ANNE PERRY I BASSIFONDI DI RESURRECTION ROW (Resurrection Row, 1981) 1 La nebbia si infittiva giù lungo la strada, sfuma...
15 downloads
346 Views
741KB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
ANNE PERRY I BASSIFONDI DI RESURRECTION ROW (Resurrection Row, 1981) 1 La nebbia si infittiva giù lungo la strada, sfumando le distanze e offuscando il chiarore dei lampioni a gas. L'aria, gelida e pungente, prendeva alla gola e tuttavia non raffreddava l'entusiasmo degli spettatori che sciamavano fuori del teatro, accennando arie della nuova opera di Gilbert e Sullivan, The Mikado. Una ragazza, ondeggiando dolcemente, si esibì persino in una imitazione della piccola eroina giapponese finché la madre non le ricordò bruscamente di comportarsi con il decoro che si addiceva alla sua famiglia. A un paio di centinaia di metri di distanza, Sir Desmond e Lady Cantlay camminavano lentamente in direzione di Leicester Square con l'intenzione di accaparrarsi una carrozza a nolo: non avevano portato la loro vettura per la difficoltà di trovare un posto dove lasciarla per tutto il tempo dello spettacolo. Non era prudente, in una serata di gennaio così fredda, lasciare che i cavalli rimanessero in attesa o che continuassero a girare nelle vicinanze per essere lì pronti al momento dell'uscita dal teatro. Era così difficile mettere insieme una pariglia di cavalli veramente affiatata che non si poteva rischiare la loro salute senza una vera necessità. Le carrozze a nolo erano del resto numerose ed era facile trovarne una alla fine dello spettacolo. — Quest'opera mi è davvero piaciuta — osservò Lady Gwendoline con un sospiro di soddisfazione che si trasformò in un brivido, quando fu investita da una folata di nebbia. — Devo comprarne la musica e provare a suonarla per mio conto. È molto bella. Specialmente quella romanza cantata dal protagonista. — Respirò profondamente, si schiarì la gola e cantò con voce dolcissima: — "Un menestrello ambulante, una povera cosa di stracci e di toppe... e..." come diceva dopo, Desmond? Mi ricordo il motivo, ma le parole mi sfuggono. Lord Cantlay le prese un braccio per allontanarla dall'orlo del marciapiede, mentre una carrozza passava schizzando sudiciume: gli spazzini erano rientrati a casa troppo presto, quella sera. — Non so, cara. Le troverai nella musica, ne sono certo. È davvero una serataccia e non è un piacere camminare a piedi. Dobbiamo trovare subito una carrozza. Ne vedo una che sta arrivando. Aspettami qui, vado a fer-
marla. — Si portò in mezzo alla strada, mentre nella nebbia si profilava una carrozza a due ruote tirata da un cavallo a testa in giù, quasi abbandonato a se stesso, il rumore degli zoccoli smorzato dalla fanghiglia della strada. — Su, si muova! — disse irritato Sir Desmond al vetturino. — Che c'è? Non è libero? Il cavallo lo raggiunse e sollevò la testa con le orecchie tese al suono della sua voce. — Vetturino! — gridò Desmond. Non ci fu nessuna risposta. L'uomo rimase immobile a cassetta col bavero del cappotto rialzato, in modo da coprire buona parte del volto, le redini allentate sulle stanghe. — Vetturino. — Desmond si faceva sempre più impaziente. — Io e mia moglie vorremmo andare a Gadstone Park. Ma l'uomo non si mosse. Non incitò né cercò di fermare il cavallo che continuava a muoversi lentamente, rendendo pericoloso per Gwendoline il tentativo di salire sulla carrozza. — Perdio, ma che cosa le succede? — Desmond allungò la mano e afferrò le falde del cappotto del vetturino e tirò con forza. — Fermi il cavallo. Con suo grande orrore, il corpo dell'uomo s'inclinò verso di lui, si sbilanciò e precipitò giù dalla cassetta, sulla ruota e infine a terra, ai suoi piedi. Il primo pensiero di Desmond fu che l'uomo fosse ubriaco fradicio. Non sarebbe stato certo l'unico a ingurgitare più alcool di quanto potesse sostenerne, per far fronte alle interminabili ore di attesa nella gelida nebbia. Poteva avere anche una certa comprensione per quella debolezza, ma era una grossa seccatura. Se non ci fosse stata Gwendoline a sentirlo, avrebbe cominciato a bestemmiare. — È ubriaco! — esclamò esasperato. Gwendoline si avvicinò a guardare. — Possiamo fare qualcosa? — chiese, ma non aveva idea di che cosa si potesse fare. Desmond si piegò e girò l'uomo sul dorso. Nello stesso momento un colpo di vento diradò un po' la nebbia, sicché la luce del lampione a gas ne illuminò il volto. Non c'era alcun dubbio: l'uomo era morto, ed era morto da qualche tempo. Ancor più raccapricciante della carne livida e gonfia era l'odore dolcia-
stro di putrefazione che emanava dal suo corpo. Aveva un grumo di terra impigliato nei capelli. Ci fu un momento di silenzio, lungo abbastanza per un profondo respiro, un fremito di ripugnanza. Poi Gwendoline urlò, un grido acuto che si spense nella notte. Desmond si raddrizzò lentamente, anche lui con lo stomaco sconvolto, cercando di frapporsi tra la moglie e quel corpo sul selciato. Temeva che da un momento all'altro lei potesse svenire, e tuttavia non sapeva che cosa fare: gli si era abbandonata contro e faceva fatica a sostenerne il peso. — Aiuto! — gridò disperatamente. — Aiuto... Il cavallo era abituato al baccano delle strade di Londra e fu appena turbato. Il grido di Desmond non lo scompose per niente. Desmond invocò di nuovo aiuto con voce sempre più alta, mentre cercava di trattenere la moglie perché non sfuggisse alla sua presa, abbattendosi sul lurido selciato. Nello stesso tempo si sforzò di sottrarsi all'orrore di quella scena, prima che lei rinvenisse e cadesse in preda a una crisi isterica. Parvero minuti interminabili, lì in piedi nella morsa del freddo, con la carrozza che incombeva su di loro, silenziosa, salvo che per il respiro del cavallo. Poi, finalmente, un rumore di passi, una voce, un'ombra. — Che c'è? Che è successo? — Dalla nebbia si materializzò un uomo enorme, imbacuccato in una sciarpa di lana e con i lembi del cappotto svolazzanti. — Siete stati aggrediti? Desmond reggeva ancora Gwendoline, che cominciava finalmente a rinvenire. Rivolse lo sguardo all'uomo e vide una faccia intelligente, arguta, anche se ordinaria. Alla debole luce del lampione a gas non appariva poi così enorme: soltanto un po' alto e infagottato in tanti strati di vestiti, nessuno dei quali sembrava fatto per lui. — Siete stati aggrediti? — ripeté l'uomo più bruscamente. Desmond si riscosse. — No. — Afferrò la moglie più strettamente, facendole quasi male senza volerlo. — No. Il... vetturino è morto. — Una folata di nebbia lo fece tossire. — Ed è morto da qualche tempo, temo. Mia moglie è svenuta. Se volesse essere così gentile da darmi una mano, signore, cercherò di farla rinvenire. E poi dovremo chiamare la polizia. Suppongo che sia compito loro, in questi casi. La vista di quel poveretto è raccapricciante. Non può essere lasciato qui. — Io sono la polizia — replicò l'uomo, lanciando un'occhiata a quella
massa informe al suolo. — Sono l'ispettore Pitt. — Frugò distrattamente in cerca del suo tesserino e tirò fuori dalla tasca, invece, un temperino e un gomitolo di spago. Ci rinunciò e si piegò sul corpo dello sconosciuto, toccandone per un momento il volto con le dita e poi il grumo di terra tra i capelli. — È morto... — mormorò. — In realtà... in realtà, sembra quasi che sia stato già sepolto... e poi dissotterrato. Pitt si raddrizzò fregandosi le mani contro i fianchi, come se volesse spazzare via la sensazione di quel contatto. — Sì, penso che sia così. Davvero raccapricciante. Gwendoline, che stava rientrando in sé, si raddrizzò, liberando del proprio peso il braccio del marito, pur rimanendo ancora appoggiata a lui. — Tutto a posto, cara — si affrettò a rassicurarla Desmond, cercando di distrarla dalla vista di Pitt e del cadavere. — Adesso se ne occuperà la polizia. — Fissò risoluto Pitt, mentre così si esprimeva, quasi volesse far pesare la cosa come un ordine. Era ora che quell'uomo si desse da fare, piuttosto che limitarsi a convenire con lui sulle cose più ovvie. Prima che Pitt potesse rispondere, dal buio emerse una donna di bell'aspetto, con un viso che esprimeva calore persino in quella gelida sera di gennaio. — Che c'è? — chiese fissando Pitt. — Charlotte... — Pitt esitò, incerto per un istante su quello che convenisse dirle. — Il vetturino è morto. A quanto pare, è morto da qualche tempo. Devo dare le disposizioni necessarie. — Si rivolse a Desmond. — Mia moglie — spiegò, senza aggiungere altro. — Desmond Cantlay. — Desmond era irritato dal fatto di doversi presentare formalmente alla moglie di uh poliziotto, ma non aveva scelta. Fece un leggero cenno col capo nella direzione di Gwendoline. — Lady Cantlay. — Lieta di conoscerla, Lady Cantlay — replicò Charlotte con considerevole calma. — Piacere — mormorò Gwendoline. — Vuole avere la cortesia di darmi il suo indirizzo? — chiese Pitt. — Nel caso ci sia un'inchiesta. E poi immagino che vorrà trovare un'altra carrozza per rincasare. — Sicuro — si affrettò a rispondere Desmond. — Abitiamo a Gadstone Park, numero 23. — Avrebbe voluto far presente che non poteva essere di nessun aiuto in un'eventuale inchiesta, dal momento che non aveva mai vi-
sto quell'uomo in vita sua e non aveva nessuna idea di chi fosse e di che cosa gli fosse accaduto. Ma si rese conto che non era il momento di fare precisazioni del genere. Gli bastava semplicemente potersene tornare tranquillamente a casa. Non gli passò nemmeno per la mente, se non quando, in un'altra carrozza, si trovò a metà strada dalla sua abitazione, che la moglie del poliziotto sarebbe stata obbligata a rientrare a casa da sola oppure ad aspettare con il marito il carro mortuario e accompagnare lui e il morto. Forse avrebbe dovuto offrirle un passaggio. Ma... era troppo tardi, ormai. Meglio dimenticare l'intera faccenda al più presto possibile. Charlotte e Pitt rimasero sulla strada vicino al morto. Pitt non poteva lasciare la moglie sola lì, nella nebbia, né poteva, d'altra parte, lasciare il corpo incustodito. Si frugò di nuovo nelle tasche e, dopo qualche istante, trovò il fischietto. Soffiò con quanto più fiato poté, rimase in attesa e poi soffiò di nuovo. — Come poteva il vetturino essere morto da più di un'ora o due? — chiese Charlotte. — Non l'avrebbe riportato a casa, il cavallo? Pitt Fece una smorfia arricciando il lungo naso ricurvo. — Ci avevo pensato anch'io. — Di che cosa è morto? — lei chiese. — Per il freddo? — C'era compassione nella sua voce. Lui allungò la mano e la toccò gentilmente, con un gesto che diceva più di quello che avrebbe potuto esprimere con le parole. — Non so. Ma è morto da molto tempo. Forse da una settimana o anche più. E c'è della terra tra i suoi capelli. Charlotte lo fissò impallidendo. — Terra? — ripeté. — A Londra? Com'è morto? — chiese senza guardare il corpo. — Non lo so. Il perito settore della polizia... Ma prima che avesse il tempo di finire il suo pensiero, un agente apparve improvvisamente nell'oscurità e, un momento dopo, un altro dietro di lui. Pitt li informò succintamente di quanto era accaduto e scaricò su di loro la responsabilità dell'intera faccenda. Ci vollero dieci minuti per trovare un'altra carrozza, ma per le undici e un quarto lui e Charlotte erano di ritorno a casa. La casa era silenziosa ma calda, dopo il gelo della strada. Jemima, la loro bambina di due anni, avrebbe passato la notte dalla signora Smith, dall'altra parte della strada. Charlotte aveva preferito farla dormire lì piuttosto che disturbarla a quell'ora.
Pitt chiuse la porta, lasciando fuori il resto del mondo: i Cantlay, i vetturini morti, la nebbia, tutto, tranne l'eco della gaia e vivace musica dell'opera alla quale avevano assistito. Quando aveva sposato Charlotte, lei aveva rinunciato agli agi e allo status della casa paterna senza un momento di esitazione. Questa era la seconda volta che era riuscito a portarla a teatro, in centro, ed era un'occasione da celebrare. Per tutta la serata aveva guardato il palcoscenico e poi il volto di lei, e la gioia che ne traspariva valeva tutte le loro prudenti economie, ogni penny tenuto in serbo per quell'occasione. Si appoggiò alla porta sorridendo e l'attrasse a sé dolcemente. La nebbia si trasformò in pioggia e poi in nevischio. Due giorni dopo, Pitt era seduto dietro la scrivania, alla stazione di polizia, quando entrò un sergente il cui volto esprimeva una certa contrarietà. Pitt sollevò lo sguardo. — Che c'è, Gilthorpe? — Lei ricorda il vetturino morto che ha trovato l'altra sera, ispettore? — Che c'è di nuovo? — Era una faccenda che Pitt avrebbe preferito dimenticare, una disgrazia abbastanza comune, salvo che per il tempo trascorso dalla morte di quel poveretto. — Be'. — Gilthorpe esitò, spostandosi da un piede all'altro. — Be', a quanto sembra non era un vetturino. Abbiamo trovato una tomba aperta. Pitt si irrigidì. In qualche angolo della sua mente era rimasta la paura di qualcosa del genere, quando aveva visto quel volto gonfio e il grumo di terra fresca tra i capelli: uno spettacolo osceno, ma lui l'aveva ignorato. — E chi era? — chiese con calma. Il volto di Gilthorpe si tese. — Un certo Lord Augustus FitzroyHammond, ispettore. Pitt chiuse gli occhi come se, non vedendo Gilthorpe, potesse esorcizzare la cosa. — Morto poco meno di tre settimane fa, ispettore — la voce di Gilthorpe continuò inesorabile. — Sepolto quindici giorni fa. Un funerale imponente, dicono. — Dove? — chiese Pitt meccanicamente, mentre cercava ancora nella sua mente di eludere il problema. — A St. Margaret's, ispettore. Ci abbiamo lasciato un uomo di guardia, naturalmente. — A che scopo? — Pitt riaprì gli occhi. — I passanti, ispettore — rispose Gilthorpe senza battere ciglio. —
Qualcuno potrebbe caderci dentro. Difficile uscire fuori da una tomba. Le pareti sono scoscese e in questo periodo dell'anno piuttosto scivolose. E, naturalmente, la bara è ancora lì. — Rimase impalato, lasciando capire che aveva finito e aspettava ordini da Pitt. Pitt lo fissò. — Sarà meglio che io vada dalla vedova a chiederle di identificare il corpo. — Si alzò con un sospiro. — Raccomandi a quelli dell'obitorio di dargli un aspetto quanto più decente è possibile, se non le dispiace. Sarà una prova tremenda per la vedova. Dove abita? — Gadstone Park, ispettore, numero 12. Tutte case di lusso, lì. Gente ricca. — Non ne dubito — convenne Pitt seccamente. Strano, anche la coppia che aveva trovato il cadavere abitava a Gadstone Park. Una coincidenza? — Bene, Gilthorpe, vada all'obitorio e raccomandi che rendano Lord Fitzroy-Hammond quanto più possibile presentabile. — Prese il cappello e se lo ficcò in testa, si avvolse intorno al collo la pesante sciarpa e uscì nella pioggia. Gadstone Park era, come Gilthorpe aveva sottolineato, una zona molto ricca, con lussuose case sistemate lontano dalla strada. Al centro, un parco molto curato, con cespugli di alloro e di rododendro e una splendida magnolia... almeno così gli parve nella sua veste invernale. La pioggia si era trasformata di nuovo in nevischio e l'aria era oscurata dalla neve che cadeva. Rabbrividì quando l'acqua gelida cominciò a gocciolargli giù per il collo. Gli accadeva sempre, per quante sciarpe si mettesse. Il numero 12 era una classica casa georgiana, con il vialetto carrabile che passava sotto il portico a colonne dell'ingresso. Le proporzioni dell'insieme soddisfecero il suo occhio. Non sarebbe mai più vissuto, dai tempi della sua infanzia come figlio del guardiacaccia, in una casa come quella, ma gli fece piacere vederle. Quelle case conferivano pregio alla città e consentivano a tutti di sognare. Si calcò con forza il cappello in testa, quando una folata di vento scosse l'enorme pianta di alloro vicino alla porta, rovesciandogli addosso una cascata d'acqua. Suonò il campanello e rimase in attesa. Un cameriere apparve in livrea nera. Nella mente di Pitt balenò un pensiero: aveva sbagliato mestiere nella sua vita... avrebbe dovuto fare l'impresario di pompe funebri. — Sì... signore? — Ci fu un impercettibile istante di esitazione: il nuovo
arrivato apparteneva chiaramente a una classe inferiore e certo non ignorava che sarebbe dovuto passare dalla porta di servizio. A Pitt quella reazione era da lungo tempo familiare e c'era preparato. Ma non aveva tempo da perdere con le varie trafile di camerieri e maggiordomi ed era meno crudele spiattellare la notizia subito e senza mezzi termini, piuttosto che centellinarla attraverso l'intera scala gerarchica del personale di servizio. — Sono l'ispettore di polizia Pitt. È stata profanata la tomba del defunto Lord Augustus Fitzroy-Hammond — annunciò semplicemente. — Vorrei parlare con Lady Fitzroy-Hammond in maniera da chiudere la faccenda con la massima celerità e discrezione. Il cameriere fu scosso dalla sua funerea compostezza. — Be'... sarà meglio che lei entri, ispettore. Si fece indietro e Pitt lo seguì, troppo preoccupato del colloquio che l'attendeva per rallegrarsi del bel caldo che c'era in casa. Il cameriere lo accompagnò nel salotto e lo lasciò lì, probabilmente per riferire la sconvolgente notizia al maggiordomo e scaricare su di lui la responsabilità della decisione successiva. Pitt non dovette aspettare molto. Lady Fitzroy-Hammond entrò, pallida in volto, si fermò subito dopo aver varcato la porta. Pitt si era aspettato una signora molto più anziana. Il morto della carrozza a nolo doveva avere almeno sessant'anni, forse anche di più, ma quella donna non poteva averne più di trenta. Nemmeno il nero del lutto riusciva a nascondere il colorito e la freschezza della sua carnagione o l'elasticità dei suoi movimenti. — Lei dice che c'è stata una... una profanazione, signor... — Ispettore Pitt, signora. Sì, mi dispiace molto. Qualcuno ha aperto la tomba. — Non c'era nessun eufemismo per dirlo, nessuna espressione gentile per coprire l'orrore della cosa. — Ma abbiamo trovato il corpo e vorremmo che lei ci dicesse se è quello del suo defunto marito. Per un istante Pitt pensò che Lady Fitzroy-Hammond fosse sul punto di svenire. Avrebbe dovuto aspettare che si fosse seduta, che avesse fatto chiamare una cameriera per assisterla. Fece qualche passo verso di lei per sorreggerla, nel timore che potesse venir meno. Lei lo guardò allarmata, senza capire. Pitt si arrestò, avvertendo nella donna quasi una paura fisica. — Posso chiamarle la cameriera? — le chiese, riportando le mani ai fianchi. — No. — Scosse il capo e poi, controllandosi a fatica, gli passò lenta-
mente davanti per andare a sedersi sul sofà. — Grazie, non ce ne sarà bisogno. — Respirò profondamente. — Ma è proprio necessario che io debba... — Sì, a meno che non ci sia qualche altro parente stretto — replicò Pitt, rammaricandosi di non essersi espresso diversamente. — C'è forse un fratello o un... — fu sul punto di dire "figlio", ma si rese subito conto che sarebbe stata una mancanza di tatto da parte sua. Non sapeva se lei era la seconda moglie. In realtà, aveva trascurato di chiedere a Gilthorpe l'età di Lord Augustus. — No. — Lei scosse il capo. — C'è soltanto Verity... la figlia di mio marito, e naturalmente la madre, ma è anziana e un po' invalida. Devo venire io. Posso portare con me la mia cameriera? — Sì, naturalmente. Anzi, sarà bene che lo faccia. Lei si alzò e tirò il cordone del campanello. Quando arrivò una domestica, mandò a dire alla sua cameriera personale di portarle il mantello e di prepararsi a uscire con lei. Ordinò anche la carrozza. Poi si rivolse di nuovo a Pitt. — Dove... dove lo hanno trovato? Non era il caso di descriverle tutto minuziosamente. Sia che avesse amato il marito, sia che il suo fosse stato soltanto un matrimonio di convenienza, non era certamente necessario che fosse informata di quanto era accaduto all'esterno del teatro. — Su una carrozza a nolo, signora. Il volto di Lady Fitzroy-Hammond si increspò. — Su una carrozza a nolo? Ma... perché? — Non lo so. — Pitt le aprì la porta quando sentì delle voci nell'atrio. La accompagnò fuori e l'aiutò a salire nella carrozza. Lei non fece altre domande e viaggiarono in silenzio fino all'obitorio. La cameriera stringeva nervosamente i guanti tra le mani, evitando di guardare Pitt anche di sfuggita. La carrozza si fermò e il domestico aiutò Lady Fitzroy-Hammond a scendere. Nessuno si preoccupò di aiutare la cameriera e Pitt. L'edificio dell'obitorio si ergeva in cima a un breve sentiero fiancheggiato da alberi nudi che il vento agitava, facendo grondare l'acqua dai rami. Pitt tirò il cordone del campanello e un giovanotto dal volto bianco e rosso aprì immediatamente la porta. — Sono l'ispettore Pitt con Lady Fitzroy-Hammond — si presentò Pitt, facendosi da parte per lasciarla entrare.
— Ah, buon giorno, buon giorno. — Il giovanotto li precedette attraverso l'atrio, in una stanza piena di tavoli, tutti discretamente coperti da un lenzuolo. — Siete qui per il numero quattordici? — Sprizzava pulizia e orgoglio professionale. C'era una sedia di vimini vicino al tavolo mortuario, presumibilmente per il caso in cui i parenti fossero sopraffatti dall'emozione. Una caraffa d'acqua e tre bicchieri erano invece su un tavolino in fondo alla stanza. La cameriera tirò fuori un fazzoletto per ogni evenienza. Pitt era pronto a sorreggere la vedova nel caso che ce ne fosse stata la necessità. — Bene. — Il giovanotto si sistemò solidamente gli occhiali sul naso e sollevò il lenzuolo per mostrare il volto del morto. Gli abiti da vetturino non c'erano più e i radi capelli erano stati pettinati con cura, ma era in ogni caso una vista repellente. La pelle era chiazzata e in alcuni punti cominciava a squamarsi. L'odore era nauseante. Lady Fitzroy-Hammond gli diede appena un'occhiata, prima di coprirsi il volto con le mani e di trarsi indietro, rovesciando la sedia. Pitt la raddrizzò con un semplice movimento e la cameriera aiutò la sua padrona a sedersi. Nessuno parlò. Il giovanotto tirò su di nuovo il lenzuolo e corse a prendere un bicchiere d'acqua, come se quella fosse un'incombenza giornaliera... e forse lo era. Ritornò e porse il bicchiere alla cameriera. Lady Fitzroy-Hammond bevve un sorso d'acqua, poi strinse convulsamente il bicchiere. Le nocche delle dita erano bianchissime. — Sì — disse sottovoce. — Quello è mio marito. — La ringrazio, signora — replicò Pitt senza aggiungere altro. Non era la conclusione del caso, ma con ogni probabilità non sarebbe mai riuscito a saperne di più. La profanazione di una tomba era un crimine, ma non aveva nessuna speranza di scoprire il responsabile e la ragione di quel turpe gesto. — Possiamo andare, ora? — le chiese. — Penso che lei starebbe molto meglio a casa. — Sì, grazie. — Si alzò, vacillò per un istante e poi, immediatamente seguita dalla cameriera, si avviò con passi piuttosto incerti verso l'uscita. — È tutto? — chiese il giovanotto, con voce un po' bassa, ma sempre euforica. — Posso considerarlo identificato e rilasciarlo per la sepoltura? — Sì, grazie. La famiglia di Lord Augustus Fitzroy-Hammond le farà senz'altro sapere quali disposizioni gradirà che siano adottate — rispose Pitt. — Niente di particolare sul corpo, suppongo?
— Assolutamente niente — rispose il giovanotto ad alta voce, ora che le donne erano dall'altra parte della porta e non potevano più sentirlo. — Salvo il fatto che è morto da almeno tre settimane e che è stato già sepolto una volta. Ma penso che lei lo sapesse già. — Scosse la testa con tanto vigore che fu costretto a risistemarsi gli occhiali sul naso. — Non riesco a capire perché uno dovrebbe fare una cosa simile... dissotterrare un cadavere, voglio dire. Non è che lo abbiano dissezionato come usavano fare gli studenti di medicina... oppure i cultori di magia nera. Assolutamente intatto. — Nessun segno sul corpo? — ripeté Pitt. Non sapeva perché lo aveva chiesto. Non se n'era aspettato nessuno, del resto. Era un puro caso di violazione di una tomba, nient'altro. Qualche squilibrato con una bizzarra alterazione mentale. — Nessuno — rispose il giovanotto. — Un signore anziano, ben curato, ben nutrito, un po' corpulento, cosa piuttosto comune alla sua età. Mani delicate, pulitissime. Mai visto finora un Lord morto, ma è proprio così che me ne immaginavo l'aspetto. — La ringrazio — disse Pitt lentamente. Pitt assistette all'inumazione più che altro per un debito d'ufficio. C'era la remota possibilità che chiunque avesse commesso quella profanazione fosse lì per vedere gli effetti che la sua azione aveva avuto sulla famiglia. Forse era stato quello il movente, un irriducibile odio ancora non placato, persino dopo la morte. Fu naturalmente una cerimonia piuttosto discreta. Non si dà molto risalto alla seconda sepoltura di una persona. Tuttavia c'era un consistente gruppo di amici e parenti che erano venuti a rendere al morto l'estremo saluto, forse più per solidarietà con la vedova che per un ulteriore riguardo verso il defunto. Erano tutti vestiti di nero e nastri neri erano stati applicati alle loro carrozze. Camminarono in processione, silenziosi, verso la tomba, e rimasero fermi con le teste chine sotto la pioggia. Soltanto un uomo ebbe la temerità di alzare il bavero del cappotto, cedendo al bisogno di proteggersi in qualche modo. Tutti gli altri ignorarono quel gesto, come se non lo avessero nemmeno visto. Che cosa poteva significare il piccolo disagio del rivolo d'acqua che gocciolava giù per il collo di fronte alla solennità della morte? L'uomo con il bavero alzato era snello e alto, quattro o cinque centimetri al di sopra della statura media, e la sua bocca sottile era segnata da profonde pieghe ironiche. Il suo volto dalle sopracciglia scure e marcatamente ar-
cuate aveva un'espressione quasi beffarda. Il poliziotto locale stava accanto a Pitt per fornirgli indicazioni sulle persone che non conosceva. — Chi è quello? — sussurrò Pitt. — Il signor Somerset Carlisle, ispettore — rispose l'uomo. — Abita al numero 2 di Gadstone Park. — Che cosa fa? — È un gentiluomo, ispettore. Pitt non si preoccupò di approfondire. Anche i gentiluomini svolgevano occasionalmente altre attività al di fuori degli impegni mondani, ma la cosa non aveva alcuna importanza. — Quella è Lady Alicia Fitzroy-Hammond — continuò l'agente senza che ce ne fosse bisogno. — Che tristezza... Sposata a Lord FitzroyHammond da qualche anno appena, dicono. Pitt emise un brontolio: quell'osservazione poteva sottintendere qualsiasi cosa. Alicia era pallida, ma del tutto calma, probabilmente sollevata al pensiero che la faccenda era sul punto di concludersi. Al suo fianco, anche lei in nero stretto, c'era una ragazza più giovane, sulla ventina, forse, con i capelli castani pettinati all'indietro e gli occhi opportunamente abbassati. — La signorina Verity Fitzroy-Hammond — anticipò l'agente. — Una ragazza molto graziosa. Non parve a Pitt che ci fosse bisogno di un commento. Il suo occhio si spostò verso l'uomo e la donna che erano dietro la ragazza. Lui era ben piantato, probabilmente aveva svolto un'attività sportiva, da giovane, e si muoveva tuttora con una certa elasticità di movimenti. La sua fronte era ampia, il naso lungo e diritto e soltanto un piccolo difetto alla bocca gli impediva di essere davvero attraente. Ma anche così era un bell'uomo. La donna al suo fianco aveva occhi scuri e penetranti, capelli neri con uno splendido ciuffo bianco argenteo alla tempia destra. — Chi sono? — chiese Pitt. — Lord e Lady St. Jermyn — rispose l'agente con voce un po' più alta di quanto Pitt avrebbe desiderato. Nella quiete del cimitero si udiva persino l'insistente gocciolare della pioggia. La mesta cerimonia era finita e, uno alla volta, tutti si prepararono a partire. Pitt riconobbe Sir Desmond e Lady Cantlay, la coppia che aveva conosciuto all'uscita del teatro, e si augurò che avessero avuto l'accortezza di non accennare alla parte avuta nella faccenda. Ma quella era gente piena di tatto: Sir Desmond gli era sembrato una persona abbastanza prudente.
