, lo stato sociale ed economico dei propri genitori, (entro certi limiti) le proprie caratteristiche biologichefisiche. 2. Pensi il lettore all'ipotetico colloquio con due persone appena conosciute: l'una ricca di desideri, l'altra che ne è priva. Quale delle due le piace di più? Quale assumerebbe come collaboratore o vorrebbe come collega? Con quale le viene più voglia di mantenere in futuro un'amicizia?
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2.2.2. Il balzo nel futuro
Provare ad immaginare, con più particolari possibili, come si vorrebbe che fosse la propria vita (o meglio una sua area specifica: per esempio di lavoro, o affettiva, o sociale) saltando mentalmente a piè pari nel futuro, tra cinque anni (due o tre per i più giovani): per il momento essendo vietato dall'esercizio il preoccuparsi di problemi quali "come" fare ad arrivarci, come fare a procurarsi risorse attualmente mancanti. Descrivere invece come si vorrebbe essere tra cinque anni, ponendosi l'unico limite della non impossibilità oggettiva assoluta. 2.2.3. Lo Z.B.B.3
Questa volta è un esercizio non di realtà bensì di fantasia pura. Immagini il lettore, come regola virtuale e temporanea imposta dall'esercizio, che per una strana magia, si trovi in un ambiente totalmente nuovo (possibilmente all'estero, ma senza problemi di lingua immaginati come risolti); la regola obbligatoria di questo esercizio impone che non ci sia più alcuno dei rapporti attuali: con moglie/marito, figli, azienda, amici, parenti. Provare ad immaginare come si vorrebbe che fosse la propria vita dopo 3-5 anni in questo nuovo ambiente, specificando aree quali il lavoro o comunque attività, rapporti con altre persone, abitazione, immagine di sé propria e verso gli altri, impiego del tempo. Possibilmente stendendo appunti scritti (assolutamente riservati e personali).
Spiegazione degli esercizi. Spingono ad uscire mentalmente dalla situazione attuale (con le sue opportunità ma anche i suoi vincoli) e fare un "balzo" che permetta, per la durata dell'esercizio, di rimobilitare la funzione del desiderio. Il desiderio, anche se non realizzato, è considerato risorsa importante, molto energetica, elemento essenziale della propria autodefinizione, assunzione di responsabilità (al contrario del bisogno, che è più etero determinato).
3. Lo ZBB è una tecnica di budgeting (Zero Based Budget) il cui principio essenziale — estrapolato per questo esercizio — è quello di avviare le proprie previsioni partendo da zero anziché dai dati dell'esercizio precedente.
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Consigli di azione. Provi a giocare con questi esercizi, caro lettore, nel caso che si senta privo — o povero — di desideri o — comunque — nel caso le piaccia giocare con il suo io desiderante. Si concentri su di un esercizio alla volta. Lavori da solo, in un ambiente — e in un momento — in cui non può venir distratto da altre persone o altri compiti. Possibilmente, prenda degli appunti. Cerchi di porsi la minor quantità di vincoli possibile, non si preoccupi — in questa fase — di problemi quali "come si fa a farlo davvero" (questo è il miglior modo per stroncare i desideri sul nascere!): ci sarà tempo in futuro per la realizzazione. Alla fine dell'esercizio provi ad autoascoltare se si sente meglio o peggio; se è emerso del materiale che le risulta significativo anche adesso che il gioco-esercizio è finito; se le sembra di sapere o ri-sapere qualcosa di più circa il Suo sé attuale; se le è venuta qualche intenzione di azione futura; se il suo "io desiderante" si sta risollecitando. 2.2.4. La margherita delle possibilità'
Supponiamo caro lettore, che lei in questo momento sia in turbolenza mentale rispetto ad un'area della sua vita: per esempio nel lavoro, nel rapporto con una persona, o per un certo aspetto della sua vita sociale. Tale turbolenza può prendere avvio sia da vissuti di problematicità, sia dal presentarsi di nuove opportunità e desideri: comunque lei sta pensando che vuole cambiare-migliorare qualcosa. Oppure può succedere che lei si stia domandando cosa vuole davvero, con molte idee che le girano per la testa; oppure ancora che senta un po' di confusione per la presenza contemporanea di aspetti molto diversi tra loro coesistenti in un campo della sua vita, per esempio nel suo ruolo lavorativo nell ' organizzazione. Rispetto a questi tipi di situazione, le proponiamo l'esercizio della margherita delle possibilità, che si fa così: disegni un fiore con cinque petali (altri potrà semmai aggiungerne in seguito se necessario): su un normale foglio di carta, col corpo del fiore al centro ed i petali che occupano quasi tutto il foglio;
•
4. Nell'immaginario collettivo la margherita è il fiore dai mille petali. Qui la suggestione cercata è — appunto — quella dei petali che però non vengono uno alla volta strappati ("m'ama o non m'ama?") ma piuttosto gradualmente si aggiungono, rappresentando ogni petalo una nuova possibilità.
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+ all'interno di ciascun petalo appunti telegraficamente le parole chiave riguardanti una delle sue possibilità. Per esempio, se parliamo di cambiamento lavorativo le possibilità potrebbero essere (ma lei segni solo quelle che sono davvero "sue" possibilità, nella sua mente): cambiare ruolo e tipo di lavoro nella stessa azienda in cui è adesso; cambiare azienda; mettersi in proprio, da solo o con altri; andare ad insegnare; lavorare a tempo parziale e dedicare maggiore parte del tempo ad attività sociali od esistenziali o personali; etc.; • lasci sempre un petalo in bianco: potrebbe emergere in seguito un'ulteriore possibilità (la sua situazione attuale invece, sta nel centro del fiore: non si preoccupi di definirla, come invece ha fatto per le possibilitàpetali); • lavori, successivamente e separatamente, su ciascuno dei petali presi uno per volta, sulla prefigurazione mentale del loro sviluppo (prima: come sarebbe una volta realizzato; poi: come orientarsi a realizzarlo se decidesse in tale senso). A seconda dell'impegno-tempo che decide di dedicare, possono essere necessari cinque minuti per ogni petalo, oppure i momenti liberi di pensiero di un giorno della settimana.
Spiegazione e consigli d'uso dell'esercizio margherita delle possibilità. Aiuta ad evidenziare le diverse possibilità di cui la persona dispone, uscendo dalla prigionia del vissuto di "mono" possibilità oppure dallo scacco matto dell'oscillazione tra la possibilità attuale reale, ma insoddisfacente, e l'unica possibilità ideale, ma irrealizzabile. Per "possibilità" s'intende ciò che è prefigurabile e pensabile positivamente nella mente dell'interessato. In questo approccio dell'empowerment, in un certo senso, la persona "è" e si riconosce attraverso l'insieme delle sue possibilità (anche quando, anzi per certi versi auspicabilmente, esse sono alternative tra di loro nella realizzazione pratica). Se più che all'innovazione la persona è tesa al chiarimento di una sua situazione, l'esercizio della margherita si può utilizzare in maniera leggermente variata, facendo corrispondere ad ognuno dei petali una specifica "componente" dall'aspetto esaminato (ruolo, problema, obiettivo, situazione). Per esempio, nell'analisi del proprio ruolo nell'organizzazione: la componente esecutiva; la componente gestione delle risorse affidate; la componente micromanageriale dell'innovazione e dei risultati; la componente intraprenditoriale all'interno dell'organiz72zione. 78
Il riferimento potrebbe essere anche ad altre aree della vita, molto personali, per esempio quella matrimoniale. Un esempio di componenti potrebbe allora prevedere: la componente fidanzati-amanti-coppia sessuata uomo-donna; la componente genitori insieme; la componente amicizia, rispetto, valorizzazione; la componente coabitazione; la componente progettazione del futuro; la componente supporto reciproco nei desideri di vita di ciascuno. In questo secondo caso, dell'uso per l'analisi delle "componenti", l'esercizio della margherita è finalizzato soprattutto ad aiutare a non confondersi fin dall'inizio nella mediazione tra le diverse componenti, con la spiacevole conseguenza o della confusione o dell'appiattimento globale. Si consiglia di: • fare l'esercizio sviluppando i vari petali uno per uno, senza porsi anticipatamente il problema del come integrare le diverse possibilità ( o componenti); • verificare se già l'elencazione dei petali fornisce piacere psicologico, nell'evidenziare che si hanno parecchie possibilità (oppure nel vedere chiaramente elencate le diverse componenti di uno stesso temaproblema, se i petali si riferiscono ad una situazione confusa); • osservare che durante l'esercizio possono emergere progressivamente alcuni indirizzi guida quali: l'esigenza di lavorare a fondo sullo sviluppo di una specifica possibilità; l'emergere vincente di una possibilità principale ed il chiarimento dei contributi potenziali ad essa da parte delle altre; una sinergia, maggiore del previsto, tra le varie possibilità inizialmente considerate come alternative; l'emergere progressivo di una nuova possibilità che all'inizio non si era focalizzata. La regola generale, che sta alla base dell'esercizio, è che le alternative sono più facili da integrare (oppure da scegliere) ove siano state ben sviluppate una per una. L'immagine può essere quella di un arco architettonico, più facile da costruire in altezza (vincendo la paura della vertigine) che non a pochi centimetri da terra. Dice un vecchio proverbio: mira alla luna, se il tiro risulta corto puoi atterrare su una stella.
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2.3. Altri brevi autotest Appuntarsi su un foglio di carta (assolutamente personale) il nome dell'insegnante che, fra i tanti con cui si è avuto rapporto, non si vorrebbe mai che sparisse dalla propria esperienza di vita. Fare altrettanto per un amore giovanile (escludendo, per vincolo dell'esercizio, quello attuale). Verificare l'ipotesi: • hai scelto, tra i tanti, proprio quell'insegnante perché (al di là dei voti belli o brutti, del rapporto facile o difficile) dalla relazione con quell'insegnante sei uscito con più possibilità, più strade che sentivi aperte per te, più potente; • hai scelto proprio quell'amore giovanile perché (al di là della brevità o lunghezza, della fine in gloria o in lacrime) ne sei uscito pensando che nella vita ti sarebbe stato "più" possibile e aperto il futuro. Volendo verificare il caso opposto: quelli designati come il peggiore insegnante e il peggiore amore passato, sono quelli da cui si emerge magari anche più realisti, ma comunque più poveri di possibilità aperte riguardanti sé stesso e il rapporto col mondo. Appuntarsi su un foglio esempi di propri "desideri" ed esempi di "bisogni", nonché parole ed immagini a tali esempi associate: verificare poi se è vero che la parola "desiderio" evoca di più l'immagine-emozione del piacere ricevuto dalla sua soddisfazione, mentre la parola "bisogno" evoca di più l'immagine-emozione della su mancata soddisfazione. 3. Principi operativi orientativi Sono qui riportati nella stesura proposta da una collega che ha partecipato ad un nostro corso sulla consulenza individuale empowerment oriented. Aggiungere più che voler cambiare La persona quasi sempre non cerca tanto di cambiare, quanto soprattutto di aggiungere e sperimentare nuove possibilità: il che, tra l'altro, protegge dall'ansia di non dover buttare via ciò che già è/sa, e concede a chi lo aiuta maggiori libertà ed incisività nella sollecitazione.
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Risorse più che problemi Per aiutare, iniziare a lavorare non tanto su ciò che la persona vive come problema, ma bensì a partire dai punti di forza: ed ampliarli per poi recuperare il problema avendo a disposizione maggiori risorse.
Pensabilità Per aprire una nuova possibilità, la persona deve essere stimolata ad immaginarla, descriverla, fino a costruirne le sequenze operative possibili ("girare il film").
I desideri ancora irrealizzati come ricchezza Sogni e desideri non realizzati, normalmente considerato come fonte di frustrazione, sono da vedersi soprattutto come fonte di ricchezza, in quanto "serbatoio energetico" e piste che indirizzano verso opportunità da cogliere.
Si impara soprattutto dai successi È vero che dagli errori si impara, ma ciò che conta per imparare è soprattutto sperimentare successi.
I killer personali interni si aggirano A differenza che in altri approcci psicologici, nell'indirizzo empowerment i problemi personali storici ed i killer interni non si elaborano, ma si aggirano/by passano.
Ampliabilità della pensabilità Ampliamento della pensabilità significa concepire che ciò che si pensa e si fa può possedere confini più mobili, e questo incrementa la "voglia di osare".
Professionale e personale si alimentano vicendevolmente Anche quando l'aiuto sia concentrato sull'empowerment professionale è lecito, se è la persona a condurci, seguirla nella sfera del personale: dove possono ritrovarsi risorse ed opportunità importanti per la realizzazione delle nuove possibilità professionali.
Individuare la forza più che il problema La possibilità d'aiuto inizia quando si è riusciti a capire il nucleo centrale della forza e delle risorse della persona (secondo gli approcci tradi81
zionali, invece, ci si concentra prima e di più sul trovare "il suo problema"). Dal singolare al plurale Aiutare a cercare "al plurale" (più che al singolare) le soluzioni, le possibilità, le voglie, i progetti, i riconoscimenti di sé. Far brillare gli occhi Nella ricerca dell'elemento cruciale per la persona, non fermarsi alla prima risposta, ma continuare ad ampliare l'indagine fino a quando si percepisce di aver trovato un elemento positivo e attrattivo importante, consistente, significativo ("fmo a che alla persona non brillano gli occhi"). All'inizio vietato vietare Nelle prime fasi del processo di self empowerment, è rigorosamente vietato lavorare sui vincoli, le verifiche di realtà, la limitatezza delle risorse (ad eccezione delle impossibilità assolute) Una piccola azione Al termine di un incontro/colloquio è importante concordare o prescrivere alla persona un'azione sperimentale (reversibile), sia pur breve e simbolica, ma soggettivamente significativa: per facilitare l'innesco dello "agire", nella direzione di empowerment che il colloquio ha individuato come importante.
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6. Empowerizzare l'impresa
1. Utilizzi applicativi Le modalità di utilizzo dell'approccio empowerment in azienda, pur assai diversificate, possono essere ricondotte a quattro ambiti di obiettivi: • per lo sviluppo delle persone e della cultura organizzativa; • a supporto dei processi innovativi; • come intervento organizzativo; • come modello aziendale di riferimento. Prima di descriverli uno per uno, proponiamo una sintetica lettura di ciò che l'approccio empowerment tende ad aggiungere, rispetto ad altri approcci precedenti. L'approccio dell'empowerment, ultimo nato, recupera infatti ed utilizza quasi tutti gli apporti evidenziati da altri tipi di approcci cronologicamente precedenti, quali direzione per obiettivi, O.D. sviluppo organizzativo, qualità. Tanto è vero che qualche volta le persone in azienda si chiedono quali siano gli elementi essenziali di differenza. Evidenziamo qui di seguito le principali aggiunte—differenze: • rispetto all'approccio Qualità, che sottolinea soprattutto il miglioramento continuo e progressivo, l'aggiunta principale è quella dell'attenzione ai possibili salti di qualità ed alle possibili discontinuità; • rispetto all'approccio della direzione per obiettivi, che sottolinea soprattutto l'aspetto razionale del coinvolgimento delle persone (attraverso l'articolazione dei diversi tipi di obiettivi), l'aggiunta consiste soprattutto nella mobilitazione degli aspetti emozionali e valoriali; • rispetto alla tradizione degli approcci dello sviluppo organizzativo (0.D.), delle risorse umane, psicosociale, le aggiunte principali 83
dell'approccio empowerment sono: o importanza non solo degli aspetti relazionali e collettivi (rapporti, gruppalità, comunicazioni, cultura organizzativa), ma anche estrema valorizzazione della individualità, del potere personale interno della singola persona; o orientamento alla consapevolezza, tipico valore psicosociale, ma anche al passaggio all'azione, alla sperimentazione; o focus sui bisogni, ma anche sui desideri, sulle resistenze al cambiamento, ma anche nella vitalità desiderante generativa e innovativa.
1.1. Uso dell'approccio empowerment per lo sviluppo delle persone e della cultura organizzativa I metodi principali utilizzati per questo sviluppo sono la formazione — soprattutto di tipo managerial comportamentale — e i sistemi di sviluppo risorse umane (potenziale, valutazione, credibilità, incentivi). L'obiettivo è quello di rafforzare le persone in termini di empowerment personale e di indirizzare l'evoluzione della cultura organizzativa verso orientamenti che facilitano l'empowerment diffuso dell'azienda. Elenchiamo di seguito, anche con una certa cura, i principali di tali orientamenti, cercando di sottolineare gli aspetti dove l'approccio empowerment immette alcuni elementi di originalità: • l'aumento di autonomia e discrezionalità. L'importanza della persona ed in particolare della sua responsabilizzazione della fiducia in se stessa e del suo approccio positivo sono le dimensioni psicologiche dell'empowerment; • l'importanza e la capacità del lavoro in team, anche perché il team rende possibili livelli di risultato e salti di qualità altrimenti irraggiungibili; • l'orientamento alla mobilità come avvenimento non straordinario; • la crescita continua di capacità e know-how, e il rapporto con l'azienda basato su questo principio; • la valorizzazione del ruolo della vitalità desiderante nell'alimentare progetti, innovazione, imprenditività; • l'orientamento al miglioramento continuo (già tipico dell'approccio qualità), ma anche ai possibili salti di qualità con aspetti di discontinuità: • la valorizzazione di razionalità e obiettivi, ma anche delle valorialità e dei sogni organizzativi in azienda (a volte sostenuti dagli strumenti vision e carta dei valori); 84
• l'incoraggiamento alla sperimentazione, alla possibilità di sbagliare; • il superamento della rigida separazione tra area lavorativa e sfera personale, soprattutto perché comuni sono le capacità di fondo tipiche della persona, di cui è indispensabile l'investimento anche sul lavoro quando le prestazioni richieste sono sempre di eccellenza, come oggi sempre più spesso avviene; • i modelli di relazione organizzativa fra persone responsabili, dotate di risorse, capaci (piuttosto che tra bisognosi, competitivi, insoddisfatti); • la autogestione almeno parziale dei gruppi di lavoro e la rifocalizzazione del ruolo di capo di primo livello come facilitatore; • nuove crucialità nella funzione di leadership, tra cui quella di costruire e comunicare vision e quella di facilitare empowerment e crescita dei collaboratori; • sviluppo della capacità di pensare e alimentare più possibilità contemporaneamente: "et-et" piuttosto che "out-out" nei risultati da perseguire, nei ruoli da svolgere, nelle competenze, nelle capacità da utilizzare e sviluppare. Questi orientamenti in parte recuperano la tradizione dello sviluppo risorse umane ed organizzative (per esempio delega, fattore umano, partecipazione, antiautoritarismo); in parte introducono elementi originali tipici dell'approccio empowerment (per esempio la responsabilizzazione accentuata e richiesta; l'autogestione, la valorizzazione contemporanea sia del protagonismo individuale sia del team). L'esigenza di indirizzo della cultura e del rinforzo psicologico delle persone nella direzione dell'empowerment viene sentita dal management soprattutto quando si è alla vigilia di innovazioni e mutamenti importanti: o essendone consapevoli o perché se ne avverte appunto l'esigenza. Accade anche quando, pur non essendoci necessità immediate, c'è stimolo verso modelli più avanzati di funzionamento d'impresa: ad esempio, di orientamento al mercato, al servizio, al cliente; ad esempio per una evoluzione delle tecnologie e dei prodotti-servizi del settore; ad esempio per funzioni dell'opinione pubblica nel caso della pubblica amministrazione. I sistemi di gestione e sviluppo risorse umane offrono diverse possibilità, per esempio: CI introducendo voci nuove nei sistemi di valutazione del potenziale, di gestione per obiettivi, di misurazione delle prestazioni; o facilitando la mobilità sistematica e non solo sporadica; o articolando gli incentivi sui tre livelli: individuale, di team, organizzativo; 85
o strutturando anche per competenze (e non solo per ruoli e livelli) i sistemi di incentivazione. Nella formazione, ai corsi tradizionali, che continuano anche per creare nuova e comune cultura, si aggiungono altre modalità e canali: o formazione in parte autogestita, a supporto del self development; o formazione per percorsi articolati e a volte personalizzata con piani individuali; o formazione sul lavoro, guidando all'utilizzazione di risorse organizzative già presenti, da usare di più e meglio per l'efficienza produttiva, ma anche per fmalità di apprendimento e crescita.
1.2. Uso dell'empowerment a supporto dei processi innovativi I principi orientatori dell'empowerment, nel paragrafo precedente visti in dettaglio come elementi di fattore umano e culturale, vengono qui applicati su contenuti di innovazione specifica: l'empowerment fornisce lo strumento di tipo "soft" a fronte di innovazioni organizzative "hard" che l'organizzazione comunque introduce. Dal punto di vista dell'empowerment come strumento di supporto ai processi innovativi è importante: • la sollecitazione della cultura e del fattore umano di cui si è parlato al punto precedente, questa volta declinata su contenuti e sfide molto precise; • trattare le persone come adulti, responsabili, capaci, mai "dipendenti": avvicinando i livelli gerarchici e i settori diversi anche nei modi e nei canali di comunicazione; • la formazione applicativa sul contenuto e il metodo dell'innovazione, ed anche a sostegno della risorsa forza delle persone nell'affrontare i propri inevitabili punti di debolezza. In particolare aiutando a mobilitare la vivacità, dell'io desiderante, a costruire nuova pensabilità positiva, del nuovo e di sé nel nuovo organizzativo, ad aggirare le difficoltà storiche soggettive di persone e ruoli; • la consulenza metodologica e l'assistenza processuale al team building, alle metodologie di lavoro per sistemi di gruppi innovativi, alle modalità extra-ordinarie di comunicazione e coinvolgimento che le grandi innovazioni richiedono, se si vuole che le persone siano protagonisti e non meri esecutori; 86
• il potenziamento degli strumenti e delle informazioni a disposizione e l'aiuto nel loro uso (normale a regime a innovazione realizzata, ma per le persone non facile all'inizio).
1.3. Intervento organizzativo di empowerment È questa la forma più appariscente ed esplicita di utilizzo dell'approccio empowerment: in quanto esso si traduce non solo in aspetti di cultura e gestione del fattore umano, ma anche in formule o comunque azioni organizzative. Inoltre l'intervento di empowerment non è soltanto considerato come strumento di supporto ad innovazioni che avverrebbero comunque: in molti casi qui l'empowennent diventa componente degli stessi obiettivi dell'azienda, spessoaffiancato a quello della people satisfaction. Le forme di azione organizzativa maggiormente ispirate (più o meno esplicitamente od implicitamente) all'approccio dell 'empowerment, sono: • l'organizzazione del lavoro per gruppi autogestiti e, per ampliamento e generalizzazione di tale modello, l'organizzazione strutturale per gruppi responsabili di un intero processo-risultato (per certi aspetti il caso delle UTE della Fiat); • il management by vision, che utilizza vision e valori anche esplicitamente formulati: in genere costruiti con grande investimento e coinvolgimento; talvolta la vision è formulata sinteticamente, talvolta invece è frutto e sintesi di un grosso lavoro negli scenari, nelle specificità aziendali, nelle strategie, che ha coinvolto decine o centinaia di persone e la metodologia della vision e dei valori discende poi dall'intera azienda fino ai singoli gruppi e settori: non solo come declinazione aziendale top down, ma anche come metodologia di empowerment di ogni singolo gruppo, ufficio, reparto, utilizzando gli aspetti generali aziendali e caratterizzandosi in più ciascuno; • •i sistemi innovativi di gestione e sviluppo risorse umane che aprono nuove possibilità, in particolare per esempio: o verso la possibilità di gestione e sviluppo anche personalizzato. Come nel caso di una variabilità accentuata delle forme di controllo; di sistemi di gestione e sviluppo delle risorse umane basati sulle competenze possedute e via via accresciute; di sistemi di formazione per piani e percorsi anche individuali; o verso la possibilità di autogestibilità almeno parziale dei sistemi aziendali di sviluppo del personale e nell'ottica del self deve87
lopment: con autogestibilità per esempio della formazione, della ricerca di posizioni desiderate in azienda, della misurazione a fini di orientamento del potenziale; o con la disponibilità di aiuti e feedback personalizzati: per esempio con sistemi di tutoring, mentoring; coaching; per esempio con disponibilità di counseling individuale; o verso la possibilità di una cultura ed una pratica normale della mobilità dentro l'azienda (e con supporto al di fuori): essendo la mobilità il fattore di imprinting quasi necessario per i fondamenti dell'empowerment della scelta, dell'assunzione di responsabilità, della pluralità di possibilità: o alcune aziende, fin dall'assunzione, addirittura aiutano le persone a compilare i loro curricula per usi sia interni che esterni; così come aiutano le persone a mettersi in proprio dopo che hanno collaborato a lungo con l'azienda e se non trovano più gli sbocchi desiderati; • metodologie di survey sulla people satisfaction, sull'apprezzamento delle persone riguardo ai diversi aspetti dello stare e del lavorare in azienda; metodologie di valutazione anche dal basso (upward appraisal) o a 360°. Queste metodologie sono anche simbolicamente significative, perché sottolineano come soddisfazione ed empowerment delle persone diventino intrinsecamente uno degli obiettivi aziendali, non più solo fattore (umano appunto) finalizzato solo strumentalmente ad altri tipi di risultato. Empowerment diventa qui anche un modo di essere dell'azienda oltreché un fattore di efficienza ed efficacia; • metodologia sistematica dei "team per l'innovazione": che si aggiungono alla struttura di normali produttività e funzionamento organizzativo, per progettare innovazioni e possibili salti di qualità nei risultati. Questi gruppi sono tipicamente a cultura empowerata, hanno ruoli di facilitazione e assistenza, dispongono di risorse privilegiate; • • metodologia sistematica di potenziamento concreto delle risorse: messe a disposizione dalle persone (e dei team) per consentire loro oltreché risultati di migliore livello, anche maggiori autonomia e discrezionalità, crescita durante il lavoro, empowerment. Si tratta non solo di risorse tradizionali come macchinari e budget, ma anche ed in particolare di sistemi di informazione, di sistemi di feedback rapidi sui risultati raggiunti di ampliati canali comunicativi, di nuova e più ampia legittimazione nei rapporti organizzativi interni ed esterni. 88
1 .4. Empowerment ispiratore del modello di funzionamento organizzativo In alcune aziende, soprattutto multinazionali, si può notare che quasi tutte le forme di empowerment citate precedentemente come nuove introduzioni, siano già state percorse e siano diventate stabilmente componenti normali del funzionamento organizzativo nei suoi aspetti di tipo sociale. Diciamo, per esempio, che fanno parte del funzionamento abituale: l'organizzazione del lavoro per gruppi autogestiti, la focalizzazione e l'utilizzo aziendale ai vari livelli di vision e carta dei valori; la strumentazione abbondante a sostegno di informazione, comunicazione, esercizio di autonomia e discrezionalità; i sistemi di sviluppo delle persone largamente autogestibili; le survey nei diversi aspetti di clima, di apprezzamento, di people satisfaction, di empowerment; i sistemi articolati di team innovativi; la mobilità interna; il supporto per chi vuole esplorare possibilità non solo interne ma anche esterne all'azienda, magari mettendosi in proprio; l'assistenza al team building; il counseling individuale; l'aiuto di mentori e/o tutor e/o coach; la formazione anche come centro di disponibilità e personalizzata; gli incentivi nel triplice livello individuale, di gruppo, organizzativo; la possibilità di forme contrattuali diverse e/o originali; la abbondanza di supporti per la comunicazione, la discrezionalità, il feedback sui risultati del lavoro fatto. Sono generalmente aziende che hanno già, in passato, attraversato il periodo di crucialità della direzione per obiettivi, dello sviluppo organizzativo orientato alle risorse umane della qualità totale. Spesso hanno già da tempo sperimentato la metodologia del Business Process Reengineering, l'orientamento all'organizzazione per processi, la ristrutturazione per una organizzazione snella, il miglioramento drastico dei processi risultati, le metodologie di misurazione accurata della customer satisfaction e dei parametri che vi concorrono. Le condizioni di queste aziende non sono generalizzabili né il loro modello è necessariamente da imitare in altre e diverse condizioni; tuttavia è interessante osservare come i principi dell'empowernient, in genere utilizzati per introdurre innovazioni, qui siano diventati componenti stabili del funzionamento organizzativo.
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2. Modelli e tipi di empowerment Se pure, come abbiamo visto, il concetto di empowerment origina all'interno della psicologia di comunità negli anni '60, troverà — un ventennio dopo — il suo massimo punto di sviluppo all'interno della letteratura manageriale e organizzativa. Artefice della mutuazione del concetto in campo organizzativo fu l'americana Rosabeth Moss Kanter (1977, 1985), impegnata nel tentativo di una ridefinizione delle tradizionali dinamiche di potere nelle organizzazioni di lavoro di matrice burocratica. Già Weber (1961) aveva sottolineato il nesso tra burocrazia e organizzazioni di lavoro, individuando, all'interno dello sviluppo dell'impresa moderna, il passaggio all'amministrazione burocratica come il fattore, lo strumento efficiente ed efficace di sviluppo degli affari. Secondo il sociologo tedesco le moderne organizzazioni di lavoro sono un esempio emblematico di rigida organizzazione burocratica, fondate su di una rigida ed oggettiva — potremmo dire "scientifica" — divisione del lavoro su principi di competenza. È chiara dunque la coerenza tra la lettura taylorista dell'organizzazione del lavoro e il contributo di Weber: le imprese sono organismi ingegneristicamente concepiti per l'ottimizzazione dei risultati economici sulla base di un sistema di procedure operative svolte da ruoli precisi. Tutto può essere ricondotto, al loro interno, ad un calcolo razionale di costi e profitti, che è del resto il motivo della notevolissima espansione del modello capitalista. Tuttavia questo modello apparentemente "perfetto" porta una conseguenza non irrilevante sul piano psicologico: l'organizzazione è tanto più efficace quanto più spersonalizza i suoi membri, ossia quanto più riesce ad escludere dai propri processi aspetti relazionali ed emotivi. Ciò implica che l'organizzazione burocratica, nel chiedere ai propri membri una limitazione della propria personalità, tende a produrre uno stile comportamentale tendenzialmente amorfo e affettivamente neutrale che può condurre ad una sostanziale indifferenza nell'azione. Merton (1949) individua come peculiari conseguenze disfunzionali dell'organizzazione burocratica il ritualismo — tale per cui sostanzialmente l'adesione alle regole da mezzo per il perseguimento dei fmi organizzativi si trasforma nel fine stesso del lavoratore — e l'incapacità di adattarsi al cambiamento e all'innovazione. Oltre a questi due tratti dobbiamo notare come l'organiz72zione burocratica porti intrinsecamente il rischio della su-
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pina accettazione — almeno apparente' — del potere gerarchico dell'organizzazione. Questo fa sì che, come nota Gouldner (1954), l'organizzazione burocratica sia essenzialmente funzionale, non tanto al raggiungimento di fini organizzativi razionali, quanto al mantenimento di un potere gerarchico e relazionale da parte di quanti, nell'organizzazione, ne dispongono. Per poter perseguire tale obiettivo implicito risulta evidente che la via maestra è quella che passa per una spersonalizzazione della base organizzativa, attuabile — da un punto di vista sociologico — attraverso l'irrigidimento di norme e procedure nonché — da un punto di vista più prettamente psicologico — attraverso l'affermazione di un modello antropologico dicotomico in cui l'espressione pubblica dell'individuo, nello specifico quella lavorativa, e quella privata seguono regole funzionalmente differenti. Conseguenza pratica della prospettiva burocratica sarà dunque il costituirsi di gruppi, all'interno dell'organizzazione, dotati differentemente di potere. Tali gruppi, solo teoricamente di pari, saranno la proiezione orizzontale di una rigida gerarchia verticale. Il modello del potere relazionale — dominante — verrà imitato dalla base dell'organizzazione cercando di perseguire diverse forme di vantaggio di un gruppo o di una categoria sull'altro. L'obiettivo dichiarato della Kanter, dunque, è quello di recuperare lo svantaggio di alcune categorie di persone (in particolare quella delle donne) all'interno delle aziende. Secondo l'autrice infatti tale svantaggio coincide con la condizione di mancanza di potere, causato appunto da una organizzazione burocratica. A partire da questi primi studi, ben presto l'empowerment diventò un concetto assai popolare nella letteratura manageriale e organizzativa fino ad assumere caratteristiche di un "concetto ombrello", abbastanza ampio da contenere tra le sue "stecche" infinite accezioni e infmiti collegamenti. Citiamo a mo' di esempio quattro possibili categorie di significati entro cui si può far ricadere il concetto di empowerment nelle organizzazioni. 1. Empowerment come responsabilità diffusa. Nei modelli di qualità totale spesso viene utilizzato il termine per intendere l'inevitabilità di un decentramento decisionale nel processo produttivo. In questo senso, il la1. In effetti lo stesso Merton nota, accanto all'attuazione esplicita ed organizzata di comportamenti subalterni — finalizzati al perseguimento lineare degli scopi organizzativi —, il possibile manifestarsi di uno "spirito di corpo" — latente — che può portare ad azioni di disturbo verso i superiori gerarchici; ad esempio, mediante la mancata trasmissione di informazioni necessarie al raggiungimento degli scopi comuni.
