ANNE McCAFFREY IL CANTO DEI CRISTALLI (Cristal Singer, 1982) A Kate e Alec e ai loro bambini NOTA DELL'AUTORE Il Canto d...
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ANNE McCAFFREY IL CANTO DEI CRISTALLI (Cristal Singer, 1982) A Kate e Alec e ai loro bambini NOTA DELL'AUTORE Il Canto dei Cristalli è basato su quattro racconti, pubblicati originariamente nella collana Continuum di Roger Elwood. Il romanzo è notevolmente ampliato rispetto ai racconti, grazie all'assistenza tecnica di Ron Massey, Langshot Stables, Surrey. Le sue lunghe spiegazioni e le note accurate mi hanno permesso di avventurarmi intrepidamente dove nessun uomo era mai stato. CAPITOLO PRIMO Killashandra ascoltò le parole cadere con fatalità di piombo nel suo ventre freddo. Fissava il famoso profilo del maestro, mentre le labbra di lui si aprivano e si chiudevano intorno alle parole che significavano la morte di tutte le sue speranze e le sue ambizioni, e rendevano inutili dieci anni di duro lavoro e studio. Infine, il maestro girò il volto verso di lei. Il rammarico sincero nei suoi occhi espressivi lo invecchiava. I forti muscoli della mascella da cantante si rilassarono penosamente. Un giorno, Killashandra avrebbe ricordato quei particolari. Ma in quel momento era troppo annientata dalla schiacciante sconfitta per accorgersi di altro che del proprio terribile fallimento personale. «Ma... ma... come ha potuto?» «Come ho potuto che cosa?» chiese il maestro, sorpreso. «Come ha potuto mettermi fuori strada? «Metterti fuori strada? Ma, mia cara ragazza, io non l'ho fatto.» «Lei lo ha fatto! Aveva detto... aveva detto che mi occorreva solo lavorare sodo. Non ho lavorato con impegno sufficiente?» «Certamente, hai lavorato con impegno.» Valdi era offeso. «I miei studenti devono impegnarsi. Occorrono anni di duro lavoro per sviluppare la voce, per imparare almeno una parte del repertorio extraplanetario che si deve eseguire.»
«Io ho un repertorio! Ho lavorato con impegno e adesso... adesso lei mi dice che non ho voce?» Il maestro Valdi sospirò rumorosamente, un'affettazione che aveva sempre irritato Killashandra e, in quel momento, le era insopportabile. Apri la bocca per protestare, ma lui alzò una mano per fermarla. L'abitudine, acquisita in quattro anni, la bloccò. «Non hai la voce per essere una cantante solista, mia cara Killashandra, ma questo non ti preclude nessuna delle molte altre posizioni di responsabilità, in cui ti puoi realizzare...» «Io non sarò una corista. Io voglio... volevo» ed ebbe la soddisfazione di vederlo trasalire nel sentire l'amarezza nella sua voce «essere una solista. Lei aveva detto che avevo...» Sollevò nuovamente la mano. «Hai il dono di un tono perfetto, la tua musicalità è impeccabile, la tua memoria superba, il tuo potenziale drammatico non si può criticare. Ma nella tua voce c'è quella nota aspra che diventa intollerabile nel registro più alto. Pensavo che la si potesse eliminare con l'esercizio, modificare...» si strinse nelle spalle per esprimere la propria impotenza. La osservò con severità. «L'audizione di oggi, con giudici assolutamente imparziali, ha dato la prova conclusiva che il difetto è insito nella voce. Il momento è crudele per te e non particolarmente piacevole per me.» Le lanciò un'altra occhiata severa, reagendo alla ribellione esplicita nell'atteggiamento di lei. «Ho fatto pochi errori di valutazione riguardo alle voci. Pensavo sinceramente di essere in grado di aiutarti. Non posso, e sarebbe doppiamente crudele da parte mia incoraggiarti ulteriormente nella carriera da solista. No. Faresti meglio a rafforzare un altro lato del tuo potenziale.» «E quale, secondo il suo parere, dovrebbe essere questo lato?» Ebbe la grazia di socchiudere gli occhi nel sentire le sue parole sarcastiche, poi la guardò lealmente negli occhi. «Non hai la pazienza di insegnare, ma potresti essere molto brava in una delle arti teatrali, dove la tua comprensione dei problemi dei Cantori ti sarebbe di grande utilità. No? Sei un esperto sintetizzatore? Uhm. Peccato, la tua cultura musicale sarebbe un grande vantaggio in quel campo.» Si fermò: «Beh, allora, ti potrei consigliare di abbandonare completamente le arti teatrali. Con il tuo senso del tono, potresti essere un accordatore di cristalli o un dirigente del traffico di aerei e navicelle spaziali o...» «Grazie, maestro,» disse, più per forza dell'abitudine che per una reale gratitudine. Lo onorò del mezzo inchino richiesto dal suo rango e si ritirò.
Killashandra chiuse con violenza il pannello alle proprie spalle e percorse a lunghi passi il corridoio, accecata dalle lacrime che per orgoglio non aveva versato alla presenza del maestro. Sebbene in parte desiderasse e in parte temesse l'incontro con qualche collega, che le avrebbe chiesto il motivo delle sue lacrime e l'avrebbe compatita per il suo fallimento, Killashandra fu oltremisura sollevata nel raggiungere la sua cella-studio senza aver incontrato nessuno. Lì si abbandonò alla propria infelicità, prima piangendo istericamente, poi singhiozzando, finché fu troppo sfinita per fare nient'altro che ansimare per riprendere fiato. Se il suo corpo protestava contro l'eccesso emotivo, la sua mente vi trovò sollievo. Perché si era abusato di lei; era stata trattata male, consigliata male, indirizzata male - e chi sa quanti dei suoi colleghi avevano riso in segreto dei suoi sogni di gloriosi trionfi nei concerti e nelle opere? Killashandra aveva una generosa quantità d'orgoglio e d'amor proprio necessari alla professione che aveva scelto, senza alcuna traccia di umiltà; pensava che il successo e la celebrità fossero solo una questione di tempo. Ora si vergognava al vivido ricordo della propria presunzione e arroganza. Aveva affrontato l'audizione del mattino con una tale fiducia che gli encomi necessari a continuare come aspirante solista le erano sembrati una conclusione scontata. Ricordava i volti degli esaminatori, così gradevolmente sereni; un uomo muoveva distrattamente il capo al ritmo delle arie e del lieder del saggio. Aveva tenuto scrupolosamente il tempo; l'avevano apprezzata molto per questo. Come avevano potuto sembrare così... così impressionati? Così incoraggianti? Come avevano potuto mettere a verbale simili verdetti contro di lei? «La voce non è adatta alla dinamica dell'opera. Sgradevole nota aspra troppo udibile.» «Un buono strumento per cantare con l'orchestra e il coro, in cui l'armonica stridula non si noterà.» «Ottime qualità per dirigere un coro: la studentessa dovrebbe essere decisamente dissuasa dalla carriera da solista.» Ingiusto! Ingiusto! Come avevano potuto permetterle di arrivare così lontano, di illudersi, solo per essere fatta a pezzi alla penultima prova? E sentirsi offrire come contentino la direzione di un coro! Che cosa degradante e vergognosa! Dai suoi ricordi tormentosi sgusciarono i volti dei suoi fratelli e delle sue sorelle, che la schernivano per quello che chiamavano «strillare a pieni polmoni.» La beffavano per le ore che passava a fare esercizi con le dita e a cercare di «capire» l'armonica della bizzarra musica extraplanetaria. I
suoi genitori si erano arresi alla professione scelta da Killashandra perché, in primo luogo, era finanziata dal sistema educativo planetario di Fuerte, in secondo luogo, poteva contribuire alla loro posizione nella comunità e in terzo luogo, Killashandra era stata incoraggiata dai suoi primi insegnanti strumentali e di canto. Quelli! Era l'inettitudine di uno di quegli zotici cui doveva il difetto della sua voce? Killashandra si lasciò andare ad un parossismo di autocommiserazione. Che cosa aveva avuto il coraggio di suggerire Valdi? Un'arte affine? Il sintetizzatore? Bah! Passare la vita nei manicomi rivolgendosi a menti incrinate perché lei aveva una voce incrinata? O a riparare cristalli incrinati per provvedere al volo interplanetario o a far funzionare scorrevolmente il gruppo motore di qualcuno? Poi capì che il suo abbattimento era solo autocommiserazione e si alzò a sedere, fissandosi nello specchio sulla parete opposta, lo specchio che aveva riflesso tutte quelle lunghe ore di studio e di perfezionamento. Di illusione! In un attimo, Killashandra si liberò di quella avvolgente indulgenza verso se stessa. Osservò lo studio, una parte della stanza dominata dal Vidifax, con la sua tastiera completa che interfacciava con l'Archivio Musicale, fornendo l'accesso alla produzione musicale della galassia. Lanciò un'occhiata alle riproduzioni delle esecuzioni fatte durante le esercitazioni - Killashandra vi aveva sempre avuto il ruolo principale - e capì che sarebbe stato meglio dimenticare tutta la maledetta faccenda! Se non poteva essere la migliore, al diavolo le arti teatrali! Doveva essere la migliore in qualsiasi cosa facesse, oppure sarebbe morta nel tentativo di farlo. Si alzò in piedi. Non c'era più niente per lei in una stanza che fino a tre ore prima era stata il centro di ogni minuto di veglia e di tutte le sue energie. Qualsiasi oggetto personale restasse nei cassetti o sugli scaffali, i diplomi sulle pareti, gli ologrammi firmati da cantanti che aveva sperato di emulare o superare, non la interessavano e non le appartenevano più. Andò a prendere il mantello, ne strappò il distintivo studentesco, e si gettò l'indumento su una spalla. Quando si girò, vide un biglietto attaccato alla porta. Ricevimento a Roare per festeggiare! Sbuffò. Tutti avrebbero saputo. Che ridessero pure sulla sua rovina. Quella sera non avrebbe ricoperto il ruolo di colei che sorride valorosamente, che affronta coraggiosamente le avversità. Né lo avrebbe fatto mai. Esce Killashandra, in silenzio, centro del palcoscenico, pensò mentre
correva lungo la bassa rampa di scale che scendeva sul viale, di fronte al Centro Culturale. Provò di nuovo soddisfazione e rimpianto al pensiero che nessuno assistesse alla sua partenza. In realtà, non avrebbe potuto desiderare un'uscita di scena più drammatica. Quella sera si sarebbero domandati che cosa fosse accaduto. Forse qualcuno l'avrebbe saputo. Sapeva che Valdi non avrebbe mai divulgato la loro conversazione; detestava i fallimenti, soprattutto i propri, perciò non ne avrebbero mai udito parola da parte sua. Per quanto riguardava il verdetto degli esaminatori, almeno l'esatta formulazione fornita a lei, sarebbe stata protetta nel computer. Ma qualcuno sarebbe venuto a sapere che Killashandra Ree non aveva superato gli esami finali di canto e i motivi del fallimento. Nel frattempo lei sarebbe efficacemente scomparsa. Avrebbero potuto fare tutte le ipotesi che volevano - nulla glielo avrebbe impedito - e si sarebbero ricordati di lei, quando sarebbe diventata importante in un altro campo. Allora si sarebbero meravigliati che nemmeno una cosa infima come un fallimento potesse soffocare la sua bravura. Tali riflessioni consolarono Killashandra per tutto il cammino verso la sua pensione. Alloggi per studenti meritevoli e sussidiati con borse di studio - niente altro che deprimente sporcizia e sovraffollamento bohémien d'altri tempi - ma la sua camera non era affatto degna di un palazzo. Quando Killashandra non si fosse nuovamente iscritta al Centro Musicale, la sua padrona di casa sarebbe stata avvertita e la camera le sarebbe stata tolta. Vivere con un sussidio le ripugnava; le dava il senso dell'inettitudine. Ma avrebbe preso un'iniziativa anche in questo caso, e avrebbe lasciato subito la camera. E tutti i ricordi che conteneva. Inoltre, avrebbe rovinato il mistero della sua scomparsa, se fosse stata scoperta nella sua camera ammobiliata. Perciò, con un breve cenno alla padrona di casa, che controllava sempre le entrate e le uscite, Killashandra salì le scale fino al suo piano, aprì la camera e si guardò intorno. Non c'era veramente nient'altro da prendere oltre gli abiti. Malgrado questa valutazione, Killashandra imballò il liuto che si era costruita con le proprie mani per soddisfare quell'esigenza della sua professione. Poteva non desiderare di suonare, ma non poteva sopportare l'idea di abbandonarlo. Lo mise tra gli abiti nello zaino, che si agganciò sulle spalle. Chiuse la porta, scese velocemente le scale, fece un cenno alla padrona di casa, proprio come faceva sempre, e se ne andò silenziosamente. Una volta adempiute le drammatiche necessità imposte dal suo nuovo
ruolo, non aveva alcuna idea di che cosa fare di se stessa. Scivolò dal marciapiede mobile sul nastro veloce della strada pedonale, diretta verso il centro della città. Doveva iscriversi in un ufficio di collocamento; doveva richiedere il sussidio. Doveva fare molte cose, ma all'improvviso, Killashandra scoprì che il «dovere» non guidava più la sua vita. Niente più noiosi programmi da rispettare: prove, lezioni, studio. Era libera, assolutamente e completamente libera! Con tutta la vita davanti a sé da riempire. Da riempire? Con che cosa? Il nastro pedonale la faceva correre rapidamente verso i quartieri più vivaci della città. Indicatori per i pedoni balenavano agli incroci: il triangolo rosso del commercio si intrecciava con il cerchio arancione dei servizi sociali; il quadrato verde delle fabbriche e il tratteggio blu dei dormitori, le strisce verdi e rosse dei servizi sanitari e poi la freccia rossa dell'aeroporto e la stella blu dello spazio-porto. Killashandra, paralizzata dall'indecisione, si trastullò con la varietà di cose che avrebbe dovuto fare, e fu trasportata oltre gli incroci che l'avrebbero condotta dove doveva andare. Ancora «dovere», pensò, e si fermò sul nastro a scorrimento veloce. Una parte di Killashandra era divertita dal fatto che lei, un tempo così sicura di sé, potesse essere adesso così indecisa. In quel momento non le venne in mente che aveva subito un intenso shock traumatico né che stava reagendo a quello shock - sulle prime, in maniera alquanto immatura fuggendo all'improvviso; in un secondo momento, in maniera più matura, quando aveva smesso di indulgere nel compatimento di se stessa e aveva cominciato a cercare concretamente una vita alternativa. Non poteva sapere che in quello stesso momento Esmond Valdi era preoccupato, dopo aver compreso che la ragazza avrebbe reagito malamente alla cattiva notizia. Se lei lo avesse saputo, sarebbe stata più gentile nei suoi confronti, sebbene il maestro l'avesse cercata solo nel suo studio e non avesse fatto altro che telefonare al Reparto del Personale per riferire le proprie preoccupazioni. Era giunto alla rassicurante conclusione che Killashandra si sarebbe rifugiata presso qualche collega, probabilmente per farsi un bel pianto. Conoscendo la sua dedizione alla musica, aveva erroneamente dedotto che la ragazza avrebbe continuato a studiare musica e, a tempo debito, avrebbe accettato la direzione di un coro. Era lì che la voleva, e semplicemente a Valdi non venne in mente che Killashandra avrebbe buttato via dieci anni di vita in un attimo. CAPITOLO SECONDO
Killashandra era già a metà strada verso lo spazio-porto, prima di aver deciso coscientemente che era quello il posto dove doveva andare - questa volta, «dovere» inteso non in senso di obbligo ma di ricerca. Fuerte non aveva più nient'altro che ricordi dolorosi per lei. Avrebbe lasciato il pianeta e avrebbe cancellato quelle angosciose associazioni di idee. Era un bene che avesse preso il liuto. Aveva titoli sufficienti per essere assunta come intrattenitrice occasionale su qualche nave di linea, nella migliore delle ipotesi, o come assistente, nella peggiore delle ipotesi. Poteva anche viaggiare un po' per vedere che cos'altro dovesse fare della propria vita. Quando il nastro a scorrimento veloce rallentò per curvare verso il terminal dello spazio-porto, Killashandra si accorse del mondo esterno - persone e cose - per la prima volta da quando aveva lasciato lo studio del Maestro Valdi. Non era mai stata allo spazio-porto prima di allora e non era mai stata presso uno dei comitati di accoglienza per gli astrali extraplanetari. Proprio in quel momento, una navicella fu lanciata dalla sua rampa e i potenti motori fecero tremare l'edificio del porto. Ma risuonò uno stridore sconvolgente di cui si accorse quasi a livello subcosciente, e che lei avvertì per tutto il corpo. Scosse la testa. Lo stridore si intensificò - doveva provenire dalla navicella - finché non fu costretta a serrarsi le orecchie con le mani. I sonici diminuirono, e lei dimenticò ciò che era successo, vagando nell'immenso atrio dalla volta a cupola dell'edificio portuale. I vidifax erano allineati da una parte all'altra del segmento interno, ciascuno contrassegnato dal nome di un particolare servizio passeggeri o merci, ciascuno con il suo schermo. Luoghi lontani dai nomi strani e sonori: il frammento di un'antica canzone si intrometteva e veniva subito represso. Mai più musica. Si fermò davanti a un portale a osservare lo stivamento del carico a bordo di una navicella, gli addetti al carico si servivano di palette pneumatiche per spostare pacchi dalle strane forme che non entravano sulla rampa di carico. Un commissario di bordo correva da un punto all'altro, esaminando codici a nastro, destreggiandosi tra unità di peso, e discutendo con gli stivatori. Killashandra sbuffò. Presto avrebbe avuto ben altro che simili sciocchezze per impegnare le sue energie. All'improvviso afferrò l'aroma di odori appetitosi. Si rese conto di avere fame! Fame? Quando tutta la sua vita era a pezzi? Che banalità! Ma quegli odori le fecero venire l'acquolina in bocca. Beh, il suo credito doveva essere sufficiente per un pasto, ma sarebbe stato meglio
controllare il suo conto piuttosto che trovarsi in imbarazzo al ristorante. Ad un terminale pubblico inserì la sua unità digitale da polso e poggiò il pollice sulla piastra di controllo delle impronte. Fu piacevolmente sorpresa nel notare che le era stata accreditata una somma proprio quel giorno - lo stipendio della borsa di studio, lesse. L'ultimo. Il fatto che la somma totale rappresentasse un premio non le fece piacere. Un premio per celebrare solennemente il fatto che non avrebbe mai potuto essere una solista? Camminò rapidamente verso il più vicino ristorante, notando solo che non si trattava del servizio economico. La vecchia Killashandra, ligia al dovere, sarebbe tornata immediatamente indietro. La nuova Killashandra vi entrò con aria decisa. Nel primo pomeriggio, le sale da pranzo non erano affollate, perciò scelse un separé al livello superiore da dove si godeva una visione perfetta del flusso di navicelle e piccole astronavi. Non si era mai resa conto di quanto traffico passasse attraverso il porto del suo modesto pianeta, sebbene vagamente sapesse che Furate fosse una stazione di trasbordo. Il menù su vidifax era lungo e vario, e fu tentata più volte di scegliere i cibi esotici che vi erano descritti in modo allettante. Ma alla fine decise per una casseruola, composta da pesci extraplanetari, insolita ma non troppo speziata per il palato semplice di una studentessa. Un vino extraplanetario, compreso nella carta dei vini, le piacque tanto che ne ordinò una seconda caraffa proprio mentre scendeva il crepuscolo. Sulle prime pensò che fosse stato l'insolito vino a darle sui nervi. Ma il disagio crebbe tanto rapidamente che Killashandra sentì che non poteva trattarsi solo dell'effetto dell'alcol. Si strofinò il collo, aggrottò le sopracciglia e si guardò intorno alla ricerca dell'origine della sua irritazione. Infine, l'apparizione degli scoppi di un razzo frenante di una navicella in atterraggio le fecero comprendere che il suo disagio doveva essere il risultato di un disturbo sonico, sebbene non riuscisse a capire come potesse penetrare il ristorante, che era schermato. Si coprì le orecchie, premendo con forza tale da poter alleviare il forte dolore. D'improvviso cessò. «Le dico che il propulsore della navicella sta per esplodere. Mi metta subito in collegamento con il supervisore della torre di controllo,» gridò una voce baritonale nel silenzio che seguì. Allarmata, Killashandra si girò intorno. «Come faccio a saperlo? Lo so!» Un uomo alto domandava allo schermo della consolle di servizio del ristorante: «Mettetemi in contatto con la torre di controllo. Sono tutti sordi lassù? Allora volete l'esplosione di una navicella la prossima volta che ne verrà usata una? Non l'avete sentito?»
«Io l'ho sentito,» disse Killashandra, affrettandosi a mettersi in vista della consolle. «Lei lo ha sentito?»L'ufficiale dello spazio-porto sembrò sinceramente sorpreso. «Certamente. Mi ha quasi sfondato il cranio. Le orecchie mi fanno ancora male. Che cosa è stato?» chiese all'uomo alto, che aveva un'aria autoritaria, sebbene fosse frustrato dalla stupidità dell'ufficiale. Il suo corpo magrissimo aveva un portamento arrogante che era adeguato alla stoffa fine dei suoi abiti - evidentemente di stile e tessuto extraplanetari. «Anche lei lo ha sentito, uomo. Adesso, mi passi la torre di controllo.» «Veramente, signore...» «Non fare lo stupido,» sbottò Killashandra. Il fatto che la ragazza fosse chiaramente una abitante di Fuerte come lui infastidì l'ufficiale più dell'insulto. Poi lo straniero, prorompendo in una imprecazione colorita per definire l'idiozia, aprì di scatto la custodia di una tessera che aveva estratto dalla cintura. Qualsiasi fosse la carta di identità esibita, l'ufficiale spalancò gli occhi. «Chiedo scusa, signore. Non avevo capito, signore.» Killashandra osservò l'uomo digitare un codice, poi l'immagine si dissolse nella visione della torre di controllo. L'extraplanetario si avvicinò allo schermo, e Killashandra educatamente indietreggiò. «Torre di controllo? La navicella che è appena atterrata non può ricevere il permesso di decollare; ha una risonanza così brutta che metà dei cristalli del propulsore deve essere surriscaldata. Nessuno lassù ha sentito la frequenza del battito? Trasmette dei sonici secondari. No, non è né una sbornia né una minaccia. È un fatto. Tutto lo staff della vostra torre di controllo è sordo ai toni? Non effettuate controlli di efficienza sulle vostre navicelle? Non leggete il monitor che controlla la velocità di espulsione? Quanto costa il controllo di un propulsore in confronto a una nuova attrezzatura portuale? Questo pianeta di transito è troppo povero per assumere un accordatore di cristalli o un alimentatore? «Beh, adesso ha un atteggiamento più ragionevole,» disse lo straniero, un attimo dopo. «Per quanto riguarda i miei titoli, Sono Carrik della Corporazione Heptite, Ballybran. Sì, è quello che ho detto. Ho sentito i sonici secondari attraverso le mura, perciò so maledettamente bene che c'è un surriscaldamento. Sono lieto che la pulsione irregolare del propulsore sia stata registrata sui vostri monitor, allora fate raffreddare e accordare quella navicella.» Un'altra pausa. «Grazie, ma ho già pagato il conto. No, va be-
ne. Sì...» e Killashandra osservò che la gratitudine irritava Carrik. «Oh, come desidera.» Lanciò un'occhiata a Killashandra. «Preparate per due,» aggiunse, sorridendole nell'allontanarsi dalla consolle. «Dopo tutto, anche lei lo ha sentito.» infilò una mano sotto il gomito di Killashandra e la guidò verso un luogo appartato. «Ho una bottiglia di vino laggiù,» disse la ragazza, un po' protestando e un po' sorridendo per le sue maniere perentorie. «Tra breve ne avrai una migliore. Io sono Carrik e tu sei...?» «Killashandra Ree.» Sorrise, e gli occhi grigi brillarono per la sorpresa. «È un bel nome.» «Oh, andiamo. Non sai fare meglio di questo?» Lui rise, asciugandosi distrattamente il sudore sulla fronte e sul labbro superiore, mentre prendeva posto. «So fare meglio e lo farò, ma è un bel nome. Un nome musicale.» Lei trasalì. «Che cosa ho detto di male?» «Niente. Niente.» Le lanciò un'occhiata scettica, proprio mentre una bottiglia ghiacciata scivolava dal pannello di servizio. Carrik scrutò l'etichetta. «Un '72 - beh, è sorprendente.» Digitò il menù su vidifax. «Mi chiedo se si riforniscano di biscotti di Forellan e di pasta di Aldebaran. - Oh, sì! Beh, dovrò rivedere la mia opinione su Fuerte.» «Davvero, ho appena finito...» «Al contrario, mia cara Killashandra Ree, hai appena cominciato.» «Oh?» Chiunque tra i colleghi di Killashandra avrebbe immediatamente cambiato atteggiamento a quel tono nella sua voce. «Sì.» Carrik continuò allegramente, e un'espressione di sfida gli scintillò negli occhi, «perché questa è una sera per festeggiare e divertirsi - a spese della direzione, per così dire. Visto che abbiamo appena salvato il porto dalla distruzione, i miei e i tuoi desideri sono ordini. Saranno ancora più grati, quando smonteranno il propulsore e vedranno le crepe nei cristalli trasduttori. Fuori tono di almeno un centinaio di vibrazioni.» La sua decisione di fare un'uscita dignitosa morì sul nascere, e Killashandra fissò Carrik. Occorreva un orecchio molto esercitato per percepire una variazione di tono così piccola. «Fuori di un centinaio di vibrazioni? Che cosa vuoi dire? Sei un musicista?» Carrik la fissò come se dovesse sapere chi o che cosa lui fosse. Si girò
intorno per vedere se il cameriere se ne fosse andato e poi, appoggiandosi con indolenza allo schienale della sedia, le fece un sorriso enigmatico. «Sì, sono una specie di musicista. E tu?» «Non più.» Killashandra rispose con il suo tono di voce più caustico. Il suo desiderio di andarsene ritornò immediatamente. Era riuscita a dimenticare solo per poco tempo il motivo per il quale si trovava allo spazioporto. Adesso Carrik glielo aveva ricordato, e lei voleva che più nulla e nessuno glielo ricordassero. Quando cominciò ad alzarsi, la mano dell'uomo, le cui dita le stringevano con fermezza l'interno del braccio, la bloccò. Proprio in quel momento, un ufficiale irruppe nel ristorante e cominciò a cercare Carrik con gli occhi. Mentre si precipitava verso il tavolo, il suo atteggiamento simulava sollievo e gioia. Carrik sorrise a Killashandra, sfidandola a opporsi alla sua stretta davanti a un testimone. Malgrado la propria intenzione, Killashandra capì di non poter fare una scenata. Inoltre, non aveva ancora nessun reale motivo per un'accusa di violazione della libertà personale. Carrik, pienamente cosciente del suo dilemma, ebbe l'audacia di dedicarle un brindisi mentre faceva il tradizionale assaggio del vino. «Sì, signore, il '72. Un'ottima scelta. Certamente, lei...» Il pannello di servizio si aprì su un piatto fumante di biscotti e una ciotola con una sostanza rossastra. «Ma, naturalmente, Biscotti di Forellan e pasta di Aldebaran. Servita con biscotti caldi, noto. I vostri ristoratori conoscono il loro mestiere,» Carrik osservò con finta sorpresa. «Siamo piccoli a Fuerte al confronto degli altri porti che lei ha visto,» cominciò l'ufficiale ossequiosamente. «Sì, sì, grazie.» Carrik allontanò bruscamente l'uomo con un cenno della mano. Killashandra seguì con lo sguardo l'ufficiale, meravigliandosi che non si fosse offeso per un congedo così maleducato. «Come fai a cavartela con un comportamento simile?» Carrik sorrise. «Prova il vino, Killashandra.» Il suo sorriso suggeriva che la serata sarebbe stata lunga, e sarebbe sfociata in un'amicizia più intima. «Chi sei?» gli domandò, adirata. «Sono Carrik della Corporazione Heptite,» ripeté enigmaticamente. «E questo ti dà il diritto di violare la mia libertà personale?» «Sì, se tu bai sentito quel gemito del cristallo.»
«E come lo motivi?» «La tua opinione sul vino, Killashandra Ree? Certamente, devi avere la gola secca, e immagino che hai male alla testa per quella tortura subsonica, il che spiegherebbe anche il tuo umore petulante.» In effetti, aveva un dolore alla base del collo e lui aveva ragione a proposito della gola secca - e del suo umore petulante. Ma aveva attenuato la critica accarezzandole la mano. «Devo scusarmi per le mie brutte maniere,» cominciò, senza mostrare alcun sincero rimorso, ma con un sorriso affascinante. «L'armonica del propulsore di una navicella può essere snervante. Tira fuori il peggio che c'è in noi.» Killashandra fece un cenno di assenso mentre sorseggiava il vino. Era un'ottima annata. Alzò gli occhi con delizia e piacere. Lui le diede un colpetto sul braccio e le fece il gesto di continuare a bere. «Chi sei, Carrik della Corporazione Heptite, perché le autorità portuali ti obbediscano e le torri di controllo ti offrano straordinarie delicatezze in segno di gratitudine?» «Davvero non lo sai?» «Non lo chiederei se lo sapessi!» «Dove hai vissuto per tutta la vita per non aver mai sentito parlare della Corporazione Heptite?» «Sono stata una studentessa di musica su Fuerte,» replicò, pronunciando a fatica le parole. «Non hai, per caso, un tono perfetto?» La domanda, inattesa e posta in modo troppo casuale, la bloccò a metà strada verso un attacco di cattivo umore. «Sì, ma non...» «Che fantastica fortuna!» Il suo volto, che non era privo d'attrattiva, diventò raggiante. «Darò la mancia all'agente che mi ha fatto il biglietto per questo porto! Ma sì, il nostro incontro è una fortuna incredibile...» «Fortuna? Se tu sapessi perché sono qui...» «Non m'importa perché. Tu sei qui, e anch'io sono qui...» Le prese entrambe le mani e sembrò divorarle il viso con gli occhi, sorridendo con una gioia così intensa che Killashandra si ritrovò a rispondergli con un sorriso imbarazzato. «Oh, davvero una fortuna, mia cara ragazza. Fato. Destino. Karma. Lequoal. Fidalkoram. Qualsiasi sia il nome che tu voglia dare alla coincidenza delle linee della nostra vita, io dovrei ordinare bottiglioni di questo
buon vino in onore di quel pidocchioso pilota di navicella per aver messo in pericolo questo terminal portuale, in generale, e noi, in particolare.» «Non capisco di cosa stai parlando, Carrik di Heptite,» disse Killashandra, ma non era indifferente ai suoi complimenti e al fascino che lui emanava. Sapeva che la sua fiducia in se stessa tendeva ad allontanare gli uomini, ma, in questo caso, un extraplanetario, esperto viaggiatore, un uomo di evidente rango e posizione, era inspiegabilmente attratto da lei. «Non capisci?» La derise per la banalità della sua protesta, e la ragazza non terminò il suo secco rifiuto. «Sul serio,» continuò Carrik, carezzandole i palmi delle mani con le dita, come per placare la sua ira, «hai mai sentito parlare dei Cantori di Cristallo?» «Cantori di Cristallo? No. Degli accordatori di cristalli, sì.» Lui respinse l'allusione agli accordatori con uno sprezzante schiocco delle dita. «Immagina di cantare una nota, un limpido, puro Do medio, e di sentirti rispondere da un'intera catena di montagne» Lei lo fissò. «Va su oppure giù di una terza; non importa. Canta, e ascolta l'armonia tornare da te. Tutto il fianco di una montagna accordato in do e un'altra parete di quarzo rosa rimanda l'eco in una nota dominante. La notte fa risaltare le chiavi minori come un dolore nel tuo petto, la sofferenza più bella del mondo, perché la musica dei cristalli è nelle tue ossa, nel tuo sangue...» «Sei pazzo!» Killashandra gli conficcò le unghie nelle mani per allontanare da sé quelle parole. Evocavano troppi ricordi dolorosi. Doveva dimenticare tutto. «Io odio la musica. Odio qualsiasi cosa abbia a che fare con la musica.» Lui la guardò per un attimo con incredulità, ma poi, con una tenerezza e una preoccupazione inattese, che si riflessero sul suo viso, le circondò le spalle con un braccio e, malgrado l'iniziale resistenza di lei, la trasse a sé. «Mia cara ragazza, che cosa ti è accaduto oggi?» Un momento prima, avrebbe ingoiato frammenti di vetro piuttosto che confidarsi con qualcuno. Ma il calore nella sua voce, la sua sollecitudine, furono così tempestive e inaspettate che tutta la sua catastrofe personale precipitò fuori. Lui ascoltò ogni parola, stringendole di tanto in tanto la mano, in segno di simpatia. Ma alla fine del racconto, lei fu stupita di vedere la pienezza del suo sguardo, mentre le lacrime di lui minacciavano di metterla in imbarazzo. «Mia cara Killashandra, che cosa posso dire? Non c'è nessuna conso-
lazione possibile per una catastrofe personale come questa! E stavi qui, gelida come una regina,» - i suoi occhi scintillarono per quella che Killashandra interpretò come ammirazione - «a bere una bottiglia di vino. Oppure» - e si chinò su di lei, con un sorriso malizioso - «stavi solo raccogliendo abbastanza coraggio per gettarti sotto una navicella?» Le trattenne la mano che, alla sua ipotesi offensiva, lei aveva cercato di liberare. «No, vedo che il suicidio era lontanissimo dalla tua mente.» La ragazza si calmò all'implicito complimento. «Sebbene» - e la sua espressione si fece pensierosa -»avresti potuto riuscirci inavvertitamente, se a quella navicella fosse stato consentito il decollo. Se io non fossi stato qui a impedirlo...» Le lanciò il suo sorriso affascinante e riprovevole. «Sei pieno di te, non è vero?» L'accusa fu pronunciata in tono scherzoso, perché Killashandra considerava le sue maniere dispotiche un contrasto irresistibile con una qualsiasi delle sue precedenti conoscenze. Carrik le sorrise con indisponenza e fece un cenno verso i resti del loro spuntino esotico. «Non senza motivo, cara ragazza. Ma ascolta, adesso sei libera da impegni, non è vero?» Lei annuì con esitazione. «O c'è qualcuno con cui ti vedi?» Pose la domanda quasi con violenza, come se dovesse eliminare ogni rivale. In seguito, Killashandra ricordò con quale abilità Carrik l'avesse manipolata, approfittando del turbamento della sua mente, della sua fondamentale femminilità, ma quella punta di gelosia era un grande complimento, e il desiderio nei suoi occhi, nelle sue mani, non era simulato. «Nessuno di cui mi importi o di cui senta la mancanza.» Carrik la guardò con un'espressione così scettica che lei gli ricordò che aveva dedicato tutte le proprie energie al canto. «Ma certamente non tutte?» Derise la sua dedizione. «Non c'è nessuno di cui mi importi,» ripeté la ragazza con fermezza. «Allora ti farò una proposta onesta. Io sono un extraplanetario in licenza. Non devo essere di ritorno nella Corporazione fino a... beh,» e si strinse nelle spalle con noncuranza, «che lo desidero. Ho tutti i crediti che mi servono. Aiutami a spenderli. Ti purificherà dalla scuola musicale.» Lei lo squadrò. La loro conoscenza era così breve e tumultuosa che lei semplicemente non aveva avuto il tempo di considerarlo un possibile compagno. E non si fidava affatto di lui. Era in parte attratta e in parte respinta dalle sue maniere tiranneggianti, prepotenti, eppure lui rappresentava una sfida per lei. Certamente, era l'esatto opposto dei giovani che aveva fino a quel momento incontrato su Fuerte.
«Non dobbiamo nemmeno restare su questa palla di fango.» «Allora perché ci sei venuto?» Lui rise. «Mi sono detto che non ero mai stato su Fuerte. Non posso dire che è all'altezza del suo nome, o forse tu sei all'altezza del suo nome? Oh, andiamo, Killashandra,» disse quando la vide adombrarsi. «Sicuramente hai già avuto dei flirt? Oppure gli studenti di musica sono tanto cambiati dai miei tempi?» «Hai studiato musica?» Una strana ombra gli attraversò rapidamente gli occhi. «Probabilmente. Non lo ricordo bene. In un'altra epoca, in un'altra vita, forse.» Poi il suo sorriso affascinante si fece più intenso, e un'ondata di calore, che lei trovò alquanto sconvolgente, travolse la sua espressione. «Dimmi, che cosa c'è di divertente da fare su questo pianeta?» Killashandra rifletté per un attimo e poi ammiccò. «Sai che non ne ho la minima idea?» «Allora lo scopriremo insieme.» Un po' per il vino, un po' per le esperte lusinghe di lui, e un po' per la sua avventatezza, Killashandra non riuscì a resistere alla tentazione. Doveva fare molte cose, lo sapeva, ma il «dovere» era stato mandato in esilio da qualche parte, durante la seconda bottiglia di quell'annata classica. Dopo aver trascorso il resto della notte accoccolata tra le braccia di Carrik nell'alloggio più costoso della locanda dello spazio-porto, Killashandra decise di sospendere il dovere per qualche giorno e di assecondare l'affascinante visitatore. La stampante del vidifax vibrò nel buttare fuori decine di schede sugli svaghi di Fuerte, più di quanti lei avesse mai sospettato. Non aveva mai fatto sci d'acqua, perciò Carrik decise che avrebbero provato entrambi. Ordinò un planante privato per arrivare a destinazione nel giro di un'ora. Mentre egli cantava allegramente, con una bella e piena voce da basso, sguazzando nell'elegante vasca da bagno incassata della suite, Killashandra avvertì lievi tracce di prudenza e di istinto di conservazione e digitò alcune discrete domande alla consolle. 1234/AZ CANTANTE DI CRISTALLO... UN EUFEMISMO COLLOQUIALE GALATTICO CHE SI RIFERISCE AI MEMBRI DELLA CORPORAZIONE HEPTITE, BALLYBRAN, I QUALI ESTRAGGONO CRISTALLO DALLE CATENE ESISTENTI SOLO SU QUEL PIANETA. VEDI: BALLYBRAN, SISTEMA REGOLO, A-S-F/128/4. VEDI ANCHE E-
STRAZIONE DEL CRISTALLO, TECNOLOGIA DEL CRISTALLO, COMUNICAZIONI AL «QUARZO NERO». AVVERTIMENTO: L'ATTERRAGGIO NON AUTORIZZATO SU BALLYBRAN È VIETATO DALLA FEDERAZIONE DEI PIANETI SENZIENTI, SEZIONE 907, CODICE 4, PARAGRAFI 78-90. Il divieto di atterraggio sorprese Killashandra. Cercò di ricordare i particolari del corso obbligatorio della scuola secondaria su Diritti e Responsabilità della Federazione dei Pianeti Senzienti. La sezione 900 aveva a che fare con le forme di vita, pensò, e il Codice 4 alludeva a un pericolo notevole. Digitò la sezione, il codice e i paragrafi e ottenne in cambio la domanda: Necessità di saperlo? Giacché non riusciva a vederne nessuna per il momento, passò al rinvio al pianeta, e il video scorse dietro lo schermo. BALLYBRAN: QUINTO PIANETA DEL SOLE SCORIA, SETTORE REGOLO: TRE SATELLITI; PUNTO DI ATTERRAGGIO AUTORIZZATO, PRIMA LUNA, SHANKILL; BASE A SUPPORTO VITALE STANDARD, SISTEMAZIONI ALBERGHIERE COMMERCIALI E PER CLIENTI DI PASSAGGIO. ATTERRAGGI PLANETARI NON AUTORIZZATI: SEZIONE 907, CODICE 4, PARAGRAFI 78-90. UNICA AUTORITÀ: CORPORAZIONE HEPTITE, BASE LUNARE, SHANKILL. Poi lesse fitte righe di dati sull'analisi spettrale di Scoria e dei suoi satelliti. Ballybran era l'unico pianeta a meritare numerosi tabulati, che Killashandra riuscì, in parte, a interpretare. Ballybran aveva una gravità leggermente inferiore alla norma galattica per l'adattabilità umana, un'atmosfera respirabile, più oceani che terre emerse, complicazioni per le maree, provocate dalle tre lune, così come una metereologia esotica stimolata dall'attività delle macchie solari sulla stella primaria. INDUSTRIE PRINCIPALI: (1) CRISTALLI DI BALLYBRAN (2) ACQUE TERAPEUTICHE. 1) IL CRISTALLO VIVENTE DI BALLYBRAN VARIA PER DENSITÀ, COLORE E LONGEVITÀ ED ESISTE SOLO SU QUESTO PIANETA. VITALE ALLA PRODUZIONE DEGLI ELEMENTI DI CONTROLLO NEI LASER; COME MATERIALE PER SUBSTRATI DI CIRCUITI INTEGRATI (DELLA GERARCHIA A SCALA); ROBOTICA POSITRONICA; COME TRASDUTTORE PER RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA (PRIMA ARMONICA A 20 KHZ E A 500 KHZ CON ARMONICHE SUPPLEMENTARI A FREQUENZE PIÙ BASSE)
E TRASDUTTORI DEL CALORE; COME RELÈ PER SUONI OPTERIANI E STRUMENTI MUSICALI; I TETRAEDRI BLU SONO PARTE CRUCIALE NEI SISTEMI DI PROPULSIONE A TACHIONI. IL QUARZO «NERO», UN FENOMENO LIMITATO A BALLYBRAN, È L'ELEMENTO ESSENZIALE DELLA COMUNICAZIONE INTERSTELLARE ISTANTANEA, POICHÉ HA LA CAPACITÀ DI PIEGARE LO SPAZIO, A QUALSIASI DISTANZA, COSICCHÉ MAGNETICAMENTE, ELETTRICAMENTE E, PER QUANTO SI SAPPIA, OTTICAMENTE, NON C'È SEPARAZIONE EFFETTIVA TRA DUE SEGMENTI RISONANTI ACCOPPIATI, NON IMPORTA QUALE SIA LA DISTANZA REALE TRA DI ESSI. LA MISURAZIONE DELLA PRECISIONE SU UNA DISTANZA DI 500 ANNI-LUCE HA VERIFICATO UNA PRECISIONE COSTANTE DI 1X10 ALLA SESTA DEL TEMPO STANDARD DELL'ATOMO DI CESIO. IL QUARZO NERO È CAPACE DI RAGGIUNGERE UNA SINCRONIZZAZIONE SIMULTANEA CON ALTRI DUE SEGMENTI IN MODO DA PRODURRE UN SISTEMA DI BACK-UP CON LEGAME AD ANELLO. PER ESEMPIO, CON SEI SEGMENTI DI QUARZO, DA A FINO A F, A È LEGATO A C, D ED E; B È LEGATO A C, E ED F... Era più di quanto avrebbe mai voluto sapere sulle comunicazioni al quarzo nero, Killashandra pensò mentre diagrammi e calcoli scorrevano sullo schermo, perciò passò a dati più interessanti. Rallentò il video quando notò l'intestazione «Membri» e ritornò all'inizio di quella scheda. I MEMBRI ATTUALI DELLA CORPORAZIONE HEPTITE SU BALLYBRAN AMMONTANO A 4425, COMPRESI I MEMBRI INATTIVI, MA IL MUMERO FLUTTUA CONSIDEREVOLMENTE PER I RISCHI PROFESSIONALI. IL PERSONALE AUSILIARE E TECNICO È CALCOLATO ATTUALMENTE IN 20.007 DIPENDENTI. SI INFORMA GLI ASPIRANTI ALLA CORPORAZIONE CHE LA PROFESSIONE È MOLTO PERICOLOSA, E CHE LA CORPORAZIONE HEPTITE È OBBLIGATA DALLA LEGGE FEDERALE A RIVELARE TUTTI I PARTICOLARI DEI PERICOLI INERENTI PRIMA DI ASSUMERE NUOVI MEMBRI. Quattromilaquattrocentoventicinque sembrava una lista ridicolmente piccola per una Corporazione di dimensioni galattiche che forniva elementi essenziali a così tante industrie. La maggior parte delle corporazioni di dimensioni galattiche raggiungeva le centinaia di milioni di membri. Che co-
sa significava quel personale ausiliare e tecnico? L'annotazione che riguardava «tutti i particolari dei pericoli inerenti» non dissuase affatto Killashandra. Il pericolo era relativo. IL TAGLIO DEL CRISTALLO DI BALLYBRAN È UNA PROFESSIONE MOLTO SPECIALIZZATA E FISICAMENTE SELETTIVA, CHE, TRA LE ALTRE ESIGENTI DISCIPLINE, RICHIEDE CHE I PROFESSIONISTI ABBIANO UN TONO PERFETTO E ASSOLUTO SIA NELLA PERCEZIONE SIA NELLA RIPRODUZIONE DELLA QUALITÀ E DEL TIMBRO TONALE. TALE CAPACITÀ SI PUÒ TROVARE SOLO NEGLI UMANOIDI BIPEDI DAL TIPO IV AL TIPO VIII - ORIGINE: SOLE III. I TAGLIATORI DI CRISTALLO DEVONO ESSERE MEMBRI DELLA CORPORAZIONE HEPTITE, CHE ADDESTRA, EQUIPAGGIA E FORNISCE I SERVIZI MEDICI DELLA CORPORAZIONE, PER I QUALI LA CORPORAZIONE ESIGE IL PAGAMENTO DI UN'IMPOSTA DEL 30 PERCENTO DA TUTTI I MEMBRI ATTIVI. Killashandra fischiò piano - il 30 percento era una bella percentuale. Eppure Carrik non sembrava avere un credito insufficiente, di conseguenza il 70 percento dei suoi guadagni di Tagliatore doveva essere una somma rispettabile. Pensando a Carrik, digitò una domanda. Chiunque poteva fingere di essere membro di una Corporazione; gli avventurieri esibivano spesso documenti perfettamente falsificati e sapevano parlare con ogni particolare della loro professione falsa, ma una verifica al computer non poteva essere falsificata. Ottenne la conferma che Carrik era veramente un membro di rango elevato della Corporazione Heptite, in quel momento in licenza. Un ologramma di Carrik, preso mentre usava la piastra di credito per il volo spaziale su Fuerte cinque giorni prima, apparve sul video. Beh, quell'uomo era innegabilmente ciò che diceva di essere e faceva ciò che diceva di fare. Il fatto che fosse un membro della Corporazione, regolarmente iscritto, era una salvaguardia per lei, che così poteva accettare senza problemi il suo «onesto» invito a trascorrere le vacanze insieme. Non l'avrebbe lasciata a pagare le spese, se avesse deciso precipitosamente di tagliare la corda. Sorrise tra sé e sé, nell'avvertire una sensazione piacevole. Carrik si riteneva fortunato, è vero? Beh, anche lei si riteneva tale. L'ultima traccia del «dovere» fu il fuggevole pensiero di doversi registrare nel Computer Centrale di Fuerte come disoccupata, ma poiché non era assolutamente obbli-
gata a farlo, finché non richiedeva un sussidio, non lo fece. Mentre lei cominciava a godere la libertà ritrovata, molti dei suoi compagni di scuola cominciarono ad avvertire rimorsi di coscienza per Killashandra. Tutti comprendevano che Killashandra doveva essere stata terribilmente turbata dal verdetto degli esaminatori. Sebbene alcuni ritenessero che meritava la lezione, per la sua arrogante presunzione, i più generosi erano in ansia per la sua scomparsa. E lo era anche il Maestro Esmond Valdi. Probabilmente non avrebbero riconosciuto la Killashandra che scivolava sugli sci d'acqua nei mari meridionali dell'Emisfero Occidentale o avvolta in abiti eleganti, accompagnata da un uomo alto, di aspetto distinto che veniva rispettato anche dagli albergatori più arroganti. Era una sensazione splendida avere fondi illimitati. Carrik incoraggiava Killashandra a spendere, e la pratica le permise di mettere a tacere i pochi scrupoli che le restavano, dopo aver passato anni a sbarcare il lunario con la borsa di studio. Ebbe la buona grazia di protestare contro la prodigalità di lui, almeno all'inizio. «Non preoccuparti, piccola. Ho credito da spendere,» Carrik la rassicurò. «Ho fatto un bel taglio nelle terze dominanti, nella Catena Blu, proprio quando degli stupidi rivoluzionari hanno fatto saltare la metà delle comunicazioni di un pianeta.» Si fermò; socchiuse gli occhi nel ricordare qualcosa di poco piacevole. «Sono stato fortunato anche nella forma. Non basta, capisci, afferrare le risonanze di quello che tagli. Devi sperare di ricordare quale forma tagliare, e questo è il punto dove riesci o fallisci come Cantore di Cristallo. Devi ricordare che cosa vale sul mercato o ricordare particolari quali quella rivoluzione su Hardesty.» Diede un pugno sul tavolo per dare enfasi alle proprie affermazioni, soddisfatto di quel particolare ricordo. «Ho ricordato tutto questo, proprio quando era importante.» «Non capisco.» Le lanciò una rapida occhiata. «Non ti preoccupare, piccola.» Era la sua tipica frase evasiva. «Su, dammi un bacio e toglimi il cristallo dal sangue.» Non c'era niente di cristallino nel suo modo di fare l'amore o nel piacere che trovava nel corpo di lei, perciò Killashandra scelse di dimenticare quanto spesso lui evitasse di rispondere alle sue domande sul Canto del Cristallo. Sulle prime pensò che Carrik probabilmente non volesse parlare del proprio lavoro perché era in licenza. Poi avvertì che lui si risentiva delle sue domande, come se lo disgustassero e che voleva soprattutto dimenti-
care il Canto del Cristallo, il che non assecondava i piani di Killashandra. Ma Carrik non era un adolescente malleabile, che implorava la sua grazia e il suo favore. Perciò lei lo aiutò a dimenticare il Canto del Cristallo e lui ci riuscì fino alla notte in cui la svegliò con i suoi gemiti. «Carrik, che cosa hai? Quei frutti di mare che abbiamo mangiato a cena? Devo chiamare un medico?» «No, no!» Si contorse freneticamente e le tolse la mano dall'unità di comunicazione. «Non mi lasciare. Passerà.» Lo tenne tra le braccia mentre lui gridava e stringeva i denti per resistere a un dolore interiore. Il sudore gli sgorgava dai pori, ma le impedì di chiamare aiuto. Gli spasmi lo oppressero per quasi un'ora prima di calmarsi, lasciandolo stanco e debole. In qualche modo, nel corso di quell'ora, comprese quanto lui ormai significasse per lei, quanto fosse divertente, quanto avesse perso negandosi, prima di allora, qualsiasi relazione intima. Dopo che ebbe dormito e riposato, gli chiese che cosa si fosse impossessato di luì. «Il cristallo, ragazza mia, il cristallo.» Il suo atteggiamento scontroso e l'espressione stanca sul suo volto le fecero cambiare discorso. Nel pomeriggio, era tornato quasi normale. Ma parte della sua spontaneità era scomparsa. Fece finta di divertirsi, di incoraggiarla in esercizi più audaci sugli sci d'acqua, mentre lui si limitava a sguazzare nell'acqua bassa. Stavano terminando un tranquillo pasto in un ristorante in riva al mare, quando infine disse di dover tornare al lavoro. «Non potrei dire 'così presto'?» Killashandra osservò con una lieve risata. «Ma la decisione non è alquanto improvvisa?» Le sorrise in modo strano. «Sì, ma la maggior parte delle mie decisioni lo sono, non è vero? Come, per esempio, mostrarti un altro lato dell'antiquata, sorpassata Fuerte.» «Ormai il nostro idillio è finito?» Cercò di avere un tono disinvolto, ma il suo tono fu tagliente. «Devo tornare su Ballybran. Ah! Sembra una di quelle canzoni di pescatori, non è vero?» Canticchiò un motivetto banale, dalla melodia così prevedibile che lei si unì con voce decisa. «Facciamo della buona musica insieme,» disse, con gli occhi che la schernivano. «Immagino che adesso ritornerai ai tuoi studi.» «Studi? A che scopo? Primo soprano in un coro di grugniti e gemiti annotati e orchestrati da Fififidipidi del pianeta Grnch?» «Potresti accordare cristalli. Hanno chiaramente bisogno di un accor-
datore competente allo spazio-porto di Fuerte.» Lei fece un rumore volgare e lo guardò con espressione di attesa. Carrik la ricambiò con un sorriso e girò la testa educatamente, aspettando una risposta verbale. «Oppure,» disse la ragazza lentamente, guardandolo con la coda degli occhi, 'Potrei chiedere di entrare nella Corporazione Heptite come Cantore di Cristallo.» Il suo volto si fece inespressivo. «Tu non vuoi diventare un Cantore di Cristallo.» La veemenza della sua voce la colse di sorpresa. «Come puoi sapere che cosa voglio?» Si infiammò malgrado la propria volontà, malgrado la tormentosa incertezza riguardo ai sentimenti di Carrik per lei. Poteva essere la compagna ideale per rilassarsi su una spiaggia, ma come compagna fissa in una professione pericolosa - era tutt'altra cosa. Lui sorrise con tristezza. «Tu non vuoi diventare un Cantore di Cristallo.» «Oh, al diavolo con quell'assurdità della 'professione molto pericolosa'.» «È vero.» «Ho un tono perfetto. Posso fare domanda per entrare.» «Non sai in che cosa ti stai facendo coinvolgere,» disse con voce monotona e un'espressione in parte cauta e minacciosa. «Cantare il cristallo è una vita terribile, solitaria. Non puoi trovare sempre qualcuno che canti con te; le note non sempre colpiscono le vibrazioni giuste per la fronte di cristallo che hai trovato. Naturalmente, puoi fare dei tagli formidabili cantando un duetto.» Sembrò vacillare. «Come hai fatto a scoprirlo?» Rese ingenuo il tono della voce. Lui sbuffò con espressione divertita. «Nel modo più duro, naturalmente. Ma tu non vuoi diventare un Cantore di Cristallo.» Una tristezza terribile permeò la sua voce. «Una volta che cominci a cantare il cristallo, non ti fermi più. È questo il motivo per cui ti dico di non pensarci nemmeno.» «Allora... mi hai detto di non pensarci.» Le afferrò una mano e la guardò fermamente negli occhi. «Tu non sei mai stata durante una tempesta di mach nelle Milekeys.» La voce gli si fece aspra nel ricordare un'ansia tremenda. «Soffia dal nulla e si abbatte su di te come se ti si fosse scatenato contro tutto l'inferno. Ecco che cosa significa quella frase nella banca dati, 'la Corporazione si prende cura dei suoi'. Una tempesta di mach può ridurre un uomo ad un vegetale in un unico crescendo sonico.»
«Ci sono altri modi - forse meno violenti - di ridurre un uomo ad un vegetale,» disse la ragazza, pensando all'ufficiale dello spazio-porto, al commissario di bordo che si preoccupava dei pesi, agli insegnanti che apaticamente rivedevano le scale degli studenti principianti. «Sicuramente esistono degli strumenti che ti avvertono delle tempeste in arrivo in una catena di cristallo.» Carrik annuì distrattamente, con lo sguardo fisso su un punto al di sopra della testa di Killashandra. «Ti metti a tagliare cristalli e sei a metà del lavoro. Sai che i toni cambieranno, una volta che la tempesta sarà passata, e tu perdi il tuo margine di sicurezza ad ogni minuto che passa, ma quell'ultimo cristallo potrebbe significare che potresti andartene da Ballybran...» «Non riesci a partire per un viaggio extraplanetario dopo ogni spedizione sulle catene?» Scosse la testa e si accigliò, infastidito dalla sua interruzione. «Non sempre ti rifai dei costi della spedizione o dei danni precedenti, oppure potresti non aver tagliato la forma o il tono giusti. A volte la nota è più importante della forma, sai.» «E devi ricordare di che cosa ci sarà bisogno, non è vero?» Se lei aveva un tono perfetto, e sapeva di avere una memoria eccellente, il canto del cristallo sembrava la professione ideale per lei. «Devi ricordare le novità,» disse, dando una strana enfasi al verbo. Killashandra non prese in seria considerazione il problema. La memoria era solo una questione di abitudine, di esercizio, di frasi mnemoniche che facevano facilmente scattare le informazioni vitali. Aveva molta pratica nella memorizzazione. «C'è una possibilità che possa accompagnarti a Ballybran e chiedere di entrare...» Le strinse le mani in una morsa d'acciaio; perfino il suo respiro per un attimo sembrò fermarsi. I suoi occhi scrutarono quelli di lei con intensità. «Sei tu che me lo hai chiesto. Ricordalo!» «Beh, se la mia compagnia...» «Baciami e non dire niente di cui potresti pentirti,» disse, attirandola improvvisamente tra le braccia e coprendole la bocca, in modo da non farla parlare. La seconda convulsione lo colpì subito dopo l'acme della loro passione, tanto che Killashandra pensò, con rimorso, che l'avesse causata la sovreccitazione. Questa volta gli spasmi furono più violenti e, quando infine
si placarono, cadde in un sonno febbrile ed esausto. Quando si svegliò, quattordici ore dopo, aveva un aspetto vecchio e teso. E si muoveva come un avanzato caso geriatrico. «Devo ritornare su Ballybran, Killa.» La voce gli tremava; e aveva perso l'orgogliosa fiducia in se stesso. «Per curarti?» Esitò e poi annuì. «Per ricaricarmi, in effetti. Mettiti in collegamento con lo spazio-porto con l'unità di comunicazione e prenota per due.» «Per due?» «Puoi accompagnarmi,» disse in un tono gentile e serio, sebbene lei si sentisse offesa dalla formulazione dell'invito, che sembrava più una supplica che un permesso. «Non m'importa quanti trasbordi dovremo fare. Fa' in modo che arriviamo lì il più in fretta possibile.» Lei si mise in comunicazione con lo spazio-porto e l'ufficio prenotazioni. Dopo quello che parve un secolo e, malgrado la terribile inettitudine dell'impiegato addetto ai biglietti, furono confermati sul volo di una navicella che sarebbe decollata da Fuerte dopo quattro ore, con un ritardo satellite di quattro ore rispetto alla prima nave di linea nella loro direzione. Carrik aveva un assortimento di oggetti personali da imballare, ma Killashandra era dell'idea di partire e lasciare tutto. «Non si possono trovare merci simili su Ballybran, Killa,» Carrik le disse, mentre cominciava lentamente a piegare le vistose camicie in fibra grallie. La notizia della conferma del volo gli aveva dato una carica di energia. Ma Killashandra era alquanto atterrita dalla trasformazione di un uomo vitale e affascinante in un tremebondo invalido. «A volte, perfino qualcosa di insignificante come una camicia ti aiuta a ricordare tanto.» Lei fu colpita dal sentimento e dal sorriso di lui e giurò di essere paziente con la sua malattia. «Ci sono rischi in ogni professione. E i rischi del canto di cristallo...» «Dipende da che cosa si è disposti a considerare un rischio,» replicò Killashandra in tono suadente. Era felice per i lievi e luminosi indumenti, così lontani dai ruvidi e resistenti abiti studenteschi. Qualsiasi rischio sembrava un prezzo piacevole per simili sprazzi di vita e di lusso. E solo 4.425 professionisti nella Corporazione. Confidava di raggiungere i vertici. «Hai un'idea di che cosa stai lasciando, Killashandra?» La voce di lui aveva un tono colpevole. Lei guardò il suo volto segnato, un volto che invecchiava, e avvertì una fitta di sincera apprensione. Chiunque avrebbe avuto un aspetto spavento-
so, dopo le convulsioni che avevano dilaniato Carrik. Non si curava molto del suo umore filosofico e sperava che non sarebbe stato così triste per tutto il viaggio verso Ballybran. Voleva dire questo? Un uomo in licenza ha spesso una personalità diversa da quella che ha quando lavora? «E che cosa devo aspettarmi dalla vita su Fuerte?» chiese, stringendosi nelle spalle. Non doveva necessariamente lavorare con Carrik, quando fosse giunta su Ballybran. «Preferisco avere una possibilità, piuttosto che trascinarmi per sempre su Fuerte!» Le carezzò il palmo di una mano con il pollice, e per la prima volta la sua carezza non le fece venire i brividi lungo la spina dorsale. Ma in quel momento, Carrik non era in condizioni di fare l'amore, e il suo gesto lo rifletteva. «Tu hai visto solo il lato affascinante del canto di cristallo...» «Mi hai parlato dei pericoli, Carrik, come era tuo dovere. La decisione è mia, ti sto costringendo a tenere fede alla tua offerta.» Lui le strinse forte la mano, e il piacere espresso dai suoi occhi la rassicurò più di una qualsiasi affermazione solenne, espressa verbalmente. «È anche una delle Corporazioni più piccole della galassia,» continuò lei, sciogliendo la mano dalla sua stretta per terminare di imballare gli ultimi indumenti. «Preferisco questa sorte.» Carrik alzò le sopracciglia e le lanciò un'occhiata sarcastica, tornando ad essere come prima. «Un organismo bicellulare in una pozza monocellulare?» «Se così ti piace, non sarò mai seconda in nessuna cosa.» «Un eroe morto è meglio di un codardo vivo?» Adesso la stava schernendo. «Se preferisci. Ecco! Questi sono tutti i nostri vestiti. Sarebbe meglio andare allo spazio-porto. Devo mettermi in regola con le disposizioni planetarie, se devo lasciare il pianeta. È anche possibile che mi debbano del credito.» Si mise alla guida del planante, mentre Carrik fu felice di sonnecchiare nel sedile del passeggero. Il riposo gli fece bene, oppure era molto attento alla sua immagine pubblica. In entrambi i casi, i dubbi di Killashandra sulla sua affidabilità come compagno svanirono, quando lui diede ordini imperiosi agli ufficiali portuali, assillò l'addetto alle prenotazioni per essere certo che non si fosse lasciato sfuggire un volo più diretto o una coincidenza più vantaggiosa. Killashandra lo lasciò a occuparsi degli ultimi preparativi e cominciò a
cancellare i propri dati dal Computer Centrale di Fuerte. Nel momento in cui poggiò la propria unità da polso e il pollice nel posto prestabilito, la consolle cominciò a vibrare violentemente e si accese una luce rossa. Era sbigottita. Aveva programmato solo un controllo del credito, aveva inserito il dato che stava per lasciare il pianeta e aveva chiesto quali vaccinazioni occorressero per i sistemi che avrebbero incontrato, ma il supervisore lasciò la consolle e si precipitò lungo la rampa, due ufficiali del porto confluirono verso di lei, e sulle uscite dell'atrio si accesero luci rosse e scattarono le chiusure di sicurezza, con grande costernazione dei passanti. Killashandra, troppo stordita per reagire, si limitò a guardare a bocca aperta gli uomini che le avevano afferrato un braccio per uno. «Killashandra Ree?» chiese il supervisore, che ancora affannava per gli sforzi compiuti. «Sì?» «Lei deve essere trattenuta.» «Perché?» Adesso era adirata. Non aveva commesso nessun crimine, non aveva violato la libertà di nessuno. La mancata registrazione del cambiamento di condizione non era reato, visto che non aveva utilizzato le risorse planetarie senza un credito sufficiente. «Per favore, venga con noi,» dissero in coro gli ufficiali del porto. «Perché?» «Ahh, hmmmm,» mormorò il supervisore, quando entrambi gli ufficiali si girarono verso di lui. «Abbiamo l'ordine di trattenerla.» «Non ho fatto nulla di male.» «Che cosa succede qui?» Carrik era ritornato completamente in sé, quando si fece largo per poggiare, con un gesto protettivo, un braccio sulle spalle di Killashandra. «Questa giovane signora è sotto la mia protezione.» A quest'affermazione, il supervisore egli ufficiali si scambiarono sguardi severi e decisi. «Questa giovane signora è sotto la protezione del suo pianeta di origine,» annunciò il supervisore. «Ci sono dei dubbi circa la sua stabilità mentale.» «Perché? Perché ha accettato un onesto invito da parte di un visitatore? Sa chi sono?» Il supervisore arrossì. «In effetti, sì, signore,» e sebbene l'uomo parlasse con maggiore rispetto, non ci fu alcun dubbio che il suo scopo immediato era strappare Killashandra alla protezione di Carrik. «Beh, allora, accetti le mie assicurazioni che Miss Ree è in perfette con-
dizioni di salute, fisica e mentale.» Carrik fece loro cenno di ammirare il corpo abbronzato e curato di Killashandra. Il supervisore fu duro come una pietra. «Prego, seguitemi entrambi da questa parte.» I suoi ufficiali si impettirono con aria decisa. Poiché non c'era nient'altro da fare che obbedire, Carrik ricordò a quella inattesa scorta che avevano il volo prenotato su una navicella il cui decollo era previsto dopo un'ora. Aveva tutte le intenzioni di rispettare quel programma - e con Killashandra Ree. Piuttosto che dare adito a ulteriori speculazioni riguardo alla propria salute mentale, Killashandra restò insolitamente tranquilla. «Ho il sospetto,» sussurrò a Carrik, dopo che furono fatti entrare in un piccolo ufficio, «che la scuola di musica debba aver pensato che mi fossi suicidata.» Fece una risatina sciocca, poi cercò di attutire il rumore dietro la mano, quando il supervisore le lanciò un'occhiata nervosa. «Sono semplicemente uscita dal centro e sono scomparsa. Non ho incontrato nessuno che conoscessi sulla strada per venire qui. Allora hanno sentito la mia mancanza! Beh, è gratificante.» Era straordinariamente compiaciuta, ma Carrik era in evidente disaccordo. Beh, doveva solo rassicurare le autorità, ed era certa che ci sarebbe riuscita. «Penso che la loro reazione sia davvero un complimento per me. E, dopo tutto, farò un'uscita drammatica da Fuerte.» Carrik la ricambiò con un'occhiata di puro disgusto, ripiegò le braccia sul petto e assunse un'espressione annoiata. Tenne gli occhi fissi sullo schermo che dava informazioni sulle partenze. Killashandra si era quasi aspettata di vedere il padre, sebbene avesse qualche difficoltà a immaginarlo in agitazione per lei. Ma non si aspettava di vedere il Maestro Esmond Valdi entrare nel piccolo ufficio, recitando la parte del mentore oltraggiato, e nemmeno era preparata all'attacco che egli lanciò immediatamente contro Carrik. «Tu! Tu! So chi sei! Un ragno di silicato che paralizza la preda, un cuculo di cristallo che butta i promettenti uccellini fuori dal loro nido.» Sbalordita come tutti gli altri, Killashandra fissò il maestro, di solito dignitoso e imperturbabile, e si chiese quale parte pensasse di interpretare. Stava recitando. Il suo dialogo era così... così stravagante. «Ragno di silicato!» «Cuculo di cristallo!» Se non altro, le sue analogie erano errate e fuori luogo. «Giocare con le emozioni di una ragazza innocente. Inondarla di lussi cui non è abituata e corromperla, finché la sua onestà di cittadina leale non
è completamente rovinata. Finché non è così inebetita da subire un lavaggio del cervello e convincersi a entrare in quel covo di cervelli confusi e di sistemi nervosi a pezzi!» Carrik non fece alcun tentativo di deviare quel flusso di offese o di controbattere alle accuse. Guardò dall'alto in basso, con un sorriso tollerante, i movimenti convulsi di Valdi. «Quali bugie ti ha fatto bere sul canto del cristallo? Di quali affascinanti fandonie si è servito per attrarli su Ballybran?» Valdi si girò di scatto verso Killashandra, e la sua tarchiata figura tremava di ira. «Sono stata io a chiedergli di andare.» Il volto di Valdi si indurì e assunse un'espressione incredula nell'udire la tranquilla risposta della ragazza. «Sei stata tu a chiedergli di andare?» «Sì. Non è stato lui a chiederlo a me.» Killashandra colse il sorriso di Carrik. «L'hai sentita, Valdi,» disse Carrik, poi lanciò un'occhiata agli ufficiali che erano stati testimoni di quell'affermazione. Le spalle del maestro si incurvarono. «Allora, ti ha reclutato con abilità da maestro.» Il suo tono esprimeva rassegnazione, riuscì perfino a far sentire una leggera incrinatura nella voce. «Non credo,» disse Killashandra. Il Maestro Valdi inspirò profondamente, evidentemente per affrontare l'ultimo tentativo di dissuadere la ragazza traviata. «Ti ha parlato delle tempeste di mach?» Lei annuì, celando il proprio divertimento alla teatralità dei suoi gesti. «Le tempeste che consumano il cervello e riducono la mente ad un'esistenza vegetale?» Lei annuì con deferenza. «Ti ha riempito la mente di spazzatura a proposito delle montagne che rimandano sinfonie di suoni? I cori cristallini? Le valli che rinviano l'eco degli arpeggi?» Il corpo gli si inarcò nel tentativo di esprimere il ridicolo. «No,» rispose la ragazza, in tono annoiato. «E nemmeno mi ha fatto bere la frottola che avevo bisogno solo di duro lavoro e di tempo.» Il maestro Esmond Valdi si drizzò più che mai, esagerando una posa classica da opera. «Ti ha detto anche che una volta che cominci a tagliare i cristalli, non puoi più smettere? E che stare troppo a lungo lontani da Ballybran provoca terribili convulsioni?»
«Lo so.» «Sai anche» - Valdi si erse sui calcagni - «che c'è qualcosa nell'acqua di Ballybran, nella sua terra, in quei cristalli, che nuoce alla mente? Che non ri-cor-di più?» Sillabò con attenzione il verbo. «Questo potrebbe essere un evidente vantaggio,» rispose Killashandra, restituendo lo sguardo all'ometto finché questi non fu costretto ad abbassare gli occhi. Killashandra fu la prima dei tre ad avvertire uno strano prurito dietro alle orecchie, sul mastoide; un prurito che diventò rapidamente un dolore fortissimo e nauseante. Afferrò Carrik per un braccio, proprio mentre il rumore subsonico lo raggiungeva ed Esmond Valdi alzava le mani a proteggersi le orecchie. «Stupidi!» gridò Carrik, mentre il panico gli contorceva il volto. Spalancò il pannello della porta, e cominciò a correre il più velocemente possibile verso l'entrata della torre di controllo. Killashandra si precipitò dietro di lui. Carrik balzò aldilà della barriera decorativa e atterrò in un'area riservata, dove venne trattenuto da una cortina di sicurezza che era stata rapidamente messa in funzione. «Fermatelo! Fermatelo!» gridava, intanto si contorceva per il dolore e graffiava la cortina, incurante delle scintille che sprizzavano dalle sue dita. Sebbene il dolore fosse non meno insostenibile per Killashandra, lei ebbe la presenza di spirito sufficiente a bussare sulla più vicina unità di comunicazione, a schiacciare i bottoni degli allarmi antincendi, a premere la batteria dei segnali di emergenza. «La navicella che sta atterrando ha qualcosa che non va... è pericolosa!» strillò quanto più glielo permisero i suoi polmoni addestrati all'opera lirica. Fu a malapena cosciente del panico, provocato dal suo avvertimento fin troppo udibile, che si diffuse nella vasta sala d'ingresso. La possibilità di una fuga disordinata da parte della calca isterica fu evidente agli operatori della torre di controllo, dove qualcuno, per una reazione automatica, schiacciò il segnale di interruzione di atterraggio per intimare a tutte le navi in transito di tenersi lontane. Qualche attimo dopo, mentre l'unità di comunicazione domandava una spiegazione a Killashandra o a chiunque altro riuscisse a farsi sentire al di sopra della bolgia dell'atrio, una nova sbocciò nel cielo e provocò una pioggia di frammenti fusi sullo spazio-porto sottostante. La torre di controllo non riuscì a contenere la distruzione all'interno dell'area di atterraggio, e ben presto parti della
navicella si sparsero sui numerosi chilometri del Porto e sul quartiere degli Affari, densamente popolato. A parte contusioni, ferite e braccia rotte, ci furono solo due incidenti seri. Un tecnico che lavorava sulla pista restò ucciso, e quanto a Carrik, sarebbe stato meglio che fosse morto. Lo scoppio sonico finale gli aveva fatto perdere conoscenza, e non era più ritornato in sé. Dopo una consultazione subspaziale con i medici della Corporazione Heptite, fu deciso di riportarlo su Ballybran per il trattamento e le cure. «Non guarirà,» disse il medico a Killashandra, al che il Maestro Valdi assunse immediatamente la parte del suo consolatore. Le sue maniere irritanti furono un'ottima medicina per far superare a Killashandra lo shock per le condizioni di Carrik. Decise di non credere al verdetto del medico. Sicuramente, Carrik avrebbe recuperato la salute mentale, una volta tornato su Ballybran. Era stato lontano dal cristallo troppo a lungo; era stato indebolito dagli attacchi. Non c'era stata nessuna tempesta di mach a consumargli la mente. Lei lo avrebbe accompagnato su Ballybran. Glielo doveva, perché lui le aveva insegnato a vivere pienamente la vita. Lanciò una lunga occhiata a Valdi, sempre in posa, e ringraziò la sua buona sorte per aver incontrato Carrik che aveva risvegliato i suoi sensi. Come aveva potuto credere che la vita fasulla del teatro fosse adatta a lei? Bastava guardare Valdi! Lo si metteva davanti a una situazione, gli si dava la battuta d'attacco e lui assumeva la parte appropriata. Non ne esisteva nessuna in quelle circostanze, perciò Valdi si stava sforzando di trovarne una adatta. «Che cosa farai adesso, Killashandra?» domandò in tono lugubre; aveva chiaramente scelto la parte dell'Anziano Gentiluomo Dignitoso che Consola l'Innocente in Lutto. «Andrò con lui su Ballybran, naturalmente.» Valdi annuì con aria solenne. «Intendo dire, quando sarai ritornata.» «Non ho intenzione di ritornare.» Valdi la fissò, uscendo dal personaggio, e poi fece un gesto teatrale quando la barella a cuscino d'aria, sulla quale era disteso Carrik, li oltrepassò diretta all'uscita per la navicella. «Dopo quanto è successo?» gridò Valdi, nel pieno del dramma. «A me non succederà,» disse con sicurezza. «Ma potrebbe succederti! Anche tu potresti ridurti a una cosa senza cervello e senza ricordi.»
