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MICHAEL CONNELLY IL BUIO OLTRE LA NOTTE (A Darkness More Than Night, 2001) Prologo Bosch guardò attraverso lo spioncino quadrato e vide che l'uomo era solo. Estrasse la pistola dalla fondina e, come da procedura, la porse all'agente di guardia. La porta d'acciaio non era chiusa a chiave. Immediatamente un odore di sudore e vomito gli colpì le narici. «Da quanto è qui?» «Più o meno tre ore» rispose l'agente. Bosch entrò nella cella e fissò la figura bocconi sul pavimento. «Bene, puoi chiudere adesso.» «Mi chiami quando ha finito.» La porta si chiuse di colpo, con un fastidioso rumore metallico. L'uomo sul pavimento gemette, muovendosi appena. Bosch avanzò e si sedette sulla panca più vicina a lui. Estrasse il registratore dalla tasca della giacca e l'appoggiò sulla panca. Lanciò un'occhiata allo spioncino e vide la faccia dell'agente che si allontanava. Tastò con la punta della scarpa il fianco dell'uomo, che gemette di nuovo. «Svegliati, stronzo.» L'uomo girò la testa lentamente, poi la sollevò. Aveva i capelli spruzzati di pittura, mentre la camicia e il collo erano sporchi di vomito rappreso. Aprì gli occhi, ma li richiuse subito, accecato dalla luce violenta della cella. «Ancora tu» sussurrò con voce roca. Bosch annuì. «Già. Io.» Un sorriso attraversò la barba di tre giorni dell'ubriaco. Bosch vide che gli mancava un dente; l'ultima volta c'era. Appoggiò la mano sul registratore, ma non lo accese. «Alzati, è ora di fare due chiacchiere.» «Scordatelo. Non ho nessuna intenzione di...» «Sei fuori tempo massimo. Ti conviene parlare.» «Fottiti.» Bosch guardò verso la porta. Non c'era nessuno. Si rivolse di nuovo all'uomo sul pavimento.
«Devi dire la verità. Adesso più che mai. Non posso aiutarti se non dici la verità.» «Cos'è, ti sei fatto prete? Vuoi che mi confessi?» «E tu vuoi confessarti?» L'uomo sul pavimento non rispose. Dopo qualche momento Bosch pensò che si fosse riaddormentato e di nuovo spinse la punta della scarpa contro i suoi reni. L'uomo si mosse agitando scompostamente braccia e gambe. «Vaffanculo! Non voglio te! Voglio un avvocato!» In silenzio Bosch rimise il registratore in tasca, poi si chinò in avanti, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e intrecciò le mani. Quindi guardò l'ubriaco e scosse lentamente la testa. «Allora temo di non poterti aiutare.» Si alzò e cercò l'agente di guardia attraverso lo spioncino. L'uomo rimase sul pavimento. 1 «Sta arrivando qualcuno.» Terry McCaleb alzò gli occhi sulla moglie, quindi seguì il suo sguardo. Vide una macchina elettrica che si inerpicava lungo la strada sotto di loro. L'autista era nascosto dal tetto del veicolo. Erano seduti sotto al portico della casa che lui e Graciela avevano affittato su La Mesa Avenue. La vista andava dalla stretta strada ventosa fino a tutta Avalon, porto compreso, e raggiungeva, attraverso la Baia di Santa Monica, la nuvola di smog sul continente. Era stato per quella vista che avevano scelto la casa. In quel momento però, McCaleb non stava guardando il paesaggio, ma la neonata che aveva in braccio. Non vedeva altro che i grandi occhi blu di sua figlia. Quando la macchina passò sotto di loro, capì, dal numero indicato sul fianco, che si trattava di un'auto a noleggio. Probabilmente qualcuno che era arrivato dal continente con il Catalina Express. Si domandò come facesse Graciela a sapere che il visitatore stava andando da loro e non da qualcun altro. Ma non chiese nulla: le era già capitato di avere premonizioni del genere. Si limitò ad aspettare e poco dopo udì bussare alla porta d'ingresso. Graciela andò ad aprire e tornò con una donna che McCaleb non vedeva da tre anni. Jaye Winston, la detective dello sceriffo, sorrise alla vista della piccola
tra le sue braccia. Era un sorriso sincero e distratto al tempo stesso: il sorriso di qualcuno che non era venuto per ammirare un nuovo nato. McCaleb sapeva che lo spesso raccoglitore verde in una mano e la videocassetta nell'altra significavano che Winston era lì per lavoro. Qualcosa che aveva a che fare con la morte. «Terry, come stai?» chiese la donna. «Mai stato meglio. Ricordi Graciela?» «Certo. E... quella?» «Questa è CiCi.» McCaleb non usava mai il vero nome della bambina con gli altri. Preferiva chiamarla Cielo esclusivamente quando era solo con lei. «CiCi» ripeté Winston esitando, come se aspettasse una spiegazione. Poiché non arrivava, aggiunse: «Quanto tempo ha?». «Quasi quattro mesi. È grande ormai.» «Accidenti... vedo! E il... bambino... dov'è?» «Si chiama Raymond» rispose Graciela. «Terry ha lavorato con un charter oggi, così lui è andato al parco a giocare a softball con alcuni amici.» La conversazione era strana e languiva. O Jaye Winston non era realmente interessata all'argomento o non era abituata a chiacchiere tanto banali. «Gradisci qualcosa da bere?» chiese McCaleb, mentre passava la bambina alla moglie. «No, grazie. Ho preso una Coca sul traghetto.» Come se le avessero dato l'imbeccata, o forse infastidita per il passaggio da una mano all'altra, la piccola cominciò a piagnucolare e Graciela disse che l'avrebbe portata dentro. Li lasciò in piedi sotto al portico. McCaleb si avvicinò al tavolo tondo su cui mangiavano la sera, una volta messa a letto la piccola. «Accomodati» disse indicando a Winston la sedia da cui avrebbe avuto la vista migliore. La donna appoggiò il raccoglitore verde e la videocassetta sul tavolo. Terry riconobbe il fascicolo di un omicidio. «Bella» disse lei. «Sì, è meravigliosa. Potrei restare a guardarla per ore...» Si fermò e sorrise, rendendosi conto che la donna parlava della vista, non della bambina. Anche Winston sorrise. «Anche lei è bella, Terry. Davvero! E tu sembri in gran forma, così abbronzato e...»
«Ho ripreso a uscire con la barca.» «E la salute?» «A parte tutte le pillole che mi fanno ingoiare, non mi posso lamentare. Sono passati tre anni e non ho mai avuto problemi. Ormai credo di essere al sicuro, Jaye. Devo solo continuare a prendere quelle maledette pillole.» Sorrise, sembrava l'immagine della salute. Se il sole gli aveva scurito la pelle, aveva avuto l'effetto contrario sui suoi capelli che, tagliati cortissimi, erano diventati quasi biondi. Lavorare sulla barca gli aveva anche modellato i muscoli delle braccia e delle spalle. L'unica cosa che avrebbe potuto tradirlo, la cicatrice di venticinque centimetri lasciata dal trapianto, era nascosta sotto la camicia. «È fantastico» disse Jaye Winston. «Sembra che tu ti sia sistemato proprio bene. Nuova famiglia, nuova casa... lontano da tutto.» Tacque per un momento e girò la testa come se insieme alla vista dell'isola volesse cogliere l'intera vita di McCaleb. Lui l'aveva sempre trovata attraente, con quel certo fascino da maschiaccio. Aveva capelli biondo-sabbia che teneva sciolti e le arrivavano alle spalle. All'epoca in cui lavoravano insieme non si truccava mai. Occhi profondi e intelligenti, sorrideva facilmente, anche se il suo sorriso era offuscato da un velo di tristezza, come se di ogni cosa vedesse al tempo stesso l'ironia e la tragedia. Quel giorno indossava jeans e giacca neri con una maglietta bianca. Appariva calma, dura, e McCaleb sapeva che lo era. Mentre parlava, continuava a infilarsi i capelli dietro l'orecchio, e per qualche motivo lui trovava quel gesto molto tenero. Aveva sempre pensato che, se non si fosse messo con Graciela, avrebbe cercato di conoscerla meglio. E aveva anche la sensazione che lei lo sapesse. «Tutto questo mi fa sentire in colpa» continuò Jaye. «La ragione della mia visita...» McCaleb indicò con la testa il fascicolo sul tavolo «Sei venuta per lavoro. Avresti potuto telefonare. Probabilmente avresti perso meno tempo.» «Be', non proprio. Non ci hai fatto avere né il tuo nuovo indirizzo né il numero di telefono. Come se non volessi far sapere dov'eri finito.» La donna mise i capelli dietro l'orecchio sinistro e sorrise di nuovo. «Non è esatto» disse Terry. «Non credevo che a qualcuno potesse interessare sapere dov'ero finito. Allora, come hai fatto a trovarmi?» «Ho chiesto al porticciolo sulla terraferma.» «Qui lo chiamano continente.»
«Sì, sul continente. Alla capitaneria mi hanno detto che hai ancora un approdo lì, ma hai spostato la barca sull'isola. Così sono venuta e ho fatto un giro nel porto finché non l'ho trovata. C'era il tuo amico, mi ha spiegato lui come raggiungerti.» «Buddy.» McCaleb guardò giù verso il porto e trovò il The Following Sea. Era a circa ottocento metri di distanza. Riusciva a vedere Buddy Lockridge che si sporgeva a poppa. Dopo qualche istante capì che stava sciacquando i mulinelli delle canne da pesca con l'acqua dolce. «Di cosa si tratta, Jaye?» chiese senza guardarla. «Dev'essere importante, se ti sei data tanto da fare nel tuo giorno libero. Immagino che la domenica tu sia fuori servizio.» «Quasi sempre.» La donna mise la cassetta da parte e aprì il fascicolo. A quel punto Terry guardò e benché il raccoglitore fosse all'incontrario riuscì a vedere che la prima pagina era quella standard di un rapporto su un caso di omicidio, identica a tutte quelle che aveva già visto. Il punto di partenza. I suoi occhi andarono al riquadro con l'indirizzo e di nuovo riuscì a vedere che si trattava di un caso della West Hollywood. «Mi piacerebbe che tu gli dessi un'occhiata. Voglio dire, nel tuo tempo libero. Questa roba è pane per i tuoi denti. Mi piacerebbe che lo leggessi e magari mi indicassi qualche punto che ho tralasciato.» Lui sapeva che Jaye gli avrebbe chiesto questo dal momento in cui aveva visto il fascicolo, ma adesso che lo aveva fatto si sentì sovrastato da una serie di sentimenti contrastanti. Da una parte era eccitato di fronte alla possibilità di tornare alla sua vita di un tempo. Dall'altra si sentiva in colpa all'idea di portare la morte in una casa così piena di vita e felicità. Lanciò un'occhiata alla porta aperta per vedere se Graciela li stava osservando. Non c'era. «Se si tratta di un serial killer non dovresti perdere tempo: vai all'ufficio federale e chiedi di Maggie Griffin. Lei ti...» «L'ho già fatto, Terry. E ho ancora bisogno di te.» «A quando risale la storia?» «A due settimane fa.» Gli occhi della donna si alzarono dal fascicolo e si fissarono nei suoi. «Capodanno?» Lei annuì. «Il primo delitto dell'anno» disse. «Almeno nella contea di Los Angeles.
Qualcuno crede che il nuovo millennio cominci adesso.» «Credi che si tratti di un pazzo, di un fanatico del nuovo millennio?» «Credo che comunque si tratti di un pazzo. Per questo sono qui.» «Cos'hanno detto i federali? Hai portato il caso a Maggie?» «Non sei aggiornato, Terry. Maggie è tornata a Quantico. Le cose andavano a rilento qui negli ultimi anni e il Dipartimento di Scienze Comportamentali l'ha richiamata indietro. Niente più avamposto a Los Angeles. Quindi, sì, ho parlato con Maggie, ma solo al telefono. Ha fatto una ricerca tramite computer e non ha trovato un bel niente. E per quel che riguarda il profilo dell'assassino e altre informazioni sono in lista d'attesa. Lo sai che in tutta la nazione ci sono stati trentacinque delitti tra la notte di san Silvestro e il primo dell'anno tutti ispirati al nuovo millennio? Quindi all'FBI sono occupatissimi, e un dipartimento grande come il nostro è l'ultimo della lista, perché i federali ritengono che i dipartimenti più piccoli, con meno esperienza, meno competenze e meno uomini abbiano maggiormente bisogno del loro aiuto.» S'interruppe per lasciare a McCaleb il tempo di riflettere su quello che gli aveva detto. Lui capiva la filosofia dell'FBI. Era una sorta di selezione. «A me non importa aspettare un mese che Maggie o chi per lei trovi qualcosa che faccia al caso mio, ma l'istinto mi dice che il tempo è importante, Terry. Se si tratta di un serial killer, un mese potrebbe essere troppo. Per questo ho pensato di venire da te. Sto sbattendo la testa contro un muro e tu potresti essere la nostra ultima e unica speranza di andare avanti. Ricordo ancora l'Uomo del Cimitero e il Killer del Codice. So che cosa sei in grado di fare con il fascicolo e qualche immagine della scena del delitto.» Le ultime frasi erano gratuite, il suo unico passo falso fino a quel momento, pensò McCaleb. Per il resto era convinto che fosse sincera quando diceva di temere che l'assassino avrebbe colpito di nuovo. «È passato molto tempo, Jaye» iniziò. «Dopo la vicenda della sorella di Graciela non ho più voluto...» «Dai Terry, non prendermi in giro. Puoi startene seduto qui con un bambino in braccio tutti i giorni che Dio manda in terra, ma questo non cancellerà chi eri e quello che hai fatto. Ti conosco. Non ci vediamo e non parliamo da molto tempo, ma ti conosco. E so che non passa giorno in cui tu non pensi ai tuoi casi. Non uno.» Si fermò e lo guardò. «Ti hanno sostituito il cuore, non la testa. Capisci cosa voglio dire?» McCaleb tornò a guardare la barca. Adesso Buddy era seduto sulla sua
sedia preferita con i piedi appoggiati al quadro di poppa, forse con una birra in mano, anche se era troppo lontano per vederla. «Se sei così brava a capire le persone perché hai bisogno di me?» «Forse sono brava, ma tu sei il migliore. Accidenti, anche se a Quantico non fossero straimpegnati fino a Pasqua, ti avrei portato il loro profilo da controllare. Dico sul serio. Tu eri il...» «Okay, Jaye. Non hai bisogno di adularmi. Il mio ego è abbastanza soddisfatto anche senza tutte queste...» «Allora di cosa hai bisogno?» McCaleb la guardò di nuovo. «Solo di un po' di tempo. Ho bisogno di pensarci.» «Sono qui perché l'istinto mi dice che non abbiamo molto tempo.» McCaleb si alzò e si avvicinò alla ringhiera. Guardò il mare e vide che stava arrivando un Catalina Express, molto probabilmente quasi vuoto: in inverno i turisti erano pochi. «Sta arrivando il traghetto» disse. «C'è l'orario invernale, Jaye. Farai meglio a prenderlo per tornare indietro o ti toccherà passare la notte sull'isola.» «Avviserò che mandino un elicottero, se servirà. Terry, tutto quello di cui ho bisogno è un giorno, non di più. Anche solo una notte. Stanotte. Ti siedi, leggi il fascicolo, guardi la cassetta, e domattina mi chiami per dirmi quello che hai visto. Forse non sarà niente, o comunque niente di nuovo. Ma forse vedrai qualcosa che a noi è sfuggito, o ti verrà un'idea che noi non abbiamo avuto. Non ti chiedo altro. Non mi sembra molto.» McCaleb smise di guardare il traghetto e si girò appoggiandosi alla ringhiera. «Non ti sembra molto perché tu ci sei dentro. Ma io no. Io ne sono fuori, Jaye. E rientrarci, anche solo per un giorno, cambierà le cose. Sono venuto fin qui per cominciare da capo e dimenticare tutto quello in cui primeggiavo. Per diventare bravo in qualcos'altro. Come padre e come marito, tanto per cominciare.» La donna si alzò e si avvicinò alla ringhiera. Si fermò accanto a McCaleb, con il viso rivolto al paesaggio, mentre lui continuava a guardare la casa. Parlò a voce bassa. Se Graciela stava ascoltando, da dentro non l'avrebbe sentita. «Ricordi cosa mi dicesti all'epoca della sorella di Graciela? Che la vita ti aveva dato una seconda opportunità, e che ci doveva essere una buona ragione per questo. Adesso ti sei costruito una nuova vita con sua sorella e
suo figlio, e hai anche una figlia tua. È meraviglioso, Terry. Lo penso veramente. Ma non può essere la ragione che stavi cercando. Forse lo credi, ma non è così. E nel tuo intimo lo sai. Eri bravo a catturare quella gente. E adesso? Com'è catturare pesci?» McCaleb annuì leggermente e si sentì a disagio per averlo fatto così in fretta. «Lascia qui il materiale» disse. «Ti chiamo appena posso.» Si avviarono verso l'ingresso e Jaye Winston cercò con gli occhi Graciela, ma non la vide. «Probabilmente è in camera con la bambina» disse McCaleb. «Salutala da parte mia.» «Lo farò.» Seguì un silenzio imbarazzato, che lei ruppe quando McCaleb aprì la porta. «Allora, Terry, com'è essere papà?» «La cosa migliore e la cosa peggiore del mondo.» Era la sua risposta di prammatica. Ma poi rifletté un momento e aggiunse qualcosa, un pensiero che non aveva mai rivelato a nessuno, nemmeno a Graciela. «È come avere perennemente una pistola puntata alla testa.» Winston sembrava sconcertata e forse anche un po' preoccupata. «In che senso?» «Perché so che se le succedesse qualcosa, qualunque cosa, la mia vita sarebbe finita.» «Questo credo di capirlo» disse lei, e uscì. Aveva un'aria piuttosto sciocca, mentre se ne andava. Una detective esperta in omicidi a bordo di una macchina elettrica. 2 La cena domenicale con Graciela e Raymond si svolse tranquillamente. Mangiarono i branzini che McCaleb aveva pescato quella mattina, vicino all'istmo. I clienti dicevano sempre di volersi portare via il pesce, ma poi, quando arrivavano al porto, cambiavano idea. Secondo McCaleb dipendeva dall'istinto omicida dell'uomo, al quale non basta catturare la preda, deve ucciderla, anche inutilmente. Il che significava che a casa loro mangiavano spesso pesce. McCaleb lo aveva grigliato insieme ad alcune pannocchie sul barbecue
sotto al portico. Graciela aveva preparato un'insalata e delle focaccine. Entrambi bevevano vino bianco, mentre Raymond aveva un bicchiere di latte. La cena era piacevole, ma non altrettanto il silenzio che regnava tra loro. McCaleb si rese conto che il bambino aveva assorbito l'umore degli adulti. Si ricordò che anche lui faceva lo stesso da piccolo, quando i suoi genitori usavano il silenzio come un'arma. Raymond era figlio della sorella di Graciela, Gloria. Suo padre non aveva mai fatto parte del quadro. Quando Gloria era stata assassinata tre anni prima, Raymond era andato a vivere con Graciela. Lui li aveva conosciuti entrambi investigando sul caso. «Com'è andato il softball oggi?» chiese finalmente. «Abbastanza bene.» «Hai segnato qualche punto?» «No.» «Ci riuscirai, non ti preoccupare. Continua a provare e ci riuscirai.» Il bambino avrebbe voluto andare con lui quella mattina, ma i suoi clienti erano sei, e con lui e Buddy facevano otto: quello era il limite massimo sul The Following Sea secondo le regole di sicurezza della barca. McCaleb non infrangeva mai quelle regole. «Ci sarà un altro gruppo sabato prossimo e per il momento ci sono solo quattro persone. Siamo in inverno, quindi dubito che aumenteranno. Così potrai venire con noi.» Il volto scuro del bambino s'illuminò mentre annuiva vigorosamente e infilava la forchetta nella carne bianca del pesce. Le posate sembravano grandi nelle sue mani e McCaleb provò una stretta al cuore guardandolo. Raymond aveva dieci anni ed era decisamente piccolo per la sua età. La cosa lo tormentava parecchio e chiedeva spesso quando sarebbe cresciuto. McCaleb gli rispondeva sempre «Presto», ma in cuor suo non ci credeva. Sapeva che la madre era di altezza media, ma Graciela gli aveva detto che il padre era un uomo molto piccolo, sia fisicamente che moralmente, visto che era scomparso prima che Raymond nascesse. Troppo piccolo per competere con i suoi compagni, Raymond faceva sempre da riserva negli sport di squadra, così si dedicava a passatempi diversi. Pescare era la sua grande passione e McCaleb lo portava nella baia in cerca di halibut ogni volta che poteva. Quando aveva dei clienti, il ragazzino lo supplicava di farlo andare con loro e se c'era posto li accompagnava come aiuto di bordo. A fine giornata, per McCaleb era sempre un grande piacere mettere cinque dollari in una busta, chiuderla e consegnarla nelle mani del bambino.
«Avremo bisogno di te sulla torretta» continuò. «I clienti vogliono andare a sud in cerca di marlin. Sarà una giornata lunga.» «Fantastico!» McCaleb sorrise. Raymond adorava stare sulla torretta e avvistare i marlin neri che dormivano o guizzavano sulla superficie dell'acqua. E con l'aiuto del binocolo stava diventando un vero esperto. Terry guardò Graciela per condividere quel momento, ma la moglie teneva gli occhi sul piatto e sul suo volto non c'era traccia di sorriso. Raymond finì di mangiare rapidamente e chiese il permesso di andare a giocare con il computer in camera sua. Graciela gli disse di tenere basso il volume per non svegliare la piccola. Il bambino portò il suo piatto in cucina lasciando gli adulti da soli. Terry capiva le ragioni del silenzio di Graciela. Sua moglie sapeva che, pur desiderandolo, non poteva permettersi di obiettare a che lui fosse di nuovo coinvolto in un'indagine. Era stato proprio il fatto che lei gli avesse chiesto di indagare sulla morte di sua sorella a farli incontrare, tre anni prima. Le sue emozioni erano prigioniere di quell'avvenimento. «Graciela... So che non vuoi che lo faccia, ma...» «Non ho detto questo.» «Non ne hai bisogno: ti conosco e sin dal momento in cui Jaye è arrivata, ho capito che...» «Non voglio che tutto cambi, solo questo.» «Nemmeno io voglio che tutto cambi. E non succederà. Mi limiterò a guardare il fascicolo e la cassetta e a dirle quello che penso.» «Non andrà così. Ti conosco. E ti ho visto all'opera. Ti farai coinvolgere. È per questo che sei così bravo.» «Non succederà. Farò solo quello che mi ha chiesto Jaye. E non lo farò nemmeno qui. Porterò tutto quello che mi ha dato sulla barca. Così non sarà in casa. D'accordo? Non ce lo voglio qui dentro.» L'avrebbe fatto anche senza la sua approvazione, ma ci teneva ad averla. La loro relazione era ancora recente, e lui cercava sempre il suo accordo. Aveva riflettuto molto e si era chiesto se questo atteggiamento non dipendesse da un inspiegabile senso di colpa per aver avuto una seconda opportunità. Negli ultimi tre anni aveva fatto di tutto per sconfiggerlo, ma quello continuava a riapparire, come un posto di blocco ogni pochi chilometri. Sentiva confusamente che, se avesse superato il bisogno di approvazione, tutto sarebbe andato a posto. La sua cardiologa lo chiamava il senso di colpa del sopravvissuto: lui viveva perché qualcun altro era morto, e
doveva redimersi per questo. Ma McCaleb pensava che la spiegazione non fosse così semplice. Graciela aggrottò la fronte, ma questo non la rese meno bella. Aveva la pelle color del bronzo e i capelli neri le incorniciavano il viso, dove brillavano occhi così scuri che non c'era quasi differenza tra l'iride e la pupilla. La bellezza di Graciela era un'altra delle ragioni per cui McCaleb desiderava sempre la sua approvazione. C'era una sorta di potere purificatore nel suo sorriso, quando era rivolto a lui. «Terry, vi ho sentiti parlare. Ho sentito quello che Jaye diceva sul fatto che non passa giorno senza che pensi a quello che facevi prima. Rispondimi sinceramente: è vero?» McCaleb non parlò per qualche istante. Abbassò gli occhi sul piatto vuoto e poi guardò, oltre il porto, le luci sulla collina di fronte, fino alla locanda in cima al monte Ada. Annuì lentamente e la fissò di nuovo. «Sì, è vero.» «Allora quello che stiamo costruendo qui, la bambina e tutto il resto, sono tutte menzogne?» «No. Certo che no. Voi siete tutto per me e io vi proteggerò con ogni mezzo. Ma la risposta è sì: penso a quello che ero e a quello che facevo. Quando lavoravo per l'FBI salvavo delle vite, Graciela, semplicemente questo. Eliminavo un po' di malvagità da questo mondo. Lo rendevo un po' meno buio.» Indicò il porto. «Adesso ho una vita meravigliosa con te, Cielo e Raymond. E poi... vado a pescare per gente ricca che non ha niente di meglio da fare con il proprio denaro.» «Quindi vuoi entrambe le cose.» «Non so cosa voglio. Quando Jaye era qui, sapevo che stavi ascoltando. E le ho detto quello che tu volevi sentire. Ma in cuor mio avrei voluto aprire il fascicolo immediatamente e cominciare a lavorare. Jaye ha ragione, Graciela. Non mi vede da tre anni, ma mi conosce.» Graciela si alzò e girò intorno al tavolo per sedersi sulle sue ginocchia. «È che ho paura» disse. E lo attirò a sé. McCaleb tirò fuori due bicchieri alti da uno sportello della cucina e li appoggiò sul ripiano. Riempì il primo con acqua e il secondo con succo d'arancia. Poi cominciò a inghiottire le ventisette pillole che aveva allinea-
to sul ripiano, bevendo ogni tanto delle sorsate d'acqua o di succo per aiutarsi a mandarle giù. Ingoiare le pillole due volte al giorno era il suo rito, un rito che odiava. Non lo odiava a causa del sapore disgustoso che gli lasciavano in bocca - dopo tre anni non ci faceva più caso. Lo odiava perché gli ricordava quanto la sua vita dipendesse da fattori esterni. Le pillole erano il suo guinzaglio. Non sarebbe vissuto a lungo senza. E la maggior parte della sua esistenza, adesso, era costruita in modo da assicurarsi di averle sempre a portata di mano. Pianificava tutto in funzione delle pillole. Ne aveva sempre una scorta. Qualche volta se le sognava persino. Quando ebbe finito, Terry andò in soggiorno, dove Graciela stava leggendo una rivista. Lei non alzò la testa quando entrò nella stanza: un altro segno che non era contenta di quello che all'improvviso stava succedendo in casa sua. Lui rimase lì in piedi per un momento, ma vedendo che le cose non cambiavano andò in camera della bambina. Cielo stava dormendo nella culla. La luce era al minimo e McCaleb la alzò leggermente, in modo da vederla meglio. Poi si avvicinò alla culla e si chinò per sentire il respiro di sua figlia e annusare il suo profumo di neonata. Cielo aveva i colori della madre - pelle e capelli scuri - eccetto gli occhi, che erano blu come l'oceano. Le sue manine erano strette a pugno, quasi a voler dimostrare che era pronta a lottare per la vita. Quando dormiva, McCaleb era ancora più innamorato di lei. Ripensò a quanto si erano preparati, con libri, corsi, consigli degli amici e dei colleghi di Graciela che lavoravano in pediatria. Tutto per essere pronti a prendersi cura di una fragile vita, così dipendente da loro. Ma niente era stato detto, o letto, per prepararli alla cosa opposta: l'assoluta consapevolezza, sin dalla prima volta che l'aveva presa in braccio, che la sua vita dipendeva da lei. Si fece ancor più vicino e le posò una mano sulla schiena. La bambina non si mosse. Riusciva a sentire il battito del suo piccolo cuore. Sembrava veloce e disperato, come una preghiera sussurrata. Qualche volta portava la sedia a dondolo accanto alla culla e rimaneva a guardarla fino a notte fonda. Ma quella sera era diverso. Doveva andare. Aveva un lavoro da fare. Un lavoro sporco di sangue. Non sapeva se era lì semplicemente per darle la buonanotte o per ricevere un'ispirazione, una sorta di approvazione anche da lei. No, non aveva senso: aveva solo bisogno di guardarla e di toccarla prima di uscire. McCaleb raggiunse il molo e il pontile delle scialuppe. Trovò il suo Zodiac in mezzo alle altre imbarcazioni e vi salì facendo attenzione a mettere fascicolo e cassetta al riparo in modo che non si bagnassero. Tirò la corda
del motore due volte prima che si mettesse in moto, quindi si avviò lungo il canale centrale del porto. Non c'erano banchine nel porto di Avalon. Le barche erano ancorate alle boe di attracco allineate lungo la forma concava del porto naturale. Essendo inverno erano poche, ma McCaleb non tagliò attraverso le boe. Seguiva le regole della strada: non si taglia per i prati dei vicini. Faceva caldo sull'acqua e McCaleb aprì la giacca a vento. Avvicinandosi al The Following Sea vide la luce della televisione dietro le tende del salone. Significava che Buddy Lockridge non ce l'aveva fatta a prendere l'ultimo traghetto ed era rimasto a bordo. McCaleb e Lockridge lavoravano insieme. La barca era intestata a Graciela mentre la licenza per l'attività era a nome di Lockridge. Si erano conosciuti più di tre anni prima, quando McCaleb viveva sul The Following Sea a Cabrillo Marina, a Los Angeles. Buddy era il suo vicino. Avevano cominciato con il fare amicizia e poi erano diventati soci. Durante l'alta stagione, in primavera e in estate, Lockridge dormiva quasi sempre sul The Following Sea, ma d'inverno prendeva il traghetto e tornava sulla sua barca a vela a Cabrillo. Riusciva più facilmente a trovare compagnia femminile nei bar del continente che in quelli, pochi a dire la verità, dell'isola. Probabilmente sarebbe partito la mattina seguente, visto che non avrebbero avuto clienti per cinque giorni. McCaleb urtò con lo Zodiac contro il The Following Sea, spense il motore e scese con il fascicolo e la videocassetta. Legò il gommone a una galloccia di poppa e si diresse verso la porta del salone. Buddy lo stava aspettando: probabilmente aveva sentito il motore o il colpo contro la chiglia. Gli aprì la porta, aveva in mano un libro. McCaleb lanciò un'occhiata alla televisione per vedere che programma stava guardando. «Cosa succede Terrore?» gli chiese Lockridge. «Niente. Ho un lavoro da fare. Va bene se uso la cuccetta di prua?» Entrò nel salone. Faceva caldo perché Buddy aveva acceso il radiatore elettrico. «Certo. Hai bisogno di una mano?» «No grazie, non riguarda i charter.» «C'entra la donna che è venuta oggi? La detective dello sceriffo?» McCaleb si era dimenticato che Jaye era andata alla barca e aveva avuto da Buddy le indicazioni su come raggiungerlo. «Sì.» «Lavori a un caso per lei?»
«No» rispose McCaleb rapidamente, sperando di limitare la curiosità del socio. «Devo solo dare un'occhiata a del materiale e poi telefonarle.» «Fantastico amico!» «Non proprio. È solo un favore. Che cosa stai guardando?» «Oh, una scemenza. Un talk show sull'unità operativa che si occupa dei pirati informatici. Perché, lo stavi guardando anche tu?» «No... potrei prendere in prestito la televisione per un momento?» McCaleb mostrò la videocassetta e gli occhi di Lockridge si illuminarono. «Accomodati! Infila la bambina.» «No... non qui Buddy. È materiale riservato. Ti riporto la televisione non appena ho finito.» Sulla faccia di Lockridge si disegnò un'espressione delusa, ma McCaleb non se ne preoccupò. Appoggiò fascicolo e cassetta sul ripiano che separava il salone dalla cambusa, poi prese la televisione e la tolse dall'intelaiatura che le impediva di cadere in caso di mare mosso. Aveva il videoregistratore incorporato ed era pesante. McCaleb la trasportò lungo uno stretto corridoio fino alla cabina di prua, che era stata parzialmente trasformata in ufficio. Su due lati c'erano delle cuccette, ma quella in fondo a sinistra fungeva da scrivania e le due più alte erano usate da McCaleb come archivio dei suoi vecchi casi. Graciela non voleva che li tenesse in casa, dove Raymond avrebbe potuto trovarli. McCaleb era certo che di tanto in tanto Buddy avesse aperto le scatole per guardare i fascicoli, e la cosa lo infastidiva. Si sentiva spiato. Aveva anche pensato di chiudere la stanza a chiave, ma si era reso conto che sarebbe stato un errore fatale, perché lì c'era l'unico boccaporto sul soffitto della barca e, in caso di emergenza, il suo accesso doveva essere disponibile per raggiun gere il canotto. Appoggiò la televisione sulla scrivania, quindi si diresse verso il salone per recuperare il materiale di Jaye Winston. Ma in corridoio vide arrivare Buddy che portava la cassetta e sfogliava il fascicolo. «Ehi, Buddy...!» «Sembra una faccenda ben strana.» McCaleb lo raggiunse e gli tolse il fascicolo dalle mani insieme alla videocassetta. «Stavo solo dando una sbirciatina.» «Ti ho detto che è materiale riservato.» «Lo so, ma lavoriamo bene insieme noi due. Come ai vecchi tempi.» Era vero che, anche se casualmente, Lockridge gli era stato di grande
aiuto quando aveva indagato sulla morte della sorella di Graciela. Ma lì si trattava di un'indagine vera e propria. Questa era solo una supervisione. E lui non aveva certo bisogno che qualcuno gli soffiasse sul collo mentre lavorava. «Stsvolta è diverso, Buddy. Devo solo dare un'occhiata a questa roba, e nient'altro. Adesso lasciami andare, non voglio passare qui la notte.» Lockridge non obiettò e McCaleb, senza aspettare, chiuse la porta della stanza e si girò verso la scrivania. Guardando il fascicolo del delitto che teneva in mano rabbrividì, mentre la paura e il senso di colpa crescevano dentro di lui. Era giunto il momento di tornare verso il buio. Di esplorarlo e conoscerlo. Di trovare la strada per superarlo. Annuì, come parlando a se stesso, quasi a confermare che stava aspettando quel momento da molto tempo. 3 L'immagine era nitida e la luce buona. Le tecniche di ripresa erano migliorate parecchio da quando McCaleb aveva smesso di lavorare. Il contenuto però non era cambiato. McCaleb aveva davanti agli occhi la scena del delitto nuda e cruda. Bloccò l'immagine per studiarla. Nella cabina regnava un silenzio rotto solo dal dolce sciabordio dell'acqua contro la barca. Al centro dell'immagine c'era il corpo nudo di quello che sembrava un uomo legato con una corda da imballaggio, braccia e gambe erano piegate dietro al torace tanto da far assumere al corpo, a faccia in giù su un tappeto vecchio e sporco, una posizione fetale all'incontrario. L'inquadratura era troppo stretta per intuire dove si trovasse. McCaleb capì che si trattava di un uomo solo dalla massa muscolare, perché la testa non era visibile, coperta interamente da un secchio di plastica grigia. McCaleb riuscì a vedere che la corda era stata tesa dalle caviglie lungo la schiena della vittima fino al bordo inferiore del secchio e poi girata intorno al collo. A una prima occhiata, la vittima sembrava legata in modo tale che fosse il peso delle gambe a stringere la corda intorno al collo, provocando asfissia. Quindi alla fine il tipo si era ucciso da solo, non riuscendo a resistere con le gambe piegate in una posizione così faticosa. McCaleb continuò a studiare la scena. C'era un filo di sangue che andava dal secchio al tappeto; ciò significava che con ogni probabilità tolto il secchio avevano trovato una ferita sulla testa. McCaleb si appoggiò allo schienale della vecchia sedia da ufficio. Non
aveva ancora aperto il fascicolo. Preferiva iniziare con la cassetta, per studiare la scena del delitto nel modo più simile a come l'avevano fatto i detective. Era già affascinato da quello che stava guardando. La scena sullo schermo suggeriva l'adempimento di un rituale. E lui sentiva l'adrenalina scorrergli nel sangue. Premette il pulsante sul telecomando e la cassetta ripartì. L'obiettivo si allontanò dal corpo nel momento in cui comparve Jaye Winston. Adesso McCaleb riusciva a vedere qualcosa di più della stanza, che sembrava far parte di una casa o di un appartamento piccolo e scarsamente ammobiliato. Jaye era vestita come quel pomeriggio, quando si era presentata a casa sua. In più indossava un paio di guanti di gomma che si era tirata fin sopra i polsini della giacca. E aveva il distintivo, appeso a una cordicella intorno al collo. Si mise alla sinistra del corpo mentre il suo partner, un detective che McCaleb non riconobbe, prendeva posto a destra. Per la prima volta si udirono delle voci. «La vittima è stata già esaminata dal coroner ed è stata lasciata sulla scena del delitto per le indagini» disse Jaye Winston. «La vittima è stata fotografata in loco. Adesso toglieremo il secchio per procedere a ulteriori accertamenti.» McCaleb sapeva che la donna stava scegliendo con cura le parole e l'atteggiamento. Perché aveva già in mente il futuro. Un futuro che avrebbe incluso un processo a un assassino, durante il quale la videocassetta sarebbe stata vista dalla giuria. Doveva apparire professionale e obiettiva, completamente distaccata da quello che aveva davanti. Qualunque deviazione avrebbe potuto dare l'opportunità all'avvocato difensore di richiedere l'eliminazione della cassetta dalle prove. Jaye si mise i capelli dietro le orecchie, poi appoggiò entrambe le mani sulle spalle della vittima e con l'aiuto del partner girò il corpo dalla sua parte, voltando le spalle alla telecamera. A quel punto la telecamera si spostò sulla schiena della vittima e si avvicinò, mentre Jaye toglieva delicatamente il manico del secchio da sotto il mento e procedeva a sfilarlo dalla testa. «Ecco fatto» disse. Mostrò l'interno del secchio alla telecamera - c'era del sangue rappreso quindi lo sistemò in uno scatolone dove venivano raccolte le prove. Si girò di nuovo e osservò la vittima. Un nastro isolante grigio era stato avvolto intorno alla testa in modo da
formare uno stretto bavaglio sulla bocca. Gli occhi erano aperti e gonfi, e le cornee e la pelle delle palpebre arrossate da un'emorragia. «PC» disse il partner indicando gli occhi. «Kurt» disse Winston, «c'è l'audio!» «Scusa.» La donna stava avvertendo il partner di tenere le sue osservazioni per sé. Di nuovo, stava salvaguardando il suo futuro. McCaleb sapeva che il partner stava indicando una petecchia congiuntivale, un tipo di emorragia molto comune in caso di strangolamento. In ogni caso, quel tipo di osservazione doveva essere fatta da un medico, non da un detective della Omicidi. Il sangue si era coagulato sui capelli del morto ed era colato nel secchio lungo il lato sinistro della faccia. Winston cominciò a muovere la testa passando le dita tra i capelli in cerca della ferita. Alla fine la trovò sulla calotta cranica. Scostò i capelli il più possibile in modo da renderla visibile. «Barney, riesci ad avvicinarti?» disse. La telecamera si mosse. McCaleb vide un piccolo squarcio rotondo, che probabilmente non aveva oltrepassato il cranio. Sapeva che la quantità di sangue non sempre era proporzionale alla gravità della ferita. Comunque ne avrebbe trovato una descrizione accurata nel referto di autopsia. «Barn, riprendi questo» disse Winston, la voce ebbe un picco rispetto alla precedente monotonia. «C'è scritto qualcosa qui sul nastro.» Se n'era accorta spostandogli la testa. La telecamera si avvicinò. McCaleb riuscì a vedere delle lettere molto leggere in corrispondenza della bocca. Sembrava che le lettere, scritte con l'inchiostro, fossero state cancellate dal sangue. Scorse con chiarezza una parola. «Cave» lesse ad alta voce. «Cave?» Poi pensò che poteva trattarsi solo della parte di una parola, ma non gli veniva in mente niente, a parte caverna, che contenesse le lettere in quell'ordine. Fermò l'immagine e guardò. Era affascinato. Ciò che stava vedendo lo riportava ai giorni in cui stendeva i profili dei serial killer, quando ogni caso lo lasciava con la stessa domanda: Quale mente oscura ha potuto partorire questo? Le parole di un assassino avevano sempre un senso preciso e collocavano il caso a un livello più alto. La loro presenza significava che l'omicidio era una dichiarazione, un messaggio dell'assassino alla vittima, e quindi, in seguito, degli investigatori al mondo.
Si alzò e tirò giù dalla cuccetta una delle scatole facendola cadere pesantemente sul pavimento. Tolse il coperchio e scartabellò tra i fascicoli in cerca di un blocco per appunti con delle pagine vuote. Finalmente trovò un fascicolo che conteneva solo un blocco e un modulo BAR, quello che veniva utilizzato per la richiesta di aiuto al Bureau. Segno che si trattava di un caso breve e che il blocco doveva avere un bel po' di pagine vuote. Lo sfogliò constatando che, come prevedeva, era quasi intonso. Poi tirò fuori il modulo e lesse di che caso si trattava. Se ne ricordò immediatamente, perché l'aveva risolto con una telefonata. La richiesta di aiuto era arrivata da un detective di una piccola città del Minnesota, White Elk, quasi dieci anni prima, quando McCaleb lavorava ancora a Quantico. Il rapporto del detective parlava di una rissa tra due ubriachi che vivevano insieme, i quali si erano poi sfidati a duello, uccidendosi a vicenda sparandosi contemporaneamente da una decina di metri di distanza, sul retro della casa. Il detective era rimasto sconcertato da qualcos'altro. Durante la perquisizione gli investigatori avevano fatto una strana scoperta nel freezer della cantina: un sacchetto contenente dozzine di tamponi vaginali usati. Erano di varie marche e da un'analisi preliminare su alcuni campioni era risultato che il sangue mestruale apparteneva a donne diverse. Il detective non capiva di cosa si trattasse, ma temeva il peggio. Quello che voleva dal Dipartimento di Scienze Comportamentali dell'FBI era un'idea su cosa potessero significare e su come procedere. Più precisamente voleva sapere se i tamponi potevano essere una sorta di macabro souvenir conservato da un serial killer, o eventualmente anche da due, che non erano stati scoperti finché non si erano uccisi a vicenda. McCaleb sorrise ripensando al caso. Era già incappato in tamponi conservati nei freezer. Aveva chiamato il detective e gli aveva fatto tre domande. Che lavoro facevano i due uomini? Oltre alle armi usate per il duello, nell'appartamento erano stati trovati fucili o una licenza di caccia? E, per finire, quando cominciava la stagione della caccia all'orso nel Minnesota? Le risposte del detective avevano risolto immediatamente il mistero dei tamponi. I due uomini lavoravano all'aeroporto di Minneapolis per una ditta che aveva in appalto le pulizie degli uffici commerciali. Nella casa erano stati trovati diversi fucili, ma nessuna licenza di caccia. E, per finire, alla stagione della caccia all'orso mancavano tre settimane. McCaleb aveva detto al detective che a quanto pareva i due uomini non erano serial killer. Verosimilmente raccoglievano i tamponi dai contenitori
delle toilette, se li portano a casa e li congelavano. Quando la stagione della caccia fosse cominciata, li avrebbero scongelati e li avrebbero usati come esca per gli orsi, che, si sa, riescono a sentire l'odore del sangue da grande distanza. La maggior parte dei cacciatori usa la spazzatura come esca, ma niente è meglio del sangue. McCaleb si ricordava che il detective sembrava deluso di non avere un paio serial killer per le mani. Oppure si era imbarazzato all'idea che un agente dell'FBI seduto alla scrivania di Quantico avesse risolto il mistero; o forse era semplicemente seccato perché il suo caso non avrebbe avuto un'eco nazionale. Aveva riagganciato bruscamente e non si era mai più fatto vivo. McCaleb strappò le poche pagine di appunti dal blocco, le infilò nella cartelletta insieme al modulo BAR e rimise il fascicolo al suo posto. Quindi richiuse la scatola e la rimise al suo posto sulla cuccetta, spingendola con tanta forza da farla sbattere contro la paratia. Tornato a sedersi, diede un'occhiata all'immagine fissa sullo schermo e poi alle pagine bianche del blocco. Infine estrasse la penna dal taschino della giacca e stava per mettersi a scrivere quando la porta della cabina si aprì all'improvviso e apparve Buddy Lockridge. «Tutto bene?» «Perché?» «Ho sentito un colpo: ha tremato tutta la barca.» «Sto bene Buddy, ho solo...» «Oh cristo! E quello che diavolo è?» Stava fissando lo schermo. McCaleb afferrò il telecomando e spense. «Buddy, ascolta, ti ho detto che è materiale riservato e non posso...» «Okay, okay, lo so. Stavo solo controllando che non fossi caduto o altro.» «Ti ho detto che è tutto a posto.» «Sarò di sopra per un po', se hai bisogno di qualcosa.» «Non avrò bisogno di nulla, comunque grazie.» «Stai consumando un sacco di elettricità. Dovrai accendere il generatore domani, dopo che me ne sarò andato.» «Non ti preoccupare, lo farò. Ci vediamo dopo Buddy.» L'amico indicò lo schermo vuoto. «È pazzesco!» «Ciao, Buddy» disse McCaleb impaziente. Si alzò e chiuse la porta, questa volta a chiave. Tornò alla sedia e al
blocco. Cominciò a scrivere e in pochi secondi aveva buttato giù una lista. «SCENA 1. Legatura 2. Nudo 3. Ferita alla testa 4. Nastro/bavaglio "Cave"? 5. Secchio?» Studiò la lista per qualche minuto, aspettando un'idea, ma non gliene venne nessuna. Era troppo presto. Istintivamente sapeva che la parola sul nastro era una chiave, ma non sarebbe stato in grado di servirsene finché non avesse avuto l'intero messaggio. Combatté l'impulso di aprire il fascicolo del delitto. Invece, riaccese la televisione e fece andare avanti la cassetta. La telecamera adesso era sulla bocca del morto e sul nastro che la chiudeva. «Lo lasciamo per il coroner» disse Winston. «Sei riuscito a riprendere qualcosa Barn?» «Fatto» rispose l'invisibile operatore. «Okay, vai dietro e guarda queste legature.» La cinepresa seguì lo spago da imballaggio dal collo fino ai piedi. Lo spago formava un cappio intorno al collo e passava attraverso un nodo lasco, quindi scendeva lungo la spina dorsale fino alle caviglie, attorno alle quali era stato girato diverse volte e tirato al punto che i talloni della vittima erano appoggiati alle natiche. I polsi erano legati con un altro pezzo di spago cui erano stati fatti fare sei giri prima di essere fermato con un nodo. La legatura aveva provocato dei solchi profondi sulla pelle di polsi e caviglie, il che dimostrava che la vittima aveva lottato per un po', prima di soccombere definitivamente. Quando la ripresa sul corpo fu terminata, Winston disse all'invisibile operatore di fare una sorta di inventario visivo di tutte le stanze dell'appartamento. La telecamera fece una panoramica del soggiorno. Sembrava che tutto in quella casa provenisse da un magazzino di roba usata: mancava di uniformità, non c'era un mobile che si accordasse a un altro. Le poche stampe alle pareti erano dello stesso tipo degli acquerelli che si trovavano nelle stanze dei motel dieci anni prima. In fondo alla stanza c'era una vetrina per i
piatti, che conteneva qualche libro, ma neanche un piatto. In cima al mobile c'era qualcosa che colpì l'attenzione di McCaleb. Un gufo alto una sessantina di centimetri che sembrava dipinto a mano. McCaleb ne aveva già visti diversi, specialmente a Cabrillo Marina e ad Avalon Harbor. Di solito erano di plastica vuota e venivano messi sugli alberi o sui ponti dei motoscafi nel tentativo, in genere vano, di spaventare gabbiani e altri uccelli. La teoria era che, scambiando il finto predatore per uno vero, si sarebbero tenuti alla larga dalla barca, evitando così di sporcarla con i loro escrementi. McCaleb aveva visto i gufi anche fuori dagli edifici pubblici, dove i piccioni erano una vera piaga. Ma non aveva mai visto né sentito di un gufo di quel genere tenuto in casa come un soprammobile, anche se sapeva benissimo che la gente collezionava di tutto. Aprì rapidamente il fascicolo e trovò il rapporto con l'identificazione della vittima. Era un imbianchino. McCaleb lo richiuse pensando per un momento che l'uomo avesse tolto il gufo da una stanza che doveva dipingere. Riavvolse il nastro e guardò di nuovo la panoramica, dal corpo alla vetrina con il gufo in cima. Gli sembrò che la telecamera avesse fatto un giro di 180 gradi, il che significava che il gufo era esattamente di fronte alla vittima e guardava in basso verso la scena del delitto. Benché ci fossero altre possibilità, l'istinto gli diceva che quel gufo era in qualche modo parte della scena. Prese il blocco e segnò il gufo come sesto punto della sua lista. Il resto della cassetta non suscitò in lui il minimo interesse. Mostrava le altre stanze dell'appartamento della vittima: camera da letto, bagno e cucina. Non vide altri gufi e non prese altri appunti. Quando arrivò alla fine riavvolse il nastro e lo guardò una seconda volta. Niente di nuovo catturò la sua attenzione. Espulse la cassetta e la rimise nel suo contenitore. Quindi riportò la televisione nel salone, e la fissò al telaio. Buddy era spaparanzato sul divano e stava leggendo il suo libro. Non aprì bocca e McCaleb suppose che fosse arrabbiato perché gli aveva chiuso la porta in faccia. Pensò di scusarsi, ma poi decise di lasciar perdere. Buddy era troppo ficcanaso per i suoi gusti, da sempre. Forse questa volta l'avrebbe capito. «Che cosa stai leggendo?» gli chiese. «Un libro» rispose Lockridge senza alzare la testa. McCaleb sorrise tra sé. Adesso era sicuro di aver fatto centro. «Be', c'è la TV, se vuoi guardare il telegiornale o qualcos'altro.»
«Il telegiornale è finito.» McCaleb guardò l'orologio. Mezzanotte. Non si era reso conto di quanto tempo fosse passato. Non era una novità: al Bureau era normale per lui lavorare all'ora di pranzo o fino a notte fonda, quando era immerso in un caso. Lasciò Buddy che gli teneva il broncio e tornò in ufficio. Poi chiuse di nuovo la porta a chiave, rumorosamente. 4 Dopo aver aperto il blocco su una pagina nuova, McCaleb prese il fascicolo del delitto, e ne estrasse tutti i documenti, facendone una pila ordinata sul tavolo. Era una sua piccola mania: non gli era mai piaciuto riguardare i casi sfogliando le pagine del raccoglitore. Iniziò a leggere attentamente le sintesi investigative in ordine cronologico. In un batter d'occhio era completamente immerso nell'indagine. A mezzogiorno di lunedì 1° gennaio era giunta una chiamata anonima al bancone della stazione sussidiaria del Dipartimento dello Sceriffo della Contea di Los Angeles. La voce maschile al telefono aveva detto che c'era un uomo morto nell'appartamento 2B del Grand Royale sulla Sweetzer, vicino a Melrose. L'uomo aveva riagganciato senza dare il nome. Poiché la chiamata non era arrivata sulla linea delle emergenze, non era stata registrata, e il telefono del bancone non era dotato del sistema per rintracciare le chiamate. Un paio di agenti di pattuglia erano stati mandati all'appartamento e avevano trovato la porta socchiusa. Dopo aver bussato senza ottenere risposta erano entrati e avevano constatato che la voce anonima aveva dato un'informazione esatta: nell'appartamento c'era un uomo morto. Gli agenti avevano chiamato la Squadra Omicidi. Il caso era stato assegnato alla coppia Jaye Winston e Kurt Mintz, con Winston come leader. La vittima era stata identificata come Edward Gunn, un quarantaquattrenne che faceva l'imbianchino e viveva da solo a quell'indirizzo da nove anni. Una ricerca al computer aveva determinato che Gunn aveva una storia di condanne per piccoli crimini, che andavano dall'incitamento alla prostituzione, al vagabondaggio, all'ubriachezza molesta, alla guida in stato di ebbrezza. Nei tre mesi precedenti la sua morte era stato arrestato due volte perché trovato ubriaco al volante, l'ultima volta la mattina del 31 dicembre.
Aveva pagato la cauzione ed era uscito. Meno di ventiquattr'ore dopo era morto. I documenti rivelavano anche l'esistenza di un fermo per un crimine più serio, ma senza condanna. Sei anni prima Gunn era stato interrogato dal Dipartimento di Los Angeles riguardo a un omicidio. Più tardi era stato rilasciato senza che gli venissero mosse accuse. Secondo i rapporti di Jaye Winston e del suo partner non c'erano segni di rapina né su Gunn né nell'appartamento, il che rendeva oscure le ragioni del suo assassinio. Gli altri abitanti del palazzo avevano detto di non aver sentito alcun rumore provenire da casa sua la notte dell'ultimo dell'anno. Ma qualunque rumore sarebbe stato verosimilmente coperto da quelli di una festa organizzata dall'inquilino del piano di sotto. La festa si era protratta fino alla mattina del 1° gennaio. Secondo diversi partecipanti, Gunn non si era visto, e comunque non era stato invitato. Una ricerca nel vicinato, costituito principalmente da case di appartamenti simili al Grand Royale, non portò alcun esito: non c'erano testimoni che ricordassero di aver visto Gunn nei giorni precedenti la sua morte. Tutto faceva presumere che l'assassino fosse andato direttamente dalla sua vittima. L'assenza di danni a porte e finestre mostrava che non c'era stato scasso e che quindi Gunn doveva conoscerlo. Per questo Winston e Mintz avevano interrogato tutti i colleghi e gli amici, così come gli inquilini del palazzo e i partecipanti alla festa, nella speranza di identificare un sospetto. Ma ogni sforzo era stato inutile. Avevano controllato anche tutti i documenti finanziari della vittima in cerca di un movente di natura economica, ma non avevano trovato niente. Gunn non aveva un impiego fisso. Per lo più bighellonava in giro, dipingendo negozi sul Beverly Boulevard, e si faceva pagare a ore. Viveva alla giornata, raccattando quello che gli bastava a pagare l'appartamento e a mantenere un piccolo pick-up con cui trasportava l'attrezzatura. Aveva un'unica parente ancora in vita: una sorella che viveva a Long Beach. Al momento della sua morte non la vedeva da più di un anno, ma l'aveva chiamata la notte prima dalla cella comune della Divisione Hollywood, dove era stato rinchiuso per ubriachezza molesta. La sorella gli aveva detto che non intendeva più aiutarlo né pagargli le cauzioni. Poi aveva riattaccato. Non aveva dato ai detective nessuna informazione utile riguardo al suo assassinio. L'episodio per il quale Gunn era stato arrestato sei anni prima era stato completamente riesaminato. Gunn aveva ucciso una prostituta in un albergo a ore del Sunset Boulevard. L'aveva fatto con un coltello appartenente
alla donna, la quale aveva cercato di pugnalarlo per derubarlo, almeno secondo quanto aveva detto alla Polizia. C'erano delle lievi contraddizioni tra le dichiarazioni che aveva reso agli agenti di pattuglia e le prove, ma non sufficienti perché il procuratore distrettuale potesse accusarlo di qualcosa. Alla fine, il caso era stato archiviato come un episodio di autodifesa. McCaleb lesse che il detective che aveva condotto l'indagine era Harry Bosch. Anni prima aveva lavorato con Bosch, nel corso di un'indagine alla quale pensava ancora, e spesso. Bosch talvolta si comportava in modo burbero e irritante, ma era comunque un ottimo poliziotto, con eccellenti capacità investigative e grande intuito. In qualche modo erano riusciti a superare l'emotività che il caso aveva provocato in entrambi. McCaleb scrisse il nome di Bosch sul blocco: voleva chiamarlo, per chiedergli se aveva qualche idea sul caso Gunn. Tornò a leggere le sintesi. Sapendo che Gunn aveva avuto a che fare con le prostitute, il passo successivo di Winston e Mintz era stato verificare le telefonate della vittima e controllare le spese della carta di credito per vedere se aveva avuto altri contatti con quel giro. Di nuovo, niente. Avevano battuto il Sunset Boulevard con gli agenti della Buoncostume per tre notti, fermando e interrogando le ragazze. Ma nessuna aveva ammesso di conoscere l'uomo delle fotografie che i detective si erano fatti prestare dalla sorella di Gunn. I detective avevano anche esaminato con attenzione gli annunci erotici, casomai ce ne fosse uno di Gunn. Un altro buco nell'acqua. Infine, avevano tentato un'ultima carta: rintracciare i familiari e gli amici della prostituta uccisa sei anni prima. Anche se Gunn non era stato accusato, poteva esserci qualcuno che, non credendo all'autodifesa, aveva voluto punirlo. Ma anche questa volta erano andati a sbattere contro un muro. La famiglia della donna viveva a Filadelfia e non era più in contatto con lei da anni. Nessuno era venuto a reclamare il corpo, che era stato cremato a spese della contea. Non c'era motivo di pensare che volessero vendicarsi sei anni dopo l'omicidio, quando non se ne erano interessati al momento in cui era avvenuto. L'indagine era finita in un vicolo cieco dopo l'altro. Se un caso non viene risolto nelle prime quarantotto ore, le probabilità di successo scendono sotto al cinquanta per cento. E un caso non risolto dopo due settimane è come un cadavere abbandonato all'obitorio: è destinato a rimanere lì, al freddo e al buio, per molto, molto tempo.
Ecco perché Jaye Winston si era rivolta a lui. Era la sua ultima possibilità. Quando ebbe finito di leggere le sintesi investigative, McCaleb decise di fare una pausa. Guardò l'orologio e vide che erano quasi le due. Aprì la porta della cabina e salì nel salone. Le luci erano spente. Evidentemente Buddy era andato a dormire. McCaleb guardò in frigorifero, c'era un cartone di birre avanzato dagli acquisti fatti per il gruppo charter, ma non ne aveva voglia. C'erano anche succo di frutta e acqua. Prese una bottiglia d'acqua e salì a poppa. L'aria era sempre fresca sul mare, ma quella sera era più frizzante del solito. Incrociò le braccia sul petto e guardò oltre il porto, fino alla casa sulla collina in cui dormiva la sua famiglia. C'era una sola luce accesa, sotto il portico del retro. Fu attraversato da un fugace senso di colpa. Sapeva che, nonostante amasse profondamente la donna e i due bambini che riposavano nella casa, sarebbe rimasto sulla barca. Cercò di accantonare quel pensiero e le domande che sollevava, ma non riuscì a nascondersi la conclusione a cui lo portava: c'era qualcosa che non andava in lui, una strana carenza. Qualcosa che gli impediva di accogliere fino in fondo quello che gli altri uomini sembravano desiderare ardentemente. Tornò dentro. Il lavoro l'avrebbe aiutato a tener lontano il senso di colpa. Il referto d'autopsia non conteneva sorprese. La causa della morte era quella che McCaleb aveva dedotto dal video: ipossia cerebrale dovuta alla compressione della carotide. Strangolamento, insomma. L'ora della morte era compresa tra la mezzanotte e le tre di mattina del 1° gennaio. Il medico legale che aveva fatto l'autopsia aveva annotato che il danno interno al collo era minimo. Non erano rotti né l'osso ioide né la cartilagine della carotide. Questo aspetto, unito ai molteplici solchi lasciati sulla pelle dallo spago, avevano portato il medico a concludere che Gunn era soffocato lentamente, mentre cercava disperatamente di tenere i piedi accostati alla schiena, in modo che il cappio intorno al collo non stringesse troppo. Il referto suggeriva che la vittima potesse aver resistito in tale posizione per circa due ore. McCaleb si domandò se l'assassino fosse rimasto nella stanza a guardare la lotta dell'uomo morente. O se avesse legato la vittima e se ne fosse andato prima che sopraggiungesse la morte, forse per prepararsi un alibi, tipo un veglione di Capodanno, dove più persone potessero testimoniare di averlo visto all'ora della morte.
Poi si ricordò del secchio e decise che l'assassino era rimasto. Il volto della vittima veniva coperto di frequente negli omicidi a sfondo sessuale: l'assassino copriva la faccia per togliere alla vittima la sua identità. McCaleb aveva lavorato a dozzine di casi del genere: donne stuprate e uccise con la camicia da notte o la federa del cuscino sopra la faccia, bambini con la testa avvolta in un asciugamano. Avrebbe potuto riempire il blocco di esempi. Invece scrisse una riga sotto il nome di Bosch: «Il Soggetto Sconosciuto è rimasto lì tutto il tempo. Ha guardato». E così, ci incontriamo di nuovo, pensò. Prima di andarsene, McCaleb esaminò ancora una volta il referto d'autopsia per controllare altri due pezzi del mosaico. Il primo era la ferita alla testa. Trovò una descrizione tra i commenti del medico. La lacerazione peri-mortem era tonda e superficiale. Aveva provocato una lesione minima ed era probabilmente una ferita di difesa. L'ipotesi non lo trovò d'accordo. Sul tappeto c'era solo il sangue proveniente dal secchio, colato sulla faccia e poi per terra, il che significava che la testa era piegata in avanti. Gunn doveva essere già a terra quando era stato colpito, e solo dopo gli era stato infilato in testa il secchio. Il suo istinto gli diceva che quello poteva essere un colpo dato con l'intenzione di accelerare il decesso: una botta in testa avrebbe indebolito la vittima, accorciando i tempi della sua lotta per la vita. Appuntò quell'idea sul blocco quindi tornò al referto. L'esame del pene e dell'ano indicava che non c'era stata attività sessuale prima della morte. McCaleb scrisse: «Niente sesso» sul blocco. Sotto aggiunse la parola «furia» e la chiuse in un cerchio. Si rendeva conto che le conclusioni a cui stava giungendo erano probabilmente le stesse cui era già giunta Jaye Winston. Ma aveva sempre proceduto in quel modo: prima studiava la scena del delitto e si faceva un'opinione, e poi la confrontava con le conclusioni dei detective che l'avevano preceduto. Dopo l'autopsia passò al rapporto che conteneva l'analisi delle prove. Per prima cosa guardò la lista e notò che il gufo di plastica mancava. Avrebbe dovuto esserci, insieme a una nota esplicativa. Dalla lista era assente anche ogni riferimento a eventuali armi. Evidentemente, qualunque cosa avesse usato per ferire Gunn alla testa, l'assassino se l'era portata via. McCaleb si segnò quel particolare, anche perché era un tipo di informazione che soste-
neva l'idea di un killer organizzato, minuzioso e prudente. Il rapporto sull'analisi del nastro adesivo usato come bavaglio era infilato in una busta separata, che McCaleb trovò in una tasca del raccoglitore. Oltre a un foglio scritto, c'erano diverse fotografie, che mostravano il nastro in tutta la sua lunghezza dopo che era stato tagliato e tolto dal volto della vittima. Un primo gruppo di foto lo riproduceva così come era stato trovato: con il sangue che nascondeva il messaggio. In un secondo gruppo era stato fotografato dopo che era stato lavato con acqua e sapone. McCaleb fissò il messaggio a lungo, anche se sapeva che non sarebbe stato in grado di decifrarlo da solo: «Cave Cave Dus Videt». Alla fine mise da parte le fotografie e prese i rapporti che le accompagnavano. Sul nastro non erano state trovate impronte digitali, ma solo capelli e fibre microscopiche sulla parte adesiva. I capelli appartenevano alla vittima. Le fibre erano state trattenute in attesa di ulteriori analisi. Ciò significava che all'indagine era stato posto un limite di tempo e di costi. Le fibre non sarebbero state analizzate finché non si fosse arrivati al punto di avere altre fibre, appartenenti a un sospetto, con cui confrontarle. McCaleb conosceva quest'ordine di priorità investigative. Era routine che non si facessero passi troppo costosi se non si rivelavano indispensabili. Ma fu piuttosto sorpreso che in quel caso non l'avessero ritenuto necessario. Concluse che il passato di Gunn l'aveva reso una vittima di seconda classe, una di quelle per cui non ci si impegna a fondo. Forse, pensò, era per questo che Jaye Winston era andata da lui. In effetti non aveva parlato di pagarlo per il tempo che le stava dedicando... comunque lui non avrebbe accettato un pagamento in denaro. Passò a uno degli addendum, scritto di pugno da Jaye. La donna aveva portato una fotografia del messaggio a un professore di linguistica dell'UCLA, il quale le aveva detto che era scritto in latino. Poi era ricorsa a un prete cattolico in pensione, che viveva nella canonica di St Catherine a Hollywood e aveva insegnato latino per vent'anni presso la scuola della chiesa, prima che la materia venisse eliminata dal programma di studi, all'inizio degli anni Settanta. Quest'ultimo aveva tradotto facilmente il messaggio. Non appena McCaleb lesse la traduzione sentì l'adrenalina corrergli lungo la schiena e la pelle tendersi, mentre provava una sorta di vertigine. Cave Cave Dus Videt Cave Cave D(omin)us Videt
Attenzione Attenzione Dio Vede «Cristo santo» disse McCaleb a se stesso. Non era un'imprecazione, ma il modo in cui lui e i suoi compagni del Bureau definivano i casi a sfondo religioso. Quando un assassino usava il nome di Dio come firma di un crimine, spesso significava che ci sarebbero stati altri delitti. Tra gli agenti esperti nel fare i profili dei criminali si diceva che i killer di Dio non si fermavano mai da soli. Dovevano essere bloccati. Adesso McCaleb capiva perché Jaye Winston era preoccupata all'idea che l'indagine andasse per le lunghe. Forse Edward Gunn era stato solo la prima vittima, e in quel momento qualcun altro stava per conoscere l'assassino. Scarabocchiò la traduzione del messaggio e qualche altra riflessione. Scrisse «Comportamenti» e lo sottolineò due volte. Tornò all'addendum di Winston e si accorse che in fondo alla pagina con la traduzione c'era un paragrafo contrassegnato da un asterisco. * Padre Ryan afferma che la parola Dus, trovata sul nastro isolante, nel medioevo era l'abbreviazione di Deus o Dominus e che si trovava soprattutto nelle bibbie e sulle sculture o altre opere di arte ecclesiale. McCaleb si appoggiò allo schienale e bevve un sorso d'acqua dalla bottiglia. Riteneva questo paragrafo il più interessante di tutti. L'informazione poteva consentire di isolare l'assassino all'interno di un piccolo gruppo di persone e quindi di identificarlo. Se all'inizio il novero dei potenziali sospetti era enorme - praticamente includeva chiunque avesse avuto contatti con Gunn la notte di Capodanno - l'informazione di padre Ryan restringeva il campo a coloro che avevano conoscenze di latino medievale o potevano aver ricavato la parola Dus, o anche tutto il messaggio, da qualcosa che avevano visto. Forse in una chiesa. 5 McCaleb era troppo eccitato per riuscire a dormire. Erano le quattro e mezza e ormai sapeva che avrebbe concluso la nottata in ufficio. Probabilmente a Quantico era ancora presto perché ci fosse qualcuno al Dipartimento di Scienze Comportamentali, ma decise di chiamare ugualmente.
Andò in salone, prese il cellulare dal caricabatterie e compose il numero a memoria. Quando il centralino rispose, chiese che gli passassero l'agente speciale Brasilia Doran. Avrebbe potuto rivolgersi a diverse persone, ma aveva scelto Doran perché avevano sempre lavorato bene insieme - e sempre a distanza. E poi era specializzata in simboli e icone. Gli rispose una segreteria telefonica e mentre ascoltava la voce McCaleb rifletté se lasciare un messaggio o richiamare. All'inizio si disse che sarebbe stato meglio riprovare più tardi - è più difficile evitare una telefonata diretta che un messaggio registrato. Ma poi decise di dare fiducia al loro passato comune, anche se erano quasi cinque anni che non lavorava più per il Bureau. «Brass, sono Terry McCaleb. È tanto che non ci si sente. Ascolta... ho bisogno di un favore. Saresti così gentile da richiamarmi quando hai un momento?» Lasciò il suo numero di cellulare, la ringraziò e riagganciò. Avrebbe potuto portarsi il cellulare a casa e aspettare lì, ma voleva evitare che Graciela sentisse la telefonata. Tornò in cabina e ricominciò a studiare il fascicolo del delitto. Controllò ogni pagina, nel caso avesse dimenticato od omesso qualcosa. Prese qualche altro appunto e fece una lista di ciò che aveva bisogno di approfondire prima di poter tracciare un profilo. Doveva comunque aspettare la telefonata di Doran. Finalmente lei lo richiamò, erano le cinque e mezza. «È passato davvero tanto tempo!» esordì. «Troppo. Come stai, Brass?» «Non posso lamentarmi, visto che nessuno mi sta ascoltando.» «Ho sentito che siete intasati di lavoro da quelle parti.» «Proprio così. Saprai che l'anno scorso abbiamo mandato metà dello staff in Kossovo per collaborare alle indagini sui crimini di guerra. Con turni di sei settimane. Be', la cosa ci ha stroncato. Siamo così indietro su tutto che la situazione comincia a farsi critica.» McCaleb si chiese se l'ex collega non gli stesse facendo quel discorsetto perché lui non le chiedesse il favore cui aveva fatto riferimento nel messaggio. Decise di andare avanti lo stesso. «Quindi non ti avrà fatto piacere sentire la mia voce!» «Ragazzi, tremo di paura. Di cosa hai bisogno, Terry?» «Sto facendo un favore a una persona di qui, un detective della Squadra Omicidi dello sceriffo, e...»
«È già passato attraverso di noi?» «Passata, è una donna. Comunque sì: ha già fatto ricerche attraverso il Programma per la Cattura dei Criminali Violenti, ma non ha trovato niente. Ha saputo che siete pieni di lavoro fino al collo ed è venuta da me. Sono in debito con lei, così le ho detto che le avrei dato una mano.» «E adesso vuoi entrare a far parte della squadra, giusto?» McCaleb sorrise e sperò che lei stesse facendo la stessa cosa all'altro capo del filo. «Più o meno. Ma credo che non ci vorrà molto.» «Sputa il rospo.» «Ho bisogno di approfondire un riferimento iconografico. Sto seguendo un'intuizione.» «Okay, non sembra troppo complicato. Di che simbolo si tratta?» «Un gufo.» «Un gufo? Solo un gufo?» «Per la precisione un gufo di plastica. Voglio sapere se è già stato trovato altre volte e che cosa significa.» «Be', c'è un gufo sulla busta di una marca di patatine. Quali, non so.» «È vero, brava. È una marca della East Coast.» «Ecco! Il gufo è intelligente. È saggio.» «Brass, da te mi aspettavo qualcosa di più...» «Lo so, lo so. Senti, vedo quello che riesco a trovare. Ma non dimenticare che i simboli cambiano. Una cosa può avere un certo significato in un'epoca e uno completamente diverso in un'altra. Stai cercando un esempio contemporaneo?» McCaleb pensò per un momento al messaggio sul nastro adesivo. «Puoi aggiungere anche il periodo medievale?» «La cosa si fa interessante! Fammi indovinare: il solito maniaco religioso?» «Potrebbe essere, ma come fai a saperlo?» «Oh, è quasi sempre così quando c'entra il medioevo o la chiesa. Mi è già successo. Ho il tuo numero. Cercherò di richiamarti in giornata.» McCaleb rifletté sull'opportunità di farle fare anche un'analisi del messaggio, ma poi decise di non esagerare. E probabilmente Jaye Winston aveva già fatto delle ricerche al computer. La ringraziò e stava per riagganciare quando lei gli chiese notizie sulla sua salute. Le rispose che stava bene. «Vivi ancora su quella barca di cui ho sentito parlare?»
«No. Adesso vivo su un'isola. Ma ho ancora la barca. E ho anche una moglie e una bambina.» «Accidenti! È lo stesso Terry McCaleb che conoscevo, quello che la sera mangiava da solo davanti alla TV?» «Lo stesso, credo.» «Bene, sembra che tu abbia rimesso insieme i pezzi della tua vita.» «Penso proprio di sì, finalmente.» «Abbine cura, allora. Come mai ti sei rimesso a fare il detective!?» McCaleb esitò a rispondere. «Non lo so.» «Non mi prendere in giro. Sappiamo entrambi perché lo stai facendo. Bene, vedo quello che riesco a trovare e ti richiamo.» «Grazie, Brass, aspetterò.» McCaleb andò nella cabina dove dormiva Buddy Lockridge e lo scrollò. Il suo amico trasalì e cominciò ad agitare le braccia. «Sta' calmo, sono io!» Buddy lo colpì in testa con il libro che aveva in mano quando si era addormentato. «Ma che fai?» «Cerco di svegliarti.» «E perché? Che ore sono?» «Sono quasi le sei. Voglio partire con la barca.» «Adesso?» «Sì, adesso. Quindi alzati e aiutami. Io sciolgo le gomene.» «Ma perché adesso? Finiremo in qualche secca! Non puoi aspettare che si sia alzata la nebbia?» «No, non ho tempo.» Buddy allungò la mano e accese la lampadina proprio sopra la sua testa. McCaleb vide che il titolo del libro era Elettricità nel sangue. «Be', di sicuro ce n'è di elettricità nel tuo sangue, amico» disse, sfregandosi l'orecchio su cui si era abbattuto il libro. «Scusa. Perché tanta fretta? Si tratta del caso, vero?» «Ti aspetto di sopra. Muoviamoci.» McCaleb uscì dalla cabina e, come prevedeva, Buddy gli gridò dietro: «Avrai bisogno di un autista?». «No, Buddy. Lo sai che guido già da un paio d'anni.» «Sì, ma potresti avere bisogno di aiuto.»
«Ce la farò da solo. Sbrigati.» McCaleb prese le chiavi dal gancio accanto alla porta del salone e salì sul ponte. L'aria era ancora fredda e sprazzi di luce squarciavano la foschia dell'alba. Accese il radar e mise in moto i motori. Partirono immediatamente; Buddy aveva portato la barca a Marina del Rey per farli revisionare. McCaleb li lasciò al minimo mentre scendeva di nuovo. Slegò la cima di poppa quindi sganciò il gommone per legarlo alla boa di ormeggio. Adesso la barca era libera. Si voltò verso il ponte, proprio mentre Buddy, i capelli ritti in testa, si sedeva nella cabina di pilotaggio. McCaleb gli fece segno di partire. Buddy ingranò la prima e il The Following Sea cominciò a muoversi. McCaleb prese un lungo rampone e lo usò per sganciare le boe di prua mentre la barca si dirigeva verso l'imboccatura del porto. Rimase appoggiato al parapetto, con gli occhi fissi sull'isola che si allontanava. Guardò di nuovo verso casa e vide che la luce sotto il portico era ancora accesa. Dormivano tutti. Pensò all'errore che stava commettendo. Avrebbe dovuto tornare e cercare di spiegare a Graciela cosa stava facendo. Ma sapeva che avrebbe perso un sacco di tempo e in ogni caso le sue spiegazioni non l'avrebbero soddisfatta. Avrebbe chiamato sua moglie una volta arrivato, affrontando le conseguenze della sua scelta. L'aria fredda di quell'alba grigia gli aveva teso la pelle delle braccia e del collo. Si girò e cercò con gli occhi i punti della baia in cui si nascondevano le secche. Sapeva dove erano, ma il fatto di non riuscire a vederle gli diede uno strano senso di inquietudine. L'acqua che la prua fendeva era piatta e di un blu quasi nero, come la pelle dei marlin. Avrebbe dovuto salire sul ponte per aiutare Buddy. In genere uno guidava mentre l'altro teneva d'occhio il radar per seguire una rotta sicura fino al porto di Los Angeles. Peccato, pensò, che non ci sarebbe stato nessun radar ad aiutarlo sulla terraferma, quando avrebbe dovuto trovare la strada per districarsi nei meandri del caso che ormai lo aveva catturato. Era un altro tipo di nebbia quella che lo stava aspettando. I suoi pensieri gli fecero tornare in mente il particolare che lo aveva tanto colpito: «Attenzione Attenzione Dio Vede». Le parole iniziarono a girargli in testa come un mantra. Nascosto nella nebbia, là davanti, c'era qualcuno che aveva scritto quelle parole. Qualcuno che, in nome di quella frase, aveva agito fino alle estreme conseguenze almeno una volta, e probabilmente l'avrebbe fatto di nuovo. McCaleb voleva trovare quella persona. Nel sentirsi toccare le spalle sussultò e si girò facendo quasi cadere l'ar-
pione nell'acqua. Era Buddy. «Sei impazzito?» «Va tutto bene?» «Andava tutto bene, finché non mi hai fatto prendere un colpo. Cosa ci fai qui? Non dovresti essere al timone?» McCaleb diede un'occhiata alle spalle per assicurarsi di essere in mezzo alla baia, lontani dai segnali del porto. «Non so, te ne stai qui con questo arpione in mano... mi sembri Achab. Mi sono preoccupato. Cosa stai facendo?» «Stavo pensando. Ti preoccupa? Non mi arrivare mai più alle spalle in questo modo.» «Be', allora siamo pari.» «Pensa a condurre la barca, Buddy, fra un po' ti raggiungo. E controlla il generatore.» Non appena Lockridge se ne fu andato, McCaleb sentì che il cuore ricominciava a battere regolarmente. Scese dal castello di prua e incastrò l'arpione al suo posto. Mentre era chinato sentì la barca alzarsi e ricadere come se avesse superato un'onda lunga. Si rizzò e si guardò attorno in cerca dell'origine di quella scossa. Ma non vide niente. Era stato un fantasma, che si muoveva sulla piatta superficie della baia. 6 Harry Bosch alzò la sua ventiquattrore e la usò come scudo per farsi strada fra la folla di giornalisti e telecamere che si era radunata fuori dalle porte del tribunale. «Fatemi passare, per favore. Fatemi passare.» La maggior parte non si mosse finché lui non usò la ventiquattrore per spingerli via. Tutti cercavano disperatamente di raggiungere il groviglio umano al centro del quale l'avvocato difensore stava tenendo banco. Finalmente Bosch arrivò a una porta davanti alla quale era piazzato un agente dello sceriffo. Questi lo riconobbe e si spostò in modo da consentirgli di aprire. «Ho idea che andrà così tutti i giorni» disse Bosch. «Quel tipo ha più cose da dire fuori dal tribunale che dentro. Fareste meglio a stabilire delle regole in modo che la gente possa entrare e uscire.» Mentre oltrepassava la porta, udì l'uomo dirgli di rivolgersi al giudice.
Percorse il corridoio centrale e superò il cancelletto che portava al tavolo dell'accusa. Era arrivato per primo. Estrasse una sedia da sotto il tavolo e si accomodò. Aprì la ventiquattrore e ne estrasse il pesante fascicolo blu. Quindi la richiuse e l'appoggiò sul pavimento accanto alla sedia. Era pronto. Si chinò in avanti appoggiando le braccia conserte sul fascicolo. L'aula era silenziosa, quasi vuota, a parte un impiegato e lo stenografo che si stava preparando. A Bosch piaceva quel momento. La quiete prima della tempesta. Perché era assolutamente certo che stava per arrivare una tempesta. Ma lui era pronto, pronto a danzare con il diavolo ancora una volta. Si rendeva conto che la sua missione nella vita era concentrata in momenti come quello. Momenti che avrebbe dovuto gustare e ricordare, ma che invece gli provocavano sempre un nodo allo stomaco. Si udì un forte rumore metallico e la porta che dava sulle celle si aprì. Due agenti dello sceriffo fecero entrare un uomo. Era giovane e abbronzato. Strano, visto che era rinchiuso da tre mesi. Indossava un abito che probabilmente costava quanto una settimana di paga dei due uomini che gli stavano accanto. Le mani, distese lungo i fianchi, erano ammanettate a una pesante catena che appariva inadeguata all'impeccabile completo blu. In una mano teneva un blocco per schizzi. Nell'altra un pennarello nero, l'unico strumento per scrivere permesso in carcere. L'uomo fu condotto al tavolo della difesa. Sorrise guardando davanti a sé quando gli furono tolte manette e catene. Un agente gli mise una mano sulla spalla e lo fece sedere. Quindi lui e il suo compagno si spostarono e si sistemarono sulle sedie dietro l'uomo. Immediatamente questi si chinò in avanti e aprì il blocco. Bosch guardava. Riusciva a sentire la punta del pennarello che grattava furiosamente la carta. «Non mi permettono di usare il carboncino, ti rendi conto, Bosch? Che pericolo può rappresentare un carboncino?» Non lo guardò mentre parlava. Bosch non rispose. «Sono le piccole cose come questa che mi danno più fastidio» continuò l'uomo. «Sarà meglio che ti ci abitui» disse Bosch. L'uomo rise, ancora senza guardarlo. «Sapevo che l'avresti detto.» Bosch tacque. «Sei così prevedibile. Tutti voi lo siete.»
