ROBERT CRICHTON ROBERT CRICHTON, nato ad Albuquerque nel Nuovo Messico, nel 1925, è figlio di uno scrittore di grande su...
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ROBERT CRICHTON ROBERT CRICHTON, nato ad Albuquerque nel Nuovo Messico, nel 1925, è figlio di uno scrittore di grande successo. In gioventú si è dimostrato un ottimo atleta, eccellendo in particolare nel football americano, sport nel quale ha avuto un celebre compagno di squadra: Robert Kennedy. Durante la seconda guerra mondiale ha servito per tre anni nella Fanteria degli Stati Uniti, combattendo anche nelle Ardenne. Dopo il conflitto, ha frequentato l'Università Harvard, laureandosi a 25 anni, e lì ha iniziato la sua attività letteraria, scrivendo racconti. Nel 1962, Crichton ha soggiornato in Italia per scrivere la sua opera più famosa: Il segreto di Santa Vittoria. Da questo lavoro ambientato nel nostro paese durante l'ultima guerra, è stato tratto un ceiebre film, diretto da Stanley Kramer, che ha avuto come interpreti attori quali Anna Magnani, Anthony Quinn, Virna Lisi. "Ne I Cameron ho inserito alcuni elementi autobiografici" riferisce lo scrittore, parlando della sua ultima fatica. "I miei nonni, scozzesi, erano minatori e quando emigrarono negli Stati Uniti, alla fine del secolo scorso, continuarono questo duro mestiere. Era gente energica, tenace, dotata di ferrea volontà, proprio come i Cameron. Per il personaggio di Maggie Drum mi sono ispirato a mia nonna." Per ricostruire il piú fedelmente possibile l'ambiente che fa da sfondo alla sua ultima opera, Robert Crichton ha lavorato come apprendista in una miniera della Pennsylvania, di proprietà di un suo cugino. Ha trascorso inoltre un mese in Scozia, proprio nella regione del Fife occidentale, documentandosi e visitando fra l'altro la miniera in cui aveva lavorato suo nonno, dove ha trovato dei vagoncini per il trasporto del carbone, antichi di cento anni. Crichton si è sposato nel 1952 e attualmente vive a New York insieme alla moglie, giornalista televisiva, e ai quattro figli. ROBERT CRICHTON.
I CAMERON. Ambiziosa e volitiva, Maggie Drum ha sempre sognato di elevarsi al di sopra della squallida esistenza che la sua umile famiglia di minatori conduce da anni in un piccolo centro minerario della Scozia. La ragazza sa che cosa le occorre per poter conquistare una nuova posizione nella scala sociale: un marito adatto e i soldi. L'uomo che Maggie incontra e sposa, Gillon Cameron, non è certo ricco, ma possiede le qualità che lei ritiene indispensabili per il suo scopo, fra cui un carattere dolce e remissivo. La giovane coppia inizia una difficile esistenza nel piccolo centro minerario: un'esistenza che si protrarrà per oltre vent'anni, intessuta di lotte e di sacrifici, dominata dalla spietata ambizione di Maggie. Gillon, cresciuto sul mare, per amore della moglie diventa minatore, e anche i figli di Maggie e Gillon, col volgere del tempo, uno alla volta, scendono nei pozzi. Tutta la famiglia si adatta a una vita di privazioni e tutto questo perché il gruzzolo che Maggie mette da parte diventi sempre più consistente: quel gruzzolo che, una volta per tutte, permetterà ai Cameron di cambiare vita. Intanto, mentre nell'arco degli anni si dipana la storia dei Cameron, anche i tempi mutano: nella Scozia della fine del secolo scorso si avvertono i primi fermenti sociali e si scatenano le prime lotte di classe. In queste circostanze Gillon si rivela per quello che è: un essere generoso, coerente con se stesso, fedele ai suoi principii. Un uomo che, con la sua nobiltà d'animo, fa capire a Maggie quanto sia vana la sua ambizione e la riconduce a una dimensione più umana. I Cameron, grandioso intreccio ricco di appassionanti episodi, è anche l'interessante ricostruzione di un ambiente: quello dei minatori nel tormentato periodo delle prime conquiste sociali. PARTE PRIMA CAPITOLO PRIMO 1
Maggie Drum Era sveglia. Un attimo prima era profondamente addormentata e adesso aveva gli occhi bene aperti, fissi al soffitto avvolto nel buio. Non amava la notte, ma aveva imposto alla propria mente di svegliarsi nelle ore più tarde. Avere l'assoluto controllo di sé, ecco la cosa più importante. Ne fu soddisfatta. Giaceva nel caldo bozzolo delle coperte, in una stanza gelida. Sua madre, prima di coricarsi, aveva attizzato il fuoco per rubarne l'ultima vampata di buon calore. « Stupida egoista » disse con un tono di voce abbastanza alto per farsi udire. « Cosa? » fece suo padre nell'altra stanza. « Che c'è? » « Niente. Rimettiti a dormire, Pa', è ancora notte. » Ecco una parola che avrebbe dovuto eliminare, quando fosse tornata: Pa'. Papà, lo avrebbe chiamato da allora in poi, anche se, secondo suo padre, uno scozzese doveva dire Pa'. Dall'esterno non giungeva alcun suono ed ella si sedette sul letto in preda al terrore. Quel silenzio poteva significare soltanto una cosa: cioè che il paese di Pitmungo, con le sue strade pavimentate di pietra e le sue miniere, era sepolto sotto una coltre di neve. Non era giusto, pensò, la neve non aveva alcun diritto di cadere il giorno del suo compleanno. E, per giunta, in quel momento s'era levato un vento che picchiava contro le finestre sul retro della casa: un vento, quindi, che soffiava da nord, dalle Terre Alte: del tutto fuor di luogo, in aprile. La neve aveva sicuramente coperto tutto il Fife occidentale e i monti Cairngorms. Inutile sperare di poter andare a piedi da Pitmungo a Cowdenbeath per prendere il treno che andava a nord. Avrebbe dovuto chiedere al signor Japp di noleggiarle il carro e sprecare uno scellino o forse due, se quello decideva di calcare la mano. Sentì le lacrime salirle agli occhi, cosa insolita per lei. Le pietre del pavimento erano così gelide che, quando mise i piedi per terra, li sentì bruciare. E nel camino pareva non esserci rimasto altro che un mucchio di cenere friabile. « Stupida egoista » ripeté, questa volta senza l'intenzione di farsi udire. « Che c'è, ora? » domandò suo padre. «Niente, rimettiti a dormire, Papà. » « Pa'. » La ragazza spinse da parte la cenere con la paletta e sobbalzò, all'improvviso avvampare di tre grossi tizzoni. Ecco una delle poche cose di cui Pitmungo poteva menar vanto: quel prezioso minerale abbondantemente ricco di carbonio. Cominciò ad aggiungerne sul fuoco pezzo dopo pezzo. « Vacci piano col carbone » gridò suo padre. « Ho finito, Pa'. » Teniamolo tranquillo. Almeno oggi. Con la massima delicatezza, come stesse decorando una torta, dispose l'uno sull'altro i rimanenti pezzi di carbone. Poi, appese accanto al fuoco gli indumenti da lavoro del padre. Il giubbotto era ghiacciato ma, al calore della fiamma, cominciò a sgelare sfrigolando e diffondendo nella stanza odor di sudore e di miniera. Ecco un'altra cosa che, al suo ritorno, doveva cambiare. Presso alcune famiglie di Pitmungo gli abiti da lavoro venivano lavati tutti i giorni: nella casa dei Drum ciò accadeva soltanto una volta la settimana. Poi, uscì nella neve che cadeva sottile e rientrò in casa dopo aver ritirato dalla lavanderia, dove li aveva nascosti, una lepre e un pesce. Entrambi erano ghiacciati per il gelo della notte e, quando li gettò sul tavolo, produssero un rumore di sassi. Era stato un errore: ci sarebbe voluto parecchio tempo prima che sgelassero e a lei non ne sarebbe rimasto per vestirsi, dopo aver preparato la prima colazione. Così, avrebbe dovuto indossare subito l'abito da viaggio, col rischio di macchiarselo. Si spogliò completamente e si lavò. Poi si infilò la sottoveste e la nuova camicetta di lino e infine l'abito a giacca di tweed, che s'era fatto confezionare appositamente. Sapeva che quell'abito le donava e che la faceva apparire più bella. Dopo un attimo, si tolse la giacca e cominciò a lavorare. Scuoiò la lepre alla svelta e la tagliò in pezzi, che mise nel tegame insieme ai porri e alle patate; poi fece tostare la farina d'avena, che avrebbe dato consistenza e aroma al brodo. Quando la lepre fu pronta si dedicò al pesce: era un eglefino, un pesce simile al merluzzo, dai riflessi dorati e con i fianchi d'un giallo delicato. Prima lo fece bollire, per ravvivarne il sapore, poi lo coprì con panna densa e lo mise accanto al fuoco, finché non cominciò a bollire adagio nel suo letto di panna e di burro. Dopo di che, tirò fuori le piccole focacce d'avena e di farina d'orzo da servire fumanti al momento di andare in tavola, e le fette di formaggio Dunlop, che quei ladri della Cooperativa Minatori di Pitmungo, meglio noti come 2
Spennapolli, le avevano fatto pagare uno scellino; quindi andò a svegliare suo padre. «Oh, ma vuoi proprio viziarlo, il tuo papà. » L'uomo rise fragorosamente. «Nessuno mi crederà, giù in miniera. Zuppa di coniglio per colazione, con farina d'avena tostata.» « Non chiamare zuppa di coniglio questo buon brodo di lepre» lo rimproverò lei. « Sia quel che sia, io lo chiamo così. » La guardò aggiungere l'avena tostata nella pentola. « Dimmi un po', Maggie, cosa mi nascondi?» Lei riempì due scodelle di terraglia. Mangiarono in silenzio, assaporando religiosamente il buon brodo, e solo quando lui si fu servito per la terza volta, la ragazza rispose. « Prima di tutto, è il mio compleannO. » «Oh, se ce l'avessi detto, avremmo potuto comperarti qualcosa. » « Non l'avete mai fatto. » « Già, ma non si sa mai. Ancora un po' di zuppa, per favore. » Dopo aver vuotato la scodella le domandò quanti anni aveva « Sedici. L'età in cui non serve più il vostro consenso. » «Consenso per che cosa?» « Per sposarmi. » Lui non si mostrò stupito. Aveva in bocca una focaccia e continuò a masticarla. Nessuno mostrava mai stupore a Pitmungo, per paura di passare per debole. « No, non ci crederanno davvero: zuppa di coniglio e focacce calde per colazione. Sono convinti che ti dai delle arie, sai. Ma sto cercando di fargli cambiare idea. » « Perché poi ? è vero. » Lui sapeva bene come fosse vero, perciò gli venne da ridere. Si udì la sirena del pozzo Lady Jane n. 2 e lui si alzò da tavola, spinto dall'abitudine. « è solo la sirena della sveglia, quella del lavoro non è ancora suonata. Siediti.» La ragazza ritirò la teglia di creta dalla cenere del camino e quando tolse il coperchio, la panna bolliva ancora e l'odore del pesce solleticò loro le nari. « Eglefino ? » Lei annuì. « Ah!... Ho sempre saputo che avrei riconosciuto immediatamente un eglefino, quando me lo fossi trovato davanti. Sai? E da quando sono nato che sogno di assaggiarne uno. Ora posso morire contento. Dove l'hai preso?» Lei glielo disse. « Sei andata fino a Cowdenbeath a prendermelo? » « A prenderlo per me, papà. Questa è la mia colazione di nozze, hai capito, ora?» Lui continuò a mangiare, assaporando il pesce boccone per boccone, e si tolse persino il giaccone da miniera in segno di rispetto. « Allora » disse infine, «com'è questa faccenda? Chi è il ragazzo?» «L'uomo non c'è ancora, ma ci sarà. Tutto quel che so è che non sarà uno di questo paese. » « Che cos'hanno di male i ragazzi di qua? Anch'io sono nato in questo paese. » « Affacciati alla finestra » disse lei. Poi aprì il vetro appannato e indicò la parte bassa di Pitmungo, la distesa dei tetti davanti alla miniera e il fiume nero per il carbone, dietro di essa. « Dimmi la verità. Ti basterebbe tutto ciò, se potessi fare un'altra vita? » Il turno di giorno era appena cominciato e già la neve stava diventando una liquida colata di nerume. « è la mia vita ed è così che mi guadagno il pane. I minatori fanno un sacco di soldi. » Era fiero di essere un bravo minatore. « Ah, è appunto per questo, papà: i minatori fanno un sacco di soldi, ma poi rimangono prigionieri del posto in cui vivono. Io invece voglio sposare uno che sappia far soldi e poi la pianti lì. » Lui prese il portavivande contenente il pane e la fiaschetta del tè freddo e si mise il berretto, munito di lampada. « Be', farai bene a sposare uno che sa il fatto suo. Noi Drum siamo dei duri. I Drum non la piantano lì. » « Sì, lo so. » Le bastava guardarlo, basso, bruno e vigoroso com'era, il corpo rozzo come un blocco di carbone, dotato d'una particolare ruvida bellezza. Non aveva ancora quarant'anni, ma già da ventinove lavorava in miniera, il che gli aveva incurvato la schiena e costellato il viso di cicatrici azzurrine, residuo delle ferite in cui il sangue si era raggrumato insieme con la polvere di carbone. Era un minatore, un uomo dei pozzi, destinato a morire in miniera come qualsiasi schiavo o condannato dei tempi antichi. Il sentiero cominciò a rimbombare del suono degli scarponi chiodati: i minatori stavano scendendo lungo la strada. « Guardali. Omiciattoli scuri e irsuti, messi al mondo per estrarre il carbone. Gente dalla pelle nera, nata per scavare nella terra come talpe. Come vermi. » « è la tua gente! » le gridò il padre. « Gente dura. » « Minatori di carbone, che portano un marchio anche nel linguaggio. Non li capiscono nemmeno nelle strade di Edimburgo. No, io voglio un uomo che riesca a farsi capire a Londra. » « Oh, che bellezza! » la prese in giro lui. Doveva correre, ora, se voleva scendere in miniera con l'ultima gabbia, ma prima di 3
andarsene doveva capire. «Maggie, dov'è che le prendi, queste idee?» « Senti, papà. » La ragazza gli strinse forte le mani come non aveva mai fatto in vita sua. « Ricordi quando mi parlasti di quei pesci, che cercano la via di casa, quei pesci che nulla riesce a fermare, quando vanno verso l'unico posto adatto per far nascere i loro piccoli? » « I "sarmoni" ? » « Sì, i salmoni. Salmoni, papà. » « Per me, sarmoni sono. Saranno sempre sarmoni per me. » « Comunque sia. » La ragazza gli lisciò i peli ispidi sul dorso della mano. « A me capita la stessa cosa, papà. Io sono come loro. Devo andarmene capisci? » Poi gli diede un bacio, e la cosa stupì entrambi. Era una manifestazione d'affetto, cui la mentalità di Pitmungo non era avvezza. « Buona fortuna, allora » disse lui, « ma non dimenticarti di questo: puoi sposarti fuori di qui, ma non rinnegare mai la tua razza. In fin dei conti è l'unica cosa che hai. Non dimenticarlo mai, Maggie. Mai rinnegare la tua razza. » Poi uscì di casa senza voltarsi e si mise a correre. Lei rimase a guardarlo e lo vide percorrere tutto il sentiero lastricato. Poi, il padre imboccò quello che era definito il Corso dei Carbonai e scomparve giù per la discesa che portava alla miniera. Maggie indossò la giacca e andò allo specchio. Il taglio dell'abito era ottimo e fu soddisfatta del volto che vide riflesso. Era forse di carnagione troppo bruna per il suo gusto, ma il mento era ben disegnato e le labbra erano belle, cosa piuttosto insolita in una donna di Pitmungo; aveva gli occhi scuri alla distanza giusta e i capelli folti e lucenti. Sua madre si era alzata e stava osservandola dalla soglia. « Quel che non capisco » esordì, « è chi ti credi di essere. » Non c'era nulla da rispondere. Maggie chiamò un bambino che, nella strada, stava cercando di costruire un pupazzo di neve, prima che essa diventasse nera. Gli diede mezzo penny perché corresse a chiamare il signor Japp col carro. « Possibile che non capisci che sei quella che sei » disse sua madre. « Tuo nonno era uno schiavo con tanto di collare di ferro attorno al collo, non dimenticarlo. Sono certa che nessuno te lo farà scordare. » Era furba, sua madre, egoista e indifferente, ma furba. « Quelli che sono migliori di te non confonderanno certo il loro sangue col tuo. » Sua madre le sorrideva. Maggie ricambiò il sorriso. « Già, col tuo sangue e col mio. Ma il problema non esisterà per quello di mio marito e nemmeno per quello dei miei figli. » Poi si diede da fare a riporre le ultime cose nella valigia a soffietto. La valigia puzzava di polvere di carbone e di miniera. Era l'unico neo nel suo corredo, l'unico legame che la unisse ancora a Pitmungo, ma le era venuta a mancare l'ultima sterlina che sarebbe servita a reciderlo. Maggie udì il signor Japp incitare il cavallo. « E la scuola ? » domandò sua madre. « Te ne vai e pianti quei poveri ragazzini. Ed eri quella grande maestra piena di zelo, eh? » « Senti, mamma, quei bambini hanno imparato molto più in due anni con me, che non in tutti i cinque precedenti. Ho fatto la maestra solo per ottenere ciò che volevo, e ora ci sono riuscita. Ho messo da parte quanto mi occorre per andarmene da Pitmungo e mantenermi finché non avrò trovato il mio uomo. » Maggie portò la valigia fino alla porta. « Ti ho preparato la colazione e ti ho comprato del formaggio Dunlop. Non vuoi augurarmi buona fortuna per il mio viaggio? » « Sì » fece sua madre. « Te la auguro, ma dove vai a cercare quest'uomo meraviglioso?» « A Strathnairn, nel nord, dove gli uomini non sono mai stati sconfitti. » Si udì lo stridere dei freni contro le ruote e il signor Japp s'arrestò davanti alla porta. « Be', addio, mamma. » Restarono lì, incapaci di buttarsi l'una nelle braccia dell'altra. « La prossima volta che ci vedremo, sarò una signora delle Terre Alte. » « Spero che ti degnerai di rivolgerci la parola. » « Rivolgervi la parola? Verrò a vivere con voi. » Il signor Japp non si prese la briga di bussare: spalancò la porta, come si usava nei paesi di minatori. « Andiamo, dunque. Da' qua la valigia, Maggie. » « Mi chiami signorina Drum. Oggi compio sedici anni, sono maggiorenne e, d'ora in poi, lei mi chiamerà signorina Drum. » Poi gli porse la valigia. « Va bene. Se è così che vuoi, così sarà. » « Così voglio. » Poiché la strada di fondovalle era allagata, risalirono quella a mezza costa che, attraverso il Campo Sportivo, collegava la parte bassa di Pitmungo con quella alta. Di lì, si diressero verso l'alta brughiera. Arrivati sulla cresta, Maggie si voltò per guardarsi alle spalle. Dal punto in cui si trovavano, il paese appariva minuscolo e nero. Proprio così, nero: una macchia nella brughiera. Era contenta 4
di andarsene. CAPITOLO SECONDO Quando il treno arrivò a Strathnairn, pregò il capotreno di provvedere a scaricare la sua valigia. « Senz'altro, signorina, e le auguro di divertirsi. è un posto incantevole, per una vacanza. » Tutto funzionava a dovere: il morbido completo di tweed e il bel berrettino di velluto portato graziosamente sulle ventitré. Dalla stazione si vedeva tutto il panorama di Strathnairn, il paese più lungo della Scozia. Per via del brusco elevarsi delle colline retrostanti, il paese si estendeva orizzontalmente lungo una stretta lingua di terra posta fra le colline e le acque del braccio di mare chiamato Moray Firth. Strathnairn era percorsa in tutta la sua lunghezza da un'unica strada. « Dove si va, signorina? » domandò il cocchiere, che faceva la spola fra gli alberghi. « Allo Highland Lodge o al Fiddich House? Al Royal Golf, al Royal Marine, o al Glenriddle Inn?» L'aveva presa per una gentildonna in vacanza, nonostante la valigia sporca di carbone. « Veramente, sono venuta a stare con mia zia... Come si chiama il corso principale?» « Lovatt. » « Già, Lovatt Street. » « è l'unica strada che abbiamo. Come si chiama sua zia ? » « Ho dimenticato il suo cognome da sposata, ma credo di poter riconoscere la casa, quando la vedrò. » Maggie gli diede uno scellino e il cocchiere, sebbene il suo compito fosse unicamente quello di portare i clienti in albergo, l'aiutò a salire in carrozza; poi s'avviarono verso il paese. La parlata fonda e gutturale dell'uomo la deprimeva. « Che lingua parla? » « Inglese! Io parlo l'inglese del Re! » E così dicendo assestò al cavallo una frustata da levargli il pelo. « Cos'è che non va nel mio modo di parlare?» « Niente. è molto piacevole. » Lui parve ammansirsi. « Be', è un misto di inglese e scozzese. Più scozzese che altro, a dire il vero. Che c'è di male se uno parla la sua lingua? » « Niente. Parlano tutti come lei da queste parti? » « Nooo! » fece lui, disgustato. « Solo la mia gente, quelli di Herringtoon, i pescatori. Tutti quelli che si chiamano MacAdams. Tutti gli altri si affannano a scimmiottare i meridionali: gli inglesi, i sassoni. Negli alberghi, a uno che parla scozzese non danno lavoro, pensi un po'! » Ecco una notizia confortante per i suoi orecchi. « Poi ci sono i montanari » continuò lui. « Scendono nella pianura quando muoiono di fame e di freddo, o quando non riescono a sopportarsi l'un l'altro.» «E come parlano? » « Alcuni parlano il gaelico, ma non molti. Comunque non lo scozzese, questo è certo. » Quando arrivarono in fondo alla discesa imboccarono Lovatt Street il cocchiere le spiegò che a ponente c'era Poshtoon, il quartiere residenziale, dove si trovavano gli alberghi e i campi da golf. « Mi dica quando devo fermarmi, signorina. » « Non lo so ancora, ma sto cercando. » Sapeva perfettamente quale tipo di abitazione facesse al caso suo. L'aveva vista a Dunfermline: doveva essere una di quelle case di mercanti andati in dissesto alle cui finestre, in modo discreto, erano esposti cartelli che offrivano alloggio. Mentre si avvicinavano al quartiere degli affari, le vecchie e grandi case che esponevano gli "affittasi", si facevano sempre più frequenti « Dev'essere quella là » fece Maggie. «Allora il nome di sua zia è Bel Geddes. » « Sì, certo. » « La moglie del signor Alexander Bel Geddes. » « Appunto. » « E dovrebbe essere morta, diciamo, otto o nove anni fa. » L'uomo le sorrise. La valigia l'aveva tradita, alla fin fine. « Senta, signorina. » « Sì, signor MacAdams. » «Se avesse bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, conti pure sull'aiuto del signor Cherry MacAdams. » S'erano intesi a meraviglia. Dal giovane Rodney Bel Geddes, che si occupava di affittare le camere, ottenne un prezzo da bassa stagione. La stanza era piena di luce e di sole e sul letto c'era un materasso di piume d'oca, il primo della sua vita. La prima sera, distesa sul letto, pensò all'uomo che doveva trovare Avrebbe dovuto essere alto, questo era l'essenziale, e biondo. Doveva parlare un bell'inglese puro e avere, possibilmente uno di quei bei nomi storici originari della Scozia. Il suo cuore aveva decisoper un gaelico delle Terre Alte. Il tempo non l'aiutò certo a trovarlo. Per giorni e giorni il vento soffiò dal Moray Firth, incrostando le pietre di sale. Quando calava il vento, la nebbia riempiva d'umidità il lungo porto a forma di mezzaluna. 5
Erano una bella noia, quelle giornate, e il suo gruzzolo stava assottigliandosi. I suoi risparmi - il suo "argento" - prendevano a poco a poco il volo, uno o due scellini per volta. Come amava quella parola, "argento": era la parola scozzese che più le sarebbe stato penoso ripudiare, poiché nessun'altra poteva prenderne efficacemente il posto. Certi pomeriggi, in cui la pioggia e la nebbia la tenevano segregata in camera, si stendeva sul letto e pensava al suono argentino delle monete nella cassetta metallica che aveva a casa: la sua dote. Quella parola, "argento", le suggeriva sempre l'idea di qualcosa di caldo. Quando il tempo era buono, andava a piedi fino al quartiere residenziale e oltre, dandosi l'aria di avere una ragione ben precisa per gironzolare nella zona degli alberghi. Lì, aveva visto uomini del tipo che lei cercava: alti, snelli e biondi, con il portamento disinvolto e rude a un tempo, dotati di una grazia sconosciuta ai minatori. Uomini che parlavano con un timbro sommesso, con un accento puro e limpido al pari delle parole che pronunciavano, e con appena una lieve cadenza nella voce. Ne voleva uno con tutte le sue forze. CAPITOLO TERZO Quando infine lo trovò, calcolò che, risparmiando fino all'osso sugli ultimi soldi, poteva rimanere a Strathnairn ancora due settimane. Era stata una giornata disastrosa. Era andata fino all'ultimo albergo , del paese, e poi era scesa sulla spiaggia che costeggiava il Moray Firth. La spiaggia, come aveva temuto, era deserta. Aveva fatto fiasco, bisognava ammetterlo. Era stanca, affamata e abbattuta. Il pensiero di dover rifare a piedi tutta la strada fino alla casa dei Bel Geddes la gettò nella disperazione. E poi c'era il vento di Strathnairn, che soffiava senza posa dal mare, gelandole le ossa, le speranze, il cuore. Trovò una duna alta, riparata dal vento da un lato e tuttavia in vista del mare. Maggie vi si adagiò a ridosso, si sbottonò la giacca di tweed per meglio godersi il sole e poi chiuse gli occhi, ascoltando lo sciabordare dell'acqua sulla sponda. Quando si svegliò lo vide: trafficava in modo curioso di fianco a un grosso scoglio che sorgeva nel mare, a qualche metro dalla spiaggia. Mentre lo osservava, domandandosi che cosa mai stesse facendo, capì senza ombra di dubbio che quello era l'uomo per il quale era venuta fin lì. Indossava il kilt, e questo la fece sorridere. Si alzò in piedi lentamente, per non allarmarlo, come fanno i buoni cani da caccia per non spaventare la selvaggina, e si avviò sulla sabbia. L'uomo era alto, anzi altissimo, a paragone degli uomini di Pitmungo: misurava sicuramente poco meno di un metro e novanta ed era magro anche a paragone dei suoi conterranei. Ma in quella sua magrezza risaltava la solidità delle ossa e una certa durezza temprata dai venti. Quell'uomo sarebbe stato in grado di lavorare, lo si capiva subito. Aveva i capelli biondo-rossicci e lunghi, alla moda degli uomini delle Terre Alte i quali, probabilmente, risparmiavano così i soldi del barbiere; la sua pelle era chiara e pulita: agli occhi di Maggie, quelle erano le fattezze dell'aristocratico nato. I volti degli uomini di Pitmungo, al confronto, parevano prugne gonfie e rubizze, erano volti di uomini destinati a una morte precoce. Quando, finalmente, l'uomo alzò gli occhi e la vide, sussultò, levò bruscamente il capo, sgranò gli occhi e poi sgusciò rapido dietro lo scoglio. Nella fretta, abbandonò la nassa e Maggie pensò che, se avesse aspettato, l'uomo sarebbe dovuto tornare a riprendersela. Lei non era una persona paziente, ma, quel giorno, era disposta a esercitare una pazienza infinita. L'acqua dove stava l'uomo era profonda e gli arrivava all'orlo del kilt; e la marea stava salendo. Maggie si stupì, sentendo che il cuore le batteva più in fretta. Arrivò fino al bordo dell'acqua e gli gridò: « Che cosa sono quelle orribili cose che sta raccogliendo?» Ma lui non rispose. Lei ripeté la domanda come se l'uomo non avesse udito. « Dico a lei, dietro allo scoglio, che pesci sta raccogliendo?» « Sa benissimo che cosa sono » gridò lui di rimando. Sembrava arrabbiato. « No, invece. Non ne ho mai visti di simili in vita mia.» 6
Lui fece un mezzo giro attorno allo scoglio. « Sono patelle » disse. « Sono ben brutte. Cosa ne fa? » « Che me ne faccio? » La voce dell'uomo era piena di sarcasmo. Completò il giro attorno allo scoglio e la osservò attentamente. «Le mangio! » Lei gli spiegò che il suo paese era lontano dal mare. Parlò con tono estremamente disinvolto. «Di dove viene?» domandò lui alla fine. « Dal meridione. » «è sassone, allora? Inglese?» Lei si mostrò offesa. « Sono una brava ragazza scozzese, sono. » Lo disse arrotondando appena la "r", infondendo alle sue parole un accenno di anima celtica. « Vengo dal Fife occidentale. Non sono mai stata al mare, prima d'ora. » L'uomo era ormai davanti allo scoglio, ma rimase nell'acqua gelida. Sembrava che il fatto di avere le gambe nude lo mettesse a disagio. « E ci sta bene? » « Benissimo.» «Io amo il mare» dichiarò lui, ed ella notò come il suo volto, a quella dichiarazione, avesse preso colore. Non aveva mai udito un uomo dire "io amo" in quella maniera. «Perché non viene fuori di là?» gli domandò lei, improvvisamente. « Deve gelare da morire. » « Ma sì, ora esco. Tanto non ce ne sono più, di patelle. » Maggie si stupì, notando che accanto a lei sembrava ancora più alto. Nessuno dei due parlò e lei non trovava nulla di interessante da dire. Poi indicò la riva opposta del Moray Firth. « E quelle che cosa sono? » Lui la guardò per capire se diceva sul serio. « Sono le Terre Alte! » Grandi bioccoli di nuvole veleggiavano sulle colline e i loro colori grigio e porpora andavano mutando in un morbido, vellutato colore scuro. «Sono i colli Cromarty, per esser precisi» fece lui. « I miei sono stati cacciati di lassù come una mandria da un pascolo, durante l'evacuazione delle Terre Alte. E qui sono venuti a morire. A morire di freddo. » Di nuovo arrossì in volto. « Suppongo che un uomo abbia il diritto di vestirsi in pace, no? » « Oh, mi scusi. » Maggie andò dietro la duna e attese. A Pitmungo, gli uomini facevano il bagno in cucina, davanti al fuoco, ed eccone invece uno che aveva bisogno di appartarsi solo per infilare i calzettoni. Maggie attese a lungo e quando uscì dal riparo s'accorse che lo sconosciuto s'era avviato lungo la spiaggia, in direzione opposta a Strathnairn. Era stata congedata. Le dune correvano parallele al mare e lui procedeva lungo il tratto vicino all'acqua. Se si fosse messa a correre dalla parte dell'entroterra, avrebbe potuto superarlo e aspettarlo dove le dune terminavano. Cominciò a correre. Inciampò nella sabbia e nei sassi, ma non si fermò decisa ad arrivare prima di lui. Quando se la vide comparire davanti per la seconda volta, lui si stupì assai più della prima. La guardò a lungo e infine disse: « Strathnairn è dall'altra parte, signorina ». Poi, sentendosi ridicolo, si passò la nassa da una spalla all'altra, in un gesto d'imbarazzo. « Non avevo mai visto un uomo con il kilt in vita mia. » Quelle parole lo irritarono. « Molti uomini indossano il kilt» ribatté. « Lassù. » E indicò con il capo verso le colline di Cromarty e oltre. « Io ero nell'Esercito, nel reggimento dei Cameron Highlanders e sono stato congedato e mandato a casa vestito così. » « Almeno non ha dovuto spendere nulla. » « è l'unico indumento che possiedo. Non sono mai riuscito a guadagnare abbastanza per comprarmene altri. Capisce ora? » « Al mio paese gli uomini hanno un unico vestito, che deve durare loro tutta la vita. E con quello vengono composti nella bara. » Lui la guardò incredulo. Un vecchio muretto di pietra bloccava il passaggio sulla spiaggia. Lui lo scavalcò e stava per salutarla, quando lei gli tese la mano; lui la prese e l'aiutò a oltrepassarlo. In quel momento alcune patelle si rovesciarono fuori della nassa e Maggie, pronta, s'inginocchiò per aiutarlo a raccoglierle. « Si fermi » protestò lui. « Una signora non deve chinarsi. » Erano entrambi in ginocchio e i loro visi erano vicini, quasi a contatto. Lei notò le mani di lui nella sabbia: erano lunghe, bianche e magre, ma forti. Toccava a lei, ora, chiarire la situazione e lo fece senza usare mezzi termini. « Non sono una signora. Sono una donna che lavora. » Lui osservò il suo bell'abito di tweed, lo jabot della camicetta di lino e si morse le labbra. Maggie si alzò. « Come le cucina queste patelle? » gli domandò. « Le bolliamo nell'acqua di mare. Le mangiamo perché abbiamo fame, moriamo di fame. Le chiamano l'aragosta dei poveri. » Poi, si avviò lungo la riva e lei lo seguì. Doveva affrontarlo subito o mai più. « La fame è una buona consigliera » disse. Lui la osservò con occhi diversi e quello sguardo non le sfuggì. Gli piacevano gli occhi scuri e luminosi di lei. Quando riprese a camminare lungo la riva, Maggie lo seguì di nuovo e lui la lasciò fare. Davanti a loro, in un luogo 7
riparato alla base di un promontorio, sorgeva una casa di pietra. Era una grotta, una specie di tumulo, un mucchio di pietre disposte l'una sull'altra con arte. Sembrava uscire da certe illustrazioni che Maggie aveva visto nei libri di scuola e che raffiguravano le abitazioni delle tribù dei Pitti edificate un millennio prima. « L'ha costruita lei? » « Io, insieme con mio padre. Ci siamo stati costretti. I miei genitori ci sono morti. » Entrambi sapevano quale sarebbe stato il prossimo passo: entrare nella grotta. Ma nessuno dei due si mosse per primo. Poi, lui disse improvvisamente: «Su, entri, dunque». L'interno della casa era pulito. Il pavimento era di terra nuda, ma solido e liscio. Si avvertiva un odore di pesce, di pini e di torba. « Si tolga la sabbia umida dalle scarpe » ordinò lui. « Venga qua, l'aiuto. » Lei sollevò il piede calzato da uno stivaletto allacciato fino a metà polpaccio, ma, a un tratto, l'intimità di quel gesto turbò l'uomo, che abbandonò la presa e distolse lo sguardo. « Mi scusi » disse. « Di che? » Ma lui non osò più guardarla. I suoi indumenti erano appesi ad alcuni pioli, e su uno scaffale ricavato col legname raccolto sulla riva c'era un copricapo. « Oh, lei porta il cappello. » « Perché no? » « Al mio paese, solo il conte e i suoi figli lo portano. I minatori non posseggono copricapi. » « Be', io ce l'ho » disse lui. Era un bel cappello marrone, di morbido feltro, con una piega arrogante e una fascia di penne di pernice bianca di Scozia tutt'attorno. Da un lato, accanto a una medaglia d'argento spuntava la punta della coda di un cervo. « Un giorno, mi dissero che un ospite di lord Monboddo era caduto dalla barca mentre andava a caccia di oche selvatiche e il giorno dopo la corrente mi ha portato questo cappello. » « Così lei indossa il copricapo di un morto. » Si guardarono, e senza sapere perché, scoppiarono a ridere. Poi, fu tutto più facile. Lui rimestò il contenuto di una pentola che bolliva sul fuoco. « Zuppa d'alghe » annunciò. Odorava di fondali a bassa marea. Poi, con una forchetta, estrasse dei ciuffi d'alghe traslucide. « Vanno mescolate al lichene d'Irlanda: ecco il segreto della ricetta. » Inutile far tanti giri di parole, pensò Maggie: quella roba puzzava. « Penso che le piacerà » disse lui. « Lo penso anch'io. » Lui uscì e tornò qualche minuto dopo con una manciata di foglie di lauro, che buttò nella pentola. « Verdura e insalata marinara » disse. « Sentirà che bontà. » Poi le porse una grossa conchiglia concava, che doveva servire da scodella, come le zucche vuote usate dalla povera gente di Pitmungo. « Niente cucchiai. Si sorbisce direttamente dalla conchiglia. Ah, dovrebbe proprio assaggiare il mollusco che sta qui dentro » fece, picchiando sulla conchiglia. « è una vera leccornia. » La zuppa aveva un fortissimo sapore di mare. Mentre beveva Maggie si rallegrò che fosse abbastanza buio da far sì che lui non potesse vedere le lacrime che le erano salite agli occhi. « è molto saporita » riuscì a dire. Ne sorbì un secondo sorso e poi un altro e quando finalmente la conchiglia fu vuota, lui gliela riempì di nuovo, colmandola fino all'orlo. « Ma lo sa » disse, « che c'è della gente che non vuol saperne di questa roba?» Intanto, il volto di Maggie s'andava coprendo di rivoli di sudore. Avrebbe voluto uscire, camminare nel vento. S'avviò verso la porta e, quando lui gliela aprì, il vento fresco fu una vera benedizione. « Oh, il tè » fece lui, picchiandosi sulla fronte. « Prenderemo il tè la prossima volta. » Era l'aggancio che Maggie cercava. « Le porterò un dolce per il tè. » Lui assentì. « Arrivederci allora. Alla prossima volta » disse la ragazza. Lui la guardò avviarsi lungo il sentiero. « Un momento! » esclamò. Le corse dietro e le porse una manciata d'erba marina. « Un dolce manicaretto per il ritorno. » Era un ciuffo bruno di alghe secche, incrostate di sale. « Le mastichi a lungo, se vuole gustarne tutto il sapore » Lei annuì e si sorrisero. « Sa una cosa? Ho mangiato nella sua casa e non so ancora come si chiama. » « Cameron. » « Cameron e basta ? » «Gillon Cameron; Gillon Forbes Cameron, se vuole sapere il mio nome per intero. » Lei sentì il cuore balzarle piacevolmente nel petto. Sì, pensò, voglio saperlo per intero. « è un nome famoso e bellissimo. » «Già, appartiene a un clan di guerrieri, nobili ed eruditi. » « E Forbes ? » «Lo stesso. è il nome di mia madre. è una Rob Roy, nonché una Sutherland. » Quelli erano nomi che avevano una storia e un significato. Non come quelli di Pitmungo, dove tutti si chiamavano Japp o Begg o Hogg o Pick. Brutti nomi, sgraziati, oscuri come il carbone, adatti a discendenti di schiavi. Che importanza aveva la sua condizione attuale? Ciò che contava era che un tempo la 8
gente da cui lui discendeva era stata illustre e che la sua progenie era destinata a nuovi splendori. Maggie stava sorridendo ed egli era tutto preso di lei, dei suoi dentini bianchi e regolari e dei suoi piccoli occhi castani. « Mi dica una cosa » fece Maggie, « lei è di razza gaelica? » Lui parve riflettere. Poi guardò le montagne che, in quel momento, erano nascoste dalle nuvole. «Be', lo sono tutti, no? Quindi lo sono anch'io » concluse, e si domandò perché mai lei gli rivolgesse quel sorriso smagliante. Poi la guardò scendere verso la baia e voltare verso Strathnairn e si batté nuovamente la fronte. Non le aveva nemmeno domandato come si chiamava. Allora, si mise a correre. Quando arrivò all'imboccatura della baia, si diresse verso la spiaggia; la vide e si fermò. La ragazza gli voltava la schiena, al riparo dal vento. Aveva strappato uno stelo d'erba dalla duna e stava infilandoselo in gola con estrema precauzione: per vomitare la zuppa di alghe e le erbe. Gli diede tre giorni di tempo, mostrandosi lungo i moli, dove sapeva che lui sarebbe dovuto passare, e passeggiando sui marciapiedi di Lovatt Street fino a non reggersi più sulle gambe. Il suo problema si faceva ogni giorno più pressante. A maggio, Strathnairn cominciò ad affollarsi di pescatori di salmoni, che venivano dall'Inghilterra. Il signor Bel Geddes annunciò alla signorina Drum che, essendo iniziata l'alta stagione, sarebbe stato costretto ad aumentarle il prezzo della stanza: tuttavia le avrebbe concesso la possibilità di usufruire della camera ancora per una settimana, a metà prezzo. La mattina del quarto giorno, Maggie attraversò Poshtoon, oltrepassò le dune sconvolte dal vento e arrivò al mare e alla casa di pietra. Era fredda e vuota, sebbene nel focolare covasse ancora un fuoco di torba; Gillon doveva essersene andato da un'ora o forse meno. Era arrabbiata con lui perché non l'aveva cercata e non l'aveva attesa. Buttò un po' di paglia sulla torba e quando essa prese fuoco, bruciò tutta la legna che rimaneva. Le ombre proiettate dalle dune erano lunghe e azzurro cupo, era trascorso parecchio tempo quando, uscendo all'aperto, Maggie lo vide in piedi sulla sommità di una duna, in fiera contemplazione del mare. Lo raggiunse e gli si fermò al fianco. Non sapeva se si fosse accorto di lei oppure no, tanto era assorto, ma finalmente lui la guardò. « Sono venuta per il mio tè » gli disse. Capì che stava interrompendo una specie di rito. « Che cosa vede laggiù? » « I salmoni » rispose lui. « Li vedo al largo. Riesco persino a sentirne l'odore. Lei pensa che sono pazzo, non è vero? » Maggie fece segno di no col capo e lui le credette. « So riconoscere le acque dove i salmoni depongono le uova. » Discesero il ripido pendio della duna, e a un certo punto Gillon le prese una mano per aiutarla a superare un tratto impervio; dopo, poiché lei non la ritirò, continuò a tenerla stretta nella sua, stupito di se stesso e sogguardando la ragazza per vedere se avesse qualche reazione negativa. « Immagino ne catturi molti, allora! » osservò Maggie. « Non ne ho mai ucciso uno. I torrenti e i salmoni appartengono ai proprietari terrieri e soltanto gli inglesi possono pescarli. Se si viene colti sul fatto mentre si cattura un salmone, si può andare incontro a tre mesi di galera, a una multa di cinque sterline e, qualche volta, anche alla fustigazione. » « Mi piacerebbe prenderne uno. Non m'importa di correre il rischio » disse Maggie. Non parlarono più per tutta la strada, ma lei sapeva a che cosa pensava il suo compagno. In prossimità della casa, lui entrò nell'acqua per ormeggiare la barca a vela e poi tornò verso la porta. «Come si chiama?» « Maggie Drum. » «Un nome bellissimo» fece lui, dopo una pausa. « Al mio reggimento c'era un tale, che si chiamava Drum. Badava ai cavalli. » « Me l'immaginavo. » Gillon parve imbarazzato. Non l'aveva detto con l'intenzione di offendere. Entrarono nella grotta. « Qualcuno ha bruciato della legna di pino » osservò lui. « Lo sento dall'odore. » Maggie stava pensando se era il caso di dirglielo. «L'hanno consumata fino all'ultimo pezzo » continuò lui « devono esser stati qui per ore.» Poi accese le lampade alimentate con grasso di pescecane. « Perché sorride? » « Sono stata io, sciocco. » E così, adesso era chiaro che lo aveva atteso per ore e ore. Ma lui notò soltanto i suoi dentini e capì di averne sentito la mancanza. E anche la mancanza di lei. Quella ragazza lo rendeva nervoso, ma era contento che fosse venuta. Il tè pomeridiano e la ricerca di un po' d'insalata di campo, da accompagnare al pane che lei portava dal paese, diventò un rito per loro. Maggie adorava andare in cerca delle erbe... trovare qualcosa che non costasse nulla. E il suo pesce, ormai, aveva abboccato, ma era 9
un pesce così timido, un pesce che nuotava così in fondo all'acqua, che lei disperava di riuscire a trarlo a riva, prima che Bel Geddes la buttasse fuori di casa. Avrebbe potuto fare varie cose, ma erano tutte perlcolose. Per esempio, poteva andare a trovare il signor Cherry MacAdams il quale, se il suo istinto non la tradiva, doveva conoscere più di un sistema per far guadagnare qualche soldo a una bella ragazza. Oppure, poteva chiedere senza preamboli al signor Gillon Forbes Cameron di sposarla; ma questo sistema, lei lo sapeva, non avrebbe mai funzionato. Persino con l'amo in bocca, lui avrebbe strappato la lenza e sarebbe fuggito. S'erano messi a raccogliere per il tè le piccole cime arrotolate delle felci, gli asparagi dei poveri. « Ne raccolga una sì e una no, così ce ne saranno anche l'anno prossimo » si raccomandò Gillon. « Va bene » fece Maggie, ma senza dargli retta, perché non ci sarebbe stato un prossimo anno a Strathnairn. « Gillon? » «Cosa?» domandò lui, contento. Era la prima volta che Maggie lo chiamava per nome. « Se riuscisse a prendere uno o due grossi salmoni, saprebbe a chi venderli? » « Oh, ci sono quelli di Herringtoon che se ne occupano. Pagano il guardapesca, credo, ma è un affare pericoloso. » «Rende bene?» Lui la osservò. « Se sono grossi, sì. Li vogliono per le loro mense, laggiù » E con la testa accennò verso meridione, in direzione dell'Inghilterra. « Se riuscissi a trovare il modo di farle pescare questo sarmone... questo salmone... e di venderlo, lei ci starebbe?» «Trovare il modo, lei?» «Io, sì. Ci starebbe, Gillon?» Sulle colline spazzate dal vento stavano accendendosi le luci. Il crepuscolo era l'ora preferita di Maggie, in quel luogo; il vento calava, poi riprendeva a soffiare e il cielo sembrava alto. « Sì » rispose lui, « ci starei. » CAPITOLO QUARTO Maggie andò a casa di Gillon e lo svegliò, mentre il sole stava levandosi. Vide le lenze sparpagliate sul pavimento e capì che Gillon doveva esser stato sveglio buona parte della notte. Allora, gli passò le mani fra i capelli. Non pensava fossero così fini e serici. «Che cosa ha detto il signor Drysdale?» domandò Gillon, gli occhi chiusi. « Ha detto che lei è un bravo ragazzo, uno che di tanto in tanto ruba qualche mollusco, ma un ottimo marinaio e una persona degna di fiducia. "Un accattone delle spiagge delle Terre Alte" mi pare abbia detto. » « E da dove diavolo crede di discendere il signor Angus Drysdale, potente signore e padrone della capitaneria di porto? La sua famiglia, un tempo, dormiva con le pecore. » Gillon si alzò. « Si giri, per favore. » Non voleva che lei stesse a guardarlo mentre si rassettava i vestiti e si lavava la faccia; era una cosa troppo intima. Poi prese un rocchetto di filo per lenza e s'avviò verso la porta. « Non mi piace quest'affare, Maggie. » « Ooh! » fece lei, a bassa voce. « L'irreprensibile signor Cameron. Faccia un viso da bigotto, così tutti sapranno quanto è bravo. » Lui sorrise, sapendo che Maggie non credeva a tutta quella virtù. Gillon accostò la barca alla riva; Maggie vi entrò, sollevò la gonna e cominciò ad avvolgersi intorno alle gambe la lenza unta di grasso. Si era messa subito all'opera senza chiedergli di voltarsi, e lui fece fatica a non guardare; la ragazza era così fiduciosa, e lui invece aveva la mente che andava riempiendosi di strani pensieri. « E che altro ha detto il signor Drysdale? » « L'ha bevuta in pieno. Voleva portarmici lui. » « Ci credo. Quell'uomo è un famoso libertino, mi sono spiegato? » « Sì, lo so » fece Maggie. Chissà che intendeva dire, pensò lui, ma non fece commenti. Per l'operazione di quel giorno avevano una copertura plausibile: lei, facendosi passare per una studentessa di ascendenza gaelico-celtica, si era rivolta al signor Drysdale domandandogli informazioni sull'isola di Holydeen, che era ricchissima di tradizioni e di manufatti celtici e sul modo migliore per raggiungerla. Quello le aveva tenuto una conferenza, dissetandosi con una mezza dozzina di birre mescolate a ginger. « E un certo Gillon Cameron le sembra adatto come barcaiolo per portarmi laggiù? » gli aveva poi domandato lei. Il signor Drysdale era rimasto stupefatto. Però, così, se li avessero visti nella zona dei salmoni, avrebbero avuto non solo una giustificazione, ma anche la benedizione del capo-guardapesca. « Dovrebbe aiutarmi » disse Maggie. Doveva avvolgersi la rete intorno alla vita e nasconderla sotto la giacca e la camicetta. Gillon lo fece con delicatezza e, sebbene cercasse di 10
controllarsi, s'accorse che gli tremavano le mani. Quando le sue labbra si trovarono quasi a contatto del collo di lei, sentì un profondo brivido di piacere. « Il problema è... » Gillon non seppe continuare. « ...quanto ci metteremo. » Gillon si sentì salvo. « Quattro ore per andare e quattro per tornare, se il vento è favorevole, se la marea è favorevole e se non... se non... » « Coliamo a picco. » Di lì a mezz'ora erano usciti dalla baia e si trovavano in mare aperto. Con l'aiuto della piccola vela - e per il fatto che Gillon non si risparmiava ai remi - procedettero a una discreta velocità. Maggie fu impressionata dalla forza e dai muscoli di lui « Perché non rallenta un po', Gillon? » « Posso remare così dall'alba al tramonto senza fermarmi mai» disse Gillon. Sì, era l'uomo adatto, l'uomo ideale. « Oh, Dio! » fece lui d'un tratto. Maggie si allarmò. «Che c'è?» « Drysdale. La sua barca è in mare e sta venendo verso di noi. » Lei allora si calmò. L'unica cosa che la preoccupasse era il mare. Qualche minuto dopo il cutter del guardapesca dondolava sulle onde, alto sopra di loro. « Si comporta bene il giovanotto? » gridò Drysdale. « Benissimo! » fece Maggie di rimando. « Cameron ? » «Signore?» Subito si pentì di averlo chiamato così. « Abbia cura della signorina Drum, Cameron, come si trattasse di sua madre. » Gillon annuì e in quel momento si accorse con orrore che la lenza avvolta attorno alle gambe di Maggie stava dipanandosi fuori della sua gonna sul fondo della barca. « Signorsì! » gridò. «Signorina Drum? » Maggie levò verso Drysdale il volto sorridente. «Signorina Drum, se guarda alle sue spalle vedrà Hardmuir sorgere dal mare. E lì che Macbeth e Banco incontrano le streghe, naturalmente. » « Oh, già. » « Non credo che il giovanotto lo sappia » osservò in tono di superiorità il signor Drysdale. « Già, dubito anch'io che lo sappia » approvò Maggie. La lenza si era svolta un altro po' e Gillon capì che l'unica scappatoia era allontanarsi a forza di remi mentre i due conversavano, nonostante la cosa potesse sembrare assurda. « Non si dimentichi il mio invito, signorina Drum. Mi raccomando, sia educato, Cameron. » Quando furono a un centinaio di metri di distanza, Maggie lo investì. « Mi sembra puerile mettersi a remare per dispetto... » Lui additò la lenza che s'era svolta e lei guardò per terra. « Oh, Dio mio. » «Già, Dio mio. » Lui continuò a remare, sfogando la sua rabbia sui remi e sul mare. « "Il giovanotto"... Il giovanotto non può saperlo » borbottò. « E chi sarebbero questo Macbeth e questo Banco, di cui io non saprei nulla? » « Non lo so nemmeno io. » Allora lui s'infuriò. « E lei se ne stava lì con quella faccia candida, facendogli credere che lei sapeva tutto e che io non sapevo niente? » « Si. » A Gillon venne da ridere, perché la beffa, in fin dei conti, era ai danni del signor Drysdale. « Ma cos'è questa storia dell'invito? » «Vuole che vada a bere qualcosa con lui allo Highland Lodge e che gli racconti che cosa ho trovato sull'isola di Holydeen. » Lei sentì la barca balzare di nuovo sotto di sé. « E ci andrà? » domandò Gillon. « Sì. Si può sapere come mai la cosa la interessa tanto? » Le sue parole produssero lo stesso effetto che ha una mosca da esca quando, leggera ma pericolosa, cade in acqua. Circa a un miglio e mezzo dall'isola, il mare si fece grosso e Gillon remò finché non gli si gonfiarono le vene sulla fronte. Il vento cambiò e la vela girò su se stessa, nascondendo Maggie per un attimo alla vista. Quando la vela girò nuovamente, Gillon si accorse con stupore che la ragazza stava male. « Ha la faccia del color delle alghe. » « Be', si volti, allora. » Vide le spalle di Maggie alzarsi e abbassarsi mentre lei vomitava: pensò che dimostrava un grande coraggio in quella circostanza. Poi, la ragazza si sporse fuoribordo, si sciacquò la bocca con l'acqua fredda del mare e tutto finì. « Qualsiasi altra donna... » cominciò Gillon, ma lei levò la mano per farlo tacere. Era stato facilissimo. Non aveva dovuto far altro che pensare alla zuppa di alghe e tutto era venuto da sé. Gillon era balzato in piedi. « Sono tutti intorno a noi ora!» gridò. « E qui che i salmoni depongono le uova prima di risalire i fiumi. » Lei ebbe l'impressione di sentirli dar musate contro il fondo della barca. Si sporse dal parapetto e li vide, enormi ombre guizzanti, che sembravano grandi quanto la barca; poi, si lasciò sfuggire un urlo, quando uno di essi ruppe la superficie dell'acqua: per un incredibile istante ne vide la schiena arcuata e argentea. Ma era troppo presto per pescare, così tirarono in secco la barca a poca distanza dal porto di Holydeen. Quando s'avviarono verso il paese lungo la spiaggia, furono fermati da un uomo che li attendeva. Un calesse sostava poco 11