«Io penso,» disse Killashandra lentamente, guardando l'ometto in posa con malcelato disprezzo, «che il cervello di tutti si consumi, in un modo o nell'altro.» «Ti pentirai di questo giorno...» cominciò Valdi, alzando il braccio sinistro in un classico gesto di ripulsa, con le dita graziosamente allargate. «Se me lo ricorderò!» disse la ragazza. La sua risata di scherno gli tolse il centro del palcoscenico. Ancora ridendo, Killashandra fece la sua uscita di scena, centro del palcoscenico, attraverso l'accesso alla navicella. CAPITOLO TERZO Il Capitano Andurs avvertì Killashandra, quando la nave emerse dall'iperspazio e Ballybran fu completamente visibile. «Una bella vista,» le disse, indicando le due lune interne, posizionate su 10 e su 5, ma Killashandra aveva occhi solo per il misterioso pianeta. Ne aveva sentito parlare tanto da aspettarsi qualsiasi cosa alla prima occhiata. Di conseguenza, subì una delusione iniziale, finché non scorse il primo bagliore di un cristallo: una penetrante stilettata di luce, quando i raggi del sole si riflessero su un cristallo in uno dei tre continenti visibili. Una coltre di nubi turbinava sulla maggior parte della zona oceanica, ostruiva due subcontinenti nell'Emisfero Meridionale, ma laddove il sole brillava, di tanto in tanto erano visibili puntini di luce accecante - una luce che era multicolore e, nello stesso tempo, bianca e chiara. «Come fanno a sopportare l'intensità della luce laggiù?» domandò lei, socchiudendo gli occhi per ridurre l'acuto barbaglio. «Secondo quanto ho sentito dire, sulla superficie non lo si nota.» «Secondo quanto ho sentito dire» aveva introdotto la maggior parte delle affermazioni del Capitano Andurs su Ballybran, un commento acido sulla restrizione che gli impediva di atterrare su uno dei pianeti più ricchi della galassia. Dagli altri passeggeri e dai loquaci membri dell'equipaggio, Killashandra aveva racimolato altre informazioni sui Cantori di Cristallo e su Ballybran, a molte delle quali non diede credito, dal momento che la maggior parte parafrasava i commenti del Maestro Valdi. Andurs, malgrado la sua limitata conoscenza, aveva dimostrato di essere il più istruttivo. Aveva trascorso nove anni standard nello spazio che intercorreva tra Regolo e Ballybran ed era stato sempre in ascolto, cosicché aveva sentito più di chiun-
que altro - certamente più di quanto lei fosse riuscita a ricavare dai criptici vidifax delle tre navi su cui aveva viaggiato. C'era qualcosa di misterioso intorno a Ballybran, alla Corporazione Heptite e ai suoi membri -un mistero che lei aveva dedotto da quello, che non si diceva riguardo a questi tre soggetti. Gli individui avevano diritto alla privacy; lo esigevano anche taluni aspetti delle compagnie mercantili interstellari, e si poteva comprendere che i riferimenti a certe risorse planetarie venivano ridotti al minimo oppure omessi. Ma l'assenza di tabulati disponibili su Ballybran, sulla Corporazione e sui suoi selezionati membri, raddoppiò i suoi sospetti. Invece, era rimasta terribilmente impressionata dal tacito potere della Corporazione: medici di alto rango avevano aspettato Carrik ai tre porti intermedi. Anche a lei era stato accordato un trattamento di rispetto. Aveva avuto ben poco da fare oltre che controllare la camera di rianimazione che trasportava Carrik. La camera era programmata per fornire nutrimento di IV tipo, la terapia, il bagno e le medicine necessarie. L'apparecchio venne controllato da tecnici ad ogni porto. Niente, evidentemente, era abbastanza per un membro della Corporazione Heptite. O per il suo accompagnatore. Killashandra aveva avuto un credito illimitato nei negozi delle navi, era stata ospite alla tavola privata del capitano su tutt'e tre le navi. Tranne per il fatto che veniva lasciata assolutamente sola, aveva goduto fino in fondo l'eccitazione del suo primo viaggio interstellare. Forse perché il viaggio era quasi finito, la sera precedente aveva ricevuto la maggior parte delle informazioni da Andurs, che per tutta la serata aveva sorseggiato lentamente un brandy sarviniano. «L'ho sentito dire abbastanza spesso da cominciare a credere che sia possibile... ma si dice che i cristalli entrino nel sangue.» «Che uccidano,» Killashandra replicò, anche se Carrik aveva usato la stessa frase. «Non so se si voglia alludere al fatto che i crediti siano ottimi,»Andurs continuò, ignorando il suo commento. «I Cantori di Cristallo fanno davvero baldoria - sono grandi spendaccioni, gente divertente - finché non cominciano i tremiti. Anche questo è strano, perché si crede che i Cantori di Cristallo guariscano più in fretta degli altri esseri umani, e si ritiene che siano meno soggetti a malattie e febbri planetarie che ti colpiscono anche se sei vaccinato. E restano più giovani.» Questa capacità infastidiva Andurs. «Gliel'ho chiesto a uno di loro. In quel momento era ubriaco, e ha detto che è solo una parte del canto di cristallo.» «Allora ci dovrebbe essere un mucchio di gente disposta a cantare il cri-
stallo...» «Sì, ma si rischiano anche i tremiti o...» Andurs fece un cenno con il pollice dietro le proprie spalle per indicare Carrik nella sua cabina, «Preferisco invecchiare.» «Questa non è una cosa che capita spesso, è vero?» chiese Killashandra sorpresa. Aveva avuto l'impressione che il collasso di Carrik fosse insolito. «È il primo che vedo ridotto così male,» ammise Andurs. «Oh, prendono le febbri, a volte così forti che vengono impacchettati in borse frigorifere ma non...» e si toccò la fronte con un dito. «Non sono affari miei, ma come si è ridotto in quel modo?» La sua domanda, sebbene fosse ovvia, sorprese Killashandra, perché nessun'altro, durante tutto il viaggio, l'aveva posta, come se avessero paura della risposta. «È stato bene finché non siamo arrivati allo Spazioporto di Fuerte. Poi è arrivata una navicella con il propulsore che aveva delle brutte risonanze. È esplosa, e lui è stato colpito dal rinculo sonico.» «Gentile da parte tua accompagnarlo.» «Glielo dovevo.» Killashandra lo pensava davvero. «Hai detto che la Corporazione ha gli uffici sulla luna? È lì che si fa domanda per entrare a far parte della Corporazione?» Il Capitano la guardò stupito. «Oh, non vuoi diventare un Cantore?» «Perché no?» Andurs si chinò verso di lei, la fissò intensamente negli occhi. «Non sei stata costretta a venire con lui, è vero? Voglio dire, lui non ti ha fatto niente?» Killashandra non sapeva se ridere o adirarsi. «Non so da dove vieni, Capitano Andurs, ma su Fuerte la privacy è rispettata.» «Non volevo insinuare che non era...» Andurs rispose in fretta, sollevando una mano per frenare l'ira della ragazza. «Sembra che io sia stata condizionata?» «No, in effetti, no. È solo che mi dai l'impressione di essere una donna ragionevole, e il canto del cristallo non è una cosa ragionevole. Oh, lo so. Ho sentito tutte quelle voci stupide, ma è immondizia spaziale, perché tutti i Cantori che ho visto, e ne ho visti parecchi in nove anni, su questa rotta, non hanno mai dato fastidio a nessuno. In realtà, stanno sulle loro. Ma c'è davvero qualcosa di stranissimo intorno a Ballybran e al canto di cristallo. So» - e si lanciò un'occhiata alle spalle, una precauzione inutile, dal momento che nel salottino erano soli - «che non tutti quelli che fanno doman-
da e vengono accettati, diventano Cantori. Chiunque scenda su quel pianeta» - indicò il pavimento - «vi resta. Solo i Cantori partono. E loro tornano sempre.» «Quante persone chiedono di entrare nella Corporazione?» Killashandra ricordò i 20.007 tecnici e i 4.425 Cantori, e si chiese a che cosa servisse tutta quella assistenza. «Non so rispondere con precisione.» Andurs assunse un'aria perplessa, mentre si grattava la testa, «non ci ho mai pensato. Oh, quasi ad ogni viaggio trasporto qualche nuovo aspirante. Pensa che ne abbiamo otto, forse nove, su questo volo. Si impara a riconoscere chi viaggia per affari e chi è in cerca di lavoro.» Andurs le sorrise. «Abbiamo altri quattro passaggi pagati dalla Corporazione, oltre i vostri. Questo significa che queste persone sono state selezionate, da qualche parte, in qualche centro della Corporazione. Conosci quel tipo alto, magro, con i capelli neri?» Killashandra annuì, ricordando l'uomo che era salito a bordo all'ultima stazione di trasbordo. L'aveva guardata con uno sguardo indagatore, e una volta lo aveva trovato davanti alla sua cabina, con una strana espressione eccitata sul viso. «Viaggia a proprie spese. Non credo che verrà accettato.» «Oh?» Andurs fece roteare il bicchiere di brandy per un lungo momento prima di rispondere. «Beh, non penso che sia il tipo che vogliono.» «Qual è il tipo che vogliono?» «In realtà, non lo so,» replicò Andurs dopo un attimo, «ma lui non lo è. La Corporazione ti pagherà il viaggio di ritorno fino alla stazione di trasbordo più vicina,» aggiunse, come se fosse stata una ricompensa sufficiente per l'essere stati respinti. «Ti farò sapere quando emergeremo, Killa. Ballybran è uno dei pianeti più interessanti da guardare dalla luna - soprattutto se c'è una tempesta in corso.» Killashandra restò a guardare lo schermo panoramico, finché Ballybran non fu eclissata dalla massa della sua luna più grande, Shankill. Se hai visto un'installazione lunare, le hai viste tutte, pensò, mentre guardava le cupole e i fossi anneriti dagli atterraggi roteare al di sotto della navicella. La sua attenzione fu brevemente attratta dalla vista di un'altro vascello che girava sopra l'orizzonte, una navicella delle stesse dimensioni, abbastanza piccola da non creare problemi per l'atterraggio. Le parve di scorgere sul muso il dodecaedro della Corporazione Heptite, ma la navicella si spostò
rapidamente nell'ombra e lei non riuscì a controllare. Qualsiasi accoglienza si fosse inconsciamente aspettata, era completamente diversa da quella che ricevette da Lanzecki, il Maestro Residente della Corporazione Heptite. Era ritto accanto al portale quando la nave apri il portello stagno: un uomo arcigno, con la carnagione scura e il corpo robusto, vestito con colori smorti. L'unica cosa vivace e attiva in lui, erano i suoi ampi e penetranti occhi marroni, che si muovevano incessantemente e parevano afferrare in un rapido sguardo più di quanto dovessero. Fece un cenno ai due uomini che lo accompagnavano, anche loro vestiti di grigio spento. Entrarono silenziosamente nella nave e percorsero a grandi passi il corridoio, con Killashandra in testa. Non si era mai sentita così superflua. Nella lussuosa cabina di Carrik, Lanzecki profittò di quel momento di esitazione per aprire il pannello. Guardò una sola volta, con un volto inespressivo, la figura immobile nella camera di rianimazione. Fece segno agli altri due di entrare a prendere la lettiga. «Grazie, Killashandra Ree. Lei ha un biglietto aperto per qualsiasi destinazione desideri e un credito di mille unità galattiche.» Le porse due buoni, decorati con il dodecaedro di quarzo nero, simbolo della Corporazione Heptite. Le fece un rispettoso inchino, e poi, quando gli uomini uscirono con Carrik, li seguì lungo il corridoio. Per un attimo, Killashandra restò a guardare il terzetto che si allontanava, con i due talloncini metallici che le si attaccavano alle dita per attrazione statica. «Maestro? Lanzecki? Signore? Aspetti...» Il solenne corteo avanzò senza fermarsi. «Persone così ingrate...» «Io non li chiamerei ingrati,» disse il Capitano Andurs, che si era avvicinato dall'altra estremità del corridoio. Allungò il collo per guardare i buoni. «Assolutamente no.» «Non mi aspettavo degli elogi,» esclamò Killashandra, sebbene fosse proprio quanto si era aspettata. «Solo qualche parola.» «Hai ricevuto le più importanti,» le ricordò Andurs con un sorriso ironico. «Mille. Sono una bella quantità,» continuò, mentre gli uomini della Corporazione voltavano in direzione del portale a fisarmonica. «Come ho detto, si dicono ogni genere di immondizie spaziali su quella Corporazione. Vedo strane cose imbattersi in questa vecchia lattina da un sistema all'altro, e io fingo di non vederne la metà.» All'improvviso, le mise un braccio intorno alle spalle. «Adesso che il cadavere se n'è andato, che ne dici se io e te...» «Ora, no,» Killashandra con irritazione gli tolse il braccio, «prima vo-
glio scambiare due parole con il Maestro della Corporazione.» Avanzò rapidamente lungo il corridoio, verso il portale. Non rivide mai più Carrik, sebbene per molti anni fosse elencato tra i membri inattivi. Non che lei guardasse molto spesso le liste, degli attivi o degli inattivi, una volta che passò l'eccitazione di vedervi iscritto il proprio nome. Arrivò a fermarsi davanti allo schermo opaco, posto accanto all'arcata di sbarco, che lampeggiava per segnalare di essere pronto a ricevere i suoi dati e il motivo dello sbarco su Shankill. Lo ignorò e continuò a guardare con frustrazione la figura del Maestro della Corporazione scomparire attraverso una delle cinque uscite iridescenti, poste nel piccolo atrio che era oltre l'arcata. Si precipitò in cabina per ficcare i propri beni nello zaino. Quando tornò nella zona di sbarco, con grande disgusto fu costretta a unirsi alla fila dei passeggeri. Mentre aspettava, lottando contro la propria impazienza, il Capitano Andurs uscì dalla sezione anteriore della nave e si diresse verso l'uscita secondaria che era accanto all'arcata di sbarco. La scorse e si girò, con un sorriso interrogativo sul volto. «Vai fino in fondo, Killa?» le chiese. Fece scivolare una mano lungo il braccio della ragazza fino ad afferrarle il gomito. Gli occhi di Andurs avevano quel tipo di intensità che lei aveva cominciato ad associare con il desiderio, una reazione piacevole, tenendo presente le maniere brusche che aveva avuto con lui poco prima. «Perché no? Non ho nessun motivo per fermarmi e ne ho uno molto buono per tentare.» Andurs sogghignò. «Beh, scoprirai che il procedimento è lungo. Io sarò nell'albergo di transito per cinque giorni almeno.» Le fece una smorfia per esprimere il proprio rassegnato disappunto e si strinse nelle spalle. «Ci vediamo,» aggiunse in tono lievemente interrogativo, anche se il suo sorriso era un invito. Irritò Killashandra vederlo appoggiare disinvoltamente il polso sulla piastra, che era accanto all'arcata più piccola, e guardare l'entrata spalancarsi immediatamente. Quando finalmente appoggiò il polso sulla piastra di identificazione al controllo, si era ormai rassegnata. Le fu chiesto il motivo dell'atterraggio su Shankill. «Vorrei chiedere di entrare nella Corporazione Heptite. Ho un tono perfetto,» aggiunse. Il video le chiese il credito, e Killashandra con sprezzo infilò il buono della Corporazione. Fu istantaneamente accettato, e sul video comparve il
considerevole saldo. L'unità ronzò, scattò, e poi, mentre un foglio di fax usciva dalla fessura della stampante, l'arco si spalancò per permettere l'accesso alla base lunare di Shankill. Le fu consigliato di leggere e conformarsi a tutte le norme e i regolamenti delle Autorità di Shankill, che erano inclusi nello stampato insieme alle indicazioni per gli alberghi per passeggeri in transito, i ristoranti e le aree pubbliche dell'installazione. Attraversò l'arcata ed entrò nell'atrio con le cinque uscite. La terza porta iridescente turbinò e si aprì, e Killashandra, seguendo l'indicazione, percorse il corridoio in direzione dell'albergo. Fu sorpresa di uscire in un grande spazio aperto, con un alto soffitto, attorniato dagli ologrammi di alberi che si muovevano lievemente nella brezza inesistente. Un bagliore, che si irradiava dal lucernario in vetrocemento, simulava la luce del sole. Si chiese, mentre attraversava lo spiazzo verso la zona di ricezione, se la tinta luce seguisse anche la rotazione di Ballybran. La sua seconda sorpresa fu trovare un assistente umano al banco della ricezione. «Killashandra Ree?» domandò educatamente, senza sorridere. Lei represse il desiderio di domandare «E chi, allora?» e annuì. «Lei non avrà avuto il tempo di leggere le norme e i regolamenti che sono di pertinenza della base lunare di Shankill, di conseguenza, è mio dovere richiederle di farlo subito dopo essersi sistemata in albergo. Se mancherà di farlo, saremo costretti a limitare la sua libertà personale per impedire che metta in pericolo la vita di altri a causa della sua ignoranza. Per favore, sincronizzi il suo digitale sulla rotazione di Ballybran con cui sono sincronizzati tutti i tempi della base. Se non dovesse capire qualcosa nelle istruzioni, sono a suo servizio per spiegarglielo. Metta la sua unità da polso sulla piastra. Grazie.» Abituata alla monotonia delle istruzioni fornite dalle macchine, Killashandra fissò l'uomo, chiedendosi se fosse una specie di androide, sebbene non avesse mai sentito parlare di simili copie degli esseri umani parlanti. Poi lui le sorrise e tamburellò la piastra con le dita. «Mai stata su una base lunare?» l'uomo le chiese in un tono molto informale rispetto al precedente linguaggio meccanico. «No,» disse la ragazza mentre appoggiava il polso sulla piastra e il pollice nell'incavo, «Per me è la quinta. Sono un apprendista nel campo della sicurezza dei satelliti. Ci tocca un lavoro di routine, come vede. Non che sia mai andato male qualcosa qui» - puntò l'indice verso il pavimento per indicare tutta la base - «sebbene ci sia sempre una prima volta, e noi siamo tenuti ad impe-
dire che la prima volta accada. Ecco perché lei troverà specialisti umani come me sulle basi lunari. Le persone si abituano così tanto alle macchine, ai video e agli avvisi automatici che non recepiscono più» si toccò la fronte con un dito - «ed è così che possono avvenire gli incidenti.» «Sembra un'ottima psicologia,» convenne Killashandra distrattamente, perché stava osservando con piacere la luce verde del suo saldo. Una chiave sbucò al di sopra del banco. L'uomo gliela porse. «Mi chiamo Ford. Leggerà che la sua stanza ha il proprio sistema di supporto vitale che entra automaticamente in funzione in caso di guasto del sistema della base. Ma per l'orecchio sinistro di Brennan, non si faccia sorprendere in una camera d'albergo durante una fuga o una rottura - è il modo sicuro per finire male.» Killashandra voleva dirgli che la sua psicologia funzionava poco, se quella era la maniera in cui avrebbe dovuto rassicurarla. Ma si trattenne, sorrise e promise che avrebbe letto le istruzioni. Poi si guardò intorno. «La chiave è accordata alla sua stanza. La riporterà in albergo da qualsiasi punto della base,» disse Ford, con cordialità. «Adesso attraversi quella porta,» aggiunse, chinandosi sul banco e indicando verso sinistra. Killashandra sentì che la chiave la tirava in quella direzione e, dopo aver dedicato a Ford un altro sorriso, se ne andò. Quando lei si avvicinò alla stanza che le era stata assegnata, la piastra per la chiave scintillò sulla porta per darle il benvenuto. Inserì la chiave e il pannello della porta si ritrasse con un sibilo. Nell'entrare capì perché Ford sconsigliasse un soggiorno prolungato nella camera; la stanza compatta avrebbe provocato la claustrofobia a chiunque. Tutti i comfort erano compattati in uno spazio di 3 metri e mezzo di lunghezza, 2 metri di larghezza e 3 di altezza. Un letto a tre cassettoni occupava la maggior parte dello spazio. Al di sopra del letto c'era una scaffalatura, dalla cui base sporgeva l'unità audiovisuale che poteva essere usata solo dall'occupante del letto. Ogni considerazione estetica di spazio o di decorazione era stata tralasciata per dare spazio alla sicurezza e alla sopravvivenza. Per essere certi che nessuno fosse spinto a restare in camera. In effetti, dal punto di vista delle autorità, probabilmente era consigliabile che la camera fosse occupata solo per dormire. Killashandra lanciò lo zaino ai piedi del letto e ci si lasciò cadere sopra. Sulla parete notò per la prima volta la fila di interruttori e bottoni contrassegnati da targhe e le fessure da cui uscivano la tavola, la lampada da lettura e un'unità alimentare individuale. Killashandra fece una smorfia. Tutto
a portata di mano. Si chiese se la presenza di Ford fosse destinata a rassicurare i passeggeri in transito che loro erano veramente esseri umani e non estensioni di un computer. Ford, indubbiamente, dimostrava umanità. Sospirando, trasse a sé le norme e i regolamenti. Lo aveva promesso. Inoltre, premunirsi le sembrava prudente anche se, come aveva asserito Ford, non era mai successo nulla nella Stazione di Shankill. Secondo il foglio di fax, aveva ragione. La Base Lunare di Shankill funzionava senza incidenti da 334 anni Galattici Standard. L'installazione originale era stata considerevolmente ampliata, quando la Federazione dei Pianeti Senzienti aveva limitato l'abitabilità di Ballybran a causa dei pericoli del pianeta. Killashandra dovette rileggere due volte questa parte. Allora, era proprio il pianeta a essere pericoloso, sebbene ovviamente il pericolo fosse stato superato, visto che ormai sulla superficie di Ballybran lavoravano e vivevano esseri umani. I paragrafi seguenti passavano allegramente ad un altro argomento e cominciavano a elencare i rischi, le regole e le responsabilità individuali. Killashandra, ligia al dovere, continuò a leggere, sentendo un'eco dell'avvertimento di Ford: «C'è sempre una prima volta.» Come passeggero in transito, la sua principale responsabilità era, in primo luogo, cercare le aree a strisce rosse in qualsiasi corridoio o area pubblica si trovasse, in caso udisse dei rapidi squilli prolungati (fuga di ossigeno) o brevi fischi acuti (penetrazione) o una sirena intermittente (incendio interno o emergenza) e, in secondo luogo, non ostruire la via di fuga agli altri. Squilli, fischi o sirene prolungati indicavano la fine dell'emergenza. Se si fosse trovata nella sua camera, doveva stendersi sul letto - non che nella stanza ci fosse un altro posto dove stare comodi durante una carcerazione forzata. In tutte le situazioni critiche, il personale munito di casco era autorizzato a ordinare agli individui privi di casco di compiere qualsiasi compito necessario a porre termine all'emergenza. Girò il foglio dall'altra parte e studiò la pianta della base, che, confrontata alla parte che lei aveva già visto, doveva essere immensa. Alcune unità erano composte da nove livelli disposti a ventaglio, la maggior parte dei quali sotterranei; ciascun livello poteva essere chiuso ermeticamente, perché tutti avevano sistemi di supporto vitale di riserva. Le zone più grandi erano destinate alle attrezzature di carico e di manutenzione, alla Corporazione e all'amministrazione. I diagrammi delle due basi minori sulle lune Shilmore e Shanganagh decoravano la parte inferiore del foglio. Erano en-
trambe stazioni metereologiche, e Shanganagh sembrava completamente automatizzata. La metereologia sembrava la preoccupazione principale di Ballybran, pensò Killashandra - era questo il pericolo su quel pianeta? Il suo clima? Carrik aveva accennato alle incredibili tempeste di mach. Il fatto che i venti di Ballybran fossero tanto feroci da meritarsi un simile soprannome era alquanto spaventoso. Analizzò nuovamente la pianta e notò la vicinanza del complesso della Corporazione alla zona dei passeggeri in transito. Due gallerie/corridoi/strade - qualsiasi cosa fossero - più sopra, e tra le due aree la piccola unità che costitutiva la zona di sbarco. Sorrise nell'osservare la comodità della dislocazione. Poteva essere completamente casuale? Poteva semplicemente andare a presentarsi come un'aspirante? D'un tratto, si sentì insolitamente insicura e studiò il suo digitale. Si trovava nel pieno del normale orario lavorativo della maggior parte delle aziende commerciali. Aveva letto gli importanti regolamenti di sicurezza, e avrebbe certamente cercato l'area a strisce rosse in ogni corridoio o posto pubblico in cui fosse entrata. Stringendosi nelle spalle, si rafforzò nella sua decisione e premette il bottone sulla parete per attivare il sistema di riconoscimento del linguaggio. «Richiesta di particolari sulle modalità per entrare nella Corporazione Heptite.» Il video scorse. LA CANDIDATURA A MEMBRO DELLA CORPORAZIONE HEPTITE RICHIEDE TEST FISICI ATTITUDINALI SG-1, PROFILO PSICOLOGICO SG-1, IL LIVELLO CULTURALE 3 È PREFERITO MA SI ACCETTANO ECCEZIONI, TONO PERFETTO E ASSOLUTO SIA NELLE PERCEZIONE SIA NELLA RIPRODUZIONE DELLA QUALITÀ E DEL TIMBRO TONALI, RISCONTRABILE SOLO NEI TIPI DAL IV ALL'VIII DEGLI UMANOIDI BIPEDI, ORIGINE SOLE III. I MUTANTI NON SONO TENUTI A PRESENTARE LA CANDIDATURA. LE CANDIDATURE SI PRESENTANO SOLO AGLI UFFICI DELLA CORPORAZIONE HEPTITE: BASE LUNARE DI SHANKILL, REPARTO DELLA RICEZIONE PRINCIPALE. LA FEDERAZIONE DEI PIANETI SENZIENTI ESIGE CHE SIANO RIVELATI TUTTI I PERICOLI INERENTI ALLA PROFESSIONE AI PROBABILI CANDIDATI, UNA VOLTA CHE I TEST FISICI, PSICOLOGICI E ATTITUDINALI SIANO STATI SUPERATI CON SOD-
DISFAZIONE DA PARTE DELLA COMMISSIONE ESAMINATRICE DELLA CORPORAZIONE. BALLYBRAN È UN MONDO VIETATO, SEZIONE 907, CODICE 4, PARAGRAFI 78-90. PER I PARTICOLARI CONSULTARE LA CORPORAZIONE HEPTITE. «Bene,» mormorò Killashandra, «informazioni ricevute a singhiozzo. La Corporazione Heptite, per favore.» Lo schermo si ricompose sul volto di una donna. «Corporazione Heptite, base lunare di Shankill. Posso esserle utile?» «Killashandra Ree,» riuscì a dire, ricordandosi della buona educazione, giacché non si aspettava una risposta personale. «Vorrei sapere se il vostro membro Carrik sta bene.» «È arrivato sano e salvo sulla superficie.» «Voglio dire, guarirà?» «È possibile, ma imprevedibile.» Il volto della donna era tranquillo e in evidente attesa. «Come si fa a diventare un membro della Corporazione?» Buttò fuori la domanda. «Ho già digitato il reperimento dati.» La donna sorrise educatamente. «Mi è concesso fornire informazioni ulteriori alle persone interessate. Qual è l'indicazione della sua camera?» Killashandra le fornì l'informazione richiesta. «Lei avrà accesso ai dati pertinenti fino alle 08.00 di domani. Se desidera sostenere gli esami preliminari, si può presentare alla Corporazione durante il normale orario di lavoro.» L'immagine svanì al momento opportuno, perché Killashandra era divorata dalla curiosità di sapere quanti dei misteri di Ballybran le sarebbero stati rivelati dalle informazioni ulteriori che le erano state promesse. Non tutti, ne era certa. Il video cominciò con un riassunto della storia del pianeta. Infuriata, stava per cancellare il programma, quando le venne in mente che il bravo esecutore studia la parte e il compositore, per capirne le intenzioni, prima di ogni audizione. Se la Corporazione le aveva concesso di leggere quei dati, avrebbe anche saputo se lei ne avesse approfittato. Entrare nella Corporazione Heptite poteva non dipendere solo dal tono perfetto, dalle buone condizioni fisiche e dal giusto adattamento psicologico, altrimenti, perché c'erano così pochi membri? Si dispose a studiare il materiale, sebbene i paragrafi preliminari sul «bisogno pressante dell'uomo di risorse materiali per l'esplorazione delle ga-
lassie» le ricordasse in modo deprimente la propaganda di orientamento della scuola secondaria. In una missione esplorativa e valutativa di routine, erano stati esplorati i pianeti di Scoria. Ballybran, l'unico con un'atmosfera e una gravità adatte, aveva rivelato la presenza di formazioni di cristallo e di quarzo nelle sue catene invertite. Fu inviata una squadra, con a capo Barry Milekey di Trace. I ritrovamenti iniziali dei geologi indicavano un pianeta dal potenziale immenso, e campioni furono inviati precipitosamente alla Divisione del Settore Ricerca. La squadra esplorativa di Ballybran ce l'aveva fatta. Il primo campione di cristallo a essere analizzato correttamente, un tipo di porfido blu, si rivelò, grazie alle particolarità della sua composizione, un meraviglioso congegno di accumulazione ottica, che consentiva virtualmente l'accesso istantaneo a quantità inverosimilmente grandi di dati immagazzinati in matrici di dimensioni eccezionalmente piccole. La struttura a grana fine della sinapsi del cristallo consentiva perfino al segmento più piccolo (1 cm cubo) di servire da giga-memoria. Comunque, fu la scoperta di Milekey del cosiddetto quarzo nero - che, in condizioni normali, non era né nero né quarzo - ché portò alla rivoluzione completa «delle comunicazioni interstellari. A causa delle sue caratteristiche termiche, il Ballybran Nero è un cristallo di rocca pigmentato, traslucido alla luce naturale. Sottoposto a determinate tensioni magnetiche, il Ballybran Nero, in mancanza di una descrizione migliore, assorbe tutta la luce e sembra diventare di un nero opaco. Milekey aveva osservato questo fenomeno, quando aveva staccato il primo frammento dalla fronte di cristallo nero. Nuovamente per caso, mentre veniva esaminata dai cristallografi, furono scoperte le vere proprietà della sostanza. Se due segmenti identici di quarzo nero venivano sottoposti a un'induzione magnetica sincronizzata, si stabiliva una linea di comunicazione a due vie tra i segmenti di cristallo. Quando i ricercatori aumentarono la distanza tra i campioni, si scopri che, a differenza dagli altri fenomeni elettromagnetici, il quarzo nero annullava lo sfasamento temporale. In concomitanza con le scoperte di laboratorio e le proposte di applicazione dei nuovi cristalli, arrivò il primo dei numerosi problemi relativi all'estrazione di quella ricca fonte. La squadra esplorativa aveva semplicemente raccolto frammenti sparsi di vari tipi di cristallo o pezzi più grandi che erano già staccati dal filone principale. Nel tentativo di tagliarlo con normali lame al carbonio-10, il cristallo si era frantumato. Si tentò con il laser, ma il cristallo si frantumò, si fuse o si danneggiò.
L'abitudine di uno dei cristallografi di cantare mentre lavorava, portò a una soluzione inaspettata. L'uomo notò che alcune fronti del cristallo risuonavano alla sua voce, e suggerì di usare una tagliatrice subsonica. Sebbene non sempre coronati dal successo, gli esperimenti in questa direzione produssero infine il sofisticato pick-up audio che risuonava, amplificava e riduceva la nota richiesta per regolare la lama di diamante subsonica. Una volta risolto il problema di separare i cristalli puri dalla fronte, Ballybran fu aperta ai minatori privati. Durante la successiva ondata di tempeste, i minatori che avevano prestato attenzione agli avvertimenti e avevano prontamente raggiunto la vallata protetta, non subirono alcun danno. Gli imprudenti furono scoperti nella scia della tempesta, morti o pazzi. I venti di tempesta, soffiando sulla catena di cristallo risonante, ricavavano dalla roccia sensibile dei sonici sufficienti a scuotere le menti non protette. Resi più coscienti dalle inspiegabili morti di nove minatori, tutti si accorsero di disagi fisici che in precedenza avevano ignorato. I tecnomedici cominciarono a registrare casi di disorientamento, attacchi ipo e ipertermici, percezioni irregolari, spasmi muscolari e debolezza. Nessuno nei numerosi campi della base sfuggiva ai malesseri minori. La maggior parte dei sintomi passò, ma alcuni subirono danni a uno dei cinque sensi, in genere all'udito. La squadra medica fu rapidamente accresciuta, e tutti furono sottoposti a test esaustivi. Sulle prime, il cristallo fu sospettato di indurre i sintomi. Ma, coloro che maneggiavano il cristallo al di fuori del pianeta apparivano indenni al contatto, mentre i metereologi e i tecnici di supporto su Ballybran che non toccavano mai il cristallo, erano colpiti. Il cristallo fu assolto. Allora fu l'ecologia del pianeta a diventare l'obiettivo primario di intense analisi, e quest'area di indagine si rivelò positiva. La spora che produceva i sintomi fu presto isolata, e il pianeta Ballybran fu inserito nel Codice 4 per misura preventiva. Killashandra spense il video per riflettere. Era severamente proibito atterrare su qualsiasi pianeta appartenesse ai codici al di sotto del 15. La spora di Ballybran provocava reazioni complesse - a volta fatali - nel corpo umano. Eppure il colpevole era stato isolato, ma il pianeta era ancora nel Codice 4! Un pretesto! pensò Killashandra, con irritazione. Riaccese il video, ma il testo era passato alla fondazione della Corporazione Heptite. Lo bloccò. Che cosa aveva detto Andurs? «Solo i Cantori lasciano il pianeta»? Era ovvio, gli handicappati restavano su Ballybran. Ventimila operai e tecnici su quattromila Cantori. Killashandra sbuffò. Questi ultimi avevano mag-
giori probabilità degli altri di raggiungere un rango stellare nelle arti esecutive. Lei lo avrebbe preferito. Sì, ma che cosa succedeva se non si era compresi in quell'uno su cinque? Quali tipi di tecnici venivano impiegati? Interrogò il vidifax. «Tecnici: lavoratori del cristallo di Ballybran, accordatori, addetti alle componenti di cristallo dei propulsori e delle unità di risonanza interstellare, tecnomedici, programmatori, meccanici, terapisti, agronomi, addetti all'alimentazione...» la lista arrivava fino alle funzioni più umili. E così, una volta arrivati su Ballybran, solo i Cantori potevano partire. Bene, lei sarebbe diventata un Cantore. Killashandra spostò la consolle da un lato e, incrociate le mani dietro la nuca, si appoggiò allo stretto guanciale. Che cosa contribuiva a creare quella sortile differenza tra i Cantori e i tecnici? Soprattutto se il tono perfetto era un prerequisito per poter lasciare il pianeta. Se venivano usate tagliatrici infrasoniche per estrarre il cristallo dalla fronte rocciosa, la pura forza non era il secondo requisito. Comportamento? Attitudine? La malattia della spora? Killashandra trasse di nuovo a sé la consolle e digitò un richiamo. «Quest'area di indagine si rivelò positiva, e la spora che produceva la malattia fu isolata...» «Isolata,» mormorò tra sé e sé Killashandra, «Isolata ma non distrutta, o resa innocua, e il pianeta è nel Codice 4.» Allora doveva essere l'immunità alla spora che decideva chi poteva cantare il cristallo? Devo provare, pensò, e digitò una domanda sulla spora. Ridacchiò quando il video annunciò che si trattava di un argomento riservato. Quelle erano tutte le informazioni concesse ai candidati. Giusto. La privacy era un diritto delle Corporazioni, così come lo era degli individui, e la Federazione dei Pianeti Senzienti richiedeva che fosse svelato tutto ai candidati, prima che questi prendessero l'ultima e irrevocabile decisione. Spinse indietro la consolle e chiuse il letto. Si fermò quel tanto che le bastò a spazzolare i capelli e a sistemarsi le pieghe della tunica, poi fece scivolare lateralmente il pannello della porta. Il pannello si chiuse silenziosamente alle sue spalle. Quando arrivò alla rampa che collegava i livelli, studiò la pianta che era affissa sulla parete. Si trovava a due livelli più sotto e a uno lateralmente rispetto alla Corporazione, e c'era un unico e solo accesso a quella sezione
della base. Si affrettò lungo la rampa a grandi passi. Le faceva bene camminare. Dopo essere stata confinata per nove giorni in navicelle e astronavi, perfino una base lunare sembrava spaziosa. Le attrazioni di Shankill riflettevano la sua utilizzazione come struttura commerciale e scientifica. Erano state dedicate grande cura e attenzione all'imitazione dell'ambiente naturale planetario, per far dimenticare ai viaggiatori e ai residenti le ostili condizioni dell'esterno. Ologrammi, posti ai lati della rampa, raffiguravano un piacevole scenario di montagna la cui illuminazione, Killashandra ne era certa, cambiava per coincidere con lo schema diurno della base. «Fuori» si era prossimi al mezzogiorno, ma la ragazza ignorò i deboli richiami del suo stomaco. Dopo una porta stagna e l'area a strisce rosse che lei aveva promesso a se stessa di cercare, il corridoio si allargava in un ampio atrio. Lungo le pareti c'erano ologrammi di alberi e fiori che ondeggiavano e si inclinavano tra gli alti arbusti dalle foglie chiare. Pensò che chi aveva decorato aveva mescolato sul video la flora di parecchi pianeti, ma con gli ologrammi non c'erano problemi botanici. Inoltre, l'effetto era pieno di colore. L'attrezzatura per la ristorazione, che era al piano inferiore, era disposta su numerosi livelli, il primo era un ampio corridoio tra due aree per le bevande, una delle quali con un assistente umano. Lei girò a destra ed entrò in un altro breve corridoio che univa l'area per la ristorazione con quella della Corporazione. Benché le attraversasse la mente il pensiero che gli uffici della Corporazione potessero essere chiusi per il pasto di mezzogiorno, fu sorpresa di essere ammessa immediatamente nell'area di ricezione. Lì, si fermò in preda allo stupore. Base lunare o no, la sala a dodici lati era immensa, il soffitto era alto almeno 5 metri, forse 6. Un immenso manufatto di cristallo, multicolore e lievemente luminoso, pendeva dal centro delle arcate che sostenevano il soffitto. Una consolle curva era l'unico arredo in quella camera aperta, ma Killashandra notò le luci delle vetrinette inserite in nicchie nelle pareti laterali, a vari livelli. «Bene,» disse in tono meravigliato, poi udì in risposta il tintinnio del lampadario. Non era, come aveva pensato inizialmente, un impianto di illuminazione. Sembrava incorporare una grande varietà di forme e colori di cristallo: alcuni capolavori dell'artigianato del cristallo. Certamente uno spreco. D'improvviso, si rese conto che la massa ruotava lentamente e che le sue estremità luminose inviavano particelle di luce in tutta la stanza,
cambiando schema ad ogni rotazione. Tutto il movimento era sempre accompagnato da un lieve, quasi subliminale, tintinnio. Se non ti attrae il suono, pensò Killashandra, ti ipnotizzerà la luce. Sfuggì alla sottile ipnosi e cominciò a gironzolare nella enorme sala di ricezione. La prima nicchia conteneva un ventaglio di minuti frammenti di un cristallo rosa chiaro, probabilmente il tipo utilizzato come chip o trasduttore per i computer. Si chiese quanto fossero taglienti i bordi. La vetrina successiva era munita di vetri che ingrandivano per mostrare vene cristalline di varie sfumature e diametri. Di certo, nessuno aveva «tagliato» quelle vene. Forse il cristallo giallastro si era fratturato in quegli elementi. Il porcospino di un propulsore in cristallo dominava la vetrina seguente, ma lo spazio maggiore era dedicato al cristallo nero, che, in effetti, non era nero né pareva un cristallo. Quando si avvicinò alla parete successiva del doecaedro e socchiuse gli occhi per guardare attraverso uno degli spioncini, vide un altro pezzo di un nero deciso, sotto un'illuminazione speciale. Ad un tratto il lampadario tintinnò, e, stupita, Killashandra si girò e vide all'ingresso l'uomo alto, magro, nervoso che aveva viaggiato sull'astronave. Si era schiarito rumorosamente la gola, e il lampadario aveva risposto al suono aspro. Aveva l'aria di voler fuggire terrorizzato dalla sala. «Sì?» lei gli chiese, prevenendone la fuga. Almeno avrebbe potato scoprire che cosa lo ossessionasse. «Non ho intenzione di violare la sua privacy,» sbottò in un rauco sussurro. Era evidente che si era già imbattuto nella particolare reazione del lampadario. «Ma l'uomo che era con lei sulla nave, era un Cantore?» «Sì.» «Che cosa gli è accaduto? Lo ha colpito la spora?» «No,» replicò Killashandra. Gli occhi del pover'uomo minacciavano di uscirgli dalle orbite, tanto era preoccupato. «È stato colpito dal rinculo sonico, quando una navicella è esplosa. Sovraccarico sensorio.» Il sollievo gli illuminò il volto, si terse la fronte e le guance con una pellicola. «Dicono tanto ma non abbastanza. Allora, quando l'ho visto...» «Vuole diventare un Cantore di Cristallo?» L'uomo deglutì, la laringe gli sobbalzò per il nervosismo. «Lei è un Cantore?» Nella sua voce risuonava un timore reverenziale. «Ho pensato che doveva esserlo, per il modo in cui il Capitano la trattava.» Era evidente che non ne era più tanto sicuro. «No.»
Il suo atteggiamento cambiò istantaneamente. Si drizzò e tirò indietro le spalle. «Ebbene, io sto per diventarlo,» dichiarò con fermezza, e il lampadario gli fece eco. Lanciò un'occhiata nervosa verso l'alto e sembrò ritrarre la testa tra le spalle per proteggersi. «Se è quello che lei desidera,» disse Killashandra, imperturbabile, e poi lo oltrepassò con andatura decisa. Aveva visto tutto quello che voleva della sala e poteva pensare al cibo. «Allora, lei non tenta di convincermi a non farlo?» le chiese, seguendola. «Perché dovrei?» «Lo fanno tutti.» «Io non sono tutti.» «Si dice che sia pericolosissimo.» «Non me ne preoccupo.» «Anche lei vuole entrare?» Si fermò e si girò verso di lui così rapidamente che lui per poco non le finì addosso. «Lei sta invadendo la mia privacy...» «Oh, no, no.» Si difese da una simile accusa con le mani alzate e una espressione spaventata. «Ma per quale altro motivo potrebbe trovarsi nella Sala dell'Heptite?» «Per comprare cristallo.» «Lei non è un compratore...» «Lei sta invadendo la mia privacy!» Si allontanò il più velocemente possibile, quasi tentata di premere il vicino bottone sul pannello che separava il corridoio di collegamento con la sala per la ristorazione. «Io volevo solo parlare...» La sua voce la seguì, ma almeno era rimasto indietro. L'energia generata dalla sua irritazione la trascinò oltre l'area bar fino a un incrocio a T tra passaggi che portavano a box e stanze per gli affari, alcuni chiusi da paraventi. Piante dalle grandi foglie fiancheggiavano una breve rampa di scalini che conduceva all'area pranzo. Distributori di servizio e pannelli arancioni con i menù erano sistemati contro le pareti. Killashandra si stava facendo strada verso il pannello più vicino, quando si sentì chiamare. «Quaggiù, Killashandra Ree.» Il Capitano Andurs, che era con un gruppo di astronauti, sì alzò per invitarla. «Vieni. Siediti con noi.»
Beh, almeno l'avrebbe protetta da quell'imbecille, se l'aveva seguita, perciò gli fece un cenno di saluto e si avvicinò a leggere il menù-fax. Fu sopraffatta dalla grande scelta che scorreva sul video. Quando scorse la casseruola di frutti di mare che aveva mangiato quella sera fatale su Fuerte, la ordinò. «Anche le bevande fermentate sono buone,» disse Andurs, che si era avvicinato per aiutarla. Con abilità, digitò una sequenza, si fermò e digitò ancora. «Scende giù meglio con una di queste.» Stava per protestare per il suo intervento, visto che era fin troppo abituata ai capricci delle superprogrammate e ostinate unità alimentari delle mense studentesche, quando il pannello di servizio si aprì per mostrare tutti e tre gli ordini. L'efficienza era un piacere. «Ecco, bevi un sorso di bibita fermentata e vedi se ti piace,» suggerì Andurs, offrendole il bicchiere da un litro. «Non ha senso fare viaggi inutili. Rovina la conversazione. Vedi, ti ho detto che era buona. Non è trattata: la lasciano invecchiare normalmente, e questo significa fare una buona bevanda fermentata. Qui sanno come si fa.» Poi ordinò non solo un bicchiere da un litro per lei, ma anche una grande coppa. «Mi fermerei alle bevande fermentate locali o ai fermenti e ai distillati del tuo pianeta, nel caso se ne riforniscano - e sarei sorpreso se non lo facessero. Potresti davvero rovinarti con alcune bevande, se hai il metabolismo sbagliato, capisci.» «Apprezzo il consiglio,» disse la ragazza, mentre si dirigevano verso gli altri. «Davvero?» Andurs aveva un tono cinico. «Siamo di nuovo di turno. Partiamo domani, alle 10.00 tempo della base. Un carico urgente. Destinato al Mercato di Regolo. Puoi servirti del buono della Corporazione e attraversare la Via Lattea, se ne hai l'intenzione.» «Io ho l'intenzione di restare qui per vedere come va.» «Hai fatto qualche verifica?» chiese, a voce più bassa, perché erano ormai quasi arrivati alla tavola. «Abbastanza.» «Non importa quanto dicano nelle banche dati, non è mai abbastanza e non è mai tutta la verità.» Il tono di Andurs era ostinato e autoritario. «Secondo le leggi della FPS devono rivelare tutti i pericoli.» Andurs sbuffò, ma nel frattempo avevano raggiunto il tavolo e non era propenso a continuare quella discussione. Era stata appena presentata al motorista di bordo, che non aveva mai in-
contrato durante il viaggio, quando notò una certa tensione sul volto del commissario di bordo e del secondo ufficiale. Con curiosità, si guardò alle spalle per vedere che cosa avesse causato la loro disapprovazione e poi si girò del tutto sulla sedia per avere una visione chiara. Due uomini e una donna si erano fermati a osservare i commensali. Non furono le vesti rozze e macchiate, le scarpe sfregiate o i capelli arruffati ad attrarre l'attenzione di Killashandra sebbene fossero tutti particolari alquanto insoliti in una società che rispettava la pulizia - ma il comportamento arrogante del terzetto, una specie di altezzoso disdegno che escludeva tutti gli altri, e lo sfavillio dei loro occhi. La scena, che si tenne brevemente durante l'esame del terzetto, si interruppe quando i tre si spostarono con decisione verso un tavolo d'angolo, dove erano sedute, notò Killashandra, altre due persone acconciate nella stessa maniera. «Ma chi credono di essere?» domandò Killashandra, irritata dai loro modi, così come il secondo ufficiale e il commissario di bordo. Mentre parlava, conosceva già la risposta, perché aveva già visto quell'alterigia, quella luminosità interiore... in Carrik. «Cantori, è vero?» «Sì,» disse il commissario, senza espressione. «Sono sempre così?» «Il tuo amico Carrik non era sempre così?» controbatté Andurs. «Non esattamente.» «Allora era atipico,» replicò il commissario in un tono che incuteva spavento. «Sono al peggio quando ritornano dalle catene - come quelli. Per nostra fortuna, Andurs, ci sono due navi monasteriane. Saranno loro a imbarcarli.» Andurs annuì brevemente e poi, come per assicurarsi che Killashandra non continuasse ad affrontare il delicato argomento dei Cantori, cominciò con una raffica di domande sui rifornimenti e le bolle d'accompagnamento del carico. Raccogliendo il suggerimento, Killashandra si dedicò al proprio pasto, ma continuò a lanciare sguardi furtivi all'affascinante gruppo dei Cantori. Killashandra era ancor più sorpresa dal fatto che non sembravano avere molto da dirsi, sebbene il terzetto avesse di proposito cercato la coppia. E restarono seduti a tavola solo il tempo che occorse a uno di loro per ordinare e prendere, in una sola volta, più coppe di vino. Non prestarono alcuna attenzione agli altri nella ormai affollata area pranzo. Poiché c'era un movimento considerevole, saluti tra amici, battute di spirito tra un tavolo e l'altro, Killashandra fu in grado di fare alcune valutazioni. Sembrava esistere un buon rapporto tra i residenti della base - mem-
bri della Corporazione e non - e i viaggiatori di passaggio. Riconobbe le varie professioni e mestieri dai colori e dai disegni delle particolari uniformi che indicavano la professione e la categoria. I viaggiatori erano abbigliati in qualsiasi modo assecondasse la loro fantasia, lo stile e la moda di due o tre decine di diverse culture e discipline. Il personale delle navi indossava sempre la scura uniforme astrale, sobrio contrappunto alla chiassosità degli abiti civili. Numerosi alieni, con il proprio supporto vitale, apparvero brevemente nella sala principale, ma si ritirarono velocemente nel livello per la ristorazione che rispondeva alle loro esotiche esigenze. Quando ebbero mangiato a sazietà, il commissario di bordo e il motorista si accomiatarono, dicendo di avere da fare prima del decollo. Andurs li salutò cordialmente e poi si girò verso Killashandra. «Hai visto che cosa ti succederebbe, se diventassi Cantore?» «Che cosa?» chiese lei ingenuamente. Andurs schioccò con impazienza le dita verso il solitario quintetto. «Saresti sola. Ovunque andassi.» «Non ero sola con Carrik. Era di ottima compagnia.» «Per ragioni particolari, non ne dubito, e non predicare la Privacy a me.» Killashandra rise alla sua risposta acida. «Le ragioni erano reciproche, amico mio. E ancora non capisco perché i Cantori di Cristallo sono colpevoli.» «Ma chi credono di essere?'» le fece il verso in una buffa imitazione della sua reazione istintiva ai Cantori. «Beh, mi sono anche accorta che nessuno li ha trattati come gli altri...» «E non capiterà mai. Odiosi bastardi, ecco che cosa sono. E si danno sempre quelle arie.» «Carrik...» cominciò lei, ricordando quanto fosse stato divertente. «Doveva essersene quasi andato, quando lo hai incontrato. Cambiano... e non in meglio.» «Dovrebbero, non è vero?» disse alquanto bruscamente, perché l'irrazionale insistenza di Andurs su quelle generalizzazioni la infastidiva. «Il fax diceva che superano rigorosi test fisici, psicologici e attitudinali. Vengono presi solo i migliori, di conseguenza, dovrebbero essere superiori agli sgobboni che bisogna sopportare ovunque nella galassia.» «Non capisci. Loro sono molto diversi!» Andurs si stava agitando nel suo tentativo di spiegare. «Non capirò mai, se non entrerai nei particolari.» «Beh, posso farlo.» Andurs sobbalzò alla sua offerta. «Il Cantore con la
tunica marrone - quanti anni gli daresti? E non lo fissare troppo. Possono essere offensivi, se si irritano. Soprattutto quando sono appena tornati dalle Catene, come quel gruppo.» Killashandra aveva notato l'uomo vestito di marrone; era il più alto ed emanava lo stesso magnetismo che caratterizzava Carrik. «Direi che è nella seconda metà del suo terzo decennio, forse all'inizio del quarto.» «Io sono nel quarto e faccio questa rotta da nove anni standard. So che è un Cantore da almeno nove decenni, perché il suo nome è apparso nelle liste passeggeri della mia nave per tutto il periodo.» Killashandra lanciò un'occhiata discreta al soggetto in questione. Era difficile credere che quell'uomo fosse ben oltre i suoi primi cent'anni. La scienza moderna aveva ritardato i peggiori danni della degenerazione fisica, ma... «Allora è l'eterna giovinezza il tuo punto dolente?» «No, non il mio. Sinceramente, non vorrei vivere più di dieci, dodici decenni. Non è solo il fatto che i Cantori sembrano giovani più a lungo, sebbene questo colpisca alcuni, è che... sono le altre differenze...» «Psicologiche? Professionali? Fisiche? O finanziarie?» «Guarda, il punto è che ci sono delle differenze nei Cantori che tutti noi sentiamo, avvertiamo e di cui ci risentiamo!» Andurs si era scaldato e si colpì il palmo di una mano con l'altra stretta a pugno per sottolineare il proprio punto di vista. «Qualsiasi cosa sia, ti separa per sempre dal resto del genere umano. È questo che vuoi?» Killashandra diede alla domanda la dovuta considerazione, prima di guardare Andurs negli occhi e dire, «Sì. I Cantori di Cristallo sono una minoranza rigidamente selezionata e altamente specializzata. E io voglio appartenere a questo tipo di gruppo. Ho già avuto un'istruzione in questa direzione,» aggiunse con un sorriso acido. «Allora il fatto che tu abbia accompagnato Carrik...» Le narici di Andurs si allargarono per il sospetto, e si ritrasse dalla ragazza. «Era quello che gli dovevo,» aggiunse in fretta, perché non le piacque quell'espressione apparsa così in fretta, e senza alcun motivo, sulla faccia di Andurs. Era stata sinceramente motivata dal dispiacere per le condizioni di Carrik. «Chi lo sa? Potrei non avere i requisiti. Non faccio male a nessuno se provo, non è vero?» Offrì a Andurs un sorriso dolce e alquanto tremulo. «Non ero motivata da nessun fine, quando ho incontrato Carrik, capisci...»
«Allora parti con me... o con qualsiasi altra delle navi. Questo» - Andurs puntò l'indice verso il pavimento - «è un vicolo cieco.» Killashandra diede ancora qualche occhiata furtiva ai Cantori - orgogliosi, solitari e stranamente raggianti. Assunse un'espressione pensierosa e accigliata, a beneficio di Andurs, ma il gruppo, remoto e inaccessibile, era costituito da persone a parte, evidentemente segnate da una sottile differenza che li poneva al di sopra degli altri esseri umani, per altri versi non meno fisicamente attraenti o intelligenti di loro. Questa diversità avrebbe fatto sì che i Cantori si distinguessero, ovunque fossero. Sempre. Killashandra pensò, così come gli artisti astrali quando si beano degli applausi del pubblico che li adora. Poiché ne era stata privata, avrebbe provato con questo. «C'è qualcosa in loro...» disse ad alta voce, alzando con diffidenza le spalle e sorridendo ironicamente. «Lo sai, avevi ragione sulla bevanda fermentata...» e si girò con un sorriso accattivante verso Andurs. «Ne prenderò altra.» Killashandra trascorse una serata piacevole con il capitano, sebbene fosse felice che si trattasse solo di una serata, perché i limiti dell'uomo furono immediatamente evidenti. Carrik era stato pieno di rivelazioni per lei. Ma quando Andurs se ne andò per raggiungere la nave, al cambio di data, la salutò solo con espressioni di rimpianto e l'invito a salire a bordo. Sebbene andasse solo fino al Mercato di Regolo, Killashandra avrebbe potuto prendere una nave diretta ovunque nella galassia con il buono della Corporazione. Lo ringraziò, fingendo di avere più sonno di quanto sentisse, e lo lasciò con l'idea di aver subito l'influsso della sua persona e dei suoi discorsi. Solo molto tempo dopo, venne a sapere che la sua nave, la Rag Blue Swan Delta, aveva ritardato la partenza, finché era stata perentoriamente costretta a partire da un esasperato ufficiale di dogana. Nel frattempo, lei era già nel blocco della Corporazione, all'interno della base. CAPITOLO QUARTO Quando arrivò puntuale, all'inizio della giornata lavorativa, Killashandra scoprì di non essere stata l'unica così sollecita. Tra la decina di persone che vagavano per la grande sala della ricezione, alcuni erano evidentemente compratori, che scrutavano le verrine e facevano annotazioni sulle unità da polso. Il giovane alto e magro era lì. Sembrò sorpreso di vedere Killa-
shandra e la evitò. Proprio mentre Killashandra notava due uomini e una donna uscire da un pannello nel lato più lontano del dodecaedro, qualcuno entrò rumorosamente dall'ingresso della base. Killashandra scorse il volto deciso, duro, iroso e i capelli rasati di un'operaia spaziale, mentre la donna dall'ossatura minuta la oltrepassava velocemente. Il lampadario rispose alle vibrazioni del suo passaggio e captò il tono della sua voce. Dalla risonanza del tintinnante manufatto, Killashandra venne a sapere che la donna stava ponendo delle domande. Quello che sorprese maggiormente Killashandra fu che la donna della Corporazione non prestasse alcuna attenzione e restasse con la testa china sul modulo. L'adirata operaia spaziale ripeté la sua domanda con voce abbastanza acuta, perché Killashandra sentisse che la donna stava domandando di essere immediatamente sottoposta ai test per diventare membro della Corporazione. Ad un tratto, uno degli uomini della Corporazione, interrompendo una conversazione con un compratore, toccò un braccio della programmatrice spostando la sua attenzione sull'operaia spaziale, ormai infuriata. Un'altra ondata di parole fece risuonare le gocce di cristallo, benché la programmatrice della Corporazione non parve minimamente turbata né dalla scortesia né dalla furia dell'operaia spaziale. Un attimo dopo, il pannello che era in fondo alla sala si riaprì e l'operaia spaziale vi si diresse, con la testa in atteggiamento aggressivo e con ampi passi rapidi che scuotevano la sua minuta figura. Il pannello si chiuse alle sue spalle. Un sospiro attrasse l'attenzione di Killashandra, che si girò per trovarsi di fronte a un giovane che le stava accanto. Avrebbe meritato, comunque, un secondo sguardo, perché aveva capelli rossi, a fitti ricci, un tratto recessivo ormai più raro dei veri capelli biondi. Aveva evidentemente seguito la scena tra l'operaia spaziale e la programmatrice della Corporazione, come se avesse previsto un simile confronto. Il suo sospiro era stato di sollievo. «Ce l'ha fatta,» mormorò tra sé e sé, e poi, notando Killashandra, le sorrise. I suoi insoliti occhi verde-chiaro brillarono maliziosi. L'antipatia che Killashandra aveva provato istintivamente per l'operaia spaziale fu sostituita da un'istantanea affinità con il ragazzo. «È stata in agitazione, quella lì, per tutto il viaggio fin qui. Aveva immaginato che avrebbe attraversato l'arcata di sbarco come un proiettile, quando sono cominciate tutte le formalità. E dopo tutto questo...» Allargò le mani per manifestare il proprio stupore davanti alla disinvoltura della donna. «C'è molto di più da superare che attraversare una porta,» disse Killa-
shandra. «Lo so bene, ma non c'è stato niente da fare con Carigana. Tanto per cominciare, era infastidita dal fatto che avessi superato l'esame preliminare a Yarra su Beta VI. Come se fosse un affronto personale il fatto che lei sia dovuta venire fin qui.» Si avvicinò a Killashandra mentre entrava un gruppetto di persone, compratori a giudicare dalla varietà dei loro abiti. «Hai già saltato il fosso?» E poi alzò una mano, con un sorriso così accattivante che Killashandra si irrigidì davanti a una simile violazione della propria privacy; la ragazza, dopo tutto, non si offese. «Sono di Scartine, capisci, e continuo a dimenticare le buone maniere. E poi, non sembri un compratore» - il suo commento era un complimento, perché fece un gesto di divertito disprezzo indicando i vestiti sgargianti della maggior parte dei presenti «e un viaggiatore non si avventurerebbe mai oltre l'area di ristorazione, perciò tu devi essere interessata al canto del cristallo...» Alzò le sopracciglia insieme al tono della voce per esprimere la domanda. Ci sarebbe voluta una persona di gran lunga più pignola di Killashandra per frenare le maniere schiette del giovane, mentre lei rispose con un brevissimo sorriso e un cenno del capo. «Bene, poiché ho già superato l'esame preliminare, devo solo riferire che sono qui. Ma, se fossi in te, anche se non lo sono, e non è certamente un mio desiderio invadere la tua privacy, io darei a Carigana la possibilità di organizzarsi, prima di seguirla all'interno.» Poi drizzò il capo e sorrise con uno scintillio che contrastava con la sua innocenza. «A meno che non ti vuoi tirare indietro, perché hai avuto un ripensamento.» «Ho molti pensieri, ma non ripensamenti,» disse Killashandra. «Hai superato gli esami preliminari a Yarra?» «Sì, i test. Li conosci?» «Gli SG-1, ne ho sentito parlare.» Si strinse nelle spalle con diffidenza. «L'apparecchio medico è lo stesso per tutti i livelli e, se sei a posto, il test psicologico non è niente. Quello attitudinale è attitudinale, ed è veloce, ma sembra che tu abbia fatto gli studi terziari, allora perché ti leghi i capelli?» La sua espressione diventò aspra mentre lo sguardo correva alla parete che Carigana aveva attraversato. «Visto che tu i capelli li hai!» «Quei test - non sono complicati o dolorosi o qualcos'altro...?» Il giovane alto e nervoso si era avvicinato timidamente, senza che nessuno dei due lo notasse. Killashandra si accigliò lievemente per il disappunto, ma l'altro ragazzo
fece un sorriso incoraggiante. «Niente sudore, niente tensione, niente forza da esercitare. Un gioco da ragazzi,» e fece un gesto con la mano per indicare la facilità dei test. «Io adesso devo solo avvicinarmi al pannello, bussare alla porta, e sono dentro.» Fece schioccare la cinghia che gli teneva lo zaino sulle spalle. «Ti è stata fatta la rivelazione completa?» domandò l'uomo dai capelli neri. «Non ancora.» Il rosso sorrise di nuovo. «È il passo successivo e viene fatto solo qui.» «Shillawn Agus Vartry,» disse l'altro formalmente, alzando la mano destra con le dita allargate nel gesto galattico che indicava cooperazione e assenza di armi. «Rimbol C-hen-stal-az» fu la replica del rosso. Killashandra non era dell'umore giusto per essere coinvolta in un'ulteriore conversazione sui test per entrare nella Corporazione, non con Shillawn che deglutiva e balbettava nella sua indecisione. Concesse un sorriso e un saluto a Rimbol mentre indietreggiava cortesemente prima di dirigersi verso il modulo con più sicurezza di quanto sentisse. Una volta lì, allargò le dita laddove il movimento poteva attrarre l'attenzione della donna. «Vorrei entrare nella Corporazione Heptite,» disse quando la donna alzò la testa. Killashandra aveva avuto l'intenzione di dire che voleva diventare un Cantore di Cristallo, ma le parole erano mutate nella sua mente e nella sua bocca con una discrezione che non le era caratteristica. Forse il brutto esempio di Carigana aveva temperato il suo approccio. La programmatrice inclinò la testa per indicare che aveva capito e le sue dita saettarono sui tasti del terminale. «Può passare attraverso quell'entrata.» Fece un cenno verso il pannello che si apriva nella parete. Killashandra riuscì a stento a immaginare quale doccia fredda dovesse essere stata quella frase gentile per la tempestosa Carigana. Sorrise tra sé e sé mentre il pannello le si richiudeva alle spalle con un lieve fruscio. Esce Killashandra Ree silenziosamente e senza fanfare. Si ritrovò in un breve corridoio, con una serie di porte contrassegnate da colori e disegni su entrambi i lati, e si diresse verso quella che si aprì silenziosamente. Proprio mentre lei entrava nella stanza da una porta, un uomo con una strana gobba su una spalla entrò da un'altra. Le diede un'occhiata così rapida e indagatrice che lei fu certa che fosse stato lui a dare il benvenuto a Carigana. «Lei acconsente a sottoporsi agli esami SG-1 fisici, psicologici e atti-
tudinali? Per favore, dichiari il suo nome, il pianeta di origine e la posizione occupata. Queste informazioni saranno elaborate alle condizioni della Federazione dei Pianeti Senzienti riguardanti l'ammissione nella Corporazione Heptite di Ballybran.» Pronunciò il discorso prendendo fiato una sola volta e la guardò con un'espressione di attesa, mentre la mente della ragazza afferrava le sue frasi meccaniche. «Sì, io, Killashandra Ree di Fuerte, acconsento a sottopormi agli esami. Posizione, studente terziario in arti musicali, licenziata.» «Per favore, da questa parte, Killashandra Ree.» Lo seguì in un'anticamera, la solita struttura per gli esami. Il pannello di una porta risplendeva di una luce rossa, e Killashandra suppose che all'interno vi fosse Carigana, sottoposta agli stessi test che stava per affrontare anche lei. Le fu indicata la cella successiva, nella quale si trovava il lettino e la calotta che rappresentavano l'attrezzatura diagnostica standard per la sua specie. Senza una parola, si distese sul lettino il più comodamente possibile, abituata fin dall'infanzia al procedimento, alla sensazione lievemente claustrofobica provocata dall'abbassamento della parte superiore dell'unità diagnostica. Non le dava fastidio la pressione quasi confortante dell'unità del torso o la morsa su una coscia e il peso sulla tibia sinistra, ma non era mai riuscita ad abituarsi al soffocante casco e alla pressione contro gli occhi, le tempie e la mascella. Ma le esplorazioni del cervello e della retina erano indolori, e non si avvertiva nemmeno l'agopuntura che anestetizzava la gamba per prelevare campioni di sangue, di midollo osseo e di tessuto. Le altre pressioni per il controllo degli organi, del tono muscolare, della tolleranza al caldo e al freddo, della sensibilità al rumore non furono nulla rispetto alla verifica finale della soglia del dolore. Aveva sentito parlare della scala della soglia del dolore, ma non l'aveva mai provata, e sperò di non doverlo fare mai più. Stava quasi per urlare per gli stimoli applicati ai suoi centri nervosi, quando l'apparato bruscamente si ritrasse. Mentre il suo sistema nervoso formicolava per i postumi dell'esame, Killashandra gemette e si massaggiò la nuca per rilassare i muscoli che si erano contratti in quella frazione di secondo di dolore intenso. «Prenda questa bevanda ristoratrice, prego,» disse il tecnomedico, entrando nella stanza. Le porse un bicchiere di liquido verde gassato. «Si rimetta in sesto. E si segga qui,» aggiunse mentre una comoda sedia imbottita scivolava verso il centro della stanza e l'apparecchio medico si spostava sulla sinistra. «Quando si sarà ripresa, prema il bottone che si trova sul
bracciolo destro della sedia e il test psicologico avrà inizio. Usiamo un sistema verbale computerizzato. Le risposte, naturalmente, vengono registrate, ma sono certo che ormai lei ha preso confidenza con le procedure.» La bibita allontanò dai suoi sensi gli ultimi miasmi del test sulla soglia del dolore e lei si sentì incredibilmente sveglia. La preparazione migliore a un test psicologico. Killashandra aveva sempre dei sentimenti contrastanti a proposito di questo tipo di valutazione: così tanto poteva dipendere dalla propria disposizione mentale in quell'ora, giorno e anno particolari. Provò il solito desiderio inespresso di dare solo risposte sbagliate, ma questo desiderio era accompagnato dall'acuta coscienza della sua competitività. Troppo dipendeva dagli esami. Non occorreva fare i giochetti che avrebbe potuto osare ad altri livelli e in altri tempi. In ogni caso, non riuscì a capire lo scopo di alcune domande che non le erano mai state poste durante altre sedute di valutazione. Naturalmente, non aveva mai chiesto di entrare nella Corporazione Heptite, di conseguenza i criteri erano sicuramente diversi. Né si era mai sottoposta a un test psicologico verbale computerizzato. In genere, i test psicologici erano condotti da un esaminatore umano. Verso la fine della seduta, la velocità crebbe fino al punto che Killashandra cominciò a sudare per rispondere alle domande scritte sul video, nello sforzo di mantenere il ritmo. Sentiva ancora il cuore batterle più in fretta, quando l'uomo della Corporazione entrò, questa volta con un vassoio colmo di involti di cibo fumante. «Sarà sottoposta ai test attitudinali, dopo aver mangiato e riposato. Può richiedere un intrattenimento al fax oppure dormire.» A queste parole, un letto anatomico uscì dall'area di immagazzinaggio. «Quando sarà pronta, informi il computer e l'esame finale avrà inizio.» Killashandra era affamata e trovò delizioso quel pasto nutriente. Sorseggio lentamente la bevanda calda e chiese delle calmanti bilance optheriane per liberare la mente dalle tensioni provocate dall'ultima parte dei test psicologici. Nelle precedenti sedute di valutazione, i modi degli assistenti umani spesso le avevano fatto capire il livello del suo rendimento, ed era abituata ad un punteggio alto. Ma il tecnico della Corporazione era stato così impersonale che lei non era riuscita a intuire come stesse andando. Dopo aver finito il pasto, decise di continuare e segnalò di essere pronta. Dopodiché fu analizzato il suo tono, la valutazione più severa di quella fa-
coltà che lei avesse mai sostenuto, che incluse la stima degli errori vibrazionali e degli snervanti rumori subliminali al di sotto dei 50 e al di sopra dei 18.000 cicli. Terminata questa parte, il test passò a complesse coordinazioni mano-occhio che la lasciarono di nuovo zuppa di sudore. Fu sottoposta a una serie di esami della percezione della profondità e delle relazioni spaziali. Queste ultime erano sempre state uno dei suoi punti forti, ma quando la seduta fu terminata, era distrutta dalla fatica e scossa dai tremiti. Forse fu solo il suo desiderio, ma quando il tecnomedico ritornò, immaginò di vedere nel suo sguardo qualcosa di simile al rispetto. «Killashandra Ree, visto che lei ha superato gli esami del primo giorno, adesso è ospite della Corporazione. Ci siamo presi la libertà di trasferire i suoi effetti personali in un alloggio più confortevole nel blocco della Corporazione. Se vuole seguirmi...» In una situazione normale, un'azione simile, intrapresa senza il suo consenso, avrebbe costituito un'invasione della sua privacy, ma le sue energie erano troppo esaurite perché riuscisse a protestare. Fu condotta all'interno del blocco della Corporazione, tre livelli al di sotto del principale e unico ingresso, o uscita, dal resto della Base di Shankill. La sua facile penetrazione nei sacri recinti la divertì più che spaventarla. Non c'era alcun reale bisogno di isolarla dal resto degli abitanti della base, dopo quegli esami standard. Fatta eccezione per il test sulla soglia del dolore, non avrebbe avuto null'altro per avvertire un altro eventuale candidato. I candidati falliti dovevano essere più pericolosi per la Corporazione, a causa della loro delusione. Che cosa accadeva loro? Che cosa ne era stato, per esempio, della rabbiosa Carigana? Sarebbe stata felice di starle lontano in caso di un suo fallimento. E dov'erano Rimbol e quell'irritante giovane esagitato, quel Shillawn qualcosa? Fin dove era dovuta arrivare all'interno della Corporazione, per ottenere vitto e alloggio gratis, si chiese, irritata dalla stanchezza. Non desiderava nient'altro che stendersi e dormire. Si sentiva prosciugata come la sera del concerto finale degli studenti. Quanto tempo fa era stato? In termini di distanza o di tempo? Non aveva pazienza con i propri indovinelli. Quanto doveva camminare ancora? L'uomo della Corporazione si era fermato davanti a una porta, che si aprì. «Se metterà l'impronta sul file, all'interno troverà le sue cose. Alla fine di questo corridoio c'è una sala comune, benché potrà trovare un'attrezzatura per la ristorazione anche nella sua camera. Domani verrà convo-
cata per la fase finale.» Un bip risuonò dall'unità da polso dell'uomo e tagliò corto qualsiasi domanda lei avesse voluto fare; perché l'uomo sentì il richiamo, chinò educatamente la testa e ritornò sui propri passi. Killashandra appoggiò il pollice nell'incavo per la serratura a impronta digitale ed entrò nel suo nuovo alloggio. Non era solo più grande - spazioso m confronto alla camera dell'albergo - ma era anche arredato più lussuosamente. Una sedia era accostata a un tavolino, sul quale c'era già una coppa di bevanda fermentata proveniente dal pannello per la ristorazione, che era acceso. Killashandra con gratitudine assaggiò la bibita e notò che il menù-fax era acceso sui piatti di pesce. Si chiese quante informazioni la Corporazione avesse già elaborato su di lei, da quando aveva fornito nome, pianeta di origine e posizione. Di proposito, fece scorrere il video su altri piatti proteici e ordinò un vino leggero e un piatto descritto come casseruola appetitosa di legumi assortiti. Aveva appena finito il suo pasto, quando la porta annunciò un visitatore. Esitò a lungo, incapace di immaginare chi potesse essere; poi la porta aggiunse che il visitatore si chiamava Rimbol e che chiedeva di parlare con lei. La ragazza premette il bottone che apriva la porta. Rimbol entrò, sorridendo. «Esci per un attimo. Solo per bere qualcosa. È gratis.» Poi ammiccò. «Non ci sono né Carigana né Shillawn. C'è solo qualcun altro che ha superato l'esame preliminare. Vieni.» Il divertimento che si sentiva nella sua voce carezzevole fu il fattore decisivo. Killashandra si conosceva abbastanza bene da sapere che anche se avesse provato a dormire, avrebbe solo continuato a ripetersi i test e si sarebbe depressa sugli errori tanto da non riuscire veramente a riposare. Qualche bibita e un po' di allegria in compagnia del contagioso Rimbol le avrebbero fatto molto meglio, soprattutto se sia Carigana sia quel ragazzo nervoso erano assenti. Fu un po' sorpresa, comunque, quando vide che «qualcun altro» erano ventinove persone. Rimbol, avvertendo la sua sorpresa, sorrise e fece un cenno verso l'area per la ristorazione. «Quello di cui hai bisogno è una bevanda fermentata. Questa è Killashandra,» annunciò con voce leggermente più alta alla stanza in generale. La ragazza fu salutata con leggeri cenni del capo, sorrisi o brevi gesti della mano. Tra gli altri c'era già un rapporto informale. Il gruppo, impegnato in un qualche gioco di carte a quattro giocatori, non alzò nemmeno lo sguardo quando lei e Rimbol presero le loro bibite.
«Tu sei la trentesima, sai,» disse Rimbol mentre la guidava verso l'unico divano libero. «Shillawn e Carigana sono il trentunesimo e la trentaduesima, e si suppone che oggi ci sia un'altra persona che sta facendo gli esami preliminari. Se li supererà, significa che domani andremo tutti su Ballybran.» «Se nessuno si spaventerà dopo la rivelazione,» disse una ragazza che stava per raggiungerli. «Io sono Jezerey, di Salonika nel gruppo di Antares.» «Non sapevo che cancellassero dopo la rivelazione,» disse Rimbol, aggrottando la fronte per la sorpresa. «Potresti avere ragione, ma so che trenta è il gruppo più piccolo che addestrano,» continuò Jezerey, sistemandosi sul divano con un lungo sospiro. «Io aspetto da sette settimane standard.» Aveva una sfumatura di disgusto nella voce. «Ma Borton» - e fece un cenno verso i giocatori di carte - «è qui da nove settimane. Ha mancato per poco una classe. Niente lo farà rifiutare. Io non sono così sicura di uno o due degli altri - e ne abbiamo qualcuno in più. Rimbol dice che niente potrebbe far cambiare idea a quella Carigana, e dall'espressione che aveva quando il vecchio Gobbette l'ha accompagnata, sono felice che non le siamo simpatici e sia rimasta nella sua camera. Gli operai spaziali sono strani tipi, ma lei è... lei è...» «È emotiva,» osservò Rimbol quando Jezerey esitò. «Non penso che si fidi delle stazioni spaziali più che delle astronavi. Per tutto il viaggio ha fatto lapazza. Shillawn» - e Rimbol si girò verso Killashandra con un'espressione ironica - «era stanco morto, perciò ho violato la Privacy e ho aggiunto alla sua bevanda fermentata qualcosa che lo ha messo fuori uso. L'ho mandato a letto.» «Perché mai uno come lui vuole diventare un Cantore di Cristallo?» domandò Killashandra. «Perché lo vogliamo tutti noi?» rispose Rimbol, divertito. «Va bene, perché tu lo vuoi?» Killashandra gli domandò senza mezzi termini. «Non mi è stato permesso di continuare come strumentista. Non c'erano abbastanza sbocchi sulla mia palla di fango per un suonatore di strumenti a corda. Il canto del cristallo viene subito dopo.» Killashandra annuì e guardò Jezerey. «È alquanto strano,» disse la ragazza con espressione divertita, «ma anch'io ero in sovrannumero nella mia professione. Terapista della sostituzione di arti. E il Caro sa se non ci sono abbastanza incidenti su Saloni-
ka.» Arricciò il naso e poi colse l'espressione perplessa di Rimbol e Killashandra. «Un mondo minerario, una fascia di asteroidi tutt'intorno, oltre cui c'è il pianeta più vicino. Dopo le miniere, si potrebbe dire che la sostituzione di arti sia la nostra industria più grande.» «Gli operai spaziali, però, non sono in sovrannumero,» commentò Killashandra, guardando Rimbol. «Carigana non lo era. Si è spaventata quando il suo cavo di sicurezza si è spezzato - ho l'impressione che sia rimasta nello spazio a lungo prima che la trovassero. Non lo ha detto» e Rimbol sottolineò l'ultima parola -»ma probabilmente è diventata instabile per il lavoro spaziale.» Jezerey annuì con compatimento. «Shillawn?» domandò Killashandra. «Mi ha detto che era un tecnico chimico,» replicò Rimbol. «Il suo progetto era terminato, e gli avevano dato un incarico che non gli piaceva. Sotto terra. Soffre di claustrofobia! Penso che sia questo a renderlo così nervoso.» «E tutti abbiamo un tono perfetto,» disse Killashandra più a se stessa che agli altri, perché le erano tornate in mente le frasi che il Maestro Valdi aveva buttato fuori in tono di accusa, soprattutto quella sul «ragno di silicato». Decise che l'insignificante sospetto non aveva alcun valore. Uno dei giocatori di carte esplose in un'imprecazione e la sua insistente richiesta che tutti i presenti nella stanza facessero da arbitri interruppe la loro conversazione privata. Sebbene Killashandra non prendesse parte all'intensa discussione che seguì, ritenne opportuno concedere la propria presenza a un gruppo con cui avrebbe passato molto tempo. Vide anche che era un gruppo senza nessun'altro fattore in comune oltre l'età - a parte l'invisibile prerequisito del tono perfetto. Tutti sembravano nel terzo decennio; era evidente che la maggior parte aveva appena finito l'istruzione terziaria; non ce n'erano due che provenissero dallo stesso sistema o pianeta. Killashandra restò ai margini dell'allegra e volubile discussione di gioco finché non ebbe finito un altro bicchiere di quell'ottima bevanda fermentata. Poi si ritirò silenziosamente, chiedendosi, mentre si preparava a dormire, in che modo trenta e più persone di così tanti pianeti avessero tutte sentito parlare dei Cantori di Cristallo. Aveva appena finito il suo pasto del mattino, quando un tintinnio lieve e profondo richiamò la sua attenzione verso lo schermo. Era pregata di anda-
re nella sala comune. «Te la sei filata presto,» disse una cordiale voce tenorile alle sue spalle. Si girò e vide Rimbol che si avvicinava, seguito dalla goffa figura di Shillawn. «Ti sei persa tutto il divertimento.» «Chi ha vinto?» domandò, dopo aver fatto un cortese cenno con il capo a Shillawn. «Tutti e nessuno. È stata la discussione a essere divertente!» Il ragazzo dalla testa rossa sorrise. Nel frattempo erano giunti nella sala, e dagli altri corridoi arrivarono in fila gli altri promossi, riformando i gruppi che lei aveva notato la sera prima. Solo Carigana sembrava isolata; era seduta in fondo a uno dei divani e guardava tutti in cagnesco. C'era qualcosa di familiare nell'irosa ragazza, ma Killashandra non riusciva a capire che cosa. In quel momento, dal quarto ingresso entrò zoppicando una donna alta che teneva il lembo sinistro della lunga veste leggermente scostato dalla coscia. Il suo sguardo esaminò rapidamente la stanza, contando, pensò Killashandra, e anche lei fece il suo conteggio. Trentatré. Quale era stato il numero totale dei candidati, si domandò nuovamente, nelle nove settimane in cui Borton aveva aspettato? «Sono Borella Seal,» annunciò la donna con la voce limpida e piena di un contralto esercitato. Killashandra la guardò con maggiore interesse. «Sono un minatore di cristallo, un Cantore di Cristallo. Poiché sono in convalescenza per una ferita riportata nelle Catene, mi è stato chiesto di rivelarvi i pericoli di questa professione.» Alzò la lunga veste e mostrò delle ferite così orrende e profonde che molti indietreggiarono. Come se quella fosse stata la reazione che aveva desiderato, Borella sorrise lievemente. «Vi mostrerò ancora la ferita per uno scopo specifico diverso dal desiderio di destare nausea o compassione. Adesso guardate con attenzione.» Shillawn diede una gomitata a Killashandra, e lei stava per rimproverarlo severamente per un simile affronto, quando capì che il ragazzo voleva attirare la sua attenzione su Carigana. La giovane era stata l'unica ad avvicinarsi a Borella Seal e a chinarsi per osservare da vicino i lunghi squarci che le segnavano la coscia. «Sembra che si stiano rimarginando bene, anche se dovrebbe fasciarli. Come se li è fatti?» Carigana era clinicamente impersonale. «Due giorni fa sono scivolata su uno scisto di cristallo e sono caduta quindici metri più in basso, su una vecchia fronte lavorata.» «Due giorni?» La rabbia colorò la voce di Carigana. «Non le credo. Ho
visto abbastanza tagli da sapere che ferite profonde come queste non si rimarginano in due giorni. Il colore dei lividi e la condizione del tessuto già rimarginato dimostrano che lei si è ferita settimane fa.» «Due giorni. I Cantori guariscono in fretta.» «Non così in fretta.» Carigana avrebbe detto di più, ma Borella Seal le fece segno di allontanarsi e si girò verso gli altri. «Per ordine della Federazione dei Pianeti Senzienti, la piena rivelazione dei pericoli peculiari e inerenti a questa professione deve essere fatta a tutti gli aspiranti che abbiamo superato in modo soddisfacente gli esami iniziali.» Fece loro un cenno di approvazione. «Comunque, le leggi della FPS consentono che i problemi... professionali vengano protetti dall'annullamento. Coloro che ritengono inaccettabile questa pratica, possono ritirarsi.» «Quanto viene annullato?» chiese Carigana. «Precisamente un'ora e venti minuti, sostituiti dal ricordo di una lunga dormita e di una piacevole colazione.» «Documentato?» «Su richiesta, la Corporazione fornisce l'informazione che è stato scoperto un piccolo ma inammissibile difetto fisico. Pochi mettono in dubbio la Corporazione Heptite.» Per qualche ragione, pensò Killashandra, questo fatto divertiva Borella. Il cipiglio di Carigana si era accentuato. «Qualcuno si ritira?» Domandò Borella, guardando verso l'operaia spaziale. Quando nessun altro parlò, la donna chiese loro di sfilare davanti allo schermo che aveva acceso, fornendo il proprio nome e affermando di accettare l'annullamento. Il procedimento non durò a lungo, ma Killashandra sentì di aver compiuto un passo irrevocabile, dal momento che la sua accettazione era stata ufficialmente e indisputabilmente registrata. Poi, Borella li condusse lungo un breve disimpegno verso una porta: Carigana era la prima in fila. Quando superò la soglia, trattenne il fiato e si fermò. Gli altri furono preavvertiti, ma in alcun modo preparati a vedere quello che era in mostra nel breve corridoio. Su entrambi i lati c'erano dei corpi immersi in un liquido limpido e tutti, tranne uno, luccicavano come se fossero stati rivestiti di silicone. I volti sembravano duri come la pietra; arti, dita delle mani e dei piedi erano allungati come se si fossero solidificati, e non per la rigidità della morte. La lucentezza cristallina non poteva essere un trucco della luce, pensò Killashandra, perché la sua pelle non aveva mostrato alcun cambiamento. Quello che le fece voltare lo stomaco fu l'espressione dei volti: tre sembravano essere stati colti dalla morte in
uno stato di pazzia; due sembravano lievemente sorpresi, e la sesta era adirata, con le mani alzate verso qualche oggetto che aveva cercato di afferrare. L'ultimo era il più orrendo: un corpo carbonizzato nell'atto di correre, consumato da una esplosione che aveva sciolto la carne. «Questo succede a chi non è protetto su Ballybran. Potrebbe succedere anche a voi, benché si faccia ogni sforzo per ridurre al minimo questi rischi. Se desiderate ritirarvi adesso, siete completamente liberi di farlo.» «I pericoli esterni non costituiscono una classificazione nel Codice 4,» disse Carigana, in tono d'accusa. «No. Ma questi corpi rappresentano uno dei due pericoli di Ballybran che la Federazione dei Pianeti Senzienti chiede alla Corporazione Heptite di rivelarvi.» «È il peggio che può accadere?» chiese Carigana con disprezzo. «Non erano abbastanza morti?» chiese qualcuno del gruppo. «I morti sono morti: cristallizzati, carbonizzati o putrefatti,» replicò Carigana, stringendosi nelle spalle, in un tono così sottilmente offensivo che Killashandra non fu l'unica ad aggrottare la fronte per l'irritazione. «Sì, ma è il modo di morire che può essere peggiore,» disse Borella con un'espressione così pensierosa che attirò l'attenzione di tutti. Fece loro un lieve sorriso. «Seguitemi.» Il tetro corridoio si aprì su una saletta per conferenze semicircolare. Borella avanzò verso una piccola piattaforma rialzata e fece cenno al gruppo di prendere posto nelle poltroncine, che avrebbero potuto accogliere tre volte il loro numero. Quando si girò a guardarli, alle sue spalle si accese un grande ologramma, una vista del sistema scoriano, che puntò rapidamente su Ballybran e le sue tre lune. Il pianeta e i suoi satelliti si muovevano con velocità sufficiente a dimostrare il particolare Passaggio delle Lune, quando tutt'e tre sincronizzavano per breve tempo le orbite - una sincronizzazione che evidentemente avveniva su parti diverse del pianeta madre. «La cristallizzazione mostrata nel corridoio è il pericolo maggiore su Ballybran. Accade quando la spora simbionte, un silicato di carbonio che ricorre in un ambiente non ortodosso, peculiare di Ballybran, non forma un ponte appropriato tra il nostro sistema biologico basato sul carbonio e l'ecologia di questo pianeta, basata sul silicio. Un siffatto ponte è essenziale per lavorare su Ballybran. Se l'ospite umano si adatta in modo appropriato alla spora simbionte, e vi assicuro che non c'è altro modo per aggirare la questione, l'essere umano sperimenta un significativo miglioramento nell'acutezza visiva, nelle percezioni tattili, nella conduzione nervosa e nell'a-
dattamento cellulare, Il primo adattamento è di immensa importanza per coloro che diventano minatori di cristallo, i Cantori di Cristallo. Sì, Carigana?» «Quale parte del corpo viene invasa dal simbionte? È di natura cristallina o biologica?» «Nessuna delle due, e il simbionte invade i nuclei cellulari in adattamenti successivi...» «Che cosa succede a coloro che non ci riescono?» «Ne parlerò tra breve, se avrete pazienza. In quanto parte del nucleo della cellula, il simbionte colpisce lo schema DNA/RNA del corpo, allungandone considerevolmente la durata della vita. La voce che i Cantori di Cristallo siano immortali è esagerata, ma la longevità funzionale viene decisamente accresciuta di cinquanta e più decenni oltre le norme attuariali. L'adattamento fornisce un'immunizzazione alle normali malattie biologiche, aumenta enormemente la capacità di recupero. Le ossa rotte e le ferite come le mie sono, vi avverto, parte del lavoro quotidiano del Cantore di Cristallo. È anche accresciuta la tolleranza al caldo e al freddo.» E al dolore, senza dubbio, pensò Killashandra, ricordando non solo il test ma l'evidente assenza di dolore in Borella, malgrado le profonde ferite. Alle spalle del Cantore, gli ologrammi raffiguravano visioni del terreno accidentato di Ballybran, rapidamente sostituite dal panorama visto da una delle lune, in modo che i dodici continenti del pianeta fossero visibili in successione. «Un altro dei lati negativi è che, una volta acclimatati su Ballybran e adattati al simbionte, i Cantori diventano irreversibilmente sterili. Il codice genetico viene alterato dall'intrusione del simbionte nei nuclei e le parti della spirale del DNA che trattano l'ereditarietà e la moltiplicazione vengono chimicamente alterate: aumenta la sopravvivenza individuale in contrapposizione alla sopravvivenza della razza. Un'alterazione chimica dell'istinto, se preferite.» Carigana lanciò un'esclamazione di piacere che somigliava a un'espressione felina di gioia. «L'altro fattore negativo, fondamentalmente più importante, è che i Cantori non possono restare troppo a lungo lontani dalla particolare ecologia di Ballybran. Il simbionte deve ricaricarsi nel suo luogo d'origine. La sua morte significa la morte del suo ospite - una morte alquanto spiacevole, perché il decesso per l'estrema vecchiaia avviene in un periodo di tempo inversamente proporzionale all'allungamento della durata della vita del-
l'ospite.» «Quanto a lungo può restare un Cantore lontano da Ballybran, senza subire effetti negativi?» domandò Killashandra, pensando a Carrik e alla sua riluttanza a tornare. «Dipende dalla forza dell'adattamento iniziale, e può variare per periodi fino a un massimo di quattrocento giorni. Ai Cantori non viene mai richiesto di allontanarsi dal pianeta per più di duecento giorni. Duecentoquindici giorni sono ottimi per svagarsi. Sufficienti, vi assicuro, per quasi tutti gli scopi.» Killashandra, che era seduta alle spalle dell'operaia spaziale, vide Carigana tirare il fiato per fare un'altra domanda, ma Borella aveva cambiato l'ologramma per mostrare un essere umano che si contorceva nella morsa della febbre, fin troppo simile all'ipotermia che aveva colpito Carrik. L'uomo venne colto da convulsioni massicce. Mentre venivano inquadrate prima le mani, poi il petto e il volto, nel tempo che occorse agli spettatori per tirare il fiato, si trasformò da atletico giovane nel suo terzo, o forse quarto decennio, in un cadavere disidratato, senza capelli e rattrappito. «Era stato uno dei primi Cantori ad adattarsi con successo al simbionte. Morì, purtroppo, a Weasust, mentre montava una stazione relè al quarzo nero per quel settore della FPS. Era la prima volta che un Cantore si assentava per un periodo prolungato, ma questo pericolo particolare non era stato ancora riconosciuto.» «Lei lo conosceva?» chiese Shillawn con un'intuizione che sorprese Killashandra, perché lei avrebbe voluto chiedere la stessa cosa. «Sì. Fu lui ad addestrarmi,» rispose Borella, freddamente. Killashandra fece qualche calcolo mentale e osservò con sorpresa la pelle perfetta e la figura eretta della loro insegnante. «Quel Milekey è ancora vivo?» chiese Carigana. «No. Morì durante un grave incidente sulla Catena che porta il suo nome.» «Avevo capito che il simbionte vi proteggeva dalle ossa rotte e dalle ferite.» «Il simbionte aumenta la capacità di recupero, ma non può sostituire una testa tagliata su un corpo le cui ferite hanno provocato una perdita totale del sangue. Per danni meno drastici...» scostò la veste dalla gamba sinistra. Il leggero fischio di stupore di Rimbol espresse anche la meraviglia di Killashandra. Tutti loro avevano visto i lividi e le lacerazioni color porpora: adesso le contusioni erano delle chiazze di un giallo paglierino, e le fe-
rite si stavano chiudendo visibilmente. «Che cosa accade a coloro sui quali il simbionte non funziona?» chiese l'imperterrita Carigana. «Lo scopo principale dell'attento esame fisico è stato valutare i fattori di rigetto, il sangue, la salute dei tessuti e gli schemi cromosomici per confrontarli a quelli di coloro che si sono adattati con successo.» Apparve un grafico sullo schermo, le cui linee indicavano un successo crescente negli ultimi tre decenni, mentre si mantenevano più basse in un periodo di trecento e più anni. «I vostri test indicano l'assenza di fattori indesiderabili, valutati sulla base di dati che ormai risalgono a trecentoventisette anni standard. Voi tutti avete le migliori possibilità di raggiungere una completa accettazione da parte del simbionte...» «Le probabilità sono una su cinque.» Killashandra si chiese se Carigana diceva anche che ore fossero con lo stesso tono ostile. «Non più,» rispose Borella, e apparve una luce sulla curva superiore della linea del grafico. «Adesso le probabilità sono superiori a uno su tre. Ci sono ancora fattori non calcolati che causano un adattamento solo parziale. Sono obbligata dalle leggi della FPS a sottolineare quest'aspetto.» «E allora?» «Queste persone si aggiungono, ovviamente, ai 20.007 tecnici,» disse Shillawn. «L'ho chiesto a lei.» Carigana lanciò uno sguardo feroce a Shillawn. «Il ragazzo ha, comunque, ragione.» «E i tecnici non lasciano mai Ballybran,» lo sguardo di Carigana passò da Borella a Shillawn, e fu evidente quale fosse la sua valutazione delle possibilità di Shillawn. «Non senza correre il grave rischio di un ulteriore peggioramento. Le attrezzature su Ballybran sono, però, complete come...» «Solo che non si può più partire.» «Visto che lei non è ancora su Ballybran,» Borella continuò imperturbabile, sebbene Killashandra avesse l'impressione che il Cantore si divertisse a litigare con l'operaia spaziale, «il problema è accademico e può restare tale.» Si girò verso gli altri. «Come stavo per sottolineare, le probabilità sono salite da una su cinque a una su tre. E migliorano costantemente. L'ultima classe ha prodotto trentatré Cantori da trentacinque candidati. «Oltre al problema dell'adattamento al simbionte, indispensabile per l'esistenza su Ballybran, esiste un ulteriore pericolo, di tipo più convenzio-
nale.» Continuò più lentamente, per far assorbire i suoi commenti sulle probabilità. «Il clima di Ballybran.» Lo schermo esplose in scene di mari che si rompevano in onde titaniche, paesaggi dove il tappeto vegetale era stato spappolato. «Ciascuna delle tre lune contiene stazioni metereologiche, e sedici satelliti permanenti osservano costantemente la superficie. «Scoria, la nostra stella primaria, presenta un'alta incidenza di attività delle macchie solari.» Una visione del sole in eclissi comprovò quest'affermazione, mentre bagliori guizzavano da dietro il disco lunare. Una seconda veduta mostrò le macchie scure della stella primaria. «Questa intensa attività, aggiunta alle frequenti congiunzioni delle orbite lunari, la più pericolosa delle quali è, ovviamente, la tripla congiunzione, fanno sì che Ballybran abbia un clima interessante.» Un'esplosione di risate, provocata dall'eufemismo, interruppe brevemente Borella, ma il suo paziente sorriso suggerì che la reazione era prevista. Poi lo schermo mostrò una congiunzione mozzafiato delle orbite lunari. «Quando la situazione metereologica diventa instabile, anche nei limiti della norma di Ballybran, il pianeta è soggetto a tempeste che si sono meritate il soprannome di tempeste di mach. Visto che le Catene di cristallo di Ballybran si estendono verso il basso piuttosto che verso l'alto,» - lo schermo fornì obbedientemente la visione di un veicolo di superficie che attraversava le Catene inferiori a grande velocità - «si porrebbe dedurre che bisogna solo scendere al di sotto della superficie del pianeta per evitare il pieno urto del vento e del maltempo. Una deduzione fatale. Le Catene costituiscono il pericolo peggiore.» Lo schermo passò a una rapida serie di fotografie di persone, le cui espressioni andavano dalla passiva idiozia alla folle violenza. «I venti della tempesta di mach colpiscono il cristallo con tale violenza sonica che un essere umano, anche se perfettamente adattato al suo simbionte, può impazzire per il suono. «I veicoli messi a disposizione ai Cantori dalla Corporazione hanno ogni possibile strumento di preavviso, sebbene il più efficace sia quello situato nel corpo dei Cantori; il simbionte, che è più sensibile ai cambiamenti metereologici di qualsiasi altro strumento creato dall'uomo. A volte l'elemento umano prevale sui sensi acuti del simbionte, e il Cantore diventa impermeabile agli avvertimenti. «Questi danni sono la ragione principale dell'imposta che la Corporazione riscuote da ogni membro attivo. Potete essere sicuri che riceverete le migliori cure possibili, se dovesse capitarvi un incidente simile.»
«Lei ha detto che il simbionte accresce le capacità di recupero per i danni strutturali,» cominciò a dire l'irrefrenabile Carigana. «Una mente malata non è un problema fisiologico. All'interno della sua sfera d'azione, il simbionte è un potente protettore. Ma non è senziente, di conseguenza può riparare i tessuti cerebrali danneggiati, non può influire su quello che l'uomo definisce 'anima'.» In qualche modo, il tono di Borella riuscì a comunicare l'idea che Carigana non possedesse quell'articolo. Killashandra non fu l'unica ad afferrare quella sfumatura, che invece mancò il bersaglio designato. «Come è stato scoperto il simbionte?» domandò Killashandra, decisa a che Carigana non dominasse la seduta. «Dal primo cercatore, Milekey. Lui si adattò con successo alla spora e considerò la malattia di transizione solo un'irritante infezione.» «Non fu l'unico partecipante della spedizione, secondo il fax,» disse Shillawn. «No, sebbene la morte degli altri membri della sua squadra di geologi non fu collegata, sulle prime, a Ballybran. Milekey compì numerose escursioni nelle Catene per esaminare fronti cristalline e tagliare nuovi tipi per valutarli. Collaborò anche a sviluppare la prima efficace tagliatrice. I suoi nastri personali indicano che avvertiva una forte compulsione a tornare frequentemente su Ballybran, ma all'epoca, si pensò che ciò fosse dovuto unicamente al suo interesse verso il cristallo e gli usi crescenti per cui poteva essere utilizzato. Non mise nemmeno in connessione la sua capacità di evitare le tempeste con la presenza del simbionte. «Questo aspetto fu scoperto quando la malattia di transizione colpì un Tagliatore dopo l'altro, lasciando corpi cristallizzati simili a quelli che sono nel corridoio.» «Ce n'era uno carbonizzato,» disse Rimbol, deglutendo per vincere la nausea. «E questo è il terzo pericolo di Ballybran. Per fortuna, non è più frequente di questi tempi, poiché il buon senso e l'istruzione nell'uso dell'equipaggiamento aumentano la protezione. Le Catene di cristallo possono accumulare carichi localizzati sonici e ad alto voltaggio, vicino ai quali le normali unità di comunicazione non funzionano correttamente, né funzionano altri tipi di equipaggiamento elettrico, alcuni dei quali sono necessari per le operazioni. Possono crearsi delle sfere di fuoco. E, malgrado tutte le precauzioni, il Cantore può essere volatilizzato. È un pericolo cui dobbiamo fare cenno.»
«Lei ha detto che coloro che non si adattano bene al simbionte si specializzano in lavori tecnici - ma che cosa costituisce uno scarso adattamento?» chiese Jezerey, appoggiandosi con i gomiti sulle ginocchia. «Il danneggiamento di uno o più dei normali sensi fisici. Ma questo è accompagnato di solito dall'estensione degli altri sensi non danneggiati.» «Quali sensi?» domandò Shillawn e i sottili muscoli della sua gola lavorarono come se avesse problemi a far uscire le parole. «In genere, viene danneggiato l'udito.» Borella sorrise lievemente. «Questa viene considerata una benedizione. Nessuna protezione è stata mai inventata per attutire il frastuono di una tempesta di mach. Spesso la vista si accresce fino a vedere gli ultravioletti o gli infrarossi, con la capacità in alcuni di sentire i campi magnetici. L'accresciuta sensibilità tattile ha messo in grado individui artisticamente dotati di realizzare alcune delle opere più apprezzate dei tempi moderni. Non esiste, però, alcun modo di predire quale forma assumerà il danneggiamento, né quale compensazione avverrà.» «Ha immagini delle vittime?» «Gli handicap sono raramente visibili, Carigana.» «L'handicap, più la sterilità, più il sacrificio su un pianeta battuto dalle tempeste, in cambio della durata della vita notevolmente accresciuta? Tutto questo costituisce il Codice 4?» «Sì. Così siete stati debitamente informati dei rischi e delle alterazioni permanenti alle vostre facoltà chimiche e fisiche. Altre domande pertinenti?» «Sì. Lei ha detto che attualmente ci sono più Cantori. Come incide sul profitto individuale l'aumento di tagliatori nelle Catene?» chiese Carigana. «Non incide,» rispose Borella, «perché la necessità galattica di linee di comunicazione, che si basano solo sul quarzo nero di Ballybran, è in espansione. Non incide, non quando i Cantori sono capaci, veloci e prudenti, non quando ci sono persone come lei, motivate ad unirsi al nostro gruppo selezionato.» Per quanto le sue orecchie fossero abituate alle sfumature del tono vocalico, Killashandra non riuscì a percepire in che modo Borella potesse comunicare un rimprovero così feroce senza alcuna variazione nella tonalità o nel timbro della sua voce. Eppure un improvviso rossore, provocato dall'umiliazione, colorò la pelle abbronzata di Carigana. «Quanto sono frequenti le ferite come le sue?» domandò una ragazza dal fondo della sala.
«Sono molto frequenti,» replicò Borella con allegra noncuranza. «Ma tra un paio di giorni sarò di ritorno nelle Catene». Killashandra afferrò la nota di nostalgia, perché era la prima volta che nella voce contenuta del Cantore si rivelava una certa emozione. «Il canto di cristallo vale tutti questi rischi, allora?» Killashandra sì sentì chiedere. Gli occhi di Borella cercarono i suoi e li tennero, mentre un lieve sorriso le apriva le labbra. «Sì, il canto di cristallo vale qualsiasi rischio.» La forza di quella tranquilla affermazione zittì l'uditorio. «Vi lascerò a discutere la questione tra di voi. Quando avrete deciso, seguitemi.» Si diresse alla porta che era su di un lato della piattaforma. La porta si aprì e si chiuse alle sue spalle con un silenzioso sibilo. Killashandra si girò a guardare Shillawn e Rimbol, notò che gli altri cercavano sostegno nei vicini. Carigana, immersa in un umore cupo, fu intenzionalmente ignorata. Killashandra si alzò in piedi con un'energia che attirò l'attenzione di tutti. «Io ho preso la mia decisione prima ancora di venire qui,» disse. «E, ad ogni modo, non mi spavento facilmente!» Avanzò a grandi passi verso l'uscita. Sentì altri che si muovevano dietro di lei, ma non girò la testa. Una strana esaltazione, con una sfumatura di apprensione e di timore, si impossessò di lei mentre attraversava la porta. Poi fu troppo tardi. Killashandra non era sicura di che cosa si fosse aspettata di trovare dall'altra parte della porta. Aveva immaginato che potesse esserci Borella per vedere quanti non si erano spaventati. Invece, fu sorpresa di trovare dei membri in uniforme del Servizio Civile della EPS, con volti e atteggiamento gravi, come se si trovassero ad un'inumazione o a una disintegrazione. Il funzionario più anziano le fece cenno di seguire la prima persona in fila, un uomo che, a sua volta, le indicò un'altra delle celle che sembravano infestare tutti i livelli della base lunare. Alle sue spalle, sentì qualcuno trattenere il fiato per la sorpresa: un altro candidato che l'aveva seguita. Un tavolo, ricoperto da una piastra, e due sedie occupavano la stanza. Si diresse verso una sedia, ma un cenno del funzionario la fermò. «Bontel Aba Gray, Grado 10, Servizio Civile EPS, Base Lunare di Shankill, Ballybran, data 23/4/3308: il candidato dichiarerà la propria identità all'uscita, dichiarando a voce alta il nome, la posizione e il pianeta di origine.»