L'ultima a lasciare il cimitero, accompagnata da un uomo piuttosto robusto e dal volto comune ma gradevole, fu una vecchia signora alta e sottile dallo splendido portamento e dalla dignità quasi regale. Persino i becchini rimasero interdetti e portarono la mano al cappello, aspettando che lei passasse prima di dare inizio al loro lavoro. Pitt la vide distintamente soltanto per un istante, ma fu sufficiente. Quel naso lungo, quegli occhi vivi dalle palpebre pesanti gli erano familiari. A ottant'anni ancora conservava della sua bellezza più di quanto molte altre donne vorrebbero avere da giovani. — Zia Vespasia! — Colto di sorpresa, aveva parlato ad alta voce. — Prego, ispettore? — disse l'agente. — Lady Cumming-Gould, non è così? — Pitt si rivolse all'agente. — La signora che è uscita per ultima. — Sì, ispettore. Abita al numero 18. Si è trasferita a Gadstone Park l'autunno scorso. Il vecchio signor Staines è morto nel febbraio del 1885, poco meno di un anno fa. Lady Cumming-Gould ha comprato la casa alla fine dell'estate. Pitt ricordava perfettamente l'estate dell'anno precedente. Era stato quando aveva incontrato la prima volta Vespasia, la zia di Emily e sorella di Charlotte, in occasione dei fatti di sangue di Paragon Walk. Più precisamente, era la prozia del marito di Emily, Lord George Ashworth. Non si era aspettato di vederla di nuovo, ma ricordava quanto gli era piaciuta per la sua straordinaria franchezza. Se Charlotte si fosse sposata anche lei, come la sorella, al di sopra del suo stato sociale, probabilmente col tempo sarebbe diventata una vecchia signora altrettanto straordinaria. L'agente lo stava fissando con un'espressione scettica. — Allora lei la conosce, ispettore? — Un altro caso. — Pitt non intendeva dare spiegazioni. — Ha notato qualcuno che non abiti a Gadstone Park e che non conosca la vedova o la famiglia? — No, nessuno. Soltanto quelli che ci si poteva aspettare di trovare. Forse i profanatori di tombe non ritornano sulla scena del delitto. O forse vengono di notte. Pitt non era nelle condizioni di spirito per apprezzare il sarcasmo, specialmente se proveniva da un agente in servizio. — Forse lei dovrebbe restare qui di guardia — gli disse con una certa asprezza. — Per ogni evenienza. — L'agente s'immusonì, ma poi si illuminò di nuovo, pensando che Pitt a sua volta facesse dello spirito. — Ritiene che possa servire a qualcosa, ispettore? — chiese con una cer-
ta affettazione. — Soltanto a buscarsi un bel raffreddore di testa — replicò Pitt. — Io vado a ossequiare Lady Cumming-Gould. Lei rimanga qui a fare la guardia per il resto del pomeriggio — aggiunse con una certa soddisfazione. — Nel caso che qualcuno venga a dare un'occhiata. L'agente sbuffò e poi camuffò il suo dispetto con uno starnuto tutt'altro che convincente. Pitt si allontanò e, allungando il passo, raggiunse zia Vespasia. Lei lo ignorò: non ci si ferma con il personale dell'agenzia di pompe funebri. — Lady Cumming-Gould — disse Pitt. La signora si fermò e si voltò lentamente, preparandosi a fulminarlo con un'occhiataccia. Poi la statura di Pitt e il modo in cui i lembi del cappotto gli battevano sui fianchi le ricordarono qualcosa. Frugò in cerca del suo occhialino e se lo portò agli occhi. — Santo cielo, Thomas! Che cosa sta facendo qui? Oh, naturalmente... Suppongo che stia cercando di scoprire chi è stato a dissotterrare il povero Augustus. Non riesco proprio a immaginare perché si debba fare una cosa simile. Assolutamente disgustoso. Una quantità di problemi per tutti e senza nessuna necessità. — Squadrò Pitt da capo a piedi. — Non mi pare che lei sia cambiato. Ha soltanto più vestiti addosso. Non potrebbe procurarsi qualcosa che si intoni con il resto? Dove mai ha comprato quella sciarpa? È... orribile. Emily ha avuto un bambino, lo sa? Sì, certo che lo sa. Lo chiameranno Edward come il padre di Emily. Meglio che chiamarlo George. È sempre antipatico chiamare un maschio con il nome del padre: non si sa mai di quale dei due si sta parlando. Come sta Charlotte? Le dica di venire a trovarmi. Sono stufa della gente di Gadstone Park, con l'unica eccezione di quell'americano dalla faccia simile alle torte di fango che fanno i bambini. Un uomo modesto e senza pretese, ma assolutamente affascinante. Non ha la minima idea di come comportarsi, ma è tremendamente ricco. — I suoi occhi brillavano divertiti. — Lì a Gadstone Park non sanno come prenderlo, non sanno se essere gentili con lui per i suoi soldi oppure ignorarlo per i suoi modi. Io mi auguro che rimanga. Pitt si sorprese a sorridere, malgrado la pioggia che gli gocciolava giù per il collo e i risvolti bagnati dei pantaloni che s'incollavano alle caviglie. — Darò a Charlotte il suo messaggio — assicurò, accennando a un inchino. — Sarà felice di sapere che l'ho vista e che sta bene. — Già — sbuffò Vespasia. — Le dica di venire presto, prima delle due, così non s'imbatterà nei soliti visitatori che non hanno altro da fare che ta-
gliarsi i panni addosso. — Rimise a posto l'occhialino e procedette altera giù per il vialetto, incurante degli orli della gonna che strisciavano nel fango. 2 La domenica Alicia si alzò come al solito poco dopo le nove e consumò una colazione leggera a base di toast e marmellata di albicocche. Verity aveva già fatto colazione e ora stava scrivendo delle lettere nel soggiorno. La vecchia Lady Fitzroy-Hammond, la madre di Augustus, si sarebbe fatta servire la colazione a letto, nella sua stanza, come sempre. Qualche volta si alzava, ma per lo più preferiva non farlo. Poi rimaneva a letto con uno scialle indiano ricamato sulle spalle e rileggeva le sue vecchie lettere, la corrispondenza di sessantacinque anni a partire dal suo diciannovesimo compleanno, il 12 luglio, esattamente cinque anni dopo la battaglia di Waterloo. Suo fratello era stato sottotenente di fanteria nell'esercito di Wellington. Il suo secondo figlio era morto in Crimea. E c'erano lettere d'amore di uomini scomparsi da un pezzo. Ogni tanto mandava giù la sua cameriera personale, Nisbett, a vedere che cosa succedeva nella casa. Esigeva una lista di tutti i visitatori, voleva sapere quando erano arrivati e quanto tempo si erano trattenuti, se avevano lasciato il loro biglietto da visita e com'erano vestiti. Alicia si era ormai abituata. Ma trovava insopportabile le frequenti intrusioni di Nisbett nello svolgimento della vita domestica, come per esempio passare il dito sulla superficie dei mobili per vedere se venivano spolverati tutti i giorni, aprire l'armadio della biancheria, quando pensava di non essere osservata, per contare le lenzuola, le tovaglie e controllare se tutti gli angoli erano stati ben stirati. Quella domenica era uno dei rari giorni in cui la vecchia signora si alzava. Le faceva piacere andare in chiesa. Prendeva posto nel banco di famiglia e osservava tutti mentre entravano e uscivano. Fingeva di essere sorda, anche se in realtà il suo udito era eccellente. Preferiva non parlare, salvo quando aveva bisogno di qualcosa. Era anche lei vestita di nero e si appoggiava pesantemente al bastone. Entrò nella sala da pranzo e picchiò forte sul pavimento per richiamare l'attenzione di Alicia. — Buon giorno, mamma — salutò Alicia con un certo sforzo. — Sono lieta che abbia potuto alzarsi.
La vecchia signora si accostò al tavolo e la onnipresente Nisbett fu pronta a tirare indietro la sedia per lei. — È tutto quello che c'è per colazione? — domandò la vecchia signora contrariata, lanciando un'occhiata alla credenza. — Che cosa gradirebbe? — Alicia era stata educata per tutta la vita a essere cortese. — Ormai è tardi. Dovrò accontentarmi di quello che c'è. Nisbett va' a prendermi delle uova e un po' di prosciutto e rognone, e passami i toast. Andrai in chiesa questa mattina, suppongo, Alicia? — Sì, mamma. Pensa di venire anche lei? — Non salto mai il servizio domenicale, a meno che non stia così male da non reggermi in piedi. Alicia si astenne dal fare commenti. Non aveva mai saputo quale fosse la malattia della vecchia signora, ammesso che fosse davvero ammalata. Il dottore veniva a trovarla periodicamente e le aveva detto che aveva il cuore debole. Le aveva prescritto perciò della digitalina, ma Alicia era convinta che fosse una questione d'età e che desiderasse soltanto richiamare su di sé l'attenzione di tutti. Augustus si era sempre preoccupato di soddisfare tutti i suoi capricci, probabilmente per un'abitudine che era durata tutta una vita, o soltanto per quieto vivere. — Verrai anche tu, allora? — chiese la vecchia signora con le sopracciglia aggrottate, poi si infilò in bocca un'enorme forchettata di uova strapazzate. — Sì, mamma. La vecchia assentì con un cenno del capo. Aveva la bocca troppo piena per poter parlare. La carrozza fu ordinata per le dieci e mezzo e Alicia, Verity e la vecchia signora furono aiutate a salire e poi a ridiscendere davanti alla chiesa di St. Margaret, dove la famiglia aveva il suo banco da più di cento anni. A memoria d'uomo, nessun estraneo alla famiglia si era mai seduto in quel banco. Erano in anticipo. La vecchia signora amava sedersi nelle ultime file, per poter osservare tutti quelli che arrivavano, e poi raggiungere il suo banco, un minuto prima delle undici. Così fece anche in quella occasione. Era sopravvissuta alla morte di tutti i membri della sua famiglia, eccetto la nipote Verity, con la compostezza che ci si può attendere da un'aristocratica. Per la risepoltura di Augustus il suo contegno non sarebbe stato diverso. Due minuti prima delle undici, si alzò e precedette la nuora e la nipote
verso il banco di famiglia. Si fermò di botto, all'estremità del banco. Era accaduto l'impensabile: c'era già qualcuno! Un uomo col bavero rialzato, chinato in avanti in atteggiamento di preghiera. — Chi è lei? — sibilò la vecchia signora. — Vada via di qui. Questo è il nostro banco di famiglia. L'uomo non si mosse. — La vecchia signora batté forte il bastone sul pavimento per attirare la sua attenzione. — Fa' qualcosa, Alicia. Parlagli. Alicia passò a fatica dietro di lei e toccò l'uomo leggermente sulla spalla. — Mi scusi... — Ma non disse altro. L'uomo vacillò e cadde lateralmente sul sedile con la faccia rivolta in su. Alicia mandò un urlo. Nel fondo della sua mente sapeva che cosa la vecchia signora e la congregazione dei fedeli avrebbero pensato, ma l'urlo le era esploso dalla gola senza che lei potesse impedirlo. Era di nuovo Augustus, con il suo viso livido ed esangue, che pareva fissarla a bocca aperta dal sedile di legno. Le colonne di pietra grigia oscillarono intorno a lei e sentì la propria voce che continuava a strillare, come un suono del tutto staccato dalla realtà. Avrebbe voluto che cessasse, ma era come se non avesse su di essa nessun controllo. Sprofondò nel buio. Le sue braccia furono immobilizzate e qualcosa di duro la colpì sulla schiena. La prima cosa di cui ebbe coscienza fu di trovarsi sdraiata nella sagrestia. Il vicario, pallido e sudato, era accovacciato vicino a lei e le teneva la mano. La porta era aperta e un vento gelido soffiava dentro con furia. Lady Fitzroy-Hammond era dall'altra parte, con le gonne nere che si allargavano intorno a lei come un pallone trattenuto a terra, e il volto acceso. — Suvvia, coraggio... — Il vicario continuava a esortare Alicia, non sapendo che pesci pigliare. — Lei ha subito un terribile choc, mia cara signora. Uno choc spaventoso. Non so dove si andrà a finire, se i pazzi vengono lasciati liberi di circolare così in mezzo a noi. Scriverò ai giornali e al nostro rappresentante in Parlamento. Si dovrà fare qualcosa. La situazione è divenuta insostenibile. — Tossì e le toccò di nuovo leggermente la mano. — E naturalmente pregheremo tutti per lui. — La situazione si faceva davvero insostenibile per il vicario, che cominciò ad avvertire crampi alle gambe. Si raddrizzò. — Ho mandato a chiamare il dottore per la sua povera mamma. Il dottor McDuff, vero? Sarà qui da un momento all'altro. Peccato che non fosse in chiesa. — C'era una punta di amarezza nella sua voce: sapeva che il dottore era scozzese e presbiteriano, e la cosa gli dava molto fastidio. In una zona come quella, un medico non aveva nessun mo-
tivo di essere anticonformista. Alicia si sforzò di rizzarsi a sedere. I suoi primi pensieri non furono per la suocera, ma per Verity. Era la prima volta che la ragazza si trovava di fronte alla morte e Augustus era stato suo padre, anche se tra padre e figlia non c'era stata molta intimità. — Verity — mormorò con la bocca arsa. — Dov'è Verity? — Stia calma, signora. — La voce del vicario si fece ansiosa al pensiero di una crisi isterica. Non sapeva come avrebbe potuto affrontare una simile emergenza, specialmente nella sagrestia di una chiesa. La funzione di quella mattina era già un completo disastro: i fedeli o erano rientrati a casa o erano fuori sotto la pioggia, spinti dalla curiosità a godersi l'ultimo macabro atto di quel dramma. La polizia era stata chiamata proprio lì, nella chiesa, e la faccenda aveva assunto le proporzioni di uno scandalo per il quale non c'era rimedio. Lui stesso desiderava intensamente tornare a casa, dove avrebbe trovato ad aspettarlo un bel fuoco e la sua governante che aveva abbastanza buon senso per non lasciarsi prendere dalle emozioni. — Mia cara signora — riprese — si tranquillizzi. Si è avuto cura della signorina Verity con la più grande sensibilità. Lady Cumming-Gould l'ha riaccompagnata a casa con la sua carrozza. Era molto sconvolta, naturalmente. Ma chi non lo sarebbe stato? È tutto così spaventoso... Dobbiamo sopportare queste prove con l'aiuto di Dio. Oh... — Il suo volto si illuminò quasi di piacere, quando vide la solida figura del dottor McDuff entrare e chiudersi con forza alle spalle la porta della sagrestia. Poteva finalmente alleggerirsi della sua responsabilità, forse persino scaricarla completamente. Dopo tutto, spettava al dottore prendersi cura dei vivi, mentre lui era tenuto a occuparsi del morto, perché nessun altro era qualificato a farlo. McDuff si diresse immediatamente verso la vecchia signora, ignorando completamente Alicia. Le prese il polso e lo ascoltò per alcuni secondi, poi la scrutò in volto. — Choc — sentenziò laconico. — Un grave choc. Le consiglio di andare subito a casa e di riposarsi finché ne sente la necessità. Si faccia servire i pasti in camera e non riceva nessuno, tranne i familiari più stretti. E neanche quelli, se preferisce. Non faccia nessuno sforzo ed eviti qualsiasi motivo di agitazione. Il volto della vecchia signora si distese in un'espressione soddisfatta e un po' di colore le rifluì sulle guance. — Bene — disse rimettendosi in piedi con l'aiuto del dottore. — Ero
certa che lei avrebbe saputo che cosa fare. Non riesco più a sopportare... non so dove il mondo andrà a finire: non mi è mai accaduta una cosa simile, quando ero giovane. Tutti sapevano qual era il loro posto e di lì non si muovevano. Erano troppo impegnati a lavorare per andarsene in giro a profanare le tombe della gente perbene. Troppa istruzione, al giorno d'oggi. Tutto dipende da questo. Ora la gente ha curiosità e insani desideri. Non è naturale. Guardate quello che è successo qui. Persino le chiese non sono più al sicuro. Peggio che se ci fosse stata un'invasione di francesi. — Con quest'ultima frecciata si avviò impettita fuori dalla sagrestia, picchiando furiosamente il bastone contro la porta. — Povera signora — mormorò il vicario. — Che brutto colpo per lei... Alla sua età ci si aspetterebbe di essere del tutto al riparo dai peccati del mondo. Alicia era ancora seduta sulla panca nella sagrestia, al freddo. Si rese improvvisamente conto di quanto fosse smisurato il suo odio per la vecchia signora. Non riusciva a ricordare un momento, da quando si era fidanzata con Augustus, in cui si fosse sentita a suo agio con lei. Fino a quel momento aveva covato in silenzio il risentimento per un riguardo verso il marito. Ma ormai non ce n'era più bisogno. Augustus era morto. Con un improvviso soprassalto, si ricordò del corpo del marito nel banco di famiglia e sul tavolo di quella gelida camera mortuaria con quell'ometto in camice bianco, così stranamente felice nella sua stanza piena di cadaveri. Per fortuna, il poliziotto era stato molto più discreto. Anzi, a suo modo, addirittura simpatico. Come se lo avesse evocato con i suoi pensieri, la porta si spalancò e le si parò davanti Pitt che si scuoteva come un cane bagnato, spruzzando acqua dai lembi e dalle maniche del suo cappotto. Alicia non aveva pensato che potesse venire la polizia e ora paure di ogni genere le si affollarono alla mente. Perché? Perché Augustus era venuto fuori dalla tomba, come un ossessivo ricordo del passato che le impediva di guardare al futuro? Il futuro poteva essere ricco di promesse: aveva conosciuto altra gente, in particolare un uomo snello, elegante, con tutta la carica di allegria e il fascino che Augustus aveva perduto. Forse, da giovane, il marito era stato come lui, ma Alicia, allora, non lo aveva conosciuto. Aveva voglia di ballare, di scherzare, di cantare intorno alla spinetta qualcosa che non fosse il solito inno o la solita pomposa ballata. Voleva innamorarsi e dire cose frivole e divertenti, avere qualcosa da ricordare, come la suocera che sedeva rivivendo la propria giovinezza attraverso un centinaio di lettere. In esse dove-
va indubbiamente esserci anche passione, se c'era qualcosa di vero nella rievocazione che lei faceva del suo passato. Il poliziotto la stava fissando con i suoi vividi occhi grigi. Era la persona più trasandata che avesse mai incontrato, assolutamente fuori posto in una chiesa. — Mi dispiace — le disse a bassa voce. — Mi pareva che tutto fosse finito. Lei non seppe cosa rispondere. — Sa di qualcuno, signora, che potrebbe aver fatto una cosa simile? — chiese. Alicia lo fissò in volto e un nuovo abisso si spalancò davanti a lei. Aveva immaginato che potesse trattarsi di un crimine anonimo, opera di chissà quali vandali dissennati. Aveva sentito di saccheggiatori di tombe, di esumatori di cadaveri: ma ora si rendeva conto che quel singolare poliziotto pensava a qualcosa di più personale: un'azione architettata deliberatamente contro Augustus... persino contro di lei. — No! — Trattenne il fiato e poi deglutì a fatica. — No, naturalmente. — Ma poteva sentire il calore montarle al viso. Che cosa avrebbe pensato la gente? Per due volte Augustus era stato dissotterrato dalla sua tomba, come se qualcuno volesse impedirgli di riposare in pace o impedire a lei di dimenticarlo. Chi poteva volere una cosa simile? L'unica a cui potesse pensare era la suocera che sarebbe stata certamente irritata al pensiero che lei potesse risposarsi, e questa volta per amore. — Non ne ho alcuna idea — rispose con tutta la calma di cui fu capace. — Se Augustus aveva dei nemici, non ne ha mai parlato. E faccio fatica a immaginare che qualcuno dei suoi conoscenti possa fare una cosa simile. — Sì — annuì Pitt. — Anche per noi il gesto non è spiegabile con un comune desiderio di vendetta... Fa terribilmente freddo qui dentro ed è meglio che lei vada a casa a scaldarsi e a mangiare qualcosa. Non c'è niente che lei possa fare, ora. Ci occuperemo noi di tutto. Faremo in modo che la cosa si svolga con la massima discrezione. Penso che il vicario abbia già impartito le istruzioni del caso. — Si diresse verso la porta, poi tornò indietro. — Lei è del tutto sicura che fosse suo marito, signora? Lo ha guardato bene in faccia? Alicia scosse il capo. Poteva vedere distintamente il cadavere con la sua pelle biancastra, più reale delle fredde pareti della sagrestia. — Era Augustus, signor Pitt. Non c'è alcun dubbio.
— La ringrazio, signora. Mi dispiace di quanto è accaduto. — Uscì e si chiuse la porta alle spalle. All'esterno, Pitt si fermò per dare un'occhiata ai fedeli che ancora sostavano, manifestando un senso di comprensione oppure facendo finta di trovarsi lì per caso e di essere in procinto di andar via. Poi s'incamminò a grandi passi giù per il vialetto e di lì nella strada. La faccenda lo aveva scosso più di quanto lo giustificasse la profanazione di una tomba. Cose ben peggiori succedevano ogni giorno: aggressioni, estorsioni e assassinii... eppure ravvisava in quel gesto una spietata oscenità che turbava un sentimento nascosto nel profondo della sua coscienza: la consapevolezza che almeno la morte fosse sacra. Perché mai qualcuno si accaniva a dissotterrare il corpo di un anziano aristocratico, la cui morte era stata perfettamente naturale? O forse questo era un modo bizzarro, ma chiaro, per dire che non lo era stata affatto? Era possibile che Lord Augustus fosse stato assassinato e che qualcuno lo sapesse? Dopo un secondo dissotterramento, era una possibilità da non trascurare. Non ci si poteva limitare a riseppellirlo... e ad aspettare. Non c'era niente che Pitt potesse fare, quel giorno: sarebbe stato inopportuno. Doveva condurre la cosa con molto tatto, diversamente non avrebbe avuto nessuna collaborazione dai parenti stretti del morto, che verosimilmente erano i soli in grado di sapere o sospettare qualcosa. Non che si aspettasse da quella parte molto aiuto. Nessuno voleva prendere in considerazione la possibilità di un assassinio. Nessuno voleva la polizia in casa, le indagini, gli interrogatori... A parte ciò, la domenica era il suo unico giorno libero. Voleva starsene a casa. Stava costruendo una macchinina per Jemima che lei avrebbe portato in giro per la casa, legata a una cordicella. Fare le ruote rotonde era stato più difficile di quanto avesse pensato, ma la bambina ne era incantata e continuava a parlare al suo giocattolo in una mescolanza di suoni del tutto incomprensibili per chiunque altro, ma di enorme significato per lei. Questo procurava a Pitt un'immensa gioia. Nella tarda mattinata di lunedì, Pitt si mise in cammino attraverso un sottile velo di nebbia per recarsi in carrozza a Gadstone Park e cominciare gli interrogatori. La prospettiva non era così deprimente come poteva essere, perché intendeva passare prima da zia Vespasia. Il ricordo di lei in Paragon Walk gli procurò una sensazione di piacere e, da solo nella carrozza
a nolo, si sorprese a sorridere. Aveva scelto quel momento con molta cura: abbastanza tardi perché lei avesse tutto il tempo di fare colazione, e troppo presto perché fosse uscita di casa per un impegno mattutino. Sorprendentemente, il cameriere gli disse che Lady Cumming-Gould aveva già compagnia, ma che avrebbe informato sua signoria del suo arrivo, se Pitt lo desiderava. Pitt ne fu contrariato e replicò con una certa rudezza che sì, lo desiderava. Così fu accompagnato in un salottino ad aspettare. Contrariamente a quanto aveva temuto, il cameriere tornò abbastanza presto e lo precedette nel salotto privato della padrona di casa. Zia Vespasia era seduta in un'ampia poltrona con i capelli raccolti con molta cura al sommo della testa e una camicetta alta fino al mento, in merletto di seta, che le conferiva una falsa aria di fragilità. In realtà, era fragile quasi quanto una spada d'acciaio, come Pitt ben sapeva. Le altre persone nella stanza erano Sir Desmond Cantlay, Lady St. Jermyn e Somerset Carlisle. Pitt osservò i loro volti con interesse. Hester St. Jermyn era una donna che faceva colpo. Il ciuffo di capelli argentei appariva quasi naturale e spiccava sul nero della capigliatura. Somerset Carlisle non era così magro e ossuto come gli era parso vestito di nero vicino alla tomba, ma nell'espressione del suo volto permaneva, come allora, una punta di sottile ironia. — Buon giorno, Thomas — lo salutò Vespasia con una certa freddezza. — Mi aspettavo che venisse, ma non così presto. Suppongo che lei già conosca il resto della compagnia. — Diede un'occhiata intorno. — Io ho già avuto occasione di conoscere l'ispettore Pitt — disse rivolta agli altri. La sua voce scoppiettante era carica di misteriosi significati. Hester St. Jermyn e Sir Desmond la guardarono stupiti, ma Carlisle rimase impassibile, limitandosi ad accennare un mezzo sorriso e attirando così l'attenzione di Pitt. Evidentemente Vespasia non voleva dare spiegazioni. — Stiamo parlando di politica — disse rivolta a Pitt. — Un argomento strano da discutere la mattina a quest'ora, non le pare? Lei ha pratica di case di lavoro? La mente di Pitt corse ai cupi androni privi di aria, stipati di uomini, donne e bambini con gli occhi arrossati e le ossa indolenzite, che sceglievano tra gli stracci i pezzi ancora buoni per farne nuove camicie, guadagnando quanto bastava appena per sfamarsi. D'estate svenivano per il caldo e d'inverno erano afflitti dalla bronchite. Ma la casa di lavoro era l'unico
riparo per quelli che avevano famiglia o per le donne sole, troppo vecchie, troppo brutte o troppo oneste per battere il marciapiede. Pitt sbirciò la camicetta di pizzo di Vespasia e le minuscole piegoline di quella di Hester. — Oh, sì, le conosco — rispose serio. Gli occhi di Vespasia si ravvivarono nel cogliere immediatamente i suoi pensieri. — E lei non è d'accordo — disse lentamente. — Sono posti orribili, specialmente per i bambini. — Certo — convenne Pitt. — Tuttavia necessari. È tutto quello che la legge prevede per i poveri — continuò. — Già. — La parola venne fuori a fatica. — La politica ha le sue regole. — Vespasia accennò agli altri con un leggero movimento della testa. — È con quelle che le cose vengono cambiate. Pitt provò un senso di colpa per averla giudicata male. — Lei ha intenzione di fare qualcosa perché la situazione cambi? — Vale la pena tentare. Ma lei è venuto qui certamente per quella spiacevole faccenda di ieri in chiesa. Una cosa atroce. — Se non la disturbo, gradirei parlarle in privato. È opportuno che certi argomenti siano trattati con più... con più riservatezza. Lei sbuffò. Sapeva benissimo quello che Pitt intendeva: certe indagini potevano essere svolte con maggiore facilità e forse con più accuratezza, parlandone a quattr'occhi; ma la presenza degli altri le impediva di dirlo. Pitt glielo lesse in faccia e le sorrise. Lei capì perfettamente e gli occhi le si illuminarono, ma non ricambiò il sorriso. Carlisle si alzò lentamente. Era più solido e forse più forte di quanto Pitt aveva creduto al cimitero. — Forse non c'è molto che si possa fare, per il momento — disse Carlisle a Vespasia. — Farò trascrivere le nostre osservazioni per esaminarle di nuovo. Non abbiamo ancora tutte le informazioni necessarie, temo. Dobbiamo mettere a disposizione di St. Jermyn tutto il materiale di cui possiamo venire in possesso, altrimenti non sarà in grado di caldeggiare la nostra tesi contro quelli che la contrastano con riserve e critiche prive di fondamento. Hester si alzò. — Sì — convenne Desmond alzandosi anche lui. — Lei ha perfettamente ragione. Buon giorno, Lady Cumming-Gould... — Lanciò un'occhiata
incerta a Pitt, incapace di rivolgersi a un poliziotto come a un suo pari, ma nello stesso tempo confuso perché, a quanto pareva, era un ospite come tutti gli altri, nel salotto della padrona di casa. Carlisle gli venne in aiuto. — Buon giorno, ispettore. Le auguro un rapido successo nelle sue indagini. — Buon giorno, signore. — Pitt piegò appena la testa. — Buon giorno, signora. Quando tutti se ne furono andati e la porta si richiuse alle loro spalle, Vespasia si rivolse a Pitt. — Santo cielo, si sieda — gli ordinò. — Mi mette a disagio, lì in piedi come un cameriere. Pitt obbedì. Il divano eccessivamente imbottito era molto più comodo di quanto sembrasse: soffice e ampio tanto da potervisi allungare. — Che cosa sa lei di Lord Augustus Fitzroy-Hammond? — le chiese. Di colpo l'atmosfera salottiera si era dissolta e non rimaneva che morte... e forse un assassinio. — Augustus? — Lei lo fissò a lungo. — Mi sta chiedendo se conosco qualcuno capace di ingaggiare dei pazzi per dissotterrare due volte quel poveretto? No, non conosco nessuno. Non era una persona che mi interessasse molto: niente immaginazione e, di conseguenza, nessun senso dell'umorismo. Ma questa non è certo una ragione per tirarlo fuori dalla tomba... piuttosto il contrario, direi. — Lo penso anch'io — disse Pitt sottovoce. — Ci sono tutte le ragioni, mi sembra, per desiderare che riposi in pace. Il volto di Vespasia cambiò espressione. Era la prima volta, a quanto Pitt ricordava, che perdeva quella sua splendida padronanza di sé. — Dio mio... — Trasse un lungo sospiro. — Non penserà che sia stato assassinato? — È una possibilità da prendere in considerazione — rispose Pitt. — Lo hanno dissotterrato due volte, ormai. È più che una coincidenza. Può essere il gesto di un pazzo, ma non è una pazzia casuale. Chiunque sia il responsabile, vuole che Lord Augustus rimanga insepolto... per una qualche ragione. — Ma era una persona così comune — ribatté lei con un senso di esasperazione e di pena insieme. — Era ricco, ma non eccessivamente. Il titolo non vale niente e in ogni caso non c'è nessuno che possa ereditarlo. Era un uomo amabile, ma non bello e troppo solenne per un'avventura romantica. — S'interruppe con un rassegnato gesto delle mani. Pitt rimase in attesa. C'era una tale comprensione tra loro due che sareb-
be stato offensivo da parte sua mettersi in cattedra per farle la lezione. Vespasia era capace quanto lui di cogliere tutte le sfumature e le ombre di sospetto e di timore. — È meglio che glielo dica io, piuttosto che venga a saperlo dai pettegolezzi della servitù — disse Lady Cumming-Gould, irritata, prendendosela non con lui, ma con le circostanze. Pitt capì. — E probabilmente la sua versione sarà molto più attendibile — convenne. — Alicia — disse semplicemente Vespasia. — Il suo è stato un matrimonio di convenienza. Ma cos'altro poteva essere un'unione tra una ragazza di vent'anni di buona educazione e un uomo benestante, di cinquantacinque o cinquantasei anni, e totalmente privo di immaginazione? — Ha un amante. — Un'affermazione gratuita da parte di Pitt. — Un ammiratore — lo corresse Vespasia. — Tanto per cominciare, niente di più di una conoscenza nel loro giro di rapporti sociali. Mi chiedo se lei abbia un'idea di quanto sia ristretta l'alta società londinese. Si finisce ben presto per conoscere praticamente tutti, a meno che non ci si ritiri in eremitaggio. — Ma ora è qualcosa di più di una semplice conoscenza? — Naturalmente. Lei è giovane e le sono stati negati i sogni della giovinezza. Li vede sfilare nelle sale da ballo di Londra... che altro vuole che faccia? — Lo sposerà? Vespasia inarcò leggermente le sopracciglia argentee. C'era nei suoi occhi rilucenti una fredda consapevolezza della differenza di classe sociale tra di loro, ma Pitt non era in grado di stabilire se ci fosse o no un'aria divertita. — Thomas, una donna non si risposa entro un anno dalla morte del marito, e tanto meno permette che le si attribuisca l'intenzione di farlo, qualunque cosa senta e faccia nell'intimità di una camera da letto. Purché, naturalmente, la camera da letto si trovi nella casa di qualcun altro, nel corso di un weekend o in altre occasioni. Ma per rispondere alla sua domanda non è improbabile, suppongo, che si sposi dopo il prescritto intervallo di tempo. — Che tipo è lui? — Bruno e molto bello. Non è un aristocratico, ma certamente un gentiluomo. Ha un'ottima educazione e molto fascino. — Soldi?
— Ha molto senso pratico lei, Thomas. Non molti, penso, ma non sembra che ne abbia bisogno, almeno non con urgenza. — Lady Alicia erediterà? — Insieme alla figlia, Verity. La vecchia signora ha del suo. — Mi pare informatissima sui loro affari — osservò Pitt con un sorriso. Anche lei gli sorrise. — Naturalmente. Di che altro ci si può occupare d'inverno? Sono troppo vecchia per avventurarmi in qualche interessante relazione. Le labbra di Pitt si aprirono in un largo sorriso, ma non fece nessun commento. Una qualsiasi forma di adulazione sarebbe stata fuori posto con zia Vespasia. — Come si chiama e dove abita questo gentiluomo? — Non so dove abiti, ma sono certa che non farà fatica a trovarlo. Si chiama Dominic Corde. Pitt si irrigidì. Non potevano esserci due Dominic Corde, tutti e due molto belli, tutti e due affascinanti, tutti e due giovani e bruni. Lo ricordava distintamente, con il suo bel sorriso, con la sua grazia, con la sua indifferenza nei riguardi della giovane cognata Charlotte, così disperatamente innamorata di lui. Era stato quattro anni prima. Il ricordo del primo amore non si spegne mai? Non c'è qualcosa che permane, frutto di immaginazione, forse, sogni che non si son mai avverati. Ma penosi tuttavia... — Thomas! — la voce di Vespasia lo strappò ai suoi pensieri, riportandolo al presente: Gadstone Park e il dissotterramento di Augustus FitzroyHammond. Allora Dominic era innamorato di Lady Alicia o almeno le faceva la corte. Pitt l'aveva vista soltanto due volte, ma si era fatto l'idea che fosse completamente diversa da Charlotte, più simile alla prima moglie di Dominic, Sarah, che era stata assassinata nella nebbia. La graziosa, devota Sarah con gli stessi capelli biondi di Alicia, lo stesso viso tranquillo. Pitt continuò a pensare a Charlotte e a Dominic. — Thomas! — il volto di Vespasia si girò verso di lui e si protese in avanti con un'espressione preoccupata. — Non si sente bene? — Ma no — lui rispose lentamente. — Ha detto Dominic Corde? — Lei lo conosce? — Era un'affermazione piuttosto che una domanda. Vespasia aveva vissuto a lungo e sapeva di tanti amori, di tante delusioni. Non le sfuggiva niente. Pitt sapeva che era del tutto inutile mentire con lei. — Sì. Era sposato alla sorella di Charlotte. — Dio mio. — Se intuiva più di quanto apparisse in quella situazione,
aveva troppo tatto per dirlo. — Allora è un vedovo. Non mi pare che ne abbia mai accennato. Pitt non voleva parlare di Dominic. Sapeva che ci si sarebbe comunque arrivati, ma non era ancora preparato a farlo. — Mi dica degli altri a Gadstone Park. Lei lo guardò un po' sorpresa. Pitt assunse un atteggiamento leggermente ironico. — Non riesco a immaginare Lady Alicia nell'atto di dissotterrarlo — disse fissandola negli occhi. — E tanto meno Dominic. Vespasia si rilassò, e il collo di pizzo della camicetta si deformò un po'. — No — sospirò un po' annoiata. — Naturalmente no. A meno che la cosa non sia avvenuta in maniera del tutto fortuita, potrebbe sembrare che sia stato uno dei due a uccidere Augustus. — Mi parli delle altre famiglie di Gadstone Park — insistette Pitt. — La vecchia Lady Fitzroy-Hammond è un essere spaventoso. — Vespasia non aveva peli sulla lingua. — Se ne sta seduta di sopra nella sua camera da letto tutto il giorno, immersa nella lettura di vecchie lettere d'amore e di ricordi di battaglie e glorie militari di Waterloo e della Crimea. Crede di essere l'ultima erede di una grande generazione. Continua a riassaporare tutte le sue vittorie del passato, immaginarie o reali prima che la vita le venga strappata via. Non ha nessuna simpatia per Alicia: pensa che non abbia coraggio, che sia priva di stile. — Un'improvvisa idea le illuminò il volto. — In realtà non so se, considerando la nuora capace di aver assassinato Augustus, la apprezzerebbe di più o di meno. Pitt camuffò un sorriso trasformandolo in una smorfia. — E che mi dice della figlia, di Verity? — Una cara ragazza. Non so da chi ha preso. Forse dalla famiglia della madre. Non particolarmente attraente, ma dietro le sue buone maniere s'intravvede una notevole ricchezza di vita interiore. Mi auguro che non la sposino prima che si sia goduta un po' la vita. — Che rapporti ha con Alicia? — Abbastanza buoni, per quanto ne sappia. Ma non è il caso di prenderla in considerazione: non saprebbe dove ingaggiare un profanatore di tombe e non sarebbe certo in grado di farlo da sola. — Ma potrebbe aver indotto qualcun altro a farlo — le fece notare Pitt. — Qualcuno innamorato di lei... se avesse pensato che la matrigna poteva aver assassinato il padre. — Non ci pensi nemmeno — ribatté Vespasia. — Troppo complicato.