distante. « Se non sbaglio lei è la signorina Drum e questo dovrebbe essere il suo servitore » disse l'uomo. « Io sono il signor Comyn e le porto i saluti del signor Drysdale, che mi ha inviato a farle da guida. » « Non sono un servitore» dichiarò Gillon. « Se lei è stato assunto da questa signorina per portarla in barca da Strathnairn fin qui, lei è il suo servitore. » Gillon s'infuriò vedendo i denti volpini di Maggie balenare in un rapido sorriso. Poi, la ragazza partì in calesse assieme al signor Comyn, per visitare i manufatti e gli scavi archeologici di Holydeen. Si trovavano in alto mare. Il vento li sferzava violentemente. «Le va di agganciare gli ami alle lenze?» domandò Gillon. « Sì, certo, con piacere. » Questo l'avrebbe tenuta occupata, mentre l'acqua sciabordava contro la chiglia della barca. La traversata sarebbe stata ardua, le spiegò Gillon, ma non pericolosa, se uno sapeva il fatto suo. «Basta attenersi alle regole. Bisogna essere umili al cospetto del mare. » La stessa cosa diceva il padre di Maggie a proposito delle miniere. S'erano proposti di arrivare, prima di sera, a oltre un miglio al largo della foce impetuosa del fiume Buckhorn. A quell'ora, col crepuscolo, si sarebbe alzata la marea e il sole, basso sull'acqua, li avrebbe avvolti nel suo bagliore accecante, mentre la luce sarebbe stata ancora sufficiente per pescare. Gillon era convinto che a metà strada fra le acque salate del mare e quelle dolci del fiume ci fosse un punto neutro, un luogo dove i salmoni sostavano per riposarsi prima di entrare nel fiume, in acque molto più profonde di quelle in cui venivano pescati di solito. Quando non furono più al riparo di Holydeen, le onde lunghe li colpirono di traverso e la barca cominciò a rollare. Gillon notò che Maggie trasaliva. « Paura? » «E lei?» « Io no. » «Allora, perché dovrei averne io?» A quelle parole, con la stessa subitaneità con cui le onde li avevano investiti, lui capì di amarla. « Allora, vuol mettere queste esche sugli ami? » Gillon le porse una scatola di metallo piena di gamberi, alcuni morti, altri che guizzavano come impazziti. Lei, senza far domande, si mise all'opera e lui contemplò quella testa contegnosa, dai sontuosi e pesanti capelli castani, che stava china sul lavoro, senza nemmeno sollevarsi quando la barca s'inclinava paurosamente su un fianco. Anche per questo, l'amò. Nelle acque al largo dello sbocco dell'estuario, dove Gillon aveva gettato l'ancora, si trovarono protetti dal bagliore del sole calante. Gillon era molto emozionato. « Sono qui, i salmoni. So che questo è il posto giusto » disse. Aveva appena gettato la lenza nell'acqua, quando il pesce abboccò e il filo cominciò a svolgersi. « S'è messo a correre » gridò Gillon. « Ha abboccato. » Gli occhi gli ardevano per l'emozione. Dopo che il pesce corse quel tanto concessogli dalla lenza, l'amo lo trattenne. Il salmone si fermò e la prua della barca s'inclinò verso l'acqua. « Ho preso il mio gigante » gridò Gillon. Ma gli dispiaceva dover catturarlo in quel modo. Un pescatore d'acqua dolce con la canna avrebbe ingaggiato una gara di resistenza con quel pesce e avrebbe forse impiegato anche tutto un pomeriggio per tirarlo a riva. Ma per Gillon, munito di lenza a mano, era una questione di forza: doveva misurare la sua contro quella del salmone. Quando fu tirato accanto alla fiancata della barca, il salmone diede un balzo e il suo bel corpo argenteo inondò Maggie e Gillon di spruzzi luminosi e di spuma marina; dopo quel balzo, la forza del gigante si esaurì ed esso giacque inerte nell'acqua, di fianco all'imbarcazione. « Non credo che riuscirò a tirarlo dentro » disse Gillon. Il pesce era lungo quanto lui, più di un metro e ottanta, e pendeva come morto dall'amo. Con uno sforzo possente, Gillon riuscì a issare al di sopra del parapetto la testa e la parte superiore del corpo del pesce: in quel momento, l'animale diede un ultimo guizzo. « Non ce la faccio a tenerlo » gridò Gillon. « Perderò il mio bel pesce! » Poi, udì qualcosa sibilare paurosamente vicino al suo orecchio e, dopo un tonfo sonoro, la lotta ebbe fine. Gillon trascinò all'interno della barca il resto del salmone e in quel momento s'accorse che Maggie stava inserendo il remo nello scalmo. « C'è mancato poco che mi colpisse » osservò lui, sorridendo. « Dovevo farlo. » « M'ha preso per il suo "sarmone". » Guardarono il pesce adagiato sul fondo della barca: era decisamente il più grosso salmone che Gillon avesse mai visto. Egli si inginocchiò e carezzò con la mano quel fianco argenteo e scivoloso. « Mi dispiace per te, che hai fatto tutta questa strada per venire a morire sulla soglia di casa. Ma ho dovuto farlo. » Rivolse 12
a Maggie un dolce sorriso e lei lo ricambiò pensando: "Mio dolcissimo sciocco, mio romantico amore". Gillon estrasse l'amo dalla bocca del pesce e poi, mentre andava riavvolgendo la lenza, cominciò a raccontare. « Un giorno, quando noi vivevamo soltanto di cozze, chiusero le coltivazioni di mitili di Kyle of Tongue. Ma una sera in cui avevamo una gran fame e fuori c'era un gran buio, una sera di neve e nevischio, mia madre andò sul posto e riempì il suo cesto di cozze. Mentre tornava a casa, una guardia le sguscio alle spalle e tagliò le cinghie del cesto. La perdita di peso fu talmente improvvisa che mia madre cadde riversa nell'acqua. » Poi levò gli occhi verso Maggie. Non c'era rabbia sul suo volto, e lei ne fu delusa. « Quando arrivò a casa era gelata fino alle ossa. Una settimana dopo morì. » «E lei che ha fatto?» Lui chinò il capo. «Nulla. » « Allora ammazziamone subito un altro, dei loro sarmoni. » Lì, dove l'acqua salmastra si fondeva con l'acqua dolce, uccisero altri tre salmoni, il più piccolo dei quali era più grosso di Maggie. Gillon era in preda a una specie di furia assassina. Aveva sognato tutta la vita di catturare un grosso salmone tutto per sé e ora ne aveva presi quattro. « Possiamo andare » disse a Maggie, mettendosi ai remi. « Adesso viene la parte più difficile. Sa nuotare?» « No. » « Nemmeno io. » Mentre Gillon guardava attentamente il mare, non pronunciarono parola. La barca pescava molto più del normale, a causa del peso che conteneva. Gillon contava sul fatto che il vento era calato. Ma il momento di maggior pericolo sarebbe stato quando, con il sole basso sull'orizzonte e la notte non ancora discesa, potevano essere avvistati da terra. Gillon cominciò a remare. La barca procedeva a fatica. Ogni colpo di remo equivaleva a un passo in più verso la salvezza, ma la vera salvezza erano il mare calmo e l'oscurità. « Si chini e non si muova » le ordinò bruscamente Gillon. Un cerchio di gelido bagliore si stagliò sull'acqua davanti alla barca e cominciò a scivolare e a rimbalzare sulle creste dei flutti verso di loro. «Ci hanno beccati » disse Gillon. La luce li circondò, poi passò oltre. «Non ci hanno beccati affatto» disse Maggie. «Remi!» Udì qualcuno gridare lontano, sulla riva. Lui riprese a remare, ma senza fretta. Nonostante il peso della barca e la mancanza della vela, riuscirono ad allontanarsi e a uscire dalla portata della luce. Poi, tutto a un tratto, Gillon posò i remi. « Che c'è adesso? » Maggie era arrabbiata. « Non lo sente ?... Il cutter di Drysdale sull'acqua ? » « Non può trovarci, qua al largo. Su, Gillon, remi. » « Dobbiamo liberarci dei pesci » disse Gillon. « Bisogna gettare dalla barca i corpi del reato. » « Lei non lo farà. Se li butta in mare, io li seguo. » « Però, sarò io a buscarmi la galera » protestò Gillon. « E sarò io ad aspettare che lei esca.» Chissà che cosa aveva voluto dire con quelle parole, pensò Gillon, riprendendo a remare. Fra poco avrebbero dovuto virare in direzione di Herringtoon. Chissà... forse ce l'avrebbero fatta... Aveva appena formulato quel pensiero, quando udì il ritmico pulsare del motore di Drysdale. A prua del cutter c'era una grossa lampara e quando l'imbarcazione fu circa a cento metri di distanza, Gillon afferrò Maggie e la sospinse sul fondo, sopra i salmoni. « Ahi, Gillon! » protestò lei. « Non si muova! » le intimò. La ragazza rimase immobile mentre la barca rollava nel buio. Il suo viso poggiava contro un salmone ed era sopraffatta dall'odor di salmastro. Lui non le permise di alzarsi, finché la lampara non fu sparita. « Bisogna muoversi » disse Gillon. Impugnò i remi e prese a remare vigorosamente. « Stanno perlustrando le acque sistematicamente. Con un po' di fortuna saremo fuori pericolo, quando torneranno. » « Perché è stato così brusco ? » « Per evitare che le scaglie balenassero alla luce della lanterna. » « Già, ma così ha rovinato il mio bell'abito di tweed. » « Era necessario. » Lui si domandò se fosse il caso di rivelarle il suo piano, poi decise che meritava di conoscerlo. « Sta levandosi il vento e voglio issare la vela. Rischiamo di imbarcare acqua e loro potranno individuarci più facilmente, ma noi, con la vela, fileremo via veloci. » Gillon attese. « Issi la vela » decise lei coraggiosamente. E di nuovo lui sentì di amarla. Quando la vela fu issata, il vento percosse la tela con uno schiocco secco e la prua solcò la superficie del mare. Poi, la barca si inclinò bruscamente e l'acqua passò sopra il parapetto. Per qualche istante, Gillon temette che sarebbero affondati; invece, l'imbarcazione si raddrizzò lentamente e infine cominciò a filare di traverso sul mare chiazzato di spuma. 13
Gillon era fuori di sé dalla gioia. Poi si accorse che Maggie piangeva. Non gliene fece una colpa. Avrebbe pianto anche un marinaio. « Non pianga, il peggio è passato.» « Non è per questo. » Ma le lacrime non si arrestavano. Gli venne voglia di prenderla fra le braccia, come un bimbo. « Che c'è, allora?» « Il mio bel vestito. Non sarà mai più come prima. » Gillon scorse davanti a sé le prime, tremolanti luci della flottiglia dei pescatori d'aringhe ancorata al largo del porto di Herringtoon. « Siamo salvi » disse. Avevano riportato una formidabile vittoria, lei non poteva capire quanto grande. « Lo sa che cosa dovremmo fare, lei e io? » Si sentiva spavaldo e perfettamente a suo agio. «Che cosa dovremmo fare?» « Dovremmo.. Beh.. forse non avrei dovuto... » e qui s'interruppe. Era assurdo, naturalmente, un giovane con il kilt e una donna come quella. Un uomo che non era mai riuscito a guadagnare nemmeno una sterlina la settimana. «Allora, cosa dovremmo fare?» « Stavo parlando a vanvera » fece Gillon. Quindi guardò Maggie e poi i salmoni; pensò che tutto era pazzesco. Che cosa faceva quella donna nella sua barca a pescare di frodo i salmoni insieme con lui? Lei disse a bassa voce: « Conosco un posto dove un uomo può guadagnare quarantotto scellini la settimana ». Era una grossa somma. Capì che lui la trovava incredibile. « Che gliene pare ? » « Mi sembra un sacco di soldi. » « E dove, dopo due anni, potrebbe guadagnarne sessanta. » Lui fu contento di dover remare, per poter pensare a suo agio. «Dov'è questo posto? » domandò finalmente. « Dove vivo io. » «E che specie di ladro dovrei diventare?» « Della stessa specie di mio padre. » Stavano avvicinandosi sempre più al nocciolo della questione, era come se facessero un gioco di cui non conoscevano le regole: ma lui era chiuso in una scatola e non voleva uscirne. « E cioè? » « Un minatore. » Lui lasciò andare i remi. « Uno di quelli che scendono nelle miniere per estrarre il carbone, eccetera? Sarebbe questo un minatore?» Maggie annuì. Lui percosse l'acqua con un remo. « Non è possibile » le disse, quasi urlando. Stavano passando in mezzo alla flottiglia dei pescatori d'aringhe. Alcuni di essi, da una barca, li osservarono, poi ripresero a lavorare alle reti. « Non potrei mai diventare un minatore. Oh, no, mai! Non potrei stare tutto il giorno, al buio, sottoterra. Ne morirei. Cosa dovrei fare, comunque? » « Basta che venga con me. » Lo disse come fosse la cosa più naturale del mondo. « Ho sentito parlare di quella gente. Sono i rifiuti della terra e un tempo erano schiavi di questo paese, lei lo sa bene.» «Lo so.» « Allora, perché dovrei diventare uno di loro? » « I minatori guadagnano un sacco di soldi. » Procedevano lentamente in mezzo alla flottiglia dei pescatori. Gillon, con una pertica, spinse la barca appesantita dai salmoni attraverso il porto gremito. Finché i pescatori non fossero usciti, la barca non avrebbe potuto attraccare e così Gillon gettò l'ancora in un fondale basso e attese al riparo dei moli. « Fa freddo nella miniera, o fa caldo? » «D'estate fa fresco e d'inverno fa caldo. » Lui non sapeva se crederle o no. «E il nero del carbone? Viene via? » « Ci sarei io a toglierglielo. » Lui sentì un tuffo al cuore. Il pensiero di quelle piccole mani brune che gli strofinavano la schiena, delle mani di lei che gli versavano l'acqua calda sulla testa, dell'acqua che lo inondava tutto, mentre lei gli detergeva il corpo con la densa schiuma del sapone, gli diede un tremito alle mani. Poi, s'accorse che lei gli sorrideva. « Stanno cominciando a uscire, ora » gli disse. «Oh, già » fece Gillon, fingendo di esaminare i pesci. « Lei ha detto: "Basta che venga con me". E questo che significa ? » « Oh, Gillon! » esclamò lei, ridendo. « Sto chiedendole di sposarmi. » « Ah, mi pareva. » Tutte le barche stavano uscendo dal porto. « Dobbiamo attraccare al quarto molo » disse Maggie. Lui tirò su l'ancora e, con la pertica, spinse la barca verso il quarto molo. Nell'oscurità qualcuno domandò: «E lei, signorina Drum? La davamo per morta. Come è andata?» « Ne abbiamo presi cinque. Cinque e belli grossi » rispose lei. « Quattro » corresse Gillon. « No, cinque, mi pare » ribatté Maggie. Gillon non avrebbe mai capito. Nella baracca sopra di loro si scorgeva una fievole luce. Fu calata una fune, che venne assicurata alla coda di un salmone, e il pesce fu issato sul molo. « Oh, come sono grooossi » sentì dire Maggie. « Shhh, shhh! » fece qualcuno, e lei decise di chieder più della somma pattuita. Quei pesci erano speciali. Maggie, a tentoni, cercò i pioli della 14
scaletta e salì nella baracca. Gillon capì che discutevano dal tono delle voci, ma non udì le parole Quando l'ultimo pesce venne issato nella baracca, udì il rumore delle monete, che qualcuno, da una scatola versava in una borsa. «D'accordo » fece Cherry MacAdams. « Ora siamo complici. Tutte le volte che ha qualche progetto, sa dove trovarmi. » Poi, Maggie tornò nella barca di Gillon. Gli porse tre banconote e un sacchetto di monete d'argento e di rame. « Non ho mai posseduto una banconota da una sterlina in vita mia » disse Gillon. Mentre, con la pertica, allontanava la barca dal molo e dopo, mentre costeggiava la riva di Herringtoon diretto alla spiaggia, Gillon pensò e ripensò alle parole che avrebbe dovuto dirle. Ma, in qualunque modo le combinasse, non riusciva a tirarle fuori. Arrivati alla spiaggia, saltò giù dalla barca per tirarla in secco, affinché Maggie non si bagnasse. « Maggie. » « Sì ? » « Farò quel che ha detto prima. » « Cosa ? » « Quello che ha detto lei. » « Sposarmi? » « Sì. » Poi, l'aiutò a scendere dalla barca. Ecco, adesso erano tutti e due fermi sulla riva, Gillon un po' indietro, nell'acqua, proprio come quando si erano conosciuti. « Sì, be', allora, siamo d'accordo. » Poi, Maggie si voltò e correndo si diresse verso Lovatt Street. Gillon era disorientato. « Dove va? » le gridò. « All'appuntamento col signor Drysdale. » CAPITOLO QUINTO Le nozze furono una delusione per Gillon. Aveva sperato di sposarsi nella chiesa di famiglia, ma il pastore di Strathnairn aveva preteso che affiggessero le pubblicazioni per un mese e acconsentissero a sedersi sullo sgabello dei pubblici peccatori la domenica prima delle nozze, in penitenza anticipata dei peccati che stavano per commettere. « Inoltre » aveva detto il pastore, gli occhi di pietra dietro il ghiaccio degli occhiali, « io non la unirò certo in matrimonio con una bambina. Quanti anni hai, piccola?» « Ventitré » aveva mentito Maggie. « Davvero hai ventitré anni? » le aveva domandato dopo Gillon. « Se si deve dire una bugia, tanto vale dirla grossa » aveva risposto Maggie, e così lui aveva imparato qualcosa. Le nozze furono celebrate, invece, in una casa di pescatori di Herringtoon dal reverendo Archibald Bothwell, ministro della Chiesa Riformata della Nuova Scozia. I familiari del celebrante cantarono degli inni e il reverendo Bothwell eseguì una solenne danza scozzese. Prima della cerimonia, la signora Bothwell servì un rinfresco nuziale, consistente in boccali di birra e bicchierini di whisky. « Ora, prima che io vi dichiari marito e moglie, pronuncerò le parole di commiato » annunciò Bothwell. « Gillon Cameron, da questo momento in poi, voglio che tu sia il padrone dell'unione che sto per consacrare. è una legge di vita, un ordine della natura, il comando di Dio. Vuoi fare questo per me, Gillon Cameron?» « Sì. » « E tu, Margaret Drum. Se il tuo padrone fa qualcosa che disapprovi, prometti di essere comprensiva e di non pestare i piedi e fare il muso ? Impara a tener chiusa la bocca e aperto il cuore. E ricordati che, come donna, la tua bellezza è nella tacita obbedienza. Margaret Drum, vuoi fare questo per me?» Maggie fissò il pavimento. « Lo farà, lo farà » disse la signora Bothwell, che s'era messa a piangere. Poi abbracciò Maggie inondando di lacrime l'abito di velluto verde della sposa. « In tal caso vi dichiaro marito e moglie. » Fu strano trovarsi in Lovatt Street dopo il matrimonio, a bighellonare nel mattino senza niente da fare. Passeggiarono lungo il porto, e Gillon rifletté se fosse il caso di prenderla per mano, ma poi decise che non stava bene, anche se erano appena sposati. « Be', che effetto ti fa essere la signora Cameron? » le domandò. Si rese conto di quanto quella domanda fosse stupida. « Non lo so; non l'ho ancora provato. » Il viso di lui diventò rosso mattone. « Non intendevo questo. » « Io sì » ribatté Maggie. Il vento sollevò di colpo l'ala del cappello di Gillon, dandogli un'aria spavalda, quasi arrogante. « Sembri uno di loro, Gillon. » « Se hai sposato uno scozzese delle Terre Alte per avere uno di loro, hai fatto un cattivo affare. » Ma Maggie si limitò a sorridere. Con i soldi ricavati dalla vendita dei salmoni gli aveva comprato un abito di Shetland rosso e marrone, una camicia di lino bianco con il colletto ampio e floscio e una larga cravatta del colore dell'erica. Percorsero Lovatt Street fino alla casa di Bel Geddes. « Perché vuoi andare a casa? » domandò lui. « Abitiamo qui. » «E che vuoi fare?» « Ciò che fa la 15
gente che si è appena sposata. » «Col signor Bel Geddes per casa?» « Sì. » Maggie imboccò il vialetto che conduceva alla porta di servizio. « Io non voglio » disse Gillon. « Ti ordino di non andare. » « Ascoltami bene, Gillon. Siamo marito e moglie, secondo le leggi della Scozia e quelle di Dio, e abbiamo diritto di dividere una stanza e un letto e io non intendo rinunciarvi. » Poi lo prese per mano. « Ora vieni con me, è qui che abitiamo. » Lui avrebbe preferito non vedere il mare dalla finestra della camera, ma il vetro era pieno del suo azzurro sfavillante. Gillon si sedette sull'unica sedia della stanza, il più possibile lontano dal letto, rigirando il cappello fra le mani. Quando alzò gli occhi, lei stava togliendosi il vestito verde e lui girò rapidamente il capo verso la finestra. Almeno fuori fosse stato più buio; in tal caso tutto gli sarebbe sembrato più naturale. « Su » lo esortò Maggie, « puoi guardare e vedere che affare hai fatto. » «Oh, Maggie!» esclamò lui. E poi: «Che dovrei fare?» « Fare l'amore con me. » Lui si sentì addosso una specie di torpore, come quella volta in cui era uscito dall'acqua, dopo essere stato sul punto di annegare. « E cosa significa ? » « Non posso descrivertelo, Gillon » rispose Maggie. « è la cosa più naturale di questo mondo. » Lui non si decideva a sollevare lo sguardo dal cappello. « Se è così naturale, perché io non lo so? » « Lo sai, invece. Sei stato sotto le armi. » « Ma io non ascoltavo mai quando ne parlavano. Sulle loro bocche sembrava... una cosa sporca. Mi chiamavano "San" Gillon. » Anche per dire questo c'era voluto del coraggio, come per tutto il resto. Mentre stava cercando di ricomporsi se la ritrovò accanto. Indossava la vestaglia, ma lui intravide parte della gamba bruna e della coscia. « Gillon, posa il cappello. » Lui lo lasciò cadere per terra. « Quando marito e moglie fanno l'amore non è una cosa sporca. » Vide le piccole dita brune dei piedi di lei sbucare dalla vestaglia e forse proprio perché gli sembravano così personali e al tempo stesso inoffensive, si sentì eccitato. «Siediti sul letto con me.» Era un ordine e lei lo trascinò in quella direzione, prima ch'egli avesse il tempo di opporsi. « Tu sei un sentimentale, Gillon. Hai una scintilla d'amore negli occhi; per quanto tu faccia, non riuscirai a spegnerla. » Si scostarono e giacquero con gli occhi al soffitto, cercando di comprendere il significato di quanto avevano provato poco prima. Lui non poteva sapere se lei avesse avuto le stesse sue sensazioni, ma non fu mai capace di domandarglielo. Sperava di sì. « Non credo che gli altri l'abbiano mai fatto in questo modo, altrimenti ne avremmo sentito parlare molto di più » osservò Gillon. A lei era piaciuto, e non se ne stupì affatto. Non che le importasse molto, se le piaceva o no; la cosa essenziale era cominciare a metter su famiglia il più presto possibile; il fatto che in più ci fosse una specie di strano piacere animale, non era altro che un'aggiunta di zucchero sulla torta. Però era anche un po' assurdo. Se quello era l'unico sistema che Egli aveva saputo escogitare per riprodurre la Sua specie sulla terra, pensò Maggie, Dio doveva avere un'immaginazione alquanto infantile. Gillon si rigirò sul fianco. Dio è veramente un Padreterno, pensò, e piombò addormentato. Lei lo svegliò per pochi istanti quel pomeriggio. «Gillon? » Lui aprì gli occhi, ma non si mosse. « Voglio che tu mi prometta una cosa. » « Sì. » « Quando arriviamo, voglio che tu ti metta il cappello. » Era talmente buffa, quella richiesta, che lui rise forte. Era incredibile come si sentiva a suo agio in quel letto, pensò. Quando si svegliò di nuovo, stava calando la sera e lei era già vestita; su una sedia accanto al letto c'erano quattro pasticci di carne fumanti. « Su, muoviti e mangia, mentre ti vesti. Dobbiamo partire. » « Partire ? » « Ho prenotato i posti sul treno della sera, così non perdiamo una giornata. » Lui scese dal letto, dimenticando dove si trovava. Nudo davanti a lei addentò un pasticcio. Aveva una fame da lupo. « Oh, come sono buoni » disse Gillon, e poi si vide riflesso nel vetro della finestra. « Devo essere ìmpazzito » disse, facendo il gesto di coprirsi. Poi si voltò e si vestì velocemente. Alla stazione, lei lo lasciò sulla banchina e si allontanò per spedire un telegramma a suo padre. Quando esso giunse a destinazione, Tom Drum fu fatto salire dal pozzo in cui lavorava: HO TROVATO IL MIO CELTA E LO PORTO A CASA. Dieci parole, non una di più. Erano appena usciti da Strathnairn, quando passarono davanti a un lago, circondato da colline coperte di pini; al centro del lago sorgeva un'isola, sulla quale erano visibili le rovine di una vasta costruzione, devastata dal tempo. « Cos'è ? » 16
domandò Maggie. « Avevo dimenticato che si può vederlo di qua. è il castello » rispose Gillon. « Il castello dei Cameron. » Era molto di più di quanto lei avesse mai sognato. Il castello dei Cameron. « Abbiamo dei diritti su questo castello? » « La mia famiglia possiede qualche mattone nelle segrete. » Poi, il castello sparì alla loro vista e il treno piombò nel buio della galleria. Benché nello scompartimento ci fosse un altro viaggiatore, Gillon ebbe l'audacia di baciarla. « Brutto sfacciato! » bisbigliò Maggie. « Meglio così, no ? » La tenne persino stretta fra le braccia per buona parte della notte. Al mattino, il treno era giunto sui monti Cairngorms, ancora coperti di neve, sebbene giugno fosse vicino. Allo spuntar del sole, le vette, da blu notte com'erano, divennero rosse e poi, a giorno fatto, tornarono bianche. L'altro passeggero dormiva. La prospettiva del nuovo lavoro turbava Gillon da parecchi giorni e lei glielo aveva letto in viso. Era preoccupato per ciò che lo attendeva. « Fare il minatore non è brutto come crede la gente » disse Maggie. Ma lui non voleva parlarne. Preferiva ammirare il paesaggio di quella regione che non aveva mai visto. Lontano, sotto di loro, scorreva un fiume verde chiaro che era alimentato dalle nevi disciolte e si snodava in mezzo a una gola; e c'erano le colline, dove il bruno colore della terra si alternava al verde brillante della vegetazione. « I minatori hanno una mentalità tutta particolare. Stai ascoltandomi ? » Gillon annuì. « Se ti comporterai come un minatore, lo diventerai davvero, ma i Cameron non saranno mai minatori. » Gillon stava osservando un pascolo pieno di bovini delle Terre Alte dal pelame ispido. « Noi faremo i minatori di carbone e quando avremo messo da parte abbastanza denaro, faremo qualcos'altro. » « Sì. » « Qualcosa di meglio. » L'altro passeggero dello scompartimento si era svegliato e guardava Maggie a bocca aperta. « Perché noi siamo gente che si fa strada nella vita » concluse lei, in tono di trionfo. Ma Gillon non l'ascoltava più. Stavano attraversando il più fertile terreno agricolo che avesse mai visto, col frumento invernale già alto e verde e i ciliegi e i meli in fiore. «Assomiglia a questi posti, Pitmungo?» « Be', no » rispose Maggie. « Non gli assomiglia. » Notò che il viaggiatore sorrideva a quelle parole. Poi, quando il treno rallentò sbuffando per fermarsi in un tetro paesino industriale pieno di fabbriche, l'uomo si alzò. « Il suo è un sogno bellissimo, signora » disse. « Spero che si avveri; finora non s'è avverato per nessuno. » « Noi non siamo "nessuno" » ribatté lei freddamente. Nelle prime ore del pomeriggio Maggie pose a Gillon una strana domanda: « Sei un bravo lottatore? » Lui la guardò con aria perplessa. « Voglio dire: sai combattere mettendocela tutta, quando qualcuno vuol romperti le ossa?» Lui rifletté. « Dipende. Perché? » Lei osservò il suo viso dall'ossatura fine, il bel naso sottile e provò una punta di vergogna. « Sono veloce e ho una discreta resistenza » disse lui. « Quand'ero sotto le armi facevo così: mi tenevo a distanza dal mio avversario, lo tenevo a bada, e quando quello si era stancato, lo pestavo ben bene. » Quella risposta non rassicurò Maggie. La fermata seguente era Cowdenbeath ed era ora di cominciare a raccogliere i bagagli. Percorsero a piedi la strada che portava al fiume e da lì proseguirono verso Pitmungo. « Perché le case sono tutte in fila, l'una di faccia all'altra?» « Perché le hanno costruite così. In questo modo costano di meno. » « Non mi piacciono. » « Ti ci abituerai. » Dopo Cowdenbeath, la campagna era abbastanza bella e i timori di Gillon si placarono, tranne per quanto riguardava il fiume. « Perché l'acqua è così nera? » domandò. «Per via delle miniere. » « Dove stanno le miniere? » « Vedrai. » Lui la seguiva, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dal tendersi e rilasciarsi dei muscoli delle gambe di lei. La visione di quel corpo solido ed elastico gli rendeva la bocca asciutta per il desiderio. Sulla destra della strada, nella brughiera, c'era un boschetto di faggi penduli. Là, doveva esserci oscurità e silenzio, pensò Gillon. « Voglio salire lassù a vedere quegli alberi. » La sua voce era acuta. « Non ho mai visto nulla di simile in vita mia. » Lei capì qual era il suo scopo, ma lo assecondò. Aveva letto che gli indiani, gli africani e altri popoli, alla vigilia di una battaglia, davano sfogo ai desideri della carne, liberandosi così d'ogni paura. Perciò lo lasciò fare. Quando ebbero finito, proseguirono nell'alta brughiera, sempre in salita; e in prossimità del 17
crinale, apparve improvvisamente sotto di loro il braccio di mare del Firth of Forth. « C'è il mare laggiù. Perché non me l'hai detto ? » La vista dell'acqua rincuorò immensamente Gillon. « Non ci va nessuno. Vedrai che non ci andrai neanche tu. » Invece sì, pensò, ci andrò; poi valicarono il crinale e videro il paese che si stendeva sotto di loro. Era tutto arroccato sulla montagna. « E quello cos'è?» « Siamo arrivati. Quella è Pitmungo. » « Non voglio vivere in un posto simile. » « Ma è lì che abitiamo noi. » Maggie si rammaricò che nella brughiera tutto fosse stato così bello, e che quindi, al confronto, Pitmungo ci perdesse. « Io non ci vengo. Possiamo trovare un altro modo per guadagnarci da vivere. » « Tu ci verrai: per me » disse Maggie. « Me l'hai promesso. » Gillon tornò sui suoi passi e risalì l'erta; guardò il mare e poi Maggie, che si trovava sotto di lui, in piedi, da sola. Era vero: aveva promesso. Ma ciò che più contava, era che voleva stare con lei e che da lei voleva avere un figlio. Scese di corsa. « Quanto tempo dovremo vivere qui? » «Finché non avremo abbastanza soldi per iniziare una nuova vita. » « Va bene. Andiamo. » CAPITOLO SESTO
Quando, dopo esser passati sotto gli alberi in fiore del frutteto, sbucarono all'aperto, scorsero una gran folla radunata davanti ai cancelli della miniera. « Che succede laggiù? » domandò Gillon. Udirono gridare. Anche la folla li aveva visti. Gillon rallentò il passo. « Non rallentare e non mostrare esitazione. » Il vento che soffiava dalla brughiera aveva sollevato l'ala del cappello di Gillon, e Maggie ammirò la sua baldanza. Una cosa era certa: a Pitmungo non s'era mai visto un uomo come quello. Non c'era nessuno come il marito della signora Cameron. Il cuore le batteva in gola come quello di un uccellino impazzito. Aveva scelto un brutto momento per mostrarsi con il marito: il turno era finito e i minatori erano appena usciti dal pozzo. Ma se essi non l'avessero bloccato davanti a quel cancello, l'avrebbero fatto più tardi davanti all'accesso della miniera dove, l'anno precedente, avevano assalito gli uomini che venivano dal paese di Glenrothes, picchiandoli a sangue. Il ruggito della folla aumentò d'intensità. Gillon si fermò. «Che succede, Maggie?» « Non vogliono che i forestieri vengano a estrarre il loro carbone. » « Ma tu m'hai detto che c'era lavoro, una grande quantità di lavoro. » «Infatti. La Compagnia vuole la piena occupazione, ma gli uomini non vogliono i forestieri » spiegò Maggie. Poi gli prese la mano. « Io resterò al tuo fianco, Gillon. » « Cosa fanno? Spiegamelo un po'. » « Massacrano di botte, finché uno non è più in grado di lavorare. » Che ironia, pensò Gillon. Lui s'era già rassegnato a vivere in quel paese e a fare quel lavoro, ma il paese, invece, aveva deciso di non farlo lavorare, a costo di rompergli le ossa, per ottenere lo scopo. « Avresti dovuto dirmelo, Maggie. Avresti dovuto informarmi. » Lei gli aveva mentito, col suo silenzio. Un attimo dopo se li trovarono addosso, gli sporchi ragazzi della miniera: saltellavano loro attorno fin quasi a sfiorarli e gridavano parole oscene. « Non è elegante, questo signorino, venuto a scavar carbone con noi? » gridò uno, posando una manaccia umida e nera sulla giacca di Gillon. Un altro allungò la mano verso il suo viso e gli toccò le labbra. Quella fu la prima volta in cui Gillon sentì il sapore della polvere di carbone. « Il cappello! » si misero a gridare. « Prendete il cappello! » E quel grido si propagò fino ai cancelli. I ragazzi della miniera ci si provarono, ma Gillon era troppo alto. Quando Gillon e Maggie si avvicinarono al cancello, la folla si zittì e li guardò avanzare, mano nella mano. Un minatore si piantò davanti a loro, sbarrando il passo. « Alto là! » disse. « Oh, Dio! » Maggie non avrebbe voluto lasciarsi sfuggire quell'esclamazione. Conosceva bene quell'uomo: era Andro Begg, che si era autonominato "regolatore di conti" di Pitmungo. Maggie diede uno strattone alla mano di Gillon, ma questi tirò dritto, fino a essere quasi a contatto con l'altro. « Ho detto alto là. Non si passa dal cancello. » « Mi hanno promesso un lavoro qui dentro. » L'uomo scosse il capo. « Il carbone di Pitmungo è per quelli di Pitmungo. Nessun 18
forestiero passa da questo cancello. » « E chi dovrebbe impedirmelo? » Era una formalità. Gillon sentì il cuore battergli forte. Quell'uomo aveva la corporatura di un giovane torello e le sue mani sembravano blocchi di pietra nera. « Andro Begg. » L'uomo si strappò il piccone dalla cintura e lo gettò sul selciato. Gillon non sapeva che in un paese di minatori quel gesto equivaleva a gettare un guanto di sfida. Quando la testa del piccone colpì le pietre, Andro Begg, di slancio, colpì Gillon in pieno petto con un pugno formidabile che gli tolse l'aria dai polmoni. Gillon si rialzò, sollevò la mano e cominciò a togliersi giacca e cravatta, lentamente, per guadagnare tempo. Quando si fu tolto la camicia di lino, la folla fischiò beffarda alla vista del suo corpo scarno e bianco. « Par di vedere una gallina contro un bue » urlò qualcuno. Gillon posò ordinatamente il cappello in cima al mucchio dei vestiti. Quel colpo così violento aveva, in parte, dissipato la sua paura. Cercò di valutare le capacità del minatore. Questi aveva un collo grosso quasi quanto lo stretto torace di Gillon e braccia che sembravano solidi rami di quercia. L'uomo aveva appena finito un turno di dieci ore sottoterra e gli spessi indumenti da lavoro erano appesantiti dal sudore. Gillon calcolò che, se fosse riuscito a evitare d'essere colpito subito con violenza, se ce l'avesse fatta a tenerlo a bada per un po' con le sue lunghe braccia, avrebbe avuto una speranza di scamparla, di stancarlo, finché la lotta non fosse arrivata in qualche modo a una tregua. Dopo che Begg l'ebbe buttato a terra per la seconda volta, Gillon cominciò a sferrare pugni e nello stesso tempo a parare e a schivare quelli dell'avversario, tenendosi a distanza da lui e prendendo tempo. Lasciò che fosse l'uomo, più basso di lui, ad assalirlo e ad allungare un pugno dopo l'altro; intanto ascoltava attentamente il respiro di Begg farsi sempre più affannoso; finalmente lo centrò con un diretto che gli causò un gonfiore sotto un occhio. Quando Begg si fece sotto di nuovo per fargli scontare l'affronto, Gillon arretrò, tendendo il lungo braccio sinistro, cosicché l'altro lo mancò di nuovo. A ogni inutile tentativo di colpire l'avversario, le braccia possenti di Begg si abbassavano un po'. Come un pesce che si sia dibattuto sconsideratamente, il minatore si era logorato prima del tempo ed era ormai maturo per il colpo finale. Gillon allontanò dalla testa dell'uomo la mano con la quale l'aveva tenuto a distanza e gli ballonzolò intorno. Poi, all'improvviso, gli assestò un pugno in piena faccia: un colpo tremendo, che gli si ripercosse lungo tutto il braccio. L'uomo rimase con gli occhi sbarrati, la mascella ciondoloni, e Gillon si rese conto di avergliela spezzata. Poi Begg gli si gettò contro, urlando di rabbia, e Gillon lo colpì in pieno ai reni. La folla, come accade a tutte le folle, aveva mutato atteggiamento. Voleva la sconfitta di Begg, adesso. Gillon guardò Maggie. « Nel ventre » la udì urlare. « Sulla sua testa ti romperai la mano. è tuo, Gillon, è tuo. » Gillon gli assestò un colpo nel ventre e il minatore rimase immobile. Sotto gli occhi aveva delle borse grosse quanto un uovo di pernice e Gillon abbassò le mani. « Non puoi lasciarlo così » disse qualcuno, « devi metterlo a terra. » Gillon lo percosse nello stomaco, finché il minatore non si afflosciò e cadde in ginocchio sulle pietre umide. « Vada a terra, signor Begg, in nome di Dio, vada a terra » disse Gillon, e poiché l'uomo, ormai ridotto a un rottame, scuoteva la testa con le lacrime che gli scorrevano dagli occhi accecati, Gillon lo colpì un'ultima volta alla spalla con un calcio facendolo atterrare con la faccia sulle pietre. Un uomo prese la mano di Gillon. « Questa sì che si chiama una scazzottata, ragazzo mio, una scazzottata coi fiocchi. Mai visto roba del genere a Pitmungo. » « Tolga la sua mano dalla mia » ordinò Gillon. « Ma io sono tuo padre, ragazzo mio. Tom Drum. » E poi gridò, rivolgendosi alla folla: «Ho sempre desiderato un figlio e ora ho un uomo ». Gillon si rimise la camicia, la cravatta e la giacca e si inginocchiò accanto all'uomo caduto. «Signor Begg?» Temeva che il minatore morisse dissanguato: aveva il viso girato di lato, contro la pietra, ma il suo respiro, per quanto affannoso, era quasi regolare. « Lascialo lì » disse il signor Drum. « Preferisce rimettersi in sesto da solo. Qui si usa così. » Bell'usanza, pensò Gillon. Il ragazzo che prima, lungo la strada che portava al cancello, aveva infierito più di tutti contro di lui, gli corse incontro col cappello in mano. « Il suo cappello, signore. Volevamo tenercelo » disse il ragazzo. Gillon si lisciò i capelli e si calcò in testa il copricapo, fra le urla dei presenti. « Perché ce l'avete col 19
mio cappello? » domandò. « Noi non lo usiamo » spiegò il signor Drum. «Soltanto i padroni della miniera portano il cappello. Noi portiamo il berretto.» « Io porto il cappello » ribatté Gillon. « Sei pronto a venir via, Gillon? » domandò Maggie, prendendolo per mano. Suo marito era il primo forestiero, nella storia di Pitmungo, che si era conquistato il diritto di scavare il carbone. «Sei stato coraggioso» disse Maggie. «Trascorrerà un bel po' di tempo prima che io non senta più il rimorso d'aver ridotto un uomo in quello stato » replicò lui. Non aveva idea di quanto tempo fosse rimasto a letto: gli pareva una settimana o forse più. Si domandò chi fosse quella donna bruna, che l'osservava dalla soglia, senza mai rivolgergli la parola. Era la madre di Maggie, probabilmente. Quando si alzò, ebbe un giramento di testa che gli fece perdere l'equilibrio e lo fece cadere a terra. « A volte mi domando chi ha vinto sul serio quell'incontro » disse al suocero. « Oh, no, ragazzo mio, dovresti vedere Andro Begg. La sua faccia non riacquisterà mai più l'aspetto di prima. Oggi ha tentato di presentarsi al lavoro, ma il signor Brothcock l'ha rimandato a casa. Non voleva un morto nel pozzo. » Gli fecero bere del powsowdie, brodo di pecora con pezzi di pane di farina d'avena inzuppati dentro, gli diedero da mangiare tanta verdura fresca dell'orto e lui sentì che le forze gli ritornavano. Nel frattempo, imparò a conoscere le case dei minatori, costituite in tutto di due vani: quello anteriore, dove c'era il focolare e alcune attrezzature di cucina, dove si preparavano e si consumavano i pasti; inoltre lì si faceva il bagno e si lavavano e si mettevano ad asciugare gli indumenti della miniera. C'era poi la stanza sul retro, dove dormivano i genitori e vi si accoglievano gli ospiti, quando capitavano. Gillon e Maggie dormivano nel locale anteriore della casa e lì Gillon sentiva soprattutto la mancanza di intimità. Ma di intimità, nelle case di Pitmungo, non ne esisteva. Un pomeriggio si alzò, deciso a vedere il paese che si era conquistato con tanta fatica. Insieme con Tom Drum e con Maggie percorse il Vicolo dei Minatori e il Corso dei Carbonai, oltrepassò un tratto di brughiera, fino a raggiungere due lunghe file di case che sorgevano nella zona più alta. « Questa è la parte alta di Pitmungo » gli spiegò il signor Drum. «Lassù c'è il Belvedere Tosh-Mungo e proprio sotto c'è un viale, Moncrieff Lane. » « è il posto dove cercano di andare a stare tutti quelli che hanno un po' d'ambizione » aggiunse Maggie. « Noi verremo ad abitare qui, vedrai. » Stavano seduti su una panchina ai bordi di un belvedere, quando un gruppo di vecchi dalle facce ossute e dagli occhi duri li circondò. « Via da questa panchina » disse uno di loro. « è riservata agli abitanti di questa zona. » Ma Tom Drum spiegò loro che quello era l'uomo che aveva battuto Andro Begg e allora tutti si dimostrarono più cordiali. Quella gente era gelosissima dei privilegi conquistati: le case erano più grandi, l'aria era più pulita e anche l'acqua più pura, in quella parte di Pitmungo. « Ecco laggiù gli abitanti della zona bassa. Non sono buoni a nulla, laggiù » fece un vecchio, senza preoccuparsi della presenza di Drum. Fra la parte alta e quella bassa di Pitmungo, c'era un'immensa, aperta distesa di brughiera, tutta verdeggiante, conosciuta ufficialmente col nome di Parco Divertimenti per i Minatori e non ufficialmente, da più di un secolo, col nome di Campo Sportivo. « Lì hanno luogo la fiera e il mercato, lì il circo pianta le sue tende, e lì si svolgono le gare » disse Tom Drum. « Come vedi, c'è anche spazio per il football, il rugby e il cricket. » « E per il gioco del quoit (Gioco in cui si deve infilare un anello in un piolo del terreno). Non c'è niente di meglio del quoit, dopo una giornata passata in fondo ai pozzi » aggiunse un vecchio. Per Gillon era chiaro che il Campo Sportivo era il luogo che rendeva possibile la vita a Pitmungo. Ma i suoi occhi scesero oltre quella zona, là dove il fiume serpeggiava nella valle e dove giravano le grandi ruote dell'impianto di sollevamento della miniera. Dietro di essa bruciava la montagna delle scorie di carbone e un fumo denso e nero ne lambiva i lati. «A che servono le ruote che girano sopra quei capannoni scuri? » « Sono le ruote dei montacarichi » rispose il signor Drum. « Portano su i vagoncini di carbone e servono anche per portare gli uomini sottoterra. » Sottoterra. Quella parola diede a Gillon una strana sensazione allo stomaco. « Non credo che avrò voglia di scendere là sotto » disse. « Io sono un marinaio. » Gli altri risero 20
di lui. « Ci vanno tutti, nel pozzo. Questo è ciò che un uomo deve fare » disse un vecchio minatore. Gillon non poté fare a meno di notare che entrambe le mani dell'uomo erano mutilate. "Ti ci abituerai" fu una frase che Gillon udì tante volte che cominciò a dubitare di poter mai riuscirvi. Nessuno poteva abituarsi a lavorare a mille metri di profondità, nelle viscere della terra. Non era naturale. Poi, tornarono verso casa; quando arrivarono nei vicoli della parte bassa di Pitmungo, videro risalire gli uomini del turno di giorno e, scorgendoli così stanchi e sporchi, Gillon si scoraggiò. Ma più triste fu la visione, oltre le soglie delle case, dei bambini che, troppo piccoli per il lavoro che dovevano svolgere, facevano il bagno tristi e corrucciati nelle tinozze di zinco. « I bambini non dovrebbero avere quell'aspetto » osservò Gillon. « Un bel bagno li rimette a posto, t'assicuro » disse il signor Drum. Dopo aver camminato per i vicoli di Pitmungo, in quella parte che rappresentava il centro degli affari del paese, arrivarono alla taverna Coaledge. « Ecco qua, figliolo » disse il signor Drum, « questo è il "Collegio" e il nomignolo è ben dato, te lo assicuro. Qui, ragazzo mio, imparerai più sui pozzi e sulla vita » continuò, ammiccando, « che non in qualsiasi libro ti capiterà di leggere. » Allineati lungo il bancone del bar e le pareti, c'erano molti uomini, le mani nere chiuse intorno ai boccali di birra, nella necessità frenetica di rimettere in corpo i litri di liquido perduti sottoterra durante la giornata. Proseguirono oltre e raggiunsero un luogo dove si potevano vedere le imboccature dei pozzi e, di là dalle miniere, nascosta da alte siepi di ligustro, la collina di Brumbie Hill, dove si trovavano le abitazioni di lord Fyffe e della moglie, lady Jane Tosh-Mungo, e di alcuni funzionari delle miniere. « è possibile andare ad abitare al Belvedere Tosh-Mungo, anche se dubito assai che vi riusciate » commentò il signor Drum, « ma a Brumbie Hill non metterete mai piede, questo ve lo garantisco io. » Gillon finì per abituarsi, cosa che in seguito avrebbe considerato un delitto contro la ragione e contro l'umanità. Scese nei pozzi e, per dimostrare le sue capacità, lavorò come una bestia. Poiché era nuovo e forestiero, lo misero nello scavo più basso del Lady Jane n. 2, anche se in statura superava di gran lunga tutti i minatori di Pitmungo. Lavorava sdraiato su un fianco tutto il giorno, immerso nell'acqua alta dieci o quindici centimetri, e i primi tempi arrivava a casa talmente sfinito da non poter fare il bagno se non dopo aver dormito. Poi, la sirena nel mattino buio, e gli indumenti ancora zuppi, sebbene Maggie facesse di tutto per farglieli trovare asciutti. « Ti ci abituerai, ragazzo mio » gli ripeteva il suocero in continuazione. Prendeva il portavivande, contenente qualche fetta di pancetta, alcune fette di pane spalmate col burro dei minatori - margarina bianca e densa - e una fiaschetta di tè, che, al momento di berlo, sarebbe stato freddo. Nel vicolo e lungo il Corso dei Carbonai, mentre si dirigevano ai pozzi, gli uomini erano silenziosi. Si udiva quasi soltanto il rumore degli attrezzi, che battevano contro le teste dei picconi e contro le lampade ad acetilene, e quello dei cunei di legno e degli stivali di gomma dalla punta ferrata. Gli uomini non parlavano con Gillon. Lui, maldestro scozzese delle Terre Alte, badava solo a lavorare disteso nella melma; imparava a scalfire il carbone, intaccandone la vena da sotto, in modo che fosse più facile scavarlo o farlo saltar via dalla fronte del minerale; imparava a usare il piccone a colpi energici e precisi anche giacendo su un fianco; infine, grazie alle sue braccia lunghe, era in grado di scavare più profondamente degli altri e di uscire dalla miniera con più carbone di tutti. Talvolta, Tom Drum lo raggiungeva percorrendo piegato in due il chilometro che separava le loro rispettive postazioni, anche se non aveva molto da dirgli. « Come te la cavi, ragazzo? » « Bene, bene, papà. » Il signor Drum approvava. « Hai messo tu quei puntelli?» « Sì, li ho messi io. » « La base è troppo stretta, vedi » e gli mostrava come ammassare i detriti (lastre di ardesia e sassi) e come puntellare il tetto con i paletti di legno, in modo che non ci fosse pericolo di un crollo della volta. Gillon cominciò a notare un fatto strano, cioè di avere per il carbone lo stesso genere di sensibilità che aveva per il mare e per i pesci. Avvertiva il mutamento della pressione, intuiva la direzione delle vene carbonifere e i suoi puntelli non si spezzavano mai, neppure nei momenti in cui la pressione atmosferica aumentava ed essi gemevano sotto il peso eccessivo. E poi venne il giorno in cui un minatore provetto rimase ferito in uno scavo dove la vena di 21
carbone era alta, così che non ebbero altra scelta che trasferirvi Gillon e affidare la sua vecchia postazione a un ragazzo alto appena un metro e mezzo, adatto per quel lavoro. Gillon giudicava quel ragazzo decisamente troppo giovane, ma si trasferì ugualmente. Nella sua nuova postazione doveva scavare antracite Lochgelly, un bel carbone duro; grossi blocchi di quella materiale lucente scendevano scrosciando dalle pareti come un fiume di nera acqua pietrosa. Nel giro di un mese, Gillon riuscì a scavare più carbone di qualsiasi altro minatore del pozzo Lady Jane n. 2. Ciò che più piaceva a Gillon era riemergere nel mondo dalle viscere della terra. Dopo esser risaliti velocemente nelle piccole gabbie da novecento metri di profondità, lui veniva sempre colto dall'emozione, sia che fuori trovasse il sole, o la terra ricoperta di neve, o persino la pioggia e il freddo. Gli faceva l'effetto di rubare un altro giorno, di avere un'altra occasione di vivere. E arrivò ad amare il bagno pomeridiano. Maggie, nonostante avesse ripreso il suo lavoro alla scuola della Compagnia Ferro e Carboni di Pitmungo, trovava sempre il modo di tornare a casa per far bollire l'acqua e preparargli il bagno. Quel bagno pomeridiano ridestava la sua passione per lei. Sapeva che entrambi erano lo scandalo del vicolo, perché facevano l'amore dopo il bagno e prima del tè, prima che Tom Drum riuscisse a trovare la via di casa uscendo dalla taverna; ma quando era al sicuro e al caldo, nella beatitudine della tinozza, sotto il tocco di quelle mani che carezzavano le sue membra stanche, non riusciva a controllarsi. Poi, venne una sera in cui lei gli disse: « No, no, basta » secca secca, senza spiegazioni. Lì per lì fu troppo offeso per far domande. «Come sarebbe no, no, basta?» le domandò infine quella notte. « Basta per ora. » «No, che non basta. » « Aspetto un bambino. » Lui la guardò con un'espressione così strana, in cui gioia e sorpresa si mescolavano a delusione, che lei gli scoppiò a ridere in faccia. Gillon diventò uno studioso del carbone. Trovò un libro intitolato Manuale del carbone e sua topografia nel bacino carbonifero del Fife occidentale e lo lesse e rilesse fino a quando non cominciò a vedere il carbone come una cosa bella e misteriosa. Ogni pietra nera ch'egli staccava dallo strato che aveva davanti, racchiudeva il sole di cinque milioni di anni. Talvolta si portava a casa un pezzo di carbone, lo metteva sul fuoco e osservava il sole sprigionarsi da esso, sotto forma di una serpeggiante fiamma azzurra e gialla. « Non credo che tu capisca quanto è fantastico » disse un giorno a Maggie. « Non credo che tu capisca che cosa significhi. » « Significa sprecare del buon carbone » disse Maggie. E poi c'erano i soldi. Anche a questo prese gusto: scendere alla baracca dei pagamenti ogni due settimane e ricevere la busta paga da Archie Japp, il sostituto del signor Brothcock, che consegnava il denaro quando il sovrintendente non c'era. « Cameron, G. » « Sì.» « Sessantadue scellini e quattro penny. » A ciò seguiva invariabilmente un mormorio. « Il massimo in quello sporco pozzo » diceva Japp. « Un forestiero. » E scuoteva la testa in segno di incredulità. Una sera, tornato a casa con la busta paga, trovò sul pavimento della cucina una grossa scatola di ferro chiusa da un robusto lucchetto. « Che diavolo è?» domandò. « Il forziere. » Lui non aveva mai sentito quella parola. « La nostra cassaforte. Quella che ci permetterà di andare via di qua. » Maggie protese la mano per prendere la paga e lasciò cadere attraverso la fessura corone e scellini, che calarono con un solido tintinnio metallico. « Ecco che cosa ci farà salire al Belvedere Tosh-Mungo. » Da quel giorno, il rito si ripeté ogni due settimane: chiudevano la porta, accostavano le tende, tiravano fuori la cassetta dal buco in cui era sotterrata e mettevano i soldi nella cassaforte. Lasciavano che il gruzzolo aumentasse, senza curarsi di quanto fosse il totale: Maggie vi metteva un quarto del suo stipendio d'insegnante e Gillon un quarto della sua paga di minatore. "La cassaforte prima di tutto" era la parola d'ordine della famiglia. Il primo nato fu un maschio, secondo quanto aveva programmato Maggie. Era lungo e biondo - un vero Cameron a detta di tutti - e gli diedero il nome di Rob Roy, uno zio di Gillon. Era un bambino molto dolce e docile ma, dopo un po', Maggie gli si dedicò solo quel tanto ch'era necessario, poiché aveva già capito che non era quello il figlio che avrebbe portato la famiglia dove lei voleva arrivare. Non era l'"incrocio" cui Maggie aspirava: la combinazione, cioè, dello stile dei Cameron e dell'aggressività dei Drum. Dopo la nascita, 22
tutto proseguì come prima; Maggie ebbe di nuovo voglia di Gillon, senza vergogna. Il secondo figlio, come lei aveva progettato, fu una femmina che chiamarono Sarah, la quale avrebbe aiutato in casa, al ritorno dei fratelli dalla miniera. Era un altro rampollo della razza dei Cameron, dolce e sorridente come Rob Roy. Quando Maggie desiderava il marito, Gillon era incapace di resisterle, pur sapendo di essere solo uno strumento per lei, e di non poter farci nulla. Ma ciò che non mancava di stupirlo, e finiva sempre col conquistarlo, era la sana natura della passione di lei e la sua continua riscoperta dell'atto e dell'arte d'amare. Ciò che lo indignava, invece, era come ella potesse dimenticare la realtà di quella passione, quando sapeva di aspettare da lui, ancora una volta, un figlio. Il terzo figlio nacque il 30 novembre, giorno di Sant'Andrea, patrono della Scozia. Fu aggressivo sin dal primo istante, quando fece il suo ingresso nel mondo con un forte strillo. Non succhiava il latte come tutti gli altri e aveva un carattere insofferente. «Questo lo chiameremo Andrew Drum Cameron » disse Maggie, decisa. Sapeva di avere ottenuto il primo dei suoi incroci.