Solo dopo aver adempiuto con disgusto alla formalità, Killashandra» ebbe il permesso di sedersi di fronte a Bontel Gray. «È vero che lei è stata sottoposta a test fisici, psicologici e attitudinali, sotto gli auspici della Corporazione Heptite?» «Sì.» «È stata informata dei rischi inerenti alla classificazione nel Codice 4 del pianeta Ballybran?» «Sì.» Si chiese come reagisse Carigana a quell'ulteriore seccatura. Sempre che Carigana avesse attraversato la porta. Gray, poi, la interrogò dettagliatamente sulla conferenza di Borella. Ogni risposta di Killashandra fu registrata - per proteggere chi, si chiese Killashandra. Stava per esplodere, quando l'uomo si fermò. «Lei giura, asserisce e afferma di essere qui di sua spontanea volontà, senza alcun impedimento, senza alcuna subornazione o condizionamento, da parte di una persona o più persone legate alla Corporazione Heptite?» «Lo giuro, lo asserisco e lo affermo.» Il funzionario lanciò un'occhiata alla piastra, che improvvisamente si accese di una luce verde. Gray poggiò entrambe le mani sul tavolo, come se il compimento del suo dovere lo avesse stancato, e si alzò in piedi. «Le formalità sono concluse,» disse con un sorriso contratto. «Che lei possa cantare bene e con profitto.» L'uomo restò immobile mentre lei si alzava e usciva. Ebbe l'impressione, guardandolo con la coda dell'occhio, che lui aprisse il colletto della tunica e che l'espressione del suo volto manifestasse dispiacere nel guardarla andar via. Borella era nella sala principale, con gli occhi fissi sulle porte delle celle quando si aprivano e comparivano le reclute. Killashandra notò che apparve solo un lieve cenno di soddisfazione sul volto della donna, quando tutta la sua «classe» si riunì. «Una navicella è in attesa,» disse, facendo loro strada. «Quando affronteremo la faccenda della spora?» domandò Carigana, superando altri due per raggiungere Borella. «Su Ballybran. Ad un certo punto, ci siamo serviti di un'esposizione artificiale, ma gli effetti erano identici a quelli del processo naturale. In genere, l'infezione ha luogo entro dieci giorni dall'arrivo sulla superficie,» aggiunse prima che Carigana lo chiedesse. «Il processo di adattamento può variare - da uno stato di leggero malessere a una pericolosa febbre. Sarete tutti monitorati, naturalmente.»
«Ma non avete scoperto quali tipi fisici sono più propensi a reagire in maniera violenta?» Carigana sembrava seccata. «No,» rispose gentilmente Borella. Altre domande da parte di Carigana furono prevenute dal loro arrivo davanti al portellone della navicella. Non erano gli unici passeggeri; in effetti, i candidati erano chiaramente i meno importanti, un fatto che ovviamente fece ribollire Carigana. Borella indicò loro di sedersi nella parte posteriore del vascello mentre lei prese posto accanto a un bell'uomo, il cui abito, fatto di pezze di colori violenti, cucite senza uno schema, suggeriva che si trattasse di un Cantore di ritorno dalla licenza. «Hai fatto una buona caccia?» La domanda, posta con una voce strascicata, arrivò alle orecchie di Killashandra mentre passava. Era offensiva, così come l'espressione negli occhi dell'uomo nel guardare le reclute in fila per sedersi. «Al solito,» rispose Borella. «Lo sai che in questa fase non si può mai dire.» Il tono della voce di Borella fece girare Killashandra per guardarla. La profondità e la risonanza erano scomparse, sostituite da una nota più acuta, più stridula, ma compiaciuta. E così l'impressionante distacco del Cantore di successo, che accondiscendeva a parlare dei rischi della sua professione a un pubblico avido e disinformato, era una parte recitata molto bene da Borella. Killashandra scosse la testa per respingere questa deduzione. Le terribili ferite sulla gamba di Borella non erano state una mistificazione. «Cuculo di cristallo?» «Ragno di silicato?» Le accuse del Maestro Valdi erano in parte vere? Beh, era troppo tardi ormai: aveva giurato, asserito e affermato e ogni possibilità di rinnegare era alle sue spalle. Killashandra fissò la cinghia del sedile per il disinnesto in assenza di gravità della navicella dalla postazione lunare. CAPITOLO QUINTO Il viaggio fu breve e tranquillo, così Killashandra ebbe il tempo di riflettere. Il pilota della navicella era una recluta fallita? Quale posizione e grado all'interno della Corporazione era consentita da un adattamento insufficiente? Represse la irritante paura di un fallimento ricordando il grafico, che indicava il recente incremento delle probabilità di successo nella simbiosi. Si distrasse dai suoi tetri pensieri catalogando gli altri candidati.
Decise, in anticipo, di tenersi alla larga da Carigana, come se l'irascibile donna avesse gradito poi un approccio amichevole. Rimbol, d'altra parte, le ricordava piacevolmente uno dei tenori del Centro Musicale, un ragazzo che aveva sempre accettato il fatto che i suoi doni fisici e vocali lo avrebbero reso un cantante e un musicista di second'ordine. A un certo punto, Killashandra aveva disprezzato il ragazzo per quella rassegnazione: adesso desiderava di aver cercato di capire come avesse raggiunto quell'atteggiamento mentale, che forse lei sarebbe stata costretta ad adottare. Si chiese se il tenore non avrebbe fatto meglio a cercare di diventare un Cantore di Cristallo. Perché al Centro Musicale si era parlato così poco di questa applicazione alternativa del tono perfetto e assoluto? Il Maestro Valdi lo doveva sapere, ma il suo unico suggerimento era stato quello di accordare il cristallo, non di cantarlo. Avrebbe voluto distrarsi con il panorama di Ballybran, ma la sezione dei passeggeri non aveva oblò, e lo schermo sistemato al di sopra della murata anteriore restò opaco. Killashandra avvertì l'ingresso nell'atmosfera. Il familiare tremito scosse tutti i passeggeri, e Killashandra avvertì la nausea e il disorientamento dovuti al peso e l'impressione di un suono esterno. Cercò di ricordare lo stampato del pianeta. L'immagine più chiara nella sua memoria era quella della congiunzione delle tre lune, non quella delle masse continentali di Ballybran e la disposizione delle catene di cristallo. Concentrati, concentrati, si disse con furia, nello sforzo di superare gli effetti collaterali dell'ingresso nell'atmosfera. Aveva memorizzato complicati spartiti musicali, che obbedientemente le scorsero nella mente, ma non la geografia della sua nuova patria. Poi sentì i razzi frenanti, quando la navetta cominciò a rallentare. La gravità aumentò, premendole la carne contro le ossa, la faccia, il petto, l'addome, le cosce: una pressione più gradevole, come quella di una veste aderente. La navicella continuò a manovrare e a decelerare. La parte finale di ogni viaggio sembra sempre la più lunga, pensò Killashandra, quando desiderò con impazienza che cessassero le vibrazioni della navicella, il che avrebbe segnalato l'arrivo. Ad un tratto, si rese conto che il suo viaggio era incominciato molto tempo prima, con il suo passivo spostamento sui nastri veloci verso le attrezzature portuali di Fuerte. O era cominciato nel momento in cui aveva sentito il Maestro Valdi confermare il giudizio degli esaminatori sulle sue possibilità di carriera? Il movimento in avanti cessò, e lei sentì la pressione scoppiarle nelle orecchie, quando la porta fu aperta. Inspirò profondamente, accogliendo vo-
lentieri l'aria più fresca del pianeta. «Pensi che sia prudente?» chiese Shillawn dall'altra parte del corridoio. Il ragazzo teneva una mano sul naso. «Perché no? Sono stata troppo a lungo in astronavi e stazioni per non apprezzare l'aria fresca di un pianeta.» «Lui si riferisce al simbionte e alla sua acquisizione naturale,» disse Rimbol, dandole una gomitata nelle costole. Sorrise maliziosamente. Killashandra si strinse nelle spalle. «Prima o poi, dobbiamo farla finita con la spora. Io? Preferisco respirare profondamente.» E lo fece, come lo avrebbe fatto una cantante, dalla pancia, contrasse i muscoli della schiena, indurì il diaframma fino a che anche la gola mostrò la distensione dell'apparato respiratorio. «Cantore?» domandò Rimbol, con gli occhi spalancati. Killashandra annuì, espirando lentamente. «Nessuno sbocco nemmeno per te.» Emise un'esclamazione di disgusto. Killashandra non si diede la pena di contraddirlo. «Si potrebbe pensare,» continuò Rimbol, «che con tutte le analisi e le previsioni al computer, sappiano tutto in anticipo, invece di farci perdere tempo. Quando penso a che cosa...» «Adesso possiamo scendere,» disse Shillawn, interrompendoli con lo strano singulto che caratterizzava il suo modo di parlare. «Mi chiedo quanti musicisti si fanno strada in questa Corporazione a causa di una delusione,» Killashandra mormorò a Rimbol, mentre si avviavano all'uscita. «A causa di una delusione? O di proposito?» domandò il ragazzo, e la spronò ad avanzare, quando lei esitò. Non ebbe il tempo di pensare a quel «di proposito», perché aveva raggiunto la rampa di sbarco ed ebbe la prima visione delle colline verde-porpora di Ballybran da una parte e dei rigidi cubi degli edifici dall'altra. Poi si trovò nell'area di ricezione dove gli effetti personali venivano sollevati su una colonna a gravità zero. «Dopo che le reclute avranno raccolto i bagagli, sono pregate di seguire la... ah... striscia grigio scuro.» Annunciò una voce dalle griglie degli altoparlanti. «L'assegnamento delle camere verrà effettuato nella sala della ricezione. Da questo momento siete la Classe 895 e risponderete ad ogni annuncio preceduto da questo numero. Ripeto, le reclute appena arrivate con la navicella dalla Base Lunare di Shankill sono designate Classe 895. Classe 895, procedete lungo il corridoio segnato con la striscia grigio scuro, per
l'assegnamento delle camere.» «Non porrebbe importargliene di meno, è vero?» disse Rimbol a Killashandra, mentre si infilava sulle spalle il malridotto zaino. «C'è una linea guida.» Killashandra indicò la parete del corridoio che era sull'estrema sinistra. «E Carigana è già più avanti di mezzo anno-luce.» Guardò la figura della ragazza marciare con decisione e scomparire alla vista sulla rampa in salita. «Sorpresa?» chiese Rimbol. «Speriamo di non dover dividere le camere.» Killashandra gli lanciò un rapido sguardo sorpreso. Perfino in qualità di modesta studentessa su Fuerte, lei aveva avuto la sua privacy. Che tipo di mondo era la sua Yarra? Gli altri passeggeri della navicella si erano rapidamente dispersi, Borella e il suo compagno avevano preso la rampa sull'estrema destra, mentre le due rampe centrali avevano ricevuto la massa degli arrivi. «Con tutti i colori disponibili nella galassia, avrebbero potuto scegliere dei segnali più vivaci,» osservò Shillawn, cupo, quando ebbe raggiunto Rimbol e Killashandra. «È distintivo, anche se non colorato,» disse Killashandra, raggiungendo la rampa. «Sebbene questo grigio abbia una particolarità...» e passò la mano sulla linea dipinta. «Ha una trama. È tratteggiato.» «Davvero?» Rimbol toccò la striscia. «Strano.» Carigana era già sparita oltre la prima curva della rampa, ma, per il resto, i tre erano l'avanguardia della Classe 895. Com'era deprimente essere designati con un numero, pensò Killashandra, che, solo qualche settimana prima, si era ritenuta per sempre fuori dalle aule. E se loro erano la Classe 895, e la Corporazione era in funzione da 400 anni standard, quante classi faceva in un anno? Solo poco più di due? E trentatré allievi in questa? Adesso che la prima eccitazione dell'arrivo su Ballybran era scomparsa, Killashandra cominciò a notare altri particolari. La luce sulla rampa, per esempio, era attenuata, ma aveva una chiarezza che lei non aveva mai visto prima. I robusti stivali di Rimbol e le scarpe di Shillawn non facevano alcun rumore sullo spesso materiale elastico che rivestiva il corridoio, ma le sue calzature leggere producevano un lieve fruscio. Toccò di nuovo, con curiosità, la fascia tratteggiata. Superarono numerosi livelli, ciascuno segnato da un colore della scala cromatica dei grigi, e Killashandra ipotizzò che dovesse esserci una ragione per usare quelle gradazioni grigiastre. D'un tratto, la rampa terminava in
una grande stanza, che era ovviamente la sala della ricezione per le reclute e conteneva anche comode unità per sedersi, un complesso di divertimenti, e su di un lato, le cabine audio-visive. Un uomo vestito di grigio spento, di mezza età, con un volto anonimo, si alzò da una delle unità per sedersi e camminò verso di loro. «Classe 895? Il vostro consigliere io sono, Tukolom. Con me resterete finché l'adattamento e l'addestramento non saranno terminati. A me problemi e lagnanze riporterete. Tutti membri della Corporazione noi siamo, ma maggiore per grado io sono, obbedirmi dovete, benché severo o ingiusto non sia.» Il suo sorriso, che voleva essere rassicurante, Killashandra lo capì, a stento gli illuminò gli occhi e in lei non provocò alcun pensiero amichevole, sebbene vide Shillawn restituire il sorriso. «Classe piccola benché questa sia, i vostri alloggi sono qui. Gentilmente lasciare quello che avete portato in una camera di vostra scelta e raggiungermi per mangiare e bere. Cominciare il lavoro domani. Orientarvi in questa attrezzatura oggi.» Fece un cenno verso il corridoio, che era sulla sinistra della sala, dove alcune porte aperte creavano macchie di luce sul tappeto intessuto. «È solo da mettere l'impronta del pollice sulla serratura della porta per avere privacy.» Arrivarono altri durante il discorso di Tukolom, e mentre Killashandra faceva cenno ai compagni di andare verso le camere, lui ricominciava il suo breve discorso per ogni gruppo che arrivava. Rimbol indicò la prima porta sulla sinistra, chiusa e illuminata di rosso per indicare che l'occupante non voleva essere disturbato. Carigana! Con uno sbuffo, Killashandra percorse il corridoio, quasi fino in fondo, prima di indicare a Rimbol e Shillawn quale camera intendesse prendere. Li vide dirigersi verso le due camere che erano ai lati della sua. La ragazza premette il pollice sulla piastra, avvertì la vibrazione quando l'impronta fu registrata, e poi entrò nella camera, il pannello della porta scivolò senza rumore dietro di lei. «Questo alloggio è stato programmato per rispondere a ogni cambiamento nei suoi segnali vitali,» annunciò una voce piacevole, più umana che meccanica. «Lei può programmare le unità alimentari e le unità audiovisive e cambiare ogni arredo che non sia di suo gradimento.» «Io gradisco la privacy,» disse Killashandra. «Programmato,» rispose con indifferenza la voce. «Se la sua salute sui monitor dovesse alterarsi, lei verrà informata.»
«Probabilmente sarò io a informare voi,» mormorò Killashandra tra sé e sé, e fu lieta di non udire risposta. Così va bene, pensò. Lanciò lo zaino sul letto. Qualcuno preferiva sentire una voce rispondere alle proprie riflessioni oziose: lei preferiva la santità del silenzio. Il suo alloggio era buono come le attrezzature per gli ospiti sulla Base di Shankill, niente di sfarzoso ma essenziale: letto, tavolo, sedie, una superficie per scrivere, uno schermo tridimensionale, i soliti terminali audiovisivi, un distributore alimentare adatto alle dimensioni del tavolo, una cabina armadio. L'unità igienica era più grande del previsto, e includeva una profonda vasca. Diede un colpetto al piccolo distributore-fax e osservò l'elenco di tutte le varietà disponibili di lozioni da bagno, sali, fragranze e olii. Più che soddisfatta, Killashandra digitò un profumato bagno schiumoso, a 35 gradi C, e la vasca obbedientemente cominciò a riempirsi. Non ci si sente mai completamente puliti, pensò Killashandra mentre si svestiva, servendosi delle cabine a spruzzo che sono sulle navi e nelle stazioni. Si ha veramente bisogno di immergersi nell'acqua calda per un bagno completo. Si stava asciugando sotto i getti di aria calda, quando Tukolom annunciò che sarebbe stato lieto di incontrare la Classe 895 nella sala per il pasto serale. La strana sintassi di Tukolom sembrava funzionare solo nelle osservazioni spontanee. Fu totalmente assente dal flusso di informazioni che lui comunicò durante il pasto. Inoltre, rifiutò di farsi sviare dalle domande o di essere distolto da Carigana che anticipava i suoi argomenti. Dal momento che era chiaro a tutti, tranne che a Carigana, che era inutile interrompere Tukolom e che la cena offriva una varietà di piatti caldi e freddi, di proteine, vegetali e frutta, la Classe 895 ascoltò e mangiò. Tukolom parlò prima di tutto della sequenza di avvenimenti che li attendeva. Descrisse i sintomi iniziali della malattia simbiotica, che si manifestavano tra il decimo e il trentesimo giorno dopo l'esposizione, e cominciavano con mal di testa, generale indolenzimento ai muscoli, irritabilità, vista annebbiata e udito ridotto. Bisognava riferirgli immediatamente i sintomi e la persona colpita doveva ritornare nella camera assegnata, dove il progredire dell'adattamento poteva essere monitorato. Ogni disturbo sarebbe stato alleviato, senza influire sul decorso dell'intrusione simbiotica. «Quando lo stupro è inevitabile, uh?» l'irrefrenabile Rimbol sussurrò in un orecchio di Killashandra.
Nel frattempo, la Classe 895 avrebbe ricevuto corsi orientativi sulla storia e la geografia di Ballybran, l'istruzione per pilotare il veicolo effettosuolo, conferenze di metereologia e tecniche di sopravvivenza. La classe avrebbe, inoltre, dovuto eseguire compiti all'interno della Corporazione necessari alla preservazione del cristallo tagliato e al restauro delle installazioni dopo le tempeste. Le ore e i giorni feriali erano, in realtà, tali da lasciare ampio spazio allo svago. I membri erano incoraggiati a continuare gli hobby o i passatempi cui, in precedenza, si erano dedicati volentieri. Una volta che i membri erano stati messi in grado di usare i veicoli di superficie, potevano intraprendere qualsiasi viaggio desiderassero, della lunghezza da loro programmata e con l'approvazione del piano di volo da parte del centro di controllo. Erano richiesti uno speciale attestato e un test di abilità per l'uso dei vascelli su acqua. All'improvviso, così come aveva cominciato la sua conferenza, Tukolom concluse. Si guardò intorno con un'espressione di attesa. «Questa è l'installazione principale della Corporazione?» chiese Carigana, inizialmente colta di sorpresa. «L'area principale di addestramento, sì, questa è. Situata sulla più grande massa continentale, sulla quale sorgono le più grandi Catene produttive di cristalli, Milekey e Brerrerton. La struttura è situata sull'altopiano di Joslin, protetta dai rilievi di Mansord a nord, dall'interruzione di Joslin a sud, ad ovest dal Mare Bianco e ad est dalla Lunga Pianura. Di conseguenza, l'installazione è generalmente protetta dal peggio delle tempeste di mach grazie alla sua fortunata posizione.» Tukolom aveva una memoria perfetta, decise Killashandra: un'unità ambulante di recupero dati. Rimbol doveva aver raggiunto una conclusione simile, perché quando i suoi occhi incontrarono quelli di lui, vi videro un divertito luccichio. Shillawn, però, continuava a sembrare impressionato dai modi enciclopedici dell'uomo. «Quanti altri insediamenti ci sono?» domandò Borton. «Imparare la lezione di domani oggi una buona idea non è,» dichiarò solennemente Tukolom. Poi evitò ulteriori domande uscendo dalla sala. «Gli aurigani sono impossibili,» annunciò Carigana, guardando accigliata Tukolom che si allontanava. «Sempre dogmatici, autoritari. Non potevano trovare qualcun altro adatto come insegnante?» «È perfetto,» rispose Rimbol, drizzando la testa nel guardare Carigana. «Ha una memoria perfetta. Che cos'altro potresti chiedere ad un insegnante?»
«Mi chiedo...» cominciò Shillawn, balbettando leggermente, «se l'avesse prima di... venire qui.» «Non hai sentito quella Borella?» domandò Carigana. «La maggior parte degli handicap sono sensoriali...» «Almeno la sua sintassi migliora quando ricorda.» «Tutte le altre specie umane della galassia, e alcune nemmeno tanto umane,» continuò imperterrita Carigana, «se la cavano con l'interlingua, tranne il gruppo aurigano. È un'illusione da parte loro. Chiunque può imparare correttamente l'interlingua.» Faceva oscillare violentemente una gamba, mentre gli angoli della bocca le tremavano per l'irritazione, e le palpebre le battevano di continuo. «Tu da dove vieni?» chiese Rimbol innocentemente. «Privacy.» Pronunciò aspramente la parola. «Come vuoi, cittadina,» rispose Rimbol, e le volse la schiena. Anche questo era un insulto, ma non un'invasione della Privacy, perciò Carigana dovette accontentarsi di guardarsi intorno con occhio torvo. La Classe 895 distolse gli occhi, e con un'esclamazione di disgusto, Carigana se ne andò. L'operaia spaziale aveva avuto un effetto raggelante su tutto il gruppo, perché improvvisamente tutti cominciarono a parlare. Fu Rimbol a digitare l'ordinazione della prima bibita, lanciando un grido d'entusiasmo. «Hanno la birra di Yarra! Ehi, venite a provare una vera birra!» Incitò tutti a unirsi a lui e dopo poco servì tutti, se non con la birra di Yarra che sollecitava a bere, almeno con qualche bevanda poco alcolica. «Possiamo non lasciare mai più questo pianeta,» disse a Killashandra quando la raggiunse, «ma di certo lo rendono confortevole e familiare.» «Una restrizione è una restrizione solo perché sai che esiste,» disse Killashandra. «Non sono le sbarre di ferro a fare una prigione,» aggiunse, ripescando inaspettatamente un vecchio detto. «Prigione? È arcaico,» disse Rimbol con uno sbuffo. «Stasera divertiamoci!» Era difficile resistere all'esuberanza di Rimbol, e a Killashandra non interessava farlo. Voleva abbandonare l'umore scettico, sia perché non voleva imitare Carigana sia per liberare la mente dalla depressione. C'era qualcosa di vero nelle lamentele dell'operaia spaziale, ma per quanto sapesse di essere brusca, anche Killashandra avrebbe fatto con più tatto quegli appunti. Naturalmente, la ragazza si trovava in una crisi psicologica, in base a quello che Rimbol sapeva di lei. Come era riuscita a superare quella parte degli esami preliminari della Corporazione? Ancora più importante, se Ca-
rigana disprezzava tanto la Corporazione, perché aveva chiesto di entrarvi? Le conversazioni le turbinavano piacevolmente intorno, e lei cominciò ad ascoltare. Le reclute venivano dai più svariati ambienti e specializzazioni, ma a tutti quanti, pronti a riuscire in una professione altamente specializzata, era stato negato il successo all'ultimo momento. Era solo una coincidenza che tutti loro si erano imbattuti nella Corporazione Heptite per una carriera alternativa? Killashandra trovò che la conclusione non era valida. C'erano centinaia di pianeti umani, basi lunari e strutture spaziali che offrivano impieghi alternativi a tutti, cioè, a tutti tranne che a lei e a Rimbol. In realtà, i due musicisti avrebbero potuto probabilmente intraprendere lavori temporanei nei loro campi originari. Una seconda obiezione era che, trentatré persone erano un fattore infinitesimale nella vasta moltitudine che non aveva un lavoro nelle immediate vicinanze. I contingenti coloniali assorbivano sempre specialisti, e si poteva sempre guadagnarsi un biglietto di astronave di sola andata per trovare un migliore mercato del lavoro. Trovò le proprie riflessioni un po' inquietanti, ma come avrebbe potuto essere compiuto un reclutamento così astuto? Certamente, nessuna curva di probabilità avrebbe potuto prevedere che lei incrociasse la strada di Carrik allo spazio-porto di Fuerte. La decisione di lui era stata stravagante, e non avrebbe potuto esistere nessun sistema per sapere che i suoi vagabondaggi senza scopo l'avrebbero portata allo spazio-porto. No, il fattore della coincidenza era esagerato. Restò qualche altro momento per terminare la birra di Yarra che Rimbol l'aveva convinta a provare. Il ragazzo stava raccontando una qualche intricata storiella a cinque, sei di loro. Non più timido e balbettante, Shillawn, dopo aver bevuto un alcolico, parlava attentamente con una delle ragazze. Jezerey era mezza addormentata, benché cercasse di tenere gli occhi aperti. Intanto Borton discuteva di qualcosa con la recluta più anziana, un uomo bruno, originario di Amodeus VII. Aveva il brevetto di second'ufficiale sulle rotte spaziali profonde e l'abilitazione in radiologia. Forse la Corporazione aveva bisogno di un altro pilota di navicella più che di minatori di cristallo. Killashandra avrebbe voluto ritirarsi con eleganza. Non aveva l'intenzione di fare con questo gruppo gli stessi errori che aveva fatto al Centro Musicale. Carigana aveva già destato antipatia con il suo inaccettabile comportamento, perciò Killashandra aveva un esempio che non voleva seguire. Poi colse lo sguardo di Jezerey mentre la ragazza faceva un grande
sbadiglio. Killashandra sorrise e le fece cenno con la testa in direzione delle camere. «Voi potete parlare tutta la notte, se ne avete voglia,» disse la ragazza nell'alzarsi, «ma io andrò a letto, e così farà Killashandra. Arrivederci a domani mattina.» Poi, mentre le due ragazze raggiungevano il corridoio, aggiunse, «Non volevo altro che una scusa. Buona notte.» Killashandra rispose al saluto e, una volta nella sua camera, diede con gioia l'ordine di garantirle la privacy fino al mattino. Uno strano bagliore alla finestra attrasse la sua attenzione. Spense la luce della camera, che si era accesa al suo ingresso. Poi trattenne il fiato alla vista delle due lune: la dorata Shankill, grande e in apparenza più lontana di quanto non fosse: subito al di sopra di essa, come appesa ad un raggio completamente diverso, la minuscola luminescenza verde chiaro di Shilmore, la luna più interna e più piccola. Era abituata a un cielo notturno con più satelliti, ma, in qualche modo, quel cielo era insolito. Benché Killashandra non si fosse mai allontanata da Fuerte prima di incontrare Carrik, aveva avuto tutte le intenzioni di viaggiare molto in tutta la galassia, come avrebbe fatto una solista di qualsiasi livello. Forse era perché avrebbe potuto vedere solo quelle lune per il resto della vita che acquistarono per lei una radiosità particolare. Si sedette sul bordo del letto a guardare la loro elegante ascesa, finché Shilmore sorpassò la compagna maggiore e scomparve alla sua vista. Poi andò a letto e dormì. La mattina dopo, lei e le altre reclute appresero l'organizzazione della Corporazione e furono indirettamente informate che quanto più alto era il livello, più bassa era la condizione. Ebbero una veloce introduzione alla geologia di Ballybran e cominciarono a studiare la sua complessa metereologia. I problemi cominciarono a metà del pomeriggio, quando, per creare un diversivo dopo la metamatematica, agli studenti furono forniti alcuni particolari sullo Statuto della Corporazione Heptite. Rimbol mormorò che la Corporazione era maledettamente dispotica per essere un membro della Federazione dei Pianeti. Shillawn, dopo aver deglutito, biascicò qualcosa sul recupero dati e le istruzioni. Occorsero alcuni momenti prima che l'importanza della sezione che trattava imposte, tasse e addebiti fosse pienamente compresa. Con un crescente senso di indignazione, Killashandra apprese che dal momento in cui aveva giurato come recluta nella base lunare, la Corporazione le addebita-
va tutti i servizi resi, compresa una tassa di trasferimento dal satellite al pianeta. «Ci addebitano anche le maledette spore dell'aria che respiriamo?» domandò Carigana, che fu naturalmente la prima a trovare la voce dopo lo shock iniziale. Una volta tanto, aveva il totale appoggio degli altri. Con una fine esibizione di insulti, sfogò la sua rabbia su Tukolom, il rappresentante visibile di quella Corporazione che aveva profittato della loro buona fede, come dichiarò con veemenza. «Detto vi era stato,» replicò Tukolom, alzando inaspettatamente la voce al di sopra della sua. «Disponibili per voi erano i dati a Shankill. Lo statuto nei dati è.» «Come facevamo a sapere che dovevamo chiederlo?» ribatté Carigana, la cui rabbia era stata infiammata da quella risposta. «Questa ineffabile Corporazione mantiene i propri segreti così bene, che non si è portati ad aspettarsi risposte dirette a domande dirette!» «Pensare di certo avreste potuto,» disse Tukolom, sereno e con un'ironia che sorprese Killashandra. «Gli addebiti delle spese di mantenimento sono...» «In nessun altro posto della galassia gli studenti pagano per il proprio mantenimento...» «Studenti non siete.» Tukolom era irremovibile, «Membri della Corporazione voi siete!» Nemmeno Carigana riuscì a trovare una rapida risposta a queste parole. Si guardò intorno infuriata, con gli occhi fiammeggianti che pregavano che qualcuno replicasse. «Ci avete messo in trappola, non è vero?» Sbottò. «In trappola in tutto e per tutto. E noi ci siamo gentilmente entrati.» Si lasciò cadere sull'unità per sedersi, con le mani abbandonate lungo le gambe. «Una volta addestrati, il salario è di gran lunga superiore alla media galattica,» annunciò diplomaticamente Tukolom, nel silenzio che seguì. «La maggior parte dei debiti saranno pagati entro il secondo anno. Poi... ogni desiderio sarà soddisfatto. Potrete ordinare qualsiasi cosa da qualsiasi posto nella galassia.» Fece un sorrisetto di incoraggiamento. «Il credito della Corporazione è valido dovunque per qualsiasi cosa.» «Non è una grande consolazione, se si è inchiodati su questo pianeta per tutta la vita,» ribatté Carigana con un ringhio. Una volta assorbito lo shock iniziale, Killashandra fu disposta ad ammettere che il metodo della Corporazione era corretto. I suoi membri do-
vevano essere fomiti di appartamento privato, cibo, abiti, necessità personali e cure mediche. Alcuni professionisti, soprattutto i Cantori, avevano ulteriori spese iniziali per l'equipaggiamento. Il costo del veicolo usato dai Cantori di Cristallo nelle Catene era sbalorditivo; anche la tagliatrice sonica, che doveva essere accordata a chi la usava, era costosa e una varietà di altri oggetti, il cui uso non le era ancora noto, costituiva l'attrezzatura di base dei Cantori. Ovviamente, il miglior lavoro su Ballybran era quello del Cantore di Cristallo, anche se la Corporazione tassava del 30 per cento il cristallo tagliato e prodotto. Notò con attenzione la parola prodotto, e si chiese se nella banca dati avrebbe potuto trovare una sezione lessicale dove si definivano le parole nel senso preciso inteso su Ballybran. L'interlingua era abbastanza accurata, ma ogni professione ha termini che suonano familiari, sembrano innocui e sono pericolosi per chi non è ancora ben introdotto. Una grande varietà di manodopera qualificata supportava il lavoro dei Cantori nelle Catene: si occupava dei veicoli, degli edifici, della stazione spaziale, della ricerca, delle strutture mediche, e dell'amministrazione di tutto questo. Ventimila tecnici essenziali a far lavorare circa quattromila Cantori, e questo gruppo molto elitario veniva in qualche modo reclutato nella galassia. La discussione sulla trappola, come Garigana insisteva con veemenza a chiamarla, continuò molto dopo che Tukolom se n'era andato. Killashandra osservò l'insegnante districarsi abilmente dal centro dell'esplosione, quasi incoraggiando Carigana a diventare il punto focale, poi lo vide allontanarsi furtivamente lungo un corridoio. Aveva fatto in modo da poter scomparire, pensò. Poi Killashandra cominciò a irritarsi, perché lei e il suo gruppo stavano reagendo in maniera prevedibile. Una cosa era avere un direttore di scena che ordina come muoversi sul palcoscenico, una cosa completamente diversa era essere manipolati nella propria vita. Aveva pensato di essere libera da un controllo palese, di conseguenza provò un impeto di rabbia. Inveire, come stava facendo Carigana, non risolveva niente, tranne che offrire uno scarico immediato di energie che potevano essere usate per uno scopo migliore. Ignorando la continua arringa di Carigana, Killashandra si diresse silenziosamente verso un piccolo terminale e chiese di esaminare lo Statuto. Dopo un breve stadio, si allontanò dalla macchina. Non c'era nessun mezzo legale con cui si poteva rinunciare a essere membri della Corporazione Heptite, tranne che con la morte. Perfino durante le malattie, fisiche o
mentali, la Corporazione aveva un'autorità completa e protettiva su ogni membro che aveva giurato, asserito e affermato. Adesso apprezzava i funzionari della FPS e l'elaborata trafila. D'altra parte, le era stato detto; avrebbe potuto ritirarsi dopo la piena rivelazione, se non fosse stata così ansiosa di contraddire il Maestro Valdi e provare ad Andurs che sarebbe riuscita a diventare un Cantore di Cristallo. La sezione sulle responsabilità della Corporazione verso il singolo membro era chiara. Killashandra vi notò precisi vantaggi, inclusi quelli che l'avevano attirata su Ballybran. Se fosse diventata un Cantore di Cristallo... Preferiva «Cantore» alla banale definizione del lavoro, data dalla Corporazione, «Tagliatore». «Sempre ottimista, Killa?» le chiese Rimbol. Doveva stare alle sue spalle da un po' di tempo. «Beh, preferisco questo ruolo al suo.» Inclinò la testa nella direzione di Carigana. «Sbatte la testa contro il muro per rompere un contratto che ci avevano avvertito era irrevocabile.» «Credi che contino sul fatto che siamo ostinati per natura?» «È ovvio che hanno degli psicologi tra i membri.» Killashandra rise. «Si vuole quello che non si può o non si deve avere o ci è negato. La natura umana.» «Saremo ancora umani dopo la simbiosi?» Si chiese Rimbol a voce alta, piegando la testa da un lato, con gli occhi socchiusi per la concentrazione. «Non saprei dire se mi piacerebbe avere Borella come amica intima,» cominciò Killashandra. «Nemmeno io.» la risata di Rimbol era contagiosa. «A bordo della navicella, l'ho sentita fare un commento molto umano, molto sprezzante.» «Su di noi?» «In generale. Ma Carrik a me piaceva. Sapeva come godere delle cose, perfino delle sciocchezze, e...» Rimbol le toccò un braccio, e il bagliore dei suoi occhi azzurri le ricordò lo sguardo di quelli di Carrik quando si erano conosciuti. «I paragoni sono odiosi ma... vuoi stare con me?» Killashandra lo guardò più a lungo, con più attenzione. L'allegria e l'aspetto ingenuo, la socievolezza, erano attentamente coltivati per controbilanciare gli insoliti colori. L'espressione sul suo volto, il calore dei suoi occhi e del sorriso, e il tocco gentile della mano sul suo braccio produssero un notevole cambiamento nel suo atteggiamento nei confronti di lui. «La Privacy è garantita tra i membri della stessa condizione.» La voce
del ragazzo era scherzosa e Killashandra non aveva alcuna voglia di resistere alla tentazione. Con la voce stridente di Carigana nelle orecchie, si allontanarono inosservati lungo il corridoio verso la stanza della ragazza e godettero di una Privacy assoluta. La mattina dopo Tukolom schierò la Classe 895: alcuni allievi erano decisamente al peggio, dopo una notte di bevute. «Borton, Jezerey, e anche Falanog, qualificati voi siete già per i veicoli di superficie e per le navicelle. Prendere il tesserino da pilota al Controllo del Volo al primo livello. Seguite la striscia grigia, girate a destra due volte, incontrate il Membro della Corporazione, Danin. Il resto della classe con me verrà.» Tukolom si avviò senza girarsi per vedere se veniva seguito, ma la classe, imbronciata o solo rassegnata, obbedì. Shillawn si infilò tra Killashandra e Rimbol. «Ho fatto i conti,» disse con il suo caratteristico singulto. La sua ansia di piacere era così intensa che Killashandra gli chiese che cosa avesse calcolato. «Quanto verrà a costare il tutto, finché non cominceremo a guadagnare crediti. E... e quanto è il credito più basso. Non è male, davvero. La Corporazione addebita i costi e non aggiunge tariffe per il trasporto e per ordini speciali.» «Dopo averci fatti arrivare qui, non la finiscono di ingannarci ancora, uh?» «Beh,» e Shillawn dovette trascinare goffamente i piedi per mantenere una posizione in cui le sue parole sarebbero state sentite solo da Rimbol e da Killashandra, «È giusto.» Rimbol si strinse nelle spalle. «Allora, qual è il salario più basso nella Corporazione? E quanto ci vorrà per pagare quello che abbiamo accumulato solo respirando?» «Beh,» Shillawn sollevò il taccuino, «il salario più basso è quello degli assistenti ristoratori che ammonta a tremilacinquecento crediti più una sistemazione di terza Classe, indennità per l'abbigliamento e duecento unità di lusso per anno standard. A noi addebitano una sistemazione a livello base, il viaggio sulla navicella ci costa solo quindici cr., ma ogni alimento insolito preso dai distributori - eccetto due coppe di bibite fino al quarto Grado - è addebitato sul conto personale. Perciò, se non mangi cibi esotici e non bevi forte, ti libererai dei debiti iniziali in circa...» Shillawn dovette saltellare dietro di loro, perché mentre guardava il taccuino, aveva perso il
passo, «in sette mesi, due settimane e cinque giorni standard.» Rimbol colse lo sguardo di Killashandra e la ragazza si accorse che il giovane di Yarra aveva difficoltà a trattenere un sorriso. «Perché hai preso in considerazione solo il membro con il salario più basso, Shillawn?» chiese, cercando di avere una voce ferma. «Beh, era più pratico.» «Vuoi dire che non hai calcolato nessuno dei gradi più alti?» «Il più pagato è il Maestro della Corporazione, ma quest'informazione non è disponibile.» «Ci hai provato?» Adesso fu il turno di Killashandra di saltellare per non farsi sorpassare dalle lunghe gambe di Shillawn. «Volevo solo vedere quali aree sono aperte ad un membro medio...» «Fino a quale livello sei riuscito a recuperare i dati?» «Questa è la parte migliore,» Shillawn sorrise loro con gioia. «Il livello successivo al Maestro della Corporazione è il Tagliatore di Cristallo... voglio dire, Cantore. Solo che il credito varia in maniera troppo irregolare, poiché dipende da quanto cristallo utilizzabile produce il Cantore.» «Se i Cantori di Cristallo sono i secondi, chi occupa il terzo livello?» «Il Capo delle Ricerche, il Capo del Controllo e il Capo del Marketing. Hanno tutti la stessa paga.» «Quanto credito all'anno?» «La loro paga base è di 300.000 crediti all'anno, più vitto e alloggio, divertimenti, viaggi e indennità personali 'da definire'.» La cifra di base fu sufficiente a provocare un fischio di ammirazione in Rimbol. «E immagino che tu, naturalmente, diventerai Capo del Controllo,» disse una voce nuova e i tre amici capirono che Carigana aveva ascoltato. Shillawn arrossì nel sentire il sarcasmo della ragazza. «E tu sarai il capo della sezione insulti e deliri,» disse Rimbol, insolitamente aspro, con gli occhi azzurri che manifestavano antipatia. Carigana gli diede un colpetto con l'unghia del pollice e li superò a grandi passi, con la testa alta e le spalle e la schiena rigidamente eretti. «Ogni simpatia che provavo per quella donna sta lasciando velocemente il posto a un'antipatia totale, » disse Rimbol, facendo un gesto ancora più offensivo alle spalle dell'operaia spaziale. Con vantaggio sul resto della Classe 895, Carigana fu la prima ad arrivare al deposito dei veicoli effetto-terra, ma dovette aspettare finché l'ufficiale di volo non ebbe registrato tutti e trenta. Furono portati in una gran-
de sezione di un gigantesco hangar che ospitava tre veicoli posti sugli stand di simulazione: un planante, il veicolo generale di lavoro, che si adattava a variazioni di atmosfera e di gravità e poteva essere guidato anche da un bambino. Una sola barra controllava la marcia avanti, la marcia indietro e i movimenti laterali. Il planante non raggiungeva una grande velocità, ma i suoi cuscini ad aria solcavano con la stessa efficienza la terra, l'acqua, la neve, il fango, il ghiaccio, la sabbia e la roccia. Il suo propulsore si adattava a una gran quantità di combustibili e di fonti di energia. Il secondo stand simulava una aeroslitta; non era rozza come implicava il suo nome ed era capace di una notevole velocità e manovrabilità. Era la nave delle lunghe distanze, il veicolo ufficiale dei Tagliatori di Cristallo, capace di consegnare merci e passeggeri in qualsiasi punto di Ballybran. Il terzo simulatore era una navicella per il satellite, che fece spalancare gli occhi a Rimbol per lo stupore, ma che Killashandra sperò sinceramente di non dover mai pilotare. Benché si annoiassero tutti ad aspettare il proprio turno, Killashandra non ebbe problemi con la simulazione sul planante. La slitta era più complessa, ma le sembrò di essersela cavata bene, anche se aveva certamente bisogno di molta pratica prima di volare su una qualsiasi distanza. «Sai chi non ha superato la prova sul planante?» chiese Rimbol, che l'aveva raggiunta mentre lei usciva dalla aeroslitta. «Shillawn?» Ma poi vide il nervosissimo ragazzo ancora in attesa, in fila. «No. Carigana!» «Come è possibile non essere capaci di pilotare un planante?» «Il planante ha bisogno di una mano leggera.» Il sorriso di Rimbol era malizioso. «Carigana è abituata allo scafandro spaziale. Non hai mai notato che gira sempre tutto il corpo per guardarti in faccia? Dipende dal fatto di avere indossato così a lungo il servomeccanismo. Ecco perché i suoi movimenti sono a scatti ed eccessivamente precisi. Anche le sue reazioni sono eccessive. Come tutti sappiamo. Ehi, faremmo meglio ad affrettarci. L'Istruttore Tukolom,» e Rimbol sorrise al titolo con il quale l'ufficiale di volo si era rivolto al loro insegnante, «dice che dobbiamo ritornare nella sala di addestramento per le incantevoli conferenze pomeridiane.» Carigana avrebbe potuto tranquillamente galleggiare nello spazio profondo in uno scafandro servomeccanico, tanta fu l'attenzione che prestò alla recita di Tukolom sul trattamento e l'imballaggio dei cristalli tagliati.
L'insegnante informò la Classe 895 che dovevano prestare grande attenzione a quei procedimenti, visto che uno dei loro primi compiti ufficiali per la Corporazione sarebbe stato preparare il cristallo per l'esportazione. Mentre parlava - Tukolom rammentò loro - i Tagliatori di Cristallo erano nelle catene, approfittando il più possibile del clima mite della primavera e degli aspetti favorevoli delle lune. Quando i Tagliatori sarebbero ritornati, la Classe 895 avrebbe avuto il privilegio di fare la sua prima esperienza nel maneggiare il cristallo, in tutta la sua infinita varietà... e valore. La reverenza con cui Tukolom fece l'annuncio, mostrò a Killashandra un nuovo e inaspettato tratto dell'istruttore, peraltro privo di umorismo. Il cristallo colpiva anche coloro che non lo cantavano? Da quanto tempo Tukolom era un membro della Corporazione? Non che lo volesse veramente sapere. Era solo incuriosita dalla sua insolita gioia nel trattare, tra tutti i noiosi soggetti, l'imballaggio del cristallo. Non appena Tukolom terminò la conferenza, lei mormorò a Rimbol che sarebbe tornata dopo poco e se ne andò in camera. Estrasse la consolle e digitò il numero dell'Ufficio Volo, chiedendo l'uso di un planante per rilassarsi. Il video le confermò che avrebbe potuto usare il veicolo targato VZD7780 per due ore, limitatamente a uno spostamento via terra. Quando uscì dalla camera, fu sollevata nel vedere la porta di Rimbol aperta. Era ancora nella sala, perciò represse la vaga inquietudine che provava nell'andarsene di nascosto dal ragazzo. La sua prima visita alle Catene di cristallo era un'esperienza da compiere da sola. Inoltre, se Rimbol e Shillawn non riuscivano a immaginare come ottenere un permesso, non lo meritavano nemmeno. Il vasto complesso dell'hangar era misteriosamente vuoto. Una leggera brezza soffiava attraverso le guide vuote delle aeroslitte dei Cantori, quando Killashandra si affrettò verso la sezione dei plananti. Il motore di una aeroslitta inaspettatamente andò su di giri e il rumore le fece fare un balzo di qualche centimetro al di sopra della superficie di plasticemento; poi vide un gruppo di meccanici dalla parte opposta dell'edificio, dove le luci mostravano la sezione dei propulsori delle slitte. Infine, Killashandra trovò la guida VZD e il natante che le era stato assegnato all'inizio della sezione dei plananti. Il veicolo era graffiato dalla sabbia, sebbene la bolla di plastivetro fosse relativamente intatta. Vi montò, fece uscire attentamente il planante dalla guida, e procedette lentamente fuori dall'hangar. «Il pilota può guidare solo nella zona segnata sulla carta di volo,» an-
nunciò una voce meccanica; alla sua sinistra, si accese un quadrato opaco che mostrava una vista dell'altopiano di Joslin e del complesso della Corporazione da cui si stava allontanando un puntino luminoso, il suo veicolo. «Il pilota acconsente.» «L'allarme per il maltempo deve essere seguito da un immediato ritorno all'hangar. Attualmente, il clima è limpido e mite: non c'è nessun avviso di tempesta in corso.» Quando lasciò l'hangar, notò tre figure uscire dalla rampa. Ridacchiò: lei era stata la prima ad avere il planante. Non voleva essere seguita, perciò spinse la barra di controllo in avanti, alla massima velocità. La carta di volo si interrompeva ai margini della Catena di Milekey, a nord-est, ma abbastanza vicino da vedere per che cosa lei aveva dato la propria vita. D'improvviso Killashandra sentì l'esigenza di stare ai confini di quel suo possibile futuro; esservi vicina; renderlo più vivido delle lezioni recitate a memoria da Tukolom; capire perché Borella avesse sorriso di nostalgia. Al vecchio planante non piaceva essere spinto alla massima velocità e vibrava sgradevolmente. Nessuno dei quadranti delle funzioni era rosso, allora Killashandra ignorò i tremiti e continuò a tenere la rotta verso nordest. La Catena di Brerrerton sarebbe stata più vicina, sempre diritto verso sud, ma Milekey era la Catena che Carrik citava più spesso, e la sua scelta era stata inconsciamente influenzata da lui. Beh, gli altri si sarebbero diretti sicuramente verso la Catena più vicina, il che era un bene per lei. Una volta che ebbe superato la prima collina, Killashandra vide la sagoma indistinta della Catena, che di tanto in tanto rifletteva il sole al tramonto. Al di sotto di lei, i monotoni cespugli grigio-verdi e il tappeto vegetale di Ballybran scorrevano senza cambiamenti. Esterni monotoni nascondono spesso tesori. Chi avrebbe mai pensato che Ballybran valesse più di mezzo credito? Ricordò il modello del pianeta che Borella aveva mostrato loro su Shankill. Era come se delle mani cosmiche avessero preso il mondo e l'avessero premuto, in modo che la materia interna, più morbida, uscisse dalla crosta, formando le frastagliate catene che contenevano il cristallo, e poi capricciosamente le stesse mani avessero cavato le sfere deformate e avessero spinto le creste verso l'interno. La pianura lasciò il posto a una serie di profonde gole che in una stagione più umida potevano diventare dei torrenti. Il primo dei rilievi frastagliati coincideva con il bordo della sua carta, perciò Killashandra fermò il planante sul promontorio più grande e uscì. Su entrambi i lari e davanti a lei, si stendevano le pieghe del pianeta,
ciascun cimale sbucava da una gola o a pochi metri più in alto di quello precedente. Schermandosi gli occhi con le mani, si sforzò di vedere una traccia dello scintillante cristallo che era l'unica ricchezza nascosta di quel pianeta poco invitante. Il silenzio era quasi assoluto, solo un sussurro, un vento che soffiava attraverso l'atmosfera, ma attraverso le rocce che erano sotto i suoi piedi. Uno strano suono da sentire in quel modo, come se i suoi calcagni rispondessero a una vibrazione con la quale le acute orecchie, in ascolto, non fossero sintonizzate. Pur senza capire l'impulso a mettere alla prova quello strano silenzio, Killashandra inspirò profondamente l'aria e la emise con un puro MI. L'eco le riportò quella singola nota alle orecchie e attraverso i calcagni; la risonanza affluì alle sue terminazioni nervose e, quando il suono si spense, lasciò una sensazione piacevole che le accarezzò il sistema nervoso. Restò in trance, ma esitò a ripetere l'esperienza, perciò si dedicò ad esaminare le modeste collinette di fango. Adesso era disposta a credere a quello che aveva detto Carrik e credeva altrettanto ai rischi inerenti. Le due facce del canto del cristallo erano legate: il bene e il male, la difficoltà e l'estasi. Escluse l'idea di inoltrarsi nella Catena. Il buon senso le disse che tutto il cristallo delle immediate vicinanze doveva essere stato prelevato da molto tempo. Una limitazione più pratica fu l'ammissione di Killashandra che sarebbe stato facile perdersi oltre la monotonia stranamente rassicurante della pianura e la vista del Mare Bianco. Comunque, volò lungo la prima cresta, tenendo sempre la pianura in vista e ai margini della sua carta di volo. Le colline ondulate la affascinarono come mai le era accaduto con i più recenti anticlinali e le sporgenze di Fuerte. Le Catene di Ballybran tentavano, attraevano, allettavano, celando la ricchezza prodotta da forze titaniche che ribollivano nel nucleo fuso del pianeta: una ricchezza creata dai bisogni tecnologici di una popolazione galattica in continua espansione e trovata su di un mondo antico con nessun altra risorsa che lo rendesse invitante. Questa era sempre la via della tecnologia: prendere qualcosa privo di valore e convertirlo in ricchezza. Infine, Killashandra girò il planante verso il Complesso della Corporazione. Aveva rinvigorito la sua decisione di diventare un Cantore, decisione che era stata alquanto raffreddata da Tukolom e dal metodo didattico che ignorava sottilmente l'obiettivo principale delle reclute: diventare un Cantore di Cristallo. Riusciva a capire perché agivano in quel modo: fin-
ché la simbiosi non fosse avvenuta, non si poteva fare nessuna assegnazione duratura, ma si potevano esaminare altre degnissime professioni e livelli. Sospirò, chiedendosi se sarebbe stata capace di sostenere un'altra sconfitta. Poi rise, ricordando con quanta facilità avesse gettato via dieci anni di duro lavoro, quando Carrik aveva fatto balenare la sua lusinga. Ma, ad essere sinceri, Carrik non aveva fatto balenare un bel niente: si era battuto per non farle intraprendere quella professione, si era battuto con passione. Che cosa aveva detto Rimbol a proposito del fatto che il negarci un oggetto, ce lo rende più desiderabile? Ed era vero che l'istrionica condanna pronunciata dal Maestro Valdi di Carrik e dei Cantori di Cristallo aveva contribuito molto ad accrescere il suo desiderio. Ovviamente, lei era così euforica per l'interludio con Carrik che il lussuoso livello di vita - e di gioco - ai quale l'uomo l'aveva introdotta era stata una lusinga per una persona abituata al credito studentesco. L'affascinante personalità di Carrik l'aveva divertita e le aveva dato quella spericolatezza necessaria a buttare via le restrizioni di un decennio di infruttuosa disciplina. Adesso che era stata vicina a una fonte di cristallo, che aveva sentito quella fenomenale vibrazione attraverso le ossa e i nervi, un richiamo al suo nucleo che il suo impegno musicale non aveva mai toccato, si sentiva rafforzata nella sua decisione. Una figura solitaria si arrampicava tra le guide dei plananti, quando Killashandra ritornò. Notò altri otto posti vuoti, quando parcheggiò il veicolo. La figura le fece cenno di restare nel planante e velocemente vi salì. Killashandra attese educatamente, ma l'uomo prima controllò l'immatricolazione del planante, poi fece scorrere le mani lungo le fiancate, accigliato in volto. Cominciò un esame tattile della calotta, senza mai guardare Killashandra ancora seduta. Mentre faceva delle annotazioni sul taccuino, mormorava. Il video lo allarmò, e, quando aprì la calotta, per la prima volta notò la ragazza. «Non è stata fuori a lungo. È successo qualcosa a uno degli altri? Nove di voi sono andati fuori!» «No, non è successo niente.» Sollevato, diede un colpetto al berretto con la visiera. «Avevo tanti plananti, e non avrei dovuto darne nove alle reclute, ma non me li ha chiesti nessun'altro.» Killashandra smontò dal planante, e l'operaio dell'hangar vi entrò immediatamente. Fece passare le dita sul pannello di controllo, sulla barra del
timone, come se la sola presenza di Killashandra avesse causato dei danni. «Non sono sbadata con l'equipaggiamento,» disse, ma l'uomo non diede segno di aver sentito. «Lei è Killashandra?» Terminò l'ispezione e la guardò, mentre chiudeva la calotta.. «Sì.» Grugnì e segnò un altro appunto sul taccuino, guardando il video. «Lei ispeziona sempre ogni veicolo, dopo che è stato usato?» domandò, cercando di essere affabile. L'uomo non fece commenti. Dipendeva dal suo modesto livello di recluta? Un risentimento improvviso distrusse la serenità che aveva raggiunto nella Catena. Gli toccò un braccio e ripeté la domanda. «Sempre. È il mio lavoro. Alcuni di voi sono maledettamente sbadati e mi danno più lavoro del necessario. Non mi pesa fare il mio lavoro, ma il lavoro inutile non è giusto. Proprio non è giusto.» Un sordo lamento, proveniente dagli scompartì di servizio, fece trasalire Killashandra, ma l'operaio dell'hangar non batté ciglio. Fu allora che comprese che l'uomo era sordo. Eruppe un secondo penetrante gemito, e lei sobbalzò, ma l'uomo non ebbe alcuna reazione. La sordità doveva essere una benedizione nel suo lavoro. Dopo aver passato le mani sul planante per l'ultima volta, l'operaio dell'hangar cominciò a montare su un altro veicolo per controllarlo, dimentico della presenza di Killashandra. Lei lo guardò. Il lavoro, la dedizione alla conservazione dei plananti, aveva soppiantato in lui l'interesse per le persone? Se lei fosse diventata sorda a causa del simbionte, avrebbe raggiunto quel distacco così completo dagli esseri umani? Si avviò lungo l'hangar, trasalendo ogni volta che un motore in riparazione sparava il suo monotono rumore. Avrebbe potuto rinunciare a una carriera musicale, ma non udire mai più? Rabbrividì convulsamente. Era stata così sicura su Fuerte che la sua sarebbe stata una brillante carriera da solista, forse avrebbe fatto meglio a non essere così maledettamente certa di diventare un Cantore di Cristallo, e a esplorare le alternative all'interno della Corporazione. D'un tratto, non desiderò tornare nella sala delle reclute, né ebbe voglia di ascoltare i resoconti degli altri otto che si erano allontanati a bordo del planante dal Complesso della Corporazione. Voleva stare da sola. Recarsi da sola ai margini della catena le aveva fatto bene, l'incontro con l'operaio dell'hangar era stato un contrappeso istruttivo.
Si allontanò rapidamente dall'hangar, piegandosi alle folate di forte vento. Ad est, il cielo si andava oscurando; guardando alle proprie spalle, ad ovest vide banchi di nuvole tinti di porpora dal tramonto. Si fermò a gustare la vista, e poi riprese a camminare velocemente. Non voleva essere vista dai compagni che ritornavano con i plananti. Infine, dopo aver superato il lungo muro del Complesso, si imbatté in una montagnola e le sue scarpe affondarono nel fango. Un tiepido aroma speziato si alzò, quando calpestò il basso manto erboso. Ascoltò il vento che si rafforzava, non solo con le orecchie ma con tutto il corpo, affondando saldamente nel terreno i calcagni, con la speranza di riprovare quella spirale di suono avvertito con il corpo. Il vento portò tracce di brina e freddo, ma nessun suono nel suo turbinio verso est. Ormai il cielo era scuro, e stavano comparendo le prime fioche stelle. Doveva studiare l'astronomia di Ballybran. Strano che non se ne fosse accennato nelle conferenze di metereologia; oppure era un'esclusione deliberata, poiché la conoscenza dell'astronomia non sarebbe stata di alcuna utilità immediata nell'addestramento delle reclute? Shanganagh, la luna mediana, del colore del miele, sorse a nord-est. Sembrava allontanarsi furtivamente, come Killashandra, per stare lontana dalla più forte personalità di Shankill e dalle eccentriche trasgressioni di Shilmore. Killashandra sorrise - se Rimbol era simbolizzato da Shankill, allora Shillawn era Shilmore. Shanganagh era la stravagante, che evitava le altre due, finché forze inesorabili non la attiravano tra loro, quando le loro orbite si incrociavano. Shanganagh impallidì fino a diventare argentea. Salì in alto nel cielo e illuminò il cammino di Killashandra finché la ragazza non raggiunse la cresta di una collina ondulata e si rese conto che avrebbe potuto camminare tutta la notte, forse perdersi, senza meta. Le piccole trasgressioni degli studenti venivano tollerate su Fuerte, nel Centro Musicale, ma sarebbe stata tutta un'altra faccenda lì, dove un vecchio operaio sordo si curava più dei suoi veicoli che delle persone che li usavano. Si girò a osservare la mole acquattata della Corporazione, i cui piani superiori erano illuminati dalla luna, mentre gli altri erano aspre sporgenze nere d'ombra. Si sedette sul pendio della collina, ruotando il corpo per trovare una posizione comoda. Non si era resa conto di quanto fosse enorme il Complesso e quanto fosse piccola la parte in superficie. Le era stato detto che gli alloggi migliori erano i più profondi nel sottosuolo. Killashandra raccolse una manciata di ghiaia e la lanciò in un breve arco, poi udì il ru-
more secco quando cespugli e foglie furono colpiti. Il senso di isolamento, di solitudine totale e di assoluta privacy, le facevano piacere quanto gli odori del vento e la ruvidezza del fango tra le mani. Su Fuerte c'era sempre stata la consapevolezza che altre persone erano vicine, altre persone vedevano, anche se non intente ad osservarla, invadevano la sua coscienza, violavano il suo desiderio di essere sola e in intimità D'un tratto, Killashandra apprezzò la rabbia di Carigana. Se la donna era stata un'operaia spaziale, aveva goduto dello stesso senso di privacy. Non aveva mai avuto bisogno di imparare le sottili tecniche di interrompere i contatti. Beh, anche se Killashandra capiva qualcosa delle maniere antisociali di Carigana, continuava a non desiderare di fare amicizia con lei. Lanciò un'altra manciata di fango. Era confortante anche sapere che su Ballybran, almeno, si poteva fare una passeggiata notturna in perfetta sicurezza - uno dei pochi mondi della Federazione dei Pianeti Senzienti dove ciò fosse possibile. Si alzò, spolverò i pantaloni e continuò a camminare intorno alla grande installazione della Corporazione. Quando fu giunta davanti alla facciata principale dell'edificio, per poco non inciampò su di una zolla così densa che sembrava vi avessero fatto crescere una stoffa intessuta. L'imponente sala d'ingresso era decorata con lo stemma della Corporazione Heptite intagliato in un luminoso cristallo. Al primo livello, le finestre alte e strette, esposte a sud, non emanavano alcuna luce, e ai piani superiori, la maggior parte era al buio. Si chiese quali categorie fossero così basse da vivere in superficie. Assistenti ristoratori? Killashandra cominciò a pentirsi dello stravagante giro notturno, quando costeggiò il lato lungo dell'edificio, il lato più lungo. Rampe, su e giù, traforavano a intervalli il piatto muro, ma aveva appreso da una conferenza di Tukolom che conducevano alle aree di immagazzinaggio, senza accesso agli alloggi, perciò arrancò ancora finché non tornò davanti alle enormi fauci dell'hangar. Era stanchissima, quando finalmente arrivò alla rampa che portava agli alloggi della classe. Era tutto in silenzio, la sala era vuota e buia. Anche se la luce della porta di Rimbol era verde, lei la oltrepassò in fretta. Il giorno dopo ci sarebbe stato ancora tempo per la sua compagnia. Andò a dormire, confortata dagli irrevocabili vantaggi della privacy concessa ai membri della Corporazione Heptite.
Killashandra non ne era più così convinta la mattina dopo, mentre lottava per mantenere l'equilibrio nelle folate di vento e, ancora più importante, cercava di non far cadere la preziosa cassa di cristallo. Le reclute erano state svegliate dal computer ad una falsa alba cui avevano dovuto credere sulla fiducia. Il cielo era di un grigio cupo, profondo, con nuvole temporalesche che aderivano così in basso sul Complesso e che minacciavano di avvolgere il livello superiore. Alle reclute era stato detto di mangiare in fretta ma in modo sostanzioso e di recarsi dall'ufficiale addetto al carico all'interno dell'hangar. Sarebbero stati sotto la sua supervisione finché non li avrebbe congedati. Le precauzioni contro il vento erano già evidenti; lo schermo alto 12 metri era calato sulle fauci dell'hangar quel tanto che bastava a far passare le slitte in arrivo; evidentemente il congegno doveva impedire che gli operai fossero risucchiati dall'hangar da correnti contrarie. L'Ufficiale addetto al carico, Malaine, non corse il rischio che le istruzioni fossero comprese male o non ascoltate. La donna aveva un megafono, ma gli ordini apparvero anche sugli schermi sistemati tutt'intorno all'hangar. Se le reclute avessero avuto qualche dubbio nell'aiutare il personale regolare nello scarico, avrebbero dovuto toccare e/o richiamare altrimenti l'attenzione di qualcuno in uniforme a scacchi verdi. Le istruzioni fondamentali sarebbero rimaste sullo schermo; gli aggiornamenti avrebbero lampeggiato in arancione sugli schermi verdi. «Il vostro incarico principale sarà scaricare con molta, molta attenzione i cartoni di cristalli tagliati. Uno alla volta. Non vi lasciate sviare dal fatto che i cartoni hanno maniglie robuste. Il vento, che tira lì fuori, vi farà presto desiderare di avere le code prensili.» L'Ufficiale addetto al carico, Malaine, sorrise alle reclute. «Saprete da soli quando indossare il copricapo,» e picchiettò su una aderente calotta con le orecchie imbottite e uno schermo per gli occhi. «Adesso,» e fece un cenno verso la parete di plastivetro della sala piloti, che era di fronte all'hangar, «le slitte stanno entrando. Osservate il procedimento seguito dal personale dell'hangar. Prima di tutto, il Cantore di Cristallo viene registrato, poi il carico viene scaricato. Voi vi concentrerete sullo scarico. Il vostro compito è trasferire i cartoni dicristallo sani e salvi all'interno. Ogni cartone che entra vale più di voi! Senza offesa, reclute, è solo economia elementare della Corporazione. Vi avverto anche che i Cantori di Cristallo, appena tornati dalle Catene, sono imprevedibili. Siete fortunati. Tutti quelli di questo gruppo sono stati fuori un bel po', quindi avranno probabilmente buoni pezzi. Non fate cadere i cartoni! Avrete addosso il Cantore, me e il Maestro della Corporazione,
Lanzecki, - e il Cantore è il primo e il più cattivo. «Le buone maniere non contano,» disse Malaine in tono duro. «Quelle casse di plastischiuma,» e indicò la fila di personale dell'hangar che correva verso lo scomparto del carico, con i cartoni bianchi stretti saldamente al petto, «pagano per questo pianeta, per i suoi satelliti e per tutto quello che c'è su di essi. Nessuno guadagna un credito finché il carico non è al sicuro in questo edificio, pesato e selezionato. Okay, c'è un nuovo volo in arrivo. Vi dividerò in gruppi di tre. Mettetevi in fila e preparatevi a partire quando siete chiamati. Ricordate solo questo: il cristallo è importante! Quando suona il clacson, significa che una slitta ha perso il controllo! Filatevela, ma non lasciate cadere la scatola!» La donna divise le reclute e Killashandra si trovò nella squadra con Borton e con un uomo di cui non conosceva il nome. Le reclute si disposero in terzetti sparsi davanti alla finestra per guardare il procedimento. «Non sembra difficile,» commentò l'uomo, rivolto a Borton. «Quei cartoni non devono essere pesanti,» e indicò una persona magra che camminava rapidamente trasportando il suo carico. «Forse non ora, Celee,» ribatté Borton, «ma quando il vento si alza...» «Beh, siamo entrambi abbastanza robusti per dare una mano alla nostra compagna di squadra, se ne avrà bisogno,» disse Celee, sorridendo a Killashandra con una certa condiscendenza. «Io sono più vicina al terreno,» disse, alzando lo sguardo su di lui con un avvertimento negli occhi, «Il centro di gravità è più in basso e non tanto in alto da cadere.» «Glielo hai detto, Killa.» Borton diede una gomitata a Celee e a lei fece un occhiolino. D'un tratto, Celee indicò l'hangar. Le reclute videro entrare la carena di una slitta, che mancò per poco la volta del soffitto, poi si tuffò verso il terreno, si rialzò all'ultimo secondo, scivolò lateralmente e per poco non fece una bordata contro la parete interna. Aveva suonato un clacson, il cui clamore aveva spinto tutti a mettersi le mani sulle orecchie per proteggerle dal penetrante rumore. Quando il terzetto guardò di nuovo, la slitta era riuscita a fermarsi con il muso contro il muro. Con loro sorpresa, il Cantore, in tuta arancione con le strisce bianche, uscì illeso dal portello anteriore, diede un calcio alla slitta, fece un gesto osceno al vento e poi entrò a grandi passi sotto la tettoia dello scomparto per il carico. Allora a lei, Borton e Celee fu fatto cenno di andare nell'hangar. Killashandra arrivò nello scomparto del carico con un sospiro di sollievo, ma fu subito colta alla sprovvi-
sta nel vedere il Cantore di Cristallo, seduto contro una parete, ringhiare contro il medico intento a fermare il sangue che gli scorreva lungo la guancia sinistra. Finché l'ultimo cartone non fu scaricato dalla sua slitta, il Cantante di Cristallo restò nel suo posto d'osservazione. «Per le zampe callose di un orso di palude,» disse Celee a Killashandra, mentre si affrettavano a prendere altri cartoni, «quell'uomo conosce ogni singolo frammento del suo carico, e, sicuro come le ossa, sa che siamo noi a scaricare. E il maledetto vento si sta alzando. Sta' attenta, Killashandra.» «Ne restano solo due in quella nave,» strillò Borton nell'incrociarli sulla via del ritorno. «Vogliono issarla per toglierla di mezzo!» Celee e Killashandra aumentarono il passo, attenti all'argano che scendeva sul veicolo fuori uso. Non appena ebbero sollevato gli ultimi due cartoni dalla slitta, l'argano sferragliò sulla parte superiore del veicolo. In quell'istante, Killashandra si girò intorno e contò altre cinque slitte che stavano entrando, fortunatamente in modo più controllato. Sette veicoli scarichi si stavano dirigendo verso le prime guide. Quando l'hangar si affollò, scaricare prese più tempo e stare in piedi durante il passaggio tra lo scomparto delle slitte e quello del carico diventò sempre più difficile. Killashandra vide tre persone gettate contro le slitte e una sbattuta contro lo schermo antivento esterno. Una slitta in arrivo fu colta da una folata laterale e si capovolse. Killashandra scosse la testa nel sentire il sordo lamento che seguì, incerta se fosse il rumore del vento forte o l'urlo del Cantore ferito. Si costrinse a concentrarsi sul problema dello scarico e dell'equilibrio. Stava ritornando dallo scomparto per un altro carico, quando qualcuno l'afferrò per i capelli. Sorpresa, si girò e vide l'Ufficiale Malaine, che strappò l'elmetto dalla cintura di Killashandra e glielo ficcò in testa. Imbarazzata dalla sua dimenticanza, Killashandra si sistemò frettolosamente il casco protettivo. Malaine le fece un sorriso e un gesto d'incoraggiamento con i pollici alzati. Il sollievo dal rumore del vento e l'attenuazione della pressione dell'aria nelle orecchie furono enormi. Killashandra, abituata ai cori completi e agli strumenti d'orchestra elettronicamente intensificati, non aveva mai pensato prima al «rumore» come ad un rischio. Ma essere sordi su Ballybran poteva non essere una prospettiva intollerabile. Sentiva ancora i fischi del vento, ma la cacofonia era fortunatamente attutita, e il sollievo dalla pressione del rumore le diede nuove energie. Ne aveva bisogno, perché la forza del forte vento non si era affatto placata. Durante il successivo viaggio battuto dal vento, dietro di lei ebbe luogo
uno sgombero di slitte. Le slitte vuote vennero portate via e le nuove arrivate scivolarono nei posti vuoti. Un certo sollievo dal vento lo si poteva avere balzando dal riparo di una slitta a quello della seguente. Il pericolo era nello spazio vuoto, perché lì la tempesta vorticava per afferrare gli imprudenti. Killashandra non avrebbe mai saputo perché nessuno rimase ucciso, perché così poche navi furono danneggiate all'interno dell'hangar e perché non fu fatto cadere nemmeno un contenitore di plastischiuma. Ad un certo punto fu certa, però, di essere andata a sbattere contro la maggior parte dei novemila membri della Corporazione dislocati nel Quartier Generale dell'Altopiano di Joslin. In seguito, venne a sapere che la sua ipotesi era sbagliata: chiunque aveva potuto, aveva fatto in modo di restare all'interno. I cartoni non erano sempre pesanti, benché il peso fosse distribuito in modo disomogeneo, e il lato pesante finiva sempre per poggiare sul braccio sinistro di Killashandra. Certamente, quel lato era il più dolorante il giorno dopo. Solo una volta arrivò vicina a perdere un contenitore: lo aveva sollevato dalla nave e una folata di vento glielo aveva quasi fatto cadere. Dopodiché, imparò a proteggere il carico dal vento con il proprio corpo. Oltre alla lotta intensa con il forte vento, altre due osservazioni le si stamparono indelebilmente nella mente. Un aspetto diverso dei Cantori di Cristallo, il meno affascinante, quando saltavano giù dalle slitte. Pochi sembravano essersi lavati negli ultimi giorni: alcuni avevano ferite fresche e altri mostravano i segni di vecchie ferite. Quando fu costretta a entrare nella stiva di una slitta per prendere gli ultimi cartoni, si accorse di un odore intenso proveniente dal compartimento principale della slitta e fu ben lieta che alle sue spalle ci fosse una violenta scorta di aria fresca. Eppure le slitte si lanciavano all'interno dello schermo antivento e riuscivano ad atterrare nello scarso spazio disponibile: la burrasca si sentiva anche attraverso le imbottiture per le orecchie e la forza del vento colpiva brutalmente il corpo come un pugno umano. «RECLUTE! RECLUTE! Tutte le reclute si raggruppino nell'area di selezione. Tutte le reclute nell'area di selezione!» Stordita, Killashandra si girò a controllare il messaggio sugli schermi, poi qualcuno la prese sotto il braccio ed entrambi galopparono nel vento per raggiungere l'area di selezione. Una volta all'interno dell'edificio, Killashandra per poco non cadde, sia per la stanchezza sia perché il suo corpo continuò a spingersi contro un vento che non c'era più. La ragazza fu passata da una persona all'altra e in-
fine depositata su di una sedia. Una pesante coppa le fu messa in mano e l'elmetto contro il rumore le fu tolto dalla testa. Non c'era più molto rumore oltre qualche monotono lamento, un respiro forte, a malapena un gemito, e il rumore delle scarpe che grattavano sul plasticemento. Killashandra riuscì a fermare il tremito delle mani e a bere un sorso del caldo e limpido brodo. Sospirò piano per il sollievo. Il cibo ristoratore era molto saporito e il calore immediatamente arrivò alle estremità gelate del suo corpo, che non si era accorta quanto le dolesse. Anche la parte inferiore del viso, mascelle e mento, che era stata esposta al vento abrasivo, era rigida e dolente. Bevve un altro sorso, alzò gli occhi al di sopra della tazza e notò la fila che le stava di fronte: notò e riconobbe il volto di Rimbol, di Borton e, più giù, di Celee. Cinque o sei avevano occhi neri e guance lacerate o graffiate. Quattro reclute sembravano essere state trascinate a faccia in giù sulla ghiaia. Quando si toccò la pelle, si rese conto che anche lei aveva subito delle abrasioni, perché le dita intorpidite erano punteggiate di sangue. Il forte sibilo di un'inspirazione la fece girare a sinistra. Un medico stava spalmando la faccia di Jezerey. Un altro medico lavorava nella parte bassa della fila, verso Rimbol, Celee e Borton. «Qualche danno?» Killashandra, malgrado il suo esausto stordimento, riconobbe la voce del Maestro della Corporazione, Lanzecki. Sorpresa, si girò e lo vide davanti a una porta aperta, con la figura vestita di nero che si stagliava contro il bianco dei cartoni di cristallo accatastati. «Superficiali, signore,» disse uno dei medici, dopo un rispettoso cenno di saluto al Maestro della Corporazione. «La Classe 895 è stata di grande aiuto oggi,» disse Lanzecki, e guardò negli occhi ciascuna recluta. «Io, il vostro Maestro della Corporazione, vi ringrazio. Vi ringrazia anche l'Ufficiale addetto al carico, Malaine. Non lo farà nessun altro.» Non ci fu nemmeno una traccia di sorriso sul volto dell'uomo a suggerire che era ironico. «Ordinate quello che volete per il vostro pasto serale: non vi sarà addebitato sul conto. Domani ritornerete in quest'area di selezione, dove imparerete quello che potrete dai cristalli prodotti oggi. Siete congedati.» Si ritira, pensò Killashandra. Scompare dalla scena. Insolito. Ma del resto, non è un Cantore. Allora nessuna entrata clamorosa, come Carrik o i tre Cantori su Shankill, e nessuna uscita come quella di Borella. Bevve un altro sorso di brodo, perché aveva bisogno di nutrimento per far salire il suo corpo esausto sulla rampa e mangiare quel buon pasto gratuito. Le
venne in mente che l'ultimo buon pasto gratuito era stato indirettamente a carico della Corporazione. Fu, per caso, una delle ultime reclute a lasciare l'area di selezione. Una porta si aprì da qualche parte dietro di lei. «Quanti non sono ancora tornati, Malaine?» sentì Lanzecki chiedere. «Altri cinque hanno urtato contro il pavimento dell'hangar, uno letteralmente. E il Controllo del Volo dice che ci sono altri due possibili dispersi.» «Con questi arriviamo a ventidue scomparsi...» «Se solo riuscissimo a far registrare ai Cantori i cristalli tagliati, avremmo la possibilità di rintracciare i dispersi e recuperare almeno il carico...» La porta si chiuse di colpo e non riuscì a sentire il resto della frase. Il dialogo, e il tono, la preoccuparono. «Recuperare il carico.» Era quella la preoccupazione di Malaine e di Lanzecki? Il carico? Malaine, certamente, aveva sottolineato che il carico valeva di più delle reclute che lo maneggiavano. Ma sicuramente anche i Cantori di Cristallo erano di grande valore. Le slitte potevano essere sostituite - un altro debito da scontare con la Corporazione - ma sicuramente i Cantori erano una merce di valore, a modo loro. La mente di Killashandra semplicemente non riusciva ad affrontare simili anomalie. Ce la fece ad arrivare in cima alla rampa. Dovette mettere una mano sull'intelaiatura della porta per mantenersi in piedi, mentre spingeva la porta per aprirla. Un gemito di stanchezza le sfuggì dalle labbra. La porta di Rimbol si aprì. «Stai bene, Killa?» La faccia di Rimbol era macchiata di rivoletti e di goccioline di sangue fresco. Era avvolto in un asciugamano. «Non molto.» «Il bagno alle erbe fa meraviglie. E mangia.» «Lo farò. E a spese della direzione, dopo tutto.» Riuscì a muovere la faccia dolorante per sorridere. Dopo che un lungo bagno ebbe assorbito il peggio della stanchezza dai suoi muscoli, Killashandra si costrinse a mangiare. La mattina dopo, un ronzio insistente proveniente dal computer la svegliò. Guardò nel buio, oltre il letto, e capì solo che le finestre erano chiuse con le imposte e che la tempesta infuriava ancora. Il digitale le disse che erano le 08.30 e la sua pancia che era vuota. Quando cominciò a mettere da un lato la coperta termica, tutti i muscoli del suo corpo annunciarono di non essere pronti ad un'attività del genere.
Imprecando sotto voce, Killashandra cercò di appoggiarsi su di un gomito. Non appena ebbe poggiato le dita sul quadrante del distributore alimentare, nella fessura apparve una piccola coppa con un liquido giallino ed effervescente. «La medicina è un rilassante muscolare combinato con un leggero analgesico, per alleviare i sintomi del malessere muscolare. È una condizione transitoria.» Killashandra maledisse quella che riteneva un'imbarazzante e ben calcolata violazione della Privacy da parte del computer, ma bevve la medicina, facendo una smorfia per il suo gusto eccessivamente dolce. Dopo qualche momento, cominciò a sentire meno rigidità. Fece una veloce doccia, alternando acqua calda e fredda, perché la pelle le bruciava ancora dopo le terribili sferzate del giorno prima. Mentre mangiava una colazione ad alto contenuto proteico, sperò che quel giorno avrebbero avuto il tempo di mangiare. Dubitava che quelle cataste di scatole di cristallo potessero essere tutte selezionate e imballate in un solo giorno. E per un lavoro del genere non doveva occorrere il ritmo del giorno precedente. Per la selezione occorsero quattro giorni di lavoro intenso come la lotta con il vento, ma con minore pericolo fisico. Le reclute, ciascuna affiancata da un esperto selezionatore, impararono molte cose su come non tagliare il cristallo e come non imballarlo, e quali forme fossero correntemente remunerative. Queste erano in maggioranza, e la maggior parte dei selezionatori esperti diresse un flusso costante di invettive contro i Cantori, che avevano tagliato grandi quantità di articoli che erano già in eccesso nei magazzini. «Abbiamo tre magazzini pieni di questi vermigli,» mormorò Enthor, che Killashandra affiancava nella selezione. «Sono i blu quelli che ci occorrono e vogliamo. E i neri, naturalmente. No, no, è il lato sbagliato. Devi imparare,» disse, afferrando il cartone che Killashandra aveva appena sollevato dal tavolo di selezione. «Prima di tutto, metti in evidenza il codice di identità del Cantore.» Girò la scatola in modo che l'etichetta, indelebilmente impressa su di un lato, fosse registrata. «Non abbiamo avuto il minimo aiuto e scaricare è stata una battaglia, con i cartoni che si mescolavano e gli omicidi in atto.» Una volta che il numero di identità apparve sul video, il cartone fu aperto e ogni forma di cristallo fu messa con attenzione sulla bilancia, che calcolava il colore, la misura, il peso, la forma e la perfezione. Alcuni cristalli Enthor li poneva immediatamente sui nastri trasportatori, che li smistavano al livello appropriato per l'imballaggio o l'immagazzinaggio. Altri li ada-
giava lui stesso nella rete di plastica con cura meticolosa. Il processo di selezione sembrava monotonamente semplice. A volte non era facile recuperare i piccoli cristalli che erano stati gettati in ogni angolo della schiuma protettiva. A Killashandra per poco non sfuggì un piccolo ottagono blu, prima che Enthor afferrasse il cartone che lei stava per assegnare alla sostituzione. «Sei stata fortunata,» disse cupamente il selezionatore, guardandosi intorno, con le sopracciglia aggrottate, «che il Cantore che ha tagliato questo pezzo non stava guardando. Li ho visti cercare di uccidere una persona per negligenza.» «Per questo?» Killashandra sollevò l'ottagono, che non era più di 8 centimetri di lunghezza. «Per quello. È perfetto.» Enthor, con un rapido movimento, aveva messo il cristallo sulla bilancia e ne aveva controllato la perfezione. «Ascolta!» Mise attentamente il pezzo tra il pollice e l'indice e gli diede un leggero colpetto. Nonostante il fruscio, il rumore dei passi e le istruzioni date a voce bassa, Killashandra sentì il suono puro e delicato del cristallo. La nota sembrò entrarle dalla gola e scenderle lungo le ossa, fino ai calcagni. «Non è facile tagliare pezzi piccoli, e in questo momento questo cristallo vale un paio di centinaia di crediti.» Killashandra fu giustamente intimorita e ancora più diligente, rischiando le proprie dita per frugare in un cartone di plastischiuma che sembrava più pesante che vuoto. Enthor la rimproverò per questo, e la schiaffeggiò su una guancia con i guanti di lei, poi si tolse un guanto e le mostrò le dita segnate da lievi cicatrici bianche. «Le fa il cristallo. Anche attraverso i guanti e con la simbiosi. Le tue sarebbero piaghe. A me hanno ridotto lo stipendio per essere stato negligente.» «Ridotto lo stipendio?» «La perdita di tempo dovuta a inadeguate misure di sicurezza viene considerate deducibile. Anche per te, malgrado tu sia una recluta.» «Veniamo pagati per questo lavoro?» «Certamente.» Enthor era indignato per la sua ignoranza. «E ieri hai guadagnato l'indennità di rischio per lo scarico. Non lo sapevi?» Killashandra lo guardò sorpresa. «Proprio come tutte le nuove reclute.» Enthor ridacchiò amabilmente davanti allo sconforto di Killashandra. «Non hai superato lo shock, uh?
Hai preso una coppa di succo questa mattina? L'avevo immaginato. Tutti quelli che lavorano nella tempesta lo fanno. Funziona. E non c'è nessun addebito.» Ridacchiò di nuovo. «Tutte le cure mediche sono gratuite, lo sai.» «Ma hai detto che ti è stato ridotto lo stipendio...» «Per non aver preso le misure di sicurezza.» Le fece un cenno con le dita, che adesso erano avvolte negli spessi guanti di pelle aderente. «No, non prendere quel cartone. Lo farò io. Prendi il successivo. Fugasti è appena entrato. Non voglio che ti stia addosso. È un demonio, ma non mi ha mai criticato!» «Mi sei di grande aiuto...» «Tu mi stai aiutando, e tutti e due veniamo pagati dalla stessa fonte, questo cristallo. Anche tu potresti imparare altrettanto bene questo lavoro,» e il tono di Enthor sottintendeva che non avrebbe avuto un così bravo istruttore in nessun settore. «Potresti finire qui come selezionatore, e a noi selezionatori piace divertirci. Come hai detto che ti chiami?» «Killashandra.» «Oh, la persona che ha riportato Carrik?» Il tono di Enthor non era né compiaciuto né favorevole: l'aveva semplicemente identificata. Confusamente, Killashandra si sentì meglio: non era solo un'identità persa nelle banche dati della Corporazione. Persone al di fuori della Classe 895 avevano sentito parlare di lei. «Conoscevi Carrik?» «Li conosco tutti, mia cara. E non lo vorrei. Comunque, non è una brutta vita.» Fece un'altra delle sue risatine amichevoli. «Una giusta paga giornaliera per un giusto lavoro giornaliero e poi le migliori condizioni domestiche possibili.» Il suo sogghigno diventò una lunga occhiata d'intesa. Le diede una gomitata. «Sì, potresti ricordare il mio nome finché puoi, perché se diventi un Cantore, non lo ricorderai. Io sono Enthor, livello 4, alloggio 895. Dovrebbe essere facile per te da ricordare, visto che è il numero della tua classe.» «Qual era il tuo?» Killashandra cercò in fretta il modo di allontanare il discorso dall'offerta dell'uomo. «Il numero della classe? 502,» disse. «Non ho problemi con la memoria.» «E non sei sordo.» «Non potrei selezionare i cristalli, se lo fossi!» «Allora che cosa ti ha fatto il simbionte?» Buttò fuori la domanda, prima
di rendersi conto di aver violato la sua privacy. «Gli occhi, mia cara. Gli occhi.» Si girò e, per la prima volta, la guardò apertamente negli occhi. Batté le palpebre una volta, e lei trattenne il fiato. Una lente protettiva si era ritirata al suo battito. Vide quanto erano grandi le iridi, che coprivano la tinta originale della pupilla. Ammiccò di nuovo, e una sostanza rossastra coprì tutto il globo oculare. «Ecco perché sono un selezionatore e perché so quali cristalli sono perfetti ad un solo sguardo. Sono uno dei migliori selezionatori che abbiano mai avuto. Lanzecki fa continuamente commenti sulla mia abilità. Ah, tra un po' vedrai che cosa voglio dire...» Un altro selezionatore, con un'espressione scontenta, si stava dirigendo verso di loro con un cartone ed era accompagnato da un adirato Cantore. «Qual è la tua opinione su questi blu?» Il Cantore, che sul volto aveva ancora i segni di una lunga permanenza sulle Catene, afferrò bruscamente il cartone dalle mani del selezionatore e lo lanciò a Enthor. Poi il Cantore, con la scortesia che, come Killashandra aveva cominciato a capire, era una caratteristica della professione più che della personalità, ostruì la vista al selezionatore, il cui giudizio aveva messo in dubbio. Enthor depositò attentamente il cartone sul suo spazio di lavoro ed estrasse i cristalli, uno ad uno; li tenne sotto il suo sguardo ipersensibile per analizzarli e poi li mise in una fila ordinata. C'erano sette piramidi verdeblu, le cui basi erano una più larga della successiva di circa 2,3 centimetri. «Nessuna imperfezione. Un bordo tagliente e una buona punta,» Enthor fornì la sua opinione in un tono di voce piatto, completamente diverso dallo stile discorsivo usato con Killashandra. Con la sua precisione quasi maniacale, strofinò e lucidò un martelletto di cristallo e diede dei colpetti delicati a ciascuna piramide. La quarta fece risuonare una mezza nota, invece di una intera, più sopra di una terza, di conseguenza non si otteneva una scala. «Li smerci in gruppi di tre e salvi quello imperfetto come pezzo da esposizione. Le consiglio di controllare la sua tagliatrice per vedere se ha gli accessori o le guarnizioni consumate. Lei è un Cantore troppo bravo per commettere un errore così banale. Probabilmente la tempesta in arrivo le ha fatto mancare una nota.» Il tentativo di diplomazia non ammorbidì il Cantore, i cui occhi si gonfiarono mentre si preparava a strillare. Enthor non diede segno di notarlo, mentre l'altro selezionatore era arretrato rapidamente. «Lanzecki!»
Il grido rabbioso provocò non solo il veloce arrivo di Lanzecki. Il silenzio calò sulla sala di selezione, ma il Cantore sembrò non accorgersene, con lo sguardo selvaggio fisso su Enthor che incurante batteva cifre sul suo terminale. Killashandra sentì una mano su di una spalla e si fece obbedientemente da parte per permettere a Lanzecki di prendere il suo posto accanto a Enthor. Come se si fosse accorto della presenza del Maestro della Corporazione, Enthor diede nuovamente dei colpetti sui cristalli e i delicati toni risuonarono in un silenzio rispettoso. Lanzecki non ascoltava: osservava i quadranti sulle bilance. Alzò un sopracciglio quando risuonò il mezzo tono e le cifre corrispondenti apparvero sul video. «Non è un grande problema, Uyad,» disse Lanzecki, rivolgendosi con calma al Cantore rosso di rabbia. «Hai tagliato quella fronte abbastanza a lungo da riempire i mezzi toni. Suggerirei di conservare questa serie e riempirla fino alle ottave. Le piramidi in scala hanno sempre un ottimo prezzo.» «Lanzecki... io devo andarmene via dal pianeta questa volta. Devo andarmene via! Non sopravviverò a un'altra spedizione nelle Catene... non finché non avrò avuto una pausa lontano da questo maledetto pianeta!» «Ma questo è un solo cartone, una sola serie, Uyad-vuic-Holm. Il tuo carico è stato ottimo, in base ai dati,» infatti, Lanzecki aveva usato il terminale proprio mentre Uyad passava dall'ira alla supplica. «Sì, penso che sarà sufficiente a mandarti via dal pianeta per un intervallo discreto. Vieni, soprintenderò io stesso alla selezione.» Accaddero contemporaneamente molte cose: nella stanza ricominciarono i rumori del lavoro; Lanzecki guidò l'afflitto Cantore verso un altro nastro di selezione, con maniere incoraggianti più che accondiscendenti, che Killashandra non poté impedirsi di ammirare nel Maestro della Corporazione; l'altro selezionatore ritornò alla sua postazione. Enthor rapidamente imballò le piramidi contestate, segnò il loro contenitore e le sistemò su di un nastro poco usato che era al di sopra della sua testa, poi, vedendola divertita, le diede un amichevole colpo nelle costole. «Un ritmo costante rende leggero il carico più grande. Un'altra scatola, mia cara.» Ritmo costante o no, non sembravano fare molto effetto sul mucchio di contenitori che aspettava di essere selezionato. Quello che rese interessante un giorno altrimenti ripetitivo fu la massa enorme di informazioni che En-
thor le fornì sul cristallo e sulla sua classificazione, suono e distribuzione. Quando notò che si interessava molto alle valutazioni, la rimbrottò. «Non romperti la testa a cercare di ricordare i prezzi, mia cara. Cambiano ogni giorno. Il valore viene calcolato dall'Ufficio Marketing prima che noi cominciamo la selezione, ma domani, i valori potrebbero essere completamente diversi. Un aspetto del cristallo che va oltre le mie capacità: lascio la commercializzazione agli altri. Ah, ecco una bellezza di quarzo rosa! Guarda la tinta, il taglio. Opera di Dooth, se non mi sbaglio,» Enthor scrutò il cartone, battendo le palpebre per cambiare le lenti. «Non mi sbaglio. Riconoscerei il suo taglio tra tutti.» «Perché?» Killashandra si sporse per esaminare l'ottagono più da vicino. Era bello, di un rosa pallido con una sfumatura porpora, ma non riuscì a capire l'entusiasmo di Enthor. Il selezionatore inspirò profondamente, come per spiegarlo, e poi espirò lentamente. «Ah, ma se tu lo sapessi, avresti il mio stipendio, no?» Batté di nuovo le palpebre e la guardò con uno sguardo penetrante, socchiudendo gli occhi. «Non necessariamente,» ribatté la ragazza. «Io preferirei cantare il cristallo...» Enthor spostò lo sguardo da lei all'ottagono rosa. «Sì, forse tu lo farai. Ad ogni modo, riconosco il taglio di Dooth quando lo vedo. Quando... se... taglierai il cristallo, riconoscerai i cristalli così belli, così rari.» Con entrambe le mani posò la pesante gemma sul piatto della bilancia, picchiettandosi le labbra con due dita mentre osservava i numeri cambiare e stabilizzarsi. «Mi pareva avessi detto che c'era un'eccedenza di cristallo rosa...» «Non di questo peso, colore o di forma ottagonale,» disse, mentre le sue dita picchiettavano una sequenza. «Mi è capitato di sentire,» e Enthor, abbassò la voce, «che qualcuno molto in alto nella Federazione dei Pianeti cerca pezzi grandi di questa sfumatura.» Poggiò l'ottagono sul ripiano per il rivestimento, dove il quarzo rosa fu rapidamente avvolto in una rete di plastica e, a un tocco delle sue dita sul terminale, un codice di identificazione venne inciso sulla superficie. Al termine del primo giorno di selezione, Killashandra si sentì stanca come dopo aver scaricato nella tempesta. Lo disse a Shillawn e Rimbol, quando la raggiunsero con passo stanco nella sala. «Verremo pagati per i nostri sforzi,» disse Shillawn per rincuorarli. «Ieri abbiamo anche ricevuto un'indennità di rischio,» disse Killa-
shandra, per non essere da meno. «Ti sei servita delle banche dati?» le chiese Rimbol, sorridendole con una certa malizia. Killashandra non gli aveva confessato di aver preso un planante la sera prima della tempesta, ma lui l'aveva scoperto. «Detto ci era stato. Disponibili per noi erano i dati.» Killashandra imitò così bene i toni gravi di Tukolom che fece ridere gli altri due. «Vado a farmi una doccia. Ci vediamo più tardi nella sala?» Rimbol annuì, e anche Shillawn. Nel distributore alimentare, che era accanto al suo letto, c'era un'altra coppa di limonata. La bevve e si fece la doccia, al termine della quale si sentì sufficientemente ripresa da godersi una tranquilla serata a scherzare con Rimbol e Shillawn. Anche se nessun tagliatore di cristallo irritabile movimentò la routine della selezione durante i successivi tre giorni, Killashandra ebbe un insolito colpo di fortuna. A metà del secondo giorno, Lanzecki e una bella donna, che doveva essere il capo dell'Ufficio Marketing, entrarono rapidamente nella stanza di selezione e andarono direttamente da Enthor. «Gorren è tornato in sé. Mormora qualcosa su dei cristalli neri. Qualcuno dei suoi cartoni ti è già stato consegnato?» «Per le mie ossa, no!» Enthor era sconvolto e stupefatto perché non sapeva che Gorren era ritornato. Si era quasi aspettato di sentire, Enthor continuò solennemente, che Gorren era uno dei Cantori rimasti intrappolati nelle Catene dalla tempesta. I cristalli di Gorren erano sempre affidati a Enthor per la valutazione. Nella stanza di selezione, fu velocemente messa insieme una squadra di lavoro per controllare le etichette delle numerose scatole che ancora aspettavano di essere valutate. Il gruppo che aveva scaricato la nave di Gorren la sua era la nave che si era capovolta - fu identificato e mandato a chiamare. Per fortuna, gli operai appartenevano al personale regolare dell'hangar, e poiché sapevano che i cartoni erano di Gorren ed erano di grande valore, li avevano messi in cima alla quinta catasta, con degli strati protettivi su entrambi i lati. Con grande rispetto, gli undici preziosi cartoni furono messi a terra. Poiché si era costantemente impresso nella mente di Killashandra che poco o nulla poteva danneggiare quelle scatole costruite appositamente e il loro contenuto, e aveva visto alcuni di quegli stessi uomini lanciarsi indifferentemente per aria i cartoni, osservò che la presenza di Lanzecki e del Capo dell'Ufficio Marketing, Heglana, aveva un effetto salutare.