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voratore non può più essere un mero esecutore, ma deve agire responsabilmente, talvolta anche in autonomia, nella sua azione. 2. Empowerment come elemento della leadership. Spesso si sente dire che nelle nuove organizzazioni che il leader non può più limitarsi ad essere "democratico" o "partecipativo" o "orientato alle relazioni", ma deve essere "empowering", intendendo con questo termine la capacità di stimolare l'assunzione di responsabilità, l'autonomia , la creatività dei propri collaboratori. 3. Empowerment nel Business Process Reengineering. Nei processi di reingegnerizzazione organizzativa il termine viene inteso come allargamento — tendenzialmente a tutti nell'organizzazione — della capacità di problem solving. In questo senso l'empowerment porta ad uno spostamento del focus da un know how "esperto" al know how diffuso ed elementi di successo diventano i sistemi di learning organization e di mappatura del know how. 4. Empowerment come cambiamento. Nelle organizzazioni in cambiamento empowerment diventa sinonimo di interiorizzazione individuale del cambiamento stesso. In altri termini lo sviluppo della persona viene considerata il prerequisito per il raggiungimento di una condivisione esperienziale delle nuove modalità di funzionamento dell'organizzazione. Purtroppo dobbiamo rilevare che spesso questo eccesso di accezioni, significati, collegamenti non porta vantaggio reale alla comprensione e alla valutazione del concetto di empowerment. Anzi, ci pare talvolta di leggere tra le righe una sottile diffidenza oppure un pregiudizio un po' cinico che porta i membri delle organizzazioni ad avere, nei confronti dell'empowerment, il medesimo atteggiamento che vi fu — 50 anni prima — nei confronti della scuola delle relazioni umane: un modo "soft" per addolcire la durezza di fondo delle organizzazioni. In questo senso, la lettura più ingenua, ma più diffusa, sembra essere quella di un "gasamento", un po' terapeutico e un po' manipolatorio, nei confronti delle persone che, altrimenti, verrebbero schiacciate da una organizzazione che pretende sempre di più in termini di tempo, di energie ed anche di affetti. Non vogliamo ignorare questa possibilità, tuttavia crediamo che questa forma sia ultimamente un vantaggio per le persone, anche probabilmente per noi quando ci costringe a una ristrutturazione del concetto stesso al fine di identificarne i principi ed i limiti. 92
In letteratura (Piccardo, 1994; 1995) possiamo trovare prevalentemente due differenti interpretazioni del processo di empowerment della persona. 1. Secondo la prima, il processo di empowerment si avvia a partire dall'identificazione delle cause dell'inadeguata sensazione di potere personale (powerlessness). In questo senso, la riduzione di tale sensazione negativa viene perseguita attraverso strategie particolari che sono appunto strategie di empowerment. Da questo punto di vista qualunque strategia che si propone di ridurre la sensazione d'inefficacia è dunque una strategia di empowerment. Il punto critico nel processo, che la Piccardo sottolinea nel suo schema, sta nella verifica della persistenza, cioè della costanza nel tempo di tale riduzione. 2. In una seconda intepretazione, l'empowerment prende il via da una valorizzazione dei punti di forza già presenti nel soggetto, attraverso l'identificazione delle aree di risorse da ottimizzare. Il passo operativo è dato dalla ricerca e dalla sperimentazione di strategie di aumento del potere personale centrate su tali aree. Sarà tale sperimentazione che consentirà poi di consolidare l'esperienza di successo che farà aumentare il livello di empowerment nell'individuo. Se pure — a nostro avviso — l'empowerment è un approccio alla persona e, in quanto tale, il punto di partenza per esso è comunque un processo di self empowerment, dobbiamo considerare che la persona sganciata dal suo contesto di relazione rischia di essere percepita come un ente astratto. Volendo invece considerare la categoria dell'empowerment come un elemento applicativo, dobbiamo inevitabilmente affrontare la persona nel gioco delle sue relazioni. In questo senso, in letteratura troviamo diverse tipologie di empowerment, differenziate in relazione al proprio contesto sociale di riferimento. Come dicevamo il punto di partenza risulta essere sempre l'individuo, ma l'unità basica applicativa diventa l'individuo in rapporto con il proprio gruppo, la propria organizzazione, la propria comunità o, addirittura, con la società. Vogliamo dunque — di seguito — provare a fornire alcune linee, descrittive ed applicative, delle differenti tipologie di empowerment in relazione a questi diversi contesti relazionali.
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2.1. Empowerment di gruppo Al di là del "potenziamento" delle singole persone si può pensare ad un empowerment del gruppo in cui le persone sono inserite? La questione non è banale dato che numerosi autori hanno messo in evidenza come il gruppo rappresenti un oggetto sociale 'altro' rispetto alla semplice sommatoria delle caratteristiche personali dei suoi membri. Se — pure — intendiamo per gruppo un insieme di persone in interazione reciproca che agiscono per il raggiungimento di un fine comune, possiamo evidenziare alcune caratteristiche che ne fanno un oggetto unitario: lo sviluppo di dinamiche specifiche al suo interno — in particolare riferibili ai meccanismi d'identificazione, appartenenza e motivazione —, la peculiarità dei suoi processi di comunicazione e relazione rispetto alla interazione diadica, la presenza di fattori formali e/o informali legati all'esercizio della leadership, le diverse metodologie utilizzate nel problem solving e nel decision making rispetto a quelle in uso a livello individuale sono solo alcune delle caratteristiche che fanno di un aggregato di diverse personalità un vero e proprio gruppo. In ambito lavorativo l'esempio più eclatante di empowerment di gruppo è rappresentato dai cosiddetti "gruppi di lavoro auto gestiti". Questo tipo di organizzazione del lavoro costituisce — peraltro — l'applicazione aziendale più nota e diffusa dell'approccio empowerment; in lingua inglese viene denominata con la sigla SDWT, Self Directed Work Teams, ovvero col termine empowered teams. Si concretizzano infatti applicativamente quasi tutti i principi di base dell'empowerment organizzativo. La definizione di gruppo autogestito, o empowerizzato, è data dalla presenza almeno dei quattro fattori seguenti: a. "ricomposizione dell'intero processo-risultato". Il gruppo è responsabile di tutte le attività di un intero processo produttivo e del suo risultato: misurabile, significativo, da consegnare a cliente (esterno od interno) ben individuato; b. "autogestione del gruppo". Il gruppo è responsabile anche degli aspetti di gestione (almeno quelli di solito di competenza del capo intermedio di l° livello). All'interno del gruppo non c'è un vero e proprio capo, ma è designato un "facilitatore", a volte fisso a volte a rotazione: parecchi gruppi fanno riferimento ad un unico capo di livello superiore. La quantità-qualità delle funzioni di gestione diventate di competenza del gruppo, è nella realtà variabile: dalla programmazione del lavoro (sicura), alla innovazione dei metodi di lavoro (spesso), alla gestione di assunzioni e premi economici (per adesso quasi mai in Italia). 94
Tendenzialmente è richiesto ad ogni membro del gruppo di saper fare tutte le attività. Questo è comunque un obiettivo tendenziale: all'inizio sono necessari diversi mesi di training on the job per allargare progressivamente lo spettro delle competenze delle singole persone; c. "strumentazione": il gruppo ed i suoi membri dispongono di maggiorimigliori strumenti (anche informatici), per poter svolgere il lavoro con maggiore autonomia e per avere visibilità immediata dei risultati; d. "salto di qualità": i risultati raggiunti sono generalmente più ampi (quantitativamente e qualitativamente) di quelli prima permessi dalla sommatoria degli individui nell'organi7z2zione tradizionale.
2.2. Empowerment organizzativo Sempre più frequentemente si legge e si sente parlare di organizzazione "empowerizzata" o "empowerizzante". Generalmente — come abbiamo già visto — ci si riferisce con questi termini a modelli organizzativi particolarmente focalizzati sull'autonomia e la responsabilizzazione delle diverse popolazioni aziendali. Anche dal punto di vista strutturale l'empowennent organizzativo provoca delle conseguenze importanti, di solito rispetto alle tradizionali strutture gerarchiche, nelle aziende che seguono un modello orientato all'empowennent c'è la sicura diminuzione di almeno un livello gerarchico, rispetto alla organiz72zione tradizionale del lavoro. Spesso — in tali aziende — ci si collega ad un modello più ampio di lean organization. Dal punto di vista degli strumenti organizzativi, oltre a quello rappresentato dai self directed work teams, ci sono ormai numerosi altri esempi di applicazioni per l'empowerment organizzativo, di seguito ne riportiamo alcuni. 2.2.1. Salti di qualità e discontinuità organizzative, con un forte coinvolgimento delle risorse
Quando si vogliono realizzare veri e propri salti di qualità aziendali, la cultura dell'empowerment fornisce il supporto più efficace e coerente per il coinvolgimento delle persone e per lo sviluppo delle risorse umane. Esempi di aree di salto di qualità, sono dati dalle tipiche voci del business process reengineering: aumento del livello di servizio, diminuzione dei costi, miglioramento della qualità, riduzione dei tempi. Tendenzialmente si cor95
rela con l'uso dell'approccio dell'empowerment anche la contemporanea introduzione e implementazione di modelli innovativi di organizzazione, quali: lean organization; concurrent engineering; just in time; organizzazione per processi. Rispetto all'approccio della qualità totale, l'approccio dell'empowerment (che spesso lo segue e lo continua) aggiunge e valorizza l'aspetto delle possibilità di "discontinuità" per consentire salti di qualità, rivelatisi necessari in tempi rapidi. Negli approcci tradizionali, le discontinuità organizzative sono di solito studiate e realizzate dal management o da gruppi ristretti: nell'approccio dell'empowerment è invece prevista la mobilitazione di "nuove" risorse da parte della maggioranza del personale (non quindi solo quello di vertice), il quale viene coinvolto nei salti di qualità in due modi: + a priori, in fase di studio-progettazione-preparazione, partecipando a gruppi di studio, apposite azioni formative, iniziative speciali consistenti (come già nella tradizione dello sviluppo organizzativo); • in fase di realizzazione, mobilitando per tutti e per ciascuno anche elementi fortemente innovativi quali: nuove competenze, capacità, responsabilità; nuove attività; nuove strumentazioni disponibili e più ampi risultati richiesti; nuove modalità di gestione e sviluppo del personale; nuovi sistemi di cooperazione; nuova organizzazione del lavoro, spesso in gruppi autogestiti. 2.2.2. Management by vision e carte dei valori
Secondo l'approccio dell'empowerment, il primo compito del management (a tutti i livelli, anche infine della singola persona rispetto a se stessa) è di costruire, comunicare, partecipare una "vision" del futuro aziendale emozionante, positiva fino ai limiti del possibile, capace di consentire di rispondere a domande quali "perché fare fatica? Perché rischiare?". Si tratta anche di creare la possibilità di aggregazione attorno ad un contratto psicologico condiviso: è come se ad ognuno si dicesse: abbiamo questi scopi e questa visione del futuro, crediamo in questo modo di lavorare insieme, ci siamo scelti queste regole e abbiamo fede in queste cose: vuoi venire a lavorare con noi?
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2.2.3. Percorsi di sviluppo individualizzato
L'orientamento all'empowerment suggerisce di sviluppare sistemi che trattino ogni persona come un elevato potenziale; d'altro canto ogni persona è chiamata a ritenersi responsabile primaria del proprio sviluppo in azienda. Le risorse umane a tutti i livelli non sono quindi più gestite solo per fasce, ruoli, livelli, categorie, gruppi professionali, ma anche come persone, essendo ognuna considerata come un mondo completo e complesso e dinamico in se stessa. 2.3. Empowerment di comunità Alcuni autori — come abbiamo visto — ritengono che il concetto di società sia un concetto astratto, sganciato da una reale implicazione con l'innata relazionalità umana. Secondo questi autori, la società sarebbe un costrutto artificiale, caratterizzato da una normatività meccanica frutto di un "contratto" esterno alle persone che-ne partecipano; al contrario la comunità — unità basica elementare della vita sociale — troverebbe il suo fondamento in un sistema di valori, esperienze, credenze "naturalmente" presenti e condivise tra i propri membri. La comunità, e in particolar modo la comunità locale, sembrerebbe in tal senso luogo privilegiato di empowerment attraverso l'attivazione dei propri membri e lo sviluppo della loro capacità di incidere sulla realtà (Martini, Segui, 1988). In questa prospettiva l'empowerment di comunità si configura come un processo che, attraverso un incremento delle risorse utilizzabili per risolvere problemi personali e comuni ed assumere decisioni a riguardo nonché una facilitazione della partecipazione attiva nelle decisioni collettive (fmo al livello della partecipazione politica), porterà i membri della comunità ad uno sviluppo della propria percezione di potere, ad uno sviluppo del proprio sentimento di appartenenza alla comunità, più in generale, ad una più ampia attivazione personale. Strumenti tipici dell'empowerment di comunità sono le consulenze finalizzate all'identificazione ed all'implementazione di "reti" relazionali che supportino la persona e la sua comunità nelle strategie di by-pass dei problemi e dei disagi emergenti e — di conseguenza — nel processo di empowerment.
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7. Formazione incisiva*
Vogliamo qui aggiungere qualche risposta in più a domande, importanti per i formatori di professione, quali: come si fa a progettare la formazione tenendo conto dell'iter del processo di apprendimento e traendone indicazioni guida non solo teoriche ma anche operative; come instaurare un rapporto vivifico con la committenza; - come perseguire una relazione soddisfacente, efficace e valorizzante tra formatori e usufruitori (qui ci riferiamo soprattutto alla formazione d'aula); come rendere il "fare formazione" più gratificante per i diversi attori, formatori compresi. Partiamo qui da alcune ipotesi, che svilupperemo nei paragrafi successivi, emergenti applicando l'approccio dell'empowerment alla formazione: • che la finalità operativa di un processo formativo sia definibile come quella di aiutare le persone ad aprire per sè una nuova possibilità (o grappolo di nuove possibilità); • che il ruolo della formazione e del formatore siano quelli di facilitatori di questo percorso, di cui il soggetto è inevitabilmente il protagonista • che il risultato della formazione, in quanto "apertura di nuove possibilità", sia abbastanza facilmente misurabile e specifico; • che per migliorare l'efficacia della formazione e dei formatori, si possa utilizzare anche il modello di lettura del self empowerment, ovvero del processo di apertura di nuove possibilità, risultando così più facile • Nel presente capitolo sono rielaborate anche alcune delle tematiche contenute nel saggio di M. Bruscaglioni "Formazione Empowerment", nella rivista Adultità (2,1995) diretta da Duccio Demetrio (Guerini e Associati).
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l'individuazione dei passaggi e delle componenti chiave dell'apprendimento-empowerment, potendosi così organizzare la didattica facilitatrice sui punti cruciali.
1. Apprendimento come potenziamento: la progettazione quadri-componenziale della formazione Il risultato dell'apprendimento può essere letto come acquisizione di una o più nuova possibilità da parte del soggetto: né cambiamento, ancora, né stabilità, ma un terzo tipo di variazione che è quella dell'aumento di possibilità tra cui la persona può attingere e scegliere. Il processo di apprendimento può essere letto come processo di self empowerment. Abbiamo verificato questa ipotesi in innumerevoli aule ed azioni formative. Sono infatti fondamentali e simili i fattori in gibco: risorse, strumenti, competenze da acquisire all'esterno; risorse interne (alla persona) da elaborare e problemi storici da superare; pensabilità nuove da aprire e da rendere positive; desideri e voglie da mobilitare; esigenze e necessità di cui tenere conto. L'assimilazione del processo di apprendimento a quello di empowerment ha il grosso pregio di fornire chiarezze nuove su quelle che sono le dinamiche fondamentali in gioco nell'apprendimento e nella formazione; su come se ne favorisce l'evoluzione e l'esito favorevole; su come si deveno fornire diversi tipi di contributo in diverse fasi del processo. Soprattutto si evidenzia come l'intero percorso di apprendimento sia da supportare con quattro componenti di formazione, caratterizzate per obiettivi diversi e per specifiche metodologie — risorse — set da utiliz72re: I) formazione
munque le quattro componenti o fasi fondamentali: più o meno mescolate tra loro, più o meno distinte e sequenziali o circolari. È utile evidenziarle perché (anche riferendosi solo alla didattica d'aula), portano a prevedere l'articolazione della formazione in quatto distinti tipi di metodologie, risorse, funzioni e attività del formatore-facilitatore, set didattici. Ci riferiremo implicitamente a oggetti di applicazione della formazione quali: nuova organizzazione del lavoro e nuovo ruolo-professionalità in impresa; nuova organizzazione della didattica nella scuola e corrispondente formazione insegnanti; preparazione al profilo nella scuola professionale; sviluppo di una nuova skill sul lavoro. formatore è allora focalizzabile essenzialmente come un organizzatore di «concentrazione» di risorse per l'apprendimento-empowerment; così come la formazione organizzata è concepibile come concentrazione ottimale di risorse per l'empowerment delle persone; risorse, secondo lo schema esposto di quattro tipi: di tipo orientamento, di tipo competenza, di tipo elaborazione, di tipo azione.
Il
1.1. Formazione orientamento Principali indirizzi e metodologie (per ottenere l'obiettivo della costruzione di nuova pensabilità positiva, della innovazione-possibilità realizzata e del soggetto positivamente in essa): • organizzare l'incontro con persone-testimoni che vivono e conoscono l'innovazione già realizzata (la "pensabilità" viene così "materializzata"); • spiegare bene, molto bene, com'è la nuova organi77azione e/o ruolo e/o metodologia e/o capacità esercitata. La costruzione di pensabilità ha infatti bisogno di molte informazioni ed elementi di conoscenza prefigurativa; • aiutare le persone, in questa prima fase di orientamento, a immaginare situazioni future e desideri realizzati senza porsi per adesso, il problema del come e delle risorse per arrivarci; • ancora prima, "rimobilitare" la funzione desiderante dei soggetti. Laddove ciò fosse spontaneamente difficile (quando per esempio la nuova possibilità è richiesta per iniziativa dell'organizzazione più che delle persone), la mobilitazione dell'io desiderante può per esempio essere facilitata stimolando il ritorno al passato (quali desideri si avevano per 100
esempio all'inizio del lavoro o al momento del passaggio all'attuale ruolo); oppure facilitando il salto nel futuro (quali sogni non impossibili, quali visioni, quali salti di qualità sono desiderabili come realizzati fra tre o cinque anni); • aiutare quindi a focalizzare i bisogni, le necessità, i problemi, le pressioni percepite dall'esterno, e aiutare a evidenziare i punti di incontro con i suddetti desideri e sogni. Valorizzando anche l'analisi degli "intervenienti", cioè dei fattori di novità emergenti nell'ambiente e nella persona stessa; • anticipare in parte la successiva fase della formazione «elaborazione», aiutando le persone a lavorare su quelle proprie difficoltà soggettive che si opponessero anche alla sola formulabilità di pensabilità del nuovo; • fornire il panorama, il quadro generale, la vision d'insieme in cui l'innovazione si pone; spiegare bene i come e i perché; collegare passato-presente-futuro; • accentuare gli aspetti positivi del nuovo; o almeno astenersi dal "criticismo" socio-universal-esistenziale che, apprezzabile da molti punti di vista, non aiuta però il soggetto nel suo sforzo di immaginare positivamente il futuro e, soprattutto, se stesso "bello" nel futuro. set didattico della formazione orientamento è di tipo "comunicativo", con più interazione possibile tra chi espone nuova pensabilità e chi la sta costruendo.
1.2. Formazione competenza Costituisce l'aspetto più evidente e tradizionale della formazione. L'approccio dell' empowerment si limita a raccomandarne il collegamento con le altre fasi e componenti del processo di empowerment: senza tale collegamento, infatti, questa fase impegnativa dell'acquisizione di competenze rischia spesso di cominciare bene ma poi di arenarsi presto di fronte alle difficoltà e alla fatica che quasi inevitabilmente richiede. set è spesso quello didattico, più o meno tradizionale o attivo. L'approccio dell' empowerment aiuta a ricordare alcuni utili accorgimenti: • utilizzare la pensabilità positiva come guida costante al lavoro di acquisizione di competenze (con percorso quindi inverso, rispetto a quello della didattica tradizionale: la quale parte dalle basi per arrivare solo in fondo al prodotto finito e alla sua rappresentazione-pensabilità); 101
• ricollegare, il più spesso possibile, il faticoso lavoro delle competenze
alla mobilitazione iniziale della funzione del desiderio: infatti, se sospinta solo da bisogno/necessità, la persona rischia di fermarsi presto, accettando di pagare il prezzo previsto. La forza del desiderio, invece, in un certo senso "non molla mai" (si pensi a ciò che quasi tutti fanno per un uomo o una donna desiderata; o per crescere un figlio; o per una bella vacanza; o per uno sport; o per una convinzione morale o ideologica amata); insegnare anche la competenza dell'instaurare rapporti con quelle persone, quelle sedi, quelle istituzioni che costituiscono risorse importanti, è per certi versi indispensabile: prima per crescere e maturare nuove possibilità, poi per realizzarle; • individuare quali specifici passaggi (della costruzione di competenze) risultano più difficili per gli allievi: spesso il docente propone infatti un cammino lineare-uniforme, mentre invece gli allievi perdono contatto su uno o pochi passaggi cruciali (ma da lì in poi il processo di apprendimento s'interrompe); • dare più feedback possibile: in modo che la persona si renda conto non solo di ciò che ancora manca, ma anche di ciò che ha già realizzato; secondo la lettura dell'empowerment, l'abbandono nella costruzione di competenze e nella ricerca di risorse è dovuto soprattutto allo scoraggiamento precoce per la lentezza nella percezione di raggiungimento dei risultati.
1.3. Formazione elaborazione È la componente più psicologica della facilitazione dell' empowerment e della formazione: spesso le persone (o le popolazioni) sono bloccate, nei comportamenti nuovi e ancor prima nel loro apprendimento-sperimentazione, da ostacoli soggettivi quali: paure antiche; sfiducia nelle proprie capacità; indebolimento della speranza; convinzioni persistenti anche se superate dai fatti; collegamenti emozionali cristallizzati; cecità di fronte a nuove risorse interne personali e/o a nuovi fattori sociali. La fmalità della formazione elaborazione è quella di aiutare ad «aggirare» tali ostacoli personali soggettivi, aiutando a mobilitare e usare al meglio quelle risorse ed energie positive della persona che consentono il bypass. A livello di metodo sono fondamentali: 102
le tecniche di discussione di gruppo, che hanno un forte beneficio statistico; la consulenza individuale (effettuata per esempio in formazione tramite la tutorship anche individuale) che consente di fornire un aiuto molto specifico e a volte decisivo. L'approccio dell'empowerment, a differenza di altri modelli psicologici, si pone come obiettivo quello dell'aggiramento o "salto" dell'ostacolo, per ottenere ciò che è desiderabile in quel momento e rispetto allo specifico oggetto: senza pretendere di andare a risolvere il problema di fondo. Il consulente cerca quindi nel soggetto soprattutto i punti di forza, le risorse e le capacità (magari maturate nel prosieguo rispetto al momento in cui il problema si era formato molto tempo prima), le energie fmora trascurate. set formativo didattico tipico è, per questa componente del processo, quello della discussione di gruppo, possibilmente con l'appoggio della consulenza individuale. Il formatore è soprattutto tutor, counselor, coacher. L'atmosfera è leggermente psicologica. La ricerca è soprattutto quella della forza, con cui affrontare e bypassare la debolezza (accettare e comprendere fattori e aree di debolezza, ma allo scopo di poter procedere verso il desiderio, evitando di finire col valorizzare di sé debolezza e sofferenza e impotenza).
1.4. Formazione-azione La nuova possibilità risulta aperta solo quando la persona l'ha anche sperimentata. La formazione considera quindi il passaggio alla sperimentazione-azione come parte integrante del proprio processo operativo (non solo come fase successiva, del dopo-formazione). La formazione-azione ha come obiettivo quella di fare sperimentare la nuova possibilità, di aiutare la persona a provare il salto dal sapere all'agire. Il set è dunque di azione, prima di formazione e poi sul lavoro. La sperimentazione-azione è di due tipi, in due fasi successive: A) una di tipo molto parziale, quando non addirittura solo simbolica o analogica: deve avvenire molto presto, subito a valle della costruzione di pensabilità positiva e prima ancora dell'impegnativo processo di acquisizione di competenze; B) una di tipo applicativo sul campo, concreta anche se ancora parziale (la sperimentazione deve essere infatti comunque «reversibile», non deve ancora diventare cambiamento). 103
Esempi di metodologie: o in fase precoce di formazione, far «provare» il risultato finale tramite le metodologie attive d'aula; o far fare atti e piccole cose simbolicamente importanti, in aula e/o fuori: anche per "vedere l'effetto che fa" e aiutare la persona e il gruppo ad avere più informazioni su di sè; o impostare dettagliatamente, in sede di formazione, sperimentazioni e azioni da svolgere sul campo. La progettazione di tali sperimentazioni, fatta dal soggetto assistito dal formatore, deve essere molto accurata: non è solo del tipo "vai e prova ad applicare quello che hai imparato"; o organizzare attività ben impostate, assistite, verificate, quali: stage, progetti sul campo; ricerche; prove di applicazione di nuove metodologie; uso sperimentale di nuovi strumenti e/o nuovo uso di vecchi strumenti. Per organizzare la sperimentazione-azione di tipo A, molto iniziale, in sede di formazione, alcuni indirizzi e criteri guida importanti per il formatore sono: • usare le esercitazioni attive d'aula per provocare esperienza positiva di successo; riuscire (il formatore) a far fare all'allievo l'esperienza di "esserci riuscito". Questo approccio è molto diverso da quello tradizionale, molto diffuso (anche nelle esercitazioni psicosociali), che tende a far acquisire soprattutto consapevolezza degli errori; • le tecniche didattiche attive (per esempio di ricerca d'aula e consulenza d'aula o di role playing, o di analisi dei casi) vedono quindi nel formatore lo spirito non di "caccia all'errore" ma di "caccia al punto di forza" e alla facilitazione della sperimentazione di successo; • cercare quelle capacità-aspetti-attività (da evidenziare nelle esercitazioni attive) che per loro natura sono piccole ma svolgono un ruolo cruciale nell'intero processo, magari anche solo a livello simbolico o analogico. Esempi: provare a scrivere il proprio curriculum (se il desiderio è di cambiare lavoro); simulare il rapporto con un cliente caricaturizzato (troppo fantastico o troppo tragico); costruire e illustrare agli altri un manifesto di promozione del proprio nuovo progetto; spingere a fare, in aula o fuori, atti impensabili e/o apparentemente privi di senso, che però procurano esperienza nuova simbolica importante. Per l'impostazione della sperimentazione-azione di tipo B, progettata in aula ma realizzata on the job, alcuni indirizzi e criteri guida importanti per il formatore sono: 104
• analizzare e usare risorse già presenti nell'organizzazione: senza inventare tutto ex novo, ma inserendosi invece innovativamente in ciò che già c'è ma che veniva trascurato (le organizzazioni moderne sono ricche di know-how e innovatività poco usati: nei sistemi di gestione, nelle persone, negli avvenimenti); • stare attenti a rimanere nel campo della sperimentazione «reversibile» tutto ciò che si richiede di fare deve avere un termine temporale ben definito: dopo di che la possibilità è aperta, potendo il soggetto o andare avanti o tornare indietro; • abbattere temporaneamente le barriere tra lavoro e apprendimento, fra formazione off e on the job, utilizzando la grande quantità di risorse spontanee che si aprono per l'apprendimento-formazione; • studiare come avviene il processo spontaneo di apprendimento senza formazione (learning organizzativo spontaneo) e inserire le sperimentazioni per saggiare come esso possa avvenire più velocemente e più concretamente e a minor costo. 2. Incisività nell'operatività del formatore Se nel paragrafo precedente si è parlato a lungo di progettazione e metodologie formative (basate sul modello dell'apprendimento letto come processo di empowerment), in questo paragrafo si vogliono, più sinteticamente, proporre alcuni indirizzi (suggeriti dall'approccio dell'empowerment) che riguardano altre fasi operative del processo formativo e aspetti del lavoro e della strategia del formatore. 2.1. Analisi dei bisogni ma anche dei desideri Tradizionalmente l'analisi dei bisogni è analisi dei "gap", delle lacune e mancanze, di ciò che dovrebbe esserci ma non c'è e che si vuole la formazione faccia esserci. In sintesi, alcune aggiunte importanti che proponiamo sono: analizzare i bisogni, ma anche i "desideri", individuali e collettivi. Ciò che dovrà essere il futuro, nelle organizzazioni, è infatti determinato dalla soddisfazione attuale di bisogni e dalla risoluzione degli attuali problemi, ma anche e soprattutto dalla realizzazione di desideri, delle vision, dei sogni non impossibili individuali e collettivi dei membri 105
dell'organizzazione. Se analizziamo le organizzazioni aziendali di oggi, ci accorgiamo che molte di esse corrispondono quasi fedelmente ai desideri e alle visioni che i manager e le persone più illuminate avevano quindici anni fa (sarebbero allora stati tacciati di onnipotenza e/o infantilismo dall'analisi dei bisogni tradizionale); • analisi dei punti di debolezza, delle lacune, della "bottiglia mezzo vuota", ma anche analisi della "bottiglia mezza piena", dei punti di forza, delle risorse che ci sono. Infatti, quasi per definizione, si può comunque lavorare operativamente su ciò che c'è, non su ciò che manca: le risorse presenti (utilizzate, potenziate, rivitalizzate, riorientate) possono portare a sostituire-generare le risorse assenti; con ciò che non c'è, che manca, invece, non si può fare niente; + analisi dei bisogni come analisi dei punti di arrivo necessari (B finale, diverso da A iniziale attuale), ma anche analisi del «come» si può passare da A a B. Altrimenti si cade nella formazione del come dovrebbe essere, bella e "teorica". L'analisi dei "come" si può passare dall'attuale all'auspicato facilita anche l'individuazione relativa agli "intervenienti": dei fattori cioè innovativi (già presenti ma trascurati, oppure in via di formazione) che renderanno possibile ciò che è o era impossibile; • analisi dei bisogni come analisi dell'"auspicato" (singolare) ma anche dei diversi possibili auspicati (plurale). Infatti, ciò facendo, sicuramente aumenta la probabilità di azzeccare ciò che dovrà essere in futuro. Ma soprattutto aumenta l'attenzione ai cambiamenti "micro" che concretizzeranno i cambiamenti "macro". Operativamente ciò significa individuare il punto d'arrivo auspicato B (dell'organizzazione, o del ruolo, o della professionalità), ma individuare anche delle alternative, meno probabili ma possibili: B', B", B". È probabile che esse ci guidino ad aspetti specifici-micro importanti, anche se B davvero rappresentasse l'esito vincente. Quante volte per esempio abbiamo previsto che sarebbe cambiato "tutto" in una certa direzione (B) e poi invece le cose sono risultate assai più multiformi (B ma anche un po' di B' e di B")? Per esempio la professionalità: prima specialistica, poi tutta con l'accento gestional-manageriale, poi oggi con l'enfasi processuale, poi... In realtà è un gioco sempre complesso; "aggiuntivo" più che di cambiamento, di apertura di nuove possibilità e componenti più che drasticamente rivoluzionario e unitario; • analisi dei bisogni come misura dei gap che i corsi di formazione devono colmare, ma anche analisi di come l'apprendimento matura spontaneamente nell'organizzazione e nel lavoro quotidiano: per vedere come 106
la formazione può rendere tali modalità più veloci, più depurate di ostacoli ed errori sistematici, più efficiente. Anche qui il principio generale è studiare non solo ciò che manca ma ciò che già c'è (il processo spontaneo) per potenziare, aggiungere, facilitare.