PARTE SECONDA Gillon Cameron CAPITOLO PRIMO Nei villaggi dei minatori gli anni passano più rapidamente che negli altri posti, perché la vita del paese si svolge in miniera, e sottoterra le stagioni non mutano mai. Per Gillon, la prova tangibile di aver ormai trascorso quasi metà della sua vita sepolto a Pitmungo - che doveva essere invece solo un luogo di passaggio - era data dai figli, che erano aumentati e che, naturalmente, erano cresciuti. Dopo Andrew era venuto Sam, un bimbo fisicamente precoce e mentalmente pacifico. Sam era un altro "incrocio", ma questa volta più somigliante ai Drum. Poi era nato James, detto Jemmie, un vero Drum: basso, bruno e duro, già tagliato per la miniera. E dopo Jemmie i due gemelli, Ian ed Emily, che non erano una "combinazione", ma si erano rivelati due tipi "interessanti" fin dall'inizio. La gente diceva che sembravano zingari e che avevano ereditato il sangue della nonna materna. Sangue selvaggio, diceva qualcuno, che spiegava il carattere di Maggie. Gillon non era tanto invecchiato quanto la maggior parte dei minatori di Pitmungo. Essi, di solito, si "inquartavano": le loro spalle e il loro collo s'ispessivano. Gillon invece, dicevano, era diventato uno "spago": era tutto pelle e ossa, teso, e la faccia dai tratti fini gli si era indurita. Poteva ancora venir considerato un bell'uomo, ma ci voleva un buon occhio. La miniera non aveva calcato troppo la mano su di lui. Ciò che l'avviliva era il silenzio dei suoi compagni, la loro ostinata caparbietà a non parlargli perché era forestiero, a meno che non vi fossero costretti. Ora che aveva i figli con sé, il pozzo era più sopportabile, ma gli dispiaceva portar giù i ragazzi, appena questi avevano terminato il sesto anno di studio nella scuola della Compagnia. Loro, invece, volevano scendere a tutti i costi in miniera e diventare uomini come s'usava al villaggio. Rob aiutava Gillon a intaccare la fronte del carbone e presto lui e Andrew avrebbero avuto una postazione tutta per loro e portato a casa la paga di un uomo. Sam era caricatore e riempiva di carbone secchi e vagoncini, mentre Jemmie faceva il manovratore e provvedeva che i secchi venissero portati ai piedi del pozzo e quindi in superficie. Le ragazze lavoravano all'esterno: Sarah, vicino all'accesso del pozzo, trasportava puntelli e attrezzi, fino al giorno in cui Maggie decise che sarebbe stata più utile in casa; Emily, la più svelta di tutti, avrebbe iniziato a lavorare nel reparto frantumazione, dove il carbone veniva separato secondo le pezzature. Gillon sentiva la mancanza della solidarietà dei suoi compagni minatori. Avrebbe voluto essere definitivamente uno di loro. Nei pozzi gli uomini avevano bisogno l'uno dell'altro per via dei pericoli che condividevano ma loro non volevano saperne di accoglierlo. Ma un giorno, il giorno prima del suo diciottesimo Natale a Pitmungo, quella situazione ebbe termine. Il turno era finito e gli uomini, mentre si radunavano 23
sul fondo del pozzo, facevano chiasso ed erano allegri. Avrebbero avuto libera una giornata intera e avrebbero potuto dormire tutta la mattina seguente e poi consumare il tradizionale cenone natalizio a base di pasticcio di rognone, tartine di pane nero e fette di focacce d'avena rosolate nel burro fuso. Fu allora che una parte della volta del Lady Jane n. 2 crollò sulla schiena di un giovane minatore che abitava al Belvedere Tosh-Mungo. La lastra di ardesia lo catapultò in avanti, a faccia in giù verso l'acqua e il fango del pozzo, di modo che, mentre la parte superiore del suo corpo non fu colpita, entrambe le gambe gli rimasero intrappolate sotto un peso di parecchie tonnellate. « Sandy Bone è rimasto sotto un lastrone! » La voce si diffuse nel pozzo e gli uomini imboccarono nuovamente le gallerie di comunicazione, rapidi e silenziosi, nel timore di provocare qualche nuovo movimento nella volta. Il giovane soffriva terribilmente, ma non aveva perso conoscenza. Sopra il suo capo era sospesa un'altra porzione della volta, un'immensa lastra triangolare di ardesia, in posizione talmente instabile che si muoveva a ogni aprirsi o chiudersi di una porta di ventilazione. « Lasciatela cadere! » urlò Sandy Bone. Gli uomini avevano gli occhi fissi a terra. « Fatela cadere, per favore! » Il giovane sollevò il capo. « Non avete il coraggio di farmi morire? Vi prego! » Molti uomini non riuscirono a sopportare quella scena straziante e se ne andarono. « Non occorre che vi avviciniate. Basta buttarci contro un piccone. » Mai avevano udito parole simili in vita loro, mai avevano sentito invocare la morte a quel modo. Era contro il codice della miniera. Ma non c'era nulla che essi potessero fare. « Tagliatemi le gambe, allora. Lei, signor Japp. Archie Japp, tagliami le gambe, se ti è rimasto un briciolo di coraggio. » La cosa più orribile era che il giovane riusciva, in quel buio, a distinguere i volti dei presenti. « Tu, con quel coltello da torba! » gridò il giovane. Era poco più d'un ragazzo, poteva avere al massimo diciott'anni, e dopo quelle parole cominciò a piangere, con grandi singulti disperati. Andrew incontrò Gillon nella galleria di comunicazione, dov'era andato per non udire più il pianto del giovane. « E se provassimo col martinetto, papà ? » Gillon capì subito che era una buona idea, ma terribilmente pericolosa. « Va' a prenderlo » disse. Il martinetto era una novità per la miniera e la maggior parte degli uomini ne ignorava l'uso. Ma Andrew, che non aveva ancora quindici anni, l'aveva visto nell'officina della miniera e, curioso com'era, aveva voluto sapere a che cosa serviva e come funzionava. Sì, poteva funzionare, pensò di nuovo Gillon. Se fossero riusciti a far leva sotto il lastrone caduto, avrebbero potuto inserire il martinetto e poi, grazie alla notevole lunghezza del manico, che avrebbe consentito di stare a prudente distanza dal lastrone in bilico, avrebbero potuto sollevare quello che teneva prigioniero il ragazzo di quei pochi centimetri sufficienti per tirarlo fuori. L'operazione più pericolosa sarebbe stata quella di introdurre l'attrezzo. Andrew e Rob Roy tornarono subito col martinetto. Gillon si fece strada fra gli uomini, seguito da Andrew. « Dove vai? » gli domandò Archie Japp. « Vado a inserire questo martinetto sotto il lastrone. » « Guardatene bene » fece Japp. « Non voglio perdere due vite per salvarne una, che è già perduta. » E sbarrò il passo a Gillon, ma qualcuno afferrò Japp alle spalle, torcendogli un braccio dietro la schiena. Gillon passò cauto sotto la lastra in bilico, seguito da Andrew. Il giovane Bone respirava appena. Padre e figlio scavarono nel suolo, sotto il lastrone caduto, una buca profonda quindici o venti centimetri, e in essa introdussero il martinetto. Poi, entrambi si allontanarono dal sovrastante lastrone in bilico, e Gillon cominciò a far leva sul manico. Quando la pressione sulle gambe di Sandy Bone si allentò, il ragazzo lanciò un urlo. «Oh, smettila, Cameron » gridò uno dei minatori, « lascia stare il ragazzo! » Ma Gillon continuò a lavorare e il lastrone, poco per volta si sollevò. Allora, un uomo strisciò accanto a Sandy e gli fece passare una corda attorno alle spalle; poi, aiutato da altri minatori, cominciò a tirar fuori il giovane da sotto il lastrone. « Forza! » urlò Gillon. « Il martinetto non resisterà in eterno. » Quelli diedero uno strappo alla corda e tirarono fuori Sandy. Proprio in quell'attimo il martinetto si ruppe e il lastrone ricadde a terra. Subito dopo crollò anche la lastra in bilico, mancando per un pelo gli uomini che cercavano di sistemare alla meglio il giovane per riportarlo in 24
superficie nel montacarichi. Quando Gillon risalì, stavano per mettere Sandy su un carro del carbone, per trasportarlo con quel mezzo fino a Cowdenbeath. Ma il carro avrebbe sobbalzato a ogni buca della strada, come percosso da un maglio; perciò Rob Roy pagò il signor Japp, perché trasportasse Sandy Bone nel suo veicolo ben molleggiato. « Ti vuole » disse a Gillon un cugino di Sandy Bone. Gillon pensò ai suoi e poi salì sul carro, anche se non gli andava l'idea di essere presente nel momento della morte del ragazzo. « Raccontami una storia. Una storia qualsiasi. » Così Gillon gli si inginocchiò accanto, tenendogli la mano, e cominciò a susurrargli tutto ciò che gli veniva in mente. Gli raccontò della sua infanzia nel podere di Cromarty, delle radure, dei cervi e degli uccelli di cui andava a caccia, e poi del mare e dei salmoni. Di tanto in tanto il giovane scoppiava a piangere. «Morirò, non è vero?» domandò. « No » fece Gillon, « assolutamente no. Questa volta hai sconfitto la morte. » «Però me le amputeranno, vero?» « Questo dovranno dirlo i medici. Ora fanno miracoli. » Gillon rimase a Cowdenbeath con lui finché tutto non fu finito e non ebbero amputato le gambe al giovane. Gillon tornò a casa percorrendo la strada che costeggiava il fiume; quando sentì troppo freddo si sforzò, nonostante la stanchezza, di fare di corsa cento passi e di camminare per altri cento, finché non cominciò a sudare. Era buio pesto, quando attraversò la parte bassa del paese. Sulla collina di Brumbie Hill le case erano tutte illuminate e Gillon udì una famiglia intonare un vecchio canto natalizio scozzese. Pensò di entrare nella taverna a bere un bicchierino prima di affrontare la salita, poi vi rinunciò. Era arrivato fin lì facendone a meno e fra poco avrebbe dovuto affrontare i suoi e l'ira di Maggie. Non l'avevano atteso, come lui aveva sperato, ma avevano già consumato la cena: pasticcio di manzo e rognone, a quanto pareva, e ora stavano leggendo e giocando a carte, mentre le ragazze sparecchiavano la tavola. Maggie era arrabbiata sul serio. « Non raccontarmi nulla, so tutto » gli disse. « Hai fatto un'azione irresponsabile. Una vera sciocchezza. » « Quel ragazzo era rimasto intrappolato sotto la roccia. Stava morendo. » « Invocava la morte, mi hanno detto. » Gillon assentì. « Invece, ecco che arriva Gillon Forbes Cameron, che ha soltanto una moglie e sette figli da mantenere. » « Era sotto la roccia. » Ma la sua protesta suonò debole. « Lui ha una moglie, forse? Dei bambini? No. Aveva invece dei fratelli e degli zii, nel pozzo. Dov'erano costoro, in nome di Dio? » Gillon non lo sapeva. Non ci aveva mai pensato. «Dicono che non camminerà mai più. A che scopo rischiare la vita per della merce avariata?» Lui si stupì vedendola piangere sommessamente, ma con lacrime vere. Ciò lo rincuorò un po', dopo quella giornata. Del pasticcio di manzo e rognone era rimasto ben poco, però c'era l'acqua per il bagno. "Dio, ti ringrazio per questa bell'acqua calda", pensò Gillon. Maggie prese da un secchio una bracciata di panni sporchi della miniera e andò nella lavanderia a lavarli, per poi stenderli accanto al fuoco. « Non m'importa ciò che dice lei » dichiarò Jemmie, « hai fatto un'azione coraggiosa nel pozzo, papà. » « Oh, non si poteva fare altrimenti » protestò Gillon. « Io sono fiero del mio papà » disse Jem e in quel momento la porta si spalancò ed eccola là, i panni ancora fumanti tra le mani. « Già, fiero! » sbottò sua madre. « Può darsi che sia un atto coraggioso, però ricordati questo: prima del coraggio viene la furbizia. La furbizia, hai capito bene, Jemmie? Tuo padre potrebbe trovarsi nel pozzo in questo momento e tu lì a scavare col tuo piccone per tirarlo fuori. A che serve un eroe morto ? Bella sciocchezza. » E se ne andò sbattendo la porta. Loro rimasero in silenzio. Gillon uscì dalla tinozza, si asciugò, si rivestì. A ripensarci, si sentì sciocco. Era stata davvero un'idiozia. Si fermò sulla soglia, senza saper bene che cosa fare e pensò che forse la taverna sarebbe stato il posto migliore dove andare la sera di Natale. «Dove vai, papà?» domandò Sarah. Lui si mise il cappello, quel morbido cappello da gran signore, che ormai non portava quasi più. « Alla taverna. Penso che mi offrirò un bicchierino. » « Già, capisco... Va', allora » disse la figlia, ma lui avvertì una nota di tristezza nella sua voce. «Che c'è?» « Oh, speravo di... Sai, papà, di cantare qualche canzone e di fare un po' di musica stanotte. » Era timida, ma sotto quella timidezza si celava una buona dose di caparbietà che la portava a contraddirsi, come Gillon aveva già potuto costatare. Però Sarah 25
suonava bene il flauto e certe volte lo accompagnava, mentre lui cantava. Persino Maggie si commuoveva per la dolcezza della melodia e non rimpiangeva i soldi spesi per il flauto. « Potremmo far Natale e tutto il resto. » Eccola lì, timida ma ostinata. « Io vado » fece lui, con una rabbia che lo stupì. «Capisco, papà.» Gillon uscì sbattendo la porta. Strada facendo pensò al giovane Bone che giaceva senza gambe a Cowdenbeath. Il giorno di Natale! Dio era ingiusto, pensò, se pure c'era un Dio. Le finestre della taverna erano appannate, ma lui sentì il chiasso della gente, all'interno. Posò la mano sulla maniglia, poi la ritirò. Avrebbero fatto meglio a starsene a casa, con le loro famiglie. Il suo pensiero tornò a Sarah, col suo flauto, e nessuno che cantasse con lei. E gli uomini l'avrebbero preso in giro per aver voluto fare l'eroe. Non se la sentiva di subire le loro beffe, gli applausi di rito all'eroe delle Terre Alte. La luce era ancora accesa nella nuova aula scolastica della Compagnia Ferro e Carboni di Pitmungo. Probabilmente per una dimenticanza, pensò, ma si avvicinò ugualmente per guardare. Lesse il cartello: SALA DI LETTURA DEI LAVORATORI DELL'INDUSTRIA COSTRUITA GRAZIE A UNA SOVVENZIONE DELLA FONDAZIONE ANDREW CARNEGIE PER L'ISTRUZIONE DEI LAVORATORI. DUNFERMLINE, FIFE, SCOZIA. La porta era aperta. Gillon esitò un attimo, poi entrò. Nel locale c'era un uomo, che l'accolse con voce stridula e metallica. « Allora? Cosa vuole?» Gillon non lo sapeva nemmeno lui. « Non certo leggere, immagino! » continuò quello. Il silenzio era la miglior risposta, decise Gillon. « Ci sono centinaia di libri, qui, e ancora non ne ho dato via nemmeno uno. » L'uomo era basso e tarchiato, con una calvizie incipiente e la faccia arrossata. Aveva occhi freddi, azzurri e acquosi. Puzzava di whisky. «Gli uomini di qui sono timidi, signore, quando hanno a che fare coi libri » disse Gillon. « Perché non sanno nulla e hanno paura di tutto ciò che non possono aggredire con un piccone. » Lo sdegno dell'uomo e il suo accalorarsi in quel disprezzo erano così intensi che Gillon provò paura e rabbia al tempo stesso. «Be', forse una persona come lei potrebbe aiutarli a... » L'uomo sollevò una mano per interrompere Gillon. « Le ho già udite, tutte queste fandonie. Insomma che cosa vuole ? Su, di che si tratta? » Fin da quel lontano giorno sui mare, Gillon era stato assillato dall'osservazione del signor Drysdale, che né lui né Maggie avevano capito. « Macbeth. Voglio informarmi su un certo Macbeth. » « Macbeth. » L'uomo squadrò Gillon. « Ci sono migliaia di Macbeth. Le Terre Alte ne sono piene zeppe. Non si può scostare un cespuglio senza vederne saltar fuori uno. » « Questo Macbeth è più famoso dei soliti Macbeth, credo » disse Gillon. Il bibliotecario lanciò al minatore una lunga occhiata ironica. « Non era per caso un re, per un'assurda ipotesi, questo Macbeth? Un re della Scozia?» « Non lo so. » « Come si chiama, lei? » «Cameron » rispose Gillon. « Gillon Cameron. » « Bene, Cameron. Quando è entrato, ho pensato: ecco un uomo col quale potrò conversare un po', non una bestia della miniera. Lei mi rattrista. Però, tanto vale che sappia che la persona di cui parla è il personaggio principale di una tragedia famosa, scritta da un tale, che si chiamava Shakespeare. Cosa vuol farne? » « Leggerla.» Il bibliotecario l'osservò attentamente. Poi si alzò e, traversata la sala, si avvicinò a uno scaffale pieno di libri. Gillon, su una targhetta posta sulla scrivania, lesse il nome dell'uomo: SIGNOR HENRY SELKIRK, BIBLIOTECARIO. Questi tornò con un grosso libro polveroso e una scheda da far firmare a Gillon. «Non lo leggerà » disse con una risatina, che fece stizzire Gillon. « Lo leggerò. » « Già, già. Lo leggerà in quella casa da minatori, con i marmocchi tutt'attorno. » Sulla scheda era impresso un numero: UNO. Gillon era il primo, in tutta Pitmungo, a portarsi via un libro. Si mise il cappello e si avviò verso l'uscita. « Cameron. » « Sì, signore? » « Sono stato un po' duro con lei. Prenda il coraggio a due mani e forse ce la farà. » Poi rise di nuovo. Mentre se ne andava, Gillon vide il bibliotecario svitare il tappo di una fiaschetta di whisky e sedersi, con gli occhi che fissavano il vuoto. "Con tutta la sua cultura" pensò, "deve sentirsi più solo di me". Quando varcò la soglia di casa sua, la luce l'accecò per qualche istante. I suoi occhi erano 26
ormai troppo avvezzi all'oscurità della miniera, e il fatto lo preoccupava. C'erano tutti, e tutti gli parlavano contemporaneamente. Alla fine, la vide seduta accanto al fuoco con uno scialle dai colori vivaci, che non le aveva mai notato prima e che la faceva apparire bella come da tempo non accadeva. «Ti abbiamo cercato per tutta Pitmungo » gli disse. Non sembrava dispiaciuta. Lui posò il libro sul tavolo nella parte più in ombra della stanza. « Sono corso alla taverna a cercarti, papà » disse Sam. « Volevano offrirti un brindisi. » « Chi, volevano? » « I Bone. La famiglia Bone, Gillon » intervenne suo suocero. Tom era venuto da casa sua, che era nella stessa strada. I Drum avevano sloggiato molto tempo addietro. « Oh, avresti dovuto vedere, Gillon! » proseguì Tom, con voce vibrante d'orgoglio. « Sono venuti in gruppo fratelli e sorelle, la madre e il padre, naturalmente; pensa, venir giù dalla brughiera in una serata simile. Mai s'è vista una cosa del genere. » Da Gillon c'erano anche alcuni vicini di casa, cosa mai accaduta prima. Ciò lo fece sorridere. Anche questo, da quanto l'attendeva... « Pensa un po' » disse Tom Drum. «Quelli di Pitmungo alta che vengono giù: giù, bada bene, a rendere omaggio a uno di Pitmungo bassa. No, una cosa simile non era mai avvenuta. » Sull'angolo del focolare c'era un tacchino arrosto bello fumante, le cosce grasse puntate verso il soffitto: un regalo della famiglia Bone. Gillon non aveva mai gustato un pezzo di tacchino. « Cosa hanno detto, dunque? » domandò Gillon. «Cosa hanno detto? "Ringraziamo Iddio d'averci dato Gillon Cameron, col suo buon senso e il suo coraggio." Ecco cosa hanno detto. » In mezzo al tavolo troneggiava una fiasca di terraglia scura piena di whisky. Mentre i ragazzi andavano a prendere le tazzine, Tom Drum si diede da fare col tappo. « E non è nemmeno miscelato » osservò, « ma puro e solo malto; un Glendoon vecchio di otto anni, delle tue parti, Gillon. » Ci fu un attimo di rispettoso silenzio e poi la fiasca venne stappata Il whisky fu religiosamente versato nelle tazzine. « Alla salute del nostro papà! » esclamò Sam, e bevvero. « Alla salute di mio figlio » disse Tom Drum e bevvero. Altri brindisi seguirono al primo e il whisky scese nello stomaco di Gillon come tante piccole vampate. Alla fine Gillon attraversò la stanza per andare dalla moglie. «Vieni a farci compagnia. » Lei annuì e posò il lavoro di cucito. Intrecciarono le braccia e bevvero dalle tazze. « Com'è bello questo scialle » osservò Gillon. « è un vero Paisley » disse Maggie. « E tanto che ne desideravo uno ed ecco che l'ho avuto, grazie a quello che hai fatto tu. » Parve sul punto di baciarlo, anche questa era una cosa che Gillon attendeva da tempo, ma il momento passò e Andrew indicò gli stivali che portava ai piedi: pesanti stivaloni di gomma con le bullette nelle suole, sogno di tutti i minatori di Pitmungo. « Guarda che cosa ho avuto per merito tuo » disse Andrew. « L'hai avuto per merito tuo » ribatté Gillon, sciogliendo il braccio da quello di Maggie. Quando buona parte del whisky fu bevuto e la gente cominciò ad aggirarsi barcollando per la stanza, tagliarono il tacchino, che era prelibato proprio come Gillon aveva sentito dire: la carne era bianca e saporita, mandata giù con sorsate di Glendoon. « La zuppa d'alghe è un po' diversa » osservò Maggie. « Così dovrebbe vivere ogni uomo » sospirò Gillon. «Così bisognerebbe celebrare sempre il Natale! » E poi, finito il whisky, dopo che Gillon ebbe cantato e Sarah ebbe suonato il flauto, gli ospiti tornarono alle loro case, i piccoli Cameron ai loro lettini sistemati nelle nicchie lungo le pareti della cucina e Gillon e Maggie nel loro letto nella camera _sul retro. I galli cantavano e i primo barlume del nuovo giorno compariva in cielo. Gillon credeva di addormentarsi subito e invece non fu così. Pensava a Sandy Bone e al "prezzo del carbone", come lo chiamavano tutti. Un prezzo pagato in sangue e cadaveri, amputazioni e malattie, incendi e inondazioni, crolli ed esplosioni. E all'accettazione di tale prezzo, fatta con una scrollata di spalle e con l'annosa saggezza che insegnava a tutti a prendere così come venivano le cose che non potevano essere mutate. « Gillon? » «Sì? » « Hai fatto bene. Se uno dei nostri figli fosse rimasto sotto quel lastrone, avrei voluto che un Gillon Cameron lo salvasse. » Quelle parole gli diedero un senso di pace e di calore: Maggie si esprimeva raramente in quel modo ma, quando lo faceva - bisognava ammetterlo - valeva la pena di ascoltarla, perché frasi del genere non le venivano con facilità e, quando venivano, erano sempre meritate. 27
CAPITOLO SECONDO Per la prima volta, da quando Gillon viveva a Pitmungo, venne a mancare il lavoro. Già diverse volte in quel mese la sirena aveva emesso il suo dolente messaggio, tre lunghi fischi nell'alba buia, che sembravano voler dire: Nienteeee lavorooo ooooggiiii. Le prime volte tornarono a letto, ma Maggie diventava così nervosa a vederli poltrire per casa, che presto tutti trovarono un posto dove andare. Gillon, di solito, andava in biblioteca. Lottava col Macbeth, ma era così difficile e noioso, ch'egli si domandava se valesse la pena torturarsi così. Però era deciso a non restituire il libro a Selkirk, prima di averlo finito. Lo lesse fino in fondo, pagina per pagina, faticosamente; poi si sforzò di leggerlo di nuovo e poco alla volta cominciò a capirne il senso. Un bel giorno si scoprì a declamare dei versi ad alta voce nel pozzo. Un verso in particolare lo aveva affascinato: quando Duncan, re di Scozia, dice: Donde vieni, nobile cavaliere? E il nobile Ross risponde: Dal Fife, grande re, dove i vessilli di Norvegia sfìdano il cielo e fan vento alla nostra gente. E d'un tratto, a mille metri sottoterra capì quanto era bello. Da allora lesse in tutti i momenti liberi: in fondo al pozzo, alla luce della lampada durante le pause, e all'ora del tè. Se pure la si poteva chiamare l'ora del tè. A causa della riduzione di lavoro, la busta paga era più leggera di prima e i Cameron si assoggettarono a un razionamento da tempi duri. Per di più, non volevano diminuire la quota destinata alla cassaforte per comprare il cibo: la cassetta doveva avere il suo solito tributo. A Pitmungo il cibo dei periodi neri era chiamato "patate attorno allo sgabello": l'intera famiglia, seduta in cerchio attorno a uno sgabello, consumava delle patate lessate intingendo ogni boccone nella scodellina del burro e nella terrina piena di sale posate sullo sgabello. « Questo non basta, mamma » disse Sam una sera. «Va bene per un vecchio o per un impiegato, ma i minatori hanno bisogno d'altro.» « Sciocchezze » fece Maggie. « In Irlanda non mangiano altro che patate e a quanto pare stanno benissimo. » « Oh, sì, sì, va bene » disse Rob Roy. «Dovresti vederli quei mangiatori di patate. Uno splendido esempio di come l'umile tubero può migliorare il genere umano. » « Ma guarda » disse Maggie, «l'hai sentito? » Poi picchiò sul braccio di Gillon, che alzò la testa dal libro. « è diventato così intelligente che non si può più rivolgergli la parola. E tutto per via di quel Selkirk. » Era vero. Gillon si rendeva conto che ormai tutti loro discutevano, e di continuo. Nella famiglia di Gillon ciò non era mai accaduto e nemmeno in quella di Maggie; eppure fra loro due era sorto qualcosa che aveva alimentato l'inesorabile critica di ogni idea. Selkirk. Inutile menare il can per l'aia: dal giorno in cui Gillon aveva messo piede in biblioteca le cose per i Cameron erano cambiate. Gillon andò nella stanza sul retro e si buttò sul letto, ripensando alla sera in cui si era sentito pronto a riportare il Macbeth al signor Selkirk. « Sono tornato, signore » gli aveva detto, porgendogli il libro. «Ma che bellezza. E perché mai se n'era andato?» Gillon si era accorto che il bibliotecario aveva bevuto. «Lei mi ha dato questo da leggere. » Il signor Selkirk aveva preso il libro. « E ora vorrebbe dirmi che l'ha letto » aveva detto, con la voce impastata di sarcasmo. Gillon aveva assentito. « Sì, l'ho letto. » Selkirk era balzato improvvisamente in piedi, la faccia chiazzata di rosso, tutta stravolta. « Sai che ti dico, carbonaio? Ti dico che nessun maledetto minatore di carbone ha mai letto questo libro. » Gillon era rimasto lì, impalato, anche lui tutto rosso in viso. Il bibliotecario aveva spalancato il libro dicendo: « Vediamo un po'. Chi essere può saggio, confuso, calmo e iroso, leale e neutrale, al tempo stesso? » Gillon, dapprima, non aveva capito che cosa quell'uomo volesse da lui. « Allora? » « Nessuno » aveva citato Gillon, e il signor Selkirk era scoppiato a ridere, al colmo della felicità. Dopo di che lo aveva messo alla prova su alcuni dei versi più famosi e Gillon si era mostrato all'altezza. «Bene, bene » aveva infine detto Selkirk; poi, con grande stupore di Gillon, gli aveva stretto una mano con la sua piccola e bianca e si era messo a piangere sommessamente: perché in quella landa selvaggia aveva finalmente trovato un 28
compagno. Poi, il signor Selkirk aveva inforcato un paio di occhiali cerchiati di acciaio. « E ora, che cosa ti do? » Era corso a prendere un libro in uno scaffale all'altro capo della stanza. Era Tempi difficili di Charles Dickens. «Ecco qua. Ora leggerai questo. Ordine del tuo bibliotecario. Bisogna eseguire gli ordini, se si vuol evitare il disordine intellettuale, capisci? » A Gillon era parso di udire una massima di Maggie. Da quel giorno, aveva cominciato a frequentare regolarmente la biblioteca e a portarsi dietro Rob Roy. Rob e Selkirk erano andati subito d'accordo e Gillon era contento di avere un altro lettore in famiglia, anche se giudicava strano che Selkirk avesse scelto come lettura per il ragazzo il Manifesto del partito comunista. Rob Roy l'aveva letto più volte da cima a fondo, ma Gillon non poteva digerire le idee di Marx ed Engels sull'abolizione della famiglia, e s'augurava che Rob Roy tenesse la bocca chiusa sull'argomento di fronte a sua madre. Nel manifesto di Maggie la famiglia era tutto. La mattina dopo, Gillon udì i tre fischi prolungati della sirena della miniera: di nuovo niente lavoro per quel giorno, e si rigirò sul fianco. Quando finalmente si svegliò, cominciò a leggere l'ultimo libro datogli da Selkirk, godendo di potersene stare a letto col sole già alto e la casa silenziosa. C'erano state troppe discussioni e troppe grida in famiglia, negli ultimi tempi. Ormai non riuscivano più a controllarsi, rifletté. E Rob beveva troppo. Gillon si rimise a leggere. Poco dopo, si rese conto che in casa c'era qualcuno. « Perché sprechi il tempo prendendo a calci una palla tutta la mattina?» diceva Maggie. Gillon udì il pallone rimbalzare nel vicolo davanti a casa. « Un ragazzo deve pur divertirsi qualche volta. » La voce di Andrew. Era l'unico che potesse parlare alla madre con quel tono. C'era sempre stata una specie d'intesa fra loro. « Hai finito di leggere il Manuale del caposquadra?» La risposta del ragazzo fu che non l'aveva finito, perché era troppo difficile. « Testone » disse sua madre. « Se Archie Japp fa il caposquadra, puoi farlo anche tu. Gioco o paga, quale dei due scegli? » « Io voglio pagare la gente perché lavori per me, così posso giocare. » Era proprlo ciò che Maggie voleva udire e Gillon lo sapeva. Gillon s'affacciò alla porta della stanza sul retro. Maggie stava preparando delle focaccine e disse a Andrew di entrare in casa a prenderne una. Poi gliela imburrò, cosa mai vista in tempi difficili, e quindi mise uno strato di miele sul burro che fondeva. I Cameron non si permettevano mai delle focaccine calde, eccetto che in speciali occasioni; il ragazzo mangiò in fretta, perché si sentiva in colpa a non dividere con gli altri quel cibo. Gillon non disse nulla: si era reso conto che per troppo tempo non aveva rivelato la sua presenza. Dopo di che, Maggie diede a Andrew una tazza di latte. Lui se la scolò fino in fondo e corse alla porta. « Non c'è bisogno di raccontarlo agli altri! » gli gridò dietro Maggie. Gillon attese che fosse lei a scoprirlo. Quando lo vide, Maggie sussultò per la sorpresa. « Ero convinta che fossi uscito parecchio tempo fa » disse. « Visto che sei a casa, il meno che tu possa fare è di andare a prenderci un po' d'acqua. » « Già, un po' d'acqua. » Prese i secchi e il giogo da acquaiolo e s'avviò lungo la strada verso il pozzo. Le avrebbe fatto bene cuocere nel suo brodo, si disse Gillon, mentre pensava al modo in cui fargliela pagare. Arrivato al pozzo, mentre si metteva in coda con le donne e i bambini che prendevano l'acqua, osservò i bei capelli della giovane Gillespie, che era davanti a lui. Allora decise quel che avrebbe fatto. Tornato a casa, disse: « Voglio una focaccina per la prima colazione ». Lei gliene portò una. « Col burro e il miele. » Allora Maggie capì. Era come mangiare segatura, ma la mandò giù ugualmente. Era strano essere solo in casa con lei. « Perché porti i capelli a quel modo ? Sciogliteli. Lasciali giù. » Maggie si tolse le forcine e la retina fatta a maglia e i bei capelli neri le caddero fino alla vita. Poi si volse e lo guardò. « Allora, che cosa vuoi da me? » « Andiamo in alto, nella brughiera. » Lei avrebbe obbedito al suo desiderio poiché era colpevole e doveva scontare la sua colpa. Era colpevole di un delitto, il secondo per importanza nella famiglia Cameron, subito dopo quello di trascurare la cassaforte: aveva fatto favoritismi. « Non posso andare in giro così. Prima devo nasconderli sotto una cuffia. » « Ma poi nella brughiera li scioglierai. » « Sì, te lo prometto. » Lungo la strada tutti li guardavano. Marito e moglie, che andavano tranquillamente a passeggio, non era uno spettacolo di tutti i giorni. « Avresti dovuto metterti il cappello » 29
disse Maggie. In fondo al Vicolo dei Minatori un uomo fece segno a Gillon di scostarsi da Maggie. « Ho pensato ch'era giusto tu sapessi che sei sulla lista dei sospetti di Brothcock, agitatori, sobillatori e così via » gli disse. « Non dire che te l'ho detto io. C'è anche tuo figlio. » « Rob Roy ? » « Sì, quello. » Gillon ne fu sconvolto, ma ringraziò ugualmente il minatore per averglielo detto. Poi riprese il cammino con Maggie e insieme arrivarono al Campo Sportivo. « Cos'è che ti ha detto? » gli domandò la moglie. « Chi, quello? Chiacchiere di minatori. » Lei non insistette. Si fermarono a guardare i giocatori di rugby. Nella partita Sam la faceva da padrone. Era onnipresente: in ogni mischia, in quasi tutte le corse alla meta, in quasi tutti i placcaggi. Sam aveva l'ossatura dei Drum, solida come una vecchia quercia, e in più possedeva l'agilità e la velocità di Gillon. Si muoveva con velocità fulminea. Una volta, ricordò Gillon, aveva preso una trota a mani nude afferrandola e buttandola fuori del ruscello alla maniera degli orsi. Alla partita partecipava anche Jemmie: era bruno e massiccio e giocava bene in difesa, buttandosi a corpo morto contro gli attaccanti, con colpi sodi e bassi, compensando col coraggio la sua mancanza di stile. « Dicono che Sam potrebbe giocare per gli Hearts di Cowdenbeath. Un tizio è venuto fin qua per vederlo. » « Oh, che onore! » La voce di Maggie era piena di sarcasmo. « Come professionista, Maggie. Due o tre sterline la settimana. » Lei si voltò e tornò a guardare la partita. « E dov'è questo signore? » si affrettò a domandare, improvvisamente interessata, tanto che a Gillon venne voglia di ridere. «Tornerà. Bisogna avere sedici anni per giocare.» Attraversarono Pitmungo alta, passando per Moncrieff Lane e il Belvedere Tosh-Mungo: anche lì i minatori oziavano sulla porta di casa, proprio come nella parte bassa del paese. «Bisogna fare qualcosa » disse Maggie. «Questo significa spreco di tempo e di uomini. » Gillon sapeva che le parole della moglie non erano dettate da alcun sentimento umanitario; lei parlava solo nell'interesse dei Cameron: un altro giorno di guadagno perduto per sempre, altro denaro sottratto alla cassaforte. Se almeno avessero potuto sapere in anticipo in quali giorni la miniera sarebbe rimasta chiusa, avrebbero potuto impiegare in altro modo le giornate; di questo si lagnava Maggie. Doveva esserci una ragione per quelle serrate, ma lei non l'aveva mai capita. La miniera era chiusa e i vagoncini sostavano vuoti nello spiazzo; i registri erano pieni di ordinazioni per centinaia di tonnellate di buon carbone, eppure la miniera rimaneva chiusa e gli uomini venivano rimandati a casa. Salirono ancora per un tratto attraversando il frutteto e Maggie prese Gillon per mano. Lui ne fu contento, ma non bastava: desiderava intensamente salire fino alla sommità della brughiera e guardare il fresco azzurro del mare prima di fare l'amore. I meli e i peri erano in fiore, e quando sbucarono nella brughiera Gillon disse: « Ora è il momento di toglierti la cuffla ». Lei fece come le era stato detto, con un fare sottomesso che gli riuscì gradito e la brezza leggera le sollevò i capelli, facendoli poi ricadere come il vento sull'acqua. « Chi direbbe che sei la madre di sette figlioli ? » osservò Gillon. « Non hai idea di come sembri giovane. » « E tu non ti comporti come un uomo della tua età. » Continuarono a salire. Provava per lei lo stesso sentimento di quel giorno in cui, diretti a Pitmungo, avevano attraversato per la prima volta l'alta brughiera e lui aveva scoperto l'ombroso boschetto di faggi. Avrebbe voluto dirle un mucchio di cose, ma tutte gli sembravano inadeguate. Lei si fermò al centro di una chiazza di sole, sul terreno già ricoperto di piccole felci e dei primi steli dell'erba primaverile. Maggie ricordò il giorno del suo incontro con Gillon. « Eri il mio bel ragazzo, con quel kilt» disse. « L'ho capito nell'attimo stesso in cui ti ho visto nell'acqua. » Ma lui non le prestava gran che ascolto. Continuava a dire sì, sì, conscio di essere troppo precipitoso nel voler fare l'amore con lei. «Piano, Gillon » mormorò lei, « abbiamo tutto il tempo, Gillon, tutto il tempo che vogliamo. » E gli si diede completamente, poiché aveva deciso che quello sarebbe stato il suo addio all'amore carnale e tanto valeva trarne godimento. Gillon non aveva mai provato tanta felicità. Dormì qualche minuto sotto il sole, accanto a lei. Quando si svegliò, vide che lei stava esaminandosi la gonna. « Ecco qua, come mi hai conciata, Gillon Cameron. Non possiamo azzardarci a scendere in paese finché non fa buio. Alla mia età mi hai fatto diventare una "gonna verde". » Poi gli spiegò che quell'espressione si riferiva 30
alle fanciulle che scendevano dalla brughiera con occhi innocenti e macchie d'erba sul vestito. Gillon si alzò e prese a girare per la brughiera alla ricerca di qualche sasso, e, quando ne ebbe trovati a sufficienza, costruì, con mani rapide ed esperte, un grazioso e piccolo mucchio. Finita l'opera, arretrò di qualche passo per guardarlo insieme con Maggie. « E questo, se non ti dispiace, che cosa sarebbe? » « Questo è il cippo dei convegni » rispose Gillon. E subito sentì di amarla e di averle perdonato tante cose. « E un'antica usanza delle Terre Alte. Quando un uomo e una donna hanno trascorso un'ora particolarmente felice, l'uomo lascia un ricordo dietro di sé, un pezzetto di Scozia coperto di pietre, che apparterrà loro per sempre. » Poi Maggie lo sbalordì: si sollevò sulle punte dei piedi, lo baciò sulle labbra e prese a correre verso il crinale della brughiera. Lui la rincorse, ma non riuscì a raggiungerla; dovette rallentare e alla fine fu obbligato a camminare quasi piegato in due. Sapeva bene che cosa fosse: la polvere di carbone l'aveva rovinato. Non inalava aria a sufficienza nei polmoni. Lei l'aspettava seduta in cima alla brughiera, il mare immenso ai loro piedi. Il fatto che lì ci fosse il mare non mancava mai di stupire Gillon. A Pitmungo non si pensava mai al mare, ed era uno spettacolo rincuorante, vederlo là, così limpido e scintillante. Guardarono il porto di St. Andrew, dove il carbone inviato da Pitmungo veniva caricato sulle navi. La banchina era coperta di carbone, le zone di carico e tutti i vagoncini da due tonnellate ne erano colmi. Gillon si stese sul terreno, sul lato solatio del crinale e guardò il cielo. « è stato bello » disse. « Fa bene trascorrere una giornata così, una volta tanto. » « Non quando si fa il conto in scellini del lavoro perduto. » Gillon si rizzò a sedere. «Perché mai dev'essere così importante? Da quanto tempo mettiamo via i soldi nella scatola senza sapere perché ? Mi sono stufato, Meg, e anche i ragazzi si sono stufati. Dovevamo sfruttare la miniera per andarcene in un posto migliore e invece eccomi ancora qua: ormai sono quasi vent'anni che faccio il minatore, io, un marinaio. Nella cassaforte ci dev'essere sicuramente abbastanza per andarcene. » « Per andarcene, sì, ma non nel modo giusto. » «Nel modo giusto? » « Già, nel modo giusto. Quando andiamo via, Gillon, dobbiamo farlo in grande stile. Non voglio una pasticceria, per noi: potremmo acquistarla già ora. Né una rimessa di carrozze, né una bottega di fruttivendolo da dieci scellini di guadagno il giorno, per noi. » Maggie si alzò e Gillon non poté fare a meno di notare quanto era bella e desiderabile, con l'erba fino alla vita, contro il cielo che si stendeva a perdita d'occhio, i capelli bruni carezzati dal vento, il seno che si sollevava e si abbassava per l'emozione. « Dobbiamo metter su un'impresa seria, Gillon, un'impresa che ingrandisca e ci dia un vero guadagno. Se ci sappiamo fare. E noi sapremo! » «è di questo che parlano le lettere che ricevi da Cowdenbeath?» « Sì. » Generosamente, lui non indagò oltre. C'erano cose che ognuno aveva il diritto di tenere per sé. Come lui la sua lettura. La nave era entrata nell'insenatura senza che loro la notassero, come vi fosse stata deposta da una mano invisibile. Era una vecchia goletta a quattro alberi, un tempo una nave superba, Gillon lo vedeva, e ora adattata a nave carboniera. Scesero un po' lungo il pendio, per vederla entrare in porto; quando essa attraccò, rimasero di stucco vedendo una fila di uomini avviarsi verso il molo con i badili e con i cesti sulle spalle. C'era una gru rudimentale, che sollevava i vagoncini di carbone e li vuotava in una stiva a prora, ma la maggior parte del minerale veniva caricato dai minatori, che lo gettavano con i badili in uno scivolo di metallo. Nuvole di polvere di carbone s'alzavano dalla banchina. « Che ti succede? » domandò Gillon. Maggie continuava a scendere lungo il pendio, come attratta da una forza ignota, alla quale non poteva resistere. Gillon le corse dietro. « Ecco laggiù la soluzione che cercavamo » disse Maggie. Poi si voltò e lo prese per il bavero della giacca. « Guarda, Gillon. A volte tu estrai il carbone anche quando i vagoncini per portarlo in superficie non bastano. » Lui assentì. « E a volte, invece, chiudono la miniera anche se i vagoncini sono vuoti. » Lui assentì di nuovo. Maggie aveva un'aria trionfante. « Perché è tutta qui la ragione. Non importa ciò che succede in miniera. Quando sulla banchina c'è molto carbone e non ci sono navi, chiudono la miniera. Quando la banchina è vuota, estraggono carbone finché la banchina non è piena e poi 31
chiudono i pozzi finché non arriva una nave. » « Già. » « è tutto qui. » Maggie indicò St. Andrew. « Domani apriranno la miniera. » « Già, è vero. » Erano terribilmente emozionati quando guardarono di nuovo giù e videro una seconda nave all'orizzonte, proveniente dalla Norvegia, o dalla Danimarca, dove lord Fyffe vendeva il carbone. « E ora vedremo per quanti giorni due navi tengono aperta la miniera. » Maggie era sempre più eccitata, poiché ora disponevano di un'unità di misura, sia pure approssimativa. « Ma c'è dell'altro » disse Maggie. « Non ti dicono quando apriranno, perché non lo sanno neanche loro. Finché la nave non entra in porto, non possono essere sicuri del suo arrivo. » Anche questo doveva essere vero. Non c'era modo di sapere quanti giorni avrebbe impiegato una nave carboniera, partita dalla Norvegia, a raggiungere Firth of Forth. « Noi però lo sapremo » disse Maggie. « Lo sapremo appena lo sapranno i capi della miniera. » Tornarono sull'altro versante della brughiera. Quando passarono davanti al cippo dei convegni, Gillon si accorse che Maggie aveva già dimenticato le prime ore del pomeriggio. Lei, però, lo prese per mano. «Gillon... » Lui le strinse la mano. «Questo ci aiuterà ad arrivare più in alto di tutti gli altri. Quando gli altri non avranno niente da fare, i Cameron avranno lavoro; riempiremo d'argento la cassaforte. » Gillon non era del tutto d'accordo. Proprio la sera prima aveva udito Rob Roy esprimere la sua opinione sul sistema deleterio che induceva la gente a competere con i propri fratelli invece che ad aiutarli. Gillon non sapeva bene che cosa fosse giusto. Maggie lo tenne per mano finché non furono arrivati dietro le case del Belvedere Tosh-Mungo, poi liberò la mano da quella di lui e, raccolti i capelli, li nascose, con grande tristezza di Gillon, sotto la cuffia. Così ebbe inizio la vedetta dei Cameron. Era il loro segreto, non meno prezioso della cassaforte. Appena udita la sirena - quei tre suoni lunghi, funesti - mentre tutti gli uomini di Pitmungo continuavano a dormire nei loro letti, i Cameron si sarebbero alzati e sarebbero partiti. CAPITOLO TERZO Per tutta la primavera e l'estate la miniera continuò a chiudere. Si andò avanti in quel modo fino all'autunno, cosa che non era mai accaduta fino ad allora: la miniera chiudeva per un giorno o due e poi riapriva improvvisamente. Nessuno sapeva perché, nemmeno il sovrintendente della miniera, il signor Brothcock. I Cameron però sapevano. Tutte le mattine e tutti i pomeriggi uno di loro veniva mandato in cima alla brughiera, col piccolo abaco costruito da Andrew. E ogni sera facevano il conto. « Trecentoventi vagoni di carbone sulla banchina. » « E carboniere? » « Nessuna in porto, nessuna nel Firth of Forth. » Allora, secondo "l'equazione", come avevano deciso di chiamarla, sapevano che il mattino dopo non ci sarebbe stato lavoro e, a meno che una nave carboniera non fosse entrata nel porto durante il pomeriggio, niente lavoro nemmeno il giorno successivo. Forti del loro segreto, i Cameron cominciarono a trovare altro lavoro. Mentre gli altri minatori di Pitmungo passavano le giornate nell'ozio, nella cassaforte dei Cameron i soldi continuavano ad affluire. Era un tributo al loro duro lavoro, all'immaginazione di Maggie Cameron e all'organizzazione di Gillon e di Andrew. La loro prima e più importante iniziativa avvenne nel commercio delle aringhe. Nei villaggi dei minatori, nel cuore e sul finire dell'inverno, la gente desiderava ardentemente qualcosa di fresco, qualcosa che non fosse salato o affumicato; qualcosa che il giorno prima era ancora vivo. Maggie aveva deciso di trarre profitto da quella bramosia. Un venerdì mattina, in febbraio, quando l'equazione dava per chiusa la miniera, Gillon e Rob Roy, Andrew e Sam si misero in cammino molto prima che la sirena lanciasse la triste notizia, diretti verso i piccoli villaggi di pescatori, che contornavano Firth of Forth, per acquistare un paio di barili di aringhe fresche. Per otto scellini avevano preso a nolo il carro e il cavallo del signor Japp. « Siete sicuri che troverete del pesce da comprare? » domandò Maggie. « Non vorrei avere preso a nolo il carro per niente. » Gillon era nel suo elemento. « Le aringhe non hanno stagioni » dichiarò, sicuro del fatto suo. « E tu sei sicura » disse Andrew a sua madre, « che quando noi ti porteremo il pesce, la gente sarà disposta a comprarlo? A Pitmungo non circolano molti soldi. » « Se il pesce guizza nel barile » rispose Maggie, 32
«vedrai che i soldi li troveranno. » Nel paese di Wemyss, Gillon acquistò il pesce a buon mercato. « Secondo me, potremmo rischiare l'acquisto di un secondo barile di aringhe » disse Andrew. « Te la prendi tu la responsabilità con tua madre, se facciamo fiasco?» domandò Gillon. « Sì, me la prendo io » rispose Andrew. Centottanta chili di aringhe. Gillon pagò in contanti e poi si diressero verso casa. Cominciarono le difficoltà: il cavallo era stanco, loro pure, e la strada che proveniva dal mare era tutta in salita. A un certo punto dovettero persino spingere il carro per aiutare il cavallo a proseguire. Arrivarono al Corso dei Carbonai, ma prima ancora di imboccare la salita che portava alla taverna, la gente li costrinse a fermarsi e ad aprire il primo barile. Nel paese la voce si sparse rapidamente, proprio come se ci fosse stata una disgrazia nei pozzi. Uomini e donne giunsero di corsa con i canestri sotto il braccio. Il secondo barile fu ripulito da cima a fondo, prima che i Cameron arrivassero in vista delle luci della taverna. In casa dei Cameron ci fu molta allegria quella sera. Niente indumenti sozzi di miniera nella stanza e nonostante ciò la cassaforte era piena. Maggie insieme alle focacce servì loro burro fresco e vera panna con la zuppa d'avena. « Non avete tenuto neanche un'aringa per noi » protestò Jemmie, indignato. « Non una lisca, neanche una nuda lisca » ribadì Sam. « Io avrei mangiato volentieri un'aringa per cena » disse Sarah, cosa che, dato il suo carattere, era già una forma di ribellione. « Il pesce è per gli altri » disse Maggie, « e i soldi sono per noi. » Rob Roy tirò fuori il Manifesto e si mise a leggere. « Abbiamo imboccato la strada che porta all'inferno piccolo borghese » sentenziò. « Il sangue dei nostri fratelli serve ad alimentare la nostra fortuna. Loro ci nutrono d'oro, noi buttiamo loro il nostro pesce. » Ma nessuno gli badò. Maggie aveva sempre qualche idea; sapeva sempre quale strada prendere. Poiché i Cameron potevano presentarsi all'alba, quando i contadini assumevano i braccianti, essi ottennero facilmente lavoro: trovaronO da piantare le patate da seme in una fattoria e da pulire le barbabietole da zucchero in un'altra. Maggie lavorava insieme con loro e loro lasciavano sempre che fosse lei a contrattare. «Ve ne intendete di fragole?» le domandava un contadino. « Vorrei avere un penny per ogni tonnellata che abbiamo colto ai nostri tempi » mentiva, visto che non c'era un lavoro adatto a un bracciante che non si potesse imparare in un paio di minuti. Si facevano pagare in natura: barbabietole, patate, rape, sacchi d'avena e di orzo. Poi Andrew mise in pratica una delle sue numerose idee. Per riportare le derrate a Pitmungo, prima presero a nolo il carro e il cavallo del signor Japp e in seguito lo comprarono, per riaffittarlo sempre al signor Japp, quando erano a lavorare in miniera. Andrew era molto abile in questo genere di cose. Macinavano il frumento e l'avena a Wester Mungo e poi vendevano della buona farina d'avena e di frumento dietro casa loro per un prezzo inferiore a quello praticato nello spaccio della Compagnia, chiamato lo "Spennapolli". Era stata una brutta annata per Pitmungo, ma buona per i Cameron. Un giorno Sam arrivò tutto trafelato dall'alta brughiera con la notizia che il molo era coperto di carbone e non si vedevano navi all'orizzonte. Quella sera Gillon annunciò, basandosi sulla sua esperienza di uomo di mare, che i merlani, pesci squisiti, sarebbero passati nel tratto di mare tra Fife Ness e Largo Bay. « Accontentiamoci delle aringhe » disse Maggie. « Le aringhe le conosciamo, delle aringhe possiamo fidarci. » Ma i pensieri di Gillon andavano al mare e ai merlani. Venne deciso che i tre uomini più adulti, Gillon, Rob Roy e Andrew, sarebbero andati col carro fino al mare, partendo prima della mezzanotte per arrivare il mattino dopo e che gli altri sarebbero andati a piedi alla fattoria di Boswell a raccogiiere rape. Gli uomini dormirono alla meglio nel carro, finché il sole non li svegliò del tutto. Era una di quelle splendide giornate d'autunno, in cui tutto appariva caliginoso e aureolato d'oro. Verso le nove arrivarono a una curva, di là dalla quale c'era un promontorio, che sovrastava il paese di St. Buxton. I muri delle case erano coperti di reti. A tale vista Gillon avvertì una fitta di nostalgia anche se il suo morale era alto. S'avviarono per la discesa e in quell'attimo videro uno spettacolo stranissimo. Le donne del paese portavano le barche al mare e le spingevano camminando tra i frangenti. Mentre una donna teneva ferma la barca, un'altra prendeva un uomo sulla schiena e lo portava fino alla barca, perché non si bagnasse. C'era ancora un chilometro e mezzo 33
prima del paese e quando arrivarono nella stradina stretta e tortuosa, che scendeva nella piazza, le donne erano tornate dalla spiaggia e stavano sedute davanti alle loro case imbiancate a calce, intente a sistemare i pesci sulle rastrelliere, per affumicarli o farli essiccare al vento, o a rammendare le reti di riserva. Gillon non aveva mai visto donne così robuste. Portavano le sottane rimboccate alla cintola e nessuna di esse fece il gesto di tirarle giù al passaggio dei Cameron. Solo una o due alzarono appena la testa dal lavoro. « So che è la stagione dei merlani. C'è nessuno che ne vende? » Gillon non ebbe risposta. « Questo è un villaggio di pescatori, vero? Ebbene, noi siamo venuti qui per comprare il pesce. » Le donne non sollevarono gli occhi dalle reti. Gillon, imbarazzato di fronte ai figli, tirò fuori un rotolo di banconote da dieci scellini e lo aprì a ventaglio come un mazzo di carte. Ma i soldi non sortirono alcun effetto; non c'era verso di ottenere risposta. « Che vi succede, a tutte quante? » domandò Gillon, facendosl coraggio. Finalmente una donna di mezz'età, vestita di nero, probabilmente una vedova, s'avvicinò al loro carro. « Quando gli uomini sono in mare, le donne non parlano con nessun uomo » spiegò. Poi, una volta rotto il silenzio, le altre donne si sentirono più libere. « Guardate che occhi neri hanno » disse una. Non capivano di dove venissero quegli uomini dagli occhi neri e Gillon se ne rallegrò. « Non credo che abbiano pesce da vendere » disse Andrew. « Non si sa mai » osservò Gillon. Rob Roy era sceso alla spiaggia per non assistere all'imbarazzo di suo padre. Poi tornò in piazza con alcune grandi conchiglie fra le mani. « Che cosa sono?» domandò a suo padre. « Buccini » rispose Gillon. « Molto buoni, per giunta. In brodetto o con la zuppa, e persino arrostiti. Uno solo basta a sfamare una famiglia. » « Sono corni di cavallo » disse una donna. Alcune donne risero di Gillon e lui non capiva perché, e poi la femmina più alta che Gillon avesse mai visto gli si avvicinò e gli disse: « Pesce non ne abbiamo, ma abbiamo i buccini da vendere. Ti faremo un prezzo di cui ci sarai grato ». Gli sorrideva e Gillon la trovò bella, interessante, con qualcosa di esotico. L'idea di far affari con lei lo affascinava. « Ci sto » disse, quasi senza accorgersene. La donna guardò i buccini che Gillon teneva in mano e vi picchiò sopra. « Due penny l'uno mi sembra più che giusto » disse. « No, papà, non prenderli » disse Andrew. « è tuo figlio? » domandò la donna. Gli occhi le brillavano, mentre parlava. Gillon annuì. « Sembri giovane per avere un figlio di quell'età » «Papà, nessuno la toccherà nemmeno quella roba, a Pitmungo. » « Te ne diamo una dozzina per dieci penny, voglio dire una dozzina da pescatori. Tredici buccini freschi di prima qualità al prezzo di dodici. » « Ti prego, papà» ripeté Andrew. « No. » « Io credo che abbia ragione, papà » disse Rob Roy. In seguito Gillon non avrebbe nemmeno ricordato di aver udito parlare i suoi figli. «Per me sta bene » disse. Era uno spettacolo degno di essere visto: le donne correvano a prendere pentole e tegami, e li trasportavano nelle gonne, le giovani strappavano le conchiglie alle vecchie. Riempirono due barili e poi ancora diverse nasse rotte per le aragoste. Vendettero i buccini finché non ne rimase nemmeno uno e a Gillon, di tutti i soldi che aveva portato con sé, avanzarono soltanto due scellini. Le donne li accompagnarono lungo la salita che conduceva fuori St. Buxton, aiutando il cavallo a tirare il carico, e invitandoli a tornare presto. Quando si furono lasciati dietro le donne, Andrew disse: « Hai commesso il più grosso errore della tua vita, papà ». Ma Gillon si limitò a scuotere il capo, sorridendo. Era ancora confuso, "ammaliato", come dicevano a Pitmungo. « No, no » disse, in perfetta buona fede. « Vedrai. Sarà un trionfo. » Quando il cavallo si fermò, lo fece senza preavviso. Non era cocciutaggine: era sfinito. « Be', ora prenderemo noi le stanghe e tireremo » disse Gillon. Mangiarono qualche focaccia d'avena e bevvero acqua (Rob diede parte della sua razione all'animale); poi afferrarono le stanghe e tirarono. Stava calando la sera e presto fece freddo, ma loro sudavano come cavalli. « Chissà » fece Gillon, « chissà. » Ma quando giunsero in vista delle colline di Pitmungo capì che ce l'avevano fatta. Tuttavia era impensierito dalla puzza che proveniva dal carro. Avevano avvolto i buccini nelle alghe marine, che Gillon intendeva usare come fertilizzanti nell'orto, e sperava che quell'odore emanasse semplicemente dalle alghe che 34
essiccavano. « Mi pare impossibile che oggi siamo stati al mare » disse. «Tutt'altro che impossibile, se hai un buon naso » osservò Rob Roy. Gillon avvertì una contrazione nervosa guizzargli sul viso. Non era il solo, dunque, ad averlo avvertito, anche Rob si era accorto di quell'odore. Poi, smisero di parlare per risparmiare il fiato e tirare il carro. Quando arrivarono in cima a una salita, dove sorgeva un'enorme vecchia quercia, come di comune accordo, si buttarono tutti a terra sotto l'albero. « Io direi tre penny l'uno » disse Andrew. « Questo è il prezzo che bisognerà chiedere. » Rob Roy si rizzò a sedere. « Che bisogna chiedere? Fratello, li abbiamo avuti per meno di un penny l'uno e tu vuoi chiederne tre? Tanto varrebbe prendere una pistola e puntarla alle costole del prossimo. » « Nessuno li costringe a comprare » osservò Andrew. « Già, ma il fatto è che si può ancora guadagnare un po' di soldi e trattare la gente senza strozzarla. » « Papà. » Andrew voleva che fosse suo padre a giudicare. « Il posto l'abbiamo trovato noi, i soldi li abbiamo rischiati noi. I buccini ce li stiamo trasportando fino a casa, rimettendoci tempo e sudore. Due penny non mi sembrano un guadagno eccessivo. » Gillon non sapeva che dire. « Uno ha diritto di ottenere il prezzo che può. è la legge della vita. » « Questa è la legge della giungla, che ci tiene tutti sotto il suo tallone. E tu gli permetti di parlare a questo modo? » gridò Rob a suo padre. « Ha diritto di esprimere la sua opinione, Rob. » « Opinione? Ma io sto parlando di fatti! Ci sono due categorie di persone, gli sfruttati e gli sfruttatori. Bisogna essere o l'uno o l'altro; non si può essere tutte e due le cose. » Gillon, udendo quelle parole, riconobbe che erano quelle ch'egli stesso aveva insegnato a suo figlio. « Io non voglio sfruttare nessuno » disse Andrew. « Però preferirei non essere sfruttato. » Rob mosse verso il fratello come se volesse prenderlo a pugni. « Un giorno o l'altro gli sfruttati si riuniranno e butteranno a mare gli sfruttatori e li affogheranno come topi, quali essi sono. » A questo punto Gillon si alzò. « Ehi, Rob! » « Dico sul serio, li affogheranno come topi. Le parti sono due, ecco tutto. » Poi continuò, rivolto al padre: « E tu da che parte stai? » Non c'era via d'uscita. « Io sono per portare questi buccini a PitmungO » rispose Gillon, e capì d'aver deluso entrambi i figli. Rob Roy si sedette, voltando loro la schiena. Alla fine Gillon gli si avvicinò. « è ora di andare, figliolo. » Rob scosse la testa. « Io non voglio averci nulla a che fare. » « Non combineremo nulla senza di te. » « Viene il momento in cui un uomo deve fare la sua scelta, papà. » « Tu non sei ancora un uomo, Rob. » « E invece sì. Si diventa uomini quando si fa una scelta. » Gillon guardò il figlio, che si faceva ombra agli occhi per ripararli dal sole, benché debole, e si rese conto che anche i giovani occhi di Rob stavano andandosene, come i suoi. Non avrebbe mai dovuto permettere che il ragazzo scendesse nei pozzi prima di essere cresciuto al sole e all'aria aperta. Gli si inginocchiò accanto e disse: « Rob, in questa società, la famiglia è la sola cosa che abbiamo e che ci tiene uniti contro gli altri ». « No, non posso più andare avanti così. L'ho promesso a me stesso. » Gillon si alzò. « Io ti domando, anzi ti ordino, di alzarti e di prendere il tuo posto dietro il carro. » Rob restò seduto, senza alzare gli occhi. « Tu lo sai che cosa vuol dire questo, vero, Rob? » continuò Gillon con voce ferma. «Non aspettarti di trovare un posto a tavola, stasera. » « Sì, lo so, papà, lo so. Addio papà. » Le cose si erano spinte troppo oltre, ma nessuno dei due seppe trovare il modo di tornare indietro. Incontrarono Jemmie per strada, e, dopo, tutto fu più facile. Jem era fresco di forze e più forte di Rob. Sam andò a incontrarli in fondo al Corso dei Carbonai e quando vide la faccia del padre andò svelto alla taverna ritornandone con due litri di birra e un po' di whisky. « Questo ti farà rinascere » disse Sam. « Che cosa sono quelle orribili conchiglie ? » « Vedrai. » « Dov'è Rob Roy? » Gillon non seppe cosa rispondergli. Quando arrivarono al pozzo Lady Jane n. 2 videro alcuni uomini che stavano ripulendo i tubi davanti alla stazione di pompaggio della miniera. « Cosa ci avete portato oggi? » Erano clienti grati e fiduciosi. « Una nuova leccornia del mare. Frutti del buon mare di Dio. » Ecco una bella frase da ricordare, si disse Gillon. Era un po' sbronzo. Il whisky unito alla birra gli aveva infuso nuova vita nelle vene. Parlò ai ragazzi dei buccini, spiegò come rompere il guscio e poi tagliare il piede pesante, elefantino del mollusco e appiattirlo bene con un mazzuolo. « Forse riuscirai a convincere 35