Fu ancor più sorpresa nel vedere che due impiegati prendevano un solo cartone e fu deliziata quando Enthor, con l'espressione severa, gliene spinse uno contro il petto, aspettando che lei afferrasse saldamente le maniglie. Killashandra si inorgoglì per la fiducia di Enthor e coprì la breve distanza che la separava dalla stanza di selezione con il cristallo nero premuto contro il seno. Tremava per la tensione quando depositò il suo carico sano e salvo accanto agli altri. Più tardi ricordò che Enthor si era accinto a disimballare con la sua normale sollecitudine: forse fu solo perché lo osservavano tante persone importanti, di cui anche lei colse l'eccitazione negli occhi, che Enthor sembrò gingillarsi. La tensione si può trasferire, e nella stanza di selezione si sentiva un crepitio, malgrado il silenzio. Quelli che erano ai tavoli di selezione più vicini erano riusciti a mettersi in modo da osservare il disimballaggio, mentre quelli che non erano direttamente sotto gli occhi del Maestro della Corporazione avevano sospeso completamente il lavoro per guardare. Quando Enthor sollevò il primo cristallo nero dalla schiuma protettiva, un sospiro agitò gli spettatori. «Ha colpito nel segno, è vero?» osservò Heglana, e fece uno schiocco con le labbra. Lanzecki annuì, con gli occhi fissi sulle mani di Enthor. Il secondo cristallo nero era più grande e, con sorpresa di Killashandra, Enthor non lo sistemò al sicuro, lontano dal primo, ma ce lo appoggiò contro, dove sembrava adattarsi perfettamente. Avvertì un formicolio alla base della testa che si allargò a tutto il cranio. Scosse la testa, e la sensazione sparì. Non per molto. Un terzo cristallo, più grande, si adattava al secondo, e così di seguito, il quarto e il quinto. Il formicolio alla nuca si era trasformato in una sensazione diversa: le pareva che il cuoio capelluto si restringesse. O erano le ossa della testa a premere verso l'esterno, contro la pelle, tendendola? «Cinque cristalli collegati. Gorren non l'aveva immaginato.» La voce di Lanzecki era piatta, ma Killashandra avvertì la sua soddisfazione per un taglio del genere. «La qualità?» «Alta, Lanzecki,» ribatté Enthor con calma. «Non il suo taglio migliore, ma oserei dire che le imperfezioni, minuscole come sono, non danneggeranno la funzione, se le unità non saranno troppo distanti.» «Cinque rappresentano un collegamento rispettabile,» disse Heglana, «per una rete interplanetaria.» «Dove sono i difetti? Nel cristallo principe?» «No, Lanzecki,» le dita di Enthor accarezzarono il più grande dei cin-
que, come per rassicurarlo, «nel primo e nei quinto del taglio.» Fece ungeste verso i lati. «Marginali.» Trasferì rapidamente il quintetto sulle bilance e ordinò la sequenza. Il video si fermò su una cifra che avrebbe fatto esclamare Killashandra a voce alta, se non fosse stata in una situazione simile. Chiunque fosse Gorren, aveva realizzato una fortuna. Killashandra dedusse mentalmente l'imposta del 30 per cento. Così Gorren aveva una piccola fortuna, e c'erano altri dieci cartoni da disimballare. Enthor rimosse il contenuto di tre cartoni, mentre Lanzecki ed Heglana osservavano. Killashandra fu delusa dal loro atteggiamento, sebbene i due osservatori annuissero soddisfatti. Le unità più piccole non erano così impressionanti, benché una serie contenesse dodici pezzi in connessione e il cristallo «principe» avesse l'estensione di un'ottava e non fosse più lungo della sua mano e più spesso di un suo dito. «Deve essere arrivato alla base di quella fronte,» disse Lanzecki, mentre il quarto contenitore veniva svuotato. «Procedi, Enthor, ma, per favore, trasferisci immediatamente tutto il contenuto nel mio ufficio.» Con un cenno del capo a Enthor, lui ed Heglana lasciarono velocemente la sala di selezione. Un sospiro generale risuonò nella sala e l'attività riprese su tutti i tavoli. «Non penso che siamo ancora arrivati al meglio, Killashandra,» disse Enthor, accigliandosi. «I capelli sulla mia nuca...» «I... che cosa?» Killashandra lo fissò, perché aveva descritto esattamente la sua sensazione. Enthor le lanciò uno sguardo sorpreso.» Prurito al cuoio capelluto? Spasmi alla nuca?» «Mi sta per venire la febbre del simbionte?» «Da quanto tempo sei qui?» «Cinque giorni.» Scosse la testa. «No! No! Troppo presto per la febbre.» Socchiuse di nuovo gli occhi e girò la testa da un lato per scrutarla. Poi indicò gli altri sette contenitori. «Scegli tu il prossimo.» «Io?» «Perché no? Potresti già esserti abituata a maneggiare» si fermò, si grattò i capelli rasati «il cristallo. Io non sono d'accordo con il Maestro Lanzecki, non penso che Gorren fosse arrivato alla fine della fronte di quarzo nero che stava tagliando. Gorren è intelligente. Quel tanto di roba di valore che gli basterà a lasciare il pianeta e a tagliuzzare qualcosa di tanto in tan-
to. In questo modo ha legato le mani a Lanzecki e potrà fare un viaggio fuori pianeta ogni volta che vorrà. Scegli un cartone, ragazza.» Sorpresa dall'ordine, Killashandra allungò le mani sulla scatola più vicina, esitò e, spinta da uno strano impulso, poggiò le mani su quella accanto. La sollevò e stava per porgerla a Enthor, ma lui le fece cenno di poggiarla sul tavolo, con il codice di identità rivolto verso lo scanner. «Aprilo!» «Io? Il cristallo nero?» «Tu lo hai scelto, no? Devi imparare a maneggiarlo.» «Se lo facessi cadere...» «Non lo farai. Hai mani molto forti per una ragazza, le dita sono corte e flessibili. Non fai cadere le cose che vuoi mantenere.» La tensione, come una pelle glaciale avvolta intorno al suo busto, scivolò lungo le gambe. Si era sentita nello stesso modo, quando stava tra le quinte prima di un'entrata al Centro Musicale, quindi respirò tre volte profondamente e aprì polmoni e diaframma, come se stesse per cantare una lunga frase musicale. Infatti, quando le sue dita si chiusero intorno a un oggetto morbido e saponoso al centro della plastischiuma, lei esalò un lungo e basso «ah» di sorpresa. «NO!» Enthor l'aggredì con risentimento. «No, no,» e si slanciò in avanti per chiuderle la bocca con una mano. «Non cantare mai vicino a un cristallo grezzo! Soprattutto» e il suo tono divenne più intenso per la rabbia «vicino a un cristallo nero!» Era così agitato che gli occhi ammiccarono più volte e le lenti si abbassarono e si alzarono. Il rosso dei suoi occhi senza protezione atterrì Killashandra. Enthor si guardò intorno freneticamente per vedere se qualcuno ai tavoli più vicini l'avesse udita. «Mai!» Non osò dirgli in quel momento che il cristallo nero aveva vibrato tra le sue mani alla sua nota spontanea e che le ossa delle dita avevano echeggiato la risposta di altri frammenti ancora da disimballare. Con uno sforzo, Enthor riprese la propria compostezza, ma le narici gli fremevano e le labbra tremavano mentre lottava per ritrovare la calma. «Non cantare né fischiare né canticchiare mai nelle vicinanze di un cristallo grezzo, non importa di che colore sia. Spero solo che tu non abbia inibito l'induzione magnetica di un intero collegamento ad anello con quella sconsiderata esclamazione «ah», Dirò che è stata un'esclamazione, se dovessero chiedermelo.» Lasciò uscire un altro respiro non aspirato e poi le fece cenno di prendere il cristallo.
Killashandra chiuse gli occhi mentre liberava il pesante blocco. A Enthor non sarebbe piaciuto se lei avesse veramente danneggiato il cristallo. Le era stato detto, con urna certa prolissità e con notevole enfasi, da Tukolom tutto sul processo delicato e sottile tramite il quale i segmenti di quarzo nero venivano sottoposti a un'induzione magnetica sincronizzata, che produceva una risonanza istantanea tra segmenti posti a distanze enormi come, per esempio, cinquecento anni luce. La risonanza forniva la rete di comunicazione più efficace e precisa conosciuta nella galassia. Il fatto che lei avesse potuto inavvertitamente danneggiare il pesante blocco, che adesso aveva sottoposto allo sguardo sorpreso di Enthor, le pesava molto. Con un'inspirazione, per la quale Killashandra gli avrebbe potato restituire il suo rimprovero, Enthor prese con reverenza il dodecaedro. «Quanti altri ce ne sono?» chiese con voce tremula. Killashandra già sapeva quanti ne avrebbero trovati. Dodici, e tanti ce n'erano. Li recuperò dalla rete protettiva e li porse con attenzione a Enthor, sebbene non fossero né massicci né alti quanto il cristallo principe. Aderivano così perfettamente al blocco centrale che parevano aver vissuto insieme finché Gorren non aveva tagliato i cristalli dalla fronte di quarzo. «Bene!» Enthor guardò la serie collegata che aveva posto sulla bilancia. «Sono... sono tutti a posto?» Killashandra finalmente trovò una voce contrita per quella domanda urgente. Il martelletto di Enthor evocò un tono limpido che la attraversò dalle orecchie ai calcagni, come una benedizione che l'assolse. Anche senza la rassicurazione di Enthor, seppe che il cristallo l'aveva perdonata. «Fortunata, mia cara. Sembra che tu ti sia servita della stessa nota con la quale sono stati tagliati. Fortunato io.» Killashandra si appoggiò al tavolo della selezione per tenere in equilibrio il proprio corpo scosso dai tremiti. «Una serie come questa fornirà un collegamento multiplo con trenta o quaranta altri sistemi. Magnifico!» Nel frattempo, Enthor stava esaminando i tredici cristalli con la sua vista migliorata. «Ha tagliato proprio al di sotto dell'incrinatura,» mormorò tra sé e sé, poi ricordò la presenza di Killashandra. «Come ci si sarebbe aspettati da Gorren.» Bruscamente, ma con movimenti precisi, poggiò i cristalli sulla bilancia. Killashandra si lasciò andare ad un sospiro non aspirato nel vedere l'enorme fortuna in crediti che Gorren aveva appena guadagnato. «Magnifico!» disse Enthor. Poi ridacchiò, guardando Killashandra con la coda dell'occhio. «Lanzecki avrà il suo da fare a persuadere Gorren a ta-
gliare qualcosa per i prossimi due anni galattici. Non è molto il cristallo nero che viene tagliato. Che viene trovato. Ma poi, questo è un problema di Lanzecki, non mio. Nemmeno tuo. Porta un altro cartone, mia cara. Hai la capacità di sceglierli, a quanto pare.» «Fortuna.» disse Killashandra, guardando le restanti scatole, nessuna delle quali sembrava attrarla come l'altra. Avrebbe preferito sbagliarsi, ma il resto del taglio di Gorren non era eccitante. I piccoli grappoli non erano eccitanti. I piccoli grappoli, assolutamente perfetti, sarebbero stati sufficienti alle più grandi unità di intrattenimento pubblico che producevano realistici effetti sensuali, le disse Enthor. Quella sera, la maggior parte delle reclute pretesero che lei raccontasse del cristallo nero, di Lanzecki e del capo dell'Ufficio Marketing, perché non erano riusciti a sentire molto e non gli era stato permesso di guardare. Li accontentò, aggiungendo anche una versione leggermente esagerata del rimprovero di Enthor che ritenne salutare. Inoltre, il racconto alleviò la tensione che ancora sentiva, pensando a quanto fosse stata vicina a mandare in malora tanto credito da poter comprare un pianeta. «Che cosa ti avrebbero fatto, se tu li avessi danneggiati?» domandò Shillawn, deglutendo nervosamente mentre si immaginava a combinare un pasticcio in una situazione simile. «Non lo so.» «Qualcosa di bizzarro, ne sono certo,» disse Borton. «Quei Cantori non risparmiano nessuno se i loro tagli vengono maltrattati. Io sono stato abbastanza fortunato da essere il selezionatore che si è occupato del taglio di Uyad.» Sogghignò Borton. «Mi sono nascosto nel magazzino dietro un mucchio di cartoni, così mi sono risparmiato il ritorno di fiamma.» «Ecco dov'eri,» Jezerey lo prese in giro. «Maledizione. Non sono qui a pulire la sentina di qualcun altro.» La conversazione continuò sulla varietà di tagli, di misure e di colori dei cristalli provenienti dalle catene di Brerrerton e di Milekey. Killashandra non aggiunse nient'altro, ritenendo fosse più discreto tacere. Quando poté farlo senza attrarre l'attenzione, si alzò per andarsene nella sua stanza. Voleva pensare e ricordare la sensazione nel maneggiare quel massiccio cristallo nero. Non era veramente nero, non era affatto nero, né era luminoso come il cristallo rosa né, in realtà, come nessuno degli altri cristalli. Aveva accettato la classificazione, perché sicuramente Enthor conosceva i suoi cristalli, e certamente il quarzo nero era diverso.
Consultò il recupero dati per avere tutte le informazioni sul quarzo nero e sui suoi esemplari. I dati includevano cristallo nero in unità segmentate, nessuno come il dodecaedro. Un'altra schermata mostrava un ottagono nel suo stato immutato e luminoso, poi la stessa forma passare gradualmente ad un nero opaco a mano a mano che rispondeva a cambiamenti termici indotti artificialmente. Il recupero dati passò poi alla conferenza ripetuta da Tukolom, e lei lo spense. Si distese e ricordò la sensazione del suo primo contatto con il cristallo nero. Il giorno seguente, le squadre di recupero riportarono il carico delle slitte che non avevano raggiunto la salvezza nel Complesso della Corporazione, e la depressione calò nella stanza di selezione quando i cartoni, macchiati, sfregiati e scoloriti, furono depositati sui tavoli. L'umore fu parzialmente sollevato, quando due contenitori scaricarono qualche cristallo nero triplo e quadruplo. «Che fine fa?» Killashandra domandò a Enthor a voce bassa. «Che cosa?» «Il cristallo dei Cantori che non ce l'hanno fatta.» «La Corporazione.» La concisa risposta di Enthor sembrò sottintendere che era giusto. «Ma un membro della Corporazione non ha il diritto di disporre delle... cose che possiede al momento di morire?» Enthor fece una pausa prima di aprire il cartone che aveva davanti. «Credo di sì,» rispose infine. «Il problema è che la maggior parte dei Cantori sopravvive alla propria famiglia di centinaia d'anni; tendono ad essere avidi; non si fanno molti amici fuori pianeta ed improbabile che se li ricordino, anche se li hanno. Penso che alcuni se li ricordino. Non molti.» A metà della giornata successiva, visto che l'arretrato di cartoni di cristalli si era sostanzialmente ridotto, le reclute furono incaricate di aiutare la squadra dell'hangar a pulire e rifornire le slitte dei Cantori, perché la tempesta si stava calmando. Ci fu qualche malumore, ma gli impiegati dell'hangar non avevano l'aspetto di qualcuno cui contrapporsi. Sembrò a Killashandra che fosse necessario un atteggiamento moderato. «Non pulirò la sporcizia di nessuno per il pidocchioso credito giornaliero che ci danno,» disse Carigana. «Nessuno ha mai pulito per me nello spazio, e io non lo farò a terra. Un branco di parassiti, ecco che cosa sono, con tutte le loro arie e l'arroganza.» Guardò gli altri con occhi fiammeggianti, sfidandoli a seguire il suo esempio. Il suo disprezzo era palpabile,
quando se ne andò. Ricordando lo stato di alcune slitte, Killashandra sarebbe stata fortemente tentata di seguire l'esempio - se fosse stato qualcuno di diverso da Carigana a darlo. «Veniamo pagati. Ed è meglio che girarsi i pollici!» Shillawn afferrò Killashandra per un braccio, come se avesse indovinato i suoi pensieri. «A me non importa,» continuò il funzionario dell'hangar, dimenticando Carigana nello stesso istante in cui la ragazza scomparve alla vista, «ma c'è un premio per ogni fila che viene terminata. Le prime otto sono già fatte. I Cantori possono rendere la vita insopportabile a chi non li aiuta. Questa tempesta si è quasi calmata, e ci saranno Cantori che sbaveranno per andare nelle Catene. I metereologi daranno via libera domani per mezzogiorno. Datevi da fare. Pulite le slitte e rifornitele e i Cantori andranno nel posto che gli spetta.» Riprese il suo posto alla consolle di controllo, scrutando le lunghe file ordinate di slitte dove i fornitori regolari erano già al lavoro. Si accigliò quando il suo sguardo si posò brevemente sulle reclute indecise; l'espressione corrucciata peggiorò quando vide una slitta danneggiata venire issata per le riparazioni. «Ci devono essere, in qualche modo, i parassiti della Corporazione come Carigana,» disse Borton, seguendo con lo sguardo l'operaia spaziale. «Non se la può cavare!» «Non dobbiamo pulire le sporcizie di un gruppo di schifosi Cantori,» disse Jezerey, con gli occhi accesi dalla propria personale ribellione. «Ricordo alcune di quelle slitte. Puah!» e si chiuse il naso con due dita. «Io voglio dare un'occhiata più attenta all'equipaggiamento che è nelle slitte,» disse Rimbol, dirigendosi verso le guide. «Anche un'annusata più attenta?» domandò Jezerey. «Ci si abitua a qualsiasi puzza con il tempo,» disse Rimbol, facendo un gesto per chiudere la discussione. «Per di più, mi tiene la mente lontana da altre cose.» «Quelle slitte ti terranno la mente lontana da molte cose,» ribatté Jezerey in tono aspro. Restarono tutti in silenzio per un attimo, sapendo esattamente che cosa intendesse Rimbol. Erano prossimi al primo giorno in cui poteva insorgere la febbre simbiotica. «Veniamo pagati. E il funzionario dell'hangar ha parlato di un premio...» Shillawn lasciò a metà la frase e deglutì nervosamente.
«Ehi, voi lì. Reclute. Avrei bisogno di aiuto.» Un fornitore, a giudicare dal colore della sua uniforme, si sporse da un livello superiore. Jezerey continuò a mugugnare, ma seguì gli altri verso lo schieramento di attrezzature per la pulizia. Fin da quando Killashandra aveva lasciato la piccola azienda agricola di famiglia su Fuerte, non aveva mai spalato letame in quella quantità. Dopo la quinta slitta, come aveva detto Rimbol, si era assuefatta ai vari fetori. Valeva anche la pena, come aveva suggerito il ragazzo, di esaminare di prima mano una slitta di un Cantore di Cristallo: al suo peggio e, dopo un accurato restauro, al suo meglio. La consolle di controllo della slitta occupava la sezione della prua, completa di sedile di sicurezza per il pilota. Incassato nei braccioli del sedile, c'era un assortimento di bottoni manuali. A fianco del portellone principale c'erano i supporti vuoti per la tagliatrice di cristallo; gli strumenti venivano sottoposti a manutenzione dopo ogni viaggio nelle Catene. Lo scompartimento principale era l'alloggio del Cantore, adeguato anche se compatto. Una fitta rete separava le sezioni anteriori dalla stiva e dalla sezione del propulsore. Il suo fornitore, per dare all'anziano uomo il titolo giusto, era così sordo che Killashandra dovette scuoterlo violentemente per attirare la sua attenzione. Comunque, una volta che gli ebbe fatto una domanda (perché il vecchio leggeva bene sulle labbra), ricevette una risposta enciclopedica e una storia di quella particolare slitta e del suo Cantore. L'uomo poteva essere anziano, ma lavorava così velocemente che Killashandra ebbe difficoltà a fare la sua parte nello stesso tempo. Il fornitore, che non aveva confessato il proprio nome all'educata richiesta di Killashandra, sembrava avere una passione per i veicoli ordinati, scintillanti e ben forniti. Killashandra si meravigliò della sua dedizione, dal momento che l'ordine che lui adorava sarebbe presto degenerato in fango e sporcizia. «Si può sempre trovare un cristallo,» diceva il vecchio. Invariabilmente faceva notare i cinque portelloni: quello nello scompartimento principale; quello in fondo, nell'area del propulsore; i due posti su entrambe le fiancate e quello nella parte superiore della stiva. «È anche la parte più robusta della slitta. Di proposito, naturalmente, poiché il cristallo è importante. Se un Cantore resta ferito, o peggio,» e fece una pausa rispettosa, «soprattutto se il Cantore è ferito, il cristallo può essere salvato, e lui non resta senza
credito. I Cantori si irritano molto, se perdono il cristallo, sai. Forse tu lo diventerai. Sei una recluta, non è vero? Quindi per te è tutto nuovo. Forse è l'unica volta che vedrai una slitta. Poi, potrebbe non... no, la rete di sicurezza deve essere sempre assicurata.» Fece gli agganci lui stesso, un mite rimprovero alla rapidità di lei nel collocare i contenitori di cristallo vuoti. «Non è possibile che questi contenitori, pieni o vuoti, rotolino dappertutto durante il volo o una tempesta.» Consultò la sua unità da polso e guardò il portellone per confermare il numero della slitta. «Oh, sì, ordini speciali per questa. Non mangia mai proteine animali. Preferisce le bevande non acide.» Invitò Killashandra a seguirlo nei Depositi. La condusse oltre le sezioni in cui si erano riforniti, in un settore di colore rosa chiaro. Sperava che il cibo non fosse dello stesso colore. Sarebbe stato sufficiente a toglierle l'appetito. L'unità alimentare della slitta non consentiva molta varietà, ma il fornitore le assicurò che la qualità era sempre la migliore possibile, anche se i Cantori talvolta non si accorgevano di quello che mangiavano nella frenesia del loro lavoro. Frenesia, decise Killashandra, era una descrizione inadeguata dello stato in cui la maggior parte delle slitte era stata lasciata, benché il fornitore ogni tanto le ricordasse che la tempesta, che aveva costretto tutti i Cantori a tornare, aveva provocato alcuni dei versamenti di liquidi all'interno delle slitte. Dopo un altro giorno stancante, aveva aiutato a pulire e a rifornire dieci slitte, tre di più, notò il suo fornitore, di quante sarebbe stato capace di fare da solo. Tecnicamente, il giorno successivo era un giorno di riposo, ma il funzionario dell'hangar disse alle reclute che chiunque avesse voluto continuare avrebbe guadagnato un credito doppio. Shillawn alzò la mano per primo; Rimbol, facendo una smorfia a Killashandra, lo seguì; e lei, per forza, si offrì come volontaria. Il funzionario dell'hangar, in ogni caso, fu sorpreso quando tutti i presenti segnalarono la propria disponibilità. Borbottò e poi ritornò nell'ufficio. «Perché ci siamo offerti come volontari?» domandò Jezerey, scuotendo il capo. «Il pensiero del doppio credito da guadagnare, ed evitare così i tormenti e le incertezze del debito!» Rimbol roteò gli occhi. «Il mio fornitore è stato ossessionato dai debiti.»
«Anche il mio,» replicò Killashandra. «A questo ritmo» e Borton si stirò i muscoli doloranti delle spalle «cominceremo a guadagnare dalla Corporazione, prima di prendere la febbre.» «Ci addebiteranno il congedo senza giusta causa,» disse Jezerey in tono acido. «No,» la corresse Shillawn. «Tutte le cure mediche sono gratuite.» «Solo che non vieni pagato per un lavoro che non puoi svolgere.» «Che tu possa non restare mai fuori durante un Passaggio totale,» disse Rimbol, intonando la sua benedizione con una voce piena. «Penso di non aver mai lavorato tanto da quando ero un ragazzino sul peschereccio di mio padre,» continuò Borton. «E la pesca su Argma si fa alla maniera antica.» «Questo è il motivo per cui hai studiato volo spaziale?» domandò Killashandra. «Giustissimo.» «Bene, adesso lavori di nuovo come uno schiavo,» disse Jezerey, che la stanchezza rendeva pessimista. «Ma siamo membri della Corporazione,» la prese in giro Rimbol. «E riduciamo il nostro debito iniziale,» aggiunse Shillawn con un sospiro di sollievo. «Luce verde, andiamo!» Alla battuta di Rimbol, raggiunsero la cima della rampa e la sala. Rimbol fece a Killashandra il gesto di bere, sorridendo con ansia. «Non finché non sarò pulita, veramente pulita!» «Anch'io,» disse Jezerey, mentre tutto il suo corpo veniva scosso da un brivido. Si diressero tutti verso i loro alloggi. La porta illuminata di rosso di Carigana attirò lo sguardo di Killashandra, quando la oltrepassò. «Non ti preoccupare per lei, Killa. Non è messa in trappola solo dalla Corporazione,» disse Rimbol, e la prese per un gomito per farla camminare. «Non sono dispiaciuta per lei,» ribatté Killashandra, oscuramente irritata da se stessa e dall'osservazione di Rimbol. «Qui nessuno si dispiace mai di qualcosa,» commentò Shillawn con una certa tristezza. «Nessuno ringrazia nessun'altro. Nessuno ha buone maniere.» Era la pura verità, pensò Killashandra mentre sguazzava nell'acqua fumante e profumata, liberando il suo corpo dal fetore di una giornata di la-
voro. Il problema del debito e l'ossessione che ne aveva il vecchio fornitore erano fissi nelle sua mente. Tirò la consolle a sé mentre era distesa languidamente sul letto dopo il bagno. I fornitori guadagnavano di più degli assistenti ristoratori. E c'erano i premi per un rapido compimento dei propri doveri. Richiese il proprio conto e scoprì che le sue fatiche stavano per coprire le spese di vitto e alloggio. Se il giorno dopo avesse ricevuto un credito doppio e forse un premio di velocità, si sarebbe liberata dei debiti. Fu solo allora che ricordò i due buoni della Corporazione. Se li avesse presentati, sarebbe stata perfino in grado di pagarsi qualsiasi equipaggiamento occorresse per il suo lavoro post-simbiosi. Un pensiero consolante. Essere un passo avanti alla Corporazione. Era quello che spingeva il fornitore? Per curiosità, chiese un elenco della Corporazione in ordine di rango. Cominciava con Lanzecki, il Maestro della Corporazione, poi i capi del Controllo, del Marketing e delle Ricerche; seguivano i nomi dei Cantori attivi. L'informazione non era nella forma voluta da Killashandra. Pensò per un momento e poi chiese l'elenco in ordine di iscrizione. Barry Milekey era il primo membro della Corporazione. I nomi, con il pianeta di origine, scorsero sul video. Dovevano essere tutti morti, pensò, e si meravigliò che non venisse fatta nessuna annotazione del genere. Una volta che si diventava Cantori di Cristallo, si era per sempre Cantori di Cristallo? No, alcuni di quei membri dovevano essere stati personale di supporto. Se le statistiche di Borella erano degne di fede, poiché la percentuale di adattabilità alla spora simbionte era stata bassa nei primi giorni della Corporazione. Quello che la sorprese fu che quasi tutti i pianeti abitati della Federazione dei Pianeti Senzienti erano rappresentati nell'elenco della Corporazione. Numerosi pianeti avevano un'ottima percentuale, ma erano mondi densamente popolati. C'erano perfino due fuertani. Era una cosa stupefacente. Quello che la lista non mostrava era quando erano entrati nella Corporazione. I nomi dovevano essere elencati in ordine di iscrizione, perché certamente l'ordine non era alfabetico. Il nome di Borella passò rapidamente, seguito da quello di Malaine e di Carrik. Si chiese se Enthor fosse già passato ma, alla fine, apparve anche il suo nome. Era originario di Hyperion, uno dei primi pianeti abitati di Alpha Proxima, nella Grande Ondata di esplorazioni e valutazioni che aveva accelerato l'organizzazione della Federazione dei Pianeti Senzienti. Era più giovane di Borella, Malaine o Carrik? Oppure era entrato già da persona matura? E il fornitore, che non aveva voluto
confessare il proprio nome, quando era entrato? Rabbrividì. La qualifica di selezionatore si adattava perfettamente all'abilità di Enthor, mentre «fornitore» era un titolo affascinante per un lavoro che poteva essere svolto meccanicamente e non lo era. «Tagliatore», applicato a un Cantore di Cristallo, certamente non suggeriva il rango che la designazione offriva. Spinse via la consolle. I computer non erano cambiati molto dalla loro invenzione; bisognava ancora sapere che domanda porre anche al sistema più sofisticato. La mostruosa banca dati della Corporazione, che si serviva dei cristalli di Ballybran con la loro formazione dalla struttura naturale a sinapsi, conservava dati per una memoria indefinita, ma Killashandra era molto più abile nel trovare oscuri compositori ed esecutori che enigmi galattici. Più tardi, raggiunse gli altri nella sala per bere qualcosa, chiedendosi se Shillawn avesse trovato qualche sorprendente interpretazione nella banca dati. Ma era troppo coinvolto nell'immaginare mezzi meccanici per pulire le slitte, e Killashandra fu felice quando Rimbol le toccò un braccio e le fece l'occhiolino. «Penso che sono troppo stanco per chissà che cosa, Killa,» disse, mentre andavano verso la sua stanza, «ma mi piacerebbe tenere le braccia intorno a qualcosa di tiepido, amichevole, e del mio decennio.» Killashandra gli sorrise. «Sono anche i miei sentimenti. Il tuo conto può sopportare una birra di Yarra?» «E anche una per te,» ribatté, equivocando di proposito quello che lei aveva detto. Dormirono profondamente e in armonia come se, in effetti, la reciproca compagnia fosse benefica. Quando il computer li svegliò, mangiarono abbondantemente, senza parlare molto, ma ancora in perfetto accordo, e poi si recarono dal funzionario dell'hangar. Poiché furono i primi ad arrivare, l'uomo lanciò un'occhiata ansiosa alla rampa. «Arriveranno subito,» gli disse Rimbol. «Ho delle slitte che devono essere pronte per mezzogiorno. Voi due cominciate con queste. Altri numeri compariranno sui video, quando scoprirò quali maledetti Cantori oggi alzeranno il culo dalla pista.» Killashandra e Rimbol si affrettarono, nella speranza di essere lontani dalla sua portata, se gli altri volontari non fossero arrivati. Entro mezzogiorno avevano pulito e rifornito otto slitte. I numeri erano scomparsi periodicamente dai video, così Killashandra e Rimbol seppero che altri volontari si erano aggiunti a loro.
Quasi al rintocco delle 12.00, le voci alte che echeggiarono nella vastità dell'hangar avvertirono Killashandra e Rimbol dell'afflusso. «Non mi piace il tono,» disse la ragazza, dopo aver dato un ultimo colpo ai supporti della tagliatrice sulla slitta che avevano appena approntato. «Rumore di folla infuriata in lontananza,» disse Rimbol e, tirandola per un braccio, la trascinò nei depositi e in una sezione mezza vuota, dove vedevano le guide delle slitte e l'ingresso dell'hangar. Risuonarono botte, imprecazioni, fragori metallici e tonfi sulla plastica. Motori si avviarono, troppo velocemente in uno spazio chiuso, disse Rimbol a Killashandra. La ragazza si infilò le dita nelle orecchie. Rimbol fece una smorfia ad uno stridore particolarmente acuto e seguì il suo esempio. L'esodo non prese molto tempo, ma Killashandra era a bocca aperta nel vedere come i Cantori guidassero e si chiese se non entrassero in collisione con simili buffonate. Così improvvisamente com'era cominciato, il movimento terminò. L'ultima slitta fece rotta verso le Catene di Brerrerton. «Abbiamo fatto otto slitte?» Rimbol domandò a Killashandra. «È sufficiente per una paga doppia. Andiamo. Ne ho abbastanza!» Quando arrivarono nella sala, la trovarono vuota. La porta di Carigana era illuminata di rosso ed era chiusa. Rimbol teneva ancora Killashandra per mano. Poi l'attirò a sé, e la ragazza ondeggiò contro il suo corpo magro. «Adesso non sono stanco. E tu?» Killashandra non era stanca. Rimbol aveva un modo di fare, nonostante il suo aspetto ingenuo e ingannevolmente innocente, che era affascinante e irresistibile. Sapeva che lui contava su questo fascino, ma poiché non l'aveva delusa e non aveva dato segni di possessività, lei acconsentì volentieri. Rimbol era come la sua birra di Yarra, era fresco, gustoso e dopo lasciava un ottimo sapore: soddisfaceva senza opprimere. Si unirono agli altri che arrivavano alla spicciolata nella sala, consolandosi delle dita scorticate e avvizzite dai prodotti chimici con il pensiero del doppio credito che si era accumulato sul conto. «Sapete che cosa può fare la Corporazione, però?» cominciò Shillawn, dopo essersi seduto di fronte a Rimbol e Killashandra. Deglutì e poi bevve la sua bibita a sorsi veloci. «Corporazione... fare che cosa?» chiesero Borton e Jezerey, unendosi agli altri. «Ai parassiti come lei.» Shillawn fece cenno con la testa in direzione di Carigana.
«Che cosa?» domandò Jezerey, scivolando su un divano, con gli occhi accesi dall'eccitazione. «Beh, possono ridurle le razioni.» Jezerey non era entusiasta di quella punizione. «E altre piacevolezze possono essere sospese a caso.» «Come, per esempio?» Jezerey si accorse che la faccia di Shillawn era contorta dal divertimento più che dallo sforzo di parlare. «Beh, per esempio, acqua fredda invece di calda: la stessa cosa con il cibo. Sai, il freddo caldo e il caldo freddo. Poi il computer provoca rumori e fruscii nell'unità per dormire. Altri arredi crollano quando meno te lo aspetti, e, naturalmente, la porta non risponde sempre alla tua impronta. E,» Shillawn si stava scaldando nel vedere la reazione deliziata del suo pubblico, «e poiché bisogna registrare l'impronta ad ogni pasto, e potrebbe non essere accettata,» allargò le braccia e fece un sorrisetto compiaciuto, «può accadere ogni genere di cose insidiose, scomode e fastidiose.» «Come hai fatto, in nome di tutti i santi, a farti dire queste cose dal computer?» domandò Killashandra. La sua richiesta fu appoggiata dagli altri. «Non l'ho chiesto al computer,» confessò Shillawn, distogliendo lo sguardo. «L'ho chiesto al fornitore con cui ho lavorato ieri.» Rimbol scoppiò a ridere, dandosi manate sulle cosce. «Il migliore computer è ancora il cervello umano.» «È tutto quello che è rimasto di umano nel mio fornitore,» disse Shillawn in un tono disgustato. «E tutte queste cose stanno succedendo a Carigana?» domandò Jezerey, con espressione piena di speranza. «Non ancora, ma possono accaderle, se persiste. Intanto, lei è in debito di due giorni per letto e biscotti, e noi siamo quattro avanti.» «Eppure la Corporazione governa lo stato...» cominciò Borton. «Certamente,» e Rimbol ridacchiò di nuovo, «ma non hanno mai privato nessuno di un tetto o di un pezzo di pane, solo che possono renderli maledettamente difficili da ottenere o scomodi.» «Io tremo al pensiero di un futuro come magazziniere o fornitore,» disse Jezerey, dando voce all'ansietà sottaciuta in ognuno, a giudicare dalla malinconia che calò sul quintetto. «Pensa positivamente,» suggerì Shillawn con un lieve balbettio che intralciò il consiglio. «Siamo qui da otto giorni ormai.» «Beh, dovremmo saperlo piuttosto presto,» disse Rimbol. «Siamo qui da otto giorni ormai.»
«Quasi dieci.» la correzione di Shillawn fu automatica. «Domani?» la voce di Jezerey aveva una sfumatura di orrore. «Potrebbe essere più di dieci giorni, se ricordo quello che ha detto Borella sul periodo di incubazione,» la rassicurò Shillawn in un falso tono cordiale. «Basta, amici,» disse con fermezza Killashandra, e bevve la coppa fino in fondo. «Mangiamo, beviamo e siamo allegri...» «Perché domani moriremo?» Le sopracciglia di Rimbol si inarcarono. «Io non ho intenzione di morire,» ribatté Killashandra, e ordinò una doppia coppa di birra di Yarra per sé e per Rimbol. Bevvero molto prima di andarsene a letto insieme. Quando Killashandra si svegliò nella propria camera, dedusse che erano finiti lì, ma Rimbol se n'era andato. La luce era troppo forte per i suoi occhi, e lei oscurò il plastivetro delle finestre non chiuse dalle imposte. Dopo la tempesta e il duro lavoro, fu piacevole guardare le colline. Si prese in giro per la sua nostalgia di «una vista». La pioggia doveva aver incoraggiato la crescita, perché vividi fiori rosso porpora coloravano i pendii, e la vegetazione grigioverde era più vivace. Senza dubbio, si sarebbe abituata ad amare i cambi di stagione di Ballybran. Finché non era andata con Carrik a vedere i panorami di Fuerte, non aveva assolutamente apprezzato lo scenario naturale, troppo abituata agli ologrammi usati negli spettacoli. Carigana fu la prima persona che vide quando entrò nel salotto. Killashandra sperava che la giornata sarebbe migliorata da quel momento in poi. L'operaia spaziale aveva l'abilità di ignorare le persone, cosicché Killashandra non fu obbligata a fare un cenno di saluto. La testardaggine di quella donna la irritava. Nessuno l'aveva costretta a chiedere di entrare nella Corporazione Heptite. Le reclute erano ritardatarie, e quando si furono riuniti tutti, Tukolom era manifestamente impaziente. «Molto fatto deve essere questo giorno,» disse. «Le lezioni fondamentali ritardate sono state...» «Beh, sarà un sollievo star seduti a rilassarsi,» disse qualcuno dal centro del gruppo. «Rilassarsi significa non pensare, e il pensiero assiduo deve essere,» ribatté Tukolom, mentre con lo sguardo cercava l'insolente. «La geografia la materia di oggi è. Tutto di Ballybran. Quando adattati sarete, in un altro continente essere mandati potete.» L'esagerato sospiro di rassegnazione di Carigana fu ripetuto dagli altri,
ma Tukolom guardò male solo lei per aver manifestato pubblicamente una simile insolenza. Il vocabolario di Carigana, fatto di monosillabi, punteggiò le scorrevoli spiegazioni di Tukolom per tutta la mattina, finché qualcuno la zittì. Chiunque fosse stato a organizzare il materiale per la lezione, aveva senso dell'umorismo, e sebbene Killashandra avrebbe scommesso che Tukolom non si accorgeva delle parti divertenti del suo discorso ripetuto a memoria, lei e gli altri aspettavano quelle frasi che alleggerivano la lezione. L'umorismo spesso sottolineava gli aspetti più importanti delle lezioni. Tukolom forse recitava quello che aveva pazientemente imparato o cambiava strutture mentali in un esame eidetico, ma aveva anche imparato a dare un ritmo al suo modo di parlare. Killashandra, conoscendo bene la tensione di un discorso senza pause, era anche impressionata dalla sua resistenza. «Non mi dispiacerebbe fare l'agricoltore nel North Ballinteer,» le confidò Rimbol, mentre pranzavano durante l'intervallo di mezzogiorno. «Una piacevole vita produttiva, sport sulla neve in inverno...» Killashandra lo fissò. «Agricoltore?» «Certamente, perché no? Sarebbe molto meglio che lavorare come fornitore! O selezionatore. All'aria aperta...» «Nelle tempeste di mach?» «Hai ascoltato la lezione di geografia. Le aree di produzione sono 'attentamente situate ai margini delle fasce di tempesta o possono essere protette, in caso di necessità'.» Rimbol imitò molto bene la voce e il modo di parlare di Tukolom, e Killashandra dovette ridere. Fu allora che vide un gruppo spostarsi con aria minacciosa e circondare un angolo e il suo solitario occupante. Rimbol notò la sua preoccupazione, girò e imprecò tra i denti. «Lo sapevo.» Balzò dalla sedia. «Perché darsi la pena, Rimbol? Se lo merita.» «Non può impedirsi di essere così com'è. E io pensavo che eravate così attenti alla Privacy nel vostro mondo. Nel mio, non permettiamo queste stravaganze.» Killashandra dovette riconoscere la verità di quella affermazione, e si unì con lui al gruppo. «Che cosa me ne importa?» La voce stridula di Carigana si alzò al di sopra del discreto mormorio che le rivolgeva il capo del gruppo. «E perché dovreste? Chiunque di voi? Aspettano solo il momento in cui ci ammale-
remo. Non importa nulla fino ad allora, né tutta la vostra cooperazione o attenzione né le buone maniere o l'offrirsi volontari,» e il suo disprezzo si intensificò, «pulire il disordine delle slitte. Io no! Io ho trascorso una piacevole giornata... Che cosa?» Girò di scatto la testa verso la persona che le aveva posto la domanda. «Il debito?» Gettò la testa all'indietro e scoppiò in una risata rauca. «Potranno cavarmi il sangue... dopo. Adesso, posso prendere tutto quello che voglio dai depositi. Se aveste un minimo di intelligenza, fareste la stessa cosa e dimentichereste quella stupida testa di legno...» «Tu hai aiutato a scaricare il cristallo...» Killashandra sentì la voce di Jezerey. «Certo che l'ho fatto. Volevo vedere questo cristallo, proprio come tutti gli altri... Solo che,» e il suo tono li derise, «io ho anche capito. Vi faranno fare qualsiasi sporco lavoro, umile e sgradevole, finché la spora non vi colpirà. Dopodiché non importerà niente tranne lo scopo a cui servirete.» «E tu a quale scopo ti aspetti di servire?» domandò Jezerey. «Cantore di Cristallo, come tutti!» L'espressione di Carigana si prese gioco della loro ambizione. «Una cosa è sicura. Io non selezionerò, né rifornirò le slitte né mi insudicerò nel fango né... Voi continuate a fare la parte dei bravi cittadini che cooperano e contribuiscono. Io farò quello che voglio finché avrò occhi, orecchie e una mente che funziona correttamente.» Si alzò velocemente, si fece largo tra la folla ostile e poi percorse il corridoio con passi pesanti fino alla sua camera. Si accese la luce rossa. «Avevi detto qualcosa a proposito della Privacy?» Killashandra non poté trattenersi da chiederlo a Rimbol mentre si allontanavano dal silenzioso gruppo. «Lei è l'eccezione che conferma la regola,» replicò, imperturbabile. «Che cosa voleva dire a proposito della mente che funziona correttamente?» domandò Jezerey, quando li ebbe raggiunti. Non era più così sicura di sé come quando aveva affrontato Carigana. «Ti ho detto di non preoccupartene, Jez,» disse Borton, che arrivava dietro di lei. «Carigana esprime tutto il marciume spaziale. E te l'ho detto la prima volta che l'ho vista.» «Ha ragione su una sola cosa,» aggiunse Shillawn, quasi incapace a pronunciare la «s». «Niente è importante finché non funzionerà la spora simbionte.» «Vorrei che non avesse usato la parola 'ammalarsi',» e Jezerey sottolineò
il proprio disgusto con un brivido. «È l'unica cosa che non ci hanno mostrato... le attrezzature mediche...» «Hai visto le cicatrici di Borella,» disse Shillawn. «È vero, ma lei si è perfettamente adattata, non è vero?» «Qualcuno ha mal di testa, mal di pancia, brividi, febbre?» domandò Rimbol, simulando una vivace curiosità. «Non è ancora il momento,» disse Jezerey, imbronciata. «Presto. Presto.» Il tono di Rimbol si fece sepolcrale. Poi mosse una mano per zittirli e con il pollice indicò Tukolom che ritornava. Sospirò rumorosamente e poi sorrise perché aveva involontariamente imitato Carigana. «Preferirei passare il tempo a fare qualcosa...» Questo era l'umore unanime delle reclute, quando ritornarono dall'istruttore. La prova dell'adattamento simbiotico non era più una spiegazione data in una sala remota e antisettica su una base lunare: era imminente e palpabile. La spora era nell'aria che respiravano, nel cibo che mangiavano, forse nel contatto con tutti quelli con cui avevano lavorato nei precedenti dieci giorni. Dieci giorni, no? Pensò Killashandra. Chi sarebbe stato il primo? La domanda era negli occhi di tutti la mattina seguente, quando le reclute, con l'eccezione della caparbia Carigana, si riunirono per la colazione. Cercavano la reciproca compagnia sia per rassicurarsi che per curiosità. Era una giornata luminosa e limpida, i colori delle colline erano più caldi, più profondi, e nessuno sollevò obiezioni, quando Tukolom annunciò che avrebbero visitato le serre di avvicendamento delle culture, sull'altipiano di Joslin, dove venivano coltivate le primizie. Quando arrivarono nell'hangar per il trasferimento, furono testimoni del ritorno di una nave di soccorso, adibita a lavori pesanti, dal cui argano penzolava una slitta ridotta ad un groviglio. L'unica parte della slitta che aveva la forma originaria era la stiva e il portellone inferiore e quello destro erano deformati. «Pianificano tutto questo?» Rimbol domandò sottovoce a Killashandra, con voce turbata. «Il recupero della slitta? Forse. La tempesta... Su, andiamo, Rimbol. E poi, quale funzione avrebbe questo spettacolo? Siamo inchiodati qui, e saremo Cantori... o chissà che cosa.» Killashandra parlò con severità, per rassicurare se stessa oltre che Rimbol. Il ragazzo borbottò, come se avesse intuito l'ansietà di lei; poi con disinvoltura salì sulla rampa che portava alla nave, senza lanciare un'altra oc-
chiata al relitto. Si sedettero vicini, ma nessuno dei due parlò durante il viaggio, benché Killashandra cominciasse molte volte a indicare graziosi gruppi di cespugli con fiori dalle sfumature vivaci, spesso violente, di rosso e rosa. Il grigio era completamente scomparso dal tappeto vegetale, e il fertile verde scuro adesso era colorato di marrone. Rimbol era lontano, immerso nei propri pensieri, e lei capì che le sue fantasie sulla flora sarebbero state un'invasione della sua privacy. L'umidità intensa e gli aromi lussureggianti delle enormi serre ricordarono a Killashandra la regione tropicale di Fuerte, e Carrik. Gli agronomi mostrarono gli schermi che deviavano i venti di mach dai plastitetti così come il sistema idroponico che poteva funzionare anche senza assistenza. Fece una conferenza sulla varietà e la diversità di frutti, vegetali, erbe, licheni, funghi e varietà esotiche a disposizione dei ristoratori della Corporazione. Quando passò a spiegare che la ricerca era una parte del Dipartimento di Agronomia e che cercava di migliorare la natura ovunque fosse possibile, nella dolcezza, nella composizione e nelle dimensioni, li condusse fuori dalle unità a clima controllato. «Noi dobbiamo anche correggere i capricci della natura,» aggiunse, proprio mentre le reclute notavano le squadre di lavoro che riparavano i danni dell'edificio vicino. Killashandra si scambiò delle occhiate con Rimbol, che stava sogghignando. Entrambi si strinsero nelle spalle e si unirono agli agronomi nel terminare le riparazioni ai danni della tempesta. «Almeno, hanno quasi finito,» mormorò Rimbol, mentre premeva il grilletto di una pistola a vite. «Che cosa fanno quando non hanno tre decine di reclute per completare le squadre di lavoro?» «Probabilmente distaccano fornitori, selezionatori e chiunque non sia occupato. Almeno, tutti fanno la loro parte,» aggiunse, notando che sia Tukolom che l'agronomo capo stavano sollevando plastica con lo stesso zelo di Borton e Jezerey. «Ecco, adesso, puoi lasciare, Killa.» Indietreggiò per osservare il pannello che avevano appena assicurato. «Dovrebbe reggere... finché dall'angolo non rotolerà un altro masso.» Riparandosi gli occhi dal bagliore del sole, che era alla sua sinistra, Killashandra scrutò verso nord, in direzione delle catene di cristallo. «Non pensarci nemmeno,» disse Rimbol, tirandole la mano e facendola girare. Raccolse gli attrezzi. «Mi chiedo che cosa c'è in serbo per noi do-
mani?» Il ragazzo non scherzò durante il viaggio di ritorno, né lo fece nessun altro. Killashandra si rammaricò di non aver chiesto all'agronomo delle piante e dei cespugli. E si divertì a chiedersi se si occupava di varietà così comuni. Quella sera, la tensione mise un freno allo spirito delle reclute, un freno che non fu allentato nemmeno da qualche moderata bevanda. Rimbol, che era stato lo spiritoso della classe, non era disposto a riassumere quella parte. «Ti senti bene?» gli chiese Killashandra, mentre Rimbol fissava il bicchiere di birra mezzo vuoto. «Io?» Alzò le sopracciglia, fingendo di essere sorpreso per la sua domanda. «Certamente. Sono stanco. Niente di più che la stanchezza accumulata durante il lavoro fatto negli scorsi... giorni, più pesante di quello svolto in anni. La vita studentesca indebolisce i muscoli.» Le diede dei colpetti su un braccio, con un sorriso rassicurante, e finì la birra, chiudendo educatamente l'argomento. Quando lei ritornò con un'altra coppa, lui se n'era andato. Bene, pensò tristemente, ha lo stesso diritto che ho io alla Privacy, e nessuno di noi due è di buona compagnia stasera. Il sonno non arrivò facilmente quella notte per Killashandra. Dubitava di essere l'unica sveglia, benché questa non fosse una consolazione. La sua mente ripensava continuamente ai sintomi iniziali dell'adattamento che Borella aveva descritto. Febbre? L'avrebbe riconosciuta, perché non aveva mai avuto una grave malattia sistemica. Nausea? Beh, ogni tanto aveva mangiato male o bevuto troppo. Diarrea? L'aveva provata da bambina per aver fatto indigestione di dolci meloni gialli. Il pensiero di essere completamente inerme, debole, schiava di un'invasione aliena - sì, era una descrizione appropriata del processo - ripugnava Killashandra. Il suo corpo fu investito da un'ondata di freddo, il gelo della paura e della tensione. Era sembrato tutto così semplice a vederlo da Shankill: la simbiosi con una spora aliena avrebbe arricchito le sue abilità innate, dotandola di miracolosi poteri di recupero, di una durata della vita enormemente accresciuta, di un credito per viaggiare lussuosamente, del prestigio di essere membro di una Corporazione elitaria. La parte attraente di un risultato felice del suo adattamento alla spora, fino a quella notte buia e interminabile, avevano di gran lunga superato l'alternativa. La sordità? Ad ogni modo, non sarebbe stata una cantante professionista, non dopo quello che gli esaminatori avevano detto della sua voce, ma la scelta di non cantare doveva
essere sua e non dipendere dal fatto che non poteva più sentirsi capace. Essere un selezionatore, come Enthor, con la sua vista aumentata? Avrebbe potuto sopportarlo? Avrebbe dovuto farlo. Eppure Enthor sembrava contento, perfino geloso della sua abilità di valutare i cristalli. Non aveva desiderato raggiungere una posizione elevata? Per essere il primo selezionatore dell'esclusiva Corporazione Heptite aveva i requisiti necessari. Quanto tempo occorreva per diventare il primo selezionatore? Con una durata della vita lunga come quella degli abitanti di Ballybran? Quanto tempo le sarebbe occorso per diventare un Cantore di rango stellare, una solista, se la sua voce avesse passato l'esame? I pensieri si presero gioco di lei, e Killashandra cercò un'altra posizione nella quale addormentarsi. Era stata catturata ben bene e non poteva biasimare nessuno tranne che se stessa. Catturata? Che cosa aveva chiesto sulla navicella il Cantore più anziano a Borella? «Come è stata la caccia?» No, «Hai fatto buona caccia?» «Al solito,» aveva risposto Borella. «In questa fase non si può mai dire.» Le prede? Gli stupidi come lei, avvertita da Carrik e dal Maestro Valdi, per non parlare dei funzionari della FPS, erano le prede, coloro che barattavano la solida realtà con l'illusione - l'illusione di essere ricchi e potenti, temuti ed isolati dal terribile peso che derivava dal cantare il cristallo. E con nessuna garanzia che si sarebbe diventati Cantori! Carigana aveva ragione. Niente aveva valore finché non avveniva l'adattamento, infatti nessuna lezione e nessuna attività erano state orientate specificamente al ruolo del Cantore: non era stato spiegato nulla dell'arte di tagliare il cristallo alla fonte, o del modo di accordare la tagliatrice, o dove andare nelle catene. Dibattendosi, Killashandra ricordò i tratti contorti di Uyad, che discuteva sul credito che lo avrebbe condotto lontano dal pianeta: gli sfregiati Cantori che scendevano a tentoni dalle slitte nell'hangar sferzato dal vento e la condizione di quelle slitte che dava un'immagine fin troppo brutale delle condizioni che i Cantori sopportavano per tagliare il cristallo sufficiente a lasciare il pianeta. Eppure la voce di Borella aveva una sfumatura di nostalgia, quando aveva parlato del ritorno sulle catene di cristallo... come se non vedesse l'ora. Il canto del cristallo era la prova di occupare il ruolo principale in una compagnia interstellare di prim'ordine? Killashandra dimenò le braccia e agitò la testa da una parte all'altra.
Qualsiasi cosa era meglio che essere classificati come degli anonimi direttori di coro. Non era così? Sistemò il corpo e le membra nella classica posizione per meditare, concentrandosi sulla respirazione e su come allontanare dalla mente tutte le congetture estranee e insidiose. La mattina dopo aveva la testa pesante e gli occhi le bruciavano. Non aveva idea di quando si fosse infine addormentata, ma il chiarore del mattino era un affronto al suo atteggiamento mentale; con un gemito, oscurò la finestra. Non era nell'umore di ammirare i pendii delle colline. E nessun altro era in condizioni migliori: ordinavano silenziosamente la colazione e la mangiavano in solitudine. Ciò nonostante, Killashandra fu disgustata dal fatto di non aver notato le assenze. Soprattutto quella di Rimbol. Più tardi, razionalizzò il senso di colpa, convincendosi di essere stordita per la mancanza di sonno e di non avere il normale spirito di osservazione. Le persone erano sparse nel salotto. Fu Shillawn, che balbettava più del solito, il primo a notarlo. «Killashandra, hai visto Rimbol? O Mistra?» Mistra era la ragazza snella e scura con cui Shillawn aveva fatto coppia fissa. «Non si sono svegliati?» fu la sua immediata reazione irritata. «Chi può dormire con il ronzio di quella sveglia? Rimbol non è nella sua stanza. È... troppo vuota.» «Vuota?» «I suoi attrezzi. Aveva delle cose quando è arrivato. Adesso non c'è niente.» Killashandra entrò quasi di corsa nella camera di Rimbol. Era, come aveva detto Shillawn, completamente vuota, senza alcuna traccia di un'occupazione recente, antisetticamente pulita. «Dov'è Rimbol, il precedente occupante di questa camera?» domandò Killashandra. «Infermeria,» disse una voce distaccata, dopo una trascurabile pausa. «Condizioni?» «Soddisfacenti.» «Mistra?» riuscì a chiedere Shillawn. «Infermeria.» «Condizioni?» «Soddisfacenti!» «Ehi, venite a vedere, voi due,» e Borton distolse l'attenzione del gruppo che aspettava nel corridoio, «Anche Carigana è scomparsa.»
La minacciosa luce rossa sulla porta era spenta. Shillawn deglutì, lanciò un'occhiata di scusa a Killashandra. Anche le condizioni di Carigana erano soddisfacenti. «Mi chiedo se morire viene considerato soddisfacente,» disse Killashandra, fremente per la frustrazione. «Negativo,» ribatté il computer. «E così veniamo portati via nella notte e non ci rivediamo più?» chiese Jezerey, aggrappandosi alla mano di Borton, con gli occhi cupi e spaventati. «Il dolore viene notato dai monitor sensibili, la cura opportuna immediatamente iniziata,» disse Tukolom. Era arrivato senza essere notato. «Tutto procede correttamente.» Accordò loro un sorriso quasi paterno che sparì subito per lasciare il posto a un attento esame dei volti che aveva davanti. Evidentemente soddisfatto, li invitò a seguirlo nel salotto. «Mi fa sentire come se dovessi ammalarmi anch'io,» mormorò Jezerey in modo che sentissero solo Killashandra e Borton. «Non vorrei ammalarmi neanche per sogno,» l'assicurò Killashandra. Cercò di non immaginare Rimbol dibattersi nella febbre o preso dalle convulsioni. «Oggi ci occuperemo del clima,» annunciò Tukolom e si accigliò ai lamenti del suo pubblico. Killashandra nascose il volto e strinse le mani a pugno finché le unghie non le si conficcarono dolorosamente nei palmi. Tukolom doveva scegliere proprio questo giorno per parlare del clima. Qualcosa di quello che disse sulla metereologia applicata a Ballybran e alle sue lune penetrò la sua depressione. Suo malgrado, imparò tutti i congegni di sicurezza, gli avvertimenti, i segni visivi di una turbolenza imminente e i doveri dei membri della Corporazione durante le tempeste; tutto il personale disponibile veniva reclutato per scaricare le slitte dei Cantori, non solo le reclute. Poi Tukolom guidò i sottomessi studenti alla sezione metereologica delle sale di controllo della Corporazione, dove poterono osservare altre persone che studiavano immagini di satelliti, stazioni lunari e i tabulati dei vari strumenti sensibili che registravano le temperature, le particelle sospese, la velocità e la direzione del vento attraverso la rete di sensori del pianeta. Killashandra non si riteneva un granché come addetta alla metereologia. Le nubi vorticanti la ipnotizzavano e trovava difficile ricordare quale veduta della luna era tenuta a osservare. Il computer traduceva i dati in pre-
visioni, costantemente aggiornate, confrontate, supervisionate sia da esseri umani che da macchine. Un altro genere di simbiosi. Un genere che non le interessava particolarmente acquisire. Tukolom li portò nuovamente nell'hangar, per accompagnare una squadra di manutenzione ad una delle vicine unità di sensori. Erano in fila per salire a bordo della nave da trasporto, quando Jezerey fu colta da uno spasmo e cadde sul plasticemento, con la faccia arrossata. Si lamentò, quando fu presa da una convulsione. Borton le si inginocchiò accanto, ma due estranei apparvero, come se fossero stati telecomandati, la infilarono in una lettiga imbottita e la portarono via. «Assolutamente normali sono queste manifestazioni dell'adattamento,» disse Tukolom, fissando Borton in viso, mentre l'uomo guardava con ansia la sua amica. «Ritardare questi tecnici più a lungo non possiamo.» «Non gliene importa niente,» disse Borton con rabbia, lasciandosi cadere nel sedile accanto a quello di Killashandra. «Era solo un pacco per loro. Sono felici di vederci ammalare.» «Preferirei crollare piuttosto che guardare gli altri,» ribatté Killashandra, addolcendo la voce, perché compativa il dolore del suo amico. Lei già sentiva la mancanza degli irriverenti commenti di Rimbol e del suo confortante buonumore. Borton era stato in coppia con Jezerey durante tutta la lunga attesa su Shankill. «Senza sapere quando toccherà a te.» Borton guardò le colline che passavano oltre durante il viaggio, immerso nella sua preoccupazione, e Killashandra non violò la sua privacy. Il collasso di Jezerey gettò un'altra nube sul resto del viaggio. Shillawn, che sedeva dall'altra parte del corridoio, deglutiva con un tale ritmo nervoso che lei non riusciva a guardare nella sua direzione. Quell'abitudine l'aveva sempre irritata: adesso era esasperante. Guardò nell'altra direzione, aldilà di Borton, la vista che cambiava rapidamente. I colori della macchia, gli alberi striminziti, le luci che il sole rifletteva sulle formazioni rocciose, costituivano una visione deliziosa. Sebbene fosse stata sempre acutamente cosciente del movimento, del ritmo e del flusso sulla scena, Killashandra non aveva avuto molte opportunità di osservare lo stato naturale. La superficie di quel pianeta antico, aspro e trascurato evidenziava l'artificialità del mondo dell'arte e la sua continua ricerca delle forme di espressione «più nuove». Un tempo lei aveva ritenuto l'arte l'inizio e la fine di tutte le ambizioni. Ballybran, nella sua eterna lotta per la sopravvivenza contro forze
naturali gigantesche, faceva appello a un altro dei suoi istinti. Le reclute esaminarono la stazione climatica, con i sensori allungati e il sottile tronco dell'unità completamente fuori dall'installazione, nella quale si ritirava, come un animale che si rintana, in caso di «tempo inclemente». Le frasi della loro guida generavano asciutte risate. Anche lui rideva alla loro reazione. Gli abitanti di Ballybran avevano dato a Killashandra l'impressione di essere gente senza senso dell'umorismo, e lei si chiese se la febbre l'avrebbe privata del suo senso del ridicolo. Rimbol non sarebbe stato lo stesso senza la sua comicità. Poi Tukolom annunciò che avrebbero aiutato il tecnico ad applicare sulla stazione climatica una pellicola protettiva contro le particelle portate dal forte vento. Le reclute dovettero prima grattare la-precedente pellicola, un lavoro non arduo, poiché il vento aveva eliminato la maggior parte della sostanza, che non era una gelatina né un lubrificante né una vernice. Killashandra trovò che il grattare e il verniciare la rendevano calma, perché doveva concentrarsi nell'applicare delle pennellate costanti. Era meglio sovrapporre la vernice che farne economia. Si accorse che il metallo del braccio su cui lavorava era stato graffiato, il che indicava che altri operai non erano stati altrettanto coscienziosi. La concentrazione le impediva sconvolgenti riflessioni sulle condizioni «soddisfacenti» di Rimbol e sulle convulsioni di Jezerey. Borton dimostrò la sua ansia durante il viaggio di ritorno con i suoi insistenti lamenti, tormentando Tukolom per farsi dare ulteriori particolari sulla prognosi «soddisfacente». Benché Killashandra simpatizzasse con la preoccupazione per l'amica dell'ex pilota di navicelle, i suoi sproloqui cominciarono a irritarla. Era tentata di dirgli acidamente di smetterla, ma il grattare e il verniciare l'avevano stancata, e non riuscì a trovare le energie per parlare. Quando la nave da trasporto atterrò nell'hangar, si assicurò di essere l'ultima a scendere. Non desiderava nient'altro che un bagno caldo e il silenzio. Non si sentì affatto ristorata dal bagno. Ordinò una birra di Yarra e chiese informazioni su Rimbol. Le sue condizioni continuavano ad essere «soddisfacenti», e la birra perse ogni gusto. Una diversa partita di merce, pensò, non all'altezza dello standard della Corporazione. Ma la bevve, guardando il tramonto colorare la sua collina con rapidi passaggi nelle sfumature più scure del porpora e del marrone. Lasciò la birra a metà e si allungò sul letto, chiedendosi se la stanchezza che sentiva era fatica accu-
mulata o l'inizio della febbre simbiotica. Il polso era normale e il volto non era arrossato. Si coprì con la coperta termica, si girò su un fianco, e si addormentò, chiedendosi che cosa avrebbero escogitato il giorno dopo per le reclute che restavano. Il ronzio della sveglia la fece sedere di colpo sul letto. «Abbassate quel maledetto rumore!» gridò, con le mani sulle orecchie per attutire quell'incredibile frastuono. Poi si guardò intorno sorpresa. Le pareti del suo alloggio non erano più di un colore neutro, ma scintillavano di varie sfumature alla luce fin troppo brillante del sole del mattino. Rese opaca la finestra per eliminare l'accecante bagliore. Si sentiva straordinariamente riposata, con la mente più limpida che avesse mai avuto da quella mattina che aveva capito di non essere più legata né a Fuerte né al Centro Musicale. Quando entrò nel bagno, il tappeto sotto ai piedi nudi le sembrò stranamente ruvido. Si accorse di lievi odori, acri, pungenti, coperti dal profumo che lei usava. Non ricordava di aver versato il contenitore la sera prima. Quando si lavò il viso e le mani, l'acqua aveva una morbidezza che non aveva mai notato. Quando si infilò nella tuta, il tessuto era insolitamente grezzo a contatto con le mani. Le strofinò una contro l'altra e poi decise che forse c'era qualcosa di abrasivo nella vernice che aveva usato il giorno prima. Ma non aveva verniciato con i piedi! Il rumore la colpì nel momento in cui si aprì il pannello della porta. Si ritrasse, riluttante a uscire nel corridoio, che fu sorpresa di trovare vuoto. Il movimento proveniva dalla sala. Riusciva a identificare ciascuna voce e a separare una conversazione dall'altra solo girando la testa. Poi notò la striscia guida all'estremità opposta del corridoio, una striscia che non era più di un grigio opaco, ma di un vivido viola porpora. Rientrò nella camera e chiuse il pannello, incapace di comprendere l'immensa alterazione personale che evidentemente l'aveva trasformata nel corso della notte. «Sono in condizioni soddisfacenti?» gridò, mentre una violenta esultazione si impossessava di lei. Slanciò le braccia al di sopra delle spalle. «Le mie condizioni sono soddisfacenti?» Le rispose un colpo sul pannello della porta. «Avanti.» Fuori c'era Tukolom con due medici della Corporazione. Non ne fu sorpresa. Invece, l'espressione sul volto di Tukolom la sorprese. L'insegnante si ritrasse stupito, mentre le espressioni di incredulità, sgomento e indigna-
zione sostituivano l'abituale discrezione. A Killashandra sembrò strano che quell'uomo, che aveva senza dubbio assistito alla trasformazione di migliaia di reclute, apparisse dispiaciuto della sua. «Lei verrà condotta all'infermeria per completare la simbiosi.» Tukolom si rifugiò in una formula imparata a memoria. La mano sinistra si sollevò dal fianco quel tanto che bastava a indicare che doveva seguire i medici. Assolutamente divertita dalla reazione di Tukolom e felice, Killashandra si fece avanti con impazienza, poi si girò con l'intenzione di prendere il flauto. Adesso che sapeva che avrebbe udito per tutta la vita, voleva quello strumento. «I suoi beni a lei verranno più tardi portati. Vada!» La rabbia e la frustrazione di Tukolom non erano aperte. Aveva il viso soffuso di rossore. Non c'era la minima somiglianza fisica o filosofica tra Tukolom e il Maestro Valdi, eppure in quel momento Killashandra ricordò il suo vecchio insegnante. Girò le spalle a Tukolom e seguì i medici verso la rampa. Proprio mentre usciva dal corridoio, sentì che Tukolom attirava autoritariamente l'attenzione. Guardandosi alle spalle, vide che tutte le teste erano girate nella direzione dell'uomo. Ancora una volta, aveva fatto un'uscita di scena senza pubblico. CAPITOLO SESTO Era stato abbastanza brutto essere portata via come se avesse commesso un crimine, ma i tecnomedici continuavano a chiederle se si sentisse debole, se avesse caldo o freddo, come se fosse negligente quando negava di avvertire qualsiasi fastidio fisico. Di conseguenza, non poté confessare il senso di vitalità che non aveva mai provato, il fatto che tutto intorno a lei, perfino le semplici tuniche verdi dei medici, avessero acquistato un nuovo splendore, che le dita si contraevano al tatto, che le orecchie vibravano ad ogni minuscolo suono. Più di tutto, desiderava gridare la sua felicità in ottave prima impossibili per una voce umana. La doccia fredda finale arrivò quando il tecnomedico capo, una graziosa donna con i capelli scuri intrecciati in un'elaborata corona, volle sottoporre Killashandra allo scanner fisico. «Non ho bisogno dello scanner. Non mi sono mai sentita tanto bene!» «Il simbionte può essere subdolo, mia cara Killashandra, e solo lo scanner può dircelo. Per favore, stenditi. Sai che non occorre molto tempo, e abbiamo veramente bisogno di un quadro preciso del tuo attuale stato di
benessere.» Killashandra represse l'improvviso desiderio di strillare e si sottomise. Era in un tale stato euforico che la sensazione claustrofobica del casco non le diede fastidio, e la prova della soglia del dolore la fece ridacchiare. «Bene, Killashandra Ree,» disse Antona, toccandosi distrattamente un filo del diadema, «tu sei fortunata.» Il suo sorriso, mentre aiutava Killashandra ad alzarsi, fu il più caldo che la giovane donna avesse visto sul viso di un membro della Corporazione. «Ci accerteremo che questo processo non abbia ricadute. Vieni con me e ti mostrerò la tua camera.» «Sto bene? Pensavo che avrei avuto la febbre.» «Potresti avere la febbre in futuro,» disse Antona, con un sorriso incoraggiante, mentre guidava Killashandra lungo un ampio corridoio. Killashandra esitò, storcendo il naso agli odori che adesso l'assalivano: sudore rancido, urina, feci, vomito, e, palpabile come gli altri fetori, paura. «Sì,» disse Antona, osservando la sua sosta, «Mi aspetto che ti occorrerà del tempo per abituarti all'aumentato senso dell'olfatto. Per fortuna, non è stato uno dei miei adattamenti. Sento ancora gli odori, è indispensabile nella mia professione, ma non mi sopraffanno. Ti ho messo in fondo, lontano dagli altri, Killashandra. Puoi programmare il condizionatore d'aria per mascherare tutto questo.» Anche i rumori assalirono Killashandra. Malgrado le spesse pareti insonorizzate, riconobbe una voce. «Rimbol!» Si girò a destra e aprì una porta prima che Antona riuscisse a fermarla. Il giovane di Scartine, con la schiena inarcata per le convulsioni, veniva tenuto sul letto da due robusti tecnomedici. Un terzo spruzzava un medicinale sul torace di Rimbol. Nei due giorni in cui non lo aveva visto, aveva perso peso, il colorito aveva preso una strana sfumatura giallastra e la faccia era contorta dal parossismo che si era impossessato del suo corpo. «Non tutti se la passano bene,» disse Antona, prendendola per un braccio. «Non se la passano bene!» Killashandra fece resistenza al tentativo di Antona di allontanarla dalla camera. «Il fax diceva condizioni soddisfacenti. Queste condizioni vengono considerate soddisfacenti?» Antona guardò Killashandra. «Sì, sotto un certo aspetto, le sue condizioni sono soddisfacenti - il ragazzo sta conservando la sua integrità con il simbionte. Fisicamente sta avvenendo un cambiamento massiccio: un rigetto istintivo da parte sua, una mutazione da parte del simbionte. La pro-
gnosi del computer dà a Rimbol una possibilità eccellente di compiere un adattamento soddisfacente.» «Ma...» Killashandra non riusciva a distogliere gli occhi dal corpo contorto di Rimbol. «Anch'io passerò una fase simile?» Antona chinò il capo, celando la sua espressione, un atteggiamento evasivo che irritò Killashandra. «Non credo, Killashandra, perciò non ti crucciare. I risultati dell'ultimo esame devono essere analizzati, ma la mia interpretazione iniziale indica un adattamento tranquillo. In caso contrario, sarai la prima a saperlo. Una magra consolazione, forse, ma sei stata tu ad entrare in questa stanza.» Killashandra ignorò il rimprovero. «Avete previsto per quanto tempo rimarrà in questo stato?» «Sì, un altro giorno ancora, e dovrebbe aver superato il peggio della penetrazione.» «E Jezerey?» Antona lanciò a Killashandra uno sguardo privo d'espressione. «Oh, la ragazza che ieri ha avuto un collasso nell'hangar? Sta bene... mi correggo.» Antona sorrise in modo conciliante. «In questo momento soffre di un attacco di ipertermia e cerchiamo di farla stare il meglio possibile.» «È in condizioni soddisfacenti, in effetti?» Killashandra era rosa dall'amarezza per quella ingannevole definizione, ma permise ad Antona di condurla fuori dalla camera di Rimbol. «Soddisfacenti, nei termini della nostra esperienza, sì. Devi capire che esistono vari livelli di gravità con cui il simbionte colpisce l'ospite e l'ospite rigetta il simbionte.» Antona si strinse nelle spalle. «Se conoscessimo tutte le ramificazioni e le deviazioni, sarebbe semplice reclutare solo i candidati che hanno i cromosomi richiesti. Ma non è così semplice, sebbene le nostre continue ricerche si avvicinino sempre più a definire i parametri esatti.» Concesse a Killashandra un altro dei suoi caldi sorrisi. «Nella selezione siamo migliorati molto rispetto al passato.» «Da quanto tempo sei qui?» «Abbastanza a lungo da sapere quanto sei fortunata. E sperare che tu continui ad avere tanta fortuna. Generalmente, lavoro con i pazienti autosufficienti, poiché trovo che i pazienti inermi mi deprimono. Eccoci qui.» Antona aprì una porta alla fine del corridoio e cominciò a ritornare sui propri passi. Killashandra la afferrò per un braccio. «Ma Rimbol? Potrei vederlo?» Un'altra espressiva alzata di spalle. «Se lo desideri. Le tue cose arrive-
ranno subito. Sistemati,» disse più gentilmente. «Programma il condizionatore d'aria e riposa. Adesso non c'è nient'altro da fare. Ti informerò dei risultati delle analisi, non appena li avrò.» «O io informerò te,» disse Killashandra con umore sarcastico. «Non indugiare su questa possibilità,» le consigliò Antona. Killashandra non lo fece. La camera, la terza che aveva avuto in tante settimane, era destinata a curare con agio i pazienti, benché le attrezzature fossero assenti. Gli odori persistenti della malattia penetravano dal corridoio, e la camera sembrava generare delle maschere antisettiche. Occorse a Killashandra quasi un'ora per trovare un odore piacevole che rinfrescasse la camera. Durante il processo, imparò a intercettare gli aggiornamenti fax sulle condizioni degli altri pazienti. Poiché non era mai stata malata né aveva avuto occasione di visitare un amico malato, non aveva un'idea chiara di che cosa significassero i tabulati. Giacché i pazienti erano designati con il numero della camera, riuscì a trovare Rimbol. Il suo monitor mostrava un'attività maggiore di quello della persona nella camera accanto, ma non riuscì a scoprire chi fosse il vicino di Rimbol. Quella sera, Antona le fece una visita, con un'espressione sbarazzina e il sorriso caldo sul volto. «La prognosi è eccellente. Non ci sarà febbre. Ti terremo qui per qualche giorno solo per essere sicuri. Una transizione facile non è sempre sicura.» Uno squillo le cancellò il sorriso dalla faccia. «Ah, un altro paziente. Scusami.» Non appena la porta si chiuse, Killashandra accese il video medico. In fondo, una linea verde intermittente avvertiva di un nuovo ricovero. Fu così che Killashandra andò a vedere Borton che veniva trasportato nell'infermeria. Il giorno seguente fu ricoverato Shillawn. Il fax continuava a definire «soddisfacenti» le condizioni di tutti. Ormai l'aveva accettato, poiché era affascinata dai grafici dei segnali vitali, finché quello del vicino di Rimbol inaspettatamente non registrò più niente. Killashandra corse lungo il corridoio. La porta della camera era aperta, e cinque, sei tecnici erano chini sul letto. Antona non era tra loro, ma Killashandra scorse la faccia di Carigana con gli occhi spalancati. Si girò e irruppe nell'ufficio del medico capo. Antona era curva su una complicata consolle, e le sue mani erano graziose anche nei rapidi movimenti sui tasti. «Perché Carigana è morta?» domandò Killashandra. Senza alzare gli occhi dalle luci mutevoli del video, Antona parlò. «Tu
hai dei privilegi in questa Corporazione, Killashandra Ree, ma nessuno ti dà il diritto di disturbare un capo di qualsiasi livello. Nemmeno me, in questo momento. Voglio sapere perché è morta molto più di te!» Giustamente imbarazzata, Killashandra uscì dall'ufficio. Ritornò in fretta nella sua camera, distogliendo gli occhi quando passò davanti alla porta aperta di Carigana. Si vergognava di se stessa; non le importava veramente che Carigana fosse morta, ma solo perché fosse morta. L'operaia spaziale era veramente irritante, pensò candidamente Killashandra. La morte era un concetto trattato dal punto di vista drammatico al Centro Musicale, ma Carigana era il primo contatto di Killashandra con quella realtà. La morte poteva cogliere anche lei, Rimbol, e lei sarebbe rimasta veramente sconvolta, se il ragazzo fosse morto. Perfino se fosse-morto Shillawn. Killashandra non sapeva quanto tempo fosse stata seduta a osservare i grafici dei segnali vitali, cercando di ignorare quelli discontinui. Un gentile colpetto alla porta fu immediatamente seguito dall'ingresso di Antona, e la sua espressione stanca disse a Killashandra che non dovevano essere passate poche ore. Antona si appoggiò all'intelaiatura della porta, ed espirò a lungo. «Per rispondere alla tua domanda...» «Mi scuso per il mio comportamento...» «Non sappiamo perché Carigana sia morta,» continuò Antona, chinando il capo per accettare le scuse. «Io ho una mia teoria non sostenuta da alcuna prova. L'intuizione, se vuoi, è che il desiderio di essere accettati, di arrendersi al simbionte, è necessario al processo di adattamento quanto la resistenza fisica, che Carigana aveva, e i primi sono i cromosomi che abbiamo stabilito come i più probabili a produrre un adattamento favorevole. Tu desideravi molto diventare un Cantore di Cristallo, non è vero?» «Sì, ma anche gli altri.» «Lo volevano veramente?» Il tono di Antona era stranamente pensoso. Killashandra esitò, fin troppo consapevole dell'inizio del suo desiderio di diventare un Cantore di Cristallo. Se la teoria di Antona aveva un fondo di verità, anche Killashandra avrebbe dovuto essere morta, e certamente non avrebbe dovuto stare così sfacciatamente bene. «A Carigana non piaceva niente. Metteva tutto in discussione,» disse Killashandra, spinta a dare ad Antona tutto il sostegno possibile. «Non doveva diventare un Cantore di Cristallo.» «No, avrebbe potuto restare nello spazio.» Antona sorrise lievemente, si spinse lontano dalla parete, e poi vide i grafici sul video. «Ecco come lo
hai saputo. Beh,» e indicò il grafico attivo nell'angolo a sinistra, «questo è il tuo amico Rimbol. Adesso è in condizioni più che soddisfacenti. Gli altri procedono bene. Tu puoi imballare le tue cose. Non ho più nessuna ragione medica per tenerti qui. Starai molto meglio a imparare le tecniche di sopravvivenza della tua professione, mia cara, piuttosto che sedere qui a vegliare i malati. Ufficialmente, adesso sei un problema di Lanzecki. Verrà qualcuno a prenderti.» «Non mi ammalerò?» «Non tu. Tu hai avuto quella che è chiamata la transizione di Milekey. Praticamente nessun fastidio fisico e il massimo dell'adattamento. Ti auguro buona fortuna, Killashandra Ree. Ne avrai bisogno.» Antona non sorrideva. Proprio in quel momento la porta si spalancò. «Trag?» Il tecnomedico capo era sorpreso, ma ritornò affabile, Il momento di serietà era stato così breve che Killashandra si chiese se non lo avesse immaginato. «Senza dubbio, ti rivedrò, Killashandra.» Scivolò fuori dalla camera, mentre entrava un uomo serio, di corporatura media. La prima occhiata che le lanciò fu intensa, ma la ragazza era sopravvissuta all'esame di troppi controllori per intimidirsi. «Non ho molto da imballare,» disse, senza sorridere. Scese dal letto e raccolse in fretta le sue cose. L'uomo vide il liuto prima che lei lo prendesse, e qualcosa gli attraversò il viso. Un tempo lo aveva suonato? Gli si affiancò, con lo zaino sulle spalle, cosciente del fatto che il cuore le batteva forte. Lanciò un'occhiata allo schermo, gli occhi si posarono sul grafico di Rimbol. Dopo quanto tempo sarebbe stato dimesso? Fece un cenno di assenso a Trag e lo seguì fuori dalla camera. Ben presto, Killashandra venne a sapere che Trag era riservato per natura, ma mentre si facevano strada lungo i corridoi dell'infermeria, lei fu felice di essere accompagnata in silenzio. Le erano accadute troppe cose troppo velocemente. In quel momento si rese conto che aveva temuto di vedere apparire all'improvviso i suoi segni vitali sul video medico. Il subitaneo sollievo da quella preoccupazione e la sua dimissione dall'infermeria l'avevano stordita. Solo in seguito venne a sapere che Trag, assistente capo del Maestro della Corporazione, incaricato dell'addestramento dei Cantori di Cristallo, normalmente non li scortava. Quando il pannello dell'ascensore si chiuse sul livello dell'infermeria, Trag le prese la mano destra e le assicurò intorno al polso una sottile fascia metallica. «Deve portarlo per essere identificata, finché non sarà stata nelle catene
di cristallo.» «Per essere identificata?» La fascia aderiva senza impedire i movimenti del polso, ma la lega era stranamente ruvida a contatto con la pelle. La sensazione sparì dopo pochi secondi, cosicché Killashandra si chiese se non l'avesse immaginata. «Per essere identificata dai suoi colleghi. E per godere della privacy che spetta ai Cantori.» Una certa inflessione nella sua voce le fece affluire il sangue al volto, ma l'espressione dell'uomo era riservata. A quel punto si aprirono i pannelli dell'ascensore. «E le permetterà di entrare nei livelli dei Cantori. Ce ne sono tre. Questo è il principale, con tutte le attrezzature generali.» Entrò con lui in un vasto atrio, con i solai a volta e un'ingegnosa illuminazione. Dopo pochi attimi, Killashandra sentì che i suoi nervi, che nell'infermeria erano stati tesi come una corda, cominciavano a rilassarsi. Pilastri massicci separavano il livello in sezioni e corridoi. «Il pozzo dell'ascensore,» continuò Trag, «è il centro di questi livelli del complesso. Sale per il ristoro, per visioni su grande schermo, per cene private e per riunioni, sono immediatamente intorno all'ascensore. Gli appartamenti individuali sono sistemati in quadranti colorati, con piccoli ascensori che portano a tutti gli altri livelli, in punti convenienti dell'arcata esterna. Il suo appartamento è nel quadrante blu. Da questa parte.» L'uomo girò a sinistra e lei lo seguì. «Questo è il mio alloggio stabile?» domandò, pensando a quanti ne aveva cambiati da quando aveva conosciuto Carrik. «Nella Corporazione, sì.» Ancora una volta, Killashandra colse quella strana inflessione nella sua voce. Immaginò che avesse qualcosa a che fare con la sua nuova condizione raggiunta prima di tutti gli altri della sua classe. Si sentiva stranamente disgregata. Aveva già vissuto questo fenomeno al Centro Musicale, in giorni in cui nessuno ricordava i versi, le entrate o i tempi corretti. Bisognava semplicemente superare questi momenti il meglio possibile. E in quel momento, certamente importantissimo nella sua vita, l'acquiescenza era difficile da ottenere. Per poco non finì addosso a Trag, che si era fermato davanti ad una porta sul lato destro del corridoio. Si rese conto in ritardo che, ad intervalli, avevano superato dei corridoi. «Questo appartamento è assegnato a lei.» Trag indicò la piastra della serratura.
Killashandra premette il pollice sulla zona sensibilizzata. Il pannello si aprì. «Usi quello che resta della mattinata per sistemarsi e avviare il suo programma personale. Usi qualsiasi codice desidera: i dati personali sono sempre codificati a voce. Alle 14.00, Concera l'accompagnerà dal tecnico delle tagliatrici. Non avrà scuse per non equipaggiarla rapidamente.» Killashandra notò l'enigmatica osservazione e si chiese se tutti le avrebbero rivolto frasi che lei non capiva, ma che evidentemente avrebbe dovuto capire. Mentre lei si fermò a riflettere, Trag percorse a lunghi passi il corridoio. Lei chiuse il pannello, accese la luce per la privacy, e ispezionò il suo appartamento permanente nella Corporazione. Le dimensioni potevano denotare la posizione sociale, così come sugli altri pianeti. La stanza principale era due volte più grande del suo ampio alloggio di recluta. Su di un lato c'era una camera da letto che sembrava occupata tutta dal letto. Una porta su una parete era aperta su uno spogliatoio rivestito di specchi che, a sua volta, portava ad un'unità igienica con una vasca incassata da cui spuntava un numero insolito di rubinetti e quadranti. Sull'altro lato della stanza principale c'era un ripostiglio più grande della sua stanza da studentessa su Fuerte e una zona compatta per il pranzo e il distributore alimentare. «Birra di Yarra, per favore.» Parlò più che altro per far rumore in quell'ambiente sterile e silenzioso. La fessura del distributore si aprì per presentare una coppa della caratteristica birra rossastra. Si portò la bibita nella stanza principale, sorseggiandola mentre guardava accigliata il funzionale arredamento. Poggiò con cura il liuto su una sedia, si tolse lo zaino dalle spalle e lo mise a terra, presa dal desiderio di spargere le sue cose in tutto quel severo appartamento, solo per farlo sembrare abitato. Eccola, Killashandra Ree, sistemata sfarzosamente, con la posizione di Cantore di Cristallo, quell'essere temibile e orrendo, un ragno di silicato, un cuculo di cristallo con un nido di lusso. Quel pomeriggio stesso sarebbe stata accordata a una Tagliatrice che le avrebbe permesso di tagliare il cristallo di Ballybran, guadagnare cifre sbalorditive di crediti galattici, e lei avrebbe volentieri dato il tutto in cambio del suono di una voce amica. «Non è che sia sicura di avere un amico da qualche parte,» disse. «Registrare?» La voce impersonale, né tenore né contralto, la fece trasalire. La coppa piena di birra le tremò tra le mani.