2.2. Verifica dei passaggi cruciali e contributo alla valutazione dei risultati Non entriamo qui nella complessa tematica della valutazione dei risultati formativi nella sua interezza, ma ci limitiamo a proporre due contributi guidati dalle domande chiave: "a chi e per cosa serve la valutazione dei risultati formativi?" 2.2.1. I manager valutano la formazione come supporto alla realizzazione della visione
È chiaro che è giusto valutare le conoscenze acquisite, il cambiamento migliorativo dei comportamenti, le performance, il cambiamento organizzativo. Noi vogliamo qui focalizzare un ulteriore livello di valutazione: quello del contributo alla realizzazione della visione aziendale. Ci sembra infatti che questo sia il criterio principale con cui i migliori manager valutano davvero, e non a torto, i risultati della formazione. Questa consapevolezza può aiutare i formatori ad individuare i sub risultati principali, quali per esempio: • la conoscenza e comprensione della visione aziendale; • la specificazione della visione nelle conseguenze ai diversi livelli e ruoli organizzativi; • l'apertura di nuova possibilità che consentano di perseguire la visione davvero e non solo a parole; • l'acquisizione di nuove metodologie, tecniche, strumenti che la visione richiede; • la cultura della cooperazione, in particolare i valori su cui si basa l'integrazione delle persone nel lavorare insieme. È probabile infatti che i manager migliori, nonostante le dichiarazioni di richiesta concretezza immediata, valutino soprattutto in vista di aiuto percepito verso il futuro. In fondo è plausibile che chi ha la responsabilità di guidare l'azienda verso una visione, che ne sintetizza risultati-progetto107
valori, senta come prima esigenza quella di un aiuto alla preparazione e condivisione, delle persone in quella direzione. 2.2.2. La metodologia dei passaggi cruciali nella valutazione della formazione fatta dai formatori
È noto come spesso misurare l'apprendimento possa non bastare (se poi non viene trasferito?); e come la misurazione del cambiamento fmale, on the job, possa fornire una misura troppo poco precisa sul contributo specifico della formazione (influenza non misurabile dovuta a tanti altri fattori). Proponiamo, in aggiunta, la misurazione dei "passaggi cruciali": che può essere più precisa e forse può fornire più importanti feedback all'analisi dei bisogni e alla progettazione. Esempi di passaggi cruciali: o quanto è aumentato nelle persone la «pensabilità» dell'innovazione messa in atto (quanto le persone riescono a rappresentarla, a girare il film di essa messa in atto nel futuro); o quanto è aumentata la «positività» della pensabilità cioè la positività della percezione di sé nell'innovazione una volta realizzata; o quanto sono aumentate le competenze «cruciali»: non cioè tutte le competenze, ma proprio quelle particolari che permettono o bloccano il processo spontaneo di apprendimento (si pensi per esempio alle tante persone che interrompono l'apprendimento sul personal computer perché non hanno imparato certe operazioni di avvio e soprattutto di auto addestramento); o come sono migliorati alcuni fattori («elaborazione») psicologici rispetto all'oggetto di apprendimento-innovazione proposto, quali: la propria insicurezza; la speranza di poterci mettere del proprio; il timore o la nebulosità dei futuri rapporti con i ruoli contigui nel nuovo modo di lavorare; la rimobilitazione dell'Io desiderante, che fornisce l'energia indispensabile per poter andare a soddisfare bisogni, esigenze, problemi, richieste; o quanto è stato sperimentato almeno una volta, superando, l'inerziaostacolo del passaggio dall'apprendimento cognitivo alla prova-azione della messa in atto (sia pur sperimentale e reversibile). Si applica così in un certo senso anche alla formazione la tecnica del PERT (nota ai metodologi della programmazione): la quale evidenzia, tra 108
le tante attività e passaggi, quelle cruciali per il risultato fmale: permettendo di concentrare in modo privilegiato proprio su quei passaggi le energie e le risorse.
2.3. 11 contratto psicologico d'aula del formatore empowering formatore tradizionale si occupa dei "bisogni": dei suoi utentipartecipanti, dei suoi committenti, delle loro organizzazioni. Ha anche, come ben noto, bisogno di essi: ha bisogno dei loro bisogni. Si occupa di bisogni, di lacune, di necessità, di problemi, di risorse che mancano. formatore empowering ha un nuovo approccio e un nuovo modello di alleanza: si occupa di bisogni ma anche e forse soprattutto di desideri, di risorse che ci sono, di punti di forza, di vision. Si occupa della forza: dei suoi partecipanti-utenti-clienti, dei suoi committenti. Nel primo caso abbiamo, per scelta, partecipanti lacunosi e bisognosi, committenti bisognosi, formatore bisognoso (oscillante quindi poi inevitabilmente e con l'opposto polo dell'onnipotenza). L'alleanza tra deboli diventa invece tra forti, l'alleanza tra bisognosi diventa tra desideranti. Partecipanti capaci e desiderosi, committente desiderosi e capaci di vision, formatori desiderosi e operatori di empowerment. Questo è un passaggio non indifferente per la psicologia e anche la strategia della formazione e dei formatori. Importante per il contratto psicologico è anche il passaggio (nella concezione dell'obiettivo operativo) da cambiamento ad apertura di possibilità aggiuntive. La conseguenza più ovvia del formatore che ha come obiettivo il cambiamento è proprio l'evocazione aggiuntiva delle "resistenze" al cambiamento. Di qui il braccio di ferro, a volte infinito, con le resistenze al cambiamento con l'ovvia vittoria di queste ultime, data la natura del set partecipativo e consensuale come è strutturalmente quella della formazione (per non parlare degli inevitabili interrogativi etico-metodologici). L'approccio dell'empowerment propone invece come obiettivo l'apertura di possibilità: "aggiunta" di possibilità è valore tendenzialmente accettato e riconosciuto da quasi tutti come positivo. E per far provare nuove possibilità, il formatore può assai di più fare liberamente pressione e limitarsi di meno utilizzando tutte le sue risorse/capacità: dato che la trasformazione della nuova possibilità in vero e proprio cambiamento sarà comunque, come giusto, nelle mani degli attori protagonisti. 109
Infine sottolineiamo come l'empowerment, cioè l'aumento di possibilità, rappresenti concettualmente un terzo polo tra «stabilità» e «cambiamento». Le persone, le organizzazioni, i gruppi, soprattutto di adulti, sono sempre oscillanti, ambivalenti, desiderosi sia di cambiamento sia di stabilità. Questa condizione è particolarmente caratteristica dell'adulto: adulto che è portato alla stabilità, perché proprio l'adulto in quanto tale ha raggiunto qualcosa che reputa valido, per cui ha a lungo lottato; portato al cambiamento, perché verso esso lo indirizzano i nuovi desideri e la forza di cui è consapevole e legittimato detentore e generatore. Ci sembra allora che il concetto di empowerment (apertura di possibilità) possa costituire punto di snodo tra stabilità e cambiamento, e forse addirittura vero e proprio terzo polo capace di rompere l'ambivalenza e l'oscillazione inevitabile tra queste due polarità in un certo senso troppo "fisse" se considerate da sole e senza alternative. 3. La comunicazione generativa Il concetto e le metodologie della comunicazione generativa sono a nostro parere importanti in molte situazioni: nelle riunioni di lavoro come nei colloqui, nell'orientamento (e nel counseling in particolare), e naturalmente nella formazione. Proponiamo questo approfondimento qui, nel capitolo dedicato alla formazione, perché chi vi opera professionalmente e con passione non può non conoscere e temere il pericolo di ripetitività, ritualità, scarsa incisività che talvolta affligge la comunicazione e i rapporti nelle aule: in particolare tra "docente" e "partecipanti". Nella nostra prassi professionale di formatori , noi crediamo che si debba prestare molta attenzione anche alle persone singole, una per una, non solo al "gruppo", e che debba essere il più possibile generativa anche la comunicazione tra formatore e "ciascuna" delle persone partecipanti. "Comunicazione generativa" è quella attività di comunicazione il cui risultato è la costruzione e acquisizione di elementi nuovi da parte dei comunicanti': elementi che, prima della comunicazione, non erano ancora in
1. Si parlerà qui di comunicazione tra "due" persone, per motivi di semplicità e chiarezza: il riferimento è però a situazioni anche di più interlocutori e di gruppo, purché faccia a faccia tra di loro. 110
possesso consapevole di nessuno di loro. È cioè quella comunicazione che crea "nuove" informazioni2. Fig. 1 IN ENTRATA
A con a B con b
A con a B con b
A con a B con b
IN USCITA A con a
• •
attività di comunicazione "CONFERMATIVA"
• •
attività di comunicazione "SCALI BIATIVA"
A con (a+b)
• •
attività di comunicazione "GENERATIVA"
A con (a+c')
13 con D
•
-->conferma del rapporto tra A e B
B con (b+a)
B con (b+c")
• •
La comunicazione "generativa" si distingue da altri due tipi di comunicazione: • la comunicazione "scambiativa", il cui risultato è la messa in comune di informazioni che precedentemente aveva solo uno dei comunicanti. Quando si parla tout court di "comunicazione", si pensa generalmente alla comunicazione scambiativa (comunicare come "mettere in comune") • la comunicazione "confermativa", il cui risultato non è scambio di informazioni ma la conferma di un rapporto preesistente tra i comunicanti (tipico esempio quello della famiglia d'origine con figli in età adulta).
2. Quando si dice "informazioni" s'intendono le informazioni vere e proprie ma anche altri "elementi" che nella comunicazione vengono scambiati o generati quali: idee, significati, percezioni, emozioni, progetti, tendenze all'azione, valorialità, convinzioni, modelli, atteggiamenti, motivazioni. 111
Volendo, più che differenziare;-mettere invece in evidenza la copresenza delle tre "componenti": Fig. 2
A con a B con b
• •
attività di comunicazione
"COMPLESSIVA"
A con (a; parte di b; ci> B con (b; parte di a; c")
•
Evidentemente la comunicazione confermativa, quella scambiativa e quella generativa possono essere considerate sia come tre tipi diversi di comunicazione (come qui facciamo per motivi di chiarezza e di utilizzi applicativi); sia come tre componenti dello stesso unico processo di comunicazione.
Vediamo subito alcuni esempi di aree generali tradizionalmente privilegiate dei tre tipi di comunicazione: D comunicazione confermativa dialoghi tra genitori e figli, specie se già anziani gli uni e adulti gli altri; dialoghi tra innamorati, dialoghi cosiddetti "tra sordi", conversazione salottiera, gruppo di lavoro con conflittualità prevalente, comitato di rappresentanti; comunicazione scambiativa gruppo di lavoro nella fase di primo approccio ed analisi di un problema, conversazione salottiera tra persone con interesse reciproco, rapporti affettivi o amicali con dominante desiderio di capirsi meglio, - scambio programmato di informazioni, pareri, opinioni, emozioni, comunicazioni, - didattica tradizionale; III) comunicazione generativa - gruppo di lavoro con competenze differenziate e obiettivo innovativo, - consulto medico; gruppo di progettazione, 112
- dialogo tra diversi, comunque troppo diversi per potersi davvero capire reciprocamente: però interessati a produrre insieme benessere e nuovo valore, - simili che si aiutano reciprocamente a cercare risorse nuove, - perseguimento comune di nuove possibilità, - crescita delle persone; progresso scientifico; ideatività innovativa; creatività espressiva, - situazione in genere in cui prevale lo spirito della ricerca, - rapporto affettivo che si vuole fare crescere mentre si risolvono problemi.
3.1. "Provocazioni" orientate alla comunicazione generativa , La comunicazione generativa ha il grande pregio di creare "valore aggiunto" per l'intero sistema che comprende tutti i comunicanti. Per esempio nelle organizzazioni di lavoro, nonostante l'informatica abbia enormemente aumentato l'informazione messa in comune, purtuttavia la richiesta di informazione in buona parte permane: infatti la richiesta maggiore riguarda quel tipo di comunicazione che consente di generare novità, non solo di sapere tutto ciò che sanno tutti. • La comunicazione generativa ha evidentemente bisogno di "preliminari confermativi" e di "tempi scambiativi" per la messa in comune di informazioni. Deve però anche essere protetta dal loro dilagare: nel tempo, nella qualità, nell'investimento di energia. Comunicazione confermativa e comunicazione scambiativa possono andare avanti senza fme, soffocando di fatto ogni possibilità di nascere della comunicazione generativa. • La comunicazione generativa è altamente gratificante. È proprio essa che, quando è "riuscita" (cioè quando ha prodotto informazioni nuove), retroattivamente invoglia alla comunicazione confermativa e scambiativa: nei rapporti di lavoro, come in quelli affettivi, come nel tempo libero creativo. lk Pro-vocazione spinta: il dovere del capirsi, del mettere in comune, del condividere, è diventato oggi culturalmente quasi un "incubo": va bene 113
perseguire questo obiettivo, ma senza esagerare, anche perché può esserci qualcosa di ancora meglio (comunicare per generare)! t Le persone sono comunque e sempre diverse fra loro; le persone appartenenti a ruoli e popolazioni diverse lo sono ancora di più. Si può dunque arrivare a capirsi gli uni con gli altri solo fino ad un certo punto; per esempio: - tra uomini e donne - tra bambini, giovani, adulti, anziani - tra nazionalità, religioni, razze - tra scolarità e ruoli organizzativi e specializzazioni diverse. E tuttavia, per fortuna, pur potendosi tra loro conoscere-capire soltanto fino ad un certo punto: - uomini e donne fanno l'amore, lo trovano bellissimo, generano anche bambini - religioni, razze, nazionalità d'origine diverse hanno dato luogo al paese che nel mondo esercita indiscutibile leadership (a quel modello interraziale tende oggi il mondo globale: purtroppo, come evidente, non senza difficoltà) - la copresenza di bambini, giovani, adulti, vecchi rappresenta una delle principali bellezze insite nella vita e nella società - la differenziazione delle specializzazioni e dei ruoli organizzativi (del resto appositamente creati) crea organizzazioni che brillantemente producono beni e servizi e generano valore (anche se si può star sicuri che si continuerà sempre a denunciare le difficoltà nella cooperazione e nella comunicazione tra ruoli). t Si possono evidenziare alcune regole generali della comunicazione generativa ispirandosi al prototipo primario della generazione, quello della sessualità per la procreazione dei figli: - valorizzare la diversità, non tentare di assomigliarsi e omogeneizzarsi troppo - essere piacevole non solo il risultato ma anche il durante del rapporto, piacevóle soprattutto nel senso di stimolante - nutrire i partner dei sogni condivisi: anche se poi i risultati reali possono essere a volte grandiosi, altre volte normali, a volte non esserci affatto
114
- la speranza prevalere sul timore, e la speranza essere magari un po' visionaria (come è in sé il concetto di dare la vita ad un figlio, cioè ad un nuovo essere umano). •
Il valore aggiunto prodotto dalla comunicazione generativa (il "c" nella formula-schema precedente) ha una parte comune ed una parte diversificata (c'e c") per i due comunicanti. Ciò: 1) è inevitabile, 2) va bene, altrimenti c'è il rischio di appiattimento sul minimo condivisibile, e diminuisce il valore aggiunto e complessivo.
3.2. Suggerimenti operativi per chi vuole facilitare la comunicazione generativa: il periodo di passaggi della comunicazione incisiva" I suggerimenti sono qui riferiti soprattutto a situazioni di formazione, di team building, di counseling individuale ad personam (ma possono essere facilmente trasposti anche a più quotidiane situazioni): • dare spazio, tempo, clima di ricerca alla situazione di comunicazione generativa, o programmandola oppure in tempo reale quando si crea; autorizzare anche il girare intorno un po' confuso ad elementi promettenti, anche senza subito dover arrivare a conclusioni (riducendo invece, come vedremo, il tempo precedente di comunicazione confermativa e scambiativa); • non avere paura di avanzare ipotesi nuove, anche se non si è ancora del tutto sicuri della loro conferma; e, senza necessariamente attenersi alla regola di aspettare che l'altro ci arrivi progressivamente da solo oppure che maturino i tempi (per esempio nella formazione e nel counseling); • cogliere e valorizzare elementi contraddittori, eccezioni, stranezze: e lavorarci sopra (è uno dei principi fondamentali dello sviluppo della scienza); • essere assertivi e decisi nel portare dati nuovi; o nel chiedere che vengano ripresi in considerazione dati trascurati. Per certi aspetti peraltro, il principale problema della comunicazione generativa è proprio quello del limitare il dilagare delle comunicazioni confermativa e scambiativa. In particolare nella formazione e nel counseling a clima psicologico, dove ascolto e rispetto dell'altro costituiscono valori positivi ma introducono anche rischi di distorsione ed esagerazione. 115
Può succedere per esempio in formazione che si passi il tempo a ripetersi reciprocamente cose e opinioni già note a tutti (magari con toni apparentemente appassionati!); e che proprio alla fine del seminario si dica "peccato proprio adesso che si cominciava a lavorare bene"! Può succedere nel counseling che il cliente racconti cose (magari drammatiche) che ha già raccontato a tanti altri, oltretutto nello stesso modo; e che peraltro il consulente già indovina e sa, perché le ha sentite in tante altre occasioni. Rispetto a questi esempi vediamo qualche possibile modalità provocatoria di interruzione del circolo vizioso e di facilitazione di comunicazione generativa: • strategia "soft": 10) ribadire la positività del rapporto (conferma); 2°) verbalizzare in breve, quasi con le parole dell'altro, quanto ha già detto e ciò che prevedibilmente dirà, con alcune delle stesse parole che userebbe: facendo capire così che è ascoltato e compreso; 3°) proporre di andare oltre, verso qualcosa che sia per lui nuovo e fonte di speranza (strategia da adottare soprattutto quando l'altro sa di sentirsi un po' prigioniero di se stesso; o quando si forma qualche circolo vizioso di comunicazione); • strategia "hard": chiedere per esempio" ma quante volte Lei ha già detto e si è già detto queste cose in questo modo?" Perché non dice qualcosa che è per Lei più stimolante e utile?!" (strategia utilizzabile soprattutto: quando l'altro è intelligente; quando eventuali altri del gruppo dimostrano noia, disattenzione; quando l'interlocutore è già consapevole che ciò che gli stai dicendo è vero; quando il consulente o formatore è se non totalmente almeno abbastanza sicuro di sapere quasi tutto quello che si va a dire); • strategia deviante: cambiare set; in formazione fare un breve speach sull'empowerment, o sul valore aggiunto, o sui tre tipi di comunicazione con focus sulla comunicazione generativa); • strategia contenutistica: in modo relativamente improvviso buttare sul tavolo nuove ipotesi, dati, elementi devianti. Il Cliente sarà un po' meravigliato dello "spiazzamento" del tenore di comunicazione (a volte tenterà di ricostituirlo; in questo caso l'operatore ribadisce i dati nuovi). Questa strategia propone direttamente il passaggio alla comunicazione generativa; funziona tanto più quanto l'operatore dispone, per sua preparazione professionale e per comprensione acquisita dell'altro, di elementi realmente innovativi generativi; 116
• strategia "superhard", che però richiede un rapporto acquisito positivo e molta autorevolezza dell'operatore: dire, in modo più o meno diretto, una cosa del tipo "non credo che sia vero quello che sta dicendo, e non lo crede neanche Lei: cambiamo gioco". Possiamo denominare "comunicazione incisiva" questo tipo transitorio di comunicazione, che ha lo scopo di limitare il dilagare della comunicazione scambiativa e soprattutto di quella confermativa, e di facilitare il passaggio alla comunicazione generativa.
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8. Rendere incisivo il colloquio di counseling*
Il colloquio costituisce uno strumento professionale fondamentale in molte attività e ruoli. Qui si parla di quel particolare colloquio, o quella parte di un colloquio, particolarmente dedicata a dare supporto allo sviluppo della persona. Per questo tipo (o parte) di colloquio, l'approccio dell'empowerment fornisce strumenti aggiuntivi molto efficaci e potenti, e consente di mirare ad un salto di qualità nei risultati raggiungibili. Nell'approccio del self empowerment la finalità ultima e, di conseguenza, il valore chiave da perseguire è quella della apertura di nuove possibilità all'interno del soggetto. Possibilità, non necessariamente cambiamento. In questo senso il nostro approccio rappresenta una sorta di terzo polo tra i due tradizionali rappresentati, da un lato, dalla stabilità nell'attuale situazione vissuta ed agita, dall'altro, dal cambiamento verso una precisa e predefmita configurazione, diversa da quella attuale. Spingere e sostenere la persona cliente al proprio empowerment significa innanzitutto spingerla a lavorare sui suoi rapporti di secondo livello, cioè i rapporti che essa ha con i propri rapporti. Spesso gli approcci al cambiamento implicano la modifica dei rapporti di primo livello, relativi a categorie come le relazioni interpersonali, le motivazioni, gli atteggiamenti, cioè, in altri termini, i rapporti con oggetti specifici. Fare empowerment, invece, significa considerare tali rapporti come dati di partenza e lavorare per ampliare le possibilità della persona nel suo rapporto con tali dati di partenza. Il consulente di empowerment accompagna il proprio cliente all'interno di un'area che: 'Nel presente capitolo sono rielaborate alcune tematiche trattatene nel saggio di M. Bruscaglioni, M. Capizzi e S. Gheno, "Orientamenti operativi per la consulenza al self empowerment", in Arcidiacono C., Gelli B., Putton A. (a cura di), Empowerment sociale, Angeli, Milano, 1996. 118
1. non gli è abituale (noi tendenzialmente lavoriamo sulle nostre relazioni con persone e cose, non su come ci rapportiamo con le nostre relazioni ccin persone e cose); 2. il cui livello di difficoltà è nelle sue possibilità, ma è superiore a quello a cui normalmente è abituato (trattandosi di un livello relazionale di ordine superiore); 3. ma che una volta raggiunta può essere agita ed usata con facilità e beneficio. Si propone (con forza!) al cliente di lavorare su di sé circa le proprie: risorse presenti (vs. risorse mancanti), realtà presenti e proiettate nel futuro (vs. la realtà passata), potere personale (vs. potere sugli altri), sentimenti del proprio possibile (vs. sentimenti di impossibilità), energie e funzione desiderante (vs. energie negative della funzione problematizzante), • aperture e ciò che apre (vs. ciò che chiude), • emozioni e pensieri ottimistici (vs. pessimismo contrabbandato per realismo), • circostanze temporanee e contingenti (vs. senso della continuità stabile). • • • • •
Ciascuna delle indicazioni di lavoro sopra riportate in forma estremamente ridotta, rappresenta spesso un vero e proprio ribaltamento delle tradizionali concezioni consulenziali che prendono in considerazione esclusivamente le polarità lineari stabilità-cambiamento. Non vogliamo ora illustrarle nei dettagli, ci limitiamo a proporle quasi come slogan che sintetizzano, con un discreto potenziale suggestivo ed evocativo, le linee guida di un intervento di self empowerment. Dal punto di vista della sistematicità di un vero e proprio metodo di lavoro, possiamo poi sintetizzare le attività del consulente di self empowerment attorno a due direttrici, che possiamo chiamare "lo spingere a" ed "il connettere con". Il consulente dovrà spingere il proprio cliente a far emergere la propria funzione desiderante; a far accoppiare tale funzione desiderante con quella problematizzante (quella cioè, relativa a disagi; crisi, problemi da risolvere); a far emergere e a chiarirsi nuovi desideri; a far costruire nuove pensabilità positive; a far immaginare i desideri realizzati; a far aggiungere le possibilità l'una all'altra e quelle nuove alle attuali (e non, invece, considerarle alternative); a far pensare a possibili discontinuità e a salti di qualità; ad evidenziare aspetti nuovi, in sé e nell'ambiente: possibilità nuove già 119
presenti, emergenti o che potrebbero emergere in futuro (noi le chiamiamo "intervenienti"); a sottolineare tutti gli aspetti del passaggio dal "prima impossibile" al "poi possibile"; ad isolare e by-passare gli ostacoli interni; ad acquisire nell'ambiente esterno le risorse disponibili; ad una sperimentazione operativa che sia reversibile; a pervadere della funzione desiderante tutte le suddette attività. Dovrà inoltre aiutare il cliente a trovare connessioni con le proprie tendenze innovative; le tendenze innovative dell'ambiente; le esperienze positive già vissute; le variabili intervenienti di natura innovativa, interne o ambientali, già presentatesi o potenziali. A tale fine proponiamo quattro aree di mezzi, strumenti, attività che consentono al consulente di facilitare l'insorgere e lo svilupparsi del processo di empowerment nella persona. a. Una comunicazione "autentica" con la persona. Con il termine "autentico" vogliamo intendere una comunicazione centrata sui contenuti e non solo sulle relazioni. Spesso infatti nelle situazioni di consulenza la comunicazione viene intesa esclusivamente in termini di influenza sul clima della relazione. Nel self empowerment la comunicazione è, invece, finalizzata a cercare: - cose nuove (vs. quelle dette sempre); - cose che convincano e spieghino, che corrispondano (vs. quelle belle per conversare ma che non dicono nulla); - cose che aprono (vs. quelle che chiudono). b. Cultura "empowerment oriented", il consulente propone innanzitutto la propria concezione della persona e delle sue possibilità. La cultura sottostante a ciò è cultura delle possibilità, dell'allargamento, mentre spesso la cultura emergente nel rapporto cliente-consulente è cultura del bisogno, della debolezza. Nel self empowerment il consulente propone la propria "forza". c. Metodologie di empowerment. Senza descrivere qui approfonditamente tutte le metodologie possibili, i due primi grandi obiettivi metodologici sono quelli di far riemergere elementi ed esperienze positive passate ed analimre ed isolare i "killer" interni del soggetto. Modalità possibili per perseguire tali obiettivi sono l'analisi delle caratteristiche costitutive delle diverse possibilità esistenti per un determinato oggetto ("margherita del possibile"); la descrizione dinamica del futuro possibile della persona ("zbb-reenginering"); la descrizione personalizzata delle proprie diverse "anime" ("dinamica dei personaggi interni"); la formulazione di "vision".
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d. Applicazione dell 'empowerment alla consulenza, cioè l'applicazione dei principi generali dell'empowerment alle normali attività agite in sede consulenziale, quali: domande, richiesta di costruzione di nuovi pensieri, assegnazione di piccole esercitazioni, cognizione di sperimentazioni, costruzioni di diagnosi positive. 1. Orientamenti operativi su ciascuna fase del colloquio Nel tnodello da noi seguito il processo di self empowerment si sviluppa secondo una sequenza di fasi che prendono l'avvio dall'accendersi della funzione desiderante della persona e si concludono con l'aggiunta di un cambiamento possibile nell'essere e nell'agire della persona. Vorremmo in questa sede affrontare la descrizione delle linee metodologiche che dal modello del self empowerment discendono e che consentono la declinazione operativa ed applicativa all'empowerment personale in sede di consulenza. Se nel precedente paragrafo abbiamo cercato di dare, spesso sotto forina di slogan sintetici, una serie di punti critici di attenzione a quanti vogliano applicare l'approccio da noi proposto, qui vogliamo provare ad affrontare e a proporre, secondo una modalità più analitica, i metodi e gli strumenti che possono essere utilizzati dai consulenti di empowerment. Prima di entrare nel merito, vale ancora la pena di ricordare che, secondo la nostra accezione di self empowerment, il protagonista diretto e assoluto dell'efficacia del processo è la persona stessa. Qual è allora il compito di un consulente di self empowerment? Il consulente è il facilitatore del processo. Attraverso la valorizzazione del desiderio del soggetto, l'individuazione di oggetti attorno a cui sviluppare il processo di empowerment della persona, l'uso di specifiche (ma non necessariamente!) metodologie, il consulente rende più semplice alla persona il progredire lungo il percorso del proprio empowerment. A nostro avviso, il poter svolgere con successo questo compito di facilitazione implica che il consulente affianchi alla conoscenza e comprensione del modello teorico la riflessione e la competenza sulla sua declinazione operativa. Per questo motivo, in questa seconda parte, lo svolgimento della trattazione avverrà seguendo la sequenza lineare degli step impliciti al nostro modello. Le linee metodologiche che proponiamo vedono dapprima una fase definibile come l'emergere ed il chiarirsi di un nuovo desiderio nel soggetto, quindi una seconda in cui viene costruita dalla persona una nuova pensabi121
lità positiva circa il desiderio emerso, infine una terza fase in cui l'individuo passa, attraverso una triade di risorse metodologiche, da tale pensabilità positiva alla costruzione di una reale possibilità di cambiamento.
1.1. Fase dell'emergere e chiarirsi di un nuovo desiderio In questa fase il soggetto deve innanzitutto essere aiutato a mobilitare il proprio io desiderante. L'emergere ed il chiarirsi di un nuovo desiderio nasce proprio dall'apertura dell'io del soggetto che desidera, la sua funzione desiderante deve accendersi e mettersi in moto. È questo, probabilmente, il momento in cui l'empowennent si qualifica maggiormente come cultura del desiderio prima ancora che cultura della possibilità. Il compito del consulente è, in questo senso, assolutamente chiaro. Lungi dall'essere un "consigliere" in senso tradizionale, egli deve in questa fase dare spazio e ascolto alla funzione desiderante della persona, mettendo un grande impegno nel tentativo di comprenderne la natura. Non si tratta tanto di comprensione "interpretativa", quanto di una comprensione profonda, espressa nei suoi più piccoli dettagli e particolari. Anche elementi apparentemente (o inizialmente) minimali trovano spazio in questo tentativo del consulente. Questi deve preoccuparsi di raccogliere ogni piccolo indizio, che testimoni dell'accensione della funzione desiderante. Un tale momento, soprattutto per quei soggetti in cui la funzione desiderante tende ad emergere debolmente perché non allenata oppure perché soverchiata dal bisogno, dal problema, deve trovare nel consulente un interlocutore puntuale ed attento, ma mai critico nei confronti di quanto proposto. La neutralità del consulente in questa fase di raccolta deve essere totale, si deve pertanto astenere dal mettere in discussione quanto emerge, fosse anche solo per isolare un particolare dal contesto. Lo ricordiamo, interessa ora solo il desiderio della persona quindi, in questa fase il consulente deve pure astenersi da qualunque intervento fmalizzato ad orientare il desiderio altrui. Non dobbiamo né proporre, né suggerire, né indicare, solo raccogliere. Ma all'avvio del processo non è solo l'io desiderante ad interessare il consulente, anche l'io problematico. Il consulente deve ascoltare "il problema" (il disagio, il bisogno, la necessità) del soggetto così come esso lo pone. Se la persona ha difficoltà a fare emergere tale dimensione di sé (spesso è lì per questo), il consulente 122
non si limiterà a registrare il dichiarato di sofferenza del soggetto, ma dovrà impegnarsi a comprenderne il "vero" punto centrale. Non è detto che necessariamente tale comprensione coincida con la "causa" del problema e neppure che per comprenderlo si debba indagare in profondità nella storia personale del soggetto, come avviene in taluni approcci terapeutici. L'empowerment non si propone di risolvere i problemi della persona, o almeno non affrontandoli direttamente. Metaforicamente potremmo dire che se il disagio nella storia dell'individuo ha costruito un muro che rappresenta l'attuale fonte di problema, ove alcuni userebbero piccone e pala per abbatterlo il consulente di empowerment cercherà in quel muro delle porte oppure di valutarne l'altezza per verificare la possibilità di saltarlo o, ancora, di girarci attorno o passarci sotto. Nel nostro approccio il solutore del problema è, ultimamente, la persona che lo vive e ciò accade attraverso la costruzione di una possibilità di essere diversa che le consenta di superarlo. Così la ricerca del punto centrale, del fulcro del problema è relativa all'attuale problema vissuto non alle circostanze che l'hanno prodotto nel tempo. A partire dall'ascolto attento e partecipativo del desiderio e del problema il consulente potrà avviare il suo primo vero e proprio intervento. Il nuovo desiderio nella persona — non più semplice espressione dell'attivazione del suo io desiderante ma definito ed orientato in una certa direzione, verso un determinato oggetto — nasce infatti dall'accoppiamento tra funzione desiderante e problema. Nella mente del cliente deve avvenire questa unione feconda dell'io desiderante con la richiesta/bisogno per generare il desiderio orientato ed il consulente deve provocare l'accoppiamento. Ed è indubbio che, qualora una simile unione non avvenga innanzitutto nella mente del consulente, difficilmente potrà avvenire nella mente del soggetto, già soverchiata dalla massa monolitica e totalizzante del problema, particolare universalizzato che, in soggetti in situazione di disagio, tende a divenire l'orizzonte ultimo, il criterio esplicativo unico dell'intera esistenza della persona. È proprio a questo livello che il consulente, fm qui osservatore neutrale, potrà proporre alla persona la visione dell'accoppiamento tra il desiderio, le risorse presenti ed il problema, la lacuna vissuta. Proporre, non in modo invasivo ma come un delicato suggerimento, un piccolo chiarore in cui la persona, solo lei, può meglio percorrere la strada. Il desiderio a tal punto emerso già indirizzato in una direzione deve essere afferrato dal consulente. Preso per buono così com'è, senza tentare di renderlo coerente con quelli che, secondo lui, dovrebbero essere i desideri
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giusti. Eventuali correzioni alla strada imboccata potranno emergere più avanti.