un minatore ad avvicinarsi a un buccino » disse Sam, « ma non lo convincerai mai a mangiarlo. » Gillon decise di ignorarlo e di ignorare una vecchia che, passando accanto al carro, si turò il naso. Ecco poco più in là i loro clienti, tutti in fila lungo i muri, ai due lati della taverna. Quando la gente ebbe fatto silenzio, Gillon tolse il coperchio del primo barile e cominciò a liberare i buccini dalle alghe. Un uomo prese un'alga in mano e, scuotendola, corse intorno alla folla. Gillon mostrò un buccino, ancora avvolto nelle alghe verdi, come un gioielliere presenta una gemma a un acquirente. « Cos'è questa roba, in nome di Dio, amico? » gridò qualcuno. « Buccini » rispose Gillon, « corni di cavallo, come li chiamano in Scozia. » « Sono orribili » disse uno. « Anche le anguille sono orribili, eppure la gente ne va pazza. » «Come si mangia, questa roba? » « Si mangiano bolliti, arrostiti, fritti, stufati. Sono la bistecca di mare dei poveri.» Ecco un'altra bella frase, pensò Gillon. « Hanno un cattivo odore. » « Sono freschi come rose. Colti dal mare stamattina all'alba. » « Come si fa a tirar fuori queste orribili bestiacce ? » Gillon sorrise. Le cose si mettevano bene. « Una pentola d'acqua calda e marciano fuori come soldati in parata. E poi c'è un altro sistema. » Gillon tolse un buccino dal barile e con un colpo secco e improvviso spaccò il guscio contro il cerchione di una ruota. Il guscio si ruppe come una tazza di porcellana e il mollusco ne uscì, il grosso piede carnoso ciondolante, i visceri penzolanti come una colata di melma e l'opercolo, pulsante di vita morente. La gente avrebbe sopportato anche quello spettacolo, se una donna non si fosse messa a strillare. Quando il primo mollusco venne fatto passare tra la folla, l'opercolo si aprì e il buccino cercò di succhiarle la mano. «Levatemelo di dosso » urlò la donna, lasciandolo cadere sulle pietre del selciato: la conchiglia si spezzò e da essa fuoriuscirono i visceri maleodoranti del mollusco. La folla fece semicerchio e guardò stupefatta. « Ma è una lumaca» disse uno infine, «una maledetta lumaca. » Poi levarono gli occhi su Gillon, che stava sul carro, più avviliti che irosi. « Si rischia di morire a mangiar quella roba, di mandare in malora il fegato. » «Perché ci hai fatto questo, Cameron?» domandò un uomo. Sembrava sbalordito. « Ti abbiamo comprato il pesce, ti abbiamo dato i soldi che hai voluto e tu cerchi di avvelenarci per guadagnare qualche penny. » Gillon protese entrambe le mani. « Ma se vi dico... Aspettate un momento. Guardatemi. Ora ne mangio uno io... » La sua voce fu soverchiata dalle loro urla. Non volevano saperne delle sue lumache. « Non azzardarti mai più a farci uno scherzo simile, amico! » Lui cercò di dire qualcosa - tutta la reputazione dei Cameron era andata distrutta in un giorno ma non servì a nulla. Se ne andavano tutti, accalcandosi per uscire dallo spiazzo. Gillon si sedette sul carro. Si sentiva affranto e pieno di vergogna. « Penso che ormai è l'ora di tornare a casa, papà » disse Sam. «Il fatto è» obiettò Jem: «chi glielo dirà, a lei?» Silenzio. « Abbiamo ancora dei soldi ? » domandò improvvisamente Gillon. In tutto avevano solo otto scellini. « Andate a prendermi una bottiglia di whisky scadente » disse Gillon. « Il whisky scadente ti farà star male, papà. » « Andate a prendermi il whisky. » Sesettero sul carro insieme con lui e vegliarono l'ubriaco, come si fa con un morto. Di tanto in tanto bevevano un sorso, ma il whisky era troppo aspro per loro. Era whisky di contrabbando, destinato agli alcolizzati e agli uomini decisi a espiare i loro peccati. Gillon sperava di riuscire a trovare il coraggio di affrontare sua moglie, ma quando sentiva ch'era giunto il momento, scopriva ogni volta di non riuscire a parlare. Lo condussero nel carro su per la salita, muto e immobile, e quando arrivarono davanti alla casa, trovarono la madre sulla porta. «Lasciatelo sul carro » disse lei, e così lo lasciarono in mezzo alle alghe e ai buccini. Più tardi, nel corso della notte, piovve e all'alba Gillon era fradicio. Quando tornarono dal lavoro, Gillon era ancora sul carro, e Maggie non permise ancora che lo portassero in casa. Ci andò lei a vederlo, a notte fonda. Era sveglio e tremava. Lui avvertì la presenza della moglie e piano piano trovò la forza di aprire gli occhi. « Non capisco chi puzza di più, se tu o le tue lumache. » « Acqua » chiese Gillon. « Quando avrò finito. Insomma ti sei coperto di vergogna; è questo che volevi? Tutto il giorno i ragazzi sono venuti per vedere l'ubriaco nel carro delle lumache. » Gillon gemette. « Hai infangato il nome dei Cameron. Tira su la testa. » Ma lui non vi riuscì. Lei 36
allora gliela sollevò e prese a imboccarlo fra le labbra riarse con qualche cucchiaiata di brodo caldo di manzo. « Tutta la fatica che abbiamo fatto quest'anno, tutti i soldi che abbiamo rischiato e quelli che abbiamo guadagnato, tutto buttato al vento, Gillon, tutto è finito in polvere. » «Sì, buttato. Lo so. » La voce di lei aumentò d'intensità. « Dempster Hogg è caduto nel pozzo, oggi. » « Oh Dio, mi dispiace. » « Lo seppelliscono in una bara a scivolo. Sei abbastanza in te per capire che cosa ciò significa per noi? » Sapeva bene cosa fosse una bara a scivolo: una cassa con il fondo munito di cerniere e apribile, in modo che la salma, dopo che erano sfilati i dolenti, cadeva nella fossa e la bara poteva venire riutilizzata. Non capiva per quale ragione Maggie gli raccontasse quella storia. « Significa che non hanno nemmeno uno scellino da parte. Hogg si è bevuto tutto. » L'amarezza di lei lo colpì nel profondo del cuore. « Significa che, se non fosse stato per te, avremmo potuto prenderci la loro casa al Belvedere Tosh-Mungo. » I suoi sogni erano svaniti in una sola, assurda giornata. « Maggie, che cosa posso fare? » « Non guiderai un'altra spedizione, questo è certo. » « No, lo so. » «E domani ti libererai di questa roba. La puzza, amico mio, è tremenda. » Gillon udì i passi di lei sul selciato e la porta aprirsi e poi richiudersi di botto. Gli venne da piangere, ma gli occhi gli restarono asciutti. La porta si riaprì ed eccola di nuovo. « Qualcuno ha lasciato fuori il cavallo dopo quel viaggio lungo. è rimasto tutta la notte sotto la pioggia. Era sfinito, capisci? L'hai sfiancato tu coi tuoi barili di lumache. » « Oh, mi dispiace. Che peccato. » « Un gran peccato davvero » disse lei. « è morto. » E allora Gillon pianse. Pianse per il povero cavallo morto e per Dempster Hogg caduto nel pozzo. Pianse per i buccini andati a male e per aver infranto i sogni di sua moglie. Dopo di che pianse per la sua vita, che trascorreva inutile e vuota. E tutti i Cameron uscirono fuori solo per stare con lui e per timore ch'egli potesse fare qualche gesto disperato. Gillon pianse per il whisky che aveva bevuto e per il danno fatto a se stesso e poi cominciò a piangere per Rob Roy. Pianse fino a non avere più lacrime in corpo e poi piombò addormentato. Allora Maggie ordinò di mettergli addosso la coperta del loro letto. CAPITOLO QUARTO Quando seguirono il feretro di Hogg fino al luogo della sepoltura, Maggie non riuscì a distogliere gli occhi dalla casa del defunto, lassù in alto, al Belvedere Tosh-Mungo. Ormai era solo questione di tempo, nonostante quanto avesse detto a Gillon per punirlo. Maggie ascoltò le parole del signor MacCurry che ricordava come il signor Hogg fosse stato un padre amoroso e come avesse provveduto al mantenimento della famiglia. Ha provveduto al mantenimento della taverna, pensò Maggie, sempre con gli occhi fissi sulla casa. Non era una bella casa soltanto perché si trovava al Belvedere Tosh-Mungo, ma perché sorgeva al termine della strada, e guardava sulle fattorie e sui campi e aveva il lago sullo sfondo. Un paio di mesate d'affitto non pagate alla Compagnia Ferro e Carboni di Pitmungo e la signora Hogg sarebbe stata costretta a trasferirsi nella parte bassa del paese, dove poteva pagare l'affitto con il salario di un figlio adolescente. E allora i Cameron si sarebbero trasferiti lassù, perché nonostante il fiasco dei buccini e la spesa di un nuovo cavallo, nella cassaforte c'era ancora un bel mucchio di denaro. Sarebbero stati loro i primi cittadini di Pitmungo bassa a salire a Pitmungo alta. Mentre tornavano a casa attraverso la brughiera, Gillon le domandò che cosa stesse guardando durante il sermone. « La casa degli Hogg. Fra poco traslocheranno e ci andremo noi » rispose Maggie. « Ci siamo guadagnati il diritto di abitare su quella collina.» « Io non voglio andare dove non sono bene accetto » protestò Gillon. Era la prima volta, dopo la storia dei buccini, che si permetteva di dissentire da lei. « Be', noi ci andremo » dichiarò Maggie. Nella prima quindicina di settembre la signora Hogg ricevette un'intimazione di sfratto dalla Compagnia Ferro e Carboni di Pitmungo. La prima domenica dopo l'ingiunzione, suo figlio scese nel Vicolo dei Minatori, pieno di vergogna, per cercare una nuova casa. Maggie lo chiamò dalla soglia. « Penso che faresti bene a dare un'occhiata attenta a questa casa. » Il ragazzo si fermò sulla porta. « è piccola » disse. « Già, ma non ce n'è di più grandi, qui, e nessuna è più pulita e più curata di 37
questa. » Era infinitamente più linda di quella del ragazzo, e Maggie lo sapeva. « L'affitto di questa casa è di due sterline l'anno. L'affitto della tua è di sei sterline e dieci scellini. Io rileverò la vostra casa e voi potrete prendervi questa. E, secondo me, tua madre farà bene a decidersi presto, perché un sacco di famiglie la vogliono, in tutta la strada. » « E così buio, qui » fece lui, rattristato, « ed è così luminoso lassù sul colle. » «Già. E ben per questo che vogliamo andarci. » Il ragazzo guardò Maggie. « Non è facile venire giù. » Sembrava un vecchio, in quel momento, e a Maggie fece pena. Gli fece scivolare in mano una mezza corona. « E questo cos'è ? » « Una caparra, per suggellare il contratto. E quando possiamo traslocare ? » «Appena potremo andarcene noi » rispose lui. « Domani, dopo il tè. » La cosa si concludeva più velocemente di quanto egli non avesse immaginato. « Se ci prestate il vostro carro, domani dopo il tè, allora. » « Ci terremo pronti. » Niente di più semplice. Maggie non fece parola in famiglia, poiché voleva assaporare la dolcezza della notizia, prima di comunicarla agli altri. Quando gli uomini tornarono dalla miniera la sera dopo, trovarono il carro ad aspettarli, col nuovo cavallino delle Terre Alte, battezzato Brothcock, alla stanga. Il carro era pieno di tutte le masserizie, tranne i pochi mobili rimasti in casa. Quel trasloco improvviso li sbalordì: si erano svegliati come abitanti di Pitmungo bassa e quella sera sarebbero andati a dormire come abitanti di Pitmungo alta: avrebbero dovuto abituarsi all'idea. « Io non ci vengo. Preferisco star qui » disse Jemmie. Solo Emily voleva andare. « Io mi affaccerò alla finestra della camera da letto e sputerò sulla gente di quaggiù» dichiarò. « Meno male che non c'è tuo fratello Rob a sentirti » disse Sam. «Questa è la tua gente. » Quell'accenno a Rob Roy rattristò Gillon, che non considerava il trasferimento al Belvedere come un progresso, ma come un altro passo verso il distacco dal figlio. Non aveva più parlato con Rob dal giorno in cui si erano lasciati e questo cambiamento li avrebbe divisi ancora di più. Si guardò attorno, nella casa che appariva già così nuda. C'era il letto in cui era nata Maggie, nel quale erano nati tutti i figli di Gillon e tutti gli altri letti infissi nelle pareti. Nessuno aveva mai pensato di trasferirsi altrove. «Chissà che cosa avrebbe detto tuo padre se avesse saputo dove stiamo andando. » « Ne sarebbe stato fiero. Gli sarebbe piaciuto venir su a trovarci. » Anche questo rattristava Gillon. Andatosene Tom Drum, non era rimasta traccia di lui nella casa. Qualche inverno prima, gli si era rotto qualcosa dentro, s'era messo a letto ed era morto. E poi era morta lei, la sua strana moglie bruna, quella donna taciturna, il cui nome non avevano nemmeno pensato di dare a una loro figlia; se n'era andata come se ne vanno le buone mogli dei minatori, quando non c'è più bisogno di loro. I Drum avevano abitato in quella casa per un secolo e non era rimasto neppure un oggetto che ne ricordasse la presenza, salvo qualche traccia d'usura sulle pietre e qualche strato di nerofumo sulle pareti del focolare. Nella vita dev'esserci qualcosa di più, pensò Gillon, dev'esserci per forza. Quando la casa fu vuota e il carro pieno, Andrew sollevò la pietra per l'ultima volta e Maggie tirò fuori la cassaforte e la portò sul carro. Gillon notò che Andrew aveva le lacrime agli occhi, mentre rimetteva a posto la pietra, e si rallegrò perché suo figlio, nonostante il bernoccolo per gli affari, dimostrava una certa sensibilità. Quando i Cameron s'avviarono lungo la strada, gli uomini erano ancora alla taverna o nelle tinozze e le donne dentro casa, a preparare il tè. Era così che voleva Maggie: niente strette di mano, niente saluti, niente falsi addii per i Cameron. Sul Corso dei Carbonai attaccarono la salita e poi attraversarono il Campo Sportivo da dove videro l'ultimo raggio di sole cadere obliquo sulla loro nuova casa. La brughiera era già piena d'ombre. Quando arrivarono in cima, il giovane Tom Hope andò loro incontro. « Il signor Brothcock non approva che veniate su. » «E perché non approva? » domandò Sam. Il ragazzo era intimidito di fronte al miglior giocatore di rugby di Pitmungo. « Oh, non gli va che degli abitanti di Pitmungo bassa vengano a vivere qui. Dice che vi credete di essere chissà chi e montate la testa agli altri. Non gli piace Rob Roy e i suoi sproloqui, ha detto. » Il carro cigolava affrontando la salita. « Forse faremmo bene a tornare indietro » osservò Sarah. Maggie allungò a sua figlia un manrovescio cosi forte da farle perdere l'equilibrio. « Tornare indietro? » urlò. « Non si torna indietro. » Dopo di che proseguirono in silenzio. Ma senza gioia. Perché 38
mai dovevano essere sempre in prima fila, facendosi largo a gomitate per andare dove nessuno li voleva? Come diceva Andrew, i Cameron erano un clan in ascesa, e questo a Gillon non piaceva. C'era una grande solitudine lassù. « Dovremmo andare in America, non lassù » disse Jemmie. « In America sì che trattano un uomo da uomo. Se uno vuole un po' di terra va lì e se la prende. Vuoi un albero? Vai lì e te ne tagli uno. Guarda Andrew Carnegie. » « Sì, guardalo. Se n'è tornato nella sua bella Scozia » disse Sam. « Già. Per comprarsi tutto il paese. » Era la prima volta che Jemmie aveva l'ultima parola con Sam. "Bisogna che lo tenga un po' d'occhio, questo ragazzo" pensò Gillon. Quando arrivarono al Belvedere Tosh-Mungo, la gente era tutta per la strada e alle finestre, per vedere gli intrusi. « Testa alta, adesso » disse Maggie. « Non rispondete, non ascoltate tirate dritto. » Gillon vi era ormai abituato da tempo. Gli uomini di Tosh-Mungo avevano già fatto il bagno e apparivano freschi e puliti. Era stato un errore andar su vestiti con gli stracci della miniera. «Si lavano anche loro » udì gridare una donna. « Tutti i martedì. » « Be', e dove l'ha messo il cappello, il grand'uomo? Come fa uno di Pitmungo bassa a venire a Tosh-Mungo senza cappello? » Erano passati più di vent'anni e quel cappello aveva ancora un fascino per loro. Era un segno del livello culturale del paese, aveva detto il signor Selkirk. « E dov'è quello che casca addormentato sul pavimento della taverna tutte le sere? » Lazzi e risate. Gillon non si era reso conto che il vizio di bere di Rob Roy fosse di dominio pubblico. Lui e Maggie non ne avevano mai parlato. Odio, risentimento, malignità. E com'erano bravi. Quel modo indiretto di dire le cose - "di scancìo", lo chiamavano - parlandosi l'un l'altro attraverso la strada, con un sorrisetto sornione sulle labbra, come se la persona di cui parlavano non esistesse nemmeno. Gillon si affrettò a raggiungere Maggie. « Dovremmo camminare a fianco a fianco » disse. Lei non ne fu scontenta. « Stanno solo scaldandosi i muscoli. Ancora non ci hanno tirato addosso nulla. » La mobilia degli Hogg, quel poco che ne avevano, era tutta in mezzo alla strada. La signora Hogg si sforzava di non piangere, ma le lacrime le venivano giù lo stesso. I Cameron scaricarono il carro, e a ogni pezzo la gente nella strada commentava. « Guaaarda, guaaarda, non è magnifico un tagliere di quella grossezza?» « Non è un tagliere, stupido; è il tavolo da pranzo. » « Oh, le mie scuse, madama. » I ragazzi caricarono il carro per gli Hogg e Jemmie impugnò le redini del cavallo per portarli giù. « Vi auguro di essere felici qui » disse la signora Hogg. « Io non lo sono stata di certo. » La casa era lurida. « E ora gli faremo vedere come lavorano i Cameron » disse Maggie. I ragazzi portarono le tinozze alla pompa - lì a Tosh-Mungo c'era una pompa, non un pozzo normale e le ragazze si misero a spazzare. Gillon accese un gran fuoco e mise una pentola d'acqua a bollire. Accesero ogni lampada e ogni candela che possedevano e ci diedero sotto, a strofinare i pavimenti e le scale, le prime su cui mettessero piede in una casa privata. Quando tornò, Jem si dedicò alle pareti annerite, lavandole con acqua e acido muriatico e quando furono asciutte, le imbiancò con la calce e un po' di vernice turchina, in modo che anche alla luce baluginante delle candele l'interno della casa si vedesse risplendere dalla strada. Verso mezzanotte i ragazzi andarono nell'orto a riprendere i materassi di paglia che erano stati all'aria, e così il loro lavoro ebbe termine. Ormai, volenti o nolenti, erano abitanti del Belvedere Tosh-Mungo. Il cambiamento era stato troppo brusco per poter abituarcisi subito. C'erano quattro stanze: due al piano superiore, una per le ragazze e una per i ragazzi. A pianoterra, la stanza sul retro era abbastanza grande e fungeva da camera da letto per il padre e la madre e da salotto per gli ospiti e quella sul davanti comprendeva uno spazio sufficiente per cucinare e lavare, per il bagno quotidiano e, cosa importantissima, per appendere accanto al fuoco gli indumenti da lavoro, anziché lasciarli a sgocciolare sui materassi dei ragazzi. Poiché quella era l'ultima casa del paese, il vento batteva contro le finestre nella stanza dei ragazzi e nella camera matrimoniale, ma nessuno ci fece caso. Di fianco alla casa sorgeva un pino silvestre, grande e scuro, l'unico rimasto a Pitmungo, superstite d'altri tempi, che ora apparteneva a loro. I rami pesanti scricchiolavano e gemevano sotto il vento e, dalle finestre, i ragazzi vedevano la luna attraverso le fronde « è pronto il tè » gridò Sarah. « Scendete a bere il nostro primo tè. » La famiglia si radunò per 39
mangiare pane caldo col burro e zuppa d'avena; c'erano anche un bricco di tè e un po' di whisky augurale. Prima di mangiare, Gillon levò alta la tazza. «Prima di consumare il nostro primo pasto in questa casa penso che una preghiera non guasti. » Nessuno se l'aspettava. Seguì un silenzio imbarazzato, poi Jemmie si alzò in piedi. « Io vorrei che mio fratello Rob fosse qui per godersi questa casa insieme con noi » e buttò giù la sua tazza di whisky. « Questa non è una preghiera » obiettò Sam. « Be', questo è quanto io chiedo a Dio. » Ci fu di nuovo silenzio: l'argomento "Rob Roy" veniva accuratamente evitato in famiglia. Poi si alzò Sam. « C'è chi ha carne e non può mangiarla, chi vorrebbe mangiarla e non ce l'ha; noi invece l'abbiamo e la mangiamo, e di questo il Signore ringraziamo. » Tutti applaudirono la preghiera, Sam era stato bravissimo. Sam era sempre all'altezza della situazione, una virtù che Gillon sapeva di non avere. E che invece non difettava nella madre di Sam. Maggie disse, emozionata e trionfante: « Lasciate che vi dica una cosa che farete bene a ficcarvi in capo. Che la gente dica pure ciò che vuole, il vostro posto è qui. Quassù. Non con quelli di Pitmungo bassa. Non dobbiamo chinare il capo di fronte a nessuno. Nessuno ». Era l'una di notte, quando si ritirarono nelle loro stanze. Mancavano tre ore alla prima luce, alla sirena del mattino, e poi avrebbero dovuto scendere di nuovo in miniera. I ragazzi stesero i materassi lungo il muro, poi giacquero supini, tremanti e intirizziti. La mamma poteva dire ciò che voleva, ma loro non si sentivano a proprio agio in quel posto. Bisognava dire qualcosa prima di addormentarsi. « Almeno non se la prendesse così a cuore » disse Sam infine. Essere un Cameron, pensò Andrew, era un peso molto gravoso. Il primo problema che si pose ai Cameron come un'ossessione riguardava la persona che avrebbe messo piede nella nuova casa per la prima volta. A Pitmungo, come in altri paesi della Scozia, perché a una nuova casa fossero assicurate fortuna e salute, era indispensabile che il primo estraneo a varcare la soglia fosse un bell'uomo di corporatura imponente, scuro di pelle e di capelli. Egli doveva inoltre presentarsi con un dono, altrimenti nella casa ci sarebbero state fame e morte. Alcuni, non disponendo di un amico fornito dei necessari requisiti di presenza e di simpatia, arrivavano al punto di prezzolare il loro primo visitatore. Nessuno però si presentò nella casa di Tosh-Mungo. Tutte le mattine, dopo aver mangiato i panini con la pancetta cosa nuova per loro, che rappresentava un passo avanti - mentre uscivano in fila indiana dalla porta, ricordavano alle donne di tener d'occhio l'eventuale bell'uomo bruno, che avrebbe fatto al caso loro, e tutte le sere, per prima cosa, si informavano se il primo visitatore fosse arrivato. Quando questi finalmente giunse, non era come lo avevano sperato. Quando bussarono alla porta, Sarah, che si trovava sola in casa, era nella stanza anteriore e faceva bollire il bucato nel paiolo. Il visitatore era un bel giovane alto, biondo e ben piantato. « Allora » disse, « non si invitano a entrare le persone? » «Entri, dunque » fece Sarah. Un attimo dopo, si rese conto che quell'uomo era il primo estraneo che metteva piede in casa, ma non era affatto l'uomo giusto, così grosso e biondo com'era, anche se recava qualcosa in mano. Quell'uomo avrebbe portato loro sfortuna: un pericolo, forse, o una disgrazia, o la morte. « Dovrà aiutarmi a salire il gradino » disse lui. Poi le tese le braccia e lei non poté fare a meno di avvicinarglisi e aiutarlo a varcare la soglia. Quando gli lasciò le braccia, lui fu sul punto di cadere e lei lo afferrò, sostenendo il corpo di lui contro il proprio petto e per un attimo imbarazzante i due restarono come abbracciati, finché lei, confusa e impacciata, non ebbe ritrovato l'equilibrio. «Bè, essere storpi non è privo di vantaggi » rise lui. Camminava bene con l'aiuto dei bastoni ma, quando si sedette, Sarah notò le due gambe di legno tornito, che spuntavano dagli stivali e si rese conto che l'uomo era Sandy Bone, ormai adulto e molto cambiato. Meno male che era venuto con un dono, una bottiglia di buon whisky. Sarah stappò la bottiglia e gli versò da bere. « Non vuoi bere un goccio con me? » Lei non sapeva se fosse cosa corretta, ma si versò del whisky in una tazza da tè. Lui toccò la tazza col proprio bicchiere. « Sia benedetta questa casa » disse Bone e Sarah si mise a piangere. Lui restò di stucco. Lei non voleva mortificarlo raccontandogli che era un portatore di malaugurio, ma alla fine glielo disse. « Tu sei il primo estraneo che mette piede qua dentro. » Anziché sgomentarsi, il giovane scoppiò a ridere. « Come diavolo faccio a essere il 40
primo che mette piede qua dentro, se non ho piedi? » La logica di quel ragionamento parve a Sarah così comica e al tempo stesso così perfetta che scoppiò a ridere anche lei, dapprima per il sollievo e poi per quello sfrenato bisogno di ridere che ci porta talvolta a sfiorare il pianto. « Non rido così da quando... oh, non lo so. Da quando sono nato » disse Sandy Bone, toccando di nuovo la tazza di Sarah col suo bicchiere. «Quando sei uscito dall'ospedale?» « Molto tempo fa. Due anni. Di più, forse. Ma non ho voluto tornare a casa finché non ho imparato a camminare con questi, capisci? » Lei cominciava ad avvertire il calore del whisky e ne fu contenta. Poi, tutto a un tratto, non volle più guardarlo negli occhi: ne aveva paura. Non c'era dolore in quegli occhi, e neanche un'ombra della vergogna che leggeva in quelli di tanti altri giovani rimasti minorati, come se, in un certo senso, la colpa fosse loro. « Sono storpiato, come vedi, ma non "uno storpio". » Queste parole fecero ridere Sarah. Lui restò stupito da quella risata e non fu facile spiegargliene la ragione. « è che sembra una frase di mia madre: noi scaviamo il carbone ma non siamo minatori. » Lui non capì, ma non ci badò molto. Si guardò in giro e Sarah si rallegrò che la casa fosse così in ordine. « Sai, un tempo ti vedevo quando tornavi a casa da scuola. Avevi i capelli lunghi e portavi le trecce. » « Oh! » « Eri la più carina di tutte. » Lei scosse il capo. « Va bene: la più dolce allora. Cosa che, in ogni caso, è la migliore. » Sarah sentì la testa girarle e avvertì un senso d'irrealtà, un po' per il whisky, ma soprattutto per la conversazione. Allora si alzò e tornò al suo bucato per riconnettere le idee. Provava dolore per Sandy Bone; per lei, scendere nella miniera significava essere uomini. Lui si versò un altro goccio di whisky. « Che bugiardi, qua intorno! Questa casa è la più pulita di Tosh-Mungo. » « Non quando tornano gli uomini dal pozzo. » « Oh, chi è pulito, allora? » Lei lo vide farsi serio in volto. « Ne senti la mancanza? » domandò. « Eh, sì. » Pareva rattristato e lei lo lasciò bere. « Mi piaceva andare là sotto, sai, intaccare lo strato di carbone, farlo a pezzi, tirarne fuori la parte migliore. C'era della brava gente, là sotto. » I raggi obliqui del sole si posavano sulle sue spalle chine, sui capelli biondi, che la luce rendeva quasi rossi. « E ora che cosa farai? » Era una domanda pericolosa, ma per qualche strana ragione incomprensibile scoprì che doveva saperlo. « Voglio fare l'operaio addetto al montacarichi, quello che cala gli uomini nel pozzo e riporta su le gabbie piene di carbone e di uomini, sai. Per il momento sto prendendo lezioni. Su, aiutami ad alzarmi, per favore. » Lei si sentì euforica per lui. Lo aiutò ad alzarsi dalla sedia e notò l'immensa forza delle sue braccia e delle sue mani, e ricordò ciò che avevano detto quando era successa la disgrazia: che solo un uomo dalla forza di un toro poteva sopravvivere a quel tremendo incidente. « E poi voglio sposarmi. » « Ah, si? » Di nuovo si sentì felice per lui. Pensò a tutti quegli storpi dagli occhi tristi che popolavano Pitmungo bassa, distrutti prima ancora d'aver compiuto vent'anni. « Proprio così. Allora, vuoi sposarmi ? » « Oh, si. » La parola le era sfuggita. Così. Sarah si coprì la bocca con la mano, sgomenta. Ma era la verità: lo sapevano entrambi. Lo sapevano già da prima, da quando erano scoppiati a ridere. « Allora mi dai un bacio? » Lei s'allontanò da lui. « Oh, no. » « Perché ? Tanto mi sposi. » Lei andò a rifugiarsi nel punto più lontano della stanza. « Non ti conosco ancora abbastanza. » Lui restò in silenzio così a lungo che lei temette di averlo offeso o che lui avesse cambiato idea. «Capisco. » Sandy s'avviò verso la porta. Era troppo perché lei potesse raccapezzarcisi. Voleva che se ne andasse prima che sua madre tornasse dallo Spennapolli. « Grazie per il whisky » disse Sarah. « Oh, già. Di niente. » Sarah arrossì lievemente. « E per avermi chiesto di diventare tua moglie. » «Oh, già. Questo sì, è più importante. Quando posso parlare con tuo padre ? » «Mio padre? Qui si parla con la mamma. » « No, no. Si chiede sempre al padre. » « Oh, non lo sapevo. Presto. » Lui allungò un braccio, d'improvviso, e l'afferrò. Poi la baciò sulle labbra finché lei non se le senti bruciare. «Ora ci conosciamo abbastanza. » Poi rise e riuscì a varcare la soglia, non più impacciato dalla bottiglia di whisky, e si avviò verso casa sua. Non si girò, ma una volta sola agitò il bastone. « Quanto tempo è stato qui ? » Sulla soglia c'era sua madre. Lei non se n'era accorta. Sarah si sforzò di tornare sulla terra. « Chi? » domandò infine. « Quell'uomo. » « Mio marito? » Sarah sentì che 41
sua madre le stringeva il braccio con forza. « Che ti piglia? Tuo marito! » «Ho detto così? Si vede che sognavo. » « Già, si vede che sognavi, perché ricordati bene questo: non voglio sciancati in casa nostra. L'uomo che ti sposerà lavorerà e metterà dei soldi nella cassaforte. » « Sì, mamma. » Naturalmente, più tardi tutti seppero dell'uomo che aveva messo piede per primo nella loro casa, e ne furono profondamente turbati. Un giovane biondo era presagio di sventura per almeno un anno a venire. « Come hai potuto farlo entrare? » domandò Andrew. La ragazza sorrise. « Come fa a essere il primo che ha messo piede qua dentro se i piedi non li ha ? » E quella frase produsse su di loro lo stesso effetto che aveva avuto su Sarah. Si sentirono salvi, grazie a quel ragionamento così semplice e ovvio, e venne loro da ridere. Allora decisero di mettere fine a quella sciocca storia del primo visitatore. Sam corse giù al Campo Sportivo e tornò con Black Willie Stuart, un giovane basso e tarchiato, che era considerato il più bel ragazzo di Pitmungo. Lo invitò in casa a bere un bicchiere e, con gran stupore di tutta la famiglia, Sarah lo baciò.
CAPITOLO QUINTO IAN fu il primo a saperlo, perché, per qualche arcana ragione, Ian veniva sempre a sapere per primo le brutte notizie. Egli fermò Sam che tornava dal Campo Sportivo, dove la squadra di Pitmungo aveva appena sbaragliato quella di Kinglassie. «Com'è andata?» « Li abbiamo annientati » rispose Sam. « Cancellati dal campo. » « Ah, meno male, perché forse questa è l'ultima volta che lo fate» disse Ian con voce indifferente, freddissima. « Che diamine intendi dire ? » « Che vogliono chiudere il Campo Sportivo.» Ian sembra divertirsi a raccontarlo. « Ce lo portano via. » « Non possono » disse Sam. « è nostro. » « E invece lo faranno » replicò Ian. Sam guardò la faccia affilata di Ian. «Sei un bugiardo » gli gridò. «Dimmi che sei un bugiardo. » Poi protese la mano e afferrò il fratello. « E va bene, come l'hai saputo? » « Da una lettera del legale di lady Jane al signor Brothcock. » Brothcock assumeva i ragazzi della miniera per pulire l'ufficio e non gli era mai passato per la mente che un ragazzo della miniera sapesse leggere, specialmente se aveva frequentato la scuola della Compagnia. Volevano mettere uno steccato intorno alla zona sportiva, disse Ian, e in mezzo scavarci un nuovo pozzo. Il cumulo di detriti sarebbe sorto dove attualmente c'era il campo di cricket e la cernita del minerale sarebbe stata fatta dov'era il campo di rugby, il campo della gloria personale di Sam. Il deposito del carbone, dove veniva deposto il minerale appena estratto, sarebbe stato messo dove ora giocavano a quoit. Sam lo lasciò andare. « Sai in che cosa ti sbagli ? » Si sentiva meglio, tutt'a un tratto. « Quel terreno è demaniale e, secondo la legge inglese, non può venir tolto al popolo, nemmeno da parte della grande lady Jane Tosh-Mungo, o contessa Fyffe, o come diavolo si fa chiamare. » Ian fece spallucce. Non credeva in nulla. « Non fare cosi. Finché paghiamo la nostra tassa, un carro di carbone ogni anno nella Giornata della Liberazione dei Minatori, lei non può toglierci un nostro diritto. » Ian sembrava divertirsi. Qualche volta la notte, dopo quella conversazione, Sam cominciò a rimuginarci su, tanto che pensò di andare a trovare il signor Selkirk per un consiglio legale. Ma non poteva sopportare la faccia rossa e gonfia di Selkirk, soprattutto perché riempiva suo padre di idee, che avevano l'unico effetto di renderlo irrequieto e infelice, e poi non poteva perdonargli di aver portato via Rob Roy alla famiglia con la sua parlantina. La questione della chiusura del Campo Sportivo sarebbe finita in una bolla di sapone, com'era finita in una bolla di sapone la storia che il nome dei Cameron era incluso nella lista nera della Compagnia, fra le persone da tener d'occhio. I maschi della famiglia Cameron stavano facendo più soldi nella miniera che in tutti gli anni precedenti. Probabilmente non s'erano sbagliati sul loro primo visitatore. All'approssimarsi della Giornata della Liberazione dei Minatori, il vero capodanno dei paesi minerari, e della parata annuale, nessuna disgrazia era venuta ad affliggerli. Anzi, i soldi continuavano a cadere 42
tintinnando nella cassaforte. Ma, un mese prima della Giornata della Liberazione, quando fu il turno di Sam di mettere la sua parte nella cassaforte, non ci mise niente. « Dove sono i soldi? Cosa ne hai fatto? » domandò Maggie. « Non posso dirtelo. » « Stai commettendo un peccato, te ne rendi conto? » Sam portava sempre tanto quanto Gillon. Maggie mise uno zero accanto al nome di Sam e disse: «Avanti gli altri» con amarezza, poiché ora le serviva tutto, fino all'ultimo centesimo. I soldi della cassaforte erano destinati a qualcosa di molto importante, ma soltanto Maggie sapeva di che si trattava. Erano anni che ci aveva messo gli occhi sopra: OGILVIE & FIGLI, LTD., IMPRESA Dl FORNITURE MINERARIE, BACK STREET, COWDENBEATH. Quella società, che adesso era male amministrata e in perdita, un tempo aveva dominato il mercato delle forniture minerarie nella zona di Cowdenbeath. Quando aveva scritto la prima lettera all'unico titolare superstite, il signor Ogilvie, Maggie aveva firmato M. D. Cameron. No, aveva risposto lui, non gli interessava vendere la ditta; doveva ancora guadagnarsi da vivere. Lei gli aveva scritto ancora, dicendogli che il Gruppo Cameron non intendeva comprare l'esercizio ma semplicemente ottenere un diritto di opzione, nell'improbabile eventualità che al signor Ogilvie accadesse qualche incidente. Tale opzione doveva essere rinnovata ogni anno per una somma da pagarsi in contanti. Maggie non si meravigliò, quando ricevette un invito a recarsi a Cowdenbeath, un sabato, per un colloquio. Il signor Ogilvie fu molto stupito nel costatare che M. D. Cameron era una donna. « Una donna! » esclamò. La cosa lo colpì come estremamente singolare e divertente. « Una donna nel commercio delle forniture minerarie! » Il signor Ogilvie le sorrise e scosse il capo. Maggie notò che era completamente senza denti. Si rallegrò vedendo che il signor Ogilvie era sulla china discendente e stava percorrendola con la stessa rapidità della sua azienda. Un'occhiata sarebbe bastata a convincere chiunque che di lì a poco gli sarebbe accaduto qualcosa di grave. Anche lui osservò attentamente la donna, poi la invitò a bere con lui un bicchiere di sherry. "Ah, ecco qua il suo errore, il vizio che gli sarà fatale" pensò Maggie. "Bere sherry a mezzogiorno del sabato". Bene. Non aveva mai preso dello sherry, ma acconsentì a berne un bicchiere, per incoraggiarlo. Il signor Ogilvie si mise comodo nella poltrona. « Permetta che le dica questo. Se lei entra nel commercio delle forniture minerarie, sarà la persona più graziosa nel ramo. » Un'altra brutta abitudine, notò Maggie. Era certa che il signor Ogilvie le avrebbe fatto proposte audaci prima di metter nero su bianco e si domandò fino a che punto fosse disposta ad arrivare. Soltanto dopo una schermaglia alquanto vivace, che si protrasse per tutto il tempo necessario a prosciugare fino in fondo una bottiglia di sherry, parlarono finalmente d'affari. L'idea era che il Gruppo Cameron avrebbe pagato al signor Ogilvie venti sterline l'anno vita natural durante, oppure finché a lui fosse piaciuto amministrare la ditta; in cambio avrebbero avuto il diritto di opzione per acquistare la ditta al prezzo di trecento sterline. « Vuol dirmi che se io vivo altri vent'anni, lei è disposta a pagarmi quattrocento sterline solo per avere il diritto di acquistare la mia impresa per trecento sterline ? » Maggie annuì, continuando a sorseggiare lo sherry. Avrebbe potuto considerarsi fortunato se fosse arrivato alla fine dell'inverno, pensò. Poi gli riempì il bicchiere. « Ora capisco perché le donne non si occupano d'affari » disse il signor Ogilvie. « Qualcuno potrebbe dire che lei ha perso quella graziosa testolina. » E così, firmò il contratto e lei gli consegnò la prima rata trimestrale, pari a cinque sterline. Ormai il nome di lui era scritto accanto a quello di Maggie sull'opzione: i soldi della cassaforte avevano una destinazione sicura. Fu appunto per tale ragione che Maggie si comportò a quel modo, quando Sam non le consegnò la sua parte di denaro. Solo Sandy Bone, che aveva ottenuto il posto al montacarichi, era al corrente di quanto Sam stava combinando. Al mattino lo portava giù nella gabbia e lo riportava in superficie con la gabbia successiva. La sera lo riportava in fondo al pozzo e un quarto d'ora più tardi lo riportava su insieme agli uomini che avevano finito il turno. Per quanto ne sapeva la Compagnia, o meglio se ne curava - visto che Sam ci rimetteva di tasca propria - il ragazzo era iscritto fra gli infortunati. Il fatto era che Sam stava allenandosi per le gare di prossima programmazione. Aveva cominciato a correre lungo le strade sotto la zona dei lavori, un po' fuori del paese, in modo da non essere visto. 43
Dapprima i risultati furono scadenti; i suoi muscoli mancavano di elasticità a causa del lavoro in miniera. Un pomeriggio, circa una settimana dopo, cominciò a riacquistare la lunga e agile falcata che ricordava d'avere avuto da bambino. Per quella settimana ebbe dolori a non finire, mentre la resistenza indispensabile per correre andava gradatamente aumentando. Sam corse finché non cominciò a ottenere un buon fiato e poi via via fino a essere in grado di superare le sue stesse capacità. La seconda settimana s'allenò nei salti in alto, da fermo e con rincorsa, nella corsa a ostacoli, nel salto in lungo e nel lancio del martello. Quest'ultima gara presentava particolari incertezze, perché, per quanto lui s'allenasse accanitamente, a Pitmungo c'erano uomini molto più forti di lui: come il vecchio Andro Begg, per esempio. Sam avrebbe dovuto supplire con la velocità e il tempismo alla forza superiore degli altri uomini. La notte, nel suo letto, ripensava a tutte le gare, una per una, e progettava il da farsi. Tutto stava nell'impiegare le energie nel modo migliore. Non aveva alcun significato vincere una gara con un distacco di quindici metri, quando ne bastava uno solo. Sam, infatti, si proponeva di compiere un'impresa che nessuno, dall'epoca in cui erano cominciati i giochi, nel 1705, aveva mai compiuto e che nessuno probabilmente si sarebbe mai sognato di compiere: avrebbe vinto tutte le gare. Tutte! Si rigirò nel letto, scalciando, con le coperte di nuovo sottosopra. « Che ti succede, fratello? » gli domandò Jemmie. « Che stai combinando? Sei teso come un cavallo da corsa.» Sam non aspettava altro. Decise di essere franco il più possibile, su quell'argomento. « Senti » disse Sam, « nostra madre insegue un suo sogno particolare e nessuno le fa mai domande. Be', anch'io inseguo il mio sogno e non voglio che mi si facciano domande. » « Ma ultimamente non hai passato neanche un po' di tempo giù nel pozzo. » « Come fai a saperlo ? » «Oh, suvvia, Sam. Credi che nessuno non ti abbia visto sporcarti con la polvere di carbone, per far credere di aver lavorato tutto il giorno ? » Sam era imbarazzato. Ecco cosa capitava a vivere in un posto come quello: c'era sempre qualcuno a spiarti. « Tutto ciò che posso dirti, per il momento, è che il mio denaro tornerà nella cassaforte fino all'ultimo penny. » « Non me ne importa un accidente. » « A me si, invece. » Avrebbe vinto tutto. Ogni nastro, ogni bottiglia di whisky, ogni banconota da dieci scellini, ogni coppetta d'argento offerta da lady Jane. Qualunque fosse stato il destino dei Cameron, nessuno a Pitmungo avrebbe mai dovuto dimenticare il loro nome e quello di Sam Cameron. Quell'anno, la parata si svolse come il solito. La banda dei minatori di Pitmungo, forse la peggior banda di tutta la Scozia, si schierò in cima al Campo Sportivo e Wattie Chisholm, che aveva ottant'anni e faceva ancora i turni nel pozzo, abbassò il suo piccone da minatore ornato di nastri, dando inizio alla parata. Cinque o seicento minatori con le loro famiglie s'avviarono marciando al rullo del tamburo. I suonatori di ottoni risparmiavano il fiato necessario per farli vibrare, quando sarebbero entrati nei vicoli di Pitmungo bassa. La Giornata della Liberazione dei Minatori era un giorno di sfida, una sfida sottile, con la quale essi intendevano mostrare la loro unione per quanto piccolo fosse il vantaggio che ne avrebbero ottenuto. Il signor Selkirk aveva raccontato a Gillon del tempo in cui i minatori morivano di fame in miniera, quando uomini e donne venivano incatenati gli uni alle altre, così che quando tiravano le slitte piene di carbone erano costretti a farlo tutti insieme. E se non tiravano abbastanza in fretta, sbattevano loro le catene sulla faccia. Erano stati schiavi, né più né meno come gli schiavi dell'Africa, venduti nelle miniere e con le miniere, e i loro figli erano condannati per legge a lavorare e a morire nei pozzi. Anche il padre di Maggie era stato portato in miniera a sei mesi, nella gerla del carbone di sua madre, e lasciato sulla terra umida per quattordici ore il giorno, mentre lei trasportava quintali di carbone su per le scale. Alcuni striscioni neri commemoravano i giorni nefasti delle miniere: MARTEDI NERO - 1884. NON DIMENTICHEREMO MAI I 36 BRAVI UOMINI UCCISI. Altri striscioni, altri slogan, le bandiere di quella piccola sfida rituale svettavano nell'aria. A Sam, più di tutti, piaceva lo striscione che recava la scritta: INSIEME RESISTEREMO. INSIEME VIVREMO. INSIEME MORIREMO. INSIEME TRIONFEREMO. Ma decise di non offrirsi per aiutare a portarlo, per non stancarsi le gambe. Dietro la banda veniva un vagone carico di due tonnellate di carbone scelto e lavato, da offrire a lady Jane Tosh-Mungo, come antico 44
tributo per l'uso del Parco Ricreativo dei Minatori di Pitmungo e l'utilizzazione dei pozzi e delle pompe. Dopo aver graziosamente accettato il carbone, lady Jane avrebbe offerto dei barili da cento galloni della migliore birra scozzese, inghirlandati di festoni, e pile di scatole di dolci per le ragazze della miniera. Avrebbero tolto i tappi, versato la prima birra e la giornata sarebbe cominciata ufficialmente. Quella festa era una cosa disgustosa, secondo il signor Selkirk, che distruggeva quel po' di effetto che poteva avere la sfida. Ma lord Fyffe sapeva il fatto suo: gli uomini volevano la birra. Arrivò anche Rob Roy, ma ignorò suo padre. « L'hai vista anche tu accettare il carbone» disse Sam a Ian. « Questo, mio caro, è un contratto e significa che non può riprendersi il Campo Sportivo. » Per antica tradizione, gli abitanti di Pitmungo alta sedevano da una parte della brughiera, quelli di Pitmungo bassa dall'altra, come in chiesa. Più tardi avrebbero gareggiato insieme, nei giochi, ma non sedevano e non mangiavano insieme, né parlavano fra di loro. Maggie Cameron aveva scelto un posto accanto agli abitanti del Belvedere, ma nel raggio di una decina di metri nessuno stese le coperte o posò i cestini del pranzo intorno a lei. Era sola in un'isola di verde, una verde ferita aperta, un'umiliazione pubblica. « Tirate fuori la nostra roba » ordinò Maggie. « Non preoccuparti, prima che sia finita la giornata saranno tutti intorno a noi » le disse Sam. « Il mondo adora i vincitori. » Lei non capì di che cosa stesse parlando. Fu un pranzo quale non avevano mai gustato in vita loro. Pollo arrosto freddo e una pernice bianca di Scozia, bella grassa, che nessuno le aveva visto cucinare. Bottiglie di aranciata che, quando venivano portate alle labbra, si animavano di una miriade di bollicine, simili a scintille sotto i raggi del sole. Scatole di panpepato di Kirkcaldy e brioche fumanti, focacce d'avena spalmate di miele d'erica e torta di meringa al limone, una meringa candida e spumosa. Le altre famiglie li adocchiavano, piene di invidia. « Su chi vuoi far colpo, mamma ? » domandò Sam. « Su tutti. C'è qualcosa di male, forse ? » Arrivò Sarah, tutta timida, in uniforme, dopo aver suonato il flauto nella banda. « La famiglia di Walter Bone ha domandato perché non siamo andati a metterci vicino a loro. » «Davvero, Sarah? E perché non vengono loro qui con noi?» ribatté sua madre. Dopo di che l'argomento fu chiuso. Nella brughiera risuonò un applauso. Erano stati aperti i barili di birra e Jemmie andò di corsa a mettersi in fila con i due boccali della famiglia. Tutt'intorno a loro la gente beveva e mangiava insalata di patate, pasticci e torte, e poi si lasciava cadere sull'erba fresca della brughiera, osservando le nuvole. Tutti quanti - salvo Sam, che non aveva bevuto birra e aveva mangiato soltanto un pezzo di pollo - si addormentarono sotto il sole. Alle quattro, la gente si svegliò e ripose ogni cosa per fare spazio per le gare. Il signor Brothcock avanzò al trotto sul suo cavallo, con aria regale: dietro di lui veniva un calesse, carico di premi offerti da lord Fyffe e dalla moglie ai vincitori delle gare. Le settimane di allenamento avevano reso snello ed elastico il corpo di Sam, mentre gli altri concorrenti erano rattrappiti e avevano i muscoli induriti dal lavoro nei pozzi. Quelli erano pieni di cibo e di buona birra; lui, invece, era a stomaco vuoto e pronto a scattare. La corsa dei cento metri non fu una sorpresa. Per anni era stata una questione risolta "privatamente" fra Sam e Bobbie Begg, ma la facilità con cui Sam la vinse, questa volta, con notevole distacco da tutti gli altri e senza nemmeno avere il fiato corto, colse tutti di sorpresa. Brothcock sventolò una banconota da dieci scellini. « Bella corsa, ragazzo. Come ti chiami? » Sam glielo disse. « Ci vuole un'intera giornata di lavoro nella miniera per guadagnare questa somma. Sei un ragazzo fortunato. » « Me ne rendo conto perfettamente, signore. » «Adesso sei un eroe di Pitmungo » disse il sovrintendente appuntando un nastro azzurro sulla camicia del ragazzo. « Grazie, signor Brothcock, grazie, signore.» Lisciamolo per bene, pensò Sam. Subito dopo seguiva la gara dei duecento metri, che di solito non veniva vinta dallo stesso minatore, essendo il vincitore della prima corsa quasi sempre troppo stanco per ripetere l'impresa: ma Sam vinse anche quella. Poi venne annunciata la prima delle gare più importanti, il tradizionale circuito del campo. Il premio per il vincitore consisteva in una bottiglia di buon whisky di puro malto delle Terre Alte e in 45
venti scellini, cui, a volte, veniva aggiunto un prosciutto. Era una corsa tutt'altro che facile: il terreno era disseminato di zolle erbose, di buche nascoste e piene d'acqua e di tratti acquitrinosi, dove si poteva improvvisamente sprofondare fino alla caviglia. «Non vorrai correre anche questa, amico?» gridò uno. «Tu vuoi distruggerti. » Sam sorrise. Due erano i concorrenti pericolosi: Alex McMillan, che correva scalzo, perché suo padre non voleva che sciupasse le scarpe di cuoio, e Jemmie. « Dov'è Jem? » gridò Sam ai suoi. Nessuno lo sapeva; nessuno l'aveva visto. « Può tenere in sospeso la partenza, finché non trovo mio fratello, signore? » domandò Sam. Nel caso perdesse, c'era speranza di mantenere il titolo in famiglia. Jem era fresco di forze. « Tu bada a correre; all'organizzazione ci penso io! » rispose seccamente il signor Brothcock, e ordinò ai corridori di prendere posto. Non fu una gara: Alex aveva bevuto. Il signor Brothcock consegnò a Sam il whisky e le due banconote da dieci scellini e gli appuntò un altro nastro azzurro sul petto. «Stai prendendo il vizio » osservò Brothcock. « Non sarebbe una cattiva idea, secondo me, se facessi a meno di partecipare a un paio di gare. » « Oh, no, signore » obiettò Sam. « Io adoro il salto. » Prima delle gare di salto, Sam raggiunse di corsa i suoi. «Dov'è Jem? Non c'è sugo, senza mio fratello.» Ma i Cameron non lo sapevano. Sam si tolse i nastri azzurri. « Tienimi d'occhio questa roba » disse a sua madre. « Stai mettendoti in mostra » disse Maggie. «E anche questi » soggiunse Sam, posando accanto ai nastri e alla bottiglia di Glenlivet i quattro biglietti da dieci scellini. I bambini di Pitmungo alta facevano ressa intorno ai Cameron: tutti volevano toccare i nastri azzurri e Sam. « Vorrei proprio sapere dov'è Sarah » disse Gillon. « Se n'è andata quando ci siamo appisolati e non s'è più vista. » Sam non ne aveva idea; in quel momento, vennero chiamati i concorrenti. Nella corsa a ostacoli batté il record di Pitmungo. La folla generalmente ama i vincitori e anche quella di Pitmungo, fino a un certo punto, non fece eccezione; ma poi gli animi cominciarono a mutare. Si reclamava qualcosa di diverso, si voleva che Sam Cameron diventasse un essere umano e commettesse qualche errore; volevano che Sam cadesse sulla sua faccia bruna e quadrata. Ma il ragazzo vinse il salto in alto da fermo, poi il salto in alto con rincorsa e anche il salto in lungo. «Non so se l'hai notato » gli disse il signor Brothcock, « ma stai diventando una bella seccatura. » « Mi hanno insegnato a dare il meglio di me stesso, signore. Insegnato nella miniera, slgnore. » Vennero chiamati i partecipanti al lancio del martello, l'ultima competizione prima della maratona di Pitmungo. A tale lancio partecipavano uomini adulti: quelli che, essendo troppo pesanti per correre o per saltare, non avevano partecipato ad altre gare. Andro Begg puntò il dito contro il petto di Sam. « Hai battuto i miei ragazzi nelle gare. E tuo padre mi ha battuto il giorno del suo arrivo qui, ai cancelli della miniera. » Sam annuì. « E ora t'avverto, ragazzo, che non intendo farmi battere anche da suo figlio. » A quelle parole la folla ruggì: aveva sete di sangue. Begg piantò i piedi nella brughiera, fece oscillare la pietra pesante sedici chili appesa alla catena di ferro, finché non sentì il ritmo del suo corpo adattarsi al movimento della pietra, quindi la lasciò andare. Di solito, mezzo metro di lancio per ogni chilo di peso era un buon margine per assicurarsi la vittoria, a Pitmungo. Andro Begg, spinto dalla rabbia, lanciò ancora più lontano. Il lancio fu di metri 11,98: un nuovO record per Pitmungo. Gli altri uomini lanciarono a loro volta, ma a una distanza nettamente inferiore. Sam sollevò la pietra e, come il solito, restò sorpreso nel costatarne l'assoluta inerzia all'estremità della catena. Fece oscillare la pietra avanti e indietro, saggiandone il peso, e poi cominciò a roteare insieme a essa tutt'intorno e sempre più veloce, avvertendo poco per volta la pietra caricarsi della propria forza. Quando sentì che tutte le parti del suo corpo, il collo e le spalle, le cosce e le anche, erano in sincronia e concentrate in un unico sforzo, la lasciò andare. Nessuno si prese la briga di segnare il punto in cui essa era caduta, perché Sam aveva lanciato di gran lunga più lontano di tutti gli altri. Non ci furono né applausi né proteste, solo un silenzio stupefatto. Ormai non si trattava più di una gara, ma della sfida di un unico uomo contro un intero paese, che era incapace di fermarlo. Sam si trovò accanto suo padre. « Quale gara rimane ancora? » gli domandò Gillon. « La maratona di 46
Pitmungo. » «Vorrei domandarti una cosa. Non credi sarebbe bene lasciare a qualcun altro la possibilità di vincere?» Sam abbassò lo sguardo. « Non so, immagino di sì » rispose. Poi levò gli occhi verso il padre. « Ma non voglio. Puoi capirlo, papà? Voglio vincerle tutte. » Gillon annuì e improvvisamente si sorrisero. « Vedrai che la vincerò, papà » disse Sam, cominciando ad avviarsi verso il punto dove gli uomini stavano radunandosi per la partenza. Gillon attraversò nuovamente la brughiera e si sedette per terra accanto a Maggie. «Farà anche questa » le disse. « Non c'è verso di impedirglielo. » « E perché non dovrebbe? » fece lei, accarezzando la borsa, dove erano già depositati cento scellini. « E venuto qui per questo. Qual è il premio per questa gara?» «Una ghinea d'oro e un'altra bottiglia di whisky. » I nove nastri azzurri di Sam erano appuntati sulla coperta dei Cameron, dove erano disposte anche le bottiglie di Glenlivet tutte in fila, insieme con le coppe d'argento che il vincitore poteva conservare fino alle gare dell'anno successivo. La gente continuava ad affluire per vedere l'esposizione. Per tutto il giorno, Maggie aveva continuato a tirar fuori dalla borsetta il contratto stipulato con Ogilvie per leggerlo: quando lo riponeva il suo volto assumeva un'espressione distesa. «Cos'è che continui a leggere?» le domandò infine Gillon. «Non riesci a distaccartene. » « Una cosa che mi riguarda personalmente. » Dapprima Gillon fu divertito della cosa, poi cominciò a preoccuparsi. A un tratto allungò una mano e prese il foglio, con un gesto non del tutto scherzoso; ma Maggie gli afferrò il polso. « Giù le mani da questa roba, Gillon. » Non c'era alcuna nota allegra nella voce di lei. Lui lasciò andare il foglio. « Ho visto l'intestazione » disse. « Ogilvie e Figli. Quel vecchio idiota. » « Già, e ringrazia il Cielo che è vecchio.» Gillon non capì. Arrivò Andrew di corsa. «Avete visto Jem?» domandò. «Hanno chiamato i concorrenti per l'ultima volta. » Nessuno l'aveva visto. « Jem dev'essersene andato, perché Sam sta vincendo tutto.» « Macché, Gillon » disse Maggie. « Tu non li capisci affatto. Se Jem se n'è andato, è per trovare il modo di vincere. » Molti iniziarono la maratona, ma non tutti la terminarono. Andarono dal Campo Sportivo fino a Pitmungo bassa, oltrepassarono i depositi di carbone e l'ingresso dei pozzi, attraversarono la zona delle officine e al crepuscolo imboccarono la strada di fondovalle proseguendo per Brumbie Hill fino alla località di Easter Mungo e continuarono poi nel buio fino al traguardo, sempre in salita. L'ultimo tratto di strada era terribilmente faticoso. La difficoltà derivava in parte dalla corsa stessa e in parte dall'antico terrore della notte, del buio e della brughiera. Alcuni uomini nei tempi addietro erano morti di sfinimento durante il percorso, altri erano annegati, dopo esser finiti storditi dalla stanchezza nel fiume Pitmungo ed erano stati portati via dalla corrente. « Hai visto mio fratello? Hai visto Jem? » domandò Sam a suo padre. C'erano cinquanta o settanta concorrenti sparpagliati nell'ombra dietro la linea di partenza. A Gillon parve di vedere Jemmie, in fondo a tutti, ma era impossibile accertarsene. « Non so. Non ne sono sicuro, ma credo che ci sia anche lui » disse. Poi si udì l'antico grido: « Attenzione! Pronti! Via! » e a quel segnale i marciatori partirono, tutti in gruppo; dapprima si sostennero tutti a vicenda, poi cominciarono a sgranarsi inevitabilmente, dopo di che alcuni caddero perché si sentivano male oppure si rannicchiarono nei fossi in attesa di riprendere le forze. Sam corse nel gruppo per parecchi chilometri, ma l'andatura era troppo lenta. A quella velocità, gli si sarebbero appesantite le gambe, e non avrebbe potuto correre con una facile falcata. Così, se li lasciò dietro tutti, nell'oscurità sempre più fitta. A Easter Mungo c'erano alcuni uomini in attesa, muniti di spugne e di acqua per bagnar la testa dei corridori e di qualche spicchio d'arancia per rimetterli in forze. Per i concorrenti che ne sentivano il bisogno c'era anche del whisky. « Bravo ragazzo » disse un uomo, strizzando una spugna d'acqua gelida sulla testa di Sam. « Dove sono gli altri? Sei tutto solo, ragazzo. » Sam, ormai a metà percorso, firmò la tabella di controllo e fece il tradizionale giro della piazza del paese, girando attorno alla fontana, poi, come voleva l'usanza, salì e scese gli scalini della chiesa per scacciare il demonio, quindi passò davanti ai vecchi accanto ai fuochi accesi per tener lontane le streghe. « Vai tranquillo » gli gridarono. « Vai tranquillo, ragazzo. Che Dio corra con te. Sta' attento nella brughiera. » E lui via di nuovo, correndo come ipnotizzato, tutto solo. Poi 47