«Programma personale.» Ecco quello che aveva voluto dire Trag. Doveva registrare tutti quei fatti della sua vita che desiderava ricordare in quei tempi futuri, quando il canto del cristallo le avrebbe confuso i circuiti della memoria. «Registrare?» «Sì, registra e conserva solo con l'impronta della voce.» Mentre forniva dati quali il luogo e la data di nascita, il nome dei genitori, dei nonni, delle sorelle e dei fratelli, la durata e lo scopo della sua istruzione, girava per la stanza principale, cercando di trovare esattamente il posto giusto in cui esporre il suo liuto. «Dopo aver vinto una borsa di studio, sono entrata nel Centro Musicale.» Si fermò per ridere. Quando si cominciava a dimenticare quello che si desiderava dimenticare? «Subito!» «Registrare?» «Fine della registrazione. Conserva.» Ed era tutto. Sapeva che ci avrebbe ripensato, ma non voleva ricordare quei dieci anni. Adesso poteva cancellarli. Lo avrebbe fatto. Per quanto la riguardava, da quel momento in poi, e per sempre, non le era accaduto niente di importante dopo l'ottenimento della borsa di studio fino all'incontro con Carrik. Quei dieci anni di fatica incessante e di dedizione a un'ambizione non erano mai esistiti per Killashandra Ree, Tagliatore nella Corporazione Heptite. Per celebrare la sua liberazione da un passato inglorioso, Killashandra ordinò un'altra birra. Il digitale indicava che restava ancora un'ora prima che Concera la conducesse all'appuntamento. Ordinò un piatto descritto come una saporita zuppa di legumi assortiti. Controllò il credito, una cosa che non doveva dimenticare di fare regolarmente, e scoprì di essere ancora in attivo. Se avesse aggiunto il resto del buono della Corporazione e il biglietto aperto, avrebbe avuto un saldo prospero. Da spendersi per l'equipaggiamento da Cantore di Cristallo. Killashandra non aveva versato quei crediti. Questo argomento le ricordò Shillawn, e le altre discussioni sul debitocredito. Chiamò lo spaccio della Corporazione, ordinò altri mobili, tappeti dei tessitori di Ghni, e entro le 14.00, quando Concera sfiorò il campanello della sua porta, Killashandra sulle pareti aveva schermi che mescolavano gli elementi più improbabili, da un mondo di ghiacci alla flora straordinaria dei voraci pianeti di Eobaron. Un pugno nell'occhio, ma un cambiamento completo rispetto all'ambiente sterile.
Concera, una donna di altezza media e di costituzione snella, scivolò nella stanza principale, esclamò alla vista degli schermi sulle pareti e lanciò un'occhiata interrogativa a Killashandra. «Oh, come sei intelligente! Io non avrei mai pensato di mescolare mondi diversi! Andiamo subito. Lui ha un tale caratteraccio nei momenti migliori, ma senza la sua abilità, noi, i Cantori intendo, saremmo rovinati. È un artigiano eccezionale, il che è l'unico motivo per cui si asseconda il suo temperamento bizzarro. Da questa parte.» Concera percorse un bel tratto di strada con la sua andatura scivolante, e Killashandra dovette allungare le gambe per mantenere il passo. «Imparerai presto dove si trova tutto. È bello stare per conto proprio, io credo, invece che in un branco, e poi persone diverse hanno gusti diversi,» e Concera guardò Killashandra con la coda dell'occhio per vedere se fosse d'accordo. «Naturalmente, verranno da ogni parte della galassia, così si è destinati a trovare qualcuno compatibile. Questo è l'ottavo livello dove viene svolta la maggior parte del lavoro tecnico - naturalmente le tagliatrici vengono fatte qui, visto che sono lo strumento più tecnico di tutti. Eccoci.» Concera si fermò davanti a un ingresso aperto e, con quella che parve un'inattesa cortesia, spinse Killashandra avanti in un piccolo ufficio con un bancone in fondo e una porta che conduceva in un'officina. La sua entrata doveva aver fatto scattare un allarme, perché apparve sulla soglia un uomo, con la faccia arrossata dal sole atteggiata ad un'espressione acida. «Tu saresti Killashandra?» domandò. Le fece cenno di entrare e poi vide Concera. «Tu? Ti ho detto che non devi aspettare, Concera. È inutile, assolutamente inutile, fabbricarti una maniglia per tre dita. Diventerà troppo piccola per te, e tutto quel lavoro sarebbe sprecato.» «Pensavo che sarebbe stata una sfida per te...» «Ho tutte le sfide di cui ho bisogno, Concera.» Ribatté con una tale veemenza che quando riportò lo sguardo su Killashandra, lei si chiese se il disaccordo con la donna si sarebbe riversato su di lei. «Fammi vedere le mani.» Killashandra le appoggiò, con i palmi verso l'alto, sul bancone. Alzò le sopracciglia mentre toccava con forti dita impersonali il palmo, allargava le dita per notare che non c'era il callo dovuto alla pratica costante, il robusto muscolo lungo il palmo della mano e il cuscinetto del pollice. «Hai usato correttamente le mani.» Lanciò un'altra occhiata a Concera. Fu solo allora che Killashandra notò che le prime due dita della mano sinistra di Concera erano state tranciate. I monconi erano rosei, rimargina-
ti, ma avevano una strana forma. In un impeto che le fece rivoltare lo stomaco, Killashandra capì che le due dita mancanti si stavano rigenerando. «Se resti, sta' zitta. Se te ne vai, non sarai tentata. Mi occorreranno due, tre ore.» Concera decise di andarsene, il che non ebbe alcun effetto positivo sullo scontroso tecnico. Killashandra aveva ingenuamente creduto che accordare una tagliatrice sarebbe stata una faccenda semplice, invece fu un procedimento noioso, che prese molti giorni. Fu costretta a leggere ad alta voce, per l'impronta del timbro, noiosi tabulati sulla storia e lo sviluppo delle tagliatrici. Imparò più di quanto le occorresse: alcuni dei meccanismi più complessi si erano provati inaffidabili anche in un clima impossibile. Un modello, un tempo diffuso, fu condannato per la scarica ad alto voltaggio che aveva carbonizzato il cadavere, che Killashandra aveva visto su Shankill. La tagliatrice più efficace ed affidabile, migliorata rispetto al rozzo originale di Barry Milekey, esigeva che l'utilizzatore avesse un tono perfetto. Era un congegno piezoelettrico che convertiva la nota e il ritmo vocali del Cantore di Cristallo in onde d'urto ad alta frequenza su un vettore ultrasonico. Il bordo tagliente dell'onda d'urto era intonato dal Cantore sulla nota dominante della fronte di cristallo «colpita». Una volta adattato ad un modello di voce, il congegno ultrasonico non poteva essere alterato. La manifattura di simili tagliatrici era un'esclusiva della Corporazione ed era salvaguardata dal montaggio al computer, e il codice del programma era noto solo al Maestro della Corporazione e al suo assistente esecutivo. Come aveva accennato Concera, il tecnico era un uomo capriccioso. Mentre Killashandra leggeva a voce alta, lui si lamentava di vari torti subiti dalla Corporazione e dai suoi membri. In quel periodo, Concera e la sua richiesta di una maniglia per tre dita era la sua lagnanza preferita. «Concera ha le mani che non valgono niente e se le taglia sempre.» Un'altra lagnanza era che avrebbe dovuto restare altre tre settimane a pescare prima di tornare al lavoro. I pesci avevano appena cominciato ad abboccare, e adesso non le dispiaceva cantare un'ottava in DO. Cantò parecchie ottave in vari toni e capì che c'erano giurie peggiori dei giudici delle audizioni, apparentemente ben disposti. Non usava la voce dal giorno in cui aveva incontrato Carrik; le faceva male la gola nel sostenere le note e si rendeva conto che il suono era rauco. Quando Concera scivolò nella stanza, Killashandra fu sopraffatta dal sollievo.
«Torna domani, stessa ora. Ti farò i calchi delle tue ottime dieci dita.» E lanciò uno sguardo malizioso a Concera. Concera spinse Killashandra fuori dall'officina e dall'ufficio. «Gli piacciono le sue battutine,» disse, facendo strada lungo un corridoio e poi a sinistra nel successivo. «Volevo solo un piccolo favore, in modo da poter tornare nelle catene senza sprecare tanto tempo.» Entrò in una stanza su cui c'era scritto «Addestramento», sospirò nel chiudere la porta e accese la luce per la privacy. «Dobbiamo ancora,» e sorrise allegramente a Killashandra, ma i suoi occhi evitarono un contatto diretto, «iniziare il tuo addestramento.» Fece cenno a Killashandra di prendere posto in una delle cinque, sei sedie che erano di fronte a un proiettore di ologrammi. Concera prese da uno scaffale un'unità di telecontrollo, oscurò la stanza e attivò il proiettore. Le lettere ingrandite delle regole, degli ordinamenti e dei precetti della Corporazione si librarono al di sopra di loro. «Puoi anche aver avuto una transizione di Milekey, ma non esiste una maniera facile di superare questa difficoltà.» «Tukolom...» «Tukolom tratta solo le informazioni fondamentali, adatte a chiunque entri nella Corporazione con qualsiasi mansione.» La voce di Concera aveva una sfumatura di rancore. «Adesso tu devi specializzarti e ripetere e ripetere.» Concera sospirò. «Lo dobbiamo fare tutti,» aggiunse, e la sua voce esprimeva una paziente rassegnazione. «Se per te è una consolazione, l'ho dovuto fare anch'io e ho sempre trovato molto più facile spiegare che memorizzare.» La sua voce si alleggerì. «Sentirai anche i Cantori più anziani mormorare ordinamenti e restrizioni ogni sera nelle Sale Comuni. Naturalmente, non apprezzerai questo esercizio, finché non sarà vitale! Quando arriverai a questo punto, non ricorderai come fai a sapere quello che fai. Perché è quando veramente non sai nient'altro.» Malgrado il tono convincente di Concera, Killashandra trovò il ragionamento capzioso. Non potendo scegliere né il programma di studio né l'insegnante, Killashandra si apprestò a imparare a memoria gli ordinamenti riguardanti le concessioni minerarie per lavorare, le fronti in concessione, le interferenze tra le concessioni, i risarcimenti e le retribuzioni, le multe e un mucchio di altre regole di cui non vedeva la necessità, visto che erano ovvie per chiunque avesse buon senso. Quando tornò all'intimità del suo appartamento e alle bizzarrie degli schermi sulle pareti, si mise in contatto con l'infermeria e le fu detto che Rimbol era debole ma aveva conservato tutti i sensi. Shillawn, Borton e
Jezerey erano in condizioni soddisfacenti, nel senso appropriato del termine. Killashandra riuscì anche a estrarre dal recupero dati il fatto che i Cantanti feriti, come Concera e Borella, assumevano il ruolo di insegnanti a causa dell'indennità percepita. Questo spiegava le osservazioni maligne e gli atteggiamenti ambivalenti. Il mattino seguente, quando Concera la interrogò su quello che aveva capito di ogni sezione degli argomenti trattati il giorno prima, Killashandra ebbe l'idea che Concera recitasse silenziosamente paragrafi e sezioni solo un attimo prima della sua allieva. Il pomeriggio trascorse spiacevolmente nell'officina del Pescatore, dove vennero realizzati i calchi delle sue mani. Il Pescatore farneticava sul fatto di dover fare centinaia di calchi durante la vita di un Cantore. Le disse di non protestare con lui per le vesciche sulle mani, un incidente che lui asseriva fosse causato da un irrigidimento muscolare che non era un suo errore. Killashandra trascorse la serata a ridecorare l'appartamento. La mattina fece un'esercitazione con Concera, trascorse mezz'ora con il Pescatore, che borbottò continuamente su una pessima pescata mattutina, sulla mediocrità della plastica con cui doveva lavorare e sui privilegi del rango. Killashandra decise che se avesse dovuto prendersela per ogni osservazione enigmatica che le veniva fatta, sarebbe stata in uno stato costante di agitazione. Nel resto del pomeriggio, Concera la esaminò sulle forme, i toni e le combinazioni dei cristalli che avevano valore di mercato in quel momento: i cristalli neri di qualsiasi forma avevano sempre il valore più alto. Killashandra dovette esaminare il catalogo, imparare a memoria le varie forme usate per i vari prodotti finiti, l'oscillazione dei prezzi e i parametri di variazione di valore per ogni colore. Le furono fatti visitare i dipartimenti di ricerca, dove si studiavano nuovi usi perii cristallo di Ballybran. Lì notò parecchie persone con l'adattamento degli occhi subito da Enthor. Nei giorni seguenti, fece dei voli simulati con la slitta e «volò» contro i venti della tempesta di mach. Al termine della prima lezione, era ridotta a mal partito, sudata e tremante, come se il volo fosse stato reale. «Devi migliorare,» commentò acidamente l'istruttore, mentre lei usciva barcollando dal simulatore. «Sta' mezz'ora nella vasca e torna oggi pomeriggio.» «Nella vasca?» «Sì, nella vasca. Con il liquido radiante. I rubinetti a sinistra. Va'! Ti aspetto alle 15.00.»
Killashandra mormorò tra sé e sé le concise istruzioni per tutta la strada verso il suo alloggio. Mentre andava verso la vasca, lasciò cadere a terra i vestiti. Girò i rubinetti a sinistra, e ne sgorgò un liquido viscoso. Selezionò la temperatura che voleva e si immerse dubbiosa nella vasca. Dopo pochi minuti, la tensione e la stanchezza muscolare si placarono, e lei restò a galleggiare nel liquido radiante, finché non si fu raffreddato. Quel pomeriggio l'istruttore ammise con riluttanza che era migliorata. Pochi giorni dopo, di mattina, durante un volo solitario di addestramento sul Mare Bianco, dove le correnti ascensionali di aria calda facevano svolgere un'ottima pratica, tutti i congegni visivi di allarme diventarono rossi, e si attivò una serie di sirene, clacson, campane e stimolazioni nervose. Killashandra virò immediatamente in direzione nord-est, verso il Complesso della Corporazione e fu sollevata quando la metà dei monitor cessò l'attività. Gli altri restarono accesi o lampeggiarono finché Killashandra non fece atterrare la slitta sulla sua guida e spense il motore. Quando si lamentò con l'istruttore dell'eccesso di allarmi, egli le lanciò una lunga occhiata feroce. «Non è mai eccessivo l'avvertimento di una turbolenza in arrivo,» disse. «Voi Cantori potete essere sordi come alcuni di noi, non importa quanti allarmi montiamo. E ricorda questo: una tempesta di mach non ti dà una seconda possibilità. Noi facciamo del nostro meglio per garantire che abbiate almeno la prima. Adesso prendi l'attrezzatura per maneggiare i carichi. Sta per arrivare un colpo di vento!» Se ne andò rapidamente, agitando le braccia per richiamare l'attenzione di un gruppo di operai dell'hangar. La tempesta non fu classificata Intensa e fu posta in stato di allerta solo la sezione sud-est del continente. Quaranta Cantori erano stati registrati in quella zona, e trentanove erano tornati alla spicciolata. L'ufficiale di volo e quello dell'hangar discutevano, quando Killashandra li oltrepassò. «Keborgen manca. Si sarà ammazzato!» «Si è vantato di andare a prendere il nero. Se si è ricordato dov'è la concessione mineraria...» A quel punto, Killashandra non aveva nessuna scusa per indugiare nelle vicinanze dei due, ma quando le altre navi furono scaricate e sistemate nelle guide, lei restò, dopo che gli altri scaricatori erano stati mandati via. Il vento intorno al complesso non era tanto forte da richiedere il montaggio degli schermi protettivi, di conseguenza Killashandra si fermò dove poteva osservare il quadrante meridionale. Tenne anche sott'occhio i due ufficiali e li vide abbandonare la sorveglianza, stringendosi nelle spalle e
scuotendo il capo. Se Keborgen aveva veramente tagliato cristallo nero, le sarebbe piaciuto scaricarlo. Non c'era bisogno di lei al piano della selezione. Si consolò con il pensiero di aver già raggranellato qualche indennità di pericolo, e di non essere andata in rosso per la decorazione dell'appartamento e per i giorni di istruzione non remunerata. Stava attraversando l'hangar per ritornare al proprio alloggio, quando udì un suono, o piuttosto lo avvertì, come se le terminazioni nervose fossero state attraversate da una stilettata. Non si era ancora abituata alla vista migliorata, perciò scosse la testa e ammiccò, cercando di eliminare la macchia che aveva sulla retina destra. Ma essa continuò a scendere in picchiata e a oscillare nel quadrante inferiore destro. Non era un'ombra nel suo occhio, ma una slitta, evidentemente sulla rotta del complesso. Si chiese se dovesse informare qualcuno, quando il personale addetto alla nave di recupero si diresse verso il pesante argano per le slitte. Nella calca, nessuno notò che Killashandra si era unita alla squadra. La nave di recupero non dovette andare molto lontano, perché la slitta solcò le colline che erano a quaranta passi dal complesso. Il tecnico delle comunicazioni non riuscì a ottenere risposta dal pilota della slitta. «Il maledetto idiota ha aspettato troppo,» disse l'ufficiale di volo, battendosi nervosamente una mano sulla coscia. «Lo avevamo avvertito, quando se n'è andato, di non aspettare troppo. Ma loro non ascoltano mai.» Si lamentò vistosamente, agitandosi sempre più a mano a mano che la nave di recupero si avvicinava alla slitta e il danno diventava visibile. Il pilota della nave di recupero fece atterrare il veicolo a quattro lunghe falcate dalla slitta del Cantore. «Voi altri prendete il cristallo,» gridò l'ufficiale di volo, mentre si slanciava verso la prua frantumata della slitta, che era semisepolta nel terriccio smosso. Mentre Killashandra obbediva agli ordini, si girò a guardare la scia della slitta. In lontananza, vide altri due solchi lasciati dalla slitta prima di rimbalzare e fermarsi. La stiva aveva resistito all'impatto. Killashandra osservò con interesse i tre uomini sbloccare il portellone più vicino. Non appena ne uscirono con dei cartoni, lei si slanciò all'interno. Poi udì i gemiti del Cantore di Cristallo ferito e il ronzio delle imprecazioni dell'ufficiale di volo e del medico che lo assisteva. Nel momento in cui toccò il cartone più vicino, dimenticò l'uomo ferito,
perché uno shock, lieve ma definito, le percorse le ossa, dalla mano al calcagno, alla testa. Afferrò saldamente la maniglia, e la sensazione scomparve. «Fa' in fretta. Dobbiamo portare il tizio in infermeria,» le fu detto dagli operai che ritornavano. Raccolse il cartone e camminò con attenzione, ignorando le esortazioni degli operai che la superarono. Si rannicchiò accanto al cartone, mentre la barella imbottita con il Cantore ferito veniva infilata nella nave di recupero. Durante il breve viaggio di ritorno al complesso, si chiese perché ci fosse tanta agitazione. Sicuramente il simbionte avrebbe rimarginato le ferite dell'uomo, a tempo debito. Immaginava che il simbionte alleviasse il dolore. Borella non sembrava soffrire con le sue orrende ferite alla gamba, e Concera, che pure si lamentava, non aveva mai parlato di dolore per le dita che si rigeneravano. Non appena la nave di recupero atterrò, il Cantore fu consegnato velocemente ai tecnomedici in attesa. Stringendo tra le braccia il cartone che lei sperava ardentemente contenesse cristallo nero, Killashandra attraversò l'area di immagazzinaggio e si diresse nella stanza di selezione. Non ebbe problemi a trovare Enthor, perché l'uomo le finì quasi addosso. «Enthor,» disse, fermandosi e porgendogli il cartone, «penso che contenga cristallo nero.» «Cristallo nero?» Enthor era sorpreso; ammiccò e la scrutò accigliato. «Oh, sei tu. Tu?» Gli occhi rivestiti dalle lenti si spalancarono per la sorpresa. «Tu? Che cosa ci fai qui?» Si girò in direzione dell'infermeria e poi verso il livello delle reclute. «Nessuno stava tagliando cristallo nero...» «Forse Keborgen. È precipitato. Questo viene dalla sua slitta.» Gli spinse il cartone contro il torace. «L'ufficiale di volo ha detto che Keborgen era andato a tagliare i neri.» Per la forza dell'abitudine, Enthor afferrò il cartone, incapace di assimilare sia la sua spiegazione che la sua improvvisa apparizione. Killashandra si spazientì per l'esitazione di Enthor. Non voleva confessare lo shock che aveva provato nella slitta di Keborgen. Spinse abilmente Enthor verso il tavolo, e benché fosse ancora perplesso, il selezionatore mise il codice di identità davanti allo scanner. Le sue mani indugiarono brevemente, ma poi le lasciò cadere quando si girò verso Killashandra. «Su,» disse lei, irritata dalla sua titubanza. «Guardali.» «Io so che cosa sono. Ma come fai a saperlo tu?» L'indecisione di Enthor
era scomparsa, ed egli la guardò negli occhi con un'espressione quasi di accusa. «Li ho sentiti. Aprilo. Che cosa ha tagliato Keborgen?» Con gli occhi sovrannaturali ancora fissi su di lei, Enthor apri la scatola e ne estrasse un cristallo. Killashandra trattenne il fiato alla vista dell'opaco segmento, irregolare, lungo 15 centimetri. Poi dovette espellere l'aria dai polmoni, quando Enthor con rispetto disimballò altri due pezzi che si adattavano al primo. «Ha tagliato bene,» disse Enthor, osservando intensamente la triade. «Ha tagliato molto bene. Non c'è nessun difetto. Questo spiega la forma.» «Ha tagliato i suoi ultimi cristalli,» disse la voce profonda del Maestro della Corporazione. Sorpresa, Killashandra si girò e si rese conto che Lanzecki doveva essere arrivato da qualche momento. Egli le fece un cenno con il capo e poi fece un gesto verso qualcuno che era nell'area di immagazzinaggio. «Porta il resto dei cartoni di Keborgen.» «C'è altro cristallo nero?» Enthor chiese a Killashandra, mentre toccava con attenzione la plastischiuma. Killashandra avvertiva su di sé lo sguardo intenso di Lanzecki. «In questa scatola o nel resto del carico?» «In entrambi,» disse Lanzecki, con gli occhi che gli guizzavano per il suo tentativo di prendere tempo. «Nella scatola no,» disse, mentre faceva scorrere le mani lungo un lato della plastischiuma. Deglutì nervosamente, lanciando un'occhiata di sbieco alla figura imponente di Lanzecki. I suoi abiti, che un tempo le erano sembrati smorti, splendevano per la bellezza del tessuto e del fine disegno, consoni al suo rango. Deglutì una seconda volta, mentre egli annuiva e i sei cartoni della slitta di Keborgen furono depositati sul tavolo di Enthor. «C'è altro cristallo nero?» chiese Enthor. Lei deglutì una terza volta, ricordò che quell'abitudine l'aveva irritata in Shillawn, e fece scorrere le mani sui cartoni. Si accigliò, perché uno strano prurito le attraversò i palmi delle mani. «Niente di simile ai primi,» disse, perplessa. Enthor alzò le sopracciglia e a Killashandra sembrò di vedere i suoi occhi brillare. Aprì una scatola a caso e ne estrasse con attenzione una manciata di frammenti striati, che mostrò a Lanzecki e a Killashandra. Le altre scatole contenevano frammenti simili. «Ha tagliato la triade per prima o per ultima?» Lanzecki parlò piano,
mentre prendeva una scheggia della lunghezza di un dito e ne esaminava le irregolarità. «Non lo ha detto?» si azzardò a dire Enthor. Il sospiro di Lanzecki e il breve movimento del capo risposero alla domanda. «Io pensavo che il prezioso simbionte guarisse...» Buttò fuori Killashandra, prima di rendersi conto che stava parlando. Gli occhi di Lanzecki frenarono la sua esclamazione. «Il simbionte ha poche limitazioni: l'abuso deliberato e costante è una di queste. L'età dell'ospite ne è un'altra. Aggiungi il terzo fattore: Keborgen è rimasto troppo a lungo nelle catene, malgrado l'allarme della tempesta in arrivo.» Si girò a guardare di nuovo i tre pezzi di cristallo nero sui piatti della bilancia e la valutazione del credito che lampeggiava sul video. Se Keborgen era morto, chi avrebbe ereditato il credito? Killashandra sobbalzò, quando Lanzecki parlò di nuovo. «E così, Killashandra Ree, sei sensibile ai cristalli neri, e sei stata beneficiata da una transizione di Milekey.» Killashandra non poté sottrarsi allo sconcertante elogio del Maestro della Corporazione. Non le sembrò né lontano né distaccato, come il giorno in cui lei era arrivata su Shankill con Carrik. Soprattutto i suoi occhi erano vivi e intensi. Un impercettibile movimento verso l'alto delle sue labbra portò lo sguardo inquieto di Killashandra a posarsi sulla sua bocca. Le labbra ampie, ben disegnate, evidentemente riflettevano i suoi pensieri più degli occhi, della faccia o del corpo. Lei lo divertiva? No, probabilmente no. Il Maestro della Corporazione non era noto per il suo senso dell'umorismo. Egli era tenuto in gran conto e veniva temuto da uomini e donne che temevano poco e niente e rispettavano solo il credito. Sentì le spalle e la schiena irrigidirsi in una reazione automatica al barlume di divertimento. «Grazie, Killashandra Ree, per la tua pronta scoperta di quella triade,» disse Lanzecki con una lieve inclinazione della testa che rinforzò la sua gratitudine. Poi si girò e se ne andò, velocemente come era arrivato. Espirando, Killashandra si appoggiò al tavolo di Enthor. «È sempre un bene riconoscere il nero quando ti è vicino.» Enthor si fermò, mentre disimballava con cautela i frammenti. Batté le palpebre per mettere a fuoco il quadrante del peso. «In primo luogo, il problema è trovarlo.» «Qual è il problema in secondo luogo?» chiese la ragazza con insolenza. Entfior batté le palpebre per far tornare le lenti a posto e le lanciò un'oc-
chiata acuta. «Ricordare il primo luogo!» Lei lo lasciò e ritornò all'Immagazzinaggio, attraverso la Selezione, e poi uscì sul ponte dell'hangar, la via più breve verso un ascensore ad arco che scendeva al suo alloggio. Il personale dell'hangar era occupato a demolire il relitto di Keborgen. Killashandra fece una smorfia. E così una nave danneggiata veniva riparata quante volte fosse necessario durante la vita del suo proprietario e poi veniva smontata. La slitta di Carrik era stata smembrata? Si bloccò per un'idea improvvisa, si girò a guardare le colline, nella direzione dell'ultimo irregolare volo di Keborgen. Corse nella Sala-piloti dell'hangar per dare un'occhiata al tabulato metereologico, che veniva continuamente mostrato sul video e aggiornato di minuto in minuto. «Quella tempesta a sud-est? Si sta placando?» L'ufficiale addetto al tempo alzò lo sguardo, con un'espressione accigliata. Prevedendo di ricevere un rifiuto, Killashandra mostrò la fascia che portava al polso. L'ufficiale immediatamente digitò una ripetizione della registrazione del satellite, che mostrava la formazione della tempesta e la sua turbolenta avanzata lungo la costa del continente principale e le Catene di Milekey. Il vento si era rapidamente intensificato e, imprevedibile come la maggior parte delle tempeste di Ballybran, aveva sfiorato un grande settore della catena e poi si era diretto verso il mare, attraversando i bordi della Lunga Pianura, dove l'aria calda si era scontrata con la sua massa più fredda. «Ero sulla nave di recupero che ha riportato Keborgen, ma devo aver perso lì la mia unità da polso. Posso usare un planante?» L'ufficiale metereologico si strinse nelle spalle. «Per quanto mi riguarda, lei può prendere un planante. Nella nostra zona non c'è cattivo tempo. Verifichi con il Controllo del Volo.» Il Controllo del Volo la ritenne maldestra per aver fatto cadere l'attrezzatura e le assegnò un veicolo ridotto a mal partito. Killashandra si fermò abbastanza da notare che la rotta della nave da recupero compariva ancora sullo schermo di emergenza. Quando uscì dall'ufficio, segnò degli appunti sull'unità da polso. Liberò il planante dalle guide e uscì dall'hangar ad un ritmo tranquillo, compatibile con una missione di routine, poi volò verso il luogo della caduta. Era sempre più convinta che .Keborgen, nel tentativo di sfuggire alla tempesta, doveva essere tornato seguendo la rotta più diretta. Benché Concera avesse insistito sull'attenzione con cui i Cantori dovevano proteggere
le loro concessioni minerarie usando rotte tortuose sia all'andata che al ritorno, Keborgen avrebbe potuto volare direttamente nella speranza di raggiungere la salvezza. La sua slitta era arrivata dietro le altre provenienti dalla stessa zona. Ammessa questa possibilità, lei avrebbe potuto scoprire nel recupero dati il secondo esatto in cui l'allarme per la tempesta era stato diffuso, calcolare la velocità massima della slitta di Keborgen, la direzione del volo al momento della caduta, e dedurre in quale zona egli avesse tagliato il cristallo nero. Avrebbe anche potuto fare un calcolo delle probabilità sul tempo perso da Keborgen nella sua concessione mineraria, sulla base del tempo che agli altri trentanove Cantori era occorso per ritornare. Sorvolò con il planante il luogo della caduta. I profondi solchi cominciavano ad attenuarsi, perché il vento vivace sollevava il terreno. Deviò la rotta del planante e trovò il solco vicino, e poi altri due ancora, prima di vedere la scorticatura sulla nuda roccia di un pendio più alto. Atterrò per esaminare da vicino le tracce. Il solco era più profondo sul lato nord, come se la slitta avesse deviato per l'urto. Si infilò nella scanalatura e fece un rilevamento con l'unità da polso. Poi ritornò al planante e divise in quarti il settore, cercando qualsiasi altra prova dell'ultimo volo, esitante e sobbalzante, di Keborgen. Le ombre e il tramonto resero imprudente il continuare la ricerca. Killashandra verificò i rilevamenti e poi tornò al complesso. CAPITOLO SETTIMO Killashandra si allontanò dal terminale che era nella sua camera, notò che il video segnava un'ora di primo mattino. Era stanca, gli occhi le bruciavano per la stanchezza, ed era affamata. Ma aveva tutti i dati, che era riuscita a estrarre dalle banche dati della Corporazione, che avrebbero potuto esserle utili nel restringere le ricerche della concessione mineraria sul cristallo nero di Keborgen. Inserì il programma nel suo archivio personale, poi si alzò e andò con le gambe rigide, inarcando la schiena dolorante, al distributore alimentare, cui ordinò una zuppa calda. Benché avesse archiviato i dati, non riusciva a smettere di pensare al suo piano. E a tutti gli ostacoli nella sua effettuazione. Keborgen era morto. Le sue concessioni, ovunque fossero, erano adesso aperte, secondo i vasti paragrafi su «Concessioni minerarie, loro creazione e contrassegno, sanzioni per l'appropriazione indebita, multe e restrizioni,»
e tutti i sottoparagrafi. In ogni caso, bisognava prima trovare la concessione. Come aveva detto Enthor, era il primo problema. Killashandra poteva avere delle teorie sulla sua localizzazione, ma non aveva né una slitta per andare a vedere né una tagliatrice per prendere il cristallo dalla fronte «aperta». Le sue ricerche rivelarono che Keborgen aveva lavorato in quella concessione per almeno quattro decenni e l'analisi provò che dodici frammenti di cristallo nero erano venuti dalla stessa fronte, i penultimi circa nove anni prima. Il secondo problema, come aveva asserito Enthor con tanta efficacia, era ricordare. Per alleviare il tedio dell'esercitazione, Killashandra aveva chiesto a Concera come facessero i Cantori a ritrovare la strada per le concessioni dopo un'assenza, soprattutto se la memoria era tanto inaffidabile. «Oh,» aveva ribattuto con grazia Concera, «io ricordo sempre di dire alla mia slitta quali punti di riferimento cercare. Le slitte hanno degli archivi codificati con la voce, quindi sono assolutamente sicure.» Esitò, guardò con gli occhi non messi a fuoco, com'era sua abitudine. «Naturalmente, a volte le tempeste alterano i punti di riferimento, quindi è più prudente registrare i profili delle piane, delle valli o delle gole, cose che non sono inclini a cambiare con un brutto vento. Inoltre,» continuò in tono più vivace, «quando hai tagliato una particolare fronte alcune volte, essa risuona. Quindi se puoi ricordare almeno la direzione generale e arrivarci, trovare il posto esatto è molto più facile.» «Allora non si tratta tanto di cantare il cristallo, ma di essere cantati dal cristallo,» aveva notato Killashandra. «Oh, sì, ben detto,» disse Concera con la falsa cordialità di chi non ha capito. Killashandra finì la zuppa e si trascinò in camera da letto, lasciando cadere a terra la tuta. Era soddisfatta delle informazioni che aveva raccolto. Poteva restringere la ricerca ai segni delle concessioni più vecchie nell'area geografica determinata dalla velocità massima della slitta di Keborgen, l'ora in cui era stato diffuso l'allarme della tempesta, e la velocità registrata del vento. Si torturava su di un punto. L'archivio della slitta di Keborgen. Aveva visto smantellare la slitta, ma i tecnici della Corporazione avevano salvato l'archivio per i dati che potevano essere recuperati? Non sapeva se qualcuno avesse mai violato un codice vocale. Si sussurrava che fosse possibile. Benché le regole non affermassero che la Corporazione potesse intraprendere un'azione simile, una terribile violazione della privacy secondo i di-
ritti della FPS, lo Statuto non negava esplicitamente questo diritto alla Corporazione, una volta che il membro fosse morto. D'altra parte, Trag aveva detto che gli archivi privati erano irrecuperabili. Il buio e il silenzio assoluto della sua camera da letto acuirono il suo dubbio improvviso. La Corporazione poteva mostrare una certa spietatezza, e a volte lo faceva. Per non impazzire, avrebbe fatto meglio a decidere subito se la Corporazione rispettasse fedelmente oppure no i principi che affermava e citava all'infinito. Un conforto improvviso le venne proprio dalla lunghezza dello Statuto. I suoi voluminosi paragrafi e sezioni ovviamente riflettevano casi ed emergenze che erano stati affrontati per più di quattrocento anni di uso e abuso. Con un sospiro, Killashandra si girò. Evitare le restrizioni e sfidare le leggi era nella natura umana. Così come la Corporazione proibiva e proteggeva, altrimenti il maledetto pianeta sarebbe stato abbandonato alle spore e al cristallo. Si svegliò a mattina inoltrata con l'insistente ronzio del terminale. Fu informata che la sua tagliatrice era pronta e che doveva ritirarla e portarla nella stanza di addestramento numero 47. Stordita per aver dormito poco, Killashandra fece una rapida doccia e mangiò una buona colazione. Si sorprese a lanciare occhiate alla consolle del computer, quasi come se si aspettasse che i dati della notte scorsa uscissero fuori e si mostrassero. I computer dovevano trattare i fatti, e lei aveva un vantaggio che non si poteva calcolare: la sensibilità al cristallo nero: al cristallo nero di Keborgen. I computer non offrivano nemmeno spontaneamente le informazioni, ma lei aveva pochi dubbi che con la notizia della morte di Keborgen, l'apertura della sua ricca concessione sarebbe stata ampiamente nota. Solo 39 Cantori erano sfuggiti alla stessa tempesta. Non sapeva quanti altri Cantori erano ritornati dalla licenza ed erano disponibili per le ricerche. Sapeva che le probabilità che lei trovasse la concessione erano buone da una parte e cattive dall'altra. Ritenne propizia la consegna della tagliatrice. Stava aspettando l'ascensore, quando si sentì chiamare con un grido incredulo. «Killashandra! Sono guarito. Anch'io sono un Cantore.» Stupita, si girò e vide Rimbol correre verso di lei. «Rimbol!» Gli restituì l'entusiastico abbraccio, rendendosi conto di non avergli dedicato nemmeno un pensiero in tutti quei giorni. «Mi è stato detto che avevi superato la transizione in modo soddisfacente, ma nessun'altro ti aveva visto! Stai bene?» Rimbol la allontanò e i suoi occhi verdi le scrutarono il volto e il corpo. «È stato solo il delirio, o
una volta sei venuta a trovarmi?» «Sono venuta molte volte,» rispose sinceramente e con una diplomazia istintiva. «Poi mi è stato detto che interferivo con la tua guarigione. Chi altro ce l'ha fatta?» L'espressione di Rimbol s'intristì.»Carigana non ce l'ha fatta Shillawn è sordo ed è stato assegnato alle ricerche. Mistra, Borton e Jezerey, benedetta coppia; in totale ventinove, ce l'hanno fatta. Celee, l'astronauta, ha avuto un adattamento appena tollerabile, ma ha conservato tutti i sensi, perciò è stato destinato al pilotaggio delle navicelle. Ad ogni modo, non penso che sia contrario al suo temperamento.» «E Shillawn? Gli dispiace?» Killashandra sapeva che la sua voce era aspra, e la faccia di Rimbol si annuvolò finché lei non lo strinse tra le braccia. Avrebbe dovuto ormai imparare a non curarsi tanto delle persone. «Veramente credo che Shillawn sarà più felice come ricercatore che come tagliatore. Celee era già pilota, così non ha perso niente... Antona mi ha detto che Carigana non ha voluto arrendersi alla spora.» Rimbol si accigliò, il corpo gli si irrigidì cosicché Killashandra lo liberò dalla sua stretta. «Si ribellava a tutto, Rimbol. Non lo hai domandato ad Antona?» «No.» Rimbol chinò la testa, con una strana smorfia sul volto. «Ho avuto paura mentre gli altri subivano la transizione.» «Adesso è tutto finito. E tu hai il rango di Cantore.» Vide la fascia da polso e gli mostrò la sua. «Dove sei diretto?» «Ad accordare la mia tagliatrice.» Gli occhi verdi gli brillarono per l'entusiasmo. «Allora possiamo andare insieme. Io devo ritirare la mia.» Erano entrati nell'ascensore, e Rimbol si girò per la sorpresa. «Ritirarla?» «Ti hanno detto quanto tempo sei stato malato?» Killashandra sapeva che la sua rapida domanda era per prendere tempo. Gli occhi di Rimbol espressero sorpresa e poi perplessità. «Oh, sono stata fortunata. Ho avuto quella che Antona chiama una transizione di Milekey, perciò mi hanno mandato via dall'infermeria per fare spazio a qualcun altro e mi hanno fatto cominciare l'addestramento per tenermi lontana dai guai. Eccoci, e non fare caso alle maniere del tecnico. Odia essere tenuto lontano dalla pesca.» Erano arrivati all'ufficio del tecnico e trovarono Jezerey, Mistra e altri due. «Killashandra! Ce l'hai fatta!»
A Killashandra parve che ci fosse una nota di sgradita sorpresa nella voce di Jezerey. La ragazza sembrava smagrita e aveva perso la sua bellezza. «Zitti,» disse il Pescatore, interrompendo il tentativo di Killashandra di rispondere. Aveva una tagliatrice in mano, evidentemente nuova. «Tu. Killashandra,» e le fece cenno di avvicinarsi al bancone, mentre gli altri indietreggiavano. Killashandra fu spiacevolmente cosciente dell'attenzione incentrata su di lei, mentre ritirava il congegno. Poi piegò le dita intorno all'impugnatura, con la mano destra sulla guida, e dimenticò l'imbarazzo nell'eccitazione di essere un passo più vicina alle Catene di Cristallo. Trattenne il fiato quando vide il proprio nome inciso a chiare lettere sul plastifodero che copriva la lama infrasonica. «Riportala per la manutenzione, dopo ogni spedizione, mi hai sentito? Altrimenti, non te la prendere con me, se non taglia bene. Capito?» Killashandra avrebbe voluto ringraziarlo, ma egli si era già rivolto agli altri, facendo un cenno di invito a Borton. Con la tagliatrice in mano, Killashandra si girò e vide l'indignazione negli occhi di Jezerey, il colpo, la sorpresa e il tradimento in quelli di Rimbol. «Antona mi ha buttato fuori dall'infermeria,» disse, più a Rimbol che agli altri, ma tutti sembravano accusarla. «E così la Corporazione mi ha messo al lavoro.» Tenendo la testa alta, sorrise a tutti educatamente e uscì dall'ufficio. Mentre percorreva a grandi passi il corridoio verso gli ascensori, era perversamente adirata con se stessa, con la loro ignoranza, e con la Corporazione per averla messa davanti agli altri. Ricordò scene simili nel Centro Musicale, quando aveva ottenuto una parte o un assolo strumentale, dopo assidui esercizi, e sapeva che la maggior parte dei colleghi le avrebbe preferito qualcun altro. Allora lei era stata responsabile. Adesso, sebbene coscientemente non avesse fatto nulla per provocare le altre reclute, veniva accusata perché aveva avuto un po' di fortuna, proprio come al Centro Musicale era stata incolpata per aver lavorato duramente. A che pro! «Bada a quella maledetta tagliatrice!» Una esclamazione violenta interruppe la sua mortificata autocommiserazione, e qualcuno la spinse verso destra con inutile forza. «Ho detto di badare alla tagliatrice!» L'uomo arretrò rapidamente, perché Killashandra aveva istintivamente alzato la tagliatrice nel sentire quella voce aggressiva. La sua confusione fu ulteriormente aggravata dalla consapevolezza di essere stata sbadata e di comportarsi adesso come una sciocca. L'essere riportata all'ordine non mi-
gliorò il suo malumore. «È spenta.» «È dannatamente pericolosa, accesa o spenta. Non ti hanno informato sulla tagliatrice?» L'uomo alto che la guardava con ira era il compagno di Borella sulla navicella. «Protesta con Borella! Lei ci ha istruiti.» «Borella?» Il Cantore la fissò con un'espressione accigliata e perplessa. «Che cosa ha a che fare con te?» «Io faccio parte della sua 'caccia' recente, credo che questa fosse la sua definizione.» Il cipiglio dell'uomo si approfondì mentre gli occhi la scrutavano e si fermavano sulla fascia da polso. «Hai appena ricevuto la tua tagliatrice, mia cara?» Adesso le sorrise con arrogante accondiscendenza. «Dimenticherò ogni accusa di scortesia.» Con un leggero inchino e un sogghigno sarcastico, si allontanò ad ampie falcate verso l'officina. Lei lo seguì con lo sguardo, nuovamente cosciente dello strano magnetismo del Cantore di Cristallo. Si era infuriata con lui, eppure la sua rabbia era in parte dovuta alla diffidenza di lui e al suo desiderio di impressionarlo. Un tempo anche Carrik era stato così? E lei era troppo immatura per riconoscerlo? Continuò fino all'ascensore e vi entrò. L'incontro con il Cantore le aveva ridato delle prospettive. In ogni caso, lei era un Cantore di Cristallo: più di chiunque altro della sua classe, grazie ad una anomalia fisica e a un fattore temporale che non erano dipesi da lei. Quando entrò nella stanza di addestramento numero 47, ricevette un'altra sorpresa. C'era Trag, appoggiato a un pesante tavolo di plastica, con le braccia incrociate sul petto, in evidente attesa. «Sono in ritardo?» domandò, e provò un nuovo soprassalto di confusione, perché i toni della sua domanda avevano avuto un'aspra eco nella stanza. Poi vide i noti cartoni di plastichiuma sul tavolo che era dietro Trag. «Orchestrano!» «Cristallo inacidito.» disse l'uomo, e la sua voce più profonda risuonò come quella di Killashandra. Poi allungò la mano per prendere la sua tagliatrice. Lei gliela porse, piuttosto riluttante, poiché era un'acquisizione così recente. Trag ispezionò ogni pezzo del congegno, sfoderando perfino la lama infrasonica, cui dedicò l'esame più approfondito. Si spostò al suo fianco,
sul lato sinistro. Le porse la tagliatrice e l'osservò prenderla per le impugnature. Controllò la posizione della sua mano e annuì. «Hai familiarità con i comandi?» domandò, sebbene dovesse sapere che il Pescatore li aveva attentamente illustrati. «E con il processo dell'accordatura?» Lei annuì nuovamente, resa impaziente dall'interrogatorio. Poi, con uno sprezzo per il contenuto che le fece trattenere il fiato, egli gettò sul tavolo di plastica un cartone di cristallo. Trag sogghignò. «Questo è cristallo inacidito. Ci è stato mandato da qualcuno dei sistemi più vicini che non si danno mai la pena di adoperare degli accordatori. Questi cristalli ti insegneranno a trattare l'arma che porti.» Per un terribile attimo, Killashandra si chiese se Trag fosse stato testimone del suo incontro con l'altro Cantore. Abbassò uno sguardo sull'attrezzo che, si rese conto, poteva essere usato come arma. Dal cartone, Trag prese cinque ottagoni di cristallo rosa. Con un martello simile a quello che aveva usato Enthor, li colpì uno alla volta. Il terzo cristallo era acido, significativamente fuori tono. «Adesso bisogna riaccordare i cinque cristalli perché combacino. Ti consiglio di cantarli una nota piena al di sotto di questo,» e diede un colpetto all'ottagono stonato, «e tagliare la cima di questo finché non avrà un suono puro contro la tagliatrice infrasonica.» Mise il cristallo inacidito in un morsetto regolabile. Strinse i fermagli e diede uno strattone per assicurarsi che il cristallo fosse saldo. «Quando canterà correttamente, tu dovrai soltanto tagliare gli altri in scala.» «Come si è inacidito?» «Incrinatura dovuta al supporto. Abbastanza comune per il quarzo rosa.» «Una nota maggiore o minore?» «Minore sarebbe meglio.» Egli annuì quando vide come stringeva i comandi. Killashandra accese la tagliatrice, ricordando di resistere alla forza che sarebbe aumentata attraverso l'impugnatura. Trag martellò il cristallo acido, e lei cantò la nota minore al di sotto, facendo girare con il pollice il sintonizzatore finché il suono della tagliatrice non fu uguale al tono della sua voce. Il cristallo strillò quando lei vi posò la lama sopra. Le occorse tutto il proprio autocontrollo per non ritirarla. «Taglia omogeneamente,» le disse imperiosamente Trag, e il suo ordine improvviso le diede sicurezza. Lo strillo del cristallo rosa sfumò in un tono più puro, mentre la lama infrasonica completava il suo intervento. Trag le segnalò di spegnere la ta-
gliatrice, ignorando la sua stretta tremante. Martellò il cristallo, che suonò un puro LA minore. Martellò il cristallo accanto. LA maggiore. «Passa a SOL minore,» disse, e assicurò nel morsetto il secondo cristallo. Killashandra trovò faticoso cancellare dalla sua mente l'eco della nota maggiore. Accese la tagliatrice, sistemò il sintonizzatore su SOL minore, e questa volta si preparò all'ondata di forza e al grido del cristallo. Non fu uno strillo, ma l'ottagono rosa sembrò resistere al cambio di nota, mentre lei lo attraversava con la lama. Trag martellò il cristallo che suonò SOL minore, annuì e pose il terzo cristallo nel morsetto. Quando Killashandra ebbe tagliato il quinto, si sentiva esaurita e, in una maniera bizzarra, inorgoglita. Aveva realmente tagliato il cristallo. Si appoggiò al tavolo e guardò Trag rimettere i cristalli nell'imballaggio e scrivere le debite annotazioni sul cartone. Poi prese un secondo contenitore. Un altro caso di screpolatura dovuta al supporto, e Trag fece qualche commento sprezzante sui tecnici che non capivano che il giusto supporto prolungava la vita del cristallo. «Come potrebbero esercitarsi i principianti come me, se qualcuno non facesse errori simili?» domandò Killashandra. «Certamente non utilizzate il cristallo appena tagliato dalle catene.» «Quegli ottagoni erano relativamente nuovi. Non erano ancora mai stati accordati. Io disapprovo l'incuria, sotto ogni forma.» Killashandra ne era convinta ed era decisa a non dargli motivo di lamentarsi di lei. Tagliò i contenuti di nove scatole, dodici serie di cristalli blu, gialli e rosa. Aveva ardentemente sperato che una delle scatole rivelasse cristallo nero, e quando l'ultima scatola fu disimballata e mostrò due piatti dodecaedri blu, uno dei quali con una fessura verticale, domandò se il cristallo nero non dovesse mai essere tagliato una seconda volta. «Mai, da quando sono in servizio,» disse Trag, lanciandole un'occhiata penetrante. «Questo dipende in parte dal fatto che i segmenti sono separati e in parte dal fatto che la loro installazione è curata da tecnici di istruzione e di livello impeccabili. Il cristallo nero non soffre per erosioni dovute al supporto o per maltrattamenti. Il cristallo nero è troppo prezioso.» L'uomo sistemò il cristallo blu nel morsetto, con la fessura esposta, «Questo richiede una tecnica leggermente diversa con la lama. Se tu tagliassi interamente la parte danneggiata, distruggeresti la simmetria della forma. Di conseguenza, tutto il pezzo deve essere rimodellato, ridotto in scala. Di so-
lito si procede da maggiore a minore, da minore a maggiore lungo la scala. Questa volta, devi diminuire almeno di una sesta per ottenere una nota pura. Poiché i blu sono comuni quasi quanto i rosa, un errore non costituirebbe una grave perdita. Rilassati. Procedi.» Killashandra non si era sentita all'altezza di un simile esercizio, ma la conclusione di Trag che lei avrebbe potuto sbagliare impunemente rafforzò la sua sicurezza. Udì la sesta inferiore nel momento in cui toccò il cristallo, accese la tagliatrice, e cominciò a tagliare prima di avere il tempo di deviare. Fece i successivi due tagli senza esitazioni, ascoltando il cambio di tono nel cristallo. Nello stesso istante, gli fece cenno di girare il dodecaedro nel morsetto e fece altre tre passate. Solo quando ebbe completato il taglio, spense l'apparecchio. Poi lanciò un'occhiata di sfida a Trag. Con calma egli pose il secondo cristallo tra i fermagli, lo martellò e poi martellò il dodecaedro tagliato. Erano accordati l'uno all'altro. «Questo è sufficiente per un giorno, Trag.» Nel sentire quella voce inaspettata alle spalle, Killashandra si girò di scatto, con la tagliatrice sollevata per un'istintiva difesa, quando Lanzecki finì di parlare. Con un lievissimo movimento delle labbra, egli squadrò la lama rivolta verso di lui. Istantaneamente, lei abbassò la lama e gli occhi, che erano imbarazzati e agitati per la sua reazione e stanchissimi per l'intensa concentrazione della mattinata. «Ho sempre sentito dire che Fuerte era un pianeta pacifico,» disse Lanzecki. «Ciò nonostante, hai cominciato a tagliare bene, Killashandra Ree.» «Significa che potrò andare presto nelle catene?» Sentì Trag sbuffare per la sua presunzione, ma Lanzecki non rispecchiò l'atteggiamento del suo assistente capo. Gli occhi marroni fissarono i suoi. Incontrando il suo sguardo di stima, Killashandra si chiese perché Lanzecki non fosse un Cantore di Cristallo: lo sembrava molto, molto di più di Carrik, di Borella o di tutti gli altri Cantori di Cristallo che lei avesse conosciuti o visti. «Abbastanza presto da non mettere a repentaglio una carriera promettente. Abbastanza presto. Nel frattempo, la pratica ti perfezionerà. Questo esercizio,» e Lanzecki indicò le scatole di cristallo accordato, «è solo uno dei molti in cui dovrai eccellere, prima di sfidare le catene.» Se ne andò con uno di quei movimenti fluidi che erano tanto rapidi da far chiedere a Killashandra se Lanzecki fosse realmente stato lì. Ma la sua breve apparizione era innegabile, a giudicare dall'effetto che ebbe su di lei e su Trag.
L'assistente del Maestro della Corporazione la guardava con malcelato interesse. «Fa' un bagno radiante, quando torni nel tuo appartamento,» disse Trag. «Questo pomeriggio hai in programma la pratica con il simulatore della slitta.» Si girò per congedarsi. Quello schema di addestramento la tenne occupata fino al successivo giorno di riposo, anche se lei avrebbe desiderato che i due elementi fossero invertiti, con la simulazione della slitta la mattina, quando aveva i riflessi più pronti, e il taglio il pomeriggio, in modo da poter crollare. Ma c'era una ragione per quella programmazione apparentemente irrazionale. Visto che lei avrebbe invariabilmente volato con la slitta, dopo aver tagliato il cristallo, doveva imparare a stimare le proprie reazioni in condizioni di stanchezza. Il bagno radiante, con il liquido viscoso che esercitava una pressione gentile sul suo corpo stanco, e il suo denso turbinio simile al più delicato dei massaggi, la rinfrescarono dopo una mattinata di intenso esercizio di taglio. Verificò sul computer e scoprì di ricevere la paga di accordatore per il lavoro del mattino, ma di essere caricata delle spese di istruzione di volo nel pomeriggio. Dopo sei giorni di una routine così stancante, aspettava con ansia il giorno di riposo. Un'area di bassa pressione si stava avvicinando dal Mare Bianco, perciò il giorno di riposo avrebbe potuto essere nuvoloso con pioggia. Aveva cominciato a sviluppare l'interesse tipico dei ballybranesi per la metereologia, incoraggiata dalle invariabili domande di Trag sulle condizioni del tempo, all'inizio di ogni seduta di addestramento. Anche il suo istruttore di volo la incalzava sulla comprensione delle condizioni del tempo. La sua insistenza aveva più senso di quella di Trag, poiché una buona parte dei suoi esercizi di simulazione coinvolgevano il misurarsi con turbolenze di vario grado e tipo. Cominciò a distinguere tra le differenze tonali delle attrezzature d'allarme con le quali era equipaggiata la slitta. Il suono poteva dirle con la stessa chiarezza del video metereologico il genere e la portata della tempesta, in cui i voli di istruzione l'avevano addestrata a sopravvivere. In privato, Killashandra decise che gli allarmi erano un trattamento eccessivo; dopo essere stati bombardati di colpi, campanelli e ronzii, la mente cancellava la maggior parte dei rumori. Lo stimolatore del sistema nervoso, l'ultimo della serie di congegni di avvertimento, non poteva essere ignorato.
Nel frattempo, la sua esecuzione degli esercizi passò dalle reazioni appena adeguate a quelle perfettamente automatiche, mentre simulava voli su tutti i settori di Ballybran, terra, mare e ghiacci artici. Imparò a identificare, entro pochi secondi dalla comparsa sul video del quadro di comando, le maggiori correnti aeree e marine di ogni punto del pianeta. Con la pratica, prese confidenza con il veicolo. La slitta era molto maneggevole, con la possibilità di decollo e atterraggio verticali (VTOL) e una serie di supporti al propulsore cristallino di base, che era stato perfezionato per le insolite condizioni di Ballybran. Killashandra aveva visto solo di sfuggita gli altri membri della Classe 895. Rimbol le aveva fatto affettuosi cenni di saluto da lontano, e aveva visto una volta Jezerey attraversare di corsa l'hangar, ma Killashandra non faceva conto sulla sua indulgenza, a meno che l'umore della ragazza non fosse notevolmente migliorato dall'ultima volta che si erano incontrate. Jezerey avrebbe potuto essere più trattabile, adesso che lei e gli altri erano in pieno addestramento. Vide Borton per primo, quando si recò nella sala dei Comuni del livello dei Cantori. Era una serata in cui la maggior parte dei membri della Corporazione poteva riposarsi. Non si aspettava nessuna tempesta, malgrado l'area di bassa pressione, e il Passaggio - la catastrofica congiunzione delle tre lune che produceva le tempeste più violente - sarebbe avvenuto tra nove settimane. Borton non vide Killashandra, perché lui e gli altri che erano con lui nella sala si trovavano dal lato opposto. La vista aumentata aveva dei vantaggi: vedere per primi; pianificare in anticipo. Ordinò birra di Yarra, una coppa per sé e una brocca per il gruppo. Era irritata con se stessa per sentire il bisogno di quella sottile corruzione, ma un'offerta fatta in buona fede sarebbe stata difficilmente rifiutata. Soprattutto di birra di Yarra. Borton la vide arrivare quando lei era a circa venti metri di distanza. La sua espressione fu di lieve sorpresa, e le fece un cenno di invito, parlando con qualcuno che era nascosto alla vista dall'alto schienale dell'unità per sedersi. Un movimento, esclamazioni e Rimbol emerse, andandole incontro con un ampio sorriso. Il senso di sollievo che Killashandra provò, fece tremare la brocca. «Non sprecare nemmeno una goccia di buona birra di Yarra,» la ammonì, andando in suo aiuto. «Non sono tutti qui. Qualcuno è crollato nella vasca radiante. Shillawn è stato trasferito nel continente di Nord Helton. È
lì che si svolge la maggior parte della ricerca pura. Ci crederesti, Killa? Non balbetta più.» «No!» «Antona ha detto che la simbiosi deve avergli corretto il difetto del palato.» Rimbol era decisamente cordiale, pensò Killashandra mentre prendeva posto sull'ampia unità per sedersi. Jezerey, seduta in un angolo dell'unità, salutò Killashandra con un sorriso stentato, Mistra annuì, e Celee e altri due uomini di cui non ricordava il nome la salutarono. Tutti avevano un'aria stanca. «Beh, non posso dire che mi dispiace che Shillawn non ce l'abbia fatta come Cantore, perché certamente non sarà sprecato nelle ricerche,» disse Killashandra, e alzò la coppa per brindare al collega. «Vuoi dire che non hai ancora tagliato il cristallo?» le domandò Jezerey, con una nota stridula nella voce, mentre indicava la fascia da polso resa evidente dal brindisi di Killashandra. «Io? No, accidenti!» Il disgusto e la frustrazione del suo tono fecero scoppiare a ridere Rimbol, con la testa gettata all'indietro. «Ti avevo detto che non era arrivata così avanti,» disse a Jezerey. «Il giorno in cui l'abbiamo incontrata, aveva appena ritirato la tagliatrice.» Killashandra allentò apertamente la fascia che aveva sul polso, cosciente che costituiva un lasciapassare per l'amicizia oltre che per i livelli dei Cantori. «Inoltre, Jezerey,» continuò lei, lasciando che il risentimento inasprisse le sue parole, «Trascorrerò ancora molte settimane ad accordare cristalli e a simulare voli nelle tempeste, prima che mi lascino mettere il naso aldilà della portata della carta nautica del planante. E allora ci saranno le tempeste del Passaggio!» «Oh, sì.» L'atteggiamento di Jezerey si ravvivò, e il suo sorriso si fece compiacente. «Allora sicuramente ci saranno le tempeste.» Killashandra fu sensibile al percettibile cambio di atmosfera intorno a lei e decise di assicurarsi il vantaggio. «Forse sono un po' più avanti di voi nell'addestramento - sapete che i Cantori feriti addestrano le reclute solo per le indennità? Bene. Una volta che avrete quelle miserabili tagliatrici, saprete che cosa significa la parola 'stanco'. Tagli cristalli la mattina, poi ti mandano su quel simulatore di volo, e quando non fai nessuna delle due cose, ci sono gli esercizi; regole, norme, concessioni, multe...» Si alzarono dei gemiti dagli ascoltatori. «Ah, vedo che avete cominciato gli esercizi.»
«Allora, quali altri divertimenti ci aspettano?» chiese Rimbol, con gli occhi che gli scintillavano con gioia quasi maliziosa. La maggior parte dei presenti era interessata a tutti i particolari che poteva dare riguardo all'accordatura del cristallo. Lei spiegò il meglio possibile, in modo sincero anche se non completo, perché non disse niente delle apparizioni lusinghiere di Lanzecki, della propria empatia con il cristallo nero, e dei rapidi progressi che sembrava fare nel tagliare forme difficili. Trovò faticosa la discrezione, perché non aveva mai avuto tatto nel Centro Musicale. Avrebbe trascorso il resto di una lunga vita con quelle persone, una volta aveva quasi perso la loro amicizia in circostanze al di fuori del proprio controllo, e non l'avrebbe messa nuovamente a repentaglio. Birra a volontà e altri alcolici furono consumati dalle reclute per rendere conviviale quella serata. Killashandra si scoprì pronta a riprendere i vecchi rapporti con Rimbol, e molte delle tensioni che si erano accumulate nelle settimane precedenti si dissolsero nella più armoniosa delle attività. Quando si svegliarono, riposati, continuarono, sebbene Killashandra fosse un po' sorpresa di scoprire che erano finiti nell'alloggio di Rimbol. L'ubicazione non faceva molta differenza, visto che gli appartamenti erano uguali sotto tutti gli aspetti. Rimbol aveva fatto poco per abbellire il proprio alloggio e richiese l'aiuto di Killashandra. In questo modo, trascorsero ore piacevoli e virtuosamente finirono con un gioco per ripetere le norme e i regolamenti partendo solo dalla definizione di una frase. Nel calore del rilassamento totale, Killashandra arrivò molto vicina a parlare a Rimbol del cristallo nero di Keborgen, ma più tardi razionalizzò il proprio silenzio con il desiderio di non caricare il suo amico di particolari superflui. La settimana seguente, suggerì a Concera di unirsi agli altri nelle loro classi invece di trattenerla. Le due dita del Cantore erano complete, fatta eccezione per le unghie. «Non mi stai trattenendo,» ribatté Concera, e i suoi occhi evitarono Killashandra e la bocca si increspò per l'ira e la frustrazione. «Quegli altri hanno evidentemente la priorità su un Cantore dalla carriera lunga come la mia. Inoltre, io ti ho accettato solo come favore, preferisco l'insegnamento singolo a quello di gruppo. Adesso passiamo alle concessioni e alle riconvenzioni.» «Conosco quei paragrafi di lato, di fronte e di dietro.» «Allora cominciamo dal centro di uno qualsiasi,» disse Concera con inaspettata leggerezza. Visto che Killashandra era in grado di ripetere le concessioni e le ricon-
venzioni con la precisione di cui si era vantata, poté permettere alla mente di concentrarsi sui suoi problemi maggiori: come avere la propria slitta, come attirare l'attenzione di Lanzecki e ottenere il permesso di cantare il cristallo invece di accordarlo. Con le incredibili tempeste del Passaggio a sole nove settimane di distanza, doveva affrettarsi. Le ricerche nelle banche dati sui problemi del post-Passaggio indicavano che sarebbero necessitate settimane prima che a un nuovo Cantore fosse permesso di richiedere una perlustrazione nelle catene, resa ancor più pericolosa dalle devastazioni del Passaggio. La concessione di Keborgen avrebbe potuto essere così alterata e la sua sensibilità al cristallo nero del Cantore morto avrebbe potuto essere annullata. Le tempeste di mach potevano danneggiare o alterare in modo sostanziale una fronte di cristallo esposta, provocando incrinature profonde e rendendola inservibile. Lei doveva uscire subito. Nelle due settimane precedenti, Lanzecki aveva avuto l'abitudine di apparire, come se fosse telecomandato, in genere quando Killashandra accordava i cristalli sotto l'osservazione di Trag. Una volta Lanzecki si era seduto nel sedile di osservazione del simulatore di slitta, mentre lei aveva affrontato una rotta particolarmente rischiosa. Invece di renderla nervosa, la sua presenza l'aveva fatta volare con una percezione accresciuta. Inoltre, la sera, Lanzecki vagava nella sala dei Comuni e si fermava a scambiare qualche parola con questo o quel gruppo, selezionatore o tecnico. Adesso che lei desiderava moltissimo vederlo materializzarsi, non si vedeva da nessuna parte. Il quarto giorno, chiese di sfuggita a Concera se avesse incontrato il Maestro della Corporazione e le fu detto che Trag sapeva meglio dove trovarlo. Trag non era la persona più facile cui fare domande o con cui conversare, tranne che riguardo l'uso della tagliatrice e le incisioni nel cristallo. Il sesto giorno, raccogliendo tutto il proprio coraggio, Killashandra ricorse a uno stratagemma. Trag le aveva fatto piallare dei coni: lei ne aveva rovinati tre il giorno prima e si aspettava di trascorrere la lezione della mattina a evitare ulteriori errori. Dopo aver eseguito un taglio, si girava a guardarsi alle spalle. La quarta volta, Trag si accigliò. «La durata della tua attenzione di solito è maggiore. Qual è il problema?» «Continuo a pensare che apparirà il Maestro della Corporazione. In genere, appare quando meno me lo aspetto.» «È su Shankill. Bada al tuo dovere.»
Lo fece, ma con meno entusiasmo del solito, profondamente grata che l'indomani fosse un giorno di riposo. Aveva quasi promesso di trascorrere quella sera e il giorno dopo con Rimbol: quasi promesso perché la sua urgenza di andare sulle catene non era assolutamente condivisa con il giovane di Scartine. Trag la lasciò andare al termine di una seduta disgustosamente pignola. La sua faccia impassibile non le diede alcuna indicazione che lei avesse imparato a tagliare i coni correttamente, benché lei sentisse in ogni muscolo delle mani doloranti di aver raggiunto una certa abilità. Meditò su un bagno radiante prima della pratica di volo pomeridiana. Invece, inserì un messaggio per Rimbol: la sua compagnia sarebbe stata un conforto per la sua crescente frustrazione. Aspettando la sua risposta, si fece una rapida doccia calda. Percorse a grandi passi l'appartamento, chiedendosi in quale diavolo di pianeta fosse finito Rimbol. L'ora del pranzo era quasi passata, e lei non aveva mangiato. Ordinò un pasto veloce all'unità alimentare. Inghiottì il cibo bollente e aggiunse la bocca ustionata all'elenco delle sue lamentele, prima di andare al livello dell'hangar. Ormai era una tra i tanti utenti del simulatore di slitta, perciò doveva arrivare in orario. Sapeva che il volo durava solo un'ora, ma questo sembrò eterno: un vento complicato e un problema notturno la tennero innaturalmente attenta e le fecero rimpiangere di aver fatto la doccia invece del bagno radiante. Fu molto soddisfatta di evitare numerose cadute e di uscire sana e salva dal simulatore. Salutò sfacciatamente con la mano l'ufficiale di addestramento, che era nella sua cabina al di sopra della slitta e, nell'andarsene, incrociò l'allieva successiva, Jezerey. «O ama le cadute o mi odia,» Killashandra disse a Jezerey. «Lui? È pazzo. Ieri mi ha ucciso tre volte.» «Uccidere o guarire?» «È il motto della Corporazione, non è vero?» ribatté acidamente Jezerey. Killashandra guardò meravigliata la ragazza entrare nel simulatore. Lei non era ancora stata uccisa. Pensò di andare nella sala dei piloti e osservare il volo di Jezerey. Non c'era nessun altro lì, perciò ordinò una bevanda a base di carboidrati per dare una spinta al livello di zuccheri nel sangue. Stava osservando Jezerey decollare, quando si accorse che c'era qualcuno sulla soglia della porta. Si girò e vide il Maestro della Corporazione. «Mi pare di avere capito che mi stavi cercando,» disse, accentuando lo stupore di Killashandra. «Lei è su Shankill. Trag mi ha detto così questa mattina.» «Ci sono stato. Adesso sono qui. Hai finito le esercitazioni del pome-
riggio?» «Penso che siano state loro a finirmi.» Lanzecki si fece da parte per indicarle di precederlo. «La durezza delle esercitazioni può sembrare eccessiva, ma la realtà di una tempesta di mach è di gran lunga più violenta di qualsiasi cosa che noi possiamo simulare negli apparecchi-scuola,» disse, e avanzò verso l'ascensore, toccandole un gomito per guidarla. «Dobbiamo prepararvi per il peggio che vi può capitare. Una tempesta di mach non vi darà una seconda possibilità. Cerchiamo di assicurare che ne abbiate almeno una.» «Mi pare di sentire molto spesso questo assioma.» «Ricordalo.» Killashandra si aspettava che l'ascensore scendesse al livello dei Cantori. Invece, salì e, stanca com'era, lei barcollò. Lanzecki la sostenne, con una mano chiusa a coppa sotto un gomito. «La prossima tempesta brutta è il Passaggio, è vero?» Cercava di fare conversazione, perché il tocco di Lanzecki le aveva fatto fremere il braccio. La sua apparizione nella sala dei piloti già l'aveva intimidita. Lo guardò con la coda dell'occhio nella maniera più discreta possibile, ma il suo volto era di profilo. Le labbra erano rilassate, non davano alcun accenno dei suoi pensieri. «Sì, tra otto settimane ci sarà il suo primo Passaggio.» L'ascensore si fermò, e i pannelli si aprirono. Killashandra uscì con lui nella piccola area di ricezione. Non appena egli girò a destra, la terza porta si aprì. La grande stanza in cui entrarono era un ufficio, con una parete coperta da un sistema complesso di recupero dati. Numerose tabelle erano appese sulla parete adiacente. Davanti ad essa, una consolle enorme stampava fogli che si ripiegavano ordinatamente in un raccoglitore. Alcune comode sedie occupavano il centro della stanza, una delle quali era posta davanti ai nove schermi che inviavano le trasmissioni dalle principali installazioni metereologiche del pianeta e delle tre lune. «Sì, tra otto settimane,» disse Killashandra, inspirando profondamente, «e se non andrò nelle catene prima che arrivi, passeranno settimane, secondo tutti i rapporti che ho esaminato...» La risata di Lanzecki la interruppe. «Siediti.» Avvicinò due sedie e ne indicò autoritariamente una. Stupita per il fatto che il Maestro della Corporazione Heptite ridesse e infuriata perché non era riuscita a esporre il proprio caso, si lasciò cadere senza molta grazia nella sedia designata, ormai rassegnata. Dopo poco, udì
il familiare tintinnio delle coppe. Alzò gli occhi quando egli gliene porse una. «Anche a me piace la birra di Yarra, visto che sono originario di quel pianeta. Sono grato al giovane di Scartine per avermela ricordata.» Killashandra mascherò la propria confusione bevendo. Lanzecki sapeva un mucchio di cose sulla Classe 895. Alzò il bicchiere verso di lei. «Sì, dobbiamo farti andare sulle catene. Se qualcuno può trovare la concessione di Keborgen, è probabile che sia tu.» Sentì la coppa scivolarle tra le dita rese fiacche dalla sorpresa e fu lieta che lui le togliesse il bicchiere dalle mani e lo poggiasse sul tavolo che le aveva messo davanti. «La presunzione in un Cantore - di cristallo o solista - può essere una virtù, Killashandra Ree. Ma non lasciare che tale determinazione ti nasconda il fatto che altri possano raggiungere le stesse conclusioni partendo dagli stessi dati.» «No. Ecco perché devo andare sulle catene il prima possibile.» Poi si accigliò. «Come fa a saperlo? Nessuno mi ha seguito quella sera. Solo lei ed Enthor sapevate che avevo reagito ai cristalli di Keborgen.» Lanzecki le lanciò una lunga occhiata che le parve di compatimento, e lei abbassò lo sguardo e intrecciò le mani. Avrebbe voluto colpirlo oppure pestare i piedi oppure lasciarsi andare all'umiliazione che stava provando. Lanzecki, seduto di fronte a lei, cominciò a scioglierle le dita una ad una. «Suonavi sia il pianoforte che il liuto,» disse, mentre le punte delle sue dita esaminavano con delicatezza lo spesso muscolo alla base della sua mano, l'assenza di calli tra le dita, le loro articolazioni flessibili e i polpastrelli duri. Se non fosse stato il Maestro della Corporazione, Killashandra avrebbe avuto piacere di quella carezza. «Non è vero?» Mormorò una risposta affermativa, incapace di restare in silenzio. Si sentì sollevata, e inspirò profondamente, quando egli si riappoggiò allo schienale e riprese la sua bibita, sorseggiandola lentamente. «Nessuno ti ha seguito. E solo Enthor ed io conoscevamo la tua sensibilità al cristallo nero di Keborgen. Ben poche persone conoscono il significato di una transizione di Milekey, oltre al fatto che tu in qualche modo sei sfuggita ai disagi che gli altri hanno dovuto sopportare. Quello che loro non apprezzeranno mai è la totalità dell'adattamento simbiotico.» «È questo il motivo per cui Antona mi ha augurato buona fortuna?» Lanzecki sorrise e annuì.
«Questo ha qualcosa a che fare con il fatto che io identifichi così facilmente il cristallo nero? Anche Keborgen ha avuto una transizione di Milekey?» «Sì, ad entrambe le domande.» «L'adattamento totale non gli ha salvato la vita?» «Non questa volta,» lui rispose cortesemente, ignorando la sua domanda rabbiosa e impudente. Lanzecki accese con un comando vocale un video e apparve l'elenco cronologico della Corporazione. Il nome di Keborgen era nel primo terzo. «Come ti ho detto quella sera, anche il simbionte invecchia, e allora l'aiuto che può dare a un corpo vecchio ed esaurito è limitato.» «Allora Keborgen doveva avere duecento anni! Non li dimostrava!» Killashandra era atterrita. Aveva scorto solo per un attimo il volto del Cantore ferito, ma non gli avrebbe mai dato duecento anni. D'un tratto, il peso di centinaia d'anni di vita sembrò a Killashandra deprimente quanto la sua incapacità di andare sulle catene. «Per fortuna, non si avverte il passare del tempo nella nostra professione finché taluni eventi non costringono a un confronto.» «Lei ha avuto una transizione di Milekey.» Pronunciò con sicurezza la propria intuizione, come se fosse innegabile. Egli annuì. «Ma lei non canta il cristallo?» «L'ho fatto.» «Allora... perché...» e indicò l'ufficio e poi lui. «I Maestri della Corporazione vengono scelti presto e addestrati rigorosamente su tutti gli aspetti dell'operazione.» «Keborgen era... ma cantava il cristallo. E anche lei lo ha fatto.» Balzò in piedi, incapace di assimilare l'impatto delle tranquille parole di Lanzecki. «Lei vuol dire... io devo essere addestrata per essere... lei sta farneticando!» «No, tu stai farneticando,» ribatté Lanzecki, con un lieve sorriso sul volto mentre le faceva cenno di sedersi e le indicava la coppa di birra. «Calmati. Il mio unico scopo nel parlare in privato con te è assicurarti che andrai sulle catene non appena riuscirò a trovare un pastore per te.» «Un pastore?» In genere, Killashandra era abbastanza rapida nel capire da assorbire l'imprevisto senza confondersi, ma il singolare interesse di Lanzecki per lei, il fatto che conoscesse le intenzioni che lei aveva tenute assolutamente
nascoste, e le sue rivelazioni dei minuti precedenti l'avevano lasciata stupefatta. «Oh? Concera ha tralasciato di citare questo aspetto dell'addestramento?» «Sì, un pastore, Killashandra Ree, un Cantore stagionato che ti permetterà di accompagnarlo ad una fronte lavorata, probabilmente la meno preziosa tra le sue concessioni, per dimostrarti in pratica quello che, fino ad allora, è stata solo teoria.» «La teoria ce l'ho fino agli occhi.» «Al di sopra e dietro gli occhi è meglio, mia cara, vale a dire dove si trova il tuo cervello, laddove la teoria deve diventare un riflesso. Da questa conoscenza di riflesso può dipendere la tua sopravvivenza. Un Cantore di Cristallo di successo deve trascendere il bisogno per l'esecuzione cosciente della sua arte.» «Io ho una memoria eidetica. Posso recitare...» «Se tu non potessi, non saresti qui.» Il tono di Lanzecki ricordò a Killashandra il rango del suo compagno e l'importanza dell'argomento in discussione. Egli bevve un sorso di birra. «In queste ultime settimane, quante volte Concera ti ha detto che la memoria eidetica in genere è associata ad un tono perfetto? E quanto spesso la distorsione della memoria è uno degli aspetti crudeli del canto del cristallo? Il sovraccarico sensoriale, come dovresti sapere, è un caso fin troppo frequente nelle catene. Non mi preoccupo della tua capacità di ricordare: mi preoccupo di quanta distorsione della memoria subirai. Per prevenire la distorsione, sei stata sottoposta a settimane di esercizi e continuerai ad esserlo. Inoltre, mi preoccupo enormemente di una recluta che ha avuto una transizione di Milekey, accorda i cristalli tanto bene che Trag non può criticarla, che guida la slitta con tanta abilità che l'ufficiale di volo le ha dato degli schemi che lui stesso non oserebbe volare, e di una persona che ha avuto l'intelligenza di cercare di superare una vecchia volpe nel nascondere le concessioni come Keborgen.» I complimenti di Lanzecki, anche se comunicati come dati di fatto, sconcertarono Killashandra più di ogni altra delle rivelazioni di quel pomeriggio. Si concentrò sul fatto che Lanzecki desiderava davvero che lei cercasse la concessione di Keborgen. «Sa dove cercherei?» Lanzecki sorrise, alterando le linee severe del suo volto scolpito nella roccia. Incrociò un braccio sul petto per sostenere il gomito dell'altro e sorseggiò la birra.
«Hai eseguito una programmazione delle probabilità. Perché non recuperi i dati che hai raccolto?» «Come fa a sapere quello che ho fatto? Pensavo che il mio codice privato fosse inviolabile!» «Lo è.» L'espressione sarcastica sul volto di Lanzecki la rimproverò per i dubbi. «Ma il tuo uso del recupero dati per il tempo, la velocità delle slitte, e le ore che hai trascorso di recente a programmare sono stati degni di nota. In generale, non si controlla quello che fanno le reclute o i Cantori appena entrati in convalescenza. Quando, però, la persona in questione non solo è sensibile al cristallo nero, ma prende anche in prestito un planante per seguire le tracce della caduta di una slitta, che ha trasportato cristallo nero, una tranquilla sorveglianza e un controllo delle sue attività sono giustificati. Non sei d'accordo? Mia cara ragazza, tu sei una bevitrice molto lenta. Finisci la birra e richiama il tuo programma su Keborgen.» Si alzò in piedi e le fece segno di sedersi alla grande consolle. «Prenderò altra birra e qualcosa da sgranocchiare.» Si allontanò lentamente verso il distributore alimentare. Killashandra prese rapidamente posto alla consolle, e richiamò il programma con il codice vocale. Anche se aveva potuto avere dei dubbi fino a quel momento, il rimprovero di Lanzecki l'aveva rassicurata. Non che lei dubitasse che egli desiderava altro cristallo dalla concessione di Keborgen, e se lei avesse offerto alla Corporazione la possibilità migliore di recuperare la perdita, Lanzecki l'avrebbe appoggiata. «Lei conosceva Keborgen?» domandò, poi si rese conto che era una domanda stupida per il Maestro della Corporazione. «Così come ogni uomo e ogni donna che hanno lavorato qui.» «Una parte della mia teoria,» e Killashandra parlò in fretta, richiamando i parametri che aveva conservato sulla velocità della slitta, l'ora dell'allarme e la velocità dei venti della tempesta, basata sul solco della caduta di Keborgen, «è che Keborgen abbia volato direttamente.» Lanzecki poggiò una coppa fresca sul ripiano della consolle, e un vassoio di pezzetti di cibo fumanti accanto ad essa, e le sorrise con indulgenza. «Nessuna ragione, nemmeno la sua stessa sicurezza, per Keborgen avrebbe pesato di più della protezione di quella concessione.» «Se questo era quello che ci si aspettava da lui, non avrebbe potuto per una volta, in una situazione disperata, scegliere la rotta diretta?» Lanzecki rifletté su questo concetto, appoggiandosi al bordo della
consolle. «Ricorda, egli deve aver rimandato la fuga fino all'ultimo minuto, a giudicare dal suo arrivo,» aggiunse ansiosamente Killashandra. «La slitta non funzionava male: la relazione medica ha ipotizzato che egli soffrisse di un sovraccarico sensoriale. Ma quando è decollato, avrebbe dovuto sapere dal video metereologico che la tempesta sarebbe arrivata dopo poco. Avrebbe dovuto sapere che tutti gli altri avevano sgomberato le catene e che, di conseguenza, la rotta diretta sarebbe passata inosservata. E non aveva tagliato in quella concessione per nove anni. Questo aspetto potrebbe essere importante?» «Non particolarmente. Non per qualcuno che cantava da tanto tempo come Keborgen.» Lanzecki si toccò significativamente la fronte e poi abbassò lo sguardo sul video, dove i parametri di Killashandra erano sovrapposti alla carta della zona. «Gli altri stanno cercando a ovest della località proposta da te.» «Gli altri?» Killashandra sentì la bocca seccarsi. «È una concessione di valore, mia cara Killashandra; naturalmente, io devo permettere le ricerche. Non essere eccessivamente ansiosa,» aggiunse, posandole con delicatezza una mano sulla spalla. «Loro non hanno mai cantato il cristallo nero.» «Essere sensibili ad esso dà un vantaggio?» «Nel tuo caso, è assolutamente probabile. Tu sei stata la prima persona a toccare il cristallo, dopo che Keborgen l'aveva tagliato. Questo fattore sembra accordare le persone sensibili alla fronte. Sembra, lo sottolineo. Molto di quello che vorremmo sapere del taglio del cristallo è chiuso all'interno di cervelli paranoici; il silenzio è la loro difesa contro la scoperta e la loro distruzione conclusiva. Comunque, un giorno, sapremo come difenderli da loro stessi.» Adesso Lanzecki era dietro di lei, con le mani sulle sue spalle. Il contatto la distraeva, anche se immaginò che fosse inteso a rassicurarla. O a sostenerla, perché l'affermazione successiva fu pessimista. «Il tuo svantaggio più grande, mia cara Killashandra, è che sei una principiante per quanto riguarda la ricerca e il taglio del cristallo. Dove,» e il suo indice puntò il rozzo triangolo sulla mappa, «localizzerebbe la concessione il tuo volo progettato?» «Qui!» Killashandra indicò senza esitazioni il punto, equidistante dalla punta settentrionale del triangolo e dai lati. Le strinse brevemente le spalle e si spostò. Cominciò a camminare lentamente sullo spesso tappeto, con le mani dietro alla schiena. Alzò la testa
verso l'alto, come se il soffitto vuoto potesse dargli un indizio sul ragionamento distorto di un Cantore di Cristallo moribondo. «Una parte della transizione di Milekey è l'affinità climatica. La spora conosce sempre la tempesta, anche se il suo ospite umano può scegliere di fidarsi più della strumentazione che dell'istinto. Keborgen era vecchio, aveva cominciato a diffidare di tutto, anche della sua slitta. Sarebbe stato incline ad affidarsi alla propria affinità più che agli strumenti di allarme.» L'espressione gentile di Lanzecki la mise in guardia nei confronti di una simile ignoranza. «Come ti ho detto, la simbiosi perde le sue capacità quando l'ospite invecchia. Quello di cui non hai tenuto conto nel tuo programma è il disperato bisogno di Keborgen di lasciare il pianeta durante il Passaggio - ed egli non aveva abbastanza credito da poterlo fare. Un taglio di cristallo nero, di qualsiasi misura, glielo avrebbe garantito. Quei frammenti sarebbero stati sufficienti. La mia opinione è che, dopo averli liberati, ha scoperto di avere un taglio senza difetti. Ha ignorato sia gli avvertimenti del suo simbionte sia quelli della slitta e ha terminato il taglio. Ha perso tempo.» Si fermò di nuovo dietro Killashandra, le mise entrambe le mani sulle spalle, e le si appoggiò lievemente al corpo, mentre scrutava la sovrapposizione. «Penso che tu sia più vicina degli altri al posto giusto, Killashandra Ree.» La sua risata fu vibrante, e il suono sembrò attraversare le dita di lui e scenderle lungo le spalle. «Un punto di vista nuovo, non ancora ottenebrato dalle esigenze perverse di decenni passati a superare in astuzia tutti, compresi se stessi.» Poi, la lasciò andare quando lei non lo desiderava, e continuò in un tono di voce completamente diverso. «È stato Carrik a interessarti alla Corporazione?» «No.» Girò da un lato la sedia della consolle e colse un movimento strano e illeggibile della bocca di Lanzecki. La faccia e gli occhi erano privi di espressione, ma l'uomo aspettava che lei elaborasse la risposta. «No, mi ha detto che l'ultima cosa che io desideravo era diventare un Cantore di Cristallo. Non è stato l'unico a cercare di impedirmelo.» Lanzecki alzò le sopracciglia. «Tutti quelli che conoscevo su Fuerte erano contrari al fatto che partissi con un Cantore di Cristallo, malgrado egli avesse salvato molte vite su quel pianeta.» Era amareggiata per questo, più amareggiata di quanto avesse immaginato. Anche se sapeva che non era stata colpa del Maestro Valdi, se lui non avesse cercato di esercitare la propria autorità su di lei, Carrik e
lei sarebbero stati ben lontani da Fuerte e dalla caduta della navicella; Carrik avrebbe potuto ancora stare bene. Ma lei sarebbe diventata un Cantore? «Malgrado quanto si dica sui Cantori di Cristallo, Killashandra, anche noi abbiamo i nostri momenti di umanità.» Lei fissò Lanzecki, chiedendosi se si riferisse al fatto che Carrik aveva salvato delle vite o che aveva cercato di dissuaderla dal diventare una Cantante. «Adesso,» e Lanzecki si avvicinò alla consolle e toccò un tasto. Improvvisamente, il triangolo F42NO fino a F43NO, nel quale Killashandra aveva progettato la sua ricerca, fu ingrandito sull'enorme video della stanza. «Sì, c'è una grande zona della catena totalmente priva di contrassegni.» Con quell'ingrandimento, Killashandra distinse anche cinque macchie di colore. All'interno del cerchio formato dai cinque puntini colorati, le gole frastagliate e le colline erano in concessione. Un Cantore poteva rinunciare alla propria concessione elencandone le coordinate geografiche, ma Concera aveva detto a Killashandra che un caso simile era raro. «Potresti frugare tutto un burrone, eppure farti sfuggire il tesoro all'interno della fronte,» disse Lanzecki, fissando l'obiettivo. «O fare fiasco con il legittimo proprietario della concessione.» Invertì l'ingrandimento, e lentamente la zona si ridusse fino a trasformarsi nelle pieghe rocciose che circondavano la baia. «Lunedì andrai nelle catene. Moksoon non è disponibile. Non lo è mai. Ma sta cercando di lasciare il pianeta; con un taglio decente e l'indennità di pastore, questa volta potrebbe farlo. Killashandra?» «Sì, lunedì andrò nelle catene. Moksoon non è disponibile, ma in cambio dell'indennità...» «Killashandra, tu troverai il cristallo nero!» Gli occhi di Lanzecki assunsero un'intensità misteriosa, rinforzando il messaggio e il convincimento che Killashandra Ree fosse un agente ai suoi ordini. «Solo se sarò maledettamente fortunata.» Rise, recuperando il proprio equilibrio mentre indicava la vasta zona che doveva setacciare. Gli occhi di Lanzecki non lasciarono i suoi. Le ricordò la trama di una vecchia pièce teatrale: un uomo aveva ipnotizzato una ragazza, priva di capacità musicali, in modo da farla cantare in modo impareggiabile. Non riusciva a ricordare il nome, ma pensare a Lanzecki, il Maestro di una delle Corporazioni più prestigiose della Federazione dei Pianeti Senzienti, che cercava di... ah... Svengali... ipnotizzarla per farle trovare il dannatamente prezioso cristallo nero era un'immagine comica. Solo che non poteva dirlo
a Lanzecki, non mentre la guardava in modo così sconcertante. Ad un tratto, Lanzecki gettò la testa indietro e cominciò a ridere. Abbandonò tutto il corpo alla risata, il torace gli si incavò, le costole si inarcarono, e le mani si posarono sulle cosce mentre egli si chinava in avanti. Se, cinque minuti prima, qualcuno le avesse detto che il Maestro della Corporazione, Lanzecki aveva senso dell'umorismo, lo avrebbe ritenuto un pazzo. Egli si lasciò cadere su una sedia, facendo ciondolare la testa contro lo schienale, e continuò a ridere. La sua risata aveva una strana capacità infettiva, e lei sorrise in risposta. Infine scoppiò a ridere anche lei, nel vedere il Maestro della Corporazione così poco dignitoso nell'accesso di allegria. «Killashandra...» Bisbigliò il suo nome, mentre la risata si placava. «Chiedo scusa, ma l'espressione sulla tua faccia... Ho messo a repentaglio la reputazione di tutta la Corporazione, non è vero?» Si asciugò le lacrime all'angolo degli occhi e si raddrizzò. «Non ridevo da molto tempo.» Il tono malinconico di quell'ultima osservazione fece cambiare risposta a Killashandra. «Su Fuerte dicevano che sarei stata una buona cantante comica, se non fossi stata così presa dal ruolo di prima attrice.» «Io non trovo niente di comico in te, Killashandra,» disse, e gli occhi gli scintillarono mentre allungava una mano. «Di drammatico?» «Di inaspettato.» Le prese la mano che lei aveva inconsciamente allungato, e le carezzò il palmo con il polpastrello del pollice. Poi le rigirò la mano e vi posò un bacio. Lei trattenne il respiro, quando la sensazione si diffuse dal palmo, attraverso il corpo, fino ai capezzoli. Avrebbe voluto ritirare la mano, ma vide il tenero sorriso sulle sue labbra, quando egli sollevò la testa. Lanzecki aveva gli occhi e la faccia sotto controllo; la sua bocca lo tradiva. La pressione che esercitò sulla mano di Killashandra per attirarla a sé fu inesorabile, per quanto fosse gentile e abile. Con la ragazza seduta sulle sue gambe, il corpo di lei contro il suo, e la testa nella piega del suo braccio, egli portò di nuovo la sua mano alla bocca. Killashandra chiuse gli occhi per la sensualità di quel bacio delicato. La mano di lei era poggiata con il palmo sulla pelle tiepida. Lo sentì carezzarle i capelli, arrotolandone un ricciolo intorno a un dito, per poi lasciar cadere la mano sul seno, con delicatezza e perizia.
