ANNE PERRY IL BATTESIMO (Pentecost Alley, 1996) Per Jonathan, Sylvia, Frances ed Henry, con affetto 1 — Mi spiace, signo...
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ANNE PERRY IL BATTESIMO (Pentecost Alley, 1996) Per Jonathan, Sylvia, Frances ed Henry, con affetto 1 — Mi spiace, signore — disse l'ispettore Ewart a bassa voce mentre Pitt fissava sgomento il corpo della donna che giaceva scompostamente di traverso sul grande letto, con la faccia gonfia e tumefatta che dà sempre la morte per asfissia. — Ma questo dovevate vederlo. — Già, lo penso anch'io — disse Pitt in tono colmo di amarezza. Dal giorno in cui era stato promosso al comando della stazione di polizia di Bow Street, non toccava più a lui occuparsi dei consueti episodi di violenza, furto e frode. Il vicecapo della polizia gli aveva dato precise istruzioni perché riservasse il suo interessamento per quei crimini che avevano, o minacciavano di avere, implicazioni politiche oppure coinvolgevano persone di una tale posizione sociale da provocare disagio e imbarazzo nelle alte sfere se non venivano risolti con rapidità, ma anche con molto tatto. Quindi, il fatto che lo avessero mandato a chiamare alle due del mattino perché accorresse nei bassifondi di Whitechapel per l'omicidio di una prostituta richiedeva qualche spiegazione. L'agente, livido in faccia, che era salito con lui a bordo dell'hansom, non aveva detto niente mentre viaggiavano accompagnati dal sonoro rotolio delle ruote nella notte d'agosto sulle strade che diventavano sempre più strette, sempre più misere e squallide, mentre l'odore acre del fumo e dei letamai strabocchevoli, che si confondeva con quello che saliva dal fiume e si faceva sempre più acuto e penetrante man mano che procedevano verso est. Si erano arrestati in Old Montague Street proprio di fronte al cul-de-sac di Pentecost Alley. Il cono di luce irradiato dal lampione a gas sull'angolo non si allungava fin lì. L'agente di polizia, reggendo il più in alto possibile la lanterna d'ordinanza, aveva preceduto Pitt fra mucchi di immondizie e mendicanti che dormivano e poi ancora su per gli scalini ripidi e scricchiolanti del decrepito casamento, oltre la porta dal legno macchiato e scolorito, lungo il corridoio fin dove Ewart lo stava aspettando. Da un luogo imprecisabile, più oltre, gli giunse un suono di pianto, che sembrava spaven-
tato, con una nota crescente di isterismo. Pitt conosceva Ewart di fama e non nutriva il minimo dubbio sul fatto che doveva esserci qualche motivo molto serio se lo aveva mandato a chiamare, e tanto urgentemente. Anche escludendo qualsiasi altra possibilità, Ewart sarebbe stato molto poco desideroso di passare l'incarico di occuparsi di uno dei casi a lui pertinenti a un altro funzionario, soprattutto a chi, come Pitt, aveva appena ricevuto una promozione e poco tempo prima era stato un suo parigrado. Come molti altri poliziotti di professione, Ewart era persuaso che l'unico ad avere diritto a un posto simile fosse chi lo meritava per motivi di condizione sociale, com'era stato per il predecessore di Pitt, Micah Drummond, un uomo che univa all'esperienza di ufficiale dell'esercito anche l'indipendenza che gli dava un solido patrimonio privato. Pitt osservò la donna. Era giovane. Ma riusciva sempre difficile stabilire l'età di una prostituta. La vita era dura, spesso breve. Ma la pelle del suo seno, dove il vestito appariva strappato, risultava ancora intatta, non rovinata dall'alcolismo o dalle malattie, e la carne delle sue cosce era soda, dove la gonna rossa e nera era stata rialzata. Aveva il polso sinistro legato alla colonna del letto con una calza e una giarrettiera infilata sul braccio appena al di sopra del gomito, con una rosa di satin azzurro cucita sopra. L'altra calza le circondava il collo a cappio, stretta, talmente affondata nella carne che quasi sembrava gliela tagliasse. La parte superiore del suo corpo e tutto il letto intorno a esso erano bagnati fradici d'acqua. Il suono di pianto si udiva ancora, ma adesso sembrava più sommesso; vi si mescolavano anche altre voci, e un rumore di passi, lievi e rapidi, nel corridoio. Pitt girò gli occhi intorno a sé esaminando la stanza. Era ben arredata, cosa che non mancò di stupirlo. Le pareti molto tempo prima erano state tappezzate ma il motivo della tappezzeria era ancora riconoscibile, per quanto vi apparissero qua e là macchie di muffa e di un'umidità alla quale evidentemente non si era potuto porre rimedio, e in alcuni punti, dove vi batteva abitualmente la luce, fosse ormai sbiadita. Il focolare era piccolo; la cenere spenta che vi si trovava era di un bianco grigiastro. Evidentemente il fuoco che vi era stato acceso doveva essere più che altro qualcosa di simbolico, qualcosa di vivo, crepitante e guizzante, più che una vera e propria fonte di calore. L'unica poltrona era imbottita di un tessuto di un bel rosso vivace e ornata da un cuscino ricamato a mano. Sul pavimento uno scendiletto di stracci. Al di sopra della stretta mensola del camino era appeso un ricamo; la cassettiera che doveva contenere indumenti e biancheria
era di legno lucido e pulito. Perfino le sue maniglie d'ottone luccicavano. Sulla toilette c'era un solo catino con la relativa brocca. Sul pavimento vicino al letto si vedevano gli alti stivaletti neri della ragazza, non posati fianco a fianco ma, piuttosto, rovesciati l'uno sopra l'altro. I bottoncini rotondi e lucenti di quello di sinistra erano stati infilati negli occhielli di quello di destra. E accanto a essi si trovava un allacciascarpe con il manico d'osso. Era qualcosa di ridicolo, artificioso, e non poteva che essere stato eseguito deliberatamente. Pitt respirò a fondo e poi liberò il fiato in un lento sospiro. Era brutto, era triste, ma niente in tutto ciò che aveva davanti poteva spiegare il motivo per cui Ewart lo aveva mandato a chiamare. La prostituzione era un modo pericoloso di guadagnarsi da vivere. Gli omicidi non erano qualcosa di unico e sicuramente non rappresentavano nemmeno un motivo di scandalo nelle alte sfere come nei bassifondi. Si voltò a guardare Ewart il cui viso cupo era impenetrabile alla luce della lanterna, gli occhi scuri. — Prove. — Ewart rispose alla domanda che non gli era stata fatta. — Troppe per non tenerne conto. — E cosa starebbero a dire? — Pitt si accorse che uno strano gelo cominciava a insinuarsi dentro di lui per quanto mite fosse l'aria notturna. — Che si tratta di un gentiluomo — rispose Ewart. — E di una famiglia che ha molte conoscenze importanti. Pitt non rimase affatto sorpreso. Era stata proprio la sua paura che si trattasse di qualcosa del genere, di qualcosa di insensato e disastroso, che non ci sarebbe stato modo di affrontare e risolvere con tatto ed eleganza. Non chiese a Ewart per quale motivo quella fosse la sua opinione. Molto meglio esaminare le prove e trarne le proprie deduzioni. Ci fu un rumore nel corridoio, un crepitio di passi, e nel vano della porta si presentò un altro uomo. Doveva essere di vent'anni più giovane di Ewart, e toccare al massimo la trentina. La sua pelle era fresca, gli occhi grandi e nocciola, il viso scarno, il naso aquilino. I suoi lineamenti sembravano fatti per manifestare affetto, tenerezza, spirito, buonumore ma i segni del dolore li avevano già segnati profondamente, e alla luce guizzante della lanterna, adesso, appariva macilento, sparuto. Con un gesto che pareva meccanico, quasi inconsapevole, si scostò i capelli dalla fronte e girò gli occhi per prima cosa su Ewart, fissandolo, e poi su Pitt. In mano reggeva una valigetta di cuoio bruno. — Lennox. Il medico — spiegò Ewart.
— Buon giorno, signore — disse Lennox con voce un po' roca, poi si schiarì la gola e chiese scusa. Non ce n'era bisogno. Pitt non aveva una grande considerazione di quel medico che non fosse capace di affrontare una morte violenta senza provare uno shock, senza provare un senso di indignazione o di smarrimento. Si scostò leggermente, tirandosi indietro, in modo che Lennox potesse vedere meglio il cadavere. — L'ho già esaminata — lo ringraziò Lennox senza approfittare del suo gesto di cortesia. — Sono stato chiamato contemporaneamente all'ispettore Ewart Adesso ero con alcune delle altre donne che abitano in questo casamento. Sono un po'... turbate. — Che cosa potete dirmi? — domandò Pitt. Lennox si schiarì la gola di nuovo. Fissò direttamente Pitt, evitando di soffermarsi con lo sguardo sulla donna che giaceva sul letto, tralasciando perfino di dare un'altra occhiata alla sua folta capigliatura allargata sul guanciale e a quella rosa di un colore acceso che portava sul braccio. — È morta da parecchie ore — rispose. — Direi dalle dieci di ieri sera, all'incirca, ma non oltre mezzanotte e mezzo. Adesso qui dentro fa fresco, ma allora doveva esserci più caldo. La cenere nel focolare conserva ancora un poco di calore e, del resto, questa non è una nottata fredda. — Vi mostrate molto preciso sull'ora del decesso. Le dieci di ieri sera. — Pitt non gli nascose la propria curiosità. Lennox arrossì. — Spiacente. Ma c'è stata la testimonianza di chi l'ha vista rientrare a casa. Pitt sorrise, o forse sarebbe stato più giusto dire che abbozzò qualcosa di molto più simile a una specie di smorfia. — E per la mezzanotte? — Domandò. — Un altro testimone? — Quella è l'ora in cui è stata scoperta, signore. — E Lennox scosse lievemente la testa. — Cos'altro potete dirmi su di lei? — continuò Pitt. — La giudicherei sui venticinque anni, e in buona salute... o almeno lo è stata fino a poco fa. — Figli? — domandò Pitt. — Sì... e... — Cosa? Adesso la faccia di Lennox appariva contratta in una smorfia di dolore. — Le hanno fratturato le dita delle mani e dei piedi, signore. Tre dita della mano sinistra, due della destra. E tre dita slogate. Del piede sinistro.
Pitt ebbe l'impressione che un brivido di gelo lo percorresse dalla testa ai piedi, come se d'un tratto la temperatura nella stanza si fosse paurosamente abbassata. — Di recente? — domandò, per quanto sapesse già la risposta. Si fosse trattato di antiche ferite Lennox non le avrebbe nemmeno menzionate. Anzi, probabilmente non se ne sarebbe nemmeno accorto. — Sì, signore, e quasi sicuramente nel giro di queste ultime ore. Anzi, poco prima della morte. Non c'è praticamente alcuna tumefazione. — Vedo. Vi ringrazio. — Pitt tornò a voltarsi verso il letto. Non voleva guardare quella faccia ma si rendeva conto di come fosse inevitabile. Doveva vedere cosa e chi lei fosse stata, e cosa le fosse stato fatto in quella stanza triste, squallida, solitaria. Era compito suo venire a sapere perché, e da parte di chi. Aveva una splendida figura, era più o meno di altezza media. A quanto gli pareva di capire le sue fattezze erano state regolari, forse anche piacevoli da guardare. Era difficile individuare la struttura ossea sotto quella carne tumefatta però la fronte appariva bella, il naso diritto e l'attaccatura dei capelli caratterizzata da una curva delicata. Anche i denti erano regolari, e soltanto adesso stavano cominciando appena appena a ingiallire. Se la sua sorte fosse stata differente forse avrebbe potuto essere una donna coniugata che prevedeva di raggiungere la maturità fra ogni conforto materiale, magari con tre o quattro figli, forse pensando ad averne anche altri. — Quale sarebbe questa prova? — domandò, continuando a fissare il cadavere. Fino a quel momento niente di tutto ciò che aveva visto gli faceva pensare a qualcosa di diverso dalla manifestazione di certi gusti un po' particolari di un uomo al quale doveva dare piacere la possibilità di impaurire e far soffrire e che stavolta aveva esagerato. — Il distintivo di un club privato di gentiluomini — rispose Ewart, poi tacque per qualche istante, trattenendo il fiato. — Con un nome inciso sopra. E un gemello da camicia. Pitt si voltò di scatto a guardarlo. Lennox li stava osservando, gli occhi sgranati, come ipnotizzato. — Di quale nome si tratta? — La voce di Pitt si levò sonora nel silenzio. Ewart si infilò un dito nel colletto come se lo sentisse troppo stretto. Intanto era diventato pallido. — Finlay FitzJames. Fuori il rumore dei passi dell'agente di guardia levò uno scricchiolio dal tavolato del pavimento mentre la nebbia che saliva dal fiume velava la vi-
sta al di là delle finestre buie. Il pianto nell'altra camera era ricominciato, ma più fievole, soffocato. Pitt non disse niente. Quel nome l'aveva già sentito. Augustus FitzJames era un uomo di considerevole influenza, un banchiere con ambizioni politiche, intimo amico di parecchie famiglie dell'aristocrazia che avevano occupato cariche elevate. Finlay era il suo unico figlio maschio, un giovane diplomatico che correva voce fosse già stato prescelto per andare a occupare un posto di rilievo presso un'ambasciata europea in un futuro non troppo lontano, — E testimoni — soggiunse Ewart, senza lasciare la faccia di Pitt con gli occhi. Pitt ricambiò il suo sguardo. — Di che? — domandò guardingo. Ewart era profondamente a disagio e lo si capiva guardandolo. Era teso e fremeva dalla testa ai piedi, le spalle contratte, gli angoli della bocca piegati all'ingiù. — È stato visto — rispose. — Non da persone che lo conoscono, naturalmente, e la descrizione potrebbe andare a pennello anche a molte altre persone, oltre a lui. Perché si tratta di un tipo abbastanza comune. Ma evidentemente era qualcuno di un certo livello sociale... — Diede l'impressione di voler soggiungere qualcosa d'altro, forse di accennare a quei gentiluomini che frequentavano posti simili. Ma poi evidentemente decise che non aveva importanza. Sapevano entrambi come esistessero uomini annoiati dalle loro mogli, timorosi delle critiche o di assumersi un impegno troppo gravoso e carico di responsabilità se si fossero serviti di donne più vicine a quelle della loro stessa classe sociale, o più semplicemente facili a eccitarsi all'idea del frutto proibito, del pericolo che si poteva correre. Ma c'erano anche cento altri motivi per i quali potevano preferire di pagarsi i loro piaceri in quartieri miserandi, in viuzze e camere come quella. — E anche il gemello da camicia — soggiunse Lennox dalla soglia, con quella voce sempre rauca. — D'oro. — Scoppiò improvvisamente in una risata. — Con tanto di marchio. Pitt girò lentamente gli occhi per la stanza cercando di immaginare che cosa doveva esservi accaduto soltanto poche ore prima. Il letto era in disordine, come se fosse stato usato, ma a quanto gli pareva di vedere non c'era niente di lacero o strappato. Solo una piccola imbrattatura di sangue quasi al centro ma sarebbe potuta risalire a quella sera oppure anche a una settimana prima. Avrebbe chiesto a Lennox, dopo averla esaminata, se secondo lui poteva significare qualcosa.
Il suo sguardo si spostò alle pareti, ai pochi mobili. Nient'altro appariva disturbato. Del resto, a meno che non si dovesse pensare a una violentissima colluttazione e fra persone di peso e forza più o meno pari, sarebbe stato ben difficile che ne fosse rimasta qualche traccia su quella carta da parati decrepita o che si fossero addirittura rovesciati la sedia o il tavolino da toilette di legno, con il suo catino e la brocca azzurra incrinata e poi riaggiustata. Come se gli avesse letto nel pensiero, Ewart interloquì. — Non c'è niente di interessante nell'armadio. Solo una mezza dozzina di vestiti, sottovesti e un mantello per uscire. Nella cassettiera c'è la biancheria, insieme a due asciugamani e a un paio di lenzuola e di federe pulite. Vaso da notte sotto il letto, e una calza nera. Secondo me le dev'essere caduta lì sotto già da qualche tempo e al buio non è più riuscita a vederla. Neanche noi saremmo stati capaci di trovarla se non fossimo stati in due, e con la lanterna. — Dove avete trovato i gemelli da camicia e il distintivo? — domandò Pitt. — Non sotto il letto? Ewart sporse il labbro inferiore. — Un gemello solo, in effetti... o diciamo meglio le due metà che servono per un polsino. Dietro il cuscino, sulla poltrona. — E glielo indicò. — Infilato fra il sedile e lo schienale. Si può presumere che si sia tolto la camicia e l'abbia sistemata sullo schienale della poltrona, forse quel gemello è rimasto impigliato lì, nella fessura. Oppure ci si è seduto sopra, o qualcosa del genere. Se ne è andato, in preda al panico e non ci ha più pensato fino a quando ormai era troppo tardi. Naturalmente non abbiamo niente a conferma del fatto che sia stato lasciato qui la notte scorsa... — guardò Pitt, aspettando la sua risposta. — È possibile — disse Pitt, pienamente d'accordo. Sapevano tutti e due come sarebbe stato sgradevole perseguire legalmente un uomo del rango dei FitzJames. Sarebbe stato molto più facile, invece, se si fosse trattato di un uomo qualsiasi, magari di quello stesso quartiere, senza difensori, senza un potere alle spalle. E invece la prova era lì e doveva servire come traccia da seguire. E sarebbe toccato a Pitt occuparsene. Che Ewart cercasse di non affrontare direttamente il problema era comprensibile ma, in pratica, di nessun aiuto. — Dimostra che qui c'è stato qualcuno che aveva gusti costosi — disse Pitt stancamente. — E il distintivo prova che, a un certo momento, qui c'è stato FitzJames, oppure qualcuno che sapeva chi lui fosse. Dove lo avete trovato? Anche quello era scivolato fra l'imbottitura della poltrona e lo
schienale? D'un tratto l'ansia e l'insistenza che Ewart aveva dimostrato fino a quel momento scomparvero lasciandolo triste e ansioso, la faccia segnata profondamente, la fatica rivelata da ogni ruga. I suoi occhi scuri erano quasi neri al lume di candela, grinzosi agli angoli. — Sul letto — replicò, e la sua voce adesso era poco più di un mormorio. — Sotto il cadavere. — Inutile aggiungere che non avrebbe assolutamente potuto trovarsi lì, prima. Era ovvio in un modo addirittura sconfortante. Pitt allungò una mano. Ewart si frugò nella tasca della giacca e ne estrasse un piccolo oggetto d'oro, rotondo, con la superficie in smalto, la spilla appuntita sul retro per infilarlo nella stoffa. E lo lasciò cadere sul palmo della mano aperta di Pitt. Pitt lo girò e lo rigirò, esaminandolo con attenzione. Aveva un diametro di due centimetri circa ed era quel genere di gingillo che un uomo porta infilato al risvolto della giacca. Lo smalto era grigio, niente di sgargiante, tanto che sarebbe sfuggito facilmente all'occhio di chiunque perché avrebbe potuto confondersi facilmente con il tessuto di un abito. Sopra c'erano scritte in oro due parole, HELLFIRE CLUB e la data 1881, nove anni prima. Lo girò di nuovo accostandolo alla luce. Ma anche così gli occorsero alcuni istanti prima di riuscire a discernere ciò che gli era stato sottilmente inciso sul retro, dietro la barretta dello spillone: FINLAY FITZJAMES. E una volta lette quelle parole si rese conto che non c'era più da discutere. Alzò gli occhi verso Ewart, poi verso Lennox, sempre immobile sulla soglia, la faccia livida, svuotata di ogni colore e di ogni espressione, gli occhi colmi di angoscia. — Siete stato voi a trovarla? — domandò Pitt a Ewart. — Sì. L'agente non l'ha mossa. Dice di non aver toccato niente. Ha visto subito che lei era morta e ha dato l'allarme. — Ma per quale motivo è entrato qui dentro? Cos'è stato a richiamarlo proprio qui, subito? — Poteva non avere alcuna importanza, ma doveva chiederlo. — La conosceva? — Di vista — Ewart replicò alzando le spalle. — Il suo nome è Ada McKinley. Saranno almeno sei anni che lavora nella zona. L'agente Binns dice di aver visto un uomo che usciva di qui correndo, come se fosse impaurito, e lo ha fermato. Forse era successo qualcosa di grave. L'ha costretto a tornare indietro con lui pensando che, magari, si fosse trovato coinvolto in una discussione, una rissa, oppure che avesse cercato di imbrogliare
una delle ragazze, o qualcosa del genere. A quanto pare era il cliente di una delle altre ragazze, Rose Burke, ed è stato mentre usciva, dopo averla lasciata, che ha visto la porta di Ada aperta e, da quel bastardo ficcanaso che è, ha messo dentro la testa a guardare. Immagino che la sua speranza fosse di sorprendere qualcuno mentre stava facendo quello che immaginate. A ogni modo ha visto più di quanto si aspettasse. — Ewart arricciò il naso per il disgusto. — È venuto fuori correndo come se avesse il diavolo alle calcagna. Ma non può essere stato lui. È rimasto in compagnia di Rose fino a pochi minuti prima che l'agente Binns lo notasse. Rose, su questo, è pronta a giurare. È lei una dei testimoni che hanno visto quell'uomo entrare, di chiunque si trattasse. Andiamo di là, vi sta aspettando. — E l'uomo? — Anche lui. — Ewart si lasciò sfuggire un sospiro che si trasformò in un sommesso grugnito. — Letteralmente imbestialito, però c'è. E continua a bestemmiare come un turco. Sono tutti fuori di sé, fra l'altro. Un bel guaio per gli affari. — E fece una smorfia. — Non è un po' tardi per gli affari? — domandò Pitt amaramente. — Quando è successo tutto questo? — Quando Binns l'ha visto venir fuori. — Ewart sgranò gli occhi. — Sarà stata mezzanotte e mezzo. Io sono arrivato che era l'una passata da poco. Ho dato un'occhiata in giro e non appena ho notato quel distintivo ho capito che ci volevate voi, così ho mandato l'agente Wardle a chiamarvi. Mi spiace, ma da come vedo io le cose in qualsiasi direzione ci muoviamo sarà sempre una brutta faccenda. Non se ne scappa. — Sospirò profondamente. — Certo che FitzJames può fornirci una spiegazione convincente; e allora potremo approfondire le ricerche altrove. — Può darsi — disse Pitt dubbioso. — E il denaro? Sapete se è stato portato via qualcosa? Ewart si rasserenò di colpo. Un lampo gli illuminò gli occhi per un attimo e poi esitò prima di rispondere, soppesando ogni parola mentre parlava. — Il suo protettore? Questa dovrebbe essere una risposta molto più facile. Mi spiego, più facile da capire, da credere. — E si interruppe. — Dunque, c'era del denaro? — insistette Pitt. — Un borsellino di cuoio nella scatola dei fazzoletti — rispose Ewart riluttante. — Complessivamente, quasi tre ghinee. Pitt sospirò. Anche se a dir la verità non ci aveva sperato molto. — Se ce li avesse nascosti, adesso non sarebbero più lì. Perché quello è il primo posto dove guardare — disse tristemente.
Dal retro della casa si fece sentire il fischio stridulo di un bricco che bolliva, e qualcuno bestemmiò. — Forse hanno litigato e lui l'ha ammazzata prima di mettersi a frugare per la camera. — La voce di Ewart aveva preso di nuovo un po' di animazione. — Lui si è impaurito ed è scappato. Sarebbe più logico. Per dare anche alle altre una di quelle lezioni che non si dimenticano. È più ragionevole pensare che ad ammazzarla sia stato lui invece di un cliente come FitzJames. — Già, e gli stivaletti? — domandò Lennox dalla soglia, con voce cupa. — Me lo vedo a torturarla, ma per quale motivo una qualsiasi persona che l'avesse ammazzata per i soldi si prenderebbe la briga di allacciarle gli stivaletti a quel modo? O infilarle la giarrettiera sul braccio? — Chi lo sa! — esclamò Ewart spazientito. — E se fosse stato il cliente che ha ricevuto prima che il suo protettore arrivasse? Lui sapeva che la ragazza stava mettendo da parte un po' troppo di quello che guadagnava e così si è presentato non appena ha visto il cliente andarsene. E lei non ha avuto il tempo né di sbottonare gli stivaletti né di togliersi la giarrettiera dal braccio. — Posso capire che non abbia avuto il tempo di sbottonare gli stivaletti — obiettò Lennox in tono aspro, pieno di sarcasmo. — Ma c'è da credere che il cliente se ne sia andato lasciandola legata al letto per una mano, e lei sia rimasta sempre così, in quella posizione, mentre discuteva con il suo protettore? — Non so! — disse Ewart. — Magari il protettore l'ha legata intanto che cercava i soldi. Lo avrebbe potuto fare per torturarla. — E non li avrebbe trovati? — Lennox inarcò le sopracciglia. — Magari ce n'erano di più, forse sotto il materasso o qualcosa del genere. A ogni modo, per quale motivo un uomo come FitzJames avrebbe dovuto uccidere una donna come quella? — Ewart rivolse al cadavere sul letto uno sguardo nel quale si rifletteva uno strano miscuglio di compassione e disgusto. — Probabilmente per la stessa ragione per la quale, inizialmente, l'ha usata — osservò Lennox con amarezza. E poi, rivolgendosi a Pitt: — Io non l'ho mossa. Vi occorre osservarla ancora o posso almeno coprirla? — Copritela — rispose Pitt, leggendo un'angoscia profonda sul suo viso e accorgendosi che provava per lui una simpatia molto maggiore di quella che non provasse per Ewart, pur comprendendo le sensazioni, la stanchezza, la familiarità che quest'ultimo aveva con scene del genere e con le per-
sone che le vivevano. Se in passato aveva mai avuto qualche illusione romantica sulle giovani donne di strada, da molto tempo queste dovevano essere state distrutte dalla realtà. Non che fosse impietoso o arido. Molto più semplicemente doveva porre un limite ai sentimenti e alla commozione per salvaguardare la propria sanità mentale. E, prima ancora, per fare il suo lavoro ed essere di qualche utilità, il suo cervello doveva essere lucido e guidato da una buona capacità di giudizio, non dall'emozione. Ada McKinley ormai era al di là di qualsiasi aiuto umano, ma altre donne come lei no. Tuttavia Pitt continuava a preferire la vulnerabilità di Lennox. Perché scaturiva da un vago senso di speranza e da una diligenza e una sollecitudine diversa. Lennox gli scoccò uno sguardo pieno di gratitudine e poi si fece avanti attraversando la stanza. Per prima cosa abbassò la gonna della donna morta fino a coprirle le gambe, poi tolse la trapunta dal letto e gliela allargò addosso, nascondendo anche la sua faccia deformata. — Avete trovato qualche altra cosa di cui non mi avete ancora fatto menzione? — domandò Pitt a Ewart. — Volete un elenco degli oggetti di sua proprietà? — disse subito Ewart, di rimando, in tono acido. — Non ancora. Vedrò l'agente Binns e poi, in ordine, gli altri testimoni. — Qui? — Ewart si guardò intorno ma i suoi occhi evitarono il letto. — C'è qualche altro posto? — Le camere delle altre donne e basta. — Parlerò qui con Binns, e con le donne nelle loro camere. Ho bisogno di farmi un'idea della disposizione dei locali. Ewart rimase soddisfatto. Era quello che avrebbe fatto anche lui. Binns era sulla trentina, biondo, la faccia anonima; appariva ancora sconvolto e continuava a sfregarsi le mani. Non era abituato a rimanere immobile, sull'attenti, di guardia. Aveva i piedi intorpiditi; Pitt lo capì dal modo impacciato e cauto con cui veniva avanti. — Signore? — Si mise impettito di fronte a Pitt evitando accuratamente di allungare lo sguardo verso il letto. — Raccontatemi quello che avete visto — furono le istruzioni che gli diede Pitt. Binns si mise impettito, sull'attenti. — Signorsì. Stavo facendo la mia solita ronda che è quella di Spittalfields, fino in fondo a Whitechapel Road, poi risalgo all'inizio di Mile End Road e di lì continuo a nord, verso Hanbury Street e ritorno. — Respirò a fondo, sempre con lo sguardo fisso
davanti a sé. — Arrivo all'angolo di Old Montague Street e osservo questo individuo che sbuca correndo come un pazzo da Pentecost Alley. Aveva l'aria di aver visto un fantasma o roba del genere. E stava per squagliarsela a ovest, verso Brick Lane, quando io ho capito che doveva esserci qualcosa che non andava altrimenti avrebbe camminato normalmente invece di continuare a girar la testa di scatto a guardarsi dietro le spalle come se avesse paura di essere inseguito. — Deglutì. — Così l'ho beccato, agguantandolo per la collottola, e l'ho costretto a fermarsi di botto. Si è messo a squittire come se il demonio lo avesse stretto nelle sue grinfie. È stato così che ho capito che doveva aver visto qualcosa di brutto. Era talmente impaurito che sembrava fuori di cervello. Pitt annuì lasciando così capire al poliziotto che si era comportato nel modo più giusto. Né Ewart né Lennox si mossero e rimasero ad ascoltare fermi dov'erano, un po' indietro nell'ombra. — L'ho costretto a tornare indietro — continuò Binns, muovendosi leggermente per dare un po' di sollievo ai piedi intorpiditi man mano che la circolazione vi ritornava. — Ho pensato che dovesse trattarsi di una delle camere quassù. Dall'altra parte c'è un laboratorio di confezioni. Poteva aver rubacchiato qualcosa ma non aveva niente con sé, e allora sono venuto qui. — Girò per un attimo gli occhi intorno a sé ma ignorò Ewart e Lennox come se non li vedesse nemmeno. — Questa è la prima camera. La porta era mezzo aperta, così sono entrato. — La sua voce calò di qualche tono fino a trasformarsi in un bisbiglio, e soltanto allora allungò un'occhiata al letto. — Poverina, la disgraziata. Ho capito subito che era morta, così non ho toccato niente. Ho chiuso la porta, l'ho condotto via con me e ho dato l'allarme con il fischietto. Sembrava che nessuno mi sentisse e ho pensato a quanto ci mettevano ad arrivare, invece non dovevano essere passati più di cinque minuti. L'agente Rogers si trovava in Wentworth Street ed è venuto di corsa. Ho mandato lui a chiamare il signor Ewart. — Che ora sarà stata? — domandò Pitt. Binns diventò rosso. — Signore, non lo so. Prima ero talmente indaffarato a trattenere quel testimone perché non scappasse che non ho fatto in tempo a tirar fuori l'orologio, e poi quando ho visto la donna non ci ho più pensato. Lo so che non è per niente professionale, ma la conoscevo, vedete, e confesso che è stato un brutto colpo... ecco. — Cos'altro potete raccontarmi sul suo conto? — domandò Pitt, fissando l'uomo in faccia con attenzione. Lui spostò leggermente il peso da un piede all'altro ma rimase sempre
impettito sull'attenti. — È qui da sei anni, più o meno. Non so da dove venisse. Magari da lontano. In ogni caso, una ragazza di campagna. E allora sì, che era carina. Bianca e rosea, era un piacere guardarla. — Scrollò la testa facendo una smorfia. — Diceva di aver lavorato come cameriera di sala in una di quelle grandi case, su dalle parti di Belgravia. E che non aveva più le referenze. — Lo disse con voce quasi inespressiva, come se si trattasse di un'antica tragedia, talmente familiare che ormai non suscitava nemmeno più la sua rabbia. — Fu il maggiordomo a cacciarla nei guai. Lei lo andò a raccontare alla padrona e quelli lasciarono al suo posto il maggiordomo e invece a lei fecero far fagotto. Il bambino è nato in anticipo. E non è sopravvissuto, poveretto. Anche se forse è stato meglio così. — Adesso la sua faccia era addolorata, tesa, e lo sguardo smarrito nel vuoto. — La morte è meglio dell'orfanotrofio o di una di quelle che chiamano case per bambini. Così lei cominciò a battere il marciapiede. Intelligente lo era, e credo anche rabbiosa e stufa di quella vita. — Un'espressione di dolcezza rese più distesi i suoi lineamenti. Poi il suo viso si indurì di nuovo. — Le sarebbe piaciuto fare i conti con quel maggiordomo. — Pitt non ebbe dubbi che, se la ragazza ci fosse riuscita Binns per primo avrebbe voltato gli occhi dall'altra parte. E perfino lui, Pitt, se fosse stato un poliziotto di ronda, avrebbe fatto la stessa cosa. Adesso non poteva più permettersi certi lussi. — C'è da pensare che abbia ricattato il maggiordomo? — Ewart aprì la bocca per la prima volta; la sua voce pareva più vivace. — E che lui l'abbia fatta fuori? — Perché? — disse lentamente Lennox. — La padrona sapeva già tutta la sua storia e non gliene importava niente. — Questo è irrilevante — intervenne subito Pitt. — Nessuno avrebbe creduto a lei invece che al maggiordomo. Non adesso, comunque. — Con una sola frase aveva ridimensionato a perfezione la ragazza. E lo sapeva. L'unico motivo per cui lo avevano chiamato a indagare sul suo assassinio era che sul distintivo appariva il nome di Finlay FitzJames. Non mancavano uomini che, trovandosi nella posizione di Ewart, lo avrebbero fatto sparire prima di continuare a fingere di dare la caccia al suo assassino e, alla fine, si sarebbero accontentati di trasferire il caso fra quelli che non erano mai stati risolti, dimenticandolo lì. E forse se Lennox non fosse stato presente anche Ewart avrebbe proprio fatto così. Ma Lennox lo aveva visto trovare il distintivo sotto il cadavere e non avrebbe sicuramente taciuto. Il suo viso indicava in modo molto esplicito quanto non fosse cinico, ma ne-
anche disposto alla discrezione; rivelava soprattutto un dolore profondo, sfibrante. In tutto il resto della casa, adesso, era calato il silenzio. Si udiva soltanto il frastuono del traffico del primo mattino nella strada sottostante, mentre le luci pallide dell'alba baluginavano al di là dei vetri delle finestre. Pitt tornò a rivolgersi a Binns. — Tutto qui? — Sissignore. Ho aspettato che arrivasse il signor Ewart, poi gli ho riferito quello che avevo visto e fatto, e ho passato a lui l'incarico. Era poco più dell'una di notte. — Grazie. Vi siete comportato bene. — Vi ringrazio, signore. — Si voltò per andarsene con le spalle più erette, a testa alta, i piedi sempre intorpiditi. — Sarà meglio vedere il testimone. — Pitt fece un cenno a Ewart. — Qui dentro. Pochi minuti più tardi un altro poliziotto scortava nella camera un uomo magro, le spalle strette, con addosso una giacca marrone e un paio di calzoni scuri talmente sformati che le pieghe ricadevano a fisarmonica sulle scarpe, chiaramente ereditati da qualcuno più alto di lui. La sua faccia era letteralmente livida, stravolta dal terrore. Qualsiasi fosse stato il piacere che si era goduto quella sera, lo aveva pagato a un prezzo molto più caro di quel che doveva aver immaginato. — Come vi chiamate? — gli chiese Pitt. — Ob-badiah S-Skeggs — balbettò lui, sempre più sconvolto. — Non l'ho toccata neanche con un dito. Sono pronto a giurarlo sulla mia testa! — Intanto aveva alzato la voce, nell'illusione di darle una parvenza di sincerità mentre vi vibrava soltanto uno spavento terribile. — Chiedetelo a Rosie! — E fece un gesto vago in direzione del posto dove pensava che Rosie si trovasse. — Lei ve lo dirà. Perché è onesta, Rosie. Per me non direbbe mai una bugia. Non mi conosce neanche, in pratica. — Guardò prima Pitt, poi Ewart. — Lo giuro. Pitt sorrise a dispetto di se stesso. — Rosie non vi conosce? — No. — E allora come fate voi a conoscere lei? — Non la conosco! Cioè... — Vide la trappola ma ormai vi era già caduto. Cercò di respirare, cercò di deglutire un po' di saliva, ma gli andò di traverso. — Non tocca a voi decidere cosa rispondermi — disse Pitt asciutto. — Lo chiederò a Rosie, in ogni caso. E lei saprà sicuramente se siete uno dei
suoi soliti clienti, o no. — Per me non direbbe una bugia — ripeté Skeggs sempre più angosciato, con il fiato corto, fra un colpo di tosse e uno spruzzo di saliva. — Non le sono neanche simpatico. — No, non credo, infatti — convenne Pitt. — Sapete a che ora siete arrivato qui? — No. — Adesso non voleva più rischiare di cadere in un'altra trappola. — No. Me ne stavo andando quando quello sbirro mi ha beccato. Una vera ingiustizia... proprio così! Io non ho mai fatto niente contro la legge. — Diventò supplichevole. — A un pover'uomo sarà pur concesso un po' di svago. E io me lo sono sempre pagato regolarmente. Ve lo dirà anche Rosie. — E come potrebbe saperlo? — Pitt inarcò le sopracciglia. Sulla faccia di Skeggs, contratta e indurita, si disegnò un'espressione velenosa. — Probabilmente pensavate di poter aggiungere a quello già avuto un altro piccolo svago — continuò Pitt. — Così, quando avete visto la porta di Ada spalancata, avete infilato dentro la testa per guardare. Solo che invece di scoprirla a fornicare con un cliente, l'avete vista morta, buttata come una bambola di pezza sul letto e legata, con una calza stretta intorno alla gola e la giarrettiera infilata al braccio. Skeggs si lasciò sfuggire in un rantolo una bestemmia. — E siete scappato a gambe levate. Stavate scappando quando l'agente Binns vi ha fermato — concluse Pitt. — Stavo andando a dare l'allarme — protestò Skeggs, lanciando un'occhiataccia a Pitt e poi a Ewart, come a cercare conferma della propria versione dei fatti. — A chiamare la polizia, come sarebbe stato mio dovere! E volevo che le gambe mi ci portassero in fretta. Ecco perché correvo! — Ma, allora, per quale motivo non avete parlato subito di Ada all'agente Binns? — domandò Pitt. L'occhiata che Skeggs gli lanciò era incendiaria. — Non avete visto nessun altro? — continuò Pitt. Fuori la luce aumentava lentamente. E anche il frastuono in strada. Gente che andava e veniva, qualche grido di richiamo. Si stava aprendo anche il laboratorio di confezioni dall'altra parte del vicolo. — Ma di chi state parlando? Di quello che l'ha fatta fuori? — domandò Skeggs in tono pieno d'indignazione. — Naturale che non l'ho visto. Altrimenti ve lo avrei già detto. Ma cosa credete? Che me ne starei qui a la-
sciarmi sospettare se sapessi chi è stato a farla fuori? Ma per chi mi prendete, per un imbecille? Pitt non si degnò di rispondergli ma Skeggs interpretò il suo silenzio come una risposta affermativa e lasciò capire di essere profondamente offeso. Seguì fuori il poliziotto continuando a girare la testa sulla spalla e scoccando occhiate a Pitt nella vana ricerca di qualche battuta sarcastica da lanciargli. Pitt andò a cercare Rose Burke nella sua camera, due porte più oltre. La stanza era di forma totalmente diversa e poteva essere più larga di mezzo metro o poco più, ma sostanzialmente gli apparve molto simile a quella di Ada. Un grande letto occupava quasi tutto lo spazio, anche questo con coperte e lenzuola spiegazzate e in disordine. Era chiaro che doveva essere stato usato da poco. Le lenzuola apparivano grigiastre al centro e stazzonate. Nell'aria, un tanfo di sudore irrancidito e di corpi sudici. A quel che sembrava Skeggs aveva speso bene i suoi soldi... almeno fino a quel momento. Lennox appariva quasi grigio in volto. In realtà non ci sarebbe stato bisogno che lo seguisse, e Pitt, in cuor suo, se ne domandò il motivo. Forse perché pensava che a Rose potesse occorrere la sua assistenza. Ma Rose era fatta di una tempra ben più salda. Aveva le spalle larghe, uno splendido seno, era di un'altezza di poco superiore alla media. Fra i capelli castano scuro aveva una ciocca che spiccava più chiara proprio sulla fronte. Le donava in un modo straordinario. Del resto, nel complesso era una donna molto bella anche se la sua pelle non aveva più i toni ambrati e la freschezza della gioventù; e cominciava già a perdere i denti. Avrebbe potuto avere qualsiasi età fra i venticinque e i quarant'anni. Era troppo controllata, si dominava troppo bene per lasciarsi sfuggire qualche commento prima che le venisse chiesto. In piedi in mezzo alla stanza, senza degnare di uno sguardo Lennox e fissando invece Pitt, aspettava a braccia conserte. E solo il sollevarsi e l'abbassarsi a un ritmo più affrettato del solito del suo petto tradiva la tensione che doveva provare. Pitt non riuscì a capire se si trattasse di indifferenza di fronte alla sorte di Ada oppure di coraggio. Pensò che forse, in parte, doveva trattarsi proprio di quello. — Rose Burke? — Sì? — Intanto aveva alzato la testa. — Raccontami quali sono stati i tuoi movimenti stasera dalle otto in poi — fu l'ordine di Pitt, che si affrettò a soggiungere quando la faccia della
donna si illuminò di un sorriso sprezzante — ...e non sono qui ad accusarti di prostituzione. Mi interessa scoprire chi ha ammazzato Ada. È stato qui una volta. Se non lo prendiamo, potrebbe tornare. E la prossima potresti essere tu. — Gesù! — Lei risucchiò il fiato, inorridita, mentre rispetto e odio le illuminavano gli occhi. — Vuoi forse farmi credere che non succede mai? — le domandò Pitt più gentilmente. — Non è vero. Le ha rotto le dita delle mani e dei piedi, e poi l'ha strangolata con una delle sue calze, con un cappio come quello del boia. — Evitò di menzionare la giarrettiera o gli stivaletti. Meglio lasciare qualcosa di non specificato. — Credi che si accontenti di farlo una volta sola? Lennox trasalì e diede l'impressione di voler dire qualcosa, poi cambiò idea e uscì in silenzio, accostando la porta dietro di sé. Rose sussurrò il nome di Dio in un tono che avrebbe potuto essere di preghiera, quasi senza accorgersene, e si fece il segno della croce. Adesso che era paurosamente impallidita sulla sua faccia si notavano soltanto le chiazze vistose e volgari del belletto, sia pure applicato con una certa abilità. Pitt aspettava. Lei cominciò lentamente. — Ho avuto qualcuno alle dieci. Devo proprio dirvi come si chiama? Così gli affari mi vanno a rotoli. — Sì. Lei esitò solo un attimo. — Chas Newton. Ed è stato qui fino quasi alle undici. — Sei generosa, eh? — domandò Pitt poco convinto. — Un'ora intera? Gli affari non vanno molto bene in questi ultimi tempi? — Mi ha pagato doppio! — rispose lei tagliente, punta sul vivo. Pitt non fece fatica a crederci. Era una bella donna e bastava guardarla per capire che l'esperienza non le mancava. Doveva ignorare ben poco, in fatto di gusti o di abilità particolari, nel suo mestiere. — E quando lui se ne è andato? — insistette Pitt, come invitandola a continuare. — Mi sono vestita e sono uscita, naturalmente — ribatté lei acida. — Cosa pensate che volessi fare? Andare a dormire? Sono scesa giù per il vicolo e stavo svoltando per raggiungere Whitechapel Road, quando ho visto quel tipo che lo imboccava. Ma lui veniva dall'altra parte... — Cioè dal fondo? — la interruppe Pitt. — Stai forse parlando di Old
Montague Street? — No, sto parlando dell'altro capo di Old Montague Street — riprese lei spazientita. — Non avrei riconosciuto Babbo Natale se fosse passato dalla parte dove mi trovavo. Perché dov'ero io non c'è il lampione. Ma non vi accorgete di niente, voi? — L'hai visto passare sotto il lampione? — La voce di Pitt adesso aveva preso suo malgrado un timbro più concitato. — Proprio così. — Lei era sempre immobile al centro della camera, a braccia conserte. — Descrivilo — le ordinò Pitt. — Più alto di me. Meno di voi. Un po' più alto della media, insomma. Bella figura. Abbastanza giovane. — Vent'anni? Trenta? — si affrettò a domandare Pitt. — Non così giovane! Trenta. Non è facile dirlo quando uno è un damerino. Con loro la vita non è così dura. Vivono fra tutti i comodi, e vivono di più. — Com'era vestito? — Doveva stare attento a non fornirle indicazioni di nessun genere. Lei rifletté un momento. — Buon soprabito. Che dev'essere costato qualche soldarello. Niente cappello, però, perché ho visto la luce che gli batteva sui capelli. Biondi, direi, e tanti. Ondulati. Oh, come mi piacerebbe che anche i miei fossero ondulati a quel modo! — Si strinse nelle spalle. — Però non vorrei la sua faccia, invece. Perché doveva essere cattivo, meschino. Qualcosa nella bocca. Il naso, mica male. Mi piace il naso bello in un uomo. — Osservò Pitt dubbiosa, poi cambiò idea. Il rapporto fisico per lei era solo una questione di affari. Non ne ricavava il minimo piacere. — Mai visto prima? — le domandò Pitt, fingendo di non essersi accorto di quell'occhiata. — Non posso dirlo. — E perché? — Perché non posso, ecco! — ribatté lei, tagliente, la faccia che era diventata affilata, l'espressione nella quale lottavano la paura e il dolore. — Se sapessi chi è stato ad ammazzare Ada, ve lo direi. E verrei anche a guardare il giorno che gli metterete la corda al collo. Vorrei aiutarvi, se è per questo. Povera piccola disgraziata. Era una carognetta avida, e credeva di essere superiore a noialtre, però questo non se lo meritava. — Non sai se l'hai già visto prima — riprese Pitt in tono di sfida.
— Al buio tutti i gatti sono bigi. — La donna abbozzò un gesto di disprezzo. — Mai sentita prima, questa battuta? Io non guardo le facce degli uomini, mi interessano soltanto i soldi. Però quello lì non mi ha fatto venire in mente nessuno. No, non credo di averlo mai visto. A ogni modo, come è sicuro che si brucia all'inferno, non so come si chiama altrimenti ve lo direi. — Che si brucia all'inferno... — Pitt ripeté meditabondo queste parole. — Perché dici così? — Perché di quello sì, che sono sicura — ritorse lei, squadrandolo dalla testa ai piedi. — Cosa vi aspettavate che dicessi? Sicuro come la gloria del paradiso? Come faccio a saperlo che ci sia? — Smise di fissare Pitt e girò gli occhi intorno a sé, alla camera che le era fin troppo familiare, squallida, con gli oggetti logori e consunti. — Io, a quella, non ci credo. Né per me, né per Ada, poveraccia. Domandatelo un po' ai predicatori e ve lo diranno subito, che le donne come me andranno a bruciare tra le fiamme dell'inferno per aver corrotto e costretto i gentiluomini, o quelli che si passano per tali, ad abbandonare la retta via! — Proruppe in una bestemmia talmente volgare che perfino Pitt rimase sconcertato a sentirla uscire da quella bocca ancora così bella. — Hai mai sentito parlare dell'Hellfire Club, il club delle fiamme dell'inferno? — domandò lui. Un lampo di divertimento le illuminò la faccia. — No, cosa sarebbe? Ci bruciano, lì dentro... oppure sono quelli che attizzano il fuoco? Credetemi, quel bastardo ci finirà bruciato... dovessi pensare io a portarci il carbone... gentiluomo o no. — Era un gentiluomo? — domandò lui dopo un attimo di incertezza. Lo sguardo della donna incrociò il suo senza un tremito. — Lo sembrava. Non era un poveraccio. E di sicuro, come sono sicure le fiamme dell'inferno, caro signore, è arrivato più o meno nel momento in cui la povera Ada ha tirato le cuoia. Io ho passeggiato avanti e indietro per Whitechapel Road per una buona mezz'ora e non ho visto passare nessun altro, fino a quando mi son trovata un altro cliente e sono rientrata. — Ma tu non vedevi in fondo alla strada, dall'altra parte — le fece notare Pitt. — Non è la mia zona — fece lei, come se fosse la risposta più ragionevole. — Per quello dovete parlare con Nan. — Dicevi che Ada era avida — insistette Pitt. — Ti ha mai portato via qualcosa?
— Non ho mai detto che rubasse. — Rose sembrò di nuovo indispettita. Adesso i suoi occhi erano scintillanti, duri. — Ho detto che era avida. Voleva sempre qualcosa di più, era sempre lì a cercare qualche altro modo per avere una fetta più grossa di quello che guadagnava e non soltanto per lei ma anche per noi. Non ho mai conosciuto nessuna che fosse accanita come lei. Certe volte era come se la rabbia la divorasse. — Non ha mai detto con chi ce l'aveva? Lei si strinse nelle spalle e, con una smorfia, rispose: — Suppongo che ce l'avesse con quello schifoso maggiordomo che le ha rovinato le referenze. E poi ha anche raccontato un sacco di frottole. Non so cosa si aspettasse Ada. È stata una sciocca. — Adesso la sua faccia si fece più tesa, e vi apparve un'ombra di dispiacere. — Povera piccola disgraziata. Fuori si sentì un colpo violento e un crepitio di zoccoli. Qualcuno lanciò un grido. Poi ci fu un rumore di passi nel corridoio e una porta venne richiusa con un tonfo chissà dove, a uno dei piani superiori, e fu un tonfo tanto forte che le vibrazioni passarono attraverso la stanza. — Non ha mai menzionato il nome di questo maggiordomo? — domandò Pitt. Lei lo guardò con gli occhi sgranati. — Perché, secondo voi è stato lui a farla fuori? Ma che ragione aveva? Lei con uno come quello aveva le mani legate. Non poteva fargli niente. E lui era al sicuro, come un topo nel formaggio. Anche adesso è al sicuro. — No, non credo — ammise Pitt. — A che ora hai visto quest'uomo? — Non so. Le dieci, forse. — E poi? Lei pareva che avesse perso ogni interesse. — Ho avuto un altro paio di lavori, niente di speciale. Mezz'ora per uno, forse. Quello dopo è stato Skeggs, piccolo miserabile stronzo che è! Gli ci vuole sempre un'ora per mettersi in tiro. Gli piace stare a guardare gli altri. — La sua voce trasudava disgusto. — Mi ha lasciato ed è andato a ficcare il naso da Ada per vedere se poteva cogliere sul fatto qualche altro stupido bastardo senza pantaloni che faceva una figuraccia, e magari non sapeva come cavarsela. — Si appoggiò le mani sui fianchi. — Chissà? A ogni modo quel piccolo maiale ha avuto più di quello che si aspettava. Ha visto Ada morta, e c'è mancato poco che non se la facesse addosso! — A che ora? — Lo so perché questa volta avevo guardato. Mi era venuta fame e stavo calcolando di aver tirato su abbastanza da potermi comprare qualcosa di
decente da mettere sotto i denti. Volevo scendere a prendermi un pezzo di pasticcio a quel baracchino che c'è sull'angolo di Chicksand Street, ma proprio in quel momento lo sbirro è tornato indietro ed è cominciato tutto lo sconquasso. Così sono anche dovuta rimanere a casa, e adesso poco ci manca se non muoio di fame. Pitt non disse niente. Lei lo guardò con tanto d'occhi, e tutto d'un colpo le saltò la mosca al naso. — Voi mi credete una carogna senza cuore, è così? — gli domandò con voce dura, piena di risentimento. — Be', al primo momento mi è venuto quasi da star male come a voi, ma ormai sono passate un paio d'ore o giù di lì, e io non ho fatto un pasto vero e proprio da ieri. Qui la morte arriva spesso, non come su, nei quartieri alti, dove tutto è circondato di delicatezza e per la gente anche morire è meno orribile. Ma quel dottore è stato proprio simpatico. Mi ha detto che Ada non deve aver sofferto tanto. Ha pregato Nan di mettere su il bricco dell'acqua e di fare una bella tazza di tè per tutte. E lui ci ha anche aggiunto un goccio di brandy. Mai conosciuto un tipo che fosse così... — rimase incerta, alla ricerca di una parola. Non aveva un termine elogiativo sufficiente per spiegargli che cosa provasse, l'improvviso calore umano, la sensazione che per un attimo i suoi sentimenti e il suo dolore, per lui, fossero stati veramente più importanti dei propri. Questo bastò a rendere un po' meno amareggiata l'espressione della sua faccia al punto che Pitt poté scorgere in lei la donna che sarebbe stata se il tempo e le circostanze fossero stati diversi. Nan Sullivan aveva come minimo dieci anni più di Rose; le lunghe ore di veglia e le troppe bottiglie di gin avevano reso gonfi e indistinti i suoi lineamenti, avevano spento lo scintillio nei suoi occhi e smorzato la lucentezza dei suoi capelli. Eppure aveva ancora qualcosa di dolce, un barlume di una gentilezza non del tutto dimenticata; e quando parlava si sentiva nella sua voce l'eco un po' cantilenante del dialetto dell'Irlanda occidentale. Se ne stava seduta sul suo letto, spettinata, con le vesti in disordine e la faccia bagnata di lacrime, troppo stanca per preoccuparsene. — Certo che stavo in fondo al vicolo dall'altra parte — confermò, guardando Pitt senza interesse. — E ci ho anche messo un bel po' a trovare qualcuno. Sono dovuta arrivare fino a Brick Lane. — Era chiaro che si trattava di un fallimento, ma lei non ci badava più, non le importava di nasconderlo. — Sono rientrata proprio quasi insieme ad Ada. — Allora hai visto l'uomo che è entrato? — domandò Pitt con tono ansioso.
— Come no! Se non altro ho visto la sua testa, da dietro, e il soprabito. — Sospirò mentre l'ombra di un sorriso le aleggiava sulle labbra. — Era un gran bel soprabito. Un buon gabardine. Io so riconoscere un buon gabardine quando lo vedo. Una volta lavoravo in uno di quei laboratori di confezioni dove ti fanno ammazzare di fatica. Il padrone aveva un soprabito di gabardine. Il suo era marrone, me ne ricordo bene, ma il taglio, sulle spalle, era lo stesso. E gli cadeva bene allo stesso modo, squadrato, senza una piega, senza grinze dove non dovrebbero essercene. — Questo di che colore era? — Adesso Pitt si era messo a sedere sull'unica seggiola, a circa un metro da lei. La camera di Nan dava sull'immondezzaio e non ci arrivavano i rumori della strada. — Questo? — Ci pensò un momento, con gli occhi assorti che fissavano il vuoto. — Blu. O forse nero. Marrone no. — Non sai dirmi niente del colletto? — Anche quello di ottimo taglio. Aveva una linea che non si trova in un soprabito di quelli da poco prezzo. — Niente pelliccia o velluto? — domandò lui. — O astracan? Lei scosse la testa. — No, tessuto di lana semplicemente. Con la pelliccia non si potrebbe vedere se il taglio è buono o no. — E i capelli? — Folti. — Senza accorgersene, si passò le dita fra i suoi, che cominciavano a diradarsi un po' per l'età, anche perché era trasandata e non se li curava. — E biondi — soggiunse. — Li ho visti alla luce che veniva dalle candele nella camera di Ada. Poveraccia. — La sua voce si abbassò. — Nessuno avrebbe dovuto farle una cosa simile. — Ti era simpatica? — le domandò Pitt tutto d'un tratto. Lei non nascose di essere sconcertata. Dovette pensarci un momento. — Suppongo di sì. Si portava sempre dietro qualche guaio, però mi faceva anche ridere. E la ammiravo per come combatteva. Pitt si sentì invadere per un attimo da un senso di speranza del tutto irragionevole. — E con chi? — A volte andava nei quartieri alti. Aveva faccia tosta, questo bisogna riconoscerglielo. Non capitava spesso che si vendesse per poco. — E allora, con chi si azzuffava, Nan? Lei proruppe in una risatina stridula, un po' tremante. — Oh, le ragazze di Fat George, su vicino al Parco. Quella è la loro zona. Se avesse avuto un coltello conficcato in corpo, quasi quasi direi che è stato il caro Wee Georgie a farla fuori. Ma lui non è tipo da strangolarla... Figurarsi, poi, proprio
nella sua camera. Magari in strada, e poi la lasciava lì! Non basta. So riconoscere Fat George quando lo vedo, e anche Wee Georgie. Inutile obiettare. Anche Pitt li conosceva tutti e due. Fat George era una specie di gigante, che sarebbe stato impossibile confondere con chiunque altro... men che meno con un tipo come Finlay FitzJames. Quanto a Wee Georgie, era un nano. In aggiunta a tutto questo, se una qualsiasi prostituta avesse osato avventurarsi nel loro territorio, l'avrebbero picchiata o azzoppata, magari l'avrebbero perfino sfigurata... però mai e poi mai si sarebbero tirati addosso la polizia ammazzandola. Sarebbe stata la rovina nel loro giro d'affari. — Allora tu hai visto quest'uomo che entrava nella camera di Ada? — Pitt tornò al nocciolo della questione. — Sì. Pitt si accigliò. — Vuol dire che lei gli ha aperto la porta. Non se l'è portato dietro, vero? Non è entrata con lui, venendo dalla strada? Nan sbarrò gli occhi. — No! No, proprio per niente, adesso che ci penso. Deve essere arrivato per conto suo... forse era uno dei suoi clienti abituali, o qualcosa del genere. — Ne avete molti, di clienti abituali? — Ma gli bastò guardarla in faccia per accorgersi che la sua domanda era stata molto maldestra. Priva di tatto. Ada poteva anche averne, ma lei no. Sulla faccia della donna passò un lampo; aveva capito perfettamente. Non solo, ma sapeva benissimo che Pitt sapeva riconoscere anche lui il fallimento in tutte le sue sfumature, sapeva a perfezione cosa significasse, e ne era momentaneamente dispiaciuto. Si costrinse a fargli un sorriso, e quasi ci riuscì. — Abituali, proprio no; voglio dire che non è gente che venga regolarmente. Si vedono le stesse facce ma non c'è nessuno che prenda appuntamenti. Oppure capitano per caso, questo sì che è abbastanza facile. Ada era un tipo popolare. — La sua faccia si incupì, le sue spalle si incurvarono e improvvisamente i suoi occhi si colmarono di lacrime. — Aveva una di quelle lingue che sanno tagliare, come si dice, povera creatura, ma sapeva anche farti ridere. — Sospirò profondamente. Fu un sospiro un po' tremulo. — Alla gente piace ridere. — Guardò Pitt. — Una volta mi regalò un paio di scarpe. Avevamo la stessa misura. Erano proprio carine, con un bel tacco. Quella settimana aveva guadagnato più di me, ed era il mio compleanno. — Le lacrime scesero a fiotti sulle guance rigando il trucco pesante che le copriva, ma lei rimase impassibile. Possedeva una strana dignità, e manifestava un dolore
genuino che non aveva niente a che fare con la camera squallida e in disordine, il letto disfatto con le lenzuola sudicie, gli abiti vistosi e volgari, il fetore dell'immondezzaio che saliva dal cortile, perfino con il suo stesso corpo affaticato, usato troppo spesso e troppo poco amato. Pitt si accorse di dover rendere onore a quelli che erano i meriti di Ada McKinley. — Mi spiace — disse a bassa voce e d'istinto posò per un attimo una mano su quelle di lei. — Farò tutto quello che posso per scoprire chi è stato, e lo farò pagare per quello che ha fatto. E non importa chi è. — Davvero? — domandò lei, deglutendo a fatica. — Anche se è un gentiluomo? — Anche se è un gentiluomo — promise Pitt. Poi fece le stesse domande anche alla terza donna che c'era in casa, la cui camera era adiacente a quella di Ada. Si chiamava Agnes Salter. Era giovane, bruttina, con il naso lungo e la bocca larga ma possedeva una vitalità che probabilmente avrebbe continuato a esserle utile almeno per i dieci anni successivi. Una volta passata la giovinezza, sfiorito il viso e il corpo non più sodo come prima, avrebbe scoperto che era molto più difficile guadagnarsi da vivere. Con ogni probabilità Agnes lo sapeva già fin troppo bene, come lo sapeva lui. — Naturale che conoscevo Ada — disse con disinvoltura. Sedeva eretta su una seggiola dalla spalliera rigida, le gonne rialzate fin quasi alle ginocchia. Aveva due gambe splendide, senz'altro la cosa migliore di tutta la sua figura. E senza dubbio sapeva anche quello. Ma non lo faceva per Pitt. Infatti lui si accorse dalla sua espressione totalmente disinteressata che era semplicemente un'abitudine, forse anche perché così stava più comoda. — Un po' sfacciata, ma non cattiva — continuò, alludendo ad Ada. — Sempre pronta a dividere con le altre. Una volta mi ha prestato una giarrettiera. — Sorrise. — Sapeva che le mie gambe erano più belle delle sue. E non che le sue fossero brutte, badate! Ma i soldi sono soldi. E con quella giarrettiera me la sono cavata proprio benino. Ci sono certi tipi che per le giarrettiere perdono la testa. Ho la vaga idea che le gran signorone, quelle ricche, di gran classe, non le portano. Quelle sono tutte stecche di balena e mutande di cotone. Pitt non fece commenti. Ormai fuori era giorno e il traffico sembrava intenso nella strada al di là del vicolo. Anche nel laboratorio di confezioni, proprio di fronte, si lavorava già attivamente. — Non posso dirvi niente — continuò Agnes. — Non so niente. Se potessi, sarei contenta di veder squartato quel bastardo. Ci sono rischi... e ri-
schi. — Adesso aveva le dita intrecciate, convulsamente, e le nocche erano sbiancate, quasi a smentire quell'aria studiatamente distratta. — Ti aspetti sempre una volta o l'altra di prenderti un po' di botte. Fa parte della vita. E magari anche qualche colpo di coltello se il tuo uomo ha alzato un po' troppo il gomito. Ma questo non è giusto, povera disgraziata. Di sicuro lei non si è mai andata a cercare niente del genere! — Tacque, il grosso labbro inferiore un po' sporgente e la faccia incupita dalla rabbia. — Anche se sono sicura che voi ve ne infischiate altamente. Per voi è soltanto un'altra baldracca fatta fuori. E poi, a Londra ce ne sono fin troppe. E perché non pensare che sia qualche sant'uomo, qualche religioso visionario che vuole ripulire un po' la piazza? — Proruppe in una risatina stridula, che sembrava un nitrito, ma Pitt vi colse anche un sottofondo di terrore. — Ne dubito — disse, ed era sincero, anche se quella era una possibilità alla quale non aveva ancora pensato. Ma non bisognava eliminarla di primo acchito. — Oh, davvero? — Agnes non gli nascose di essere incuriosita. — E perché no? Ada era una puttana, come noialtre. Lui non volle cavillare sull'uso di quella parola e preferì rispondere onestamente: — Ci sono indizi dai quali si deve pensare che potrebbe essere stato un uomo ricco e benestante, magari anche con una posizione sociale di prim'ordine. Non è stata lei a portarselo su, in camera. Secondo Nan, lui è arrivato e Ada lo ha fatto entrare. Si direbbe che sia già stato qui anche prima. — Davvero? — Agnes gli lasciò capire che questo fatto la meravigliava e anche che la notizia, in un certo senso, le dava un po' di conforto. — Magari era qualcuno che conosceva? — E chi conosceva? Agnes ci rifletté un momento. Del resto Pitt l'aveva domandato soltanto per mostrarsi diligente, e andare a fondo alla questione. Ma continuava a essere convinto che sarebbe stato possibile provare che si trattava di Finlay FitzJames. Non esisteva nessun'altra spiegazione accettabile per quel distintivo dell'Hellfire Club rinvenuto sotto il cadavere. — Qualcuno che potrebbe averla ammazzata? — disse lei meditabonda. — Credo che può essere stato uno che aveva litigato con lei. Magari un'altra di noi, perché no?, se Ada le aveva portato via un cliente, ma lei era tipo da difendersi, e venire alle mani, e lottare... chissà che urla e parolacce, una di quelle litigate insomma... Invece non ho sentito niente. E in ogni modo... — si strinse nelle spalle. — C'è chi ti può cavare gli occhi. O an-
che, se è proprio un mascalzone, c'è quello che tira fuori il coltello e ti segna la faccia, però quello lo si fa in strada, vero? Bisogna esser proprio una vera carogna per seguirti a casa e farlo a sangue freddo, per dire. E Ada non era cattiva fino a questo punto. — Fino a questo punto? — domandò Pitt. — Però portava via i clienti alle altre? Agnes proruppe in una risata aspra. — Certamente! Naturale che lo faceva. E chi non lo farebbe? Era carina e intelligente. Aveva la lingua pronta, li faceva ridere. A certi damerini piace ridere. Così si sentono non proprio come se fossero con una che batte il marciapiede. Dà l'impressione di essere con una vera donna. E quella è gente che non riesce a farsi una bella risata con la moglie che si ritrova ad avere, tutta sussiegosa, di quelle strizzate nel busto e che sembrano inamidate. — E alzò leggermente un labbro in una specie di sorriso beffardo che pure conservava ancora un briciolo di compassione. — Poveracce... e magari non si sono mai fatte una bella risata in vita loro. Perché ridere non è da signora perbene. Lui non disse niente. Una dozzina di immagini gli vennero alla mente ma Agnes ne avrebbe potute capire soltanto alcune, e anche a cercare di spiegargliele non sarebbe servito a nulla. Nella casa, a uno dei piani superiori, venne sbattuta una porta; poi dalle scale li raggiunse un rumore di passi che scendevano. Qualcuno gridò. — E, naturalmente, ci sono quelli che si divertono, invece, a venire nei bassifondi — Agnes continuò, accigliandosi. — A rotolarsi come maiali nel fango. C'è qualcosa che li eccita. — Adesso dalla sua voce trasudava il disprezzo. — Gesù! Se non avessi bisogno del loro stramaledetto denaro, quasi quasi avrei voglia di allungare io una coltellata a quei bastardi. Pitt non ne aveva il minimo dubbio. Ma tutto questo non gli serviva ad avvicinarsi d'un passo a scoprire chi aveva ammazzato Ada McKinley senza che lei lottasse per difendersi. Perché nella camera non c'era sangue, e anche il suo cadavere era praticamente intatto, salvo per quelle dita delle mani e dei piedi che erano state fratturate deliberatamente. Non c'erano graffi, non c'erano lividi come quelli che avrebbero potuto essere il risultato di una violenta colluttazione. Sì, d'accordo, alla mano destra aveva un'unghia rotta, ma nient'altro. — Chi conosceva Ada che potesse venire a trovarla qui? — ripeté Pitt. — Non so. Magari Tommy Letts. Lui sì, che veniva. Però Ada non lavorava più per lui. Ne aveva trovato uno meglio, e lo diceva. Anzi, se ne vantava, quella sfacciata.
— L'uomo che tu hai visto poteva essere Letts? — Niente affatto! — Agnes si alzò in piedi di scatto. — Quello assomiglia a un furetto, sudicio, capelli neri come la coda di un ratto, e più o meno della mia corporatura. Questo tipo invece era alto, con tanti capelli, ondulati, tutto bello pulito come un gentiluomo. E Tommy non avrebbe mai avuto un soprabito come quello, neanche a rubarlo... figurarsi! — Lo hai visto? — Pitt non nascose il proprio stupore. — No, non l'ho mai visto. Ma Rose, sì. E Nan. Si è sentita male, la nostra Nan. Povera disgraziata, troppo buona. Quel dottore è stato gentile con lei. Quasi umano, anche se era uno sbirro. — Fece una smorfia. — Giovane, naturale! Cambierà anche lui. C'era ben poco d'altro da sapere. Pitt provò a insistere, cercando di capire se la ragazza aveva sentito qualcosa, ma era stata impegnata con i suoi clienti, e il fatto che continuasse a sostenere di non aver sentito neanche il più piccolo rumore voleva soltanto dire che non c'erano state né grida né urla o tonfi di mobili rovesciati. Del resto Pitt a questa conclusione c'era già arrivato da solo. Chiunque fosse stato a uccidere Ada McKinley l'aveva colta di sorpresa, e tutto si era svolto in fretta. Doveva essere stata una persona della quale lei si fidava. Pitt lasciò Agnes e tornò fuori in corridoio, dove c'era Ewart ad aspettarlo. Ewart gli lanciò un'occhiata e dalla sua espressione capì che non c'era scampo, non si era saputo niente di nuovo che avrebbe potuto evitare a tutti e due l'obbligo di prendere contatto con Finlay FitzJames. Un barlume di speranza si spense nei suoi occhi scuri; anzi sembrò quasi rimpicciolito, come se si fosse ripiegato su se stesso, benché fosse un omone corpulento e robusto. Pitt scosse appena percettibilmente la testa. Ewart sospirò. Dalla porta spalancata sul vicolo entrava a folate l'aria fresca. Lennox li aspettava in fondo ai gradini, in una zona d'ombra, la faccia illuminata dalla luce giallastra della lanterna d'ordinanza di un poliziotto. — FitzJames? — domandò con una curiosa intonazione nella voce, che sembrò quasi squillante. Ewart trasalì, come se avesse colto un sottile piacere in quella domanda. Digrignò i denti. Per un attimo sembrò che fosse lì lì per dire qualcosa, poi cambiò idea e si lasciò sfuggire un lungo sospiro. — Ho paura di sì — rispose Pitt. — Andrò a cercarlo all'ora di colazione. Così ho giusto il tempo di tornare a casa, lavarmi, sbarbarmi, e mangia-
re qualcosa anch'io. Fate anche voi come me. Non avrò bisogno di voi per parecchie ore. — Sissignore. — Ewart lasciò capire di essere d'accordo, anche se non c'era ombra di sollievo nella sua voce. Il momento difficile non era annullato, ma solo rimandato. Lennox alzò gli occhi sgranati verso Pitt, ma il gioco di ombre sulla sua faccia, nell'oscurità, non consentiva di leggervi nulla. Però il suo corpo magro sotto la giacca dalla linea sciolta era teso e contratto tanto che Pitt per un attimo ebbe la sensazione di trovarsi di fronte a un corridore pronto a scattare alla partenza di una gara. Ma lo comprendeva. Anche lui si sentiva in preda a una collera sorda, come se nelle viscere gli ardesse un pezzo di carbone incandescente. Lasciò che si occupasse Ewart di mettere un agente di guardia in Pentecost Alley. La porta della camera non aveva serratura e, in ogni caso, anche se ci fosse stata, sarebbe stato assurdo e inutile tenerne conto. C'erano ladri in numero tale nel raggio di un centinaio di metri da rendere futile una precauzione del genere. Non che ci fosse una gran quantità di prove da distruggere ma il cadavere sarebbe stato portato via di lì con un carro mortuario e a Lennox sarebbe toccato il macabro compito di esaminarlo più attentamente. Sarebbe stato molto improbabile che un esame del genere portasse a qualche scoperta di una certa utilità, ma si trattava ugualmente di qualcosa che andava fatto. Poi, mentre a bordo di una vettura di piazza tornava a casa passando per le strade che rivelavano l'animazione del primo mattino - un traffico addirittura convulso, carri di birrai, barrocci, carretti che si avviavano al mercato, perfino un gregge di pecore - Pitt si domandò se Ada McKinley avesse qualche parente a cui dare la notizia della sua morte, qualcuno che la piangesse. Quasi sicuramente sarebbe finita in una delle fosse comuni in cui si seppelliva la povera gente. Ma già stava prendendo forma nel suo cervello la decisione di essere presente al funerale che avrebbero celebrato per lei, di qualsiasi tipo fosse, anche nel caso si fosse trattato di una pura e semplice sepoltura senza la funzione religiosa. Sempre in vettura passò per Spittalfields e St. Luke's, costeggiando Holborn. Erano le sette e un quarto. Bloomsbury stava cominciando a risvegliarsi. Nei cortiletti sui quali si aprivano le porte di servizio dei seminterrati, più in basso del piano stradale, erano già in faccende i piccoli garzoni, i lustrascarpe e le sguattere. Spirali di fumo cominciavano a levarsi dai comignoli nell'aria ferma. Le ca-
meriere stavano accendendo il fuoco nei tinelli in cui si prendeva abitualmente la prima colazione, già puliti e riordinati per la giornata. Quando raggiunse la propria abitazione in Keppel Street e pagò il vetturino, verso oriente una larga striscia di cielo azzurro cominciava ad allungarsi sopra la City e soffiava un leggero venticello. Chissà, forse avrebbe scacciato le nuvole. Alla porta principale era già stato tolto il paletto e, non appena la varcò ritrovandosi in casa, mentre appendeva il soprabito, annusò l'odore gustoso di qualcosa che stava cuocendo. Il calduccio degli ambienti domestici era gradevole. Poi ci fu uno scalpiccio di piccoli piedi e sulla porta della cucina comparve Jemima. — Papà! — gridò felice, e si slanciò correndo verso di lui. Ormai aveva otto anni ed era pienamente consapevole della propria dignità e importanza, ma non si sentiva ancora una signorina fatta e finita, e tanto piena di sussiego da dimenticare fino a che punto le piacesse essere baciata e abbracciata, fino a che punto si divertisse a farsi ammirare. Aveva addosso un semplicissimo abitino azzurro scuro e un bel grembiulino candido, inamidato. E le scarpe nuove. I capelli, castano scuro e tutti ricci come quelli di Pitt, erano accuratamente scostati dalla fronte e legati con un nastro. Aveva l'aria della personcina pulita, perfettamente ordinata, e già pronta per la scuola. Pitt le tese le braccia e lei vi si precipitò correndo. Per quanto fosse magra e leggera, i suoi passi sembrarono stranamente rumorosi. Pitt continuava a non capire perché i bambini, quando correvano, facessero sempre tutto quel baccano. La strinse forte a sé, la prese subito in braccio. Jemima odorava di sapone e di pulito. E lui si rifiutò di pensare ad Ada McKinley. — La mamma è in cucina? — le domandò, mentre la metteva di nuovo giù. — Certo — replicò la bambina. — Daniel ha perduto le calze così adesso siamo in ritardo, però Gracie sta già preparando la colazione. Non hai fame? Io sì. Pitt aprì la bocca per farle osservare che non avrebbe dovuto essere così pronta a raccontare con tanta abbondanza di particolari quello che stava succedendo in famiglia ma lei lo stava già tirando verso la cucina. La cucina era calda e l'aria odorava di pancetta e pane appena sfornato, delle superfici di legno ben lavate e raschiate, del vapore che si levava dal bricco che stava cominciando a fischiare sulla stufa. La loro domestica,
Gracie, in punta di piedi stava cercando di arrivare alla scatola del tè che Charlotte doveva aver inavvertitamente posato sul ripiano più alto della credenza. Gracie ormai aveva quasi vent'anni ma, da quando se l'erano portata in casa, all'epoca in cui era un'orfanella di tredici, non era più cresciuta. Bisognava ancora accorciare di un bel pezzo tutti i suoi vestiti e anche stringerli in vita e rialzarli alle spalle. Gracie spiccò un ennesimo salto ma ottenne soltanto lo scopo di spingere la scatola in fondo al ripiano. Fu Pitt ad avvicinarsi e a tirarla giù. — Grazie, signore — gli disse in tono quasi brusco. Aveva un infinito rispetto per Pitt, un rispetto che aumentava a ogni nuovo caso di cui lui si occupava, ed era ormai abituata a lasciarsi aiutare nei casi come quello. Ma la cucina era il suo regno, non quello del padrone. Ci voleva una regola in tutte le cose. Charlotte entrò con un sorriso, e i suoi occhi si illuminarono vedendolo. Ma subito gli scoccò uno sguardo penetrante. Erano sposati da troppo tempo e si conoscevano troppo bene perché lui riuscisse a nasconderle la natura della chiamata che aveva ricevuto o fino a che punto ne fosse rimasto turbato. Quanto ai particolari di quel caso, però, poteva, e voleva, rifiutarsi di descriverglieli. Charlotte lo squadrò attentamente; non le sfuggirono gli occhi stanchi, le guance con la barba lunga, le pieghe di tristezza ai lati della bocca. — Puoi fermarti a mangiare? — gli domandò con dolcezza. — Dovresti. Lui lo sapeva fin troppo bene. — Sì, qualcosa. — Minestra d'avena? — Sì, grazie. — Sedette su una delle seggiole dal sedile liscio, con la spalliera dritta e rigida. Jemima andò a prendere in dispensa il bricco del latte e lo portò al tavolo guardinga, stringendolo fra le mani. Era a righe bianche e azzurre, e aveva scritto sopra, in stampatello, la parola LATTE. La porta si spalancò di colpo e Daniel, sei anni, entrò sbandierando trionfante le sue calze. — Eccole! Le ho trovate! — Quando vide Pitt, la sua contentezza non ebbe più limiti. Troppo spesso succedeva che lui fosse già alzato e uscito prima che i bambini scendessero a far colazione. — Papà! Cos'è successo? Oggi non vai in ufficio? — Poi fissò sua madre con aria accusatrice. — È vacanza? Ma se hai detto che dovevo andare a scuola! — E ci vai, infatti — si affrettò a intervenire Pitt. — Io sono già stato a lavorare. E sono tornato a casa a far colazione perché è troppo presto per andare in visita da certe persone che devo assolutamente vedere. E adesso,
da bravo, infilati calze e scarpe, vieni qui a sederti e lascia che Gracie ti porti da mangiare. Daniel si mise a sedere sul pavimento per infilarsi le calze, poi studiò attentamente le scarpe per decidere quale doveva essere messa a un piede e quale all'altro. E infine si arrampicò sulla propria seggiola, sempre occhieggiando suo padre. — Da chi devi andare? Anche Charlotte lo stava guardando, e aspettava. — Da un uomo che si chiama FitzJames — disse Pitt, rispondendo contemporaneamente a tutti e due. — Lui fa colazione più tardi. — Perché? — domandò Daniel, curioso. Pitt sorrise. Una buona metà della conversazione di Daniel era fatta di perché. — Glielo domanderò — gli promise Pitt. Un micino soriano col pelo a strisce rosse arrivò di corsa dal retrocucina, poi si arrestò di botto, inarcò la schiena ed eseguì una mezza dozzina di passettini all'indietro, con la coda ritta. Un micino dal pelo nero come il carbone, rapido come una saetta, tentò di acchiappargliela. Subito si sentì tutta una serie di miagolii e squittii mentre le due bestiole rotolavano una sull'altra, fra fischi, sibili e graffi ma in fondo senza farsi male, fra il divertimento dei bambini. La minestra di avena venne dimenticata, ma nessuno obiettò. Pitt si spostò, appoggiandosi più comodamente alla spalliera, mentre Jemima scivolava sotto il tavolo per guardare meglio e Daniel spingeva indietro la sua seggiola per vedere anche lui cosa succedeva. Era infinitamente confortante quella scena, nella sua banalità quotidiana, e rappresentava un mondo totalmente diverso da Pentecost Alley e dalle persone che ci vivevano e morivano. 2 Mancava poco alle nove quando Pitt scese dalla vettura in Devonshire Street e si avviò verso la porta del numero trentotto. La stazione di polizia di Bow Street gli aveva mandato un fattorino con l'indirizzo dei FitzJames unitamente a un biglietto scritto di pugno di Ewart nel quale si diceva che nel caso avesse scoperto altri indizi ne avrebbe immediatamente informato Pitt. Stava interrogando, anche se con pochi risultati, il protettore di Ada McKinley nella speranza di individuare i clienti precedenti di quella serata. Pitt bussò alla porta e indietreggiò di qualche passo. Si era levato il ven-
to dell'est e, in parte, aveva liberato il cielo dalla cappa di nuvole. Adesso l'aria era più luminosa, e faceva più caldo. Il traffico mattutino, in quella strada, si limitava a qualche hansom occasionale. Era troppo presto perché le signore uscissero a far visite, troppo presto perfino per andare dalla sarta, e quindi nessuna carrozza privata era già fuori. Passò, camminando lesto, un ragazzino di ritorno da qualche commissione; fischiettava giocherellando con una monetina da sei pence, la ricompensa per la sua diligenza. Quando la porta si aprì, nel vano si presentò un maggiordomo dal naso lungo e dall'espressione incredibilmente affabile. — Buon giorno, signore. In che cosa posso servirvi? — Buon giorno — si affrettò a rispondere Pitt, un po' sconcertato da un'accoglienza tanto cordiale. Tirò fuori un biglietto da visita, più elegante di quelli di un tempo, disse il proprio nome, ma non il motivo per il quale si trovava lì. La polizia, sia pure rappresentata da un funzionario di alto grado, non era mai la benvenuta. — Purtroppo si è presentato un problema che richiede un mio urgentissimo colloquio con il signor Finlay FitzJames — gli spiegò. — Davvero, signore? — Il maggiordomo gli tese il vassoio. Era piccolo, di un argento georgiano di fattura squisita ma semplicissima, e Pitt vi lasciò cadere il proprio biglietto da visita. Il maggiordomo indietreggiò di qualche passo per permettere a Pitt di entrare nel vestibolo; una stupenda boiserie ricopriva le pareti alle quali erano appesi numerosi quadri. Molti di essi erano ritratti e raffiguravano uomini dal viso arcigno, vestiti alla moda del secolo precedente. Però non ne mancavano alcuni di soggetto diverso, un paio di scene agresti, con fattorie e mucche che pascolavano sotto cieli foschi e nuvolosi. Se erano autentici, pensò Pitt, dovevano essere di gran pregio. — Credo che il signor FitzJames stia facendo colazione — continuò il maggiordomo. — Se non vi dispiace aspettare in salotto, le finestre danno sul giardino e non sarà affatto spiacevole. Conoscete già il signor FitzJames, signore? Era un modo cortese ed educato di chiedere se FitzJames aveva la più vaga idea di chi Pitt potesse essere. — No — confessò Pitt. — Disgraziatamente si tratta di una questione della massima urgenza, e per di più spiacevole, altrimenti non mi sarei presentato a chiedere di lui senza aver fissato in anticipo un appuntamento. Mi duole, ma è un problema che non può aspettare. — Benissimo, signore. Andrò a informare il signor FitzJames. — E la-
sciò Pitt, per andare a eseguire la sua commissione, nel salotto tutto giocato, come colori, nelle sfumature di un freddo azzurro e marrone, nel quale arrivava a fasci la luce che filtrava, screziata, dal giardino. Pitt si guardò intorno. Si era già reso conto, ancor prima di entrare nella loro casa, che la famiglia FitzJames doveva essere molto facoltosa. Gran parte della sua ricchezza proveniva dalle speculazioni fatte da Augustus FitzJames servendosi del denaro che la moglie aveva ereditato dalla madrina. Pitt aveva ottenuto questa informazione dalla sorella minore di Charlotte, Emily, la quale, sposata con lord Ashworth, dopo la sua morte era diventata la moglie di Jack Radley. Emily, erede delle ricchezze di Ashworth, nonché della sua posizione nell'alta società aristocratica, possedeva una curiosità inveterata per tutti i minimi dettagli che riguardavano la vita del suo prossimo e tanto più intimi e segreti erano, tanto meglio. Il salotto dei FitzJames era una stanza tornita di tutti i comfort possibili e immaginabili, lussuosa, anche se un po' fredda. Non vi si trovava l'usuale abbondanza di trofei rinchiusi nelle bacheche di vetro, di fiori secchi e di quei ricami ornamentali che molte famiglie relegavano in una stanza nella quale, in genere, trascorrevano pochissimo tempo. C'erano invece due bronzi di ottima fattura, uno che rappresentava un leone accucciato e l'altro un cervo. La parete più lontana era nascosta da scaffali pieni di libri, e le lame di luce che filtravano fra i pesanti tendaggi di broccato rivelavano che sulle lucide superfici di mogano non c'era nemmeno un granello di polvere. Pitt si avvicinò per dare un'occhiata ai titoli. Probabilmente i libri che FitzJames leggeva si trovavano in biblioteca, ma in ogni caso sarebbe sempre stato interessante osservare quali letture voleva far credere ai suoi ospiti che fossero le sue preferite. Notò alcuni volumi di storia - e tutti avevano come argomento l'Europa o l'Impero - e biografie di statisti, saggi religiosi di carattere molto conformista e un'edizione completa delle opere di Shakespeare, rilegata in pelle. C'erano anche traduzioni delle opere di Cicerone e Cesare. Niente poesia, e neanche un romanzo. Pitt sorrise quasi senza accorgersene. Ecco come Augustus FitzJames voleva essere considerato... un uomo di notevole cultura ma che non aveva tempo da dedicare a libri frivoli o di fantasia. Passarono soltanto dieci minuti prima che il maggiordomo tornasse, sempre sorridente. — Il signor FitzJames si rammarica di essere molto occupato stamattina, signore, ma, se la questione è urgente come dite, vi dispiacerebbe molto
raggiungerlo direttamente in sala da pranzo? Non era affatto quello che Pitt desiderava, ma non gli rimaneva alternativa. Forse una volta che si fosse reso conto della natura delle sue indagini FitzJames avrebbe deciso di discutere la faccenda in privato. — Grazie — Pitt accettò, riluttante. La sala da pranzo era sontuosa ed evidentemente studiata per accogliere e far accomodare come minimo una ventina di persone senza difficoltà. I tendaggi in velluto incorniciavano tre finestre profondamente incassate nella parete; tutte si aprivano su un piccolo giardino molto formale, all'italiana. A Pitt bastò uno sguardo per individuare siepi tagliate con arte e arbusti in vaso, e un sentiero lastricato in pietra con un disegno perfettamente simmetrico. La tavola era apparecchiata con posate d'argento, porcellane, tovaglia e tovaglioli candidi inamidati. Sulla credenza c'erano piatti di kedgeree - la pietanza indiana a base di riso, uova, cipolle e aromi - di pancetta, salsicce e rognone, e una grande varietà di piatti di uova. Cibo sufficiente a nutrire come minimo una mezza dozzina di persone. Pitt si sentì giungere alle narici l'aroma squisito di tutto questo, ma il suo cervello tornò quasi d'istinto a Pentecost Alley e non poté fare a meno di domandarsi se Ada McKinley avesse mai visto una tale quantità di cibo, in una volta sola, in tutta la sua vita. Però doveva anche ricordare che FitzJames non andava considerato necessariamente il colpevole. A tavola c'erano quattro persone, e furono queste che richiamarono subito la sua attenzione. A capotavola sedeva un uomo di forse sessant'anni, con la testa dalla forma lunga e stretta, i lineamenti incisivi, netti. Era la faccia di un uomo che si era fatto da solo, che non doveva niente a nessuno, non aveva obblighi nei confronti del passato e probabilmente neanche del futuro. Una faccia che esprimeva coraggio e intolleranza. Scrutò Pitt quasi con aria di sfida perché aveva interrotto la pace domestica della sua colazione. Al suo fianco sedeva una bella donna, anche lei sulla sessantina. I suoi lineamenti rivelavano come sapesse a perfezione cosa voleva dire essere paziente, e possedesse un notevole autocontrollo. Una donna che conosceva un'infinità di regole ed era abituata a obbedirvi. Per lei Pitt avrebbe potuto essere un banchiere oppure un commerciante in materie prime. Lo salutò inclinando cortesemente la testa ma i suoi occhi, un po' discosti, non rivelarono il minimo interesse nei suoi confronti. Il figlio, fisicamente, le somigliava. Aveva la stessa fronte spaziosa, la
bocca larga, la mascella squadrata. Era sui trent'anni e cominciava già a ingrassare, a perdere a poco a poco la corporatura snella e scattante della giovinezza. Quello doveva essere Finlay, e la sua folta, splendida capigliatura ondulata si adattava perfettamente alla descrizione che non solo Rose, ma anche Nan, gli avevano fatto. L'ultima persona del gruppetto era totalmente diversa. La figlia dei FitzJames doveva avere ereditato il suo aspetto fisico da chissà quale lontano antenato. Nel suo aspetto non si ritrovava niente della madre, e pochissimo del padre, all'infuori del naso un po' lunghetto. Ma il suo era affilato e dava al viso quel tocco appena un po' bizzarro, sufficiente a impedirle di essere considerata di una bellezza un po' troppo banale. Dalla sua personcina irradiava un'incredibile vitalità, qualcosa di audace e di temerario. Squadrò Pitt con vivo interesse, anche se questo avrebbe potuto, forse, essere semplicemente spiegato con il fatto che veniva a interrompere l'usuale monotonia della colazione. — Buon giorno, signor Pitt — disse FitzJames senior in tono piuttosto freddo, sogguardando il biglietto da visita che il maggiordomo gli aveva consegnato. — Si può sapere cosa c'è di tanto urgente che richieda una vostra visita a quest'ora? — È il signor Finlay FitzJames con cui desidero parlare, signore — replicò Pitt, sempre in piedi in quanto nessuno lo aveva invitato ad accomodarsi. — Potete rivolgervi a lui per mio tramite — replicò il padre senza consultarsi con Finlay. Non si poteva escludere che lo avesse già fatto prima che Pitt venisse ammesso in sala da pranzo. Pitt si sforzò di controllare un gesto di collera. D'altra parte non poteva ancora permettersi di offendere quest'uomo. Per quanto ne dubitasse, come si faceva a escludere che si trattasse di un eventuale errore? E se si fosse provato quello di cui aveva paura, cioè che Finlay era colpevole, la faccenda avrebbe dovuto essere affrontata e risolta in modo da non offrire assolutamente il destro anche alla più piccola lagnanza. Pitt non si faceva illusioni e sapeva benissimo che FitzJames avrebbe combattuto aspramente fino all'amara fine per proteggere il suo unico figlio maschio e il nome della famiglia e, di conseguenza, anche se stesso. Pertanto cominciò con estrema cautela. Sapeva fin troppo bene il motivo per cui Ewart continuava ad aggrapparsi alla speranza che saltasse fuori qualche altro indizio utile a fornire al mistero tutt'altra risposta. — Siete a conoscenza dell'esistenza di un gruppo che usa la denomina-
zione di Hellfire Club? — domandò cortesemente. — Per quale motivo volete saperlo, signor Pitt? — E FitzJames inarcò le sopracciglia. — Credo che farete meglio a spiegarvi. Perché dovremmo fornirvi una qualsiasi informazione sugli affari nostri? Questo... cartoncino... ci fornisce il vostro nome, e nient'altro. Eppure voi dite che siete qui per una questione non solo urgente ma anche sgradevole. Ma chi siete, dunque? — È successa una disgrazia? — domandò, preoccupata, la signora FitzJames. — Qualcuno che conosciamo? FitzJames la indusse al silenzio con un'occhiataccia e lei girò subito la testa dall'altra parte come per lasciar capire a Pitt di non aspettarsi nessuna risposta. — Sono un sovrintendente delle Forze di polizia metropolitane — replicò Pitt. — E attualmente dirigo il commissariato di Bow Street. — Oh, bontà divina! — La signora FitzJames era stupefatta; non sapeva bene cosa dire. Era chiaro che non doveva mai essersi trovata ad affrontare, in vita sua, una situazione del genere. Voleva parlare, ma aveva paura di farlo. Si mise a guardare Pitt come se non lo vedesse nemmeno. Anche Finlay lasciò chiaramente capire di essere assolutamente meravigliato. — C'è stato un tempo in cui ero socio di un club che usava quel nome — disse lentamente, corrugando la fronte. — Ma questo è successo anni fa. Eravamo soltanto in quattro, ma poi ci siamo sciolti... Oh, diciamo verso l'84 sì, pressappoco in quell'epoca. — Capisco. — Pitt continuò a parlare con voce piana. — Volete essere tanto cortese, signore, da fornirmi il nome degli altri membri del club? — Hanno fatto qualcosa di brutto? — domandò la signorina FitzJames mentre i suoi occhi si illuminavano di curiosità. — Per quale motivo lo volete sapere, signor... Pitt, perché è questo il vostro nome, vero? Deve trattarsi di un'azione ben terribile per aver mandato il capo di un commissariato di polizia. Se non sbaglio, fino a oggi, io ho visto sempre e soltanto dei semplici agenti. — Sta' zitta, Tallulah — intervenne FitzJames in tono cupo. — Altrimenti dovrai chiedere il permesso di ritirarti e lasciare questa stanza. Lei aprì la bocca come se volesse difendersi ma le bastò un'occhiata alla faccia di suo padre per cambiare idea. Strinse le labbra abbassando gli occhi. FitzJames si sfiorò delicatamente le labbra con il tovagliolo e lo posò sul tavolo. — Non so perché mai dobbiate venire a discutere con me di una
faccenda del genere qui a casa, signor Pitt, e a quest'ora del mattino. Una lettera sarebbe stata più che sufficiente. — E fece il gesto di alzarsi da tavola. Con pari asprezza Pitt gli rispose: — La questione è molto più grave di quanto possiate pensare. Credevo che qui avremmo potuto discutere l'argomento con maggior riservatezza. Ma posso benissimo affrontarlo con voi in Bow Street, se preferite. Magari potremmo spiegarci subito senza che si arrivi fino a quello, anche se sarà mia premura accontentarvi in tal senso, se è così che desiderate. Il sangue affluì di colpo alle guance scarne di FitzJames; si alzò di scatto come se non riuscisse a tollerare oltre che Pitt rimanesse in piedi, obbligandolo in tal modo ad alzare la testa per guardarlo. Era un uomo alto e adesso si trovarono quasi faccia a faccia. — Mi volete arrestare, signore? — esclamò a denti stretti. — Veramente non era la mia intenzione, signor FitzJames — replicò Pitt. No, figurarsi se voleva lasciarsi intimidire da quell'uomo! Perché se glielo avesse permesso nei loro rapporti sarebbe venuta a crearsi una situazione che niente avrebbe potuto capovolgere in seguito. Ma lui era a capo del commissariato di Bow Street e a quell'uomo non doveva altro che cortesia, e la verità. — Ma se voi preferite vedere le cose sotto questo aspetto, allora dovete anche affrontarne le conseguenze. FitzJames rimase con il fiato sospeso per un attimo e aprì la bocca come se volesse ribattere qualcosa in tono tagliente; poi si rese conto che la questione doveva essere ben più grave di quanto lui non avesse intuito, altrimenti Pitt non avrebbe sicuramente avuto l'audacia di esprimersi con quel tono. — Credo che sarà meglio se ci darete qualche spiegazione in proposito. — Si rivolse al figlio. — Finlay! Ritiriamoci nel mio studio. Non c'è bisogno di infastidire tua madre e tua sorella con questa storia. La signora FitzJames lanciò un'occhiata di supplica a suo marito ma lui le aveva già fatto capire che non doveva intromettersi; e poi sapeva che era meglio non discutere. Tallulah si morse un labbro, mortificata, ma si guardò bene anche lei dall'aprire bocca. Finlay chiese il permesso di alzarsi da tavola e seguì suo padre e Pitt. Uscendo dalla sala da pranzo, attraversarono il vestibolo pieno di quadri e passarono in un ampio studio con le pareti nascoste dagli scaffali colmi di libri. Qui poltrone in cuoio rosso sangue di bue circondavano un camino con il parafuoco in ottone. Era un locale accogliente e confortevole dove
cinque o sei persone potevano sedere l'una di fronte all'altra a leggere o a conversare. Su un tavolo laterale si trovavano un portaliquori in argento e una mezza dozzina di libri che evidentemente erano stati tirati fuori dalle librerie dagli sportelli a vetri. — Ebbene? — disse FitzJames non appena la porta venne richiusa. — Per quale motivo siete qui, signor Pitt? Devo presumere che abbiate avuto notizia di qualche lamentela o offesa nei confronti di qualcuno. Mio figlio non c'entra in quello che è successo ma se dovesse sapere qualcosa che potrebbe esservi di aiuto è naturale che sia pronto a fornirvi tutti quei particolari in merito che giudicherete necessari. Pitt lanciò uno sguardo a Finlay ma non riuscì a capire se provasse un certo risentimento per il fatto che suo padre avesse preso in mano la situazione, oppure se gliene fosse grato. Il suo bel viso, un po' insignificante e dall'espressione amabile, non rivelava la minima emozione. Sicuramente non sembrava impaurito. Tergiversare, a quel punto, non avrebbe avuto più alcuno scopo. FitzJames lo aveva defraudato di qualsiasi possibilità di un approccio un po' più elegante o astuto all'argomento che voleva trattare, come della sorpresa che la notizia avrebbe potuto procurargli. Quindi decise che l'attacco frontale era la soluzione migliore. — C'è stato un omicidio... nell'East End — rispose con la massima calma, guardando Finlay. — E sul luogo del delitto è stato trovato un distintivo dell'Hellfire Club. Si era aspettato la paura, un battito delle ciglia quando il colpo fosse stato inflitto, per quanto non dovesse essere del tutto inaspettato, oppure la pelle del viso che si copriva all'improvviso, involontariamente, di pallore. Non vide niente di tutto questo. Finlay era rimasto impassibile, non rivelava la minima commozione. — Può essere caduto lì in qualsiasi momento — disse FitzJames, accantonando la notizia dell'omicidio. Indicò a Pitt una poltrona perché vi prendesse posto, poi andò a sedersi esattamente di fronte a lui. Finlay scelse una terza poltrona, fra loro, alla sinistra di Pitt. — Immagino che giudichiate necessario parlare con tutti coloro che sono, o sono stati, soci del club — continuò FitzJames, sempre più gelido. — Ma io contesto tale necessità. Cosa immaginate? Che uno di loro possa aver assistito all'omicidio? — Le sue sopracciglia sottili si inarcarono lievemente. — Perché, in un caso del genere, non c'è dubbio che si sarebbero già presentati a fare rapporto nell'uno o nell'altro commissariato di polizia, non vi pare?
— Non sempre la gente va a far rapporto di quello che vede, signor FitzJames — replicò Pitt. — E per vari motivi. A volte non si rendono conto che è importante; in altre occasioni sono riluttanti ad ammettere di essere stati presenti, perché è il posto stesso che li imbarazza oppure la compagnia con la quale si trovavano... o semplicemente perché hanno detto che, in quel periodo di tempo, erano altrove. — Certo! — FitzJames si rilassò leggermente mettendosi più comodo nella poltrona, anche se continuava a rimanere un po' proteso in avanti, i gomiti appoggiati ai braccioli, le dita che ne stringevano le estremità. Era una posizione di comando e di controllo, la sua, che ricordava vagamente le grandi statue del faraone Ramsete, di cui i giornali avevano stampato schizzi e fotografie. — Quali sarebbero le ore che ci interessano? — Ieri sera dalle nove a mezzanotte, o un poco più tardi — replicò Pitt. La faccia di FitzJames continuava a essere perfettamente sotto controllo, deliberatamente inespressiva. Si voltò verso il figlio. — La faccenda può essere risolta molto in fretta. Dove ti trovavi ieri sera, Finlay? Finlay sembrò imbarazzato e risentito piuttosto che timoroso, come se fosse stato sorpreso a commettere una mancanza di tatto o un'imprudenza, ma niente di più. E fece nascere la prima sottilissima e inquietante eco di un dubbio nel cervello di Pitt. Il dubbio sull'eventualità che Finlay avesse qualcosa a che fare con quello che era successo. — Fuori. Io... io sono uscito con Courtney Spender. Sono andato in un paio di club, ho giocato d'azzardo ma per poco, non molto. Pensavamo di andare al music hall, ma poi abbiamo cambiato idea. — Guardò Pitt con aria contrita. — Non abbiamo assistito a nessun crimine, ispettore. E, in tutta franchezza, sono ormai anni che non ho più niente a che fare con gli altri soci del club. Mi spiace di non potervi essere di alcuna utilità. Pitt lasciò correre e non si fece premura di correggerlo per la qualifica che gli aveva attribuito. Era praticamente convinto che Finlay mentisse non soltanto per via del distintivo ma anche perché rispondeva perfettamente alla descrizione dell'uomo che Nan, e anche Rose, avevano visto. Era lievemente arrossito e i suoi occhi si fissavano in quelli di Pitt con fermezza, forse un po' troppo scintillanti. FitzJames si mosse al suo posto, irrequieto, ma non lo interruppe, e Finlay non lo guardò. — Volete essere tanto cortese da fornirmi l'indirizzo del signor Spender, per favore? — domandò Pitt cortesemente. — O meglio ancora, se avesse un telefono, potremmo chiarire la questione a distanza.
Finlay lo guardò inebetito, a bocca aperta. — Io... io... posso fornirvi il suo indirizzo. Non ho idea se abbia un... se abbia un telefono. — Sono sicuro che il vostro maggiordomo lo sa — ribatté Pitt, pronto. E volgendosi a FitzJames: — Posso domandarglielo? La faccia di FitzJames adesso sembrava di pietra. — State forse dicendo che mio figlio non vi ha raccontato tutta la verità, signor Pitt? — Non lo avevo pensato — rispose Pitt, che adesso aveva assunto, in poltrona, una posizione pressoché identica a quella del padrone di casa, con le mani appoggiate ai braccioli. Finlay sedeva eretto, sul bordo della propria. FitzJames rimase con il fiato mozzo per un attimo e aprì la bocca come se volesse dire qualcosa ma poi, evidentemente, cambiò idea. Si allungò verso il campanello. — Io... io penso che forse potrebbe essere stato il giorno prima. È di ieri sera che ci stiamo interessando? — Finlay sembrava confuso. Adesso aveva le guance in fiamme e teneva le mani strette convulsamente, mentre si muoveva un poco, come a disagio, al suo posto. — Dove eravate ieri sera, signore? — Pitt non poteva permettersi il minimo cedimento. — Ah... ecco... per dirvi la verità, ispettore... — girò gli occhi dall'altra parte e poi li riportò su Pitt. — Io... io ho bevuto un po' troppo e non me ne ricordo proprio bene. Sono stato in giro per il West End. Questo, lo so. Non mi sono mai spinto assolutamente neanche nelle vicinanze dell'East End. Non ne avevo motivo. Non è il mio genere di posto, mi capite? — Eravate solo? — No! No, naturalmente. — E, allora, chi era con voi, signore? Finlay si agitò lievemente sulla poltrona. — Oh... varie persone... in momenti diversi. Buon Dio, non tengo un elenco di tutti quelli che vedo! C'è un sacco di gente che di tanto in tanto va fuori una sera. E frequenta un club qui e un club là, e magari va anche al music hall, capite? No, immagino che non possiate capirlo. — Non era sicuro neanche lui se lo avesse inteso come un insulto, oppure no. Gli si leggeva l'incertezza in faccia. — Magari me lo direte, casomai aveste la fortuna di ricordarvene — disse Pitt con una cortesia che era frutto di un notevole autocontrollo. — Perché? — domandò Finlay. — Io non ho visto niente. — Scoppiò in una risata nervosa, a scatti. — E, in ogni caso, nelle condizioni in cui mi trovavo non sarei stato di sicuro un testimone affidabile!
A questo punto, finalmente, FitzJames si decise a interloquire. — Signor Pitt, siete venuto in casa mia senza farvi annunciare, e a un'ora straordinariamente scomoda. Avete detto che era stato commesso un nuovo omicidio in qualche località dell'East End... che è una zona molto vasta e non specifica. Non ci avete detto chi è morto e nemmeno che cosa questo possa avere a che fare con una qualsiasi delle persone che vivono in questa casa, oltre al fatto che è stato trovato il distintivo di qualche club del quale mio figlio è stato socio parecchi anni fa, ma non lo è più attualmente. A quanto ne sappiamo, il club stesso non esiste più. Dovete avere qualche motivo ben più valido per continuare a portarci via del tempo. — L'omicidio è avvenuto in Pentecost Alley, a Whitechapel — rispose Pitt. E tornò a voltarsi verso Finlay. — Mi sapete dire, signor FitzJames, quando l'Hellfire Club si è riunito per l'ultima volta? — Ma perdio, caro il mio uomo! — protestò Finlay, che continuava ad apparire soltanto, e sempre irritato. — Anni fa! Che importanza può avere? Chiunque può aver lasciato cadere un distintivo in strada. Oppure... in un club, se è per questo! — E fece un gesto con le mani. — Non significa un bel niente! Avrebbe potuto essere lì da... non so... da mesi... perfino da anni! — Lo spillone sul retro è abbastanza appuntito — gli fece notare Pitt. — Credo che una prostituta si sarebbe accorta quasi subito di averlo nel suo letto, diciamo... in cinque minuti al massimo. Anzi meno in questa particolare circostanza, in quanto vi giaceva sopra. — Be', e da dove ha detto che arrivava? — esclamò FitzJames inasprito. — Non vorrete preferire la parola di una qualsiasi prostituta a quella di un gentiluomo, vero? A quella di un qualsiasi gentiluomo, per non parlare di mio figlio. — Lei non ha detto niente. — E Pitt spostò lo sguardo dall'uno all'altro dei suoi interlocutori. — Lei era morta, con le dita delle mani e dei piedi fratturate. Era fradicia dell'acqua che le era stata buttata addosso, prima di venire strangolata con una delle sue stesse calze. Finlay non riuscì a dominare un accesso di nausea e diventò verdastro in faccia mentre si afflosciava nella poltrona. FitzJames respirò molto lentamente, a fondo, trattenendo il fiato intanto che cercava di riacquistare tutto il suo autocontrollo. Poi lo liberò in un lungo sospiro. Ma era livido intorno alla bocca mentre due chiazze rosse gli erano apparse sulle guance. Incrociò lo sguardo di Pitt con occhi gelidi, pieni di sfida.
— Che cosa deplorevole. — Aveva una certa difficoltà a conservare un tono di voce tranquillo, sotto controllo. — Ma non ha niente a che vedere con noi. — Intanto continuava a non distogliere gli occhi da Pitt, come se avesse potuto ipnotizzarlo con la pura forza di volontà. — Finlay, fornirai all'ispettore nome e indirizzo di tutti quei tuoi conoscenti che sono stati membri di tale sciagurata associazione. Oltre a ciò, non possiamo essere di alcun aiuto. Pitt guardò Finlay. — Il distintivo che noi abbiamo trovato portava il vostro nome. — Vi ha già detto che non ha più avuto contatti con quell'associazione da anni — disse FitzJames, alzando la voce. — Sicuramente quel distintivo è stato riconsegnato a chiunque dovesse essere il presidente in carica del... club... ed è stato lui a smarrirlo, in seguito. Non ha niente a che vedere con l'identità della persona che ha ucciso questa disgraziata. Visto quello che faceva, dev'essere uno dei rischi del mestiere. Pitt, fremente di collera, aspettò un momento perché voleva calmarsi prima di fare qualche commento che demolisse l'inconcepibile arroganza del suo interlocutore e gli facesse considerare Ada McKinley e le donne come lei come lui stesso le considerava: non belle, non innocenti o spiritose, ma esseri umani, anche loro, come chiunque altro. Ada aveva provato anche lei speranze e dispiaceri come la sua stessa figlia, che sedeva in sala da pranzo in uno splendido vestito di mussolina guarnito di ricami in pizzo, una figlia che aveva davanti una vita in cui probabilmente non avrebbe mai conosciuto né la fame né la paura fisica, una figlia la cui peggior colpa, nell'ambiente della società mondana che frequentava, poteva essere quella di scoprire che indossava una toilette identica a quella della padrona di casa oppure che era scoppiata in una bella risata a sentire una battuta di cattivo gusto. Ma cosa poteva dire, lui, che avesse un minimo significato in proposito? Per loro, e secondo la loro comprensione, Ada McKinley continuava semplicemente a essere né più né meno come FitzJames l'aveva giudicata. — Sicuramente — rispose gelido. — Ma la polizia non può concedersi il lusso di scegliere su quale omicidio fare le indagini o dove tali indagini potranno condurla. — Usò volutamente queste parole giocando sulla duplice interpretazione che se ne poteva dare, anche se nessuno dei due uomini lo capì. — Naturalmente — ammise FitzJames aggrottando le sopracciglia. Sembrava che quella conversazione fosse diventata senza scopo, inutile. E
la sua espressione lo lasciava chiaramente capire. Tornò a rivolgersi a Finlay. — Quando è stata l'ultima volta che hai visto quel distintivo, riesci a ricordartene? Finlay adesso sembrava avvilito e depresso. Ma l'estremo disagio, e l'inquietudine che rivelava, avrebbero potuto essere attribuiti a una mezza dozzina di ragioni: il turbamento al pensiero di essere coinvolto nell'omicidio di una donna di strada, l'imbarazzo per essere stato talmente ubriaco da non poter fornire precisazioni sui propri movimenti della sera prima, la paura di trovarsi, adesso, nella posizione di chi non poteva evitare di fornire i nomi dei propri amici e, quindi, di coinvolgere anche loro nell'accaduto. Forse nel suo evidente impaccio c'era perfino l'ombra del sospetto che uno o parecchi di loro potessero addirittura esservi coinvolti. Oppure era semplicemente la preoccupazione al pensiero di quel che il padre gli avrebbe detto non appena Pitt si fosse congedato. — Io... a dire la verità... non lo so. — Affrontò Pitt decisamente, pur rimanendo sempre seduto con le braccia incrociate sullo stomaco. Forse gli faceva male dopo gli stravizi della sera prima. In ogni caso aveva gli occhi gonfi. Non solo, ma Pitt poteva ben credere che fosse anche tormentato da un atroce mal di testa. — È stato anni fa. Di questo sono sicuro — disse in tono privo di incertezze. — Cinque, come minimo. — Evitò di incrociare lo sguardo gelido di suo padre. — L'ho smarrito a quell'epoca. Ma non credo che possa essere rimasto a uno dei miei amici a meno che non sia successo per qualche motivo del tutto casuale o per uno scherzo o qualcosa del genere. Pitt era convintissimo che quel discorsetto nascondesse una bugia, ma, quando provò a scoccare uno sguardo a FitzJames, si trovò di fronte a un vero e proprio muro. Qualcosa che lo respingeva. Che negava. Non c'erano in lui né un'ombra né un barlume di sorpresa. Si era aspettato quella risposta come se ne conoscesse già le parole, a una a una. Che l'avessero già preparata prima? — Il nome degli altri membri del club? — domandò Pitt con voce stanca. Adesso la mancanza di sonno cominciava a farsi sentire, unitamente alla stanchezza interiore che provava dopo aver affrontato tutta quella miseria e le strade buie e i vicoli che puzzavano di immondizie e di disperazione. — Esigo i loro nomi, signor FitzJames. Qualcuno aveva quel distintivo ieri sera e l'ha lasciato sotto il corpo di una donna che ha ucciso. FitzJames trasalì per il disgusto ma non batté ciglio. Solo le sue dita si contrassero impercettibilmente sul bracciolo della poltrona.
Finlay continuava ad apparire pallidissimo, sbiancato intorno alle labbra, come se cercasse di dominare un conato di vomito. La pendola che si trovava in un angolo fece sentire il suo tictac regolare; era un suono profondo, che riecheggiava per la stanza. Fuori si udì il ticchettio del passo di una cameriera sul parquet. — Eravamo soltanto quattro — si decise a dire Finlay alla fin fine. — Norbert Helliwell, Mortimer Thirlstone, Jago Jones e io. Posso fornirvi l'ultimo indirizzo di Helliwell, e quello di Thirlstone. Non ho la minima idea di dove Jones sia finito. Sono anni che non lo vedo, che non sento parlare di lui. Qualcuno mi ha detto che si è fatto prete ma probabilmente scherzava. Jago era un gran bravo ragazzo, che sapeva divertirsi come chiunque altro. Molto più probabile che sia andato in America, magari. Perché è quel tipo di uomo che potrebbe partire per l'Ovest... il Texas oppure le Barbados. — Cercò di ridere senza riuscirci. — Se voleste scrivermi gli altri due indirizzi — gli chiese Pitt. — Non credo che possano aiutarvi! — Forse no, ma sarà sempre un punto di partenza. — Pitt sorrise. — Perché quell'uomo è stato visto, capite? Da almeno due testimoni. Si era aspettato di sconcertare Finlay, forse perfino di farlo crollare. Fallì miseramente. Finlay sgranò gli occhi. — Davvero? Allora dovrete già sapere che non sono stato io, grazie al cielo! Non che io conosca una donna del genere — soggiunse in fretta. Era una bugia, e neanche molto buona. Stavolta arrossì e per un attimo sembrò che volesse ripensare a ciò che aveva detto e rimangiarsi la parola. Fu invece FitzJames che rivelò, dall'espressione del suo viso, il lampo improvviso di una paura che non doveva essergli abituale, e che scomparve con la stessa rapidità con la quale si era profilata. Adesso lo sguardo che rivolse a Pitt fu di collera, forse perché pensava che se ne fosse accorto. In fondo, era stato lui a provocarla, e questo non glielo avrebbe perdonato. — Ho i miei dubbi che possano essere stati anche Helliwell o Thirlstone — proseguì Finlay per interrompere quel silenzio. — Ma, se perseverate, lo scoprirete senz'altro. Quanto a Jago Jones, non posso rispondere per lui perché è probabile che sia molto più difficile da rintracciare. Forse ve ne renderete conto presto. Non so neanche se abbia una famiglia. Non sempre si domandano queste cose, se non vengono fuori subito nel discorso! È più gentile evitarlo, soprattutto se una persona non proviene da un ambiente
sociale ben determinato, come sembrava che fosse il suo caso. Non c'era molto di più che Pitt potesse fare. Meditò sull'eventualità di chiedere a Finlay di poter esaminare il soprabito che aveva indossato la sera prima ma, a meno che non lo avesse buttato via o distrutto, avrebbe potuto avere la risposta giusta dal suo domestico anche in seguito. — E poi c'è la questione del gemello da camicia — disse infine. — Di un tipo piuttosto particolare, finito fra il sedile e lo schienale della poltrona nella camera della donna. Sopra ci sono incise le iniziali F.F.J., ed è marcato. Non si tratta, insomma, del genere di cose che penso dovessero possedere i suoi clienti abituali. FitzJames diventò pallido; anche le nocche delle mani apparivano sbiancate perché si era aggrappato più convulsamente ai braccioli della poltrona. Deglutì con evidente difficoltà. Pareva che avesse la gola chiusa, contratta, oppure il colletto troppo stretto. Finlay, d'altra parte, sembrava letteralmente strabiliato. Senza parole. Il suo bel viso dai lineamenti poco incisivi e dall'espressione incerta adesso rivelava soltanto la confusione. — Sì, è vero, ne ho avuti un paio del genere... — mormorò. — Un regalo di mia sorella. Ne ho perduto uno... ma è successo anni fa. Mi è sempre dispiaciuto dirglielo. Capivo che era stata colpa mia. Ero stato maldestro. E mi sentivo uno sciocco perché erano anche molto costosi. Ho sempre avuto l'intenzione di farlo rifare, in modo che lei non se ne accorgesse. — E come è finito nella poltrona di Ada McKinley, signor FitzJames? — disse Pitt con un lieve sorriso. — Chi lo sa! — rispose Finlay. — Come dicevo, io non frequento posti del genere! Non ho mai sentito parlare di lei! Perché è la donna che hanno ucciso, se non sbaglio? Adesso la faccia di FitzJames si era incupita e rivelava la collera e il disprezzo. — Bontà divina, figliolo, non comportarti come un autentico imbecille. Ma è logico che, a suo tempo, tu abbia anche usato donne del genere! — Si rivolse a Pitt: — Ma il gemello da camicia avrebbe potuto essere lì da anni! Come si fa a metterlo in relazione proprio con la notte scorsa, o con quello che è successo! Vedete piuttosto di scoprire qualcosa sul conto di quella dannatissima donna. Con ogni probabilità l'hanno ammazzata in un litigio per questioni di soldi, oppure è stata una rivale, un'altra della sua stessa professione, a farla fuori. Ecco quello che dovete fare. — Si alzò in piedi di scatto, un po' faticosamente come se fosse intorpidito, come se la tensione e la necessità di rimanere impassibile gli avessero irrigidito i
muscoli. — Vi metteremo per iscritto quegli indirizzi. Ma adesso devo occuparmi dei miei affari. Sarei già dovuto essere alla City da un bel pezzo. Vi auguro il buon giorno, signore. — E uscì senza degnarsi di rivolgergli un altro sguardo. Pitt rimase solo con Finlay. Finlay esitava, impacciato. Evidentemente si sentiva in imbarazzo, non solo perché lo avevano colto sul fatto mentre raccontava una fandonia, ma anche per essere stato debitamente rimproverato, e proprio davanti a Pitt. Aveva commesso una stupidaggine, non aveva scuse. Era stato un atto istintivo di vigliaccheria, la volontà di negare prontamente, di cercarsi una via di scampo... Sicuramente un modo di comportarsi di cui nessun uomo poteva essere orgoglioso. Adesso doveva fornire a Pitt nome e indirizzo dei suoi amici e anche questo era qualcosa che non poteva evitare, e gli garbava molto poco. Sarebbe stato tanto più onorevole, tanto più da gentiluomo, essere in grado di rifiutare! — Non ho la minima idea di dove sia andato a finire Jago Jones — disse con visibile soddisfazione. — Sono anni che non lo vedo. Potrebbe essere ovunque. È sempre stato un tipo un po' strano. — Credo che qualcuno lo saprà — rispose Pitt con un sorrisino gelido. — Ci sono gli archivi dell'esercito, o magari anche quelli del Foreign Office. Finlay lo guardò con tanto d'occhi. — Sì, è possibile. — Il signor Helliwell? — Pitt non gli lasciava scampo. — Oh... sì, Taviton Street. Al numero diciassette mi pare, o quindici. — Grazie. — Pitt tirò fuori taccuino e matita e ne prese nota. — E il signor Thirlstone? — Cromer Street. È a poca distanza da Grey's Inn Road. — Numero? — Quaranta e qualcosa. Non me lo ricordo esattamente. Mi spiace. Pitt prese nota anche di questo. — Grazie. Finlay deglutì. — Ma nessuno di loro ha mai avuto qualcosa a che fare con tutto questo, sapete. Ne sono sicuro. Non so da dove sia sbucato quel maledetto distintivo, ma... ma sono pronto a giurare che loro non c'entrano. E, tanto per cominciare, era un club dei più idioti. L'idea di un giovanotto di spassarsela, di trovare qualcosa di diabolicamente divertente da fare... in fondo tutte sciocchezze, sciocchezze incredibili. Non c'era niente di male, solo... oh... — Alzò le spalle, ma fu un gesto voluto, esagerato. — Si beveva un po' troppo, si giocavano al tavolo verde cifre superiori a quelle che in realtà potevamo permetterci di perdere, ci si ubriacava... e via dicendo.