Verity è una ragazza semplice. Se avesse pensato una cosa simile, l'avrebbe accusata apertamente, non sarebbe andata in giro a convincere qualcuno a tirare fuori dalla tomba il cadavere del padre. E poi mi sembra sinceramente legata ad Alicia... a meno che non sappia recitare in modo eccellente. Pitt dovette convenirne. L'ipotesi era assurda. Tutto considerato, doveva essere opera di un pazzo e il fatto che si fosse trattato per due volte dello stesso cadavere era da considerare soltanto una grottesca, disgraziata coincidenza. E in questi termini si espresse con Vespasia. — Io non sono incline a credere alle coincidenze — replicò lei. Ma penso che a volte si verifichino. Gli altri che abitano a Gadstone Park sono persone, a loro modo, comuni. Non ho niente contro Lord St. Jermyn, né posso dire che mi sia simpatico, anche se è lui che sosterrà il nostro progetto di legge in Parlamento. Hester è una brava donna e fa del suo meglio per adeguarsi a una situazione che le è indifferente. Hanno quattro figli di cui non ricordo i nomi. "Il Maggiore Rodney è un vedovo. Non era presente al servizio funebre al cimitero, quindi lei non lo ha ancora visto. Ha combattuto in Crimea, credo. Nessuno si ricorda della moglie, che dev'essere morta più di trent'anni fa. Vive con le sorelle nubili, Priscilla e Mary Ann. Non fanno che parlare e sono sempre impegnate a preparare marmellate e cuscinetti alla lavanda, ma per il resto sono persone amabilissime. Non c'è niente da dire sui Cantlay. Sono esattamente come li vede: gentili, generosi e un po' annoiati. "Carlisle è un musicista dilettante e suona abbastanza bene il pianoforte. Ha tentato la carriera politica, ma non ce l'ha fatta: troppo radicale. È favorevole alle riforme. Una buona famiglia, ricca da sempre. "L'unico a suscitare un certo interesse è quel terribile americano che ha comprato il numero 7 e che si chiama Virgil Smith. Io le chiedo: chi, se non un americano, avrebbe chiamato un bambino Virgil? E per giunta con un cognome come Smith. È un uomo di una sincerità sconcertante e naturalmente anche i suoi modi sono piuttosto discutibili. Non ha la benché minima idea di come comportarsi, di quale forchetta usare e di come rivolgersi a una duchessa. Parla ai gatti e ai cani nelle strade". Anche Pitt aveva parlato ai gatti e ai cani nelle strade e si accorse di provare improvvisamente una forte simpatia per quell'uomo. — Conosceva Lord Augustus? — chiese. — Naturalmente no. Lei immagina che Lord Augustus avesse rapporti
con gente simile? Era assolutamente privo di immaginazione. — Il suo volto si addolcì. — Fortunatamente, io sono troppo vecchia perché m'importi molto di quello che gli altri pensano della gente che frequento, e Smith è un tipo che mi piace. Almeno non è noioso. — Fissò con intenzione Pitt che si rese conto di essere lui stesso una di quelle persone socialmente non accettabili ma che si salvano perché non sono noiose. Per il momento capì che non avrebbe appreso altro da lei. Perciò, dopo averla ringraziata per la sua franchezza, si congedò. Quella sera avrebbe dovuto informare Charlotte che Dominic era implicato nella faccenda di Lord Augustus Fitzroy-Hammond e voleva prepararsi a parlarne con lei. Charlotte aveva mostrato un interesse piuttosto superficiale per il caso della tomba profanata. Non riguardava nessuno che lei Conoscesse, non come gli assassinii di Paragon Walk dell'anno precedente. Aveva molto da fare in casa e Jemima, quando era sveglia, mostrava un'insaziabile curiosità. Charlotte passava una buona metà del suo tempo nel disbrigo delle faccende domestiche e il resto a interpretare le domande di Jemima, cercando di trovare una risposta. Era sempre in grado di intuire d'istinto quello che la bambina voleva dire e le parlava pronunciando le parole con molta chiarezza, perché le ripetesse. Verso le sei, quando Pitt tornò a casa, bagnato e infreddolito, era anche lei, come il marito, stanca e felice di potersi finalmente rilassare. Nella quiete confortevole che seguì il pasto serale lui la mise al corrente. Si era chiesto in che modo affrontare l'argomento: se arrivarci un po' alla volta o spiattellarle la cosa così com'era. Alla fine, il suo stesso impellente bisogno di parlarne ebbe il sopravvento. — Sono andato a trovare zia Vespasia, oggi. — Le lanciò un'occhiata, poi di nuovo rivolse lo sguardo al fuoco. — A proposito della profanazione della tomba di Lord Fitzroy-Hammond. Lei conosce tutti, a Gadstone Park. Charlotte rimase in attesa che il marito continuasse. Di solito Pitt sapeva essere evasivo, arrivando al punto quando lo riteneva opportuno, ma questa volta la notizia era troppo importante per continuare a girarci intorno. Non poteva tenerla per sé più a lungo. — Dominic è implicato. — Dominic? — ripeté lei dubbiosa. Era una notizia troppo incredibile per avere senso. — Che cosa vuoi dire? — Dominic Corde è immischiato nella faccenda dei Fitzroy-Hammond.
Lord Augustus è morto qualche settimana fa e il suo corpo è stato dissotterrato due volte e lasciato bene in vista perché fosse notato, la prima volta a cassetta della carrozza a nolo e la seconda sul banco di famiglia in chiesa. Alicia, la sua vedova, ha un corteggiatore... già da qualche tempo. È Dominic Corde. Charlotte rimase immobile, ripetendo dentro di sé le parole del marito e cercando di afferrarne il significato. Non aveva più pensato a Dominic da mesi. Ora, tutte le fantasie della sua adolescenza le riaffioravano alla mente, imbarazzanti nella loro goffaggine e nel loro ardore. Si sentiva accesa in volto e avrebbe voluto che Pitt non ne avesse mai saputo niente, che lei non avesse lasciato trapelare con tanta ingenuità la sua infatuazione, quando lo aveva incontrato la prima volta in Cater Street. Poi si rese conto dell'enormità della cosa. Thomas aveva detto che Dominic era implicato nella faccenda. Pensava davvero che avesse avuto qualcosa a che fare con la profanazione del corpo? Per lei era inconcepibile, soprattutto perché non credeva che Dominic potesse avere la volontà e il coraggio di fare una cosa simile. — Implicato in che modo? — chiese. — Non lo so. — La voce di Pitt era insolitamente aspra. — Suppongo che abbia intenzione di sposarla. Per la prima volta, nella loro vita comune, suo marito l'aveva fraintesa. — Volevo dire... in che modo è implicato nel disseppellimento del cadavere? — lo corresse. — Non penserai che sia stato lui a farlo. Perché avrebbe dovuto? Pitt esitò, scrutandola negli occhi, cercando di stabilire quello che pensava e fino a che punto la cosa le importasse. Aveva notato il rossore montarle al viso, quando aveva fatto il nome di Dominic, e aveva provato un senso di gelo e di insicurezza che non aveva più sperimentato da anni, da quando suo padre aveva perso il lavoro e la famiglia aveva lasciato la grande tenuta dove lui era nato e cresciuto. — Non credo che sia stato lui — rispose. — Ma devo prendere in considerazione la possibilità che Lord Augustus non sia morto di morte naturale, come si è creduto al momento della sua scomparsa. — Vuoi dire... un assassinio? — chiese Charlotte impallidendo. Faceva fatica a parlare. — Pensi che Dominic potrebbe averlo assassinato? Oh, no... Non ci credo. Lo conosco... non è... — Non riusciva a trovare un modo di dirlo senza essere crudele e ingiusta. — Non è che cosa? — chiese Pitt con voce aspra. — Non è capace di
uccidere, vuoi dire? — No — replicò lei semplicemente. — Non lo credo capace, a meno che non fosse spaventato o non sia successo accidentalmente, in un impeto di collera. Ma se lo avesse fatto, dopo si sarebbe tradito. Non avrebbe mai potuto vivere con un peso simile sulla coscienza. — Una coscienza così sensibile? — chiese sarcastico Pitt. Lei si sentì ferita dalla sua durezza. Non se ne spiegava la ragione. Si era ricordato delle sue fantasie giovanili, ne era stato contrariato e trovava irritanti le sue sciocchezze, persino dopo tanto tempo? Non poteva certo essere così spietato per quella che, dopo tutto, non era stata altro che la fantasticheria di una ragazzina. Lei aveva tormentato soltanto se stessa, con quella faccenda. Ricordò distintamente tutto quello che era accaduto a Cater Street. Persino Sarah era stata completamente ignara dei suoi sentimenti e non ne aveva avuto alcun sentore lo stesso Dominic. — Ci sono aspetti della nostra personalità che preferiremmo tenere nascosti — osservò tranquillamente. — Aspetti che ci affanniamo a spiegare, perché per gli altri sono da condannare, mentre nel nostro caso ci sembrano pienamente giustificati. Dominic è come tutti gli altri, forse anche migliore degli altri, ma i suoi lati negativi sono legati all'educazione che ha ricevuto. Ha appreso i valori della vita da altra gente, proprio come facciamo tutti. Non esiterebbe a giustificare se stesso per una relazione con una cameriera, perché questa è una cosa che i gentiluomini accettano. Ma nessuno accetta che si possa assassinare un uomo soltanto per sposarne la vedova. In nessun modo Dominic potrebbe giustificare una tale azione ai suoi occhi o a quelli degli altri. Se lo avesse fatto, ne sarebbe lui stesso atterrito. Ecco che cosa volevo dire. — Oh. — Pitt rimase impassibile. Per alcuni minuti non si udì altro che il crepitio del fuoco. — Come stava zia Vespasia? — chiese lei alla fine. — Come sempre — rispose Pitt cortesemente. Avrebbe voluto dire di più, per ristabilire un contatto, senza essere costretto a scusarsi, perché questo avrebbe significato confessare tutti i pensieri sui quali aveva continuato ad arrovellarsi. — Mi ha raccomandato di dirti di andare a trovarla una volta o l'altra. Me l'ha detto, quando l'ho vista al cimitero, e mi sono dimenticato di parlartene. — Lo seppelliranno di nuovo? — chiese lei. — Sembra un po'... grottesco. — Penso di sì. Ma non permetterò che lo facciano subito. Il cadavere è
in mano alla polizia, ora. Voglio un'autopsia. — Un'autopsia? Vuoi dire che lo taglieranno tutto? — Sì, se è proprio in questi termini che ritieni di doverlo dire. — Alla fine accennò un sorriso e lei lo ricambiò. Di colpo, Pitt si sentì di nuovo invadere dal calore e rimase seduto a ridere un po' scioccamente come un ragazzo. — Alla famiglia non farà certo piacere — disse Charlotte. — Ne saranno infuriati — convenne il marito. — Ma io non ho altra scelta. 3 Il giorno successivo Pitt dovette andare da Alicia. Doveva interrogarla, sia pure in modo indiretto, su Lord Augustus, sui suoi rapporti con lui e con Dominic Corde. Poi, naturalmente, avrebbe dovuto incontrarsi di nuovo con Dominic. Non si erano più visti dal giorno in cui lui e Charlotte si erano sposati, circa quattro anni prima. Allora Dominic, da poco rimasto vedovo, era ancora scosso per i fatti di sangue di Cater Street. Pitt era stato così gradevolmente sorpreso del successo che aveva avuto con Charlotte da accorgersi appena della presenza di chiunque altro. Ora sarebbe stato diverso. Superato lo choc, Dominic si sarebbe rifatto una vita, lontano dagli Ellison e dai ricordi di Sarah. Si sarebbe risposato: non poteva avere più di trentadue o trentatré anni e rappresentava un buon partito. Anche se lo stesso Dominic non ci pensava, Pitt aveva una sufficiente conoscenza della buona società per sapere che qualche madre ambiziosa avrebbe finito con l'accalappiarlo per la propria figlia. Si trattava soltanto di stabilire chi ci sarebbe riuscita per prima. A Pitt Dominic non piaceva troppo, non tanto per se stesso, quanto per i suoi rapporti con Charlotte e per i sogni che lei aveva coltivato nei suoi riguardi. Si sentiva quasi colpevole di essere proprio lui a coinvolgerlo di nuovo in un delitto. Sempre che, naturalmente, non riuscisse a risolvere il caso, prima che si dovesse parlare esplicitamente di assassinio. Era una mattinata grigia, tetra, con un cielo che minacciava neve, quando Pitt tirò il cordone del campanello al numero 12 di Gadstone Park e un funereo maggiordomo lo lasciò entrare con un sospiro rassegnato. — Lady Fitzroy-Hammond sta facendo colazione — disse con aria di
sufficienza. — Se vuole avere la cortesia di aspettare nel salotto, la informerò che lei è qua. — Grazie. — Pitt lo seguì docilmente. Incrociarono una cameriera piccola e anziana con il grembiule orlato di pizzo bianco. Quando lo vide, il suo volto sottile si irrigidì e gli occhi lampeggiarono. Si girò di scatto e tornò di sopra. Attraversò in fretta il pianerottolo e scomparve, mentre lui entrava in un altro gelido, silenzioso salotto. Cinque minuti dopo entrò Alicia, pallida e un po' affannata, come se fosse venuta di corsa. — Buon giorno, signora. — Pitt rimase in piedi. Nella stanza faceva troppo freddo perché vi si potesse svolgere una qualsiasi conversazione, specialmente la tranquilla, distesa esplorazione che intendeva svolgere. Lei rabbrividì. — Che altro ci può essere ancora da dire? Il vicario mi ha assicurato che avrebbe avuto cura lui stesso di dare le... le disposizioni necessarie. — Esitò. — Io... io non so come ci si dovrebbe regolare... Dopotutto c'è stato già un funerale... e... — Corrugò e scosse appena il capo. — Non so che altro dirle. — Forse potremo appartarci a parlare in un posto più conveniente? — propose Pitt. Non voleva dire esplicitamente un posto più caldo. Alicia era disorientata. — Parlare di che cosa? Io non so altro. — La profanazione di una tomba è un crimine, signora — disse Pitt con la massima gentilezza. — Disseppellire due volte lo stesso cadavere non sembra possa essere considerato solo una bizzarra coincidenza. Il volto di Alicia sbiancò. Fissò il poliziotto ammutolita. — Non potremmo andare in qualche altra stanza per parlare più comodamente? — Questa volta lo disse in maniera quasi esplicita, come se stesse spiegando qualcosa a un bambino. Sempre senza parlare, lei si girò e lo precedette in un salottino più piccolo, molto civettuolo, che si apriva sul fianco della casa. C'era un bel fuoco acceso, da cui si sprigionava un'ondata di calore. Appena furono dentro, lei si voltò di scatto. Aveva ripreso la piena padronanza di sé. — Che cosa sta sospettando, ispettore? Qualcosa di più del gesto di un pazzo? Qualcosa di deliberato? — Temo di sì — rispose semplicemente Pitt. — La pazzia non è di solito così... mirata. — Mirata a che cosa? — Alicia chiuse la porta e andò a sedersi sul sofà. Pitt prese posto di fronte a lei, sentendo il calore del fuoco che gli scio-
glieva i muscoli irrigiditi dal freddo. — È quello che devo scoprire — rispose Pitt. — Per essere certo che non accada più. Lei ha dichiarato in precedenza di non conoscere nessuno che avrebbe intenzionalmente fatto un tale oltraggio alla salma di suo marito o che potesse comportarsi in modo da... — È così. Non conosco nessuno. — Perciò non mi rimane che considerare quali altre motivazioni potrebbero esserci — osservò Pitt tranquillamente. La giovane vedova era molto più intelligente del previsto, molto più calma. Cominciò a capire perché Dominic fosse così attratto da lei. Si ricordò di quello che Vespasia aveva detto dei sogni della gioventù e provò un senso di rabbia pensando alle limitazioni, alle angustie delle convenzioni sociali che avevano condannato Alicia al legame con un uomo come Augustus Fitzroy-Hammond. — O chi altri potrebbe essere la vittima designata — concluse. — Vittima? — ripeté lei, soppesando la parola nella sua mente. — Sì, suppongo che lei abbia ragione. In un certo senso, siamo tutti vittime di questo... tutta la famiglia. Pitt non era ancora pronto a farle domande su Dominic. — Mi dica qualcosa sul conto di sua suocera — le chiese invece. — Era in chiesa, vero? Abita anche lei qui? — Sì. Ma non so che cosa potrei dirle sul suo conto. — Pensa che potrebbe essere lei la persona presa di mira? Negli occhi di Alicia passò un lampo, come se avesse improvvisamente intuito qualcosa. Oppure lo immaginava lui, perché corrispondeva al suo modo di sentire. — Mi sta chiedendo se mia suocera ha dei nemici? — chiese fissandolo. — Ne ha? — Non era più un segreto tra di loro. Lui capì e anche lei se n'era accorta. — Naturalmente nessuno può vivere così a lungo senza farsi dei nemici — ammise lei. — Ma per la stessa ragione molti di loro sono già morti. Tutte le rivali del tempo della sua giovinezza, o dei giorni in cui trionfava in società, se ne sono andate o sono troppo vecchie per preoccuparsene. Immagino che molte partite siano state regolate tanto tempo fa. Non c'era niente da eccepire su quello che Lady Alicia aveva detto. — E la figlia, la signorina Verity? — Oh, no — rispose prontamente scuotendo il capo. — Ha appena debuttato in società. Non ci sono risentimenti in lei e non ha fatto male a nessuno, nemmeno inavvertitamente.
Pitt non sapeva come affrontare l'inevitabile. Di solito era molto difficile trovare le parole che portavano a un'accusa esplicita, specialmente quando l'interlocutore non se l'aspettava. Ma ci aveva fatto il callo, in tanti anni di servizio, allo stesso modo in cui ci si abitua presto a convivere con i reumatismi, sapendo che di tanto in tanto verranno i dolori, cercando la posizione giusta per sentirli di meno, anticipando il momento in cui le fitte si sarebbero fatte sentire e finendo col farci l'abitudine. Ma questa volta era più dura del solito. All'ultimo momento si vide costretto di nuovo a ricorrere alle vie oblique. — Non potrebbe essere invidia? — chiese. — È una ragazza attraente. Alicia sorrise e il suo sorriso esprimeva una benevola comprensione per la sua ingenuità. — Le uniche persone che possono invidiare le giovani ragazze della buona società sono le altre ragazze della stessa buona società. Pensa davvero che una di loro possa aver pagato degli uomini per far disseppellire il cadavere di suo padre? Pitt si sentì ridicolo. — No, naturalmente. — Questa volta mise da parte ogni cautela: — Allora, se non è Lady Fitzroy-Hammond madre, e se non è la signorina Verity, non potrebbe essere lei? Alicia deglutì e lasciò passare qualche secondo prima di rispondere. Le sue dita erano strette sul bracciolo di legno ricurvo del sofà. — Non ho mai pensato che qualcuno potesse odiarmi fino a questo punto — ribatté, calmissima. Lui incalzò. Non poteva permettere che la compassione gli impedisse di parlare. Alicia non sarebbe stata la prima assassina a recitare alla perfezione la sua parte. — Più di un delitto è stato commesso per gelosia — osservò. Lei rimase seduta perfettamente immobile. Per un momento Pitt temette che non volesse rispondere. — Sta parlando di assassinio, ispettore Pitt? — chiese alla fine. — È un fatto orribile, raccapricciante, ma non un assassinio. Augustus è morto per un attacco cardiaco. Era stato male per più di una settimana. Chieda al dottor McDuff. — Forse qualcuno vuole che si pensi a un assassinio? — chiese Pitt con voce priva di qualsiasi emozione, come se stesse esaminando un problema astratto e non una questione di vita o di morte. Di colpo Alicia intuì quello che Pitt stava pensando. — Lei vuol dire che... disseppelliscono Augustus per richiamare l'attenzione della polizia? Pensa che qualcuno odi uno di noi fino a tal punto?
— Non le pare possibile? Lei si volse a fissare il fuoco. — Sì, credo che sia possibile. Sembrerebbe sciocco escluderlo completamente. Ma è un pensiero che fa paura. Io non so chi potrebbe essere... o perché dovrebbe farlo. — Mi dicono che lei conosce un certo signor Dominic Corde. — Finalmente l'aveva detto. Notò il rossore montarle al viso. Si era aspettato di sentire per lei avversione o disapprovazione: dopotutto era vedova da pochi giorni. Eppure non era così. Provava anzi una certa pena per il suo disagio, persino per il fatto che con ogni probabilità era ancora in quella incerta fase dell'innamoramento, in cui non è possibile nascondere i propri sentimenti e non si è ancora sicuri di quelli dell'altro. Alicia volse di nuovo lo sguardo altrove. — Sì, lo conosco. — Giocherellò con la frangia del sofà. Le sue mani erano lisce, abituate al ricamo e a disporre fiori nei vasi. Doveva dire di più, non poteva limitarsi a lasciare cadere l'argomento. — Perché me lo chiede? Pitt si fece più attento. — Pensa che qualcuno possa essere geloso della vostra amicizia? Ho conosciuto il signor Corde: un uomo affascinante, un partito desiderabile. Il rossore si accentuò sulle guance di Alicia e poiché se ne rendeva conto, il suo disagio crebbe ancora. — Potrebbe darsi, signor Pitt. — I suoi occhi si sollevarono di scatto. Pitt non lo aveva notato prima, ma erano di un bel nocciola dorato. — Ma sono vedova da poco... — S'interruppe. Forse si era resa conto della solennità di una tale dichiarazione. Poi aggiunse: — Non riesco a immaginare qualcuno così squilibrato da fare una cosa simile soltanto per invidia... persino del signor Corde. Pitt le stava ancora seduto di fronte, a poca distanza. — E quale sarebbe, secondo lei, una ragione valida perché una persona possa fare una cosa del genere, signora? Ci fu di nuovo silenzio. Il fuoco scoppiettò, sprizzando scintille tutto intorno. Pitt si protese in avanti per prendere le molle e aggiungere un altro pezzo di carbone. Era un lusso per lui consumare carbone senza pensare a quanto costava. Ne aggiunse un secondo e poi un terzo. Il fuoco divampò con una bella fiamma gialla. — Non c'è una ragione valida — rispose Alicia. — Lei ha perfettamente ragione. Prima che Pitt potesse dire altro, la porta si spalancò e una vecchia si-
gnora dall'aria risoluta e vestita di nero entrò, picchiando il bastone davanti a sé a ogni passo. Osservò con aria sprezzante Pitt, che balzò in piedi automaticamente. Anche Alicia si alzò. — Mamma — disse — questo è l'ispettore di polizia Pitt. — Poi si rivolse a lui. — Mia suocera, Lady FitzroyHammond. La vecchia signora non si mosse. Non voleva essere presentata a un poliziotto come se fosse uno della loro classe sociale, e tanto meno in quella che considerava ancora la propria casa. — Già — disse acida — lo avevo pensato. Immagino che tu abbia da fare, Alicia. La casa non si ferma perché qualcuno è morto, lo sai. Non puoi aspettarti che i domestici si sorveglino da soli. Va' a controllare i menu per la giornata e accertati che le cameriere siano tutte occupate. C'era polvere sul davanzale della finestra, sul pianerottolo di sopra, ieri. Mi sono sporcata il polsino della camicetta. — Respirò profondamente. — Non startene lì imbambolata, ragazza mia. Se il poliziotto ha bisogno di vederti ancora, potrà tornare un'altra volta. Alicia lanciò un'occhiata a Pitt, che chinò appena la testa, e obbedì con la cortesia e il rispetto per le persone anziane che le era stato inculcato nella sua famiglia. Dopo che se ne fu andata, la vecchia signora si avvicinò ondeggiando al sofà e sedette, con il bastone stretto in pungo. — Che cos'è venuto a fare qui? — chiese. Indossava una cuffietta di pizzo bianco e Pitt notò che, sotto, i capelli non erano stati ancora acconciati. Immaginò che avesse sentito del suo arrivo da una cameriera e che si fosse alzata in fretta per il timore di non trovarlo più. — Sono venuto qui per vedere se posso scoprire chi ha dissepolto il cadavere di suo figlio — rispose con molta franchezza. — Dio mio... Immagina che sia stato uno di noi? — Il disgusto per la stupidità del poliziotto era immenso e fece di tutto perché lui se ne rendesse conto. — Non direi, signora — rispose Pitt con calma. — È un lavoro da uomini. Ma mi sembra molto probabile che il gesto fosse diretto contro una di voi. Dal momento che è accaduto due volte, non possiamo pensare che si tratti di una semplice coincidenza. — Lei dovrebbe indagare. — La vecchia signora batté il bastone sul pavimento. — Scopra tutto quello che può. Le apparenze ingannano. Se fossi nei suoi panni, comincerei da un certo signor Dominic Corde. — I suoi occhi non lasciarono un istante il volto di Pitt. — Troppo mellifluo, quell'uomo. A caccia dei soldi di Alicia. La cosa non mi sorprenderebbe. Lo
tenga d'occhio. Sempre qui a ficcare il naso in giro, ancor prima che il povero Augustus morisse, molto prima. A farle girare la testa con il suo bel volto e i suoi modi insinuanti... Quella sciocca ragazza! Come se un bel volto fosse tutto. Diamine, alla sua età io avevo ai miei piedi almeno una ventina di tipi come quello. — Fece schioccare le dita. — Le corti di Europa ne sono piene. Ce ne sono tanti in giro ogni estate, come le patate. Buoni per una stagione. Poi si volatilizzano. A meno che non sposino qualche ricca ereditiera che si è lasciata abbindolare. Provi a indagare sulla situazione finanziaria e vedrà quello che possiede. Pitt inarcò le sopracciglia. Avrebbe rinunciato alla paga di una settimana per poterle dire il fatto suo. Ma così facendo avrebbe rischiato di rimanere senza paga per tutta la vita. — Pensa che potrebbe essere stato lui a disseppellire Lord Augustus? — chiese invece candidamente. — Non vedo perché avrebbe dovuto farlo. — Non sia così ingenuo — ribatté sprezzante la vecchia signora. — Potrebbe addirittura averlo assassinato. O aver indotto quella sciocchina a farlo. Secondo me, qualcuno ne è informato e ha disseppellito il cadavere di Augustus per far in modo che anche gli altri lo sapessero. — Lei lo sapeva, signora? Lady Fitzroy-Hammond gli lanciò un'occhiata gelida, mentre rifletteva sull'atteggiamento da assumere. — Io dissotterrare mio figlio? — sbottò alla fine. — Lei è un incapace, non sa quello che dice. — No, signora, mi ha frainteso. Le ho chiesto soltanto se sospettava che suo figlio fosse stato assassinato. La vecchia signora si rese improvvisamente conto della trappola in cui si stava cacciando e la sua collera sbollì. Lo fissò con occhi stanchi. — No, non lo sospettavo. Non allora. Anche se adesso comincio a pensarci. — Anche noi cominciamo a pensarci, signora. — Pitt si alzò. Aveva bisogno di scoprire tutto quello che poteva, ma in quella prima fase dell'indagine le insinuazioni velenose della vecchia avrebbero portato soltanto confusione. L'assassinio, a questo punto, non era che una remota possibilità e ne rimanevano ancora altre: odio o un puro atto di vandalismo. Lei sbuffò, porse la mano perché l'aiutasse a mettersi in piedi, ma poi si ricordò che non era altro che un poliziotto e la ritirò, rialzandosi da sola. — Nisbett! — gridò, battendo con forza il bastone sul pavimento. L'onnipresente cameriera apparve subito, come se fosse stata in attesa
dietro la porta. — Accompagna questo signore fuori — le ordinò la padrona, sollevando il bastone in aria per indicare la direzione. — E poi portami una tazza di cioccolata, su nella mia stanza. Non riesco a capire che cosa sta succedendo. Ogni inverno che viene fa sempre più freddo. Non è mai, stato così. In altri tempi, le nostre case erano meglio riscaldate. — Si avviò pesantemente verso la porta senza degnare Pitt di uno sguardo. L'ispettore seguì la cameriera nell'atrio e stava per uscire, quando udì parlare nel salottino alla sua sinistra. Una delle voci era maschile, non alta ma molto chiara, una voce che suscitò in lui un'ondata di ricordi. Poteva essere soltanto quella di Dominic Corde. Lanciò uno splendente sorriso a Nisbett, lasciandola perplessa e allarmata, e si girò bruscamente verso la porta del salottino, la sfiorò con le nocche delle dita ed entrò. Dominic stava in piedi con Alicia vicino al caminetto. Si voltarono tutti e due sorpresi. Alicia si fece tutta rossa in volto e Dominic fu sul punto di chiedere spiegazioni, poi riconobbe Pitt. — Thomas — esclamò sorpreso. — Thomas Pitt. — Poi riprese la padronanza di sé e sorrise porgendogli la mano. Era un gesto spontaneo e l'avversione di Pitt svaporò suo malgrado. Ma non doveva dimenticare perché era lì. Poteva trattarsi di assassinio e uno di loro, o persino tutti e due, poteva essere coinvolto. Anche se si fosse trattato soltanto della profanazione della tomba, erano certamente loro le vittime designate del proposito delittuoso. Strinse la mano a Dominic. — Buon giorno, signor Corde. Dominic fu aperto e sincero, come sempre. — Buongiorno, come sta Charlotte? Pitt provò uno strano miscuglio di euforia, perché ora Charlotte era sua moglie, e di risentimento, perché Dominic chiedeva di lei con tanta naturalezza. Ma, dopo tutto, aveva vissuto nella stessa casa con Charlotte per tutti gli anni del suo matrimonio con Sarah: l'aveva vista trasformarsi da una ragazzina in una giovane donna. E per tutto quel tempo non gli era mai passato per la mente che Charlotte potesse essere infatuata di lui. Ma questa era una situazione diversa. Aveva trent'anni, ora. Era più maturo, forse più consapevole della presa che aveva sulle donne. E quella era Alicia, non la sua giovane cognata. — Sta benissimo, grazie — rispose Pitt. Non resistette alla tentazione di aggiungere: — E Jemima ha due anni e non la smette mai di chiacchierare.