A quel punto la porta dell'aula si aprì e Bosch distolse lo sguardo dall'imputato. Entrarono gli avvocati. Si stava per cominciare. 7 Quando McCaleb arrivò al Farmer's Market era in ritardo di mezz'ora all'appuntamento. Lui e Buddy avevano impiegato un'ora e mezza a compiere la traversata e McCaleb aveva chiamato Jaye Winston quando avevano attraccato a Cabrillo Marina. Si erano messi d'accordo, ma lui aveva trovato la batteria della Cherokee scarica. Più che naturale, visto che non la usava da due settimane. Aveva dovuto farsi accompagnare da Buddy e c'era voluto un po'. Entrò da Dupar, il ristorante all'angolo, ma non vide Jaye né ai tavoli né al banco. Sperò che non se ne fosse già andata. Scelse un separé che avrebbe permesso loro una maggiore intimità e si sedette. Non aveva bisogno di guardare il menu. Il Farmer's Market era stato scelto perché vicino all'appartamento di Edward Gunn, e anche perché McCaleb voleva fare colazione lì. Aveva detto a Winston che quello che gli mancava maggiormente di Los Angeles erano i pancake di Dupar. Quando lui, Graciela e i bambini facevano il loro viaggio mensile per rifornirsi di tutto quello che non trovavano a Catalina, ci andavano a mangiare almeno una volta. Indipendentemente dall'ora, McCaleb ordinava sempre i pancake. Ora disse alla cameriera che stava aspettando qualcuno, ma ordinò ugualmente un bicchiere di succo d'arancia e dell'acqua. Poi aprì la cartella di pelle e tirò fuori la scatola di plastica che conteneva le pillole. Ne teneva sempre una scorta sulla barca e un'altra nel cruscotto della macchina. Alternando sorsate d'acqua e di succo d'arancia ingoiò ventisette pillole, la sua dose mattutina. Le riconosceva dalla forma, dal colore e dal sapore: Digoxin, Bacitracin, Cyclosporine... Mentre procedeva metodicamente nell'operazione notò una donna nel separé accanto al suo che lo osservava con la fronte aggrottata. «Vedo che hai ordinato senza aspettarmi.» Alzò lo sguardo dalle ultime tre Cyclosporine, mentre Jaye Winston si sedeva sul divanetto di fronte al suo. «Scusa, sono terribilmente in ritardo, ma c'è un traffico da far paura.» «Non importa, ero in ritardo anch'io. Batteria scarica.» «Quante ne butti giù adesso di quelle?»
«Cinquantaquattro al giorno.» «Incredibile.» «Ho dovuto riempire l'armadio a muro dell'entrata.» «Be', almeno sei ancora qui.» Sorrise e McCaleb annuì. La cameriera arrivò con un altro menu, ma lei disse che era pronta per ordinare. «Prendo quello che prende lui.» McCaleb ordinò un'abbondante pila di pancake con burro fuso e disse che avrebbero diviso una porzione di bacon ben cotto. «Caffè?» chiese la cameriera. Aveva l'aria annoiata di chi riceve il suo milionesimo ordine. «Sì, grazie» disse Jaye, «nero.» McCaleb rispose che lui era a posto così. «Allora sei riuscita a contattare l'amministratore?» chiese a Jaye, guardandola. «Abbiamo un appuntamento con lui alle dieci e trenta. L'appartamento è ancora sfitto, ma è stato ripulito. Quando abbiamo finito noi, la sorella è andata e ha preso le cose che le interessavano.» «Già, temevo qualcosa di simile.» «L'amministratore non pensa che fosse molto. Gunn non possedeva un granché.» «Che dice del gufo?» «Non se ne ricordava. E a dire la verità neanch'io, finché non me l'hai nominato questa mattina.» «È solo un'intuizione. Mi piacerebbe dargli un'occhiata.» «Be', vedremo se è ancora lì. Cos'altro vuoi fare? Spero che tu non sia venuto fin qui solo per vedere l'appartamento della vittima.» «Pensavo di parlare con la sorella, e forse anche con Harry Bosch.» Jaye Winston non commentò, ma McCaleb capì che stava aspettando una spiegazione. «Per fare il profilo di un soggetto sconosciuto è importante sapere tutto della vittima. Abitudini, personalità, ogni genere di particolare. Sai come funziona. La sorella, e in parte anche Bosch, possono aiutarci.» «Ti avevo chiesto solo di dare un'occhiata al fascicolo e alla cassetta, Terry. Adesso cominci a farmi sentire in colpa.» McCaleb rispose solo dopo che la cameriera ebbe lasciato sul tavolo il caffè per Winston e due bricchi di sciroppo. «Sapevi che la cosa mi avrebbe coinvolto. Pensavi davvero che dopo a-
ver guardato tutta quella roba, mi sarei limitato a telefonarti per farti una relazione? E poi non mi sto lamentando. Sono qui perché lo voglio. Se ti senti in colpa puoi pagare i pancake.» «E tua moglie che cosa dice?» «Niente. Sa che devo farlo. L'ho chiamata quando sono arrivato. Era troppo tardi perché potesse obiettare qualcosa. Mi ha solo detto di comprare una busta di tamales surgelati a El Cholo, prima di tornare.» Arrivarono i pancake. McCaleb aspettò educatamente che Jaye Winston versasse lo sciroppo, ma lei continuava a rigirarseli nel piatto con la forchetta e alla fine lui non riuscì a resistere. Irrorò la sua pila e cominciò a mangiare. La cameriera tornò e mise uno scontrino sul tavolo. Jaye lo afferrò rapidamente. «Paga lo sceriffo.» «Ringrazialo.» «Non so cosa ti aspetti da Harry Bosch. Mi ha detto di aver avuto solo pochi contatti con Gunn negli ultimi sei anni, dopo la storia della prostituta.» «In che occasioni? Le volte in cui è stato arrestato?» Winston annuì mentre versava lo sciroppo sui pancake. «Questo significa che deve averlo visto la notte prima che venisse ucciso. Non ho letto niente in proposito nel fascicolo.» «Non l'ho scritto. Non c'era molto da dire. Il sergente di guardia l'ha chiamato e gli ha detto che Gunn era in cella per guida in stato di ubriachezza.» McCaleb annuì. «E...?» «E lui è andato a trovarlo. Questo è tutto. Ha detto che non hanno nemmeno parlato, perché Gunn era ridotto troppo male.» «Ho capito... Comunque con Bosch ci voglio parlare. Una volta ho lavorato con lui, è un bravo poliziotto, intuitivo e dotato di spirito di osservazione. Magari sa qualcosa che mi potrebbe essere utile.» «D'accordo, se ci riesci.» «Cosa vuoi dire?» «Non lo sai? Collabora con l'accusa nel processo per omicidio contro David Storey. Su a Van Nuys. Non guardi il telegiornale?» «Accidenti, me n'ero dimenticato! Ricordo di aver letto il suo nome quando hanno preso Storey. Quand'è stato, in ottobre? È già cominciato il processo?»
«Già. Nessun rinvio e non c'è stato bisogno di udienza preliminare perché sono passati attraverso il gran giurì. Hanno iniziato subito le selezioni per la giuria e da quel che ho sentito hanno già la lista, quindi il processo dovrebbe cominciare questa settimana, forse oggi stesso.» «Cazzo» «Già, buona fortuna. Sono sicura che Bosch non vede l'ora di parlare di questo argomento.» «Mi stai dicendo che non vuoi che parli con lui?» Jaye Winston alzò le spalle. «Niente affatto. Fai quello che vuoi. Solo che non credevo ti saresti dato tanto da fare. Posso chiedere al capitano di farti avere un incarico come consulente, ma...» «Non ti preoccupare. Lo sceriffo mi ha offerto la colazione. È già abbastanza.» «Ti accontenti di poco.» McCaleb non le disse che avrebbe lavorato gratis, solo per tornare alla vita di prima almeno per qualche giorno. E non le disse che in ogni caso non avrebbe potuto prendere denaro da lei. Se lui avesse avuto una qualsiasi entrata, avrebbe perso i requisiti per ricevere gratuitamente le cinquantaquattro pillole che ingoiava ogni giorno. E se avesse dovuto pagarsele da solo sarebbe finito sul lastrico in sei mesi, a meno di non percepire uno stipendio da capogiro. Era l'orribile segreto dietro al miracolo che lo aveva salvato. La sua vita aveva avuto una seconda opportunità, a patto che lui restasse improduttivo. Per questo l'affare dei charter era a nome di Buddy Lockridge. Ufficialmente McCaleb gli dava una mano in via amichevole. Buddy si limitava ad affittare la barca da Graciela, e l'affitto rappresentava il sessanta per cento del guadagno, spese escluse. «Come sono i pancake?» chiese a Winston. «Ottimi.» «Sono assolutamente d'accordo.» 8 Il Grand Royale era un pugno in un occhio di due piani, una scatola di stucco rovinato il cui unico sforzo di stile cominciava e finiva con i ghirigori delle lettere che ne componevano il nome, sul cartello davanti al vialetto d'ingresso. Le strade di West Hollywood erano caratterizzate da palazzi davvero squallidi, dove l'alta densità degli appartamenti prendeva il
posto dei cortili coi piccoli bungalow degli anni Cinquanta e Sessanta. Lo stile genuino di quell'epoca era stato sostituito da finti arabeschi e nomi pretenziosi. McCaleb e Winston entrarono nell'appartamento del secondo piano dove aveva vissuto Edward Gunn insieme all'amministratore. Se non avesse saputo dove guardare, a McCaleb sarebbe sfuggito ciò che rimaneva della macchia di sangue sul tappeto su cui l'uomo era morto. Il tappeto era stato lavato e la piccola macchia marrone chiaro sarebbe stata scambiata dal prossimo inquilino per un ricordo di Coca Cola o di caffè. L'appartamento era pronto per essere riaffittato, ma i mobili erano gli stessi. McCaleb li riconobbe. Andò subito con gli occhi alla vetrina dall'altra parte della stanza. Era vuota, e il gufo di plastica era sparito. Guardò Jaye Winston. «Non c'è più.» La donna si rivolse all'amministratore. «Signor Rohrshak, si ricorda il gufo che era sulla vetrina? Crediamo che sia importante. È sicuro di non sapere che fine abbia fatto?» Rohrshak allargò le braccia e le fece ricadere lungo i fianchi. «No, non lo so. Dopo che me lo ha chiesto ci ho pensato, ma non ricordo nessun gufo. Certo, se voi dite che c'era...» Alzò le spalle e protese il mento in avanti, quindi annuì, come per ammettere, pur con riluttanza, che evidentemente sulla vetrina un gufo c'era. A McCaleb il suo comportamento sembrava quello tipico di un bugiardo. Nega l'esistenza dell'oggetto che hai rubato ed eliminerai il furto. Pensò che Jaye Winston avesse colto la stessa cosa. «Jaye, hai un cellulare? Puoi chiamare la sorella per ricontrollare?» «Mi dispiace, ma ho deciso di soprassedere finché la contea non me ne comprerà uno.» McCaleb voleva tenere il suo telefono libero in caso Brasilia Doran lo chiamasse, ma appoggiò la cartella su un divano, lo tirò fuori e glielo porse. Jaye cercò il numero in un taccuino. Mentre chiamava, McCaleb fece un lento giro dell'appartamento, cercando di coglierne l'atmosfera. Nella zona pranzo si fermò davanti al tavolo di legno rotondo con quattro sedie dallo schienale dritto. Secondo le analisi della scena del delitto tre avevano avuto diverse macchie e impronte digitali, complete o parziali, tutte appartenenti alla vittima. La quarta sedia, quella sul lato nord del tavolo, era completamente priva di impronte. Era stata pulita a fondo. Molto probabilmen-
te era stato l'assassino a farlo, dopo averla toccata per qualche motivo. McCaleb prima verificò la posizione in cui si trovava, poi ci si avvicinò. Facendo attenzione a non toccare lo schienale, afferrò il sedile e la estrasse da sotto il tavolo piazzandola davanti alla vetrina. Quindi ci salì sopra e alzò le braccia come per sistemare qualcosa. La sedia aveva le gambe instabili e barcollò. Istintivamente McCaleb raggiunse con la mano il bordo superiore del mobile per tenersi in equilibrio, ma prima di aggrapparsi si rese conto di qualcosa e si bloccò appoggiando l'avambraccio a una delle ante. «Stai fermo, Terry.» Guardò giù. Winston era in piedi accanto a lui. «Tutto a posto. Allora, ha preso lei il gufo?» «No. Non sapeva nemmeno di cosa stavo parlando.» McCaleb si mise in punta di piedi e guardò sopra la vetrina. «Ti ha detto che cosa ha preso?» «Solo alcuni vestiti e delle foto di loro due da bambini. Non voleva altro.» McCaleb annuì. Stava ancora facendo correre lo sguardo sul piano superiore della vetrina. C'era uno spesso strato di polvere. «Le hai detto che sarei andato a parlarle?» «Me ne sono dimenticata, ma posso richiamarla.» «Hai una torcia, Jaye?» Lei frugò nella sua borsa e tirò fuori una piccola torcia a forma di penna. McCaleb l'accese e riuscì a distinguere sulla polvere un'impronta ottagonale: la base del gufo. Mosse la luce avanti e indietro alcune volte, quindi la spense e scese dalla sedia. «Grazie. Sarà meglio far tornare la squadra delle impronte.» «Come mai? Il gufo non c'è, vero?» «Non c'è più. Ma chiunque l'abbia messo qui sopra ha usato questa sedia. Poi forse è barcollato si è aggrappato in cima.» Tirò fuori una penna dalla tasca e diede un colpetto sul bordo del ripiano nella zona in cui aveva visto le impronte. «C'è parecchia polvere, ma devono esserci delle impronte.» «E se invece appartenessero alla persona che ha portato via il gufo?» McCaleb fissò con insistenza Rohrshak mentre rispondeva. «È lo stesso.» L'amministratore guardò altrove.
«Posso?» chiese Winston, prendendo il telefono. «Fai pure.» Mentre lei chiamava per far venire la squadra delle impronte, McCaleb trascinò la sedia in mezzo alla stanza, a qualche decina di centimetri dalla macchia di sangue. Quindi si sedette e si guardò intorno. Se l'assassino fosse stato lì, il gufo avrebbe osservato lui e la vittima. Chinò lo sguardo verso la macchia di sangue e immaginò di vedere Edward Gunn che lottava per la vita e, lentamente, perdeva la battaglia. Il secchio, pensò. Tutto concordava tranne il secchio. L'assassino aveva preparato la scena, ma poi non era riuscito a godersi lo spettacolo. Aveva avuto bisogno del secchio per non vedere la faccia della vittima. McCaleb era disturbato dal fatto che questo particolare non concordasse con il resto. Winston si avvicinò e gli restituì il telefono. «Una squadra sarà qui tra un quarto d'ora.» «Bene!» «Cosa stai facendo?» «Solo pensando. Credo che l'assassino si sia seduto qui per guardare, ma poi non ce l'ha fatta. Ha colpito la vittima, forse per accelerarne la morte. Poi ha preso il secchio e gliel'ha infilato sulla testa per non vederlo in faccia.» Winston annuì. «Da dove veniva il secchio? Non c'era niente nel fasc...» «Pensiamo fosse nel mobiletto sotto il lavabo della cucina. Sul ripiano c'è un cerchio che combacia con la base del secchio. È scritto su uno degli addendum. Kurt deve essersi dimenticato di metterlo nel fascicolo.» McCaleb annuì e si alzò. «Tu aspetti la squadra delle impronte, giusto?» «Sì, non dovrebbe metterci molto.» «Vado a fare una passeggiata.» Si diresse verso la porta aperta. «Vengo con lei» disse l'amministratore. McCaleb si voltò. «No, signor Rohrshak, è necessario che lei resti qui con la detective Winston. Abbiamo bisogno di un testimone imparziale che sorvegli quello che facciamo.» Lanciò un'occhiata a Jaye sopra le spalle dell'uomo. Lei gli strizzò l'occhio, per dirgli che aveva capito l'antifona e sapeva dove voleva arrivare. «E vero, signor Rohrshak. Per favore, rimanga.»
L'amministratore alzò le mani in segno di resa. McCaleb scese le scale che conducevano al cortile interno dell'edificio. Girò attorno lo sguardo e seguì con gli occhi la linea del tetto piatto. Non vide il gufo da nessuna parte e percorse il vialetto d'ingresso fino alla strada. Dall'altra parte c'èra un palazzo a tre piani a forma di L con scale e passaggi pedonali esterni. McCaleb attraversò e si trovò davanti a un cancello e a una rete di recinzione alta circa due metri. Servivano più per fare impressione che come vero deterrente. Si tolse la giacca a vento, la piegò e la fece passare tra le sbarre. Poi mise un piede sulla maniglia, verificò che reggesse il suo peso e si issò fino in cima al cancello. Si lasciò cadere dall'altra parte e si guardò intorno per vedere se qualcuno lo stava osservando. Era tutto tranquillo. Afferrò la giacca a vento e si diresse verso la scala. Salì fino al terzo piano e imboccò il passaggio sulla facciata dell'edificio. Respirava a fatica. Quando raggiunse la facciata, si appoggiò alla ringhiera per riprendere fiato. Guardò dall'altra parte della strada il tetto piatto del palazzo in cui aveva vissuto Edward Gunn. Del gufo neanche l'ombra. McCaleb appoggiò gli avambracci alla ringhiera, respirando ancora a fatica. Rimase ad ascoltare il battito del suo cuore finché non riprese un ritmo regolare. Stava sudando. Non era il cuore, ma lui a essere debole, costretto com'era a ingurgitare tutte quelle medicine. La cosa lo inquietava non poco. Sapeva che non sarebbe mai stato forte, che per tutta la vita avrebbe ascoltato il battito del suo cuore come un ladro ascolta di notte lo scricchiolio del pavimento. Sentì una macchina arrivare e guardò giù: vide un furgone bianco con il simbolo dello sceriffo sulle portiere fermarsi davanti al palazzo di fronte. La squadra delle impronte. Diede un'ultima occhiata al tetto dall'altra parte della strada e poi cominciò a scendere, deluso. A un tratto si immobilizzò. Aveva visto il gufo. Era appollaiato in cima al motore dell'impianto di condizionamento sul tetto a L del palazzo in cui si trovava lui. Rapidamente tornò indietro e salì fino al pianerottolo che dava sul tetto. Dovette girare intorno a un mucchio di mobili accatastati, ma la porta non era chiusa a chiave. Si avviò in fretta sul tetto piatto e coperto di ghiaia fino al condizionatore. Prima di toccare l'oggetto di plastica lo studiò con attenzione. Corrispondeva a quello che ricordava di aver visto nel video. Aveva la stessa base ottagonale. Era sicuro che fosse il gufo scomparso. Rimosse il filo di ferro che era stato avvolto intorno alla base e agganciato
alle griglie della presa d'aria del condizionatore. Notò che le griglie e il rivestimento metallico del condizionatore erano coperti di escrementi di uccelli ormai secchi. Forse Rohrshak, che a quanto pareva amministrava anche questo condominio, aveva preso il gufo dall'appartamento di Gunn per tenere lontani gli uccelli. McCaleb fece un cappio intorno al collo del gufo con il fil di ferro per poterlo trasportare senza toccarlo, anche se dubitava che vi fossero rimaste impronte utilizzabili o fibre che potessero servire come prove. Lo prese e raggiunse di nuovo la scala. Quando tornò nell'appartamento di Edward Gunn vide due tecnici delle impronte che tiravano fuori la loro attrezzatura da una scatola. Una scala a libro era stata aperta davanti alla vetrina. «Fareste meglio a cominciare da questo» disse guardando fisso Rohrshak, mentre entrava nella stanza e appoggiava il gufo di plastica sul tavolo. «Lei è amministratore anche del palazzo dall'altra parte della strada, vero, signor Rohrshak?» «Uh...» «Va bene. Non sarà difficile scoprirlo.» «Sì, è così» disse Winston chinandosi a guardare il gufo. «Era lì quando l'abbiamo cercato nei giorni seguenti l'omicidio. Abita lì.» «Non ha idea di come il gufo sia finito sul tetto?» chiese McCaleb. Di nuovo Rohrshak non rispose. «Immagino cha ci sia volato, non è così?» L'amministratore non riusciva a togliere gli occhi dal gufo. «Adesso può andare, signor Rohrshak. Ma stia nei paraggi. Se troviamo delle impronte sul gufo o sulla vetrina avremo bisogno di prendere le sue per fare un confronto.» L'uomo fissava McCaleb con gli occhi sgranati. «Se ne vada, signor Rohrshak.» L'amministratore si girò e uscì lentamente dall'appartamento. «Chiuda la porta per favore» gli gridò dietro McCaleb. Dopo che l'uomo fu uscito chiudendosi la porta alle spalle Winston scoppiò a ridere. «Sei stato molto duro con lui. In fondo non ha fatto niente di male. Noi abbiamo ripulito l'appartamento, lui ha lasciato che la sorella portasse via quello che voleva e poi... cosa doveva fare, affittare la casa con questo stupido gufo?»
McCaleb scosse la testa. «Ci ha mentito. E questo è male. Il cuore stava per scoppiarmi, mentre mi arrampicavo sul tetto. Poteva dircelo, che era là sopra.» «Be' adesso si è preso una bella paura. Credo che abbia imparato la lezione.» «Ormai...» McCaleb si spostò per permettere a uno dei tecnici di lavorare sul gufo, mentre l'altro saliva sulla scala per occuparsi del piano superiore della vetrina. Mentre lo cospargeva di polvere nera per rilevare le impronte, McCaleb studiò l'uccello di plastica. Era dipinto a mano. Marrone scuro e nero su ali, dorso e testa, marrone più chiaro con alcune pennellate gialle sul petto. Gli occhi erano di un nero brillante. «È rimasto all'aperto?» gli chiese il tecnico. «Sfortunatamente» rispose lui, ripensando alle piogge della settimana prima. «Non trovo niente.» «Lo immaginavo.» McCaleb guardò Winston. Dai suoi occhi continuava a trasparire la rabbia contro Rohrshak. «Niente nemmeno qui» disse l'altro tecnico. «C'è troppa polvere.» 9 Il processo di David Stokey si teneva nel tribunale di Van Nuys. Il crimine non rientrava nella giurisdizione di Van Nuys né della San Fernando Valley, ma il tribunale era stato scelto dall'ufficio del procuratore distrettuale perché aveva l'aula più ampia della contea, costruita diversi anni prima dall'unione di due più piccole, perché riuscisse a ospitare le due giurie e la folla di giornalisti che seguivano il caso di omicidio dei fratelli Menendez. La strage di parenti operata dai Menendez era stata solo uno dei numerosi casi che nei dieci anni precedenti avevano catturato l'attenzione dei media, e quindi del pubblico. In seguito, l'ufficio del procuratore distrettuale non si era dato la pena di disfare l'enorme aula. Qualcuno aveva saggiamente previsto che a Los Angeles ci sarebbe sempre stato un processo in grado di riempirla. Al momento era quello di David Storey. Il regista trentottenne, conosciuto per i suoi film vietati ai minori in cui
sesso e violenza erano spinti all'estremo, era accusato dell'omicidio di una attrice ventitreenne che aveva portato a casa sua dopo la prima della sua ultima fatica. Il corpo della giovane donna era stato trovato la mattina dopo nel piccolo bungalow del Nichols Canyon che la ragazza divideva con un'altra sedicente attrice. La vittima era stata strangolata, poi messa nuda nel letto in una posizione che, secondo gli investigatori, faceva parte di un piano molto preciso elaborato dall'assassino per evitare di essere scoperto. Il cocktail di elementi che componevano il caso - potere, celebrità, sesso e denaro - unito al fatto che il crimine era avvenuto a Hollywood, aveva suscitato l'attenzione spasmodica dei media. David Storey lavorava dalla parte sbagliata della telecamera per essere davvero una celebrità, ma aveva il potere di chi era stato in testa alle classifiche dei box office sette volte in altrettanti anni. I media erano attratti dal processo come i giovani erano attratti dal sogno di Hollywood. La vicenda veniva descritta come una parabola dell'avidità e degli eccessi. Il caso toccava livelli di segretezza insoliti nei processi penali. I procuratori incaricati avevano portato le prove davanti a un gran giurì per chiedere che Storey venisse incriminato. Quella mossa aveva permesso loro di scavalcare l'udienza preliminare, in cui la maggior parte delle prove viene resa pubblica. Mancando quella fonte, i media erano liberi di rivolgersi tanto all'accusa quanto alla difesa, ma avevano ottenuto poco, a parte alcune informazioni generiche. Le prove che l'accusa intendeva usare per collegare Storey all'omicidio rimanevano segrete, motivo di più perché i giornalisti si aggirassero freneticamente intorno al tribunale. Era stata proprio questa frenesia che aveva convinto il procuratore distrettuale a richiedere l'aula di Van Nuys. Sul banco che, al tempo del processo Menendez, era stato occupato dalla seconda giuria avrebbe preso posto la maggior parte dei giornalisti, mentre gli altri avrebbero guardato il processo su un teleschermo sistemato nella seconda stanza-verdetti, trasformata in ufficio stampa. Il fatto che tutti i giornali, dal National Enquirer al New York Times, avessero accesso all'aula e ai suoi protagonisti rendeva quel processo il primo grande circo mediatico del nuovo millennio. In mezzo alla pista, seduto al tavolo dell'accusa, c'era il detective Harry Bosch, che aveva diretto le indagini sul caso. Tutte le analisi fatte dalla stampa prima del processo giungevano alla stessa conclusione: le accuse contro Storey sarebbero montate o cadute insieme a Bosch. Si diceva che le prove dell'accusa fossero circostanziali, quindi il processo si sarebbe basato sulla testimonianza del detective. Il quale avrebbe affermato - e questo
era l'unico elemento certo giunto alla stampa - che una volta, durante un colloquio senza testimoni né strumenti per registrare la dichiarazione, Storey aveva ammesso di essere lui l'autore del crimine, vantandosi del fatto che l'avrebbe fatta franca. Questo era quello che sapeva McCaleb, entrando nel tribunale di Van Nuys poco prima di mezzogiorno. Si mise in coda davanti al metal detector e pensò a quanto la sua vita fosse cambiata. Al tempo in cui lavorava per il Bureau gli bastava mostrare il distintivo per superare la fila. Adesso era un cittadino come tutti gli altri. Doveva aspettare. L'atrio del quarto piano era affollato. McCaleb notò che molti avevano in mano fotografie in bianco e nero delle star che speravano partecipassero al processo, in qualità di testimoni o nel pubblico. Si diresse verso la doppia porta dell'aula, ma uno dei due agenti di guardia gli disse che era al completo. Gli indicò della gente in fila dietro una transenna: per ogni persona che lasciava l'aula ne poteva entrare un'altra. McCaleb annuì e fece marcia indietro. Notò in fondo all'atrio una porta aperta con un gruppo di persone che vi stazionava davanti. Riconobbe un giornalista che lavorava presso una televisione locale. Ne dedusse che si trattava della sala stampa e si diresse da quella parte. Mise dentro la testa e vide due grandi televisori sospesi agli angoli del soffitto e alcune persone sedute a quello che era stato il tavolo di una giuria. Chi scriveva sul portatile, chi prendeva appunti, chi mangiava un panino; il centro del tavolo era pieno di bicchieri di plastica con resti di caffè e bibite. Guardò uno degli schermi. La corte era ancora in sessione, nonostante fosse mezzogiorno passato. Si vedeva un angolo dell'aula piuttosto ampio e McCaleb riconobbe Bosch seduto al tavolo dell'accusa. Non sembrava particolarmente attento a ciò che accadeva. Un uomo era in piedi davanti al leggio situato tra il tavolo dell'accusa e quello della difesa. Era J. Reason Fowkkes, l'avvocato difensore. Seduto al tavolo, alla sua sinistra, c'era l'imputato, David Storey. McCaleb non riusciva a sentire, ma capiva che Fowkkes non stava facendo la sua dichiarazione iniziale: parlava rivolto al giudice, non al banco della giuria. Probabilmente gli avvocati stavano presentando le ultime istanze prima di cominciare. Sulla coppia di televisori comparve un altro angolo dell'aula. Venne inquadrato il giudice, che cominciò a parlare, probabilmente per dare le sue regole. McCaleb lesse il nome sulla targa: John A. Houghton, Giudice della Corte Superiore. «Agente McCaleb?»
Si girò e vide accanto a sé un uomo che riconobbe, ma non riuscì a identificare. «Solo McCaleb, Terry McCaleb.» L'uomo percepì il suo disagio e gli tese la mano. «Jack McEvoy. L'ho intervistata, una volta. Fu una cosa piuttosto breve. A proposito del caso del Poeta.» «Ah, giusto! Adesso ricordo. È stato parecchio tempo fa.» McCaleb gli strinse la mano. Si ricordava di McEvoy. Era rimasto affascinato dal caso, tanto da scriverci un libro. McCaleb aveva avuto un ruolo marginale, quando l'indagine era stata spostata a Los Angeles. Benché non avesse letto il libro di McEvoy, era sicuro che il suo contributo era passato inosservato. Forse non l'aveva nemmeno nominato. «Credevo che vivesse in Colorado» disse, ricordandosi che McEvoy lavorava per un giornale di Denver. «È qui per seguire il processo?» L'altro annuì. «Complimenti, ha buona memoria. Sono di Denver, ma adesso vivo a Los Angeles. Lavoro come freelance.» McCaleb annuì pensando a cos'altro dire. «E stavolta per chi lavora?» «Scrivo per il New Times. Lo conosce?» McCaleb annuì. Era un settimanale scandalistico, che amava pescare nel torbido. Sopravviveva grazie agli annunci pubblicitari, dai cinema ai servizi di accompagnatrici, che riempivano le ultime pagine. Era gratuito e Buddy ne lasciava sempre qualche copia in giro per la barca. McCaleb gli aveva dato un'occhiata di tanto in tanto, ma non aveva mai notato la firma di McEvoy. «Sto anche collaborando con Vanity Fair» disse McEvoy. «Pezzi di colore, sui lati oscuri di Hollywood. E sto pensando a un altro libro. Ma come mai è qui? È forse coinvolto in questo...» «Non io, un mio amico. Ero da queste parti e speravo di riuscire a salutarlo.» McCaleb alzò la testa verso i televisori, forse per nascondere la menzogna. Adesso si vedeva l'intera aula del tribunale. Guardò Bosch che infilava qualcosa in una ventiquattrore. «Harry Bosch?» McCaleb si girò di nuovo verso McEvoy. «Sì, Harry. Abbiamo lavorato insieme a un caso tempo fa e... cosa sta succedendo là dentro adesso?»
«Le ultime istanze prima di cominciare. C'è stata una udienza a porte chiuse e ora stanno svolgendo alcune operazioni di routine. Niente di importante. Tutti pensano che il giudice finirà prima di pranzo e lascerà liberi gli avvocati di lavorare alle dichiarazioni di apertura. Cominceranno domani alle dieci. Se le sembra che oggi ci sia gente, aspetti di vedere domani!» McCaleb annuì. «Bene... mi ha fatto piacere rivederla, Jack. Auguri per l'articolo, e per il libro, se lo farà.» «Sa, mi sarebbe piaciuto scrivere la sua storia, con la vicenda del trapianto e il resto.» McCaleb annuì di nuovo. «Be', dovevo un favore a Keisha Russel e lei ha fatto un buon lavoro.» La sala stampa cominciò a svuotarsi. McCaleb vide sugli schermi televisivi che il giudice se n'era andato. L'udienza era conclusa. «Sarà meglio che vada nell'atrio, se voglio beccare Harry. Mi ha fatto piacere rivederla, Jack.» Si strinsero la mano. Quindi il giornalista seguì i suoi colleghi verso le porte dell'aula, che erano state aperte per permettere di uscire ai fortunati che avevano avuto la possibilità di assistere a quella che doveva essere stata una seduta terribilmente noiosa. Chi non era riuscito a entrare si lanciò tra la folla, sperando invano di vedere qualche celebrità. Ma i personaggi famosi sarebbero comparsi l'indomani. Le dichiarazioni di apertura erano come i titoli di testa di un film: era lì che bisognava essere. In coda arrivarono gli avvocati con i loro staff. Storey era stato riportato in cella. Il suo avvocato si diresse a grandi passi verso i giornalisti e cominciò a fornire la sua versione di quello che stava succedendo nell'aula. Un uomo alto, molto abbronzato, con capelli corvini e occhi verdi sempre in movimento si piazzò dietro l'avvocato coprendogli le spalle. Faceva un certo effetto e a McCaleb sembrò di riconoscerlo, ma non riusciva a ricordare dove l'aveva visto. Sembrava uno degli attori che Storey metteva abitualmente nei suoi film. Anche í procuratori uscirono dall'aula e subito ebbero il loro nugolo di giornalisti da gestire. Erano più parchi nelle risposte e, quando le domande riguardavano le prove che avrebbero presentato, non rispondevano affatto. McCaleb cercava Bosch e finalmente lo vide. Camminava rasente il muro per evitare la folla e si diresse verso gli ascensori. Una giornalista gli andò incontro, ma lui la allontanò con un gesto della mano. La donna si
fermò e, simile a una molecola che si ricollega alle compagne, tornò al gruppo che circondava J. Reason Fowkkes. McCaleb raggiunse Bosch davanti a un ascensore. «Ehi, Harry Bosch.» Il detective si girò con l'espressione di chi non ha nessuna intenzione di parlare, poi esclamò: «Ehi... McCaleb!». Sorrise e si strinsero la mano. «È una delle vicende peggiori che si siano mai verificate nel mondo dello spettacolo» disse McCaleb. «Non me ne parlare. Che cosa ci fai qui? Non mi dirai che stai scrivendo un libro su questo caso?» «Sei impazzito?» «Tutti gli ex agenti del Bureau scrivono libri oggigiorno.» «Naaa, non io. Piuttosto, posso offrirti il pranzo? C'è una cosa di cui vorrei parlarti.» Bosch guardò l'orologio valutando la proposta. «Edward Gunn» aggiunse McCaleb. Bosch alzò gli occhi su di lui. «Jaye Winston?» McCaleb annuì. «Mi ha chiesto di dare un'occhiata al caso.» L'ascensore arrivò e loro vi entrarono insieme a un gruppo di persone. Tutti guardavano Bosch, fingendo di non farlo. McCaleb decise di aspettare. «Le ho detto che le avrei tracciato un profilo dell'assassino» continuò mentre si dirigevano verso l'uscita. «Una cosa veloce. Ma ho bisogno di informazioni su Gunn. Ho pensato che magari potresti parlarmi di lui, dirmi che tipo era.» «Era un bastardo. Senti, ho quarantacinque minuti al massimo e un sacco di cose da fare. Devo controllare i testimoni, accertarmi che tutto sia a posto.» «Vada per i quarantacinque minuti. Dove si può mangiare da queste parti?» «Evitiamo il self-service del tribunale, è pessimo. C'è un ristorante come si deve sul Victory.» «Voi poliziotti vi trattate sempre bene.» «È per questo che facciamo questo mestiere.»
10 Consumarono i loro hot-dog a un tavolo all'aperto, senza ombrellone. Nonostante fosse solo una tiepida giornata invernale, McCaleb stava sudando. Nella Valley c'era sempre qualche grado in più che a Catalina e lui non era abituato. Da quando aveva subito il trapianto il suo sistema di termoregolazione interna non funzionava più come prima. Cominciò facendo due chiacchiere sul lavoro di Bosch. «Questo caso ti farà diventare una star. Sei pronto?» «No» disse Bosch tra un morso e l'altro di quello che sul menu era chiamato un Chicago-dog. «Preferirei fare il turno di notte sette giorni su sette.» «Credi che ce la farete?» «Chi lo sa. L'ufficio del procuratore distrettuale non vince una grossa causa da diverso tempo. Non so come andrà. Tutti gli avvocati dicono che dipende dalla giuria. Ho sempre pensato che l'esito di un processo dipenda dalle prove, ma io sono solo uno stupido detective. Per la scelta della giuria, John Reason ha portato gli stessi consulenti del processo O.J. e quelli sembrano piuttosto soddisfatti dei dodici dietro il banco. Merda, lo sto chiamando John Reason, come i giornalisti. Vedi fino a che punto quel tizio manipola la gente?» Scosse la testa e diede un altro morso al panino. «Chi è il tipo alto che ho visto insieme a lui?» chiese McCaleb. «Quello che assomiglia a Lurch, il maggiordomo della famiglia Addams?» «Rudy Valentino, il suo investigatore.» «Si chiama davvero così?» «No, si chiama Rudy Tafero. Lavorava per il Dipartimento: è stato detective a Hollywood fino a pochi anni fa. I colleghi lo chiamavano Valentino per il suo look e lui non ne poteva più. È passato al privato: ha una licenza di garante per le cauzioni. Non chiedermi come ha fatto, ma è riuscito a entrare nelle grazie di parecchia gente, qui a Hollywood. Noi l'abbiamo scoperto dopo aver preso Storey. È stato Rudy a portare Storey da Fowkkes, e probabilmente è stato lautamente ricompensato.» «Che mi dici del giudice? Come si comporterà?» Bosch annuì come se avesse trovato qualcosa di buono nella conversazione. «"Pistolero" Houghton. Lui non è di quelli che danno una seconda possibilità. Non gli piacciono i giochetti. Stroncherà Fowkkes, dovrà farlo.
Abbiamo almeno questo dalla nostra.» «"Pistolero"?» «Sotto la toga ha sempre un cinturone, o almeno così crede la gente. Circa cinque anni fa giudicava un caso di mafia messicana e quando la giuria è rientrata con un verdetto di colpevolezza, un gruppo di amici dell'imputato ha dato fuori di matto. Stava per scoppiare una rivolta, ma Houghton ha tirato fuori la sua Glock e ha disegnato un cerchio nel soffitto. Gli animi si sono calmati piuttosto in fretta. Da allora è sempre stato rieletto con più voti di qualsiasi altro giudice oggi in carica. Va in aula e controlla il soffitto. Ci sono ancora i fori dei proiettili. Non ha voluto che li stuccassero.» Bosch diede un altro morso al panino e guardò l'orologio. Cambiò argomento, parlando con la bocca piena. «Niente di personale, ma deduco che abbiano sbattuto la testa contro un muro con Gunn, se hanno già chiesto dell'aiuto esterno.» McCaleb annuì. «Più o meno.» Guardò il suo hot-dog piccante e desiderò avere coltello e forchetta. «Qualcosa non va? Non saremmo dovuti venire qui.» «Niente. Stavo solo pensando che con i pancake di stamattina e questa bomba potrei avere bisogno di un cuore nuovo per l'ora di cena.» «Se vuoi dare la botta finale al tuo cuore, la prossima volta, dopo i pancake da Dupar, chiudi in bellezza con i bomboloni di Bob. È proprio lì al Farmer's Market. Sono coperti di glassa. Ne bastano un paio per sentire le arterie indurirsi e spezzarsi come ghiaccioli. Non sono mai arrivati a individuare un colpevole, giusto?» «Giusto.» «E perché ti interessa tanto?» «Per lo stesso motivo di Jaye. Qualcosa ci fa credere che potremmo essere appena all'inizio.» Bosch si limitò ad annuire. Aveva la bocca piena. McCaleb lo osservò. I suoi capelli erano più corti di una volta. Anche più grigi, ma questo doveva aspettarselo. Però aveva gli stessi baffi, e gli stessi occhi. Gli ricordavano quelli di Graciela, così neri da non riuscir quasi a distinguere l'iride dalla pupilla. Ma quelli di Bosch erano stanchi e circondati da rughe agli angoli. E poi non stavano mai fermi, come se volessero registrare tutto. Il detective si chinò leggermente in avanti, come se stesse per alzarsi. McCaleb si ricordò che Bosch sembrava caricato a mol-
la. Si aveva sempre l'impressione che potesse scattare da un momento all'altro. Bosch prese un paio di occhiali da sole nella tasca del cappotto e se li infilò. Forse si sentiva osservato, si disse McCaleb. Si chinò e diede un morso al suo hot-dog. Era squisito e letale al tempo stesso. Rimise quell'ammasso grondante salsa sul piatto di carta e si pulì le mani con il tovagliolo. «Allora, parlami di Gunn. Hai detto che era un bastardo, che altro?» «È tutto. Viveva alle spalle delle donne. Le usava, le comprava. Quella ragazza nella stanza del motel, l'ha assassinata lui, non ho dubbi.» «Ma il procuratore ha archiviato il caso.» «Già. Gunn ha raccontato di aver agito per difesa. La sua storia faceva acqua, ma non abbastanza perché potessimo accusarlo. Non avevamo abbastanza elementi per smontargliela in tribunale. Così gli è andata liscia. Fine.» «Sapeva che non gli credevi?» «Certo. Lo sapeva benissimo.» «Hai mai cercato di farlo confessare?» Bosch gli lanciò un'occhiata che McCaleb riuscì a leggere attraverso gli occhiali. Quella domanda toccava la sua credibilità come investigatore. «Voglio dire» aggiunse McCaleb rapidamente, «cosa è successo quando hai cercato di farlo confessare?» «La verità è che non ne ho mai avuto la possibilità. È stato questo il problema. Vedi, avevamo preparato tutto. L'avevamo portato dentro e l'avevamo messo in una stanza per interrogarlo. Il mio partner e io intendevamo lasciarlo per un po' a mollo nel suo brodo, a riflettere. Volevamo prima preparare la documentazione per il fascicolo e poi andare da lui e cercare di demolire la sua storia. Non ne abbiamo avuto la possibilità.» «Che cosa è successo?» «Io e il mio partner, Jerry Edgar, siamo scesi nell'atrio per prendere un caffè, discutendo su come giocarci la cosa. Mentre eravamo giù il nostro tenente ha visto Gunn seduto nella stanza degli interrogatori. Non aveva la minima idea di cosa stesse facendo lì, ma ha deciso di accertarsi che fosse stato informato correttamente dei suoi diritti.» McCaleb poteva vedere la rabbia che montava sulla faccia di Bosch, anche se erano passati sei anni da quell'episodio. «Vedi, Gunn era lì come testimone e possibile vittima di un ipotetico crimine. Aveva raccontato che la donna gli si era buttata addosso con un coltello e che lui le aveva rigirato l'arma contro. Quindi noi non eravamo
tenuti a leggergli i suoi diritti. Il piano era di riuscire a smontare la sua storia facendogli commettere un errore. E in seguito leggergli i suoi diritti. Ma quello stronzo del tenente, che non sapeva niente, è entrato e glieli ha spiattellati. A quel punto eravamo bruciati. Non appena abbiamo messo piede nella stanza, Gunn ha chiesto un avvocato.» Bosch scosse la testa e si girò verso la strada. McCaleb seguì il suo sguardo. Dall'altra parte del Victory Boulevard c'era un parcheggio di auto usate con banderuole rosse, blu e bianche che sbattevano al vento. Per McCaleb, Van Nuys era da sempre sinonimo di concessionarie d'auto. Ce n'erano dappertutto e di tutti i tipi. «E che cosa hai detto al tenente?» «Non gli ho detto niente. Mi sono limitato a farlo volare fuori dalla vetrata del suo ufficio. Mi hanno sospeso. Alla fine Edgar ha portato il caso dal procuratore distrettuale: l'hanno tenuto fermo per un po' e poi l'hanno archiviato.» Bosch annuì, gli occhi sul piatto vuoto. «In un certo senso ho fallito. Sì, ho fallito.» McCaleb aspettò un momento prima di parlare. Una folata di vento sollevò il piatto di Bosch dal tavolo e il detective lo guardò svolazzare attraverso l'area dei picnic. Non si alzò a fermarlo. «Lavori ancora per quel tenente?» «No. Non è più con noi. Dalla notte in cui uscì e non tornò più a casa. Lo trovarono nella sua macchina nel tunnel di Griffith Park.» «Cosa? Si è ucciso?» «No. Ci ha pensato qualcun altro. Il caso è ancora aperto... tecnicamente.» Bosch lo guardò di nuovo. McCaleb abbassò gli occhi e notò il fermacravatta del detective: un sottile paio di guanti d'argento. «Cos'altro posso dirti?» chiese Bosch. «Gunn era solo una mosca nel burro, e per burro intendo quella stronzata che chiamano sistema giudiziario.» «Sembra che tu non abbia avuto molto tempo per indagare su di lui.» «Neanche un po'. Tutto quello che ti ho raccontato si è svolto nell'arco di otto o nove ore. Dopo di che, con quello che è successo, io ero fuori dal caso e lui libero come l'aria.» «Ma tu non hai mollato. Jaye mi ha detto che l'hai visto la notte prima che venisse ucciso.» «Sì, l'hanno arrestato per ubriachezza, mentre andava a donne sul Sun-
set. Era in cella e mi hanno chiamato. Sono andato per cercare di smuoverlo un po', per vedere se era pronto a parlare. Ma era troppo sbronzo. Se ne stava per terra in mezzo al suo vomito, il che ha reso impossibile la comunicazione. È tutto.» Bosch guardò l'hot-dog mezzo sbocconcellato di McCaleb, quindi il suo orologio. «Mi dispiace, ma non c'è altro. Lo mangi o possiamo andare?» «Ancora un paio di morsi e un paio di domande. Non ti fai una sigaretta?» «Ho smesso un paio di anni fa. Fumo solo nelle occasioni speciali.» «Non mi dire. Colpa della scritta L'UOMO MARLBORO È DIVENTATO IMPOTENTE che ho visto sul Sunset?» «No, mia moglie voleva che smettessimo e l'abbiamo fatto.» «Tua moglie? Harry, sei pieno di sorprese.» «Non ti eccitare. È arrivata e se ne è andata. Ma almeno io non fumo più. Non so lei.» McCaleb si limitò ad annuire, sentendo che si era intromesso troppo nella vita privata del detective. Tornò al caso. «Hai qualche teoria su chi può averlo ucciso?» Diede un altro morso al suo hot-dog mentre Bosch rispondeva. «La mia idea è che abbia incontrato qualcuno esattamente come lui. Qualcuno che per qualche motivo ha oltrepassato un limite. Non fraintendermi: spero che tu e Jaye lo prendiate, ma per ora lui, o lei, non ha fatto niente che mi disturbi troppo. Capisci cosa voglio dire?» «È curioso che tu abbia detto "lei". Credi che possa essere stata una donna?» «Non ne so abbastanza, ma come ho detto, viveva alle spalle delle donne. Magari una ha voluto fermarlo.» McCaleb annuì. Non gli veniva in mente nient'altro. Bosch era una scommessa arrischiata, in ogni caso. Forse sapeva che non avrebbe ottenuto di più e aveva solo voluto incontrarlo per altre ragioni. Parlò guardando il piatto. «Pensi ancora alla ragazza sulla collina?» Non voleva pronunciare il nome che le aveva dato Bosch. «Ogni tanto. Non riesco a liberarmene. Come tutti gli altri casi, credo.» «Già... Nessuno ha mai reclamato il corpo?» «No. Ho anche fatto un ultimo tentativo con Seguin. Sono andato a trovarlo al braccio della morte circa una settimana prima che lo giustiziasse-
ro. Ho cercato di tirargli fuori il nome, ma si è limitato a sorridermi. Era come se sapesse che mi teneva in pugno. Credo che ne godesse. Mi sono alzato per andarmene e gli ho detto di divertirsi all'inferno. Sai cosa mi ha risposto? "Dicono che faccia caldo, ma un caldo secco".» Bosch scosse la testa. «Fottuto bastardo. Sono andato e tornato nel mio giorno libero. Dodici ore di macchina con l'aria condizionata che non funzionava.» Guardò in faccia McCaleb il quale percepì nuovamente il legame che aveva un tempo con quell'uomo. Prima che riuscisse a dire qualcosa sentì il suo telefono suonare nella giacca a vento appoggiata sulla panca accanto a lui. Ci mise un po' a trovare la tasca, ma riuscì a rispondere prima che l'altro riagganciasse. Era Brass Doran. «Ho del materiale per te. Non molto, ma forse è un inizio.» «Ti posso chiamare tra qualche minuto?» «A dire la verità sono nella sala riunioni della centrale. Dobbiamo discutere un caso e io presiedo. Forse ci vorranno un paio d'ore. Puoi chiamarmi a casa stasera se...» «No, aspetta un momento.» Scostò il telefono e guardò Bosch. «È meglio che parli con lei. Ti tengo informato, d'accordo?» «Certo.» Bosch si alzò con la sua Coca Cola in mano. «Grazie» disse McCaleb tendendogli la mano. «Buona fortuna per il processo.» «Ne avremo bisogno» rispose Bosch. McCaleb lo guardò allontanarsi lungo il marciapiede che costeggiava il tribunale. Poi riprese il telefono. «Brass?» «Eccomi. Dunque, vuoi sapere dei gufi in generale, giusto? Non conosci il genere o la famiglia?» «È un gufo qualunque, credo.» «Di che colore è?» «Marrone, direi, almeno il dorso e le ali.» Mentre parlava tirò fuori dalle tasche un paio di fogli piegati e una penna. Spostò il panino mangiato a metà e si preparò a prendere appunti. «Okay, ecco l'iconografia moderna. Il gufo è il simbolo della saggezza e della verità. Significa conoscenza, una visione ampia delle cose contrappo-
sta ai dettagli. Inoltre il gufo vede di notte. In altre parole, vedere al buio significa vedere la verità, imparare la verità, quindi conoscenza. E dalla conoscenza viene la saggezza. Mi segui?» McCaleb non aveva bisogno di prendere appunti. Quello che gli stava spiegando Doran era ovvio. Ma solo come promemoria scrisse: «Vedere nel buio = saggezza». Poi sottolineò l'ultima parola. «Okay, ottimo. Che altro?» «Questo è quello che ho per quanto riguarda la simbologia contemporanea. Ma andando indietro la cosa diventa piuttosto interessante. Il nostro amico gufo ha verniciato di fresco la sua reputazione. Prima era un cattivo ragazzo.» «Sputa il rospo, Brass.» «Tira fuori la penna. Il gufo ricorre spesso nell'iconografia artistica e religiosa dal primo medioevo fino al tardo Rinascimento. È spesso rappresentato nelle allegorie religiose - dipinti, gargouilles, basi delle croci. Il gufo era...» «Okay, Brass, ma cosa significa?» «Ci sto arrivando. Il significato varia da quadro a quadro e a seconda della specie. Ma di solito era il simbolo del male.» «Okay» disse McCaleb scrivendo la parola. «Credevo che la cosa ti avrebbe eccitato di più.» «Perché non mi vedi: sto camminando sulle mani! Che altro hai?» «Lasciami guardare la lista. Cito testualmente definizioni da saggi e articoli di critica sull'arte dell'epoca. I riferimenti alle rappresentazioni del gufo lo definiscono come la malasorte, il nemico dell'innocenza, il Diavolo in persona, eresia, follia, morte e disgrazia, l'uccello della notte e, per concludere, il tormento dell'anima umana nel suo ineluttabile viaggio verso la dannazione eterna. Niente male, eh? Mi piace quest'ultima. Credo che non avrebbero venduto molti sacchetti di patatine con sopra il gufo nel quattordicesimo secolo.» McCaleb non le rispose. Era occupato a scarabocchiare le definizioni che gli aveva letto. «Rileggimi l'ultima.» Lei lo fece e McCaleb la trascrisse parola per parola. «Ma non è tutto» disse Doran. «C'è anche qualche interpretazione del gufo come simbolo della collera divina e della punizione per i peccati. Quindi è ovvio che ha significato cose diverse nelle diverse epoche e an-
che per le diverse persone.» «Punizione per i peccati» ripeté McCaleb scrivendo. Guardò la lista sul foglio. «Nient'altro?» «Non è abbastanza?» «Probabilmente sì. Non hai trovato qualche libro su cui andare a vedere questa roba, oppure dei nomi di artisti o scrittori che usavano il cosiddetto "uccello del buio" nei loro lavori?» McCaleb sentì Doran sfogliare alcune pagine. «Non c'è molto qui. Nessun libro, ma ti posso dare il nome di alcuni artisti e probabilmente puoi trovare qualcosa su Internet o alla biblioteca dell'UCLA.» «Va bene.» «Devo fare in fretta. Stiamo per cominciare.» «Dimmi.» «Dunque, ho un pittore che si chiama Bruegel che ha disegnato un'enorme faccia come cancello dell'inferno. Un gufo marrone fa il nido in una narice di questa faccia.» Cominciò a ridere. «Non fare domande» disse, «ti sto solo riferendo quello che ho trovato.» «Bene» rispose McCaleb, scrivendo la descrizione. «Vai avanti.» «Altri due pittori segnalati per aver usato il gufo come simbolo del male sono Van Oostsanen e Dürer. Non ho il titolo di quadri precisi.» McCaleb sentì che sfogliava altre pagine. Le chiese di fargli lo spelling dei nomi e li scrisse. «Ecco: sembra che le opere dell'ultimo tizio citato siano piene di gufi. Ha un nome strano. H-I-E-R-O-N-Y-M-U-S. Era fiammingo e faceva parte del Rinascimento nordeuropeo. Posso immaginare che da quelle parti i gufi fossero grossi.» McCaleb guardò il foglio davanti a sé. L'ultimo nome gli suonava familiare. «Ti sei dimenticata di dirmi il cognome.» «Ah, scusa. È Bosch, come le candele per auto.» McCaleb sembrava essersi improvvisamente paralizzato. Non si muoveva, non respirava. Fissava il nome sulla pagina, come se non riuscisse a staccare gli occhi. Finalmente si girò e guardò lontano, nella direzione in cui aveva visto Harry Bosch allontanarsi. «Terry, sei ancora lì?»
Si riprese. «Sì.» «Non ho trovato altro. Adesso devo andare. Stiamo cominciando.» «Nient'altro su Bosch?» «Nient'altro. E il mio tempo è scaduto.» «Okay, Brass, grazie mille. Ti devo un favore.» «Un giorno verrò a riscuotere. Fammi sapere cosa succede, d'accordo?» «Stanne certa.» «E mandami una foto della piccolina.» «Lo farò.» Lei riagganciò e McCaleb richiuse lentamente il telefono. Si annotò in fondo alla pagina di mandare una foto della figlia a Doran. Era solo un tentativo per non pensare al nome del pittore che aveva appena scritto. «Cazzo» sussurrò. Rimase seduto a lungo, immerso nei suoi pensieri. Il fatto di aver ricevuto quella misteriosa informazione pochi minuti dopo aver pranzato con Harry Bosch era una coincidenza che lo sconvolgeva. Studiò i suoi appunti ancora per qualche minuto, sapendo benissimo che non contenevano le informazioni di cui aveva bisogno. Alla fine riaprì il telefono e chiamò l'ufficio informazioni dell'elenco abbonati. Pochi minuti dopo stava Telefonando all'ufficio personale del Dipartimento di Polizia. Dopo nove squilli rispose una donna. «Buongiorno, chiamo da parte del Dipartimento dello Sceriffo di Los Angeles e ho bisogno di contattare un vostro detective, ma so soltanto il nome, e non dove lavora.» Sperava che la donna non gli chiedesse cosa voleva dire da parte. Dopo un lungo silenzio, udì picchiettare su una tastiera. «Cognome?» «Bosch.» Fece lo spelling e guardò il foglio, pronto a farlo anche del nome. «E il no... non importa ce n'è solo uno: Hiero... davvero strano.» «Hieronymus. È lui.» «È un detective di terzo grado e lavora alla Divisione Hollywood, vuole il numero?» McCaleb non rispose. «Signore, vuole il...» «No, ce l'ho. La ringrazio molto.» Chiuse il telefono, guardò l'ora e lo riaprì.
Compose il diretto di Jaye Winston, che rispose immediatamente. Le chiese se aveva saputo qualcosa sul gufo di plastica. «Non ancora. Sono passate solo un paio d'ore e uno dei due tecnici era a pranzo. È meglio che aspetti domani prima di farmi sentire.» «Hai tempo per farmi un favore?» «Di cosa si tratta?» McCaleb le parlò delle ricerche condotte da Brass Doran, ma tralasciò qualunque accenno a Hieronymus Bosch. Disse che voleva parlare con un esperto di pittura del Rinascimento nordeuropeo, e che era certo che sarebbe stato ricevuto più in fretta con una richiesta ufficiale da parte di un detective della Omicidi. «Non c'è problema. Da dove comincio?» «Proverei con il Getty. In questo momento sono a Van Nuys, e se qualcuno è disposto a incontrarmi posso arrivarci in mezz'ora.» «Vedrò cosa posso fare. Hai parlato con Harry Bosch?» «Sì.» «Novità?» «Direi di no.» «Lo immaginavo. Ti richiamo.» McCaleb buttò quello che rimaneva del suo pranzo in un bidone della spazzatura e tornò verso il tribunale dove aveva lasciato la Cherokee, parcheggiata in una stradina laterale. Mentre camminava, rifletté sul peccato di omissione che aveva appena commesso. Avrebbe dovuto parlare a Jaye Winston di Bosch. Si chiese perché glielo aveva nascosto, ma non fu in grado di rispondersi. Il suo telefono squillò proprio nel momento in cui arrivava alla macchina. Era di nuovo lei. «Hai un appuntamento al Getty alle due. Chiedi di Leigh Alasdair Scott. È un curatore del museo per la quadreria.» McCaleb scrisse il nome appoggiandosi al cofano della macchina. «Hai fatto in fretta, grazie.» «Siamo qui per servirla. Ho parlato direttamente con Scott e mi ha detto che se non sarà in grado di aiutarti lui, ti troverà qualcun altro.» «Gli hai parlato del gufo?» «No, il colloquio è tuo.» «Giusto.» McCaleb aveva una seconda possibilità di parlarle di Hieronymus Bosch. Ma la lasciò cadere di nuovo.
«Ti chiamo più tardi, d'accordo?» «A presto.» Chiuse il telefono e aprì la portiera. Oltre il tetto della macchina vide un grande cartello bianco appeso alla parete sopra l'entrata degli uffici per la libertà sulla parola. A lettere blu c'era scritto: BENTORNATA THELMA ! Entrò nell'auto domandandosi se Thelma fosse una condannata o un'impiegata. 11 Quando iniziò la salita di Sepulveda Pass, McCaleb vide il Getty sorgere di fronte a lui in cima alla collina. L'edificio del museo era impressionante, come le grandi opere d'arte che conteneva. Sembrava un castello medievale. Vide una delle navette che si arrampicava lentamente lungo la strada per depositare l'ennesimo gruppo di visitatori davanti a quella cattedrale dell'arte. Parcheggiò ai piedi della collina e prese un'altra navetta. Era in ritardo di un quarto d'ora per il suo appuntamento con Leigh Alasdair Scott. Dopo aver chiesto indicazioni a un custode del museo, attraversò rapidamente un cortile in travertino e raggiunse un'entrata di sicurezza. Chiese di Scott al banco e lo aspettò seduto su una panca. L'uomo era sulla cinquantina e aveva un accento che McCaleb collocò tra l'Australia e la Nuova Zelanda. Era amichevole e «felice di poter essere utile al Dipartimento dello Sceriffo della contea di Los Angeles». «Abbiamo già avuto occasione di offrire la nostra esperienza ai detective, in passato. In genere si trattava di autenticare opere d'arte o dare informazioni storiche su qualche pezzo» disse, mentre percorrevano il lungo corridoio che portava al suo ufficio. «La detective Winston mi ha accennato al fatto che questa volta si tratta di qualcos'altro. Lei ha bisogno di informazioni sul Rinascimento nordeuropeo, vero?» Aprì una porta e introdusse McCaleb in una zona con diversi uffici. Entrarono nel primo, subito dopo il bancone d'ingresso. Era una piccola stanza con una grande finestra e la vista spaziava fino alle case sulle colline di Bel-Air. L'ufficio, con due pareti occupate da librerie e una scrivania sepolta sotto una montagna di carte, era decisamente ingombro. Scott indicò una sedia a McCaleb e si sedette sull'altra.
«A dire la verità le cose sono leggermente cambiate dopo che la detective Winston le ha parlato» disse McCaleb. «Adesso posso essere più preciso e restringere le mie domande a un pittore specifico di quel periodo. Se lei potesse parlarmi di lui e magari mostrarmi qualche sua opera mi sarebbe di grande aiuto.» «Di che pittore si tratta?» «L'ho scritto qui.» McCaleb tirò fuori dalla tasca il foglietto e glielo mostrò. Scott lesse il nome a voce alta con evidente familiarità. «Le sue opere sono piuttosto note. Non lo conosce?» «No, non mi intendo molto di arte. Il museo ha qualche suo quadro?» «No, non c'è niente di suo qui al Getty, ma abbiamo l'opera di un suo allievo in fase di restauro. I suoi quadri sono quasi tutti in Europa, la maggior parte a Madrid, al Prado, gli altri sparsi un po' ovunque. Comunque non sono io la persona con cui deve parlare.» McCaleb alzò le sopracciglia con aria interrogativa. «Visto che lei ha ristretto le sue domande a Bosch, c'è qualcuno al museo che ne sa più di me. È una curatrice e si dà il caso che stia lavorando proprio a un catalogo ragionato delle opere di Bosch. È un progetto molto impegnativo, a cui sta lavorando da tempo.» «Ed è qui? Posso parlare con lei?» Scott afferrò il telefono e schiacciò il pulsante del vivavoce. Poi consultò una lista di numeri attaccata alla scrivania e ne compose uno di tre cifre. Dopo qualche squillo rispose una donna. «Lola Walter, posso esservi utile?» «Lola, sono Scott. Penelope è in giro?» «Sta lavorando all'Inferno da stamattina.» «Grazie. Andremo a cercarla lì.» Scott spense il vivavoce e si diresse verso la porta. «È fortunato» disse. «Cosa sarebbe "l'Inferno"?» chiese McCaleb. «È il quadro dell'allievo di Bosch di cui le ho parlato. Mi segua, prego.» Scott guidò McCaleb fino a un ascensore, che li portò al piano inferiore. Lungo la strada gli spiegò che il museo aveva uno dei migliori laboratori di restauro del mondo. Per questo al Getty arrivavano opere provenienti da altri musei e da collezioni private. In quel momento stavano restaurando un dipinto, appartenente a un privato, che, con ogni probabilità, era opera di un allievo di Bosch o di un pittore del suo atelier. Il quadro s'intitolava
Inferno. Il laboratorio di restauro era una grande stanza divisa in due sezioni. In una venivano restaurate le cornici. L'altra era dedicata ai quadri ed era divisa a sua volta in diversi scomparti lungo una parete a vetrate con la stessa vista che si godeva dall'ufficio di Scott. McCaleb fu condotto al secondo scomparto, dove un uomo era seduto davanti a un dipinto appoggiato a un grande cavalletto. L'uomo portava un grembiule sopra un abito con camicia e cravatta e aveva sugli occhi delle lenti d'ingrandimento simili a quelle dei gioiellieri. Era chino sul quadro e stava usando un pennello molto sottile per applicare quella che sembrava una polvere d'argento. Alle sue spalle, una donna osservava il suo lavoro. Né la donna né l'uomo si girarono a guardare i nuovi arrivati. Scott alzò le mani, facendo cenno a McCaleb di fermarsi. McCaleb guardò il quadro. Era alto circa un metro e largo due. Si trattava di un cupo paesaggio notturno: un villaggio bruciava mentre i suoi abitanti venivano torturati e uccisi da una gran varietà di creature ultraterrene. La parte superiore del dipinto, un cielo notturno, aveva delle piccole macchie nei punti in cui mancava il colore. Lo sguardo di McCaleb si fermò su un angolo del dipinto, in basso, dove un uomo nudo e bendato veniva costretto a salire una scala che portava alla forca da un nugolo di creature simili a uccelli, armate di spade. Il restauratore finì il suo lavoro e appoggiò il pennello sul piano di vetro del tavolo alla sua sinistra. Quindi si chinò verso il quadro per esaminare ciò che aveva appena fatto. Scott si schiarì la voce. Si girò solo la donna. «Penelope Fitzgerald, il detective McCaleb. Ha bisogno di farti alcune domande su Hieronymus Bosch per l'indagine che sta seguendo.» Indicò il quadro. «Gli ho detto che sei la persona più adatta a parlare con lui.» McCaleb scorse negli occhi della donna sorpresa e preoccupazione, una reazione normale di fronte a un'improvvisa comparsa della polizia. L'uomo non si girò nemmeno. Questa invece non era una reazione normale. Riprese il pennello e si rimise al lavoro. McCaleb tese la mano alla donna. «Per la verità non sono io a occuparmi ufficialmente dell'indagine. Al Dipartimento dello Sceriffo mi hanno chiesto una consulenza.» Si strinsero la mano. «Non capisco» disse lei. «Hanno rubato un quadro di Bosch?» «No, niente del genere. È un Bosch, quello?» rispose McCaleb, indicando il dipinto.
«No. Potrebbe essere la copia di un originale che è andato perduto nel corso del tempo. La composizione e lo stile sono i suoi. Ma la critica è concorde nel ritenere che sia opera di un allievo del suo atelier. Probabilmente è stato dipinto dopo che Bosch era morto.» Aveva parlato senza mai staccare lo sguardo dal dipinto. I suoi erano occhi aperti e acuti, che lasciavano facilmente trasparire la sua passione per il pittore. McCaleb giudicò che dovesse essere sulla sessantina. Probabilmente aveva dedicato la sua vita allo studio delle arti figurative. Era sorpreso. Quando Scott gli aveva parlato della persona che lavorava a un catalogo delle opere di Bosch aveva creduto che si trattasse di una giovane studentessa. Era un luogo comune e se ne rimproverò. L'uomo seduto appoggiò di nuovo il pennello e si pulì le mani con uno straccio pulito. Si girò con la sedia e, accorgendosi della presenza di McCaleb e Scott, li guardò con aria interrogativa. Fu allora che McCaleb si accorse di aver fatto un seconda supposizione errata. L'uomo non li aveva ignorati. Semplicemente non li aveva sentiti. Spostò le lenti sulla testa e infilò una mano sotto il grembiule per accendere l'apparecchio acustico. «Scusate» disse. «Non sapevo che avessimo visite.» Parlava con un forte accento tedesco. «Dottor Derek Vosskuhler, il signor McCaleb» li presentò Scott. «E un detective e ha bisogno di rubarle la signora Fitzgerald per un po'.» «Capisco. Non c'è problema.» «Il dottor Vosskuhler è uno dei nostri massimi esperti di restauro» disse Scott. Vosskuhler ammiccò, guardando McCaleb come se studiasse un quadro. «Un'indagine? Riguarda Hieronymus Bosch?» «Marginalmente. Vorrei sapere il più possibile su di lui e mi hanno detto che la signora Fitzgerald è un'esperta in materia» rispose McCaleb sorridendo. «Nessuno può dire di conoscere davvero Bosch» obiettò Vosskuhler senza sorridere. «Anima torturata, genio tormentato... come possiamo sapere veramente ciò che si nasconde nel cuore di un uomo?» McCaleb si limitò ad annuire e Vosskuhler si girò verso il quadro come per valutarlo. «Che cosa vede, signor McCaleb?» Questi guardò il dipinto e rimase in silenzio a lungo. «Molto dolore.»
Vosskuhler annuì in segno di approvazione. Poi si alzò e guardò il quadro più da vicino, rimettendosi le lenti sugli occhi e avvicinandosi al quarto superiore della tavola fino ad arrivare a pochi centimetri dal cielo notturno, al di sopra del villaggio in fiamme. «Bosch sapeva tutto dei demoni» disse senza girare la testa. «Il buio...» aggiunse. E dopo un lungo momento: «Più buio della notte». Ci fu un altro lungo silenzio che Scott interruppe all'improvviso dicendo che doveva tornare in ufficio. Quindi li lasciò. Finalmente Vosskuhler si allontanò dal quadro. Poi, senza preoccuparsi di togliersi le lenti mentre guardava McCaleb, infilò la mano sotto il grembiule e spense l'apparecchio acustico. «Anch'io devo tornare al lavoro. Buona fortuna per la sua indagine, signor McCaleb.» McCaleb annuì, ma Vosskuhler si era già girato e aveva ripreso il suo pennellino. «Possiamo andare nel mio ufficio» disse Fitzgerald. «Ho molti libri su Bosch. Le mostrerò i suoi dipinti.» «Sarebbe perfetto. Grazie.» Lei si diresse verso la porta. McCaleb indugiò un momento per lanciare un'altra occhiata al quadro. Era attratto dai pannelli superiori, dall'oscurità a spirali che sovrastava le fiamme. L'ufficio di Penelope Fitzgerald era una nicchia di due metri per due in una stanza condivisa da diversi assistenti. La donna andò a prendere un'altra sedia e invitò McCaleb ad accomodarsi. La sua scrivania era a forma di L, con un computer portatile a sinistra e una disordinata zona lavoro a destra. Dietro una delle pile di libri che la ingombravano, McCaleb notò la stampa di un dipinto dallo stile molto simile a quello su cui stava lavorando Vosskuhler. Spostò i libri di una decina di centimetri e si chinò a guardarla meglio. Era di nuovo una rutilante fantasia divisa in tre pannelli, quello centrale più largo degli altri. Decine e decine di figure sparpagliate ovunque; scene di sgozzamenti e torture. «Lo riconosce?» «No, ma è un Bosch vero?» «La sua opera più rappresentativa. Si chiama Trittico delle delizie e si trova al Prado, a Madrid. Una volta sono rimasta a guardarlo per quattro ore. Ma non sono bastate per comprenderlo. Posso offrirle qualcosa da be-
re? Un caffè, dell'acqua...?» «No grazie, sono a posto. Può chiamarmi Terry, se vuole.» «E lei mi chiami Nep.» McCaleb le rivolse uno sguardo interrogativo. «Soprannome dell'infanzia.» Lui annuì. «Dunque» iniziò la donna, «in questi libri ci sono tutte le opere di Bosch riconosciute. È un'indagine importante?» «Direi di sì. Si tratta di un omicidio» rispose McCaleb. «E lei è una specie di consulente?» «Lavoravo per l'FBI qui a Los Angeles. La detective dello sceriffo assegnata al caso mi ha chiesto di dare un'occhiata e vedere cosa ne penso. E sono arrivato a Bosch. Mi dispiace, ma non posso entrare nei dettagli del caso e so che questo probabilmente sarà frustrante per lei. Voglio farle delle domande, ma non potrò rispondere alle sue, se ne avrà.» «Accidenti!» esclamò Fitzgerald. «Sembra davvero interessante.» «Diciamo che se ci saranno degli argomenti di cui potrò parlarle lo farò.» «D'accordo.» «Da ciò che ha detto il dottor Vosskuhler» continuò McCaleb, «non si sa molto dell'uomo dietro questi dipinti.» «È vero: Hieronymus Bosch è considerato un enigma e probabilmente sarà così per sempre.» McCaleb aprì un foglio e cominciò a prendere appunti mentre lei parlava. «Aveva un'immaginazione tra le più anticonvenzionali del suo tempo. O anche di tutti i tempi. La sua opera è piuttosto straordinaria e sottoposta ancora oggi, a cinque secoli di distanza, a studi e reinterpretazioni. Comunque, troverà che la maggior parte delle analisi critiche, fino a oggi, affermano che si tratta di un pittore apocalittico, o meglio che descriveva l'apocalisse. La sua opera è pervasa di presagi infernali, di avvertimenti sulle punizioni per i peccati. In poche parole i suoi quadri rappresentano fondamentalmente variazioni sullo stesso tema: il fatto che la follia del genere umano ci porterà tutti all'inferno, nostro ultimo e definitivo destino.» McCaleb stava scrivendo in fretta, cercando di tenere il suo ritmo. Avrebbe fatto bene a portare un registratore. «Bel tipo eh?» disse a un tratto Fitzgerald. «Così pare.» McCaleb indicò con la testa la stampa del trittico. «Doveva
essersi divertito un sabato sera.» Lei sorrise. «È esattamente quello che ho pensato io quando ero al Prado.» «Non aveva qualità che potessero redimerlo? Tipo accogliere gli orfani, essere gentile con i cani, cambiare le ruote alle vecchiette...?» «Deve collocarlo nella sua epoca per capire appieno cosa stava facendo con la sua arte. Se i suoi quadri sono pieni di scene violente e rappresentazioni di torture e tormenti, quello era un tempo in cui tali cose non erano inusuali. Viveva in un'epoca violenta. Il suo lavoro rispecchia questo. I dipinti riflettono anche le credenze medievali nell'esistenza di demoni. La rappresentazione del male è presente in tutti i quadri.» «Il gufo?» Lei lo guardò inespressiva per un momento. «Sì, il gufo era uno dei simboli che usava. Credevo avesse detto che non conosceva il suo lavoro.» «Ed è così. Ma è stato un gufo a portarmi qui. Mi scusi, non avrei dovuto parlargliene e non avrei dovuto interromperla. La prego, vada avanti.» «Stavo per aggiungere che è importante considerare che Bosch fu contemporaneo di Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Ma guardando le loro opere, una accanto all'altra, ti verrebbe da credere che Bosch - con tutti i suoi simboli medievali e apocalittici - sia vissuto un secolo prima.» «Ma non è così.» Lei scosse la testa come se le dispiacesse per Bosch. «Lui e Leonardo da Vinci sono nati a un anno o due di distanza. Alla fine del quindicesimo secolo Leonardo stava creando opere colme di speranza, che celebravano i valori umani e la spiritualità, mentre quelle di Bosch erano colme solo di malinconia e pessimismo.» «E questo la rattrista vero?» Lei appoggiò le mani sul libro in cima alla pila, ma non lo aprì. Aveva solo un'etichetta sulla costa, con scritto BOSCH, e non c'erano illustrazioni sulla copertina di pelle nera. «Non posso impedirmi di pensare a cosa avrebbe fatto Bosch se avesse lavorato fianco a fianco con Leonardo o Michelangelo, se avesse usato il suo talento e la sua immaginazione per la celebrazione anziché la dannazione del mondo.» Guardò il libro e poi di nuovo lui. «Ma è questa la bellezza dell'arte e il motivo per cui la studiamo e la amiamo. Ogni quadro è una finestra sull'anima e l'immaginazione dell'arti-
sta. Indipendentemente da quanto sia cupa e fastidiosa, la sua visione della vita è quello che rende lui diverso dagli altri e i suoi quadri unici. Quando guardo i quadri di Bosch mi sento trasportata nella sua anima e ne percepisco il tormento.» Lui annuì e lei aprì il libro. Il mondo di Hieronymus Bosch spaventava e turbava McCaleb. Le visioni di infelicità che Penelope Fitzgerald sfogliava davanti a lui non erano molto diverse da alcune terribili scene di delitti di cui era stato testimone, ma nelle scene dipinte i protagonisti erano ancora vivi e soffrivano. Il digrignare dei denti e la carne lacerata erano intensi e reali. Quelle tele erano affollate di dannati, esseri umani che, a causa dei loro peccati, erano tormentati da demoni ben visibili e da creature uscite da una immaginazione terrificante. Inizialmente osservò le riproduzioni dei quadri in silenzio, esattamente come faceva con la fotografia di una scena del delitto. Ma poi giunsero a una pagina con tre persone intorno a un uomo seduto. Una delle figure in piedi usava quello che sembrava un bisturi primitivo per aprire la testa dell'uomo seduto. L'immagine era all'interno di un cerchio e c'erano delle scritte sopra e sotto. «Cos'è questo?» chiese. «S'intitola La nave dei folli» rispose Fitzgerald. «All'epoca si credeva che la follia e la disonestà si potessero curare rimuovendo dalla testa della persona "malata" una pietra.» McCaleb si chinò sopra le sue spalle per guardare da vicino l'immagine, in particolare la posizione della ferita sulla testa. Era più o meno nello stesso punto in cui si trovava quella di Edward Gunn. «Okay, può andare avanti.» C'erano gufi dappertutto. Fitzgerald non aveva bisogno di indicarglieli, perché la maggior parte delle volte la loro posizione era ovvia. Gli spiegò alcune delle metafore a essi connesse. Spessissimo quando il simbolo del male era su un albero, il ramo su cui era posato era senza foglie, grigio e morto. Girando la pagina su un trittico disse: «Questo s'intitola Giudizio universale, sottotitolo del pannello a sinistra La caduta dei dannati e del pannello a destra un semplice e ovvio L'Inferno.» «Gli piaceva dipingere l'inferno.»
Ma Nep Fitzgerald non sorrise. I suoi occhi stavano studiando il libro. Il pannello di sinistra rappresentava il Giardino dell'Eden, con Adamo ed Eva che prendevano il frutto proibito dal serpente mentre da un albero vicino, appollaiato su un ramo morto, un gufo li guardava. Sul pannello opposto, l'inferno era rappresentato come un luogo buio in cui creature simili a uccelli sbudellavano i dannati per infilarli in un'enorme forno. «E tutto questo veniva dalla mente di quell'uomo» disse McCaleb. «Io non...» Non finì perché non era sicuro di quello che cercava di esprimere. «Un'anima tormentata» disse Penelope Fitzgerald e girò la pagina. Il quadro seguente era circolare, con sette scene dipinte lungo il margine esterno e un ritratto di Dio al centro. In un cerchio dorato che circondava l'immagine di Dio separandola dalle altre scene c'erano quattro parole latine che McCaleb riconobbe immediatamente. «Attenzione Attenzione Dio Vede.» Fitzgerald lo guardò. «O lei ha già visto questo quadro o è un esperto di latino del quindicesimo secolo. Dev'essere un caso davvero strano quello a cui sta lavorando.» «Lo sta diventando. Ma conosco solo le parole, non avevo mai visto il quadro. Che cos'è?» «Per la verità è il piano per un tavolo, probabilmente fatto per la canonica di una chiesa o la casa di una persona pia. È l'occhio di Dio. Lui è al centro e ciò che vede sono i sette peccati capitali.» McCaleb annuì e guardando le singole scene riconobbe alcuni dei peccati: gola, superbia e lussuria. «E adesso l'opera più importante» disse la sua guida girando la pagina sullo stesso dipinto che aveva appeso alla parete della nicchia: il Trittico delle delizie. McCaleb lo studiò da vicino. Il pannello di sinistra era una scena bucolica con Adamo ed Eva portati nel Giardino dal Creatore. Vicino a loro, un melo. Sul pannello centrale, il più grande, decine di uomini e donne nudi che si accoppiavano e danzavano senza freni né inibizioni cavalcando animali di ogni genere, uccelli e creature assolutamente inventate, intorno al lago in primo piano. E l'ultimo pannello, il più cupo, era la resa dei conti. L'inferno, un luogo di tormenti e angosce in mano a uccelli mostruosi e altre orribili creature. Il quadro era talmente dettagliato e affascinante che McCaleb capiva come si potesse restare davanti all'originale per quattro ore senza riuscire a vedere tutto.