Immaturi... suppongo. Ma fondamentalmente gran brave persone. — È quello che mi auguro. — Pitt annuì ma senza particolare entusiasmo. Quante persone che si consideravano brave e buone avevano lati molto più torbidi, molto più oscuri e perversi. — Come dicevo, è possibile che quel distintivo sia andato smarrito anni fa — continuò Finlay, aggrottando le sopracciglia e mettendosi a fissare Pitt con una certa insistenza. — Non riesco a ricordare quando è stata l'ultima volta che ho visto il mio. Chi lo sa! — Sì, signore — disse Pitt senza impegnarsi. — Vi ringrazio per gli indirizzi. — Poi gli augurò il buon giorno e si congedò, accompagnato alla porta dal maggiordomo che continuava ad avere l'aria affabile e sorridente. Norbert Helliwell non era in casa. Era andato di buon mattino a fare una cavalcata nel Parco, così il suo maggiordomo disse a Pitt, e dopo un'abbondante colazione aveva deciso di trascorrere la mattinata al suo club. Si trattava del Regency in Albemarle Street, per quanto il maggiordomo manifestasse seri dubbi - non a parole ma con l'espressione del viso - che fosse conveniente e accettabile che Pitt andasse a cercarlo in quella sede. Pitt lo ringraziò e prese una carrozza che lo portasse prima a sud e poi a ovest verso Piccadilly. Più ci rifletteva, più aveva la sensazione che difficilmente avrebbe potuto sapere qualcosa di utile da Norbert Helliwell. C'erano alcuni aspetti della sua visita in casa FitzJames che lo avevano lasciato sorpreso. Si era aspettato collera, sotterfugi, possibilmente anche imbarazzo. E non si era fatto illusioni sul conto di Augustus FitzJames, un uomo abituato a dominare gli altri e pronto a difendere il figlio, colpevole o innocente che fosse. Si lasciò andare contro la spalliera del sedile, nell'hansom che correva veloce per le strade piene di traffico, oltrepassando vetture di ogni genere. Ormai era metà mattina, il caldo quasi piacevole, la brezza profumata. Signore vestite all'ultima moda erano in giro a prendere un po' d'aria, a vedere e a farsi vedere. Erano numerosi i landò scoperti e i calessini. Il pesante carro di un birraio lo oltrepassò, imponente, trainato da grossi cavalli dalla lunga e arruffata criniera, il manto di pelo lucente sotto il sole, come gli scintillanti ottoni dei finimenti. Sul marciapiede camminavano di buon passo gli uomini d'affari, assorti ciascuno nei propri pensieri, ma pronti a sollevare il cilindro di tanto in tanto quando incrociavano qualche conoscente. Era stato Finlay FitzJames a lasciare Pitt confuso. Il giovanotto gli aveva
mentito, su questo non aveva il minimo dubbio, ma non come si era aspettato che mentisse. Era logico che avesse conosciuto donne del tipo di Ada McKinley. Negarlo era stata una pura e semplice reazione istintiva, un tentativo di autodifesa di fronte a un estraneo. In più, Finlay gli aveva rivelato di essere terribilmente impaurito ma non delle cose che sarebbe stato logico gli incutessero spavento. La notizia della morte di Ada non aveva prodotto la minima reazione in lui all'infuori delle poche parole di rammarico pronunciate a fior di labbra, quelle che un avvenimento del genere avrebbe potuto provocare in qualsiasi altro giovane uomo del suo genere. C'era davvero da pensare che non fosse capace di considerarla alla stessa stregua di ogni altro essere umano, e che l'atto di averla uccisa non avesse prodotto in lui il minimo senso di vergogna e neanche la paura di essere in qualche modo costretto a pagare per la colpa commessa? Possibile che il fatto di usare una prostituta venisse giudicato più o meno alla stessa stregua di uno sport da gentiluomini come quello della caccia alla volpe... in cui l'inseguimento dell'animale era tutto, e la sua uccisione soltanto la logica conseguenza? O forse per lui le volpi erano soltanto, in fondo, animali selvatici che provocavano danni, e nient'altro? Le sue riflessioni vennero interrotte dall'arrivo davanti alla porta del Regency Club. Scese, pagò il vetturino e attraversò il marciapiede per salire i gradini. — Siete socio, signore? — fu la prima cosa che si sentì chiedere dal portiere. La sua faccia era inespressiva ma il tono un po' troppo enfatico con il quale gli aveva posto la domanda lasciava capire fin troppo chiaramente che sapeva benissimo come Pitt non lo fosse affatto. — No — replicò Pitt, imponendosi con uno sforzo di sorridere. — Ho assoluta necessità di parlare con uno dei vostri soci su una questione delicata ed estremamente spiacevole. Penso che forse potreste riferirgli questo messaggio e poi trovarmi un posto adatto dove avere questo colloquio in privato, evitandogli l'imbarazzo di vedersi costretto a discutere l'argomento in pubblico. Il portiere lo squadrò come se fosse stato un ricattatore. Pitt continuò a sorridere. — Sono della polizia — soggiunse. — Del commissariato di Bow Street. — Già, vedo. — In realtà il portiere non vedeva un bel niente. Pitt non era affatto il tipo del poliziotto che lui si aspettava. — Allora volete essere tanto cortese...? — Adesso Pitt stava parlando con un tono un poco più brusco. — Gli affari che devo discutere riguarda-
no il signor Norbert Helliwell. Il suo maggiordomo mi ha informato che si trova qui. — Sissignore. — Il portiere non riusciva a vedere altro modo di affrontare una situazione deplorevole che stava minacciando di sfuggirgli completamente di mano. Diede istruzioni a un valletto perché accompagnasse Pitt in una stanzetta laterale che - non si poteva escludere - magari era tenuta appositamente a disposizione per simili eventualità. Impossibile lasciare Pitt nell'atrio dove avrebbe potuto parlare con altri soci e peggiorare ancora di più le cose. Il valletto ubbidì, poi girò sui tacchi e andò a informare Helliwell che aveva visite. Norbert Helliwell doveva aver passato da poco la trentina e aveva un aspetto dei più comuni. Chiunque avrebbe potuto prenderlo per uno dei soliti giovanotti di buona famiglia e di condizioni agiate. — Buon giorno, signore. — Entrò e chiuse la porta. — Prebble mi dice che è successa una faccenda spiacevole, per la quale pensate che io possa esservi di aiuto. Accomodatevi. — Con un gesto gli indicò una delle poltrone e prese posto tranquillamente in quella di fronte. — Di che si tratta? Pitt non aveva mai visto nessuno che avesse di meno l'aria del colpevole. — Posso concedervi dieci minuti — continuò Helliwell in tono magnanimo. — Poi temo di dovermi trovare con mia moglie e mia suocera. Sono state a fare spese. È qualcosa che alle signore piace, sapete? — Alzò le spalle. — No, forse non lo sapete. Ma possono mettersi in un'agitazione terribile se vengono lasciate lì ad aspettare. Non è per niente corretto. E allora nascono dissapori o malintesi. Non dubito che possiate capirlo. Esistono soltanto due tipi di donne, ecco. — Sorrise. — O perlomeno due tipi di donne che stanno lì ad aspettare per le strade, mi capite. Ricordo quell'incidente, fu una cosa veramente terribile... una donna perfettamente rispettabile... arrestata mentre era in giro a fare compere! — La sua voce aveva assunto un tono derisorio e, in effetti, era stato un caso in cui la polizia aveva fatto una ben magra figura. — Vuol dire che arriverò subito al nocciolo della questione — replicò Pitt, mentre si rendeva conto che stava facendosi troppo in fretta un'opinione ben precisa sul suo interlocutore. Le sue argomentazioni arroganti lo incitavano a farsene un giudizio prematuro e avventato. — Siete per caso stato membro, in passato, di una società di giovani gentiluomini conosciuta sotto la denominazione di Hellfire Club? Helliwell rimase sconcertato, ma la sua faccia, dall'espressione un po' presuntuosa e vacua, non sembrò minimamente allarmata.
— Molto tempo fa. Perché? Qualcuno ha pensato di resuscitarla? — Si strinse quasi impercettibilmente nelle spalle. — Non molto originale, temo. E si tratta anche di un genere di denominazione piuttosto ovvio, a pensarci bene. Fa subito venire in mente certi damerini dell'epoca della Reggenza, non vi pare? — Si appoggiò più comodamente allo schienale della poltrona e accavallò le gambe. — Oggigiorno è molto più alla moda essere un esteta, purché se ne abbia l'energia emozionale. Personalmente, non avrei la minima voglia di far nascere e fomentare troppa passione nei confronti dell'arte. Sono troppo impegnato con la vita! — E proruppe in una risatina. La sua voce vibrava di un nervosismo appena percettibile oppure era Pitt a immaginarlo? — Eravate abituati a portare un distintivo, grosso più o meno così? — E Pitt alzò l'indice e il pollice tenendoli scostati di un paio di centimetri circa. — Smalto su oro con il vostro nome inciso dietro? — Confesso di non ricordare proprio — disse Helliwell incrociando il suo sguardo senza arrossire. — Immagino che non si possa escludere. Perché? Si può sapere cosa diamine importa adesso? È stato anni fa. Non ci siamo più riuniti dal... — rimase con il fiato sospeso. Sì, adesso era visibilmente impallidito, sia pure di poco. — Non so... parecchio prima che mi sposassi. Sei anni come minimo. — Sorrise di nuovo, mettendo in mostra una splendida dentatura. — Quel genere di cose che si fanno da scapoli, mi capite? — Posso immaginarlo — convenne Pitt. — Avete ancora il vostro distintivo? — Era passato sopra, senza parere, all'evidente incertezza di Helliwell che ne avesse addirittura posseduto uno. — Non ne ho la minima idea. — Sembrò sconcertato e perfino vagamente divertito. — Non direi. Per quale motivo? Sentite, fareste meglio a spiegarmi cos'è tutta questa faccenda. Finora non avete tirato fuori nessun argomento che fosse, anche solo alla lontana, urgente o importante. Al portiere avete detto che si trattava di una faccenda spiacevole. O venite al sodo oppure sarò costretto a lasciarvi. — Tirò fuori un massiccio orologio d'oro appeso a una catena non meno massiccia e lo scrutò ostentatamente. — In ogni caso, fra tre minuti devo andarmene. — Una donna è stata assassinata la notte scorsa, e un distintivo dell'Hellfire Club è stato rinvenuto sotto il suo corpo — replicò Pitt, scrutandolo attentamente in faccia, fissandolo negli occhi. Helliwell deglutì convulsamente, ma senza perdere un briciolo della sua
compostezza. Passò qualche istante prima che rispondesse. — Me ne duole moltissimo. Ma se si tratta del mio distintivo, posso assicurarvi che io non avevo niente a che farci. Ho cenato da mio suocero, e poi me ne sono tornato immediatamente a casa in carrozza. Mia moglie potrà confermarvi tutto questo, e lo faranno anche i miei domestici. Lei chi era? — La sua voce assumeva un tono sempre più sicuro e deciso man mano che continuava a parlare. E a poco a poco le sue gote riacquistarono un po' di colore. — Era il mio distintivo? Il minimo che posso fare è stabilire dove l'ho smarrito, oppure se mi è stato rubato. Anche se dubito che sia di qualche utilità. Potrebbe essere successo già da qualche anno. — No, signore, non era il vostro distintivo. Ma... Helliwell si alzò in piedi di scatto, infuriato, mentre avvampava. — E allora si può sapere perché diavolo siete venuto qui a disturbarmi? — gli domandò. — È oltraggioso, signore. Ma dunque, di chi... — si interruppe bruscamente, una mano sollevata in aria. — Sì? — domandò Pitt alzandosi in piedi anche lui. — Vi accompagno. Stavate dicendo...? — Di chi... — Helliwell deglutì a fatica. — Di chi era quel distintivo? — Fece un passo verso la porta. — A quanto ho saputo, eravate soltanto in quattro — continuò Pitt. — È esatto? — Ah... — Helliwell lasciò chiaramente capire che aveva riflettuto sulla possibilità di raccontargli qualche fandonia, ma che poi aveva abbandonato l'idea. — Sì... sì, precisamente. Perlomeno alla mia epoca! Mi sono dimesso, ispettore... ehm... sovrintendente. Naturalmente non è escluso che qualcun altro abbia potuto diventarne socio in seguito... — Si sforzò di sorridere. Pitt andò alla porta e gliela tenne aperta per farlo passare. — Non voglio trattenervi visto che dovete incontrarvi con vostra moglie e vostra suocera. — No. Be'... spiacente di non esservi stato di aiuto. — Helliwell oltrepassò la porta e continuò il suo cammino attraverso l'atrio fino all'ingresso del club. Intanto salutava il portiere con un cenno del capo. Pitt lo seguì, rimanendo indietro di mezzo passo. — Cosa potete raccontarmi degli altri che erano soci alla vostra epoca? — gli domandò. Helliwell varcò la porta del club e scese i gradini. — Oh... niente di particolare. Tutte brave persone. E tutte un po' più vecchie e un po' più sagge adesso, naturalmente. — Stava parlando come se avesse deciso di accantonare definitivamente la faccenda. E non domandò più chi fosse il proprie-
tario di quel distintivo. — Mortimer Thirlstone? — Pitt si affrettò a raggiungerlo per rimanergli affiancato sul marciapiede, intanto che lui procedeva a passo veloce sotto il sole lungo Albemarle Street in direzione di Piccadilly, camminando talmente in fretta da rischiare in continuazione di urtare qualche altro passante. — Non lo vedo da secoli — disse Helliwell ansante. — Confesso di non sapere proprio che cosa faccia adesso. — Finlay FitzJames? Helliwell si fermò sui due piedi, di botto, e un distinto signore in pantaloni a righe, che camminava un paio di passi dietro di lui, inciampò e gli finì addosso urtandolo con violenza. — Scusatemi! — esclamò lo sconosciuto anche se la colpa era chiaramente di Helliwell. — Ma, dico... però, signore, non potreste stare un po' attento? — Cosa? — Helliwell trasalì, sconcertato. Non si era assolutamente accorto che, oltre a lui stesso e a Pitt, c'era sul marciapiede anche qualcun altro. — Oh. Vi sono d'impiccio? Ma superatemi, per amor di Dio! L'uomo si piantò ben dritto il cappello sulla testa, gli lanciò un'occhiataccia e poi, facendo dondolare l'ombrello, continuò per la sua strada. — Finlay FitzJames? — ripeté Pitt. — Toccherà a voi andare a parlargli direttamente — disse Helliwell, deglutendo di nuovo a fatica. — Suppongo che abbia smarrito quel distintivo anni fa. Non c'era nessun bisogno di conservarlo. E adesso vi prego davvero di scusarmi. Vedo già la mia famiglia laggiù, all'angolo. — E alzò un braccio per indicargli una carrozza che effettivamente stava rallentando, in quel momento. A bordo c'era una giovane donna, vestita con molta eleganza, che si sporgeva a guardare nella loro direzione. Una dignitosissima coppia più anziana sedeva comodamente con lei nella carrozza, il gentiluomo con le spalle al cocchiere, la signora di fianco, nella direzione di marcia. Pitt inclinò la testa verso di loro, e il suo saluto venne ricambiato allo stesso modo. Helliwell si accorse di non avere alternativa; non gli rimaneva che condurre Pitt con sé e presentarlo, oppure congedarlo con quella che poteva essere giudicata soltanto come un'incredibile mancanza di riguardo. E poi lui sarebbe sicuramente stato costretto a fornire le debite spiegazioni al riguardo.
Imprecò sottovoce e prese una decisione. Si fece avanti a lunghi passi, un sorriso forzato sulla faccia, la voce artificiosamente calorosa e cordiale. — Mia cara Adeline. Cara suocera, caro suocero. Che splendida giornata. Posso presentare il signor Pitt? Ci siamo incontrati per caso al mio club. Qualche conoscenza comune... passata, non presente. Signor Pitt, mia moglie e i miei suoceri, il signor Joseph Alcott, la signora Alcott. Compiute le presentazioni, Helliwell abbozzò il gesto di salire in carrozza. — E il signor Jago Jones? — domandò Pitt in tono pieno di giovialità. — Mi sapete dire dove potrei rintracciarlo? — Non ne ho la più vaga idea — Helliwell si affrettò a ribattere. — Spiacente, vecchio mio. Sono anni che non lo vedo. Un po' strambo, come tipo. Una conoscenza casuale piuttosto che un amico al quale mi legasse qualcosa di affine, mi capite? Non posso assolutamente esservi di aiuto. — E posò la mano sullo sportello della carrozza. — E il signor Thirlstone? — insistette Pitt. — Anche lui è stato una conoscenza casuale? Ma prima che Helliwell potesse rispondere, sua moglie si protese fuori dalla carrozza guardando prima il marito e poi Pitt. — Alludete forse a Mortimer Thirlstone, signore? No, non è affatto una conoscenza casuale. Anzi lo conosciamo molto bene. Fra l'altro, non c'era anche lui alla soirée di lady Woodville l'altra sera? Era con Violet Kirk, me ne ricordo benissimo. Qualcuno dice che potrebbero annunciare presto il loro fidanzamento. E questo io lo so, perché è stata lei stessa a parlarmene. — E tu invece non dovresti parlarne, mia cara — osservò Helliwell con voce roca, mentre avvampava. — Non una parola fino a quando non è stato annunciato. Potrebbe provocare un enorme imbarazzo. E se dopo tutto non ci fosse niente di vero? — Aprì lo sportello e stava per salire quando sua moglie parlò ancora, al disopra della sua spalla, rivolgendosi sempre a Pitt. Aveva un viso affascinante e una stupenda capigliatura castana. — Vi ho sentito chiedere come sarebbe possibile rintracciare il signor Jago Jones? — Adeline domandò a Pitt. — Sissignora — si affrettò a rispondere Pitt. — Lo conoscete? — No, ma sono sicura che la signorina Tallulah FitzJames potrebbe dirvene qualcosa. Era un amico intimo di suo fratello, Finlay, che noi tutti conosciamo bene. — Si voltò a guardare Helliwell che le rispose con una di quelle occhiate che gelano il sangue nelle vene. Ma lei continuò imper-
turbabile a rivolgere il suo radioso sorriso a Pitt. — Sono sicura che se lo domandate a lei, e le spiegate come sia importante per voi, sarà in grado di aiutarvi. È una creatura deliziosa, e per di più gentilissima. — È una giovane donna volubile e scervellata e preferirei di gran lunga che tu non la frequentassi — interloquì improvvisamente il signor Alcott. — Sei troppo generosa nelle tue opinioni, mia cara. — Dovresti prestare un po' più di ascolto a quello che dice la gente — soggiunse la signora Alcott. — E a questo modo verresti a sapere che la sua reputazione sta diventando sempre meno attraente man mano che diventa vecchia e non si sposa. Eppure sono sicura che abbia ricevuto anche lei le sue brave offerte di matrimonio! — Fece un gesto delicato con la mano guantata. — Suo padre è ricco, sua madre proviene da un'ottima famiglia, e la ragazza in sé e per sé è sicuramente abbastanza bella, a modo suo. Se non si sposa presto, la gente comincerà a domandarsi per quale motivo non abbia trovato marito. — Sono pienamente d'accordo — si affrettò a confermare Helliwell. — Molto meglio limitarti a essere semplicemente cortese ed educata con lei, casomai ti capitasse di incontrarla, anche se lo considero poco probabile. Frequenta un ambiente con il quale tu non dovresti aver niente a che fare. E secondo me "volubile e scervellata" sono parole molto gentili, cara suocera. Io ne avrei scelte altre molto meno elogiative. — Il suo tono non ammetteva repliche. Tornò a rivolgersi a Pitt. — È stato un vero piacere incontrarvi, signore. — Con un balzo salì in carrozza e richiuse lo sportello. — Vi auguro il buon giorno. — Poi con un cenno fece capire al cocchiere che poteva partire, e lasciò Pitt immobile sul marciapiede sotto il sole. In apparenza Mortimer Thirlstone era un uomo totalmente diverso. Alto, magro, affettava un modo di comportarsi e di vestirsi da artista. Portava i capelli lunghi con la scriminatura al centro. Indossava una morbida camicia di seta con un cravattone fluttuante, annodato meticolosamente, e una giacca da riposo. Ma aveva la stessa aria sicura di sé e piena di disinvoltura che Pitt aveva notato in Helliwell, come se sapesse di presentarsi nel modo migliore e come se fosse pienamente convinto che il suo aspetto esteriore avrebbe continuato a guadagnargli quelle cortesie e gentilezze alle quali aveva fatto l'abitudine. Era fermo al centro del sentiero che si snodava attraverso Regent's Park in direzione dei Giardini Botanici. Sollevò lievemente la testa verso un so-
le avvolto da una leggera foschia, con un sorriso stampato sul volto. Era da metà mattina che Pitt stava cercando di rintracciarlo, e ci era riuscito soltanto dopo una serie di accanite ricerche. — Il signor Thirlstone? — domandò, anche se era già sicurissimo della sua identità. — Precisamente, signore — rispose Thirlstone senza chinare lo sguardo. — Non è un magnifico pomeriggio? Riuscite ad aspirare anche voi la miriade di aromi di questi fiori, non soltanto indigeni ma anche esotici, che crescono appena al di là del nostro sguardo? Che cosa stupenda è la natura! E quanto poco noi l'apprezziamo. Ci ha fornito i sensi, e noi cosa ne facciamo? Per la massima parte li ignoriamo, signore, li ignoriamo largamente. In che cosa posso esservi utile, oltre al fatto di aver portato alla vostra attenzione l'esistenza delle vostre percezioni olfattive? — Credo che qualche anno fa siate stato membro anche voi di un'organizzazione nota sotto il nome di Hellfire Club... — cominciò Pitt. — Organizzazione. — Thirlstone chinò il capo, poi guardò Pitt divertito. — Siete in errore, signore. Organizzata non lo è stata mai! Io aborro l'organizzazione. È l'antitesi del piacere e della creatività. E il piccolo e debole tentativo dell'uomo di lasciare la sua impronta su un universo che non riesce neanche a cominciare a capire. È patetica. — Un calabrone passò vicino a loro, volando pigramente nell'aria. Lui lo osservò deliziato. — La natura organizza — continuò. — Noi ci limitiamo unicamente a osservare dalla nostra profonda ignoranza, e in genere ci mostriamo impauriti. Rispetto timoroso, signore, questo è ciò che ci vuole. È la cosa più corretta. Ma la paura inebetisce. Nell'arco di spazio fra l'uno e l'altro di questi sentimenti, si possono manifestare tutti gli altri, i più puri. Cosa ne dite? Pitt, ormai smarrito, non riusciva più a seguirlo. — L'Hellfire Club, signore! — spiegò Thirlstone. — Ebbene? Cosa volete sapere? Follia di gioventù. Personalmente, io ho proseguito per un'altra strada, ho aperto gli occhi a migliori interessi e occupazioni. Volevate associarvi? — Si strinse nelle spalle, alzando di nuovo il viso verso il sole. — Non posso esservi di aiuto. Apritene uno per conto vostro. Non aspettate gli altri. Cominciate da capo! Provate con qualcuno dei club in cui si gioca d'azzardo, le corse dei cavalli, i music hall, le case di pessima fama e così via. Troverete uomini più o meno con gli stessi gusti e le stesse abitudini. Potrete scegliere liberamente, a volontà. — Era un posto del genere quello che frequentavate? — Pitt si mise d'impegno per dare alla propria voce un tono vagamente interessato e nello
stesso tempo non troppo ingenuo. Ma si rese subito conto di aver fallito nel suo scopo. Era un'impresa impossibile. Thirlstone abbassò gli occhi e si mise a fissarlo come se lui fosse qualche rara pianta che aveva appena notato. — Cos'altro vi aspettate, signore? L'orticoltura? La poesia? Se i vostri gusti non si orientano verso le sbronze, il gioco d'azzardo, i bei cavalli e le donne disponibili, per quale motivo vi interessa un Hellfire Club? La farsa era durata poco, e ormai bisognava considerarla finita. — Voglio sapere il nome dei membri originari, e un resoconto delle loro attuali attività — rispose Pitt, continuando sempre a mentire ancora, almeno in parte. Thirlstone sgranò gli occhi, stupefatto. — E per quale motivo, caro signore? È stato sciolto, o forse dovrei dire che si è sciolto di sua stessa volontà, e già da anni. Oggigiorno non potrebbe esservi più assolutamente di alcuna utilità. Una farfalla li oltrepassò, svolazzando leggiadra nel sole. In lontananza un cane abbaiava. — Un distintivo dell'Hellfire Club è stato scoperto sotto il corpo di una donna assassinata la notte scorsa — replicò Pitt. — Buon Dio! Che cosa straordinaria! — Le sopracciglia scure di Thirlstone si alzarono di scatto. Intanto corrugava la fronte con espressione tragica. — Per quale motivo questo vi riguarda? Avete forse qualche legame di parentela con lei? Me ne duole infinitamente. — E gli tese la mano accennando un gesto di simpatia. — No. No, niente di tutto questo — disse Pitt un po' impacciato. — E allora... non siete della polizia, vero? Perché non avete l'aspetto del poliziotto. Sì, lo siete! — Sembrò quasi divertito, come se questo fatto avesse una sfumatura rara e originale di umorismo. — Oh, com'è indicibilmente squallido tutto questo. E si può sapere, in nome del cielo, cosa volete da me? Io non ne so niente. Chi era questa donna? — Il suo nome era Ada McKinley. Faceva la prostituta. Sul viso di Thirlstone si delineò una vaga espressione di pietà che invece era mancata totalmente in Finlay FitzJames e in Helliwell. Poi, tutto d'un tratto, tornò completamente serio, composto. Quell'aria vagamente ironica e scanzonata, che gli era stata caratteristica fino a pochi istanti prima, adesso scomparve totalmente. E sotto quei modi frivoli e superficiali rivelò una concentrazione completa. Socchiuse gli occhi, rimase immobile, al punto che Pitt improvvisamente si accorse del venticello che soffiava, fa-
cendo muovere leggermente le corolle dei fiori. — Eravamo soltanto in quattro, sovrintendente, e su ogni distintivo c'era un nome. — La voce di Thirlstone era talmente calma e pacata da dar quasi l'impressione che mancasse di naturalezza. — State forse dicendo che era il mio distintivo quello che avete trovato? — No, signore. Il corpo irrigidito di Thirlstone si rilassò. E non riuscì a dominare il sollievo che adesso si era disegnato sulla sua faccia. — Sono contento. Non ci poso più gli occhi sopra da anni. — Deglutì. — Ma non si sa mai... — Osservò Pitt con un miscuglio di curiosità e apprensione. — Di chi era? Io... io non riesco a credere che uno di noi, uno chiunque di noi, possa essere stato tanto imbecille da... — Non completò la frase, ma il suo significato rimase come sospeso in aria, inequivocabile. Una giovane coppia passeggiava a una decina di metri di distanza, accompagnata dallo scricchiolio della ghiaia del viale sotto i loro passi. — Ho già parlato con i signori FitzJames ed Helliwell — disse Pitt in tono di finta indifferenza. — Ma non sono riuscito a rintracciare Jago Jones. — Un po' difficile che sia stato Jago! — Stavolta il convincimento era totale nella voce di Thirlstone. — E perché no? — Mio caro signore, se conosceste Jago, non avreste neanche bisogno di domandarlo! — Non lo conosco. E perché no? — Oh... — Thirlstone si strinse nelle spalle allargando le braccia in segno di impotenza. — Forse io non so quanto credo di sapere. È compito vostro scoprirlo, Dio sia ringraziato, e non tocca a me. — Dove potrei trovare il signor Jones? — Pitt non si aspettava alcuna risposta. E non ne ricevette. Si vide rivolgere soltanto un'alzata di spalle e un'occhiata perplessa. — Non ne ho idea, purtroppo. Ma proprio nessuna. Per le strade. Nei quartieri più miserabili. Quella è l'ultima cosa che ricordo di avergli sentito dire, ma non ho alcuna conferma che parlasse sul serio. — Thirlstone alzò di nuovo il viso verso il sole, e Pitt venne in tal modo definitivamente congedato. Ritornò sui suoi passi oltrepassando un ufficiale dell'esercito in licenza che indossava un'uniforme addirittura immacolata, giacca rossa e calzoni
dalla piega perfetta, bottoni lucenti, sul quale si concentrava l'emozionato interesse di parecchie giovani signorine che indossavano abiti color pastello tutti mussola e merletti e quello invidioso di una bambinaia in grembiule bianco inamidato che spingeva una carrozzina. Al di là degli alberi, da un punto imprecisato si levò nell'aria la musica di un organetto. Alle quattro, Pitt aveva consumato un pranzo in ritardo di molto sull'ora solita, ma era stanco morto; si sentiva gli occhi che gli pungevano come se avessero dentro qualche bruscolino, e gli faceva male la testa per il sonno perduto. Non era per niente convinto che Jago Jones avesse potuto - e chissà in quale modo! - lasciar cadere quegli oggetti di proprietà di Finlay FitzJames in Pentecost Alley, ma doveva dimostrarlo, non fosse altro che per eliminare anche quell'eventualità. In fondo, non era impossibile. Ritornò in Devonshire Street e domandò all'affabile maggiordomo di poter parlare con la signorina Tallulah FitzJames. Sapeva come quello fosse un arco di tempo della giornata nel quale era possibile trovarla facilmente in casa, appena prima di andare a vestirsi per la sera e uscire a cena e a divertirsi. Lei entrò in salotto accompagnata dal fruscio di un tessuto morbido e soffice di un rosa talmente pallido da apparire quasi bianco, una rosa di una tonalità più intensa infilata alla cintura, dalla quale pendevano lunghi nastri di satin. Se il suo viso fosse stato più tondo, se avesse rivelato minor intelligenza e volontà, l'effetto complessivo del quadretto che Pitt si trovava davanti sarebbe stato di un'innocenza addirittura stucchevole. In questo modo, invece, presentava un contrasto che era quasi una sfida e, dal modo in cui si arrestò appena entrata, appoggiandosi al pomo della porta, Pitt ebbe la conferma che lei lo sapeva benissimo. — Ma guarda! — esclamò meravigliata. — Siete di ritorno? Ho sentito della morte di quella povera creatura, ma è inconcepibile che possiate immaginare che Finlay abbia qualcosa a che vedere con quello che è successo, vero? È talmente assurdo. Cioè, per quale motivo dovrebbe entrarci anche lui? Alla mamma non piacerebbe proprio pensare che lui frequenti posti simili; d'altra parte i genitori di regola hanno un po' la tendenza ad assomigliare ai migliori cavalli da carrozza, non ci avete mai pensato? Lavorano insieme in modo eccellente fintanto che i finimenti non si rompono, fanno una magnifica figura in città, suscitano l'ammirazione degli amici e non riescono a vedere niente salvo quello che si trovano proprio davanti! Ai nostri mettiamo i paraocchi per evitare che la loro attenzione si con-
centri su qualcosa d'altro o che si imbizzarriscano perché c'è qualcosa di diverso dal solito sul loro cammino. Pitt sorrise a dispetto di se stesso. — A dir la verità ero venuto a chiedervi l'indirizzo del signor Jago Jones. — Si accorse che lei si irrigidiva sotto l'abito di seta e mussola, e le sue esili spalle assumevano una nuova posizione, più eretta. Non fece fatica a immaginare che stringesse convulsamente le mani sul pomo della porta che aveva dietro le spalle. Con estrema lentezza Tallulah si raddrizzò sulla persona e venne avanti, verso di lui. — Perché? Pensate che sia stato Jago? Non immaginate neanche come un'idea del genere sia ridicola, ma vi posso assicurare che io sarei più pronta a sospettare del Principe di Galles. — Tenete il signor Jones in una considerazione tanto alta? — esclamò Pitt stupito. — Non... in modo particolare. — Girò la testa dall'altra parte e il suo profilo, così insolito, sembrò stagliarsi in un raggio di sole, il naso un po' troppo grosso, la bocca larga ma pronta alla risata e così mobile, facile a esprimere qualsiasi sentimento, i luminosi occhi scuri. — Lui... lui è un tipo piuttosto corretto, anzi. Direi noioso, rispettabile. — Continuava a tenere gli occhi volutamente fissi fuori dalla finestra, verso il sole che screziava le foglie al di là dei vetri. — È impossibile che abbia fatto qualcosa del genere — continuò. — Ha più o meno l'età di Finlay, e quando Finlay era sui vent'anni e io ne avevo sedici Jago era un tipo divertente. Sapeva raccontare le storielle più spassose perché riusciva a far prendere alla sua faccia l'espressione di tutti i diversi personaggi, e cambiava anche la voce. — Alzò studiatamente le spalle come se si trattasse di un argomento che per lei non aveva il minimo interesse. — Ma adesso è religioso. Tutto opere pie e salvezza dell'anima. — Si voltò di scatto a fissare Pitt. — Chissà perché la Chiesa trasforma le persone in seccatori così formidabili? — La Chiesa? — Pitt non seppe nascondere il proprio stupore. — Non lo sapevate? No, suppongo di no. Finlay è stato uno stupido a fingere di non sapere più niente di tutto ciò che riguarda l'Hellfire Club. Immagino che si sia fatto l'idea che, a questo modo, li proteggeva. Se il colpevole è uno qualsiasi di loro, deve trattarsi di Norbert Helliwell oppure di Mortimer Thirlstone. — Scosse lievemente la testa. — Non potrebbe essere stato Jago, e naturalmente non è stato Finlay. La soluzione più probabile è che quella donna lo abbia rubato e poi qualcun altro l'abbia uccisa. Sembra abbastanza ovvio, vero? — I suoi occhi adesso avevano un'espres-
sione di sfida. — E del resto per quale motivo uno degli altri membri del club avrebbe dovuto essere in possesso del distintivo di Finlay? Se ne volevano uno, avevano il loro. — Non volutamente — spiegò Pitt. — Ma l'incisione sul retro è molto sottile, molto piccola. Sarebbe stato abbastanza facile prendere, per errore, quello di qualcun altro. — Oh. — Lei respirò profondamente, sollevando la seta leggera e trasparente dell'abito che le drappeggiava le spalle e alzando il petto. — Sì, naturalmente. Non ci avevo pensato. — Dove potrei trovare il signor Jones? — Alla chiesa di St. Mary, a Whitechapel. Pitt trasalì, con il fiato mozzo. Conosceva St. Mary. Si trovava a poche centinaia di metri da Pentecost Alley. Old Montague Street correva parallela a Whitechapel Road, prima di sbucare in Mile End. — Capisco. Vi ringrazio, signorina FitzJames. — Perché avete preso quell'espressione? St. Mary significa qualcosa per voi, ve lo leggo in faccia. La conoscete! Non aveva senso mentirle. — Quella donna è stata uccisa in un vicolo che sbocca in Old Montague Street. — Così vicino? — Era troppo in ansia per offendersi al pensiero che lui potesse accorgersi che quella zona le era familiare. — Sì. — Oh. — Si girò di nuovo dall'altra parte, adesso, presentandogli una spalla coperta di morbida seta. — Bene, non riuscirete a dimostrare che Jago Jones è coinvolto in questa storia. Mai e poi mai si sarebbe interessato a una donna come quella, può averlo fatto soltanto per salvare la sua anima. — D'un tratto la sua voce aveva preso una sfumatura dolorosa, quasi amara. — Devo supporre che non sia morta di noia. — No, signorina FitzJames, è stata strangolata. Lei sussultò. — Se potessi aiutarvi, lo farei — disse a voce bassa. — Ma non so proprio niente, ve lo assicuro. — Mi avete fornito l'indirizzo del signor Jones, cosa che apprezzo. Vi ringrazio per aver acconsentito a ricevermi in un'ora così poco adatta a una visita. Buona sera. Lei non gli rispose ma rimase in mezzo alla stanza immobile, e continuò a fissarlo mentre lui si avviava alla porta e la oltrepassava.
Ci mise fin dopo le sei a tornare a Whitechapel e alla chiesa di St. Mary. E quando ci giunse il sacrestano gli disse che il parroco era fuori ad assistere dei malati, in un punto imprecisato in fondo a Coke Street. Se Pitt non lo avesse trovato laggiù, poteva andare in direzione opposta e provare in Chicksand Street. Il sole che stava calando era nascosto dagli alti e decrepiti casamenti operai, ma dai marciapiedi si alzava ancora il riverbero di una calura claustrofobica, mista al tanfo degli odori acri della giornata. Nei rigagnoli dove l'acqua scorreva lenta galleggiavano le immondizie. Quella era Whitechapel, dove due anni prima, più o meno nella stessa stagione, un pazzo aveva assassinato e fatto a pezzi cinque donne, abbandonando i loro cadaveri sanguinanti nelle strade. Nessuno lo aveva mai scoperto. Era scomparso completamente come se l'inferno si fosse aperto a inghiottirlo. Pitt, che procedeva a piedi verso Coke Street, poteva notare le donne in piedi nel vano delle porte o all'ingresso dei vicoletti, con quell'aria particolare, attenta e disponibile, che le marchiava come prostitute. Era lo sguardo diretto dei loro occhi, l'atteggiamento, il modo di muoversi ancheggiando, del tutto diverso da quello delle altre, affaticate e stanche al termine di una giornata di lavoro in uno di quei laboratori di confezioni che sfruttavano la manodopera o in uno stabilimento, o delle lavandaie che mettevano la biancheria sporca negli enormi calderoni d'acqua bollente. Erano impaurite, ma talmente affamate da non preoccuparsene più? Oppure avevano già dimenticato lo Squartatore e la paura che incuteva, tale da paralizzare Londra? Una giovane donna gli si accostò, con i grandi occhi nocciola che lo scrutarono dalla testa ai piedi, e la pelle ancora fresca delle campagnole. D'un tratto Pitt provò nausea e irritazione che fosse stata ridotta a fare quello che faceva da circostanze al di fuori della sua volontà, oppure da un'immoralità ben radicata dentro di lei. Si controllò a fatica. — Sono in cerca del reverendo Jones — disse con aria cupa. — Lo avete visto? La faccia della giovane donna prese un'aria rassegnata. — Certamente, è qui dietro l'angolo. — E con un gesto brusco della mano gli indicò la direzione. — Volete salvarvi l'anima anche voi? E allora buona fortuna... Io posso guadagnarmi la cena, e a minor prezzo. — Con queste parole smise di dedicargli anche un briciolo della sua attenzione, e si allontanò a passo lento verso Whitechapel Road, in cerca di qualche eventuale cliente.
Pitt non sapeva cosa aspettarsi da Jago Jones. Forse pensava di trovarsi di fronte a un prete dilettante, che aveva deciso con un gesto drammatico di optare per quella scelta di vita, oppure a un figlio secondogenito non adatto alla vita militare che, al posto di quella, aveva preferito la Chiesa, perché avrebbe potuto essere un primo passo sulla strada di una nomina a qualche carica più importante in futuro. In ogni caso, anche se nella sua mente cominciava a prendere forma a poco a poco, e ancora in modo confuso, un giudizio prevenuto, si accorse di essere totalmente impreparato per l'uomo che trovò in Coke Street, intento a versare mestoli di zuppa spessa e calda, che tirava fuori da un bidone per il latte, in scodelle di latta, per una folla di bambini ischeletriti, alcuni dei quali saltellavano addirittura ora su un piede ora sull'altro, che l'aspettavano con frenesia. Jago Jones indossava informi indumenti neri fra i quali non era visibile nessun colletto bianco sacerdotale. D'altra parte, cose del genere erano totalmente prive d'importanza. Il suo viso era troppo caratteristico, e attirava talmente l'attenzione che una qualsiasi uniforme, un qualsiasi abito talare non avrebbe più avuto alcun significato. Era scarno e sparuto al punto da sembrare quasi macilento. I suoi folti capelli erano pettinati all'indietro, le sopracciglia erano scure, come gli occhi, di un'intensità straordinaria. Il naso era forte, pronunciato; gli zigomi spiccavano ancora di più, tanto erano profonde le rughe ai lati della bocca. Era il viso di un uomo macerato dai propri sentimenti, e talmente sicuro della scelta fatta che niente avrebbe avuto il potere di distoglierlo da essa. Dal posto dove si trovava alzò lo sguardo per scrutare Pitt con interesse. — Jago Jones? — domandò Pitt, per quanto non ne avesse il minimo dubbio. — Sì. Cosa posso fare per voi? — Intanto non smetteva di versare zuppa e passare le scodelle di latta ai bambini. — Avete fame? — Era un'offerta, non proprio una domanda, in realtà. Un'occhiata agli abiti di Pitt, non solo alla qualità della stoffa, ma anche alla pulizia e alle loro buone condizioni, glielo aveva già fatto giudicare al di fuori e al di là del tipo dei suoi parrocchiani con tutte le loro miserande necessità. — Vi ringrazio — disse Pitt. — Ma è meglio che venga usata, questa zuppa, come già state facendo. Jago sorrise e continuò. Aveva quasi dato fondo alla sua provvista e alla fila dei bambini. — Allora per quale motivo avete bisogno di me? — Il mio nome è Thomas Pitt. — Poi, nell'istante stesso in cui aveva
pronunciato queste parole, si stupì domandandosi per quale motivo si fosse presentato a quel modo, un po' come se si aspettasse quasi di allacciare un'amicizia, e lui non fosse un poliziotto in servizio che stava per interrogare un testimone, forse una persona sospetta. — Piacere — e Jago Jones abbozzò un inchino. — Jago Jones. Reverendo, almeno nello spirito, se non nel comportamento. Voi non siete di qui. Questo non è il vostro posto. Che cosa vi ci ha portato? — L'omicidio di Ada McKinley in Pentecost Alley ieri sera — replicò Pitt, guardandolo attentamente. Jago sospirò, dispensando quel che rimaneva della zuppa a un monello di strada dall'aria piena di gratitudine. I grandi occhi del ragazzino fissavano attentamente la faccia di Pitt, ma la fame si rivelò più forte della curiosità perfino in lui, capace di riconoscere subito uno sbirro quando lo vedeva. — Era quello che temevo — disse tristemente Jago, mandando via il monello. — Povera creatura. È un mestiere duro, che logora non solo il corpo ma anche lo spirito, sebbene di solito ciò non capita in fretta e in modo violento come in questo caso. Direi tuttavia che l'anima di qualcun altro sia ancora più in pericolo della sua. Non era una donna cattiva. Un po' avida a volte, ma aveva coraggio, e buon umore, e una specie di lealtà nei confronti di quelle del suo genere. Provvederò perché abbia una sepoltura decente. — Le farete il funerale partendo da qui, da St. Mary? — domandò Pitt stupito. La faccia di Jago si fece dura. — Se avete qualche obiezione in proposito, signor Pitt, vi suggerisco di vedervela con Dio. È Lui a decidere a chi possono essere perdonate colpe e debolezze, e a chi no. Non è una vostra prerogativa; per quanto mi riguarda, so benissimo che non è la mia. Il sorriso che Pitt gli rivolse era onesto e pieno di franchezza. — Cosa per la quale sono profondamente grato — disse. — Ma voi siete una persona insolita, signor Jones. Mi auguro che i vostri parrocchiani non vi provochino difficoltà. Ma forse anche loro sono troppo vicini a quel dubbio confine fra la sopravvivenza e la moralità per potersi giudicare reciprocamente. Jago sbuffò, senza fare commenti, ma la sua collera di poco prima sembrava scomparsa, e il suo corpo pareva meno teso mentre sistemava mestolo e bidone della zuppa sul carretto dietro di lui. Una mezza dozzina di monelli che stringevano ancora in mano la scodella di latta li stavano fis-
sando dall'angolo della strada, dove erano tornati di soppiatto a guardare. Era già corsa la voce che c'era uno della polizia a fare domande. E ogni informazione era preziosa. — Siete venuto a domandarmi qualcosa sul conto di Ada? — disse Jago dopo qualche istante. — Non so che cosa posso dirvi che vi sia utile. Con ogni probabilità è stato qualche cliente i cui demoni interiori sono sfuggiti al controllo, e lo hanno temporaneamente sopraffatto. Molti di noi affrontano male i dispiaceri o non riescono a dominare il bisogno di comportarsi come se fossero i padroni del mondo, perfino quando non sanno controllare se stessi. Pitt rimase sconcertato non tanto dall'osservazione quanto dall'impeto e dall'enfasi con cui era stata fatta. C'erano, dietro, un tumulto di sentimenti, e un sottile intuito, quasi come se Jago non fosse tanto in collera con un uomo come l'assassino di Ada, per il male fatto ad altri in un momento in cui aveva perduto il lume della ragione, quanto perché rifletteva pensieri che dovevano aver messo le radici, e da molto tempo, nel suo cuore. Che si trattasse, magari, di un esame di coscienza personale? Subito l'idea sembrò profondamente ripugnante a Pitt, eppure non riuscì a respingerla. — Potrebbe essere stato così — rispose con voce quieta. Jago continuava a osservarlo con sguardo fermo. — È questa la linea di indagine che state seguendo? — Sembra la più probabile. — Ma non l'unica possibile? — Jago si appoggiò al carretto. — Per quale motivo mi state dicendo tutto questo, signor Pitt? Ciò che io posso dirvi sul conto di Ada probabilmente riuscite già a indovinarlo da solo. Era una prostituta qualsiasi, come centomila altre qui a Londra. Quando le ragazze vengono licenziate da una casa in cui facevano le domestiche e non erano adatte fin da prima a quel lavoro, quando non riescono a trovare un posto in quei laboratori di confezioni che sfruttano in modo ignobile le operaie oppure in una fabbrica di fiammiferi, o non vogliono andarci, allora vendono l'unica cosa che hanno a disposizione, il loro corpo. — I suoi occhi non tradirono un fremito, fissi com'erano in quelli di Pitt. — Per me è un peccato, per voi un crimine: ma per loro è la sopravvivenza. Non so chi si possa incolpare per questo e, francamente, vedo la situazione troppo da vicino per preoccuparmene. Per me sono soltanto donne che lottano per raggranellare il necessario per il prossimo pasto, per avere un tetto sulla testa questa settimana, per non essere picchiate a sangue dai clienti o dai protettori, o prese a coltellate da una rivale che batte un'altra zona, che sperano
con tutto il cuore che sia ancora il più lontano possibile il momento in cui potrebbero prendersi qualche malattia. Probabilmente moriranno giovani, e lo sanno. La società le disprezza, e per una buona metà del tempo loro stesse si disprezzano. Ada era semplicemente una delle tante. Una donna li oltrepassò con il fagotto del bucato appoggiato al fianco. — La conoscevate personalmente? — Pitt si spostò appoggiandosi con un gomito all'altra estremità del carretto per dare un po' di sollievo alle gambe. Era stanchissimo. Quasi quasi una scodella di zuppa sarebbe riuscita gradita anche a lui. — Sì. — Jago gli rivolse un sorrisetto agro. — Ma non sono a conoscenza dell'elenco dei suoi clienti. E, in ogni caso, per la maggior parte sono occasionali. Quello che state cercando potrebbe essere venuto qui da qualsiasi posto. Di tanto in tanto lei si spingeva fino nel West End. Non è poi così lontano. Era bella. Avrebbe potuto anche aver trovato qualcuno che arrivava da Piccadilly oppure da Haymarket. O, del resto, potrebbe essersi trattato anche di un marinaio di passaggio. — Grazie tante! — gli rispose Pitt in tono inacidito. Era venuto il momento di spiegare il motivo per il quale si trovava lì. Più lo rimandava, più tutto sarebbe stato difficile. — Veramente sono venuto da voi perché, in passato, c'è stato un tempo in cui facevate parte di un'associazione di gentiluomini che si chiamava Hellfire Club... Sotto la giacca informe che lo copriva, il corpo di Jago era diventato rigido. Anche il suo viso nella luce morente del giorno aveva una strana espressione chiusa e riservata. — È successo molto tempo fa — disse con voce sommessa. — E non si tratta di qualcosa di cui sia orgoglioso. Ma che c'entra con la morte di Ada? Il club si è sciolto sei o sette anni fa. E a quell'epoca Ada non era nemmeno qui. — Quando ci è arrivata? — Circa cinque anni fa. Perché? — Non credo che faccia differenza, in realtà — confessò Pitt. — Sono convinto che sia accaduto né più né meno come dite voi... un uomo con la sua violenza e le sue esigenze, che non avevano niente a che vedere con lei, salvo per il fatto che lei è stata quella che le ha fatte scatenare. Forse si è trovata lì nel momento sbagliato, ma sarebbe potuto succedere a qualsiasi altra donna. Magari può essere stata la sua faccia, o i suoi capelli, un gesto, un tono della voce che hanno fatto riaffiorare chissà quale ricordo, e lui ha perduto il controllo dell'odio che nascondeva dentro di sé, e l'ha distrutta.
— La paura — disse Jago, stringendo le labbra. — La paura del fallimento, la paura di non essere quello che vuoi, quello che gli altri vogliono. — Scrutò Pitt in faccia e gli parve di leggervi qualcosa, o forse se lo aspettava soltanto. — E non alludo alla semplice paura dell'impotenza. Alludo a un altro genere di paura, non materiale ma spirituale, quella di essere un debole, una paura che vive nel profondo del proprio io; alludo a quella paura che ti porta a odiare perché sei troppo ossessionato da te stesso per amare, troppo divorato dalla rabbia di non essere quello che volevi, perché la tua strada è più difficile, il prezzo da pagare più alto di quanto non avevi creduto. Pitt rimase in silenzio. Nel suo cervello si affollavano tante idee, e tutte avevano Jago al centro: forse, ma fino a che punto, parlava di se stesso, delle proprie esigenze e delle aspettative di un ruolo come quello che aveva assunto, il ruolo del sacerdote? Aveva sentito anche lui il bisogno di una donna, e aveva usato una prostituta perché tutte le donne oneste e rispettabili gli erano vietate proprio per il ruolo che si era scelto? Che questa donna si fosse beffata di lui, delusa e amareggiata com'era? Un po' difficile che Jago Jones potesse essere il veicolo usato da Dio per trasmetterle qualcosa, quando proprio a lei era toccato vederlo precipitare dall'alto di quella virtù che si era autoimposto. Possibile che questo strano modo di affrontare la situazione fosse una confessione di colpevolezza? — Abbiamo trovato un distintivo dell'Hellfire Club sotto il suo corpo — riprese Pitt in quella specie di sacca di silenzio che si era creata nella strada. Rumori di ruote, di zoccoli di cavalli e di un uomo il cui grido di richiamo arrivava da chissà dove, forse da oltre il crocicchio, sembravano remoti, come se appartenessero a un'altra esistenza. — Non il mio — disse Jago soppesando ogni parola. — Il mio l'ho gettato nel fiume anni fa. Perché siete venuto da me, signor Pitt? Non ne so niente. Se ne avessi saputo qualcosa sarei venuto io da voi. Non avreste avuto bisogno di venire a cercarmi. Pitt non ne era del tutto sicuro. Jago Jones aveva la faccia dell'uomo abituato a seguire la propria coscienza, indipendentemente dalla legge, a qualsiasi costo. Fosse stato uno dei suoi parrocchiani a confessargli il delitto in un momento di terrore o di rimorso, lui dubitava che Jago Jones si sarebbe presentato con quella confessione in Bow Street, o in qualsiasi altro posto. — So che non era il vostro distintivo — disse ad alta voce. — Era quello di Finlay FitzJames.
Faceva troppo buio per vedere il colore della faccia di Jago, ma lo scatto improvviso con il quale rialzò la testa, l'espressione afflitta e angosciata dei suoi occhi, e la piega della bocca tradirono la commozione che lo dilaniava. Il silenzio rimase greve, intatto, come l'oscurità che a poco a poco si addensava. Quale orrore stava colmando la mente di Jago? La morte di una donna che conosceva tutto d'un tratto l'aveva reso più intenso? Era paura per il pericolo che stava correndo l'antico amico, paura per la difficoltà in cui si trovava? O un senso di colpa perché forse aveva proprio fatto quello che Thirlstone insinuava, cioè aveva preso per caso il distintivo di Finlay invece del proprio lasciandolo sulla scena di un delitto? — Non protestate la vostra innocenza, signor Jones — disse Pitt con voce molto quieta. — Il che significa che non siete sorpreso? — Ecco... questo non... — Jago deglutì. — Non significa niente, signor Pitt, salvo che sono rimasto addolorato. Non credo che Finlay sia colpevole, ma non posso offrirvi nessuna spiegazione che abbia un minimo di valore per voi; né sarebbe di certo una spiegazione alla quale voi non avete già pensato. — Spostò leggermente il proprio peso da un piede all'altro. — Forse Finlay è stato lì in qualche altra occasione e ha smarrito il distintivo, anche se mi meraviglia che abbia continuato a portarlo. Sì, mi meraviglia moltissimo! Forse è possibile che lo abbia dato ad Ada in... in pagamento? Il fatto che lei lo avesse in suo possesso non significa necessariamente che se lo fosse procurato proprio quella sera. — State lottando per essere leale verso un amico, signor Jones — replicò Pitt con voce stanca. — Cosa che rispetto, anche se non sono d'accordo. Naturalmente indagherò a fondo su qualsiasi indizio e su tutti i significati che potrebbe avere. Se per caso vi venisse in mente qualcosa d'altro su Ada McKinley o che potrebbe essere successo ieri sera, vi prego di farmelo sapere. Lasciatemi un messaggio al commissariato di Bow Street. — Bow Street? — Le sopracciglia scure di Jago si alzarono di scatto. — Non di Whitechapel? — Io lavoro in Bow Street. Sono il sovrintendente Pitt. — Un sovrintendente di Bow Street. Per quale motivo vi occupate proprio voi dell'omicidio di una prostituta di Whitechapel? — La sua voce si abbassò, venata da un fremito di paura. — Il vostro timore è che qui si possa avere un altro Squartatore? Pitt rabbrividì e si sentì lo stomaco stretto da una morsa di gelo. — No. Sono stato convocato in quanto ci sono prove che implicano il
signor FitzJames. — Ma è una prova talmente fragile... — Jago deglutì a fatica, di nuovo, senza lasciare la faccia di Pitt con gli occhi che erano diventati quasi supplichevoli. — È stato visto un uomo che corrispondeva alla sua descrizione, e da due testimoni, esattamente all'ora giusta, e con Ada. Per un attimo sembrò che Jago fosse stato colpito in pieno viso da Pitt. — Oh, Dio! — sospirò... ed era una preghiera, non una bestemmia. — Reverendo Jones, siete forse al corrente di qualche cosa che dovreste riferirmi? — No. — Questa parola proruppe da una gola arida, da labbra rigide. Pitt avrebbe voluto credergli, ma non poteva. La schiettezza con cui si erano parlati fino a quel momento svanì come la luce gialla nel cielo al di sopra dei tetti. Il lampionaio era passato senza che se ne accorgessero. Quella specie di tonde lune che erano i lampioni a gas adesso segnavano tutta una fila di punti luminosi, ben distanziati, sulla via che lo avrebbe riportato indietro verso Whitechapel Road e la strada di casa. — Posso aiutarvi con il carretto? — domandò Pitt. — No... vi ringrazio. Ci sono abituato, e non è pesante. — Jago rifiutò, decidendosi finalmente a muoversi e curvandosi per afferrarne i manici. Si incamminarono fianco a fianco risalendo Coke Street e svoltando l'angolo verso St. Mary. Nessuno dei due aprì più bocca fino a quando non la raggiunsero e qui si separarono. Fu un semplice addio il loro. Pitt arrivò a casa, a Bloomsbury, stanco e insolitamente depresso. Consumò la cena che Charlotte gli aveva tenuto da parte, e poi andò a sedersi nel tinello con la porta-finestra che dava sul giardino, socchiusa. Intanto il caldo della giornata svaniva in fretta, e il profumo dell'erba tagliata riempiva l'aria. Charlotte sedeva sotto la lampada a cucire. Gli aveva domandato qualche notizia riguardo a quel caso che lo aveva costretto a uscire tanto presto e fatto rientrare così tardi. Lui le aveva raccontato soltanto che si trattava di un omicidio a Whitechapel, e che gli indizi portavano a implicare una persona di una certa importanza. E che, di conseguenza, dal punto di vista politico il caso era diventato esplosivo. Adesso, dal suo posto, la stava guardando: la luce battendo sui suoi capelli, lavati di fresco e lucenti, raccolti in una crocchia sulla testa, vi giocava traendone una gamma di sfumature color mogano, mentre nelle zone
d'ombra sembravano quasi neri. La sua pelle era liscia, le guance lievemente rosate. Appariva serena, a suo agio. L'abito che indossava, di un bel colore rosa antico, le donava più di tutto il resto del suo guardaroba. Le sue dita si muovevano agili, tirando il filo, intrecciando i punti e fissandoli di nuovo al tessuto. E l'ago, nel suo andirivieni dentro e fuori la stoffa, aveva riflessi argentei. A volo d'uccello si trovavano solo a pochi chilometri di distanza da Whitechapel, eppure aveva dell'incredibile che fossero due mondi talmente lontani. Il mondo di Charlotte era sicuro, pulito, fondato su valori ben solidi; l'onestà era facile, e la castità non veniva sicuramente intesa come una sfida. Lei era amata, di questo non avrebbe mai dubitato. Non doveva scendere a compromessi, non aveva giudizi di valore da stabilire nella lotta per la sopravvivenza, non provava nessuna stanchezza interiore, né eterne incertezze o paura o disgusto di se stessa. Non c'era da meravigliarsi che sorridesse, lì seduta a lavorare! Cosa avrebbe pensato di lei Jago Jones? L'avrebbe trovata insopportabilmente soddisfatta di sé... e imperdonabile nella sua confortevole ignoranza? Charlotte faceva entrare e uscire l'ago nella stoffa, attenta, concentrata, perché diversamente non sarebbe stata capace di lavorare. Voleva avere qualcosa con cui occupare le mani. Le sembrava più facile. La giornata era stata lunga. Si era svegliata contemporaneamente a Pitt, e dopo non era più riuscita a dormire. Sua sorella, Emily, era venuta a trovarla verso la metà della mattinata. Non le aveva raccontato molto di interessante, rivelando invece un'irrequietezza che non le era abituale. Non si trattava della solita carica di energia che doveva trovare uno sfogo, ma piuttosto della ricerca di qualcosa che le sfuggiva e a cui forse non sapeva neanche dare un nome. Aveva fatto un mucchio di critiche e si era offesa per certe osservazioni che non intendevano affatto essere scortesi. Tutto questo non era da lei. Charlotte si era chiesta se all'origine di quello strano modo di fare, non ci fossero le difficoltà create dalla continua presenza della loro nonna, andata a vivere in casa di Emily da quando la loro madre si era risposata. La nonna si era rifiutata di rimanere sotto lo stesso tetto con il nuovo marito, un attore, di parecchi anni più giovane di Caroline. E il fatto che i due sposi si mostrassero incredibilmente felici aveva ottenuto soltanto lo scopo di aggravare quel che lei considerava uno scandalo e un'ingiuria. Ma l'insoddisfazione di Emily non aveva nessun motivo particolare; e se ne andò senza darne spiegazioni. Adesso Pitt se ne stava al suo posto in silenzio, assorto in chissà quali
pensieri, la fronte corrugata, gli angoli della bocca piegati all'ingiù. Charlotte sapeva che a preoccuparlo era quel nuovo caso. Il suo silenzio aveva quel qualcosa di particolare al quale lei, con il passare degli anni, aveva finito per abituarsi. Se ne stava seduto in poltrona un po' a sghimbescio, le gambe accavallate. Quand'era sereno e rilassato appoggiava i piedi sul parafuoco, in qualsiasi periodo dell'anno, che il fuoco fosse acceso o no. In una serata d'estate come questa, quando non era assorto nei suoi pensieri, avrebbe passeggiato arrivando sino in fondo al prato, sotto il melo, fermandosi a respirare a pieni polmoni quell'aria profumata, piena di silenzio. E si sarebbe aspettato che lei lo seguisse. Se si fossero scambiati qualche parola sarebbe stato solo per raccontarsi cose banali, senza importanza. Più di una volta Charlotte aveva meditato se non fosse opportuno domandargli qualcosa in proposito ma la sua espressione era cupa, chiusa, come se volesse lasciarle capire di non essere pronto a discuterne. No, non voleva parlarne. Forse non voleva che un caso così torbido e inquietante entrasse, come un intruso, nella loro casa. Quello era l'unico posto dove lui poteva liberarsene. E se non fosse riuscito a scrollarselo completamente di dosso, nell'eventualità che dovesse proprio venir menzionato, sarebbe stato unicamente per una ben precisa scelta sua, e non di Charlotte. Lei sapeva che suo marito era stato a Whitechapel e sapeva anche cosa questo significasse. Pitt non poteva aver dimenticato tutte le numerose volte in cui lei aveva visto case di povera gente in quartieri miserabili, aveva respirato il tanfo dei rigagnoli nei quali galleggiavano le immondizie, delle case buie e anguste dove la sporcizia di generazioni e generazioni sembrava addirittura infiltrata nei muri, dove viveva gente stanca, affamata, angosciata. Ma, per poter essere di aiuto, bisognava conservare le proprie forze. Tormentarsi e provare compassione per quella gente non era della minima utilità. Per aiutare le masse occorrevano le leggi, e un cambiamento di cuore e di spirito in chi aveva in mano il potere. Perché qualcosa potesse cambiare nella vita di un individuo occorrevano consapevolezza, e forse denaro oppure qualche capacità specifica. Ma soprattutto occorrevano capacità di giudizio e sangue freddo; si aveva bisogno di tutta la propria forza e la propria sensibilità. Così Charlotte continuò a rimanere seduta in silenzio e a cucire tranquillamente, aspettando che Pitt fosse pronto a metterla al corrente di quello che lo preoccupava, oppure si preparasse ad affrontarlo dimenticandolo
almeno temporaneamente e concedendosi di ristorare il proprio spirito con ciò che era buono. 3 Emily Radley, la sorella di Charlotte che le aveva dato un po' di preoccupazione, si sentiva effettivamente scoraggiata e depressa. Ma senza un vero motivo. Aveva tutto quello che considerava necessario per essere felice. Anzi, aveva anche qualcosa di più. Suo marito era affascinante, bellissimo, e la adorava, letteralmente. Né lei sapeva trovargli qualche difetto grave. Quando si erano conosciuti, lui, che proveniva da un'ottima famiglia, viveva sfruttando largamente i suoi pregi di compagno e ospite brillante e simpatico, il modo di fare perfetto, lo spirito pronto e arguto. Emily aveva misurato sino in fondo i rischi che comportava il fatto di innamorarsi di lui. Poteva rivelarsi superficiale e spendaccione, magari perfino noioso, una volta passata la novità. Aveva compiuto ugualmente quel passo. Aveva trascorso molte ore a ripetersi che era una vera stupida, che non si poteva trascurare neanche la possibilità - e bisognava tenerne conto! - che lui la corteggiasse soprattutto per il cospicuo patrimonio ereditato dal suo primo marito, il defunto lord Ashworth. Sorrise pensando a George. I ricordi erano sempre molto vivi, uno strano miscuglio di tristezza, senso di vuoto, dolcezza per i tempi che erano stati buoni, l'impegno a passar sopra deliberatamente a quelli che non lo erano stati. Tutte le sue paure si erano dimostrate senza fondamento. Jack, dopo essersi rivelato tutt'altro che superficiale, aveva sviluppato una coscienza sociale e dimostrato una spiccata ambizione di realizzare qualche utile cambiamento nella società. Aveva presentato la sua candidatura a un seggio in Parlamento, aveva fatto la debita campagna elettorale, dopo la prima sconfitta era sceso di nuovo in lizza e al secondo tentativo aveva ottenuto la vittoria. Adesso trascorreva una parte considerevole del suo tempo, e dedicava una non meno considerevole parte della propria coscienziosa sensibilità, a occuparsi di questioni politiche. Era Emily, invece, proprio lei, che sembrava un po' superficiale, che pareva avesse le mani bucate. Edward, il figlio maschio, nonché l'erede di George, si trovava nella stanza di studio con il suo precettore, ed Evangeline, la piccina, era al pia-
no superiore nella nursery dove c'era una bambinaia che si occupava di lei, provvedeva a cambiarla e a darle da mangiare. Emily, in sé e per sé, era quasi totalmente inutile. Era già la fine della mattinata e Jack ormai da parecchio tempo era uscito per andare nella City, dove aveva un certo numero di impegni prima della riunione della Camera dei Comuni. Mentre lo aveva osservato combattere per ottenere un seggio e impegnarsi nella relativa campagna elettorale, perderla e scendere in lizza di nuovo, a poco a poco Emily aveva scoperto di provare per lui un nuovo rispetto che aveva accresciuto considerevolmente la sua felicità. Jack stava consolidando con molta abilità la propria posizione. E allora per quale motivo adesso, in piedi nel sole del suo grande salone, nella splendida casa di città che possedeva, abbigliata in una toilette in pizzo e tussor color caffè, sentiva un tal senso di mortificazione? Edward era nella stanza di studio. Evie di sopra, nella nursery. Jack alla City, e sicuramente stava lottando per la riforma di qualche legge che considerava ormai sorpassata. La cuoca doveva certo essere con il maggiordomo a preparare il pranzo; quella sera non sarebbe stato necessario servire la cena. Lei e Jack avevano un invito. Emily aveva già chiesto alla sua cameriera di prepararle la toilette per quell'occasione, un nuovo abito di seta verde foresta guarnito di fiorellini color avorio e oro, che avrebbero messo squisitamente in risalto la sua pelle chiara e i capelli biondi. Sarebbe stata bellissima. Aveva già avuto un colloquio con la governante. I conti di casa erano stati esaminati. Non aveva arretrati nella corrispondenza. Non c'era niente da dire al maggiordomo. Si domandò che cosa facesse Charlotte. Probabilmente era occupata nelle faccende domestiche, a cucinare o a cucire. Da quando Pitt aveva ottenuto una promozione, poteva permettersi qualcosina di più, ma c'era ancora molto di cui era obbligata a occuparsi di persona. Già, e Pitt? Il suo mondo era del tutto diverso. Probabilmente stava facendo le indagini relative a qualche crimine, magari soltanto un furto o un falso, ma non si poteva nemmeno escludere che si trattasse di qualcosa di molto più losco e truce. I suoi problemi sarebbero stati urgenti, perché avevano inevitabilmente a che fare con le passioni, la violenza, l'avidità. E lui avrebbe usato le capacità e la fantasia che possedeva, lavorando fino allo stremo, cercando di trovare il bandolo di una complicata matassa di avvenimenti, di scoprire la verità, di comprendere il bene e il male e portarvi
qualche forma di giustizia, oppure, almeno, di arrivare a una soluzione. In passato, lei e Charlotte lo avevano aiutato. Per esempio avevano contribuito in modo sostanziale a scoprire chi fosse il Boia di Hyde Park. Sorrise quasi senza accorgersene. Il sole entrando a fiotti dalle lunghe finestre illuminava un vaso con gli ultimi rami di delfinio - la seconda fioritura - e accendeva l'azzurro e lo scarlatto degli steli appuntiti. Jack ci aveva messo un bel po' a perdonarle i pericoli che aveva corso in quella storia. E lei non si sentiva davvero di criticarlo. Aveva corso il rischio di venire uccisa. Così aveva capito che sarebbe stato inutile dargli qualche giustificazione in merito; meglio limitarsi soltanto a scusarsene. Se almeno si fosse verificato qualche altro avvenimento in cui poter essere di aiuto a Pitt con Charlotte! Negli ultimi tempi non lo aveva quasi più visto. Dall'epoca della sua promozione sembrava che si fosse sempre occupato di casi che riguardavano crimini di un carattere più impersonale, i cui moventi rimanevano al di fuori del suo mondo, come quello del tradimento al Foreign Office appena uno o due mesi prima. — Che cosa abbiamo per pranzo? — domandò una voce querula alle sue spalle. — Non ti sei neanche degnata di dirmelo. Anzi, non mi dici mai niente! Praticamente è come se io neanche esistessi. Emily si voltò e vide la figura nera, bassa e tozza della nonna ferma sulla soglia della porta che dava nel vestibolo. La vecchia signora era stata obbligata ad andarsene da quella che considerava la sua casa quando la madre di Emily si era risposata, e poiché Charlotte non aveva posto per lei ed Emily, invece, possedeva mezzi e stanze in abbondanza, non c'era stata nessuna alternativa ragionevole. Ma si trattava di una sistemazione che non piaceva in modo particolare a nessuna delle due, a Emily perché la vecchia signora aveva un carattere straordinariamente difficile, e alla nonna perché aveva stabilito che quella soluzione non le piaceva e non le sarebbe mai piaciuta per una questione di principio. In fondo, non era stata una sua precisa scelta. — E allora? — domandò. — Non so cosa ci sarà per pranzo — rispose Emily. — Ho lasciato che decidesse la cuoca. — A me sembra che tu, qui, non faccia un bel niente — ribatté in tono brusco la vecchia signora, venendo avanti pesantemente appoggiata al suo bastone che a ogni passo puntava con forza, e con un rumore sordo, per terra. Il pavimento era di legno con il bordo intarsiato, e lei lo disapprovava. Troppo elaborato, diceva. Tavole di legno puro e semplice sarebbero
andate ugualmente bene. Era vestita interamente di nero, a permanente memoria per chiunque casomai dovessero dimenticarsene - che lei era vedova e come tale doveva essere circondata di riguardi e di simpatia. — La cuoca fa da padrona nella tua cucina, la governante dirige a bacchetta i tuoi domestici — riprese in tono pieno di critica. — Il maggiordomo si comporta nella tua dispensa e nella tua cantina come se fosse tutta roba sua. La tua cameriera personale decide quello che dovrai metterti addosso. Il precettore stabilisce cosa insegnare a tuo figlio, la balia si occupa della tua bambina. Tutte cose che fanno gli altri per te, eppure non riesci ugualmente a trovare il tempo di venire a fare quattro chiacchiere con me. Sei viziata in un modo indescrivibile, Emily. Tutta colpa, tanto per cominciare, del fatto che ti sei sposata la prima volta con una persona che era di una condizione sociale superiore alla tua, e la seconda con uno che invece ti è inferiore. Non so davvero come andrà a finire il mondo, se si continua in questo modo. — Non ne dubito affatto — si affrettò a confermarle Emily. — Del resto non ne hai mai saputo molto. In parte sei sempre stata prevenuta e piena di arroganza, in parte ne hai completamente ignorato l'esistenza. La vecchia signora era allibita. Si raddrizzò sulla persona per quanto le era possibile, ma senza cambiare molto nel suo aspetto, dato che aveva sempre avuto un'altezza a dir poco trascurabile. — Cos'hai detto? — La sua voce era stridula per l'indignazione. — Se vuoi sapere cosa abbiamo per pranzo, nonna, suona giù in cucina e domandalo. Se preferisci qualcosa di diverso, immagino che potranno accontentarti. — Che dispendio esagerato! — E la vecchia signora fece schioccare i denti, piena di disapprovazione. — Ai miei giorni si doveva mangiare quello che ti mettevano davanti. È una vergogna sprecare del buon cibo. — E con questa battuta conclusiva girò sui tacchi e uscì camminando a fatica, un po' zoppicante. Il suo passo pesante levò un'eco dal parquet lucidissimo del vestibolo. Ma, almeno, a questo modo avevano evitato una discussione sugli ultimi avvenimenti della vita di Caroline e il suo egoismo in genere, per il fatto di essersi rimaritata gettando conseguentemente nello scompiglio la vita di tutti gli altri. E non era scoppiata un'ennesima diatriba sugli attori in generale, o su quelli israeliti in particolare, e sul fatto che fossero, se mai una cosa del genere era possibile, ancor più disastrosi, socialmente parlando, dei poliziotti. L'unica cosa buona in quello che era successo, se-
condo l'opinione della vecchia signora, che si affrettava sempre a esprimerla con grande clamore, era che se non altro all'età di Caroline non ci sarebbero stati figli. Ma almeno uno, se non tutti, questi argomenti si sarebbero sicuramente ripresentati a tavola durante il pranzo. Emily dedicò il pomeriggio a scrivere qualche lettera più per avere qualcosa da fare che per una vera necessità, e poi salì nella nursery a dedicare un po' di tempo a Evie, e in seguito a Edward. Da lui si fece raccontare cosa aveva imparato nelle ultime lezioni, e come intendesse costruire un castello in miniatura identico a quello che i Templari avevano eretto in Terra Santa all'epoca delle Crociate. Jack tornò a casa che erano passate da poco le cinque. Era stato alla City tutto il giorno, eppure aveva ancora il passo scattante quando entrò nel salone, lasciando sbattere la porta dietro di sé. — Un'ottima giornata — esclamò pieno di entusiasmo, chinandosi a baciarla sulla fronte e sfiorandole dolcemente i capelli con una carezza. — Comincio a pensare che forse sono riuscito sul serio a far schierare il vecchio Fothergill dalla mia parte. Oggi ho pranzato con lui. L'ho portato in quel nuovo ristorante sullo Strand. Più caro di quello che valga, a dire la verità, però l'arredamento è splendido, e lui è rimasto proprio colpito. — Sedette di sghimbescio sul bracciolo di una delle poltrone facendo dondolare una gamba. — Il fatto è che mi ha addirittura prestato ascolto — continuò. — Gli stavo spiegando l'importanza di un'istruzione, che non venga fornita dietro pagamento di tasse, per l'intera popolazione come un investimento su base industriale... Fin dal suo ingresso in Parlamento Jack stava lottando per ottenere un'educazione migliore per i poveri. Emily era stata testimone delle vicende di tale proposta che aveva avuto alterna fortuna. — Mi fa un gran piacere. — Era contenta ma si accorse che le riusciva difficile mettere nel suo sorriso tutta la soddisfazione che avrebbe, in realtà, dovuto provare. — Magari lui sarà l'ago della bilancia e la farà pendere dalla tua parte. Emily si vestì per la serata con somma cura, quasi per una specie di puntiglio nei propri confronti, e alle otto e mezzo era seduta a un'enorme tavola da pranzo fra un imponente ufficiale dalle opinioni molto decise sull'India e il proprietario di una banca di investimenti il quale era fermamente convinto che le donne si interessassero soltanto di moda, pettegolezzi e te-
atro, e quindi confinava la sua conversazione a tali argomenti. Di fronte le sedeva un uomo sui trent'anni al quale pareva che importasse soltanto l'allevamento di magnifici purosangue di gran razza, mentre vicino a lui c'era una giovane donna con il naso un po' troppo lungo, la bocca un po' troppo larga e un'espressione che rivelava un tale senso dell'umorismo e una tale vitalità che Emily si scoprì a fissarla abbastanza spesso, al punto che, incrociando qualche sua occhiata, si poté rendere conto che provavano tutte e due, contemporaneamente, la stessa esasperazione e la stessa noia. Jack era più vicino a chi sedeva a capotavola, ma nel suo caso si trattava di una scelta dovuta unicamente a ragioni politiche, a corteggiare persone influenti che potessero venirgli ulteriormente in aiuto per far passare la legge sull'istruzione popolare. Era importante anche per Emily, ma l'unica parte che lei poteva recitare in tale sede era quella di compagna ornamentale e affascinante, anche se l'idea che avrebbe dovuto continuare a recitarla a tempo indefinito stava cominciando a renderla tutt'altro che entusiasmante. La sala da pranzo era arredata sontuosamente, e i colori che vi predominavano erano il blu francese e l'oro. Le alte finestre avevano tende in velluto che si stendevano in profonde pieghe fin sul pavimento, secondo le esigenze della moda corrente, per lasciar capire che non si era risparmiato nel tessuto per confezionarle, un segno di abbondanza. La tavola era tutta un luccichio di argenteria e cristalli. Tutte quelle superfici sfaccettate erano talmente scintillanti da abbacinare. Si faceva quasi fatica a distinguere i visi delle persone che si trovavano all'estremità più lontana del tavolo, tale era il riflesso abbagliante di quelle luci. Dai diamanti che cingevano gole candide si sprigionavano scintillii infuocati mentre le perle irradiavano una luminosità più delicata. Il mormorio della conversazione era accompagnato dal tenue tintinnio delle posate d'argento sui piatti di porcellana. Valletti passavano e ripassavano per riempire di nuovo i bicchieri. Una portata dopo l'altra arrivava e veniva ritirata: entrées, zuppa, pesce, altre pietanze, dolce, dessert, frutta. Poi, alla fine, la padrona di casa si alzò invitando le signore a ritirarsi e a lasciare i gentiluomini al loro Porto e alle discussioni più serie della serata. Naturalmente era quello lo scopo per il quale erano venuti. Ubbidiente, Emily si alzò e seguì le signore fuori dalla sala, accompagnate dal fruscio e dall'ondeggiare di ampie gonne dai colori stupendi. Fu a quel punto che riuscì ad affiancarsi alla giovane donna che era stata seduta
di fronte a lei a tavola. La guardò di sottecchi e sorprese una sua occhiata che le era rivolta mentre attraversavano il vestibolo, per entrare nel sontuoso salone decorato con i ritratti degli antenati di famiglia in posa sullo sfondo assolutamente irreale di uno scenario campestre. — Non è spaventoso? — bisbigliò la giovane donna, alzando il ventaglio in modo che le sue parole non potessero venir udite delle signore alla loro sinistra. — Terribile! — bisbigliò Emily di rimando. — Non mi sono mai annoiata tanto in vita mia. Ho la sensazione di sapere già quello che ogni persona sta per dire prima ancora che lo dica. — Questo succede perché è esattamente quello che hanno detto l'ultima volta! — replicò la giovane donna con un sorriso. — Oscar Wilde afferma che il dovere dell'artista è di riuscire sempre a stupire. — In tal caso il dovere dell'uomo politico dev'esser quello di dire e fare sempre né più e né meno quello che ci si aspetta da lui — ribatté Emily. — A questo modo nessuno viene colto impreparato. — E non c'è mai niente che sia interessante o divertente! Il mio nome è Tallulah FitzJames. So che non siamo state presentate ma è chiaro che fra noi vi è un'affinità elettiva. — Emily Radley — replicò Emily. — Oh, Jack Radley è vostro marito? — Negli occhi della giovane donna apparve un lampo di apprezzamento. — Sì. — Emily lo notò con soddisfazione. Poi soggiunse perché le pareva onesto dirlo: — Altrimenti io non sarei qui. Si avvicinarono a un divano largo abbastanza perché sedessero fianco a fianco soltanto loro due; in questo modo non si sarebbero mostrate scortesi verso le altre se non le facevano partecipare alla loro conversazione. — Io invece non riesco proprio a capire perché sono qui! — sospirò Tallulah. — Sono con mio cugino, Gerald Allenby, perché lui aveva bisogno di me in modo da poter fare la corte alla signorina... ho dimenticato come si chiama. Suo padre ha una grandiosa tenuta su nello Yorkshire, o in qualche altro posto del genere. Magnifica d'estate, ma d'inverno sembra il Polo Nord. — Io sono qui per essere un ornamento e sorridere alle persone giuste — disse Emily con un po' di malinconia. Gli occhi di Tallulah si illuminarono. — Avete almeno il permesso di lanciare occhiatacce e di fare smorfie alle persone sbagliate? — domandò
speranzosa. Emily si mise a ridere. — Probabilmente sì, se almeno riuscissi a capire con sicurezza quali sono. Il guaio è che le persone sbagliate di oggi sono le persone giuste di qualche altro giorno. E non si può riprendersi le proprie occhiatacce. — No, è vero. Proprio non si può. — Tallulah era diventata seria improvvisamente. — Anzi, in pratica non ci si può riprendere quasi niente. La gente ha buona memoria, anche se tu non ce l'hai! Emily colse una nota di dolore sotto quel tono spensierato. Tutto d'un tratto, senza preavviso, i sentimenti assumevano una loro realtà. Di colpo, a Emily parve che il resto della stanza non esistesse più, come quel chiacchierio cortese ed educato e il suono argentino delle risate che venivano fatte nel modo e nel momento appropriato. — Qualcuno dimentica — disse con voce quieta. — È un'arte. Se volete continuare ad amare una persona, dovete impararlo. — Io non voglio continuare — esclamò Tallulah con un sorrisetto agro con il quale sembrava volesse prendersi in giro. — Darei non so che cosa per sapere come smettere. Emily le fece la domanda che era la più ovvia, e la più logica, di fronte a una battuta del genere: — Lui è sposato? Sembrò che Tallulah la trovasse grottesca, ma anche venata di amarezza. Emily non voleva mostrarsi troppo curiosa, però si stava accorgendo che la sua compagna aveva un gran bisogno di parlare con qualcuno di qualche cosa che evidentemente la addolorava e la faceva soffrire e a cui, forse, non poteva accennare con nessuno della sua famiglia. Magari loro non lo conoscevano... oppure, se lo conoscevano, forse non lo approvavano. Del resto, se lui era sposato, era un po' difficile che potessero comportarsi diversamente. — No, non è sposato — rispose Tallulah. — O, se non altro, non era sposato l'ultima volta che l'ho visto. Non credo che si sposerà mai. E se dovesse sposarsi, sarà con una persona seria e molto bella, dagli occhi pieni di ingenuità, dai capelli ondulati naturalmente e dal carattere perpetuamente dolce. All'altra estremità del salone una donna alta e imponente con i capelli biondi e la pelle di magnolia buttò indietro la testa scoppiando in una risata civettuola. La luce delle lampade a gas splendeva su un arcobaleno di colori stupendi, di gonne di seta allargate come petali di un papavero, di colori arancione e prugna e lavanda, in tutta una gamma di sfumature lucenti. Al
di là delle finestre stava cominciando appena a calare la sera d'estate, e il riflesso del sole al tramonto si intravedeva a chiazze irregolari color albicocca fra i rami degli alberi al di sopra del muro del giardino. — Non credo che a me piacerebbe essere sposata con una persona dal carattere perpetuamente dolce — disse Emily con sincerità. — Mi sentirei sminuita, e sarebbe terribile. E, poi, non avrei mai la sicurezza che lei, o lui, parla sul serio quando dice qualcosa. Tallulah aveva abbassato gli occhi sulle mani lunghe e affusolate, che teneva incrociate in grembo. — Jago non si sentirebbe sminuito — replicò. — Non ho mai conosciuto un uomo migliore di lui. Emily rimase sconcertata e si accorse di non saper bene cosa rispondere. Jago, di chiunque si trattasse, dava l'impressione del seccatore, o di un gran noioso, o magari anche di uno che non aveva i piedi ben saldi sulla terra. O forse era ingiusto quello che stava pensando? Magari era soltanto il modo in cui Tallulah lo giudicava. Ma scrutando di sottecchi il viso triste e avvilito della sua compagna, le riusciva difficile convincersi che fosse capace di provare anche il minimo interesse per qualcuno che giudicava tanto buono e bravo, salvo come una curiosità. Anche quando era assorta in profondi pensieri, la sua faccia era piena di vitalità, aveva qualcosa di impetuoso e avventato. La sua bocca era troppo larga, ma pronta al sorriso, il naso troppo pronunciato e nello stesso tempo straordinariamente femminile. Gli occhi erano molto belli, grandissimi e intelligenti. Era il volto di una ribelle, di una creatura imprevedibile, tutt'altro che saggia, forse piena di indulgenza verso se stessa, ma sempre coraggiosa. — Migliore in che senso? — domandò Emily impulsivamente. Le parole le erano uscite dalla bocca quasi senza che se ne accorgesse. Tallulah sorrise a dispetto di se stessa. — Il migliore per l'onore, per l'affetto e la premura che prova per le persone, le persone vere — rispose. — E per come è capace di lavorare ore e ore senza mai smettere, e regalare tutto quello che possiede perché i poveri abbiano da mangiare, e dedicare a un servizio del genere la propria vita intera. Se può sembrare noioso, o se si può avere il sospetto che un personaggio del genere difficilmente esista, questo succede soltanto a chi non lo conosce. — E voi siete sicura di conoscerlo? Tallulah alzò gli occhi. — Oh, sì. È il parroco di una chiesa di Whitechapel. Naturalmente io non ci sono mai stata, da quelle parti. È uno di quei posti così orribili! Dicono che perfino l'odore basta a rovesciarti lo
stomaco. Immondezzai a cielo aperto, dappertutto, e un tanfo che ammorba l'aria. E tutti quelli che ci abitano sono sporchi, e macilenti, e paurosamente poveri. — E voi come fate a conoscerlo? — disse Emily ad alta voce. — Non mi sembra esattamente tipo da frequentare il vostro ambiente. Non riesco a vederlo in un posto come questo. — I suoi occhi si posarono sulle donne che scoppiavano in risatine irrefrenabili, il corpo inguainato nel busto, la gonna ampia e ondeggiante, le spalle di un luminoso candore, il collo adorno di gemme. Se una di quelle persone aveva provato la fame, lo aveva fatto soltanto per una questione di vanità. D'altra parte, a voler essere oneste, se si pensava a quelle fra loro che non erano sposate, la bellezza era tutto, la salvezza, la sopravvivenza. — Una volta sì, lo frequentava — rispose Tallulah. Poi guardò Emily con franchezza. — Voi state pensando che l'ho circondato di un alone romantico, vero? Che non ho la minima idea di come sia realmente, come persona vera e propria... che vedo soltanto la sua scelta di vita, e il suo modo di affrontarla. — Scrollò la testa. — Non è vero. Ha la stessa età di mio fratello, Finlay, e una volta erano amici. Finlay è più vecchio di me. Di quattro anni. Ma posso ancora ricordare Jago che veniva spesso in casa nostra quando io avevo più o meno sedici anni, appena prima del mio ingresso in società. E a quell'epoca, di solito, lui era infinitamente gentile e affettuoso con me. — E adesso non più? Tallulah la scrutò con amarezza. — No, naturalmente. Sarebbe cortese se ci capitasse di incontrarci, come è logico. È cortese con tutti. Ma posso vedere il disprezzo nei suoi occhi. E il puro e semplice fatto che mi rivolge la parola, attraverso la parete di vetro delle buone maniere, come se io non fossi una persona vera e autentica per lui, dice, e nel modo più chiaro, fino a che punto mi disprezza. — E perché dovrebbe disprezzarvi? Non dimostra una certa intolleranza? La faccia di Tallulah assunse di nuovo un'espressione desolata e triste, e ne scomparvero la luminosità, l'animazione e il coraggio di poco prima. — Non proprio. Forse "disprezzare" è una parola troppo forte. La verità è molto più semplice: lui non ha tempo per me. Io trascorro la mia vita piena di indulgenza verso me stessa, a divertirmi. Passo da una festa all'altra. Mangio cibi raffinati ma non lavoro per comperarmeli; non sono nemmeno io a cucinarli! — Alzò una spalla. — In tutta franchezza, non so
neanche da dove arrivino. Li ordino, semplicemente, in cucina e mi vengono portati, sul piatto, pronti perché io li mangi. E quando è finito, qualcuno porta via il piatto e fa quello che deve fare. Lo lava e lo mette via, suppongo. Passò le mani sulla seta della gonna come se volesse lisciarla, accarezzando il tessuto morbido, di un bel colore vivo, con la punta delle dita. — E porto abiti meravigliosi, che non sono io a confezionare e dei quali non saprei neanche da che parte cominciare a occuparmi — continuò. — Ho perfino una cameriera che mi aiuta a infilarli e a toglierli. È lei che pensa a mandarli a un'altra cameriera che si occupa del bucato, e li lava, salvo i migliori, come questo. Perché allora ci pensa personalmente. Mi pare che per qualcuno si devono addirittura disfare le cuciture perché venga pulito nel modo migliore, ma non ne sono sicura. — Sì, è vero — le disse Emily. — È un lavoro molto lungo. — Vedete? — No. C'è un mucchio di gente che vive a questo modo. A voi non piace? Tallulah rialzò di scatto la testa, stringendo le labbra che si trasformarono in una sottile linea dura. Intanto teneva gli occhi fissi su Emily. — Sì, certo. Eccome, se mi piace! Naturalmente mi piace. A voi, no? Voi non avete voglia di uscire a cena e a ballare, di essere molto bella, di passare il vostro tempo in posti eleganti, di andare a teatro e di ridere con persone spiritose? Non avete voglia, a volte, di essere eccentrica e stravagante, di inventare voi la moda, di dire cose che scandalizzano, e di passare il vostro tempo con gente un po' diversa dal solito? Emily sapeva benissimo a che cosa Tallulah alludesse, ma non poté fare a meno di sorridere lasciando che i suoi occhi si allungassero verso il gruppo delle signore compassate e conformiste che, a pochi metri di distanza, sedevano tutte impettite - una necessità, a causa del busto con le stecche di balena - e discutevano a voce bassa delle piccole scorrettezze commesse da una comune conoscente. — Forse la sua idea di tutta questa gente così meravigliosa non è la stessa che avete voi? — insinuò. — Naturale che non lo è — disse Tallulah brusca, anche se un lampo divertito che le passava sul viso lasciava capire che non le era sfuggito a che cosa Emily volesse alludere. — Io trovo che Oscar Wilde sia meraviglioso. Lui non può mai essere, assolutamente mai, un tipo noioso, e non parla con un certo tono... dall'alto in basso... no, mai, con nessuno, salvo per que-
stioni artistiche, ma allora è molto diverso. Ed è sinceramente insincero, se capite quello che voglio dire. — Non ne ho idea — confessò Emily, in attesa di una spiegazione. — Voglio dire... — Tallulah cercava le parole. — Ecco... lui non si illude mai. È completamente privo di pomposità. Ed è talmente assurdo e irrazionale che si capisce subito come riesca a ridere di tutto e nello stesso tempo dimostri che ogni cosa ha un'enorme importanza. È... è buffo. Non va mai in giro cercando di migliorare gli altri o di dare giudizi morali, e i suoi pettegolezzi sono sempre arguti, spiritosi, e molto divertenti da ripetere, oltre a essere innocenti. — Si guardò intorno. — Tutto questo è noioso in un modo addirittura opprimente! Non c'è una sola persona che abbia detto una sola cosa che valga la pena ricordare... Emily fu obbligata ad ammettere che era vero. — E allora cosa c'è in Jago che vi interessa? Da quello che dite, non potrebbe essere più differente dal signor Wilde. — Lo so — ammise Tallulah. — Però a me piace ascoltare quello che dice Oscar Wilde. Ma non mi passerebbe mai per il cervello di sposarlo... è del tutto diverso. Non so perché. Non credo di voler sapere perché. L'arrivo degli uomini impedì alla loro discussione di proseguire. Jack aveva l'aria molto seria. Era assorto nella conversazione con un signore dalle folte basette, la carnagione rubizza e il nastro violaceo di chissà quale ordine cavalieresco che gli attraversava il petto. Lanciò un'occhiata a Emily, la fissò per un attimo, e poi passò oltre. Quel lungo sguardo doveva lasciarle capire che non poteva essere interrotto, ed Emily lo intuì al volo. Come capì perfettamente quasi un'ora più tardi, quando Jack venne a raggiungerla per dirle, fra mille scuse, che era obbligato a lasciare il ricevimento un po' prima del previsto per andare al ministero degli Interni con il signore dalle folte basette, ma che le avrebbe lasciato la carrozza in modo che lei potesse tornare a casa quando voleva. Non solo, ma non era il caso che lo aspettasse alzata, perché non sapeva dirle quando l'affare di cui si stava occupando avrebbe potuto concludersi. Non poteva nemmeno escludere che la questione venisse dibattuta a lungo, magari per tutta la notte. Poi soggiunse che era davvero dolentissimo. E fu così che, venti minuti più tardi, talmente annoiata che le riusciva difficile dare una risposta che avesse un minimo di buon senso alle domande più banali, fu felicissima di vedere di nuovo Tallulah FitzJames. — Basta, non riesco più a sopportarlo — disse Tallulah in un bisbiglio. — A quanto pare mio cugino sta ottenendo un gran successo con la signo-
rina Tal-dei-Tali e posso lasciarlo senza pericoli ad assaporare la vittoria. — Ma dal tono della voce si capiva quanto poco tenesse in considerazione quella conquista. — Reggie Howard mi ha invitato ad andare a una festa che lui sa a Chelsea. Ci dovrebbe essere proprio il genere di persone di cui stavamo parlando, artisti e poeti, gente piena di idee. Discuteranno di tutto. — Adesso era piena di entusiasmo. — Qualcuno di loro è stato a Parigi e vi ha conosciuto i più noti scrittori. Anzi, ho sentito che Arthur Symons è appena rientrato da un paio di mesi e potrà parlarci del suo incontro con il grande Verlaine. Dovrebbe essere tutto infinitamente più interessante di questo! Era un invito molto chiaro, ed Emily esitò. Pensò semplicemente di scusarsi e di approfittare della propria carrozza per tornare a casa. Ormai aveva fatto il suo dovere e quindi non avrebbe suscitato commenti se avesse deciso di andarsene. Ma incominciava anche a essere stanca di fare il suo dovere nei confronti di chi se lo aspettava, e praticamente, poi, dimenticava la sua esistenza. Né Jack né i bambini avevano bisogno di lei. La sua casa andava avanti da sola; se prendeva delle decisioni, in fondo, era soltanto per una questione di forma. Le veniva chiesto di prenderle per pura e semplice cortesia. La cuoca, il maggiordomo e la governante avrebbero fatto né più né meno quello che intendevano fare, che lei fosse presente o no. Sua madre si era risposata ed era troppo assorbita dalla propria felicità per cercare compagnia o un consiglio. Perfino Charlotte, in quegli ultimi tempi, non aveva avuto bisogno di lei né aveva cercato il suo aiuto. A Pitt non erano capitati casi da risolvere nei quali potessero collaborare con lui. Anzi, a dire la verità, lei non sapeva neanche di cosa si stesse occupando in quel momento. Ma Tallulah FitzJames soffriva, e forse avrebbe potuto offrirle qualche buon consiglio. Anzi, adesso che ci pensava, lo aveva già sulla punta della lingua. La risposta era semplice: si trattava di una questione di priorità, e di onestà verso se stessa. Nessuno poteva avere tutto; in un modo o nell'altro bisognava fare delle scelte. E si dovevano fare con franchezza e coraggio, e avere quel tanto di buon senso per capire che una decisione andava accettata anche per quelle che ne sarebbero state le conseguenze. E poi, magari, sarebbe stato divertente sentir raccontare cosa succedeva a Parigi, soprattutto se avessero parlato delle idee più audaci, quelle d'avanguardia. — Davvero allettante — disse in tono deciso. — Mi piacerebbe moltis-
simo venire. — Penserà Reggie ad accompagnarci — si affrettò a risponderle subito Tallulah. — Su, Reggie, fatti avanti. Conosci la signora Radley? L'onorevole Reginald Howard. — E senza aspettare che gli altri due avessero il tempo di rivolgersi reciprocamente qualcosa di più di un puro e semplice cenno del capo come presentazione, li precedette in cerca della padrona di casa per congedarsi. Ed Emily mandò la carrozza a casa senza di lei. La festa a Chelsea risultò totalmente diversa, in ogni modo possibile e immaginabile, dalla riunione mondana che avevano appena lasciato. Si stava svolgendo in una serie di stanze, tutte ampie e tutte piene zeppe di libri e di accoglienti poltrone e chaise longues. L'aria era offuscata dal fumo, parte del quale aveva quell'odore spiccatamente dolciastro dell'incenso che, a Emily, non era affatto familiare. Dappertutto gli invitati, fra i quali spiccava una notevole preponderanza di uomini, erano assorti in conversazioni serie e impegnate. Il primo che Emily notò, per l'aspetto particolarmente originale, aveva il viso del sognatore, il naso grosso, gli occhi pieni di spirito e la bocca piccola, delicata. Alla luce delle lampade a gas i suoi capelli sembravano chiari; li portava abbastanza lunghi da arrivare a sfiorare il colletto bianco, orlato di pizzo, della giacca di velluto. — Credo che quello sia Richard Le Gallienne — bisbigliò Tallulah. — Lo scrittore. — Intanto allungava lo sguardo davanti a sé dove un altro giovane dall'aria severa, i capelli ondulati con la scriminatura al centro, il labbro superiore ornato da un paio di folti baffi, stava descrivendo al suo uditorio qualcosa che pareva lo mandasse in visibilio per il divertimento. — E quello è Arthur Symons — continuò, mentre la sua voce si faceva più alta, eccitata. — Evidentemente sta parlando di Parigi. A quanto mi pare di capire, ha praticamente incontrato tutti in quella città! Vennero accolti con una certa disinvolta noncuranza da una donna di mezza età con i lineamenti forti e l'abito che sembrava l'interpretazione artistica di qualche pittore del modo in cui doveva andar vestita una donna che viaggiasse in Oriente. Un abbigliamento che le donava moltissimo, ma che era senz'altro il massimo della stravaganza. Teneva un sigaro fra le dita della mano lunga e affusolata. Sembrava che conoscesse Tallulah e, quindi, fosse ben contenta di accogliere alla festa chiunque ci venisse in sua compagnia. Emily la ringraziò e poi si guardò intorno con interesse e un vago senso
di apprensione. Una grande palma in vaso nascondeva quasi completamente un angolo della stanza dove due giovani uomini sedevano talmente vicini l'uno all'altro che davano quasi l'impressione di toccarsi. Si sarebbe detto che uno dei due fosse intento a leggere all'altro qualcosa perché aveva tra le mani un esile volumetto rilegato in pelle. Parevano totalmente indifferenti a tutto quanto li circondava. Su una chaise longue accostata alla parete di fondo un uomo di mezza età dal viso florido era addormentato, oppure aveva perduto i sensi. Arthur Symons continuava imperturbabile ad attirare l'interesse dell'uditorio per quello che stava raccontando del suo recente viaggio a Parigi dove aveva effettivamente fatto una visita a Paul Verlaine. — Siamo andati a casa sua — stava dicendo eccitatissimo, girando gli occhi sul suo uditorio — e l'accoglienza che abbiamo ricevuto è stata cordialissima... sì, eravamo Havelock Ellis e io. Vorrei potervi descrivere quell'atmosfera, tutto quello che ho visto e ascoltato. Lui ci ha offerto quello che rimaneva del vino e intanto continuava a fumare come un turco! Giuro che non riuscirò mai più a sentire odore di fumo senza che mi torni in mente quella serata. Immaginate un po'! — E alzò le braccia con le mani allargate come se volesse afferrare tutto un mondo, raro e prezioso. Chiunque fosse lì nei pressi lo stava fissando con gli occhi sgranati. Nessuno abbozzò il minimo gesto o lasciò capire in qualche altro modo di volersi allontanare di lì. Il suo viso si illuminò di rapimento, ripensando a quei momenti, per quanto Emily si domandasse se era davvero un simile ricordo a dargli quell'espressione tanto esaltata oppure la gioia di essere al centro dell'interesse e dell'invidia dei suoi pari. — Havelock e io seduti in casa di Verlaine... sì, proprio lui! E come abbiamo parlato! Abbiamo discusso di tante cose, di filosofia e delle arti e di poesia e di tutto quanto è vivo. È stato come se ci conoscessimo da sempre. Dalla piccola cerchia di persone intorno a lui si levò un mormorio, un sospiro di ammirazione, forse di struggimento. Un giovane sembrava letteralmente in delirio, in estasi, al solo pensiero di un'esperienza del genere. Il suo bel viso dalla pelle chiara era avvampato e adesso si protendeva verso colui che stava parlando come se il solo fatto di trovarsi in tale prossimità fosse sufficiente a dargli l'impressione di poter rivivere, anche lui, un'esperienza simile. — Ci invitò a tornare il giorno dopo. — Intanto Symons continuava.
— E naturalmente tu ci sei andato! — intervenne il giovane in tono ansioso. — Naturalmente — ammise Symons. Poi una curiosa espressione si disegnò sui suoi lineamenti, un miscuglio di collera, divertimento, dispiacere. — Per nostra disgrazia, non era in casa. Vicino a Emily qualcuno rimase stupito, con il fiato sospeso, soffocando un'esclamazione. — Ce ne siamo andati profondamente avviliti — continuò Symons, con l'aria di chi era stato colpito, in quel preciso momento, da chissà quale tragedia. — È stato terrificante! I nostri sogni calpestati e distrutti, la coppa spezzata nel preciso istante in cui la portavamo alle labbra. — Rimase esitante, con un'espressione profondamente drammatica. — Poi, proprio quando stavamo per venir via... lo abbiamo incontrato. Ritornava con un amico. — E...? — Qualcuno lo incitò, un po' incerto, a proseguire. Di nuovo sul viso di Symons si disegnò quel miscuglio di sentimenti. — Non aveva la più pallida idea di chi fossimo — confessò. — Si era completamente dimenticato di noi. Questo aneddoto venne accolto da una grande varietà di reazioni, incluso un trasalimento stupito da parte di Reggie Howard e uno scoppio di risate scroscianti di Tallulah. Ma Symons ormai si era conquistato la loro attenzione, ed era tutto quanto gli interessava. Continuò a descrivere nei più minuti particolari, in modo arguto e singolarmente colorito, i luoghi in cui erano andati in precedenza, i cafés, i teatri, le sale da concerto e i vari salons. Avevano visitato anche parecchi artisti e fatto una lunga gita nei sobborghi dove si erano perfino recati nell'atelier di Auguste Rodin il quale non aveva praticamente rivolto neanche una parola né a loro... né a chiunque altro. Totalmente diversa, ma tale da attirare un'ancor più rapita attenzione da parte del suo uditorio, fu la descrizione della sua visita al Café Moulin Rouge, un locale pieno di colore e di animazione sfrenata ma anche squallido, con la sua musica e i suoi ballerini, il suo miscuglio dell'alta e dell'infima società. Descrisse il suo incontro con il brillante e perverso Henri de Toulouse-Lautrec, che dipingeva le ballerine del cancan e le prostitute. Emily era affascinata. Ecco un mondo che lei non riusciva quasi a immaginare. Naturalmente conosceva i nomi... chiunque li conosceva anche se alcuni di essi venivano appena mormorati a fior di labbra. Erano i poeti e i pensatori che sfidavano il conformismo, che volevano a ogni costo stu-
pire e scandalizzare, e solitamente ci riuscivano. Idolatravano tutto ciò che era decadente, e lo dicevano. Dopo aver ascoltato Arthur Symons, Emily si trasferì nella stanza vicina dove le capitò di ascoltare, non vista, la conversazione fra due giovani che non le badarono minimamente, un'esperienza che non aveva mai avuto in vita sua, perlomeno durante una riunione o un ricevimento nel suo ambiente, dove la cortesia era un esercizio abituale, spesso in difesa delle verità più smaccate, e l'usuale moneta di scambio erano i complimenti. Questo, invece, era qualcosa di totalmente estraneo a tutto quanto lei conosceva; ecco il motivo per cui lo trovava vivificante. Nessuno parlava né del tempo né di chi corteggiava o si lasciava corteggiare. Come se, per esempio, la politica non fosse nemmeno esistita, e neanche i banchieri o i personaggi di Casa reale. Qui tutto era arte, parole, sensazioni e idee. — Ma lui era vestito di verde! — disse uno dei due giovanotti in tono inorridito, mentre sulla sua faccia corrucciata appariva una tale smorfia da lasciar pensare che fosse torturato da chissà quali dolori. — La musica era del violaceo più ovvio che avessi mai sentito. Tutte le sfumature dall'indaco al lilla, che poi si dissolvevano nel buio. Il verde era una manifestazione così totale di mancanza di sensibilità! Talmente priva di significato. — Gli hai detto qualcosa? — si affrettò a domandare l'altro. — Ho cercato — fu la risposta. — Sono rimasto un secolo con lui. Gli ho spiegato tutto sulla corrispondenza fra i sensi, come colore e suono siano l'uno parte dell'altro, come il gusto e il tatto si combinino, ma ti confesso che secondo me non ha capito una sola parola. — Fece un gesto pieno di veemenza con le mani, allargando le dita e poi richiudendole convulsamente. — Io volevo che cogliesse il senso di un'arte completa! È così unidimensionale. Ma cosa si può fare? — Fargli provare uno shock! — si affrettò a rispondere il suo compagno. — Con qualcosa di talmente sublime che sarà costretto a riconsiderare tutto quello in cui ha sempre creduto. Il primo dei due uomini si diede un violento colpo sulla fronte con il dorso della mano. — Ma certo! Come mai non ci ho pensato? È sempre quello che dice il caro Oscar: il primo dovere di un artista è quello di stupire continuamente. Il suo amico si protese verso di lui. — Mio caro! Hai letto il "Lippincott's Monthly Magazine" del mese scorso? Sia l'uno sia l'altro non badavano minimamente a Emily, la quale si trovava forse a un metro e mezzo da loro, non di più.
Il giovanotto rifletté per un momento. — No, non credo. Parli del numero di luglio? Perché? Cosa c'era dentro? Possibile che Oscar abbia detto qualcosa di tanto stravagante da scandalizzare? — Toccò lievemente l'altro sul braccio. — Su, dimmelo, ti prego! — Di sicuro! È quasi troppo stupendo. — La risposta era pronunciata con tale impetuosità ed entusiasmo che si faticava a seguire quel profluvio di parole. — La storia di un uomo giovane e bellissimo... indovina chi? Bene, a ogni modo, lui si lega con un dandy depravato, un uomo più anziano di lui ma intelligentissimo, arguto e spiritoso, al quale lui un giorno dice che vorrebbe non diventare mai vecchio e avere sempre l'aspetto bello e giovane che ha in quel momento. — Inarcò le sopracciglia. — Lui è addirittura incantevole, mi capisci? — Lo hai appena detto. E poi? — Il giovanotto si appoggiò all'indietro, in una posizione precaria e vagamente pericolosa tanto era vicino alla palma in vaso che aveva alle proprie spalle. — Saremmo tutti felicissimi di conservare quel po' di bellezza che abbiamo. Una concezione del genere non direi che sia particolarmente degna dell'inventiva di Oscar, e di sicuro non è per niente scandalizzante. — Oh, ma la sua storia sì! — gli assicurò il suo compagno. — Perché vedi, un altro uomo, un uomo che tutto sommato possiamo considerare d'onore, gli dipinge il ritratto... e il suo desiderio viene realizzato. Il suo viso è bellissimo! — Alzò una mano candida, dalle dita affusolate. — Ma la sua anima diventa sempre più bieca e tormentata man mano che lui si abbandona senza ritegno a una vita di piacere totale perché è proprio questo di cui va continuamente in cerca, indipendentemente da quanto può costare agli altri. Vedi, lo scotto è altissimo e, a volte, lo si paga addirittura con la vita. — Sempre banale, mio caro. Pura e semplice osservazione dell'ovvio. — Si appoggiò di nuovo sui cuscini cinesi che aveva dietro di sé, manifestando chiaramente la propria noia. — Immagini sul serio che Oscar possa mai essere ovvio? — Le sopracciglia del suo interlocutore si alzarono ancora di più. — Quanto sei privo di immaginazione! Come lo giudichi male! — Bene, può darsi che non sia ovvio per te, caro ragazzo, ma per me sì — ribatté il suo compagno. — In tal caso raccontami la fine! — lo sfidò l'altro. — Non c'è nessuna fine. È la vita pura e semplice. — Ecco dove stai sbagliando! — E lo minacciò col dito. — Lui rimane
giovane e infinitamente bello, più bello che mai. Come sempre. Passano anni e anni. E sulla sua faccia non appare nessun segno dello squallore del suo animo e della perversità della sua esistenza... — Che pio desiderio! — Ma il ritratto no! Settimana dopo settimana la faccia sulla tela diventa più orribile... — Cosa? — L'altro si mise a sedere di scatto, facendo cadere per terra uno di quei soffici cuscini. Emily si dominò perché per istinto si sarebbe chinata a raccoglierlo e metterlo di nuovo al suo posto. — La faccia sulla tela diventa più spaventosa! — E il giovanotto continuò la sua storia. — Tutti i peccati, e le meschinità, la corruzione dello spirito vi appaiono impressi sopra, al punto che la sua sola vista può far gelare il sangue nelle vene, può farti rimanere sveglio la notte per la paura di sognarla, se ti addormenti! Adesso si era conquistato la più completa attenzione dell'amico. Che si mise più eretto, di scatto, al suo posto. — Mio Dio! E poi? Qual è la fine? — Lui uccide l'artista, che ha indovinato il suo segreto — disse l'uomo in tono trionfante. — E, infine, terrificato dall'orrore abbietto della propria anima che vede chiaramente riflessa nel viso dipinto, lo colpisce a pugnalate. Emily trasalì, e rimase con il fiato sospeso, soffocando un'esclamazione, ma nessuno dei due interlocutori la sentì. — E...? — Domandò l'altro. — Ma, così, uccideva se stesso! Perché lui era legato in modo inestricabile alla pittura. Lui è il quadro e il quadro è lui! E muore... e il suo corpo assume l'aspetto mostruoso del ritratto, che adesso torna a essere splendido, bellissimo e innocente come all'epoca in cui era stato dipinto. Ma la storia è piena di un'arguzia meravigliosa, e ha battute stupende, come sempre, con Oscar. — Si strinse nelle spalle e poi si lasciò andare di nuovo contro i cuscini, sorridendo. — Naturalmente, c'è gente, fra i benpensanti, che è furibonda; dicono che è una depravazione, che è qualcosa di perverso e così via... ma cosa puoi aspettarti? Un'opera d'arte che sia accettata da chiunque è condannata fin dalla partenza. Difficile che ci sia modo più esplicito di dimostrare che non ha assolutamente niente da dire! Se non si offende nessuno, ma proprio nessuno, tanto vale non parlare neanche. È chiaro che non hai niente da dire. — Devo procurarmi immediatamente il "Lippincott's"!