Dominic rimase un po' sorpreso. Forse non aveva pensato che Charlotte potesse avere dei bambini. Lui e Sarah non ne avevano avuti. Di colpo Pitt si pentì della sua vanteria. Ormai con quelle poche parole aveva reso impossibile qualsiasi atteggiamento di distacco, quell'atteggiamento professionale a cui aveva inteso attenersi. — E lei sta bene, signor Corde? — Ebbe un momento di esitazione. — È una gran brutta faccenda, questa di Lord Fitzroy-Hammond. Il volto di Dominic si colorì e poi si sbiancò. — Orribile — convenne. — Mi auguro che lei riesca a scoprire chiunque sia stato e che lo assicuri presto alla giustizia. Dev'essere certamente un pazzo e non le sarà difficile rintracciarlo. — Sfortunatamente, la pazzia non è come la varicella — ribatté Pitt. — Non produce eruzioni cutanee visibili a occhio nudo. Alicia rimase in silenzio, continuando a riflettere sul fatto che i due uomini evidentemente si conoscevano, e non soltanto per caso o per un incontro formale. — Non certo a un occhio bene addestrato — replicò Dominic. — Ma lei non ha bisogno di un particolare addestramento. E poi, voi della polizia non avete tutti i medici e gli specialisti che volete? — Prima di poter riconoscere una malattia, bisogna averne una certa familiarità. E la dissacrazione di una tomba non si verifica più di una volta nella carriera di un poliziotto. — E se il cadavere fosse stato venduto per la ricerca medica? Non c'è un giro di affari in questo campo? Mi dispiace, Alicia... — si scusò Dominic. — Questo succedeva parecchio tempo fa — rispose Pitt. — Ora li ottengono del tutto legalmente. — Allora ci dev'essere un'altra spiegazione — Dominic si strinse nelle spalle. — È orribile. Pensa che... no, non può essere. Non hanno toccato il cadavere. Non possono essere nemmeno negromanti o adoratori di Satana o cose del genere... Alicia alla fine intervenne. — Il signor Pitt deve considerare la possibilità che Augustus non sia stato preso a caso, ma intenzionalmente, per rancore contro di lui o contro uno di noi. Dominic non parve sorpreso dalle parole di Alicia, come Pitt si sarebbe aspettato. Pensò che forse gliene aveva già parlato prima che lui entrasse nella stanza. Anzi, proprio di quello, forse, stavano discutendo, quando li aveva interrotti. — Non riesco a immaginare come si possa odiare qualcuno fino a tal
punto — osservò Dominic. Era lo spunto che Pitt aspettava e lo colse al volo. — Ci possono essere molte ragioni per odiare — disse, cercando di parlare senza molto calore, come se fosse un discorso del tutto accademico. — La paura è una delle più antiche. Anche se non sono ancora riuscito a scoprire perché qualcuno dovesse aver paura di Lord Augustus. Poteva essere venuto a conoscenza, anche senza volerlo, di fatti molto importanti? — In tal caso avrebbe rispettato il segreto — affermò Alicia con forza. — Augustus era molto leale e non commetteva mai indiscrezioni. — Ma avrebbe potuto ritenere suo dovere parlarne, se si fosse trattato di un crimine — fece notare Pitt. Né Alicia né Dominic parlarono. Stavano tutti e due ancora in piedi, e Dominic così vicino al fuoco da scottarsi le gambe. — O la vendetta — Pitt riprese. — C'è gente che alimenta un desiderio di vendetta, covandolo per anni finché diventa irrefrenabile. L'offesa originaria può anche non essere stata grave. Anzi, può addirittura non essere stata una vera e propria offesa, ma semplicemente un successo riportato dove qualcun altro ha fallito. Respirò profondamente per affrontare quello che in effetti voleva dire. — E naturalmente c'è l'avidità, una delle motivazioni più comuni al mondo. Può darsi che qualcuno si attendesse di trarre vantaggio dalla sua morte in modi che non appaiono subito chiari... Il volto di Alicia si sbiancò e poi si fece tutto rosso. Pitt non aveva inteso riferirsi semplicemente all'eredità, ma capì che lei lo credeva. Anche Dominic taceva, spostando il peso del corpo da un piede all'altro, forse per un senso di disagio, o forse perché era troppo vicino al fuoco e non poteva spostarsi senza chiedere a Pitt di fare altrettanto. — O la gelosia — concluse Pitt. — Un desiderio di libertà. Forse con la sua presenza Lord Augustus impediva la realizzazione di un progetto a cui qualcuno teneva in modo particolare. — Ora Pitt non poteva guardarli direttamente in faccia e si rendeva conto che nemmeno loro si guardavano. — Un'infinità di ragioni. — Si trasse un po' indietro per consentire a Dominic di scostarsi dal calore del fuoco. — Tutte valide, fino a prova contraria. Alicia deglutì. — E lei pensa... pensa di indagare su tutte queste ragioni? — Potrebbe non essere necessario — rispose Pitt, sentendosi in colpa, mentre lo diceva, e odiando il proprio lavoro perché i sospetti stavano già prendendo forma nella sua mente, come sagome nella nebbia. — Potrem-
mo scoprire la verità ancor prima di prenderle in considerazione. Queste parole non furono un motivo di conforto per Alicia, come del resto non era stato nelle intenzioni di Pitt. Fece qualche passo avanti, fermandosi tra Pitt e Dominic. Era un gesto che Pitt aveva visto fare centinaia di volte dalle donne: una madre che proteggeva un figlio turbolento, una moglie che mentiva sul conto del marito, una figlia che prendeva le parti del padre ubriaco. — Conto sulla sua discrezione, signor Pitt — disse con calma. — Diversamente, la sua indagine potrebbe causare un'infinità di dispiaceri e far torto alla memoria di mio marito, senza considerare le persone che potrebbero essere state indotte ad agire dalle motivazioni che lei ha elencato. — Certamente — la tranquillizzò Pitt — Si indagherà sui fatti, ma senza coinvolgere nessuno, almeno per il momento. Alicia non diede l'impressione di credere alle sue parole, ma non aggiunse altro. Pitt si congedò e questa volta il domestico si assicurò che se ne andasse davvero. All'esterno fu aggredito dal freddo, che penetrava persino attraverso i vari strati di indumenti da cui era protetto. La nebbia era stata spazzata via e cadeva una pioggia gelida. Il vento sibilava tra i cespugli di alloro e la pioggia oscurava ogni cosa. Non aveva altra scelta ora, che sollecitare l'autopsia di Augustus Fitzroy-Hammond. La tesi dell'assassinio non poteva più essere ignorata, anche se andava considerata con molta circospezione perché poteva danneggiare troppa gente. Si era già chiesto dove avrebbe potuto trovare il dottor McDuff e decise di andare direttamente a casa sua. Meno tempo aveva per pensarci, meglio era. Al momento opportuno si sarebbe deciso a parlarne a Charlotte. La casa del dottor McDuff era spaziosa, solida e convenzionale, come del resto era lui stesso. Niente che stimolasse l'immaginazione, niente che rischiasse di urtare in qualche modo i benpensanti. Pitt fu introdotto anche questa volta in un gelido salotto e gli fu detto di aspettare. Dopo un quarto d'ora, fu accompagnato in uno studio dalle pareti ricoperte di libri rilegati in pelle, dove rimase in piedi davanti a un'enorme scrivania a rispondere come uno scolaro al maestro. Ma lì, almeno, c'era il fuoco acceso. — Buongiorno — disse il dottor McDuff, arcigno. Forse era stato un bell'uomo in gioventù, ma ora gli anni e l'insofferenza gli avevano segnato il volto di rughe. Il naso e la bocca erano atteggiati in una smorfia che rifletteva tutta la sua boria. — Che cosa desidera? — chiese.
Pitt accostò alla scrivania l'unica altra sedia esistente e sedette. Si rifiutava di lasciarsi trattare da quell'uomo come un domestico. Dopo tutto, non era che un professionista come tanti altri, qualificato e pagato per affrontare i problemi meno piacevoli dell'umanità. — Lei è stato il medico curante del defunto Lord Augustus FitzroyHammond fino al momento della sua morte... — cominciò. — Esatto — lo interruppe il dottor McDuff. — Non è una cosa che riguardi la polizia. Quell'uomo è morto a seguito di un attacco cardiaco. Ho firmato il certificato di morte. Non so niente dell'orribile dissacrazione della sua tomba avvenuta successivamente. Questo è affar suo, ispettore, e più presto lo risolve, tanto di guadagnato. Pitt avvertiva nell'atteggiamento del medico un certo antagonismo. Per McDuff lui rappresentava un mondo sordido, al di fuori delle prerogative e degli agi della sua classe sociale, una marea montante che andava arginata sempre con le barriere della discriminazione e della distinzione sociale. Se voleva ottenere qualcosa da lui, non doveva affrontarlo direttamente, ma fare leva sulla sua vanità. — Sì, è stata davvero un'orribile faccenda — convenne. — Non mi era mai accaduto niente del genere. Apprezzerei molto la sua opinione di esperto circa il tipo di persona che potrebbe essere affetta da una così insana mania. McDuff fu sul punto di dichiarare che non voleva aver niente a che fare con quella faccenda, ma era stato chiamato in causa il suo prestigio professionale. Non era quello che si era aspettato di sentirsi chiedere da Pitt e sul momento fu preso alla sprovvista. — Ah! — Si affrettò a mettere ordine nei suoi pensieri. — È una faccenda piuttosto complicata. — Stava per aggiungere che non era in grado di esprimere un'opinione in proposito, ma non era il tipo da ammettere la propria ignoranza su qualcosa. Dopotutto, i tanti anni di attività professionale gli avevano conferito un'immensa saggezza, una profonda conoscenza del comportamento umano in tutte le sue manifestazioni. — Lei ha perfettamente ragione: è una vera pazzia disseppellire un cadavere dalla sua tomba. Non c'è alcun dubbio. — Ci sono particolari patologie che potrebbero indurre a compiere un gesto simile? — chiese Pitt con una faccia perfettamente impassibile. — Una forma di ossessione, per esempio. — Ossessione per i morti? — McDuff ci rimuginò sopra in cerca di qualcosa di concreto da dire. — Necrofilia è il termine che lei sta cercan-
do. — Sì — convenne Pitt. — Forse anche un odio ossessivo o un sentimento d'invidia per lo stesso Lord Augustus... consideriamo che quello sciagurato lo ha dissepolto due volte! È difficile pensare a una coincidenza... Il volto di McDuff si era irrigidito in rughe ancora più profonde per esprimere contrarietà. Era il suo stesso mondo che veniva minacciato ora, la sua stessa cerchia sociale. Pitt se ne rese conto e fece di necessità virtù. — Naturalmente, dottor McDuff, la sua etica professionale non le permetterebbe di fare nomi — si affrettò a rassicurarlo. — Nemmeno indirettamente. Ma lei, come medico che ha una lunga esperienza, può dirmi se esiste una malattia del genere? In tal caso potrei cercare per mio conto e vedere di rintracciare il soggetto. È dovere di entrambi fare in modo che a Lord Augustus venga assicurata una degna sepoltura e che gli sia concessa un po' di pace... e naturalmente anche alla sua sfortunata famiglia. Alla vedova, alla madre... — Naturalmente — si affrettò a dire. — Farò tutto quello che è in mio potere... nei limiti in cui l'etica professionale me lo consente — aggiunse. — Ma non posso pensare sul momento a una malattia che potrebbe generare una tale repellente forma di pazzia. Rifletterò sulla cosa e, se lei vorrà tornare di nuovo, potrò esprimerle un'opinione più meditata. — La ringrazio infinitamente. — Pitt si alzò e si diresse verso la porta. Ma, qualche istante prima di aprirla, si girò. — A proposito, corrono spiacevoli insinuazioni secondo le quali Lord Augustus sarebbe stato assassinato e qualcuno ne avrebbe disseppellito il corpo per richiamare sul fatto la nostra attenzione e per indurci a indagare. Immagino che la morte di Lord Augustus sia stata perfettamente naturale. Il volto di McDuff s'incupì. — Certo che è stata perfettamente naturale. Pensa che io avrei sottoscritto il certificato, se non lo fosse stata? — È stata inaspettata? — incalzò Pitt. — Non era ammalato da qualche tempo? — Da una settimana. Ma per un uomo di sessant'anni non è insolito. Anche la madre ha il cuore debole. — Ma è ancora viva — sottolineò Pitt — e ha oltre ottant'anni, credo. — Questo non vuol dire niente — ribatté bruscamente McDuff coi pugni stretti sul ripiano della scrivania. — La morte di Lord Augustus è stata del tutto naturale e non insolita per un uomo della sua età e nelle sue condizioni generali di salute. — Ha fatto l'autopsia? — Pitt sapeva perfettamente che non l'aveva fat-
ta. McDuff era troppo indignato per rendersene conto. Soltanto l'idea lo mandò su tutte le furie. — Non l'ho fatta. — Il suo volto si ricoprì di larghe chiazze rosse. — Lei ha lavorato troppo a lungo nei bassifondi della città, ispettore. Vorrei che tenesse presente che i miei clienti non hanno assolutamente niente in comune con i suoi. Non c'è assassinio qui, né altro crimine, salvo la dissacrazione di quella tomba. E non c'è dubbio che il responsabile del misfatto non appartiene al mio mondo, ma al suo. Buon giorno, signore. — Allora dovrò farla fare adesso, l'autopsia — disse Pitt quasi sottovoce. — Ho il dovere di informarla che ne farò richiesta al magistrato questo pomeriggio. — E io mi opporrò. — McDuff picchiò col pugno sulla scrivania. — E le garantisco che anche la famiglia del morto si opporrà. È gente piuttosto influente. E ora, se non le dispiace, esca dalla mia casa. Pitt si presentò ai suoi superiori con una richiesta di autopsia per il cadavere di Lord Augustus. Risposero, allarmati, che la cosa andava attentamente esaminata e che la richiesta non poteva essere sottoposta al magistrato senza soppesarne tutti le implicazioni. Non erano cose da prendere alla leggera e dovevano essere certi che la richiesta fosse ben fondata, prima di esporsi. Pitt ne fu contrariato e deluso, ma sapeva che doveva aspettarsi una tale reazione. Non si sventravano i cadaveri degli aristocratici, né si metteva in dubbio la causa della loro morte, se circostanze eccezionali non lo imponevano. E anche in tal caso, ci si armava di prove incontrovertibili, prima di avventurarsi oltre. La risposta fu consegnata a Pitt nel suo ufficio: non c'era nessun motivo che giustificasse la richiesta e l'autopsia non sarebbe stata effettuata. Ritornò nella sua piccola stanza, senza capire se era in collera o piuttosto sollevato. Senza l'autopsia, era molto improbabile che si potesse provare l'assassinio. Dal certificato medico risultava che la morte era avvenuta per collasso cardiaco. E lui aveva già conosciuto abbastanza il dottor McDuff per rendersi conto che non sarebbe mai riuscito a fargli cambiare un giudizio professionale, soprattutto se espresso in forma ufficiale. E se non c'era stato un assassinio, Pitt avrebbe dovuto continuare a sollecitare ulteriori indagini per scoprire chi aveva dissepolto ed esposto il corpo in maniera così bizzarra, ma senza sperare minimamente di trovare la risposta. Col tempo, sarebbe stato assorbito da casi più urgenti e Dominic e i Fi-
tzroy-Hammond sarebbero stati liberi di continuare tranquillamente la loro vita. Salvo che chiunque avesse dissotterrato Augustus non si fosse così facilmente rassegnato. Se qualcuno credeva, o addirittura sapeva, che c'era stato un assassinio, lui... o lei, avrebbe potuto trovare altri modi per richiamare l'attenzione della polizia. Dio solo sapeva che cosa sarebbe potuto accadere. E Pitt non amava lasciare un caso irrisolto. Provava simpatia per Alicia, nei limiti in cui riusciva a immaginare un modo di vita che gli era totalmente estraneo, poteva persino condividere i suoi sentimenti. Si rifiutava di prendere in considerazione la possibilità che lei avesse ucciso il marito o che avesse comunque preso parte alla sua uccisione. E, per un riguardo a Charlotte, non voleva nemmeno che fosse stato Dominic a ucciderlo. Per il momento non c'era niente che potesse fare. Rivolse la sua attenzione a un caso di falso che stava portando alla conclusione ancora prima che Lord Augustus cadesse dalla carrozza a nolo ai suoi piedi. Erano le cinque e mezzo e fuori era buio pesto quando un giovane agente aprì la porta per annunciargli che un certo signor Corde era venuto a trovarlo. Pitt ne rimase sorpreso. Il suo primo pensiero fu che fosse stato commesso un altro oltraggio e che Dominic fosse lì per suggerirgli che cosa doveva fare. Una sgradevole sensazione. Dominic entrò con il bavero rialzato fino alle orecchie e il cappello calcato in testa. Aveva il naso arrossato per il freddo e le spalle incurvate. — Dio mio, che serataccia. — Sedette in qualche modo su una sedia dallo scomodo schienale di legno, guardando Pitt con uno sguardo ansioso. — Che pena mi fanno quei poveri diavoli che non hanno un fuoco e un letto, in una serata come questa. Invece di chiedergli perché era venuto da lui, Pitt replicò con le prime parole che gli vennero spontanee alle labbra. — Sono migliaia. — Guardò Dominic negli occhi. — E non hanno nemmeno da mangiare. A un tiro di schioppo da qui. Dominic lo fissò sorpreso. Lo aveva giudicato un uomo privo di immaginazione, al tempo in cui Charlotte lo aveva conosciuto, ma forse quei pochi anni lo avevano cambiato. O forse aveva solo preso troppo alla lettera quella sua osservazione che voleva essere casuale. — È vero che lei vuole l'autopsia del cadavere di Lord Augustus? — chiese togliendosi i guanti e tirando fuori dalla tasca un fazzoletto di lino
bianco. Pitt non poteva lasciarsi sfuggire una buona occasione per la ricerca della verità. — Sì — rispose. Dominic si soffiò il naso e quando sollevò la testa aveva il volto tirato. — Perché? È morto per collasso cardiaco, è un male di famiglia. McDuff potrà dirle che è stato tutto perfettamente normale, persino previsto. Mangiava troppo e raramente si concedeva un po' di svago. Gli uomini come lui, sulla sessantina, corrono più rischi. — Dominic ripiegò il fazzoletto e se lo infilò in tasca. — Non immagina quale effetto potrà avere sulla famiglia, specialmente su Alicia? La vita con la vecchia suocera è già un inferno: chissà che cosa succederà, se ci sarà un'autopsia. Ne attribuirà tutta la colpa ad Alicia e sosterrà che, se non avesse sposato lei, una cosa simile non sarebbe mai accaduta ad Augustus. Se non ci fossero stati trent'anni di differenza tra lei e il morto, nessuno ci farebbe caso. — Non c'entra l'età — ribatté Pitt stancamente. Avrebbe voluto sbarazzarsi di quella faccenda, levarsela dalla testa, come l'aveva eliminata dai suoi doveri d'ufficio. — La ragione è che il corpo è stato dissepolto due volte e lasciato in posti dove non si poteva fare a meno di notarlo. A parte il fatto che si tratta di un grave crimine, dobbiamo impedire che la cosa si ripeta. — E allora seppellitelo e mettete un agente di guardia alla tomba! — sbottò Dominic esasperato. — Nessuno si azzarderà a toccarlo di nuovo sotto gli occhi di un poliziotto. Non è un lavoro da poco smuovere tutta quella terra e tirar fuori la bara. Devono farlo di notte e disporre di un buon equipaggiamento: vanghe, corde e altro. E devono essere in parecchi. — Un uomo robusto potrebbe farlo benissimo da solo con un po' di sforzo — ribatté Pitt senza guardarlo in faccia. — E non avrebbe avuto bisogno di corde: la bara è stata lasciata nella fossa, soltanto il corpo è stato prelevato. Potremmo lasciarci un agente per una notte o due, forse anche per una settimana, ma presto o tardi dovremmo richiamarlo, e allora potrebbero tirarlo fuori di nuovo, se proprio ci tengono. — Oh, Dio mio. — Dominic si coprì gli occhi con le mani. — Oppure potrebbero fare qualcos'altro — aggiunse Pitt — se vogliono che qualcuno si muova. Dominic alzò la testa. — Qualcos'altro? Che cosa, perdio? — Non lo so — rispose Pitt. — Se lo sapessi, forse potrei impedirlo. Dominic si alzò col volto in fiamme. — Ebbene, io impedirò che si faccia l'autopsia. Sono in tanti a Gadstone Park che faranno pesare la loro in-
fluenza. Lord St. Jermyn, tanto per cominciare. E se è necessario, si può anche ingaggiare qualcuno che faccia buona guardia alla tomba in modo che quel poveretto riposi in pace. Solo un pazzo può disturbare i morti. — I pazzi fanno molte cose — convenne Pitt. — Mi dispiace, ma non so proprio come evitare che questo avvenga. Dominic scosse il capo, avviandosi lentamente verso l'uscita. — Non è colpa sua, né compito suo. Dovremo fare noi qualcosa... per un riguardo ad Alicia. Mi saluti Charlotte, e anche Emily, se ha occasione di vederla. Buona sera. La porta si chiuse alle sue spalle e Pitt rimase a fissarla con un senso di colpa. Non gli aveva detto che non ci sarebbe stata nessuna autopsia, perché voleva studiarne la reazione. E ora, Pitt lo sapeva, Dominic stava peggio di prima. L'autopsia avrebbe eliminato in modo definitivo ogni sospetto di assassinio. Era questo che avrebbe dovuto dirgli. Ma perché non ci aveva pensato lo stesso Dominic? Aveva paura forse che l'autopsia dimostrasse proprio il contrario? E cioè che l'assassinio c'era stato? Era lui stesso colpevole, o temeva per Alicia? Oppure era solo paura dello scandalo e dei sospetti che ne sarebbero seguiti, paura delle vecchie ferite che le indagini della polizia riportano sempre a galla? Non poteva aver dimenticato Cater Street. Ma se Dominic voleva che la cosa fosse messa a tacere, c'erano almeno altre due persone che volevano il contrario. La mattina dopo, Pitt ricevette da Lady Fitzroy-Hammond una lettera piuttosto dura con cui gli si ricordava che era suo dovere scoprire chi aveva profanato la tomba di Lord Augustus, e perché. Se veniva commesso un reato, lui era pagato dalla comunità per scoprirlo e per far condannare il colpevole. La gratificò in cuor suo dei peggiori epiteti e mise nel cassetto la lettera. La carta era di tipo comune... quella pregiata la riservava evidentemente alla corrispondenza con persone del suo ambiente. Gli balenò in mente il pensiero che forse avrebbe dovuto portarla ai suoi superiori perché si accapigliassero tra di loro per stabilire che cosa fosse più importante per la loro carriera e per il loro servizio: il veto dell'establishment o il peso dell'influenza sociale della vecchia signora. Stava ancora studiando la situazione quando arrivò Alicia avvolta in pelliccia fino al mento. La sua apparizione provocò un certo scompiglio nell'anticamera dell'ufficio e l'agente che l'accompagnò da Pitt aveva gli occhi sgranati.
— Buon giorno, signora. — Pitt le offrì da sedere e fece un cenno all'agente perché si allontanasse. — Temo di non avere niente di nuovo da dirle, altrimenti sarei venuto io da lei. Alicia guardò dappertutto tranne che verso l'ispettore. Pitt si chiese se cercava semplicemente di evitarlo o se le pareti scure, le austere stampe appese e le cassette rigurgitanti di incartamenti suscitavano in lei un particolare interesse. Alla fine lo fissò. — Signor Pitt, sono venuta a chiederle di non occuparsi più della violazione della tomba di mio marito... — Era un eufemismo e lei se ne rese conto, balbettando con un certo disagio: — Voglio dire... il disseppellimento del suo corpo. Sono arrivata alla conclusione che dev'essere stata opera di uno squilibrato. Ma non riuscirà mai a individuare il colpevole e non servirà a niente insistere. — Be', può darsi che non riesca a prendere i responsabili — convenne Pitt. — Ma se rinuncio alla mia ricerca, ne potrebbe derivare un grave pregiudizio, anche per lei. — La fissò negli occhi e lei non poté evitarne lo sguardo. — Non la capisco — disse scuotendo il capo. — Noi lo faremo Seppellire e, se è il caso, pagheremo un domestico perché faccia buona guardia per tutto il tempo che sarà necessario. Non vedo perché questo dovrebbe recare pregiudizio a qualcuno. — Può darsi benissimo che sia opera di uno squilibrato. — Pitt si protese un po' in avanti. — Ma temo che non tutti siano dello stesso avviso. Il volto di Alicia si tese. Non ci fu bisogno di usare la parola "assassinio". — Che pensino quello che vogliono! — Sollevò di scatto la testa e si strinse più forte nella pelliccia. — È proprio quello che faranno — convenne Pitt. — E qualcuno penserà che lei non vuole l'autopsia proprio perché c'è qualcosa da nascondere. Lei impallidì e affondò nervosamente le dita nella folta pelliccia. — La malignità aguzza lo spirito d'osservazione — continuò Pitt. — Alcuni avranno senz'altro notato l'ammirazione che il signor Corde ha per lei e altri potrebbero provarne invidia. — Tacque per qualche istante, lasciandole il tempo di considerare la cosa con tutte le sue implicazioni. Stava per aggiungere che ci sarebbero stati inevitabilmente dei sospetti, ma non fu necessario. — Si chiederanno se non sia stato assassinato? È questo che vuol dire? — sussurrò. — E penseranno che sia stato Dominic... o io stessa? — Può darsi. — Ora che era arrivato di nuovo al punto, gli era difficile
dirlo. Avrebbe voluto non crederci nemmeno lui, ma ricordandosi di Dominic e vedendola seduta lì di fronte a lui con gli occhi lucidi e tristi e con le mani che tormentavano il bavero della pelliccia, avvertì che nemmeno lei, nel più profondo del cuore, era del tutto sicura. — Si sbagliano — protestò con forza. — Non ho fatto nessun male ad Augustus, mai, e sono certa che neanche Dominic... il signor Corde, voglio dire... gliene ha fatto. Era la paura che la faceva parlare in quel modo, come se volesse convincere se stessa, e Pitt lo avvertì. Aveva colto tante volte quel tono di voce, nel momento in cui il primo dubbio cominciava a farsi strada nella mente. — Allora non sarebbe preferibile consentire che si faccia l'autopsia? — chiese gentilmente. — E provare così che è stata una morte naturale? In tal caso, nessuno avrebbe più niente da ridire. Sul volto di lei parvero rincorrersi reazioni diverse: dapprima sollievo, davanti alla possibilità che Pitt le lasciava intravvedere; poi il dubbio; infine il terribile timore che venisse provato esattamente il contrario e che il delitto divenisse un fatto certo, incontrovertibile. — Pensa che il signor Corde potrebbe aver ucciso suo marito? — le chiese brutalmente Pitt. Lei lo fulminò con uno sguardo. — No, naturalmente no! — Allora ci lasci dimostrare con l'autopsia che si è trattato di una morte naturale, e questo spazzerà via ogni dubbio. Alicia esitò, dibattuta tra il pubblico scandalo e i propri timori. Fece un ultimo tentativo. — Sua madre non lo permetterebbe. — Tutt'altro. — L'ispettore poteva permettersi, ora, di essere un po' più gentile. — Ha scritto per farne richiesta. Può darsi che anche lei desideri che queste voci siano messe a tacere. Alicia fece una smorfia. Lei sapeva, esattamente quanto Pitt che aveva letto la lettera, ciò che la suocera desiderava e che cosa avrebbe detto e ripetuto fino al giorno della sua morte, se non ci fosse stata l'autopsia. Fu l'elemento decisivo, come del resto Pitt aveva previsto. — D'accordo. Può aggiungere il mio nome alla sua richiesta e presentarla a chiunque debba decidere su queste cose. — La ringrazio, signora — si limitò a dire Pitt. Era una vittoria dalla quale non traeva alcun piacere. Raramente si era battuto con tanto impegno per qualcosa che avesse un sapore così amaro. L'autopsia fu un'operazione raccapricciante. Non era mai una cosa pia-
cevole, ma questa era eseguita sul corpo di un uomo morto da quasi un mese. Pitt vi assistette perché, date le circostanze, ci si aspettava che qualcuno della polizia fosse presente. E poi ci teneva a conoscerne i risultati di prima mano, nel momento stesso in cui venivano ottenuti. Era una di quelle giornate in cui il freddo sembrava rendere tutto più buio, e il locale in cui l'autopsia veniva eseguita era squallido e gelido. Dio solo sapeva quanti morti erano passati su quel tavolo, tante volte sfregato e lavato. Il patologo aveva la maschera e Pitt fu contento di averne una anche lui. Il fetore prendeva allo stomaco. Lavorarono per ore con calma e in un silenzio interrotto soltanto da brevi istruzioni, man mano che gli organi venivano rimossi e passati dall'uno all'altro e venivano prelevati i campioni per cercare tracce di veleno. Il cuore fu esaminato con particolare attenzione. Alla fine Pitt uscì dalla sala intirizzito dal freddo e con lo stomaco in subbuglio. Si strinse nella giacca e si tirò su la sciarpa fino alle orecchie. — Allora? — chiese. — Niente — rispose il patologo, accigliato. — È morto per collasso cardiaco. Pitt rimase in silenzio. Aveva desiderato quella risposta e nello stesso tempo faceva fatica a crederci. Gli pareva che fosse priva di senso. — Non so che cos'abbia provocato il collasso cardiaco — continuò il patologo. — Il cuore non è in cattive condizioni, per un uomo della sua età. Un po' di grasso, le arterie indurite, ma non abbastanza per provocarne la morte. — Potrebbe essere stato avvelenato? — Non è escluso. Molte tracce di digitalina, ma il suo medico dice che la madre del defunto ne faceva uso per il cuore. Potrebbe averne preso anche lui. Non mi sembra in quantità letale... ma non posso dirlo con certezza. Non tutti reagiscono allo stesso modo, e inoltre è morto da un bel po' di tempo. — Perciò potrebbe trattarsi di avvelenamento da digitalina? — È possibile — convenne il medico. — Ma non verosimile. Mi dispiace di non essere in grado di dirle di più. Il fatto è che non c'è niente di preciso. Pitt dovette accontentarsi. Il patologo era un ottimo professionista e aveva fatto il suo lavoro. L'autopsia era servita soltanto a provare che la polizia aveva dei sospetti. Pitt tremava al pensiero di dover riferirne i risultati ai suoi superiori. Si
concesse il lusso di una carrozza per tornare dall'ospedale alla stazione di polizia e ne uscì fuori sotto la pioggia, alla fine della corsa. Fece i gradini di corsa e si precipitò al riparo sotto il portico d'ingresso. Si scosse l'acqua di dosso e poi entrò. Prima che arrivasse in fondo all'atrio, venne abbordato da un giovane sergente dal volto acceso. — Signor Pitt! Pitt si arrestò contrariato: voleva liberarsi di quella faccenda al più presto possibile. — Che c'è? — chiese. Il sergente respirò profondamente. — C'è un'altra tomba, ispettore... Voglio dire un'altra tomba che è stata aperta. Pitt rimase impalato. — Un'altra tomba? — Sì, ispettore... scoperchiata come l'ultima. C'è la bara, ma non il cadavere. — E chi è? — Un certo Porteous. William Wilbelforce Porteous, per essere più precisi. 4 Pitt non aveva detto a Charlotte della seconda tomba scoperchiata, né dei risultati dell'autopsia. Lei venne a saperlo due giorni dopo, nelle prime ore del pomeriggio. Aveva appena sbrigato le faccende domestiche e messo a letto Jemima per il sonnellino pomeridiano quando suonò il campanello. La donna che andava da lei tre mattine alla settimana per i lavori pesanti aveva lasciato la casa prima di mezzogiorno. Perciò fu lei stessa ad aprire la porta. Rimase sorpresa nel vedere Dominic sulla soglia. In un primo tempo non riuscì nemmeno ad articolare una parola e rimase lì in piedi, quasi istupidita, senza nemmeno invitarlo a entrare. Pareva così poco cambiato che era come se le balzasse fuori direttamente dalla memoria. Il suo volto era proprio come se lo ricordava: gli stessi occhi scuri, le narici leggermente dilatate, la stessa bocca. Sempre elegante nei modi. La sola differenza era che a lei non si formava più quel groppo in gola: poteva vedere benissimo il resto della strada con le sue bianche scalette di pietra e le reti che proteggevano le finestre. — Posso entrare? — chiese Dominic con un certo disagio. Questa volta pareva che fosse lui ad aver perso la padronanza di sé.