«Sono sicura che ormai avrà capito le idee che sottendono i temi ricorrenti nel lavoro di Bosch» disse Fitzgerald, «ma questa è considerata la sua opera più coerente e la più magnificamente immaginata e realizzata.» «Qui ci sono Adamo ed Eva nella vita felice prima di mangiare la mela» iniziò Bosch, e continuò indicando di volta in volta i pannelli. «Al centro c'è quello che succede dopo la caduta dal paradiso terrestre: una vita senza regole. Il libero arbitrio porta alla lussuria e al peccato. E dove conduce tutto questo? All'inferno.» «Molto bene. E vorrei mostrarle alcuni particolari che potrebbero interessarla.» «Grazie, è davvero gentile.» Fitzgerald iniziò dal primo pannello. «Il Paradiso terrestre. Lei ha detto, correttamente, che questi sono Adamo ed Eva prima della caduta. Il laghetto e la fontana al centro rappresentano la promessa di vita eterna. E ha già notato l'albero del frutto proibito sulla sinistra.» Il suo dito si mosse fino alla fontana, una specie di torre di petali di fiori da cui zampillava acqua nel laghetto sottostante. Poi McCaleb lo vide. Il dito della donna si fermò sotto una piccola apertura buia al centro della base della fontana. Un gufo faceva capolino dall'oscurità. «Ha parlato del gufo prima. Eccolo. Come vede non è tutto perfetto in questo Paradiso. Il male è in agguato e, come sappiamo, alla fine vincerà, almeno secondo Bosch. Passando al secondo pannello la metafora si ripete più volte.» Indicò altri due gufi e due creature molto simili all'uccello della notte. Gli occhi di McCaleb si fissarono su una delle immagini. Era un grosso gufo marrone con occhi neri e brillanti tra le braccia di un uomo nudo. Il colore e gli occhi erano identici a quelli del gufo di plastica trovato nell'appartamento di Edward Gunn. «Vede qualcosa Terry?» Lui indicò il gufo. «Questo. Non posso entrare nei dettagli con lei, ma questo gufo coincide con la ragione per cui sono qui.» «Ci sono moltissimi simboli in questo pannello. Questo è il più ovvio. Dopo la caduta dal Paradiso, il libero arbitrio porta l'uomo all'accidia, all'invidia, all'avarizia, ma per Bosch il peccato peggiore è la lussuria. L'uomo con le braccia intorno al gufo abbraccia il male.» McCaleb annuì.
«E poi paga per questo.» «Esatto. Come lei ha notato il terzo pannello è una rappresentazione dell'inferno, ma senza fuoco. È un luogo con miriadi di pene e tormenti infiniti. Un luogo buio.» McCaleb guardò il quadro in silenzio per un lungo momento. Si ricordò le parole del dottor Vosskuhler. Più buio della notte. 12 Bosch mise le mani a coppa contro il vetro della finestra accanto alla porta d'ingresso. La stanza in cui guardava era una cucina perfettamente in ordine. Non c'era niente in vista, nessun elettrodomestico, nemmeno il tostapane. Bosch cominciò ad avere una brutta sensazione. Tornò alla porta e bussò un'altra volta. Poi si mise a camminare avanti e indietro. Guardò in basso e vide per terra un segno rettangolare, dove prima c'era stato uno zerbino. «Maledizione!» disse. Prese dalla tasca un piccolo astuccio di cuoio da cui estrasse due punteruoli metallici. Si guardò intorno, ma non vide nessuno. Si trovava in un angolo nascosto di un condominio di Westwood e probabilmente la maggior parte degli inquilini era ancora al lavoro. Si avvicinò alla porta e si mise all'opera. Novanta secondi dopo la serratura era scattata e lui entrava. Si rese conto che l'appartamento era disabitato nel momento stesso in cui vi mise piede, ma controllò ugualmente. Le stanze erano state svuotate. Sperando in una qualche ricetta medica andò anche in bagno, ma trovò solo un rasoio usato di plastica rosa su uno scaffale. Tornò in soggiorno e tirò fuori il suo cellulare. Il giorno prima aveva inserito il numero di Janis Langwiser nella memoria del telefono. Janis Langwiser era l'assistente del procuratore e aveva lavorato con Bosch sulla sua testimonianza per tutto il fine settimana. La trovò ancora nell'ufficio che, in occasione del processo, avevano allestito al tribunale di Van Nuys. «Senti, non voglio rovinarti la festa, ma Annabelle Crowe se n'è andata.» «Che cosa vuoi dire?» «Voglio dire che è sparita. Sono nel suo appartamento: è completamente vuoto.» «Merda! Abbiamo assolutamente bisogno di lei, Harry. Quando è partita?»
«Non lo so. L'ho appena scoperto.» «Hai chiesto all'amministratore?» «Non ancora, ma dubito che abbia lasciato un recapito.» «Giusto. Quando hai parlato con lei l'ultima volta?» «Giovedì scorso. Le ho telefonato qui, ma adesso la linea è staccata.» «Merda!» «L'hai già detto.» «Ha un mandato di comparizione, giusto?» «Sì, gliel'hanno mandato giovedì. Per questo ho chiamato: per essere sicuro che l'avesse ricevuto.» «Okay, quindi forse domani ci sarà.» Bosch diede un'occhiata all'appartamento deserto. «Non ci conterei.» Guardò l'ora. Erano le cinque passate. Proprio perché era così sicuro di lei, aveva lasciato Annabelle Crowe per ultima. Niente faceva supporre che avrebbe preso il volo. E adesso... avrebbe passato la notte a cercare di rintracciarla. «Cosa puoi fare?» chiese Langwiser. «Ho alcune idee su dove scovarla. Dev'essere rimasta in città. È un'attrice, dove altro potrebbe andare?» «New York?» «A New York ci vanno i veri attori. Lei è una che si arrabatta. Rimarrà qui.» «Trovala, Harry. Abbiamo bisogno di lei entro la settimana prossima.» «Ci provo.» Seguì un momento di silenzio. «Credi che Storey l'abbia comprata?» chiese Langwiser alla fine. «Ci sto pensando. Potrebbe averle offerto qualcosa di cui ha bisogno un lavoro, una parte, un assegno. Quando la trovo glielo chiederò.» «Okay, Harry, buona fortuna. Se la trovi stanotte fammelo sapere, altrimenti ci vediamo domattina.» «D'accordo.» Bosch chiuse il telefono e lo appoggiò sul ripiano della cucina, poi tirò fuori dalla tasca un mucchietto di schede. Su ognuna era segnato il nome di un testimone che lui doveva controllare e preparare per il processo. Le schede erano complete di indirizzi e numeri di telefono. Trovò quella di Annabelle Crowe e digitò il numero del suo cercapersone, ma una voce registrata gli comunicò che quel numero non era più attivo. Richiuse il telefono e guardò di nuovo la scheda. In fondo erano stati ri-
portati il nome e il numero dell'agente di Annabelle. Probabilmente era l'unica persona con cui era rimasta in contatto. Rimise telefono e schede in tasca. Avrebbe verificato di persona. 13 McCaleb fece la traversata da solo e il The Following Sea giunse ad Avalon Harbor con il buio. Buddy Lockridge era rimasto a Cabrillo Marina: non avevano altri clienti e non ci sarebbe stato bisogno di lui fino al sabato successivo. Arrivando all'isola, McCaleb chiamò con la radio la capitaneria di porto perché lo aiutassero a ormeggiare la barca. Il peso dei due libroni che aveva comprato da Dutton e la borsa termica con i tamales surgelati gli resero la salita fino a casa faticosissima. Dovette fermarsi due volte sul bordo della strada per riprendere fiato. Ogni volta si sedeva sulla borsa termica e tirava fuori dalla cartella uno dei libroni per continuare a studiare l'opera di Hieronymus Bosch anche nell'oscurità della sera. Anche dopo essere uscito dal Getty, non era più riuscito a sgomberare la mente dai quadri di Bosch. Alla fine del loro incontro, subito prima di chiudere il libro con la riproduzione del Trittico delle delizie, Nep Fitzgerald lo aveva guardato con un sorriso esitante. «Cosa c'è?» aveva chiesto lui. «Solo un'osservazione.» «Dica pure, m'interessa.» «Stavo per dire che molti studiosi di Bosch vedono delle coincidenze tra la sua opera e la nostra epoca. È questo ciò che contraddistingue un grande artista: il fatto che ü suo lavoro resista alla prova del tempo.» McCaleb aveva annuito. Sapeva che la donna avrebbe voluto sapere quali erano le ragioni che l'avevano condotto lì. «Sarei lieto di spiegarle i motivi della mia visita, ma per il momento non posso. Comunque grazie, mi ha aiutato molto.» Seduto sulla borsa termica, McCaleb ripensò alla conversazione. Aprì il libro più voluminoso alla pagina con la riproduzione del capolavoro di Bosch. Studiò il gufo marrone con gli occhi neri ed ebbe la sensazione di essere vicino a qualcosa di importante. Qualcosa di oscuro e molto pericoloso. Quando arrivò a casa Graciela gli tolse di mano la borsa termica e l'aprì
sul ripiano della cucina. Tirò fuori tre tamales avvolti nelle foglie di mais e li mise sui piatti per scongelarli nel microonde. «Sto preparando anche un chili relenos» disse. «Hai fatto bene a chiamare, altrimenti avremmo mangiato senza di te.» McCaleb la lasciò sfogare. Sapeva che era arrabbiata per quello che stava facendo. Si avvicinò al tavolo, dove c'era Cielo in un seggiolino. La piccola stava fissando il ventilatore sul soffitto. Muoveva le manine davanti a sé, come per abituarsi alla loro presenza. McCaleb gliele baciò entrambe, poi le diede un bacio sulla fronte. «Dov'è Raymond?» chiese. «In camera sua. Davanti al computer. Perché ne hai presi solo dieci?» La guardò, mettendosi a sedere accanto a Cielo. «Ho dato la borsa al commesso e gli ho detto di riempirla» rispose. «Immagino che non ce ne stessero altri.» Lei scosse la testa, seccata. «Ne avanzerà uno.» «Allora buttalo. Oppure invita un amico di Raymond la prossima volta. Che importanza ha, Graciela, è solo un tamale.» Graciela si girò e lo guardò. I suoi occhi scuri si addolcirono subito. «Sei sudato.» «Ho dovuto salire a piedi. Troppo tardi per la navetta.» Lei aprì un armadietto e tirò fuori una scatola di plastica con un termometro. Ne avevano uno in ogni stanza della casa. Lo agitò e gli si avvicinò. «Apri la bocca.» «Usiamo quello elettronico.» «No, non mi fido di quelli.» Gli mise il termometro sotto la lingua e gli chiuse delicatamente la bocca con la mano. Molto professionale. Faceva l'infermiera al pronto soccorso quando l'aveva conosciuta. Adesso era impiegata alla scuola elementare di Catalina. Era tornata a lavorare dopo le vacanze di Natale. McCaleb sapeva che avrebbe voluto fare la mamma a tempo pieno, ma non potevano permetterselo, così non aveva mai affrontato l'argomento direttamente. Sperava che in un paio d'anni l'attività dei charter si sarebbe stabilizzata e allora avrebbero avuto la possibilità di scegliere. Qualche volta pensava che avrebbero fatto bene a tenersi una parte dei soldi provenienti dai diritti del libro e del film, ma sapeva anche che la decisione di non speculare sulla morte della sorella di Graciela era stata l'unica possibile. Avevano devoluto metà della somma a una fondazione benefica e investito l'altra metà in
un fondo per Raymond. Sarebbe servita a pagargli il college. Graciela gli sentì il polso, mentre lui se ne stava in silenzio a guardarla. «Hai le pulsazioni frequenti» commentò, lasciandogli il polso. «Apri la bocca.» Lui eseguì e lei tirò fuori il termometro. Andò al lavabo, lo lavò, quindi lo rimise nella scatola nell'armadietto. Non disse niente e McCaleb capì che la sua temperatura era normale. «Speravi che avessi la febbre, vero?» «Tu sei pazzo.» «È la verità. Così potevi dirmi di smettere.» «Che senso avrebbe? Ieri notte mi hai detto che questa faccenda sarebbe durata solo una notte. Stamattina, che te ne saresti occupato ancora per un giorno. E adesso a che punto siamo?» Lui guardò Cielo e le offrì un dito perché vi si aggrappasse. «Non è finita.» Adesso guardava di nuovo Graciela. «Oggi sono emersi altri dettagli.» «Altri dettagli? Passa le informazioni al detective Winston. È il suo lavoro, non il tuo.» «Non posso. Almeno finché non sono sicuro di quello che ho scoperto.» Graciela tornò al ripiano, mise il piatto con i tamales nel microonde e programmò la cottura. «Puoi cambiarla?» disse, indicando la bambina. «È ora. E deve prendere il biberon mentre preparo la cena.» McCaleb estrasse delicatamente la figlia dal seggiolino e se la appoggiò sulla spalla. Lei si lamentò per essere stata disturbata e lui le batté qualche colpetto delicato sulla schiena per calmarla. Si avvicinò a Graciela che gli dava le spalle e, mettendole un braccio attorno alla vita, la attirò a sé. La baciò sulla testa e immerse il viso nei suoi capelli. «Tra breve sarà tutto finito e torneremo alla normalità.» «Lo spero.» Gli sfiorò il braccio. Il tocco dei suoi polpastrelli era l'approvazione che cercava. Gli stava dicendo che era un momento duro, ma che andava tutto bene. La strinse e la baciò sulla nuca prima di lasciarla andare. Mentre le cambiava il pannolino Cielo guardò il gioco che ondeggiava sopra il fasciatoio. Stelle e mezzelune di cartone appese a un filo. Gliel'avevano costruito Raymond e Graciela come regalo di Natale. Una corrente d'aria li mosse leggermente e gli occhi blu di Cielo si concentrarono. McCaleb si chinò e la baciò sulla fronte.
Dopo averla avvolta in due copertine, la portò sotto il portico e le diede il biberon sulla sedia a dondolo. Guardando verso il porto si accorse di aver lasciato accese le luci del pannello di controllo sul ponte. Poteva chiamare la capitaneria e chiedere a qualcuno di salire a bordo per spegnerle, ma sapeva che sarebbe tornato sulla barca dopo cena e ci avrebbe pensato lui. Guardò il viso di Cielo. Aveva gli occhi chiusi, ma lui sapeva che era sveglia. Si stava dando un gran da fare con il biberon. Graciela aveva smesso di allattarla quando era tornata al lavoro. Quelli erano i momenti più piacevoli dell'essere padre. Spesso bisbigliava delle cose a sua figlia. Soprattutto promesse. Che l'avrebbe sempre amata e non l'avrebbe mai lasciata. Le diceva che non doveva avere paura né sentirsi sola. Qualche volta, quando la piccola apriva gli occhi all'improvviso e lo guardava, lui sentiva che gli stava comunicando le stesse cose. E provava un tipo di amore che non aveva mai provato prima. «Terry.» Al sussurro di Graciela alzò lo sguardo. «La cena è pronta.» Controllò il biberon e vide che era quasi vuoto. «Arrivo tra un minuto» sussurrò a sua volta. Quando Graciela si allontanò, guardò di nuovo la figlia. Le voci le avevano fatto aprire gli occhi. Lo fissava. La baciò sulla fronte e si immerse nel suo sguardo. «Devo farlo, piccola.» In barca faceva freddo. McCaleb accese le luci del salone e mise il radiatore al minimo. Non voleva riscaldare troppo, per non correre il rischio di addormentarsi. Gli sforzi di quella giornata lo avevano stancato parecchio. Era nella cabina sottocoperta e stava guardando qualcosa tra i suoi vecchi fascicoli, quando sentì il cellulare suonare nella cartella che aveva lasciato sul divano. Chiuse il fascicolo che aveva aperto e si precipitò nel salone portandoselo dietro. Afferrò il telefono e rispose. Era Jaye Winston. «Allora com'è andata al Getty? Credevo che mi avresti richiamato.» «Si è fatto tardi e volevo tornare indietro prima del buio. Me ne sono dimenticato.» «Sei sull'isola?» Il tono era di disappunto. «Sì, avevo promesso a Graciela di tornare. Ma non ti preoccupare: sto
ancora lavorando ad alcune cose.» «Che cosa è successo al Getty?» «Non molto» mentì. «Ho parlato con un paio di persone e ho visto qualche quadro.» «Nessun gufo che corrisponde al nostro?» Glielo chiese ridendo. «Un paio di molto simili. Ho preso dei libri che voglio esaminare stanotte. Ti avrei chiamato. Magari potremmo vederci domani.» «Quando? In mattinata ho due riunioni, alle dieci e alle undici.» «Pensavo al pomeriggio. Prima ho delle cose da fare.» Non voleva dirle che aveva deciso di guardare le dichiarazioni di apertura del processo Storey alla TV. «Bene, forse riuscirò a farmi dare un elicottero per venire lì.» «Non ce n'è bisogno, devo tornare sulla terraferma.» «Davvero? Ottimo. Vuoi venire qui?» «No, pensavo a qualcosa di più intimo e privato.» «Tipo?» «Te lo dirò domani.» «Quanti misteri. Non sarà un trucco per farti offrire un altro pranzo dallo sceriffo?» Risero entrambi. «Nessun trucco. Ce la fai a venire a Cabrillo, sulla barca?» «D'accordo. A che ora?» Le diede appuntamento per le tre, pensando che così avrebbe avuto il tempo di preparare un profilo e di riflettere su quello che doveva dirle. Sarebbe anche riuscito a prepararsi per ciò che sperava lei gli avrebbe lasciato fare quella notte. «Novità sul gufo?» chiese dopo che si furono messi d'accordo. «Poche e nessuna buona. All'interno c'era il marchio della fabbrica. Lo stampo di plastica viene dalla Cina e la ditta ha due distributori qui: uno in Ohio e l'altro nel Tennessee. Da lì vengono smistati in tutto il paese. È un lavoro lungo e ci sono poche speranze di trovare qualcosa.» «Quindi vuoi lasciar perdere?» «Non ho detto questo. Solo che non è una priorità. Se ne sta occupando il mio partner. Farà delle telefonate. Vedremo che cosa ottiene dai distributori, quindi decideremo come andare avanti.» McCaleb annuì. Le priorità erano mali necessari in un'indagine. Ma la cosa lo seccava ugualmente. Era sicuro che il gufo fosse un elemento chia-
ve e non vedeva l'ora di saperne di più su quell'oggetto. «Okay, allora siamo d'accordo?» chiese lei. «Per domani? Direi di sì.» «Saremo lì alle tre.» «Saremo?» «Io e Kurt, il mio partner. Non l'hai ancora conosciuto.» «Ascolta, Jaye, non potremmo vederci soltanto noi? Non ho niente contro il tuo partner, ma preferirei parlare solo con te.» Ci fu un momento di silenzio prima che lei rispondesse. «Terry, che cosa ti sta succedendo?» «È solo che non voglio testimoni. Sei stata tu a coinvolgermi ed è a te che voglio spiegare quello che ho in mano. Se poi tu vorrai parlarne al tuo partner, non c'è problema.» Ci fu un'altra pausa. «Ho una brutta sensazione.» «Mi dispiace, ma è così che voglio procedere. Prendere o lasciare.» L'ultimatum la ammutolì per un tempo ancora più lungo. Lui rimase ad aspettare. «D'accordo. Conduci tu il gioco.» «Grazie, Jaye. Ci vediamo domani.» Terminata la conversazione, guardò il vecchio fascicolo che teneva ancora in mano. Si sdraiò sul divano e lo aprì. 14 All'inizio l'avevano chiamato il caso della Ragazzina Perduta, perché la vittima non aveva nome. Aveva circa quattordici o quindici anni, era una latina, probabilmente messicana, ed era stata trovata nella macchia sotto Mulholland Drive. Il caso era stato affidato a Bosch e al suo partner di allora, Frankie Sheehan. Prima che Bosch passasse alla Divisione Hollywood. Lui e Sheehan lavoravano alla Rapine-Omicidi ed era stato Bosch a contattare McCaleb, appena arrivato a Los Angeles da Quantico. Stava mettendo in piedi una sorta di distaccamento del Dipartimento di Scienze Comportamentali dell'FBI e del VICAP, il programma per l'identificazione dei colpevoli di atti di violenza. Quello della Ragazzina Perduta era il suo primo caso. Bosch era andato da lui, nel piccolo ufficio al tredicesimo piano, portando con sé il fascicolo e le fotografie della scena del delitto. Aveva preferito
andarci da solo, perché i suoi colleghi non erano d'accordo con l'idea di coinvolgere l'FBI. Era chiaramente un problema di gelosia. Ma Bosch era indifferente a quelle beghe. A lui interessava il caso. E, dal suo sguardo tormentato, si capiva che quella vicenda lo stava ossessionando. Al momento del ritrovamento il corpo era nudo ed era stato sottoposto a violenze di diverso tipo. La ragazzina era stata strangolata da mani coperte da guanti. Sulla collina non erano stati rinvenuti né vestiti né effetti personali. La ricerca al computer delle impronte non aveva dato esiti. La ragazza non corrispondeva a nessuna descrizione delle persone scomparse nella contea di Los Angeles o segnalate nei sistemi computerizzati a livello nazionale. Un disegno del suo volto era apparso alla televisione e sui giornali, ma nessun familiare si era fatto vivo. Lo stesso schizzo, inviato a cinquecento stazioni di polizia del Sudovest nonché alla Polizia di Stato messicana, non aveva portato a nulla. La vittima non era stata identificata e nessuno ne aveva reclamato il corpo, che era rimasto nel frigorifero dell'ufficio del coroner per tutta la durata delle indagini. Non era stata trovata alcuna prova. Oltre che priva dei vestiti e di qualunque oggetto personale che potesse permetterne l'identificazione, la vittima era stata lavata con un potente detersivo industriale, prima di essere buttata giù da Mulholland, a notte fonda. L'unica debole traccia era una specie di impronta sul fianco sinistro. Il lividore post-mortem indicava che il sangue si era fermato nella parte sinistra del corpo, il che significava che esso era rimasto appoggiato su quel fianco dal momento in cui il cuore si era fermato a quello in cui, gettato dalla collina, era finito a faccia in giù su un mucchio di lattine di birra e di bottiglie di tequila vuote. Il segno indicava che, nel breve periodo in cui il sangue si era fermato, il corpo era sdraiato su un oggetto che era rimasto impresso sul fianco. L'impronta consisteva nel numero 1, la lettera J e parte di un'altra lettera che avrebbe potuto essere l'asta superiore di una K, di una H o di una L. Era la lettura parziale di una targa. Bosch si era fatto l'idea che, prima di sbarazzarsene, l'assassino avesse nascosto la ragazza senza nome nel baule di un'auto. Dopo aver accuratamente pulito il corpo, però, aveva fatto l'errore di appoggiarlo sulla targa preventivamente staccata e messa nel baule, per essere probabilmente sostituita da un'altra come misura precauzionale, nel caso la macchina fosse stata notata da un passante sospettoso mentre era ferma a Mulholland. Nonostante l'impronta non desse alcuna indicazione sullo stato di prove-
nienza della targa, Bosch aveva seguito il calcolo delle probabilità. Dall'Ufficio Motorizzazione aveva avuto la lista delle auto registrate nella contea di Los Angeles la cui targa iniziasse con 1JK, 1JH e 1JL. L'elenco comprendeva oltre tremila nomi. Lui e il suo partner ne avevano eliminati il quaranta per cento con la semplice esclusione delle donne. I nomi rimanenti erano stati inseriti nel National Crime Index Computer e i detective erano arrivati a una lista di quarantasei nomi, con una fedina penale comprendente una gamma di crimini di varia entità. A quel punto Bosch era andato da McCaleb. Voleva un profilo dell'assassino. Voleva sapere se lui e Sheehan erano nel giusto sospettando che avesse un passato criminale e voleva sapere come valutare la lista dei quarantasei nomi rimasti. McCaleb aveva esaminato il caso per circa una settimana. Aveva osservato ogni singola fotografia della scena del delitto due volte al giorno - era la prima cosa che faceva alzandosi la mattina e l'ultima la sera prima di andare a dormire - e studiato più volte il fascicolo. Alla fine aveva detto a Bosch che, a parer suo, erano sulla strada giusta. Utilizzando i dati di centinaia di crimini analoghi analizzati negli uffici del VICAP era stato in grado di stabilire il profilo di un uomo intorno alla trentina che aveva commesso crimini sempre più gravi, sicuramente di natura sessuale. Lo scenario faceva pensare all'opera di un esibizionista - qualcuno che voleva rendere pubblico il suo delitto, instillando orrore e paura. La scelta del luogo in cui era stato abbandonato il corpo dipendeva da ragioni di questo tipo, a cui l'assassino aveva sacrificato la sua personale sicurezza. Confrontando i profili dei quarantasei uomini, McCaleb aveva ristretto la scelta a due di essi. Il custode di un palazzo di uffici sulle Woodland Hills che aveva dei precedenti per incendio doloso e atti osceni in luogo pubblico, e uno scenografo che lavorava per uno studio di Burbank, arrestato da adolescente per il tentato stupro di una vicina. Entrambi gli uomini erano sulla trentina. Bosch e Sheehan protendevano per il custode, per via della sua facilità di accesso ai detersivi industriali come quello che era stato utilizzato per lavare il corpo della vittima. McCaleb, invece, optava per lo scenografo, perché il tentato stupro della sua giovinezza indicava un temperamento impulsivo e violento che si accordava meglio al profilo di chi aveva commesso il crimine. Bosch e Sheehan avevano deciso di interrogare in modo non ufficiale entrambi i sospetti e di far partecipare agli interrogatori anche McCaleb.
Questi aveva sottolineato l'importanza di andare a trovare i due a casa loro, per avere l'opportunità di studiarli nel loro ambiente. Lo scenografo era stato il primo. Si chiamava Victor Seguin. Sembrava turbato dai tre uomini che si erano presentati alla sua porta e dalla spiegazione datagli da Bosch. Ciò nonostante li aveva invitati a entrare. Mentre Bosch e Sheehan facevano le domande, McCaleb era rimasto seduto su un divano a guardarsi attorno. Nel giro di cinque minuti aveva capito che avevano l'uomo giusto e aveva annuito a Bosch - il segnale prestabilito. Victor Seguin era stato informato dei suoi diritti e arrestato. Quindi era stato fatto salire in macchina mentre il piccolo appartamento veniva chiuso in attesa di un mandato di perquisizione. Due ore dopo, quando l'avevano ottenuto, avevano trovato all'interno una ragazza di sedici anni, legata e imbavagliata ma ancora viva, nascosta in uno spazio stretto come una bara e raggiungibile tramite una botola che lo scenografo aveva costruito sotto il letto. Solo dopo che l'eccitazione per aver risolto il caso si era placata, Bosch aveva chiesto a McCaleb come avesse fatto a capire che l'uomo era l'assassino. McCaleb aveva portato il detective nel soggiorno e tirato fuori dalla libreria la copia logora di un libro intitolato Il collezionista, un romanzo che parlava di un uomo che aveva rapito diverse donne. Seguin era stato accusato dell'omicidio della giovane non identificata, nonché di rapimento e stupro della ragazza che i detective avevano trovato in casa sua. Lui aveva negato di aver commesso l'omicidio e aveva chiesto il patteggiamento, dichiarandosi colpevole del rapimento e dello stupro. L'ufficio del procuratore distrettuale aveva rifiutato ogni accordo ed era andato avanti con quello che aveva - la testimonianza straziante della giovane sopravvissuta e l'impronta della targa sul fianco della ragazza assassinata. La giuria lo aveva giudicato colpevole in meno di quattro ore. A quel punto era stato l'ufficio del procuratore distrettuale a proporre un accordo: non avrebbe chiesto la pena di morte se Seguin avesse detto chi era la prima vittima e dove l'aveva rapita. Per accettare, Seguin avrebbe dovuto smettere di proclamarsi innocente. L'uomo aveva rifiutato. Il procuratore distrettuale aveva chiesto la pena di morte e l'aveva ottenuta. Bosch non era mai riuscito a scoprire chi fosse la ragazzina e McCaleb sapeva che il pensiero che nessuno l'avesse cercata lo ossessionava. Per la verità ossessionava anche lui. Un giorno in cui, essendo andato al processo per testimoniare, avevano pranzato insieme, si era accorto che c'era un nome sull'etichetta del fascicolo.
«L'avete identificata?» aveva chiesto eccitato. Bosch aveva abbassato gli occhi sull'etichetta, poi aveva girato il fascicolo a faccia in giù. «No, ancora niente.» «E allora cos'è quel nome?» Bosch sembrava imbarazzato. McCaleb si era allungato per girare il fascicolo e leggere l'etichetta. «Cielo Azul?» «Sì, era ispanica e le ho dato un nome ispanico.» «Significa cielo azzurro, vero?» «Sì, io...» McCaleb aveva aspettato, ma Bosch non aveva aggiunto niente. «Che cosa c'è?» «Be'... io non sono religioso, capisci?» «Sì.» «Però mi sono detto che se quaggiù non la vuole nessuno... magari lassù qualcuno la vorrà.» Bosch aveva alzato le spalle distogliendo lo sguardo. McCaleb lo aveva visto arrossire. «È difficile trovare la mano di Dio in quello che ci tocca fare... in quello che vediamo attorno.» Bosch si era limitato ad annuire e non ne avevano più parlato. McCaleb sfilò l'ultima pagina del fascicolo denominato CIELO AZUL e guardò l'interno della cartelletta. Quando lavorava per il Bureau aveva l'abitudine di buttare giù degli appunti e di infilarli lì, dietro l'ultimo foglio, dove non potevano essere letti facilmente. Erano note sui detective che gli avevano sottoposto il caso. McCaleb era giunto alla conclusione che comprendere i detective che gli chiedevano il profilo di un assassino era quasi importante quanto le informazioni sul caso. Perché era attraverso i loro occhi che lui vedeva molti aspetti del crimine. Erano passati più di dieci anni da quando aveva seguito quel caso con Bosch, prima che il suo lavoro sui serial killer si ampliasse e il numero dei casi affidatigli aumentasse a dismisura. Sotto il nome di Bosch aveva scritto poche cose: «Accurato - Acuto - UM - AV». Guardò le due sigle. Era sua abitudine usare delle abbreviazioni per le note che dovevano rimanere riservate. Quelle sigle corrispondevano a quelle che, secondo lui, erano le ragioni che motivavano Bosch nel suo la-
voro. McCaleb credeva che i detective che si occupavano di omicidi - una genia di poliziotti particolari - dovevano essere spinti da sentimenti molto profondi per accettare e sopportare il difficile carico che gravava su di loro. Ce n'erano di due tipi: quelli che consideravano il proprio lavoro come una professione o un'arte e quelli per cui era una vera e propria missione. Dieci anni prima lui aveva incluso Bosch nel secondo gruppo. Era un Uomo con una Missione, UM. L'analisi poteva essere ulteriormente approfondita, comprendendo l'impulso che li animava. Per alcuni era quasi una gara: avevano bisogno di dimostrare di essere migliori, più intelligenti e più furbi della loro preda. La loro vita era un continuo valorizzare se stessi, relegando l'assassino in secondo piano, e cioè mettendolo dietro le sbarre. Altri si vedevano come portavoce della vittima. Sulla scena del delitto si creava una sorta di vincolo sacro tra questa e il poliziotto, un legame inscindibile. Era la ragione che li spingeva alla caccia, mettendoli in grado di superare tutti gli ostacoli che incontravano sul loro cammino. McCaleb li chiamava Angeli Vendicatori, AV. Nella sua esperienza questi poliziotti-angeli erano i migliori con cui avesse avuto a che fare. E tuttavia era anche giunto alla conclusione che essi lavorassero sul limite invisibile dell'abisso. Dieci anni prima, McCaleb aveva classificato Bosch un angelo vendicatore. Adesso doveva prendere in considerazione l'ipotesi che il detective avesse oltrepassato quel limite, che fosse precipitato nell'abisso. Chiuse il fascicolo e tirò fuori i due libri d'arte dalla sua cartella. Entrambi erano intitolati semplicemente Bosch. Il più grosso aveva molte riproduzioni a colori. Il secondo era più focalizzato sulla critica. McCaleb cominciò con il più piccolo, e scorrendo le pagine capì rapidamente che, come aveva detto Penelope Fitzgerald, c'erano scuole di pensiero diverse su Hieronymus Bosch, tutte in competizione tra loro. Il libro ospitava interventi di studiosi che ritenevano Bosch un umanista. Un critico, invece, riteneva che il pittore fosse stato membro di un gruppo eretico convinto che il vero inferno, governato da Satana, fosse la terra. Alla fine, McCaleb chiuse il libro, rendendosi conto che, almeno per i suoi scopi, le chiacchiere su Bosch non avevano molta importanza. Se il lavoro del pittore era soggetto a interpretazioni diverse, l'unica che gli importava era quella della persona che aveva ucciso Edward Gunn, e in particolare ciò che quella persona aveva visto e preso dell'opera di Hieronymus Bosch. Aprì il libro più grosso e lentamente cominciò a studiare le riproduzioni. Al Getty le aveva guardate in modo frettoloso, disturbato dal fatto di non
essere solo. Appoggiò il blocco sul bracciolo del divano con l'intenzione di riportare il numero dei gufi che trovava in ogni quadro e la descrizione precisa di ognuno di loro. Si rese conto in fretta che i quadri erano così pieni di dettagli e le riproduzioni in scala così ridotta che avrebbe potuto sfuggirgli qualcosa di significativo. Andò nella cabina sottocoperta per cercare la lente d'ingrandimento che un tempo aveva usato per esaminare le fotografie delle scene dei delitti. Mentre era chino su una scatola piena di oggetti di cancelleria, sentì una leggera botta contro la barca e si raddrizzò. Non poteva essere stato il suo Zodiac, perché l'aveva legato. Stava riflettendo sull'origine del colpo, quando sentì l'inequivocabile oscillazione prodotta da qualcuno che saliva a bordo. Pensò subito alla porta del salone. Era sicuro di non averla chiusa a chiave. Guardò nella scatola in cui stava frugando e afferrò il tagliacarte. Salì in cambusa e diede uno sguardo al salone, ma non notò niente di strano. Il riflesso sulla porta scorrevole gli impediva di vedere bene, ma a poppa si stagliava l'ombra di un uomo, proiettata dai lampioni di Crescent Street. Dava le spalle al salone, come se stesse ammirando le luci che dalla città si inerpicavano lungo la collina. McCaleb si avvicinò alla porta e l'aprì rapidamente. Teneva il tagliacarte lungo il fianco, con la punta rivolta verso l'alto. L'uomo si girò. McCaleb abbassò l'arma mentre l'altro lo fissava con gli occhi spalancati. «Signor McCaleb, io...» «Va tutto bene, Charlie, non sapevo che fossi tu.» Charlie era il guardiano notturno del porto. McCaleb ne ignorava il cognome, ma sapeva che spesso andava a trovare Buddy, quando questi dormiva sulla barca, forse per bere una birra in compagnia. «Ho visto le luci e ho pensato che ci fosse Buddy» disse, confermando le sue ipotesi. «Stavo solo facendo una visita.» «Buddy è a terra oggi. Probabilmente non sarà di ritorno fino a venerdì prossimo.» «Okay. Allora me ne vado. E lei, tutto bene? Non è che sua moglie l'ha buttata fuori di casa?» «No Charlie, è tutto a posto. Ho solo un lavoretto da fare.» «Ottimo. Be', torno indietro.» «Buonanotte, Charlie, e grazie per essere venuto a controllare.»
Tornò dentro e scese in ufficio. Trovò la lente d'ingrandimento insieme a una piccola pila in fondo alla scatola della cancelleria. Per le due ore successive esaminò i dipinti. I lugubri paesaggi dove demoni spettrali assediavano vittime umane lo affascinarono ancora una volta. Contrassegnò ogni gufo con un Post-It giallo in modo da poterli ritrovare facilmente. McCaleb aveva messo insieme una lista di sedici gufi veri e propri più una dozzina di creature molto simili all'uccello notturno. I gufi erano scuri, appostati in ogni dipinto a mo' di sentinelle del giudizio finale. Li guardava e non poteva fare a meno di pensare all'analogia tra gufi e detective. Entrambi creature della notte, entrambi sentinelle e cacciatori - testimoni diretti del male e del dolore degli uomini. Ma la cosa più interessante che McCaleb trovò durante la sua analisi dei quadri non fu un gufo, quanto l'immagine di un uomo. La scoprì osservando con la lente il dipinto intitolato Giudizio universale. Fuori dal forno infernale in cui venivano infilati i peccatori c'erano diverse vittime legate che aspettavano di essere fatte a pezzi e bruciate. Tra queste McCaleb notò un uomo con le braccia e le gambe piegate all'indietro in una dolorosa posizione fetale al contrario. L'immagine rispecchiava ciò che aveva visto sulla cassetta e nelle foto di Edward Gunn. McCaleb contrassegnò la figura con un Post-It e chiuse il libro. Proprio in quel momento il cellulare suonò e lui si raddrizzò con un sobbalzo. Prima di rispondere controllò l'ora. Era mezzanotte in punto. «Credevo che saresti tornato, stanotte» esordì Graciela. «Ora arrivo. Ho appena finito.» «Hai la macchina, vero?» «Sì, non ti preoccupare.» «Okay, a tra poco, allora.» «A tra poco.» McCaleb decise di lasciare tutto sulla barca perché aveva bisogno di liberarsi la mente fino al giorno dopo. Il fascicolo e quei libri pesanti sarebbero serviti solo a ricordargli le immagini lugubri che racchiudevano. Chiuse la barca e tornò a riva con lo Zodiac. Attraversò la zona commerciale deserta e si diresse su per la collina, verso casa. Nonostante cercasse in ogni modo di allontanarli, i suoi pensieri si dirigevano verso l'abisso. Un luogo dove creature con becchi, artigli appuntiti e coltelli tormentavano i morti per l'eternità. A quel punto era certo di una cosa. Bosch, il pittore, sarebbe stato molto abile a tracciare i profili degli assassini. Conosceva la
materia. Era in grado di affrontare gli incubi che si agitavano nella mente della maggior parte delle persone. E anche quelli che talvolta ne emergevano. 15 Le dichiarazioni di apertura del processo Storey furono rimandate, mentre gli avvocati discutevano le ultime istanze a porte chiuse con il giudice. Bosch era seduto al tavolo dell'accusa e aspettava. Cercava di liberarsi la mente da qualunque pensiero estraneo, inclusa l'infruttuosa ricerca di Annabelle Crowe, la notte precedente. Finalmente, alle dieci e quarantacinque, gli avvocati entrarono nell'aula e si sedettero ai rispettivi tavoli. Poi venne fatto entrare l'imputato, che quel giorno indossava un abito che, dall'aspetto, doveva costare una fortuna, e per ultimo prese posto il giudice Houghton. La seduta ebbe inizio. Bosch sentì che la tensione nell'aula si stava alzando. Los Angeles aveva trasformato i processi penali in veri e propri spettacoli, ma non era così che li vedevano i protagonisti in aula. Per loro non era una recita e in quel processo, forse più che in altri, l'inimicizia tra le parti era palpabile. Il giudice disse al vicesceriffo che fungeva da ufficiale giudiziario di far entrare la giuria. Bosch si alzò insieme agli altri e guardò i giurati sfilare e prendere posto. Qualcuno aveva negli occhi una sorta di eccitazione. Tra una cosa e l'altra, erano due settimane che stavano aspettando. Lo sguardo di Bosch si spostò sulle due telecamere sopra le loro teste, che riprendevano l'intera aula eccetto il banco della giuria. Quando tutti si furono accomodati, il giudice Houghton si schiarì la voce e si chinò sul microfono, rivolgendosi ai giurati. «Signore e signori, come state questa mattina?» Ci fu un mormorio di risposta e Houghton annuì. «Mi scuso per il ritardo. Ricordatevi che il sistema giudiziario è essenzialmente in mano agli avvocati e quindi avanza mooolto lentamente.» Una risata discreta attraversò l'aula. Bosch notò che gli avvocati, sia quelli della difesa sia quelli dell'accusa, si unirono rispettosamente, e un paio esagerarono. Sapeva per esperienza che l'eventuale battuta di un giudice non passava mai inosservata. Lanciò un'occhiata alla sua sinistra, oltre il tavolo della difesa, al banco della giuria dove stavano i rappresentanti della stampa. Riconobbe diversi
giornalisti televisivi e altri che aveva visto a precedenti conferenze stampa. Esaminò il resto dell'aula e vide che i banchi del pubblico erano molto affollati, a parte la fila subito dietro il tavolo della difesa. Lì c'erano poche persone, piuttosto lontane l'una dall'altra, che sembravano aver passato la mattinata in un salone di bellezza. Immaginò che si trattasse di qualche celebrità, ma non aveva familiarità con quell'ambiente e non riuscì a identificare nessuno. Pensò di chiedere qualche informazione a Janis Langwiser, poi decise di lasciar perdere. «Avevamo bisogno di fare il punto su qualche dettaglio dell'ultimo minuto» continuò il giudice rivolto alla giuria. «Ma adesso siamo pronti. Cominceremo con le dichiarazioni di apertura e devo avvertirvi che non verteranno sui fatti, ma su quello che le singole parti ritengono essere i fatti, come ognuno cercherà di dimostrare nel corso del processo. Le dichiarazioni non contengono prove. Quelle verranno dopo. Quindi ascoltate attentamente, ma rimanete con la mente aperta, perché deve ancora scorrere molta acqua sotto i ponti prima del verdetto finale. Come sempre, partiremo con l'accusa, poi toccherà alla difesa. Avvocato Kretzler può cominciare.» Il procuratore si alzò e si avvicinò al leggio che si trovava tra i due tavoli degli avvocati. Fece un cenno alla giuria e si presentò come Roger Kretzler, sostituto procuratore assegnato alla Sezione Crimini Speciali. Era un uomo alto e magro, con una corta barba rossiccia, capelli neri e occhiali senza montatura. Aveva almeno quarantacinque anni. Bosch non lo trovava una persona particolarmente piacevole, ma doveva riconoscere che era molto abile nel suo lavoro. E il fatto che seguisse ancora i casi di trincea, quando i suoi coetanei guadagnavano stipendi da favola nelle società private o difendendo la criminalità organizzata, lo rendeva ancora più ammirevole. Bosch sospettava che non avesse vita privata. Le notti precedenti il processo, se capitava che qualcuno lo cercasse per fargli qualche domanda sulle indagini, la chiamata veniva sempre dall'ufficio di Kretzler. L'avvocato presentò la sua assistente, Janis Langwiser, anche lei appartenente alla Sezione Crimini Speciali, e il coordinatore delle indagini, il detective di terzo grado del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, Harry Bosch. «Sarò breve, in modo che si possa arrivare rapidamente all'esposizione dei fatti, come ha giustamente sottolineato il giudice Houghton. Signore e signori, il caso di cui ascolterete parlare in quest'aula ha le stigmate della celebrità. Ha lo status dell'evento. Sì, l'imputato, David N. Storey, gode di
una posizione di potere nella nostra comunità, posizione importante in quest'epoca dove la notorietà è tutto. Ma se spogliamo i fatti dei simboli del potere, cosa che tenteremo di fare nei prossimi giorni, quello che troviamo è piuttosto semplice. Un semplice caso di omicidio.» Kretzler fece una pausa a effetto. Bosch controllò la reazione della giuria. Tutti gli occhi erano fissi sull'avvocato. «L'uomo che vedete seduto al tavolo della difesa, David N. Storey, il 12 ottobre scorso è uscito con una giovane donna di ventitré anni che si chiamava Jody Krementz. E dopo una serata trascorsa alla prima del suo ultimo film e a un ricevimento, l'ha portata a casa sua sulle Hollywood Hills, dove hanno avuto un rapporto sessuale consensuale. Non credo che la difesa avrà niente da obiettare fino a questo punto. Ma non è per questo che siamo qui, quanto per quello che è successo durante o dopo quel rapporto sessuale. La mattina del 13 ottobre, Jody Krementz è stata trovata strangolata nel suo letto, in un bungalow che condivideva con un'altra attrice.» Kretzler girò una pagina del blocco sul leggio, anche se a Bosch, e forse anche agli altri, era evidente che stava andando a memoria. «Nel corso di questo processo lo stato della California proverà al di là di ogni ragionevole dubbio che è stato David Storey a togliere la vita a Jody Krementz in un momento di brutale furia sessuale. Quindi l'assassino ha spostato, o ha fatto spostare, il corpo da casa sua a quella della vittima, sistemandolo in modo che la morte potesse apparire accidentale. Poi ha usato il suo potere e la sua posizione per cercare di ostacolare le indagini del Dipartimento di Polizia di Los Angeles. Il signor Storey che, come apprenderete, ha un passato di violenze nei confronti delle donne, era così sicuro di uscire impunito da questa storia che in un momento di...» Kretzler scelse quel passaggio per girarsi verso il tavolo della difesa e guardare l'imputato con un'espressione piena di sdegno. Storey, che teneva gli occhi fissi davanti a sé, rimase imperturbabile e alla fine il procufatore si girò di nuovo verso la giuria. «...potremmo dire di candore, si è vantato con il detective Bosch proprio del fatto che sarebbe uscito da questa vicenda senza danno.» Kretzler si schiarì la voce, segno che era pronto a portarseli tutti dalla sua parte. «Siamo qui, signore e signori della giuria, per rendere giustizia a Jody Krementz. Per fare in modo che il suo assassino risponda del suo crimine. Lo stato della California vi chiede, e io in prima persona, di ascoltare attentamente e di valutare imparzialmente le prove. Se lo farete, possiamo
essere certi che giustizia sarà fatta. Per Jody Krementz. E per tutti noi.» Prese il blocco dal leggio e si girò per tornare a sedersi. Poi si fermò, come se un pensiero improvviso gli avesse attraversato la mente. Bosch la considerò una mossa assai efficace e ritenne che anche la giuria l'avrebbe valutata allo stesso modo. «Un'ultima cosa. Sappiamo tutti, perché fa parte della nostra storia recente, che a Los Angeles in questi casi cosiddetti "di alto profilo" è stato spesso messo sotto accusa il Dipartimento di Polizia. È uno dei trucchi preferiti della difesa. Vi chiedo di restare vigili e di concentrarvi sul premio, rappresentato in questo caso dalla giustizia. Non lasciatevi ingannare. Evitate di farvi manipolare. Fidatevi di voi stessi e troverete la via che conduce alla verità.» A questo punto si sedette. Bosch notò che Janis Langwiser si allungava verso di lui e gli stringeva l'avambraccio per congratularsi. Anche quel gesto faceva parte di un copione ben sperimentato. Il giudice comunicò ai giurati che, vista la brevità della dichiarazione dell'accusa, la parola sarebbe passata immediatamente alla difesa. Ma a un'interruzione si giunse abbastanza presto, perché l'avvocato Fowkkes utilizzò ancora meno tempo del suo collega per rivolgersi alla giuria. «Signore e signori, le belle parole pronunciate dall'avvocato Kretzler alla fine del suo discorso, tutte quelle chiacchiere sulle accuse alla Polizia... Be', lasciate che vi dica una cosa: è un ritornello consueto in questa città. Non c'è procuratore che non esordisca così all'inizio di un processo, tanto da far pensare che si siano imparati la formula a memoria.» Kretzler si alzò e obiettò nei confronti di quella che definì una «assoluta esagerazione» e Houghton ammonì Fowkkes, ma poi invitò il procuratore a fare un uso migliore delle sue obiezioni. Fowkkes proseguì rapidamente. «Se ho passato il segno, mi dispiace. So che è un punto sensibile, per procuratori e poliziotti. Ma quello che voglio dire, amici, è che là dove c'è del fumo, in genere c'è anche il fuoco. E nel corso di questo processo noi dovremo cercare di farci strada in mezzo al fumo. Forse troveremo il fuoco o forse no, ma una cosa so con certezza: e cioè che quest'uomo...» Si girò e indicò con enfasi il suo cliente. «...quest'uomo, David N. Storey, è innocente, al di là di ogni ragionevole dubbio, del crimine di cui è accusato. Sì, è vero, ha una posizione di potere, ma ricordate che questo non è un crimine. Sì, è vero, conosce un certo numero di persone famose, ma nemmeno questo è un crimine. Forse potrete trovare nella vita privata e nelle abitudini del signor Storey alcuni aspetti
che giudicherete sgradevoli. Ma ricordate che non hanno niente a che fare con i crimini di cui è accusato in questo procedimento. Il crimine di cui si sta parlando è l'omicidio. Niente di più e niente di meno. Un delitto di cui David Storey non è colpevole. E io vi garantisco che, indipendentemente da ciò che vi racconteranno gli avvocati Kretzler e Langwiser, e il detective Bosch, non esiste alcuna prova di colpevolezza.» Dopo che Fowkkes si fu a sua volta seduto, Houghton annunciò che ci sarebbe stata un pausa per il pranzo e che nel pomeriggio avrebbero cominciato ad ascoltare i testimoni. Bosch guardò i giurati che sfilavano verso la porta vicina al banco. Qualcuno si girò per osservare l'aula che stava alle loro spalle. L'ultima giurata della fila, una donna nera sulla cinquantina, lo guardò in faccia. Lui abbassò gli occhi, ma subito si pentì di averlo fatto. Quando li rialzò la donna se n'era andata. 16 Quando il processo si interruppe, McCaleb spense la televisione. Non voleva sentire le analisi dei cronisti. Riteneva che fosse stata la difesa a segnare il primo punto. Con mossa subdola, Fowkkes aveva detto ai giurati che anche lui trovava spregevoli le abitudini personali del suo cliente. Il che significava che, come le tollerava lui, potevano farlo anche loro. Stava ricordando loro che il caso riguardava una vita che era stata spenta, e non le scelte che ognuno compie nella propria. McCaleb continuò a prepararsi per il suo incontro con Jaye Winston. Dopo la prima colazione era tornato alla barca per prendere il fascicolo e i libri. Adesso, munito di un paio di forbici e dello scotch, stava mettendo insieme una presentazione che, lo sperava, non solo l'avrebbe impressionata, ma l'avrebbe anche convinta di qualcosa che lui stesso faticava a credere. La presentazione era una sorta di prova generale, prima dello spettacolo vero e proprio. Quindi McCaleb riteneva ben speso il tempo dedicato a prepararla. Gli permetteva di evidenziare gli eventuali salti logici e di mettere a punto le risposte alle inevitabili domande che lei gli avrebbe fatto. Mentre rifletteva a cosa le avrebbe detto esattamente, Jaye telefonò. «È ancora presto per esserne certi, ma forse c'è qualche novità sul gufo.» «A cosa ti riferisci?» «Il distributore di Middleton, nell'Ohio, crede di sapere da dove viene. Un posto proprio qui, a Carson, che si chiama Bird Barrier.»
«Da cosa lo deduce?» «Dal fatto che Kurt ha mandato un fax con la foto del nostro uccello e il tipo ha notato che mancava il fondo dello stampo.» «Okay, e cosa significa?» «A quanto pare, gli stampi vengono spediti con la base, in modo da poter essere riempiti di sabbia perché non cadano quando c'è vento, pioggia eccetera.» «Capisco.» «Però c'è un rivenditore che ordina i gufi senza il fondo. Bird Barrier, per l'appunto. Questo perché infila nei gufi una sorta di congegno vocale.» «Cosa vuol dire?» «È un aggeggio che imita il loro verso. Immagino serva a spaventare gli uccelli. Sai qual è lo slogan di Bird Barrier? "Non ci scappa mai l'uccello." Divertente, vero? È così che risponde la loro segreteria telefonica.» La mente di McCaleb stava andando troppo in fretta per registrare la battuta. «Hai detto che è a Carson?» «Sì, non lontano da Cabrillo. Adesso ho una riunione, ma avevo già deciso di uscire prima per il nostro appuntamento. Preferisci che ci incontriamo lì? Ce la fai?» «Mi sembra perfetto. Ci sarò.» Jaye gli diede l'indirizzo, che era a circa un quarto d'ora da Cabrillo Marina, e decisero di vedersi lì alle due. Gli disse anche che avevano appuntamento con il presidente della società, un certo Cameron Riddell. «Porterai il gufo?» chiese McCaleb. «Sai una cosa, Terry? È da un pezzo che faccio questo mestiere. E avevo un cervello anche prima.» «Scusa.» «Ci vediamo alle due.» McCaleb riagganciò, poi tirò fuori dal freezer il tamale di troppo, lo scongelò nel microonde e dopo averlo avvolto nell'alluminio lo infilò nella cartella per mangiarselo durante la traversata. Diede uno sguardo alla figlia che dormiva in soggiorno tra le braccia della sua bambinaia part-time, la signora Perez. Sfiorò la guancia della piccola e uscì. Il Bird Barrier si trovava in un'elegante zona commerciale, vicina alla parte orientale della 405a, proprio sotto la pista aeroportuale dove era agganciato il dirigibile della Goodyear. Il dirigibile era al suo posto e McCa-
leb scorse i lacci che lo tenevano lottare contro il vento pomeridiano che scendeva dalle montagne. Arrivando, riconobbe la macchina di Jaye Winston. Entrò da una porta a vetri e la vide seduta in una piccola sala d'aspetto. Sul pavimento, accanto alla sua sedia, c'erano una ventiquattrore e un cartone sigillato con del nastro adesivo rosso. Si alzò e si rivolse a un giovanotto che se ne stava seduto dietro allo sportello della reception con in testa delle cuffie da centralinista. «Può avvisare il signor Riddell che siamo arrivati?» Il giovane, che sembrava impegnato in una conversazione telefonica, annuì. Pochi minuti dopo venivano introdotti nell'ufficio di Cameron Riddell. McCaleb portava la scatola. Winston introdusse l'argomento e presentò McCaleb come un suo collega. Era la verità, anche se nascondeva il fatto che non aveva più il distintivo. Riddell era un uomo dall'aspetto gradevole, tra i trenta e i quaranta, che sembrava ansioso di essere utile alle indagini. Winston infilò un paio di guanti di lattice che aveva nella ventiquattrore, fece scorrere una chiave lungo il nastro adesivo rosso e aprì la scatola. Tirò fuori il gufo e lo appoggiò sulla scrivania. «Che cosa ci può dire di questo, signor Riddell?» L'uomo rimase in piedi dietro alla scrivania e si chinò per osservare il gufo. «Posso toccarlo?» «È meglio che si metta questi.» Winston tirò fuori dalla ventiquattrore un altro paio di guanti e glieli porse. McCaleb guardava in silenzio, avendo deciso di intervenire solo se lei glielo avesse chiesto o avesse omesso qualcosa di fondamentale. Riddell dovette combattere con i guanti e ci mise un po' a infilarli. «Mi dispiace» disse Jaye, «forse sono troppo piccoli per lei.» Indossati i guanti, Riddell sollevò il gufo con entrambe le mani e osservò attentamente la base. Poi guardò dentro lo stampo di plastica e infine lo tenne davanti a sé, come se ne studiasse gli occhi. Quindi lo riappoggiò su un angolo della scrivania, si sedette e schiacciò il pulsante di un interfono. «Monique, sono Cameron. Può andare sul retro a prendere uno dei gufi sonori? Ne ho bisogno subito.» «Sono lì tra un attimo.» Riddell si tolse i guanti e mosse le dita per scioglierle. Poi guardò Jaye Winston, come se avesse la sensazione che fosse lei la persona più impor-
tante, e indicò il gufo. «Sì, è uno dei nostri, ma è stato modificato. Noi non li vendiamo così.» «Cioè?» «Be', adesso Monique ce ne porterà uno perché possiate vederlo, ma essenzialmente questo è stato ridipinto e il congegno interno è stato rimosso. E poi noi abbiamo un'etichetta con il marchio di fabbrica che attacchiamo qui» indicò la parte posteriore della base, «e ora non c'è più.» «Cominciamo dai colori» disse Jaye. «Ci dica quali sono le alterazioni.» Prima che Riddell potesse rispondere si udì bussare e una donna entrò portando un gufo avvolto nella plastica. Riddell le disse di appoggiarlo sulla scrivania e di togliere l'involucro. McCaleb notò che la donna aveva fatto una strana faccia vedendo il gufo con gli occhi neri portato da Jaye Winston. Riddell la ringraziò e lei uscì. McCaleb studiò i due gufi affiancati. Il loro era più scuro. Il gufo di Bird Barrier aveva cinque colori sulle piume, compresi il bianco e l'azzurro, e gli occhi di plastica avevano pupille bordate di un luminoso color ambra. Inoltre il nuovo gufo era appollaiato su una base di plastica nera. «Come potete vedere il vostro gufo è stato ridipinto» disse Riddell. «Si nota specialmente negli occhi, che hanno perso gran parte della loro intensità. Di solito all'interno c'è un foglio di alluminio che, catturando la luce, dà l'impressione del movimento.» «Così gli uccelli pensano che sia vero.» «Esattamente. Ma se li si dipinge, l'effetto va perso.» «La persona che lo ha ridipinto aveva tutt'altro scopo che quello di catturare gli uccelli. Altre differenze?» Riddell scosse la testa. «Solo che le piume sono state scurite, lo vedete da voi.» «Sì. Passiamo al congegno di cui ci ha parlato. Di che cosa si tratta?» «Noi prendiamo questi gufi in Ohio e poi li ridipingiamo e ci infiliamo uno o due congegni. Questo è il nostro modello standard.» Riddell prese il gufo e lo girò a testa in giù. Ruotò la base di plastica che svitandosi emise un verso stridulo. «Sentite?» «Sì. Può bastare, signor Riddell.» «Scusate. Comunque, avete capito: quando c'è vento la base ruota e il gufo emette il grido dei predatori. Funziona bene, finché c'è vento. Abbiamo anche il modello deluxe con un inserto elettronico nella base. Contiene un altoparlante che emette i versi registrati di altri predatori, tra cui i falchi.
Indipendentemente dal vento.» «Ne avete anche senza gli inserti?» «Sì, sono essenzialmente ricambi. All'esterno, specialmente nei luoghi di mare, la pittura resiste due o tre anni, dopo di che il gufo perde un parte della sua efficacia. Bisogna ridipingerlo, o semplicemente comprarne uno nuovo. Lo stampo è la parte meno cara.» Winston guardò McCaleb. Lui non aveva niente da aggiungere e si limitò ad annuire, quindi si rivolse di nuovo a Riddell. «Okay. È possibile arrivare al proprietario di questo gufo?» Riddell guardò il gufo per un lungo momento, come se potesse suggerirgli la risposta. «Be', non è facile. È un articolo molto diffuso. Ne vendiamo diverse migliaia all'anno, sia spedendole ai dettaglianti sia direttamente, tramite il catalogo on line e il sito Internet.» Poi schioccò le dita come se si fosse ricordato improvvisamente di qualcosa. «Un modo c'è, almeno per eliminare una parte degli acquirenti.» «Ovvero?» «Dunque, l'anno scorso hanno cambiato la forma dello stampo. In Cina intendo. Hanno fatto delle ricerche e hanno deciso che il cosiddetto "gufo con le corna" è considerato dagli altri uccelli una minaccia maggiore di quello con la testa rotonda. Così hanno cambiato modello.» «Non la seguo, signor Riddell.» L'uomo alzò una mano come per invitarli alla pazienza. Poi aprì un cassetto della scrivania e frugò tra alcune carte. Tirò fuori un catalogo e cominciò a girare le pagine velocemente. McCaleb vide che l'attività principale della Bird Barrier non erano i gufi di plastica, ma i sistemi antiuccelli su larga scala: reti e filo spinato. Riddell trovò la pagina con i gufi di plastica e girò il catalogo in modo che McCaleb e Winston potessero guardarla. «Questo è il catalogo dell'anno scorso» disse. «Vedete che i gufi hanno la testa rotonda? Il produttore ha modificato il modello in giugno, circa sette mesi fa. Adesso abbiamo questi.» Indicò i due gufi sul tavolo. «Le piume arrivano fino a quelle due specie di orecchie in cima alla testa. Il rappresentante ci ha detto che si chiamano "corna" e che questo genere di gufo qualche volta viene definito "gufo-diavolo"». Winston lanciò un'occhiata a McCaleb, che alzò le sopracciglia per un
momento, poi disse a Riddell: «Quindi questo gufo è stato ordinato o comprato da giugno in poi.» «Più probabilmente da agosto, o anche da settembre. Il modello è stato cambiato in giugno, ma noi abbiamo cominciato a ricevere quello nuovo verso la fine di agosto. Oltretutto, prima di metterlo in vendita, dovevamo esaurire le scorte di quello con la testa rotonda.» Winston chiese a Riddell notizie sulle registrazioni delle vendite e venne a sapere che le informazioni sugli ordini via e-mail o tramite il sito Internet erano complete e aggiornate, mentre era quasi impossibile risalire alle ordinazioni pervenute dai numerosi dettaglianti, ferramenta e negozi di articoli per la casa e il giardino. Andò al computer e digitò qualche comando, quindi indicò lo schermo. «Ecco fatto, ho chiesto le vendite suddivise dal primo agosto» disse. «Suddivise?» «Sì, per i modelli standard e deluxe e per gli stampi di ricambio. Ne abbiamo venduti 414 direttamente e 600 ai dettaglianti.» «Quindi gli unici che possiamo rintracciare, attraverso di voi almeno, sono 414.» «Esatto.» «Avete i nomi dei compratori e gli indirizzi a cui avete spedito i gufi?» «Sì, abbiamo tutto.» «E lei ci sta passando queste informazioni senza bisogno di un ordine del tribunale?» Riddell aggrottò la fronte come se la domanda fosse assurda. «Avete detto che state indagando su un omicidio, giusto?» «Giusto.» «Non abbiamo bisogno di un ordine del tribunale. Se possiamo aiutare vogliamo farlo.» «Questo è davvero confortante, signor Riddell.» Sedettero nella macchina di Winston per controllare le stampate ricevute da Riddell. La scatola delle prove con il gufo era in mezzo a loro. Avevano tre fogli: uno per i gufi deluxe, uno per quelli standard e uno per i ricambi. McCaleb chiese di vedere quello con i ricambi, perché il suo istinto gli diceva che il gufo trovato nell'appartamento di Edward Gunn era stato comprato con il preciso scopo di avere un ruolo sulla scena del delitto, quindi non aveva bisogno di alcun congegno interno, senza contare che era il più economico.
«Sarà meglio che troviamo qualcosa su queste liste» disse Jaye Winston mentre i suoi occhi scorrevano quella dei gufi modello standard. «Cercarli attraverso i dettaglianti significa mandati del tribunale, avvocati... Ehi, c'è anche il Getty! Ne hanno ordinati quattro.» McCaleb la guardò riflettendo. Ma alla fine alzò le spalle e tornò alla sua lista. Anche lei tornò alla sua, continuando a sciorinare l'elenco delle difficoltà che avrebbero incontrato se avessero dovuto fare delle ricerche attraverso i commercianti al dettaglio. McCaleb la ignorò fino al terzultimo nome della sua lista. Lo aveva riconosciuto. Con il dito seguì la linea orizzontale sul foglio per vedere l'indirizzo da cui era partito il gufo, il metodo di pagamento, chi aveva fatto l'ordine e il destinatario, nel caso fossero persone diverse. Doveva aver smesso di respirare, perché anche Jaye Winston si bloccò. «Cosa c'è?» «Ho trovato qualcosa.» Allungò il foglio e le indicò con il dito la riga. «Questo: Jeroen Van Aeken. Ne ha richiesto uno la vigilia di Natale per l'indirizzo che corrisponde all'appartamento di Gunn. L'ordine è stato pagato in contanti.» Jaye gli sottrasse il foglio e lesse a sua volta le informazioni. «Mandato a un certo Lubbert Das, presso Edward Gunn. Lubbert Das... non è saltato fuori nessuno con questo nome durante le indagini. E nessuno degli altri inquilini si chiama così. Telefonerò a Rohrshak per chiedergli informazioni.» «Non ti preoccupare. Lubbert Das non ha mai abitato lì.» Lei alzò gli occhi dalla lista e lo guardò. «Sai chi è?» «In un certo senso.» Jaye aggrottò le sopracciglia. «In un certo senso? Cosa significa in un certo senso? E che mi dici di Jeroen Van Aeken?» McCaleb annuì. Winston fece cadere i fogli sulla scatola e lo guardò. La sua espressione era un misto di curiosità e irritazione. «Bene, Terry, credo sia giunto il momento di cominciare a dirmi quello che sai.» McCaleb annuì di nuovo e appoggiò la mano sulla maniglia della portiera. «Perché non andiamo alla mia barca? Possiamo parlare lì.»
«Perché invece non parliamo qui e subito, maledizione! ?» McCaleb abbozzò un sorriso. «Perché vorrei darti una dimostrazione visiva.» Aprì la portiera e uscì, quindi la guardò di nuovo. «Ci vediamo là, d'accordo?» Jaye scosse la testa. «Sarà meglio che tu abbia pronto un accidenti di profilo» disse. Questa volta fu Terry a scuotere la testa. «Niente profilo.» «Allora che cosa?» «Un possibile indiziato.» Chiuse la portiera e sentì le imprecazioni soffocate di Jaye che metteva in moto. Mentre attraversava il parcheggio, un'ombra cadde su di lui e su quello che lo circondava. Guardò in alto e vide che il dirigibile della Goodyear eclissava completamente il sole. 17 Si ritrovarono un quarto d'ora dopo sul The Followmg Sea. McCaleb tirò fuori due lattine di Coca Cola e invitò Jaye Winston a sedersi in salone, sulla poltroncina dietro al tavolino. Al parcheggio le aveva detto di portare il gufo di plastica e adesso lo tirò fuori dalla scatola utilizzando due tovagliolini di carta. Lo appoggiò sul tavolino di fronte a Jaye che rimase a guardarlo a labbra strette. McCaleb le disse che comprendeva la sua rabbia. Forse aveva l'impressione di essere manipolata, ma avrebbe riacquistato il controllo della situazione non appena lui le avesse mostrato quello che aveva scoperto. «Vaffanculo, Terry, sarà meglio che il tuo cazzo di scoperte siano davvero interessanti.» McCaleb si ricordò che, quando avevano lavorato insieme per la prima volta, aveva annotato in fondo al fascicolo che Jaye diventava scurrile quando era sotto stress. Aveva annotato anche che era acuta e intuitiva. Sperava che non fosse cambiata. Andò al ripiano su cui aveva appoggiato il materiale per la presentazione, prese il primo foglio e lo posò sul tavolino davanti alla base del gufo di plastica. «Cosa ne dici, è lo stesso?» Winston si chinò per studiare da vicino l'immagine a colori. Era un par-
ticolare ingrandito del Trittico delle delizie, quello del gufo marrone con gli occhi neri e brillanti tra le braccia dell'uomo nudo. McCaleb aveva ritagliato diversi dettagli dal libro di Marijnissen. Osservò lo sguardo di Winston spostarsi ripetutamente dal gufo di plastica a quello del dipinto. «Direi che coincidono. Dove l'hai trovato, al Getty? Avresti dovuto dirmelo ieri, Terry. Cosa cazzo sta succedendo?» McCaleb alzò le mani per calmarla. «Ti spiegherò ogni cosa. Devi solo lasciare che ti mostri questo materiale come voglio io. Poi risponderò a tutte le tue domande.» Lei gli fece un cenno con la mano per dirgli che poteva proseguire. Lui prese il secondo foglio dal ripiano e glielo mise davanti. «Stesso pittore, un altro quadro.» Jaye guardò. Era il dettaglio del Giudizio universale con l'uomo legato in posizione fetale al contrario in attesa di essere portato all'inferno. «Non ci posso credere. Chi è l'autore di questi quadri?» «Te lo dirò tra un attimo» rispose McCaleb tornando al ripiano. «Di che periodo è?» insisté lei. Lui prese il terzo foglio e lo posò sul tavolino accanto agli altri due. «È morto circa cinquecento anni fa.» «Oh Cristo!» Prese in mano il terzo foglio e lo guardò da vicino. Era la riproduzione del dipinto intitolato I sette peccati capitali. «Questo dovrebbe essere l'occhio di Dio che vede tutti i peccati del mondo» le spiegò McCaleb. «Riconosci le parole al centro dell'iride?» «Attenzione Attenzione...» disse Winston in un sussurro. «Oh, mio Dio, si tratta di un pazzo fanatico. Chi è?» «Te ne faccio vedere ancora uno. Con questo il cerchio si chiude.» Andò al ripiano per la quarta volta e tornò con la quarta immagine presa dal libro su Bosch. Gliela porse. «S'intitola La nave dei folli. Nel medioevo si credeva che la follia e la disonestà potessero essere curate togliendo una pietra dal cervello. Osserva il punto dell'incisione.» «Lo vedo, lo vedo. Corrisponde esattamente a quello del nostro uomo. E qui cosa c'è scritto?» Con il dito seguì il margine esterno del dipinto circolare. Sopra uno sfondo nero c'erano delle parole elegantemente vergate in oro, che il tempo aveva reso quasi indecifrabili. «La traduzione è: "Maestro, estrai la pietra. Il mio nome è Lubbert Das".
Gli esperti di questo pittore sottolineano che a quel tempo il nome Lubbert era un nomignolo derisorio che indicava gli stupidi e i depravati.» Winston appoggiò il foglio sopra gli altri con aria sconfitta. «Okay, Terry, basta così. Chi era questo pittore e chi è il sospetto che dici di avere?.» McCaleb annuì. Era giunto il momento. «Il pittore si chiamava Jeroen Van Aeken. Era fiammingo ed è considerato uno dei massimi rappresentanti del Rinascimento nordeuropeo. Ma i suoi quadri erano cupi, pieni di mostri, demoni e fantasmi. Anche gufi. Moltissimi gufi. Secondo la critica, nei suoi dipinti il gufo simboleggia tutto ciò che appartiene al male, alla dannazione e alla caduta agli inferi del genere umano.» Riprese il foglio con l'uomo che abbracciava il gufo. «Questa immagine dice tutto. L'abbraccio tra l'uomo e il male - "il gufodiavolo", per usare l'espressione di Riddell - conduce inevitabilmente all'inferno. In questo particolare è racchiuso il senso di tutto il quadro.» Tornò al ripiano e portò a Jaye la riproduzione completa del Trittico delle delizie. Osservò i suoi occhi mentre studiavano le immagini. Vide che era respinta e affascinata al tempo stesso. Le indicò i quattro gufi che aveva trovato nel dipinto, compreso quello del dettaglio che le aveva già mostrato. Improvvisamente lei mise da parte il foglio e lo guardò. «Aspetta un momento! Io ho già visto questo quadro! In un libro o durante una lezione di storia dell'arte all'università. Ma non ho mai sentito parlare di questo Van Aeken, non mi sembra almeno. È lui l'autore?» McCaleb annuì. «Si intitola Trittico delle delizie. L'ha dipinto Van Aeken, ma tu non l'hai mai sentito nominare perché non era conosciuto con il suo vero nome. Usava la versione latina di Jeroen e, come cognome, scelse una parte del nome della sua città natale. Il risultato è Hieronymus Bosch.» Jaye si limitò a guardarlo senza parlare, come se a un tratto tutto collimasse: le immagini che le aveva mostrato, i nomi sulla lista di Bird Barrier, ciò che sapeva del caso Edward Gunn. «Bosch» disse, quasi in un sospiro. «Hieronymus è...?» Si interruppe. McCaleb annuì. «Sì, è il vero nome di Harry.» Andavano avanti e indietro per il salone. Entrambi a testa china, ma facendo attenzione a non scontrarsi. Parlavano a scatti, il sangue amaro e il
cuore che andava a mille. «E davvero pazzesco, McCaleb. Ti rendi conto di quello che stai dicendo?» «Perfettamente. E non credere che non ci abbia pensato a lungo e in modo approfondito. Lo considero un amico, Jaye. C'era... non so, a un certo momento ho pensato che fossimo molto simili. Ma guarda questa roba, guarda i collegamenti, i parallelismi. Tutto coincide.» Si fermò e la guardò. Lei continuò a camminare avanti e indietro. «Per amor di Dio, è un poliziotto! Un poliziotto della Omicidi!» «Che cosa? Non mi starai dicendo che dobbiamo escluderlo solo perché è un poliziotto? Siamo a Los Angeles, un giardino delle delizie in versione moderna, con le stesse tentazioni e gli stessi demoni. Non hai bisogno di oltrepassare i confini della città per trovare poliziotti che hanno superato il limite - spaccio di droga, rapine alle banche, perfino omicidi.» «Lo so, lo so. È che...» Non finì la frase. «Sai benissimo che con coincidenze simili come minimo dobbiamo controllare.» Lei si fermò e lo guardò. «Dobbiamo? Scordatelo, Terry. Ti ho chiesto di dare un'occhiata al fascicolo, non di prendere in mano le indagini. A questo punto sei fuori.» «Senti, se io non avessi trovato questa roba, tu non avresti in mano niente. E il gufo sarebbe ancora comodamente appollaiato sul tetto del secondo palazzo amministrato da Rohrshak.» «È vero. E ti ringrazio molto. Ma sei tornato alla vita civile. E da adesso sei fuori.» «Non credere di liberarti di me, Jaye. Sono io che ho puntato il dito su Bosch, non me ne andrò tanto facilmente.» Winston si sedette di schianto su una sedia. «D'accordo, riparliamone al momento buono. Io non sono ancora convinta.» «Bene. Nemmeno io.» «Certo che hai messo in piedi un bello show per montare il tuo caso.» «Sto solo dicendo che Harry Bosch è in qualche modo connesso a tutto questo. E che le possibilità sono due. O è stato lui, o l'hanno incastrato. È nella polizia da molto tempo.» «Venticinque, trent'anni. La lista delle persone che ha messo in prigione sarà lunga un chilometro. Di cui più o meno la metà adesso sono fuori. Ci
vorrà un anno per trovarli tutti.» McCaleb annuì. «E non credere che lui non lo sappia.» Lei gli rivolse uno sguardo seccato e lui ricominciò a camminare avanti e indietro, a testa china. Dopo un silenzio troppo lungo alzò gli occhi e vide che Jaye lo stava fissando. «Ce lo vedi Bosch in tutto questo? Avanti, sai qualcos'altro.» «Non è vero. Cerco solo di non precludermi nessuna strada.» «Balle, tu ne stai seguendo una sola.» McCaleb non rispose. Si sentiva già abbastanza in colpa senza che lei rincarasse la dose. «Coraggio» insisté lei, «perché non me lo dici? E non ti preoccupare, non te lo ritorcerò contro quando verrà fuori che hai sbagliato.» McCaleb si fermò e la guardò. «Dai, sputa il rospo.» McCaleb scosse la testa. «Non sono ancora arrivato in fondo. So solo che quello che abbiamo va molto, molto al di là della pura coincidenza. Quindi ci deve essere una spiegazione.» «Allora parlami della parte che riguarda Bosch. Ti conosco. Sono sicura che ci hai pensato.» «D'accordo, ma ricordati che per ora è solo una teoria. Anzitutto partiamo dal detective Hieronymus Bosch il quale crede - no, diciamo sa - che Edward Gunn ha commesso un omicidio. Bene, abbiamo Gunn legato e strangolato come la figura nel quadro del pittore Hieronymus Bosch. Aggiungi il gufo di plastica e almeno una dozzina di altri collegamenti tra i due Bosch, senza contare il nome, ed ecco fatto.» «E allora? Niente indica che sia stato Bosch. L'hai detto tu stesso: qualcuno potrebbe averlo incastrato.» «Non so cosa sia. Istinto, credo. Bosch ha qualcosa di fuori dal comune.» Ricordò il modo in cui Vosskuhler aveva descritto l'opera del pittore. «Più buio della notte.» «Che cosa significa?» McCaleb ignorò la domanda. Andò al tavolino, afferrò il foglio con l'uomo che abbracciava il gufo e glielo mise davanti. «Guarda il buio di questo quadro. Guarda l'espressione degli occhi. In Harry c'è lo stesso buio.»
«Adesso stai diventando decisamente spettrale, Terry. Cosa vuoi dire, che in una vita precedente Harry Bosch era un pittore? Ma ti ascolti quando parli?» McCaleb riappoggiò il foglio sul tavolino e si allontanò scuotendo la testa. «Non so come spiegarlo» disse. «Ma qualcosa c'è. Una connessione che non riguarda solo il nome.» Fece un gesto con la mano come per scacciare quel pensiero. «Va bene, andiamo avanti» disse Winston. «Se si tratta di Bosch, perché adesso? E perché proprio Gunn? Gli è sfuggito sei anni fa.» «Interessante: hai detto che è sfuggito a lui e non alla giustizia.» «Non volevo dire niente di particolare. Sei abile a manovrare le cose...» «Perché adesso, mi chiedi? E chi lo sa. Ma c'è stato quell'incontro, la notte prima dell'omicidio. E prima ce n'era stato uno in ottobre, e altri ancora. Ogni volta che quel tizio è finito in galera, Bosch era lì.» «Ma l'ultima notte Gunn era troppo ubriaco per parlare.» «Chi l'ha detto?» Jaye annuì. Avevano solo la parola di Bosch. «D'accordo. Ma perché Gunn? Non che io voglia dare un giudizio di valore sull'assassino o sulle sue vittime ma, andiamo, il tipo ha pugnalato una prostituta tra le lenzuola ancora calde di un hotel di Hollywood! Sappiamo tutti che ci sono persone che valgono più di altre, e lei non valeva certo molto. Se hai letto il fascicolo l'hai visto anche tu: nemmeno alla sua famiglia è importato di riprendersela.» «Allora ci manca una tessera del puzzle. Perché a Bosch importava. Lui non è il tipo di persona che considera una vittima più importante di un'altra. C'è qualcosa riguardo a Gunn che ancora non sappiamo. Dev'essere così se per colpa sua Bosch ha fatto volare il suo tenente fuori dall'ufficio e si è beccato una sospensione. E se si è scomodato per andare a trovarlo ogni volta che l'hanno preso.» McCaleb annuì, come per convincere se stesso. «Abbiamo bisogno di trovare il motivo scatenante, la molla che l'ha fatto agire adesso piuttosto che un anno fa, o in qualunque altro momento.» Improvvisamente Jaye Winston si alzò. «La vuoi smettere di dire "noi"? E stai dimenticando una cosa. Perché quest'uomo, un veterano della Polizia, un detective della Omicidi, avrebbe ucciso quel tizio lasciandosi dietro tante tracce? Non ha senso. Non con Harry Bosch. È troppo intelligente.»
«Forse le cose ci sembrano ovvie solo adesso che le abbiamo scoperte. Non dimenticare che il modo in cui è stato compiuto l'omicidio è indice di una mente aberrante, di una personalità ambigua. Se Harry Bosch ha perso la strada ed è precipitato nell'abisso, non possiamo più fare alcuna ipotesi su ciò che pensa veramente. Le tracce che ha lasciato potrebbero essere sintomatiche.» Lei respinse la spiegazione con un gesto della mano. «Ti esprimi come quando eri a Quantico. Troppo sottile per i miei gusti.» Winston prese la copia del Trittico delle delizie e la studiò. «Io ho parlato con Harry del caso due settimane fa» disse. «E tu l'hai incontrato ieri. Non stava arrampicandosi sui muri, non aveva la schiuma alla bocca. E pensa al processo che sta seguendo. È calmo, freddo, preparato. Sai come lo chiamano quelli che lo conoscono? Marlboro Man.» «Già, e ha anche smesso di fumare. Forse è stato proprio il caso Storey la causa scatenante. Troppa pressione. Da qualche parte doveva pur uscire.» McCaleb si accorse che Jaye non lo stava ascoltando. I suoi occhi avevano colto qualcosa nel quadro. Lasciò cadere il foglio che aveva in mano e prese quello con l'uomo abbracciato al gufo. «Posso chiederti una cosa?» disse. «Se il nostro uomo ha mandato il gufo direttamente all'indirizzo della vittima, come accidenti ha fatto a ridipingerlo?» McCaleb annuì. «Buona domanda. Lo avrà dipinto nell'appartamento. Magari mentre guardava Gunn che lottava per sopravvivere.» «Non sono state trovate tracce di pittura nell'appartamento. Abbiamo controllato anche la spazzatura. Niente.» «Se l'è portata dietro, sbarazzandosene da qualche altra parte.» «O forse sta progettando di usarla un'altra volta.» S'interruppe e tacque per un lungo momento. McCaleb aspettò. «Allora, che cosa facciamo?» chiese Jaye alla fine. «Noi?» «Solo per il momento. Ho cambiato idea: non posso portare questa roba allo sceriffo. È troppo pericoloso. Se si trattasse di un errore, potrei dire addio al mio lavoro.» McCaleb annuì. «Quanti casi state seguendo tu e il tuo partner?»