— Corre voce che possa pubblicarlo in un libro. — Come si chiama? Devo saperlo! — Il ritratto di Dorian Gray. — Magnifico! Lo leggerò... probabilmente parecchie volte. "È quello che farò anch'io", si disse Emily, allontanandosi mentre i due uomini cominciavano a sviscerare la storia cercando di coglierne le allusioni più profonde. "Ma non ne parlerò a Jack. Lui potrebbe non capire". Stava cominciando a sentirsi girare lievemente la testa; e in ogni caso, era stanchissima. Non era abituata a quell'aria così piena di fumo. Nella società delle persone bene educate, i gentiluomini lasciano i saloni principali di ricevimento per fumare. C'erano stanze predisposte appositamente per questo, in modo da non offendere chi non era un fumatore, e si indossavano giacche speciali, così non si portava quell'odore, dopo, nel resto della casa. Guardò intorno a sé e vide Tallulah la quale stava intrecciando un flirt con un giovanotto vestito di verde; ma pareva che lo facesse più che altro per abitudine e non con intenzioni serie. Emily non aveva la minima idea di che ora fosse, ma tutto le lasciava sospettare che dovesse essere molto tardi davvero. In ogni caso non aveva alcun mezzo per tornare a casa se non insieme a Tallulah. Non poteva andarsene da sola e mettersi a girare per le strade in cerca di una vettura di piazza a quell'ora del mattino Qualsiasi uomo si fosse trovato in giro, qualsiasi poliziotto, l'avrebbe scambiata per una prostituta. Da quando, quattro anni prima, c'era stata una clamorosa levata di scudi contro la prostituzione in genere, e un attacco massiccio contro la pornografia, era capitato che venissero arrestate anche donne perbene perché sorprese a passeggiare, perfino in pieno giorno, nelle zone sbagliate. Figurarsi, poi, a un'ora del genere! Vacillando lievemente, a passo incerto, attraversò la sala e venne a fermarsi vicino alla poltrona di Tallulah. Chinando gli occhi su di lei, disse con voce limpida e chiara, o perlomeno che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere limpida e chiara: — Mi pare che sia venuto il momento di congedarci. È stato splendido, ma preferirei essere a casa per l'ora di colazione. — Colazione? — Tallulah batté le palpebre. — Oh! — Si raddrizzò di scatto sulla persona. — Oh, certo, il conformismo più terra terra vuole che si faccia colazione. Sì, suppongo che dovremmo tornare a casa — sospirò. Sembrava che si fosse già dimenticata del giovanotto, e anche lui non sembrò minimamente sconcertato. La sua attenzione si spostò con la stessa
disinvoltura su un'altra ragazza. Trovarono quasi subito anche Reggie e lui fu tanto amabile e cortese da accettare di andar via; uscì tenendo sottobraccio Emily da una parte e Tallulah dall'altra. Reggie svegliò il suo cocchiere e tutti salirono in carrozza, semiaddormentati. Poi Reggie richiuse lo sportello con una certa difficoltà. Già verso oriente appariva qualche tenue lama di luce, e per le strade cominciava a passare il traffico delle prime ore del mattino. Nessuno aveva chiesto a Emily dove abitasse e lei, seduta al suo posto, ondeggiando lievemente a ogni scossa della vettura mentre procedevano lungo la riva del fiume e svoltavano verso nord, scrutò la figura di Reggie Howard che dormiva profondamente alla luce dei lampioni sotto i quali passavano. Ebbe un attimo di incertezza e non osò chiedergli che accompagnasse lei, per prima, a casa. Stavano andando nella direzione sbagliata. Avrebbe dovuto attendere. Si fermarono piuttosto bruscamente in Devonshire Street. Reggie si risvegliò sussultando. — Ah. Eccoci arrivati! — disse battendo le palpebre alla luce. — Permettetemi di aiutarvi. — Con una certa fatica riuscì a spalancare lo sportello ma un valletto era già lì, pronto a offrire la mano prima a Tallulah e poi a Emily perché scendessero. — Farete meglio a rimanere con me stanotte — disse subito Tallulah. — Non vorrete arrivare a casa a quest'ora. Emily esitò soltanto un attimo. Forse anche questo era un modo cortese di farle capire che la carrozza di Reggie non era più disponibile per condurla altrove, ormai. E poi era verissimo; sarebbe stato più facile spiegare a Jack che aveva passato la notte da Tallulah, invece di raccontargli che era rimasta fuori fino alle quattro del mattino a una festa a Chelsea con artisti e scrittori del decadentismo, una scuola in quel momento molto alla moda. — Grazie. — Si affrettò a scendere dalla carrozza con maggior premura che garbo ed eleganza. — È molto generoso da parte vostra. — Ringraziò anche Reggie e il valletto, e poi la carrozza si allontanò rumoreggiando sul lastricato e lei seguì Tallulah attraverso il marciapiede, oltre la porta del seminterrato e il cortiletto interno, dove l'ingresso del retrocucina evidentemente non era sbarrato. Tallulah si fermò in cucina. Aveva un aspetto stranamente fragile alle prime luci di un'alba fredda, lontano dal caldo riverbero delle lampade a gas e dei tendaggi di velluto. Adesso, invece, la sua figura si stagliava con-
tro una credenza in legno con la piattaia, le pentole di rame appese al muro, il recipiente in cui era conservata la farina e, a sinistra, il fornello nero. Alla rastrelliera, sopra di esso, era appesa la biancheria pulita ad asciugare e nell'aria c'era profumo di erbe secche e delle filze di cipolle. Presto le prime cameriere si sarebbero alzate e sarebbero venute giù a pulire i fornelli della stufa, a ripassarla col nerofumo, e ad accenderla in modo che fosse pronta perché la cuoca potesse cominciare i preparativi per la colazione. Le stesse cose, fra breve, sarebbero anche successe in casa di Emily. Tallulah respirò a fondo e poi si lasciò sfuggire il fiato in un sommesso sospiro. Voltò le spalle a Emily precedendola verso le scale. Ed Emily le andò dietro in punta di piedi in modo da non essere sentita neanche dai domestici che, pure, erano abituati a svegliarsi molto presto. Sul pianerottolo Tallulah si fermò davanti alla porta di una camera per gli ospiti. — Vi presterò un vestito — disse con voce appena percettibile. — E domattina vi manderò la mia cameriera. — Trasalì. — Non prima delle otto. Nessuno scende a colazione molto presto... non credo. A dir la verità... — Fissò Emily mentre sulla sua faccia si disegnava un'espressione improvvisa di angoscia. — A dir la verità, questo non è un periodo particolarmente felice. È successa una cosa piuttosto brutta. — La sua voce era poco più di un bisbiglio. — Una donna di strada è stata uccisa nei pressi di Whitechapel Road, e la polizia ha trovato da lei il vecchio distintivo di un club. Di mio fratello. Così sono addirittura venuti qui in casa a fare domande. — Fu scossa da un brivido. — Naturalmente lui non aveva niente a che fare con quello che è successo ma io sono terrorizzata al pensiero che non gli credano. — Intanto fissava Emily come se si aspettasse di sentirle dire qualcosa. — Mi spiace — disse Emily con voce piena di sincerità. — Deve essere terribile per voi. Forse scopriranno al più presto il vero colpevole. — Poi la sua abituale curiosità ebbe il sopravvento. — Dove hanno trovato il distintivo? — Nella sua camera, dove lei è stata uccisa. — Tallulah si morse un labbro; adesso la paura era predominante sulla sua espressione, e sembrava accentuata dalle ombre nette che creava la tenue luce di una lampada a gas accesa in cima alle scale e quella del giorno che cominciava a filtrare dalle finestre del pianerottolo. — Oh. — Non c'era niente che Emily potesse dire, di fronte a questa no-
tizia, per consolarla. Non era scandalizzata all'idea che il fratello di Tallulah si fosse servito di una prostituta. Era abbastanza di mondo per sapere, e da anni, che cose del genere accadevano. Non era neppure impossibile che fosse stato effettivamente lui a ucciderla. Qualcuno aveva commesso il delitto. Forse senza intenzione. Magari c'era stata una discussione, o un litigio per questioni di soldi. Oppure lei aveva tentato di derubarlo. Da Pitt, Emily sapeva che cose del genere succedevano. Non ci voleva un grande sforzo di fantasia per immaginare come potevano essersi svolte le cose: un giovanotto ricco, vestito con eleganza, i gemelli dei polsini in oro come l'orologio, e forse anche il tagliasigari, il portafoglio, i bottoncini dello sparato, e soldi in tasca da spendere per soddisfare le proprie voglie... e una donna disperata, stanca, affamata, che forse non era neanche sicura di avere un tetto sopra la testa anche la settimana successiva. Magari si poteva perfino pensare che avesse un bambino da nutrire. C'era solo da meravigliarsi che cose del genere non succedessero molto più spesso. Si sforzò di rivolgere a Tallulah un sorriso, pallido e un po' tremulo. — Chissà quanta altra gente è passata di lì — disse piena di speranza. — Probabilmente è stato qualcuno che conosceva. Ci sono uomini che prendono i loro soldi e le proteggono, sapete. Con ogni probabilità è stato lui. La polizia lo saprà. Suppongo che siano venuti qui più che altro per una formalità. — Credete? — domandò Tallulah. — Lui è stato molto cortese. Parlava molto bene, voglio dire come un gentiluomo, ma aveva l'aspetto piuttosto trasandato. Il suo colletto era pulitissimo ma tutto storto, e poi... quanti capelli... in disordine. Se non avessi saputo che era un poliziotto, avrei pensato che poteva essere un artista, o uno scrittore. Ma non credo che fosse uno stupido. E non aveva paura di papà, come capita invece a quasi tutti. Emily fu colta improvvisamente da un brivido di gelo, mentre alla sua mente affiorava qualcosa di familiare, un po' come la scena di un sogno, quando si sa quello che sta per succedere ancora prima che accada. — Non preoccupatevi — disse con tutta la convinzione che riuscì a dare alla propria voce. — Lui scoprirà la verità. Non accuserà mai la persona sbagliata. Vostro fratello ne verrà fuori bene, e senza pericoli. Tallulah era rimasta immobile. Fuori, sulla strada, passarono un carro accompagnato dal rumoroso rotolio delle ruote sul selciato e qualcuno, sul marciapiede, che fischiettava camminando. Era quasi giorno. Da un minuto all'altro la sguattera sarebbe scesa dalla scala di servizio. — Grazie — le disse infine. — Ci vediamo a colazione. Vado a pren-
dervi la camicia da notte. Emily sorrise, piena di gratitudine ma già decisa a trovare un telefono non appena possibile, se non altro per informare le sue cameriere che stava benissimo e avrebbe passato la notte presso un'amica. Se Jack fosse stato a casa questo sarebbe potuto servire di spiegazione anche per lui. E se al mattino si fosse alzato e avesse trovato che lei era in ritardo per la colazione, avrebbe capito. Emily si svegliò di soprassalto. Il sole entrava a fiotti dalle finestre dove le tende erano già state scostate in una camera che non aveva mai visto prima. Tutta arredata con tessuti di un bel giallo a fiorellini, e qualche tocco di grigio e blu. C'era una domestica che stava versando acqua calda in un grande catino e asciugamani di bucato appoggiati sulla spalliera di una poltrona. — 'giorno, signorina — disse la ragazza in tono allegro. — Un'altra bella giornata. Sembra proprio che ci sarà sole e caldo. La signorina Tallulah ha detto che se volete prendere a prestito momentaneamente uno dei suoi vestiti, va benissimo. Visto che il vostro è un po' troppo elegante per la colazione. — Non allungò nemmeno un'occhiata alla toilette che Emily aveva indossato a cena, verde, con un motivo di rose avorio e gialle, allargato sulla chaise longue, l'ampia gonna e sottogonna ben distesa, il corpetto dalla profonda scollatura e le maniche trasparenti simili a fiori appassiti sotto la luce viva del mattino. Quanto alla sua espressione, era soltanto cortese, ansiosa di essere di aiuto. Sì, poteva essere considerata davvero un'ottima cameriera. — Grazie — Emily accettò. Non sopportava l'idea di presentarsi alla tavola della prima colazione in casa di Augustus FitzJames come se fosse rimasta alzata tutta la notte. Non solo, ma l'abito di mussola color avorio che le veniva offerto era senz'altro molto attraente. Forse un po' troppo giovanile per lei, ma non privo di una sottile raffinatezza soprattutto per il delicato motivo a ricamo che lo guarniva, e il corpetto liscio, aderente. Scese al piano terreno con Tallulah in modo che la sua presenza potesse essere debitamente spiegata, e lei stessa presentata nel modo più corretto. La sala da pranzo era ampia, formale, molto bella, ma non ebbe il tempo di notarlo, se non di sfuggita. La sua attenzione si concentrò totalmente invece sulle tre persone sedute intorno al tavolo. A capotavola c'era Augustus FitzJames, la faccia lunga dai lineamenti forti e decisi che aveva assunto un'espressione severa mentre esaminava at-
tentamente il giornale del mattino. Lo teneva piegato davanti a sé ma non alzò gli occhi quando le due giovani donne entrarono finché non si rese conto della presenza totalmente inaspettata di una sconosciuta. — Buon giorno, papà — disse Tallulah con voce allegra. — Posso presentare la signora Radley? L'ho invitata a fermarsi da noi stanotte perché ormai era molto tardi e suo marito ha dovuto prendere la loro carrozza perché lo hanno convocato urgentemente per certe questioni del governo. — Mentiva con molta disinvoltura, come se avesse già preparato prima quello che doveva dire. Augustus scrutò Emily con un lieve cipiglio, poi, non appena ebbe collegato il suo cognome con quello di un membro del Parlamento, piegò la testa in un cenno di saluto. — Buon giorno, signora Radley. Sono felicissimo che ci sia stato possibile offrirvi ospitalità. Vi prego, fermatevi a fare colazione con noi. — E lanciò un'occhiata alla donna che sedeva all'altro capo del tavolo. I suoi capelli erano accuratamente pettinati, l'abito da mattina immacolato ma il viso segnato da tante piccole rughe di ansietà. — Mia moglie — disse con voce inespressiva. — Piacere, signora FitzJames — disse Emily con un sorriso. — Grazie della cortesia che mi avete dimostrato consentendomi di fermarmi presso di voi. — Era una pura formalità, ma bisognava parlare per rompere quel silenzio imbarazzante. Aloysia non aveva saputo assolutamente niente della presenza di Emily in casa sua. — Siete la benvenuta — si affrettò a risponderle Aloysia. — Spero che abbiate dormito bene. — Molto bene, grazie. — Intanto Emily sedeva sulla seggiola che le era stata indicata mentre la cameriera apparecchiava un posto in più per Tallulah. — Mio figlio — continuò Augustus, indicando con la mano un po' ossuta il giovanotto che sedeva di fronte a Emily. — Piacere, signor FitzJames — rispose lei, guardandolo con un interesse molto maggiore di quello che avrebbe potuto avere nei suoi confronti se Tallulah non le avesse confidato i pericolosi e drammatici legami che aveva con l'assassinio di Whitechapel. Tentò di rivolgergli un luminoso sorriso, non impegnativo, come se fosse all'oscuro di tutto ma non poté fare a meno di cercare di scrutarlo bene in faccia e leggervi qualcosa. Era molto bello; aveva un naso perfetto, la bocca tumida, la mandibola squadrata. E una splendida capigliatura. Folti capelli che portava pettinati all'indietro la-
sciando libera la fronte, capelli biondi, ondulati. La sua era la faccia di un uomo al quale non sarebbe mai mancata l'ammirazione femminile. Chissà quale voglia improvvisa, quale debolezza nascosta, lo avevano spinto a cercarsi una prostituta proprio a Whitechapel, fra tutti i posti possibili e immaginabili? Mentre lo osservava dall'altro lato del tavolo, intanto che faceva colazione con la sua famiglia, Emily pensò che si conosce ben poco di una persona se ci si limita a osservarne il comportamento corretto, il modo di vestirsi conforme alle regole, il taglio accurato dei capelli. — Piacere, signora Radley — rispose lui in tono totalmente privo di interesse. — Buon giorno, Tallulah. Ti sei divertita ieri sera? Tallulah prese posto vicino a Emily e cominciò a servirsi da una grande coppa piena di frutta; ma poi mise da parte quello che aveva scelto e diede la preferenza al pane tostato e alla conserva di albicocche. — Sì, grazie — gli rispose in tono distratto. Del resto anche lui non glielo aveva domandato con una vera curiosità. A Emily venne offerta la scelta tra l'aringa affumicata e le uova ma rifiutò sia l'una che le altre. Anche lei disse che le sarebbe bastato un po' di pane tostato. Doveva tornare a casa il più presto possibile, non appena la decenza glielo avesse permesso. E già così sarebbe stato abbastanza difficile fornire una spiegazione soddisfacente della sua assenza durante la notte. — Dove sei andata? — domandò Augustus a Tallulah. Il suo tono non era perentorio ma vi era implicito, e lo si sentiva, che si aspettava una risposta, e una risposta che fosse la verità. Tallulah non alzò gli occhi dal suo piatto. — Alla cena di lady Swaffham. Non ne avevo parlato? — Certo che ne avevi parlato — rispose lui in tono severo. — Ma sono sicuro che non sei rimasta a casa sua fin dopo le due del mattino. Conosco troppo bene lady Swaffham per pensare una cosa del genere. Non avevano accennato, né Emily né Tallulah, all'ora in cui erano tornate a casa. C'era da pensare che il signor FitzJames fosse andato a letto alle due, e sapesse perfettamente che sua figlia non era ancora rientrata. — Poi, di lì, con Reggie Howard e la signora Radley sono andata a una discussione letteraria a Chelsea — rispose Tallulah, alzando gli occhi per rivolgere uno sguardo a suo padre. — Alle due del mattino? — Lui alzò le sopracciglia con aria sarcastica. — Invece io penso, signorina, che tu voglia alludere a una riunione alla quale certi giovanotti che credono di essere scrittori prendono pose assurde e chiacchierano di sciocchezze. Era presente Oscar Wilde?
— No. Augustus FitzJames guardò Emily per vedere se confermava o negava quell'affermazione. — Non credo che ci fosse nessuna delle sue amicizie — gli rispose con la più completa sincerità. Fra l'altro, non sapeva neanche chi fossero quelli che lo frequentavano e si stava accorgendo, vagamente indispettita, di essere stata messa nella posizione di dover rispondere per Tallulah o denunciarla come bugiarda. — Il giovane Howard non mi piace per niente — continuò Augustus, prendendo un'altra fetta di pane tostato e versandosi altro tè. Intanto continuava a non guardare sua figlia. — Non uscirai più in sua compagnia. Tallulah aprì la bocca come se volesse parlare e la sua faccia si fece dura. Augustus affrontò la moglie. — È venuto il momento che tu l'accompagni in posti più adatti, mia cara. È compito tuo trovarle un partito conveniente. Ed entro quest'anno, secondo me. Ormai non bisogna far passare altro tempo. Fintanto che non mette troppo a rischio la sua reputazione frequentando compagnie poco decorose, ha ancora tutti i requisiti necessari. È ancora più che desiderabile. E, senza tener conto del suo comportamento, non lo rimarrà indefinitamente. — Continuava a fissare Aloysia, non Tallulah, ma Emily si accorse che quest'ultima arrossiva per l'umiliazione. — Provvederò io a fare un elenco delle famiglie raccomandabili — concluse, e diede un morso al suo pezzo di pane tostato mentre l'altra mano si allungava verso la tazza. — Raccomandabili per chi? — domandò Tallulah in tono vibrato. Lui si voltò a guardarla. Non c'era un briciolo di umorismo, e nemmeno uno scintillio nei suoi occhi. — Per me, naturalmente. È una mia responsabilità provvedere che tu sia ben sistemata e faccia un successo della tua vita. Hai tutto il necessario all'infuori dell'autodisciplina. Quanto a quella, dovrai concentrarti ad applicarla, cominciando da oggi. Se si fosse persuasa che qualcuno dei presenti stava badando anche solo lontanamente alla sua presenza, Emily si sarebbe sentita imbarazzata, ma perfino Finlay pareva totalmente assorbito da ciò che suo padre stava dicendo. Apparentemente, ingiunzioni così assolutiste non sorprendevano nessuno dei presenti. E a Emily non occorreva girare gli occhi verso la testa china di Tallulah per capire come nell'elenco che Augustus FitzJames doveva aver fatto degli aspiranti accettabili alla mano di sua figlia non ci fosse sicuramente anche quello "Jago" al quale lei aveva alluso. Le virtù
che Tallulah era tanto sicura che lui possedesse non lo dovevano rendere affatto interessante per un padre che aveva ambizioni sociali e mondane come il suo. Tallulah avrebbe dovuto mettersi a valutare molto seriamente i propri desideri, soppesare rischi e ricompense, se voleva aspirare a un poco di felicità. Emily spostò lo sguardo verso Finlay che continuava a mangiare pane tostato e marmellata d'arance, finendo di bere la sua ultima tazza di tè. Se provava simpatia e comprensione per la sorella, la sua faccia non lo dava a vedere. Poi, tutto d'un tratto e senza il minimo preavviso, Augustus si rivolse a lui. — Ed è anche venuto il momento che tu ti trovi una moglie conveniente. Non potrai mai assumere un posto in qualche ambasciata di una certa importanza senza una moglie in grado di aiutarti a conservartelo. Dovrebbe avere classe, provenire da una buona famiglia, essere dignitosa, saper sostenere una conversazione intelligente senza far trapelare le proprie opinioni, possedere fascino sufficiente ad attirare un certo interesse ma non troppo, in modo da non provocare pettegolezzi e far nascere sospetti. Moralità e un aspetto sano sono preferibili alla bellezza. Naturalmente la sua reputazione dovrà essere impeccabile. Questo è sottinteso. Me ne vengono in mente una dozzina, e forse più, che potrebbero essere adatte. — Al momento... — Finlay cominciò ma si interruppe subito. La faccia di Augustus si irrigidì. — Sono perfettamente al corrente del fatto che, al momento, ci sono altre questioni che vanno chiarite. — La sua espressione era dura, tesa e, parlando, evitò di guardare suo figlio. — Ho piena fiducia che, per quello, non occorrerà più di qualche giorno. — È quello che penserei anch'io — disse Finlay, impacciato e a disagio, fissando suo padre come se volesse, concentrandosi con tutta la sua volontà, costringerlo ad alzare gli occhi e a guardarlo. — Io non ho avuto niente a che fare con tutta quella storia! E, se hanno un minimo di competenza, lo capiranno presto. — Parlava quasi come se quella fosse una sfida, e non si aspettasse di essere creduto, eppure Emily ebbe la sensazione che la sua voce vibrasse di sincerità. Tallulah adesso non badava più al pane tostato che non aveva finito di mangiare e al tè che sì raffreddava. Guardò prima suo padre, poi sua madre, e infine tornò a fissare il padre. — Lo faranno sicuramente — disse Aloysia con voce atona. — Può es-
sere spiacevole, ma non è assolutamente il caso di preoccuparsi. Augustus la squadrò con due occhi che rivelavano il più sovrano disprezzo mentre le rughe ai lati della sua bocca sembrarono ancora più profonde di prima. — Nessuno si preoccupa, Aloysia. Si tratta semplicemente di affrontare le cose in modo che non succeda niente di spiacevole per colpa magari di... qualche incompetenza o caso sfortunato che non possiamo impedire. — Si rivolse a Tallulah. — Quanto a te, signorina, ti comporterai in modo da non suscitare critiche o fornire alle lingue malevole motivo di spettegolare. E per quel che ti riguarda, mio caro... — e guardò Finlay — ...ti comporterai da gentiluomo. Limiterai le tue attenzioni al tuo dovere e a quei divertimenti che possono piacere al genere di giovane signorina che vorresti sposare. Potrai fare da cavaliere a tua sorella. In tutta Londra ci sono soirées, esposizioni e altri avvenimenti culturali dei più adatti e appropriati. Finlay adesso sembrava ai limiti della disperazione. — Altrimenti — continuò Augustus — c'è il rischio che questa faccenda non possa venir tenuta sotto controllo facilmente come tu vorresti. — Io non ho mai avuto niente a che vedere con quello che è successo! — protestò Finlay mentre la sua voce rivelava una nota crescente di angoscia. — È possibile — fu l'asciutto commento di Augustus, che continuò imperturbabile la sua colazione. La discussione era terminata. Non occorreva che lui lo lasciasse capire a parole; il suo tono non ammetteva repliche e controbatterlo sarebbe stato inutile. Tallulah ed Emily finirono quel che rimaneva del loro pasto in silenzio e poi chiesero il permesso di alzarsi da tavola. Non appena si ritrovarono nel vestibolo, fuori portata d'orecchio degli altri, Tallulah, rivolgendosi a Emily, esclamò angosciata: — Mi spiace! Per voi dev'esser stato bruttissimo, perché sono sicura che non sapete di che cosa stava parlando. Naturalmente tutto verrà chiarito... però, magari, chissà quanto tempo ci vorrà! E se poi non dovessero mai scoprire chi è stato? — La sua voce si fece stridula mentre il panico cresceva dentro di lei. — Non hanno mai trovato quell'altro assassino di Whitechapel! Ha ucciso cinque donne, ed è successo due anni fa, e a tutt'oggi nessuno ha la più pallida idea di chi sia stato. Potrebbe trattarsi di chiunque! — No, niente affatto — disse Emily con fermezza. Sapeva di pronunciare parole prive di significato, ma si augurava che Tallulah non lo capisse. — Quell'altro insuccesso ha molto poco a vedere con questo. — Era con-
vinta che Pitt potesse scoprire la verità; ma probabilmente tutta la verità, perfino se Finlay era innocente come sosteneva, avrebbe potuto comportare la rivelazione di qualche fatterello che lo riguardava non solo imbarazzante ma anche penoso, o magari tutte e due le cose. Il guaio, se veniva svolta un'indagine, era che si scoprivano ogni genere di fatti, magari anche senza alcuna connessione con il crimine in sé e per sé, e peccati segreti e vergogne che, in seguito, era impossibile dimenticare. E quando le persone avevano paura troppo spesso si comportavano nel modo sbagliato. E allora si poteva leggere dentro di loro con molta maggiore chiarezza di quanto a qualcuno potesse far piacere. C'era da temere molto, molto di più, della pura e semplice rivelazione di una colpa. — Probabilmente si tratta di qualcuno che lei frequentava abitualmente — riprese in tono sempre più fermo, già pensando mentre parlava che Augustus FitzJames non era per niente convinto dell'innocenza di suo figlio. Lo aveva capito dalla sfumatura tagliente della sua voce, dal modo in cui si era rifiutato di tener conto delle parole accomodanti della moglie... sì, doveva essere ancora roso dal dubbio. Perché? Perché un uomo doveva avere talmente poca fiducia in un figlio da consentire a una possibilità tanto orribile di mettere radici nel proprio cervello? — Sì, certo — convenne Tallulah. — Il fatto è che io adesso sono tutta agitata perché papà cercherà di impormi il matrimonio con chissà quale seccatore per farmi diventare una di quelle mogli anonime, non interessanti, che ricamano oggettini inutili e dipingono acquerelli sui quali nessuno vuole posare lo sguardo. — Grazie. — Emily le sorrise. Tallulah arrossì violentemente. — Oh, Dio! Come mi spiace! Che cosa imperdonabile da dire! Ma non la intendevo in quel senso! Emily batté lievemente le palpebre di fronte a una bugia così smaccata ma disse con molta franchezza: — Invece, sì. Ma non mi sento di criticarvi. Quante sono le donne che passano la vita intera a fare cose che disprezzano! A volte io mi annoio talmente che mi viene voglia di piangere. Eppure sono sposata a un uomo politico, e in genere lui è molto interessante. Ieri sera mi annoiavo perché lui è stato così impegnato in questi ultimi tempi che l'ho visto pochissimo e non ho niente da fare che mi interessi. Mi occorre una buona causa per cui combattere. Intanto a poco a poco le guance di Tallulah stavano riprendendo il colore naturale. Però continuava a mostrarsi mortificata. Emily la prese sottobraccio e la condusse verso lo scalone per salire di
sopra e tornare nella camera da letto che l'aveva temporaneamente ospitata. — Io ho una prozia acquisita — continuò — che non si è mai annoiata un solo giorno della sua vita perché aveva sempre qualcosa di cui occuparsi... e in genere si trattava di una dura battaglia per chiarire qualche ingiustizia o lottare contro l'ignoranza. Lei non si assume nessun impegno che sia troppo facile e di conseguenza si dedica sempre a problemi che ci vuole un mucchio di tempo per risolvere — Avrebbe potuto accennare al fatto che aveva una madre la quale si era appena sposata con un attore ebreo di diciassette anni più giovane di lei, e una sorella che si era scelta come marito un uomo di una posizione sociale inferiore alla sua, un funzionario di polizia, suscitando situazioni addirittura drammatiche nelle loro esistenze e lasciandosi coinvolgere anche nei casi peggiori dei quali lui si occupava. Ma in quel preciso momento sarebbe stato privo di tatto, se non addirittura insopportabile. — Davvero? — disse Tallulah con un lampo di interesse. — E a suo marito non importa? — Veramente è morto, e quindi non conta — ammise Emily. — Se lui fosse vivo, tutto questo diventerebbe più difficile. Ma cosa mi dite piuttosto di questo Jago al quale avevate accennato? — Jago! — Tallulah scoppiò in una risata isterica, a scatti. — Lo vedete papà che mi consente di sposare il parroco di una chiesa di Whitechapel? Rischierei per finire praticamente proprietaria di due vestiti, uno addosso e l'altro al fosso, come si dice, a vivere in una stanza piena di correnti d'aria, con l'acqua fredda e un tetto dal quale entra la pioggia. Dal punto di vista sociale cesserei di esistere! — Credevo che a un parroco toccasse una casa parrocchiale — obiettò Emily, ferma in cima allo scalone, sul pianerottolo, dove il sole entrava a fiotti, con la passatoia gialla e le palme in vaso. Una piccola cameriera in cuffietta inamidata e guarnita di pizzo, come il grembiulino, attraversò il vestibolo sotto di loro, e il ticchettio dei suoi passi levò un'eco dal parquet. Forse c'erano case parrocchiali a Whitechapel, ma appartenevano comunque a un mondo tutto diverso da questo. Tallulah si morse un labbro. — Lo so anch'io! Ma dovrei rinunciare a talmente tante cose! Niente più ricevimenti. Niente più splendide toilette e conversazioni argute e spiritose come quelle di ieri sera. Niente più serate a teatro o all'opera. Niente più cene e balli e rientri a casa all'alba. Per una buona metà del tempo non farei che soffrire il freddo e la scarsità di cibo.
E magari non è escluso che mi tocchi anche lavarmi da sola la biancheria! Tutto perfettamente vero. — Volete forse cambiare Jago in qualcosa che lui non è? — le domandò Emily. — No! — E Tallulah rimase con il fiato sospeso per un attimo. — No, niente affatto. Naturalmente non... io... — Si interruppe. — Nessuno ottiene tutto — mormorò Emily. — Se quello che vi interessa in lui è la parte che si tiene saldamente stretta i propri valori, allora dovete accettare tutto ciò che questo comporta. Forse è venuto il momento di soppesare esattamente quello che significherebbe la vita con lui e la vita senza di lui, e poi decidere che cosa desiderate realmente. Ma che non siano conti fatti per difetto. È troppo importante per correre questo rischio. Potrebbe trattarsi di tutta la vostra vita. Il viso così interessante e arguto di Tallulah adesso aveva assunto un'espressione un po' strana, quasi di beffa nei propri confronti; però aveva le lacrime agli occhi. — Non occorre che io prenda nessuna decisione. Sotto questo aspetto, Jago non mi degnerebbe neanche di un'occhiata. Disprezza tutto quello che sono. Si tratta semplicemente di cercare di aiutare Finlay a venir fuori da questa storia... ma confesso di non riuscire neanche a capire come! E poi impedire a papà di costringermi a sposare una persona talmente noiosa da farmi rimbecillire. — Tirò su col naso. — Magari potrebbe farmi sposare con un vecchio, e allora... chissà che lui non muoia. A questo modo diventerei vedova, come la vostra prozia, e potrei fare tutto quello che mi pare e piace. Sotto di loro la porta della sala da pranzo si aprì di nuovo e ne uscì Finlay, il quale si avviò a passo lesto e con aria un po' concitata verso la porta d'ingresso. — Jarvis! — sbraitò. — Dove sono cappello e bastone? Ieri sera li ho lasciati qui, sull'attaccapanni. Chi li ha portati via? Un domestico si materializzò, con aria debitamente piena di deferenza. — Il vostro bastone è là, signore. Quanto al cappello, l'ho preso io per spazzolarlo. — Oh, grazie. — Finlay allungò la mano verso il bastone. — Bene, andatemi a prendere il cappello, Jarvis. E si può sapere, a ogni modo, per quale motivo l'avete portato via? Non ho bisogno che mi venga spazzolato ogni volta che lo metto. — Disgraziatamente un uccello... — cominciò Jarvis.
Tallulah sorrise a dispetto di se stessa e prese Emily per il braccio per ricondurla nella camera da letto, in modo da provvedere, com'era necessario, a fare un pacco del suo vestito in modo che lei potesse portarlo via con sé tornando a casa. Emily si congedò, poi rientrò a casa a bordo della seconda carrozza dei FitzJames, in quanto Augustus aveva preso la prima. I suoi pensieri erano tutti concentrati sui problemi di Tallulah. Possibile che Finlay fosse colpevole? Per quale motivo avrebbe dovuto commettere un'azione simile? Cosa c'era sul suo conto che il padre sapeva o sospettava, e lo rendeva così freddo e così incerto ma, nello stesso tempo, pronto a difenderlo a spada tratta? Oppure si era sbagliata lei a leggere e interpretare le espressioni del suo viso? In fondo, aveva assistito soltanto a quel pasto. Forse si stava comportando da sciocca e dava assurdamente un'eccessiva importanza al proprio giudizio. Si domandò, ma senza una particolare curiosità, che tipo fosse Jago, visto che era riuscito a incarnare in modo talmente completo tutti i sogni di Tallulah. A giudicare da quanto aveva sentito, era esattamente l'opposto di tutto ciò a cui lei dava importanza nella sua vita, almeno in quel momento. Forse era proprio quella la spiegazione? Quindi la realtà non c'entrava, e si trattava semplicemente del fascino che poteva avere quel che era diverso. A ogni modo, indipendentemente da tutto il resto, Tallulah le piaceva, come le piacevano la sua animazione, la vivacità, la capacità di interessarsi a qualcosa o a qualcuno e il fatto che si mostrasse così piena di incertezza, senza sapere bene se lottare per la realizzazione di certi sogni per i quali correva magari il rischio di pagare un duro prezzo per tutto il resto della sua esistenza. Meritava tutto l'aiuto che Emily avrebbe potuto darle. Su questo, non occorreva prendere la minima decisione. Quando arrivò a casa, ringraziò il cocchiere dei FitzJames, scese dalla vettura e si avviò alla porta. Il maggiordomo le aprì, senza batter ciglio. — Buon giorno, Jenkins — disse Emily tranquillamente, entrando. — Buon giorno, signora — replicò lui, chiudendo la porta alle sue spalle. — Il signor Radley è nello studio, signora. — Grazie. — Gli consegnò il pacco che conteneva l'abito da sera, raccomandandogli di affidarlo alla sua cameriera personale. Poi, sentendosi un po' strana nell'abito da mattina di Tallulah, entrò a testa alta nello studio per fornire a Jack le spiegazioni necessarie.
— Buon giorno — disse Jack, gelido, quando lei aprì la porta. Era seduto alla scrivania con un mucchio di carte davanti, la penna in mano, l'espressione grave. — Ho ricevuto il tuo messaggio. Un po' incompleto. Dov'eri? Lei respirò a fondo. Si accorse di provare un certo fastidio per essere obbligata a fornirgliene un resoconto; d'altra parte aveva capito fin dal principio che sarebbe stato inevitabile. — Ho accettato di andare in carrozza a un'altra riunione e non mi sono resa conto di esserci rimasta fino a tardi. Erano persone interessanti, e poi ho incontrato qualcuno... — Non aveva ancora deciso se spiegare quello che era successo la sera prima come un bel gesto da parte sua, per essersi dimostrata disponibile ad aiutare un'amica che si era trovata nei guai, oppure come un contributo alle indagini relative al caso di cui Pitt si stava occupando al momento. Il fatto di trovarsi di fronte la faccia insoddisfatta e malcontenta di Jack non le fu di alcun aiuto. Qualsiasi cosa dicesse, sarebbe stato meglio che fosse un argomento valido, da comprovare con dati e fatti. — Sì? — la incitò lui, con gli occhi gelidi. Doveva decidere immediatamente, altrimenti sarebbe sembrata una bugia. Jack non era tanto facile da sviare, quando si impuntava su qualche cosa. Una volta si era illusa che bastasse un sorriso per distrarlo, ma aveva dovuto ricredersi. — Sono qui che aspetto, Emily... — Ho incontrato una giovane donna per la quale ho provato moltissima simpatia; era angosciata perché hanno accusato suo fratello di omicidio... è Thomas che sta facendo le indagini su quel caso. Non ho potuto lasciar correre, Jack! Ho capito che dovevo assolutamente cercare di scoprire tutto quello che era possibile in merito... non soltanto per lei, ma anche per Thomas... e per amor della verità in sé e per sé! — Ma, guarda... — Jack si lasciò andare contro la spalliera della poltrona, scrutandola con aria scettica. — E così ti sei trattenuta tutta la notte a casa sua. E questo tuo sforzo di generosità che cosa ti ha consentito di venire a sapere? Lui è colpevole? — Non essere sarcastico — ribatté Emily, acida. — Perfino io non sono capace di risolvere un omicidio mentre si sta facendo colazione. — Lo scrutò con un sorriso incerto. — Mi ci vorrà come minimo fino all'ora di cena... e magari qualcosina di più. — Mentre diceva queste parole incrociò lo sguardo di suo marito per un attimo e vide che vi affiorava un lampo di-
vertito. Allora gli voltò le spalle e uscì, richiudendo la porta dietro di sé. Nel vestibolo si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e corse in fretta di sopra a cambiarsi. 4 Mentre Emily stava parlando con Tallulah in cima alle scale e Finlay ritirava dalle mani del domestico cappello e bastone prima di uscire di casa, Pitt se ne stava seduto a bordo di un hansom in fondo a Devonshire Street con Rose Burke al fianco. Non appena la porta del numero trentotto si spalancò e Finlay venne fuori, lei si protese a occhieggiare dal finestrino, tesa dalla testa ai piedi per l'agitazione. Rimase a scrutarlo girando molto lentamente la testa per seguire le sue mosse lungo il marciapiede fino a quando scomparve dietro l'angolo di Upper Wimpole Street; soltanto allora riprese il posto di prima. — Be'? — domandò Pitt. Non sapeva cosa avrebbe voluto sentirsi dire. Se lo avesse identificato, sarebbe stato il primo di una serie di fatti particolarmente sgradevoli che a poco a poco dovevano portare a un arresto e a un'imputazione. La famiglia FitzJames avrebbe chiamato a raccolta tutte le proprie risorse per lottare e controbattere una simile possibilità. D'altra parte, se non lo avesse identificato si sarebbero ritrovati a non avere in mano nient'altro all'infuori di quel gemello da camicia e di quel distintivo, e costretti, in più, a cercare una spiegazione del perché erano lì. Rose si voltò a guardarlo. Forse si stava godendo sino in fondo quel momento di gloria. Pitt quasi quasi si aspettava di leggerglielo negli occhi. Invece vi scorse soltanto la rabbia e un odio ardente, spietato. — Certo, era lui — disse con voce stridula, fremente. — Era lui quello che ho visto entrare da Ada appena prima che la ammazzassero. Arrestatelo. Fatelo processare, così lo impiccheranno. Pitt si accorse di avere il petto stretto come da una morsa, il cuore in gola. — Sei sicura? Lei si voltò di scatto a lanciargli un'occhiataccia. — Certo che sono sicura. Volete mettervi a discutere perché lui vive in una bella casa, in una strada elegante, e ha i soldi per pagarsi ogni capriccio? — Le sue labbra si atteggiarono a una smorfia di disgusto che era molto vicino all'odio. — No, Rose, niente affatto — rispose Pitt a voce bassa. — Ma se devo dargli la caccia, voglio essere sicuro che sia ben chiaro quello che è successo. Non mi garba che un furbone di avvocato si attacchi a qualche erro-
re e ne approfitti per cavarlo dai guai. — Già... — Lei si lasciò andare di nuovo contro la spalliera del sedile, mortificata. — Già... be'... posso capirlo. Ma, stavolta, lo avete in mano. — Stavolta? — domandò lui, anche se stava provando un sottile imbarazzo perché sapeva alla perfezione quello che la donna voleva dire. — Già. In fondo, Jack non lo avete beccato, vero? — Era impettita, le spalle irrigidite sotto lo scialle. — E lui è ancora in giro, per quel che ne sappiamo, e aspetta nascosto nel vano buio di qualche porta un'altra da squartare. Be', vedete di mettere le mani su questo stramaledetto assassino, e impiccatelo prima che faccia fuori qualche altra povera disgraziata. Gli sarebbe piaciuto dirle che stavolta non si trattava di un altro serial killer, che non sarebbe mai più accaduto, che quell'orrida perversione era stata un caso unico. Ma non ne era sicuro. Anche intorno a questo omicidio aleggiava qualcosa di molto simile a una compulsione psicologica, una rabbia interiore sfuggita temporaneamente a ogni controllo. Se era successo una volta, poteva succedere di nuovo. — Non ti servirebbe a niente, Rose, se dovessimo mettere le mani sull'uomo sbagliato — disse, scrutandola in faccia. I suoi bei lineamenti, un po' rozzi, parevano incupiti dall'odio e dalla paura, ma la pelle appariva ancora liscia sugli zigomi. Non fosse stato per una certa spavalderia volgare d'espressione e per il modo in cui era vestita, sarebbe potuta passare per una qualsiasi altra gentildonna che abitasse in Devonshire Street o in quella zona di Mayfair. — Lui non è quello sbagliato — replicò Rose. — E adesso, non posso star qui tutto il giorno seduta a chiacchierare con voi. Il mio tempo lo si paga. — Tu fai pagare i tuoi servizi, Rose — la corresse lui. — E io non li voglio. A me concederai tutto il tempo che mi occorre. Adesso torno con la carrozza a Bow Street. Puoi tenerla per tornare a casa, se vuoi. — E chi la paga? — domandò subito lei. — Io — le offrì Pitt con un sorriso. — Stavolta. Puoi mettermela in conto per la prossima volta che vorrò parlarti! Pitt si protese a dare le istruzioni al vetturino quando arrivarono in Bow Street. Pitt entrò nel commissariato di Bow Street, salutò con un cenno il sergente di servizio al banco dell'ingresso e salì nel proprio ufficio. Ci trovò Tellman ad aspettarlo, un'espressione sardonica sulla faccia dalle guance incavate, gli occhi spietati.
— 'giorno, signore. Sulla sua scrivania c'è il rapporto di un certo dottor Lennox. Era venuto un quarto d'ora fa. Non ho saputo dirgli quando sareste rientrato, così non è rimasto. Aveva l'aria afflitta. Come se avesse ricevuto un invito per il proprio funerale. Si tratta di questo omicidio di Whitechapel. Immagino che il colpevole sia quel vostro bel signore distinto, vero? — Sembrerebbe di sì — ammise Pitt, allungandosi attraverso la scrivania dal piano rivestito di un bellissimo cuoio verde e afferrando il foglio di carta coperto da una calligrafia un po' inclinata, le lettere larghe, il tratto vigoroso. Tellman si strinse nelle spalle. — Sarà una brutta faccenda. — La sua voce vibrava di una certa soddisfazione anche se era un po' difficile capire se la provasse per il disagio e l'imbarazzo in cui si trovava Pitt o per la prospettiva che una famiglia come quella dei FitzJames venisse esposta a un simile oltraggio pubblico. Tellman veniva dalla gavetta e conosceva fin troppo bene l'amara realtà della fame, l'umiliazione, la consapevolezza che la vita non gli avrebbe mai offerto grandi ricompense. Pitt sedette per esaminare il referto che Lennox gli aveva lasciato. Ada McKinley era morta strangolata fra le dieci di sera e mezzanotte. Non c'erano né lividi, né contusioni o graffi a indicare che avesse lottato contro il suo aggressore. Aveva alcune dita fratturate, tre della mano sinistra, due della destra. E tre dita slogate al piede sinistro. Un'unghia della mano destra era spezzata, ma probabilmente lo si poteva spiegare con il tentativo di strapparsi la calza che le stringeva il collo. L'unico sangue sotto le unghie era quasi sicuramente quello dei graffi che si era fatta alla gola. Sull'addome si notavano le smagliature dovute alla gravidanza che aveva avuto, uno o due lividi non recenti sulle cosce e uno sulla spalla, di un color giallo verdastro, ma tutti evidentemente risalivano a prima della sera in cui era morta. A parte quello, era in discrete condizioni di salute. A quanto Lennox poteva giudicare doveva essere sui venticinque anni. C'era ben poco d'altro da dire. Pitt alzò gli occhi. Tellman stava aspettando con un'espressione tetra sulla faccia lunga e scarna. — Qui siete sempre voi al comando — disse Pitt asciutto. — Andrò a parlare con il vicecapo della polizia. — C'è abbastanza per un arresto? — Tellman domandò, guardando Pitt con occhi penetranti, una sfumatura di stupore e di sfida nella voce. — Più o meno — replicò Pitt.
— Come è difficile per voi. — Tellman osservò senza la minima simpatia. Sorrise e si voltò per avviarsi alla porta. — Immagino che farete meglio a essere sicuro. Non vorrete mandare a rotoli il processo in tribunale per aver fatto qualche sbaglio. — E se ne andò, le spalle erette e la testa alta. John Cornwallis era vicecapo della polizia da pochissimo tempo, forse soltanto da un mese o poco più. Aveva ricevuto quella nomina in sostituzione del suo predecessore, Giles Farnsworth, il cui posto era rimasto vacante in seguito al suo drammatico allontanamento alla conclusione del caso di Arthur Desmond. Era un uomo di altezza media, magro e asciutto, con le spalle larghe. Si muoveva con eleganza. Non era bello. Aveva le sopracciglia forti, ben delineate. Il naso era troppo grosso, la bocca troppo larga e sottile, ma aveva una presenza che incuteva rispetto, un comportamento calmo ed equilibrato che rivelava anche la sicurezza interiore, la fiducia di sé. Quasi non ci si accorgeva che era praticamente calvo. — Buon giorno, signore — disse Pitt mentre richiudeva la porta del suo ufficio e veniva avanti. Era soltanto la seconda volta che si trovava in quella stanza dal giorno in cui vi aveva lottato, in un drammatico corpo a corpo, con Farnsworth. Nel complesso, non era cambiato niente: c'erano le alte finestre che guardavano a sud, la larga scrivania di mogano lucente, le poltrone. Eppure rivelava lo stampo di una personalità ben diversa. Non si sentiva più il lieve profumo dei sigari di Farnsworth, sostituito da un odore di cuoio e di cera d'api, e da un altro, indefinibile, vagamente aromatico. Forse proveniva dalla scatola in legno di cedro intagliato che si trovava su un tavolino basso. Quella era nuova. Come erano nuovi anche il cannocchiale in ottone e il sestante appesi a una parete. Cornwallis era in piedi come se fosse stato intento a guardare fuori dalla finestra. Era in attesa di Pitt, al quale aveva fissato un appuntamento. — Buon giorno. Accomodatevi. — Cornwallis indicò con un vago gesto le poltrone ampie, accoglienti, l'una di fronte all'altra. La luce del sole creava una chiazza luminosa sul tappeto decorato con un motivo rosso. — Ho paura che questa faccenda di Pentecost Alley stia diventando molto pesante. È stato lui? La vostra opinione... — Rose Burke l'ha identificato — replicò Pitt. — La prova è solida. Cornwallis si lasciò sfuggire una specie di grugnito mettendosi a sedere. Anche Pitt si accomodò in poltrona. — Ma non conclusiva? — domandò Cornwallis scrutando in faccia Pitt.
Non gli era sfuggita una traccia di esitazione nella sua voce e preferiva approfondire la questione. Pitt non sapeva bene che cosa pensare. Aveva continuato a rifletterci dal momento in cui aveva congedato Rose. Lei sembrava sicura, al cento per cento, senza ombra di dubbio. — La prova regge quasi alla perfezione — rispose. — Finora non ci sono indizi che ci facciano orientare su qualcun altro. — E allora perché esitate? — Cornwallis aggrottò le sopracciglia. Non conosceva Pitt se non di fama. Stava cercando di valutare i suoi giudizi, di capire che cosa lo tratteneva dal prendere una decisione. — Lasciamo perdere l'orrore della faccenda. Se lui è colpevole, avrete tutto il mio appoggio. Me ne infischio di chi può essere figlio. Pitt scrutò quel viso dall'espressione intensa, schietto e innocente, e si rese conto che era la verità. In lui non ritrovava niente dell'ambiguità di Farnsworth, niente di quei tentativi di sottrarsi a un dovere unicamente per salvaguardare il proprio interesse. Ma non si poteva escludere, invece, che mancasse totalmente di diplomazia o dell'abilità di persuadere e convincere chi aveva in mano il potere. Proprio perché era ambizioso e capace di mentire, Farnsworth comprendeva facilmente gli altri che avevano la sua stessa natura. Cornwallis avrebbe potuto essere raggirato e indotto a imboccare una falsa strada con molta maggiore facilità. — Grazie — disse, ed era sincero. — Si potrebbe arrivare anche a quello, ma non ne sono ancora del tutto convinto. — La ragazza lo ha identificato — gli fece rilevare Cornwallis, sporgendosi un poco verso di lui dalla poltrona dov'era seduto. — Che cosa vi preoccupa? Pensate che una giuria possa rifiutarsi di crederle proprio perché lei è quella che è? — È possibile — ammise Pitt, pensieroso. — Mi preoccupa di più che lei possa essere eccessivamente smaniosa di far catturare un uomo per la rabbia e la paura; e quindi, proprio per questi motivi, sia pronta a identificare chiunque. Whitechapel non ha dimenticato lo Squartatore. Due anni non sono lunghi. I ricordi non si cancellano troppo facilmente soprattutto per le donne che fanno il suo mestiere. Potrebbe aver conosciuto Liz la Spilungona o Mary Kelly, o una qualsiasi delle altre vittime. — E il distintivo che avete trovato? — insisteva Cornwallis. — Lei, quello non se lo è certo immaginato. — No — ammise Pitt, sia pure un po' riluttante. — Ma è possibile che qualcun altro ce l'abbia lasciato o che sia stato lui stesso a smarrirlo qual-
che altra volta, prima. Sono d'accordo, è poco probabile, però è quello che lui sostiene... che non lo aveva più da anni, come il gemello da camicia. — E voi gli credete? — Cornwallis alzò le sopracciglia, sgranando gli occhi. — No. Mente. Ma non è impaurito come mi sarei aspettato. — Pitt, parlando, stava cercando di analizzare le proprie impressioni. — C'è qualcosa che ancora non so, qualcosa di importante. Vorrei approfondire un po' le indagini prima di arrestarlo. Cornwallis si lasciò andare di colpo contro la spalliera della poltrona. — Naturalmente le pressioni saranno notevoli — lo informò. — Sono già cominciate. Stamattina, mezz'ora fa, ho ricevuto un funzionario del ministero degli Interni. Mi ha avvertito di stare in guardia e di non commettere errori, soprattutto perché occupo da poco questo posto e non ho una grande conoscenza della situazione. — Strinse le labbra mentre i suoi occhi venivano illuminati da un lampo di collera. — So cogliere una minaccia quando la sento arrivare, come certi suoni che provengono dall'establishment quando stringe i ranghi per proteggere uno dei suoi. — Strinse di nuovo le labbra. — Cosa sapete sul conto di Finlay FitzJames, Pitt? Che sorta di giovanotto sarebbe? Non voglio lanciare accuse e poi scoprire che è il modello di ogni virtù. Forse ci occorre qualcosa di più di una prova indiziaria della sua presenza sulla scena del delitto. Non è affiorata nemmeno l'ombra di un movente, salvo quello che potrebbe essere il vizio segreto di un uomo debole e violento? — No — rispose Pitt in tono pacato. — E se è FitzJames, non penso che troveremo mai niente. Se ha mai abusato di una donna già prima oppure si è concesso qualche piccolo sadismo, la famiglia farà di tutto per assicurarsi che adesso non ne esista più la minima prova. Chiunque sapesse qualcosa sarà stato pagato profumatamente o costretto a tacere con qualche altro mezzo. Cornwallis si mise a fissare il camino vuoto e spento, in fondo alla stanza, con le sopracciglia aggrottate, assorto nelle proprie meditazioni. — Avete ragione — finì per ammettere. — Chiunque vi fosse stato coinvolto, chiunque ne fosse stato al corrente farebbe parte del suo stesso ambiente, e quindi non sarebbe disposto a tradire lui per favorire noi. — Si voltò di scatto a osservare Pitt. — Che cosa ne pensate di suo padre? Lui è convinto che sia innocente? Pitt aspettò un momento prima di rispondere mentre ricordava la faccia di Augustus, la sua voce e la rapidità con cui aveva assunto il pieno con-
trollo della situazione durante il loro colloquio. — Non ne sono sicuro. Non penso che sia convinto della sua innocenza. O quello, oppure non ha la minima fiducia in noialtri ed è persuaso che possiamo raccontare fandonie o interpretare in modo sbagliato le prove. — Ecco una cosa che mi sorprende — ammise Cornwallis. — Lui è un uomo che si è fatto da sé, però ha un grande rispetto per l'establishment. Dovrebbe averlo. Non solo, ma ha anche molti amici che occupano posti di spicco nella classe dirigente. Ho sentito dire che si aspetta da Finlay che riesca a conquistare posizioni e incarichi d'alto grado, magari addirittura diventare primo ministro, un giorno. Vorrà che il suo nome esca da questa storia totalmente pulito e immune anche dal più piccolo sospetto. Se invece le cose volgessero a suo sfavore, sarà il crollo dei suoi sogni. Quella che vi è sembrata di cogliere in lui potrebbe essere semplicemente paura. — Oppure la volontà di proteggere il figlio a ogni costo — gli fece rilevare Pitt. — Magari potrebbe considerare la morte di una prostituta londinese niente di più di uno spiacevole incidente in una vita che, per tutto il resto, è ben pianificata. Non so. Dite che ha amicizie potenti? L'espressione di Cornwallis si fece più attenta. — Pensate che potrebbe avere anche nemici potenti? Pitt sospirò. — Finlay? No. Secondo me è un giovanotto arrogante che si prende il suo piacere ovunque lo trovi e gli faccia comodo — rispose. — Una sera, nella sua smania di sentirsi potente e di avere il pieno controllo sugli altri, ha caricato un po' la dose e si è ritrovato ad aver ucciso una prostituta. Poi si è accorto di quello che aveva fatto, è stato colto dal panico e se l'è squagliata. Penso che non sia spaventato come dovrebbe perché immagina che suo padre, in un modo o nell'altro, riuscirà a cavarlo da questo guaio in quanto vuole vedere realizzati comunque i suoi sogni. — La sua voce si fece più dura. — Non prova il senso di colpa che dovrebbe provare perché praticamente non considera Ada McKinley alla stessa stregua, della stessa razza di se stesso. Un po' come investire e schiacciare un cane. È una cosa spiacevole. Nessuno la farebbe di proposito. D'altra parte nessuno sarebbe anche disposto a permettere che un fatto del genere gli rovini tutta la vita. Cornwallis rimase immobile per qualche istante, il viso assorto, segnato da una vaga tristezza. — Probabilmente avete ragione — disse infine. — Ma, mio Dio, se lo accusiamo, faremo meglio a essere ben sicuri di avere in mano le prove necessarie. C'è altro di cui dovrei essere messo al corrente?
— Nossignore, non ancora. — E Pitt scosse il capo. — Dove avete intenzione di andare adesso? — Vorrei tornare in Pentecost Alley. Se le prove si dimostrano ancora solide e convincenti e ci può essere una lieve speranza di scoprire qualcosa di nuovo, allora comincerò a indagare sul passato e sul carattere di Finlay FitzJames. Ma non voglio farlo fino a quando non ci sarò proprio costretto. Perché è inevitabile che lui lo venga a sapere. Cornwallis ebbe un pallido sorriso. — Se lo sta già aspettando, e ha cominciato a prendere le misure necessarie. — Vi ringrazio di avermi avvertito, signore. Starò attento. Anche Cornwallis si alzò e gli tese la mano. Fu un gesto spontaneo, e Pitt lo trovò particolarmente simpatico. La afferrò e la strinse forte per un attimo, poi girò sui tacchi e se ne andò. Ma si sentì un po' più rincuorato. Ewart si trovava già nella casa di Pentecost Alley. Alla luce del giorno aveva l'aria stanca e turbata. Un po' stempiato e già con qualche filo grigio fra i capelli, aveva gli abiti spiegazzati come se gli fossero mancati il tempo o l'interesse per il proprio aspetto esteriore. — Niente di nuovo? — gli domandò Pitt mentre lo raggiungeva sui gradini all'ingresso. — No. Ve lo aspettavate, per caso? — Ewart si tirò indietro perché Pitt salisse per primo. — Rose Burke ha identificato FitzJames — disse Pitt mentre raggiungeva il pianerottolo. Faceva caldo, e l'aria viziata odorava di cibo non più fresco e di biancheria sudicia. Ewart stava salendo dietro di lui in silenzio. — Lo arresterete sulla base di quella identificazione? — disse quando ebbero varcato la porta. La sua voce era contratta, un po' rauca, come se fosse sfiatato. — Non dovreste. Poco probabile che una giuria sia disposta a crederle quando c'è di mezzo un uomo come FitzJames. Pitt si voltò a guardarlo in faccia. Nella luce più tenue del corridoio lo si notava con maggior difficoltà, ma era impossibile non accorgersi del tremore ansioso che lo dominava. Sembrava quasi in preda al panico. — Lo credete colpevole? — gli domandò con finta indifferenza. Ewart lo guardò sgranando gli occhi. — Non è questo il punto. Cosa posso pensare io non ha importanza... Si udì un tonfo come se qualcuno avesse chiuso violentemente una porta in fondo al corridoio e, dietro di loro, nella strada, un carrettiere si mise a
imprecare contro qualcuno che gli impediva di passare. — Non per me... — disse Pitt tranquillamente. — Come? — Ewart sembrò sconcertato. — Non è senza importanza per me — ripeté Pitt. — Oh... — Ewart sbuffò energicamente. — Be', non lo so. Io mi accontento di andare avanti badando ai fatti. Finora sembra che sia stato lui, però non abbiamo ancora in mano abbastanza prove. Cioè, mi spiego... per quale motivo avrebbe dovuto farlo? Molto più probabile che si tratti di qualcuno che lei conosceva e frequentava. — La sua voce, mentre parlava, a poco a poco si faceva più sicura, più convinta. — Dovete considerare la vita di una donna come quella. Avrebbe potuto farsi ogni genere di nemici. Ci hanno detto che era avida. Aveva cambiato protettore, lo sapevate? E poi si dovrebbe guardare un po' più a fondo nella questione dei soldi, di quel che possedeva. Per esempio, di chi è questa casa? Tutto verissimo, eppure a Pitt sembrava non pertinente al loro caso. D'accordo, le prostitute venivano uccise per una varietà di motivi, e in gran parte questi avevano a che vedere con i soldi, in un modo o nell'altro, ma le dita delle mani e dei piedi fratturati, l'acqua di cui era bagnata, e gli stivaletti con i bottoncini allacciati a quel modo non rientravano, solitamente, in quel tipo di omicidio. Possibile che Ewart, questo, non lo sapesse bene quanto lo sapeva lui? — Già, di chi è? — domandò ad alta voce. — Di una donna che si chiama Sarah Barrows — rispose Ewart con soddisfazione. — Ed è la proprietaria anche di tre altre case più a ovest. Questa è semplicemente affittata a donne che fanno il mestiere che sappiamo, ma almeno due delle altre sono gestite come bordelli veri e propri. Dà a nolo i vestiti non soltanto a quelle che lavorano per lei, ma anche ad altre, che vengono da fuori. Le donne che ci sono qui lo negano, ma non è questo il punto. Ada non lavorava soltanto limitandosi a questa zona. Come parecchie altre, sapete? Abitano in un posto ma si servono anche di camere pagate uno scellino l'ora nei quartieri alti, per esempio nella zona di Haymarket e Leicester Square. Avrebbe potuto squagliarsela di là, con il vestito, i soldi e tutto. — E il padrone di casa l'avrebbe seguita qui per strangolarla? — disse Pitt incredulo. — Perché no? — ritorse Ewart. — Qualcuno l'ha seguita da qualche posto e l'ha strangolata. Cos'è più probabile: un protettore che ha truffato o un cliente, un gentiluomo, come FitzJames? Lo domando a voi!
— Proviamo a mettere le cose in un modo un po' differente — rispose Pitt, che continuava a parlare a voce bassa. — Qual è la più probabile di queste due soluzioni: che usasse altre stanze e imbrogliasse quel padrone di casa, che poi l'ha seguita... e posso assicurarvi che i proprietari di bordelli hanno le persone adatte, che assumono apposta per questo, cioè per far seguire le ragazze... anche se capita più di frequente che si tratti di una prostituta, che ormai ha superato l'epoca in cui batteva la strada, e non di un giovanotto muscoloso. Una delle donne uscì da una porta alla loro sinistra e li guardò curiosamente per un momento, poi li oltrepassò scomparendo dietro l'angolo in fondo al corridoio. — Ma ammettiamo pure che si sia portata via un vestito — continuò lui. — E i suoi guadagni. E che sia tornata qui. E sia stata seguita. Quest'uomo, invece di accontentarsi di un avvertimento, le porta via i soldi e il vestito, forse la malmena anche un po' per darle una lezione, le frattura qualche dito delle mani e dei piedi... — Si accorse che Ewart trasaliva e lesse il disgusto sulla sua faccia, ma lo ignorò. — Le toglie una calza e se ne serve per strangolarla — continuò. — Le lega la giarrettiera intorno al braccio e poi, dopo che lei è morta, allaccia i bottoncini di uno dei suoi stivaletti con le asole dell'altro, le scaraventa addosso una brocca di acqua gelida e se ne va? Ewart aprì la bocca per protestare ma era troppo disgustato e confuso per trovare le parole adatte. — Oppure, in alternativa — insinuò Pitt — un cliente fa queste cose perché si tratta di un feticista che si comporta sempre in questo modo particolare. Gli piace la minaccia, gli piace provocare un po' di paura o di dolore. È quello che lo eccita. Ma stavolta esagera, e la ragazza muore sul serio. Lui si lascia prendere dal panico e scappa. Cosa ne pensate? Il viso di Ewart era cupo; nei suoi occhi scuri si leggeva un guizzo di inequivocabile paura. Il corridoio era torrido, l'aria puzzava di chiuso. La sua pelle era coperta di sudore, come quella di Pitt. — Io penso che dobbiamo stare maledettamente attenti a non fare uno sbaglio — esclamò rauco. — FitzJames non negherà di essere stato qui qualche volta se si dovesse arrivare a metterlo di fronte a una possibilità del genere. Ci penserà il suo avvocato a consigliarlo in tal senso. Quanti sono gli uomini rispettabili che si servono delle prostitute! Lo sappiamo tutti. Non potete aspettarvi che un giovanotto cerchi di reprimere quelle che sono esigenze fisiche naturalissime per tutta la sua giovinezza perché
potrebbe non essere in grado di permettersi un buon matrimonio fino ai trent'anni o magari anche più. Meglio che non se ne parli, d'accordo, ma se noi lo costringessimo a confessarlo e a uscire allo scoperto, nessuno si meraviglierà più di tanto ma, piuttosto, ci sarà una levata di scudi generale contro di noi soltanto perché abbiamo aVuto il cattivo gusto di parlarne. — Sospirò profondamente e si passò il dorso della mano sulla fronte. Il carrettiere, fuori, continuava a sbraitare. — Affermerà di essere stato qui, ma non quella sera. Lei deve avergli rubato il distintivo. Non sarà di sicuro il primo uomo al quale è stato rubato un grazioso gingillo in un bordello. Buon Dio, signore, c'è stato un tempo in cui esistevano posti in Bluegate Fields e Saint Giles dove un uomo poteva considerarsi fortunato se riusciva a svignarsela tutto intero, sano e salvo! — Fece un gesto brusco col braccio. — Li ho visti correr via senza la camicia o i pantaloni, nudi come vermi e letteralmente fuori di testa tanto erano terrorizzati. Coperti di lividi e cicatrici. — Non sarebbe neanche il primo che torna indietro inferocito a picchiare di santa ragione chi lo ha derubato — gli fece notare Pitt. — Non credo che gli darebbero un buon consiglio persuadendolo a sostenere questa versione dei fatti. — Ma in questo caso non c'è stata lotta, non si sono accapigliati — obiettò Ewart sorridendo all'improvviso. — Lo ha detto Lennox, e lo abbiamo visto con i nostri occhi. — Il che dimostra... cosa? Ewart lo guardò stupefatto. — Che... che l'ha colta di sorpresa, naturalmente! Si trattava di qualcuno che lei conosceva, e non ne aveva paura. — Non di un cliente al quale aveva appena rubato qualcosa. Ewart stava perdendo la pazienza. — Non so che cosa possa dimostrare questo, salvo che abbiamo ancora una lunga strada da percorrere. — Gli girò le spalle e appoggiò la mano alla porta della camera di Ada che si aprì. Pitt lo seguì nell'interno. Tutto si trovava esattamente come quando ci erano entrati la prima volta, all'infuori del fatto che, adesso, il corpo di Ada non era più lì. La finestra era chiusa, il caldo opprimente. — L'ho frugata da cima a fondo — disse Ewart con voce venata di stanchezza. — Qui non c'è niente eccetto quello che chiunque di noi si aspetterebbe, né più né meno. Non ci dice niente sul conto della ragazza. Neanche una lettera. Se aveva qualcuno, o non si scrivevano oppure lei non le conservava.
Pitt si era fermato in mezzo alla camera. — Probabilmente non potevano scrivere — disse con tristezza. — Molta gente non sa scrivere. E non esiste alcun mezzo per tenere i contatti. Niente disegni, quadretti? — Ma anche quella era una speranza piuttosto tenue. Persone come Ada avevano troppo pochi soldi per le fotografie o i ritratti. — No. — Ewart scrollò la testa. — Oh, c'è uno schizzo a matita di una donna, ma si tratta di una cosetta piuttosto rozza. Potrebbe trattarsi di chiunque. Sopra, non c'è scritto niente. — Si avvicinò alla cassettiera per tirar fuori un astuccio dove quello schizzo a matita era conservato con qualche fazzoletto, qualche spilla e un pettine. Lo consegnò a Pitt. Pitt esaminò il foglio di carta. Era accartocciato lungo i bordi, e in un angolo portava il segno di una piccola bruciatura. Il disegno era semplice, come Ewart aveva detto; raffigurava una donna sulla trentina con un viso gentile, sulle labbra un mezzo sorriso, i capelli raccolti in una crocchia sulla testa. Il tratto era abbastanza garbato, ma si trattava soltanto di un semplice abbozzo. Eseguito, evidentemente, in pochi minuti da una mano inesperta. Forse era la madre di Ada... tutto quello che possedeva del suo passato, di un tempo e di un luogo che erano stati una parte di lei. Improvvisamente si sentì travolgere da un'ondata di collera che gli chiuse la gola, soffocandolo, mentre pensava che avrebbe provato un gusto matto a picchiare Finlay FitzJames, a coprirlo di botte, a lasciarlo pieno di lividi, che fosse stato lui ad ammazzare Ada o no, unicamente perché se ne infischiava nel modo più totale di ogni cosa. — Signore? — La voce di Ewart si insinuò nelle sue riflessioni. — Sì? — disse, alzando di scatto la testa. — Ho già provato a domandare un po' in giro e sono venuto a sapere un mucchio di cose sulla sua vita e il genere di clienti che aveva, dove andava con regolarità, se può aver offeso o dato fastidio a qualcuno. È sempre possibile, come ben sapete, che gli stivaletti e la giarrettiera fossero oggetti che il suo ultimo cliente aveva portato con sé, e non abbiano necessariamente qualcosa a che fare con chi, invece, è stato il suo assassino. — Davvero! — domandò Pitt. — E cosa avete scoperto? Ewart adesso sembrava profondamente infelice. Aveva la faccia aggrottata, lucida di sudore. — Era una sfrontata. Un po' troppa sfacciataggine per il suo stesso bene — gli rispose lentamente. — Aveva cambiato protettore solo poco tempo fa. Si era liberata di quello vecchio, trovandone uno nuovo. Ecco, lui potrebbe non averlo affatto gradito. In fondo, la ragazza gli rendeva benino.
E poi non si può neanche escludere che avesse un interesse personale nei suoi confronti. Non è impossibile. Lei era molto bella. — Che tipo era il protettore? — domandò Pitt, cercando di reprimere il barlume di speranza che gli stava nascendo nel cuore. Ewart evitò di guardarlo. — Magrolino — rispose. — Bruno... — e non concluse la frase; il protettore non assomigliava neanche alla lontana all'uomo che Rose Burke e Nan Sullivan avevano descritto. Non aveva senso discutere ulteriormente di quell'argomento. D'altra parte loro dovevano cercare di sapere tutto il possibile sulla vita di Ada, e poi anche su quella di Finlay FitzJames. — Be', farete meglio a informarvi sul nuovo protettore — disse Pitt stancamente. — Io parlerò di nuovo con queste donne. A dir la verità, Pitt fece una considerevole fatica a cercare di svegliarle, ma un quarto d'ora dopo se ne stava seduto in cucina su una seggiola di legno con lo schienale rigido, in compagnia di Nan Sullivan, che appariva esausta, trasandata, con la faccia arrossata e lo sguardo annebbiato. Ogni volta che lui cambiava posizione, la sedia scricchiolava, dondolava e minacciava di rovesciarsi. A Nan, Pitt chiese di riferirgli ancora tutto quello che ricordava della sera in cui Ada era stata ammazzata. Non che si aspettasse qualche nuova prova; voleva soltanto valutare l'impressione che avrebbe potuto fare su una giuria e cercare di capire se qualcuno sarebbe stato disposto a credere a lei invece che a Finlay FitzJames. Nan lo fissò battendo le palpebre, senza riuscire a metterlo completamente a fuoco. — Descrivimi l'uomo che hai visto mentre entrava nella camera di Ada — la incitò Pitt, sistemandosi meglio, e un po' più solidamente, sulla seggiola. Un paio di mosche ronzavano pigramente volteggiando intorno alla finestra. C'erano due secchi coperti da uno straccio. Probabilmente pieni d'acqua. — Quel tipo era biondo — gli rispose Nan. — Capelli biondi, e tanti. E un bel soprabito, ecco tutto quello che posso dire di sicuro. — Girò la testa dall'altra parte sfuggendo lo sguardo di Pitt. — Non lo riconoscerei, a rivederlo. L'ho visto solo di schiena. Il soprabito sembrava un bel capo, costoso. So distinguere anch'io la roba bella. — Si morse un labbro e i suoi occhi si colmarono di lacrime. — Dopo che il mio uomo è morto, lavoravo in un laboratorio di confezioni. Si facevano soprabiti e giacche. Ma non si possono mantenere due bambine piccole con quello che ti pagano. Lavoravo tutto il giorno e buona parte della notte, proprio così, ma riuscivo a met-
tere insieme soltanto sei scellini la settimana. E si va poco lontano con quei soldi, sapete? Avrei potuto conservare la mia virtù e mandare la più piccola a balia, in uno di quei posti che conoscete anche voi, ma so cosa succede ai poverini che ci finiscono. Li vendono, ecco quello che fanno, e lo sa la Santa Madre di Dio a chi li vendono! Oppure se sono un po' malatini li lasciano morire, povere anime! Li lasciano morire di fame, proprio così. Pitt non disse niente. Sapeva come fosse tutto vero quello che lei gli stava dicendo. Sapeva quale fosse il salario che veniva pagato in uno di questi laboratori in cui si sfruttavano le lavoranti e aveva visto i posti in cui venivano tenuti a balia i bambini. In tutto il resto della casa c'era un gran silenzio. Le altre donne erano fuori o dormivano. Dalla strada giunse un rumore lontano di ruote, lo scalpitare di zoccoli di cavalli sul lastricato di pietra, il richiamo di una voce maschile. Il laboratorio di confezioni, che si trovava proprio di fronte, lavorava a pieno ritmo, con tutte le donne a testa china sull'ago. Avevano già alle spalle cinque ore della loro giornata di lavoro. — Oppure avrei potuto finire all'ospizio dei poveri — continuò Nan lentamente. — Ma allora mi avrebbero portato via le bambine. E quello non lo sopportavo. Invece, a battere il marciapiede potevo far mangiare tutti. — Cosa è successo alle tue bambine? — le domandò Pitt gentilmente, e subito si pentì di quella domanda. Avrebbe preferito non essere costretto a saperne di più sulla sua tragedia, e a provar compassione. Lei sorrise alzando gli occhi a fissarlo. — Sono cresciute — gli rispose. — Mary è andata a servizio e se la cava proprio bene. Bridget si è sposata con un macellaio dalle parti di Camden. Pitt non domandò nient'altro. Poteva immaginare facilmente che cosa facessero le due ragazze per conservarsi il dono prezioso che la madre aveva offerto loro. Di tanto in tanto avrebbero pensato a lei, forse sarebbero perfino riuscite a immaginare che cosa era costato il loro benessere, ma niente le avrebbe fatte tornare in Pentecost Alley. Probabilmente era meglio così. Nan poteva immaginare la loro felicità, e le due figlie conservare nel cuore soltanto i primi ricordi di lei, quando non era ancora stanca, sciupata, sciatta, segnata dalla vita che aveva fatto. — Molto bene — disse, e la sua voce vibrò di sincerità. Poi si tirò su per accomodarsi meglio sulla seggiola che ondeggiò pericolosamente sotto di lui. — La creatura di Ada è morta, poverina. — Nan non disse se la sua
compassione era per il povero bambino morto o per Ada stessa. — Vi direi chi è stato se lo sapessi, signore, ma non lo so. A ogni modo... — e alzò le spalle floride — ...come diceva il signor Ewart, chi volete che sia disposto a credere proprio a me? Pitt provò di nuovo un altro impeto di collera. — Ha detto proprio così il signor Ewart? — Le parole non erano quelle, ma si è spiegato lo stesso. E ha ragione, vero? — Be', dipende da parecchie cose — fece Pitt, evitando di risponderle direttamente. Poteva dirle la verità ma lei non lo avrebbe certo ringraziato. — A ogni modo, se non sei sicura, non ha importanza. Raccontami ancora qualcosa di Ada. Se non è stato FitzJames, chi può averla ammazzata, secondo te? Nan rimase in silenzio talmente a lungo che Pitt finì per convincersi che non gli avrebbe risposto. Le mosche continuarono a ronzare urtando contro il vetro. Si sentì bussare tempestosamente su una porta a uno dei piani superiori e, lungo il corridoio, qualcuno bestemmiò. Alla fine lei si decise a parlare. — Ecco, non fosse per gli stivaletti tutti abbottonati a quel modo, avrei detto Costigan, il suo nuovo protettore. Gran brutto tipo, quello lì, e io non mi sbaglio. Niente male, come tipo. — Ma lo disse con un tono che suonava come una condanna. — Crede che ogni donna gli corra dietro. Un carattere che sembra una trappola per topi. Tutto formaggio un momento, e poi ti taglia via le gambe. — Alzò le spalle. — È un vigliacco. Una razza che conosco, quella lì! Nel momento in cui l'ha vista morta, se è stato lui, ha pensato soltanto a svignarsela, con una paura matta. Non si sarebbe mai fermato ad allacciare a quel modo gli stivaletti e a metterle la giarrettiera attorno al braccio. — Fissò Pitt con occhi vacui. — Così penso che sia stato il cliente, FitzJames o qualcun altro. Non aveva accennato alle dita fratturate delle mani e dei piedi, ma fino a quel momento non ne sapeva niente. — Forse è stato il cliente a fare quei giochetti con gli stivaletti e la giarrettiera? — insinuò Pitt. — E poi è arrivato Costigan prima che lei avesse il tempo di mettere di nuovo tutto a posto? — L'idea non era sbagliata. Nan scrollò la testa. — Rosie o io lo avremmo visto, se ce ne fossero stati due. O Agnes. Si può pensare che nessuno veda chi va e viene in queste camere, ma non è così. Noi stiamo attente. Ci controlliamo l'una con l'altra. Bisogna farlo. Di solito è la vecchia Madge che sorveglia. Non si può mai sapere quello che
viene in mente di fare a un cliente. Qualcuno ha alzato un po' troppo il gomito e diventa pericoloso. Qualcuno chiede certe cose che una persona con il cervello a posto non penserebbe neanche! — Batté le palpebre e tirò su energicamente col naso, asciugandoselo in uno straccio. — Ecco quello che è strano. Ci sarebbe da pensare che abbia urlato, e perché no? Magari non si è neanche accorta di quello che le succedeva fino a quando non si è trovata la calza intorno alla gola, poveraccia. — Da quanto mi dici non sembrerebbe che sia stato un cliente che veniva da lei per la prima volta — obiettò Pitt. — Ma piuttosto uno che lei aveva già avuto prima, e quindi si aspettava che facesse qualcosa di strano, più o meno di quel genere. E Costigan? Era il suo amante oltre a farle da protettore? — Si sporse verso di lei, dimenticando l'instabilità della seggiola che minacciò ancora una volta di schiantarsi sotto di lui. — Gli sarebbe piaciuto, a quello lì — disse lei arricciando le labbra. Alla sedia, non dedicò neanche uno sguardo. Ci era abituata. — Credo di no, ma anch'io non so tutto. Magari. Ma se lei ci stava, perché ammazzarla? — Non so. Grazie, Nan. Se ti ricordi altro, vieni a dirmelo... oppure parlane con il signor Ewart. — Certo, certo, lo farò di sicuro. — Rimase a osservare Pitt mentre si alzava in piedi. La seggiola tornò di nuovo dritta con un rumoroso scricchiolio. Pitt dedicò parecchie ore per risalire alla vita quotidiana di Ada e scoprire tutto il possibile, ma ben presto si accorse che non era affatto differente da quella della maggior parte delle donne che campavano battendo il marciapiede. Il loro ritmo di vita era, praticamente, sempre uguale: anche lei si alzava a metà del pomeriggio, si vestiva e consumava il pasto principale della giornata, poi scendeva in strada. Molto spesso rimaneva nella zona di Whitechapel. Di clienti ce n'erano in abbondanza. Ma a volte, se la serata era bella, soprattutto d'estate, provava a trasferirsi nelle zone che erano quelle tradizionali per trovare clienti facoltosi: Windmill Street, Haymarket, Leicester Square. Lì c'era la folla che frequentava i teatri, signore eleganti e uomini di mondo, che sfilavano in parata per le strade fianco a fianco con prostitute di ogni classe ed età, dalle cortigiane elegantissime, che fornivano le loro prestazioni a caro prezzo, a certe bambine di dieci o dodici anni che correvano dietro ai probabili clienti, tirandoli per la manica e sussurrando offerte oscene nel disperato tentativo di guadagnare anche soltanto pochi soldi. Ada era anche stata riempita di botte di tanto in tanto, solitamente dal
suo protettore di prima, un tizio di nome Wayland, un carrettiere dalla faccia arcigna e bieca, che faceva quel mestiere saltuariamente e arrotondava le entrate a volte proteggendo e a volte tiranneggiando le ragazze del quartiere di Pentecost Alley. Aveva un alloggio proprio lì di fronte e passava buona parte del suo tempo gironzolando nella zona, in modo da controllare che le ragazze non venissero molestate o maltrattate, come a volte capitava quando erano fuori. Una volta rientrate in casa, toccava a loro sapere come imporsi a qualsiasi cliente manesco, violento o disonesto. C'era la vecchia Madge, quella cui Nan aveva alluso, anche lei donna di malaffare a suo tempo, che aveva una camera sul retro della casa e arrivava di corsa, subito, se una delle altre si metteva a urlare. Era debole di vista ma con un udito eccellente e sapeva manovrare con precisione il mattarello, caricandolo, in più, di tutto il peso del quintale di ciccia che si portava addosso. In varie occasioni aveva rischiato di mandare all'altro mondo qualche cliente che aveva fatto richieste irragionevoli. Ma come qualsiasi altra, perfino come Agnes che occupava la camera vicina, anche lei non aveva sentito provenire neanche un sospiro da quella di Ada, la sera della sua morte. Wayland aveva un alibi, fornito da uno dei suoi recenti acquisti, una ragazza di diciott'anni, bruttina di faccia ma, con un corpo magnifico, che portava a tutti e due cospicui introiti. Non solo, ma come Ewart aveva ammesso, non assomigliava per niente all'uomo che Nan e Rose avevano descritto. Era mingherlino, esile, con capelli neri e lisci che sembravano righe di pittura nera disegnate accuratamente sul cranio dalla forma stretta e allungata. Ada non era tipo da serbare rancore. Pitt aveva saputo dei suoi gesti impulsivi di gentilezza: la facilità con cui prestava i propri vestiti alle compagne; il dono di una sterlina se erano in difficoltà finanziarie, un elogio, in qualche occasione, quando magari non era affatto meritato. Aveva assistito per tutta la notte la vecchia Madge durante una delle sue malattie, correndo a prenderle quello che era necessario, lavandola dalla testa ai piedi con acqua calda e pulita, e vuotandole il secchio dei rifiuti quando avrebbe potuto esser fuori a guadagnare. E di nuovo seduto in quella cucina, sempre sulla stessa seggiola traballante, Pitt, mentre osservava la faccia sciupata di Madge, pensò che se avessero scoperto chi aveva assassinato Ada, costui si sarebbe sicuramente trovato meglio nelle mani della legge piuttosto che abbandonato alla vendetta privata della donna. — E come mi stava dietro Ada, sì, proprio lei, come mi curava bene —
disse quest'ultima, fissando intensamente Pitt. — Avrei dovuto sentirla! Perché non ha gridato, perché non ha chiamato, allora? Avrei fatto fuori quel maiale prima che si azzardasse a toccarla. Salvo per questo, non servo più a niente. — Un'espressione di dolore le fece raggrinzire le guance piene, mentre la sua voce, stranamente alta e stridula per un donnone del genere, era venata di rimorso. — Guardate un po' che cosa ho fatto per lei... niente! E dov'ero quando aveva bisogno di me? Qui, più addormentata che sveglia di sicuro. Vecchia baldracca inutile! — Lei non ha gridato — le fece osservare Pitt tranquillamente. — E, in ogni caso, è probabile che tutto si sia svolto molto in fretta. — Mi raccontate una storia — gli rispose Madge, sforzandosi di sorridere. — La vostra intenzione è buona, volete essere gentile, e ve ne rendo merito, ma mi è già capitato di vedere gente strangolata. Non è vero che si muore così in fretta. E, se non altro, avrei potuto sorprendere quel bastardo. Lo avrei finito con il mio mattarello. — E gli indicò l'arnese che si trovava su un tavolo a portata di mano. — Allora sì, che avreste potuto mandare me sulla forca per quello che avevo fatto! E io ci sarei andata tutta allegra. — Non ti avrei fatto impiccare per quello, Madge — le disse Pitt con molta schiettezza. — Lo avrei chiamato legittima difesa e avrei guardato dall'altra parte. — Già, magari sì. Magari avreste fatto proprio questo. Ma anche se andò a cercare Albert Costigan, un tipo sfrontato sui trent'anni, il classico bellimbusto tutto in ghingheri con folti capelli castani, Pitt non venne a sapere niente che servisse a confermare o a contraddire il suo convincimento che Finlay FitzJames fosse colpevole. Pitt decise di cercar di sapere tutto quanto era possibile sul conto di Finlay stesso. Sarebbe stato difficile, e non si nascondeva di correre il pericolo di pregiudicarsi la riuscita dell'impresa proprio per il solo fatto di essersi messo in cerca di notizie più dettagliate. Ci fosse stato tempo, poteva essere quel tipo di investigazione in cui farsi aiutare da Charlotte che già in passato era stata così abile e aveva svolto quell'incarico in modo eccellente. Perché occorrevano notevoli capacità di osservazione e destrezza. Le domande più semplici e dirette non sarebbero certo state le più adatte a scoprire ciò che gli occorreva. Aveva già fatto, molto discretamente, qualche indagine nell'ambito delle forze di polizia sul conto di Finlay e non aveva scoperto nulla. Altri so-
vrintendenti, suoi colleghi, lo conoscevano solo di nome, e per di più soltanto in connessione con suo padre. Pitt aveva preso un appuntamento per andare a trovare Micah Drummond, che era stato il suo superiore diretto prima di ereditarne la carica. Drummond era andato a vivere all'estero con la sua nuova consorte, in quanto la vita mondana di Londra era diventata intollerabile alla donna dopo lo scandalo che aveva circondato la morte del suo primo marito. Così Drummond tornava in patria solo di tanto in tanto, ma fortunatamente queste indagini coincidevano proprio con una di tali occasioni. Se non altro, lui sarebbe stato onesto con Pitt e avrebbe avuto il coraggio di non tener conto delle semplici implicazioni politiche della faccenda. Forse era il caso di domandare qualcosa a Emily. Lei frequentava la migliore società e, magari, aveva sentito qualche pettegolezzo che, se non altro, poteva dirgli in quale direzione orientare le sue ricerche. Jack non sarebbe stato per niente soddisfatto che le venisse fornito anche il più piccolo incoraggiamento a immischiarsi di nuovo in faccende del genere, ma tutto quanto Pitt voleva erano delle semplici informazioni. Pensò a Helliwell e a Thirlstone. Erano gli unici che dovevano conoscere bene Finlay, ma avrebbero serrato i ranghi come già stavano cominciando a fare. Non tradire gli amici era una delle regole elementari del credo di un gentiluomo. La lealtà ne era il primo requisito. Pitt era un estraneo. Con lui non avrebbero mai parlato male di Finlay, e non aveva importanza quella che poteva essere la loro opinione privata o magari quello che ne sapevano... se poi ne sapevano veramente qualcosa. Al Foreign Office, quando ci andò, Pitt chiese di essere ricevuto dalla persona con la quale aveva fissato il primo appuntamento. Venne accompagnato ai piani superiori, e dopo aver percorso un ampio ed elegante corridoio si vide introdurre in un ufficio esterno, che dava accesso a un altro, privato, dove fu costretto ad aspettare per quasi un quarto d'ora. Alla fine un uomo di bell'aspetto, con i capelli grigi, entrò, il viso composto, l'abbigliamento impeccabile. Chiuse la porta dietro di sé. La stanza era stupenda. A una delle pareti, coperta di boiserie, era appeso il quadro di un impressionista francese, tutto un gioco di luci e di ombre. Al di là della finestra s'intravedeva un albero. — Vi prego, accomodatevi, sovrintendente Pitt. Sono molto spiacente di avervi costretto ad aspettare, ma mi avevate spiegato nella vostra lettera il motivo della visita che intendevate farmi e volevo avere pronte per voi tutte le informazioni che avreste potuto, eventualmente, trovare utili. — Fissò
Pitt con sguardo penetrante. — Mi auguro sinceramente che riuscirete a chiarire questa faccenda al più presto. È estremamente sgradevole. Pitt si accomodò come se avesse tutte le intenzioni di rimanere lì, dove si trovava, per qualche tempo. — Vi ringrazio, signor Grainger. È quello che spero anch'io. — Poi accavallò le gambe e aspettò che anche Grainger si sedesse. Questi lo imitò, ma con evidente riluttanza, e rimase appollaiato sull'orlo della seggiola. — Non so cosa posso riferirvi che abbia una certa importanza — disse aggrottando le sopracciglia. — Il signor FitzJames non ci ha mai dato la minima preoccupazione per quello che riguarda la sua vita privata. Naturalmente, prima di prenderlo in considerazione per un posto di ambasciatore, sarebbe soddisfacente se facesse un buon matrimonio. — Si strinse leggermente nelle spalle. — Ma lo farà, non c'è dubbio. È giovane... — Ha trentatré anni — gli fece rilevare Pitt. — Infatti. Una buona età per contemplare un passo del genere. Ed è un ottimo partito. Ma cos'ha a che vedere tutto questo con le vostre indagini? — Lo state prendendo in considerazione per la carica di ambasciatore? Grainger esitò, poco disposto a impegnarsi quando cominciava a intuire la possibilità che si profilasse una situazione imbarazzante. — Non è così? — concluse Pitt. — A conti fatti, non lo avete trovato assolutamente adatto? — Non ho detto questo — replicò Grainger inalberandosi. — Veramente non ho il minimo desiderio di discutere l'argomento con voi. Si tratta di una questione riservatissima. Pitt rimase imperturbabile. — Se avete pensato a lui in quel senso, signor Grainger — riprese — è chiaro che dovete aver fatto determinate indagini sulla sua vita privata. — Diede alle sue parole il tono di un'affermazione, non di una domanda. — Mi rendo conto che i risultati di tali ricerche sono riservati, ma tutto sarebbe molto più piacevole per il signor FitzJames se io potessi venire a sapere quello che mi occorre da voi, che avete eseguito le indagini per il più onorevole dei motivi, piuttosto di essere costretto a scoprirlo per conto mio, investigando su un omicidio particolarmente sordido avvenuto a Whitechapel. — Più chiaro di così non potreste essere, signor Pitt — disse Grainger mentre la sua espressione si faceva più tesa, rigida. — Sarei riluttante a vedervelo fare per l'imbarazzo che provocherebbe alla sua famiglia e per l'ombra che questo getterebbe sulla sua carriera... cose che voi, ne sono si-
curo, comprendete perfettamente, vero? — Senz'altro. Ed è il motivo per il quale sono venuto a parlarvi. — Molto bene. — Grainger cominciò rassegnandosi. — Sei o sette anni fa era un giovanotto molto inesperto e arrogante che si prendeva i suoi piaceri come e dove gli faceva più comodo. Quando era alla guida di un calesse guidava troppo in fretta. Suo padre gli aveva comprato uno splendido tiro a due, un paio di cavalli magnifici, e lui si divertiva a fare le gare con altri suoi compagni. Di frequente, e sulle strade pubbliche. — Fissò Pitt con gelidi occhi azzurri. — Ma nessuno rimase mai ferito gravemente. È un divertimento di molti giovani facoltosi. Quindi su questo punto non ci sono praticamente commenti da fare. — Accostò le mani unendole per le punte delle dita. — Giocava d'azzardo ma pagava sempre i suoi debiti... o glieli pagava il padre. In ogni caso, non lasciò mai in sospeso nessun debito di gioco, cosa molto disonorevole, né si tirò dietro uno strascico di malanimo o malintesi. E sicuramente non ha mai barato... altra cosa che, come è logico, sarebbe stata imperdonabile. — Quanto a questo, lo avevo già dato per scontato — convenne Pitt con un sorriso. — E le donne? — Ha avuto qualche flirt, naturalmente, però non ho mai sentito dire che ci fossero stati problemi. Si sarà lasciato alle spalle qualche cuore spezzato e in qualche occasione sarà rimasto deluso lui stesso. C'è stato un momento in cui il suo nome era stato fatto, o collegato, con quello di una delle figlie di Rutland, se non erro, ma poi la faccenda è finita in niente. Però non ci sono stati pettegolezzi, non ci sono state chiacchiere, niente né contro l'uno né contro l'altra. Secondo me, lei aveva semplicemente ricevuto un'offerta migliore. — Quindi, nel complesso, un giovanotto senza difetti — osservò Pitt un po' sarcastico. Grainger respirò a fondo, facendo un chiaro sforzo per non mostrare fino a che punto fosse indispettito. — No, assolutamente no. Avete già capito, signor Pitt, che non è così, altrimenti ve lo avrei semplicemente detto, chiaro e tondo, lasciandovi continuare con le vostre indagini. Frequentava parecchie case di pessima reputazione. Passava una buona parte del suo tempo ad Haymarket e nella zona circostante, e spesso alla sera era molto più ubriaco che sobrio. In qualche occasione ha dimostrato di avere gusti morbosi e un debole per tutto quanto poteva essere violento e sensazionale... cose poco desiderabili, ecco... come un'evidente indulgenza per i propri piaceri personali sulla quale era meglio passar sopra. — Fissò Pitt negli
occhi con determinazione. — Ma tutto questo è stato dimenticato, sovrintendente. E oso dire che forse anche nella vostra vita giovanile c'è stato qualche episodio che preferireste non veder più ricordato, che forse siete ben contento che vostra moglie non sappia e continui a non sapere, vero? Sì, ne sono sicuro. La stessa cosa vale anche per me. — Pronunciò queste parole come se si trattasse di un discorsetto che si era preparato in anticipo, senza ombra di umorismo. Pitt si sentì arrossire, e questo lo meravigliò. Non c'era niente nel suo passato che avesse mai dato scandalo... per quel che lo riguardava, gli era capitato soltanto di comportarsi da ragazzo maldestro e terribilmente egoista, cose che, sicuramente, avrebbe preferito lasciare ignorate da Charlotte perché avrebbero cambiato qualcosa nel giudizio che sua moglie si era fatta di lui. Possibile che, anche nel caso di Finlay FitzJames, tutto si riducesse soltanto a questo? Come se gli avesse letto nel pensiero, Grainger continuò: — Ci siamo capiti, sovrintendente? Nella vita di tutti noi ci sono vicende che il destino solitamente ci concede di seppellire con discrezione. Solo quando si manifestano altre circostanze che ci costringono a doverne rendere conto, possono tornare a galla ma, in genere, è qualcosa che tocca solamente quei pochi di noi tanto sfortunati da essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Oppure, naturalmente, che hanno dei nemici... — Non concluse la frase, lasciandola in sospeso come se volesse farla passare più per un suggerimento che per un'affermazione. Pitt ci ripensò per un momento. Era concepibile che Finlay, oppure suo padre, avessero nemici tanto astuti e privi di scrupoli da lasciare il distintivo di Finlay sulla scena di un delitto? Fissò il viso calmo e affabile di Grainger. Era un diplomatico, abituato a pensare alla morte come a qualcosa di lontano, che avveniva in altri paesi, e a un'altra sorta di persone che lui non aveva mai visto. Forse per uno come lui, abituato a trattare con uomini che in realtà erano soltanto nomi e pezzi di carta, un nemico del genere non era inimmaginabile. — Nemici disposti ad assassinare una donna per mettere in difficoltà FitzJames? — domandò con la voce che trasudava il dubbio. — Non Finlay, forse — concesse Grainger — ma suo padre. Augustus FitzJames è un uomo molto facoltoso e, in un lontano passato in cui lottava per emergere e salire più in alto nella scala sociale, è stato impetuoso e spietato. Sono d'accordo anch'io che assassinare una persona semplicemen-
te per incriminare qualcuno può sembrare una soluzione addirittura estrema, ma non è impossibile, signor Pitt, se a dettar legge sono soprattutto l'odio e l'ambizione. — Staccò le mani che teneva unite e poi riaccostò delicatamente le punte delle dita le une alle altre. — A me sembra poco probabile, né più né meno come l'eventualità che un uomo del genere di Finlay FitzJames con tutto da perdere e niente, nel modo più assoluto, da guadagnare, sia andato a cercarsi una prostituta a Whitechapel, e poi l'abbia assassinata, sovrintendente. Non dubito che il vostro desiderio sia quello di veder fatta giustizia, come è anche il mio, non soltanto nei tribunali ma anche in un senso più lato. Una reputazione rovinata, una promozione perduta non sono cose alle quali si può mettere riparo con qualche parola di scusa o una ritrattazione. Suppongo che ne siate consapevole quanto me, vero? — Intanto fissava Pitt sgranando gli occhi, con un lieve sorriso. Pitt lasciò il Foreign Office mentre nuove ombre si affollavano nella sua mente. Pranzò in compagnia di Micah Drummond, poi insieme a lui fece una passeggiata, senza fretta, risalendo il Mall dove incontrarono gentildonne abbigliate elegantemente i cui abiti non erano sostenuti se non da una modestissima, quasi inesistente, crinolina, anzi da quello che, più che altro, si sarebbe detto un abile e ben studiato drappeggio del tessuto. Era la moda del momento. I cappelli dall'ala ampia e morbida aggiungevano un tocco di garbo straordinario al loro portamento. I parasoli erano chiusi e usati con gesti eleganti e raffinati, quasi come bastoni da passeggio. Benché si trovasse lì per parlare di Finlay FitzJames, non poteva fare a meno di tanto in tanto di rivolgere di sottecchi, e con visibile piacere, qualche sguardo pieno di ammirazione a quelle belle donne. Altri uomini facevano la stessa cosa, signori distinti che portavano abiti dal taglio squisito e alti, lucenti, cappelli a cilindro; ufficiali in divisa, con nastrini e medaglie. Ogni tanto nell'aria tiepida si levava una risata, e una brezza leggera faceva arrivare da lontano la musica che suonava un organetto. — Un uomo spietato — disse Micah Drummond, servendosi della stessa definizione che gli aveva dato Grainger. Stava parlando di Augustus FitzJames. — Naturalmente aveva dei nemici, Pitt, ma non si trattava certo del genere di persone che potevano frequentare Whitechapel abitualmente o trovarsi in un miserabile casamento di Pentecost Alley. Tanto per cominciare, per la maggior parte sono della sua stessa età. — Gli anziani gentiluomini si servono delle prostitute né più né meno di
chiunque altro — esclamò Pitt spazientito. — E voi dovreste saperlo! — Certo che lo so — ammise Drummond, arricciando il naso. Aveva un ottimo aspetto, meno magro e sparuto del passato, con la pelle leggermente abbronzata dal sole. — Ma non nel quartiere di Whitechapel. Pensateci, Pitt! — Alzò il cappello mentre passava di fianco a una gentildonna che, evidentemente, era una sua conoscenza, poi tornò a rivolgersi a Pitt. — Se il tipo di uomo che mi state descrivendo dovesse ammazzare una prostituta per tentare di implicare FitzJames in quell'omicidio, sceglierebbe una donna di una specie migliore, una di quelle delle quali potrebbe essere abituato a servirsi lui stesso, nel circondario di Windmill Street o di Haymarket. Non andrebbe a metter piede in un quartiere totalmente sconosciuto, dove per di più potrebbe essere ricordato con facilità, perché ben differente dal resto di quelli che ci abitano! — Ma sì, che è stato ricordato. — Pitt si girò lievemente verso di lui. — È proprio questo il punto! Forse aveva paura di essere riconosciuto nei locali e nei posti che frequentava abitualmente. — E dove si sarebbe procurato il distintivo dell'Hellfire Club? — soggiunse Drummond. — Io non lo so. Forse gli è capitato in mano per caso, ed è stato proprio quello che gli ha dato l'idea. — Avrebbe colto l'opportunità? — Drummond era scettico. — Forse — confermò Pitt. — E chissà che l'occasione di sfruttare quell'omicidio non sia stato un gesto di opportunismo anche quello? Drummond lo guardò di sottecchi. Taceva, ma il suo viso lungo e magro rivelava un'evidente incredulità. — Per quanto — ammise Pitt — io presti attenzione soltanto alle prove. Probabilmente è stato Finlay. Mi sembra di aver capito che dev'esserci nel suo carattere qualcosa di perverso e vizioso che fino a ora aveva saputo tenere discretamente sotto controllo. Ma stavolta ha esagerato. Non sarebbe il primo uomo colto e di buona famiglia che assapora il piacere di far soffrire o torturare il prossimo ed è disposto a pagarsi anche questo tipo di divertimento. — Respirò a fondo. — Oppure il primo a perdere il controllo finendo per uccidere qualcuno. — No — disse Drummond con tristezza. — E purtroppo quadra a perfezione con quel poco che so di lui dall'epoca in cui ero a Bow Street. Pitt si fermò bruscamente. Drummond si mise le mani in tasca e continuò a camminare ma a passo più lento.
— Qualche anno fa siamo stati costretti a mettere a tacere una o due faccende molto sgradevoli — continuò Drummond. — Anzi quasi sette o otto anni fa. Uno di questi incidenti è stato una rissa in un vicoletto di quelli che ci sono intorno ad Haymarket. Un certo numero di giovanotti avevano alzato un po' troppo il gomito e la faccenda si è conclusa in un tafferuglio piuttosto antipatico. Una delle donne è stata malmenata, e parecchio. — Avevate parlato di uno o due incidenti — insistette Pitt. — L'altro che ricordo è stato un pestaggio con un protettore. Costui voleva sostenere che FitzJames aveva chiesto certe prestazioni un po' insolite, e quando gli erano state rifiutate a sua volta si era rifiutato di pagare. A quel che pare aveva già ricevuto i servizi regolari, e quando lei non aveva voluto fare quello che le aveva chiesto, di qualsiasi cosa si trattasse, lui si era comportato in un modo molto sgradevole. Non solo ma, cosa insolita, fu il protettore a venirne fuori malconcio. Era saltato fuori anche un coltello e sembra che fossero rimasti feriti tutti e due. Non gravemente. — Ma venne messo a tacere anche quello? — Pitt non capiva bene se esserne meravigliato o no. Il quadro si stava facendo più brutto, e la situazione prendeva sempre di più l'aspetto e le apparenze che non solo lui, ma anche Ewart, temevano. — Be', non era stato commesso nessun crimine — gli fece rilevare Drummond, sfiorandosi distrattamente l'ala del cappello per salutare un altro conoscente che passava. — A meno che non vogliate definire crimine il fatto di aver disturbato la quiete pubblica. Non ci sembrò che valesse la pena di una denuncia. Lui si sarebbe dato da fare per respingere un'accusa del genere, e quanto al protettore non si poteva certo dire che fosse un buon testimone. — Cos'era che FitzJames avrebbe voluto che la ragazza facesse? — Non so — confessò Drummond. — Il nome del protettore? — continuò Pitt. — E la data? Posso controllare in archivio. Perché tenevate un archivio e avrete pur fatto una registrazione anche di questo, vero? — No, non venne fatta. — Drummond sembrò a disagio. — Mi spiace, Pitt. Credo di essere stato un po' ingenuo a quell'epoca. Camminarono in silenzio per una cinquantina di metri, tutto taceva intorno a loro all'infuori del fruscio dei loro piedi sulla ghiaia del viale. — Vi ricordate il suo nome? — domandò infine Pitt. Drummond sospirò. — Sì. Percy Manker. Ma non vi servirà a niente. È morto per una dose eccessiva di oppio. La polizia fluviale l'ha tirato fuori
da Limehouse Reach. Mi spiace. Pitt non disse niente. Procedettero ancora un po' nel sole, poi tornarono indietro ripercorrendo la strada già fatta. Pitt non aveva nessuna speranza di venire a sapere qualcosa di importante sul conto di Finlay FitzJames da Helliwell o Thirlstone. Aveva pensato che sarebbe forse riuscito a persuadere Jago Jones che la verità, in questo caso, era un bene più alto e prezioso della lealtà verso una singola persona. Anche i parrocchiani di Jones avevano il diritto di aspettarsi la lealtà da lui, almeno in una certa misura, e Ada era stata una parrocchiana, sia pure in senso un po' lato. Trovò Jago solo in chiesa. La luce del sole entrava a fiotti dai finestroni, e creava un meraviglioso gioco di luci colorate sul pavimento in pietra e sui banchi di legno consunto. Si voltò sorpreso quando vide Pitt arrivare lungo la navata. — Grazie di essere venuto — gli disse. Pitt sapeva che Jago Jones non stava alludendo a quella visita, ma alla mezz'ora che lui aveva dedicato al funerale di Ada due giorni prima. Sorrise. Non c'era altra risposta da dargli. — Cosa vi porta qui adesso? — domandò Jago, avviandosi a prendere una scopa dal lungo manico che stava appoggiata al primo banco. — Sapete chi ha ammazzato Ada? — Credo di sì... Jago alzò le sopracciglia. — Ma non ne siete sicuro? Il che significa che non avete le prove. — Ho un'indicazione molto precisa; solo che mi sembra talmente stupido che uno possa aver fatto una cosa del genere! Mi occorre un quadro più preciso dell'uomo, in modo da poterci credere. Ho già un'idea chiara di Ada. Jago scrollò la testa. — Ecco, per quel che riguarda Ada avrei potuto aiutarvi io. Quanto all'uomo, non credo di conoscerlo. — Afferrò la scopa e cominciò a spazzare l'ultima zona del pavimento che ancora aspettava di essere ripulita. — Non vi dispiace, vero? — No, per niente — ammise Pitt, prendendo posto nel banco e accavallando le gambe. — Vi sbagliate. Voi conoscete l'uomo, o perlomeno lo conoscevate. Jago si arrestò, e rimase immobile con la scopa fra le mani, voltandogli le spalle. Non si girò a guardarlo.
— Alludete a Finlay? — Sì. — Per via del distintivo? Ve l'ho già detto, potrebbe averlo smarrito anni fa. — È possibile. Ma non l'ha lasciato nel letto di Ada McKinley anni fa, reverendo. Jago non disse niente; continuò a spazzare il pavimento, raccogliendo con cura polvere e sudiciume in un mucchietto. Pitt lo osservava. La luce del sole filtrava dai finestroni in lame scintillanti, nelle quali danzavano i bruscolini di polvere. — Lo conoscevate bene, qualche anno fa — disse infine Pitt. — Da allora in poi non lo avete più visto? — Molto poco. — Jago continuava a tenere gli occhi bassi. — Non frequento i posti dove va lui. Non mi spingo mai a Mayfair o a Whitehall, e lui non viene a St. Mary. — Però non dite che non viene a Whitechapel. Jago sorrise. — Direi che è proprio questo il nocciolo della questione, vero? — Non lo avete mai visto qui? — No. — Non avete mai sentito dire che era stato qui? Jago si raddrizzò sulla persona. — No, sovrintendente. Non ho mai sentito dire che Finlay fosse stato qui, né ho alcun motivo di supporre che ci sia venuto. Pitt gli credette. Eppure c'era qualcosa nell'atteggiamento di Jago che lo disturbava. C'era sofferenza in lui, e un'ansietà che gli sembrava qualcosa di più della pura e semplice tristezza per la morte violenta di una persona che, sia pure superficialmente, aveva conosciuto. Quando gli era stato detto per la prima volta che avevano trovato il distintivo di Finlay, era sembrato un uomo che vivesse in un incubo. Così provò a cambiare tattica. — Che tipo era Finlay quando lo conoscevate? Jago raccolse la polvere e la spazzatura con una paletta e la mise da parte prima di rispondere, appoggiando la scopa al muro. — Più giovane, e molto più stupido, sovrintendente. Lo eravamo tutti. Non sono fiero del modo in cui mi comportavo a quell'epoca. Ero terribilmente egoista. Indulgevo ai miei piaceri non appena era possibile, senza badare a quelle che potevano essere le conseguenze per gli altri. No, non è
un periodo della mia vita al quale ripenso con piacere. Immagino che la stessa cosa valga per Finlay. Si cresce e si diventa adulti. Non si può cancellare l'egoismo della giovinezza, ma lo si può lasciare dietro le spalle, si può imparare dai propri errori ed evitare di dare un giudizio troppo pronto o troppo crudele su chi, a sua volta, si comporta nello stesso modo. — Mi avete detto molto di voi, reverendo, ma non di Finlay FitzJames. Jago scrollò impercettibilmente la testa. — Non c'è niente da dire. Eravamo tutti troppo indulgenti verso noi stessi. Se mi state domandando se Finlay è cambiato anche lui, se è maturato, non posso rispondervi né dirvi quello che so per mia esperienza diretta in quanto non l'avrò visto più di un paio di volte negli ultimi tre anni. — Sono venuto a sapere dove trovarvi per mezzo di sua sorella. C'è da presumere che continuiate a frequentarla ancora oggi? — insistette Pitt. Jago scoppiò in una risatina. — Tallulah? Sì, in un certo senso. Lei è ancora in quello stadio di egoismo e di ricerca smaniosa di divertirsi in ogni modo e con ogni mezzo che era quello dei soci dell'Hellfire Club sei o sette anni fa. Deve ancora scoprire lo scopo di un qualsiasi altro genere di esistenza. — Non aggiunse altro, ma l'espressione stanca e delusa della sua faccia, le labbra che stringeva lievemente rivelavano in modo evidente quanto poca fosse la considerazione che aveva per lei. Un po' come se non volesse disprezzarla, ma non riuscisse a evitarlo. Jago disprezzava il proprio passato, mentre chiedeva compassione per Finlay. Perché? Era forse il terrore che Finlay, in realtà, non fosse affatto maturato, non fosse diventato adulto ma, come Tallulah, continuasse a mettere i suoi stessi piaceri al di sopra dell'onore e della responsabilità? — Perché la vostra amicizia è cessata in un modo così totale? — domandò Pitt, come se la sua fosse più che altro una blanda curiosità. Jago non si mosse. Fissava Pitt senza parlare. Tirò il fiato e aprì la bocca come se volesse rispondergli poi lo liberò in un lungo sospiro. — Suppongo... suppongo che le nostre strade si siano semplicemente... divise — disse infine Jago, sgranando gli occhi che erano diventati cupi. — Ammiro la vostra lealtà, reverendo — disse Pitt con la massima tranquillità. — Ma siete sicuro che sia lodevole come pensate? E cosa dire allora della vostra lealtà nei confronti di Ada McKinley, che, indipendentemente dalla sua professione, era una vostra parrocchiana? E delle altre donne come lei? Saranno prostitute, sicuramente, ma se voi avete scelto di diventare il loro pastore, non dovete anche mostrarvi leale nei confronti della verità e della strada che avete scelto?