sussultò sentendo dei passi dietro di lui, nel buio. Dapprima non credette ai suoi orecchi. Eppure c'era qualcuno, qualcuno che aveva del fegato, che gli teneva dietro seguendolo passo passo, coi piedi che calpestavano il sentiero e che non correva sulle punte, come faceva Sam e come avrebbe dovuto fare ogni buon marciatore. « Chi sei? » gridò Sam. « Dimmi chi sei. » Udì soltanto i passi pesanti e il respiro affannoso dell'altro. Che vada al diavolo, si disse Sam; lui doveva pensare a correre e a dargli il colpo di grazia sulla salita finale. Era buio, ma erano spuntate le stelle e si poteva vedere il deposito di carbone. D'improvviso, nella brughiera divampò un falò. Stavano aspettandolo. Sam attaccò la lunga, lunghissima salita. Fu un'impresa ben dura. « Ti ammazzerai! » gridò Sam volgendosi indietro. C'erano ancora il fiume e il torrente da guadare; poi avrebbe dovuto passare davanti alle officine. Sam non udì più i passi del suo inseguitore e pensò: "Dio ti ringrazio perché nessuno, se non è allenato seriamente, dovrebbe far del suo corpo quello che quest'uomo sta facendo". Arrivò all'imbocco del Corso dei Carbonai, e lì trovò i primi spettatori allineati lungo la strada. Udì gridare il suo nome; poi, quel grido passò di bocca in bocca, finché anche la gente che attendeva nella brughiera non lo ripeté. « è Sam Cameron. è di nuovo il giovane Cameron! » Il dolce prezzo della vittoria, pensò Sam con amarezza, mentre il suo nome volava attraverso il paese. Allora sentì un forte desiderio di darsi per vinto; aveva corso fin troppo. Molti vincitori del passato avevano percorso l'ultimo tratto a passo normale e così rallentò il ritmo, pur mantenendo un'andatura sempre sostenuta. Poi udì un nuovo grido che lo colse talmente di sorpresa, da farlo incespicare sulle pietre. « Ce n'è un altro » udì dire. « Sta venendo, sta venendo avanti. » Ormai lo sentiva, sempre più vicino, prossimo a colmare la distanza che li separava. Si voltò, ma nemmeno questa volta riuscì a vederlo. « Chi è? » gridò alla gente lungo il percorso. « Chi è? » Non lo sapevano. Lui lo sentiva respirare affannosamente e singhiozzare per la fatica. Erano morti degli uomini su quella salita, erano morti degli uomini, pensò Sam. Aveva quasi ripreso l'andatura di prima, coi muscoli che gli rispondevano più di quanto sperasse. Ora l'altro gli era alle spalle. «Fermati! » gridò Sam. Lo sconosciuto grugnì. « Se rallenti, rallento anch'io. » Stava sprecando il fiato. Poi, l'altro arrivò alla sua altezza e, cosa incredibile, lo sorpassò, mentre la gente, incitando con la voce, correva accanto a quel piccolo uomo scuro che tirava dritto, distanziandosi sempre più, anche se incespicava a ogni passo. « Jem!> urlò Sam. « Non farlo! » e di nuovo si mise a correre in piena forma, per il Vicolo dei Minatori e poi nella brughiera. Restavano ancora trecento metri di salita da percorrere, mentre i giovani del paese, che correvano a fianco di Jemmie, gli urlavano di tener duro, di andare, di andare, di andare, e alcuni di essi cercavano di sostenerlo per i gomiti, spingendolo verso il falò, che per i suoi occhi doveva essere come un liquido ardente. "E uscito di senno" pensò Sam, "ormai è spinto soltanto dalla pazzia." E poi decise: "Non glielo permetterò". E corse di là dalle proprie possibilità; arrivò a fianco di Jem, guardò il viso stravolto del fratello e lo sorpassò. Al traguardo c'era Gillon, mentre tutti gli altri erano corsi dov'era caduto Jemmie, a cinquanta metri dalla meta; lo tirarono su e lo portarono di peso di là dal traguardo perché potesse almeno avere il premio che spettava al secondo classificato: un nastrino rosso e cinque scellini. «Dovevi proprio farlo? » domandò il padre a Sam. « Sì, dovevo. » Gillon vide che, per lo meno, Sam piangeva: per se stesso - e questo era scontato - per ciò che una strana forza interiore l'aveva spinto a fare, e per il fratello. Sam tornò indietro, dove giaceva Jem. Questi aveva il corpo bruciante ma le mani gelide: ciò impensierì Sam. Gli mise una mano sotto la testa e la sollevò. «Perché l'hai fatto, Jem? Perché?» Gli occhi di suo fratello erano vacui. Morirà, pensò Sam. « Non è giusto che un uomo solo si prenda tutto » disse Jem. « Bisogna spartirlo con gli altri. » Poi Jem cominciò a tremare e Sam disse ad alcuni ragazzi, suoi compagni di gioco, di correre a casa sua a prendere il carro e alcune coperte. « Per poco non ti ho battuto » disse Jem. « Ti ho quasi battuto. » « M'hai battuto? Per poco non mi hai ammazzato, fratello. » «Ma ti batterò, Sam, lo sai che ce la farò. Ti batterò. » « Meritavi di vincere, quest'anno» disse Sam. Sfinito com'era, Jemmie si tirò su a sedere. Quella 48
frase l'aveva irritato. « Come sarebbe, meritavo di vincere, se non ho vinto? » disse. I due fratelli si abbracciarono e ricacciarono indietro le lacrime. Ma quell'impulso che li spingeva ad andare più lontano di tutti gli altri, più lontano di dove sembrava umanamente possibile arrivare, quell'impulso non potevano frenarlo. Quando andarono a prendere il carro, scoprirono che carro e cavallo erano spariti. Siccome Sarah non era tornata, un dubbio si insinuò nella loro mente. Poi, venne deciso che Gillon sarebbe andato a casa di Walter Bone, per vedere se il figlio Sandy era in casa. Ma anche Sandy Bone era sparito. « Non posso crederci » disse Maggie. « Non può avermi fatto una cosa simile. Le avevo detto che non volevo vedermi ballonzolare per casa quello sciancato. » Gillon fece una cosa che non aveva mai fatto in vita sua: le mise una mano attorno alla gola. « Quel bravo giovane è stato travolto da un lastrone di roccia e io non posso permettere che venga insultato da te. » Lei si liberò con uno strattone. « Calma, papà » disse Andrew. « Se quell'uomo è ancora in grado di costruirsi una vita, ne ha tutto il diritto. Se mia figlia è scappata con lui, puo prendersela » disse Gillon. « Se Sarah l'ha sposato, ha sposato uno migliore di lei. » « Me l'aveva promesso » disse Maggie. « Come ha potuto avere il coraggio? » « Perché è innamorata » le gridò Gillon. « Capisci? Oppure è troppo, per te?» « L'amore è un cumulo di bugie » ribatté Maggie. « Promesse che vengono sempre infrante. » « Lo credi davvero ? » « Sì, lo credo. » Gillon cercò la giacca. « Mi dispiace per te » disse. « E mi dispiace per me. » E uscì chiudendosi la porta alle spalle. CAPITOLO SESTO
Con grande stupore di tutta Pitmungo e anche proprio, Gillon stava diventando amico di Walter Bone. Dapprima l'aveva affrontato con timidezza: il signor Bone era il principale esponente della più solida e stimata famiglia di Pitmungo, nonché caposquadra nel pozzo. I capisquadra non si degnavano di parlare con quelli come Gillon. Ma il bisogno che Gillon aveva di sapere qualcosa di Sarah gli aveva fatto metter da parte ogni timidezza. «Come sta mia figlia in casa sua, signor Bone?» gli domandò un giorno, mentre si avviavano al lavoro. « Sua figlia » rispose il signor Bone, svegliato bruscamente dalle sue meditazioni mattutine, « è una benedizione per la mia casa. » « è felice, dunque? » «Felice? Posso dire che è felice, qualunque sia il significato che lei attribuisce a questa parola. Sua madre non vuole ancora riprenderla in casa ? » « No, né adesso né mai. » « Oh, la riprenderà » disse il signor Bone. «Cambierà idea. A quanto mi dicono, la signora Cameron è una donna di buon senso. » Il signor Bone, pensò Gillon, non conosceva bene la signora Cameron. Dopo quel giorno si videro spesso, scendendo e salendo dal pozzo, e scoprirono di avere molte idee in comune. Amavano entrambi ascoltare e imparare e, come la maggior parte degli scozzesi, adoravano discutere. Stavano giusto discutendo su un certo aspetto del diritto di un lavoratore al risarcimento dei danni in seguito a infortunio, quando notarono per la prima volta nella brughiera alcuni sconosciuti muniti di apparecchi di misurazione. « Cosa stanno facendo quegli uomini, secondo lei ? » domandò Gillon. Correvano strane voci sulla sorte del Campo Sportivo e Walter Bone, sul quale si poteva sempre contare per la difesa dell'ordine costituito era uno di quelli che affermavano che lady Jane Tosh-Mungo non avrebbe mai sottratto ai minatori quel terreno. Se avessero smantellato la zona sportiva, il signor Bone sarebbe stato costretto a riconoscere di aver fondato parte della sua vita su una menzogna. Così, non osava prestar fede a quelle voci. « Potrebbero fare mille cose » rispose il signor Bone alla domanda di Gillon. « Per esempio, prendere le misure per un nuovo campo di cricket. » Dopo quel giorno non accadde nulla di speciale, finché, un pomeriggio di settembre, alcuni uomini cominciarono a recintare la brughiera. E poiché moltissima gente corse da Bone per essere rassicurata, questi dovette affrontare l'argomento col signor Brothcock. « Gli uomini sono un po' preoccupati, signor Brothcock. » « Digli di non darsi pena, Walter. Il diritto di transito sarà rispettato. Nessuno dovrà fare il giro della brughiera. » Walter Bone sapeva che ciò non era sufficiente. « Quel che voglio dire è questo: potranno giocare su quel terreno, i miei nipoti ? » Brothcock 49
parve seccato. « Senti, tu bada a scavare il carbone che io bado alla proprietà. Sarà la cosa migliore che potremo fare, tutti e due. » Gli uomini notarono che Bone era irritato, dopo quel colloquio. Il lavoro della recinzione procedeva lentamente. I giovani, quando giocavano a rugby sul campo, disturbavano gli operai: si avvicinavano scalmanati dopo le partite e facevano commenti. Un giorno, il signor Brothcock dovette prendere provvedimenti. «Allora » gridò ai giocatori, « tutti fuori dal campo, voialtri! » Jemmie corse da Brothcock. « Stasera abbiamo una partita, signore. Pitmungo contro Kinglassie. » « Non m'importa un accidente di ciò che avete. Andate via di qui.» « Vengono da lontano per giocare, signore. Devono percorrere circa otto chilometri da Kinglassie dopo un turno di dieci ore. Non saprei proprio come dirglielo » insistette Jem. « Oh, il modo lo troverai. » Era l'atteggiamento di Jem a urtare più di ogni altra cosa il sovrintendente: quelle sue gambe tozze e robuste, divaricate. « Sentimi bene. Non scherzo, io. Fuori! » « Questo campo non è suo, signore. Questo campo appartiene al popolo. » La questione, per la prima volta negli annali di Pitmungo, era sul tavolo. Il signor Brothcock s'avvicinò, fino a toccare col ventre quello di Jemmie. « Ti conosco. Tu sei quel maiale ingordo, che non sa mai quando fermarsi. » Jemmie guardò Sam e gli parve strano che il fratello tacesse, nei suoi occhi non c'era nemmeno rabbia. Nei suoi occhi non c'era nulla. « Sì. Sono James Forbes Cameron. I ragazzi vogliono sapere cosa farebbe lei se noi continuassimo la partita. » Brothcock sorrise. « Farei in modo che tu non lavori mai più in questa miniera. Né i tuoi fratelli, né tuo padre. Inoltre farei in modo che non mettiate più piede in una miniera del Fife. Ti basta come risposta ? » Il signor Brothcock si volse per tornare indietro e, mentre camminava su una pista del quoit, un sasso gli passò rasente un orecchio. Fu doveroso rlconoscere che il sovrintendente dimostrò un notevole sangue freddo. Non si fermò, né diede mai ai ragazzi la soddisfazione di voltarsi. Ma il fatto rimase. Qualcuno desiderava quel campo al punto di tentar d'uccidere il signor Brothcock. « Sei stato tu? » domandò Jem a suo fratello. Sam non rispose. Il suo viso era privo d'espressione. Era diventato freddo come il ghiaccio. Rob Roy esultò. « Be', finalmente abbiamo un problema » disse al signor Selkirk. « Non mi pare » osservò freddamente il bibliotecario. Rob s'indignò. « Hanno cercato di ammazzare il signor Brothcock.» « Hanno? è stata una persona sola. Probabilmente uno dei tuoi fratelli. » «Lo spero proprio. » « Se invece il signor Brothcock l'avessero assalito tutti insieme, si tratterebbe non di semplice violenza, ma di un'azione rivoluzionaria. » « Tu non capisci che cosa significhi per noi quel campo sportivo, Henry. » Ormai si davano del tu. « Quel campo è la nostra vita. » Il signor Selkirk rifletté sul problema. « No, questa causa devono sentirsela tutti nel sangue. I giocatori di rugby sono stati offesi, certo. Ma le donne no: se scavano un nuovo pozzo, ci sarà più lavoro, più carbone, più buste paga.» Rob aveva voltato le spalle al suo maestro. « Voglio che tu mi dia il permesso di scrivere a Keir Hardie. » Selkirk non disse nulla. « Voglio chiedergli di venire qua e includere Pitmungo nella Federazione Scozzese dei Minatori. » « E dove, di grazia, lo farai alloggiare quando sarà arrivato ? » replicò Selkirk senza badare all'espressione avvilita di Rob. « è in libertà condizionata e gli hanno proibito di svolgere qualsiasi attività organizzativa. Qui sarebbe un fuggiasco. Non si può chiedergli di venir qua a farsi arrestare o malmenare dai poliziotti della miniera.» « Conosco un posto dove c'è una stanza e dove possiamo portarlo senza che nessuno lo veda. » «Dove? » « Non posso dirtelo ancora, perché è una cosa personale. Ne va di mezzo la mia dignità. Però ne sono sicuro » disse Rob, in uno scoppio di entusiasmo. « Ah, questo sarà l'inizio di tutto, Henry. » Che ragazzo idealista, pensò Selkirk; identico a lui, quando era giovane: convinto che la gente, una volta appresa la verità, agisse di conseguenza. « Tu scrivi la tua lettera » gli disse Selkirk, « e poi gliene scrivo una anch'io, per sostenere la tua. » Mentre Rob Roy attendeva la risposta di Hardie, altri a Pitmungo stavano muovendosi. Nella sorpresa generale, fu Walter Bone a prendere l'iniziativa. Zitto zitto, raccolse i fondi per consultare un avvocato e avere dei lumi sui diritti che potevano accampare i minatori nella faccenda del Campo Sportivo. Una domenica, Bone si recò a Dunfermline dal signor Murdoch Carnegie, un eminente uomo di legge. Gillon ebbe l'onore di essere invitato ad 50
accompagnarlo. Quanto appresero dal signor Carnegie - il quale non li invitò mai a sedersi (i minatori stanno in piedi) - fu tutt'altro che rassicurante. La recinzione, secondo lui, era stata costruita per mettere bene in chiaro che l'aver concesso ai minatori l'uso del campo non significava che la famiglia Tosh-Mungo avesse rinunciato al suo possesso. « Quando lady Jane accetta il carro colmo di carbone » si permise di interloquire Gillon, « non riconosce forse il nostro diritto sulla zona sportiva?» Questo era il punto essenziale, per i minatori. « No, no » rispose il signor Carnegie. « Esattamente il contrario. Il fatto che voi paghiate tutti gli anni quel tributo significa che voi riconoscete che essa ne è proprietaria. » Egli ammise però che si poteva promuovere presso la Corte Suprema della Scozia un'azione legale di usucapione: si poteva cioè reclamare come propria quella terra goduta tanto a lungo, valendosi di un diritto antico di secoli. Ma probabilmente i minatori di Pitmungo, non essendo costituiti in confederazione, non potevano intentare una causa. E quand'anche avessero potuto farlo, se avessero perso il processo, sarebbero stati accusati di diffamazione e condannati a pagare tutte le spese legali, attirandosi per giunta la collera di lord Fyffe. Il signor Carnegie suggerì soltanto che, forse, una specie di dimostrazione collettiva avrebbe potuto attirare l'attenzione generale, costringendo i Tosh-Mungo a rinunciare ai loro diritti sulla terra. « Che genere di azione ci consiglia, signore ? » domandò Walter Bone. L'avvocato li guardò, sorpreso e divertito. « V'aspettate forse che vi dia consigli su come organizzare una rivolta?» Si misero di nuovo in cammino e iniziarono in silenzio il lungo viaggio di ritorno. Quella frase finale detta dall'avvocato turbinava loro nella mente. Rivolta! Che pensiero audace. Alla riunione tenuta dietro il Belvedere Tosh-Mungo, Walter Bone fece il suo rapporto a coloro che avevano dato i soldi necessari per consultare l'avvocato. Quando ebbe finito la sua relazione fu chiaro che bisognava buttar giù la recinzione oppure occupare la brughiera. Chiamassero pure la polizia; loro avrebbero tenuto duro e dimostrato che nessuno avrebbe potuto prendersi il Campo Sportivo senza combattere. Ciò che ancora non avevano capito era che, per organizzare una rivolta, ci voleva un capo. Il signor Bone non era il tipo adatto. La recinzione rimase dov'era, con la sua sinistra presenza e poi, in anticipo, venne l'inverno. Le nevi di ottobre seppellirono il Campo Sportivo e la sua perdita fu meno sentita, perché esso non serviva a nessuno. La rassegnazione cominciò a fugare i pensieri di ribellione. E poi c'era il futuro: che cosa sarebbe accaduto se, come dicevano spesso i vecchi minatori, qualche pozzo si fosse esaurito? Un nuovo pozzo significava nuovo lavoro. Soltanto Sam non riusciva a darsi pace. L'apatia in cui sembrava essere sprofondato preoccupava tutta la famiglia. Tornava a casa dalla miniera, faceva il bagno e prendeva il tè, ma non prendeva parte alla conversazione. Cominciò a leggere tutti i libri di Rob Roy e quelli che il signor Selkirk aveva consigliato a suo padre. « Voglio sapere che cosa è accaduto alla tua famiglia» disse Sam un giorno a suo padre. « Come furono buttati fuori dalla loro terra, per filo e per segno. » Gillon gli raccontò come fossero stati cacciati via da quella terra che consideravano propria, per far posto alle pernici bianche, ai fagiani e ai cervi; come si fossero stabiliti sulla riva del mare e avessero costruito la casa di pietra. Gli disse del freddo e della fame sofferti sulla spiaggia. Al racconto di come una sera la madre di Gillon fosse andata a pescare le cozze e di come le fosse stato reciso il cesto sulla schiena, Sam si indignò e quello fu il primo segno di vita che i suoi notarono in lui dopo mesi e mesi di silenziosa indifferenza. « Hanno lottato? Hanno fatto fronte comune e hanno opposto resistenza ? » La voce di Sam vibrava per l'emozione e per la decisione. Gillon ne fu atterrito, poiché nessun padre gode nel ravvisare nel figlio l'impronta del martire. Eppure, forse era meglio vederlo così che morto, come appariva prima. « Alcuni hanno lottato, altri no. Nessuno può prevedere le proprie reazioni. » « Io so quali saranno le mie » disse Sam. Quelle parole diffusero un senso di gelo nella stanza. Sam non parlava mai senza sentire profondamente ciò che diceva. « Sai se c'è qualche libro su questo argomento, papà ? » Era un rischio che Gillon decise di correre. Chiese al signor Selkirk di procurargli la Storia dell'evacuazione delle Terre Alte e pregò che da quel libro non scaturisse la scintilla decisiva, destinata a infiammare la mente di suo figlio Sam. IAN venne a dire 51
che Rob Roy voleva incontrarsi con suo padre nella scuola. Gillon ci andò e, dopo un attimo di esitazione, i due si abbracciarono, cosa tutt'altro che abituale per i Cameron. « E troppo tempo che il padre non parla con il figlio » disse Gillon. « Già. Tu mi hai ordinato di andarmene e io me ne sono andato. » « Ti ho ordinato di venire e tu non sei venuto. » Gillon sorrise, accorgendosi di quanto fossero simili, in quella loro tacita ostinazione. Con attenzione infinita, come se scoprisse il Santo Graal, Rob Roy aprì una lettera. « Non ci crederai » disse, vibrante d'orgoglio. « Trattalo bene, questo foglio. » La grafia denotava scarsa istruzione. Caro fratello Cameron, l'ingiustizia di cui parli nella tua lettera mi sembra un buon motivo per formare un'organizzazione per riparare i torti e per la crescita del nostro movimento. I primi passi portano ad altri passi. Io verrò se puoi procurarmi un alloggio sicuro e un posto dove incontrarci senza dare nell'occhio. Per favore, porta i miei saluti a Henry Selkirk. Un tempo era un lottatore. Mandami notizie per posta ordinaria indirizzando al signor Kyle Brine, presso il direttore dell'Ufficio Postale - Posta Centrale, Edimburgo. P.S. Conto di arrivare a Cowdenbeath di sera e di essere accompagnato a piedi a Pitmungo col favore delle tenebre. « è di Keir Hardie, papà. Keir Hardie, che scrive a tuo figlio. » Gillon era preoccupato: gli sembrava che Rob non potesse essere all'altezza della situazione, perché era un sognatore e non certo un uomo d'azione. « Mi ci vedi, papà? Accompagnare il grande Keir Hardie nella notte? Cosa gli dirò ? » « Io non mi preoccuperei. Ci penserà lui, a parlare. » «Già, e la riunione si può tenere nel frutteto, facendolo uscire direttamente da casa. Nessuno lo vedrà mai. » Gillon non era preparato a questo. Keir Hardie a casa sua: un fuggiasco, quasi sicuramente un capo comunista. « Tua madre non lo permetterà. » « Non lo permetterà? E tu costringila! » Gillon dava la colpa a Maggie, ma in realtà era lui che aveva paura per Sam, per Sam che sembrava camminare sul filo della violenza. Gillon scosse il capo. « Non posso.» Ma era troppo tempo che Rob faceva assegnamento su suo padre. « Devi! » gridò, e la sua voce rimbalzò fra le pareti coperte di lavagne. « Io sono venuto da te strisciando e tu mi respingi! » Rob attraversò la stanza. « Sai, a volte mi è capitato di sentir dire - quando si dimenticano che sono tuo figlio - che tu non sei padrone in casa tua. » Poi cominciò a radunare le sue cose per andarsene. « Così, dovrò rispondere: "Mi dispiace, signor Hardie, ma non posso metterle a disposizione la casa di mio padre, perché la sua donna non lo permette"... » Gillon avrebbe voluto parlare a Rob Roy di suo fratello Sam, ma non ne fu capace. Cercò di trovare qualche ragione valida, che potessero accettare entrambi. « Prima o poi verrebbero certamente a sapere che Hardie è stato a casa nostra e ciò potrebbe compromettere il lavoro di tutti noi. » « Ti ho detto che gli uomini dimenticano che sono tuo figlio. Be', certe volte vorrei essere Rob Roy, di padre ignoto... Vorrei essere chiunque, ma non quello che sono. » « Rob, scriverò io per te, per dirgli che non venga.» A questo punto, il ragazzo ebbe la chiara percezione della sua sconfitta e nonostante fosse deciso a odiare suo padre, gli si buttò fra le braccia singhiozzando. Il suo sogno era andato in fumo. Gillon tornò a casa aggirando il Campo Sportivo; per tutta la strada pensò di tornare indietro per dire a Rob di mandare la lettera. Ma nello stesso tempo vedeva gli occhi di Sam, quegli occhi pericolosi da volpe in trappola. Gillon sapeva che se Keir Hardie avesse organizzato un movimento, Sam ne sarebbe stato il capo. E se Sam avesse guidato il movimento secondo i suoi principii sarebbe stato il primo a soccombere. Poteva rischiare la vita di un figlio per rimediare il danno recato all'altro, infrangendone i sogni? Gillon andò a casa e, mentre faceva il bagno e stava a mollo nell'acqua calda, si sentì il cuore avvolto di gelo. Nella primavera dell'anno seguente, appena la neve si sciolse e isole di verde cominciarono ad affiorare nella brughiera, da Cowdenbeath arrivò una pala a vapore, trainata da otto pesanti cavalli da tiro. La pala cominciò a sventrare il Campo Sportivo molto prima che gli uomini risalissero dalla miniera. Le donne che stavano davanti alle loro case videro grandi e soffici tappeti d'erba primaverili gettati all'aria. Quando gli uomini uscirono, l'area dove si doveva scavare il pozzo era già stata sgomberata; tutto l'antico manto verde della brughiera era stato divelto, e i cavalli da tiro stavano ormai portando via i 52
pesanti macchinari da scavo. Così, l'ultimo oltraggio era stato consumato: avevano violato la fede, la santità della brughiera del popolo. Gli uomini erano allineati lungo la recinzione, timorosi di guardarsi l'un l'altro e di dover costatare la propria inettitudine. Quella sera, Sam era decisamente allegro all'ora del tè, mentre mangiava salsicce e focacce. « Non si crederebbe che esista gente capace di tanto, è vero? Invece esiste» disse, picchiando sul suo libro, Storia dell'evacuazione delle Terre Alte. « Qui dentro c'è tutto. Non si può fare a meno di ammirarla quella gente, davvero. Quando vogliono una cosa, l'ottengono. » La molla, troppo a lungo rattenuta in lui, era finalmente scattata. « Ma noi dobbiamo ancora imparare. » « E ben questo che ho sempre cercato di insegnarti » disse Maggie. « A farti dare la tua parte. » « Io posso giurarvi una cosa sola » disse un minatore di nome Beatty. « Che non scaverò mai il carbone sotto il nostro campo sportivo. » Dopo di che redasse quella che chiamò "carta del giuramento", che portò in giro per le case e nei vicoli, e che quasi tutti i minatori sottoscrissero. In estate, la domenica precedente il giorno fissato per l'apertura del pozzo Lord Fyffe n. 1 sul Campo Sportivo, chiusero la miniera Little Crafty, perché vi si riversava troppa acqua. Il lunedì mattina, centoquarantotto dei centocinquanta minatori della Little Crafty andarono a estrarre il carbone nella nuova miniera. Quando risalirono in superficie, quella sera, avevano un'aria colpevole, ricordando la carta del giurarnento. Nel pozzo Lord Fyffe lo strato di carbone era alto un metro e ottanta e i minatori potevano riempire i vagoncini e rimediare una discreta paga giornaliera senza nemmeno chinare la schiena. Uno dei due uomini che non erano scesi nel pozzo Lord Fyffe era troppo vecchio e l'altro era Walter Bone, che non volle rinnegare i suoi principii. I turni di lavoro nella nuova miniera si susseguivano senza interruzione. Alla fine dell'estate, dove un tempo c'era il campo di cricket, sorgeva una montagna di rifiuti, che continuava a innalzarsi a una velocità sorprendente. Accanto a essa c'era il deposito di carbone, una montagna di minerale non ancora pronto per la spedizione: esso veniva accatastato sul vecchio terreno del quoit. Gillon fu deluso, quando anche Sam si trasferì dal pozzo della Lady Jane alla miniera Lord Fyffe. « Da te non me lo sarei aspettato » gli disse. « Aspetta di vedere il salario che porterò a casa. Che io ci sia o non ci sia la miniera funziona ugualmente, perché dunque non dovrei andare a lavorarci?» I fratelli si concentrarono sulla minestra, imbarazzati per lui. Walter Bone era furioso. Andò dai Cameron apposta per dire a Sam ciò che pensava. « Non disturbarti a venire a casa mia, mai più » disse il signor Bone. « Un voltagabbana come te, meglio perderlo che trovarlo. » « Se mi offrono di scavare uno strato di carbone purissimo alto due metri, ci sto. » « Il pozzo Lord Fyffe è un fatto compiuto » intervenne Andrew. « Anche tu sei dello stesso parere? » fece suo padre. « Oh, no, io non ci vado, ma il Campo Sportivo è morto e la miniera è viva » ribadì il ragazzo. Gillon s'alzò da tavola e uscì. Anche Ian sarebbe sceso in quella miniera. E alla fine pure Andrew avrebbe trovato una scusa per andarci. Il mestiere del minatore corrompe, pensò Gillon. Ma possibile che il fascino del denaro fosse così forte da convincere persino Sam? "Maledico il giorno in cui sono venuto a Pitmungo" si disse Gillon. CAPITOLO SETTIMO } Parecchi mesi prima di Natale, il prezzo del carbone, che in quel periodo di solito saliva, cominciò invece a calare. Nessuno ne capiva la ragione. « Non è il caso di preoccuparsi » disse loro Walter Bone. « Sono esperienze che abbiamo già fatto. Quando il prezzo è diminuito a sufficienza, comprano il carbone anche quelli che non ne hanno bisogno. » Ma, quella volta, il prezzo continuava a scendere e nessuno comprava. Che ironia, pensò Gillon; proprio quando la Compagnia Ferro e Carboni di Pitmungo estraeva tanto ottimo carbone, quanto prima d'allora non ne aveva mai estratto. Venne un inverno rigido come non se n'erano mai visti, e a ogni bufera i minatori di Pitmungo dicevano: « Ora dovranno comprare ». Ma siccome nessuno comprava, lord Fyffe ordinò al signor Brothcock di ridurre la produzione e poi, giusto per invogliare i compratori ad 53
acquistare, ribassò il prezzo del carbone di altri due penny la tonnellata. A questo punto la Compagnia poteva optare per due soluzioni: o ridurre il profitto - cosa impensabile - oppure ridurre i salari dei minatori. Scelse la seconda soluzione e fu così che verso la fine di novembre, gli uomini si trovarono il salario decurtato di due penny la tonnellata. « Mettiamola a questo modo! » gridò loro il signor Brothcock, che era salito sul carro ribaltabile, per annunciare la riduzione della paga. « Gli affari vanno male, ma la Compagnia deve continuare a esistere. Perché, se la Compagnia va alla malora... be', preferisco non parlarne nemmeno... » E lasciò che le sue parole penetrassero nel cervello degli ascoltatori, mentre il vento si insinuava sotto i loro abiti da lavoro, fradici d'acqua. « Lord Fyffe s'aspetta che ognuno di voi compia il proprio dovere. Grazie. Buona fortuna. Che Dio vi benedica. » «E lord Fyffe? Anche a lui hanno ridotto il salario?» gridò una giovane voce. «Prendete il nome di quell'uomo » ordinò il signor Brothcock. Due penny la tonnellata. Non era gran che, a conti fatti. Niente manzo nel brodo, niente marmellata sulle focaccine, niente burro con le patate, ma bastava arrangiarsi un pochino. Nella casa dei Cameron, però, il sacrificio sarebbe stato più grave, poiché nulla doveva impedire l'afflusso delle monete nella cassaforte. "Prima la cassaforte, poi il benessere" era la parola d'ordine: bisognava rispettare i pagamenti trimestrali che si dovevano al signor Ogilvie. Inoltre, se avessero ridotto il lavoro dei bambini e delle ragazze che come Emily, erano addette ai pozzi - e Maggie era certa che avrebbero finito col farlo - la perdita di guadagno avrebbe raggiunto i diciotto penny il giorno, ovvero nove scellini la settimana. Quella somma rappresentava per loro la differenza che intercorreva fra l'andarsene da Pitmungo o il rimanervi sepolti per l'eternità. Così, tornarono a mangiar patate senza burro e poi patate e fantasia, un trucco che Maggie aveva imparato dai genitori in tempi difficili. In mezzo al tavolo si mettevano delle scodelle di patate accanto a un pezzo di carne o di pesce. A ogni boccone di patata che si mandava giù, si guardava la carne ed era incredibile come dopo un po' si arrivasse a immaginare d'aver mangiato anche quella. Così, nonostante la riduzione del salario, a Cowdenbeath venivano regolarmente spediti i pagamenti trimestrali per l'opzione. Il signor Ogilvie non poteva immaginare, neppure lontanamente, da quanta fame fossero accompagnate quelle banconote annerite dal carbone. Quando il mucchio di carbone antistante il pozzo Lord Fyffe n. 1 raggiunse la base del Belvedere Tosh-Mungo cominciarono a licenziare i minatori: prima toccò ai vecchi, indipendentemente dagli anni di servizio che avevano prestato. Poi, fu la volta dei bevitori inveterati, poi degli scontenti, che non rientravano fra i minatori più efficienti. Fra questi c'era Rob Roy. Ma gli altri Cameron, che erano fra i migliori minatori di Pitmungo, erano troppo in gamba perché quelli della Compagnia potessero farne a meno. In quei giorni di crisi, Brothcock annunciò che, per salvare la Compagnia, era necessaria un'ulteriore riduzione del prezzo del carbone. Tuttavia, onde evitare ulteriori riduzioni nel salario dei minatori, la Compagnia aveva concesso "generosamente" - a detta di Brothcock che l'orario dei turni fosse prolungato da dieci a dodici ore. All'uscita del pozzo, la sera, coloro che lo desideravano avrebbero potuto accatastare il carbone estratto durante il giorno un po' più in alto sul deposito, oppure caricarlo nei vagoncini. Era rincuorante, ebbe a dire presto il sovrintendente, vedere come tutti, per quanto stanchi, si offrissero di fare quel lavoro. Il signor Brothcock era riuscito nel suo intento. La sua teoria sui rapporti che regolano lavoro e produzione era d'una semplicità estrema. Era scritta, a lettere ricamate, su un centrino che copriva la sua scrivania nell'ufficio paghe: "Un uomo deve pur mangiare, è vero o no? E anche i suoi figli devono mangiare, no?" Gillon fu il primo della famiglia ad accusare le conseguenze della fatica e della dieta. Quando usciva dalla tinozza dopo il lavoro aveva paura di guardarsi. « Non posso andare avanti così » disse. « Stanno uccidendomi. » « Oh, non sono ossa da tempi duri quelle » sentenziava Maggie. «Stai diventando vecchio; non puoi pretendere di stare al passo con i ragazzi. » 54
No, non era la vecchiaia. Era la dieta. Zuppa d'avena e acqua, patate e sale, tè senza zucchero. Come si poteva pretendere che un uomo lavorasse tredici ore il giorno e apparisse bene in carne, nutrendosi a quel modo? Quando, dopo il bagno, Gillon si guardava allo specchio, notava la sua magrezza e pensava di avere l'aspetto di un sessantacinquenne, mentre in realtà aveva appena quarantuno o quarantadue anni. « Uno scozzese delle Terre Alte deve tener duro» gli diceva Maggie. Gillon temeva che sarebbe finito come gli uomini che Henry Selkirk gli aveva descritto, che posavano i picconi per riposarsi e non si rialzavano più, morti di fame sul lavoro. Qualcun altro doveva aver letto sul viso di Gillon ciò che lui stesso vi aveva scorto. Un sabato sera, mentre gli uomini si trascinavano su dal pozzo per andare a prelevare il salario, il signor Brothcock lo licenziò. Mentre era a letto, Gillon guardava i ragazzi vestirsi. Erano ben conciati anche loro, a quanto pareva. Misuravano ogni gesto per risparmiare energia. Gillon si alzò e fece con loro la prima colazione. « Potevi restartene a letto, papà » gli disse Sam. « A che scopo alzarsi? » Era appunto questo che spaventava Gillon. Non aveva nessuno scopo. Quanto al cibo, questa volta c'era finalmente della zuppa di farina d'avena, buona e calda. « Sapete che cosa mi piacerebbe, in questo momento ? » disse Sam. « Tre belle fette sfrigolanti di pancetta sul piatto. » « A me piacerebbe essere sul piroscafo per l'America » disse Jemmie. Calò il silenzio. Non volevano incoraggiarlo. « Non vedrai mai un minatore americano sognare tre fette di pancetta. Quelli ne hanno sei per colazione e sei per mangiare nel pozzo. » « Ce n'è ancora, di zuppa ? » domandò Sam. « Un pochino soltanto. » « Finita. Il guaio è che tu il cibo lo divori. Bisogna masticarlo bene e tenerlo un po' in bocca per farlo durare a lungo. » Sam si alzò da tavola. «Triste giorno per la Scozia quello in cui un giovane che lavora non può permettersi una seconda scodella di zuppa di farina d'avena » dichiarò. «Immagino che tu abbia visto i puntelli che hanno portato sabato » disse Andrew. «Sono di pino. Tutti di pino verde. Li hanno fatti di pino per risparmiare un penny. » « Non vanno bene. Non dureranno un'annata » disse il padre. « Ci deve essere una legge per la sicurezza dei lavoratori. » Andrew scosse il capo. Conosceva il libro; conosceva le leggi. « Non esiste nessuna legge. Solo la buona fede del padrone delle miniere. » « Già, bella roba. Bella roba davvero. Il tetto non casca certamente in testa a lui » disse Sam. Caricarono sulle spalle i loro attrezzi da minatori e senza nemmeno salutare il padre (probabilmente avevano dimenticato che quel giorno non sarebbe uscito con loro) s'avviarono velocemente lungo il sentiero. Gillon non ricordava di essersi mai sentito così solo. «Dove vai?» gli domandò Maggie. « Non lo so. » « Pensavo che potevi farmi qualche lavoretto per casa. » « No. » Non era ancora il momento, non voleva ridursi già come i vecchi. « Allora va' alla montagna delle scorie a raccogliere un po' di carbone minuto per noi. » « No. » Gli faceva bene dirle di no. Raccogliere carbone dal mucchio di scorie accanto alle vecchie, piene di reumatismi. Non ancora. Scese per il sentiero nella direzione che prendeva quasi ogni mattina da tanti di quegli anni, che ormai non sapeva nemmeno più quanti fossero. Qualcuno stava friggendo un uovo nel burro e quel profumo quasi gli rivoltò lo stomaco, tanto era succulento. Era affamato, dovette riconoscerlo, affamato come un lupo. Finché aveva lavorato, si era imposto di non pensarci, ma adesso quella fame gli era scoppiata improvvisamente. Strada facendo, notò che nel paese aleggiava un odore strano e si domandò se ciò fosse unicamente dovuto al fatto che non indossava i soliti indumenti da lavoro, permeati in ogni fibra dell'alito della miniera. Erano le otto del mattino e aveva tutta la giornata davanti a sé: essa si presentava lunga come uno scorcio d'eternità. Sentiva la mancanza del lavoro in miniera. I rumori, le perforatrici che intaccavano la superficie del carbone, il cigolio e lo sferragliare delle ruote dei vagoncini, il tonfo monotono del piccone di qualche bravo minatore nella postazione vicina. Sentiva la mancanza del buio e della profondità. E del pericolo che accomunava tutti gli uomini. Passò davanti allo Spennapolli e poi tornò sui suoi passi. Non entrava quasi mai nello spaccio, perché i prezzi lo mandavano in collera. « Gillon Cameron! » esclamò il commesso. « Che mi venga un accidente. Voi siete i soli, a Pitmungo, a non avere un conto aperto, lo sa ? » « Già. Non ci va di pagare gli interessi su un 55
conto non pagato. » « Cos'è che vuole ? » « Un uovo. Un uovo soltanto. » « Un uovo? Uno. Come lo vuole, quest'uovo, Cameron? Di pollastra, di piccione, d'anatra? Scuro, Cameron, o bianco... » Gillon afferrò il garzone per la camicia. « Dammi un uovo, e subito, se non vuoi che te ne spiaccichi uno su questa rosea faccia tonda. » Da tempo non faceva scenate del genere e si sentì compiaciuto con se stesso, come quando, poco prima, aveva detto di no a Maggie. Il garzone gli diede un uovo grosso e bruno per mezzo penny. Sulla via del ritorno, era bello sentirselo in tasca, dapprima fresco e poi caldo, era bello pensare a ciò che racchiudeva per lui. Attraversò quello che un tempo era stato il Campo Sportivo e arrivò al Belvedere Tosh-Mungo, pensando al modo migliore di cucinare quell'uovo. Se lo bolliva, ne avrebbe esaltato tutto il sapore, ma una frittata, con un goccio di latte e un'ombra di formaggio gli avrebbe dato l'illusione di mangiarne tre, di uova. Non era una decisione facile. Incontrò Walter Bone che stava seduto sul muretto ai bordi della strada. « Così hanno sistemato anche te » gli disse Bone, sorridendo lievemente. Se un uomo anziano come Gillon avesse continuato a lavorare, sarebbe stato un affronto per tutti loro. « Be', hai tenuto duro per un bel po', Gillon, e questo torna a tuo onore. » Che uomo generoso era Walter Bone, pensò Gillon; un grand'uomo. «Non noti un odore strano ? Che cos'è ? » domandò Gillon. Non era ancora riuscito a definire quell'odore... quello strano sentore di salmastro. « Stai prendendomi in giro ? Sei cieco, dunque, ti sono venuti gli occhi del minatore?» Walter Bone stava indicandogli i tetti delle case lungo Moncrieff Lane. «Sono i merluzzi» disse. «Non li vedi, amico? I merluzzi e le razze?» Ne vide uno e poi li vide dappertutto, merluzzi diliscati, stesi sulle tegole d'ardesia di tutti ì tetti nel vicolo, tenuti fermi con una pietra sulla testa e un'altra sulla coda. Sopra quasi ogni tetto ce n'erano uno o due. « Ma che roba è? Che ci fanno? » Walter Bone osservò Gillon con l'antica paura degli abitanti di Pitmungo di essere presi in giro. « Oh, davvero non lo sai ? Sono merluzzi natalizi. Quando le miniere sono chiuse e non ci sono oche o pasticci di rognoni o prosciutto, vengono i pescatori. Bisogna pur preparare qualcosa per Natale. » Erano merluzzi d'una discreta mole, salati appena appena, alcuni lunghi persino un metro o un metro e venti. Venivano messi sui tetti ad asciugare al sole e al vento. Gillon carezzò l'uovo che teneva in tasca. Mai aveva avuto tanta fame in vita sua. Era posseduto dalla follia della fame. Arrivato a casa, posò l'uovo sul tavolo. « Voglio mangiare quest'uovo. Fallo bollire per quattro minuti. Lo voglio condito col sale e con un po' di burro e voglio anche delle fette di pane fresco. » « Oh, sì, signore. » Maggie non era abituata a ricevere ordini. « Dove l'hai preso quest'uovo?» « Allo Spennapolli. » « Uno spreco bell'e buono. Immagino che te l'abbiano fatto pagare mezzo penny, vero?» Intanto metteva l'acqua a bollire. « Un uovo. Devono aver riso di te. » « Mica tanto » fece Gillon. Maggie prese l'uovo senza eccessivo riguardo e lo buttò nell'acqua come una volgare patata. « Bada che è un uovo » la rimproverò lui. Desiderava con tutto il cuore che quell'unico uovo riuscisse perfetto. Aveva già l'acquolina in bocca. Al primo boccone, gli avrebbe bruciato la lingua. «Ce l'hai un orologio?» « Quando sono passati quattro minuti lo so da me. Allora, che impressione ti fa vagabondare per il paese come un bellimbusto? » « Ottima. Ottima davvero. Devono essere passati già quattro minuti, madama. » Lei non gli diede retta. « E come l'hai sprecato il tuo tempo ? Giù da Selkirk a blaterare di comunismo? » «Non parliamo di comunismo, parliamo dell'ordine sociale. Della ridistribuzione della ricchezza. Quattro minuti sono passati. » Finalmente lei tirò fuori l'uovo e lo sbucciò lasciandolo quasi intatto. Imburrò l'albume bianco e tremolante e lo spruzzò di sale. Era perfetto. « Cosa ti fa pensare di meritare un uovo, mentre gli altri non ce l'hanno ? » Il cucchiaio, che era sul punto di affondare nel tuorlo, fu arrestato a mezz'aria. « Il fatto che sono affamato » rispose Gillon. « Il fatto che sono un uomo terribilmente affamato. Il fatto che ho bisogno di quest'uovo. » Il cucchiaio affondò e la sostanza dorata dell'uovo si sparse nella scodella calda, come se non riuscisse più a contenersi. Maggie gli aveva spalmato il pane di burro e lui unì il buon pane e l'uovo caldo, e li mangiò. Poi leccò la scodella come un cane. Ciò che gustò più di tutto fu proprio l'ultima goccia di tuorlo insieme con qualche briciola. « Ti senti meglio ? » «Sì, molto meglio. Non potevo farne a meno. » Poi continuò, voltandosi verso 56
di lei. « No, non è vero e lo sai benissimo. Mi sento un verme, come se avessi rubato qualcosa. » Maggie gli posò una mano sulla spalla. «Ti capisco. Sono contenta che tu abbia mangiato quell'uovo. » «Perché non l'hai detto prima, per rendermi le cose più facili?» Lei scrollò le spalle e prese il piatto. « Non siamo abituati a queste cose, noi. » «Tu dici che non siamo minatori, eppure continuiamo a scavare carbone. Dici che il nostro progetto ci porterà via di qua. Ma quando ? » « Chiudi la porta. Vieni qua e sposta il letto. » Sollevarono la pietra ed estrassero la cassaforte. Maggie l'aprì con la chiave appesa alla catenella che portava al collo. La cassetta era piena per tre quarti di scellini, corone e banconote. « C'è un sacco di denaro qui dentro» disse infine Gillon. « Perché non ce l'hai mai detto ? » « Perché avevo paura che ve la sareste presa comoda. » « I ragazzi hanno fame. » « Non più di tanti altri. Ho ottenuto un'opzione per comprare una ditta, e ci vorranno tutti i soldi che abbiamo. » Riposero di nuovo la cassaforte. Che ironia, pensò Gillon; aveva passato la maggior parte della sua vita sottoterra per diventare un proprietario, un capitalista, mentre l'unica cosa che gli premeva in quel momento era discutere con Selkirk sull'abolizione della proprietà. « E ora, per farti perdonare quell'uovo, perché non vai al deposito di scorle a riempire una cesta?» Gillon si buttò la cesta sulle spalle. Quando uscì, l'odore dei merluzzi messi a essiccare sui tetti gli aggredì le nari e allora tornò indietro. « Perché non abbiamo anche noi un pesce sul tetto, come tutti gli altri? » « Perché non lo vogliamo; non ne abbiamo bisogno. » « Già. I Cameron non hanno mai bisogno delle cose di cui gli altri hanno bisogno. » Sui pendii della montagna di scorie c'erano i bambini e le ragazze dei pozzi rimasti senza lavoro; c'erano vecchi e vecchie, che s'affannavano a cercare pezzi di carbone fra i rifiuti della miniera. Il vento soffiava sollevando polvere nera e, a tratti, la gente veniva completamente nascosta da essa. Una donna con in mano un bastone, minacciava tutti coloro che invadevano la zona delle sue ricerche. Digrignava i denti come un cane arrabbiato. Avevano tutti qualcosa di animalesco, pensò Gillon, vergognandosi di trovarsi in quel luogo, come un gabbiano che sorvoli uno stabilimento di pesce in scatola. Guardò i merluzzi che essiccavano sui tetti, mentre tutta Pitmungo puzzava di morte e di carbone. A nord, si vedeva il lago di Leven e dietro il lago le colline di Leven che, in parte, erano ancora ricoperte dal verde dei pini e dal color bruno dei frassini e delle querce, e per il resto erano già tutte bianche: tutta la brughiera era sotto la neve. Dovevano esserci dei cervi lassù, che avevano il rifugio tra i pini, che frugavano nella neve in cerca di noci, per immagazzinare grasso in vista del periodo più duro dell'inverno, ormai imminente. Quando sentivano la fame, trovavano di che nutrirsi: la natura provvedeva ai suoi figli. Gillon ebbe di nuovo fame. Carne rossa e tendini, carne e sangue ricco e caldo. Voleva della carne. Quel desiderio era sorto in lui dopo aver mangiato l'uovo. Gillon buttò su un sasso la cesta del carbone e scese di corsa la montagna di scorie. Avere di nuovo uno scopo lo rendeva felice. Niente merluzzo per i Cameron a Natale. Avrebbero celebrato la festa come si conveniva a una famiglia scozzese: avrebbero mangiato un bel cosciotto di cervo scozzese caldo e pesante. Gillon si mise a correre, ma, fatto un breve tratto, si fermò a mezza strada, sapendo di illudersi. Non poteva cacciare un cervo di frodo; non era capace di stanare quell'animale, né di sparargli. D'improvviso, il sole s'affacciò fra le nuvole e il lago di Leven brillò azzurrino nella neve. Guardando l'acqua, Gillon si rese conto di quanto fosse stato sciocco. C'era una cosa che egli sapeva fare veramente bene: scovare un salmone e catturarlo. Il re dei pesci. Gillon aveva diritto di vedere sulla sua tavola, almeno una volta prima di morire, un salmone bello grosso. A costo di finire in galera o di morire nel tentativo, Gillon avrebbe procurato un salmone alla sua famiglia. Sapeva dove trovare i pesci in dicembre, gli ultimi fra i grossi esemplari che venivano dal mare aperto. Già quella mattina si trovavano probabilmente nelle acque salmastre del Firth of Tay, da dove sarebbero poi passati a quelle dolci del fiume Earn per risalire infine quelle di un piccolo affluente. Era un torrente di cui ignorava il nome, che scorreva tra le forre tenebrose delle colline di Leven e le cui acque tumultuose erano alimentate dalle nevi. Gillon sentì il cuore stringerglisi al pensiero di tanta audacia. Nessuno doveva saperlo, decise. Avrebbe catturato il suo salmone e forse per l'ultima volta sarebbe stato lui a 57
procacciare cibo per la famiglia. Quell'anno, l'anno nero, sarebbe stato lui a imbandire la tavola per il banchetto natalizio. CAPITOLO OTTAVO Se voleva spuntarla, Gillon doveva togliersi di dosso tutto ciò che poteva rivelare che era un minatore, poiché la semplice presenza di uno che facesse quel mestiere nel territorio dei salmoni costituiva un indizio di bracconaggio. Gillon scese nella parte bassa del paese per chiedere al signor Selkirk di permettergli di fare il bagno in casa sua. Aveva comprato allo Spennapolli una spazzola e una pietra pomice per togliersi dal corpo la polvere di carbone. Mentre si strofinava, Gillon spiegò al bibliotecario alcune questioni riguardanti i corsi d'acqua nei quali passavano i salmoni. Il fatto fondamentale era che in Scozia i diritti sui fiumi appartenevano alla corona e venivano ceduti soltanto ai nobili e a certi privilegiati. Il secondo problema riguardava i salmoni stessi. Questi pesci non avvertivano più lo stimolo della fame nell'attimo stesso in cui, dalle acque del mare, passavano a quelle fredde e dolci dei fiumi. Ciò creava una grossa difficoltà ai pescatori con la lenza. Certi gentiluomini che usavano le esche passavano anni senza riuscire a catturare nemmeno un salmone e rimettendoci parecchie centinaia di sterline. « Gli sta bene, a quegli imbecilli » disse Selkirk, indignato. La fredda acqua dolce, inoltre, rendeva pigri i grossi pesci. Dopo aver risalito la corrente impetuosa essi, sfiniti dalla fatica, avevano l'abitudine di sostare nelle pozze che si formavano a lato della corrente vorticosa per recuperare le energie necessarie a compiere un ulteriore tratto del loro viaggio: era in quella fase che un pescatore di frodo, munito di raffio o di una grossa rete, poteva pescarne uno in un batter d'occhio. Gillon si accinse a lavarsi i capelli rompendo il secondo uovo della giornata: mescolò il tuorlo con un po' d'acqua calda e di borace, e si strofinò la testa fino al formarsi di una schiuma candida e leggera. « Sono gelosi della loro proprietà, capisci?» disse Gillon. « Stanno bene attenti che nessuno, oltre a loro, vada a pescare in quei torrenti. » « Gelosi! Hanno tutto quello che vogliono, nel loro paese! Va' lassù e acchiappane uno grosso, Gillon, e mettine da parte una bella fetta anche per me. » Già, andare lassù, pensò Gillon: Selkirk non conosceva i rischi di quell'impresa. Soltanto essere scoperti nel territorio dei salmoni muniti di raffio o di fiocina poteva comportare una multa di cinque sterline e parecchi mesi di carcere, e talvolta anche una feroce bastonatura da parte dei guardapesca. « Non capisco proprio perché rischiare tanto » disse Gillon, come se non fosse deciso a tentare lui stesso. Si sciacquò i capelli con acqua calda e aceto, cosicché essi diventarono morbidi e pieni di riflessi; la spazzola e la pomice, poi, gli avevano fatto tornare i colori sulle guance Selkirk suggerì a Gillon di andare a nord, spacciandosi per un ornitologo dilettante, studioso di pernici e aquile reali. Con quel pretesto, avrebbe potuto aggirarsi nel territorio dei salmoni. Mentre Gillon si sciacquava per l'ultima volta, il signor Selkirk gli lesse più volte dei capitoli di un manuale sugli uccelli della Scozia, tanto che lui credette di impazzire. Finalmente poté rivestirsi e tornare a casa. La sua trasformazione da minatore a uomo normale aveva richiesto un intero pomeriggio, ma era notevolmente riuscita. « Ma guarda un po', cosa ti è successo? » gli domandò Maggie. « A tutti fa piacere ripulirsi, ogni tanto. » « Devi essere innamorato. Sei innamorato? » « Io non sono innamorato di nessuno. » Lei sorrise. « Ricordati, Gillon, che sei stato tu a dirlo. » Quando i ragazzi furono scesi nel pozzo e Maggie fu andata nella lavanderia, Gillon capì che era ora di partire. Nascose il raffio nel cappello e tolse il plaid dal letto per usarlo come mantello. Era un indumento un po' originale ma non troppo, per un ornitologo dilettante; poi, prese il bastone col pomo d'ottone, che s'era fatto prestare da Walter Bone, e uscì di casa. Ci voleva un'intera giornata di cammino per arrivare al lago di Leven. Nel pomeriggio, arrivò dove iniziava la neve. Dapprima ne vide qualche traccia qua e là e poi, improvvisamente, vi affondò con le scarpe. Allora capì d'aver commesso un grave errore; non aveva potuto mettere gli scarponi da minatore, ma avrebbe dovuto calzare qualcosa di più solido di un semplice paio 58
di scarpe. Quando arrivò in vista delle luci della locanda che si trovava appena prima del lago di Leven i suoi piedi erano tutti bagnati e cominciavano a gelare. La locanda era invitante e il bar era aperto, ma Gillon proseguì fino alle casette estive ai bordi del lago. Entrò in una di esse, mangiò un po' di pane e poi, bene avvolto in una coperta, si sistemò sopra un letto e si assopì. Dal letto, al mattino, vide il lago. Aveva il colore grigio e freddo dell'acciaio. Il tempo, durante la notte, s'era messo a tramontana e Gillon udì il vento ululare fra i pini. Mise in ordine la casetta, così come l'aveva trovata, e risalì la strada fino alla locanda per fare colazione. Erano le cinque del mattino. Entrato nella locanda, Gillon si guardò attorno nella stanza da pranzo. C'era una vecchia che gli rivolse la parola. « Non aspettiamo nessuno prima delle sette o delle otto. » « Ah, allora me ne vado. » « No, non se ne vada. Le porto io da mangiare. » Gli portò del merluzzo seccato al sole, due uova e una fetta di pancetta con delle fette di pane tostato, tè, zucchero e latte. Gillon sapeva che un signore non avrebbe mai mangiato tutta quella roba, ma lui non riuscì a trattenersi. « Questa non è una colazione normale. Perché mi ha portato tutta questa roba ? » La donna si curvò verso di lui e gli bisbigliò qualcosa all'orecchio. Gillon diventò rosso. « Si nota così tanto ? » « Solo quelli che sanno. Mio padre era minatore, e mio figlio è morto sottoterra. » La donna gli accostò di nuovo le labbra all'orecchio. « Va a cercarne uno per la famiglia, per Natale?» Gillon assentì. «Uno grosso ? » «Sì, uno grosso. » « Bene, le auguro di prenderlo. » Ormai parlava ad alta voce. « Ne prenda uno bello grosso e se lo porti a casa. » « Quanto pago per tutta questa roba? » « Pagare cosa? » fece lei e i loro sguardi si incontrarono. «Che Dio l'accompagni, e si guardi dal signor Maccallum. » « Dio l'accompagni » ricambiò Gillon. Quando si alzò, per la prima volta, dopo tante settimane, si sentì forte. S'incamminò e giunse al sentiero di Condie, dove imboccò la stradina che portava giù al torrente dei salmoni. Vide dei pescatori e vide i loro servi andare e venire, ma nessuno che portasse un pesce - buon segno - e nessuno che gli badasse. Poi, ci sarebbe stata la pausa del sabato: il periodo, da sabato a mezzogiorno all'alba del lunedì, in cui era proibito pescar salmoni. Tempo del Signore, lo chiamavano, in onore della festa domenicale, ma tutti sapevano che serviva solo per controllare i pescatori di frodo. Se fosse stato sorpreso nella zona dei salmoni in quel periodo, Gillon non avrebbe potuto accampare scuse. Ecco un altro rischio che lui doveva correre. Egli non intendeva affatto nascondersi, anzi voleva far di tutto per farsi notare. Il sentiero sull'argine era ben segnato e sulle ripide sponde gli inservienti avevano intagliato degli scalini, affinché i loro padroni non scivolassero nel torrente. L'acqua in quel punto era più vorticosa e lì, alla base degli scogli, dove si formavano delle pozze scure dal fondo sabbioso, Gillon sapeva che sostavano i salmoni. Trovò una pozza che gli parve perfetta e attese, fingendo di far quattro passi lungo il sentiero. Lì, incontrò il guardapesca. « Cerca qualcosa ? » Il guardapesca lo toccò sulla spalla con un raffio. Gillon si congratulò con se stesso per non aver fatto un salto. « Sì, sto cercandone uno bello grosso. M'hanno detto che qui ce n'è in abbondanza, ma io ancora non ne ho visto uno. » « Io sono Maccallum, il guardapesca. Qui non si pesca. » A Gillon venne in mente il signor Drysdale di Strathnairn. Stessa razza, pensò. «Non voglio catturare un salmone; voglio soltanto vederlo. M'hanno detto che a volte arrivano a pesare anche quattordici chili. » «Quattordici?» Il guardapesca guardò Gillon con occhi beffardi. « Venti, venticinque, amico. » Maccallum era fiero dei suoi pesci, fiero del suo torrente. « Ne ha mai visto uno così grosso ? Con i suoi occhi ? » « Se l'ho visto ? Ne ho ammazzati, di così grossi. Ventiquattro chili. » Il guardapesca osservava attentamente Gillon. « Dove si possono vedere... nelle pozze dove l'acqua è calma o nelle rapide ? » Il guardapesca non riusciva a distogliere lo sguardo dalle mani di Gillon. «Lei è un operaio?» Gillon si sentì venir meno; ma continuò a parlare. « Sì, come lei, immagino. Non come certi damerini di queste parti. Io devo guadagnarmi il pane. » « Un operaio vicino a un torrente di salmoni è un pescatore di frodo. » «Pescatore di frodo?» Gillon cercò di assumere un'aria divertita. « Come si fa a rubare un pesce se non si è nemmeno capaci di trovarne uno? » « Il modo c'è, il modo c'è. » Gillon capì che l'altro doveva 59