«Ne abbiamo tre aperti, incluso Gunn.» «Bene, impegnalo su un altro caso, mentre tu ti occupi di questo con me. Lavoreremo su Bosch finché non avremo qualcosa di concreto - in un senso o nell'altro - che potrai rendere ufficiale.» «E cosa faccio, chiamo Harry Bosch e gli dico che ho bisogno di parlargli perché è sospettato di omicidio?» «Inizialmente lo contatterò io. Le nostre intenzioni saranno meno evidenti, se faccio io il primo passo. Ho bisogno di verificare le mie percezioni, chissà, magari questa volta il mio istinto ha sbagliato. O magari scoprirò che cosa ha fatto scattare il detonatore.» «È più facile a dirsi che a farsi. Se gli andiamo troppo vicino, capirà. Non voglio che ci scoppi tutto in faccia, specialmente sulla mia.» «In un certo senso posso essere avvantaggiato.» «Ah sì? E come?» «Non sono un poliziotto. Mi sarà più facile avvicinarmi a lui. Ho bisogno di entrare in casa sua, di vedere come vive. Nel frattempo tu...» «Aspetta un momento. Non starai parlando di introdurti in casa sua. Non posso permettertelo.» «Non ti preoccupare, niente di illegale.» «Allora come pensi di entrare?» «Bussando alla porta.» «Buona fortuna. E cosa pensi di dirgli? E io, nel frattempo, cosa faccio?» «Tu lavori all'esterno. Le cose basilari: rintracci il pagamento del gufo, trovi più informazioni su Gunn e sull'omicidio di sei anni fa, e anche sull'incidente tra Bosch e il suo vecchio tenente. Harry mi ha raccontato che una sera è uscito e non è più tornato. L'hanno trovato morto in un tunnel.» «Accidenti, me lo ricordo. Aveva a che fare con Gunn?» «Non lo so. Ma Bosch ha fatto uno strano riferimento, ieri.» «Posso procurarmi del materiale sulla faccenda e fare indagini sul resto, ma ogni mia mossa verrà riferita a Bosch.» McCaleb annuì. Era un rischio che bisognava correre. «Conosci qualcuno che lo conosce?» chiese. Lei scosse la testa con aria infastidita. «I poliziotti sono paranoici. Nel momento stesso in cui comincerò a fare domande su Harry Bosch, capiranno.» «Non necessariamente. Parti dal processo Storey, ne parlano tutti. Magari l'hai visto alla TV e non ti è sembrato in forma. "Sta bene? Cosa gli suc-
cede?" Roba del genere, quasi come un pettegolezzo.» Non sembrava che Jaye si fosse tranquillizzata. Si alzò, raggiunse la porta scorrevole e guardò fuori. Poi appoggiò la fronte al vetro colorato. «Conosco una che ha lavorato con lui» disse. «Faccio parte di un gruppo di donne che si incontra una volta al mese. Lavoriamo tutte agli omicidi, nei diversi Dipartimenti locali. Siamo circa una dozzina. Kiz Rider, una ex partner di Harry, si è appena spostata da Hollywood alla Rapine-Omicidi. Ha fatto carriera. Credo che fossero piuttosto vicini, un tempo. Harry era una sorta di guida spirituale per lei. Forse riuscirò a ottenere qualcosa, se uso un po' di diplomazia.» McCaleb annuì e pensò a qualcos'altro. «Harry mi ha detto di essere divorziato. Non so quanto tempo è passato, ma potresti chiedere alla Rider qualche informazione, come se fossi interessata a lui e ti informassi sui suoi gusti, le sue propensioni. Stai pur certa che ti svelerà i dettagli più intimi.» Jaye Winston si staccò dalla porta e lo guardò. «Fantastico! Diventeremo ottime amiche quando scoprirà che erano tutte balle e che io stavo indagando sul suo ex partner, la sua guida spirituale.» «Se è un bravo poliziotto, capirà. Dovevi discolparlo o incastrarlo, e in ogni caso volevi farlo nel modo più discreto possibile.» La donna tornò a guardare fuori dalla porta. «Avrò bisogno di poter negare tutto.» «Che significa?» «Significa che se andiamo avanti e ci esplode tutto tra le mani, io devo potermene tirare fuori.» McCaleb annuì. Sperava che non l'avrebbe detto, ma capiva che aveva bisogno di proteggersi. «Ascoltami bene, Terry. Se va tutto a catafascio dovrà sembrare che sia stato tu a oltrepassare ogni limite. Io ti ho chiesto di dare un'occhiata al fascicolo e tu sei andato avanti per conto tuo. Mi dispiace, ma devo salvaguardarmi.» «Capisco, Jaye. E sono d'accordo. Correrò il rischio.» 18 Jaye Winston si chiuse in un lungo silenzio mentre guardava fuori dalla porta. McCaleb capì che stava riflettendo e aspettò. «Voglio raccontarti un episodio che riguarda Harry Bosch» disse lei alla
fine. «L'ho incontrato per la prima volta circa cinque anni fa, in occasione di un caso congiunto. Due rapimenti con omicidio: il suo a Hollywood, il mio a West Hollywood. Giovani donne, o meglio, ragazze. Per lo più lavoravamo separati, ma ci incontravamo a pranzo tutti i mercoledì per confrontare i nostri progressi.» «Avevate richiesto un profilo?» «Sì. A quel tempo Maggie Griffin lavorava ancora qui. Preparò qualcosa per noi. La solita roba. Comunque, le cose subirono un'accelerazione quando sparì una terza ragazza, una diciassettenne. Le prove raccolte nei primi due casi indicavano che l'assassino le teneva in vita per quattro o cinque giorni, prima di stancarsi di loro e ucciderle. Il che significava che avevamo poco tempo. Chiedemmo dei rinforzi e ci demmo da fare per trovare gli elementi comuni tra le vittime.» McCaleb annuì. Sembrava proprio che fossero sulle tracce di un serial killer. «Finalmente scoprimmo che le tre vittime si servivano della stessa lavanderia a secco» continuò lei. «A Santa Monica, vicino a La Ciniega. Comunque, prima di presentarci alla direzione andammo nel parcheggio dei dipendenti e verifïcammo le targhe. Centro. Il direttore del negozio in persona. Era stato arrestato una decina di anni prima per atti osceni in luogo pubblico. Controllammo i suoi precedenti e ci trovammo di fronte a un lungo elenco di denunce per esibizionismo. Una volta si era fermato con la macchina vicino a una fermata dell'autobus e aveva aperto la portiera in modo che la donna sulla panchina potesse vedere il suo uccello. Purtroppo per lui si trattava di un'agente sotto copertura. Sapevano che c'era un tizio che si divertiva a girare per il quartiere mostrando i suoi gioielli e gli avevano teso una trappola. Fu affidato ai servizi sociali e seguito da uno psicologo. Aveva mentito al momento di chiedere il lavoro e con gli anni era arrivato a dirigere il negozio.» «Più lavoro, più stress, più alto il livello della trasgressione.» «È quello che abbiamo pensato noi. Ma non avevamo prove. Così Bosch ebbe un'idea. Ci disse - c'erano anche i nostri partner - che dovevamo andare a trovare il nostro uomo, si chiamava Hagen, a casa sua. Disse che un agente dell'FBI gli aveva suggerito di incontrare sempre i sospetti a casa loro, perché talvolta si capisce di più dall'ambiente in cui vivono che dalle parole.» McCaleb represse un sorriso. Era stata una delle sue lezioni durante il caso Cielo Azul.
«Così andammo da Hagen. Viveva a Los Feliz, in una vecchia, grande casa in rovina. Era il quarto giorno del rapimento e noi eravamo quasi fuori tempo massimo. Bussammo alla sua porta e il piano era di non dirgli che conoscevamo i suoi precedenti, ma di fargli credere che avevamo bisogno del suo aiuto per controllare gli impiegati del negozio. Sai com'è, per vedere come reagiva o se faceva un errore.» «Giusto.» «Dunque, eravamo nel suo soggiorno ed ero io a fargli le domande, perché Bosch voleva vedere come prendeva il fatto che fosse una donna a controllare la situazione. Non erano passati cinque minuti quando a un tratto Bosch si alzò in piedi e disse: "È lui. La ragazza è qui da qualche parte". A quelle parole Hagen si lanciò verso la porta, ma non andò molto lontano.» «Era un bluff o faceva parte del piano?» «Né l'uno né l'altro, ma Bosch aveva capito. Sul tavolino vicino al divano c'era uno di quegli interfono che si usano con i bambini. Bosch lo aveva visto e aveva capito. Il fatto era che lì c'era la parte sbagliata, quella che trasmetteva. Significava che il ricevente era altrove. Se hai un bambino sei tu che ascolti i rumori del piccolo. Ma lì era al contrario. Il profilo fatto da Maggie Griffin diceva che il soggetto era una persona che amava controllare le sue vittime, su cui esercitava una continua coercizione verbale. Alla vista del trasmettitore qualcosa era scattato nella mente di Bosch: la ragazza era da qualche parte e Hagen continuava a parlarle.» «Aveva ragione?» «Assolutamente sì. La trovammo in garage, dentro un freezer non attaccato alla corrente con tre buchi per l'aria. Una specie di bara. La parte ricevente dell'interfono era lì. Più tardi ci raccontò che, quando era in casa, Hagen non smetteva mai di parlarle. Cantava anche. Successi degli anni Cinquanta, a cui cambiava il testo raccontandole di quando l'avrebbe violentata e uccisa.» McCaleb annuì. Avrebbe voluto esserci, perché conosceva la sensazione che aveva provato Bosch. Il momento in cui, a un tratto, tutte le particelle si uniscono per fondersi assieme. Il momento in cui si sa. Un momento spaventoso ed eccitante al tempo stesso. Quello per cui ogni detective vive. «La ragione per cui ti ho raccontato questa vicenda, però, sta in quello che Bosch ha detto e fatto dopo. Mentre Hagen era in una delle nostre auto e noi perquisivamo la casa, Bosch rimase in soggiorno accanto all'interfo-
no. Lo accese e le parlò. Non smise finché non la trovammo. Le diceva: "Okay Jennifer, stiamo arrivando. Sei salva e noi siamo venuti per te. Nessuno ti farà del male...". Non ha mai smesso di parlarle, e lo faceva dolcemente.» Jaye Winston tacque e McCaleb vide che i suoi occhi inseguivano il ricordo. «Quando l'abbiamo trovata, eravamo felici! È stata la mia più grande soddisfazione professionale. Sono andata da Bosch e gli ho detto: "Devi avere dei figli. Le hai parlato come se fosse tua figlia". Lui ha scosso la testa e mi ha risposto: "So che cosa vuol dire starsene da soli al buio". Poi se ne è andato.» Dalla porta Jaye guardò McCaleb. «Me ne sono ricordata prima, quando hai parlato del buio.» Lui annuì. «Cosa facciamo se arriviamo al punto in cui avremo la certezza che è stato lui?» chiese girandosi di nuovo verso il vetro. McCaleb rispose in fretta, come se non volesse pensarci. «Non lo so.» Jaye Winston rimise il gufo di plastica nella scatola delle prove, raccolse le immagini che le aveva mostrato McCaleb e se ne andò. Lui rimase sulla porta guardandola mentre saliva la rampa che portava al cancello. Controllò l'ora e vide che aveva ancora un bel po' di tempo prima della fine della giornata. Decise di guardare un po' del processo Storey alla TV. Lanciò un'ultima occhiata fuori dalla porta. Jaye stava mettendo la scatola nel baule dell'auto. Dietro di lui qualcuno si schiarì la voce. McCaleb si girò bruscamente e vide Buddy Lockridge in piedi sul ponte inferiore, con un mucchio di biancheria sporca tra le braccia. «Buddy, cosa cazzo ci fai qui?» «Accidenti, hai per le mani un caso davvero misterioso.» «Ti ho chiesto cosa cazzo fai?» «Stavo andando in lavanderia e sono passato di qui perché metà della mia roba era nella cabina. Poi siete apparsi voi due e quando hai cominciato a parlare ho capito che non potevo salire.» Mostrava il mucchio di biancheria come prova della sua storia. «Così mi sono seduto sul letto e ho aspettato.» «Ascoltando tutto quello che abbiamo detto.» «È un caso pazzesco, amico. Che cosa farai? Ho visto quel Bosch al pro-
cesso. Aveva l'aria piuttosto tirata.» «So quello che non farò. Non ne parlerò con te.» Indicò la porta di vetro. «Vattene, Buddy, e non rivelare a nessuno quello che hai sentito. Mi hai capito bene?» «Certo. Stavo solo...» «Andandotene.» «Mi dispiace.» «Anche a me.» McCaleb aprì la porta e Lockridge uscì con la coda tra le gambe. McCaleb aveva dovuto trattenersi per non prenderlo a pugni. Invece, chiuse con rabbia la porta che sbatté rumorosamente. Rimase lì finché non vide Lockridge raggiungere l'edificio dei servizi dove c'era anche la lavanderia. La sua intromissione aveva compromesso l'indagine. McCaleb sapeva che avrebbe dovuto rintracciare immediatamente Jaye Winston per dirglielo. Ma lasciò perdere. La verità era che non voleva rischiare di farsi allontanare dall'indagine. 19 Dopo aver posato la mano sulla Bibbia e aver giurato di dire tutta la verità, Harry Bosch si sedette al banco dei testimoni e lanciò un'occhiata alla telecamera situata al di sopra della giuria. Il mondo intero lo stava guardando. Il processo era trasmesso in diretta dalla Court TV e dal locale Channel 9. Cercò di non sembrare nervoso. Non sarebbero stati solo i giurati a studiarlo e a giudicare il suo comportamento e la sua personalità. Era la prima volta, in molti anni di testimonianze, che non si sentiva completamente a suo agio. Essere dalla parte della verità non gli era di conforto, sapendo che tra lui e la verità c'era un cammino irto di ostacoli, predisposti da un imputato ricco e ben introdotto e dal suo avvocato. Mise il raccoglitore blu - il fascicolo del delitto - sul ripiano davanti a sé e tirò il microfono verso di sé. Un fastidioso stridio colpì le orecchie dei presenti. «Per favore, detective Bosch, non tocchi il microfono» salmodiò il giudice Houghton. «Mi scusi.» Un vicesceriffo che fungeva da ufficiale giudiziario si avvicinò al banco dei testimoni e sistemò l'apparecchio. Quando Bosch approvò con un cen-
no del capo la nuova posizione, tornò al suo posto. Poi gli fu chiesto di dire il suo nome completo. «Molto bene» disse il giudice. «Avvocato Langwiser?» Il sostituto procuratore Janis Langwiser si alzò dal tavolo dell'accusa e andò al leggio. Portò con sé un blocco giallo su cui aveva scritto le domande. Aveva lavorato con gli investigatori sin dall'inizio delle indagini ed era stato deciso che avrebbe condotto lei l'interrogatorio di Bosch. Janis Langwiser era un giovane e promettente avvocato dell'ufficio del procuratore distrettuale. In pochi anni era passata dalla preparazione dei casi in ufficio, che poi venivano discussi in aula dagli avvocati più esperti, a seguire tutto il percorso fino al processo. Bosch aveva lavorato con lei in un caso insidioso, delicato dal punto di vista politico. Risultato di quell'esperienza fu che la segnalò a Kretzler come suo vice. E da quando avevano ricominciato a lavorare insieme, Bosch non aveva potuto far altro che confermare la sua prima impressione. La giovane donna aveva una grande capacità di sintesi, oltre a una memoria straordinaria. Mentre la maggior parte degli avvocati doveva sfogliare i rapporti per collocare un'informazione nel tempo e nello spazio, lei ricordava tutto. Ma la sua abilità principale non era focalizzata solo sui dettagli, quanto sul quadro generale e sull'obiettivo da raggiungere, e cioè quello di eliminare dalla scena David Storey una volta per tutte. «Buon pomeriggio, detective Bosch» cominciò. «Potrebbe per favore dire alla giuria qualcosa sulla sua carriera nella Polizia?» Bosch si schiarì la voce. «Lavoro per il Dipartimento di Los Angeles da ventotto anni. Più della metà l'ho impiegata investigando su omicidi. Sono un "detective tre" assegnato alla Squadra Omicidi della Divisione Hollywood.» «Cosa significa "detective tre"?» «Significa detective di terzo grado. Il più alto per un detective. Equivale a quello di sergente, ma non ci sono sergenti al Dipartimento di Polizia. Il passaggio successivo è tenente.» «Su quanti omicidi pensa di aver indagato nel corso della sua carriera?» «Non lo so con esattezza. Direi almeno qualche centinaio in quindici anni.» «Qualche centinaio.» Langwiser guardò la giuria mentre sottolineava l'ultima parola. «Più o meno.» «E in quanto detective attualmente lei svolge anche il ruolo di superviso-
re nella Squadra Omicidi?» «A volte, ma soprattutto dirigo una squadra di tre persone che svolge indagini sugli omicidi.» «Ed era insieme alla sua squadra quando ha ricevuto la chiamata per recarsi sulla scena del delitto il 13 ottobre dell'anno scorso, è esatto?» «È esatto.» Bosch lanciò un'occhiata verso il tavolo della difesa. David Storey era chino sul suo blocco e stava facendo degli schizzi con il pennarello nero. Non aveva fatto altro, sin da quando era cominciata la selezione della giuria. Gli occhi di Bosch si spostarono, fermandosi in quelli di J. Reason Fowkkes. Rimasero lì, mentre Langwiser gli faceva la domanda seguente. «Si trattava dell'omicidio di Donatella Speers?» Bosch tornò a guardarla. «Esatto. Si faceva chiamare così.» «Non era il suo vero nome?» Bosch scrutò tra il pubblico e vide la madre della vittima seduta in prima fila, dietro il tavolo dell'accusa. Era arrivata da Fresno quella notte. «Era il suo nome d'arte. Faceva l'attrice. In realtà si chiamava Jody Krementz.» Il giudice li interruppe per chiedere a Bosch come si scrivesse il nome, poi Janis Langwiser riprese. «Ci racconti le circostanze della chiamata. Ci porti con lei, detective Bosch. Ci dica dov'era, cosa stava facendo, perché è stato incaricato proprio lei di indagare sul caso.» Bosch si schiarì la voce e stava per afferrare il microfono quando si ricordò quello che era successo prima. Lo lasciò al suo posto e si avvicinò con il busto. «Stavo mangiando insieme ai miei due partner da Musso and Frank, un ristorante sull'Hollywood Boulevard. Era venerdì, e in genere il venerdì ci fermiamo lì, quando ne abbiamo il tempo. Alle 11,48 il mio cercapersone suonò. Riconobbi il numero del mio supervisore, il tenente Grace Billets. Mentre la chiamavo suonarono anche i cercapersone dei miei partner, Jerry Edgar e Kizmin Rider. A quel punto sapevamo che con ogni probabilità ci stavano affidando un caso. Parlai con il tenente Billets che ci mandò al 1001 di Nichols Canyon Road, dove avremmo trovato una macchina di pattuglia e un'ambulanza. Sembrava che una giovane donna fosse stata trovata morta in circostanze sospette.» «Raggiungeste subito quell'indirizzo?»
«No. Eravamo andati da Musso con la mia macchina, così prima accompagnai i miei partner alla stazione Hollywood, a pochi isolati da lì, per recuperare le loro auto. Poi ci recammo sul luogo separatamente. Non si sa mai quel che può succedere, ed è buona norma che ogni detective abbia il proprio mezzo.» «A quel punto sapeva chi era la vittima e quali fossero le circostanze della sua morte?» «No.» «Che cosa trovò al suo arrivo?» «Un bungalow con due camere da letto in cima al canyon. Davanti, erano parcheggiate due auto di pattuglia. L'ambulanza se n'era andata. In casa c'erano due agenti e un sergente. In soggiorno una donna stava piangendo seduta sul divano. Mi fu presentata come Jane Gilley. Condivideva la casa con la signorina Krementz.» Bosch si fermò in attesa di un'altra domanda. Langwiser era china sul tavolo dell'accusa e stava bisbigliando qualcosa a Roger Kretzler. «Avvocato, ha concluso l'interrogatorio del detective?» chiese il giudice Houghton. La donna si rizzò di scatto. Non si era accorta che Bosch avesse finito. «No, Vostro Onore.» Tornò al leggio. «Continui, detective Bosch, ci racconti cosa accadde dopo che fu entrato in casa.» «Parlai con il sergente Kim e lui mi informò che c'era una giovane donna deceduta in una camera sul retro. Mi presentò la ragazza sul divano e mi disse che i suoi uomini erano usciti dalla stanza senza toccare niente, dopo che i paramedici avevano certificato il decesso della vittima. Poi mi recai in camera da letto.» «Che cosa trovò?» «La vittima, nel letto. Era una donna bianca, esile, bionda. Più tardi venne identificata come Jody Krementz, ventitré anni.» Janis Langwiser chiese di poter mostrare una serie di fotografie al testimone. Il giudice Houghton acconsentì e Bosch disse che si trattava di foto scattate sul posto: mostravano la vittima così come era stata trovata dalla polizia. Era supina. La camicia da notte sollevata rivelava il corpo nudo, con le gambe aperte. I seni, piuttosto grossi, erano ritti e sodi nonostante la posizione sdraiata, segno di un intervento di chirurgia plastica. Il braccio sinistro era allungato sullo stomaco e la mano sinistra copriva il pube. Due
dita della mano erano infilate nella vagina. Gli occhi della vittima erano chiusi e la testa, appoggiata su un cuscino, era ruotata all'indietro in modo da formare un angolo acuto all'altezza del collo. Avvolta intorno al collo c'era una sciarpa gialla. Un'estremità della sciarpa formava un cappio intorno alla testiera del letto quindi finiva intorno alla mano destra della vittima. Il braccio era tirato sopra il cuscino. Le fotografie erano a colori. Si vedeva un livido violaceo sul collo della vittima, nel punto in cui la sciarpa aveva stretto. C'era una sorta di sfumatura rossastra intorno alle orbite, e anche un segno blu lungo tutta la parte sinistra del corpo, braccio e gamba compresi. Dopo che Bosch le ebbe riconosciute, Langwiser chiese di poterle mostrare alla giuria. J. Reason Fowkkes obiettò, affermando che avrebbero sconvolto i giurati, creando un pregiudizio. Il giudice respinse l'obiezione, ma disse a Langwiser di scegliere solo una fotografia rappresentativa. Langwiser scelse quella che era stata scattata più da vicino, che venne porta al primo della fila. Mentre la fotografia passava lentamente di mano in mano, Bosch guardava i volti dei giurati, sconvolti dall'orrore. Si appoggiò allo schienale e bevve da un bicchiere di carta. Quando l'ebbe vuotato fece un cenno con gli occhi a un agente perché glielo riempisse di nuovo. Quindi si avvicinò nuovamente al microfono. Quando tutti i giurati ebbero visto la foto, venne riconsegnata all'impiegato. Sarebbe tornata alla giuria, insieme al resto delle prove, al momento della discussione per il verdetto. Bosch osservò Langwiser che tornava al leggio per continuare con le domande. Era nervosa. Avevano pranzato insieme alla cafeteria e lei gli aveva espresso le sue preoccupazioni. Nonostante lei fosse in seconda linea, quello era un processo importante, che avrebbe potuto dare un'impennata alle carriere di entrambi, oppure distruggerle. Langwiser controllò il suo blocco prima di proseguire. «Detective Bosch, ci fu un momento, dopo aver visto il corpo, in cui lei dichiarò che quella morte doveva essere sottoposta a un'indagine per omicidio?» «Subito dopo, prima ancora che arrivassero i miei partner.» «Perché? Non sembrava una morte accidentale?» «No...» «Avvocato Langwiser» interruppe il giudice Houghton, «una domanda alla volta per favore.» «Mi scusi, Vostro Onore. Detective, non ebbe l'impressione che la donna
potesse essersi uccisa da sola, accidentalmente?» «No. Mi sembrò che qualcuno avesse sistemato le cose in modo da farlo credere.» Langwiser fissò il suo blocco per qualche istante prima di continuare. Bosch era quasi sicuro che quella pausa fosse pianificata, ora che si era assicurata l'attenzione della giuria con la foto e la sua testimonianza. «Detective, conosce il termine "asfissia autoerotica"?» «Sì, lo conosco.» «Potrebbe spiegarlo alla giuria?» Fowkkes si alzò e obiettò di nuovo. «Vostro Onore, il detective Bosch avrà molte competenze, ma non è ancora dimostrato che sia un esperto di problemi sessuali.» L'aula fu attraversata da un mormorio divertito. Bosch vide un paio di giurati reprimere un sorriso. Houghton picchiò una volta il suo martelletto, poi guardò Janis Langwiser. «Avvocato?» «Vostro Onore, posso dimostrarlo.» «Proceda.» «Detective Bosch, lei ha detto di aver lavorato a centinaia di omicidi. Ha indagato anche su morti non determinate da omicidio?» «Sì, certo, molte volte. Morti accidentali, suicidi, decessi per cause naturali. È normale che i detective della Omicidi vengano chiamati dagli agenti di pattuglia per aiutarli a determinare le ragioni di un decesso. Andò così anche in questo caso. Gli agenti non erano sicuri di quello che avevano davanti. Per questo parlarono di circostanze sospette e chiamarono una squadra investigativa.» «È mai stato chiamato o ha indagato su un caso di morte accidentale per asfissia erotica?» «Sì.» Fowkkes si alzò di nuovo. «La stessa obiezione, Vostro Onore. Questo ci porta in un campo di cui il detective Bosch non è un esperto.» «Vostro Onore» disse Langwiser, «è stato stabilito chiaramente che il detective Bosch è un esperto nelle indagini sulle morti - tutti i tipi di morti. Si è già imbattuto nella situazione a cui faccio riferimento, quindi può testimoniare.» C'era una nota di esasperazione nella sua voce. Bosch pensò che fosse diretta alla giuria e non a Houghton. Era un modo sottile per comunicare ai
giurati che lei voleva arrivare alla verità, mentre gli altri le bloccavano la strada. «Sono d'accordo, avvocato Fowkkes» disse Houghton dopo una breve pausa. «Le obiezioni su questa linea di domande sono respinte. Vada avanti, avvocato Langwiser.» «Grazie, Vostro Onore. Dunque, detective Bosch, conosce dei casi di asfissia autoerotica?» «Sì, ho lavorato a tre o quattro casi del genere. E ho studiato la letteratura sull'argomento. Se ne parla in diversi manuali sulle tecniche di indagine per gli omicidi. Ho letto anche alcuni studi approfonditi condotti dall'FBI e da altri.» «E tutto ciò è successo prima del caso in questione?» «Sì, prima.» «Che cos'è l'asfissia autoerotica? Come avviene?» «Avvocato Langwiser...» cominciò il giudice Houghton. «Mi scusi, Vostro Onore. Riformulo la domanda. Che cos'è l'asfissia autoerotica, detective Bosch?» Bosch bevve un sorso d'acqua, utilizzando la breve pausa per ripensare alla risposta che avevano preparato durante il pranzo. «È una morte accidentale. Avviene quando una persona durante la masturbazione cerca di aumentare il piacere sessuale, bloccando il flusso di sangue arterioso al cervello. Cosa che si fa in genere legandosi qualcosa intorno al collo. In tal modo si provoca ipossia, che è appunto la mancanza di ossigenazione del cervello. C'è chi crede che provocando un'ipossia, il leggero stordimento che ne consegue determini sensazioni più forti durante la masturbazione. Comunque, questa pratica può portare alla morte se l'uomo arriva a danneggiare la carotide, oppure sviene con la legatura ancora stretta, finendo per asfissiarsi.» «Lei ha detto "l'uomo" detective, ma in questo caso la vittima è una donna.» «Qui non si tratta di asfissia autoerotica. I casi che ho seguito riguardavano tutti individui di sesso maschile.» «Sta dicendo che questa volta si voleva far credere che la morte fosse stata causata da asfissia autoerotica?» «Sì, questa fu la mia conclusione al momento. E lo è ancora adesso.» Langwiser annuì e fece una pausa. Bosch bevve un sorso d'acqua. Mentre portava il bicchiere alla bocca lanciò un'occhiata alla giuria. Sembravano tutti molto attenti.
«Ci spieghi, detective. Cosa la portò a questa conclusione?» «Posso guardare i miei rapporti?» «Prego.» Bosch aprì il fascicolo, sfogliò rapidamente le prime pagine e diede una scorsa al sommario, quindi guardò la giuria. «Diversi elementi contraddicevano l'ipotesi che si trattasse di una morte per asfissia autoerotica. Anzitutto è statisticamente molto raro che capiti alle donne. La conoscenza di questo dato mi spinse a osservare molto da vicino e con grande attenzione la scena del delitto.» «Sarebbe corretto affermare che lei fu scettico sin dal principio?» «Sì.» «Bene, continui. Cos'altro non la convinse?» «La legatura. In quasi tutti i casi che cui mi sono imbattuto personalmente o di cui ho letto, la vittima usa una sorta di imbottitura intorno al collo, per evitare lividi e ferite. La legatura viene poi avvolta intorno all'imbottitura... che in questo caso non c'era.» «E cosa significava questo per lei?» «Be', non aveva senso, guardando la cosa dal punto di vista della vittima. Se non aveva usato un'imbottitura, voleva dire che non le importava di riportare dei lividi o delle escoriazioni sul collo. Questa per me era una contraddizione. Se poi si considera che era un'attrice - cosa che appresi subito perché sulla scrivania c'erano dei cartoncini di presentazione con alcune fotografie e le misure -, la contraddizione era ancora maggiore. La donna faceva affidamento sulla sua presenza fisica nella ricerca di lavoro. Che si fosse data a un'attività sessuale - o a qualunque altra cosa - che potesse lasciarle dei segni visibili sul collo... be', secondo me era da escludere. Questo particolare e altri mi portarono a concludere che si trattava di una messa in scena.» Bosch guardò verso il tavolo della difesa. Storey aveva sempre la testa china sul suo blocco per schizzi, neanche si trovasse su una panchina al parco. Bosch notò che Fowkkes stava scrivendo qualcosa. Si sforzò di capire se nell'ultima risposta avesse detto qualcosa che poteva ritorcersi contro di lui. Sapeva che Fowkkes era molto abile nell'attribuire alle frasi significati diversi, ripetendole fuori dal loro contesto. «Cos'altro la portò a questa conclusione?» chiese Langwiser. Bosch guardò di nuovo le pagine del fascicolo. «La cosa più evidente fu il livido da post mortem, che indicava che il corpo era stato spostato.»
«Esattamente che cosa significa livido da post mortem?» «Quando il cuore cessa di pompare il sangue, questo si ferma nella parte più bassa del corpo, che varia a seconda della posizione, il che determina con il tempo una sorta di livido sulla pelle. Se il corpo viene spostato, il livido rimane nel luogo originario, perché il sangue si è coagulato.» «Che cosa accadde in questo caso?» «C'erano chiari segni che il sangue si era fermato nella parte sinistra del corpo, il che significava che la vittima era sdraiata sul fianco sinistro al momento della morte o subito dopo.» «Mentre non fu così che il corpo venne trovato, giusto?» «Giusto. Il corpo fu trovato in posizione supina, e cioè appoggiato sulla schiena.» «Che cosa ne dedusse?» «Che una volta morta, la vittima era stata spostata. Che la donna era stata sdraiata sulla schiena perché si credesse a un'asfissia autoerotica.» «Quale pensò fosse la causa della morte?» «In quel momento non potevo saperlo. L'unica cosa di cui ero certo è che non era quello che sembrava. Il livido sul collo sotto la legatura mi faceva pensare a uno strangolamento, ma non per mano sua.» «In che momento i suoi partner arrivarono sulla scena?» «Mentre stavo facendo le prime verifiche sul corpo e la scena del delitto.» «E giunsero alla sua stessa conclusione?» Fowkkes obiettò, dicendo che si trattava di una risposta riportata. Il giudice l'accettò. Bosch sapeva che la cosa era irrilevante. Se Langwiser avesse voluto ascoltare le conclusioni di Edgar e Rider, avrebbe potuto chiamarli a testimoniare. «Ha portato l'autopsia?» «Sì, è qui.» Bosch sfogliò le carte finché non trovò il referto d'autopsia. «È stata eseguita il 17 ottobre dalla dottoressa Teresa Corazòn, responsabile dell'ambulatorio di patologia legale.» «La dottoressa Corazòn ha determinato la causa della morte?» «Sì: asfissia. La vittima è stata strangolata.» «Dalla sciarpa?» «Sì.» «Questo non contraddice la sua teoria secondo cui la vittima non sarebbe morta per asfissia autoerotica?» «No, la conferma. La posizione da asfissia autoerotica doveva maschera-
re l'assassinio per strangolamento. I danni interni a entrambe le carotidi, ai muscoli del collo e all'osso ioide, che era schiacciato, hanno portato la dottoressa Corazòn a confermare che la morte era avvenuta per mano altrui. I danni erano troppo consistenti perché la vittima se li fosse provocati da sola.» Bosch si rese conto che teneva una mano sul collo mentre descriveva le lesioni. La riportò sulle ginocchia. «La dottoressa ha trovato altri segni evidenti di omicidio?» Lui annuì. «Sì, durante l'esame della bocca ha riscontrato una profonda lacerazione sulla lingua, un tipo di ferita abbastanza frequente nei casi di strangolamento.» Langwiser girò una pagina del suo blocco. «Bene, detective Bosch, torniamo alla scena del delitto. Lei o uno dei suoi partner interrogaste Jane Gilley?» «Sì, io e la detective Rider, insieme.» «Da quell'interrogatorio avete potuto accertare dov'era la vittima nelle ventiquattro ore precedenti il decesso?» «Sì. Innanzitutto stabilimmo che Jody Krementz aveva incontrato l'imputato diversi giorni prima in un caffè. Lui l'aveva invitata alla prima di un film per la notte del 12 ottobre, al Chinese Theater di Hollywood. E quella sera era passato a prenderla tra le sette e le sette e mezza. La signorina Gilley l'aveva riconosciuto guardando dalla finestra.» «La signorina Gilley sapeva a che ora la signorina Krementz era tornata quella notte?» «No, perché aveva passato la notte altrove. Fu solo tornando a casa, alle undici della mattina dopo, che scoprì il corpo di Jody Krementz.» «Qual era il titolo del film di cui c'era la prima la notte precedente?» «Zona morta.» «E chi era il regista?» «David Storey.» Langwiser fece una lunga pausa prima di guardare l'orologio e poi rivolgersi al giudice Houghton. «Vostro Onore, sto per affrontare un altro ordine di domande. Credo che sia il momento di interromperci, per oggi.» Houghton tirò indietro i pesanti drappeggi della toga nera e guardò a sua volta l'orologio. Bosch guardò il suo. Erano le quattro meno un quarto. «D'accordo, avvocato Langwiser. Ci aggiorniamo alle nove di domani
mattina.» Poi Houghton disse a Bosch che poteva alzarsi. Quindi raccomandò ai giurati di non leggere resoconti e commenti sul processo e di non guardare i telegiornali. Tutti nell'aula si alzarono e i giurati uscirono. Bosch, che adesso si trovava accanto al tavolo dell'accusa, lanciò un'occhiata a quello della difesa. David Storey lo stava guardando. La sua faccia non tradiva alcuna emozione. Ma a Bosch sembrò di vedere qualcosa nei suoi occhi azzurri. Non ne era sicuro, ma avrebbe detto che si trattava di una nota di allegria. Distolse lo sguardo. 20 Dopo che l'aula si fu svuotata, Bosch parlò con Langwiser e Kretzler della testimone scomparsa. «Ancora niente?» gli chiese Kretzler. «Ne avremo bisogno domani pomeriggio, o al massimo dopodomani mattina, dipende da quanto ti terrà sotto John Reason.» «Ancora niente» rispose Bosch, «ma ci sto lavorando. Anzi, è meglio che vada.» «Non mi piace» disse Kretzler. «La cosa potrebbe scoppiarci tra le mani. Se non si fa vedere ci dev'essere una ragione. Io non ho mai creduto completamente alla sua storia.» «Potrebbe averla trovata Storey» suggerì Bosch. «Abbiamo bisogno di lei» intervenne Langwiser. «La sua scomparsa mi preoccupa, non è certamente casuale. Devi assolutamente trovarla.» «Sto facendo del mio meglio» rispose Bosch alzandosi. «Buona fortuna, Harry» disse Janis. «E, a proposito, sei andato molto bene.» «La quiete prima della tempesta.» Mentre raggiungeva gli ascensori, Bosch fu avvicinato da un giornalista, di cui non conosceva il nome, ma che aveva già visto in aula. «Detective Bosch?» Continuò a camminare. «Senta, l'ho detto a tutti: non rilascio dichiarazioni finché il processo non sarà finito. Mi dispiace.» «Volevo solo sapere se ieri è riuscito a incontrare Terry McCaleb.» Bosch si fermò e lo guardò.
«Che cosa vuol dire?» «La stava cercando.» «Ah sì, ci siamo visti. Conosce Terry?» «Certo. Ho scritto un libro su un caso di cui si è occupato il Bureau alcuni anni fa. L'ho incontrato in quell'occasione. Prima del trapianto.» Bosch annuì e stava per andarsene quando il giornalista gli tese la mano. «Jack McEvoy.» Bosch gliela strinse con riluttanza. Riconobbe il nome. Cinque anni prima l'FBI era sulle tracce di un serial killer che aveva preso di mira i poliziotti a Los Angeles. Si credeva che la sua vittima designata fosse Ed Thomas, della Omicidi di Hollywood. Grazie ad alcune informazioni ricevute da McEvoy, giornalista del Rocky Mountain News di Denver, il Bureau era riuscito a rintracciare il cosiddetto Poeta. Ed Thomas si era salvato e adesso, ritiratosi dalla Polizia, aveva una libreria nella contea di Orange. «Ah sì, mi ricordo di lei» disse Bosch. «Thomas è un mio amico.» I due uomini si studiarono a vicenda. «Si sta occupando di questo caso?» chiese Bosch. Domanda inutile. «Sì. Per il New Times e Vanity Fair. Sto pensando anche a un libro. Magari, quando sarà tutto finito, potremo parlarne.» «Magari.» «A meno che lei non lo stia già facendo con Terry.» «Con Terry? No, no, si trattava di altro ieri. Niente libro.» «Okay, si ricordi di me allora.» McEvoy tirò fuori dalla tasca il portafogli e ne estrasse un biglietto da visita. «Per lo più lavoro a casa, nel Laurei Canyon. Mi chiami pure in qualunque momento.» Bosch prese il biglietto e lo guardò. «Devo andare adesso. Ci vedremo in giro, suppongo.» «Certo.» Bosch raggiunse un ascensore e mentre aspettava guardò un'altra volta il biglietto da visita pensando a Ed Thomas. Quindi lo infilò in tasca. Si girò verso il corridoio e vide che McEvoy era ancora lì e stava parlando con Rudy Tafero, l'investigatore della difesa. Tafero, piuttosto alto, era chino sul giornalista, che prendeva appunti. Sembravano quasi dei cospiratori. Entrato nell'ascensore continuò a guardarli finché le porte non si richiusero.
Bosch infilò i soldi nel parchimetro e superò la sbarra che portava al piccolo palazzo color bianco sporco. L'edificio, a due piani e con un cortile, ospitava alcune piccole società di produzione. Erano uffici a basso costo: spesso le società duravano solo il tempo di un film. Bosch controllò l'ora: perfetto, erano le cinque meno un quarto e l'audizione era prevista per le cinque. Salì due piani di scale e spinse una porta con l'insegna NUFF SAID PRODUCTIONS. Era un appartamento di tre stanze, uno dei più grandi dell'edificio. Bosch ci era già stato e lo conosceva bene: un ingresso che fungeva anche da sala d'attesa, con la scrivania della segretaria, l'ufficio del suo amico, Albert «Nuff» e una sala riunioni. Quando entrò, la donna seduta alla scrivania alzò lo sguardo su di lui. «Ho un appuntamento con il signor Said. Mi chiamo Harry Bosch.» Lei annuì, alzò il telefono e compose un numero. Bosch sentì il suono nell'altra stanza e riconobbe la voce di Said che rispondeva. La segretaria lo annunciò e Bosch si avviò prima che lei riagganciasse. «Entri pure» gli gridò dietro la donna. L'ufficio era arredato semplicemente: un tavolo, due sedie, una poltrona di cuoio nera e un mobiletto per TV e videoregistratore. Le pareti erano coperte di locandine dei film di Said incorniciate e altri souvenir, tipo gli schienali delle sedie con stampato il titolo del film. Bosch lo conosceva da almeno quindici anni, da quando Said l'aveva assunto come consulente tecnico per un film vagamente basato su un suo caso. Dopo di che si erano sentiti e visti sporadicamente. In genere era Said a chiamarlo, quando aveva bisogno di una supervisione. La maggior parte delle sue produzioni erano destinate alla televisione e non arrivavano sul grande schermo. Albert Said si alzò da dietro la scrivania e Bosch gli tese la mano. «Allora, Nuff, come stai?» «Bene, vecchio mio.» Indicò il televisore. «Ho visto la tua performance oggi. Bravo.» Applaudì educatamente. Bosch lo fermò con un gesto della mano e controllò un'altra volta l'ora. «Grazie. Allora è tutto pronto?» «Credo di sì. Marjorie mi aspetterà nella sala riunioni e poi tocca a te.» «Lo apprezzo davvero, Nuff. Mi dirai come contraccambiare.» «Potresti partecipare al mio prossimo film. Hai una buona presenza sce-
nica, amico mio. Ho seguito tutta l'udienza oggi, e l'ho anche registrata, nel caso volessi rivederti.» «No, grazie. E comunque non credo che avremo il tempo. Cosa stai combinando in questo periodo?» «Be', sai com'è... aspetto che il semaforo diventi verde. Ho un progetto che sta per partire con dei finanziamenti esteri. Parla di un poliziotto che finisce in prigione. Il trauma per essere stato privato del distintivo e del rispetto gli provoca un'amnesia. Non si ricorda di quelli che ha arrestato e che ora sono con lui dietro le sbarre. Quindi è impegnato in una continua lotta per la sopravvivenza. Un tipo che crede suo amico si rivela un serial killer catturato proprio da lui. È un thriller, Harry. Cosa ne pensi? Steven Segal sta leggendo la sceneggiatura.» Le folte sopracciglia di Said formavano un arco a punta sulla sua fronte. Era chiaramente eccitato dalle premesse del film. «Non so, Nuff, mi sembra qualcosa di già visto.» «Tutto è già stato visto, ma tu cosa ne pensi?» Bosch fu salvato dal campanello. Nel silenzio che seguì i due uomini sentirono la segretaria parlare con qualcuno nella stanza attigua. Poi il telefono sulla scrivania di Said suonò e la segretaria disse: «La signorina Crowe è arrivata. La sta aspettando nella sala riunioni». Bosch fece un cenno con la testa a Said. «Grazie, Nuff» bisbigliò. «Adesso tocca a me.» «Ne sei sicuro?» «Se ho bisogno di aiuto ti chiamo.» Si girò verso la porta, ma poi tornò indietro e tese la mano all'altro. «È possibile che debba andarmene in tutta fretta, quindi ti saluto adesso. Buona fortuna per il tuo progetto. Mi sa che sarà un altro successo.» Si strinsero la mano. «Speriamo» disse Said. Bosch uscì dall'ufficio, attraversò un piccolo corridoio ed entrò nella sala riunioni. C'era un tavolo quadrato di vetro al centro, con una sedia per lato. Annabelle Crowe era seduta su quella di fronte alla porta. Stava studiando una sua foto in bianco e nero quando Bosch entrò. Alzò la testa sfoderando uno smagliante sorriso a trentadue denti, che resse per poco più di un secondo, quindi le crollò addosso come una frana sulla spiaggia di Malibu. «Che cosa... che cosa ci fa qui?» «Salve, Annabelle, come sta?»
«Questa è un'audizione, lei non può...» «Esatto, questa è un'audizione. Voglio vedere se è adatta per il ruolo di testimone in un processo.» La donna si alzò di scatto, facendo cadere a terra il suo curriculum. «Lei non può... Ma che cosa succede?» «Lo sa che cosa succede. È sparita senza lasciare alcun recapito. I suoi genitori non avevano idea di dove fosse. Il suo agente non mi è stato di nessun aiuto. L'unico sistema era organizzare un'audizione. Adesso si sieda: parleremo di dove è stata e del perché si sta tirando indietro. «Vuol dire che la parte di cui mi hanno parlato non esiste?» Bosch stava per scoppiare a ridere. La donna non aveva ancora capito. «È esatto.» «Nessun remake di Chinatown?» Questa volta Bosch non riuscì a trattenere una risata, ma s'interruppe subito. «Uno di questi giorni lo faranno, ma lei è troppo giovane per la parte e io non sono Jack Nicholson. Si sieda per favore.» Bosch scostò la sedia di fronte alla sua, ma lei non si decideva a sedersi. Sembrava decisamente contrariata. Era una donna molto bella, di quelle che ottengono sempre ciò che vogliono. Ma non questa volta. «Le ho detto di sedersi!» ripeté Bosch duro. «Forse non le è chiara una cosa, signorina Crowe. Lei oggi ha infranto la legge, non rispondendo al mandato di comparizione del tribunale. Quindi delle due una: o io l'arresto e affrontiamo l'argomento in prigione, oppure, visto che abbiamo l'opportunità di usare questa stanza accogliente, ci sediamo qui e parliamo in modo civile. A lei la scelta.» La ragazza si lasciò cadere sulla sedia. Aveva la bocca tirata e il rossetto, che si era messa con cura in vista dell'audizione, cominciava già a sbiadire. Bosch la osservò per qualche istante prima di cominciare. «Chi è venuto a trovarla Annabelle?» Lei lo guardava attentamente. «Senta, ho avuto paura, va bene?» disse. «Anche adesso ho paura. David Storey è un uomo potente. E le persone che lo proteggono fanno paura.» Bosch si protese verso di lei. «Mi sta dicendo che è stata minacciata?» «No, non sto dicendo questo. Non sono necessarie le minacce. So come vanno queste cose.» Bosch si appoggiò allo schienale, la guardò con calma. I suoi occhi si
muovevano inquieti, evitando di fissarlo. Il rumore del traffico filtrava dall'unica finestra della stanza, chiusa. Da qualche parte nell'edificio qualcuno tirò uno sciacquone. Poi, finalmente la ragazza posò lo sguardo su di lui. «Che cosa vuole da me?» «Voglio che testimoni. Che prenda posizione contro quel tipo. Per quello che ha cercato di farle. Per Jody Krementz. E per Alicia Lopez.» «Chi è Alicia Lopez?» «Una ragazza che è stata meno fortunata di lei.» Bosch poteva leggere l'agitazione sul suo volto. Era chiaro che la prospettiva di testimoniare le incuteva paura. «Se testimonio, non lavorerò mai più. E forse anche peggio.» «Chi gliel'ha detto?» Lei non rispose. «Coraggio, chi gliel'ha detto? Gli uomini di Storey, il suo agente, chi?» Lei esitò, poi scosse la testa come se non potesse arrendersi al fatto di dovergli parlare. «Ero in palestra, al Crunch, e stavo facendo esercizi su una macchina, quando un tizio mi si è avvicinato. Stava leggendo il giornale ed era concentrato sull'articolo. Io pensavo ai fatti miei, finché lui non ha cominciato a parlare. Parlava senza guardarmi, continuando a fissare il giornale. Mi ha detto che stava leggendo un articolo su David Storey e che, per quanto lo riguardava, non si sarebbe neanche sognato di testimoniare contro di lui. Ha soggiunto che chi l'avesse fatto non avrebbe mai più lavorato in questa città.» Si interruppe e Bosch aspettò. La sua angoscia mentre raccontava l'episodio sembrava genuina. Era vicina alle lacrime. «Io... sono stata presa dal panico e sono andata a chiudermi nello spogliatoio. Ci sono rimasta per un'ora: avevo paura che lui fosse lì fuori, che mi stesse aspettando. Che mi stesse cercando.» Annabelle Crowe cominciò a piangere. Bosch uscì dalla stanza e cercò il bagno. Prese una scatola di fazzolettini di carta, la portò nella sala riunioni e gliela porse. Poi si risedette. «Dov'è il Crunch?» «In fondo a questa strada. Tra Sunset e Crescent Heights.» Bosch aveva capito. Il caffè dove Jody Krementz aveva incontrato David Storey era nello stesso centro commerciale. Chissà se c'era una connessione. Forse Storey aveva qualche interesse nel Crunch e aveva chiesto a un amico di minacciare la ragazza.
«Ha guardato l'uomo?» «Sì, ma non ha importanza. Non so chi fosse. Non l'avevo mai visto prima e non l'ho più rivisto dopo.» Bosch pensò a Rudy Tafero. «Conosce l'investigatore della difesa? Si chiama Rudy Tafero. Alto, capelli neri, abbronzato... un bel tipo.» «Non lo conosco, ma non era lui. L'uomo che mi ha parlato era basso e calvo. E aveva gli occhiali.» La descrizione non diceva niente a Bosch. Per il momento decise di lasciar perdere. Doveva informare Langwiser e Kretzler. Era probabile che volessero riferire l'episodio al giudice Houghton. E che chiedessero a lui di andare al Crunch a fare qualche domanda. «E adesso che cosa farà?» chiese la ragazza. «Mi farà testimoniare?» «Non dipende da me. La decisione spetta al procuratore, dopo che gli avrò raccontato la sua storia.» «Lei mi crede?» Bosch esitò un momento, poi annuì. «Comunque deve presentarsi. Il mandato di comparizione è ancora valido. Si faccia vedere domani tra mezzogiorno e l'una e le dirò cos'hanno deciso.» Bosch sapeva che l'avrebbero fatta testimoniare. A loro non importava che la storia della minaccia fosse vera o falsa. Dovevano pensare al caso. Annabelle Crowe sarebbe stata sacrificata. Un pesce piccolo in cambio del pesce grosso, era questa la regola del gioco. Le fece vuotare la borsa e frugò tra le sue cose. Trovò un biglietto con un indirizzo e un numero di telefono. Corrispondevano a un appartamentino in un residence. Annabelle ammise che aveva messo tutti i mobili in un deposito e che contava di vivere lì finché il processo non fosse finito. «Adesso la lascio andare. Ma si ricordi, come l'ho trovata questa volta, posso trovarla di nuovo. Se non si presenta domani verrò a cercarla. E allora finirà dritta in prigione, ha capito bene?» Lei annuì. «Allora, ci sarà?» Annuì di nuovo. «Non avrei mai dovuto dirvi niente.» Questa volta fu Bosch ad annuire. Aveva ragione. «Ormai è troppo tardi» concluse. «Ha fatto la cosa giusta. E adesso deve conviverci. È così che succede. Se uno decide di esporsi, non può più tor-
nare indietro.» 21 Bosch stava parlando al telefono con Janis Langwiser, con un disco di Art Pepper in sottofondo, quando qualcuno bussò sulla retina della porta d'ingresso. Uscì dalla cucina e vide una figura che sbirciava all'interno, le mani a coppa contro la rete. Infastidito dall'intrusione del solito piazzista, stava per chiudere la porta senza una parola quando riconobbe Terry McCaleb. Continuando ad ascoltare lo sfogo di Langwiser, inferocita dal fatto che avessero minacciato un testimone, accese la luce esterna e gli fece cenno di entrare. McCaleb gli fece capire a gesti di non preoccuparsi: avrebbe aspettato che finisse con calma la sua telefonata. Bosch lo guardò attraversare il soggiorno e raggiungere il balcone sul retro per immergersi nelle luci di Cahuenga Pass. Cercò di concentrarsi su quello che stava dicendo l'avvocatessa, ma era curioso di sapere il motivo per cui McCaleb si era spinto fino a casa sua. «Harry, mi stai ascoltando?» «Sì... ripeti l'ultima parte.» «Ti ho chiesto se credi che "Pistolero" Houghton rinvierà il processo, nel caso avviassimo un'indagine.» Non ebbe bisogno di riflettere per rispondere alla domanda. «Assolutamente no. Lo spettacolo deve continuare.» «È quello che penso anch'io. Chiamo Roger e vedo cosa vuol fare. In ogni caso è l'ultimo dei nostri problemi. Non appena nominerai Alicia Lopez, allora sì che ci sarà battaglia.» «Secondo me quella l'abbiamo già vinta. Houghton ha stabilito che...» «Sì, ma vedrai che Fowkkes tenterà un altro attacco. È meglio non cantar vittoria.» Ci fu una pausa. Dalla voce non sembrava molto ottimista. «Be', ci vediamo domani, Harry.» «Okay, Janis, a domani.» Bosch chiuse la comunicazione e rimise a posto il telefono. Quando uscì dalla cucina, McCaleb era in soggiorno e stava guardando gli scaffali sopra lo stereo, in particolare una foto di sua moglie. «Terry, che succede?» «Ciao, Harry, scusa se sono venuto senza preavviso, ma non ho il tuo
numero di casa.» «Come hai fatto a trovarmi? Vuoi una birra?» Poi, indicandosi il petto. «Puoi bere adesso?» «Sì, mi hanno appena dato il permesso. Una birra è una buona idea.» Bosch tornò in cucina mentre McCaleb continuava a parlare dal soggiorno. «Sono già stato qui. Non ti ricordi?» Bosch ricomparve con due bottiglie di Anchor Steam aperte. Ne porse una a McCaleb. «Vuoi un bicchiere? Quando sei venuto?» «Ricordi Cielo Azul?» disse McCaleb, prendendo la bottiglia. Poi, come tutta risposta alla prima domanda, bevve una lunga sorsata a canna. Cielo Azul. Bosch ci pensò un momento e gli tornò in mente. Una volta si erano sbronzati insieme, per cercare di alleviare la tensione in un caso che era troppo atroce per essere considerato a mente lucida. Si ricordò anche di aver perso il controllo e di aver continuato a ripetere, con voce impastata: «Dov'è Dio in tutto questo? Dov'è?». «Ah sì» disse. «Uno dei miei ultimi momenti esistenzialisti.» «Solo che la casa è diversa. L'altra è crollata con il terremoto?» «Proprio così. L'avevano dichiarata inagibile. Questa è stata ricostruita sulle macerie.» «Infatti non la riconoscevo. Cercavo la casa vecchia, ma poi ho visto l'auto... immagino che non ci siano altri poliziotti da queste parti.» Bosch pensò alla macchina sotto la tettoia. Era un'automobile tirata a lucido, bianca e nera, senza fanale sul tetto. Tutti i detective della Divisione ne avevano una. Serviva a far sembrare che per le strade ci fossero più poliziotti di quanti non ce n'erano in realtà. McCaleb si avvicinò e fece cin-cin con la bottiglia. «A Cielo Azul» disse. «A Cielo Azul» ripeté Bosch. Bevve a canna. La birra era fredda, buona. La prima, dall'inizio del processo. Decise che si sarebbe fermato a quella, anche se McCaleb avesse continuato. «Questa è la tua ex?» chiese McCaleb indicando la foto sullo scaffale. «Mia moglie. Non ancora ex... per quanto ne so. Anche se credo che si stia muovendo in quella direzione.» Bosch guardò l'immagine di Eleanor Wish, l'unica che aveva.
«È un peccato, amico» disse McCaleb. «Già. Allora, cosa succede Terry? Ho un po' di cose da sbrigare per...» «...il processo, lo so. Scusa l'intrusione. So che sei molto preso. Volevo solo farti un paio di domande sul caso Gunn. Ma prima ho da farti vedere una cosa.» Tirò fuori il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni e ne estrasse una fotografia. La porse a Bosch. Aveva preso la forma del portafogli. Era la foto di una neonata in braccio a una donna. «Queste sono mia figlia e mia moglie.» Bosch osservò la foto. Madre e figlia avevano i capelli neri e la pelle scura. Erano entrambe piuttosto belle, e pensò che per McCaleb dovevano esserlo ancora di più. «Belle» disse. «Suppongo la bambina sia appena nata... è così piccola.» «Ha quasi quattro mesi adesso. La foto è di un mese fa. Comunque ieri mi sono dimenticato di dirtelo: l'abbiamo chiamata Cielo Azul.» Gli occhi di Bosch si alzarono dalla foto per fissarsi in quelli di McCaleb. Rimase così per un momento, poi annuì e disse: «Carino». «Già. Ho spiegato a Graciela perché volevo chiamarla così e le è sembrata una buona idea.» Bosch gli restituì la foto. «Spero che anche la bambina sarà d'accordo, un giorno.» «Anch'io. In genere la chiamiamo CiCi. Comunque... ti ricordi quella notte, quando non facevi che chiederti dove fosse finito Dio? Quando dicevi che non riuscivi a trovarlo da nessuna parte? È successo anche a me. L'avevo perso. Nel nostro lavoro è facile che succeda. Ma poi...» Sollevò la fotografia. «L'ho ritrovato. Lo vedo nei suoi occhi.» Bosch lo guardò per un lungo momento poi annuì. «Buon per te, Terry.» «Insomma... non sono venuto qui per... non sto cercando di convertirti o roba del genere. Volevo solo dirti che ho trovato quello che avevo perso. Non so se tu lo stai ancora cercando... volevo solo dirti che c'è. Non mollare.» Bosch distolse lo sguardo da McCaleb e lo diresse fuori dalla finestra, verso l'oscurità. «Sono sicuro che per qualcuno è così.» Vuotò la sua bottiglia e si diresse verso la cucina per rompere la promes-
sa che si era fatto poco prima. Urlò a McCaleb se era pronto anche lui per una seconda birra, ma il suo ospite rifiutò. Aperto lo sportello del frigorifero si fermò per un attimo con gli occhi chiusi, lasciando che l'aria fresca gli carezzasse la faccia. Ripensò alle parole di McCaleb. «Vuoi dire che tu non sei di quelli?» Sobbalzò al suono della voce. McCaleb era sulla porta della cucina. «Che cosa?» «Di quelli che Dio prima o poi riescono a trovarlo?» Bosch tirò fuori una birra dal frigorifero e la infilò nell'apribottiglie attaccato al muro. Bevve una lunga sorsata prima di rispondere. «È una domanda che ne comprende circa venti, Terry. Stai pensando di diventare un predicatore?» «Scusa. Sai come sono i nuovi padri. Probabilmente è solo che voglio comunicare la mia felicità al mondo intero.» «È una bella cosa. Adesso vuoi parlarmi di Gunn?» «Certo.» «Usciamo a guardare la notte.» Andarono sul balcone posteriore e rimasero a contemplare in silenzio la vista che si apriva davanti a loro. La 101a era il solito nastro di luce, una striscia luminosa che attraversava le montagne. Il cielo era limpido perché le piogge dell'ultima settimana l'avevano ripulito dallo smog. A Bosch sembrava che le luci in fondo alla valle continuassero all'infinito. Più vicino alla casa, invece, c'era solo oscurità, imprigionata nella macchia delle colline sottostanti. Si sentiva il profumo degli eucalipti, sempre più intenso dopo che era piovuto. Fu McCaleb a parlare per primo. «Hai un bel posticino qui, Harry. Una bella vista. Devi odiare il fatto di doverti mescolare ogni mattina agli appestati.» Bosch lo guardò. «Non direi, finché riesco a fermare qualcuno di quelli che diffondono l'infezione.» «E quelli che se la cavano? Come Gunn?» «Nessuno se la cava, Terry. Se lo pensassi, non potrei fare questo mestiere. Certo, non riusciamo a prenderli tutti. Ma io credo in una sorta di circolarità. C'è una grande ruota e tutto torna, prima o poi. Non vedo la mano di Dio spesso come te, ma sono convinto che le cose vadano così.» Posò la bottiglia sulla ringhiera. Era vuota e ne avrebbe voluta un'altra, ma si doveva trattenere. Aveva bisogno di avere la testa lucida, l'indomani al
processo. Pensò a una sigaretta. Sapeva che ce n'era un pacchetto intonso in cucina, ma decise di lasciar perdere anche quella. «Allora immagino che quello che è successo a Gunn confermi la tua teoria della grande ruota.» Bosch tacque per un lungo istante, limitandosi a guardare le luci giù nella valle. «Immagino di sì» disse alla fine. Si girò, si appoggiò alla ringhiera e guardò McCaleb. «Allora? Credevo di averti detto tutto quello che c'era da dire ieri. Hai visto il fascicolo, vero?» «Hai ragione: probabilmente mi hai detto tutto, e sì, ho visto il fascicolo. Ma mi domandavo se non poteva saltare fuori dell'altro. Magari dopo la nostra conversazione ti è venuto in mente qualcosa.» Bosch fece una risatina e prese la bottiglia, prima di ricordarsi che era vuota. «Andiamo, Terry! Sono nel bel mezzo di un processo, sto testimoniando e ho dovuto dare la caccia a una teste scomparsa... ho smesso di pensare alla tua indagine nel momento stesso in cui mi sono alzato dal tavolo. Che cosa vuoi esattamente da me?» «Niente, Harry. Pensavo solo che valesse la pena fare un tentativo.» «Sei uno strano tipo, McCaleb. Adesso mi ricordo il modo in cui studi le foto della scena di un delitto. Vuoi un'altra birra?» «Perché no?» Bosch si allontanò dalla ringhiera prendendo le due bottiglie da terra. Ma quella di McCaleb era piena per un terzo e tornò a posarla. «Finisci questa.» Rientrò in casa e tirò fuori altre due birre dal frigorifero. Quando uscì dalla cucina, McCaleb era tornato in soggiorno. Porse la sua bottiglia vuota a Bosch, che si chiese se l'avesse finita o l'avesse versata giù dal balcone. Comunque la portò in cucina e quando tornò McCaleb stava osservando una custodia di CD che aveva trovato accanto allo stereo. «È il CD che stiamo ascoltando?» chiese. «Art Pepper meets the Rhythm Section?» Bosch si avvicinò. «Sì. Art Pepper e il gruppo di Miles. Red Garland al piano, Paul Chambers al basso, Philly Joe Jones alla batteria. Registrato qui a Los Angeles il 19 gennaio 1957, in un'unica giornata. Pare che il sughero nel collo del sax di Pepper fosse rotto, ma a lui non importava. Era tutto fissato e lui ha ri-
spettato l'impegno. Un giorno, una prova, un classico. È così che si fa.» «Gli altri facevano parte del gruppo di Miles Davis?» «All'epoca sì.» McCaleb annuì. Bosch si chinò per guardare da vicino la custodia tra le sue mani. «Art Pepper...» disse. «Quand'ero piccolo mia madre aveva molti suoi dischi. Frequentava alcuni dei locali in cui suonava lui. Art era maledettamente bello, per essere un eroinomane. Guarda la foto. È un tipo davvero tosto. Io non sapevo chi fosse mio padre e mi ero costruito tutta una storia secondo la quale era lui il mio vecchio, e non c'era mai perché viaggiava o registrava. Sono arrivato al punto di crederci. Più tardi - molti anni dopo ho letto un libro su di lui. Ho scoperto che era pieno di droga fino al collo quando hanno scattato quella foto. Appena finito, ha vomitato ed è tornato a letto.» McCaleb osservò la foto sulla custodia del CD: raffigurava un bell'uomo con in mano un sax, appoggiato a un albero. «Be', comunque era un grande musicista» commentò. «Sì» disse Bosch. «Un genio con una siringa nel braccio.» Si avvicinò e alzò leggermente il volume. Era Straight Life, un pezzo scritto da Pepper. «Ci credi?» chiese McCaleb. «A cosa, al fatto che fosse un genio? Sì, con il sax lo era.» «No, voglio dire: credi che ogni genio - musicista, artista, o anche detective - abbia una tara fatale come quella? La siringa nel braccio?» «Credo che tutti abbiano una tara fatale. Che siano geni oppure no.» Bosch alzò ancora il volume. McCaleb posò la birra su una delle casse sul pavimento. Bosch la prese e gliela restituì. Con il palmo della mano asciugò il cerchio bagnato che era rimasto sul legno. McCaleb abbassò il volume. «Andiamo, Harry, dammi qualcosa.» «Ma di che parli?» «Sono arrivato fin qui, dammi qualcosa su Gunn. So che non te ne importa niente di lui - la ruota ha girato e lui non se l'è cavata. Ma non mi piace quello che ho visto. Chi l'ha fatto fuori è ancora a spasso. E ci riproverà, te lo dico io.» Bosch alzò le spalle, come per segnalare che era vero, non gliene importava niente. «Okay, ho qualcosa. Non è molto, ma forse vale la pena di tentare. La
notte prima che lo facessero fuori, quando sono andato a trovarlo in cella, ho parlato anche con gli agenti che l'avevano messo dentro. Mi hanno raccontato di avergli chiesto dove era stato a bere e lui ha risposto che era uscito da un locale chiamato Nat. È sul Boulevard, a circa un isolato da Musso in direzione sud.» «Okay, lo troverò» disse McCaleb, come se non riuscisse a vedere il nesso. «Cosa c'entra?» continuò. «Vedi, Nat è lo stesso posto dove era stato sei anni fa, la notte in cui l'ho conosciuto. È lì che ha trovato la donna che ha ucciso.» «Quindi era un cliente abituale.» «Così pare.» «Grazie, Harry, controllerò. Perché non l'hai detto a Jaye Winston?» Bosch alzò le spalle. «Non ci ho pensato e lei non me l'ha chiesto.» McCaleb stava per posare di nuovo la bottiglia sulla cassa, ma poi la diede a Bosch. «Potrei andare a controllare stasera.» «C'è dell'altro.» «Che cosa?» «Quando prendi il tipo che l'ha tolto di mezzo, stringigli la mano da parte mia.» McCaleb non reagì. Si guardò intorno come se fosse appena arrivato. «Dov'è il bagno?» «In fondo al corridoio, a sinistra.» Mentre McCaleb andava in bagno, Bosch tornò in cucina e buttò le bottiglie vuote nel bidone del vetro. Aprì il frigorifero e vide che era rimasta solo una birra delle sei che aveva comprato tornando a casa. In quel momento McCaleb entrò in cucina e lui richiuse il frigorifero. «Hai un quadro davvero strano appeso in corridoio.» «Cosa? Ah, sì. Mi piace molto.» «Che cosa dovrebbe rappresentare?» «Non lo so. Credo significhi che la grande ruota continua a girare e nessuno può sfuggirle.» McCaleb annuì. «È possibile.» «Vai adesso da Nat?» «Ci stavo pensando. Vuoi venire?» Bosch prese in considerazione la proposta, anche se sapeva che sarebbe
stata una sciocchezza. Doveva ripassare ancora metà del fascicolo per la testimonianza del giorno dopo. «No, è meglio che rimanga qui. Ho ancora qualcosa da preparare per domani.» «Okay. A proposito, com'è andata oggi?» «Fin qui bene. Abbiamo segnato un punto, ma domani la palla passerà a John Reason e farà in fretta a pareggiare i conti.» «Guarderò le notizie» disse McCaleb, tendendogli la mano. Bosch gliela strinse. «Fai attenzione là fuori.» «Anche tu, Harry. E grazie per le birre.» «Figurati.» Bosch accompagnò l'ospite alla porta e lo guardò entrare nella Cherokee nera parcheggiata lungo la strada. La macchina partì e si allontanò lasciandolo lì in piedi, sulla soglia illuminata. Spense la luce del soggiorno, ma non lo stereo. Si sarebbe spento da solo alla fine del disco. Era ancora presto, ma lui si sentiva stanco. Era stata una giornata pesante e aveva bevuto troppo. Decise di andare a dormire e di svegliarsi presto per preparare la testimonianza. Prima però prese l'ultima birra. Mentre si avviava verso la camera da letto, si fermò davanti al quadro di cui aveva parlato McCaleb. Era la riproduzione di un dipinto di Hieronymus Bosch intitolato Il trittico delle delizie. Ce l'aveva da quando era bambino e la stampa era ormai consunta. Era stata Eleanor a spostarla dal soggiorno al corridoio. Non le piaceva che stesse nella stanza dove trascorrevano le loro serate. Bosch non aveva mai capito se era a causa del soggetto o perché il quadro era vecchio e rovinato. Mentre guardava quel paesaggio di tormento e depravazione pensò che magari l'avrebbe rimesso al suo posto d'origine, il soggiorno. Nel sogno Bosch si stava muovendo in un'acqua così scura che non riusciva a vedere nemmeno le sue mani davanti alla faccia. Udì il suono di un campanello ed emerse dall'oscurità. Si svegliò. La luce era accesa, ma la casa era immersa nel silenzio. Lo stereo era spento. Stava per guardare l'orologio quando il telefono squillò di nuovo e lui lo afferrò rapidamente. «Pronto!» «Ciao, Harry, sono Kiz.»
La sua vecchia partner. «Kiz, che cosa succede?» «Va tutto bene? Sembri... fuori di te.» «Tutto bene. Stavo solo dormendo.» Guardò l'orologio. Erano le dieci appena passate. «Scusami, credevo che facessi le ore piccole, che ti stessi preparando per domani.» «Mi alzerò presto.» «Sei andato bene oggi. Abbiamo guardato la tele, tutti facevano il tifo per te.» «Ci scommetto. Come procedono le cose laggiù?» «Procedono. È come ricominciare da capo. Mi stanno mettendo alla prova.» «Non ti preoccupare. Li supererai tutti prima che se ne siano accorti. Proprio come hai fatto con me.» «Harry... tu sei il migliore. Ho imparato da te più di quanto non immagini.» Bosch esitò. Era sinceramente toccato da quello che gli aveva detto. «È gentile da parte tua, Kiz. Dovresti chiamarmi più spesso.» Lei rise. «Be', non è per questo che ti ho telefonato. Ho promesso a un'amica che l'avrei fatto. Mi sento un po' un'adolescente, ma... Dunque, le cose stanno così: c'è qualcuno interessato a te. Le ho detto che avrei verificato se eri di nuovo sulla piazza, capisci cosa intendo, vero?» Bosch non doveva pensare alla risposta. «No, Kiz, non sono ancora pronto. Io... non ho ancora rinunciato a Eleanor. Continuo a sperare che chiami o che ricompaia, e che si riesca a sistemare le cose. Lo sai com'è.» «Sì, lo so, Harry. E va bene così. Ho solo promesso che te l'avrei chiesto. Se cambi idea, fammi un fischio. Lei è una donna in gamba.» «La conosco?» «Sì, è Jaye Winston, del Dipartimento dello Sceriffo. Facciamo parte di un gruppo di donne, poliziotte e non, che si incontrano regolarmente. Stasera ci siamo viste e abbiamo parlato di te.» Bosch non disse niente. Sentì uno strano nodo allo stomaco. Non credeva alle coincidenze. «Harry, ci sei?» «Sì, sì, stavo solo pensando a una cosa.»
«Bene, ti lascio adesso. Ah, senti: Jaye mi ha chiesto di non rivelarti che si trattava di lei. Sai, per non creare degli imbarazzi la prossima volta che vi incrociate sul lavoro. Quindi io non ti ho detto niente, d'accordo?» «D'accordo. Ti ha fatto delle domande su di me?» «Alcune. Niente di importante. Mi sono congratulata per la scelta. Le ho detto che se mi piacessero gli uomini, ci avrei provato anch'io.» «Grazie, Kiz» disse Bosch, ma la sua mente era altrove. «Devo andare. Ci vediamo presto. Stendili, domani.» «Ci proverò.» Lei riagganciò e Bosch appoggiò lentamente la cornetta sul ricevitore. Il nodo allo stomaco si fece più stretto. Cominciò a ripensare alla visita di McCaleb, alle domande che gli aveva fatto e alle sue risposte. E adesso anche Jaye Winston si interessava a lui. Non poteva essere una coincidenza. Evidentemente lo stavano puntando. Stavano indagando su di lui per l'omicidio di Edward Gunn. E lui probabilmente aveva confermato a McCaleb buona parte delle sue intuizioni, facendogli credere di essere sulla strada giusta. Si scolò l'ultimo sorso di birra rimasta sul comodino. Era calda e acida. Non ce n'erano altre in frigorifero. Si alzò per prendere una sigaretta. 22 Nat era un bar grande come il vagone di un treno, uguale a molti locali di Hollywood - frequentato di giorno dai bevitori irriducibili, in prima serata dalle prostitute di passaggio e dai loro clienti, e di notte da gruppi di dark pieni di tatuaggi. Era il genere di posto dove una persona che pagava con la carta di credito sarebbe diventata un bersaglio sicuro. McCaleb si era fermato da Musso per cenare; il suo orologio biologico chiedeva nutrimento. Così arrivò da Nat solo dopo le dieci. Mentre mangiava del pollo in umido, si era chiesto se andarci non fosse una perdita di tempo. L'informazione veniva da un sospetto. Possibile che avesse dato consapevolmente un'indicazione esatta a chi stava indagando? In genere non succedeva, ma McCaleb si disse che Bosch aveva bevuto un po' e non conosceva il vero scopo della sua visita. Era anche possibile, quindi, che gli avesse detto la verità, per cui decise di non tralasciare niente. Quando entrò nel locale, gli ci volle un attimo per abituarsi alla debole luce rossastra. Quando riuscì a mettere a fuoco, si accorse che era mezzo vuoto. Era il tempo morto tra i clienti della prima serata e i nottambuli.
Due donne, una bianca e una nera, sedute a un'estremità del banco che correva lungo tutto il lato sinistro della stanza, lo squadrarono dalla testa ai piedi. McCaleb lesse poliziotto sui loro volti, così come sul suo forse si leggeva prostitute. Si congratulò di avere ancora tanto occhio. Avanzò verso di loro. I separé lungo la parete di destra erano quasi tutti occupati. Nessuno lo degnò di uno sguardo. Si avvicinò al bar e fece cenno a una barista. Una vecchia canzone di Bob Seger, Night Moves, usciva a volume altissimo da un jukebox in fondo alla sala. La barista venne a prendere il suo ordine. Indossava un gilet nero abbottonato, senza niente sotto. I capelli erano lunghi, lisci e neri e sul sopracciglio sinistro spiccava un cerchietto d'oro. «Cosa desidera?» «Qualche informazione.» McCaleb fece scivolare la foto della patente di Gunn sul banco. Era uno dei cinque ingrandimenti contenuti nel fascicolo che gli aveva dato Jaye. La ragazza guardò la foto per un momento e poi di nuovo lui. «Che cosa vuol sapere? Questo tizio è morto.» «E tu come lo sai?» Lei alzò le spalle. «Voci. Sei un poliziotto?» McCaleb annuì, poi abbassò la voce perché fosse coperta dalla musica e disse: «Qualcosa del genere». La barista si allungò sul banco per poterlo sentire. Il gilet si aprì rivelando i seni, piccoli ma ben fatti. Su quello sinistro c'era un tatuaggio: un cuore avvolto dal filo spinato. Sembrava una pera ammaccata e non molto appetitosa. McCaleb distolse lo sguardo. «Edward Gunn era un cliente abituale, giusto?» «Veniva spesso.» McCaleb annuì. La ragazza confermava l'informazione di Bosch. «Hai lavorato la notte di Capodanno?» Annuì. «Sai se c'era quella notte?» Scosse la testa. «Non me lo ricordo. È venuta un sacco di gente, c'era una festa. Comunque non mi stupirebbe, c'è stato un gran viavai.» McCaleb indicò con la testa l'altro barista, un latino che come la ragazza indossava un gilet senza niente sotto. «E lui? Credi che se lo ricordi?»
«No, perché ha cominciato solo la settimana scorsa. L'ho fatto assumere io.» Sulla sua faccia si disegnò un sorrisino che McCaleb ignorò. Dal jukebox partì Twisting the Night Away, nella versione di Rod Stewart. «Fino a che punto conoscevi Edward Gunn?» Lei si lasciò scappare una risatina. «Tesoro, questo è il genere di posto in cui la gente non ama far sapere chi è. Fino a che punto lo conoscevo? Te l'ho detto: veniva spesso. Ma non sapevo nemmeno come si chiamava, finché non è morto e la gente ha cominciato a parlare di lui. Qualcuno ha detto che Edward Gunn era stato ucciso e io ho chiesto: Chi cazzo è Edward Gunn? Hanno dovuto descrivermelo: Il tizio che ordinava whiskey con ghiaccio e aveva sempre della pittura sui capelli. Allora ho capito.» McCaleb annuì, poi infilò la mano nella tasca interna della giacca e tirò fuori un foglio di giornale piegato. Lo fece scivolare sul banco e lei si chinò a guardarlo, offrendogli un'altra vista dei suoi seni. McCaleb pensò che fosse intenzionale. «Questo è il poliziotto del processo, giusto?» McCaleb non rispose. Il giornale era stato piegato in modo da mostrare una fotografia di Harry Bosch apparsa quella mattina sul Los Angeles Times, una sorta di anticipazione della testimonianza attesa per quel giorno al processo Storey. La foto lo rappresentava in piedi davanti alla porta del tribunale. Probabilmente lui non sapeva nemmeno che fosse stata scattata. «L'hai mai visto qui?» «Sì, viene ogni tanto. Perché me lo chiedi?» A McCaleb sembrò che gli avessero dato una mazzata sul collo. «Quando viene?» «Non so, ogni tanto. Non lo chiamerei un regolare. Ma qualche volta si fa vivo. Non resta mai molto, una bevuta e via...» Si toccò la tempia con l'indice come se stesse frugando nella sua memoria. Poi schioccò le dita. «Ci sono: birra in bottiglia. Chiede sempre l'Anchor Steam. Evidentemente si dimentica che non l'abbiamo, è troppo cara.» McCaleb annuì. «È venuto la notte di Capodanno?» Lei scosse la testa. «Non me lo ricordo. Troppa gente. Troppi drink. Troppi giorni da allora.»
McCaleb annuì di nuovo e si rimise in tasca il ritaglio di giornale. «È nei guai?» McCaleb scosse la testa. Una delle donne all'estremità del bar picchiò il suo bicchiere vuoto sul banco e chiamò la barista: «Ehi, Miranda, hai dei clienti che pagano qui!». La ragazza cercò con gli occhi il suo collega, ma probabilmente era sul retro, o nel bagno. «Il dovere mi chiama.» McCaleb la seguì con lo sguardo, mentre andava all'altra estremità del bar e portava due vodka con ghiaccio alle prostitute. Durante una pausa della musica sentì che una diceva alla ragazza di smetterla di parlare con il poliziotto, così se ne sarebbe andato. Mentre Miranda tornava verso McCaleb le gridò dietro: «E piantala di fargli vedere le tette, altrimenti metterà radici». McCaleb fece finta di non aver sentito. Raggiungendolo, Miranda sospirò come se fosse stanca. «Non so dov'è finito Javier. E io non posso starmene qui a parlare con te tutta la notte.» «Un'ultima domanda: il poliziotto ed Edward Gunn, li hai mai visti contemporaneamente? Non mi importa che fossero insieme.» Lei ci pensò un momento, poi si allungò verso di lui. «Potrebbe essere successo, ma non me lo ricordo.» McCaleb annuì. Era sicuro che fosse il massimo che poteva ottenere da lei. Si chiese se lasciare dei soldi sul banco. Non era mai stato bravo in questo genere di cose, neanche quando lavorava per il Bureau. Non sapeva quando era opportuno lasciare una mancia e quando invece l'altra persona l'avrebbe presa male. «Posso chiederti una cosa io adesso?» disse Miranda. «Che cosa?» «Ti piace lo spettacolo?» Si sentì arrossire. «Mi sembra che tu abbia guardato abbastanza, per questo te lo chiedo.» La ragazza lanciò un'occhiata alle prostitute e si scambiarono un sorriso. L'imbarazzo di McCaleb le divertiva. «Be', non è niente male» disse allontanandosi dal bar e lasciandole venti dollari sul banco. «Sono sicuro che attira i clienti. Forse è per questo che veniva Gunn.» Mentre si dirigeva verso la porta, lei gli gridò dietro qualcosa che lo col-
pì alla schiena. «Allora potresti tornare a dargli una toccatina, agente!» Mentre usciva, sentì che le prostitute applaudivano. McCaleb rimase seduto in macchina di fronte a Nat, cercando di superare l'imbarazzo. Si concentrò sulle informazioni che aveva ricevuto dalla barista. Primo: Gunn era un cliente abituale e avrebbe potuto essere lì l'ultima notte della sua vita. Secondo: anche Bosch era un cliente. E anche lui avrebbe potuto essere lì l'ultima notte della vita di Gunn. Il fatto, però, che queste informazioni arrivassero indirettamente da Bosch lo sconcertava. Di nuovo si chiese perché il detective - se era lui l'assassino di Gunn - avrebbe dovuto metterlo sulla giusta strada. Per arroganza o per la certezza di non essere sospettato, e quindi nemmeno nominato durante l'indagine al bar? Oppure c'era una motivazione psicologica più profonda? McCaleb sapeva che molti criminali commettono degli errori, come se volessero essere catturati. Come se, inconsciamente, non volessero farla franca. La teoria della grande ruota, pensò. Magari Bosch, nel suo intimo, voleva essere sicuro che la ruota girasse anche per lui. Aprì il cellulare e chiamò Jaye Winston a casa. Mentre lo faceva, controllò l'ora per verificare che non fosse troppo tardi. La donna rispose dopo cinque squilli. «Sono io. Ho trovato qualcosa.» «Anch'io. Ma sono al telefono, posso chiamarti quando ho finito?» «D'accordo.» Chiuse il cellulare e rimase seduto nell'auto in attesa, riflettendo. Guardò attraverso il parabrezza la prostituta bianca uscire dal locale insieme a un uomo con un berretto da baseball in mano. Entrambi si accesero una sigaretta e si diressero verso un motel chiamato Skylark. Poi il telefono squillò. Era Jaye. «Il puzzle si sta componendo, Terry. Comincio a crederci.» «Che cosa hai trovato?» «Comincia tu.» «No, attacca pure. Io ho roba piccola, mentre dalla voce sembra che tu abbia scoperto qualcosa di grosso.» «Okay, senti questa. La madre di Harry Bosch era una prostituta, a Hollywood. È stata uccisa quando lui era bambino. E l'assassino non è mai stato preso. Che te ne pare come supporto psicologico al tuo profilo, signor esperto?»