«Killashandra Ree?» Il suo sussurro le pose una domanda che non aveva niente a che fare con il suo nome, ma con tutto quello che lei era. «Lanzecki!» Le labbra di lui coprirono le sue in una carezza così lieve che, sulle prime, non si accorse di essere baciata. Fu così tutta la sua prima esperienza con il Maestro della Corporazione, un amare e un essere coinvolti che fece impallidire e resero insignificante qualsiasi altro incontro. CAPITOLO OTTAVO La mattina dopo, quando Killashandra pian piano si svegliò, trovò le dita di Lanzecki che stringevano lievemente la sua mano girata verso l'alto. Il leggero movimento di sorpresa di lei gli fece serrare la dita e poi allentarle in una carezza. Lei aprì gli occhi e girò la testa verso di lui, per incontrarne gli occhi, socchiusi per il sonno. Erano distesi l'uno lontano dall'altra, lei supina, lui sulla pancia, l'unico punto di contatto erano le due mani, eppure Killashandra sentiva che ogni suo muscolo e nervo era accordato a lui, e quelli di lui erano accordati a lei. Batté le palpebre e sospirò. Lanzecki sorrise, con le labbra rilassate e piene. Il suo sorriso si fece più intenso, come se egli sapesse della seduzione esercitata su di lei dalla sua bocca. Si girò sulla schiena, tenendole ancora la mano destra, poi gliela girò per baciarne il palmo. Chiuse gli occhi per l'incredibile sensazione che il più lieve tocco delle sue labbra provocava dentro di lei. Poi notò le sottili linee bianche che gli attraversavano il braccio e il torace nudi, parallele in alcuni punti, incrociate in altri. «Credo di aver detto che ho cantato il cristallo,» disse lui. «Tagliare il cristallo è ciò che si addice di più al tuo aspetto,» disse, e sollevò la parte superiore del corpo per vedere il resto del suo muscoloso busto. Poi si accigliò. «Come fai a sapere così precisamente che cosa penso? Nessuno ha accennato a un adattamento telepatico alla spora.» «Non esiste, mia cara. Nel corso dei decenni, sono semplicemente diventato esperto nel leggere le espressioni del viso e il linguaggio del corpo. «È per questo che sei Maestro della Corporazione invece che Cantore?» Aveva udito e assaporato l'affetto nelle parole di lui. «Un Maestro della Corporazione ci deve pur essere.» «Trag non ce la farebbe mai.» «Adesso chi è telepatico?» «Beh, faresti meglio a badare alla tua bocca.»
«La mia bocca non ha detto niente sul futuro di Trag.» «Non ne aveva bisogno. E così, le reclute vengono scelte intenzionalmente?» La sua bocca non le svelò nulla. «Da dove ti è venuta quest'idea, Killashandra Ree?» Gli occhi gli ridevano, negando il ricordo della conversazione tra Borella e l'altro Cantore a bordo della navicella da Shankill a Ballybran. «Quest'idea mi è venuta in mente, a causa di tutti i muraglioni protettivi che la FPS innalza per impedire alle persone di entrare nella Corporazione.» «La FPS,» e la bocca di Lanzecki divenne una linea sottile, «è anche il più grande acquirente del cristallo. Soprattutto del cristallo nero.» Rotolò verso di lei, tenendo gli occhi sulla sua bocca. «Questo è anche il mio giorno di riposo. Desidero ardentemente rilassarmi in tua compagnia.» In effetti, fu ardente come lei avrebbe potuto desiderare e straordinariamente gentile. Mentre facevano una pausa per mangiare, lei gli chiese come si fossero spostati dall'ufficio all'appartamento di lui al livello dei Cantori. «Ascensore personale.» Si strinse con noncuranza nelle spalle coperte di cicatrici, mentre cercava pezzetti di cibo nella salsa condita e speziata. «Uno dei miei privilegi.» «In questo modo esegui il numero dell'apparizione?» Lanzecki le sorrise, felice in una maniera fanciullesca - che le fece venire alla mente, con un senso di colpa, Rimbol - di averla sconcertata. «Spesso ho bisogno di 'apparire' inaspettatamente.» «Perché?» «Nel tuo caso?» Il sorriso gli si alterò impercettibilmente e le labbra presero una piega amara. «La capacità di trovare tesori nascosti. Mi piaceva la tua mal riposta lealtà verso Carrik. Desideravo che ti tenessi lontana dal sistema di Scoria. Una volta che hai superato i requisiti d'ingresso, sei passata sotto la mia responsabilità.» «Non lo sono tutti nella Corporazione?» «Più o meno. Ma tu, Killashandra Ree, hai avuto una transizione di Milekey.» «Ti comporti così ogni volta?...» Era offesa dal suo candore e fece un cenno alla camera con tutto il disprezzo di un'oltraggiata eroina dell'opera. «No, naturalmente,» disse, scoppiando a ridere. Le prese la mano e baciò il palmo con il solito effetto, malgrado la sua indignazione. «Questo non è uno dei miei privilegi, cara. È un favore che tu mi hai fatto. Volevo cono-
scerti - e non avere dubbi al riguardo, fin che dura la tua memoria -prima che tu andassi sulle catene.» «Prima?» Aveva colto la sottile enfasi. Egli fece una pila disordinata di piatti e li infilò nell'unità per l'eliminazione dei rifiuti. «Prima che il canto del cristallo ti avveleni il sangue.» Si girò, e lei vide la tristezza nelle pieghe della sua bocca. «Ma tu hai cantato il cristallo?» Le appoggiò le mani sulle spalle e la guardò. I suoi occhi erano privi d'espressione; i tratti del volto erano fermi, le linee della bocca rigide. «Vuoi dire che dopo che avrò cantato, non avrò più valore. O non avrò più valore per te?» Gli buttò in faccia le alternative. Invece di respingerle entrambe, afferrò il suo corpo riluttante tra le braccia, ridendo mentre la faceva girare più volte su se stessa, per stringerla a sé. «Mia cara, farò l'amore con te fino a domani mattina quando ti affiderò alla tua slitta e al tuo... pastore, Moksoon. Farai del tuo meglio, una volta che Moksoon ti avrà mostrato l'arte del Tagliatore su una fronte reale, per trovare la concessione di Keborgen. Quando tornerai dalla tua prima spedizione,» e proruppe in una misteriosa risata, «io sarò ancora il Maestro della Corporazione. Ma tu,» e a questo punto la baciò, «sarai un vero Cantore di Cristallo.» Poi non le permise di parlare; né, in seguito, ripresero l'argomento del loro rispettivo lavoro. La mattina seguente, Lanzecki era nuovamente il Maestro della Corporazione, quando Killashandra lo incontrò insieme all'irascibile Moksoon nell'ufficio dell'ufficiale di volo. Lei era stata nell'hangar a controllare la sua slitta, a sistemare la tagliatrice nei supporti con un affettuoso scatto, consapevole del forte odore acre e chimico della plastica e del metallo nuovi che proveniva dal propulsore. Moksoon non corrispondeva all'idea che Killashandra aveva di pastore per la sua prima spedizione nelle pericolose catene di Milekey. Il fatto che lui fosse altrettanto dubbioso nei confronti della ragazza fu chiaro dalle occhiate che le lanciava di sottecchi. Era un uomo dalla corporatura minuta, il cui volto probabilmente aveva sempre avuto un aspetto avvizzito, e sembrava vecchio, cosa alquanto strana in un Cantore di Cristallo. Sembrava anche molto irritato, perché l'ufficiale addetto alla manutenzione gli stava spiegando garbatamente perché fosse occorso tanto tempo per riparargli la
slitta. Poiché Lanzecki le aveva spiegato che la qualifica più importante di Moksoon per farle da guida, era il fatto che egli tagliasse nella zona della Baia, Killashandra capì che il ritardo era stato provocato a bella posta. «Moksoon, ricorda che la sola indennità ti basta a lasciare il pianeta,» disse Lanzecki, inserendosi abilmente nella conversazione. «Questa è Killashandra Ree. Registratore principale in funzione! Moksoon, quello che io dirò ti sarà ripetuto di continuo nella cabina. Tu stai accompagnando Killashandra Ree in base alla Sezione 53, Paragrafi da uno a cinque. Lei è consapevole di non avere diritto a nulla di quanto potrà tagliare sotto la tua direzione nella tua concessione. Ha il diritto di stare con te per due giorni lavorativi, dopodiché se ne andrà a cercare una propria concessione. Non compirà mai alcun tentativo di ritornare nella tua concessione, secondo la Sezione 49, Paragrafi 7,9 e 14. Killashandra Ree, tu...» E Killashandra si ritrovò a ripetere, affermare, asserire, sotto la minaccia delle severe penalità imposte dalla Corporazione Heptite, che avrebbe obbedito alle restrizioni imposte dalle due sezioni e dai paragrafi citati. Anche a Moksoon fu chiesto di dichiarare la sua disponibilità, che non era volontaria, malgrado l'indennità offerta, a istruirla nel taglio del cristallo per un periodo di due giorni, come consentito dalle regole e norme della Corporazione. La ripetizione di Moksoon fu tanto punteggiata da lacune e da suggerimenti di Lanzecki e dell'ufficiale di volo che Killashandra fu quasi sul punto di revocare il proprio contratto. Lanzecki la fissò negli occhi, e la ribellione terminò. Le copie della registrazione ufficiale furono inserite nelle unità di comunicazione di entrambe le slitte. L'ufficiale di volo accompagnò Moksoon al suo veicolo, lievemente ammaccato e malconcio, malgrado la vernice fresca che cercava di mimetizzare le riparazioni più recenti con le ammaccature più vecchie. Lanzecki camminò accanto a Killashandra verso la sua slitta nuova di zecca. «Accendi il registratore ogni qualvolta lui esiterà. Il tuo interruttore è stato manipolato per attivare il suo.» «Sei sicuro che Moksoon sia il giusto...» «Per il tuo scopo, Killashandra, l'unico.» Il tono di Lanzecki non lasciava alcuna possibilità di discussione. «Ma non fidarti di lui in niente. Egli ha tagliato cristallo troppo a lungo e cantato troppo a lungo da solo.» «Allora perché...» Killashandra era completamente esasperata. Lanzecki la prese per un gomito e la mise quasi di peso nella slitta. «Le sue mani faranno automaticamente quello che tu hai bisogno di ve-
dere. Osserva come taglia, bada a quello che fa, non a quello che dice. Da' retta ai tuoi avvertimenti interiori. Guarda la situazione metereologica ogni volta che ti viene in mente. Per fortuna, ci penserai abbastanza spesso durante la tua prima spedizione. Il Passaggio è tra sette settimane. Le tempeste possono scoppiare giorni prima della congiunzione. Sì, so che sai tutto questo, ma giova ripeterlo. Lui è già dentro e ha allacciato la cintura. Non c'è più tempo. Seguilo. Le carte della zona della Baia sono sul video. Assicurati di imballare il cristallo non appena lo hai tagliato, Killashandra!» Aveva organizzato abilmente la sua partenza, pensò Killashandra, in modo da non darle tempo per pentirsi e per i saluti personali. Ieri, ricordò a se stessa, era stato Lanzecki l'uomo. Oggi era il Maestro della Corporazione. Giusto. Moksoon decollò mentre lei accendeva il propulsore della slitta. La sua nave era sbilanciata anche in aria, una sagoma caratteristica, come quella di una persona con una spalla più alta dell'altra. Malgrado i seri dubbi su Moksoon, Killashandra avvertì un moto di esultanza, quando la slitta lasciò l'hangar. Finalmente avrebbe tagliato il cristallo. Finalmente? Lei era la prima della Classe 895 ad andare fuori. Pensò a Rimbol e fece una smorfia. Avrebbe dovuto almeno lasciargli un messaggio, per spiegargli la propria assenza. Poi ricordò che gli aveva lasciato un messaggio cui non aveva avuto risposta. Poteva bastare! Accidenti! Ma quello stupido di Moksoon stava correndo come se fosse stato su una slitta tirata dai cani sulla neve! Killashandra accelerò per avvicinarsi. Con uno strano cambio di direzione, Moksoon si diresse verso nord e scese ad un'altitudine inferiore, planando sulle prime pieghe della Catena di Milekey. Mentre era sopra di lui, vide la sua seconda virata, in direzione est; poi il Cantore scomparve aldilà di un'alta piega. Killashandra decelerò e cominciò a volare a punto fisso, scrutando entrambe le estremità dello strapiombo. Moksoon volteggiava sull'estremità settentrionale della faglia. Lei scorse il lievissimo bagliore della luce del sole riflessa sull'arancione della sua slitta; allora volò verso la gola successiva, come se non lo avesse visto, e assecondò la sua tattica, finché il Cantore apparve sul bordo meridionale, proprio come lei si era aspettata. «Quella testa di legno ha dimenticato che devo seguirlo,» disse, e premette il tasto del registratore. Quello posto nella slitta di Moksoon avrebbe diffuso il messaggio. Sospirò, rassegnata a un giorno lungo e difficile, ma d'improvviso la slitta del Cantore fece un balzo verso l'alto e riapparve, e
Moksoon non fece più alcun tentativo di sfuggirle. Lei controllò la sua nuova direzione, verso sud alle quattro, che era la rotta giusta per la destinazione finale di Moksoon. Si chiese per quanto tempo ancora si sarebbe potuta fidare della ripetizione del registratore. Un volo diretto li avrebbe portati nella zona della Baia in due ore, alla velocità ragionevole tenuta da Moksoon. Lei poteva non sapere dove la stava conducendo, ma aveva su di lui il vantaggio di una slitta nuova, veloce e maneggevole. Perfino su una rotta diretta, Moksoon era un volatore irregolare. Non avrebbero dovuto esserci correnti ascensionali di aria calda o violente correnti d'aria al suo livello, ma la sua slitta rimbalzava e oscillava. Cercava di farle venire il mal d'aria? Perché Lanzecki aveva scelto quell'uomo? A causa della sua scarsa memoria? Perché, una volta che Moksoon avesse ottenuto il suo agognato viaggio fuori pianeta, alla maniera dei Cantori di Cristallo da molto tempo in servizio, non avrebbe ricordato di aver fatto da pastore a una certa Killashandra Ree nella catena della Baia. Bene, era logico da parte di Lanzecki, purché lei avesse anche trovato la concessione di Keborgen. Prima degli altri che la cercavano. Era evidente che Lanzecki la appoggiava. «Una volta che un Cantore ha tagliato una certa fronte, le occorre solo essere in zona per sentire l'attrazione del suono,» aveva detto Concera. «La tua vista aumentata ti aiuterà a distinguere il colore del cristallo al di sotto dei depositi lasciati dalla tempesta, delle rocce del basamento e dell'incrinatura Prendi il sole con l'angolazione giusta e i tagli di cristallo sono chiari in modo accecante.» Frasi e consigli inondavano la mente di Killashandra, ma quando abbassò lo sguardo sulle pieghe ondulate delle Catene di Milekey, fu assalita da seri dubbi sul fatto di poter mai trovare qualcosa in un paesaggio così omogeneo. Chilometri in tutte le direzioni scorrevano in schemi simili di pieghe, creste, vallate, gole. Un'improvvisa stilettata di luce penetrante le fece afferrare la barra di comando per mantenersi. Scrutò verso il basso e vide un pezzetto arancione della parte superiore della slitta, seminascosta dalla sporgenza di un burrone. Solo la vernice luminescente e l'altezza della slitta di Killashandra ne rivelarono la presenza. Sulla cima delle creste circostanti c'erano gli spruzzi di vernice che indicavano una concessione mineraria. Quel bagliore del cristallo, inverosimile come tutte le altre cose che le erano accadute negli ultimi tempi, confermava che anche altri eventi im-
probabili potevano essere veri su Ballybran. Sciocchezze! Dov'era finito Moksoon? Durante la sua breve distrazione, la slitta arancione del vecchio Cantore era scomparsa alla vista. Killashandra accelerò e intravide l'arancione della poppa che si insinuava all'interno di un profondo burrone. Senza cambiare altitudine, eguagliò la sua velocità a quella della prudente avanzata del Cantore, tenendo lo schermo fisso sull'ingrandimento. Poiché aveva la slitta bene in vista, non riaccese il registratore. Se lo avesse spaventato, avrebbe potuto facilmente sbattere contro uno degli strani contrafforti rocciosi che costeggiavano il canyon. Controllò la direzione; Moksoon aveva virato a nord, sulle 11. All'improvviso, risalì al di sopra di una cresta e poi discese in una vallata più profonda, in ombra. Lei scese in picchiata, notando rapidamente che l'abisso era orientato verso sud. A meno che non risalisse la piega successiva, Moksoon avrebbe dovuto seguire la rotta meridionale. Quella gola continuava ostinatamente verso sud, sulle 4, nella sua maniera irregolare. Non vedeva Moksoon nell'ombra, ma non c'era nessun altro posto dove potesse essere. La lunga gola serpeggiante terminava in un blocco di detriti, frutto dell'erosione di un più antico anticlinale. Non c'era traccia di Moksoon. Doveva essere nella gola, nascosto nell'ombra. Poi vide la scolorita vernice di una concessione su una cresta. Perfino nel clima di Ballybran, quel materiale impiegava decenni per deteriorarsi tanto. Una concessione abbandonata aveva sempre il contrassegno verde limone - non che ne avesse viste durante il suo inseguimento di Moksoon. Con prudenza, guidò la slitta lungo la frana rocciosa e nella gola. In alcuni punti, i lati per poco non si toccavano; in altri, aveva una vista delle pieghe delle catene che erano oltre. Qualcosa scintillò nella scarsa luce che penetrava. Aumentò l'ingrandimento e fu sorpresa di vedere un sottile corso d'acqua serpeggiare alla base della gola. Non c'era nessun lago nel punto della frana, di conseguenza dedusse che il ruscelletto si infilava sotto terra, nella sua ricerca di uno sbocco sulla Baia. Cominciava a stare in ansia, quando un'ansa rivelò una valle più ampia; la slitta arancione era parcheggiata sulla destra, su una cornice in ombra che sarebbe stata invisibile in qualsiasi caso, tranne che in una ricerca precisa di quel canyon in particolare. Accese il registratore e alzò il volume, in modo che la voce di Lanzecki echeggiasse sulle pareti di roccia, mentre Moksoon scivolava e slittava verso di lei, tenendo la tagliatrice di cristallo ben salda al di sopra del capo.
«Usurpatrice di concessione! Usurpatrice di concessione!» strillò, inciampando sulla sporgenza su quale lei aveva fermato la slitta. Il Cantore accese la tagliatrice, la allungò davanti a sé, mentre si avvicinava al portello della sua slitta. «In base alla Sezione 53, Paragrafi da uno a cinque...» rombò il registratore. «Lanzecki? È con te?» Moksoon si guardò velocemente intorno, in cerca di un'altra slitta. «È una registrazione,» urlò Killashandra al di sopra delle parole amplificate di Lanzecki. «Io non sto usurpando la tua concessione. Tu mi stai facendo da pastore. Guadagnerai un'indennità.» Utilizzò la sua voce addestrata per lanciare il messaggio durante le pause della registrazione. «Sono io!» Moksoon indicò con espressione di accusa la slitta, da cui proveniva la sua voce esitante. «Sì, hai fatto questa registrazione questa mattina. Hai promesso di farmi da pastore in cambio dell'indennità.» «Indennità!» Moksoon abbassò la tagliatrice, ma Killashandra si allontanò agilmente dalla sua punta. «Sì, un'indennità, in base alla Sezione 53, Paragrafi da 1 a 5. Ricordi?» «Sì.» Moksoon non sembrava tanto sicuro. «Adesso sei tu che parli.» «Sì, ho promesso di tener fede alla Sezione 49, Paragrafi 7, 9 e 14. Devo stare con te due giorni soltanto, per osservare un esperto tagliatore di cristallo. Lanzecki ti ha raccomandato tanto. Uno dei migliori.» «Quel Lanzecki! Lui vuole solo il cristallo.» Moksoon sbuffo con una cupa espressione di condanna. «Questa volta avrai un'indennità per lasciare il pianeta.» La tagliatrice puntò verso il basso, le dita dell'uomo vecchio e stanco mollarono la presa, e Killashandra sperò che non la lasciasse cadere. Le era stato detto molte volte quanto facilmente si danneggiasse quell'attrezzo così costoso. «Devo andare via da Ballybran. Devo. Ecco perché ho detto che avrei fatto da pastore.» A testa china, Moksoon stava parlando tra sé e sé, ignorando le affermazioni ripetute dal registratore. Ad un tratto, rialzò la punta della tagliatrice e avanzò verso di lei con aria minacciosa. Killashandra scappò il più lontano possibile sulla sporgenza. «Chi mi dice che non tornerai qui, quando io sarò lontano, e taglierai nella mia concessione?»
«Non potrei ritrovare questo maledetto posto,» disse, esplodendo, visto che la discrezione non aveva alcun risultato nel trattare con un fanatico. «Non ho la minima idea di dove mi trovi. Ho dovuto tenere gli occhi fissi su di te, che scendevi in picchiata e sfrecciavi qui e lì. Hai dimenticato come si pilota una slitta? Sicuramente, hai dimenticato l'accordo perfettamente valido che hai sottoscritto solo cinque ore fa!» Moksoon, con gli occhi ancora stretti per il sospetto, abbassò a poco a poco la tagliatrice. «Tu sai dove sei.» «Sud, alle quattro, è tutto quello che so, e con tutte le svolte e le girate in questa odiosa gola, potremmo essere a nord, alle dieci. Che cosa diavolo importa? Mostrami come si taglia il cristallo e tra un'ora io me ne andrò.» «Non puoi tagliare il cristallo in un'ora. Non in maniera corretta.» Moksoon fu sarcastico e sprezzante. «Non conosci le cose fondamentali sul taglio del cristallo.» «Hai assolutamente ragione. Non le conosco. E tu riceverai un'enorme indennità, se me le mostrerai. Mostramele, Moksoon.» Con una combinazione di moine, esagerata adulazione e la costante ripetizione di parole come «indennità», «Lanzecki si aspetta» «lasciare il pianeta», «brillante Tagliatore», Killashandra tranquillizzò Moksoon. Lei suggerì di mangiare qualcosa prima di mostrarle come tagliare e gli lasciò credere di essersi fatta convincere con l'inganno a offrirgli il pranzo dalle proprie scorte. Per essere un uomo smilzo, aveva un appetito robusto. Ben nutrito, riposato, e dopo averla riempita di quelle che erano chiaramente un mucchio di assurdità sulle angolazioni del sole, spedizioni all'alba o al tramonto in scuri burroni per sentire il cristallo svegliarsi o andare a dormire, Moksoon non mostrava alcuna intenzione di raccogliere la tagliatrice e tener fede alla sua parte di contratto. Killashandra stava cercando di pensare a un modo accorto per suggerirglielo, quando il Cantore balzò improvvisamente in piedi e slanciò le braccia in alto per salutare un raggio di luce che era arrivato nel burrone e aveva colpito il loro lato, oltre la prua della slitta di Moksoon. Un tono particolare vibrò attraverso la roccia su cui Killashandra era seduta. Moksoon afferrò la tagliatrice e si arrampicò, emettendo una risatina gioiosa che si trasformò in un bello, limpido, risonante La, un diesis al di sotto di un DO medio. Moksoon cantava nel registro tenorile. E una parte del burrone rispose! Quando lei lo raggiunse, il Cantore stava già incidendo la fronte di quarzo rosa che la sua slitta aveva messo in ombra. Perché il vecchio...
Poi sentì il cristallo gridare. Nonostante tutte le sue altre manchevolezze, Moksoon aveva una stupefacente capacità polmonare per un uomo così anziano. Mantenne la nota precisa anche quando la sua tagliatrice accordata cominciò a recidere un pentagono dalla irregolare estrusione di quarzo, le cui varie sfaccettature brillavano a mano a mano che la luce del sole si spostava. La dissonanza, che iniziò quando il Cantore cominciò a entrare più profondamente nella fronte, fu una sofferenza così totale da scuotere tutto il corpo di Killashandra. Era molto peggio che riaccordare il cristallo. Il dolore inaspettato la gelò e istintivamente emise un grido. La sofferenza si trasformò in due note, pure e limpide. «Continua a cantare!» gridò Moksoon. «Tieni quella nota!» Risistemò la tagliatrice infrasonica e fece una seconda incisione, la tagliò via, cantò di nuovo, accordò la tagliatrice e affondò la lama con sei decisi fendenti verso il basso. Il suo corpo sottile tremava, ma le mani erano incredibilmente ferme, mentre egli continuava a tagliare fino a raggiungere il bordo. Con una nota di esultanza, balzò in una nuova posizione e fece l'ultimo taglio in fondo per i quattro cristalli intonati. «Bellezze mie. Bellezze mie!» canticchiò e, poggiata con cautela la tagliatrice a terra, si precipitò alla slitta, per riemergerne qualche secondo dopo con un cartone. Canticchiava ancora mentre imballava i pezzi. C'era una strana ambivalenza nei suoi movimenti, fretta e riluttanza nello stesso tempo, perché le sue dita carezzavano i lati degli ottagoni, nel riporli nella scatola. Killashandra non si era mossa, stordita sia dall'esperienza del cristallo sia dall'agile esecuzione del Cantore. Quando sospirò per scaricare la tensione, lui lanciò un grido inarticolato e allungò una mano verso la tagliatrice. Le avrebbe tagliato un braccio, ma inciampò sul cartone, dandole un certo vantaggio. Killashandra si precipitò verso la slitta di Moksoon, vi entrò barcollando, e colpì il bottone del registratore prima di far scivolare il portellone. La punta della tagliatrice restò imprigionata tra la porta e lo stipite. E Lanzecki le aveva suggerito di andare con quel pazzo delirante? La voce di Lanzecki si alzò, riverberò e fece risuonare una sezione della fronte rocciosa al di sopra della slitta. «Ti chiedo scusa, Killashandra Ree,» disse Moksoon, con una sincera sfumatura di rammarico nella voce. «Non rompermi la tagliatrice. Non chiudere quel portellone.» «Come posso fidarmi di te, Moksoon? Oggi, per ben due volte, hai cercato di uccidermi.»
«Io dimentico. Dimentico.» Il tono di Moksoon era un singhiozzo. «Ricordamelo quando taglio. Il cristallo mi fa dimenticare. Canta, e io dimentico.» Killashandra chiuse gli occhi e cercò di trattenere il fiato. Quell'uomo era così patetico. «Ti mostrerò come si taglia. Lo farò davvero.» La voce registrata di Moksoon stava doverosamente dichiarando la propria disponibilità a farle da pastore, Sezione 53. Avrebbe potuto rompergli la tagliatrice, se avesse fatto leva sul portellone qualche centimetro in più. La sua voce le rintronò nelle orecchie, affermando e dichiarando di tener fede alla sezione e al paragrafo. «Potresti mostrarmi qualcosa sul taglio del cristallo che io non posso imparare nel Complesso.» «Te lo mostrerò. Ti mostrerò come trovare una canzone nei dirupi. Ti mostrerò come trovare il cristallo. Qualsiasi stupido sa tagliarlo. Devi prima trovarlo. Ma non chiudere quella porta!» «Come posso impedirti di cercare di uccidermi?» «Parlami. Tieni acceso il registratore. Parlami mentre taglio. Ridammi la mia tagliatrice!» «Ti parlerò, Moksoon, e aprirò la porta. Non ti ho danneggiato la tagliatrice.» La prima cosa che il Cantore fece, quando lei allentò la pressione, fu esaminare la punta. «Adesso, Moksoon, mostrami come si trova una canzone nei dirupi.» «Da questa parte, da questa parte.» Si arrampicò su un affioramento. «Guarda...» e con un dito sfiorò la linea di frattura, che era a mala pena discernibile. «È qui!» Allora il bagliore di un cristallo scintillò attraverso lo strato di terriccio. Lo strofinò, e la luce del sole sfavillò sul cristallo. «Per lo più è la luce del sole a dirti dov'è, ma tu devi vedere! Osserva e vedi! Il cristallo si stende in piani, in questo verso, in quest'altro, a volte segue la direzione della piega, a volte è perpendicolare ad essa. Sei sicura di non saper trovare la strada per tornare qui?» Le lanciò un'occhiata nervosa. «Positivo!» «Il rosa scende sempre verso sud. Contaci.» Fece scorrere delicatamente la punta delle dita lungo la ripida parete. «Non l'avevo mai visto. Perché non l'avevo mai visto?» «Non avevi guardato, vero, Moksoon?» La ignorò. Sulle prime, Killashandra pensò che si fosse alzato un venticello, il che era altamente improbabile in quella gola profonda. Poi udì la
debole eco e si rese conto che Moksoon stava canticchiando. Teneva un orecchio sulla parete rocciosa. «Ah, ecco. Posso tagliare qui!» E tagliò. Questa volta, il grido del cristallo era atteso e non fu un'esperienza tanto conturbante. Killashandra restò sempre in vista di Moksoon, soprattutto quando ebbe completato i tagli. Gli andò a prendere una scatola, la riportò indietro e la stivò, continuando a parlargli o a farsi parlare. Sapeva come tagliare il cristallo. Sapeva come trovarlo. La gola era ricoperta di strati di quarzo rosa, orientati verso sud. Probabilmente, Moksoon avrebbe potuto tagliare in quella concessione per il resto della sua vita nella Corporazione. Quando il sole calò oltre il margine orientale della gola, egli improvvisamente smise di lavorare e disse di aver fame. Killashandra gli diede da mangiare e ascoltò i suoi deliri sulle linee di incrinatura, sui tagli e sugli intrusi, che per lui erano le rocce non cristalline che in genere interrompevano la vena di cristallo. Poiché ricordava la scarsa considerazione di Enthor per il quarzo rosa, chiese a Moksoon se tagliasse altri colori. Fu una domanda imprudente, perché Moksoon ebbe un accesso d'ira e annunciò che aveva tagliato quarzo rosa per tutta la sua vita lavorativa, che era iniziata molto tempo prima che lei nascesse, o che nascessero i suoi genitori o, in quanto a questo, i suoi nonni, e che lei doveva badare ai fatti suoi. Si diresse a grandi passi verso la sua slitta. Dopo aver preso la precauzione di chiudere a chiave il pannello della porta, Killashandra si mise a proprio agio. Non era certa di poter sopportare, o sopravvivere, ad un altro giorno con quel paranoico di Moksoon. Non dubitò nemmeno per un momento che il difficile rapporto, che aveva infine raggiunto, sarebbe svanito durante la notte dal suo cervello cristallizzato. Nella fredda oscurità della gola, dove la notte faceva schioccare e ronzare le rocce, Killashandra pensò a Lanzecki. Aveva desiderato conoscerla, aveva detto, prima che lei cantasse il cristallo. Adesso quella frase aveva acquistato sia una sfumatura di benedizione sia un deciso cenno di maledizione. Una sola spedizione sulle Catene di Cristallo l'avrebbe trasformata tanto? Oppure le notti e il giorno trascorsi insieme avevano contribuito a formare un legame tra loro? Se era così, allora Lanzecki sarebbe stato molto occupato nelle settimane successive, a cementare i vincoli con Jezerey, Rimbol... e a quel punto il senso dell'umorismo di Killashandra ebbe il so-
pravvento su quelle ignobili fantasie. Lanzecki poteva essere perverso, ma non così maledettamente perverso! Per di più, nessuno degli altri aveva subito una transizione di Milekey o sembrava sensibile al cristallo nero. Era una concatenazione di circostanze. E le aveva detto che la sua compagnia le piaceva. A lui, a Lanzecki, piaceva la sua compagnia. Ma Lanzecki, il Maestro della Corporazione, l'aveva mandata fuori con quel pazzo di Moksoon. Killashandra sistemò la sveglia per l'alba, in modo da poter essere fuori della gola prima che Moksoon si svegliasse. CAPITOLO NONO Si svegliò con il buio e uno strano rumore. Con grande prudenza, sporse la testa dal portello della slitta e controllò prima nella direzione di Moksoon. Da quella parte, non c'erano segni di vita. Alzò gli occhi verso l'alto, tra le scoscese pareti della gola, verso il cielo che si andava schiarendo. Dopo aver giocato a nascondino con Moksoon il giorno prima, apprezzava i rischi della navigazione nella semioscurità. Inoltre, non desiderava trovarsi da quelle parti, quando il vecchio Cantore di Cristallo si fosse svegliato. Controllò che tutti i portelloni fossero chiusi e assicurati, un'azione automatica che aveva appreso durante i voli simulati di istruzione. Per fortuna, aveva eseguito atterraggi e decolli «al buio», in immaginari canyon superficiali e in profonde vallate, ma desiderò di aver prestato maggiore attenzione al terreno che si trovava subito oltre la concessione mineraria di Moksoon. Non poteva rischiare di ripercorrere il circuito del giorno prima per arrivare alla frana. Allacciò la cintura del sedile, accese il propulsore al minimo, si alzò di mezzo metro in verticale e si spostò di dieci metri in orizzontale, poi accese lo scanner superiore per accertarsi dello spazio libero che aveva intorno. Il cielo era abbastanza chiaro per il suo scopo, ma non ancora toccato dal sole nascente. Si alzò lentamente, con attenzione, gli occhi fissi sullo scanner per assicurarsi di non urtare contro un inatteso affioramento. Ad un tratto, si ritrovò al di sopra della gola a volteggiare. Accese rapidamente lo scanner situato sotto lo scafo e l'ingranditore. La sua partenza non aveva svegliato Moksoon. Con un po' di fortuna, il Cantore avrebbe dimenticato che lei era stata lì, finché non avesse ricevuto l'indennità. E lei quanto aveva lavorato per quello!
Le attraversò la mente l'idea che un giorno lei potesse diventare come Moksoon, ma questo era in un lontano futuro, si rassicurò. Avrebbe fatto di tutto perché fosse il più lontano possibile. Avanzò con buona velocità verso il punto F42NW-43NW, dove cinque vecchi spruzzi di vernice creavano un disegno irregolare sulla mappa aerea di Lanzecki. Il sole si stava levando, una vista maestosa in qualsiasi momento, ma quando indorò le pieghe occidentali e le alture della Catena di Milekey, fu davvero magnifico. Fermò la slitta su un sinclinale appiattito ed eroso, per godersi lo spettacolo dell'aurora, mentre faceva colazione. Era una bella mattina limpida, la brezza odorava di mare, perché la Baia non era lontana. Controllò la situazione metereologica, che indicava che il tempo sereno e asciutto era confermato per le successive sei ore. Voleva arrivare sopra il punto F42NW ad una certa altitudine e procedere verso l'F43NW, solo per avere un'idea generale. Se il suo presentimento era valido, e le informazioni privilegiate di Lanzecki l'avevano solo confermato, una di quelle cinque concessioni minerarie doveva essere il cristallo nero di Keborgen. Dall'alto, la zona aveva un aspetto desolato: vallate e burroni, canyon ciechi, pochi con corsi d'acqua, e nessuno scintillio di cristallo nel sole del mattino. Per di più, uno dei contrassegni di vernice era più fresco degli altri. Il sole si rifletté sul contrassegno. Uno degli altri Cantori aveva veramente trovato la concessione di Keborgen? Ricordò severamente a se stessa che nessun altro si era spinto tanto a nord. Un nuovo contrassegno di concessione mineraria su cinque. Ma la scansione aerea originale di Lanzecki aveva mostrato cinque vecchi contrassegni. Killashandra trattenne il fiato. Keborgen non era stato nella sua concessione per nove anni. Perché non riusciva a ricordare dove fosse? Aveva messo insieme ottimi frammenti e schegge e una triade, che valevano una fortuna in crediti. Non avrebbe potuto utilizzare il margine di tempo tra l'allarme della tempesta e la fuga per riverniciare la sua concessione, in modo da poterla trovare più facilmente dopo la tempesta? Killashandra ripassò mentalmente le concessioni minerarie e le usurpazioni delle concessioni. Nulla le impediva di controllare la zona circoscritta. Rubare o tagliare il cristallo era un crimine. Ridusse l'altitudine e sorvolò la concessione, volando in un circolo di circa cinque passi di diametro, a partire dal contrassegno più recente. Non vide altre slitte, ma volteggiò su troppe cornici in ombra e dirupi a strapiombo per esserne certa. Non notò nemmeno lo scintillio o il bagliore del
cristallo colpito dalla luce del sole. Dopo l'iniziale ispezione, atterrò sulla cresta. La vernice era nuova, erosa solo in alcuni punti dall'ultima tempesta. Vide i margini della vecchia vernice, dove la nuova era stata applicata frettolosamente. Poi trovò il contenitore della vernice, incuneato tra alcune rocce, dove era stato gettato o spinto dal vento. Lo sollevò, sorridendo per la felicità. Sì, Keborgen non voleva dimenticare quella concessione. Aveva sprecato del tempo per preservarla. Guardò oltre le creste e i burroni più vicini e si chiese dove fosse. Da quel punto vantaggioso, vedeva a cinque passi in tutte le direzioni. Poiché Keborgen aveva ovviamente prelevato i frammenti di cristallo dalla concessione, non ce ne sarebbe stato nessuno a indicare dove avesse lavorato. Comunque avrebbe dovuto nascondere la slitta a un osservatore aereo, come aveva fatto Moksoon. Perciò Killashandra trascorse il resto della mattinata a sorvolare il cerchio. Trovò cinque posizioni; due nascondigli parziali a sud, nel quadrante 7; una rientranza a ovest, nel 10; una valle cieca, molto stretta, nel 4; e due gole in ombra a nord, nel 2. Sulla sua carta di bordo, annotò ogni posizione con la descrizione di un contorno o di una roccia e con l'angolazione in cui stava volando quando l'aveva scorta. Il clima non la aiutò più, perché a metà del pomeriggio cominciò a piovigginare. Non ci sarebbero stati i raggi del tramonto ad aiutarla, né il cristallo scaldato dal sole a parlare. E non era nemmeno di alcuna utilità stare seduti sulla cresta della concessione. C'erano altri Cantori che cercavano la concessione di Keborgen. Era assurdo restare così in vista. «Eena, meena, pitsa teena,» cantilenò, rivolgendosi a ogni sillaba verso una diversa posizione. «Avoo bumbarina, isha gosha, bumbarosha, mille novecento e uno!» «Uno» rispose la rientranza posta ad ovest, nel quadrante 4. Nell'avvicinarsi da sud, notò che la cresta aveva una strana pendenza. Poiché era protetta su tutti i lati da pieghe più alte, l'erosione non era stata prodotta dal vento. Fece atterrare la slitta il meglio possibile sul terreno accidentato accanto alla sporgenza. Prima di tutto, avrebbe fatto un'ispezione. Mentre indossava la tuta per la pioggia, notò che i detriti erano sparsi su entrambi i lati della sporgenza, che, in effetti, era della lunghezza giusta per una slitta. Molto rincuorata, uscì e si guardò intorno. I pendii rocciosi erano antichi e resi compatti dal terriccio e dalla sabbia. La sporgenza era solida, ma a una estremità era stata tappata con rocce eterogenee per rinforzarla. Un
piccolo graffio di vernice arancione sulla parete interna fu la conferma finale. Una slitta aveva parcheggiato lì. Parcheggiò la sua con un senso di compiacimento. Non era più così felice, dopo essersi arrampicata sul punto più alto al di sopra della valle cieca. Si guardò intorno nelle tenebre gocciolanti. La valle aveva la forma di un semicerchio smussato, ogni punto del quale era facilmente raggiungibile dalla rientranza. I Cantori di Cristallo si sforzavano solo di tagliare il cristallo, non di trasportarlo per lunghi tratti. La concessione di Keborgen doveva essere da qualche altra parte nella valle. Sdrucciolò lungo il pendio di rocce, aggiungendo altro pietrisco a quello sparso tutt'intorno. Quando ritornò alla slitta, controllò il resoconto metereologico. La coltre di nubi si sarebbe diradata a mezzogiorno, a meno che il fronte di aria fredda, proveniente dal polo sud, non avesse acquistato velocità. Probabilmente, avrebbe avuto un pomeriggio sereno e il sole sull'estremità meridionale della valle. Pioggia o no, si disse, sarebbe stata fuori alla prima luce. Keborgen aveva commesso due errori banali: la vernice fresca sulla concessione e la vernice vecchia della slitta. Il taglio di Keborgen le sfuggì per tutta la piovosa mattinata; cercò nel semicerchio le tracce del taglio, si graffiò mani e dita grattando la pietra. Le pareti della valle variavano in altezza, il lato più lungo curvava fino ad un'altezza di 10 metri e scendeva in pendenza direttamente al di sotto della rientranza. Dal fondo della valle, non vide nessuna traccia, anche tenendo conto del fatto che Keborgen aveva prelevato la polvere cristallina. Ritornò alla slitta per mangiare qualcosa, completamente scoraggiata. Avrebbe potuto anche affrontare Moksoon per un'altra giornata, considerando quello che aveva concluso da sola. Un improvviso luccichio attrasse la sua attenzione sull'oblò. Le nuvole attraversavano velocemente il cielo verso nord, e Killashandra vide zone di cielo sereno. Quando lasciò la slitta, un venticello le soffiò in faccia. D'improvviso, la luce del sole uscì da dietro le nuvole, accecante, dopo quasi due giorni di cupo grigiore. Con il sole, avrebbe potuto essere abbastanza fortunata da scorgere i lampi del cristallo, se avesse guardato nella direzione giusta al momento giusto. Il taglio di Keborgen non poteva essere stato coperto da molto terriccio, dopo la breve tempesta. Il sole era più ad occidente che ad oriente. Avrebbe avuto più possibilità, se avesse guardato verso occidente. Si arrampicò lungo il lato della valle fino alla cresta, girò a destra e si fermò. Con il sole che brillava, poteva di-
stinguere quello che la pioggia aveva nascosto il giorno prima, un sentiero di terra battuta, serpeggiante, netto anche se irregolare, adatto a un agile paio di gambe. Il sentiero era stato tracciato da un uomo dalle gambe lunghe, e quando con ansia vi si incamminò, ogni tanto dovette saltare o allungarsi. Era tanto occupata a cercare appigli per i piedi che sarebbe inciampata nella faglia, se prima non avesse notato lo spazio piatto e compresso a due metri dal bordo. Esattamente il posto dove qualcuno avrebbe potuto lasciare cartoni di cristallo. Sulle prime avrebbe potuto essere l'eccitazione, ma Killashandra avvertì un formicolio lungo le gambe. Poi udì un leggero sospiro, più forte di quello prodotto da un vento così lieve. Era come se qualcuno in lontananza canticchiasse piano, e il suono le fosse portato dal vento. Solo che quel rumore proveniva da un punto che era davanti a lei. Tremando, percorse gli ultimi due passi e abbassò gli occhi su un solco profondo, a forma di V, che scendeva al fondo della valle, situata a 10 metri più sotto del braccio inferiore della V. Acqua fangosa sgorgava dalla punta della V. L'acqua si era raccolta in una pozza dalla forma geometrica, che era a metà del lato irregolare. Irregolare, perché Keborgen vi aveva lasciato degli appigli per i piedi per accedere facilmente al cuore della sua concessione. Mentre scendeva, sentì il cristallo nero circondarla. Quando arrivò sul fondo, si inginocchiò ai bordi della pozza simmetrica, profonda quanto la punta di un dito, e ne sentì i lati. Lisci. Le dita le formicolarono. Si alzò e si guardò intorno. Lunga circa 6 metri, accuratamente tagliata per conservare l'aspetto grezzo, naturale, la V si apriva fino ad una larghezza di 4 metri, dalla parte del burrone. Con timore reverenziale, prese uno straccio e tolse il fango. Venne alla luce l'opaco fulgore del freddo cristallo nero. Servendosi del panno, asciugò l'acqua. La triade di Keborgen era stata tagliata in maniera precisa, ma relativamente a se stessa, non all'angolo della vena, e aveva lasciato quel piccolo cuneo a raccogliere acqua. No, quel pezzo non era perfetto, danneggiato dalla tempesta, probabilmente. Lo carezzò, sentendo la ruvidezza dell'incrinatura. Poi cominciò a pulire con eccitazione la sporgenza, per scoprire dove terminasse l'incrinatura, dove fosse il cristallo nero buono. Ah, qui, di lato, proprio dove Keborgen aveva smesso di tagliare, quando era arrivata la tempesta. Quanto grande, quanto profonda, quanto larga era quella vena di cristallo? Quella riserva di tesori? L'esaltazione sopraffece l'iniziale prudenza di Killashandra; ridendo, grattò prima il posto che era sulla parete opposta, poi lungo le braccia inclinate della V, togliendo la sabbia e il fango che
camuffavano il cristallo e ridacchiando tra sé e sé. Il risolino echeggiò, e lei cominciò a ridere, e il suono più forte si riverberò. Era circondata dal cristallo. Il cristallo cantava per lei! Si distese a terra, dimentica del fango. Lisciava la fronte di cristallo ai propri fianchi, cercando di non ridacchiare, cercando di rendersi conto, di far penetrare nel suo cervello annebbiato, l'idea che lei, Killashandra Ree, aveva realmente trovato la concessione di cristallo nero di Keborgen. Ed era sua, in base a sezioni e paragrafi. Killashandra non si rese conto del trascorrere del tempo. Doveva aver passato ore a guardare la concessione, a vedere dove Keborgen avesse eliminato il cristallo incrinato dall'esterno. Senza dubbio, aveva pensato di ritornare, una volta che la tempesta si fosse placata. Aveva tagliato da un ripiano che si trovava un metro al di sopra del braccio più alto della V. Era un Tagliatore astuto, perché non aveva devastato il cristallo, ma aveva lavorato per i tagli perfetti, le triadi e i quartetti, i raggruppamenti più grandi che sarebbero stati pagati a caro prezzo dall'avida FPS, che era desiderosa di allacciare linee di cristallo tra tutti i pianeti abitati. Keborgen aveva conservato un aspetto naturale alla sua concessione, lasciando che la base della V raccogliesse fango e terriccio che il vento e l'acqua versavano naturalmente nella parte più bassa. In confronto, Moksoon era un Tagliatore molto pigro, ma, del resto, tagliava solo quarzo rosa. Il cristallo intorno a lei cominciò a scricchiolare e ronzare, rumori lievi e rassicuranti. Come se, fantasticò Killashandra, avesse accettato il passaggio di proprietà. Incantata, ascoltò i lievi rumori, trattenendo il fiato nell'attesa della serie successiva, finché si accorse che faceva freddo e di essere seduta al buio, non più in penombra. Riluttante, e ancora divertita dal coro cristallino, si arrampicò fuori dalla concessione, ritornando lungo il rozzo sentiero alla sua slitta. Nella pulizia e nella freschezza del suo veicolo nuovo, ritornò relativamente in sé. Si sedette e fece un disegno della concessione, sforzandosi di ricordarne le dimensioni. Annotò le proprie deduzioni sulle abitudini di lavoro di Keborgen. La mattina dopo avrebbe cominciato molto presto, pensò, guardando la tagliatrice. Avrebbe avuto davanti a sé molti giorni di tempo sereno. «Avrò molti giorni di tempo sereno?» La sua sicurezza al riguardo la meravigliò. Accese le previsioni metereologiche. L'indomani sarebbe stato bello, con la probabilità di più giorni di tempo sereno. Che cosa aveva detto Lanzecki a proposito dell'affinità metereologica
nella transizione di Milekey? Che poteva fidarsi del suo simbionte? La sfiducia nei mezzi tecnici aveva provocato il ritardo di Keborgen nella fuga verso la salvezza. Ah, ma se si era fermato a riverniciare il contrassegno della concessione, aveva sentito qualche avvertimento. Killashandra si strinse le braccia intorno al corpo. In teoria, la spora simbionte faceva ormai parte della sua struttura cellulare, ma certamente non faceva parte della sua mente cosciente ne era un ospite inquieto nel suo corpo. Almeno, finché non avesse avuto necessità dei suoi poteri curativi. O finché non avesse resistito al suo bisogno di ritornare su Ballybran. Registrò con il codice vocale l'annotazione sulla sua conoscenza istintiva del clima. Avrebbe dovuto tenere sotto controllo quell'istinto. Si ricordò di mangiare prima di coricarsi, perche l'eccitazione della giornata l'aveva spossata. Sistemò la sveglia in modo da alzarsi venti minuti prima del sorgere del sole. Ristorata da una buona colazione e dalla dormita, si trovava sulla sommità del sentiero quando il primo raggio di sole si fece strada al di sopra della cima della lontana catena. La tagliatrice le pendeva da una spalla e un cartone oscillava dalla mano libera. Lasciò il cartone dove Keborgen aveva lasciato i suoi - per quanto tempo gli echi del morto l'avrebbero accompagnata in quel luogo? - e discese nella concessione. Il sole non era ancora arrivato sulla punta più alta della V. Sarebbe stato più facile tagliare allora, pensò, prima che il cristallo cominciasse la sua canzone mattutina. Pulì la protuberanza che aveva intenzione di tagliare, circa 50 centimetri di lunghezza per 25 centimetri di altezza e variabile tra i 10 e i 15 centimetri di larghezza. Doveva seguire le creste lasciate dall'ultimo taglio di Keborgen. Perché mai non si era limitato a fare linee diritte? Incrinature? Fece scorrere le mani sulla superficie, come per scusarsi di quello che stava per fare. Il cristallo bisbigliò al suo tocco. Basta, si disse con severità. Immaginò che sia Trag che Lanzecki la stessero osservando, poi colpì il ripiano con il cuneo tonale. Il suono la inondò come un maremoto. Ogni suo osso e giuntura riverberò la nota. Le sembrò che la testa si aprisse, che il sangue pulsasse come un metronomo a tempo con le vibrazioni. Gli echi le ritornarono dall'altra parte della concessione e, stranamente inaspriti, dalla valle a forma di semicerchio. «Taglia! Tu devi accordare la tagliatrice alla nota e tagliare!» Killashandra gridò a se stessa, e l'eco le rispose. Non le era accaduto nulla di così devastante, quando Moksoon aveva cantato alla ricerca della nota. Dipendeva dal fatto che lei era sensibile al
cristallo nero, e non al rosa, e non era accordata alla concessione di Moksoon? Inoltre, il Cantore era stato al centro della concessione, sul granito. E l'esperienza non somigliò nemmeno all'urlo del cristallo riaccordato: non c'era alcuna sofferenza, alcun risentimento in quella risonanza gloriosa, benché fosse schiacciante. Non dovette colpire di nuovo il cristallo. Il LA era chiuso nella sua testa e nelle sue orecchie. Esitò ancora una volta, mentre afferrava la lama infrasonica per fare la prima incisione. Un'inconscia risolutezza, un'ostinazione che non aveva mai dovuto invocare, la fecero continuare a tagliare Il suono la avvolse, un LA in accordi e ottave, un tintinnio che fece vibrare ogni terminazione nervosa nel suo corpo, in uno stato che non era doloroso, ma stranamente piacevole, anche se insolitamente sconcertante. Sentì che il suono della lama si appannava e la estrasse. Fece un secondo taglio verticale esattamente al di sotto del segno di Keborgen. Questo blocco sarebbe stato più corto e più stretto degli altri. Non si poteva evitare. Digrignò i denti per resistere allo shock, quando la lama incontrò il cristallo e il suono incontro i nervi. Le mani sembravano rispondere alle interminabili ore di esercizio sotto la direzione di Trag, ma Killashandra non si disse coscientemente di interrompere il secondo taglio verticale. La fermò un collegamento, appreso con la pratica, tra mano e occhio. Lasciò che l'istinto l'aiutasse a fare il taglio orizzontale che avrebbe reciso il cristallo dalla vena. Il suo grido non fu così violento. Ripose con attenzione la tagliatrice, intimorita dalla separazione sottilissima che aveva prodotto. Con le mani ancora tremanti per lo sforzo di guidare la tagliatrice, estrasse il rettangolo e lo alzò. Il sole colpì il rettangolo e lo oscurò, rivelando ai suoi occhi attoniti la leggera deviazione di uno degli angoli. Non gliene poteva importare di meno e pianse di gioia, mentre la canzone del cristallo nero scaldato dal sole, adesso veramente di un nero opaco per reazione al calore, la penetrò attraverso la pelle e le intossicò i sensi. Non avrebbe mai saputo per quanto tempo restò in quello stato di timorosa adorazione, tenendo il rettangolo verso il sole, come un'antica sacerdotessa. Una nuvola, una delle poche di quel giorno, oscurò brevemente il sole e spezzò la canzone. Allora Killashandra si accorse del dolore nelle spalle per aver tenuto in alto il pesante cristallo e dell'intorpidimento nelle dita, nei piedi e nelle gambe. Era stranamente restia a lasciar andare il cristallo. «Imballa il cristallo non appena lo hai tagliato!» Le giunse l'eco del consiglio di Lanzecki. Anche Moksoon l'aveva imballato non appena lo
aveva tagliato. Ricordò quanto le fosse sembrato riluttante il vecchio Cantore pazzo a lasciare il quarzo rosa nel cartone. Adesso apprezzava sia il consiglio che l'esempio. Solo quando ebbe accomodato il blocco di cristallo nel bozzolo di plastica, si accorse di quanto fosse debilitata. Si appoggiò, esausta, alla parete di cristallo e si lasciò scivolare lentamente a terra, appena cosciente del cristallo mormorante cui era appoggiata. «Non mi basterà mai,» si disse, ignorando la debole eco tintinnante della sua voce. Prese un involto contenente cibo dalla tasca che aveva sulla coscia e masticò e bevve meccanicamente. La terribile apatia cominciava ad attenuarsi. Lanciò un'occhiata al cielo e si accorse che il sole stava calando ad occidente. Doveva aver trascorso una buona mezza giornata, di tempo sereno, ad ammirare il proprio manufatto. «Ridicolo!» Le tornò indietro il beffardo suono della «d». «Non mi prenderei in giro, se fossi in te, amico mio,» disse alla concessione, mentre osservava i tagli per realizzare un secondo blocco. Lo avrebbe voluto più squadrato dell'altro, altrimenti avrebbe finito con il creare una pozza sospettosamente simmetrica, così come aveva fatto Keborgen. Non ebbe bisogno di martellare per avere la tonalità: il LA era marchiato a fuoco nella sua mente. Accese e regolò la tagliatrice, e si preparò alla reazione del cristallo. Fu quasi sconvolta dalla nota pura e mite che le fu restituita. Immensamente sollevata, fece due tagli verticali, badando a tenere diritta la lama della tagliatrice. Fece la terza incisione orizzontale e si maledisse per aver inconsciamente seguito lo schema del suo primo e irregolare taglio. La sensazione sgorgò palpabilmente dal nero taglio, ma questa volta conosceva i trucchi del cristallo e lo seppellì velocemente nel cartone accanto al compagno. Il terzo cristallo avrebbe dovuto essere il più facile. Fece abilmente il primo taglio, compiaciuta dalla propria perizia. Ma l'incisione verticale per recidere il rettangolo dalla fronte andò fuori tonalità. Si fermò, scrutò la massa grigiastra, beige, la toccò e avvertì, non con il tatto, ma attraverso i nervi nella punta delle dita, che stava tagliando su un'incrinatura. Se si fosse spostata di mezzo centimetro... Il blocco non avrebbe completato gli altri due, ma il cristallo gridò una nota limpida. Lo rigirò tra le mani, tenendo attentamente le spalle al sole, per cercare nel blocco altri segni di un'incrinatura. Questa era, si disse severamente, una scusa per carezzarlo con le
dita, che si deliziavano a toccare la tessitura liscia e saponosa, il sussurro, le sensazioni che sfioravano i suoi nervi con la stessa delicatezza di... del bacio di Lanzecki sul suo palmo? Killashandra ridacchiò, e l'eco le rimandò da ogni parte il suono della risata. Lanzecki, o i ricordi di lui, sembravano costituire un'ancora in quell'esotica arena di suoni e sensazioni. Avrebbe apprezzato questo ruolo? E quando, o se, fosse ritornata tra le braccia di Lanzecki, avrebbe ricordato il cristallo nel loro abbraccio? I pensieri su di lui cancellarono efficacemente la lusinga del terzo rettangolo che lei imballò. Dopodiché si accorse di un venticello fresco, mentre prima l'aria era stata tiepida e immobile. Quando guardò verso occidente, si rese conto che ancora una volta era stata giocata dal cristallo. Il giorno era quasi finito, e lei aveva solo tre cristalli neri da mostrare per sedici ore di lavoro - o di aberrazione mentale. C'era un intero lato da tagliare. Evidentemente, sul taglio del cristallo c'era molto che non poteva essere spiegato, programmato o teorizzato. Doveva essere sperimentato. Non aveva ricavato molti consigli, trucchi e trovate dall'osservazione di Moksoon. Aveva imparato un bel po' dall'analisi dei tagli di Keborgen. L'intuito le suggerì che non avrebbe mai imparato tutto quello che c'era da imparare sul taglio del cristallo. Sarebbe occorsa una vita lunga e avventurosa. Se solo fosse riuscita a evitare la frustrazione delle ore perse a contemplare le proprie opere! I tre cristalli erano inerti nella loro scatola d'imballaggio, ma le sue mani vi indugiarono nel fissare la rete protettiva. Si preparò un pasto caldo e una birra di Yarra. Si portò il cibo e la birra fuori e andò a sedersi su un comodo masso, ai bordi del dirupo. Guardò il sole tramontare sulla sua concessione e le lune sorgere. Il cristallo, che si raffreddava, gridava dall'altra parte della valle che li separava. «Hai avuto quello che volevi...» e Killashandra interruppe la beffarda frase, mentre le prime parole si riflettevano sul cristallo ritornato alla luce. «Tu che...» E la vocale le ritornò indietro, in armonia. Divertita dal fenomeno, intonò un secondo «Tu che...» di una terza più basso e lo udì risuonare insieme ai flebili riverberi del primo. Rise del proprio capriccio. Il cristallo riecheggiò la risata. E i primi movimenti della brezza notturna, mentre sorgeva la grande luna Shankill, fecero da controcanto al suo assolo. Killashandra cantò. Cantò al cristallo; il vento imparò la melodia, anche se a poco a poco il coro di cristallo si spense, quando l'ultimo tepore del
sole lo lasciò, e restò solo il vento a ripetere i suoi versi. Sorse Shilmore e l'aria notturna portò un gelo che la destò da una trance del tipo cui aveva riferito il Maestro Valdi. Aveva ragione, pensò. Il canto di cristallo poteva creare dipendenza ed era assolutamente spossante. Ritornò barcollando alla slitta. Senza sfilarsi la tuta, Killashandra si buttò sul materasso e si copri con la coperta termica. E si addormentò. Un debole rumore la svegliò. Non la sveglia, perché aveva dimenticato di regolarla. Stordita, sollevò il capo, fissando con sguardo d'accusa la consolle, ma non c'era nessuna luce accesa e certamente nessun ronzio. In ogni caso, qualcosa l'aveva svegliata. Fuori, il sole splendeva. Si alzò a fatica dal letto e ordinò un forte stimolante. Il video le disse che era tardo mattino. Aveva perso cinque ore di luce buona per tagliare! Aveva un crampo in una spalla e le ginocchia le dolevano. Il calore della bevanda circolò dentro di lei, dissipando l'inerzia della sua mente e sciogliendo i muscoli. Bevve il più velocemente possibile, ordinò una seconda tazza, ficcò delle tavolette proteiniche nelle tasche della tuta. Tolse dai supporti la tagliatrice, se la appese alle spalle, prese un altro cartone, una torcia, e, dieci minuti dopo il risveglio, era in cammino verso la concessione. Il rumore che l'aveva svegliata era stato il crepitio del cristallo nero grezzo che sentiva il tocco del sole. Prima di tutto, dovette eliminare le schegge che erano cadute dal bordo del taglio, il risultato del gelo della notte e del sole del mattino. Con flemma, si dispose a raccogliere i pezzettini e li buttò nella scatola di imballaggio. Con la torcia, poteva vedere in che punto il cristallo del pendio fosse screpolato da una incrinatura. Utilizzando il margine interno della sporgenza del giorno prima, però, avrebbe potuto tagliare un gruppo interdipendente, quattro rettangoli medi o cinque più piccoli. Li avrebbe tagliati subito, lasciando che il gelo spaccasse il cristallo ed eliminasse l'incrinatura. Una sbrigativa spuntatina sul lato del burrone e la temperatura avrebbe rimosso le imperfezioni. Il giorno dopo avrebbe avuto una giornata eccezionale di taglio. Killashandra si fece animo per affrontare la prima incisione della lama infrasonica e fu sollevata nel soffrire un shock inferiore. Sollevata e costernata. La concessione riconosceva il suo diritto con un'assenza di protesta? O un solo giorno aveva accordato il suo corpo alla risonanza? Aveva quasi desiderato di sperimentare quella sensazione piacevole, che le carezzava i nervi, come se all'interno del suo corpo ci fosse un abilissimo amante. Non ricordò, indubbiamente a causa di quelle riflessioni, di imballare il
cristallo non appena tolse la lama. Ricordò di riparare il rettangolo dal sole, mentre lo carezzava, in un rapporto assoluto con la sua creazione. Ammirò l'ingegnoso angolo che aveva escogitato per fare un vecchio taglio... E d'un tratto si rese conto di essere stata in comunione con il cristallo violato. Lo imballò con decisione, e i successivi quattro furono conservati ogni volta che posava la tagliatrice. Doveva imparare a eseguire la sequenza automaticamente. «L'abitudine,» aveva ripetuto giustamente Concera, «è quella che salva i Cantori.» Killashandra si mise a liberare la fronte del burrone, ma i riflessi del sole sul quarzo le facevano male agli occhi. Aveva sprecato troppo tempo a dormire e ad adorare il cristallo. Si svegliò improvvisamente nella notte, e una strana ansia eliminò il sonno dalla sua mente. A disagio, controllò i cartoni stivati, chiedendosi se qualcosa li avesse fatti risuonare. Fuori la notte era limpida, le lune erano tramontate e la catena era profondamente addormentata. Lanciò un'occhiata alla consolle e agli allarmi della tempesta. Imprecò. Non aveva consultato le previsioni metereologiche. Il tabulato mostrò nubi in movimento dal Mare Bianco, turbolenze, ma ad un'altitudine tale da arrivare alla corrente d'aria dominante, diretta verso est, e dissiparsi. Una situazione da tenere sotto controllo, per essere sicuri. Dormì male fino alle prime luci. Con ansia, stampò un tabulato metereologico. Il quadro non era allarmante, sebbene la coltre di nubi fosse cresciuta in densità e velocità. Un'area di alta pressione proveniva da sud, ma non era stato diramato nessun allarme di tempesta per la zona della Baia. Se fosse stata in formazione una tempesta, oramai avrebbe ricevuto un avvertimento dal satellite. La continua consapevolezza che qualcosa non andasse bene rese il taglio più veloce. Aveva completato un taglio di quattro grandi cristalli pentagonali e aveva messo da parte tutti i detriti, quando la pressione dell'ansia divenne troppo intensa per continuare. Spinta da un'intuizione troppo pressante per essere messa da parte, si buttò la tagliatrice su di una spalla, prese un cartone per ciascuna mano, e si avviò verso la slitta. A metà strada, sentì la sirena e per poco non mise il piede in fallo per alzare gli occhi verso il cielo, che era ancora senza nuvole. Digitò un aggiornamento sulle condizioni del tempo. La sirena era solo il primo avvertimento: un'ammonizione a guardare il quadro metereologico. Tutto dentro la sua testa era di gran lunga più in allarme del segnale della Corporazione. Il tabulato metereologico mostrava l'addensarsi
di una turbolenza che poteva affluire verso nord o verso sud, a seconda del promontorio di bassa pressione. Guardò il video, per nulla rassicurata. Se fosse accaduto il peggio, la tempesta sarebbe scoppiata sull'estremità opposta del continente principale e avrebbe raggiunto la sua posizione in quattro, cinque ore, acquistando velocità ad un ritmo spaventoso, una volta acquisito l'impeto del promontorio in avanzata. «Pensavo che dovevate avvertirci!» gridò agli altri silenziosi allarmi di tempesta. La sirena aveva automaticamente cessato di suonare, quando lei aveva programmato il quadro metereologico. «Quattro, cinque ore. Questo non mi dà il tempo di tagliare più niente. Posso solo stare seduta qui a soffrire finché voi tutti non vi svegliate per il pericolo. Non c'è nessuno che analizzi gli schemi metereologici? A che pro tutte quelle tiritere sugli allarmi precoci e i sensori metereologici, se non funzionano?» Mentre dava sfogo alla tensione in una invettiva unilaterale, attrezzò la nave per la fuga dalla tempesta. I quattro preziosi cartoni di cristallo nero furono assicurati con una rete, di fronte ai cartoni vuoti che la beffeggiavano. Si cambiò la tuta, e dallo sporco sui polsi e sulle caviglie si rese conto di non essersi fatta un bagno fin da quando era arrivata sulle catene. Voleva ricomparire al complesso con un aspetto presentabile. Una veloce lavata la rinfrescò, e Killashandra mangiò un pasto leggero mentre faceva alcuni calcoli sulle rotte che avrebbero mascherato la direzione da cui proveniva e avrebbero confuso gli altri Cantori, richiamati al complesso dalla tempesta. Aveva appena completato quella che sarebbe stata un'elaboratissima fuga, quando si attivò il primo dei pressanti allarmi della tempesta. «Era ora! Io sona arrivata a questa conclusione un'ora fa.» In volo, sfiorò creste e depressioni, dirigendosi verso nord, sulle 11, per mezz'ora. Virò su una rotta occidentale per venti minuti e stava incominciando una tratta meridionale, quando passò su una gola che aveva un aspetto conosciuto. Una macchia arancione tra le ombre le ricordò Moksoon e i suoi squallidi cristalli rosa. Le previsioni di tempesta erano ormai insistenti. Fece un altro passaggio sulla gola e vide Moksoon chino sul suo affioramento, con due cartoni accanto. Avrebbe dovuto essere sulla via del ritorno, e non a tagliare tranquillamente, come se avesse tutto il giorno davanti e non stesse per abbattersi una tempesta di mach. Atterrò il più silenziosamente possibile, malo stridio dei pattini della slitta sulle rocce sparse sul fondo della valle avvertì Moksoon. Scese di corsa il pendio, tenendo la tagliatrice in modo aggressivo. Lei premette il
tasto del registratore, alzò il volume, ma il Cantore si lagnava così sonoramente a proposito della Sezione 49 che non poteva averlo sentito. Il vento, però, si era rinforzato e gli rendeva difficile brandire la tagliatrice e mantenersi in equilibrio, sebbene Killashandra dubitasse che la lama infrasonica avrebbe potuto fare qualcosa alla sua slitta. Si sarebbe rotta la tagliatrice di Moksoon. «La tempesta, tenore rosa andato a male!» Urlò dall'oblò aperto. Malgrado l'urlo del vento, lei sentiva le sirene, i ronzii e le campane risuonare dalla slitta del Cantore «Una tempesta di mach in arrivo. Devi andartene!» «Andarmene?» Il panico sostituì l'ira sul volto di Moksoon. Poi sentì i clacson provenienti dalla nave di Killashandra e dalla sua nave. «Non posso andarmene!» Il vento gli strappava i suoni dalla bocca, ma Killashandra gli lesse le labbra. «Ho trovato una vena pura. Ho...» Chiuse prudentemente la bocca e fu costretto a chinarsi per non farsi buttare a terra da una folata particolarmente forte. «Devo tagliarne solo un altro. Solo un altro.» Risalì il pendio verso la sua postazione. Incredula, Killashandra lo guardò sollevare la tagliatrice e accordarla nella direzione da cui veniva il vento. Imprecando, Killashandra afferrò la torcia. Non era un'arma robusta come avrebbe desiderato, considerando la probabile durezza del cranio di Moksoon, ma usata con la forza necessaria nel posto giusto, sarebbe potuta bastare. Quando uscì dalla slitta, ebbe un assaggio di che cosa volesse dire essere sorpresi da una tempesta di mach nelle catene di cristallo. Suoni, onde dissonanti e armoniche le affluirono alla testa. Si coprì le orecchie, ma il suono le continuò ad arrivare attraverso la roccia sotto i suoi piedi. Gli acuti gemiti mascherarono la sua frusciante avanzata, e Moksoon era troppo occupato a tagliare per vedere niente altro che l'ottagono che stava asportando. Proprio quando lei si apprestava a colpirlo con violenza, egli abbassò la tagliatrice, ma scorse il suo braccio che calava e si buttò da un lato. Lei afferrò la tagliatrice e si affrettò verso la slitta del Cantore, più vicina della sua. Lui la seguì solo per la tagliatrice, ne era certa. Balzò nella slitta, si schiacciò contro la parete, con i supporti conficcati nella schiena, trasalendo per l'acuto obbligato degli inascoltati congegni di allarme di Moksoon. Fu più scaltro di quanto lei credesse. Improvvisamente, una mano robusta le afferrò la caviglia sinistra e le trascinò la gamba da un lato, mentre una pietra calava per schiacciarle la rotula. Se non fosse stato per il fatto che aveva ancora la tagliatrice in mano, sarebbe stata azzoppata. Portò in
alto il manico della tagliatrice, deviò la pietra e colpì le dita di Moksoon. Fece perno sul piede imprigionato e diede un secondo colpo sulla mascella del vecchio. Per qualche momento ondeggiò, tanto che Killashandra pensò di doverlo colpire di nuovo, ma era solo il vento a sostenerlo, poi si schiantò al suolo. Automaticamente, Killashandra assicurò nei supporti la tagliatrice di Moksoon. Richiese un tabulato metereologico, il che azzittì tre degli allarmi rompi-timpani. Lanciò un'occhiata alla stiva della slitta e si accorse che Moksoon non si era dato la pena di fermare con la rete i cartoni pieni. Ci pensò Killashandra, ignorando la sporcizia e gli avanzi di cibo sparsi nella sezione abitativa. Poi ricordò che c'erano numerosi cartoni nella concessione. Per fortuna, non aveva pendii rocciosi da scalare dalla slitta di Moksoon alla sua concessione, altrimenti non ce l'avrebbe fatta a tornare indietro con i pesanti cartoni. Moksoon non mostrava segni di ripresa. Lo trascinò nella slitta, poi lo depositò sulla cuccetta. Non emise nemmeno un gemito. Era vivo, come appurò sentendogli i battiti, nauseata dal grasso sul collo. Fu allora che si rese conto del dilemma. Due navi e un pilota cosciente. Cercò di svegliare Moksoon, ma questi era completamente privo di sensi, e lei non riuscì a trovare la cassetta del pronto soccorso che conteneva spray stimolanti. Gli allarmi raggiunsero un nuovo livello di pericolo, e lei si accorse che il tempo correva. Non poteva trasportare tutto il carico di Moksoon alla propria slitta. Lei aveva quattro cartoni più preziosi di tutti quelli del vecchio Cantore. Doveva esserci qualcosa nei regolamenti della Corporazione a proposito di soccorsi e salvataggi. Lei aveva ricevuto due buoni per aver accompagnato Carrik, perciò decise che il vento le aveva ottenebrato la mente. Fece una corsa alla propria slitta, si buttò la sua tagliatrice sulle spalle e afferrò due cartoni. Gli allarmi nella slitta di Moksoon erano saliti di parecchi assordanti decibel verso il limite supersonico, ma non c'era nessun modo di placarli finché non fosse decollata. Ritornò barcollando alla propria slitta, che le folate di vento facevano sobbalzare. Si chiese se potesse ancorare il proprio veicolo, per impedire che fosse buttato nella gola, ma decise di non sprecare tempo. Afferrò i cartoni restanti e fu felice che il peso le ancorasse i piedi al terreno. Ansimava quando infine chiuse il portellone della slitta di Moksoon. Il Cantore giaceva ancora sulla cuccetta. Lei legò con la rete i suoi quattro cartoni e assicurò la sua tagliatrice tra i cartoni vuoti. Legò strettamente
Moksoon alla cuccetta e poi prese posto alla consolle. Tutte le slitte avevano simili pannelli di controllo, anche se quello di Moksoon era logorato dall'uso. La concessione di Moksoon era chiusa dalle pareti rocciose ed era molto pericoloso cercare di uscirne durante una violenta tempesta. Lottò per mantenere la verticale, lottò ancora per acquistare la posizione orizzontale in modo da superare la cima della cresta, poi lasciò che il vento portasse la slitta, tenendo il più forte possibile la barra di comando verso occidente. Le dissonanze accordate dalla tempesta di mach erano peggiori in aria, e Killashandra afferrò l'elmetto imbottito di Moksoon. Era rigido, polveroso e troppo piccolo, ma non lasciava passare l'ululato del vento. Lo indossò appena in tempo, perché la slitta cominciò a muoversi come una belva impazzita, beccheggiava, scendeva in picchiata e poi si spostava lateralmente. Lei apprezzò le esercitazioni sul simulatore prima di quanto le sarebbe piaciuto. Era stato un bene che avesse legato Moksoon, perché ritornò in sé prima che avessero lasciato le Milekey e cominciò a delirare per il dolore. Le sue terminazioni nervose ricevevano già abbastanza pugnalate attraverso l'imbottitura sulle orecchie. Moksoon perse nuovamente i sensi, dopo aver urtato con la testa contro la parete in duralega, cosicché l'ultima ora di strada verso il Complesso della Corporazione le diede la quiete sufficiente a rilassare i nervi esasperati. Aveva ottimi motivi per essere orgogliosa, quando portò la sbilanciata slitta di Moksoon oltre gli schermi antivento del complesso e la fece atterrare vicino alle guide. Segnalò la necessità del soccorso medico, e quando indicò loro Moksoon, uno del personale dell'hangar la afferrò per un braccio e le fece cenno di recarsi urgentemente nell'ufficio dell'hangar. L'informazione che Lanzecki la aspettava fu ripetuta dal messaggio sul video verde, che lampeggiava ih modo imperioso. Il personale del cargo aveva aperto la stiva della slitta, e allora Killashandra andò a raccogliere la sua preziosa tagliatrice e a indicare i quattro cartoni che contenevano i suoi cristalli neri. «Enthor!» urlò agli scaricatori. «Portate queste immediatamente a Enthor!» Malgrado i sorrisi e i cenni compiacenti, lei non era sicura che avessero capito la sua urgenza. Li seguì, ma a metà strada, qualcuno la affiancò, tirandola violentemente per un braccio.
«A rapporto da Lanzecki,» strillò l'ufficiale dell'hangar, allontanandola dall'Immagazzinaggio. L'espressione dei suoi occhi non era rassicurante. «Potevi almeno salvare la slitta nuova!» Lei si divincolò per liberare il braccio e, lasciando l'uomo di stucco per la sua imprudenza, corse dietro ai suoi cartoni. Vide il primo scaricatore limitarsi a far cadere con un tonfo il suo carico su una catasta. Lei afferrò il cartone e gridò agli altri di seguirla nella stanza di Selezione. «Killashandra? Sei tu?» domandò una voce nota. Senza interrompere la sua decisa avanzata, vide Rimbol seguirla, con uno dei cartoni stretto attentamente contro il corpo. Due pensieri assurdi le colpirono la mente mentre irrompeva nella Selezione: Rimbol era inconsapevole della fortuna in cristalli neri che stava trasportando, e aveva problemi a riconoscerla. «Sì, sono io. Qual è il problema?» «Non ti sei guardata allo specchio ultimamente, è vero?» fu la replica di Rimbol. Sembrava divertito e sorpreso nello stesso tempo. «Non guardarmi male. Sei spaventosa, sei... sei... di cristallo!» «Sta' attento a quel cartone,» disse, in un tono più autoritario di quanto avrebbe dovuto con un amico, e il sorriso di benvenuto di Rimbol svanì. «Mi dispiace, Rimbol. È stato un inferno arrivare qui. Quel rimbambito di Moksoon non voleva credere che stava per arrivare una tempesta e che avrebbe avuto dei problemi ad affrontare il vento.» «Hai portato via dalle catene un altro Cantore?» gli occhi di Rimbol si spalancarono per l'incredulità, ma qualsiasi cosa fosse stato sul punto di aggiungere, fu interrotto, quando Killashandra vide Enthor e lo chiamò per nome. «Sì?» E tono di Enthor era sorpreso. Batté le palpebre con espressione incerta. «Sono Killashandra Ree,» disse, cercando di non manifestare la propria irritazione. Non poteva essere cambiata tanto dall'ultima volta che aveva visto Enthor. «Ho del cristallo nero!» «Nero?» «Sì, sì. Nero! Qui!» «E come mai sei stata tanto fortunata da trovare quello che sfugge ai più?» domandò una voce implacabile. Killashandra stava poggiando il cartone sul tavolo di Enthor, ma il tono freddo, minaccioso la paralizzò. La gola le si fece secca e la mente le si annebbiò, perché non aveva nessuna scusa valida per aver ignorato i ri-
chiami del Maestro della Corporazione, per averlo costretto a cercarla. «Beh, io non sono sorpreso che tu l'abbia trovato,» disse Enthor, prendendole la scatola dalle mani. Lanzecki avanzò, senza mai lasciare gli occhi di Killashandra. Lei appoggiò il corpo tremante al tavolo di selezione e ne afferrò il bordo con le dita nervose. I regolamenti e restrizioni da applicare contro un membro che aveva disobbedito al Maestro della Corporazione le balzarono alla mente più vividamente di quelli che le sfuggivano sui soccorsi e i salvataggi. Le labbra di Lanzecki erano strette in una linea sottile, dura. Il lieve allargarsi delle narici e il rapido sollevarsi del torace al di sotto della camicia sottile e lucente confermavano che era apparso con uno sforzo fisico, non per magia. «Potresti migliorare gli angoli acuti,» Disse Enthor mentre disimballava la triade.. «Comunque, il credito è buono.» Enthor ammiccò prima di lanciare uno sguardo d'approvazione a Killashandra. Il Selezionatore notò la sua immobilità, si guardò intorno, non mostrò sorpresa nel vedere il Maestro della Corporazione, e riportò gli occhi su Killashandra, ormai cosciente della ragione della tensione di lei. «Il che è un bene per Killashandra Ree,» disse Lanzecki con profondo sarcasmo, «giacché non è tornata con la slitta nuova.» «Moksoon sta bene?» chiese Killashandra, non riuscendo a dire altro al cospetto dell'ira di Lanzecki. 'La testa gli guarirà, e senza dubbio taglierà altro quarzo rosa!» Il fatto che il tono di Lanzecki non fosse derisorio non significava nulla. Killashandra capì che cosa sottintendeva. E non riuscì a sottrarsi al suo sguardo penetrante. «Io non potevo abbandonarlo,» disse, e il sollievo dell'indignazione sostituì la paura. Dopo tutto, era stato Lanzecki a scegliere Moksoon come suo pastore. «Perché no? Lui non avrebbe avuto il minimo rimorso ad abbandonarti, se le circostanze fossero state l'opposto.» «Ma... ma stava tagliando. Nella sua slitta erano in funzione tutti gli allarmi della tempesta. Non li sentiva. Ha cercato di squartarmi con la tagliatrice. Ho dovuto abbatterlo prima che lui...» «Porresti essere soggetta all'usurpazione di concessione mineraria, Sezione 49, Paragrafo 14,» continuò Lanzecki, implacabile. «E che cosa dice la sezione che tratta di soccorsi e salvataggi?» Le palpebre di Lanzecki si abbassarono impercettibilmente, ma fu En-
thor a rispondere con voce stupita. «Non esiste, mia cara. I salvataggi sono compiuti sempre dalla Corporazione, non dai Cantori. Pensavo che ti fosse stato insegnato che cosa c'è esattamente nelle norme e nei regolamenti. Ah, questi... questi sono veramente buoni. Due sono un po' sottili.» Enthor aveva estratto il quintetto dalla scatola. Per la prima volta, l'attenzione di Lanzecki fu distolta. Spostò leggermente il corpo per vedere il piatto della bilancia. Alzò un sopracciglio per la sorpresa, ma le labbra non si ammorbidirono. «Puoi uscire fuori da questa faccenda meglio di quanto meriti, Killashandra Ree,» disse Lanzecki. Gli occhi gli scintillavano ancora per la rabbia. «A meno che, naturalmente, tu non abbia abbandonato anche la tua tagliatrice.» «Ho potuto portare sia la tagliatrice che i cristalli,» ribatté, ferita più dal suo divertimento che dalla sua rabbia. «Speriamo che Moksoon si persuada a non accusarti di usurpazione di concessione, dal momento che gli hai salvato quel relitto di slitta, la pelle e il cristallo. La gratitudine si basa sulla memoria, Killashandra Ree, una funzione della mente che su Ballybran si deteriora. Impara la lezione!» Lanzecki si allontanò rapidamente dal tavolo di Enthor e percorse la lunga sala verso l'uscita più lontana, sottolineando in questo modo che era venuto solo per motivi disciplinari. CAPITOLO DECIMO Killashandra restò con Enthor, mentre questi registrava i suoi quattro cartoni, benché fosse a malapena cosciente di quanto le diceva il vecchio Selezionatore. Continuava a lanciare sguardi verso la porta da dove Lanzecki aveva fatto la sua drammatica uscita, cosciente degli sguardi furtivi che le dedicavano gli altri Selezionatori, cosciente di un'emozione più intensa dell'odio, più paralizzante della paura. «Tutto questo ti permetterà di comprare due slitte.» Le parole di Enthor penetrarono la sua concentrazione. «Che cosa?» «Quei cristalli neri ti hanno fatto guadagnare un totale di ventitremila crediti.» «Quanti?» Killashandra fissò incredula le cifre sul video, che lampeggiavano in verde. «Ma una slitta ne costa solo ottomila.»
«C'è l'imposta, mia cara. Il trenta per cento si mangia una bella somma sul totale. In effetti, devi pagare per due slitte, quella che hai perso e la sostituzione. Ma 16.100 netti aiutano.» «Sì.» Killashandra cercò di sembrare grata. Enthor le diede un colpetto sul braccio. «Faresti meglio a farti un lungo bagno radiante, mia cara. Aiuta sempre. E mangiare.» Poi cominciò a imballare i suoi bei cristalli neri. Lei si girò, sentendo inaspettatamente la separazione dalla sua prima esperienza con il cristallo. Quando si buttò la tagliatrice sulle spalle, cedette sotto il peso. Calcolò di avere solo la forza necessaria a trascinarsi nell'appartamento e a infilarsi nel bagno radiante. Infilò la porta più vicina per uscire dalla stanza di Selezione, accorgendosi solo marginalmente delle persone che portavano ancora di corsa cartoni nel Magazzino e che, a quel livello, perfino all'interno del complesso, l'ululato del vento era fortissimo. Doveva essere grata! Era troppo stanca per ridere o sbuffare dell'inappropriata scelta di parole. Entrò nell'ascensore e la discesa, sebbene senza scossoni, la fece cedere. Riuscì a evitare la caduta a terra solo appendendosi al corrimano. Barcollò verso il suo alloggio, ignara degli sguardi di coloro che erano nella sala dei Comuni. Il peso della tagliatrice la tirava verso destra, e una volta rimbalzò contro una porta. Quando finalmente alzò la mano verso la placca detta porta, si accorse di indossare ancora la fascia da polso. Non ne aveva più bisogno, ma non ebbe la forza di toglierla. Nel passare accanto a una sedia, abbassò la spalla destra e la tagliatrice tagliò l'imbottitura. Continuò verso la stanza da bagno, dove fissò stupefatta la vasca che si stava riempiendo. Il suo ingresso nella stanza aveva messo in funzione i rubinetti? No, era quasi piena. Qualcuno doveva averla programmata. Enthor? Rimbol? la sua mente rifiutava di funzionare. Si strappò la tuta di dosso, poi la maglietta, togliendosi le scarpe insieme alle gambe della tuta, e strisciò sui tre gradini che portavano alla piattaforma della vasca. Scivolò grata - ancora quella parola - nel liquido viscoso, fino alla gola, con il peso del corpo sostenuto dal fluido radiante. La fatica e il dolore, dovuti al cristallo, furono prosciugati dal suo corpo e dai suoi nervi. In quella sospensione, restò con la mente assente e il corpo che galleggiava. Qualche tempo dopo, la stanza annunciò un visitatore, e lei si svegliò quel tanto che bastava a negare l'ingresso. Non voleva vedere Rimbol. Ma l'intrusione e la necessità di prendere una decisione la destarono dalla pas-
sività. Il fluido aveva provveduto al conforto necessario, e lei si rese improvvisamente conto di avere fame. Si era sollevata dalla vasca, con il liquido radiante che le gocciolava dal corpo, e stava per allungare un braccio a prendere un accappatoio, quando una mano le porse l'indumento. Lanzecki era lì. «Non voglio essere rifiutato due volte!» disse, «anche se ti concedo che non sapevi chi fosse alla porta.» Sorpresa dalla sua presenza, Killashandra oscillò sul bordo della vasca, e l'uomo immediatamente la sostenne. «Puoi riempire le vasche e aprire le porte?» «Una può essere programmata e l'altra non era chiusa a chiave.» «Adesso è chiusa?» «Sì.» disse con tranquillità; la sua bocca, Killashandra notò velocemente, era divertita. «Ma si può cambiare.» Per un secondo avrebbe voluto vedere il suo bluff. Poi ricordò che Lanzecki aveva detto che era stata più fortunata di quanto meritasse, quando Enthor aveva registrato i suoi cartoni. Aveva sottinteso che aveva abbastanza credito non solo per comprare una nuova slitta, ma saldare tutti i suoi debiti con la Corporazione. Lanzecki si era ricordato dei buoni che lei aveva. Con quelli, aveva quanto le bastava. Quello che importava era che Lanzecki si fosse ricordato di quel margine in un momento in cui era giustamente infuriato per la sua disobbedienza agli inviti del Maestro della Corporazione. «Sono troppo stanca per cambiare qualcosa.» Si raccolse l'accappatoio intorno al corpo e allungò una mano verso di lui, con il palmo verso l'alto, riuscendo a fare uno stanco sorriso. Lui spostò lo sguardo dal suo sorriso al palmo della mano, e le labbra gli si curvarono verso l'alto. Poi fece un passo in avanti. Poggiò le mani, intorno alla sua vita snella e la sollevò per farla scendere dalla piattaforma della vasca. Si aspettava di essere poggiata a terra. Invece, Lanzecki la trasportò nel soggiorno. L'aroma speziato di un manicaretto appena cotto era inebriante, e lei esclamò con piacere alla vista dei piatti fumanti che erano sulla tavola. «Mi aspettavo che avessi fame.» Killashandra rise, quando Lanzecki la depositò sulla sedia, e lei gli fece cenno, con la pomposa gentilezza di un'eroina dell'opera, di prendere l'altro posto. Né quella sera né mai dopo di allora, Lanzecki le chiese se avesse tro-
vato il cristallo nero di Keborgen, sebbene in seguito avesse occasione di riferirsi alla sua concessione. Né le chiese alcun particolare sulla sua prima spedizione alle Catene di Milekey. Tanto meno lei fu disposta a fare alcun commento. Tranne uno. Dopo averla provocata abilmente, Lanzecki finalmente le diede la carezza che Killashandra aveva desiderato a lungo, e la sensazione fu quasi insopportabile. «Anche il cristallo tocca in questa maniera,» disse, quando riuscì a parlare. «Lo so,» mormorò, con una voce stranamente aspra, e come a prevenire la sua replica, cominciò a baciarla in un modo che ne escluse l'opportunità. Si svegliò da sola, come si era aspettata, e molto più tardi di quanto avesse programmato, perché era sera tardi. Fece uno sbadiglio prodigioso, si allungò, e si chiese se un altro bagno radiante avrebbe favorito il suo recupero. Poi la pancia protestò e lei decise che il cibo era la preoccupazione più immediata. Non appena ebbe ordinato una bevanda calda, sullo schermo apparve un messaggio che la invitava a mettersi in contatto con il Maestro della Corporazione quando le fosse stato comodo. Lo fece di corsa, senza considerare la comodità, la convenienza e l'opportunità. La sua risposta fu immediatamente cancellata e lo schermo produsse un contatto visivo con il Maestro della Corporazione. Era circondato da fogli di stampante e aveva un aspetto stanco. «Hai riposato?» le chiese Lanzecki. In ritardo, Killashandra attivò il proprio schermo. «Sì, sembri notevolmente migliorata.» «Migliorata?» Un leggero sorriso gli stirò le labbra. «Dallo stress e dalla fatica del tuo drammatico ritorno.» Poi la sua espressione cambiò, e Lanzecki diventò il Maestro della Corporazione. «Vuoi venire nel mio ufficio, per favore, per discutere di un incarico extraplanetario?» «Vuoi», non «vorresti», pensò Killashandra, sensibile alle parole chiave. «Sarò lì, non appena avrò mangiato e mi sarò vestita.» Egli annuì e interruppe il contatto. Quando ebbe bevuto l'ultimo sorso della bevanda, si guardò a lungo nello specchio della stanza da bagno. Non era mai stata vanitosa. Aveva un viso dall'ossatura robusta, zigomi larghi, fronte alta, e sopracciglia folte e ben arcuate, che lei non aveva assottigliato, visto che facevano un buon effetto sul palcoscenico. La mascella era decisa, ma stava perdendo i muscoli
formatisi con il canto. Si dette qualche schiaffetto ai lati del mento. Niente flaccidezza. Qualsiasi cosa avesse provocato in lei quella magrezza del volto, si rifletteva anche sul corpo. Notò quanto sporgessero le clavicole. Se il suo aspetto era migliorato, secondo Lanzecki, come era apparsa il giorno prima? In quel momento, non avrebbe avuto bisogno di trucchi per interpretare la Strega Spaziale o la Vedova Deforme. Trovò qualcosa di ampio e trasparente da indossare, con le estremità che si legavano intorno al collo e ai polsi e una gonna lunga e larga. Si allontanò dagli specchi e fece un mezzo giro, stupita nel vedersi riflessa interamente. Era cambiato qualcosa. Non poteva a indovinare che cosa: doveva vedere il Maestro della Corporazione. Era quasi arrivata alla colonna dell'ascensore, quando un gruppo uscì dalla sala dei Comuni. «Killashandra?» «Rimbol?» Killashandra scimmiottò la sua domanda sorpresa, con una leggera risata. «Dovresti conoscermi!» Rimbol le rivolse uno strano ghigno che si rilassò nel suo solito sorriso ingenuo. Jezerey, Mistra e Borton erano con lui. «Beh, sei più somigliante a te stessa di ieri,» replicò Rimbol. Si grattò la testa, imbarazzato, sorridendo tristemente agli altri. «Non credevo a Concera, quando continuava a dire che cantare i cristalli produce un grande cambiamento, ma adesso ci credo.» «Non penso di essere cambiata,» ribatté Killashandra rigidamente, irritata dal fatto che Rimbol e, a giudicare dalla loro espressione, gli altri, percepissero quello che a lei sfuggiva. Rimbol rise. «Beh, hai usato lo specchio,» e indicò il suo accurato abbigliamento, «ma non hai visto.» «No.» Rimbol fece una smorfia di scusa per il tono aspro di Killashandra. «I Cantori sono famigerati per la loro irritabilità,» disse Jezerey con uno sguardo poco amichevole. «Oh, chiudi il becco, Jez,» disse Rimbol. «Killa è appena tornata dalle catene. È brutto come lo si dipinge, Killa?» Pose la domanda in un tono tranquillo. «Sarei stata bene, se non avessi dovuto avere a che fare con Moksoon.» «O con il Maestro della Corporazione.» disse Rimbol, con comprensione. «Oh, sei rimasto?» Killashandra decise di affrontare l'episodio con im-
pudenza. «Aveva assolutamente ragione, naturalmente. E io ho imparato la dura lezione. Sulle catene, salva la tua slitta e la tua pelle. Sarai in giro più tardi, Rimbol? Adesso devo andare da Lanzecki.» Fece scendere il tono della voce, per esprimere timore e per trovare comprensione nella loro espressione. «Mi farebbe piacere raggiungervi, se sarete nella sala.» «Buona fortuna!» disse Rimbol, e lo credeva davvero. Gli altri le fecero cenni di incoraggiamento, mentre lei entrava in ascensore. Ebbe molto cui pensare durante la breve discesa, ma niente a proposito del suo incontro con Lanzecki. Come poteva essere cambiata tanto nei pochi giorni passati, solo tagliando il cristallo? Jezerey non era mai stata eccessivamente amichevole, ma non era mai stata antagonistica. Era irritata anche con se stessa per quella disinvolta rassicurazione a Rimbol. «Sarei stata bene senza Moksoon.» Eppure, come avrebbe potuto spiegare l'esperienza che l'aveva temprata, confermata come Cantore di Cristallo? Forse, da sola con Rimbol, avrebbe tentato di spiegare, di avvertirlo che una volta superata quella curiosa sofferenza indolore del primo taglio, subentrava un'estasi assolutamente bizzarra che poteva essere assaporata solo per un breve attimo, altrimenti avrebbe sopraffatto la mente, i nervi e i sensi. Sospirò, in piedi davanti alla porta dell'ufficio del Maestro della Corporazione. Nel secondo che trascorse tra l'annuncio della sua presenza e la silenziosa apertura del pannello, ricordò com'era stato difficile per Concera spiegare taluni aspetti del canto del cristallo. Rammentò l'insolito tono rude con il quale Lanzecki aveva ammesso di conoscere la sensazione tattile del cristallo. «Killashandra Ree.» La voce di Laznecki proveniva da un angolo del grande ufficio, e lei lo vide chino su una superficie di lavoro, illuminata da faretti, con strati di tabulati davanti a sé. Non alzò gli occhi dalla sua ricerca finché lei non lo raggiunse. «Hai mangiato abbastanza?» le chiese, con una gentilezza superiore al normale e dopo un attento esame del suo viso. «Ho mangiato un piatto altamente proteinico e cereali con glucosio...» cominciò a dire, perché non appena egli aveva parlato di mangiare, a lei era tornata la fame. «Uhmm. Sono certo che hai avuto tempo solo per una tazza. Hai dormito sedici ore, perciò hai perso già un nutrimento considerevole.» «Ho mangiato nelle catene. Davvero,» protestò, quando lui la prese per mano e la condusse alla consolle alimentare. «Hai ancora abbastanza senno da nutrirti, ma non puoi sapere quanto a questo punto sia immensamente importante rifornire le riserve.»