Jago era diventato pallidissimo e sulla sua faccia pareva che la pelle fosse tesa e contratta, come per una disperata lotta interiore. — Non so chi abbia ammazzato Ada, sovrintendente. Ve lo dico di fronte a Dio: non lo so. Come non ho alcun motivo di credere che Finlay sia stato qui, a Whitechapel, quella sera o un'altra sera qualsiasi. Se lo sapessi ve lo direi. — Respirò a fondo. — Quanto alla mia amicizia con la famiglia FitzJames, è cessata a causa di una differenza di opinioni... o di uno scopo, se preferite. Finlay non riusciva a capire per quale motivo avessi scelto di seguire questa chiamata, o almeno il mio desiderio di dedicare a essa la vita. Non si tratta di qualcosa che avrei potuto spiegargli salvo in termini che lui non credeva né rispettava. È convinto che io sia un originale, un tipo strano, e della stessa cosa è convinta sua sorella. — Un originale? Jago rise; stavolta la sua era una risata di puro divertimento. — Oh, non in un qualsiasi senso che sia ammirevole! Lei ammira gli esteti, uomini come Oscar Wilde o Arthur Symons o Havelock Ellis, che dicono o fanno... o credono di dire e fare... qualcosa di nuovo. Il loro scopo è di scandalizzare e provocare commenti... e immagino, forse, anche di costringere le persone a riflettere. Quanto a me, mi giudicano un tipo di originale totalmente diverso. Io sono uno scocciatore... l'unica cosa che perfino la loro tolleranza morale non è disposta a perdonare. È l'unico peccato sul quale non si può passar sopra. Pitt scrutò in volto Jago ma non riuscì a scorgervi la minima espressione di amarezza o di autocompassione. Per Jago erano loro che non sapevano cogliere la vera felicità, non lui. Ma, con tutto ciò, c'era sempre quell'ombra dietro il suo sorriso, la consapevolezza di qualcosa che non avrebbe raccontato a Pitt, qualcosa che era colmo di un cupo dolore. Si trattava di qualcosa che lui sapeva sul conto di Finlay FitzJames, oppure di se stesso? O, magari, di uno degli altri soci dell'Hellfire Club, del sensuale Thirlstone oppure di Helliwell così contento e soddisfatto di se stesso? — Siete ancora in rapporti di amicizia con qualcuno degli altri soci dell'Hellfire Club? — domandò improvvisamente. — Come? — Jago sembrò sorpreso. — Oh no! No, temo di no. Mi capita di vedere Thirlstone di tanto in tanto, ma per caso, non per mia volontà. Quanto a Helliwell saranno un paio di anni che non lo vedo. A quanto ho sentito, gli è andata molto bene. Sposato, è diventato rispettabile... e molto facoltoso. Quello che aveva sempre desiderato, una volta passato il tempo
degli svaghi e delle avventure. — E Finlay? Cosa vuole? Jago sorrise di nuovo, stavolta con pazienza. — Non sono del tutto sicuro che lo sappia. Probabilmente realizzare quelle che sono le ambizioni del padre per lui, senza passare per la dura fatica e le pressioni che devono inevitabilmente comportare. Non sono per niente convinto che il suo più grande desiderio sia quello di diventare ministro degli Esteri e ancor meno Primo ministro. D'altra parte, suppongo che Augustus morirà prima che si arrivi a tanto, così lui potrà rilassarsi ed essere quello che vuole veramente... sempre se sarà ancora capace di ricordare di che cosa veramente si tratta. — Si interruppe. — Forse Tallulah farà un buon matrimonio e diventerà una duchessa, o una contessa. Non sono del tutto convinto che abbia l'intelligenza necessaria per essere la grande consorte di un uomo politico. Perché una posizione del genere richiede abilità e tatto considerevoli, e una comprensione profonda dei problemi e della natura umana, oltre che della moda e dell'etichetta e di come saper ricevere e intrattenere le persone. Tanto per cominciare, le manca la discrezione. — Non potrebbe impararla? — domandò Pitt. — È ancora molto giovane. — Non serve imparare la discrezione, una volta che si è rovinata la propria fama, sovrintendente. La società non dimentica. O forse questo non è del tutto vero. Lo dimentica fino a un certo punto se siete un uomo, ma non lo dimentica se siete una donna. Dipende da quello che fate. — Si appoggiò a uno dei banchi, finalmente un po' più tranquillo e rilassato. — Ho conosciuto giovanotti che si comportavano in un modo ignobile, ubriaconi che scandalizzavano chiunque, ai quali i compagni facevano una specie di processo per stabilire se erano davvero colpevoli di qualche mancanza sulla quale non poter assolutamente passare sopra. E poi gli si consigliava di presentarsi volontari per entrare nel servizio all'estero, diciamo in Africa o in India per esempio, e non tornare mai più. Pitt lo fissava con tanto d'occhi, strabiliato. — Ed è quello che il giovanotto in genere finisce per fare — concluse Jago. — È la società stessa a disciplinare chi ne fa parte. Ci sono cose che non vengono accettate. — Si raddrizzò sulla persona. — Naturalmente altre sì, invece; e a volte si tratta di cose che voi o io potremmo trovare abominevoli. Dipende tutto da fino a che punto l'offesa è pubblica, e contro chi è stata compiuta. Se volete sentirmi affermare che Finlay non è mai andato da una prostituta, non posso farlo. Del resto, lo sapete già. Se quel-
lo fosse un crimine, dovreste imputarlo a una buona metà degli uomini di Londra. Dove altro dovrebbero andare per soddisfare i loro appetiti? Una donna onesta sarebbe rovinata, e loro stessi dopo non la vorrebbero più. — Lo so — ammise Pitt. — Ma è questo il punto? — No — ammise Jago, guardando Pitt con aria pensierosa. — Però il vecchio Augustus si è fatto moltissimi nemici, sapete, persone di cui si è servito, e poi ha messo da parte nella sua ascesa al potere. Persone che da tutto questo sono uscite sconfitte perché ha vinto lui. C'è più di una famiglia che gli deve le proprie disgrazie, e una grande casata non dimentica la propria rovina. Il potere è crudele, sovrintendente, l'invidia ancor più crudele. Prima di impegnarvi in un'azione qualsiasi contro Finlay, assicuratevi ben bene che sia stato veramente lui a lasciare quel distintivo in Pentecost Alley, e non uno dei nemici di suo padre. Io... io trovo tremendamente difficile credere che si sia trattato proprio dell'uomo che conoscevo. — Vi ringrazio, reverendo. Non posso dire che mi abbiate aiutato molto. D'altra parte avrei dovuto aspettarmelo. — Gli augurò il buon giorno e uscì nella strada, dove il caldo era intenso. Si stava accorgendo che Jago Jones adesso gli era molto più simpatico di prima, anche se, a poco a poco sentiva rafforzarsi il convincimento che in alcune questioni fondamentali mentisse. — Be', siete venuto a sapere altro sul conto di FitzJames? — gli domandò Cornwallis con una punta di esasperazione nella voce. La giornata stava terminando, e il sole era già tramontato, trasformato in una vera e propria palla arancione al di là delle spirali di fumo che uscivano dai comignoli e rimanevano sospese in aria al di sopra dei tetti. Le carrozze correvano ancora veloci lungo le strade, man mano che i lampioni si accendevano - e adesso erano a luce elettrica lungo il Thames Embankment. La gente stava cominciando a pensare al teatro o all'opera, a una cena al ristorante e a riunioni e ricevimenti serali. Sul fiume erano visibili i lampioncini dei battelli da diporto, dai quali si levava, a tratti, un suono di musica. — No — rispose stancamente Pitt, venendo a soffermarsi di fianco a Cornwallis alla finestra. — Jago Jones non vuole aggiungere una sola parola in più a quanto ci ha già detto, e cioè che erano tutti un branco di ragazzi impulsivi e sfrenati, una mezza dozzina di anni fa, e che lui non è più rimasto in contatto con loro salvo per qualche incontro del tutto casuale. Ed è facile crederlo, in quanto adesso è sacerdote a Whitechapel... — Sorrise brevemente. — E non si può dire davvero che quello sia il territorio di
FitzJames. Il Foreign Office dice che è capace, diligente, si comporta né più né meno come la maggioranza dei giovanotti, e in taluni casi meglio di qualcuno. Non appena farà un matrimonio conveniente è probabile che ottenga un ottimo posto in qualche ambasciata. Non c'è dubbio che ha talento in tal senso, e una notevole dose di fascino. — Eppure avete l'identificazione che Rose Burke ha fatto di lui! — insistette Cornwallis, staccandosi dalla finestra e voltandosi a fissare Pitt. — Il distintivo, il gemello da camicia. Avete fatto identificare anche quello, e ottenuto la conferma che gli appartiene? — Sì. La faccia di Cornwallis era grave. — E allora, che cosa vi preoccupa, Pitt? Avete in mano delle prove di cui non mi avete fatto cenno? Oppure vi lasciano incerto le pressioni politiche? — Scosse leggermente la testa. — Gli amici di FitzJames stanno facendo sentire più robustamente il peso della loro importanza, ma questo non mi impedirebbe mai e poi mai di darvi il mio appoggio più totale... se siete sicuro della sua colpevolezza e potete provarla. — Grazie, signore. — Pitt era sincero. Si sentiva profondamente commosso da quelle parole. Era un dono inestimabile avere un superiore che riusciva a tenere i nervi a posto sotto il fuoco, perfino quando il suo stesso posto poteva venir minacciato. Delle sue capacità di giudizio, era meno sicuro. Era davvero in grado di valutare fino a che punto gli amici di Augustus FitzJames potessero essere potenti e quanta poca importanza avesse per loro la colpevolezza o l'innocenza di una persona, purché si potesse assicurare nel modo più totale che non venisse mai rivelata? E aveva anche preso in considerazione un altro fatto, cioè che FitzJames poteva avere dei nemici non meno potenti? Gli risuonarono nella memoria le parole di Jago Jones, e capì di non poterle ignorare. — Non mi avete risposto. — Cornwallis interruppe il filo dei suoi pensieri. — Vorrei avere qualcun altro che ha visto Finlay a Whitechapel... chiunque, una persona qualsiasi — replicò Pitt. — Non riesco a trovare una sola prova che ci sia stato, quella sera o in qualsiasi altro momento. Domani incaricherò Tellman di indagare in tal senso con tutta la discrezione possibile. — Questo non prova niente — riprese Cornwallis. — Può darsi che di solito lui frequenti le prostitute dell'Haymarket, ma non significa che stavolta per esempio non sia andato a Whitechapel. Avete provato con i vet-
turini? Con le altre donne di strada? Con i poliziotti locali che solitamente fanno la ronda da quelle parti? — Ci ha pensato Ewart. Nessuno l'ha visto. Però lo conoscono in una zona che si trova un po' spostata a ovest. — Dannazione — imprecò Cornwallis a mezza voce. — Quand'è che il gemello da camicia e il distintivo sono stati visti per l'ultima volta dal suo domestico oppure da un'altra persona qualsiasi, che sia ragionevolmente non prevenuta nei suoi confronti e possa fornirci una prova? — Il domestico è al suo servizio da anni e non ha mai visto né l'uno né l'altro — replicò Pitt. Cornwallis digerì la notizia in silenzio. — Cosa ne pensate, Pitt? — disse infine. — Secondo me è colpevole, ma non credo che fino a questo momento siamo ancora riusciti a provarlo — replicò Pitt, sorpreso lui stesso di ciò che stava dicendo. — Ma non sono sicuro. — Be', farete meglio a esserlo — disse Cornwallis in tono truce. — Entro la prossima settimana. — Sì, signore — convenne Pitt. — Tenterò. 5 Emily trascorse una giornata delle più banali, come qualsiasi altra durante la "stagione" londinese. Si alzò alle otto e alle nove andò a fare una cavalcata nel Parco, dove rispose con un cenno del capo al saluto di una dozzina di conoscenti, tutti abbastanza simpatici, ma nessuno che potesse definire un amico vero e proprio. D'altra parte la giornata era bella, l'aria mite, la brezza frizzante, il suo cavallo eccellente. La cavalcata la lasciò soddisfatta e rientrò a casa, passate da poco le dieci, tutta rinvigorita. Jack era già uscito per andare a Whitehall, ed Edward si trovava nella stanza da studio; quindi pranzò sola. Evie era nella nursery, affidata alle cure della sua bambinaia. Dedicò le due ore successive a leggere e a rispondere alla corrispondenza, che non era moltissima. Più che altro cercò di passare il tempo. Apportò qualche ritocco al menu per quel giorno, sul quale però non poteva consultarsi con Jack perché lui non c'era. Poi chiamò la governante e discusse con lei una mezza dozzina di questioni domestiche che riguardavano la biancheria, le mansioni delle cameriere addette al servizio nelle sale di ricevimento. Le accennò a una macchia sul tappeto della biblioteca,
e provò a parlarle di parecchie altre cose per scoprire che erano già state risolte in modo soddisfacente senza che ci fosse bisogno dei suoi consigli. Parlò anche con la propria cameriera personale, e si accorse che lei, come gli altri, aveva già risolto da sola tutti i problemi di modesta importanza che erano sorti. — Grazie. A mezzogiorno uscì di casa con la sua carrozza per andare a far visita alla madre, solo per scoprire che era fuori. Rimase incerta se fare un giro di spese oppure visitare una galleria d'arte, e la sua scelta cadde su quest'ultima. La trovò noiosissima. I quadri erano tutti di buona fattura e di gusto raffinato, ma a lei sembrarono esattamente identici a quelli dell'esposizione dell'anno prima. Tornò a casa, dove venne raggiunta a pranzo dalla nonna, la quale volle un minuzioso resoconto del modo in cui aveva passato la mattinata e dei suoi progetti per il resto della settimana. Una volta che li ebbe sentiti, li accantonò come triviali, scervellati e totalmente frivoli. Parlava soprattutto per invidia, perché le sarebbe piaciuto infinitamente aver fatto le stesse cose, ma Emily, dentro di sé, si trovò pienamente d'accordo. — Dovresti offrire il tuo appoggio a tuo marito! — esclamò in tono cattivo la vecchia signora. — Dovresti impegnarti in qualche opera degna. Così facevo io alla tua età! Mi avevano eletto nel comitato parrocchiale che si occupava delle ragazze madri. Non so dirti quante sono state le creature cattive, viziose e corrotte sul futuro delle quali ho contribuito a prendere una decisione. — Che Dio le aiuti! — mormorò Emily. — Cos'hai detto? — domandò la vecchia signora. — Molto utile — mentì Emily. Alle tre e mezzo andò ad ascoltare un concerto con la moglie di uno degli amici di Jack, una degna signora che però aveva una conversazione molto limitata. Trovava quasi ogni cosa "edificante". Alle quattro e mezzo si recarono insieme a un garden party e ci rimasero una mezz'ora... e a quel punto, ormai, Emily aveva toccato il massimo della sopportazione. Alle sei e mezzo Jack tornò a casa, e si capì subito che aveva una certa fretta. Cenarono rapidamente e poi si cambiarono, prima di uscire di nuovo per andare a teatro con un gruppo di persone che conoscevano solo superficialmente. Alle undici e mezzo si ritrovarono con gli stessi amici per il classico spuntino dopo-teatro, e chiacchierarono lungamente dei soliti argomenti frivoli e banali. All'una meno un quarto era a letto, troppo stanca per riuscire a mettere insieme due idee che avessero un filo di logica, e
convintissima di aver sprecato la giornata. Si ripromise l'indomani di dedicarsi a qualcosa che avesse uno scopo. In mattinata avrebbe usato il telefono per scoprire a quali avvenimenti mondani poteva aspettarsi di incontrare Tallulah FitzJames. Si sarebbe votata alla missione di aiutarla a prendere una decisione romantica nei confronti di Jago oppure di scagionare totalmente il fratello di lei, facendo cadere qualsiasi sospetto sul suo conto riguardo all'omicidio di Whitechapel... O, magari, perché no?, avrebbe tentato di realizzare tutti e due questi propositi. Erano le due passate da poco quando, dopo aver pranzato un po' in anticipo rispetto al solito, Emily indossò la sua più elegante e raffinata toilette da pomeriggio, un abito dal taglio squisito in broccato rosa con un motivo in seta che le guarniva il petto, il collo e le maniche lunghe fino al gomito, e la gonna che accompagnava il suo passo ondeggiando in un modo che le donava incredibilmente. Completava la sua toilette un cappello di un modello arditissimo, che avrebbe colpito perfino zia Vespasia, con parasole in tinta; e uscì per andare a un'esposizione floreale a Kensington dove, quasi sicuramente, ci sarebbe stata anche Tallulah. Arrivò alle tre, scese dalla sua carrozza e vide subito parecchie signore di sua conoscenza. Fu obbligata a scambiare qualche saluto e ad accompagnarle in una successione di tende e di recinti pieni di composizioni floreali, di cespugli coperti di boccioli e di alberi in fiore. Fra l'uno e l'altro di questi erano stati disposti piccoli tavoli in ferro battuto verniciati di bianco, e intorno a ciascuno di essi si trovavano due o tre civettuole poltroncine. Gentildonne dalle raffinate toilette si spostavano da una composizione di fiori all'altra, ammirandole, spesso accompagnate da gentiluomini in redingote o in tight, calzoni a righe e alti e lucenti cappelli a cilindro. Qua e là si vedeva anche qualche ragazzina di dodici o quattordici anni, impettita e un po' sussiegosa, in abiti a balze e volant, i lunghi capelli legati da nastri, le quali di tanto in tanto, quando credevano di non essere osservate da nessuno, si facevano le smorfie. Emily cominciò a sentirsi avvilita. Aveva dimenticato fino a che punto queste esposizioni floreali potessero essere affollate, quanti fossero i tortuosi sentieri che si snodavano fra i diversi padiglioni, i pergolati sotto gli alberelli in vaso; e tutti i posti, fra quelle file e file di fiori in boccio oppure sotto fronzuti cespugli, dove i visitatori potevano avere un colloquio riservato o intrecciare un piccolo flirt. Si poteva dare un appuntamento a qual-
cuno con pochissimo rischio di essere visti da chi si sarebbe preferito evitare. Sicuramente questo era il motivo per cui Tallulah aveva scelto un posto del genere. Sembrava talmente rispettabile! Cosa avrebbe potuto esserci di più appropriato per una giovane signorina della visita a un'esposizione floreale? Che occupazione femminile! E tanto squisitamente innocente! Le occorse quasi un'ora per trovarla, e le capitò quasi per caso. Girando intorno a una grandiosa esibizione delle ultime rose, vicino alle quali si trovava la splendida fioritura dei gigli di un bel colore giallo vivo, vide Tallulah che sedeva sotto una pergola formata dai tralci contorti di una vite. Era comodamente appoggiata allo schienale di una poltroncina con i piedi su una seggiola, come se fosse sdraiata su una chaise longue, le gonne raccolte distrattamente intorno a sé, il lungo collo sottile inarcato. Qualche ciocca di capelli scuri le stava sfuggendo dalle forcine. La sua era una posa tranquilla, rilassata e seducente, aggraziata e invitante. Era chiaro che il giovane uomo vicino a lei si doveva sentire affascinato. Si sporgeva sempre più in avanti, intanto che lei lo osservava, indolente, fra le palpebre socchiuse. — Ma guarda chi si vede! Tallulah! Che piacere incontrarvi qui! — esclamò con un tono che non avrebbe potuto essere più ingenuo... proprio come se si fossero incontrate per caso mentre passeggiavano nel Parco. — Non sono stupendi i fiori? Non avrei mai pensato che potessero trovarne tanti in quest'epoca dell'anno, perché ormai la stagione è già piuttosto avanzata. Tallulah, intanto, la stava fissando con un'espressione stupita che a poco a poco si faceva sgomenta. Una simile mancanza di tatto era imperdonabile. Emily avrebbe dovuto ritirarsi, arrossendo e mostrandosi convenientemente sconcertata. Invece Emily rimase né più né meno dove si trovava, mentre un blando sorriso si disegnava sulla sua faccia. — Ho sempre pensato che agosto fosse una stagione difficile — continuò in tono giulivo. — Troppo tardi per una cosa e troppo presto per l'altra. — A me sembra che ci siano fiori in abbondanza — disse il giovanotto, che era diventato un po' rosso in viso. Poi si riaggiustò la cravatta e il colletto con aria svagata, come se volesse dare l'impressione che stesse facendo tutt'altro. — Effettivamente è vero, signore — convenne Emily fissando gli occhi
sulle mani di lui. — Agli uomini sembra sempre che ci siano fiori in abbondanza. — Lasciò che quell'osservazione rimanesse come sospesa in aria, con il suo duplice significato, e si rivolse di nuovo a Tallulah, mentre sulle sue labbra riaffiorava un luminoso sorriso. — Ho riflettuto a lungo, e molto seriamente, sulla questione che avevate discusso con me l'ultima volta che abbiamo avuto l'opportunità di parlare insieme. Come vorrei essere di aiuto. Sono sicura che si potrebbe fare qualcosa. Tallulah continuò a fissarla, ma a poco a poco l'espressione serena e luminosa si spense sulla sua faccia. Si raddrizzò sulla poltroncina senza preoccuparsi della gonna scomposta. — Davvero? È molto peggio, sapete? È tutto molto peggio. Intanto il giovanotto aveva cominciato ad accorgersi che la conversazione stava toccando argomenti a lui totalmente sconosciuti. Si alzò e chiese il permesso di congedarsi con una disinvoltura e un'eleganza sorprendenti, date le circostanze. Con un inchino si allontanò. Tallulah si riassestò la gonna, raccogliendola intorno a sé. Adesso il suo viso era diventato molto serio. — Ho visto di nuovo Jago — disse a mezza voce. — Ma non per molto. A una vendita di beneficenza. Sapevo che ce l'avrei trovato, perché la facevano per quella sua chiesa miseranda, così ci sono andata. Mi ha fissato come se non mi vedesse nemmeno, o come se fossi una bambina capricciosa con la quale era costretto a essere cortese... quello che si fa di solito quando i figli degli altri si comportano male e non si può né dire né fare niente perché i loro genitori non lo permettono. — Fece una smorfia. — Con una tale aria di sopportazione! Sembrava che mettessi a dura prova la sua pazienza. Mi sono talmente infuriata che lo avrei preso a schiaffi! Emily prese posto sulla poltroncina che fino a quel momento era stata occupata dal giovanotto. Il profumo dei fiori nell'aria era intenso. E lei si accorse con piacere che si stava alzando una brezza leggera. — Siete sicura di non desiderarlo semplicemente perché è irraggiungibile? — domandò con franchezza. — Più dura è la battaglia, di maggior valore la vittoria. Per gli uomini è lo stesso, naturalmente. Solo che noi siamo più abili, in genere, a nascondere che ci sentiamo attratte e a fingere di non provare il minimo interesse quando invece siamo letteralmente incantate. — Jago non è affatto incantato — obiettò Tallulah avvilita. — Perlomeno non da me. Avrei maggiori speranze di attirare il suo interesse se fossi una donna perduta e pensasse di potermi salvare l'anima!
— Era quello che stavate per fare poco fa? — domandò Emily con un sorriso. — Perdervi? Ma Tallulah era troppo addolorata e offesa per essere divertita da questa battuta. — No, affatto — disse in tono agro. — Ero semplicemente annoiata. Tutte parole e idee. Se conosceste Sawyer, dovreste saperlo. Sono tutte pose le sue! Emily si appoggiò meglio allo schienale della poltroncina. Faceva un gran caldo sotto il pergolato, e il profumo di tutti quei fiori aveva qualcosa di inebriante. Troppo. — Perché non provate semplicemente a dimenticarvi di Jago? — domandò andando dritta dritta al nocciolo della questione. — Il pensiero di lui non vi dà che dispiacere. Una sfida è un'ottima cosa, ma non quando uno sa già di non poter vincere. Perché allora è soltanto deprimente. E, a ogni modo, cosa fareste se vi fosse possibile averlo? Neanche da pensare a sposarlo. Non ha un soldo! Oppure volete semplicemente vendicarvi di lui perché vi disprezza, o credete che vi disprezzi? — Mi disprezza. — Dunque, è la vendetta che cercate? Tallulah la fissò sgranando gli occhi. Nel gioco di luci e d'ombre del sole che filtrava fra i rami e le foglie del pergolato il suo viso aveva assunto una strana bellezza, scaturita dal coraggio e da un'intensa vitalità. — No, niente affatto. Sarebbe orribile. — La sua voce si fece stridula per la frustrazione. — Voi non lo capite, vero? Jago è la persona migliore che io abbia mai conosciuto! C'è onore in lui, e una gentilezza diversa da quella di chiunque altro mi sia mai capitato di incontrare. È onesto. — Si protese verso Emily. — E con questo non voglio semplicemente intendere che non porta via le cose che non sono sue, intendo che non le vuole neppure. Non mente alle altre persone ma non mente neanche a se stesso. È una cosa rara, sapete? Io dico bugie a me stessa in continuazione. Come tutti i componenti della mia famiglia, soprattutto sui motivi per i quali fanno le cose. Dicono di doverle fare, quando in realtà quello che sottintendono è che vogliono farle e quindi si guardano in giro in cerca di un pretesto. — Anch'io lo detesto — ammise Emily. — Ma non sono nemmeno sicura che potrei vivere con una persona abituata a dire sempre la verità pura e semplice. Non credo di volerla sapere, e sono sicurissima di non volermela sentir raccontare. Tallulah rise, ma la sua risata non aveva niente di allegro. — State frain-
tendendomi deliberatamente. Non voglio dire che lui sia privo di tatto, o crudele. Dico semplicemente che ha una specie di... luce interiore. È... integro. Il suo cervello non è composto di un mucchio di parti differenti, come capita per la maggior parte delle persone, tutte che aspirano a cose diverse e si raccontano un sacco di bugie a vicenda, perché a questo modo uno può cercare di avere tutto, e poi anche dirsi che ha fatto bene e ha ragione. — Come fate a saperlo? — Cosa? — Come fate a saperlo? — ripeté Emily. — Come potete sapere quello che c'è dentro di lui? Tallulah rimase in silenzio. — Non so proprio perché vi sto spiegando tutto questo! Non mi sembra che si possa farlo capire a parole. So quello che intendo. So che lui possiede un tipo di coraggio che alla maggior parte della gente manca. Lui affronta quello che ha una vera importanza, senza scuse, senza tentativi di evasione. I suoi convincimenti sono totali. — Guardò Emily sgranando gli occhi. — Ma capite almeno quello che vi sto dicendo? — Certo — confermò Emily. — Volevo soltanto capire se ci tenete a lui quanto pensate. Non c'è il rischio, però, di trovarlo un po' troppo serio? A un certo momento tutta questa bontà potrebbe diventare prevedibile, e alla fine, in ultima analisi, addirittura noiosa, eh? Tallulah girò la testa dall'altra parte, e il suo profilo si delineò nettamente sullo sfondo di un'alta bordura di fiori in boccio. — In realtà non ha importanza. Non riuscirà mai a considerarmi qualcosa di diverso dalla sorella un po' frivola e superficiale di Finlay FitzJames che spreca la sua vita comprando vestiti tanto costosi e che con la stessa cifra si potrebbe mantenere per anni una delle sue famiglie di Whitechapel. — Abbassò gli occhi sullo splendido vestito che indossava, e lo lisciò lievemente sul ventre piatto. — Questo è costato cinquantuno sterline, diciassette scellini e sei pence. Alle nostre cameriere più brave paghiamo un salario di venti sterline l'anno. Le sguattere e i ragazzini che fanno un po' tutti i lavori prendono meno della metà. L'ho visto nei conti di casa. E io ho una dozzina, se non di più, di vestiti buoni come questo. Si strinse nelle spalle e sorrise. — Eppure vado in chiesa la domenica e prego, e così fanno tutte le altre persone che conosco, e anche loro portano vestiti come il mio. E badate che Jago potrebbe anche non dirmi che sbaglio. Se nessuno li comperasse, quelli che li confezionano fallirebbero. Lui
non si interessa di me, molto più semplicemente, perché ci tengo troppo al mio aspetto esteriore. D'altra parte è quello che conta per una donna non sposata, ecco. — Non era una domanda la sua, ma un'affermazione. Emily preferì non discutere, e nemmeno si prese la briga di menzionare il denaro e l'influenza della sua famiglia. — Lo sposereste? — domandò a bassa voce, pensando a Charlotte e Pitt. Ma Charlotte era diversa. Lei non aveva mai fatto una gran vita mondana come Tallulah. D'altra parte, malgrado tutta la ricchezza paterna, se continuava a comportarsi come aveva fatto quel pomeriggio e qualche sera prima a Chelsea, non si poteva escludere che Tallulah non ricevesse più nessuna proposta di matrimonio in futuro. C'erano molte donne che gli uomini, di solito, trovavano straordinariamente divertenti, ma si guardavano bene dallo sposare. Tallulah sospirò, alzando gli occhi verso i fiori sopra la sua testa, mentre il suo viso prendeva un'espressione che era uno strano miscuglio di malinconia e di orrore, quasi come se cercasse, per quanto disperata, di beffarsi da sola, di ridere di se stessa. — Se dovessi sposarlo, sarei costretta ad abitare a Whitechapel, indossare vestiti di lanetta grigia, ed essere tutta contenta di distribuire mestoli di zuppa ai poveri. Dovrei essere cortese con le donne bigotte e piene di sussiego che sono convinte che ridere sia un peccato e adorano dare consigli al prossimo e dire in continuazione alla gente cosa dovrebbe fare. Mangerei le stesse cose ogni giorno, andrei personalmente ad aprire la porta di casa e dovrei sempre stare attenta a quello che dico per non offendere nessuno. Non riuscirei più ad andare a teatro, all'opera, o a cena in un ristorante o a fare una cavalcata al Parco. — C'è qualcosa di peggio — interloquì Emily. — Sareste costretta a viaggiare sugli omnibus stipati di gente grassa, un po' ansante, con l'alito che puzza di cipolla. Sareste costretta a cucinare quasi tutto da sola, e a contare i soldi per calcolare se potete comprare una cosa o no, e la risposta di solito sarebbe che no, non potete comprarla. — Non lo vedo così terribile, il mio futuro — obiettò Tallulah. — Papà mi passerebbe sicuramente un assegno fisso. — Anche se doveste sposare un parroco, invece della persona scelta da lui? — domandò Emily, scettica. — Ne siete sicura? Tallulah la fissò con gli occhi grandissimi, marrone scuro, quasi neri. — No — disse sommessamente. — No, sarebbe furioso. E non mi perdonerebbe mai. Vorrebbe vedermi sposare un duca, anche se un conte e un
marchese potrebbero andare bene ugualmente. In tutta onestà, credo che la sua ambizione sia smisurata. Se ci pensassi più seriamente mi spaventerei. Niente lo fermerebbe; troverebbe sicuramente il modo di aggirare l'ostacolo. C'è stato chi ha cercato di opporsi e di mettergli i bastoni fra le ruote, ma ne è uscito sempre sconfitto. In un punto imprecisato dietro le loro spalle si levò uno scroscio di risa. E poi la risatina irrefrenabile di una fanciulla. Sì, il caldo cominciava a diventare insopportabile. — Vi ci siete provata? — domandò Emily. Tallulah scrollò la testa. — Non ne ho mai avuto bisogno. — Lo fareste, per sposare Jago? Tallulah girò la testa dall'altra parte. — Non so. Forse no. Ma, come dicevo, non ha importanza. Jago non mi vorrebbe mai. — Allora, forse è meglio così! — disse Emily in tono risoluto. — Così non dovrete prendere una decisione su quello che volete sul serio: essere ricca e avere bei vestiti, andare ai ricevimenti e a teatro, e sposare chi vorrà vostro padre... oppure diventare la moglie di un uomo che amate profondamente, che ammirate, nel quale avete piena fiducia, pronta ad aiutarlo nella sua opera, in quello che fa nella vita... in una relativa povertà. Non credo che arrivereste addirittura al punto di soffrire la fame, e avreste sempre un tetto sopra la testa... ma non è escluso che ci entri l'acqua. Tallulah si voltò di scatto sulla poltroncina per fissarla in faccia, senza più dominare il proprio dispetto e la propria collera. — Suppongo che dal vostro tetto non entri l'acqua, vero, signora Radley? — domandò in tono tagliente. — Anche se con quello di Jack Radley potrebbe succedere, sono pronta a scommettere che non capiterebbe mai con quello del defunto lord Ashworth. — No, niente affatto — ammise. — Ma che io abbia preso una decisione o no non interessa la nostra discussione. Si tratta di riconoscere, da parte vostra, la realtà di quelle che possono essere le vostre scelte. Nessuno ha mai tutto. Non è possibile in nessun rapporto umano. Osservate Jago attentamente. E non trascurate di prendere in considerazione anche qualche altro uomo, se c'è. Poi decidete cosa volete... e mettetevi d'impegno per ottenerlo. — Lo fate sembrare semplice, voi! — Quella parte di ciò che ho detto lo è. — No, niente affatto. — Tallulah si mise a sedere sull'orlo della poltroncina e appoggiò i gomiti sulle ginocchia prendendosi la faccia fra le mani.
Era un gesto che rivelava quanto fossero angosciate e profonde le sue riflessioni. — Se questa sciagurata faccenda di Finlay non si risolve presto — continuò Tallulah improvvisamente con la voce bassa, venata di collera e paura — e la polizia non la smette di fare domande a tutti sul nostro conto, non avrà più importanza, comunque. Saremo tutti rovinati e nessuno vorrà più rivolgerci la parola, a meno di non esserci costretto. So già quello che può succedere. Salta fuori una storia. La gente se la racconta sottovoce, passa parola e poi, tutto d'un tratto, è come se non ti vedesse più nessuno. Diventi invisibile. Puoi camminare per la strada e la gente si volta a guardare dall'altra parte. Provi a rivolgere la parola a qualcuno e non ti rispondono. — La sua voce si stava facendo più animata, e rivelava chiaramente tutta la sua paura. — I ristoranti dove hai l'abitudine di andare a cena scopriranno di essere già pieni ogni volta che ci metterai piede. Le sartorie dove vai di solito saranno troppo impegnate per fissarti un appuntamento. Le modiste non avranno niente che vada bene per te. Il tuo sarto non potrà trovarti un posto libero fra i suoi altri clienti. Vai in visita dalla gente e a casa non c'è mai nessuno, anche se ci sono le luci accese e una fila di carrozze fuori dalla porta. È come se tu fossi morta senza rendertene conto. Può capitare a chi ha barato giocando a carte oppure non ha tenuto fede a un debito d'onore. Pensate cosa succederebbe con un'impiccagione per omicidio! Stavolta Emily non ebbe fretta di rispondere. Le sarebbe piaciuto essere totalmente convinta che Finlay era innocente; si trattava soltanto di aspettare fino a quando Pitt non ne avesse trovato la prova. Ma conosceva Pitt già da talmente tanto tempo e aveva assistito a casi di violenza e tragedie umane a sufficienza per non avere piacevoli illusioni del genere. Le persone alle quali si vuole bene, o che si crede di conoscere, possono avere un carattere diverso da quello che si pensa, ed essere vittime di accessi di collera o sofferenza incontrollabili, o di morbose necessità che forse neanche loro stessi sono in grado di misurare. — Se continuano a fare indagini sul suo conto, vuol dire che non hanno ancora nessuna prova — disse ad alta voce, soppesando con cautela ogni parola. — Significa che lo considerano sempre colpevole, però — rispose subito Tallulah con gli occhi che le brillavano stranamente. — Altrimenti lo lascerebbero in pace. — Sapete perché? — domandò Emily in tono quieto.
Le labbra di Tallulah si strinsero. Evidentemente era qualcosa a cui aveva già pensato, e la risposta la turbava. — Sì. Ci sono quegli oggetti suoi, personali, che hanno trovato dove la donna è stata uccisa, un distintivo di quell'assurdo club di cui era socio una volta e un gemello da camicia. Lui ha dato le spiegazioni necessarie. Ha detto di aver perduti tutti e due quegli oggetti già anni fa. Da allora non li ha più visti e, come lui, nessun altro. — La sua faccia si indurì. — Poi si è presentato a casa nostra un piccolo, sordido poliziotto a interrogare il suo domestico, ma lui è con noi soltanto da pochi anni e non sa neanche come siano fatti. Ma in ogni caso Finlay non li aveva sicuramente addosso quella sera. — Guardò Emily sgranando gli occhi, come per sfidarla a mostrarsi incredula. — Nient'altro? — domandò Emily senza cambiare espressione. — Sì... effettivamente c'è una prostituta la quale dice di aver visto un uomo che entrava nella camera di quella donna, e giura che assomigliava a Finlay. Ma come possono credere alla sua parola invece che a quella di Finlay? Non c'è giuria al mondo che lo farebbe! — Cercò di frugare con lo sguardo negli occhi di Emily per leggervi una risposta. — Non vi pare? — Certo — rispose con una certa cautela. — E lui dov'è stato quella sera? — A una festa in Beaufort Street. Non riesco a ricordare a che numero ma è nella zona più verso il fiume. — E non può provarlo? — esclamò Emily abbandonandosi impetuosamente alla speranza. — Ci sarà pur qualcuno là che deve ricordarsi di lui. Anzi, con ogni probabilità non una sola, ma dozzine di persone. Non dubito che lo avrà anche detto, vero? Tallulah prese un'aria profondamente infelice. — Non era a quella festa? — domandò Emily. — Sì... sì che c'era. — Adesso il viso di Tallulah era aggrottato, esprimeva confusione e disagio. — L'ho visto perfino io... Passò un cameriere, reggendo alto sulla mano un vassoio di bibite ghiacciate in bicchieri dal lungo stelo, che tintinnavano ogni volta che si sfioravano. In lontananza qualcuno rise. Emily si rese conto che quella storia doveva essere ben più complicata di quanto non sembrasse, che doveva avere risvolti molto brutti e molto segreti. Non domandò niente. — Però non siete in grado di confermarlo — fu il suo commento. Non poteva esserci conclusione più ovvia.
Tallulah si voltò di scatto a guardarla. — Lo farei, se capissi che c'è qualcuno disposto a credermi. Non sto cercando di proteggere me stessa. Offrirei a Fin l'alibi più solido del mondo in un attimo, se potessi! Ma non era quel genere di festa. Tutti fumavano l'oppio e roba simile. Ci sono rimasta soltanto mezz'ora, e poi me ne sono andata, però ho visto Fin, anche se credo che ormai fosse in uno stato tale da non essere neanche in grado di accorgersi della mia presenza. Quel posto era pieno di gente, e tutti ridevano ed erano ubriachi oppure inebetiti. — Ma voi avete visto Finlay... su questo non ci sono dubbi! — disse Emily animandosi tutta. — E non eravate ubriaca o... o... sotto l'influsso dell'oppio? — No. — A Tallulah sfuggì un sospiro tremulo. — Ma, vedete, quando papà domandò dov'ero stata di fronte alla mamma e ai domestici e al dottore della mamma... ho detto che mi trovavo in tutt'altro posto. Adesso nessuno mi crederebbe. Penserebbero che ho detto una bugia per proteggere Fin! E chi potrebbe essere convinto del contrario? Se io fossi nei loro panni è la prima cosa che penserei. A Emily sarebbe piaciuto poter obiettare qualcosa, o dirle qualche parola di conforto ma capiva che Tallulah aveva pienamente ragione. Nessuno avrebbe preso sul serio la sua testimonianza. Tallulah abbassò gli occhi sulle mani che teneva appoggiate sulla gonna. — Dannazione! — esclamò incattivita. — Che bel pasticcio! — E strinse i pugni. — A volte è talmente stupido che, quasi quasi, mi sembra di odiarlo. Ricordo che una volta lo consideravo meraviglioso — continuò Tallulah come se parlasse tra sé e sé. — Quando ero più piccola, lui aveva sempre un tale mucchio di idee interessanti! Ci inventava dei giochi, trasformava l'intera nursery in un altro mondo, un'isola deserta, una nave pirata, la battaglia di Trafalgar coronata dalla vittoria, oppure un palazzo, o il Parlamento. — Sorrise e i suoi occhi si addolcirono a quel ricordo. — Oppure una foresta piena di draghi. Io ero la fanciulla in pericolo e lui veniva a salvarmi. Però recitava anche la parte del drago. E come mi faceva ridere! Emily non interruppe. — Poi, come è logico, dovette andarsene di casa per fare gli studi — continuò Tallulah. — Sentii terribilmente la sua mancanza. Non credo di aver mai più sofferto la solitudine come l'ho sofferta in quell'epoca. Vivevo l'intero quadrimestre pensando al momento in cui sarebbe tornato a casa. E in principio era quello di sempre, ma poi a poco a poco cambiò. Na-
turale! Diventò adulto. Adesso voleva soltanto giocare con i maschi. Con me era sempre gentile, ma non aveva pazienza. Tutti i suoi sogni erano rivolti al futuro, non al passato, dove io ero rimasta confinata. E fu a quel punto che cominciai a capire quante sono le cose che gli uomini possono fare e le donne no. — Alzò gli occhi a fissare un gruppetto che arrivava passeggiando placidamente. Ma sembrava che non li vedesse nemmeno. — Gli uomini possono andare al Parlamento o diventare ambasciatori — continuò. — Arruolarsi nell'esercito o nella marina, fare gli esploratori o i banchieri o i finanzieri o dedicarsi al commercio, a importare o esportare. — Si strinse nelle spalle con aria tragica. — Scrivere opere drammatiche, comporre musica, essere filosofi o poeti. Le donne si sposano. Anche gli uomini si sposano, ma per loro è solo qualcosa d'importanza secondaria. Me ne sono resa conto quando ho capito che cosa papà si aspettava da me e quali erano le speranze che aveva per Fin. Gli sarebbe piaciuto avere altri maschi. La mamma si rammaricava sempre di questo. Immagino che fosse colpa sua. Emily ebbe tutto d'un tratto un quadro molto squallido della vita di famiglia dai FitzJames, una bambina che si rendeva conto agghiacciata di quanto fosse modesta la parte della sua vita che avrebbe potuto controllare da sola, di quanto fossero ridotte le sue scelte a confronto di quelle del fratello. Il successo o il fallimento di sua madre dipendevano dal numero di figli maschi che era in grado di generare... ma si trattava di qualcosa che sfuggiva alla sua volontà. Forse Tallulah avrebbe avuto la stessa sorte... avrebbe dovuto considerarsi una donna fallita. Una sola cosa di una certa importanza le sarebbe stata richiesta, e non si poteva neanche escludere che non fosse in grado di realizzarla. La vita di Emily stessa non era diversa. Lei aveva sposato un uomo che aspirava ad avere dei figli maschi ai quali passare il suo titolo nobiliare, però non aveva sentito esercitare le stesse pressioni su di sé. Non ricordava mai nemmeno un momento in cui aveva dubitato di se stessa. D'altra parte, lei non aveva mai avuto fratelli. — A volte, quando Fin era a casa da scuola, scoppiavano litigi terribili. — Tallulah continuava a fissare il vuoto, a rivivere il passato. — Papà lo chiamava nel suo studio e Fin ne veniva sempre fuori pallido come un morto. Ma alla fine tutto si sistemava. Non è mai successo niente di terribile. In principio mi spaventavo moltissimo. Ricordo che andavo a sedermi sul pianerottolo dietro la ringhiera dello scalone con gli occhi fissi giù, nel vestibolo, in attesa che uscisse dallo studio, terrorizzata al pensiero che
venisse coperto di botte o qualcosa del genere. A dire la verità non so cosa mi aspettassi. Però niente di tutto questo è mai successo. Tutto si è sempre sistemato. Fin e papà continuarono a fare i loro piani. Fin tornò a scuola, poi frequentò l'università e infine entrò al Foreign Office. Se questa storia si conclude senza che scoppi uno scandalo, gli daranno un posto in qualche ambasciata di grande prestigio, probabilmente Parigi. Ci sono dozzine di ragazze, una più conveniente e adatta dell'altra, che sarebbero felici di averlo come marito. Respirò profondamente e si voltò a guardare Emily con gli occhi pieni di lacrime. — Vorrei poter essere d'aiuto, ma non so neanche da dove cominciare. Con me lui non parla di questa storia, però capisco che è spaventato. Neanche la mamma vuole parlarne, salvo per dire che tutto si metterà a posto perché lui non può essere colpevole e papà dovrà capire che non può essere accusato di qualcosa che non può assolutamente aver fatto. Emily non faticò a crearsi l'immagine di una donna spaventata che voleva bene al figlio ma conosceva incredibilmente poco sul suo conto e vedeva nel suo cuore soltanto il bambino che lui era stato molti anni prima; una donna che non poteva vedere l'uomo del presente, che viveva in un mondo al di fuori della sua esperienza, con desideri e voglie che andavano al di là di quello che i sentimenti o la realtà potevano farle immaginare; una donna che si aggrappava al senso del decoro, perché era tutto ciò per cui aveva sempre vissuto e forse continuava tuttora a vivere. Cosa ne sapeva Aloysia FitzJames della realtà che si trovava al di fuori della bella porta elegante e solida della sua casa? — Qualcosa faremo — dichiarò Emily in tono pieno di determinazione. — Tanto per cominciare ci occuperemo di questo distintivo che secondo loro gli appartiene. Se non è stato lui a lasciarlo lì, dev'essere stato qualcun altro, o inavvertitamente o deliberatamente. — Deliberatamente? — Tallulah la fissò con tanto d'occhi. — Volete dire che glielo hanno rubato, e poi l'hanno messo lì nel tentativo di mandare Finlay sulla forca? — Rabbrividì malgrado il caldo, adesso talmente intenso che la sua fronte era imperlata di sudore. Anche Emily poteva sentire la mussola del vestito incollata addosso in un modo incredibilmente fastidioso. — Sarebbe impossibile? — domandò. Tallulah esitò soltanto per un attimo. — No, no che non è impossibile — rispose con un tremito nella voce. — Papà ha un certo numero di nemici.
Da qualche tempo ho cominciato ad accorgermene. Non escludo che possano volerlo colpire dove la ferita lo farebbe soffrire maggiormente, dove può essere vulnerabile al massimo. A volte Finlay si comporta come uno sciocco, questo lo so. — Scosse lievemente la testa. — Secondo me è un po' impaurito all'idea di diventare ambasciatore e poi entrare in Parlamento, e di non riuscire a essere all'altezza delle aspettative che papà ha sul suo conto. A volte si comporta quasi come se volesse cercare in qualche modo di fallire nell'impresa, ancora prima di impegnarsi ad arrivare a quelle cariche. Non proprio... — soggiunse in fretta con un sorriso fuggevole — solo in certi momenti, quando non ha nessuna fiducia in se stesso. Sono momenti che capitano a tutti. — Chi sono i suoi nemici? — insistette Emily, facendo un rapido gesto con la mano per scacciare una mosca. Tallulah ci rifletté per un momento. — Roger Balfour, per esempio. Papà c'è mancato poco che non lo mandasse in rovina con un affare che riguardava gli armamenti... per una questione di munizioni, credo. Peter Zoffany. Una volta mi era simpatico. Raccontava storie meravigliose sulla vita in India. E credo di essergli piaciuta anch'io, abbastanza. Ero quasi arrivata a convincermi che papà forse mi avrebbe fatto sposare lui, ma poi se ne è servito per arrivare a qualcun altro, c'è stato un litigio terribile e non l'ho mai più rivisto. Fin, però, non farebbe mai niente del genere. — Non aggiunse alcuna assicurazione in merito, il che rese ciò che stava dicendo ancora più indiscutibile. Guardò Emily accigliata. — Ha veramente importanza chi può essere stato? Tutto quello che potremmo fare sarebbe raccontarlo alla polizia. A me non dispiacerebbe riferire queste cose al signor Pitt, dovesse tornare da noi, ma non vorrei neanche aprir bocca con quell'altro tipo odioso dalla faccia acida e l'aria afflitta. Credo che si chiami Tellman, o Bellman, o qualcosa del genere. Mi guardava come se fossi una lebbrosa. E in ogni caso penserebbe semplicemente che sto cercando di proteggere Finlay. — No, suppongo che non abbia importanza — ammise Emily. — Il nocciolo della questione è il distintivo del club. Se riuscissimo a far nascere qualche dubbio su quello, l'imputazione nei suoi confronti ne uscirebbe molto indebolita. — Ma ce l'hanno loro! — protestò Tallulah. — Che dubbio volete che ci sia? Ha il nome di Fin inciso sul retro. Me l'ha detto lui. E a ogni modo l'ho visto.
— Com'è fatto? — domandò subito Emily. — A che cosa somiglia esattamente? Ve ne ricordate? — Certamente. Le dimensioni sono più o meno queste — avvicinò il pollice e l'indice, fino a quando rimasero discosti più o meno due centimetri. — Rotondo. Smalto grigio con HELLFIRE CLUB 1881 sulla parte anteriore scritto in lettere d'oro, e lo spillone sul retro. Perché? — E dov'era il suo nome? — Sul retro, sotto lo spillone. Perché? — Scritto come? — In che senso? — Lettere gotiche, corsive o stampatello? — In... corsivo, come una firma, solo più chiara ed elegante. — La sua espressione si fece più animata. — Perché? — Rimase per un attimo con il fiato sospeso. — State pensando che potremmo averne un duplicato? Farne una copia? Ma poi a cosa ci servirebbe? — Be', se fossero due significherebbe come minimo che si può sollevare qualche dubbio su quale sia quello autentico. Uno dei due dev'essere falso, no? E perché non quello trovato nella camera della prostituta? Se non altro proverebbe che chiunque ne può far fare una copia e metterla dove vuole. — Sì, certo. — Tallulah acconsentì con alacrità, mettendosi a sedere sull'orlo della seggiola. — E dove potremmo metterlo? — Ancora non lo so con sicurezza. — Emily stava continuando a riflettere. — Immagino... in un punto qualsiasi dove potrebbe essere caduto per caso. Ecco perché Finlay non l'ha più trovato. In fondo a un cassetto, nella tasca di qualche indumento che non indossa mai. — Ma se fossimo noi a trovarlo capirebbero che siamo state noi a metterlo in quel posto. — È chiaro che non dobbiamo essere noi a trovarlo — dichiarò Emily, pienamente d'accordo. — Ma possiamo combinare le cose perché la polizia faccia una nuova perquisizione e siano loro a trovarlo. — E come si può? — Io posso. Di questo non preoccupatevi. — Emily non aveva ancora nessuna intenzione di spiegarle che il sovrintendente Pitt, incaricato di quel caso, era suo cognato. — Penserò io alla soluzione. — Non faranno dei controlli su tutti noi per vedere se siamo stati quelli che hanno pensato a farne una copia? — continuò Tallulah. — Io ci penserei per prima cosa! E Tellman può essere un orribile ometto, ma ho la sensazione che sia tremendamente intelligente, a modo suo. E potrebbe anche
ripresentarsi il signor Pitt. Parla così bene... anche se è un poliziotto! Ma sotto tutte quelle buone maniere non credo che sia tipo da farsi menare per il naso. — E allora sarà vostro compito fornire un resoconto esatto di come voi e vostra madre passate il tempo e, se possibile, che questo valga anche per Finlay — disse Emily tagliando corto. — Quanto a vostro padre, abbiamo le mani legate. Mi occuperò io di far riprodurre un altro distintivo. Dovete disegnarmelo con tutta la precisione possibile e le proporzioni esatte; anche la scritta dovrebbe essere identica all'altro. Tallulah si allarmò. — Non sono sicura di ricordarlo con precisione. — Allora dovrete cercare di scoprirlo da Finlay, senza che lui si renda conto del motivo per il quale volete saperlo. Non chiedetelo a nessuno degli altri soci. Potrebbero capire quello che state facendo e, pur non volendo tradire Finlay, potrebbero farlo per salvare se stessi anche senza averne l'intenzione. — Sì — disse Tallulah con un tono di voce che rivelava come fosse sempre più convinta. Si alzò in piedi, rimanendo immobile per un attimo sopraffatta dal gran caldo e dal profumo inebriante dei fiori. Anche Emily si alzò. — Sì. Comincio immediatamente. — Tallulah raddrizzò le spalle. — Vi disegno il distintivo e ve lo spedisco per posta. Lo riceverete domani. Emily... grazie! Non so per quale motivo dobbiate mostrarmi tutta questa amicizia, ma vi sono più grata di quanto ve lo possa esprimere a parole! Emily accolse questi ringraziamenti con tutto il garbo possibile. Si sentiva imbarazzata; in fondo, lo faceva unicamente perché si annoiava e da mesi non si occupava più di niente che avesse un minimo di interesse. E anche perché si sentiva sempre meno necessaria a tutti. Tallulah mantenne la parola, e il giorno seguente, con la distribuzione della posta di mezzogiorno, Emily ricevette da lei una lettera, scritta frettolosamente con una grafia larga e disordinata, accompagnata da due schizzi abbastanza accurati delle due facciate, retto e verso, di un distintivo. Uno era minuzioso e dettagliato, di scala più grande, in modo che lo si potesse esaminare facilmente; l'altro meno esatto aveva, però, le stesse dimensioni dell'originale. Erano descritti anche i materiali usar per la sua lavorazione. Uniti ai disegni c'era una banconota da cinque sterline, accuratamente piegata, per coprire il costo del lavoro, accompagnata da ripetuti ringraziamenti.
Emily aveva già deciso dove intendeva andare per farselo riprodurre. Capitava di tanto in tanto che l'una o l'altra delle sue amiche avessero bisogno di un gioielliere non solo abile nel suo mestiere ma anche pieno di discrezione, capace di copiare un pezzo o, addirittura, di riprodurlo da un disegno o una fotografia. Un incidente poteva sempre capitare a chiunque. Un pezzo originale era stato impegnato e venduto per saldare un debito che si preferiva non menzionare al marito e per il quale non si poteva usare il solito assegno che si riceveva da spendere per il proprio abbigliamento. A volte capitava di smarrire qualcosa. C'erano perfino occasioni in cui non pareva consigliabile portare addosso il gioiello originale. Un orefice sconosciuto al resto della famiglia, che sapesse tacere e tenersi per sé certe faccende, era un amico da conservarsi come un tesoro. Naturalmente Emily non gli disse come si chiamava. D'altra parte l'orefice era abituato a gentildonne che si presentavano con il viso velato e il cui nome non compariva in nessun registro dell'alta società, anche se dal comportamento e dal modo in cui erano vestite lasciavano pensare di farne parte. Quindi l'uomo accettò la commissione senza difficoltà e promise che il distintivo sarebbe stato pronto da ritirare nel giro di un paio di giorni. Emily lo ringraziò, gli pagò una metà del prezzo stabilito e promise il resto a lavoro ultimato. Arrivò a casa appena prima che Jack tornasse. Lui venne subito a cercarla nel suo boudoir, affannato e con l'aria di chi deve chiedere scusa. — Mi dispiace — cominciò con voce vibrante di sincerità. Effettivamente sembrava turbato per qualche motivo. La sua giacca, di solito perfettamente in ordine, appariva un po' stazzonata. Aveva gli occhi stanchi. — Cosa c'è? — gli domandò Emily, colta da un'ansietà improvvisa. — Cos'è successo? — Si alzò in piedi e gli andò incontro, osservandolo attentamente. — Il ministro degli Interni ha richiesto una riunione per questa sera — rispose lui in tono malinconico. — Dovrò esserci altrimenti nessuno penserà a esporre il mio punto di vista. Mi spiace, ma è troppo importante, credimi! — Naturale che devi essere presente — affermò subito lei provando un incredibile sollievo. — Ma avevo promesso di accompagnarti all'opera. Abbiamo i biglietti, e so come desideravi vedere lo spettacolo! Lei se n'era completamente dimenticata. A confronto dei guai di Tallu-
lah, sembrava così poco importante! Cos'era il divertimento di una serata, paragonato ai terrori e al senso di solitudine che aveva visto in lei soltanto un paio di ore prima? — Non importa — gli rispose con un sorriso. — È una questione di priorità, vero? Magari andrò a trovare Charlotte, o qualcosa del genere. Quell'opera verrà data anche altre volte. — Notò che l'apprensione spariva di colpo dal viso di Jack, e si sentì cogliere da un fremito improvviso di colpevolezza. — Grazie, cara — disse Jack, accarezzandole delicatamente una guancia. In piedi, così accostata a lui, Emily poteva vedere le linee sottili di stanchezza intorno agli occhi e alla bocca. Si rese conto, con un sussulto, che Jack stava lavorando con grandissimo impegno per la prima volta nella sua vita, cercando di trasformare in un successo qualcosa che fino a quel momento era sempre stata una sfida per lui e un punto d'onore. Si trattava di uno scopo al quale teneva in modo particolare, ma che a volte lo faceva dubitare delle proprie capacità di realizzarlo. Infatti era stato un figlio secondogenito bello e indolente, provvisto di un fascino che gli aveva consentito di vivere senza difficoltà alle spalle di chi trovava la sua compagnia gradevole e simpatica. Adesso, poiché amava Emily e voleva trovarsi una dimensione nella sua vita e nel suo ambiente, aveva provato a guardare dentro di sé alla ricerca di qualcosa di più profondo. E l'aveva scoperto. Si era impegnato in un incarico difficile, nel quale il fallimento era non solo possibile ma forse anche probabile e c'erano molti interessi in gioco schierati contro di lui. Il tempo in cui aveva usato il suo fascino senza dar battaglia, e sorridendo era riuscito a sfuggire a un conflitto diretto, apparteneva al passato. Emily gli prese una mano e gliela strinse; si accorse che le dita di Jack si chiudevano intorno alle sue in una rapida stretta piena di calore, che la sorprese. — Non fare lo sciocco — si affrettò a dire. — Non ho nessuna intenzione di mettere il broncio per una serata all'opera, quando tu stai facendo qualcosa che è davvero importante. Spero di non mostrarmi mai così meschina. So anch'io quello che ha importanza, mi capisci? Lui sorrise, e per un attimo i suoi occhi si rasserenarono divertiti. E la sua stanchezza sembrò scomparsa. Non appena Jack fu uscito di nuovo, Emily si vestì per la serata scegliendo uno degli abiti più vecchi, che non aveva più intenzione di mettere in seguito, fece chiamare la seconda carrozza di casa e diede istruzioni al
cocchiere di condurla in Keppel Street, a Bloomsbury. Quando arrivarono, scese e ordinò che l'aspettassero. Poi bussò alla porta di Charlotte. Appena Gracie venne ad aprirle, entrò impetuosamente, passando subito nel tinello dove Charlotte stava rammendando uno dei grembiulini di Jemima. — Per favore, ascoltami — cominciò. Poi prese posto nella poltrona di Pitt, senza preoccuparsi di raccogliere decorosamente intorno a sé la voluminosa gonna. — So qual è il caso di cui Thomas si sta occupando al momento. Ho una conoscenza, che definirei buona, con la sorella di chi occupa il primo posto nell'elenco delle persone sospettate, e so anche in che modo potremmo riuscire a dimostrare la sua innocenza. — Non badò allo stupore di Charlotte. — Credimi, lui ce ne sarebbe grato. Non è un uomo che Thomas possa avere una gran voglia di accusare di un crimine ma, a meno che qualcuno non sia in grado di dimostrare che era lì al momento del delitto, potrebbe esserci costretto. Charlotte depose il rammendo, e si mise a fissare Emily con aria grave e un sospetto crescente. — Dal modo in cui parli e ti comporti, devo presumere che hai già un piano per riuscire a fare quello in cui la polizia è fallita, o sbaglio? — disse in tono guardingo. Emily deglutì, poi respirò a fondo e si buttò allo sbaraglio. — Sì, è vero. Proprio come dici tu. Lui veramente non ricorda dove si trovava, ma sua sorella, Tallulah, era a un ricevimento, e lo ha visto là. — Oh, davvero? — domandò Charlotte in tono scettico. — E perché questa sorella non lo ha raccontato alla polizia? — Perché nessuno le crederebbe. — All'infuori di te, naturalmente. — Charlotte prese di nuovo in mano il rammendo. La questione non le pareva abbastanza convincente per farle interrompere il suo lavoro. Emily glielo strappò dalle mani. — Ascoltami! È una cosa della massima importanza! — esclamò concitata. — Se Finlay è stato visto a quella riunione a Chelsea, è chiaro che non poteva essere a Whitechapel ad assassinare una prostituta. E se possiamo dimostrarlo, non solo avremo salvato Finlay dal disastro ma anche Thomas dalla necessità di arrestare il figlio di uno degli uomini più ricchi di Londra! Charlotte recuperò il suo lavoro di rammendo, lo ripiegò e lo ripose or-
dinatamente. — E allora cosa vorresti suggerire? Perché questa Tallulah non può trovare qualcun altro fra tutte le persone presenti alla festa, e convincerlo a giurare che Finlay era lì anche lui? Perché avrebbe bisogno di te? Oppure di me? — Perché lei ha già detto di non essere stata a quella festa — esclamò Emily esasperata. — Ti prego, stai attenta! C'è rimasta soltanto per pochi minuti, mezz'ora al massimo, e non riesce a ricordare chi altri ci fosse. — Nel complesso, ho la sensazione che sia stata una di quelle feste dove tutti si dimenticano di tutto — disse Charlotte con una smorfia che assomigliava un po' troppo a un sorriso perché Emily riuscisse a controllare ancora la propria stizza. — Ma è possibile che tu creda davvero a tutto questo, Emily? È assurdo. Lei non si ricorda di nessun altro all'infuori del fratello, e lui non solo non si ricorda di nessuno nel modo più totale e assoluto, e quindi perfino della sua stessa sorella, ma addirittura di esserci stato! — Fumavano oppio — esclamò Emily infuriata. — Doveva essere una specie di... doveva esserci un gran caos. Quando Tallulah ha capito come andavano le cose è venuta via. Non si ricorda delle altre persone perché non le conosce. Finlay non se ne ricorda, perché non era nel pieno possesso delle sue capacità mentali. — Quanto a quest'ultima parte della storia, non faccio fatica a crederla — le concesse Charlotte in tono asciutto. — Ma anche se tutto questo fosse vero, cosa potremmo fare noi? — Tornare nella casa dove è stata data quella festa e vedere se la serata si è svolta esattamente così, e se tutto è proprio andato come lei ha detto — rispose Emily, anche se mentre si ascoltava pronunciare quelle parole si accorgeva di quanto fossero incredibilmente stupide. — Ecco... potremmo come minimo controllare se quella sera c'è veramente stata una festa, e se qualcuno si ricorda di averci visto Tallulah o Finlay. Basterebbe a provare qualcosa. — Immagino che non dovrebbe essere difficile trovare qualcuno... — disse Charlotte in tono dubbioso. — Ma perché Tallulah non ci va lei? Ci sarà pur da credere almeno che lei la conosca quella gente, vero? E noi no. — Socchiuse gli occhi. — O la conosciamo? — No! No, naturalmente no! — Emily lo negò in fretta. — Ma è proprio questo il motivo per il quale faremmo meglio ad andarci. Siamo testimoni importanti.
— Dove si trova? — Beaufort Street, a Chelsea. Vedi di cambiarti e metti qualcosa un po' più elegante, come se andassimo a un ricevimento. — Dal momento che sembra che tutti lì non si accorgano neanche di quello che li circonda, non mi pare che il tuo suggerimento abbia molto senso — rispose Charlotte. Però si alzò in piedi avviandosi alla porta. — Scendo tra pochi minuti. Mi auguro che tu sappia quello che stai facendo. Emily non rispose. Mezz'ora più tardi erano in carrozza e, lasciato alle spalle il fiume, imboccavano Beaufort Street. — A che numero? — domandò Charlotte. — Più o meno da queste parti — rispose Emily. — Cosa vuoi dire? In che senso "più o meno da queste parti"? — disse Charlotte. — Che numero è? — Non sono sicura. Tallulah non lo sapeva. — Vuoi dire che non se ne ricordava, suppongo — ribatté Charlotte sarcastica. — Se Thomas arresta qualcuno in quella famiglia, possono giocare la carta dell'infermità mentale e cavarsela. A ben pensarci, la stessa cosa vale anche per noi. — Noi non stiamo facendo niente che comporti il rischio di un arresto — rispose brusca Emily. Charlotte non replicò. Emily avvertì il cocchiere di fermarsi e, con un'occhiata di sfida a Charlotte, scese dalla vettura, si riaggiustò la gonna, e insieme attraversarono il marciapiede dirigendosi verso l'ingresso padronale di una casa davanti alla quale sembrava che altre tre carrozze fossero già in attesa. — Cos'avresti intenzione di raccontare? — si informò Charlotte. — Non puoi semplicemente domandare se qui venerdì scorso c'è stata un'orgia e se sanno chi era presente! — No, logico! — sussurrò Emily. — Dirò che ho dimenticato qualcosa... un guanto. — A me non sembra una di quelle riunioni alle quali si portano i guanti. — Be', un po' difficile che me ne sia tornata a casa senza le scarpe, ti pare? — Se riesci a tornare a casa completamente inebetita, o senza ricordare niente di quello che è successo, non vedo perché non dovresti farlo anche con le scarpe spaiate, eh? — ribatté Charlotte in tono velenoso.
Emily si vide costretta a non rimbeccarla, perché in quel momento la porta si era spalancata e un valletto la stava fissando dall'alto della sua imponente statura. Indossava una livrea di gala e in altezza la superava di tutta la testa. — Buon giorno. — Emily gli rivolse un sorriso abbagliante, deglutì convulsamente, e attaccò: — Venerdì scorso sono stata qui a un ricevimento e credo di aver lasciato... di aver dimenticato... ehm... il mio... Lo sguardo del valletto avrebbe fatto inacidire il latte. — Credo che potrebbe essere stato al numero sedici, signora. Questo è il numero sei. — E senza aspettare ulteriori commenti fece un passo indietro e chiuse la porta lasciando Emily sul gradino. — Ne concludo che il numero sedici deve avere una certa reputazione... — disse Charlotte sorridendo controvoglia. Emily taceva. Era diventata rossa come un papavero. — Be', vieni. — Charlotte le sfiorò il braccio. — Visto che siamo arrivate fin qui, tanto vale andare sino in fondo. A Emily sarebbe infinitamente piaciuto poter risalire in carrozza e non farsi rivedere mai più in Beaufort Street per il resto dei suoi giorni. L'espressione della faccia di quel valletto avrebbe continuato a perseguitarla a lungo nei suoi sogni peggiori. — Su, avanti — la incitò Charlotte. Emily riluttante ubbidì; si avviarono lungo la strada verso il numero sedici. Stavolta fu Charlotte a suonare il campanello. La porta venne aperta da un giovanotto con una camicia che sembrava di seta, aperta sul collo e i capelli scuri che gli ricadevano a ciocche disordinate sulla fronte. — Salve! — esclamò con un sorriso pieno di fascino. — Dovrei conoscervi? Scusate la mia distrazione, ma a volte il mio cervello è totalmente assente. Viaggia lontano, verso altri mondi dove accadono le cose più fantastiche. — La contemplò con un interesse amichevole, ingenuo e pieno di candore. — Non molto bene — rispose lei. — Ma credo di aver lasciato qui un guanto venerdì scorso. Un posto assurdo dove portare i guanti, lo so, ma a mio padre ho detto che andavo all'opera, così sono stata costretta a vestirmi come se ci andassi davvero. Sono venuta con Tallulah FitzJames — soggiunse, come per un ripensamento successivo. L'espressione del giovanotto rimase totalmente vacua. — Conosco anche lei?
— Magra, bruna — interloquì Emily. — Molto elegante e direi piuttosto bella. Ha un... ecco, il naso lungo, e gli occhi stupendi. — Sembra interessante — disse lui in tono di approvazione. — Sono sicura che conoscete suo fratello Finlay — disse Charlotte facendo un ultimo tentativo. — Oh, Fin... sì, lui lo conosco — confermò il giovanotto. — Volete entrare e dare un'occhiata per vedere se trovate il vostro guanto? Le due donne accettarono e lo seguirono in un atrio spazioso, e poi attraverso una serie di stanze tutte arredate in diversi stili esotici, alcuni di carattere spiccatamente cinese, altri turco o falso-egizio. Finsero di cercare il guanto e, nello stesso tempo, chiesero al giovanotto qualcosa di più sul conto di Finlay FitzJames. Ma oltre ad avere la conferma che era stato lì parecchie volte, non vennero a sapere nient'altro. Il giovanotto non aveva la minima idea se il venerdì, quello dell'omicidio di Whitechapel, fosse stata una di quelle occasioni o no. Lo ringraziarono e se ne andarono, naturalmente senza il guanto. — Be', potrebbe essere — disse Emily non appena si ritrovarono sul marciapiede. — È stata sicuramente il genere di festa che lei ha descritto. Almeno quello è vero. — Tu le credi, eh? — disse Charlotte con aria grave. — Sì, le credo. E voglio esserle di aiuto. So che cosa si prova quando si è sospettati di qualcosa che non si è commesso... qualcosa per cui si potrebbe correre il rischio di venire impiccati. — Capisco — disse in fretta Charlotte prendendola sottobraccio. — Ma tu in realtà non hai commesso un bel niente. — E credo che la stessa cosa valga anche per lui — replicò Emily. — Ho intenzione di fare tutto quanto mi è possibile per essere di aiuto! La mattina dopo Emily scrisse in fretta e furia un biglietto a Tallulah, tratteggiando a grandi linee quelli che erano i suoi progetti più immediati e domandandole se sarebbe stata interessata ad accompagnarla. In caso affermativo, perché non le faceva avere una risposta tramite il fattorino che le avrebbe portato la lettera? Un'ora più tardi le veniva consegnato un messaggio vergato con la grafia irregolare e disordinata di Tallulah nel quale le diceva che sarebbe sicuramente andata con lei. Si sarebbero trovate alle sette alla chiesa di St. Mary, a Whitechapel, e di lì avrebbero proceduto per la loro campagna di guerra. Come le veniva richiesto, confermava che si sarebbe vestita in modo sem-
plicissimo; così chi l'avesse notata l'avrebbe scambiata per una cameriera nella sua giornata di libera uscita che andava, magari, in visita alla sua famiglia. Emily si sentiva nervosa, a bordo dell'hansom che procedeva veloce in direzione est allontanandosi dalla strada in cui abitava. A poco a poco la vettura la portò oltre le banche e i centri commerciali e sotto la grande ombra di St. Paul più vicino al fiume. Era una serata estiva, l'aria mite e profumata. Sul fiume ci sarebbero stati i battelli da diporto, e forse la musica, ma lei non poteva sentirla al di sopra del rotolio delle ruote e del sordo schiocco degli zoccoli dei cavalli. Ben presto si trovò in Whitechapel Road. Era più stretta, più grigia, con alti caseggiati dalle finestre piccole, e i marciapiedi che, a tratti, sembravano stretti come semplici gradoni di pietra, sui quali la gente andava e veniva frettolosa, a testa bassa, senza il tempo di chiacchierare o di godersi il passeggio. Anche il traffico era diverso. Adesso c'erano carri e carretti, barrocci da birrai, furgoni e perfino una mandria di maiali che a un certo momento bloccò la strada e costrinse tutti a fermarsi per parecchi minuti. Nell'aria si sentiva, acuto, il fetore del letame. Scese davanti alla chiesa di St. Mary e pagò in fretta il vetturino prima di scoraggiarsi e cambiare idea. E se poi non fosse più stata capace di trovare un altro hansom? Se fosse stata costretta a camminare? Fin dove sarebbe stato necessario andare? C'era il rischio che qualcuno la prendesse per una donna di strada? E dov'era Tallulah? E se non fosse venuta? In quel caso sarebbe stata costretta a tornarsene a casa. Era ancora giorno pieno. Anzi c'era il sole e faceva un gran caldo. Non sembrava affatto necessario stringersi nello scialle come stava facendo, come se fosse stata in pieno inverno. — Ti sei perduta, bellezza? Si voltò di scatto. Era un uomo tracagnotto con una faccia brutta ma amabile che la fissava. Portava il berretto sulle ventitré e gli mancavano un mucchio di denti. Sul naso camuso c'era una macchia di sudiciume. — No... vi ringrazio. — Lei deglutì, poi si sforzò di ricambiare il suo sorriso. — Sto cercando una persona, ma sembra che non sia ancora arrivata. Questa è la chiesa di St. Mary, vero? — Già, precisamente. Non cercherete il signor Jones, per caso? Il reverendo? Perché è su in Coke Street con Maisie Wallace. Ha perduto ieri la sua bambina. Scarlattina. È stravolta, non riesce a capacitarsi di quello che è successo, e lui è andato a tenerle compagnia.
— Mi spiace — si affrettò a dire Emily mentre le sue paure svanivano. Pensò a Evie a casa addormentata nella sua bella nursery pulita e silenziosa, illuminata dal sole del pomeriggio, dove non la lasciavano sola un minuto, e a Edward, la testolina bionda china sui libri come l'aveva visto prima di uscire. — Mi spiace moltissimo. — Che Dio vi benedica, cara, sono cose che succedono. Succedono ogni giorno a qualche povera anima. — Già, immagino di sì. E sarà verissimo, però sembra la fine del mondo quando capita proprio a noi. — Naturale! E adesso... sicura che va tutto bene? Perché non siete di queste parti, vero? — Socchiuse gli occhi, preoccupato. — Sì, tutto bene — rispose in tono fermo. — Ma se la persona che aspetto non si fa vedere, forse potreste spiegarmi dove posso trovare un hansom che mi porti di nuovo a casa? Ho i soldi per pagare la corsa — si affrettò ad aggiungere. — Questo è un posto buono come qualsiasi altro — rispose lui. — Oppure potreste tentare in Commerciai Road. Da quella parte! — E gliela indicò allungando un braccio. — Bene, se non avete bisogno di niente, me ne vado a casa a prendere il mio tè. Che Dio vi benedica. In quel momento, a una decina di metri di distanza, si fermò un hansom e Tallulah ne scese in fretta e furia. Dopo aver pagato, venne avanti quasi correndo verso di lei. Aveva l'aria trasandata, e sembrava molto diversa dal solito, in un abito di lanetta blu scuro di foggia molto semplice, senza né una gala né una balza arricciata, sul quale portava uno scialle grigio. — Mi spiace di essere in ritardo! — esclamò ansante. — Ho dovuto raccontare un tale mucchio di frottole per venir via senza che papà sospettasse che c'era qualcosa di strano! A volte sono così stufa di sentirmi dire sempre quello che devo fare. Adesso la mamma è d'accordo anche lei che devo proprio accettare le prossima offerta di matrimonio che mi verrà fatta purché ci sia di mezzo un titolo nobiliare, che sia accompagnato dai soldi o no. Papà ha intenzione di non transigere. — Quasi inconsciamente rivolse un lungo sguardo alla chiesa, poi riportò gli occhi su Emily. Le sue pupille erano cupe, piene di tristi presentimenti. — Naturalmente non ce ne sarà nessuna, fintanto che Finlay è sotto accusa. Pensate sul serio che si possa far qualcosa? — Certo che possiamo — rispose Emily baldanzosa, prendendola sotto braccio. — E io ti credo quando dici di averlo visto a quella festa. Tallulah la guardò curiosamente.
— Quello che intendo — si affrettò a riprendere Emily — è che non sono disposta semplicemente a crederti sulla parola, perché può essere piacevole ma del tutto inutile. Sono andata in quel posto ieri sera e ho incontrato un giovanotto. Non aveva la minima idea di chi fosse stato presente alla festa quella volta, però conosce Finlay. — È qualcosa che ci può essere utile? — domandò Tallulah fermandosi nel bel mezzo del marciapiede, con il volto che rivelava tutta la sua ansia. — Ecco, questo non dimostra che lui c'era, ma che potrebbe esserci stato, e che tu, se non altro, conosci la casa e il posto... E allora, perché non partire dal presupposto che potresti anche provare di non essere affatto andata dove avevi detto a tuo padre... casomai fossi costretta a farlo? — Be'... sì... — Bene. E quanto a Jago — continuò Emily passando all'argomento successivo — potrà essere difficile, ma vale la pena tentare. Prima però dobbiamo trovare le sciagurate donne che dicono di aver visto Finlay quella sera. Devono essersi sbagliate. Avranno visto qualcuno che gli assomigliava... tutto qui. Magari semplicemente un gentiluomo con i capelli biondi. Non ce ne saranno molti da queste parti, ma in tutta Londra ce ne sono a migliaia. — Sì, naturale che dev'essere così! — esclamò Tallulah pienamente d'accordo. Poi allungò gli occhi sulla strada davanti a sé. — Che squallore da queste parti! Se non sbaglio Old Montague Street deve essere là in fondo. — Abbozzò un sorrisetto. — L'ho domandato al vetturino. Attraversarono la strada e risalirono per Osborn Street, poi svoltarono a destra, ad angolo retto, in Old Montague Street. Tutto il caldo della giornata, assorbito dalla strada, pareva che adesso risalisse a ondate dall'acciottolato grigiastro. Un barroccio le superò, i fianchi dei cavalli schiumanti di sudore. Due donne si stavano insultando con tutta la voce che avevano in corpo. Pareva che litigassero per un secchio di ostriche. Un vecchio sedeva addormentato nel vano di una porta, o forse era ubriaco. Una mezza dozzina di bambini giocavano con dei mucchietti di sassi, cercando di tenerli in equilibrio sul dorso della mano e poi buttandoli in aria; e scoppiavano grida di gioia quando capitava che uno di loro eseguisse la manovra con un'abilità particolare. In Pentecost Alley il laboratorio di confezioni lavorava ancora a pieno ritmo. Le finestre erano spalancate tanto che poterono vedere le teste delle donne chine sull'ago. Avevano ancora molte ore da far passare prima di
poter tornare a casa per una nottata che sarebbe stata breve, perché alle quattro e mezzo dovevano essere di nuovo al lavoro. Tallulah si fermò e guardò Emily. Adesso che il momento era venuto, si accorgevano tutte e due di sentirsi mancare il coraggio. Sarebbero davvero riuscite a entrare in quella casa di malaffare a chiedere di parlare con una delle donne che ci vivevano? E come sapere qual era quella giusta? Forse tutta quella faccenda stava diventando abbastanza ridicola. Emily respirò a fondo. — Su, andiamo. Se ci fermiamo adesso non ci riusciremo mai. Ma pareva che Tallulah avesse messo le radici lì, sul posto. — Finlay è innocente o colpevole? — bisbigliò Emily in tono concitato. — Ha strangolato quella poveretta e poi se l'è svignata? — No! No, naturalmente non è stato lui! — Tallulah strinse i pugni e salì con passo deciso i gradini, seguita da Emily. In cima alla breve rampa c'era una porta di legno macchiato di umidità, chiusa. Però lì di fianco c'era un campanello di ottone ossidato. Tallulah gli diede uno strattone, con forza. Non successe niente; allora provò a tirarlo di nuovo, sempre con gli occhi fissi sulla porta. E sempre senza guardare Emily. Rabbrividiva, malgrado il caldo soffocante. Dopo qualche minuto la porta si aprì cigolando sui cardini e un donnone dalla faccia gonfia si sporse a guardare. — Abbiamo una camera sola, stella. Non possiamo prendervi tutte e due. Questa è una casa dove si lavora. — Non ci occorre una stanza, grazie — rispose Tallulah educatamente. Emily, che era rimasta ferma un passo indietro, poteva vedere che aveva le mani contratte, chiuse strettamente a pugno, con le unghie conficcate nel palmo. — Siamo venute a parlare con una delle vostre... inquiline. Non sappiamo bene di chi si tratta, però lei ha visto un giovanotto la notte che la povera Ada McKinley è stata ammazzata, e abbiamo bisogno di parlarle. Le esili, pressoché inesistenti sopracciglia del donnone scattarono verso l'alto. — E perché? Se non siete della polizia, mi volete dire chi siete? — Noi lavoravamo con Ada — intervenne Emily prima che Tallulah aprisse di nuovo la bocca. — Io come cameriera personale della padrona nella stessa casa. La nostra Lula, qui presente, si occupava della lavanderia. Mi chiamo Millie. Tallulah deglutì convulsamente. — Proprio così. Possiamo parlarle, per
favore? — Be', tocca a Rose decidere. Vado a chiederglielo. — E con queste parole richiuse di nuovo la porta lasciandole fuori in piedi ad aspettare. — Brillante la tua idea! — esclamò Tallulah con ammirazione. — Adesso non ci resta che sperare che Ada sia stata a servizio, una volta o l'altra, nella vita! — Speriamo bene — replicò Emily. — Altrimenti dovremo semplicemente fingere di averla confusa con qualcun altro. — Se vorrà vederci — soggiunse Tallulah. Aspettarono in silenzio pochi minuti fino a quando la cicciona tornò. Stavolta sorrideva. Le fece entrare. — Quella è la camera di Rosie — disse indicando una porta più o meno a metà del corridoio. — Grazie. — Tallulah raddrizzò le spalle e ubbidì, bussando sonoramente sulla porta che le era stata indicata. Non appena si sentì rispondere, l'aprì ed entrò, tallonata da Emily che temeva di vederla cambiare idea. Il locale nel quale si trovarono aveva un suo strano lusso, ma sgargiante e chiassoso, con qualche tocco di rosso nell'arredamento e abbondanza di gale e balze arricciate, un letto enorme con le tende a brandelli di un rosa che tendeva al rosso, legate da cordoni. Quelli sì che potevano servire per strangolare qualcuno, fu il truce pensiero di Emily. Poi si domandò se lui li aveva davvero usati, e se Ada ne aveva di simili. Quanto a Rose, era una gran bella donna probabilmente sui trentacinque anni. A quell'ora del giorno il suo viso era pulito, non ancora coperto da un trucco troppo pesante; e si vedeva che doveva essersi appena svegliata dopo una buona dormita. Emily non poté fare a meno di notare che in altre circostanze, più pulita e vestita in un modo più decoroso, avrebbe potuto essere davvero splendida, bellissima. Adesso le stava osservando con curiosità, seduta comodamente nell'unica poltrona della camera. — E così, voi conoscevate Ada, povera disgraziata? — disse in tono scostante. — E da me cosa volete? Non posso aiutarvi. Se le volevate così bene, dov'eravate quando quello stramaledetto maggiordomo si è approfittato di lei, eh? Tallulah adesso appariva inebetita, la faccia pallidissima, gli occhi paurosamente infossati. Emily intuì subito a che cosa la donna volesse alludere. — A noi non ha raccontato niente — disse ad alta voce. — È stato tutto combinato senza che nessuna di noialtre lo sapesse, fino a quando è stato
troppo tardi. Ma hai proprio visto l'uomo che l'ha ammazzata? — Certo. — Rose cambiò leggermente posizione, sistemandosi un po' più comoda. — Perché? Cosa ve ne importa? Lo conoscete? È stato uno di quei damerini che vivono su, nei quartieri alti. — È lì che noi lavoriamo — le fece notare Emily. — Lo hai visto chiaramente? — Sì, più o meno. — Intanto Rosie socchiudeva gli occhi. — Ma perché vi interessa? — La nostra speranza era che tu non l'avessi riconosciuto. O perlomeno non lo avessi riconosciuto proprio per bene, cioè senza il minimo dubbio, perché speravamo che potesse essere il nostro maggiordomo. Lo ha fatto di nuovo, capisci. Di colpo si accorsero di aver attirato su di loro l'attenzione di Rose. — Credete proprio? Mi piacerebbe da morire poter metter le mani su quel maiale, per Ada. Maledetto bastardo. — Ma sei proprio sicura che sia stato quest'altro uomo? — domandò Emily in tono dubbioso. — Lo hai sentito parlare? — Noo! L'ho soltanto visto passare, ecco... — Poteva essere il nostro maggiordomo? — Certo che poteva essere lui. Era in libera uscita quella sera? — Sì — disse pronta Tallulah. Era rimasta immobile, irrigidita, al centro della camera, come se avesse paura muovendosi di attirarsi addosso chissà quale catastrofe. Rose si lasciò sfuggire un lungo e lento sospiro, mentre gli occhi le scintillavano. — Gesù, come mi piacerebbe cacciare nei guai quel figlio di puttana. Magari è stato lui! Allora sì che potremmo inchiodare quel mascalzone come si deve! — Già!... Ma... e quello che hai raccontato alla polizia? — domandò Emily. Rose alzò le spalle. — Non ha importanza. In tribunale non ho ancora detto niente. Non possono né accusarmi né condannarmi per questo. Non ho giurato su niente. Eravamo soltanto io e uno sbirro in carrozza. Credevo che fosse lui, adesso non ne sono sicura. A ogni modo Nan non è sicura, così io non faccio che dire quello che dice lei. Tallulah liberò il fiato in un lungo, silenzioso sospiro. — Grazie — disse con sincerità e calore. — Molte, molte grazie. Quando si ritrovarono fuori cominciarono a percorrere rapidamente a ritroso la
strada già fatta senza parlare, addirittura senza guardarsi, fino a quando raggiunsero l'angolo di Osborn Street e proseguirono verso Whitechapel Road. Fu lì che Tallulah si fermò bruscamente. — Ce l'abbiamo fatta! — disse con una voce così stridula che sembrava uno squittio. — Ce l'abbiamo fatta! — Buttò impulsivamente le braccia al collo di Emily e la strinse a sé con tanta energia che per un attimo Emily non riuscì a tirare il fiato. — Grazie! Non so come ringraziarti! Non riesco a spiegartelo. Non soltanto per avermi aiutato a difendere Fin, ma per avermi dimostrato che in fondo una vera e propria prova contro di lui non esiste. — Si tirò indietro di un passettino. Aveva gli occhi lucidi di lacrime. Tirò su col naso. — Se tu non avessi avuto il coraggio, io sarei ancora a casa a camminare avanti e indietro per le stanze, oppure a qualche sciagurato ricevimento fingendo di divertirmi e invece continuando a torturarmi a morte al pensiero che lui non sarebbe mai capace di dimostrare la propria innocenza. — Allora cominciamo a pensare al prossimo problema da affrontare — disse Emily in tono risoluto. — Se Finlay non è coinvolto in quello che è accaduto, e se non viene fatta nessuna imputazione contro di lui, tuo padre esigerà che tu sposi la prima persona di cui avrai attirato l'ammirazione. Sei preparata per affrontare un'eventualità del genere? — Probabilmente ci sarò costretta — rispose Tallulah, mentre ogni traccia di felicità scompariva dalla sua espressione. — Jago, tutto sommato, mi disprezza. E non credere che lo dica per falsa modestia, sai? — Allora bisognerà provvedere a cambiare le cose — dichiarò Emily, troppo esaltata dalla vittoria che aveva ottenuto per prendere in considerazione un'eventuale sconfitta in qualche altro campo. — O perlomeno dobbiamo tentare. — Cominciò a camminare, diretta verso la chiesa di St. Mary, e Tallulah la seguì riluttante. Arrivarono proprio mentre il reverendo Jago Jones ne usciva. Era talmente assorto nei propri pensieri che passò oltre quasi senza accorgersi della loro presenza, e senza neanche guardarle. Fu solo quando Emily si fermò bruscamente e si lasciò sfuggire un grido, che questo richiamò la sua attenzione. Girando sui tacchi la fissò con tanto d'occhi. — Vi è successo qualcosa, signora? State bene? — domandò corrugando le sopracciglia, con aria preoccupata. Lei rimase strabiliata quando se lo trovò davanti e poté osservarlo ben bene in faccia. Poi intuì che non avrebbe dovuto meravigliarsi tanto. Si era aspettata qualcosa di più bello, di più amabile, ma di meno appassionata-
mente vivo. Si era aspettata una persona che sarebbe stata capace di manipolare e superare in astuzia. Invece aveva di fronte un uomo di cui misurava istintivamente l'intelligenza, un uomo con una volontà che non sarebbe certo stata facilmente sviata da qualsiasi scopo lui si fosse prefisso né dall'adulazione né da altri interessi estranei. Adesso che aveva attirato la sua attenzione, cosa poteva dire? — Sì... grazie — mormorò quasi in tono di scusa. — Ci trovavamo da queste parti... perché... Lui lanciò un'occhiata a Tallulah e non la riconobbe. Riportò di nuovo lo sguardo su Emily, aspettando che continuasse. — ...per via della morte della povera Ada McKinley... — continuò Emily sempre più disperata. — Ci colpisce da vicino... perché... — Perché mio fratello è sospettato del delitto — concluse Tallulah. — Non mi pare... — cominciò lui, poi aggrottò le sopracciglia osservandola meglio. — Tallulah? — Adesso la sua voce era diventata stridula per l'incredulità. — Salve, Jago. — La voce di Tallulah era rauca per l'emozione. — Non lo sapevi che sospettano di Finlay? — Sì, sì, lo sapevo, ma non riesco a credere che il colpevole sia lui. Troppo... — Non concluse la frase. Qualsiasi cosa avesse avuto intenzione di dire cambiò idea. Il suo viso s'indurì e ne scomparve l'espressione piena di pietà e di affetto di poco prima. — A ogni modo non c'è proprio niente che tu possa fare qui. Sarebbe meglio che rientrassi a casa prima del buio. Stavo andando dalle parti di Coke Street per la solita distribuzione di zuppa, ma prima preferisco accompagnarvi in qualche posto dove potrete trovare un hansom. Venite. — Ti aiuteremo a distribuire la zuppa — gli propose Tallulah. Lui accantonò quell'idea sprezzantemente. — Non essere ridicola! Tu non appartieni a questo mondo. Ti sporcheresti, ti farebbero male i piedi a furia di stare in piedi, questa gente puzza e ne proveresti fastidio. Ti stancheresti e ti annoieresti. — Adesso la collera induriva il suo sguardo, la linea della bocca. — La fame di questa gente non è qualcosa di particolarmente attraente. Sono persone vere, hanno sentimenti e dignità, non sono uno spettacolo che tu possa venir qui a osservare per poi raccontarlo ai tuoi amici. Emily ebbe l'impressione di essere stata schiaffeggiata. Tallulah non aveva esagerato parlando del disprezzo che Jago provava nei suoi confronti. — Per quale motivo vi siete messo in testa di esser l'unico a provare un
desiderio sincero di essere di aiuto al prossimo, signor Jones? — gli fece notare in tono acido. — La compassione è un vostro diritto esclusivo? Tallulah la stava guardando a bocca aperta. Jago rimase con il fiato sospeso e la faccia contratta, la pelle tesa sugli zigomi. Faceva troppo buio per capire se era arrossito. — No, signorina... — Radley — si affrettò a informarlo Emily. — Signora Radley. — No, signora Radley, assolutamente no. Conosco la signorina FitzJames da parecchi anni. Ma non avevo nessun diritto di giudicare voi misurandovi su di lei, perché in passato la frequentavo e sapevo quale fosse il suo carattere. Chiedo scusa. — Accetto le vostre scuse — disse Emily con il tono di chi si sente particolarmente magnanima. — Però dovreste estenderle anche a Tallulah. È stata lei che si è offerta di aiutare. E adesso, se vorrete precederci, verremo con voi. Sono sicura che più mani renderanno più facile il vostro compito. Jago sorrise a dispetto di se stesso e ubbidì, scendendo dallo stretto marciapiede per affiancarsi a loro mentre si incamminavano in direzione di Coke Street. Aveva avuto ragione. Si trattava di un lavoro duro. Emily si accorse che le facevano male i piedi, le dolevano le braccia e, quanto alle spalle e alla schiena, aveva l'impressione che non sarebbe mai più stata capace di far loro riprendere la posizione naturale. Quella gente era chiassosa, e il fetore che saliva dai loro corpi accaldati e poco lavati e dai vestiti sudici e coperti di macchie a volte dava quasi la nausea. Ma, più ancora di quello, si accorse di rimanere sconvolta dalla fame, da quegli occhi infossati che vedeva alla luce dei lampioni, da quelle gambe stecchite, dalla pelle butterata coperta di croste di sudiciume che ormai vi appariva addirittura stratificato. Vide donne stanche con bambini malaticci e senza nessuna speranza. Rivolgendo un'occhiata a Tallulah, notò che aveva gli occhi stralunati. Come se fosse sotto shock. Nell'arco di tempo di un paio d'ore la povertà era diventata una parola con una vastissima gamma di significati. Perché voleva dire realtà, dolore, persone in carne e ossa che amavano e avevano sogni, che avevano paura o soffrivano la stanchezza né più né meno come lei, solo che a loro capitava quasi sempre, e non soltanto una o due volte l'anno. E anche Jago Jones era diventato differente, non appariva più qualcosa di idealizzato, ma un uomo in carne e ossa, che a volte si mostrava maldestro e faceva cadere quello che teneva in mano, che si ritrovava con le nocche delle dita sanguinanti, quando se le ammaccava strusciandole contro il
muro mentre manovrava il carretto sul quale veniva trasportata la zuppa, che rideva della spiritosaggine raccontata da un bambino e girava la testa dall'altra parte per nascondere la commozione quando si sentiva dire che una donna aveva perduto, abortendo, la sua creatura. Emily continuava a osservarlo, e si stava accorgendo che il suo disprezzo per Tallulah diminuiva lentamente man mano che lei si metteva d'impegno per aiutarlo, ricacciando indietro il disgusto per il tanfo di sudiciume e di sudore irrancidito, e ricambiando il sorriso di bocche sdentate o dai denti guasti e anneriti, e faceva tutto questo all'inizio con uno sforzo evidente ma, alla fine, quasi con naturalezza, senza più badare all'abisso che li divideva. Quando anche l'ultimo del gruppo ebbe ricevuto la sua parte, raccolsero i bidoni vuoti e cominciarono a spingere lentamente il carretto verso la casa dove veniva custodito e dove si cuoceva il cibo. Tutto il necessario per prepararlo era frutto di donazioni, spesso di persone danarose, ma in qualche caso anche di chi aveva, per se stesso, ben poco di più. Alle nove e un quarto, al buio, si incamminarono fianco a fianco verso la chiesa. Poi Jago insistette per accompagnarle fin dove avrebbero potuto trovare un hansom. — Si può sapere qual è il vero motivo della tua venuta a Whitechapel? — domandò Jago a Tallulah. Stavano passando sotto un lampione a gas e in quella chiazza di luce la sua espressione era innocente. Non aveva niente di astuto, e sembrava che non si aspettasse neanche una risposta speciale. Emily trovò interessante che non avesse assolutamente pensato che Tallulah, magari, poteva esserci andata soltanto per vederlo. E lo trovò ancora più simpatico per tutta quella modestia. — Volevo aiutare Finlay — rispose Tallulah dopo un attimo solo di silenzio. Emily moriva dalla voglia di dirle di stare zitta. Jago Jones non avrebbe approvato la visita da Rose Burke e nemmeno quella specie di interrogatorio sulla sua testimonianza. Fece finta di inciampare, e si aggrappò alla manica di Tallulah, dandole uno strattone. — Tutto bene? — disse subito Jago, allungando una mano per sorreggerla. — Sì, grazie. — Si mise di nuovo dritta e ben eretta sulla persona. — In fondo, non è stata davvero un'idea molto intelligente. Non c'è proprio niente che possiamo fare. Ma pensavamo che, se avessimo visto quel posto, forse ci sarebbe venuto in mente qualcosa.
Jago scrollò la testa, ma preferì evitare qualsiasi commento. Quando voleva sapeva essere pieno di tatto. Trovarono un hansom in Commerciai Road e, dopo averle aiutate a salirvi, Jago le salutò ringraziandole con un sorrisetto agro, poi girò sui tacchi e si allontanò senza guardarsi indietro. Tallulah si voltò di scatto ad affrontare Emily, anche se nell'oscurità dell'interno della vettura praticamente non potevano quasi vedersi. — Capisco ancora meno di prima — disse con la voce affaticata e piena di incertezza. — So di amare Jago ma non credo che potrei vivere qui. C'è un fetore così insopportabile! E ogni cosa è così... sudicia! Con chi potrei scambiare qualche parola? E come fa lui a sopportarlo? Emily non rispose perché, in fondo, non c'era niente da dire, niente su cui discutere o ragionare con lucidità. C'era soltanto da prendere una decisione ma, in quello, nessuno poteva aiutarla. Emily andò a ritirare il nuovo distintivo dell'Hellfire Club, e si trovò con Tallulah, secondo gli accordi presi, a un'esposizione canina organizzata dalle socie del Ladies' Kennel Club. Si trattava di un posto in cui potevano presentarsi tranquillamente senza suscitare commenti, un posto dove incontrarsi e confrontare i risultati raggiunti da ciascuna delle due nelle rispettive ricerche fingendo di parlare di tutti quei cani di ogni razza, colore e dimensione. Tallulah indossava uno splendido abito di mussolina con un ricamo di margheritine e le guarnizioni di nastro in raso bianco. Nessuno avrebbe riconosciuto in lei la donna che aveva aiutato a distribuire scodelle di zuppa in Coke Street la sera prima. Aveva l'aria spensierata, ridente, garbata, e continuò ad averla fino a quando non vide Emily. Allora chiese scusa agli amici e la raggiunse, tendendole la mano, il viso teso, contratto, un'ombra di infelicità negli occhi. Senza alcun commento Emily gliela strinse, e approfittò di quel gesto per passarle il distintivo. — Cosa c'è? — domandò. — È successo qualcosa di nuovo? — No. Io... — Tallulah scrollò il capo. — La verità è che mi piace infinitamente questa esposizione canina. Ma li guardi un po' tutti. Non sono bellissimi e intelligenti? — Chi, i visitatori o i cani? — I cani, naturalmente! — Poi passò delicatamente la punta delle dita sulla morbida stoffa della gonna. — E questo vestito mi piace da morire.
— Certo, bisogna dire che ti dona in un modo straordinario — osservò Emily con sincerità. — Riesci a vedermi con una toilette del genere addosso a Whitechapel? Probabilmente è costato più di quello che Jago guadagna in un anno. Se non addirittura due. — Nessuno può decidere per te — replicò Emily sottovoce, ridendo e salutando con un cenno del capo la moglie di un altro membro del Parlamento che veniva avanti portando al guinzaglio un alano, e cercando di dar la sensazione che fosse lei a guidarlo e non lui a tirarsela dietro. — L'unica cosa che non devi mai fare è dare a qualcun altro la colpa perché tu hai scelto la strada sbagliata. Sii onesta con te stessa. Se vuoi la tua vita così com'è adesso, con soldi, eleganza, e un marito che puoi anche non amare, ebbene goditela! — Sorrise alzando una mano in un cenno di saluto alla moglie di un ministro del Gabinetto, che in realtà trovava detestabile. — Ma se vuoi Jago, con tutto ciò che questo significa, non tentare di cambiare lui o di criticarlo per quello che è. — Non sarebbe logico aspettarsi di poter cambiare almeno qualcosa in un marito? — disse Tallulah in tono conciliante. — Perché dovrei proprio essere io l'unica a fare tutte le rinunce? — Perché è così che va il mondo — disse Emily risolutamente, tagliando corto. — Non serve cercar di scendere a patti con quello che tu pensi sia giusto, ma solo con quello che è reale. E, a ogni modo, per quale motivo vorresti che Jago si adattasse a te cambiando quello in cui crede? Come lo farebbe diventare questo? — Credevo che il matrimonio fosse inteso nel senso che può migliorare gli uomini, almeno in piccola parte — Tallulah protestò. — Non siamo fatte, noi, per avere un'influenza moderatrice? Per rendere più amabili e gentili? Non è per questo che esistiamo? Per avere figli e per offrire un'isola di pace, di purezza e di alti ideali, lontano dal clamore e dai conflitti del mondo? Emily si morse la lingua per non rispondere in un modo troppo crudo. — Ti è mai capitato di conoscere un uomo che desiderasse essere reso più mite e amabile o migliore? — No — esclamò Tallulah un po' sorpresa. — Tutti gli uomini che conosco desiderano essere ammirati e ubbiditi. E vedersi fornire ogni appoggio. È sicuramente quello che papà desidera, quello su cui insiste. In cambio pensa lui a provvedere a tutto il necessario per noi, ci consiglia e, se l'occasione lo richiede, ci protegge.
— Naturalmente — ribatté Emily con un sorriso. — A volte ci può capitare di comportarci in modo tale che un uomo scopre in se stesso la voglia di venir reso più amabile o di migliorarsi. Ma si tratta di tutt'altra proposta. Un conto è domandare qualcosa, ma è ben diverso accettarla quando viene offerta. Tallulah fu costretta a interrompere la discussione dall'intervento di un gruppo di signore che vennero a raggiungerle, tenendo al guinzaglio due spaniel e un setter. La conversazione si spostò sui cani. Emily rimase solo altri dieci minuti o poco più, poi si scusò e tornò alla sua carrozza. Avevano concordato che Tallulah, appena tornata a casa, avrebbe trovato il posto adatto per il distintivo. Adesso era necessario che qualcuno costringesse Pitt a una nuova perquisizione in modo da scoprirlo. Diede al suo cocchiere l'indirizzo di Charlotte a Bloomsbury, e si appoggiò alla spalliera del sedile meditando sul modo di introdurre un suggerimento del genere nella conversazione, e di farlo con un briciolo di logica e di buon senso. Naturalmente non ne avrebbe spiegato a Charlotte il perché; c'era il rischio di metterla in difficoltà perché non avrebbe saputo con chi dei due mostrarsi più leale... Era uno splendido pomeriggio, caldo e silenzioso, con quelle luci dolci e dorate che i raggi del sole assumono soltanto verso la fine dell'estate come se l'aria fosse intrisa di una specie di pulviscolo d'oro, quell'intenso profumo di fiori e già il vago sentore che nel giro di un mese le prime foglie cominceranno a ingiallire e poi a diventare secche, le notti a farsi sempre più fredde e la sera a scendere più presto. Charlotte era in giardino a ispezionare le giovani pianticelle di crisantemo e ammirare gli astri in fiore, dalle grosse corolle vellutate color violaceo e scarlatto. — Che splendore... più perfetti di così! — disse Emily, ed era sincera. Charlotte le rivolse un'occhiata scettica. — È questo che sei venuta a dire? — No, naturalmente no. — Intanto si domandava, per un attimo, se un buon litigio con Charlotte poteva servire a distrarla, evitando che la sua attenzione si concentrasse su quello che era venuta a raccontarle e concluse che no, in fondo non sarebbe stato opportuno. — Rientro adesso dall'esposizione canina. — Cominciò a raccontarle un po' incerta. — E ci ho visto Tallulah FitzJames. Ha l'aria terribilmente preoccupata. Mi sento così impotente... non so cosa dirle... Thomas è davvero persuaso che suo fratello sia colpevole? Gli hai accennato al fatto che... —
Si interruppe. — Che siamo andate in Beaufort Street? — rispose Charlotte sgranando gli occhi. — No, naturale che non l'ho fatto! Cosa volevi che gli dicessi? Che la sorella di Finlay sostiene di averlo visto a una festa, però non riesce a ricordare chi altri era presente perché nessuno ricorda niente di niente di tutto quello che è successo in quell'occasione all'infuori del fatto che la festa sì, effettivamente c'è stata, e in quale data? — Sì, immagino che non sarebbe di alcun aiuto — ammise Emily insoddisfatta. Si incamminarono fianco a fianco lentamente per il prato verso il melo, oltre la siepe di caprifoglio che era ancora in piena fioritura. Nell'aria del crepuscolo cominciava a diffondersi il suo profumo intenso e dolce. — Servirebbe soltanto — osservò Charlotte con gentilezza — a dimostrare che Tallulah è una sorella leale. — Si tratta del distintivo, vero? — Emily colse al volo l'opportunità che le veniva offerta. — È quello che rende la sua posizione così brutta. Come potrebbe essere stato trovato lì, se lui non ci è andato? Erano arrivate in fondo al prato. Si soffermarono al riparo dal sole. — Se lui non è colpevole — continuò Emily come se riflettesse ad alta voce — allora si tratta di una delle disgrazie più terribili che possano succedere a un uomo. Forse ha qualche nemico. A quanto dice Tallulah, non è impossibile. O perlomeno — si affrettò a continuare per impedire a Charlotte di interromperla — potrebbero essere nemici di Augustus. — Secondo te, sono stati loro che gli hanno portato via di nascosto il distintivo e hanno assassinato una persona lasciando quel gingillino sulla scena del delitto? — domandò Charlotte con incredulità. — Non è un rischio terribile da correre unicamente per danneggiare qualcun altro? E se dovessero essere catturati e impiccati loro stessi? Emily respirò a fondo, e liberò il fiato facendosi sfuggire dalle labbra un lento sospiro. — Chiunque esista di così arrogante probabilmente vive nel convincimento totale di non venire mai scoperto. Ma io non avevo pensato che potevano aver rubato il distintivo di Finlay... perché non farne fare molto più semplicemente un altro identico? Non dovrebbe essere difficile. E poi lasciare la copia in quel posto. — Ma... e se la polizia dovesse trovare l'originale? O lo trovasse Finlay medesimo? — Il club si è sciolto anni fa. Probabilmente lui non ha la più pallida i-
dea di quando è stata l'ultima volta che se lo è trovato fra le mani... Figuriamoci poi se si ricorda dove! — Eppure l'hanno cercato... l'ha cercato Thomas. — Ma ha fatto la perquisizione proprio lui? — insistette Emily. — Oppure ha soltanto incaricato un poliziotto di occuparsene, pensando che se Finlay sapeva dove fosse quel distintivo si sarebbe precipitato a farlo saltar fuori il più in fretta possibile? — Sì, forse ha incaricato uno dei suoi uomini. Non lo so. — Bene, domandaglielo — riprese Emily, che non sapeva più a che santo votarsi. — In fondo, se Thomas trovasse l'altro distintivo, questo renderebbe le cose molto più semplici, non ti pare? Per lui, voglio dire. Perché a questo modo non avrebbe nessuna prova convincente contro Finlay e non si troverebbe nella disgraziata posizione di chi è costretto ad accusarlo ufficialmente! Non si sentirebbe fra l'incudine e il martello, stritolato fra le pressioni dell'opinione pubblica e quelle del ministero degli Interni; e magari sarebbe sufficiente a impedire ai giornali di insinuare che lui ha rinunciato all'imputazione di Finlay unicamente per il nome che porta. So benissimo la sorta di cose che diranno. — Forse hai ragione — disse Charlotte pensierosa. — Gliene accennerò. Emily prese Charlotte sottobraccio per tornare indietro attraverso il prato verso la casa. Non si arrischiava ad aggiungere una sola parola a quello che aveva già detto. 6 Mentre Emily si dava tutto quel daffare per aiutare Tallulah, Pitt si era dedicato a un'indagine più approfondita sulla reputazione della famiglia FitzJames e sul suo giro di amicizie. Aveva mandato Tellman a cercar di sapere ancora qualcosa da aggiungere alle informazioni che avevano già raccolto sulla storia degli altri soci dell'Hellfire Club, in quanto era più probabile che il distintivo, accidentalmente o no, fosse finito nelle loro mani. A dispetto delle apparenze e di un tipo di vita come la loro, che sembrava lontanissima dalla frequentazione dei bordelli di Whitechapel, non si poteva neanche escludere, di primo acchito, che fosse vero il contrario. E anche se a Pitt sarebbe piaciuto convincersi che Jago Jones era né più né meno ciò che proclamava di essere, perché non tener conto del fatto che poteva essere vittima anche lui di tutte le umane debolezze dei suoi simili? In tal caso, per soddisfarle non avrebbe potuto trovare soluzione migliore
di quella di rivolgersi a una prostituta; date le sue mansioni pastorali, nessuno si sarebbe meravigliato di vederlo frequentare simili compagnie. Avrebbe potuto perfino trovare una spiegazione convincente di questo fatto per se stesso. Viveva una vita ascetica, solitaria e piena di sacrifici, di autodisciplina. Non era difficile da capire. All'epoca in cui aveva fatto parte dell'Hellfire era stato un uomo chiaramente incline ad assecondare le proprie voglie, e a non rinunciare ad alcun piacere. Che cosa lo aveva cambiato e in modo tanto radicale? Ma perché avrebbe dovuto ammazzare Ada? C'era da pensare che lei avesse detto o fatto qualcosa di imperdonabile? Gli aveva riso in faccia... lo aveva sbeffeggiato per la sua umana fragilità? Aveva visto in lei lo strumento per mezzo del quale si era corrotto, il serpente ed Eva in una creatura sola? Oppure aveva semplicemente minacciato di metterlo alla berlina e denunciarlo? Gli aveva chiesto dei soldi, aveva continuato a ricattarlo per ottenerne altri? Rose Burke e Nan Sullivan avevano affermato sia l'una sia l'altra che Ada era un tipo avido, pronta a cogliere ogni opportunità non appena si presentava. Era possibile, e più Pitt ci rifletteva più l'idea lo addolorava. Jago Jones gli era piaciuto e lo aveva ammirato; ma questa possibilità non poteva essere ignorata. Già altre volte gli era capitato di provare simpatia per altri uomini, e poi di scoprire che erano colpevoli. Poteva non piacergli Augustus FitzJames, e più approfondiva le indagini per non scartare l'eventualità che qualcuno dei suoi nemici lo avesse odiato tanto da spingersi fino a quel punto per rovinarlo, più cose scopriva che non gli piacevano. Più Pitt andava indietro nelle sue ricerche relative al passato di Augustus, meno facile diventava farsene un'opinione chiara, perché le situazioni avevano contorni sempre più sfumati. A quel che pareva non aveva ereditato neanche un soldo dal padre, un proprietario terriero del Lincolnshire inetto e incapace, che aveva ipotecato tutto quanto possedeva fino all'ultimo spillo. Augustus aveva prestato servizio per un certo periodo di tempo nella marina mercantile sulle rotte dell'Estremo Oriente. Era rientrato in patria poco dopo la seconda guerra dell'Oppio nel 1860 con denaro sufficiente per dare inizio ad alcuni investimenti, un'arte questa che aveva esercitato con sempre maggiore abilità, tale da rasentare addirittura il genio in qualche occasione. Adesso era alla testa di un impero finanziario di proporzioni cospicue, enormemente complesso, con tentacoli che si allungavano dappertutto.
Aveva investimenti in India, Egitto, nelle spedizioni africane di Cecil Rhodes e nel nuovo sviluppo economico dell'Australia. Molto spesso i suoi interessi avevano intralciato quelli di altri, ma era sempre stato lui a uscirne vittorioso. Pitt si sentì anche riferire parecchi aneddoti che descrivevano non soltanto la generosità ma anche la crudele spietatezza di Augustus. Pareva incapace di dimenticare un amico o un nemico, e si raccontavano episodi a conferma del fatto che era capace di nutrire malanimo e livore verso qualcuno per decenni, pronto a ripagare chi lo aveva danneggiato con la stessa moneta, non appena si fosse presentata l'opportunità perfetta per riuscirci. Le belle maniere non erano il suo forte. Mancava di raffinatezza e garbo nei rapporti sociali, eppure anche così aveva sempre attirato l'interesse delle donne. Aloysia lo aveva sposato per amore, e lui non era certo stato l'unico pretendente. Altri uomini con maggior fascino e maggior senso dell'umorismo, avevano chiesto la sua mano. E lei non aveva avuto sicuramente bisogno di fare un buon matrimonio perché non erano i soldi a mancarle. A quell'epoca il suo patrimonio personale era più sostanzioso di quello di Augustus. Forse c'era stato qualcosa nella sua energia, nell'ambizione che lo divorava e in quel gusto per il potere, che pareva la molla che gli dava la carica, ad affascinarla. Finlay non solo aveva la faccia larga e amabile di sua madre, come il modo di fare elegante e garbato, ma si sarebbe detto che avesse anche il suo carattere più malleabile e il suo intelletto più pigro. Nel complesso sembrava un uomo abbastanza simpatico anche se un po' troppo compiacente con se stesso per tutto quello che poteva dargli piacere; ma era abbastanza logico alla sua età e viste le grandi aspettative che si avevano su di lui. Ewart diventò sempre più insistente nel sostenere che Finlay era innocente e che doveva essere stato qualche nemico di Augustus a coinvolgerlo deliberatamente in quello che era successo. E Pitt, che prima aveva accantonato questa possibilità, adesso cominciò a rifletterci più seriamente. — Il suo domestico dice che non ha mai visto quei gemelli da camicia — gli fece rilevare Ewart mentre si trovavano insieme nell'ufficio di Pitt in Bow Street. — Potrebbero essere andati smarriti anni fa, come sostiene Finlay. — Ma come ha fatto uno a finire nella poltrona in camera di Ada? Ewart aggrottò la fronte e fece una smorfia. Continuava ad avere l'aria stanca e preoccupata. Il suo abito era spiegazzato, la cravatta un po' sbilen-
ca. Aveva le occhiaie segnate come se, ormai da tempo, dormisse male. — So che lui ha detto di non essere mai stato in Whitechapel — rispose scuotendo il capo. — Ma date le circostanze è una bugia comprensibile. Avrebbe potuto benissimo esserci andato tre anni fa. Ed essere talmente sbronzo in quel momento da averlo totalmente dimenticato. Anche questo era vero, e Pitt non fece obiezioni. Poteva anche capire la riluttanza di Ewart a considerare Finlay colpevole. La prova non era conclusiva, e se avessero emesso un'imputazione nei suoi confronti la battaglia sarebbe stata dura e la causa particolarmente complessa e difficile. Perderla sarebbe stato tanto imbarazzante che sia l'uno sia l'altro ne avrebbero risentito, e a lungo, per il futuro della loro carriera. — E il distintivo? — Pitt stava quasi pensando ad alta voce, mentre le parole che Charlotte gli aveva detto la sera prima gli giravano e rigiravano nel cervello. — Lui sostiene di averlo smarrito anni fa — gli ricordò Ewart. — Secondo me è vero. D'accordo, non possiamo dimostrare che il club non si è più riunito da... diciamo... cinque... o sei anni. Tutti i soci sostengono che questo non è successo, e io sono il primo a crederci. Fra l'altro sembra che non ci sia più alcun rapporto fra loro. Helliwell si è sposato e lavora con successo nella City. Thirlstone si è messo con il gruppo degli esteti. E Jones ha preso la tonaca ed è andato a vivere nell'East End. In tutta franchezza, se non si trattasse di uno dei nemici di Augustus FitzJames, sarei propenso a credere che sia stato Jones. È possibile che ci fosse qualche vecchia ruggine fra lui e Finlay? Pitt si appoggiò meglio contro lo schienale della sua poltrona. Fra loro c'era lo scrittoio, lucidato meticolosamente, con il piano ricoperto di cuoio verde sbalzato. — E lui ha aspettato sei anni per assassinare una prostituta e fare in modo che Finlay ne prendesse la colpa? — Alzò le sopracciglia. — D'accordo, è ridicolo, ammettiamolo pure. Il gemello da camicia è stato un incidente. Finlay, una volta, è andato da quella donna. Il distintivo ci è stato messo deliberatamente da qualcuno, per determinate ragioni che scopriremo col tempo. Pitt provò a esporre l'idea di Charlotte. — Se c'è qualcuno che odia sul serio Augustus FitzJames, perché non pensare che il distintivo trovato da noi non sia l'originale ma un altro identico che qualcuno ha fatto copiare per implicarlo nell'assassinio? Ewart si illuminò tutto. Cominciò a battere lentamente la mano chiusa a
pugno sul piano della scrivania. — Sì! Sì, questa è la soluzione più probabile, almeno finora. Potrebbe proprio essere successo così. — Poi i suoi occhi si incupirono. — Ma come provarlo? Metterò immediatamente i miei uomini alla ricerca di un gioielliere, anche se sono quasi sicuro che sia stato pagato profumatamente per stare zitto. — Cominceremo col fare una perquisizione delle stanze di Finlay in cerca dell'originale — replicò Pitt anche se aveva scarsissime speranze di successo. — Non ho idea se sia la verità o no, ma un qualsiasi avvocato difensore non privo di abilità lo presenterebbe subito come una eventualità utile a far sorgere qualche ragionevole dubbio. Ecco perché può essere così importante per noi. Lungi dall'essere sconfortato, Ewart adesso si sentiva euforico. — Ma è un ragionevole dubbio! — disse infervorandosi. — A meno che non abbiamo in mano qualcosa di più solido non ha senso arrestarlo, indipendentemente da quelle che sono le nostre convinzioni in materia. — No — ammise Pitt, ed era una grossa concessione. Si recò di persona a sovrintendere a un'ulteriore perquisizione di casa FitzJames in cerca del distintivo originale. Si fece accompagnare da due agenti; al primo momento fu accolto con riluttanza, e poi con una certa sorpresa quando spiegò lo scopo della sua visita. Ci misero poco meno di tre quarti d'ora a scoprire il distintivo nella tasca interna di una giacca che il domestico disse di non riuscire a ricordare quando era stata indossata dal signor Finlay, una giacca molto consunta ai gomiti e un po' logora al collo. A quel che sembrava era stata conservata solo per motivi sentimentali. Fra l'altro si trovava proprio in fondo all'armadio. Era sformata e quindi comoda, utile da adoperare durante le passeggiate estive, perché non aveva più importanza se si poteva strappare o macchiare d'erba. Da molto tempo Finlay non aveva più avuto l'occasione di concedersi simili passatempi. Avrebbe potuto essere in fondo a quell'armadio da chissà quanto tempo. C'era un po' di lanugine impigliata nello spillone sul retro e un'impercettibile graffiatura sullo smalto della parte anteriore. La spiegazione venne fornita dalla signorina FitzJames, la quale, apparentemente per un puro caso, quella mattina si trovava lì a scrivere lettere a qualche amica e a rispondere agli inviti. Pitt, in piedi nel salottino, girò e rigirò il distintivo fra le mani. Era esattamente identico a quello conservato dalla polizia. E lui, osservandolo, non
riusciva a trovarci nessuna differenza salvo una impercettibile variante nell'accuratissimo corsivo in cui era scritto il nome, Finlay FitzJames, sotto la barretta dello spillone sul retro. La scrittura sembrava di mano diversa. Del resto era logico che fosse così. Quello che a lui occorreva, in realtà, era uno degli altri distintivi del club per poterlo confrontare, per capire quale fosse l'originale e quale la copia. Non esisteva modo diverso di scoprirlo. Ma gli altri soci avevano affermato tutti di non avere più il loro. — Si può sapere cosa c'è, sovrintendente? — chiese Tallulah, guardandolo con un'espressione lievemente preoccupata. — Adesso io ho due distintivi per vostro fratello, signorina FitzJames. Uno di essi è un duplicato. Mi occorre sapere di quale si tratta, e perché è stato fatto, e da chi. Lei lo fissò impassibile. — Questo è l'originale. Quello che avete trovato in Pentecost Alley è una copia fatta eseguire da uno dei nemici di mio padre per poterci rovinare. Pitt la considerò con attenzione. Era vestita di bianco, con la sottogonna e le guarnizioni di nastro di un celeste chiarissimo. Era un po' esile, e questo le dava un aspetto fragile e molto femminile, fino a quando non si osservava come fossero netti e incisivi i suoi lineamenti e quale volontà ardesse nel suo sguardo. — Siete realmente convinta che vostro padre abbia dei nemici che sarebbero disposti ad assassinare una donna per potersi vendicare di lui? — le domandò. Evidentemente lei aveva già preso in considerazione la domanda. La sua risposta fu sommessa e calma, pronunciata con una voce roca, che rivelava il tumulto delle emozioni tenute a freno ma, nonostante questo, sicura e priva di esitazione. — Sì, sovrintendente, è quello che credo. Penso che forse non vi siate ancora reso conto di quanto lui sia potente, o quanto denaro abbia accumulato negli ultimi trent'anni. L'invidia può essere molto feroce. Può travolgerti e spazzar via qualsiasi capacità di giudizio, decoro o sentimento tu possa avere. E... e alcune persone non... — si morse un labbro — ...non considerano la morte di una prostituta un grande peccato. Scusatemi, è una cosa orribile da dire. — Ebbe un fremito, e lui di colpo si convinse che stava parlando seriamente. — Ma è vero — concluse. Pitt lo sapeva benissimo. Non fosse successo a Whitechapel, così presto dopo quegli altri omicidi tanto terrificanti, i giornali non si sarebbero neanche degnati di dedicarle una notizia.