McCaleb non rispose. La notizia era stupefacente e rendeva sempre più credibile la sua teoria. Guardò la prostituta e il suo cliente davanti alla reception del motel. L'uomo pagò e ricevette una chiave. Poi i due oltrepassarono una porta a vetri. «Gunn uccide una prostituta e la fa franca» disse Jaye Winston. «Esattamente quello che è successo con sua madre.» «Come l'hai scoperto?» chiese finalmente McCaleb. «Ho fatto quella telefonata di cui abbiamo parlato. Alla mia amica Kiz. Ho finto di essere interessata a Bosch e le ho chiesto se sapeva se lui, dopo il divorzio, sai... Lei mi ha raccontato quello che sa. Pare che la storia su sua madre sia emersa qualche anno fa, durante una causa civile contro Bosch... Ti ricordi il caso del Bambolaio?» «Sì, il Dipartimento di Polizia si rifiutò di chiamarci in quell'occasione. Anche quello era un assassino di prostitute. Bosch lo uccise, ma lui era disarmato.» «Il percorso psicologico è chiaro.» «Che cosa è successo a Bosch dopo che sua madre è stata uccisa?» «Kiz non lo sapeva esattamente. Lo ha definito "l'uomo delle istituzioni". Il fatto è accaduto quando lui aveva dieci o undici anni. Dopo di che è stato, nell'ordine, in un istituto, una specie di orfanotrofio, poi presso una serie di famiglie affidatane, in seguito nell'esercito e per finire nella Polizia. È questo l'anello che ci mancava. Quello che trasforma un caso irrilevante in un'ossessione.» McCaleb annuì. «E c'è dell'altro. Ho controllato alcuni documenti in archivio, roba che non c'entrava con il nostro caso e che quindi non avevo messo nel fascicolo del delitto. Ho letto il rapporto d'autopsia della donna che Gunn ha ucciso sei anni fa. A proposito, si chiamava Frances Weldon. Alla luce di quello che abbiamo appena scoperto su Bosch, c'è un elemento significativo: l'esame dell'utero e del bacino evidenziavano che la donna aveva partorito.» McCaleb scosse la testa. «Bosch non poteva saperlo. L'avevano sospeso perché aveva fatto volare fuori dall'ufficio il suo tenente.» «Vero. Ma probabilmente ha dato un'occhiata al fascicolo quando è tornato in servizio. E ha scoperto che Gunn aveva fatto a un altro bambino quello che era stato fatto a lui. Vedi? Tutto combacia. Otto ore fa credevo che ti stessi arrampicando sui vetri e adesso invece mi sembra che tu abbia
fatto centro.» McCaleb non era così felice dell'idea, ma capiva l'eccitazione di Winston: talvolta, quando i casi prendono una forma chiara, l'eccitazione può oscurare la realtà del crimine. «Che ne è stato del bambino?» chiese. «Non ne ho idea. Probabilmente l'ha dato in adozione subito dopo la nascita. Ma non importa, quello che importa è il significato che aveva per Bosch.» Era vero, ma a McCaleb non piacevano le questioni in sospeso. «Torniamo alla tua telefonata con la ex partner di Bosch. Secondo te lo chiamerà per dirgli che sei interessata a lui?» «L'ha già fatto.» «Questa sera?» «Sì, è appena successo. Ero con lei al telefono: mi stava raccontando quello che è successo. Bosch ha rifiutato. Spera ancora che torni sua moglie.» «Gli ha detto che eri tu la persona interessata?» «Le ho chiesto di non farlo.» «Ma l'avrà fatto ugualmente. Quindi è probabile lui sappia che stiamo indagando su di lui.» «Come è possibile?» «Prima io vado a casa sua. Poi, la stessa sera, riceve una telefonata in cui gli parlano di te. Uno come Harry Bosch non crede nelle coincidenze, Jaye.» «Be', da lui come è andata?» chiese dopo un po' Winston. «Gli ho detto che volevo altre informazioni su Gunn, ma poi ho spostato il discorso su di lui. È per questo che ti stavo chiamando. Ho in mano qualcosa di interessante. Niente in confronto a quello che hai scoperto tu, ma in ogni caso combacia con il resto. Però, se ha ricevuto quella telefonata dopo che sono stato lì... non so.» «Dimmi quello che hai trovato.» «Poca roba. Tiene la foto della moglie bene in vista in soggiorno. Sono stato lì meno di un'ora e lui si è ingollato tre birre. Abbandonarsi all'alcool è il segno di una pressione eccessiva. Ha anche parlato di una "grande ruota", che è parte del suo credo. Lui non vede la mano di Dio nelle cose. Vede la grande ruota. Dice che tutto torna. Che le persone come Gunn non la fanno mai franca, perché, prima o poi, qualcosa li incastra. Ho usato alcune frasi precise per vedere come reagiva. Ho definito la realtà esterna "un
mondo di appestati" e lui mi sembrava concordare. A quanto ha detto, ce la fa a sopportarlo solo perché, di tanto in tanto, riesce a bloccare quelli che diffondono l'infezione. È tutto molto sottile, Jaye, ma è anche chiaro. Ha la riproduzione di un quadro di Bosch in corridoio: il Trittico delle delizie. C'è il nostro gufo in quel quadro.» «Be', dopotutto si chiama come quel pittore. Se mi chiamassi Picasso, avrei un Picasso alla parete.» «Ho fatto finta di non averlo mai visto e gli ho chiesto che cosa significava. Mi ha risposto che era la grande ruota. È questo che significa per lui.» «Un altro pezzo del puzzle.» «Ma c'è ancora molto da fare.» «Bene. Rimani o torni a casa?» «Stanotte rimango, ma sabato ho un charter e devo tornare.» Lei tacque. «Nient'altro?» chiese lui alla fine. «Ah già, quasi dimenticavo!» «Cosa?» «Il gufo di Bird Barrier. È stato pagato con un bollettino postale. Cameron Riddell mi ha dato il numero e sono riuscita a rintracciarlo. Il versamento è avvenuto il 22 dicembre nell'ufficio di Wilcox, a Hollywood, a circa quattro isolati da dove lavora Bosch.» McCaleb scosse la testa. «Le leggi della fisica.» «Che cosa vuoi dire?» «A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Quando guardi nell'abisso, l'abisso ti guarda. Non puoi addentrarti nell'oscurità senza che essa ti invada e si annidi dentro di te. È un cammino che Bosch deve aver percorso troppe volte. E forse ha perso la strada.» Rimasero un po' in silenzio, quindi stabilirono di vedersi l'indomani. Dopo aver concluso la telefonata, McCaleb vide la prostituta lasciare lo Skylark da sola e dirigersi verso Nat. Indossava una giacchetta di jeans che si strinse addosso per ripararsi dall'aria fredda della notte. Entrando nel locale per agganciare un altro cliente, si sistemò la parrucca. Guardare la donna e pensare a Bosch gli fece ricordare tutto quello che aveva avuto nella vita e quanto fosse stato fortunato. Pensò anche che la fortuna può svanire. Uno prima se la deve guadagnare, e poi la deve custodire. E lui in quel momento non lo stava facendo. Stava lasciando il suo
mondo incustodito, mentre si addentrava nell'oscurità. 23 Il processo riprese con venticinque minuti di ritardo a causa di una duplice richiesta, non andata a buon fine, da parte dell'accusa: sanzioni nei confronti della difesa per l'intimidazione di un teste e rinvio per avere il tempo di verificare le dichiarazioni di Annabelle Crowe. Seduto dietro alla sua scrivania di ciliegio, il giudice Houghton appoggiò l'indagine, ma disse che il processo non sarebbe stato rinviato e che non ci sarebbero state sanzioni per la difesa finché non si fosse dimostrata l'assoluta veridicità delle dichiarazioni della teste. Avvertì gli avvocati dell'accusa e Bosch, che aveva partecipato all'incontro a porte chiuse per raccontare la sua conversazione con Annabelle, di non farne parola con la stampa. Cinque minuti più tardi erano tutti in aula, i giurati prendevano posto e Bosch tornava sul banco dei testimoni. Il giudice gli ricordò che era ancora sotto giuramento e Janis Langwiser andò al leggio con il suo blocco. «Dunque, detective Bosch, ci siamo lasciati ieri con le sue conclusioni riguardo alla morte di Jody Krementz. Omicidio. È esatto?» «Esatto.» «E quella conclusione non si basava soltanto sulle sue indagini, ma anche sulle analisi mediche e l'autopsia eseguite dal coroner. È esatto?» «Esatto.» «Per favore, può dire alla giuria come continuarono le indagini da quel momento in poi?» Bosch si girò sulla sedia in modo da guardare il banco della giuria mentre parlava. Quel movimento gli procurò una fitta di dolore. Aveva un'emicrania così forte da fargli pensare che tutti vedessero la tempia sinistra che pulsava. «Dunque, i miei due partner e io cominciammo a vagliare le prove che avevamo raccolto. Contemporaneamente iniziammo gli interrogatori, coinvolgendo tutti coloro che conoscevano la vittima o potevano essere stati con lei durante le ultime ventiquattro ore.» «Ha parlato di prove. Per favore spieghi alla giuria di che prove si trattava.» «A dire la verità non erano molte. C'erano impronte digitali dappertutto, ma dovevano essere analizzate. E poi c'erano fibre e peli sopra o intorno al corpo della vittima.»
Prima che Bosch finisse di rispondere, Fowkkes obiettò: «Obiezione sull'espressione "sopra o intorno" perché vaga e fuorviante.» «Vostro Onore» replicò Langwiser, «se l'avvocato Fowkkes desse al detective Bosch il tempo di concludere non ci sarebbe niente di vago o di fuorviante. Interrompere un testimone a metà risposta non è assolutamente corretto.» «Respinta» disse il giudice Houghton prima che Fowkkes intervenisse di nuovo. «Lasci che il testimone concluda la sua risposta e poi vedremo se è stata vaga. Vada avanti, detective Bosch.» Bosch si schiarì la voce. «Stavo dicendo che diversi campioni di peli pubici non...» «Cosa vuol dire "diversi" Vostro Onore?» interruppe di nuovo Fowkkes. «La mia obiezione riguarda la mancanza di precisione di cui il testimone sta dando prova.» Bosch guardò Langwiser e vide che si stava veramente arrabbiando. «Giudice» disse lei, «potremmo per cortesia avere indicazioni precise dalla corte su quando si possono sollevare obiezioni? L'avvocato della difesa continua a interrompere il testimone perché sa che ci stiamo addentrando in argomenti particolarmente pericolosi per il suo...» «Avvocato Langwiser, non è questo il momento per le argomentazioni conclusive» la interruppe il giudice. «Avvocato Fowkkes, a meno che non intraveda un terribile errore giudiziario, voglio che le obiezioni vengano fatte prima che il testimone cominci a parlare o dopo che ha concluso almeno una frase.» «Vostro Onore, in questo caso le conseguenze possono essere terribili. Lo stato sta cercando di cancellare la vita del mio cliente, solo perché la sua condotta morale è...» «Avvocato Fowkkes!» esplose il giudice. «Vale anche per lei quello che ho detto a proposito delle argomentazioni conclusive. Possiamo continuare la testimonianza?» Si girò verso Bosch. «Vada avanti, detective, e cerchi di essere un po' più preciso nelle sue risposte.» Bosch guardò Janis Langwiser e la vide chiudere gli occhi per un momento. L'appunto estemporaneo che gli aveva fatto il giudice era proprio quello che voleva Fowkkes. Un'indicazione ai giurati che poteva esserci della vaghezza, magari volontaria, da parte dell'accusa. Fowkkes aveva spinto il giudice a far credere che fosse d'accordo con le sue obiezioni.
Bosch lanciò un'occhiata all'avvocato difensore e vide che se ne stava seduto a braccia conserte, con un'aria soddisfatta, se non addirittura compiaciuta, sul volto. Abbassò gli occhi sul fascicolo. «Posso fare riferimento ai miei documenti?» Gli fu risposto di sì. Aprì il fascicolo, girò la pagina con il rapporto sulle prove e ricominciò guardando quello con le analisi mediche. «Prima dell'autopsia è stato passato un pennello sulla zona pubica della vittima. Sono stati raccolti otto peli, che, dopo le analisi, sono risultati non appartenere alla vittima.» Alzò gli occhi su Langwiser. «Questi peli appartenevano a otto persone diverse?» «No, gli esami di laboratorio accertarono che appartenevano alla stessa persona, in quel momento ancora sconosciuta.» «E cosa significava questo per lei?» «Che la vittima aveva avuto uno o più rapporti sessuali nel tempo intercorso tra l'ultima volta che si era lavata e la sua morte.» Langwiser guardò il blocco sul leggio. «Furono trovati altri peli sulla vittima o sulla scena del delitto, detective?» Bosch girò una pagina del fascicolo. «Sì, un capello, lungo circa sei centimetri, incastrato nel gancio di una catenina d'oro al collo della vittima. Anche quello è risultato appartenere a un'altra persona.» «Torniamo per un momento ai peli pubici. Fu trovato altro sul corpo della vittima o sulla scena del delitto che indicasse che aveva avuto un rapporto sessuale prima di morire?» «No, non fu trovato del seme nella vagina.» «E c'è contraddizione tra questo e il ritrovamento dei peli pubici?» «No, nessuna contraddizione. Indica semplicemente che potrebbe essere stato utilizzato un profilattico durante ü rapporto.» «Bene, andiamo avanti, detective. Le impronte. Lei ha detto che sono state trovate delle impronte in casa della vittima. Per favore ci parli di questa parte delle indagini.» Bosch cercò il rapporto sulle impronte nel fascicolo. «In casa c'era un totale di sessantotto impronte. Cinquantadue appartenevano alla vittima e alla sua coinquilina. Le restanti sedici appartenevano a sette persone diverse.» «E chi erano queste persone?»
Bosch lesse la lista nel fascicolo. Rispondendo alle domande di Langwiser spiegò chi era ogni persona, come era stata rintracciata e perché era stata in quella casa. Si trattava di amici della vittima e della sua coinquilina, parenti, un ex fidanzato e un uomo con cui Jody Krementz era uscita in precedenza. L'accusa sapeva che la difesa si sarebbe data un gran da fare con le impronte, usandole come falsa pista per condurre i giurati lontano dai fatti. Per questo la testimonianza andava a rilento e Bosch definiva con puntiglio la locazione e l'origine di ogni singola impronta. Finì parlando di un intero gruppo di impronte rinvenute sulla testiera del letto su cui era stata trovata la vittima. Lui e Langwiser sapevano che quelle erano le impronte su cui Fowkkes si sarebbe maggiormente accanito, quindi l'avvocato cercava di ridurre al minimo il potenziale danno soffermandosi su ogni dettaglio. «A che distanza dalla vittima si trovavano queste impronte?» Bosch guardò il rapporto. «Settanta centimetri.» «E dov'erano localizzate esattamente?» «Sulla parte esterna del letto, tra la testiera e il muro.» «Qual era lo spazio tra uno e l'altro?» «Circa cinque centimetri.» «Come può una persona lasciare impronte in quel punto?» Fowkkes obiettò che non faceva parte delle competenze di Bosch determinare come si potessero lasciare delle impronte in un posto piuttosto che in un altro, ma il giudice accettò la domanda. «Riesco a immaginare solo due modi. O le impronte sono state lasciate quando il letto non era ancora appoggiato al muro. Oppure l'uomo che le ha lasciate ha infilato le dita tra le assicelle della testiera aggrappandosi in quel punto.» Langwiser tirò fuori una fotografia scattata da un tecnico della scientifica, che venne mostrata alla giuria. «Secondo la sua seconda ipotesi, la persona doveva essere sdraiata nel letto, giusto?» «Giusto.» «A faccia in giù?» «Sì.» Fowkkes si alzò per obiettare, ma il giudice lo precedette. «Sta un po' esagerando con le supposizioni, avvocato Langwiser. Continui.»
«Sì, Vostro Onore.» Guardò il suo blocco per un momento. «Queste impronte sul letto della vittima non l'hanno portata a ritenere che chi le aveva lasciate dovesse essere considerato l'indiziato più probabile?» «Non subito. È impossibile determinare il momento in cui è stata lasciata un'impronta. E poi sapevamo che la vittima non era morta nel suo letto, ma vi era stata portata dopo essere stata uccisa altrove. Ci sembrava che difficilmente l'assassino avrebbe toccato il muro mettendo il corpo nel letto.» «A chi appartenevano quelle impronte?» «A un uomo di nome Allan Weiss, che aveva incontrato la signorina Krementz tre volte, l'ultima delle quali tre settimane prima della sua morte.» «Avete interrogato Allan Weiss?» «Sì, l'ho interrogato io insieme al detective Edgar.» «Ha ammesso di essere stato nel letto della vittima?» «Sì, ha affermato di essere stato con lei in occasione del loro ultimo incontro, tre settimane prima della sua morte.» «Ha detto di aver toccato la testiera del letto nel punto in cui avete trovato le sue impronte?» «Ha detto che poteva essere successo, ma non si ricordava di averlo fatto.» «Avete indagato sulle attività di Allan Weiss la notte dell'omicidio?» «Sì, e aveva un alibi solido.» «Che alibi?» «Ci ha detto di aver partecipato a un seminario per agenti immobiliari alle Hawaii. Abbiamo controllato con la linea aerea, l'hotel e gli organizzatori del seminario. Tutti ci hanno confermato che si trovava lì.» Langwiser guardò il giudice Houghton e disse che forse, per quella mattina, era giunta l'ora della pausa. Il giudice obiettò che era un po' presto, ma acconsentì alla richiesta e disse ai giurati di ripresentarsi entro quindici minuti. Bosch sapeva che Langwiser aveva chiesto un'interruzione a quel punto perché si preparava a interrogarlo su David Storey e voleva che ci fosse una separazione netta tra quel gruppo di domande e le altre. Quando si alzò dal banco dei testimoni per avvicinarsi al tavolo dell'accusa, Janis stava frugando tra alcune cartelle.
«Cosa c'è che non va Harry?» gli disse senza alzare la testa. «In che senso?» «Non mi sembri in forma. Non come ieri. Qualcosa ti ha innervosito?» «No. E di te cosa mi dici?» «È vero, sono nervosa. Ci giochiamo molto sulla tua testimonianza.» «Cercherò di essere più brillante.» «Non sto scherzando, Harry.» «Nemmeno io, Janis.» Bosch si allontanò dal tavolo e uscì dall'aula. Decise di andare a prendere un caffè al bar del secondo piano, ma prima entrò nelle toilette vicino all'ascensore per sciacquarsi la faccia con l'acqua fresca. Si chinò sul lavandino, facendo bene attenzione a non bagnarsi il vestito. Sentì lo scroscio di uno sciacquone e quando si raddrizzò vide Rudy Tafero passare alle sue spalle e avvicinarsi al lavandino più lontano dal suo. Bosch si chinò di nuovo, prese un altro po' d'acqua nelle mani e se la passò sul viso. Il freddo gli faceva bene agli occhi e gli alleviava il mal di testa. «Come va, Rudy?» chiese senza guardarlo. «Come va cosa, Harry?» «Sai com'è, quando si obbedisce agli ordini del diavolo... Riesci a dormire la notte?» Bosch si avvicinò al distributore di salviette di carta e ne prese diverse per asciugarsi mani e faccia. Tafero lo seguì e cominciò ad asciugarsi le mani. «È buffo» disse, «l'unico periodo della mia vita in cui ho avuto difficoltà a dormire è stato quando ero nella Polizia. Chissà perché.» Appallottolò la carta e la buttò nel cestino. Poi sorrise e uscì. Bosch lo guardò allontanarsi, continuando a sfregarsi le mani con le salviette di carta. 24 Bosch sentì che il caffè faceva effetto. Si stava riprendendo. Il mal di testa era diminuito. Ora si sentiva pronto. Le cose sarebbero andate secondo i loro piani. Si chinò verso il microfono in attesa della domanda. «Detective Bosch» disse Langwiser dal leggio, «quando, nel corso delle indagini, venne fuori il nome di David Storey?» «Quasi subito. La signorina Gilley, convivente di Jody Krementz, ci in-
formò che l'ultima sera della sua vita l'amica aveva un appuntamento con lui.» «E lei interrogò David Storey a proposito di quella notte?» «Sì, brevemente.» «Come mai brevemente, detective Bosch? Dopotutto si trattava di un omicidio.» «Dipese dal signor Storey. Cercammo diverse volte di interrogarlo, il venerdì in cui fu trovato il corpo e il giorno seguente, ma non era rintracciabile. Finalmente, attraverso il suo avvocato, accettò di essere interrogato l'indomani, ovvero la domenica, a condizione che fossimo noi ad andare da lui, nel suo ufficio agli Archway Studios. Accettammo con riluttanza, ma poi ci adattammo, un po' per spirito di collaborazione, ma soprattutto perché avevamo bisogno di parlare con lui. Stavamo seguendo il caso da due giorni e non eravamo ancora riusciti a parlare con l'ultima persona che aveva visto la vittima ancora viva. Quando arrivammo all'ufficio di Storey vi trovammo il suo avvocato, Jason Fleer. Cominciammo a interrogare il signor Storey, ma dopo meno di cinque minuti il suo avvocato ci fece smettere.» «La conversazione è stata registrata?» «Sì.» Langwiser chiese di poter far ascoltare la registrazione e il giudice Houghton accettò nonostante l'obiezione di Fowkkes, il quale chiedeva che i giurati si limitassero a leggere la trascrizione, già pronta, del breve interrogatorio. Ma Langwiser replicò che non c'era tempo di controllare l'esattezza della trascrizione e che per i giurati era importante ascoltare il tono e l'atteggiamento di David Storey. Con decisione salomonica il giudice stabilì che i giurati avrebbero ascoltato la registrazione e ricevuto la trascrizione, che poteva essere utile in seguito. Quindi invitò Bosch e gli avvocati dell'accusa a leggerla a loro volta, in modo da poterne verificare la correttezza. BOSCH: Mi chiamo Hieronymus Bosch e sono un detective del Dipartimento di Polizia di Los Angeles. Sono accompagnato dai miei partner, i detective Jerry Edgar e Kizmin Rider. Stiamo interrogando David Storey nel suo ufficio agli Archway Studios, riguardo al caso numero zerozero-otto-nove-sette. Il signor Storey è accompagnato dal suo avvocato, Jason Fleer. Signor Storey, signor Fleer, avete qualche domanda prima di cominciare?
FLEER: Nessuna domanda. BOSCH: Ah, naturalmente stiamo registrando questa conversazione. Signor Storey, conosceva una donna di nome Jody Krementz, nota anche come Donatella Speers? STOREY: Conosce già la risposta. FLEER: David... STOREY: SÌ, la conoscevo. Sono stato con lei la notte di giovedì scorso. Questo non significa che l'ho uccisa io. FLEER: David, per favore, rispondi solo alle domande. STOREY: Chissenefrega! BOSCH: Posso continuare? FLEER: Assolutamente sì, prego. STOREY: Già, assolutamente sì, prego. BOSCH: Lei ha detto di essere stato con Jody Krementz la notte di giovedì. Era un appuntamento galante? STOREY: Perché fa domande di cui conosce già la risposta? Sì. Era un appuntamento galante, se vuole chiamarlo così. BOSCH: Come preferisce chiamarlo? STOREY: Non importa. (pausa) BOSCH: Potrebbe dirci da che ora a che ora è stato con lei? STOREY: Sono passato a prenderla alle sette e trenta e l'ho riportata a casa a mezzanotte circa. BOSCH: È entrato in casa quando è passato a prenderla? STOREY: No. Ero molto in ritardo e l'ho chiamata dal cellulare dicendole di farsi trovare fuori. Credo che volesse farmi conoscere la sua convivente - un'altra attrice senza dubbio - ma io non ne avevo il tempo. BOSCH. E quando è arrivato la stava aspettando fuori? STOREY: Gliel'ho appena detto. BOSCH: Dalle sette e trenta a mezzanotte sono quattro ore e mezza. STOREY: È forte in matematica. È una cosa che mi piace in un detective. FLEER: David, lasciali concludere. STOREY: È quello che sto facendo. BOSCH: Ci potrebbe dire cosa avete fatto nel tempo che avete passato insieme?
STOREY: Ci siamo regalati le tre C: cinema, cibo, chiavata. BOSCH: Mi scusi? STOREY: Siamo andati alla prima del mio film, poi al ricevimento, dopo di che l'ho portata a casa mia e abbiamo fatto sesso. Sesso consensuale, detective. Le sembrerà strano, ma la gente lo fa continuamente quando ha un appuntamento galante, come lo chiama lei. E non soltanto a Hollywood. Succede in tutto il nostro paese. È questo che lo rende grande. BOSCH: Capisco. L'ha riportata a casa quando avete finito? STOREY: Sì. I gentlemen lo fanno sempre. BOSCH: È entrato in casa questa volta? STOREY: No. Avevo addosso solo l'accappatoio. L'ho accompagnata in macchina, lei è scesa ed è entrata. Poi sono tornato a casa mia. Quello che è successo dopo non lo so. lo non c'entro con questa faccenda. Voi avete la testa piena... FLEER: David, per favore. STOREY: ...di cazzate se per un solo fottuto momento potete credere... FLEER: David, basta! (pausa) FLEER: Detective Bosch, credo che sia giunto il momento di smettere. BOSCH: Siamo nel bel mezzo di un interrogatorio e... FLEER: David, dove stai andando? STOREY: 'Fanculo con questa gente. Vado a fumare. BOSCH: Il signor Storey ha appena lasciato l'ufficio. FLEER: Credo che a questo punto il mio cliente abbia il diritto di appellarsi al primo emendamento. L'interrogatorio è concluso. Da quel punto in poi il nastro era vuoto e Langwiser lo riavvolse. Bosch guardò i giurati. Molti stavano fissando Storey. La sua arroganza era emersa in modo insindacabile dalla registrazione. Era un elemento importante, perché di lì a poco l'accusa avrebbe chiesto alla giuria di credere che Storey si era vantato con Bosch di aver commesso l'omicidio, proclamando che l'avrebbe fatta franca. Solo un uomo arrogante poteva comportarsi così. E l'accusa aveva bisogno di provare che Storey non era solo un assassino, ma anche un uomo estremamente arrogante. «Il signor Storey tornò per continuare l'interrogatorio?» riattaccò Lan-
gwiser. «No» rispose Bosch, «e ci fu chiesto di andarcene.» «Il fatto che il signor Storey avesse negato ogni coinvolgimento nell'omicidio di Jody Krementz fu sufficiente a esaurire il vostro interesse per lui?» «No. Dovevamo indagare sul caso fino in fondo, quindi riuscire a stabilire senz'ombra di dubbio se considerarlo un sospetto oppure no.» «Il suo comportamento durante l'interrogatorio vi ha insospettito?» «Si riferisce alla sua arroganza? No, lui...» Fowkkes balzò in piedi con un'obiezione. «Vostro Onore, l'arroganza di un uomo equivale alla fiducia di un altro nella sua innocenza. Non c'è nessuna...» «Ha ragione, avvocato Fowkkes» disse Houghton. Accettò l'obiezione, fece cancellare la risposta di Bosch e disse ai giurati di non tener conto di quell'osservazione. Ma tutti sapevano che una volta agitato il campanello non si può cancellarne il suono. «Non è stato il suo comportamento durante l'interrogatorio a rendercelo sospetto» ricominciò Bosch. «Il fatto che fosse l'ultima persona ad aver visto la vittima viva fece sì che concentrassimo su di lui la nostra attenzione. La sua mancanza di collaborazione non era un buon segno, ma in quel momento eravamo aperti a tutte le possibilità. Tra me e i miei partner totalizziamo venticinque anni di esperienza nell'ambito della sezione Omicidi. Abbiamo imparato che non sempre le cose sono quello che sembrano.» «Che direzione seguì l'indagine in seguito?» «Non trascurammo nessuna ipotesi. E una di queste, naturalmente, riguardava il signor Storey. Aveva portato la vittima a casa propria e, basandosi sulla sua dichiarazione, i miei partner richiesero e ottennero un mandato di perquisizione.» Langwiser portò il mandato al giudice affinché venisse acquisito come prova, quindi lo riportò al leggio. Poi Bosch dichiarò che la perquisizione nella casa di Mulholland Drive era avvenuta due giorni dopo l'interrogatorio di Storey, a partire dalle sei di mattina. «Il mandato vi autorizzava a portare via ogni prova dell'omicidio, tra cui eventuali oggetti appartenuti a Jody Krementz e le prove della sua presenza in quel luogo, è esatto?» «Esatto.» «Chi effettuò la perquisizione?» «Io, i miei due partner, due uomini del tribunale e un operatore, per le
riprese e le fotografie. Sei persone in tutto.» «Quanto durò?» «Circa sette ore.» «L'imputato era presente?» «Per la maggior parte del tempo. A un certo punto se ne andò, perché aveva un appuntamento che diceva di non poter rimandare. Comunque il suo avvocato, Jason Fleer, rimase in casa per controllare quello che avveniva. Non siamo mai rimasti soli, se è quello che sta chiedendo.» Langwiser sfogliò il mandato e arrivò alla fine. «Dunque, detective, quando prelevate qualcosa durante una perquisizione siete tenuti per legge a farne un inventario e ad allegarlo al mandato di perquisizione?» «Sì.» «E l'inventario viene depositato in tribunale?» «Sì.» «Come mai allora il foglio qui in fondo è vuoto?» «Perché non prelevammo niente dalla casa del signor Storey.» «Non trovaste niente a riprova che Jody Krementz era stata lì, come vi aveva detto l'imputato?» «Esatto.» «A quanti giorni di distanza da quello in cui il signor Storey vi disse di aver portato la signorina Krementz a casa sua avvenne la perquisizione?» «A cinque giorni dalla notte dell'omicidio, e a due giorni dall'interrogatorio.» «E non trovaste niente che confermasse le sue dichiarazioni.» «Proprio così. Il posto era pulito.» Bosch sapeva che Langwiser stava cercando di trasformare un elemento negativo in uno positivo, suggerendo che l'insuccesso della ricerca fosse un segno della colpevolezza di Storey. «Lo definirebbe un insuccesso?» «No, il successo non c'entra. Stavamo cercando delle prove che confermassero le dichiarazioni del signor Storey, oltre a quelle di un possibile atto di violenza nei confronti della signorina Krementz. È vero che non abbiamo trovato niente, ma a volte è più interessante quello che non si trova di quello che si trova.» «Può spiegare meglio questo concetto alla giuria?» «È vero che non trovammo nessuna prova in quella casa. Però ci accorgemmo che mancava qualcosa, qualcosa che in seguito si rivelò molto im-
portante per noi.» «E di cosa si trattava?» «Di un libro. Mancava un libro.» «Come facevate a sapere che mancava se non c'era?» «Nel soggiorno del signor Storey c'era una grande libreria. Era piena di libri, ma su uno scaffale c'era un buco, uno spazio lasciato da un libro che era stato tolto. Non siamo riusciti a scoprire di che libro si trattasse, perché non l'abbiamo trovato in giro. Inizialmente sembrava una piccolezza. Evidentemente qualcuno aveva preso il libro e non l'aveva rimesso a posto. Eravamo semplicemente curiosi di sapere di che libro si trattasse e dove fosse finito.» Langwiser chiese di mettere agli atti, come reperti, due foto della libreria scattate durante la perquisizione. Il giudice Houghton acconsentì, nonostante la prevedibile obiezione di Fowkkes. In una si vedeva la libreria intera mentre l'altra mostrava un particolare del secondo scaffale, con lo spazio vuoto tra due libri, di cui uno si intitolava Il quinto orizzonte e l'altro era una biografia del regista John Ford. «Dunque, detective» ricominciò Langwiser, «lei ha detto che al momento non sapevate se quel libro fosse importante o avesse qualche attinenza con il caso, esatto?» «Sì, esatto.» «Alla fine siete riusciti a determinare che libro era stato tolto dallo scaffale?» «Sì, ci siamo riusciti.» Langwiser fece una pausa. Bosch sapeva cosa stava per fare. Il copione era stato studiato sin nei minimi particolari. Si complimentò mentalmente con lei. Sapeva catturare l'attenzione delle persone, tenerle sulla corda, condurle fino al bordo del precipizio e poi riportarle indietro. «Andiamo con ordine» riprese lei. «Più tardi torneremo al libro. Adesso invece ci dica se ebbe occasione di parlare con il signor Storey il giorno della perquisizione.» «È rimasto quasi sempre per conto suo, per lo più al telefono. Le uniche occasioni in cui parlammo furono quando ci presentammo, annunciandogli la perquisizione e alla fine della giornata, quando gli comunicammo che ce ne stavamo andando e che non avevamo preso niente.» «L'avete svegliato quando siete arrivati?» «Sì.» «Era solo?»
«Sì.» «Vi ha lasciato entrare?» «Non subito. Inizialmente si oppose. Io gli dissi che...» «Mi scusi, detective, sarebbe più semplice se mostrassimo come si è svolta la scena. Lei ha detto che c'era un operatore con voi. Stava riprendendo quando avete bussato alla porta del signor Storey?» «Sì.» Langwiser chiese di poter mostrare la videocassetta e il giudice Houghton accettò, respingendo l'obiezione della difesa. Venne portato in aula un grande televisore, che fu piazzato di fronte al banco della giuria. Dopo che furono abbassate le luci e che Bosch ebbe identificato la cassetta, il video fu fatto partire. La ripresa cominciava davanti alla porta rossa di una casa, con Bosch che identificava se stesso, l'indirizzo e il numero civico. Parlava tranquillamente. Poi si girò e bussò alla porta. Disse "polizia" e bussò di nuovo, con più forza. Poi lui e gli altri rimasero in attesa. Bosch continuò a bussare ogni quindici secondi, finché la porta non si aprì, a circa due minuti dal primo colpo. Apparve David Storey, con i capelli arruffati e gli occhi assonnati. «Cosa c'è?» chiese. «Abbiamo un mandato di perquisizione, signor Storey» disse Bosch. «Mi state prendendo per il culo?» «No, signore. Potrebbe farci passare? Prima entriamo, prima ce ne andiamo.» «Vado a chiamare il mio avvocato.» Storey chiuse la porta a chiave e immediatamente Bosch avanzò e incollò la faccia allo stipite, gridando: «Signor Storey, ha dieci minuti di tempo. Se alle sei e un quarto questa porta non si apre la butteremo giù. Abbiamo un mandato di perquisizione e lo eseguiremo». Si girò verso la telecamera e fece segno di chiudere. La registrazione passò a un'altra inquadratura della porta. L'indicatore in basso a destra diceva che erano le 6:13. La porta si aprì e Storey indietreggiò di un passo per far entrare il gruppetto. Sembrava che si fosse pettinato con le mani. Indossava jeans e maglietta neri. Era a piedi nudi. «Fate quello che dovete fare e andatevene. Il mio avvocato sta arrivando e vi terrà d'occhio. Rompete una sola fottuta cosa e giuro che vi faccio causa. Questa casa è stata progettata da David Serrurier. Fate tanto da graf-
fiare una parete e saranno cavoli vostri.» «Staremo attenti, signor Storey» disse Bosch entrando. L'operatore fu l'ultimo a entrare e Storey guardò nella telecamera come se la vedesse per la prima volta. «E tieni questa merda lontana da me.» Fece un gesto e a un tratto sullo schermo apparve il soffitto, mentre si udivano le voci del cameraman e di Storey. «Ehi, non tocchi la telecamera!» «Allora tienila lontana dalla mia faccia.» «Okay. D'accordo. Ma non la tocchi.» La cassetta venne spenta e le luci furono riaccese. Langwiser continuò con le domande. «Detective Bosch, lei o qualcun altro del gruppo che effettuava la perquisizione avete avuto altre... conversazioni con il signor Storey dopo questa?» «Non nel corso della perquisizione. Una volta arrivato l'avvocato, il signor Storey andò nel suo studio, e quando entrammo noi lui si spostò in camera da letto. Gli parlai brevemente prima che andasse al suo appuntamento, ma solo riguardo al fatto che se ne stava andando durante la perquisizione.» «E alla fine della perquisizione - sette ore dopo - ebbe occasione di parlare di nuovo con l'imputato?» «Sì, brevemente. Fuori dalla porta d'ingresso quando stavamo per andarcene. L'avvocato non c'era già più. Io ero nella mia macchina insieme ai miei partner e avevo inserito la retromarcia quando mi resi conto che mi ero dimenticato di dare al signor Storey una copia del mandato di perquisizione. È previsto dalla legge. Così tornai alla porta e bussai.» «Il signor Storey rispose?» «Non subito. Comunque gli consegnai il documento, spiegandogli il motivo.» «E lui cosa rispose?» Fowkkes si alzò e fece obiezione, ma la questione era già stata sistemata durante le istanze precedenti il processo. Langwiser ripeté la domanda. «Posso guardare i miei appunti?» «Prego.» Bosch cercò nel fascicolo il foglio con gli appunti che aveva scritto in automobile subito dopo la conversazione.
«Per prima cosa disse: "Non hai trovato un accidente di niente, vero?". E io gli risposi che aveva ragione e che non avevamo preso niente. Allora lui disse: "Perché non c'è niente da prendere". Mi limitai a fare un cenno del capo e stavo per andarmene quando lui parlò di nuovo. Mi chiamò: "Ehi, Bosch! ". Mi girai, lui si chinò verso di me e disse: "Non troverai quello che stai cercando". Io dissi: "Ah davvero? E che cos'è che sto cercando?". Non rispose. Mi guardava e sorrideva.» Dopo una pausa Langwiser chiese: «È finita così?». «No. A quel punto ebbi la sensazione che avrei potuto provocarlo, inducendolo a dire di più. Gli chiesi: "Sei stato tu, vero?". Lui continuava a sorridere poi, lentamente, annuì. Disse: "E la farò franca! Io sono...".» «Sono tutte balle! Sei un fottuto bugiardo!» Storey si era alzato in piedi e stava additando Bosch. Fowkkes lo spinse con la mano perché tornasse a sedersi. Un agente seduto dietro al tavolo della difesa si alzò e lo raggiunse alle spalle. «L'imputato si sieda!» gridò il giudice mentre picchiava con forza il martelletto. «È un fottuto bugiardo!» «Agente, lo faccia sedere!» L'uomo appoggiò entrambe le mani sulle spalle di Storey e con forza lo costrinse a rimettersi sulla sedia. Il giudice indicò il banco della giuria a un altro agente: «Li faccia uscire». Mentre i giurati venivano rapidamente fatti passare in una stanza adiacente, Storey continuava a lottare con l'agente e con Fowkkes. Non appena furono usciti tutti, iniziò a placarsi, poi si tranquillizzò del tutto. Bosch guardò i giornalisti cercando di capire se qualcuno aveva notato che Storey si era calmato non appena i giurati erano spariti. «Signor Storey!» gridò il giudice, in piedi. «Un comportamento simile non è accettabile in quest'aula. Avvocato Fowkkes, se non è in grado di controllare il suo cliente ci penseranno i miei uomini. Un'altra scena come questa e lo farò imbavagliare e legare a quella sedia. Sono stato chiaro?» «Perfettamente, Vostro Onore. Mi scu...» «Qui vige il principio della tolleranza zero. Non mi interessa chi è il suo imputato o chi sono i suoi amici.» «Sì, Vostro Onore, capisco.» «Si riprende tra cinque minuti.» Il giudice lasciò bruscamente il podio e i suoi passi pesanti risuonarono nell'aula mentre scendeva i tre scalini. Sparì dietro la porta che portava al
suo ufficio. Bosch guardò Langwiser e vide che i suoi occhi tradivano una certa soddisfazione. Secondo lui però c'erano dei pro e dei contro. I giurati avevano visto l'imputato perdere il controllo - rivelando probabilmente la stessa furia che l'aveva portato a compiere l'omicidio. D'altra parte l'avevano visto esprimere una forte ribellione nei confronti di ciò che gli stava succedendo in quell'aula. Il che poteva anche suscitargli la loro simpatia. Bastava che Storey ne convincesse uno, per essere libero. Prima del processo Langwiser aveva pronosticato che sarebbero riusciti a fargli perdere il controllo. Bosch non ne era così convinto. Pensava che Storey fosse troppo freddo e calcolatore. A meno che, naturalmente, anche quella reazione non fosse una mossa calcolata. Dopotutto il dramma era il suo mestiere. Bosch sapeva che una volta o l'altra avrebbe potuto essere usato a sua insaputa come comparsa in una di quelle scene. 25 Il giudice tornò al suo posto due minuti dopo essersene andato. Bosch si domandò se non si fosse agganciato una fondina sotto la toga. Houghton si sedette e guardò il tavolo della difesa. Storey era seduto, il viso accigliato chino sul blocco da disegno. «Siamo pronti?» chiese. Entrambe le parti mormorarono di sì. Il giudice fece chiamare i giurati i quali, entrando, fissarono Storey. «Bene, signori, proviamoci di nuovo» disse Houghton. «Le parole che avete sentito pronunciare dall'imputato pochi minuti fa devono essere ignorate. Non sono prove, non sono niente. Se il signor Storey vorrà negare le accuse o qualunque altra cosa che emerga su di lui durante le testimonianze, ne avrà la possibilità.» Bosch osservava la danza degli occhi di Janis Langwiser. I commenti del giudice erano un modo sottile di dare una pacca sulla spalla alla difesa. Stava creando un clima di aspettativa per la testimonianza di Storey e le sue parole facevano parte del gioco. Il giudice si girò verso Langwiser che riprese a interrogare Bosch. «Prima che fossimo interrotti ci stava parlando della sua conversazione con l'imputato, avvenuta sulla porta di casa sua.» «Sì.» «Ha affermato che l'imputato disse: "E la farò franca", è esatto?»
«Esatto.» «E lei pensò che quel commento si riferisse alla morte di Jody Krementz, esatto?» «Era quello di cui stavamo parlando, sì.» «Il signor Storey disse qualcos'altro?» «Sì.» Bosch si fermò chiedendosi se Storey sarebbe esploso un'altra volta. Non lo fece. «Disse: "Io sono un dio in questa città, detective Bosch. È meglio che non mi provochi.» Ci furono circa dieci secondi di silenzio prima che il giudice invitasse l'avvocatessa a proseguire. «Che cosa fece dopo aver udito queste affermazioni?» «Be', fui colto alla sprovvista. Non mi aspettavo che mi dicesse una cosa simile.» «Non stava registrando, vero?» «No. Era solo una conversazione casuale.» «Che cosa successe dopo?» «Tornai alla macchina e trascrissi immediatamente, parola per parola, quello che ci eravamo detti. Lo raccontai anche ai miei partner e decidemmo di telefonare all'ufficio del procuratore distrettuale per sapere se un'ammissione fatta in quel modo potesse dare il via a un arresto. Purtroppo nessuno dei nostri cellulari funzionava. Non c'era campo, eravamo troppo in alto. Allora lasciammo la casa e raggiungemmo il primo distributore sulla Mulholland. Chiedemmo di usare il telefono e chiamammo l'ufficio del procuratore.» «Con chi parlaste?» «Con lei. Le parlai del caso e le spiegai com'era andata la perquisizione e quello che Storey mi aveva detto sulla porta. Si decise di continuare con le indagini senza procedere all'arresto.» «Fu d'accordo con quella decisione?» «Non in quel momento. Io avrei voluto arrestarlo.» «L'ammissione del signor Storey cambiò il corso delle indagini?» «Essenzialmente ci indusse a restringere il campo d'azione. Aveva ammesso di aver commesso il crimine. Ci concentrammo su di lui.» «Ha mai preso in considerazione l'ipotesi che quella ammissione fosse una mera vanteria? Che nel momento stesso in cui lei credeva di provocare l'imputato, come ha detto poco fa, era lui a provocarla?»
«Sì, ci ho pensato. Ma in definitiva credo che abbia fatto quelle affermazioni perché corrispondono a verità e perché in quel momento si sentiva invincibile.» Si sentì il rumore di uno strappo: Storey aveva staccato la prima pagina del suo blocco. Dopo averla appallottolata la gettò oltre il tavolo. La palla colpì un computer e cadde a terra. «Grazie detective» disse Langwiser. «Dunque, lei ha detto che l'indagine continuò. Può spiegare alla giuria in che modo?» Bosch raccontò che lui e i suoi partner avevano intervistato decine di testimoni che avevano visto insieme l'imputato e la vittima alla prima del film e più tardi al ricevimento, svoltosi in un tendone eretto per l'occasione in un parcheggio lì vicino. Avevano interrogato altre decine di persone che conoscevano Storey o che avevano lavorato con lui. Bosch ammise che nessuno di quegli interrogatori aveva aggiunto informazioni interessanti per l'indagine. «Prima ci ha parlato del fatto che, durante la perquisizione a casa dell'imputato, vi aveva incuriosito la mancanza di un libro, è esatto?» «Sì.» Fowkkes fece obiezione. «Non c'è nessuna prova che mancasse un libro. C'era solo uno spazio vuoto in uno scaffale. Questo non significa che ci sia mai stato un libro.» Langwiser promise di arrivare rapidamente al punto e il giudice la fece continuare. «Dunque, mentre raccoglievamo informazioni sul signor Storey, la mia partner, Kizmin Rider, si ricordò di aver letto un articolo su di lui in una rivista: l'Architectural Digest. Fece una ricerca su Internet e trovò che l'articolo era apparso nel febbraio dello scorso anno. Ordinò una copia della rivista. Ciò di cui si ricordava in modo particolare era una foto dell'imputato a casa sua, vicino alla libreria. Essendo una grande lettrice, la incuriosiva sapere quale genere di libri avesse il regista.» Langwiser propose la copia della rivista come reperto, il giudice l'accettò e lei la mostrò a Bosch. «È questa?» «Sì.» «Può aprirla alla pagina giusta e descriverci la fotografia di apertura?» Bosch aprì il giornale nel punto contrassegnato. «È la foto del signor Storey seduto su un divano, in soggiorno. Alla sua sinistra c'è la libreria.»
«Riesce a leggere i titoli sulla costa dei libri?» «Solo alcuni. Molti non sono chiari.» «Che cosa avete fatto quando avete ricevuto la copia della rivista?» «Quando ci siamo resi conto che non tutti i titoli erano leggibili, ci siamo rivolti all'editore per chiedere in prestito i negativi. Abbiamo parlato direttamente con il direttore del giornale il quale, appellandosi alla libertà di stampa e alla privacy, non voleva darceli.» «Che cosa successe dopo?» «Il direttore ci disse che si sarebbe opposto anche davanti a un ordine del tribunale. Fu chiamato un avvocato del Comune che contrattò con il legale della rivista. Alla fine mi permisero di andare a New York dove avrei avuto accesso ai laboratori fotografici.» «Per il verbale, che giorno era esattamente?» «Presi un volo notturno il 29 ottobre. Ero negli uffici della rivista la mattina dopo, il 30 ottobre.» «E che cosa fece lì?» «Il laboratorio fotografico della rivista mi diede un ingrandimento della foto con la libreria.» Langwiser introdusse due grandi fotografie su supporto rigido come reperto seguente. Accettate nonostante l'obiezione della difesa, le mise su dei cavalletti di fronte alla giuria. In una c'era la libreria, nell'altra il particolare di uno scaffale. L'immagine era sgranata, ma i titoli sulle coste dei libri si riuscivano a leggere. «Detective, avete confrontato queste foto con quelle fatte in casa dell'imputato il giorno della perquisizione?» «Sì, l'abbiamo fatto.» Langwiser chiese l'autorizzazione di mettere altri due cavalletti per mostrare alla giuria tali foto. Il giudice gliela diede. Poi lei chiese a Bosch di alzarsi dal banco dei testimoni e usando una bacchetta, di mostrare alla giuria cosa avevano scoperto durante quel confronto. La risposta era sotto gli occhi di tutti, ma Langwiser voleva essere scrupolosa in ogni passaggio, onde evitare che i giurati facessero confusione. Bosch mostrò con la bacchetta lo spazio vuoto sullo scaffale. Quindi passò alla foto in cui quello spazio era occupato da un libro. «Il giorno della perquisizione, tra Il quinto orizzonte e Stampare la leggenda non c'era nulla; nella foto apparsa sulla rivista invece c'era un libro.» «E qual è il titolo di questo libro?»
«Vittime della notte.» «Avete controllato le fotografie fatte durante la perquisizione per verificare se Vittime della notte non fosse stato messo in qualche altro punto?» Bosch indicò con la bacchetta la fotografia del 14 ottobre con tutta la libreria. «Sì l'abbiamo fatto, non c'era.» «Avete trovato quel libro da qualche altra parte nella casa?» «No.» «Grazie detective, può tornare al banco dei testimoni.» Langwiser introdusse un copia del libro come reperto e lo porse a Bosch. «Può dire alla giuria cos'è, detective?» «Una copia di Vittime della notte.» «È il libro che si trovava sulla libreria dell'imputato il giorno in cui la rivista Architectural Digest ha fatto il servizio su di lui?» «No, è una copia dello stesso libro. L'ho comprata.» «Dove?» «In un negozio che si chiama Mysterious Bookshop sul Beverly Boulevard, a Los Angeles.» «Perché l'ha comprato proprio lì?» «Ho fatto un po' di telefonate e quello era l'unico posto che l'aveva in magazzino.» «Come mai era così difficile da trovare?» «Il proprietario del Mysterious Bookshop mi ha spiegato che è un testo a bassa tiratura, pubblicato da un piccolo editore.» «Ha letto il libro?» «Alcune parti. Si tratta per la maggior parte di fotografie di delitti o incidenti decisamente inusuali.» «Ha trovato qualcosa di particolarmente strano, o magari collegabile all'omicidio di Jody Krementz?» «Sì, la fotografia di una morte a pagina settantatré ha subito attratto la mia attenzione.» «La descriva per favore.» Bosch aprì il libro dove c'era un segno e parlò guardando la fotografia a piena pagina sulla destra. «C'è una donna su un letto. È morta. Legata intorno al collo ha una sciarpa che è agganciata con un cappio alla testiera del letto. Per il resto è nuda. Tiene la mano sinistra tra le gambe e due dita sono introdotte nella vagina.»
«Può leggere la didascalia in basso per favore?» «"Morte autoerotica: questa donna è stata trovata nel suo letto a New Orleans; vittima di asfissia autoerotica. Si ritiene che in tutto il mondo muoiano circa cinquecento persone all'anno di incidenti simili".» Langwiser chiese e ricevette l'autorizzazione a mettere altre due foto, come reperti sui cavalletti. Le piazzò davanti a quelle della libreria. In una c'era la fotografia di Jody Krementz, così come era stata trovata nel suo letto. Nell'altra quella presa da Vittime della notte. «Detective, ha fatto un confronto tra queste due fotografie?» «Sì, e le ho trovate molto simili.» «Le è sembrato che la fotografia del libro potesse essere servita da modello per la messa in scena con il corpo di Jody Krementz?» «Sì.» «Ha mai avuto occasione di chiedere all'imputato che fine avesse fatto la sua copia di Vittime della notte?» «No, dal giorno della perquisizione l'imputato e il suo avvocato si sono sempre rifiutati di parlare con noi.» Langwiser annuì e guardò il giudice. «Vostro Onore, posso togliere i reperti dai cavalletti?» «Faccia pure.» Langwiser fece un piccolo show, prendendo le foto delle donne per prime e mettendole insieme come se una fosse lo specchio dell'altra. Non era molto, ma i giurati la stavano osservando. «Bene, detective Bosch, ha fatto ulteriori ricerche o indagini sulle morti causate da pratiche di autoerotismo?» «Sì. Sapevo che se fossimo arrivati in tribunale la classificazione di questa morte come omicidio, essendo tanto simile a quel genere di incidente, sarebbe stata contestata. Ero anche curioso riguardo alla cifra indicata nella didascalia. Francamente cinquecento morti di quel tipo all'anno mi sembravano eccessive. Ho fatto qualche controllo con l'FBI e ho verificato che la cifra era fedele alla realtà, se non addirittura più bassa.» «E questo l'ha spinta a fare ulteriori ricerche?» «Sì, a un livello più locale.» Richiesto da Langwiser, Bosch testimoniò di aver controllato i verbali dell'ufficio di medicina legale sulle morti per asfissia autoerotica fino a cinque anni indietro. «E che cosa ha trovato?» «Durante gli ultimi cinque anni nella contea di Los Angeles sedici morti
accidentali sono state attribuite ad asfissia autoerotica.» «E quante di queste morti avevano come vittima una donna?» «Solo una.» «Ha esaminato quel caso?» Fowkkes si alzò per obiettare e questa volta chiese di poter parlare con il giudice. Questi accettò e gli avvocati si avvicinarono al suo podio. Bosch non riusciva a sentire, perché sussurravano, ma sapeva che Fowkkes voleva deviare la direzione della testimonianza. Langwiser e Kretzler gli avevano anticipato che avrebbe cercato di impedire che venisse nominata Alicia Lopez. Quella sarebbe stata la decisione più importante del processo per entrambe le parti. Dopo cinque minuti di discussione a bassa voce, il giudice disse che la questione avrebbe preso più tempo del previsto a aggiornò la seduta a un quarto d'ora dopo. Bosch tornò al tavolo dell'accusa. «Novità?» «No, sempre la solita vecchia questione» rispose Langwiser. «Per qualche oscura ragione il giudice vuole ascoltarla di nuovo. Auguraci buona fortuna.» Gli avvocati e il giudice si ritirarono per discutere, mentre Bosch fu lasciato al tavolo. Con il cellulare controllò se c'erano messaggi nelle segreterie telefoniche di casa e ufficio. Ce n'era uno al lavoro. Era di Terry McCaleb. Lo ringraziava per la dritta della notte precedente, gli diceva che aveva scoperto qualcosa di interessante da Nat e che gli avrebbe fatto sapere come procedevano le cose. Cancellò il messaggio e richiuse il telefono chiedendosi che cosa avesse scoperto. Mentre gli avvocati tornavano ai loro posti, Bosch lesse la decisione del giudice sui loro volti. Fowkkes aveva l'aria cupa e gli occhi bassi, Langwiser e Kretzler sorridevano. Quando anche i giurati furono rientrati e il processo riprese, Langwiser partì subito all'attacco. Chiese allo stenografo di rileggere l'ultima domanda prima dell'obiezione. «La cancelli» disse poi, «non confondiamo gli argomenti. Detective, qual era il nome dell'unica donna, su sedici persone, morta per asfissia autoerotica?» «Alicia Lopez.» «Ci può parlare un po' di lei?» «Aveva ventiquattro anni e viveva a Culver City. Lavorava come assistente del vice presidente produttivo alla Sony Pictures, sempre a Culver
City. Fu trovata morta nel suo letto il 20 maggio 1998.» «Viveva da sola?» «Sì.» «Quali furono le circostanze della sua morte?» «Fu trovata nel suo letto da un collega che era andato a cercarla dopo che lei non si era presentata in ufficio per due giorni senza avvertire. Il coroner stabilì che era morta da tre o quattro giorni. Il corpo era in stato di decomposizione.» «Avvocato Langwiser» interruppe il giudice Houghton, «eravamo d'accordo che sarebbe arrivata in fretta ai collegamenti con il caso di cui ci stiamo occupando.» «Ci sono Vostro Onore. Detective, c'è stato qualcosa di quel caso che l'ha messa in allarme o che ha attirato la sua attenzione?» «Diverse cose. Ho guardato le foto della vittima e, nonostante lo stato di decomposizione, ho notato che il corpo era in una posizione molto simile a quello del nostro caso. Ho notato anche che la legatura era priva di imbottitura, come nel nostro caso. Inoltre sapevo che all'epoca della morte di Alicia Lopez, Storey stava facendo un film per la Cold House Films, una società in parte finanziata dalla Sony Pictures.» Subito dopo aver risposto, Bosch si accorse che l'aula era diventata stranamente silenziosa. Nessuno sussurrava, né si schiariva la gola o tossiva. Sembrava che tutti - giurati, pubblico, avvocati, giornalisti - avessero deciso di trattenere il fiato contemporaneamente. Bosch guardò i giurati e vide che la maggior parte di loro erano girati verso il tavolo della difesa. Si girò anche lui: Storey aveva il volto immobile, chino, e fremeva in silenzio. Finalmente Langwiser ruppe il silenzio. «Detective, ha fatto ulteriori indagini sul caso Lopez?» «Sì, ho parlato con il detective che se ne era occupato per il Dipartimento di Culver City e ho fatto ricerche sulla signorina Lopez alla Sony.» «E che cosa è venuto a sapere su di lei che potrebbe interessare questo caso?» «Che all'epoca della sua morte fungeva da collegamento tra gli studi e le unità di produzione esterne del film che stava dirigendo David Storey.» «Si ricorda il titolo di quel film?» «Il quinto orizzonte.» «Dove è stato girato?» «A Los Angeles, per lo più a Venice.» «E in veste di collegamento la signorina Lopez aveva dei contatti diretti
con David Storey?» «Sì, parlava con lui, per telefono o de visu, ogni giorno durante le riprese.» Di nuovo sembrò di udire il rumore del silenzio. Langwiser lo assaporò più a lungo che poté, poi sferrò la stoccata finale. «Vediamo se riesco ad andare con ordine, detective. Lei ci sta dicendo che nei passati cinque anni c'è stato un solo caso di morte per asfissia autoerotica che riguardasse una donna e che nel nostro caso la morte di Jody Krementz è stata approntata in modo da sembrare asfissia autoerotica?» «Obiezione» intervenne Fowkkes. «La domanda contiene la risposta.» «Respinta» disse il giudice senza aspettare la replica di Langwiser. «Il testimone può rispondere.» «Sì» disse Bosch, «è così.» «E che entrambe le donne conoscevano l'imputato David Storey?» «Esatto.» «E che entrambe le morti mostrano delle similitudini con una fotografia contenuta in un libro che era nella libreria dell'imputato?» «Esatto.» Bosch si girò di nuovo verso Storey mentre rispondeva, sperando che alzasse la testa in modo da poterlo guardare un'altra volta negli occhi. «Che cosa ha detto a questo proposito il Dipartimento di Culver City, detective?» «Venuti a conoscenza delle mie scoperte hanno riaperto il caso, ma si sono bloccati subito.» «Come mai?» «Poiché originariamente il caso era stato classificato come morte accidentale, in archivio non c'erano tutti i documenti. Inoltre, a causa dello stato di decomposizione del corpo, al momento del ritrovamento era stato difficile fare analisi e trarre conclusioni definitive. E il corpo non poteva essere riesumato, perché era stato cremato.» «Davvero? Da chi?» Fowkkes si alzò e fece obiezione, ma il giudice disse che i suoi argomenti erano già stati ascoltati e respinti. Langwiser insisté con Bosch prima ancora che Fowkkes si fosse riseduto. «Da chi, detective Bosch?» «Dalla sua famiglia. Ma fu pagato... la cremazione, il servizio funebre, tutto fu offerto da David Storey, in memoria di Alicia Lopez.» Langwiser girò rumorosamente una pagina del suo blocco. Era lanciata
ormai, lo sapevano tutti. Stava volando, come dicevano poliziotti e procuratori mutuando un'espressione dei surfisti. Significava che aveva portato il caso a un punto ottimale, come quando nel surf si prende l'onda buona e si scivola in avanti con leggerezza e facilità in una sorta di glorioso equilibrio. «Dunque, detective, conclusa questa fase delle indagini, è venuta da lei una donna di nome Annabelle Crowe?» «Sì. Sul Los Angeles Times era apparso un articolo che parlava dell'indagine e spiegava perché David Storey ne fosse l'obiettivo. La donna venne dopo averlo letto.» «Chi è Annabelle Crowe?» «Un'attrice. Vive a West Hollywood.» «E che rapporto ha con questo caso?» «Mi ha raccontato di essere uscita con David Storey l'anno scorso e che in quell'occasione lui aveva cercato di strangolarla durante un rapporto sessuale.» Fowkkes fece un'altra obiezione, ma con minor vigore delle precedenti. Venne di nuovo respinta, perché la testimonianza era già stata accettata dal giudice. «La signorina Crowe le ha detto dove era avvenuto l'incidente?» «A casa del signor Storey. Le ho chiesto di descriverla e lei lo ha fatto con accuratezza. C'era stata.» «Non potrebbe aver visto il servizio sull'Architectural Digest? Quello con le foto della casa dell'imputato?» «Ha descritto nei dettagli la camera da letto e il bagno che non erano fotografati sulla rivista.» «Che cosa le successe quando l'imputato la strangolò?» «Mi ha detto di essere svenuta. Quando rinvenne vide che il signor Storey non era nella stanza, stava facendo una doccia. Allora afferrò i suoi vestiti e fuggì.» Langwiser sottolineò l'ultima frase con un lungo silenzio. Poi chiuse il suo blocco, guardò il tavolo della difesa e il giudice Houghton. «Vostro Onore» disse, «per il momento ho finito con il detective Bosch.» 26 McCaleb arrivò a El Cochinito a mezzogiorno meno un quarto. Erano
cinque anni che non metteva piede nel ristorante di Silver Lake, ma si ricordava che il locale aveva solo una dozzina di tavoli e che all'ora di pranzo venivano occupati tutti, spesso da poliziotti. Non perché fossero attratti dal nome del ristorante, «Il Porcellino», ma perché si mangiava bene e si spendeva poco. I poliziotti avevano un occhio particolare per scovare posti del genere. Quando aveva degli incarichi per il Bureau, in qualunque città si trovasse, chiedeva sempre agli agenti di pattuglia dove andare a mangiare. Mentre aspettava Jaye Winston, studiò attentamente il menu e decise cosa avrebbe preso. Durante l'ultimo anno il suo palato si era finalmente risvegliato e chiedeva soddisfazione. Per i primi diciotto mesi dopo il trapianto il senso del gusto lo aveva abbandonato. Tutto quello che mangiava non sapeva di niente. Ma poi, poco per volta, la sua sensibilità era tornata, il che aveva rappresentato per lui una seconda rinascita, dopo quella del trapianto. Adesso gli piaceva qualunque cosa cucinasse Graciela. E persino quello che cucinava lui - nonostante in genere fosse un disastro, barbecue a parte. Era capace di assaporare una tartina con crema di arachidi e gelatina di frutta in piena notte, quanto una cena raffinata in un ristorante di lusso. Di conseguenza, aveva cominciato a ingrassare, recuperando i dodici chili che aveva perso quando il cuore aveva cominciato a fare le bizze. Adesso aveva raggiunto i novanta chili, come prima della malattia. Così, per la prima volta in quattro anni, doveva stare attento a quello che mangiava. Durante l'ultimo controllo la dottoressa l'aveva avvertito: meno calorie e meno grassi. Ma questa volta avrebbe fatto uno strappo alla regola. Era troppo tempo che aspettava di tornare da El Cochinito. Anni prima gli era capitato di stare parecchio tempo in Florida, per seguire un caso, e l'unico aspetto positivo del suo soggiorno era stata la cucina cubana. Quando era stato trasferito a Los Angeles, un poliziotto originario di Cuba gli aveva indicato El Cochinito, di cui era diventato un cliente assiduo. In realtà era perfettamente inutile che studiasse il menu. Sapeva già cosa voleva: lechon asada, porchetta arrosto, con fagioli neri, riso, banane fritte e yucca, e al diavolo la dottoressa! Sperava solo che Jaye arrivasse in fretta, non vedeva l'ora di ordinare. Mise da parte il menu e pensò a Harry Bosch. Aveva passato quasi tutta la mattinata sulla barca a guardare il processo in televisione. La performance di Bosch al banco dei testimoni era stata notevole. E la rivelazione che Storey era collegato a un'altra morte lo aveva colpito, come aveva colpito l'orda dei giornalisti. Le inquadrature girate durante le pause rivelava-
no un'eccitazione fuori dal comune. A un certo punto si era vista una ripresa di Fowkkes, che veniva bersagliato di domande sui nuovi sviluppi. L'avvocato della difesa, per la prima volta in vita sua, non aveva voluto rilasciare dichiarazioni, lasciando i mezzibusti a speculare sulle novità e a commentare il piglio sicuro con cui l'accusa stava procedendo. Tuttavia, seguire il processo aveva provocato in McCaleb solo disagio. Gli era difficile abituarsi all'idea che quell'uomo, così abile nel descrivere gli aspetti di un'indagine complicata, fosse lo stesso su cui stava indagando. Un uomo che, così gli diceva l'istinto, aveva commesso un crimine molto simile a quello contro cui stava testimoniando. A mezzogiorno, l'ora dell'appuntamento, McCaleb si distolse dai suoi pensieri e vide Jaye Winston entrare nel ristorante. Era seguita da due uomini, un bianco e un nero. Era quello il modo migliore per distinguerli, dato che erano vestiti in modo quasi identico: abito grigio e cravatta marrone. McCaleb aveva capito che si trattava di agenti dell'FBI prima che arrivassero al tavolo. Jaye aveva un'espressione di stanca rassegnazione dipinta sulla faccia. «Terry» disse prima di sedersi, «voglio presentarti due persone.» Indicò per primo l'agente nero. «Questo è Don Twilley, e lui è Marcus Friedman. Lavorano per il Bureau.» I tre scostarono le sedie e si sedettero contemporaneamente: Friedman accanto a McCaleb e Twilley di fronte. «Non sono mai stato in un ristorante cubano» disse Twilley, prendendo il menu. «Si mangia bene qui?» McCaleb lo guardò. «No, è per questo che ci vengo.» Twilley alzò gli occhi dal menu e sorrise. «Già, domanda stupida.» Tornò a fissare il menu e poi di nuovo McCaleb. «Io so tutto di te, Terry. Sei una leggenda, e non per il tuo cuore, ma per i tuoi casi. Sono onorato di conoscerti.» McCaleb guardò Jaye Winston come per dire "Che cosa sta succedendo?". «Terry, Don e Marc appartengono alla Sezione Diritti Civili.» «Davvero? Grandioso! Ehi ragazzi, siete venuti fin qui per mangiare cibo cubano e conoscere la leggenda o c'è qualcos'altro?» «Be'...» cominciò Twilley. «Terry, è scoppiato un casino» lo interruppe Jaye. «Stamattina un gior-
nalista ha telefonato al mio capitano e gli ha chiesto se stiamo indagando su Harry Bosch per il caso Gunn.» McCaleb si lasciò andare contro lo schienale, turbato dalla notizia. Stava per dire qualcosa quando arrivò il cameriere. «Un minuto» grugnì Twilley all'uomo, mandandolo via con un gesto che infastidì McCaleb. Jaye Winston continuò. «Prima di andare avanti ho bisogno di sapere una cosa, Terry. Ne hai parlato con qualcuno?» McCaleb scosse la testa disgustato. «Stai scherzando? Per chi mi hai preso?» «Senti, tutto quello che so è che non sono stata io. Non ho aperto bocca con nessuno dei miei colleghi, figuriamoci se ho fatto una soffiata a un giornalista!» «Be', io non c'entro. E grazie per avermelo chiesto.» Guardò Twilley e poi di nuovo Jaye. Gli era insopportabile discutere della cosa davanti a quei due. «Cosa ci fanno qui?» chiese. Poi, girandosi di nuovo verso Twilley, aggiunse: «Che cosa volete da me?». «Prendono in mano il caso, Terry» disse Jaye Winston. «E tu sei fuori.» McCaleb la guardò ancora una volta, con la bocca leggermente aperta. Poi si rese conto dell'espressione che doveva avere e la richiuse. «Cosa vuol dire, sono fuori? Ma se sono l'unico dentro! Sto lavorando come...» «Lo so, Terry. Ma adesso le cose sono cambiate. Dopo che il giornalista ha chiamato Hitchens, ho dovuto raccontargli tutto. Non ci ha visto più dalla rabbia e, dopo aver fatto una scenata, ha deciso che la cosa migliore fosse parlarne con l'FBI.» «La Sezione Diritti Civili» intervenne Twilley. «Indagare sui poliziotti è il nostro pane quotidiano. Riusciremo a...» «Vaffanculo, Twilley. Non raccontare le tue storie proprio a me, facevo parte dei club, ricordi? So come funziona. Arrivate, montate sul mio cavallo e poi date Bosch in pasto alle telecamere mentre lo portate in prigione.» «Ah, è questo il problema?» intervenne Friedman. «A chi va il merito?» «Non devi preoccuparti, Terry» disse Twilley. «Avrai la tua parte di gloria, se è quello che vuoi.» «Non è quello che voglio. E non mi chiamare, Terry. Non mi conosci nemmeno.»
Abbassò gli occhi scuotendo la testa. «Cazzo, ho aspettato tanto di tornare in questo ristorante e adesso che ci sono non ho nessuna voglia di mangiare.» «Terry...» disse Jaye, senza riuscire ad aggiungere altro. «Cosa c'è? Vuoi dirmi che è giusto?» «Non è né giusto né sbagliato. È così e basta. L'indagine è ufficiale, adesso. E tu non sei ufficiale. Sapevi che sarebbe potuto succedere sin dall'inizio.» Lui annuì con riluttanza. Appoggiò i gomiti sul tavolo e si chiuse la faccia tra le mani. «Chi è il giornalista?» Non avendo ricevuto risposta, abbassò le mani e li guardò con insistenza. «Chi?» «Un certo McEvoy» disse Jaye Winston. «Lavora per il New Times, un settimanale a cui piace rimestare nel torbido.» «Lo conosco.» «E conosci anche McEvoy?» chiese Twilley. Il cellulare di McCaleb cominciò a suonare. Era nella tasca della giacca a vento, appesa allo schienale della sedia. Sembrava si fosse impigliato e McCaleb cercò di estrarlo con una certa ansia, supponendo che fosse Graciela. A parte Winston e Lockridge, aveva dato il numero solo a Brass Doran, con la quale però aveva finito. Finalmente, dopo il quinto squillo, rispose. «Pronto, agente McCaleb, sono Jack McEvoy del New Times. Ha un minuto?» McCaleb guardò Twilley, chiedendosi se riuscisse a sentire la voce dall'altra parte del telefono. «Veramente no. Sono impegnato in questo momento. Come ha avuto il mio numero?» «Ho chiamato sua moglie a Catalina e lei mi ha dato il suo numero di cellulare. È un problema?» «No, nessun problema, ma adesso non posso.» «Quando allora? Ho saputo qualcosa di cui vorrei parlare con lei...» «Mi richiami più tardi. Tra un'ora.» McCaleb chiuse il telefono e lo appoggiò sul tavolo, guardandolo come se potesse esplodere. «Tutto bene, Terry?» chiese Jaye Winston.
«Sì, tutto bene. Era il tizio che devo portare in barca domani. Voleva sapere come sarà il tempo.» Guardò Twilley. «Qual era la domanda?» «Conosci McEvoy, il giornalista che ha chiamato il capitano Hitchens?» McCaleb fece una pausa, guardando prima Jaye e poi di nuovo Twilley. «Sì, lo conosco. E tu lo sai benissimo.» «Esatto. Il Poeta. Hai avuto una parte in quel caso.» «Niente di determinante.» «Quando hai parlato con lui l'ultima volta?» «Dunque, fammi pensare... dev'essere stato un paio di giorni fa.» Jaye Winston divenne visibilmente tesa. McCaleb si girò verso di lei. «Rilassati, Jaye. Ho incontrato McEvoy al processo Storey. Ci ero andato per parlare con Bosch. È stato lui a salutarmi, non lo vedevo da cinque anni. E non gli ho detto che cosa stavo facendo lì o su cosa stavo lavorando. Senza contare che allora su Bosch non c'erano sospetti.» «Bene, vi ha visti insieme?» «Sono sicuro di sì. Ci hanno visto tutti. .C'erano talmente tanti giornalisti che sembrava di essere tornati all'epoca del processo contro O.J. Simpson. Comunque, se non siamo stati né io né tu, da dove è partita la fuga di notizie?» «È quello che ti stiamo chiedendo» intervenne Twilley. «Prima di prendere in mano il caso vogliamo sapere come stanno le cose e chi ha parlato con chi.» McCaleb non rispose. Stava per venirgli un attacco di claustrofobia. Tra la conversazione, i due che gli stavano di fronte e la gente in piedi che aspettava un tavolo, si sentiva mancare il respiro. «Che ci dici del bar dove sei stato ieri notte?» chiese Friedman. McCaleb si appoggiò all'indietro e lo guardò. «Cosa vuoi sapere?» «Jaye ci ha riferito quello che le hai raccontato. Hai chiesto specificatamente di Bosch e Gunn, vero?» «Vero. E allora? Credi che la cameriera sia corsa a telefonare al New Times e abbia chiesto di McEvoy? Solo perché le ho fatto vedere una foto di Bosch? Ma fammi il piacere!» «Ehi, in questa città nessuno ignora il potere dei media. La gente è informata. E vende storie, dati e informazioni in ogni momento.» McCaleb scosse la testa. Si rifiutava di credere che la cameriera con il
gilet fosse stata abbastanza furba da capire quello che si celava dietro le sue domande, per poi precipitarsi a chiamare un giornalista. A un tratto si rese conto che c'era qualcuno abbastanza furbo e informato per farlo: Buddy Lockridge. Pensando al socio che era rimasto nascosto ad ascoltare mentre lui costruiva il suo caso contro Bosch davanti a Jaye, cominciò a sudare freddo. «Non hai bevuto qualcosa mentre eri al bar? Ho sentito che prendi un sacco di pillole ogni giorno. Mescolandole con l'alcool, sai com'è... le chiacchiere possono essere pericolose, non si sa mai chi ti ascolta.» Era stato Twilley a fare la domanda, ma McCaleb guardò duramente Jaye. Si sentiva tradito, per quello che stava succedendo. Ma prima che riuscisse a dire alcunché, vide le scuse negli occhi di lei e capì. La donna aveva sperato che le cose andassero diversamente. Tornò a guardare Twilley. «Credi che io abbia bevuto qualche drink di troppo? È così? Credi che abbia cominciato a far andare la bocca, lì in quel bar?» «Non credo niente, te lo sto chiedendo. Non hai nessun motivo di prendertela. Sto solo cercando di capire come ha fatto quel giornalista a sapere quello che bolle in pentola.» «Be', cerca di capirlo senza tirarmi in ballo.» McCaleb sospinse indietro la sedia per alzarsi. Twilley si allungò sulla tavola e gli afferrò l'avambraccio. «Andiamo, Terry, parliamone.» «Terry, per favore» intervenne Jaye Winston. McCaleb liberò il braccio e si alzò. Guardò la donna e disse: «Buona fortuna, Jaye. Ne avrai davvero bisogno con questa gente». Poi guardò Twilley e Friedman. «E voi due andate affanculo, con tutto il cuore.» Si fece strada tra la folla che aspettava un tavolo e uscì. Nessuno lo seguì. Si sedette nella Cherokee e guardò il ristorante mentre lasciava che la rabbia sbollisse. Sapeva che Winston e il suo capitano stavano facendo le mosse giuste. Ma non gli andava di essere estromesso dal caso. Un caso è come una macchina. Puoi guidarla o farti trasportare. Oppure puoi restare a piedi mentre lei prosegue il viaggio. McCaleb era passato dall'avere le mani sul volante a chiedere un passaggio sul bordo della strada. Non era una sensazione piacevole.