aver deciso che lui non era pericoloso. « Non ha l'accento largo » disse il guardapesca, rivelando così a Gillon il motivo della sua fiducia. « Sono delle Terre Alte, delle colline di Cromarty. Abbiamo un allevamento di tori, laggiù. Quando lavoriamo, lavoriamo. Quando siamo in vacanza, siamo in vacanza. Ecco perché mi piace questo mestiere. » Il guardapesca studiò Gillon per l'ultima volta. « Venga, allora. Tanto vale che ne veda uno come si deve. » Gillon lo seguì lungo il torrente, verso valle. « Io sono venuto qui per studiare gli uccelli » disse Gillon. « Va bene, ma se vuol vedere il pesce, sarà meglio che tenga la bocca chiusa. I pesci hanno gli orecchi. » Poi mostrò a Gillon alcune femmine di salmone che nuotavano in un fondale dove l'acqua era trasparente come il vetro e che, con il muso, ammonticchiavano sabbia e ghiaia, nel luogo che avevano scelto per deporvi le uova. Gli indicò poi altre femmine scarne e sparute, sfinite dopo la riproduzione. Infine, giunsero in vista di altri fondali dove i maschi sostavano per riposare, quasi immobili nell'acqua fredda. Scesero poi verso valle, dirigendosi verso il luogo dove si radunavano i pesci provenienti dal mare e cercarono i tratti del torrente dove sostavano i salmoni che ancora non avevano deposto le uova. Prima che il guardapesca glielo indicasse, Gillon ne vide uno. « Zitto ora. Faccia piano » disse Maccallum. Ed eccolo là, il salmone, tale e quale Gillon l'aveva immaginato, quasi adagiato su un fondale poco profondo, la sagoma enorme che si aggirava nell'acqua. Il suo pesce... il pesce di Gillon. Quella pozza corrispondeva perfettamente ai suoi desideri: era sufficientemente profonda e limpida e adeguatamente distante dalle acque vorticose che si trovavano poco più a monte. « Lo guardi » disse il guardapesca. Quel salmone era così grosso che Gillon trasalì, quasi impaurito. « è un grosso maschio » disse Maccallum; «a volte può passare un mese, anche un anno senza che se ne veda uno. Anche una vita intera può trascorrere senza riuscire a catturarne. » « è troppo bello per ucciderlo. » « è nato per essere ucciso. » Gillon gli domandò quanto a lungo pensava che il pesce sarebbe rimasto in quel fondale e il guardapesca gli spiegò che, quando la temperatura dell'acqua scendeva sotto i cinque gradi, i salmoni non amavano spostarsi. « Questo rimarrà qui parecchi giorni » disse Maccallum. « Sa che cosa ho intenzione di fare? Tornerò qui lunedì mattina e lo ucciderò prima che arrivino quei ricchi signori. Una volta tanto, per un salmone di quella mole, si può chiudere un occhio sul regolamento. » Il guardapesca ammiccò a Gillon e questi gli ammiccò di rimando, dicendo che era un vero peccato, ma che il lunedì lui non sarebbe più stato in quel luogo. L'attesa era la parte più dura di tutta l'impresa. Faceva freddo, ma Gillon si costruì un piccolo riparo con alcuni rami di pino a monte del torrente, e quando fu calata l'oscurità, attese che il guardapesca facesse l'ultima ispezione per accertarsi che nessuno pescasse alla luce delle torce. Quando, secondo i suoi calcoli, furono le otto, Gillon abbandonò il riparo e cominciò cautamente a scendere lungo il ripido pendio della gola. Aveva fame: aveva di nuovo una fame da morire. Quella brama sfrenata di cibo si era risvegliata in lui con l'uovo del giorno prima e con la sostanziosa colazione del mattino. Sarebbe stato meglio non aver interrotto la catena delle rinunce Gillon esaminò il fondale per vedere se l'acqua si muoveva: ciò avrebbe significato che il pesce, nel sonno, faceva dei movimenti per tenersi in equilibrio. Attese che la grossa ombra argentea salisse in superficie, fendendo lo specchio d'acqua. Finalmente affiorò, sagoma argentea dai fianchi arcuati, irradiante prepotentemente energia e purezza, per poi inabissarsi di nuovo. « Tu mi appartieni » bisbigliò Gillon. Poi aprì la giacca e, con le dita intorpidite dal gelo, cercò di sbottonarsl la camicia. Srotolò il filo oliato che si era avvolto attorno alla vita e dal cappello tirò fuori il raffio. Non sentì il vento soffiargli sul corpo e questo lo preoccupò: si domandò se non avesse già superato il limite di congelamento. Assicurò il raffio alla lenza, quindi si volse a guardare di nuovo il salmone. « Sarà una cosa veloce » disse. Era stupido chiacchierare con un pesce, ma quelle parole servirono a calmarlo. Gillon fece dondolare il raffio davanti agli occhi del salmone. L'uncino doveva agganciare il pesce e Gillon lo fece scivolare lungo la testa argentea, finché non andò a posarsi su una delle branchie. Poi lo calò con la massima attenzione, fino ad agganciare l'animale: infine diede uno strappo. Quel primo colpo dovette ferire abbastanza gravemente il pesce: l'uncino aveva 60
probabilmente lacerato la branchia, penetrando in profondità. Il salmone fece un guizzo e calò sul fondo, nuotando avanti e indietro. Gillon fece di nuovo dondolare il raffio davanti agli occhi dell'animale nella speranza che questi, infuriatosi, lo addentasse. Ma i salmoni hanno più pazienza degli uomini. Doveva decidere come ucciderlo: avrebbe potuto scagliargli una grossa pietra, ma pensò: "Quello s'è ritirato nella parte più irraggiungibile della sua tana a tenermi il broncio". La pietra, quindi, sarebbe affondata senza produrre alcun effetto. Poi, all'improvviso, gli balenò nella mente un'idea che gli infuse nuova allegria. Un minatore, in caso di incendio o di allagamento, sapeva bene come isolare una parte da tutto il resto della miniera. Gillon avrebbe potuto circoscrivere parte della pozza, costruendo un muretto di pietre e di terriccio attorno alla preda. Per imprigionare il salmone avrebbe lavorato al buio e nell'umidità come era già abituato a fare e in condizioni ben peggiori. Soltanto un minatore affamato come lui era in grado di catturare quell'animale. Gillon cominciò a costruire il primo muretto lavorando nell'acqua che gli arrivava fin sopra ai ginocchi. Sceglieva i sassi a colpo sicuro: riconosceva quelli che gli servivano anche al buio, così che la costruzione procedette rapidamente. Grazie a quell'espediente, il salmone non si sarebbe rintanato nella zona più profonda e più oscura del fondale. I piedi, ormai parzialmente congelati, avevano cominciato a dolergli: Gillon pensò di uscire dal torrente e di accendere un fuoco, ma temeva che, poi, gli sarebbe mancato il coraggio di continuare l'impresa. L'acqua non aveva ancora cominciato a gelare: finché ciò non avveniva, il sangue avrebbe continuato a circolare nei suoi arti inferiori: iniziò così a costruire il secondo muretto. Ne costruì tre con i quali circondò l'animale anteriormente e ai lati. Poi, s'accinse a costruirne un quarto per chiudergli ogni via di scampo. Nel giro di un'ora, l'opera fu compiuta ed era ormai giunto anche il momento di uccidere. I1 fondale era profondo novanta centimetri, troppo profondo perché Gillon potesse colpire il pesce con il bastone da passeggio dal pomo d'ottone. Era ora di accendere il fuoco, ai margini del torrente, un focherello tentatore che avrebbe attirato la preda. Gillon lo accese e aspettò e, quando la testa argentea del pesce affiorò all'improvviso, la colpì. Aveva colpito bene, ne era certo: ma il salmone si immerse nuovamente e guizzò via. Era irritato; preferiva non pensare alla prossima azione che avrebbe dovuto compiere. Se voleva quel salmone, sarebbe dovuto entrare nell'acqua e ingaggiare con esso una lotta a corpo a corpo. Aveva sentito dire che nella Scozia occidentale, lungo le coste delle Terre Alte, i ragazzi, giunto il momento di diventare adulti, venivano mandati a catturare il primo salmone a mani nude, nei fondali scavati dalla marea. Ma in quei luoghi, l'acqua era calda e i pesci non erano aggressivi come nel periodo della riproduzione. Gillon entrò nell'acqua e scavalcò un muretto, appostandosi nella parte posteriore della sua costruzione, in attesa. Il pesce era perfettamente immobile. Gillon fece un passo e quello, impaurito, nuotò contro la parete opposta, il muso contro le pietre; poi, senza por tempoin mezzo, Gillon spiccò un balzo. La forza di quell'animale era tanto sbalorditiva, quanto il gelo di quell'acqua che gli attanagliava le membra. Afferrò il salmone e lo tenne saldamente fra le braccia, cercando di schiacciarlo contro le pietre; ma il pesce si dibatteva inarcandosi nel tentativo di liberarsi dalla morsa: alla fine la spuntò e si immerse nuovamente, posandosi sul fondo. « Mi dispiace » disse Gillon. Trovò una pietra appuntita: non avrebbe voluto deturpare il suo pesce, ma sapeva di doverlo fare. « Mi dispiace davvero » ripeté. Poi, afferratolo nuovamente con le braccia, lo colpì alla testa e lo lasciò ricadere nell'acqua. Il salmone era lungo almeno un metro e mezzo e si dibatteva: lo stato di incoscienza provocatogli dal gelo lo aveva abbandonato e lottava per sopravvivere. Avrebbe spiccato un balzo ora, Gillon lo sapeva. Poiché nella pozza non c'era spazio sufficiente per lo slancio, quel balzo fu lento e quasi verticale; il corpo del salmone guizzò, mandando riflessi dorati e argentei al riverbero del fuoco sulla riva. Gillon allora lo colpì con la pietra con tale forza che l'animale ricadde nell'acqua senza più opporre resistenza e giacque finalmente sul fondo, coricato di lato. « Muori » disse Gillon. « Muori, ti prego. » Il 61
pesce affiorò di nuovo, lentamente, e Gillon lo afferrò con le braccia. Gli tastò la cavità orale e gli fece scorrere una mano lungo la testa, finché non toccò una branchia: comprese, allora, di averlo vinto. Lo trascinò fuori dal torrente, tremando dal freddo e barcollando, e lo portò sulla sponda scivolosa. Il pesce giacque nella neve, come in attesa. Pare che capisca, pensò Gillon. Prese il bastone da passeggio e, con un ultimo colpo secco e veloce, lo uccise. « Mi dispiace » disse. « Mi dispiace con tutto il cuore. » Poi, tornò al torrente per guardare la piccola prigione che aveva costruito e fu sbalordito dalla propria opera. Aveva deciso di distruggerla, così che il guardapesca non avrebbe mai saputo ciò che si era svolto ma poi cambiò idea e decise che era bene sapesse. Pensò che la storia dei minatore - perché prima o poi da quel cumulo di pietre avrebbero capito che quella era la costruzione di un minatore sarebbe entrata nella leggenda del torrente: sarebbe stata narrata per tutti gli anni che lui avrebbe vissuto e per molti altri ancora. CAPITOLO NONO Prima che il pesce congelasse, Gillon gli infilò la lenza attraverso le branchie e lo piegò ad arco, legando la testa alla coda, in modo da poterlo trasportare con il bastone, poi alimentò il fuoco e si tolse gli abiti perché si asciugassero. Le ombre proiettate dal fuoco danzavano nella gola fino a una distanza che gli parve infinita. Purtroppo non aveva scelta: doveva far asciugare i suoi indumenti, se non voleva lasciarci la pelle. Gli abiti si asciugarono, ma i piedi avevano cominciato a gonfiarglisi paurosamente. Quando si fu rivestito portò il pesce in cima alla gola, poi, camminando a ritroso, spazzò il sentiero con un ramo di pino per cancellare le sue orme. Quando arrivò ai margini di un bosco si sedette a studiare il terreno che si stendeva davanti a lui. Lontano, sulla sinistra, circa a un chilometro di distanza, vide una fattoria dall'aspetto caldo e invitante, col tetto di paglia e il fumo che usciva dal camino. Là dovevano avere prosciutto e uova, ne era certo, ma era ancora troppo vicino alla zona dei salmoni per potercisi avventurare. Forse si era addormentato. Non udì l'uomo, avvertì soltanto il contatto del suo stivale sui piedi gonfi. Il mezzadro aveva in mano una scure. « Su, avanti, sbrighiamoci con questa roba » disse l'uomo. « Come sarebbe a dire, sbrighiamoci con questa roba? » L'uomo addittò il pesce. Che brutta faccia dura, pensò Gillon, una di quelle facce di cui son piene le galere. « Il salmone. Voglio la mia parte, subito. » Gillon era più sbalordito che irritato. « Tu hai rubato questo pesce dalle acque della corona. Ti interessa sapere cosa ti farebbe Maccallum se gli dicessi dove può trovarti ?» L'uomo continuava a far dondolare la lama della scure davanti agli occhi di Gillon. « Diciotto, venti chili. è un bel maschio. Come l'hai preso? » « Sono entrato nell'acqua e l'ho preso con le mani nude. » « Sporco bugiardo. » Fu in quel momento che Gillon capì come nessuno avrebbe mai creduto alla storia di quel pesce. « Ah, be', tienti pure il tuo segreto. Due chili di pesce è il prezzo del lasciapassare. » « Due chili ? » « Due chili, se non vuoi che vada subito da Maccallum. » Gillon sciolse il nodo che legava il pesce. Era così bello, steso sulla neve in mezzo ai pini. «A che ti serve la testa?» L'uomo calò la scure e recise la testa. « Maledetto » imprecò Gillon. Quel pesce non valeva soltanto per il cibo che rappresentava. « E la coda, poi. » L'ascia calò rapida di nuovo e troncò una porzione della parte inferiore, forse un ottavo dell'intero pesce. « E proprio un bel salmone, te lo concedo. Pulito. Appena arrivato dal mare. Un'altra volta farai meglio a uscire di notte dal tuo nascondiglio. » L'uomo si diresse verso la fattoria e Gillon si alzò e s'allontanò a sua volta con tutta la velocità consentitagli dalle gambe. Il vento era teso e persistente e Gillon aveva davanti a sé chilometri e chilometri di brughiera. Si domandò se ce l'avrebbe fatta e poi pensò alle donne che, tutti i giorni portavano le ceste di carbone, salendo dalla miniera. 62
Doveva farcela. Nei pressi del lago di Leven trovò una grande fattoria con dei rustici annessi, una baracca per i braccianti, una stalla per le vacche, un recinto per le pecore. Avevano appena finito la mungitura. Gillon li udì gridare qualcosa a proposito di rape da dar da mangiare alle vacche, e poi la porta della stalla fu chiusa. Il locale delle vacche doveva essere vuoto. Gillon vi entrò difilato e si chiuse piano piano la porta alle spalle. Era salvo. L'odore degli animali, il calore e il puzzo del letame gli mozzarono il fiato. Trovò la scaletta che portava al fienile, e lì si fece un giaciglio nel fieno, si coprì con il plaid e si distese accanto al pesce. Passò la mano lungo il fianco argenteo. Era sempre fresco, sempre ghiacciato. Lo svegliarono, con la loro ferocia, con la loro voracità frenetica. Non furono i rumori, non gli squittii di rabbia e di eccitazione, ma tutte quelle zampe che gli correvano sul petto e sulla faccia. Topi. Venti, trenta topi, tutti attaccati alla carne del suo salmone dura come un sasso, la laceravano e la sbranavano. « Via! » urlò Gillon. « Andate via! Andate via! » Ma quelli, dopo essere schizzati via, s'abbarbicavano da un'altra parte. Gillon cercò il bastone e si mise a menar colpi forsennati contro i topi, quando s'accorse che nella stalla erano entrati alcuni contadini. « Cosa succede, in nome di Dio ? » gridò uno degli uomini. «I topi mi stanno mangiando il pesce! » rispose Gillon. Due uomini salirono di corsa la scala a pioli ed entrarono nel fienile. « Oh, che bel pesce. Dammi il bastone. » I braccianti cominciarono con gioia selvaggia a sterminare ì roditori. Alla fine, videro che Gillon aveva un'aria avvilita. « Che ti piglia, amico ? » Non riuscivano a capire tutto quell'orrore per i topi, che avevano assalito il pesce. « Questa è la cena di Natale per la mia famiglia. » « Oh, da' qua. » Uno degli uomini prese il pesce e, poco dopo, Gillon udì il rumore di una pompa in funzione; l'uomo tornò col salmone lavato da tutto il sangue e che appariva appena segnato dalle unghie e dai denti dei topi. « Sei un bracconiere, no ? » domandò l'uomo, e Gillon assentì. « Bravo! Non è facile catturare un esemplare così grosso. E sei anche operaio, vero ? » « Minatore. » « Di dove ? » « Di Pitmungo. » « Si trova lavoro laggiù ? M'hanno detto che pagano bene. » « Non c'è lavoro. Io sono qui per cercare cibo per Natale. » «Ah, brutto affare, amico, triste affare. Un uomo che non ha un'oca sulla tavola a Natale non è un uomo e non può fare Natale. » Gillon era un po' seccato. « Un salmone va benissimo. » « Ah, sì, non so, non ne ho mai mangiato. Qui non ce ne danno, appartengono a quelli. » Gli uomini osservavano il pesce. Gillon prese un coltello e ne tagliò due fette. « Cuocetelo col burro, avete capito ? Non lessatelo. » Gli uomini ringraziarono Gillon. Uno di loro passò una corda attorno al pesce e lo appese a una trave della stalla. « Dormi tranquillo, amico. Però quando fa giorno devi svegliarti e filare, capito ? » Gillon assentì. « Se il padrone ti vede sono guai. » Gillon s'addormentò sprofondato nel fieno e dormì al caldo e profondamente; per la prima volta, dal momento in cui l'aveva catturata, sentiva che la sua preda era al sicuro. Quando si svegliò all'alba, i piedi non gli dolevano più come prima, e così scese la scala. Metà del salmone, quasi la metà esatta del salmone era sparita, trinciata di netto, come fosse stata tagliata da un pescivendolo. Quei maledetti, luridi bastardi, pensò Gillon: erano tornati di notte per rubare il suo pesce. Mentre guardava i resti del salmone appesi alla trave si sentì la bocca secca per la rabbia e per l'impossibilità di agire. Ne erano rimasti circa nove chili. Chi avrebbe mai detto che un tempo quello era stato uno splendido salmone? Tuttavia ne era valsa la pena, si disse, nonostante ciò che era accaduto. Quasi un chilo di salmone a testa, di salmone appena uscito dal mare. Questo è vivere, questo è mangiare, pensò, mentre imboccava la strada che portava a Cowdenbeath. Non aveva avvertito nulla che presagisse il formarsi di una vescica. Stava camminando spedito quando, tutt'a un tratto, avvertì un gran dolore. Quando si tolse la scarpa e la calza, si spaventò nel vedere quello sfacelo: il calcagno era tutto arrossato e bruciante. Non gli restava che sedersi sul ciglio della strada e sperare di trovare un passaggio. L'aria fredda gli dava sollievo e il bruciore s'era un po' attenuato, quando vide arrivare lungo la strada, lemme lemme, il carro di un contadino. « Potrebbe portarmi fino a Cowdenbeath? » Si accorse che il contadino gli guardava il piede. « Sto cercando di arrivare a casa per la vigilia di Natale. » « Non so. 63
Il cavallo è debole, e porta già un carico pesante. Forse, se potesse ricompensargli la fatica... » « Forse, gli piacerebbe una fetta di salmone. » «Oh, senz'altro. E fresco, eh? E piacerebbe anche al suo padrone. » « Mi dia il suo coltello » disse Gillon. In prossimità del paese il contadino l'aiutò a scendere dal carro. « Ora stia a sentirmi » disse. « Si fasci quel piede con foglie di faggio; si asciugherà e l'infiammazione sparirà. Bene. » Gli tese la mano. « Che Dio la benedica e faccia un felice Natale. » Soltanto quando ebbe iniziato a salire verso l'alta brughiera e si fu guardato attorno, Gillon si rese conto di come il sole fosse già basso. Subito dopo spuntò la luna, pallida e fredda, poi spuntarono le stelle e quindi scese la notte. Era l'ora in cui a Pitmungo si cominciava a cucinare, a bollire il buon merluzzo. Avrebbe fatto in tempo. Il salmone, sulla fiamma viva, si sarebbe cotto rapidamente, e casa sua distava soltanto un'ora. Il primo gatto assalì Gillon vicino al frutteto. Gli balzò sulla schiena nel tentativo di arrivare al pesce. « Via da me! » urlò Gillon, ma quando si girò, quello gli saltò addosso di nuovo, tanto che ne sentì gli artigli attraverso il plaid. Avrebbe dovuto abbandonare il plaid che lo impacciava e, tenendo il pesce sotto il braccio, difendersi da quei gatti famelici e selvaggi, che ora erano quattro. Quando imboccò il sentiero che attraversava il frutteto, di gatti che adocchiavano il pesce, e che lui teneva a bada col suo bastone da passeggio dal pomo d'ottone, ce n'erano sei o sette. Quando arrivò al Belvedere Tosh-Mungo, in tutte le case c'erano le luci accese. Molte famiglie cantavano le antiche ballate scozzesi, che sempre rendevano triste Gillon. Sette o otto chili di salmone maschio. Non era gran che, se si pensava a tutto ciò che aveva passato. Sarebbe potuto finire in carcere o addirittura morire. Se subentrava un'infezione, c'erano molte probabilità di perdere la gamba. L'essenziale però era che era stato lui a prendere quella decisione e che il salmone era in mano sua. In casa avrebbero celebrato un Natale degno di tale nome. Quando arrivò davanti a casa si fermò fuori, cercando di adattare gli occhi alla luce prima di entrare. Dalla finestra, li vide seduti a tavola e udì Andrew dire qualcosa, un brindisi o una preghiera, prima di mangiare. Ecco il momento giusto per entrare. Gillon spalancò la porta e restò lì nella luce viva della stanza, rendendosi conto di offrire uno spettacolo grottesco, con la camicia strappata dai topi e dai gatti e le gote smunte, segnate dalla fame e dal gelo. « Che ti hanno fatto, papà? » domandò Sam. « Niente, mi hanno fatto. Una volta tanto, sono stato io a fargliela, a loro. » Gillon buttò il pesce sul tavolo. Si compiacque del tonfo che fece e nel vedere come appariva grosso, posato sul legno. Mai, prima di quel giorno, avevano avuto un pesce di quella mole. « Com'è bello, papà » disse Andrew, mentre gli altri si affollavano intorno al padre. Maggie, intanto, guardava suo marito. « Hai perso il cappello » gli disse, « il tuo bel cappello. » Portò lentamente la mano alla testa e si stupì sentendo al tatto i capelli. Che si fosse immerso nella pozza col cappello in testa? « Che importanza ha un cappello? » domandò Sam. Era tutto eccitato. « Questo sì ch'è un Natale degno di un uomo. » Poi andò a prendere il whisky e lo versò nelle tazze e nei bicchierini. Tutti attendevano, guardando il padre. « Niente merluzzo per i Cameron » disse Gillon e tutti levarono i bicchieri e bevvero, alla salute del padre e del pesce. Qualche giorno dopo Capodanno, il signor Selkirk dalla biblioteca salì in collina per andare a trovare Gillon, che era a letto. « Non voglio sapere della tua puerile avventura, ma penso che ti interesserà leggere questo. » E gli porse un ritaglio della pagina finanziaria dello Scotsman. Londra, 3 gennaio. Lord Fyffe di Fife e Brumbie Hall, Pitmungo, Presidente della Compagnia Ferro e Carboni di Pitmungo, ha annunciato oggi, alla riunione annuale degli azionisti della Compagnia, un utile netto, detratte tutte le spese, del 54 per cento. Con l'approvazione del Consiglio di Amministrazione il 14 per cento del profitto è stato destinato a investimenti futuri e un dividendo del quaranta per cento è stato assegnato a ogni azionista. Lord Fyffe ha dichiarato che la situazione, rispetto a quella dello scorso anno, in cui il dividendo ammontava al quarantacinque per cento, può considerarsi buona, tenendo conto dello sfavorevole andamento del mercato carbonifero dell'autunno. Grazie alle sagaci economie realizzate in questo 64
periodo, la Compagnia ha potuto mantenersi in attivo. Gillon lesse il ritaglio parecchie volte prima di comprenderne in pieno il significato. « E ora sei pronto a unirti a noi ? » gli domandò Selkirk. Gillon annuì. « E se viene Keir Hardie, sei pronto a riceverlo? » « Sì. » «E se vengono i soldati, te la senti di affrontarli a pie' fermo?» « Se per allora sarò in grado di stare in piedi. Guarda questa gamba. » Gillon tirò indietro il lenzuolo, ma il signor Selkirk non volle guardare; l'odore che avvertì fu più che sufficiente. « Che ti hanno fatto, amico mio?» Era proprio così, Gillon lo capì soltanto allora. Era stato lui a compiere quell'impresa, ma erano stati gli altri a costringervelo. « Mi sono stancato di dire sempre di no a me stesso. è venuta l'ora di dire di sì, tanto per cambiare. » « Dire di sì a che cosa ? » « A qualcosa. Lo saprò quando verrà il momento. » « Ben detto » fece il signor Selkirk, « per un mezzo analfabeta. » Fu Sarah a salvarlo. Veniva a piedi tutte le mattine dall'estremo lembo di Tosh-Mungo, dietro richiesta di sua madre così Walter Bone aveva visto giusto, dopo tutto - per medicargli il piede e fargli impacchi. Poiché, dopo una settimana, la ferita non migliorava, fu chiamato il dottor Gowrie. Questi disse che, secondo lui, la gamba andava amputata. « Neanche per sogno » protestò Gillon. «Abbiamo già perso un paio di gambe in famiglia » disse Sarah. « Quando diventerà nera dovrai fartela tagliare, Cameron. Non aspettare troppo, se non vuoi lasciarci la pelle. » Da quel giorno Sarah non si stancò di medicarla, con pazienza infinita, decisa a salvare per suo padre ciò che aveva perso il marito. Il fetore era così terribile, che per confonderlo dovevano bruciare chicchi di caffè. Dapprima, la gamba non migliorò. Poi, seguì un periodo in cui fu stazionaria. A febbraio, Gillon decise di riprendere a camminare, e vi riusci... almeno finché non poggiava con forza il piede per terra. A marzo, poté infilarsi gli scarponi da lavoro. Ogni giorno leggeva per qualche ora. Lesse da cima a fondo tutti i volumi della Sala di Lettura per i Lavoratori dell'Industria e poi ricominciò daccapo. Oppure si sedeva sulla soglia nel primo sole di primavera e guardava in basso la nera montagna delle scorie crescere di nuovo dove una volta era il Campo Sportivo e pensava a quel dividendo del quaranta per cento, elargito dalla Compagnia Ferro e Carboni di Pitmungo ai suoi azionisti, grazie alle sue "sagaci economie". Era diventata una fissazione. Talvolta pronunziava quel numero ad alta voce, quasi senza rendersene conto. Il viso gli si era nuovamente arrotondato e con lo scomparire delle linee dure che gli avevano segnato il volto emaciato, sembrò essersi scrollato gli anni di dosso. Così, fu di nuovo chiaro un fatto che era stato dimenticato, e cioè che Gillon era la persona più bella della sua famiglia, mentre tutti gli altri avevano nell'aspetto qualcosa della miniera e della sua tenebra. Soltanto lui ne era esente. Stavano di nuovo comparendo in lui i tratti di un figlio delle Terre Alte. Maggie, mentre il marito era intento a leggere un libro sulla distribuzione della ricchezza, alzò gli occhi dalla trapunta che stava cucendo e lo osservò. « Sei tornato l'uomo che sposai a Strathnairn » gli disse. « Che cosa hai detto? » « Non ho voglia di ripetere » dichiarò Maggie, ma lui aveva capito. Tornò al suo libro, ma senza riuscire più a concentrarsi. Ogni tanto le lanciava un'occhiata: avrebbe voluto toccarla, dirle qualcosa che riguardasse soltanto loro due. Ma qualcosa lo tratteneva. Il primo giorno di maggio, mentre in tutta la Scozia la gente si bagnava la faccia di rugiada maggiolina, Gillon indossò gli indumenti di fatica e scese la collina per recarsi nel pozzo Lord Fyffe n. 1. C'era di nuovo lavoro per tutti. Dapprima fu una cosa strana e terribile, ma già nel pomeriggio scavare carbone era di nuovo diventata per lui una cosa naturale, così come detergersi dalla fronte il sudore misto alla nera polvere della miniera. PARTE TERZA I Cameron CAPITOLO PRIMO A metà di quel mese, Gillon rimase vittima di un incidente, mentre si accingeva a perforare un muro per passare nello scavo adiacente. Ormai, dal suono prodotto dal piccone contro la parete, era in grado di stabilire con estrema 65
precisione lo spessore dello strato di carbone che doveva abbattere. Mentre era in ginocchio e saggiava la parete con il piccone, brillò un lampo d'acciaio: subito dopo Gillon avvertì nella carne un dolore sordo prodotto da un arnese metallico. Rimase a terra, immobile; un piccone gli si era conficcato nella spalla. « Ehi, dico! » gridò una voce e la parete crollò circondando Gillon Poi qualcuno lo tirò fuori da sotto il carbone. « Mi dispiace, oh Dio, mi creda, mi dispiace tanto! » esclamò una giovane voce dall'accento inglese. « Volete dirgli che mi dispiace tanto ? » « In primo luogo, non avrebbe dovuto trovarsi lì » disse il signor Brothcock. « Cosa ti salta in mente, di piombare a quel modo attraverso la parete, Cameron ? » Gillon guardò Brothcock e pensò: "Bugiardo!". Ma il dolore provocato da quel colpo si fece subito sentire e lo fece esplodere in un urlo disperato. « Toglietemi il piccone dalla carne! » gridò con una voce che gli sembrò venire da lontano. Il giovane inglese gli si inginocchiò accanto. « Posso provare » disse. « Saprà essere abbastanza forte per sopportare il dolore? » « Se fai presto. Dài! » Il giovane tirò, ma non a sufficienza: la punta d'acciaio si era conficcata nell'osso. Gillon cercò di non urlare, ma non riuscì a trattenersi. Il ragazzo tremava e Gillon lo afferrò per un polso. « Imbocca quella galleria e grida il nome di Sam Cameron. Ma forte. » Intervenne Brothcock: « Non si lasci dar ordini da un... » Ma il ragazzo spinse di lato il sorvegliante e si mise a gridare. Sam corse dov'era Gillon. « Perché è per terra a quel modo ? » gridò al signor Brothcock. « Su, presto » fece Gillon. « Sì, papà. » Allora Sam premette il ginocchio contro le costole del padre e in meno di un secondo - mentre Gillon era pienamente cosciente di ciò che accadeva - lanciando un urlo terribile, forte e pieno di dolore come quello del padre, gli estrasse il piccone dalla carne. Mentre lo trasportavano, qualcuno ebbe la brillante idea di cospargere la ferita con della polvere di carbone scavato di fresco, per arrestare il flusso del sangue, all'antica maniera dei minatori. Gillon non l'avrebbe permesso, ma non se ne accorse. « Hai ancora il piede e hai pure il braccio, ed è un miracolo che tu non li abbia persi entrambi » disse il medico di Cowdenbeath, congedando Gillon dall'ospedale. Questi non sapeva se un minatore poteva stringere la mano a un dottore. « Ti dico solo questo » continuò il medico. « Il braccio è salvo, ma non scaverai mai più il carbone. » Gillon tornò a casa nel carro col quale Sandy Bone era andato a prenderlo, e il viaggio fu assai penoso. « Come stai? » gli domandò Sandy. « Hai una buona cera. » « Mi sento come un uccello con l'ala spezzata. Ho una buona cera, ma non posso volare. » «Volerai. E il signor Selkirk m'ha detto d'aver saputo che quel giovane signore s'è raccomandato che ti facciano un buon "patto". » Il "patto" era l'indennizzo che la Compagnia concedeva agli infortunati o alle vittime della miniera. A Pitmungo, tale indennizzo non era fisso come altrove, dove un tanto veniva stabilito per una gamba perduta e un tanto per una mano schiacciata. La somma che veniva corrisposta a Pitmungo, invece, dipendeva dalla parte di responsabilità che nell'infortunio la Compagnia attribuiva a se stessa o al minatore o alla semplice volontà di Dio. « A te, quanto hanno dato? » domandò Gillon a Sandy, guardando le navi nel porto di St. Andrew. Il carbone si stava vendendo bene; poteva esser un buon segno per il suo indennizzo. « Venticinque sterline » rispose Sandy. « Dodici e mezzo per gamba. Ne pagherei molte di più per poter riaverle. » Gillon si stupì che Sandy fosse capace di considerare così dall'alto la sua sventura e addirittura di riderci sopra. « Hanno detto che era la volontà di Dio. Se me ne fossi andato in orario e non mi fossi trattenuto nella miniera per fare un po' di lavoro straordinario, la volta non mi sarebbe crollata addosso, quindi, la colpa non poteva essere della Compagnia. E stato Iddio a farmi un brutto scherzo. » « Il mio incidente è stato proprio un atto del signore » disse Gillon. Era un gioco di parole (Lord in inglese, oltre ad essere un titolo nobiliare, significa "Signore Iddio"). Il giovane che l'aveva colpito col piccone era sir Compton Elphinstone, lord Tal dei Tali, azionista e dirigente, nonostante non avesse ancora finito gli studi. Il risarcimento non venne, anche se per tradizione veniva pagato il primo giorno in cui si dava il salario, dopo che il minatore era uscito dall'ospedale. « Non resta che aspettare » disse Andrew. « Potremmo chiedere, almeno » disse Jemmie. « Tanto per fargli sapere che ci aspettiamo qualcosa 66
di molto sostanzioso. Può darsi che ci sia un malinteso. » « Non possiamo forzare le cose » obiettò Andrew. « Ormai la faccenda è nelle loro mani. » Attesero. A detta di tutti, si era trattato di un incidente estremamente singolare. La gente diceva che sir Compton, o la sua famiglia, stavano decidendo di risolvere soddisfacentemente la cosa, ma probabilmente non sapevano quali fossero gli usi di Pitmungo. Quello doveva essere il motivo del ritardo. Portarono il letto di Gillon in cucina, e lì lui passò le giornate a studiare i vari tipi di investimento con Andrew, Maggie e il signor Selkirk. Gillon non riusciva a capire per quale motivo un azionista come Elphinstone, che aveva investito un migliaio di sterline nella Compagnia, potesse intascare le quattrocento sterline assegnate dalla stessa, senza aver mai lavorato. Gillon non riusciva nemmeno a capire come, dopo che l'azionista aveva ottenuto le sue quattrocento sterline di dividendo, la cosa non finisse lì, ma Elphinstone continuasse a far soldi, rimanendo per di più in possesso delle mille sterline originali, anche se quella somma da lui investita gli era stata ripagata più volte. « Non possono continuare a tirar fuori soldi all'infinito » disse Gillon. « Sì che possono, se continuano a estrarre il carbone. Il carbone è denaro. » « Ma sono io che rischio tirandolo fuori » obiettò Gillon. « Esatto. » « Dimmi una cosa, allora. » « Va bene, mi ci proverò » fece suo figlio. «Come abbiamo fatto a cacciarci in questa situazione?» Gillon rimuginava su quella faccenda, giorno e notte. Ci pensava tutte le volte che il braccio gli dava delle fitte. Quel numero, 40, lo ossessionava. Il quaranta per cento. Quattrocento sterline. Arrivò a pensare che quattrocento sterline fossero il giusto indennizzo per la sua ferita; che gli spettassero di diritto. Che l'assegno fosse già stato emesso, e non rimanesse altro che la formalità di ritirarlo. Alla fine della seconda settimana, gli uomini si disposero a semicerchio in attesa della paga. I minatori, ancora vestiti con gli indumenti della miniera e tutti sudati, si accalcavano sotto la luce bianca e vacillante della lanterna a gas di Brothcock. Non venivano mai pagati secondo un ordine prestabilito; l'unica regola era che conveniva tenersi pronti per rispondere quando venivano chiamati. Andrew uscì dalla porta del gabbiotto dei pagamenti. « Ce l'hai? Te l'ha dato? » Anche quelli che non avevano niente a che fare con i Cameron, gli si affollarono attorno. Era un problema sentito da tutto il paese. Andrew aprì la busta, ma dentro c'era la solita paga. « Lo darà a uno di voi » disse qualcuno, ma nessuno degli altri Cameron ricevette l'indennizzo di Gillon. L'ultimo era Jemmie. « Se non te lo danno, devi chiederlo. » « Va bene, lo chiederò » disse Jem. Ma quando tastò la busta-paga, capì che conteneva la solita somma. « Manca l'indennizzo di mio padre. » « Che indennizzo? » « L'indennizzo di Gillon Cameron. Il minatore colpito dal piccone di quel signore. Non può più lavorare e vuole il suo indennizzo. » « Il suo indennizzo? L'indennizzo è un regalo, non un diritto» sentenziò il signor Brothcock. « Deve avere l'indennizzo. Il piccone gli ha trapassato la spalla, signore. » « Sentimi bene. Non avrà alcun indennizzo. » Brothcock era fuori di sé. « L'indennizzo non spetta ai forestieri. L'indennizzo non spetta ai minatori che sono in torto. Tuo padre non doveva trovarsi dove si trovava. » «Mio padre stava dove doveva stare e lei lo sa molto bene! » « Non ho certo scritto questo nel mio rapporto a lord Fyffe. » Le mani di Jemmie tremarono sul piccone. Gli venne voglia di affondarlo esattamente dove era stato trafitto suo padre. Brothcock lo capì. « Hai qualche idea per la testa? » gli domandò Brothcock sorridendo. « Stavo ripensando a una cosa » rispose Jemmie. « Se lo ricorda quel sasso, signor Brothcock? Io, se fossi in lei, non l'avrei dimenticato. » « Già » fece il sovrintendente e con una pedata mandò Jemmie lungo disteso all'indietro, oltre la soglia e giù per gli scalini, facendolo atterrare con la nuca nel fango sporco di carbone. Alla notizia che a Gillon Cameron era stato negato l'indennizzo, i minatori dapprima rimasero sbalorditi, poi si spaventarono. Dopo quanto era successo a Cameron, chi mai avrebbe potuto sentirsi sicuro a Pitmungo? Così, andarono tutti in massa da Gillon per parlargli dell'ignobile sopruso che aveva subìto. Poi arrivò anche Selkirk. «Gillon, sei un monumento di stupidità e di ignoranza. » « Non capisco. » «Certo che non capisci. Non conosci i tuoi diritti, e nemmeno le leggi della tua terra. Sei un mendicante, sei. Uno che sta lì a sperare che gli mettano in mano 67
qualche moneta. » Si era espresso chiaramente ed era difficile negare l'evidenza. Erano mendicanti, tutti quanti, e Gillon si sentì disonorato. Superato il momento di rabbia, il bibliotecario parlò loro di una legge approvata dal Parlamento, la quale sanciva che tutti i lavoratori avevano diritto a un adeguato risarcimento in caso di infortunio sul lavoro, causato da attrezzature difettose o da negligenza da parte dell'impresa. « Non c'è bisogno di contare sulla buona volontà altrui » disse, « è una legge dello Stato. » C'erano altre persone nella stanza, tutti abitanti del Belvedere, che erano rimasti impressionati da quanto avevano udito: e cioè che avrebbero potuto liberarsi dalle grinfie di coloro che non concedevano l'indennizzo. Però, avevano paura. I loro antenati, gli schiavi, erano stati affrancati con una legge. Ma quella legge aveva dato loro la libertà di morire di fame. «Che devo fare?» domandò Gillon. « Citarlo in giudizio. » Pensiero inaudito. Nella stanza calò il silenzio. « Fallo, papà » disse Sam, pieno di timore reverenziale. « Cita lord Fyffe. » Gillon attendeva. In cuor suo stava già formulando la parola "sì". Era in attesa del momento in cui avrebbe finalmente cessato di rinnegare se stesso. Che questo fosse il modo giusto di farlo finalmente... citando lord Fyffe? « Sì, papà» disse Jem, « deciditi e citalo. » « Citalo per quel che ha fatto a me! » gridò Sandy Bone. Walter Bone indicò il punto dove un tempo si estendeva la zona sportiva. « Citalo per quel che ha fatto a tutti noi. » La rabbia s'era scatenata. Gli uomini cominciarono a gridare i nomi dei loro padri e dei loro fratelli mutilati dalla miniera, uomini costretti a strisciare per ottenere l'indennizzo da lord Fyffe. Il tumulto era grande e la notizia di ciò che stava avvenendo si propagò rapidamente per tutto il Belvedere. Gillon Cameron aveva deciso di citare lord Fyffe e di trascinarlo in tribunale come un volgare malfattore! La gente affluiva di corsa da ogni dove, tanto che la casa, a un certo punto, non poté contenerla tutta e il signor Selkirk dovette pestare i pugni per ottenere silenzio. « Ora vi sentite tutti molto coraggiosi » disse. « Vorrei sapere però chi di voi sarà il primo a spifferare tutto per filo e per segno, giù alla taverna, bevendo birra. Perché » continuò il signor Selkirk con tono deciso, «quando la citazione verrà notificata a lord Fyffe in persona - in persona dovrà essere una vera sorpresa. » Quindi prese la parola Andrew, l'assennato Andrew. « Io non credo che un normale lavoratore possa trascinare un conte davanti a un normale tribunale. E, anche se ci riuscisse, non è possibile che vinca. » Gillon fu costretto ad ammirare la saggezza di suo figlio, anche se essa raffreddava lo spirito della rivolta. « E, ammesso che ne abbia il coraggio, un pari dev'essere giudicato da una giuria di pari come lui e questi non giudicano mai in favore del lavoratore. » « Questo accade nei processi penali, secondo la legge comune » disse Selkirk. « Il nostro invece è un caso civile e in Scozia vige il diritto civile. » Tutti applaudirono, senza nemmeno sapere che cosa applaudissero. « E allora che facciamo? » domandò Walter Bone. « Porteremo lord Fyffe davanti alla Corte Suprema, da quel trasgressore della legge qual è. » La Corte Suprema. Il solo pensiero li rendeva entusiasti: vedere il loro signore e padrone al banco degli accusati, dove sedevano i bastonatori di mogli, gli ubriaconi abituali e i ladri di pecore. « è una cosa che si può fare soltanto se uno di noi ha il coraggio di farsi avanti. » Gillon cercò Maggie con gli occhi, per vedere che cosa esprimeva il suo viso. « Qui c'è un uomo e laggiù c'è un altro uomo » disse Selkirk, indicando col dito in direzione di Brumbie Hall, la dimora di lord Fyffe. « Noi faremo in modo che tra i due sia fatta giustizia. » Allora scese su tutti un silenzio sbigottito. Il bibliotecario sollevò la mano a mezz'aria, intonando questi versi: Che importa se da poveri mangiamo Se di luridi stracci ci copriamo? Lasciate ai vanerelli i bei broccati E ai loro stravizi i debosciati. Luccicano i loro orpelli, ma tant'è, Un uomo è un uomo vero per quel che è. E un uomo onesto, anche se non ha niente, Proprio per questo è il re della sua gente. Il signor Selkirk puntò il dito contro Gillon. « Sei pronto a venire con me a Edimburgo, 68
a firmare le carte?» « Sì, sono pronto » rispose Gillon. « Noo! » gridò Maggie. « Non permetterò che ci faccia una cosa simile! » La folla stava applaudendo e non diede retta a Maggie, ma Sam si avvicinò a sua madre e le tappò la bocca con una mano, trascinandola fuori della stanza. Poi la fece sedere su uno sgabello nella camera da letto. « Mio padre farà quel che deve fare, e nessuno glielo impedirà » disse Sam. Lei lo schiaffeggiò in pieno viso, cosa che non lo colse affatto di sorpresa, poi andò a prendergli un asciugamano, per arrestare il sangue che gli usciva a fiotti dalla mano, che lei gli aveva morso quasi fino all'osso. Però alla taverna e nei pozzi ne parlarono; ne parlarono nelle case e nei vicoli. Ci si domandava se la voce sarebbe giunta fino a Brumbie Hall. Quando Gillon e il signor Selkirk partirono per Edimburgo, lungo il Corso dei Carbonai tutte le finestre e le soglie erano illuminate; tutta la strada era gremita di gente; nessuno diceva nulla: era soltanto una piccola manifestazione di solidarietà da poveri sfruttati. « Ora tutti sono con me » disse Gillon. « Ma lo saranno sempre? » « Non ce n'è bisogno. Questa è una faccenda legale » osservò Selkirk. La primavera era stata piovosa e aveva nevicato spesso; il fiume che scorreva lungo la strada per Cowdenbeath era alto e impetuoso e parlare, con il rumore dell'acqua, era impossibile, ma Gillon non se ne dispiacque. Voleva pensare al giorno dopo. Se avesse perso la causa, l'avrebbero condannato a pagare i danni e le spese legali. Ma gli uomini avevano deciso, per mezzo dell'istituzione di un comitato formato da Walter Bone, chiamato Fondo per la Difesa di G. Cameron, di pagare tutto loro e di contribuire con un penny la settimana al sostentamento della famiglia Cameron, finché essa non avesse trovato altri mezzi per provvedervi. Tale fondo aveva dissipato molti timori e Gillon si sentiva pieno di gratitudine. Ma il signor Selkirk lo considerava il primo nucleo di un'organizzazione. I minatori, finalmente, erano uniti. Sebbene camminare, per Gillon, fosse assai faticoso, preferirono proseguire tutta la notte a piedi fino a Dunfermline, anziché fermarsi a dormire a Cowdenbeath e pagare una camera, e a Dunfermline presero il primo treno del mattino per Edimburgo. Attesero nell'anticamera dei due avvocati di venir annunciati. I nomi dei legali erano scritti a lettere d'oro su una targhetta di legno scuro: ANGUS MACGREUSICH MACDONALD - ALISDAIR CALDER. Gillon si sforzò di star calmo. Le altre persone che attendevano nella stanza avevano tutte l'aria benestante. « Tanto vale che tu ti metta tranquillo e ti prepari a una lunga attesa » gli susurrò Selkirk. « Non ci faranno certo entrare prima di costoro. Siamo dei poveracci, qua dentro. Noi mendichiamo il loro aiuto. » « Già » fece Gillon, il quale però non poté fare a meno di ricordare che la ragione per cui si trovavano lì era che, di mendicare, erano stufi marci. Poi finalmente la segretaria si affacciò alla porta con un cartoncino in mano. « I signori Selkirk e Cameron » disse. « Da questa parte. » Il signor MacDonald era alto e magro, ma di quella magrezza che non dipende dalla fame. Lui e Calder girarono attorno a Gillon, lo esaminarono come fosse un cavallo sul quale scommettere. « Ma costui non è un minatore » osservò infine Calder. « Sono considerato il miglior scavatore del mio turno » ribatté Gillon. « E non parla nemmeno come un minatore. » « Tanto meglio » disse MacDonald. « Una fortuna straordinaria. Bene » disse a Gillon, « vediamo questa ferita. » L'ingessatura copriva buona parte del lato destro del torace di Gillon e, qua e là, era chiazzata di rosso scuro; la ferita si era lievemente aperta e il sangue era filtrato attraverso la garza e il gesso. Gillon era imbarazzato. « Mi dispiace » disse. « Le dispiace? Questo è un dono del Cielo!» esclamò Calder. « Se fosse vestito a modo potrebbe passare per un damerino » disse MacDonald. « Selkirk, il suo amico è in gamba come mi ha scritto. Secondo me abbiamo trovato l'uomo che ci vuole. » L'avvocato domandò poi a Gillon dove avesse studiato, visto che si esprimeva così bene. « In nessun luogo » rispose Gillon. « Formidabile! Lo sapeva di essere un uomo formidabile? » Gli chiese di riferire come si fosse verificato l'incidente. Gillon s'infuriò vedendo che, mentre raccontava, gli avvocati dapprima sorrisero, poi scoppiarono a ridere fragorosamente. « Mi scusi » disse MacDonald, « ma quel comportamento è tipico di Elphinstone. Dovrebbe conoscerlo. E così sciocco! Un perfetto idiota! E questo che rende questo caso così perfetto, capisce ? » Poi Gillon venne adeguatamente informato. Secondo le norme della Legge per il 69
Risarcimento dei Lavoratori, il lavoratore infortunato doveva innanzitutto presentare regolare domanda d'indennizzo alla Compagnia. « Quanto chiede? » gli domandò MacDonald. « Quattrocento sterline. » Persino agli avvocati la somma sembrò esagerata. «Per un operaio?» disse Calder. « Va bene, non importa» intervenne MacDonald. « Sarà il giudice a stabilire la somma definitiva. Quel che preme a noi è portare questo caso in tribunale. » Sapevano che la domanda sarebbe stata respinta. Dopo di che Angus MacDonald in rappresentanza del suo cliente, signor Gillon Cameron, avrebbe chiesto al procuratore di stendere un mandato di comparizione per un certo C.P.S. Farquhar, meglio noto come conte di Fyffe, con l'ordine di presentarsi davanti al tribunale di Cowdenbeath nel giorno indicato, per discolparsi dall'accusa di aver negato un adeguato risarcimento al signor Cameron. L'ordine di comparizione doveva essere notificato a lord Fyffe, nella sua dimora di Brumbie Hall, da un messo giudiziario. Un uomo bruno, dall'aspetto robusto, comparve nel vano della porta. «Allora, è questo il nostro uomo ? » Poi entrò e strinse la mano a Gillon. « Non sarà facile, la avverto. » Gillon disse che ne era al corrente. Il bell'uomo bruno sorrise. Guardava Gillon con sguardo diverso da quello degli avvocati. «Ce la faremo, sa?» Poi, rivolto agli altri: «Ce la faremo». Quindi aprì una porta laterale e uscì nel corridoio. « Purché non ci abbandoni » lo sentì dire Gillon. « Qualsiasi cosa loro facciano, non ci abbandoni. » « Perché fate tutto questo per noi ? » domandò improvvisamente Gillon agli avvocati stupiti. «Per la causa » rispose Calder. « La giustizia, i diritti. » « Io, se ci tiene a saperlo, lo faccio per un senso di colpa » disse il signor MacDonald. « Conosco i sacrifici che ha dovuto fare mio padre per farmi arrivare fin qui. Non voglio rinunciare alla mia posizione di privilegio, ma intendo pagare la mia parte. » Era una confessione imbarazzante, ma Gillon capì che MacDonald era contento di averla fatta. Poi, l'avvocato prese la mano di Gillon. « Vedrà che tutto andrà bene. » Decisero di non fermarsi a mangiare a Edimburgo, dove si sentivano spaesati, ma di riprendere il treno per Cowdenbeath dove, come ben sapevano, il cibo sarebbe stato più buono e meno caro. « Chi era quell'uomo, che è entrato nello studio degli avvocati verso la fine ? » domandò Gillon a Selkirk. « Chi era quello ? Quello era Keir Hardie, amico mio. » «Keir Hardie? Quello lì? Perché nessuno m'ha detto niente?» « Keir Hardie non è importante di per se stesso, ma perché l'organizzazione creata da lui continuerà anche senza di lui. Un giorno, caro Gillon, per merito suo e, posso ben dirlo, anche per merito tuo, i vecchi potranno morire dignitosamente, e i giovani farsi strada nel mondo. » « Sai una cosa? » fece Gillon, stupito lui stesso della sua scoperta. « Tu sei un grande sentimentale. Io sogno soltanto un mondo migliore per me e per i miei figli, mentre tu vuoi un paradiso per i lavoratori. Non c'è da stupirsi se sei amareggiato; non vedremo mai il paradiso a Pitmungo. » « No, ciò che conta è la meta finale, il resto non è nulla » ribatté l'altro, e Gillon pensò che Selkirk, per quanto assurdo potesse sembrare, era molto simile a Maggie. Arrivavano entrambi alla stessa conclusione, battendo due strade diverse. CAPITOLO SECONDO Il mattino dopo, Gillon, insieme con Walter Bone in qualità di testimone, scese nell'ufficio di Brothcock per presentare la domanda di risarcimento. Gillon lesse il documento rapidamente ma con voce chiara, mentre il sovrintendente ruotava nella poltrona girevole, il viso paonazzo per la rabbia. Quando ebbe finito, Gillon gli consegnò il foglio. Il sovrintendente ne fece una pallottola, aprì lo sportello della stufa a carbone e lo gettò tra le fiamme. « Cameron, io non ho mai avuto il tuo foglio. » « Costui, signore » disse Cameron, indicando Bone, « glielo ha visto prendere in mano. Ha udito e ha visto. » Walter annuì. « Allora questo signore è un bugiardo. La sua parola contro la mia. E a chi dei due pensa che crederanno?» disse il signor Brothcock in tono sarcastico. Scrissero subito al signor MacDonald, per informarlo che la loro richiesta di indennizzo era stata respinta e per pregarlo di presentare regolare denuncia contro il conte di Fyffe presso il tribunale del paese di Cowdenbeath. Sebbene quando ebbero finito fosse già sera, Gillon pregò Sam di 70
far di corsa gli otto chilometri che li separavano da Easter Mungo e di imbucare là la lettera, perché si sapeva che tutta la posta in arrivo e in partenza da Pitmungo passava prima attraverso la censura della Compagnia. Accadde prima di quanto si aspettassero. Nessuno a Pitmungo notò il messo giudiziario arrivare e partire, così che nessuno poté mai stabilire il momento preciso in cui a lord Fyffe fu consegnata la citazione. Quando si pensò alla reazione che poteva aver provocato quell'ordine di comparizione, molti ritennero che il messo era stato fortunato a uscire sano e salvo da Brumbie Hall. Il colpo doveva certamente essere stato duro e imprevisto. Quel pomeriggio stesso, quando gli uomini uscirono dal lavoro, lord Fyffe chiuse i pozzi, impedendo l'accesso ai minatori. Al cader della sera milletrecento uomini, donne e bambini erano senza lavoro. Il mattino dopo, all'imboccatura di ogni pozzo venne affisso il seguente avviso: A TUTTI I MIEI MINATORI Uno di voi ha ritenuto opportuno far consegnare al padrone della vostra miniera un ordine di comparizione, con l'intento di trascinarlo in tribunale come un volgare malfattore. Come voi tutti sapete, la Compagnia Ferro e Carboni di Pitmungo è stata sempre estremamente generosa nel compensare quelli fra voi, che sono stati vittime di un infortunio sul lavoro. Vorrei rendere noto quanto segue a tutti voi: Ogniqualvolta un minatore subisce un infortunio, la sua disgrazia a Brumbie Hall è profondamente sentita. A ogni pasto si prega per la sua pronta guarigione e vengono subito prese misure per un adeguato e giusto indennizzo. Il rapporto che lega padrone e minatori, vi prego di crederlo, è stato finora in tutto simile a quello che esiste fra un buon padre e i suoi figli, ciascuno dei quali contribuisce alla felicità dell'intera famiglia. Come in ogni famiglia, quando un componente è colpito, tutti devono soffrire. Ciò è ancora più valido nel caso in cui la vittima sia il capofamiglia. Fino al giorno in cui questa spregevole denuncia non verrà ritirata e cancellata dai ruoli del tribunale, la miniera rimarrà chiusa. Concludo, in uno spirito di reciproca fiducia e nella convinzione che Dio provvederà, affinché la nostra serena famiglia continui a esistere. Che Dio vi benedica, che Dio vi restituisca al vostro lavoro. Fyffe - Per ogni giorno in cui la miniera restava chiusa, quelli di Brumbie Hall - cioè il signor C.P.S. Farquhar, come aveva preso a chiamarlo la gente, e lady Jane Tosh-Mungo - perdevano centinaia di sterline. Si trattava di vedere per quanto tempo l'orgoglio avrebbe prevalso sulla brama di guadagno. Mai, a Pitmungo, aveva regnato un'atmosfera simile. Un po' a causa della serrata e un po' a causa di quella nuova solidarietà, gli uomini erano euforici. Ma lo erano anche per via di giugno e del sole, che era tornato a far capolino. Gli uomini non ricordavano il mese di giugno fin dai giorni della loro infanzia. Il sole inondava gli angoli più riposti del paese. Si spalancavano le finestre e tutta la muffa e i cattivi odori dell'inverno dei minatori cominciavano a svanire nei dolci venti intiepiditi dal calore della stagione. In quei giorni, nessuno si preoccupava della serrata. La gente si riversava fuori delle piccole case di due vani e si crogiolava al sole ubriaca di luce e quasi senza muoversi, come celebrando un antico rito. Ce l'avevano nel sangue, quel sole, e per troppo tempo ne erano stati privi. Ora, regnava un'atmosfera di festa, di baldoria, di felice spensieratezza. Durante tutti quei primi giorni, gli uomini andavano in pellegrinaggio a Tosh-Mungo - ormai erano cadute le barriere tra la parte alta e la parte bassa del paese - per esprimere la loro solidarietà. Persino Andro Begg salì ansimando la collina - ormai era in preda alla silicosi - per chiedere a Gillon se voleva che lui, Andro Begg, affrontasse da solo il signor Brothcock, quando la lotta fosse diventata seria. Anche Archie Japp, il quale per tanti anni era stato molto ostile a Gillon, andò a offrirgli aiuto. « Io, quella gente, la conosco meglio di te e quando a Londra gli azionisti non riceveranno più gli assegni del dividendo, a Pitmungo cominceranno ad arrivare strane lettere. Quei signori hanno le loro abitudini e non sono certo disposti a rinunciarvi.» Anche Maggie si unì al coro, a modo suo. « Forse stai facendo una cosa giusta, Gillon. Forse. » « Oh! Questa sì che è bella! Tutti gli uomini importanti del paese vengono qui a offrirmi la loro solidarietà e mia moglie si degna di ammettere che forse in questa storia c'è qualcosa di buono. » Stranamente, l'unico pessimista era Henry Selkirk. « Quelle brave persone di 71
Edimburgo non sanno nemmeno cosa sia la fame. La gente comincia già a sentirne il morso e la lotta è appena cominciata. » Per Gillon fu una rivelazione. Percorse instancabilmente il Belvedere e Moncrieff Lane per rendersi conto della situazione. Non avevano scelto bene il momento, per presentare la citazione. In tutti gli orti erano state piantate patate, rape, barbabietole e fagioli, ma sarebbero trascorsi mesi, prima che la gente avesse potuto consumare quei prodotti della terra. Se la serrata fosse cominciata in agosto o in settembre, avrebbero potuto vivere per molto tempo cibandosi delle verdure dell'orto. Inoltre, quel che era peggio, per metterli ancora più alla fame, lord Fyffe aveva chiuso lo Spennapolli e il forno, così che a Pitmungo non si faceva più credito. Un giorno, a Gillon fu recapitata a mano una lettera proveniente da Cowdenbeath, che diceva: Caro Cameron, non credere che non sappiamo quello che stai passando. Non è la prima volta che in Scozia accade una cosa simile. Ma questa è la prima volta che avrà successo. Un'impresa ardua come la tua richiede grande coraggio e grande costanza. Nessun grosso premio si conquista facilmente. Materialmente, hai molto da perdere; più di te, però, ne hanno i padroni. è una consolazione ricordarlo, in tempi duri, e soprattutto ricordare che non combatti da solo. Le speranze dei minatori di tutta la Scozia sono con te e con gli uomini di Pitmungo. Il tuo compagno Keir Hardie. Copie della lettera vennero distribuite nei vicoli. « Ci daranno una mano, vedrai » diceva Walter Bone. « La Federazione Scozzese dei Minatori ci aiuterà a superare la crisi. » Era strano, per Gillon, assistere a quel mutamento d'opinioni a Pitmungo. Qualche mese prima la parola "unione" li avrebbe spaventati, ora invece tutti sapevano che era la loro unica speranza. Ma presto cominciarono ad abituarsi al sole, e la gioia di non dover lavorare cominciò a svanire. Il guaio del movimento era che il movimento non si vedeva. La lotta si svolgeva nei tribunali e negli uffici giudiziari lontani dal paese. L'unica cosa che i minatori di Pitmungo potevano fare era starsene sulla soglia in attesa del processo. Gli uomini fumavano le loro provviste di tabacco che erano sempre più magre e ascoltavano l'allegro fischio delle sirene, che chiamavano al lavoro, giungere da Wester Mungo, l'altro paese sul pendio opposto della valle. La crisi scoppiò in tutta la sua gravità alla fine di giugno, quando le rape e l'avena rimaste dall'inverno furono esaurite. «Bene, ora le donne si lamenteranno » disse Selkirk. « L'ho visto accadere in altri posti e non si può biasimarle: quando i bambini piangono, perché non riescono a dormire per la fame, tu non hai idea di quanto una questione di principio possa apparire futile. » « No, le donne, qui, appoggiano i loro uomini » disse Gillon, guardando Maggie e sapendo che lei a quella solidarietà non credeva affatto. D'altronde, Maggie aveva sempre avuto pochissima stima per le donne di Pitmungo. La domenica, in chiesa, notò i primi sguardi vagamente ostili. La predica verteva sul grande peccato di avere false ambizioni e sull'ingordigia della gente che voleva salire più in alto di quelli che Dio aveva posto un gradino più su, sulla scala. Alla fine, quella brama avrebbe portato all'insuccesso, perché l'uomo si sarebbe trovato fuori dell'ordine naturale delle cose. La gente, a quelle parole, si voltò a guardare Gillon. Jemmie uscì di chiesa. Dopo di lui si alzò Sam. E dall'altro lato della chiesa, Sarah Cameron Bone. Gillon si sentì avvampare. Poi uscì Andrew, la faccia rossa come quella del padre; e altri si alzarono di comune accordo, ma erano in pochi. La protesta era stata fatta, ma anche il messaggio del predicatore aveva lasciato il segno. Mentre usciva dalla chiesa, Gillon venne fermato da una vecchia. « Chi ti credi di essere, in nome di Dio, e dove vuoi arrivare? » gli domandò. Gillon fu ferito dall'ostilità che le lesse negli occhi. « Lo sai quanto ci fai soffrire per appagare il tuo orgoglio? » A Gillon non sfuggirono i cenni di assenso degli altri. « E va bene. Cosa dovrei fare, secondo te?» domandò Gillon alla moglie. Era la prima volta, dopo la sera in cui Maggie aveva morso la mano di Sam, che loro due affrontavano apertamente l'argomento. « Non lo so. Tu ti sei cacciato in questo pasticcio e ora tocca a te uscirne. » « Non voglio uscirne. Non intendo uscirne. Ma voglio farne uscire gli altri. » « Ma non puoi fare l'uno e 72