1.2. Fase di costruzione di una nuova pensabilità positiva Molto spesso la persona non riesce ad immaginare la situazione di desiderio realizzato e/o non riesce a rappresentarsi come caratterizzato da vissuti e comportamenti positivi per sé. Questo nemmeno se sono — temporaneamente — eliminati tutti i vincoli, le temute mancanze di risorse, le criticità ambientali. La nostra esperienza sul campo dimostra che, proprio per questa ragione, spesso l'iter della realizzazione del desiderio si blocca. Esempi frequenti di ciò sono: l'incapacità di un ragazzo di immaginare l'età adulta come positiva e sé adulto che "si piace"; l'impossibilità di un capo autoritario, pur stanco di esserlo, ad immaginarsi partecipativo e piacersi; la difficoltà per la persona a rappresentare nei dettagli se stessa come sarebbe se già possedesse quel dato comportamento che dovrà assumere, quella capacità che dovrà apprendere. A tale proposito, i compiti fondamentali del consulente consistono nell'aiutare la persona, innanzitutto, a cominciare a costruire la rappresentazione del desiderio realizzato (prescindendo in questa fase dalle risorse necessarie), quindi, a costruire la positività del sé del soggetto nella situazione di desiderio realizzato. Infatti, la modalità con cui il soggetto può, a partire da un nuovo desiderio orientato, costruire una pensabilità positiva del desiderio — il desiderio possibile per sé — procede dalla rappresentazione di sé nel desiderio realizzato. A tale scopo il consulente dovrà invitare il soggetto a immaginarsi quale regista, sceneggiatore, scenografo ed attore del film in cui egli, il protagonista, vive la situazione desiderata come già realizzata. Tale azione presuppone che il consulente debba insistere nella propria richiesta anche davanti ai vari tentativi messi in atto dal soggetto per eludere il compito. Molte volte, infatti, è presente nella persona una preconvinzione circa la propria impossibilità nel desiderare, una tale persona può concepire il sogno — in quanto totalmente separato ed ininfluente sulla realtà "vera" e "dura" — non il desiderio. A maggior ragione questo si presenta nella misura in cui l'individuo appare schiacciato dal problema, l'impossibilità del desiderare in una prospettiva attiva, progettuale, viene vissuta come naturale ed inevitabile conseguenza di un orizzonte personale dominato dal bisogno. E allora, tale pre-convinzione viene presentata al 124
consulente come "è inutile", "non è questo il punto" o in circostanze particolari "non siamo più bambini" (il sogno è patrimonio del bambino), "siamo qui per lavorare!" (sottinteso: lavorare è degli adulti ed è una sofferenza). Di fronte alla segnalazione da parte del cliente dell'esistenza di una serie di vincoli, di mancanza di risorse e di capacità per realizzare la situazione desiderata e, quindi, dell'impossibilità di una rappresentazione realistica della stessa il consulente gli dovrà suggerire di by-passare ogni aspetto limitante la possibilità: il soggetto dovrà in questa fase "saltare" ogni aspetto di vincolo, di mancanza, di incapacità. Unica eccezione alla grande regola generale del "è proibito proibire" riguarda quanto sia "oggettivamente e incontrovertibilmente" impossibile, come ad esempio cambiamenti di età ("se avessi ancora vent'anni"), di sesso ("se fossi nata uomo"), di storia personale già vissuta ("se non avessi quattro figli"). Da un punto di vista metodologico, poi, il consulente dovrà, come nella fase precedente, registrare minuziosamente tutto il materiale emergente che costituisce innanzitutto una possibilità di comprensione circa lo sviluppo del processo di empowerment, quindi potrà essere riproposto in seguito al soggetto stesso come materiale da elaborare o su cui sperimentare. La difficoltà della persona a prefigurare il proprio desiderio realizzato deve essere messa in relazione a quella "cultura del problema e della penuria" spesso così pervasiva. Tale cultura, spesso dominante in numerosi ambiti sociali (sicuramente in quelli del disagio, ma talvolta anche in quelli del lavoro e delle attività produttive), può arrivare, quando è mutuata dal soggetto, a provocare una vera e propria resistenza a vedere realizzato il proprio desiderio. Il consulente, di fronte ad una tale situazione, deve innanzitutto insistere perché il soggetto si ponga attivamente nella rappresentazione del desiderio realizzato. Una buona strategia spesso è quella di evidenziare o creare un'atmosfera di gioco (situazione in cui i desideri possono realizzarsi) piuttosto che una di lavoro (situazione in cui i vincoli sono predominanti). Quindi dovrà fornire al soggetto tutto l'aiuto che serve, ma esclusivamente in termini di metodo e di facilitazione del processo di costruzione. Non si dovrà dunque aggiungere contenuti o suggerirne, anzi il consulente dovrà manifestare fiducia nella forza del soggetto e nella sua capacità di superare la debolezza. Tale fiducia nella persona, nelle sue possibilità — che è peraltro un elemento forte nella cultura empowering del consulente —, si traduce in termini operativi in una continua valorizzazione del positivo emergente, accom125
pagnata dal non considerare gli aspetti negativi, critici o problematici. Il soggetto nel corso del processo di empowerment deve sentirsi bene, accolto ed accompagnato. Così intervenire sull'aspetto positivo della nuova pensabilità lo può aiutare a vedersi bene nell'immagine costruita. Va sottolineato come la costruzione di una nuova pensabilità positiva sia, appunto, una "costruzione". Dunque non un atto istantaneo, quasi magico, del fantasticare. Pertanto la consulenza si limita ad attivare il processo di costruzione, oppure interviene, in fasi diverse, sulla sua riattivazione. Il processo vero e proprio può durare intervalli di tempo assai più lunghi (giorni o, addirittura, mesi). A questo riguardo, il consulente aiuterà il soggetto nella fase iniziale, tendenzialmente in incontri differenziati per aspetti specifici. Se pure la fase di attivazione della funzione desiderante è proposta al soggetto come attività di gioco elaborativo svincolato dalla quotidianità percepita come vincolo oppressivo (è questo il caso di un tendenziale pessimismo letto e proposto come realismo che spesso è presente nel soggetto), tuttavia è il legame con la realtà che differenzia la pensabilità che si vuole aiutare a costruire in questa fase del processo dalla pura fantasia. Il suggerimento, in tal senso, che permetterà nella consulenza di cogliere questa diversità sostanziale va nella direzione di una evidenziazione dei fattori intervenienti che permetteranno di concretizzare la pensabilità. Tali intervenienti sono rappresentati da fatti o aspetti "nuovi" che già intervengono, o presumibilmente interverranno, a mutare le attuali condizioni. I fattori intervenienti possono essere sia interni al soggetto, cioè fatti o aspetti nuovi che emergono in lui, sia esterni, cioè fatti o aspetti nuovi che emergono nell'ambiente in cui la persona è inserita. Dal punto di vista della dimensione temporale, poi, possono, ad esempio, essere: o già presenti, la novità qui sta nel fatto che la persona, prima inconsapevole, ora li vede, li coglie, se ne accorge e ne tira le conseguenze; oppure, prevedibili nel futuro, avverranno cioè per effetto di tendenze che già ora si manifestano; o ancora, imprevedibili, è presumibile cioè che potranno agire una serie di eventi attualmente imprevedibili ma non impossibili (il «ci sono più cose in cielo ed in terra...» di shakespeariana memoria!). Per capire il ruolo di tali variabili intervenienti nell'empowerment personale può essere assai utile che il consulente aiuti il soggetto a pensare ai cambiamenti positivi già avvenuti nella sua vita passata e, quindi, da lui già sperimentati. In tal senso, risulta più semplice soffermarsi su quei cambiamenti avvenuti con una forte discontinuità rispetto alla vita precedente: il
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cambiamento per "salto di qualità" è più facilmente evidente anche in una situazione apparentemente depressiva. In conclusione, la costruzione di una nuova pensabilità positiva consiste essenzialmente nello: 1. evidenziare uno ad uno (con la maggior completezza possibile) i tasselli della situazione di desiderio realizzato; 2. costruire un quadro in cui tutti i tasselli positivi sono presenti e in cui, soprattutto, la persona riesce ad avere una vision positiva di sé nella situazione desiderata, immaginata come realizzata. Spesso, durante il primo incontro nella fase della costruzione di pensabilità positiva, avvengono alcune importanti e positive variazioni. La persona ritara o addirittura cambia il desiderio, rifocalizzando ciò che, a sua detta, "davvero" desidera. La persona intravede, in sé e nell'ambiente, importanti novità, risorse, nuove intervenienti e comincia a lavorare su di esse oppure focalizza alcuni ostacoli antichi e matura la voglia di aggirarli. Talvolta invece nel primo incontro la persona non riesce ad iniziare la costruzione, ma, nel vedere alcune proprie caratteristiche positive e concentrandosi su di esse, si sente comunque meglio. Il processo riprenderà allora la volta successiva, ma con nuove risorse. 1.3. Fase della trasformazione da pensabilità a possibilità Come abbiamo visto, nel processo di self empowerment il passaggio da pensabilità del desiderio realizzato a reale possibilità di realizzarlo avviene attraverso l'uso di tre diverse risorse metodologiche: l'elaborazione interna, il reperimento di risorse, la sperimentazione. 1.3.1. Elaborazione interna Le attività in cui il consulente aiuta la persona nella fase di elaborazione delle proprie risorse interne sono essenzialmente due: 1. nel mobilitare le energie e le risorse positive del soggetto, utili per la reali77. zione del nuovo desiderio e della nuova pensabilità; 2. nell'individuare, isolare e by-passare gli ostacoli personali interni (killer interni) che gli impediscono, o lo rallentano. Per la mobilitazione di energie e risorse positive è per lo più sufficiente che il consulente abbia una posizione di attenzione e di valoriznzione: cogliendole, sottolineandole e riproponendole all'attenzione del soggetto, il 127
quale — lo ripetiamo — viene invece spesso sovrastato nei propri vissuti dalla negatività dei suoi problemi. Maggiore difficoltà sta, invece, nell'aiutare il soggetto a superare gli ostacoli personali. È opportuno a proposito segnalare alcune indicazioni di metodo. Innanzitutto il consulente deve agire sugli ostacoli uno alla volta, affrontandoli se sono più d'uno in incontri diversi. Quindi, l'individuazione dell'ostacolo — nei suoi punti centrali — è compito del consulente che potrà poi indicarlo al soggetto. Spesso infatti il soggetto tende a nascondere o travestire i propri killer interni proponendo razionalizzazioni o para interpretazioni allo scopo di fornire un'immagine "migliore" al consulente; le informazioni riguardo agli ostacoli vanno invece soppesate dal consulente che le organizzerà in forma di vere e proprie "ipotesi di lavoro" proponendole esplicitamente al soggetto. Infine, desideriamo ricordare come obiettivo dell'empowerment non sia la risoluzione dei problemi. Pertanto l'ostacolo individuato non va "risolto" ma isolato, prima, e by-passato, poi. Questo significa che l'ostacolo va evidenziato nella sua specifica azione negativa, cioè compreso nelle sue caratteristiche e nelle sue modalità operative attraverso cui impedisce alla persona di raggiungere quel "qualcosa" specifico che gli preme nell'area di empowerment presa in esame, e reso inoffensivo, di modo che pur permanendo nel campo del soggetto non continui a provocare impedimenti alla realizzazione del suo desiderio. Proviamo ora ad esemplificare alcune possibili strategie di by-pass dell'ostacolo individuato. • Evidenziare come esso si sia formato ed alimentato nel corso della nostra vita passata, in cui magari poteva anche risultare funzionale, ma come esso, ora, possa essere evitato con le nuove risorse nel frattempo acquisite dal soggetto. Da "allora" ad "adesso". • Aiutare la persona ad isolare l'ostacolo, comprendendo con essa come questi concretamente opera ed evidenziando come, sia pure lasciandolo agire sul piano generale della personalità del soggetto, si possa impedire che agisca e blocchi la possibilità specifica e concreta rispetto alla quale si sta lavorando con l'empowerment. • Delineare variazioni in una nuova e contingente "mappa del sé", delle proprie caratteristiche, punti di forza e di debolezza, relativa esclusivamente al rapporto con l'oggetto con cui si sta lavorando con l'empowerment. La mappa generale del sé della persona, descrittiva, rimane 128
uguale ma se ne costruisce un'altra specifica per il desiderio su cui si sta lavorando. Altre strategie di superamento dell'ostacolo, più fondate su di una esperienza emozionalmente coinvolgente, possono essere rappresentate dal far combattere la parte positiva ed utile di sé contro quella negativa, ottenendone contingentemente la vittoria (anche barando!), di modo che il soggetto sperimenti una situazione di maggior benessere esistenziale; dall'esaltare esageratamente l'ostacolo fmo alle sue conseguenze più estreme e irrealistiche, di modo che il soggetto ne possa sperimentare la sua stessa debolezza ed inconsistenza; dal reagire all'ostacolo come se non ci fosse (qui il supporto processuale del consulente deve essere fortissimo!) anzi come se esistesse la capacità contraria nella persona, di modo che essa possa sperimentare — anche solo temporaneamente — modalità ed emozioni diverse da quelle a cui, generalmente, l'ostacolo condanna. In generale, come si vede nelle strategie esposte, si tratta al contempo di accettare l'ostacolo, il limite, ma mettendolo "fuori gioco", di renderlo inoffensivo rispetto al desiderio specifico su cui si sta lavorando con l' empowerment. Ricordiamo a riguardo che, secondo questo approccio, realizzando ed accumulando progressivamente esperienze positive il problema interno cessa di rappresentare l'unico orizzonte e l'unico criterio per affrontare ogni situazione e fmisce per essere gradualmente ridotto nella sua espressione esistenziale dal soggetto. Questo anche se l'obiettivo non è quello di abbatterlo ma di ridurne il potenziale d'azione rispetto ai desideri di volta in volta affrontati. Ripetiamo che, in generale, la funzione del consulente in questa fase consiste nell'aiutare la persona a far prevalere le proprie risorse interne "positive" — di possibilità, di fiducia nelle proprie capacità e caratteristiche — su quelle ostacolanti. 1.3.2. Risorse esterne
Moltissime delle risorse utilizzabili dalla persona nel proprio processo di empowerment sono già reperibili nell'ambiente in cui essa agisce. La funzione del consulente, a questo riguardo, è quella di attivare e, ove è necessario e soprattutto all'inizio, indirizzare il soggetto nel reperimento e nell'acquisizione di tali risorse. 129
Esempi tipici di risorse esterne utilizzabili nel processo di self empowerment sono: le informazioni, che permettono l'orientamento del soggetto verso nuove possibilità e insieme gli consentono di concretizzare il proprio desiderio; le competenze (conoscenze, capacità, strumenti), che strumentano l'azione del soggetto nei confronti degli oggetti verso cui il proprio desiderio è focalizzato; i rapporti interpersonali, in particolare con altre persone che possono sostenere il soggetto nella sua azione ("sponsor" e "alleati"); l'accesso a fonti di risorse specifiche, sia in termini di informazioni che di competenze che di rapporti. Alcune attività di consulenza particolarmente utili al soggetto nella sua azione di reperimento ed acquisizione di risorse esterne sono: • aiutare la persona ad individuare di quali risorse ha effettivamente necessità; • aiutare la persona, favorendo la sua mobilitazione e la sua iniziativa, a trovare informazioni e modalità di accesso alle loro fonti; • sostenere la persona di fronte ai suoi insuccessi (spesso inevitabili, almeno inizialmente) o percezioni di insuccesso. Questo in particolare nelle prime fasi, quando sembra che, a fronte di tanta fatica, i risultati siano minimali; • aiutare la persona a farsi guidare nella pensabilità positiva nell'evidenziare le direzioni "giuste" nella ricerca di risorse. Ciò è particolarmente importante perché di frequente la ricerca di risorse da parte della persona procede in maniera disordinata, oppure è condizionata da schemi particolari non corrispondenti al desiderio effettivamente emerso ed alla pensabilità che ne deriva. Così i risultati vanno in direzioni diverse da quelle effettivamente desiderate dal soggetto e gli esiti della sua azione non vengono da lui percepiti come un effettivo risultato. 1.3.3. Sperimentazione
La sperimentazione rappresenta di fatto la verifica concreta dell'esistenza di una nuova possibilità per sé. Infatti, per quanto la nostra pensabilità abbia raggiunto dei traguardi di dettaglio e di sistema elevatissimi, per quanto abbiamo allargato il nostro bagaglio informativo, per quanto abbiamo sviluppato competenze adeguate e mobilitato le nostre energie personali, fmo a quando non misureremo nella realtà la corrispondenza della nostra ipotesi, del nostro desiderio, questo non sarà una reale possibilità per noi. 130
Per questo motivo la sperimentazione è, contemporaneamente, "prova del nove" e allenamento sulla nuova possibilità costruita. È dunque opportuno che, per evitare iniziali insuccessi che potrebbero minare alla radice la nostra costruzione, la sperimentazione proceda con una gradualità prudente: 1. dapprima deve essere molto piccola, ma significativa almeno a livello simbolico. Si tratta di un primo passaggio all'atto e serve soprattutto a mobilitare energie interne e ad assumere nuove informazioni su di sé (e sulla vera natura del proprio desiderio). Il consulente deve individuare e, quasi, prescrivere questa prima sperimentazione; 2. quindi, le sperimentazioni successive diverranno sempre più concrete. Sempre parziali (restano sperimentazioni e devono pertanto presentare sempre un aspetto di reversibilità, si deve poter tornare indietro), ma progressivamente crescenti. La sperimentazione, comunque siano le sue caratteristiche, deve essere "reversibile": si tratta infatti di aprire una possibilità di cambiamento, non di cambiare. Va registrato che, talvolta, gli ambiti di sperimentazione (specie in quelle iniziali, più piccole) vengono individuati con facilità dal soggetto stesso. Quando questo non accade è il consulente che deve capirne la natura, individuarne l'operatività, consigliarle e, in taluni casi, prescriverle quale "compito" al soggetto. È questa, probabilmente, la fase che esige la maggiore capacità da parte del consulente di sostenere il soggetto nel suo processo di empowerment. Infatti, l'individuazione di sperimentazioni richiede di unire l'esperienza del consulente (su di una pluralità di persone e di situazioni) con la grande attenzione alla specificità ed unicità della persona cliente. È opportuno, per aumentare l'efficacia delle sperimentazioni che: le prime (magari solo simboliche o estremamente parziali) avvengano quasi immediatamente dopo la formulazione della nuova pensabilità; altre sperimentazioni (meno simboliche e più globali) avvengano poi, dopo il primo periodo di acquisizione di risorse; infine, in generale sperimentazioni ed elaborazione delle risorse interne devono procedere assieme, in modo da implementare un circolo virtuoso in cui il successo nella sperimentazioni venga introiettato come incremento delle risorse personali e l'emergere delle risorse interne fornisca energia positiva all'azione sperimentale.
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2. Indicatori per la misurazione dei risultati di empowerment nell'orientamento tramite counseling* 2.1. L'orientamento come processo di elaborazione della
"configurazione delle possibilità" della persona
Per poter misurare i risultati di un intervento, è importante identificare l'unità di misura della grandezza elementare che sta alla base del fenomeno (qui l'orientamento). Noi qui proponiamo che uno dei modi efficaci di leggere l'orientamento, soprattutto quando c'è bisogno di consulenza e/o counseling, sia quello ispirato all'approccio dell'empowerment: assumendo la "possibilità" come unità elementare del fenomeno su cui l'intervento di orientamento opera. Anche perché, soprattutto in consulenza e in counseling orientativo, spesso la sfida principale non è quella della "scelta" tra possibilità, ma quella dell'individuazione/costruzione di una o più nuove possibilità: ciò che spesso definisce la necessità di invio del cliente alla consulenza, o addirittura al counseling, è proprio la sensazione iniziale di un "blocco" delle possibilità. L'orientamento "spontaneo" dell'individuo che non ha particolare bisogno di intervento d'aiuto, può essere così interpretabile: 1) la persona dispone (come sua condizione "interna") di più "possibilità" in qualche modo per lei positive (possibilità di intraprendere, per esempio, diversi tipi di lavoro, o di studio). 2) la persona non ha difficoltà eccessive a "scegliere" ed orientarsi verso una delle suddette possibilità: investendo quindi in tale direzione risorse di diversi tipi. Proprio perché ha scelto tra diverse possibilità, se ne sente responsabile, vi investe energia positiva, attiva e sviluppa il percorso necessario. Quest'ottica delle possibilità, tipica dell'approccio empowerment, mette l'accento non tanto sulla difficoltà di scegliere, quanto sull'importanza di avere possibilità positive tra cui scegliere. In particolare si propone qui che la persona che ricorre alla consulenza sia una persona che si percepisce (a ragione o a torto) come priva di possibilità vissute come sufficientemente positive. In questo paragrafo sono riportate anche molte delle elaborazioni fatte in occasione della collaborazione con il Centro per le transizioni al lavoro e nel lavoro, ed in particolare con Maria Luisa Pombeni 132
Si sottolinea come una "possibilità" sia tale quando sono rispettate alcune condizioni: • la possibilità è percepita come positiva: la persona vi ci si prefigura cioè in modo almeno prevalentemente positivo; • c'è un livello anche di desiderio, voglia, opportunità (e non solo di bisogno, necessità, richiesta esterna, problema da risolvere); • la possibilità nasce prima di tutto all'interno del soggetto (o comunque non è tale se non sta anche all'interno del soggetto), per potere essere scelta e cercare di essere messa in opera nel rapporto col mondo esterno ("pensabilità positiva" del soggetto di sé in quel lavoro, o in quel tipo di studi, o in quella direzione di vita); • la possibilità esige una vision (o pensabilità positiva) che prefigura lo stato finale di sua messa in opera; ma esige anche una "vision di percorso": cioè una prefigurazione di allocazione di risorse, di mobilitazione di energie, di by-pass di eventuali propri problemi storici soggettivi investendo sé in quella direzione specifica. Il processo dell'orientamento può essere allora interpretato come trasformazione di una insoddisfacente "costellazione di possibilità" in entrata in una soddisfacente costellazione di possibilità in uscita. Dove "soddisfacente costellazione di possibilità in uscita" vuol dire in particolare che: • il soggetto ha (internamente) più possibilità positive e quindi può "scegliere" quale cercare di mettere in opera; • la possibilità scelta ha incrementato, anche grazie all'intervento di orientamento, i suoi indici di positività e consistenza (vedi più avanti gli indicatori nel dettaglio). Al contrario "insoddisfacente costellazione di possibilità in entrata" può voler dire, in particolare, uno o più dei seguenti casi: la persona non vede per sé alcuna possibilità (e/o non percepisce come almeno prevalentemente positiva alcuna delle possibilità); la persona ritiene di avere una sola possibilità, che però non percepisce per sé abbastanza positiva; la persona dichiara positive una o più possibilità, ma pensa (o "sente") che ce ne sia una migliore che peraltro non riesce a focalizzare; oppure ne intravede solo una che però non è realistica per motivi esterni od interni. Qui si sottolinea come nel processo di orientamento (soprattutto quando problematico e quindi richiedente colloquio di consulenza o addirittura di 133
counseling) sia fondamentale non solo la fase di "scelta" tra possibilità, ma soprattutto la fase di individuazione e/o costruzione di possibilità. Si apre allora, per la metodologia della misurazione dei risultati dell'orientamento-consulenza, una strada molto ricca, da aggiungere a quelle più tradizionali: l'uso dell'approccio dell'ernpowennent e del self empowerment, cioè del modello della apertura delle nuove possibilità. Infatti in questo modo si evidenziano diverse grandezze-variabili-indicatori, che danno un contributo significativo aggiuntivo: molto incisivo per la misurabilità dei risultati dell'intervento di orientamento, soprattutto quando basato sulla metodologia della consulenza o del counseling di orientamento. Fig. 1 "configurazione delle possibilità" in entrata:
"problematica" o addirittura "bloccata"
processo di ORIENTAMENTO: in particolare con esigenza di ricorso a COLLOQUI DI COUNSELING
"configurazione delle possibilità" in uscita:
"soddisfacente" cioè generativa, che permette uno sviluppo positivo fino al buon esito globale finale dell'orientamento
Questo modo di vedere il processo di orientamento sottolinea l'aspetto per cui tale processo, ancora più che in un processo di "scelta" consiste in un processo di individuazione, apertura, costruzione di "possibilità". In particolare si ipotizza che il ricorso a consulenza e counseling sia tipico non tanto di una indecisione fra opzioni positive, quanto di una sorta di blocco di fronte alla insufficienza di opzioni percepite come positive. Grandezze che è possibile misurare: -N Numero delle possibilità -P numero delle possibilità percepite dall'interessato come almeno prevalentemente Positive -I numero di possibilità nuove (I come innovative), emerse per effetto del processo di orientamento -S livello di Sceglibilità di una possibilità-opzione-direttrice rispetto alle altre (in particolare quelle comunque positive). Tale livello può essere misurato sinteticamente (sulla base del giudizio soggettivo della perso134
na), oppure analiticamente con una serie di fattori-indicatori sceglibili tra quelli dei paragrafi precedenti. È evidente che queste sono misurazioni sintetiche. La misurazione della configurazione di possibilità in termini molto più analitici può prevedere su ciascuna delle possibilità, tutte le misurazioni delineate nel paragrafo successivo. 2.2. Esempi di indicatori per la misurazione dei risultati immediati "alla fine" dell'intervento di orientamento Si privilegiano qui risultati prevalentemente "oggettivi", nel senso che rilevano "azioni" specifiche compiute dall'interessato nella direzione scelta con l'orientamento. Azioni che stanno, temporalmente e concettualmente, nella zona "a cavallo" tra l'ultima parte dell'intervento di orientamento e la primissima parte del percorso realizzativo dell'opzione scelta con l'orientamento. Negli esempi che seguono ci si riferisce a situazioni molto generali, quali la scelta di un lavoro o di un corso di studi: • Azioni preliminari o preparatorie Riguardano soprattutto il procurarsi risorse: - procurarsi informazioni, prendere i primi contatti necessari; avviare iter burocratici o di ricerca; - cercare fonti di finanziamento; - ricercare e prendere contatti con persone e fonti (per es. per una ricerca di un certo tipo di lavoro); - andare a sentire sperimentalmente una lezione in università; - fare un piano, possibilmente scritto, di risorse da trovare e di azioni da fare, - scrivere il proprio curriculum; inviarlo; andare a colloqui di selezione; togliere condizioni che oggettivamente impediscono la nuova direzione presa (vedi oltre "Azioni di ristrutturazione"). •
Azioni di avviamento - l'iscrizione ad un corso di studi, ad un percorso di preparazione professionale;
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- l'inizio della raccolta concreta di risorse economiche necessarie per portare avanti un progetto; - l'inizio almeno sperimentale di una attività, per esempio lavorativa. • Azioni di ristrutturazione per garantire la successiva "tenuta" nel tempo Sono azioni che cambiano aspetti circostanti della vita della persona, per facilitare-permettere il buon esito dell'opzione decisa in sede di orientamento. Sono evidentemente molto "specifiche" della direzione intrapresa e della situazione della persona. Esempi: ristrutturazione nell'uso del proprio tempo, ristrutturazione nell'uso del denaro disponibile, ristrutturazione dei rapporti interpersonali e sociali prevalenti, ristrutturazione di una o più condizioni oggettive di vita (quali l'abitazione; i mezzi di trasporto; il modo di vestire; etc.). Le azioni di ristrutturazione sono importanti soprattutto se affiancate ad azioni preliminari-preparatorie o di avviamento: infatti determinano una maggiore possibilità che l'indirizzo avviato dal soggetto "terrà" nel tempo, non decadrà alle prime difficoltà oggettive o soggettive. Nota bene: sono importanti anche alcune azioni-sperimentazioni simboliche (es. un colloquio particolare con i genitori o il coniuge; un cambiamento nel look fisico o nelle abitudini; una piccola prova). 2.3. Esempi di indicatori per la misurazione dei risultati nel
"durante" dell'intervento di orientamento
Sono quei risultati parziali (o intermedi, appunto) che dipendono dalla bontà del processo "durante" l'orientamento. Ispirandosi all'approccio dell 'empowerment ed al modello operativo della apertura di una nuova possibilità, si evidenziano alcuni fattori ed indicatori che hanno un particolare pregio: quello della "incisività", incisività nel cogliere da una parte le difficoltà del soggetto rispetto all'orientamento, dall'altra i punti cruciali per sbloccare situazioni e per avere garanzie di buon esito globale nel tempo. Questi fattori sono importanti per cogliere come l'operatore dell'orientamento possa facilitare l'emergere di quella "nuova possibilità" che 136
spesso fa passare il processo di orientamento da "bloccato" ad aperto, progressivo, risolvibile. Possiamo evidenziare i seguenti tipi intermedi di variabili (e di relativi indicatori) seguendo lo schema del processo di self empowerment per l'apertura di una nuova possibilità. In particolare descrivendo i quattro sub-processi cruciali del self empowerment. 2.3.1. Sub-processo di apertura di nuova "pensabilità positiva" (visioning)
Costruzione, da parte del soggetto, di prefigurazione mentale della meta raggiunta (es.: lavoratore in un certo modo e situazione) e di sé stesso (almeno prevalentemente) soddisfatto in tale situazione. Esempi di fattori-indicatori: • livello di investimento di desiderio (Io desiderante). Misurabile per esempio con una breve e semplice analisi del contenuto (parole come desiderio, voglia, opportunità... versus parole come problema, bisogno, necessità, dovere...); • livello di incontro tra la dimensione suddetta del desiderio e la dimensione del riconoscimento della "realtà" esterna e/o personale storica del soggetto (esigenze, bisogni, problemi da risolvere, condizioni di contorno, ... (incontro desiderio-realtà). Spesso l'incontro desiderio-realtà è reso evidente dalla focalizzazione di un nuovo desiderio: più specifico, concreto, realistico; generato dall'incontro della funzione desiderante con l'analisi di realtà e i bisogni, che aiutano il desiderio generale a specificarsi. Nella nostra esperienza, peraltro più frequente che non il problema dell'incontro desiderio-realtà è il problema della scarsità iniziale di investimento di desiderio (escludendo i desideri dichiarati ma non autentici o addirittura provocatori). • livello di consistenza e positività della vision (o prefigurazione del desiderio specifico realizzato): articolazione e ricchezza di contenuti; - livello di positività (quanto il soggetto vi ci si trova "bene"); - livello di ottimismo realistico (quanto, pur essendo la vision per definizione nettamente ottimistica, non invade l'area dell'oggettivamente impossibile).