Charlotte si ricompose, contrariata per il proprio impaccio. — Ma certamente. — Si tirò indietro. Doveva sembrargli ridicola. Erano amici di vecchia data e avevano vissuto per anni nella stessa casa, quando lui era suo cognato. In effetti, dal momento che non si era risposato, sebbene Sarah fosse morta ormai da quasi cinque anni, faceva ancora parte della sua famiglia. — Come stai? — gli chiese. Dominic le sorrise prontamente, cercando di ostentare una certa disinvoltura per coprire in qualche modo l'enorme divario tra le loro vite. — Benissimo, grazie — rispose. — E anche tu stai bene. Posso constatarlo di persona, ma me lo aveva già detto Thomas l'altro giorno. Ho saputo anche che avete una bambina. — Sì, Jemima. È di sopra che dorme. — Si ricordò che l'unico locale riscaldato era la cucina. Tenere il fuoco acceso anche in salotto era troppo dispendioso e, d'altra parte, ci stava troppo poco perché la cosa avesse importanza. Gli fece strada lungo il corridoio, conscia della differenza tra la sua modesta casa, con i vecchi mobili e il pavimento di legno consumato dallo strofinaccio, e quella di Cater Street con cinque domestici. La cucina almeno era calda e in ordine. Per fortuna aveva lucidato la stufa proprio il giorno prima e il tavolo era pulitissimo. Si sarebbe guardata bene dallo scusarsi. Non tanto per sé, quanto per il marito. Prese il soprabito di Dominic e lo appese dietro la porta, poi lo fece sedere nella poltrona di Pitt. Sapeva che era venuto per una qualche ragione e che gliene avrebbe parlato, quando avesse trovato il momento e le parole giuste. Era troppo presto per il tè, ma Dominic doveva essere infreddolito, e comunque non sapeva che cos'altro avrebbe potuto offrirgli. — Grazie — rispose lui prontamente. Charlotte non si avvide che Dominic si guardava intorno nella stanza, notando quanto fosse disadorna e come ogni arredo fosse vecchio e tenuto con cura, tirato a lucido da un inquilino all'altro, e rattoppato dove si era consunto per l'uso. Lui la conosceva troppo bene per attardarsi in convenevoli. La ricordava benissimo nell'atto di prendere furtivamente il giornale dalla dispensa del maggiordomo, quando suo padre non le permetteva di leggerlo. L'aveva sempre trattata come un'amica, una cara amica, piuttosto che come una donna. E questo l'aveva ferita molto. — Ti ha parlato Thomas della tomba scoperchiata? — le chiese d'un tratto. Lei stava riempiendo il bollitore nell'acquaio. — Sì, me ne ha accennato.
— Ti ha detto che si trattava di Lord Augustus Fitzroy-Hammond e che lo hanno disseppellito due volte, mettendolo in posti bene in vista... e la seconda volta nel suo stesso banco di famiglia, in chiesa? — Sì me lo ha detto. — Charlotte chiuse il rubinetto e mise il bollitore sulla stufa. Che cosa avrebbe potuto offrirgli da prendere col tè a quell'ora? Aveva certamente già mangiato ed era troppo presto per il tè del pomeriggio. Non aveva niente di speciale. Alla fine si decise per i biscotti allo zenzero fatti da lei. Dominic la seguiva con lo sguardo inquieto, mentre lei si muoveva nella stanza. — Hanno fatto l'autopsia. Thomas ha insistito perché la facessero, anche se lo avevo pregato di non... — Perché? — Charlotte lo fissò negli occhi con aria innocente. Sapeva che era venuto per chiederle aiuto, ma lei non poteva fare niente, se prima non avesse capito come stavano le cose. — Perché — le fece eco Dominic, come se trovasse strana la domanda. Charlotte gli si sedette di fronte, al tavolo della cucina. — Perché eri contrario all'autopsia? Lui si rese conto di non averle ancora detto niente dei suoi rapporti con la famiglia del morto e pensò che questa fosse la ragione per cui era così disorientata. Charlotte poteva seguire i pensieri che gli passavano nella mente e si sorprese lei stessa della facilità con cui riusciva a leggerli. In Cater Street, Dominic le era sembrato un tipo misterioso, riservato e inaccessibile. — Ah — si scusò Dominic — ho dimenticato di spiegarti... io conosco la vedova, Lady Alicia Fitzroy-Hammond. Ci siamo incontrati a un ballo, qualche tempo fa, e siamo diventati... — Esitò, e lei capì che non sapeva se dirle la verità o no: non certo per un riguardo a vecchi sentimenti, di cui lui non si era mai accorto, ma per una naturale riluttanza. Un gentiluomo non parla liberamente di una relazione con una signora, vedova da poco. Tutt'al più, allusioni a un sentimento personale e niente di più. Charlotte gli rivolse un sorriso che lo fece impappinare. Dominic la guardò negli occhi e fu sopraffatto dai ricordi. — ...amici — disse, completando la frase. — In realtà, spero di sposarla... quando sarà passato un certo periodo di tempo. Charlotte fu contenta di non essere stata presa alla sprovvista. Sarebbe stato in qualche modo uno choc per lei. Si chiese se ne avrebbe sofferto più per la memoria di Sarah o per se stessa, per i suoi sogni di ragazza. Si sforzò di ritornare con la mente al disseppellimento di quel poveretto.
— Perché eri così contrario all'autopsia? — chiese con molta franchezza. — Potrebbe saltare fuori qualcosa di poco pulito? Dominic arrossì, ma continuò a fissarla negli occhi. — No, naturalmente no. È il sospetto, capisci? Se la polizia richiede l'autopsia, evidentemente sono convinti che c'è qualcosa da scoprire. In ogni caso, si sono sbagliati. Lei fu sorpresa. Pitt non le aveva detto nulla dell'autopsia. — Vuoi dire che è stata già eseguita? — chiese. Dominic inarcò le sopracciglia. — Sicuro. Non lo sapevi? — No. Che cos'hanno trovato? — Hanno aggravato la situazione — rispose lui, avvilito. — L'autopsia ha reso di pubblico dominio i sospetti della polizia senza tuttavia provare niente. Alicia aveva dato il suo consenso perché Thomas le aveva assicurato che l'esame del corpo avrebbe stroncato tutte le dicerie che correvano. Ma il risultato è stato ambiguo. Potrebbe essere morto per un collasso cardiaco o per una forte dose di digitalina. E l'ingestione della digitalina potrebbe essere stata accidentale... sua madre la usa per i suoi disturbi cardiaci... ma potrebbe essere stata un mezzo per assassinarlo. Si aspettava che lui dicesse una cosa simile, ma ora che l'aveva detta, Charlotte non sapeva che cosa rispondere. Fece perciò la domanda più ovvia. — C'è qualche ragione per supporre che sia stato assassinato? — Quel dannato cadavere è stato dissepolto due volte! — sbottò Dominic furioso, sfogando con la rabbia la sua impotenza. — Non è una cosa che succeda tutti i giorni. Santo cielo, Charlotte, ti sei dimenticata quanto male ci hanno fatto i sospetti di assassinio in Cater Street? — Hanno squarciato un velo e abbiamo visto quante brutture avevamo imparato a nascondere a noi stessi, e l'uno all'altro — rispose lei tranquillamente. — Che cosa temi di vedere, adesso? Lui la fissò con un'espressione quasi ostile. Charlotte si sarebbe aspettata che un atteggiamento del genere potesse ferirla. E invece no. Provava piuttosto il senso di commiserazione che si ha per qualcuno che non si conosce. — Mi dispiace — disse con sincerità. Non lo diceva per scusarsi, ma per esprimere rammarico e insieme comprensione. — Mi dispiace davvero, ma non so proprio che cosa dirti e che cosa fare per aiutarti. La rabbia di Dominic cedette il posto allo sconforto. Si sentiva in trappola: sapeva quali disinganni, quali cattiverie, quali paure sarebbero inevi-
tabilmente seguiti, e ne fu spaventato. Cercava ancora una via d'uscita. — Non si potrebbe lasciar perdere la cosa, ora? — chiese con voce sommessa ma tesa, con le mani bianche posate sul ripiano del tavolo di legno. — Alicia non lo ha ucciso. Io nemmeno. E la vecchia non l'avrebbe fatto, a meno che non gli abbia propinato per sbaglio una dose di digitalina troppo forte per lui. — Volse lo sguardo a Charlotte. — Ma nessuno potrà provarlo. Riusciranno soltanto a sollevare un vespaio di dubbi e a fare in modo che ognuno sospetti dell'altro. Non può Thomas lasciar perdere la cosa, ora? Così chiunque sia il responsabile della dissacrazione della tomba si rassegnerà e si convincerà che dietro quella morte non c'è niente. Charlotte non sapeva che cosa dire. Avrebbe voluto potergli credere e convincersi che si trattava semplicemente di una morte naturale o di una disgrazia. Ma perché disseppellirlo due volte? E perché Dominic aveva paura? Era soltanto a causa del ricordo di Cater Street, impresso indelebilmente nella sua memoria? Oppure si faceva strada sempre più insistente nella sua mente il timore che Alicia, innamorata di lui, si fosse così stancata del marito da cogliere la prima facile occasione per propinargli una dose letale della medicina della madre? Guardò il bel volto di Dominic e provò la stessa tenerezza che a volte le ispirava Jemima. — Be', potrebbe, forse. — Voleva consolarlo. Lo conosceva da tanto tempo e lui era stato parte della sua vita, parte dei suoi più intimi sentimenti, negli anni in cui era priva di esperienza e vulnerabile, prima che conoscesse Pitt. Eppure, mentire sarebbe stato inutile e stupido. — Ma la profanazione di una tomba è un crimine — disse con forza. — E se c'è una sola possibilità di scoprire il colpevole, Thomas dovrà andare avanti. — Non lo scoprirà mai! — Dominic parlò con tanto calore che lei capì che era soprattutto per se stesso che insisteva. — Probabilmente no — convenne. — A meno che, naturalmente, non lo facciano di nuovo. O che facciano qualcos'altro. Era un pensiero che Dominic aveva tentato di scacciare. Ora che lei glielo metteva davanti agli occhi, non poteva più ignorarlo. — È opera di un pazzo — ribatté con veemenza. Era il modo più facile per spiegarlo, l'unico modo accettabile. La pazzia non aveva bisogno di ragioni: per la sua stessa natura ogni incongruità poteva essere spiegata e cancellata. — Forse. Dominic aveva finito di bere il suo tè e lei aveva preso la tazza per por-
tarla via. — Non potresti chiederlo a Thomas? — Si protese in avanti in un atteggiamento quasi implorante. — Fargli presente tutto il male che ne deriverà a gente innocente? Ti prego, Charlotte... Sarebbe una grossa ingiustizia. Non avremmo nemmeno la possibilità di negare o di smentire quello che è stato semplicemente bisbigliato, mai detto apertamente. Quando la gente comincia a bisbigliare, le menzogne diventano sempre più grandi man mano che passano di bocca in bocca... Charlotte fu sensibile al pensiero dell'ingiustizia. Per un momento si mise nei panni di Alicia, innamorata di Dominic: quel terribile stato d'animo, fatto di eccitazione e di pena, di folli speranze e di amare delusioni, che lei riusciva ancora a ricordare. E per giunta Alicia era legata a un marito privo di immaginazione e di allegria. E se fosse morto e alla fine lei fosse stata libera? Il sospetto allunga i suoi artigli e insudicia ogni cosa. Nessuno ti dice quello che pensa: davanti, sorrisi e comprensioni, dietro le spalle, ammiccamenti furbeschi. Nel momento in cui ti allontani, l'acido della maldicenza trabocca e si spande sempre di più, corrodendo tutto ciò che c'è di buono. A quel punto, ti trovi invischiato nella ragnatela dei pettegolezzi e i vecchi amici non vengono più a trovarti. Charlotte aveva fatto già abbastanza esperienza di invidie e di maldicenze. — Glielo chiederò — promise. — Non posso sapere quello che farà, ma glielo chiederò. Il volto di Dominic si illuminò e lei provò un acuto senso di colpa per aver fatto quell'incauta promessa, pur sapendo di non avere nessuna influenza sul marito, quando si trattava del suo lavoro. — Ti ringrazio. — Dominic si alzò con lo stile di sempre, ora che i suoi timori erano stati fugati. — Ti sono molto grato. — Sorrise e parve che quegli ultimi anni si fossero dissolti. Avrebbero potuto di nuovo cospirare insieme per una qualsiasi marachella, come portar via di nascosto il giornale del padre. Quando Pitt tornò a casa, lei sulle prime non gli disse nulla, lasciando che riprendesse calore, chiacchierasse con Jemima, la portasse a letto e consumasse il suo pasto in santa pace davanti al fuoco. In cucina si stava bene per il caldo della stufa che rimaneva accesa tutto il giorno. Il legno dei mobili era chiaro, quasi bianco, e i tegami brillavano sulle mensole. I piatti di porcellana a fiori sulla credenza riflettevano la luce a gas. — È venuto Dominic, oggi — disse Charlotte con naturalezza. Stava cucendo. Rammendava un vestitino di Jemima, perché era inciam-
pata nell'orlo ed era caduta. Non si accorse della reazione del marito, che si era di colpo irrigidito. — Qui? — chiese. — Sì, questo pomeriggio. — Perché? — Il tono della sua voce era freddo e guardingo. Lei ne fu sorpresa. Smise di cucire, rimanendo con l'ago a mezz'aria, e lo guardò. — Mi ha detto che avete fatto eseguire l'autopsia del cadavere di Lord... non so come si chiama... l'uomo che è caduto dalla cassetta della carrozza all'uscita del teatro. — È quello che abbiamo fatto. — E non avete scoperto niente di concreto. È morto per collasso cardiaco. — Esatto. Ed è venuto qui per dirti questo? — Pitt aveva una bellissima voce limpida e suggestiva. Ma piena di sarcasmo, ora. — No, naturalmente no — ribatté lei bruscamente. — A me non importa niente sapere come è morto quel poveraccio. Dominic era spaventato dal fatto che il sospetto di assassinio potesse suscitare pettegolezzi e insinuazioni infamanti per molta gente. È difficile negare qualcosa di cui nessuno ha parlato esplicitamente. — Come per esempio l'insinuazione che Alicia Fitzroy-Hammond abbia assassinato il marito? O che sia stato lo stesso Dominic a farlo? Lei lo fissò con una certa freddezza. — Non credo che fosse preoccupato per se stesso, se è questo che stai cercando di dirmi. — Si pentì di quelle parole subito dopo averle pronunciate. Amava Pitt e avvertiva in lui una certa vulnerabilità, anche se non sapeva individuarla esattamente. Ma anche il senso della giustizia era forte in lei, e l'antica lealtà a Dominic era dura a morire, forse perché conosceva le sue debolezze. Pitt era più forte e non aveva nessun bisogno di essere difeso. Gli si poteva fare del male, ma lui non avrebbe mai fatto male a se stesso, non avrebbe mai ceduto a pressioni di nessun genere. — Dovrebbe preoccuparsi, invece — ribatté Pitt seccamente. — Se Lord Augustus è stato assassinato, Dominic sarà la prima persona a essere sospettata. Alicia eredita un consistente patrimonio, oltre a un'eccellente posizione sociale. È innamorata di Dominic... ed è una donna molto attraente. — Tu non hai nessuna simpatia per Dominic, è così? — Non contavano le parole del marito, ma quello che lei riusciva a leggere in esse. Pitt si alzò e si allontanò fingendo di armeggiare con le tende. — La simpatia e l'antipatia non c'entrano per niente. Sto parlando della sua posi-
zione. Dominic è il primo su cui cadono i sospetti, se Lord Augustus è stato ucciso. Sarebbe un'ingenuità pensare diversamente. Non sempre il mondo è come vorremmo che fosse e capita a volte che le persone più affascinanti, persone che abbiamo conosciuto e a cui abbiamo voluto bene per anni, si rivelino capaci di commettere violenze, di ingannare e di fare stupidaggini. — Lasciò stare le tende e tornò da lei, perché doveva sapere quali erano i suoi sentimenti. Non le avrebbe chiesto che cosa Dominic aveva inteso dire con le sue parole, in che termini si era espresso e che cosa aveva tralasciato di dire. Il volto di Charlotte era disteso, ma c'era rabbia sotto quell'apparente calma, e lui non capiva esattamente perché. Doveva insistere finché non riusciva a scoprirlo, anche se questo alla fine avrebbe potuto farlo soffrire. Ma non saperlo poteva essere peggio. — Non mi parlare come se fossi una bambina, Thomas — gli disse Charlotte. — Tutto questo lo so perfettamente. Io non penso che Dominic lo abbia ucciso perché non credo che avrebbe la forza di volontà necessaria per farlo. Penso invece che lui abbia paura che sia stata Alicia a farlo. Ed è per questo che è venuto qui. Pitt socchiuse gli occhi. — Che cosa si aspettava che facessi? — Che io richiamassi la tua attenzione sull'ingiustizia che si commetterebbe, insistendo nelle tue indagini, soprattutto perché non sei nemmeno sicuro che si sia trattato di un delitto. — Pensi che io stia commettendo un'ingiustizia? — Pitt stava cercando lo scontro, ora. Meglio farlo esplodere subito che lasciarlo sospeso nell'aria. Lei si rifiutò di replicare trattenendosi dal gridare di non fare lo stupido. — Charlotte, tu pensi che trattandosi di Dominic io potrei essere ingiusto? — le chiese. Lei sollevò lo sguardo dal vestitino di Jemima, con l'ago ancora tra le dita. — Non occorre che qualcuno sia ingiusto perché un'ingiustizia venga commessa — osservò con una certa durezza. Thomas stava facendo lo stupido di proposito. — Tutti sappiamo quali conseguenze può avere un sospetto, e non è la prima volta che ne parliamo. E nel caso che tu la pensi diversamente, sappi che ho detto a Dominic che tu avresti fatto tutto quello che ritieni necessario fare e che io non avrei avuto nessuna influenza su di te. — Ah! — Pitt riattraversò la stanza e sedette nella sua poltrona di fronte a lei.
— Ma tu ce l'hai ancora con Dominic — aggiunse lei. Pitt non rispose. Tirò fuori invece la scatola dove teneva i pezzi del trenino di Jemima e cominciò a lavorarci di coltello con mani esperte. Aveva ottenuto in parte la risposta che voleva. Per quella sera, conveniva lasciar stare le cose così. Charlotte era ancora imbronciata, ma lui sapeva che il suo broncio non aveva niente a che fare con Dominic. Ed era quello che contava. Lavorò con gusto, cominciando a sorridere, mentre il pezzo che stava intagliando acquistava forma. Il giorno seguente Charlotte decise di agire di propria iniziativa. Non aveva un buon vestito invernale, ma ce n'era uno che, sebbene fosse chiaramente un modello dell'anno precedente, non le dispiaceva. Le stava molto bene, specialmente ora che aveva ripreso la linea di prima della gravidanza. La gonna aveva un bel colore rosso borgogna che si accordava benissimo alla sua capigliatura e alla carnagione. Si ricordò quello che zia Vespasia aveva detto circa l'ora più conveniente per farle visita e si concesse il lusso di prendere una carrozza per Gadstone Park. Non voleva che la vedessero arrivare con un omnibus. La cameriera fu sorpresa di vederla, ma lo lasciò trapelare in maniera appena percettibile. Charlotte non aveva un biglietto da visita da mostrarle, come molti visitatori usavano fare in società, ma tenne la testa alta e pregò la cameriera di informare cortesemente la sua padrona che la signora Pitt era lì, dietro suo invito. Si sentì più sollevata quando la ragazza accettò la sua singolare presentazione e l'accompagnò ad aspettare in un salotto, mentre Lady CummingGould veniva informata della visita. Probabilmente l'espressione "dietro suo invito" aveva avuto l'effetto desiderato. Dopotutto, non c'era niente di stano nel fatto che Lady Cumming-Gould l'avesse invitata, dal momento che la vecchia nobildonna era considerata un po' eccentrica. Charlotte era troppo tesa per sedersi. Rimase in piedi, senza togliersi il cappello e i guanti, sforzandosi di assumere un'aria disinvolta, nel caso che la cameriera fosse tornata silenziosamente. Era comunque una buona regola. Quando la porta si aprì, entrò invece zia Vespasia in persona, in un vestito color tortora che faceva pensare a una figura uscita dalla fantasia di un argentiere. A settant'anni inoltrati, era splendida più di qualsiasi altra
donna della sua età. — Charlotte, che piacere vederti! Ma diamine, levati il cappello e il cappotto, ragazza mia. La mia casa non è poi così fredda. Eliza — chiamò con voce imperiosa e irritata. La cameriera apparve istantaneamente. — Prendi il cappotto della signora Pitt e porta qualcosa di caldo da bere. — Che cosa gradirebbe, signora? — La ragazza prese prontamente il cappotto, il cappello e i guanti di Charlotte. — Non lo so — rispose Vespasia bruscamente. — Usa la tua immaginazione. — Sedette, appena la porta si chiuse alle spalle della cameriera, e sottopose Charlotte a uno scrupoloso esame. Alla fine osservò raddrizzandosi. — Hai un ottimo aspetto. È tempo di pensare a un altro bambino. — Ignorò il rossore sul volto di Charlotte. — Suppongo che tu sia venuta per quella disgustosa faccenda del cadavere disseppellito. Il vecchio Augustus Fitzroy-Hammond è stato sempre un impiastro. Non ha mai saputo quando era il momento di sparire, nemmeno da vivo. Charlotte aveva voglia di ridere. Forse si sarebbe liberata della tensione nervosa, specialmente dopo quella sciocca discussione col marito la sera prima. — Sì — ammise di buon grado. — Dominic è venuto a trovarmi ieri sera. È molto preoccupato. Teme che insistere nell'indagine possa provocare sgradevoli dicerie. — Certo — convenne Vespasia. — Dicerie da cui si potrebbe desumere che Lord Augustus sia stato ucciso da Alicia o da Dominic... o da tutti e due insieme. Aveva risposto con tanta prontezza che Charlotte non poté fare a meno di pensare alla spiegazione più ovvia. — Questo vuol dire che si è già cominciato a spettegolare? — Se non lo hanno già fatto, lo faranno — replicò Vespasia. — Non c'è molto altro su cui fare della maldicenza, in questo periodo dell'anno. Gran parte della buona società è in campagna e quelli di noi che sono rimasti in città si annoiano a morte. Che c'è di più eccitante di una passione d'amore o di un assassinio? — Questa è pura malignità — replicò Charlotte. Era indignata per quella mancanza di sensibilità, per quel compiacersi delle disgrazie altrui, quasi come se si desiderasse che nelle dicerie ci fosse un fondo di vero. — Naturalmente. — Vespasia la osservò con aria divertita e allo stesso tempo rattristata, con gli occhi socchiusi e le palpebre abbassate. — Non cambia mai niente, è sempre la stessa storia: panem et circenses. Perché,
secondo te, tormentano gli orsi e i tori? — Speravo che l'umanità fosse divenuta migliore — replicò Charlotte. — Siamo gente civile, ora. Non gettiamo più i cristiani in pasto ai leoni. Vespasia inarcò le sopracciglia. Il suo volto era impassibile. — Tu sei fuori della realtà, mia cara, completamente fuori. I cristiani sono roba passata, ormai. Attualmente sono di moda gli ebrei. Sono loro le vittime destinate ai circhi. Ricordi di sottili crudeltà tra le diverse classi sociali affiorarono alla memoria di Charlotte. — Sì, lo so, e suppongo che in mancanza di un ebreo andrebbe bene anche Dominic. La cameriera entrò portando la cioccolata calda in un bricco d'argento e delle minuscole tortine. Depose il vassoio davanti alla poltrona e rimase in attesa. La vecchia signora osservò il tutto con aria critica. — Benissimo. Ti chiamerò, se avrò ancora bisogno di te. Per il momento, non ci sono per nessuno. — Sì, signora. — La ragazza si allontanò. Il suo volto esprimeva ancora sorpresa. Santo cielo, come mai sua signoria trattava con tanto riguardo quella signora Pitt, di cui nessuno aveva mai sentito parlare? Moriva dalla voglia di riferire la cosa agli altri domestici per scoprire se qualcuno di loro era in grado di trovare una spiegazione. Charlotte sorseggiò la cioccolata, per la quale aveva un debole. Ma era un lusso che non poteva concedersi spesso. — Qualcuno, a quanto pare, pensa che Lord Augustus sia stato assassinato — osservò poco dopo. — Diversamente, non continuerebbero a dissotterrarlo. — Sembra la spiegazione più plausibile. — Anche se non riesco proprio a immaginare chi potrebbe fare una cosa simile... A meno che, naturalmente, non ci sia lo zampino di quella orribile vecchia. — Quale vecchia? — Charlotte non riusciva a immaginare a chi volesse riferirsi. — Sua madre, la vecchia Fitzroy-Hammond. Una donna terribile. Se ne sta sempre chiusa nella sua camera da letto, salvo le domeniche, quando va in chiesa, dove squadra tutti, uno per uno. Ha un udito finissimo, ma finge di essere sorda perché la gente parli senza cautela davanti a lei. Fa di tutto per stare alla larga da me. Infatti è rimasta a letto per una settimana, quando ha saputo che mi ero trasferita qui a Gadstone Park, perché io ho quasi la sua età e ricordo benissimo com'era, cinquant'anni fa. Continua a rievo-
care la sua gioventù e i suoi successi, i balli e le passeggiate in carrozza, gli uomini affascinanti e le sue relazioni amorose. Soltanto che nel suo ricordo c'è molto di più di quanto ci sia nel mio. Io me la ricordo come una ragazza insignificante, dalle gambe troppo corte per essere elegante, che si era sposata al di sopra del suo stato sociale, piuttosto tardi rispetto alle altre. E gli inverni erano freddi allora come adesso, le orchestre altrettanto stonate e gli uomini belli altrettanto vanesi e sciocchi come quelli di oggi. Charlotte nascose un sorriso nella tazza. — La odierà a morte per tutto quello che lei sa sul suo conto. Povera Alicia! Sarà sottoposta a un continuo confronto: una falena contro i ricordi di una farfalla. — Molto ben detto. — Gli occhi di Vespasia scintillarono di ammirazione — Se fosse stata la vecchia a essere uccisa, non mi sarei certo sentita di biasimarla. — Alicia era innamorata di Lord Augustus? All'inizio, voglio dire. Vespasia la fissò a lungo. — Non essere ingenua. Charlotte. Tu non puoi ignorare fino a questo punto ciò che accade nella buona società. Gli era abbastanza legata, direi. Augustus non era intrattabile, almeno per quanto mi risulta. Era una persona noiosa, ma non più di tanti altri uomini. Non era generoso, ma nemmeno gretto. Certo, non le faceva mancare niente. Non esagerava mai nel bere, né si faceva notare per un'eccessiva sobrietà. Ma non era da paragonare al giovane Dominic Corde, come suppongo tu stessa sappia. Charlotte sentì il rossore montarle alle guance. Non era possibile che zia Vespasia sapesse della sua infatuazione per Dominic, a meno che non glielo avesse detto Thomas o Emily. Né l'uno né l'altro l'avrebbero mai fatto. Vespasia doveva sapere che Dominic era stato suo cognato. Forse glielo aveva detto Thomas. Sapeva che il marito aveva un debole per Vespasia e che poteva averla informata almeno di questa circostanza. Charlotte soppesò le parole. Mentire sarebbe stato privo di senso e le avrebbe fatto perdere la stima di Vespasia. Sollevò lo sguardo e le sorrise. — No, direi di no — rispose disinvolta. — Specialmente se la scelta era stata del padre e non sua. Non c'è niente di più odioso di una scelta fatta da altri per conto tuo, anche se si tratta di una cosa che, diversamente, ti sarebbe piaciuta. Il volto della nobildonna si allargò in un sorriso che le illuminò gli occhi. — Allora tu hai fatto bene, mia cara. Sono certa che Thomas Pitt non è stato una scelta di tuo padre. Charlotte si sorprese a sorridere, mentre una folla di ricordi le affluiva
alla mente: ma, a voler essere sinceri, il padre non l'aveva contrastata con la durezza che ci si poteva aspettare. Forse, tutto sommato, era contento che alla fine fosse stata lei a fare la sua scelta. Ma non era lì per divertimento e doveva ritornare allo scopo della sua visita. — Lei pensa che la vecchia signora potrebbe aver pagato qualcuno per disseppellire Lord Augustus, soltanto allo scopo di creare imbarazzo ad Alicia? La gelosia può divenire un'ossessione, specialmente per chi non ha niente altro a cui pensare, se non al proprio passato. O potrebbe forse essersi convinta che era stato davvero un assassinio? — Può darsi — Vespasia considerò la cosa. — Anche se ne dubito. Non sembra che Alicia fosse disperata al punto da assassinare quel poveretto, nemmeno per amore di Dominic Corde. Ma, d'altra parte, non è sempre facile capire quale fuoco covi sotto un'apparenza relativamente tranquilla. Può darsi che Dominic sia più avido di quanto noi pensiamo, o che sia assillato dai creditori. Veste alla perfezione. Il conto del sarto non sarà una bazzecola, immagino. Quelle insinuazioni erano un po' velenose e Charlotte si rifiutò di prenderle in considerazione. Comunque, non prima che fossero state scartate tutte le possibili spiegazioni. — Ci sarebbero altre possibilità, oltre a queste? — chiese senza dare troppo peso alle proprie parole. — Nessuna, che io sappia — dovette ammettere Vespasia. — Non riesco proprio a immaginare nessun altro del suo ambiente che odiasse Augustus fino al punto da ucciderlo o che lo amasse tanto da volerlo vendicare. Non era il tipo di uomo da suscitare una qualsiasi passione. Charlotte non si rassegnò. — Mi parli delle altre persone che abitano a Gadstone Park — insistette. — Ce ne sono parecchie che non mi sembra possano interessarti: sono fuori Londra per l'inverno. E fra quelli che sono rimasti non riesco a immaginare nessuna ragione per cui qualcuno di loro potrebbe essere coinvolto in questa faccenda. Ma se vuoi possiamo anche parlarne. Sir Desmond e Lady Cantlay li hai già conosciuti: sono abbastanza simpatici e molto uniti, direi. Se Desmond nasconde qualcosa, sarebbe il migliore attore a mia conoscenza. Gwendoline forse è un po' annoiata, come lo sono le donne della sua condizione che hanno tutto e niente di cui lamentarsi. Ma se avesse pensato di procurarsi un amante, non sarebbe stato certamente Augustus, ammesso che lui ne avesse la voglia. Era ancora più noioso di
Desmond. — E se fosse una faccenda di soldi? — Charlotte si aggrappava a qualsiasi possibilità. Vespasia aggrottò la fronte. — Molto improbabile, mia cara. A Gadstone Park dispongono tutti di una considerevole larghezza di mezzi, e mi pare che nessuno viva al di sopra delle proprie possibilità. Ma se qualcuno avesse avuto delle difficoltà momentanee, sarebbe andato da un usuraio ebreo, non da Augustus Fitzroy-Hammond. E non ci sono patrimoni da ereditare, tranne che per la vedova. — Già. — Era una delusione. Come sempre, tutto indicava Dominic e Alicia. — Con i St. Jermyn avevano buoni rapporti — continuò Vespasia. — E non riesco a immaginare nessuna ragione perché avrebbero dovuto prendersela con lui. Edward St. Jermyn, poi, è troppo occupato nei suoi affari per avere il tempo e la voglia di occuparsi anche di quelli degli altri. — Affari di cuore? — le speranze di Charlotte si risvegliarono. Vespasia fece una smorfia di impazienza. — No di certo. È un membro della Camera dei Lord e ha grandi ambizioni di carriera politica. Attualmente sta lavorando a un progetto di legge per la riforma delle condizioni di vita nelle case di lavoro, con particolare riguardo ai problemi dell'infanzia. Credimi, Charlotte, ce n'è proprio bisogno. Non hai idea di quanto soffrano i bambini in posti come quelli: esperienze che possono lasciare il segno su tutta la loro vita... Sarà una grande conquista, se la spunta, e si guadagnerà la considerazione di tutto il paese. — È un riformista, allora? — chiese Charlotte ansiosa. Vespasia la guardò con una certa aria di compatimento, poi sospirò. — No, mia cara, non è che un politicante. — Non le pare un po' ingeneroso? È un giudizio piuttosto cinico, mi sembra — protestò Charlotte. — È un giudizio molto realistico. Conosco Edward St. Jermyn da parecchio tempo e conoscevo suo padre prima di lui. Tuttavia il suo è un ottimo disegno di legge e io cerco di caldeggiarlo quanto più posso. Ne stavamo appunto discutendo, quando Thomas è venuto qui la settimana scorsa. Mi rendo conto che non te ne ha parlato. — No, non me ne ha parlato. — A me è sembrato che si accalorasse molto al problema. Faceva fatica a trattenersi. Guardava la mia camicetta di pizzo e quella di seta di Hester come se avessimo commesso un crimine indossandole. Deve vedere tanta
povera gente, in giro. Noi non riusciamo nemmeno a immaginarlo. Ma se non comperassimo i vestiti, come farebbero quelle povere cucitrici a guadagnare i pochi soldi che riescono a mettere insieme? — Il suo volto s'indurì e per la prima volta ogni nota di umorismo scomparve dalla sua voce. — Anche se, a sentire Somerset Carlisle, pur continuando a cucire per diciotto ore al giorno, finché le loro dita cominciano a sanguinare, non riescono a guadagnare abbastanza nemmeno per sopravvivere. Molte di quelle donne finiscono sul marciapiede, dove in una notte guadagnano quanto guadagnerebbero in quindici giorni, sedute sul pavimento di una di quelle case di sfruttamento del lavoro. — Lo so — disse Charlotte. — Thomas raramente ne parla, ma quando lo fa, quelle visioni mi ossessionano per molte notti: venti o trenta uomini e donne ammucchiati in una stanza, il più delle volte in uno scantinato senza aria e senza servizi igienici, che lavorano, mangiano e dormono lì per guadagnare soltanto quanto basta per tenerli in vita. E una vergogna. Chissà come dev'essere una casa di lavoro, se finiscono per rubare e per prostituirsi, pur di fuggirne. Mi sento terribilmente in colpa perché non faccio niente... e tuttavia continuo a non fare niente. Di fronte al suo appassionato sfogo, il volto di Vespasia si addolcì. — Lo so, lo so, mia cara, ma non possiamo farci niente. Non basta l'impegno di una sola persona e nemmeno quello di cento persone: c'è bisogno di un cambiamento totale. Non si può risolvere il problema con la carità, anche avendone i mezzi. C'è bisogno di una legge. E per mettere in moto la macchina legislativa, bisogna essere in Parlamento. Questa è la ragione per cui abbiamo bisogno di uomini come Edward St. Jermyn. Per qualche istante rimasero sedute in silenzio. Poi Charlotte ritornò sull'argomento. — Tutto questo non ci dice perché Lord Augustus è stato disseppellito, non le pare? Vespasia prese l'ultimo dolcetto. — No, niente affatto. Né penso che gli altri che vivono a Gadstone Park possano concorrere a chiarire la situazione. Somerset Carlisle non ha mostrato mai per Augustus niente più della cortesia imposta dalle buone maniere. Anche lui, come St. Jermyn, è troppo occupato con quel disegno di legge. Il maggiore Rodney e le sue due sorelle conducono una vita molto appartata. Le signorine Rodney sono entrambe nubili e con ogni probabilità rimarranno tali. Si occupano di problemi domestici di natura piuttosto delicata, come cucire di fino, preparare marmellate e, credo, anche una grande quantità di vino fatto in casa con rape e ortiche. Che cosa disgustosa! Non che io lo abbia mai assaggiato. Il
maggiore Rodney ha lasciato l'esercito, ora, e fa collezione di farfalle e di insetti che strisciano su dozzine di zampe. Da vent'anni sta scrivendo le sue memorie della guerra di Crimea. Non immaginavo che fossero successe tante cose, laggiù. Charlotte nascose un sorriso. — E poi c'è un pittore di ritratti — continuò Vespasia. — Si chiama Godolphin Jones, ma è assente da un po' di tempo. In Francia, credo, e perciò non può essere stato lui a portare in giro per Londra il povero Augustus. E non riesco nemmeno a immaginare per quale ragione avrebbe dovuto farlo. L'unica altra persona è un americano che si chiama Virgil Smith. Un tipo davvero impossibile, come si può immaginare. Nel nostro ambiente finiranno col detestarlo, se è così imprudente da rimanere per la prossima stagione mondana, ma d'altra parte è così pieno di soldi, derivanti da un'attività plebea come il commercio di bestiame, che non saranno capaci di trattenersi dal fargli la corte. Sarà un bel divertimento. Mi auguro soltanto che quel poveretto non abbia a soffrirne troppo. È davvero una brava persona e non si dà arie. Naturalmente, i suoi modi e il suo aspetto sono un vero disastro, ma i soldi coprono tanti peccati. — E la gentilezza anche di più — osservò Charlotte. — Non nel nostro ambiente. — Vespasia la fissò. — Nel nostro ambiente conta quello che sembra, non quello che è. È una delle ragioni per cui troverai molto difficile scoprire se Augustus è stato assassinato, da chi o perché... e ancor meno se a qualcuno importa qualcosa. Mentre Charlotte era seduta nella carrozza di Lady Cumming-Gould, lusingata ma un po' a disagio, e continuava a rimuginare sui risultati del suo viaggio, o piuttosto sull'assenza di risultati, nel cimitero della chiesa di St. Margaret due becchini, in piedi sotto la pioggia, si concedevano una pausa di riposo: erano impegnati nel duro e faticoso lavoro di preparare il terreno che doveva accogliere ancora una volta le spoglie mortali di Augustus Fitzroy-Hammond. — Sai Harry — disse uno di loro, fregandosi via una goccia dal naso col dorso della mano. — Comincio a pensare che potrei guadagnarmi da vivere soltanto seppellendo sua signoria. Non facciamo nemmeno in tempo a calarlo giù che qualche matto viene e lo tira su di nuovo. — Capisco quello che vuoi dire. — Harry tirò su col naso. — Io me lo sogno di notte. Passare la vita andando su e giù per questa maledetta tomba... Dovresti sentire quello che dice la mia Gertie. "Solo i morti assassina-
ti non riposano in pace nella loro tomba". E vuoi sapere una cosa, Arthur? Comincio a pensare che ha ragione. Questa non sarà l'ultima volta, credimi. Arthur sputò e riprese in mano la vanga. Il primo colpo urtò il coperchio della bara. — Be', voglio dirti una cosa, Harry. È l'ultima volta che lo faccio. Non voglio più avere niente a che fare con un assassinio o con quelli che sono stati assassinati. Non mi dispiace seppellire cadaveri rispettabili, morti di morte naturale. Di quelli ne sotterro quanti ne vuoi. Ma ci sono due cose che non posso proprio sopportare. Una è seppellire i bambini e l'altra, seppellire quelli che sono stati uccisi. E questo l'ho già messo sotto due volte. Se non resta dentro adesso, non vengano a chiedermi di farlo di nuovo... perché non lo farò. Ora basta. Che i poliziotti trovino chi l'ha fatto fuori. Allora, forse, non si muoverà più di qui. Così la penso io. — Anch'io la penso così — convenne Harry con calore. — Io sono paziente e Dio sa che lo sono davvero. In questo mestiere sei obbligato a vedere un bel po' di morti e impari quello che è importante e quello che non è importante. Questo momento arriva per tutti e molta gente che se lo dimentica farebbe meglio a ricordarselo. Ma adesso la mia pazienza è finita. Nemmeno io voglio aver niente a che fare con un assassinio. Sono d'accordo con te. Che ci pensino gli sbirri a sotterrarlo la prossima volta. Gli farà bene, te lo assicuro. Avevano spazzato via la terra dal coperchio della bara ed erano di nuovo saltati fuori dalla tomba per prendere le corde. — Penso che vorranno vederla pulita — osservò Arthur con aria disgustata. — Gli faranno certamente un altro servizio funebre. Saranno stufi di continuare a dargli l'estremo saluto. — Soltanto che non è l'ultimo, ti pare? — disse Harry con una punta di sarcasmo. — E il penultimo, il terzultimo o il quartultimo? Chi può sapere quanto tempo ci rimarrà? Toh, prendi l'altro capo della corda. Insieme infilarono le corde sotto la bara, la sollevarono e lavorarono in silenzio, emettendo soltanto qualche grugnito e di tanto in tanto una serqua di imprecazioni, finché la bara fu adagiata sulla terra umida ai margini della fossa. — Diavolo, pesa una tonnellata! — sbottò Harry furioso. — Pesa come se ci fosse dentro un carico di mattoni. Pensi che ci abbiano messo dentro qualcos'altro? — Che cosa, per esempio? — Arthur tirò su col naso. — Non lo so. Vuoi dare un'occhiata?