— Forse farete meglio a prepararmi un elenco di queste persone, signorina FitzJames, aggiungendo a lato di ciascun nome quello che sapete, o credete di sapere, sui loro moventi. Chiederò a vostro padre che me ne prepari una anche lui. — Naturalmente. Pitt ringraziò i due agenti che lo avevano aiutato nella perquisizione, poi lasciò casa FitzJames e si incamminò lungo Devonshire Street verso il parco. Comprò due panini al prosciutto da un uomo che li vendeva all'angolo, e li mangiò mentre attraversava Marylebone Road e svoltava per York Gate, passava attraverso l'Outer Circle e proseguiva sotto gli alberi. La giornata era mite e l'aria fragrante. Il parco era affollato di persone che passeggiavano, di gentildonne eleganti che si pavoneggiavano, di coppie di innamorati. Pitt non trovava argomentazioni da esporre a Ewart sul perché gli riuscisse difficile convincersi che uno qualsiasi dei nemici di Augustus FitzJames avesse voluto assassinare una prostituta e far accusare Finlay dell'assassinio per vendicarsi di lui. Non esisteva una sola obiezione a una tesi del genere. La verità era che lui non credeva, molto semplicemente, a una macchinazione così complessa. La sua esperienza gli diceva che a volte si poteva orchestrare un furto per un simile motivo, mai però un omicidio. Con un atto di violenza, le macchinazioni e i raggiri, nonché i tentativi di gettare la colpa su qualcun altro, venivano in seguito. E per quanto crudele e spietato questo presunto nemico potesse essere, Pitt faticava a persuadersi che avesse commesso deliberatamente un delitto per il quale rischiava l'impiccagione casomai si fosse riusciti a risalire fino a lui. Eppure si vedeva anche costretto ad ammettere che in tutta quella storia c'era qualcosa di deliberato. Il distintivo e il gemello da camicia erano qualcosa di insolito, di inconcepibile. Come poteva un uomo essere tanto trascurato da lasciarsi dietro due prove di quel genere? Doveva impegnarsi più a fondo con Helliwell e Thirlstone e, sia pure controvoglia, con Jago Jones. Trovare un altro distintivo da confrontare con i due che aveva ora in suo possesso poteva essere cruciale per la colpevolezza o l'innocenza di Finlay. — Dio santo, sovrintendente! — esclamò Helliwell in tono stizzoso quando Pitt gli si accostò mentre stava camminando lungo Birdcage Walk dopo un prolungato ed eccellente pranzo in Great George Street. — Non posso proprio aiutarvi. Non so proprio niente sul conto di Finlay FitzJames
e su come si comporta adesso. — La sua espressione si incupì. — Credevo di avervi già spiegato che siamo stati amici in passato, ma il presente è una faccenda totalmente diversa. Vorrei potervi fornire qualche elemento decisivo in modo da cancellare qualsiasi macchia dal suo nome, ma non sono nella posizione di poterlo fare. E adesso ho un affare da sbrigare per il quale sono già un po' in ritardo. Vi prego di scusarmi. — E affrettò il passo. Pitt lo imitò. — Ho scoperto un secondo distintivo dell'Hellfire Club — disse mentre gli marciava a fianco. — Davvero? — Helliwell continuò a camminare senza voltarsi. Non domandò dove fosse stato trovato. — Non riesco a vedere in che modo questo possa riguardare me. Se è mio, l'ho smarrito anni fa, e avrebbe potuto trovarsi chissà dove. Pitt lo scrutò in faccia ma, sotto il sole del pomeriggio, notò che appariva soltanto lievemente arrossata per la fatica della marcia o forse per aver un po' ecceduto con il Porto, ma non riuscì a leggervi il disagio di chi è costretto a mentire. Helliwell era stizzito, ma se aveva paura la nascondeva con un'abilità consumata totalmente in contrasto con il resto del suo carattere. — No — replicò Pitt. — Non era il vostro. A quanto pare, anche quello apparteneva al signor FitzJames. Stavolta Helliwell si fermò, girandosi di scatto. — Cosa? Ma non ha senso! Ne avevamo soltanto uno per ciascuno. Che... che state dicendo? — Che qualcuno ha fatto fare un secondo distintivo, signor Helliwell. Sarei molto lieto di poter vedere il vostro in modo da capire qual è l'originale. — Oh! — Helliwell sbuffò rumorosamente. — Sì. Capisco. Be', continuo a non potervi aiutare e francamente sto cominciando a trovare questi continui interrogatori un po' fastidiosi. — Si voltò a guardare Pitt per lasciargli capire che non provava nessuna apprensione, ma che la sua stizza era autentica, e stava aumentando. — FitzJames è stato un amico di quei giorni del mio passato, quando ero ancora un po' immaturo, che adesso mi sono lasciato alle spalle; quello che lui può o non può fare ormai non mi interessa più. Anche se trovo quasi impossibile credere che abbia avuto qualcosa a che fare con la morte di una prostituta nell'East End. Soltanto una serie incredibile di fatti sfortunati può avervi indotto a immaginare una cosa del genere. Occupereste molto più proficuamente il vostro tempo esaminando a fondo il giro di amicizie di quella disgraziata, e cercando di
sapere quali sono i suoi nemici o i debitori. E adesso, come vi ho detto, ho un appuntamento e devo scappare, altrimenti farò attendere sir Philip. Vi auguro il buon giorno, sovrintendente. — E con queste parole girò rapidamente sui tacchi e si allontanò a lunghi passi senza guardarsi indietro. Mortimer Thirlstone fu più difficile da rintracciare. Non si interessava né della vita politica né di quella mondana, e le sue attività erano, in genere, soltanto il risultato di quello che gli frullava per la testa al momento. Pitt lo trovò nello studio di un artista a Camberwell e fu solamente a pomeriggio già inoltrato che riuscì a parlargli. Il locale era arioso e pieno di luce, e un certo numero di giovani uomini e donne sedevano qua e là, discutendo animatamente. C'erano tele dipinte appese a ogni parete, e finestre nei posti più inaspettati, mai, sicuramente, quelli scelti originariamente dall'architetto. Nonostante questo, l'impressione generale era stranamente piacevole, soprattutto per il senso dello spazio e del colore, imprevedibile, tutto a chiazze gialle e azzurre che davano qualcosa di caldo e vivido all'ambiente. — Oh, povero me — esclamò con aria languida Thirlstone, appoggiandosi al davanzale di una finestra e osservando Pitt. Indossava una camicia bianca con le maniche ampie e sciolte, il colletto floscio e un'enorme cravatta a fiocco, svolazzante. Molto affettato, come abbigliamento, ma pareva che lui non ci facesse minimamente caso. — Buon giorno, signor Thirlstone. — Pitt stava per continuare, quando Thirlstone si raddrizzò di scatto sulla persona. — No, ancora voi! No! — disse girando rapidamente gli occhi intorno a sé come in cerca di una via di scampo. — Tutto questo sta diventando terribilmente noioso, mio caro signore. — Si voltò di scatto ad affrontare Pitt. — Che cosa volete che vi dica? Ho conosciuto Finlay anni fa. Era un giovane uomo di buona famiglia, un po' il tipo del libertino. Viziosetto. Immagino che lo fossimo tutti... a quei tempi. Ma adesso non mi capita assolutamente più di vederlo. Neanche per caso. Abbastanza simpatico, sapete, ma molto ristretto di vedute, conformista, del tutto indifferente ai valori estetici. Non saprebbe distinguere l'oro antico da quello placcato. A volte credo che sia anche daltonico! — Volevo sapere se sareste in grado di rintracciare il vostro vecchio distintivo dell'Hellfire Club, signore — domandò Pitt, osservando che la sua faccia rivelava una certa agitazione e domandandosi per quale motivo si sentisse così a disagio. — Ve l'ho già detto, non l'ho più! — rispose Thirlstone accigliandosi,
mentre la sua voce si faceva stridula per l'esasperazione. — Che importanza volete che abbia adesso? Pitt gli parlò dei due distintivi sui quali era inciso il nome di Finlay. — Oh... — Thirlstone parve sconcertato. Deglutì a fatica, diede l'impressione di voler parlare di nuovo, poi cambiò idea. Si muoveva impacciato, come se qualcosa in quella sua camicia così morbida gli facesse pizzicare la pelle. — Ecco... se... se ce l'ho, ve lo porto. Ma non è probabile. — Scosse bruscamente la testa. — Non riesco proprio a immaginare come Finlay possa aver fatto una cosa del genere, ma le persone cambiano... Passò di fianco a loro una giovane donna dalla figura giunonica, affondandosi le dita nella folta capigliatura. Un uomo vicino alla finestra più lontana stava facendole rapidamente un ritrattino a matita, e lei lo sapeva. — Credo che ci troverete... oh... — Thirlstone alzò le spalle. — Non so. Davvero. Non ne ho la minima idea. — Diede un'occhiata alla donna che passava e poi riportò gli occhi su Pitt. — Non è piacevole essere sleale, ma non posso dirvi niente. — C'era per caso uno di voi al quale Finlay fosse legato da un'amicizia particolare? — domandò in tono noncurante, come se quest'idea gli fosse balenata soltanto nel momento in cui stava per andarsene. — No — disse subito Thirlstone. — Eravamo tutti insieme... ecco... ehm... forse fra lui ed Helliwell c'era un po' più d'intimità. Avevano qualcosa di più in comune, probabilmente. — Poi arrossì, come se quella fosse stata una mossa da traditore, ma ormai era troppo tardi per rimangiarsi ciò che aveva detto. — Disponeva di più denaro di tutti voi? — provò a domandare Pitt. — Suo padre è molto facoltoso. Thirlstone non nascose il proprio sollievo. — Ah... sì. Sì, certo. Sicuramente più di quanto ne avessimo Jago oppure io. E suppongo anche più di Helliwell. — Era generoso? Una curiosa espressione si delineò sulla faccia di Thirlstone, in cui si confondevano amarezza e ironia e anche un vago senso di rammarico. — Era generoso? — ripeté Pitt. Thirlstone alzò le spalle. — Sì... molto spesso. — Giocava d'azzardo? — Sì. Giocavamo tutti — rispose Thirlstone. — Immagino che lui giocasse ancora di più. Era nella sua natura, e poteva permetterselo. Sentite, sovrintendente, niente di tutto questo ha importanza ormai. Io non ho asso-
lutamente la minima idea di chi possa aver ammazzato questa donna a Whitechapel. Mi riesce difficile credere che possa essere stato Finlay. Ma se avete la prova che è così, vuol dire che sarò costretto ad accettarlo. Altrimenti penso che stiate sprecando il vostro tempo, ma questo è un vostro diritto, e che stiate anche sprecando il mio, che per me è prezioso. Sono anni che non poso più gli occhi sul mio vecchio distintivo del club ma dovesse capitarmi di ritrovarlo lo porterò a Bow Street per farvelo consegnare. — Vi sarei veramente grato se voleste cercare di ritrovarlo, signor Thirlstone. Potrebbe provare l'innocenza del signor FitzJames. — Oppure la sua colpevolezza? — domandò Thirlstone fissando Pitt con uno sguardo carico di intensità. Quando Charlotte vide la faccia di Pitt che rientrava a casa alle sette e un quarto, stanco, accaldato, in lotta con una confusione delle idee più disparate, si rese conto che non era certo quello il momento opportuno per chiacchierare. — Sei andato di nuovo a cercare quel distintivo? — gli domandò mentre si sedevano a tavola per cenare. I bambini avevano già mangiato ed erano di sopra a prepararsi per andare a letto. — Sì — rispose Pitt, alzando gli occhi e incrociando lo sguardo di sua moglie seduta dall'altra parte del tavolo. Il sole che tramontava era basso e i suoi raggi filtravano lunghi e dritti dalla grande finestra illuminando il tavolo e il pavimento ben lavato e lucidato; creava un gioco screziato di luce sulla parete più lontana e strappava un tenue luccichio dalle porcellane disposte ordinatamente sulla credenza gallese e si trasformava in una chiazza rossa sul fondo di una delle casseruole di rame appese tutte in fila. — E lo abbiamo trovato. Charlotte deglutì. — Questo significa che è innocente? Lui sorrise. — No, significa semplicemente che ci sono due distintivi, e quindi uno dei due è presumibilmente una copia. — Ecco, ma in questo caso non deve trattarsi di quello che è stato scoperto in Pentecost Alley? L'altro sarà sempre rimasto dove tu l'hai trovato, vero? Già, e dove l'hai trovato? — Nella tasca di una vecchia giacca che a quanto sembra lui non porta più da anni. — Bene, e allora? Thomas masticò un altro boccone di pasticcio di pollo freddo. Era pro-
prio squisito, come i pomodori freschi e il cetriolo che lo accompagnavano. — Thomas? — insistette lei, con aria corrucciata. — Qualcuno ne ha fatto fare una copia e l'ha messa o nel letto di Ada McKinley in Pentecost Alley oppure nella tasca di Finlay FitzJames in Devonshire Street — rispose lui con la bocca mezzo piena. — E non sai di quale si tratta? — Stava cominciando a ricordare le parole di Emily, il giorno prima, e la smania con la quale aveva insistito perché Pitt facesse un'altra perquisizione. Una serie di pensieri, uno più sgradevole e antipatico dell'altro, le passarono per il cervello. Si impose con uno sforzo di cacciarli via. — Sono sicura che tu riesci a capirlo, no? — gli domandò in tono più insistente. — No, non posso. — La guardò accigliato. — A meno che non riesca a confrontarli con uno di quelli originali di proprietà degli altri soci. La calligrafia è solo un po' diversa nei due che ho io in mano. C'è da pensare che i primi siano stati fatti tutti dallo stesso gioielliere. La grafia che si rivela diversa da quella degli altri distintivi non può essere che quella della copia. — Non deve essere... — cominciò Charlotte, poi si rese conto di quale poteva essere la risposta alla sua domanda e si interruppe. — Cosa? — le domandò lui. — Non importa. Non ha senso — si affrettò a negare. — O qualcuno ha fatto fare una copia per dimostrare la sua colpevolezza, mentre lui è innocente — le spiegò Thomas — oppure per provare la sua innocenza, mentre lui è colpevole. Quindi potrebbe trattarsi di una qualsiasi delle persone della sua famiglia, o di Finlay medesimo. — Sì — disse lei guardinga, e poi abbassò gli occhi sul proprio piatto. — Sì, certamente potrebbe essere così. — Non aggiunse quello che aveva in mente. Era talmente lampante che le pareva di sentirselo urlare nelle orecchie ma non ebbe il coraggio di formularlo a parole neanche con se stessa. — Gradisci un altro pomodoro? — Fece il gesto di alzarsi da tavola. — Ce ne sono ancora. Effettivamente sono squisiti. La mattina seguente, appena Pitt fu uscito, e dopo aver dato a Gracie le istruzioni per la giornata, Charlotte prese un hansom per farsi condurre a casa di Emily. Alle nove e un quarto veniva fatta passare nel salottino da una sconcertatissima cameriera la quale si limitò a dirle che sarebbe andata a vedere se la signora Radley era in casa. Questo significava che doveva esserci sicuramente.
Emily comparve nel giro di una decina di minuti; indossava ancora un morbido e drappeggiato peignoir di raso sul quale scendevano mollemente le ciocche ondulate dei suoi bei capelli biondi, che Charlotte le aveva invidiato per tutta la vita. Le andò incontro sorridendo, come se volesse baciarla sulle guance. — Emily! — esclamò subito Charlotte. Emily batté le palpebre. — Sì? Che aria furibonda hai! Cos'è successo? C'è qualcosa che riguarda la nonna? — No, per niente. Perché mi hai chiesto di fare in modo che Thomas tornasse a perquisire casa FitzJames in cerca di quel distintivo dell'Hellfire Club? — E intanto affrontava Emily con un'occhiata da incenerirla. Emily ebbe soltanto un attimo di incertezza, poi si accomodò con aria noncurante e disinvolta in una delle poltrone verdi. — Perché se Thomas l'avesse trovato, sarebbe servito a provare che Finlay FitzJames è innocente, un bene per lui — rispose in tono amabile, alzando gli occhi verso Charlotte che era rimasta in piedi vicino a lei. — Non ti pare? Augustus FitzJames è un uomo molto potente, di quelli che non si possono proprio definire simpatici o gradevoli. Naturalmente se Finlay è colpevole, allora dovrebbe essere arrestato e processato, e via dicendo. Ma, se non lo è, non sarebbe molto meglio per chiunque, e per Thomas in particolare, se lo si potesse dimostrare prima che venga formulata un'imputazione ufficiale? Non è tutto abbastanza chiaro? — Anzi, chiarissimo. — Charlotte non aveva intenzione di mollare. — Lo conosci? Emily sbarrò gli occhi, azzurrissimi e luminosi nella luce del mattino che entrava a fiotti dalle lunghe finestre. — Chi? Augustus FitzJames? Solo di fama. Ma sono sicura di non sbagliarmi. Jack me lo ha menzionato varie volte. È molto potente perché ha un patrimonio enorme. — Finlay FitzJames? — Charlotte riusciva a controllare la propria voce con uno sforzo evidente. — No — rispose Emily, senza perdere l'aria da innocentina. — L'ho incontrato una volta sola, ma è rimasta una conoscenza delle più superficiali. Soltanto il tempo di dire "piacere", e praticamente nient'altro. Non credo che mi riconoscerebbe se dovesse incontrarmi di nuovo. — Tallulah? — mormorò allora Charlotte a denti stretti. — Le sei davvero talmente affezionata da arrivare al punto di costringermi a domandare a Thomas di fare una seconda perquisizione per amor suo?
Emily arrossì. — Te l'ho già detto, Charlotte... se Finlay è innocente, questo sarà... — Frottole! Tu sai che quel distintivo era là perché ce lo avete messo tu o Tallulah. Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Ne hai almeno una vaga idea? Emily esitò, incerta se ammetterlo o negarlo. — Effettivamente Augustus FitzJames ha qualche nemico molto deciso e spietato, sai. — Da quanto sembra, non gli manca neanche qualche amico non meno deciso e spietato! — esclamò Charlotte furiosa. — Hai pensato tu stessa a far fare una copia del distintivo, oppure lo hai semplicemente suggerito a... Tallulah? Emily raddrizzò le spalle e si mise più eretta sulla persona. — Credo proprio che non dovrei discutere di questo argomento con te, Charlotte, in quanto sei la moglie di un poliziotto. Ti sentiresti obbligata a riferire a Thomas qualsiasi cosa io ti dicessi, e allora sì che finirei per mettere me stessa o i miei amici in una situazione imbarazzante. Sono assolutamente certa che Finlay sia innocente, e ho fatto quella che ero convinta fosse la cosa giusta... per lui, e per Thomas. Tu sai che l'identificazione è stata un errore. — Quale identificazione? — Tutto d'un tratto Charlotte si accorse di sentirsi molto meno sicura di sé. Emily si rilassò. Il sole che entrava a fiotti dalle finestre del salottino le creava un'aureola dorata intorno ai capelli. I suoni piacevoli e rassicuranti dei diversi lavori domestici le arrivavano da dietro la porta. — L'identificazione dell'altra prostituta, quella che ha detto di aver visto Finlay lì, in Pentecost Alley, la sera del delitto — rispose Emily. — Cosa? — Charlotte ebbe l'impressione di avere lo stomaco chiuso da una morsa, e per un attimo non riuscì quasi a respirare. — Cos'hai detto? — Non è stata un'identificazione convincente — spiegò Emily. — Lei non sa con sicurezza se era Finlay o no. Se si arrivasse al processo, sarebbe sicuramente disposta a dire che era il maggiordomo. — Quale maggiordomo? — Charlotte era strabiliata, e adesso anche confusa. — Il maggiordomo di chi? Per quale motivo lei dovrebbe dire che era un maggiordomo? — Il maggiordomo che mise Ada incinta — spiegò Emily. — È stato quello il motivo per cui ha perso il posto ed è finita sul marciapiede. — Vuoi spiegarmi tu, questo, come lo sai? — La voce di Charlotte si era
fatta sommessa, ed era diventata gelida. Troppo tardi per una qualsiasi ritirata. — Perché le ho parlato — rispose Emily con una vocina piccola piccola. Charlotte si lasciò cadere di peso su una poltrona. Provava un vago senso di vertigine. — Non dovresti essere così colpita — disse Emily in tono pieno di buon senso. — Tu e io ci siamo già occupate di altri casi anche prima, e le cose sono andate a finire più o meno bene. Ricordati il boia di Hyde Park... — Per favore! — E Charlotte trasalì. — Ti sei dimenticata cosa ha detto Jack quella volta, dopo...? Emily impallidì. — No. Ma di questo non sa niente. E non ho fatto niente di pericoloso... be', non proprio. Non c'era nessuno in giro pronto a commettere qualche violenza. Stavo cercando soltanto informazioni per diradare le ombre attorno al nome di Finlay. Non stavo mettendo alle strette nessuno che avrebbe potuto essere colpevole. — Non essere idiota! — disse Charlotte. — Se tu dimostri l'innocenza di Finlay, allora il colpevole è un altro. E può trattarsi di qualcuno della zona. Anzi, probabilmente è così. Salvo che, naturalmente — soggiunse in tono mordace — Finlay potrebbe essere colpevole come Jack lo Squartatore, visto che sei stata tu a nascondere in casa FitzJames quel distintivo. Il vero distintivo era il primo, quello trovato insieme al corpo della povera donna. Non ci hai pensato? — Sì, naturale che ci ho pensato. Ma questo non significava che fosse stato Finlay a mettercelo! — obiettò Emily. — Sappiamo tutte e due che quella notte lui non è mai andato neanche nei paraggi di Whitechapel. Si trovava a una festa a Chelsea. — Non sappiamo un bel niente, tutte e due! — disse Charlotte. — Quello che sappiamo realmente è che Tallulah dice di essere stata a quella festa, e sostiene di avercelo visto! — Bene, io le credo! E, senza un'identificazione, il distintivo è l'unico elemento, l'unica prova che lo colleghi direttamente con Whitechapel. Chiunque potrebbe averlo rubato, o trovato chissà dove anni fa; chiunque potrebbe essersene servito per vendicarsi di Augustus. In fondo, perché mai Finlay avrebbe dovuto uccidere una donna come Ada McKinley? O chiunque altra, a ben pensarci? — Qualcuno lo ha fatto — le fece rilevare Charlotte, puntigliosa. — Molto più probabile che sia stato qualcuno che la conosceva — obiettò Emily, sporgendosi leggermente in avanti. — Una rivale, oppure una
persona alla quale lei aveva rubato qualcosa o a cui aveva fatto del male. — Respirò profondamente. — Charlotte... Charlotte la stava guardando con tanto d'occhi, e aspettava. — Charlotte... ti prego, non dire niente a Thomas del distintivo. Non me lo perdonerebbe mai. E magari non capirebbe neanche il motivo per cui l'ho fatto. Io sono sinceramente convinta che Finlay sia innocente. — L'ho capito — disse Charlotte con aria grave. — Altrimenti non ti saresti comportata in un modo così totalmente imbecille. — Lo dirai a Thomas? — le domandò Emily con una vocina che si sentiva appena. — No — rispose Charlotte, e la sua fu una risposta dettata più dalla compassione che dal buon senso. — Almeno fino a quando non ci sarò costretta. Può... può darsi che lui scopra tutto quanto gli occorre sapere prima che ce ne sia bisogno. — Grazie. E Pitt in effetti scoprì almeno una parte di ciò che gli occorreva sapere quando insieme a Ewart tornò in Pentecost Alley verso la fine del pomeriggio. Nan Sullivan si mostrò ancora indecisa come già la volta precedente che Pitt le aveva parlato. Ma lui continuava a riporre tutta la sua fiducia in Rose Burke. Fu il suo cambiamento a lasciarlo sbalordito. — Non lo so — gli disse, prima guardandolo in faccia e poi girando gli occhi dall'altra parte. Erano seduti in cucina con un grosso bricco di ferro smaltato scrostato qua e là e pieno di tè sul tavolo insieme con tutta una serie di tazze di ceramica scompagnate. Il calore che emanava dai fornelli rendeva l'ambiente torrido e senza un filo d'aria. Ma nessuno aveva voglia di aprire la finestra che dava sul puzzolente cortiletto sottostante. — Che cosa non sai? — domandò Pitt. — Eri molto sicura quando l'hai visto dalla carrozza in Devonshire Street. Anzi, allora eri abbastanza sicura da dire che saresti stata pronta a impiccarlo con le tue stesse mani. — Che ero pronta a impiccare chiunque fosse stato a farla fuori — lo corresse Rose, intestardita. — Il che non significa che fosse lui. L'ho visto soltanto per un minuto e le luci non erano buone. — Hai paura, Rose? — Pitt fece in modo che la sua voce non suonasse fremente di rabbia, ma neanche di quel cocente disprezzo che avrebbe voluto metterci. — No! — Gli lanciò un'occhiataccia, ignorando totalmente Ewart. — No, non ho paura. Di che cosa dovrei aver paura?
— Di qualche minaccia da parte di qualcuno — le rispose lui. — L'uomo che hai identificato appartiene a una famiglia molto potente. — Può anche darsi, ma con me non ha parlato — ribatté lei con una smorfia. — Se è questo che pensate, vi sbagliate... e di grosso. Io voglio semplicemente farvi prendere l'uomo giusto, proprio quello che l'ha fatta fuori, povera piccola disgraziata. — Si mise a giocherellare con il cucchiaio, strusciandolo contro la tazza. — E che potrebbe essere il maggiordomo, quello che l'ha messa nei guai la prima volta. L'ha fatto di nuovo e stavolta magari la padrona non sarà così pronta a credere a quello che lui racconta. Lui sì, che aveva una ragione per volersi liberare di Ada. I tipi come quello che mi avete mostrato in Devonshire Street non vengono fin qui giù, in Whitechapel. Se vogliono spassarsela, vanno dalle parti di Haymarket e di Windmill Street. — È vero — ammise Ewart. — Ma tu dicevi che a volte Ada andava anche da quelle parti — le fece rilevare Pitt. — Sicuro. Ma non ho mai detto che se li portasse qui a casa! — Disse in tono derisorio. — Non era tanto stupida. E se li avesse portati qui, c'è da star sicuri che Costigan si metteva in tasca più della metà di quello che lei guadagnava. E poi, mi volete dire perché uno di quei damerini avrebbe dovuto seguirla qui? Per che cosa? Non era poi così straordinaria. Ce ne sono in abbondanza e per quelli lì una puttana vale l'altra. — Adesso mi stai forse dicendo che era questo maggiordomo l'uomo che hai visto? — intervenne in fretta Ewart, protendendosi attraverso il tavolo. — Descrivilo! — Non sto dicendo che fosse lui — ribatté lei guardinga. — Sto dicendo che avrebbe potuto essere lui. Gesù! Davvero non ve ne importa di quello che mandate sulla forca, basta mandarci qualcuno? — A me sì, che me ne importa — replicò Pitt a denti stretti, controllandosi a fatica. — E mi piace poco che prima fossi così sicura, mentre adesso sei cambiata. Tanto che mi domando se non c'è stato qualcuno che ha pensato a farti cambiare idea o con le minacce o con le promesse. — Volete dire che sono stata pagata per raccontare una fandonia? — gli domandò lei stizzita. — No. — Il tono di Ewart era conciliante. — Nessuno dice che tu racconti delle fandonie, Rose. Dobbiamo semplicemente essere sicuri. Niente può riportarci indietro Ada, ma è della vita di un uomo che stiamo parlando. Un'accusa sbagliata, a modo suo, può diventare un secondo assassinio.
— Bene, magari potrei raccontare una bugia per qualcosa che non ha importanza — ribatté lei soppesando ogni parola e, stavolta, guardando Ewart. — Ma non per far finire sulla forca qualche povero stronzo. Chiunque sia. Se volete sapere la verità, sono rimasta molto scossa per l'assassinio di Ada. — Si strinse lievemente nelle spalle, e il suo fu un gesto quasi di scusa e di rassegnazione. — Ero arrabbiata e impaurita, come dire, e troppo decisa. Volevo che qualcuno fosse imprigionato e impiccato, perché così anche tutte noialtre ci saremmo sentite meglio. Più sicure, come dire, ecco. — Respirò a fondo tornando a rivolgersi a Pitt. — Volevo convincermi di sapere chi fosse. E adesso che ho avuto il tempo di pensarci meglio, vedo che è stata una sciocchezza. Dev'essere proprio quel mascalzone, quello giusto, non semplicemente un povero bastardo qualsiasi che gli assomiglia un po'. Non è così? — Sì — ammise Pitt con aria torva. — Sì, dev'essere quello giusto. — Naturalmente. — Ewart fece una mossa col braccio come se volesse allungarle un colpetto incoraggiante sulla spalla, poi cambiò idea. — Naturale che dev'essere così — soggiunse gentilmente. Lasciarono Pentecost Alley e Pitt tornò indietro a bordo della stessa vettura di Ewart. — Sarà meglio trovare questo maggiordomo — disse stanchissimo. — Anche se dovesse soltanto servire a eliminarlo dall'elenco delle eventuali persone sospette. — Io penso che sia il nostro uomo — replicò Ewart, la voce squillante che rivelava fino a che punto ne fosse convinto, l'espressione dura e decisa mentre teneva gli occhi fissi dritto davanti a sé intanto che procedevano in direzione ovest lungo Whitechapel High Street. — E, come logica, il conto torna. Ha messo Ada incinta. Quella volta l'ha scampata. Ha raccontato una frottola ai suoi padroni. Adesso l'ha fatto di nuovo, e lei voleva tornare da quella gente a vuotare il sacco. Sarebbe stata la sua fine. — Lei aveva già raccontato tutta la storia, aveva già vuotato il sacco la prima volta — gli fece notare Pitt. — Cosa poteva credere di guadagnarci a raccontarla di nuovo? — Poteva vendicarsi — replicò Ewart come se la risposta fosse ovvia. — Lui era il responsabile della sua rovina. Il movente più antico del mondo. Pitt gli lanciò uno sguardo di sottecchi. Ewart era un buon poliziotto. Aveva un curriculum eccellente. Si stava già pensando a una promozione per lui. Questo vuoto nel filo del suo ragionamento era incredibile. Ma, del
resto, già fin dal principio si era capito che c'era qualcosa che lo turbava. Che fosse compassione? O ripugnanza? Oppure una vaga paura che Augustus FitzJames decidesse di rovinare chiunque si fosse azzardato ad accusare suo figlio di un simile crimine, colpevole o innocente che fosse, e quindi che perfino una reputazione ottima e solida come la sua non sarebbe stata sufficiente a salvarlo? — Che utilità potrebbe avere una cosa del genere? — domandò Pitt osservando attentamente il viso di Ewart con quegli occhi scuri e quelle rughe di preoccupazione che gli segnavano gli angoli della bocca. — Ada aveva già raccontato la sua storia. Il fatto che sia morta, non fa che renderla ancora più credibile. Se lui ha ucciso qualcuno, è logico pensare che sia la ragazza di adesso, prima che lo racconti alla padrona. Era già stata fatta una scelta fra Ada e quest'uomo, e lei ha perduto. Potrebbe essere stata lei ad ammazzarlo, ma quest'uomo non aveva nessun motivo per ammazzarla. L'espressione di Ewart si fece più dura, e un guizzo di qualcosa che assomigliava alla paura gli incupì i lineamenti, o forse era semplicemente rabbia. Si sentiva esausto. Gli tremavano leggermente le mani. Doveva trovare insopportabile avere un superiore come Pitt, mandato appositamente a occuparsi del suo caso perché lui evidentemente era stato giudicato incapace di affrontare e trattare un problema di carattere squisitamente politico oltre che delicatissimo. Chiunque avrebbe provato odio nei suoi confronti. Pitt capiva che sarebbe stato così anche per lui. Fra l'altro, Ewart stava scegliendo una linea politica da seguire molto più appropriata della sua. Era in cerca di una risposta qualsiasi che non fosse esplosiva. — Sono d'accordo con voi — disse pacatamente. — La prova contro FitzJames è fragile. L'identificazione inutile. I gemelli da camicia sono andati smarriti anni fa, e il distintivo del club è sospetto. Da solo non basta, soprattutto adesso che ne abbiamo trovato un secondo, e per di più fra la sua roba. Dobbiamo ripartire da capo. Bisogna esaminare più a fondo, in tutte le sue pieghe, la vita di Ada, e anche quella di FitzJames, per cercare di capire chi altri potrebbe essere implicato. Ewart si voltò a guardarlo in faccia. — Implicato? — domandò lentamente. Sembrava quasi troppo stanco, troppo inebetito per riflettere. — Se FitzJames ha dei nemici tanto diabolici da essere pronti a mettere una prova sulla scena di un delitto per incriminarlo — cominciò a spiegare Pitt — allora... Ewart si raddrizzò lievemente sulla persona, mentre si illuminava in vol-
to. Aveva capito. — Oh sì. Certamente. Volete che me ne occupi io? Comincio domani. — Bene — disse Pitt. — Io continuerò con Ada. Pitt arrivò a casa tardi, e rimase molto stupito di trovare la prozia acquisita di Emily, lady Vespasia Cumming-Gould, seduta in salotto a sorseggiare una tisana chiacchierando con Charlotte. Lui aveva spalancato impetuosamente la porta e stava per aprir bocca quando la vide. Allora si fermò di botto. — Buona sera, Thomas — disse zia Vespasia imperturbabile, inarcando le sopracciglia argentee. Come sempre aveva un aspetto mirabile; il suo viso, dalla splendida struttura ossea, in cui spiccavano gli occhi ombreggiati dalle palpebre pesanti, pareva fosse stato levigato dal tempo, che vi aveva comunque lasciato ben visibili i segni del carattere. Non si trattava più della pura e semplice avvenenza della gioventù, ma di una bellezza che era diventata un'autentica forma di vita, unica, affascinante. Lei gli aveva dato il permesso di chiamarla per nome come una parente. E Thomas se ne serviva con piacere. — Buona sera, zia Vespasia. Sono lieto di vedervi. — E anche meravigliato, a giudicare dall'espressione della tua faccia — rispose lei. — Evidentemente hai fame, e avresti anche voglia di cenare. Credo che Gracie abbia già tutto pronto per te. Lui chiuse la porta e venne avanti nella stanza. Era affamato e molto stanco, ma non voleva assolutamente rinunciare al piacere della sua compagnia né all'interesse della sua conversazione. Evidentemente lei non si era fermata in visita da loro soltanto perché le era capitato di passare da quelle parti. Vespasia non faceva mai niente a caso, e non le capitava mai di passare da Bloomsbury. Così Thomas si mise a sedere, lanciò un'occhiata a Charlotte, e poi affrontò Vespasia. — Conoscete Augustus FitzJames? — le domandò andando dritto allo scopo. Lei sorrise. — No, Thomas, non lo conosco. Dovrei sentirmi offesa che tu possa pensare che sono venuta qui da voi perché ero una sua amica e sono al corrente del fatto che tu stai facendo le indagini per quella sordida storia di Whitechapel nella quale sembra implicato suo figlio. — Nessuno che vi conoscesse potrebbe immaginarvi disposta a cercar di esercitare in qualche modo la vostra influenza, zia Vespasia — le rispose lui onestamente.
Vespasia sgranò quei suoi occhi grigio-argento. — Mio caro Thomas, nessuna delle persone di mia conoscenza potrebbe anche solo immaginarmi legata da amicizia con un borioso nouveau riche quale è Augustus FitzJames. Siediti, per favore. Trovo estremamente scomodo dover tenere la testa alzata a guardarti. Lui si scoprì a sorridere a dispetto della stanchezza che sentiva. Andò ad accomodarsi di fronte a lei. — Però provo una certa compassione per sua moglie — continuò zia Vespasia. — Anche se non è questo il motivo per il quale sono qui da voi. Il mio principale interesse sei tu, e subito dopo John Cornwallis. — Si accigliò lievemente. — Thomas, se dovessi accusare Finlay FitzJames bada di stare molto attento ad avere tutte le prove necessarie a sostegno della tua tesi. Suo padre è un uomo che ha grandi poteri e nessuna clemenza. Pitt aveva già tratto da solo queste conclusioni ma rimase agghiacciato a sentirle ripetere da Vespasia. Lei non era donna da aver paura per nulla. Questo contribuì ad accrescere il suo senso di inquietudine e di malcontento, e a far aumentare le cupe riflessioni che circondavano l'omicidio di Pentecost Alley. Charlotte lo stava osservando ansiosa. — Sta cominciando a prendere forma l'eventualità — fu l'inizio ben meditato della sua risposta — che Finlay FitzJames possa non essere colpevole. Sicuramente le prove a suo carico sono cadute in gran parte, o hanno avuto, comunque, una spiegazione. — Tutto questo è molto poco chiaro. Credo che faresti meglio a spiegare che cosa significa — aggiunse Vespasia. Lui le parlò del distintivo, e poi della copia che aveva trovato fra gli indumenti di Finlay e della difficoltà di ottenere uno degli altri originali con cui confrontarli per distinguere quello vero dal duplicato. Non si accorse che Charlotte era avvampata e si guardava bene dall'incrociare il suo sguardo; ma non poteva notarlo, era già troppo assorbito dalla difficoltà di esporre tutti quegli elementi di prova a Vespasia. — Hmm — disse Vespasia mentre Thomas arrivava alla conclusione. — Non molto soddisfacente, ma mi sembra abbastanza ovvio, salvo per una cosa. — E quale? — si affrettò a domandare Charlotte. — Ci si può meravigliare che Augustus non abbia provveduto immediatamente a far fare la copia del distintivo — rispose Vespasia. — E poi a esigere una perquisizione più approfondita. Avrebbe potuto farlo copiare
nel giro di un paio di giorni. Se aveva preso questa decisione, perché aspettare lasciando che il disagio aumentasse? A meno che naturalmente non sia stato per dare a Finlay una lezione, ridurlo al più completo terrore per un po' e così, magari, farlo diventare più remissivo e obbediente. — E per quale motivo non avrebbe potuto pensarci Finlay medesimo? — domandò Charlotte; poi abbassò gli occhi come se si fosse pentita di aver parlato. — Perché lui si è lasciato prendere dal panico e non ha un briciolo di cervello — replicò Vespasia con semplicità. Pitt si fece tornare alla memoria il primo incontro con Finlay. — Eppure non sembrava impaurito, proprio per niente — disse con molta franchezza. — Si è mostrato stupefatto, sconvolto, magari addirittura scandalizzato, ma non sembrava che il sudore della paura gli imperlasse la fronte. Proprio no. Anzi, piuttosto potrei dire che il suo terrore ha continuato a crescere man mano che il tempo passava e noi continuavamo a sospettare di lui. — Curioso — ammise Vespasia. — Quale altra prova avevate? Pitt si accorse che aveva usato il verbo al passato, domandandoglielo, e le rivolse un sorriso malinconico. — L'identificazione da parte di una testimone — replicò, e poi le raccontò anche la storia di Nan Sullivan e Rose Burke e della loro successiva ritrattazione. Vespasia rifletté per qualche istante prima di fare i suoi commenti. — Non molto soddisfacente — ammise. — Potrebbe significare parecchie cose: magari lei ha detto la verità in principio e poi è stata persuasa a ritrattarla dietro qualche pressione, una minaccia di botte e peggio, o la promessa di una ricompensa; oppure il senso dell'autoconservazione ha superato il suo odio o la sua rabbia; o anche ci sarebbe da presumere che abbia deciso che l'informazione vale di più se la tiene per sé e l'adopera in futuro per ricavarne un profitto. — Aggrottò le sopracciglia. — Come non si può neanche escludere che dica la verità e sia stato un miscuglio di paura e di desiderio di vedere qualcuno catturato e punito per la morte di Ada che l'ha spinta ad agire impulsivamente in un primo momento. Poi, riflettendoci, si è resa conto che non era preparata a giurare in tribunale un'identificazione della quale non era sinceramente convinta. La storia del maggiordomo è tragica, ma sicuramente vera, anche se è chiaro che con la morte di quella poverina non ha niente a che vedere. — Continui sempre a credere che sia stato Finlay? — domandò
Charlotte a voce bassa, mentre corrugava la fronte, ansiosa. — Cioè... la prova è proprio inconsistente, oppure ci ha pensato il padre di lui a farla scomparire con molta abilità o a invalidarla? Pitt rifletté per qualche istante. — Non lo so — disse infine. — Credo che se dovessi prendere una decisione direi che lui non ha fatto niente del genere, ma non ne sono sicuro. — Che peccato! — Vespasia affermava una verità sacrosanta, ma la sua voce era venata di simpatia. — Se lui è innocente, allora bisogna pensare che abbia un nemico particolarmente malvagio, oppure che si è creata una concatenazione straordinaria di avvenimenti che lo fanno apparire colpevole. Il che, mio caro Thomas, sembra improbabile. — Sì, infatti — confessò Pitt. — Così immagino di dover tornare allo sgradevolissimo compito di cercar di scoprire chi siano i nemici della famiglia FitzJames. — Sospirò. — Vorrei sapere almeno se si tratta di uno dei nemici personali di Finlay oppure di suo padre. Lui sembra un giovanotto abbastanza innocuo, molto più banale e mediocre di quel che probabilmente vorrebbe essere... — Sicuramente. — Vespasia si disse d'accordo con un sorriso triste. — Penso che sua sorella abbia più possibilità di fare qualcosa di veramente interessante, ma non escludo che possa ritrovarsi sposata prima di aver potuto cogliere quell'occasione. Al momento è singolarmente scervellata, il classico tipo della farfallina, e dà l'impressione di non avere neanche un pensiero piccolo così in testa all'infuori di quello di divertirsi, possibilmente senza riflettere su niente che abbia un po' di significato o che vada più in là di domani. Ma lo fa con un tale fervore che io mi auguro davvero che possa inciampare casualmente in qualcosa che le interessi. E allora sì che quello farà tutta la differenza. Charlotte aprì la bocca e poi la richiuse. Pitt si domandò che cosa era stata lì lì per dire. — Ma lui ha l'arroganza caratteristica di chi intuisce i propri limiti — stava continuando Vespasia mentre fissava Pitt con aria seria — e di chi ha paura di poter essere più piccolo delle proprie ambizioni, o delle aspettative che gli altri hanno per lui. Chi erano gli altri soci di questo club che mi sembra roba quasi da adolescenti? Uno di loro sembrerebbe nella posizione ideale per fornire il modello per il distintivo, e anche tanto esperto delle abitudini di Finlay al punto da poterlo incastrare. Pitt ripeté i loro nomi. L'espressione di Vespasia diventò vacua. — Thirlstone non mi dice
niente. Ho sentito parlare di un James Helliwell. Potrebbe avere un figlio di nome Herbert... — Norbert — la corresse Pitt. — Già. O anche Norbert — ammise lei. — Ma è un tipo talmente banale! Mezzi sufficienti per vivere agiatamente, e troppo poca fantasia per sentirsi a disagio! E poi, Dio solo sa quanti sono i Jones! Numerosi come i Brown e i Robinson. Jago Jones potrebbe essere chiunque... o nessuno. Pitt si scoprì a sorridere. — Helliwell sembrerebbe l'uomo con cui ho parlato, preoccupatissimo del modo in cui gli altri lo giudicano, soprattutto i suoceri... E, come dite, sta cominciando a sentirsi molto a disagio ma non ha nessuna intenzione di lasciare che questo provochi qualche cambiamento nel suo stile di vita. Non è più così entusiasta all'idea di difendere Finlay, casomai ci sia da correre il rischio di vedersi rimanere appiccicata addosso un po' della sua brutta fama. A ogni modo ho assodato che non desiderava affatto che continuassi le indagini su Finlay. — Un nemico? — domandò dubbiosa Charlotte. — Non avrebbe fegato a sufficienza. — Vespasia accantonò quell'idea, tornando a guardare Pitt con gli occhi sgranati. — È quello che penso anch'io — convenne Pitt, ricordando la faccia arrossata di Helliwell e il suo modo di fare pieno di inquietudine. — Sicuramente gli manca quel tanto di senso dell'onore necessario a mostrarsi leale, se questo dovesse costare un caro prezzo. — Thirlstone? — domandò Charlotte. — È possibile. — Intanto Thomas si vedeva davanti agli occhi il viso mutevole di Jago Jones, e il tumulto dei suoi sentimenti che vi appariva riflesso. Lui era un uomo che aveva il coraggio e l'eccitazione interiore. Ma aveva un movente? — Penso — disse lentamente — che dovrei esaminare più a fondo il motivo per cui Ada è stata vittima di un assassino. Perché pensare a una persona di Whitechapel piuttosto che del West End? Sembra irrazionale. Forse esiste un motivo che può condurci a scoprire chi era. Vespasia si alzò in piedi e Pitt la imitò immediatamente, offrendole la mano. Lei l'accettò ma senza appoggiarvisi. — Grazie, mio caro. Vorrei poter dire che mi sento più tranquilla spiritualmente, ma non è così. — Lo guardò con aria grave. — Ho paura che sia un caso molto sgradevole. Sta' in guardia, Thomas. Puoi fidarti totalmente dell'onore e del coraggio di John Cornwallis, ma ho il vago sospetto che, quanto alla sua comprensione delle tortuosità della mente degli uomini politici, abbia ancora molto da imparare. Non consentirgli di deluderti
aspettandoti da lui un'abilità che non possiede e una lealtà che invece non gli manca. Buona sera, mio caro. — Buona sera, zia Vespasia — replicò lui mentre si tirava da parte e la guardava baciare lievemente sulle gote Charlotte. Poi lei si avviò a passo lento e maestoso oltre la porta del salotto verso quella d'ingresso, davanti alla quale la sua carrozza la stava aspettando. Pitt cominciò presto, la mattina dopo, non esattamente con entusiasmo ma almeno con rinnovata determinazione. Ewart aveva già ricevuto le istruzioni del caso; lo aveva incaricato di approfondire in modo ancor più dettagliato la posizione sia di Augustus sia di Finlay FitzJames. Tellman invece stava investigando sugli altri soci dell'Hellfire Club. Pitt tornò di persona in Pentecost Alley per parlare di nuovo con le donne che erano state le ultime a frequentare Ada. Non era l'ora più adatta per trovarle; d'altra parte, lui non poteva permettersi né il tempo né la pazienza di aspettare fino al pomeriggio quando avrebbero cominciato ad alzarsi, come d'abitudine, per iniziare la loro giornata. Pitt salì i gradini che conducevano alla porta di legno del casamento e bussò. Dovette ripetere quel gesto parecchie volte, prima che finalmente gli venisse aperto da una Madge dall'aria tempestosa, di pessimo umore: il faccione che rivelava tutta la sua stanchezza e il fastidio, gli occhi quasi nascosti fra le pieghe di grasso delle gote. — Si può sapere che ora del giorno credete che sia? — gli domandò. — Ma non avete proprio nessuna... — Lo scrutò meglio strizzando gli occhi. — Oh, siete voi! E cosa volete stavolta? Io non ho nient'altro da raccontarvi. E neanche Rose o Nan o Agnes. — Invece forse sì. — Pitt si appoggiò con tutto il proprio peso contro la porta, ma la figura corpulenta della donna sembrava radicata sul posto come un macigno. — Non ce la farete a mandare sulla forca quel bastardo, e allora si può sapere cosa c'è? — riprese Madge in tono sprezzante. — È inutile fare lo zelante con me, non mi impressionate, sapete? — Qualcuno ha ammazzato Ada — insistette lui. — Ed è ancora libero. Volete che lo trovi, o no? — Io vorrei essere giovane e carina e avere una bella casa e abbastanza da mangiare — ribatté lei sarcastica. — Quando mai quello che mi piace o non mi piace è interessato a qualcuno?
— Io non me ne vado, Madge, fino a quando non riesco a sapere sul conto di Ada tutto quello che posso — rispose Pitt tranquillamente. — Se volete un po' di tranquillità per mandare avanti la baracca, fare un po' di affari e guadagnare qualche soldo, dovete ascoltarmi, sia che vi sembri utile oppure no. Lei non ci mise neanche un attimo a soppesare la verità di quelle parole. Stancamente si tirò da parte e spalancò la porta. Sentì che lui la richiudeva con un tonfo sonoro, poi lo precedette nella stanzetta che le serviva da cucina e da guardaroba, dove stava a cucire e dalla quale poteva tendere l'orecchio ad ascoltare un grido di richiamo se qualcuna aveva paura o si sentiva in pericolo. Pitt le fece tutte le domande possibili e immaginabili sulla vita di Ada. A che ora si alzava, come si vestiva, quando usciva e quando tornava, se Madge sapeva dove andasse o da dove rientrasse, oppure con chi si era incontrata. Volle che gli elencasse i suoi amici o nemici, anche se li conosceva vagamente, che gli facesse il nome dei clienti o dei possibili protettori. La pregò di fare una valutazione di quello che poteva essere il reddito di Ada a giudicare dal suo guardaroba, il suo modo di comportarsi, i regali che faceva alle sue compagne. — Ecco — disse Madge pensierosa, sedendosi su uno sgabello e tenendo gli occhi abbassati sul tavolo sporco e macchiato. — Era generosa, quando aveva i soldi, questo glielo concedo... e lo sentirete dire anche da tutte le altre. E poi aveva guadagnato bene nell'ultimo paio di mesi. Si era comprata un paio di scarpe nuove proprio il giorno in cui è stata ammazzata. E come le piacevano! Era così contenta... Non faceva che camminare avanti e indietro per pavoneggiarsi. E tirava su la gonna per farmele vedere. Erano stivaletti con i bottoncini di madreperla. — La sua faccia si indurì. — Ma suppongo che lo sappiate, visto che siete stato proprio voi a venir qui quella sera. E siete stato sempre voi a trovarla così! Pitt ripensò agli stivaletti che erano stati allacciati insieme tanto laboriosamente. Roba di ottima fattura. Allora non aveva neanche rivolto un pensiero a quello che potevano essere costati. — Sì, me li ricordo. Capitava spesso che avesse scarpe di qualità così buona? Lei proruppe in una risata stridula. — No, naturalmente! Si accontentava. E le mandava a riparare, come noialtre. No, da un po' di tempo in qua se la cavava bene, ve l'ho già detto. — Socchiuse gli occhi a tal punto che il grasso delle guance li fece quasi scomparire nelle orbite. — Sentite un
po', state forse dicendo che ha fatto qualcosa di brutto per trovarsi in mano tutti quei soldi? — No — le assicurò Pitt. Si sporse in avanti, i gomiti sul tavolo. — Ma mi piacerebbe capire da dove le sono arrivati. È cominciato tutto quando ha cambiato protettore? — Già — ammise Madge. — Più o meno in quell'epoca. Perché? Bert Costigan non è certo molto meglio, se è questo che pensate. È un bastardo che si veste come un damerino, ma non è poi così intelligente come si può credere! Già, a me non è mai piaciuto. — Si strinse nelle spalle. — Ma non mi sono mai piaciuti neanche gli altri. Sono tutti maiali, quando si viene al sodo. Ti cavano il sangue, quelli lì. E poi dov'era quando Ada aveva bisogno di lui, eh? — Tirò su col naso e lacrime lente le scivolarono giù per le gote carnose. — Chi lo sa! Qui no di sicuro! Pitt svegliò Rose e anche Nan; fece a tutte le stesse domande e ricevette le stesse risposte. A quel punto ormai anche Agnes era già alzata e Pitt interrogò anche lei. Ma il suo contributo alle informazioni che intendeva raccogliere su Ada fu praticamente nullo, salvo quando le domandò che gliene facesse la descrizione per avere un'idea dei suoi connotati, in quanto non aveva mai visto la faccia di Ada se non quand'era già sfigurata dalla morte. Le parole esitanti di Agnes si rivelarono di utilità limitata; però Pitt scoprì che era piuttosto abile a disegnare, tanto che, fornita di una matita, gli presentò uno schizzo che si poteva definire più una caricatura che un ritratto vero e proprio, pur rivelandosi altamente suggestivo. Pitt infatti riuscì a cogliere in quei pochi tratti il carattere di una donna che possedeva senso dell'umorismo, perfino spirito. Era di una vitalità straordinaria, che risaltava perfino dalla paginetta rigata di un taccuino. Non ebbe difficoltà a immaginare quale fosse la sua andatura, l'inclinazione del capo, perfino la voce. Tutto questo rese la sua morte infinitamente peggiore, e la sua tortura qualcosa a cui non riusciva assolutamente a pensare. Rientrò a Bow Street verso le sei e consumò uno spuntino composto da un panino ripieno di carne fredda di montone e da una grossa tazza di tè. Poi trascrisse accuratamente gli appunti che aveva preso e cominciò a scorgere una serie di note ricorrenti nel comportamento di Ada. Era chiaro che lei doveva lavorare nella sua zona di Old Montague Street all'inizio della serata, e a volte anche più tardi, ma c'erano periodi di tempo nei quali di regola risultava assente; periodi di tempo che erano preziosi per gli affari, data la sua professione, tanto che ci sarebbe stato logicamente da aspettarsi che lei li sfruttasse appieno.
Una risposta gli balenò subito. Doveva spostarsi in una zona più proficua. C'era da pensare che lo avesse fatto per l'influenza di Albert Costigan, un uomo più ambizioso, al quale aveva lasciato capire di essere ampiamente disponibile a cercar di migliorare la sua situazione? Era possibile che, con la nuova piega che avevano preso le cose, le fosse capitato di conoscere uno dei nemici di Finlay o di suo padre? Era una pista che meritava di essere approfondita? Oppure si sarebbe trattato soltanto di un colpo alla cieca? Fino a quel momento né Tellman né Ewart avevano scoperto qualcosa di interessante. Pitt dedicò la serata, la giornata successiva e quella ancora seguente a percorrere le zone battute dalle prostitute intorno al West End, Windmill Street, Haymarket, Leicester Square e tutte le viuzze e i vicoletti circostanti. Vide migliaia di donne più o meno simili ad Ada, alcune abbigliate sfarzosamente, simili a pavoni che facevano la ruota per farsi notare, e altre vestite molto meno lussuosamente, a volte coperte soltanto da qualche straccio di colore sgargiante. Molte, anche alla luce dei lampioni a gas dopo che si era fatto buio, rivelavano di essersi lasciate indietro, e da un pezzo, la giovinezza, a giudicare dalle guance vizze e i corpi appesantiti. Ce n'era qualcuna che aveva l'aria della fresca contadinella appena arrivata dalla campagna in cerca di fortuna, e che l'aveva trovata in stanze di passaggio di case compiacenti e nei rapporti sessuali frettolosi con sconosciuti che spesso avevano l'età del padre o del nonno. E c'erano anche bambine di otto o dieci anni che correvano dietro agli uomini, li tiravano per la manica e bisbigliavano parole lascive nella speranza di eccitare il loro interesse, oppure tentavano di mettergli fra le mani indecenti stampe pornografiche. Con loro si mescolava la folla che frequentava i teatri, fra cui signore rispettabili e ricche gentildonne al braccio dei loro mariti che andavano o venivano da uno spettacolo teatrale o da un concerto. Pitt tentò con tutti i contatti che aveva nell'ambiente delle affittacamere, fra i protettori e le tenutarie di bordello che conosceva, ma non trovò nessuno disposto ad ammettere di conoscere Ada dal ritrattino che mostrava o di ricordare il suo nome, salvo per la notizia della sua morte. Poiché la connessione con Finlay FitzJames non era stata neanche accennata alla lontana, i giornali non avevano dedicato grande spazio al fattaccio. Nessuno era al corrente, per esempio, delle dita fratturate delle mani e dei piedi, all'infuori di Lennox, Ewart, Cornwallis e lui stesso.
Stava per dichiararsi sconfitto quando gli balenò l'idea che avrebbe potuto fare un ultimo tentativo abbandonando la zona del West End per quella di Hyde Park. Anche lì aveva un'altra conoscenza personale con cui mettersi in contatto, un tipo mellifluo, untuoso, dalla corporatura gigantesca che tutti conoscevano sotto il nome di Fat George. Governava il suo gruppo di prostitute con un pugno di ferro, tenendole continuamente sotto la minaccia di quello che considerava il suo braccio destro, il suo aiutante più fidato, Wee Georgie, un nanerottolo perverso dal pessimo carattere e straordinariamente lesto a usare il lungo coltello dalla lama sottile e affilata che portava sempre con sé. Trovò Fat George a casa sua, in un edificio che aveva tutta la struttura armoniosa e ben proporzionata dello stile classico, fornito di tutti i comfort, a poca distanza da Inverness Terrace. Fat George non si alzò; il suo corpo enorme pareva praticamente incastrato nella poltrona. Era una giornata calda e lui indossava una camicia aperta, fresca di bucato, sul colletto della quale scendevano in ciocche bisunte i capelli grigi e ricciuti. — Ebbene, allora, signor Pitt — disse con quella sua voce ansimante che era poco più di un bisbiglio. — Che cosa vi porta a venirmi a trovare con tanta fretta? Deve trattarsi di qualcosa di tremendamente importante per voi. Accomodatevi! Accomodatevi! È da molto tempo che non vi vedo più, da quella brutta faccenda che è successa nel parco. E ci avete messo un bel po' a risolverla. Non molto intelligente, signor Pitt. Non molto efficiente. — Fat George scrollò il capo e i riccioli gli si impigliarono nel colletto. — Non è per questo che noi paghiamo la polizia. Dovreste garantirci la sicurezza, signor Pitt, o perlomeno così crediamo noi. Dovremmo dormire tranquilli nel nostro letto, sapendo che fuori ci siete voi a proteggerci. — Se c'era un lampo di umorismo negli occhi neri di Fat George, bisogna dire che lo si intravedeva a malapena. — Possiamo risolvere i crimini soltanto dopo che sono accaduti, George, non prima — rispose Pitt, accettando l'invito ad accomodarsi. — E da queste parti ce ne sono un bel numero che tu stesso avresti potuto impedire. Non sai niente di questa donna? — E gli passò il disegnino di Agnes. Fat George lo prese nella mano pallida coperta di lentiggini, le dita talmente gonfie che le ossa erano praticamente invisibili. — Certo che l'ho vista — disse dopo qualche istante. — Un tipino sveglio, una ragazza ambiziosa. Non mi sarebbe dispiaciuto averla per me, ma è avida. Vuole tenersi tutti i soldi. Pericoloso quello, signor Pitt. Molto pericoloso. È lei che si è fatta ammazzare dalle parti di Whitechapel? Avreb-
be dovuto immaginare quello che stava per succedere. Quanto a voi, è probabile che non dobbiate andare a guardare troppo lontano. — Davvero? — Non intelligente, signor Pitt. — Fat George scrollò il capo, sporgendo in fuori il labbro inferiore. — State perdendo un po' il vostro tocco, vero? Provate col suo protettore, uno che si chiama Costigan, così ho sentito dire. — Hai un gran senso civico, George, e sei molto pronto a buttare la colpa su uno dei tuoi — disse Pitt secco secco. — Mi dà una cattiva reputazione — ansimò Fat George in tono sentenzioso. — Un po' di disciplina va benissimo. È necessaria, altrimenti ti metterebbero sotto i piedi. E questo non si può sopportare. Le ragazze ti trufferebbero in continuazione. Ma strangolare è un po' eccessivo. Richiama l'interesse della gente come voi, ed è tutto molto sgradevole. — Tossì e dal suo vasto petto proruppe il crepitio della congestione polmonare. La stanza era molto calda con gli alti finestroni chiusi, e l'aria stantia, a dispetto dei colori freddi, delle linee eleganti dell'arredamento e di una mezza dozzina almeno di palme in vaso, disposte qua e là. — E allora perché Costigan non la puniva? — domandò Pitt inarcando le sopracciglia. — Ucciderla mi sembrerebbe fallire un po' il proprio scopo. Soltanto un imbecille abbatte il proprio bestiame. Fat George ebbe un gesto di fastidio. — Oh, una definizione molto brutale, signor Pitt. Molto brutale davvero. — È un mestiere brutale, George. Che cosa ti fa pensare che questo Costigan fosse al corrente del fatto che Ada di tanto in tanto se la squagliava per venire su nei quartieri alti, e poi si teneva tutti i guadagni? Fat George si strinse nelle spalle, e bastò quel gesto a far passare un tremolio in quella massa di lardo che era il suo corpo. — È possibile che l'abbia seguita. Sarebbe la cosa naturale da fare. — Se l'avesse seguita — fu il ragionamento di Pitt — se ne sarebbe accorto fin dalla prima volta che lei ha lasciato la zona di Whitechapel. E risale ormai a parecchie settimane fa. Fat George alzò gli occhi al cielo. — Come faccio a saperlo io? — Non potrebbe averglielo detto qualcuno? — insinuò Pitt, fissando attentamente Fat George in faccia. Ci fu un fremito appena percettibile, e poi un irrigidimento nel viso dalla pelle giallastra. A Pitt bastò. — Sei stato tu a dirglielo, vero, George. — Non era una domanda ma u-
n'affermazione. — Lei era venuta nella tua zona, ma si rifiutava di pagare anche te, e allora, piuttosto che scatenarle dietro Wee Georgie col rischio di finire coinvolto in qualcosa di sgradevole, lo hai detto al suo protettore e hai lasciato che se ne occupasse lui. Solo che lui è andato un po' troppo oltre i limiti. Non che sia colpa tua, questo, naturalmente — concluse in tono mordace. — Quando glielo hai detto? La stanza stava diventando soffocante come una giungla. Fat George inarcò le sopracciglia incolori. — Il giorno che è stata ammazzata, ma nessuno può realmente prendersela con me, signor Pitt. Il vostro tono non è cortese. Anzi, è estremamente ingiusto. Siete un uomo ingiusto, signor Pitt, e non va bene. È logico aspettarsi che la polizia sia giusta. Se la giustizia stessa non... Pitt si alzò in piedi e gli scoccò un'occhiata di tale disprezzo che Fat George lasciò a metà il resto della sua lamentela. — Costigan ti dava fastidio, è così? — disse Pitt con amarezza. — Era una minaccia? — Figurarsi! — Fat George cercò di ridere, ma proruppe in un ansito che si trasformò di nuovo in un accesso di tosse, mentre il suo petto massiccio si sollevava disperatamente alla ricerca d'aria per respirare. Pitt non provò nessuna simpatia per lui. Girò sui tacchi e se ne andò lasciandolo cianotico, con il respiro affannoso, e furibondo. Pitt si fece accompagnare dall'agente Binns, quando andò in cerca di Albert Costigan qualche ora più tardi quello stesso pomeriggio. Conosceva la zona, e infatti lo trovò senza difficoltà nell'alloggio che affittava in Plumbers Row, poco più in là di Whitechapel Road, ma dalla parte opposta rispetto a Pentecost Alley. Fuori la costruzione era alta, stretta e grigia, come tutti gli altri caseggiati circostanti, ma nell'interno era ben arredata, addirittura accogliente. A Costigan piaceva trattarsi bene e i suoi gusti costosi erano rivelati da qualche piccolo accessorio raffinato in più, applique di vetro lavorato per i lumi a gas, un tappeto nuovo, un tavolo a ribalta, in quercia, molto bello. Quanto a lui personalmente era di statura media, con grandi occhi celesti, un bel naso e i denti bianchi. I capelli castani e ondulati erano pettinati all'indietro, lasciando la fronte libera. A una prima occhiata, quando non si era ancora notata l'espressione inquieta e difensiva della faccia e l'atteggiamento aggressivo del corpo, lo si sarebbe potuto trovare non molto dissimile da Finlay FitzJames. Se il destino gli avesse offerto la stessa ric-
chezza e la stessa sicurezza di sé, come l'istruzione e la buona educazione, sarebbero potuti passare per cugini. Pitt non aveva nessuna prova contro Costigan all'infuori delle parole di Fat George, che come testimonianza valevano meno di niente. Che importanza poteva avere il giuramento di un protettore contro il giuramento di un altro protettore? E anche una perquisizione dell'alloggio di Costigan molto probabilmente non avrebbe rivelato niente di utile. Sarebbe stato abbastanza naturale trovarlo in possesso di qualcosa che apparteneva ad Ada. — State ancora cercando quello che ha fatto fuori la povera Ada? — disse Costigan in tono accusatore. — Non avete niente in mano, vero? — Il suo disprezzo era fin troppo chiaro. — Ecco, veramente ho qualche idea — rispose Pitt prendendo posto nella più capace e comoda delle poltrone e lasciando Binns in piedi vicino alla porta. Costigan rimase in piedi anche lui, scrutando Pitt dall'alto, con aria risentita. — Oh, davvero? E quali sarebbero? — Secondo noi c'entra in qualche modo il fatto che lei si spingeva su, verso la zona di Hyde Park — rispose Pitt. Costigan smise di ballonzolare ora su un piede ora sull'altro, e lo fissò con tanto d'occhi. — E chi ha mai detto che andasse da quelle parti? Io no di sicuro. — Mi stai forse dicendo che non lo sapevi? — domandò Pitt con aria piena di innocenza. — Non brilli per l'efficienza, Costigan. Una delle tue ragazze se ne va nella zona più cara della città, si trova lì i suoi clienti, e tu non ne sapevi niente? Allora c'è da pensare che non avrai neanche visto molti dei soldi che guadagnava, vero? — Sorrise. — C'è qualcuno che si potrebbe fare qualche bella risata a sapere una notizia del genere, da queste parti! — Certo che lo sapevo! — si affrettò a ribattere Costigan alzando un po' la testa. — Mi prendete per un idiota? Io sono il tipo capace di coprire di botte qualsiasi ragazza delle mie se è pronta a imbrogliarmi a questo modo. Ma non l'ammazzerei! Sarebbe stupido. Non si può vendere una ragazza che è morta, vi pare? — I suoi grandi occhi scintillanti continuavano a fissare Pitt. Avevano qualcosa di aggressivo e di trionfante, come se fosse uscito vincitore da una disputa sorta fra loro. Pitt girò gli occhi per la stanza e poi li riportò su Costigan. Non era difficile credere che avesse messo insieme un bel gruzzolo, e alle spalle di
molta gente. Poteva raccontare la verità, salvo per quello che Fat George aveva detto... ma anche quella poteva essere una bugia, unicamente per danneggiare un concorrente in affari. — Hai mandato da quelle parti anche qualche altra ragazza? — domandò Pitt mentre la speranza cominciava a svanire. Costigan esitò, cercando di stabilire se fosse opportuno raccontare una fandonia o no. — No... soltanto Ada. Aveva classe lei, eccome se l'aveva! — Pareva rammaricato. Allungò uno sguardo a Binns, sulla soglia, intento a prendere rapidamente appunti di tutto ciò che lui diceva. — Classe? — domandò Pitt dubbioso. — Proprio così! — Costigan spinse avanti la testa. — Si vestiva bene. E aveva un aspetto grazioso. Sapeva far ridere gli uomini. E a loro questo piace. Certe ragazze sono carine ma stupide. Ada aveva cervello e lingua pronta. — Raddrizzò le spalle, fissando Pitt, cominciando a darsi un mucchio di arie. — E come dicevo si vestiva bene. Quel che bastava anche per i quartieri alti. Non come certe puttane qui della zona che non hanno neanche la minima idea di come possa essere l'aspetto di una vera signora. Dalla soglia Binns si lasciò sfuggire una specie di grugnito. Costigan lo prese per un'espressione di incredulità. — Lei invece sì, e con tutti i fronzoli necessari! — disse infuriandosi. — Un vestito rosso e nero aveva, buono come uno di quelle puttane che ci sono su dalle parti di Haymarket, e stivaletti nuovi con i bottoncini di madreperla. Costano una fortuna stivaletti come quelli. Le donne che battono il marciapiede da queste parti non hanno niente del genere. — Stivaletti? — disse Pitt molto lentamente, sentendosi inondare il petto dall'eccitazione. — Già, stivaletti! — ringhiò Costigan, totalmente inconsapevole di ciò che aveva detto. — Quando li hai visti, caro il mio signor Costigan? — domandò Pitt, lanciando un'occhiata a Binns per assicurarsi che prendesse nota di ogni cosa. — Come? Io non li ho visti. Perché? — Rifletti un momento! — fu l'ordine di Pitt. — Quando hai visto quegli stivaletti? — Ma che importanza ha? E va bene, li ho visti. — Adesso Costigan era diventato rosso in faccia e i suoi occhi scintillavano in modo insolito. Teneva le mani lungo i fianchi, contratte, chiuse a pugno, e aveva il labbro
superiore imperlato da una linea sottile di goccioline di sudore. — Credo che tu li abbia visti — confermò Pitt. — Credo che tu sia andato su, nella zona di Hyde Park, forse con l'idea di introdurti in quel giro di prostituzione, o magari perché avevi già il sospetto che Ada facesse qualche lavoretto per conto proprio, e hai fatto quattro chiacchiere con Fat George. E lui ti ha detto che Ada effettivamente lavorava da quelle parti, e se la cavava niente male. Allora ti sei reso conto che ti imbrogliava, sei tornato qui e l'hai affrontata gettandole in faccia la verità. Lei ti ha detto di non aver bisogno di te e di non illuderti... e che stavi fresco se continuavi a sperare che lei ti pagasse la tua parte. Hai cercato di malmenarla un po', solo che lei ti ha sfidato. Hai perduto il lume della ragione e nel litigio che è scoppiato l'hai fatta fuori. È possibile che tu non avessi intenzione di spingerti fino a quel punto quando hai cominciato, però eri ferito nella tua vanità. Magari ti ha anche riso in faccia. L'hai stretta un po' troppo forte, e prima di rendertene conto lei era morta. Costigan lo stava fissando con gli occhi sgranati, troppo sconvolto per parlare, la faccia contorta e deformata dalla paura. — E quando ti sei reso conto che lei era morta — continuò Pitt — le hai infilato una giarrettiera al braccio, hai allacciato l'uno con l'altro gli stivaletti nuovi in modo da dare l'impressione che fosse stato qualche cliente, uno di quelli che sono un po' feticisti, che hanno un certo gusto per il sadismo o amano determinati rituali, e te la sei squagliata. Costigan deglutì convulsamente. Aveva bocca e labbra aride, la pelle livida. — Sei stato visto — Pitt continuò perché adesso voleva farla finita il più in fretta possibile. — Credo che se lo chiediamo a Rose Burke lei riuscirà a identificarti. E forse Nan Sullivan si ricorda del tuo soprabito. Lei che faceva la cucitrice e ha sempre avuto occhio per i tessuti. Albert Costigan, io ti arresto per l'assassinio di Ada McKinley... Costigan si lasciò sfuggire il fiato in un rantolo di disperazione e crollò di schianto nella poltrona, ancora troppo inorridito per parlare. 7 — Dio sia ringraziato. — Cornwallis si abbandonò contro la spalliera della sua poltroncina nel palco a teatro, e allungò uno sguardo a Pitt. Charlotte e sua madre Caroline, sedute in fondo dall'altra parte, si stavano sporgendo lievemente oltre il parapetto per osservare le persone che anda-
vano e venivano nella platea sottostante. Lo spettacolo era più o meno a metà, con il nuovo marito di Caroline, Joshua Fielding, come protagonista. Pitt era piuttosto incerto non sapendo bene come Cornwallis avrebbe potuto reagire alla notizia che sua suocera si era risposata e per di più con un attore di parecchi anni più giovane di lei. Ma se Cornwallis aveva trovato il fatto inusitato sapeva essere tanto cortese da non lasciarlo intendere. Era anche praticamente impossibile immaginare che cosa pensasse dello spettacolo in sé e per sé, un dramma intensamente emotivo e piuttosto audace che metteva in discussione parecchie questioni controverse. Se Pitt ne fosse stato al corrente in anticipo non avrebbe invitato il suo superiore. Con Micah Drummond tutto andava diversamente. Lo conosceva abbastanza bene, sapeva quali fossero le sue passioni e le sue vulnerabilità per rendersi pienamente conto di quello che avrebbe potuto o no offenderlo. Cornwallis continuava a essere un estraneo. Avevano ancora condiviso troppo poco, soltanto quest'unico caso che, dai risultati ottenuti, sembrava di una banalità sconcertante, e almeno finora non aveva provocato nessuno dei pericoli che agli inizi parevano profilarsi minacciosi all'orizzonte. Tutto sommato, forse non sarebbe neanche stato necessario che venisse convocato Pitt a occuparsene, anche se agli inizi nessuno poteva saperlo con sicurezza. Cornwallis si passò una mano sulla testa e sorrise un po' contrito. — Confesso di aver avuto la convinzione che questo si sarebbe rivelato un caso molto sgradevole — disse con un sospiro di sollievo. — Possiamo considerarci estremamente fortunati che l'assassino sia invece il protettore di quella povera donna... in un certo senso è quasi una questione domestica, familiare. — Una ruga sottile gli segnava la fronte. Non sembrava tranquillo come il suo discorsino avrebbe potuto lasciar pensare. Indossava un frac di ottimo taglio completato da una camicia di un candore abbagliante, eppure sotto quell'abito elegantissimo era visibile la tensione del suo corpo, come se non si sentisse interamente a proprio agio. — C'è da pensare che siamo stati indotti per pura e semplice disdetta a concentrare i sospetti su FitzJames? — domandò Cornwallis a voce bassa, in modo che le sue parole non potessero essere sentite da altri. Sembrava quasi che non volesse discutere quell'argomento, e nello stesso tempo si sentisse costretto a farlo. — Non sono sicuro di credere in quel genere di disdetta — replicò Pitt con aria meditabonda. Anche lui era sollevato all'idea che in conclusione l'assassino si fosse rivelato, e con tanta facilità, lo stesso Costigan; ma ri-
maneva qualche sfaccettatura di quel caso che continuava a turbarlo, anche perché erano troppe le domande alle quali l'arresto e l'imputazione di Costigan non fornivano una risposta. — Qual era il distintivo autentico? — domandò Cornwallis come se gli leggesse nel pensiero. — Il primo o il secondo? Oppure tutti e due, nel senso che FitzJames aveva provveduto a farli fare entrambi? Dal palco vicino li raggiunse uno scroscio di risa, un'esclamazione di sorpresa. Da ogni parte si levava il brusio della conversazione. — Non so — rispose Pitt. — È stato Helliwell a provvedere che venissero fatti i primi distintivi e lui dice di aver dimenticato chi fosse l'orafo, e di non trovare più il suo. — E gli altri due soci? — insistette Cornwallis. — Sostengono di non aver mai saputo il nome dell'artigiano che fece quel lavoro originariamente, e di aver smarrito il loro. — Pitt si strinse nelle spalle. — Ho il vago sospetto che FitzJames abbia provveduto a far fare il secondo per cercar di provare che era innocente o perlomeno di far nascere qualche dubbio sulla propria colpevolezza. — Di conseguenza il distintivo che avete trovato in Pentecost Alley era il suo? — si affrettò a domandare Cornwallis, voltandosi di scatto ad affrontare Pitt mentre abbandonava qualsiasi tentativo di dare un tono casuale e noncurante a quella specie di interrogatorio. — E tutto ciò che cos'ha a che vedere con Costigan? Non capisco. — Nemmeno io — ammise Pitt. E stava per continuare il discorso quando si sentì bussare alla porta del palco. Dopo pochi istanti Micah Drummond entrava. Salutate Charlotte e Caroline, non appena i soliti convenevoli si esaurirono, si voltò verso Pitt e Cornwallis. Era un uomo alto, dalla corporatura asciutta, il viso amabile e il naso aquilino. I modi garbati, l'eleganza del comportamento e la lunga abitudine al comando mascheravano la sua istintiva timidezza. — Congratulazioni — disse in tono caloroso ai due uomini. — Un caso potenzialmente molto spiacevole affrontato e risolto con abilità. Non solo, ma siete anche riusciti a evitare che la stampa se ne occupasse troppo, il che è un ulteriore vantaggio. Ho sentito correre la voce che FitzJames è molto soddisfatto. — Scoppiò in una brusca risata. — Suppongo che "grato" sarebbe una parola troppo forte per un uomo come lui, ma si ricorderà di tutto questo. E non è escluso che si possa dimostrare un alleato in futuro. — Soltanto nel caso in cui dovesse capitare che i nostri nemici siano an-
che i suoi — rispose Cornwallis seccamente. — Quello è un uomo capace di ricordare un'offesa e dimenticare un servizio che gli è stato reso. Per carità! Non che il nostro modo di agire in questo caso fosse, in un senso qualsiasi, inteso come un servizio che volevamo rendergli! — soggiunse con prontezza. — Se Pitt avesse provato la colpevolezza di suo figlio lo avrei fatto arrestare con la stessa rapidità con la quale ho fatto arrestare Costigan o chiunque altro. Micah Drummond sorrise. — Non ne dubito minimamente. Con tutto ciò continuo a essere felicissimo che non si sia dimostrato necessario. — Lanciò una rapida occhiata a Pitt e poi riportò lo sguardo su Cornwallis. — Non c'è niente che noi possiamo fare se la tragedia colpisce una delle famiglie più in vista, ma è una cosa estremamente sgradevole doversene occupare. Drummond si voltò a scambiare qualche parola con Charlotte e a complimentarsi con Caroline per l'interpretazione che Joshua aveva dato del suo personaggio; poi chiese il permesso di ritirarsi e se ne andò. Pitt si voltò di nuovo verso Cornwallis, e stava per riprendere il discorso di prima quando si sentì bussare seccamente alla porta, di nuovo. Stavolta fu Vespasia a entrare maestosamente. Aveva un aspetto stupendo. Poiché aveva preso la decisione di fare di quell'avvenimento una grande occasione, aveva scelto una toilette in seta lavanda e grigio-ferro, una combinazione di colori che avrebbe donato pochissimo a chiunque altra tanto era fredda, mentre su di lei aveva qualcosa di magnifico perché faceva spiccare i capelli d'argento e i diamanti che le guarnivano il collo e le orecchie. Pitt e Cornwallis si alzarono automaticamente in piedi. — Molto affascinante, mia cara — disse Vespasia a Caroline. — Che uomo pieno di attrazione! E che presenza. Caroline arrossì, si accorse di essere arrossita e diventò ancora più rossa. — Grazie — disse quasi esitante. — Anche a me pare che se la cavi discretamente. — Recita quella parte in modo superbo — disse Vespasia quasi in tono di rimprovero. — E del resto gli va a pennello. Avrebbe potuto essere scritta per lui. E, forse è stato proprio così! Buona sera, Charlotte. Buona sera, Thomas. Sono sicura che sarai molto soddisfatto di te stesso. Buona sera, John. — Buona sera, lady Vespasia. — Cornwallis abbozzò un leggero inchino guardandola. Tutto d'un tratto sembrava compiaciuto, ma a disagio. Pitt, guardandolo di sottecchi, capì dalla sua espressione come fosse già al cor-
rente del fatto che Vespasia era, sia pure molto alla lontana, imparentata con Charlotte. E quindi non era meravigliato di vederla come sarebbe invece stato logico aspettarsi. — Assolutamente straordinario — continuò Vespasia, alzando lievemente una spalla e senza fornire alcuna ulteriore spiegazione relativa al soggetto di questo suo commento. Tornò a rivolgersi a Caroline con un sorriso incantevole. — Sono felice di essere venuta. Ti prego, non considerarlo assolutamente come il risultato di una scelta necessaria in quanto l'alternativa era l'opera, qualcosa di wagneriano e di terribilmente pomposo e sinistro, tutto a base di dei e destino. Preferisco le mie tragiche storie d'amore dell'opera italiana che riguardano la fragilità umana, e quindi qualcosa che io capisco, invece del destino, perché quello non lo capisco... come la predestinazione, nella quale non credo. Mi rifiuto di crederci. Rinnega tutto ciò che è l'umanità, anche per quei pochi meriti che può avere. Caroline aprì la bocca per dire qualcosa di gentile ma cambiò idea. Non era necessario e nessuno, meno di tutti Vespasia, se lo aspettava. — E poi non avrei sopportato di star lì seduta a osservare Augustus FitzJames che faceva la ruota come un pavone — continuò Vespasia. — Non so se sia realmente un appassionato di Wagner oppure se lo consideri soltanto un segno di buon gusto e del saper vivere corretto, ma non manca mai, ed è presente sempre alla prima, con la moglie che si porta intorno al collo una mezza miniera di diamanti sudafricani. Vedere la sua faccia sarebbe stato ancora peggio di essere costretta a starmene seduta in un palco ad ascoltare per quattro ore gli strilli di Brunilde o di Siglinde o di Isotta o di chiunque altra. Ma sarebbe interessante guardarsi un po' in giro fra il pubblico e cercar di capire se c'è qualcuno che si mostra particolarmente di cattivo umore. — Davvero? — disse Pitt un po' confuso. Lei lo scrutò con gli occhi argentei socchiusi sotto le palpebre pesanti. — Be', mio caro Thomas, qualcuno si era messo veramente d'impegno a rovinare la famiglia del signor FitzJames e, a quanto pare, è fallito miseramente nel suo intento. Quel piccolo sciagurato Costigan può aver ammazzato la ragazza, ma riesci sul serio a convincerti che sia stata una sua idea quella di implicare nell'omicidio il giovane FitzJames? Ma dove mai un uomo del suo genere potrebbe procurarsi il distintivo di un club e il gemello da camicia con i quali tentare qualcosa di simile? Ti pare che ci possa essere un legame anche vago fra loro? — Non lo domandò in tono sarcastico. Era una possibilità che stava prendendo in considerazione.
— Non so — rispose Pitt. — Non si direbbe probabile, ma ci sono molte cose alle quali non è stata data risposta, ancora. Domani torno a interrogarlo. Da quello che abbiamo in mano al momento sembra proprio che non abbia alcun senso l'idea che Finlay FitzJames possa essere legato in qualche modo con tutto quanto è successo, direttamente o indirettamente. — Ma allora come hanno fatto ad arrivare fin lì il suo distintivo e il suo gemello da camicia? — domandò Charlotte incuriosita. — Hai il sospetto che Ada li abbia rubati? — Non so — ripeté Pitt. — Forse Finlay li aveva lasciati lì qualche altra volta, oppure è stato qualcun altro. — Davanti agli occhi gli passò rapida l'immagine del viso di Jago Jones e quella visione fu accompagnata da un pensiero fastidioso, che lo lasciava insoddisfatto. — Vorrei essere convinta che è stata una pura e semplice disdetta — disse Vespasia scrollando lievemente il capo. — Perlomeno così credo. Ma devo confessare che trovo Augustus FitzJames uno degli uomini più insopportabili che mi sia mai capitato di conoscere. C'è molto in lui che posso capire, però è il classico esemplare dell'uomo prepotente e crudele. In lontananza si levò il tenue tintinnio di un campanello che indicava la ripresa dello spettacolo. Qua e là qualche palco si aprì. Una dozzina di donne vi entrarono in un tripudio di sete colorate. Una ventina di uomini si alzarono in piedi, e lentamente il pubblico cominciò a tornare ai propri posti. Il chiacchierio animato di poco prima piano piano si trasformò in un sommesso e intermittente ronzio. Vespasia sorrise. — È stato un enorme piacere vedervi ma, una volta tanto, sono venuta a teatro soprattutto per assistere allo spettacolo. Di conseguenza ho tutte le intenzioni di essere già seduta al mio posto quando si alzerà il sipario. — Li salutò e li lasciò, accompagnata dal fruscio della seta e da un profumo di gelsomino. Cornwallis tornò a prendere posto sulla sua poltroncina e si rivolse a Pitt. — È necessario sapere da dove sono arrivati quegli oggetti di proprietà di FitzJames e come hanno fatto a venire introdotti nella camera di Ada — disse con una voce che era poco più di un bisbiglio. — Adesso che Costigan è sotto accusa, FitzJames vorrà sicuramente sapere chi ha cercato di implicarlo nella faccenda e se quelle persone hanno usato Costigan o no. Ho paura che il vostro lavoro non sia finito. — Aggrottò le sopracciglia e gli si accostò lievemente mentre le luci si spegnevano. — È stato un bel rischio cercar di coinvolgere FitzJames lasciando pensare a una sua presenza
in un posto come Pentecost Alley. Come poteva sapere che lui non sarebbe stato in grado di fornire indicazioni precise sul modo in cui aveva passato quell'arco di tempo? In genere i giovanotti della sua età e della sua posizione sociale passano le serate in compagnia. La possibilità che fosse solo e non riuscisse a ricordare dove si trovava, era... Dio solo lo sa... — Abbassò ancora di più la voce man mano che il sipario si alzava sul palcoscenico. — Ho la sensazione molto sgradevole, Pitt, che sia stato qualcuno che è in rapporti di intimità con lui. E farete meglio a cercar di scoprire, se è possibile, quale dei due distintivi era l'originale — sospirò. — E se Finlay ha fatto fare il secondo, oppure se suo padre ha continuato a chiudere un occhio e a passarci sopra, abbiamo comunque le mani legate. — Il suo tono vibrava di collera e di rammarico. Era inutile che spiegasse fino a che punto odiava il compromesso con i suoi principi, che invece quella situazione esigeva. La necessità di mostrarsi cortese e di prestare attenzione al secondo atto che veniva recitato sul palcoscenico impedì che la conversazione si prolungasse. Non farlo sarebbe stato offensivo nei confronti di Caroline. Quindi si disposero a godersi la rappresentazione. — Non lo so! — disse Costigan con la voce che vibrava di disperazione. — Di quello io non so niente! Sedeva nella sua cella di Newgate e Pitt, in piedi vicino alla porta, lo stava fissando nel tentativo di scoprire se diceva la verità o continuava a mentire. Era inutile, sarebbe finito sulla forca per aver ammazzato Ada. Senza gli abiti di buon taglio e la camicia inamidata, curvo, ripiegato su se stesso, con aria affranta e desolata, sembrava molto più piccolo di statura. Adesso indossava una vecchia giacca grigia, ormai tutta spiegazzata, come se non si fosse nemmeno preso la briga di toglierla e appenderla quando dormiva. Guardandolo, Pitt si accorse che gli riusciva difficile essere brutale e dirgli la verità. Eppure era una sciocchezza. Lui doveva averlo capito. Non avrebbe più potuto esserci una soluzione diversa, una volta che aveva ammesso di aver visto gli stivaletti. Era stato colto in fallo, e lo aveva capito. — Non lo so — ripeté Costigan, con gli occhi fissi sul pavimento fra i suoi piedi. — Non ho mai visto quello stramaledetto distintivo, o il gemello da camicia. Lo giuro sulla mia testa. — Il gemello da camicia era finito dietro il cuscino, in fondo alla poltrona — ammise Pitt. — Ma il distintivo era proprio sotto il corpo di lei, sul
letto. Dai, Costigan! Per quanto tempo avrebbe potuto rimanere lì senza che nessuno se ne accorgesse? Quel gingillo aveva uno spillone lungo un po' meno di due centimetri che non era chiuso, ma aperto. La testa di Costigan si rialzò. — E allora è stato il suo ultimo cliente! Più logico di così! Come faccio a sapere io come è arrivato lì? Magari gliel'ha fatto vedere! Oppure lei ha cominciato a vantarsi di averlo sgraffignato a qualcuno, e glielo faceva vedere! Pitt rifletté per un attimo su tutto questo. La prima supposizione era poco probabile, semplicemente perché entrava in gioco la coincidenza straordinaria di qualcuno che avesse portato e lasciato degli oggetti che appartenevano a Finlay in camera di Ada la sera stessa in cui era stata assassinata da Costigan, senza premeditazione. La scoperta di Costigan che lei lo truffava e quel suo accesso di furore nel quale aveva perduto il lume della ragione non potevano essere stati previsti. Oppure sì? Era possibile che qualcuno avesse pagato Fat George perché lo dicesse a Costigan proprio quel giorno? E poi avesse sorvegliato Costigan per vedere che cosa avrebbe fatto, seguendolo mentre tornava a Whitechapel e... — Cosa? — domandò Costigan mentre scrutava Pitt in faccia. — Cosa c'è? Che cosa sapete? No. Nessuna persona con un certo potere e non priva di intelligenza, indipendentemente dall'odio che poteva provare per FitzJames, si sarebbe messa nelle mani di Fat George, servendosi di lui a quel modo. Era tutto troppo tortuoso e complicato, e dipendeva da troppe persone: Fat George, Costigan stesso, e qualcun altro che andasse a mettere in quella camera le prove. Nessuno avrebbe accettato di correre un rischio del genere. — Niente — disse ad alta voce. — Era un tipo che rubava, Ada? Hai insinuato poco fa che magari stava mostrando il distintivo a qualcuno. Non le hai insegnato a non rubare? È pericoloso. Brutto per gli affari. Costigan alzò a guardarlo due occhi stralunati, colmi di terrore. Era pallidissimo. — Già, certo che gliel'ho insegnato. Ma questo non vuol dire che mi abbia dato retta, vero? Le ho anche insegnato a non imbrogliare, eppure lei continuava a farlo. Stupida disgraziata! — Il suo viso si riempì di rammarico, che era qualcosa di più dell'autocompassione. Adesso rivelava una sincera tristezza. Forse la vecchia Madge aveva ragione, e lui si era sentito attratto da Ada, magari le si era perfino affezionato. Questo poteva aver reso ancor più offensivo e cocente il tradimento, perché si trasformava a quel
punto in una questione personale, non più semplicemente finanziaria. E poteva spiegare per quale motivo si era lasciato andare a un tale accesso di collera, perché non aveva sopportato che il suo sentimento per lei - e non doveva capitare di frequente che provasse qualcosa per qualcuno - fosse sfruttato per danneggiarlo e approfittarsi di lui. Sì, era sul serio ordinaria amministrazione, una questione da risolvere in famiglia. — Non ti eri mai accorto che lei rubasse? — domandò Pitt, e adesso quella sfumatura di rabbia era scomparsa dalla sua voce. Costigan era tornato a fissare il pavimento. — No. No, lei era una bella furbetta, Ada, proprio così. Troppo furba per sgraffignare qualcosa a un cliente. Li trattava bene lei, eccome! Ce n'erano tanti che venivano regolarmente. Perché era divertente. Spiritosa. Li faceva ridere. Aveva classe. — Le lacrime gli sgorgarono a fiotti dagli occhi, scendendo a bagnargli le guance. — Era brava, quella stupida carogna. Mi piaceva. Non mi avrebbe mai imbrogliato. Io ero buono con lei. Perché mi ha costretto a farlo? Adesso siamo finiti, tutti e due. Pitt era addolorato. Si trattava di una sciocca e futile tragedia, un gioco di avidità e di sentimenti offesi, il caratteraccio di uno stupido che non sapeva dominarlo, di uno stupido le cui ambizioni oltrepassavano di gran lunga le capacità. E tutti e due erano stati usati da Fat George, un uomo ben più intelligente e crudele e, forse, anche da un altro uomo più astuto e più perverso, che manovrava tutto dietro a lui. — Conosci FitzJames? — domandò. — No... — Costigan era troppo assorbito dalla propria infelicità per arrabbiarsi. Non alzò neanche gli occhi. Ormai non provava più il minimo interesse. — C'è mai stato qualcuno che te lo ha menzionato? Pensaci! — Nessuno all'infuori di voi — gli rispose Costigan affranto. — Si può sapere cos'è questo chiodo che avete con FitzJames? Io non so come quella roba che è sua sia finita nella camera di Ada. Qualcuno l'avrà rubata e l'avrà lasciata lì, immagino. Come faccio a saperlo? Andate a chiederlo ai suoi amici o ai suoi nemici. So soltanto che non sono stato io. E Pitt non riuscì a cavargli altro di bocca. Non esisteva una possibile punizione con cui minacciarlo peggiore di quella alla quale era già destinato. E ormai non c'era né vantaggio né ricompensa che potesse essergli anche della minima utilità. A parte quello, Pitt era persuaso che non sapesse altro. Lasciò Newgate e, uscendo dall'edificio in pietra che trasudava umidità,
si ritrovò sotto il caldo torrido di un pomeriggio d'agosto, ma ci volle molto, molto tempo prima che il senso di gelo che provava lo lasciasse. Per le cinque e mezzo era di nuovo in Devonshire Street e chiedeva al gioviale maggiordomo se fosse possibile parlare con il signor Finlay FitzJames. Quell'opportunità gli venne immediatamente concessa e fu condotto, dopo aver percorso metri e metri di parquet accuratamente lucidato, fino alla biblioteca, dove non solo Finlay ma anche Augustus sedevano vicino alla finestra aperta che dava sul giardino. Al di là della folta massa di fiori e di tralci di caprifoglio era facile vedere una chiazza di mussolina chiara, Tallulah che si spingeva dolcemente avanti e indietro sul sedile dell'altalena, gli occhi chiusi, il viso alzato verso il sole in modo del tutto contrario ai dettami della moda. Non c'era da meravigliarsi che la sua carnagione fosse molto più colorita di quello che sarebbe stato decoroso o opportuno. — C'è altro, sovrintendente? — domandò Augustus in tono pieno di curiosità. Chiuse il libro che teneva fra le mani, un tomo massiccio i cui caratteri erano troppo piccoli perché Pitt potesse leggerli capovolti, e se lo posò sulle ginocchia come per lasciar capire di essere pronto a riprendere la lettura da un momento all'altro. — Molto poco — replicò Pitt, lanciando un'occhiata a Finlay che lo stava osservando con interesse. Adesso che Costigan era stato arrestato e accusato, si mostrava totalmente rilassato, quasi arrogante come prima. Era vestito in modo molto informale. I suoi folti capelli, fittamente ondulati, erano pettinati tutti indietro in modo da lasciar libera la faccia. La sua espressione era cortese e piena di sicurezza. — Allora per quale motivo siete venuto, signor Pitt? — gli domandò, alzando gli occhi a guardarlo, ma senza muoversi e senza invitarlo ad accomodarsi. — Noi non sappiamo assolutamente niente su tutta questa disgraziata faccenda; il che, se ben ricordate, è quanto vi avevamo già detto fin dalla prima volta. Sono sicuro che né mio padre né io desideriamo essere informati, dettaglio per dettaglio, dei progressi che state facendo o che non riuscite a fare. È tutto molto pedestre e piuttosto squallido. — È squallido — confermò Pitt, risentendosi con amarezza dell'arroganza di Finlay, quasi come se lui stesso non avesse disprezzato Costigan più o meno allo stesso modo. Si mise a sedere senza essere stato invitato a farlo. — Ma prevedibile, no — soggiunse. — Anzi è qualcosa di assolutamente fuori dall'usuale.
— Davvero? — Finlay alzò le sopracciglia. — Avrei pensato che capitasse molto spesso che qualche prostituta venisse picchiata o ammazzata, soprattutto nell'East End. Pitt si accorse di avere una certa difficoltà a controllare la propria voce perché non vi trapelasse la collera che provava di fronte a tutta quella indifferenza davanti alla morte: la morte di chiunque, di Ada, di Costigan, di qualsiasi persona. — Quel tipo di movente è molto comune, signor FitzJames. — Cercò di parlare in tono distaccato, senza rivelare i suoi veri sentimenti, ma non riuscì ugualmente a evitare che nella sua voce si sentisse una punta di sarcasmo. — Ma è straordinario trovare sulla scena di un delitto come quello oggetti personali, e di proprietà di un uomo come voi, quando non avete alcun legame nel senso più totale e assoluto né con la vittima né con il delitto. — Bene, come sapete adesso, sovrintendente, non ho nessuna connessione con quell'omicidio. — Finlay stava sorridendo, con gli occhi scintillanti. — È stato semplicemente il suo protettore. Credevo che ci fossimo trovati d'accordo sul fatto che questo era indiscutibile. Se siete venuto qui a domandarmi come mai un distintivo che assomiglia al mio sia finito laggiù, non ne avevo la minima idea in principio e continuo a non averla. Pitt strinse i denti. — E questo non vi dà il minimo fastidio, signore? — domandò, fissando con aria inespressiva il bel viso di Finlay e osservando l'espressione dei suoi occhi soddisfatta e compiaciuta. — Il distintivo era nel letto, e lo spillone aperto. Non avrebbe potuto trovarsi lì se non da brevissimo tempo, mezz'ora al massimo. — Se state insinuando che Finlay si trovava laggiù mezz'ora prima dell'omicidio — lo interruppe gelido Augustus — in tal caso non soltanto vi sbagliate, sovrintendente, ma siete anche sfacciato e state cominciando a perdere di vista quali sono i limiti della vostra autorità in materia. Oltre al fatto che vi state approfittando della nostra benevolenza. — Niente affatto — rispose Pitt. Finlay poteva non capire per quale motivo Pitt fosse venuto, ma Augustus sicuramente doveva cominciare a sospettarlo. Perché fingeva di essere in collera, e si mostrava così ottuso? Pitt non si era aspettato dei ringraziamenti, ma neanche quella pretenziosità permalosa. — Sono pienamente soddisfatto perché il resoconto che ci ha fornito sul modo in cui ha passato la giornata è esatto e corretto. L'errore di identificazione che ci ha fatto pensare che lui potesse trovarsi in Pentecost
Alley è abbastanza facile da capire... — Se avete uno scopo al quale arrivare, sovrintendente, vi prego di farlo. Se desiderate i miei ringraziamenti, vi sono obbligato per la discrezione con la quale avete affrontato e trattato la faccenda. Sono sicuro che non vi aspetterete niente di più da me oltre a quello, vero? Offensivo e volgare. — Non mi aspettavo neanche quelli! — ribatté Pitt seccamente. — Io faccio il mio dovere per me stesso, per nessun altro. Non c'era di mezzo nessun favore personale su cui far calcolo. Così, allo stesso modo, trovo mio dovere scoprire chi potrebbe aver messo quegli oggetti di proprietà di vostro figlio sulla scena di un delitto, presumibilmente con l'intenzione di riuscire nel migliore dei casi a coinvolgerlo in uno scandalo e a danneggiare la sua reputazione... e nel peggiore, a mandarlo sulla forca. — Pronunciò questa parola in modo chiaro e ben distinto. — Mi sarei aspettato che fosse vostro desiderio conoscere la risposta con un'ansia ancor maggiore della mia. Augustus socchiuse gli occhi. Evidentemente non si era preparato a una risposta secca come quella, e la sua reazione era istintiva, non calcolata. — E se il distintivo dell'Hellfire Club che è stato scoperto nella tasca della vostra giacca, signore — continuò Pitt, rivolgendosi a Finlay — era quello originale, allora c'è da pensare che qualcuno si sia impegnato a fondo per vedervi accusare. Non solo, ma solleva anche un interrogativo: per quale motivo qualcuno ha fatto fare un secondo distintivo con il vostro nome sopra e, per di più, come questa o queste persone sapevano di poterlo far fare tanto esattamente simile al primo? L'unico modo con cui perfino un orafo può distinguere l'uno dall'altro sta in una pressoché impercettibile variante nel modo in cui è scritto il vostro nome sul retro. La compostezza di Finlay scomparve. Adesso appariva pallido e tutta la sfacciataggine di poco prima era sparita dai suoi occhi, lasciandoli luccicanti e colmi di nervosismo. Si voltò lentamente a guardare suo padre. Per un attimo anche Augustus parve sconcertato. Non aveva nessuna risposta già pronta. La stizza per l'imbarazzo che Pitt gli aveva provocato adesso veniva rivelata dalle labbra strette, dalla linea dura della bocca. Finlay respirò a fondo e aprì la bocca per parlare, riportando gli occhi su Pitt. Guardò suo padre di nuovo, e cambiò idea. — Siete stato voi stesso a provvedere che si facesse una copia di quel distintivo, signore? — gli domandò Pitt. — Sarebbe comprensibile, date le circostanze, e di fronte alla legge non richiederebbe alcuna spiegazione.
— N-no — balbettò Finlay, poi deglutì. — No, non sono stato io. — Adesso aveva l'aria profondamente a disagio, infelice. Una pendola che si trovava appoggiata contro la parete più lontana della biblioteca fece sentire il rintocco del quarto. Al di là della finestra si poteva ancora distinguere Tallulah sull'altalena. — Sono stato io, sovrintendente — Augustus si decise a rispondere. — Quanto al primo distintivo, posso solo presumere che sia andato smarrito o sia stato rubato anni fa, come mio figlio ha già detto. La stessa cosa vale per il gemello da camicia. Nessuno lo ha più visto, in questi ultimi cinque anni. Si può soltanto fare il ragionamento che una stessa persona, per un puro caso, fosse in possesso di tutti e due quegli oggetti. — E per un puro caso si sia servito di Ada McKinley e li abbia lasciati tutti e due là, o nella stessa o in due separate occasioni? — concluse Pitt, senza riuscire a evitare che la sua voce vibrasse di incredulità. I lineamenti di Augustus adesso erano vacui, inespressivi, salvo per un improvviso lampo di collera negli occhi, che subito scomparve. — Sembrerebbe che sia successo proprio così — disse gelido. Pitt si voltò verso Finlay. — In tal caso questo riduce notevolmente il numero delle possibilità — fu il suo ragionamento. — Non devono essere molte le persone di vostra conoscenza che abbiano avuto la possibilità di trovare casualmente, o di portarvi via due articoli così spiccatamente personali, per poi smarrirli accidentalmente in Pentecost Alley la notte dell'omicidio di Ada. — Il gemello da camicia avrebbe potuto essere là da chissà quanto tempo — gli fece rilevare Augustus, la faccia fremente di collera. — Avevate detto che era nascosto alla vista, infilato fra il cuscino e il fondo di una poltrona. Poteva essere lì da anni. — Precisamente — confermò Pitt. — Quanto al distintivo, avrebbe potuto essere lì soltanto da quando Ada aveva ricevuto il cliente precedente. È impossibile che un successivo cliente non se ne sia accorto entrando in quel letto! — Tutto molto sconcertante — ammise Augustus. — Ma non è un problema per il quale una qualsiasi delle persone della mia famiglia possa esservi di aiuto. E in tutta franchezza, poiché ormai voi sapete senza possibilità di dubbio chi ha ammazzato quella sciagurata, avrei pensato che non vi mancassero occupazioni migliori alle quali dedicare il vostro tempo. Non siete voi un funzionario di un livello piuttosto alto per preoccuparvi dell'eventuale furto di un gemello da camicia e di un distintivo, nessuno dei due
con un valore intrinseco di più di un paio di ghinee, oltre al fatto che si tratta di piccoli oggetti facilmente sostituibili? Mio figlio non ha formulato ufficialmente accuse contro nessuno né abbiamo denunciato, in un momento qualsiasi, la perdita o lo smarrimento di quegli oggetti o chiesto esplicitamente che voi provvedeste a indagare in merito. — Prese di nuovo in mano il libro, anche se lo tenne chiuso. — Vi ringrazio per la vostra preoccupazione, ma tutti noi preferiremmo veder indirizzare i vostri sforzi a impedire in qualche modo che la violenza prenda sempre più piede per le nostre strade o a proteggere i nostri beni più preziosi dai ladri. Vi sono obbligato per la vostra visita, sovrintendente. — Intanto allungava l'altra mano verso il campanello, per chiamare un domestico che accompagnasse Pitt alla porta. — Non sono i beni mobili o immobili che mi interessano — rispose Pitt, continuando a rimanere seduto. — Ma solo l'uso che ne è stato fatto per cercare di incriminarvi. — Rivolse uno sguardo a Finlay. — Si direbbe che abbiate un nemico molto potente e molto accanito, signore. La polizia avrebbe piacere di offrirvi tutta l'assistenza possibile per cercar di scoprire di chi si tratta e, in caso di necessità, per perseguire legalmente questa o queste persone. Finlay era livido, con la pelle coperta da un velo di sudore. Deglutì come se avesse qualcosa che gli chiudeva la gola. — Io ho molti nemici, sovrintendente — esclamò Augustus, prevenendo suo figlio, casomai avesse avuto intenzione di dire qualcosa, ma il suo tono era guardingo. — È il prezzo del successo. Sgradevole fin che volete ma non è di questo che ho paura. Il tentativo di rovinare mio figlio è fallito. Dovesse qualcuno azzardarsi a tentarlo ancora, provvederò io a occuparmene personalmente con le difese più appropriate a seconda del tipo di pericolo. È quello che ho sempre fatto. Apprezzo la vostra preoccupazione per il nostro benessere e il vostro interesse nella giustizia. — Stavolta toccò il campanello. — Il domestico vi accompagnerà. Vi auguro il buon giorno. Pitt rimase insoddisfatto dei risultati di quella visita; d'altra parte non poteva permettersi di dedicare altro tempo ad approfondire la questione, né riuscì a trovare una qualsiasi altra linea di indagine da seguire. Se era stato Augustus a far fare una copia del distintivo, ecco che almeno questo veniva spiegato; però c'era sempre da domandarsi come il primo fosse stato messo nel letto di Pentecost Alley, oppure come fosse venuto in possesso
di chi ce l'aveva lasciato. Pitt non riusciva assolutamente a credere che distintivo e gemello da camicia fossero finiti per un puro caso, tutti e due, in quella stessa camera. Non si poteva escludere che fosse stato un nemico di Augustus FitzJames, il quale cercava di vendicarsi con questo metodo brutale e tortuoso al tempo stesso, eppure sembrava molto più probabile che quell'opportunità fosse stata colta da un nemico di Finlay. Gli altri soci dell'Hellfire Club parevano la scelta più ovvia. Perché il club si era sciolto? Noia, un'improvvisa maturità? Qualche opportunità per uno di loro di un miglioramento nella carriera che richiedeva sobrietà, austerità e una reputazione più solida, tanto che tutti avevano capito come fosse venuto il momento di abbandonare certe particolari indulgenze per determinati piaceri? Oppure qualche dissenso? Pitt non riusciva a liberarsi dall'idea che ci fosse stato proprio un dissenso, un violento litigio, e che Jago Jones fosse quello che aveva avuto, logicamente, l'opportunità più facile di lasciare qualcosa nell'alloggio di Ada. Eppure continuava a tornargli davanti agli occhi il viso di Jago la prima volta che lo aveva interrogato sull'assassinio, e l'espressione di orrore che vi aveva scorto quando gli aveva riferito che nel letto era stato trovato il distintivo di Finlay. Era davvero possibile che Finlay sapesse chi aveva tentato di incriminarlo, e fosse al corrente anche del motivo? E avesse pianificato la propria vendetta magari con l'aiuto del padre? Ma perché non riferirlo a Pitt, molto più semplicemente, e lasciare che fosse lui a risolvere la questione? Un'accusa di furto, o anche soltanto di aver lasciato qualche oggetto di proprietà di un altro uomo nella camera di una prostituta sarebbe stata la rovina per Jago Jones. Sarebbe stata la rovina per Helliwell. Quei suoceri così rigorosi e conformisti sarebbero rimasti scandalizzati da una cosa del genere. La società della gente perbene lo avrebbe messo al bando. Sarebbe stato un procedimento lungo, meditato e infinitamente spiacevole. Quale punizione poteva essere più crudele o più efficace di quella? Se Augustus aveva evitato di metterla in atto, doveva esserci un valido motivo. Differire a tempo indeterminato un'azione e lasciare la minaccia sospesa come una spada di Damocle sulla testa di qualcuno? In cambio chiedere qualche favore, qualcosa di tanto sostanzioso e importante che sarebbe valsa la pena di passar sopra al piacere presente? A Pitt non passò neanche per la mente di prendere atto della possibilità
che Augustus fosse disposto a perdonare l'offesa. Agosto giunse alla fine in un caldo soffocante e arrivarono i primi giorni di settembre. Presto sarebbe cominciato il processo di Costigan. Due sere prima dell'inizio, Pitt andò a Whitechapel per parlare con Ewart e il medico legale Lennox. Si trovarono non al commissariato di polizia, ma in una locanda di Swan Street, dove consumarono un pasto a base di pasticcio freddo di piccione innaffiato di sidro, e plum cake. Parlarono di argomenti piacevoli. Lennox raccontò la buffa storia di uno dei suoi pazienti che aveva acquistato di recente una vasca da bagno e invitato tutti i vicini di casa ad ammirarla. Ewart era al settimo cielo per la gioia, perché il figlio maggiore aveva vinto un posto all'università e passato gli esami del primo anno. Pitt si stupì che il ragazzo, lì a Whitechapel, avesse ricevuto un'istruzione sufficiente a rendere possibile una cosa del genere, ma si guardò bene dal fare commenti in proposito. Poi Ewart spiegò che era stato in grado di mandarlo in collegio dove aveva ricevuto un'ottima educazione. — Fa tutta la differenza per un uomo, l'educazione — disse con un sorrisino triste, dolce-amaro, tanto che Pitt si domandò fino a che punto Ewart, con il suo stipendio, fosse riuscito a fare i sacrifici necessari. Evidentemente anche sua moglie doveva aver accettato più di una rinuncia. Questo bastò a farglielo considerare sotto una nuova luce, e ad ammirarlo per questo. Doveva aver risparmiato tutta la vita. Sorrise a Ewart, ed Ewart girò la testa dall'altra parte, evitando di incrociare il suo sguardo, come se fosse imbarazzato. Quanto all'omicidio di Pentecost Alley, fu un argomento che non sfiorarono neanche fino a quando non uscirono dalla locanda incamminandosi senza fretta verso il fiume e le ombre proiettate dall'imponente massa della Torre di Londra. Le serate cominciavano ad accorciarsi. L'aria era sempre tiepida, ma la notte calava molto prima e già si sentiva che l'autunno si stava avvicinando, con i fiori che appassivano e la polvere che copriva il terreno, perché da troppo tempo non cadeva una bella pioggia fitta che lo impregnasse ben bene di umidità. Si soffermarono sulla collinetta erbosa sotto la Torre e rimasero a contemplare il fiume. La cappa di fumo e fuliggine era rimasta alle loro spalle. La luce era tenue, dalle sfumature oro e albicocca, sulla distesa lucente dell'acqua, velata in distanza da un po' di foschia che ammorbidiva la linea della riva opposta. Tower Bridge si trovava proprio sopra di loro. — Avete intenzione di menzionare il distintivo e il gemello da camicia?
— domandò Pitt a Ewart. Si trattava di un argomento che andava discusso. Due giorni dopo avrebbero dovuto presentarsi a deporre in tribunale anche loro. — Non ne vedo l'utilità — replicò Ewart in tono cauto, scoccando uno sguardo in tralice a Pitt. — Non mi sembra che abbia alcuna connessione importante con quello che è successo. — Sono tornato dai FitzJames — disse Pitt, socchiudendo gli occhi per difendersi dal barbaglio del sole. Il riflesso che l'acqua ne rimandava era diventato più intenso, una vivida chiazza di colore quasi argentea dove toccava la lieve increspatura lasciata da un'imbarcazione di passaggio, mentre si faceva più scura lungo i bordi della sua scia che si allargavano verso la riva. — E gli ho domandato se era stato lui a far fare la copia del distintivo. — Ho sempre pensato che questa fosse la soluzione. — Lennox fece una smorfia. Il suo viso aveva un'espressione malinconica perfino nell'aria dorata e quieta della sera. La luce metteva in risalto le linee sottili intorno alla bocca e agli occhi, che l'angoscia, la tensione e la pietà gli avevano a poco a poco inciso nella carne. Pitt si domandò quale fosse la sua vita privata; dove fosse la sua casa; se aveva qualcuno a cui voler bene, una persona con cui poter ridere e condividere le cose belle e buone, a cui raccontare almeno una delle cose che lo addoloravano. Ewart gli stava parlando, e lui non lo aveva sentito. — Cosa dicevate? Scusatemi, non stavo ascoltando. — FitzJames lo ha ammesso? — insistette Ewart. — In tal caso tutto è risolto, non vi pare? Stupido, forse, ma comprensibile. Non ha alcun senso farne menzione. Servirebbe soltanto a sollevare domande alle quali non abbiamo una risposta, e che ormai non interessano più. Secondo me, lui è stato là qualche volta, e ha smarrito quegli oggetti. Il nocciolo della questione è un altro: non è successo quella sera, e il resto non interessa. — Non è stato Finlay a far fare la copia del distintivo — obiettò Pitt. — Ma suo padre. — Praticamente è la stessa cosa. — Ed Ewart accantonò l'argomento, ma un'espressione di odio si delineò sul suo viso per un attimo, subito repressa. — Costigan giura che lui non ne sa niente — riprese Pitt in tono quieto nel silenzio profumato e tiepido della sera. — Magari è vero — disse Lennox a bassa voce. — Io continuo a pensare che FitzJames abbia qualcosa a che fare con Ada... se non con la sua
morte, almeno come cliente. Non credo che qualcuno gli abbia rubato quegli oggetti. Chi avrebbe potuto farlo? Nessuno, salvo Ada stessa. — Uno dei suoi amici, o presunti tali — rispose Ewart dopo un momento. — Magari uno dei soci del club originario. Non sappiamo che cosa provassero realmente l'uno per l'altro. Magari chissà quante invidie e gelosie c'erano sotto. Finlay aveva più soldi di tutti gli altri, e una vita che offriva maggiori prospettive future. Un giorno o l'altro occuperà un posto importante. Loro no. — C'era una stizza, quasi un malanimo, nella sua voce che lasciava sconcertati nella quiete della sera. Pitt pensò alla grande facilità con la quale erano state ottenute le opportunità di Finlay, e a quale costo, invece, quelle del figlio di Ewart, le infinite piccole cose alle quali si era dovuto rinunciare per pagargli gli studi. Non c'era da meravigliarsi che Ewart provasse risentimento di fronte al modo in cui Finlay, invece, quel denaro lo sprecava. — Non lo sapremo mai. — Ewart aveva riacquistato il controllo di sé e nessuna emozione vibrava più nella sua voce, che era tornata a essere blanda, professionale. — Non sappiamo mai tutto quando risolviamo uno dei nostri casi. Ci sono moventi, piccoli fatti, che non vengono mai spiegati. Abbiamo l'uomo giusto. In fondo, è quello che importa. — Si cacciò le mani in tasca e si mise a fissare l'acqua. Una o due chiatte avevano già acceso le luci di posizione e pareva andassero alla deriva, muovendosi lentamente quasi senza un'increspatura sull'acqua. — Fa parte del delitto — obiettò Pitt insoddisfatto. — Qualcuno ha messo lì quegli oggetti, il che significa che, se non è stato Costigan, c'era qualcun altro presente. Un buon difensore domanderà di chi si tratta e solleverà il solito ragionevole dubbio. Lennox lo fissava col viso metà in ombra, metà dorato dal sole che tramontava. C'erano sorpresa in lui, e un vago senso di allarme. Ewart si accigliò, strinse le labbra, con gli occhi incupiti. — Non riusciranno mai a farlo assolvere — disse lentamente. — Più colpevole di così non potrebbe essere. È tutto perfettamente chiaro. Lei lo imbrogliava e lui l'ha scoperto. Così è andato a mettere in chiaro le cose, ma lei non ne ha voluto sapere, non gli ha dato retta, e magari gli ha addirittura detto di togliersi dai piedi. Hanno litigato, e lui ha perduto il lume della ragione. Piccolo maiale sadico. D'altra parte, che razza di uomo è quello che campa approfittando delle donne che manda a prostituirsi? A Lennox sfuggì una specie di sommesso grugnito, triste e selvaggio. Aveva le spalle alzate, curve e contratte, come se tutti i muscoli del suo
corpo fossero irrigiditi. C'era un odio profondo su quella parte del suo viso sulla quale il sole al tramonto allungava i raggi. L'altra metà era quasi invisibile. Pitt intuiva ciò che doveva provare. Era stato lui a esaminare il corpo di Ada, a toccarla, a vedere con esattezza quello che le era stato fatto. Doveva averla immaginata viva, forse aveva perfino capito quanto fosse stato atroce il dolore che le era stato inflitto con quelle giunture distorte e slogate e le ossa fratturate. Perfino la pietà stessa che lui provava per Costigan si dileguò, mentre osservava il viso del giovanotto sul quale adesso le emozioni si disegnavano in tutta la loro intensità. Sospirò. — Quello che penso realmente è che FitzJames sa chi è stato a tentare di incriminarlo, o crede di saperlo, e si vendicherà — disse semplicemente. Ewart alzò le spalle. — Se non riusciamo a cavare un ragno dal buco noi, per quale motivo dovrebbero esserne capaci loro? — Scoppiò in una risata strana, tanto era piena di amarezza. — E se lui dovesse riuscirci, e venire colto sul fatto, io per primo non proverò il minimo dispiacere. Ewart si strinse nelle spalle. — Non possiamo fermarli, signore. — Quel "signore" fu pronunciato come per prendere le distanze da Pitt e, in un certo senso, chiudere anche la discussione. — Se loro sanno tutto questo, quasi sicuramente hanno già in mano la persona giusta, e direi che se lo meritano. È una cosa sporca cercar di mandare sulla forca un uomo per un crimine che non ha commesso. La sua faccia era stanca, dura, e la luce ne faceva risaltare più profonde le rughe. — E, in ogni caso, se credete di poter impedire ad Augustus FitzJames di mettere in atto la propria forma di giustizia con i suoi nemici, perdonate se ve lo dico, signore, ma vivete fuori dal mondo. Se è stato commesso un crimine, e noi lo veniamo a sapere, è nostro compito cercare di risolverlo. Ma un odio privato fra gentiluomini non è affar nostro. Pitt non disse niente. — Non possiamo caricarci il mondo intero sulle spalle — continuò Ewart, ripiegandosi un po' su se stesso, come se sentisse improvvisamente freddo. — E sarebbe una prevaricazione andare oltre i nostri limiti, se immaginassimo di poter fare qualcosa in proposito o se pensassimo addirittura che è nostro dovere farlo. — Lui ha rifiutato il nostro aiuto — disse Pitt. — Gliel'ho offerto e lo ha rifiutato con molta fermezza. — Non vuole vedervi cacciare un po' troppo il naso nei suoi affari di
famiglia — intervenne Lennox con una brusca risata. — Costigan può anche aver fatto fuori la ragazza, ma il comportamento di Finlay non resisterebbe a un'indagine troppo approfondita, se vuole un posto di ambasciatore. — Questa parola gli uscì dalle labbra come se l'avesse pronunciata a denti stretti, anche se adesso era troppo buio per vedere, e lui si era girato dall'altra parte, sfuggendo la luce. — Bene, se le cose stanno così — obiettò Ewart in tono acido — farete meglio a lasciar perdere. Non vi ringrazierà di sicuro se andrete a frugare troppo nella vita di Finlay per scoprire chi ha qualche valido motivo di odio nei suoi confronti, e perché. Scoprireste sicuramente qualche azione, qualche comportamento piuttosto squallido, e Augustus rivolgerebbe la sua vendetta contro di voi. E forse anche la legge. Ormai a questo punto non avete alcun motivo di indagare su Finlay. Abbiamo il nostro uomo. Lasciate perdere, signore, per la pace di tutti! — Allora ci vediamo in tribunale dopodomani — disse Pitt rassegnato. — Tornate indietro da quella parte? — E indicò con un gesto le Queen's Stairs. — No, no, vado a casa — rispose Ewart. — Grazie, signore. Buona notte. — Sì, io vengo con voi. — E Lennox si incamminò con Pitt. Procedettero in un piacevole silenzio sull'erba, poi scesero verso i gradini e l'acqua, prima di salire di nuovo verso Great Tower Hill. Ormai era quasi buio. Fornirono la loro testimonianza con tutta la precisione e l'esattezza possibile, cercando di renderla il più possibile anonima, di svuotarla anche di un'ombra di commozione o di sentimento, ma senza riuscirci. Lennox in particolare si presentò pallidissimo, con la voce stridula per la tensione che gli chiudeva la gola con un nodo, le labbra secche. Ewart si mostrò più concreto, lasciando trapelare, malgrado la sua compostezza, una sensazione di trionfo e di sollievo, nonché di odio per la depravazione, l'avidità e la stupidità di tutta quella storia. Non c'era una gran folla. Non si trattava di una causa particolarmente interessante. Quello di Albert Costigan era un nome sconosciuto, fuori dell'immediato circondario di Whitechapel Road. Ada McKinley era semplicemente una povera disgraziata che aveva corso i rischi della sua professione, incontrando una sorte che nessuno avrebbe potuto augurarle. Il primo giorno in tribunale Pitt vide Nan Sullivan e Rose Burke, bella in modo addirittura sorprendente, tutta vestita di nero. Non vide Agnes. Se era ve-
nuta, forse si nascondeva fra la folla. Non c'era neanche la vecchia Madge. Ma come lei stessa gli aveva detto non usciva mai di casa. Nessuno dei FitzJames si fece vedere e, d'altra parte, lui non aveva mai neanche pensato che potessero essere presenti. Per quanto li riguardava, non appena Finlay era stato discolpato, quella era la fine della storia. Quanto a Thirlstone ed Helliwell, non avevano mai neanche voluto aver qualcosa a che fare con la faccenda fin dal principio. Invece era presente Jago Jones, con quel suo viso tanto singolare, dall'espressione intensa, che lo faceva spiccare in mezzo alla folla indipendentemente dagli abiti logori e sgualciti e dal fatto che non portasse nessuno dei simboli che avrebbero potuto farlo distinguere come sacerdote, né l'alto colletto bianco, né una croce, né un qualsiasi altro simbolo del suo ministero. Aveva le guance scarne, infossate sotto gli alti zigomi, e gli occhi segnati profondamente dalle occhiaie come se fossero settimane che dormiva male. Ascoltò attentamente la deposizione di ogni testimone. Dall'attenzione che dedicò al processo si sarebbe potuto pensare che fosse lui, non i giurati, in conclusione, a dover esprimere un giudizio. A Pitt balenò d'un tratto la domanda se Jago fosse il sacerdote scelto per cercar di salvare l'anima di Costigan prima dell'ultima breve passeggiata alla forca. C'era da pensare che sarebbe stato lui a cercare di ottenere una confessione nelle ore che precedevano l'esecuzione, e che poi lo avrebbe accompagnato per quegli ultimi terrificanti passi finali fino al patibolo alle otto del mattino? Era un incarico che non avrebbe augurato mai a nessuno. Che cosa potevano dire? Qualcosa a proposito dell'amore di Dio e del sacrificio di Cristo per tutti gli uomini? E quale sarebbe stato il significato di quelle parole per Costigan? Jago avrebbe parlato un linguaggio che Costigan non aveva mai sentito, gli avrebbe espresso un'idea che per lui poteva essere remota come quei fuochi che ardevano nelle stelle. Mentre fissava dal fondo dell'aula del tribunale l'inesorabile procedere della legge nel suo svolgimento, Pitt si accorse che aveva qualcosa di spietato e inumano che lo spaventò. Le parrucche e le toghe sembravano tanto maschere per gli uomini che le portavano quanto simboli della maestà della giustizia. Si doveva presumere che fosse anonima, e invece sembrava semplicemente inumana. Le possibilità di difesa che l'avvocato di Costigan poteva offrire erano molto poche. Era giovane, ma si impegnò in uno sforzo considerevole per proporre le attenuanti, descrivendo Ada McKinley come un'avida ingannatrice. Insinuò che ci fosse stato un diverbio, nel quale i due litiganti avevano perduto totalmente il controllo. Costigan non a-
veva avuto nessuna intenzione di ammazzarla, ma solo di spaventarla e convincerla a non continuare con i suoi imbrogli, costringendola a sottostare, come prima, ai patti che c'erano fra loro. Quando si era accorto che lei aveva perduto i sensi, spaventatissimo, le aveva rovesciato dell'acqua addosso cercando inutilmente di farla riprendere da quello che credeva un semplice svenimento senza rendersi conto che invece l'aveva ammazzata. Le slogature, le ossa fratturate? La crudeltà e perversione di un cliente precedente. Nessuno ci credette. In realtà, il verdetto non fu mai incerto fin dal principio. Pitt lo capì guardando le facce dei giurati. E dovette capirlo anche Costigan. Il giudice ascoltò, afferrò la berretta nera, se la posò sul capo e pronunciò la sentenza di morte. Dopo le tre settimane prescritte, Albert Costigan venne impiccato. I giornali riportarono la notizia ma senza aggiungere altri commenti. La domenica successiva Pitt era nel Parco con Charlotte e i bambini. Jemima aveva addosso il suo abitino più bello, Daniel portava un elegantissimo completino, giacca e calzoncini bianchi e blu. Era la metà di ottobre e le foglie cominciavano a ingiallire. I castagni, i primi a sbocciare in un'infinità di germogli in primavera, erano già con le fronde di un bel color oro splendente. La luce di un sole più tenue, quello del primo autunno, vi giocava filtrando attraverso i rami. Le betulle rivelavano qua e là sventagliate color bronzo fra il verde. Non sarebbe mancato molto alle prime brinate, all'epoca in cui si rastrellavano le foglie e si sentiva nell'aria l'odore del fumo di legna dei falò dove si gettavano rifiuti e foglie secche. In campagna, i frutti della rosa canina dovevano ormai ricoprire le siepi con il loro colore scarlatto, e le bacche del biancospino sarebbero diventate cremisi. L'erba non avrebbe più avuto bisogno di essere tagliata. Pitt e Charlotte camminavano lentamente l'uno al fianco dell'altra, ed erano praticamente indistinguibili dalle centinaia di altre coppie che si godevano una di quelle che sarebbero state le ultime giornate calde dell'anno. I bambini correvano qua e là, ridendo e dandosi la caccia. Daniel trovò un bastone e lo scagliò lontano per il cucciolo che saltellava intorno a loro. Il cagnolino corse a prenderlo e lo riportò trionfante. Jemima afferrò di nuovo il bastone, e lo scagliò a sua volta più lontano che poteva. In distanza, vicino alla strada, si poteva sentire un organetto che suonava una musica popolare. Charlotte prese Pitt sottobraccio, e continuò a camminare tenendosi un
poco più stretta a lui. E lui rallentò il passo per non lasciarla indietro. Occorsero parecchi minuti prima che Pitt riconoscesse a distanza, mentre marciava attraverso il prato, la figura eretta, da soldato, di John Cornwallis che si faceva strada come se avesse uno scopo ben determinato fra tutta quella gente che passeggiava tranquillamente. Quando si trovò a una ventina di metri, l'espressione della sua faccia costrinse Charlotte a fermarsi di botto voltandosi turbata verso Pitt. E Pitt si accorse che un brivido di gelo gli correva dalla testa ai piedi. Ma sapeva di non avere il minimo motivo di preoccupazione. Cornwallis li raggiunse. — Mi duole, signora Pitt. — Si scusò con Charlotte e poi guardò Pitt. La sua faccia era pallida e tesa. — Ho paura di dover interrompere il vostro pomeriggio domenicale. — Evidentemente aveva calcolato che quella fosse la battuta più corretta per dar modo a Charlotte di chiedere scusa e di lasciarli soli, ritirandosi a una certa distanza, per discrezione, in modo da non sentire quello che si sarebbero detti. Lei non fece niente di simile; anzi, si tenne ancora più stretta al braccio di Pitt, incurvando le dita intorno a esso e afferrandolo con forza. — Si tratta di una questione riservata? — domandò Pitt. — Buon Dio, vorrei che fosse così! — esclamò Cornwallis accalorandosi. — Ho paura che domani, a Londra, tutti lo sapranno. — Sapranno cosa? — bisbigliò Charlotte. Cornwallis ebbe un attimo di esitazione e fissò Pitt con aria preoccupata. Voleva proteggere Charlotte. Non era abituato alle donne. Pitt sospettava che non fosse abituato a frequentarle e ne avesse soltanto una conoscenza superficiale. Non sapeva nient'altro all'infuori di quello che le convenzioni sociali gli avevano insegnato ad aspettarsi. — Sapere cosa? — ripeté Pitt. — Un'altra prostituta è stata ammazzata — disse Cornwallis con voce rauca. — Esattamente come la prima... in tutto e per tutto. Pitt rimase allibito. Per un attimo fu come se avesse perduto di colpo l'equilibrio, e l'erba e gli alberi e il cielo si dissolvessero, girando vorticosamente intorno a lui. — In una miserabile casupola di Myrdle Street — concluse Cornwallis. — A Whitechapel. Credo che farete meglio ad andarci, e subito. Ewart è già sulla scena del delitto. Penserò io a trovare un hansom perché la signora Pitt possa tornare a casa. — Aveva la faccia color della cenere. — Se sapeste come mi dispiace.