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2.3.2. Sub-processo di mobilitazione ed acquisizione risorse
È evidente come sia importante la disponibilità (attuale o potenziale) di risorse, del soggetto e nel suo rapporto con l'ambiente (esempi: competenze, attitudini, finanziarie nel caso di imprenditoria, etc.). Si sottolinea come, nel caso di consulenza-counseling, uno dei subprocessi cruciali sia spesso quello del fare emergere e diventare attive risorse, interne ed esterne, che inizialmente erano trascurate o comunque non utilizzate. Si evidenziano alcuni fattori quali: • "visione positiva di percorso": livello di costruzione, da parte del soggetto, di una prefigurazione positiva di sé "mentre" si procura le risorse (per es.: "mentre" studia per ottenere un diploma; mentre "cerca" lavoro; mentre "impara" a fare una certa attività). Può succedere per esempio che una persona si piaccia in quanto possessore di un diploma, ma non si piace mentre studia per ottenere un diploma; • alimentazione da parte dell'io desiderante nella fase di acquisizione di risorse: sostegno della dimensione del desiderio, e non solo di quella del bisogno, nei riguardi della mèta. Se è solo un bisogno, la persona può "rinunciare": per esempio nella ricerca di chi gli dia fiducia; o nel lungo processo di acquisizione di una nuova capacità; • auto ed etero credibilità del piano di acquisizione operativa di risorse; • livello di recupero e mobilitazione di una o più risorse trascurate (esempio: collegamento con persone o ambienti; facilitazioni di accesso; opportunità nuove che la persona non conosceva o aveva sottovalutate). 2.3.3. Sub processo di depotenziamento (specifico ed applicativo) di problematiche storiche soggettive della persona interessata
Ogni persona ha sue problematiche storiche soggettive che, senza entrare nel campo della patologia, possono però ridurre il suo spettro delle possibilità. Proponiamo l'ipotesi che spesso il blocco nell'autogestione del processo di orientamento (con esigenza quindi di consulenza o counseling), sia dovuto proprio al fatto che i problemi storici soggettivi (killers) agiscono riducendo fortemente proprie le possibilità nell'area rispetto cui l'orientamento è richiesto (lavoro; studi; importanti scelte familiari...).
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Le problematiche storico-soggettive, studiate da noi in sede di orientamento e di formazione degli adulti, hanno spesso a che vedere con uno o più elementi quali per esempio: • complessi di inferiorità • insicurezza • esperienze precoci bloccanti o comunque fortemente negative • interiorizzazione di elementi culturali disfunzionali • ideologie personali e/o sociali obsolete • residui di problemi di identificazione sessuale, o legate alle fasce di età • copresenza difficile di "anime" del sé. È per questa ragione che spesso l'orientamento viene confuso con la terapia: come se l'intervento di orientamento dovesse farsi carico di "risolvere" un certo problema soggettivo storico della persona. Invece l'intervento di orientamento si fa carico di aiutare il soggetto a "depotenziare" il problema soggettivo storico della persona nell'area specifica in esame e rispetto ad una o più opzioni. Per esempio trovando strade per rendere "inoffensivo" quel problema, sul lavoro di un certo tipo desiderato, e/o nella ricerca di quel lavoro, oppure mobilitando risorse positive che permettono, nello specifico, di ovviare alle lacune specifiche causate. Si tratta più di aggirare che di risolvere. Esempi di fattori misurabili: • livello di individuazione di strategie (alternative rispetto al passato) per rendere inoffensiva la problematica storica soggettiva in quello specifico tipo di opzione-indirizzo (di studi, di lavoro,...) • livello di irrilevanza del/dei problemi storici soggettivi della persona, dato il particolare tipo di opzione scelta o di nuova possibilità aperta • livello di nuova fiducia della persona, rispetto al problema storico soggettivo, data una sua nuova elaborazione breve ma incisiva durante l'intervento di orientamento • numero e rilevanza di azioni processualmente significative messe in atto dalla persona durante l'orientamento: in modo simbolico-analogico, esse testimoniamo anche una nuova possibilità di gestione (su specifici applicativi, non in generale nell'esistenza) della problematica storicosoggettiva.
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2.3.4. Sub-processo della sperimentazione
In consulenza e counseling orientativo prevale per molto tempo l'elaborazione mentale; l'approccio empowerment sottolinea come ad esso è importante che segua e si accompagni anche la dimensione dell'azione. Non si parla qui di quelle azioni in cui già si concretizza l'inizio effettivo del percorso realizzativo dell'opzione scelta. Si tratta invece di azioni, spesso simboliche/analogiche, che costituiscono segnale che qualcosa si muove in un'area preliminare/d'intorno. Già nel buon senso popolare è noto come costituiscano spesso segnali significativi: novità nel look esteriore; la sperimentazione di nuovi rapporti e ambienti, comportamenti cosiddetti inusuali (rispetto alle abitudini del soggetto). Possiamo interpretare il significato generale di simili fattori come "prove indirette" o "sperimentazioni analogiche reversibili". Esempi: • sperimentazioni di comportamenti diversi dal solito, non direttamente ma psicologicamente collegabili all'area dell'orientamento (e come tali percepiti dalla persona, anche se i contenuti sono diversi da quelli del lavoro, o dello studio...) • sperimentazioni-prove reversibili: la persona fa delle piccole prove che hanno tre caratteristiche fondamentali: 1) durano poco tempo; 2) sono reversibili: al loro termine tutto torna come prima (salvo, ovviamente, l'esperienza fatta ed i dati esterni-interni raccolti); 3) sono apparentemente poco importanti (andare a sentire "una" lezione; provare a parlare "una volta" in modo diverso col genitore; andare a trovare "quasi per caso" un amico che ha un'officina): però importante è il collegamento psicologico percepibile ed esplicitato dall'interessato e verificato dal consulente di orientamento.
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9. Andare oltre: la scala dei desideri
In questo capitolo proviamo ad andare oltre nell'applicazione del principio/guida dell'apertura di nuove pensabilità e possibilità. La "pensabilità" che proponiamo è quella secondo cui a guidare i comportamenti non sono solo i "bisogni" ma anche in larga parte i "desideri" (tutto il primo paragrafo è dedicato ad illustrare la differenziabilità, sia pur parziale e non totale, tra "bisogni" e "desideri"). Ciò in particolare oggi, nelle moderne società "liberate": ricche, ad alto livello di scolarizzazione, postindustriali, liberate dalla centralità dei bisogni di sopravvivenza. La "possibilità" che proponiamo è quella di leggere ed aiutare il "motore" della crescita, individuale e collettiva, in quanto motore basato non solo sulla tensione al superamento dei problemi, ma anche sulla esistenza tipicamente umana di un'intrinseca "scala dei desideri": sul lavoro come nella vita extralavorativa; nei ruoli di management come nelle professioni di aiuto alle persone; nello sforzo di ciascuno per il proprio autosviluppo come nella tensione al miglioramento della qualità della vita; nella ricerca della gioia e del godimento come nella gestione del disagio e della sofferenza. I due primi paragrafi di questo capitolo, la "differenziabilità" tra bisogni e desideri e la "scala dei desideri", vogliono anche fornire un contributo allo sviluppo delle persone e degli operatori circa il know how nell'area del desiderio. Infatti l'umanità ha accumulato molto know how, sia scientifico che pragmatico, rispetto al trattamento dello stato "bisognoso"; molto meno invece rispetto a quello "desiderante", quasi come se non fosse utile. Mentre invece la tematica del desiderio (e non solo del bisogno) comincia a manifestarsi, come gli operatori ben sanno, non solo tra i "benestanti" ma anche laddove la tradizione prevedeva solo bisogni, quali: l'handicap, il lavoro dequalificato, l'immigrazione, la senilità, la malattia cronica. 141
Non vogliamo qui entrare nella vastissima tematica della motivazione. Vogliamo mostrare come l'approccio dell'empowerment, ed il suo focus "anche" sul ruolo motore dell'io desiderante, consentano una possibilità nuova e originale, una strumentazione incisiva aggiuntiva, una strada aperta da percorrere che sembra valere la pena di, un conforto a chi sentiva di non trovare, nelle tradizionali categorie del bisogno, corrispondenza ad una parte emergente della realtà di questi nuovi tempi.
1. Bisogni e desideri La scienza, la società, le istituzioni si occupano prevalentemente di bisogni, di esigenze, di mancanze (per esempio nella psicologia scientifica, need, o per esempio nel linguaggio istituzionale e politico i "bisogni della gente"). C'è un'implicita declinazione di questo dato: bisogni e desideri sono trattati quasi come sinonimi dai linguaggi ufficiali, mentre hanno differenze molto sensibili: sia nell'uso della parola stessa, sia nelle sottili — ma sostanziali — differenze di contenuti che le persone applicano quando collocano stimoli e scopi nella categoria dei bisogni piuttosto che nella categoria dei desideri. Semmai ci sarebbe da chiedersi perché le parole e i concetti di bisogno e desiderio vengano così spesso confuse nei linguaggi ufficiali: quando invece le loro differenze sono così istintivamente chiare nella consapevolezza diffusa delle persone. In fig. 1 proponiamo la focalizzazione sistematica' :delle principali differenze tra la categoria bisogno e la categoria desiderio2.
1. La differenziazione tra bisogno e desiderio corrisponde ad una "tendenza" più che ad una separazione assoluta (ci sono anche zone di sovrapposizione). La lettura più rigorosa delle frasi riportate nella tabella successiva, le trasformerebbe, per esempio, nel seguente modo: da "il bisogno tende di più ad essere orientato al passato", a (in maniera più rigorosa) "l'attribuzione della categoria del bisogno tende ad essere, più di quella di desiderio, orientata al passato". Ciò vale per tutte le voci di differenza esposte nella tabella. 2. Una bella descrizione della differenza tra "bisogno" e "desiderio" è fornita da Luca Amovilli, nel suo libro Imparare ad imparare (Patron, Bologna, 1994). 142
Fig. 1 - Principali differenze tra la categoria bisogno e la categoria desiderio Connotazioni prevalenti
Connotazionl prevalenti
del bisogno
del desiderio
Esempi semplici che sottolineano aspetti di differenza tra "bisogni e "desideri"
Il bisogno tende di più ad essere orientato al passato; la soddisfazione del bisogno tende a ripristinare stati di equilibrio precedenti
II desiderio tende di più ad essere orientato al futuro: la realizzazione del desiderio tende a indirizzare verso l'ampliamento del campo di esperienza
Il "bisogno" di mangiare come farne, come conseguenza del non aver mangiato; il "desiderio" di una bella cena, con quella tale specialità e/o con quegli amici
Il bisogno viene di più associato alla frustrazione; la parola "bisogno di" tende ad evocare l'immagine e le sensazioni del bisogno frustrato
II desiderio viene di più associato alla soddisfazione. La parola "desiderio di" tende ad evocare l'immagine e le sensazioni piacevoli del desiderio soddisfatto
Il "bisogno" di fermarsi a riposare; il "desiderio" di fare un viaggio
La bisognosità è tendenzialmente spiacevole, lo stato di "bisognoso", è quasi per definizione, giudicato spiacevole
La desiderosità può essere piacevole e valorizzante. Lo stato di "desiderante" può (anche se non sempre) risultare piacevole per la persona ed essere giudicato dagli altri come valorizzante
Il prototipo sociale di "bisognoso" è la persona non autonoma che ha bisogno di assistenza sociale; il "desiderante" tipo è per esempio un giovanotto/a pieno di salute, energia, voglia di vivere
Il bisogno tende di più ad II desiderio tende di più ad essere flessibile. essere Il desiderio tende ad essere flessibile Imprescindibile. Il bisogno tende ad es- e postpOnibile: altri piaceri possono sere pressante e rigido: facilmente, e senza sofferenza, fare l'azione per soddisfarlo rimandare l'azione per soddisfarlo può essere rimandata nel tempo, o sostituita da altre attività, solo per obbligo e comunque con sofferenza
Il "bisogno" di mangiare, di trovare un posto di lavoro, di avere un riconoscimento che cancella un'offesa subita: sono pressanti, irrinunciabili se non con sofferenza. Il "desiderio" di scoprire, di viaggiare, di stare con gli amici, di fare l'amore, di realizzarsi sul lavoro, di creare, di comodità: sono facilmente interscambiabili nelle precedenze
Il bisogno tende ad essere più specifico e concreto. Il bisogno tende infatti ad essere realistico, le sue mete concrete e definite
Il desiderio può essere più generico e astratto. Il desiderio può essere infatti realistico e concreto, ma può spesso essere anche irrealistico, o astratto, o visionario, o confuso, o generico
Il desiderio (di autorealizzazione lavorativa; di cercare l'amore con la A maiuscola; di godere la vita) rischia di restare vago se non trova un più preciso bisogno che lo aiuta a concretizzarsi, specificarsi, assumere la precedenza operativa
Il bisogno è pin vissuto come subito. Il bisogno tende ad essere vissuto da chi lo prova come subito, indi_ pendente dalla propria volontà, inevitabile, in un certo senso "oggettivo". La persona per certi versi non se ne sente responsabile
Il desiderio è più scelto e responsabilizzato. La persona tende ad essere consapevole che il desiderio corrisponde alle sue caratteristiche soggettive, individuali, che è da lei privilegiato rispetto ad altri possibili. La persona se ne sente (per lo più positivamente) responsabile
Il drogato in astinenza, nel momento attuale non si sente, responsabile (lo è semmai di esserci arrivato); così come l'affamato o l'isolato sociale. Desiderare un lavoro migliore, un rapporto più vivo, un se stesso più abile, è invece una scelta: di cui la persona è (e viene considerata) responsabile
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Alcuni ulteriori semplici esempi possono aiutare a focalizzare la differenza tra la "attribuzione di bisogno" e la "attribuzione di desiderio", anche quando l'area di contenuto cui ci si riferisce è la stessa. Bisogno e desiderio "di un amore" - "bisogno" di riavere un amore perduto - "bisogno" di amore per troppa solitudine - "bisogno" tout court di un uomo (o di una donna) - "bisogno" di amore perché il resto della vita è insoddisfacente
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"desiderio" di un nuovo tipo di amore, o di rendere più bello l'amore attuale "desiderio" di incontrare e innamorarsi di una persona stupenda con cui essere e fare cose nuove
Bisogno e desiderio "di un lavoro" desiderio di un lavoro dove sentirsi realizzato, applicare ciò che si è imparato, continuare a crescere
- ho bisogno di un posto di lavoro, altrimenti non so come mantenermi
Bisogno e desiderio "di vacanze" "desiderio" di vacanze per provare nuove sensazioni, per fare quella cosa di cui c'è voglia da tanto tempo, per godersi il tempo libero, per fare un bel viaggio, per godersi la corporeità
- "bisogno" di vacanze per recuperare energia, per ritemprarsi, per uscire dalla routine soffocante - perché "sennò finisce che qui mi ammalo"
Bisogno e desiderio "di un cambiamento di governo" ce ne è "desiderio" perché si ce ne è "bisogno" perché i vuole aprire a nuova progettualiproblemi irrisolti sono diventati tà, si desiderano visioni e propotroppo gravi e inderogabili ste nuove
Nelle ricche società avanzate è sempre meno necessario spendere la maggior parte della vita per i bisogni di sopravvivenza ed è sempre più possibile perseguire desideri qualitativi, di benessere non solo economicoquantitativo. Nei secoli, però, il genere umano ha accumulato tanto know how sui bisogni: oggi ci troviamo invece carenti soprattutto di know how sui desideri. 144
Tanto è vero che continuiamo a trattare (e perfino a denominare) i desideri come bisogni, mentre le loro leggi sono significativamente diverse. Esempio "pro-vocatorio": tutti sanno come mostrare solidarietà e come cercare di fornire conforto ad un amico che ha problemi e bisogni ma se un amico si rivolge a noi dicendo che sta bene ma che vorrebbe stare meglio, molti non trovano di meglio che dire soltanto "beh, sei già fortunato".
1.1. A cosa serve saper distinguere tra bisogni e desideri e saper valorizzare questi ultimi Ad evitare di trattare anche i desideri come se fossero ancora e solo bisogni: rischiando così di vivere da "poveri" (non solo economicamente) anche quando si avrebbe la possibilità di essere e sentirsi "ricchi" (in molti sensi). A costruire know how personale sul desiderio e sul benessere (diverso dal know how sul bisogno e sul malessere, in genere abbondantemente posseduti, se non altro per eredità millenaria dalla storia e dalla tradizione). A godersi i desideri ancora irrealizzati come ricchezza e vitalità personale; a provare piacere nel viverli, anche se ovviamente non potranno essere realizzati tutti. A godersi di più il vivere in questa società dove sempre più soddisfatti sono i bisogni e sempre più spazio c'è per i desideri. A considerare i propri desideri come degni di considerazione e di investimento di impegno, intelligenza, risorse (invece di sentirsi autorizzati a farlo solo per i bisogni, che sono più "oggettivi"). A basare maggiormente sui desideri (e non soltanto sui bisogni) aspetti importanti della vita quali: i rapporti affettivi e amicali, le appartenenze lavorative e anche quelle politiche, le attività di studio e di impegno sociale, l'interpretazione dell'essere diventati adulti, il rapporto coi figli e con le persone care, la gestione del proprio tempo. Risultando così migliori colleghi, amici, sposi e genitori, cittadini, perché è oggi evidente come persone e sistemi sociali abbiano bisogno (almeno nelle moderne società liberate) di noi come vivi e desideranti ancor più che di noi come bisognosi e attenti ai bisogni (se poteste scegliere: che collega vorreste? che partner ideale? che lavoratore assumereste? quale capo? quale figlio e quale genitore?).
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1.2. Suggerimenti d'uso, della differenziazione bisogno-desi-derio per gli operatori delle professioni di aiuto alle persone • Evidenziare come diverse siano le tecniche per aiutare rispetto ai bisogni da quelle per aiutare rispetto ai desideri (esempio: generalmente si sa fare bene l'analisi dei bisogni, più sprovveduti si è rispetto all'analisi dei desideri). • Utilizzare l'energia e la motivazione discendenti dai bisogni (e necessità, e crisi e problemi), ma anche la forza motivazionale discendente dai desideri (e apertura di possibilità, opportunità, vision). • Tener conto della propria dimensione desiderante: indispensabile per poter essere d'aiuto agli altri, bisognosi e/o desideranti che siano, ed a crescere continuativamente in capacità nel rapporto di aiuto.
1.3. Proposte di ricerca • Ricerca sulle modalità di attribuzione delle categorie di bisogno e di desiderio, utilizzate dalle persone e gruppi sociali. • Ricerca sulla struttura del know how che riguarda il trattamento dell'area desiderio. • Ricerca sulle modalità di trattamento, nelle professioni sociali, delle due dimensioni, "bisognosa" e "desiderante", del cliente. • Infine, uso di metodologia analoga a quella usata da Maslow per la scala dei bisogni, in una ricerca sistematica sull'ipotesi della scala dei desideri.
2. La scala dei desideri La celebre "scala dei bisogni" di Maslow (1954) ha sottolineato i principali bisogni (fisiologici primari —> di sicurezza —> sociali —> di stima —> di autorealizzazione) come fattori motivazionali e - soprattutto - ha evidenziato il meccanismo sequenziale della loro azione nell'orientare il comportamento e l'azione. In fig. 2 proponiamo un'analoga "scala dei desideri": che assume come primo gradino-desiderio quello della auto-realizzazione, cioè l'ultimo gradino-bisogno di arrivo della Scala di Maslow.
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NUOVO STATO DI AUTOREALIZZAZIONE A LIVELLO PIÙ AVANZATO
DESIDERIO DI COMPRENSIONE desiderio di capire meglio il significato di ciò che si è fatto e generato, di metterlo in relazione con gli altri aspetti, di dare senso, di comprendere. Aspetti di saggezza. DESIDERIO DI GENERAZIONE desiderio di "mettere al mondo", di generare mondo nuovo, di fare essere ciò che altrimenti non ci sarebbe.
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DESIDERIO DI INNOVAZIONE desiderio di apportare innovazione in ciò che c'è intorno a sé nel mondo circostante.
DESIDERIO DI CRESCITA DI CAPACITA'
crescita soprattutto in termini di nuove capacità e competenze, per saper ge-
stire esperienze e fenomeni nuovi per la persona. Apprendimento; elaborazione.
DESIDERIO DI ESPANSIONE DELL'ESPERIENZA voglia di esperienze più ampie e/o più approfondite, rispetto a quelle fatte finora. Esplorazione; allargamento; sperimentazione.
DESIDERIO DI AUTOREALIZZAZIONE sentimento di soddisfazione dei precedenti bisogni, di attuale espressione di sé, di benessere raggiunto.
Fig. 2— Scala dei desideri
In particolare questo modello della "scala dei desideri" sottolinea come: raggiunto lo stato di autorealizzazione in un certo momento della vita (o di un percorso specifico), la persona tende a non permanervi a lungo, ma bensì a introdurvi delle turbative attraverso la ricerca dell'allargamento dell'esperienza (vedere, conoscere, partecipare a nuove situazioni): l'allargamento dell'esperienza tende quindi a fare emergere ulteriori desideri di "acquisizione di nuove capacità" e di "sperimentarsi in prima persona nell'innovare" il trainante fondamenta le dell'intera scala è probabilmente "il desiderio di generazione", di mettere al mondo ciò che altrimenti non ci sarebbe (così come la spinta fondamentale dell'intera scala dei bisogni di Ma147
slow era implicitamente l'allontanamento progressivo del puro bisogno di sopravvivenza per arrivare all'autorealizzazione); dopo la fase di generatività, si ritorna ad uno stato di autorealizzazione (più avanzato di quello di partenza) passando ancora attraverso la fase del "desiderio di trovare e dare significato, di comprendere" il senso: in un certo senso collegandosi ad una fase di saggezza; la scala dei desideri può essere ripercorsa più volte nella vita; e più volte anche in percorsi che riguardano specifici oggetti ed aree (lavorativa, affettiva e familiare, intellettuale, sociale).
2.1. Esempio applicativo di scala dei desideri Consideriamo l'esempio di un bel giovanotto che ha finito gli studi ed ha iniziato a lavorare. Ha buoni amici ed amiche, facilità di rapporti affettivi, vive in casa con la famiglia e non gli manca niente, si esprime anche nello sport ed in altri campi. Ha soddisfatto i bisogni ed è chiaramente in uno stadio di autorealizzazione. Ma è un ragazzo vivace cioè desiderante. Proviamo a seguire, attraverso questo esempio, il manifestarsi della scala dei desideri in diversi ambiti della vita del giovanotto: per esempio lavorativa, affettivo familiare, sociale (fig. 3). Fig. 3 Ambito lavorativo
Ambito affettivo-familiare
Ambito sociale
Desiderio di espansione dell'esperienza Curiosa anche nell'intorno del suo posto di lavoro; desidera allargare le sue mansioni; si dichiara disponibile a nuovi incarichi, cambia posizione una o più volte
Comincia a desiderare una relazione amorosa più importante, meno occasionaletransitoria. Tende a distaccarsi emotivamente dalla famiglia d'origine
Desidera conoscere nuovi ambienti e nuove persone. Desidera provare nuove esperienze, per esempio in politica, o nel volontariato, o nelle associazioni, o nei divertimenti organizzati
Desiderio di crescita di capacità Vuole acquisire capacità anche organizzative e gestionali (che a scuola neanche sospettava, e che nel suo primo incarico di lavoro, tecnico operativo, non erano indispensabili). Ricerca nuovi strumenti e lavora sulle proprie skills
Si interroga sulle capacità affettive e relazionali che gli sono necessarie per la costruzione di un rapporto di coppia consistente, duraturo, soddisfacente
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Si accorge che nei nuovi ambienti, non più scolastici e da ragazzi non bastano più motivazioni e idealità; che bisogna anche essere bravi e saperci fare. Rielabora il suo stile e ricerca nuovi metodi e strumenti di azione nel sociale
Fig. 3 - Segue Ambito lavorativo
I Ambito affettivo-familiare i
Ambito sociale
Desiderio di introdurre innovazione Comincia a proporre innovazioni, ai propri capi, a introdurle e verificarle nel suo ambito di responsabilità. Migliora e innova ciò che gli è stato affidato, soprattutto modi e sistemi di fare le cose
Persegue innovazione in sé e nella sua partner, nei modelli di coppia che la tradizione prescriveva loro. Inventa un suo-loro modo di stare in coppia, bello e nuovo e anche solido e consistente
Comincia (nella politica, o nel volontariato...) a proporre innovazioni ai soci più anziani e dirigenti e si cimenta egli stesso in comportamenti e sfide nuove, per modificare quanto ha trovato già fatto
Desiderio di generatività Progetta la creazione di un nuovo reparto (o di un nuovo prodotto, o di una nuova linea di vendita). Cerca alleati, sponsor, risorse, fino a realizzare la sua vision. Mette "al mondo" qualcosa che non c'era, che non ha ricevuto ma bensì ha creato, ha fatto essere.
Genera una nuova famiglia e probabilmente mette al mondo figli. Nella nuova famiglia, insieme con la moglie, genera ex novo il modo di vivere, i valori, i rapporti, il linguaggio, i riti, le aspirazioni
Intraprende la progettazione e Costruzione di una nuova "impresa": per esempio aggrega un gruppo specifico dentro il partito-politica, o un nuovo servizio nel volontariato, o una nuova compagnia di amici su un nuovo campo di interesse. Può vuole che il mondo sia un poco diverso perché c'è un qualcosa di nuovo cui lui ha dato vita
Desiderio di comprensione di significato Soddisfatto di ciò che di nuovo ha generato, se ne occupa ora in modo più stabilizzato. Si interroga sul significato ed i collegamenti di ciò che ha creato con il resto (dell'azienda e anche della vita); diventa più saggio
La famiglia è solida, i figli crescono: si interroga su ciò che ha fatto, sul significato di tutto ciò per sé, per la vita intera, per il mondo
Desidera ora capire meglio "il senso" (non solo quello operativo) più evidente, di ciò che ha fatto, il significato di ciò che ha messo al mondo e nel mondo. Desidera anche prendere un po' di distacco dalla sua creatura
Non sappiamo se il nostro giovanotto ha impiegato, per compiere tutta la scala dei desideri descritta, pochi o molti anni. È comunque ora di nuovo in uno stadio di auto-realizzazione (più avanzato peisché auto-realizza un sé diventato più ricco). Probabilmente ricomincerà, dopo un certo tempo, a cercare nuove o più profonde esperienze, ed è pronto per l'inizio di un nuovo ciclo di scala dei desideri.
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3. Tempo per desiderare. desiderare per avere tempo La rivista il Giornale del dirigente ha dedicato nel '99 un bel numero monografico al tema della "schiavitù del tempo". In quel numero fu pubblicato un articolo di uno dei due autori del presente volume (Bruscaglioni, 1999): ne riportiamo qui alcune parti come esemplificazione dell'uso delle categorie bisogno-desiderio in una tematica quotidiana sentita come quella della disponibilità della risorsa tempo. Siamo affannati e ci sentiamo male perché non abbiamo mai "abbastanza" tempo; la scarsità di tempo ci induce a correre continuamente, a sentirci "stressati". Non solo noi: pare che questo sia il disagio emergente del tempo moderno. Emerge dalle interviste approfondite che manca il tempo soprattutto per le cose che più desideriamo e che più ci piacciono, essendo esso troppo occupato da ciò che bisogna fare, che è necessario, che non si può "non fare". Però c'è qualcosa che non quadra: come frequentemente spiega anche Domenico De Masi (1999), i numeri dimostrano che mai, come nel moderno che stiamo vivendo, c'è stato tanto tempo disponibile, usabile secondo scelte personali, liberato dal lavoro come necessità. Del resto, anche sul lavoro, tanto più macchine e informatica ci fanno risparmiare tempo tanto più, contemporaneamente e paradossalmente, cresce la percezione di non avere abbastanza tempo. Tutto ciò ricorda il ben noto fenomeno del "consumismo" materiale. Quando in una nazione incomincia a crescere la ricchezza economica, e cresce visibilmente la possibilità delle persone di consumare beni e servizi, accade che per un certo periodo si diffonda ancor di più la sensazione delle persone di non avere abbastanza soldi e abbastanza mezzi per acquisire ciò che abbisogna. Razionalmente il problema sembrerebbe chiaro: manca il tempo quotidiano3 per fare le tante cose che dobbiamo e vogliamo fare. Dobbiamo o vogliamo? per il momento la domanda sembra solo inutile ed anzi un poco irritante.
3. Ci occupiamo qui del problema del tempo "quotidiano". Non affrontiamo altri aspetti: per esempio quello della prospettiva esistenziale del tempo che si accorcia, quando l'età cresce e si diventa più maturi (vecchi?!).
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Vediamo tuttavia alcuni esempi di persone-situazioni rispetto alle quali la questione tempo non è vissuto come problema'', sofferenza, motivo di stress: una donna incinta aspetta un bambino desiderato. Non è stereotipo che spesso si manifesta uno stato di serenità e di appagamento e che tende a diminuire la rincorsa di tante cose; la scarsità del tempo quotidiano sembra non costituire più un problema, pur continuando magari come prima lavoro e rapporti; un giovane a cui piace l'indirizzo universitario intrapreso (da tanto desiderava concentrarsi proprio su quelle materie), che ha bei rapporti, affettivi e amicali, che fa del volontariato sociale: con così tante attività dovrebbe mancargli il tempo; eppure non lo denuncia come problema acuto, palesemente non è stressato; un uomo sta assumendo nuove responsabilità sul lavoro, sta costruendo la sua famiglia anche quantitativamente crescente, gli si rivolgono amici e conoscenti per consigli, magari è impegnato anche nell'associazione professionale. Come fa (col tempo)?! Eppure non sembra angustiato; un anziano ama la riflessione e la lettura, fornisce collaborazioni professionali, gli piace perfino fare un po' il nonno; qualche problema fisico gli rallenta i ritmi, ma non si sente assillato dal tempo. Si potrebbero fare altrettanti analoghi esempi negativi: • un uomo in ansia sul lavoro, perché sa che vale poco chi non diventa dirigente a xy anni di età; • una donna costantemente dibattuta tra le incombenze lavorative e quelle familiari (magari dice: "non si possono fare bambini e poi non dargli la presenza della mamma, d'altronde voglio e in ogni modo devo continuare a lavorare"; • un giovane che non sa come fare a studiare e divertirsi (se non studia non è una persona seria, se non si diverte che gioventù è?). Sembrerebbe che l'avvertire il "problema tempo" dipenda più da qualcosa che sta dentro la persona che non dall'oggettivo scandire dell'orologio e dall'oggettiva abbondanza-carenza di questa risorsa. Per capire e per orientarci verso la liberazione dalla schiavitù del tempo, proponiamo di focalizzare la differenza tra la categoria del bisogno e quella
4. È un buon metodo, di fronte ad un problema, quello di non continuare a rivoltarcisi dentro ma di analizzare "casi di successo", nei quali tale problema è superato.
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del desiderio e soprattutto di approfondire le leggi di comportamento un po' diverse quando si ha a che fare con gli uni e con gli altri. Proponiamo allora al lettore la seguente lettura del "problema" del tempo. Il tempo è avvertito mancare sistematicamente (da cui la tensione e lo stress continuo) quando lo si sente insufficiente per le tante cose che "bisogna" fare. Il tempo non è vissuto come problema (e non c'è stress) quando viene usato per alcune delle tante cose che si desidera fare e che fanno provarepiacere mentre le si fa. Usando la suddetta sottolineatura della differenza tra bisogno e desiderio: il tempo è comunque insufficiente e problematico per dedicarsi ai bisogni, il tempo non costituisce problema quando ci si dedica ai desideri. Per moltiplicare il tempo, paradossalmente, si tratta allora di aggiungere: l'interpretazione "desiderante" del tempo quotidiano accanto a quella più tradizionale "bisognosa": •. "l'interpretazione bisognosa" del tempo quotidiano è che la vita ed il tempo devono essere dedicati a fronteggiare bisogni, necessità, cose che si è scelto di dovere fare per gli altri e per sé stessi (pena problemi, "mancanze", sofferenze); "l'interpretazione desiderante" del tempo quotidiano è che il benessere moderno permette (e richiede) di dedicarsi non solo ai bisogninecessità-problemi ma anche, per certi versi soprattutto, ai desideri altrui e propri, ed alle attività che mentre si svolgono provocano piacere, altrui e proprio.