Arthur esitò per un momento. Poi la curiosità prevalse e sollevò un angolo del coperchio. Non era avvitato, e perciò venne su con molta facilità. — Porco diavolo! — Il volto di Arthur sotto il sudiciume si fece bianco come un lenzuolo. — Che cosa c'è? — Harry si avvicinò, urtando con la punta del piede lo spigolo della bara. — Ahi, maledizione... Ma che cos'è, Arthur? — Lui è qui dentro — disse l'altro con voce rauca. Si strinse il naso con la mano. — Marcio quanto vuoi, ma è proprio qui. — Non può essere — protestò Harry incredulo. Girò dall'altra parte dove stava Arthur e guardò dentro. — Hai ragione. E proprio qui. Perdio, che cosa ne facciamo, ora? Pitt fu molto scosso, quando apprese la notizia. Era assurdo, incredibile. Si tirò su la sciarpa, si calcò il cappello in testa e s'incamminò a grandi passi lungo la strada gelata. Voleva camminare per avere il tempo di rimettere ordine nei suoi pensieri, prima di arrivare al cimitero. C'erano, ora, due cadaveri... perché quello trovato sul banco di famiglia in chiesa era ancora nella camera mortuaria. Di conseguenza uno dei due non era Augustus Fitzroy-Hammond. Ritornò con la mente all'identificazione. Il presunto vetturino, all'esterno del teatro, era stato identificato soltanto dalla vedova. Adesso che ci pensava, Alicia si era aspettata che fosse suo marito: lui stesso le aveva detto che era suo marito. Aveva dato soltanto un'occhiata di sfuggita al cadavere e poi aveva rivolto lo sguardo altrove. Ma Pitt non si sentiva di biasimarla. Era possibile che avesse visto soltanto quello che le era stato detto di vedere e che in effetti non lo avesse osservato affatto. D'altra parte, il secondo cadavere, quello sul banco della chiesa, era stato visto non soltanto da Alicia, ma anche dalla vecchia signora, dal vicario e, infine, dal dottor McDuff che doveva in qualche modo essere abituato alla vista di un cadavere, anche a quella di un uomo morto da tre settimane. Attraversò la strada cosparsa di escrementi e di rifiuti di ortaggi. Il bambino, che normalmente spazzava l'incrocio, era ammalato di bronchite ed era probabilmente rintanato in una delle innumerevoli conigliere dietro la facciata dei negozi. La spiegazione più plausibile era che il secondo cadavere fosse quello di Lord Augustus e il primo quello di qualcun altro. Dal momento che la tomba del signor William Wilberforce Porteous era stata anch'essa aperta,
era da presumere che fosse stato il suo cadavere a trovare posto nel cimitero della chiesa di St. Margaret. Avrebbe fatto meglio a disporre che la vedova lo vedesse e, questa volta, con maggiore attenzione. Erano le sei e mezzo, il vento si era calmato e la nebbia si infittiva, smorzando i rumori e soffocando il respiro per il freddo, quando Pitt si diresse, su una carrozza presa a nolo e in compagnia di una risoluta signora Porteous, tutta in nero e stretta nel busto, verso l'obitorio dove giaceva ancora in attesa il primo cadavere. La carrozza procedeva molto lentamente perché il vetturino non riusciva a vedere al di là di quattro o cinque metri. I lampioni a gas apparivano come occhi spenti che spuntavano dal buio improvvisamente e svanivano alle loro spalle nella notte. Procedettero, con la carrozza che barcollava, completamente soli, come se navigassero in un oceano dove non c'era nessun'altra imbarcazione. Pitt cercò di dire qualcosa alla donna al suo fianco, ma, per quanto si scervellasse, non riusciva a trovare niente che non fosse banale o offensivo. Finì con l'augurarsi che il suo silenzio potesse apparirle almeno come un segno di solidarietà. Quando la carrozza finalmente si fermò, scese con una fretta che poteva apparire non molto cortese e le porse la mano. Lei vi si appoggiò pesantemente, più per una questione di equilibrio che per il suo stato d'animo. Furono accolti dallo stesso giovanotto amabile e tirato a lucido. Aprì più volte la bocca per sottolineare la singolare circostanza di avere nella camera mortuaria lo stesso cadavere per due volte, ma si trattenne in tempo, rendendosi conto che il suo entusiasmo professionale era di cattivo gusto e poteva essere frainteso dalla vedova o dallo stesso ispettore. Alla fine sollevò il lenzuolo e assunse l'atteggiamento composto che la circostanza imponeva. La signora Porteous guardò attentamente il cadavere, poi aggrottò la fronte e si rivolse a Pitt con voce priva di ogni emozione. — Questo non è mio marito — disse. — Non c'è nessuna rassomiglianza. Mio marito aveva barba e capelli neri. Quest'uomo è quasi calvo. Non l'ho mai visto in vita mia. 5 Dal momento che il cadavere senza nome giaceva nell'obitorio, non c'era
nessuna ragione perché Augustus non venisse inumato. Naturalmente, sarebbe stato fuori posto fare un'altra cerimonia, ma sarebbe stato anche poco decoroso lasciar passare la cosa completamente inosservata. Era una questione di riguardo per la famiglia e anche di rispetto non tanto per la persona di Augustus, quanto per la morte stessa. Alicia, naturalmente, non poté fare a meno di essere presente. La vecchia signora in un primo tempo aveva dichiarato di sentirsi troppo sconvolta da tutta questa penosa faccenda, ma poi si era convinta che era suo dovere tributare al figlio l'ultimo saluto... e che fosse proprio l'ultimo! Era accompagnata come sempre da Nisbett, nel più stretto nero. Alicia era nel salotto in attesa della carrozza, quando entrò Verity. Era molto pallida e il nero del cappello la faceva sembrare persino più giovane. C'era un'aria d'innocenza in lei che spesso aveva indotto Alicia a chiedersi che tipo di donna fosse stata sua madre: Verity non aveva niente in comune con Augustus ed era diversa dalla vecchia signora come può esserlo una cerbiatta da una donnola. Nel buio della notte Alicia aveva spesso parlato alla donna morta, come a un'amica, come a qualcuno che potesse capire la solitudine e i sogni, effimeri ma necessari. Alicia si era convinta che quella prima moglie, morta a trentaquattro anni, doveva essere stata molto simile a lei. A causa di quelle immaginarie conversazioni al buio, le pareva quasi che Verity fosse una figlia sua, sebbene tra di loro non ci fosse che una manciata d'anni di differenza. — Sei proprio sicura di voler venire? — le chiese. — Nessuno ti criticherebbe, se decidessi di restare a casa. Verity scosse leggermente il capo. — Vorrei proprio non venirci, ma non mi sento di lasciarti andare da sola. — C'è tua nonna — replicò Alicia. — Non sarò sola. Verity abbozzò un sorriso ironico. Era la prima volta che Alicia lo notava. La ragazza era molto maturata, dopo la morte del padre, o forse si sentiva soltanto ora libera di dimostrarlo. — Allora dovrò proprio venire — disse. — È peggio che se tu fossi sola. In altre circostanze, Alicia avrebbe potuto esprimere qualche riserva, tanto per salvare la forma, ma in quel momento l'ipocrisia le sembrò più sterile che mai. Era un momento in cui bisognava badare alla sostanza, la forma era del tutto irrilevante. — Ti ringrazio — disse semplicemente. — Sarà per me molto meno sgradevole, se ci sarai anche tu.
Verity le rivolse uno smagliante sorriso, quasi con un'aria di complicità. Poi, prima che Alicia potesse risponderle, sentì il bastone della nonna picchiare sul pavimento dell'atrio, mentre si dirigeva verso di loro. Nisbett spalancò la porta e la vecchia signora rimase ferma sulla soglia a guardarle accigliata. Le squadrò entrambe attentamente, dal cappello col velo alle scarpe nere lucide, poi fece un cenno di assenso. — Be', vogliamo andare, allora? — chiese. — O volete starvene lì tutta la mattina come due cornacchie su una siepe? — Ti stavamo aspettando, nonna — rispose Verity. — Non volevamo lasciarti andare da sola. La vecchia signora sbuffò. Poi rivolse ad Alicia uno sguardo velenoso. — Pensavo che tu volessi aspettare quel signor Corde che ti è tanto simpatico. Non c'è, questa volta, vedo. Forse ha paura per la sua pelle. A quanto sembra, tu non fai altro che seppellire mariti. — Afferrò il braccio di Nisbett e uscì battendo col bastone lo stipite della porta, come se lo stipite potesse scostarsi per farle più spazio. — Non sarebbe stato molto opportuno che il signor Corde venisse — spiegò Alicia, non potendo fare a meno di prenderne le difese. Ma ormai la vecchia signora non poteva più sentirla e Verity si era limitata ad abbassare gli occhi. — È una faccenda di famiglia — aggiunse. — Penso che non ci sarà nessun altro oltre a noi e forse a qualche amico intimo di Augustus. — Naturalmente. Sarebbe una sciocchezza aspettarsi che lui venga — mormorò Verity. Ma c'era una punta di delusione nella sua voce. Mentre Alicia la seguiva fuori e poi nella carrozza tutta drappeggiata di nero, non poté fare a meno di chiedersi come mai Dominic non si era fatto vivo, almeno con un biglietto. Il buon gusto gli sconsigliava di venire di persona. Questo si capiva. Dal momento che era innamorato di lei, non sarebbe stato molto corretto farsi vedere di nuovo alla cerimonia di sepoltura, ma avrebbe potuto mandarle qualche parola di solidarietà. Si sentì pervasa improvvisamente da una sensazione di freddo, che non aveva niente a che vedere col vento e con gli spifferi della carrozza. Forse aveva letto troppo nei suoi sguardi languidi, nel suo desiderio di stare con lei? Qualche giorno prima avrebbe giurato che lui l'amasse. E lei lo amava con tutto lo slancio della sua età, con l'allegria pronta a esplodere per le cose più insignificanti, con la consapevolezza di condividere con lui i pensieri più intimi. Ma forse era soltanto lei a sentire quelle cose e attribuiva a lui gli stessi sentimenti. Dopotutto, fino a quel momento, Dominic non aveva detto molto, forse per la delicatezza della situazione in cui lei si tro-
vava, prima come donna sposata e poi come vedova. O forse non aveva parlato semplicemente perché non aveva nulla da dire? Molta gente amava flirtare. Era come una specie di gioco: mettere alla prova le proprie capacità, una sciocca forma di vanità. Ma certo Dominic non era così. Le apparvero alla mente il suo volto, gli occhi scuri, le belle sopracciglia, la linea delle labbra, il sorriso immediato. Le lacrime le sgorgarono dagli occhi e le scesero giù lungo le guance. In un qualsiasi altro momento ne sarebbe stata mortificata, ma in quella circostanza, seduta nella carrozza buia in una giornata umida e fredda, mentre andava a seppellire suo marito, nessuno si sarebbe accorto delle sue lacrime e, in ogni caso, le avrebbe attribuite al dolore per quel rito funebre che veniva ripetuto per la terza volta. La carrozza si fermò con uno scossone, il domestico aprì la portiera e le signore vennero investite da una folata di aria gelida. La vecchia signora uscì per prima, mettendo il bastone di traverso contro le gambe della nuora e della nipote perché non la precedessero. Il domestico aiutò poi Alicia a scendere. Pioveva dirottamente e il vento le sbatteva contro il volto l'acqua che scorreva dalla tesa del cappello. Il vicario si rivolse a Lady Fitzroy-Hammond, poi porse la mano ad Alicia. Non era mai di buon umore, ma quel giorno aveva una cera più deprimente del solito. Dentro di sé, Alicia concepì un mezzo sorriso che non avrebbe mai raggiunto le sue labbra. Non si sentiva di biasimare quel poveretto, anche se non aveva nessuna simpatia per lui. Dopotutto, quella era un'occasione senza precedenti; con ogni probabilità non aveva la minima idea di quello che avrebbe dovuto dire. Il vicario disponeva di tutto un repertorio di frasi per ogni possibile evento: battesimi, morti, matrimoni, persino scandali. Ma chi poteva immaginare di dover seppellire lo stesso uomo tre volte nello spazio di altrettante settimane? Alicia stava ancora sorridendo dentro di sé quando scorse la snella, elegante figura di un uomo e per un momento il suo cuore sobbalzò. Dominic? Poi scoprì che non era lui: le spalle erano più squadrate, più sottili, e c'era qualcosa di diverso nel suo atteggiamento. Era Somerset Carlisle, che si volse, mentre lei si faceva strada tra le pozzanghere sul vialetto, e le offrì il braccio. — Buongiorno, Lady Fitzroy-Hammond — la salutò gentilmente. — Mi dispiace che tutto ciò non si sia potuto evitare. Speriamo che la cosa duri il meno possibile. Forse la pioggia scoraggerà il vicario dal dilungarsi troppo. — Accennò un sorriso. — Sarà bagnato fradicio, alla fine, se rimarrà
qui fuori a lungo. Non era piacevole l'idea di rimanere lì vicino alla tomba sotto la pioggia battente, mentre il vicario continuava imperterrito il suo discorso. La vecchia signora faceva pensare sempre più a un uccellaccio nero tutto inzuppato, con le piume arruffate e un cipiglio che sprizzava collera. Verity teneva la testa e gli occhi bassi in modo che nessuno potesse leggerle in faccia i suoi pensieri: se ci fosse in lei dolore per la perdita del padre o se fosse semplicemente assente, Alicia poteva soltanto indovinarlo. Anche Lady Cumming-Gould aveva deciso di partecipare. Il suo aspetto era dignitoso come sempre. In realtà, se non fosse stato per il suo abito da lutto color lavanda scuro, avrebbe potuto dare l'impressione di trovarsi a un garden party, piuttosto che in un cimitero, sotto la pioggia, vicino a una tomba aperta. C'era anche il maggiore Rodney, che si spostava da un piede all'altro, soffiando acqua dai baffi, evidentemente molto seccato da tutta la faccenda. Soltanto il senso del dovere poteva averlo portato lì. Continuava a lanciare occhiate furiose alle sorelle che, probabilmente, lo aveva assillato perché fosse presente. Le due donne si stringevano l'una all'altra con gli occhi sbarrati, simili a piccoli animaletti appena risvegliati dal letargo invernale e ansiosi di ripararsi nella loro tana. L'unica altra persona presente era Virgil Smith, enorme in un pesante cappotto e a testa nuda. Alicia non poté fare a meno di notare com'erano folti i suoi capelli e come fossero stati tagliati diritti sotto le orecchie. Qualcuno avrebbe dovuto suggerirgli un barbiere più decente. Il vicario cominciò a parlare, ma si mostrava sempre più insoddisfatto di quello che diceva. S'interruppe e ricominciò di nuovo con un discorso del tutto diverso. Non si sentiva alcun rumore al di fuori di quello della pioggia che veniva giù a raffiche e del lontano agitarsi dei rami nel vento. Nessun altro parlò. Alla fine, il vicario cadde in preda alla disperazione e concluse con un autentico grido: — ...restituiamo il corpo del nostro fratello... Augustus Albert William Fitzroy-Hammond... alla terra... — Fece un profondo respiro e la sua voce si elevò di un'ottava. — Fino alla resurrezione dei giusti, quando la terra restituirà i suoi morti. E che il Signore abbia pietà della sua anima! — Amen — risposero i presenti con infinito sollievo. Si voltarono e con una fretta sconveniente corsero a ripararsi sotto il portico d'ingresso del cimitero.
Quando furono tutti sotto il portico, la vecchia signora fece improvvisamente un annuncio sorprendente. — Ci sarà una colazione funebre per tutti quelli che vorranno onorarci. — Nella sua voce c'era un tono di sfida, quasi una minaccia per chi avesse osato non accettare l'invito. Ci fu un momento di silenzio, poi un mormorio di ringraziamento. Si avventurarono di nuovo sotto la pioggia, guazzando nell'acqua che scorreva giù per i vialetti, e si rifugiarono nelle rispettive carrozze, stringendosi nei loro panni bagnati con le gambe dei pantaloni e gli orli delle gonne che grondavano acqua, mentre si udiva il rumore degli zoccoli dei cavalli che si dirigevano lentamente verso Gadstone Park. In altre occasioni, sarebbero stati lanciati al trotto, ma sarebbe stato sconveniente ora, alla conclusione di un funerale, tradire un qualsiasi segno di impazienza. Di nuovo a casa, Alicia trovò i domestici pronti a ricevere gli ospiti, sebbene lei non avesse impartito nessuna istruzione, in proposito. Entrata nell'atrio, notò lo sguardo di Nisbett e vi colse un lampo di soddisfazione. Era uno sguardo eloquente. Un giorno gliel'avrebbe fatta pagare, a quella serva. Nel frattempo, doveva cercare di comportarsi come ci si aspettava da lei. La vecchia signora aveva fatto l'invito, ma era lei ora la padrona, perché quella era stata la casa di Augustus e perciò era sua. Fece gli onori di casa e ringraziò gli ospiti per essere venuti, ordinò ai domestici di ravvivare il fuoco nei caminetti e di fare asciugare i soprabiti inzuppati. Poi accompagnò tutti nella sala da pranzo, dove la cuoca aveva preparato una serie di piatti adatti alla circostanza. Non era proprio la giornata per cibi freddi, anche se gustosi come i pasticci di selvaggina e salmone, ma almeno qualcuno aveva pensato a preparare del vino bollente aromatizzato. Non doveva essere stata un'idea della vecchia signora, rifletté Alicia. Probabilmente ci aveva pensato Milne, il maggiordomo. Doveva ricordarsi di ringraziarlo. La conversazione fu piuttosto faticosa: nessuno sapeva che cosa dire. Tutti avevano già espresso le loro condoglianze. Rinnovarle sarebbe stato fuori posto, quasi offensivo. Il maggiore Rodney borbottò qualche osservazione sul tempo, ma poiché si era nel cuore dell'inverno, l'argomento non era tale da suscitare interesse. Attaccò allora con i ricordi di guerra, parlò dei tanti uomini morti congelati sulle alture di Sebastopoli, poi finì con lo schiarirsi la gola, mentre tutti lo stavano guardando. La signorina Priscilla Rodney lodò l'eccellenza della salsa indiana che veniva servita insieme ai pasticci di carne, ma arrossì quando Verity la
ringraziò, perché tutte e due sapevano che Priscilla ne preparava di molto migliori. Lady Cumming-Gould sembrava intenta soltanto a osservare gli altri. Fu Virgil Smith a salvare la situazione, fornendo l'unico, valido oggetto di conversazione. Stava osservando un ritratto di Alicia sopra il caminetto, uno studio piuttosto convenzionale su uno sfondo scuro, che non le faceva molto onore. Era l'ultimo di una lunga serie di ritratti di famiglia che risalivano a oltre duecento anni prima. Quello della vecchia signora era appeso nel vestibolo e vi appariva molto giovane, come un ricordo tolto da un libro di storia, in un vestito impero dei tempi immediatamente successivi alla caduta di Napoleone. — Quel dipinto mi piace senz'altro, signora — dichiarò Smith continuando a guardarlo. — La rassomiglianza è notevole, ma non mi pare che le faccia giustizia, con quel colore nello sfondo. Io me la immaginerei con tanto verde alle sue spalle, alberi, erba e forse fiori. — Non può pretendere che Alicia si trascini in qualche remoto angolo della campagna per posare per un ritratto — intervenne bruscamente Lady Fitzroy-Hammond. — Lei è libero di passare la sua vita nella landa deserta e selvaggia dalla quale proviene, signor Smith, ma noi qui non lo facciamo. — Io non pensavo a una landa deserta e selvaggia, signora. — L'uomo le sorrise, ignorando completamente il suo tono. — Pensavo piuttosto a un giardino, a un giardino della campagna inglese, con salici pieni di quelle lunghe foglie di seta che si agitano al vento. — Non si può dipingere qualcosa che si agiti al vento — ribatté la vecchia in tono acido. — Penso che un vero artista saprebbe farlo. — Smith non era tipo da lasciarsi intimidire. — Oppure potrebbe dipingerle in modo da produrre nell'osservatore l'impressione che si agitino al vento. — Lei ha mai provato a dipingere? — Lo fissò sprezzante, con un'occhiata che sarebbe stata ancor più espressiva, se non fosse stata obbligata a guardarlo dal basso in alto. Ma era più bassa di Smith di una trentina di centimetri e persino la sua rispettabile mole non poteva compensare la differenza di statura. — No, signora. — Smith scosse la testa. — E lei dipinge? — Naturalmente — rispose, con le sopracciglia inarcate. — Tutte le signore di buona famiglia dipingono. Un improvviso pensiero balenò nella mente dell'americano. — Ha dipin-
to lei quel quadro, signora? La vecchia signora si irrigidì in un'espressione raggelante. — Certamente no. Noi non dipingiamo a fini di lucro, signor Smith — ribatté con aria disgustata. — Comunque — Somerset Carlisle diede un'occhiata al quadro — io penso che Virgil abbia ragione. Sarebbe stato molto meglio con un fondo verde. Quel marrone è del tutto opaco e smorza la carnagione. Tutte le sfumature ne soffrono. La vecchia signora spostò lo sguardo da Carlisle ad Alicia, poi di nuovo al quadro. L'opinione che aveva della carnagione di Alicia era evidente. — Ma non c'è dubbio che il pittore ce l'abbia messa tutta — concluse bruscamente. La signorina Mary Ann si unì alla conversazione, alzando un po' la voce. — Perché non se lo fa rifare, mia cara? Sono certa che d'estate sarà un piacere posare nel giardino per un ritratto. Potrebbe rivolgersi al signor Jones. Mi dicono che è molto bravo. — È troppo caro — osservò la vecchia signora con tono sprezzante. — E poi non è la stessa cosa. In ogni modo, se dovessimo decidere di ordinare altri ritratti, il primo sarebbe quello di Verity. — Si volse a guardare la nipote. — Probabilmente, tu hai raggiunto ora la bellezza che avrai sempre. Ci sono donne che migliorano con l'età, ma la maggior parte no. — Lanciò un'altra occhiata ad Alicia, poi di nuovo rivolse lo sguardo altrove. — Chiameremo questo Jones... Qual è il suo nome? — Godolphin Jones — rispose Mary Ann. — È ridicolo. Godolphin... Chissà che cosa aveva in mente suo padre. Ma non sono disposta a pagare un prezzo esorbitante, vi avverto. — Lei non ha affatto bisogno di pagare — replicò Alicia alla fine. Pagherò io, se Verity avesse voglia di farsi fare un ritratto. E se preferisse qualcun altro, invece di Godolphin Jones, ci rivolgeremo a qualcun altro. La vecchia signora, almeno per il momento, fu messa a tacere. — Comunque, sembra che Godolphin Jones sia attualmente all'estero — osservò Lady Cumming-Gould. — Mi hanno detto che si trova in Francia. A quanto pare, il soggiorno a Parigi è diventato obbligatorio per un artista. Un artista non può considerarsi tale, nel nostro ambiente, se non è stato per qualche tempo in Francia. — È partito? — Il maggiore Rodney schizzò saliva nel bicchiere e starnutì. — Per quanto tempo? E quando ritorna? Lady Cumming-Gould parve un po' sorpresa. — Non ne ho idea. Se è
così importante per lei, può mandar qualcuno a casa sua a informarsi. — Immagino che sia un bravo pittore — chiese la vecchia signora, senza rivolgersi a nessuno in particolare. — Riesce a spuntare prezzi piuttosto alti — replicò la signorina Priscilla. — Molto alti, anzi. Ho visto il ritratto di Gwendoline Cantlay e lei mi ha detto quanto lo ha pagato. Mi è sembrato davvero troppo, anche se c'è una buona somiglianza. — Ed è tutto quello che c'è — intervenne Carlisle, storcendo la bocca in una smorfia. — Una buona somiglianza. Cogliere un qualche aspetto della persona ritratta non è arte. Nessuno desidererebbe possederlo, se non fosse innamorato di Gwendoline. — Non è la somiglianza lo scopo di un ritratto? — chiese la signorina Mary Ann con un certo candore. — Di un ritratto, forse — replicò Carlisle. — Ma non di un dipinto. Un bel quadro dovrebbe rappresentare un piacere per chiunque, indipendentemente dal fatto che si conosca la persona ritratta. — Un pittore sopravvalutato, allora — osservò la vecchia signora — e anche strapagato. Io non lo pagherò mai tanto. Se Gwendoline lo ha fatto, peggio per lei. — Hester St. Jermyn ha sborsato la stessa cifra — intervenne Priscilla, parlando con la bocca piena. — E io so che Hubert ha pagato una bella somma per il ritratto che il signor Jones ha fatto a noi due. Non è vero, caro? Il maggiore Rodney si accese in volto e fulminò la sorella con uno sguardo. — Ho visto il ritratto di Lady Cantlay — disse Virgil Smith con una smorfia. — Mi guarderei bene dal comprarlo, se fosse in vendita. A me sembra... come dire... pesante, tetro. Non l'aspetto che una signora dovrebbe avere. — Che ne sa lei di queste cose? — gli chiese sprezzante la vecchia signora. — Ci sono delle vere signore nel paese da dove lei viene? — No, non credo che lei le considererebbe delle vere signore — rispose Smith, sempre molto calmo. — Ma ne ho viste alcune qui. La signorina Verity è una vera signora e meriterebbe che le si facesse un ritratto degno di lei. Verity arrossì di piacere e gli rivolse uno dei suoi rari sorrisi. Alicia scoprì improvvisamente che quell'uomo le piaceva, malgrado i suoi modi grossolani e il volto insignificante.