8 Pitt si soffermò sulla soglia della camera dove il cadavere era stato scoperto. Ewart, livido in faccia, era già presente. Dal fondo del corridoio giungeva un suono di pianto isterico, il cui timbro, a tratti più stridulo e disperato, rivelava lo shock e il terrore. Pitt incrociò lo sguardo di Ewart e vi lesse un riflesso dell'orrore che provava lui stesso, e l'improvvisa consapevolezza di un senso di colpa. Girò la testa dall'altra parte. Sul letto giaceva una giovane donna mingherlina, sembrava quasi una bambina. I capelli erano allargati a raggiera intorno a lei, un braccio sollevato sopra la testa, il polso legato con una calza all'angolo di sinistra della colonnina del letto. Intorno al braccio portava infilata una giarrettiera con un nastro azzurro. Il vestito giallo e arancione era sollevato e metteva a nudo le cosce. Aveva le gambe nude. Come Ada McKinley, intorno alla sua gola era annodata strettamente una calza. La sua faccia era cianotica, a chiazze di un rosso più scuro, tumefatta. E, come per Ada, la parte superiore del suo corpo e il letto tutt'intorno erano fradici d'acqua. Con un senso di nausea che gli rovesciava lo stomaco man mano che si rendeva conto di tutto questo, Pitt chinò gli occhi verso il pavimento. I suoi stivaletti, lucidi e neri, erano abbottonati l'uno con le asole dell'altro. Alzò gli occhi e incrociò lo sguardo di Ewart. Ewart era come uno che si sveglia da un incubo soltanto per scoprire che gli stessi avvenimenti di quel suo sogno orribile si stanno svolgendo identici nella realtà. Sulla fronte gli pulsava un muscolo; teneva le mani strette a pugno per impedire che tremassero. — Le sue dita delle mani e dei piedi sono fratturate? — Pitt si accorse che aveva la voce rauca, tremula, la gola chiusa, la bocca arida. Ewart deglutì. Annuì impercettibilmente, perché era chiaro che non si fidava a parlare. — Qualche... altra prova? — domandò Pitt. Ewart respirò a fondo, tenendo fissi su Pitt gli occhi, stralunati, pieni della consapevolezza di ciò di cui avevano entrambi paura. — Non... non ho guardato. — Gli tremava la voce. — Vi ho mandato a chiamare immediatamente. Non appena Lennox mi ha detto che era tutto identico, e... e ho lasciato ogni cosa come prima. Io... — Respirò a fondo di nuovo. — Sono andato fuori. Mi sentivo male. Se qui c'è una cosa qual-
siasi, voglio che siate voi quello che la troverà, non io. O se non altro... non io da solo. Io... — Di nuovo cercò di incrociare lo sguardo di Pitt. Aveva la fronte e il labbro superiore coperti di un velo di sudore. — Ho provato a guardare un po' intorno. Non ho visto niente. Ma non ho fatto una perquisizione in piena regola, non ho passato la camera al setaccio, frugando sotto il letto o lungo la spalliera delle poltrone e dietro il cuscino. Le domande non ancora formulate parevano sospese in aria in mezzo a loro, insieme a un senso di paura e di colpa logoranti, perché avevano commesso un errore atroce, orribile, irrevocabile, e Costigan non aveva ucciso Ada e chiunque era stato a ucciderla aveva colpito di nuovo, qui, in questa camera. Si trattava di Finlay FitzJames? Oppure di Jago Jones? O di qualcun altro al quale non avevano mai nemmeno pensato, che era fuori là nel buio delle strade di ottobre, in attesa di colpire ancora, e ancora... come quel pazzo che si era autodefinito Jack lo Squartatore due anni prima? Pitt si voltò a guardare la ragazza sul letto. Aveva folti capelli scuri, ondulati naturalmente, e l'ossatura piccola, quasi delicata. La sua pelle era bianchissima, senza la più piccola imperfezione sulle spalle messe in risalto dalla profonda scollatura dell'abito; di un candore d'avorio la carne delle cosce. Doveva essere stata giovane, diciassette o diciotto anni, non di più. — Chi era? — domandò Pitt, stupito per il fremito di commozione che gli alterava la voce. — Nora Gough — rispose Ewart che si trovava proprio alle sue spalle. — Di lei ancora non so molto. Non riesco a cavare niente di sensato dalle altre donne che ci sono qui. Tutte isteriche. Lennox sta cercando di calmarle, adesso. Povero diavolo. D'altra parte, immagino che i medici servano anche per questo. Si trovava poco più avanti, proprio in questa stessa strada, forse a quattrocento metri di distanza. Era rimasto lì tutta la sera con un paziente. — Sbuffò. — Per fortuna non è arrivato troppo tardi per aiutarle... per quanto il suo aiuto possa valere. Continuavano tutti e due a sentire arrivare dalla stanza in fondo al corridoio tutti quei singhiozzi, che adesso erano più sommessi, quasi soffocati, e dai quali pareva che le note stridule dell'isterismo fossero scomparse. Meglio lasciare che Lennox continuasse a fare quello che stava facendo, invece di presentarsi subito a cercar di ottenere qualche deposizione da quelle donne troppo terrorizzate per riferirgli qualcosa che avesse un minimo di senso. — Allora sarà più opportuno dare un'occhiata alla camera — disse Pitt stancamente. Era un'incombenza che detestava, oltre al fatto che molto
probabilmente non gli avrebbe fornito nessuno degli indizi che potevano essergli utili. Anzi, era già angosciato all'idea di quello che avrebbe potuto trovare. L'unico uomo che a quel punto non poteva assolutamente essere colpevole era Costigan. — Comincerò dal letto — disse a Ewart. — Voi invece partite dall'armadio e dal baule. Tutto quanto è fuori dell'usuale, di qualsiasi cosa si tratti. Lettere, documenti, tutto ciò che potrebbe non essere appartenuto a lei, ma essere stato preso a prestito o rubato. E qualsiasi oggetto costoso. Ewart non si muoveva. Pitt si domandò per un attimo se fosse talmente travolto dall'orrore che provava da essere incapace di agire. La sua pelle era priva totalmente di colore, come se fosse già morto, e aveva qualcosa di cereo. — Ewart — disse più gentilmente. — Partite dal baule. — Se non altro a questo modo avrebbe potuto dare le spalle al cadavere. — No... io... io mi occuperò del letto — rispose Ewart, evitando volutamente di incrociare il suo sguardo. — È... il mio lavoro... sto... sto benissimo. — Aveva la voce impastata come se cercasse di lottare contro il groviglio dei sentimenti e delle emozioni, fra i quali spiccava una collera cieca, che pareva lo dilaniassero. — Cominciate col baule — ripeté Pitt. — Al letto e alle poltrone penserò io. Ewart continuò a rimanere immobile. Sembrava che volesse parlare e nello stesso tempo non riuscisse a trovare le parole. Pareva un uomo in lotta con la disperazione. Rimasero a pochi metri di distanza l'uno dall'altro nella camera silenziosa; e il cadavere della ragazza era lì vicino, tanto che allungando un braccio lo si poteva toccare. L'aria aveva odore di stantio, un tanfo di chiuso. Dalla finestra filtravano fasci di luce polverosa che mettevano in risalto le parti più logore e consunte del tappeto. Fuori, in strada, un venditore di abiti usati lanciava il suo richiamo. — Sapete qualcosa sulla morte di Ada McKinley che non mi avete detto? — disse Pitt odiandosi per essere costretto a porre quella domanda. Ewart allargò leggermente gli occhi. — No. Pitt gli credette. Di qualsiasi cosa avesse avuto timore, non era di una domanda del genere; il suo stupore era troppo genuino. — Avete paura che Costigan fosse l'uomo sbagliato? — E voi no? — fu la risposta di Ewart. — Sì, certo. Chi è stato? Finlay FitzJames?
Ewart trasalì. — No... — disse in fretta, troppo in fretta perché la sua potesse essere una risposta meditata. Pitt gli voltò le spalle e cominciò a perquisire il letto. Lennox aveva già esaminato il cadavere e quindi non aveva più importanza se, adesso, non lo avesse più lasciato nella stessa posizione di prima. Era irrazionale mostrarsi gentile eppure gli veniva fatto di esserlo automaticamente, come se quella specie di involucro esterno che ne era rimasto fosse sempre una creatura umana, capace di apprezzare la compassione o di avere dignità. All'estremità più lontana del letto, sotto il guanciale, trovò un fazzoletto, bianco come il lenzuolo, al punto che in un primo momento lo aveva quasi creduto l'angolo di una federa infilata malamente sul guanciale. Provò a tirarlo leggermente e se lo ritrovò stretto fra le dita. Era di batista molto leggera con il bordo finemente arrotolato e rifinito a mano, in un angolo un monogramma ricamato con le cifre. Le lettere erano in gotico, un tipo di grafia un po' difficile da decifrare alla prima occhiata. Pitt riuscì a interpretarla. F.F.J. Si era sentito quasi sicuro che sarebbe stato così, eppure provò ugualmente un pauroso senso di vuoto alla bocca dello stomaco e si accorse di avere la gola chiusa da un nodo. Rivolse uno sguardo in direzione di Ewart, che però gli stava voltando le spalle mentre esaminava il contenuto del baule, ammucchiando accuratamente biancheria e indumenti sul pavimento accanto a sé. Non si era apparentemente accorto che Pitt aveva interrotto la sua perquisizione. — Ho trovato un fazzoletto — disse Pitt nel silenzio. Ewart si voltò lentamente con la faccia piena di aspettativa. Incrociò lo sguardo di Pitt, e lesse nei suoi occhi ciò che temeva. — Iniziali — disse Pitt, rispondendo alla domanda che non era stata formulata. — F.F.J. — Ma... ma è ridicolo! — Esclamò Ewart, incespicando nelle parole. — Perché diavolo avrebbe dovuto lasciarsi dietro un fazzoletto? Chi lascia un fazzoletto nel letto di una prostituta? Non viveva qui, lui! — Immagino che si tratti di qualcuno a cui è capitato di doversi soffiare il naso mentre era in sua compagnia — replicò Pitt. — Un uomo con il raffreddore, o che qualcosa ha fatto starnutire. Polvere, forse, o il profumo di lei? — E poi ha messo il fazzoletto sotto il guanciale? — disse Ewart, continuando a lottare contro l'evidenza. — Be', può darsi che non avesse una tasca a portata di mano — riprese Pitt. — A ogni modo, non spetta a noi al momento ragionare per quale mo-
tivo lo abbia fatto. Continuate a cercare. Può darsi che ci sia dell'altro. — Come? State forse dicendo che ha lasciato qualche cosa anche qui? — La voce di Ewart si levò, quasi in preda al panico. — Rimarrà senza niente se continua a lasciare tutta la sua roba in giro per Whitechapel a questo modo! — Non qualcosa che appartenga a Finlay FitzJames — rispose Pitt cercando di mantenersi, per quanto era possibile, calmo. — Un'altra cosa qualsiasi, magari che possa farcelo identificare come un altro uomo. Dobbiamo perquisire l'intera camera. — Oh, sì, naturalmente. Ehm... — Ewart tornò a occuparsi del baule senza aggiungere altro e riprese a tirar fuori gli oggetti e ad allargarli, a scrollarli, a passarvi le dita, e poi a ripiegarli e a disporli in mucchi accanto a sé. Pitt finì di frugare nel letto e cominciò a esaminare il pavimento tutt'intorno. Accese la candela che c'era sul tavolo, poi la posò sul pavimento in una zona d'ombra e s'inginocchiò per guardare al di sotto. Ma c'era soltanto pochissima polvere, qualche filo di cotone bianco e un bottoncino da stivaletto che trovò soltanto perché stava facendo passare le dita con cura su tutta la superficie del pavimento e frugava anche nelle fessure del tavolato di legno. In un'altra fessura trovò anche due forcine da capelli e uno di quegli spilli che adoperano le sarte e, verso il fondo del letto, un pezzetto di stringa da scarpe, un bottone che avrebbe potuto essere saltato via da una camicia bianca di cotone da uomo, e un altro, di cuoio, fatto a mano, che era un po' difficile appartenesse a uno degli abitanti locali di Whitechapel a meno che non si trattasse di un soprabito sportivo, che qualcuno aveva dato in beneficenza insieme ad altri indumenti usati. Si raddrizzò di nuovo sulla persona tenendolo in mano. Ewart aveva finito di perquisire il baule e stava esaminando rapidamente, frugandovi in fretta, con mano esperta, il tavolo da toilette. Pitt cominciò con le poltrone, sollevandone i cuscini, esplorandone gli interstizi lungo il bordo, la spalliera e i lati, e infine rovesciandole per osservarne anche il fondo. Non trovò nient'altro a cui potesse collegare un ben preciso significato. — Niente? — gli domandò Ewart. Pitt gli mostrò i bottoni che teneva in mano. — Camicia — disse Ewart esaminando il primo. — Potrebbe essere di chiunque. E potrebbe trovarsi lì da mesi. — Poi prese il secondo, lo fece rotolare fra il pollice e l'indice e infine alzò gli occhi per incrociare lo
sguardo di Pitt. — Buona qualità — disse dubbioso. — Ma anche in questo caso potrebbe essere appartenuto a chiunque. Anche a un barbone, un vagabondo che indossasse un cappotto ricevuto in regalo da qualche opera di beneficenza. — C'era qualcosa di provocatorio nella sua voce, come se volesse sfidare Pitt a dire che era di FitzJames. — Avete intenzione di parlare con le donne che ci sono qui? Adesso sembrano un po' più calme. In effetti l'atmosfera sembrava considerevolmente più tranquilla di prima. La luce se n'era andata quasi del tutto e non arrivava alcun suono dalla fabbrica di bottiglie poco più oltre, sulla strada. Passò un cavallo che tirava un calessino. Qualcuno gridò. — Sì — rispose Pitt. — Vedremo che cosa sanno. Lo precedette lungo il corridoio, fino alla cucina che si trovava in fondo alla casa. Si trattava di un locale che lo stupì tanto era ampio, con una stufa al centro della parete più lontana dalla porta e una finestra con i vetri coperti di sudiciume che dava direttamente sul retro dei casamenti della strada vicina. Al centro, un tavolo con le gambe spaiate, evidentemente messo insieme con i pezzi di due mobili totalmente diversi, e una mezza dozzina di sedie tutte una diversa dall'altra. Adesso quattro di queste erano occupate da donne la cui età variava approssimativamente dai venti ai cinquant'anni passati, anche se, visto il trucco pesante che usavano, e calcolando quanto dovevano bere, era un po' difficile stabilirla con sicurezza. Avevano tutte un'aria tragica e un po' assurda, con le guance coperte di cipria e belletto sulle quali le lacrime avevano lasciato vistosi solchi, i capelli che sfuggivano alle forcine, gli occhi gonfi per il gran piangere. Nello stesso tempo sembravano più giovani, e più umane, e con una personalità più spiccata, adesso che nella facciata che la loro professione imponeva si era aperta qualche crepa. Lennox era in piedi, seminascosto da una delle donne. Teneva appoggiata una mano sulla spalla di quest'ultima, e con l'altra le porgeva una tazza di tè. Aveva l'aria pallida e affaticata, il naso messo in rilievo dalle rughe profonde che gli segnavano le guance ai lati della bocca. Fissò Pitt con aria di avvertimento. La sua voce era rauca quando parlò. — Buona sera, sovrintendente. Se volete interrogare queste donne, sono pronte a rispondervi. Vi prego soltanto di non entrare in particolari con loro, se non è strettamente necessario, e di non perdere la pazienza. Non è facile ricordare, o trovare le parole giuste, quando si è terrorizzati. Pitt rispose con un cenno di assenso e si rivolse a Ewart. — Potreste provare con la gente del vicinato. Vedere se qualcun altro ha notato qual-
cosa di insolito, se sono in grado di ricordare una faccia, un movimento di persone verso...? — Guardò Lennox con aria interrogativa. — Fra le quattro e le cinque — rispose Lennox, e poi ebbe un sorriso amaro, beffardo contro se stesso. — Oh, non si tratta di una brillante deduzione scientifica, sovrintendente. Osservazione dei testimoni. Pearl ha sentito Nora che chiamava in corridoio verso le quattro. Si era appena alzata e stava domandando a Edie se poteva prendere a prestito da lei una sottoveste. Pitt guardò la donna che Lennox gli aveva indicato. Pearl era pallida in viso, con capelli di un biondo chiarissimo straordinariamente belli, lisci e lucenti come oro filato. Riflettevano la luce delle candele come grano maturo e creavano una chiazza di luminosità nella stanza. Edie era massiccia di corporatura, bruna, con la pelle olivastra e stupendi occhi lucenti, color nocciola. — E tu le hai prestato una sottoveste? — domandò Pitt. Edie fece segno di sì con la testa. — Però lei ha dovuto puntarsela addosso perché non è neanche la metà rispetto a me come figura, ma l'ha presa ugualmente. — Tirò su col naso e si controllò con visibile fatica. Lennox si rivolse a un'altra donna bruna, con gli occhi piccoli, a mandorla, e una bella bocca. Sembrava livida, tanto le chiazze di belletto le spiccavano vistosamente sulle guance, la capigliatura arruffata e la crocchia sbilenca perché si era cacciata le dita tra i capelli lasciandone sfuggire le forcine. — Mabel potrebbe aggiungere qualcosa. — Il mio primo cliente se n'era appena andato — replicò Mabel, con una voce che era poco più di un bisbiglio. — Passavo davanti alla porta di Nora e ho guardato dentro. Non so come avevo capito che doveva essere sola. Dal silenzio, forse. — Aggrottò le sopracciglia come se questo mistero avesse importanza. — L'ho vista distesa sul letto con la mano alzata verso la colonnina. Ho fatto il ragionamento che il suo cliente fosse uno di quelli a cui piaceva quel genere di giochetti, e che poi l'aveva lasciata così. Le ho perfino detto qualcosa... — Tirò su col naso e deglutì come se avesse un nodo che le chiudeva la gola e la faceva soffrire. Tremava a tal punto dalla testa ai piedi che le dita, appoggiate sul piano del tavolo, non vi facevano presa e scivolavano verso il bordo. Lennox si spostò dietro di lei e le posò le mani sulle spalle, sorreggendola come se volesse passarle tutta la propria forza. Fu un gesto di gentilezza infinita. Lei avrebbe potuto essere un'amica di lunga data, non una donna
di strada che vedeva per la prima volta. Quel gesto bastò a tranquillizzarla, come se fosse un elemento di sanità mentale nel caos. — Poi ho visto la sua faccia — riprese a voce bassa. — Allora ho capito che era successo anche a lei. La stessa cosa di Ada McKinley. Immagino di essermi messa a urlare, perché dopo un attimo erano tutte lì, e strillavano e si chiamavano l'una con l'altra. — Capisco. Grazie. — Pitt si rivolse a Ewart: — Farete meglio a cercar di scoprire quali uomini sono stati visti entrare o uscire da questa casa fra le quattro e le cinque. Procuratevi una descrizione di tutti e confrontatele con ogni donna e i suoi clienti. Cercate di essere il più preciso possibile per quello che riguarda i tempi. Qualsiasi uomo, in senso assoluto. Me ne infischio se sono persone che abitano qui, protettori, o il lampionaio! Tutti. — È come l'altra volta? — domandò poi a Lennox. — Sì, signore. Ewart se ne andò, e Pitt si concentrò sulle quattro donne presenti. L'ultima, Kate, stava ancora singhiozzando, cacciandosi un fazzoletto fradicio in bocca e ansimando perché non riusciva a tirare il fiato. Lennox tornò vicino ai fornelli e preparò un'altra tazza di tè, che le porse, aiutandola a stringerla fra le dita irrigidite con un gesto impacciato, mentre Pitt cominciava a interrogare Pearl, seduta su una seggiola traballante disposta ad angolo retto con il tavolo al quale era accostata. — Dimmi tutto quello che ti ricordi a cominciare da appena prima di vedere Nora, quando erano quasi le quattro — la incitò. Lei lo fissò sgranando gli occhi e poi cominciò esitante. — Ho sentito Nora entrare nella sua camera e chiamare Edie e poi parlarle di una sottoveste, però non ho sentito quello che Edie diceva. Ero tutta occupata a pettinarmi e a prepararmi per la serata. Ho finito e sono uscita. Ho trovato un cliente in un batter d'occhio, uno dei miei abituali... — E chi era? — Come? — Chi era? Che aspetto ha? Lei esitò soltanto un momento, lanciando un'occhiata a Edie e poi a Mabel. — Jimmy Kale — rispose. — Lui viene qui quasi tutte le domeniche. Non sempre da me. A volte da qualcuna delle altre ragazze. — E che tipo sarebbe? — Alto, magrolino. Con un gran naso. E tira sempre su col naso, anche.
— È venuto da Nora? — domandò Pitt. — Già, credo di sì. Ma lui non le avrebbe torto un capello! E perché doveva farlo? Non la conosce neanche, salvo per... — Si interruppe. — Continua. Per quanto tempo Jimmy Kale è rimasto con te? — Mezz'ora. — E poi? — Ho preso una tazza di tè in compagnia di Marge, che abita un po' più su, qui sulla strada. A volte viene da noi. Il suo vecchio la riempie di botte... se sapeste come la riempie di botte... è una cosa terribile. — Lei era qui fra le quattro e le cinque? Quindi dovrebbe essere entrata passando dalla porta d'ingresso principale e continuando per il corridoio, oltre la camera di Nora, è così? Lei scrollò il capo. — Nah! Viene su dal muretto, per i gradini del seminterrato che ci sono qui fuori. A questo modo suo marito non la vede, e nessuno la può prendere per una di noi. — Scoppiò improvvisamente in una risataccia. — Povera disgraziata. Starebbe molto meglio se lo fosse! Se qualcuno si azzarda a pestarmi come fa il suo vecchio con lei, io lo sgozzo con un coltellaccio. — Quando è andata via? — Pitt non si degnò di prestare attenzione al riferimento ai coltelli. — Quando Mabel ha cominciato a strillare. Gli altri rumori non hanno importanza, ma ha capito che quello era differente. Lo abbiamo capito tutte... — Deglutì, a fatica, come se avesse la gola chiusa. Poi cominciò a tossire e Lennox le si accostò prendendole una mano e allungandole qualche colpetto ben deciso sul dorso. Quel contatto umano sembrò consolarla, era un tocco pieno di calore, quasi di affetto, che non esigeva niente da lei in cambio. Tirò un lungo sospiro tremulo. Per un attimo fu incerta se abbandonarsi alla consolazione delle lacrime e, piangendo, aggrapparsi a qualcuno. Lennox ritirò la mano e le passò la tazza di tè. Lei si calmò, raddrizzandosi di nuovo sulla persona. — Abbiamo capito tutte che doveva essere successo qualcosa di grosso — riprese con voce calma. — Kate aveva Syd Allerdyce con sé. E lui si è affacciato alla porta con i pantaloni arrotolati intorno alle caviglie. Sembrava proprio un vero imbecille, grasso come un maiale e rosso in faccia. In quelle condizioni aveva poco da fare il superbo, quello lì! Angie, quella che sta qui di sopra, era in fondo al vicolo con un secchio d'acqua. L'ha mollato, e l'acqua si è rovesciata dappertutto. Immagino che qualcuno avrà
ripulito quella roba. Io no. Io non ci ho neanche pensato. E Kate è venuta fuori dalla sua camera con uno scialle buttato sulle spalle. Forse il suo cliente era rientrato da lei. Edie è entrata nella camera di Nora e l'ha vista là, e Mabel continuava a strillare. Edie le ha allungato un ceffone in piena faccia per farla smettere e poi è tornata fuori e ha mandato Kate a chiamare i poliziotti. — Hai visto il cliente di Nora? — Nah. Ero occupata anch'io. — Dov'è la tua camera rispetto alla sua? — Quella vicina. — Cos'hai sentito? — Sentito? Tutto! Ho sentito Syd che ansimava e gemeva come se si arrampicasse su una montagna. Ho sentito quelle due maledette gatte che si azzuffavano nel vicolo. — Ma parli di gatte vere e proprie o di donne? — la interruppe Pitt. Lei gli lanciò un'occhiata inferocita. — Gatte! Quelle bestie macilente e pelose che mangiano i topi e fanno di quegli urli per metà della notte che sembrano diavoli che chiamano dal fondo dell'inferno. Gesù! Ma non avete i gatti su, nei quartieri alti, da dove venite? E come fate a non essere pieni di topi? Oppure non avete neanche i topi? — Sì, li abbiamo. E, a dir la verità, io ho anche due gatti. — E Pitt pensò con un improvviso impeto di piacere ad Angus ed Archie che dormivano acciambellati nella loro cesta vicino alla stufa. Ma loro non avevano da dar battaglia a nessuno per il cibo e il latte. — Cos'altro? — Poi ho sentito Shirl, quella del piano di sopra, che sbraitava con qualcuno davanti alla porta d'ingresso — replicò Pearl. — Strillava come un maiale sgozzato, proprio così. Peggio ancora di quei gattacci. Secondo me, devono averla imbrogliata. E poi qualcuno ha fatto cadere un vassoio giù per le scale. E che litigio c'è stato, roba da matti! Poi ci sono stati Mabel e il suo cliente che ridevano come due stupidi. Lui doveva essere talmente ubriaco da non ricordarsi più neanche come si chiamava. Spero che ti avrà pagato bene, Mabel? — Naturale! — disse Mabel con convinzione. A Pitt balenò, d'un tratto, l'idea che probabilmente aveva sgraffignato tutto il contante che l'uomo aveva con sé, ma quelli erano affari suoi, se gli piaceva correre certi rischi. Immaginò quella cacofonia di suoni durante l'ora in cui Nora Gough era stata assassinata. Probabilmente lei stessa avrebbe potuto urlare fino a di-
ventare rauca e considerarsi fortunata se qualcuno riusciva a sentirla al di sopra del frastuono generale. Eppure le grida di orrore di Edie si erano distinte abbastanza bene, erano subito apparse diverse da tutto il resto. Girò gli occhi verso Lennox. Lennox strinse le labbra e scrollò lievemente il capo. — Non c'è modo di spiegarlo — disse pacatamente. — Può darsi che lo conoscesse, ma quando si è resa conto di quello che stava succedendo ormai era troppo tardi. Pitt non disse niente. Si rivolse alle altre ragazze. — I nomi dei vostri clienti? — domandò. — Kate? — Bert Moss è arrivato poco prima delle cinque. Un po' in anticipo, ma la domenica è diverso. Deve tornarsene a casa per l'ora del tè. Poi Joe Hedges. Era ancora qui, ecco, quando Mabel ha cominciato a strillare. — Era con te in quel momento? — Già. Sentite, non è stato lui! L'ho portato in casa io! E non è mai rimasto da solo neanche un minuto! Pitt annuì e si rivolse a Mabel. — Non so. Non domando mai. — Si strinse nelle spalle. — Non importa. — Non era uno che avevi già avuto prima? — No. Mai visto in vita mia. — Quando è arrivato, e quando se ne è andato? — È arrivato alle quattro e un quarto, più o meno, e se ne è andato che mancavano dieci minuti alle cinque. Stavo proprio accompagnandolo fuori per tornare in strada quando ho visto il cliente di Nora che se ne andava... — Impallidì di colpo. — Signore Iddio Onnipotente! Non penserete che fosse... Si accasciò di colpo piegata in avanti tanto che Pitt pensò che fosse lì lì per vomitare. Poi cominciò a boccheggiare come se le mancasse il fiato, mentre sollevava affannosamente il petto. — Basta! — disse Lennox in tono secco. — Qua! — Tolse rapidamente la tazza di tè a Pearl e la cacciò tra le mani di Mabel. — Bevi piano. Non tutto d'un colpo. Lei cercò di afferrare la tazza ma tremava tanto violentemente e aveva le dita talmente irrigidite da non riuscire a reggerla. Lennox l'aiutò a sostenerla, appoggiando le mani su quelle di lei per impedire che si rovesciasse.
— Bevi! — le disse in tono fermo. — E prova a concentrarti, altrimenti te lo versi tutto addosso. Tienila ben stretta! Lei ubbidì, sorseggiando il liquido lentamente e mettendo tutta la sua attenzione su ciò che stava facendo. A poco a poco il suo respiro cominciò a placarsi e tornò di nuovo normale. Dopo parecchi minuti si raddrizzò sulla persona e posò la tazza vuota sul tavolo di fronte a sé. — Che tipo era? — le domandò Pitt più gentilmente. — Che tipo era? — Lei lo fissò dall'altra parte del tavolo. — Era, non so... un tipo che andava per le spicce. Capelli biondi, ondulati, direi. — E i vestiti? Com'erano? — Pitt, intanto, si sentiva stringere il cuore da una morsa di ghiaccio. — Cos'aveva addosso, Mabel? — Veramente non ho guardato proprio bene. — Intanto lo fissava con occhi sgranati e inorriditi, e lui capì quali altre immagini le passavano per la mente... quella di lei stessa, per esempio, sul letto al posto di Nora. — Roba elegante, costosa? — domandò Lennox spezzando il silenzio con la propria voce. Pitt gli lanciò un'occhiata, ma era la stessa domanda che avrebbe fatto anche lui. Lo avevano ben chiaro in mente. Impossibile sbagliarsi. — Già. Gli uomini da queste parti non hanno niente del genere. — Lo riconosceresti, rivedendolo? — domandò Pitt, pensando di nuovo a Rose Burke e all'espressione della sua faccia quando aveva fissato con attenzione Finlay Fitzfames che usciva dalla porta della sua casa di Devonshire Street. — Non so. — Mabel era terrorizzata. Lo si capiva guardando la sua pelle livida, madida di sudore, e il corpo scosso da un tremito. — Vedo uomini a centinaia. E non li guardo neanche in faccia. In fin dei conti sono i soldi che importano, giusto? Se vuoi mangiare e pagare l'affitto ci vogliono soltanto i soldi. — Grazie — disse Pitt riconoscente, alzandosi in piedi e facendo tre passi per la cucina, per poi tornare al posto di prima. — Non sai nient'altro dei tuoi clienti abituali? Dove vivono? Cosa fanno? Come posso rintracciarli? — E perché? — Kate lo guardò socchiudendo gli occhi. — In caso avessero visto chi ha fatto fuori Nora, stupida disgraziata che non sei altro! — disse Edie. — Cosa pensavi? — Si voltò di scatto verso Pitt. — Tocca a voi metter le mani su questo bastardo che fa fuori le ragazze qui da noi! Per favore, signore! Prima ha mandato al Creatore la povera Ada giù in Pentecost Alley, adesso Nora. Chi sarà la prossima? E
quella dopo ancora? Pearl cominciò a piangere di nuovo, piano piano, come una bambina smarrita. — Gesù, Edie! — esclamò Mabel con voce piena di disperazione. — Cosa ti salta in testa di dire queste cose! Edie si voltò di scatto. — Bene, non è stato quel piccolo sudicio maiale di Costigan, giusto? Lui l'hanno portato alla forca e appeso per il collo finché era ben morto e poi cacciato un metro e mezzo sottoterra, sì o no? — Puntò le dita verso il muro e l'oscurità al di fuori. — C'è qualche altro bastardo qua fuori, che fa queste cose, sì o no? Qualche bastardo che potrebbe venir qua dentro ed essere il tuo prossimo cliente, eh? Povera Nora, non è stato così per lei? Chi può aiutarci se i poliziotti non alzano un dito, me lo dici? Io non so chi è. E tu? — C'è una di voi che ha visto qualcun altro qui, questo pomeriggio? — domandò Pitt una volta di più. — Una persona qualsiasi? Pitt prese nota di tutto quello che avevano da dirgli ma aggiunse ben poco a ciò che già sapeva. A mezzanotte lasciò Ewart e l'agente Binns, pallido come un cadavere, a continuare la ricerca dei clienti che le donne avevano nominato, per interrogarli e cercar di sapere se avevano visto qualcuno o sentito qualche cosa. Quello era un lavoro che toccava al commissariato locale. Lennox aveva fatto portar via con il furgone mortuario il cadavere di Nora Gough, ripromettendosi di eseguire l'autopsia il giorno dopo. Non che Pitt si aspettasse di sentirsi riferire qualcosa di differente dalla breve e triste storia che già sapeva. Arrivò a casa all'una meno cinque e trovò Charlotte in piedi nel vestibolo, la porta del tinello spalancata alle sue spalle, il viso pallido, gli occhi sbarrati. Richiuse l'uscio. Si era dimenticato fino a quel momento di aver ancora addosso il vestito buono, quello della domenica, e di essere senza soprabito. Non si era aspettato di rientrare a casa così tardi. E non aveva neanche cenato. — Tutto come l'altra volta? — domandò lei con voce roca. Pitt annuì. — Esattamente allo stesso modo. — Le passò davanti, entrò nel tinello e prese posto nella sua solita poltrona, seduto un po' in avanti, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Lei lo seguì e richiuse la porta, poi gli si sedette di fronte. — Non mi hai mai detto come è stata la prima volta — disse a voce bas-
sa. — Forse dovresti. Con estrema attenzione, trovando esecrabile accennare a ogni particolare, lui le descrisse come era stato scoperto il corpo di Ada McKinley, in che condizioni lo avevano trovato, che cosa le era stato fatto. La guardava in faccia, e vi lesse il dolore. Però Charlotte non sfuggì il suo sguardo. — E stavolta? — domandò. — Come si chiamava? — Nora Gough. — E tutto è stato esattamente allo stesso modo? — Sì. Dita delle mani e dei piedi fratturate. L'acqua. La giarrettiera con il nastro intorno al braccio, gli stivaletti abbottonati l'uno con l'altro. — Non può essere stato un caso — osservò lei. — Chi ne era al corrente all'infuori di colui che ha commesso queste cose? — Ewart, Lennox, cioè il medico della polizia, Cornwallis e il poliziotto che è stato il primo a essere chiamato. E Tellman — le rispose Thomas. — Nessun altro. — E i giornali? — No. — Le donne della casa potrebbero aver parlato — gli fece notare lei. — Lo fa, la gente, sai? Soprattutto se si tratta di qualche cosa che la spaventa. Metterne a parte gli altri lo rende meno orribile... a volte. — Anche a loro non sono stati forniti tutti i dettagli — disse Pitt, ricordando ciò che Rose Burke aveva effettivamente veduto. — Non sapevano delle dita delle mani e dei piedi. Anzi, non lo sanno neanche Binns e Tellman. Adesso anche Charlotte era seduta sull'orlo della poltrona, le ginocchia accostate a quelle di lui, le mani distanti solo pochi centimetri. — In tal caso è stata la stessa persona, giusto? — mormorò a voce bassa. Non c'era critica nella sua voce, e Pitt non lesse la paura nei suoi occhi, ma soltanto il dispiacere. — Sì — le rispose, mordendosi un labbro. — Deve essere stato così. Nessuno dei due aggiunse che quindi non avrebbe potuto essere Costigan, ma era un fatto che pareva presente lì, in mezzo a loro, con tutta la sua torbida pena e il suo senso di colpa. Charlotte posò una mano su quelle di Thomas e ve la lasciò. — È stato Finlay FitzJames? — domandò, cercando di incrociare il suo sguardo. — Non so — disse lui con franchezza. — Ho trovato un fazzoletto sotto il guanciale di Nora Gough. Sopra ci sono le sue iniziali. E non sono co-
muni. Ma questo non prova che sia stato lì stasera. — Respirò a fondo e poi si lasciò sfuggire il fiato dalle labbra in un lungo sospiro. — Però il suo unico cliente di stasera è stato visto. Aveva i capelli biondi ed era ben vestito. In altre parole, un gentiluomo. — E Finlay FitzJames ha i capelli biondi? — Sì. Capelli molto belli, folti e ondulati. E hanno menzionato anche questo, e in modo specifico, stasera. — Thomas... La sua voce era cambiata. Lui si rese conto che stava per dirgli qualcosa che non gli avrebbe fatto piacere, qualcosa che trovava estremamente difficile rivelargli. — Cosa? — Emily era assolutamente sicura che Finlay FitzJames fosse innocente. Conosce sua sorella... Pitt aspettava. — Lo ha visto la notte in cui Ada è stata uccisa, sai! — Alzò gli occhi, la fronte corrugata, le pupille allargate e cupe. — Emily ha visto Finlay? — Lui era incredulo. — E perché diavolo non lo ha detto? — No... no, è stata Tallulah che lo ha visto! — Lo corresse Charlotte. — Ma non poteva dirlo perché aveva già raccontato una fandonia a suo padre, dicendogli che era stata in tutt'altro posto! — Adesso Charlotte parlava sempre più rapidamente. — Si trattava di una riunione che aveva tutte le apparenze di un'orgia. Gente che beveva troppo e fumava oppio, oppure prendeva cocaina o cose del genere. A Chelsea, in Beaufort Street. Lei non avrebbe assolutamente dovuto trovarsi in un posto del genere. Se suo padre lo avesse saputo, gli sarebbe venuto un colpo apoplettico. — Questo non faccio fatica a crederlo — esclamò Pitt con enfasi. — Ma Tallulah ha visto Finlay in quel posto? Sei sicura? — Be', Emily è sicura. Ma Tallulah ha pensato che in ogni caso nessuno le avrebbe creduto anche perché lei è sua sorella, e aveva già detto a tutti che si trovava al ricevimento di lady Swaffham. — Ma qualcun altro deve pur averlo visto! — esclamò Pitt mentre provava una strana sensazione di eccitazione che quasi lo spaventò. Forse, se non altro, non aveva preso una cantonata sul conto di Finlay. — Chi c'era? — Ecco il punto. Tallulah non conosceva nessuno, salvo la persona con la quale ci è andata, e anche quella la conosceva molto superficialmente. Non solo, ma lui era talmente sbronzo che non riusciva quasi più a connet-
tere e non si ricorda neanche di essere andato a quella riunione. — Eppure qualcuno deve aver pur visto Tallulah! — insistette Thomas, stringendo convulsamente le mani di sua moglie senza rendersene conto. — Lei non sa a chi domandarlo... Le feste di quel genere sono... be'... in genere le organizzano nelle case private. E a quel che pare la gente si sposta di qua e di là, da una sala all'altra. Ci sono dei paraventi che offrono una certa intimità negli angoli, e palme in vaso, e le persone sono tutte mezzo ubriache... chiunque potrebbe andare e venire e nessuno saprebbe chi sei, né gliene importerebbe più di tanto! Perfino il padrone di casa non sapeva chi c'era quella sera. — E tu come diavolo fai a sapere tutte queste cose? Te l'ha raccontato Emily? E devo supporre che Tallulah FitzJames lo abbia raccontato a lei? Lei non nascose di essere delusa. — Non ci credi, vero? Pitt scrollò la testa. — No, direi proprio di no. Credo che Tallulah possa essere stata a una riunione del genere, e la stessa cosa vale per Finlay. Ma non credo che l'abbia visto all'una, la notte in cui Ada McKinley è stata ammazzata. Come prova della sua innocenza non vale niente. — Proprio quello che pensava Tallulah. Però a Emily è servito come prova. Il sospetto continuava a farsi sempre più insistente nel suo cervello. — Per quale motivo mi stai raccontato tutto questo adesso, Charlotte? Stai forse dicendo che Finlay deve essere innocente? Dicevi che questo è servito a fornirne la prova a Emily... non a te! — Io non so — disse lei con candore, prima abbassando gli occhi e poi rialzandoli a guardarlo. Era molto pallida, molto angosciata. — Thomas... è stata Emily a far fare la copia di quel distintivo dell'Hellfire Club, e Tallulah l'ha nascosto fra la roba di Finlay perché tu potessi trovarlo. — Cosa avrebbe fatto, lei? — La sua voce si levò trasformandosi in un grido. — Come hai detto? Charlotte era pallidissima ma i suoi occhi non ebbero un tremito. Riprese a parlare a voce molto bassa, quasi un bisbiglio. — Emily ha fatto fare un secondo distintivo, in modo che Tallulah lo potesse mettere fra i vestiti di Finlay nel suo armadio. — Dio Onnipotente! — esplose Pitt. — E tu l'hai aiutata! E poi mi hai convinto ad andare a cercarlo! Come hai potuto essere così falsa e disonesta? — Ecco quello che faceva male, non tanto la preparazione di una falsa prova o il tentativo di creare confusione in uno dei casi di cui lui si stava occupando, ma il modo in cui lei lo aveva deliberatamente ingannato. Pri-
ma, Charlotte non aveva mai fatto niente di simile. Era un tradimento che arrivava da una parte dalla quale non se lo sarebbe mai aspettato. Charlotte sbarrò gli occhi, inorridita, come se Thomas l'avesse schiaffeggiata. — Non sapevo che avesse fatto una cosa simile! — protestò. Lui era troppo stanco per infuriarsi, troppo consapevole delle proprie colpe nei confronti di Costigan e del bisogno che aveva di Charlotte e della lealtà e della consolazione che lei poteva offrirgli, perfino del puro e semplice calore che gli dava la sua presenza fisica. Charlotte aspettava, guardandolo fisso in volto. Non aveva paura, ma c'erano dolore e ansietà nei suoi occhi. Capiva fino a che punto Thomas fosse rimasto amareggiato. Le sue dita si allungarono timidamente su quelle di lui, morbide e forti. Pitt si protese a darle un bacio, e poi un altro, e un altro ancora, e lei gli rispose con la fiducia e la generosità di sempre. Pitt sospirò. — Anche se lo avessi saputo, non sarebbe servito ad alterare le prove contro Costigan — disse infine. — Anzi, figurati che Augustus FitzJames mi ha detto di essere stato lui a far fare una copia di quel maledetto gingillo. Mi piacerebbe sapere perché lo ha fatto! — Per impedirti di investigare più a fondo — rispose lei tirandosi indietro per sedersi di nuovo più comodamente nella sua poltrona. — Ma per quale motivo? — Lui era perplesso. Gli pareva che una spiegazione del genere non avesse senso. — Lo scandalo. — Charlotte scrollò il capo. — È scandaloso avere la polizia in casa, e non ha importanza quello che sono venuti a farci. Immagino che dovrai tornare da lui domani a parlargli, vero? — Sì. — Preferiva non pensarci. Lei si alzò in piedi. — Allora sarà meglio se andiamo a letto fintanto che resta ancora un po' della notte. Vieni... Anche lui si alzò e spense il lume a gas, poi le circondò le spalle con un braccio e insieme salirono le scale. Almeno per qualche ora non sarebbe stato costretto a pensarci. Al mattino Pitt si alzò presto e scese in cucina, mentre Charlotte svegliava i bambini e cominciava a occuparsi dei soliti doveri di ogni giorno. Gracie gli cucinò la colazione, lanciandogli di tanto in tanto uno sguardo con gli occhi socchiusi, il faccino teso, segnato dall'ansia. Aveva già visto il giornale del mattino e sentito dire che c'era stato un secondo delitto a
Whitechapel. Charlotte le aveva insegnato a leggere in quegli ultimi tempi, così lei adesso riusciva a capire quasi tutto quello che era stato scritto ed era pronta a difendere Pitt contro tutti e tutto. Le edizioni del pomeriggio, probabilmente, sarebbero state ancora peggio perché avrebbero avuto più notizie da riferire, più particolari, elementi ben più precisi di cui servirsi per rincarare la dose delle critiche e del biasimo. Gracie continuò a trafficare nervosamente per la cucina, sbattendo gli oggetti qua e là, e lasciando il bricco a fischiare perché era furibonda con la gente che criticava Pitt, aveva paura che gli rendessero la vita ancor più difficile, e si sentiva tormentata perché non sapeva in che modo essere di aiuto. Non sapeva neanche se fosse il caso di parlarne o no, figurarsi! — Gracie, lo romperai — disse Pitt garbatamente. — Scusatemi, signore. — Posò sul tavolo il bricco con un tonfo sonoro. — Solo che mi fa letteralmente diventar pazza di rabbia, signore. Non è giusto! E loro che cos'hanno fatto? Niente di niente! Non saprebbero neanche da che parte cominciare, quelli lì! È un povero piccolo imbecille, proprio così, quello che ha scritto quella roba. Un irresponsabile. — Già da un po' cominciava a usare parole più lunghe e impegnative. Imparare a leggere aveva cambiato moltissime cose nel suo vocabolario. Pitt sorrise a dispetto delle sue condizioni di spirito. La lealtà di Gracie lo confortava in modo simpaticamente piacevole. Si augurò di continuare ad essere all'altezza della splendida immagine che la ragazza si era fatta di lui. Ma, più ci pensava, più temeva di aver commesso un errore irreparabile con Costigan, più si convinceva che doveva esserci stato qualcosa su cui aveva sorvolato, che avrebbe dovuto vedere e capire e, invece, aveva mandato sulla forca un uomo ingiustamente. Consumò la colazione senza nemmeno accorgersi di quello che metteva in bocca e si alzò per andarsene, proprio mentre Charlotte entrava con i bambini. Gracie aveva nascosto i giornali. Ma anche così Jemima - almeno lei - si accorse subito che qualcosa non andava. Passò con gli occhi da Charlotte a Pitt e poi si mise a sedere al suo posto. — Non voglio la colazione — annunciò subito. — E invece, sì — si affrettò a ribattere Charlotte. — C'è un uomo fuori, in strada — disse Jemima, guardando Pitt. — Ha bussato alla porta e la mamma gli ha detto di andar via. È stata molto scortese. Tu mi avevi detto che non avrei mai dovuto parlare con nessuno a quel modo. Lei non gli ha detto per favore... e neanche grazie.
Pitt alzò gli occhi verso Charlotte. — Il cronista di un giornale. — Si sforzò di sorridere. — È stato impertinente. Gli ho detto di andarsene e di non bussare più alla porta, altrimenti mandavo fuori il cane. — Gli ha raccontato una frottola — soggiunse Jemima. — Noi non abbiamo nessun cane. Daniel aveva l'aria spaventata. — Non gli darai Archie, vero? E neanche Angus? — disse ansioso. — No, non farei sicuramente niente del genere — lo rassicurò Charlotte. Daniel sorrise e allungò di nuovo la mano verso il bicchiere del latte. — Oh, allora va bene. Archie potrebbe graffiarlo — disse speranzoso. Charlotte gli tolse il bicchiere. — Non berlo tutto adesso, altrimenti poi non mangi più il tuo porridge. Jemima rimase turbata. Intuiva il malcontento e l'inquietudine nell'aria. Continuò a cincischiare con il cibo che aveva davanti e nessuno la rimproverò. All'improvviso si sentì squillare il campanello della porta e, subito dopo, bussare sonoramente. Gracie sbatté energicamente sul tavolo il bricco e si avviò a passi concitati verso il vestibolo. Charlotte guardò Pitt, pronta ad andarle dietro. Pitt si alzò in piedi. — Prima o poi dovrò pur affrontarlo. Charlotte aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi vi rinunciò. — Cos'è? — domandò Jemima guardando sua madre, poi suo padre. — Cos'è successo? Qualcosa che non va? Charlotte le posò una mano sulla spalla. — Niente che ti debba preoccupare — si affrettò a rispondere. — Finisci di far colazione. La porta di ingresso si aprì e sentirono una voce d'uomo, poi la risposta di Gracie, stridula e furibonda. Dopo un minuto la porta veniva richiusa con un tonfo sonoro; poi si udì il rumore dei passi di Gracie che tornavano indietro lungo il corridoio. Per essere così piccola, quand'era in collera riusciva a fare un rumore incredibile. — Hanno una bella faccia rosta! — disse, entrando in cucina pallidissima, con gli occhi scintillanti di rabbia. — Ma chi credono di essere? Scrivono qualche parola e sono convinti di essere gli unici cervelloni di Londra! Gentaglia che è venuta su dal niente. — Aprì completamente il rubinetto e il getto d'acqua che ne schizzò fuori con violenza andò a colpire un cucchiaio che c'era nell'acquaio; rimbalzandovi dentro, le bagnò completamente il corpetto del vestito. Lei aprì la bocca per lasciarsi sfuggire una
bestemmia poi si ricordò che in cucina c'era Pitt e la ricacciò indietro di colpo. Charlotte soffocò una risata che aveva qualcosa di vagamente isterico. — Mi pare di capire che fosse il cronista di un giornale, vero, Gracie? — Sì — ammise Gracie, asciugandosi rapidamente con uno strofinaccio, ma senza che le sue condizioni migliorassero in modo apprezzabile. — Creatura miserabile e indegna! — Farai meglio ad andare a metterti un vestito asciutto — le suggerì Charlotte. — Non importa — rispose Gracie, deponendo lo strofinaccio. — Qui fa già abbastanza caldo. Non mi capiterà niente di male. — Poi cominciò a frugare nervosamente nel sacchetto della farina e in quello della frutta secca, cercando gli ingredienti per una torta che non avrebbe dovuto essere messa a cuocere in forno fino a metà mattina. Pitt ebbe un breve sorriso, salutò Charlotte con un bacio, sfiorò la testa di Jemima con una carezza, e allungò un colpetto affettuoso alla spalla di Daniel mentre passava. Poi uscì a cominciare le indagini della giornata. Jemima si voltò a guardare Charlotte con gli occhi sgranati: — Cosa c'è, mamma? Con chi è arrabbiata Gracie? — Con le persone che scrivono certe cose sui giornali quando non sanno tutta la storia — replicò Charlotte. — Persone che cercano di mettere spavento e impaurire tutti, perché così vendono più giornali e non ha importanza se questo peggiora un sacco di altre cose. — Quali cose? — Quali cose? — le fece eco Daniel. — Papà ha paura? È agitato? Sarebbe lui queste persone? — No — mentì Charlotte, domandandosi angosciosamente come proteggerli. Cos'era peggio: cercar di fingere che tutto andasse per il meglio quando era evidente il contrario e ottenere soltanto lo scopo di impaurirli ancora di più perché capivano di essersi sentiti raccontare una bugia, oppure spiegare qualcosa della verità in modo che tutto quanto succedeva avesse almeno un po' di senso e si sentissero una parte importante della famiglia? Certo, avrebbero provato paura e preoccupazione, ma non quegli indefinibili turbamenti della fantasia e la sensazione di essere soli, oltre al fatto che nessuno si fidava di loro. Senza aver preso consapevolmente una decisione, si accorse che stava già rispondendo: — È morta un'altra signora a Whitechapel, proprio come quella di poco tempo fa. E sembra che sia stato punito l'uomo sbagliato. La
gente è molto agitata per questo e a volte, quando si è arrabbiati o impauriti, si vuole gettare la colpa su qualcuno. Serve soltanto a far credere che tutto sia meno difficile. Il fatto è — spiegò meglio Charlotte — che quando le persone sono inquiete o agitate, si arrabbiano. Adesso sono agitati perché un'altra signora è morta, e sono spaventati perché può darsi che abbiano punito l'uomo sbagliato, così si sentono anche in colpa. Stanno cercando una persona con cui prendersela, e sembra che papà sia un'ottima scelta, perché lui è stato quello che ha creduto che l'uomo che avevano punito fosse anche quello che aveva fatto quella brutta cosa. Adesso sembra che non sia stato lui. — Ha fatto uno sbaglio? — domandò Jemima, mentre una ruga profonda le segnava la fronte delicata. — Ancora non lo sappiamo. È troppo difficile da capire. Ma è possibile. Tutti facciamo qualche sbaglio, a volte. — Anche papà? — domandò Jemima con aria grave. — Naturalmente. — Si arrabbieranno molto con lui? — È possibile — disse, incrociando lo sguardo di quegli occhi solenni. — Ma si sbagliano a criticarlo perché lui ha fatto del suo meglio. E, se c'è stato un errore, è stato un errore di tutti, non soltanto suo. — Oh — rispose Jemima. — Capisco. — Tornò alla sua colazione e riprese a mangiare con aria molto pensierosa. Daniel la guardò, poi guardò di nuovo Charlotte, respirò a fondo e riprese anche lui la colazione. Charlotte uscì dalla porta di casa e si incamminò lungo la strada, amaramente consapevole di alcune parole bisbigliate alle sue spalle, come di qualche tendina che veniva bruscamente accostata alle finestre. I tè pomeridiani ai quali non sarebbe stata invitata, le persone che non l'avrebbero vista, anche trovandosi proprio direttamente di fronte a lei, gli impegni urgenti e improvvisi annunciati al momento in cui lei si fosse avvicinata non la turbavano minimamente. Tutto il suo furore era per Pitt e per i bambini. Lei li avrebbe difesi fino alla morte... se soltanto ci fosse stato qualcuno su cui avventarsi! Stando così le cose, invece, continuò per la sua strada a testa alta, senza guardare né a destra né a sinistra, e svoltò l'angolo con tale impeto da andare quasi addosso al vecchio maggiore Kidderman il quale stava portando il suo cane a fare una passeggiatina.
— Mi spiace — si affrettò a dire. — Vi chiedo scusa. — E stava per continuare quando lui parlò. — Sono le tribolazioni di chi occupa una posizione di comando, mia cara — disse a mezza voce, sfiorandosi l'ala del cappello. — È duro, ma esistono. — E le rivolse un timido sorriso. — Grazie, maggiore. È molto... — Non sapeva che cosa avrebbe voluto dire. — Vi ringrazio. — Finì per concludere impacciata, però ricambiò il suo sorriso con improvviso e sincero calore. Dopo aver ritirato Daniel e Jemima dalla scuola riprese il cammino sulla strada del ritorno. Una giovane donna dalla faccia affilata attraversò la strada per evitarli, senza nascondere un'espressione di profondo disgusto. Una donna con tre bambini la superò in fretta e furia evitando di incrociare il suo sguardo. La femminuccia, che indossava un vestito tutto pizzi e gale, si fermò per parlare con Jemima ma si sentì ordinare seccamente di riprendere il cammino e non perdere tempo. Sull'angolo, uno strillone stava gridando gli ultimi titoli dei giornali. — La polizia ha impiccato l'uomo sbagliato! Nuovo delitto a Whitechapel! Costigan innocente! Leggete tutta la storia! Un altro orribile omicidio a Whitechapel! Charlotte lo superò a passo lesto, evitando di guardarlo. Camminava talmente in fretta che i bambini dovevano correre per non rimanere indietro; salì i gradini di corsa e spalancò la porta con una tal forza da mandarla a sbattere contro il fermo. Gracie comparve sulla porta della cucina con un mattarello in mano. Era talmente furiosa che non riusciva neanche a parlare. Sulla sua faccia si disegnò il sollievo quando vide Charlotte. E Charlotte scoppiò a ridere, ma le sue risate dopo un attimo si trasformarono in lacrime. Si mise in cerca del fazzoletto. — Andate a lavarvi le mani per il tè — diede ordine. — Poi vi leggerò una storia: Il vento fra i salici. La giornata di Pitt fu molto meno piacevole. Andò direttamente al commissariato di polizia di Whitechapel per controllare se fossero arrivate altre notizie, prima di recarsi a parlare con Finlay FitzJames. No, non c'era niente. Tutti quelli che vide erano pallidi e turbati. Tutti erano stati non meno sicuri di lui che Costigan fosse colpevole. Adesso provavano tutti un particolare tipo di colpa, che li accomunava. Le forze di polizia di cui facevano parte erano oggetto di critiche e insulti non soltanto da parte dei giornali
ma anche dalla gente comune, dall'uomo della strada. Un poliziotto era stato coperto di sputi, un altro seguito da un codazzo di ragazzotti infuriati che gli avevano gridato contumelie. Qualcuno aveva scaraventato una bottiglia di birra contro il muro, mandandola in mille pezzi, appena al di sopra della testa dell'agente Binns. Ewart arrivò con un taglio su una guancia perché si era rasato male, e due cerchi scuri sotto gli occhi, la pelle che pareva trasparente come carta velina, e come ammaccata. — Qualcosa di nuovo? — gli domandò Pitt. — No. — Ewart non girò nemmeno la testa per incontrare i suoi occhi. — Niente rapporti da Lennox? — Non ancora. Ci sta lavorando adesso. — E gli altri testimoni? Cosa mi raccontate di loro? — Ne abbiamo trovati due. Molto poco contenti. — Ewart fece un sorriso amaro. — Non è facile spiegare a vostra moglie, o a vostra sorella nel caso di Kale, che la polizia ti vuole parlare perché potresti essere stato testimone di un omicidio in un bordello. Non credo che Sydney Allerdyce riuscirà a vedersi servire un pasto decente a tavola per chissà quanti anni in futuro! — Non c'era rammarico nella sua voce; anzi piuttosto una specie di soddisfazione. — Hanno visto qualcuno? Ewart esitò. — Chi hanno visto? — chiese Pitt, mentre in cuor suo si domandava che cosa Ewart gli nascondesse, e cominciava ad aver quasi paura di saperlo. — FitzJames? Ewart liberò il fiato in un lungo sospiro. — Un giovanotto con folti capelli biondi, ben vestito, di altezza media — replicò. Rivolse un rapido sguardo a Pitt, cercando di leggergli in faccia. — Questo non significa che fosse lui — soggiunse, poi su! suo viso apparve un lampo di rabbia, ma fu questione di un attimo. Rabbia contro se stesso per aver manifestato a parole quel pensiero. — Be', non è stato Albert Costigan — disse Pitt, prima che potesse farlo qualcun altro. — Hanno visto qualche altra persona entrare e uscire? — No. E in ogni caso, niente che riuscissero a ricordare. Soltanto le donne che abitano lì. — Cosa mi dite degli altri abitanti delle case vicine, della gente che era fuori in strada, di chi andava e veniva? Dei passanti, dei venditori ambulanti, delle altre prostitute? Non c'è nessuno che abbia visto qualcosa? —
insistette Pitt. — Niente che ci possa aiutare — disse Ewart in tono irritato. — Ho provato a interrogare un uomo che stava caricando un barroccio a pochi metri di distanza durante tutto quell'arco di tempo. Ha visto soltanto la gente che c'era in strada. Nessuno entrare o uscire. — Be', qualcuno non solo è entrato ma è anche uscito! Nora Gough non ha potuto di sicuro ridursi da sola in quello stato! Tornate laggiù e riprovate. Io vado a parlare con i FitzJames. Immagino che mi stiano aspettando. Ewart proruppe in una risata aspra, venata di paura e di collera. Poi gli voltò le spalle, come se avesse capito di aver messo troppo a nudo le proprie emozioni, e continuò a scrivere il rapporto al quale stava lavorando quando Pitt era entrato. La porta di Devonshire Street gli venne aperta dallo stesso affabile maggiordomo di sempre, ma stavolta aveva l'aria molto grave, anche se questo non riusciva ugualmente a guastare l'espressione compiaciuta e gioviale impressa sui suoi lineamenti. — Buon giorno, signor Pitt — disse spalancando la porta per farlo entrare. — Che tempo splendido, vero? Credo proprio che ottobre sia il mio mese preferito. Immagino che vogliate vedere il signor FitzJames... Si trova in biblioteca, signore, se volete seguirmi da questa parte. — E senza aspettare la risposta lo precedette attraverso l'atrio dal parquet lucidissimo oltre lo splendido quadro della scuola olandese che raffigurava il porto della città di Delft, e poi lungo un vestibolo più piccolo che dava accesso alla biblioteca. Bussò alla porta ed entrò immediatamente. — Il signor Pitt, signore — annunciò, facendosi da parte per consentire a Pitt di entrare. Augustus era in piedi di fronte al camino, anche se il fuoco non era acceso. Pitt non lo aveva mai visto in piedi. FitzJames aveva sempre gestito i loro colloqui senza alzarsi. Sembrava un po' curvo, con le spalle arrotondate, e cominciava a mostrare un po' di pancetta. Il suo abito era di ottimo taglio, il colletto della camicia alto e inamidato, e la faccia, lunga e con il grosso naso che la dominava, aveva un'espressione bellicosa. — Entrate — gli ordinò. — Presumevo che vi sareste fatto vivo e quindi vi ho aspettato. Adesso verrete a dirmi di aver mandato sulla forca l'uomo sbagliato. Oppure avete intenzione di sostenere che il delitto di ieri sera è stato commesso da qualcun altro, e che c'è fra di noi un secondo maniaco? — Non ho intenzione di sostenere niente, signor FitzJames. — Pitt si
stava accorgendo che riusciva a dominarsi soltanto con grande difficoltà. Poche volte gli era capitato come adesso di provare una voglia spasmodica di rispondere a quelle frasi provocatorie nel modo più sferzante possibile. Era soltanto la sicurezza totale e assoluta che sarebbe stato lui stesso la diretta vittima delle ripercussioni di quel modo di comportarsi a farlo desistere. — Mi meraviglio che abbiate concesso un tal numero di informazioni ai giornali — disse Augustus in tono pungente, sgranando gli occhi che avevano una curiosa espressione beffarda. — Ci sarebbe stato da pensare che per la vostra stessa protezione fosse opportuno raccontare il meno possibile. Siete più stupido di quanto vi avevo giudicato. Pitt si accorse che quella voce, sotto sotto, rivelava la paura. Era la prima volta che la sentiva così chiaramente, tanto che si domandò se Augustus se ne fosse accorto anche lui. Forse era per quello che sembrava su tutte le furie. — Io non ho assolutamente parlato con la stampa — replicò Pitt. — Non so chi sia stato, e se si tratta di una delle donne che vivono nella casa di Myrdle Street non ci posso fare proprio niente. — Presumo che sia stato simile al primo — disse Augustus lentamente, cercando con gli occhi lo sguardo di Pitt. — Non ho trovato tutti quei particolari nei rapporti sulla morte della McKinley. — Non sono stati pubblicati — replicò Pitt. — Capisco. — Raddrizzò le spalle. — E chi altri avrebbe potuto saperli? — All'infuori di colui che l'ha uccisa... — e Pitt lasciò che sul suo viso passasse un'ombra di ironia — ...io stesso, l'ispettore Ewart, il poliziotto che è arrivato per primo sulla scena del delitto, e il medico legale che ha esaminato il cadavere. — Le altre donne della casa? — No, a quanto ne sappiamo. Non avrebbero avuto alcuna occasione di entrare nella sua camera. — Ne siete sicuro? — domandò Augustus con un timbro di voce più squillante, come se affiorasse una vaga speranza da quel colloquio. — Loro c'erano, lì presenti. Forse l'hanno vista e hanno parlato... non so... — Alzò una spalla in una mossa d'irritazione. — O quegli uomini... che ne so... che le frequentano! Perché non pensare che il primo delitto sia stato deliberatamente imitato? — Il motivo? Nessuno avrebbe potuto darne più la colpa a Costigan — gli fece rilevare Pitt. — Fra tutte le persone coinvolte nell'intera storia, è
l'unico che sia assolutamente innocente della morte di Nora Gough. — Sedetevi, da bravo! — E Augustus agitò una mano in un gesto brusco come se avesse voluto colpire qualcosa. Lui però rimase in piedi, le spalle rivolte al camino spento, le mani intrecciate dietro la schiena. — Non so la ragione. Magari semplicemente quella di screditare la polizia e far passare per imbecilli i poliziotti. — Nessuno ammazza una donna per far passare per imbecilli i poliziotti — rispose Pitt, rimanendo in piedi. — C'è un motivo personale per ucciderla, un motivo personalissimo. Aveva le dita delle mani e dei piedi slogate o fratturate, signor FitzJames. E si tratta di qualcosa di terribilmente doloroso. È una forma di tortura. — Non badò al fremito di disgusto che era sfuggito ad Augustus. — È stato fatto mentre la teneva legata con una delle sue stesse calze. Poi è stata inondata d'acqua, i suoi stivaletti allacciati l'uno con l'altro, e le è stata infilata una giarrettiera sul braccio. Non sono cose che si fanno a qualcuno senza avere dentro una violenza che ti brucia e ti divora. La faccia di Augustus era pallidissima, quasi grigia, il suo naso carnoso e la bocca sottile apparivano affilati, come se nel giro di poche ore fosse invecchiato di dieci anni. — Sono d'accordo, sovrintendente, è osceno. Non è il comportamento di un uomo civile. Dunque state cercando una specie di animale, qualcuno che non si può considerare come un qualsiasi altro essere umano. Vorrei essere in grado di aiutarvi più di quanto posso, ma non si tratta di un campo nel quale io sia molto esperto. Devo presumere che stavolta non avete trovato nessun oggetto di proprietà di mio figlio? — C'era sicurezza nella sua voce, la domanda era retorica. — Mi spiace, signor FitzJames, ma abbiamo trovato questo. — Pitt tirò fuori di tasca il fazzoletto con le cifre, e lo sollevò in modo che Augustus potesse vedere il monogramma. Per un attimo credette che Augustus fosse lì lì per svenire. Vacillò lievemente sui piedi e staccò le mani che teneva intrecciate sulla schiena per afferrare con una di esse il fazzoletto, ma poi fu costretto ad allungare anche l'altra per non perdere l'equilibrio. Non lo toccò. — Io... io vedo le lettere, sovrintendente — disse con voce dura, fremente. — Devo riconoscere che sono di un tipo abbastanza raro. Questo non significa che si tratti di un articolo di proprietà di mio figlio. E a ogni modo non significa nel modo più totale e assoluto che sia stato lui la persona che l'ha messo in quel posto. Mi auguro che lo capirete con la stessa chia-
rezza con la quale lo capisco io. — Una volta tanto il suo tono non era minaccioso, anzi rivelava quasi un miscuglio di sfida ma anche di supplica, e il desiderio di fare tutto quello che era possibile per allontanare il disastro che adesso pareva incombesse sulla sua famiglia toccandola tanto da vicino. Pitt si scoprì a provare quasi dispiacere per Augustus, malgrado l'antipatia che gli suscitava. Avrebbe voluto essere più sicuro dei propri convincimenti sulla colpevolezza di Finlay. — Questo lo so, signor FitzJames — ammise pacatamente. — La difficoltà è di scoprire chi potrebbe aver messo oggetti di proprietà di vostro figlio in modo tanto deliberato prima sulla scena del delitto di Ada McKinley e adesso nella stanza di Nora Gough... e perché. Temo che sia necessario prendere in esame con molta maggiore attenzione di prima quelle persone che si considerano vostri nemici. Sarebbe del tutto irragionevole supporre che vostro figlio fosse stato scelto a caso. Augustus inspirò per poi lasciar andare il fiato in un sospiro. — Se lo dite voi, sovrintendente. — Poi socchiuse gli occhi. — Posso domandarvi come è accaduto che siate riuscito a ottenere un'accusa e una condanna contro Albert Costigan, quando adesso non sembra possibile che fosse lui il colpevole? Io... io, con questo non intendo fare una critica implicita. Credo che si tratti di qualcosa che abbiamo assoluto bisogno di sapere... che io esigo di sapere. Questa tragedia adesso minaccia, e molto da vicino, la mia famiglia. — Purtroppo, temo che sia vero. — Pitt tirò fuori di tasca il bottone e gli mostrò anche quello. Augustus lo prese e lo esaminò. — Molto comune — fu il suo verdetto mentre alzava gli occhi a guardare Pitt. — Non credo di averne nessuno del genere, personalmente, ma conosco una dozzina di uomini che ce li hanno. Questo non prova niente all'infuori, magari, del fatto che c'è stato là un uomo di buon gusto. — La sua faccia si indurì. — Di buon gusto nel senso che doveva vestirsi in sartoria, in ogni caso. — Ci sono anche dei testimoni — disse Pitt, sferrandogli il colpo finale. — L'ultimo cliente della donna uccisa è stato un giovanotto di media statura con folti capelli biondi, e lui era ben vestito. Augustus non si degnò nemmeno di mettersi a discutere o di obiettargli quanti potevano essere i giovani uomini che rispondessero a quella descrizione.
— Capisco. Naturalmente ho già domandato a mio figlio dov'era ieri nel tardo pomeriggio. E devo presumere che vorrete sentirlo ripetere direttamente anche da lui. — Sì, per favore. Augustus suonò il campanello e, quando il maggiordomo si presentò, lo mandò a cercare Finlay. Aspettarono in silenzio. Finlay arrivò nel giro di pochi minuti. Entrò e chiuse la porta dietro di sé. Era vestito in modo informale; evidentemente si era cambiato rientrando dal Foreign Office, se poi ci era veramente andato. Aveva l'aria spaventata, la faccia a chiazze rosse, come se avesse bevuto troppo la sera prima e soffrisse ancora per gli effetti della sbornia. Lanciò uno sguardo prima a suo padre, poi a Pitt. — Buon giorno, signor FitzJames — disse Pitt in tono pacato. — Mi spiace disturbarvi ma purtroppo è necessario che io vi chieda di dirmi dove vi trovavate ieri pomeriggio approssimativamente fra le tre e le sei. — Be', non mi trovavo in Myrdle Street! — C'era un fremito nella voce di Finlay, come se non avesse ancora ben deciso se mostrarsi in collera, indignato e pieno di autocompassione, oppure se non fosse il caso di prendere le cose alla leggera, dimostrando di non provare sostanzialmente nessuna preoccupazione. Ma fu solo la paura ad affiorare, in realtà. — Dove eravate? — ripeté Pitt. — Ecco, alle tre mi trovavo ancora al Foreign Office — rispose. — Sono venuto via verso le tre e mezzo, o poco più tardi. Sono andato a fare una passeggiata nel Parco. — Alzò il mento cercando di incrociare lo sguardo di Pitt con una tale sicurezza che quest'ultimo fu quasi convinto che si trattasse di una bugia. — Intendevo trovarmi con una certa persona, per questioni di affari, ma lui non si è fatto vedere. Ho gironzolato nei dintorni aspettandola per un po', poi mi sono incamminato verso un ristorante dove ho cenato un po' in anticipo rispetto al solito prima di andare a teatro. Non mi sono nemmeno avvicinato alla zona di Whitechapel. — Siete in grado di fornire una conferma di tutto quanto mi avete detto, signore? — gli domandò Pitt, quasi certo, prima ancora di parlare, che non sarebbe stato possibile. Perché in caso affermativo Augustus si sarebbe affrettato a dirlo fin dal principio, e lo avrebbe fatto trionfalmente. Avrebbe potuto congedare Pitt subito e non cercare il suo aiuto. La risposta stava nella paura che si sentiva nella sua voce. — No, non credo. La... la questione era un favore per un amico, perché
si era cacciato in un pasticcio dei più stupidi — disse Finlay. — È una questione di soldi, e c'è di mezzo una donna, tutto molto sordido. Stavo cercando di aiutarlo a risolvere il suo problema una volta per tutte senza rovinare il buon nome di nessuno. Quindi ci tenevo particolarmente a non essere visto da qualcuno di mia conoscenza. Non mi sono fermato a parlare con nessuno. — Già, vedo. — Tutto ciò che Pitt vedeva era la futilità di un simile interrogatorio. — È vostro questo fazzoletto, signor FitzJames? Finlay non lo toccò. — Potrebbe essere mio. Ne ho come minimo una mezza dozzina che gli assomigliano, ma la stessa cosa vale per tutte le persone di mia conoscenza. — Con la sigla F.F.J. in un angolo? — No, No... naturalmente no. Ma... uno può... — Deglutì a fatica. — Uno può farsi ricamare sul fazzoletto tutte le iniziali che vuole. Questo non significa che fosse mio. Suppongo che l'abbiate trovato nelle vicinanze del nuovo cadavere, vero? È quello che pensavo. Ve lo leggo in faccia. — La sua voce stava diventando più alta e stridula. — Ebbene, non l'ho ammazzata io, sovrintendente! Non ho mai sentito parlare di lei, e non sono mai neanche stato in Myrdle Street! Qualche... qualche pazzo... sta cercando di rovinarmi, e, prima che me lo domandiate, non ho la minima idea di chi possa essere, o perché lo faccia! Io... — Non concluse quello che stava per dire. — Forse non dovreste controllare meglio gli amici di Albert Costigan? Qualcuno sta cercando di incriminare noi due, sovrintendente. Di farci passare come assassini. — C'era un lampo di sfida nei suoi occhi, come se avesse ottenuto una piccola, brillante, vittoria. — Credo che sia nell'interesse tanto vostro quanto mio scoprire chi è, e consegnarlo alla giustizia. Se potessi aiutarvi lo farei, ma non so neanche da dove cominciare. Mi spiace. — Cominceremo riprendendo in esame tutte le persone che potrebbero avere un motivo di odio nei vostri confronti, signor FitzJames — rispose Pitt. — E poi procederemo con altri, quelli ai quali voi potreste essere di ostacolo per motivi professionali o personali. E magari concluderemo riesaminando di nuovo da capo i soci originari dell'Hellfire Club. — No, non posso farlo! — esclamò Finlay in tono concitato. Intanto quella esaltazione momentanea che aveva provato poco prima stava scomparendo. — Eravamo buoni amici. Non siamo assolutamente quel genere di persone, neanche alla lontana. Tutto qui. Gli amici della giovinezza so-
no... be'... non è nessuno di loro, ve lo assicuro. Prenderò in considerazione tutte le altre possibilità, e poi vi preparerò un elenco di nomi. — Anch'io farò la stessa cosa — soggiunse Augustus. — Avrete la nostra più completa collaborazione, sovrintendente. — L'ombra di un sorriso aleggiò sulla sua bocca che pareva incapace di esprimere il senso dell'umorismo. — I nostri interessi sono comuni, perlomeno in questo caso. Pitt non poté che dichiararsi d'accordo. — E la questione esige una certa urgenza — soggiunse in tono aspro. — Vi ringrazio, signore. — Poi si rivolse a Finlay: — Signor FitzJames, vi auguro il buon giorno. 9 L'indomani i giornali gridarono allo scandalo con ancor maggiore accanimento. E stavolta non furono soltanto le pubblicazioni più screditate e scandalistiche a stampare titoli sensazionali a caratteri cubitali, ma perfino il "Times" si azzardò a sollevare qualche dubbio sulla validità del processo a Costigan e, attraverso quello, anche non solo sull'efficienza ma addirittura sulla probità della polizia. Nelle pagine interne del giornale venne stampato anche un articolo che tornava a esaminare le prove raccolte e presentate alla giustizia. Vi si insinuava, e neanche senza molta reticenza, che qualcuna poteva far nascere dei sospetti da un punto di vista etico e, più che costituita da fatti reali e autentici, sembrava l'espressione della speranza di chi voleva farle passare per tali. Si aveva quasi l'impressione che l'intero caso fosse stato gestito mirando a trovare un colpevole in fretta e furia e senza creare imbarazzo alle forze di polizia per la loro inettitudine - inclusi quegli uomini politici che avevano giocato la propria reputazione per appoggiarle - e non per la genuina preoccupazione che giustizia fosse fatta. Costigan era stato la vittima di queste due forze tutt'altro che degne di ammirazione. Parecchi quotidiani che d'abitudine puntavano a pescare nel torbido arrivarono addirittura a insinuare che i funzionari incaricati delle investigazioni erano stati minacciati o corrotti perché il caso venisse chiuso in fretta. Pitt veniva paragonato all'infelice ispettore Abilene che non era riuscito a risolvere il mistero della precedente ondata di delitti avvenuti a Whitechapel, e al capo della polizia Warren, costretto dal fallimento delle indagini a dare le dimissioni e ritirarsi a vita privata. Vennero anche pubblicate numerose lettere nelle quali si chiedeva che
Costigan fosse almeno graziato "alla memoria", e alla sua famiglia, se era possibile rintracciarla, venisse versata una congrua somma come atto di riparazione per la sua morte ingiusta. Pitt ripiegò i giornali dopo averli letti. Gracie si affrettò a portarglieli via. Pitt passò l'intera giornata a Whitechapel, e fu una delle peggiori della sua vita. Interrogò di nuovo tutte le donne che abitavano in quel casamento di Myrdle Street, cercando di sapere qualcosa di più sul conto di Nora Gough. C'era da pensare che avesse conosciuto Ada? Aveva litigato con qualcuno? Aveva conosciuto Costigan? Aveva prestato o si era fatta prestare dei soldi? C'era qualcosa, una cosa qualsiasi, che si potesse interpretare come un movente per la sua morte? Il suo protettore era un omone con l'aria da bravo zio, folti capelli neri ricci e un pessimo carattere. Ma poteva anche fornire indicazioni ben precise sui suoi movimenti durante la giornata in cui era avvenuto il delitto, e le sue affermazioni erano state suffragate da testimoni irreprensibili. Non solo, ma era anche sembrato sinceramente dispiaciuto per la morte di Nora, la sua ragazza migliore, che gli faceva guadagnare più soldi delle altre e non gli aveva mai dato fastidi. Nelle prime ore del pomeriggio, mentre stava camminando per Commerciai Road East, si accorse che davanti a una delle locande più note si stava radunando una folla minacciosa composta di uomini e donne. Qualcuno cominciò a urlare: — Su, brava gente, facciamoci sentire in onore di Bert Costigan! Tre evviva per Bert Costigan! — Urrah per Costigan! — sbraitò un altro, e il coro venne ripreso da vari gruppi tutt'intorno. — È stato un martire sacrificato ai ricchi che vengono qui da noi a usare le nostre donne! — strillò un ometto. — E poi le ammazzano! — soggiunse un altro, e alle sue parole seguirono robuste esclamazioni di apprezzamento. — Ed era innocente! — interloquì una donna con i capelli chiari. — Lo hanno impiccato per niente! — Lo hanno impiccato perché era povero! — gridò furioso un grassone con la faccia addirittura stravolta per la rabbia. — Sono loro che andrebbero impiccati! — Su, andiamo! Via, via! — Il locandiere si fece sulla soglia, uno strofinaccio in mano, il grembiule sbilenco. — Qui non voglio fastidi. Andate-
vene a casa. E non dite stupidaggini. Una giovane donna, alla quale mancava uno dei denti davanti, si fece largo fra gli altri e ribatté aggressiva: — A chi hai detto di non dire stupidaggini, eh? Bert Costigan è stato impiccato per qualcosa che non aveva fatto! Non te ne frega niente a te, vero? Pagate quello che dovete e bevete, e a chi importa se finisci sulla forca al posto di qualche bastardo ricco che ha lasciato la sua bella casa nei quartieri alti per venir qui da noi e far fuori le nostre donne! A te va bene ugualmente, è così? — Non ho detto questo! — protestò il locandiere. Ma ormai le grida minacciose aumentavano, e così gli spintoni, e un ragazzino ruzzolò per terra. Scoppiò subito una rissa, e nel giro di pochi minuti c'era una mezza dozzina di uomini che tirava pugni e calci a destra e a sinistra. Pitt si fece largo tra la gente cercando di dividere i contendenti. Qualcuno stava gridando il nome di Costigan come una specie di canto di guerra. Pitt cominciò a essere malmenato e sbatacchiato di qua e di là. In mezzo al tumulto era finito anche il locandiere. Si sentì il suono strìdulo di un fischietto della polizia e qualcuno si mise a urlare. La rissa si fece più accesa. Pitt venne letteralmente sollevato da terra e perse l'equilibrio. Sarebbe sicuramente caduto, se il locandiere non gli fosse stato catapultato addosso da sinistra; atterrarono insieme su un ragazzotto con i capelli rossi che era finito rotoloni sul lastricato con il naso che sanguinava. Arrivarono altri poliziotti, e la folla venne dispersa. Tre uomini e due donne furono arrestati. Otto persone si ritrovarono ferite più o meno gravemente. Uno aveva una clavicola fratturata. Due dovettero essere spediti dal chirurgo per farsi dare qualche punto di sutura. Pitt se ne andò pesto e ammaccato, con il colletto della camicia strappato, un gomito che sporgeva dalla manica della giacca strappata, coperto dalla testa ai piedi di sporcizia e di svariate macchie di sangue. Com'era logico la notizia venne puntualmente riportata nelle edizioni della sera dei giornali, insieme a molti commenti e critiche, rinnovate richieste di un'assoluzione postuma per Costigan, e tutta una serie di interrogativi sull'intera struttura delle forze di polizia e sull'opportunità che venissero fornite certe giustificazioni al comportamento dei poliziotti in generale e di Pitt in particolare. Non mancarono neanche i confronti fra quel caso e gli omicidi avvenuti
a Whitechapel un paio di anni prima. Quello che fu scritto non risultò lusinghiero per nessuno. Pitt tornò a casa verso le sette di sera, estenuato, martoriato nel corpo e nello spirito, addirittura incerto sulle procedure da seguire da quel momento in avanti. Non aveva la più pallida idea di chi avesse assassinato l'una e l'altra delle due donne, se Costigan o Finlay FitzJames c'entrassero in qualche modo in tutta quella storia, oppure se non avessero niente a che vederci. Riconobbe la carrozza di Vespasia fuori, davanti alla porta, e al primo momento non riuscì a capire se questo gli faceva piacere o no. Non aveva nessuna voglia che lei lo vedesse ridotto in quelle condizioni. Era sporco, con gli abiti stracciati, esausto. La buona opinione che Vespasia poteva avere nei suoi confronti gli importava moltissimo. Avrebbe preferito che lei lo giudicasse pienamente in grado di affrontare e di superare brillantemente una crisi e un fallimento come quelli. D'altra parte, sarebbe stato un bene ascoltare i suoi consigli. Il coraggio, in fondo, era contagioso come la disperazione, anzi, forse ancora di più. Quella che lo colse totalmente di sorpresa, quando entrò in salotto, fu la presenza anche di Cornwallis, che aveva l'aria lugubre e sembrava profondamente turbato. Charlotte si alzò in piedi immediatamente, ancora prima che Pitt avesse il tempo di salutarli. — Devi essere stanco e affamato — gli disse, venendogli subito incontro. — Di sopra c'è già l'acqua calda, e tra mezz'ora sarà pronta la cena. Zia Vespasia e il signor Cornwallis si fermano. Così ci sarà tutto il tempo che vuoi per parlare con loro. Ridiscese mezz'ora dopo sempre stanco morto, con i muscoli doloranti e i lividi che si facevano più scuri ed evidenti sulla faccia, ma se non altro era pulito e pronto ad affrontare l'inevitabile discussione che sarebbe seguita. E questa cominciò non appena venne servita la prima portata. Nessuno dei presenti aveva voglia di fingere. — Ci sono due modi per affrontare la situazione — disse Cornwallis con aria grave, sporgendosi lievemente in avanti. — Dobbiamo fare tutto il possibile per scoprire e provare chi ha ucciso questa seconda donna. E dobbiamo mostrare che l'arresto di Costigan è stato basato su prove solide, raccolte nel modo più onesto e rigoroso, e che il suo processo è stato condotto onorevolmente. — Strinse le labbra. — Non so come possiamo pro-
vare di non aver nascosto prove che potessero implicare qualcun altro. — Abbassò la voce e i suoi occhi si fissarono sui fiori nel vaso azzurro al centro del tavolo. — Ho paura che forse abbiamo... — Non ho nessuna simpatia per Augustus FitzJames — lo interruppe Vespasia in tono deciso passando gli occhi da lui a Pitt. — Ma dare in pasto all'opinione pubblica le prove contro suo figlio molto probabilmente potrebbe provocare una reazione isterica che non soltanto sarebbe ingiusta ma quasi sicuramente renderebbe assai più difficile scoprire la verità. E, a parte quelli che possono essere i miei sentimenti personali nei suoi confronti, e la sua moralità, non desidero vederlo punito per qualcosa che non ha fatto. Anche se nessuno lo punirà per quello che ha fatto — soggiunse con un po' di tristezza. Cornwallis la osservò con aria grave, riflettendo su ciò che aveva detto, poi si rivolse a Pitt: — Insomma, fino a che punto Finlay FitzJames è implicato in questo secondo delitto? Prima riferitemi quello che sapete, poi ditemi la vostra opinione. — Cominciò a mangiare lentamente la piccola porzione di pesce di cui si era servito. Dalla sua espressione intensamente concentrata su Pitt era impossibile dire se si rendesse addirittura conto di quello che aveva nel piatto. Pitt gli descrisse con abbondanza di particolari quello che aveva trovato nella camera di Nora Gough e tutto quanto Finlay gli aveva riferito sui propri movimenti. I piatti furono ritirati, e servito il pasticcio di carne e rognone con le verdure di contorno. Gracie andava e veniva, efficiente e silenziosa, ma sapeva chi fosse Cornwallis e lo teneva d'occhio in preda a mille sospetti, quasi come se avesse paura che lui, da un momento all'altro, potesse trasformarsi in una diretta minaccia alla famiglia sulla quale riversava tutto il suo affetto. — E la vostra opinione? — insistette Cornwallis, nel momento stesso in cui Pitt concludeva la sua narrazione. — Ero sinceramente convinto che Costigan fosse colpevole — rispose Pitt dopo un momento. — Non è stato provato al di là di ogni possibile dubbio, però lui lo ha ammesso. Non sono mai riuscito a capire per quale motivo sia stato così brutale con la ragazza. Quello lo ha negato sino alla fine. — Gli tornò alla memoria la faccia di Costigan e si accorse che la nausea lo coglieva allo stomaco. — Era un ometto ripugnante, patetico e vizioso, però non sono riuscito a percepire in lui quella tendenza al sadismo che potrebbe averlo spinto a fratturarle o slogarle le dita delle mani e
dei piedi. — Lei lo ha truffato non consegnandogli una parte dei suoi guadagni — obiettò Cornwallis in tono dubbioso. — Costigan la considerava come una sua proprietà, quindi quello è stato una specie di tradimento. Gli uomini deboli possono essere molto crudeli. — Il suo viso si fece severo. — L'ho visto in marina. Date all'uomo sbagliato un po' di potere e se ne approfitterà per maltrattare i suoi sottoposti. — Oh, che Costigan fosse un tipo che quanto a maltrattamenti e angherie non andava per il sottile, siamo d'accordo — confermò Pitt. — Ma la giarrettiera, gli stivaletti! Tutte cose che si direbbe vadano oltre quella che si può intendere come la solita cattiveria brutale. Non dà l'impressione di un temperamento acceso o violento... ma piuttosto di qualcosa... — ... Qualcosa di calcolato — concluse Charlotte al posto suo. — Sì. — Quindi avevate dei dubbi sulla colpevolezza di Costigan? — Cornwallis lo disse mentre un'espressione di ansia si delineava sul suo viso, ma il suo tono non era accusatore. Aveva passato la vita in marina come ufficiale, e aveva la stessa indubitabile lealtà nei confronti del suo equipaggio che si aspettava da loro in cambio. Proprio contando su tale fiducia aveva affrontato, e sarebbe stato ancora disposto ad affrontare, quello che era necessario, che fossero le forze della natura o i cannoni avversari. — No. — Pitt incrociò il suo sguardo con candore. — No, allora non li avevo. Pensavo semplicemente di non aver capito sino in fondo il suo carattere. — Non ha mai negato di averla uccisa — continuò, fissando Cornwallis che si trovava dall'altra parte del tavolo di fronte a lui. Il cibo era praticamente ignorato. Gracie, in piedi sulla porta della cucina, un tovagliolo pulito in mano per servire i piatti caldi, ascoltava con la stessa attenzione di tutti gli altri. — Però ha sempre negato di averla torturata. — Pitt continuò con uno sforzo evidente. — E, per quanto io abbia insistito, e molto, ha sempre negato di sapere alcunché sul conto di FitzJames, del distintivo o del gemello da camicia. — E tu gli hai creduto? — domandò Vespasia a mezza voce. Pitt rifletté a lungo prima di rispondere. Nella stanza c'era un gran silenzio. Nessuno si muoveva. — Suppongo di sì — disse Pitt infine. — Perché a questo modo le mie preoccupazioni sarebbero finite. O almeno... non ho creduto che potesse
averlo fatto da solo, o che ne avesse un motivo qualsiasi. — Così ci troviamo al punto di partenza — disse Cornwallis, passando con gli occhi dall'uno all'altro dei commensali. — Non ha alcun senso. Se non è stato Costigan, e stavolta non possono esserci dubbi in proposito, allora di chi può trattarsi? Di qualcuno a cui non abbiamo pensato? Oppure la verità potrebbe essere quella di cui credo che abbiamo tutti paura, e FitzJames è colpevole di entrambi i delitti? — No, lui non è colpevole — disse Charlotte, con gli occhi fissi sulla tavola davanti a sé. — E perché? — domandò Vespasia incuriosita, posando la forchetta sul piatto. — Che cosa sai, Charlotte, che ti fa parlare con tanta sicurezza? — Tallulah FitzJames lo ha visto la sera in cui Ada McKinley è stata uccisa — replicò Charlotte, alzando gli occhi per affrontare lo sguardo di Vespasia. — Davvero? — disse Vespasia guardinga. — E perché non lo ha detto al momento opportuno? Avrebbe evitato un sacco di fastidi. — Non poteva dirlo perché si trovava in un posto nel quale non avrebbe dovuto trovarsi — rispose Charlotte sempre più a disagio. — E aveva già raccontato una bugia in proposito, quindi nessuno le avrebbe comunque creduto. — Questo non mi stupisce in modo particolare — assentì Vespasia. — Ma si direbbe che tu le creda. Perché? — Ecco... veramente è Emily a crederle. — Charlotte si morse un labbro. — È a Emily che lei lo ha raccontato. In effetti Finlay è un perdigiorno, un buono a nulla e un personaggio che non ha niente di cui vantarsi. Però non ha ucciso Ada. — Ma non c'è nessun altro in questo posto che fosse disposto a fornire una testimonianza? — domandò Cornwallis, guardando prima Charlotte e poi Pitt. — Perché non si sono fatti avanti? È impossibile che Finlay non glielo abbia chiesto, vero? Oppure, se non si ricordava sul serio dove si trovava, perché non è stata sua sorella a pregare quella gente di farsi avanti e parlare? L'intera questione avrebbe potuto essere chiarita immediatamente! — Era sconcertato e la sua voce vibrava di collera. Vespasia si rivolse a Charlotte, e adesso anche lei pareva avesse totalmente dimenticato il cibo che aveva nel piatto. — Insomma, si può sapere che genere di posto era, visto che nessuno vuole ammettere di esserci stato? Confesso che la mia curiosità è stuzzicata. Viviamo davvero in un'epoca così puritana e facile a scandalizzarsi? Non riesco davvero a pensare a
nessun posto che un gagliardo giovanotto eviti per delicatezza di ammettere di aver frequentato. Di che si trattava? Di un combattimento di cani oppure di un incontro di lotta libera? Di una bisca clandestina? Di un bordello? — Di una festa dove tutti bevevano troppo e fumavano l'oppio — replicò Charlotte con una vocina piccola piccola. L'espressione di Cornwallis si incupì. Vespasia si morse un labbro. Le sue sopracciglia si inarcarono. — Stupido, ma non poi così straordinario. Io non affermerei di non essere stato in un posto del genere se, ammettendolo, potessi salvare la vita a un uomo. — Di conseguenza, se potessimo trovare queste persone — disse Cornwallis in tono sbrigativo — potremmo almeno scagionare FitzJames per il primo delitto e, per esclusione, anche per il secondo. — Si voltò verso Pitt. — Voi eravate al corrente di questo? E perché non me ne avete accennato prima? — Sono venuto a saperlo soltanto quando ormai non sembrava più pertinente — rispose Pitt, e si accorse che Charlotte arrossiva. — Se non altro, risolve un problema — riprese Cornwallis, appoggiandosi alla spalliera della seggiola e prendendo di nuovo in mano la forchetta. — Ora rimane da scoprire per quale motivo qualcuno ha disposto sulla scena del delitto quegli oggetti di sua proprietà, e naturalmente di chi si tratta. Ma, in sostanza, queste due domande sono una sola. La risposta a una di esse ci fornirà la risposta anche all'altra. Sicuramente deve trattarsi di un solo uomo. Guardò Vespasia, poi Pitt. — Mi riesce difficile immaginare che possa trattarsi di qualcuno che vive a Whitechapel e che doveva essere abituato a frequentare sia l'una che l'altra delle due donne uccise. Bisogna che sia una persona che odia profondamente FitzJames, un nemico personale di una sorta assolutamente fuori dall'usuale. E questo ci riporta a investigare sul conto di FitzJames, ma è inevitabile. — Potrebbe trattarsi di qualche genere di congiura? — domandò Vespasia, che adesso aveva ricominciato anche lei a mangiare il pasticcio di carne e rognone. I due uomini la guardarono. — Intendete forse dire che una persona ha ucciso la donna e l'altra ha fornito le prove, e magari ha pensato addirittura a predisporle sulla scena del delitto? Ma Pitt non ci credeva. Era troppo complicato, e fin troppo pericoloso.
Se qualcun altro fosse stato coinvolto in quell'omicidio e Costigan ne fosse stato al corrente lo avrebbe sicuramente detto. Non sarebbe salito sul patibolo da solo. Ma gli occhi di Cornwallis erano fissi su Vespasia. Charlotte si schiarì la gola. — Sì? — domandò Pitt. Lei si sentiva profondamente a disagio, ma non aveva via di scampo. Aveva addosso gli occhi di tutti. — A dir la verità, non è una vera e propria prova che Finlay si trovasse a quella festa — disse parlando molto lentamente, un po' rossa in viso. Intanto cercava di sfuggire lo sguardo di suo marito. — Vedete... secondo me quasi tutte le persone che vi hanno partecipato dovevano essere talmente impegnate a divertirsi e tanto... tanto sotto l'influsso di quello che stavano bevendo, o prendendo sotto altra forma, che una prova del genere non sarebbe, in fin dei conti, di grande utilità. Chiunque poteva lanciare attraverso quei saloni un branco di cavalli impennati... e nessuno dopo avrebbe saputo dire con sicurezza che era veramente successa una cosa del genere oppure che l'aveva solo immaginata. — Capisco. — Cornwallis accettò la spiegazione con buona grazia, ma non riuscì a mascherare il proprio disappunto. — Ma voi credete alla sorella? Era abbastanza sobria da essere sicura di averlo visto in quella casa? Stavolta lei cercò di incrociare il suo sguardo. — Oh, sì. C'è rimasta solo per pochissimo tempo. Poi quando ha capito come andavano le cose è venuta via. — Emily ti ha raccontato tutto questo? — domandò Vespasia innocentemente. Charlotte esitò. — Capisco. — Vespasia non aggiunse altro. Charlotte, con gli occhi fissi sul proprio piatto, ricominciò a mangiare molto lentamente. — Devo risolvere anche il problema della "grazia postuma" per Costigan — disse Cornwallis con aria tetra. — Anche se non sono del tutto sicuro fino a che punto tocchi a me affrontare la questione, a meno che non mi assuma la colpa di averlo accusato e fatto processare. La grazia tocca al giudice, oppure al ministro degli Interni, o magari addirittura alla Regina. Oh, come vorrei che avessimo aspettato un'altra settimana! Così almeno quel poveraccio sarebbe ancora vivo e il fatto di concedergli la grazia avrebbe sicuramente un certo effetto! È possibile che Costigan sia stato colpevole e che un secondo assassino abbia copiato il metodo del primo? —
domandò Cornwallis, guardando Pitt ma senza alcuna speranza, senza convinzione. — No — rispose Pitt senza esitare. — A meno che non si tratti di uno di noi, ma questo sarebbe praticamente impossibile. Soltanto l'agente Binns, l'ispettore Ewart e Lennox, il medico della polizia, sono al corrente dei particolari del primo omicidio. Binns stava facendo la solita ronda, quando la sua attenzione è stata richiamata dal modo di comportarsi di un testimone che stava venendo via da Pentecost Alley e sembrava in preda al panico — continuò Pitt. — Ewart era a casa con sua moglie e la sua famiglia, e Lennox è stato convocato mentre era al capezzale di un altro paziente. Si trovava nelle vicinanze, e non lo ha lasciato un momento fino a quando non è stato mandato a chiamare. — Questo sembra chiarire le cose — disse Cornwallis con aria avvilita. Charlotte si alzò per portar via i piatti, anche se qualcuno non era del tutto vuoto. Poi, con Gracie, servì il budino di riso con una bella crosta d'oro sulla quale era stata grattugiata un po' di noce moscata. Con il budino di riso vennero servite le prugne. — Grazie — accettò Cornwallis, poi ebbe un sussulto perché era tornato con la mente al problema da risolvere. — Mi sembra che non ci resti che affrontare la situazione con coraggio, non cercare scuse, non lanciare accuse fino a quando non abbiamo prove definitive, non rimproverare o criticare nessuno, e continuare le indagini, non soltanto sul conto di FitzJames ma anche per cercare le prove relative alla morte di Nora Gough, esattamente come faremmo se non avessimo il minimo sospetto su nessuno. Pitt, preferirei che foste voi a occuparvi della parte di questo caso che coinvolge i FitzJames. Si tratta di una questione estremamente delicata e sono sicuro che le cose peggioreranno invece di migliorare. Mi piacerebbe poter pensare che la stampa ci lascerà tranquilli, ma mi sembra che la mia sia una speranza del tutto illusoria. Ho paura che abbiamo dei nemici i quali non vorranno certo vedersi sfuggire una simile opportunità per colpirci. Mi spiace. — Sembrava angosciato. — Vorrei essere in grado di offrirvi ben altra protezione... — Pitt si sforzò di sorridere. — Vi ringrazio, signore, ma so benissimo quali sono le pastoie in cui si dibatte chiunque occupi un posto come il vostro. Non esiste difesa. E ne ebbe la piena conferma. Interrogò ogni persona che, a suo parere, avrebbe potuto essergli anche del più piccolo aiuto per quello che riguardava la famiglia FitzJames, e tutti quelli che erano stati offesi o danneggia-
ti da loro, intenzionalmente o no, e quindi avrebbero potuto aspirare a vendicarsi. Fece indagini sul conto di Augustus FitzJames non solo sotto il punto di vista privato e personale, ma anche professionale, e venne a sapere una quantità incredibile di cose non soltanto su di lui, ma anche sulla natura del suo impero finanziario... sui mezzi coi quali se lo era creato e, adesso, se lo conservava. Aveva sempre fatto leva su una durezza spietata. Non aveva manifestato alcuna deferenza nei confronti delle amicizie o delle persone verso le quali avrebbe dovuto mostrarsi leale, però non era mai uscito dai limiti della legge. Saldava i suoi debiti puntualmente. Capitava di rado che facesse prestiti in denaro, ma quando li concedeva si aspettava che gli venissero restituiti fino all'ultimo centesimo. Era un uomo freddo eppure, apparentemente, non privo di attrattive per il gentil sesso. Nessuno ignorava che aveva avuto parecchie relazioni extraconiugali, ma non si poteva sicuramente dire che fosse l'unico nel suo ambiente, e, del resto, non aveva mai suscitato scandali né provocato un solo divorzio. Nessuna reputazione ne era uscita rovinata. Come Cornwallis aveva previsto, la stampa continuò a far chiasso più di prima. Costigan stava per essere rapidamente elevato alla posizione di eroe popolare, di martire dell'inefficienza e corruzione della polizia al punto che qualcuno cominciava a sostenere che la sua stessa istituzione fosse un errore. Il nome di Pitt venne menzionato parecchie volte. Un agitatore politico arrivò addirittura a insinuare che fosse stato lui in persona a disporre le prove sulla scena del delitto in modo da incriminare Costigan, eliminando contemporaneamente quelle che avrebbero implicato tutt'altra persona, cioè un uomo di rango sociale elevato, facoltoso, in grado di comprarsi l'immunità. Tutte calunnie, naturalmente, ma l'unica difesa che avesse qualche valore era la dimostrazione che quell'individuo si sbagliava. E Pitt, per il momento, non era ancora riuscito a farlo. Si trovava nel suo ufficio di Bow Street, verso la fine del pomeriggio del terzo giorno dopo la morte di Nora Gough, quando Jack Radley venne a trovarlo. Era in alta tenuta, come esigeva il protocollo, in quanto arrivava dritto dritto dalla Camera dei Comuni. Per quanto sempre bello e senza una ruga, il suo viso aveva un'espressione stanca e preoccupata. Chiuse la porta dietro di sé e si lasciò cadere in una delle poltrone. — Non va molto bene, Thomas — disse pensieroso. — Hanno tirato in ballo la faccenda alla Camera, oggi pomeriggio. Hanno detto un mucchio di cose.