3.1. Come liberarsi dalla schiavitù del tempo Proponiamo due indicazioni principali, sintetizzabili nello slogan "usare la risorsa tempo per desiderare, desiderare per godersi il tempo e non subirlo come problema". 1) restituire legittimità alla parte di sé desiderante, spesso giudicata e relegata al ruolo di superflua, soggettiva, da tempo libero. Valorizzare invece il sé desiderante, non solo egoistico ma anche al servizio degli altri, essi pure desideranti e non solo bisognosi (paradossale è, ci si permetta l'ironia, la bontà di chi si dedica ai "bisogni" degli altri: in questo modo negando la loro più bella realtà di soggetti desideranti, tesi anche al piacere, alla bellezza, alla realizzazione, alla generatività)
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2) stare bene attenti ad evitare la trappola, tipica dei nostri anni attuali, che porta a trattare i desideri come se fossero bisogni. Questo è infatti il meccanismo attraverso cui il tempo diminuisce anche quando ne abbiamo di più, le attività sono stressanti (sul lavoro e fuori) anche quando sono belle come neanche prima ce le sognavamo, la frustrazione può peggiorare proprio nel moderno in cui le opportunità permetterebbero oggettivamente migliori qualità, benessere, vitalità desiderante. Facciamo un esempio perfino rimanendo nel campo tradizionale del tempo libero. È gradevole pensare ad una persona cui piace dedicarsi al partner affettivo ed ai figli, cui piace andare in palestra, sciare, leggere libri; cui piace andare al cinema, mangiare bene, chiacchierare. Ma se questa persona cadesse nella trappola del consumismo psicologico e pensasse (per qualsiasi motivo) che "deve" riuscire a fare tutte queste cose, che corresse dall'una all'altra perché il tempo non basta, che pensasse alla prossima mentre ancora fa la precedente: questa persona (a parità di tempo oggettivo disponibile) passerebbe d'un balzo da contenta a stressata, da ricca a povera, perfino da bella a brutta, da protagonista a schiava del tempo che corre. Poiché la società moderna (tecnologica, del lavoro knowledge intensive, delle tante risorse utilizzabili) ha "oggettivamente" moltiplicato il tempo liberato da necessità assolute, diventa particolarmente importante questa capacità di non scivolare soggettivamente dalla interpretazione desiderante a quella bisognosa del tempo. Per evitare il grande errore (senza fondo) di trattare i desideri come bisogni, proponiamo di focalizzare alcuni esempi di "circoli virtuosi", che liberano dalla schiavitù del tempo e, all'inverso, di "circoli viziosi" o trappole del tempo: ci sembrano esempi utili soprattutto perché il contenuto e le attività sono le stesse, mentre le conseguenze di benessere e malessere possono essere indirizzate consapevolmente dall'interessato.
3.2. Come godere (o come rovinarsi) la vita e il tempo, con le stesse cose La carriera: a) desiderare di fare carriera perché è bello crescere, aumentare responsabilità, occuparsi di cose più importanti, essere utile a più persone; oltreché per guadagnare di più ed avere più prestigio sociale; oppure 153
b) avere bisogno di fare carriera perché se no si vale poco, non si è stimati dagli altri, si viene superati, i soldi non bastano, se si perde questo treno non ne passerà un altro, etc..
I figli: a) aiutare i figli a fare attività ulteriori a quelle scolastiche (musica, nuoto, ballo, sport) perché così aumentano espressività attuali e opportunità future, perché è bello per il genitore stare loro vicino in cose belle; oppure b) "perché" se no rimarranno indietro nella vita, perché noi genitori forse non gli diamo abbastanza, perché ho bisogno di sentirmi genitore bravo di figli bravi;
Il dirigere: a) fare il dirigente dedicandosi alle molte attività del dirigere: organizzare, gestire, innovare, parlare con le persone, elaborare strategie, rispettare burocrazie: perché è piacevole dirigere e contribuire con le proprie capacità al benessere ed ai risultati di tanti; oppure b) fare le stesse cose, però organizzare perché altrimenti va tutto a catafascio, doversi occupare delle persone perché se no si demotivano, innovare perché quelli di sopra ne vogliono sempre una nuova, occuparsi della maledetta ma inevitabile burocrazia.
La vacanza: a) godersi la vacanza per fare cose nuove; per aprire orizzonti; per fare esperienze; per sentire contatto con sé e con gli altri; per crescere; per viaggiare e vedere nuove cose; oppure b) avere bisogno di vacanza perché oramai ero vicino all'esaurimento; per ricaricare le batterie; per fare ciò di cui per tutto il resto dell'anno manca il tempo; per "fare l'Egitto" che era sempre restato fuori dai miei viaggi e dai paesi che ero riuscito "a fare". In sintesi: stiamo proponendo che la schiavitù del tempo sia soprattutto dovuta al fatto che trattiamo i desideri come se fossero bisogni e che ci si può liberare di questi ultimi restituendo a noi stessi (e agli altri) ciò che il moderno permette: di avere desideri, di mirare all'autorealizzazione ed alla generatività, di gustare le cose mentre le facciamo, sul lavoro e fuori dal lavoro.
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La schiavitù del tempo non è dovuta ai tanti bisogni: infatti non c'è nelle società (purtroppo ancora tante) in cui davvero nella vita prevalgono drammaticamente i bisogni. Dalla schiavitù del tempo del moderno progredito, si esce riconoscendosi, sul lavoro come fuori, desideranti (come le condizioni delle società avanzate oggi permettono). Nella schiavitù del tempo si riprecipita soprattutto se si trattano i desideri come se fossero bisogni: per cui "bisogna" fare carriera, bisogna fare "tutte" le cose previste nel tempo libero, bisogna risolvere tutti i problemi, bisogna voler bene a sé e agli altri; bisogna, bisogna, bisogna... E il tempo più ampio che si era aperto ridiventa stretto, assillante, fondamentalmente privo di quella gioia e di quel benessere che ognuna di quelle cose potrebbe dare se prese una per una.
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10. Percorsi e leve per il cambiamento
1. Cambiamento quale e cambiamento come "Più teoria che pratica": critica spesso rivolta alle trattazioni proposte dai libri. Nel caso della tematica "cambiamento", accade oggi l'inverso. È tantissima e visibile la pratica: tutte le aziende mutano visibilmente nel giro di pochi anni (per esempio nel rapporto col mercato, nei prodotti e nei servizi forniti, nelle strutture organizzative), le società si trasformano macroscopicamente (basti pensare all'evoluzione agricola-industriale-dei servizi), le persone cambiano (per esempio nei rapporti, nella immagine di sé, in quello che fanno). Meno evidente è "come" avviene il cambiamento, anche laddove in- dubbiamente avviene o addirittura è già avvenuto. Scarsa è proprio la teoria sui "modelli del cambiamento". La mancanza di teoria e di modelli potrebbe anche non costituire un problema pratico, se non fosse poi che se ne sente invece bisogno pratico quando si avvertono sempre più fortemente esigenze quali: • "accelerare" il cambiamento (per esempio quando su esso e sul suo contenuto c'è consenso diffuso); • far sì che il cambiamento sia consapevole e coinvolgente per più persone possibili (e non solo imposto o dato di fatto); • provocare meno traumi e disorientamento; per integrare bene il cambiamento nell'esistente e nella tradizione; • produrre più efficaci strumenti e risorse di supporto al processo di cambiamento. Certamente le teorie della persona, dell'organizzazione, delle società, comprendono anche l'aspetto cambiamento: spesso però considerato più nei contenuti ("cosa" deve cambiare e in che direzione) che nei modi ("come" fa a cambiare e secondo quale iter-processo). 156
In questo capitolo ci proponiamo di dare un contributo alla focalizzazione di alcuni "modelli" di processo di cambiamento. Supponiamo per esempio che sia scontato: che un'azienda debba e voglia orientarsi di più al lavoro per obiettivi e/o al servizio-cliente; che una persona debba e voglia ampliare la sua professionalità e il suo spettro di attività; che una società debba e voglia diventare più istruita, internazionale, computerizzata. È chiaro che tutto ciò "comunque" avverrà, però: prima o poi, con più o meno traumi o partecipazione, con orgoglio o con frustrazione, all'avanguardia o a rimorchio dei fatti. L'esplicitazione dei "modelli" può contribuire ad ottimizzare tutto ciò. In particolare vogliamo focalizzare tre veri e propri modelli, ulteriori rispetto ai due finora maggiormente utilizzati e noti: del cambiamento drastico-rapido imposto da una parte e del cambiamento armonico-progressivopartecipativo dall'altra. Il dibattito è infatti quasi sempre limitato attorno a questi due (rischiando di finire nell'impasse dei pregi del modello partecipativo a volte però contraddetto dalla sua inaccettabile lentezza). Non sempre nel cambiamento è primaria la questione del conflitto tra parti sociali o persone portatrici di interessi diversi: si pensi per esempio ad una singola persona che vuole cogliere nuove opportunità (di lavoro, affettive, di divertimento, di equilibrio personale) e si sente imprigionata della propria incapacità di cambiare. Nell'esposizione proposta in questo capitolo dei modelli del cambiamento, privilegeremo quattro aspetti o, meglio, focus: 1° focus: sul "cambiamento-innovazione", sul cambiamento cioè intenzionale e consapevole
Fig. 1
CAMBIAMENTO Cambiamento come "INNOVAZIONE" è consapevole e intenzionale
Cambiamento come "MUTAMENTO" awiene di fatto
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Il cambiamento qui trattato è soprattutto quello "consapevole e intenzionale". Si trascura invece l'accezione più vasta del cambiamento, comprendente le evoluzioni che avvengono di fatto, senza consapevolezza ed intenzionalità (che si palesano semmai a posteriori, a cambiamento avvenuto). Proponiamo di denominare "cambiamento-innovazione" questo tipo di cambiamento consapevole e intenzionale; di denominare "cambiamentomutamento" le evoluzioni che avvengono di fatto, senza consapevolezza e intenzionalità nel suo durante, da parte degli attori coinvolti. Per esempio costituiscono cambiamento-mutamento, senza intenzionalità e consapevolezza, molta della crescita biologica dei bambini e dei ragazzi; molto del cambiamento sociale indotto da progresso scientificotecnologico-economico dell'istruzione; molto di quello determinato dall'adeguamento dei prodotti operato dall'azienda. Mentre sono più spesso intenzionali e consapevoli, per esempio: il cambiamento di vita operato da un individuo, nel lavoro o nella vita personale; il cambiamento di struttura organizzativa e di sistema di obiettivi di un'azienda o d'istituzioni o di forme governative di una società. Il focus viene qui posto sul cambiamento-innovazione, consapevole e intenzionale nella maggior parte possibile delle persone e dei gruppi coinvolti.
2° focus: sul "processo" del cambiamento: su "come" cioè avviene (più che, in questa sede, su quali sono i suoi contenuti). Ci si occupa di solito dello stato iniziale e dello stato finale, che precedono e concludono il cambiamento preso in esame. Qui noi poniamo invece il focus sul "come" avviene e funziona "il processo" di cambiamento, l'iter cioè del passaggio dallo stato iniziale a quello finale. Si pensi per esempio a come e con quale processo può avvenire la crescita di un ragazzo che diventa adulto o di un adulto che invecchia, l'adattamento di una azienda a nuovi mercati e tecnologie, la modernizzazione di una società. Tutte trasformazioni in buona parte "date", nei loro punti di partenza e d'arrivo, ma altamente variabili nel come avvengono. 3° focus: sui modelli del cambiamento culturale e sui processi secondo cui questo cambiamento avviene. Il cambiamento culturale di fatto avviene; ma "come"? Si potrebbe esplicitare il seguente paradosso: •• si può dimostrare che la cultura "non può" cambiare (se non in tempi molto lunghi): infatti la cultura è costituita da così tanti elementi (e così 158
tanto coerenti tra loro) che quando un primo di tali elementi tende a cambiare, viene inevitabilmente ricondotto all'ordine da tutti gli altri; è altrettanto facile rilevare come la cultura di fatto cambia, ed anche abbastanza rapidamente. Basta vedere come sono avvenuti i passaggi (non nei sécoli, ma in pochi decenni) della struttura-cultura agricola a quella industriale e postindustriale; come si trasformano rapidamente le culture aziendali sollecitate dalle nuove richieste del mercato e dalla diffusione dell'informatica; come cambiano le persone a fronte di nuove crisi e di nuove opportunità. Crediamo che la focalizzazione di diversi modelli del cambiamento aiuti a spiegare il paradosso, a capire come il cambiamento di fatto avviene, a facilitare questo processo. 40 focus: sui diversi tipi di contributori all'innovazione e sulla loro funzione. Una prima distinzione, ripresa nei vari modelli di seguito descritti, è quella tra: • gli innovatori "puri" , cioè quelli che inventano il nuovo differenziandolo dal vecchio precedente; • gli innovatori "integratori", cioè quelli che facilitano l'affermazione del nuovo tramite il suo innesto-integrazione nel vecchio-precedente. È una differenza un po' simile a quella tra scienziati e tecnici, o tra pensatori sociali e politici. In azienda, ma anche nel sociale, non sono spesso così nettamente distinguibili; può essere più opportuno parlare di "funzioni", dell'innovazione "pura" e dell'innovazione "integrativa". Si è volutamente privilegiata la focalizzazione di quei modelli del processo di cambiamento che hanno efficacia esplicativa a livello sia della organizzazione azienda, sia della persona individuale, sia della società. Questo anche come metodologia di verifica interna della validità scientifica dei modelli evidenziati. I modelli del processo di cambiamento presi in esame sono cinque, caratterizzati sinteticamente nella tabella e descritti nel testo successivo. I primi due sono quelli maggiormente considerati nel dibattito tradizionale (spesso anche un poco ideologicizzato): la focalizzazione degli altri tre rappresenta anche un modo per uscire dall'impasse dell'oscillazione tra cambiamento "drastico" imposto e cambiamento armonico partecipato ma troppo lento. Si sottolinea inoltre, in particolar modo, come si può facilitare la "accelerazione" del cambiamento.
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2. Cinque tipi di percorsi e metodi di cambiamento I modelli qui descritti non esauriscono certamente la tipologia possibile. Per certi aspetti essi sono davvero modelli diversi, per altri, nel cambiamento reale, si mescolano e interagiscono come componenti di uno stesso fenomeno. Il pregio della proposta è — speriamo — quella di evidenziare comunque diverse possibilità di azione per facilitare il cambiamento, diverse strategie a seconda delle condizioni, diverse possibilità di integrazione tra vecchio e nuovo, diverse opportunità da cogliere e rischi da evitare.
2.1. Processo "drastico" del cambiamento Proprio perché convinti della superiorità di democrazia e consenso, possiamo consentirci/permetterci di valorizzare anche qualche pregio della "dittatura" drastica: la rapidità di talune realizzazioni e cambiamenti; la possibilità di perseguire obiettivi doverosi, ma su cui nell'immediato è difficile aggregare consenso. Esempi di ciò si possono scoprire/evidenziare sia in azienda che nel singolo o nella società. + In azienda è indubbio che molte trasformazioni e cambiamenti necessari vengano bene realizzati da direzioni generali nuove e dotate di forti poteri; così come nella singola persona, alcune direzioni importanti per il futuro sono talvolta prese da una parte minoritaria e prepotente del sé che impone di togliere di netto incertezze e tradizioni acquisite. • Ed anche nel sociale, sono spesso minoranze illuminate ad aprire gli occhi a molti, a consentire nuove possibilità, nuove realizzazioni, veri e propri salti di qualità (quasi tutte le rivoluzioni, sia armate che pacifiche). 2.1.1. Caratteristiche definitorie
Sinonimi e parole chiave del processo drastico di cambiamento: cambiamento forzato, imposto da una parte sulle altre; rivoluzione leadership minoritaria; dittatura, discontinuità.
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Fig. 2 - Tavola riassuntiva sui 5 tipi di percorsi e metodi del cambiamento Denominazione del processo di cambiamento I. Drastico
Il. Armonico
III. Creazione di nuovo polo
IV. Strumenti
V. Possibilitante
Sinonimi e/o parole chiave
Imposto, forzato,rivoluzione
Partecipazione, consenso, progressività
Spostamento quantitativo progressivo
"Impara l'arte e mettila da parte"
Empowerment. Apertura di pensabilità e di possibilità aggiunta
Fattore primado di cambiamento
La forza di chi persegue il cambiamento
Capacità di elaborare insieme
Nella coesistenza del vecchio col nuovo ma perde la sua centralità quantitativa
La capacità di prefigurare sisterni, strumenti, metodologie nell'oggi sovra dimensionati ma in futuro necessari
Prevalenza psicologica e culturale del desiderio sul bisogno, della positività sulla negatività
Rapporto tra prima e dopo
II nuovo combatte per sostituire il vecchio
Il nuovo emerge come evoluzione del vecchio
Il vecchio coesiste con il nuovo ma perde la sua centralità quantitàtiva
Il nuovo processo di funzionamento sta su di un piano totalmente altro; il vecchio appare poi antico
Dapprima le nuove possibilità coesistono con le precedenti; quindi prove progressive convincono ad adottare come permanente la nuova possibilità
Vantaggio teorico principale
Velocità
Potenza del cambiamento quando avviene
Possibilità di conciliare determinazione innovativa e libertà di scelta
Lancia un ponte tra presente e futuro
Coglie le opportunità esistenti e promuove l'azione responsabile
Limite teorico principale
La resistenza di chi subisce il cambiamento
Rischio di lentezza
Difficoltà di prevedere l'entità dei risultati
Pone le basi ma non realizza il cambiamento
Rende possibile il cambiamento, ma non lo assicura
Esempio tipico nella società
Ogni tipo di rivoluzione sociale
L'evoluzione sociale in chiave industriale a partire da un miglioramento nell'agricoltura
La fattoria e il grattacielo
Apertura di nuovi rapporti internazionali; innalzamento dell'obbligo scolastico
Proposta di leadership centrata su una nuova vision dell'avvenire
Esempio tipico nelle imprese
Ristrutturazione operata dalla nuova direzione
i circuiti di qualità, la direzione partecipativa
La creazione di un reparto nuovo con nuova tecnologia, organizzazione, cultura
Un nuovo sistema, molto innovativo, di controllo di gestione o di processo
Diffusione di autonomia e discrezionalità, gruppi di lavoro autogestiti
Esempio tipico nelle persone
Cambiamenti di lavoro, di residenza, di relazione affettiva principale
ll passaggio equilibrato da un'età all'altra
Un nuovo rapporto di riferimento, una nuova attività post lavorativa
Lo studio di una Sperimentaziolingua straniera; ne di una nuol'uso del pc e di va attività Internet
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Nel risultato finale del processo di cambiamento il nuovo ha eliminato il vecchio o comunque lo ha sottomesso; durante il processo di cambiamento il nuovo si contrappone al vecchio, lo attacca per distruggerlo, lo considera comunque come alternativa rispetto alla quale deve essere operata una scelta decisa (o vecchio o nuovo). Una parte o qualcuno ha la forza di imporre agli altri il cambiamento: delle azioni, dei comportamenti, delle strutture operative, della cultura dominante il fattore cruciale primario è rappresentato dalla misura della forza di chi impone il cambiamento e dalla sua tenuta nel tempo (peraltro in un secondo tempo, il cambiamento realizzato deve acquisire consenso e cambiare tipo di processo non più imposto con la forza). 2.1.2. Esempi di processo "drastico"
Esempi di processo "drastico" del cambiamento nell 'organizzazione: • la nuova Direzione generale impone una nuova struttura organizzativa e nuove regole-metodologie-organizzazione del lavoro operativo: gestendo con forza il sistema di premi-punizioni sia tangibili sia psicologico culturali; • un nuovo leader, carismatico in un settore, fa carriera ed impone a livello aziendale complessivo nuovi metodi che avevano avuto successo nel suo settore specifico. Esempi nell 'individuo: • la persona decide, in maniera relativamente repentina, di cambiare tipo di vita, di lavoro o di luogo di residenza, o di status familiare (in particolare in occasione di una nuova opportunità o di una nuova crisiproblema); • una specifica "parte" dell'individuo decide dunque sulla base della nuova opportunità o crisi, ed impone al sé complessivo il cambiamento delle precedenti abitudini, emozioni e sentimenti, identità, desideri, bisogni: per adeguarsi alla decisione presa autoimposta ed alle sue conseguenze operative e psicologiche. Esempi nelle società: • un dittatore assume il comando e impone con la forza nuove regole e comportamenti e situazioni globali di vita (esempio: Stalin negli anni 20-30 sposta milioni di lavoratori dalle campagne all'industria); 162
• una minoranza culturale assume la leadership ed impone il modello suo dominante di nuovi valori e stili di vita (in tempi ed ambiti diversi, per esempio nell'Italia del XX secolo, lo hanno fatto fascisti, comunisti, cattolici, liberali); • nelle rivoluzioni che vengono poi istituzionalizzate, molti leader, in seguito altamente apprezzati, operano all'inizio secondo il processo drastico impositivo del cambiamento.
2.1.3. Principali pregi e difetti del processo "drastico-forzato" del cambiamento
• Pregio tecnico: rapidità con cui il cambiamento può diventare operativo e antidoto ai difetti del modello "consensual partecipativo" (in un certo senso l'opposto). • Difetti e limiti: — antidemocraticità; interrogativi etici: —probabile sollecitazione delle resistenze e mobilitazione dei resistenti che (salvo gli eventuali vantaggi troppo evidenti procurati dal cambiamento) tendono a permanere nel tempo (talvolta determinando poi la "controrivoluzione", comunque facendo mancare consenso, energia, apporto); —pericolo che il cambiamento avvenga soltanto a livello di "come se": le cose cambiano a livello ufficiale ma non a livello sostanziale sottostante (esempio: molte colonizzazioni). 2.1.4. Tipologia degli innovatori nel processo di cambiamento di tipo drastico
L'attore primario, che agisce, ha la forza necessaria per imporre il cambiamento; coloro che aiutano l'attore primario a conquistare ed esercitare il potere; coloro che aiutano progressivamente a passare dalla forza subita al consenso. N.B.il significato di quanto esposto, in particolare riguardo a questo modello di cambiamento drastico, può risultare ovviamente molto diverso nell'ottica dei "dittatori" negativi e di "leader innovativi" positivi.
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In questa sede ci sforziamo però di analizzare i "tipi" metodologici di processo di cambiamento astenendoci dall'entrare nel merito della negatività-positività dei contenuti del cambiamento.
2.2. Processo "armonico" del cambiamento Sarebbe, e spesso è, bello se si potesse cambiare tutti insieme con il consenso e la partecipazione di tutti: progressivamente, senza forzature. questo il modello del cambiamento denominato democratico nel sociale partecipativo in azienda, armonico all'interno delle parti psicologiche della stessa persona. Le metodologie del miglior aumento continuo e partecipativo in azienda, della crescita dell'industria come trasformazione di alcune attività agricole nella società, dell'educazione comprensiva del bambino per aiutarlo a diventare grande, risultano infatti certamente tra le più efficaci. Il nuovo sboccia dal vecchio, ne rappresenta in un certo senso l'evoluzione accrescitiva. Un solo problema in tanta reale positività: e se l'ultimo non si convince? E se bisogna fare presto? 2.2.1. Caratteristiche definitorie
Sinonimi e parole chiave: elaborazione condivisa; progressività; consensualità; unanimità ("fino a che l'ultimo non è coinvolto"); senza traumi e rotture; evoluzione reciprocamente sinergica di azioni, comportamenti, convinzioni, emozioni, metodi, strumenti, rapporti, valori, cultura. Nel risultato finale il nuovo si configura come evoluzione del vecchio che si è trasformato progressivamente in qualcos'altro; attraverso successive fasi; durante il processo di cambiamento, con il massimo consenso e più partecipazione diffusa possibile; il lavoro consiste nella elaborazione del vecchio per la sua trasformazione migliorativa. Attraverso modalità partecipative e consensuali, si elabora insieme il cambiamento-miglioramento culturale e operativo e contemporaneamente lo si mette in atto con progressività. Il fattore cruciale sta nella "maturità collettiva" che permetta di alimentare continuativamente il processo nella sua complessità ed in particolare consente di impedire il blocco di esso da parte di componenti assolutamente minoritarie ma non prive di energia bloccante.
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2.2.2. Esempi di processo "armonico"
Nell'organizzazione: attraverso modalità partecipative (quali riunioni, gruppi di lavoro, circoli qualità, analisi a cascata top-down e bottom-up) si elaborano, si decidono, si attuano le forme progressivamente migliorative dell'organizzazione e del lavoro. Nell'individuo: • la crescita da un'età all'altra guidata senza sbalzi e traumi; • la preparazione consistente e ponderata di cambiamenti di vita, affettivi, lavorativi, residenziali: evolvono coerentemente e insieme tutte le parti e gli aspetti della persona: azioni, comportamenti, sentimenti, emozioni, bisogni, desideri. Nelle società: • trasformazioni socioeconomiche produttive caratterizzate da continuità; per esempio quelle dei distretti tradizionalmente agricoli che sviluppano attività industriali proprio a supporto dell'agricoltura (molti esempi nell'Emilia degli anni '50-60); • lo sviluppo della democrazia del post-Franco spagnolo; • le innovazioni tipicamente guidate dal parlamentarismo democratico, in particolare in quelle aree cui convergono anche forze politiche generalmente in opposizione tra di loro. 2.2.3. Sintesi di pregi e limiti
Tendenzialmente questo tipo "partecipativo" di processo del cambiamento ha quasi tutti i pregi possibili e solo qualche limite che però può inficiarne il funzionamento reale. Esempi di pregi: democraticità come valore; credibilità; consistenza, tenuta, affidabilità del cambiamento una volta realizzato; massimizzazione a lungo termine delle risorse disponibili; coerenza decisione-azione. Il limite sta nella lentezza eccessiva, nella progressività troppo prolungata nel tempo. Può costituire rischio inoltre la tendenza del consenso ad addensarsi su obiettivi a breve temine penalizzando gli obiettivi a lungo temine soprattutto se richiedono sacrifici immediati. Può esserci inoltre il pericolo che pochi minoritari possano riuscire a bloccare l'intero processo di cambiamento talvolta per periodi molto lunghi. 165
2.2.4. Tipologia degli innovatori
I propositori e animatori del processo partecipativo. Coloro che sanno costruire vision in cui tutti o quasi tutti gli interessati trovano motivi di concorrenza positiva. Coloro che (vedi anche successivi modelli di processo di cambiamento) sanno fornire strumenti, risorse, possibilità aggiuntive per consolidare consenso, partecipazione, soddisfazione, efficacia. 2.3. Processo del cambiamento del tipo "creazione del
nuovo polo"
Questo tipo di processo è denominato anche del terzo tipo perché rappresenta una modalità molto diffusa alternativa dell'oscillazione tra i due precedenti: non forzato come nel cambiamento drastico-imposto, ma anche costretto (e rallentato) all'esigenza che "tutti" debbano partecipare ed evolversi di pari passo. In azienda l'esempio potrebbe essere quello di un nuovo reparto o settore, con tecnologie, organizzazione, cultura molto diversi dagli altri reparti. Probabilmente così è stato per l'introduzione iniziale dell'informatica, del marketing, del lavoro in gruppi. Cerchiamo di rendere chiaro il funzionamento di questo tipo di processo di cambiamento usando l'immagine della fattoria e del grattacielo (cioè utilizzando l'analogia con la trasformazione avvenuta recentemente in molti paesi che ha permesso il passaggio da centralità agricola a industriale). Il presupposto è che il mondo della fattoria è troppo compatto e coerente per tentare il cambiamento: i modi di produrre, i modi delle persone di dare valore, di rapportarsi, di lavorarne, di riposare e divertirsi, formano un insieme che isola qualsiasi innovazione tentata. Col modello armonico ci vogliono decine di anni. D'altronde l'imposizione, la distinzione della fattoria (perché poi?) provocherebbero una reazione violentissima. 2.3.1. Fasi del processo di cambiamento del "terzo tipo" ovvero della creazione di nuovo polo, ovvero di tipo grattacielofattoria
1. La costruzione del grattacielo, cattedrale nel deserto
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Qualcuno (interno od esterno alla fattoria) intuisce che c'è un'alternativa al modo di vivere della fattoria: quello del grattacielo. Gli innovatori (una minoranza) uniscono le forze e costruiscono un grattacielo. In questa prima fase il grattacielo è in un certo senso una "cattedrale nel deserto", un corpo separato ed estraneo all'ambiente. Escludendo il piccolo gruppo degli innovatori, si può dire che la maggior parte delle persone continua a vivere, lavorare, spendere il proprio tempo, soddisfare esigenze e desideri nella fattoria.
2. La sperimentazione iniziale del grattacielo Per motivi diversi, qualcuno degli abitanti tipici della fattoria, fa una "puntata" nel grattacielo. Ciò può avvenire per un bisogno molto specifico (chiamare il veterinario per telefono), per curiosità (magari di nascosto perché la cultura della fattoria lo condanna), per evasione avendo sentito parlare di nuovi cambiamenti, per confermare che è giusto rimanere nella fattoria. Si tratta, simbolicamente, di una permanenza molto breve, ma sufficiente per avere una "visione" di ciò che c'è nel grattacielo, una possibilità di apertura ed alternativa mentale.
3. L'inizio dello spostamento dalla fattoria al grattacielo Nella breve "puntata" o sperimentazione iniziale alcune persone hanno "visto" per esempio che nel grattacielo si invecchia più tardi, non ci si spezza la schiena dalla fatica, si mangia meglio, le donne sono più belle, non si muore di fame, si curano le malattie. E c'è la luce, l'acqua, il calore. Alcune persone (le stesse od altre) cominciano allora ad andare "ogni tanto" nel grattacielo per passare ore di divertimento diverse; per usare servizi che nella fattoria non ci sono; per sentirsi, per evadere temporalmente dalla monotonia della vita nella fattoria; per conoscere nuove persone e situazioni. Qualche giovane va a lavorare nel grattacielo, tornando a casa la sera e cambiandosi d'abito nel tragitto. Qualcun altro invece lavora nella fattoria e va a dormire nel grattacielo. Le mamme continuano magari a diffidare i giovani, ma li incoraggiano con gli occhi. I vecchi patriarchi della fattoria tuonano contro il nuovo Satana, ma acconsentono che si vada al grattacielo per acquistare trattori, fertilizzanti, servizi medici, sigarette.
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4. Lo spostamento quantitativo dalla fattoria al grattacielo: avviene il cambiamento vero e proprio "Se" i vantaggi della vita (lavoro, divertimento, rapporti, economia, cultura) nel grattacielo sono "evidenti e manifesti", allora le persone cominciano a trascorrere quantità progressivamente crescenti del loro tempo nel grattacielo. E quantità progressivamente crescenti di persone spostano il baricentro della loro vita nel grattacielo. Il cambiamento è così avvenuto. È importante sottolineare come contemporaneamente: • convivono grattacielo e fattoria; • convivono persone con baricentro nel grattacielo e persone con baricentro nella fattoria; • convivono nella stessa persona la cultura della fattoria (nel tempo passato nella fattoria) e la cultura del grattacielo (nel tempo passato nel • grattacielo). Per un tempo abbastanza lungo la cultura della fattoria rimane immutata • diversa da quella del grattacielo (solo a lungo termine opererà un flusso, una struttura di influenza e trasformazione della cultura e struttura del grattacielo nei confronti di quella della fattoria). I)
I
FATTORIA
GRATTACIELO Il)
I
FATTORIA
separazione totale
avvicinamento parziale GRATTACIELO III)
I
FATTORIA
spostamento baricentrico progressivo
FATTORIA
(più rapido quanto maggiori risultano i vantaggi evidenti)
Fig. 3
168
GRATTACIELO
Qualche psicologo potrebbe parlare di schizofrenia, ma in realtà è una duplice appartenenza, strutturale e culturale: come quella per esempio dei figli italo-americani della prima generazione. È importante sottolineare che il cambiamento avviene senza imposizione ma che al contempo non si è costretti ad aspettare che cambi il mondo della fattoria e tutta la sua gente. Il meccanismo dello spostamento quantitativo tra il vecchio baricentro ed il nuovo polo realizzato, crea un fenomeno nuovo. Oggi, per il passaggio da industriale a postindustriale, i poli diventerebbero grattacielo il primo e villaggio qualitativo il secondo: ovvero azienda orientata alla produzione la prima e aiutata al servizio la seconda; ovvero per funzioni la prima, per processi la seconda. Ma cambiando i termini, non cambia l'evidenza di un tipo di processo possibile e per molti versi soddisfacente.