Cominciò a pensare a Buddy Lockridge e a come avrebbe dovuto muoversi. Se avesse appurato che era stato lui a parlare con McEvoy, dopo aver origliato la sua conversazione con Jaye sulla barca, avrebbe interrotto di netto ogni rapporto. Socio o non socio, non avrebbe più potuto lavorare con lui. Si rese conto che Buddy aveva il suo numero di cellulare; forse era stato lui a darlo a McEvoy. Prese il telefono e chiamò casa. Rispose Graciela, il venerdì lavorava solo mezza giornata. «Graciela, hai dato il mio numero di cellulare a qualcuno?» «Sì, a un giornalista che mi ha detto di conoscerti e che aveva urgente bisogno di parlarti. Un certo Jack qualcosa. Perché, ho sbagliato?» «No no, stavo solo controllando.» «Ne sei sicuro?» McCaleb sentì il bip della chiamata in attesa. Guardò l'ora. Era l'una meno dieci e McEvoy avrebbe dovuto chiamare solo dopo l'una. «Sì, ne sono sicuro» rispose a Graciela. «Senti, ho un'altra chiamata. Tornerò prima di sera. Ci vediamo a casa.» Passò all'altra chiamata. Era McEvoy, il quale gli spiegò che era in tribunale e doveva tornare in aula entro l'una o avrebbe perso il suo preziosissimo posto. «È libero, adesso?» «Che cosa vuole?» «Ho bisogno di parlare con lei.» «L'ha già detto. A che proposito?» «Harry Bosch. Sto lavorando a un articolo su...» «Non so niente del caso Storey, tranne quello che si vede alla TV.» «Non è il processo in corso che mi interessa, ma il caso Gunn.» McCaleb non rispose. Sapeva che non era un buon segno. Temporeggiare con un giornalista portava solo problemi. McEvoy continuò. «Era per Gunn che voleva vedere Harry Bosch quando l'ho incontrata l'altro giorno? Sta lavorando a quel caso?» «Mi ascolti bene. Non ho niente a che fare con il caso Gunn. Mi ha capito?» McCaleb si congratulò con se stesso. Finora non aveva mentito. «Ma non se ne è mai occupato, neanche in passato?» «Posso chiederle una cosa io? Chi gliel'ha raccontato? Chi le ha detto che sto lavorando a quel caso?» «Non posso risponderle. Devo proteggere le mie fonti. Se vorrà darmi
delle informazioni proteggerò anche lei. In questo mestiere chi rivela le proprie fonti è finito.» «Be', sa cosa le dico Jack? Io non parlerò con lei se lei non parlerà con me, mi sono spiegato? Se lei mi dirà chi le ha fatto il mio nome, cercherò di essere più generoso. Altrimenti niente.» Aspettò. McEvoy rimase in silenzio. «Me l'immaginavo. Non se la prenda Jack.» Interruppe la comunicazione. Indipendentemente dal fatto che fosse stato McEvoy a parlare di lui al capitano Hitchens, era chiaro che si basava su informazioni attendibili. E c'era solo una persona, oltre a lui e Jaye Winston, in grado di fornirgliele. «Maledizione!» esclamò. Cinque minuti dopo vide Jaye Winston che usciva da El Cochinito. Sperava di riuscire a beccarla da sola, ma Twilley e Friedman la seguivano e tutti e tre salirono sulla stessa macchina. Un'auto del Bureau. McCaleb li vide immettersi nel traffico e dirigersi verso il centro. Uscì dalla Cherokee e tornò nel ristorante. Aveva fame. Non c'era un tavolo libero, così prese qualcosa da portare via. La vecchia signora a cui fece il suo ordine lo guardò con occhi tristi. Disse che avevano avuto molta gente e purtroppo la cucina aveva appena finito la lechon asada. 27 John Reason sorprese gli spettatori, i giurati e probabilmente la maggior parte della stampa, riservandosi di controinterrogare Bosch durante la presentazione del caso da parte della difesa. Era il momento migliore per assalirlo, anche perché l'attacco si sarebbe inserito in una strategia più ampia, quella di demolire le posizioni dell'accusa. Dopo una pausa pranzo durante la quale Bosch e i pubblici ministeri erano stati assillati dai giornalisti con una raffica di domande sulla testimonianza del detective, l'accusa andò avanti velocemente, sullo slancio dell'udienza mattutina. Kretzler e Langwiser si alternarono nell'esaminare una serie di testimonianze piuttosto brevi. La prima fu quella di Teresa Corazòn, capo dell'ufficio del coroner. Interrogata da Kretzler, riportò i risultati della sua autopsia e collocò l'ora della morte tra la mezzanotte e le due del mattino di venerdì 13 ottobre. Inoltre, durante la testimonianza confermò la rarità delle morti femminili
per asfissia autoerotica. Di nuovo Fowkkes si riservò il diritto di controinterrogare la teste successivamente. Corazòn fu congedata in meno di mezz'ora. Ora che aveva finito di testimoniare, Bosch non era tenuto a restare in aula tutto il tempo. Mentre Langwiser chiamava il teste successivo, un tecnico di laboratorio che avrebbe parlato di alcuni peli trovati sul corpo di Jody Krementz, di cui era stata accertata l'appartenenza a David Storey, accompagnò Teresa Corazòn alla sua auto. Molti anni prima avevano avuto quella che in genere viene definita una relazione casuale. Ma per Bosch, se anche non si era trattato di amore, il loro rapporto non era stato certo casuale. Dal suo punto di vista, erano due persone che, abituate a guardare in faccia la morte ogni giorno, la respingevano con l'atto che più di ogni altro affermava la vita. Teresa aveva interrotto tutto nel momento in cui era stata nominata responsabile dell'ufficio del coroner. Da allora la loro relazione era stata strettamente professionale, senza contare che la nuova posizione di lei la teneva lontana dalle autopsie e quindi Bosch non aveva più molte occasioni di vederla. Ma il caso di Jody Krementz era una cosa diversa. Corazòn aveva intuito che avrebbe potuto attirare l'attenzione dei media e aveva condotto l'autopsia personalmente. La sua scelta aveva pagato. La testimonianza, ripresa dalle televisioni, era stata vista in tutto il paese, se non in tutto il mondo. Lei era una donna attraente e intelligente, e si era rivelata competente e precisa. Quella mezz'ora sul banco dei testimoni era stata una straordinaria promozione, in vista di un lavoro autonomo molto ben remunerato. Bosch sapeva benissimo, per come la conosceva, che Teresa Corazòn non faceva niente per caso. La sua automobile era nel parcheggio vicino agli uffici per la libertà sulla parola, sul retro del tribunale. Mentre la raggiungevano, parlarono di banalità: il tempo, Harry che aveva smesso di fumare, finché lei non cambiò argomento. «Sembra che stia andando bene.» «Finora.» «Non sarebbe male se riuscissimo a spuntarla contro uno di questi pezzi grossi, per una volta.» «Già.» «Ti ho guardato testimoniare stamattina. Ho una TV in ufficio. Sei stato in gamba, Harry.» Conosceva quel tono. Voleva arrivare a qualcosa.
«Ma...?» «Ma hai l'aria stanca. E sai che non ti daranno tregua. Se riuscissero a distruggerti, avrebbero vinto la partita. Sei pronto?» «Credo di sì.» «Bene. Riposati.» «Più facile a dirsi che a farsi.» Mentre si avvicinavano al garage, videro un gruppo di persone riunite davanti all'ingresso come per una cerimonia. Dal tetto pendeva uno striscione con scritto BENTORNATA THELMA e un uomo in borghese stava consegnando una targa a una robusta donna nera che si appoggiava a un bastone. «Oh... è l'agente che è stata ferita l'anno scorso» disse Corazòn. «Da quel killer di Las Vegas, mi pare.» «Giusto, giusto» disse Bosch, ricordandosi la storia. «Si vede che è tornata.» Notò che non c'era neanche una telecamera a riprendere la premiazione. Una donna era stata colpita nell'adempimento del proprio dovere e aveva lottato per ritornare al suo posto. Evidentemente non valeva il prezzo di una videocassetta. «Bentornata» disse. La macchina di Corazòn si trovava al secondo piano. Era una Mercedes due posti nera, nuova di zecca. «Vedo che il mondo ti tratta bene» disse Bosch. Corazòn annuì. «Il mio ultimo contratto prevede quattro settimane di congedo per motivi professionali. Le sto sfruttando al massimo. Processi, televisione, cose di questo tipo. Ho partecipato anche a un programma televisivo, eseguendo un'autopsia a titolo dimostrativo. Sarà trasmesso il mese prossimo.» «Diventerai famosa in tutto il mondo.» Teresa sorrise, gli si avvicinò e gli tirò la cravatta. «So cosa pensi di tutto questo, Harry.» «Non importa cosa ne penso io. Sei felice?» Lei annuì. «Molto.» «Allora sono contento per te. È meglio che torni dentro. Ci vediamo.» Improvvisamente lei si alzò sulla punta dei piedi e gli diede un bacio sulla guancia. Era molto tempo che non ne riceveva. «Spero che tu ce la faccia, Harry.»
«Anch'io» Bosch uscì dall'ascensore e si diresse verso l'aula. Vide una fila di persone, in attesa che si liberasse un posto tra il pubblico. Un paio di giornalisti gironzolavano intorno alla porta della sala stampa, mentre gli altri stavano guardando il processo alla televisione. «Detective Bosch?» Si girò. Accanto a un telefono pubblico c'era McEvoy, il giornalista che aveva incontrato il giorno prima. Si fermò. «L'ho vista uscire e speravo di raggiungerla.» «Devo rientrare adesso.» «Lo so. Volevo solo dirle che devo parlarle urgentemente di una cosa.» «Cosa c'è di tanto importante?» «Riguarda lei.» McEvoy si avvicinò a Bosch in modo da non dover parlare a voce alta. «In che senso riguarda me?» «Sa che il Dipartimento dello Sceriffo sta indagando su di lei?» Bosch guardò verso la porta dell'aula e poi rivolse di nuovo lo sguardo al giornalista. McEvoy aveva tirato fuori un taccuino e una penna: era pronto per scrivere. «Aspetti un momento» disse Bosch mettendo una mano sul blocco. «Di cosa sta parlando? Che indagine?» «Edward Gunn. Si ricorda di lui? È morto, e sospettano di lei.» Bosch lo guardò senza parlare. «Pensavo che volesse fare un commento, difendersi. Scriverò un articolo per l'edizione della prossima settimana e volevo che lei avesse la possibilità di...» «No, nessun commento. Devo andare in aula.» Bosch si girò e fece qualche passo, poi si fermò e tornò indietro. McEvoy stava scrivendo qualcosa sul taccuino. «Che cosa scrive? Io non le ho detto niente.» «Lo so. È quello che sto scrivendo» rispose McEvoy, alzando la testa. «Ha detto la prossima settimana» disse Bosch. «Quando esce il New Times?» «Il giovedì mattina.» «Fino a quando ho tempo per decidere se parlare con lei?» «Mercoledì a pranzo, diciamo. Ma a quel punto sarà un po' tardi, al massimo riuscirò a inserire qualche frase. Il momento giusto per parlare è a-
desso.» «Chi gliel'ha detto? Chi è la sua fonte?» McEvoy scosse la testa. «Non posso rivelarglielo. A me interessa parlare del perché sospettano di lei. Ha ucciso lei Edward Gunn? Si sente una sorta di angelo vendicatore? È quello che pensano loro.» Bosch osservò il giornalista per un lungo momento prima di replicare. «Non mi citi e si levi di torno! Sono stato chiaro? Non so se è un maledetto bluff, ma l'avviso: è meglio che lei sia sicuro al cento per cento di quello che scriverà sul suo giornale. Un buon investigatore conosce sempre le motivazioni delle sue fonti, sa distinguere la verità dalle stronzate. Quindi le consiglio di andarci con i piedi di piombo.» Si girò e raggiunse in fretta la porta dell'aula. Langwiser aveva appena finito con l'esperto di peli e di nuovo Fowkkes si era riservato il diritto di controinterrogarlo in seguito. Mentre il teste usciva dal cancelletto alle spalle degli avvocati, Bosch scivolò in silenzio al suo posto. Incrociò le braccia e fissò il blocco che aveva lasciato sul tavolo. Aveva l'impressione di essere in una posizione simmetrica a quella di David Storey. La posizione di un uomo colpevole. Appoggiò le mani sulle ginocchia e guardò lo stemma della California appeso sopra la testa del giudice. Langwiser si alzò e chiamò il teste successivo, un tecnico delle impronte, la cui testimonianza non fece che confermare le cose già dette da Bosch. L'uomo se ne andò senza che Fowkkes contestasse alcunché. Seguirono l'agente di pattuglia che aveva risposto alla chiamata dell'amica di Jody Krementz e il sergente che era arrivato dopo di lui. Bosch ascoltava a stento quello che dicevano. Aveva la mente altrove. Pensava a McEvoy e al suo articolo. Sapeva che avrebbe dovuto informarne Langwiser e Kretzler, ma voleva avere il tempo di rifletterci. Decise di aspettare fin dopo il weekend. La coinquilina della vittima, Jane Gilley, fu la prima teste che non apparteneva alle forze dell'ordine. La sua testimonianza fu accorata e sincera e, oltre a confermare alcuni dettagli di quella di Bosch, aggiunse brandelli di informazioni personali. Raccontò quanto Jody Krementz fosse eccitata alla prospettiva dell'appuntamento con un pezzo grosso di Hollywood e come entrambe avessero passato il giorno prima a farsi belle: manicure, pedicure, parrucchiere...
«Ha pagato anche per me» disse. «Era così dolce.» La sua testimonianza diede un volto umano a un omicidio che fino a quel momento era stato visto e analizzato solo in modo asettico e professionale. Quando Janis Langwiser ebbe finito di interrogare la ragazza, Fowkkes si alzò e finalmente disse che voleva farle alcune domande. Si avvicinò al leggio senza appunti. Incrociò le mani dietro la schiena e si chinò leggermente verso il microfono. «Dunque, signorina Gilley, la sua amica era una ragazza attraente, vero?» «Sì, era bella.» «Ed era anche popolare? In altre parole, usciva con molti uomini?» Gilley annuì esitante. «Sì.» «E con quale frequenza?» «È difficile da dire. Non ero la sua segretaria, e poi io ho il mio ragazzo.» «Capisco. Allora fermiamoci alle dieci settimane precedenti la sua morte. Durante quante di queste settimane Jody non ha avuto appuntamenti?» Langwiser si alzò e fece obiezione. «Vostro Onore è ridicolo. Tutto questo non ha niente a che vedere con la notte tra il 12 e il 13 ottobre.» «Io credo di sì, Vostro Onore» replicò Fowkkes. «E credo che l'avvocato Langwiser lo sappia molto bene. Se me ne dà l'opportunità, lo dimostrerò rapidamente.» Houghton respinse l'obiezione e disse a Fowkkes di ripetere la domanda. «In quante, delle dieci settimane precedenti la sua morte, direbbe che Jody non ha avuto appuntamento con un uomo?» «Non so. Forse una, forse nessuna.» «Forse nessuna» ripeté Fowkkes. «E in quante di queste settimane direbbe che la sua amica ha avuto almeno due appuntamenti?» Langwiser fece un'altra obiezione, che fu nuovamente respinta. «Non lo so» rispose Gilley. «Molte.» «Molte» ripeté Fowkkes. Langwiser si alzò e chiese al giudice di ammonire Fowkkes affinché non ripetesse le risposte della testimone se non per fare una domanda. Il giudice acconsentì e Fowkkes continuò come se niente fosse. «Questi appuntamenti erano con la stessa persona?»
«No, si trattava quasi sempre di uomini diversi.» «Quindi le piacevano le avventure, è esatto?» «Immagino.» «È un sì o un no, signorina Gilley?» «È un sì.» «Grazie. Nelle dieci settimane precedenti la sua morte, in cui Jody Krementz ha avuto almeno due appuntamenti alla settimana, con quanti uomini diversi è uscita?» Gilley scosse la testa esasperata. «Non ne ho idea. Non tenevo il conto. E poi non vedo cosa c'entri questo con...» «Grazie, signorina Gilley. Le sarei grato se si limitasse a rispondere alle domande.» Aspettò e lei non disse niente. «Dunque, Jody Krementz aveva dei problemi quando smetteva di vedere un uomo? Quando passava a un altro?» «Non capisco cosa vuole dire.» «Voglio sapere se tutti gli uomini erano contenti di essere scaricati.» «Qualche volta si arrabbiavano, ma niente di serio.» «Non ci sono state minacce? La sua amica non aveva paura di qualcuno?» «No, che io sappia.» «Le parlava di tutti quelli con cui usciva?» «No.» «E dopo questi appuntamenti, portava spesso gli uomini a casa vostra?» «Qualche volta.» «E rimanevano per tutta la notte?» «Qualche volta, non so.» «Lei era spesso fuori, giusto?» «Sì, stavo spesso dal mio fidanzato.» «Perché?» La ragazza fece una risatina. «Perché lo amo.» «Bene, e vi è mai capitato di passare la notte a casa vostra, sua e della signorina Krementz, invece?» «Non che mi ricordi.» «Come mai?» «Perché lui vive da solo. A casa sua c'è una maggiore intimità.»
«Non è forse vero, signorina Gilley, che lei passava diverse notti la settimana a casa del suo fidanzato?» «È capitato. E allora?» «E che questo avveniva perché non le piaceva la costante processione di ospiti notturni della sua convivente?» Langwiser si alzò. «Vostro Onore, questa non è nemmeno una domanda. Obietto sulla forma e sul contenuto. Non stiamo processando lo stile di vita di Jody Krementz. Stiamo processando David Storey per omicidio, e non è corretto che la difesa si accanisca su qualcuno che...» «D'accordo, avvocato Langwiser, basta così.» Disse il giudice Houghton. Poi guardò verso il leggio. «Avvocato Fowkkes, le ho dato l'opportunità che voleva. Adesso concluda.» Fowkkes annuì. Bosch lo osservò. Era un vero attore. Aveva assunto l'aria frustrata di chi sa qual è la verità, ma viene continuamente ostacolato nel suo tentativo di svelarla. Si chiese se i giurati si fossero accorti che stava recitando. «Molto bene, Vostro Onore» disse con voce accorata. «Per il momento non ho altre domande.» Il giudice decretò un quarto d'ora di pausa e Bosch, fendendo la folla di giornalisti, accompagnò Gilley alla sua macchina. Le disse che era stata molto brava e che aveva risposto al controinterrogatorio di Fowkkes alla perfezione. Poi raggiunse Langwiser e Kretzler nel loro ufficio al secondo piano. C'era ancora un po' di caffè avanzato dalla mattina e non avevano tempo di rifarlo. Così si accontentarono di riscaldarlo mentre Langwiser e Kretzler commentavano l'andamento del processo. «Credo che questo continuo tentativo di dimostrare che Jody Krementz era una puttana alla lunga gli si ritorcerà contro» disse Langwiser. «Deve avere in mano qualcos'altro.» «Sta solo cercando di dimostrare che nella sua vita c'erano molti uomini» disse Kretzler. «E qualunque di loro potrebbe averla uccisa. È come sparare nel mucchio. Prima o poi si colpisce qualcuno.» «Anche questo non funzionerà.» «Be', vi dico una cosa: se John Reason continua a non voler controinterrogare i testi, faremo davvero in fretta. Finiremo martedì o mercoledì.» «Bene. Non vedo l'ora di vedere cos'hanno in mano.» «Io invece non ho nessuna fretta» interloquì Bosch. Langwiser lo guardò.
«Andiamo, Harry, hai già superato tempeste come questa!» «Sì, ma questa volta ho un brutto presentimento.» «Non ti preoccupare» disse Kretzler. «Li massacreremo per benino. Stiamo andando forte, amico, non ce la faranno a batterci.» Fecero cin cin con le tazze di plastica. Jerry Edgar, che era ancora partner di Bosch, e Kizmin Rider, che non lo era più, testimoniarono durante la sessione pomeridiana. A entrambi il procuratore chiese di raccontare quello che era successo dopo la perquisizione a casa di David Storey, quando Bosch, tornato nell'auto, aveva riferito che l'imputato si era vantato di aver commesso il crimine. Le loro testimonianze concordarono in tutto e per tutto con quella di Bosch. In futuro avrebbero potuto costituire una solida barriera contro gli eventuali attacchi della difesa. Il fatto che Edgar e Rider fossero neri, costituiva un'ulteriore elemento positivo nei confronti di una parte della giuria, che contava al suo interno cinque membri di colore. Rider testimoniò per prima e Fowkkes non la controinterrogò. La testimonianza di Edgar fu speculare a quella della ex partner, ma gli vennero poste delle domande supplementari, in quanto era stato lui a consegnare il secondo mandato di perquisizione. Si trattava di un ordine del tribunale per prelevare campioni di peli e di sangue a David Storey. Era stato firmato dal giudice nel momento in cui Bosch si trovava a New York per seguire la pista dell'Architectural Digest, mentre Rider era in vacanza alle Hawaii, una vacanza programmata prima dell'omicidio. Accompagnato da un agente di pattuglia, Edgar si era presentato di nuovo a casa di Storey alle sei di mattina con il mandato. Testimoniò che l'imputato li aveva fatti aspettare fuori mentre contattava il suo avvocato che, a quel punto, era già J. Reason Fowkkes. Messo al corrente della situazione, Fowkkes aveva detto al suo cliente di collaborare e l'imputato era stato portato al Parker Center dove un'infermiera gli aveva prelevato campioni di capelli, peli pubici e sangue. «Detective, ha mai fatto delle domande sul delitto all'imputato, in quell'occasione?» chiese Kretzler. «No» rispose Edgar. «Prima di lasciare casa sua, mi passò il telefono e io parlai con l'avvocato Fowkkes, il quale mi disse che il suo cliente non voleva essere interrogato, o molestato, per usare le sue parole, in alcun modo. Così, restammo in silenzio per tutto il percorso, almeno per quanto concerne me. E non parlammo neanche al Parker Center. Quando finimmo,
l'avvocato era lì e riaccompagnò lui l'imputato a casa.» «Il signor Storey ha fatto dei commenti non richiesti mentre era con lei?» «Solo uno.» «Dove vi trovavate?» «In macchina, diretti al Parker Center.» «Che cosa disse?» «Stava guardando fuori dal finestrino e disse soltanto: "Ve la prenderete nel culo se cercherete di mettermi dentro".» «E questa conversazione è stata registrata?» «Sì.» «Come mai?» «A causa delle precedenti ammissioni fatte al detective Bosch, pensammo che avrebbe potuto fare altre dichiarazioni del genere. Quel giorno presi in prestito un'automobile della Narcotici. È un'auto che usano quando vogliono incastrare qualche pusher che vende droga per strada. È attrezzata per le registrazioni.» «Ha portato la cassetta detective?» «Sì.» Kretzler chiese di introdurre la cassetta come prova. Fowkkes obiettò che non c'era bisogno di ascoltarla, visto che Edgar ne aveva già riferito il contenuto. Il giudice respinse nuovamente l'obiezione e la cassetta venne ascoltata. Kretzler la fece partire prima dell'affermazione di Storey, in modo che i giurati sentissero il rumore del traffico e si rendessero conto che Edgar non l'aveva indotto a parlare. Quando si arrivò alla frase di Storey, l'arroganza, addirittura l'odio, nei confronti di chi indagava su di lui emersero con chiarezza. Per far sì che i giurati, nel weekend, si portassero a casa quel tono di voce, Kretzler concluse lì le sue domande. Fowkkes, forse intuendo la manovra, disse che avrebbe fatto un breve controinterrogatorio a Edgar e procedette con una serie di innocue domande che non aggiunsero niente a quello che era già stato detto. Alle sedici e trenta in punto il giudice Houghton interruppe il processo. Mentre l'aula si riversava in corridoio, Bosch si guardò intorno in cerca di McEvoy, ma non lo vide. Edgar e Rider, che avevano bighellonato in giro dopo le loro testimonianze, lo raggiunsero. «Harry, che ne dici di andare a bere qualcosa?» disse Rider. «E se ci pigliassimo una bella sbronza?» replicò lui.
28 Aspettarono i clienti del charter fino alle dieci e mezza di domenica mattina, ma non si fece vedere nessuno. McCaleb se ne stava seduto a poppa in silenzio, rimuginando rabbiosamente su tutto: il charter mancato, la sua esclusione dal caso, l'ultima telefonata di Jaye Winston. Prima che uscisse di casa, Jaye aveva telefonato per scusarsi di come erano andate le cose il giorno prima. Lui aveva finto indifferenza e le aveva detto di non pensarci. Non le aveva ancora parlato di Buddy Lockridge e del suo timore che avesse ascoltato la loro conversazione sulla barca. Quando Jaye gli aveva detto che Twilley e Friedman ritenevano che lui dovesse consegnare loro tutta la documentazione sul caso, lui le aveva risposto che se la volevano potevano venirsela a prendere. Si erano salutati bruscamente. Anche Raymond era a poppa, con una piccola canna da pesca a mulinello che McCaleb gli aveva regalato prima che traslocassero sull'isola. Stava guardando le sagome di alcuni pesci che si muovevano qualche metro sotto la cresta dell'acqua trasparente. Buddy era seduto sulla sua sedia e stava leggendo le pagine locali del Los Angeles Times. Sembrava rilassato come un'onda estiva. McCaleb non lo aveva ancora affrontato, per manifestargli il sospetto che la fuga di notizie fosse partita lui. Stava aspettando il momento opportuno. «Ehi, Terrore, hai letto quest'articolo?» disse Lockridge. «Parla della testimonianza di Bosch.» «No.» «Accidenti, qui lasciano intendere che quel regista potrebbe essere un serial killer. Sembra uno dei tuoi casi. E dire che il tizio che gli punta il dito contro dal banco dei testimoni è...» «Buddy ti ho detto di non parlarne. O te lo sei dimenticato?» «Okay, scusa. Comunque, quando si dice l'ironia della sorte...» «Perfetto, fermati lì.» McCaleb controllò l'ora per l'ennesima volta. I clienti sarebbero dovuti arrivare alle dieci. Si alzò e si diresse verso la porta del salone. «Farò qualche telefonata» disse. «Non ho voglia di aspettare quella gente tutto il giorno.» Tirò fuori il blocco a spirale su cui registrava le prenotazioni dal cassetto del tavolino. Ce n'erano soltanto due: il charter di quel giorno e uno per il sabato successivo. I mesi invernali erano fiacchi. Guardò le informazioni
in cima al foglio. Non le aveva ancora viste perché era stato Buddy a combinare. Il charter era stato prenotato da quattro uomini di Long Beach. Era previsto che arrivassero il venerdì sera, dormissero al Zane Grey e dopo un giro di quattro ore, dalle dieci alle due, ripartissero con il traghetto. Buddy aveva preso il numero di telefono dell'organizzatore, il nome dell'albergo e metà della cifra come caparra. Guardò la lista degli alberghi attaccata al tavolino e cominciò col telefonare al Zane Grey. Gli dissero che nessuno con il nome dell'organizzatore l'unico di cui fosse in possesso - aveva pernottato lì. Allora chiamò a casa dell'uomo e gli rispose la moglie. Disse che il marito era fuori. «Bene, ha prenotato un giro in barca a Catalina. Sa se lui e i suoi amici sono in arrivo?» Seguì un lungo silenzio. «Signora, è ancora lì?» «Sì, sì. Solo che non sono andati a pesca oggi. Mi hanno detto di aver cancellato il viaggio. Stanno giocando a golf in questo momento. Posso darle il numero di cellulare di mio marito se vuole, così può parlare diret...» «Non è necessario, signora. Grazie, e buona giornata.» McCaleb chiuse il telefono. Adesso sapeva cos'era successo. Né lui né Buddy avevano controllato il servizio di segreteria telefonica. Compose il numero e il codice, praticamente certo che avrebbe trovato il messaggio che aspettava da mercoledì. Era lì: il gruppo cancellava la prenotazione, dicendo che avrebbe richiamato in seguito. «Come no» disse tra sé. Cancellò il messaggio e interruppe la comunicazione. Aveva voglia di scaraventare la testa di Buddy attraverso la porta di vetro, ma cercò di calmarsi. Andò nella piccola cambusa, prese un cartone di succo d'arancia dal frigorifero e tornò a poppa. «Niente charter oggi» disse, prima di bere una lunga sorsata. «Perché?» chiese Raymond con evidente disappunto. McCaleb si pulì la bocca sulla manica della maglietta. «L'hanno disdetto.» Lockridge alzò gli occhi dal giornale e McCaleb gli lanciò uno sguardo di fuoco. «Be', teniamo la caparra, no?» chiese Buddy. «Hanno pagato duecento dollari con carta di credito.» «No, non teniamo la caparra perché hanno disdetto la prenotazione mer-
coledì. Immagino che siamo stati entrambi troppo occupati per controllare la segreteria telefonica.» «Ah, cazzo! È colpa mia!» «Buddy, cerca di controllarti davanti al bambino, quante volte te lo devo dire?» «Scusa, scusa.» McCaleb continuava a fissarlo. Se aveva preferito non parlargli della soffiata a McEvoy prima del charter, era perché aveva bisogno di lui per gestire una partita di pesca con quattro persone. Ma adesso non serviva più. Era giunto il momento. «Raymond» chiamò continuando a fissare Lockridge, «vuoi ancora guadagnarti la paga?» «Aha!» «Quello è un sì?» «Sì.» «Bene, allora riavvolgi il tuo mulinello e sistema la lenza; poi togli queste canne, portale dentro e infilale nella rastrelliera, d'accordo?» «Subito.» Il bambino riavvolse velocemente la sua lenza, poi tolse l'esca e la buttò in acqua, agganciò l'amo a una delle apposite asole e appoggiò la canna in un angolo della poppa per portarsela via. Gli piaceva esercitarsi a lanciare la lenza dal balcone posteriore di casa pescando qualcosa che aveva fatto cadere nel cortile sottostante. Poi cominciò a tirare fuori le lunghe canne da pesca dai supporti in cui Buddy le aveva preparate per il charter. Ne prendeva due alla volta e le portava nel salone, dove le agganciava alla rastrelliera. Doveva montare coi piedi sul divano per arrivarci, ma era un vecchio divano - che aveva assoluto bisogno di un nuovo rivestimento - e a McCaleb non importava. «Qualcosa che non va Terrore? È solo un charter. Sapevamo che questo mese sarebbe stato fiacco.» «Non si tratta del charter, Bud.» «Allora che cosa? Il caso?» «Vuoi dire il caso di cui non mi occupo più?» «Immagino... non so. Non te ne occupi più? Quando è...» «No, Buddy, non me ne occupo più. E vorrei parlare con te di una cosa.» Aspettò che Raymond portasse dentro un'altra coppia di canne. «Leggi mai il New Times Buddy?» «Il settimanale?»
«Sì, il settimanale. Il New Times Buddy: esce il giovedì, ce n'è sempre un mucchio nella lavanderia di Cabrillo. Ma perché te lo chiedo? Io so che tu leggi il New Times.» Improvvisamente Lockridge abbassò lo sguardo con aria colpevole. Portò una mano alla faccia e se la strofinò, poi la tenne sugli occhi mentre parlava. «Terry, mi dispiace. Non avrei mai pensato che lo venissi a sapere. Che cosa è successo?» «Che cos'hai zio Buddy?» Il bambino era apparso sulla porta del salone. «Raymond, vuoi andare dentro e chiudere la porta, per favore?» disse McCaleb. «Puoi guardare la TV se vuoi. Ho bisogno di parlare con Buddy da solo.» Il bambino esitava e continuava a fissare Lockridge che si copriva la faccia. «Per favore Raymond. E rimetti questo in frigo.» Alla fine il bambino avanzò, prese il cartone di succo d'arancia e tornò dentro chiudendosi la porta alle spalle. McCaleb si girò di nuovo verso Lockridge. «Come potevi pensare che non sarei venuto a saperlo?» «Non lo so. Credevo che nessuno l'avrebbe saputo.» «Be' ti sbagliavi. E la cosa mi ha causato un sacco di problemi. Ma soprattutto è un fottutissimo tradimento Buddy. Non riesco a credere che tu mi abbia fatto una cosa simile.» McCaleb lanciò un'occhiata attraverso la porta di vetro per essere sicuro che il bambino non stesse ascoltando. Ma Raymond era scomparso, doveva essere sceso in cabina. McCaleb si rese conto che il suo respiro stava accelerando. Era così arrabbiato che aveva cominciato a iperventilare. Doveva calmarsi. «Lo dirai anche a Graciela?» chiese Lockridge con tono supplichevole. «Non lo so e non importa. Quello che importa è che noi avevamo un certo rapporto... e adesso tu mi fai questo alle spalle.» Lockridge continuava a coprirsi gli occhi con la mano. «Non credevo che avrebbe significato tanto per te, anche se l'avessi scoperto. Non era una cosa grossa e...» «Non cercare di minimizzare. E non parlarmi con quella vocina piagnucolosa. Stai zitto.» McCaleb si girò e camminò verso la poppa. Premendo le cosce contro il
bordo, guardò le colline al di là della zona commerciale e vide casa sua. Graciela era sul balcone con la bambina in braccio: la faceva ondeggiare e poi la teneva in alto, come si fa coi neonati. McCaleb ondeggiava con lei. «Cosa vuoi che faccia?» chiese Buddy alle sue spalle. La sua voce era più controllata adesso. «Cosa vuoi che dica? Che non lo farò mai più? Bene, non lo farò mai più.» McCaleb non si girò. Continuava guardare sua moglie e sua figlia. «Non importa che cosa non farai più. Il danno è fatto. Devo pensarci. Siamo soci oltre che amici. O almeno lo eravamo. Adesso vattene. Io entro con Raymond. Torna al molo con la scialuppa. Prendi il traghetto stasera. Non ti voglio intorno Buddy. Non ora.» «Ma voi come farete a rientrare?» Una domanda disperata con una risposta ovvia. «Chiamerò una barca-taxi.» «Abbiamo un charter sabato prossimo. Sono cinque persone e...» «Mi preoccuperò di sabato quando ci arriveremo. Posso sempre cancellarlo, o passarlo a Jim Hall.» «Terry, ne sei proprio sicuro? Io ho solo...» «Sono sicuro. Vattene Buddy. Non ho più voglia di parlare.» Finalmente McCaleb si girò, oltrepassò Lockridge ed entrò nel salone chiudendosi la porta alle spalle. Non si voltò a guardare Buddy. Andò al tavolino e tirò fuori una busta dal cassetto. Ci infilò un biglietto da cinque dollari, la chiuse e ci scrisse sopra «Raymond». «Ehi campione, dove sei?» chiamò. Per cena mangiarono toast al formaggio e del chili che McCaleb e Raymond avevano comprato in rosticceria tornando dalla barca. McCaleb era seduto di fronte alla moglie con Raymond alla sua sinistra e la piccola alla sua destra, su un seggiolino agganciato alla tavola. Avevano deciso di cenare in casa perché verso sera la nebbia aveva avvolto l'isola in una morsa fredda. McCaleb rimase cupo e silenzioso per tutto il pasto, così come era stato per la maggior parte della giornata. Vedendoli arrivare in anticipo, Graciela aveva deciso di tenersi a distanza ed era andata a fare una gita con Raymond al giardino botanico dell'Avalon Canyon. McCaleb era rimasto con Cielo. Non era stata una buona giornata per la bambina, che aveva dato continui segni di nervosismo. Ma lui non se ne era irritato; il fatto di doversi occupare della piccola l'aveva aiutato a distrarsi.
McCaleb aveva preparato i toast e quindi si era messo a tavola per ultimo. Aveva appena cominciato a mangiare, quando Graciela gli chiese cosa non andava. «Niente» disse lui. «È tutto a posto.» «Raymond mi ha detto che hai litigato con Buddy, oggi.» «Forse Raymond non dovrebbe mettere il naso negli affari che non lo riguardano.» Guardò il bambino mentre lo diceva e questi abbassò gli occhi sul piatto. «Sei ingiusto, Terry» disse Graciela. Aveva ragione e McCaleb lo sapeva. Si allungò e arruffò i capelli di Raymond. Sperò, con quel gesto, di riuscire a comunicargli le sue scuse. «Mi hanno escluso dal caso perché Buddy ne ha parlato con un giornalista.» «Cosa?» «Ho individuato un sospetto. È un poliziotto. Buddy ha origliato mentre spiegavo a Jaye Winston quello che avevo scoperto. Poi ne ha parlato a un giornalista e questi ha cominciato a darsi da fare. Jaye e il suo capitano sono convinti che la fuga di notizie sia partita da me.» «Ma non ha senso. Perché Buddy l'avrebbe fatto?» «Non lo so. Non l'ha detto. Anzi sì: ha detto che la cosa gli sembrava irrilevante e non credeva che me la sarei presa. Il senso era questo. Ecco cos'è successo sulla barca oggi.» Fece un gesto verso Raymond per fargli capire che di quello trattava la discussione di cui aveva colto qualche brandello. «Be', hai chiamato Jaye per dirle che è stato Buddy a parlare?» «No, non ha importanza. La responsabilità è mia, comunque. Sono stato così stupido da non accorgermi che era sulla barca. Possiamo cambiare argomento? Sono stanco di questa storia.» «Va bene, Terry, di cos'altro vuoi parlare?» Lui rimase in silenzio e lei anche. Dopo qualche attimo lui cominciò a ridere. «Non riesco a pensare a nient'altro per il momento.» Graciela finì di mangiare un boccone del suo toast. McCaleb guardò Gelo che stava fissando una palla bianca e blu appesa con una corda a lato del suo seggiolino. Stava cercando di afferrarla con le manine, ma non ci arrivava. McCaleb osservò i suoi inutili tentativi; anche lui si sentiva frustrato. «Raymond, racconta a papà quello che hai visto oggi» disse Graciela. Era così che aveva cominciato a chiamarlo, quando parlava con Ra-
ymond. L'avevano adottato, ma lui non voleva fare nessuna pressione sul bambino perché pensasse o si riferisse a lui come a un padre. «Abbiamo visto una volpe» disse. «Stava cacciando nel canyon.» «Credevo che le volpi cacciassero di notte e dormissero di giorno.» «Be', allora qualcuno l'ha svegliata, perché noi l'abbiamo vista. Era bella grossa.» «Fantastico!» esclamò McCaleb. «Peccato che non abbiate fatto una foto!» Mangiarono in silenzio per cinque minuti. Graciela pulì il mento della piccola con il tovagliolo. «Sarai contenta che io non debba più occuparmi del caso» continuò lui. «Ora la nostra vita potrà riprendere un ritmo normale.» Graciela lo guardò. «Io voglio solo che tu non corra rischi. Voglio che tutti noi possiamo vivere lontani dai pericoli. Ho bisogno di sicurezze, Terry.» Lui annuì e finì il suo toast. Lei continuò. «Voglio anche la tua felicità, ma se per questo hai bisogno di tornare a occuparti di indagini, allora c'è una contraddizione. Come fai a essere felice facendo qualcosa che mette a repentaglio la tua salute e il nostro benessere?» «Be', non devi più preoccuparti. Nessuno verrà più a chiamarmi dopo questa storia.» Si alzò per sparecchiare, ma prima di raccogliere i piatti si avvicinò al seggiolino di Cielo e le avvicinò la palla bianca e blu perché potesse raggiungerla. «Non andrà così» disse Graciela. McCaleb la guardò. «Ti dico di sì.» 29 McCaleb rimase fino all'alba con la bambina. Lui e Graciela si davano il cambio, perché almeno uno dei due passasse una notte di sonno decente. Cielo aveva una sorta di sveglia biologica, che suonava ogni ora. Quando si svegliava McCaleb doveva darle da mangiare, portarla in giro per la casa buia, battendole dei colpetti sulla schiena finché non faceva il ruttino, per poi rimetterla nella culla. Un'ora dopo, il rito ricominciava daccapo. Alla fine di ogni ciclo, McCaleb andava a controllare la porta d'ingresso.
Era una sua piccola mania. Quella notte la casa era avvolta dalla nebbia, tanto che, affacciandosi alla finestra, non riusciva nemmeno a vedere le luci del molo. Si chiese se anche sulla terraferma ci fosse nebbia e se Bosch, che abitava in cima alle colline, fosse come lui affacciato alla finestra a guardare la foschia notturna. La mattina Graciela prese la piccola e McCaleb, esausto per la nottata e per il continuo rimuginare, dormì fino alle undici. Quando si alzò la casa era immersa nel silenzio. Ancora in maglietta e boxer, andò prima in soggiorno e poi in cucina. Non c'era nessuno, ma Graciela aveva lasciato un biglietto sul tavolo di cucina per informarlo che avrebbe portato i bambini alla messa delle dieci e poi al mercato; sarebbero stati di ritorno per mezzogiorno. McCaleb tirò fuori dal frigo il succo d'arancia e ne riempì un bicchiere, poi prese le chiavi dell'armadio a muro in entrata. Lo aprì e ne tolse un sacchettino di plastica con la dose mattutina di medicine che lo tenevano in vita. Il primo di ogni mese lui e Graciela componevano le dosi con grande scrupolo, riponendole in sacchetti distinti con la data e l'indicazione «mattina» o «sera»: era molto più semplice che aprire decine di confezioni due volte al giorno. Portò il sacchetto in cucina e cominciò a inghiottire le pillole, due o tre alla volta, accompagnandole con delle sorsate di succo d'arancia. Mentre compiva il suo rito guardò dalla finestra della cucina verso il porto. La nebbia si era alzata. C'era ancora un po' di foschia, ma riusciva vedere il The Following Sea... e una scialuppa attaccata al ventaglio di poppa. Tirò fuori da uno dei cassetti della cucina il binocolo con il quale Graciela lo guardava partire o tornare quando aveva un charter. Uscì sul balcone posteriore e si appoggiò alla ringhiera. Nel pozzetto non c'era nessuno, e nemmeno sul ponte. Non riusciva a vedere oltre la porta a specchio del salone. Spostò il binocolo sulla scialuppa: era di un verde scrostato e aveva un piccolo motore fuoribordo. La riconobbe, era una di quelle che affittavano al molo. McCaleb tornò dentro, appoggiò il binocolo sul tavolo di cucina e si fece scivolare le pillole restanti in una mano. Le portò insieme al succo d'arancia in camera da letto e le inghiottì rapidamente mentre si vestiva. Buddy Lockridge non avrebbe affittato una scialuppa per andare al The Following Sea, conosceva il suo Zodiac e avrebbe preso quello. Sulla barca c'era qualcun altro.
Dovette raggiungere il molo a piedi perché Graciela aveva preso la macchina elettrica. Quando arrivò, una ventina di minuti dopo, andò all'agenzia di noleggio per chiedere chi avesse preso la scialuppa, ma lo sportello era chiuso e un cartello diceva che non avrebbe riaperto prima delle dodici e trenta. Era mezzogiorno meno dieci, non poteva aspettare. Andò alla banchina, montò sullo Zodiac e mise in moto. Mentre si avvicinava al The Following Sea, guardò di nuovo la porta del salone, ma non riuscì a vedere niente che indicasse la presenza di qualcuno a bordo. A una trentina di metri dalla barca spense il motore e continuò a muoversi, scivolando sull'acqua in silenzio. Aprì la tasca della giacca a vento e tirò fuori una pistola, la Glock 17 che aveva conservato dai tempi del Bureau. Lo Zodiac sbatté delicatamente contro il ventaglio di poppa. McCaleb guardò dentro la scialuppa, ma vide solo i giubbotti di salvataggio e i galleggianti, nessun indizio sulla persona che l'aveva affittata. Salì a poppa e, restando chino, legò lo Zodiac a una delle gallocce. Si alzò e guardò verso l'arcaccia, ma vide solo il suo riflesso inquadrato nella porta del salone. Doveva avvicinarsi senza sapere se, dall'interno, qualcuno lo stava osservando. Si accucciò di nuovo e si guardò intorno. Si domandò se non fosse meglio tornare indietro e chiamare la polizia portuale. Ma decise subito che non era il caso. Diede un'occhiata alle colline verso casa sua e si lanciò verso l'arcaccia. Tenendo la pistola nascosta dietro il fianco, raggiunse la porta e guardò la serratura. Non era danneggiata e non c'era alcun segno di effrazione. Tirò la maniglia e l'anta scorrevole si aprì. Era certo di averla chiusa il giorno prima, quando aveva lasciato la barca con Raymond. Entrò. Il salone era deserto e in perfetto ordine, sembrava che non fosse stato toccato niente. Si chiuse la porta alle spalle e tese l'orecchio. Nessun rumore, a parte il lieve frangersi dell'acqua contro la barca. I suoi occhi si spostarono verso gli scalini che portavano alle cabine e al bagno. Andò in quella direzione, questa volta puntando la pistola davanti a sé. Al secondo scalino un'asse incrinata gemette sotto il suo peso. McCaleb s'immobilizzò e rimase in ascolto. Ancora niente. Il silenzio era rotto soltanto dall'instancabile sciabordio delle onde. In fondo agli scalini c'era un breve corridoio con tre porte che si aprivano, verso il fondo, sulla cabina trasformata in ufficio, a destra su quella del capitano e a sinistra sul bagno. La porta a sinistra era chiusa e McCaleb non ricordava come l'avesse lasciata ventiquattro ore prima. Quella del bagno era spalancata e fissata a un
gancio della parete interna di modo che non sbattesse. La porta dell'ufficio infine era socchiusa, e oscillava leggermente insieme alla barca. C'era una luce accesa all'interno, secondo McCaleb quella della scrivania, ricavata da una delle cuccette inferiori, a sinistra della porta. Decise di controllare prima il bagno, poi l'ufficio e infine la cabina. Avvicinandosi al bagno sentì puzza di fumo. Il locale era vuoto e comunque era troppo piccolo perché qualcuno ci si potesse nascondere. Quando si girò verso l'ufficio con la pistola, udì una voce chiamarlo dall'interno. «Entra, Terry.» La riconobbe. Avanzò con cautela e, tenendo sempre la pistola puntata, usò la mano libera per spingere la porta. Quando la spalancò vide Harry Bosch seduto alla scrivania, che lo guardava, appoggiato comodamente allo schienale. Le mani, bene in vista, erano entrambe vuote, a parte la sigaretta spenta tra l'indice e il medio della destra. McCaleb entrò lentamente, continuando a tenere la pistola puntata su Bosch. «Vuoi spararmi? Non ti basta avermi accusato?» «Questa è violazione di domicilio.» «Allora direi che siamo pari.» «Che cosa vuoi dire?» «Il piccolo show a casa mia, l'altra sera, come lo chiameresti? "Harry, ho un paio di domande da farti sul caso Gunn". Solo che non mi hai chiesto niente. Hai guardato la foto di mia moglie e hai indagato sulla mia vita privata, poi mi hai chiesto del quadro appeso in corridoio, hai bevuto le mie birre e... ah già, mi hai raccontato di aver trovato Dio negli occhi della tua bambina. Come lo chiami questo, Terry?» Con aria indifferente Bosch fece ruotare la sedia e lanciò un'occhiata alla scrivania. McCaleb seguì il suo sguardo e vide che il suo computer portatile era acceso. Lo schermo era aperto sul file con gli appunti per il profilo a cui stava lavorando, prima che la situazione cambiasse. «E questo sembra una violazione della mia privacy» continuò Bosch con gli occhi fissi sullo schermo. «Se non peggio.» Nel movimento il giubbotto di pelle si era aperto, rivelando la pistola appesa al fianco. McCaleb continuò a tenere la sua in posizione di tiro. Bosch lo guardò. «Non avevo mai visto una cosa simile. Conoscendoti, mi sembra la prima fase di un profilo. Non so come sia successo, ma per qualche motivo ti
sei sbagliato. Non sono io il tuo uomo.» Lentamente McCaleb si sedette sulla cuccetta di fronte a lui. Aveva allentato la tensione del braccio che reggeva la pistola. Sapeva di non correre un pericolo immediato; se Bosch avesse voluto, gli avrebbe teso un agguato quando era entrato. «Non dovresti essere qui, Harry. Non dovresti parlare con me.» «Lo so, tutto quello che dirò potrà essere usato contro di me in tribunale. Ma sei stato tu a prendermi di mira e voglio che tu la smetta.» «Be', sei in ritardo. Non c'entro più con questo caso. E non so se sarai molto contento di sapere chi se ne sta occupando.» Bosch lo guardò, in attesa. «La Sezione Diritti Civili del Bureau. Credi che la Affari Interni ti abbia massacrato? Be', non sai cosa ti aspetta adesso. Quella gente vive solo per portare a casa uno scalpo. E uno scalpo del Dipartimento di Polizia vale più di qualsiasi altra cosa.» «Com'è successo... È stato il giornalista?» McCaleb annuì. «Il che significa che ha parlato anche con te.» «Ci ha provato. Ieri.» Bosch si guardò attorno, gli occhi gli caddero sulla sigaretta che aveva in mano e se la infilò in bocca. «Ti dà fastidio se fumo?» «L'hai già fatto.» Bosch tirò fuori un accendino dal giubbotto e accese la sigaretta. Poi estrasse il cestino della carta straccia da sotto la scrivania per usarlo come portacenere. «Non riesco a smettere.» «Personalità dipendente. Per un detective può essere una cosa positiva e negativa al tempo stesso.» «Già, pazienza...» Aspirò una boccata. «Ci conosciamo da quanto, dieci, dodici anni?» «Più o meno.» «Abbiamo lavorato insieme, e tu non lavori con qualcuno senza farti un'idea della sua psiche e delle sue capacità. Sai di cosa parlo, no?» McCaleb non rispose. Bosch fece cadere un po' di cenere nel cestino. «E sai cosa mi dà fastidio, più ancora dell'accusa? Che sia stato tu a formularla. Come hai potuto pensarlo? Che idea ti sei fatto di me per arri-
vare a questa conclusione?» McCaleb alzò entrambe le mani, come a significare che la risposta era ovvia. «Le persone cambiano. Se c'è una cosa che ho imparato nel mio lavoro è che in certe circostanze siamo capaci di tutto.» «Stronzate. Non...» La frase gli morì in bocca. Guardò il computer e i fogli sparsi sulla scrivania, poi, puntando la sigaretta verso lo schermo disse: «Parli di buio... più buio della notte.» «E allora?» «Quando ero in Vietnam...» Aspirò a fondo, poi buttò indietro la testa espirando il fumo verso il soffitto. «Mi hanno spedito nelle gallerie... be', vuoi sapere cos'è il buio? È quello il buio. Cazzo, c'erano volte in cui non riuscivi a vederti la mano a due centimetri dalla faccia. Era così buio che gli occhi ti facevano male per lo sforzo di mettere a fuoco qualcosa, qualunque cosa.» Bosch fece un altro lungo tiro. McCaleb osservava i suoi occhi; erano persi nel ricordo. Poi, all'improvviso, tornarono al presente. Il detective si chinò e schiacciò la sigaretta contro la parete interna del cestino, poi la lasciò cadere all'interno. «È così che cerco di smettere: fumo questa merda al mentolo e mai più di mezza alla volta. Sono sceso a un pacchetto alla settimana.» «Non funzionerà.» «Lo so.» Guardò McCaleb e fece un mezzo sorriso, quasi scusandosi. Poi i suoi occhi cambiarono di nuovo, tornando a immergersi nei ricordi. «A volte il buio non era totale. Nelle gallerie intendo. Qualche volta c'era luce sufficiente per trovare la strada. Il bello è che non ho mai capito da dove arrivasse. Era come se fosse rimasta intrappolata là dentro insieme a noi. Io e i miei compagni la chiamavamo la luce perduta. Forse era perduta, ma noi riuscivamo a trovarla.» McCaleb aspettò, ma Bosch non aggiunse altro. «Che cosa mi vuoi dire, Harry?» «Che ti è sfuggito qualcosa. Che cosa, non so, ma ti è sfuggito.» Bosch puntò su McCaleb i suoi occhi scuri. Allungò la mano verso la scrivania, prese il mucchio di documenti che aveva portato Jaye Winston e glielo scagliò addosso, facendolo volare attraverso la cabina. McCaleb non fece nulla per afferrare i fogli, che caddero disordinatamente sul pavi-
mento. «Ti conviene rimetterti a studiarli. Il risultato di quello che hai visto ti ha portato a me, ma qualcosa ti è sfuggito. Torna sui tuoi passi e trova il pezzo mancante. Anche il risultato cambierà.» «Te l'ho detto. Sono stato estromesso dal caso.» «E io ti ci sto riportando dentro.» Il tono era di quelli che non ammettevano repliche. McCaleb non aveva scelta. «Hai tempo fino a mercoledì. È la scadenza di quello scribacchino. Devi bloccare il suo articolo, tirando fuori la verità.» Rimasero in silenzio a lungo, guardandosi. McCaleb aveva incontrato decine di assassini quando lavorava al Bureau e pochi avevano ammesso il loro crimine. In questo Bosch poteva anche non essere diverso dagli altri. Ma il suo sguardo fermo e l'intensità con cui lo fissava convinsero McCaleb che forse c'era qualcosa di vero nelle sue parole. «Storey ha ucciso due donne, per limitarci a quello che conosciamo. È il mostro a cui hai dato la caccia per tutta la vita. E adesso... gli stai offrendo la chiave che gli aprirà la porta della gabbia. Uscirà e ripeterà il suo crimine. Conosci il genere. Sai che lo farà.» McCaleb non riusciva a reggere lo sguardo di Bosch. Abbassò gli occhi sulla pistola che aveva in mano. «Che cosa ti fa credere che ti prenderò sul serio, che farò quello che mi chiedi?» domandò. «Come te, anch'io ho cercato di inquadrarti. E so che lo farai. In caso contrario, il mostro che avrai liberato ti ossessionerà per tutta la vita. Se è vero che negli occhi di tua figlia hai visto Dio, come farai a guardarla ancora?» Inconsciamente McCaleb annuì. «Una volta mi hai detto che se Dio è nelle piccole cose anche il diavolo lo è» continuò Bosch. «Intendevi dire che spesso la persona che stiamo cercando è proprio davanti a noi, solo che non riusciamo a vederla. È una frase a cui ripenso spesso e che mi aiuta ancora.» McCaleb annuì di nuovo, poi guardò i documenti sparpagliati sul pavimento. «Ascoltami, Harry, quando ne ho parlato a Jaye, ero convinto della mia teoria. Non sono sicuro di riuscire a cambiare strada. Forse non sono la persona giusta per aiutarti.» Bosch scosse la testa e sorrise.
«È esattamente il contrario. Se sei convinto di una cosa, puoi convincere il mondo intero.» «Già... dov'eri la notte di Capodanno? Perché non cominciamo da qui?» Bosch alzò le spalle. «A casa.» «Da solo?» Bosch non rispose e si alzò per andarsene. Infilò le mani nelle tasche del giubbotto, uscì dalla porta e salì gli scalini fino al salone. McCaleb lo seguì, tenendo la pistola lungo il fianco. Bosch aprì la porta scorrevole con una spalla e una volta uscito alzò gli occhi verso il profilo delle colline, poi si voltò a guardare McCaleb. «Allora quelle chiacchiere sulla mano di Dio erano tutte balle? Facevano parte di una sorta di interrogatorio? Volevi solo vedere come reagivo?» McCaleb scosse la testa. «No, era la verità.» «Bene. Speravo che fosse così.» Bosch raggiunse il ventaglio di poppa. Dopo aver slegato la scialuppa, vi salì e si sedette sul panchetto posteriore. Prima di mettere in moto guardò ancora una volta McCaleb e indicando il retro della sua barca chiese: «The Following Sea, che cosa vuol dire?». «È stato mio padre a chiamarla così. La barca era sua, prima. È l'onda che segue, quella che ti colpisce prima che tu la veda arrivare. Credo che per lui fosse una sorta di avvertimento, qualcosa come "guardati alle spalle".» Bosch annuì. «In guerra ci dicevamo "occhi aperti".» «È la stessa cosa.» Rimasero in silenzio per qualche istante. Bosch appoggiò la mano sulla manopola dell'accensione, senza mettere in moto. «Conosci la storia di questo posto, Terry? Mi riferisco a prima che arrivassero i missionari.» «No, e tu?» «Un po'. Quando ero piccolo mi piacevano i libri di storia. Li prendevo in prestito dalla biblioteca, soprattutto quelli su Los Angeles e la California. Una volta, quando ero in istituto, venimmo in gita fin qui, e poi lessi qualcosa, per documentarmi.» McCaleb annuì.
«Gli indiani che vivevano qui, i Gabrielinos, adoravano il sole. Poi arrivarono i missionari e tutto cambiò. Sono stati loro a chiamarli Gabrielinos; prima avevano un altro nome, non ricordo quale. Comunque, il sole era così importante per la vita sull'isola, che l'avevano scambiato per un Dio.» McCaleb guardava gli occhi di Bosch passare al setaccio il porto. «Gli indiani che vivevano sulla terraferma credevano che quelli di qui fossero dei potenti maghi, in grado di controllare il tempo e le onde grazie ai sacrifici che facevano al loro Dio. Certo, dovevano essere dei tipi tosti per attraversare la baia e portare i loro manufatti sulla terraferma.» McCaleb osservava Bosch nel tentativo di cogliere il messaggio che, ne era certo, il detective stava cercando di trasmettergli. «Che cosa stai cercando di dirmi, Harry?» Bosch si strinse nelle spalle. «Non lo so, forse che la gente trova Dio dove ne ha bisogno. Nel sole, negli occhi di un neonato... in un cuore nuovo.» Guardò McCaleb con gli occhi neri e impenetrabili, simili a quelli del gufo dipinto. «E qualcuno» rispose McCaleb, «trova la salvezza nella giustizia e nella verità.» Questa volta Bosch annuì e offrì il suo mezzo sorriso. «Suona bene.» Mise in moto, dando un unico strappo. Poi rivolse un saluto ironico a McCaleb e diresse la barca verso il molo, tagliando attraverso le boe di ormeggio non utilizzate. McCaleb lo seguì con lo sguardo. Un uomo solo su una vecchia barca di legno. Si chiese se si stesse riferendo a Bosch o a se stesso. 30 Sul traghetto di ritorno Bosch comprò una Coca Cola sperando che gli sistemasse lo stomaco e evitandogli il mal di mare. Chiese a un marinaio quale fosse la zona più stabile della barca e quello gli indicò i sedili all'interno. Si sedette, bevve un sorso di Coca e tirò fuori dal giubbotto dei fogli piegati. Prima che McCaleb arrivasse a bordo dello Zodiac, era riuscito a stampare due file. Uno si intitolava SCENA DEL DELITTO, l'altro PROFILO DEL SOGGETTO. Poi si era infilato i fogli nella tasca interna del giubbotto e aveva spento la stampante. Era riuscito a malapena a dare un'occhiata
sul monitor, e adesso voleva leggerseli con attenzione. Cominciò da quello sulla scena del delitto. Consisteva in un'unica pagina, apparentemente incompleta: una semplice lista di note e impressioni buttate giù da McCaleb mentre guardava la videocassetta. Tuttavia aiutava a capire il suo metodo di lavoro e mostrava il collegamento tra le osservazioni fatte guardando la scena del delitto e l'elaborazione del profilo di un eventuale sospetto. SCENA DEL DELITTO 1. Legatura 2. Nudo 3. Ferita alla testa 4. Nastro\bavaglio - «Cave»? 5. Secchio? 6. Gufo - che sorveglia? molto organizzato attento ai dettagli la scena è una dichiarazione era presente - guardava (gufo?) esposizione della vittima = umiliazione = odio, disprezzo secchio - rimorso? assassino - conosceva la vittima conoscenza personale - precedente interazione odio personale l'assassino appartiene alla cerchia delle conoscenze Se la scena è una dichiarazione, che cosa vuole comunicare l'assassino? Bosch rilesse la pagina una seconda volta prima di fermarsi a riflettere. Nonostante non conoscesse nei dettagli la scena sulla quale McCaleb aveva fatto le sue osservazioni, era impressionato dai passaggi logici del detective. Passo dopo passo era arrivato alla conclusione che l'assassino di Gunn era qualcuno che lo conosceva, che bisognava cercarlo all'interno della cerchia delle sue frequentazioni. Era un punto importante. In genere, una delle priorità nelle indagini era stabilire se l'assassino avesse avvicinato la sua vittima solo in quel particolare momento o anche in precedenza. La lettura che McCaleb aveva fatto della scena del delitto lo aveva portato a concludere che l'assassino conosceva Gunn, che c'era stato un prelu-
dio a quell'ultimo fatale incontro. Anche la seconda pagina conteneva solo brevi appunti, che probabilmente McCaleb progettava di trasformare in un profilo più completo. Leggendoli, Bosch si rese conto che alcuni gruppi di parole erano roba sua. SOSPETTO Bosch: istituto, Vietnam, Dipartimento di Polizia emarginazione - alienazione ossessivo - compulsivo sguardo perso missione - angelo vendicatore la grande ruota continua a girare - nessuno può sfuggirle tutto torna alcool moglie - divorzio? perché? Alienazione - ossessione madre casi sistema giudiziario inteso come «fregatura» il mondo esterno - appestati colpevole? Harry = Hieronymus gufo = male male = Gunn eliminazione di Gunn = annullamento dello stress quadri - demoni - diavoli - male buio e luce - il confine tra loro punizione madre - giustizia - Gunn mano di Dio - polizia - Bosch punizione = compito di Dio Più buio della notte - Bosch
Bosch non sapeva come interpretare quegli appunti. I suoi occhi erano attratti dall'ultima riga che lesse ripetutamente, chiedendosi cosa avesse inteso dire McCaleb. Dopo un po' ripiegò con cura i fogli e rimase immerso a lungo nelle sue riflessioni. C'era qualcosa di totalmente surreale nel suo starsene lì seduto su quel traghetto, cercando di interpretare le ragioni per cui qualcuno lo sospettava di omicidio. Cominciò a sentire una sensazione di nausea e si rese conto che gli stava venendo il mal di mare. Buttò giù il resto della Coca Cola e si alzò. Rimise i fogli nel giubbotto. Si diresse verso l'uscita e spinse la pesante porta a prua. Immediatamente fu colpito dall'aria fredda. In lontananza, vedeva il profilo della terraferma. Continuò a guardare l'orizzonte respirando a fondo. Dopo pochi minuti cominciò a sentirsi meglio. 31 McCaleb rimase seduto a lungo sul vecchio divano del salone. Pensava all'incontro con Bosch. Era la prima volta in tutta la sua esperienza di investigatore che un individuo sospettato di omicidio veniva a chiedere il suo aiuto. Si chiese se fosse stato un atto disperato o il desiderio sincero di ristabilire la verità. Che cosa sarebbe successo se lui non avesse notato la scialuppa agganciata al ventaglio di poppa? Bosch l'avrebbe aspettato? Scese nella cabina che fungeva da ufficio e guardò i documenti sparpagliati sul pavimento. Si domandò se Bosch non li avesse lanciati appositamente in modo che cadendo a terra si mescolassero. Chissà se aveva preso qualcosa. Andò alla scrivania e osservò il computer. Non era attaccato alla stampante, ma questo non significava niente. Chiuse il file aperto e aprì la finestra della stampante. Vide che erano stati stampati due file quel giorno quello sulla scena del delitto e il profilo del sospetto. Quindi Bosch li aveva presi. McCaleb lo immaginò seduto sul traghetto a leggere quello che aveva scritto su di lui. La cosa lo fece sentire a disagio. Nessuno dei suoi sospetti aveva mai letto gli appunti che lo riguardavano. Scacciò quel pensiero e decise di occuparsi d'altro. Si chinò e cominciò a raccogliere i rapporti sull'omicidio, limitandosi a farne una pila prima di metterli in ordine. Una volta finito, si sedette alla scrivania con la pila davanti. Tirò fuori
da un cassetto un foglio bianco e usando il grosso pennarello con cui preparava le etichette dei suoi raccoglitori scrisse: TI È SFUGGITO QUALCOSA Con un pezzo di scotch attaccò il foglio sulla parete davanti alla scrivania e rimase a guardarlo per un po'. Tutto ciò che Bosch aveva detto era riassunto in quella frase. Adesso lui doveva decidere se rispondeva a verità o se si trattava del tentativo di manipolazione di un uomo disperato. Sentì il cellulare che suonava. Era nella tasca della giacca a vento, che aveva lasciato sul divano. Corse su per la scala fin nel salone e l'afferrò. Era Graciela. «Siamo tornati» disse. «Pensavo di trovarti a casa. Mi era venuta l'idea di andare a pranzo a El Encanto.» «Um...» McCaleb non aveva nessuna voglia di lasciare l'ufficio e nemmeno di interrompere le sue riflessioni su Bosch. Ma l'ultima settimana era stata piuttosto tesa. Forse sarebbe stato utile parlarne. «Senti» le disse alla fine, «sto finendo un paio di faccende. Perché non prendi i bambini e ci troviamo direttamente là?» Guardò l'orologio, era l'una meno un quarto. «L'una e mezza è troppo tardi?» «Va bene» disse lei bruscamente. «Quali faccende?» «Oh, niente... sto chiudendo tutta la storia per Jaye.» «Mi avevi detto di esserne fuori.» «Lo sono, ma ho qui tutti i rapporti e voglio scrivere la mia conclusione.» «Non fare tardi, Terry.» Il tono con cui lo disse significava che avrebbe perso molto più del pranzo se non si fosse presentato in tempo. «Non ti preoccupare. Ci vediamo lì.» Interruppe la comunicazione e tornò in ufficio. Aveva circa mezz'ora prima di prendere lo Zodiac per tornare. El Encanto, uno dei pochi ristoranti che restavano aperti nei mesi invernali, era a circa cinque minuti a piedi dal molo. Si sedette e cominciò a mettere in ordine rapporti e documenti. Non era difficile: ogni pagina aveva un timbro con la data, in alto a destra. Ma McCaleb si fermò quasi subito. Guardò il messaggio che aveva attaccato
alla parete. Decise che se doveva cercare qualcosa che fino a quel momento gli era sfuggito, doveva arrivarci per un'altra strada. Non doveva mettere i documenti in fila, li avrebbe letti in ordine sparso, così come gli capitavano. Così sarebbe stato più libero di cogliere eventuali stranezze o particolari a cui prima non aveva badato. Avrebbe dovuto analizzare ogni singolo documento come un pezzo del puzzle. Era un semplice trucco, che aveva già adottato in altri casi, al Bureau. Qualche volta gli era capitato di notare cose che prima gli erano sfuggite. Controllò di nuovo l'ora e iniziò con il primo documento della pila. Era il referto d'autopsia. 32 McCaleb camminò di buon passo fino a El Encanto. Vide la sua macchina parcheggiata sulla curva. In genere le macchine elettriche dell'isola si assomigliavano tutte, ma lui riconosceva la sua dal seggiolino di Cielo, con i cuscini bianchi e rosa. Quando entrò, la cameriera lo riconobbe e gli indicò la sua famiglia. Si avvicinò a passo rapido e scostò la sedia accanto a Graciela. Avevano quasi finito. Il conto era già arrivato. «Mi dispiace, sono in ritardo.» Prese una patatina dalla ciotola posta in mezzo alla tavola, la immerse nel guacamole e se la infilò in bocca. Graciela guardò l'ora e lo fulminò con lo sguardo. Lui non abbassò gli occhi, preparandosi a quello che, ne era certo, sarebbe seguito. «Non posso fermarmi» disse. Graciela appoggiò rumorosamente la forchetta sul piatto. Aveva finito. «Terry...» «Lo so, lo so, ma è successo qualcosa di nuovo, devo andare a terra stasera.» «Cosa può essere successo? Tu non c'entri più con questo caso. È domenica. La gente guarda la partita la domenica, non va in giro a cercare di risolvere omicidi senza che nemmeno glielo abbiano chiesto.» Indicò una televisione in un angolo della sala. Sullo schermo, tre cronisti sportivi se ne stavano seduti, tutti impettiti, davanti a un campo di calcio. McCaleb sapeva che dalle partite di quel giorno sarebbero uscite le squadre che avrebbero giocato il SuperBowl. Non gliene poteva importare di meno, anche se si ricordò di aver promesso a Raymond che avrebbero
guardato almeno una delle partite insieme. «Me l'hanno chiesto, Graciela.» «Ma che cosa stai dicendo? Non hai detto che ti hanno appena buttato fuori?» Lui le parlò dell'incontro con Bosch. «È il tizio di cui hai parlato a Jaye?» McCaleb annuì. «Come fa a sapere dove vivi?» «Non lo sa. Sa della barca, non dove viviamo. Non devi preoccuparti.» «Io invece credo di sì. Terry, ti stai spingendo troppo in là, non riesci più a vedere i pericoli in cui cacci te stesso e la tua famiglia. Credo...» «Davvero? Io invece credo che...» Si bloccò e tirò fuori di tasca due quarti di dollaro. «Hai finito di mangiare?» chiese a Raymond. «Aha.» «Vorrebbe dire sì?» «Sì.» «Okay, allora prendi questi. Vai a farti qualche partita ai videogiochi, vicino al bar.» Il bambino prese le monete. «Ti do io il permesso di alzarti da tavola.» Esitante, Raymond saltò giù dalla sedia e trotterellò nella sala attigua, dove c'era una serie di videogiochi a cui avevano già giocato insieme. McCaleb lo vide scegliere il Pac Man e sedersi. Poi guardò di nuovo la moglie, che aveva la borsa in grembo e stava tirando fuori i soldi per pagare il conto. «Graciela, lascia perdere e guardami.» Lei terminò quello che stava facendo, poi rimise il portafogli nella borsa e lo guardò. «Dobbiamo andare. CiCi deve fare il sonnellino.» La piccola era nel suo seggiolino, sulla tavola, e stringeva la palla bianca e blu. «Può dormire lì. Ascoltami solo per un momento.» Aspettò e lei assunse un'espressione condiscendente. «Va bene. Di' quello che devi dire, in fretta perché devo andare.» McCaleb si girò e si chinò verso di lei, perché nessuno potesse sentire quello che le diceva. Osservò il contorno del suo orecchio che spuntava tra i capelli.
«Stiamo affrontando un grosso problema, non è vero?» Graciela annuì e immediatamente le lacrime cominciarono a scorrerle sulle guance. Era come se, dicendo quelle parole a voce alta, lui avesse abbattuto la sottile barriera protettiva che lei aveva eretto dentro di sé per difendere se stessa e il suo matrimonio. McCaleb estrasse il tovagliolo inutilizzato da sotto le posate e glielo porse. Poi le mise una mano dietro al collo, l'attirò a sé e la baciò sulle guance. Alzando lo sguardo, vide Raymond che li fissava spaventato. «Dobbiamo parlarne, Graci» cominciò. «Tu ti sei messa in testa che, se io torno al mio lavoro, non potremo più avere una famiglia, una casa, la nostra vita insomma. Il problema sta in quel "se". Il fatto è che non c'è nessun "se". Il mio lavoro è questo. Ho cercato a lungo qualcos'altro, ho provato a convincermi...» Le lacrime aumentarono e la donna nascose la faccia nd tovagliolo. Piangeva in silenzio, ma McCaleb era sicuro che tutti nel ristorante li avevano notati e stavano guardando loro invece della televisione. Controllò Raymond e vide che era tornato a giocare. «Lo so» balbettò Graciela. Era sorpreso da quella consapevolezza. La prese per un buon segno. «Allora, che cosa facciamo? Non sto parlando di adesso e di questo caso. Voglio dire, che cosa facciamo d'ora in poi? Graci, io sono stanco di provare a essere quello che non sono, ignorando l'unica cosa che mi interessi veramente. Questo caso mi ha permesso di rendermene conto, mi ha dato il coraggio di ammetterlo.» Lei non disse nulla e lui continuò. «Io ti amo e amo i bambini, lo sai. I miei sentimenti non sono in discussione. Il problema è che io sono convinto di poter avere entrambe le cose e tu invece no. Mi hai messo davanti a un aut-aut e a me non sembra giusto, né onesto.» Sapeva che le sue parole la ferivano. Stava segnando un limite. Uno di loro doveva arrendersi e non sarebbe stato lui. «Senti, pensiamoci. Questo non è il posto adatto. Finirò quello che devo fare, poi parleremo con calma del nostro futuro. D'accordo?» Lei annuì lentamente, senza guardarlo. «Fa' quello che devi» disse con un tono di voce che, McCaleb ne era certo, l'avrebbe fatto sentire in colpa per il resto dei suoi giorni. «Spero solo che tu stia attento.» Lui si chinò verso di lei e la baciò di nuovo.
«Ho troppo da perdere perché non sia così.» Si alzò e girò attorno al tavolo per avvicinarsi a sua figlia. La baciò sulla testa, la liberò dalla cinghia e la prese in braccio. «La porto io» disse. «Tu vai a chiamare Raymond.» Raggiunse la macchina e depose Cielo nel suo seggiolino agganciando la cintura di sicurezza. Poi infilò l'altro seggiolino nel baule. Graciela arrivò pochi minuti dopo. Aveva gli occhi gonfi di pianto. McCaleb appoggiò una mano sulla spalla del bambino e lo accompagnò fino al sedile accanto al suo. «Raymond, guarderai la seconda partita senza di me. Ho un lavoro da sbrigare.» «Vengo con te. Posso aiutarti.» «No, non si tratta di un charter.» «Lo so, ma posso aiutarti lo stesso.» McCaleb sapeva che Graciela gli stava alle spalle e lo guardava; il suo dolore gli scaldava la schiena come i raggi del sole. «Grazie, forse la prossima volta. Metti la cintura.» Quando il bambino si fu agganciato, McCaleb si allontanò dalla macchina. Guardò Graciela, che aveva distolto gli occhi. «Bene» disse, «sarò di ritorno il più presto possibile. Porto con me il cellulare, nel caso tu voglia chiamarmi.» Graciela non reagì. Si allontanò dalla curva e imboccò Marilla Avenue. Lui li seguì con lo sguardo finché non sparirono in lontananza. 33 Mentre tornava al molo il suo telefono squillò. Era Jaye Winston che lo richiamava. Parlava a bassa voce e gli disse che era a casa di sua madre. McCaleb la sentiva male, così si sedette su una panchina, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e tenne il telefono incollato all'orecchio con entrambe le mani. «Ci è sfuggito qualcosa» disse. «Mi è sfuggito qualcosa.» «Di cosa stai parlando?» «Nel fascicolo dell'omicidio. Nel rapporto sull'arresto di Gunn. Lui era...» «Terry... cosa stai facendo? Tu non c'entri più.» «Chi lo dice, l'FBI? Ho smesso di lavorare per loro, Jaye.» «Allora lo dico io. Non voglio che tu faccia altre...»
«Non lavoro nemmeno per te, ricordi?» Ci fu un lungo silenzio. «Terry, qualunque cosa tu stia architettando, devi smetterla. Non hai né l'autorità, né la posizione per farlo. Se Twilley e Friedman scoprono che stai ancora ficcando il naso in questa storia ti possono arrestare per interferenza. E sai che sono capaci di farlo.» «Se ti serve una "posizione", ce l'ho.» «Che cosa dici? Ti ho ritirato la mia autorizzazione ieri. Non credere di rigirarmi come ti pare.» McCaleb esitò, ma poi decise di rivelarle tutto. «In un certo senso sto lavorando per l'accusato.» Questa volta il silenzio di Jaye Winston fu ancora più lungo. Quando si decise a parlare, lo fece molto lentamente. «Mi stai dicendo che sei andato da Bosch?» «No. È venuto lui da me. È comparso sulla mia barca questa mattina. Avevo ragione riguardo all'altra notte. Sai, la storia delle coincidenze: prima io mi presento a casa sua e poi arriva la telefonata della sua partner che gli parla di te. Ha fatto due più due. Senza contare che è stato fermato anche dal giornalista del New Times. Sapeva già tutto. Ma la questione è un'altra, Jaye. Il fatto è che credo di essermi buttato su Bosch troppo in fretta. Mi è sfuggito qualcosa, e adesso non sono più tanto sicuro di averci visto giusto. C'è la possibilità che sia tutta una messa in scena.» «A quanto vedo ti ha convinto.» «No, mi sono convinto da solo.» Si udivano delle voci in sottofondo e lei gli disse di aspettare un momento. McCaleb udì altre voci, soffocate dalla mano che copriva la cornetta, ma evidentemente impegnate in una discussione. Si alzò e continuò a camminare verso il molo. Jaye Winston tornò immediatamente all'apparecchio. «Scusa» disse, «non è un buon momento. Ho da fare adesso.» «Possiamo incontrarci domani mattina?» «Ma cosa dici?» reagì Winston con voce quasi stridula. «Mi hai appena detto che lavori per un indagato. Non ho nessuna intenzione di incontrarti. Cosa cazzo credi che penseranno gli altri? Aspetta un attimo...» Di nuovo udì la sua voce soffocata scusarsi con qualcuno per il linguaggio. Poi riprese la conversazione. «Devo proprio andare.» «Senti, a me non interessa cosa pensano gli altri. A me interessa la veri-
tà, e credevo che interessasse anche a te. Se non vuoi incontrarmi, benissimo, facciamo a meno. Io vado avanti da solo.» «Terry, aspetta!» Lui si bloccò, ma Jaye non disse niente. Intuì che era stata distratta da qualcosa. «Cosa c'è, Jaye?» «Cos'è che ci sarebbe sfuggito?» «Era nel pacchetto di documenti sull'ultimo arresto di Gunn. Dopo che Bosch ti ha detto di avergli parlato mentre era in cella, hai tirato fuori i verbali. E io mi sono limitato a scorrerli la prima volta che ho letto il fascicolo.» «Ho tirato fuori i verbali» ripeté lei in tono difensivo. «Ha passato la notte del 30 dicembre in prigione: è lì che l'ha visto Bosch, quindi...» «Ed è uscito la mattina dopo. Alle sette e trenta.» «Va bene, e allora? Non capisco.» «Guarda chi ha pagato la cauzione.» «Terry, sono dai miei genitori, non ho niente con me...» «Giusto, scusa. È stato Rudy Tafero.» Silenzio. McCaleb era arrivato al molo. Attraversò la passerella che portava alle scialuppe e si appoggiò alla ringhiera tenendo la mano a coppa sull'orecchio. «Okay, Rudy Tafero gli ha pagato la cauzione» disse Jaye Winston. «Suppongo che abbia la licenza come garante. Che cosa significa?» «Evidentemente non guardi la TV in questi giorni. Sì, è vero, Tafero ha la licenza, o almeno ha scritto un numero sul foglio di rilascio. Ma è anche un consulente per la sicurezza e - preparati - lavora per David Storey.» Winston non disse niente, ma McCaleb riusciva a sentire il suo respiro. «Terry, vacci piano. Stai facendo troppe congetture.» «Nessuna congettura, Jaye.» «Insomma, il tipo è un garante per le cauzioni. È il suo mestiere. Tira fuori la gente di prigione. Scommetto una scatola di cioccolatini che il suo ufficio è piazzato proprio di fronte alla stazione di Polizia di Hollywood, come tutti gli altri. Probabilmente tira fuori un terzo degli ubriachi e un quarto delle prostitute che finiscono dentro.» «Non credo che sia così semplice, e nemmeno tu.» «Non dirmi quello che credo io.» «Tutto questo è avvenuto nel bel mezzo della preparazione del processo Storey. Perché Tafero ha firmato una cauzione di suo pugno?»
«Forse perché gli piace fare tutto da solo e forse, come ho detto, perché non doveva fare altro che attraversare la strada.» «Non ci credo. E c'è dell'altro. La ricevuta di rilascio dice che Gunn ha fatto la telefonata di rito alle tre del mattino. Il numero è quello di sua sorella, a Long Beach.» «E allora? Lo sapevamo già.» «Le ho telefonato e le ho chiesto se ha chiamato un garante per il fratello. Mi ha risposto di no, che era stanca di ricevere chiamate in piena notte e, testuale, che non ne poteva più di tirarlo fuori dai guai. Così gli ha detto che doveva cavarsela da solo.» «Allora lui è andato da Tafero. Cosa c'è che non va?» «Come l'ha contattato? Poteva fare solo una telefonata.» Questa volta Winston non sapeva cosa rispondere. Rimasero in silenzio per un po'. McCaleb guardò attraverso il porto. Le barche gialle che fungevano da taxi si aggiravano lentamente, vuote, a parte l'uomo al timone. «Che cosa farai?» chiese alla fine Winston. «Dove andrai con questa roba?» «Vengo a terra questa sera. Possiamo incontrarci domani mattina?» «Dove? Quando?» Dal tono di voce si capiva che era eccitata all'idea di quell'incontro. «Alle sette e mezza, di fronte alla stazione Hollywood.» Ci fu una pausa poi Jaye Winston disse: «Aspetta un momento, non posso. Se Hitchens fiuta qualcosa sono finita. Mi spedisce a Palmdale e concluderò la mia carriera cercando ossa nel deserto». McCaleb si aspettava un'obiezione del genere. «Hai detto che i due del Bureau vogliono il fascicolo dell'omicidio, giusto? Quando ci incontreremo l'avrò con me. Questo dovrebbe tacitarli.» Ci fu un altro silenzio, mentre Winston considerava la cosa. «Sì, credo che funzionerà. A domani.» 34 Quando Bosch arrivò a casa, vide che la luce della segreteria telefonica stava lampeggiando. C'erano due messaggi, lasciati dai due avvocati dell'accusa del processo Storey. Decise di richiamare per prima Janis Langwiser. Mentre componeva il numero si chiese quale questione urgente avesse spinto entrambi a chiamarlo. Magari erano stati contattati dagli agenti dell'FBI, o forse dal giornalista.
«Che succede?» chiese quando Langwiser rispose. «Se mi chiamate tutti e due deve essere qualcosa di grosso.» «Harry! Come stai?» «Me la cavo. Che cosa bolle in pentola?» «Cos'hai, la sfera di cristallo? Roger sta venendo qui, cucino io stasera. Vogliamo esaminare ancora una volta la testimonianza di Annabelle Crowe. Vuoi unirti a noi?» Bosch sapeva che Janis viveva ad Aqua Dulce, a un'ora di macchina da casa sua. «Ti dirò, ho guidato tutto il giorno. Fino a Long Beach e ritorno. Avete davvero bisogno di me?» «No, non preoccuparti. Non volevamo che ti sentissi tagliato fuori. Ma non è per questo che ti abbiamo chiamato.» «Perché allora?» Era in cucina e stava mettendo nel frigo una confezione da sei di Anchor Steam. Tirò fuori una bottiglia prima di richiuderlo. «C'è una cosa di cui Roger e io stiamo discutendo dall'inizio del weekend. Ne abbiamo parlato anche con Alice Short.» Alice Short era il procuratore distrettuale che si occupava dei processi più importanti ed era anche il loro capo. Sembrava proprio che fossero stati contattati a proposito del caso Gunn. «Di che cosa state discutendo?» chiese. Infilò la birra nell'apribottiglia a muro e fece schioccare il tappo. «Be', riteniamo che il caso sia andato liscio come l'olio. Tutti i pezzi combaciano. È assolutamente blindato, Harry, e pensiamo che domani dovremmo dare il botto finale.» Bosch rimase in silenzio per un momento mentre cercava di decodificare il linguaggio. «Stai dicendo che volete finire domani?» «Sì. Ne discuteremo ancora questa sera, ma abbiamo la benedizione di Alice Short e Roger è convinto che sia davvero la cosa giusta. La mattina convochiamo un gruppetto di testimoni di tutto riposo e il pomeriggio chiamiamo Annabelle Crowe. Concludiamo con lei. Una storia umana.» Bosch non riusciva a parlare. Magari era anche la mossa giusta per l'accusa, ma avrebbe dato mano libera a J. Reason Fowkkes già da martedì. «Cosa ne pensi?» Bevve una lunga sorsata di birra. Non era molto fresca, era rimasta troppo tempo in macchina.