— Posso immaginarlo. — La faccia di Pitt si coprì di mestizia. — La polizia ha i suoi nemici. — Anche tu hai i tuoi nemici personali — ribatté Jack. — Anche se non sono per niente quelli che ti aspetteresti. — La Confraternita — disse Pitt senza un attimo di esitazione. Era stato invitato a entrare nei ranghi di quella società segreta ma aveva opposto un rifiuto. Non solo ma, in svariate occasioni, gli era successo di dover denunciare apertamente le malefatte di alcune persone che ne facevano parte. E quello era un peccato che nessuno sarebbe stato disposto a perdonargli. — Non necessariamente. — Jack lo guardò sgranando gli occhi azzurro cupo. Non aveva la sua solita aria spensierata e vagamente divertita. Il suo viso era segnato da rughe d'ansia, che non gli erano abituali, fra le sopracciglia e ai lati della bocca. Si era lasciato andare contro la spalliera della poltrona, ma la sua attenzione era sempre totale, e il suo corpo rigido, in tensione. — Se non fosse così maledettamente serio, sarebbe proprio divertente guardarli mentre stanno lì a decidere da che parte schierarsi — continuò. — Quelli che sono amici di FitzJames, o hanno paura di lui, si trovano schierati dalla tua stessa parte, e non ha importanza quanto poco lo gradiscano. E quelli che invece, indipendentemente dai loro motivi, non vogliono vedere il caos che un errore della polizia, o un errore giudiziario di questo genere, reso pubblico, potrebbe provocare, sono ancora più incerti perché non sanno chi incolpare e, di conseguenza, nella grande maggioranza preferiscono tacere. — E allora mi vuoi dire chi è che manifesta apertamente la propria opinione? — domandò Pitt, misurando tutta l'ironia di quella situazione. — Nemici di FitzJames che sono tanto potenti da non provare la minima paura di lui? C'è da sperare che si possa trovare l'assassino tra loro? O perlomeno l'uomo che ha portato sulla scena del delitto gli oggetti di proprietà del giovane FitzJames perché noi li trovassimo? — No. — Jack non esitava. Il suo tono di voce era fermo, sicuro. — Purtroppo quelli fra i tuoi nemici che strepitano più forte sono i più convinti che Costigan sia stato accusato e condannato ingiustamente, e che la cosa si possa spiegare sostanzialmente con il fatto che un funzionario, di nomina troppo recente, è stato scelto per affrontare e risolvere casi politici di estrema delicatezza, prestando ascolto alla voce dei suoi padroni, e prendendo come capro espiatorio un piccolo, miserabile, abitante dell'East End in modo da poter proteggere qualche giovanotto dal sangue blu ozioso
e dissoluto. Il nome di FitzJames non è apparso sui giornali e nessuno l'ha menzionato, e oserei dire che sono in pochissimi a sapere chi è effettivamente il sospettato. — Ma come fanno a sapere che c'è addirittura un sospettato? — domandò Pitt. — Sanno chi sei, Thomas. Per quale motivo saresti stato convocato a occuparti di questo caso se non avesse delicatissimi risvolti di carattere politico o sociale? Se si trattasse semplicemente di un altro piccolo squallido omicidio casalingo... in altre parole, se non ci fosse stato nessun sospetto su qualche altra persona salvo Costigan o un altro del suo genere, perché, allora, fare intervenire te, e proprio la sera stessa in cui l'omicidio è stato scoperto? Pitt avrebbe dovuto immaginarlo. Era fin troppo ovvio. — Effettivamente... — Jack allungò le gambe incrociando le caviglie — ...sono pochissime le persone che hanno una vaga idea di chi possa essere coinvolto in tutto questo, ma la voce circola. Immagino che FitzJames abbia chiesto che gli venissero saldati alcuni vecchi debiti, e quindi adesso c'è qualche persona disposta a difendere la polizia... e sono quelle che ti sorprendono perché da loro non te lo saresti aspettato. — Proruppe in un piccolo grugnito di disgusto. — È interessante, in un certo senso, sapere quanto detestano la necessità di doverti difendere. Ma l'unica alternativa che rimanga a questa gente è di schierarsi dalla parte di chi esprime idee liberali, e mettere in dubbio l'impiccagione. Pitt lo guardò con tanto d'occhi. Effettivamente era proprio un'ironia della sorte che quelle persone, da Pitt particolarmente odiate e con le quali si trovava in disaccordo, fossero proprio quelle che si vedevano costrette a difenderlo; mentre quelli ai quali andavano d'istinto le sue simpatie fossero fra i primi ad attaccarlo. — Con l'esclusione di Somerset Carlisle — disse Jack con un sorriso inaspettato. — È un liberale irriducibile, e ti sta difendendo a spada tratta, senza scrupoli e senza porsi domande, mettendo a rischio in parte la propria reputazione politica. Immagino che tu sappia per quale motivo. — Sì, so perché — rispose Pitt. — Gli ho fatto un favore parecchi anni fa. Un affare piuttosto assurdo in Resurrection Row. Si è comportato seguendo rigorosamente la propria coscienza anche se credo che nessun altro avrebbe visto la situazione a quel modo. È molto poco ortodosso, però è uno di quegli uomini che agiscono soltanto secondo i propri convincimenti. Mi è sempre stato simpatico Somerset Carlisle. Sono... sono molto con-
tento che stia dalla mia parte... che questo riesca a essere di qualche utilità oppure no. Per un attimo a Pitt balenò di raccontare a Jack che Emily perlomeno era convinta dell'innocenza di FitzJames. Poi pensò a tutte le domande che Jack avrebbe potuto fargli come risultato di quell'osservazione, e alle quali avrebbe preferito non rispondere, almeno momentaneamente, e decise di tacere. — Ho paura che il Palazzo sia scontento — soggiunse Jack, con gli occhi fissi sulla faccia di Pitt. — Immagino che qualche ficcanaso si sia visto costretto a raccontarlo anche a Lei... Pitt rimase sorpreso. — Fa qualche differenza? — Non sapevo che tu, politicamente parlando, fossi così ingenuo, Thomas! Non esiste la minima possibilità che Lei intervenga, ma il puro e semplice accenno al suo nome potrebbe cambiare le cose. Manderebbe un notevole numero di persone a correre in giro, a darsi da fare, a interferire, a rendersi importanti. Renderebbe semplicemente ogni cosa più clamorosa, più difficile... e fornirebbe ad ancor più persone di prima un pretesto per fare commenti. E, come se non bastasse, darebbe sicuramente altra esca agli editorialisti dei giornali... come se non ne avessero già abbastanza! — Non ho ancora colto nell'opinione pubblica il terrore di due anni fa — disse Pitt con un po' di cautela. — Stavolta, piuttosto, si direbbe... rabbia! — Infatti — confermò Jack. — Rabbia, e un mucchio di chiacchiere sulla corruzione dei politici. E anche della polizia. — Tirò giù la gamba che teneva accavallata sull'altra e si protese in avanti. — Mi spiace. Avrei preferito non essere stato costretto a raccontarti tutto questo, ma il mio silenzio non cambierebbe la situazione, anzi servirebbe soltanto a privarti di quel poco di difesa a cui ti potresti preparare, essendo stato preavvisato. — Guardò dritto negli occhi Pitt, e tutto d'un tratto parve un po' imbarazzato. — E, per quel che può valere la mia opinione, non credo che tu abbia commesso un errore di giudizio così madornale, e so maledettamente bene che più onesto di così non potresti essere. Tutti noi ci illudiamo un pochino, vediamo quello che vogliamo vedere o ci aspettiamo di vedere, ma tu lo fai meno della gran parte di noi. E non mi è mai capitato di vederti trarre un vantaggio dalla disgrazia di un altro. — E prima che Pitt riuscisse in qualche modo a mettere insieme una risposta, Jack si alzò in piedi, gli fece un piccolo, beffardo, saluto militaresco, vagamente impacciato, e uscì. Quella mattina Charlotte prese la decisione di mettere insieme un po' di
vestiti e il resto che poteva essere necessario, e di portare Daniel e Jemima dalla nonna, non per scappare di fronte alla situazione ma piuttosto perché si sentiva obbligata a fare qualcosa. Se Emily conosceva Tallulah FitzJames perché la incontrava in società, ed era al corrente dei suoi segreti, anzi era riuscita a guadagnarsi una considerevole fiducia da parte della ragazza, allora ecco qual era il modo più logico di aiutare Pitt. Ma per farlo in modo efficace occorreva tempo e quindi lei doveva avere la possibilità di agire liberamente. Non poteva essere invece costretta a preoccuparsi in continuazione per i suoi bambini. Caroline le fece molte feste, anche se non riuscì a nascondere fino a che punto si sentisse in ansia. Tutta la casa aveva la solita aria familiare, ma le sembrò anche stranamente differente dal giorno del matrimonio di sua madre con Joshua Fielding. Anche lei era cambiata. Tutte le convenzioni sociali alle quali aveva ubbidito fin dall'infanzia erano state abbandonate con piacere, mentre altre, nuove, a poco a poco ne prendevano il posto. Gli arredi, i gingilli e gli ornamenti fra i quali Charlotte era cresciuta non si vedevano più. E con loro pareva scomparso anche il senso di solidità di prima, come la presenza di domestici dignitosi che si dedicavano alla conduzione della casa secondo regole ben precise. Charlotte si accorse di rimpiangerlo, ma nello stesso momento non poté fare a meno di sorridere di fronte alla grande felicità di sua madre. Il vecchio sistema aveva portato con sé anche una specie di sicurezza. Era familiare, pieno di memorie, in gran parte liete. I coprischienali di seggiole e poltrone erano scomparsi. Da bambina lei li aveva trovati buffi ed erano stati motivo di allegre risate, ma facevano anche parte della continuità, di quella uniformità che rendeva la casa comoda e accogliente. D'istinto alzò gli occhi verso le pareti in cerca di quei quadri, nature morte cupe e piuttosto squallide, che erano state regalate a suo padre da una zia molto amata. Lui le aveva odiate, tutti, in famiglia, le avevano odiate però erano state conservate per amore della zia Maude. Adesso non c'erano più. Come era sparito il bastone da passeggio di suo padre dal portaombrelli. Naturale che fosse così. In fondo non esisteva un vero motivo per non darlo via, dopo la sua morte; in realtà era stato semplicemente dimenticato. Però c'erano anche cose nuove: un vaso cinese sulla consolle del vestibolo. Una volta Caroline aveva detestato tutte le cineserie. Le trovava un'ostentazione. Invece c'era anche una scatola di lacca rossa, e una mezza dozzina di locandine teatrali. Uno scialle di seta dai colori brillanti penzo-
lava dal pilastrino in fondo alla scala, come se qualcuno ce lo avesse appoggiato distrattamente. Non c'era niente di male in tutto questo. Era semplicemente strano. — Come stai? — le domandò Caroline guardandola con aria preoccupata. Poi abbracciò i bambini, e li mandò subito in cucina perché si facessero dare un pezzo di torta e un bicchiere di latte, in modo da poter parlare a quattr'occhi con Charlotte. — Ho visto i giornali. Terribile. Così atrocemente ingiusto. — Un'espressione di amaro divertimento si disegnò sul suo viso. — Anche se da quando mi sono sposata con un israelita, mi accorgo di essere molto più attenta nel formulare giudizi precipitosi di quanto non fossi in passato, e mi rendo conto di come possano essere incredibilmente stupidi. Una volta avevo l'abitudine di stare così attenta a quello che pensava la gente! Adesso faccio semplicemente quello che voglio fare, e sono la persona che voglio essere. In certi momenti è meraviglioso, e in certi altri mi sento terrorizzata e ho paura di perdere tutto. Charlotte osservò sua madre sbalordita. Non l'aveva mai giudicata così consapevole della propria vulnerabilità, così pronta a correre rischi calcolati. Aveva immaginato che il suo amore per Joshua fosse stato talmente forte da non farle misurare quanto sarebbe potuto costarle. E si era sbagliata. Caroline ne era perfettamente consapevole. Aveva fatto la sua scelta volutamente, ma senza nascondersene i rischi. — Saresti disposta a occuparti di Daniel e Jemima per qualche giorno, per favore? — domandò a Caroline che la stava precedendo nel vecchio familiare salone. — Non ho il coraggio di lasciarli a casa. Gracie sarebbe capace di fare tutto il necessario per loro, ma è talmente furiosa con quelli che criticano Thomas che non mi meraviglierei se si mettesse a litigare con la gente per la strada, quando io non sono lì a impedirglielo, soprattutto se i bambini si dovessero impaurire per qualche motivo. E poi, in ogni caso, non è giusto aspettarsi che sia lei a consolarli quando sul conto del loro papà vengono dette cose tanto atroci! — Ma tu dove sarai? — le domandò Caroline, con l'aria di volerle far capire che non doveva neanche mettere in dubbio la buona volontà di offrirle il suo in aiuto. Si mise a sedere e indicò a Charlotte una delle poltrone. — Emily conosce la sorella dell'uomo che Thomas sospetta di essere dietro tutto questo — cominciò a spiegare Charlotte sedendosi di tre quarti in poltrona. — O perlomeno lo sono la sua famiglia e i suoi nemici. Devo far qualcosa per aiutarlo. Non posso semplicemente rimanere a casa a
compatirmi. Mamma, lo attaccano da ogni parte! Scrittori e uomini politici liberali, proprio le stesse persone che dovrebbero difenderlo perché Thomas la pensa come loro, lo stanno accusando di corruzione. La sua voce si stava facendo più alta e squillante, se ne accorgeva lei stessa, eppure la commozione che provava era troppo forte da controllare. — Dicono che ha fatto accusare e condannare Costigan per placare le paure della gente dopo quegli altri delitti di Whitechapel, che risalgono a due anni fa, e sostengono che a lui non importa se quello era il vero colpevole, o no. Avrebbe dovuto fare delle indagini sui giovanotti di buona famiglia che usano le prostitute invece delle donne della loro stessa classe sociale e affermano che l'establishment non si interessa minimamente di quello che succede ai poveri, basta che non scoppino scandali nel loro ambiente. Se... — Lo so — la interruppe Caroline. — Lo so, cara. Adesso leggo i giornali. Naturalmente è semplicistico, sciocco, e amaramente ingiusto. Ma non ti aspettavi che dicessero qualcosa del genere? — Io... — Charlotte si protese in avanti appoggiando il mento sui palmi delle mani. — Al momento, questo non è il nocciolo della questione — le rispose, deglutendo a fatica perché aveva la gola talmente chiusa, e le doleva tanto, che le pareva di soffocare. — Non posso impedirlo, quello. Posso andare a casa FitzJames con Emily, e cercar di scoprire sul loro conto molte più cose di quelle che Thomas, in un certo senso, potrebbe mai venire a sapere. Ho intenzione di andare a trovare Emily, addirittura adesso! — Naturalmente — disse Caroline, subito d'accordo. — Penserò io a fare in modo che Daniel e Jemima si trovino bene, e stiano tranquilli qui con me. Io... io... suppongo che sia inutile dirti di stare attenta, vero? — Infatti, è perfettamente inutile — replicò Charlotte. — Tu staresti attenta? — No. Charlotte ebbe un rapido sorriso, poi si alzò, abbracciò stretta stretta Caroline e si avviò alla porta. — Sicuro! — Emily si dichiarò immediatamente d'accordo quando Charlotte glielo domandò. Era andata da lei direttamente, uscendo dalla casa di Caroline. — Ma se vogliamo ottenere qualcosa che abbia un minimo di valore, dobbiamo vedere Finlay e non soltanto Tallulah. Sarebbe meglio presentarci verso la fine del pomeriggio, quando è più probabile che lui sia già di ritorno dal Foreign Office. Anche se, e te lo dico franca-
mente, non sono del tutto sicura che ci svolga un lavoro di grande impegno. E poi sarebbe meglio presentarci prima che lui si cambi per uscire. — Sì, mi pare che tutto questo abbia un senso — disse Caroline rassegnata, anche se capiva che le sarebbe riuscito difficile dominare la sua impazienza fino a quell'ora. — Dobbiamo assolutamente trovare qualche prova solida e sicura che Finlay era presente a quella disgraziatissima festa. Se riusciamo almeno a dimostrare la sua innocenza per quello che riguarda il primo delitto, allora sì che possiamo anche dimostrare che Thomas non lo ha perseguito legalmente in quanto sapeva che era innocente, e che lui, con la sua posizione sociale, non ha avuto niente a che fare con quello che è successo. Si trovavano nella stanza preferita di Emily, il salottino che si apriva sul giardino con il tappeto verde muschio e i tendaggi in un tessuto giallo con un delicato motivo floreale. C'era un vaso di crisantemi sul tavolino basso in legno di palissandro. — E poi — continuò — sarà necessario scoprire chi potrebbe aver ucciso tutte e due quelle donne. Abitavano abbastanza vicino l'una all'altra, può darsi che conoscessero le stesse persone. Secondo te, potrebbe trattarsi di un altro pazzo, Emily? — Non ci penso neanche, a meno di non essere costretta ad accettare l'evidenza — rispose Emily con un pallido sorriso. — Prima di tutto cerchiamo di dimostrare che Finlay è innocente. E di mangiare qualcosa. E intanto riflettiamo su quello che vogliamo dire. Meglio essere preparati, e la fame non ci sarà di nessun aiuto. Arrivarono in Devonshire Street alle quattro meno un quarto, e furono ricevute da Tallulah nel suo boudoir, il salottino riservato unicamente alle signore. Si mostrò felicissima di rivedere Emily, ma rimase un po' sconcertata quando la vide accompagnata da un'altra persona che per lei era una perfetta sconosciuta. — Mia sorella Charlotte — la presentò Emily. — Sono sicura che non ti dispiacerà se l'ho condotta con me. È piena di risorse e ho pensato che forse avrebbe potuto aiutarci per risolvere il dilemma che dobbiamo affrontare. È già al corrente di alcune delle circostanze. Tallulah non nascose di essere un po' perplessa. Evidentemente non le era neanche passato per la testa che Emily potesse aver confidato a qualcun altro la situazione nella quale si trovavano. Ma Emily finse di non accorgersi di tutte quelle incertezze e continuò a
parlare con aria piena di candore. — Siamo al punto in cui bisogna fornire le prove di come sono andate le cose, e una volta per tutte. — Scrollò lievemente la testa con aria piena di comprensione. — Finirai per essere costretta ad ammettere che c'eri anche tu, a quella disgraziatissima festa, e che ci hai visto Finlay. — Nessuno mi crederà! — esclamò Tallulah esasperata, lanciando a Charlotte un'occhiata carica di nervosismo, e poi tornando a fissare Emily. Si erano accomodate nelle poltroncine foderate con un tessuto a fiori, ma Tallulah era rimasta appollaiata, visibilmente a disagio, sull'orlo della propria. — Abbiamo già discusso ampiamente tutto questo — protestò. — Se avesse potuto essere anche solo del minimo aiuto, lo avrei detto fin dal principio. Come puoi pensare che avrei permesso che Finlay venisse sospettato, potendo evitarlo? Ma per chi mi hai preso? — I suoi occhi erano stranamente scintillanti, come se fossero lucidi di lacrime, e le sue mani erano strette a pugno in grembo. Emily stava pensando a come formulare la propria risposta in modo da non peggiorare la situazione, che era già estremamente difficile. — Secondo me, tu sei spaventata per un fratello al quale vuoi bene — si decise a rispondere alla fine. — E la stessa cosa vale per me. Voglio bene a mia sorella e farei tutto il possibile per salvarla da una punizione ingiusta. — Ebbe un sorriso che poteva sembrare di scusa. — Credo che mi metterei d'impegno, mi darei da fare, anche per cercare di mitigare una punizione giusta, in caso di necessità. Come lei stessa farebbe per me... e come ha fatto. — Guardò Tallulah con occhi pieni di dolcezza. — Ma, proprio perché le voglio bene e ci tengo tanto, credo che non riuscirei a riflettere con la stessa lucidità che userei nel caso si trattasse di una persona alla quale sono meno legata dall'affetto. Aspettò, guardando Tallulah con attenzione. Lentamente Tallulah si calmò. — Sicuramente. Mi spiace. È un tale incubo, questo! E confesso di non essere più quella di sempre, da un po' di tempo. — Guardò Emily come se questa sua ultima osservazione non fosse semplicemente una figura retorica, ma la intendesse in un senso molto più letterale. Emily intuì la differenza. — Ah, sì? E chi saresti diventata, invece? — disse in un tono che non era proprio completamente scherzoso. — Una persona molto più virtuosa — replicò Tallulah, anche lei come se non fosse del tutto sicura se stava scherzando, oppure no. — Una perso-
na che non va più a feste divertenti, che non spreca più il suo tempo, che non mette vestiti che costano un occhio della testa e sono sempre all'ultima moda. — Sospirò. — Anzi, una persona che tutto sommato sta diventando un po' noiosa. Sto cercando di essere buona e, invece, mi accorgo di essere soltanto una rompiscatole. Chissà perché per essere buoni bisogna non fare più una sfilza incredibile di cose? E quasi sempre si tratta delle cose più divertenti. Essere virtuosa sembra qualcosa di... insulso! Così... grigio! — Dedicarsi alle opere buone può essere grigio — rispose Charlotte, ricordandosi di qualche cosa che aveva detto zia Vespasia. — Essere buoni, no; perché significa provare interesse per quello che si fa, perché in quello che si fa entrano anche in gioco i nostri sentimenti. A ben pensarci, non è proprio per niente qualcosa di scialbo o sbiadito. A ben pensarci, l'egoismo è grigio. Tallulah sorrise. — A sentirvi, si direbbe che siete veramente convinta di quello che dite. La mamma è persuasa che io voglia a tutti i costi salvarmi la reputazione. Papà è convinto che io cerchi di essere ubbidiente. Fin non si è accorto di niente. — Ma c'è qualcosa in tutto questo che abbia importanza? — domandò Emily. Tallulah alzò le spalle. — No. Veramente no. — E Jago? Tallulah cercò di ridere, ma non ci riuscì. — Lui è convinto che sia una posa, che sia un modo di comportarsi molto sciocco. Casomai avesse un'opinione in proposito, sono sicura che mi disprezza ancora di più per essere falsa. — Il suo viso adesso rifletteva il dolore, la confusione. — Io non so come migliorarmi, salvo comportandomi come se fossi veramente migliore. Insomma, lui che cosa si aspetta che io faccia? — Tirò il fiato, a fondo, ma il suo respiro era tremulo. — Secondo me, non riuscirebbe mai a trovarmi simpatica, indipendentemente da tutto quello che posso fare. — D'un tratto si abbandonò alla rabbia e al dolore di vedersi respinta. — E, in ogni caso, io non voglio riuscire simpatica! Ma chi diavolo volete che sia contento di essere simpatico? Non è altro che qualcosa di tiepido, sbiadito, la simpatia! A me piace il budino di riso! — sbottò infine. — Quando parliamo di affetto per qualcuno — Charlotte ribatté — magari vogliamo alludere soltanto al modo in cui questa persona ci fa provare qualcosa... dei sentimenti, diciamo... ma se si tratta realmente di amore, o anche di simpatia, dovremmo anche parlare della nostra preoccupazione
per ciò che queste persone sentono. Non si presume che l'amore sia totalmente disinteressato? Che ci spinga ad anteporre il bene di un'altra persona al nostro? — Io... io immagino di sì — Tallulah si decise infine a rispondere. — Non l'avevo mai visto sotto questo aspetto... Charlotte sorrise. — E invece, sì. La preoccupazione per vostro fratello non è affatto egoistica. Anzi siete preparata ad affrontare, personalmente, una gran quantità di cose spiacevoli perché lui possa essere discolpato e liberato da qualsiasi sospetto. La vostra reputazione non ne uscirà sicuramente consolidata sia fra le persone dell'ambiente in cui vivete in generale, sia con Jago in particolare se ammetterete di essere stata anche voi a quella festa. E sicuramente vostro padre non si mostrerà disposto a considerare favorevolmente questo fatto. Non è neppure escluso che vi venga ridotta la libertà di cui godete abitualmente oppure l'appannaggio sul quale fate sempre conto per rifornire il vostro guardaroba. Anzi, magari vi verrà addirittura sospeso. Tallulah era pallidissima. — Sì — mormorò a fior di labbra. — Lo so. Ma quello è diverso. — Strinse convulsamente le mani che teneva in grembo. — Fin è mio fratello. Lo conosco da quando sono nata. Se non mi schiero io dalla sua parte, chi lo farà? — Nessuno, probabilmente — disse Charlotte con molta schiettezza. — Ma per favore non giudicate così superficialmente la simpatia o l'affetto che si può provare per una persona. È terribilmente importante. In fondo, sapete, è un po' come voler bene a questa persona, e molto spesso si tratta di un sentimento che dura molto più a lungo e resiste più di qualsiasi passione. Si può anche smettere di essere innamorati, con la stessa facilità con la quale ci si innamora. Capita alla maggior parte di noi, soprattutto se non proviamo una vera simpatia e anche affetto per la persona della quale crediamo di essere innamorati. È un sentimento, quello di cui vi parlo, che non sempre si trasforma in amore. Ma, a volte, sì. Tallulah batté lievemente le palpebre e aggrottò le sopracciglia. — Vi piacerebbe trascorrere il resto della vostra esistenza con una persona che non trovate simpatica, ma proprio neanche un po'? — soggiunse Charlotte. — No, naturalmente! — Tallulah la guardò con attenzione come se cercasse di capire che tipo di donna lei era. — Sposereste una persona che vi piace soltanto, o vi è semplicemente simpatica, e che prova per voi esattamente la stessa blanda simpatia?
Charlotte non poté trattenere un largo sorriso. — No, non mi passerebbe neanche per la testa. Io ho fatto un matrimonio assolutamente al di fuori delle convenienze perché ero follemente innamorata di mio marito, e lo sono tuttora. — Be', Jago non mi ama — fu la risposta di Tallulah, tanto schietta quanto colma di disperazione. — E tutto quello che stiamo dicendo non ha il minimo senso, per di più, perché non gli sono neanche simpatica. — Non devi arrenderti ancora — intervenne Emily. — Limitarsi soltanto a non andare ai ricevimenti e comportarsi in un modo un po' diverso dal solito non basta. È negativo, tutto si riduce a non fare determinate cose. Non ci metti nessun impegno, e lui lo sa. Devi trovare qualcosa da fare che ti interessi, una causa per cui combattere. Ci penseremo quando avremo vinto questa battaglia. E omicidi terribili come questi ci offrono una causa di una certa importanza. Se nessuno ha intenzione di crederti, dovremo cercar di scoprire qualcun altro che era presente quella sera, e abbastanza sobrio da ricordare di aver visto Finlay o, se non Finlay, almeno te. Basterebbe a provare che siete stati in quel posto. Potrebbe sollecitare qualcuno a ricordare meglio. Sei disposta a fare una cosa del genere? — Certamente. — Tallulah era pallida ma non esitò. — Non appena torna a casa, gli parleremo. — Si allungò verso il campanello e lo suonò. Quando la cameriera venne a rispondere, aspettandosi che le chiedessero di servire il tè, Tallulah la pregò di avvertirle appena il signor Finlay fosse rientrato. — Sì, signorina. C'è qualche messaggio? — Solo che devo assolutamente vederlo per una questione della massima urgenza — rispose Tallulah. — Riguarda lui, e può darsi che gli sia utile. Per favore, ricordati di avvisarlo immediatamente, e poi vieni ad avvertirmi. La cameriera si era appena ritirata, quando si sentì di nuovo bussare alla porta e, prima che Tallulah facesse in tempo a dire "Avanti!", si aprì per far entrare Aloysia FitzJames. Era una donna molto bella e aveva un modo di fare quieto, sereno, da persona bene educata. L'espressione del suo viso era tranquilla, come se cercasse deliberatamente di rifiutarsi di accettare tutto quello che era brutto e con la pura e semplice forza di volontà si fosse creata un suo mondo privato. — Buon giorno — disse mentre tutte si alzavano per salutarla. — Come siete state gentili a venirci a trovare. — Ormai l'ora per le visite ufficiali, e anche per quelle che si facevano fra amiche intime e quindi senza troppe
formalità, era passata, e già da parecchio tempo. La loro presenza in casa FitzJames esigeva qualche spiegazione. — Mamma — cominciò Tallulah — queste sono le mie buone amiche, la signora Radley e sua sorella, la signora... — Fu costretta a esitare, perché il nome di Charlotte non le era stato detto. — Pitt — disse Charlotte, affrettandosi a colmare quella lacuna. Passò un attimo prima che Tallulah si rendesse conto di quello che aveva sentito dire. Lanciò un'occhiata a Emily, lesse la costernazione sulla sua faccia, si voltò verso Charlotte e notò la stessa cosa. Di colpo si sentì travolgere da un'ondata di collera e dalla sensazione di essere tradita, che riuscì a dominare soltanto con enorme difficoltà. Aloysia non si era accorta di niente. — Piacere, come state, signora Radley, signora Pitt — disse con un sorriso. — Tallulah, mia cara, le tue ospiti rimangono per cena? Credo che sarebbe il momento opportuno per avvisare la cuoca. — No — rispose a denti stretti Tallulah. — Hanno altri impegni, ai quali non possono rinunciare, che non lo consentono. — Che peccato — disse Aloysia, stringendosi lievemente nelle spalle. — Sarebbe stato gradevole avere una conversazione interessante a tavola, durante la cena. Gli uomini hanno la tendenza a parlare di politica per gran parte del tempo, non trovate anche voi? — Sì, è verissimo — confermò Emily. — Mio marito è membro del Parlamento. E io ne sento parlare in abbondanza. — E vostro marito, signora Pitt? — provò a chiedere Aloysia. — Conosciamo già il marito della signora Pitt — rispose Tallulah malignamente. — È un poliziotto! — Si rivolse a Charlotte. — Immagino che, a tavola, all'ora di cena, sentirete parlare di cose di ogni genere, vero? Ladri, piromani, prostitute... — E assassini... e uomini politici — concluse Charlotte con una risatina nervosa. — Di solito separatamente, ma non sempre. — Sono molto spiacente per quelle donne che sono state uccise — disse Aloysia guardando Emily, e poi Charlotte. — Chissà... Se rendessimo illegale la prostituzione, si potrebbe evitare che succedano cose di questo genere? — Non credo che servirebbe, signora FitzJames — rispose Charlotte con insuperabile gentilezza. — Non ha alcun senso fare una legge che poi non si può applicare e far rispettare. Aloysia la guardò sgranando gli occhi. — Possibile? Ma la legge deve
essere una questione di ideali, non vi pare, signora Pitt? Non possiamo chiamarci un popolo civile o cristiano se facciamo leggi soltanto su quei soggetti sui quali siamo sicuri di avere il pieno controllo. Ogni crimine deve essere contro la legge, altrimenti la legge non ha più alcun valore. Mio marito lo ha detto molte volte. — Se viene approvata una legge contro qualche cosa, questo basta a definirlo un crimine — obiettò Charlotte, che riusciva ancora a dominarsi e a non perder la pazienza. — C'è una quantità incredibile di cose che sono peccati, come la menzogna, l'adulterio, l'invidia, il dolo, il cattivo carattere, ma sarebbe assolutamente privo di praticità trasformarli in crimini contro la legge, perché non siamo in grado di controllarli, o fornirne le prove, o punire le persone che li commettono. — Ma la prostituzione è del tutto diversa, mia cara signora Pitt — replicò Aloysia con convinzione. — È profondamente immorale. È la rovina di uomini buoni, e il tradimento delle donne, delle famiglie. È qualcosa di incredibilmente sordido! Non riesco davvero a credere che conosciate sul serio l'argomento del quale state parlando... — Respirò profondamente. — E neanch'io, naturalmente. — Non ho nessuna intenzione di prenderne le difese, signora FitzJames — replicò Charlotte, cercando di reprimere la risatina irrefrenabile che le saliva alle labbra. Tallulah era talmente furiosa da non riuscire quasi a dominarsi. — Io credo semplicemente che sia impossibile impedirla. Se desiderassimo sinceramente farlo, dovremmo andare direttamente alla radice del problema, a quella che causa la prostituzione, le donne che la praticano e gli uomini che si servono di loro. Aloysia la fissò con tanto d'occhi. — Non ho la minima idea di quello che intendete dire. Charlotte si arrese. — Forse non sono molto brava a spiegarmi. Chiedo scusa. Aloysia le rivolse un sorriso incantevole. — Per carità, non ha la minima importanza. Tornerete forse un altro giorno? È stato un piacere conoscerle, signora Radley, signora Pitt. — E con questo, dopo aver fatto qualche commento sul tempo, si ritirò. Tallulah lanciò un'occhiataccia a Emily, ignorando volutamente Charlotte. — Come hai potuto? — esclamò furiosa. — Sto cominciando a pensare che hai fatto di tutto per conoscermi fin dal primo momento. Devi aver trovato le mie confidenze molto divertenti, se non particolarmente istrutti-
ve. Poi si voltò di scatto verso Charlotte. — Con tutto questo, non si è ancora riusciti a prosciogliere vostro marito dall'accusa di aver mandato sulla forca l'uomo sbagliato, vero? E adesso voi siete qui per cercare di aiutarlo a fare impiccare la persona che credete sia quella giusta, stavolta? Emily aprì la bocca per dare le spiegazioni del caso, ma Charlotte la prevenne e rispose per lei. — Se quello che dite è vero, e io vi credo, in tal caso non si tratta assolutamente di vostro fratello. Non è tanto nel vostro interesse quanto nel mio che lui venga prosciolto da qualsiasi accusa, e nel modo più totale e completo? Provare che si trovava in tutt'altro posto la prima volta sarebbe un ottimo punto di partenza, ma provare che qualcun altro è sicuramente colpevole sarebbe una soluzione ancora migliore. A questo modo si eliminerebbe anche il più piccolo dubbio in proposito. — Respirò profondamente. — Avrei creduto che foste anche voi molto ansiosa di sapere chi può essere la persona tanto determinata a incriminarlo. Io lo sarei, se si trattasse di mio fratello... o di una qualsiasi altra persona alla quale volessi bene. — Abbiamo tutte gli stessi interessi, anche se per motivi leggermente diversi — le fece notare Emily in tono pratico. — E devo anche partire dal presupposto che siamo tutte convinte dell'innocenza di Finlay? — Sì — rispose Charlotte. — So che è innocente — confermò Tallulah. Emily le rivolse un sorriso disarmante. — In tal caso vogliamo fingere di essere ancora amiche, almeno per il momento? Tallulah accettò con sorprendente cortesia e buona grazia, considerando la sua rabbia furiosa di poco prima. Quando arrivò a casa, Finlay si diresse quasi immediatamente verso il boudoir, dove rimase piuttosto sconcertato di vedere altre due signore in compagnia di sua sorella. Non conosceva Charlotte e non si ricordava di Emily. Tallulah le presentò, evitando di pronunciare il cognome di Charlotte, ma mostrandosi straordinariamente cortese e premurosa nei suoi confronti. Non solo, ma si affrettò a spiegare il suo desiderio di essere di aiuto come se ne fosse stata al corrente fin dal principio. Finlay sembrò dubbioso, anche se nei suoi occhi passò un lampo divertito. — Vi ringrazio per la vostra fiducia — disse secco secco, sfiorando Tallulah sulla spalla in un gesto familiare di affetto, e forse di gratitudine. — Sei preparata sul serio ad affrontare quello che papà potrà dire se gli rac-
conterai di essere stata in quel posto? Potrebbe anche non essere molto facile trovare qualcuno che sia disposto ad ammetterlo. Io non mi ricordo niente, e nel modo più totale. Salvo che so perfettamente di non essere mai andato neanche nei paraggi di Pentecost Alley. La prima cosa che posso ricordare chiaramente è il mal di testa atroce della mattina dopo. Non è escluso che molte altre persone lo abbiano avuto anche loro. — La sua faccia adesso aveva un'espressione triste, desolata. — Non potrei nemmeno sostenere davanti a una giuria di sapere chi c'era e chi non c'era. — Può darsi che qualcuno degli altri sia stato un poco più sobrio di te, Fin — gli fece notare Tallulah. Lui proruppe in una risata priva di entusiasmo, e poi si rivolse a Emily con un sorriso. — Bene, posso fornirti un elenco del genere di persone che con molta probabilità si trovavano a quella festa. E posso domandare a ciascuna di loro se c'erano e se si ricordano di avermi visto. Magari se ne trova uno disposto a confessare. — Sono io quella che devono aver visto — gli fece notare Tallulah. — Perché a questo modo la gente crederà a me quando dirò di averti visto a mia volta. Non è necessario che la cosa venga risaputa pubblicamente. Perlomeno... — Si rivolse a Charlotte. — Oppure sì? Mi spiego, non è come se tutta la buona società debba proprio esserne messa al corrente? — O magari il Foreign Office? — Soggiunse Finlay. — Anche se non sono del tutto sicuro che adesso farebbe una grande differenza. — Si cacciò le mani in tasca e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza. — Anzi nessuna, nel modo più totale, se mi accuseranno di aver ammazzato Nora Gough. O perfino se dovessero sospettarmi di quell'omicidio e nessun altro venisse accusato. — Sembrava sfiduciato. Nei suoi occhi era apparsa un'espressione di terrore puro, come se si rendesse conto che il disastro era inevitabile, ma non riuscisse ancora a capire da che parte poteva essergli piombato addosso, e perché. — Qualcuno è decisissimo a incriminarvi, signor FitzJames — disse Charlotte con aria grave. — Hanno preso degli oggetti di vostra proprietà per disporli sulla scena di ben due delitti. Deve essere qualcuno che vi odia con un'intensità addirittura maniacale... — Oppure odia mio padre — la interruppe Finlay. — Non riesco a immaginare che esista nessuno capace di odiarmi fino a questo punto. C'è qualcuno che mi ha in antipatia, naturalmente. E alcune persone potrebbero essere invidiose della ricchezza della mia famiglia, o delle opportunità che mi si offrono. Oso dire che c'è anche qualcuno pienamente convinto
che io non meriti la posizione che occupo... figurarsi poi un eventuale posto di ambasciatore in futuro! — Guardò prima Charlotte, poi Emily. — Ma io non ho violentato la moglie di nessuno, non me ne sono andato alla chetichella senza pagare i debiti di gioco, non ho rubato niente o... be', niente. — Si era fermato in fondo alla stanza e adesso le fissava, con aria di sfida ma anche con una sensazione di impotenza, come se gli fosse apparsa davanti agli occhi un'orribile realtà che gli aveva fatto morire in gola le parole che stava per dire. — Ebbene, forse si tratta di vostro padre — disse Charlotte. — Ma c'è un altro punto, signor FitzJames. Di chiunque si tratti, è una persona che deve conoscervi molto bene. Era in possesso del vostro distintivo e del gemello da camicia. E poi non c'è solo quello, ma sapeva che non sareste stato in grado di fornire indicazioni precise su dove vi trovavate quella sera. Sarebbe stato ben poco utile cercare di incolparvi se foste stato a cena con la vostra famiglia, o da amici, o all'opera, per esempio. Tutte cose abbastanza probabili. Come poteva sapere che voi non vi trovavate in nessuno di questi posti? Finlay la fissò, mentre a poco a poco sulla sua faccia si disegnava un'espressione di atroce terrore. Aveva capito. Charlotte attese in silenzio. — Cosa? — domandò Tallulah, con voce alta e stridula. — Chi è, Fin? Finlay guardava fisso davanti a sé, la faccia livida, gli occhi colmi di terrore. — Chi? — ripeté Tallulah in tono ancora più concitato. — Jago! — replicò Finlay in un bisbiglio, poi proruppe in un colpo di tosse, evitando di girare la testa verso di lei: — Ho visto Jago Jones quel pomeriggio e, parlandogli, ho accennato alla mia intenzione di andare a una festa a Chelsea. Gli ho anche detto dov'era. Abbiamo perfino scherzato sul fatto che non era certo il genere di riunioni alle quali sarebbe stato disposto ad andare lui, che di questi tempi è diventato così bigotto e moralistico. Lui... — È impossibile! — lo interruppe bruscamente Tallulah. — È una cosa cattiva da dire... e sciocca. Sai benissimo che Jago non farebbe del male a nessuno... figurarsi poi... — Tacque di botto. La sua voce era lacrimosa, la sua faccia talmente pallida che sembrava sull'orlo di uno svenimento. — No, di certo — si affrettò a interloquire Emily, ma senza convinzione. — Però potrebbe averne parlato senza pensarci con qualcuno... — E con chi? — domandò Tallulah, girandosi di scatto verso di lei, in preda al panico, gli occhi lucidi di lacrime. — Per quale motivo avrebbe
dovuto raccontare a qualcuno che Finlay aveva intenzione di andare a una di quelle feste dove tutti si prendono una bella sbronza? E chi poteva conoscere Jago che avesse mai sentito parlare anche solo per caso di Fin? — Tornò a rivolgersi al fratello. — A chi altri lo hai detto? Qualcuno deve averti invitato! Prova a pensarci! — La sua voce stava facendosi più squillante, irosa, aspra per l'angoscia. — Non stare lì come uno... uno stupido. Chiunque avrebbe potuto vederti in quella casa ed essere andato via prima degli altri. Per amor di Dio, Fin, adopera il cervello! — Non lo so! — le gridò lui di rimando. — Se lo sapessi, non credi che te lo direi? Per amor di Dio, Tallulah, sono io quello che impiccheranno... non quel maledetto Jago! — Basta! — intervenne Charlotte con voce tagliente. — Non vi impiccheranno affatto se riusciremo a dimostrare che non potete essere colpevole. Ma dobbiamo adoperare il cervello. Prendercela l'uno con l'altro non servirà a niente. Controllatevi, e riflettete. Finlay si mise a fissarla a bocca aperta. — Ha ragione — ammise Tallulah, sia pure di malavoglia. — Chiunque, se si trovava in quel posto, avrebbe potuto vederti e affermare che eri lì. O semplicemente conoscerti quel tanto che bastava per essere sicuro che non ti saresti ricordato della serata come, del resto, buona parte degli altri. — C'è poi anche da tenere in considerazione il fatto che molte di quelle persone sarebbero poco disposte ad ammettere di essere state anche loro a quella festa — soggiunse Emily. — Provate con i vostri amici — fu il consiglio che diede Charlotte. — È impossibile che non ce ne sia neanche uno di loro disposto a confessare, unicamente per una questione d'onore, di aver bevuto lì, e di avervi visto, se non proprio nell'arco di tempo che ci interessa, almeno un po' prima. Può anche darsi che questa stessa persona sappia anche chi altri era presente quando la festa è cominciata. — Cosa avete intenzione di fare? — domandò Tallulah, rivolta in particolare a Charlotte, ma anche a Emily. Charlotte stava già correndo avanti con il pensiero. — Perché devo presumere che abbiate intenzione di fare qualcosa, vero? — continuò Tallulah. — In fondo, la questione è urgente per voi come lo è per noi... o perlomeno quasi altrettanto urgente. — Mi sembra un po' difficile — osservò Finlay in tono amareggiato. — Oh, certo che lo è! — obiettò Tallulah, lasciandosi cogliere di nuovo all'improvviso dalla collera. — Se non riuscissimo mai a trovarlo, tu sarai
rovinato per colpa del mistero e delle voci che circondano questo omicidio. Non ti succederà niente di male, ma neanche niente di buono. — Come se non lo sapessi! — esclamò Finlay, e la compassione che provava per se stesso era evidente non solo nella sua voce ma anche nella sua espressione. — E il marito della signora Pitt sarà rovinato anche lui, né più né meno come te — concluse Tallulah. — Perché lui ha mandato sulla forca l'uomo sbagliato e non è stato capace di catturare quello giusto. Finlay si voltò a guardare Charlotte con gli occhi sgranati; poi le sue gote diventarono di fiamma. — Pitt! Pitt... naturalmente. — Adesso aveva la voce velata dall'emozione. — Non avevo assolutamente messo in correlazione le due cose! Non avevo mai neanche pensato che i poliziotti avessero una moglie, figurarsi poi di un genere che potesse addirittura esser presa per una gentildonna! — E cominciò a ridere, mentre una nota stridula e acuta di isterismo si insinuava in quella risata e la faceva diventare sempre più acuta e squillante. A guardare Tallulah, si sarebbe detto che avesse avuto una gran voglia di prenderlo a schiaffi. — Scusatemi — disse a Charlotte, arrossendo lievemente. — Vi manderò un messaggio non appena avrò saputo qualcosa che possa avere un minimo di importanza. — Sarà quello che faremo anche noi — promise Emily, pur sapendo di non dire tutta la verità. Poi, con Charlotte, prese congedo. — Lui è impaurito — disse Emily, non appena si trovarono sedute nella sua carrozza che cominciava a muoversi lungo Devonshire Street. — Lo sarei anch'io — replicò Charlotte con veemenza — se sapessi di avere un nemico preparato a fare di tutto pur di vedermi sulla forca. — Rabbrividì, per un attimo senza riuscire a controllarsi, mentre si sentiva stringere il cuore da una morsa di gelo. — Ha torturato e ucciso due donne unicamente per annientare Finlay. Odiare una persona fino a questo punto è pazzesco. Emily si strinse le braccia contro il petto. — E adesso cos'hai intenzione di fare? — domandò a voce bassa. — Non so. Cercherò di vedere se esiste qualche connessione fra Ada McKinley e Nora Gough, immagino. Ma perché quell'uomo ha scelto proprio loro? Perché non qualche altra? — Magari non aveva importanza chi erano — disse Emily, avvilita. — Magari non c'è un motivo. Avrebbe potuto altrettanto facilmente trattarsi
di chiunque. — Adesso sembrava ancora più desolata di prima. — E se fosse stato Jago Jones? — In questo caso, sarà terribile — rispose Charlotte. — Ma è qualcosa che dovremo accettare. 10 Emily tornò a casa decisissima a fare tutto quello che poteva per lottare contro l'ingiustizia che le pareva di vedere incombere sulla testa di Finlay FitzJames. Forse lo faceva più per affetto verso Tallulah che per lui, anche se aveva intuito quale fosse la paura che lo dominava. Sarebbe stata pronta a giurare di fronte a qualsiasi autorità che Finlay non aveva la minima idea di come quegli oggetti di sua proprietà fossero finiti nella camera di Ada McKinley, e nemmeno di chi poteva averceli messi. Che qualcuno l'avesse fatto per vederlo accusare della sua morte era l'unica cosa certa nel quadro generale della situazione, squallido, cupo, caotico. Esisteva un nemico in qualche posto, che si teneva nell'ombra, un nemico implacabile che provava un odio tale da essere ormai ai limiti della follia. Ma per quale motivo? Non sembrava che Finlay ne avesse anche la più vaga idea, e più lei ci rifletteva più le sembrava di avere la certezza che dovesse trattarsi di un nemico di suo padre piuttosto che suo personale. La mattina seguente provò a parlarne con Jack durante la prima colazione. — Ho fatto molte riflessioni sul caso di cui Thomas si sta occupando attualmente — disse, prima ancora che lui avesse cominciato a servirsi dal piatto della pancetta. — Ho la sensazione che dobbiamo fare tutto quello che possiamo per essergli di aiuto. — Prese una piccola porzione di uova strapazzate e una fettina di pane tostato. — Finlay FitzJames non è colpevole, questo lo sappiamo... — No, non lo sappiamo affatto — rispose lui brusco. — Potrebbe benissimo essere colpevole. L'unica persona di cui sappiamo con sicurezza che era innocente è Albert Costigan... povero diavolo. — Forse è stata la speranza, e non la realtà dei fatti, a farmi parlare così. Io... — Meglio non menzionare Tallulah. L'avrebbe portata soltanto a un mucchio di complicazioni. — Non riesco proprio a credere che Thomas abbia potuto commettere un errore così madornale. Lui intanto si era servito due uova in camicia dal piatto di portata. — Vuoi forse dire che Costigan era colpevole? — domandò, alzando gli
occhi per fissarla con uno sguardo stranamente penetrante. — No... no, quello che intendevo era che Thomas non lascerebbe mai andare Finlay FitzJames soltanto perché è la persona che è. Non penserebbe mai di considerarlo innocente, e di non approfondire le indagini, perché... — si interruppe. Lui la stava osservando con visibile incredulità. — Conosci Finlay FitzJames? — le domandò. — Sì, mi è capitato di incontrarlo. — Non mentiva mai di primo acchito. Perché c'era una differenza sostanziale fra l'inganno e la discrezione. — Ma soltanto un paio di volte, e in tutte e due le occasioni è stato per un puro caso. Non posso dire di conoscerlo bene, personalmente. — Però è chiaro che in cuor tuo non hai dubbi sulla sua innocenza. — Jack diede alle sue parole il tono dell'affermazione, non della domanda. — Io... — Emily si mise rapidamente a dibattere con se stessa quale fosse la soluzione migliore. La giustizia e l'aiuto a Tallulah erano estremamente importanti. Una pura e semplice questione di giustizia o errore. Ma la sua onestà nei confronti di Jack, la fiducia fra loro, era altrettanto importante, anzi forse più importante perfino di quanto non avesse creduto anche solo cinque minuti prima. — Conosco sua sorella — soggiunse. — E lei ti ha raccontato qualcosa che ti ha convinto a credere nella sua innocenza — osservò Jack. Emily non si era aspettata che fosse tanto intuitivo. — Sì — ammise con un tono molto meno sicuro di prima. — Cosa ti ha raccontato, Emily? — Oh! Solo che lei, durante quel periodo di tempo, l'ha visto in tutt'altro posto. Thomas ne è stato informato. Ma non si può dire che sia una prova vera e propria. — Evidentemente — disse Jack con un sorrisetto agro. Poi inghiottì un boccone di uova e pancetta. Lei si rilassò leggermente e mangiucchiò qualche bocconcino di uova strapazzate e pane tostato, spalmato di burro. Non si udiva alcun rumore all'infuori del lieve fruscio del coltello sulla fetta di pane croccante. — Dove l'ha visto? — le domandò Jack. Emily provò un tuffo al cuore. — A una festa. — Mi pare che come spiegazione valga pochino. Non costringermi a cavarti le parole di bocca con la tenaglia, Emily. Che genere di festa? Una specie di orgia, presumo, dove non c'è uno solo degli invitati che si ricordi addirittura se ci è stato o no, figuriamoci poi se è capace di farsi tornare in
mente le altre persone che vi hanno partecipato. Ed è questo che lei ha raccontato a Thomas? — domandò poi. — Era persuasa che nessuno le avrebbe creduto. Aveva già raccontato una bugia dicendo di essere andata in tutt'altro posto. — Ma tu le hai creduto? — Sì. — Sarebbe di qualche utilità se ti domandassi per quale motivo lo hai fatto? — Veramente, no. Lui tornò al suo piatto di uova e pancetta. Emily si scoprì a non essere del tutto sicura se le credesse o no. — Conosci Augustus FitzJames? — gli domandò speranzosa. Lui non alzò gli occhi, ma le sue labbra si curvarono in una smorfia divertita, quasi come se fosse lì lì per scoppiare a ridere. — Stai cercando di ottenere informazioni senza averne l'aria? — Sì, proprio — ammise lei. — Lo conosci? — Superficialmente. E no, non so chi sia la persona che lo odia tanto da essere disposta ad arrivare fino a quel punto per vendicarsi di lui. Ma non smetterò di cercar di scoprirla, per Thomas. — Grazie — sospirò profondamente. — Ma è proprio un tipo così insopportabile? — Augustus? Sì, credo di sì. Da quello che sono riuscito a sapere non è crudele senza un valido motivo, molto più semplicemente se ne infischia di tutto e di tutti. Ha un grande senso della famiglia... della dinastia, se preferisci. Il che è abbastanza strano per una persona che proviene da un ambiente relativamente comune. O forse è proprio questo il motivo. I soldi gli hanno comprato tutto quello che possiede, ed è convinto di poter comprare ogni cosa. Ha ragione, e molto più spesso di quanto mi faccia piacere. — Ma ti sei messo a cercare chi potrebbero essere i suoi più grandi nemici? — Certamente. Cosa credi? Che anch'io non voglia bene a Thomas quanto te? Purtroppo alla Camera prendere le sue difese sta diventando un'impresa sempre più difficile. Gli attacchi sono in aumento. — I suoi occhi erano turbati. Dietro il suo sguardo onesto si nascondevano ombre cupe di preoccupazione. — Ma tutto si sistemerà per Thomas, vero? — Adesso sì che aveva paura sul serio, non per Tallulah o Finlay FitzJames, ma per Charlotte, forse perfino per Jack stesso, se avesse lasciato capire troppo chiaramente quali
erano i suoi legami familiari con lui. Mentre aspettava che suo marito le rispondesse, Emily gli sorrise. Fu un sorriso radioso, sincero fino in fondo; poi lacrime cocenti le sgorgarono a fiotti dagli occhi e le rigarono le guance. Lui si allungò attraverso il tavolo a prenderle una mano, la voltò e la baciò con infinita tenerezza sul palmo. — Non so — le confessò, e poi le strinse le dita con tutta la sua forza. Cornwallis aveva l'aria angustiata. Invitò Pitt ad accomodarsi, ma era troppo teso per mettersi a sedere anche lui. Cominciò a camminare avanti e indietro sul tappeto del suo ufficio, fermandosi solo di tanto in tanto, quasi come se volesse imporsi con uno sforzo di rimanere fermo. Non accennò al fatto che la campagna per ottenere la grazia per Costigan stava prendendo rinnovato vigore, ma lo sapevano tutti e due. E nemmeno gli disse che erano state poste parecchie interrogazioni alla Camera dei Comuni, e che non soltanto si rovesciavano su Pitt, ma anche su lui medesimo, le accuse per quella macchia incredibilmente ripugnante che era stata fatta alla giustizia inglese. — Siete riuscito a sapere qualcosa? — gli domandò pacatamente. La sua voce non vibrava di collera, non era nemmeno accusatrice. Cornwallis era quel tipo di uomo che rivelava tutta la sua forza nei momenti di crisi. Quando era messa a dura prova la sua lealtà, risultava ancora più chiaro da che parte si fosse schierato, e a chi volesse concederla totalmente. — Niente di utile — disse Pitt con sincerità. — Ho parlato di nuovo con Thirlstone e Helliwell, ma nessuno vuole ammettere che ci sia stato qualche grave dissenso fra i soci del club, anche se sta diventando chiaro che doveva essere sorta fra loro una certa antipatia. Che si siano separati da buoni amici, no senz'altro, ma ancora non ho la minima idea del perché. Anzi — aggiunse tristemente — non sono nemmeno del tutto sicuro, e ve lo dico con franchezza, che questo possa addirittura avere qualche importanza. — E che cosa mi dite di Jones? — domandò Cornwallis. — Non me lo avete menzionato. — Si era incupito perché evidentemente gli dispiaceva quello che stava per dire. — So che è un uomo di chiesa, e sicuramente sta compiendo un'opera splendida a Whitechapel, ma questo non significa che non possa nutrire un odio personale per un uomo come FitzJames. Voi non sapete quali antichi torti ci possano essere stati nel loro passato, Pitt. E, del resto, qualsiasi uomo non è invulnerabile davanti a certi desideri o alla so-
litudine che, in qualche occasione, può diventare opprimente. Lui ha scelto una via che lo porta a servire gli altri e ad annullare se stesso, ma è un uomo giovane. Può succedere che noi chiediamo troppo a noi stessi, e scopriamo che le nostre debolezze sono più forti di quel che sia sopportabile. A Pitt non sfuggì la commozione nella sua voce, e il senso di urgenza. Possibile che parlasse unicamente di Jago Jones? Anche lui aveva trascorso lunghi anni solitari in mare, aveva conosciuto l'isolamento di chi è al comando, la responsabilità della vita di ogni uomo sulla sua nave, senza nessuno a cui rivolgersi per avere un aiuto, a volte anche per sei mesi consecutivi. — Lo so — rispose Pitt a voce bassa. — Signore Iddio, fa' che non sia lui, e io non credo che sia lui, ma capisco che non è impossibile. Andrò a cercarlo. E poi ricomincerò nel modo più semplice e diretto possibile, ripartirò da capo con le prove che abbiamo relative all'omicidio di Nora Gough. Voglio saperne di più sul suo conto. — C'è qualcosa che può collegare le due vittime? — domandò Cornwallis, ricominciando a camminare in su e in giù, e fermandosi in un riquadro di luce del sole. — All'infuori della stessa professione e del fatto che abitassero nella stessa zona? — Non so. Tornerò a parlare con Ewart. Ormai dovrebbe aver trovato qualcosa. — È una brava persona — disse Cornwallis con molta serietà. — Ho dato un'occhiata alla sua documentazione. Tutti parlano bene di lui non solo per il suo successo in campo professionale, ma anche come uomo. La sua reputazione è eccellente. Tranquillo, coscienzioso, buon marito e padre di famiglia. Lavora con molto impegno ed è un gran risparmiatore. — La voce di Cornwallis rivelò una certa sorpresa. — Ha tre figli e una figlia. La figlia si è sposata bene, con un agricoltore, e vive in una località del Kent. Non ha problemi finanziari, tutt'altro. Il figlio maggiore ha un posto all'università, e gli altri due vorrebbero prendere la stessa strada. E queste sono realizzazioni considerevoli. — Non soggiunse "per un poliziotto qualsiasi". Si trattenne dal dirlo per questioni di tatto, ma era chiaro che lo stava pensando. — Non potremmo avere uomo migliore a lavorare con noi. — Sì — convenne Pitt. — È un brav'uomo. Lui non si è mai detto convinto che FitzJames avesse qualcosa a che vedere con Ada McKinley, sapete. Si è sempre detto sicuro che si trattasse di una persona del quartiere. Forse aveva ragione. Magari potrebbe trattarsi veramente di una tragedia domestica, come l'ha sempre definita. Avrei dovuto dargli più retta, presta-
re più attenzione ai suoi giudizi. Non ha mai pensato che la connessione con FitzJames avesse una qualche importanza, e forse è proprio così. Domani vado a parlargli. — Allora vuol dire che al centro di tutto questo problema non c'è nessun legame con FitzJames? — disse Cornwallis accigliandosi, più come se provasse ad abituarsi a una determinata idea che perché ne fosse sinceramente convinto. Si era fermato vicino al cannocchiale e al sestante appesi al muro, e il sole adesso lo colpiva in piena faccia e traeva barbagli di luce dalle levigate superfici di ottone. — Ma, e il fazzoletto? Potrebbe essere il suo, ma lo è veramente? — No. Chiunque avrebbe potuto farlo ricamare a quel modo. — E il bottone? — Costoso, ma lo si può ottenere facilmente. Basta andare da un buon sarto. — Quindi, tutto sommato, non significa un bel niente? — Non significa che FitzJames sia stato lì — lo corresse Pitt. — Significa che qualcuno avrebbe piacere che noi lo pensassimo. E questo qualcuno non è stato Costigan. Cornwallis scrollò lievemente la testa mentre i suoi occhi avevano un lampo di tristezza. — Così si ritorna nuovamente a Jones — disse a mezza voce. — Sembra proprio che sia lui il fattore comune, Pitt. — Lo so. — Dobbiamo affrontare questo fatto. Cercar di scoprire dove si trovava esattamente quando tutte e due le donne sono state uccise. Non perdere mai di vista le prove. Dimenticare il motivo per il quale potrebbero essere stati commessi i due delitti. Era socio anche lui di quel disgraziatissimo club. Vive e lavora a Whitechapel. Conosceva Ada McKinley. Forse ha conosciuto anche Nora Gough. — Scrollò impercettibilmente la testa. — So che secondo voi è qualcosa che sembra stonato e fuori luogo, dopo tutto quanto avete visto di quell'uomo, ma cosa ne sapete, in fin dei conti? — Non abbastanza — confessò Pitt, come se pronunciasse a fatica ognuna di quelle parole. — Si alzò in piedi. — Domani vado a cercarlo. Dopo aver parlato con Ewart. — Non aveva cuore di farlo quella sera stessa. Sapeva dove avrebbe trovato Jago: a distribuire scodelle di zuppa in Coke Street. Non voleva andare a interrogarlo mentre svolgeva quell'opera di carità. Domani sarebbe stato anche troppo presto. Quella sera stessa gli riusciva insopportabile.
Al mattino si recò presto in Whitechapel, e trovò Ewart già alla sua scrivania. Aveva l'aria stanca e malcontenta. Pitt non ebbe bisogno di domandargli se avesse scoperto qualcosa di importante, perché una risposta negativa era già lì, davanti ai suoi occhi, in ogni linea del suo viso e del suo corpo. Si era tagliato facendosi la barba e la sua faccia sembrava smagrita, sciupata. — Non ho trovato niente — disse ancor prima che Pitt glielo domandasse. — Le prove non hanno nessun significato. — Si lasciò scivolare contro la spalliera della poltrona, un po' ripiegato su se stesso, troppo stanco per mettersi ben eretto. Aveva l'aria stranamente sconfitta, se si considerava che sarebbe stato Pitt ad accollarsi ogni colpa. Magari adesso era contento che gli fosse stata tolta ogni responsabilità per le indagini di quel caso. — Lo so che il bottone e il fazzoletto non vogliono dir niente — cominciò Pitt, mentre prendeva posto sull'unica sedia disponibile. — Cos'altro abbiamo? — Niente. — Ewart allargò le mani. — Abbiamo parlato di nuovo con tutte quelle donne. Loro dicono di aver visto soltanto un uomo: un tipo giovanile, con i capelli biondi, ondulati. Ma stanno cominciando a essere meno sicure. C'è qualcuna che dice di non essere del tutto certa che fosse biondo. Come se avesse anche un minimo d'importanza! — Fece una smorfia curvando verso il basso gli angoli della bocca. — E, a ogni modo, la luce gioca sempre qualche strano scherzo. Lo stiamo cercando ancora adesso. Ho affidato le indagini a un certo numero di uomini, ma potrebbe trattarsi di chiunque. Magari era qualche bellimbusto che veniva dai quartieri dove abita la gente ricca, e non riusciremo a trovarlo mai. Pitt si protese verso di lui con uno scatto. — A ogni modo, se è lui l'uomo che ha fatto fuori Nora Gough e Ada McKinley, dobbiamo metterci in testa, e dev'essere chiaro a tutti, accidenti, che bisogna trovarlo! — disse con voce più alta e squillante di quanto non intendesse. — Qualcuno deve averlo visto! È arrivato. È andato via. Avete provato a ripetere la descrizione che vi hanno dato di lui le donne di Myrdle Street a quelle altre, che vivono in Pentecost Alley? — Sì, certo. — Ewart era troppo angosciato per reagire con lo stesso tono stizzito e nervoso di Pitt. — Dicono semplicemente che assomiglia a Costigan. Il che è vero. — Be', e Costigan... ha fratelli, cugini, o parenti di qualsiasi genere? — gli domandò Pitt.
Ewart ebbe un sorriso amareggiato. — Ho pensato anche a quello. No, non li ha. Rose Burke e Nan Sullivan sono tuttora convinte che sia stato Costigan. — E chi pensano che abbia ammazzato Nora Gough? — esclamò Pitt, sardonico. — Non so. Qualche pazzo che voleva copiare Costigan. — E perché, per amor di Dio! Non poteva di sicuro augurarsi che la colpa ricadesse su Costigan, vero? — Non so — disse Ewart. — Perché loro hanno visto Costigan e vogliono pensare che è stato catturato, condannato, che ormai è fuori dai piedi! Qualsiasi cosa loro pensino, non vale un bel niente. Qualcuno è stato là, un uomo dall'aspetto giovanile con folti capelli ondulati, e nessun altro è entrato o uscito, quindi non può che essere stato lui. Dio solo può sapere chi è... io, no! — Nessun altro è entrato o uscito? — ripeté Pitt. — Precisamente. Così dicono. E di lì non riesco a schiodarle! — Non sappiamo nient'altro su quest'uomo? — insistette Pitt. — Corporatura? Modo di camminare? Orecchie? Le orecchie delle persone possono essere infinitamente diverse. Possibile che nessuno abbia notato nient'altro? Costringetele a riflettere, a ricordare. — Non ditemi come devo fare il mio lavoro! — scattò Ewart, infuriandosi. — Ho chiesto già tutte queste cose. Nessuna gli ha badato in modo particolare. Era semplicemente un altro cliente. — Ma non c'è nessuno che abbia la funzione di sorvegliante, lì dentro? — Pitt non poteva permettersi di abbandonare quella linea di indagine. Non aveva in mano nient'altro. — Queste ragazze non hanno nessuna protezione? Non c'è qualcuno che tenga il conto dei clienti e si assicuri che loro ricevano la quota giusta di quello che si sono guadagnate? — Sì... e possono soltanto dire che era ben vestito e aveva una folta capigliatura. Ascoltate, Pitt. — Dimenticò il nuovo rango di Pitt e gli si rivolse come era sempre stato abituato a fare prima, cioè come un suo pari. — Ho passato e ripassato al setaccio la zona. Ho mandato i miei uomini in cerca di quest'uomo, ed erano tutti forniti della sua descrizione. Hanno provato con ogni altro bordello da Mile End a nord, fino a Limehouse a est, e fino alla Torre a ovest. Ciascuna persona interrogata ha visto come minimo almeno una mezza dozzina di uomini che rispondono a quei connotati. — Fece per aggiungere qualcosa, poi cambiò idea e vi rinunciò. — Non si è trovato niente.
Pitt si lasciò andare contro la spalliera della seggiola, esausto anche lui. E se a conti fatti fosse proprio stato Finlay FitzJames? Oppure Jago Jones, travolto da un insano e amaro miscuglio di odio nei confronti delle prostitute, e di Finlay, e di tutta la sua vita passata? Forse era stato Finlay a introdurlo in quell'ambiente. Era lì che bisognava cercare, era quella la radice della sua follia... il convincimento che, chissà come, Finlay fosse stato quello che lo aveva portato a scoprire il peccatore dentro di sé, con tutte le sue incontrollabili voglie? — Cosa c'è? — domandò Ewart, mettendosi a sedere più eretto e, con quella mossa improvvisa, facendo crollare una pila di carte e documenti col gomito. — Che cosa sapete? — Niente — rispose Pitt. — Ma dovrò andare a parlare di nuovo con il reverendo Jago Jones. — Jones? — esclamò Ewart stupitissimo, senza degnarsi di raccogliere quelle carte e quei documenti che erano caduti sul pavimento. — Pensate che sappia qualcosa? Ne dubito. Un brav'uomo, ma non conosce il mondo. Se sapesse qualcosa sarebbe già venuto a farci la sua deposizione. — La sua voce si affievolì di nuovo, mentre la speranza di un attimo prima si spegneva. — E in ogni caso sprecate il vostro tempo, andando a cercarlo. Non tradirebbe mai un suo parrocchiano, anche se sapesse con sicurezza di chi si tratta. Sono i voti sacerdotali, e via dicendo. Meglio continuare con un confronto fra Ada e Nora, vedere chi potrebbe averle conosciute tutte e due. Io ho già cominciato. — Frugò fra tutte quelle carte sparpagliate per terra e ne tirò fuori alcune. Le sospinse attraverso la scrivania verso Pitt. — Queste sono le persone che conoscevano entrambe le donne e che hanno avuto a che fare con loro in un modo o nell'altro: vestiti, biancheria, cosmetici, medicine, cibo, scarpe, perfino lenzuola per il letto. — Si lasciò sfuggire un grugnito. — Non mi ero mai reso conto che una prostituta consumasse tante lenzuola. Ecco, alcune di queste persone sono le stesse. — Naturale! — Pitt prese i fogli di carta, anche se non si aspettava che rivelassero qualcosa di interessante. — Non credo che ci siano poi tanti bottegai o commercianti che vendono cose del genere in una zona così piccola. Nessuno di loro risponde alla descrizione? — Finora no. In gran parte sono persone di mezza età e, durante l'arco di tempo che ci interessa, erano a casa con le loro famiglie. — Ewart ricadde nel suo avvilimento di poco prima, si lasciò andare contro la spalliera della poltrona, si accasciò su se stesso. — Da Lennox non avete saputo niente? — domandò Pitt.
— No. È stata uccisa esattamente allo stesso modo — rispose Ewart, la faccia stanca e tirata che rivelava tutta la sua angoscia. — Torturata allo stesso modo. Tutti i particolari coincidono, anche quelli di cui non è al corrente nessun altro all'infuori di noi. Dev'essere stata la stessa persona. — Non c'è proprio niente di diverso? — domandò Pitt a bassa voce. Lo squallido ufficio gli dava un senso di claustrofobia, gli pareva troppo piccolo per contenere emozioni e sentimenti così grandiosi e travolgenti. — No, niente del tutto — rispose Ewart. — Non è stato trovato nient'altro all'infuori del bottone e del fazzoletto? — continuò Pitt. — No. — Strano, vero? — Cosa? — Che tutte le prove, sulle due scene del delitto, coinvolgano Finlay FitzJames... — Sono prove indiziarie — disse Ewart con troppa prontezza, e poi scivolò un po' più giù nella poltrona, livido in faccia. — Volevo dire — continuò Pitt, sconcertato e inquieto — che non sembra naturale. Più le esamino, più mi sembra che, in tutti e due i casi, le prove siano state messe lì da qualcuno che lo ha fatto con la chiara intenzione che noi le trovassimo. Non c'è proprio nessuno, fra gli abitanti dell'uno e dell'altro casamento, che abbia mai visto Finlay FitzJames prima d'ora? Ewart tornò a mettersi eretto di scatto, e fu come se sussultasse. — No! — Un lampo di speranza gli illuminò la faccia. — Proverò a domandarlo a tutti di nuovo, ma sono sicuro di no. Avete ragione! È una coincidenza troppo clamorosa per supporre che sia andato lì per la prima volta a uccidere una donna che non aveva mai visto in vita sua. Per quale motivo avrebbe dovuto farlo, a meno di non essere completamente pazzo? Potrebbe averlo fatto una volta, se... — deglutì a fatica, come se la tensione gli chiudesse la gola con un nodo — ...se fosse stato ubriaco... o... talmente travolto dal desiderio, o la rabbia, o non so cos'altro! Ma quella sola volta avrebbe dovuto essere sufficiente a mettergli in corpo una paura da matti! Impossibile pensare che potesse tornare meno di due mesi dopo, e rifarlo. Specialmente sapendo che noi già avevamo dei sospetti sul suo conto. Adesso era chino sulla scrivania, l'espressione del viso animata, piena di interesse. — Lo avete conosciuto, Pitt. Vi sembra un uomo in preda all'alienazione mentale? O, piuttosto, un giovanotto che di tanto in tanto si è
comportato come uno stupido, ha perduto il controllo di sé, ha bevuto un po' troppo e non è più riuscito a ricordarsi quello che aveva fatto la sera prima, ed è terrorizzato all'idea di essere accusato di qualcosa di cui non era colpevole? Terrorizzato all'idea di deludere i suoi familiari, di vedersi disprezzare dal padre che gli potrebbe rendere l'esistenza estremamente sgradevole per parecchi mesi, se non addirittura per anni? Era proprio questa l'impressione che Finlay aveva lasciato in Pitt. Perfino lui non avrebbe potuto esprimerla in modo più perfetto. Era una descrizione acuta e piena di intuito dell'uomo che lui aveva visto. Sì, aveva sottovalutato le capacità di giudizio di Ewart. — Avete ragione — disse ad alta voce. — Tutto questo torna fuori ogni volta che qualcun altro cerca di dare a lui la colpa. — Guardò fissamente Ewart. — Abbiamo sbagliato con Costigan? Eppure ero talmente sicuro, nel modo più totale e assoluto, di aver ragione! Non avrei saputo spiegare gli stivaletti o la giarrettiera, ma ero convinto che l'avesse ammazzata lui. — Anch'io — si affrettò a soggiungere Ewart con aria grave. — E continuo a pensarlo. Gli stivaletti e la giarrettiera si possono spiegare con il cliente precedente. — E la seconda volta, con Nora? — domandò Pitt. — Possibile che fosse lo stesso cliente? — No, qualcuno deve averlo fatto per far pensare che si trattasse della stessa persona. — Strinse le labbra. — Mi spiace, signore, ma sembra proprio che sia stato il vostro reverendo. Comunque ha sempre avuto qualcosa del fanatico. Voglio dire... per quale motivo un gentiluomo, una persona benestante, avrebbe dovuto rinunciare improvvisamente a tutto e studiare per diventare sacerdote, e poi scegliere di venire a lavorare proprio qui a Whitechapel? — Scrollò la testa. — Le persone come lui non sono neanche costrette a lavorare! Provate a pensare un po' agli altri soci dell'antico Hellfire Club... Helliwell lavora nella City, ma soltanto quando ne ha voglia. E in realtà non ne avrebbe nemmeno bisogno. Gli piace soprattutto vivere bene. Ha una moglie da mantenere, e forse adesso anche dei figli. E dispone anche di una carrozza, di una casa grande, di domestici, e da ricevimenti. Quello che spende sua moglie in vestiti probabilmente è più di quanto Jago Jones può guadagnare in dieci anni. Pitt non trovò niente da obiettare. Ma altri pensieri gli affioravano alla mente. — E Thirlstone — continuò Ewart con un fremito nella voce. — Si diverte a fare l'artista. Ma non ne cava neanche un centesimo. Non ne ha bi-
sogno. Gli basta divertirsi. Non fa che passare da una conversazione imbecille a un'altra. Passeggia nel Parco, frequenta gli studi degli artisti e le mostre d'arte. FitzJames vuole diventare ambasciatore o entrare in Parlamento, però non lavora sodo ogni giorno come facciamo voi e io. Va al Foreign Office quando ne ha voglia. Si occupa soprattutto di coltivare l'amicizia delle persone giuste, di essere visto nei posti giusti. Pitt non disse niente. Non gli era sfuggito il disprezzo che trasudava dalla voce di Ewart e lo capiva, forse lo condivideva persino. — Ma Jones lavora dalla mattina fino a sera inoltrata — concluse Ewart. — E anche la domenica. Non so quanto lo pagano, ma dev'essere povero in canna! Indossa abiti vecchi, mangia come tutte le altre persone che vivono nel circondario. Probabilmente d'inverno ha freddo come loro, e senz'altro sta peggio di me. Perché? — Non so. — Pitt si alzò in piedi. — Avete ragione, tutto questo esige una risposta. Farete bene a continuare a cercare quest'uomo che è stato l'ultimo ad andare da Nora. — Non so più chi interrogare — protestò Ewart. — Abbiamo parlato con tutte le donne che abitano in quella casa, gli operai della fabbrica di bottiglie, gli abitanti del circondario, i bottegai. — Anche i mendicanti bisogna interrogare, e quelli che lavorano nella stessa strada — disse Pitt dalla porta. — Continuate a insistere con loro. Qualcuno deve averlo visto. Impossibile che sia uscito di lì e sia sparito nel nulla. — Girò il pomo della porta. — A meno che voi non abbiate qualche idea migliore? Lasciò Ewart nel suo ufficio buio e pieno di disordine per tornare in Myrdle Street. Il problema del cliente che era sparito nel nulla continuava ad arrovellargli il cervello. Doveva essere quello che l'aveva uccisa ma il fatto che nessuno ammettesse di averlo visto mentre andava via era significativo. In effetti, nessuno aveva nemmeno ammesso di averlo visto arrivare. La casa ospitava un bordello, e l'andirivieni era continuo. Si allontanò a passo svelto dal commissariato di polizia procedendo lungo la strada grigia, piena di traffico: uomini e donne che passavano su e giù per i marciapiedi, commercianti, impiegati, fattorini, garzoni, venditori ambulanti e strilloni che vendevano i giornali. Della morte di Nora si continuava a parlare in prima pagina, insieme alle proteste per l'innocenza di Costigan e alle richieste di una riforma. C'era perfino qualcuno che domandava l'abolizione della polizia, in quanto avevano fallito miseramente nel tentativo di catturare il primo maniaco di Whitechapel, e adesso un se-
condo. Pitt affrettò il passo; provava una gran voglia di girare la testa dall'altra parte. Ma nello stesso tempo si sentiva attirato contro la sua volontà verso quei fogli di giornale. La sua fantasia gli dipingeva titoloni a caratteri cubitali uno più sensazionale dell'altro. E quello che vide fu ancora peggio. Non gli venne risparmiato niente. — La polizia non conclude niente! — gridava uno dei ragazzini. — Whitechapel vive di nuovo nel terrore! E sui cartelloni portati da un uomo-sandwich lesse: "Il ritorno di Jack lo Squartatore? La polizia è impotente!". "Il sovrintendente Pitt si dà un gran daffare senza concludere niente! Sa forse qualcosa che non si azzarda a raccontare? Chi è l'assassino di Whitechapel?" Arrivò al caseggiato di Myrdle Street avvilito, teso, senza fiato. Nessuna delle donne era ancora alzata. Gli affari avevano ripreso il solito ritmo. Quando ci sono debiti da saldare non si può far passare un periodo di lutto decoroso prima di ricominciare il lavoro, e apparentemente il fatto che un omicidio fosse stato commesso lì, in quegli stessi locali, non aveva scoraggiato la clientela. Riuscì a tirar giù dal letto Edie con una certa difficoltà, e la donna si presentò nella cucina che dava sul retro con i lunghi capelli neri tutti arruffati, la faccia gonfia di sonno, una vestaglia buttata addosso con sciatteria. — Perdete il vostro tempo — disse acida, prendendo posto su una delle seggiole dallo schienale rigido. — Non c'è una sola di noi che sappia niente più di quanto vi abbiamo già detto. Non abbiamo visto entrare o andar fuori nessun altro, quella sera, salvo i nostri clienti. Non sappiamo chi fosse quel bellimbusto con i capelli biondi che è entrato nella camera di Nora, e non abbiamo sentito niente. — Lo so. — Pitt cercò di essere paziente. — Ma anche fuori non c'è stato nessuno che l'ha visto. Non ti sembra un po' strano, questo? — Già. E allora? Cosa vorreste dire, che abbiamo avuto un fantasma che è entrato qui dentro, ha strangolato Nora e poi se ne è andato di nuovo? — Fu scossa da un brivido che il suo corpo florido e prosperoso trasmise alla vestaglia in cui era avviluppata. — Siete pazzo! Una cosa del genere non esiste. Qualcuno dice una bugia, tutto qui. Qualcuno l'ha visto. Solo che non lo racconta. — Parecchie persone — disse Pitt con aria meditabonda. — Perché? — Non so. Non ha senso. Io voglio che quel bastardo venga imprigionato e che finisca sulla forca! — Si prese la faccia fra le mani dalle dita affu-
solate. — Nora era una carognetta sfacciata, ma nessuno meritava quello che è successo a lei. Quante volte avrei avuto voglia di prenderla a schiaffi anch'io. Ma poi vien da pensare che a tutti, un giorno o l'altro, capita di non riuscire ad andar d'accordo con gli altri, vero? — E Nora? Le capitava di non andar d'accordo con te? Edie fece una smorfia, come se volesse prendersi in giro, vagamente divertita: — Forse mi dava fastidio perché era carina. E riusciva a interessare gli uomini. Aveva un certo modo di fare... — Guardò Pitt con aria sprezzante. — E non parlo dei clienti. Ma dei tuoi uomini. Quelli che ti interessano. Me ne ha soffiato qualcuno che mi piaceva. — Non erano clienti? — domandò Pitt. — Non era gente che pagava? — Gesù! Lo si può anche fare per divertirsi, sapete! — esclamò indignata. — Be'... non spesso, magari. È bello aver qualcuno al quale piaci. I soldi non c'entrano. Ti tratta come se tu fossi una persona qualsiasi, non come se ti avesse comprato. È bello farsi quattro risate e volersi un po' di bene. — Sì, certo. E Nora era il tipo pronto a portarti via il tuo uomo e magari anche quello di qualche altra? — Un momento, non lo faceva sempre. Con me è successo soltanto una volta. Era un tipo che mi piaceva... ma così, senza impegno né da parte mia né da parte di lui. Lo faceva per abitudine, ecco, e a noi veniva voglia di sbatterla fuori! Ma non era cattiva, Nora. Se sapessi come metter le mani su quello che l'ha ammazzata, mi farei in quattro per aiutarvi! Anche voi siete un bel branco di inetti, maledizione! — Si passò le dita fra i capelli neri. — Gesù! A ogni modo una cosa è sicura, non è stato quel poveraccio di Costigan a farla fuori. E voi non avete preso quel bastardo che l'ha fatto, anche se ormai è la seconda volta che succede. Cos'aspettate, che lo faccia di nuovo, eh? Pensate di prenderlo la terza volta? Oppure sarà come nell'88, e lui vi farà marameo a tutti? — Si alzò in piedi avvolgendosi meglio nella vestaglia. — Io non so niente di più, e adesso me ne torno a letto. Non so per che cosa vi pagano. Se io non facessi il mio lavoro meglio di come voi fate il vostro, morirei di fame. Pitt andò a svegliare Pearl e Mabel, ma non venne a sapere niente di utile. Anche loro si limitarono a ripetergli quello che avevano già detto. Era l'ora di pranzo, e si accorse di avere fame. Si incamminò verso il fiume e la locanda più vicina, la stessa locanda di Swan Street dove, con Ewart e Lennox, si era trovato due sere prima che si aprisse il processo a Costigan. Si era sbagliato sul suo conto? Era stato davvero talmente ansioso di
crederlo colpevole da interpretare in modo totalmente sbagliato le sue parole? Doveva rifletterci, ritornarvi sopra con il pensiero, ma non era capace di ricordare le parole... solo la propria certezza che fosse stata un'ammissione di colpa. Andò al banco e ordinò una pinta di sidro e un panino imbottito di formaggio e sottaceti. Lo portò a un tavolo, si mise a sedere, e cominciò a mangiare ma senza assaporare niente. Il locale era rumoroso, affollato di facchini, carrettieri e operai. Su tutto aleggiava l'odore della segatura e della birra chiara; al suono delle voci si mescolava di tanto in tanto una risata. Era lì già da alcuni minuti e ormai era anche, praticamente, a metà del suo pasto, quando un omaccione con la giacca sbottonata cominciò a fissarlo in modo insistente. — Piedipiatti! — disse lentamente. — Tu sei quel piedipiatti che ha mandato Costigan sulla forca, giusto? Pitt alzò gli occhi a osservarlo. — Non l'ho mandato sulla forca — lo corresse. — L'ho arrestato. Il tribunale lo ha processato, la giuria lo ha trovato colpevole, e il giudice lo ha condannato. — Diede un altro morso al suo panino imbottito e gli girò le spalle. Qualche altra persona che era lì vicino smise di parlare. — Bravo, bene! — L'uomo alzò la voce. — Riempiti la pancia. E guarda dall'altra parte. Che importanza abbiamo noi? Siamo soltanto quei poveracci di Whitechapel. Impicca qualche altro disgraziato bastardo e poi vattene a casa a fare una bella dormita. — Il tono beffardo della sua voce si era fatto più antipatico, più minaccioso. — Dormi bene, vero, sbirro? Soltanto Costigan non si sveglierà più, eh? Perché tu lo hai impiccato! Ma non impedirà che qualche stramaledetto bellimbusto venga qui dai quartieri dove abitano i ricconi a usare le nostre donne, e poi a torturarle e strangolarle, eh? Un altro uomo si unì al primo, la faccia deformata dall'odio. — Quanto ti pagano, ce lo vuoi dire? Giuda! — Giuda! — fu il grido che proruppe dalla gola di un'altra mezza dozzina di persone. Tutti avevano smesso di mangiare. Nessuno chiacchierava più. Qualcuno si alzò in piedi. Il locandiere si mise a sbraitare raccomandando la calma ma si sentì rispondere di chiudere il becco. Un gruppetto di uomini si fece più vicino al tavolo di Pitt, l'espressione minacciosa.
— Si può sapere perché sei tornato qui, eh? Cosa speravi, di essere pagato di nuovo, magari? — Ti paga, lui, ogni volta che fa fuori qualche povera puttana, vero? — Già, e quanto? Lo vuoi dire? Quanto vale per te, sbirro, una delle nostre donne? Pitt aprì la bocca per parlare e qualcuno gli allungò un pugno. Lo prese di striscio, ma lo lasciò sconvolto per lo shock. E gli fece perdere l'equilibrio. Qualcuno gridò evviva, e qualcun altro scoppiò a ridere. Pitt si mise lentamente in piedi. Era più alto di quel che il suo avversario si fosse aspettato, e più robusto. L'uomo indietreggiò. Un altro gli si affiancò, pronto a dargli man forte. La situazione si stava facendo sempre più spiacevole. Pitt si accorse di provare un fremito improvviso di paura e di essere coperto di sudore dalla testa ai piedi. Sapeva che non si sarebbe lasciato sconfiggere senza lottare duramente, ma di fronte a un gruppo così numeroso di avversari le sue possibilità di batterli erano praticamente inesistenti. Lo avrebbero malmenato, ferito e percosso, forse lo avrebbero addirittura ucciso. L'uomo che gli stava più vicino, adesso, aveva cominciato a ondeggiare lentamente sulla punta dei piedi pronto a partire all'attacco, gli occhi che si spostavano a destra e a sinistra, la faccia coperta di sudore tanta era la sua eccitazione. Pitt ne poté annusare nell'aria l'odore acre. — Su, avanti! — gridò una voce squillante. — Che cosa aspettate? Il primo uomo lanciò un'occhiata di sottecchi al proprio fianco per assicurarsi che non avrebbe cominciato il pestaggio da solo. Vide la conferma negli occhi del suo compagno e si fece avanti, alzando le mani strette a pugno. Pitt spostò leggermente il proprio peso da una gamba all'altra per essere preparato al primo colpo. — Fermi! Tutti si immobilizzarono. Il tono di quella voce era autorevole. Non era stato un comando vero e proprio ma, nel locale, l'avevano sentito chiaramente. A Pitt morì il respiro in gola. Gli pareva quasi di soffocare. Il gruppo minaccioso di uomini venne scostato a gomitate e Jago Jones si fece largo a viva forza fra loro. Aveva la faccia risoluta, gli occhi fiammeggianti di collera. — Si può sapere che cosa accidenti sta succedendo qui? — domandò,
fissando prima uno di quegli uomini, poi un altro. — Non c'è bisogno di voi, reverendo — gli rispose qualcuno seccamente. — Continuate ad aiutare i malati e quelli che hanno bisogno di voi. Noi no, qui non vi vogliamo! Si udì un mormorio di conferma. Qualcuno allungò una mano verso di lui per dargli una spinta. Jago non vi badò. — Qui non avete niente da fare, reverendo. — Disse un altro uomo senza troppe cerimonie. — Continuate a occuparvi dei fatti vostri e lasciateci sbrigare i nostri da soli! — Che cosa state cercando di fare? — Jago lo stava fissando senza un fremito di incertezza. — Commettere un altro omicidio e dimostrare che siamo gente ignorante e stupida come ai ricchi piacerebbe credere? Ammazzate un sovrintendente di polizia che sta soltanto facendo il suo dovere, e quelli vi manderanno qui l'esercito prima che facciate in tempo ad alzare i tacchi e a squagliacela. Si sentì un sommesso borbottio di protesta ma, a uno a uno, quegli uomini indietreggiarono o vennero tirati indietro, lasciando Jago ad affrontare Pitt. — Avete finito il vostro pranzo? — gli domandò Jago, ma bastava osservare la sua espressione per capire che non era tanto una domanda quanto un ordine. Pitt deglutì. Gli restava ancora buona parte del panino imbottito da mangiare, e metà del sidro da bere. Afferrò il bicchiere e lo vuotò d'un sorso, poi prese in mano il panino imbottito. — Sì. Jago si voltò in direzione dell'uscita. Per qualche istante nessuno si mosse. Rimasero tutti insieme, schierati con aria bellicosa, quasi a sfidare Jago ad affrontarli. — Avete intenzione di attaccare anche me? — domandò lui con un impercettibile tremito nella voce. — È questa la vostra idea del coraggio e dell'intelligenza? È così che volete essere giudicati da quelli che vivono su, nei quartieri alti... animali che se la prendono con sacerdoti e poliziotti? Si udì un brontolio iroso ma altri indietreggiarono di un passo. Jago si fece strada tra la folla ammutolita. Gli occhi di quella gente erano incupiti, e molte mani ancora strette convulsamente a pugno. Nessuno si spostò più di tanto per lasciarli passare e Pitt fu costretto a sfiorare un paio di loro mentre usciva. Fuori l'aria si era fatta più fredda e puzzava di letame e di fogna, ma Pitt la aspirò a lunghe boccate come se fosse stata dolce come la brezza friz-
zante, pulita, che dal mare portava con sé odor di salmastro. — Grazie — disse con voce tremula. — Io... io non mi ero reso conto che la reazione del pubblico fosse così violenta... o così profonda. — C'è sempre qualcuno a cui piace mestar nel torbido — replicò Jago, incamminandosi a lunghi passi sulla strada che lo avrebbe riportato alla chiesa di St. Mary. — Opportunisti per motivi politici o semplicemente persone piene di odio, inetti o falliti che hanno bisogno di incolpare qualcuno del loro insuccesso. Voi eravate un bersaglio naturale. Siete stato un po' ingenuo a non intuirlo. Pitt non disse niente. Jago aveva ragione. Continuarono a camminare affiancati, a passo veloce. Pitt era andato da quelle parti perché non riusciva a scacciare il doloroso sospetto che Jago fosse l'anello di collegamento fra Finlay FitzJames e Whitechapel, fra il passato e il presente. Era l'unica persona di cui si sapeva, e senza ombra di dubbio, che conoscesse non solo Ada ma anche Finlay. E probabilmente conosceva anche Nora Gough. Era un pensiero che Pitt non sopportava. E non sopportava ancora di più l'idea di dover affrontare quell'argomento con Jago, che era arrivato appena in tempo per salvarlo, forse anche correndo qualche rischio personale. Pitt tirò il fiato e aprì la bocca per parlare, e stava per porgli una domanda quando Jago si fermò bruscamente. Avevano risalito Mansell Street e si trovavano all'angolo di Whitechapel Road. Il traffico era intenso, composto in gran parte di veicoli commerciali. — Devo andare a far visita a una donna alla quale è annegato il marito la settimana scorsa — disse Jago con voce più alta per cercar di superare il frastuono delle ruote dei carri e degli zoccoli dei cavalli. — Io starei un po' più attento a non correre rischi da queste parti, sovrintendente. Non fermatevi troppo in nessun posto. Se dovete interrogare un gruppo di persone, presentatevi accompagnato da qualche agente di polizia. Presumo che non abbiate ulteriori... — Il resto di ciò che voleva dire venne soffocato dal fracasso di un barroccio che passava. Pitt gli rivolse un rapido e luminoso sorriso, pieno di simpatia, poi si accinse ad attraversare la strada, scansando il traffico, e si dileguò. Pitt andò in cerca di Lennox. Non si poteva escludere che ci fosse qualche fatto che lui aveva notato ma omesso di menzionare, qualche componente diversa nel modo in cui il delitto era stato commesso, oppure che sa-
pesse qualcosa sulla natura e il carattere di un uomo capace di fare cose del genere a un suo simile. Lo trovò in una specie di baracca cadente, costruita con casse di legno semi-imputridito vicino ai gradini che portavano al fiume. Stava assistendo un vecchio con il corpo curvo e rattrappito scosso dal delirio, anche se Pitt non riuscì a capire se provocato dalla febbre o dagli effetti di qualche liquore di pessima qualità. Ma evidentemente a Lennox questo non importava. Parlava gentilmente con quell'infelice, cercando di aiutarlo a sistemarsi meglio sul giaciglio improvvisato, riaggiustandogli le coperte in disordine. Gli andò a prendere dell'acqua e tirò fuori di tasca mezza pagnotta, che l'uomo afferrò e alla quale diede un morso mettendosi poi a masticare molto lentamente, quasi come se non fosse in grado di inghiottire il boccone. Pitt aspettò che avesse finito e quando venne via di lì gli si affiancò, incamminandosi attraverso il vicolo verso la strada più ampia, poco oltre. Di tanto in tanto il sole del pomeriggio veniva nascosto dalle nuvole che correvano nel cielo da est sul fiume. — In che cosa posso esservi utile, sovrintendente? — domandò Lennox incuriosito. Aveva sempre l'aria affaticata, ma sembrava meno teso dell'ultima volta che Pitt lo aveva visto. Anche il suo viso appariva meno sciupato e sparuto. — Non riesco ad arrivare in porto con questo caso — gli rispose Pitt con franchezza. — Voi avete esaminato tutti e due i cadaveri. C'era qualche differenza, qualcosa di diverso, sia pure di poco, nel modo in cui erano stati trattati? Lennox continuò a camminare con lo sguardo fisso davanti a sé. — No. — Proprio niente del tutto? — insistette Pitt. — So che le calze usate per strangolare sia l'una che l'altra donna appartenevano a loro, ed erano annodate allo stesso modo. Ma c'è sempre soltanto un certo numero di modi in cui annodare un cappio e prepararlo per strangolare una persona. E cosa mi dite delle dita delle mani e dei piedi? Erano sempre le stesse, quelle slogate o fratturate? — Sì. — Il viso di Lennox adesso era contratto, rigido, come se continuasse tuttora a misurare mentalmente la sofferenza che doveva essere stata inflitta. Aveva gli angoli della bocca lividi. Una piccola vena gli pulsava su una tempia. — Esattamente gli stessi? — insistette Pitt.
— Sì, esattamente. Se state cercando di dire che due uomini diversi hanno commesso quegli omicidi, in tal caso temo di non potervi aiutare. So che Costigan è stato impiccato, e mi spiace. Vorrei essere capace di darvi qualche conforto... ma non posso. — Ostinato, procedeva a testa bassa, lo sguardo talmente assorto che pareva non vedesse niente di quello che aveva intorno, talmente preso dai propri sentimenti, dalle proprie emozioni che per poco non scivolò dal marciapiede. Solo la mano di Pitt che gli diede uno strattone, afferrandolo per un braccio e tirandolo indietro, glielo impedì. Passò veloce un hansom, e lo spostamento d'aria gli sollevò, arruffandoli, i capelli dalla fronte. — E cosa mi dite delle unghie? — insistette Pitt dopo che Lennox, anche se si era ripreso, continuava a non parlare. Adesso la strada era libera e la attraversarono insieme, passo passo, fino a raggiungere il marciapiede opposto. — Unghie? — domandò Lennox. — Sì. Una di quelle di Ada si è rotta quando deve aver cercato di strapparsi la calza dal collo. Ha lottato, sia pure per pochi istanti. Nora aveva qualche piccolo livido, e un po' di sangue sotto un'unghia. Era molto più piccola di statura, molto più esile, eppure si direbbe che abbia lottato più a lungo. — È una domanda, la vostra? — domandò Lennox, girando intorno a un mucchietto di rifiuti raccolti sul marciapiede. — Sì. — Anche Pitt lo aggirò, ma dall'altro lato. — Per quale motivo Nora riuscì a lottare più a lungo? Ecco una differenza! — Non lo so. — Lennox parve perplesso, una ruga si disegnò fra le sue sopracciglia. — Magari quell'altro ha colto Ada di sorpresa. Ci sono persone che lottano più energicamente di altre. Non ho idea del perché. La stessa cosa vale per le malattie. Ci sono persone che rimangono vittime di mali da cui pensereste che avrebbero dovuto guarire con estrema facilità. Altri si aggrappano alla vita e sopravvivono a malattie o a ferite che dovrebbero portarli alla morte, che farebbero morire chiunque altro. Evidentemente c'è di mezzo la volontà, non la statura o la forza fisica. Pitt stava aspettando che continuasse, ma Lennox invece tacque. — Ma gli elementi che avete ricavato dall'autopsia vi fanno pensare che sia stata la stessa persona a ucciderle entrambe? — disse Pitt dopo un minuto o due. Lennox si fermò e si voltò a guardarlo. Gli occhi erano seminascosti dalle palpebre e rivelavano confusione e dolore. Strinse le labbra.
— Non so, sovrintendente. Tutto quello che so è quello che vedo. È compito vostro dedurne l'innocenza o la colpevolezza. Io non posso esservi ulteriormente d'aiuto. Se potessi esserlo, se potessi puntare il dito contro qualcuno e dire "Quello è l'uomo", lo farei. Buon Dio, di questo siete sicuro, vero? Ho visto due giovani donne torturate, sottoposte a umiliazioni e terrore e sofferenza, e poi uccise! — La voce gli morì in gola e per un attimo non riuscì neppure a dominarsi tanto era violenta la commozione che lo aveva colto. Ansimò, come se gli mancasse il fiato, e cercò di deglutire nel tentativo di riuscire, almeno, a controllare l'espressione del proprio viso. Pitt allungò una mano e la posò sul braccio del giovane. Sentì i muscoli contratti in uno spasimo sotto il tessuto della giacca. — Per carità — disse a voce bassa. — Scusatemi. Non avrei dovuto insistere per saperne di più. Naturale che è la stessa persona. Non... non posso restituire la vita a Costigan, e si direbbe che io non riesca nemmeno a scoprire chi è il vero colpevole. Sto per cedere alla disperazione. Lennox aprì la bocca come se volesse parlare, e poi fissò Pitt profondamente angosciato e avvilito. — Mi spiace, dottor Lennox — si scusò Pitt. — Ho aspettato troppo ad affrontare qualcosa di cui ho timore, ma è venuto il momento di farlo. Vi ringrazio per il tempo che mi avete dedicato. Scusatemi se vi ho portato via agli altri vostri pazienti. — Lo lasciò andare e girò sui tacchi per tornare indietro verso Whitechapel Road e la chiesa di St. Mary. Era venuto il momento di affrontare Jago Jones. Trovò Jago in Coke Street, come già gli era capitato l'altra volta, a distribuire scodelle di zuppa calda ai vagabondi, agli affamati, a chi non aveva una casa. Solo che stavolta era aiutato da una donna con l'aria affaticata e la faccia sporca di fuliggine, alla quale riuscì a dare un nome soltanto a fatica: Tallulah FitzJames. Si fermò lì vicino a osservarli, ma senza cercare di richiamare la loro attenzione. Tallulah sembrava totalmente diversa dalla giovane donna gaia e piena di vivacità nervosa che aveva visto in Devonshire Street. Non fosse stato per quel suo viso dall'espressione così particolare forse non l'avrebbe neanche riconosciuta. Era totalmente assorbita da ciò che stava facendo, anche se di tanto in tanto non gli sfuggì che sul suo viso si disegnava una fuggevole espressione di ripugnanza, e che lei si sforzava di cancellarla applicandosi con impegno ancora maggiore in quel che stava facendo, tirar
su mestoli pieni di zuppa dal bidone che la conteneva e distribuirla. Un po' in disparte c'era un mucchio di vestiti usati fra i quali, di tanto in tanto, frugava, trovava qualcosa, e lo tirava fuori per consegnarlo a mani avide e impazienti. Per una bambinetta sporca con il naso che colava la sua scelta fu un poco più paziente e meticolosa; continuò a frugare fra quei capi di vestiario dai colori tetri finché non scoprì qualcosa di più allegro e vivace, un tessuto con un motivo in rosso. — Ecco qua — disse con un sorriso. E piena di tatto evitò di dire che era anche un bell'indumento caldo. — Vedrai come sarai carina con questo addosso! La bambina deglutì, poi tirò su col naso. Prima non aveva mai pensato a essere carina. Era un sogno, qualcosa che era permesso soltanto ad altre persone. — Prendilo — insistette Tallulah. — È tuo. La bambina non aveva parole. Sgranò gli occhi. Li alzò verso Tallulah e poi abbozzò un passo verso di lei, e infine un altro, e poi le buttò le braccia al collo. Per un attimo Tallulah sembrò impietrita, irrigidita dalla testa ai piedi tanto era istintiva la sua repulsione. Poi, con uno sforzo di volontà, sorrise chinandosi sulla bambina e ricambiando l'abbraccio. Le persone che erano in fila avanzavano lentamente, a una a una. Gli uomini non nascondevano il fastidio e il dispetto, non sopportavano di dover accettare la carità. Le donne, dalla faccia scavata e macilenta, i figlioletti sporchi fra le braccia, non avevano altrettanto orgoglio. Per loro il freddo e la fame di un bambino era qualcosa che le toccava ben più da vicino, e rimanevano indifferenti davanti alla necessità di confessare le condizioni in cui si trovavano o il loro stato di indigenza. Quando anche l'ultima scodella fu riempita, e Jago e Tallulah si ritrovarono soli con il loro carretto, Pitt li raggiunse. Tallulah stava raccogliendo da terra il sacco ormai vuoto dal quale aveva tirato fuori a poco a poco tutti quegli indumenti usati. Si domandò se non li avesse portati lì lei stessa, come un ulteriore contributo materiale oltre a quello della propria fatica. Jago lo salutò con il minimo di cortesia necessario, ma i suoi occhi erano stanchi, guardinghi. Tallulah era rimasta poco distante, sempre occupata a mettere ordine. — Cosa possiamo fare per voi, sovrintendente? Non so niente di più del-
l'ultima volta in cui ci siamo parlati. — Conoscevate Nora Gough? — gli domandò Pitt a bassa voce. — In quell'occasione non ho avuto l'opportunità di domandarvelo. Jago sorrise a dispetto di se stesso. — No, non era proprio l'occasione adatta, vero? Certo, la conoscevo superficialmente. Una bella ragazza. Molto giovane. Molto sicura di sé. Credo che sarebbe potuta diventare facilmente una di quelle che poi si sposano e diventano donne rispettabili. Capita, sapete? — E guardò Pitt per controllare se gli credesse o no. — Sì, lo so — confermò Pitt. — Anche a me è successo di vederlo accadere qualche volta. Jago sospirò. — Naturale. Scusatemi, non volevo darmi delle arie... — Avete qualche motivo per dire quello che avete detto... sul conto di Nora? — Direttamente, no. Era soltanto un'impressione. Perché? Credete che abbia una qualsiasi relazione con il suo omicidio? — Sto cercando di tutto, qualsiasi cosa. Sotto il suo guanciale è stato trovato un fazzoletto con le iniziali di Finlay. Jago si schiarì rumorosamente la gola, diventando d'un tratto pallidissimo. — Non penserete... — Si lasciò sfuggire un lungo sospiro. — Cosa volete da me, sovrintendente? Io non so niente su chi può essere stato a uccidere quelle due donne. Mi... mi riesce difficile credere che sia stato Finlay, e mi dispiacerebbe molto, molto di più di quel che potete immaginare, se dovesse essere veramente lui. — Non guardò Tallulah. In quel momento non dava l'impressione che il suo dolore di sorella fosse il primo dei suoi pensieri. — Un uomo che assomigliava a Finlay è stato l'ultimo cliente a essere visto mentre lasciava la camera di Nora — continuò Pitt, osservando attentamente Jago. — E voi pensate che fosse Finlay? — domandò Jago. — Non siete in grado di rintracciarlo? Eppure qualcun altro deve pur averlo visto dopo che lui ha lasciato Myrdle Street. Dov'è andato? A quell'ora del pomeriggio c'era in giro ogni sorta di persone. Perché mai Finlay sarebbe dovuto venire a Whitechapel proprio a quell'ora? Non è comprensibile. Non ha senso. Presumo che lui non sia in grado di dimostrare dove si trovasse, altrimenti non sareste qui a domandarmelo. — Continuò a tenere la voce bassa in modo che Tallulah, la quale aveva quasi finito, non potesse sentirlo. — No, non può — ammise Pitt. — E nessuno ha visto quest'uomo dopo
che ha lasciato la casa di Myrdle Street. — A chi lo avete domandato? — chiese Jago concentrandosi con le sopracciglia aggrottate. Pitt gli snocciolò i nomi che riusciva a ricordare dei vicini di casa con i quali lui ed Ewart avevano parlato. — E voi dove eravate, reverendo? — gli domandò infine. Jago scoppiò in un'aspra risata. — A fare quel gioco con i soldini che si devono spingere nelle caselle disegnate su un tavolo, insieme a una mezza dozzina di mocciosi; noi però lo abbiamo fatto sul lastricato di Chicksand Street. Poi sono tornato alla casa parrocchiale a prendere il tè con alcune signore piene di buoni propositi caritatevoli. Non sono andato neanche nelle vicinanze di Myrdle Street, e sicuramente non ho visto Finlay... o chiunque altro fosse. — Nessuno lo ha visto uscire. — Pitt si strinse nelle spalle. — Il che non sembra possibile. C'è da pensare che tutti raccontino delle fandonie? — No. — Jago sembrava sicuro. — Se nessuno l'ha visto, bisogna credere che dovete averlo descritto tanto poco accuratamente che quella gente non è riuscita a riconoscerlo dalle vostre parole... oppure non è affatto venuto via di lì. Pitt lo guardò con tanto d'occhi. E se quella fosse stata la verità? Forse la persona che stavano cercando, chiunque fosse, non era uscita in strada, ma aveva salito o ridisceso le scale rimanendo all'uno o all'altro piano della stessa casa? O aveva trasformato talmente il proprio aspetto da non assomigliare più assolutamente a un giovane con capelli biondi ondulati e abiti di buon taglio. — Grazie — disse lentamente. — Se non altro, adesso so dove provare di nuovo. — State attento — lo mise in guardia Jago. — Ricordatevi di farvi sempre accompagnare da uno dei vostri agenti. L'atmosfera non è delle più tranquille. A nessuno Costigan era simpatico, da vivo, ma adesso è diventato per tutti il classico eroe di comodo. La disperazione e la rabbia colpiscono a fondo, e ci sono sempre uomini disposti a sfruttarle, ad aizzare qualche povero imbecille perché se la prenda con la polizia e si accolli ogni colpa, così poi loro raccolgono i meriti e se ne avvantaggiano politicamente. — Lo so. — Adesso Pitt era ansioso di cominciare. — Non preoccupatevi, starò attento a non correre rischi. Non voglio essere il responsabile di una sommossa, oltre che di un'impiccagione. — E, senza attendere ancora,
si incamminò verso il commissariato di polizia di Whitechapel per chiedere che un agente lo accompagnasse di nuovo in Myrdle Street. 11 Il giorno successivo alla disgraziata esperienza di Pitt nella locanda di Swan Street, anche Charlotte si recò nell'East End, ma solo dopo essere passata da Emily ed essere andata con lei in visita da Tallulah. — Sappiamo che non è stato Finlay — disse Emily in tono deciso, sedendosi nel bovindo di Tallulah che guardava sul giardino con i suoi colori autunnali. — E disgraziatamente sappiamo anche come non sia stato Albert Costigan. E per tutta una serie di svariate ragioni che ci toccano da vicino ci occorre sapere chi è stato. Dobbiamo affrontare il problema e cercare di risolverlo in modo sistematico. — Non vedo che cosa si possa ancora fare che non ha già fatto la polizia — disse Tallulah, che non aveva più speranze. — Hanno interrogato chiunque. Lo so da Jago. Hanno perfino interrogato lui. Charlotte evitò accuratamente di incrociare lo sguardo di Emily. A tutte e due era balenato lo stesso pensiero odioso, e tutte e due lo avevano respinto, ma senza riuscire ad accantonarlo del tutto. — Cerchiamo di essere logiche — continuò Emily, guardando Tallulah. — Per quale motivo tu saresti pronta a uccidere qualcuno? Tallulah rimase sconcertata. — Come hai detto? — Per quale motivo tu saresti pronta a uccidere qualcuno? — ripeté Emily. — Se battessi il marciapiede campando alla bell'e meglio. Prova a lavorare di fantasia. Che cosa ti spingerebbe a commettere un'azione così grave, complicata e pericolosa come quella di uccidere qualcuno? — Se uccidessi qualcuno lo farei per un impulso improvviso — disse Tallulah con aria pensosa. — Non riuscirei proprio a immaginarmi mentre faccio dei piani o progetto un omicidio... a meno che non sia quello di una persona di cui ho paura e che so di non essere abbastanza forte da eliminare dalla mia vita in qualche altro modo. Ma non mi sembra che vada bene per questo caso, vero? — Quindi saresti disposta all'omicidio se avessi paura di una persona — riprese Emily, cercando di chiarirsi le idee. — Nient'altro? Che cosa ti farebbe perdere il lume della ragione fino al punto di uccidere qualcuno? — Magari se mi avessero schernito — disse Tallulah lentamente. — Forse mi verrebbe voglia di picchiarli, e potrei esagerare un po', ecco...
non fermarmi a tempo. A nessuno piace diventare il bersaglio delle beffe altrui, soprattutto se lo fanno per qualche motivo che ci tocca particolarmente da vicino. — Fino al punto di uccidere? — insistette Emily. Tallulah si morse un labbro. — Non proprio... forse, se avessi un caratteraccio. Ho visto certi uomini andare su tutte le furie se si mette in dubbio la loro onorabilità, oppure se la moglie o la madre vengono insultate. — Basterebbe per prendersela con qualcuno, certo — convenne Charlotte. — Ma abbastanza per fratturare le dita delle mani e dei piedi di una persona, prima, e poi strangolarla? Tallulah la guardò con gli occhi sgranati. La sua faccia, paurosamente impallidita, era diventata di un bianco gessoso. Charlotte si rese conto che Tallulah, naturalmente, non era abituata a leggere i giornali. Nessuno poteva averle descritto il modo in cui quelle donne erano morte. — Mi spiace — mormorò Charlotte. — Ho dimenticato che quello voi non lo sapevate. Non avrei dovuto dirlo. Tallulah deglutì a fatica. — E perché? — La sua voce adesso era rotta dall'emozione. — Perché avreste dovuto nascondermi la verità, proteggermi? Perché la verità è quella, eh? Sono state... torturate? — Sì. — Perché? Perché diavolo qualcuno può fare cose simili? È successa la stessa cosa per... tutte e due? — I suoi occhi imploravano Charlotte a rispondere di no. — Sì, purtroppo è successo proprio così. — Ma è orribile! — E poi ci sono state anche altre cose... — Emily lanciò a Charlotte un'occhiata di avvertimento — ...che lascerebbero quasi pensare che si sia trattato di quel genere di delitto che ha a che fare con... — Emily sembrava a disagio — ...cose stupide. Le persone a volte hanno... strane fantasie. C'è qualcuno che... — S'interruppe e si voltò a guardare Charlotte. Charlotte respirò a fondo. — Ogni genere di rapporto umano è strano — disse pacatamente. — A volte alle persone piace dire cose che feriscono e offendono gli altri, oppure che servono a dimostrare come siano loro ad avere in pugno una situazione. Ve ne sarete accorta di sicuro, vero? — Capisco. — Tallulah fece uno sforzo eroico per apparire perfettamente controllata. — Dunque significa che dev'esser stato qualcuno con una fortissima tendenza alla crudeltà già per carattere, e un uomo che... aveva una relazione fisica con lei. — Scoppiò in una risatina tremula. — Per
quanto, visto che quella era la sua professione, non mi sembra che sia il caso di meravigliarsi molto. Ma perché ucciderla? — Non so — rispose Emily. — C'è da pensare che lei possa averlo minacciato in qualche modo. — E come? — Tallulah era confusa. — Era molto più debole di lui. Dev'esserlo stata. — Ricatto? — insinuò Emily. — Tutte e due? — Charlotte lasciò capire di essere molto scettica in proposito. — E un ricatto a proposito di che? Perché andavano da una prostituta? Noi non ne parliamo apertamente, ma sappiamo che gli uomini lo fanno. — Sappiamo che sono cose che capitano — la corresse Emily. — Ma se si trattasse di tuo marito? Se fosse lui ad avere qualcuna di queste voglie, di queste tendenze così insolite? Se fosse un uomo con una posizione di una certa importanza basterebbe a rovinarlo. Diciamo, per esempio, che magari quest'uomo aveva in vista un ottimo matrimonio, o ne aveva appena fatto uno molto proficuo e dipendeva totalmente dalla buona volontà del suocero per ottenere qualche avanzamento nella carriera o una promozione. Oppure ha bisogno di un figlio, di un erede, ed è poco probabile che sua moglie sia disposta a darglielo se viene a sapere che lui si comporta a questo modo. — Giusto — ammise Charlotte. — Questo sì, che ha un senso logico. Ma perché tutte e due, Ada e Nora? E perché torturarle? Perché non ucciderle semplicemente, e poi squagliarsela il più in fretta possibile? Più rimane lì, maggiore è il rischio che corre di venire scoperto. E la tortura, tra l'altro, è anche parte di quello che lui è abituato a fare di solito? No, non può essere. Nessuna prostituta è disposta a farsi fratturare le dita delle mani e dei piedi, indipendentemente da quello che uno è disposto a pagarla. Legata, innaffiata di acqua fredda forse, ma non ferita o malmenata. Tallulah era sempre pallidissima e continuava a sedere ripiegata su se stessa nella civettuola poltroncina. — Una prova — disse in tono meditabondo. — Aveva una prova del suo modo di comportarsi, e lui l'ha torturata per cercare di farsela consegnare. — Ma lei non... perché l'aveva data a Nora da custodire! — concluse Charlotte. — Che genere di prova? — insistette Emily, ma la sua voce adesso si stava facendo più alta e squillante per l'impazienza. Finalmente c'era qualcosa che sembrava avesse almeno un po' di senso logico. — Ritratti? Let-
tere? La dichiarazione di un testimone? Cos'altro? — La dichiarazione di un testimone — rispose Charlotte. — I ritratti non significherebbero niente; non sono prove. Per farsi fare una fotografia bisogna star seduti immobili per chissà quanto tempo. E chi vuoi che scriva delle lettere a una prostituta? Deve essere qualcosa che ha a che vedere con un testimone. Magari a proposito di qualcosa che è già successo un'altra volta, prima? Forse ci sono tante donne che lo sapevano, e lei aveva raccolto una dichiarazione da ciascuna di loro? — Ma allora, dove sono adesso? — Tallulah passò gli occhi dall'una all'altra delle sue compagne. — Ce le ha lui, oppure Nora le ha nascoste tanto bene che non è riuscito a trovarle? — Quel che dobbiamo fare — disse Charlotte in tono deciso, mettendosi a sedere più eretta — è venire a sapere tutto il possibile sul conto di Nora e Ada. È lì che si trova la risposta. Per prima cosa dobbiamo avere la prova che si conoscevano. Dobbiamo trovare tutto quello che c'era in comune nelle loro vite, e poi vedere se riusciamo a scoprire qualche altra donna che conoscesse quest'uomo. Ci potrebbero dare una descrizione più chiara di lui. E chissà, magari non si può escludere che sappiano anche come si chiama. — Magnifico! — Tallulah si alzò in piedi di scatto. — Cominciamo subito. Jago ci aiuterà. Lui conosceva Ada McKinley. Saprà da dove possiamo cominciare. Magari potrebbe anche aiutarci a conquistare la fiducia delle persone in modo che siano disposte a parlare con noi. — Io... — Emily lanciò un'occhiata a Charlotte, perché non sapeva bene come dire qualcosa che giudicava essenziale senza addolorare e offendere in modo irreparabile. — Cosa c'è? — chiese Tallulah. Charlotte aveva il cervello in tumulto. — Non vi pare che sarebbe un modo piuttosto poco corretto di farlo? — Poco corretto? — Tallulah era confusa. — Nei confronti di chi? Di quelle donne? Ma noi stiamo cercando l'uomo che ha assassinato due di loro! Cosa c'entra la correttezza con tutto questo? — Non con quelle donne. Nei confronti di Jago. Lui è il loro sacerdote. Non dovrebbe compromettere la sua missione presso quella gente facendosi vedere mentre ci aiuta. — Ma non faceva che pensare all'atroce possibilità che fosse proprio stato Jago a uccidere quelle donne. Chi poteva essere più vulnerabile di un sacerdote a una forma qualsiasi di ricatto se aveva un debole per le prostitute? Lui era proprio il tipo di uomo la cui immagine si
sarebbe guastata irreparabilmente, sotto l'accusa di essere andato a letto con una donna di strada, e magari con più di una. Sarebbe stata sicuramente la fine per la sua opera di bene non solo lì a Whitechapel ma nella Chiesa in genere. — Oh. — Tallulah si calmò. — Sì, immagino che sia possibile. Sarà meglio andare sole. Possiamo trovare quel posto abbastanza facilmente. Io preferirei andarci di giorno. — Arrossì, a disagio. — Alla sera... — Naturale! — Emily si affrettò a dichiararsi d'accordo. — Sarà tutto fin troppo sgradevole e difficile, senza che qualcuna di loro ci possa prendere per rivali. Tallulah scoppiò in una risatina irrefrenabile, piena di nervosismo, e si misero d'accordo. Si sarebbero trovate nelle prime ore del pomeriggio, avrebbero raggiunto con un hansom Old Montague Street e avrebbero cominciato le loro indagini... vestite nel modo più consono all'impresa, naturalmente. Non fu facile ottenere l'accesso alla casa di Pentecost Alley. Madge venne ad aprire la porta ma fin dal primo momento lasciò capire di ricordarsele molto bene. — Si può sapere cosa volete ancora? — disse occhieggiandole attentamente attraverso il poco spazio fra il battente e lo stipite. Scrutò Charlotte. — E tu chi sei, la cameriera di sala? — osservò con attenzione la sua bella figura. — A me sembri proprio quel tipo lì. Vi hanno buttate fuori tutte, o sbaglio? Be', è inutile venire qui. Non posso prendervi. Ho posto soltanto per una, e la camera costa cara. La si paga con quello che si guadagna, anche se qui l'affitto va pagato perfino quando non si guadagna niente. Chi è di voi quella che la vuole? — Vorremmo entrare a darle un'occhiata — si affrettò a rispondere subito Charlotte. — Grazie. Madge la occhieggiò sospettosa. — Si può sapere perché una ragazza che parla bene come te vuole mettersi a lavorare nelle strade qua intorno? Perché non provi un po' più su, verso i quartieri alti, dove potresti guadagnare proprio benino? — Magari è quello che farò — ammise Charlotte. — Ma prima diamo un'occhiata a questa camera. Per favore. Madge aprì la porta e le fece entrare. La seguirono per il corridoio, che esalava un vago odore di chiuso, come se ci passasse troppa gente e le finestre non venissero mai aperte. Diede una spinta alla seconda porta, che si
spalancò. Charlotte guardò dentro e subito si pentì di averlo fatto. Era così ordinaria, pressappoco delle stesse dimensioni della sua camera da letto nella casa dov'era cresciuta. Molto meno civettuola, però. Era fin troppo facile immaginare la donna che aveva dormito lì dentro, che ci aveva fatto i propri affari, e che vi era morta dopo sofferenze atroci. Sentì che Tallulah alle sue spalle trasaliva, ed Emily, al suo fianco, si irrigidiva, senza però che le sfuggisse una sola parola dalle labbra. — Allora, la vuoi? — domandò Madge, andando per le spicce, con voce brusca. Charlotte si girò di scatto e vide che la faccia del donnone era cupa, tirata, rossa e screpolata, e gli occhi lucidi di lacrime. — Perché non ci sediamo e ne parliamo un po'? — suggerì Emily. — E prendiamo una tazza di tè. Io ho portato con me un goccetto di qualcosa che gli darà un po' più di sapore. Ma, un giorno o l'altro, dovrete pur decidervi ad affittare questa camera. Senza parlare, Madge le precedette verso il retro della casa e la cucina. La stanza era nel disordine più totale, e dava l'impressione di essere usata non soltanto per cucinare ma anche come lavanderia. Una stufa nera irradiava un tenue calore, ma nel focolare c'era soltanto un po' di brace e, sul pavimento, tutt'intorno, un sottile velo di cenere. Il bricco dell'acqua era già sul fuoco e se ne levava un po' di vapore. Forse era sempre lì, pronto. Sul ripiano vicino all'acquaio c'erano alcune tazze sporche e due secchi d'acqua per terra lì vicino. Charlotte intuì che bisognava andare a prendere l'acqua al pozzo o alla pompa più vicina. Si augurò che l'avessero fatta bollire ben bene prima di servirsene. E pensò che Emily avrebbe fatto meglio a non proporre di prendere il tè. D'altra parte, c'era il rischio di non avere più un'altra possibilità di parlare.... Il tè era forte e amaro, e non c'era latte. Presero posto intorno al tavolo sulle sedie spaiate. Emily tirò fuori da una delle sue capaci tasche una fiaschetta di whisky e ne versò una dose generosa in ogni tazza con grande meraviglia di Tallulah che, però, seppe nasconderla immediatamente. — Ecco, alla vostra salute — disse Emily in tono pieno di ottimismo alzando la propria tazza. — Sì, alla salute di tutte noi — le fece eco Charlotte, ma il suo sembrava non tanto un brindisi quanto piuttosto una preghiera. — Com'è questa zona? — domandò Emily con interesse. — Buona — rispose Madge, bevendo una lunga sorsata del suo tè bollente e poi succhiandosi i denti in segno di apprezzamento. — Molto cor-
tese da parte tua. — Soggiunse, indicando con un cenno del capo la fiaschetta del whisky. — Potete guadagnarvi da vivere senza fatica. Basta aver voglia di lavorare. — Ada se la cavava bene, vero? — continuò Emily. — Era furba. — Sì, ci sapeva fare — confermò Madge, bevendo un'altra sorsata di tè. — Speriamo che prendano quel bastardo che l'ha fatta fuori — disse Emily accalorandosi. Madge esalò un lungo sospiro. — E la povera Nora — interloquì Charlotte con un brivido. — Conoscevi Nora? — E voi? — domandò Madge, occhieggiando Charlotte con attenzione. — No. Che tipo era? — Carina. Piccola, un po' troppo magra per certi gusti. Se si considerava il peso di Madge, che superava di un bel po' il quintale, un'osservazione del genere poteva essere interpretata come un giudizio un po' personale. — Ma era brava nel suo mestiere? — domandò Charlotte, lasciandosi sfuggire una specie di singhiozzo. — Oh sì! — confermò Madge. — Anche se qualcuno dice che aveva intenzione di mollare tutto e di sposarsi. — Secondo te era vero? — Tallulah parlò per la prima volta, con voce esitante, come se avesse la gola chiusa. — Forse sì. — Poi Madge tacque per un istante. — La vedevo in giro con Johnny Voss. E lui non era messo male. Avrebbe potuto sposarla, immagino. Anche se dicevano che gli piaceva Ella Baker, una che sta in Myrdle Street. Magari l'ha piantata per attaccare con Nora. Edie dice che aveva visto Nora dargli il bacio della buona notte un paio di settimane fa. — Io ho dato il bacio della buona notte a tante persone — obiettò Tallulah. — Ma non vuol dire che volessero sposarmi. — Davvero? Ma guarda un po'. — Madge la osservò con maggiore attenzione. — E da quanto tempo fai questo mestiere, carina? Sta' attenta, eh? Questo non è posto per una che comincia appena adesso a fare la vita! — Io... io non è che comincio adesso... — rispose Tallulah, subito sulla difensiva, ma poi tacque lasciandosi sfuggire un sommesso squittio di dolore perché Emily le aveva allungato un calcio sotto il tavolo. — Se li baci, vuol dire che sei una principiante — fu l'affermazione di Madge. — I baci si danno in famiglia, alle persone alle quali vuoi bene. I clienti ricevono quello per cui sono disposti a pagare, niente di più. Devi
tenerti qualcosa per te, qualcosa di vero, che è tutto tuo e nessuno può comperare. Tallulah adesso la fissava e sulle guance le erano apparse due chiazze rosso vivo. — Tu hai bisogno di qualcuno che si occupi di te, che ti insegni come comportarti — disse Madge con gentilezza. — Prendi la camera, e ci penserò io a insegnarti. Tallulah era rimasta senza parole. Si poteva soltanto immaginare quali fossero i pensieri che le affollavano il cervello. — Grazie — rispose in fretta Charlotte. — Sei molto gentile. Potrebbe essere un'ottima idea. E noi possiamo dare un'occhiata altrove. Ci saranno altri posti nel quartiere. Immagino che sarà da affittare anche la camera della povera Nora, vero? — Non ho sentito niente — replicò Madge. — Ma potete domandare. E se è già andata via, magari chiedete a Mamma Baines, su in Chicksand Street. Di solito lei qualcosa di libero ce l'ha. Non è il meglio, ma potete sempre prenderla, e quando salta fuori qualcosa che vi piace di più siete già sul posto e fate in fretta a cambiare alloggio. Non sta qui nel quartiere da molto tempo, però ho sentito dire che non è cattiva. Ma dovete avere i vostri vestiti. Tu ce li hai, vero? — I... i... mi-miei vestiti? — balbettò Tallulah. — Già. Gesù, Gesù! Ma tu sei proprio agli inizi, vero? — Madge scrollò il capo. — Eppure la faccia non l'hai brutta. Bei capelli, da te si potrebbe ancora cavare qualcosa. — Le allungò un colpetto sulla mano come per volerla confortare, poi scrutò, a turno, Charlotte ed Emily. — Voi due sapete badare a voi stesse. — Osservò più attentamente Charlotte. — Tu sei anche bene in carne. Te la caverai. E quanti capelli. Anche la faccia non è male. — Grazie — disse Charlotte in tono un po' asciutto. Madge esaminò Emily dalla testa ai piedi. — Tu non vai altrettanto bene, un po' magrolina, però la faccia è niente male, bella pelle. E poi agli uomini piacciono sempre i capelli biondi, specialmente quando sono ondulati come i tuoi. E si direbbe che sei anche un tipino vivace. Puoi andare. — Ci potresti dire dove troviamo questa Mamma Baines? — domandò Emily, tornando a quello che era l'argomento che le interessava. — Certamente — rispose Madge. — Al numero ventuno di Chicksand Street. È la prossima strada, quando si va verso Mile End. Chiunque ve la può indicare.