2.3.2. Caratteristiche definitorie
Sinonimi e parole chiave: vecchio e nuovo polo coesistono a breve distanza costituendo ciascuno mondo completo a sé; funzionalità potenziale delle cattedrali nel deserto; coesistenza iniziale separata e progressivo "spostamento quantitativo" verso il nuovo polo a fronte di "vantaggiosità evidenti". 1° tempo: qualcuno (innovatore del 1° tipo) realizza quasi come "cattedrale nel deserto", il nuovo polo ed il nuovo modello di funzionamento: in una zona a poca distanza da quella in cui continua a essere vigente il vecchio, il polo tradizionale prevalente, che viene rispettato, non attaccato. 2° tempo: a fronte di vantaggi evidenti (conditio sine qua non) del nuovo modello di funzionamento, le persone progressivamente "spostano quantità" del loro tempo adesione, dal vecchio al nuovo. Il fattore cruciale primario è rappresentato da: •:• la capacità di costruire il nuovo (a breve distanza dal vecchio) quando ancora mancano tutti i supporti (assorbiti dal vecchio) e ci si trova in una situazione di scarsità di risorse; • la capacità di facilitare lo spostamento progressivo quantitativo di chi vuole entrare a far parte del nuovo senza rinunciare totalmente al vecchio;
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• è sottinteso peraltro che il nuovo deve dimostrare di dare luogo a vantaggi evidenti, altrimenti lo spostamento non avviene. Nell'immagine fattoria-grattacielo i vantaggi evidenti erano per esempio: vita più lunga; meno fame e meno malattie; maggiore disponibilità di oggetti e attività pressoché unanimamente considerate piacevoli; etc. Nell'esempio aziendale i vantaggi evidenti possono essere: maggiore produttività, maggiore successo presso il cliente, superamento di problemi cronici tradizionali, maggiore soddisfazione lavorativa delle persone dopo che hanno sperimentato.
2.3.3. Altri esempi di processo di cambiamento per creazione di nuovo polo
Nell'individuo: • il ragazzo che, pur continuando a vivere in famiglia, comincia a frequentare un ambiente diverso da quello tipico della sua famiglia; oppure che si innamora ed entra in un nuovo tipo di vita con la sua nuova ragazza; • residenza in provincia e studi o lavoro in città (o viceversa) • lavoro in azienda e attività diverse (imprenditoriale; volontariato; espressiva retribuita). Nell'organizzazione: • cambiamento dell'organizzazione del lavoro in un reparto specifico; • modello di funzionamento innovativo in una nuova funzione o in una nuova intrapresa dell'azienda o in un'area di diversificazione di prodotto. Nella società: • nascita di un partito politico con modello di funzionamento interno diverso dagli altri; • la California ha rappresentato, recentemente, un polo diversificato (dei servizi, dell'informazione, del postindustriale) rispetto alla tradizione industriale e agricola degli States.
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2.3.4. Vantaggi e costi del cambiamento del terzo tipo
Il vantaggio fondamentale è quello della possibilità di velocità del cambiamento, congiunta alla non forzatura degli interessati, alla possibilità di autodeterminazione diffusa. • Il cambiamento drastico-rivoluzionario ha infatti la caratteristica di essere più veloce, ma spesso la maggioranza della popolazione o della persona lo subisce o comunque lo vive come imposto. • Il cambiamento armonico-progressivo, molto più consensuale, corre invece il rischio di risultare molto lento. Si pensi ad esempi quali: il cambiamento urgente perché oggi le popolazioni di buona parte dell'Africa rischiano di morire di fame e di altre tragedie; il cambiamento necessario ad un'azienda i cui prodotti e i servizi forniti non sono adeguati o i metodi di organizzazione e direzione o le metodologie e le tecnologie utilizzate. Il cambiamento di una persona che si sente prigioniera della sua stessa vita. • Il pregio fondamentale del modello creazione di polo innovativo è quello di consentire di uscire dall'impasse imposta dall'oscillazione tra rivoluzione rapida forzata e evoluzione progressiva lenta. I costi del cambiamento del terzo tipo sono invece soprattutto: • l'incertezza sui tempi dello spostamento quantitativo da vecchio a nuovo; • probabili disarmonie, disorientamenti, vissuti di stress; • la possibilità che sia percepita come difficile (o addirittura come scissoide) la capacità di vivere una doppia appartenenza, di pensare e sentire secondo un modello di pluralità invece che di unità: et-et (di cultura, per esempio della fattoria e del grattacielo), invece che unità (ovvero autaut). 2.3.5. Tipologia di protagonisti e funzioni
Si parla qui di seguito di tipi di innovatori, per dare più efficacia suggestiva al discorso: in realtà si tratta soprattutto di evidenziare le varie "funzioni" che facilitano il processo di cambiamento. Esse possono essere concentrate in precise persone e gruppi (come sembra da quanto scritto di seguito), ma possono essere anche funzioni coesistenti negli stessi gruppi o nelle stesse persone.
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Innovatori "puri": sono quelli che costruiscono il grattacielo, quando esso è ancora una cattedrale nel deserto. Sono esterni alla fattoria: o perché davvero vengono da fuori o perché si pongono mentalmente all'esterno di essa, inventando e mettendo in opera un sistema in un certo senso nuovo e tutto diverso da quello in cui vivono. Innovatori "sperimentatori": sono i primi che vanno ad esplorare il grattacielo, a vedere cosa-come è; appartengono alla fattoria ma sono i più curiosi (o vogliosi o bisognosi) di altre possibilità. "Facilitatori" dell'innovazione: sono quelli che costruiscono (concretamente e analogicamente: strade, ponti, mezzi di trasporto) facilitazioni pratiche per la sperimentazione prima ed il trasferimento poi dalla "fattoria al grattacielo". Sono anche quelli che, pur rimanendo nella fattoria, stimolano e incitano gli altri a sperimentare prima e trasferirsi poi parzialmente dalla fattoria al grattacielo. Innovatori "di massa":sono coloro che, relativamente presto, colgono il vantaggio del trasferimento prevalente nel grattacielo e lo realizzano. Innovatori "operativi": sono coloro che fanno funzionare bene il grattacielo: — nella prima fase di separazione e isolamento della fattoria, collaborando con gli innovatori puri; — quando inizia lo spostamento quantitativo, facendo funzionare le strutture del grattacielo con i suoi vantaggi evidenti. Innovatori "integratori": sono quelli che integrano fattoria e grattacielo; soprattutto in due modi diversi nel tempo: —all'inizio influendo sulla cultura della fattoria affinché si astenga dal porsi troppo in contrapposizione verso il nascente grattacielo; —più avanti per permettere di coesistere a fattoria e grattacielo, permettendo alle persone di utilizzare entrambi; —alla fine, a cambiamento quantitativo avvenuto, riportando gradualmente nella fattoria modifiche ed evoluzioni provenienti dal grattacielo. 2.4. Processo "strumentante" del cambiamento 2.4.1. Introduzione: ciò' che sembra non servire, e poi invece... Poco utili apparvero, ed in effetti erano, la prima macchina a vapore, la prima automobile, la prima azienda di ricerca di mercato, il primo supermercato. Così come appare poco utile, a chi studia, 'tutta quella teoria; a chi 172
sta in Italia, studiare l'inglese; a chi ha poche esigenze, comprare il computer; a chi è giovane, fare ginnastica e check medici; a chi vive nella tragedia della guerra civile affermare purtuttavia il diritto. Riguardo a quasi tutte le autostrade, si disse che servivano a poco quando furono costruite. Quando, futuro vice presidente Usa, Alan Gore, parlava di autostrada informatica ci si chiedeva chi diavolo fosse ed a chi-cosa comunque servisse. Una ragazza aveva la passione di studiare il cinese: solo dopo molti anni lei e gli altri capirono perché. Quasi un proverbio moderno: se in futuro tu volessi vivere tra le stelle, comincia a mandare una piattaforma in orbita. Per adesso ti darà solo informazioni, ma in futuro potrà costituire il centro di un altro modo di vivere. Arriva un nuovo manager, e sa (per altre esperienze) che tutto deve funzionare proprio in maniera diversa, ma capisce anche che, data la situazione, non può cambiare; non può neanche esplicitare un nuovo modello. Ancor più gli impedirebbero di operare ad iniziare il cambiamento per necessario e inevitabile nel futuro; che fare? Entrato in un servizio vecchio e cristallizzato, un manager installò un potente sistema informativo: serviva per dieci ma aveva potenzialità per mille. In un servizio pubblico un altro manager costruì un bel sistema di marketing. Un altro manager sperimentò un processo produttivo elettronico per un prodotto secondario. Un altro manager ancora installò un ottimo sistema di controllo di gestione laddove sembrava che l'azienda lottasse disperatamente per la sopravvivenza sul mercato. Guardando ai grandi cambiamenti già avvenuti ci si accorge che c'è stato un vero e proprio salto di piano e che il centro "metodologico" del nuovo piano di funzionamento era stato impiantato come qualcosa di esagerato, superfluo, periferico, rispetto alle cose che contavano al livello precedente. Così come si potrebbe scoprire che nella vita di un giovane andare a fare vacanze all'estero, o fare strane ricerche bibliografiche, o frequentare strani amici, era un modo di impostare una nuova vita rispetto a ciò che si poteva prevedere da lui.
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2.4.2. Caratteristiche definitorie del modello "strumentante" del cambiamento •. Agire soprattutto quando l'oggi reale ed il domani raffigurabile (dopo il cambiamento) può sembrare utopia, quando le condizioni sono realisticamente non ancora mature. L'innovatore primario costruisce e rende operativi strumenti che sono già utili anche se palesemente sovradimensionati rispetto all'oggi, ma che corrispondono peraltro a strumenti-metodi essenziali nel modello di funzionamento che sarà vigente nel futuro, a grande cambiamento (oggi ancora prematuro) avvenuto. •• Il grande cambiamento avverrà poi in realtà più presto di quanto l'estrapolazione delle condizioni attuali farebbero prevedere. Figurativamente il nuovo "strumento" rappresenta una piattaforma che appare periferica rispetto al funzionamento attuale, che però si proietterebbe, immaginando il futuro, come centrale. Tra i due piani-piattaforme (attuale e futuro) è così inserito un collegamento, una specie di pertica che permette la salita. •. Il fattore cruciale primario è rappresentato dalla capacità di invecchiare e cogliere le potenzialità di nuovi strumenti, tecniche, metodologie, risorse, opportunità che sono necessari già un po' utili anche se non così importanti nell'oggi ma lo diventano metodologicamente, come strumento, nell'ottica di un domani per adesso considerabile dai più quasi irrealistico-utopistico. 2.4.3. Esempi
Nell'organizzazione: nuovi sistemi informativi; nuovi sistemi di controllo di gestione; istituzione di ruoli e funzioni apparentemente strane; sviluppo di attività di benchmarking. Nella società: nuovi collegamenti internazionali; cambiamenti di scarso valore concreto ed apparentemente ispirati a mania di grandezza (esempio: la nuova lira che ne vale mille vecchie); aumento della scolarità obbligatoria e della formazione continua; internet.
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2.5. Processo "possibilitante" del cambiamento In questo modello del cambiamento la fase essenziale è la prima, in un certo senso sia preliminare che centrale: quella della creazione di una nuova possibilità. Esso si applica come metodologia di cambiamento, soprattutto quando il soggetto (persona, organizzazione, società) ha difficoltà a cambiare perché non sa cosa vuol dire essere diverso da come è attualmente, non riesce a immaginarsi positivamente nell'innovazione, è non resistente al cambiamento ma è in difficoltà. Acquisire la possibilità del nuovo costituisce allora il passaggio primo e cruciale del processo di cambiamento (che si realizza poi operativamente tramite la reiterazione di prove applicative della possibilità acquisita). Non ci dilunghiamo qui nello scrivere del modello, perché esso è ampiamente illustrato ed esemplificato negli altri capitoli del libro che esplicitano invece una serie di orientamenti che caratterizzano la cultura favorevole al processo possibilitante del cambiamento. Ci limitiamo qui a riassumere valori culturali e i principi operativi del processo possibilitante: • desideri, sogni realistici, opportunità (più che bisogni, problemi, necessità); • sperimentazione continua (più che stabilità e più che cambiamento pianificato); • pluralità delle possibilità (più che vocazione univoca); • apertura alla possibilità di discontinuità e di salti di qualità (e non solo al miglioramento continuo); • focalizzazione sulle risorse di cui si dispone, sulle opportunità, sui punti forti, nelle possibilità (più che sui vincoli, le mancanze, i punti deboli, gli impedimenti); • cambiamenti per aggiunta (più che per sostituzione); • aumento della pensabilità (ancor prima che valutazione realistica del possibile); • attenzione alle novità che possono far diventare possibile ciò che era ed appariva impossibile; • crucialità dell'energia desiderante (più potente e creativa di quella bisognosa); • valorizzazione dei successi, anche per imparare (non solo dagli errori); • potenza del pensiero nel costruire nuova realtà; • sinergia virtuosa tra nuovo pensare e nuovo agire; • aggirabilità dei problemi soggettivi personali (senza necessariamente doverli affrontare e risolvere alla base). 175
2.5.1. La sequenza con cui l'iniziale possibilitazione può poi diventare cambiamento, anche rapidamente
1) La nuova possibilità diventa "pensabile": per esempio perché la persona vede qualcun altro che la pratica (o l'azienda vede esperienze altrui o la studia nei propri laboratori. Nel seguito il riferimento è alla persona, ma analogo è il processo per l'azienda). 2) La nuova possibilità viene sperimentata: per curiosità, oppure perché chi la pratica sembra trarne vantaggio, oppure quasi per disperazione rispetto ad una crisi che appare insolubile coi vecchi modi. 3) La sperimentazione dimostra "vantaggi evidenti" e la persona la ripete e la privilegia. 4) La persona riorganizza alcuni aspetti della propria vita per innestare la nuova possibilità nella propria normalità (riorganizza per esempio parte dell'uso del tempo, delle attività, dei rapporti con altre persone ed ambienti). 5) La piccola ristrutturazione effettuata per fare posto alla nuova possibilità come normalità, determina nuove pensabilità-possibilità ulteriori. Esempio lampante è l'uso del computer: che inizia finalizzato ad applicazioni molto semplici e poi "dilaga". 6) Se le nuove possibilità, sperimentate, dimostrano ulteriori e più ampi vantaggi evidenti, ricomincia il processo prima detto ai punti 1-2-3-4. Adesso però la ristrutturazione, rispetto allo stato iniziale, è sempre più vasta. Si ha così un vero e proprio cambiamento.
• • • • • • •
Esempi semplici: una nuova amicizia per un ragazzo un nuovo materiale sperimentale in produzione l'informatizzazione di una procedura la certificazione di qualità modi di fare "originali" di nuovi vicini di casa la diversificazione pilota su un nuovo segmento di clientela un nuovo collegamento interpersonale in campo professionale.
Quanto più è notevole il "vantaggio evidente" della nuova possibilità e della sua adozione, tanto più rapido diventa l'effetto valanga/moltiplicatore del processo che porta dalle ristrutturazioni limitate a quelle più pervasive, cioè al cambiamento vero e proprio.
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11. Bibliografie
In questo ultimo capitolo sono proposte: 1. la segnalazione sintetica di dut libri essenziali, in un certo senso tra di loro complementari, sull'approccio empowerment 2. una rassegna di volumi, in lingua italiana, che trattano di tematiche applicative legate all'empowerment e al potere; tra le quali ne abbiamo scelte due, in particolare: la leadership ed i gruppi responsabilizzati 3. la bibliografia vera e propria
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1. Due libri essenziali (e complementari) Claudia Piccardo, Empowerment, strategie di sviluppo organizzativo centrate sulla persona, Raffaello Cor-
tina, Milano, 1995.
Cynthia D. Scott e Dennis T. Jaffe, Empowerment, come creare un ambiente di lavoro responsabilizzato,
FrancoAngeli, Milano, 1991.
Il volume di Claudia Piccardo ha Anche questo volumetto, scritto in uno stile che noi italiani defmiamo molti pregi ed utilità: fa una rassegna molto ampia e ben "molto americano", ha parecchi pregi ragionata dei principali contributi (diversi dal precedente): forniti dai migliori autori, special- - è di facile lettura e comprensione (non a caso fa parte della collana "le guide mente americani; è prezioso per gli specialisti, per la rapide d'autofonnazione"); sua completezza e la tendenza al ri- si allaccia molto al buon senso, ma coglie l'aspetto essenziale della "regore teorico; sponsabilizzazione". Nella nota in- riassume bene contributi impor-tanti troduttiva della traduzione italiana è ed interessanti (esempio: il contributo di Thomas e Velthouse sulla motiva- scritto testualmente: "Non possiamo tradurre letteralmente il termine emzione intrinseca) - approfondisce sia il versante indivi- powerment, non ne afferreremmo il suo concetto, un concetto tra l'altro duale che quello organizzativo focalizza bene le cause del dis- molto vasto e di difficile defmizione e che per le sue implicazioni appare empowerment più simile a uno stile di management È un libro colto ed utile, che dà cultu(basato sul lavoro collettivo e sulla ra e permette di formarsi un quadro siresponsabilizzazione dello staff) che stematico. a una scarna definizione. In Italia, peCertamente soddisfa gli specialisti e rò, esso è stato tradotto con il termine gli studiosi dell'approccio empowerresponsabilizzazione che, sebbene ne ment. dia una definizione riduttiva, e non Una critica che è anche un apprezzamento: avremmo voluto che Claudia potrebbe essere altrimenti, coglie Piccardo ci credesse di più e quindi l'elemento centrale dell'empowerproseguisse il suo lavoro su questo te- ment (n.d.t.)"; ma, e risolvesse anche alcuni dubbi le- il gusto (di chi scrive e per chi legge) gittimi che Ella stessa acutamente sol- è quello del guidare al fare più che della riflessione e dell'impianto teoleva. rico.
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2. Alcuni libri, in lingua italiana, sull'empowerment e sulle tematiche della leadership, dei gruppi di lavoro, del poterei Arcidiacono C., Gelli A., Putton, A. (a cura di), Empowerment sociale. Il futuro della solidarietà: modelli di psicologia di comunità, FrancoAngeli, Milano, 1996.
Gli autori, rivolgendosi a operatori sociali, psicologi e psicoterapeuti di istituzioni sociali, educative e sanitarie, propongono una linea di pensiero e di azione che modifica la tradizionale concezione dell'intervento sanitario e sociale. I punti focali di questo modello sono il concetto di potere, partecipazione, autostima, desiderio, responsabilizzazione: in altre parole, empowerment. Pur essendo il filo conduttore di tutta l'opera, il tema dell'empowerment è in particolare approfondito all'interno del primo e del terzo capitolo. Nel primo, attraverso i due saggi Empowerment personale, di gruppo e sociale (Donata Francescato) e Orientamenti operativi per la consulenza al self empowerment (Massimo Bruscaglioni, Marina Capizzi e Stefano Gheno), dove è presentato il modello del self empowerment ed è dedicato spazio all'approfondimento di ciascuna fase del processo. Nel terzo, con il saggio Empowerment e Scuola (Anna Putton): l'importanza di una scuola empowered ed empowering per "l'acquisizione di potere, cioè di conoscenze, competenze, modalità relazionali", e per "affrontare con fiducia, cratività, progettualità gli eventi che si presentano nel corso dell'esistenza".
Banks L., La motivazione sul lavoro. Come stimolare i collaboratori a dare il meglio di sé, FrancoAngeli, Milano, 1998.
Il lavoro di Lydia Banks, rappresenta uno strumento utile per l'autoformazione di quanti hanno compiti di gestione e coordinamento di gruppi: propone infatti una quantità di esercitazioni, test di valutazione e presentazioni di casi che mettono il lettore nella condizione di sperimentare subito i suggerimenti e le tecniche presentate. In particolare, l'autore offre al lettore strumenti utili al fine di motivare i collaboratori e di gestire la demotivazione all'interno dell'organizzazione. Perché un'organizzazione raggiunga il successo, infatti, è necessario che ci si occupi attentamente di tutti quanti vi lavorano, dedicando attenzione alle loro motivazioni più profonde — per studiare sistemi di ricompensa adeguati alle attese dei collaboratori — e utilizzando strumenti di comunicazione efficaci. Il libro è strutturato in sei capitoli, ciascuno dei quali è dedicato all'approfondimento degli aspetti più importanti per una gestione efficace dei collaboratori. Grande attenzione è dedicata a vision e valori, la cui condivisione è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
'Schede bibliografiche a cura di Elisabetta Lentini.
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Becciu M., Colasanti A.R., La leadership autorevole. La conduzione dei gruppi di lavoro, Carocci, Roma, 1997.
Il libro rappresenta un'utile strumento di autoformazione per quanti operano con gruppi di persone: breve trattazione degli aspetti teorici relativi al tema della leadership e ampio spazio dedicato ad esercizi semistrutturati per lo sviluppo ed il potenziamento delle singole abilità evidenziate come rilevanti rispetto alla funzione del leader. Soprattutto all'interno dell'appendice si trovano questionari utili al lettore per leggere e valutare l'andamento del gruppo, in particolar modo rispetto ai due obiettivi fondamentali : la produttività e i processi interattivi. L'interesse nei confronti del tema della leadership è da ricondurre all'osservazione che vede la qualità della guida come fondamentale nell'influenzare il comportamento del gruppo e dei suoi componenti. L'accento è posto qui sulle competenze relazionali del leader, indispensabili per una buona conduzione del gruppo di lavoro. Attraverso uno stile interattivo autorevole e proattivo, al leader spetta il difficile compito di aiutare il gruppo a raggiungere lo scopo e di mantenere le relazione interne tra i suoi membri. Il secondo capitolo è interamente dedicato all'approfondimento di questo aspetto, mentre il primo descrive i lineamenti teorici della leadership e delle sue diverse interpretazioni. Il terzo, infine, rappresenta un'esposizione sistematica di competenze comunicative indispensabili per il leader nella conduzione del gruppo verso l'obiettivo e nel mantenimento delle relazioni all'interno di esso. Soprattutto quest'ultima parte è arricchita da esercizi di autoaddestramento. Bennis W., Nanus B., Leader, anatomia della leadership, Le 4 chiavi della leadership effettiva, FrancoAngeli, Milano, 5a ed., 1999.
L'obiettivo dei due autori è fornire una guida pratica a leader e a quanti desiderano diventarlo. L'originalità del libro sta nel modo in cui gli autori suggeriscono al lettore indicazioni utili in merito alle abilità necessarie ed alle strategie più efficaci per diventare capo: attraverso la presentazione di 90 interviste in profondità a grandi leader (capi di società come la General Motors, l'Arco, la Lever; senatori e governatori di stati degli Usa, famosi dirigenti sindacali, produttori cinematografici, rettori di università, campioni sportivi, ecc.). In particolare, dalle interviste emerge che la qualità di un leader è determinata soprattutto dalla sua prontezza nell'interpretare i nuovi bisogni emergenti, dall'energia che impiega nel convincere gli altri del valore delle sue idee, dalla capacità che dimostra nel motivare e suscitare entusiasmo negli altri. Il libro consta di sette capitoli, di cui cinque dedicati alla trattazione di strategie per una guida efficace dei collaboratori : le strategie sono basate sulla visione, sulla comunicazione, sulla fiducia, sull'autostima positiva.
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Berthelot C., Lloyd, S.R., Come ottenere quello che volete dalla vita. Guida pratica al successo personale attraverso il self empowerment, FrancoAngeli, Milano, 1995. Il presupposto dei due autori è che l'autostima rappresenti uno strumento fondamentale per instaurare relazioni positive con il prossimo, e quindi per ottenere ciò che si desidera dalla vita sia sul piano professionale che su quello personale. In particolare, ci si propone di dare un contributo al lettore nella definizione chiara dei suoi obiettivi, nella scelta dei mezzi più adeguati per raggiungerli, nell'impiego di strategie vincenti per la comunicazione delle proprie idee. Gli autori propongono quindi indicazioni relative alla via da seguire per il potenziamento del self empowerment; inoltre, perché il lettore possa verificare immediatamente il livello di acquisizione di tale abilità e constatare i progressi fatti, essi presentano all'interno di ogni capitolo un buon numero di analisi di casi, esercizi, liste di controllo e test.
Chapman E.N., Heim J.A.,Imparare a dirigere, un piano d'azione per una leadership di successo, FrancoAngeli, Milano, 1998.
Prendendo spunto dall'osservazione per cui la leadership non può più fondarsi unicamente sulle azioni del comandare e del dare ordini, gli autori sottolineano come il concetto di leadership assuma oggi una connotazione profondamente diversa rispetto al passato, arricchendosi di alcuni aspetti fondamentali, quali: la capacità di responsabilizzare, coinvolgere, creare una visione comune, abituare al lavoro di squadra, trasformare gli "esecutori" in "partner" che operano impiegando tutte le risorse. Il raggiungimento degli obiettivi all'interno dell'organizzazione dipende infatti in gran parte dalla motivazione dei collaboratori, e dalla loro capacità di percepirsi membri attivi di un progetto comune che dipende in larga misura dal loro impegno e dal loro contributo personale. Uno strumento fondamentale per ottenere il coinvolgimento dei collaboratori è rappresentato dalla vision, alla quale è dedicato un capitolo. L'obiettivo di questo libro sta quindi nell'offrire al lettore strumenti efficaci per affinare le qualità che possono fare di lui un leader che motiva, guida e sviluppa le capacità dei suoi collaboratori. A questo scopo sono quindi proposte esercitazioni, attività da svolgere, test di valutazione e presentazioni di casi, in modo che, sperimentando subito i suggerimenti e le tecniche presentate, il lettore acquisisca in maniera più efficace gli strumenti necessari. D'Egidio F., Moeller C., Vision e leadership, Per un cambiamento culturale teso all'eccellenza. La chiave per il successo della qualità totale, FrancoAngeli, Milano, 1992. Gli autori affrontano il tema della leadership da un punto di vista particolare: la trattazione prende infatti spunto dall'analisi delle ragioni per cui i programmi di qualità, nella maggior parte di casi, falliscono: la carenza di una leadership efficace 181
sembra essere una di queste. Inoltre, il mancato raggiungimento dell'obiettivo è spesso da imputarsi all'assenza di alcuni elementi fondamentali all'interno di un organizzazione, quali: condivisione di vision; piena responsabilizzazione di tutti i collaboratori; empowerment e rinforzo dell'autostima delle persone in prima linea; spirito di team; orientamento al continuo apprendimento; considerazione della persona da un punto di vista globale e conseguente eliminazione della distinzione tra sfera personale e professionale. In particolar modo, si sottolinea la grande importanza rivestita dalla vision, anzi, dalla condivisione della vision da parte di leader e collaboratori: solo in questo modo è possibile ottenere il raggiungimento dei traguardi fissati. Alla vision è dedicata gran parte del lavoro: in particolare, se ne sottolinea il valore e si descrivono i passaggi fondamentali del percorso che ha come obiettivo il suo raggiungimento. Desaunay G., Come gestire intelligentemente i propri subordinati, FrancoAngeli, Milano, 1991. Guy Desaunay, attualmente professore al Cesa (Hec, Isa, Cfc), dedica questa preziosa guida ai capi: egli propone infatti spunti di riflessione e strumenti utili a coloro che gestiscono persone e coordinano gruppi di lavoro. L'autore propone un'alternativa alla classica separazione tra stile autoritario e stile direttivo, suggerendo un insieme di caratteristiche é capacità che il leader deve sviluppare, e che completano e arricchiscono il concetto di leadership moderna - il classico "saper comandare" non ne rappresenta infatti ormai che un aspetto. Tra queste figurano: raccogliere informazioni, comunicare, fissare obiettivi, animare riunioni, osservare gruppi, negoziare, decidere. Basandosi sul presupposto per il quale solo dopo aver compreso se stessi è possibile esercitare influenza positiva sugli altri, l'autore propone delle regole agevoli da applicare nei contesti reali. Utilizzando questi principi il capo gestirà non solo i subordinati, ma anche se stesso. Fedel A., Da dipendenti a protagonisti. Flessibilità organizzativa, "gioco di squadra", responsabilità e iniziativa: un metodo per passare dalle parole ai fatti, FrancoAngeli, Milano, 1999. Con questo lavoro l'autore vuole offrire uno strumento utile a quanti hanno compreso l'importanza dello sviluppare nei collaboratori un forte senso di responsabilità e di impegno al fine di raggiungere i risultati prefissi all'interno dell'organizzazione. Il coinvolgimento dei collaboratori e la loro consapevolezza circa il valore del loro contributo rispetto all'obiettivo rappresenta un passaggio fondamentale in vista del successo. In particolare, l'autore suggerisce un metodo pratico — denominato Job Ownership Process — la cui applicazione, stimolando e incoraggiando gli individui ad un atteggiamento attivo, responsabile, vivace, ne assicura il massimo allineamento rispetto agli obiettivi comuni.
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I vantaggi ottenibili attraverso l'applicazione di questo metodo sono riconducibili a diversi piani, tra cui: flessibilità organizzativa; responsabilizzazione dei collaboratori; motivazione; qualità; produttività. L'esposizione del metodo rappresenta il fulcro del libro: la prima parte è dedicata alle ragioni per cui è interessante adottarlo, la seconda invece alla descrizione del suo funzionamento nel dettaglio. Francescato D., Leone L., Traversi M. (a cura di), Oltre la psicoterapia: percorsi innovativi di psicologia di comunità, La Nuova Italia Scientifica, Roma,
1993. Con questo lavoro i curatori si rivolgono principalmente a operatori delle professioni di aiuto, insegnanti, formatori, proponendo un nuovo punto di vista sul quale riflettere: non solo il singolo individuo deve essere posto al centro del proprio operato, ma anche e soprattutto le relazioni tra questo ed il contesto sociale nel quale è inserito. Esaminando esperienze attuate nel campo della psicologia di comunità nel nostro paese, gli autori mostrano come sia possibile intervenire all'interno delle comunità, nelle organizzazioni e nei piccoli gruppi promuovendo l'empowerment dei singoli e la conoscenza dei setting ambientali. Di particolare interesse è il capitolo di Francescato, Leone e Morganti, intitolato Le persone al primo posto: strategie di empowerment nelle organizzazioni lavorative: qui il concetto di empowerment è analizzato rispetto alla psicologia di comunità prima, al mondo del lavoro poi. Francescato D., Amore e potere, La rivoluzione dei sessi nella coppia e nella società, Mondadori, Milano, 1998. Attraverso una conversazione con Aiem, figura che, secondo un'antica tradizione indiana, può scegliere prima della nascita se incarnarsi in un corpo maschile ò femminile, l'autrice ci propone l'analisi di due anime: quella maschile, definita cialdesiderio di potere, di indipendenza, di controllo; quella femminile, caratterizzata dalla ricerca dell'amore, del legame esclusivo, della passione. Amore e potere sembrano quindi due poli distinti e, forse, di difficile compenetrazione. La capacità di integrare questi due aspetti sembra dipendere in parte dall'empowerment, e dal modo in cui il singolo individuo riesca ad utilizzare le proprie risorse personali per cogliere al meglio le opportunità che gli vengono offerte dall'ambiente esterno. Nel capitolo quarto Uomini e donne oggi si cambiano, l'autrice parla ad Aiem dell'esistenza di organizzazioni che promuovono e favoriscono l'empowerment, e all'interno delle quali si lavora per creare un buon clima organizzativo, si utilizza la delega, ci si occupa del singolo anche offrendogli opportunità di formazione. E qui, l'integrazione tra amore e potere, femminile e maschile, è possibile.
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Francescato D., Giusti E., (a cura di), Empowerment e clinica, Integrazione di tecniche per l'autopotenziamento in Psicologia clinica e di comunità e Psicoterapia umanistica integrata, Edizioni Kappa, Roma, 1999.