«Non riuscirò a mangiare tutto questo.» Fu spaventata del numero e della varietà di piatti che Lanzecki stava ordinando. «Sono affamato anch'io, sai,» disse con un sogghigno. «Com'è che devo mettermi all'ingrasso?» domandò, ma lo aiutò a liberare il distributore alimentare dalle prime consegne, annusando con gusto l'allettante miscuglio di aromi che proveniva dai piatti. «Non vedrai mai un Cantore grassoccio,» la rassicurò. «Nel tuo caso particolare, il simbionte si è appena installato nei tessuti cellulari. Una transizione di Milekey può essere più facile per l'ospite, ma alla spora occorre ugualmente del tempo per moltiplicarsi, differenziarsi e assorbirsi sistematicamente. Ecco, comincia con questa zuppa. Il clima e altre considerazioni mi hanno spinto a inviarti sulle catene prematuramente circa il tuo processo d'adattamento.» Le lanciò un'occhiata sarcastica. «Un giorno sarai grata di essere stata solo due giorni nella tua concessione.» «Tre, in realtà. Non ne ho passati due con quello spostato di Moksoon. È completamente paranoico!» «È vivo,» ribatté succintamente Lanzecki, con una sfumatura della voce tale da rendere quell'affermazione un atto di accusa. «Tre giorni! In un addestramento normale, non saresti andata nelle catene finché non fossero stati pronti anche gli altri.» «Ormai loro non ce la faranno prima delle tempeste del Passaggio.» Killashandra era sgomenta. Se avesse dovuto aspettare tutto quel tempo... «Precisamente. Tu eri addestrata, desiderosa e intelligente a sufficienza da far precipitare gli avvenimenti.» «E tu volevi quel cristallo nero.» «E anche tu, mia cara.» Il distributore alimentare scampanellò per ricordare loro di liberare lo spazio per gli altri piatti. Lanzecki premette il tasto di attesa per il resto dell'ordine programmato. «Anche con il tuo aiuto, non ce la farò mai a mangiare tutto questo,» disse Killashandra, dopo che avevano riempito il tavolino e restavano altri tre piatti nel distributore. «Ascoltami, mentre mangi. Il simbionte si attenua, dopo un intenso lavoro di taglio. Lo vedo sulla tua faccia. Non parlare. Mangia! La notte scorsa dovevo assicurarmi che tu mangiassi, una volta che il fluido radiante ti aveva rilassato i nervi. Il tuo metabolismo deve essere efficiente. Avrei immaginato che ti saresti svegliata per la fame quattro ore fa.» «Stavo mangiando quando ho ricevuto il tuo messaggio.»
Sorrise e infilò in bocca un antipasto fumante e aromatico. Si leccò le dita mentre masticava, poi disse, «Il mio messaggio è stato programmato nel momento in cui sarebbe stato adoperato il tuo distributore alimentare.» Si ficcò un altro pezzetto di antipasto in bocca. «Non parlare. Mangia.» Qualsiasi cosa fosse il cibo con cui la nutriva, era straordinariamente saporito. Ne infilzò un altro pezzo. «In questo momento, ci sono in gioco numerosi elementi inattesi. Uno,» e mangiò una cucchiaiata di sferette di un verde brillante, «hai portato cinque cristalli neri medi per i quali abbiamo ricevuto una richiesta urgente.» Indicò con il cucchiaio vuoto gli strati di tabulati sulla scrivania. «Due, non hai la slitta, e la Produzione non può costruirne un'altra prima delle tempeste del Passaggio. Che, tra parentesi, sono state annunciate da quell'imprevisto uragano nella regione della Baia. Breve, violento e distruttivo. Anche se la congiunzione avverrà sui mari a nord-est di questo continente, il Passaggio sarà particolarmente brutto, visto che coincide con il solstizio di primavera. Il clima di Ballybran è in generale ciclico, e lo schema che sta emergendo coincide con quello del '63... anno 2863, vale a dire... mangia, non guardarmi come un'allocca. Certamente, hai vagato nel recupero dati, Killashandra, e hai scoperto da quanto tempo sono un membro. Fuerte non può avere sradicato la curiosità umana, altrimenti non saresti qui.» Killashandra deglutì, quando comprese a quale secolo si fosse riferito. «Ma non da quanto tempo sei Maestro della Corporazione.» Ridacchiò alla pronta risposta della ragazza e le passò un piatto di gambi di milsi, arancioni e verdi, stufati. «Eccellenti per i residui minerali. La turbolenza del Passaggio sarà fenomenale perfino nei termini della storia metereologica di Ballybran. Che, potrei aggiungere, risale a un periodo precedente al mio. Non soffocarti adesso!» si alzò per darle un abile colpo tra le scapole. «Anche il livello dell'Infermeria tremerà. Tu, che sei stata così di recente esposta al cristallo per la prima volta, sarai gravemente colpita dallo stress. Io, in qualità di Maestro della Corporazione, posso ordinarti di lasciare Ballybran,» e i tratti del suo volto divennero linee dure e immobili, impersonali e implacabili. Ma la sua bocca si ammorbidì, quando vide l'espressione decisa di lei. «In ogni caso, preferirei che tu cooperassi. I cinque cristalli neri che hai portato vengono attualmente accordati e dovrebbero essere pronti per la spedizione. A me piacerebbe incaricarti di portarli nel Sistema Trundimoux e installarli.» «Questo compito mi fornirà del margine di credito necessario a pagare le mie future stupidaggini?»
Lanzecki rise in tono di apprezzamento. «Pensa all'incarico mentre mangi le cotolette di fagioli.» «Allora, il tuo è solo un suggerimento?» domandò, masticando un grande boccone del saporito legume. «Adesso, è un suggerimento.» Il volto, la bocca e il tono erano miti. «Ben presto le tempeste martelleranno le catene e costringeranno i Cantori a tornare. Altri accetterebbero volentieri l'incarico, soprattutto quelli che non hanno tagliato abbastanza cristallo per lasciare il pianeta durante il Passaggio.» «Io pensavo che il Passaggio fosse uno spettacolo incredibile.» «Lo è. Brute forze della natura al massimo della loro distruttività.» Si strinse nelle spalle per suggerire che era uno spettacolo cui si era assuefatto eppure... «Tu parti durante il Passaggio?» Le lanciò un'occhiata penetrante e nei suoi occhi scuri si riflessero le luci dei faretti che stavano sul suo tavolo di lavoro. «Il Maestro della Corporazione è sempre disponibile durante il Passaggio.» Le offrì dei cubi giallo limone. «Un formaggio un po' piccante, ma completa le cotolette di fagioli.» «Uhm. Sì.» «Serviti.» Si alzò a prendere gli altri piatti dal distributore alimentare, che li aveva mantenuti caldi al punto giusto. «Vuoi bere qualcosa?» «Birra di Yarra, per favore.» Killashandra avvertì una voglia improvvisa per il sapore del luppolo. «Ottima scelta. Mi unirò a te.» Gli lanciò un'occhiata, colpita da una lieve alterazione del tono della voce, ma gli volgeva la schiena. «Rimbol è di Scartine, è vero?» chiese Lanzecki, ritornando con una brocca e due coppe. Versò la birra con il giusto riguardo verso il colletto di schiuma. «Dovrebbe tagliare bene nelle tonalità più scure. Forse il nero, se riesce a trovare una vena.» «Come fai a dirlo?» «Una questione di risonanza, e anche di grado di adattamento. Jezerey taglierà blu più chiari, rosa, verdi pallidi. Anche Borton tenderà a tagliare bene le tonalità più scure. Spero che lavoreranno in squadra.» «Tu sai che cosa taglierà ogni nuovo Cantore?» «Non sono nella posizione di suggerire nulla, solo di azzardare un so-
spetto fondato. Dopo tutto, la Corporazione opera da più di quattrocento anni galattici e per tutto questo tempo ha raccolto e confrontato le informazioni sui propri membri. Indicherebbe una scandalosa mancanza di onestà non cercare di arrivare a più che una pura determinazione delle probabilità di adattamento alla spora di Ballybran.» «Hai lo stesso tono del 'venghino, signori, venghino' di Borella,» ribatté Killashandra. Le labbra di Lanzecki espressero un divertimento che si riflesse anche nello scintillio degli occhi brillanti. «Credo di aver citato qualcuno - ma chi, l'ho dimenticato. Che cosa ne diresti di qualche frutto del pepe? Va bene con la birra. Ho ordinato dei gelati per pulire il palato. Una portata molto antica e civile, anche se non si accompagna con la birra.» Mentre le passava il piattino, l'odore penetrante dei lunghi bastoncini vellutati la tentò a provarne uno. «Come stavo dicendo, nel periodo che i candidati trascorrono nel posto di controllo di Shankill, vengono risolte tutte le variabili possibili.» Cominciò ad accatastare vassoi e piatti vuoti in una pila disordinata, e lei si rese conto che, mentre Lanzecki aveva assaggiato un po' di tutto, lei aveva mangiato molto di più. Eppure non si sentiva sgradevolmente piena. «Dovrebbero avervi mostrato il grafico delle probabilità,» disse, aggrottando la fronte nel vederla alzarsi. Gettò velocemente i rimasugli nello scivolo per i rifiuti, prima di fermarsi ancora una volta davanti al distributore alimentare. «Sì.» Mordicchiò un altro frutto del pepe, mentre si domandava per quale motivo il volto di Lanzecki non mostrava alcun segno di invecchiamento. Non cantava più il cristallo, ma quella era la ragione apparente di quella ingannevole giovinezza. «Non ci è stato detto niente sulla previsione delle capacità individuali.» «Perché avrebbero dovuto dirvelo? Avrebbe creato ogni genere di problema inutile.» Sistemò sulla tavola due piatti di sorbetti multicolori, due bicchieri da vino e una bottiglia ghiacciata. «Non posso mangiare più niente.» «No? Prova un cucchiaio di quello verde. Sistema lo stomaco e pulisce la bocca.» Si sedette e versò il vino. «L'unico punto critico è ancora l'adattamento. L'atteggiamento psicologico, pensa Antona, più che quello fisico. Quell'operaia spaziale, Carigana, non sarebbe dovuta morire.» L'espressione di Lanzecki era di impersonale dispiacere. 'In genere, possiamo stimare la gravità della transizione e siamo preparati a ogni evenienza.» Killashandra pensò alle silenziose sparizioni di Rimbol e Mistra durante
la notte, ai tecnomedici che raccoglievano Jezerey prima che cadesse sul plasticemento. Ricordò anche la propria indignazione per le «condizioni soddisfacenti.» «Ti piace il vino?» «Deve essere così meccanico?» «Il vino?» «L'intero processo.» «Viene presa ogni precauzione, mia cara Killashandra,» e il tono di Lanzecki le ricordò incontrovertibilmente che era il Maestro della Corporazione e che la procedura contro cui lei desiderava protestare, probabilmente era stata istituita da lui. «Il vino è buono.» «Pensavo che lo avresti apprezzato.» La sua risposta fu secca come il vino. «Non viene lasciato molto al caso nella reclutazione. Tukolom può essere un terribile seccatore, ma possiede una strana sensibilità alla malattia, che lo rende particolarmente efficace nel suo ruolo di tutore.» «Allora si sapeva che io...» «Tu non eri prevista.» Si servì di ogni più piccola pausa tra una parola e l'altra per dare enfasi, e poi, sollevato il bicchiere verso di lei, bevve un sorso. «E...» In Killashandra non fu la civetteria che la spinse a provocarlo, ma la fortissima sensazione che stava per aggiungere un poscritto a quel commento a sorpresa. «E certamente non una transizione di Milekey, né una risonante al cristallo nero. Forse» e la sua replica veloce mascherò, lei ne era certa, i pensieri non detti, «dovremmo far maneggiare i cristalli alle reclute il prima possibile. Ma», e si strinse nelle spalle, «non possiamo programmare utili tempeste che richiedano la partecipazione di tutti i membri.» «Rimbol ha detto che non potevate aver programmato quella tempesta.» «Molto intuitivo. Come sono andati giù quei gelati?» «Sono andati.» Fu sorpresa nel trovare vuoti i piatti, la bottiglia e i bicchieri. «Bene. Allora, possiamo ricominciare.» «Ricominciare?» Ma il pungente odore speziato che proveniva dal distributore alimentare già le aveva aguzzato l'appetito. «Scoppierò.» «Poco probabile. Se tu fossi andata fuori con la tua classe, al vostro ritorno dalle catene vi sarebbe stato servito esattamente questo pasto. La birra di Yarra, visto che hai sviluppato un gusto particolare nei suoi confronti,
andrebbe bene per buttar giù il pesce alle spezie.» Ne ordinò dell'altra. «La birra, da millenni, ha anche un altro normale effetto sul sistema alimentare.» Il suo commento, pronunciato in un tono leggermente pomposo, la fece ridere. Così mangiò il pesce alle spezie, bevve la birra, reagì a certi suoi effetti naturali e, a un certo punto, si rese conto che Lanzecki l'aveva persuasa, allettata e costretta a consumare continuamente cibo per quasi tre ore. Dopodiché la sua sazietà era tale che, quando Lanzecki per caso ripeté il suggerimento di installare il cristallo nero, lei acconsentì a prenderlo in considerazione. «È questo il motivo per la quale mi hai riempito di cibo e di alcolici?» domandò, drizzandosi per simulare indignazione. «Non solo. Ti ho dato abbastanza cibo da rinfrancare il tuo simbionte e alcolici sufficienti a rilassarti.» Sorrise per la sua grammatica imperfetta e per respingere ogni accusa di coercizione. «Non desidero che tu subisca le tempeste di mach del Passaggio. Tu potresti stare a dieci livelli sotto terra, isolata dal plasticemento spesso un metro, ma le risonanze non si possono», si fermò, distolse la faccia, alla ricerca della parola precisa, «fuggire.» Si girò di nuovo verso di lei, e gli occhi scuri e lievemente addolorati guardarono nei suoi. La supplica fu rafforzata dall'insolita difficoltà ad esprimere la propria preoccupazione. «Tu sei mai... fuggito?» La silenziosa comunicazione tra di loro durò per qualche secondo, poi Lanzecki si sporse dall'altra parte del tavolo e la baciò per non rispondere alla domanda. La riaccompagnò nel suo appartamento, si assicurò che stesse comoda nella camera da letto, e le suggerì di far controllare e conservare la tagliatrice la mattina dopo. Le disse che, se era interessata alla storia metereologica, il giorno seguente, alle undici, avrebbe potuto rivedere altre fenomenali tempeste del Passaggio nel controllo metereologico e capire qualcosa delle tattiche del Controllo delle Tempeste. La mattina successiva, durante la doccia e l'abbondantissima colazione, rifletté sulla straordinaria attenzione mostratale da Lanzecki, sia dal punto di vista sensuale che da quello della Corporazione. Capiva perché Lanzecki, in qualità di Maestro della Corporazione, avesse sfruttato la sua ansia di andare nelle catene e di assicurarsi l'inestimabile concessione di Keborgen. Aveva avuto successo. Adesso, in un inspiegabile rovesciamento, Lanzecki la voleva lontana dal pianeta. Bene, avrebbe deciso quella matti-
na, mentre osservava la storia metereologica, se era l'uomo o il Maestro della Corporazione a parlare. Lei sperava che fosse il primo, perché le piaceva Lanzecki l'uomo e ammirava il Maestro della Corporazione più di qualsiasi altro uomo lei avesse incontrato fino a quel momento. Che cosa aveva inteso, quando aveva detto che lei era imprevista? Era stata un'adulazione? Il Maestro della Corporazione che indulgeva in un capriccio? Non dopo che l'aveva aiutata ad andare nelle catene; non dopo che lei aveva tagliato con successo il cristallo nero? Soprattutto, non dopo che Lanzecki le aveva dimostrato con forza nella Stanza di Selezione la differenza tra l'uomo e il Maestro della Corporazione. Trasalì al ricordo. Aveva meritato quel rimprovero. Riusciva anche ad accettare la sollecitudine di lui per la sua salute e il suo benessere. Voleva altro cristallo nero, se questa era la sua motivazione. Bene, Killashandra Ree, si disse con fermezza, nessuna sezione o paragrafo dello Statuto della Corporazione Heptite obbliga il Maestro a spiegare le proprie motivazioni ad un membro. I dieci anni al Centro Musicale di Fuerte avevano insegnato a Killashandra che nessuno fa mai un favore senza aspettarsi una ricompensa. Lanzecki aveva anche sottolineato l'istinto di conservazione e l'interesse personale con ogni lezione pratica che le aveva offerto. Lei non desiderava veramente lasciare Ballybran, anche se era probabilmente vero che avrebbe potuto utilizzare il margine di credito per un incarico fuori pianeta. Guardò le tariffe; il credito offerto era sostanzioso. Forse sarebbe stato meglio accettare l'incarico. Ma questo avrebbe significato anche lasciare Lanzecki. Guardò cupamente il proprio riflesso nello specchio, mentre si vestiva. Partire per quel motivo poteva anche essere saggio. Solo che avrebbe fatto meglio a ricostruire la propria reputazione presso Rimbol. Grata di non dover sostenere spese ulteriori per sostituire la tagliatrice e di non dover affrontare il Pescatore con quella richiesta, portò l'attrezzo al Reparto Tecnica e Addestramento. Quando entrò nel piccolo ufficio esterno, vide due figure note. «Non mi farò di nuovo sorprendere qui durante il Passaggio,» stava dicendo Borella al Cantore che Killashandra ricordava di aver visto sulla navicella. «Farai di nuovo il tuo dovere con le reclute, Borella?» domandò l'uomo, spingendo con noncuranza la tagliatrice dall'altra parte del bancone e ignorando l'acida esclamazione del tecnico. «Reclute?» Borella lo guardò con occhi inespressivi.
«Ricordi, cara», e la voce dell'uomo assunse una sfumatura di derisione, «di tanto in tanto, trascorri il tempo a istruire i giovani pieni di speranza alla stazione di Shankill.» «Naturalmente lo ricordo,» disse Borella con irritazione. «Questa volta posso fare di meglio, Olin,» continuò, compiaciuta. «Ho tagliato cristalli verdi in gruppi di ottave. Cinque. Abbastanza per un organo optheriano. Piccolo, naturalmente, ma sai che quella passione durerà un po' di tempo.» «Anch'io sono in condizioni alquanto buone.» Olin parlò mentre Borella stava terminando l'ultima frase. Il Cantore gli mormorò qualcosa di rassicurante, mentre porgeva la tagliatrice al tecnico, ma mostrò un'ombra di interesse in più per l'attrezzo. Poi si mise sotto braccio a Olin. Quando si girarono per andarsene, Killashandra fece un educato cenno di saluto a Borella; ma la donna, lanciando una dura occhiata alla tagliatrice di Killashandra, passò oltre senza mostrare segni di riconoscimento oltre ad aumentare la stretta sull'avambraccio di Olin. «Naturalmente, ci sono quelli abbastanza sfortunati da dover restare qui.» Con la sua pronuncia affettata insinuò che Killashandra avrebbe fatto parte di quel numero. «Ultimamente, hai visto Lanzecki, Olin?» domandò, mentre uscivano dalla stanza. Per un attimo, Killashandra restò sbalordita per il doppio insulto, anche se non era chiaro come Borella avesse saputo dove trascorresse il suo tempo il Maestro della Corporazione. Si costrinse a resistere alla folle tentazione di dare soddisfazione a Borella. «Quella tagliatrice la consegni o ti limiti a indossarla?» Una voce acida penetrò il suo risentimento. «La consegno.» Porse attentamente la tagliatrice al Pescatore, desiderando di non aver dovuto incontrare nemmeno lui. «Killashandra Ree? Esatto?» Non guardava lei, ma stava ispezionando la tagliatrice. «Non puoi averla usata tanto,» e scrutò sospettosamente l'impugnatura e il fodero della lama. «Dove l'hai danneggiata?» «Non l'ho danneggiata. La consegno.» Il Pescatore era più scoraggiante di Borella e della sua maleducazione. «Avresti potuto lasciarla nella tua slitta, sai,» disse, con un tono non più aspro, adesso che si era accertato che una delle sue tagliatrici più nuove non era stata maltrattata. «Nessun altro può usarla, sai,» aggiunse, concedendole delle attenuanti per la sua ignoranza. Killashandra non avrebbe confessato a nessuno di aver perso la slitta.
«Lascerò il pianeta per il Passaggio,» disse e si ricordò troppo tardi che il Pescatore non aveva una simile possibilità. «Va' se puoi, quando puoi,» disse burbero, ma senza scortesia. Poi si girò e scomparve nel suo laboratorio. Mentre ritornava all'ascensore, Killashandra immaginò che avrebbe dovuto sentirsi sollevata per il fatto che qualcuno si ricordasse di lei. Forse il Pescatore riusciva ad associarla a un attrezzo che aveva costruito così di recente. O forse era comunemente noto in tutta la Corporazione che Lanzecki aveva sgridato un Cantore nuovo. Non avrebbe dovuto permettere che l'incontro con Borella la torturasse. La donna aveva inavvertitamente confermato il consiglio di Lanzecki. Per di più, se Moksoon non ricordava Killashandra da un momento all'altro, come si poteva biasimare Borella? Quanto tempo occorreva perché la memoria di un Cantore si disintegrasse? Killashandra doveva imparare a superare le abitudini e i valori acquisiti su Fuerte nel Centro Musicale. Lì si poteva cercare di rendere favori alle persone in modo che li ricambiassero, sostenendo un ruolo o una prova, contribuendo a formare un trio o un quartetto, organizzando una festa con poco credito, tutta una miriade di soluzioni che richiedono cooperazione, buona volontà e... ricordo dei favori passati. Come Lanzecki aveva sottolineato, «La gratitudine si basa sulla memoria.» Il corollario era «la memoria di un Cantore dura per un periodo limitato di tempo.» L'unico legame in comune tra i Cantori di Cristallo era lo Statuto della Corporazione e le sue norme, regole e restrizioni - e il desiderio di andarsene via da Ballybran ogni qualvolta ci si poteva permettere quel privilegio. Carigana non sarebbe dovuta morire? Mentre usciva dall'ascensore al livello della Metereologia, Killashandra si chiese perché le fosse venuto in mente proprio in quel momento. Il cartello appeso al soffitto diceva che nel teatro la proiezione era già cominciata. Mentre lei esitava, un altro ascensore, questo pieno di gente, aprì le sue porte, e lei accompagnò il gruppo alla comune destinazione. Il teatro era in penombra e affollato, tutti i posti a sedere erano occupati e molte persone stavano in piedi lungo le pareti. Sullo schermo grandangolare, formazioni di nubi si creavano e si ricreavano ad una velocità incredibile. Ad un certo punto, Killashandra vide la faccia di Rimbol illuminata; accanto a lui c'erano Borton e Jezerey. Riconobbe altri membri della Classe 895 e il metereologo che li aveva accompagnati alla stazione del sensore. La turbolenza della tempesta non era udibile. Invece un com-
mentatore parlava con voce monotona di pressione, velocità dei venti di mach, danni, pioggia, neve, nevischio, densità pulviscolare e precedenti tempeste del Passaggio; il suo monologo veniva seguito da sottotitoli che apparivano su di un video. Killashandra riuscì a trovare posto lungo la parete più lontana e cercò tra il pubblico attento il volto di Lanzecki. Sperava che non avesse offerto a qualcun altro la missione fuori dal pianeta. Se fosse stato magnanimo, sicuramente le avrebbe concesso una seconda possibilità. Poi le vedute della tempesta la coinvolsero. Sulle prime, pensò che fossero state accelerate, finché non confrontò i dati sulla velocità del vento e i decibel. Era spaventata dalla furia della tempesta. «La più grande tempesta del Passaggio fu quella del 2898,» la voce e il video informarono gli spettatori, «ma non fu grave e dannosa come quella del 2863, che si formò a nord-est, durante il solstizio di primavera, quando Shilmore si trovò al di sopra dell'Oceano Grande, davanti a Shanganagh e Shankill. L'infausta opposizione dei due pianeti più vicini aumenterà la violenza della tempesta di quest'anno. Il bombardamento delle nubi, il miglioramento delle emulsioni e il nuovo disgregatore di onde al largo delle coste di Buland e Hoyland, dovrebbero impedire il maremoto che provocò un'estesa distrazione nel Continente Sud Durian.» Lo schermo passava frequentemente da immagini prese dal satellite a quelle delle stazioni climatiche planetarie, dove i salti del vento erano segnati da ondate di detriti gettate in coltri verticali. Killashandra cadde in quello stato ipnotico che stordisce la mente, e per un terribile secondo le parve quasi di sentire l'ululato del vento. Una corrente trasversale di detriti frantumò la trance inducendole un moto di nausea. Lasciò di corsa il teatro, in cerca di una toilette. Nel momento in cui raggiunse la stabilità insonorizzata del silenzioso corridoio, la sua nausea svanì, sostituita dai morsi di una terribile fame. «Ho fatto colazione,» disse tra i denti stretti. «Ho fatto un'abbondante colazione.» Entrò in un ascensore, chiedendosi per quanto tempo l'appetito postcatene restasse in una situazione critica. Premette il bottone del livello dell'Infermeria e uscì nella stessa anticamera in cui era entrata meno di quattro settimane prima. Non c'era nessuno in servizio. «C'è qualcuno?» domandò in tono acido. «Sì,» rispose il sistema verbale.
«Non voglio te. Vorrei vedere...» «Killashandra Ree?» Antona uscì dalla porta che si trovava sulla destra, con un'espressione di sorpresa sul volto. «Non sei ferita, vero?» Il medicocapo prese dalla tasca dei pantaloni una piccola unità diagnostica e si avvicinò a Killashandra. «No, ma muoio di fame.» Antona scoppiò a ridere, rimettendo in tasca lo strumento. «Oh, chiedo scusa, Killashandra. Non è minimamente divertente! Per te.» Cercò di ricomporre il viso in un'espressione più seria. «Ma tu hai usato le parole esatte. Tu «muori di fame» per molti motivi. Mentre gli altri erano in convalescenza dopo la febbre, abbiamo potuto somministrare loro complementi nutritivi. Tu non hai avuto la febbre, e poi sei stata mandata fuori a tagliare. La fame spaventosa, ti renderai conto, è assolutamente normale. No, vedo che non te ne rendi conto, e sembri affamata. Stavo proprio per fare lo spuntino della mattina. La sala sarà deserta, visto che sono tutti a guardare le tempeste dello scorso anno. Mi fai compagnia? Non riesco a pensare a nulla di più noioso che essere costretti a divorare montagne di cibo in solitudine. Naturalmente, ricorderai», e mentre parlava, Antona l'aveva guidata all'ascensore e alla loro destinazione, lungo la sala verso l'area alimentare, «che al simbionte occorrono venti settimane per stabilirsi completamente. Non siamo mai riusciti a definire la media del consumo giornaliero della spora, dal momento che molto dipende dal metabolismo individuale. Adesso, vediamo...» Antona premette il tasto del menu. «Non ti dispiace se ordino anche per te? So esattamente come ridurre la tua fame e ristorare il simbionte.» Antona aspettò che Killashandra acconsentisse e poi fece il giro dell'area alimentare, ordinando numerosi piatti ad ogni unità. Infine fece segno a Killandra di prendere un vassoio e di cominciare a raccogliere le varie portate consegnate. Ben presto due grandi tavoli furono coperti di cibo sufficiente alla totalità degli studenti dell'ultimo anno al Centro Musicale e Killashandra cominciò a mangiare disperatamente. «Se ti è di incoraggiamento, il tuo appetito diminuirà, soprattutto dopo che il simbionte si sarà preparato al Passaggio.» Rispose con un sorriso al gemito di Killashandra. «Non preoccuparti. Non avrai appetito durante tutto il culmine del Passaggio - la spora si seppellisce negli interstizi.» Antona sorrise. «Nel laboratorio biologico, abbiamo granchi di roccia e vermi di cunicolo che hanno più di quattrocento anni.» Il sorriso di Antona divenne asciutto. «Non credo che questo aspetto di Ballybran sia rientrato
nel tuo corso di orientamento. Non c'è molta vita su questa palla di fango, ma quello che c'è vive in relazione simbiotica con la spora. Essa si mantiene in vita accrescendo i meccanismi di sopravvivenza di qualsiasi ospite trovi. A noi, nuova forma di vita dominante, conviene studiare le forme di vita indigene.» Mentre mangiava, Killashandra trovava le divagazioni di Antona più interessanti delle conferenze di Tukolom. Le attraversò la mente che Antona indulgesse al lusso di un pubblico interessato. Antona non era pigra con forchetta e cucchiaio, cosicché il suo «spuntino della mattina» doveva corrispondere a un reale bisogno, anche se non urgente come quello di Killashandra. «Continuo a tentare», e Antona sottolineò la parola, «di mettere in correlazione il fattore, o i fattori, che una volta per tutte potrebbero consentirci di reclutare senza ansie.» Si fermò a guardare senza vederlo un angolo dell'area da pranzo. «Voglio dire, io già sapevo quello che avevo da fare qui, prima di venire, ma se avessi subito un adattamento completo, sarei stata obbligata a cantare il cristallo.» Antona fece una smorfia di disgusto, poi sorrise raggiante. «La prospettiva di avere tutto il tempo al mondo da dedicare allo studio di una forma di vita e a portare avanti un programma di ricerca è stata un tale dono...» «Tu non volevi diventare un Cantore di Cristallo?» «Fulmini e saette, ragazza mia, certo che no. Qui c'è molto di più del canto di cristallo.» «Avevo l'impressione che il canto di cristallo fosse la funzione di questo pianeta.» «Oh, sì,» e la risposta affermativa di Antona fu punteggiata da una risata. «Ma i Cantori di Cristallo non potrebbero funzionare senza il personale di supporto. Siamo più noi di voi, sai. Occorrono circa sei tecnici per ogni Cantore nelle catene. Per di più, la Corporazione non ha né il tempo né le strutture adatte ad addestrare membri in ogni campo necessario. Ci sono molte persone della Federazione dei Pianeti Senzienti disposte a rischiare l'adattamento e la possibilità di dover cantare il cristallo per venire qui a ricoprire altre mansioni.» «Sono un po' confusa...» «Non mi meraviglio, Killashandra. Tu sei di Fuerte, e quel governo conservatore ha idee limitate sull'autodeterminazione. Mi chiedo come tu sia stata reclutata, anche se sei una delle nostre sorprese più gradite.» Antona diede a Killashandra un colpetto rassicurante su di un braccio. «Anche i
fuertani che abbiamo avuto nei decenni passati sono diventati ottimi ospiti.» Ad un tratto, Antona aggrottò le sopracciglia e guardò Killashandra con occhio critico. «Devo rianalizzare i tuoi dati. Ho sviluppato cinque diversi test di valutazione, due a livello elementare, che», e Antona sorrise con modestia, «hanno accresciuto la probabilità del 35 per cento.» «Non pensavo che alla Corporazione fosse consentito un reclutamento attivo,» disse Killashandra, ripetendo ostinatamente quel commento sconsiderato. Antona parve sorpresa. «Oh, nulla di attivo. Certamente meno manifesto dei programmi del Servizio. La FPS disapprova decisamente ogni tipo di condizionamento o coercizione dovuta all'adattamento specifico, capisci. Questo è in diretta contraddizione con la libertà di movimento dello Statuto della FPS. Naturalmente, quando la FPS recluta, nessuno osa lamentarsi, ma è noto a tutti che cosa fanno gli uomini del Servizio.» Emise una specie di risatina. «Libertà di movimento, davvero. La maggior parte dei buoni cittadini della FPS non lascia mai o non vorrebbe mai lasciare il proprio pianeta di origine, ma devono poterlo fare secondo la FPS, e questo ci costringe a usare Shankill come stazione di smistamento.» «Non ti dispiace essere confinata su questo pianeta?» «Perché dovrei?» Antona non sembrava rassegnata. «I Cantori sembrano molto desiderosi di andarsene da Ballybran,» disse Killashandra, ma la sua mente era in uno stato di caos, ripensando all'intransigenza di Carigana, alla farsa del Reclutamento sulla base lunare di Shankill, alla promozione di Rimbol agli esami «preliminari», a Carigana e alla sua «trappola», il modo in cui Killashandra aveva reagito al sospetto che poi Antona aveva confermato. «I Cantori dovrebbero lasciare Ballybran ogni qualvolta fosse possibile,» disse, con assoluta sincerità e molto a suo agio. «È una professione stressante, esigente, e si dovrebbe poter... fuggire... dal proprio lavoro in un ambiente completamente diverso.» «Fuggire.» Era lo stesso verbo che aveva usato Lanzecki.» Tu fuggi dal tuo lavoro, Antona?» «Io? Naturalmente. Il mio lavoro è nell'Infermeria e nei laboratori. Ho tutto il pianeta e le lune su cui vagabondare, se desidero un cambiamento di panorama.» «Anche durante il Passaggio?» Antona rise con indulgenza alla domanda di Killashandra. «Beh, tutti si vanno a rintanare da qualche parte durante il Passaggio. O lasciano il pia-
neta, se possibile.» Si sporse per sfiorare un braccio di Killashandra. «Per il tuo bene, vorrei che tu non avessi tagliato in un periodo così vicino al Passaggio, ma puoi essere certa che ti darò tutto l'aiuto possibile.» «Perché dovrei aver bisogno di aiuto?» Killashandra non ebbe problemi a fingere un'innocente sorpresa. «Ho tagliato solo una volta.» «Il taglio più pericoloso di tutti. Sono davvero sorpresa che Lanzecki l'abbia permesso. Lui è così attento ai suoi Cantori nuovi. Io ho dovuto passarti all'addestramento. Era assolutamente inutile tenerti con i malati. Ma questo Passaggio è molto fastidioso, e ci vorranno secoli prima che il tempo si stabilizzi e i danni vengano riparati. Immagino che Lanzecki volesse avere quanto più cristallo poteva, quando era ancora possibile. Naturalmente, le riparazioni non ti riguarderanno, in qualità di Cantore. Tu sarai inviata il più presto possibile a controllare le tue concessioni per vedere se hanno subito alterazioni per la tempesta.» «Che cosa accadrà per il fatto che ho tagliato il cristallo una sola volta?» «Oh, mia cara.» Antona inspirò profondamente e poi buttò fuori un breve ed esasperato respiro. «Continuerò a parlare a vanvera. Molto bene, allora, avrei dovuto dirtelo presto, ad ogni modo. Solo che non mi piace allarmare inutilmente le persone.» «Lo farai, se non arrivi al punto.» «Ti è stato detto che le tempeste nelle Catene di Cristallo sono letali perché i venti fanno risuonare le montagne, il che produce un sovraccarico sensoriale. Durante il Passaggio, tutto il pianeta, fino al suo nucleo, così a volte penso, trema - si formano e vengono trasmessi un rumore, una vibrazione, sonici multipli cui non si può», Antona si strinse di nuovo nelle spalle per esprimere la propria impotenza, «fuggire. Ti daremo sedativi, e tu potrai essere assicurata saldamente a una vasca radiante nell'infermeria, che ha una schermatura speciale. Verranno prese tutte le precauzioni possibili.» «Vedo.» «No, tu sentirai. Il che è peggio. Adesso mangia. In realtà, nella tua fase, un sovrappiù di cibo è la protezione migliore che posso prescriverti. Il dormire sotto l'effetto di sedativi è come un'ibernazione; il cibo costituisce la protezione.» Killashandra si dedicò ai piatti ancora colmi, mentre Antona silenziosamente e lentamente finiva la sua ultima porzione. «Oh, adesso tutti cominceremo a mangiare grandi quantità di cibo.» «Anche gli altri dovranno stare sotto effetto di sedativi e...» «Loro soffriranno, ma soffrirà chiunque ci senta - così come un certo
numero di coloro che sono, sotto ogni altro aspetto, clinicamente sordi, sentono le risonanze della tempesta. Forniamo delle maschere. Il rumore bianco allevia il temporaneo tinnito auricolare provocato dalla turbolenza. Cerchiamo davvero di aiutare.» «Ne sono certa.» «Il conforto è scarso, potresti pensare, ma tutto è relativo. Basta leggere la storia dei primi anni della Corporazione e i commenti dei membri. Oh, cara, non voglio essere trovata qui.» Antona si alzò in fretta e Killashandra si guardò intorno. Dagli ascensori arrivavano gruppi di persone. «Me ne scapperò dal retro. Tu finisci il tuo pasto!» Indicò autoritariamente i restanti piatti e poi si ritirò in un'area più scura della sala dei Comuni. Killashandra terminò i gambi di milsi e guardò l'ultimo piatto di cubi ricoperti di noccioline. Persone erano in fila nelle aree di alimentazione e i primi si erano serviti di abbondanti vassoi. Allora non era l'unica affamata. «Eccola!» Il grido di gioia di Rimbol la fece trasalire. Si girò sulla sedia e vide il ragazzo di Scartine. Mistra, Jezerey, Borton e Celee erano subito dietro di lui. «Vi ho detto che l'avevo vista alla proiezione sulla tempesta. Ti è venuta fame?» Con gli occhi scintillanti di malizia, Rimbol cominciò a contare i piatti vuoti. «Devi aver tagliato un mucchio di cristallo per permetterti tutto questo,» osservò Jezerey. I suoi occhi erano ostili. «Ordini di Antona. Non ho avuto una convalescenza come tutti voi, perciò adesso mangio per due.» «Sì, ma tu sei andata nelle catene e noi siamo rimasti inchiodati qui!» Jezerey aveva perso il controllo. Borton le scosse un braccio. «Taglia corto, Jez. Killa non l'ha fatto per farti un dispetto, lo sai.» Borton lanciò un'occhiata implorante a Killa. «Sì, tu sei andata nelle catene,» disse Mistra con la sua voce dolce, «e io apprezzerei molto, Killashandra, se tu ci raccontassi che cosa succede veramente, quando si taglia. Ho la terribile sensazione che non ce lo dicano, nonostante tutto quello che ci dicano.» «Ecco, togliamo di mezzo i rifiuti», Rimbol stava accatastando vassoi e piattini, «e qualcuno ordini birra e il resto. Poi Killashandra potrà divulgare i segreti professionali.» Killashandra non era dell'umore di fare confessioni, ma il silenzioso appello negli occhi marroni di Mistra, la preoccupazione in quelli di Rimbol, e l'espressione rigida, vacua di Borton non potevano essere trascurate da una compagna di classe, non importava quale dottrina sull'egoismo predi-
casse Lanzecki. Jezerey avrebbe trovato il suo livello; questo era certo. Rimbol, Mistra e Borton erano una faccenda diversa. Celee ritornò con brocche e coppe. «Sentite, visto che cantare non è la mia professione, perché non posso portarvi io da mangiare?» domandò con allegria. Fece l'occhiolino a Killashandra, per sottolineare la sua indifferenza al risultato del suo adattamento. Gli furono date le ordinazioni, e quando se ne andò, lamentandosi che gli si sarebbe spezzata la schiena, gli altri si sistemarono intorno al tavolo e guardarono con ansia Killashandra. «Viene spiegata la maggior parte di quello che succede,» cominciò Killashandra, senza sapere precisamente come descrivere il fenomeno. «La teoria è una cosa. Dove differisce dalla pratica?» domandò Mistra con gentilezza. «Non parla molto, ma arriva al punto,» Notò Rimbol, alzando gli occhi con un'espressione di comica disperazione. Killashandra sorrise con gratitudine a Mistra. «Quei voli sul simulatore - la realtà può essere peggiore. Non ho tagliato bene gli angoli, malgrado tutta la pratica che avessi nell'accordare i cristalli inaciditi. Immagino che le vostre mani siano diventate più forti, ma non mi sorprenderei se il vostro primo blocco avesse la sagoma di un serpente.» Fu ricompensata con una risatina di Rimbol, che fece il buffone contorcendo esageratamente il busto. «Sapete che dovrete essere accompagnati nelle catene da un Cantore esperto? Bene, tenete bene in mente un fatto: lui, o lei, è capace di dimenticare da un momento all'altro che siete legalmente ammessi nella sua concessione. Il mio maledetto pastore per poco non mi ha troncato una gamba. Tenete il registratore continuamente in funzione, in modo che non lo dimentichi. Parlategli senza sosta, tenetevi in vista, soprattutto dopo che ha tagliato il cristallo...» «Sì, sì, ci è stato detto. Ma quando trovi il cristallo...» Jezerey la interruppe. Killashandra la guardò con freddezza. «Quando» disse la ragazza. «Deve dire se, non quando...» «Ma tu hai trovato il cristallo, cristallo nero,» cominciò Jezerey, indignata. «Chiudi il becco, Jez.» Borton le premette le dita sulle spalle per ammonirla, ma lei si divincolò. «L'imprevisto comincia quando tagliate il vostro cristallo. Martellate la fronte per la nota, poi accordate la tagliatrice e poi...» Killashandra ritornò
nella faglia, il primo segmento nero, l'irregolare linea di taglio, soppesarlo sui palmi, osservare stupefatta la sua lenta trasformazione alla luce del sole, dalla trasparenza al nero opaco del cristallo che reagisce termicamente, perdersi nel ricordo di quella scintillante risonanza, sentire quella musica incredibile nel sangue e nelle ossa... Una insistente strattonata a una manica ruppe infine la sua trance. «Killa, stai bene? Devo chiamare Antona? Killa?» le domande urgenti e pressanti di Rimbol la riportarono alla stupefatta consapevolezza di dove si trovasse in quel momento. «Sei stata fuori per...» «Sei minuti, quattro secondi,» aggiunse Borton, alzando il polso per vedere il video. «Che cosa?» «Che cosa? Dice lei», Rimbol si girò verso gli altri con espressione canzonatoria, «quando se ne va alla chetichella a visitare la sua concessione. Guardate, amici, nessun mezzo visibile di contatto eppure la nostra bella dama... Veramente acquista tanto potere su di te, Killa?» Lasciò perdere il suo atteggiamento buffonesco e le toccò delicatamente un braccio, con il volto preoccupato. «Beh, non pensavo che potesse prendermi, mentre ero seduta qui con voi, ma un consiglio ve lo do volentieri, visto che ne avete appena avuto una dimostrazione. Tagliate e imballate! Se non lo fate, potete restare come me in comunione con il vostro cristallo, finché la tempesta non vi assale.» «In comunione con il cristallo!» Jezerey era intollerante, scettica. «Beh, potrebbe non accaderti.» Killashandra cercò di parlare con calma, ma Jezerey la esasperava. «Hai preso già la slitta?» domandò a Rimbol. «Sì...» disse Rimbol. «Ma non ci è consentito usarle,» concluse Jezerey, guardando Killashandra con occhi fiammeggianti. «Il che può essere un bene, visti i tuoi risultati sul simulatore,» disse Borton. «Allora cantare il cristallo produce veramente dipendenza? Quanto rapidamente si crea l'abitudine?» Rimbol parlava con un tono tra il serio e il comico per alleggerire la tensione che si stava creando. «Si può smettere? È redditizia?» «Sì, rapidamente, no, sì,» rispose Killashandra. «Non voglio rovinarvi il piacere del pranzo.» Si alzò velocemente, mettendo una mano su una spalla di Rimbol per impedirgli di alzarsi, «ci vediamo qui stasera?»
Non aspettò nemmeno la risposta, perché aveva visto una figura entrare nella sala dei Comuni all'estremità opposta, che si muoveva con l'inconfondibile passo di Lanzecki. Si incamminò per intercettarlo. Era il Maestro della Corporazione, si accorse Killashandra, mentre analizzava i volti nella sala. Si fermò a malapena, quando lei lo raggiunse. «Vorrei quell'incarico.» «Lo immaginavo.» Niente altro, e ciascuno andò nella propria direzione, lui verso l'area di alimentazione e lei verso gli ascensori. CAPITOLO UNDICESIMO Fu un sollievo tornare nel suo appartamento. In qualche modo l'assurdità dei bizzarri schermi triatmosferici delle pareti ripristinò in lei il senso dell'assurdo. Il tentativo di comunicare verbalmente l'esperienza del taglio di cristallo ai suoi amici e la spiacevole conseguenza l'avevano turbata. Come era possibile che un ricordo, anche se di un momento di estasi, dominasse in quel modo il corpo e la mente? Aveva interrotto quella comunione con il blocco di cristallo quando l'aveva imballato. Oppure no? E a chi avrebbe potuto domandarlo? Era a causa della dipendenza dal cristallo che i Cantori perdevano così facilmente la memoria? Aveva esitato ad accettare l'offerta di Lanzecki, perché, in realtà, non voleva essere lontana dalle catene? In quel momento ricordò il forte desiderio, evidente nella voce di Borella, di tornare alle catene, quando le sue ferite si fossero rimarginate. Dall'altra parte, adesso Borella non vedeva l'ora di lasciare il pianeta. Killashandra decise che l'ambivalenza era spiegabile. Strano a dirsi, ma era un caso analogo a quello di chi ricopre il ruolo principale in una grande compagnia. L'applauso avrebbe potuto essere il cristallo che canta nella mano, appena reciso dalla vena, stimolante, estatico. Lo stesso stato di eccitazione emotiva ogni volta che tagli, finché la mente e il corpo non sono distrutti dal clamore, dalla concentrazione. La soggezione al cristallo sconfitta dall'urgente bisogno di riposo e di sollievo. Si era seduta alla tastiera del computer, allo scopo di registrare alcune delle sue riflessioni. Il video automatico lampeggiò per indicare il cambio dell'ora. Perfino pensare al cristallo assorbiva enormi quantità di tempo. Era tornata nel suo alloggio da più di due ore. Si drizzò bruscamente e richiamò l'immissione che aveva fatto. Ascoltò
spassionatamente la propria voce ripetere i pochi fatti che aveva immesso. Poi digitò il tasto di registrazione. «Ho trovato una vena abbandonata di cristallo nero e l'ho tagliata con successo. Il trucco con il cristallo è imballarlo non appena comincia a cantare sotto il sole. Ho perso la mia slitta per salvare il vecchio Moksoon. Una buona slitta sprecata. Lanzecki è generoso, e io installerò nel Sistema Trundimoux i cinque segmenti interdipendenti che ho tagliato. In questo modo eviterò le tempeste del Passaggio che si prevede saranno insolitamente violente.» Riascoltò le succinte annotazioni delle ultime due settimane. Quelle sintesi le avrebbero ricordato, in un momento successivo, il grado e l'intensità delle sue esperienze emotive? Rise della propria presunzione. Beh, non si era mai ritenuta una drammaturga. Quando si appoggiò allo schienale della sedia della consolle, si accorse che la pancia le brontolava. «Di nuovo? No!» Per sopprimere lo stimolo della fame, con decisione richiese un catalogo di mobili, anche se non aveva nulla da mettere su tavoli e scaffali, giacché aveva appeso il liuto ad una parete. Pensò di suonare lo strumento, cosa che non faceva da molto tempo, ma la corda del MI si spezzò nel momento in cui girò il pirolo. Con grande cura, ripose il liuto. Poi, stringendo i denti, si diresse verso il distributore alimentare con passi rabbiosi per lenire il suo inaccettabile appetito. Era intenta a ordinare con grande vigore, quando l'unità di comunicazione ronzò. «Qui Lanzecki.» «Sei collegato alla tastiera del mio distributore alimentare?» «È un caso. Ai Maestri della Corporazione è consentito mangiare, quando glielo permettono i loro doveri quotidiani. Posso unirmi a te?» «Sì, certo.» Cercò di avere un tono di sincero benvenuto, dopo il suo scherzoso saluto. Immaginò che Lanzecki fosse vittima dell'appetito pre-Passaggio, come tutti gli altri. Non che potesse credere che la sfruttasse inviandola convenientemente fuori dal pianeta. Né... presa la tazza di brodo proteinico, che aveva ordinato mentre arrivava la comunicazione di Lanzecki, andò alla consolle e controllò la sezione Commerciale. Il video confermò che l'ordine dei Trundimoux per un sistema di comunicazione a cinque elementi di cristallo nero era stato ricevuto cinque giorni prima. L'ordine era conside-
rato prioritario dal capo settore della FPS. Ritornò all'unità alimentare e ordinò cibo appetitoso per un uomo stanco e affamato. E fu Lanzecki l'uomo che entrò nel suo appartamento, mentre lei cercava invano di ficcare vassoi, piattini e brocche sulla superficie limitata del tavolo. Avrebbe avuto davvero bisogno di altri mobili. «Ho cominciato,» disse, indicando il brodo. «Non credo ti dispiaccia.» Gli porse una tazza fumante. «Assolutamente no.» Quando sorrise, le rughe di tensione, che gli attorniavano occhi e bocca, si allentarono. «Questa mattina ho fatto uno spuntino con Antona, dopo che mi aveva assalito la fame durante la proiezione sulla tempesta,» disse mentre l'uomo si sedeva e allungava le gambe. «Senza dubbio, lei ti ha rassicurato sul fatto che tutti mangiamo con ottimo appetito in questo periodo.» «Anche lei ha mangiato molto.» Lanzecki rise. «Non preoccuparti. Non avrai fame durante il Passaggio. «Ma non sarò qui.» «L'istinto opera indipendentemente dall'ambiente in cui ti trovi. Soprattutto, mi duole informarti, quando la tua transizione è avvenuta di recente.» «Finché non mi ingozzo in questo modo, mentre installo i cristalli.» Alcuni pianeti, particolarmente quelli nuovi come il sistema Trundimoux, con scorte limitate di cibo, avrebbero potuto ritenere disdicevole un appetito robusto. «No, molto più probabilmente dormirai per smaltire tutto quello che hai mangiato.» Finì il brodo e sembrò più interessato a scegliere la portata successiva. 'Domani, Trag ti istruirà nelle procedure di installazione. Abbiamo ricevuto un'altra comunicazione dai Trundimoux che contiene la disposizione delle cinque unità. Ho capito che le persone educate li chiamano Trundi; quelle colte li definiscono Moux.» «Che cosa?» domandò Killashandra ridendo, perché non si immaginava ad usare nessuno dei due nomignoli. «Due cristalli saranno installati su stazioni minerarie mobili. Trundimoux ha tre fasce di asteroidi. Ecco perché possono permettersi il cristallo nero.» sbuffò Lanzecki. «Hanno una fortuna in minerali grezzi che gli girano intorno, aspettando di essere afferrati. La terza unità è da sistemare sull'unico pianeta abitabile e le restanti andranno sui due grandi satelliti del pianeta del gas e del pianeta del ghiaccio. Le operazioni minerarie dei
Trundimoux sono gravemente intralciate dall'assenza di comunicazioni in tempo reale, cosicché hanno ipotecato la metà di una fascia di asteroidi, ma mi aspetto che pagheranno il debito in breve tempo. In origine, il sistema veniva sfruttato solo per i minerali degli asteroidi, con numerosi multiponti che trasportavano il metallo al più vicino sistema industriale... Balisdel, credo che sia. I Balisdeliani diventarono avidi, i minatori di Trundimoux si ribellarono, colonizzarono il pianeta migliore e una delle lune esterne. In meno di settantacinque anni, sono diventati un'azienda fiorente.» «Con denaro a sufficienza per le comunicazioni in cristallo nero.» «Avevano già un collegamento con Balisdel e con altri due sistemi, ma questa sarà la loro linea interna. Birra di Yarra?» Lanzecki si alzò per ordinarla. Killashandra scoppiò a ridere. «Chi beveva birra di Yarra prima che Rimbol arrivasse? Oltre te.» «La scoperta non è originale nemmeno per me. La birra di Yarra crea assuefazione come qualsiasi altra cosa.» Quella sera Lanzecki aveva un'aria malinconica, sembrò a Killashandra. Non era stanchezza, perché si muoveva con la abituale agilità per un uomo della sua corporatura. «Avevo dimenticato che gusto piacevole avesse,» continuò, ritornando con una brocca e due coppe. «Questo Passaggio sarà davvero così brutto?» domandò. Lanzecki bevve un lungo sorso di birra prima di rispondere, ma gli occhi gli brillarono e le linee della bocca si addolcirono. «Noi programmiamo sempre per il peggio e in genere non veniamo delusi. La sfida costituita da ogni nuova configurazione del Passaggio è irresistibile, forze che sono immutabili e mutevoli, imprevedibili come tutti i fenomeni naturali dello stesso genere.» Killashandra fu sorpresa dalle sue inattese riflessioni filosofiche e si chiese se non si fosse sbagliata sul suo umore. «Ti diverte davvero!» «Uhm. No 'divertire' non è il termine esatto. 'Stimolare', credo che sarebbe più preciso.» La prendeva in giro. Glielo dissero le labbra. La prendeva in giro, ma c'era qualcos'altro, qualcosa di più profondo, l'elemento che gli dava quell'umore malinconico. «Smetti di pensare e mangia. Ho ordinato un manicaretto particolare che spero gusterai anche tu. La sezione Alimentare ha un bel da fare in questa fase del ciclo di Ballybran, e noi
dobbiamo mostrarci sensibili.» Quella sera, l'appetito dell'uomo eguagliò il suo, quando assaggiarono le meraviglie di sapore e di colore che erano state evocate dalle cucine di tutti i mondi esotici ed eleganti della Federazione. Lanzecki conosceva molte cose sulla gastronomia e le promise che un giorno le avrebbe preparato personalmente un pasto dagli ingredienti al piatto finito. «Quando mangiare non sarà una necessità, come adesso, ma un'esperienza da gustare,» e gli occhi gli brillarono nell'aggiungere la frase successiva «con agio.» «Adesso non siamo a nostro agio?» «Non del tutto. Non appena avrò soddisfatto il mio io simbiotico, dovrò incontrarmi nuovamente con gli esperti delle tempeste.» Killashandra represse la delusione irrazionale per il fatto che la cena non fosse il preludio di un'altra notte d'amore. «Grazie, cuore mio,» disse Lanzecki. «Grazie? Di che cosa?» «Di essere... consapevole.» Fissò a lungo Lanzecki. «Sei sicuro che la telepatia non fa parte dell'adattamento...» «Assolutamente no!» L'assicurazione di Lanzecki fu solenne, ma lei non fu altrettanto certa della sua bocca. Killashandra fece un rapido elenco delle possibili risposte e sospirò. «Beh, mi dispiace che non resti!» Lanzecki rise quando allungò una mano a prendere la sua e la baciò delicatamente. Non tanto delicatamente da non farla reagire al suo tocco. «Non ho mai avuto l'intenzione di invadere la tua privacy, Killashandra, osservando l'avvicendarsi e il fluire dei tuoi pensieri e delle tue emozioni. Mi piacciono molto. Mi piaci molto. Adesso», e si alzò con decisione, «se fosse tutt'altro che le tattiche contro le tempeste...» Le baciò di nuovo il palmo e poi uscì a grandi passi dalla stanza. Lasciò cadere la mano in grembo, mentre l'elegante complimento di Lanzecki le echeggiava nella mente. Il più bello che le fosse mai stato dedicato. Strano a dirsi, il fatto che Lanzecki avesse invaso la preziosa privacy di un Fuertano, un tempo il suo bene più caro, non affliggeva Killashandra. Se continuava a «piacergli molto» quello che vedeva. Bevve un lungo sorso di birra. Quanto era cambiata da quella dolorosa corsa senza scopo lungo la strada pedonale, verso lo spazio-porto di Fuerte! Quanto del cam-
biamento era dovuto al suo «io simbiotico»? Anche quella era stata un'invasione della privacy cui lei, al cospetto dei burocrati della FPS, aveva acconsentito. Adesso che aveva tenuto il cristallo vibrante nel palmo della mano, aveva visto luce e suono uscire scintillanti dal quarzo riscaldato dal sole, non provava alcun rimpianto per la perdita della privacy, nessun rimpianto per un'invasione che aveva costituito l'ingresso in una nuova dimensione dell'esperienza. Rise piano della sua fantasia. Finì la birra. Aveva sonno ed era sazia, e l'indomani sarebbe stata una giornata stancante. Sperava che Trag non avesse ricevuto un rapporto da Enthor sull'imperfezione dei suoi primi tagli. La mattina successiva, dopo una colazione robusta, si recò da Trag nella sala del taglio. Altri membri della Classe 895 erano già impegnati sotto la supervisione di Concera e di un altro membro della Corporazione. Killashandra salutò Concera e sorrise agli altri. Trag fece un cenno con il capo verso una porta laterale, e lei lo seguì. Provò un doppio turbamento, perché lì, sul tavolo da lavoro, tra supporti e cuscinetti per l'installazione, c'erano cinque cristalli neri. E lei non reagiva affatto alla loro presenza! «Non preoccuparti!» Trag prese il più vicino e glielo lanciò con trascuratezza. Lei aprì la bocca per colpirlo con un'imprecazione, quando l'oggetto le arrivò fra le mani e lei si accorse che non era cristallo nero. «Non mi spaventare mai più in questo modo!» L'ira aveva un gusto acido nella pancia e nella gola. «Certamente non credevi che avremmo messo a rischio il cristallo nero per le esercitazioni.» Trag si era divertito a spaventarla. «Sono troppo nuova in questo gioco per sapere che cosa si mette a rischio,» ribatté lei, controllando la rabbia. Sollevò il blocco con una mano, desiderando più di ogni altra cosa lanciarlo contro Trag. «Adesso rilassati, Killashandra,» disse, levando una mano a proteggersi. «Sapevi che non era cristallo nero nel momento in cui sei entrata in questa stanza!» La freddezza nella voce di Trag le ricordò che era un membro anziano della Corporazione. «Ho avuto abbastanza sorprese nelle catene, senza doverli incontrare anche qui, Trag.» Mentre controllava il panico e la rabbia, ricordò a se stessa
anche che Trag era sempre stato impersonale! I suoi rapporti con Lanzecki annebbiavano altri giudizi. «Affrontare l'imprevisto deve diventare automatico per un Cantore. Alcuni non imparano mai come si fa.» Gli occhi di Trag si spostarono leggermente per indicare la stanza che era dietro di loro. «Tu hai appena provato che il tuo istinto per i cristalli neri è affidabile. Adesso», e allungò un braccio per prendere il blocco dalla sua mano, «passiamo allo scopo per il quale questi cristalli sono stati simulati.» Ripose il blocco tra i compagni. Solo allora lei si rese conto che i cinque cristalli falsi imitavano quelli che lei aveva tagliato, angoli imperfetti, dimensioni e tutto il resto. «Questa sostanza ha la stessa resistenza alla trazione e lo stesso rapporto di dilatazione del cristallo nero, ma nessun'altra delle sue proprietà. Oggi devi imparare a installare correttamente il cristallo nei supporti con pressione sufficiente ad assicurarlo contro le vibrazioni, ma non tanto da interferire con il flusso intermolecolare.» Le mostrò un diagramma stampato. «Questi saranno l'ordine e la configurazione della linea del Trundimoux.» Trag diede un colpetto al blocco corrispondente mentre ne indicava la posizione sul diagramma, ripetendo quello che aveva detto in fretta Lanzecki. «Il numero uno e due, i più piccoli, saranno sulle stazioni minerarie, il numero tre sul satellite del pianeta del gas, il numero quattro sul satellite del pianeta del ghiaccio, e il numero cinque, il cristallo più grande, verrà installato sul pianeta abitabile. Tu e solo tu maneggerai i cristalli.» «Questa è la politica della Corporazione?» Quanto ancora aveva da imparare su quella complessa professione. «Oltre ad altre considerazioni, nessuno nel sistema Trundimoux è tecnicamente capace.» La voce di Trag era grave per la disapprovazione. Killashandra si chiese se li considerasse «Trundi» oppure «Moux»: «Pensavo che fosse la sezione Marketing a occuparsi dell'installazione.» «In genere». Il tono rigido la ammoniva a non porre ulteriori domande. «Beh, non credo che mi sarebbe stato affidato questo lavoro, se non avessi perso la slitta e se il Passaggio non fosse stato così vicino.» Non ottenne alcuna reazione visibile con il suo mesto commento. «Ricordatene,» le consigliò Trag, e aggiunse con inatteso sarcasmo, «se puoi.» Installare il cristallo tra i morsetti imbottiti non fu semplice come sembrava, ma del resto, come Killashandra stava imparando, nulla nella Corporazione Heptite era semplice come sembrava. Nondimeno, la sera, con i muscoli del braccio, collo e schiena tesi e le mani che tremavano per lo
sforzo di effettuare movimenti piccoli e forti, gli occhi arrossati per la concentrazione sui quadranti della tensione di superficie, le parve di avere capito il procedimento. Si rassegnò con filosofia, quando Trag le disse che il giorno dopo avrebbero ripetuto l'esercitazione. Sapeva di dover essere perfetta nei movimenti durante le installazioni reali. I membri della Corporazione avevano una reputazione da mantenere e lei sarebbe stata all'altezza dello standard di esecuzione di Trag, anche se fosse stata l'unica installazione che avrebbe mai fatto. Visto che la sua idea coincideva con quella di Trag, non era spaventata dal suo perfezionismo. Lanzecki si unì di nuovo a lei per la sua «scorpacciata» serale, ma si accomiatò non appena ebbe finito. Quella sera lei non se ne dispiacque molto, perché era molto stanca. Il giorno seguente, entro l'ora di pranzo, si era garantita la riluttante approvazione di Trag per un'installazione abile, rapida e competente, entro il limite di tempo che egli aveva arbitrariamente stabilito. «Perché non prendere più tempo?» chiese ragionevolmente. «Installare una linea tra le persone dovrebbe essere un'occasione.» «Non avrai il tempo,» disse Trag. «Sarai su una deviazione centripeta del campo gravitazionale. Non ci sarà tempo a disposizione.» Non le diede la possibilità di approfondire la sua enfasi sul tempo. Con un secco cenno del capo, uscì dalla stanza. Forse Lanzecki sarebbe stato di umore espansivo. Se, precisò a se stessa, l'avrebbe raggiunta per la cena. Cena? Era ora di pranzo e lei moriva di fame. Quando attraversò la stanza di addestramento principale, Rimbol aveva appena finito di fare un taglio diagonale sotto la tutela di Concera. «Mangerete presto?»chiese a Rimbol e al Cantore Anziano. «Mangio sempre!» La replica di Rimbol fu per metà un gemito, per metà un rutto, e Concera rise. «Finisci l'ultimo taglio,» gli disse Concera. «Va' a prenderci un tavolo.» Rimbol la allontanò con un gesto della mano, poi rivolse la sua attenzione al taglio. Killashandra andò direttamente nella sala dei Comuni e trovò l'area da pranzo affollata, i tavoli affastellati di una varietà di piatti che testimoniava il problema dell'istinto simbiotico. Stava per ordinare qualcosa per sostenersi durante la ricerca di un tavolo libero, quando un gruppo numeroso lasciò libero un séparé. Ordinò in fretta, prendendo una birra in una brocca e una coppa e sistemandole intorno al tavolo per non farlo occupare. Aveva
recuperato il suo primo ordine e stava già mangiando quando Rimbol, Concera e altri due della Classe 895 la raggiunsero. Il pasto diventò un'occasione conviviale, e tutti suggerirono questo o quel manicaretto preferito che avevano scoperto durante quella che Concera definì «la fame». «È così bello avere nuovi membri,» disse con voce spensierata, alzando la coppa di birra, «che ci ricordano le cose che abbiamo dimenticato. Non riesco a pensare, naturalmente, chi fu a ricordarmelo l'ultima volta, ma la birra di Yarra è così soddisfacente.» Rimbol si alzò, si inchinò a tutta la tavola. «Alziamoci tutti Brindiamo ai birrai di Yarra. Che possano essere ricordati sempre... da qualcuno!» Quando la compagnia si alzò frettolosamente, il tavolo fu urtato da un lato, e prima di fare il brindisi, si dovette asciugare la superficie e ordinare altra birra. Killashandra era pervasa da quel senso di amicizia che aveva osservato spesso nel Centro Musicale, ma di cui non ne era mai stata parte. Immaginò che fosse la particolare capacità di Rimbol che, se gliene si dava la possibilità, trasformava in un'occasione qualsiasi riunione. Lei parlò poco, sorrise molto e mangiò con un appetito migliore del solito, grazie all'ottima compagnia. Poiché era seduta di fronte alla zona di distribuzione, si ritrovò a identificare i membri della Corporazione di alto livello e i Cantori che erano evidentemente appena rientrati dalle catene. Alcuni erano smagriti, nervosi e confusi dalla calca. Altri, malgrado lo stesso stordimento dovuto all'inquinamento acustico, sembravano di ottimo umore. I nervosi non avevano tagliato abbastanza cristallo da lasciare il pianeta, pensò Killashandra, i rilassati sì. Certamente, quando Borella entrò con Olin e un'altra coppia di Cantori, costituivano un gruppo vivace. In maniera ostentata, parve a Killashandra, giacché sussurravano fra loro, poi scoppiavano a ridere e di nascosto lanciavano sguardi sarcastici ai silenziosi commensali. Sebbene Rimbol scherzasse con Concera e Celee, aveva notato il tavolo di Borella. «Lo sai?» disse sottovoce a Killashandra, «non ricorda nessuno di noi.» «Lo so. È stata nelle catene, dopo che siamo stati reclutati.» Killashandra sapeva di non giustificare Borella e non ebbe bisogno di spiegarlo a Rimbol. «Lo so, lo so, ma è stato solo pochi mesi fa.» Gli occhi blu di Rimbol erano velati per la preoccupazione. «Perdiamo i nostri ricordi così rapida-
mente?» «Borella canta da molto tempo, Rimbol.» Killashandra non riuscì a rassicurare nemmeno se stessa. «Hai cominciato il tuo file personale? Bene. Quello è il sistema di ricordare le cose importanti.» «Mi chiedo che cosa lei consideri importante.» Rimbol guardò Borella, socchiudendo gli occhi. «Andarsene dal pianeta durante il Passaggio!» Killashandra suonò aspra perfino a se stessa. Rimbol le lanciò un'occhiata sorpresa, e poi rise. «Lo so solo perché l'ho sentita parlare con quel tipo alto, Olin.» Killashandra aggiunse in maniera più disinvolta. «Di', hai avuto qualche contatto con Shillawn?» «Certamente. In effetti, ci vedremo qui domani. Ti unisci a noi?» Killashandra incontrò lo sguardo di sfida di Rimbol. «Sono libera. È previsto che porti alcuni cristalli nel sistema Trundimoux. Evidentemente, poiché ho tagliato il cristallo, sarei particolarmente sensibile al Passaggio, perciò mi buttano fuori dal pianeta.» «Un tempo credevo che non avrei avuto problemi ad andare di pari passo con te, Killa.» L'espressione di Rimbol era addolorata. «Che cosa vuoi dire?» Killashandra avvertì un'ondata di sentimenti inaspettati: ansia, sorpresa, irritazione e un senso di perdita. Non voleva perdere l'amicizia con Rimbol. Gli mise una mano su un braccio. «Noi siamo amici, ricorda. Classe 895.» «Se ricorderemo.» «Che cos'hai, Rimbol? Io mi stavo divertendo tanto.» Killashandra fece un cenno agli altri che ridevano e chiacchieravano, e ai resti dell'abbondante pranzo. «Non ho avuto la possibilità di vedere spesso nessuno di voi, a causa di quella maledetta transizione di Milekey e dell'accompagnamento sulle catene di quel Moksoon, che ha avuto un corto circuito sonico...» «Per non parlare del fatto che hai trovato il cristallo nero.» Killashandra inspirò profondamente per reprimere la reazione di rabbia provocata dall'implicita accusa di Rimbol. «Quando», cominciò lentamente e con voce tesa, «sarai stato nelle catene a cercare il cristallo, allora saprai quello che adesso non posso in alcun modo spiegarti.» Si alzò, quella tenue sensazione di cameratismo recisa in un attimo. «Da' i miei saluti a Shillawn, se sarai così gentile da ricordartene.» Si scusò e se ne andò impettita, passando accanto a una sorpresa Con-
cera, che cercò di impedire l'uscita di Killashandra. «Lasciala andare, Concera. Ha faccende di grande importanza cui badare.» Mentre usciva a grandi passi nel corridoio principale, per poco non andò a sbattere contro Trag che stava per entrare nell'area da pranzo. «Killashandra? Non guardi mai lo schermo?» Trag indicò la linea che si muoveva al di sopra dell'area della distribuzione, e lei vide lampeggiare il proprio nome. Trag la prese per un braccio e la sospinse verso gli ascensori. «La nave dei Trundimoux è su Shankill. Abbiamo trattenuto la navicella per te.» «La nave dei Trundimoux? Partire?» Killashandra lanciò un'occhiata verso il tavolo che aveva lasciato con tanta precipitazione. Solo Concera stava guardando nella sua direzione. Fece a Killashandra un piccolo cenno per rassicurarla. «Hanno recuperato tempo intorno al loro ultimo sole e sono qui prima del previsto e non possono trattenersi più a lungo, altrimenti perderanno il momento.» «Ho solo bisogno di qualche cosa...» Trag scosse con impazienza la testa e la spinse in un ascensore in attesa. «Sulla Base è stato preparato uno zaino per te. Qualsiasi altra cosa di cui tu abbia bisogno, la tua sistemazione e le spese, saranno a carico dei Trundimoux. Ora non c'è tempo da perdere!» Le proteste di Killashandra scemarono. La confusione iniziale si trasformò rapidamente in risentimento. Non solo partiva senza la possibilità di difendersi presso Rimbol, ma non avrebbe nemmeno visto Lanzecki. O forse egli aveva programmato una partenza così frettolosa per impedirle di metterlo in imbarazzo? Inasprita com'era dalle accuse di Rimbol, le fu facile includere anche Lanzecki. Quella transizione di Milekey era stata anche una benedizione, ma quella «fortuna» l'aveva estraniata dai pochi amici che avesse mai avuto e l'aveva resa vulnerabile a congetture e a sospetti subdoli, da cui non si poteva difendere. «Non ci aspettavamo che i Trundimoux arrivassero così presto,» disse Trag, «ma questa può essere una fortuna, visto che il Passaggio non è molto lontano.» Le diede un tabulato, mentre lei si rompeva la testa su quella misteriosa osservazione. «Antona ha detto che dovevi leggere questo. Sono consigli medici sull'adattamento simbiotico e sul rifornimento, perciò esaminali attentamente. I cristalli sono già a bordo della navicella, chiusi
nella cassaforte del commissario di bordo. Questo è il tuo tesserino di riconoscimento della Corporazione», le porse una sottile custodia, simile a quella che aveva Carrik con sé, «e la fascetta della Corporazione,» che le agganciò intorno al polso destro. «Con questi, hai accesso alle organizzazioni governative planetarie, compresa la Sessione della Federazione dei Pianeti Senzienti. Benché siano tipi noiosi, e non vedo come questo incarico possa portare a un incontro, è prudente essere preparati a tutte le evenienze.» Accesso alla Sessione della Federazione dei Pianeti Senzienti? Killashandra non pensava che Trag scherzasse su un privilegio simile. Lo stimolo, dovuto a un tale sorprendente prestigio, alleviò la sua depressione. Erano arrivati al livello dell'hangar, e la mano di Trag, che era sotto al suo braccio, la spinse ad accelerare il passo verso la navicella in attesa. Sulla rampa, l'ufficiale addetto all'imbarco stava facendo urgenti cenni di affrettarsi. Trag aumentò il passo, e ogni centimetro di Killashandra voleva resistere, mentre lei si guardava intorno nell'immenso hangar in cerca di Lanzecki. «Su! Su!» li esortava l'ufficiale. «I ritardatari possono partire con la navicella di domani!» «Tranquilla!» Trag fece girare Killashandra, proprio mentre lei poggiava un piede sulla rampa. «Il Maestro della Corporazione ripone una grande fiducia nelle tue capacità. Non penso che sia mal riposta. Lanzecki ti augura buon viaggio e un felice ritorno! Ricorda!» Con questo, Trag si voltò di scatto e lasciò Killashandra a guardarlo, mentre le sue ultime parole le echeggiavano ancora nella mente. «NON vedo la rampa, se tu ci stai sopra,» esclamò con petulanza l'ufficiale. Killashandra, confusa, obbedì e si affrettò a entrare nella navicella. La rampa si ritrasse e il portello della navicella scivolò con un forte sibilo e si chiuse. «Non stare lì. Siediti.» L'ufficiale diede a Killashandra una leggera spinta verso il retro della navicella. Si assicurò con la cintura ad un sedile, senza pensare, tenendo il tesserino di riconoscimento e le istruzioni di Antona con entrambe le mani, che poggiavano sulle cosce. Lasciò che il suo corpo si rilassasse al movimento della navicella che si sollevava sui cuscini ad aria e scivolava fuori dall'hangar. Poiché non aveva oblò, sopportò quelle che le parvero ore prima di sentire l'impeto del motore, quando fu innestato il propulsore a cristalli.