«Penso che avete un solo colpo in canna» disse continuando la metafora militaresca. «Farete meglio a rifletterci bene stasera, davanti al vostro piatto di pasta. Non avrete una seconda possibilità.» «Ne siamo consapevoli, Harry. Come fai a sapere che sto preparando la pasta?» Riusciva a sentire il sorriso nella sua voce. «Ho tirato a indovinare.» «Non ti preoccupare, ci rifletteremo bene. Anzi, l'abbiamo già fatto.» Si interruppe per permettergli di rispondere qualcosa, ma lui rimase in silenzio. «Nel caso decidessimo di seguire questa strada, qual è la situazione della Crowe?» «Sta aspettando dietro le quinte. Pronta a scattare.» «Puoi contattarla questa sera?» «Non c'è problema. Le dirò di essere lì domani a mezzogiorno. «Grazie Harry, ci vediamo domattina.» Riagganciarono. Bosch si domandò se doveva telefonare a McCaleb per dirgli cosa stava succedendo. Decise di aspettare. Andò in soggiorno e accese lo stereo. Il CD di Art Pepper era ancora sul lettore. In un attimo la stanza fu invasa dalla musica. 35 McCaleb era appoggiato alla sua Cherokee davanti alla stazione Hollywood quando, a bordo di una BMW Z3, arrivò Jaye Winston, Quando scese, si accorse che McCaleb stava fissando la sua automobile. «Ero in ritardo. Non ho fatto in tempo a prendere la macchina di servizio.» «Mi piace il tuo trabiccolo. Sai come dicono a Los Angeles: dimmi cosa guidi e ti dirò chi sei.» «Non fare il profilo anche a me, Terry. Cazzo, non ti rilassi mai, vero? Dove sono il fascicolo e la cassetta?» Scurrile un'altra volta. Ma McCaleb tenne le sue osservazioni per sé. Dall'interno dell'auto prese fascicolo e videocassetta e glieli diede. Mentre lei li portava nella sua macchina, McCaleb chiuse la Cherokee lanciando un'occhiata attraverso il finestrino al pavimento posteriore, dove c'era una scatola coperta dal giornale del mattino. Prima di recarsi all'appuntamento si era fermato in una copisteria e aveva fotocopiato l'intero fascicolo. La
cassetta era un problema: non sapeva dove duplicarla in così poco tempo. Così si era limitato a comprarne una vuota e a infilarla nella custodia che gli aveva dato Jaye Winston. Sperava che non avrebbe controllato. Quando la donna tornò, lui indicò con il mento il marciapiede opposto. «Mi sa che ti devo una scatola di cioccolatini.» Lei seguì il suo sguardo. Dall'altra parte della strada c'era un edificio fatiscente a due piani, quasi interamente occupato dagli uffici dei garanti per la libertà sulla parola. A ogni finestra, illuminata da luci al neon a buon mercato, c'era un numero di telefono, forse per aiutare i potenziali clienti a memorizzarli mentre ci passavano davanti sull'auto della polizia. Un'insegna sulla finestra centrale diceva: VALENTINO CAUZIONI. «Qual è?» chiese Winston. «Valentino. Sta per Rudy Valentino Tafero. Lo chiamavano così quando lavorava da questa parte della strada.» McCaleb osservò ancora per un momento l'edificio basso e scosse la testa. «Continuo a non capire che cosa c'entri un garante per la libertà sulla parola con David Storey.» «Hollywood è solo spazzatura coi soldi. Allora, che cosa vogliamo fare? Non ho molto tempo.» «Hai il distintivo?» Lei gli lanciò uno sguardo che significava «non mi provocare» e lui le spiegò quello che intendeva fare. Entrarono nella stazione di Polizia. Al bancone d'ingresso Winston mostrò il distintivo e chiese del sergente responsabile dei turni di guardia notturni. Un uomo che esibiva una targhetta con il nome Zucker uscì da un piccolo ufficio. Winston aprì di nuovo il distintivo, poi presentò se stessa e McCaleb, definendolo il suo socio. Zucker aggrottò le folte sopracciglia, senza approfondire cosa significasse socio. «Stiamo lavorando a un caso di omicidio avvenuto la vigilia di Capodanno. La vittima aveva passato la notte precedente nella vostra cella. Noi...» «Edward Gunn.» «Esatto. Lo conosceva?» «È stato qui diverse volte. E ho saputo che non ci tornerà più.» «Abbiamo bisogno di parlare con l'agente che era di guardia quella notte.» «Allora dovete parlare con me. Non abbiamo compiti precisi qui, ci dobbiamo arrangiare. Cosa volete sapere?»
McCaleb tirò fuori alcuni fogli fotocopiati dal fascicolo dell'omicidio e li sparpagliò sul bancone. Notò l'occhiataccia di Jaye Winston, ma decise di ignorarla. «Siamo interessati alla persona che ha pagato la cauzione» disse. Zucker girò le pagine in modo da poterle leggere e puntò il dito sulla firma di Rudy Tafero. «È lui. Rudy Tafero. Ha un ufficio dall'altra parte della strada. È venuto qui e l'ha tirato fuori.» «L'ha chiamato qualcuno?» «Sì, il detenuto.» McCaleb picchiò il dito sulla ricevuta di rilascio. «Qui dice che Gunn ha chiamato questo numero, quello di sua sorella.» «Allora dev'essere stata lei a telefonare a Rudy.» «Quindi nessuno ha fatto due telefonate.» «No, in genere siamo così occupati che sono fortunati se riescono a farne una.» McCaleb annuì, poi piegò le fotocopie e stava per rimetterle via, ma Jaye Winston gliele tolse di mano. «Queste le tengo io» disse infilandole nella tasca posteriore dei suoi jeans neri. «Sergente Zucker» disse, «non è che lei, considerato il fatto che Tafero è un ex poliziotto, l'ha chiamato per informarlo che avevate un potenziale pollastro in cella, vero?» Zucker la guardò per un momento con la faccia di pietra. «È molto importante, sergente. La cosa potrebbe avere delle conseguenze.» La pietra si frantumò in un sorriso privo di ironia. «No. Né io né uno dei miei uomini» disse Zucker. «E, a proposito, ho appena finito il mio turno, il che significa che non sono più obbligato a rispondere alle vostre domande. Buona giornata.» Fece per allontanarsi dal bancone, ma Winston disse rapida: «Un'ultima cosa sergente». Zucker si girò. «È stato lei a chiamare Harry Bosch per dirgli che Gunn era in cella?» Annuì. «Aveva fatto una richiesta permanente: ogni volta che beccavamo Gunn lui voleva essere avvertito. È venuto e gli ha parlato. Ha cercato di fargli dire qualcosa a proposito di quel vecchio caso. Bosch è uno che non mol-
la.» «Qui dice che Gunn è stato registrato alle due e trenta. Ha telefonato a Bosch nel bel mezzo della notte?» «Faceva parte dell'accordo. A Bosch non importava l'ora. Per essere precisi la procedura era che io lo chiamassi sul cercapersone, era lui a telefonare.» «È andata così anche quella notte?» «Sì: io l'ho cercato e lui mi ha telefonato. Gli ho detto che avevamo preso di nuovo Gunn e lui è arrivato. Ho provato a dirgli di aspettare fino alla mattina perché il tipo era ubriaco fradicio - Gunn intendo - ma lui è venuto lo stesso. Perché mi state rivolgendo tutte queste domande su Harry Bosch?» Winston non rispose e McCaleb intervenne. «Non è esattamente così. Le nostre domande sono su Edward Gunn.» «Be', vi ho detto tutto quello che so. Posso andare adesso? È stata una lunga notte.» «Non lo sono tutte?» disse Winston. «Grazie, sergente.» Si allontanarono dal bancone e uscirono dalla stazione. «Che cosa ne pensi?» «Mi è sembrato onesto. Ho un'idea, restiamo nel parcheggio della stazione per qualche minuto.» «Perché?» «Dammi retta. Vediamo con che macchina torna a casa il sergente.» «Mi stai facendo perdere tempo, Terry.» Si infilarono nella Cherokee e fecero il giro dell'isolato per raggiungere il parcheggio della stazione di Polizia. McCaleb entrò e si fermò davanti all'idrante antincendio. Sistemò lo specchietto retrovisore in modo da vedere le macchine che lasciavano il parcheggio. Rimasero seduti senza parlare per un paio di minuti. Fu Jaye Winston a rompere il silenzio. «Se siamo quello che guidiamo, tu cosa sei?» McCaleb sorrise. «Non ci ho mai pensato. Suppongo l'esemplare di una razza in via d'estinzione.» «Già, lo strato di polvere lo dimostra.» «Ci siamo. Credo sia lui.» McCaleb vide una macchina allontanarsi dall'uscita e girare a sinistra verso di loro. «Sta venendo da questa parte.»
Non si mossero. La macchina si fermò proprio accanto alla loro. McCaleb si girò con indifferenza e i suoi occhi incontrarono quelli di Zucker. Il poliziotto abbassò il finestrino. McCaleb non aveva scelta: abbassò il suo. «È parcheggiato di fronte all'idrante, detective. Attenzione alla multa.» McCaleb annuì. Zucker salutò con un cenno della mano e se ne andò. Era al volante di una Crown Victoria con ruote e paraurti di serie. Era una macchina di pattuglia usata, comprata per quattrocento dollari e fatta riverniciare per meno di cento. «Sembriamo una coppia di stronzi» disse Winston. «Già.» «Allora, qual è la tua teoria su quella macchina?» «O è un uomo onesto, o viene al lavoro con il macinino perché non vuole che la gente veda la sua Porsche.» Fece una pausa. «...o la sua BMW.» Si girò verso di lei e sorrise. «Molto divertente, Terry. E adesso? Ho anche un lavoro vero di cui occuparmi. Dovrei incontrare i tuoi amici del Bureau stamattina.» «Vieni con me... e non sono miei amici.» Mise in moto la Cherokee e si allontanò dalla curva. «Pensi davvero che questa macchina sia sporca?» chiese. 36 L'ufficio postale di Wilcox era un largo edificio risalente alla seconda guerra mondiale, con soffitti altissimi e affreschi rappresentanti scene bucoliche di fratellanza e buoni sentimenti. Gli occhi di McCaleb scrutarono i dipinti, ma non per i loro meriti artistici. Contò tre piccole telecamere montate sopra la zona aperta al pubblico. Le indicò a Jaye Winston. Forse avevano una possibilità. Aspettarono in fila e quando venne ü loro turno la donna mostrò il distintivo e chiese del responsabile della sorveglianza. Furono indirizzati a una porta, accanto a una fila di distributori automatici e aspettarono quasi un quarto d'ora prima che si aprisse e un nero con i capelli grigi piuttosto basso guardasse fuori. «Il signor Lucas?» chiese Winston. «Esatto» rispose lui con un sorriso. Winston mostrò ancora una volta il distintivo e presentò McCaleb senza
fornire spiegazioni. Lungo il tragitto dalla stazione Hollywood, McCaleb le aveva fatto presente che non gli sembrava una buona idea presentarlo come il suo socio. «Stiamo indagando su un omicidio, signor Lucas, e una prova importante è un bollettino di conto corrente che è stato pagato qui il 22 dicembre.» «Il ventidue? In pieno caos natalizio.» «Già.» Winston guardò McCaleb e disse: «Abbiamo notato le telecamere alle pareti, signor Lucas, e saremmo interessati a sapere se avete una videocassetta del 22 dicembre». «Una videocassetta» ripeté Lucas, come se la parola gli fosse incomprensibile. «Lei è il responsabile della sorveglianza qui, giusto?» chiese Winston con impazienza. «Sì, sono io. Mi occupo io delle telecamere.» «Può farci entrare e mostrarci il vostro sistema di sorveglianza, signor Lucas?» chiese McCaleb gentilmente. «Certo che posso. Non appena avrete l'autorizzazione vi farò entrare.» «Come e dove possiamo chiedere l'autorizzazione?» domandò Winston. «Facendone richiesta alla sede centrale.» «E dobbiamo parlare con qualcuno in particolare? Stiamo indagando su un omicidio, signor Lucas, il tempo è essenziale.» «Dovrebbe essere il signor Preechnar. È un ispettore postale. Sì, dovreste parlare con lui.» «Le dispiace se entriamo e chiamiamo il signor Preechnar insieme?» chiese McCaleb. «Ci farebbe risparmiare del tempo prezioso e il signor Preechnar potrebbe parlare direttamente con lei.» Lucas rifletté sulla proposta per un momento, poi decise che era una buona idea e annuì. «Vediamo che cosa si può fare.» Aprì la porta e li condusse attraverso una gran quantità di enormi cesti di posta in un minuscolo ufficio con due scrivanie attaccate. Su una c'era un monitor diviso in quattro riquadri con altrettante visuali della zona aperta al pubblico. McCaleb si rese conto che gliene era sfuggita una. Lucas fece scorrere il dito su una lista di numeri attaccata alla scrivania e ne compose uno. Parlò con il suo supervisore per spiegargli la situazione, quindi lo passò a Winston. Lei diede le spiegazioni del caso e ripassò la cornetta a Lucas. Guardò McCaleb e annuì. Avevano l'autorizzazione.
«D'accordo, allora» disse Lucas, dopo aver riagganciato. «Vediamo cosa abbiamo qui.» Sollevò un mazzo di chiavi che teneva agganciato alla cintura con una specie di minuscolo guinzaglio avvolgibile. Andò dall'altra parte dell'ufficio e aprì un piccolo armadio. Su uno scaffale erano riposti i videoregistratori, mentre gli altri quattro erano pieni di videocassette numerate da uno a trentuno. Per terra c'erano due scatoloni con le cassette vergini. All'improvviso McCaleb si rese conto che era il 22 gennaio, un mese esatto dal giorno in cui era stato pagato il gufo. «Signor Lucas, fermi tutto» disse. «Non posso. Le telecamere sono programmate per entrare in funzione quando apriamo.» «Lei non capisce. Noi vogliamo il 22 dicembre. Sta registrando proprio sulla cassetta relativa a quel giorno.» «Calma, detective McCallan. Non è così semplice, devo fermare l'impostazione.» McCaleb non si preoccupò di correggere il suo nome. Non c'era tempo. «Allora faccia in fretta, per favore.» McCaleb controllò l'ora. Erano le otto e quarantotto. L'ufficio postale era aperto da quarantotto minuti, il che significava quarantotto minuti del 22 dicembre cancellati. Lucas cominciò a interrompere la procedura di registrazione. C'era un videoregistratore per ogni telecamera, in cui ogni mattina veniva inserita una cassetta nuova. La telecamera era impostata per fare trenta inquadrature al minuto, in modo che un nastro bastasse per l'intera giornata. Le cassette relative a un giorno venivano conservate per un mese e riutilizzate in quello successivo, a meno che non venissero reclamate dall'ispettore postale. «Abbiamo un sacco di strana gente da queste parti. Sapete com'è, a Hollywood. Va a finire che molti nastri ci vengono richiesti dall'ispettore.» «Ci rendiamo conto, signor Lucas» disse Winston con una certa urgenza nella voce, come contagiata dall'ansia di McCaleb. «Per favore può spegnere i videoregistratori o metterci delle altre cassette? Stiamo registrando su quelle che potrebbero costituire delle prove importanti.» «Subito» disse Lucas, poi tirò fuori quattro cassette vergini da uno dei cartoni, prese quattro etichette e le attaccò sulle cassette, quindi con una penna che teneva dietro l'orecchio vi scrisse sopra la data e una specie di codice. Finalmente, cominciò a tirare fuori le cassette sostituendole con le
nuove. «E adesso, che cosa volete fare con queste? Sono proprietà dell'ufficio postale. Non possono lasciare l'edificio. Se volete, ho una televisione con videoregistratore incorporato.» «È sicuro che non possiamo prenderle in prestito solo per oggi?» chiese Winston. «Potrei fargliele riavere entro le...» «Non senza un ordine del tribunale. Questo è ciò che mi ha detto il signor Preechnar e questo è quello che farò.» «Allora immagino che non abbiamo scelta» disse Winston, guardando McCaleb e scuotendo la testa, la frustrazione dipinta sul volto. Mentre Lucas andava a prendere la televisione, McCaleb e Winston decisero che lui sarebbe rimasto a guardare le cassette mentre lei sarebbe tornata in ufficio per l'appuntamento delle undici con Twilley e Friedman. Disse che non avrebbe fatto parola sulla nuova indagine di McCaleb o sulla possibilità che l'essersi concentrati su Bosch fosse un errore. Si sarebbe limitata a restituire il fascicolo e la videocassetta. «Lo so che non credi alle coincidenze, Terry, ma per il momento non hai altro in mano. Se trovi qualcosa su queste cassette, lo porto al capitano e buttiamo a mare Twilley e Friedman. Ma finché non ce l'hai... Io sono ancora in disgrazia, ho bisogno di qualcosa di più di una semplice ipotesi per cercare da qualche altra parte.» «E la telefonata a Tafero?» «Io non so niente della telefonata. Se non è stato Zucker, dev'essere stato qualcun altro della stazione, d'accordo con lui. Il resto è solo speculazione, senza l'ombra di un fatto.» «Io credo che...» «Basta, Terry. Non voglio sentire più niente finché non avrai una prova. Vado a lavorare.» Proprio in quel momento riapparve Lucas, spingendo un carrello con una televisione. «Vi sistemo questa» annunciò. «Signor Lucas, io devo andare a un appuntamento» disse Winston. «Rimarrà il mio collega a guardare le cassette. Grazie per la collaborazione.» «Felice di esserle stato d'aiuto signora.» Winston si girò verso McCaleb. «Chiamami.» «Vuoi che ti accompagni alla macchina?» «Sono pochi isolati, vado a piedi.»
Lui annuì. «Buona caccia» disse lei. McCaleb annuì di nuovo. Gliel'aveva detto un'altra volta, durante un caso che non si era concluso troppo felicemente per lui. 37 Langwiser e Kretzler dissero a Bosch che, alla fine, avevano stabilito di concludere la presentazione del caso quel giorno. «L'abbiamo in pugno» disse Kretzler sorridendo soddisfatto. «Quando avremo finito, sarà inchiodato mani e piedi. Oggi presentiamo Hendricks e Crowe. Non abbiamo bisogno di altro.» «Eccetto il movente» disse Bosch. «Il movente non è importante quando il delitto è chiaramente opera di uno psicopatico» replicò Langwiser. «Al momento di decidere i giurati non si chiederanno: "A proposito, ma qual era il movente?". Diranno solo: "Questo tizio è un malato pericoloso" e...» La sua voce divenne un bisbiglio quando il giudice entrò in aula. «...noi lo leveremo di torno per sempre.» Il giudice fece entrare la giuria e dopo pochi minuti l'accusa cominciò a chiamare i suoi ultimi testimoni. I primi quattro appartenevano al mondo del cinema e avevano tutti partecipato al party dopo la prima del film, la notte in cui era morta Jody Krementz. Testimoniarono di aver visto David Storey alla prima e al party insieme a una donna che identificarono, grazie alle fotografie, come Jody Krementz. Il quarto testimone, uno sceneggiatore di nome Brent Wiggan, disse di aver lasciato il party alcuni minuti prima di mezzanotte e di aver aspettato la sua automobile al parcheggio insieme a David Storey e a una donna, che identificò a sua volta come Jody Krementz. «Come mai è così sicuro che mancassero pochi minuti a mezzanotte, signor Wiggan?» chiese Kretzler. «Dopo tutto era a un party. Controllava l'ora?» «Una domanda alla volta, avvocato» ammonì il giudice severamente. «Mi scusi, Vostro Onore. Come mai è così sicuro che mancassero pochi minuti a mezzanotte, signor Wiggan?» «Perché avevo controllato» rispose Wiggan. «Io lavoro meglio la notte, sono più produttivo da mezzanotte alle sei. Quindi avevo guardato l'orologio, perché volevo tornare a casa intorno a mezzanotte o sarei rimasto in-
dietro con il lavoro.» «Questo significa anche che lei non ha bevuto alcolici al party?» «È esatto. Non ho bevuto perché non volevo sentirmi stanco o che la mia creatività venisse offuscata. La gente in genere non beve prima di andare a lavorare in banca o a pilotare un aereo - la maggior parte almeno...» Fece una pausa in attesa che le risatine cessassero. Il giudice sembrava infastidito, ma non disse niente. Wiggan invece sembrava godere di quel momento di attenzione. Bosch cominciò a sentirsi a disagio. «Quindi anch'io non bevo prima di lavorare» continuò finalmente Wiggan. «Scrivere è un'arte, ma è anche un lavoro.» «Quindi è certo che la sua identificazione della persona che era con David Storey pochi minuti prima di mezzanotte sia corretta?» «Assolutamente sì.» «Lei conosceva già David Storey, è esatto?» «Sì, è vero, da diversi anni.» «Ha mai lavorato per lui, per un suo film?» «No, mai, ma non perché non ci abbia provato.» Wiggan sorrise mestamente. Questa parte della testimonianza, che scivolava sul vittimismo, era stata preparata attentamente da Kretzler che aveva bisogno di limitarne i danni. «Che cosa vuol dire signor Wiggan?» «Che nel corso degli ultimi cinque anni, ho presentato diverse sceneggiature a David Storey in persona o a qualcuno della sua casa di produzione. Non ne ha mai accettata nessuna.» Alzò le spalle con aria imbarazzata. «Direbbe che questo ha creato una certa animosità tra di voi?» «Per niente, almeno da parte mia. È così che funziona a Hollywood. Uno continua a presentare i suoi lavori e spera che prima o poi qualcuno li accetti. Comunque avere la pelle dura aiuta.» Sorrise e annuì rivolto alla giuria. A Bosch stava facendo venire i brividi. Sperò che Kretzler chiudesse prima di perdere il favore dei giurati. «Grazie, signor Wiggan, è tutto» disse Kretzler, che probabilmente aveva avuto la stessa sensazione di Bosch. Rendendosi conto che il suo momento di gloria era finito, l'impalcatura sulla faccia di Wiggan sembrò di colpo crollare. Ma proprio in quel momento Fowkkes, che aveva ignorato i tre precedenti testimoni, si alzò e andò al leggio. «Buon giorno, signor Wiggan.»
«Buon giorno» rispose il testimone alzando le sopracciglia con un'espressione che significava "vediamo cosa succede adesso". «Solo poche domande. Può dire alla giuria i titoli dei film scritti da lei che sono stati prodotti?» «Be'... finora nessuno. Ho alcune opzioni e credo che entro poche...» «Capisco. La sorprenderebbe sapere che negli ultimi quattro anni lei ha presentato o mandato sceneggiature al signor Storey per un totale di ventinove volte e che sono state tutte rifiutate?» Wiggan arrossì imbarazzato. «Be', io... credo che potrebbe essere esatto. Non lo so con esattezza. Non tengo il registro dei rifiuti, come sembra faccia il signor Storey.» Disse l'ultima frase con insolenza e Bosch quasi sussultò. Non c'era niente di peggio di un testimone sorpreso a mentire che diventava aggressivo. Bosch diede un'occhiata ai giurati. Molti avevano smesso di guardare il teste, segno che si sentivano a disagio come lui. Fowkkes si preparò alla stoccata finale. «Il suo lavoro è stato rifiutato dall'imputato ventinove volte, eppure lei sostiene di non serbargli rancore, è così?» «Be', sono cose che succedono a Hollywood, lo chieda a chiunque.» «Lo sto chiedendo a lei, signor Wiggan. Lei sta dicendo alla giuria che non augura a quest'uomo nessun male, nonostante si tratti della stessa persona che le ha detto costantemente e ripetutamente che il suo lavoro non è abbastanza buono?» Wiggan biascicò la sua risposta nel microfono. «Sì, è vero.» «Lei è un uomo migliore di me, signor Wiggan. Grazie Vostro Onore, non ho altre domande, per il momento.» Bosch ebbe l'impressione che la prosopopea dell'accusa si fosse sgonfiata come un palloncino. Con quattro domande e in meno di due minuti Fowkkes aveva messo in dubbio la credibilità di Wiggan. Il procuratore non cercò di recuperare, con il rischio di scavarsi una fossa ancora più profonda. Congedò il teste e il giudice annunciò i primi quindici minuti di pausa della giornata. Una volta uscita la giuria, l'aula cominciò a svuotarsi e Kretzler si allungò oltre Langwiser per sussurrare con rabbia a Bosch: «Avremmo dovuto sapere che questo tizio era un bluff». Bosch si guardò intorno per essere sicuro che non ci fossero giornalisti a
portata d'orecchio, quindi si protese a sua volta verso Kretzler. «Probabilmente hai ragione» disse. «Ma un mese e mezzo fa si è stabilito che saresti stato tu a fare la verifica su Wiggan. Era responsabilità tua, non mia. Vado a prendere un caffè.» Finita la pausa, i procuratori decisero che avevano bisogno subito di qualcosa di forte, dopo il disastroso controinterrogatorio di Wiggan. Lasciarono da parte l'idea di chiamare altri testimoni che dichiarassero di aver visto David Storey e Jody Krementz insieme e Janis Langwiser chiamò un tecnico della sicurezza di nome Jamal Hendricks. Bosch accompagnò Hendricks nell'aula. Era un nero in uniforme: pantaloni blu e blusa azzurra con il suo nome ricamato su una tasca e il logo della Lighthouse Security su un'altra. Doveva andare a lavorare dopo la testimonianza. Mentre oltrepassavano le porte che conducevano all'aula Bosch gli chiese con un sussurro se era nervoso. «No, amico, è un gioco da ragazzi» rispose Hendricks. Quando fu sul banco dei testimoni, Langwiser prima lo fece parlare del suo curriculum come tecnico di sistemi di sicurezza quindi passò al sistema installato nella casa di David Storey. Hendricks disse di aver predisposto un sistema Millennium 21 deluxe otto mesi prima. «Può spiegarci le caratteristiche di questo sistema?» «Be' è il meglio che si possa avere. Non gli manca niente. Rilevatore a distanza e telecomando, software per riconoscere gli ordini vocali, sensori automatici, un programma di verifica interno... può fare qualunque cosa gli si chieda.» «Cos'è un programma di verifica interno?» «Essenzialmente si tratta di un software che registra le operazioni. Ti permette di sapere a che ora vengono aperte o chiuse porte e finestre, quando l'allarme è stato inserito o staccato, quale codice personale è stato utilizzato. Viene usato principalmente dalle industrie e dai commercianti, ma il signor Storey ha chiesto un sistema professionale e il programma è incluso nel prezzo.» «Quindi lui non ha l'ha richiesto specificatamente?» «Questo non lo so. Non sono stato io a venderglielo, mi sono limitato a installarglielo.» «Comunque potrebbe aver avuto il programma senza saperlo.» «Tutto è possibile.» «C'è stato un momento in cui il detective Bosch ha chiamato la Li-
ghthouse Security e ha chiesto che un tecnico andasse a parlare con lui a casa del signor Storey?» «Sì, hanno mandato me perché avevo installato il sistema. Ci siamo incontrati direttamente a casa del signor Storey, dopo che era stato arrestato. C'era anche il suo avvocato.» «Quando è successo, esattamente?» «L'11 novembre.» «Che cosa le ha chiesto di fare il detective Bosch?» «Dunque, prima mi ha mostrato un mandato che gli permetteva di raccogliere informazioni sul sistema di sicurezza.» «E lei cosa ha fatto?» «Ho scaricato i dati dal file del programma di verifica interno e glieli ho stampati.» Langwiser introdusse come reperti il mandato - il terzo dall'inizio del processo - e le stampate di cui aveva parlato Hendricks. «Il detective Bosch era interessato alle registrazioni che andavano dalla notte del 12 alla mattina del 13 ottobre, è esatto?» «Esatto.» «Può leggere dai fogli che ha davanti le registrazioni avvenute in quell'arco di tempo?» Hendricks guardò i fogli per qualche secondo prima di rispondere. «Dunque, dice che la porta del garage è stata aperta e l'allarme inserito dalla voce del signor Storey alle 19,09 del 12. Poi non è successo più niente fino al giorno dopo, il 13. A mezzanotte e 12 minuti l'allarme è stato disinserito dalla voce del signor Storey e la porta del garage è stata aperta di nuovo. Una volta entrato in casa, ha reinserito l'allarme.» Hendricks studiò i fogli prima di continuare. «Il sistema non è stato toccato fino alle 3,19, quando è stato spento. La porta del garage è stata aperta ancora una volta e la voce del signor Storey ha reinserito l'allarme. Poi, 42 minuti più tardi, alle 4,01 di nuovo l'allarme è stato spento dalla voce del signor Storey, la porta del garage è stata aperta e l'allarme reinserito dall'interno. Non c'è stata altra attività fino alle 11 di mattina, quando l'allarme è stato staccato dalla voce di Betilda Lockett.» «Lei sa chi è Betilda Lockett?» «Sì, quando ho installato il sistema, l'ho programmato in modo che accettasse la sua voce. È l'assistente del signor Storey.» Langwiser chiese l'autorizzazione a portare un cavalletto con un cartellone su cui erano riportati i tempi e le attività emersi dalla testimonianza di
Hendricks. Il giudice accettò, nonostante l'obiezione di Fowkkes, e Bosch la aiutò a sistemare il cavalletto. Sul cartellone c'erano due colonne: una con i dati che riguardavano il sistema di allarme - quando e da chi veniva inserito o disinserito - e l'altra con quelli che riguardavano l'apertura e la chiusura della porta del garage.
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ALLARME 19:09 - inserito da D: Storey 00:12 - spento da D: Storey 00:12 - inserito da D: Storey 03:19 - spento da D: Storey 03:19 - inserito da D: Storey 04:01 - spento da D: Storey 04:01 - inserito da D: Storey
PORTA GARAGE aperta/chiusa aperta/chiusa aperta/chiusa aperta/chiusa
Langwiser riprese a interrogare Hendricks. «La tabella rispecchia ciò che ci ha appena detto sull'utilizzo del sistema di allarme in casa del signor Storey nella notte tra il 12 e il 13 ottobre?» Il tecnico guardò il cartello attentamente, poi annuì. «È un sì?» «Sì.» «Grazie. Ora, visto che tali registrazioni indicano che il sistema ha risposto alla voce di David Storey, riconoscendola, sta dicendo che questa è la registrazione dei movimenti del signor Storey nel periodo in questione?» Fowkkes obiettò, dicendo che la domanda presupponeva dei fatti di cui non esistevano prove. Il giudice accettò l'obiezione e disse a Langwiser di riformulare la domanda o di farne un'altra. Avendo già ottenuto l'effetto che voleva sulla giuria, lei andò avanti. «Signor Hendricks, se io avessi la voce di David Storey registrata su una cassetta, potrei inserire o disattivare l'allarme di casa sua?» «No, ci sono due meccanismi di controllo. Bisogna usare una password riconosciuta dal computer e dire la data. Quindi occorrono la voce, la password e la data precisa, altrimenti il sistema non accetta il comando.» «Qual è la password di David Storey?» «Non lo so. È privata e la può cambiare tutte le volte che vuole.» Langwiser guardò il cartellone. Si avvicinò, prese una bacchetta attaccata al cavalletto e sottolineò le registrazioni delle 3,19 e delle 4,01. «È in grado di dire, leggendo questi dati, se qualcuno con la voce del si-
gnor Storey è uscito di casa alle tre e diciannove per tornarci alle quattro e zero uno, o viceversa se qualcuno è arrivato prima e se ne è andato poi?» «Sì.» «E come?» «Il programma registra anche le trasmittenti che sono state usate per dare l'ordine. Nella casa del signor Storey ci sono sei trasmittenti, all'interno e all'esterno di tre porte: quella d'ingresso, quella del garage e una di quelle posteriori.» «Può guardare i fogli con le registrazioni di quella notte e dirci quali trasmittenti sono state usate?» Hendricks studiò le stampate che aveva davanti prima di rispondere. «Sì... alle 3,19 è stata usata quella esterna, il che significa che qualcuno aveva staccato l'allarme dal garage. E alle 4,01 è stato di nuovo spento dall'esterno, la porta del garage è stata aperta e chiusa e l'allarme reinserito dall'interno.» «Quindi qualcuno è arrivato a casa a quell'ora, è questo che sta dicendo?» «Sì, giusto.» «E il computer del sistema ha registrato questo qualcuno come David Storey?» «Ha identificato la sua voce, sì.» Langwiser disse che non aveva altre domande e Fowkkes si alzò per un rapido controinterrogatorio. Si avvicinò al leggio e guardò Hendricks. «Signor Hendricks, da quanto lavora per la Lighthouse?» «Tre anni il mese prossimo.» «Quindi ci lavorava il primo gennaio di un anno fa, quando c'è stato il cosiddetto Baco del Millennio?» «Sì» rispose Hendricks esitante. «Ci può dire cosa successe a molti clienti della Lighthouse quel giorno?» «Uh, be'... abbiamo avuto qualche problema.» «Qualche problema, signor Hendricks?» «Un'avaria nel sistema.» «Che sistema per la precisione?» «Il Millennium 21. Ha avuto un guasto nel programma. Ma era una cosa piccola e siamo riusciti a...» «Quanti clienti con quel sistema hanno avuto problemi nella zona di Los Angeles?»
«Tutti. Ma abbiamo trovato il guasto e...» «È tutto. Grazie.» «...l'abbiamo riparato.» «Signor Hendricks» urlò il giudice. «Basta così. La giuria ignorerà l'ultima frase.» Poi, guardando Langwiser: «Vuole reinterrogare?». Lei rispose che aveva solo qualche altra domanda. Bosch aveva saputo del problema e lo aveva riferito ai procuratori, ma loro speravano che la difesa non ne venisse a conoscenza o non lo tirasse fuori. «Signor Hendricks, la Lighthouse ha riparato il guasto che causò il problema dopo il cosiddetto Baco del Millennio?» «Sì, l'abbiamo riparato subito.» «E quel guasto avrebbe potuto inficiare in qualche modo i dati raccolti dieci mesi dopo a casa dell'imputato?» «Assolutamente no. A quel punto il sistema era perfetto.» Langwiser disse che era tutto e si risedette. Ma Fowkkes si alzò di nuovo. «Il guasto è stato riparato. Signor Hendricks, si trattava del guasto di cui eravate a conoscenza, esatto?» Hendricks sembrava confuso. «Sì, quello che causò il problema.» «Quindi ci sta dicendo che voi venite a sapere di questi "bachi" solo nel momento in cui causano un problema.» «In genere è così.» «Quindi ci potrebbe essere un "baco" nel sistema di allarme del signor David Storey e voi non lo sapreste finché non si verificasse un problema, è esatto?» Hendricks alzò le spalle. «Tutto è possibile.» Fowkkes si sedette e il giudice chiese a Langwiser se aveva altro. Lei esitò un momento, poi rispose di no. Hendricks fu congedato dal giudice che quindi propose la pausa per il pranzo. «Vostro Onore, vorrei interrogare il nostro prossimo testimone prima di pranzo. Non ci vorrà molto.» «D'accordo, proceda pure.» «Richiamiamo il detective Bosch.» Bosch si alzò e andò al banco dei testimoni portando con sé il fascicolo del delitto. Questa volta non toccò il microfono e, quando si fu sistemato,
il giudice gli ricordò che era ancora sotto giuramento. «Detective Bosch, a un certo punto, durante le indagini, le è stato chiesto di guidare da casa dell'imputato a casa della vittima e ritorno?» «Sì, è stata lei a chiedermelo.» «E l'ha fatto?» «Sì.» «Quando?» «Il 16 novembre alle 3,19 di mattina.» «Ha cronometrato i tempi di guida?» «Sì, sia all'andata che al ritorno.» «Può dirceli? Guardi pure i suoi appunti se lo desidera.» Bosch aprì il fascicolo a una pagina contrassegnata da un segno. Si concentrò un momento sugli appunti, anche se li conosceva a memoria. «Da casa del signor Storey a quella di Jody Krementz ci sono voluti undici minuti e ventidue secondi, guidando entro i limiti di velocità. Per il ritorno ci sono voluti undici minuti e quarantotto secondi. Quindi, tutto il giro è durato ventitré minuti e dieci secondi.» «Grazie, detective.» Avevano finito. Fowkkes si riservò il diritto di controinterrogare Bosch nella seconda fase del processo. Il giudice Houghton annunciò la pausa per il pranzo e lentamente l'aula si svuotò. Bosch si stava facendo largo tra la folla di spettatori e giornalisti in cerca di Annabelle Crowe, quando una mano gli afferrò con forza un braccio da dietro. Si girò di scatto e vide un nero che non riconobbe. Un altro uomo, un bianco, li raggiunse. I due indossavano dei completi grigi quasi identici. Bosch aveva già capito che si trattava di agenti del Bureau prima che il nero aprisse bocca. «Detective Bosch, sono l'agente speciale Twilley dell'FBI e lui è l'agente speciale Friedman. Dove possiamo parlare in privato?» 38 Ci vollero tre ore per guardare con attenzione le cassette. Ma alla fine della mattinata tutto quello che era rimasto in mano a McCaleb era una multa per divieto di sosta. Non era stata registrata alcuna immagine di Tafero nell'ufficio postale, il giorno in cui era stato pagato il bollettino per l'acquisto del gufo. Non ce n'erano nemmeno di Harry Bosch, se era per quello. E adesso i quarantotto minuti di registrazione che erano stati can-
cellati prima che lui e Winston arrivassero avevano incominciato a ossessionarlo. Se fossero andati prima all'ufficio postale e poi alla stazione di Polizia avrebbero potuto individuare l'assassino. Quei quarantotto minuti facevano la differenza, la differenza tra la possibilità di discolpare Bosch o quella di accusarlo. McCaleb stava pensando al da farsi quando arrivò alla macchina e trovò la multa sotto il tergicristallo. Imprecando la prese e la guardò. Era stato così assorbito dalla visione delle cassette da dimenticarsi del luogo in cui l'aveva lasciata: di fronte all'ufficio postale, in una zona dove il parcheggio era consentito solo per quindici minuti. La sua dimenticanza gli sarebbe costata quaranta dollari, una bella botta. Data la scarsità di clienti che gli si presentavano nei mesi invernali, la loro sopravvivenza era affidata essenzialmente al magro stipendio di Graciela e alla sua pensione di detective. I margini erano decisamente stretti e la multa, sommata al charter annullato il sabato precedente, peggiorava le cose. Rimise il biglietto sul parabrezza e si avviò lungo il marciapiede. Aveva deciso di andare all'ufficio di Rudy Tafero, anche se sapeva che probabilmente l'uomo era in tribunale. Come al solito preferiva vedere il soggetto nel suo ambiente. In quel momento il soggetto non c'era, ma l'ambiente in cui si sentiva al sicuro sì. Mentre camminava, telefonò a Jaye Winston, ma trovò la segreteria. Non lasciò un messaggio e la chiamò sul cercapersone. Quando lei gli ritelefonò aveva già percorso quattro isolati ed era quasi arrivato. «Non ho trovato niente» le disse. «Niente?» «Né Tafero né Bosch.» «Maledizione!» «Doveva essere in quei quarantotto minuti persi.» «Saremmo dovuti...» «...andare prima all'ufficio postale, lo so. È colpa mia. L'unica cosa che ho ottenuto è una multa per divieto di sosta.» «Mi dispiace, Terry.» «Almeno mi ha dato un'idea. Nel periodo natalizio l'ufficio postale era sempre affollato. Se il tizio che cerchiamo aveva la macchina in una zona a parcheggio limitato, come me, con le code che c'erano deve aver superato il tempo. I vigili di questa città sono dei nazisti, aspettano le loro vittime nell'ombra. C'è sempre la possibilità che abbia preso una multa. Bisognerebbe controllare.»
«Vedo cosa riesco a trovare. E ora cosa fai?» «Sto per dare un'occhiata alla Valentino Cauzioni.» «Lui c'è?» «Probabilmente è in tribunale. Ci andrò anch'io più tardi, per vedere se riesco a parlare con Bosch.» «Stai attento. I tuoi colleghi del Bureau hanno detto che sarebbero andati a cercarlo all'ora di pranzo. Saranno ancora in zona quando ci arriverai.» «Si aspettano che Bosch si faccia impressionare dai loro vestiti e confessi?» «Non lo so, qualcosa del genere. Volevano fermarlo per cercare di farlo cadere in contraddizione. Una trappola di routine, la conosci.» «Harry Bosch non è routine. Stanno perdendo tempo.» «Lo so. Gliel'ho detto. Ma agli agenti dell'FBI non si può dire niente, lo sai.» Lui sorrise. «Ehi, se le cose prendono un'altra piega e inchiodiamo Tafero, voglio che lo sceriffo paghi la mia multa.» «Non stai lavorando per me. Stai lavorando per Bosch, te lo sei dimenticato? Pagherà lui le multe. Lo sceriffo offre solo il pranzo.» «Okay, vado.» «Chiamami.» McCaleb infilò il telefono nella tasca della giacca a vento e aprì la porta di vetro della Valentino Cauzioni. Si ritrovò in una stanzetta bianca, con un divano e un banco. Gli ricordò l'ufficio di un motel. Sulla parete c'era un calendario con una spiaggia di Puerta Vallarta. Dietro al banco era seduto un uomo, la testa china sulle parole crociate, e dietro di lui una porta, probabilmente quella di un ufficio. McCaleb si disegnò un sorriso sulla faccia e di proposito fece il giro del banco prima ancora che l'uomo alzasse la testa. «Rudy? Ehi Rudy, vieni fuori!» L'uomo lo guardò, mentre McCaleb lo superava e apriva la porta di un ufficio grande il doppio dell'ingresso. «Rudy?» L'uomo lo seguì. «Ehi, amico cosa stai facendo?» McCaleb si girò, esaminando la stanza. «Sto cercando Rudy. Dov'è?» «Non c'è. E adesso per favore...»
«Mi ha detto che sarebbe stato qui e sarebbe andato in tribunale solo più tardi.» La parete di fondo era coperta da fotografie incorniciate. Si avvicinò. La maggior parte raffigurava Tafero in compagnia di celebrità cui aveva pagato la cauzione o per cui aveva lavorato come responsabile della sicurezza. Alcune invece appartenevano chiaramente all'epoca in cui lavorava nella Polizia. «Mi scusi, lei chi è?» McCaleb guardò l'uomo come se questi l'avesse insultato. Sembrava il fratello minore di Tafero. Piuttosto piacente, stessi capelli neri, stesso sguardo rude. «Mi chiamo Terry e sono un suo amico.» McCaleb indicò una foto di gruppo sulla parete. C'erano diversi uomini in borghese e qualche donna in piedi di fronte alla sede della Divisione Hollywood. La squadra dei detective. McCaleb aveva intravisto sia Rudy Tafero che Harry Bosch in seconda fila. Bosch era leggermente girato, aveva una sigaretta in bocca e il fumo gli nascondeva parzialmente la faccia. L'uomo si voltò per guardare la foto. McCaleb diede un'altra occhiata all'ufficio. A sinistra c'era una scrivania e a destra una zona soggiorno, con due divanetti e un tappeto orientale. Si avvicinò alla scrivania per guardare un dossier pieno di documenti, ma sull'etichetta non c'era scritto niente. «Che cazzo dici. Non ci sei qui.» «Sì che ci sono» rispose McCaleb senza voltarsi. «Stavo fumando, non mi si vede la faccia.» Accanto al registro c'era una vaschetta con delle cartellette. McCaleb girò la testa per leggere le etichette. Vide una serie di nomi, alcuni dei quali riconoscibili come cabarettisti o attori, ma nessuno che avesse a che fare con la sua indagine. «Balle, amico. Questo non sei tu. Questo è Harry Bosch.» «Davvero? Conosci Harry?» Silenzio. Questa volta McCaleb si girò. Il giovane lo stava fissando con uno sguardo sospettoso e carico di rabbia. McCaleb si accorse che aveva un manganello appeso al fianco. «Vediamo.» Si avvicinò alla parete e guardò la foto. «Hai ragione. Questo è Harry. Io devo essere in quella dell'anno prima.
Stavo lavorando sotto copertura quando hanno fatto questa e non potevo essere fotografato.» Con nonchalance si avviò verso la porta. Dentro di sé si stava preparando a essere colpito con il bastone. «Digli che sono passato, d'accordo? Sono Terry, non dimenticarlo.» Continuò verso l'uscita, ma una foto catturò la sua attenzione. C'era Tafero accanto a un altro uomo, e insieme sorreggevano una bella targa di legno. Era una foto vecchia, Tafero sembrava più giovane di dieci anni. Aveva gli occhi luminosi e il suo sorriso sembrava sincero. La targa era appesa accanto alla foto. McCaleb si avvicinò e lesse l'iscrizione in ottone. RUDY TAFERO DETECTIVE DEL MESE HOLLYWOOD FEBBRAIO 1995 Diede un'ultima occhiata alla fotografia quindi andò verso l'uscita. «Terry e poi?» chiese l'uomo mentre lo superava. McCaleb raggiunse la porta prima di girarsi a rispondere. «Digli solo Terry. Quello sotto copertura.» Lasciò l'ufficio e tornò in strada senza voltarsi. McCaleb era seduto in macchina di fronte all'ufficio postale. Era irrequieto, come sempre quando sapeva che la risposta era vicina ma non riusciva a trovarla. L'istinto gli diceva che stava seguendo la traccia giusta. Tafero, che nascondeva la sua clientela altolocata dietro un misero ufficio di garante, era la chiave di tutto. Ma lui non riusciva a trovare la porta. Si rese conto di essere affamato. Mise in moto e si domandò dove andare. Era a pochi isolati da Musso, ma ci era stato troppo di recente. Si chiese se da Nat dessero anche da mangiare, ma poi decise di lasciar perdere, non voleva attentare alla salute del suo stomaco. Optò per un take away sul Sunset e ordinò direttamente dalla macchina. Stava mangiando un hamburger nella Cherokee, quando il telefono suonò. Rimise il panino nella scatola, si asciugò le mani con un tovagliolo di carta e rispose. «Sei un genio!» Era Jaye Winston. «Cosa è successo?» «Tafero ha preso una multa con la sua Mercedes. Aveva parcheggiato di fronte all'ufficio postale. La multa è stata emessa alle 8,19. Non l'ha ancora
pagata e nel frattempo ne ha prese altre cinque. Ormai è scaduta.» McCaleb rimase in silenzio mentre rifletteva. Sentiva le scariche di adrenalina lungo la schiena. La scoperta della multa era un bel colpo. Non provava assolutamente niente, ma gli confermava che era sulla strada buona. E qualche volta avere questa consapevolezza era meglio che avere le prove. I suoi pensieri passarono alla visita nell'ufficio di Tafero e alle foto che aveva visto. «Jaye, sei riuscita a cercare qualcosa su quella vecchia storia di Bosch con il suo tenente?» «Non ho avuto bisogno di cercare niente. Twilley e Friedman avevano il fascicolo oggi. Il tenente si chiamava Harvey Pounds. L'hanno freddato sotto un ponte quattro settimane dopo il suo alterco con Bosch. Bosch è stato sospettato per via dell'astio che c'era tra loro, ma a quanto pare è stato ritenuto innocente, dal Dipartimento di Polizia almeno. Il caso è ancora aperto, ma è in fase di stallo. Il Bureau ha fatto una sorta di controllo a distanza e ha aperto una pratica a su volta. Oggi Twilley mi ha detto che qualcuno al Dipartimento pensa che Bosch sia stato lasciato libero troppo in fretta.» «Oh, e scommetto che a Twilley questo piace.» «Infatti. È per questo che lui, personalmente, ha già condannato Bosch. Pensa che Gunn sia solo la punta dell'iceberg.» McCaleb scosse la testa, ma passò subito ad altro. Non poteva perdere tempo con le fissazioni altrui. Aveva un sacco di cose da pianificare per l'indagine che aveva in mano. «Dimenticavo, hai una copia della multa?» chiese. «Non ancora. Ho fatto tutto per telefono. Ma stanno per mandarmi un fax. Il punto è che, anche se tu e io sappiamo cosa significa, quel foglietto è ben lungi dal dimostrare alcunché.» «Lo so, ma ci sarà d'aiuto quando verrà il momento.» «Il momento per cosa?» «Per fare il nostro gioco. Useremo Tafero per arrivare a Storey. Sai che il nostro obiettivo è quello.» «Parli di noi? Hai già pianificato tutto, vero, Terry?» «Non proprio, ma ci sto lavorando.» Non voleva discutere con lei a proposito del suo ruolo nell'indagine. «Senti, il mio pranzo si sta raffreddando» disse. «Scusami. Vai avanti a mangiare.»
«Chiamami più tardi. Tra un po' vado a trovare Bosch. Hai notizie da Twilley e Friedman?» «Credo che siano ancora là con lui.» «D'accordo, ci sentiamo più tardi.» Chiuse il telefono, uscì dalla macchina e buttò il resto dell'hamburger in un bidone della spazzatura. Quindi tornò indietro e mise in moto. Mentre tornava all'ufficio postai' aprì i finestrini per far uscire la puzza di grasso. 39 Annabelle Crowe si diresse al banco dei testimoni, seguita dagli occhi di tutta l'aula. Era straordinariamente bella, ma c'era qualcosa di goffo nelle sue movenze. Quel miscuglio la rendeva ancora più attraente, facendola sembrare giovane e vecchia al tempo stesso. Langwiser - era lei a doverla interrogare - aspettò che si fosse seduta, prima di disturbare l'atmosfera dell'aula andando al leggio. Bosch non si era quasi accorto che era entrata l'ultima teste dell'accusa. Se ne stava seduto con gli occhi bassi, completamente immerso nei suoi pensieri: pensava alla visita dei due agenti del Bureau. Aveva fatto in fretta a classificarli, erano di quelli che sentivano l'odore del sangue anche nell'acqua e sapevano che se avessero incastrato lui per il caso Gunn, i media si sarebbero scatenati. Si aspettava che facessero la loro mossa da un momento all'altro. Langwiser passò velocemente attraverso una serie di informazioni generali stabilendo che Annabelle Crowe era una giovane attrice che aveva al suo attivo solo qualche commediola e pochi spot pubblicitari, più una battuta in un lungometraggio già in circolazione. La sua storia non faceva che confermare la difficoltà di farsi strada a Hollywood; uno schianto di ragazza come lei era solo una tra le tante in quella città. Viveva ancora grazie ai soldi che le mandavano i genitori da Albuquerque. Poi l'avvocato passò alla parte più saliente della testimonianza, che si basava sulla notte del 14 aprile dell'anno prima, quando Annabelle Crowe era uscita con David Storey. Dopo aver chiesto brevemente qualcosa su come si fossero svolti cena e dopo cena, Langwiser si concentrò sulla seconda parte della serata: Storey aveva portato Annabelle Crowe a casa sua. La ragazza testimoniò che si erano scolati un'intera caraffa di Margarita sul terrazzo, prima di andare in camera da letto.
«Ci andò volontariamente, signorina Crowe?» «Sì.» «Ebbe un rapporto sessuale con l'imputato?» «Sì.» «E fu una relazione consensuale?» «Sì.» «Successe qualcosa di strano, durante il rapporto sessuale?» «Sì, ha cercato di strangolarmi.» «Ha cercato di strangolarla. Come?» «Be', io avevo gli occhi chiusi e a un certo punto mi accorsi che cambiava posizione. Era sopra di me, mi sollevò la testa e tolse il cuscino. Poi sentii che mi infilava qualcosa sotto...» Si fermò e mise una mano davanti alla bocca come se faticasse a mantenere il controllo. «Faccia con calma, signorina.» Sembrava che stesse trattenendo le lacrime e che fosse sincera. Alla fine però abbassò la mano e bevve un sorso d'acqua. Poi guardò Langwiser con una nuova decisione negli occhi. «Ho sentito che mi infilava qualcosa sotto la testa e intorno al collo. Ho aperto gli occhi e ho visto che stava stringendo una cravatta.» Si fermò e bevve un altro sorso d'acqua. «Può descriverci com'era fatta?» «Aveva un disegno: rombi blu su sfondo rosso. Me lo ricordo perfettamente.» «Cosa successe quando l'imputato le strinse la cravatta intorno al collo?» «Mi stava strangolando!» disse Annabelle con voce stridula, come se si trattasse di una domanda stupida che aveva una risposta ovvia. «Mi stava strangolando e continuava a... muoversi dentro di me... Io ho cercato di impedirglielo, ma lui era troppo forte.» «Le disse qualcosa in quel momento?» «Continuava a ripetere "Devo farlo, devo farlo" mentre ansimava e non la smetteva di fare sesso con me. Digrignava i denti.» Si fermò di nuovo e questa volta le lacrime cominciarono a scorrere copiose. Langwiser andò al tavolo dell'accusa e prese una scatola di fazzoletti di carta. «Posso, Vostro Onore?» chiese reggendola. Il giudice le permise di avvicinarsi al banco dei testimoni, poi lei tornò al leggio. Il pianto della giovane donna echeggiava nel silenzio dell'aula.
Langwiser riprese a parlare. «Ha bisogno di una pausa, signorina?» «No grazie, ora è passato.» «Svenne quando l'imputato le strinse la cravatta intorno al collo?» «Sì.» «E dopo, che cosa accadde?» «Mi sono svegliata nel suo letto.» «E lui era lì?» «No, ma sentivo il rumore della doccia nel bagno accanto alla stanza.» «Che cosa fece allora?» «Mi sono alzata per vestirmi. Volevo andarmene prima che uscisse dalla doccia.» «I suoi vestiti erano dove li aveva lasciati?» «No, li ho trovati in un sacchetto di plastica, uno di quelli del supermercato, vicino alla porta della camera da letto. Mi sono messa la biancheria intima.» «Aveva una borsa quella notte?» «Sì. Anche quella era nel sacchetto, ma era aperta. Ho guardato dentro e... aveva preso le chiavi. Allora...» Fowkkes obiettò che la risposta presumeva fatti non provati e il giudice fu d'accordo. «Vide l'imputato prendere le chiavi dalla sua borsa?» chiese Langwiser. «No, ma prima c'erano e io non le avevo tolte.» «D'accordo. Quindi qualcuno, qualcuno che lei non ha visto perché era priva di conoscenza nel letto, prese le sue chiavi dalla borsa. È esatto?» «Sì.» «Bene, e dove le trovò?» «Sulla scrivania, accanto alle sue.» «Finì di vestirsi e se ne andò?» «A dire la verità ero così spaventata che ho afferrato i miei vestiti, la borsa e le chiavi e sono uscita in tutta fretta. Ho finito di vestirmi fuori e poi sono corsa fino alla strada.» «Come è arrivata a casa?» «Dopo un po' mi sono stancata di correre e ho camminato lungo la Mulholland finché non ho trovato una stazione di servizio con un telefono pubblico. Ho chiamato un taxi.» «Telefonò alla polizia una volta giunta a casa?» «Mmm, no.»
«Perché no, signorina Crowe?» «Per due motivi. Nel momento in cui entravo in casa David stava lasciando un messaggio sulla segreteria telefonica e io ho risposto. Si è scusato e ha detto che si era lasciato trasportare. Pensava che, strangolandomi, avrebbe aumentato il mio piacere.» «Gli credette?» «Non lo so. Ero confusa.» «Gli chiese perché aveva messo i suoi vestiti in un sacchetto?» «Sì. Ha risposto che pensava di portarmi all'ospedale, se non mi fossi svegliata mentre era sotto la doccia.» «Gli chiese come mai aveva pensato di fare una doccia prima di portare una donna svenuta all'ospedale?» «No, questo non gliel'ho chiesto.» «Gli chiese perché non chiamò l'ambulanza?» «No, non ci ho pensato.» «Quale fu il secondo motivo per cui non chiamò la polizia?» La teste chinò gli occhi sulle mani che teneva intrecciate in grembo. «Be', l'imbarazzo. Dopo la sua telefonata non ero più così sicura di quello che era successo. Non sapevo se aveva cercato di uccidermi o se veramente voleva darmi piacere. Si sente sempre raccontare che la gente di Hollywood fa sesso in modo strano. Ho pensato che forse ero... non so... troppo bloccata e tradizionalista.» Teneva ancora la testa china e altre due lacrime le corsero lungo le guance. Langwiser continuò a voce bassa. «Quando si è recata alla Polizia per raccontare quello che era successo quella notte tra lei e l'imputato?» Annabelle Crowe rispose a voce ancora più bassa. «Quando ho letto sul giornale che era stato arrestato per aver ucciso Jody Krementz nello stesso modo.» «Ha parlato con il detective Bosch?» Lei annuì. «Sì, e ho capito che se avessi chiamato la Polizia quella notte forse... lei sarebbe ancora...» Non finì la frase. Afferrò un paio di fazzoletti dalla scatola e cominciò a piangere a dirotto. Langwiser comunicò al giudice che aveva finito e Fowkkes disse che avrebbe controinterrogato la teste, ma suggerì che si facesse una pausa per permetterle di ricomporsi. Il giudice Houghton accettò la proposta e stabilì una pausa di un quarto d'ora.
Bosch rimase in aula a guardare Annabelle Crowe che esauriva la scatola di fazzoletti. Alla fine il suo viso non era più tanto bello. Era rosso e stravolto, con gli occhi gonfi. Pensava che fosse stata convincente, ma che non aveva ancora affrontato Fowkkes. Che la giuria le credesse oppure no, dipendeva da come si sarebbe comportata durante il controinterrogatorio. Quando Langwiser rientrò, disse a Bosch che qualcuno lo stava cercando. «Chi è?» «Non l'ho chiesto. L'ho solo sentito parlare con l'agente all'ingresso dell'aula. Non lo lasciano entrare.» «Abito grigio? Un nero?» «No, vestiti sportivi e giacca a vento.» «Dai un'occhiata ad Annabelle. Sarà meglio che ti procuri un'altra scatola di fazzoletti.» Si alzò e si avviò verso la porta facendosi largo tra la gente che rientrava in aula dopo la pausa. A un certo punto si trovò faccia a faccia con Rudy Tafero. Bosch si mosse verso destra per evitarlo, ma quello si spostò dalla sua stessa parte a sinistra. Fecero questo balletto un paio di volte mentre Tafero sfoderava un ampio sorriso. Alla fine Bosch si fermò e aspettò che l'altro lo superasse. Nell'atrio si guardò intorno, ma non riconobbe nessuno. Poi Terry McCaleb uscì dal bagno degli uomini e i due si fecero un cenno. Bosch si avvicinò alla ringhiera davanti al finestrone che occupava tutta la parete. McCaleb lo raggiunse. «Ho un paio di minuti, poi devo tornare dentro.» «Voglio solo sapere se possiamo vederci dopo l'udienza. Stanno succedendo delle cose e ho bisogno che tu mi dedichi un po' di tempo.» «Lo so che stanno succedendo delle cose. Oggi sono venuti a cercarmi due agenti dell'FBI.» «E tu che cosa gli hai detto?» «Di andare affanculo. Non l'hanno presa bene.» «Gli agenti federali non amano questo tipo di linguaggio, dovresti saperlo.» «Già, sono lento a imparare.» «Allora, per più tardi?» «Sarò disponibile. A meno che Fowkkes non bruci la nostra testimone. In quel caso non so, potremmo ritirarci da qualche parte a leccarci le ferite.»
«D'accordo. Rimarrò qui a guardare l'udienza alla TV.» «A dopo.» Bosch rientrò in aula domandandosi che cosa avesse spinto McCaleb a cercarlo così in fretta. La giuria era rientrata e il giudice stava dando la parola a Fowkkes. L'avvocato della difesa aspettò educatamente che lui si fosse seduto prima di cominciare. «Signorina Crowe, lei recita? Fa l'attrice?» «Sì.» «Sta recitando qui oggi?» Langwiser fece immediatamente obiezione dicendo che l'avvocato della difesa tormentava la teste. Bosch trovò la reazione un po' eccessiva, ma sapeva che era un modo per comunicare a Fowkkes che avrebbe difeso la sua testimone con le unghie e coi denti. Il giudice respinse l'obiezione dicendo che l'avvocato non aveva oltrepassato i limiti consentiti nel controinterrogatorio di un testimone ostile all'imputato. «No, non sto recitando» rispose Annabelle, energica. Fowkkes annuì. «Lei ha dichiarato di essere a Hollywood da tre anni.» «Sì.» «Ha parlato di cinque lavori pagati. Nient'altro?» «Non ancora.» Fowkkes annuì. «È un bene continuare a sperare. È molto difficile sfondare, vero?» «Molto difficile e molto scoraggiante.» «Ma in questo momento lei appare in televisione, vero?» Lei esitò per un momento. Sulla sua faccia si dipinse la consapevolezza di essere caduta in una trappola. «Anche lei» rispose. Bosch quasi sorrise. Era un'ottima risposta, la migliore possibile. «Parliamo di questo... episodio intercorso tra lei e il signor Storey» disse Fowkkes. «In realtà lei si è inventata tutto mettendo insieme gli articoli apparsi dopo l'arresto del signor Storey, è esatto?» «No, non è esatto. Lui ha cercato di uccidermi.» «Questo è quello che dice lei.» Langwiser si alzò per fare obiezione, ma prima che lei parlasse il giudice aveva già ammonito Fowkkes di tenersi quei commenti per sé. L'avvocato andò avanti. «Dunque, dopo che il signor Storey l'avrebbe strangolata fino a farle
perdere conoscenza, le sono venuti dei lividi sul collo?» «Sì, mi è rimasto un livido per quasi una settimana. Sono stata costretta a rimanere in casa. Non potevo partecipare alle audizioni e nemmeno farmi vedere in giro.» «E ha fatto delle foto di questo livido per documentare la veridicità delle sue parole?» «No, non le ho fatte.» «Ma ha fatto vedere quel livido al suo agente e agli amici?» «No.» «E come mai?» «Perché non pensavo che saremmo arrivati a questo, che avrei dovuto dimostrare la verità di quello che mi aveva fatto. Volevo solo che passasse e che nessuno lo venisse a sapere.» «Quindi abbiamo solo la sua parola, è esatto?» «Sì.» «Così come abbiamo solo la sua parola per tutto l'incidente a esso collegato, è esatto?» «Ha cercato di uccidermi.» «Lei ha testimoniato che nel momento in cui entrò in casa quella notte, David Storey le stava lasciando un messaggio nella segreteria telefonica, è esatto?» «Assolutamente sì.» «E che lei ha risposto... ha risposto all'uomo che aveva cercato di ucciderla. Ho capito giusto?» Fowkkes fece finta di afferrare la cornetta del telefono e rimase con la mano sollevata finché Annabelle Crowe non rispose. «Sì.» «Ha conservato il messaggio sul nastro, per documentare le sue parole e quello che era successo prima?» «No, ci ho registrato sopra per errore.» «Per errore. Vuol dire che ha lasciato la cassetta inserita e ha cancellato la registrazione per caso?» «Sì, non volevo, ma me la sono dimenticata e ci ho registrato sopra.» «Si è dimenticata anche che qualcuno aveva cercato di ucciderla? Per questo ha cancellato il nastro?» «No, quello non l'ho dimenticato. Non lo dimenticherò mai.» «Quindi anche per quel che riguarda la cassetta abbiamo solo la sua parola, è così?»
«Sì, è così.» C'era un certa dose di sfida nel tono della sua voce, ma a Bosch fece pena. Era come gridare «vaffanculo» nel motore di un aeroplano. Aveva la sensazione che la ragazza stesse per essere scaraventata in quel motore e fatta a pezzi. «Dunque, lei ha testimoniato di essere mantenuta dai suoi genitori e di aver guadagnato qualcosa come attrice. Ha qualche altra entrata di cui non ci ha parlato?» «Be'... non proprio. Mia nonna mi manda dei soldi ogni tanto.» «Nient'altro?» «Non che mi venga in mente.» «Accetta soldi dagli uomini qualche volta, signorina Crowe?» Langwiser fece obiezione e il giudice disse agli avvocati di avvicinarsi. Bosch osservò la faccia di Annabelle Crowe per tutto il tempo in cui i tre rimasero a parlottare tra loro. C'era ancora una traccia di sfida, in parte soppiantata dalla paura. Con ogni evidenza sapeva che stava per succedere qualcosa. Bosch stabilì che Fowkkes doveva avere in mano degli elementi che giustificassero il suo comportamento. Elementi che avrebbero danneggiato Annabelle. E che, di conseguenza, avrebbero danneggiato il processo. Quando gli avvocati tornarono indietro, Kretzler si allungò sul tavolo verso Bosch. «Siamo fottuti» bisbigliò. «Ha quattro uomini che testimonieranno di averla pagata per fare sesso. Perché non ne eravamo al corrente?» Bosch non rispose. La verifica di quella testimone era stata affidata a lui. L'aveva interrogata a lungo sulla sua vita privata e aveva controllato le impronte per vedere se aveva precedenti. Dalle risposte e dalle indagini effettuate al computer sembrava pulita. Non era mai stata arrestata per prostituzione e aveva negato di aver commesso qualunque tipo di attività illegale. Non c'era molto altro che Bosch potesse fare. Tornato al leggio, Fowkkes ricominciò con le domande. «Signorina Crowe, ha mai accettato denaro dagli uomini per avere un rapporto sessuale con loro?» «No, assolutamente no. Questa è una menzogna.» «Conosce un uomo di nome Andre Snow?» «Sì, lo conosco.» «Se testimoniasse sotto giuramento di averla pagata in cambio di un rapporto sessuale con lei, mentirebbe?»
«Sì.» Fowkkes nominò altri tre uomini e ogni volta Annabelle Crowe ammise di conoscerli, ma negò di aver mai ricevuto dei soldi in cambio di prestazioni sessuali. «Significa che ha ricevuto del denaro per qualche altro motivo?» le chiese Fowkkes con un tono di falsa esasperazione. «Sì, qualche volta. Comunque non c'entrava niente con il fatto che facessimo sesso oppure no.» «Quindi con cosa c'entrava?» «Mi volevano aiutare. Erano miei amici.» «Ha mai avuto dei rapporti sessuali con loro?» Annabelle Crowe chinò lo sguardo e scosse la testa. «Sta dicendo di no, signorina Crowe?» «Sto dicendo che non ho avuto rapporti sessuali con loro ogni volta che mi hanno dato dei soldi. Insomma, non mi davano soldi ogni volta che facevamo sesso. Una cosa non ha niente a che fare con l'altra. Lei sta cercando di far sembrare le cose diverse da quello che sono.» «Io le sto solo facendo delle domande, signorina Crowe. È il mio compito, come è suo compito dire la verità alla giuria.» Dopo una lunga pausa Fowkkes dichiarò di aver finito. Bosch si rese conto di essersi aggrappato alla sedia con tanta forza che aveva le nocche bianche e formicolanti. Si sfregò le mani per cercare di rilassarsi, ma non ci riuscì. Sapeva che Fowkkes era un maestro, un artista della fuga. Era rapido, puntuale e devastante come un pugnale. Bosch si rese conto che il suo disagio non era solo per Annabelle Crowe, impotente ed esposta alla pubblica umiliazione. Ma anche per se stesso. Perché sapeva che il prossimo obiettivo del pugnale sarebbe stato lui. 40 Da Nat, si sistemarono in un separé dopo aver chiesto un paio di birre alla barista con il cuore avvolto dal filo spinato tatuato sul seno. Mentre tirava fuori le bottiglie dal frigo, la donna non fece commenti sul fatto che qualche sera prima McCaleb avesse fatto domande proprio sull'uomo con cui era lì. Era ancora presto e il locale era quasi vuoto, a parte qualche gruppetto di irriducibili al bar e nei separé. Dal jukebox, Bruce Springsteen stava cantando There's a darkness at the edge of the town. McCaleb osservò Bosch e pensò che sembrava preoccupato, probabil-
mente per il processo. L'ultima testimonianza era stata ambigua: positiva durante l'interrogatorio dell'accusa, negativa con Fowkkes. Era il genere di testimonianza a cui, potendo, si evita di ricorrere. «Si direbbe che vi abbiano fregati con la vostra teste.» Bosch annuì. «È colpa mia. Avrei dovuto capirlo. Ho pensato che era troppo bella per... insomma le ho creduto.» «Ti capisco.» «È l'ultima volta che mi fido di una faccia.» «Non tutto è perduto. Cos'altro avete?» Bosch ammiccò. «Nient'altro. Volevano fermarsi oggi, ma hanno deciso di aspettare domattina, onde evitare che Fowkkes abbia la notte per prepararsi. Ma abbiamo sparato tutte le nostre cartucce. Da domani staremo a guardare.» Vedendo Bosch buttare giù metà della bottiglia in un'unica sorsata, McCaleb decise che fosse meglio passare alle domande finché era ancora lucido. «Parlami di Rudy Tafero.» Bosch alzò le spalle con aria ambigua. «Cosa vuoi sapere?» «Non so... che rapporti avete, o meglio avevate.» «Be', ci conoscevamo quando era in Polizia. È stato detective alla Hollywood per cinque anni insieme a me. Poi ha mollato il distintivo, si è preso la pensione ed è passato dall'altra parte della strada, a tirare fuori quelli che noi mettiamo dentro.» «Quando lavoravate insieme eravate legati?» «Non so cosa significa essere legati. Non eravamo amici e non eravamo compagni di bevute, se è questo che intendi. Lui lavorava alle rapine, io agli omicidi. Ma perché mi fai tutte queste domande? Cosa c'entra lui con...» Si fermò e guardò McCaleb, mentre il suo cervello lavorava. Rod Stewart cantava Twisting the night away. «Stai scherzando» disse alla fine. «Non vorrai...» «Lasciami andare avanti con le domande» lo interruppe McCaleb, «poi mi farai le tue.» Bosch alzò la bottiglia e rimase con il braccio proteso in avanti finché la barista non lo vide. «Niente servizio ai tavoli, ragazzi» gridò la donna, «mi spiace.»
«'Fanculo» disse Bosch, scivolando fuori dal separé. Andò al bar e tornò con altre quattro birre, nonostante McCaleb avesse appena cominciato la sua. «Coraggio, fatti sotto» disse Bosch. «Perché non eravate legati?» Bosch appoggiò i gomiti sul tavolo con una bottiglia fresca tra le mani. Guardò fuori dal separé e poi tornò a posare gli occhi su McCaleb. «Cinque, dieci anni fa c'erano due gruppi al Bureau. La stessa cosa avveniva al Dipartimento. Erano due gruppi ben distinti: i santi e i peccatori, così li chiamavano.» McCaleb se lo ricordava. Una decina di anni prima era noto tra le forze dell'ordine che nel Dipartimento di Polizia c'era un gruppo conosciuto come «i santi», di cui facevano parte uomini in posizioni chiave, che gestivano promozioni e assegnazioni. Il gruppo, che comprendeva diverse centinaia di poliziotti di tutte le categorie, era legato a una chiesa della San Fernando Valley, dove l'allora vicecapo, responsabile delle operazioni, era predicatore. I poliziotti ambiziosi frequentavano la chiesa, sperando di incrementare le loro prospettive di carriera. Quanto c'entrasse la spiritualità era cosa dubbia. Ma quando il pezzo grosso faceva il suo sermone, ogni domenica durante il secondo servizio religioso, la chiesa era affollata di agenti fuori servizio che guardavano pieni di fervore verso il pulpito. A McCaleb avevano raccontato che una volta, durante la funzione, era scattato l'allarme di una macchina e il povero drogato che stava frugando nel cassettino del cruscotto si era trovato un centinaio di pistole puntate contro. «Suppongo tu facessi parte dei peccatori, Harry.» Bosch annuì sorridendo. «Naturalmente.» «E Tafero era con i santi.» «Già. E anche quello che allora era il nostro tenente: un burocrate di nome Harvey Pounds. Lui e Tafero si erano molto legati, grazie alla comune frequentazione della chiesa. Ma nessuno che fosse vicino a Pounds poteva attrarmi in alcun modo... e viceversa.» McCaleb annuì. Capiva molto più di quanto non lasciasse intendere. «Pounds è il tizio che ti ha incasinato il caso Gunn» disse, «quello che hai fatto volare fuori dal suo ufficio.» «Proprio lui.» Bosch chinò la testa e la scosse, come se fosse disgustato di se stesso.
«Tafero c'era in quel periodo?» «Tafero? Non so, è probabile.» «Non c'è stata un'indagine della Affari Interni con tanto di testimonianze scritte?» «Sì, ma non l'ho nemmeno esaminata. L'ho fatto volare fuori dalla vetrata davanti a tutta la squadra. Non avrei certo potuto negarlo.» «E più tardi, circa un mese dopo, Pounds è stato ucciso in un tunnel sulle colline.» «Sì, a Griffith Park.» «E il caso è ancora aperto.» Bosch annuì. «Tecnicamente.» «Me l'hai già detto. Che cosa significa?» «Significa che è aperto, ma nessuno ci sta lavorando. Il Dipartimento di Polizia ha una definizione speciale per i casi di questo genere, i casi che non vuole toccare. Sono chiamati "casi chiusi da circostanze diverse dall'arresto di un colpevole".» «E tu conosci queste circostanze?» Bosch finì la seconda birra, mise la bottiglia da parte e ne prese una nuova. «Non stai bevendo» osservò. «Ci pensi tu per tutti e due. Allora, mi rispondi?» Bosch si chinò in avanti. «Senti, adesso ti dirò qualcosa che sono in pochi a sapere, d'accordo?» McCaleb annuì. Era meglio che lasciasse perdere le domande, per il momento, e che lo lasciasse parlare. «Come ti dicevo, mi hanno sospeso. Quando mi sono stufato di starmene in casa a guardare il soffitto, ho cominciato a indagare su un vecchio caso. Un caso ormai dimenticato. Un omicidio. Mi sono mosso autonomamente e sono finito in un vicolo cieco che portava dritto dritto ad alcune persone molto importanti. Ma in quel momento non avevo il distintivo, né la posizione per fare alcunché. Così qualche volta, per fare delle telefonate, ho usato il nome di Pounds. Capisci, no? Cercavo di nascondere quello che stavo facendo.» «Se al Dipartimento avessero scoperto che ti occupavi di un'indagine mentre eri sospeso, le cose si sarebbero messe ancora peggio.» «Esattamente. Quindi ho usato il suo nome per quelle che credevo delle telefonate innocue, di routine. Ma poi, una notte, qualcuno ha chiamato
Pounds e gli ha detto che aveva delle informazioni urgenti. Lui è andato all'incontro, da solo. Più tardi l'hanno ritrovato nel tunnel. Era conciato piuttosto male, l'avevano torturato. Solo che lui non poteva rispondere alle loro domande: era la persona sbagliata. Ero io quello che usava il suo nome. Ero io quello che volevano.» Bosch lasciò cadere il mento sul petto e rimase in silenzio per un lungo momento. «L'ho ucciso io» disse senza alzare lo sguardo. «Lui era un vero pezzo di merda, ma è stato quello che ho fatto a portarlo alla morte.» Poi, improvvisamente, rizzò la testa e bevve dalla bottiglia. McCaleb notò che aveva gli occhi lucidi, sembrava stanco. «Era questo che volevi?» McCaleb annuì. «È possibile che Tafero fosse al corrente di qualcosa?» «No, non sapeva niente.» «Potrebbe aver pensato che eri stato tu a chiamare Pounds quella notte?» «Forse. Qualcuno al Dipartimento lo pensava, e forse lo pensa tuttora. Ma cosa significa? Cosa c'entra tutto questo con Gunn?» McCaleb bevve la sua prima sorsata di birra. Sentì il liquido freddo attraversargli il petto. Posò la bottiglia e decise che era giunto il momento di dare qualche spiegazione a Bosch. «Avevo bisogno di sapere di Tafero, perché ho bisogno di un movente. Non ho nessuna prova - per il momento - ma credo che Tafero abbia ucciso Gunn. L'ha fatto per Storey. E ti ha incastrato. Ti ha messo nel quadro.» «Gesù...» «Un quadro perfetto. La scena del delitto è collegata al pittore Hieronymus Bosch, il pittore è collegato a te a causa dell'omonimia e tu sei collegato a Gunn. E sai quando Storey deve aver avuto l'idea?» Bosch scosse la testa. Era troppo stupito per parlare. «Il giorno in cui hai cercato di interrogarlo nel suo ufficio. Hai fatto ascoltare la registrazione durante il processo: ti sei identificato con nome e cognome.» «Lo faccio sempre. Io...» «Poi lui ha contattato Tafero e Tafero aveva la vittima perfetta da inserire nel quadro - un uomo che non eri riuscito a mettere dentro per un caso di omicidio di sei anni fa.» Bosch alzò la sua bottiglia di qualche centimetro, ma poi la riappoggiò con forza.
«Credo che i piani fossero due» continuò McCaleb. «Con un po' di fortuna, il collegamento sarebbe stato fatto in fretta e tu ti saresti ritrovato a combattere contro un'accusa di omicidio prima ancora che il processo cominciasse. E se fosse andata così, c'era il piano B. Potevano distruggerti durante il processo. E distruggere te significava distruggere il caso. Fowkkes ha già eliminato la testimone di oggi e sparato nel mucchio, colpendo alcuni degli altri. Su cosa si regge il caso? Su di te, Harry. E loro lo sapevano.» Bosch girò appena la testa, fissando con occhi assenti la superficie piena di graffi del tavolo mentre rifletteva alle parole di McCaleb. «Avevo bisogno di sapere di Tafero perché dovevo capire la sua motivazione. Certo, probabilmente c'entrano i soldi e la posizione di forza che si sarebbe conquistato presso Storey, se questi l'avesse fatta franca. Ma ci doveva essere qualcosa di più. E credo che tu me l'abbia appena detto. Probabilmente ti odia da molto tempo.» Bosch alzò la testa e guardò negli occhi McCaleb. «Vuole farmela pagare.» McCaleb annuì. «Per Pounds. E se non troviamo le prove potrebbe riuscirci.» Bosch rimase in silenzio. Continuava a fissare il tavolo. A McCaleb sembrava esausto. «Vuoi ancora stringergli la mano?» Bosch alzò la testa e lo guardò in faccia. «Scusa, Harry, è stato un colpo basso.» Bosch alzò le spalle per minimizzare. «Me lo merito. Allora, dimmi che cos'hai in mano.» «Non molto. Ma avevi ragione. Mi era sfuggito qualcosa. Tafero ha pagato la cauzione per Gunn, l'ultimo dell'anno. Credo che il piano fosse quello di ucciderlo la notte, preparare la messinscena e lasciare che le cose seguissero il loro corso. Il collegamento con Hieronymus Bosch sarebbe saltato fuori grazie a Jaye Winston o a un'indagine supplementare del Bureau e tu saresti stato l'obiettivo naturale. Ma poi Gunn è venuto qui e si è ubriacato.» Alzò la bottiglia e indicò il bar. «Mentre tornava a casa in macchina l'hanno preso e l'hanno messo dentro. Così Tafero ha dovuto tirarlo fuori per poter mettere in atto il suo piano. Per ucciderlo. La ricevuta di rilascio è l'unico collegamento diretto che abbiamo.»
Bosch annuì, lo stava seguendo. «Hanno fatto la soffiata al giornalista e una volta che la cosa fosse uscita sui giornali loro potevano far finta di non saperne niente, mentre erano gli artefici della trappola» disse. McCaleb annuì, esitando. Non aveva tirato fuori la confessione di Buddy Lockridge per non creare confusione. «Cosa c'è?» chiese Bosch. «Niente, stavo pensando.» «Cos'altro hai, a parte la ricevuta di rilascio?» «Una multa e basta, per il momento.» McCaleb descrisse nel dettaglio a Bosch la sua visita all'ufficio di Tafero e gli spiegò che i quarantotto minuti di ritardo all'ufficio postale potevano essere determinanti. Bosch ebbe un sussulto a afferrò di nuovo la bottiglia. Ma poi la riappoggiò senza aver bevuto. «La multa ci dice che era all'ufficio postale» suggerì McCaleb. «Non significa niente. Ha un ufficio a pochi isolati da lì. Potrebbe dire che non aveva trovato altro parcheggio, che aveva prestato la macchina a qualcuno.» McCaleb non si voleva concentrare su ciò che non avevano. Preferiva mettere insieme i pezzi. «Il sergente di guardia ci ha ordinato di chiamarti ogni volta che Gunn finiva dentro. È possibile che Tafero lo sapesse? Magari dall'epoca in cui era un poliziotto? O in qualche altro modo?» «È possibile. Non era un segreto. Io stavo lavorando su Gunn. Prima o poi l'avrei fatto crollare.» «A proposito, puoi descrivermi Pounds?» Bosch lo guardò sconcertato. «Basso, grasso, calvo, coi baffi?» Bosch annuì e stava chiedere spiegazioni, ma McCaleb lo anticipò. «C'è la sua foto appesa al muro nell'ufficio di Tafero. Pounds gli sta consegnando una targa come detective del mese. Scommetto che tu non ne hai mai ricevuta una, Harry.» «Non da Pounds.» McCaleb alzò la testa e vide che Jaye Winston era entrata nel locale. Aveva una ventiquattrore. Le fece un cenno e la donna avanzò verso il separé con cautela, come se stesse attraversando una discarica piena di rifiuti.