l'altro, vero, Gillon ? » « Non sopporto gli sguardi ostili della gente nel vicolo; i bambini che implorano cibo. » « Non hai che da andare a Brumbie Hall e dire loro che ritiri la citazione. » « Perderei la faccia a farmi rivedere qui, lo sai benissimo. » Maggie si alzò dalla sedia dove stava lavorando e gli si accostò. Non lo toccò, ma gli si mise vicinissima. « Va bene, allora. Entrambi avete il vostro orgoglio, ma lui deve mandare avanti un'impresa che vale un milione di sterline. Hai guardato se ci sono navi, vecchio mio?» « Che c'entrano le navi, ora? » « Non penserai che lui abbia deciso la serrata se al molo c'erano le navi carboniere, vero?» Ci sono momenti in cui uno si sente dire la verità e capisce di essere stato uno sciocco. Avevano sofferto un mese per nulla: l'astensione dal lavoro non aveva fatto né caldo né freddo alla Compagnia. « Quando al largo di St. Andrew ci sarà un certo numero di navi, lord Fyffe troverà qualche scusa, perché Brothcock riapra i pozzi. E gli uomini torneranno al lavoro, Gillon, perché saranno le donne e i bambini a volerlo. Così, tutto tornerà al punto di prima. » « Ma il processo ? Te ne sei dimenticata. Se ci sarà il processo, avremo vinto; lui non potrà far finta di niente. » « Lo credi davvero ? » disse Maggie con voce triste, persino accorata. « E allora, cosa devo fare ? » « Oh, Gillon, sbrigati, via. Manda qualcuno nell'alta brughiera a contare le navi nel porto, così saprai a che punto siamo. » Nella brughiera pioveva e faceva freddo: era una serata rigida e fuori stagione. «Jem non riuscirà a contarle: con questo tempo non si vede bene dall'alto » obiettò Gillon. « Allora dovrà andare giù al molo. Ci sono dei bambini che piangono tutta la notte perché non hanno da mangiare e tu ti preoccupi tanto di chiedere a tuo figlio di bagnarsi un po' nella brughiera ? » Guardarono Jemmie che era tutto raggomitolato, accanto ai resti del fuoco. «Non voglio andare, papà » disse Jem. «Perché no?» domandò Gillon, con voce dura. Maggie aveva ragione. « Non mi sento bene. » « Non ti senti bene. Lo sai che hanno visto un bambino mangiare terra, giusto per riempirsi lo stomaco? Tirati su. » Jem obbedì. « A vederti, stai benissimo. » « Può darsi, papà, però non mi sento bene. » Sua madre gli mise una mano sulla fronte. « Stai bene, invece. Se ci fosse una partita di campionato a Cowdenbeath, oggi, ci andresti? Sii sincero. » Jem sorrise fra sé e sé. « Sì » rispose, « ci proverei. » Si mise il giubbotto da lavoro e il berretto. « Però, non mi sento bene » ripeté sulla porta. Aveva la faccia tirata e il respiro affannoso. « Buona notte. » Quando Jem aprì la porta, Gillon avvertì una gelida ventata entrare nella stanza. La strada era deserta, così nessuno al Belvedere Tosh-Mungo vide chi fu a gettare i ciottoli contro la porta e le finestre, rompendo i vetri e i telai. A uno dei sassi era legato un biglietto. Non sei Gesù Cristo. Non vogliamo morire per i tuoi peccati e per i tuoi soldi. Rinuncia! Gillon inchiodò delle tavole di legno alle finestre, ma il vento gemeva e faceva un gran freddo. Povero Jem nella brughiera, pensò Gillon. Non avrei dovuto mandarlo fuori. Tutto stava andando a rotoli. Alla fine si addormentò. Quando si svegliò, salì subito nella camera dei ragazzi: Jem non c'era. Tornò di sotto e aprì la porta. A oriente si vedeva una punta di grigio, un'idea di sole. Di Jem, neanche l'ombra. « Alzatevi » disse ai ragazzi. « Jemmie è nella brughiera. » Presero un'imposta della finestra e si sparpagliarono per battere la brughiera. Sam trovò Jem proprio sulla cima, tutto raggomitolato e tremante. Il ragazzo si portò una mano alla gola come per dire qualcosa, ma emise un suono gracchiante e poi mostrò sei dita. « Cosa vuol dire? » domandò Sam. « Sei navi » spiegò Gillon; « è andato giù al molo a contarle » e si sentì venire le lacrime agli occhi. Avvolsero Jem nelle loro giacche e nei maglioni e lo legarono all'asse di legno. « Io dico che è grave » disse Andrew. « Dico che è gravissimo. » Quando lo portarono in casa, Maggie guardò suo figlio e poi Gillon. « Allora stava male davvero. » C'era un gruppo di uomini sulla soglia e Gillon pensò che fossero venuti a guardare i danni, ma invece erano venuti per parlargli. « E venuto a cercarti il signor Brothcock » disse Walter Bone. In quel momento, la cosa non gli sembrò affatto importante. « Lord Fyffe vuole che tu vada a Brumbie Hall sabato pomeriggio, per il tè. » « Andate a prendere del carbone » ordinò Maggie. « Prendete tutto il carbone che potete. » Sam e Andrew presero le ceste e uscirono. « Tu » proseguì rivolta a Emily, « va' a cercare tua sorella Sarah. » Avevano portato il letto buono nella cucina accanto al focolare. Maggie strofinò il ragazzo con un asciugamano ruvido e gli circondò 73
il corpo e i piedi con mattoni caldi avvolti nella flanella, poi lo coprì ben bene. « Tu bada a tener caldi i mattoni, uno per uno » disse a Gillon, « finché non comincia a sudare. » « E tu » disse a Ian, « so che hai rubato della roba allo Spennapolli. » « Mamma! » « Credevi che non lo sapessi, ragazzo mio ? » Non avevano mai visto Ian a disagio. « Non so come tu faccia a entrare o a uscire senza farti vedere, ma ora dovrai farlo per tuo fratello. Portami una bottiglia o due di estratto di limone, un sacchetto di zucchero greggio, una bottiglia di glicerina. Corri alla taverna e di' a quel poco di buono di tuo fratello di farti avere una bottiglia di buon whisky. Come se lo procura, non m'interessa. Hai capito bene ? » « Sì. » Per fortuna, Ian aveva una buona dose di sangue dei Cameron, pensò sua madre: quanto bastava per sperare che avrebbe procurato ciò che lei gli aveva ordinato. Dalla dispensa, Maggie tirò fuori un pezzo di carne di maiale salata che aveva tenuto da parte per i tempi duri. Ne tagliò due fette e le fece bollire adagio nell'aceto; poi le lasciò raffreddare un attimo e le applicò sulla gola di Jem. Sarah salì il viale del Belvedere. «S'è buscato un terribile raffreddore. Ha preso freddo nella brughiera. Se riusciamo a farlo sudare, starà bene » le disse sua madre. « Cosa è andato a fare lassù stanotte ? » « Ce l'ha mandato tuo padre » rispose Maggie, uscendo a prendere dell'acqua. Ma quando fu tornata confessò: « Ce l'ho mandato io ». Sarah capì che era meglio non porre altre domande. Rob Roy s'affacciò alla porta col wkishy e chiese a sua madre se poteva entrare. « Certo che puoi entrare. Questa è casa tua. Non dovresti fare delle domande così idiote in un momento come questo. » « Non sarà meglio far venire il dottor Gowrie? » suggerì Rob. « Abbiamo fatto tutto ciò che farebbe lui » disse Maggie. Sam e Andrew tornarono, con le ceste piene di carbone, e strinsero la mano a Rob. Non avevano bisogno di scambiarsi delle parole. Gillon era chino sopra il figlio: ne ascoltava il respiro affannoso, ansioso e al tempo stesso timoroso di toccarlo; poi, avvicinandosi al tavolo, si accorse che c'era Rob Roy. « Sono contento che tu sia venuto. Bentornato a casa. » Si strinsero la mano e si abbracciarono. Alcuni bambini, figli dei vicini di casa, stavano sulla soglia. « Io li manderei via di qua » disse Rob. « Sono più esposti di tutti, i piccoli. » « Esposti a che cosa? » domandò Maggie. La domanda imbarazzò Rob Roy. « Alla difterite. E questo che ha Jem, non è vero? » Quella parola gettò un brivido nella casa. « Cos'è la difterite? » domandò Emily, ma nessuno le rispose. « Che cosa te lo fa pensare? » Gillon era irritato con suo figlio. «Il suo aspetto, il rumore che fa quando respira. Ne ho visti altri come lui, giù alle baracche. » Poi cambiò discorso. « Senti » disse al padre, « eccoci qua insieme: io, il grande chiacchierone, quello che si riempie la bocca di rivoluzioni, e tu, quello che ha fatto sul serio. Tu sei l'uomo che il conte di Fyffe è costretto a invitare a Brumbie Hall per discutere il crollo della società capitalista. » Jem si lamentò. « Ricordi quando ti dissi che volevo cambiare il mio cognome, il cognome Cameron? Be', ora non lo cambierei con nessun altro al mondo. » Rob Roy lo disse gridando e Jem, in quel momento, pronunciò le sue prime parole intelligibili. « Ti voglio bene, Rob, ma per amor di Dio, sta' zitto » disse. Subito lo fecero sedere sul letto e gli fecero sorbire, cucchiaino per cucchiaino, due litri abbondanti di tè forte con succo di limone, glicerina e whisky bollente. Nelle prime ore del pomeriggio Jem buttò fuori tanto sudore che le coperte di lana lavorate a maglia fumarono. Per tenerlo in forze gli diedero acqua calda e zucchero greggio e Sarah, perché non perdesse i sensi per il gran calore, gli bagnò la testa bruciante con acqua ed estratto di amamelide. Verso sera la sudorazione cessò e la voce di Jemmie risuonò più ferma. Gli cambiarono la biancheria fradicia e gli misero delle coperte asciutte. Il peggio era passato. Potevano tornare al problema del momento. CAPITOLO TERZO «Il fatto è » disse Gillon, « che non so come rivolgermi a lui. Che gli dico?» La realtà dell'incontro con lord Fyffe cominciava a farsi sentire in tutta la sua importanza. « Comportati da uomo. Devi entrare a casa sua da vero uomo e da vero uomo devi uscirne, questo è tutto » disse qualcuno. Ci fu un mormorio di approvaziOne. Per riguardo a Jemmie e a causa delle finestre rotte dei Cameron, 74
la riunione si teneva in casa di Walter Bone. Trenta uomini in tutto, provenienti da ogni strada di Pitmungo. L'umore del paese era cambiato di nuovo. Il padrone era stato costretto a invitare il minatore nel suo castello! Ma Gillon sentiva un vuoto allo stomaco: era nervoso. « Il padrone ti ha invitato per il tè » disse Archie Japp. « Non importa se rovesci la tazzina sulle ginocchia: lui vuole arrivare a un accordo. E io dico che un accordo per i Cameron è una vittoria per tutti noi. » Queste parole provocarono un applauso e Gillon si sentì meglio. « Ma io quale accordo devo proporgli? » «Al momento giusto Gillon Cameron si alzerà in piedi e dirà quel che ha da dire, ve lo garantisco io » intervenne Walter Bone. Durante la riunione, Andrew era distratto come mai gli era accaduto e la sua mente vagava lontano da quegli argomenti di così vitale importanza. Si parlava del destino di suo padre, ma Andrew non prestava ascolto alle parole degli uomini. Guardava Alyson, la figlia minore di Walter Bone, che stava ritta sulla soglia della stanza interna. Il suo cuore si comportava in modo strano e il giovane si domandava che cosa gli stesse accadendo. Quando Alyson Bone scomparve nell'altra stanza Andrew si sentì abbandonato. Stavano parlando di prendere le misure a suo padre per fargli fare un bel vestito da Moffats, a Edimburgo. Andrew non riusciva a seguire i loro discorsi. La ragazza era tornata nella stanza e il suo cuore aveva ripreso a palpitare. Con grande stupore, poiché non le aveva mai rivolto la parola in vita sua, Andrew si accorse di amare Alyson Bone. Nel frattempo il padre della ragazza s'era messo a pestare i pugni sul tavolo, molto irritato, e Andrew, calmatosi, tornò sulla terra. « Sono tutte sciocchezze, tutte cose che non stanno né in cielo né in terra. Non si può fargli fare un vestito in così poco tempo » stava dicendo Walter. Andrew balzò in piedi. « Io so cosa può mettersi mio padre, una cosa su cui nessuno scozzese può trovare da ridire. » Fece una pausa, cercando Alyson con gli occhi. « Su, parla » disse il signor Bone. « Il tuo kilt, papà. » Tutti annuirono ripetutamente. Era un'idea eccellente: era l'unico abito che superava ogni distinzione di classe. « è vecchio e sporco » protestò Gillon. « No, è pulito, papà » disse Andrew, « è in una cesta di paglia su in soffitta. » «è proprio tuo quel kilt, Gillon?» domandò Walter Bone. «Ha i colori della tua famiglia, non è roba dell'Esercito? » « Sì. Il kilt e i colori sono dei Cameron. Del Settantanovesimo reggimento dei Cameron Highlanders, il mio clan, se la cosa può avere qualche importanza. » « Importa molto, fratello, in Scozia importa molto, fratello. » L'idea che uno di loro percorresse marciando il Corso dei Carbonai fino a Brumbie Hall con indosso il kilt del suo clan, accompagnato dal ricordo di valorose imprese, li esaltava. «Ce l'hai una blusa? Una di quelle con l'increspatura ai polsi?» Gillon non l'aveva. « Quella possiamo acquistarla a Dunfermline domattina. C'è un negozio che serve la clientela signorile. » « Sì, e poi ci starebbe bene una giacca di tweed » fece Gillon. C'erano un'infinità di buone giacche di tweed, a Pitmungo. « E poi si metterà il cappello » disse uno, con voce trionfante. « Quel grande, meraviglioso cappello. » Ma Gillon dovette deluderli. « L'ho perduto » confessò. I presenti ammutolirono. S'erano fatti beffe di quel cappello, ma solo perché era una sfida troppo grande per loro. « Posso procurarmi un berretto scozzese » disse Gillon. « Uno di quelli coi bordi a scacchi bianchi e rossi e i nastri che scendono sulla nuca. » « A Dunfermline, domattina. » « E poi mi serve un paio di calzettoni lunghi fino alle ginocchia. » « E poi le scarpe. Devi mettere le scarpe con la linguetta che viene fuori » affermò John Trotter, un ometto pieno di risorse. « Che numero porti ? » Gillon gli disse che portava il quarantaquattro. « Ce la fai a entrare nel quarantatré? » Gillon annuì. « Te ne posso procurare un paio stasera, ma non chiedermi come. » Gillon si domandò quali circostanze avessero congiurato perché proprio lui, fra tutti, fosse stato scelto per combattere contro il più potente padrone di miniere del Fife, lui che apparteneva al mare aperto e pulito. « Mi stai ascoltando, amico? » gli domandò il signor Bone. « Non mi pare tu dimostri un interessamento adeguato a una questione così importante. » «Che c'è ancora?» «Hanno deciso che devi accettare cento sterline, se te le offrono. » « E un po' poco » protestò Gillon. « Io ne ho chieste quattrocento. » Quella somma irritava sempre il paese. « Il mio orgoglio subirà un fiero colpo. » « Però, sarà un riconoscimento della tua richiesta, Cameron, non il capricciO del 75
padrone. Pensaci, amico. Sarà il suo orgoglio a subire un fiero colpo. » La riunione era finita. Dopo di che, tutti gli si affollarono attorno, offrendogli consigli, incoraggiamenti e proposte. « Ricordati poi » gli disse John Trotter, « che quando la cameriera ti chiede cosa vuoi nel tè, devi dire: "Una goccia di limone, per favore". Niente latte, niente zucchero. Il latte ce lo mettono i minatori. » « Ma io sono un minatore. » « Tu sei il nostro rappresentante. Limone, capito? » Gillon si domandò che cosa avrebbe messo nel tè Carlo Marx. Poi se ne andarono tutti, tranne Gillon e Andrew. « Invitato al tè a Brumbie Hall » disse Walter Bone. « Chi l'avrebbe mai creduto, quel giorno che ti presentasti ai cancelli della miniera? So che non ci farai fare una brutta figura, Gillon. » « So che farò del mio meglio. » « Che la fortuna l'assista, signor Cameron » disse Alyson Bone, nell'ombra. La sua voce fu per Andrew come un dolce vento che spira fra le canne secche. « Che ore sono ? » «è mezzogiorno, papà » rispose Sam. « Mancano ancora cinque ore. » « Non può essere. » « Vorresti fosse più presto o più tardi ? » « Non lo so. » Gillon sentì nuovamente le fitte allo stomaco. « Non è una condanna a morte » gridò a un tratto. « Non vado laggiù per morire! » Nella stanza tutti tacquero, rispettando lo stato d'animo di Gillon. Infine, Maggie ruppe il silenzio. « Non si invita al tè il marito senza la moglie. Strano che non abbiano invitato anche me. » « Forse lady Jane ha delle mire su Gillon » disse il signor Selkirk. « è gagliardo, ha un aspetto aristocratico e dicono che... » « Lei si crede davvero spiritoso, signor Selkirk ? » l'interruppe Maggie. Calò di nuovo il silenzio e si udì soltanto Sam leggere un libro a Jem con voce monotona e poi il rumore del vento che gemeva fra i pini. Era una giornata grigia, ma per fortuna senza pioggia. Era importante che Gillon non arrivasse a Brumbie Hall con i capelli appiccicati al viso e il kilt gocciolante sui pavimenti lustri. Poi venne l'ora del bagno. La cicatrice sulla sua spalla era brutta. « Dovresti andar laggiù senza camicia » disse Selkirk. « Lady Jane si sentirebbe male e direbbe: "Dategli questi soldi e mandatelo via". » « Ricordati, papà, di non usare per nessuna ragione la mano destra » l'ammonì Andrew. « Fagli vedere, a quello, che il tuo braccio non è più buono a nulla. » Quindi Andrew si alzò per andare nella brughiera e contare per l'ultima volta le navi nel porto. Jem ne aveva viste sei. Se nel porto ce ne fossero state otto o dieci in attesa di esser caricate, il conte avrebbe agito spinto dall'urgenza di riaprire la miniera, ed esserne informato preventivamente poteva significare per Gillon avere un asso segreto nella manica. Andrew calcolò che avrebbe impiegato un'ora e mezzo per raggiungere la sommità della brughiera e contare le navi, e quaranta minuti per tornare a casa. Aveva tutto il tempo che voleva. Tuttavia decise di fare la strada di corsa, per lo meno fino al punto in cui la salita diventava ripida. Gli faceva bene essere fuori di casa con tutta quella gente che non la finiva più di propinare consigli a suo padre. Gli faceva bene correre un po'. Il tempo stava schiarendo. Arrivato al termine del Belvedere, trovò Alyson Bone. Sembrava fosse lì ad attenderlo. Quando le fu vicino, smise di correre. « Che bella idea hai avuto » disse Alyson. Lui si voltò a guardarla stupito, come se neppure l'avesse vista. « Oh! » Poi sbatté le palpebre. «Quale idea? » « Il kilt. Col kilt sarà tutta un'altra cosa. » « Lo spero. » Non gli venne in mente altro da dire. Era così bella e il suo comportamento, per Pitmungo, era così strano: nel paese le ragazze dileggiavano sempre i ragazzi o li insultavano. «Come sta oggi tuo padre?» Andrew sorrise. « Oh, è nervoso, ma c'era da aspettarselo. » « Non gli do torto. Mi sentirei male all'idea di andare a Brumbie Hall. » « Oh, tu non avresti problemi con quella gente. » Lei lo guardò stupita. «Perché dici questo?» « Be', sei così... così... Non avresti bisogno... » Qui Andrew s'interruppe, furibondo di non riuscire a esprimere ciò che voleva. « E allora? Non avrei bisogno di cosa? » « Sei così bella » sbottò di colpo Andrew e poi s'avviò dritto verso la brughiera, non osando guardarla, perché era rosso in faccia. Lei gli andò dietro. « Che cosa diamine vuoi dire? » Possibile che non capisca, si domandò lui. « Siccome sei molto carina, basta che ti metti lì e tutti sono contenti. Le persone carine sono una razza a parte. » Lei continuava a camminargli a fianco. Lui era emozionato, addirittura un po' euforico. Gli sembrava che in quella giornata tutto fosse consentito. « Ti piacerebbe salire nell'alta brughiera con me ? Sta 76
schiarendo. » Poi ebbe paura di guardarla. Trascorse parecchio tempo, prima che lei rispondesse. « Sì, verrò con te nell'alta brughiera. » Lui sentì il cuore balzargli nel petto. « Ah, bene. Andiamo, allora » disse Andrew, avviandosi su per il sentiero. Dopo un po', il silenzio si fece penoso, ma lei salvò la situazione. « Come sta tuo fratello Jem, oggi? » « Credo che stia bene, ora. Il peggio è passato. Lo sta curando Sarah e non c'è nessuno che sia migliore di lei. » Poi, si voltò a guardarla. Era così bella che fu pieno di stupore all'idea che salisse con lui nella brughiera. Di solito, solo le ragazze che lavoravano ai pozzi e le "gonne verdi" salivano nella brughiera con i ragazzi che conoscevano appena. Quando ebbero attraversato il frutteto, la ragazza dovette fermarsi a riposare. « Se ti chiedo una cosa, me la dirai ? » « Oh, sì, credo. Penso di sì. » «Perché voi Cameron salite sempre nell'alta brughiera?» Lui restò di sasso, perché sapeva di non poter risponderle con sincerità. "A cercare uova di pernice" era la risposta che davano invariabilmente tutti i Cameron, ma Andrew, questa volta, non riuscì a proferire quelle parole. « Conosco la risposta che date di solito » disse la ragazza. «Ma io lo chiedo a te. » « Non posso dirtelo » fece lui. « Perché non ti fidi di me. » « Oh, sì. » Si sarebbe fidato di lei per qualsiasi altra cosa, pensò. Ma quello era un segreto della famiglia, un segreto che non soltanto a lui apparteneva. « Non posso dirtelo, assolutamente. Hai capito? » « No, capisco che non ti fidi di me. » Alyson si voltò e tornò indietro. « Non andartene! » le gridò Andrew. « Non lasciarmi così, ti prego. » Poi, la rincorse. « Senti, anche i Bone sono una famiglia fiera. Se tu avessi un segreto di famiglia, che ti avessero fatto giurare di mantenere non me lo confideresti. » « Oh, sì che te lo confiderei. » Lui non s'aspettava quella risposta e ne fu disorientato. «Perché io mi fiderei di te. » E tuttavia le parole non venivano; specialmente quel giorno, in cui suo padre stava per affrontare lord Fyffe, lui non poteva infrangere il segreto mantenuto per tanti anni dalla famiglia. La ragazza continuò a scendere, camminando fra i meli. « Alyson! Torna indietro. Ti dico tutto. » Però non le corse dietro e capì che non gliel'avrebbe mai detto. La famiglia veniva sempre al primo posto. Senza la famiglia la vita non aveva senso. I Bone raccontassero pure i loro segreti. I Cameron non l'avrebbero mai fatto. Proprio un Cameron dovevo nascere, si disse Andrew, soffrendo a ogni passo mentre saliva la brughiera. "Perché proprio io?" si domandò, cosciente di aver forse rinunciato all'unico grande amore della sua vita per rimanere fedele a un altro amore. A Gillon sembrava di essere rimasto nella tinozza per ore. Volevano che sembrasse uno storpio e invece lo spedivano laggiù come un guerriero delle Terre Alte, che dovesse sfilare in parata. « Quanto tempo manca? » gridò improvvisamente. « Tre ore e poi ti metterai in cammino » gli gridò Maggie di rimando. Ti metterai in cammino. Le parole del boia. Gillon sentì un brivido lungo la schiena, e quando cominciò a vestirsi lo fece pensosamente come uno che sappia di farlo per l'ultima volta. Dopo aver indossato il kilt e averlo fermato con la spilla si sentì trasportato fuori da quello squallido mondo. Quando si muoveva le pieghe del gonnellino ondeggiavano e i suoi colori, il blu e il verde acceso, il giallo e il rosso delle strisce fiammeggianti erano una vista esaltante in quel mondo tutto soffuso di grigi e di neri. La blusa era morbida e bianca, color latte, la tinta caratteristica degli indumenti di ottimo lino. « Papà! » esclamò Emily. «Sei bellissimo. » « Già, è vero. Sei l'immagine della Scozia » osservò Sam. Con il suo kilt, Gillon era l'incarnazione dei sogni del suo popolo. « Jemmie vuol vederti, papà » disse Sarah. Gillon e Sam andarono insieme nella stanza, dove Jem giaceva nel letto dei genitori. Il ragazzo sorrise e fece cenno a Sam di avvicinarsi. « Cosa dice ? » domandò Gillon. « Dice che se non vai laggiù e non ti comporti da vero uomo, quale appari così vestito, si alza e ti alita in faccia. » Risero e quella prima vera risata ebbe il potere di allentare la tensione. Tutti allora vollero dire la loro. « Voglio bermi un bel whisky... » «No, no, non devi » disse Maggie. « E invece me lo bevo. » Gillon passò davanti alla moglie e prese la bottiglia. « Chiunque vuole farmi compagnia è il benvenuto » continuò, versandosi nella tazzina due dita di whisky. « Alla salute di Jem, che si rimetta presto. » « Al nostro papà, che trovi le parole giuste. » « Al conte di Fyffe » disse Gillon. « Al conte di Fyffe! » gridarono 77
tutti. In quel momento vennero gli uomini a sistemare i vetri delle finestre. Quando le assi di legno furono rimosse e la casa si riempì di luce, i Cameron videro che nel vicolo sostava della gente. « Oh, Cameron » fece il vetraio, togliendosi il berretto. « Sei talmente bello, che mi fanno male gli occhi. » « Mi sento di nuovo il fuoco addosso » susurrò Jemmie. « Va' a chiamare Sarah.» Sam posò il libro che stava leggendo al fratello e andò a chiamare la sorella. Cercarono di non far rumore, perché non era il momento di disturbare il padre. Sarah tentò con le solite compresse fredde e con l'amamelide, ma la febbre non scendeva e Jemmie era quasi in preda al delirio. « Appena papà va via, vado a chiamare il dottore » decise Sarah. Sam si arrabbiò. « Non voglio che quel macellaio tocchi mio fratello. » « Ma io ho fatto quel che ho potuto » ribatté Sarah. « C'è qualche speranza che lui possa fare di meglio. » Il signor Selkirk li aveva uditi. « E se usaste del ghiaccio ? Potreste fargli degli impacchi col ghiaccio per far calare la febbre » suggerì il bibliotecario. « Se lo avessimo » obiettò Sam. « Posso farlo io, il ghiaccio » intervenne Maggie. Poi entrò piano nella stanza e guardò suo figlio. Lui la riconobbe a stento. « Chiama Ian » susurrò Maggie a Sam. Quando venne Ian lo mandò allo Spennapolli a rubare qualche oncia di salnitro. « Quando questa storia finirà ti farò passare la voglia di rubare, hai capito ? » Ian annuì. « Ora però ti ci mando. » Era il tratto che Sam ammirava di più in sua madre. Se una cosa andava fatta, non ci pensava due volte. Quando Ian tornò, Maggie versò dell'acqua bollente in una bottiglia di coccio e vi aggiunse il salnitro. Poi disse a Andrew: « Porta questa bottiglia al pozzo nella brughiera, falla calare bene in fondo e lasciacela per tre ore ». Tutti notarono che Andrew era dispiaciuto. Avrebbe perso la partenza di suo padre, ci avrebbe lasciato il cuore. Mai gli era accaduto di sentirsi così avvilito. « Hai visto tuo fratello, poco fa? » gli domandò sua madre. Andrew scosse il capo. « Allora faresti bene a dargli un'occhiata, secondo me. » Andrew uscì dalla camera e sgusciò fuori dalla porta sul retro: nessuno avrebbe dovuto vederlo piangere, mentre si dirigeva verso la brughiera con la bottiglia di coccio piena d'acqua. Rob Roy entrò di corsa. « E ora di andare, papà » annunciò. « Il signor Bone dice che è ora di avviarsi, ormai. » Gillon si alzò dalla sedia con calma studiata. Era venuto il momento di mettersi il berretto. Gillon gli diede l'inclinazione giusta, in modo che i due nastri neri gli scendessero lungo la nuca. Quando fu pronto, andò di nuovo a vedere Jem. Il ragazzo dormiva, respirando affannosamente, e Sam sedeva al suo capezzale. Sam lanciò uno sguardo al padre. « Pitmungo è fortunata ad avere un uomo coraggioso come te. » « Vieni ad accompagnarmi ? O preferisci rimanere con Jem ? » « Lascia stare. Secondo me, devi andare da solo. » « E tu ? » Gillon guardò Maggie. « Vieni ad accompagnarmi ? » « Il mio posto non è laggiù. E il tuo grande giorno, Gillon.» Walter Bone bussò e aprì la porta. « Su, è ora. » Gillon fece una giravolta e i colori sgargianti del kilt furono come uno schiaffo nel grigiore di quella stanza. Gillon strinse la mano ai figli e agli altri uomini. Baciò le figlie e poi diede un bacio anche a Maggie. « Quando parli con lui guardalo bene negli occhi, Gillon» disse Maggie. « Perché tu sei un uomo infinitamente migliore di lui. E se ti offre un accordo ragionevole, abbi il coraggio di accettarlo. » Poi Gillon si mescolò alla folla che lo attendeva. Il loro applauso fu quasi un boato e fece tintinnare i vetri nuovi delle finestre sul davanti. «Che succede?» gridò Jemmie improvvisamente. « Sta' calmo. E papà, che va a trovare il padrone. » « Sam... » susurrò Jem. « Aveva un bell'aspetto? » « Sì, Jem, ne saresti stato fiero anche tu. Sembra un condottiero delle Terre Alte, pronto a prendere il comando del suo reggimento. » « Oh, Sam... » « Cosa ? » « Credo che sto per morire. » CAPITOLO QUARTO Gillon ricordò sempre confusamente il tragitto che fece quel giorno scendendo dal Belvedere Tosh-Mungo e percorrendo il Corso dei Carbonai. Sentiva la gente lanciargli incoraggiamenti e il secco ticchettare sulle pietre del selciato dei duri tacchi di cuoio delle sue scarpe quasi nuove. Nella parte bassa del paese i bambini gli corsero appresso, cercando di toccargli il kilt e di imitare la sua andatura ondeggiante. Camminò lungo il Vicolo dei 78
Minatori, e negli altri vicoli, poi imboccò la strada di fondovalle, dirigendosi verso Brumbie Hall. Qualcosa, più forte del suo desiderio, lo faceva marciare proprio come accade ai soldati quando sono diretti al fronte. Prima di arrivare al cancello, entrò nell'erba alta e si curvò per togliere dalle scarpe il fango misto a polvere di carbone. Varcò il cancello, sentendo scricchiolare sotto le scarpe la ghiaia del viale e, giunto di fronte a un enorme portone ornato di borchie di ferro, come un antico scudo, si fermò a raccogliere le idee. La porta si aprì. « Sì ? » « Ecco... io... ehm... » Si sentì avvampare in viso, cosa che non voleva gli capitasse proprio quel giorno. «Che cosa vuole?» Dalla pronuncia la donna sembrava irlandese; aveva un sorrisetto sfrontato agli angoli delle labbra. « Cosa voglio! Io non voglio... Voglio dire, dopo tutto, sono stato... » « Chi devo annunciare ? » « Ecco... ah... Cameron... Il signor Cameron vuol vedere lord Fyffe. » Lei lo lasciò sulla soglia e, quando tornò, aveva sulle labbra quella specie di ghigno furbo e malizioso che gli scolaretti rivolgono ai compagni che s'avviano a farsi frustare. « S'accomodi, scozzese » bisbigliò. « Prenda a sinistra e in fondo al corridoio troverà il salone. Non sono cattivi. Si comporti normalmente e se la caverà benissimo. Ma, signore... » Gillon si fermò. « Il berretto. » « Credo che non lo toglierò. I minatori, quando sono in casa, lo tengono in testa. » Nessuno notò il suo ingresso nella sala. Gli ospiti si aggiravano, facendo tintinnare le tazzine. Dopo un po', qualcuno lo vide. « Ehi, dico, avete visto chi c'è? » fece una voce. Gillon si voltò, ma non riuscì a vedere la faccia dell'uomo, perché era nascosta da un candelabro. « è quel minatore, quel Cameron, signore. » Era la voce di Brothcock. « Prego » disse un'altra persona, una signora. « Lasci che le prenda il berretto. » « Già, il berretto » disse Gillon, togliendosi il copricapo scozzese. « Un minatore ? » Quella voce non era scortese. « Pare arrivato fresco fresco da una battuta di caccia. » «No, io... » tentò di spiegare Gillon. «Su, su. Venga qua, così possiamo ammirarla meglio. » Gillon girò attorno a una grande poltrona dall'alto schienale, nella quale stava sprofondato il conte di Fyffe. « Brothcock dice che lei è uno dei miei minatori, ma io non gli credo. Io dico che lei è appena tornato dalla brughiera, dopo una bella, lunga partita di caccia e sta per farci omaggio di un paio di bianche pernici di Scozia. » Gillon non capiva perché la gente ridesse. « Non oserei mai dire che il signor Brothcock è più nel giusto del conte di Fyffe, ma se vuole degnarsi di osservare le mie mani, signore... » Le sue parole vennero accolte da una benevola risatina. « Ben detto » fece lord Fyffe. « Date a quest'uomo una tazza di tè. » Qualcuno gli mise in mano una tazza e gli domandò: « Latte e zucchero ? » « Limone, grazie. Una goccia di limone. » « Limone? » Doveva essere la voce di lady Jane. « Che gusti complicati. Temo che non abbiamo limone. Noi siamo una famiglia abituata al latte e allo zucchero. » Parlava molto lentamente, calcando l'accento su una parola sì e una no. « Dica un po', Cameron... » fece lord Fyffe. « Che cosa fa... combinato così ? » « è il vestito delle grandi occasioni, signore. Matrimoni, funerali e simili » rispose Gillon. « Io, questa, la considero una grande occasione. » « Anch'io, anch'io, davvero » disse una voce. « Lei è il primo minatore, che abbia mai messo piede in questa casa. E indossa un kilt. è dell'Esercito, naturalmente. » « è della mia famiglia. Del mio clan. » Si udì una risata. « Ma guarda » disse la voce di prima. « Questo minatore appartiene a un clan. » A quell'osservazione, Gillon arrossì, ma brevemente. « Anche in un clan devono esserci i gregari, altrimenti non potrebbero esserci neanche i capi » disse Gillon. Quel discorso non se lo era preparato. « Colpito, Warrick. Ti ha messo a posto » disse una giovane voce. Assomigliava a quella di lord Fyffe e Gillon immaginò fosse di suo figlio. « Lei è molto svelto con la lingua » osservò lord Fyffe. « E non parla scozzese. Io ho promesso a questo giovanotto un po' di scozzese. » « Mi dispiace, signore. Io sono delle Terre Alte e ho sposato una ragazza di Pitmungo. » Gillon sorbì un sorso di tè, il cui gusto non aveva nulla a che vedere con quello che lui aveva sempre bevuto. « Gillon Forbes Cameron » disse il conte leggendo un biglietto, che gli aveva porto Brothcock. « E un bel nome per un minatore. » Disse quelle parole con un'intonazione che mise a disagio Gillon. « Mia nonna era una Forbes » proseguì lord Fyffe. « Così, si può dire 79
che, in certo qual modo, siamo parenti. » « In un certo senso lo siamo signore. A livelli diversi. » « Siamo della stessa stirpe. Dello stesso clan. E qual è il primo dovere di un membro del clan, Cameron?» Il conte disse quelle parole precipitosamente. Gillon non seppe che cosa rispondere. « Che cosa s'aspetta innanzitutto il membro di un clan da un membro dello stesso clan ? Lei conosce la risposta, Cameron. Provi a darmela. » « Aiutarsi l'un l'altro nei momenti difflcili, signore? » « Non lo chieda a me. Risponda lei alla domanda. » «Lealtà, immagino. » Tutti attendevano la risposta di Gillon, gli occhi puntati su di lui, come chi guarda fissamente un pesce che, nell'acqua limpida, è in procinto di abboccare all'amo. « Lei mi addolora » disse lord Fyffe. Parlava a voce altissima e la sua voce echeggiò fra le pareti della grande sala silenziosa. « Lei mi addolora, come nessuno mi ha mai addolorato in vita mia.» Gillon restò annichilito, la tazza a mezz'aria nella mano destra irrigidita. « Lei è sleale, invece » urlò il conte. « Manca di fiducia in me. E viene qua indossando l'abito degli uomini leali. Lei non ha il diritto di indossare quel kilt!» Le ultime parole furono quasi un singhiozzo. « Avrebbe potuto rivolgersi al suo signore, all'uomo che la conosce e la rispetta, e invece si è rivoltato contro di me, deciso a trascinarmi in tribunale. Mi prende forse per un volgare malfattore?» Gillon non rispose. « Le ho fatto una domanda. Risponda. » « Rispondi al tuo padrone » rincarò Brothcock. « No. » Allora ci fu un grande armeggiare di tazzine. Mentre una cameriera gli riempiva la tazza, Gillon ebbe paura di rovesciarla, tanto gli tremavano le mani. « E cosa faceva nelle Terre Alte prima di scendere nei pozzi? » domandò una giovane voce. « Il marinaio, signore. » Qualcuno gli toccò il kilt. « è roba autentica, non c'è che dire! » « Non ho fatto sempre il marinaio. Vede, la mia famiglia venne cacciata dai suoi poderi all'epoca dell'evacuazione e... » «Sì, sappiamo tutto. Vi hanno bruciato il tetto sulla testa e vi hanno buttato fuori nella tempesta, con tre bambini piccoli e sua madre con la polmonite, e hanno gettato il vostro grano ai cervi, non è vero ? » « Calma, Warrick, anche se prima ti ha risposto per le rime... » « Il fatto è che non posso soffrire le loro menzogne di proletari. » Qualcuno che Gillon non vide, fece un segnale per avvertire che lord Fyffe voleva parlare e nella sala calò il silenzio. Di nuovo Gillon si trovò puntati addosso gli occhi dei presenti. « Quali due cose devono maggiormente preoccupare un minatore? » Lord Fyffe pose quella domanda pacatamente, come si addice a un uomo di mondo che conversa amabilmente con un suo pari. Non attese la risposta di Gillon. « Protezione dagli infortuni e salvaguardia del proprio posto di lavoro. Ora, chi crede possa offrirle seriamente maggiori garanzie in entrambi i casi: gli agitatori sindacali o quei gentiluomini cristiani ai quali Iddio ha ritenuto giusto affidare il controllo della proprietà, dalla buona conduzione della quale dipende la sorte sia del padrone sia del lavoratore? Risponda un po'. » « Io non conosco agitatori sindacali » disse Gillon alla fine. Lord Fyffe cominciò a ridere in maniera tanto contagiosa, che anche Gillon fu costretto a sorridere. « Lei non ha mai conosciuto Keir Hardie ? » Gillon senti lacrime di umiliazione salirgli agli occhi. Era vero che lui non aveva mai parlato con Hardie, ma quella gente credeva che lui stesse mentendo. « Dunque » continuò il conte, «io so perché sono stato messo al mondo. Il mio compito è di produrre carbone e di trarne profitto: ed è quanto io intendo fare. » Gillon si sorprese ad annuire. « Se ognuno si sentisse in diritto di far causa alla Compagnia per ogni incidente in miniera, lo sa lei che cosa accadrebbe ? Falliremmo. E tutto per via dell'egoismo e della presunzione di qualche individuo. » Una delle cameriere fece cadere un cucchiaino, costringendo Gillon a levare il capo. Fu così che per la prima volta si accorse della vastità della sala. Non l'aveva osservata bene, prima: vide i solenni ritratti degli antenati e i grandi arazzi che rappresentavano scene di caccia e di banchetti. Gillon si sentì incerto, nell'immensità di quel locale e, senza sapere perché, fu preso dall'ira. « Per colpa del suo egoismo, migliaia di persone hanno patito la fame, migliaia di sterline non verranno mai pagate ai minatori, migliaia di tonnellate di carbone sono rimaste sottoterra e non sono state vendute » affermò il conte. Il mio egoismo, pensò Gillon. Il mio! E poi sentì il calore rincuorante dell'ira. «Ora ho una proposta da farle. Che cosa vuole da me? » « Quattrocento sterline» 80
rispose Gillon, con un tono di voce così basso che dovette ripetere la cifra. « Ma è più di quanto spendo in un anno d'università » osservò uno dei presenti. « Chi si crede di essere ? » « Mettete un kilt a un minatore e si sentirà un Pari del Regno. » « è assurdo, non le pare? E lei lo sa benissimo, Cameron. Guardatelo. Se avesse fatto una richiesta ragionevole, se ne starebbe forse qui con la faccia di uno che sta per essere impiccato? O frustato?» Troppi occhi erano rimasti puntati su Gillon e troppo a lungo. « Naturalmente questi provvedimenti non usano più, oggi » continuò il conte freddamente, « però a Pitmungo ci sono uomini che, se costretti a patire la fame per colpa sua, sarebbero capaci di metterli in atto. » Il conte lasciò cadere quelle parole nel silenzio generale. « Noi forniremo le fruste e i suoi vicini forniranno le loro valide braccia. Datemi i pasticcini. » Un carrello con delle paste glassate venne fatto passare fra i presenti e Gillon notò che tutti le mangiavano con le mani. La cameriera spinse il carrello verso di lui, ma non si fermò. « Ora, circa questo avvenimento della miniera... » disse lord Fyffe. Ci sono piccoli particolari nella vita di un uomo, capaci di fargli mutare opinione e di presentargli le cose sotto un aspetto diverso. Per Gillon, furono quelle paste che la cameriera gli aveva fatto passare sotto il naso senza fermarsi. E poi quella parola: "avvenimento", che gli sembrò inadeguata all'entità dei fatti. «è stato un piccone, signore. Un piccone che m'è entrato nell'osso attraverso la spalla. » Parlò con voce piuttosto alta. « Ah, già, un piccone. Ma dopo tutto » disse lord Fyffe, « non spererà di andare in pensione a vita a mie spese. » «Lei l'ha già fatto, e a spese mie. » Gillon, per un attimo, pensò di non essere stato lui a pronunciare quella frase. « Maledetto sfacciato, ma senti! Quest'uomo si merita davvero una bastonata » disse uno dei giovani. « Ecco quanto le offro » continuò lord Fyffe. « Quaranta sterline, e ringrazi Elphinstone che, con una lettera, mi ha pregato di essere generoso; è un indennizzo record da parte del padrone; non è vero, Brothcock? » « Sì, signore.» « Sono quaranta sterline in più di quanto io avevo stabilito. Voglio che in cambio dell'indennizzo rinunci alla sua citazione e che apponga la sua firma su questo foglio. » Lord Fyffe gli mostrò una carta e Gillon la prese in mano. «Sa leggere?» s'informò uno. «Forse bisognerà farlo noi. Parecchi di costoro fingono di saper leggere per orgoglio, sa. » « Sa leggere » disse Brothcock. «Questo sa leggere anche i caratteri minuti che stanno in calce ai contratti.» Il sottoscritto giura solennemente di non citare mai in giudizio, per nessuna ragione, la Compagnia o il datore di lavoro in caso di lesioni riportate durante il lavoro svolto in miniera. Accetta, come nel passato, di rimettersi alla generosità e alla discrezione del datore di lavoro e della Compagnia, sicuro fin da ora, che tale generosità soddisferà nel modo più onesto gli interessi sia del minatore sia dell'azienda. « Tutti i minatori che vorranno lavorare per me in futuro dovranno firmare questa dichiarazione prima di scendere in uno dei miei pozzi. » In poche parole, con quel documento, si chiedeva al lavoratore di rinunciare a tutti i suoi diritti. « Quaranta » disse Gillon ad alta voce. Quel numero esasperava un piccolo dolore che aveva nel cervello e gli pulsava nella mente come la ferita nella spalla. « Sì, quaranta. Con questa somma la sua famiglia potrà tirare avanti discretamente finché lei non sarà in grado di scendere di nuovo in miniera. » « Forse non sarò più in grado di scendere in miniera » disse Gillon. In quell'annata magra avevano dato agli azionisti un dividendo del quaranta per cento, ricordò; in quell'annata in cui loro avevano rischiato di morir di fame. Gillon sentì la collera montare nuovamente dentro di sé. « Sciocchezze. Lei tornerà a lavorare. Lo fanno tutti.» « Cosa crede lei, che non si sanguini noi minatori quando siamo feriti ? Le interessa vedere la mia ferita, signore? » « Che razza di linguaggio tieni col tuo padrone? » intervenne prontamente Brothcock. « Non è il mio padrone. è il mio datore di lavoro. » «Di che sta cianciando?» domandò lady Jane. «Che sta cercando di dire? Noi, qui, siamo sempre stati i padroni. » « E di quel quaranta per cento che voglio parlare, signora » disse Gillon. « Di quel dividendo del quaranta per cento che avete dato agli azionisti, quando i nostri bambini mangiavano erba bollita. Che cosa avete guadagnato, allora, nelle annate buone? » « Dove le ha sentite queste scempiaggini ? » domandò il conte. « Chi le ha messo in testa questo mucchio di fandonie? » « So leggere, signore. L'ho letto sullo Scotsman, signore. Se vuole, posso ripeterle parola per 81
parola, signore. » « Ma cosa vuole costui, insomma? » domandò lady Jane. « Noi vogliamo soltanto non patire la fame al termine di una settimana di lavoro. E, quando abbiamo fame e la Compagnia ingrassa, vogliamo avere qualcosa che ci consenta di tirare avanti. » « Quando mio padre era vivo, usavamo bastonarli» disse lady Jane. « E vogliamo essere soggetti a una legge e non al capriccio del padrone, signore. Non esistono più né padroni né schiavi in questo paese, signore, e gli uomini stanno imparandolo. » « Davvero ? » fece lord Fyffe. «Ha finito? » L'unica cosa di cui fosse cosciente Gillon in quel momento era di aver detto, per una volta tanto in vita sua, tutte le cose che aveva da dire all'uomo cui esse andavano dette e ciò non gli dispiacque affatto. « Quando sono venuto qui, sono venuto per accettare la sua offerta... » « Silenzio! » ordinò Brothcock. « Non c'è più alcuna offerta » disse Fyffe, soavemente. « Noi la schiacceremo e con lei schiacceremo la sua famiglia. » « Prima, però, si merita una bella bastonata » intervenne uno dei presenti. « Noi siamo gente civile » disse lord Fyffe. « Quando verrà il momento delle nerbate, le assaggerà per mano di un suo pari, che le farà pagare i patimenti causati a tutti loro. E adesso, fuori! » Gillon non sapeva dove fosse l'uscita. Qualcuno gli toccò il braccio malato e una cameriera lo accompagnò alla porta. « E un'altra cosa, Cameron. » La cameriera lo fermò e lo fece voltare, perché rispondesse al conte. « Perché s'è messo le mie scarpe? » «Le sue scarpe?» Gillon s'arrestò di botto, a bocca aperta, senza capire. « Le mie scarpe. » Gillon si inginocchiò e goffamente, quasi incapace di muovere le dita, slacciò le stringhe e si tolse una scarpa. Dietro, vicino al tacco, c'erano le iniziali del conte di Fyffe. I presenti cominciarono a ridere, e la loro ilarità andò crescendo e continuò ad aumentare per tutto il tempo in cui lui rimase in ginocchio sul pavimento della grande sala, intento a sbirciare prima nell'interno della scarpa e poi verso di loro. Gillon si slacciò l'altra scarpa e la posò accanto alla prima. Quelli, vedendo le scarpe piazzate in mezzo alla sala, risero sgangheratamente. Gillon si alzò, attraversò il salone a ritroso e uscì; poi fece di corsa l'anticamera per andare alla porta. Girò il pesante pomo ma non riuscì ad aprire. Pensò che quello fosse l'ultimo dei trucchi che avevano escogitato a suo danno: l'avevano chiuso dentro per costringerlo a subire l'affronto dei loro lazzi; finalmente, la cameriera venne ad aprirgli e Gillon, appena fuori, si mise a correre sul viale. La ghiaia gli tagliuzzava i piedi, causandogli dolore e umiliazione, ma lui non ci fece caso: quel tipo di umiliazione non lo avviliva. « Signore! » gli gridò dietro la ragazza. « Scozzese! Il suo berretto. Ha dimenticato il berretto. » Ma non si offrì di portarglielo e lui non sarebbe mai tornato sui suoi passi; così, continuò a correre. Aveva perduto un altro cappello. Maggie non gliel'avrebbe mai perdonato. CAPITOLO QUINTO «Niente accordo. » La voce fece il giro dei vicoli, precedendo Gillon. Gillon aveva incontrato Walter Bone e gli altri capi del movimento lungo la strada di fondovalle. Aveva raccontato loro come meglio ricordava quanto era accaduto a Brumbie Hall, poi aveva consegnato nelle loro mani il foglio di lord Fyffe ed era sceso verso il fiume per stare da solo. Il signor Bone e gli altri tornarono in paese per dare la notizia agli abitanti di Pitmungo. Per molti fu un triste annuncio, alcuni si sgomentarono. Ne avevano abbastanza di patire la fame e di vivere a forza di nervi e di rabbia. Tuttavia c'erano delle ragioni valide per continuare la lotta: uno di loro, finalmente, aveva osato dire il fatto suo al padrone della miniera e poi c'era quel "contratto capestro", quel pezzo di carta con cui si chiedeva agli uomini di rinunciare ai loro diritti, prima di scendere in miniera. Fu quel contratto a renderli compatti. Prima che Gillon tornasse, il grido di battaglia "I cani firmano, non gli uomini" era sulla bocca di tutti. Mentre saliva verso casa, Gillon udì che gli venivano rivolte delle domande e ad alcune di esse rispose anche, ma, per lo più, continuò a camminare in silenzio. Nella sua mente, tentava di ricostruire le circostanze che li avevano condotti a quel punto critico: un punto dal quale non potevano recedere. Rivedeva soltanto l'immagine di se stesso, curvo sul pavimento del salone di lord Fyffe, intento a togliersi le scarpe del conte. 82
Quando Gillon varcò la soglia di casa, trovò Sam, Sarah, Maggie e Andrew intenti a discutere a bassa voce. « Abbiamo saputo, papà, abbiamo saputo tutto. Non potevi comportarti diversamente » disse Andrew. « Gli hai detto il fatto tuo, a quelli là, papà. Oh, siamo orgogliosi di te » gli fece eco Sam. Maggie evitò di guardarlo. « Cos'hai concluso, Gillon? Che cosa hai fatto oggi ? » «Non lo so, cosa ho concluso. » Andrew cambiò argomento. « è stato qui il dottor Gowrie e ha detto che Jem sta meglio. » « Il dottor Gowrie è uno stupido » disse Sarah. « Di che cosa stavate discutendo, quando sono entrato ? » «Vogliamo far venire il dottor Doomsday » rispose Sam. « Il dottor Gowrie dice che Jem è fuori pericolo » fece Maggie. « Il dottor Gowrie è uno stupido, come dice Sarah. Mio fratello sta morendo. Io lo so, quando uno sta morendo » disse Andrew. Nsssuno, a Pitmungo, conosceva il suo vero nome. Lo chiamavano dottor Doomsday (Giorno del Giudizio) perché veniva chiamato soltanto nei casi ormai disperati. Veniva da lontano e il suo onorario era molto alto. Ma le famiglie dopo averlo chiamato, dopo aver compiuto quell'estremo tentativo, si sentivano sollevate. Jem, il più forte di tutti loro, stava per morire? Gillon non voleva rassegnarsi. « Da quanto dura questa storia? Sta morendo sotto i miei occhi e io non me ne accorgo. Mio figlio muore e io non lo vedo! » « Non sta morendo » disse Maggie. « Tu ti arrendi troppo presto. » « Che stia morendo o no, è sempre una buona idea far venire il dottor Doomsday. » Poi, rivolto a Sam: «Va' a prendere il cavallo e il carro ». « Faccio una corsa » disse il ragazzo. « Farò più in fretta a piedi. Tornerò insieme con il dottore sul suo calesse. Dammi i soldi. » Il dottor Doomsday non si spostava mai senza avere prima i soldi in mano. La notizia della malattia di Jem discese in paese con la stessa rapidità con cui le notizie da Brumbie Hall avevano salito la collina. Gli uomini che avevano deciso di andare a sentire com'era andata la visita a lord Fyffe, rimasero invece in casa e attesero. Il sole, all'orizzonte, era calato e i Cameron sedevano in silenzio, ascoltando il respiro affannoso di Jemmie. « Ci sono dodici chilometri fino a Cowdenbeath. Ormai, il dottore dovrebbe essere qui. » « Diciannove » corresse Ian. Era entrato in casa in quel momento, recando del carbone sottratto al deposito davanti al Lord Fyffe n. 1. Gillon non sapeva quanto distasse Cowdenbeath, se dodici, sedici o diciannove chilometri, pensò che il fatto di non esserne al corrente dimostrava una volta di più come l'ignoranza li rendesse schiavi. Non sapevano nemmeno quale distanza li separasse dal medico che li assisteva. Gillon si sedette al tavolo e scrisse al suo avvocato, il signor MacDonald, per riferirgli della serrata e della sua visita a Brumbie Hall. Il grattare del pennino sulla carta attutiva il respiro rauco di Jem e quel compito distoglieva Gillon dal pensiero di suo figlio. Gli altri sedevano, in attesa. Era stata una serata tranquilla, ma in quel momento stava levandosi il vento; poi, tutt'a un tratto si udì uno scrosciare di pioggia contro le finestre. Gillon pensò a Sam nel calesse del dottore. Il dottore avrebbe indossato indumenti adatti al maltempo, mentre suo figlio, già sudato per la corsa, si sarebbe buscato un malanno mortale anche lui, sotto la pioggia gelida. Gillon si volse a Maggie con un improvviso scoppio di rabbia. « Non avremmo mai dovuto mandarlo su nella brughiera. » Maggie si alzò e, attraversata la stanza, si avvicinò al marito. « Ascoltami, Gillon. Non permetterò che questa storia ci divida per il resto dei nostri giorni. Il ragazzo stava male prima ancora di salire nella brughiera. » « Già, prima che ve lo mandassimo. Prima che lo costringessimo ad andarvi. » « Ci è andato, perché era Jem. » Sarah si mise a piangere. « Parlate di lui come se...» Maggie strinse la figlia fra le braccia. « Non gli farà certo bene sentirti» le mormorò dolcemente. « Sta' zitta, su. » « Sì, mamma. Sì. » Poi, udirono tutti insieme il rapido clip-clop degli zoccoli del piccolo trottatore del dottor Doomsday sul selciato. Il medico s'affacciò sulla soglia, seguito da Sam che batteva i denti. « Buona sera » disse. Era un uomo alto e triste, e il nome che portava gli si confaceva. « è un bravo ragazzo » disse, additando Sam. «Asciugatelo, strofinatelo, dategli un po' di whisky e sarà a posto. Ora vediamo l'altro. » Denudarono Jem fino alla vita e accostarono la lampada. Dopo avergli osservato la gola, il dottore gli palpò le ghiandole gonfie e quindi cominciò a picchiettare con le dita lungo i polmoni. Per un istante Jemmie aprì gli occhi e lo guardò, e a loro sembrò che abbozzasse un sorriso. 83
Dopo che il dottore lo ebbe ricoperto, andarono tutti in cucina. « Volete sapere la verità oppure quello che tutte le famiglie vogliono sentire? A giudicare dal ragazzo che mi ha condotto qui, credo di saperlo. » A Gillon quell'uomo piaceva. Ora capiva la ragione per cui il dottore era tanto temuto a Pitmungo: aveva in bocca la verità. « Vostro figlio è malato di difterite con complicazioni bronchiali. Una membrana, che s'è sviluppata all'interno della gola, gli rende la respirazione difficile e dolorosissima. » Il frusciare del vento e della pioggia contro il pino silvestre che si ergeva di fronte alla finestra fece alzare gli occhi al dottore. « Quel rumore non gli giova di certo» osservò. « Abbatto subito l'albero » disse Sam. « La difterite è un'affezione febbrile, che uccide disidratando e debilitando l'organismo » spiegò il dottore. « Si potrebbe praticare una tracheotomia, cioè fare un'incisione nel collo e inserirvi una piccola cannula in modo che l'aria penetri direttamente nei polmoni. Ma ciò servirebbe solo a prolungare l'agonia. I polmoni sono talmente pieni di liquido che il ragazzo sta, per così dire, annegando nel suo letto. » Poi cominciò a raccogliere le sue cose. « Ho una medicina, che può avere una certa efficacia contro un ulteriore sviluppo della membrana e che renderà più facile la respirazione al malato, consentendogli di parlare un po', se lo desidera. Può darsi che voglia andarsene in pace, come si suol dire. » Il dottore consegnò a Maggie una bottiglia del medicamento. « E ora, per amore del mio paziente, devo dirvi una cosa. Ho con me un altro farmaco, che lascerò al capezzale di Jem; quando il suo respiro si farà troppo affannoso, consiglio che qualcuno di voi trovi il coraggio di somministrarglielo. » Poi, tornarono nella stanza del malato, dove il medico aprì la valigetta ed estrasse un piccolo flacone, che posò sul comodino. « Buonasera » disse congedandosi e indossando la mantella di incerata nera. « C'è un'altra cosa » soggiunse, prima di andarsene. « Non abbiate paura di piangere. Il paziente non ci fa caso e per quelli che rimangono le lacrime sono un'ottima medicina. Occhi asciutti e morte non vanno d'accordo. » Quando il dottor Doomsday se ne fu andato, Sam entrò nella camera di Jem per guardare la bottiglia lasciata dal dottore al capezzale di suo fratello. A quella luce fioca, fece fatica a leggere l'etichetta, ma quando vi riuscì, si lasciò sfuggire un gemito. Sull'etichetta era scritto: Cloroformio. La prima medicina ebbe un ottimo risultato. Il ragazzo fu in grado di parlare un poco e di inghiottire dell'acqua, cosa che diede un po' di sollievo al suo corpo riarso e bruciante. Jem chiese che gli mandassero Sam a fargli compagnia nella stanza. « Non abbattere quell'albero. » Sam si sentì rizzare i capelli. « Hai udito, allora ? » « Sì. Credono che se uno non può parlare, non può nemmeno udire, e invece le vostre voci risuonano nel mio cervello come tanti tamburi. » Lo sforzo lo spossò e Jem chiuse gli occhi, per svegliarsi di nuovo più tardi. S'accorse che Sam aveva pianto. «Su, vecchio mio» gli disse. «Credevi non lo sapessi, dunque?» Sam prese la mano del fratello, ma capì di fargli male e la lasciò. « Sai una cosa che mi dispiace? » mormorò Sam. Jemmie lo guardò. « Di aver vinto la maratona, quel giorno. » «Oh, l'hai vinta e basta, fratello. » « Ti ho ingannato, lo sai benissimo. Non sono andato a lavorare per tante settimane. Eppure tu mi hai fatto consumare le gambe, mi hai fatto sputare l'anima: a modo tuo, mi hai battuto. » « Come ho fatto a batterti, se la corsa l'hai vinta tu ? » Sam non rispose e Jem si assopì. Qualche tempo dopo, si svegliò e chiese la medicina. Sam tornò per dargliela. « Oh, sapessi quante volte ci ho pensato, Jem. Ci ho pensato mille volte. Perché non ho lasciato che vincessi la corsa, tu che lo meritavi tanto ?» Dio, fa' che non mi rimetta a piangere, ora, pregò Sam. Poi si ficcò le unghie nella ferita fattagli dalla madre nella mano, sperando che il dolore servisse a frenare le lacrime. « L'hai vinta tutta tu, Sam. Nessuno farà mai più una cosa simile. » « Sì, ma la vittoria l'ho rubata a te. Sei tu che hai vinto veramente quella corsa. Oh, perché?» Sam non poté più trattenere le lacrime. « Ma è ben per questo, Sam. Tu dovevi vincere. Noi Cameron siamo fatti così, Sam. E tu non potevi agire diversamente. » A una cert'ora della notte Jem si svegliò. « Be', a quanto pare non ci andrò mai, vero?» « Dove, Jem ? » «Dove credi, fratello ? In America. Non la vedrò mai. » Di nuovo Sam non riuscì a trattenere le lacrime, ma pianse talmente piano, che Jemmie non se ne accorse. Dopo una lunga pausa, Jem chiamò il fratello. « Sam? » « Sì, sono qui.» « Voglio una bara a scivolo. » « Oh, Jem. Jemmie! » «Sai che coi soldi per 84