— La ringrazio — gli disse tranquillamente Verity. — Mi farà piacere, penso, posare per un ritratto nella prossima estate, se Alicia non ha niente in contrario. — Ma certamente — convenne Alicia. — Mi interesserò per trovare la persona giusta. — Avvertì su di sé gli occhi di Virgil Smith. Era una bella donna ed era abituata a essere ammirata, ma c'era nello sguardo dell'americano qualcosa di più personale e provò un certo senso di disagio. Cercò disperatamente qualcosa da dire. — Lady Cumming-Gould, lei conosce qualcuno in grado di ritrarre Verity? Penso che a lei abbiano fatto più di un ritratto nella sua vita. Vespasia parve alquanto compiaciuta. — Non di recente, mia cara. Ma sentirò i miei conoscenti, se lei lo desidera. Sono certa che non sarà difficile trovare un artista migliore di Godolphin Jones. Temo che qualcuno lo abbia sopravvalutato, o almeno così sembra a giudicare dai prezzi che pratica, ma sono d'accordo col signor Smith: ha la mano un po' pesante, direi, e i colori piuttosto forti. La vecchia signora la fulminò con un'occhiataccia e fece per aprire la bocca, ma incrociò gli occhi risoluti di Vespasia e la richiuse. Poi fissò Virgil Smith, come se si fosse trattato di una brutta macchia sul tappeto. — Proprio così — convenne Carlisle con soddisfazione. — C'è una grande abbondanza di ritrattisti, in giro. Non c'è nessuna ragione di rivolgersi a Godolphin Jones soltanto perché abita a Gadstone Park, se lei preferisce qualcun altro. — Gwendoline Catlay si è fatta fare da lui due ritratti — intervenne Priscilla. — Non riesco proprio a immaginare perché. — Forse perché le piacciono — suggerì Mary Ann. — A qualcuno devono piacere, altrimenti come farebbe a pretendere tanti soldi? — L'arte è soprattutto questione di gusto, non è così? — Alicia volse intorno lo sguardo. La suocera sbuffò. — Naturalmente. Soltanto quelli che non ne capiscono niente la considerano una faccenda di soldi. — Ancora una volta i suoi occhi fulminarono Virgil Smith, prima di volgersi altrove. — E il tempo che conta: tutto ciò che dura acquista valore. I vecchi quadri, le vecchie case, le vecchie famiglie... Alicia si sentì a disagio per Smith, come se fosse stata lei a essere offesa e nello stesso tempo fosse responsabile dell'insulto, perché quella vecchia maligna faceva parte della famiglia. — La pura sopravvivenza non è per sé un segno di valore. — Fu lei stes-
sa sorpresa di parlare con tanta veemenza e con un tono che la suocera avrebbe considerato insolente, ma aveva una tale voglia di contraddirla che era come se qualcosa le scoppiasse nella testa. — Anche le malattie sopravvivono nei secoli. Tutti la stavano fissando e Lady Fitzroy-Hammond con un'espressione indignata, come se il suo posapiedi si fosse sollevato e l'avesse colpita. Somerset Carlisle fu il primo a reagire. — Brava! — esclamò allegramente. — Un'eccellente argomentazione, anche se un po' eccentrica. Non so se Jones l'apprezzerebbe, ma sintetizza mirabilmente il rapporto tra arte, sopravvivenza e prezzo. — Non capisco — Priscilla intervenne strabuzzando penosamente gli occhi. — Non riesco a vedere nessuna relazione. — È proprio quello che volevo dire — convenne Carlisle. — Non ce n'è nessuna. La vecchia signora picchiò col suo bastone sul pavimento. Aveva mirato al piede di Carlisle, ma lo aveva mancato. — Certo che c'è una relazione — protestò. — Il denaro è la radice del male. Così dice la Bibbia. Ha qualcosa da eccepire? — La citazione non è corretta. — Carlisle non era per nulla intimidito e non scostò i suoi piedi. — La Bibbia dice: "L'amore per il denaro è la fonte di ogni male". Le cose per se stesse non sono il male. Ma le passioni che suscitano nella gente possono esserlo. — Tutte sofisticherie. E questo non è il posto per le sofisticherie. Vada nel suo club, se le piace discutere di queste cose. Noi siamo qui per un funerale e le sarei obbligata, se non volesse dimenticarlo. Lui accennò un inchino. — Ha ragione, signora, le esprimo le mie condoglianze. — Si volse ad Alicia e poi a Verity. — E anche a voi, naturalmente. Di colpo, tutti si ricordarono che quella era la terza volta che partecipavano alla stessa cerimonia e il maggiore Rodney, nel silenzio imbarazzato che seguì, si congedò con un tono di voce forse un po' troppo alto, prese le sue sorelle per il braccio e quasi le spinse fuori nell'atrio, dove si dovette far chiamare il domestico perché riportasse i loro soprabiti. Seguirono Vespasia e Carlisle. Virgil Smith si fermò un momento vicino ad Alicia. — Posso esserle utile, signora? — Sembrava impacciato, come se volesse dire qualcosa e non trovasse le parole. Alicia si rese conto della sua premura e si sentì anche lei un po' impacciata. Lo ringraziò, congedandolo più in fretta di quanto avesse voluto, e
lui con un leggero rossore sul volto seguì gli altri che se ne stavano andando. — A quanto vedo, il tuo signor Corde non è venuto — osservò la vecchia signora con tono astioso. — Aveva altro per la testa, forse? Alicia la ignorò. Non sapeva proprio perché Dominic non si fosse fatto vivo nemmeno con dei fiori o con un biglietto di condoglianze. Era qualcosa a cui non voleva nemmeno pensare. La mattina della sepoltura, Dominic era stato incerto su quello che doveva fare. Si era alzato e si era vestito con l'intenzione di andare al cimitero per essere vicino ad Alicia in un momento che sarebbe stato molto penoso per lei. Verity era troppo giovane e troppo vulnerabile per esserle di qualche conforto, e lui sapeva che la vecchia signora avrebbe, se mai, peggiorato la situazione. Nessuno si sarebbe meravigliato della sua presenza: l'avrebbero considerata una manifestazione di rispetto. Oltre tutto, era stato invitato alla prima cerimonia funebre. Poi, mentre si guardava nello specchio per un ultimo controllo, si era ricordato della visita che aveva fatto a Charlotte. Non era mai stato in una casa di gente modesta, di gente del livello di Pitt. Tutto considerato, e ciò gli pareva strano, si era sentito completamente a suo agio e aveva trovato Charlotte poco cambiata da come se la ricordava. Naturalmente, tutto sarebbe stato diverso, se si fosse trattenuto più a lungo. Comunque, per un'ora o due, l'ambiente circostante non aveva avuto alcun peso. Ma quello che Charlotte aveva detto era tutt'altra cosa. Gli aveva chiesto con molta franchezza se pensava che Alicia fosse capace di uccidere il marito. Charlotte era stata sempre molto schietta, fino al punto da apparire priva di tatto. Persino in quel momento gli veniva da ridere al ricordo dei suoi più disastrosi infortuni in società. L'immagine nello specchio gli rispose con un sorriso. Naturalmente, lui lo aveva escluso: Alicia non avrebbe mai pensato a una cosa simile. Il vecchio Augustus era stato un marito noioso, parlava incessantemente e pretendeva di essere un esperto nella costruzione di ferrovie. Dal momento che la sua famiglia si era arricchita costruendo ferrovie, forse lo era davvero. Ma non era certo un argomento su cui si potesse pontificare durante il pranzo. Dominic non aveva mai conosciuto una donna che avesse un qualche interesse nella costruzione delle ferrovie e nemmeno molti uomini, del resto. Ma questo non era un buon motivo per commettere un omicidio. In real-
tà, si arriva a uccidere un uomo quando si è in preda a forti passioni come l'odio, la paura, l'avidità, oppure quando qualcuno impedisce la realizzazione di una cosa desiderata ardentemente. Si interruppe, con la mano irrigidita sul colletto. Immaginò di essere sposato a una sessantenne, il doppio della sua età, noiosa, tronfia, immersa nei sogni del passato, in attesa di sprofondare lentamente in una vecchiaia ciarliera... una unione senza amore. Forse un giorno, o una notte, il bisogno di evadere potrebbe farsi incontenibile. Se ci fosse sul tavolo una bottiglietta di digitalina, che cosa ci sarebbe di più semplice che somministrarne una dose un po' più abbondante? Che cosa ci sarebbe di più facile che aumentarla un po' alla volta fino a raggiungere quella quantità non eccessiva, ma appena sufficiente per uccidere? Alicia non poteva aver fatto una cosa simile. L'aveva evocata nella mente, con la sua pelle chiara, l'armoniosa curva del petto, gli occhi che le si illuminavano quando rideva... o quando lo guardava. Una volta o due l'aveva toccata più intimamente di quanto la cortesia avrebbe consentito, e aveva avvertito in lei una immediata rispondenza. C'era passione sotto il suo riserbo. Qualcosa in lei, forse una specie di affettazione, un modo di atteggiare la testa gli ricordava Charlotte, non sapeva perché. Qualcosa di indefinibile. E Charlotte poteva avere passioni così forti da essere indotta a uccidere. Di questo era sicuro, come della propria immagine riflessa nello specchio. Gli scrupoli morali avrebbero potuto trattenerla, ma non l'indifferenza. Era possibile che Alicia avesse davvero ucciso Augustus... e che la vecchia signora lo sapesse? In tal caso, allora anche lui era coinvolto, ne era stato l'elemento catalizzatore. Aveva sciolto lentamente il nodo della cravatta, togliendosi la giacca nera. Se le cose stavano in quei termini, ed era possibile, allora sarebbe stato meglio per tutti, e specialmente per Alicia, che lui quel giorno non si facesse vedere. La vecchia signora lo avrebbe atteso al varco, pronta a fare qualche osservazione pungente, forse a lanciare accuse. Avrebbe mandato dei fiori... il giorno dopo: fiori bianchi adatti alla circostanza. E poi magari sarebbe andato a farle visita. Nessuno ci avrebbe trovato niente di strano. Si era sfilato i pantaloni, indossando quelli grigi da mattina. Mandò effettivamente dei fiori la mattina dopo e rimase sbalordito dal prezzo. Ma, come il vento gelido all'esterno gli ricordò, si era appena al
primo di febbraio e non c'erano ancora fiori in boccio. Il sole splendeva a tratti e le pozzanghere sulla strada si asciugavano lentamente. Un venditore ambulante fischiettava dietro un carico di cavoli. In una mattinata come quella, il pensiero del funerale e della morte sembrava lontanissimo. La libertà era un bene prezioso e riservato a tutti gli uomini, non qualcosa per cui fosse necessario combattere. Si diresse a passo sostenuto verso il suo club ed era ormai immerso nella lettura del giornale quando una voce lo distolse dai suoi pensieri sonnolenti. — Buongiorno. Dominic Corde, se non sbaglio? Dominic non aveva nessuna voglia di chiacchierare. I gentiluomini non rivolgevano la parola a uno sconosciuto: sapevano come comportarsi, soprattutto se si trattava di qualcuno che si nascondeva dietro un giornale. Dominic sollevò lentamente gli occhi. Era Somerset Carlisle. Lo aveva incontrato soltanto due o tre volte, ma non era un tipo che si potesse dimenticare. — Sì, sono io. Buon giorno, signor Carlisle — rispose freddamente. Stava per ripararsi di nuovo dietro il giornale, ma l'altro gli sedette accanto e gli porse la tabacchiera. Dominic rifiutò: fiutare tabacco gli provocava accessi di tosse. Lo starnutire poteva essere ancora sopportabile: una quantità di gente starnutiva quando fiutava tabacco. Ma stare lì seduto a tossire, con gli occhi che lacrimavano, non era una cosa gradevole. — No, grazie. Carlisle mise via la tabacchiera rinunciando lui stesso a fiutare. — Il tempo è molto migliorato, non le pare? — osservò. — Molto — gli fece eco Dominic, continuando a tenere stretto il giornale. — Ci sono novità? — chiese Carlisle. — Che cosa sta succedendo in Parlamento? — Non ne ho idea. — Dominic non si era mai interessato a quello che accadeva in Parlamento. Il governo era necessario, ogni uomo lo sapeva, ma era anche una cosa terribilmente noiosa. — Non ne ho proprio nessuna idea. Carlisle parve sconcertato, almeno nei limiti in cui la cortesia lo consentiva. — Ma lei non è un amico di Lord Fleetwood? Dominic ne fu lusingato: amico gli pareva un po' eccessivo, ma si era effettivamente trovato con lui qualche volta negli ultimi tempi. Amavano entrambi cavalcare e guidare un tiro di cavalli. Dominic aveva forse meno
coraggio di Fleetwood, ma anche maggiore destrezza. — Sì — ammise cauto, non sapendo perché glielo avesse chiesto. Carlisle sorrise, sistemandosi comodamente nella poltrona e allungando le gambe. — Pensavo che Fleetwood avesse parlato di politica con lei. Il suo amico potrebbe avere un ruolo molto importante alla Camera dei Lord, se volesse. Ha un enorme seguito tra i giovani. Dominic era sorpreso. Non avevano mai parlato di cose più serie dei cavalli e, in qualche occasione, di donne. Ma pensandoci meglio, si ricordò che Fleetwood aveva una volta accennato ad amici titolati. Se fossero poi assidui alle riunioni della Camera era tutto un altro discorso. Metà dei Pari d'Inghilterra non si faceva mai vedere. Carlisle rimaneva in attesa. — No — rispose Dominic. — Per lo più parliamo di cavalli. Non penso che si interessi molto di politica. Il volto di Carlisle ebbe soltanto un impercettibile guizzo. — Temo che non si renda conto delle sue possibilità. — Sollevò la destra e fece segno a uno dei camerieri del club. Quando l'uomo si avvicinò, si rivolse di nuovo a Dominic. — Mi farebbe compagnia per il lunch? C'è un nuovo cuoco che è molto bravo e non ho ancora assaggiato la sua specialità. Dominic avrebbe voluto mangiare qualcosa in pace, un po' più tardi, ma Somerset Carlisle era gentile, e poi era un amico di Alicia. A parte questo, naturalmente, un gentiluomo non rifiutava mai un invito senza una valida ragione. — Volentieri — rispose. — Bene. — Carlisle si rivolse al cameriere con un sorriso. — Ci avverta quando lo chef è pronto, Blunstone. E mi porti ancora di quel chiaretto, lo stesso dell'ultima volta. Il bordeaux era imbevibile. Blunstone si inchinò e si allontanò con un mormorio di assicurazione. Carlisle lasciò che Dominic continuasse a leggere il giornale, finché il lunch non fosse servito. Poi passarono nella sala da pranzo e stavano gustando un'oca arrosto riccamente farcita e con contorno di verdure, di frutta e di una delicata salsa, quando Carlisle riprese il discorso. — Che ne pensa di lui? — chiese aggrottando le sopracciglia. Dominic aveva perso il filo del discorso e chiese: — Di chi? Di Fleetwood? — No, dello chef. — Oh, eccellente. — Dominic aveva la bocca piena e non gli fu facile rispondere nei debiti modi. — Sì, davvero eccellente. Devo venire a man-
giare più spesso, qui. — E un posto accogliente — convenne Carlisle, guardandosi intorno nell'ampia stanza dai tendaggi di velluto scuro, i caminetti di Adams su due lati, con il fuoco acceso in ognuno di essi. Le pareti azzurre erano adorne di ritratti dipinti da Gainsborough. Era una definizione in qualche modo inadeguata. C'erano voluti tre anni perché Dominic riuscisse a farsi accettare come membro, e non gli faceva piacere che la sua conquista venisse presa così alla leggera. — Molto più che accogliente, direi. — Nella sua voce c'era una punta di irritazione. — Tutto è relativo. — Carlisle prese con la forchetta un altro pezzetto di oca. — Suppongo che a Windsor si mangi meglio. — Mandò giù il boccone e bevve un sorso di vino. — E d'altra parte ci sono migliaia di persone nelle case popolari e nelle catapecchie, a poca distanza da dove ci troviamo, che considerano una leccornia i topi bolliti... A Dominic l'oca andò di traverso. Gli parve di soffocare. La stanza ondeggiò davanti ai suoi occhi e per un momento ebbe il timore di mettersi a vomitare a tavola. Gli ci vollero parecchi secondi per ricomporsi, per passarsi sulla bocca il tovagliolo e ricambiare lo sguardo curioso di Carlisle. Non sapeva proprio che cosa dirgli. Quell'uomo era semplicemente assurdo. — Chiedo scusa — disse l'altro, disinvolto. — Non si dovrebbe mai rovinare un eccellente pasto parlando di politica. Dominic fu preso completamente alla sprovvista. — Politica? — balbettò. — Sì, una cosa sgradevole — convenne Carlisle. — È molto più divertente parlare di corse di cavalli o di moda. Ho notato che il suo amico Fleetwood ha adottato un nuovo taglio di giacca. È un taglio che dona molto, non crede? Devo vedere se riesco a ottenere dal mio sarto qualcosa del genere. — Ma che diavolo sta dicendo? — chiese Dominic. — Lei ha parlato di topi, poco fa. Ho sentito bene, ne sono certo. — Forse avrei dovuto parlare di case di lavoro. — Carlisle soppesava le parole. — O di leggi per i bambini indigenti. È difficile sapere che cosa si può fare in quel campo. Intere famiglie nelle case di lavoro: bambini insieme a vagabondi di ogni risma, nessuna istruzione, soltanto lavoro dall'alba al tramonto... ma sempre meglio che morire di fame, o di freddo. Non ha avuto mai occasione di vedere quelli che vivono nelle case di lavo-
ro? Riesce a immaginare quale terribile effetto possono avere su un bambino di quattro o cinque anni? E poi le malattie, la mancanza d'aria, la malnutrizione... Dominic si ricordò della sua infanzia: una bambinaia, di cui aveva un ricordo che si confondeva, nella sua mente, con quello della madre; budini di riso, che non poteva sopportare, e tè nel pomeriggio con marmellate per lo più di lamponi. Ricordò le canzoni intorno al pianoforte, le palle di neve, le partite di cricket in pieno sole, le prugne rubate, le finestre rotte e le bacchettate per qualche marachella. — Ma è una cosa ridicola — ribatté seccamente. — Le case di lavoro dovrebbero essere un rifugio per quelli che non trovano un'occupazione regolare. Sono istituzioni caritatevoli che fanno capo alle parrocchie. — Oh, molto caritatevoli. — Carlisle fissò con occhi fiammeggianti il volto di Dominic. —Bambini di tre o quattro anni che vivono insieme ai rifiuti della società, che imparano sin dalla nascita a conoscere la disperazione, se non muoiono prima per i cibi guasti, per l'aria infetta, per le malattie contagiose... — Be', tutto questo dovrebbe essere stroncato — ribatté Dominic con forza. — Quei posti andrebbero risanati. — Naturalmente — convenne Carlisle. — E poi? Se non vanno a scuola, non imparano mai a leggere e a scrivere. Come fanno a uscire dal circolo vizioso vagabondaggio-casa di lavoro e viceversa? Che cosa possono fare? Battere il marciapiede d'estate e d'inverno? Tirare avanti finché riescono ad adescare qualcuno e poi ritornare in quei posti di sfruttamento? Lo sa lei quanto guadagna una donna per cucire una camicia, completa di costure, polsini, colletto, asole e quattro file di piegoline sul davanti? Dominic pensò al prezzo delle sue camicie. — Due scellini? — buttò lì tenendosi piuttosto basso, dal momento che Carlisle aveva lasciato intendere che il prezzo era misero. — Dovrebbe cucirne almeno dieci, per quel prezzo. — Ma allora come fanno a vivere? — L'oca sul piatto di Dominic si stava raffreddando. Carlisle alzò le mani. — Molte di loro fanno le prostitute di notte per dar da mangiare ai figli e poi, quando i figli sono abbastanza grandi, lavorano anche loro... e non hanno altra alternativa che la casa di lavoro. Così il circolo vizioso ricomincia. — E i loro mariti? Alcune saranno certamente sposate. — Dominic continuava a cercare una ragione, qualcosa di concreto che potesse giustificare
la situazione. — Ah, sì, alcune sono sposate. Ma costa meno far lavorare una donna che un uomo. Le donne non si pagano molto. Così gli uomini non trovano lavoro. — Questa è... — Dominic cercò la parola senza riuscirci. Fissò Carlisle dall'altra parte del tavolo. — Politica. — Carlisle completò la frase, riprendendo di nuovo la forchetta. — E istruzione. — Come può continuare a mangiare? — chiese Dominic. Mangiare gli sembrava un'indecenza, ora, se era vero quello che aveva appena sentito. Carlisle portò la forchetta alla bocca continuando a parlare. — Perché, se non mangiassi ogni volta che penso allo sfruttamento del lavoro, ai bambini analfabeti, agli indigenti, ai malati, alla gente povera, sudicia e bisognosa di tutto, non dovrei mangiare mai... E a che cosa servirebbe? Il Parlamento ci vuole. Mi sono candidato una volta e non ce l'ho fatta. Le mie idee erano molto impopolari per quelli che avrebbero dovuto votarmi. La gente che viene sfruttata non vota... donne per lo più, troppo giovani e troppo povere. Ora devo tentare il lavoro di corridoio... la Camera dei Lord, gente come St. Jermyn con il suo progetto di legge, il suo amico Fleetwood. Quelli se ne infischiano dei poveri, probabilmente non ne hanno mai visto uno in vita loro. Ma bisogna interessarli a una causa... una causa è sempre importante. Dominic allontanò il piatto. Se tutto quello era vero, e non un discorso melodrammatico al solo scopo di far colpo, allora qualcosa andava fatto da gente come Fleetwood. Carlisle aveva perfettamente ragione. Bevve il vino che gli rimaneva e ne apprezzò il gusto pulito: aveva bisogno di sciacquarsi la bocca dopo il cattivo sapore che gli era rimasto sulla lingua. Avrebbe preferito non aver incontrato Somerset Carlisle: non era corretto invitare a colazione una persona e poi fare quei discorsi. Erano pensieri dai quali era impossibile liberarsi. I superiori di Pitt avevano intanto richiamato la sua attenzione su un caso di malversazione in uno studio legale. Stava ora rientrando alla stazione di polizia, dopo aver trascorso una giornata a interrogare impiegati e funzionari e a leggere montagne di documenti, quando sulla porta gli si fece incontro un agente di polizia con gli occhi sbarrati. Pitt aveva freddo ed era stanco: i suoi piedi erano bagnati fradici. Non desiderava altro che tornare a casa a mangiare qualcosa di caldo e a sedersi vicino al fuoco con Char-
lotte e parlare di qualsiasi cosa, purché non avesse niente a che fare con la polizia. — Che c'è? — chiese stancamente. L'agente si torceva le mani per l'ansia e l'eccitazione. — È accaduto di nuovo — esclamò con voce rauca. Pitt capì, ma preferì prolungare l'attesa. — È accaduto che cosa? — Cadaveri, ispettore. È stato trovato un altro cadavere. Un altro che è stato dissepolto, voglio dire. Pitt socchiuse gli occhi. — Dove? — Nel parco, ispettore. Nel St. Bartholomew's Green, ispettore. Non è proprio un parco, soltanto una striscia di prato con qualche albero e un paio di panchine. Il corpo è stato trovato su una delle panchine, seduto là come un pupazzo... ma morto, naturalmente, morto stecchito. E morto da parecchio, direi. — Che aspetto ha? — chiese Pitt. L'agente fece una smorfia. — Orribile, ispettore, proprio orribile! — Naturalmente — lo rimbeccò Pitt, la cui pazienza era ormai ridotta al minimo. — Ma era vecchio, giovane, alto, basso? Andiamo, giovanotto, lei è un poliziotto, non un romanziere da quattro soldi. Che razza di descrizione è la parola "orribile"? L'agente si fece tutto rosso. — Grande e grosso, ispettore, con capelli e grossi favoriti neri. Indossava una specie di giacca di seconda mano che non sembrava fatta per lui. Non come si vestirebbe un gentiluomo, ispettore. — Grazie — replicò Pitt asciutto. — Dov'è? — All'obitorio, ispettore. Pitt uscì di nuovo. Percorse i pochi isolati che lo separavano dall'obitorio con la testa bassa per proteggersi dalla pioggia, mentre si scervellava per trovare una possibile risposta a quei fatti sgradevoli e apparentemente privi di senso. Chi diavolo se ne andava in giro a disseppellire morti... e, soprattutto, perché? Quando arrivò all'obitorio, il custode era euforico come sempre, malgrado fosse afflitto da un forte raffreddore. Accompagnò Pitt e sollevò di scatto il lenzuolo, con il gesto di un mago del music hall che fa spuntare dal nulla una cucciolata di conigli. Come l'agente aveva detto, il cadavere era quello di un uomo robusto di mezza età, con capelli e grossi favoriti neri.
Pitt fece una smorfia — William Wilberforce Porteous, immagino — disse, di cattivo umore. 6 Non c'era altro da fare per Pitt che tornare a casa. Dopo aver ringraziato il custode dell'obitorio, si girò e uscì fuori di nuovo nella pioggia. Gli ci volle una mezz'ora di cammino a passo sostenuto, prima di svoltare finalmente all'angolo della sua strada, e cinque minuti più tardi era seduto davanti alla stufa in cucina, con lo sportello aperto per lasciarne uscire tutto il calore, i pantaloni rimboccati e i piedi immersi in una bacinella di acqua calda. Charlotte era in piedi accanto a lui con un asciugamano pronto. — Sei tutto bagnato — osservò esasperata. — Dovresti comprarti un altro paio di stivali. Ma dove sei stato? — All'obitorio. — Pitt mosse lentamente gli alluci nell'acqua, lasciando che la sensazione di sollievo gli pervadesse tutto il corpo. L'acqua era calda: gli pizzicava la pelle e scioglieva i muscoli irrigiditi con una carezza quasi dolorosa. — Hanno trovato un altro cadavere. Lei lo fissò con l'asciugamano appeso al braccio. — Vuoi dire che un altro cadavere è stato dissepolto? — chiese incredula. — Sì, morto da tre o quattro settimane, mi sembra. — Oh, Thomas... — Gli occhi di Charlotte erano terrorizzati. — Ma che razza di persona può essere quella che dissotterra i morti e poi li lascia seduti sulle carrozze o nelle chiese? E perché lo fa? Non c'è nessun senso in una cosa simile. — Il suo volto tutto a un tratto si sbiancò per un nuovo pensiero che le aveva attraversato la mente. — O dubiti forse che si tratti di diverse persone? Sai che cosa penso? Se Lord Augustus è stato assassinato, o qualcuno pensa che sia stato assassinato, e lo tira fuori dalla tomba per attirare l'attenzione della polizia, allora chiunque sia stato a ucciderlo disseppellisce questi altri morti che nemmeno conosce per sviare le indagini. Pitt alzò lentamente gli occhi verso di lei, dimenticando del tutto l'acqua calda. — Lo sai che cosa stai dicendo? — chiese fissandola. — Questo significa Dominic, o Alicia, o tutti e due. Per alcuni istanti lei non disse nulla. Gli passò l'asciugamano e Pitt si asciugò i piedi. Poi lei prese la bacinella e versò l'acqua nel lavello. — Non ci credo — disse continuando a volgergli le spalle. Non c'era sgomento nella sua voce, gli sembrava: soltanto perplessità e una certa
sorpresa. — Vuoi dire che Dominic non sarebbe capace di commettere un assassinio? — chiese Pitt. La sua domanda voleva essere distaccata, ma tradiva una certa tensione, aggravata da vecchi timori. — Certo, non lo credo capace di una cosa simile. — Charlotte asciugò la bacinella e la rimise a posto. — Ma anche se avesse ucciso qualcuno, sono certa che non disseppellirebbe mai altri cadaveri, lasciandoli in giro per coprire il suo assassinio. A meno che sia cambiato molto di più di quanto io penso che la gente possa cambiare. — Forse Alicia lo ha cambiato — suggerì Pitt ma nemmeno lui credeva a una tale possibilità. Si aspettò che lei obiettasse che Alicia poteva essersi servita di qualcun altro. Aveva abbastanza soldi per farlo. Ma Charlotte non disse nulla. — Lo hanno trovato nel parco. — Pitt tese la mano per prendere i calzini asciutti, mentre lei li ritirava dallo stenditoio. — Seduto su una panchina — aggiunse. — Da come me lo hanno descritto, dovrebbe essere il cadavere che è stato portato via dalla tomba la settimana scorsa, quello di William Wilberforce Porteous. — Ha qualcosa a che fare con Dominic e Alicia o con chiunque altro di Gadstone Park? — chiese Charlotte ritornando alla stufa. — Vuoi una tazza di brodo caldo, prima di mangiare? Sollevò il coperchio della pentola e un delicato odore solleticò le narici di Pitt. — Sì, grazie. Che cosa c'è da mangiare? — Pudding di manzo e rognoni. — Prese un piatto fondo e un mestolo e gli versò il brodo, pieno di porri e di orzo. — Bada che è bollente. Pitt sorrise alla moglie e prese il piatto tenendolo in equilibrio sulle ginocchia. Charlotte aveva ragione, era veramente bollente. Mise un tovagliolo sotto il piatto. — No, non ha niente a che fare con la gente di Gadstone Park, per quanto ne sappia — replicò. — Dove abitava? — Charlotte sedette di fronte a lui e rimase in attesa che finisse il brodo, prima di tirar fuori dalla stufa il pudding e la verdura. Le ci era voluto parecchio tempo prima di imparare a cucinare bene senza spendere molto e le faceva piacere contemplare i risultati. — Appena fuori da Resurrection Row — rispose, col cucchiaio a mezz'aria. Lei aggrottò le sopracciglia, perplessa. — Pensavo che quella fosse una
zona piuttosto... misera. — Lo è. Misera e un po' squallida. Da quanto mi risulta, devono esserci almeno due bordelli. Molto ben camuffati, ma non c'è nessun dubbio sulla loro natura. E c'è anche un'agenzia di prestiti su pegni, dove abbiamo trovato oggetti rubati in quantità maggiore del solito. — Be', non può avere niente a che fare con Dominic e tanto meno con Alicia — disse Charlotte con convinzione. — Dominic potrebbe essere stato in uno di quei posti. Anche i gentiluomini qualche volta si lasciano andare a fare le cose più strane... — Specialmente i gentiluomini — la interruppe Pitt. Lei ignorò la nota di sarcasmo nelle parole del marito. — Ma è escluso che Alicia ne abbia mai sentito parlare. — Davvero? — Pitt non ne era proprio sicuro. Charlotte lo fissò pazientemente e per un momento furono tutti e due consci dell'abisso sociale che separava le loro origini. Scosse la testa ripetutamente. — Le ragazze, i cui genitori hanno pretese nobiliari, reali o immaginarie, sono di gran lunga più protette... molto meno libere di quanto tu possa immaginare. Papà non mi ha mai permesso di leggere il giornale. Io lo prendevo di soppiatto dalla dispensa del maggiordomo, ma Emily e Sarah si guardavano bene dal farlo. Papà considerava sconveniente per le giovani signore qualsiasi argomento che si prestasse a discussioni o minimamente scandaloso. — Lo so che... — cominciò Pitt. — Pensi che papà fosse diverso dagli altri? — Charlotte scosse di nuovo il capo e con maggiore forza. — No, non era diverso. Non era più rigoroso e protettivo di altri genitori. Le donne potevano essere informate sulle malattie, sul parto, sulla morte, sulla noia o sulla solitudine, ma non dovevano sapere niente che potesse essere oggetto di discussione, di polemica... la povertà vera, le malattie endemiche o i delitti... e, soprattutto, il sesso. Non si doveva prendere in considerazione niente che potesse turbare, generare dubbi o desideri di cambiamenti. Pitt la osservò sorpreso. Era un lato della personalità di Charlotte che scopriva per la prima volta. — Non immaginavo che potessi essere così indignata, a questo proposito — disse lentamente, posando il piatto sulla tavola. — E tu non sei indignato? — gli chiese con aria di sfida. — Lo sai quante volte torni a casa e mi parli delle tragedie alle quali hai assistito e che non si sarebbero mai dovute verificare? Sei stato tu a insegnarmi che, die-
tro le strade eleganti, ci sono catapecchie dove la gente muore di fame e di freddo, dove c'è sudiciume, dove ci sono topi e malattie, dove i bambini imparano a rubare per sopravvivere, appena sono in grado di camminare. Io non ci sono mai stata, ma so che quei posti esistono e ne posso sentire l'odore sui tuoi vestiti, quando torni a casa la sera. È un odore inconfondibile. Pitt pensò ad Alicia nei suoi indumenti di seta. Charlotte era stata come lei, quando l'aveva conosciuta. — Mi dispiace — le disse semplicemente. Lei aprì lo sportello del forno con un panno e tirò fuori il pudding. — Non fa niente — ribatté bruscamente. — Sono una donna, non una bambina, e posso conoscere il mondo esattamente come te. Che cosa pensi di fare a proposito di quel Porteous? — Prese il coltello e lo affondò nel pudding: la spessa crosta era scura e il sugo ne sprizzò fuori, quando ne prese una fetta. A dispetto di tutte le catapecchie di Londra, a Pitt venne l'acquolina in bocca soltanto a sentirne l'odore. — Bisognerà accertarsi che sia proprio Porteous — rispose. — Poi vedere di che cosa è morto e se c'è qualcuno che può identificarlo. Charlotte servì le carote e i cavoli. — Se quel poveretto è Porteous, di chi era, allora, il primo cadavere, quello della carrozza? — Non ne ho idea. — Sospirò e prese il piatto che lei gli porgeva. — Potrebbe essere chiunque. La mattina seguente, Pitt rivolse la sua attenzione al cadavere non identificato. Non ci sarebbe stata nessuna soluzione dell'intera faccenda finché non si fossero conosciuti il nome e la causa della morte. Forse era lui che era stato assassinato e Lord Augustus aveva avuto solo la funzione di paravento, di falsa pista, per sviare le indagini della polizia. Ma si poteva anche pensare che tutti e due fossero implicati in chissà quale storia. Ma che affari potevano accomunare Lord Augustus Fitzroy-Hammond e William Wilberforce Porteous di Resurrection Row... fino al punto da provocarne l'assassinio? E chi era l'uomo della carrozza? E chi è che li ha disseppelliti tutti? Il primo passo era quello di scoprire la vera causa della morte dell'uomo della carrozza. Se si era trattato di un assassinio, questo avrebbe gettato una luce del tutto nuova sulla vicenda di Lord Augustus. Se, invece, la morte era stata del tutto naturale, si era trattato allora di una regolare tumulazione, ma dov'era la tomba vuota, e perché non era stata segnalata?