Quando la navicella decollò, Killashandra fu rigettata all'indietro, contro l'imbottitura del sedile. La pressione le dette sollievo, giacché era una fonte di minore disagio. Desiderò che la forza di gravità, schiacciando la carne e i muscoli contro le ossa, espellesse i pensieri spiacevoli dalla sua testa. Poi la navicella si liberò dall'attrazione di Ballybran e il sollievo dell'assenza di gravità fu accompagnato dal ritorno del buon senso nei pensieri tumultuosi di Killashandra. Lei aveva creato una tragedia personale da due avvenimenti assolutamente non correlati: l'atteggiamento stranamente aggressivo di Rimbol in un'occasione altrimenti conviviale, durante la quale si era sentita particolarmente rilassata, e l'apparente abbandono da parte di Lanzecki. Aveva correlato questi due fatti insieme alla sua tendenza a drammatizzare, al senso di colpa per la facile transizione, all'incidente di Keborgen, all'inaspettata amicizia di Lanzecki, alla sua prima difficile spedizione nelle catene e alla sensibilità pre-Passaggio. Allora. Respira profondamente e razionalizza. Anche Rimbol risentiva della sensibilità pre-Passaggio. Non solo Trag l'aveva accompagnata personalmente alla navicella, ma le aveva dato tre messaggi diversi: il Maestro della Corporazione aveva fiducia in lei. Così come inaspettatamente l'aveva Trag, che Killashandra riteneva il più difficile da soddisfare di tutti gli istruttori che avesse mai avuto. E Lanzecki le augurava un buon viaggio e un felice ritorno. Killashandra sorrise tra sé e sé e cominciò a rilassarsi. Rassicurata dal significato che era dietro quelle parole, cessò di considerare la precipitosa partenza più che una coincidenza. Anche se, negli ultimi tempi, era stata alla mercé delle coincidenze. Dal momento in cui i selezionatori avevano reclutato la sua classe per aiutarli a selezionare il cristallo, ed Enthor aveva scelto lei; la sua sensibilità al cristallo nero; una transizione di Milekey che, a detta di Antona, nessuno avrebbe potuto prevedere. Il caso era stato dalla parte di Killashandra, quando lei era andata con la squadra di salvataggio alla slitta di Keborgen. A dire la verità, l'applicazione delle sue capacità intuitive ai fatti l'aveva aiutata a determinare la traiettoria di volo di Keborgen. La sua prematura introduzione alle catene era avvenuta sotto la direzione di Lanzecki ed era dipesa dalla necessità della Corporazione di mantenere in funzione la concessione mineraria di Keborgen. Avrebbe potuto non trovarla, avrebbe potuto essere dissuasa dalla vernice fresca sulla concessione. Si domandò quale sarebbe stato l'effetto delle tempeste del Passaggio sulla vernice. Poi ricordò il messaggio di Antona, e infilata la tessera di riconosci-
mento della Corporazione in una tasca laterale, spiegò il tabulato. Antona aveva fatto una ricerca sui cibi disponibili nel sistema Trundimoux e aveva fatto un elenco di quelli migliori per le esigenze di Killashandra. La lista era minacciosamente breve. Antona ricordò al nuovo Cantore che la fame sarebbe diminuita, ma che avrebbe potuto anche essere sostituita da una notevole sonnolenza, quando sarebbe avvenuto il Passaggio. Questo effetto aveva luogo con maggiore frequenza quando il simbionte e l'ospite si stavano adattando. Antona le consigliava di completare le installazioni il più velocemente possibile e le dava un leggero stimolante per superare la letargia. Concludeva con il consiglio a Killashandra di non ritornare sulla superficie di Ballybran finché il Passaggio non fosse terminato, e quanto più lontano si fosse tenuta dal sistema, tanto meglio sarebbe stato. Il messaggio, scritto con una stampante vocale, aveva il suono cordiale della voce di Antona, e Killashandra fu estremamente grata per la sollecitudine che l'aveva ispirato. Quando le sue incertezze si furono dissipate, lei ripassò mentalmente le procedure di installazione che Trag le aveva fatto provare. Sia Trag che Lanzecki avevano fiducia in lei. E sia. Il retropropulsore, le oscillazioni e gli abbassamenti indicarono che la navicella stava manovrando verso le banchine della base. Quando la manovra si concluse con successo, Killashandra avvertì l'impatto. «Maldestro!» commentò una voce nota, molte file più avanti. «Senza dubbio, una delle tue reclute che si mette in mostra,» ribatté la voce affettata di Olin. Doveva essere veramente stordita, quando era salita a bordo della navicella, pensò Killashandra, per non aver notato Borella e il suo compagno. Killashandra aveva appena sganciato la cintura, quando fu sorpresa di sentir pronunciare il proprio nome dalla inconfondibile voce sprezzante di Borella. «Killashandra Ree? Come faccio a sapere se è a bordo oppure no. Non la conosco.» La calcolata indifferenza verso quella che avrebbe dovuto essere una cortese richiesta fece infuriare Killashandra. Nessuna meraviglia che i Cantori di Cristallo avessero una pessima reputazione. Si fece strada verso il portello della navicella, ma si fermò di colpo, quando la sua vista migliorata fu aggredita dalle sgargianti uniformi della coppia che stava su di un lato della banchina del porto. Sul torace dei due uomini, decorato con colori vividi, iridescenti e disarmonici, c'era un sim-
bolo stilizzato, un pianeta, due lune inanellate da tre fasce roteanti di asteroidi. Il movimento, decise Killashandra quando chiuse gli occhi per un attimo, doveva essere prodotto dalla normale respirazione degli uomini e dalla particolare qualità del tessuto. «Sono Killashandra Ree,» disse con educazione, ma riuscì a sentire la secca arroganza di Borella. Agli occhi più sensibili di un essere umano mutato, l'uniforme dei Trundimoux era visivamente insopportabile. «Capitano Interstellare Francu della Marina di Trundimoux, al vostro servizio, Membro della Corporazione Ree.» Con un gesto rigido presentò il suo compagno. «Tenente Ingegnere Tallaf.» Stringendo gli occhi, Killashandra filtrò gli spaventosi colori e si rese conto che erano uomini molto attraenti, snelli come la maggior parte degli ufficiali spaziali, e in modo altrettanto evidente, erano a disagio. Nervosi? Il pilota della navicella, la cui pratica tuta era in assoluto contrasto con le uniformi degli ufficiali Trundimoux, uscì dal portello. «Voi siete della nave Trundy? La merce è stata scaricata sul ponte inferiore.» Killashandra notò il trasalimento del Capitano Francu nel sentire il nomignolo e le parve che il Tenente fosse divertito. «A Tenente Commissario di Bordo Pendel si sta occupando della faccenda, Capitano...» «Capitano Amon, Francu. Pendel ha ricevuto istruzioni precise riguardo al cristallo?» Francu si irrigidì. «Dov'è attraccata la vostra nave?» continuò Amon, guardando l'unità da polso. «Il nostro incrociatore,» e Francu sottolineò il tipo di vascello con un tono così pomposo che Killashandra ebbe il presentimento che i suoi compagni di viaggio sarebbero stati molto noiosi, «è in rotta iperbolica.» «Oh, il vostro sistema si è procurato la 78 allora,» ribatté Amon con una tale benigna condiscendenza che Killashandra per poco non scoppiò a ridere. I due ufficiali si scambiarono sguardi di sorpresa. «Beh, non sareste arrivati qui così velocemente con una delle vostre vecchie 59. È un complimento per te, Killa, che abbiano mandato la loro nave più nuova.» Per quanto le constava, Killashandra non aveva mai visto Amon, ma non le era sfuggito l'occhiolino che aveva accompagnato il diminutivo del suo nome. «Non penso che il complimento sia per me, Amon» e sorrise con com-
prensione verso gli ufficiali, «ma piuttosto per i cristalli neri.» «Voi Trundy siete fortunati ad aver ottenuto quel quintetto,» continuò Amon; anche lui aveva colto la disapprovazione di Francu per il nomignolo. «Dopo tutto, esiste una priorità della FPS per il sistema Trundimoux,» intervenne diplomaticamente Killashandra. Amon poteva divertirsi a contrapporsi a Francu, ma era lei che doveva viaggiare con l'ufficiale. «Vero,» ribatté Amon, e sorrise affabilmente. «Allora, Killa, c'è qualche particolare...» e cominciò ad accompagnarla verso l'uscita della Corporazione. «Capitano Amon, ci era stato assicurato che non ci sarebbero stati indugi, non appena il membro della Corporazione...» L'unità da polso di Francu emise un rumore. «Sì? Sono a bordo? Assicurati? Noi saremo nella lancia...» «Non finché Killashandra non avrà sbrigato le formalità con l'Autorità di Shakill, Capitano. Se potrebbe attendere a... in quale porto è attraccata la vostra lancia?» «Livello 4, porto 18.» Francu concesse l'informazione con un'espressione mista di rabbia e di apprensione. «Noi siamo in rotta iperbolica.» «Non ci vorrà molto.» Amon la sollecitò attraverso la porta della Corporazione, e lei lanciò un sorriso di rassicurazione ai preoccupati ufficiali. «Che cosa significa questa assurdità?» domandò, sciogliendosi dalla stretta di Amon, mentre il pannello scivolava alle loro spalle. «Se loro sono in rotta iperbolica, abbiamo pochissimo tempo per intercettare l'incrociatore.» «Lì!» Le afferrò di nuovo una mano e la spinse in una stanza laterale. Gli odori di cibo che l'assalirono risvegliarono un appetito istantaneo. Gemette. «Mangia!» la esortò Amon. «Devi rimpinzare il più possibile la tua pancia.» Le infilò in bocca dei bastoncini al pepe. «Non avrai la possibilità di mangiare quando quell'incrociatore sarà sulla rotta interplanetaria. Quei 78 non sono forniti di lussi come le attrezzature alimentari, e la mensa sarà chiusa mentre loro acquistano velocità. Moriresti di fame. Ho svaligiato la nave per preparare uno zaino con tutto il necessario per te. So che i Trundy hanno donne a bordo, ma non è giusto che un Cantore indossi le loro uniformi. Gli occhi ti sanguinerebbero. In questo zaino ci sono delle lenti che filtrano l'intensità del colore ad un livello sopportabile.» Amon snocciolò
l'inventario, mentre controllava gli articoli nella piccola borsa. «Non una grande varietà di vestiti, ma la qualità è buona. Ci metterò anche un po' di cibo. Dobbiamo davvero sbrigarci, se sono in rotta iperbolica. Poche storie, devono estrarre qualche minerale prezioso nelle loro fasce di asteroidi, se possono comprarsi una 78.» Fischiò. «Ho visto la lunghezza della fila di velivoli telecomandati che hanno portato. In ogni caso, se hanno fatto affari con la Corporazione, so chi ne è uscito meglio. Ecco, prova questa carne di noci. Ho saputo che ti piace la birra di Yarra. Bevi un sorso per far scendere le noci. Bene. Adesso, un altro consiglio. Recita fino in fondo la parte di Cantore di Cristallo con quei minatori di asteroidi. Quel capitano è un brutto tipo, e ho visto abbastanza da saperlo. Mangia! Non posso trattenerti più a lungo.» Stava coprendo le portate intatte e le riponeva nello zaino. La sua unità da polso fece bip. «Sì? Sì, lo so. Pure formalità? Sciocchezze, stava morendo di fame, testa di legno. Sta per arrivare il Passaggio e conosci gli incrociatori. Saremo fuori in un picosecondo.» Amon le gettò lo zaino sulle spalle, le ficcò una coppetta di croccanti quadratini fritti in una mano, e un altro piatto e la birra nell'altra. «Puoi mangiare mentre andiamo, ma Francu sta facendo il diavolo a quattro con l'Autorità per il ritardo. Poche storie! Qualcuno si è ricordato di avvertirti delle sonnolenze?» Amon la stava guidando lungo il corridoio, verso gli ascensori periferici. «Antona me ne ha parlato. Ho le istruzioni e uno stimolante.» «Ho messo tra le tue cose una striscia di tavolette rosa. Balle! E sei appena stata nelle catene. Non è un bene per te, lo sai.» «Trag mi ha addestrato per le installazioni.» «Trag? Oh, l'ombra di Lanzecki,» e Amon sembrò impressionato. «Non è molto quello che devi fare per quanto riguarda il dove e il che cosa. I Trundy sono un ottimo esempio di Problema. Andiamo. Fa' un respiro profondo, ragazza, e da ora in poi sarai sulla scena come Membro della Corporazione Heptite. Buona fortuna!» Amon le strappò il piatto dalle mani, mentre lei si girava verso il pannello della porta, le fece cenno di pulirsi la bocca, e poi la porta si aprì. Killashandra batté le palpebre quando i colori stridenti dell'ariguardosa e rigida scorta di sei uomini la semiaccecarono. La fretta con cui fu spinta nella lancia era indicativa della tensione che avvertiva nell'atmosfera. Ebbe appena il tempo di mormorare un ringraziamento ad Amon, prima che il portello della lancia si chiudesse. Killashandra per poco non cadde sul contenitore di cristallo, assicurato al centro dello stretto corridoio. Notò il fa-
miliare dodecaedro dell'Heptite e il grande simbolo, alquanto sorprendente, dei Trundimoux. Perfino il marchio irradiava colori sgradevoli. Il capitano le indicò il posto dove doveva sedersi e il tenente ne provò le cinture. Con sua sorpresa, il capitano prese il posto di pilotaggio, mentre Tallaf si sedette per secondo nel tradizionale posto alla sinistra. Furono completate le formalità di rilascio con l'Autorità di Shankill, e il giunto di bloccaggio fu sganciato dalla lancia. Francu era un pilota competente, ma Killashandra aveva la precisa idea che i capitani di incrociatore raramente pilotassero umili lance dalle basi lunari. O era una tradizione dei Trundy? NON doveva prendere l'abitudine di chiamarli con il nomignolo. La lancia era fornita di videocamere esterne, cosicché Killashandra si godette la vista spettacolare di Ballybran, della piccola Shilmore, e l'abbagliante schieramento di imbarcazioni mercantili, grandi e piccole, attraccate alla base o in orbita sincrona. Probabilmente tutti erano venuti a prendere il cristallo disponibile prima del Passaggio. Si chiese se la nave di Andurs fosse ormeggiata. Quando la lancia si fece strada tra il traffico in orbita, Killashandra non vide la Rag Delta Blue Swan. L'incrociatore diventò visibile dopo poco nel breve viaggio. Era illuminato dal pianeta sull'asse più lungo, il che lo faceva sembrare più grande. Si era quasi aspettata che fosse decorato con colori violenti, ma lo scafo era del solito arancione spaziale. I velivoli telecomandati che vi erano legati erano perlopiù rappezzati e ammaccati. Poiché la lancia stava eguagliando la velocità per il contatto, lei non riuscì a stimare l'avanzata dell'incrociatore. Aveva quell'inevitabile, inesorabile, aspetto militare: «Vado in questa direzione, e nulla mi fermerà.» Il che, rifletté Killashandra, era abbastanza corretto, poiché il vascello viaggiava su una traiettoria iperbolica, utilizzando l'attrazione gravitazionale di qualsiasi sole o pianeta lo deviasse. Il capitano effettuò un preciso inserimento nell'ormeggio dell'incrociatore, e dopo un attimo la camera pressurizzata urtò con un leggero tonfo contro lo scafo. Gli uomini dell'equipaggio balzarono in piedi. Il capitano, con Tallaf un passo indietro, si fermò di colpo davanti al sedile di Killashandra. In fretta, lei sganciò la cintura, quando si rese conto di ostacolare l'uscita. Con un sibilo il portello si aprì e uno stridio acutissimo le trapanò il cervello. Il rumore cessò rapidamente com'era cominciato. Fuori, due file di uomini rigidi e riguardosi formavano un corridoio dalla lancia a un portel-
lo più grande. Lì l'aspettavano altri ufficiali, due dei quali avevano una silhuette che era femminile. Killashandra sentì uno scatto e uno strascichio dietro di sé, e con la coda dell'occhio vide gli uomini dell'equipaggio alzare il contenitore con i cristalli. Avvertì un'altra fitta di ansia per il proprio incarico. Anche se lasciare il pianeta durante il Passaggio per lei era vitale, quell'etichetta e quelle cerimonie erano l'ambiente adatto? Inspirò profondamente e avanzò a testa alta, salì sul ponte dell'incrociatore con la dignità di una regina dei tempi antichi. Le due donne sottufficiali, Tic e Tac, perché non riuscì mai a farsi ripetere i loro nomi con nient'altro che un mormorio, l'accompagnarono al suo alloggio, che le fece sembrare spaziosa la celletta da studente al Centro Musicale. In ogni caso, si disse con fermezza che Ballybran le aveva dato illusioni di grandezza, mentre le veniva mostrata l'ingegnosa disposizione delle comodità della minuscola cabina. La sistemazione limitata avrebbe ridimensionato la sua presunzione ad un livello accettabile. Tic e Tac le dimostrarono come trasformare la cuccetta in un tavolo, dove fosse conservata la brocca d'acqua - una per cabina -, il pannello dietro il quale era collocato il tri-d e il codice della libreria della nave. Le ricordarono cinque volte che l'acqua era razionata. Una toilette era astutamente nascosta, ma facilmente localizzabile grazie all'odore chimico. Il ronzio del cristallo attraverso le lamine del ponte diede a Killashandra la possibilità di suggerire loro che dovevano avere altri compiti relativi al volo. Voleva mettersi le lenti negli occhi doloranti per attenuare i colori rivoltanti che la circondavano. Inoltre, nei confini ristretti della camera, gli odori del pasto non terminato diventarono fortissimi sia per lei che per loro, ma non aveva intenzione di dividere la sua razione. I pochi bocconi che era riuscita a inghiottire su Shankill le avevano solo aguzzato l'appetito. Tic e Tac reagirono a un altro rumore penetrante e promisero di ritornare per soddisfare ogni suo piccolo desiderio, una volta che il propulsore fosse andato a pieno regime. Chiudere la porta della cabina con una mano e abbassare con un calcio la cuccetta erano due movimenti possibili contemporaneamente nel suo nuovo alloggio. Mentre Killashandra provvedeva alla fame insaziabile del suo simbionte, lesse le istruzioni delle lenti, facendo una pausa sufficiente a metterle sulle iridi. Le sfumature demoniache della cabina si attenuarono in una lieve coloritura. All'inizio, Ballybran le era sembrata così monotona! Terminò il cibo che Amon aveva impacchettato, poi cercò di calcolare
quanto tempo sarebbe passato fino al pasto successivo. Sentì che il propulsore aumentava il ritmo, ma i cristalli erano accordati bene e non le provocarono fitte dolorose. In quella fase della traversata dell'incrociatore, lei non aveva nient'altro da fare, cosicché si sistemò il più comodamente possibile sulla stretta cuccetta e si addormentò. Un altro stridio penetrante la fece balzare sulla cuccetta e la destò bruscamente. C'era un sistema per impedire a quel terribile rumore di penetrare nel suo alloggio? «Velocità di viaggio raggiunta. Da questo momento comincia la traversata dell'incrociatore! Tutti gli ufficiali a mensa. Il Membro della Corporazione, Killashandra Ree, vorrebbe farci l'onore di unirsi al gruppo?» Avrebbe dovuto anche fare qualcosa per confermare di aver ricevuto quegli annunci generali. «Membro della Corporazione Ree? È in ascolto?» «Sì, sì, certamente,» rispose il Membro della Corporazione, premendo frettolosamente la levetta sistemata bizzarramente a livello degli occhi, accanto alla sua cuccetta. «Onorata di unirmi alla mensa ufficiali.» Svuotò lo zaino sul letto, frugò tra le tuniche e i caffetani, trovò le pillole contro «le sonnolenze» di cui aveva parlato Amon, e le mise al sicuro nella tasca su una manica della tuta. Poi indossò il caffetano dalle decorazioni più elaborate e si stava chiedendo dove si trovasse la mensa ufficiali su una 78, quando un breve colpo alla porta precedette l'ingresso di Tic o Tac. «Privacy, sottufficiale, privacy. Non aprire mai la porta, finché non ti ho dato il permesso.» «Sì, sì, signora, scusi, signora, volevo...» La ragazza indietreggiò davanti alla severità di Killashandra. «Non c'è una luce per la Privacy su questa cabina?» Killashandra non poteva contemplare con serenità un facile accesso al suo alloggio né come Fuertana né come Membro della Corporazione. «Nessuna luce, signora. Questo è un vascello per ufficiali.» Il sottufficiale la guardò con ansiosa trepidazione. «Sì, del sistema Trundimoux. Ma io sono della Corporazione Heptite e mi aspetto la cortesia della Privacy ovunque io sia.» «Riferirò, signora. Nessuno di noi lo dimenticherà.» Killashandra non ne dubitò, ma doveva guadagnarsi lo stesso rispetto da parte degli ufficiali. Francu non avrebbe costituito una minaccia, ma Tallaf... Mentre seguiva Tic alla mensa ufficiali, Killashandra decise di recuperare una pianta del ponte dalla libreria, non appena ne avesse avuto l'op-
portunità. I Trundimoux stavano riadattando l'incrociatore alle proprie esigenze durante la traversata, infatti squadre di lavoro erano impegnate in vari corridoi e livelli, e tutti si fermavano a osservarla al suo passaggio. La mensa ufficiali avrebbe potuto essere una stanza gradevole, ma era miseramente ammobiliata, sulle pareti erano appesi diagrammi e stampe di computer, suggerendo che servivano a un doppio scopo. Francu la presentò formalmente ai numerosi ufficiali, alcuni dei quali immediatamente si accomiatarono perché avevano i turni di guardia. A quelli che restarono fu servita una minuscola tazza di vino scadente che il capitano ingiunse loro di portare al tavolo della mensa. Secondo il giudizio di Killashandra, l'occasione degenerò rapidamente in una pessima opera comica in cui nessuno aveva studiato i versi né conosceva la parte. Francu e il suo comandante in seconda non avrebbero mai superato i provini preliminari. Gli altri ufficiali di ponte di volo sembravano alternarsi nel porle domande convenzionali e stupide, cui lei, irritata, dava risposte oltraggiose e contraddittorie. Solo Tallaf, seduto all'altra estremità del tavolo, sembrava avere senso dell'umorismo. Il commissario di bordo, anch'egli sistemato a una scomoda distanza da lei, era l'unico extraplanetario. Poiché sembrava annoiato quanto lei, Killashandra decise di approfondirne la conoscenza, non appena fosse stato possibile. Il cibo servito era terribile, anche se a giudicare dall'appetito degli ufficiali più giovani, era evidentemente un banchetto. Killashandra non riuscì a trovare nulla sul tavolo che coincidesse con le voci dell'elenco di Antona e, con grande difficoltà, masticò e ingoiò quel cibo pesante e poco appetitoso. Quando la cena terminò, tutti balzarono in piedi e si consacrarono solennemente alle future mete del Sistema Trundimoux, contro tutti gli ostacoli e i fenomeni naturali. Killashandra riuscì a mantenere composta la propria espressione durante quell'improvvisa esplosione, soprattutto quando si rese conto che i giovani sottufficiali erano emotivamente coinvolti nelle loro affermazioni. Quando Killashandra considerò che il sistema era riuscito ad acquistare una 78 e cinque cristalli-neri, decise che forse quella inflessibile consacrazione aveva qualche merito. Anche la Corporazione ispirava i propri membri, ma verso scopi egoistici più che altruistici. Beh, i risultati del sistema Trundimoux erano ottimi, ma era dalla Corporazione che avevano fatto i loro acquisti più prestigiosi. La tavola fu sparecchiata con efficienza dal personale della mensa, e
Killashandra li osservò, visto che non c'era nient'altro da fare. Non riusciva a pensare a nulla da dire nel silenzio e temette la prospettiva di molte serate come quella. «Gradirebbe qualcosa da bere, Membro della Corporazione?» le domandò il commissario di bordo, comparendo al suo fianco. «Beh, sì, una birra di Yarra sarebbe il completamento di questa cena,» con notevole ironia, perché sarebbe stato più probabile che la birra facesse risalire quel pasto indigesto. Con suo grande stupore, il commissario le sorrise con gioia. «A lei,» e la sua enfasi sottintendeva che sarebbe dovuto essere l'ultima persona nella galassia ad avere gusti simili, «piace la birra di Yarra?» «Sì, è la mia bevanda preferita. Ne ha sentito parlare?» «Certamente, ne ho sentito parlare,» e l'allegra risata dell'uomo coinvolse anche i vicini. «Sono di Yarra. Mi chiamo Pendel, signora. Lei berrà una coppa dal mio barilotto personale!» Fece un segno a uno dei camerieri della mensa, mimò il gesto di versare con cura la birra in una coppa, e alzò due dita. «Membro della Corporazione,» disse il Capitano, intervenendo, «abbiamo vini...» «In realtà, Capitano Francu, la Corporazione Heptite ha un debole per la birra di Yarra,» disse lei, sapendo di irritare l'ufficiale, ma incapace a resistere alla tentazione. «Se non ne privo lei, commissario...» «Privarne me?» Il Tenente Commissario di Bordo Pendel era enormemente divertito da quel suggerimento. E a Killashandra non sfuggì né la sua rapida occhiata a Francu né il suo dispiacere. «Assolutamente. È un piacere per me, glielo assicuro. Glielo dico continuamente quanto è soddisfacente una buona birra di Yarra, di gran lunga superiore alle altre. Il malto e il luppolo Terrestri si sono adattati bene al nostro suolo, ma io dico sempre, a ciascuno il suo.» Le coppe furono servite e la disapprovazione di Francu crebbe, quando Killashandra sorseggiò la birra con aperta delizia, sebbene fosse leggermente sfiatata, tanto che lei si chiese da quanto tempo fosse nel barilotto di Pendel. Forse i maestri birrai della Corporazione superavano in bravura quelli della stessa Yarra. Pendel chiacchierò con lei delle varie birre dei diversi pianeti. Killashandra fu sollevata nel trovare tra i Trundy, minatori di asteroidi, almeno una persona che aveva viaggiato. Finché fossero rimasti sull'argomento del cibo e delle bevande, Killashandra avrebbe potuto dare a Pendel l'im-
pressione di aver viaggiato molto anche lei. «Ricorda molto di Yarra?» domandò l'uomo, mentre faceva segno di portare un altro giro di birre. La formulazione di quella domanda spaventò Killashandra, sebbene non ne capisse il motivo, poiché le maniere di Pendel non sottintendevano alcuna minaccia. «Di tutti i pianeti che ho visitato, è quello che ha la birra migliore e la popolazione più affabile. Mi chiedo se le due cose sono in correlazione. È da molto che ci manca?» «Troppo a lungo e non abbastanza a lungo,» ribatté lo Yarrano, mentre la sua faccia gioconda si allungava in un'espressione triste. Sospirò pesantemente, prese la nuova coppa e la sorseggiò lentamente. Killashandra non capiva come potesse essere preso dalla nostalgia per il suo pianeta con un solo bicchiere di birra sfiatata. «Ad ogni modo, è stata una mia scelta, e noi Yarrani facciamo il meglio di tutto e tutto del meglio.» Inaspettatamente, lo sgradevole segnale acustico che annunciava il cambio della guardia penetrò nella stanza. Killashandra colse l'occasione per accomiatarsi dalla mensa. Tac, Killashandra aveva visto Tic andarsene con l'equipaggio in servizio, la guidò fino alla cabina, attraverso il dedalo di scalette interne. Mentre si toglieva il caffetano, si chiese come avrebbe fatto a sopportare sei giorni di quella vita. E come avrebbe fatto a rifornire il suo simbionte con le porcherie che venivano servite? Nell'addormentarsi, pensò che la birra di Yarra sfiatata aveva un effetto soporifero maggiore di quella buona. La mattina dopo, le venne improvvisamente in mente che se Pendel aveva birra di Yarra tra le sue scorte personali, avrebbe potuto avere altre squisitezze, perciò chiese a Tic, allora in servizio, di condurla all'ufficio del commissario di bordo. Avvertì la presenza del cristallo, quando passò accanto a un portello sigillato e sprangato, sorridendo per la superflua precauzione. Chi avrebbe potuto rubare il cristallo nello spazio? O avevano paura che il cristallo irretisse gli imprudenti? Provò un grande stupore quando Tic, dopo aver semplicemente bussato sul pannello, lo tirò lateralmente ed entrò. Presumibilmente, gli Yarrani non si opponevano a casuali invasioni della loro privacy. Pendel si alzò e le diede un cordiale benvenuto in una cabina di poco più grande della sua. Tutti e tre dovevano stare vicinissimi per entrare accanto al tavolo della cuccetta. C'erano, però, un cesto di frutta e una
coppa semivuota di birra di Yarra sullo scaffale. «In che cosa posso servirla?» domandò Pendel, sorridendo a Tic mentre le faceva segno di uscire e le chiudeva la porta alle spalle. Killashandra spiegò e gli porse la lista della dieta suggerita da Antona. «Ah, io posso fornirle questo e altro. Quello che loro scelgono di mangiare,» e fece un cenno nella direzione della sezione di controllo che era al centro della nave, «va abbastanza bene, se non si è abituati al meglio. Ma lei, Membro della Corporazione...» «Killashandra, per favore...» «Sì? Beh, grazie, Killashandra. Lei è abituata al meglio che la galassia ha da offrire...» «Finché le mie urgenti esigenze di dieta saranno soddisfatte,» e Killashandra indicò la lista di Antona, «non avrò nessuna lamentela da fare.» Non poté impedirsi di guardare con desiderio il cesto di frutta. «Non ha ancora mangiato questa mattina?» Sgomento, Pendel le depositò il cesto tra le mani, le passò accanto per riaprire il pannello e urlare a Tic, che stava di guardia. «La colazione, subito, e nessuna brodaglia.» Lanciò un'occhiata alla lista. «Razioni ventitré e quarantotto e un'altra consegna di frutta.» La costernazione per dover trasmettere un ordine simile combatté con la paura sulla faccia di Tic. «Va', ragazza. Va'. Sono stato io a darti l'ordine!» La rassicurò Pendel. «E io l'ho assecondato!» aggiunse con fermezza Killashandra. Poi diede un morso a un frutto rosso per placare i tormenti del suo stomaco. Pendel richiuse il pannello e sorrise, pregustando il divertimento. «Naturalmente, Chasurt arriverà qui in un picosecondo...» Il commissario si strofinò le mani. «Quelle razioni sono sue. È il medico di bordo,» Pendel fece una smorfia, quando aggiunse, «con maggiore esperienza in congelamenti spaziali e ustioni da laser. Le razioni contengono proprio quello che è specificato nella sua lista, sono ricche di minerali, potassio, calcio e simili.» Il cibo e il medico arrivarono contemporaneamente. Ma se non fosse stato per il tranquillo intervento di Pendel, il furibondo Chasurt avrebbe prelevato la colazione di Killashandra dalle mani inerti di Tic. «Chi ha dato ordini di consegnare le mie razioni?» Chasurt, un uomo dal volto stolido, pallido, di mezza età, ricordò a Killashandra il Maestro Valdi nella sua oltraggiata indignazione. «Io!» dissero in coro Pendel e Killashandra. Pendel prese il vassoio dalle mani tremanti di Tic e lo trasferì con calma a Killashandra, che si spostò
con le razioni di Chasurt nell'angolo opposto della cabina e lasciò Pendel a impedire il tentativo di Chasurt di recuperare la colazione. Mangiando con una velocità non dovuta solo alla fame, Killashandra consumò il cereale caldo e il composto di carne di noci. Pendel tentava di far esaminare a Chasurt la lista di Antona, e Chasurt chiedeva di sapere che cosa avrebbe dovuto fare, se si fosse presentata una reale emergenza, in cui un ammalato avrebbe avuto bisogno delle razioni che quella... quella... donna evidentemente sana stava divorando. li medico non approvò l'urgenza di Killashandra. Che Pendel avesse il diritto di ordinare razioni del genere sembrava far infuriare maggiormente Chasurt, e quando ebbe terminato anche il secondo piatto, Killashandra si sentì obbligata a intervenire. «Tenente Chasurt...» «Capitano! Membro della Corporazione,» e, verde di rabbia per l'ulteriore insulto, l'uomo indicò l'emblema del grado che portava al collo. «Bene, Capitano.» Killashandra gli concesse un cenno di scusa con il capo, «Pendel ha agito a nome mio, obbedendo alle mie istruzioni, che mi sono state fermamente consegnate da Antona della Corporazione Heptite di Ballybran, Capo della Sezione Ricerche Mediche. Per il Maestro della Corporazione e per me era sottinteso che durante questa traversata i miei bisogni sarebbero stati soddisfatti. Se sarò fisicamente inabile a eseguire le installazioni, tutti i vostri sforzi saranno stati un esoso spreco, e il vostro sistema resterà senza la possibilità di comunicare. Mi è stato fatto capire che il viaggio verso il vostro sistema non è lungo, di conseguenza, non posso credere che le mie modeste esigenze di dieta intaccheranno gravemente le scorte di una 78 appena equipaggiata e annata.» Mentre lei parlava, la faccia di Chasurt aveva riflesso numerose emozioni, e Killashandra, sebbene non fosse abile come Lanzecki a leggere il linguaggio del corpo, ebbe l'impressione che Chasurt avrebbe preferito che il sistema perdesse la linea interplanetaria. Ma quella era una premessa irrazionale, e lei decise che Chasurt doveva essere uno di quei tipi troppo zelanti, che dovevano essere costantemente assecondati e adulati. Ricordò il consiglio di Amon e ne comprese l'utilità con quel tipo di personalità. «Senza voler ricordarle, Capitano Chasurt, che nella gerarchia della Federazione dei Pianeti Senzienti, in qualità di Membro della Corporazione che viaggia su incarico della Corporazione Heptite, io ho un grado più alto di chiunque altro sulla nave, compreso il Capitano Francu, le suggerisco di controllare nella sua banca dati sotto la voce Cantori di Cristallo ed essere
così rassicurato nella sua condotta nei miei riguardi, durante questa traversata. Adesso, mi passi la frutta.» Chasurt aveva intercettato il cesto, che era stato consegnato durante la replica di Killashandra. «I residui minerali sono particolarmente importanti per noi,» disse, allungando con calma una mano verso il cesto. Fu costretta a prenderlo con uno strattone. Chasurt era livido. Killashandra annuì compiaciuta a Tic e la congedò prima di chiudere la porta sull'ira di Chasurt. Pendel alzò la sua birra di Yarra alla salute di Killashandra e si appoggiò alla parete. «Il prossimo sarà il Capitano.» «A quanto pare, lei riesce a sottometterli,» disse Killashandra, tra un morso e l'altro al piccante frutto rosso. «Non possono liberarsi di me.» ridacchiò Pendel, premendosi la punta del naso e facendole l'occhiolino. «Sono un dipendente del Consorzio Minerario, non del Consiglio Trundy. Il CM conserva ancora le priorità. Oh, non sono cattivi, per essere dei tipi provinciali con il metallo in testa. Cambieranno. Adesso cambieranno di sicuro.» Pendel sposto la coppa di birra dalla direzione di Killashandra verso la cabina sigillata, dove era rinchiuso il cristallo. «Ho il sospetto che non tutti gli interessati desiderino cambiare.» Pendel scoppiò a ridere. «E quando mai è stata una novità?» Uno strano strido fu emesso dall'unità di comunicazione, e Pendel ammiccò verso Killashandra. «Qui il Capitano, commissario. Che cos'è questa storia delle razioni speciali che vengono distribuite senza consultarmi?» «Capitano Francu,» il tono di Pendel era affettato, quasi offensivo, «ritengo che gli ordini dicano che le esigenze del Membro della Corporazione Ree vadano soddisfatte da...» «Non mi hanno detto che aveva bisogno di qualcosa di speciale.» «Il Membro della Corporazione Ree non ha bisogno di nulla di speciale, ma, come le ho detto spesso, la mensa di questa nave non è universalmente nutriente o soddisfacente. Chasurt ha scorte più che sufficienti. Dovrei saperlo. Io gliele compro.» Non si sentì lo scatto alla fine del colloquio, ma la lamentela del capitano era stata accantonata. Killashandra guardò Pendel con maggiore rispetto. «Un bravo lavoratore, quel Francu. Dirige solidamente una nave, mai
persa una persona. Proprio il tipo d'uomo cui affidare la nave più nuova.» Pendel si strofinò un lato del naso e il suo ampio sogghigno alluse a tutti gli aspetti negativi del Capitano Francu, che non aveva espresso verbalmente. «Apprezzo la sua collaborazione e il suo sostegno, Pendel, quasi quanto la sua birra. Un altro favore, se possibile. Devo ascoltare tutti i rumori della nave?» Un altro ronzio stridente sottolineò la sua richiesta. «Lasci fare a me, Killashandra,» disse Pendel con gentilezza. «Nel frattempo, invierò per lei alcune razioni da tenere a portata di mano.» Fece un gesto di scusa verso i piatti e i residui ammonticchiati sui tabulati che erano sulla sua scrivania, e lei colse l'allusione. Prese anche la seconda coppa di frutta, ammiccando verso Pendel, mentre usciva. L'uomo agì efficacemente e, subito dopo che Tic l'aveva ricondotta nella piccolissima cabina, gli snervanti rumori furono attenuati. Tic entrò, dopo aver bussato con educazione e aver aspettato che Killashandra le desse il permesso, con un involto di semplice plastica bianca in ciascuna mano. Uno conteneva una varietà di razioni speciali, l'altro uno schieramento di cibi. Tic continuava a distogliere gli occhi da quel lusso, ma Killashandra percepì che ogni generosità da parte sua sarebbe stata incauta. Ringraziò Tic e la congedò fino al pasto serale alla mensa. Killashandra sapeva che doveva fare almeno un atto di presenza al giorno e sospirò al pensiero di una simile noia. Mentre continuava a sgranocchiare i preziosi involti di Chasurt, sì impegnò a studiare la pianta della coperta della 78. Anche mentre osservava, alcune sezioni venivano aggiornate e cambiate per scopi che le sfuggivano. Sarebbe stato un mercantile, una nave di linea per passeggeri o una nave scuola? Le caratteristiche tecniche non significavano nulla per lei, ma la lunghezza dei dati numerici era impressionante. Fu debitamente scortata alla mensa ufficiali, Chasurt e Francu erano fortunatamente assenti, così lei chiacchierò con Tallaf, un simpatico giovane quando non c'era il capitano a inibirlo, benché quando si accalorasse, il collo aveva la tendenza a gonfiarglisi. Ammise di essere originario del pianeta, e di essere stato istruito nei suoi compiti di ufficiale in seconda più in teoria che in pratica. La maggior parte degli altri ufficiali e dei membri dell'equipaggio erano originari dello spazio o delle stazioni. Il suo tono era lievemente malinconico, come se rimpiangesse la differenza tra se stesso e i suoi compagni. «Mi pare di capire che il vostro sistema sia stato isolato per colpa delle
scarse comunicazioni,» disse Killashandra in tono salottiero. Tallaf si guardò ansiosamente intorno. «Mi pare anche di capire che questo passo in avanti non è bene accetto da tutti.» Tallaf la guardò con timore. «Oh, andiamo, Tallaf,» disse Killashandra in tono ironico, «mi è stato chiaro fin da quando sono salita a bordo. Le assicuro che non è un fenomeno insolito.» «I Cantori di Cristallo hanno modo di andare ovunque, è vero?» Una ingenua invidia gli guizzò sul volto. «Non necessariamente. Questo è un incarico insolito per un mondo insolito e in circostanze insolite.» Tallaf si pavoneggiò un po' per l'implicito complimento al suo sistema. «Una vera conquista per un'unità politica emergente,» Killashandra era un po' sgomenta dalla sua stessa eloquenza, «acquistare una 78 e dei cristalli neri.» Mentre parlava, osservò attentamente Tallaf e decise che il giovane ingegnere era evidentemente a favore delle comunicazioni interstellari istantanee. Si chiese di sfuggita come fossero divisi i due campi opposti: spaziali contro planetari o provinciali contro galattici. Sospirò, desiderando che qualcuno le avesse fornito più dati sui Trundy. Forse non ce n'erano molti nella galattografia. Pendel arrivò, sorridendo amabilmente al gruppetto di ufficiali che stava lì intorno. Fu allora che Killashandra si rese conto che lei e Tallaf erano stati una coppia isolata. Sorrise ancora più gentilmente a Tallaf per il suo coraggio, mentre un marinaio usciva dalla cucina di bordo con due coppe di birra di Yarra. Tallaf si allontanò discretamente e Killashandra fece un brindisi a Pendel, il cui carattere allegro nascondeva evidentemente un prestigio notevole. Pendel ridacchiò. «Bravo ragazzo, quel Tallaf.» «Lui è a favore del cristallo?» «Oh, sì, davvero. Ecco perché è l'ufficiale in seconda in questo viaggio, Il suo primo viaggio.» Il sorriso affabile di Pendel era veramente appropriato, quando si guardò intorno. Killashandra era certa che egli sapesse esattamente chi dovesse esserci e chi non. «Non sono affatto male per essere un equipaggio al primo volo.» Killashandra si domandò quali fossero le insufficienze. «Un uomo cerca di raggiungere determinate mete in determinati periodi della vita,» e i suoi occhi incontrarono quelli della ragazza al di sopra dell'orlo del bicchiere di birra. «Il desiderio di avventura mi
ha portato in questo sistema due decenni e mezzo fa. Arrivai al momento giusto. Avevano urgente bisogno di un esperto commissario di bordo. Li stavano derubando sulle tariffe di trasporto.» Il tono di Pendel era carico di indignazione a quel ricordo. Poi sorrise. «Non si possono fare buoni affari senza buone comunicazioni.» «Questo è il motivo per cui il cristallo e questa 78 sono così importanti!» Inclinò il bicchiere verso di lui, come se Pendel avesse compiuto tutto da solo. «Voi Yarrani siete famosi per la vostra perspicacia. Numerosi candidati, provenienti dal vostro sistema, sono diventati Cantori di Cristallo...» Si accorse della reazione di Pendel. «Oh, su andiamo, Pendel,» continuò in tono insinuante, perché se non avesse avuto il sostegno di quell'uomo, sarebbe stata lasciata nelle mani di Chasurt, e questo non sarebbe stato conveniente. «Certamente, lei non crede alla paccottiglia spaziale sui Cantori di Cristallo?» Affettò una risatina divertita. «Certamente, no,» e Pendel si strinse con noncuranza nelle spalle, anche se il suo sorriso non era affatto sicuro. «Soprattutto ora che mi ha conosciuto e ha parlato con me, e ha scoperto che un Cantore di Cristallo è umano come chiunque altro a bordo di questa nave. O,» e Killashandra girò lo sguardo sulla mensa e sui suoi depressi occupanti, «forse anche un po' di più.» Pendel osservò i suoi colleghi ufficiali e sogghignò. «Almeno sono in grado di apprezzare una buona birra,» continuò Killashandra, sopprimendo sia l'apprensione che il divertimento. Pendel era ben lontano dall'essere il cosmopolita che gli piaceva sembrare, anche se rispetto agli altri Trundy, era discretamente informato sulla galassia. In qualche modo, Killashandra doveva sforzarsi di mantenere una distanza amichevole da lui. «Io do loro credito,» e si guardò intorno con un'espressione riguardosa. «E anche la Corporazione Heptite evidentemente dà loro credito,» Pendel aveva recuperato il proprio fondamentale ottimismo. «Ma nessuno di noi sì aspettava che sarebbe stato un Cantore di Cristallo a installare i cristalli.» «La Federazione dei Pianeti Senzienti ha il proprio piano di priorità. Non spetta a noi indagarne i motivi.» Killashandra non riusciva a ricordare da dove venisse quella frase, ma sembrava adattarsi. Per fortuna, arrivarono i piatti e i vassoi fumanti della cena, e Killashandra notò che solo a lei e a Pendel venne servito l'assortimento più appetitoso.
Senza la presenza repressiva del Capitano Francu e di Chasurt, Killashandra riuscì a coinvolgere nella conversazione la maggior parte degli ufficiali anziani. Anche se i giovani erano fin troppo timidi per parlare, lei avvertì che ascoltavano attentamente e immagazzinavano ogni parola detta. I sottufficiali erano ancora malleabili, e se fosse riuscita a influenzarli favorevolmente e a conservare la buona disposizione di Pendel con una giudiziosa adulazione, avrebbe fatto più di quanto le fosse stato richiesto dal contratto. E i Trundy avrebbero avuto bisogno di altro cristallo. Quella notte, quando si distese sulla cuccetta terribilmente dura, ripensò alla propria stravagante esibizione della sera. «Cuculo di cristallo» e «ragno di silicato», così aveva definito i Cantori di Cristallo il Maestro Valdi. Adesso le parve di saperne il motivo: l'istinto di sopravvivenza del simbionte. E a giudicare dalla reazione subconscia di Pendel nei suoi confronti, lei capì perché il simbionte restasse un segreto industriale. C'erano, decise, minacce più insidiose che dare spazio e sopravvivenza a una specie che dava rendite così alte. CAPITOLO DODICESIMO Killashandra fece buon uso dei successivi cinque giorni: Tic o Tac l'accompagnarono a fare un po' di esercizio fisico, poiché aveva accennato alla difficile natura della propria missione e alla necessità di mantenersi in forma. Il ragno di silicato preparava la ragnatela per il sonno del Passaggio. Ebbe pensieri poco lusinghieri nei riguardi della Corporazione e soprattutto di Lanzecki, per averla inviata tra persone disinformate, senza accennare al fatto che i Trundimoux fossero tanto provinciali. Prestò ascolto alle conversazioni dei subordinati, quando si rilassarono abbastanza da parlare in sua presenza, e a quelle generali, che consistevano per lo più in battute grossolane tra le squadre di lavoro. Apprese molte cose sulla storia breve e straordinaria del sistema Trundimoux e smise di chiamarli Trundy nell'intimità dei suoi pensieri. Così come aveva attratto Pendel, il sistema aveva attratto molte persone inquiete e avventurose, una percentuale delle quali non erano adatte, fisicamente o caratterialmente, ai rischi. I sopravvissuti si erano riprodotti velocemente e in gran numero, ma la selezione naturale aveva nuovamente eliminato i deboli e i meno resistenti, alcuni dei quali potevano lavorare utilmente nella relativa sicurezza delle unità minerarie più grandi. La seconda generazione - anime forti - che era sopravvissuta alla difficoltà di
togliere dall'orbita promettenti frammenti di metalli suburanici e di montare i carichi utili su lunghe file di velivoli telecomandati, aveva perpetuato i propri geni ed era diventata un'altra variante di essere umano. Quel sistema era, a modo suo, unico quanto quello di Ballybran, i requisiti di ingresso altrettanto severi e i lavoratori addestrati altrettanto rigorosamente. Una notte, mentre si destreggiava mentalmente tra due elementi - i pericoli dello spazio in opposizione ai test fisici su Shankill - Killashandra si diede a riflessioni filosofiche. La galassia non era costituita solo da satelliti fisici che giravano intorno a fiammeggianti stelle primarie, ma anche da pianeti metafisici che si sovrapponevano e si intrecciavano. In quel momento, lei era il ponte tra due sistemi astrali e tra due atteggiamenti mentali assolutamente opposti. Avrebbe usato il fascino dell'uno per sopravvivere nell'altro. I Trundimoux avevano già sviluppato alcune radicate tradizioni: la solenne consacrazione serale degli ufficiali alla sopravvivenza del loro sistema, l'adorazione dell'acqua, l'insensibilità nei confronti della morte, una bizzarra mancanza di fiducia nelle attrezzature prodotte fuori dal sistema. Questo, pensò Killashandra, era il motivo per cui si erano dati assiduamente alla trasformazione degli interni della 78. Poi, dopo aver visto alcune immagini tridimensionali delle stazioni minerarie e degli edifici costruiti nello spazio, capì. In un senso spaziale, i Trundimoux si adattavano costantemente alle necessità del loro ambiente ostile. In un altro senso, si rifiutavano di ammettere che qualsiasi altro, sistema, compreso quello di Killashandra, avesse qualcosa di degno da offrire, che non potesse essere migliorato. Killashandra ascoltò anche le opinioni più sagaci sulla opportunità delle comunicazioni interstellari. Alcuni erano scettici riguardo al fatto che il cristallo avesse funzionato, a causa di una caratteristica peculiare al sistema Trundimoux, si sosteneva, che li destinava a restare isolati. Altri pensavano che fosse uno sconvolgente spreco di tempo, energie e di prezioso metallo-credito. La contrapposizione di opinioni aveva formato due gruppi per età, che rappresentavano la prima e la seconda generazione, e aveva coinvolto perfino gli extraplanetari in missione. Nel frattempo, l'incrociatore, nella sua traiettoria iperbolica, si avvicinava rapidamente al sistema di origine. La fame di Killashandra si era placata, con sollievo sia suo sia delle scorte decrescenti di Pendel. Su Ballybran stava per avere luogo il Passaggio, e la congiunzione era imminente come la sua prima installazione. Killashandra prudentemente portava sem-
pre con sé le tavolette stimolanti. Il cambiamento nel tono del propulsore a cristalli annunciò il suo primo sonnellino. Fu svegliata dai colpi insistenti di Tic sul pannello della sua porta. «Il Capitano Francu le porge i suoi omaggi, Killashandra Ree, e la invita a seguirmi sulla plancia.» D'un tratto, Tic era molto formale, ma non tanto da non rispondere con un timido sorriso al cenno di Killashandra. Seguì la subordinata, rinfrancata dal sonno, ma si assicurò di avere con sé le stimotavolette. La plancia, erronea definizione per una cavità al centro della nave, era affollata e in attività. Tic trovò il capitano tra coloro che attorniavano la vasca dimensionale, attirò la sua attenzione, annunciò Killashandra e si ritirò. «Per favore, osservi la vasca, Membro della Corporazione,» cominciò il capitano, con le sue peggiori maniere altezzose. «Lo farei, se potessi,» disse Killashandra e, sorridendo dolcemente, inserì un fianco tra due corpi maschili e con un rapido movimento li spinse di lato, in modo da occupare il loro vantaggioso punto di osservazione. Lasciò un ufficiale tra lei e Francu, consolando il sorpreso ufficiale con un'occhiata di scusa. «Ah, sì, affascinante.» Lei era affascinata, anche se non voleva dare l'impressione di trovarsi per la prima volta su una plancia a guardare una vasca dimensionale. L'incrociatore era un minuscolo puntino, che costeggiava verso l'interno, oltre l'orbita del pianeta esterno, in direzione della stella primaria. Luci lampeggianti indicavano le maggiori stazioni minerarie nelle fasce di asteroidi; due minuscole luci fisse erano le due basi lunari. Il pianeta luminoso, il quarto dalla stella primaria, emanava una boriosa superiorità, malgrado fosse l'ultimo a essere stato colonizzato in quell'operoso sistema. «Adesso stiamo costeggiando, Membro della Corporazione, se non ha notato il cambiamento del tono del...» «I Cantori di Cristallo sono straordinariamente sensibili ai propulsori a cristallo, Capitano - una abilità professionale.» Francu irrigidì la mascella, disabituato a essere interrotto per qualsivoglia ragione. «Stiamo viaggiando su una rotta iperbolica che intersecherà l'orbita delle due stazioni minerarie, che hanno deviato dalle loro rotte per venirci incontro...» «A volte il progredire può essere pericoloso...» Francu le lanciò un'occhiata fiammeggiante. «Le basi lunari non co-
stituiscono un problema sui loro piani relativi, anche se Terris richiederà un volo più lungo con la navicella...» «Avrete difficoltà maggiori a manovrare per intercettare il vostro pianeta, non è vero?» e Killashandra indicò un punto. «Assolutamente no,» e fu la volta di Francu a essere sprezzante. «Solo una questione di frenare, usare l'attrazione planetaria, cogliere marginalmente l'attrazione gravitazionale del sole, deviare e procedere alla nostra successiva destinazione.» «È molto brillante da parte sua.» Killashandra trasalì segretamente, chiedendosi perché la più semplice spiegazione, fornita da quell'uomo, evocava il lato peggiore del suo carattere. «Deve comprendere, Membro della Corporazione, quanto siano ristretti i margini di tempo. Sono stato informato che montare il cristallo richiede non più di sei minuti. Avremo bisogno di ogni secondo disponibile per condurla sui punti di installazione e portarla via, soprattutto sul pianeta. Capisce le considerazioni spaziali?» «Mi sono sempre sembrate essenzialmente semplici, quando vengono trattate con esperienza ed efficienza, Capitano Francu. Sono certa che non ci saranno problemi.» Sei minuti. Questo le dava un margine di sicurezza, oppure Trag aveva tenuto presente la stanchezza che ben presto l'avrebbe assalita? Guardò la vasca dimensionale, con un sorriso incerto. Il problema era che, se lei avesse impiegato meno di sei minuti per installare in un punto, questo non avrebbe influito sul suo arrivo nel successivo. «Grazie, Capitano. Posso avere dei tabulati aggiornati, quando ci avviciniamo ad ogni punto di installazione?» «Certamente. Sarà avvertita diciotto minuti prima di ogni corsa della navicella.» «Così tanto?» Killashandra stava nuovamente reagendo alle maniere irritanti di Francu. «Ah, sì, devo prendere il cristallo dalla cassaforte del commissario di bordo.» «Davvero, Capitano, nessuno lo ruberà nello spazio dei Trundimoux e, finché tutti gli elementi non siano installati, sono assolutamente innocui. Il contenitore può essere assicurato nella stiva della navicella per avere un facile accesso e consentirle di risparmiare tempo.» Nel Capitano Francu lottarono l'ansia per il cristallo e i fattori di tempo. Fece a Killashandra un rigido inchino e si girò con decisione a contemplare la sua vasca dimensionale.
«Accosta al primo obiettivo e dammi una verifica di deviazione.» «Quanto manca al primo obiettivo, Capitano?» «Cinque ore, sei minuti e trentasei secondi, Membro della Corporazione.» Killashandra si allontanò dalla vasca e il suo posto fu occupato rapidamente da quelli che lei aveva allontanato. Fece un cenno a Tic, e la subordinata, con un'aria di intenso sollievo, si precipitò a guidarla lontano dalla plancia. Le sarebbe piaciuto restare a guardare l'incrociatore angolare verso la prima stazione mineraria, una faccenda delicata e noiosa, visto che vi erano coinvolte le quattro dimensioni, cinque, in realtà, se si considerava l'ossessione del capitano per il fattore temporale. Sei minuti in cui consolidare o cambiare gli atteggiamenti di tutto un sistema, sei minuti per cinque le fornivano esattamente mezz'ora di tempo primario. Killashandra sorrise tra sé e sé. Il sistema Trundimoux aveva già delle tradizioni. Lei vi avrebbe aggiunto il divertimento extrastellare. Avrebbe trasformato il piano di Francu, che si limitava a entrare e uscire dai punti di installazione, in un'occasione significativa che sarebbe stata una delle più grandi gioie per i Trundimoux. Avrebbero potuto parlare tra loro: sicuramente un momento da festeggiare più che da tenere segreto. Sei minuti non era molto tempo. Avrebbe fatto in modo che fossero abbastanza, e una nuova quantità di dicerie sui Cantori di Cristallo sarebbe stata messa in circolazione. Gli abiti dei Trundimoux erano di colori violenti, e nelle stoffe erano intessuti pezzetti di metallo per rifrangere tutta la luce disponibile. Persino le unità di supporto vitale fiammeggiavano di colori, arancioni violenti e rosa vibranti. Per quanto sfumature simili fossero sgradevoli per Killashandra, avevano uno scopo per la popolazione di Trundimoux, nata nello spazio. Mentre l'incrociatore manovrava verso la prima destinazione, la stazione mineraria chiamata Rame, lei creò il proprio costume. Nero per i cristalli che avrebbe trasportato: nero e morbido per contrastare con gli sgargianti Trundimoux con i loro abiti aderenti. Desiderò qualcuno dei cosmetici che aveva abbandonato nella sua celletta da studente su Fuerte, ma era abbastanza alta da distinguersi, con i capelli sciolti sulle spalle, abbastanza insoliti in una società di viaggiatori spaziali con capelli rasati o tagliati. Sei minuti! Quel margine di tempo la angosciava, anche se aveva montato i cristalli falsi in molto meno. Poi ricordò. Lei avrebbe maneggiato il cristallo. Avrebbe potuto perdersi nel toccare il cristallo. In quanto a que-
sto, avrebbe dovuto essere grata a Francu e alle sue precise scansioni temporali. Avrebbe potuto contare su di lui per spezzare una eventuale trance da cristallo. Ma lei non doveva cadere in trance. Questo avrebbe danneggiato l'immagine che desiderava creare. Si angustiò su questo problema, finché Tallaf non andò a prenderla. «La lancia è pronta ed è in attesa, signora,» disse, pronto e vigile e molto formale. «E il cristallo?» Tallaf si schiarì la gola; i suoi occhi evitarono quelli di Killashandra, sebbene a lei sembrasse che il giovane fosse divertito. «Il Commissario di Bordo, Pendel, ha inviato il contenitore nella stiva, in attesa del suo arrivo. È legato e assicurato.» Infatti lo era, circondato da una doppia fila di vigili guardie, che si tenevano lontane dal cristallo quanto era loro consentito dai limiti della stiva. I lati e il fondo del cartone erano assicurati con una rete, ma il coperchio era stato dissigillato. Una delle guardie aveva alla cintura un sigillatore. Killashandra camminò impettita, ricordando di tenere sollevata l'ampia gonna. «La apra,» disse, a nessuno in particolare. Ci fu una breve esitazione, poi fu Pendel a sbrigare la faccenda, ammiccandole di nascosto. Con suo grande sollievo, i cinque cristalli erano stati avvolti nella rete protettiva, prima di essere imballati per la spedizione. Non aveva bisogno di maneggiare il cristallo grezzo finché non fosse arrivata al punto di installazione. Sollevò il pacco, avvertendo il lieve shock con un doppio senso di sollievo, Il cristallo sapeva che lei era lì e rispondeva, ma offriva il proprio tempo. Ed era cristallo vero. Le era venuto l'improvviso, orrendo, pensiero che, per una serie folle di errori, fossero stati inviati i frammenti falsi. Tenne la scatola con le braccia diritte davanti a sé e si diresse all'entrata della lancia. Non appena si fu seduta, tutti sembrarono muoversi a una velocità doppia; la assicurarono al sedile e presero i propri posti, quando il portello fu chiuso. Fu rigettata contro lo schienale imbottito dall'accelerazione della lancia che si allontanava dall'incrociatore. «Siamo in ritardo, Tallaf?» domandò. «No, signora, siamo esattamente in orario.» «Quanto dista la chiusura della stazione dalle sale di comunicazione?» «Esattamente cinque minuti e venti secondi.» «In caduta libera?» La caduta libera con quella veste sarebbe stata ridi-
cola. Desiderò di aver pensato prima a quell'aspetto. Tallaf parve sorpreso. «Tutte le stazioni, tranne le piccolissime unità rivelatrici, hanno la gravità, signora.» La lancia accese i retrorazzi, schiacciandola di nuovo contro l'imbottitura. «Pensavo che fossimo in orario.» «Sì, signora, ma stiamo correggendo per eguagliare le velocità.» Ebbe luogo una seconda ondata di manovre, ma l'attracco fu poco più di un bacio affettuoso. L'equipaggio riprese a lavorare a velocità doppia e, influenzata dal loro ritmo, Killashandra si alzò ed entrò nella prima delle stazioni minerarie. I cinque minuti e venti secondi di viaggio all'interno di Rame furono trascorsi girando tra corridoi e saltando oltre telai di sicurezza. Si fece un vanto di riuscire a percorrere tutti i difficili tratti, senza né inciampare né perdere l'equilibrio, tenendo il cristallo davanti a sé in modo da vedere tutto. E molte persone si erano raccolte alle intersezioni, desiderosi di assistere alla importante occasione. È una vergogna, pensò Killashandra mentre veniva fatta entrare nel centro nervoso delle comunicazioni della Stazione Rame, che quello non fosse il punto di collegamento. Né lì né sulle altre stazioni, non sarebbe accaduto nulla di eccitante finché non fosse stato sistemato l'ultimo frammento e il loro legame avrebbe prodotto la linea istantanea. Eppure, fu cosciente degli sguardi, ostili e pensierosi, mentre si dirigeva verso il punto di installazione. Era sul livello esterno rialzato dell'enorme stanza, una posizione vantaggiosa. Killashandra salì i ripidi scalini, controllando con un'occhiata veloce i supporti per accertarsi che fossero corretti, e poi si girò verso il centro dell'area. Ruppe l'involucro di plastica e sollevò il frammento smorto e scuro. Udì gli astanti trattenere il fiato quando videro per la prima volta l'oggetto per il cui acquisto avevano dovuto ipotecare il loro sistema. Mentre sentiva i loro mormorii, il cristallo si riscaldò tra le sue mani e diventò di quel nero opaco, che gli aveva dato il nome. Le vibrò tra le mani, e prima di cadere in trance, lei fece roteare il cristallo e lo mise a posto. I bracci a pressione si mossero lentamente al suo tocco leggero. Spostò i supporti superiori fino a farli poggiare e, con un dito sul cristallo che ancora si scuriva, aumentò attentamente la pressione su ogni lato. Il cristallo cominciò a risuonare lungo le sue dita, facendole dolere la gola. Lottò contro il desiderio di carezzare il cristallo e costrinse le sue mani a completare l'installazione. Co-
me se la bella massa cristallina bruciasse, ne allontanò le mani di scatto. Prese il martelletto e colpì il cristallo montato. La sua nota pura risuonò nell'improvviso silenzio della stanza. A testa alta, uscì dalla sala, con Tallaf che correva per superarla e ricondurla alla lancia attraverso le curve e le svolte della stazione. Ogni passo l'allontanava dal cristallo, e lei si torturava per il dolore della separazione. Un atro piccolo problema che nessuno le aveva spiegato prima: che sarebbe stato così difficile lasciare il cristallo che aveva tagliato lei stessa. La breve corsa verso l'incrociatore alleviò quel dolore. Così come la stanchezza che lentamente si impossessò di lei. Decise che non poteva essere solo stanchezza per quel piccolo atto di drammatizzazione. Dovevano essere le sonnolenze di cui era stata avvertita. La congiunzione era molto vicina. Per fortuna, riuscì a restare sveglia finché non raggiunse il proprio alloggio. «Tic, se verrò disturbata per un qualsiasi motivo da chicchessia, prima della prossima stazione, farò a pezzi quella persona! Capito? E trasmettilo anche a Pendel, per essere sicuri.» «Sì, signora.» Tic era affidabile, e Pendel aveva autorità. Killashandra si coricò sulla dura cuccetta, si tirò addosso la sottile coperta e si addormentò. Le sembrò che non fosse trascorso del tempo, quando sentì un tonfo e la voce ansiosa di Tac che la chiamava con educazione, ma insistentemente. «Arrivo. Siamo arrivati alla stazione successiva?» Inghiottì lo stimolante, si costrinse a tenere gli occhi aperti, nel tentativo di apparire sveglia, quando aprì la porta. Tallaf era lì con un vassoio di cibo, che lei con un gesto imperioso rifiutò. «Ha bisogno di mangiare qualcosa, Killashandra,» disse il giovane ufficiale, in cui la preoccupazione aveva sconfitto il precedente atteggiamento formale. «Siamo alla stazione successiva?» «Pensavo che avesse prima bisogno di mangiare qualcosa.» Lei allungò una mano verso la birra di Yarra, cercando di non mostrare la ripulsione che sentiva all'odore di quello che un tempo sarebbe stato un allettante pasto. Perfino la birra aveva uno strano gusto. «Prenderò solo questa,» disse e chiuse la porta, chiedendosi se la nausea fosse dovuta alla pillola, alla birra, al suo simbionte o ai nervi. Fece un uso
illecito dell'acqua da bere e se la spruzzò in faccia. L'effetto fu salutare. Senza uno scrupolo, versò la birra di Yarra nello scarico dei rifiuti. Pendel non l'avrebbe mai saputo. Tallaf bussò di nuovo alla porta. Questa volta Killashandra era sveglia; lo stimolante aveva fatto effetto. Avanzò, sicura di sé nella sua falsa energia e cosciente che molti dell'equipaggio dell'incrociatore erano in vista, mentre lei si dirigeva verso la stiva. Pendel stava sollevando il coperchio del cartone e si fece indietro per darle la possibilità di estrarre il secondo cristallo. Tenendolo davanti a sé, con il braccio disteso, Killashandra si stava congratulando con se stessa per aver acquisito una disinvolta abitudine, quando incespicò nello scavalcare il portello della lancia. Avrebbe fatto meglio ad accorciare la gonna sul davanti, prima di arrivare all'installazione lunare. In ogni caso, nessuno aveva notato la sua lieve mancanza di grazia, e lei prese posto per la corsa. La Stazione Ferro era più grande della Stazione Rame, ma congegnata nella stessa maniera assurda per quanto riguardava scale interne, portelli e corridoi. «È più di cinque minuti e venti secondi, Tallaf,» disse, protestando con voce arcigna e chiedendosi quanto sarebbe durato l'effetto dello stimolante. «Siamo arrivati.» Ovviamente, le comunicazioni meritavano uno spazio meno frammentato rispetto alle altre funzioni delle stazioni. E la stazione più grande si rifletteva nel maggior numero di persone che affollava l'area. Killashandra strappò l'involucro intorno al cristallo nero, lo sollevò perché tutti lo vedessero, e lo depositò abilmente al suo posto, prima che la distogliesse dai suoi doveri. O forse lo stimolante aiutava a contrastare l'effetto del cristallo. Ciò nonostante, Killashandra provò di nuovo dolore ad abbandonare per sempre il frammento di cristallo scuro. Lo stimolante la tenne sveglia durante l'oscillazione lievemente più lunga per intercettare l'incrociatore. Accettò con grazia l'offerta di Pendel di una birra di Yarra ma, una volta restata sola, la versò nel canale di scarico. Scialacquò la razione d'acqua di un giorno per spegnere la sete e raggiunse la cuccetta prima che il sonno la vincesse. Le fu più difficile alzarsi, quando Tic la destò alla prima luna. Il primo stimolante la tenne sveglia nel viaggio di andata, il secondo le fece attraversare l'installazione, ma Tallaf dovette svegliarla per farla sbarcare sull'incrociatore. Pendel insisté perché mangiasse qualcosa, anche se riusciva a mala pena a tenere gli occhi aperti. Mangiò un po' di zuppa e qualche
frutto succoso, giacché aveva la bocca asciutta e la pelle secca. Provava un desiderio ardente per il cristallo che aveva consegnato per sempre su una luna senza aria. Tre stimolanti la svegliarono sufficientemente per la quarta installazione, e fu costretta a infilarsene furtivamente uno in bocca, mentre metteva il cristallo tra i supporti. Eseguì per riflesso il suo rito di grande sacerdotessa, solo marginalmente cosciente della massa confusa dei volti che seguivano ogni suo movimento e del fremito quando la pura nota del cristallo risuonò nella sala delle comunicazioni. Una cosa poteva dire a favore dei Trundimoux, quando trovavano una struttura efficiente, continuavano a ripeterla. Tutte le sale delle comunicazioni avevano lo stesso schema. Anche cieca, sarebbe riuscita a trovare la strada per il montante del cristallo. Nel ritornare indietro, incespicò di continuo nell'orlo della gonna che non aveva avuto il tempo di accorciare. Poi Tallaf la fece appoggiare al suo braccio. Lei si concentrò a sorridere con serenità agli astanti, finché non arrivò sulla lancia. Crollò con sollievo sul sedile. «Si sente bene, Killashandra?» le domandò Tallaf. «Solo stanca. Non ha idea di quanto sia difficile cedere i cristalli che hai tagliato tu stesso. Piangono quando li lasci. Fatemi dormire.» Se non fosse stato per quella casuale osservazione a Tallaf, Killashandra sarebbe stata costretta a sopportare le cure di Chasurt, perché i suoi periodi alterni di intensa vivacità e sonnolenza non erano passati inosservati. E chi si era opposto all'acquisto delle comunicazioni al cristallo non era rimasto impressionato dai piccoli blocchi opachi, ricevuti in cambio di massicci carichi di metalli di alta qualità. Nel momento in cui aveva riportato Killashandra sana e salva nella cabina, Tallaf ebbe una conversazione con Pendel. Pendel parlò rapidamente con gli altri, e Chasurt fu invitato a occuparsi di una piccola epidemia di avvelenamento da cibo, di altre due malattie che richiedevano lunghe analisi, e poi fu chiamato a consulto, ai normali intervalli degli scambi spaziali di messaggi, su un grave caso di ustione spaziale. Killashandra fu svegliata per il volo più lungo con la navicella alla superficie del pianeta, per l'ultima installazione. Il sonno prolungato era stato benefico, e sebbene le sue dita scorressero nervosamente sulla breve striscia di tavolette stimolanti che era rimasta, Killashandra pensò di rinviarne l'uso. Accettò la frutta e una bevanda al glucosio che Pendel le aveva offerto, benché avrebbe preferito di gran lunga l'acqua, anche la stantia acqua
riciclata di cui era rifornito l'incrociatore. Si sentì all'altezza della scena finale, finché non vide il contenitore di cristallo. D'un tratto, si rese conto che il frammento più grande sarebbe stato il più difficile da cedere. Non ebbe il coraggio di tenerlo in grembo durante tutto il viaggio verso la superficie del pianeta. «Portate il contenitore a bordo. Il cristallo principe sarà più sicuro in questo modo,» disse, facendo un brusco gesto. Entrò nella navicella, prima che qualcuno potesse revocare il suo ordine. Pendel e Tallaf invitarono velocemente la guardia ad eseguire, e il contenitore era già a bordo della navicella, strettamente legato, quando arrivò il Capitano Francu. Si fermò di colpo, fissò con rabbia e turbamento il cartone, e poi Killashandra, che gli sorrise amabilmente. «Lei ha trasportato personalmente gli altri cristalli, Membro della Corporazione...» «Ah, ma questo è un viaggio più lungo, capitano, e se questo cristallo non viene installato senza correre rischi nella sala principale delle comunicazioni, tutti gli altri sono inutili e questo viaggio del vostro incrociatore sarà stato un esercitazione futile.» «Capitano, i fattori temporali...» Tallaf si fece avanti, con un'espressione di cauta preoccupazione. Francu serrò le mascelle, Killashandra sentì lo scricchiolio delle mostrine di metallo quando l'uomo si legò al sedile. Si ritenne fortunata che Francu non fosse il pilota, vista la sua condizione mentale. La navicella si sganciò dall'incrociatore, sembrò restare sospesa, mentre l'incrociatore si allontanava obliquamente. In realtà, prima che gli oblò fossero chiusi, Killashandra si rese conto che era stata la navicella a compiere il movimento: l'incrociatore proseguiva inesorabilmente nella sua direzione, e nulla glielo avrebbe impedito. Aveva avuto l'intenzione di stare sveglia, ma l'urlo e il calore, che accompagnarono l'entrata nell'atmosfera del pianeta, la svegliarono da un altro irresistibile sonno. Si guardò intorno, temporaneamente frastornata dall'ambiente ignoto. In fretta, ingoiò due stimotavolette, sorridendo serenamente, come se si fosse limitata a conservare le proprie energie. La navicella si fermò completamente, prima che la medicina facesse effetto, e lei era in dubbio se prenderne una terza, quando il portello fu aperto. Improvvisamente, apparve una piattaforma di sbarco, e dal suo sedile vide l'enorme folla che si accalcava ai lati di un ampio corridoio, che con-
duceva all'enorme edificio delle comunicazioni, il cui tetto era affollato da grappoli di antenne a disco, inclinate come berretti verso il cielo, berretti alzati a salutare il proprio invecchiamento. «Il cristallo, Membro della Corporazione!» La voce acida di Francu le ricordò anche l'ultimo abbandono. Aprì il cartone e prelevò il cristallo principe, inspirò profondamente e discese la rampa di atterraggio, tenendo il cristallo davanti a sé. Aveva sempre recitato meglio con il teatro pieno, ricordò a se stessa. Le altre installazioni erano state solo delle prove in confronto a questa. L'aria fresca del pianeta era naturalmente profumata e frizzante. Respirò profondamente e avrebbe preferito non affrettare il passo di quel corteo cerimoniale. Francu la affiancò da una parte, Tallaf dall'altra, ed entrambi le mormorarono di camminare più in fretta. «È così bello respirare aria incontaminata. I miei polmoni stavano soffocando. Devo respirare.» «Deve camminare più in fretta,» disse Francu, con un sorriso che gli fece tremolare le guance, perché reagiva nervosamente alla presenza di una grande folla di persone in uno spazio aperto, più grande del suo enorme incrociatore nuovo. «Per favore, Killashandra. Siamo in ritardo,» disse Tallaf, con voce ansiosa. «Sono tutti qui per vedere il cristallo,» notò Killashandra, ma allungò il passo, tenendo l'involucro al di sopra della testa, ascoltando l'ondata di esclamazioni di sorpresa, vedendo i più vicini arretrare. La folla era lì per vedere il cristallo riuscire o fallire? Si domandò. Non era un pubblico ben disposto! Li aveva fronteggiati abbastanza da avvertire l'animosità e la paura. Avanzò verso l'ingresso dell'edificio, distanziando di qualche metro i due ufficiali spaziali. «Dovremo affrettarci, Membro della Corporazione,» disse un uomo, prendendola per un braccio quando lei attraversò la soglia. «Sì, altrimenti non rispondiamo della vostra sicurezza.» Udì il tonfo delle pesanti porte di metallo che si chiudevano dietro di lei e il rumore attutito che proveniva dall'esterno diventare più forte. «Mi è dato di capire che questo progetto non gode del favore universale, signori. Ma basterà un solo messaggio inviato e ricevuto per disperdere quella...» e indicò la folla che si accalcava intorno all'edificio.
«Da questa parte, Membro della Corporazione.» Adesso stavano quasi correndo, e lei era irritata dal fatto che l'urgenza della situazione avrebbe rovinato la sua esecuzione. Ridicolo! Che assurdità essere messi in una posizione simile! Soprattutto, quando lei era posseduta da un desiderio schiacciante di andare di nuovo a dormire. Infilò il cristallo sotto un braccio - non c'era nessuno da impressionare con gesti teatrali in quella fretta - e riuscì a buttarsi altre due tavolette in bocca. Poi fu fatta entrare nella sala principale dell'immenso edificio, dove tecnici nervosi erano interessati agli scanner di sicurezza rivolti verso l'esterno più che ai tabulati e agli schermi comuni al loro lavoro. «Fa' in fretta con questo, Killashandra,» la incitò Tallaf, mentre lei saliva gli ultimi scalini verso il livello rialzato e la nicchia vuota in cui avrebbe montato il cristallo. Strappò l'involucro di plastica con dita nervose e d'un tratto ritrovò serenità e sollievo, quando il cristallo nudo le carezzò la pelle. «Presto!» La esortò Francu. «Se questa cosa non ci darà un messaggio da Rame...» Killashandra lo fulminò con un'occhiata, ma l'antipatia per lui ruppe il tenue incanto che aveva sperato di godere. Allora sentì il rumore della folla, l'intensità crescente della sua eccitazione e della sua frustrazione. Non ebbe il coraggio di rinviare il montaggio. Né desiderava affidare il suo cristallo nero a quel sistema di selvaggi ignoranti, a quella società di mercanti di metallo, a quel... Il cristallo nero fu montato, diventando di un nero opaco quando reagì al calore della sala. «Presto!» «È andato male qualcosa?» «Non funzionerà!» «È ovvio che il cristallo canterà,» disse Killashandra, alzando il martelletto e colpendo il blocco principe. Il LA pieno e profondo del cristallo principe risuonò nella grande sala, facendo tacere l'irriverente mormorio. Killashandra fu trafitta. Il LA diventò la nota più alta dell'accordo a cinque cristalli, i due cristalli FA e i due MI le risposero attraverso il principe. La voce umana non può produrre accordi. Con il tono dominante del LA nella testa, quella fu la nota che esplose da Killashandra, quando fu assalita dallo shock del collegamento tra i cinque cristalli. Il suono come un'onda d'urto, lei stessa e il suono, il quadro risuonante, visione su visione, un fuoco nelle sue ossa, un tuono
nelle sue vene, un'esperienza che contraeva il cuore di un dolore e di un piacere così intensi e così totali, che ogni nervo nel suo corpo e ogni circonvoluzione del suo cervello echeggiarono. L'accordo tenne Killashandra in una schiavitù più assoluta della sua prima esperienza con il cristallo. Sostenendo la nota, malgrado la sofferenza che le provocava il respirare, Killashandra fu simultaneamente nelle sale delle comunicazioni delle due stazioni minerarie e delle due lune. Si frantumò in suono da un blocco di cristallo al successivo, separato e indissolubile, un frammento del primo messaggio inviato e istantaneamente ricevuto, e per sempre scisso da esso. «Rame a centrale. Rame a base centrale!» Conosceva il messaggio, perché attraversava lei così come il cristallo. Udì l'esultante risposta e l'incredula reazione alla sua simultaneità. Aveva tagliato i cristalli a questo scopo, li aveva portati nei vari posti, e li aveva condannati a cantare per gli altri. Nessuno le aveva detto che l'avrebbero fatta cantare attraverso loro in un accordo che attraversava lo spazio! «Killashandra?» Qualcuno la toccò, e lei gridò. Il contatto della sua carne con altra carne ruppe quella terrificante comunione con la linea di cristallo. Cadde in ginocchio, troppo fuori di sé per gridare, troppo stordita per resistere. «Killashandra!» Qualcuno la sollevò in piedi. Sentì l'energia del cristallo cantare attraverso il blocco principe, ma lei fu esclusa per sempre dalla sua schiavitù. «Riportatela alla navicella.» «È salvo?» «Certamente, è salvo. La linea funziona! Adesso lo sa tutto il sistema!» «Attraverso questa porta, tenente. Dovrete fare il giro. La folla blocca la strada verso la navicella.» «Non abbiamo il tempo di fare il giro.» «Fenderemo la folla. Porta lei per prima. Ci faranno passare!» «Non possono avere paura di una donna!» «Non è una donna. È un Cantore di Cristallo!» Killashandra fu cosciente di essere trasportata attraverso una fitta folla. Udì un rapido ticchettio, e degli urli alti ma gioiosi e, da qualche parte nella sezione del cervello che registrava le impressioni, lei collegò il suono e le acclamazioni con gli applausi. Tante persone così vicine erano una inattesa tortura. «Portami via di qui,» sussurrò con voce rauca, aggrappandosi disperatamente all'uomo che la trasportava.
Egli non disse nulla ma affrettò il passo, il respiro stridente per lo sforzo. Riuscì a stento a districarsi dalla sua stretta, quando un secondo uomo venne in suo aiuto. «Questo ritardo può far fallire tutta l'intercettazione.» «Capitano, non avevamo idea di quali sarebbero state le reazioni della gente. Non prevedevamo che ci sarebbe stata una simile folla. Siamo quasi arrivati ormai.» «Se perdiamo la finestra...» «Abbiamo una fregata pronta a intercettare...» «Chiudete la bocca e fatemi dormire. Smettetela di sballottarmi in questo modo.» «Dormire?» L'indignazione nella voce di Francu la svegliò brevemente dal suo torpore. «Vuole dormire quando...» «Si sistemi su questo sedile, Killashandra. Io le allaccerò la cintura.» «Bere. Ho bisogno di bere. Qualsiasi cosa. Acqua.» «Adesso no. Adesso no.» «Sì, adesso! Ho sete!» «Capitano, lei decolli. Ecco l'acqua, Killashandra.» Bevve profondamente, cosciente che il liquido era acqua, acqua vera, acqua frizzante, limpida, fresca, usata solo quella volta, per essere consumata da lei. Una parte se ne versò quando lei fu strattonata, e Killashandra protestò per la perdita e se la leccò dalle mani. Fu spinta lontano dall'acqua da una forza terribile e supplicò che gliene dessero altra. Venne ammansita, poi finalmente il peso fu sollevato, e le fu dato da bere per quanto desiderava. «Adesso si sente bene, Killashandra?» Le parve che fosse Tallaf a domandarglielo. «Sì. Adesso ho bisogno solo di dormire. Fatemi dormire finché non mi sveglio.» CAPITOLO TREDICESIMO Svegliarsi fu un processo graduale e lento. Killashandra sentì il corpo schiudersi in settori, a cominciare dalla mente che inviò assonnati messaggi alle estremità avvertendole che il movimento era nuovamente possibile. Passò attraverso una lunga serie di allungamenti e sbadigli, inframmezzati da immagini vivide e alquanto violente. Sulle prime, pensò che fossero pico-sogni ma poi capì che provenivano tutte da un solo punto di vista: il
suo! Ed era assalita da facce, applausi e da una luce che brillava dal cristallo nero. Una sensazione orgasmica nei reni completò il suo risveglio e la portò alla coscienza e al rimpianto. Quei sogni erano i graditi echi dell'unione con il cristallo nero. Cristallo! Si alzò a sedere nel letto e per poco non urtò la testa contro lo scaffale che era posto lateralmente alla cuccetta. Era sul maledetto incrociatore! Lanciò un'occhiata all'unità da polso, che confermò l'ora del video della cabina. «Tre giorni! Ho dormito tre giorni!» Antona l'aveva avvertita. Killashandra si distese per sciogliere i muscoli tesi delle spalle e della schiena. Doveva aver dormito tutti e tre i giorni nella stessa posizione per avere simili crampi. Un leggero scricchiolio sul pannello della porta attrasse la sua attenzione. «Sì?» «È sveglia, Membro della Corporazione?» C erano parecchie risposte che avrebbe potuto dare, se non avesse riconosciuto la voce di Chasurt. «Può entrare.» «È sveglia?» «Certo non le risponderei nel sonno. Avanti!» Quando il pannello si aprì, aggiunse, «E vorrebbe chiedere a Pendel se può fornirmi qualcosa di decente da mangiare?» «Mi accerterò se il cibo è consigliabile,» disse l'uomo, tenendo nella sua direzione un attrezzo diagnostico simile a quello di Antona. «Non la roba indigesta che viene servita nella mensa dell'incrociatore, ma liquidi e frutta...» «Solo se lei collaborerà...» «Sì!» Killashandra sentì che il suo atteggiamento cambiava rapidamente. «Questa fase di sonno è perfettamente normale...» «Non siamo riusciti a metterci in contatto con Ballybran per avere istruzioni specifiche...» «Per che cosa?» «La cura adatta per il suo coma prolungato...» «Io non sono stata in coma. Ha controllato nella sua libreria medica? Voglio qualcosa da bere. E da mangiare.» «Io sono il tecnomedico dell'incrociatore...» «Che non aveva mai visto un Cantore di Cristallo e che non sa niente dei
miei rischi professionali.» Killashandra si era infilata l'indumento più vicino, la sua tuta della Corporazione. Poi scese dalla cuccetta e, barcollando, oltrepassò Chasurt, che cercò invano di afferrarla. «Pendel!» Killashandra si avviò lungo il corridoio. Era sorpresa di potersi muovere così agilmente dopo la stanchezza profonda che l'aveva sopraffatta. Il simbionte prendeva, ma dava anche. «Membro della Corporazione!» Chasurt la inseguiva, ma lei era in vantaggio e aveva le gambe più lunghe. Svoltò nel corridoio del commissario, e vide Tic alla porta di Pendel, e poi scorse anche la testa del commissario. «Pendel? Muoio dalla voglia di un bicchiere di birra di Yarra! Per favore, mi dica che le è rimasta un po' di frutta? E magari una tazza di quell'eccellente brodo che mi ha offerto una volta, cento anni fa?» Quando Killashandra arrivò alla porta, Pendel le porse un bicchiere mezzo vuoto di birra di Yarra in una mano e un frutto nell'altra. Lei si infilò tra l'uomo e Tic, lasciandoli a bloccare Chasurt. «Eccola qui, Killashandra,» disse Pendel, mettendosi davanti alla soglia, in modo che Chasurt non potesse intromettersi. Tic si schierò lealmente davanti a Killashandra, come seconda linea di difesa. «Altra frutta a portata di mano. Allora, Chasurt, non si faccia confondere. Venga con me, in modo da aggiungere al brodo che porterò a Killashandra tutti gli elementi nutrienti e ricostituenti che lei ritiene indispensabili. Rimetta nelle tasche quegli stupidi spray. I Cantori di Cristallo di solito non hanno bisogno di nessun medicinale. Conosce qualcosa oltre i congelamenti spaziali e le ustioni da laser?» Pendel allontanò Chasurt, e fece segno a Tic di chiudere la porta e restare di guardia. Killashandra aveva finito la birra e aveva cominciato ad addentare il frutto. Chiuse gli occhi per il sollievo quando il succo e la polpa lenirono la sua bocca secca. Mangiò lentamente, un istinto impostole dal simbionte, che sapeva molto bene che cosa occorresse dopo il digiuno. Con disgusto, ricordò la fame folle del pre-Passaggio e fu felice che quel disturbo fosse svanito. «Signora?...» Killashandra sentì il lieve sussurro, perché nella cabina non c'era nessun altro suono oltre il suo masticare. «Tic?» Era la prima volta che la ragazza le si rivolgeva. «Signora... grazie per il cristallo!» Tic buttò fuori la frase. «L'ufficiale delle comunicazioni mi ha fatto parlare con mia madre su Rame. Subito.
Senza aspettare. Senza preoccupazioni che qualcosa andasse male e io non sentissi... L'ufficiale dice che con i cristalli posso chiamare Rame ogni volta che lo desidero!» Gli occhi di Tic erano rotondi e liquidi. «Sono contenta per te, Tic. Sono contenta per te.» Killashandra pensò che la sua risposta era stata un po' scortese, ma l'atteggiamento riverente di Tic l'aveva imbarazzata. Il pannello fu aperto all'improvviso, e Tic cercò di non cadere addosso a Killashandra, mentre il Capitano Francu, infuriato, si stagliava sulla soglia. «Il mio medico mi ha detto che lei ha rifiutato la sua assistenza.» Il cubicolo era troppo piccolo per le sue maniere prepotenti. «Non ho bisogno della sua assistenza. Sono un Cantore di Cristallo...» «Finché lei è a bordo del mio vascello, è ai miei ordini...» Killashandra si alzò, spinse Tic sulla sedia che aveva lasciato libera, e fronteggiò il capitano con un'ira più profonda della sua. Da una tasca estrasse la carta di identità della Corporazione e la ficcò tra le mani del Capitano. «Perfino lei deve riconoscere questa autorizzazione!» Pendel arrivò in quel momento, portando un vassoio carico. «Autorizzazione per le Sessioni della Federazione di Pianeti Senzienti!» Pendel trattenne il fiato mentre leggeva, e il vassoio gli ondeggiò tra le mani. «Ne ho vista solo un'altra.» «Lei è chiaramente vittima di un comportamento aberrante dovuto a un periodo di privazione...» cominciò il capitano. «Assurdità. Mi passi quel vassoio, Pendel. Grazie.» «Membro della Corporazione, mi dia ascolto!» «Sì, ma intanto mangio, visto che il mio corpo ha bisogno di nutrimento, dopo il lungo riposo.» «Lei è stata in coma...» «Io ho fatto quello che fanno tutti i Cantori di Cristallo, riposare dopo un incarico difficile e stancante. E questo è quanto desidero dire finché non avrò mangiato.» «Lei è mentalmente sofferente, giacché mi dà un'autorizzazione della FPS per ottenere del cibo.» Il Capitano Francu farfugliava. «Quell'autorizzazione sarà invocata non appena scoprirò la più vicina stazione di trasferimento...» «Lei deve restare su quest'incrociatore finché il Satellite del Sistema Cinque...» «Io resterò su quest'incrociatore solo il tempo necessario a chiamare una
navicella, una lancia o a trovare una nave in partenza dal prossimo sistema. E la mia autorizzazione mi permette di farlo. Giusto?» «Giusto,» affermò Pendel. Il capitano lo incenerì con lo sguardo, poi fissò a lungo Killashandra, senza parole per la rabbia repressa. Infine girò i calcagni e percorse il corridoio a passi pesanti. Tic, pallida per il turbamento, guardava Killashandra. «Va tutto bene, adesso, ragazza,» le disse Pendel in tono carezzevole. «Naturalmente, non parlerai di questa faccenda con nessuno, non importa quante pressioni subisca. Non penso che al Capitano Francu farà piacere ricordare l'incidente.» «Quando posso sbarcare da questa nave? Senza offesa per lei e per Tic, naturalmente.» Pendel si spostò davanti alla tastiera e digitò un codice. Occorse più tempo del solito perché il video cominciasse a ondeggiare sullo schermo, e apparvero solo quattro righe. «Non suggerirei questa. Una nave cisterna e primitive scorte di cibo.» Pendel digitò ancora. Lo schermo si riempì. «Ah. Possiamo organizzare un trasferimento su una stazione di cambio, piccola ma adeguata, per una nave Sellata, diretta verso Scoria. Normalmente, non consiglierei i Selkiti per nessun motivo, ma lei sarebbe l'unico passeggero nella sezione di supporto vitale ad ossigeno.» «Magnifico! La prenderò.» «Significa altri tre giorni a bordo di quest'incrociatore.» «Dormirò la maggior parte del tempo. Pasti leggeri quando ne avrò bisogno.» «C'è solo una cosa,» e Pendel si schiarì la gola, e abbassò la testa per non sfuggire al suo sguardo. «I Sellati arriveranno su Ballybran proprio verso la fine delle tempeste del Passaggio. L'ordine originario diceva di farla atterrare, dopo che le tempeste fossero finite.» «Oh, ha cercato nella banca dati, è vero?» disse Killashandra con un sorriso. Pendel ammiccò, e si carezzò il naso con un dito. «Ho pensato che avere delle informazioni oggettive fosse una saggia precauzione.» «Allora Chasurt ha deciso che sono state le tempeste a produrre le mie aberrazioni mentali?» «Una conclusione del genere.» «Nessuno è tanto pazzo da stare fuori con le tempeste del Passaggio. La-
sciamo il pianeta, se è possibile. Altrimenti, sopravviviamo al Passaggio dormendo!» «Ho sentito voci a proposito dell'ibernazione dei Cantori di Cristallo.» «Qualcosa di simile.» «Bene, bene. Vuole un'altra birra di Yarra, Killashandra?» Qualsiasi cosa fosse ad aver provocato in Pendel tanta soddisfazione, preferì tenerlo per sé. Bevvero insieme numerosi bicchieri, finché Killashandra non fu nuovamente sopraffatta dalla sonnolenza. Pendel la riaccompagnò nella cabina, dove si trovava di guardia Tac. Si provvide a dei pasti leggeri, e Killashandra si apprestò a dormire, benedicendo il fatto di aver preso l'autorizzazione della FPS. E che cosa aveva intenzione di fare con lei Francu, se fosse riuscito a dominarla? Darla a Chasurt per scoprire perché i Cantori di Cristallo sono diversi? Non era molto contenta di dover trascorrere altri giorni sull'incrociatore, ma poteva dormire e rilassarsi, adesso che la tensione del suo incarico era alle spalle. E lo aveva portato a termine felicemente. Trag sarebbe stato soddisfatto di lei. Anche se una certa percentuale di Trundimoux non lo era. Peccato! Eppure, le avevano dato una mano. Lei si era distrutta per dare loro una nuova tradizione. La sua esecuzione dell'installazione sul pianeta aveva trasformato una calca infuriata in una folla giubilante. Sì, si era comportata bene come Cantore di Cristallo. Avrebbe mai potuto riprovare quell'incredibile ondata di contatto, quando i segmenti di cristallo nero si erano collegati? Quell'ondata avvolgente, come se lei fosse allineata con tutti i cristalli neri della galassia? Fremette per il penoso desiderio. Distolse la mente da quel pensiero. Ci sarebbero state altre occasioni simili; di questo era ormai certa. Nel frattempo, una volta che le tempeste di Ballybran fossero finite, lei avrebbe cantato il cristallo. Cantare il cristallo? Cantare? Killashandra cominciò a ridere, ricordando come fosse entrata a testa alta nell'edificio delle comunicazioni planetarie, al centro della scena di una quasi rivolta che aveva luogo intono a lei. Lei, che recitava la parte dell'alta sacerdotessa, aveva compiuto il rituale che collegava gli elementi isolati dei Trundimoux! Un assolo, se mai ce n'era stato uno. E lei aveva recitato davanti al pubblico di un intero sistema. Che nota di apertura aveva dato nel colpire il cristallo! Che ovazione! Echi da satelliti lontani. Aveva fatto esattamente quello che un tempo si era vantata che avrebbe fatto, che ave-
va proclamato con arroganza ai suoi colleghi. Era stata il primo Cantore in quel sistema e forse l'ultimo ad apparire nel sistema dei Trundimoux. Killashandra scoppiò a ridere per la contorta ironia del caso. Rise e poi pianse, perché non c'era nessun altro, tranne lei stessa, a sapere che aveva raggiunto una meta ambita. Killashandra Ree era un Cantore, naturalmente. Un vero Cantore di Cristallo! RIPRESA «Perché è tornata adesso?» le domandò l'addetto all'entrata. «Puah? Su che tipo di mercantile ha viaggiato? Puzza.» «Selkita,» disse Killashandra, con voce cupa. Si era abituata al proprio odore all'interno degli alloggi ad ossigeno della nave Selkita. «Ci sono delle navi su cui nessuno viaggerebbe mai. Peccato che lei non sia stata avvertita.» L'addetto teneva il naso chiuso con le dita. «Me lo ricorderò, glielo assicuro.» Si avviò verso gli alloggi di passaggio della Corporazione. «Ehi, ci sono le vacanze. Le tempeste del Passaggio non sono ancora finite.» «Lo so, ma arrivare qui era più importante che aspettare che finissero le tempeste.» «Non se lei ha dovuto viaggiare con i Sellati. Ma c'è un mucchio di spazio negli alloggi regolari,» e l'uomo indicò con un pollice l'arco che lei aveva attraversato con tanta ingenuità solo pochi mesi prima. «Non ci sono ancora viaggiatori. Con il suo credito non fa nessuna differenza dove soggiorna, lo sa.» Killashandra lo ringraziò e attraversò l'ingresso azzurro iridescente verso l'albergo, cercando di ricordare com'era stata in quel tempo e incapace a credere quante cose le fossero accadute da allora. Compreso il traguardo di due ambizioni. L'odore che emanava allarmò Ford, che era ancora al banco della ricezione. «Ma lei è un Cantore. Non dovrebbe essere qui.» Il naso gli si arricciò, e lui rabbrividì e si leccò le labbra. «I Cantori hanno i loro alloggi.» «Sono pieni. Mi dia una camera e mi permetta di disinfettarmi.» Killashandra si avvicinò al banco per mettere l'unità da polso sulla piastra.
«No, no, non è necessario!» Ford le porse la chiave, con il braccio allungato per tenerla il più lontano possibile. «So che puzzo, ma puzzo così tanto?» Ford cercò di balbettare una scusa, ma Killashandra lasciò che la chiave la guidasse alla sua camera. «Le ho dato la più grande che abbiamo.» La voce di Ford la seguì lungo il corridoio. La camera era a un livello più in basso, e se l'addetto all'entrata aveva ragione - sul fatto che non ci fossero visitatori in quel momento - Killashandra cominciò a strapparsi di dosso i vestiti maleodoranti. La chiave si riscaldò davanti alla camera giusta, e lei spinse il pannello, lo chiuse e si appoggiò alla porta per togliersi gli slip e le calze. Guardò lo zaino e decise che non aveva senso disinfettare quelle cose. Ficcò tutto nell'unità per i rifiuti con un enorme senso di sollievo. Gli alloggi su Shankill avevano solo docce, ma una discreta varietà di lozioni alle erbe e alle essenze. Restò sotto i getti di acqua, il più bollente possibile, poi si strofinò fino a screpolarsi la pelle. Uscì dalla cabina-doccia, annusandosi le mani e le spalle e chinandosi a odorare le ginocchia, e decise di essere quasi decontaminata. Si stava asciugando i capelli, quando si rese conto di non avere abiti puliti da indossare. Chiamò lo spaccio e ordinò la prima tuta che apparve sul fax, poi ordinò profumi e una grande bottiglia di qualcosa di speziato. Aveva bisogno di qualche spezia nella sua vita, dopo il vascello Selkita. Bene, Pendel aveva cercato di avvertirla. A pensarci bene, perfino i Sellati erano meglio che restare nelle vicinanze di Francu o di quella testa di legno di Chasurt. Poi ricordò di togliersi le lenti e sospirò di sollievo quando nella camera spuntò il colore, un colore discreto e tranquillo. Ordinò una birra di Yarra e si chiese come Lanzecki avesse resistito al Passaggio. In isolamento sulla nave Selkita, si era riconciliata con il persistente risentimento nei confronti del Maestro della Corporazione e desiderava continuare il rapporto di amicizia con lui. La solitudine era un grande livellatore: la fetida solitudine l'aveva resa grata dei favori e delle gentilezze ricevuti. Doveva a Lanzecki molto di più di quanto valessero quelle accuse. La birra era così buona! Sollevò il bicchiere in un brindisi a Pendel. Sperò che per ogni Francu che avrebbe incontrato, ci sarebbe stato almeno un Pendel cui essere grata.
Suonò il campanello della porta. Si avvolse in un'asciugamano asciutto, chiedendosi perché l'ordine le fosse consegnato a mano invece che spedito attraverso il tubo. Sganciò la serratura della porta e stava per aprire il pannello, quando questo fu spostato dall'esterno. «Perché sei tornata adesso?» Lanzecki entrò nella stanza, incombendo con rabbia su di lei negli stretti confini della stanza. Si chiuse il pannello alle spalle e lanciò un pacchetto in direzione del letto. «Che cosa ci fai su Shankill?» Cercò di stringersi l'asciugamano intorno al seno. Lanzecki si portò entrambe le mani alla cintura e la fissò, gli occhi gli scintillavano, la faccia era severa, la bocca immobile. «Shankill offre il punto più strategico da cui valutare il flusso della tempesta.» «Allora sei sfuggito alle tempeste,» disse, con intenso sollievo. «Come desideravo che sfuggissi anche tu, ma tu sei di ritorno con giorni di anticipo!» Fece un gesto di rabbia con un braccio, come se volesse colpirla. «Perché no?» Killashandra doveva difendersi. «Ho finito quelle maledette installazioni. Le tempeste sono state brutte come previsto? Non ho sentito niente.» «Era programmato che tu ritornassi con una comoda fregata per passeggeri tra sette giorni.» La guardò attentamente. «I danni avrebbero potuto essere peggiori,» aggiunse a malincuore. Lei non capì se si riferisse a lei o alle tempeste. «Ho preso un mercantile Selkita.» «Me ne sono accorto.» Le narici gli si allargarono per il disgusto. «Ho cercato di decontaminarmi. È stato orribile. Perché non mi è stato detto niente sui Selkiti? No, mi è stato detto, ma non ho voluto ascoltare, perché non potevo restare un minuto di più su quello stupido incrociatore Trundy.» L'asciugamano cominciò ad aprirsi, mentre lei ricordava Francu. «Perché almeno non mi avete avvertito sui Trundy?» Lanzecki si strinse nelle spalle. «Non avevamo molto su di loro, ma tu almeno non avevi preconcetti o residui di ricordi parziali di altri sistemi isolati che pregiudicassero le tue azioni.» «Forse non avranno mai più a che fare con uh Cantore di Cristallo.» «Avranno a che fare con la Corporazione.» Lanzecki sorrideva, il corpo cominciava a rilassarsi, gli occhi a riscaldarsi. «Ancora più importante, Lanzecki,» e lei cercò di indietreggiare, per
stargli lontana finché non avesse terminato di esporre le proprie lamentele, «perché non mi avete avvertito dello shock da collegamento? Ho cantato il cristallo principe, con tutto il collegamento, e mi hanno steso.» «Lo shock da collegamento è forse l'unica cosa in grado di farlo.» Le poggiò le mani calde sulle spalle e la tenne con fermezza, mentre le esaminava il volto. «Nessuno può descrivere lo shock da collegamento. Viene sperimentato a livelli diversi da personalità diverse. Avvertire significa inibire.» «Senza dubbio, l'ho apprezzato!» Rise per il suo commento sarcastico e cominciò a tirarla a sé, e il suo abbraccio era l'unico modo in cui si sarebbe mai scusato con lei. «Alcune persone non sentono assolutamente nulla.» «Mi dispiace per loro.» Adesso non era stata sarcastica. «Killashandra, collegare una serie di cristalli che hai tagliato tu stessa significa creare un legame più forte con il cristallo nero.» Egli parlò lentamente, di nuovo con quel segreto dolore che lei aveva già sentito una volta nella sua voce. Si abbandonò contro il suo corpo forte, accorgendosi solo allora di quanto le fosse mancato anche quando lo aveva maledetto, felice di poter dare e ricevere conforto. «La Corporazione ha bisogno di Cantori di cristallo nero.» «È per questo che hai diretto personalmente la mia carriera, Lanzecki?» Portò la propria mano alla bocca di lui, sentendo che si ammorbidiva per il divertimento. «La mia vita professionale è dedicata alla Corporazione, Killashandra. Non dimenticarlo mai. La mia vita personale è un'altra questione, interamente privata.» Mentre parlava, le labbra sì mossero sensuali sotto le sue dita. «Mi piaci, Lanzecki,... maledizione alla tua bocca.» Scoppiò in una risata di gioia per essere di nuovo con lui. Lui le prese la mano e le baciò il palmo, e quel contatto la fece rabbrividire. «Nei decenni che ci stanno davanti, Killashandra, cercherai di tenerlo in mente?» FINE