una bara vera si può andare in America?» Era l'alba, l'ora del canto del gallo. Ma in tutto il paese non erano rimasti né galli né galline. Erano finiti in pentola settimane prima. Così, l'alba, a Pitmungo, era silenziosa. « Ce l'ho fatta. Ma questa è l'ora più brutta, dicono. » « Ce l'hai fatta. Non so, Jem. » Improvvisamente Sam si emozionò. « Non vorrei dire una sciocchezza, ma mi sembra che tu stia meglio. Davvero. » « La febbre sta salendo di nuovo, sciocco. Sam, farai qualcosa per il Campo Sportivo, non è vero ? » L'altro annuì. « Farai saltare in aria la miniera, vero? Lo so che stai mettendo da parte la polvere da sparo. » « Sì, lo farò. Lo farò per te, Jem. » « Sì, sì, mi farai contento. Oh, fratello, come vorrei esserci anch'io! » Jem non era migliorato. La medicina, durante il giorno, gli diede alcuni brevi istanti di lucidità durante i quali Jem chiedeva a un componente della famiglia di andare da lui. Gillon vi andò nel pomeriggio. « Sono fiero di te, papà. » « Oh, Jem, ho fatto ciò che chiunque avrebbe fatto, nelle stesse circostanze. » «Hai fatto una cosa che nessuno ha mai fatto. Devi farmi una promessa, papà. Che non firmerai mai quel contratto. E nemmeno Andrew. Nessuno di voi. » «Nessuno. Mai! » « Sei stato un buon padre per me. Hai cercato di essere anche un buon maestro, ma io non ho saputo apprendere. Non sono riuscito a concentrare la mente sui libri, papà. » « Tu sapevi delle cose, che noi ignoravamo. Non eri un ragazzo ignorante, Jem. Non lo sei mai stato. » Era penoso per loro parlare a quel modo, ma sapere che la morte è vicina ha i suoi vantaggi. Gillon sedette a lungo accanto al figlio in silenzio, ma infine decise che doveva sapere una cosa che gli stava a cuore e gliela domandò. « Sei stato tu a tirare quel sasso contro Brothcock? » « No. » « Allora è stato Sam. » « No, non è stato Sam. Non so chi è stato. » « Ma Sam sta tramando qualcosa contro il Lord Fyffe numero uno, non è vero?» « No, non è vero. Ma tu vattene da questo posto, papà. Non avremo più la vita tranquilla, qui. » « Dopo il processo, Jem. Ce ne andremo dopo il processo. » « Oh, papà, come mi sarebbe piaciuto assistere a quel processo! » Subito dopo Jem cominciò a tossire, e per i familiari non ci fu altro da fare che sostenerlo e bagnargli la testa e per quelli che attendevano fuori, stringere forte le sedie fino a farsi diventare le nocche bianche. Quella sera Jem chiese di vedere sua madre. « Non far firmare a papà quell'ignobile contratto. Morirà come me, se lo fa. » « Non glielo chiederò, te lo prometto. » « Sai una cosa che non hai mai fatto? » « Un sacco di cose, non ho fatto.» « Una cosa che non hai mai fatto a me. » Jem si appoggiò ai cuscini e la guardò. Non aveva fretta. « Pensaci. » Alla fine Maggie scosse il capo. « Non mi hai mai dato un bacio in tutta la mia vita. » Maggie si sentì percorrere la schiena da tante punture d'ago. « Oh, Jem... » mormorò. « Sì, mamma, nemmeno una volta, in tutta la mia vita. » Lei si protese verso il figlio, ma Jemmie scosse il capo. « Ora è troppo tardi. Non lo voglio più ora. » « Ti ho voluto bene, come più non avrei potuto » disse Maggie. Parlava rapidamente e a bassa voce: non voleva che gli altri la udissero. « Ho tentato di amare, ma nella nostra famiglia non ho mai imparato a farlo. Puoi capirmi ? » Ma lui non fece alcun cenno. « è Pitmungo che riduce così, devi credermi, Jemmie. Non ho mai imparato a baciare i miei figli. » « Ora è troppo tardi, mamma. » « Già, troppo tardi. Non riesco nemmeno a piangere, quando è il momentO » disse Maggie, ma Jem s'era addormentato. Allora lei si chinò su di lui e gli baciò la fronte bruciante e le guance forti e ossute. Era incredibile come egli apparisse forte, pur così vicino alla fine. Jem riprese a tossire e a ogni colpo di tosse lottava strenuamente per aspirare un po' d'aria attraverso la membrana che gli serrava la gola. Quando la tosse si calmò, Jem chiamò Sam. « Non lasciarmi annegare nel mio letto » gli susurrò. « Sai, durante tutti questi anni nei pozzi, l'unica mia paura è stata quella di morire annegato» Tossì di nuovo. « Non lasciarmi annegare, ora. Promettilo. » « Sì, te lo prometto. » « Sai qual è l'unica cosa buona di questa malattia ? » « Cosa ? » «Che non vedi l'ora di andartene. » Sam, per un po', non riuscì a parlare. Toccò a Jem allora, farsi coraggio. « Abbiamo passato giorni felici. Ne è valsa la pena. » Sam sentì la mano di Jemmie afflosciarsi nella sua. « E ora addio, addio, fratello. » « Addio. » Dopo, entrarono altre persone, così Sam non fu l'ultimo a vedere il fratello o, forse, a sentirsi rivolgere la preghiera di non lasciarlo annegare. Poco dopo la mezzanotte, Maggie gli diede una dose 85
abbondante di medicina e Jem reagì meglio di quanto non avesse fatto nel corso di tutta la giornata. Quando quel suo affannoso ansimare si fu attenuato, tutti in casa si sentirono meravigliosamente sollevati. Per il momento, la tensione si era allentata e i Cameron si lasciarono avvolgere dalla ragnatela del sonno. Fu un movimento brusco a svegliare Gillon. Qualcuno che si dirigeva velocemente dalla stanza esterna verso quella interna. « Chi è ? » domandò e attese. Si udì una voce, poi una risposta che egli non distinse, e tutt'a un tratto capì che preferiva non udire. Poi, dall'altra stanza venne come un rumore di lotta, brevissima; udì il letto spostarsi di poco sul pavimento e il rumore attutito di un bicchiere che si infrangeva sulla pietra; poi calò il silenzio, un silenzio di tomba. Infine, udì i passi precipitosi di prima che questa volta tornavano indietro. Quindi, udì qualcuno rientrare in casa dalla porta sul retro o salire le scale. Gillon non poté interpretare quel rumore con precisione. « Maggie ? » Non ottenendo risposta, Gillon scese dal letto e si accostò a quello della moglie. Vide che Maggie non c'era e che la porta sul retro era aperta. Poi, lei rientrò improvvisamente. « Che fai qui? » le domandò Gillon. « E tu? » Maggie aveva in mano un lenzuolo bagnato. « Ho lavato il lenzuolo di Jem. Domattina, avrà bisogno di un lenzuolo pulito. » Era stata lei ad andare in camera di Jem, allora. Ma cos'era stato l'altro rumore, quello sulle scale? Gillon tornò a letto, perché non voleva andare in camera del figlio malato, proprio allora; poco dopo si accorse di aver inondato il cuscino di lacrime. Quando si svegliò, prima dell'alba, vide che Maggie dormiva ancora. Salì al piano superiore senza far rumore: nelle due stanze, erano tutti addormentati. Studiò i volti dei suoi figli: non gli rivelarono nulla. Gillon tornò al piano inferiore e tutt'a un tratto si convinse che i rumori della notte erano stati un frutto della sua fantasia. Corse nella stanza di Jem convinto che il peggio fosse passato e che, durante la notte, suo figlio avesse superato la crisi. Ma subito notò che il letto di Jem era in disordine: il lenzuolo e la coperta non gli coprivano neppure la parte superiore del corpo. Per terra, lì accanto, vide una bottiglietta vuota e un turacciolo. Gillon stese con cura il plaid sul corpo del ragazzo, senza nascondergli il volto (quell'usanza non gli era mai piaciuta); Jem aveva un ottimo aspetto, l'aspetto di uno che dovesse svegliarsi da un momento all'altro, pronto ad alzarsi e a tornare nel pozzo. Gillon mise in tasca la bottiglietta e il turacciolo, poi abbassò lo sguardo su suo figlio. Chi poteva aver avuto tanto coraggio e, al tempo stesso, tanto amore ? Quindi, uscì dalla stanza per svegliare i familiari e dire loro che Jemmie era morto. CAPITOLO SESTO Il giorno successivo alla sepoltura di Jemmie, da Brumbie Hall lord Fyffe annunciò che la miniera era stata di nuovo aperta e che la Compagnia era disposta a riassumere tutti i minatori fedeli che avessero sottoscritto ciò che veniva definito un "patto di reciproca fiducia". Per i Cameron quella fu una vittoria: era la prima marcia indietro fatta dalla Compagnia Ferro e Carboni di Pitmungo nella sua storia. Anche se la causa per risarcimento era ancora pendente in tribunale, lord Fyffe aveva riaperto la miniera. Non poteva considerarsi una vittoria completa poiché gli uomini, se volevano lavorare, erano costretti a firmare quei contratto, ma rimaneva il fatto che, grazie alla solidarietà fra i minatori, il lavoro, adesso, dipendeva da loro. I minatori scelsero di non lavorare. Quando, il lunedì mattina, la sirena fischiò, nessuno si presentò alla miniera. "Lottate a fianco dei Cameron" era il grido di battaglia e la morte di Jemmie aggiunse fervore alla lotta. La gente cominciava a pensare che il ragazzo fosse morto per la causa « Hanno dato il figlio in questa iotta; il meno che possiamo fare è di stringere la cintura d'un altro buco » La sirena fischiò tutti i giorni per una settimana e, ogni mattina, gli uomini scendevano ai pozzi per vedere chi sarebbe stato il primo a firmare il contratto: ma nessuno si presentò, gli uomini erano solidali. Un giorno, da Edimburgo giunse un messaggio, in cui si diceva: Come lei faccia non riusciamo a capirlo, ma continui a tener duro. è la prima volta che in un villaggio di minatori del Fife occidentale esiste una solidarietà così grande. 86
Lei è entrato nella storia e ha compiuto un miracolo. Spero che la sua ferita vada meglio, ma non troppo. La nostra causa è fissata per la prossima udienza del tribunale. In quell'occasione, porteremo il nostro lord in tribunale. Tenete duro. Resistete. Angus MacDonald In calce alla lettera dell'avvocato era scritto, con una grafia incerta: Noi tutti vi guardiamo, siamo tutti al vostro fianco. La lettera, fatta circolare fra i minatori, destò grande impressione. Non erano soli; il mondo guardava alla loro valle desolata. Soltanto Selkirk continuava a mostrarsi pessimista. « Hai informato Keir Hardie che gli uomini stanno cominciando a morire di fame? » domandò a Gillon. « Digli che ci procurino dei viveri, o non resisteranno più d'una settimana. » Il sabato sera venne riaperto lo Spennapolli. Da Cowdenbeath era arrivato il capo dei gendarmi, che si piazzò sulla soglia con quattro soldati per impedire che a qualche minatore venissero idee balzane. « Credito illimitato » annunciò il signor Brothcock dall'alto degli scalini dello spaccio: i soldi sarebbero stati trattenuti sui salari futuri a tutti coloro che avessero acconsentito a firmare il patto di reciproca fiducia e a presentarsi al lavoro il lunedì successivo. I generi alimentari sarebbero stati venduti a prezzo di costo. « Già, a scapito della nostra dignità di uomini! » gridò Japp. Un sasso fischiò, sfiorando la testa del signor Brothcock, e andò a infrangere la vetrina alle sue spalle. Brothcock non batté ciglio. « Almeno, non potranno accusare il vostro Jem » disse uno. « Il mio Jem non avrebbe mancato il bersaglio » ribatté Gillon. Non era facile per gli uomini tener duro. Gillon scrisse alla Federazione Scozzese dei Minatori, ma Keir Hardie era partito per il Galles: si sarebbe presentato candidato al Parlamento in quella regione, poiché nella Scozia non poteva ottenere voti sufficienti; inoltre, il tribunale aveva intimato alla Federazione dei Minatori di astenersi da ogni attività organizzativa. Tutte le mattine gli uomini di Pitmungo, dopo aver sostato attorno all'imboccatura della miniera, si riunivano davanti allo Spennapolli attirati dalla semplice vista del cibo. « Quella bottega sarà la vostra morte » disse Selkirk a Gillon. « Se volete vincere è meglio che le diate fuoco. » Si parlò di dare l'assalto allo spaccio e di prendersi con la forza ciò che pensavano fosse stato sottratto loro con l'inganno; ma a Pitmungo simili violenze non si erano mai verificate. Così, i minatori si contentarono di annusare dal di fuori i buoni odori del cibo e a poco a poco l'umore della folla, come Selkirk aveva previsto, cominciò a mutare. « Dove sono quelli, ora che ne abbiamo bisogno?» gridò improvvisamente un uomo, un pomeriggio. « Dov'è il vostro grande Keir Hardie? Perché dobbiamo fare la fame per lui ? » La folla ha la memoria corta e una folla affamata, alla fin dei conti, non ha altro ricordo che il cibo. « Io vorrei sapere una cosa » gridò un altro. « Perché dobbiamo morir di fame per salvare l'orgoglio di Cameron? » Le grida di approvazione sovrastarono quelle dei bimbi che piangevano sulle soglie delle case, dietro la gente. « Non avrà i suoi soldi a scapito della vita dei miei bambini. » « Non si tratta soltanto di Cameron, ma di tutti noi » gridò Bone ma quelli non lo udirono. Gli uomini cominciarono ad avviarsi lungo il Corso dei Carbonai muovendosi senza energia né direzione. Non avevano un capo, ma non se la sentivano più di starsene con le mani in mano. "Tosh-Mungo" divenne il loro grido. Non avevano la minima idea di cosa fare, una volta fossero arrivati lì. Maggie, che stava cucendo accanto alla finestra che si affacciava sul davanti della casa, fu la prima a udirli: capì subito di che si trattava, ma non si scompose. « Stanno venendo a cercarti, Gillon, come prevedevo. » La folla stava salendo al Belvedere Tosh-Mungo con alte grida. « Cameron, vieni fuori! Cameron, vieni fuori! » e tutti gli oggetti nella casa tremarono e vacillarono. Dalla credenza cadde perfino una tazzina. « Cosa devo fare ? » Gillon dovette urlare per farsi udire dalla moglie. « è un guaio che hai combinato tu e tu devi tirartene fuori. » Maggie si spaventò nel vedere la collera dipingersi sul volto del marito e nel sentirlo ribattere: «E questa è la tua famiglia, la famiglia che hai voluto formare. Vuoi dimenticartene, ora?» Aveva ragione e Maggie lo capiva; la questione riguardava tutta la famiglia e bisognava rimanere uniti. « Allora farai meglio a uscire all'aperto, Gillon. Non credo che ti faranno del male; non penso che sappiano quello che vogliono. » Maggie gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. « Andiamo, Gillon. Saprai bene cosa fare. » Poi gli aprì 87
la porta, perché uscisse ad affrontare la gente. Quando lo videro, gli uomini più vicino a lui ammutolirono e qualcuno di essi sembrò vergognarsi. Poi, anche gli altri tacquero e poco dopo l'unico rumore che si udì fu lo strascicare dei piedi sul selciato. « Cosa siete venuti a fare? » domandò Gillon. « Firma il contratto, Cameron » riuscì infine a dire qualcuno. « I pozzi sono aperti. Tutti quelli che vogliono firmare il contratto sono liberi di farlo. Ma non chiedetemi di farlo per voi. » Alcuni uomini, tra la folla, cominciarono a muoversi per tornare indietro. « I bambini hanno fame, amico; i bambini piangono. » « Credete che non li senta piangere la notte ? Anch'io piango per loro, ma mettetevi in testa una cosa. Non intendo arrendermi per voi. Il problema è questo: volete essere tutelati dalla legge o subire i capricci del padrone per tutto il resto dei vostri giorni ? » Anche gli altri Cameron erano usciti di casa. L'impeto di violenza, che poco prima aveva animato la folla, era ormai svanito. « Se volete firmare il contratto e comprare il cibo per nutrire i vostri figli, sapete dove rivolgervi per farlo. Ma sappiate anche questo: mio figlio Jem non firmerà mai. Il resto della famiglia Cameron non firmerà mai. Io, non firmerò mai. » Dopo quelle parole, la folla si disperse e nell'andarsene nessuno si volse indietro. « Oh, Jem sarebbe stato fiero di te oggi, papà » disse Rob Roy. « Questo è stato il suo vero elogio funebre. » « Sì, Jem ne sarebbe stato contento » soggiunse Andrew. Qualche giorno dopo quella marcia sulla collina, un gruppo di uomini, non sentendosi più l'animo di affrontare gli occhi dei bambini affamati, formarono un comitato d'emergenza davanti al quale poteva presentarsi chi voleva dimostrare che la sua famiglia era giunta ormai al limite della sopravvivenza. Se il comitato era d'accordo, la persona in questione poteva firmare il contratto e rifornirsi di cibo allo Spennapolli: sarebbe stato al riparo di ogni critica e non avrebbe perso la sua rispettabilità agli occhi del paese. «Ecco, ci siamo, Gillon » disse Henry Selkirk. « La diga fa acqua. Il fatto è che nessun uomo affamato può sentire il profumo dell'arrosto provenire dalla casa accanto, senza uccidere il vicino o mangiare con lui. » Già nella prima settimana più di cento capifamiglia si presentarono davanti al comitato d'emergenza e più di trecento uomini attesero all'imboccatura dei pozzi che le gabbie portassero i cento compagni sottoterra. Nessuno disse nulla contro di loro, né quando entrarono, né quando uscirono. Ma nulla poteva impedire che coloro che resistevano, anch'essi affamati, sentissero l'odore del cibo che veniva cucinato. Ogni giorno c'era qualcuno in più disposto a firmare e, verso la fine della seconda settimana, avevano ceduto quasi tutti. Soltanto ventun uomini si rifiutavano ancora di sottoscrivere il contratto e Gillon sapeva che, lo volesse o no, era diventato padre di ventidue famiglie. « Come faranno a sopravvivere? » domandò Sam. « Faremo in modo che ci riescano. » Maggie capì al volo. « Non con i miei soldi, però » gridò, presa da una rabbia che rasentava la follia. « Sì, proprio con i nostri soldi. » « Se tocchi la cassaforte Dio risponderà di ciò che accadrà » disse e davanti ai loro occhi inorriditi, si buttò per terra e pianse senza lacrime. Pitmungo era morta come era morto Jem nella sua fossa sottoterra. Nessuno si recava più alla taverna, perché sarebbe stato come confessare di essersi fatti mettere il collare, come dicevano: così, gli uomini scolavano i boccali di birra nel segreto delle loro case. Sgattaiolavano al lavoro di nascosto, nel silenzio ovattato del mattino, perché non sopportavano gli occhi stralunati di quei Ventuno che li guardavano dalla soglia delle case. Alcuni, fra i Ventuno, si mettevano agli ingressi dei pozzi per osservare gli uomini che attendevano di essere portati giù. « Buona giornata, giù nel pozzo con lord Fyffe » dicevano ai vecchi amici. Gillon dovette scendere all'imbocco della miniera per richiamare all'ordine i compagni. «Ne hanno il diritto, hanno fatto la loro scelta. Anche voi avete fatto una scelta. » « Oh, sì, bella scelta. Loro ingrassano e noi siamo pelle e ossa. I loro figli rifioriscono e i nostri diventano rami secchi.» « Perché non torni giù anche tu, allora ? » domandava Gillon. « Non lo so. Smettila di farmi la predica, Cameron. Non posso tornar giù e tu lo sai. Ci rimetterei la mia dignità di uomo, se proprio vuoi saperlo. » Gli uomini avevano pudore dei loro ideali. « Va bene » disse Gillon. « Nessuno morirà di fame né perderà la sua dignità finché io avrò dei soldi. » Quella notte stessa 88
prese la chiave dalla catena che Maggie portava al collo. Lei non obiettò. Quello fu l'inizio. Per tirare avanti fino al giorno del processo - grazie al quale, a quanto assicurò a Gillon il signor MacDonald, gli uomini avrebbero riavuto il loro lavoro perché il giudice sarebbe stato costretto per legge a giudicare illegale il contratto di lord Fyffe - gli uomini avrebbero avuto bisogno di denaro. Durante una riunione tenutasi in casa di Walter Bone, lontano, quindi, dagli occhi di Maggie, venne fondata l'Associazione del Campo Sportivo: per mezzo di quell'organizzazione i minatori avrebbero parlato ai padroni della Compagnia. I firmatari del contratto avrebbero potuto riscattarsi iscrivendosi all'associazione: la cosa richiedeva un certo coraggio e un certo rischio, poiché li avrebbe messi in aperto contrasto con la Compagnia. I Ventuno avrebbero raccolto le iscrizioni e i loro salari sarebbero stati anticipati da Gillon Cameron, il quale si sarebbe fatto rimborsare a sua volta il denaro dall'Associazione del Campo Sportivo non appena essa avesse potuto disporre di fondi. Nel frattempo però, mentre l'associazione si ampliava, i soldi se ne andavano. Quando gli uomini erano ridotti all'estremo, salivano a Tosh-Mungo e Gillon apriva la cassaforte. Dava loro soltanto lo stretto necessario per salvare una famiglia dalla morte per inedia, ma le famiglie che Gillon doveva nutrire, con i denari messi da parte, erano ventuno. Così, invece del solito tin tin tin settimanale, invece del bel suono solido delle monete che piovevano sulle altre, si udiva il rumore ovattato del denaro, che cadeva nelle mani in attesa. Maggie, col sangue che le pulsava nella testa, ascoltava il suono del suo tesoro che s'involava. Per ben due volte, la causa G. Cameron contro C.P.S. Farquhar, conte di Fyffe venne rinviata ad altra udienza. E, ogni settimana, mentre s'avvicinava la scadenza del pagamento al signor Ogilvie la cassaforte si faceva più leggera. Nessuno dei Cameron si accorse che tutta quella faccenda stava portando Maggie all'esaurimento nervoso. Quando lord Fyffe venne a sapere dei Ventuno decise di estirpare il male prima che mettesse radici troppo profonde. Con un certo rischio per il suo prestigio personale, invitò per la seconda volta G. Cameron per il tè a Brumbie Hall. Il conte fece consegnare l'invito dal signor Brothcock in persona, non rendendosi conto di quanto quel compito fosse degradante per il sovrintendente. Cameron, l'aspetto domani per il te alle quattro e mezzo. Penso che questa volta riusciremo a intenderci meglio che nel passato. Abito da pomeriggio. La cosa puzzava di corruzione. « Temo dovrà dire al conte che non posso andare » dichiarò Gillon. Brothcock, che era già uscito, tornò ad affacciarsi sulla soglia per dirgli: « Quando lord Fyffe chiama, devi correre ». « Non in questo paese. Lei sta pensando a un altro posto. » Brothcock voltò le spalle alla casa dei Cameron. « Ti sei reso la vita impossibile, qui » Gillon lo udì dire. Maggie era stravolta dalla rabbia. « Stupido! » gridò al marito. « Stupido insolente! Chi ti credi di essere? Sei un pazzo. Ci vuoi distruggere. Verranno qui a bruciarci vivi in casa nostra. Io lo conosco. » Lo guardava con occhi da pazza, tanto che Gillon se ne preoccupò. « Stai comportandoti come un'isterica » le disse brusco. « Controllati. » Maggie Cameron aveva ragione. Il pomeriggio seguente, capeggiati da Brothcock, alcuni uomini risalirono la collina: erano di Easter Mungo con un carro pieno di attrezzi da demolizione. « Ehi voi, là dentro! » gridò Brothcock. « Avete un'ora di tempo per sgomberare. Questa casa appartiene al conte di Fyffe, che ha ordinato di buttarla giù entro oggi. » Ma ad attenderli c'erano anche i Ventuno, muniti dei loro attrezzi: picconi, succhielli, calcatoi da dinamite in ferro lunghi due metri, e qualche cesta piena di sassi. E non c'erano soltanto i Ventuno. Degli ottocento minatori della valle di Pitmungo, solo una cinquantina - e quasi tutti vecchi - non avevano aderito all'Associazione del Campo Sportivo. Inoltre, il signor Brothcock non era stato saggio a salire lassù dopo che i minatori avevano terminato il turno: più di un centinaio di uomini, anonimi nelle loro maschere di polvere di carbone, erano lì ad attenderlo. Gillon uscì di casa per affrontare il sovrintendente. « L'avverto. Questa casa è mia e l'ho pagata in anticipo. Ho un regolare contratto d'affitto per due anni. In 89
questo paese non si può entrare in nessuna casa senza un regolare mandato di perquisizione del tribunale. » Gli uomini, erano un centinaio, cominciarono adagio a battere sul selciato con i loro arnesi finché l'aria, a poco a poco, fu tutta un risuonare di ferro e d'acciaio. La squadra di operai cominciò a far marcia indietro, e Brothcock rimase solo. « Non ci servono mandati » disse Brothcock. « Gli ordini di lord Fyffe sono legge, qui. » « Signore » disse Sam. « Mi scusi se la disturbo, signore, ma il suo carro con gli attrezzi sta andando giù per la discesa da solo. » Il carro scese sferragliando e acquistando velocità lungo Moncrieff Lane; precipitò a valanga, con gli arnesi che a ogni dislivello del terreno volavano in tutte le direzioni e finì poi, con un rincuorante fragore di tuono, contro la recinzione che delimitava il Campo Sportivo, sfondandola. « Cameron! » gridò Brothcock. «Questa me la pagherai. » Otto o dieci minatori, irriconoscibili a causa della polvere di carbone che oscurava loro il viso, sollevarono di peso il sovrintendente e lo portarono fino al pozzo Lord Fyffe n. 1: lì, in una gabbia, lo calarono fino in fondo al pozzo per 900 metri senza fermate. Il signor Brothcock non si presentò mai più al Belvedere Tosh-Mungo. Un giorno, Maggie si rese conto che ormai la questione del signor Ogilvie non importava più poiché, anche se egli fosse morto e loro avessero rilevato l'impresa, nessun proprietario di miniere, nel Fife occidentale, avrebbe mai acquistato dai Cameron una sola attrezzatura mineraria. Tutto finito, pensò: i soldi, gli affari, l'evasione, il sogno. Per salvare il proprio orgoglio Gillon aveva infranto il sogno di Maggie. Per lei più dolorosa della perdita del suo amato "argento" era l'idea di tutto ciò che le era costato ottenerlo: tutta la fatica, gli espedienti, le piccole privazioni. Quel negarsi ogni cosa, fingere di non aver bisogno di zucchero nel tè o di burro sul pane, perché loro erano i Cameron. Maggie non usciva quasi più dalla sua stanza. Se ne stava seduta al buio abbandonandosi alla sua disperazione. C'erano stati momenti in cui aveva pensato di uccidere il signor Ogilvie e l'idea l'aveva spaventata. Ora, quando si svegliava in un bagno di sudore dai sogni di nere casseforti vuote, pensava a Gillon morto. Non voleva ucciderlo, lo sapeva benissimo, e tuttavia lo vedeva morto dovunque volgesse lo sguardo, morto con la testa sul piatto della minestra, morto, soprattutto, nel letto. Maggie riuscì ad avere ancora abbastanza controllo di sé per capire che se non voleva uscire di senno doveva fare qualcosa. Si vestì alla meglio e uscì nel viale dove regnava un silenzio di tomba. Era una notte senza luna e camminare sul Campo Sportivo era difficile, con tutti quegli attrezzi sparsi sul terreno; tuttavia, dal pozzo Lord Fyffe n. 1, proveniva un po' di luce. Passò davanti alla loro vecchia casa nel Vicolo dei Minatori. Si sentiva di nuovo quella di una volta e, a mano a mano che avanzava nel buio, sentì che la follia la abbandonava. Prima di partire, avrebbero ricominciato a lavorare: su quel punto non transigeva e la fuga dei suoi soldi sarebbe finita quella notte stessa. Quando arrivò nella strada di fondovalle, vide che le luci a Brumbie Hall erano ancora accese. Quelli là potevano permettersi di tenerle accese tutta la notte. Poi arrivò davanti alla casa di Brothcock. Al buio, trovò il battente della porta e diede alcuni colpi con forza. Finalmente una donna si affacciò alla finestra. «Cosa vuole? Che cosa fa li? » « Devo parlare subito col signor Brothcock. » «Il signor Brothcock dorme della grossa. Lei deve essere pazza per venir qui a quest'ora. Vada a casa e torni domattina. » « Gli dica che c'è la signora Cameron. Pesterò alla porta finché non farà quel che le ho detto. » Brothcock si affacciò alla finestra. « Voglio firmare il contratto » disse Maggie. «Come sarebbe, firmare ? Che razza di trucco è questo? » « Non è un trucco. Sono madre e tutrice legale dei miei figli. Posso firmare per loro. » « Non li vogliamo. Non vogliamo i suoi figli nella nostra miniera. » « Oh, sì, invece. Fra tutti i minatori di Pitmungo, sono proprio loro invece che voi volete. » « Aspetti un attimo » disse Brothcock. Dopo un po' s'accese una luce e la porta si aprì, mentre il sovrintendente la invitava bruscamente a entrare. « Ora, ricominci tutto daccapo » esordì, e lei ripeté ciò che aveva detto. La cosa non era del tutto assurda. Come avrebbero reagito i Ventuno quando si fosse venuto a sapere che tutti i Cameron, tranne Gillon naturalmente, avevano firmato il famoso contratto? Firmato per interposta persona, naturalmente: un particolare tecnico che la maggior parte della gente non avrebbe afferrato. 90
«Io voglio che lavorino » disse Maggie. « Mi portano via i soldi dalla cassaforte e con essi la vita. » Lui non capì quel discorso, ma andò nella stanza accanto, e si portò dietro il lume, lasciandola al buio. C'erano dei topi nella casa, o forse dei ratti. Maggie li udiva leccare il grasso sui mattoni accanto al focolare. Quelli che vivono qui sono dei porci, pensò, mentre attendeva che lui tornasse. Brothcock rientrò nella stanza con alcuni fogli in mano. « Che ne pensa di questo, suo marito? » « Non ne sa nulla. Perché crede, allora, che io sia venuta di notte? » « Un bell'uomo, suo marito, con quel kilt » fece l'altro, sarcastico. « Oh, ha fatto la sua figura a Brumbie Hall. Ha saputo delle scarpe, vero? Su, mi dica i nomi. » « Rob Roy Cameron. » L'uomo scrisse, con estrema attenzione. « Ma che bel nome per un minatore! Lei sognava in grande, signora Cameron. » « Andrew Drum Cameron. » Si udì il graffiare del pennino sulla carta. « Samuel Sutherland Cameron. » «Questo qua, un giorno, avrà quel che gli spetta, se mi consente. è un gran furbacchione, come suo fratello minore. » « è morto, capisce » fece lei. «Jemmie è morto. » « Il prossimo, ora. Mi dica il nome del prossimo. » « James Forbes Cameron. » Maggie passeggiava per la camera in penombra con aria svagata. « è morto, capisce. Non posso firmare per lui, perché è morto » ripeté. « Quella non ha il cervello a posto » gridò la signora Brothcock dal pianerottolo « Fa' attenzione; sta' lontano da lei. è pazza. » « Si ricorda quando uno dei miei figlioli le disse di stare attento alla testa?» Maggie cominciò a guardarsi attorno, per cercare un attizzatoio o una paletta con la quale colpirlo alla testa. Quando trovò l'arma, era ormai troppo tardi. Il signor Brothcock le afferrò il braccio, torcendoglielo, e Maggie dovette lasciarla cadere sul pavimento. Il dolore al braccio e il fragore del ferro sulla pietra la strapparono a quello stato di ipnosi: i suoi occhi misero la stanza di nuovo a fuoco. « Ho tentato di colpirla? Ma non volevo farlo. Volevo ringraziarla. Lei, infatti, m'ha insegnato qualcosa. » La signora Brothcock aveva sceso le scale e aveva aperto la porta. « La porta » proferì. « Questa è la porta. » « Già, la vedo. Prima però devo dirle una cosa» fece Maggie rivolta alla donna. « Lei è stata una madre migliore per i suoi bambini, di quanto io non lo sia stata per i miei, lei che vive qui insieme ai topi e al grasso e a un porco come suo marito. » « Lei è pazza, non lo capisce? » disse il signor Brothcock. « è molto malata, è pericolosa. Parlerò di lei al dottor Gowrie e lui dovrà rinchiuderla in qualche posto. » « No, passerà » disse Maggie. « Passerà subito. » Sapeva di essere stata in qualche posto strano - con la mente, con lo spirito, o con quel che era - e di non essere ancora tornata indietro del tutto. « Volevo colpirla alla testa e me ne vergogno: le domando scusa. » Lui rimase in silenzio e si limitò a sgualcire i fogli con le mani. A Maggie sembrò di udire la voce di suo padre, di udire le ultime parole che lui le aveva detto prima che lei partisse per Strathnairn per trovare Gillon: "Mai rinnegare la tua razza". «Non vuole firmare questi fogli?» le domandò Brothcock. Maggie li guardò e pensò che Brothcock doveva essere ben sciocco se credeva che lei volesse ancora firmare quelle carte. « Era qui, in questa stanza con me, lei? Io c'ero e non c'ero, ma lei c'era senz'altro. Che cosa le fa pensare, in nome del Cielo, che io voglia firmare quella roba? No, noi Cameron non vogliamo firmare nessun foglio del genere. » Maggie uscì, ma prima che la signora Brothcock chiudesse la porta, ritornò sui suoi passi. « Il mio scialle. C'è gente che dimentica il cappello, ma io non dimentico lo scialle. » «Lei dice cose senza senso, lo sa?» « Può darsi, ma non accadrà più. » Maggie sapeva che il momento peggiore era passato. Stavano cercandola tutti, come avevano fatto con Jemmie, qualche settimana prima. Fu Rob Roy a trovarla, Rob, che si era trasferito di nuovo nella parte bassa del paese e che perciò era il più vicino alla strada di fondovalle. « Oh, mamma, stavamo in pensiero per te. » « Oh, be', non avevate torto, ma ora sto meglio, credo. » «Pare anche a me.» Lei avrebbe voluto dirgli una cosa, sperando di liberarsi di una parte del peso che le opprimeva il cuore. "Non ho mai baciato Jemmie, non l'ho mai tenuto stretto, neanche una volta." Ma le parole non le vennero fuori. Invece disse: « Credo di essere stata malata, per un po' di tempo ». « Appunto per questo son venuto a cercarti » disse Rob. « Temevo ti fosse successo 91
qualcosa. » « Sì, capisco. Ma ormai è tutto passato. » « La morte di Jem e tutto il resto. è stato troppo. » Ecco che Rob aveva messo il dito sulla seconda piaga. La morte di Jem era stata un colpo tremendo per lei, ma era stata la perdita dei suoi risparmi a portarla sull'orlo della disperazione: non Jem, ma la cassaforte. Stavano passando davanti al pozzo lady Jane e lei aveva dimenticato quanto esso fosse nero e sudicio. Per più di vent'anni aveva mandato il suo uomo in fondo a quel pozzo per colmare quella cassaforte, che ora lui stava svuotando. Quei soldi appartenevano a lui, alla fin fine. «Voglio che ritorni a casa » disse a Rob Roy. « Non è giusto che tu viva quaggiù, da solo. » Lui la guardò. Qualcosa era cambiato in lei, senza dubbio. « Va bene, sì. Lo farò. » « Vieni domani pomeriggio: verrai, Rob? » « Sì, domani pomeriggio. Devi aver freddo. » Maggie tremava. « Ho perduto un figlio, ma ora ne voglio uno indietro. Puoi capirlo ? Ti sembro egoista, Rob?» Lui le sorrise. « Sì, certo. Tutte le madri dovrebbero essere egoiste. » « Perché ora dobbiamo stare tutti uniti. Siamo tutto ciò che ci rimane. » Poi gli prese la mano. Mai, in vita sua, aveva fatto un gesto simile. Ritornarono su per il Corso dei Carbonai, e strada facendo incontraronO gli altri a uno a uno, e nessuno di loro disse nulla alla madre, dl quella notte. La sua mente era stata altrove, ma ora sapevano che non stava più male, e che il peggio era passato. CAPITOLO SETTIMO Il processo Cameron contro Farquhar non corrispose neppure lontanamente a ciò che i Cameron e la gente di Pitmungo avevano immaginato. Il conte di Fyffe non fu affatto trascinato davanti al banco degli imputati come un volgare malfattore: si fece rappresentare da un legale di nome James Riddell. « Non sarebbe meglio sistemare ogni cosa fuori del tribunale e risparmiare a tutti noi questa seccatura? » propose il signor Riddell. « Le pagheremo cinquanta sterline e le spese e le assicuro che è più di quanto le assegnerà il giudice Finletter. » Ma Gillon rifiutò. Voleva il suo giorno di gloria in tribunale. Il giudice Finletter aveva bevuto. L'aula del tribunale puzzava come la taverna di Pitmungo nelle sere di paga. Gillon era avvilito e, per di più, il suo avvocato, il signor MacDonald, non si era presentato. « Non contavi sul serio, sulla presenza di MacDonald, vero? » gli domandò il signor Selkirk. « Oh, sì, sì. » « Quello se ne infischia del tuo indennizzo. Devi cominciare a farci il callo, a cose del genere » gli disse. « Una volta rotta la solidarietà, non hanno più avuto bisogno di te. » Poi, fu annunciata l'udienza e il giudice gli chiese di raccontare come si era svolto l'incidente. Lui descrisse minuziosamente come il piccone avesse perforato il muro andando a conficcarsi nella sua spalla. « Brutto affare » disse il giudice, mostrando un certo interesse. Poi, venne chiamato il signor Brothcock, il quale cercò di dimostrare come Gillon non avrebbe dovuto affatto trovarsi in quella parte della miniera. « Perché no ? Può dimostrarmelo in qualche modo ? » « No, Vostro Onore, non proprio. Come sovrintendente della miniera, però, io lo so, ecco tutto. » A quelle parole, tutti i Cameron, il signor Selkirk e alcuni dei Ventuno che erano venuti a Cowdenbeath appositamente per godersi lo spettacolo del loro padrone, che si prendeva una bella lavata di capo, scoppiarono a ridere. « Quand'è stata l'ultima volta che è sceso nel pozzo, prima di quel giorno?» domandò a Brothcock il giudice Finletter. Domanda veramente pertinente, pensò Gillon, rincuorato dall'efficienza della giustizia. «Be' » rispose Brothcock, « non rientra nei miei doveri scendere nei pozzi tutti i giorni, Vostro Onore... » Altre risate. « Dovrei dir loro di non ridere » fece il giudice, rivolto a tutti e a nessuno in particolare, « ma la cosa ha una certa importanza. Quando ? » « Oh, vent'anni fa » rispose Brothcock. « E quanti minatori ha sotto di sé? » « Circa ottocento, Vostro Onore. » « E sa sempre in che punto si trovano tutti quanti, in ogni momento lì, sottoterra ? » « Sì, Vostro Onore. » « Acqua » ordinò il giudice. Il cancelliere gli porse un bicchiere di vetro scuro il cui contenuto si poteva soltanto intuire. Poi si discusse sul procedimento in uso per sgomberare uno scavo della miniera e spaccare il muro per entrare in quello adiacente. « E lei lo scavo adiacente lo ha controllato? » Alla sbarra c'era Elphinstone. « Oh, no, Vostro Onore, 92
niente affatto Vostro Onore, mai controllato, assolutamente. Siamo stati incoraggiati a sfondare il muro... Oh, Dio, è stato orribile... e doveva toccare proprio a me conficcare il piccone nella spalla di quel poveretto...» « Lei, signore, può ritirarsi » disse Finletter. « Sono terribilmente spiacente » disse Elphinstone a Gillon, passando in mezzo ai banchi. « Non ha idea di quanto mi dispiaccia. » « Quanto chiede? » domandò il giudice a Gillon. « Quattrocento sterline di danni, signore. » « Ridicolo! » esclamò Riddell. « Quanto le ha offerto il conte? » domandò ancora Finletter. «Quaranta sterline, Vostro Onore. » « Ridicolo! » disse il giudice. « Proprio stamattina gliene abbiamo offerto cinquanta » spiegò Riddell « Oh, dunque ammettete di essere colpevoli? Andiamo nel mio ufficio un momento. » Lì, Gillon venne invitato a mostrare la ferita. « Il denaro è importante, Vostro Onore » disse Gillon, « ma quanto io voglio affermare è il diritto di ogni uomo a citare per danni il padrone e di ottenere un risarcimento, non secondo il capriccio del padrone, ma secondo gli ordinamenti della legge. » « Ehm, ehm... Brutto affare » bofonchiò il giudice. « Uhm, uhm ... Ancora acqua! Perché gli uomini insistono a voler scendere nei pozzi?» « La fame è una buona consigliera, Vostro Onore » rispose Gillon. Queste parole piacquero al giudice e tutti tornarono nell'aula. « Mi piace questa frase » disse Finletter. « Lei si esprime bene per essere un minatore; ha esposto perfettamente il suo punto di vista. » « E poi c'è la faccenda del contratto, Vostro Onore. » Il giudice aveva l'aria triste e stanca. Chiamò Brothcock alla sbarra e tutti videro il sovrintendente che continuava ad annuire e a dire "sissignore". Poi, lo videro voltarsi e uscire dall'aula. « E così abbiamo chiuso. Chiuso con questa storia del contratto. Ancora una cosa, di dov'è, lei? » domandò il giudice rivolto a Gillon. « Di Pitmungo, signore. » « Non sono mai stato da quelle parti. Dev'essere l'abisso infernale della Scozia. Il risarcimento sarà di centoquaranta sterline. » Si udì un gran sospiro di sollievo. Era andata meglio di quanto tutti non avessero sperato. « Pitmungo. Che brutto nome » fece il giudice, rivolgendosi a tutti e a nessuno in particolare. « Dio del Cielo, che brutto posto dev'essere. Avanti il prossimo. » Terminato il processo, non rimaneva che partire. Non c'era altro da fare. Un precedente esisteva ormai, ma i Cameron dovevano pagare di persona per averlo stabilito. La legge, forse, poteva garantire ai minatori il ritorno nei pozzi, ma per Gillon la vita, là dentro, non sarebbe più stata degna di essere vissuta. Andrew venne inviato a Glasgow per acquistare i biglietti. Era il tipo capace di ottenere le cuccette migliori al prezzo migliore, lo sapevano tutti, dopo di che tutti loro avrebbero dato l'addio alla Scozia. Che cosa avrebbero lasciato in fin dei conti ? Una casa che non potevano acquistare e, al cimitero, un duro pezzo di terra dove Jemmie giaceva, ormai quasi terra anch'egli. E nient'altro, dopo che gli anni trascorsi da tutta la famiglia in miniera ammontavano ormai quasi a un secolo. Non rimaneva nulla di cui dolersi, nulla su cui piangere; a meno che una giovinezza perduta e una vita perduta non avessero il loro valore. E, forse, un amore perduto. Sam era quello che più li preoccupava e che più di tutti andava sorvegliato. Doveva mantenere delle promesse e l'antica, selvaggia tenebra sembrava nuovamente discesa su di lui. Ma, mentre Sam faceva progetti, Andrew si rodeva. La domenica, prima che caricassero il carro, Andrew scese dal Belvedere Tosh-Mungo per chiedere a Walter Bone il permesso di parlare con sua figlia. Andrew e Alyson salirono fino ai margini del frutteto, dove potevano stare al riparo degli alberi e vedere in basso Pitmungo. Quando si furono fermati, Andrew indicò gli oscuri pendii delle colline e le case grigie del paese. «Ti basta, tutto questo?» le domandò. Quante volte, a casa sua, aveva udito porre la stessa domanda. « Sì, sì, mi basta. » « Crescere qui, vivere e morire qui ? Senza mai conoscere qualcosa di meglio ? » « Mi piacerebbe qualcosa di meglio, forse; non so, non ho mai provato. Ma tu cosa vuoi? Cosa stai cercando di dirmi?» « Quel che sto cercando di dirti... oh... » Andrew aprì la tasca del giubbotto, ed estrasse un biglietto del piroscafo: un entusiasmante cartoncino con l'illustrazione di una gigantesca nave, sul quale era stampato, a lettere rosse: New York. Alyson lo osservò a lungo. «Molto interessante. » « è tuo » disse lui. Poi soggiunse: « Se lo vuoi ». « «Come sarebbe a dire, è mio ? A chi mai potrebbe venire in mente di farmi un regalo simile?» « Uno che vuole che tu vada in America con lui. » « E chi 93
sarebbe ? Chi ? » « Oh, Dio, Alyson. Io. » « E perché mai lo vuoi ? » Lui pronunciò le fatidiche parole che però gli sembrarono assurde. « Perché ti amo.» Suo malgrado, lei dovette riderne. « Oh, Andrew, tu non mi ami. Non hai voluto confidarmi il tuo segreto, la tua famiglia viene prima di me. E se tu mi amassi veramente, non avresti chiesto a mio padre il permesso di dirmelo, me l'avresti detto e basta. E non mi invoglieresti con un biglietto per l'America. Potresti avermi col tuo amore, non con un biglietto per New York. » « Non cerco di invogliarti! » protestò Andrew. Glielo gridò in faccia e lei attese per un attimo che si calmasse. Le luci stavano accendendosi in tutta la valle e parevano tanti lumini a olio color arancio. In quel momento si udì cigolare la ruota di sollevamento del pozzo Lord Fyffe n. 1: una gabbia stava scendendo. Non è possibile, pensò Andrew; non è possibile, la domenica sera. Qualcuno stava scendendo di nascosto. Andrew ebbe paura di ciò che Sam stava per compiere. Entrarono nel frutteto e Andrew temette di scoppiare in lacrime da un momento all'altro: ma le lacrime non venivano. « è vero, sai? » disse, quando fu buio sotto i meli dal folto fogliame e le ombre gli nascosero il volto. «Vero che cosa ? » « Che ti amo. » « Oh, ma non capisci, Andrew? A malapena ce l'hai fatta a dirmelo. Non dico che tu non sia capace di amare. Ma penso che tu possa amare veramente solo un Cameron. No, non potrei sposare un ragazzo come te » la sentì dire Andrew, non per offenderlo con quelle parole, ma per affermare semplicemente una verità. « Ora scendo. Ti farebbe piacere baciarmi?» « No, ora non voglio, credo. Non mi sembra giusto, ora. » La ragazza uscì dal riparo degli alberi e lui notò di nuovo quanto era bella, la cosa più bella di Pitmungo. « Be', addio, allora, Andrew. Ti auguro buona fortuna in America » disse Alyson, avviandosi giù per il sentiero. « Non ti dimenticherò mai, Alyson. » Poi restò seduto lì a lungo, pensando che l'unico suo desiderio era prendere il posto di Jemmie sottoterra. Era passata da un pezzo la mezzanotte, quando Andrew entrò in casa piano piano e andò difilato in camera sua. Come aveva previsto, Sam non c'era. Sul suo letto c'era la Storia dell'evacuazione delle Terre Alte, quel pericoloso libro di Sam. Era aperto e in fondo a una pagina Sam, in una chiara grafia, aveva scritto queste parole: "Fa' ciò che il sangue ti comanda". Sam tornò all'alba, coperto da capo a piedi della melma del pozzo. « Dove sei stato ? » gli domandò Andrew. Sam sembrava a suo agio, ma Andrew non era tranquillo. « A dire addio alla miniera. » « E cosa hai fatto? » « Niente. » Pareva tornato il Sam arrogante, un po' scherzoso d'un tempo. « Se hai fatto quel che penso io, tutti noi abbiamo il diritto di saperlo » Sam si diede alacremente da fare per la stanza, a preparare l'acqua per il bagno e a lavare gli indumenti della miniera. « Debbo dirti una cosa » annunciò. «Nessuno di noi sarà fermato quando lasceremo il paese, nessuno sarà ad attenderci, a Glasgow. Ora, non so cosa ti sia successo, ma hai un'aria malata e ti consiglio d'infilarti nel letto e di farti una bella dormita. » Impiegarono meno di un'ora per caricare il carro e poi furono pronti a partire. Solo poche persone vennero a vederli mentre lasciavano il paese, ma in Corso dei Carbonai li attendeva una sorpresa: ci trovarono Sarah e Sandy Bone. «Vogliamo venire con voi » disse Sandy. « Avete i soldi per portarci via? So che un giorno potremo restituirveli. » Andrew tastò il biglietto in più che aveva in tasca. Ironia della sorte! Quel biglietto l'avrebbe usato un altro Bone, alla fin fine: l'amore di sua sorella, anziché il suo. « Possiamo farlo?» domandò Maggie e Andrew annuì. « Aiutalo a salire sul carro » disse Maggie e allora tutti capirono senz'ombra di dubbio che, qualsiasi cosa le fosse accaduto quella famosa notte, il cambiamento avvenuto in lei non era soltanto illusione. Avrebbero condotto in America il figlio di Walter Bone. « Pensavo che avremmo potuto passare dal cimitero » disse Gillon « ma non credo che il carro ce la farebbe. » Ai piedi della tomba di Jemmie avevano piantato una radice del pino silvestre. Lui ne sarebbe stato contento. Così, scesero per il Campo Sportivo e attraversarono i vecchi vicoli del paese. « E un po' diverso dal giorno in cui arrivammo » disse Gillon a Maggie. « Non c'è nessuno davanti ai cancelli, per fermarci. » « Ti ricordi che quel giorno mi prendesti per mano? » «Oh, sì.» « Puoi farlo ancora. » «Hai paura come allora?» « Sì, sì. Ho paura. » « Io pure » disse Gillon. Si tenevano sempre per mano quando passarono davanti alla Sala di Lettura dei Lavoratori dell'Industria, dove il signor 94
Selkirk dormiva, mentre i suoi migliori discepoli partivano verso una nuova terra. Il viaggio fino a Glasgow fu tutt'altro che facile, ma finalmente arrivarono in città e proseguirono per Clydebank, dove arrivarono due giorni prima di salpare. La nave era grandissima, si chiamava Clunie Castle ed era un cargo che trasportava frumento e pochi passeggeri. Gillon si sentì rinascere, quando fu sul mare: quello era il suo vero elemento, pensò. Tutti quegli anni, aveva vissuto come uno straniero, ma il suo mondo era quello, e lì si sentiva perfettamente a suo agio. Ora aveva ripreso il comando della sua famiglia. Una nuova, esaltante sensazione stava impadronendosi di loro. Soltanto una cosa frenava l'entusiasmo dei Cameron ed era il pensiero che l'unico di tutti loro che aveva ardentemente desiderato fare quel viaggio, ora giaceva nel carbone e nella terra di Pitmungo. Dal flusso della marea e dal movimento delle correnti nel porto, Gillon capì quando sarebbero partiti. « Leveranno l'ancora tra un'ora » annunciò ai familiari che furono impressionati dall'esperienza paterna. Il Clunie Castle cominciò a scivolare lentamente sul fiume Clyde diretto verso il mare. Verso mezzogiorno erano al largo dell'estuario di Firth of Clyde e fu allora che ebbero la prima sensazione dell'immenso oceano che li attendeva. Per qualche tempo, non ci fu nessuna terra in vista e credettero di aver lasciato per sempre la Scozia. Poi, nel pomeriggio, alla loro destra comparve l'isola di Arran, un'immensa distesa di pascoli verdi e tutti a quella vista gridarono d'entusiasmo. « Non vedrete mai più una terra come questa » disse Gillon. Tutti notarono come la sua voce vibrasse d'orgoglio. « è la regione delle Terre Alte. » « è come questa, la terra dove sei nato ? » gli domandò Sandy Bone e Gillon annuì. « Come hai potuto lasciarla per andare a Pitmungo? » disse Rob Roy. Gillon guardò Maggie. Lei sorrideva. Le nubi coprirono il sole per alcuni istanti, trasformando il mare in una distesa color giada scuro, della stessa tinta che a volte prendeva il mare attorno a Strathnairn. « Allora » domandò Andrew a Sam, quando furono soli davanti al parapetto della nave. « Cos'hai fatto giù nel pozzo Lord Fyffe? » « Te l'ho detto. » « Non ti credo » ribatté Andrew. « Hai messo qualche aggeggio esplosivo per dar fuoco alla miniera, vero? E adesso è in fiamme, non è così? Ho visto i libri che leggevi. » Alla fine Sam disse, rivolto al fratello: «Sì, poteva essere così. E quanto volevo fare, ma non ne ho avuto il coraggio, capisci? Ho tradito tutti noi. Ho tradito Jem. Ho combinato un imbroglio e basta ». Andrew era emozionato. « Non hai lasciato l'esplosivo nella miniera allora?» Sam crollò il capo. Andrew non aveva mai visto il fratello così avvilito, nemmeno quando era morto Jem. « Volevo farlo. Ma qualcosa me l'ha impedito. » «Sì, ma tutto quadra, non capisci, Sam? Un Cameron non avrebbe potuto mai fare una cosa simile. Dare alle fiamme la miniera. Avresti potuto uccidere degli uomini, laggiù, e ridurne centinaia alla disoccupazione. » « Jem l'avrebbe fatto » disse Sam. « Sarebbe sceso laggiù e avrebbe fatto giustizia. » Ma Andrew continuava a scuotere il capo e a poco a poco Sam s'acquietò, perché aveva cominciato a capire che Andrew aveva ragione. « A volte sono stufo marcio di essere un Cameron. » « Be', non ci si può fare assolutamente nulla. » E i due fratelli si sorrisero. Erano saliti tutti sul ponte, nel crepuscolo, per vedere scomparire l'ultimo lembo di Scozia. « Lo sapevate che la nostra famiglia ha un motto ? » gridò loro Gillon. Essi lo ascoltavano, non distogliendo lo sguardo dalla terra che si allontanava. Lui lo pronunciò in gaelico, orgoglioso della sua bravura. « Chlanna nan con thigibh a so's gheibh sibh feoil. » Di nuovo essi si stupirono di ciò che aveva detto il padre. «Vuol dire: "Figli del segugio, venite qui a mangiare la carne". » Per loro quelle parole non significavano nulla, ma al tempo stesso significavano qualcosa. La carne l'avevano avuta e perduta, e ora erano in viaggio, decisi a riconquistarla. Sandy Bone sembrava il più commosso « Voglio diventare un Cameron » dichiarò. Loro non capivano. « Voglio cambiare nome. I miei figli, comunque, saranno per metà Cameron. » « Vuoi essere un figlio del segugio, dunque? » disse Sam. « Sì, lo voglio. » « Allora, lo sei già » disse Gillon. Erano usciti dal Canale del Nord e stavano per affrontare l'oceano aperto. Il mare era agitato. Gillon sentiva il carico di grano oscillare lievemente e far 95
rullare la nave. « Così, non stai male? » disse a Maggie. « Questa volta è assai peggio di quel giorno a Strathnairn. » Si erano sentiti tutti male, i ragazzi e le due ragazze. « Star male è roba da giovani, da gente viva. Quando dentro si è ancora pieni di fuoco. Io invece sono troppo vecchia. Sono cose superate, per la mia età. » Lui la capì e non disse nulla e alla fine si stupì scoprendo di essere arrabbiato con lei. Così la portò lontano dal resto della famiglia. « Tu non hai superato un accidente » le disse. « Stai invecchiando troppo presto. Non hai nemmeno quarant'anni. Non hai il diritto di parlare così. Tu mi devi degli anni, a me. » Il faro in cima al promontorio era stato acceso e se ne vedeva ancora il bagliore. « Oh, com'ero spaventata quella sera» disse Maggie all'improvviso. « Quando le luci di Drysdale ci presero in pieno. » « Davvero ? Hai avuto paura quel giorno? Non me l'hai mai detto. » «Ero convinta che sarei annegata.» « Non me l'hai mai detto. » « No, non te l'ho mai detto. » Sapevano di aver toccato un tasto molto importante. « Avrei dovuto dirtelo » fece Maggie. « Lo capisco ora. » « Ho avuto paura anch'io. » «Lo so.» « Avremmo potuto aiutarci a vicenda. » La luce del faro passò sopra la nave come una luce che attraversa le ali di una falena e sembra impolverarla di un tenue e arcano bagliore. « Quanto poi a non sentirti viva: tu devi ancora parecchi anni di vita » disse lui. «A chi li devo?» Gillon indicò i figli allineati lungo il parapetto della nave. « Ormai possono badare a se stessi. » Di nuovo lui s'infuriò contro di lei, per averlo costretto a scoprirsi così. «Ah, Maggie. A me! A me! » Alcuni dei ragazzi si voltarono a guardare il padre e poi tornarono a guardare il mare, ma Rob Roy attraversò il ponte per andare da loro. « Be' è andata » disse Rob. « Scozia, addio! La vita sarà migliore in un altro Paese. » Poi tirò fuori dalla tasca della giacca una bottiglia. « E addio anche al vecchio whisky. » Così dicendo buttò la bottiglia in mare, oltre il parapetto, e guardò i genitori. « Ma che bel gesto, Rob, che bella scena. » «Non è una scena. » « Lo dirà il tempo » ribatté sua madre. « Già, è sempre il tempo a parlare. » Gli altri vennero verso di loro costeggiando il parapetto. L'acqua a prua era nera, ormai era notte, ed era ora di scendere sottocoperta. Era stata una lunga giornata. Si augurarono la buona notte. Sarah pianse, ma nessun altro mostrò una particolare emozione nell'abbandonare la propria terra. Scesero nel salone da pranzo a giocare a carte, prima di sdraiarsi sulle cuccette. Gillon avrebbe voluto prendere la mano di Maggie, ma quando allungò il braccio sul parapetto per farlo non la trovò; allora, scoprì che la moglie se n'era andata e una grande tristezza l'assalì, una tristezza che rasentava l'amarezza. Decise che non sarebbe sceso da lei e così restò appoggiato al parapetto a osservare le onde fosforescenti frangersi contro le fiancate della nave ed esplodere come stelle. Poi la sentì salire la scaletta. Era quasi impossibile distinguere qualcosa in quell'oscurità: non c'erano luci in coperta, ma Gillon credette di aver intravisto un gesto; poi, fu certo di vedere lo spruzzo delle onde e il subitaneo spumeggiare dell'acqua, prima che il mare si chiudesse di nuovo. « Che cosa hai fatto ? » domandò Gillon. « Cos'è che hai buttato ? » « Lo sai. » Lui cercò di indovinare, ma non vi riuscì. «Oh, Gillon. La cassaforte, vecchio mio. La cassaforte. » Come quel giorno in cui l'aveva conosciuta, non trovò assolutamente nulla da dirle. Non poteva esprimere con le parole la grandezza di quel sacrificio. « Ecco cosa penso » disse lei finalmente. Gillon guardò il mare. L'esperienza gli aveva insegnato che era meglio non guardare in faccia una persona, che sta cercando di spiegare qualcosa. « Ho riflettuto. Penso che riuscirei a essere felice, ma non so come» disse lei. « Non ci ho mai provato. » Davanti a loro, come Gillon ben sapeva, c'erano le Ebridi, ma ormai lui non le avrebbe più viste ed era un peccato, perché aveva sempre desiderato conoscerle. « Puoi sempre provare. » « Sì, posso provare. » Con la forza della sua personalità, Maggie lo costrinse a guardarla. « Ma non posso cambiare completamente, lo sai. Puoi capirlo, Gillon?» « Sì, posso capirlo. » Ormai erano usciti dal riparo della penisola di Kintyre e davanti a loro non c'era che l'immensa distesa dell'oceano Atlantico: alla fine del viaggio ci sarebbe stata l'America. La Scozia non c'era più; la Scozia era dietro di loro, apparteneva al passato. « Però posso provare » disse Maggie, facendo scorrere un dito sul dorso della mano di Gillon; poi, scese sottocoperta.
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