L'eìnpowerment è il filo conduttore di tutta l'opera. All'interno del primo capitolo, che presenta l'approccio psicoterapeutico integrato, gli autori propongono l'applicazione delle indicazioni del metodo integrato al concetto di empowerment. Il modello utilizzato è quello di Massimo Bruscaglioni, ovvero «l'autore che meglio descrive l'empowerment in una prospettiva individuale, ma che nello stesso tempo ne evidenzia le implicazioni a livelli diversi». All'interno del secondo capitolo il modello del self empowerment rapprese ntà invece un punto di incontro della psicologia umanistica e di quella di comunità: l'accento è posto sul potenziamento dell'individuo inteso anche come capacità sviluppata di cogliere in maniera adeguata le risorse presenti nell'ambiente esterno. Il terzo capitolo è dedicato alla definizione dell'empowerment, attraverso le aree in cui esso trova applicazione e all'interno delle quali si è sviluppato. I principi definitori del costrutto emergono qui attraverso le fasi del processo di autopotenziamento, strutturato intorno a dimensioni quali l'assunzione di responsabilità, l'autostima, il lavoro di gruppo, la motivazione (propria ed altrui). Infine, il libro si conclude con la presentazione di un caso clinico che rappresenta l'integrazione degli ambiti disciplinari sviluppati all'interno del libro. Gillen T., Come influenzare positivamente gli altri, I nuovi skill manageriali, FrancoAngeli, Milano, 1996. Terry Gillen — formatore e consulente — propone spunti interessanti e idee per coloro che gestiscono collaboratori e gruppi di lavoro. L'accento è posto sull'importanza del saper influenzare positivamente gli altri per ottenere prestazioni eccellenti e impegno reale in vista del raggiungimento dell'obiettivo. In particolare, Gillen offre alcuni suggerimenti in merito alle tecniche utilizzabili per l'esercizio di influenza positiva da parte dei capi; tra queste, figurano il portare gli altri sulla propria lunghezza d'onda; il prestare sempre grande attenzione a cosa succede ai collaboratori; il comunicare il proprio punto di vista, curando i particolari e i dettagli; l'utilizzare il linguaggio del corpo; il variare costantemente le strategie adottate in funzione della situazione e dell'obiettivo.
Hicks R.F., Bone D., I gruppi di lavoro autogestiti. Quando e come crearli e farli funzionare, FrancoAngeli, Milano, 1995.
Questo libro è una guida per la creazione e la conduzione dei gruppi autogestiti. L'interesse nei confronti di questo tipo di gruppo — responsabile di tutte le fasi del processo (progettazione, schedulazione, ordinazioni, assegnazione dei lavori, valutazione e determinazione degli standard di qualità) — è determinato dal successo ottenuto all'interno delle organizzazione che per prime li hanno sperimentati.
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La prima parte del libro è dedicata alla presentazione del gruppo autogestito: che cos'è, perché è importante, quali sono i requisiti indispensabili ai dirigenti per assicurare appoggio al gruppo, quali le skill che è necessario avere, di che tipo sono i vantaggi organizzativi che ne derivano. La seconda invece descrive i passaggi da mettere in atto per l'implementazione del gruppo: analisi di fattibilità, analisi del clima all'interno del gruppo, analisi della capacità di lavorare proficuamente senza superiori diretti, piani di lavoro, affinamento della capacità di comunicazione, esame dei valori, programmazione delle riunioni di verifica, gestione interna e dei rapporti esterni, coordinamento. Infine, la terza parte: il perfezionamento delle risorse. Soprattutto, si fa qui riferimento alle competenze che facilitano l'operatività di un gruppo autogestito, ovvero la capacità di risolvere problemi, di guadagnarsi il consenso, di autocorreggersi. Johnson R., Redmond D., L 'arte dell 'empowerment. Come realizzare un'organizzazione snella più competitiva coinvolgendo e responsabilizzando il personale, FrancoAngeli, Milano, 1999. Gli autori dedicano il libro all'empowerment e all'importanza che questo riveste all'interno delle organizzazioni che desiderano stare al passo con i tempi e adeguarsi al cambiamento. A loro avviso, l'introduzione dell'empowerment quale strumento organizzativo è fondamentale per la responsabilizzazione i collaboratori, e per la stimolazione di impegno e motivazione. Come ormai noto, questi sono passaggi necessari per raggiungere il successo. L'utilizzo dell'empowerment all'interno di un'organizzazione comporta dei cambiamenti sotto molti punti di vista: è infatti necessario adottare un nuovo approccio per la gestione delle informazioni e delle decisioni; conoscere molto bene il nuovo modello di comando; rivedere l'allocazione delle risorse e ristudiare i flussi informativi; adottare nuovi stili di comunicazione; acquisire nuove capacità competitive e di servizio al cliente. Questo libro vuole rappresentare quindi uno strumento utile per mettere in pratica l'empowerment nelle organizzazioni, passo a passo, affrontando le difficoltà che si presentano e risolvendo i problemi. Ciò anche attraverso la presentazione di casi, che aiutano a prendere familiarità con i concetti ed a considerarli immediatamente in un ottica più concreta e applicativa. Kakabadse A., I creatori della ricchezza, Come costituire' un team direzionale vieente: guida per imprenditori e manager, FrancoAngeli, Milano, 1992.
Con questo libro l'autore si rivolge principalmente ai dirigenti, con l'obiettivo i fornire indicazioni utili per la creazione di team direzionali vincenti. Il team direzionale è il gruppo che decide tutti gli aspetti fondamentali: le politiche di vendita e di marketing, i livelli dei costi da rispettare per ottenere i profitti desiderati, le linee di comportamento che i dirigenti, devono assumere. Il presupposto da cui l'autore prende spunto è che il buon funzionamento del team possa determinare il raggiungimento dei traguardi prefissati dall'orga185
nizzazione, e che quindi la sua creazione sia un aspetto da non trascurare, ma, anzi, da curare nei minimi particolari. In particolare, Kakabadse si sofferma su tre aspetti centrali dell'attività del leader nello sviluppo di un team: la capacità di modellare le persone, di proporre una visione, di defmire le responsabilità e gli obiettivi. La prima parte del lavoro è dedicata all'approfondimento di questi aspetti. seconda invece ai metodi applicabili per influenzare positivamente gli alUi, con l'obiettivo di motivarli e di stimolarli. La terza, infme, alle strategie per mantenere il ritmo, ovvero: sviluppare una cultura di successo, affrontare in maniera costruttiva i fallimenti, stimolare dirigenti di livello. Creato nell'ottica del "manuale da tenere a portata di mano", il libro presenta alla fme di ogni capitolo una lista di suggerimenti e promemoria utili e di facile impiego. Kelley R., Il potere dei collaboratori, Come creare collaboratori capaci di guidarsi... e leader che sappiano farsi seguire, FrancoAngeli, Milano, 1994. L'analisi del tema della leadership si muove da un punto di vista particolare: l'autore infatti, pur riconoscendone l'importanza ed il valore, sottolinea il fatto che il contributo del leader rappresenta solo una piccola parte del risultato, e che il resto è determinato dai collaboratori. È su di loro che viene quindi posto l'accento all'interno di questo libro: chi sono, cosa pensano, come lavorano, quali sono i percorsi di crescita, quali i metodi per aiutarli a raggiungere livelli eccellenti. Soprattutto, come stimolarli: solo attraverso collaboratori capaci e motivati e stimolati è possibile raggiungere i risultati prefissati. È fondamentale quindi, per i leader, trovare il modo per ricompensare e valorizzare le persone. La conclusione alla quale l'autore giunge — o il punto di partenza dal quale si muove — è che essere buoni collaboratori è difficile almeno quanto essere buoni leader. Kets de Vries M., Leader, Giullari e Impostori., Sulla psicologia della leaders-
ho, Raffaello Cortina, Milano, 1994.
Kets de Vries è docente di Organization Behaviour and Management Policy alla Facoltà di Management della McGill University e insegna psicologia sociale alla Harvard Graduate School of Business Administration. Il punto di partenza della sua analisi è rappresentato dalla convinzione circa la natura psicologica e soggettiva dei fatti di potere: egli sostiene infatti che quando si tratta di leadership non è possibile prescindere dalle vicende personali e dalla storia del leader, in quanto è fondamentale analizzare la figura di potere che è dentro di lui, le illusioni coltivate, le immagini fantasticate. Il tema della leadership, analizzato rispetto alla dinamica di potere, si sviluppa intorno a due punti centrali: quello della visione, per cui la leadership rappresenta il guardare dall'alto e il guardare lontano quello della dipendenza, per cui la leadership è guardare sotto di sé. Soprattutto, essere leader significa saper dimostrare di 186
avere visione, e saperla condividere con i gregari. Tutti devono essere ugualmente coinvolti nel credere, alimentare, seguire il sogno: "al posto dei fatti, desideri". Kettlitz V., Come trattare con i propri collaboratori. Introduzione alle nuove tecniche di leadership, FrancoAngeli, Milano, 1998.
Il fattore leadership diventa via via più rilevante rispetto alla competitività sul mercato dell'organizzazione e alla sua capacità di affrontare le nuove esigenze e le difficoltà caratterizzanti l'era moderna: è indispensabile quindi il suo adeguamento al cambiamento ed alla novità. Ricondurre il concetto di leadership al comandare e al dare ordini è limitante e riduttivo, in quanto oggi, sempre più, è importante che il leader gestisca i propri collaboratori in maniera adeguata. Come, secondo l'autore, il leader può agire al fme di sviluppare i collaboratori e di ottenere prestazioni eccellenti? Innanzitutto pianificando e organizzando il lavoro, assicurandosi che essi abbiano ben compreso cosa ci si aspetta da loro, studiando strategie adeguate per motivarli e stimolarli, valutando i risultati che essi raggiungono. Inoltre, è importante avvalersi della delega e utilizzare strumenti di comunicazione efficaci. A ciascuno di questi aspetti è dedicato un capitolo del libro, che, oltre all'approfondimento dei temi, offre strumenti per affmare le proprie qualità di leader e per aiutare i propri collaboratori a crescere. Kristi Long L., Empowerment. Maggiori responsabilità ai collaboratori. McGraw Hill, Milano, 1998. L. Long — attualmente direttore didattico dell'American Society of Travel Agents — presenta uno prezioso strumento di autoformazione. In particolare, l'obiettivo dell'autore è fornire al lettore strumenti e indicazioni utili per applicare l'empowerment nell'ambito lavorativo, in modo da migliorare la produttività dei propri collaboratori ed affrontare le sfide di un contesto professionale sempre più competitivo. L'assunzione di responsabilità da parte dei collaboratori rispetto al proprio lavoro è correlata non solo all'innalzamento del loro livello di autostima e di fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, ma anche ad un miglioramento dell'efficienza e della qualità del lavoro. Sette temi/domande fondamentali rappresentano i pilastri di questo libro: —Introduzione all'empowerment: la vostra organizzazione è pronta? —L'empowerment è per tutti? — Motivazione dei collaboratori. —Come introdurre un programma di empowerment nell'organizzazione. —Come rendere efficace l'empowerment. —Gli effetti dell'empowerment ) — L'empowerment in azione. ) All'interno di ogni capitolo, una sezione è dedicata a esercizi che permettono di valutare i progressi compiuti, in modo da attuare nel modo più proficuo un programma di empowerment. 187
Lawson K., Migliorare la performance sul luogo di lavoro attraverso il coaching. La tecnica di management del futuro, FrancoAngeli, Milano, 1999.
L'idea alla base del libro è che il buon funzionamento dell'organizzazione sia determinato non solo da una buona leadership, ma anche — e soprattutto — da collaboratori capaci e intelligenti: un buon capo è quindi colui che si occupa dello sviluppo e della crescita dei suoi collaboratori. Una delle tecniche utilizzabile a questo fme è rappresentata dall'attività di coaching, che permette di ottenere risultati sia sul piano delle capacità che della motivazione. Presentando una visione innovativa del concetto di leadership, questo libro vuole essere uno strumento utile ai lettore per imparare a fare coaching e, quindi, per ottenere dai collaboratori prestazioni eccellenti. Mentre la prima parte dell'opera è dedicata ad una presentazione più generale del processo di coaching, la seconda si focalizza sui dettagli e sui particolari. Lazzari L., Il manuale del team builder, Tutto ciò che è necessario sapere per trasformare un gruppo di lavoro in una squadra e una squadra in una squadra specializzata, FrancoAngeli, Milano, 1998.
Lorenzo Lazzari è consulente nel campo di sviulppo organizzativo e formazione aziendale. Il suo lavoro rappresenta un'utile guida per quanti, compresa l'importanza dei gruppi di lavoro all'interno dell'organizzazione in vista del raggiungimento degli obiettivi, desiderano dedicare energie al loro sviluppo e potenziamento. Il team building risulta quindi fondamentale sia come tecnica di potenziamento delle squadre che come strumento di intervento per lo sviluppo delle organizzazioni. Il libro è strutturato in sei capitoli: dalla trattazione relativa a gruppi e sviluppo organizzativo, il discorso si amplia con l'approfondimento del concetto di gruppo di lavoro e di squadra, rispetto al quale se ne analizzano gli aspetti strutturali, processuali e procedurali, la leadership ed i ruoli, l'andamento della comunicazione. Infme, un capitolo è dedicato al team building, la cui trattazione è diversificata per tipi di attività (attività per family groups, per processi e culture, per special groups, riunioni di diagnosi, attività rivolte al compito, ai ruoli, attività fmalizzate al clima ed alle relazioni, attività di selezione, progettazione, formazione, diagnosi). Parker G.M., Il gioco di squadra e i suoi uomini, La nuova strategia aziendale competitiva, FrancoAngeli, Milano, 1992.
L'accento è posto dall'autore sull'atteggiamento che è necessario condividere da parte dei membri del gruppo di lavoro, affinché la squadra sia efficiente ed i risultati attesi vengano conseguiti. L'importanza che i gruppi di lavoro assumono all'interno dell'organizzazione è nota da tempo: essi sono fondamentali in quanto rappresentano uno strumento prezioso per risolvere problemi, migliorare l'efficienza e favorire l'innovazione. 188
L'autore identifica quattro stili caratterizzanti il funzionamento del gruppo, denominati Contributore, Collaboratore, Comunicativo e Provocatore, e sottolinea come solo l'equilibrata miscela dei quattro permetta un funzionamento positivo del gruppo. Pedler M., Burgoyne J., Boydell T., Il manager eccellente, Guida all'autosviluppo delle capacità manageriali, FrancoAngeli, Milano 1994. Questo libro, dedicato a tutti coloro che desiderano realizzare il proprio potenziale e migliorare abilità manageriali, è un valido programma di sviluppo. In particolare, è fmalizzato allo sviluppo e all'affinamento delle doti che caratterizzano il manager nella società moderna (l'era del cambiamento): capacità di controllare gli eventi e di assumersene la responsabilità. Alla base del lavoro è l'importanza attribuita all'autosviluppo, inteso come progetto di miglioramento gestito dall'individuo e come aspetto fondamentale e qualificante dell'essere manager. La prima parte del libro è dedicata all'introduzione dello schema di undici qualità manageriali ritenute fondamentali, e delle undici aree-obiettivo ad esse corrispondenti. Qui è possibile trovare una gran quantità di test diagnostici volti all'identificazione e all'analisi dei propri punti di forza e di debolezza: ciò permette al lettore di stabilire i propri obiettivi all'interno di un percorso di sviluppo personalizzato e costruito su misura. La seconda parte è dedicata invece ad esercizi e attività pratiche per sviluppare capacità rispetto alle undici aree obiettivo: anche qui, la scelta degli esercizi più adeguati consente lo sviluppo di un percorso individualizzato. Quaglino G.P. (a cura di), Leadership, Nuovi profili di leader per nuovi scenari organizzativi, Raffaello Cortina, Milano, 1999.
Il libro contiene una rassegna sui contributi più rappresentativi degli ultimi anni rispetto al tema della leadership, nell'ottica di «ricostruire per grandi linee il ricco campo di scenari e interessi che si sono progressivamente aperti in questi anni». All'interno, un capitolo dedicato interamente all'empowerment (Quinn R., Spreitzer G., La via all 'empowerment. Sette domande su cui ogni leader dovrebbe meditare), in risposta al bisogno emergente di una leadership nuova, in grado di adattarsi in maniera adeguata alle sfide moderne: non più solo controllo e norme — sempre meno efficaci — ma anche e soprattutto sviluppo dei collaboratori, perché imparino ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni e perché il loro modo di lavorare sia caratterizzato da spirito di iniziativa e creatività. Con questo capitolo, gli autori presentano e discutono sette domande che i manager desiderosi di avvalersi dell'empowerment all'interno delle loro organizzazioni si trovano ad affrontare. La trattazione è arricchita da esempi concreti tratti da esperienze osservate all'in-temo di organizzazioni che nell'ultimo decennio hanno cominciato ad utilizzare l'empowerment, quali: Fortune 50, Ford Motor Company, UPS, Honda.
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Quaglino G. P., Casagrande S., Castellano A., Gruppo di lavoro, lavoro di
gruppo, Raffaello Cortina, Milano, 1992.
Il libro, strutturato intorno al concetto di team building di gruppi e organizzazioni, consta di due parti. La prima, dedicata a "identificare il gruppo", è a sua volta costituita da tre capitoli, che sviluppano rispettivamente tre temi fondamentali nella trattazione del concetto di gruppo: la natura, i confmi, gli eventi. Centrale per questa prima parte è la distinzione tra gruppo e gruppo di lavoro: per quanto simili se osservati da un punto di vista superficiale, essi sono in realtà profondamente diversi sia sul piano della struttura che della dinamica. La seconda parte, "Costruire gruppi di lavoro", si muove dal presupposto per cui sia possibile far evolvere un gruppo in gruppo di lavoro, e questo soprattutto quando il gruppo è inserito in un sistema sociale organizzato che gli assegna un compito preciso e attende un risultato adeguato: in un contesto lavorativo, davanti alla necessità di conciliare esigenze diverse (individuo, gruppo, organizzazione), è necessario un più elevato livello di organizzazione ed un più marcato orientamento al compito. Due sono i presupposti alla base di questo lavoro: gli individui rimangono tali all'interno delle organizzazioni in cui lavorano, e quindi non è possibile operare una distinzione netta tra sfera professionale e personale. Inoltre, le organizzazioni sono composte da gruppi, con gli stessi problemi di funzionamento, le stesse probabilità di successo e insuccesso, le stesse caratteristiche di quelli che si strutturano al di fuori delle organizzazioni. Scott C.D., Jaffe D.T., Tobe J.R., Visione, valori, missione. Come costruire organizzazioni e gruppi di lavoro vincenti, FrancoAngeli, Milano, 1995.
Il libro rappresenta una guida operativa per chiunque voglia sviluppare capacità di leader: esso propone infatti una quantità di esercitazioni, attività da svolgere, test di valutazione e casi che invitano il lettore a impegnarsi attivamente e a sperimentare subito i suggerimenti e le tecniche proposte. L'accento è posto su valori, missione e visione, considerati il collante che tiene uniti singoli, gruppi di lavoro, organizzazioni, e che insegna loro a reagire in situazioni nuove e innovare. In particolare, la creazione e il mantenimento di una visione del futuro condivisa rappresenta oggi uno strumento utile per far sì che la propria organizzazione raggiunga il successo e si adegui al cambiamento continuo. Il libro è composto da sei capitoli, la maggior parte dei quali è dedicata proprio alla vision: elementi di processo nella sua creazione, legame tra vision e performance, potere delle immagini positive. Grande importanza è conferita anche all'analisi degli strumenti adatti a elaborare visione, e ai passaggi necessari per realizzarla (comunicazione della visione, analisi del campo di forze, ruolo del leader, rapporto tra visione e cambiamento aziendale). Soverini M., Come creare gruppi di lavoro efficaci e efficienti. Un'esperienza di lavoro per la Qualità Totale, Franco Angeli, Milano, 1996. 190
L'interesse principale di questo libro sta nel fatto che è strutturato intorno ad una esperienza reale, condotta in Telecom Italia, di cui l'autore ha analizzato i nastri registrati di più di cento ore di riunioni condotte da tre gruppi reali. L'esperienza si riferisce ad un progetto formativo avente l'obiettivo di trasferire una metodologia di problem-solving ai gruppi coinvolti. Attraverso tale metodologia — definita "strategia vigilante di problem solving orientata all'azione" — ai partecipanti al progetto venivano forniti strumenti utili per affrontare con sicurezza gli ostacoli che si presentano continuamente all'interno dell'organizzazione. Dall'esperienza descritta il lettore potrà trarre indicazioni e suggerimenti utili per affinare le proprie capacità e per portare la sua organizzazione al successo. Il punto centrale della trattazione è rappresentato dall'importanza del creare gruppi di lavoro capaci e responsabilizzati, in quanto essi rappresentano lo strumento principale per raggiungere gli obiettivi di più alto livello che l'organizzazione si prefigge. Spaltro E., Sentimento del potere. Analisi dei rapporti umani, Boringliieri, Torino, 1984. Enzo Spaltro analizza il tema del potere attraverso diversi livelli della società: la coppia, il piccolo gruppo, il collettivo. Contrariamente all'idea per la quale il collettivo è pericoloso in quanto rappresenta la negazione dell'individualità, il gruppo è descritto qui come «uno strumento con il quale l'individuo può esprimere la propria creatività sociale e influire sulla sfera più vasta del collettivo». Il gruppo è incentrato sul principio vita tua vita mea, secondo il quale il potere acquisito da un membro è fonte di ricchezza ed elemento di sviluppo anche per gli altri. Nel capitolo settimo ("Cambiamento del sentimento del potere: che cos'è un poterometro") l'autore arricchisce la trattazione presentando ricerche condotte al fme di "misurare" il sentimento del potere. Le ricerche hanno coinvolto 1100 soggetti in trenta situazioni in cui è stato possibile misurare la percezione del potere mediante un questionario. Il sentimento del potere è convenzionalmente definito come composto da percezione/desiderio e gradimento del potere, e ciò sempre nei riguardi di qualcuno/qualcosa: il gruppo di appartenenza, la propria organizzazione; il proprio lavoro; la società in cui uno vive; l'ambiente fisico o le forze naturali che uno incontra. Trentini G., Oltre il potere. Discorso sulla leadeship, FrancoAngeli, Milano, 1999. Il fenomeno della leadership è stato ampiamente trattato e approfondito in letteratura. L'autore offre il suo contributo originale analizzandone alcuni aspetti specifici: gli orientamenti teoretici di base, i livelli di funzionamento dell'individuo nel sociale, il rapporto tra gruppo e leadership, i diversi modelli e le funzioni della leadership.
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L'ultima parte del volume è dedicata alla relazione tra leadership e potere: le fonti di legittimazione, l'articolazione tra Autorità, Potere e Libertà, la distinzione tra Potere e Autorità e le fondamentali modalità di articolazione fra le due. Varvelli M.L., Varvelli R., Come cambia il potere in azienda. Cultura e management nella industria italiana, FrancoAngeli, Milano, 1989. Con il presente lavoro gli autori — entrambi consulenti e formatori — intendono descrivere un quadro generale dei diversi modelli di potere che si sviluppano e sperimentano oggi in contesti organizzativi: il potere in azienda cambia, e, conseguentemente, molti aspetti ad esso correlati. L'analisi prende spunto dai risultati di ricerche — che vedono coinvolte 200 aziende — condotte su un vasto campione di imprenditori e dirigenti: essi rappresentano infatti lo "strumento" migliore per analizzare e capire i cambiamenti in atto. In quest'ottica, gli autori hanno raccolto attraverso interviste i pareri di prestigiosi rappresentanti del corpo manageriale e di opinion leaders. Tra questi troviamo: Umberto Agnelli, presidente della Fiat Auto; Walter Mandelli, vicepresidente della Confindustria; Vittorio Merloni, presidente della Merloni Elettrodomestici; Sergio Pininfarina, ex presidente della Unione Industriale di Torino e deputato al Parlamento europeo. White A., Il performance management, Come ottenere il meglio da se stessi e dai propri collaboratori, FrancoAngeli, Milano, 1996.
Il volume è dedicato a quanti vogliono affinare le proprie capacità di leader e migliorare l'efficienza del proprio gruppo di lavoro. Poiché il buon funzionamento del gruppo è determinato in gran parte dai collaboratori, diventa fondamentale mettere in atto strategie di leadership volte a innalzare il loro livello di motivazione, il loro coinvolgimento all'interno dello specifico progetto, il loro senso di responsabilità rispetto al lavoro. Ecco perché tanto interesse intorno al tema del performance management.
In particolare, l'autore pone in evidenza tre aspetti che il buon leader deve mettere a fuoco al fine di ottenere gli obiettivi prefissati: la defmizione del traguardo e la delineazione della direzione per raggiungerlo; la selezione, lo sviluppo e la formazione adeguata dei membri della squadra; la motivazione dei collaboratori affinché si consegua l'obiettivo attraverso l'impegno di tutti. Inoltre, è necessario che il capo operi anche un'analisi sulla sua persona, in modo da approfondire la conoscenza di sé e del suo stile comunicativo: solo in questo modo sarà in grado di influenzare positivamente i collaboratori e di sviluppare le loro potenzialità attraverso un processo di miglioramento continuo. Di particolare interesse sono gli innumerevoli esempi e i questionari posti all'interno del libro, strumenti preziosi per sperimentare immediatamente le tecniche più adeguate per ottenere risultati eccellenti.
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Zerilli A. (a cura di), Come guidare con successo un 'azienda, Autorità, responsabilità, delega, decentralizzazione, coordinamento, comunicazione, controllo, FrancoAngeli, Milano, 1994. Andrea Zerilli si rivolge con questo libro a quanti, rilevato il costante emergere di nuove, esigenze all'interno dell'organizzazione moderna, desiderano aggiornare e reimpostare il loro stile direttivo. In particolare, il curatore focalizza la sua attenzione su quattro aspetti determinanti il successo di un'azienda. In primo luogo, l'autorità: cosa è, cosa rappresenta, che tipi di autorità esistono, quali sono le relazioni con responsabilità e potere, come avviene il processo di legittimazione da parte del gruppo sociale. Particolare considerazione è dedicata a delega e decentralizzazione dell'autorità: come e perché è importante avvalersene, quali sono gli ostacoli principali. Poi, il coordinamento: analisi dei tipi di coordinamento, presupposti e strumenti per un coordinamento efficace. In seguito, la comunicazione: ci si sofferma qui sui i tipi di comunicazione esistenti, e in particolare modo sulla distinzione tra comunicazione formale e informale, analizzando gli ostacoli più frequenti e considerandone i requisiti principali. Infine, il controllo: come effettuarlo in maniera efficace e utile? Aspetti fondamentali della questione sono la definizione dei requisiti del controllo, la misurazione, il confronto e la valutazione dei risultati, l'azione correttiva. 3. Bibliografia Ameno P. (1995), Teorie in psicologia sociale, Il Mulino, Bologna. Ameno P. (1996), Forme di solidarietà e linguaggi della politica, Bollati Boringhieri, Torino. Amovilli L. (1994), Imparare ad imparare, Patron, Bologna. Arcidiacono C., Gelli B., Putton A. (a cura di) (1996), Empowerment sociale, Angeli, Milano. Argyris C. (1957), Personality and organization, Harper, New York. Ashby W. R. (1971), Introduzione alla cibernetica, Einaudi, Torino. Avallone F. (1998), Psicologia del lavoro. Storia, modelli, applicazioni, Carocci, Roma. Avallone F. (a cura di) (1999), Conoscere le organizzazioni: strumenti di ricerca e intervento, Guerini, Milano. Bandura A. (1986), Social foundations of thought and action, Prentice-Hall, Englewood Cliffs. Bandura A. (1996), Il senso di autoefficacia, Erickson, Trento. Banks L. (1998), La motivazione sul lavoro. Come stimolare i collaboratori a dare il meglio di sé, Angeli, Milano. Becciu M., Colasanti A. R. (1997), La leadership autorevole. La conduzione dei gruppi di lavoro, Carocci, Roma. Bellotto M., Trentini G.C. (a cura di) (1996), Culture organizzative e formazione, Angeli, Milano. Bendix R. (1956), Work and authority in industry, Wiley, New York.
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Migliorare la performance aziendale. Tecniche per acquisire vantaggio competitivo affinando le modalità di gestione dell'organizzazione, dei processi e dei lavori Michelangelo Votta, Renato Votta, Il bilancio d'esercizio: analisi e riflessi fiscali. Guida pratica per imprenditori, dirigenti, studenti Antonio Foglio, Alleanze strategiche per l'impresa. Scegliere e gestire le alleanze vincenti Guido Weiller, Il controllo del processo di produzione. Metodi, tecniche e procedure per realizzare sempre una gestione economica soddisfacente Ioanis Tsiouras, Guida alla certificazione ISO 9000 per le organizzazioni utenti e le aziende d'informatica Bernard Froman, Il manuale della qua-
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L'evoluzione del marketing e delle attività promozionali. Le promozioni di continuità come elemento funzionale e strategico Vito D'Incognito, Guida allo sviluppo dei sistemi di gestione ambientale. Norma ISO 14001 Mario Grasso, Le imprese di viaggio. Analisi strategica e politiche di marketing per il vantaggio competitivo
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La gestione totale della qualità come strategia per il successo dell'impresa. Il modello dell'EFQM come guida all'eccellenza dei risultati aziendali 347. Giuliano Bonollo, Programmazione e analisi delle vendite con Excel® 348. Carlo Bisio, Costruzione della realtà e formazione. Prospettiva psicosociale e sistemi sui processi d'apprendimento 349. Pietro Guido, La previsione delle vendite. Tecniche per i beni di largo consumo e per i prodotti industriali 350. Felice Aloi, Costi & prezzi. La contabilità dei costi e la formazione dei prezzi in ambiente competitivo 351. Vittorino Tedde, Il nuovo mercato finanziario per le piccole e medie imprese. La figura del market maker. Le op-
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dei sistemi: ambiente - qualità - sicurezza - etica Paolo Sassetti, Guida pratica al venture capital. Come imprenditori e manager possono sottoporre progetti d'investimento agli inventori istituzionali Federico Rajola (a cura di), L'organizzazione dei sistemi di business intelligence nel settore finanziario. Il datawarehouse e il data mining
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di sanificazione secondo il metodo HACCP Roberto Alfieri, Dirigere i servizi sociosanitari. Idee, teoria e prassi per migliorare un sistema complesso Marcello Morelli, Il commercio elettronico. Scenari, prospettive e tecniche per vendere in rete Alberto Drei, Riccardo Varriale, Micromarketing: una guida all'azione Sergio Cherubini, Marco Canigiani, Media e co-marketing sportivo Dalla Patrizia Greco, Dal protocollo alla tariffa. Un percorso per affrontare e gestire le problematiche dei costi della sanità
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per le piccole e medie imprese Massimo Bassetti, Un sistema integrato di gestione delle risorse umane. Integrated Human Resources Management Information System. Resoconto di un'esperienza Marco Fertonani, Le competenze manageriali. Dalla valutazione delle prestazioni e del potenziale alla valutazione delle competenze manageriali
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Guida alla Vision 2000. Un nuovo modello contrattuale per la certificazione ISO Pasquale Tarallo, Business At Risk. La direzione strategica ed operativa nell'era dell'economia virtuale
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l'impresa agricola supportata dal computer. Preparazione all'informatizzazione aziendale Sergio Cherubini (a cura di), Esperienze di marketing sanitario
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Nuove strategie d'acquisto. Outsourcing, comakership, partnership Giuseppe Iacono, L'organizzazione basata sulla conoscenza. Verso l'applicazione del knowledge management SIFORP (a cura di), La formazione psicologica. Fondamenti, competenze, metodologie, strumenti ed ambiti di intervento
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strategico creativo. Un nuovo approccio al management in un'economia che cambia: tecniche per il disegno dell'innovazione strategica e per la sua realizzazione Renato Rizzini, Bilancio e analisi finanziaria delle imprese. Con floppy disk
425. Luciano Furlanetto, Carlo Mastriforti, 426.
Outsourcing e global service. Nuova frontiera della manutenzione Paolo Pratali, Roberto Chiavaccini, Progettare i processi d'impresa
427 Alain Wellhoff, Jean Emile Masson, 428.
Il merchandising nel commercio moderno. Basi, tecniche e applicazioni Ettore Cascioli, La modellazione di sistemi aziendali. Come ridurre l'incertezza nei processi decisionali
429. Massimo Bruscaglioni, Stefano Gheno,
Il gusto del potere. Empowerment di persone ed aziende