— Ada e Nora si conoscevano — la incalzò Charlotte. — Ma erano due tipi che si assomigliavano? Avevano amici in comune? Madge batté le palpebre. — E cosa diavolo ve ne importa? — È che non voglio finire con le dita delle mani e dei piedi rotte, e strangolata con le mie stesse calze — rispose Charlotte in tono tagliente. — Se da queste parti c'è qualche matto, voglio sapere qual è il genere di donne che va a scegliere. Così cerco di essere tutta diversa, io! — Sceglie soltanto una sorta di donne, carina — rispose Madge nel tono di chi non ha più illusioni. — Quella sorta di donna che si vende a qualsiasi uomo abbia un po' di soldi, perché ha bisogno di mangiare e far mangiare i suoi figli, o perché non vuole andare a lavorare in una di quelle fabbriche di fiammiferi dove poi ti ritrovi con tutta la faccia rovinata per via del fosforo, o in uno di quei laboratori a cucire camicie tutto il giorno e magari anche di notte per così pochi spiccioli che non sono abbastanza neanche per far mangiare un topolino! Sdraiate sulla schiena è più facile portare a casa dei soldi, fintanto che dura. — Si versò dell'altro tè, riempì le tazze delle altre e lanciò un'occhiata speranzosa a Emily. Emily aggiunse di nuovo a tutte un goccio di whisky. — Certo che i rischi ci sono — continuò Madge. — Ma se si vuole una vita senza rischi bisognerebbe esser nate ricche. Magari si finisce a beccarsi una malattia, o magari no. Di tanto in tanto ti prendi un po' di botte, o anche un colpo di coltello se sei sfortunata. Arrivi al punto che non hai più voglia di vedere un altro uomo per il resto dei tuoi giorni. Tirò su col naso. — Però non soffri mai la fame, e una volta che non stai sul marciapiede ma vieni dentro in casa, non soffri neanche il freddo. E ti fai qualche buona risata, magari! — Sospirò sorseggiando il suo tè. — E ci siamo anche divertite, a volte, Nora, Rosie, Ada e io. Per esempio a raccontarci un sacco di storie e a fingere di essere delle gran signorone. — Tirò su col naso, di nuovo. — Mi ricordo una sera d'estate che ce ne siamo andate in gita sul fiume su uno di quei battelli... proprio come chiunque altro. E tutte in ghingheri, ci eravamo messe. Abbiamo mangiato pasticcio d'anguilla e frutta candita, e bevuto sciroppo di menta. — Dev'essere stato bello — disse a mezza voce Charlotte. — Oh, sicuro — rispose Madge con aria sognante, gli occhi colmi di lacrime. — A volte ci raccontavamo anche le storie di fantasmi. E ci spaventavamo da morire, davvero! Ma ci sono anche stati brutti momenti. Però credo che è proprio nei tempi difficili che si capisce chi ti è amica, e chi no. — Tirò su di nuovo col naso e si asciugò le gote con la mano.
— È vero — convenne Emily. — Mi spiace per Ada. Spero che lo prendano, quello che l'ha ammazzata. — Gesù, e perché dovrebbero riuscirci? — ribatté Madge afflitta. — Lo Squartatore, quello non l'hanno mai preso. Perché credi che prenderanno questo? Charlotte si voltò a guardare Tallulah e si accorse che a poco a poco sulla sua faccia si disegnava un'espressione totalmente diversa. Cominciava a capire. Con Jago aveva visto un mondo interamente nuovo, quando davano da mangiare ai poveri, a donne rispettabili, sfiancate e perseguitate dalla fame, dal freddo e dall'angoscia. Questo era un altro mondo ancora, del tutto diverso, ben più torbido e cupo, con sofferenze diverse, e diverse paure. — Sono molti i gentiluomini che vengono qui da voi? — domandò d'un tratto, e le parole le uscirono dalle labbra a scatti, come se soffrisse anche solo a pronunciarle. — Uomini con soldi? — Madge si mise a ridere. — Ascolta, carina, qualsiasi uomo provvisto di soldi è buono come tutti gli altri. — Ma ne ricevete, di gentiluomini? — insistette Tallulah, la faccia tesa, gli occhi fissi su Madge. — Non spesso, perché? Se ti piacciono i gentiluomini, dovresti spostarti più su, verso ovest, nei quartieri alti. Haymarket, Piccadilly, da quelle parti. Però ti costa affittare una camera all'ora, e la concorrenza è forte. Te la caveresti meglio qui, visto che sei una principiante. Penserò io a te. Tallulah misurò tutta la gentilezza della donna più anziana e ne rimase inaspettatamente commossa. Charlotte glielo lesse in faccia. — Ecco... me lo domandavo semplicemente... così... — disse imbarazzata, abbassando gli occhi sul tavolo. — Qualche volta — replicò Madge, scrutandola. — È stato un gentiluomo ad ammazzare Ada? — Tallulah non voleva arrendersi. Le sue dita affusolate erano strette convulsamente intorno alla tazza piena di tè scuro, dalla quale si levava l'odore del whisky. — Non so. — Madge alzò le spalle possenti. — Ho pensato a Bert Costigan, ma certo che non è stato lui, adesso che hanno fatto fuori Nora allo stesso modo. — Dunque avrebbe potuto essere un gentiluomo? — Emily passò con lo sguardo dall'una all'altra delle sue compagne. — Ma è possibile? Perché non pensare, invece, a una persona che le conosceva tutte e due? — Magari era un gentiluomo che le conosceva tutte e due. — Charlotte
azzardò un altro passo avanti. — Magari uno che aveva un modo di fare non proprio normale come tutti gli altri. Madge si scolò il tè fino all'ultima goccia e posò la tazza con un tonfo sul piano del tavolo. — Guai a voi se vi mettete a parlare così da queste parti — disse brusca, minacciandole con un dito. — Le farete uscire tutte di testa per la paura, e non va bene. Qui dobbiamo lavorare, che ci sia un pazzo in giro per le strade o no. Andate a parlare con Mamma Baines. Lei sa far bene il suo mestiere. Vi troverà un posto. E non fate rumore mentre uscite. Le mie ragazze dormono ancora, come dormireste voi ad aver lavorato tutta la notte! — Guardò Emily. — Grazie per quello che ci hai offerto da bere. È stato molto gentile da parte tua. — Il suo viso si addolcì quando, per ultima, guardò Tallulah. — Ti tengo la camera fino a domani, carina. Ma di più non posso, se una si offre di prenderla. — Grazie — rispose Tallulah, ma non appena si ritrovarono fuori, oltre l'uscita del vicolo, cominciò a rabbrividire violentemente e a camminare stringendosi talmente a Emily da spingerla quasi giù dallo stretto marciapiede, in mezzo alla strada. Seguirono le indicazioni per raggiungere Chicksand Street e trovarono la grande costruzione squallida e decrepita dove Mamma Baines aveva la sua casa di appuntamenti. Si erano aspettate una donna che assomigliasse più o meno a Madge, obesa, con la faccia rossa, sospettosa. Invece trovarono una donna dall'aria gioviale, con il petto prorompente ma i fianchi stretti e le gambe lunghe. Aveva una faccia bruttina, quasi scialba, e una massa di capelli di un color giallo spento nei quali le forcine erano state infilate con tanta negligenza che sembravano lì lì per cadere da un momento all'altro. — Sì? — disse quando vide le tre giovani donne. — Abbiamo sentito che voi avete, forse, qualche camera — cominciò Charlotte senza esitazione. Ci si stava avvicinando all'ora del pomeriggio nella quale le donne cominciavano a lavorare. — Questa è una casa dove si lavora — le avvertì subito Mamma Baines. — L'affitto è alto. Io non ho posto per le operaie di un opificio. Quello che guadagnano non basta neanche per una notte, figurarsi per una settimana. — Questo lo sappiamo — replicò Charlotte, sforzandosi di sorridere. — Abbiamo l'aria di sartine o cucitrici? Mamma Baines scoppiò in una risata scrosciante, visibilmente divertita e per niente sarcastica. — A me date l'impressione di essere puttane del West End, salvo per
come siete vestite. Perché quelle sembrano cameriere nella loro giornata libera. Terribilmente rispettabili e con quel tanto di sfacciataggine che avrebbe la moglie di un curato. — Siamo fuori servizio — spiegò Emily. — Quelle non sono mai fuori servizio, carina — rispose Mamma Baines. — Lo sono anche loro se non hanno una camera — le fece rilevare Charlotte. — Io, i miei affari non li faccio in strada. Mamma Baines si tirò indietro di qualche passo. — Allora farete meglio a entrare. La seguirono. Il suo appartamento era piccolo e l'aria odorava di chiuso, però tutto era pulitissimo; c'era un vecchio tappeto sul pavimento che smorzò il rumore dei loro passi mentre venivano condotte in un salottino che dava sul retro della casa. Mamma Baines le invitò a sedersi, mentre lei prendeva posto nella poltrona più ampia e comoda. Un po' come se dovesse intervistare qualche domestica che avesse intenzione di assumere. Iddio soltanto poteva sapere quello che Aloysia FitzJames avrebbe pensato se avesse saputo che anche Tallulah si trovava lì. Ora Mamma Baines stava parlando di affitto e di regolamenti. — A me sembra che vada bene — disse Emily in tono dubbioso. — Anche se non siamo proprio sicurissime della zona. — Su, verso ovest, vi costerebbe di più — le fece osservare Mamma Baines. — Di qui, se volete, potete sempre spostarvi verso i quartieri migliori. Basta portare indietro la parte che vi spetta di quello che guadagnate, e senza fare imbrogli. — La sua faccia aveva sempre l'espressione piacevole di poco prima, ma adesso i suoi occhi, color grigio chiaro, erano diventati spietati e freddi come il mare d'inverno. — Non si parlava di quello — spiegò Charlotte. — Ma degli assassinii che avete avuto qui. Noi vorremmo un posto dove, se peschiamo un cattivo cliente, si può essere sicure che c'è, vicino, altra gente che ci può sentire se ci mettiamo a urlare. — Non aggiunse che sapeva come ci fosse stata altra gente abbastanza vicino per aiutare Ada e Nora, ma che non si era sentito neanche un grido, e nessuno si era accorto di quello che succedeva. — Non importa dove siete — disse Mamma Baines con una risata amara. — Di pazzi ce ne sono ovunque, tutto dipende dalla fortuna. — Però qui a Whitechapel ci sono stati due assassinii abbastanza terrificanti — disse Tallulah, fissando Mamma Baines, con voce bassa e tremu-
la. — E cose del genere non sono successe in nessun altro posto. — E come, no! — ribatté Mamma Baines in tono tagliente. — Ce n'è stato un altro, proprio come questi, quando stavo in Mile End. Sei anni fa, magari sette. — Cosa intendete dire... perché proprio come questi? — La voce uscì dalle labbra di Charlotte roca e spezzata, come se avesse qualcosa che le chiudeva la gola. — Sì, proprio nello stesso modo — ripeté Mamma Baines. — Mani legate, dita delle mani e dei piedi rotte o slogate, una giarrettiera intorno al braccio, e fradicia di acqua fredda... dappertutto, testa, spalle, capelli. Tallulah sussultò, e si lasciò sfuggire un rauco sospiro come se fosse stata schiaffeggiata. Emily si voltò a guardare Charlotte con gli occhi stralunati. Per qualche istante calò un silenzio glaciale, carico di intensità. Il tavolato di legno dell'impiantito scricchiolò al piano superiore mentre qualcuno attraversava la stanza soprastante. — E chi è stato? — riuscì finalmente a domandare Charlotte, sforzandosi di far uscire le parole dalle labbra gelide. Mamma Baines alzò le spalle. — E chi lo sa! Non l'hanno mai trovato. Dopo un po' quelli della polizia hanno smesso di cercarlo. Proprio come faranno questa volta, quando non troveranno nessuno. — Che... che tipo di ragazza era lei? — domandò Emily, e anche la sua voce era rauca. Mamma Baines scrollò la testa. — Non so come si chiamava. Me ne sono dimenticata. Però era giovane, aveva cominciato da poco a fare questa vita. Probabilmente appena da una settimana o poco più, poveretta. Carina, sui sedici o diciassette anni, così hanno detto. — Un barlume di compassione, adesso, le incupiva la faccia. — Curioso, ma quella volta non hanno fatto tutte queste storie! I giornali non hanno scritto tanto come per queste di adesso. D'accordo, tutta roba successa prima dello Squartatore e via dicendo. Però figuriamoci se stavolta non se la prenderanno con gli sbirri. È sicuro, come è sicuro che si brucia nelle fiamme dell'inferno! Oggi come oggi non vorrei proprio essere uno della polizia. — Sollevò una spalla robusta. — Già, ma quando mai uno vorrebbe essere della polizia? — Guardò Emily. — Allora volete le camere o no, carina? Non ho tempo di star qui seduta a parlare con voi. — No, grazie — disse Charlotte, rispondendo anche a nome delle altre. — Al momento, no. Ci penseremo su. Magari non è proprio quello che
stiamo cercando. — Si alzò in piedi, aggrappandosi al bracciolo della poltrona per un attimo. Si era accorta che le ginocchia non la reggevano. Bene o male, riuscì a percorrere il corridoio e a ritrovarsi in Chicksand Street con Emily al fianco e Tallulah, che camminava come se fosse assorta in chissà quali fantasticherie, un passo indietro. L'aria fredda la colpì in pieno viso come uno schiaffo, ma quasi non se ne accorse. Pitt aveva dormito male la notte precedente. Gli era sembrato di essere rimasto praticamente immobile sotto le coperte per una buona metà della notte, con la paura di muoversi perché non voleva svegliare Charlotte. Lei, quando era agitata per qualche motivo, aveva il sonno molto leggero. Così adesso se ne stava disteso al buio, gli occhi sbarrati, a osservare il tenue gioco di luci create sul soffitto dai lampioni a gas della strada più sotto, la cui luce filtrava dalle tende della camera da letto. Se dormiva, sognava la faccia piena di disperazione di Costigan, la ripugnanza che provava per se stesso, e la paura. Perché aveva praticamente ammesso di aver ammazzato Ada, se non era stato lui? Possibile che le sue parole... "L'ho fatta fuori"... andassero intese solo nel senso che, in qualche modo, si era sentito responsabile per il suo modo di comportarsi, e di conseguenza anche, sia pure indirettamente, per la sua morte? Aveva confessato che c'era stato un litigio, di aver allungato le mani per riempirla di botte. Possibile che l'avesse picchiata sino a farle perdere i sensi, ma non fosse stato, realmente, quello che l'aveva ammazzata? Aveva sempre negato la crudeltà, quelle dita delle mani e dei piedi fratturate. Aveva negato perfino di averle infilato la giarrettiera al braccio, e quello non si poteva certo intendere come un reato, e di averla innaffiata d'acqua. Perché? In pratica non avrebbe fatto nessuna differenza. Sarebbe stato impiccato esattamente allo stesso modo. E dal momento che i guardiani del carcere avevano creduto che avesse fatto anche tutte quelle altre cose, non sarebbe neanche servito a mitigare il loro trattamento. Di sicuro non poteva esser stato colpevole dell'omicidio di Nora Gough. Chi era l'uomo con i capelli biondi che era stato visto entrare nella camera di Nora poco prima che venisse uccisa? Com'era possibile che se ne fosse andato senza che neanche una della dozzina, e forse più, di persone che c'erano lì nei dintorni lo avesse veduto? Le parole di Jago Jones gli mulinavano nella mente. Doveva essere sicuramente la risposta... o quando era uscito di lì aveva un aspetto talmente diverso che nessuno lo aveva riconosciuto come lo stesso uomo di prima, oppure, ecco una soluzione ancora
più semplice, non era neanche uscito da quella casa! E se quei capelli biondi, ondulati, fossero stati una parrucca? C'era davvero da pensare che se ne fosse andato indossando un soprabito differente, e inalberando una capigliatura differente? Ma allora cos'era successo al suo soprabito? Lo aveva portato via con sé? E la parrucca? I suoi veri capelli avrebbero potuto essere di qualsiasi colore, di qualsiasi tipo. Era necessario tornare a interrogare di nuovo tutta quella gente, per vedere se si ricordavano se da quella casa era uscito qualcuno che poteva aver cercato di cambiarsi i connotati per mezzo di una parrucca. Già, ma come potevano saperlo? Nessuno si porta una parrucca in tasca. Non solo, ma in tal caso sarebbe anche stato necessario avere una tasca. La tasca dei pantaloni sarebbe stata troppo piccola, e si sarebbero subito accorti tutti se era particolarmente rigonfia. Magari era più facile che ricordassero il soprabito. Non dovevano essere in molti, in Myrdle Street, a possedere un soprabito di una certa lunghezza... figurarsi poi se era, anche, di buon taglio. E cosa pensare dell'altra possibilità, che non fosse per niente uscito di lì ma si fosse limitato a salire a un altro piano dello stesso edificio? Lui non aveva pensato a dare un'occhiata di sopra, e a controllare le donne che ci abitavano. Potevano aver continuato a fare i fatti loro con chiunque fosse già lì. La presenza della polizia al piano inferiore avrebbe sicuramente allontanato nuovi clienti, ma quelli che si trovavano già da loro avrebbero potuto occupare piacevolmente il tempo. Nessuno poteva andarsene fino a quando la polizia non si fosse ritirata, ed era più che naturale che desiderassero non venire identificati. Ogni altra spiegazione era inutile. Tornando in Myrdle Street l'indomani, doveva anche interrogare tutte le donne che stavano al piano di sopra per ottenere una descrizione dei loro clienti di quella sera. Avrebbe dovuto farlo a suo tempo. Era stata una grave trascuratezza. Immobile, continuò a fissare il buio. Charlotte, distesa al suo fianco, aveva il respiro lento, regolare. Tese l'orecchio ma si accorse che in quel suono lieve non c'erano variazioni. Dormiva profondamente. Oppure se ne stava lì, zitta zitta, fingendo di dormire perché non voleva disturbarlo, non voleva lasciargli capire che anche lei non riusciva a prender sonno, che era preoccupata, e spaventata. Cornwallis gli avrebbe sicuramente dato tutto il suo appoggio, ma non era certo che fosse in grado di salvargli il posto se a Costigan fosse stata concessa la grazia postuma. Se aveva mandato un uomo innocente sulla
forca, non si poteva escludere che lui perdesse l'impiego. E perché non pensare, magari, che non fosse stato fin dal principio l'uomo più adatto a occupare il posto di Micah Drummond? Non aveva le capacità per meritarsi quella promozione. Farnsworth, di fronte a tutto questo, avrebbe sorriso. Già, non aveva mai giudicato Pitt preparato per una posizione autorevole come quella... non veniva dall'ambiente giusto, né per nascita né per educazione. Vespasia ci avrebbe sofferto. Aveva sempre avuto una grande fiducia in lui. Sarebbe rimasta delusa. Non lo avrebbe mai detto, però lo avrebbe pensato. Ma soprattutto, avrebbe deluso Charlotte. Anche lei non ne avrebbe fatto parola, e in un certo senso questo avrebbe peggiorato la situazione. Cadde in un sonno inquieto, e si svegliò di nuovo con un sussulto. E se fosse stato Jago Jones, con sulla testa una parrucca bionda? Eccolo che gli rideva in faccia, che glielo suggeriva lui stesso... Era talmente sicuro che Pitt non sarebbe mai riuscito a mettere insieme pezzo per pezzo la soluzione di quel mistero o, nel caso ne fosse stato capace, che non sarebbe mai stato in grado di fornirne le prove! Era quasi mattina. Si sentiva indolenzito, con una gran voglia di stiracchiarsi, di girarsi e rigirarsi, magari addirittura di alzarsi per camminare avanti e indietro per la stanza. Lo avrebbe aiutato a pensare. Ma se avesse svegliato Charlotte adesso lei non sarebbe più riuscita a prendere sonno. Egoistico, e totalmente inutile. Rimase immobile fin verso le sei e, senza accorgersene, ripiombò nel sonno. Si svegliò di soprassalto alle sette e mezzo con Charlotte che lo toccava, scuotendolo gentilmente. Arrivò in Myrdle Street che erano già le nove e mezzo passate. Gli lasciarono subito capire fino a che punto la sua presenza fosse sgradita. Di solito le donne erano a letto dopo la loro lunga notte; nessuna aveva voglia di parlare con un poliziotto e di rispondere a domande alle quali avevano già risposto parecchie volte. Cominciò dal piano di sopra, disturbando a una a una le inquiline, costretto ad aspettare che lasciassero il letto, si spruzzassero un po' d'acqua in faccia per svegliarsi meglio, prima di buttarsi addosso una vestaglia o uno scialle ed entrare a passo malfermo in cucina, dove lui era seduto in attesa di fare pazientemente una serie infinita di domande. Il bricco era già sul fuoco acceso perché nella teiera ci fosse
sempre acqua in abbondanza. — No, non ho nessun cliente con i capelli biondi e ondulati. — No, era calvo, proprio come una palla da biliardo. — No. Neanche sua madre avrebbe avuto il coraggio di dire che era giovane! Gesù, quella lì doveva essere già morta quando Noè è salito sull'Arca! Come minimo avrà avuto cinquant'anni! — No, aveva i capelli grigi. — Poteva sembrare biondo sotto la lampada a gas? — Magari... ma non aveva i capelli ricci. Dritti come cannucce! E così via. Interrogò meticolosamente ogni donna, ma nessuna aveva visto un uomo che rispondesse alla descrizione fornita da Edie dell'ultimo cliente di Nora. Ridiscese di nuovo al piano inferiore, e trovò Edie in persona, ormai quasi pronta a prendere in considerazione l'idea che era venuto il momento di cominciare la solita giornata di lavoro. Erano le tre del pomeriggio. — Prova a descriverlo di nuovo — disse stancamente. — Sentite un po', signore, non l'ho neanche visto in faccia, ma soltanto di schiena mentre entrava! Non ci ho badato. Era soltanto un altro cliente. Non sapevo che voleva ammazzarla, figurarsi poi... — Si interruppe con un brivido mentre il suo corpo grassoccio si irrigidiva sotto la vestaglia. — Lo so. Però, ti prego, chiudi gli occhi e cerca di farti tornare in mente quello che hai visto, anche se è stato appena per un momento. Non avere fretta. Tu hai visto l'uomo che l'ha ammazzata, Edie. — Le aveva parlato con gentilezza, cercando di non spaventarla. Gli occorreva che avesse il cervello lucido in modo da potersi concentrare. — Descrivi con esattezza quello che hai visto. Forse tu sei l'unico mezzo che abbiamo per catturarlo. — Intanto cercava di non farle sentire la disperazione che gli venava la voce. — Lo so — disse piano lei. — So che sono stata l'unica a vederlo, all'infuori di quelle che ha ammazzato. — Si interruppe, appoggiandosi al tavolo di cucina, piantandoci sopra i gomiti tondi e grassocci, stringendosi addosso la vestaglia, i capelli neri sciolti sulle spalle, gli occhi chiusi. Pitt aspettava. — Era molto alto, diciamo — cominciò infine. — Non grosso... anzi sembrava come... be'... non robusto. Credo di aver pensato che doveva essere giovane. Anche per il modo come stava ben dritto. — Aprì gli occhi e guardò Pitt. — Ma potrei sbagliarmi. Questa è solo un'impressione. — Bene. Va' avanti — disse lui incoraggiante. — Descrivi la sua giacca,
com'era dietro la testa, tutto quello che hai visto. Dimmelo esattamente. Com'erano i suoi capelli? Il modo in cui erano tagliati? Lunghi o corti? Hai visto se aveva le basette? Lei chiuse gli occhi, ubbidiente. — Il soprabito era di un colore verdegrigio. Il colletto... rialzato, così che gli nascondeva i capelli in fondo, ecco perché doveva averli un bel po' lunghi. Non vedevo come finivano. Poteva averli tagliati in qualsiasi modo. Adesso che ci penso, potevano anche essere tanto lunghi da scendergli sulle spalle! — Proruppe improvvisamente in una risata un po' tremula. — E non ho visto basette. Forse non teneva abbastanza girata la testa per quello. Però aveva capelli bellissimi. Quasi quasi non mi dispiacerebbe averli anch'io come i suoi. Mi fa pensare a Ella Baker, che abita qui, in questa strada, un po' più in su. Lei ha capelli magnifici, proprio come quelli. — Aprì gli occhi e tornò a fissare Pitt. — E se avesse un fratello? — disse in tono scherzoso. — Magari è lui il matto, e tutto il resto! Pitt la fissò con tanto d'occhi. — No, non ha nessun fratello lei! — riprese Edie, con voce colma di stupore. — Non si può pensare che... non volevo dire... — Si interruppe, sgranando gli occhi lentamente, come se fosse inorridita. — Cosa? — Pitt domandò. — Che c'è? Cosa sai, Edie? — Lei e Nora avevano litigato, ma proprio di brutto, per Johnny Voss... — Perché? Chi è Johnny Voss? L'uomo che Nora doveva sposare? — Già. Solo che prima voleva sposare Ella... o almeno così credeva lei. A dir la verità... ho sempre pensato anch'io che lui facesse sul serio. Poi è arrivata Nora... e ha cominciato a starle dietro perché gli piaceva, e lei se ne è approfittata. Be', mi pare logico, no? Chi non preferirebbe essere sposata con un brav'uomo invece di campare a questo modo? — Già — confermò Pitt. Non occorrevano ulteriori spiegazioni. — Grazie, Edie. — Lasciò la cucina per tornare nella camera dove Nora era morta. Tutto vi era rimasto come lei lo aveva lasciato, il letto disfatto, le lenzuola aggrovigliate, solo i guanciali erano in mezzo, dove lui stesso li aveva buttati dopo aver trovato il fazzoletto. Rimase immobile al centro della stanza per qualche istante, domandandosi che cosa stava cercando, da dove cominciare. Il letto. E il pavimento intorno al letto. Si chinò e cominciò dal pavimento, scrutandolo ben bene alla ricerca di qualsiasi cosa potesse servirgli a confermare la sua ipotesi. Ma già sapeva che non ci sarebbe stato niente a confermarla.
Si rialzò in piedi e scostò coperte e copriletto buttandoli di lato per far passare le mani delicatamente, molto lentamente, sulle lenzuola. Lo trovò sul lenzuolo di sopra, prima uno, e poi un altro, e poi parecchi... Erano capelli biondo oro, molto lunghi, trenta-trentacinque centimetri e ondulati... capelli che non avrebbero mai potuto essere quelli di un uomo, troppo biondi per essere quelli di Nora Gough. Ella Baker, con i capelli nascosti sotto il colletto rialzato di un soprabito, un soprabito preso in prestito da un cliente o da un amico, e un paio di pantaloni da uomo, magari con la sua stessa gonna arrotolata in vita in modo che non si vedesse penzolare al di sotto. Andando via, sarebbe stato facilissimo tirare giù di nuovo la gonna, alla lunghezza solita, sciogliersi i capelli sulle spalle... e sarebbe stata invisibile. E spiegava anche perché in questo caso si erano notati più che nell'altro i segni di una colluttazione. Era più alta e più forte di Nora, molto più pesante di corporatura, però le mancava, comunque, la forza di un uomo. Per quale motivo avrebbe dovuto uccidere Ada McKinley? E come spiegare il livore nei confronti di FitzJames? Il motivo avrebbe potuto essere uno qualsiasi... un'offesa o qualche maltrattamento del passato, o perché aveva fatto del male forse non proprio a lei ma a qualcuno cui lei voleva bene... magari c'era di mezzo perfino un bambino perduto. Forse durante un periodo precedente lei era stata alle dipendenze della famiglia FitzJames. Ecco un aspetto del problema che non aveva mai preso in considerazione. Invece avrebbe dovuto farlo. Una domestica maltrattata e licenziata poteva nutrire del malanimo. Quando aveva sentito la storia del maggiordomo che aveva messo Ada incinta avrebbe dovuto controllare se non era capitato anche qualcosa di simile fra il personale di servizio dei FitzJames. Il giovane FitzJames non era certo tipo da tirarsi indietro se gli fosse stato offerto il destro di sedurre una graziosa cameriera di casa e poi di ottenere dal padre che la buttasse sulla strada. Adesso tutto sembrava ovvio. Uscì rapidamente di lì, e si incamminò per Old Montague Street, ridiscendendola fino a imboccare Osborn Street, dove trovò Binns che faceva la ronda. Insieme percorsero le poche centinaia di metri che li separavano dal casamento in cui Ella Baker abitava. Si ricordava che Ewart l'aveva già interrogata sulla possibilità che avesse visto andar via quell'uomo. Ewart aveva detto che in quell'occasione gli era sembrata turbata e chiaramente in preda a una profonda agitazione. Lui l'aveva spiegata con il terrore e la compassione che tutte avevano provato venendo a sapere che c'era stato un
altro omicidio, e con lo shock e lo sgomento perché Costigan era stato impiccato per un delitto che adesso sembrava impossibile fosse stato commesso da lui. Eppure lei aveva lasciato che lo mandassero sulla forca. Un doppio senso di colpa, questo, che doveva averla dilaniata. Bussò a colpi energici sulla porta, fino a quando il protettore, che abitava anche lui nello stesso alloggio, non venne ad aprirgli. Aveva la barba lunga e puzzava di birra inacidita. — Cosa volete? — domandò burbero, guardando Pitt ma senza vedere Binns che gli stava alle spalle. — È troppo presto. Perdio, bastardo che non siete altro, ma non riuscite neanche ad aspettare fino a stasera? Binns si fece avanti. — Polizia — disse Pitt asciutto. — Voglio parlare con Ella Baker, e subito! L'uomo scrutò la faccia di Pitt, prese in considerazione la figura massiccia di Binns e decise che era inutile mettersi a discutere. Lasciò che entrassero; poi, con aria cupa e imbronciata, li precedette fino alla porta di Ella. Bussò, chiamandola a voce alta per nome. Dopo un paio di minuti lei si presentò. Era una donna giunonica, dalla bellezza vistosa. Le fattezze erano nette, un po' volgari. La cosa più bella erano i capelli, folti, ondulati, del colore caldo e dorato del grano maturo. Le scendevano sulle spalle coprendole il dorso. — Grazie. — E Pitt congedò il protettore che si ritirò, sempre più imbronciato, borbottando tra sé. Poi Pitt entrò nella camera e chiuse la porta, lasciando Binns fuori di guardia. Le finestre erano piccole e al secondo piano. — Cosa volete stavolta? — domandò Ella, fissandolo con la fronte aggrottata. — Posso capire se hai ammazzato Nora — rispose lui tranquillamente. — Ti ha portato via Johnny Voss, e con lui la tua unica speranza di sposarti e di andartene via di qui. Ma perché Ada McKinley? Cosa ti aveva fatto di male? Ogni traccia di colore scomparve improvvisamente dal suo viso. Vacillò, e per qualche istante Pitt pensò che fosse lì lì per svenire. Ma non si mosse per venirle in soccorso. Gli era già capitato di essere colto di sorpresa a quel modo anche in un'altra occasione, e si era ritrovato in un attimo a dover lottare contro una furia scatenata che lo aveva aggredito, graffiandolo con le unghie affilatissime. Quindi rimase dov'era, la schiena appoggiata
alla porta. — Io... — ansimò la donna con voce rauca, come se tutto d'un tratto si ritrovasse con la gola asciutta. — Io... io non ho mai toccato Ada, lo giuro sulla mia testa! — Però hai ammazzato Nora... Lei non disse niente. — Se dovessi scostarti il colletto alto del vestito, vedrei dove ti ha graffiato cercando di divincolarsi e di sfuggirti... mentre lottava per salvarsi la vita... — No, mai! — negò lei, lanciandogli un'occhiataccia. — Non potete provarlo! — E invece sì che posso, Ella — rispose Pitt tranquillamente. — Sei stata vista. — Chi mi ha visto? — domandò lei. — Raccontano un mucchio di bugie! — Hai rubato un soprabito da uomo, di bella stoffa e di buon taglio, e ti sei tirata su il vestito perché, sotto, non ne penzolasse la gonna. Poi ti sei nascosta i capelli sotto il colletto del soprabito. Potevi farti passare per un uomo ma hanno riconosciuto i tuoi capelli. Non sono in molti ad avere i capelli come i tuoi, Ella, bellissimi, lunghi, biondi. — Intanto scrutava la sua faccia pallidissima. — Ne ho trovato qualcuno nel letto di Nora dove lei si è divincolata mentre ve le davate di santa ragione... e lei te ne ha strappato anche... intanto che lottava per salvarsi la vita... — Basta! — strillò lei. — Sì, ho fatto fuori quella piccola disgraziata avida! Mi aveva portato via il mio uomo. Lo ha fatto apposta, sapete? Aveva capito cosa provavo per lui, ma lo ha fatto ugualmente. E come se ne gloriava! Gongolava. Mi ha detto che sarebbe andata ad abitare su, verso Mile End, e avrebbe avuto una bella casetta, tutta per lei, e dei bambini, e non sarebbe mai più stata toccata da un altro sudicio ubriacone o da uno schifoso bastardo abituato a ingannare la moglie. — Così l'hai legata, le hai rotto le dita delle mani e dei piedi e poi l'hai strangolata — disse Pitt con visibile ripugnanza. La faccia della donna era diventata di un pallore grigiastro, ma i suoi occhi ebbero un lampo. — No, perdio, non ho fatto niente di quello che dite! Ho litigato con lei e le sono saltata addosso. Ci siamo picchiate e io l'ho stretta per la gola. Sì, l'ho strangolata, però non ho mai toccato le sue mani o i suoi piedi. Non so chi è stato a farlo, quello, e non capisco perché!
Pitt non poteva crederle, non ci riusciva. Eppure l'istinto gli diceva che Ella non mentiva in quel momento. — Perché hai ammazzato Ada? — ripeté. — No, non sono stata io! — gli gridò lei di rimando. — Non ho fatto fuori Ada! Credevo che fosse stato Bert Costigan, come ci credevate voi. Se non è stato lui, non so chi è stato! Pitt ricordò, con un tuffo al cuore, i dinieghi di Costigan, il quale aveva dichiarato di non aver mai fratturato le dita delle mani e dei piedi di Ada, la sua indignazione, la confusione all'idea di essere addirittura accusato di qualcosa del genere. I suoi occhi avevano avuto la stessa espressione di quelli di Ella adesso, spaventati, offesi e pieni di un enorme stupore. — Però hai ammazzato Nora! — ripeté. Voleva che le sue parole rivelassero la certezza di questo fatto. Non era una domanda, la sua, era un'accusa. — Sì... adesso è inutile dire di no. Però non le ho rotto le dita e non ho mai toccato Ada! Non sono mai stata neanche a casa sua! Pitt non sapeva se crederle o no. Guardandola, ascoltando la sua voce, era sicuro che dicesse la verità; eppure il suo cervello gli ripeteva che era assurdo. Aveva appena ammesso l'assassinio di Nora. Perché negare di aver ucciso Ada? La punizione non avrebbe potuto essere peggiore, e nessuno in ogni caso le avrebbe creduto. — Io non ho ammazzato Ada! — ripeté Ella quasi gridando. — E non ho mai neanche fatto quelle cose a Nora! — Perché hai cercato di mettere di mezzo Finlay FitzJames in questa storia? — le domandò Pitt. Lei sembrò sconcertata. — Chi? — Finlay FitzJames — ripeté lui. — Perché hai messo il suo fazzoletto e il suo bottone nella camera di Nora? — Non so di che cosa parlate! — Adesso il suo sbalordimento era totale. — Mai sentito parlare di quello lì. Chi è? — Una volta tu non lavoravi in casa FitzJames? — Mai lavorato in nessuna casa. Io non ho mai fatto la stramaledetta cameriera di nessuno! Pitt continuava a non capire se era il caso di crederle o no. — Forse. A ogni modo, adesso non fa una gran differenza. Ti arresto per l'omicidio di Nora. E cerca di non renderti le cose più difficili di quello che sono già. Lascia che le altre donne ti vedano uscire con un po' di dignità. Lei alzò di scatto la testa, e si passò le mani fra quei capelli stupendi fis-
sandolo con aria di sfida. Poi il coraggio l'abbandonò di colpo e chinò le spalle, accasciata, lasciando che fosse lui a condurla fuori. — Bene, che Dio sia ringraziato! — esclamò Ewart con un sospiro, abbandonandosi contro la spalliera della poltrona nel commissariato di polizia di Whitechapel. — Devo ammettere che non credevo che ce l'avremmo fatta. — Alzò gli occhi verso Pitt con un sorriso. Pareva che tutta la tensione di prima lo avesse abbandonato di colpo, come se un peso intollerabile gli fosse stato tolto dalle spalle e improvvisamente capisse di poter respirare regolarmente, dopo essersi liberato da un tormento segreto. E non fu parco di elogi nei confronti di Pitt, mostrandogli quanto rispetto provasse per lui. — Dovrei anche dire che avete fatto tutto voi — soggiunse. — Visti i risultati, devo ammettere che la mia parte è stata modesta. — Incrociò le mani sul petto. — Dunque è stata Ella Baker. Non avrei mai pensato a una donna. Ecco un'idea che non mi è mai passata per la testa. Che errore. — Lei giura che non ha ucciso Ada — disse Pitt, venendo a sedersi di fronte a lui. — Come non ha fratturato le dita delle mani e dei piedi di Nora. Ewart rimase imperturbabile. — Be', è logico che dica così, ma non significa niente. Non so perché se la prende tanto. Adesso non fa nessuna differenza. — E giura di non aver coinvolto Finlay FitzJames in questa storia — soggiunse Pitt. — Sostiene di non aver mai sentito parlare di lui, e di non essere mai stata a lavorare in casa di nessuno come domestica. Ewart si strinse nelle spalle. — Immagino che siano bugie, anche se non riesco a capire perché ci tenga tanto a sostenerlo. In ogni caso, praticamente non ha più alcun interesse. — Sorrise. — Il caso è risolto. E senza alcun effetto sgradevole, in fondo. È ben di più di quanto non osassi sperare. Ho sempre pensato che FitzJames fosse innocente — si affrettò a soggiungere, e per un attimo sembrò di nuovo a disagio. — Io... ho sempre pensato, però, che sarebbe anche stato molto difficile provarlo. Pitt si alzò in piedi. — Avete intenzione di andare a dirlo a FitzJames? — gli domandò Ewart. — A tranquillizzare la famiglia. — Sì. Sì, precisamente. — Bene. — Sorrise. Ma con una strana espressione un po' amareggiata. — Sono molto soddisfatto. Ve lo meritate.
— Bene — disse Augustus FitzJames in tono sbrigativo quando Pitt lo informò che Ella Baker era stata arrestata e accusata dell'omicidio di Nora Gough. — Devo presumere che avrete pronta per lei anche l'imputazione per la morte dell'altra donna, vero? — No. Di quello non abbiamo nessuna prova, e lei non ha ammesso niente in proposito — replicò Pitt. Si trovavano di nuovo in biblioteca, e stavolta il fuoco acceso irradiava un bel calduccio, perché la serata era gelida. — Be', suppongo che non abbia importanza. — Augustus non si mostrò particolarmente interessato. — Finirà sulla forca per il secondo omicidio. E tutti sapranno che ha commesso anche il primo, visto che sono identici, a giudicare dalle apparenze. Grazie per essere venuto a informarmi di tutto questo, sovrintendente. Avete compiuto un lavoro eccellente... stavolta. Peccato per quell'uomo... ehm... Costigan. Ma non ci si può fare niente. — Il suo tono era conciso, come se volesse concludere in fretta la discussione. Intanto si dondolava lentamente, avanti e indietro, sui piedi. — Di quelli della sua razza facciamo tutti volentieri a meno. Sporco lavoro, il suo. Campare sui guadagni di donne che fanno un lavoro immorale. Il suo posto è in una prigione, se non penzoloni dalla forca. In un modo o nell'altro, ci sarebbe finito ugualmente, presto o tardi. — Signor FitzJames, Ella Baker non ha mai lavorato per voi? — Non mi pare. — Augustus aggrottò le sopracciglia. — Anzi, sono sicuro di no. Perché? — Mi domandavo come si fosse procurata quegli oggetti che appartenevano a vostro figlio, per poterli lasciare sulla scena dei suoi delitti, e soprattutto per quale motivo avesse voluto farlo. — Non ne ho la minima idea. Suppongo che li abbia rubati — ribatté Augustus seccamente. — Ma adesso direi che non ha proprio più la minima importanza. Vi ringrazio per essere venuto di persona, sovrintendente. È una buona cosa sapere che la polizia non è tanto incompetente come qualcuno dei nostri giornali più scandalistici e male informati vorrebbero lasciarci credere. — Arricciò le labbra. — Ma, se adesso volete scusarmi, stasera ho un appuntamento. Vi auguro la buona sera. Pitt aprì la bocca per tentare ancora di protestare, ma Augustus aveva già allungato una mano verso il cordone del campanello per chiamare il maggiordomo. Evidentemente l'uomo non era preparato ad approfondire ulteriormente l'argomento.
— Buona sera, signor FitzJames — replicò Pitt, e fu costretto a congedarsi, mentre il maggiordomo apriva la porta e gli rivolgeva un sorriso. 12 Pitt tornò a casa stanco, ma la sua era la stanchezza di chi ha ottenuto una vittoria, anche se continuavano a esserci certi aspetti di quel caso che lo sconcertavano in un modo incredibile e che ormai aveva paura di non poter più risolvere. Era già quasi buio, e i lampioni a gas apparivano circondati da un alone di nebbia. C'era un po' di umidità nell'aria, un odore di foglie marce e di terra smossa e lavorata. E c'era da aspettarsi presto la prima brina. Aprì la porta di casa e, appena entrato nel vestibolo, vide Charlotte in cima alle scale. Aveva addosso una gonna e una camicetta molto semplici, che le davano un'aria quasi sciatta, e i capelli scarmigliati che le forcine non riuscivano a tenere a posto. Scese talmente in fretta che lui ebbe paura di vederla scivolare e cadere. — Cosa c'è? — le domandò, vedendo l'espressione animata e ansiosa del suo viso. — È successo qualcosa? — Thomas. — Respirò profondamente. — Thomas, ho fatto qualche piccola indagine per conto mio. Ma senza correre pericoli... Il semplice fatto che avesse accennato a qualche pericolo gli fece immediatamente capire che doveva essere vero il contrario. — Come? — le domandò subito, affrontandola mentre lei era sull'ultimo scalino. — Cos'hai fatto? Devo pensare che c'era anche Emily con te? — Sì. — Charlotte sembrava sollevata, come se quella fosse una buona notizia, qualcosa che rendeva meno rischioso il suo modo di agire. — E Tallulah FitzJames. Ascoltami prima, e poi arrabbiati e perdi le staffe se proprio devi, ma ho scoperto qualcosa che è enormemente importante. Qualcosa di terribile. — Anch'io — ritorse Pitt. — Ho scoperto chi ha ucciso Nora Gough, e perché, e ho ottenuto una confessione. E adesso parla. Tu invece cos'hai scoperto? Lei rimase un momento sconcertata. — Chi? — gli chiese. — Chi è stato, Thomas? — Un'altra prostituta. Una donna di nome Ella Baker. — Le spiegò rapidamente che loro erano sempre partiti dal presupposto che si trattasse di un uomo per via del soprabito che aveva addosso e come lei avesse potuto
scomparire senza che nessuno la vedesse. Continuavano a rimanere in piedi, nel vestibolo, di fronte alle scale. — Perché? — domandò Charlotte, ma il suo viso non rifletteva nemmeno un po' di quel senso di vittoria che Pitt si sarebbe aspettato. — Perché Nora le aveva portato via l'uomo che lei voleva sposare, la sua via di scampo per smettere la vita che faceva. E magari ne era anche innamorata! — Alzò le mani e gliele appoggiò sulle spalle, stringendola dolcemente. — Mi dispiace se ti ho rovinato la sorpresa. So che tu vuoi fare qualche indagine per amor mio, e non credere che non te ne sia grato. — Si chinò a baciarla, ma lei si tirò indietro accigliata. — Perché ha ucciso Ada McKinley? — Lei dice di no — rispose Pitt, rendendosi conto mentre pronunciava queste parole di quanta fosse l'insoddisfazione che gli pesava sul cuore. — Perché? — domandò Charlotte. — Che senso ha, Thomas? Non possono impiccarla due volte! — Era pallidissima, anche al riverbero della luce a gas. — O tre volte. — No, naturale che non possono — confermò lui. — Ma perché dici "tre volte"? Ci sono stati soltanto due omicidi. — No, non è vero. — Adesso la voce di Charlotte si udiva a malapena. — Ecco quello che stavo per dirti. Quello che abbiamo scoperto. C'è stato un terzo omicidio, all'incirca sei anni fa... una ragazza giovane, che aveva appena cominciato a fare quella vita. Batteva il marciapiede da una settimana, forse due. È stata uccisa in Mile End, esattamente come le altre... la giarrettiera, le dita delle mani e dei piedi fratturate, gli stivaletti allacciati l'uno con l'altro, perfino l'acqua... tutto. Non hanno mai scoperto il colpevole. Pitt era strabiliato. Per lunghi istanti rimase immobile, come se non avesse ben capito quello che lei aveva detto. Un altro omicidio, sei anni prima, in Mile End. Doveva essere stata la stessa persona. Impossibile che esistessero due... tre persone che avessero commesso esattamente lo stesso assassinio, inconcepibile, morboso, atroce... tre persone fra le quali non c'era nessun legame? E chi era stata la prima vittima? Perché non ne aveva mai sentito parlare? Perché Ewart non l'aveva saputo, non glielo aveva detto? — Mi spiace — disse Charlotte, sempre a voce molto bassa. — Non ti può essere utile, vero? Lui si riscosse e mise a fuoco lo sguardo su Charlotte. — Chi era? Non sai niente sul suo conto?
— No. Soltanto che era una nuova a fare quella professione. Non ho saputo il suo nome. Adesso Pitt aveva il cervello in tumulto. — Perché Ella Baker non potrebbe aver ucciso anche lei? — domandò Charlotte. — Magari quella ragazza aveva cercato di portarle via qualcosa? E ha detto perché voleva coinvolgere Finlay in questa storia? — No. — Thomas le girò le spalle ed entrò in salotto. Tutto d'un tratto aveva sentito freddo, lì fermo nel vestibolo. E una grande stanchezza. Voleva sedersi vicino al fuoco, il più vicino possibile. Lei lo seguì e prese posto nella sua solita poltrona, quella di fronte. Il fuoco era basso. Lui ci aggiunse altro carbone, ammucchiandolo sopra la brace e assestandogli qualche colpetto con l'attizzatoio per farlo ardere più rapidamente. — No — continuò. — Lo ha negato. Sostiene di non aver mai sentito parlare dei FitzJames, e Augustus ha detto di non aver mai sentito parlare di lei. — Si lasciò andare contro la spalliera della poltrona. Adesso le fiamme si erano ravvivate nel focolare man mano che il carbone prendeva fuoco; il caldo aumentava e gli faceva pizzicare la pelle. — Quanto a Ewart, non gliene importa niente — soggiunse. — È così stramaledettamente felice che tutto sia finito senza vedersi costretto ad arrestare FitzJames che non vuole sapere nient'altro di tutta questa faccenda. — E il signor Cornwallis? — Non sono ancora stato a parlargli. Ormai era già tardi, dopo la mia visita dai FitzJames. Glielo dirò domattina. E parlerò di nuovo con Ella Baker. Ma forse prima sarà meglio che cerchi di saperne di più sull'altro omicidio. Sei anni fa? — Sì, all'incirca. Lui sospirò. — Gradiresti una tazza di tè? — gli domandò Charlotte. — O di cioccolata? — Sì... sì, grazie. La mattina dopo si ritrovò nel freddo pungente di Newgate a chiedere di vedere Ella Baker, mentre nel cervello gli turbinavano le immagini della faccia di Costigan, pallida e terrorizzata. Di tutti i doveri che gli toccavano, questo era forse il peggiore. Almeno, era un tipo di sofferenza totalmente diverso da quello che provava quando doveva andare in visita dai parenti di una vittima. Atroce anche quello, però più semplice e pulito. Era una fe-
rita che un giorno si sarebbe rimarginata. Ella sedeva nella sua cella e portava ancora i suoi soliti indumenti, anche se non erano particolarmente diversi dall'uniforme della prigione. Lui l'aveva arrestata prima che avesse avuto il tempo di vestirsi per uscire a fare il suo solito lavoro. — Cosa volete? — gli domandò con voce spenta, appena lo vide. — Siete venuto qui a gongolare, vero? — No. — Pitt richiuse la porta della cella dietro di sé. Considerò la sua faccia pallida, gli occhi infossati e privi di speranza, quella stupenda capigliatura sciolta sulle spalle. Era curioso: per quanto avesse osservato Ada e Nora ed esaminato le loro mani torturate e i loro visi di cadavere sfigurati dall'ultima lotta convulsa, adesso riusciva soltanto a vedere Ella e la sua disperazione. — Non provo nessun piacere in quello che sto facendo — le disse. — Un po' di sollievo perché è finita, ma nient'altro. — E allora? Cosa siete venuto a fare? — disse lei, senza credergli del tutto, anche se qualcosa nei suoi occhi e nella sua voce non la lasciava del tutto indifferente. — Raccontami del primo omicidio, Ella — rispose Pitt. — Che cosa ti aveva fatto, lei? Era soltanto una ragazzina, aveva appena cominciato a fare la tua professione. Perché l'hai ammazzata? Lei lo guardò con il più totale stupore. — Ma voi siete pazzo, sì, pazzo! Non so di che cosa state parlando! Ho riempito Nora di botte, poi ci siamo picchiate e l'ho strozzata. Ma non le ho mai rotto le dita delle mani e dei piedi, non le ho mai buttato l'acqua addosso, non ho mai allacciato a quel modo i bottoncini degli stivaletti! Non ho mai toccato Ada McKinley. Non sapevo neanche chi fosse fino a quando non l'hanno fatta fuori. E per quest'altra, non so di cosa parlate. A quanto ne so io non ce n'è stata nessun'altra. — Circa sei anni fa, in Mile End — provò a spiegarle lui. — Sei anni fa! — Ella era incredula; poi cominciò a ridere, e fu un suono stridulo, aspro, doloroso, colmo di un terrore incontrollato. — Sei anni fa io ero a Manchester. Mi sono sposata e sono andata a vivere da quelle parti. Mio marito è morto. Sono tornata a casa e mi sono messa a battere il marciapiede. Un modo come un altro per avere un tetto sopra la testa, sempre meglio della fabbrica di fiammiferi. Avevo una cugina che è morta. Si è ammalata per via del fosforo. Lavoro maledetto. Meglio finire sulla forca. — Improvvisamente i suoi occhi si colmarono di lacrime. — Tanto, cosa cambia, eh?
Pitt sorrise in risposta a quelle amare battute di spirito. Rivelavano un certo coraggio. Quello, poteva ammirarlo. — Come si chiamava tuo marito? — domandò. — Joe Baker... Joseph. Volete fare qualche controllo sul mio conto? — Tirò su col naso. — Un brav'uomo, era Joe. Davvero. Beveva troppo, ma non era cattivo. Non mi ha mai picchiato, era un debole, ecco. Stupido bastardo! — Cosa faceva? — Lavorava sui canali, finché un bel giorno è capitata una disgrazia ed è annegato. Di nuovo ubriaco, immagino. — Mi spiace — disse Pitt a bassa voce. Era sincero. Lei alzò le spalle. — Adesso non importa più. Da Newgate, Pitt si spostò al commissariato di polizia di Mile End, e chiese di parlare con il funzionario più anziano. Un giovane sergente piuttosto sconcertato lo accompagnò nell'ufficio piccolo e pieno di mobili, di un certo ispettore Forrest, un uomo alto e magro, capelli neri, un po' stempiato, e tristi occhi scuri. — Sovrintendente Pitt? — disse stupito, alzandosi di scatto in piedi. — Buon giorno, signore. In che cosa posso esservi utile? — Buon giorno, ispettore. — Pitt chiuse la porta alle proprie spalle e accettò la poltrona che gli veniva offerta. — Sbaglio o voi vi trovavate già qui a Mile End anche sei anni fa? — Sì. Ho visto dai giornali che avete catturato la vostra assassina. — Forrest tornò a prendere posto dietro la scrivania. — Ben fatto. Siete stato molto più abile di quanto non si possa dire di noi. Badate, io a quell'epoca ero soltanto un sergente. — Quindi avete avuto un altro omicidio esattamente dello stesso genere? — Pitt si accorse che gli riusciva difficile dominare la collera che provava, e parlare con voce normale. — Sì. Almeno a quanto posso dire io — gli confermò Forrest, mettendosi a sedere più eretto. — Fin nei minimi particolari. I giornali non ne hanno parlato molto, ma io me ne ricorderò per il resto dei miei giorni. Poverina. Non doveva avere più di quindici o sedici anni. Carina dicono, prima che lui la conciasse in quel modo. — Lei — lo corresse Pitt. — Oh. — Forrest scrollò la testa. — Sì... lei. Mi spiace, chissà perché, in tutti questi anni ho sempre avuto ben chiaro in testa che doveva essere sta-
to un uomo. A me è sempre sembrato un delitto che avesse le radici nel sesso... proprio quel genere di sesso pervertito dell'uomo che deve ferire e umiliare prima di riuscire a provare piacere. Il tipo di persona che deve dimostrare di aver potere su qualcun altro, che deve vedere le altre persone impotenti e indifese. Un demonio. Con tutto ciò, continuo a non convincermi che sia stata una donna. Per quanto... suppongo che sia così, se ha confessato. — No, lei non ha confessato niente, all'infuori dell'ultimo, quello di Nora Gough. Anzi, ha detto che sei anni fa si trovava a Manchester. Forrest lo guardò con tanto d'occhi. — Be', dev'essere stata la stessa persona. Perfino a Londra, per quanto sia una vera e propria fogna, non possiamo avere due pazzi che vanno in giro a fare cose del genere alle donne. — Perché non mi avete parlato del vostro caso? — domandò Pitt, cercando di non prendere un tono accusatore, ma senza riuscirci. — Io? — Forrest lo guardò con stupore. — Perché, non ve l'ho detto? — Sì. Avrebbe potuto aiutarci, per amor di Dio! Almeno saperlo! Avremmo potuto scoprire cos'avevano in comune, e chi poteva averle conosciute tutte e tre. — Ma io non ve l'ho detto perché... l'ispettore Ewart non ve ne ha parlato? Ma se è stato lui a occuparsi di quel caso! Pitt si sentì agghiacciare. — Ho dato per scontato che ve lo avesse detto — Forrest riprese in tono pieno di buon senso. — Adesso venite a dirmi che non lo ha fatto? — C'era incredulità nella sua voce, nell'espressione del suo viso. Stava scrutando Pitt come se non riuscisse quasi a credergli. Anche Pitt faceva fatica a convincersene. Gli si affollarono alla memoria le immagini di Ewart, insieme al ricordo della sua rabbia, dell'infelicità, della paura che aveva rivelato. Ma non aveva senso mentire. E in ogni caso la verità era già abbastanza evidente. — No, non me ne ha neanche accennato. Adesso fu la volta di Forrest di rimanere impietrito al suo posto, muto come un pesce. — Conoscete Ella Baker? — gli domandò Pitt. — O ne sapete qualcosa? Avete mai sentito il suo nome? Forrest adesso lo guardava con aria smarrita, come se non capisse. — No. Eppure conosco gran parte delle donne che battono il marciapiede qui nei dintorni. Ma lo domanderò a Dawkins. Lui è qui da anni e le conosce
tutte. — Si alzò in piedi e uscì, chiedendo scusa, per tornare pochi minuti più tardi seguito da un corpulento e anziano sergente con i capelli grigi. — Dawkins, avete mai sentito parlare di una donna, una prostituta qui della zona, di nome Ella Baker? — Si rivolse a Pitt. — Che tipo era, signore? — Alta, una faccia abbastanza comune — rispose Pitt. — Ma bellissimi capelli biondi folti e ondulati. Dawkins rifletté seriamente per un minuto e poi scrollò la testa. — Nossignore. L'unica che potrebbe avvicinarsi più di tutte le altre a quella descrizione è Lottie Bridger, ma è morta di vaiolo nei primi mesi di quest'anno. — Ne siete proprio sicuro, Dawkins? — insistette Forrest. — Signorsì. Mai sentito il nome di Ella Baker, e mai visto una ragazza qui, nelle strade del circondario, che assomigli a quella che avete descritto. — Grazie, Dawkins. — Forrest lo congedò. — Potete andare. — Signorsì. Vi ringrazio, signore. — Dawkins se ne andò, con aria sconcertata, richiudendo la porta dietro di sé. — E questo cosa significa? — Forrest adesso guardava Pitt, visibilmente confuso. — Allora mi state dicendo che non è stata questa donna a commettere il nostro omicidio? — Non so più quello che stiamo dicendo — ammise Pitt. — Avete il dossier di questo caso in modo che possa dargli un'occhiata? — Certamente. Lo mando a prendere. — Forrest chiese di nuovo scusa prima di assentarsi, e passò un lungo quarto d'ora prima che tornasse con una smilza cartelletta in cui si trovavano alcuni documenti. — Ecco qua, signore. Non c'è altro. — Grazie. — Pitt la prese, l'aprì e cominciò a leggere. Forrest aveva ragione. C'era molto poco davvero, però i particolari erano identici a quelli della morte di Ada McKinley e Nora Gough. Era tutto spiegato con una bella calligrafia in corsivo, freddamente, da un punto di vista clinico. Perfino il nome della vittima aveva qualcosa di irreale: Mary Smith. Ma era davvero il suo? Oppure, molto più semplicemente non avevano saputo come chiamarla? Era nuova della zona, nuova anche a quella professione. Non si diceva nient'altro sul suo conto, non si accennava né al luogo d'origine, né a una famiglia. E nemmeno c'era un elenco degli oggetti di sua proprietà. Pitt lesse accuratamente la descrizione di quanto era stato trovato nei locali in cui abitava. Non si faceva nemmeno il minimo accenno a qualcosa che potesse venir definito un indizio. E sicuramente non c'era niente che
appartenesse a Finlay FitzJames, o a un qualsiasi altro gentiluomo. Lesse le deposizioni dei testimoni, ma anche quelle gli dissero poco. Avevano visto qualche uomo arrivare e poi andar via, ma cos'altro c'era da aspettarsi dalla camera di una prostituta? Mancava qualsiasi indicazione più particolareggiata che li riguardasse, si diceva soltanto che erano abbastanza giovani. Tutte cose inconsistenti. Non c'era da meravigliarsi se il funzionario incaricato di occuparsene non era riuscito a scoprire l'assassino. Anzi, se ne facevano i nomi: si trattava degli agenti di polizia Trask e Porter, mentre a dirigere le investigazioni era stato incaricato l'ispettore Ewart. Il medico legale che aveva esaminato il cadavere, sia sulla scena del delitto sia successivamente, era Lennox. Perché nessuno di loro lo aveva menzionato a Pitt? Non riuscì a trovare una risposta convincente. — Non ricordo che ne abbiano parlato i giornali — disse a Forrest, che era rimasto in silenzio al suo posto per tutto quel tempo, la faccia segnata dall'ansia. — Non ne hanno parlato — replicò. — Solo della morte, e basta. Nessuno dei particolari. Sapete anche voi come vanno queste cose: meglio tacere, chissà che non serva a far cadere in trappola qualcuno. Loro sanno qualcosa, si lasciano sfuggire qualcosa... — Sì, lo so — ammise Pitt, ma la risposta lo aveva turbato profondamente. E inevitabilmente faceva affiorare le più torbide paure nel suo cervello. Quando due ore dopo lo affrontò nell'ufficio di Whitechapel, Ewart si mise a fissarlo con aria vacua, un'espressione strabiliata sul viso, gli occhi come ipnotizzati. — Ebbene? — gli domandò Pitt. — Per amor di Dio, figliolo, ma perché non mi avete parlato di quel primo caso? — Non lo avevamo risolto — rispose Ewart in preda alla disperazione. — E in quello lì non c'era niente che avrebbe potuto esserci di aiuto. — Non siate ridicolo! — Pitt girò sui tacchi e si avvicinò alla finestra, poi tornò a voltarsi bruscamente e a fissare Ewart. — Non potete sapere se ci sarebbe potuto servire o no! Perché lo avete tenuto nascosto? — Perché serve soltanto a confondere le idee riguardo al presente. — Adesso anche Ewart stava cominciando ad alzare la voce. — Non c'è niente che possa essere utile ad affermare che è stata la stessa persona. È successo in Mile End, e sei anni fa! La gente tende a imitare un delitto che è
stato commesso... specialmente la gente che non ha il cervello a posto, la gente perversa e stupida che legge quello che ne raccontano i giornali e se lo imprime ben bene nella mente, e poi... — Quali giornali? — domandò Pitt, asciutto. — Buona parte di quei particolari è stata tenuta nascosta ai giornali, e lo sapete bene quanto me. Io non ho mai sentito parlare di quel caso, come non ne ha sentito parlare nessuna delle persone che ci sono qui e che stanno occupandosi di quello attuale. Nessuno a Whitechapel lo ha collegato a quello di allora, al primo... E invece voi sì. E anche Lennox! — Be', non c'era nessuna connessione fra loro, sì o no? — esclamò Ewart in tono trionfante. — Adesso mi state dicendo che non siete sicuro che sia stata Ella Baker a far fuori quella Gough? — No, niente affatto. — Pitt si voltò di scatto tornando nuovamente a guardar fuori dalla finestra, contemplando i grigi edifici e il cielo di ottobre che si faceva sempre più buio. — Lei ha confessato. E ho trovato qualche ciuffetto dei suoi capelli, lunghi e biondi, nel letto di Nora. Deve averglieli strappati mentre lottavano. — E allora, cos'è tutto questo trambusto? — domandò Ewart con sicurezza crescente. — Avevo ragione. Fra i due casi non c'è nessun legame. — Come fate a sapere che Ella Baker non ha ucciso la prima ragazza, Mary Smith... se quello poi era veramente il suo nome? — Non so. Magari è stata lei. Direi che non ha, poi, tutta questa importanza. Non possiamo fornire le prove che di quell'assassinio è lei la colpevole; e in ogni caso finirà sulla forca per questo. — E poi Ella Baker dice di non aver mai sentito parlare di Finlay FitzJames — soggiunse Pitt. Ewart esitò. — Racconta una fandonia — disse dopo un attimo. — E anche Augustus FitzJames sostiene di non aver mai sentito parlare di lei — continuò Pitt. Ewart non disse niente. Respirò profondamente e poi liberò un lungo e lento sospiro. — C'era qualcosa sulla scena di quel primo delitto che incriminasse Finlay? — domandò Pitt seccamente. Ewart lo guardò dritto negli occhi. — No, assolutamente no. Ci fosse stato ne avrei accennato. Quello sì, che sarebbe stato pertinente. Non avevamo nessuna idea sull'identità del colpevole. Non avevamo niente su cui lavorare... niente nel modo più totale. — Già, vedo.
Ma Pitt, in realtà, non vedeva niente. Da Whitechapel tornò in piena City, e raggiunse dritto dritto l'ufficio di Cornwallis. Cornwallis lo accolse con entusiasmo, alzandosi per venirgli incontro con la mano tesa, la faccia radiosa. — Ben fatto, Pitt, Siete stato veramente brillante! Confesso che avevo quasi perduto le speranze che si riuscisse a raggiungere una soluzione soddisfacente... e per di più anche una confessione. — Lasciò cadere di scatto la mano perché si era accorto improvvisamente che qualcosa non funzionava. Il sorriso si spense sulle sue labbra. I suoi occhi si oscurarono. — Cosa c'è, figliolo? Cos'è successo, adesso? Sedete! Sedetevi qui. — E gli indicò una delle accoglienti e capaci poltrone rivestite di cuoio verde, prendendo posto nell'altra. Poi si protese verso Pitt con aria grave, dedicandogli la sua attenzione più totale. Pitt gli parlò del delitto di Mile End. Cornwallis rimase allibito. — Ed Ewart ve lo ha raccontato soltanto adesso? Ma è incredibile! — Ewart non mi ha raccontato un bel niente — rispose con aria torva. — È stata mia moglie a scoprirlo, e poi a riferirmelo. — Non gli sfuggì l'espressione apparsa sul viso di Cornwallis; ma forse Vespasia gli aveva già fatto qualche allusione in proposito, perché si guardò bene dal mettere in dubbio ciò che Pitt gli aveva appena detto. — Ma avete parlato con Ewart? — affermò, gli occhi incupiti da un brutto presentimento. — Sì — replicò Pitt. — Mi ha risposto che non ne aveva accennato perché gli era sembrato che non ci fosse nessuna connessione. — Ma è inconcepibile. — Cornwallis adesso era molto serio, e la sua espressione si era fatta profondamente turbata. — E in tutto questo è coinvolto anche Lennox? — Sì. Anche se è più facile da capire. Può darsi benissimo che sia partito dal presupposto che Ewart me lo avesse raccontato. In fondo toccava a Ewart, non a lui. — Ma perché? — esclamò Cornwallis esasperato. — Non mi ci raccapezzo! Non so da che parte cominciare a cercar di capire! Per quale motivo Ewart può aver voluto tenere nascosto quel primo omicidio? — Aveva stretto le mani a pugno, si mostrava irrequieto. — E va bene, non è stato capace di risolverlo, ma non per questo deve vergognarsene. Da quanto mi dite non c'erano indizi da seguire. I testimoni non avevano detto niente che
avesse un minimo valore. Non c'era nient'altro che lui avrebbe potuto fare. Pitt... — Sembrava avvilito, quasi come se non riuscisse a spiegare ciò che intendeva dire. — Non so — rispose Pitt alla domanda che non era stata formulata. — Non posso credere che Ewart sia stato coinvolto in un omicidio, figuriamoci poi in tre! Però devo saperlo. Tornerò a interrogare i testimoni originari del caso di Mile End. Conosco i loro nomi, e so dove la sciagura è accaduta. Non riguarda il mio commissariato, e non è un delitto di cui dovrei occuparmi. Mi occorre il vostro permesso per interrogare l'ispettore Forrest e per sapere cos'ha fatto Ewart, che era di servizio quella sera. — Lo avete — disse a mezza voce. — Dobbiamo sapere. Tornate a quel primo omicidio, Pitt. Non posso credere che Ewart sia il colpevole. In ogni caso, non lo è stato sicuramente del secondo o del terzo. Questo lo sappiamo. Ma se non è stata Ella Baker a commetterlo, allora... in nome di Dio, chi è stato? Ma credete che sia sul serio accettabile l'idea che abbiamo avuto tre delitti di un tipo assolutamente insolito, tutti con le stesse caratteristiche di torture e feticismo, gli stivaletti allacciati l'uno con l'altro, l'acqua eccetera... commessi da tre persone differenti? — Si direbbe che sia proprio così — replicò Pitt. — Ma no, io non ci credo. È assurdo e ridicolo. C'è qualcosa di sostanziale che ancora non sappiamo, e non ho nessuna idea di che cosa si tratti. — Si alzò in piedi. Cornwallis lo imitò e, avvicinatosi alla scrivania, scrisse una breve nota con cui si forniva a Pitt l'autorizzazione richiesta. Gliela consegnò senza dire una parola, stringendogli forte la mano, visibilmente agitato. Pitt girò sui tacchi e uscì nell'aria frizzante di ottobre per chiamare una vettura di piazza e tornare a Mile End per l'ennesima volta. Erano le quattro del pomeriggio. Alle cinque e un quarto aveva preso visione degli elenchi del personale in servizio il giorno della morte di Mary Smith. Era assolutamente impossibile che Ewart fosse stato coinvolto in qualche modo nel suo assassinio, esattamente come non era stato coinvolto in quelli di Ada McKinley e Nora Gough. Uscito di lì, raggiunse la casa di Globe Road dove Mary Smith era morta. Domandò al proprietario, con la barba grigiastra non rasata, qualche informazione sul primo testimone che aveva rilasciato una dichiarazione, almeno a quanto risultava dai suoi elenchi. — C'è il signor Oliver Stubbs? — Mai sentito — disse l'uomo in tono secco. — Provate da qualche altra parte. — Stava per chiudere la porta, quando Pitt infilò il piede fra lo stipi-
te e il battente e gli lanciò un'occhiata talmente feroce che quello ebbe un attimo di incertezza. — Sentite un po', si può sapere cosa vi prende? Tirate via quel piede dalla mia porta altrimenti vi lancio addosso il cane! — Provateci e vi faccio chiudere — ribatté Pitt senza esitazione. — Questa è un'inchiesta per omicidio, e se volete evitare di finire sulla forca come complice, dovete fare tutto il possibile per aiutarmi. Dunque se Oliver Stubbs non è qui, dove è andato a cacciarsi? — Non lo so! — La voce dell'uomo si alzò, piena d'indignazione. — Se l'è svignata due anni fa. Ma che io sappia non ha mai ammazzato nessuno. — Mary Smith — ribatté Pitt in tono tagliente. — Chi? — L'uomo lo guardò con tanto d'occhi. — Via, andiamo! Ma lo sapete quante sono le Mary Smith che abbiamo da queste parti? Ogni puttana che cerca di fare questo mestiere è una Mary Smith. — Ma non tutte finiscono torturate, strangolate e legate a un letto — rispose Pitt digrignando i denti. — Gesù! Quella Mary Smith. — L'uomo impallidì sotto la barba lunga. — Un po' tardi, vero? È successo sei o sette anni fa. — Sei. Ho bisogno di vedere i testimoni di quell'epoca. Provate a mettermi i bastoni fra le ruote e trovo di sicuro qualcosa per farvi arrestare. L'uomo si voltò a gridare verso il corridoio semibuio alle sue spalle: — Qua! Marge! Vieni qua! Nessuna risposta. — Vieni qua, fannullona di una troia! — Intanto aveva alzato la voce ancora più di prima. Ci fu un altro momento di silenzio e poi un donnone con i capelli rossicci sbucò da una delle stanze sul retro e si fece avanti. — Be'? Cosa volete? — domandò a Pitt mostrando una scarsissima curiosità. — Tu non eri qui sei anni fa? — le domandò l'uomo. — Sicuro — rispose lei. — E con questo? — Questo poliziotto vuole parlarti. Marge, sii gentile con lui, altrimenti siamo tutti rovinati. — E perché dovrei essere gentile? — ribatté quella con un sogghigno. — Io non ho fatto niente contro la legge. — Me ne infischio — rispose l'uomo scoppiando a tossire raucamente. — Insomma, diglielo e basta, stupidona. Tu c'eri. Raccontagli tutto! — Voi sareste Margery Williams? — le domandò Pitt. — Già. — Siete stata una dei testimoni con i quali la polizia ha parlato dell'omi-
cidio di Mary Smith, sei anni fa? Lei sembrò impacciata, ma i suoi occhi non ebbero neanche un attimo di esitazione. — Sicuro. E ho raccontato tutto quello che sapevo. Perché volete saperlo? Come è vero Dio, sono sicura che non lo prenderete. — Avete detto "lo". — La squadrò con maggior attenzione. — Dunque per voi è scontato che l'abbia ammazzata un uomo, oppure potrebbe anche essere stata una donna? Il disprezzo si disegnò sulla faccia di Marge. — E che razza di donna è quella che fa cose del genere a un'altra donna? Gesù, ma da dove venite, signore? Naturale che è stato un uomo! Ma non avete guardato bene quello che ho detto? L'hanno scritto dalla prima parola all'ultima su quei loro libretti. Non facevano che scribacchiare di continuo. L'uomo si era fermato di fianco a lei, e adesso passava con lo sguardo dall'uno all'altra. — Non possono aver conservato quella roba — disse Pitt, pensando con stupore a quanto doveva essere stato buttato via non appena lo avevano considerato del tutto inutile, e il caso era stato archiviato come "non risolto" e dimenticato. — Ditemi quello che riuscite a ricordare dell'uomo che avete visto, e nel modo più particolareggiato possibile. — E che cosa diavolo importa, adesso? — Fece una smorfia, aggrottando le sopracciglia, mentre lo occhieggiava con sospetto e curiosità. — Non avete mai detto di aver beccato nessuno, vero? Dopo tutti questi anni? — Ebbe un altro attimo di incertezza, e rimase profondamente assorta. — Ah, adesso capisco! State dicendo che potrebbe essere stato quello che ha fatto fuori Mary Smith ad ammazzare anche le altre donne di Whitechapel? — Sì — rispose con semplicità. — È possibile. — Ho sentito dire che è stata una donna a far fuori quelle altre due. Allora è proprio vero? — Si voltò di scatto verso l'uomo con la barba lunga. — Quel Davey Watson è un bugiardo! Ha detto che era stata un'altra baldracca a far fuori quelle due. Aspetta che mi arrivi fra le grinfie, quel piccolo bastardo stramaledetto! — È stata una donna ad ammazzare Nora Gough — le spiegò Pitt, cercando di placarla. — E adesso, per favore, descrivetemi quest'uomo con tutta l'attenzione possibile e come meglio ricordate, ma non aggiungete e non lasciate fuori niente. Prego. — Va bene. — Lei alzò le spalle massicce. — Erano in quattro. Sono venuti tutti insieme. Uno con i capelli scuri e l'aria un po' stramba, un tipo d'artista, con una faccia che non aveva niente di speciale se ben ricordo.
Un pittore, magari! — Il secondo uomo? — la incitò Pitt. — Quello era il tipo dello sbruffone, proprio così, pieno di arie come se credesse di essere chissà chi. — Che tipo era? — Pitt sentiva crescere dentro di sé un'urgenza incalzante. — Niente di che. Ma sotto sotto il vero tipo della carogna. — E intanto lo fissava con gli occhi sgranati, cercando di capire per quale motivo tutto questo lo interessasse tanto. — Non saprei riconoscerlo neanche se le arrivasse dietro in questo momento. — E il terzo? — insistette Pitt. — Un altro di quei bastardi pomposi e pieni di sé che credono di avere il mondo in mano — gli rispose. — Bello, però. Una bella faccia, capelli magnifici, folti e tutti ondulati. Capelli che andavano bene per una donna, ecco. — Biondo o bruno? — Pitt si accorse di provare una strana sensazione di aspettativa facendo quella domanda, si accorse di avere lo stomaco stretto da una morsa. Ewart aveva saputo tutto questo. Aveva ascoltato tutto questo sei anni prima. Per quale motivo, per paura o stupidità, aveva taciuto? — Biondo — disse lei senza esitare. — Un signore? — Già, se è l'abito che fa il monaco, allora sì. Era un signore. Ma un tipo così... non gli avrei dato due soldi. Piccolo maiale schifoso. Aveva qualcosa di viscido... sembrava... eccitato, come se fosse... non so — rinunciò a spiegarsi. — E l'ultimo? — Pitt avrebbe preferito non saperlo, ma vi era costretto, impossibile evitarlo. — Potete ricordarlo? — Certo. Ecco, lui era proprio tutto diverso. — Scrollò lievemente la testa, facendo ondeggiare a destra e a sinistra quelle ciocche rossicce. — Magrolino, ma con una di quelle facce che non si dimenticano più. Occhi come se fossero di fuoco. E dentro quella testa... — Volete dire che era un po' matto? O ubriaco? Cosa? — No. — Fece un gesto spazientito con la mano. — Come se sapesse di aver qualcosa di dentro, qualcosa di così importante, che doveva raccontarlo a tutti. Magari era un poeta, o un musicista o qualcosa del genere. Era fuori di posto con quegli altri. — Capisco. E cosa è successo? State dicendo che sono venuti insieme,
oppure a uno a uno, o come? — domandò, anche se sapeva già la risposta. — Sono venuti tutti insieme — rispose lei. — Sono andati tutti in camere differenti. E sono usciti anche insieme, dopo. Stavano stretti stretti, in gruppo. Bianchi come cenci lavati. Ho pensato che dovevano essere ubriachi fradici, ma poi ho capito cos'avevano fatto... o cosa aveva fatto uno di loro. E credo che lo sapessero tutti, gli altri, ecco. — Vedo. E sapreste dirmi quale è andato da Mary Smith? — Certo. — Fece segno di sì con la testa. — Hanno cominciato tutti insieme con lei. Poi quello con i bei capelli è rimasto con lei. Poi sono tornati anche gli altri. Non so chi l'ha ammazzata, però sarei pronta a scommettere tutti i miei soldi che è stato quello con i bei capelli. Aveva qualcosa di strano negli occhi. — Capisco. — A Pitt pareva di essere inebetito, provava un vago senso di nausea. — Grazie, signora Williams. In caso di necessità, rilascerete una nuova testimonianza, vero? — Cosa, in un tribunale? — Sì. Lei ci pensò un momento. Ma non si consultò con l'uomo che era rimasto in disparte, imbronciato, privo di importanza. — Sì — disse infine. — Sì, se volete. Povera Mary. Non se lo meritava. Nessuna delle mie ragazze se lo è mai meritato, come chiunque altro. Vorrei vedere impiccato quel bastardo, se riuscite a mettergli le mani addosso, proprio così! — Proruppe in una risata aspra, derisoria. — Non c'è nient'altro, signore? — No, per ora no. Vi ringrazio. Pitt si allontanò camminando lentamente. Ormai erano quasi le sei di sera e stava diventando buio. Non esistevano scappatoie possibili. Margery Williams aveva descritto con troppa precisione i quattro giovanotti perché potesse ancora sussistere il più pallido dubbio. Doveva essere stato l'Hellfire Club: Thirlstone, Helliwell, Finlay e Jago Jones. Pitt si sentiva schiacciato da un'infinita angoscia interiore. Si allontanò lentamente da Mile End, avviandosi in direzione di Whitechapel. Ci avrebbe messo una mezz'ora a raggiungere Coke Street. In cuor suo avrebbe desiderato che il tragitto fosse ben più lungo. Attraversò la strada, e per un pelo evitò di essere investito da un hansom. Si stava facendo buio, e il freddo aumentava. Si rialzò il colletto del soprabito affrettando il passo quasi senza accorgersene. Non aveva nessuna intenzione di raggiungere la sua meta più in
fretta; a spingerlo avanti erano il turbamento, la collera, un senso di urgenza interiore. Stava percorrendo Mile End Road fino in fondo, dove - dopo l'incrocio con Brady Street - sarebbe diventata Whitechapel Road. Se prima era riluttante, adesso non vedeva l'ora di farla finita il più in fretta possibile. Aveva allungato il passo e marciava quasi senza vedere i passanti che lo sfioravano. Vennero accesi i lampioni stradali. Le carrozze, anch'esse con le lampade ai lati, si erano trasformate in sagome minacciose e indistinte, accompagnate nel loro movimento dal frastuono degli zoccoli dei cavalli che battevano sul lastricato umido, dal fruscio delle ruote. Svoltò a sinistra in Plumbers Row, da cui si raggiungeva Coke Street. Era l'unica ora del giorno, l'unico luogo in cui era quasi sicuro di trovare Jago Jones; era anche convinto, dentro di sé, per quanto la sua convinzione potesse essere del tutto irrazionale, che Jago non gli avrebbe mentito qualora lo avesse messo di fronte alla verità. Svoltò l'ultimo angolo, e vide il carretto sotto il lampione a gas, la luce che batteva sui manici, lucenti e levigati, perché da generazioni, giorno dopo giorno, tante mani li avevano impugnati. Jago Jones, con il corpo scarno coperto dalla veste sacerdotale logora e trasandata, stava ancora servendo la zuppa calda alle ultime persone coperte di cenci. Vicino a lui, attenta a lavorare in silenzio al suo stesso ritmo, c'era Tallulah FitzJames. Pitt rimase a osservarli, appoggiato al muro nell'ombra, fino a quando finirono e cominciarono a riporre tutta la loro roba. Di cibo non era rimasto niente; non rimaneva mai. — Reverendo Jones. — Pitt si fece avanti parlando a voce bassa. Jago alzò gli occhi. Non si meravigliava più di vedere Pitt. Ormai, in quelle ultime settimane, in quegli ultimi mesi, si era presentato lì, davanti a lui, fin troppo di frequente. — Sì, sovrintendente? — domandò con pazienza. — Scusatemi. — E Pitt era sincero. Molto raramente gli era successo di rammaricarsi tanto di quello che il dovere esigeva da lui. — Non posso rimandare ancora. L'argomento va affrontato. — Allungò uno sguardo a Tallulah, sempre intenta a riordinare e a riporre la roba. — Di che si tratta adesso? — gli domandò Jago, la fronte corrugata per la perplessità. — Non so nient'altro. Ho scambiato qualche parola con Ella Baker una o due volte, ma era una donna che sapeva sempre cavarsela da sola. Non aveva nessun bisogno dei miei consigli. — Ebbe un sorriso un po' triste. — O perlomeno, forse sarebbe più giusto dire che non li deside-
rava neanche. Non la conoscevo abbastanza bene per rendermi conto di quello che stava soffrendo. Forse questo è uno dei miei lati negativi, ma, almeno nel suo caso, ormai è troppo tardi per rimediare. Il suo viso, alla luce del lampione, non rivelava altro che dolore e un senso di sconfitta. Si scostò di qualche passo in modo che Tallulah non potesse ascoltare quello che si dicevano. — Vi prego, non chiedetemi di interrogarla, sovrintendente. Anche se accettasse di parlare con me, qualsiasi cosa potesse dire riguarderebbe soltanto lei e Iddio. Io potrei offrirle soltanto qualche briciola di umano conforto, e la promessa che Dio è un giudice più buono di quel che ci si aspetti, se siamo onesti. — Onesti, reverendo? — Pitt si accorse del tremito che gli venava la voce. Jago lo guardò con gli occhi sbarrati. — Di che si tratta, sovrintendente? Pronunciate questa parola come se per voi avesse un significato ben più grande. Pitt non si era aspettato di trovare lì Tallulah. Al primo momento l'istinto gli aveva consigliato di mandarla via, in modo da poter affrontare Jago da solo, mettendolo di fronte a quello che adesso lui sapeva. Era una pura e semplice questione di decoro non farlo davanti a una persona che evidentemente provava per lui il più profondo rispetto. Adesso si stava accorgendo che Tallulah avrebbe dovuto essere messa al corrente di tutto anche lei. La toccava troppo da vicino. Finlay era suo fratello. Qualsiasi cosa venisse detta lì, in quella buia e umida Coke Street, alla fin fine sarebbe stata non meno sconvolgente e fatale che se lo avesse sentito spiegare nel salone di Devonshire Street. E rimandare quelle spiegazioni non l'avrebbe salvata dall'infelicità e dall'angoscia. — Proprio così, quando è pronunciata fra noi due, e riguarda la morte di Ada McKinley e di Nora Gough — fu la risposta che Pitt diede a quella domanda. Lo sguardo di Jago continuò a non rivelare nessuna incertezza. — Non so niente sul loro conto, sovrintendente. Tallulah aveva finito di riporre il necessario e si stava avvicinando. — E cosa mi raccontate di Mary Smith? — domandò Pitt, andando subito al sodo. — Dalle parti di Globe Road, in Mile End, circa sei anni fa. Avete intenzione di... — S'interruppe. Jago era diventato livido. Perfino sotto il riflesso giallo biancastro del lampione a gas il suo viso aveva assunto le sembianze di un teschio. Era inutile concludere la frase. Jago non avrebbe mentito. Adesso una bugia sarebbe stata solo grottesca, un'inde-
gnità senza redenzione. — Voi c'eravate — disse Pitt a bassa voce, cercando di non accorgersi che Tallulah lo stava fissando con occhi nei quali a poco a poco aumentava l'orrore. — Voi, Thirlstone, Helliwell e Finlay FitzJames. Jago chiuse gli occhi molto lentamente. Si stava controllando con uno sforzo supremo. — Risponderò per me stesso, sovrintendente, ma per nessun altro. — Deglutì a fatica. Le mani strette a pugno gli tremavano. — Sì, io c'ero. Quando ero più giovane ho fatto molte cose delle quali mi vergogno, ma di nessuna tanto come quella. Bevevo troppo, buttavo via il tempo e davo valore a cose che non ne hanno affatto. Ci tenevo poco a quello che era il giudizio della gente, e per me non avevano importanza né l'amore né il rispetto né l'onore. — Pronunciò queste parole con amarezza. — E neanche aveva importanza se ero io a fare del male agli altri. Né se il mio esempio era buono o cattivo. Ma mi piaceva scegliere un certo tipo di comportamento, e vantarmene, e cercar di essere più furbo e più spiritoso degli altri. Tallulah continuava ancora a fissarlo ma pareva che Jago si fosse dimenticato della sua esistenza, tanto provava odio per l'uomo che era stato. Lei gli si avvicinò di un passo, ma Jago continuò a non badarle. — Globe Road — disse Pitt, riportandolo al problema di fondo. — Sì, c'ero anch'io — ammise di nuovo Jago. — Ma non ho ucciso Mary Smith. — La sua voce adesso si era affievolita, era ridotta a un bisbiglio, rauca, come se il ricordo di quello che era accaduto fosse ancora vivo davanti ai suoi occhi. — Ma so che cosa le è stato fatto, che Dio mi perdoni. Ho passato il resto della mia vita, da allora in poi, a cercar di espiare... — Chi l'ha uccisa? — domandò Pitt quasi con dolcezza. — Non ve lo dirò, sovrintendente, mi spiace. Pitt esitò solo un istante. In realtà non c'era una decisione vera e propria da prendere. — Reverendo... — usò volutamente quel titolo. — Mary Smith non fu soltanto uccisa, ma prima torturata e umiliata. Fu legata al letto con una delle sue calze, indumenti intimi... — Non gli sfuggì la pena che si leggeva in faccia a Jago, ma non si interruppe. — Venne terrorizzata e ferita. Le vennero slogate o addirittura fratturate le dita delle mani e dei piedi. E lei non era una prostituta esperta! — Si accorse che la propria voce stava diventando rauca, stridula. — Era una ragazzina, che aveva appena cominciato...
— Sovrintendente! — Quel grido proruppe dalle labbra di Tallulah. Venne avanti e si fermò di fianco a Jago, fissando Pitt. — Non è necessario continuare. Sappiamo quello che è successo alle ragazze di Whitechapel. Accettiamo che la stessa cosa sia accaduta a Mary Smith, e che sia stata addirittura terribile. Nessuno, nessun essere vivente, andrebbe trattato a quel modo, e voi dovete scoprire chi è stato, e queste persone devono essere punite... — Tallulah! — mormorò Jago con voce rotta dall'emozione, cercando di respingerla, di allontanarla di lì. Il suo viso era segnato dall'umidità della sera, o dal sudore di una pena segreta. — Tu non... — Tacque, senza riuscire a proseguire. — Tu... — Tirò un respiro lungo e tremulo, poi si voltò verso Pitt. — Sovrintendente, capisco quello che state dicendo e so, meglio ancora di quanto possiate saperlo voi, fino a che punto... fino a che punto è stato spaventoso. Ammetto la mia parte in quello che è successo. C'ero, e ho aiutato anch'io a nascondere ciò che è stato fatto. Ne sono colpevole. Ma non aggiungerò nient'altro. Ho fatto tutto quanto era in mio potere negli anni passati da allora per diventare un uomo degno di perdono. Ho cominciato dalla sensazione di rimorso che provavo io stesso. Adesso lo faccio per amore del mio dovere, in sé e per sé. Qualcuno deve mostrare premura per questa gente, proteggerla, e la mia ricompensa in tutto questo è stata più grande di quanto si possa credere. Però capisco di essere stato un favoreggiatore in un omicidio, e un complice nel nascondere la verità. C'è sempre un prezzo da pagare. Vi prego, posso portare il carretto di nuovo indietro, alla cucina, prima di venire con voi? Ne avranno bisogno domani. Qualcuno mi sostituirà in quello che non posso più fare. — Io — disse subito Tallulah. — Billy Shaw mi aiuterà, se glielo chiedo, e la signora Moss. — Grazie. — Jago prese nota di tutto questo senza nemmeno guardarla. — Non vi conduco via con me, reverendo — disse Pitt lentamente. — Non credo che abbiate assassinato Mary Smith e so che non siete stato neanche l'assassino delle due donne di qui, di Whitechapel. Jago era rimasto immobile, confuso. Ma continuava a non avere il coraggio di voltarsi a guardare Tallulah. Teneva la testa girata dall'altra parte, incapace di affrontare quello che avrebbe potuto leggere nei suoi occhi. Pitt esitava. — Jago — disse a voce bassa Tallulah, prendendolo per un braccio. — Non puoi continuare a proteggerlo ancora. È stato Finlay, vero? Chissà come papà è riuscito a tenerlo nascosto, a dargli una copertura. Deve aver
comprato il poliziotto. Nella mente di Pitt si affollarono impetuosamente i ricordi, una serie continua di tante piccole impressioni. L'orgoglio che Ewart mostrava per il figlio, quell'istruzione conquistata con sollecitudine, la figlia che aveva fatto un buon matrimonio. Una tale conquista! Ma a quale prezzo? Gli tornò alla memoria l'ansia di Ewart di gettare la colpa su qualcun altro, l'espressione della sua faccia quando veniva menzionato il nome di Augustus, lo strano miscuglio di paura e di odio. Era atrocemente ovvio, adesso, per quale motivo avesse distrutto le deposizioni dei testimoni dell'omicidio di Globe Road e definito il caso "non risolto", e per quale motivo non lo avesse menzionato a Pitt. Chissà quali incubi doveva aver avuto al pensiero che Finlay avesse commesso di nuovo lo stesso crimine, e che sarebbe di nuovo toccato a lui nasconderlo, mentre stavolta con un funzionario di grado superiore convocato a occuparsene le indagini gli sarebbero state automaticamente tolte di mano. Non c'era da meravigliarsi che non riuscisse a dormire e a mangiare, che arrivasse al commissariato con l'aspetto di un uomo che si era visto spalancare davanti la porta dell'inferno. E poi Pitt aveva arrestato Albert Costigan, ed era sembrato fuor di discussione che il colpevole fosse lui. Non lo aveva neanche negato! Ewart doveva essersi convinto di potersi sentire al sicuro. Poi c'era stato un altro delitto, in Myrdle Street. Un secondo incubo per Ewart... una seconda tortura per cercar di provare che Finlay non lo aveva commesso, per guidare Pitt passo passo lontano da Finlay e verso qualche altra spiegazione... Una qualsiasi sarebbe bastata! E Pitt aveva trovato Ella Baker. E anche lei non aveva negato la sua colpa. Tallulah era vicinissima a Jago, adesso, gli circondava la vita con un braccio come se dovesse sostenerlo. Il suo viso era coperto da un velo di umidità perché la nebbia stava lentamente calando; aveva gli occhi cupi, infossati. L'infelicità e l'angoscia adesso avevano lasciato tracce profonde sui suoi lineamenti. Ma in lei c'era anche una forza che prima non si era mai rivelata, quasi una luminosità, come se avesse trovato dentro di sé qualcosa che considerava prezioso, indistruttibile, e che col tempo avrebbe acquistato una bellezza più grande di tutto quello che Devonshire Street avrebbe potuto darle o toglierle. — Non puoi proteggerlo — ripeté. — Ma non posso neanche tradirlo — bisbigliò Jago, mentre si appoggiava lievemente a lei, quasi senza volerlo, come se lo facesse lottando
contro la propria volontà, ma senza riuscire a impedirselo. — Ho dato la mia parola. Ero anch'io da accusare. Ci sono andato. Sapevo quello che lui aveva dentro, il livore, il bisogno di potenza... Eppure ci sono andato ugualmente. — Era questo che c'era in Finlay FitzJames? — domandò Pitt. Jago non gli rispose. Pitt si rese conto che sarebbe stato inutile insistere. Continuava a non avere prove sufficienti per arrestare Finlay per l'omicidio di Mary Smith, e non le avrebbe mai avute se Jago non si fosse deciso a parlare. Margery Williams poteva riconoscere i quattro uomini, ma erano passati sei anni. E cosa valeva la testimonianza di una donna come lei contro quella di Finlay FitzJames e il peso del potere di suo padre? E Tallulah? Sarebbe tornata a casa in Devonshire Street a mettere in guardia Finlay? Era possibile che Pitt, una volta andato là anche lui, trovasse che Finlay era partito, magari per l'Europa, magari per qualche luogo ancora più lontano? Forse l'America? Rimasero tutti e tre sotto la luce del lampione a gas di Coke Street, immobili, Jago e Tallulah vicini, lei che lo stringeva a sé con il braccio, Pitt di fronte. Avevano tutti freddo. L'umidità stava calando e, insieme all'umidità, un freddo pungente, che si insinuava dappertutto. Giù sul fiume si fece sentire il suono di una sirena da nebbia, acuto e desolato, che levava gli echi dall'acqua. — Chi ha messo il gemello da camicia e il distintivo del club che appartenevano a Finlay nella camera di Ada McKinley? — domandò Pitt incuriosito. — Siete stato voi? Oppure uno degli altri due? — Io? No! — Disse Jago con stupore. — E sarei pronto a scommettere tutto quello che possiedo, anche se, lo ammetto, non è molto, che non è stato neanche uno di loro. Helliwell è terrorizzato all'idea di ritrovarsi marchiato, sarebbe rovinato da una cattiva reputazione, figurarsi poi da un omicidio! Quanto a Thirlstone, il suo unico desiderio è di dimenticare tutta la faccenda. L'Hellfire Club si è sciolto, e abbiamo giurato di non rivederci mai più. Tallulah passò gli occhi da Jago a Pitt, aggrottando le sopracciglia. — Ma non ha senso, sovrintendente. Le persone che a quanto dite hanno ucciso quelle donne vivono a Whitechapel. Non possono assolutamente aver mai sentito parlare di Finlay, figurarsi se possono essere entrate in possesso di oggetti che gli appartenevano. E per quale motivo dovrebbe trattarsi di Mortimer o di Norbert? — Adesso era pallidissima, gli occhi in-
fossati. — L'unica persona che non può essere stata è Finlay stesso. — La sua voce si abbassò riducendosi a un bisbiglio. — È stato colpevole la prima volta, ma non la seconda. Questo lo so, sovrintendente, lo giuro! Lo so sul serio! Perché l'ho visto con i miei occhi a quella festa! — E io vi credo, signorina FitzJames. Non è stato nemmeno Ewart. Era disperato al pensiero che Finlay potesse essere anche solo sospettato seriamente... figurarsi poi imputato! Può odiare vostro padre, può odiare Finlay, ma ha tutto da perdere, i mezzi di sostentamento, la famiglia, perfino la libertà, se Finlay risultasse colpevole. Il braccio di Jago rafforzò la stretta intorno alle sue spalle. — C'è qualcosa di fondamentale che non sapete — disse, quasi come se parlasse a se stesso e non a Pitt. — Qualcosa che è il perno sul quale ruota tutta questa storia. — Di che si tratta? — gli domandarono contemporaneamente Pitt e Tallulah. — Non so — confessò Jago. — So semplicemente che esiste, e che ha una grandissima importanza. — Mary Smith — disse ad alta voce Pitt. — Un nome così comune. Troppo comune. Chi era? Chi era realmente? Jago chiuse di nuovo gli occhi. — Non lo so. Era giovane. Era molto graziosa, e molto infelice. Che Dio ci perdoni... — Ma tutto questo continua a non avere alcun senso! — protestò Tallulah, rivolgendosi a Pitt. — Voi trovate oggetti di proprietà di Finlay nelle camere di quelle donne! Chi può averceli messi all'infuori della persona che le ha uccise? Possibile che Mary Smith avesse a che fare non soltanto con Costigan, ma anche con Ella Baker? — Il suo viso si incupì nello sforzo di concentrarsi. Era confusa. — Ma loro non avebbero certo ucciso due donne semplicemente per far ricadere la colpa su Finlay. È una follia. Mentre rimaneva lì, immobile, tra il freddo che si faceva più intenso e la foschia che adesso formava un alone di luce intorno ai lampioni a gas, a Pitt venne in mente un'altra risposta, assurdamente semplice e tragica. Se era la verità avrebbe spiegato tutto. — Devo tornare al commissariato — disse. La sua voce aveva lo stesso timbro di pochi attimi prima, eppure lui si sentiva profondamente diverso. Era una risposta che non voleva, ma a poco a poco si faceva strada nel suo cervello con forza sempre maggiore, già in quei pochi attimi da quando gli era balenata. — Io faccio venire Tallulah... la signorina FitzJames... con me, a St.
Mary — disse Jago, il viso composto, le spalle erette. Pitt ebbe un pallido sorriso. Era un'espressione di calore umano, ma solo un guizzo... quando gli sarebbe piaciuto che fosse ardente come un falò. — Ecco una buona idea, reverendo. Magari è il posto migliore per lei. Posso consigliarvi di trattenerla lì se le convenienze lo permettono? — Ma... — cominciò Jago. — So dove trovarvi casomai avessi bisogno di voi — lo interruppe bruscamente Pitt. — Ma non credo che sarà necessario. So che non testimonierete contro Finlay, e non c'è nessuno che possa testimoniare contro di voi. Continuate a fare il vostro lavoro qui. È molto utile. Buona notte. — Poi girò sui tacchi e si allontanò, avviandosi verso l'angolo della strada. Si voltò una volta a guardarsi indietro. Vide due figure sotto il lampione, ma talmente strette l'una all'altra che avrebbero potuto essere una sola, un uomo e una donna avvinti in un abbraccio che ciascuno dei due aveva immaginato e sognato e atteso, al punto che la realtà adesso era ancora più dolce di quanto avessero sperato. Ewart rimase sconcertato di vedere Pitt. Alzò gli occhi di scatto dalla scrivania, ma il suo viso era tranquillo, e non rivelava il minimo sospetto, nemmeno un briciolo di terrore per quel che poteva succedere. — C'è il dottor Lennox? — domandò Pitt. — Se non ci fosse, vi pregherei di mandarlo a chiamare. — Siete malato? — Ma già mentre gli faceva questa domanda, Ewart si rabbuiò in viso. Vedeva benissimo che Pitt non stava male, che era soltanto addolorato e depresso. — Cercatemi il dottor Lennox — ripeté Pitt. — Fino a che punto lo conoscete? Bene? — Ehm... moderatamente. — Ewart era pallido. — Perché? — Cosa faceva suo padre? — Come? — Cosa faceva suo padre per guadagnarsi da vivere? — ripeté Pitt. — Io... non credo... non ne ho la minima idea! Perché? — Sembrava sinceramente sconcertato. — Ha fatto qualcosa che non doveva? Cos'è successo, Pitt? Avete un aspetto da far spavento. Sedetevi, prego. Vado a prendervi un bicchiere di brandy. Il dottor Lennox! — Niente brandy. Non ne voglio. — Pitt si accorse di non sopportare quella scena. Ewart faceva di tutto per mostrarsi premuroso, malgrado la paura che cominciava a provare. Pitt disprezzava l'uomo che si era lasciato
comprare. Ewart aveva tenuto nascosto un omicidio brutale, uno dei più abietti di cui Pitt fosse mai stato a conoscenza. Dio solo sapeva quante altre cose doveva aver fatto dietro un ordine ben preciso di Augustus FitzJames. Ma la polizia non avrebbe mai perdonato a uno dei suoi un simile atto di corruzione. Mary Smith, o chiunque realmente fosse, meritava molto di meglio. — Andate a cercarmi Lennox! — ripeté Pitt a denti stretti. Livido in faccia, Ewart si avviò alla porta e scomparve lungo il corridoio. Rientrò dopo pochi istanti. — Sarà qui fra un quarto d'ora — disse, incerto se sedersi o rimanere in piedi. Intanto scrutava Pitt con evidente apprensione. — Sono stato a parlare poco fa con il reverendo Jago Jones — cominciò Pitt senza fretta. — Oh? — Ewart non sapeva se mostrarsi interessato o no. — A proposito dell'omicidio di Mary Smith — continuò Pitt. — In Globe Road, sei anni fa. Ewart diventò bianco come un cencio lavato. Sembrava che non riuscisse a tirare il fiato, che avesse la gola chiusa da un attacco di nausea. Con estrema lentezza si sedette sulla poltrona dietro di lui, dopo averla cercata a tentoni, con mani tremanti. — Per quale motivo avete distrutto il materiale relativo alle deposizioni dei testimoni? — domandò Pitt. — So la risposta, ma voglio offrirvi l'opportunità di dirlo voi stesso, se vi è ancora rimasto uno straccio di onore. Ewart sedeva ammutolito. Il tormento era chiaramente visibile sul suo volto. — Lui mi offrì del denaro — disse a voce talmente bassa che Pitt riuscì a sentirlo a malapena. — Denaro, perché la mia famiglia avesse una vita migliore. I miei figli per il suo. Mi disse che era stata una disgrazia. Finlay non aveva mai avuto intenzione di uccidere la ragazza. Quando si rese conto di quello che aveva fatto, cercò di rianimarla. Ecco perché le buttarono quell'acqua addosso. Ma naturalmente era andato troppo oltre. Il gioco gli aveva preso la mano e le aveva tolto la vita, strangolandola. Doveva averla imbavagliata per evitare che urlasse. C'erano i segni sulle sue guance. Si protese contro la scrivania nascondendosi la faccia tra le mani. — Però non è stato lui a uccidere le altre. — Aveva la voce impastata, semisoffocata. — Avevate trovato l'uomo giusto. Costigan era colpevole, sarei pronto a giurarlo! E anche Ella Baker! Iddio soltanto sa come siano finiti lì quegli oggetti che erano di proprietà di Finlay. È stato uno dei giorni peg-
giori della mia vita, quando li ho visti. Come se davanti a me si spalancassero le porte dell'inferno. Passò un buon quarto d'ora di un silenzio angoscioso, prima che la porta si aprisse per fare entrare Lennox. Aveva l'aria stanca. Vide inizialmente soltanto Ewart accasciato dietro la scrivania, e in un secondo tempo Pitt che occupava la poltrona di fronte a lui. — Cosa c'è? — domandò. — L'ispettore Ewart si sente male? — È probabile — rispose Pitt. — Entrate e chiudete la porta. Lennox ubbidì, sempre perplesso. Pitt rimase dov'era. — Voi, dottore, siete stato il primo ad arrivare sulla scena della morte di Ada McKinley dopo l'agente Binns, è giusto? — Sì. Perché? — Non pareva turbato, solamente sorpreso. — E anche sulla scena dell'assassinio di Nora Gough? — Sì. Del resto voi lo sapete benissimo. — Avete esaminato i cadaveri prima di chiunque altro? Lennox lo fissò incuriosito, mentre i suoi occhi affaticati, color nocciola, cominciavano a rivelare un barlume di intuizione. — Sapete anche questo. — E poi vi siete preoccupato di confortare le testimoni, prima che noi le interrogassimo? — continuò Pitt. — Sì. Loro erano... stravolte. Come è naturale. — Siete stato anche il primo ad arrivare sulla scena dell'assassinio di Mary Smith? Lennox impallidì, ma non perse niente del suo controllo. — Mary Smith? — domandò aggrottando le sopracciglia. — In Globe Road, sei anni fa — riprese Pitt. — Una ragazza giovane, che aveva da poco cominciato a fare quel mestiere, sui quindici o sedici anni. È stata uccisa esattamente allo stesso modo. Ma chi era, dottor Lennox? Per qualche istante nessuno si mosse. Non si udiva nemmeno il suono del loro respiro. Poi Ewart alzò gli occhi verso Lennox, stralunato. Il dolore che rivelavano i suoi occhi era un'ombra, un pallido fantasma, a confronto di quello che si era disegnato sul viso di Lennox. — Mia sorella — sussurrò. — Mary Lennox. Aveva sedici anni quando quell'animale la conciò in quel modo! — Abbassò lo sguardo verso Ewart. — E voi avevate le prove e l'avete lasciato andare! Che cosa vi ha pagato perché valesse la pena di fare una cosa simile?
Ewart continuò a tacere. Pareva annichilito, annientato dalla disperazione e dall'odio verso se stesso, incapace di accusare un altro colpo del genere. — Così, quando avete trovato una prostituta assassinata, senza che si fosse fatto uso del coltello — Pitt continuò rivolgendosi a Lennox — e siete stato il primo ad arrivare sulla scena del delitto, avete messo quegli oggetti di proprietà di Finlay sotto il cadavere, fratturato le dita delle mani e dei piedi perché assomigliasse a quello di Mary, legato la giarrettiera al braccio, allacciato gli stivaletti l'uno con l'altro, inondato il suo corpo di acqua... e poi vi siete limitato ad aspettare che noi facessimo il resto, nella speranza che Finlay FitzJames venisse incolpato — disse Pitt, soppesando ogni parola. — Sì. — E dove vi siete procurato il distintivo e il gemello da camicia? — Li ho sottratti a Ewart. Li aveva conservati in modo che non apparissero fra le prove — replicò Lennox. — E quando Finlay non fu incolpato e mandammo Costigan sulla forca, arrivaste per primo sulla scena del delitto nella camera di Nora Gough, per farlo di nuovo — continuò Pitt. — Avete anche avuto il tempo di insegnare la parte alle testimoni? Di persuaderle che avevano visto lì in casa un uomo che somigliava a Finlay? — Sì. Ewart si alzò in piedi, vacillò e per poco non crollò di schianto sul pavimento. Nessuno degli altri due si mosse per aiutarlo. — Devo uscire — disse con voce rauca. — Mi sento male. Lennox si fece da parte perché passasse. Ewart con mano tremante si aggrappò al pomo della porta, la spalancò e uscì lasciandola sbattere dietro di sé. Lennox affrontò Pitt. — Finlay meritava di essere impiccato per quello che ha fatto a Mary — disse a voce bassa, rotta dall'emozione. — Adesso pensate di accusarlo, o riuscirà ancora a venirne fuori senza guai? — Era come se facesse fatica a pronunciare ogni parola. — Non ho prove sufficienti per un'imputazione del genere — disse Pitt con amarezza. — A meno che Ewart non confessi, il che è sempre possibile. Ma può anche riacquistare la sua lucidità mentale e rendersi conto che io ho in mano pochissime prove.
— Ma... — Lennox era disperato. — Vedrei più chiaro in questa faccenda se Margery Williams identificasse Finlay — continuò Pitt. — Non è escluso che lo faccia. E magari potrebbero farlo anche gli altri due testimoni che l'hanno visto. Oppure esiste la possibilità che Helliwell e Thirlstone si spaventino quanto basta per dichiararsi disposti a parlare, soprattutto se vengono identificati anche loro. — Dovete riuscirci! — Lennox si protese verso Pitt, afferrandolo per le braccia con una stretta talmente forte da lasciargli i lividi sulla carne. — Dovete... Non riuscì a dire altro perché la porta si spalancò e un agente Binns visibilmente preoccupato mise dentro la testa. — Signore... l'ispettore Ewart è uscito poco fa come se avesse il demonio alle calcagna, sissignore, e si è anche portato via quei candelotti di dinamite che avevamo preso da... Pitt si alzò in piedi di scatto, facendo quasi cadere Lennox con quel movimento così brusco, e uscì di corsa nel corridoio passando davanti a Binns. — Binns, andate a chiamare un hansom. Requisitelo in caso di necessità. Andate... subito! Binns ubbidì, e scese le scale di corsa; sentirono il tonfo dei suoi passi sul tavolato di legno degli scalini, più sotto. Pitt si voltò a guardare Lennox. — Consegnate immediatamente al sergente la vostra richiesta di dimissioni. Per il mio ritorno dovete essere andato via. Non ditemi dove, e non vi cercherò. Lennox per un attimo rimase immobile, mentre sul suo viso si disegnava una gratitudine infinita, addolcendone i lineamenti stanchi e facendogli salire le lacrime agli occhi. Pitt non ebbe il tempo di aggiungere altro. Si precipitò giù dalle scale dietro Binns, e attraversò correndo l'atrio d'ingresso. Sempre di corsa scese i gradini che portavano alla strada. Binns lo stava aspettando con un vetturino letteralmente furioso, in piedi vicino allo sportello spalancato di un hansom. — Al numero trentotto di Devonshire Street! — gridò Pitt, e salì a bordo a precipizio, con Binns al seguito. — E più in fretta che potete, brav'uomo! C'è gente che rischia la vita! Al vetturino non sfuggì la tensione e l'urgenza di quelle parole. Fece schioccare la frusta e la vettura, con uno scossone, si mosse. Nel giro di pochi minuti era già lanciata in mezzo al traffico mettendo a rischio di un
grave incidente tutto quello che le poteva essere di ostacolo. Né Pitt né Binns aprirono bocca. Erano sballottati di qua e di là, per quanto si aggrappassero alle maniglie con il pericolo di farsi male, e c'era un frastuono troppo forte per poter sentire chiaramente qualcosa al di sopra dello schiocco degli zoccoli, del rumore delle ruote, dello scricchiolio del legno sotto tensione, delle grida di altri vetturini indignati. Quando, rallentando a poco a poco, vennero a fermarsi in Devonshire Street, Pitt spalancò di colpo lo sportello e scese in fretta e furia, con Binns che non lo mollava di un passo. Salì rapidamente i gradini e diede un violento strattone al campanello, tirandolo quasi fuori dal suo incavo, poi tempestò di pugni la porta. Binns stava gridando qualcosa, ma non gli badò. La porta si spalancò e l'affabile maggiordomo non nascose di essere allarmato. — C'è qui Ewart? — domandò Pitt. — Un poliziotto... l'ispettore Ewart! Bruno, con i capelli radi, probabilmente aveva qualcosa con sé, forse una sacca, o una borsa! — Sissignore. È arrivato pochi minuti fa. Voleva vedere il signor FitzJames. — Dove? Il maggiordomo impallidì. — In biblioteca, signore. — C'è il fuoco acceso in quella stanza? — La voce di Pitt era rauca per l'insopportabile tensione. — Sissignore. È successo qualcosa, signore? Se posso... Non riuscì a completare la frase. L'esplosione fu talmente violenta da far crollare il camino e il muro esterno della biblioteca. Staccò la porta dai cardini scaraventandola nel vestibolo, e lo spostamento dell'aria infuocata fu tale da farli crollare sul pavimento, ammaccati e feriti. Pitt venne scaraventato all'indietro e andò a sbattere contro il tavolo del vestibolo, Binns cadde in ginocchio. Ben presto si ritrovarono in mezzo a libri e fogli sparsi, e a una nuvola di cenere grigia. Ci fu qualche attimo di silenzio, rotto soltanto dal sordo fragore delle pietre che rotolavano al suolo, e delle macerie; poi cominciarono le grida. Pitt si rialzò a fatica, malfermo sulle gambe, ammaccato, con la testa che gli girava. Non si accorse neanche di avere le mani sanguinanti, la faccia piena di graffi e macchiata di sangue. Barcollando avanzò verso la biblioteca e guardò nell'interno. I libri crollati dagli scaffali ingombravano praticamente ogni spazio libero nella stanza, all'infuori della parte centrale do-
ve tizzoni ardenti stavano bruciando il tappeto. Il corpo di Ewart giaceva al suolo, ripiegato su se stesso, coperto di sangue. E, a meno di un metro di distanza, quello che rimaneva di Augustus FitzJames si trovava riverso su quel mucchio di schegge di legno che era stato il tavolo. Aveva il petto trafitto da una lunga scheggia dalla forma irregolare... ma ormai lui era al di là del bene e del male. Pitt si voltò e vide il maggiordomo che cercava di mettersi in ginocchio, la faccia livida per la violenta emozione. Binns si fece avanti per aiutarlo. In un punto imprecisato, oltre il pianerottolo, una cameriera riempiva l'aria con i suoi strilli, senza smettere un momento. Aloysia FitzJames era immobile in cima allo scalone. Finlay uscì dal salotto. Aveva l'aria incredula, come se non riuscisse a convincersi di quello che vedeva. Affrontò Pitt. Era su tutte le furie. — Si può sapere, in nome di Dio, cos'avete fatto? — disse brusco. — Dove... dov'è mio padre? — È morto — rispose Pitt a mezza voce, perché si sentiva la gola irritata dal fumo. — Come... è morto... l'ispettore Ewart. Ma il suo materiale d'archivio rimane. Finlay FitzJames, vi arresto per aver torturato e assassinato Mary Lennox il dodici settembre 1884. Finlay, disperato, rivolse un lungo sguardo alla biblioteca semidistrutta. — Stavolta lui non può aiutarvi — disse Pitt. — E neanche Ewart. Ci sono momenti che si possono rimandare, signor FitzJames, ma un giorno o l'altro tornano a ripresentarsi. Adesso abbiate il coraggio di affrontare questo. Non è ancora troppo tardi almeno per avere dignità. Finlay lo fissò; poi i suoi occhi stralunati cominciarono a girare qua e là in cerca di una via di scampo, in cerca di aiuto, di qualsiasi cosa che non fosse Pitt, immobile di fronte a lui. — Io non posso... non voglio! Io... — La sua voce si levò più acuta, più stridula. — Non potete provare... — Ewart ha confessato prima di morire. Aloysia scese lentamente dallo scalone e si fermò vicino al figlio, ma senza toccarlo. Guardò Pitt. — Verrà con dignità, sovrintendente — disse con grande calma. — Io lo accompagnerò. In questi ultimi minuti ho perso tutto quanto credevo che avrei continuato a possedere per la mia intera esistenza. Ma non uscirò di qui piangendo e, qualsiasi possano essere i miei sentimenti, nessun altro li saprà. Finlay la fissava con gli occhi sgranati; l'incapacità di capire a poco a
poco si trasformava in rabbia. — Tu non puoi permettergli... — cominciò. — Fai qualche cosa! — Adesso la sua voce era diventata un grido pieno di terrore, un grido che accusava. — Fai qualche cosa! Non puoi lasciare che mi porti via! Mi impiccheranno! — Tentò di lottare, di divincolarsi, ma Binns lo aveva afferrato per un braccio e lo stringeva con tanta forza che se avesse continuato a dibattersi a quel modo glielo avrebbe slogato. — Mamma! E tu... Aloysia non gli dava più ascolto. Scese lentamente i gradini e Binns la seguì con Finlay, la faccia macchiata di lacrime, irriconoscibile per il furore. E allora, dietro di loro, sporco e coperto di fuliggine ma sempre con l'espressione amabile, il maggiordomo si avvicinò barcollando alla porta e la richiuse. FINE