McCaleb si spostò e lei si sedette accanto a lui. «Bel posto.» «Harry» dise McCaleb, «credo che tu conosca Jaye Winston.» I due si guardarono. «Innanzitutto» disse Winston, «mi dispiace per la storia con Kiz. Spero che...» «Si fa quello che si deve» la interruppe Bosch. «Vuoi bere qualcosa? Non fanno servizio ai tavoli, qui.» «Mi sarei stupito del contrario. Maker's Mark, con ghiaccio, se ce l'hanno.» «Terry, tu sei a posto?» «Sì.» Bosch scivolò fuori per andare al bar e Winston guardò McCaleb. «Come sta andando?» «Un pezzetto alla volta.» «E lui come l'ha presa?» «Non male, mi sembra, per uno che si trova in un mare di guai. E tu, cos'hai fatto?» Lei sorrise in modo eloquente: aveva trovato qualcosa. «Ti ho portato la foto e un altro paio di... pezzi... interessanti.» Bosch mise il bicchiere davanti a Jaye e si risedette. «La ragazza ha riso quando le ho chiesto il Maker's Mark. Mi ha detto che lo fabbricano qui.» «Fantastico, grazie.» Winston spostò il bicchiere e mise la ventiquattrore sul tavolo. L'aprì, tirò fuori una cartelletta, poi la richiuse e la appoggiò per terra accanto al sedile. McCaleb guardava Bosch che seguiva con ansia ogni gesto. Winston tirò fuori dalla cartelletta una foto di Rudy Tafero e la passò a McCaleb. «È quella della licenza come garante. Risale a undici mesi fa.» Poi, guardando un foglio dattiloscritto: «Sono andata alla prigione della contea e ho tutto su Storey. È rimasto lì finché non l'hanno trasferito a Van Nuys per il processo. Durante la sua permanenza, ha ricevuto diciannove visite da Tafero, dodici durante le prime tre settimane. In quello stesso periodo Fowkkes è andato da lui solo quattro volte, e altre quattro un avvocato del suo studio. Inoltre l'assistente di Storey, una certa Betilda Lockett, è andata a trovarlo sei volte. È tutto. Ha incontrato il suo investigatore più spesso del suo avvocato.»
«È stato allora che hanno preparato il piano» disse McCaleb. Lei annuì, poi sorrise nello stesso modo di prima. «Cosa c'è?» chiese McCaleb. «Adesso arriva il meglio.» Riprese la sua ventiquattrore e l'aprì. «La prigione registra tutti gli oggetti che appartengono ai detenuti: quelli con cui arrivano e quelli che, ottenuta l'autorizzazione, vengono portati dai visitatori. Pare che Betilda Lockett, l'assistente di Storey, gli abbia portato durante la sua seconda visita un libro intitolato L'arte del buio. Sono andata in una libreria e l'ho comprato.» Tirò fuori dalla ventiquattrore un librone con la copertina blu. C'era un Post-it come segnalibro. «L'introduzione dice che si tratta di un testo sui pittori che utilizzano l'oscurità, il buio, come parte fondamentale della comunicazione visiva.» Alzò lo sguardo e sorrise mentre apriva il libro alla pagina con il foglietto giallo. «C'è un capitolo piuttosto lungo su Hieronymus Bosch. Completo di illustrazioni.» McCaleb alzò la bottiglia vuota e fece un brindisi battendola contro il suo bicchiere. Poi lui e Bosch si chinarono per guardare il libro da vicino. «Ottimo» disse. Winston girava le pagine. Le illustrazioni del capitolo su Bosch comprendevano tutti i quadri a cui si era ispirata la scena del delitto: La nave dei folli, I sette peccati capitali, Il giudizio universale e Il trittico delle delizie. «Ha programmato tutto dalla cella» si meravigliò McCaleb. «Così pare» disse Winston. Entrambi guardarono Bosch che stava annuendo impercettibilmente. «Adesso è il tuo turno, Harry» disse McCaleb. Bosch sembrava perplesso. «Per fare cosa?» «Per tentare la fortuna.» McCaleb fece scivolare la foto di Tafero sul tavolo e indicò la barista con il mento. Bosch si alzò e andò al banco con la foto. «Stiamo ancora girando a vuoto» disse Winston mentre entrambi guardavano Bosch fare le domande alla ragazza. «Non abbiamo niente di rilevante.»
«Lo so» disse McCaleb. Non riusciva a sentire cosa i due si stessero dicendo al bar. La musica era troppo alta: Van Morrison stava cantando The wild night is coming. Bosch fece un cenno di commiato alla barista e tornò al tavolo. «Lo ha riconosciuto - beve roba raffinata - ma non l'ha collegato a Gunn.» McCaleb alzò le spalle come per dire che non aveva importanza. «Valeva la pena tentare.» «Sapete dove tutto questo ci porta, vero?» disse Bosch mentre i suoi occhi si spostavano da Winston a McCaleb e viceversa. «Dovete giocare sporco. È l'unico modo. E sarà un bel gioco perché c'è la mia testa in palio.» McCaleb annuì. «Lo sappiamo.» «Quando? Il tempo a nostra disposizione sta per scadere.» McCaleb guardò Winston. Toccava a lei. «Presto» disse. «Forse domani. Non ho ancora parlato con il mio capitano e devo andarci piano, perché le ultime notizie in suo possesso sono che Terry è stato estromesso dal caso e io lavoro su di te con due agenti dell'FBI. Devo coinvolgere anche un procuratore distrettuale, perché quando ci muoveremo dovremo farlo in fretta. Se tutto va per il verso giusto, dico che prendiamo Tafero domani sera e ce lo lavoriamo.» Bosch guardava il tavolo con un sorriso mesto. Faceva scivolare una bottiglia vuota da una mano all'altra. «Li ho incontrati oggi. I due agenti.» «Ho sentito. Non li hai esattamente rassicurati sulla tua innocenza. Quando sono tornati erano fuori dalla grazia di dio.» Bosch alzò lo sguardo. «Allora che cosa volete che faccia?» «Che tu stia fermo e tranquillo» disse McCaleb. «Ti faremo sapere qualcosa domani sera.» Bosch annuì. «C'è una cosa però» aggiunse McCaleb. «Hai accesso ai reperti del processo?» «Durante le udienze, sì, poi sono sotto chiave, perché?» «Perché è ovvio che Storey conosceva Hieronymus Bosch. Ha riconosciuto il tuo nome il giorno dell'interrogatorio e ha cominciato a pensare a come utilizzarlo. Penso che il libro fosse suo e che sia stato lui a dire al-
l'assistente di portarglielo.» Bosch annuì. «La foto della libreria.» «Bravo.» «Vi farò sapere» disse Bosch guardandosi intorno. «Abbiamo finito qui?» «Sì, abbiamo finito» rispose Winston. «Resteremo in contatto.» La donna scivolò fuori dal separé seguita da Bosch e McCaleb. Lasciarono due birre e un wiskey con ghiaccio sul tavolo. Arrivati alla porta, McCaleb si voltò e vide un paio di irriducibili dirigersi verso quel tesoro. Dal jukebox John Fogerty stava cantando There's a bad moon on the rise... 41 Il freddo gli penetrava nelle ossa. Mentre scendeva la rampa che portava al molo di Cabrillo, McCaleb ficcò le mani in tasca e ritirò il collo nella giacca a vento come una tartaruga. Benché fosse a capo chino, i suoi occhi scrutavano la zona in cerca di movimenti strani. Non notò niente che attirasse la sua attenzione. Passando, si girò a guardare la barca a vela di Buddy Lockridge. Nonostante l'ammasso di roba che ingombrava il ponte - tavole da surf, biciclette, griglie per il barbecue, un kayak e altre cianfrusaglie - riuscì a vedere la luce accesa nella cabina. E tuttavia, ammesso che Buddy fosse sveglio, era già tardi e lui si sentiva troppo stanco e infreddolito per avere a che fare con il suo presunto socio. Mentre si avvicinava al The Following Sea, non poté fare a meno di pensare che c'era qualcosa di strano nella sua teoria sul caso. Al bar, poco prima, Bosch gli aveva detto che doveva essere stato qualcuno del giro di Storey a fare la soffiata al giornalista del New Times. L'unica possibilità era che Tafero, o forse Fowkkes, o magari Storey stesso dalla prigione, avessero messo in pista Jack McEvoy. Il problema era che Buddy Lockridge gli aveva detto di essere stato lui a parlare dell'indagine con il giornalista. Il che significava che sia Buddy sia qualcuno della difesa di Storey dovevano aver dato la stessa informazione alla stessa persona. E questa, naturalmente, era una coincidenza difficilmente accettabile. McCaleb cercò di allontanare quei pensieri, almeno per il momento. Raggiunta la barca, si diede un'ultima occhiata intorno, quindi scese nel pozzetto di poppa, aprì la porta del salone e accese la luce. Decise che la
mattina dopo sarebbe andato da Buddy per chiarire che cosa avesse detto e a chi. Chiuse la porta e appoggiò le chiavi, insieme a una videocassetta, sul tavolino. Poi andò in cambusa e si riempì un bicchierone di succo d'arancia. Spense la luce del ponte superiore e scese con il succo. In bagno cominciò il rito delle pillole. Quando ebbe finito, si guardò nel piccolo specchio sopra il lavandino. Ripensò all'aspetto di Bosch. Ai suoi occhi, così segnati e stanchi. Si domandò come sarebbe diventato di lì a qualche anno. Dopo di che si spogliò e fece un rapida doccia. L'acqua era gelida, perché lo scaldabagno era rimasto spento dal giorno prima. Rabbrividendo, andò nella cabina e infilò un paio di boxer e una felpa. Era stanco morto, ma decise di scrivere qualche appunto su come Jaye Winston avrebbe dovuto condurre il gioco con Tafero. Aprì il cassetto del comodino dove teneva penne e blocchetti, e vi trovò un giornale piegato, ficcato a stento nello spazio esiguo del cassetto. Era il New Times della settimana precedente, aperto sulle pagine degli annunci. Quella su cui McCaleb stava fissando lo sguardo aveva come titolo: MASSAGGI. A un tratto ebbe una folgorazione. Si alzò in fretta e afferrò la giacca a vento che aveva lasciato su una sedia. Tirò fuori il cellulare dalla tasca e tornò a letto. Anche se negli ultimi giorni l'aveva portato con sé, in genere lo lasciava sulla barca, sul caricabatteria. Il suo costo era a carico della società; oltre a lui, lo usavano i clienti durante le uscite e Lockridge per questioni amministrative. Il telefono aveva un piccolo schermo digitale e McCaleb richiamò la lista delle ultime cento chiamate. La scorse rapidamente, riconoscendo ed escludendo la maggior parte dei numeri, ma ogni volta che ne incontrava uno sconosciuto lo confrontava con quelli presenti sulla pagina degli annunci. Finalmente, al quarto numero, scoprì che corrispondeva a quello di una donna che sul giornale si presentava come una «bellezza esotica havaiiano-giapponese» di nome Leilani, specializzata in «servizi di rilassamento completo». Non apparteneva a nessuna agenzia, era una freelance. McCaleb chiuse il telefono e si alzò di nuovo dal letto. Mentre si infilava i pantaloni della tuta, cercò di ricordarsi esattamente quello che si erano detti lui e Buddy quando l'aveva accusato di aver fatto la soffiata a McEvoy. Il tempo di vestirsi e fu certo di non aver mai formulato accuse specifiche. Si era limitato a nominare il giornale e Buddy aveva subito cominciato a scusarsi. Adesso capiva che le scuse e l'imbarazzo del socio erano cau-
sati dal fatto di aver usato il The Following Sea, la settimana prima, quando era rimasto a Cabrillo, per un appuntamento con la massaggiatrice. Questo spiegava perché gli aveva chiesto se avrebbe parlato a Graciela della faccenda. McCaleb guardò l'ora. Erano le undici e dieci. Afferrò il giornale e salì. Immaginava che Buddy si fosse servito del The Following Sea come base perché la sua barca, troppo piccola e disordinata, assomigliava a una trappola per topi galleggiante. Non aveva neanche una vera e propria cabina, ma solo uno spazio aperto, ingombro di ogni genere di cianfrusaglie. Giunto nel salone buio, si chinò sul divano e guardò fuori. La luce sulla barca di Buddy Lockridge, il Double Down, era ancora accesa. O era sveglio o si era addormentato senza spegnerla. McCaleb aprì la porta. Aveva appena messo un piede fuori quando si sentì afferrare alle spalle. Prima che riuscisse a capire cosa stava succedendo, un braccio gli passò davanti da destra, piegandosi all'altezza del gomito. L'altro braccio dell'aggressore gli premeva sulla nuca. Il suo collo era incastrato in una morsa triangolare che comprimeva entrambe le carotidi. McCaleb capiva perfettamente quello che gli stava succedendo: il flusso di ossigeno al cervello era stato interrotto. Iniziò a dibattersi. Alzò le braccia e cercò di infilare le dita sotto l'avambraccio e il bicipite che gli stringevano il collo, senza riuscirci. Cominciava già a cedere. Venne trascinato attraverso la porta nell'oscurità del salone. Con la mano sinistra raggiunse il punto in cui la destra dell'aggressore afferrava l'avambraccio sinistro, il punto debole del triangolo, ma non riuscì a fare leva in nessun modo. Stava perdendo le forze rapidamente. Provò a gridare. Magari Buddy l'avrebbe sentito, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Si ricordò di un'altra mossa di difesa. Alzò il piede destro e lo spinse verso il basso, in direzione del piede dell'aggressore, ma mancò il bersaglio. Il tallone colpì con forza il pavimento e l'altro indietreggiò di un passo, facendogli perdere l'equilibrio e impedendogli di ripetere la mossa. McCaleb stava per svenire. La vista delle luci del porto era inframmezzata da macchie nere e strisce rosse. Il suo ultimo pensiero fu che lo stavano strangolando con una presa che per molto tempo era stata insegnata nelle accademie di Polizia di tutta la nazione, prima che causasse troppe morti. Ma ben presto anche quel pensiero scivolò via. Le luci sparirono e si sentì avvolgere dall'oscurità.
42 McCaleb si svegliò con un dolore terribile ai muscoli delle spalle e delle cosce. Quando aprì gli occhi si rese conto di essere sdraiato di traverso e a pancia in giù sul letto della cabina. Gli ci volle un momento prima di ricordare che stava per andare da Buddy quando era stato aggredito alle spalle. Rinvenne del tutto e cercò di rilassare i muscoli, ma si rese conto che non poteva muoversi. Aveva i polsi legati dietro la schiena e qualcuno gli stava tenendo le gambe piegate all'indietro. Sollevò la testa dal materasso e provò a girarla. Non vedeva niente. La riappoggiò, la voltò verso destra e la sollevò di nuovo. Questa volta riuscì a scorgere Rudy Tafero che, seduto accanto al letto, gli sorrideva. Con una mano guantata gli teneva le gambe, legate alle caviglie, piegate verso le cosce. A un tratto tutto gli fu chiaro. Era nudo e legato nella stessa posizione in cui era stato trovato il cadavere di Edward Gunn: la posizione fetale al contrario che aveva visto nei quadri di Hieronymus Bosch. Sentì la morsa gelida del terrore stringergli il petto. Istintivamente, contrasse i muscoli delle gambe, ma Tafero era preparato. I suoi piedi quasi non si mossero, ma sentì tre scatti dietro la testa e percepì il laccio che gli stringeva il collo. «Calma» disse Tafero. «Stai calmo. Non è ancora arrivato il momento.» McCaleb smise di muoversi, mentre Tafero continuava a spingergli i talloni verso le cosce. «È una scena che hai già visto» disse Tafero in tono pratico, «ma stavolta è leggermente diversa. Ho collegato insieme un po' di quelle manette di plastica che i poliziotti di Los Angeles si portano sempre dietro nel baule dell'auto.» McCaleb capì. Si trattava di strisce di plastica rigida dotate di tacche, nate per tenere insieme tubi e cavi e poi adottate dalla polizia nei casi di sommosse e arresti di massa. Ogni agente aveva in dotazione un unico paio di manette regolamentari, ma un numero indefinito di quel tipo. Le chiudevano intorno ai polsi e, più le tiravano, più scorrevano le tacche. L'unico modo per levarle era tagliarle. McCaleb si rese conto che gli scatti che aveva appena sentito dietro alla testa erano quelli della plastica che si stringeva intorno al suo collo. «Ti conviene fare molta attenzione a come ti muovi» continuò Tafero. McCaleb premette la faccia contro il materasso. Il suo cervello stava la-
vorando alacremente in cerca di una via d'uscita. Pensò che se teneva Tafero occupato avrebbe guadagnato tempo. Già, ma tempo per cosa? «Come hai fatto a trovarmi?» disse senza girare la testa. «È stato facile. Il mio fratellino ti ha seguito quando sei uscito dall'ufficio e ha preso il tuo numero di targa. Dovresti guardarti intorno più spesso, per essere sicuro di non avere nessuno alle calcagna.» «Me ne ricorderò.» Il piano era chiaro. Doveva sembrare che l'assassino di Gunn lo avesse ucciso perché gli si era avvicinato troppo. Girò di nuovo la testa in modo da vedere Tafero. «Non funzionerà» disse. «Lo sanno. Nessuno crederà che sia stato Bosch.» Tafero gli sorrise. «Parli di Jaye Winston? Non ti preoccupare per lei. Le farò una visita quando avrò finito con te. 881 Willoughby, appartamento sei, West Hollywood. È stato facile trovarlo.» Alzò la mano libera e mosse le dita come se stesse suonando il piano o battendo a macchina. «È bastato lasciare che le dita mi guidassero tra le liste dei votanti. È registrata tra i democratici. Incredibile, una detective della Omicidi che vota per i democratici! Non si finisce mai di stupirsi.» «Ci sono altri che si occupano del caso» disse McCaleb. «Anche l'FBI e...» «Loro puntano Bosch, non me. Li ho visti oggi in tribunale.» Si chinò e fece scattare un paio di volte le manette che legavano le gambe al collo di McCaleb. «E queste, ne sono sicuro, li porteranno dritti dritti al detective Bosch.» Sorrise alla genialità del proprio piano. McCaleb sapeva che aveva ragione. Twilley e Friedman sarebbero andati dietro a Bosch, come due cani all'inseguimento della stessa lepre. «Vedi di non muoverti, adesso.» Tafero lasciò la presa e si allontanò. McCaleb si sforzò di tenere le gambe ben piegate, ma quasi subito sentì che i muscoli gli bruciavano. Sapeva di non avere abbastanza forza per resistere a lungo. «Per favore...» Tafero riapparve. Teneva un gufo di plastica con entrambe le mani e aveva un sorriso soddisfatto sulla faccia. «L'ho preso da una delle barche del molo. È un po' vecchiotto, ma fun-
zionerà alla perfezione. Me ne procurerò un altro per Jaye Winston.» Diede un'occhiata alla stanza in cerca di un posto adatto. Fermò lo sguardo su uno scaffale sopra la cuccetta che fungeva da scrivania. Ce lo appoggiò, e si voltò verso McCaleb dopo aver girato il gufo in modo che lo guardasse. «Perfetto» disse. McCaleb chiuse gli occhi. Sentiva i muscoli vibrare per lo sforzo. Gli si presentò alla mente l'immagine di sua figlia. La teneva in braccio e gli occhi della piccola lo guardavano sopra il biberon e gli dicevano di non avere paura. Quell'immagine lo calmò. Si concentrò sul suo visino e gli sembrò di annusare il profumo dei suoi capelli. Sentì che le lacrime cominciavano a scorrergli lungo le guance, mentre le gambe cedevano. Le manette cominciarono a stringersi... poi Tafero gli afferrò le caviglie. «Non ancora.» Qualcosa colpì la testa di McCaleb e cadde con un rumore sordo sul materasso accanto a lui. Girò la faccia e aprì gli occhi. Era la videocassetta che aveva preso in prestito da Lucas, il responsabile della sorveglianza all'ufficio postale. Vide l'etichetta dell'ufficio postale con il simbolo di un'aquila in volo che Lucas aveva appiccicato per lui. «Spero che non ti dispiaccia: mentre dormivi ho dato un'occhiata alla cassetta sul tuo videoregistratore. Non ci ho trovato niente. È vuota. Come mai?» McCaleb sentì di avere un briciolo di speranza. L'unica ragione per cui era ancora vivo era la videocassetta che, evidentemente, aveva fatto nascere troppe domande nella testa di Tafero. Doveva sfruttare quell'opportunità. Pensò a come utilizzarla a proprio vantaggio. La cassetta era vuota perché doveva solo essere usata come esca nel momento in cui avessero cercato di incastrare Tafero. Faceva parte del bluff. Dovevano fargliela vedere, dicendogli che era stato ripreso mentre pagava l'ordine d'acquisto del gufo. Ora McCaleb pensò che forse poteva ugualmente utilizzarla. Tafero gli spinse con forza i talloni, finché gli toccarono quasi le natiche. McCaleb gemette per la tensione muscolare e Tafero gli riportò indietro le gambe. «Ti ho fatto una domanda, figlio di puttana! Vuoi darmi una cazzo di risposta?» «Non è niente. Era previsto che fosse vuota.» «Balle! Sull'etichetta c'è scritto "22 dicembre-sorveglianza-Wilcox". Perché è vuota?»
Aumentò la pressione sulle gambe di McCaleb, anche se meno di prima. «Okay, aspetta! Ti dirò la verità.» McCaleb respirò profondamente, cercando di rilassarsi. Nel momento in cui, immobile, riempiva i polmoni di aria, percepì un movimento della barca diverso dal lieve dondolio provocato dalle onde del porticciolo. Qualcuno era salito a bordo. Poteva essere solo Buddy Lockridge. E se era lui, si stava dirigendo verso un atroce destino. Cominciò a parlare in fretta e a voce alta, sperando che il suo tono mettesse sull'avviso Buddy. «È solo un'esca, nient'altro. Intendevamo dirti che eri stato ripreso mentre effettuavi l'ordine di pagamento del gufo. Il nostro piano era quello di spingerti ad accusare Storey. Sappiamo che ha progettato tutto lui, dal carcere. Tu hai solo eseguito gli ordini. È Storey che volevamo incastrare. Io avrei dovuto...» «Ho capito, stai zitto adesso!» McCaleb tacque. Si chiese se Tafero si fosse accorto del movimento della barca o se avesse sentito qualche rumore. Ma poi vide che riprendeva in mano la cassetta e si rese conto che stava riflettendo su ciò che gli aveva detto. Dopo una lunga pausa Tafero finalmente parlò. «Sai cosa credo, McCaleb? Credo che mi stai raccontando un sacco di cazzate. Credo che questa cassetta sia stata registrata con uno di quei sistemi di sorveglianza sofisticati che un normale videoregistratore non può leggere.» Se non fosse stato che ogni muscolo del suo corpo stava urlando di dolore, McCaleb avrebbe sorriso. Aveva Tafero in pugno. Era legato mani e piedi sul letto, ma si stava prendendo gioco del suo carceriere. «Chi ha le copie?» riprese Tafero. McCaleb non rispose. Cominciava a credere di essersi sbagliato riguardo al movimento della barca. Era passato troppo tempo. A bordo non era salito nessuno. Tafero gli picchiò con forza la cassetta sulla testa. «Ti ho chiesto: chi ha le copie?» Ora la sua voce aveva una nota diversa. La sicurezza di poco prima era stata sostituita, almeno in parte, dalla paura, dal timore che nel suo piano perfetto ci fosse una falla. «Vaffanculo! Fai quello che devi fare. In ogni caso scoprirai chi ha le altre copie piuttosto in fretta.» Tafero gli spinse le gambe e si chinò su di lui. McCaleb sentiva il suo respiro nelle orecchie.
«Ascoltami bene, lurido...» In quel momento McCaleb udì un frastuono alle sue spalle. «Non ti muovere!» gridò una voce. Tafero si alzò in piedi lasciandogli andare le caviglie. McCaleb trasalì e involontariamente contrasse i muscoli. Sentiva le tacche del laccio che si stringevano una dopo l'altra, in una reazione a catena che cominciò a stringergli il collo con sempre maggior forza. Gli mancava l'aria. Aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. 43 Harry Bosch era sulla porta della cabina e puntava la pistola contro Rudy Tafero. I suoi occhi erano spalancati, quasi volesse farci entrare l'intera stanza. Sul letto, nudo e con mani e piedi legati dietro la schiena, c'era Terry McCaleb. Bosch notò la legatura, fatta con le manette a tacche, che collegava il collo ai polsi e alle caviglie. Non riusciva a vedere la faccia di McCaleb, ma si accorse che tacca dopo tacca la legatura si stava stringendo intorno al suo collo. La pelle diventava sempre più rossa. Si stava strangolando. «Girati!» gridò a Tafero. «Faccia contro il muro!» «Ha bisogno di aiuto, Bosch. Tu...» «Ho detto faccia contro il muro! Svelto!» Puntò la pistola al petto di Tafero per convincerlo a eseguire l'ordine e quello lentamente alzò le mani e cominciò a voltarsi verso la parete. «Okay, okay. Vedi, lo sto facendo.» Non appena Tafero si fu girato, Bosch si fiondò nella stanza e scaraventò l'omone contro la parete. Lanciò un'occhiata a McCaleb. Adesso riusciva a vedergli la faccia. Era cianotica. Aveva gli occhi violacei e gonfi. La bocca era aperta in un disperato ma inutile tentativo di introdurre aria. Bosch spinse la pistola contro la schiena di Tafero e con l'altra mano lo palpò in cerca di un'arma. Gli tolse la pistola che portava al fianco e fece un passo indietro. Guardò un'altra volta McCaleb rendendosi conto di non avere molto tempo. Il problema era come tenere sotto controllo Tafero mentre lo liberava. In un lampo decise: fece un altro passo indietro, alzò le braccia, afferrò entrambe le pistole per la canna e con i calci colpì violentemente la testa di Tafero. L'omone fu proiettato in avanti, la sua faccia si spiaccicò contro la parete, quindi lui scivolò per terra e rimase immobile.
Bosch si girò, buttò entrambe le pistole sul letto e rapidamente tirò fuori le chiavi. «Resisti, resisti.» Estrasse la lama dalla finta penna attaccata al mazzo di chiavi. L'avvicinò alle manette di plastica intorno al collo di McCaleb, ma erano troppo strette, non riusciva a sollevarle. Poi fece lo stesso in corrispondenza della gola. Finalmente riuscì a infilare la lama e a tagliare la plastica, ferendo leggermente la pelle sottostante. Un orribile grido uscì da McCaleb, mentre riempiva i polmoni d'aria e tentava di parlare al tempo stesso. Le parole erano incomprensibili e si perdevano nel suo ansimare spasmodico in cerca di ossigeno. «Stai zitto e respira!» gridò Bosch. «Respira e basta.» Ogni respiro di McCaleb era accompagnato da un rantolo. Bosch vide la linea di un rosso acceso che segnava il collo. Glielo toccò delicatamente, per controllare che non fossero state danneggiate la trachea, la laringe o le arterie. McCaleb mosse di scatto la testa nel tentativo di alzarsi. «Liberami.» Quella parola lo fece tossire violentemente, mentre il suo corpo tremava per lo sforzo e il trauma. Bosch tagliò la legatura ai polsi e alle caviglie. Vide dei profondi segni rossi anche lì. Tirò via tutte le "manette" di plastica e le buttò sul pavimento. Si guardò intorno e raccolse da terra i pantaloni e la maglietta, lanciandoli sul letto. McCaleb si stava lentamente girando verso di lui. Era rosso come un pomodoro maturo. «Mi hai... salvato...» «Non parlare.» Si udì un grugnito dal pavimento. Tafero stava riprendendo conoscenza e aveva cominciato a muoversi. Bosch afferrò le manette appese al fianco, ruotò con violenza le braccia di Tafero dietro alla schiena e lo ammanettò. Nel frattempo parlava con McCaleb. «Ehi, se vuoi portare questo tizio fuori, legarlo all'ancora e buttarlo a mare per me sta bene. Non batterò ciglio.» McCaleb non rispose, si stava sedendo. Quando ebbe finito di ammanettare Tafero, Bosch si alzò in piedi e lo guardò. L'uomo aveva aperto gli occhi. «Non ti muovere, pezzo di merda. È meglio che ti abitui alle manette. Sei in arresto per omicidio, tentato omicidio e in generale perché sei uno stronzo. Credo che tu conosca i tuoi diritti, ma fai un favore a te stesso e
non dire una parola finché non tiro fuori il biglietto e non te li leggo.» Nel momento stesso in cui finì di parlare, Bosch udì un rumore in corridoio e si rese conto che qualcuno stava avvicinandosi alla porta. Istintivamente portò la mano al fianco, ma si rese conto di non avere la pistola, l'aveva lasciata insieme a quella di Tafero sul letto. Si girò lentamente e vide che McCaleb, ancora nudo, era seduto e ne puntava una contro la porta. Gli occhi di Bosch seguirono la traiettoria dell'arma. Un uomo si stava introducendo nell'apertura, era accucciato e teneva una pistola con entrambe le mani, puntata su di lui. Ci fu uno sparo e dallo stipite della porta schizzarono alcune schegge di legno. L'uomo indietreggiò e socchiuse gli occhi. Ci fu un altro sparo, e poi un altro e un altro ancora. Nella piccola stanza il rumore era assordante. Bosch vide una pallottola colpire la parete e altre due il petto dell'uomo che fu proiettato all'indietro nel corridoio pur restando visibile dalla cabina. «No!» gridò Tafero dal pavimento. «Jesse, no!» L'uomo si muoveva ancora, ma aveva qualche difficoltà a controllare i movimenti. Con una mano alzò la pistola nel goffo e patetico tentativo di puntarla di nuovo contro Bosch. Ci fu un altro sparo e Bosch vide la guancia dell'uomo esplodere. La sua testa scattò all'indietro e lui rimase immobile. «No!» gridò di nuovo Tafero. Poi ci fu solo silenzio. Bosch guardò il letto. McCaleb stava ancora puntando l'arma verso la porta. Una nuvola di fumo azzurrognolo si sollevava al centro della cabina. Nell'aria, un'odore acre di bruciato. Bosch prese la sua pistola dal letto e andò in corridoio. Si accucciò accanto all'uomo, ma non ebbe bisogno di toccarlo per sapere che era morto. Durante la sparatoria l'aveva riconosciuto: era il fratello minore di Tafero, quello che lavorava con lui. Adesso metà della faccia se ne era andata. Si alzò e andò in bagno per prendere un pezzo di carta igienica. Con quella estrasse la pistola dalla mano dell'uomo, poi, tornato in cabina, l'appoggiò sul comodino. McCaleb si era alzato. Aveva già indossato i pantaloni e si stava infilando la maglietta. Quando la testa emerse dall'apertura guardò Bosch. «Direi che siamo pari» commentò. Tafero si rizzò a sedere contro la parete. Aveva perso sangue dal naso e dalla bocca. Sembrava una caricatura. Bosch pensò che probabilmente si
era rotto il naso quando aveva sbattuto la faccia. Adesso se ne stava lì, accasciato contro la parete, guardando con occhi pieni di orrore il corpo nel corridoio. Servendosi della carta igienica Bosch prese la pistola sul letto e l'appoggiò accanto all'altra sul comodino. Poi tirò fuori dalla tasca un cellulare e compose un numero. Mentre aspettava guardò Tafero. «Hai fatto uccidere il tuo fratellino, Rudy» disse. «È un vero peccato.» Tafero abbassò gli occhi e cominciò a piangere. Quando la centrale rispose, Bosch diede l'indirizzo del porto e chiese che venisse chiamata una Squadra della Omicidi, una della Scientifica e il coroner. Disse al centralinista di inoltrare le richieste per i canali riservati alla Polizia, non voleva che i giornalisti intercettassero la notizia prima del tempo. Chiuse il telefono, poi, mostrandolo a McCaleb, chiese: «Vuoi un'ambulanza? Dovresti farti controllare». «Sto bene.» «Il tuo collo sembra...» «Ho detto che sto bene.» «Come vuoi» disse Bosch, poi, piazzandosi davanti a Tafero, aggiunse: «Lo porto fuori, lo metto in macchina». Lo tirò in piedi e lo spinse verso la porta. Passando accanto al corpo in corridoio, l'ex detective proruppe in una sorta di guaito da animale ferito che stupì Bosch. Non se l'aspettava da un simile omone. «Sì, un vero peccato» disse, senza un accenno di simpatia nella voce. «Il ragazzo aveva davanti un brillante futuro. Ti avrebbe aiutato a far fuori un sacco di gente e a tirar fuori i delinquenti di prigione.» Spinse Tafero verso gli scalini che portavano al salone. Mentre lo portava alla macchina vide un uomo in piedi sopra una barca a vela ingombra di canoe, tavole da surf e ogni genere di cianfrusaglie. L'uomo li fissava con gli occhi spalancati ed era chiaro che li aveva riconosciuti, probabilmente aveva seguito il processo in televisione. «Ehi, ho sentito degli spari. È successo qualcosa a Terry?» «Adesso sta bene.» «Posso parlargli?» «È meglio di no. Sta arrivando la Polizia.» «Ehi, lei è Bosch, vero? Del processo.» «Sì, sono Bosch.» L'uomo non aggiunse altro e Bosch continuò ad avanzare con Tafero.
Quando, pochi minuti dopo, Bosch tornò sulla barca, McCaleb era nella cambusa e stava bevendo un bicchiere di succo d'arancia. Dietro di lui, in fondo alla scala, si vedevano le gambe dell'uomo morto in corridoio. «Un tuo vicino ha chiesto di te.» McCaleb annuì. «Buddy.» Non disse altro. Bosch guardò fuori dalla finestra verso il parcheggio. Gli sembrò di udire delle sirene in lontananza, ma poi si disse che poteva essere l'effetto del vento. «Saranno qui a minuti» disse. «Come va la gola? Spero che tu riesca a parlare perché avremo un bel po' di spiegazioni da dare.» «Tutto bene. Come mai sei venuto qui, Harry?» Bosch appoggiò le chiavi della macchina su un ripiano della cambusa e tacque per un momento prima di rispondere. «Un'intuizione, ho pensato che potessero averti preso di mira, tutto qui.» «E perché?» «Hai fatto irruzione nel suo ufficio questa mattina. Ho immaginato che il fratello avrebbe potuto seguirti e rintracciarti tramite la targa della macchina o altro.» McCaleb gli lanciò uno sguardo penetrante. «E mentre te ne stavi al porto hai visto Rudy, ma non suo fratello?» «No, sono venuto soltanto a fare un giro. Ho visto la vecchia Lincoln di Rudy e ho immaginato che stesse succedendo qualcosa. Non ho visto il fratello - probabilmente era di guardia da qualche parte.» «Credo che fosse sul molo in cerca di un gufo da utilizzare per Jaye Winston. Stavano improvvisando questa notte.» Bosch annuì. «Comunque, ho visto la porta del salone aperta e ho deciso di entrare a controllare. Mi sono detto che era una notte troppo fredda e tu sei un tipo troppo prudente per dormire con la porta aperta.» McCaleb annuì. A questo punto Bosch udì l'inconfondibile suono delle sirene che si stavano avvicinando. Guardò verso il parcheggio. Vide due auto di pattuglia fermarsi accanto alla sua, dove lui aveva appena chiuso Tafero. Spensero le sirene, ma lasciarono le luci lampeggianti. «È meglio che gli vada incontro» disse.
44 Vennero separati e tempestati di domande per quasi tutta la notte. Poi quelli che li interrogavano si scambiarono di stanza e loro ascoltarono le stesse domande pronunciate da bocche diverse. Cinque ore dopo la sparatoria sul The Following Sea li lasciarono finalmente andare e Bosch e McCaleb si ritrovarono in un corridoio del Parker Center. «Stai bene?» chiese Bosch. «Sono stanco.» «Già.» Bosch si mise una sigaretta in bocca ma non l'accese. «Vado dallo sceriffo» disse. «Voglio essere presente.» McCaleb annuì. «Ci vediamo là.» Erano nella stanzetta dall'altra parte dello specchio unidirezionale, appiccicati al tecnico che stava registrando. McCaleb era così vicino a Bosch che riusciva a sentire il suo alito al mentolo e il profumo dell'acqua di Colonia che aveva tirato fuori dallo sportellino del cruscotto durante il tragitto. Riusciva a vedere il suo viso riflesso nel vetro e si rese conto che era attraverso quel viso che osservava ciò che succedeva nella stanza accanto. Dall'altra parte del vetro sei persone erano sedute a un tavolo. Su un lato c'erano Tafero e un difensore d'ufficio di nome Arnold Prince. Tafero aveva un cerotto bianco sul naso e dell'ovatta in entrambe le narici. Aveva anche sei punti in testa, ma erano nascosti dai capelli. Era stato curato a Cabrillo Marina. Di fronte a Tafero sedeva Jaye Winston. Alla sua destra, Alice Short, dell'ufficio del procuratore distrettuale. Alla sua sinistra, Irvin Irving, vicecapo del Dipartimento di Polizia, e Donald Twilley, dell'FBI. Durante le prime ore dell'alba tutte le agenzie delle forze dell'ordine si erano date un gran daffare per avere il posto migliore in quello che, non c'erano dubbi, era un caso molto importante. Adesso, alle sei e trenta, era giunto il momento di interrogare il sospettato. Era stato stabilito che fosse Jaye Winston a condurre l'interrogatorio visto che il caso apparteneva a lei sin dall'inizio - mentre gli altri tre sarebbero intervenuto solo se ce ne fosse stato bisogno o su sua richiesta. Cominciò con il dire la data, l'ora e i nomi dei presenti; quindi lesse a Tafero i
suoi diritti e gli fece firmare un modulo. A quel punto l'avvocato di Tafero annunciò che il suo cliente non avrebbe fatto alcuna dichiarazione in quella sede. «Perfetto» disse Winston guardando Tafero negli occhi. «Non mi serve che lui parli con me. Sono io che voglio parlare con lui. Voglio dargli un'idea di quello che lo aspetta. Non voglio che in seguito debba avere rimpianti o che ci siano malintesi sull'opportunità che si è lasciato sfuggire.» Guardò la cartelletta davanti a sé e la aprì. McCaleb riconobbe il primo foglio: era una citazione in giudizio del procuratore distrettuale. «Signor Tafero» iniziò Winston, «le comunico che questa mattina lei viene accusato dell'omicidio di primo grado di Edward Gunn, avvenuto il 1° gennaio di quest'anno, del tentato omicidio di Terrell McCaleb, in data odierna, e dell'omicidio di Jesse Tafero, anche quello in data odierna. So che lei conosce la legge, ma sono obbligata a spiegarle il perché dell'ultima imputazione. La morte di suo fratello è avvenuta mentre veniva perpetrato un crimine. Quindi, secondo la legge della California, in quanto complice, lei è ritenuto responsabile della sua morte.» Aspettò un momento, fissando gli occhi apparentemente assenti di Tafero. Quindi continuò a leggere. «Inoltre, deve sapere che l'ufficio del procuratore distrettuale ha accettato di aggiungere le speciali circostanze per la morte di Edward Gunn. Vale a dire assassinio su commissione. Tale aggiunta rende questo caso punibile con la pena di morte. Alice?» Alice Short si chinò in avanti. Era una donna piccola ma attraente, sulla quarantina, con grandi occhi seduttivi. Era il sostituto procuratore incaricato dei processi più importanti. Un potere enorme in un corpo esile - specialmente se paragonato alla mole dell'uomo che aveva di fronte. «Signor Tafero, lei è stato un poliziotto per vent'anni» disse. «Dovrebbe conoscere meglio di altri la gravità delle sue azioni. Non riesco a pensare a un altro caso che più di questo invochi la pena di morte. Noi la chiederemo. E non ho dubbi che la otterremo.» Finita la sua parte, Alice Short si riappoggiò alla sedia e ripassò la parola a Winston. Seguì un lungo silenzio mentre la detective dello sceriffo fissava Tafero aspettando che anche lui la guardasse. Alla fine l'uomo alzò gli occhi. «Signor Tafero, lei è già stato in stanze come questa, anche se dall'altra parte del tavolo. Non credo che riusciremmo a imbrogliarla, neanche se avessimo avuto un anno per prepararci. Quindi, niente imbrogli, ma un'of-
ferta. Un'offerta che le faremo una sola volta, un'offerta che verrà annullata nel momento stesso in cui usciremo da questa stanza. Prendere o lasciare.» Gli occhi di Tafero stavano fissando il tavolo. Jaye Winston si chinò in avanti per guardarci dentro. «Vuole vivere o vuole correre il rischio di andare davanti a una giuria? È semplice. E prima che risponda ci sono alcune cose da considerare. Primo: i giurati vedranno le fotografie di ciò che lei ha fatto a Edward Gunn. Secondo: ascolteranno Terry McCaleb descrivere nel dettaglio la sensazione d'impotenza provata mentre lei cercava di togliergli la vita. In genere non faccio scommesse, ma sono disposta a scommettere che arriveranno a una decisione in meno di un'ora. Scommetto che sarà la condanna a morte più veloce mai espressa in California.» Winston si raddrizzò e chiuse la cartelletta. McCaleb si rese conto che stava annuendo. Jaye si stava comportando molto bene. «Vogliamo il suo mandante» disse Winston. «Vogliamo le prove che lo collegano al caso Gunn. Ho la sensazione che un uomo come lei prenda delle precauzioni prima di eseguire un piano del genere. Di qualunque cosa si tratti, la vogliamo.» Guardò Alice Short che annuì, per dirle che aveva fatto bene. Passò quasi un minuto, quindi Tafero si chinò verso il suo avvocato per sussurrargli una domanda. Ma poi si girò di nuovo verso Winston. «Vaffanculo, glielo chiedo io! Non so un particolare fottutamente importante: che cosa succede se lasciate cadere le speciali circostanze? Che cosa mi aspetta?» Winston scoppiò a ridere scuotendo la testa. McCaleb sorrise. «Sta scherzando?» chiese Winston. «Che cosa l'aspetta? Amico, lei sarà seppellito in una bara di cemento armato e acciaio. Questo l'aspetta. Non vedrà mai dico mai più la luce del giorno. Accordo o non accordo, questo non è negoziabile.» L'avvocato di Tafero si schiarì la voce. «Signora Winston questo non è un modo professionale di condurre...» «Me ne frego dei miei modi. Quest'uomo è un assassino. E non è diverso da qualunque altro assassino, anzi no, è peggio. Ha portato a lungo il distintivo, cosa che lo rende ancora più spregevole. Quindi ecco cosa faremo per il suo cliente, signor Prince. Lo accuseremo dell'omicidio di Edward Gunn e del tentato omicidio di Terrell McCaleb. Non chiederemo la pena di morte. Ma le due imputazioni non sono negoziabili. Non lo accuseremo per l'omicidio di suo fratello. Forse vivrà meglio senza quell'accusa. Non
che m'importi. L'unica cosa che mi importa è che capisca che la sua vita di prima è finita. Per sempre. Che prenda la strada della morte o del carcere di massima sicurezza, la sua è una strada senza ritorno.» Guardò l'orologio. «Avete cinque minuti. Dopo di che usciremo da questa stanza. Se decidete per il no, bene. Li porteremo in tribunale entrambi. Con Storey potremmo avere delle difficoltà, ma sul signor Tafero non ci sono dubbi. I procuratori busseranno alla porta di Alice con mazzi di fiori e scatole di cioccolatini. Ogni giorno sarà san Valentino. Questo caso è un biglietto vincente per la targa di procuratore dell'anno.» Prince mise una piccola ventiquattrore sul tavolo e ci infilò il blocco giallo per gli appunti su cui non aveva scritto neanche una parola. «Grazie per il vostro tempo» disse. «Credo proprio che andremo avanti con l'udienza per la cauzione, la presentazione della documentazione e tutto il resto.» Spinse indietro la sedia e si alzò. Lentamente Tafero sollevò la testa e guardò Winston, gli occhi iniettati di sangue a causa dell'emorragia al naso. «È stata una sua idea la messa in scena» disse. «Un'idea di David Storey.» Ci fu un momento di silenzio attonito, poi l'avvocato si sedette pesantemente e chiuse gli occhi. «Signor Tafero» disse, «la consiglio vivamente di...» «Sta' zitto!» gridò Tafero con rabbia. «Brutto bastardo, non sei tu che rischi l'iniezione letale!» Guardò di nuovo Winston. «Accetto l'accordo, a patto di non essere accusato per la morte di mio fratello.» Winston annuì. Tafero si girò verso Alice Short puntandole contro un dito, in attesa. Anche lei annuì. «Accordo fatto» disse. «Ma c'è una cosa» disse rapida Winston. «Non possiamo presentarci al processo con la sua parola contro quella di Storey. Cos'altro ha?» Tafero la guardò e un sorriso mesto gli attraversò la faccia. Nella stanza accanto Bosch si avvicinò al vetro. McCaleb osservò il suo riflesso. Il detective guardava la scena senza sbattere le palpebre. «Ho delle immagini» disse Tafero.
«Immagini? Che cosa vuol dire, fotografie? Fotografie di cosa?» Tafero scosse la testa. «No, immagini. Quando ci incontravamo nella sala visite della prigione, mi ha dato i disegni di come voleva che fosse la scena, in modo che assomigliasse al quadro.» McCaleb strinse le mani a pugno. «Dove sono?» chiese Winston. Tafero sorrise di nuovo. «In una cassetta di sicurezza alla City National Bank, tra Sunset e Doheny. La chiave è nel mazzo che avevo in tasca.» Bosch batté le mani gridando «Bang!» abbastanza forte perché Tafero si girasse verso lo specchio. «Per favore!» sussurrò il tecnico. «Stiamo registrando.» Bosch uscì dalla stanza seguito da McCaleb. Si guardarono e annuirono. «Storey è finito» disse McCaleb. «Il mostro torna nel buio da cui è venuto.» Rimasero in silenzio per un momento, poi Bosch disse: «Devo andare». «Dove?» «A prepararmi per il processo.» Si girò e attraversò lo stanzone deserto della Squadra Omicidi del Dipartimento dello Sceriffo. McCaleb lo vide dare un pugno su una scrivania e un altro all'aria sopra di lui. McCaleb tornò nella stanzetta per seguire l'interrogatorio. Tafero stava dicendo che Storey gli aveva chiesto di uccidere Edward Gunn la mattina del primo dell'anno. McCaleb ascoltò per un momento, poi gli venne in mente una cosa. Uscì di nuovo dalla stanza. I detective stavano cominciando ad arrivare. Si avvicinò a una scrivania vuota e strappò una pagina bianca da un blocco. Scrisse: «Chiedigli della Lincoln». Piegò il foglio, bussò alla porta degli interrogatori. Dopo un momento venne ad aprire Alice Short. «La dia a Jaye prima che finisca» sussurrò. La donna annuì e richiuse la porta. McCaleb tornò nella stanza osservatorio. 45 Rinfrescatosi con una doccia Bosch uscì dall'ascensore con aria decisa. Si sentiva il re della città. Dopo pochi passi fu avvicinato da Jack McEvoy,
che sbucò da un angolo, simile a un coyote in attesa della preda. Ma in quel momento niente poteva toccare Bosch. Sorrise al giornalista che si adeguò al suo passo. «Detective, ha pensato a quello di cui abbiamo parlato? Oggi devo iniziare il mio articolo.» Bosch non rallentò. Non aveva molto tempo. «Rudy Tafero» disse. «Mi scusi?» «La sua fonte è Rudy Tafero. L'ho scoperto questa mattina.» «Detective, le ho detto che non posso rivelare...» «Sì, lo so. Ma, vede, sono io che sto per rivelarlo. Comunque, non ha importanza.» «Perché no?» «Oggi è il suo giorno fortunato, Jack. Ho due informazioni per lei.» «Okay. Quali?» McEvoy stava per tirare fuori un blocco dalla tasca posteriore dei pantaloni, ma Bosch gli bloccò il braccio. «Lasci perdere. Gli altri giornalisti la vedranno e capiranno che sto per rivelarle qualcosa.» Indicò con un gesto la sala stampa. Alcuni giornalisti bighellonavano fuori dalla porta in attesa che la sessione avesse inizio. McEvoy tirò fuori la mano dalla tasca. «Okay. Allora, le informazioni?» «Prima di tutto, le hanno raccontato un sacco di balle. La verità è che Rudy Tafero è stato arrestato stamattina per l'omicidio di Edward Gunn e il tentato omicidio di Terry McCaleb.» «Cosa? È stato...» «Aspetti. Mi lasci parlare. Non ho molto tempo.» McEvoy annuì. «Sì, l'hanno messo dentro. Ha ucciso lui Gunn. Il piano prevedeva di attribuire l'omicidio a me e diffondere la notizia durante il processo, quando fosse venuto il turno della difesa.» «Sta dicendo che Storey faceva parte del...» «Esattamente. Il che mi porta all'informazione numero due: se fossi in lei entrerei in quell'aula molto prima dell'arrivo del giudice. Vede i suoi colleghi là in fondo? Loro si perderanno lo spettacolo, Jack. E lei non vuole perderselo, vero?» Bosch lasciò il giornalista. Fece un cenno all'agente sulla porta, che lo
lasciò entrare. Due agenti stavano accompagnando David Storey al suo posto, Fowkkes era già in aula e anche Langwiser e Kretzler erano seduti al tavolo dell'accusa. Bosch guardò l'orologio mentre oltrepassava il cancelletto. Aveva circa un quarto d'ora prima che il giudice arrivasse e facesse entrare la giuria. Raggiunse il tavolo dell'accusa, ma rimase in piedi. Appoggiò entrambe le mani sul tavolo, si chinò leggermente e guardò i due procuratori. «Harry, sei pronto?» iniziò Langwiser. «Oggi è il grande giorno.» «Oggi è il grande giorno, ma non per quello che pensate. Siete disposti a un patteggiamento? Se si dichiara colpevole degli omicidi di Jody Krementz e Alicia Lopez non chiederete la pena di morte, d'accordo?» Entrambi lo guardarono confusi. «Avanti, non abbiamo molto tempo, il giudice sta per arrivare. Che ne dite se in cinque minuti vado lì e gli faccio confessare i due omicidi? I familiari di Alicia Lopez vi saranno grati in eterno. Avevate detto loro di non avere abbastanza elementi per accusarlo.» «Harry, ma di cosa stai parlando?» disse Langwiser. «Abbiamo già proposto un patteggiamento, per ben due volte. E Fowkkes l'ha sempre rifiutato.» «E poi non abbiamo le prove per il caso Lopez» aggiunse Kretzler. «Il gran giurì ha negato l'incriminazione: niente corpo, niente...» «Sentite, lo volete questo patteggiamento oppure no? Io posso ottenerlo. Ho arrestato Rudy Tafero per omicidio questa mattina. Il piano orchestrato da Storey prevedeva che la colpa ricadesse su di me. Ma ora gli si sta rivoltando contro. Tafero ha accettato l'accordo. Sta parlando.» «Oh Cristo!» disse Kretzler. Lo disse a voce alta. Bosch si girò verso il tavolo della difesa e vide che Fowkkes e Storey li stavano guardando. Vide anche Jack McEvoy prendere posto nella tribuna stampa alle loro spalle. Nessun altro giornalista era ancora entrato. «Harry, si può sapere di cosa stai parlando? Di che omicidio l'hai accusato?» disse Langwiser. Bosch ignorò la domanda. «Lasciatemi andare» disse. «Voglio guardare Storey negli occhi mente glielo dico.» Kretzler e Langwiser si guardarono. Langwiser alzò le spalle e allargò le braccia, esasperata.
«Vale la pena tentare. Ci tenevamo la pena di morte come asso nella manica.» «D'accordo, allora» disse Bosch. «Vedete se riuscite a ottenere che il giudice mi lasci un po' di tempo.» Bosch si piazzò di fronte al tavolo della difesa in modo da vedere sia Fowkkes sia Storey. Fowkkes stava scrivendo qualcosa sul suo blocco. Bosch si schiarì la voce e dopo un attimo, lentamente, l'avvocato alzò la testa. «Sì, detective? Non dovrebbe essere al suo tavolo per prepararsi al...» «Dov'è Rudy Tafero?» Bosch guardò Storey mentre lo chiedeva. Fowkkes si girò verso il posto in cui Tafero si sedeva abitualmente. «Sono sicuro che è per strada» rispose. «Abbiamo ancora qualche minuto.» Bosch sorrise. «Per strada? Già, forse la strada che porta al carcere di massima sicurezza Corcoran, o al Pelican Cove, se è fortunato. Non vorrei essere un ex poliziotto che finisce in galera al Corcoran.» Fowkkes non sembrava impressionato. «Detective, non so di cosa stia parlando. Sto cercando di preparare una strategia per la difesa, visto che, a quanto pare, l'accusa leverà le tende oggi. Quindi se non le dispiace...» Bosch guardò Storey. «Non c'è nessuna strategia da preparare. Non c'è più nessuna difesa. Rudy Tafero è stato arrestato questa mattina. È accusato di omicidio e tentato omicidio. Sono sicuro che il suo cliente potrà spiegarle ogni cosa, avvocato. Se lei non ne è già al corrente.» Fowkkes si alzò in piedi di scatto, come se stesse per fare un'obiezione. «Signore, è decisamente irregolare che lei venga al tavolo della difesa e...» «Ha accettato un accordo circa due ore fa. Sta raccontando tutto.» Di nuovo Bosch ignorò Fowkkes e guardò Storey. «Quindi questa è l'offerta che vi faccio. Avete cinque minuti per andare da Langwiser e Kretzler e dichiararvi colpevoli dell'omicidio di Jody Krementz e Alicia Lopez.» «Questo è assurdo. Protesterò con il giudice.» Adesso Bosch guardò Fowkkes: «Lo faccia. Questo non cambierà le cose. Cinque minuti».
Bosch si allontanò, ma invece di tornare al suo posto andò al tavolo su cui erano sistemati i reperti. Trovò il cartellone che voleva e lo portò al tavolo della difesa. Fowkkes era ancora in piedi, ma si era chinato verso Storey che gli stava sussurrando qualcosa all'orecchio. Bosch stese il cartellone con la fotografia della libreria di Storey sul tavolo. Picchiò il dito su due libri di uno scaffale in alto. I titoli sulla costa erano chiaramente leggibili. Uno s'intitolava L'arte del buio e l'altro semplicemente Bosch. «Qui c'è la prova che lo conoscevi.» Lasciò lì il cartellone e si diresse verso il tavolo dell'accusa. Ma dopo due passi tornò indietro, appoggiò le mani sul cartellone, guardò Storey e parlando a voce abbastanza alta perché McEvoy potesse sentirlo dalla tribuna stampa disse: «Sai qual è stato il tuo grande errore, David?». «No» rispose Storey con tono di scherno, «perché non me lo dici tu?» Immediatamente Fowkkes afferrò il braccio del suo cliente per farlo tacere. «Disegnare la scena per Tafero» continuò Bosch. «Perché sai che cosa ha fatto lui? Ha messo i tuoi graziosi disegni in una cassetta di sicurezza alla City National Bank. Sapeva che gli sarebbero tornati utili ed è esattamente quello che sta succedendo. Li ha usati stamattina, per comprarsi la sua vita. E tu, cosa userai?» Bosch vide lo sguardo di Storey vacillare. Per un attimo le sue palpebre vibrarono impercettibilmente. Ma quell'attimo bastò a Bosch per sapere che Storey era finito. Si rizzò e guardò con indifferenza prima l'orologio e poi Fowkkes. «Mancano circa tre minuti, avvocato. La vita del suo cliente è in pericolo.» Tornò al tavolo dell'accusa e si sedette. Langwiser e Kretzler si chinarono verso di lui tempestandolo di domande, ma Bosch li ignorò. «Vediamo che cosa succede.» Durante i cinque minuti seguenti non guardò neanche una volta verso il tavolo della difesa. Riusciva a sentire parole soffocate e bisbigli, ma non a coglierne il significato. L'aula si riempì di spettatori e giornalisti. Alle nove in punto la porta posteriore si aprì e apparve il giudice Houghton. Dopo aver preso posto guardò i tavoli degli avvocati. «Signore e signori, siamo pronti per fare entrare la giuria?» chiese. «Sì, Vostro Onore» disse Kretzler. Dal tavolo della difesa non giunse risposta. Houghton guardò da quella
parte con un sorriso incuriosito. «Avvocato Fowkkes, posso far entrare la giuria?» A questo punto Bosch si chinò in avanti, fissando il tavolo della difesa oltre Langwiser e Kretzler. Fowkkes era seduto in modo scomposto, come mai gli era capitato in un'aula di tribunale. Teneva un gomito appoggiato sul bracciolo della sedia, e nella mano levata verso l'alto agitava una penna; sembrava profondamente immerso in cupi pensieri. Il suo cliente, accanto a lui, sedeva impettito e guardava dritto davanti a sé. «Avvocato Fowkkes? Sto aspettando.» Finalmente Fowkkes alzò lo sguardo verso il giudice. Molto lentamente si alzò e si diresse verso il leggio. «Vostro Onore, possiamo avvicinarci per un momento?» Il giudice sembrava incuriosito e seccato al tempo stesso. Era routine, durante il processo, che le richieste o i problemi più riservati gli venissero sottoposti alle otto e trenta, in modo che potessero essere discussi e risolti senza togliere tempo all'udienza. «Non possiamo parlarne pubblicamente, avvocato Fowkkes?» «No, Vostro Onore, non per il momento.» «Molto bene, avvicinatevi.» Il giudice fece un gesto a entrambi gli avvocati. Gli avvocati si avvicinarono al podio del giudice per consultarsi. Bosch non aveva bisogno di sentire cosa stavano sussurrando: capiva tutto dalle loro facce. Dopo poche parole Fowkkes era terreo, mentre Langwiser e Kretzler sembravano cresciuti di diversi centimetri. Langwiser gli lanciò uno sguardo vittorioso. Bosh si girò verso l'imputato. Aspettò e lentamente David Storey si girò a sua volta. Si fissarono negli occhi. Bosch non sorrise. Non batté le palpebre. Resse lo sguardo. Alla fine fu Storey a guardarsi le mani che giacevano inerti sulle ginocchia. Bosch sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Era una sensazione che conosceva, l'aveva già provata quando gli era capitato di intravedere il volto segreto del mostro. Il colloquio con il giudice finì e i procuratori tornarono al tavolo a passo deciso, l'eccitazione dipinta in volto. Al contrario, J. Reason Fowkkes raggiunse il suo lentamente. «È finita, Fowkkes» disse Bosch in un sussurro. Una volta seduta, Langwiser lo afferrò per le spalle. «Si dichiara colpevole» bisbigliò eccitata. «Per Jody Krementz e Alicia Lopez. Quando sei andato da loro hai parlato di sentenze consecutive o
concomitanti?» «Non ne ho parlato.» «Okay. Ci siamo messi d'accordo per le concomitanti, ma dobbiamo discuterne nell'ufficio del giudice. Prima dobbiamo accusare formalmente Storey dell'omicidio della Lopez. Vuoi venire ad arrestarlo?» «Fa lo stesso. Come volete.» Sapeva che era soltanto una formalità. Storey era già sotto custodia. «Te lo meriti, Harry. Vogliamo che tu ci sia.» «Bene.» Il giudice batté una volta il martelletto per avere l'attenzione dell'aula. I giornalisti nella tribuna erano tutti protesi in avanti. Sapevano che stava succedendo qualcosa di grosso. «Faremo un intervallo fino alle dieci» annunciò il giudice. «Gli avvocati subito nel mio ufficio.» Si alzò in piedi e, scesi gli scalini, uscì dall'aula prima che gli uscieri avessero il tempo di dire: «Tutti in piedi». 46 McCaleb si tenne a distanza dal The Following Sea anche dopo che l'ultimo detective e l'ultimo tecnico se n'erano andati. Dal primo pomeriggio la barca era assediata da giornalisti e squadre televisive. La sparatoria avvenuta a bordo, oltre all'arresto di Tafero e all'ammissione di colpevolezza da parte di Storey, aveva reso la barca l'epicentro di una storia che era andata evolvendosi durante tutta la giornata. Ogni canale televisivo, nazionale o locale, si era precipitato a Cabrino Marina, e il The Following Sea, con il nastro giallo della Polizia che chiudeva la porta del salone, faceva da sfondo ai servizi. McCaleb si nascose sulla barca di Buddy Lockridge, rimanendo sottocoperta e infilandosi un cappello floscio da pescatore quando sbirciava da un boccaporto per vedere cosa stava succedendo fuori. I due avevano ripreso a parlarsi. Subito dopo aver lasciato il Dipartimento dello Sceriffo, McCaleb era andato a cercare l'amico e si era scusato con lui per aver creduto che avesse parlato con quel giornalista. Buddy a sua volta si scusò per aver usato il The Following Sea - e la cabina di McCaleb - per i suoi incontri erotici. McCaleb accettò di dire a Graciela che si era sbagliato sul suo conto senza parlarle delle massaggiatrici. Buddy voleva evitare di peggiorare ulteriormente l'opinione che Graciela aveva di lui.
Per tutto il tempo in cui rimasero sulla barca tennero accesa la piccola televisione di Lockridge. Channel 9, che aveva seguito in diretta il processo Storey, continuò a mandare aggiornamenti dal tribunale di Van Nuys e dagli uffici dello Sceriffo. McCaleb era stupefatto e quasi spaventato dagli sviluppi della vicenda. Improvvisamente David Storey si era dichiarato colpevole di due omicidi nel tribunale di Van Nuys, e contemporaneamente, in quello di Los Angeles, era stato accusato di essere il mandante dell'omicidio di Gunn. Il regista aveva evitato la pena di morte nel primo caso, ma avrebbe dovuto affrontarla nel secondo, a meno che non si fosse messo d'accordo con l'accusa. Una conferenza stampa aveva visto Jaye Winston in primo piano. Dopo lo sceriffo, era stata lei a rispondere alle domande dei giornalisti - affiancata da alcuni pezzi grossi del Dipartimento di Polizia e dell'FBI - e a leggere una dichiarazione che spiegava gli avvenimenti dal punto di vista dell'indagine. Il nome di McCaleb fu fatto diverse volte, prima a proposito dell'indagine e poi della sparatoria sul The Following Sea. Winston lo nominò anche alla fine, ringraziandolo e dicendo che era grazie al suo lavoro volontario che erano riusciti a far luce sul caso. Anche Bosch fu nominato abbondantemente, ma non partecipò a nessuna conferenza stampa. Dopo i verdetti di colpevolezza a Van Nuys, lui e i procuratori erano stati assaliti dai giornalisti. McCaleb aveva visto il detective farsi strada tra la folla e, opponendo un «No comment» a giornalisti e telecamere, raggiungere un'uscita di sicurezza ed eclissarsi. L'unico giornalista che raggiunse McCaleb fu Jack McEvoy, perché aveva il suo numero di cellulare. McCaleb parlò con lui brevemente, rifiutandosi di fare commenti su quello che era successo sulla barca e su quanto lui si fosse trovato vicino alla morte. Disse che i suoi pensieri sulla vicenda erano troppo personali e non li avrebbe mai condivisi con nessun giornalista. McCaleb parlò anche con Graciela. Le raccontò quello che era successo prima che lei venisse a saperlo dai telegiornali. Le disse anche che probabilmente sarebbe tornato a casa il giorno seguente, perché era sicuro che l'orda di giornalisti avrebbe fatto la guardia alla barca fino a notte fonda. Capì dalla voce che la moglie era ancora molto tesa. Avevano un po' di cose da risolvere, quando fosse tornato sull'isola. Verso sera riuscì a sgusciare, non visto, fuori dalla barca di Buddy, approfittando di un momento in cui i giornalisti erano stati distratti da qual-
cosa che stava succedendo nel parcheggio del porticciolo. La polizia stava rimuovendo la Lincoln Continental che i fratelli Tafero avevano usato la notte precedente, quando si erano recati lì per ucciderlo. Mentre le telecamere riprendevano un evento banale e quotidiano come la rimozione di un'auto, McCaleb raggiunse la sua Cherokee senza venire intercettato. Mise in moto e si allontanò dal parcheggio. Era ormai notte quando raggiunse la casa di Harry Bosch. Come la volta precedente, la porta era aperta. McCaleb bussò alla zanzariera e scrutò all'interno attraverso la rete. C'era solo una luce accesa in soggiorno, probabilmente una lampada da tavolo. Sentì anche della musica e gli sembrò lo stesso CD di Art Pepper che c'era l'ultima volta. Ma non vide Bosch. Distolse gli occhi per guardarsi attorno, poi tornò a posarli sulla porta e, alla vista di Bosch appoggiato alla zanzariera, sussultò. Il detective gli aprì. Indossava lo stesso vestito che McCaleb gli aveva visto al telegiornale. Aveva una bottiglia di Anchor Steam in mano. «Terry, entra. Credevo che fossi un giornalista. Mi fa uscire dai gangheri quando vengono a beccarti a casa tua.» «Ti capisco. La mia barca è circondata. Non ho potuto metterci piede.» McCaleb avanzò e raggiunse il soggiorno. «Giornalisti a parte, come va, Harry?» «Mai stato meglio. È stata una buona giornata. E il tuo collo come sta?» «Fa un male cane. Ma sono vivo.» «Già. È quello che conta. Vuoi una birra?» «Sì, volentieri.» Mentre Bosch andava in cucina, McCaleb uscì sul balcone. Le luci della città, in lontananza, brillavano come stelle. Si sentiva l'onnipresente rumore dell'autostrada in fondo al valico. E da punti diversi tre fari di avvistamento attraversavano il cielo. Bosch tornò e gli porse la bottiglia. «Niente bicchiere, vero?» «Niente bicchiere.» Per un po' guardarono la notte e bevvero in silenzio. McCaleb stava riflettendo su quello che doveva dire. «Quando sono venuto via, stavano rimorchiando la macchina di Tafero.» Bosch annuì. «E la barca? Hanno finito con quella?» «Già.»
«Mi dispiace, lasciano sempre un gran casino.» «Probabile. Non ci sono ancora entrato. Ci penserò domani.» McCaleb bevve una lunga sorsata di birra e appoggiò la bottiglia sulla ringhiera. Aveva esagerato. Il liquido gli tornò indietro pizzicandogli il naso. «Tutto bene?» chiese Bosch. «Sì, sì» rispose, asciugandosi la bocca con il dorso della mano. «Harry, sono venuto per dirti che non devi più considerarmi un amico.» Bosch cominciò a ridere, ma si fermò subito. «Perché?» McCaleb lo guardò. Gli occhi di Bosch stavano ancora perforando l'oscurità. Avevano catturato dei barlumi di luce da qualche parte e a McCaleb sembravano due punti luminosi. «Saresti dovuto rimanere ancora un po' stamattina, mentre Jaye interrogava Tafero.» «Non avevo tempo.» «Gli ha fatto delle domande sulla Lincoln e lui ha detto che era la macchina che usava quando lavorava sotto copertura, per non correre il rischio di lasciare tracce. Le targhe sono rubate. E la registrazione è falsa.» «Non è strano che uno come lui abbia una macchina per i lavori sporchi.» «Non hai ancora capito? O sì?» Bosch aveva finito la sua birra. Era appoggiato coi gomiti alla ringhiera. Stava grattando via l'etichetta e buttando i pezzettini nell'oscurità. «No, non ho capito Terry. Perché non mi spieghi di cosa stai parlando?» McCaleb prese la sua birra, ma la riappoggiò senza bere. «La sua vera macchina, quella che usa sempre, e con cui ha preso la multa davanti all'ufficio postale, è una Mercedes.» «Okay, il tipo ha due macchine: una ufficiale e una segreta. E allora?» «Allora tu sapevi qualcosa che non avresti dovuto sapere.» «Ma di che parli? Sapevo cosa?» «La notte scorsa ti ho chiesto come mai eri salito sulla mia barca. Mi hai risposto che avevi visto la Lincoln di Tafero al parcheggio e avevi immaginato che stesse succedendo qualcosa. Come facevi a sapere che la Lincoln era sua?» Bosch tacque per un lungo momento. Guardava la notte e annuiva. «Ti ho salvato la vita» disse. «E io ho salvato la tua.»
«Ho detto che eravamo pari. Lascia le cose come stanno, Terry.» McCaleb scosse la testa. Gli sembrava di avere un pugno nello stomaco che spingeva verso l'alto, cercando di raggiungere il cuore nuovo. «Io credo che tu conoscessi la Lincoln e sapessi che significava problemi per me, perché avevi già spiato Tafero. Forse una notte in cui l'aveva usata. Forse una notte in cui stava seguendo Gunn e mettendo a punto il suo piano. Forse la notte in cui l'ha ammazzato. Mi hai salvato la vita perché sapevi, Harry.» McCaleb tacque, per dare a Bosch l'opportunità di difendersi. «Ci sono molti forse, Terry.» «Sì, molti forse e un'ipotesi. La mia ipotesi è questa: quando hai saputo che Storey si era messo in contatto con Tafero, hai immaginato che ti avrebbero combinato qualche scherzo in tribunale. Così hai cominciato a seguire Tafero e hai visto che stava puntando Gunn. Sapevi quello che sarebbe successo e hai lasciato che succedesse.» McCaleb bevve un'altra lunga sorsata di birra e riappoggiò la bottiglia sulla ringhiera. «Un gioco pericoloso, Harry. Per poco non hanno vinto. Ma suppongo che se non fossi arrivato io avresti trovato un altro modo per restituire la pariglia.» Bosch continuava a fissare l'oscurità senza parlare. «Spero solo che non sia stato tu a informare Tafero che Gunn era in cella quella notte. Dimmi che non hai fatto tu quella telefonata, Harry. Dimmi che non l'hai aiutato a tirarlo fuori perché lo uccidesse in quel modo.» Bosch continuava a tacere e McCaleb annuì. «Volevi stringere la mano a qualcuno, Harry? Be' stringi la tua.» Bosch abbassò la testa e fissò l'oscurità sotto di lui. McCaleb si avvicinò e vide che stava lentamente scuotendo la testa. «Facciamo quello che dobbiamo fare» disse Bosch con calma. «Qualche volta si può scegliere e qualche volta non c'è scelta. Vedi che le cose succedono, sai che sono sbagliate, ma in un certo senso sai anche che sono giuste.» Tacque per un lungo momento. «Non ho fatto quella telefonata.» Si girò e guardò McCaleb, che di nuovo vide quei puntini luminosi brillare nei suoi occhi neri. «Tre persone - tre mostri - sono stati eliminati.» «Ma così non è giusto. Non è così che va fatto.»
Bosch annuì. «E che cosa mi dici del tuo, di gioco, Terry? Andare a stuzzicare il fratellino in ufficio. Come se non avessi saputo che avrebbe messo in moto qualcosa.» McCaleb sentì che la sua faccia diventava bollente sotto lo sguardo di Bosch. Non rispose. Non sapeva cosa dire. «Avevi il tuo piano, Terry. Qual è la differenza?» «La differenza? Se non la vedi, allora sei caduto davvero in basso. Ormai sei perduto.» «Forse sono perduto e forse qualcuno mi ha trovato, come la luce nelle gallerie, ricordi? Ci devo pensare. Nel frattempo, perché non te ne vai a casa? Torna alla tua isoletta e alla tua bambina. Nasconditi dietro quello che credi di vedere nei suoi occhi. Fingi che il mondo sia diverso da quello che è.» McCaleb annuì. Aveva detto ciò che voleva dire. Si allontanò dalla ringhiera lasciando la sua birra. Mentre entrava in casa, però, Bosch lo raggiunse con altre parole. «Credi davvero che averla chiamata con il nome di una bambina di cui nessuno si è preso cura serva a risarcire la Ragazzina Perduta? Be' ti sbagli amico. Torna a casa e continua a sognare.» McCaleb indugiò sulla porta e si voltò. «Addio, Harry.» «Sì, addio.» McCaleb attraversò la casa. Passando accanto alla lampada accesa vide il foglio con il suo profilo di Bosch appoggiato sul bracciolo di una sedia. Non si fermò. Uscendo, si chiuse la porta alle spalle. 47 Bosch rimase con le braccia appoggiate alla ringhiera e la testa china. Pensava alle parole di McCaleb, quelle che gli aveva appena detto e quelle che aveva scritto prima. Erano come proiettili che lo colpivano, lacerandolo. Sentiva una sorta di strappo interiore, come se qualcosa dentro di lui lo avesse afferrato e lo stesse spingendo in un buco nero, annientandolo. «Che cosa ho fatto?» sussurrava. «Che cosa ho fatto?» Si rizzò e vide sulla ringhiera la bottiglia senza più etichetta. L'afferrò e la lanciò più lontano che poté, nell'oscurità. La luna si rifletteva nel vetro marrone e lui riuscì a seguire la traiettoria fino a che non la sentì esplodere
contro la roccia della collina sottostante. Poi vide la birra mezza piena di McCaleb e afferrò anche quella. Alzò il braccio all'indietro, ma si fermò. La riappoggiò sulla ringhiera e rientrò in casa. Prese il foglio con il suo profilo e lo strappò in due. Andò in cucina, mise i due pezzi di carta nel lavello, quindi aprì l'acqua e accese il tritarifiuti spingendo la carta nello scarico. Aspettò finché non capì dal rumore che la carta era stata inghiottita, sparendo per sempre. Spense il tritarifiuti e rimase a fissare l'acqua che scendeva nello scarico. Lentamente alzò la testa e guardò il Cahuenga Pass dalla finestra della cucina. Le luci di Hollywood brillavano in quel riquadro, riflesso delle stelle di tutte le galassie. Pensò a tutto ciò che di brutto c'era là fuori. Una città dove le cose sbagliate erano molto più numerose di quelle giuste. Un luogo dove la terra poteva aprirsi sotto i tuoi piedi e risucchiarti nell'oscurità. Una città di luci perdute. La sua città. Era tutto quello e tuttavia restava un luogo da dove ricominciare. La città della seconda possibilità. Bosch annuì a se stesso e si chinò sul lavello. Chiuse gli occhi, si riempì le mani d'acqua e le portò al volto. L'acqua era fresca e sferzante, come doveva essere in ogni battesimo, in ogni rinascita. 48 Si sentiva ancora l'odore di polvere da sparo. McCaleb, in piedi al centro della cabina, si guardò attorno. C'erano dei guanti di gomma e altri effetti sparpagliati sul pavimento. La polvere nera per le impronte era ovunque, copriva ogni cosa. La porta della cabina non c'era più, così come lo stipite; erano stati portati via. In corridoio era stato rimosso un intero pannello. McCaleb uscì e guardò il punto del pavimento dove il fratello di Tafero era stato colpito a morte dai suoi proiettili. La macchia di sangue era diventata marrone e sarebbe rimasta per sempre sul pavimento di legno a listelli alternati chiari e scuri, ricordo indelebile di ciò che era successo. Osservando il sangue si rivide sparare, ma le immagini nella sua mente andavano al rallentatore. Pensava a quello che gli aveva detto Bosch poco prima. Sul fatto di aver lasciato che il fratello di Tafero lo seguisse. Prese in esame le sue colpe. Potevano essere inferiori a quelle di Bosch? Entrambi avevano messo in moto delle cose. A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Non puoi addentrarti nell'oscurità senza che essa ti invada.
«Facciamo quello che dobbiamo fare» disse a voce alta. Andò in salone e guardò attraverso la porta verso il parcheggio. I giornalisti erano ancora lì, nei loro furgoni. Era riuscito a evitarli. Aveva parcheggiato in fondo al porticciolo e poi aveva raggiunto il The Following Sea prendendo in prestito una barchetta a remi. Quindi era salito a bordo ed era entrato senza che nessuno lo vedesse. Aveva notato che tutte le torrette per le riprese sui furgoni stavano ruotando: evidentemente i giornalisti si preparavano per il notiziario delle ventitré e le telecamere erano piazzate in modo tale che anche stavolta il The Following Sea avrebbe fatto da sfondo. McCaleb sorrise, aprì il telefono e compose un numero. «Buddy, sono io. Ascolta, sono sulla barca e vado a casa. Dovresti farmi un favore.» «Vai a casa stanotte? Ne sei sicuro?» «Sì, ho deciso così. Quando senti che metto in moto, sganciami dall'attracco. Fai in fretta. Penserò io al resto.» «Vuoi che venga con te?» «No, ce la farò. Prendi il traghetto venerdì. Abbiamo un charter sabato mattina.» «Okay, Terrore. Ho sentito alla radio che il mare è calmo e non ci dovrebbe essere nebbia, ma fai attenzione.» McCaleb chiuse il telefono e si avvicinò alla porta del salone. I giornalisti erano distratti e non stavano guardando la barca perché erano certi che fosse vuota. Aprì la porta e, rapido, la richiuse, salì la scala che portava al ponte di comando, tirò giù la cerniera della tenda di plastica che lo chiudeva e ci si infilò. Poi tirò l'aria e infilò la chiave dell'accensione. Girò la chiave e i motorini d'avviamento cominciarono a gemere rumorosamente. Guardò attraverso la tenda di plastica e vide che tutti i giornalisti si erano girati verso la barca. Finalmente i motori presero il via e lui azionò le valvole perché si scaldassero rapidamente. Diede un'altra occhiata attraverso la tenda e vide Buddy scendere sul pontile verso poppa. Due giornalisti correvano su una passerella per raggiungerlo. Con gesti rapidi Buddy sganciò i due cavi di ormeggio e li lanciò nel pozzetto di poppa, quindi si spostò verso prua. McCaleb lo perse di vista, ma lo udì gridare: «Libero!». McCaleb si avviò. Quando fu nel canale, si girò e vide Buddy in piedi sul pontile e i due giornalisti alle sue spalle. Una volta allontanatosi dalle telecamere, aprì le tende. L'aria fredda del-
la notte fece irruzione sul ponte dandogli una sferzata di energia. Osservò le luci lampeggianti del canale e mise la barca in direzione. Guardò più avanti, verso l'oscurità. Accese il radar e vide ciò che non riusciva a vedere a occhio nudo. L'isola era là davanti a lui, sullo schermo. Dieci minuti dopo, superato il confine del porto, McCaleb chiamò casa. Sapeva che era tardi e che rischiava di svegliare i bambini. Graciela rispose in fretta, sussurrando. «Scusa, sono io.» «Terry, stai bene?» «Adesso sì. Sto tornando a casa.» «Fai la traversata con il buio?» McCaleb rifletté un momento. «Andrà tutto bene. Riesco a vedere nel buio.» Graciela non disse niente. Era in grado di capire quando il marito diceva una cosa per un'altra. «Accendi la luce sotto al portico» disse lui. «Mi guiderà quando sarò vicino.» Chiuse il telefono e accelerò. La prua ebbe un'impennata e poi si assestò sull'acqua. Oltrepassò l'ultimo segnale del canale a una ventina di metri sulla sinistra. Era nella direzione giusta. Alta nel cielo, una luna a tre quarti tracciava il sentiero di argento liquido che avrebbe seguito fino a casa. Mentre stringeva con forza il volante, ripensò al momento in cui aveva avuto la certezza di morire. Ripensò all'immagine di sua figlia che gli era venuta alla mente per confortarlo. Le lacrime cominciarono a scorrergli lungo le guance. In un attimo, il vento marino gliele asciugò. FINE