Presumibilmente era stata chiusa di nuovo. Ma le morti naturali venivano certificate da un medico. Stabilita la causa, le indagini avrebbero potuto prendere in esame tutti i decessi dovuti a quella stessa causa in un certo arco di tempo. In seguito, il numero dei casi da prendere in considerazione si sarebbe ristretto e si sarebbe finito con l'individuare quello giusto. Gli investigatori avrebbero così potuto disporre di un nome, di una persona e di una storia. Appena arrivò alla stazione di polizia, Pitt chiamò il suo sergente per scaricargli il caso di malversazione a cui stava lavorando e salì al piano superiore per chiedere di autorizzare l'autopsia di un cadavere non identificato. Nessuno fece obiezione. Dal momento che non si trattava di Lord Augustus e nessun altro si era fatto avanti per reclamare il corpo, doveva essere presa in considerazione la possibilità di un assassinio. L'autorizzazione venne concessa immediatamente. Il secondo passo fu tutt'altro che gradevole: bisognava accertarsi che l'ultimo cadavere all'obitorio fosse davvero quello di William Wilberforce Porteous, anche se Pitt non aveva nessun dubbio in proposito. Si rimise cappello e cappotto e uscì nella pioggia intermittente e prese l'omnibus per Resurrection Row. Proseguì a piedi per un centinaio di metri e poi svoltò a destra e cercò il numero 10, dove abitava la signora Porteous. Era una delle case più grandi, un po' malridotta all'esterno, ma con delle belle tende bianche alle finestre e i gradini dell'ingresso a cui era stata data una mano di bianco. Tirò il campanello e si trasse indietro. — Desidera? — Una robusta ragazza vestita di nero e con un grembiule bianco inamidato aprì la porta e lo fissò con aria inquisitrice. — È in casa la signora Porteous? — chiese Pitt. — Ho delle notizie che riguardano il suo defunto marito. — Sapeva che se avesse dichiarato di essere della polizia, tutta la strada ne sarebbe stata immediatamente informata, e di bocca in bocca lo scandalo si sarebbe sempre più ingrossato. La ragazza rimase a bocca aperta. — Oh, sì, signore. Si accomodi. Se vuole avere la cortesia di aspettare nel salotto, corro a informare la signora Porteous che lei è qui. Che nome devo annunciare? — Pitt. — Bene, signore — disse la ragazza, e scomparve. Pitt sedette. Nella stanza c'erano una gran quantità di mobili, fotografie e soprammobili, un ricamo con la scritta "Temi il Signore e fa' il tuo dovere", tre uccelli impagliati e una donnola sotto vetro pure impagliata, una composizione di fiori secchi e due grosse piante verdi in vaso. Fu preso da
un acuto senso di claustrofobia. Ebbe quasi l'impressione che tutte quelle cose fossero vive e che, se non fosse stato attento, gli si sarebbero avvicinate sempre di più in atteggiamento minaccioso, come se un intruso avesse invaso il loro territorio. Alla fine, preferì restare in piedi. La porta si aprì ed entrò la signora Porteous, stretta nel busto come la volta precedente, i capelli perfettamente pettinati, le guance imbellettate. Il suo petto era ornato da molte file di perle nere lucenti. — Buon giorno, signor Pitt — disse ansiosa. — La cameriera mi ha detto che lei ha notizie di mio marito. — Sì, signora. Lo abbiamo trovato, credo. È all'obitorio, e se lei volesse essere così gentile da venire a identificarlo, potremo esserne sicuri e disporre per la sua tumulazione... — Non posso fargli un secondo funerale — esclamò la donna allarmata. — Non sarebbe opportuno. — Naturalmente — convenne Pitt. — Soltanto la tumulazione, ma prima dobbiamo essere sicuri che si tratti proprio del cadavere di suo marito. La signora Porteous si fece portare dalla cameriera il soprabito e il cappello e seguì l'ispettore fuori nella strada. Continuava a piovigginare e in Resurrection Row chiamarono una carrozza e si diressero in silenzio all'obitorio. Pitt cominciava a sentire una certa distaccata familiarità con quel posto. Il custode aveva sempre il raffreddore e il suo naso era tutto rosso, ma li accolse sorridendo nei limiti in cui la circostanza lo consentiva. La signora Porteous guardò il cadavere e non ebbe bisogno né della sedia né del bicchiere d'acqua. — Sì — mormorò — questo è mio marito. — La ringrazio, signora. Avrei qualche domanda da farle, ma forse preferisce andare in un posto più confortevole... Vuole tornare a casa? La carrozza è ancora a nostra disposizione. — Sì, grazie, se non le dispiace. — Poi, senza nemmeno dare uno sguardo al custode, si girò e aspettò che Pitt le aprisse la porta per uscire, lo precedette lungo il vialetto e salì di nuovo in carrozza. Seduta nel salotto della sua casa, la signora Porteous ordinò alla cameriera di portare del tè e si rivolse a Pitt, con le mani incrociate in grembo e le perle nere che scintillavano alla luce della lampada. In una giornata tetra come quella, era impossibile vedere distintamente all'interno della casa senza le lampade accese. — Bene, signor Pitt, che cosa vorrebbe chiedermi? Quello è mio marito.
Che altro c'è da sapere? — Com'è morto, signora? — Di morte naturale. Nel suo letto. — E qual è stata la causa della sua morte? — Formulò la domanda con chiarezza, ma senza offenderla o turbarla più del necessario. Sotto un notevole autocontrollo, la signora Porteous poteva anche nascondere profonde emozioni. — Disturbi intestinali. Ci sarà senz'altro un nome, ma io non lo so. È stato ammalato per qualche tempo. — Capisco. Chi era il suo dottore? Lei lo fissò accigliata. — Il dottor Hall... ma non riesco a capire perché vuol saperlo. Non penserà che sia stato il dottor Hall a disotterrarlo... — No, naturalmente no. — Non riusciva a farle capire che la stava interrogando sulla causa della morte del marito. — È proprio per scoprire chi è stato che abbiamo bisogno di tutte le informazioni possibili. — E spera di scoprirlo? — Era ancora perfettamente padrona di sé. — No — ammise francamente Pitt. — Ma non è il solo caso di violazione di tombe e qualunque cosa i vari casi abbiano in comune può esserci di aiuto. — Non è l'unico caso? — Era sconcertata, ora. — Lei pensa che la dissacrazione della tomba di mio marito sia in qualche modo collegata con le altre di cui tutti parlano? Dovreste vergognarvi, voi della polizia, di lasciare che accadano cose simili a Londra a gente perbene. Perché non fate il vostro dovere? Vorrei proprio saperlo. — Non so se c'è un nesso tra i vari casi, signora — replicò pazientemente Pitt. — È proprio ciò che sto cercando di stabilire. — È opera di un pazzo — disse lei con forza. — E se la polizia non riesce a catturare un pazzo, non so proprio dove si andrà a finire. Mio marito era un uomo rispettabilissimo e non si è mai immischiato con gente di malaffare. Aveva guadagnato onestamente ogni centesimo che possedeva. Non ha mai giocato d'azzardo in vita sua. — Forse non c'è nessun nesso, a parte il periodo in cui è morto — disse stancamente Pitt. — Anche Lord Augustus Fitzroy-Hammond era un uomo rispettabile. — Ma mio marito non l'hanno trovato a Gadstone Park. — No, signora, era seduto su una panchina nel St. Bartolomew's Green. Il volto della donna sbiancò. — Sciocchezze — ribatté recisamente. — Mio marito in un posto simile? Non credo che lei sappia che tipo di gente
lo frequenta. Sono certa che si sbaglia. Pitt non si preoccupò di contraddirla: se per lei era importante rimanere aggrappata alle sue velleità sociali, anche dopo la morte del marito, era libera di farlo. C'era una singolare divergenza. Si ricordò degli indumenti piuttosto logori addosso al cadavere. Non era stato sepolto nei suoi abiti migliori. Forse, all'ultimo momento, lei aveva pensato che l'abito nero che gli uomini come lui riservavano ai giorni di festa fosse troppo bello per consegnarlo all'oblio eterno della tomba. In quel momento, lei non si era certamente aspettata che l'oblio eterno durasse così poco. Pitt si alzò. — La ringrazio, signora. Se avrò bisogno di chiederle qualcos'altro, tornerò da lei. — Provvederò perché mio marito sia di nuovo sepolto. — Suonò il campanello per farlo accompagnare alla porta dalla cameriera. — Bisognerà aspettare, signora. Dovremo svolgere ancora delle indagini, temo, prima di autorizzare la sepoltura — si scusò Pitt prevedendo la reazione, della donna. Il volto della signora Porteous si dipinse d'orrore. Quasi balzò su dalla sedia. — Prima, voi della polizia permettete che la tomba di mio marito venga profanata e il suo corpo lasciato in un parco dove... donne di malaffare si vendono al primo che capita. E adesso volete pure indagare sul suo conto. Tutto questo è mostruoso! La gente perbene non è più al sicuro in questa città. Lei disonora la sua... — avrebbe voluto dire "uniforme", ma poi diede un'occhiata al guazzabuglio di colori addosso a Pitt, col cappello ancora gocciolante tra le mani, un'estremità della sciarpa che gli pendeva sul petto, e rinunciò. — Lei è un miserabile! — concluse quasi senza fiato. — Mi dispiace, signora. — Pitt si scusava non per se stesso, ma per l'intera città, per l'intera società che non le lasciava altro che un briciolo di rispettabilità e i suoi fronzoli. Parlò con il dottor Hall e scoprì che Porteous era morto di cirrosi epatica e che quasi certamente aveva frequentato le panchine del St. Bartolomew's Green prima che, per una grottesca coincidenza, il suo cadavere venisse sistemato all'ombra degli alberi, esposto agli adescamenti delle prostitute. Pitt se ne andò chiedendosi che specie di vita potesse essere stata quella che si concludeva in quel modo: quanti fallimenti? quante solitudini? Dominic scacciò dalla mente Somerset Carlisle e quel disgraziato lunch. Era ansioso di rivedere Alicia. La sepoltura era ormai avvenuta e da quel
momento, purché fosse osservato un adeguato periodo di lutto per salvare la forma, avrebbero potuto cominciare a pensare al futuro. Sarebbe stato attento a non urtare la sensibilità di Alicia, parlandone troppo presto, o a essere per lei causa di imbarazzo, ma poteva certamente farle visita e passare un po' di tempo in sua compagnia. E dopo qualche settimana, lei avrebbe potuto cominciare a farsi vedere in giro, non a teatro o ai ricevimenti, ma in chiesa con i familiari o durante una passeggiata in carrozza per prendere aria. Non gli sarebbe dispiaciuto che, per salvare le apparenze, ci fosse anche Verity. Aveva per lei molta simpatia, era un piacere parlarle, e sebbene fosse un tipo riservato, manifestava le proprie opinioni e un pungente senso dell'umorismo. Tutto sommato, Dominic si sentiva di umore eccellente, quando arrivò a Gadstone Park il giovedì mattina e consegnò il suo biglietto da visita alla cameriera. Alicia lo ricevette con gioia, quasi con un senso di sollievo, e passarono insieme un'ora bellissima, parlando del più e del meno, ma col pensiero rivolto a qualcos'altro. Bastava soltanto trovarsi insieme: non aveva nessuna importanza quello che si dicevano. Augustus era completamente dimenticato: le loro menti non erano nemmeno sfiorate dal pensiero delle tombe vuote e dei cadaveri abbandonati qua e là. Lasciò la casa di Alicia prima del lunch, riattraversò a passo svelto Gadstone Park, con il bavero del cappotto alzato contro il vento del nord che in quel momento trovava eccitante e corroborante. A un tratto vide una sagoma che veniva nella sua direzione. C'era qualcosa di familiare nel suo modo di camminare, nelle spalle piuttosto esili, che lo fece esitare e lo indusse persino a considerare per un momento l'eventualità di tagliare attraverso il prato, anche con l'erba alta e bagnata. Ma non riusciva nemmeno a immaginare chi potesse essere. Era troppo ordinato e troppo elegante per essere Pitt, e non abbastanza alto. Soltanto quando gli fu abbastanza vicino da poterne vedere il volto, troppo vicino per cambiare strada senza apparire sgarbato, riconobbe Somerset Carlisle. — Buon giorno — lo salutò senza rallentare il passo. Non aveva nessuna voglia di parlare con quell'uomo. Carlisle si fermò sul vialetto. — Buon giorno — salutò, poi si girò affiancandosi a lui. Se non voleva commettere una imperdonabile villania, Dominic non poteva non accennare un tentativo di conversazione. — Una bella giornata — osservò. — Speriamo che questo vento spazzi
via la nebbia. — Una bella giornata per fare una passeggiata — convenne Carlisle. — C'è un'arietta che stuzzica l'appetito, prima del lunch. — Già — replicò Dominic. Quell'uomo era davvero un insopportabile seccatore. Non sembrava che si rendesse conto di dare fastidio e Dominic non aveva nessuna voglia di sentirsi ricordare il pasto consumato insieme. — Un tranquillo lunch vicino a un bel fuoco — continuò Carlisle. — Avrei proprio voglia di una bella zuppa di verdura, qualcosa di gustoso e raffinato. Non c'era modo di evitarlo. Dominic gli era debitore di un invito a colazione e l'impegno doveva essere onorato, se si frequentava la buona società. Una gaffe del genere sarebbe stata subito notata e la voce si sarebbe propagata come le fiamme di un incendio. — Un'ottima idea — convenne con tutta la cordialità di cui fu capace. — Ed eventualmente una sella di castrato per dopo. Il mio club non è lontano e sarei felice se volesse farmi compagnia. Carlisle sorrise e Dominic ebbe la sgradevole sensazione che ci fosse qualcosa di sospetto in quella faccenda. — Grazie — rispose prontamente. — Mi farebbe molto piacere. Durante il pasto, tutti i timori di Dominic furono fugati. Il lunch si rivelò estremamente gradevole. Carlisle non parlò affatto di politica e si dimostrò una piacevole compagnia. Non fu né troppo riservato, né troppo loquace. Quando parlava lo faceva con vivacità e spesso con arguzia. Dominic ne fu lieto e si ripromise di rinnovare l'invito alla prima opportunità. Era questo il corso dei suoi pensieri quando ritornarono all'aperto. Il vento era più pungente, ora, e cominciava a piovigginare. Carlisle chiamò subito una carrozza e, con grande stupore di Dominic, quindici minuti dopo si ritrovarono in un sudicio vicolo, dove le casupole cadenti si stringevano l'una all'altra come un gruppo di ubriachi, prima di crollare tutti insieme. — Ma dove diavolo siamo? — chiese Dominic allarmato. La strada brulicava di bambini con il naso gocciolante e i vestiti laceri e sporchi. Le donne sedevano sui gradini dei seminterrati con le mani livide per il freddo, davanti a file di scarpe usate e illuminate da un barlume di luce proveniente dai locali al di sotto del livello stradale. L'aria tutto intorno era impregnata da un odore di stantio e di acido che Dominic non riusciva a identificare, ma che rimaneva attaccato alla gola e gli pareva di ingoiare, ogni volta che respirava. — Dove siamo? — chiese di nuovo con crescente irritazione.
— Seven Dials — rispose Carlisle. — Duddley Street, per essere più precisi. Quelle donne vendono scarpe usate. Laggiù... — indicò le stanze al di sotto del livello stradale. — Prendono scarpe vecchie o rubate, le aggiustano utilizzandone le parti che riescono a recuperare e poi le vendono. In altri posti fanno lo stesso con i vestiti. Li scuciono e utilizzano qualsiasi pezzo di stoffa che può essere ancora riutilizzato. Un indumento di lana ricavato dai vestiti vecchi di qualcun altro è preferibile a quello di cotone nuovo, che non protegge abbastanza dal freddo. Dominic rabbrividì. Era tutto uno sfacelo in quella spaventosa strada e lui era livido di rabbia contro Carlisle che lo aveva portato lì. Carlisle non se ne rendeva conto, oppure non gliene importava niente. — Richiami quella carrozza — ringhiò Dominic. — Lei non aveva nessun diritto di portarmi qui. Questo posto è... — Non riusciva a trovare le parole adatte. Si guardò intorno inorridito. Gli pareva di essere schiacciato dal peso di quelle case. Era tutto spaventosamente squallido: il tanfo dei vestiti vecchi e sporchi, il nero della fuliggine e delle lampade a olio, i corpi non lavati e il rancido della cucina del giorno precedente. Tutto questo, in aggiunta alla sella di castrato, era troppo per il suo stomaco. — L'anticamera dell'inferno — osservò tranquillamente Carlisle. — Non parli a voce alta. Questa gente vive qui. Tutto ciò non piace a loro più di quanto non piaccia a lei, ma non hanno altro. Provi a ostentare il suo disgusto e potrebbe anche non uscire di qui immacolato come c'è arrivato... in tutti i sensi. E non è che un assaggio. Dovrebbe vedere Bluegate Fields, giù vicino alla zona portuale, oppure Limehouse, Whitechapel, St. Giles. Venga con me. Possiamo camminare per circa trecento metri lungo quella strada. — Indicò una viuzza. — Sulla piazza in fondo c'è la casa di lavoro, alla quale vorrei che desse un'occhiata. Tanto per averne un'idea. Dopo, forse, sarà il caso di fare una capatina a Devil's Acre, sotto Westminster. Dominic stava per dire che voleva andarsene, poi notò i volti smunti dei bambini che lo guardavano a bocca aperta: piccoli corpi acerbi dalla pelle giovane e dagli occhi vecchi come quelli dei libertini che aveva visto in compagnia di donne di malaffare nei locali notturni di Haymarket. Era la loro rapacità che lo spaventava più di qualsiasi altra cosa. Quella e l'odore che impregnava l'aria. Scorse un moccioso, inseguito da un altro per gioco, passare vicinissimo a Carlisle e, con un movimento leggero, sfilargli il fazzoletto di seta dal taschino e correre via. — Carlisle!
— Lo so — replicò l'altro tranquillamente. — Non si agiti e mi segua. — Quasi con indifferenza s'incamminò lungo la strada, si portò sul marciapiede e poi svoltò nel vicolo. In fondo, dall'altra parte della piazza, si fermò davanti a una grande porta di legno e bussò. Un uomo robusto che indossava una giubba verde venne ad aprire. L'espressione arcigna del volto si trasformò in allarme, ma prima che potesse parlare Carlisle entrò spingendolo dentro. — Buon giorno, signor Eades. Sono venuto a vedere come sta oggi. — Bene, grazie, signore — replicò in atteggiamento difensivo. — Molto gentile da parte sua, signore, dedicarci tanta attenzione. Sono sicuro che il suo tempo è prezioso. — Molto — convenne Carlisle. — Cerchiamo perciò di non sprecarlo. Ci sono stati dei bambini che sono andati a scuola, da quando sono venuto qui l'ultima volta? — Oh, sì. Esattamente quelli che avevamo al momento in cui sono stati iscritti. Può esserne certo, signore. — E quanti sono? — Ah, be'... non mi ricordo esattamente. Come lei sa, qui vengono e vanno a seconda delle necessità. Se non sono qui nel giorno dell'iscrizione alla scuola, allora non ci vanno. — Questo lo so esattamente come lei — ribatté Carlisle con asprezza. — So anche che se ne vanno il giorno prima dell'iscrizione e poi ritornano il giorno dopo. — Be', questa, signore, non è colpa mia. — Lo so che non è colpa sua. — Nella voce di Carlisle c'era rabbia impotente. Si avviò a grandi passi giù per il corridoio umido e senz'aria che portava in uno stanzone, e Dominic fu costretto a seguirlo, anche per non restare solo nel corridoio di pietra, con la pelle che gli si raggrinziva per il freddo. La stanza era ampia e bassa, illuminata dal gas. Una stufa era accesa in un angolo. Circa una cinquantina di uomini, donne e bambini erano seduti a scucire vestiti vecchi, a separare gli avanzi di stoffa, a ritagliarli e a ricucirli di nuovo. L'aria era così fetida che prendeva alla gola e Dominic dovette fare uno sforzo per non vomitare. Carlisle sembrava abituato a quell'atmosfera. Passando su un mucchio di stracci, si avvicinò a una delle donne. — Salve, Bessie — la salutò cordialmente. — Come va, oggi? La donna sorrise mettendo in mostra i denti anneriti e borbottò qualcosa.
Era grossa e sformata e faceva fatica a muoversi. Dominic le avrebbe dato una cinquantina d'anni. Non capì nemmeno una parola di quello che disse. Carlisle lo accompagnò qualche metro più avanti dove, intenti a scucire pantaloni vecchi, c'erano sei o sette bambini, alcuni dei quali non avevano più di tre o quattro anni. — Tre di questi sono figli di Bessie — spiegò Carlisle. — Lavoravano a casa loro, prima che per la costruzione della nuova ferrovia la zona degli slum venisse sgomberata e che fosse abbattuto lo stabile nel quale occupavano una stanza. Il marito e i figli più grandi confezionavano scatole di fiammiferi a due pence e mezzo ogni dodici dozzine, e in più dovevano metterci lo spago e la colla. Bessie stessa lavorava nella fabbrica di fiammiferi Briant & Mays. Perciò parla in quel modo così strano... necrosi dell'osso mascellare, causata dal fosforo dei fiammiferi. Ha appena tre anni più di Alicia Fitzroy-Hammond... Non lo crederebbe, vero? Era troppo. Dominic era sconcertato e sgomento. — Voglio andar via subito di qui — mormorò. — Tutti qui vogliono andar via. — Carlisle abbracciò con un gesto tutta la stanza. — Lei lo sa che un terzo della popolazione di Londra vive in condizioni non migliori di queste, in catapecchie o in case di lavoro? — E che cosa si potrebbe fare? — chiese Dominic disorientato. — È... è... un problema enorme. Io non so... Carlisle parlò ad altre due o tre persone, poi riaccompagnò Dominic nella piazza, accennando, sulla soglia, un freddo saluto al signor Eades. Dopo l'aria viziata all'interno della casa di lavoro, persino la grigia atmosfera piovigginosa, fuori, sembrava più pulita. — Cambiare alcune leggi — rispose Carlisle. — Il più umile impiegato, appena in grado di scrivere e far di conto, è un principe rispetto a questa gente. Dare ai bambini poveri un'istruzione e un mestiere: questa è la soluzione. Non c'è molto da fare per gli adulti, salvo opere di carità, ma possiamo tentare per i loro figli. — Forse. — Dominic doveva sgambettare per tenergli dietro. — Ma perché mostrare proprio a me tutto questo? Io non ho il potere di cambiare le leggi. Carlisle si fermò. Regalò qualche penny a un bambino che chiedeva l'elemosina e lo vide passare i soldi a un vecchio. — Dio mio, chi l'avrebbe mai immaginato? Un uomo che manda in giro il proprio nipotino a chiedere l'elemosina per lui — bisbigliò Dominic. — E quel che è peggio, potrebbe non esserci nessun legame di parentela
tra di loro — rincarò Carlisle riprendendo a camminare. — Forse ha comprato quel bambino. I bambini sono i migliori mendicanti, specialmente se sono ciechi o deformi. Certe donne arrivano persino a storpiarli apposta: così offrono loro maggiori possibilità di sopravvivenza. Ma per rispondere alla sua domanda, lei potrebbe parlarne a gente come Lord Fleetwood e i suoi amici e persuaderli ad andare in Parlamento a votare. Dominic era inorridito. — Non posso andare a raccontare a quella gente cose del genere. Ne sarebbero... — Si rese conto di quello che stava per dire. — Certo — convenne Carlisle. — Ne sarebbero disgustati e offesi. Una cosa davvero ripugnante. Non è certo il tipo di discorso con cui un gentiluomo intratterrebbe i suoi amici. Temo di averle rovinato il lunch, l'altro giorno. Non si gusta con lo stesso piacere un'oca arrosto, quando si pensa a cose simili. E tuttavia lo sa quanto dista Seven Dials dai banchi della chiesa di Gadstone Park? — All'angolo, girarono in un'altra strada e in fondo scorsero una carrozza a nolo. Carlisle allungò il passo e Dominic dovette quasi correre per tenergli dietro. — Se io posso fare la corte a un bastardo come St. Jermyn — continuò Carlisle — perché presenti un progetto di legge, lei non dovrebbe avere difficoltà a prendersi il piccolo fastidio di parlarne a Fleetwood, le pare? Dominic passò una brutta serata e la mattina seguente, quando si svegliò, non si sentiva meglio. Disse al suo domestico di dare una bella pulita a tutti i suoi indumenti e, se non avessero perduto il cattivo odore, di regalarli a chiunque li volesse. Ma niente poteva liberarlo dalle immagini che erano impresse nella sua mente. Per certi versi sentiva di odiare Carlisle per averlo messo di fronte a cose che avrebbe preferito ignorare. Naturalmente, aveva sempre pensato che ci fossero i poveri, ma in realtà non li aveva mai visti prima. In effetti, non si scrutano le facce dei mendicanti nelle strade: non sono che semplici facce, messe lì come i lampioni e le inferriate. Ognuno sembrava assorto nei propri affari e troppo occupato per interessarsi a quella gente. Ma più che la loro vista, era il sapore che gliene era rimasto in bocca, l'odore che gli stagnava alla base della gola e alterava il gusto di tutto quello che mangiava. Era senso di colpa? Aveva preso accordi con Alicia per accompagnarla a sbrigare una commissione a una certa distanza da casa, e aveva preso a nolo una carrozza per l'occasione. Si presentò alle dieci e un quarto e Alicia era lì pronta che
lo aspettava impaziente, sebbene non lo lasciasse trapelare. Anzi, poteva persino illudersi che lui non se ne fosse affatto accorto. Forse dimenticava che Dominic era stato già sposato e che doveva avere una certa pratica di alcuni atteggiamenti femminili. Era vestita di nero e particolarmente elegante, con i suoi capelli lucenti, la carnagione perfetta e delicata. Tutto nella sua persona era impeccabile. Paragonarla in qualche modo con la donna incontrata nella casa di lavoro sarebbe stato impossibile. Alicia aveva continuato a parlargli, ma lui non l'ascoltava. — Non si sente bene? — gli chiese infine. Dominic aveva bisogno di condividere con qualcuno il tumulto di sentimenti che aveva dentro di sé: in realtà, non riusciva a concentrare la sua mente su nient'altro. — Ieri ho incontrato il suo amico Carlisle — disse con voce dura. Alicia parve sorpresa, più per il tono che per la notizia in se stessa. — Somerset? Come sta? — Abbiamo fatto colazione insieme. Poi mi ha letteralmente trascinato nel posto più impressionante che io abbia mai visto in vita mia. Non immaginavo che potesse esistere qualcosa di così spaventoso... — Mi dispiace. — La voce di Alicia era piena di sollecitudine. — Le è successo qualcosa? È certo di star bene, adesso? Posso anche rimandare, non è una cosa urgente. — No, non mi è successo nulla. — La sua voce era più aspra di quanto avesse voluto, ma non riusciva a controllarla. Confusione e rabbia ribollivano dentro di lui. Aveva bisogno di qualcuno che gli offrisse una spiegazione soddisfacente, che gli restituisse quell'ignoranza che era stata fino a quel momento così comoda. Lei evidentemente non capiva. Non aveva mai visto una casa di lavoro in vita sua. Non le era stato mai permesso di leggere i giornali e non aveva mai avuto niente a che fare con il denaro. La governante teneva i conti e suo marito pagava le fatture. Una volta, quando suo padre aveva subito un rovescio negli affari, era stata costretta a contenere le spese destinate ai suoi vestiti. Questa era stata l'unica idea che aveva avuto della povertà in vita sua. Dominic voleva spiegare quello che aveva visto e, soprattutto, quello che sentiva in proposito. Ma le sole parole che avrebbero potuto descriverlo erano sconvenienti. Rinunciò e si sprofondò nel silenzio. Al ritorno, la lasciò a Gadstone Park e poi, avvilito e amareggiato, licen-
ziò la carrozza e rimase seduto davanti al caminetto nella sua casa per un'ora. Infine si alzò di nuovo e chiamò una carrozza. Charlotte aveva scacciato dalla sua mente quella faccenda dei cadaveri. In realtà, aveva troppo da fare per interessarsi ai casi dell'ispettore Pitt, e l'identità di una persona che, per quanto se ne sapesse, era morta di morte naturale non era affar suo. Jemima si era seduta in una pozzanghera e aveva dovuto cambiarla da capo a piedi. E ora era impegnata con un mucchio di biancheria più abbondante del solito, e stirare non era un'occupazione che gradisse particolarmente. Si allarmò quando sentì suonare il campanello della porta, perché non aspettava nessuno. Raramente veniva gente a quell'ora. Erano tutti impegnati nel loro lavoro o a preparare da mangiare. La sua sorpresa fu ancora maggiore quando vide Dominic ritto sulla soglia. — Posso entrare un momento? — chiese prima che lei potesse dire qualcosa. Charlotte spalancò la porta. — Naturalmente. Che cos'è successo? Hai un aspetto... — voleva dire "orribile", ma poi ci ripensò. — Mi sembra che tu non stia bene. Dominic entrò nell'anticamera, passandole davanti, e lei chiuse la porta e lo accompagnò anche questa volta in cucina. Jemima in un angolo giocava nel suo box. Dominic sedette sulla sedia di legno vicino al tavolo. La stanza era calda e il legno ben lavato mandava un buon odore. C'erano lenzuola appese allo stenditoio fissato al soffitto e osservò con curiosità la corda e le pulegge per tirarle su e giù. Il ferro da stiro era stato messo a riscaldare sulla stufa. — Ti ho interrotto nel tuo lavoro — disse senza muoversi. — No, non mi hai interrotta. — Charlotte gli sorrise e prese il ferro per ricominciare a stirare. — Che cosa c'è? Dominic era irritato con se stesso per essere così trasparente. Charlotte lo stava trattando come un bambino. Ma aveva troppo bisogno di essere rassicurato per risentirsi. — Un certo Carlisle ieri mi ha portato a vedere una casa di lavoro, a Seven Dials. C'erano cinquanta o sessanta persone pigiate in una sola stanza, tutte che scucivano vestiti vecchi per metterne insieme altri da vendere. Persino bambini. Una vera indecenza... Charlotte si ricordò la rabbia che aveva provato, quando Pitt aveva accennato la prima volta agli slum e alle squallide case popolari, nel periodo
in cui lei viveva a Cater Street e si considerava molto bene informata, solo perché di tanto in tanto dava un'occhiata ai giornali. Era rimasta contrariata dal fatto che non ne avesse mai saputo niente prima ed era arrabbiata, soprattutto con Thomas, perché lui l'aveva sempre saputo e si era ben guardato dal turbare con quelle brutture il mondo sereno in cui lei viveva. Non c'era niente di confortante da dire. Continuò a stirare la camicia. — Sì, è un'indecenza — convenne. — Ma perché ti ci ha portato... questo signor Carlisle? — Perché vuole che io ne parli a un mio amico, che siede nella Camera dei Lord, per convincerlo a essere presente, quando il progetto di legge di St. Jermyn sarà discusso. Lei si ricordò di quello che zia Vespasia aveva detto e capì immediatamente di che cosa si trattava. — E lo farai? — Per carità, Charlotte — ribatté esasperato. — Non si può andare da una persona, con la quale si parla soltanto di corse di cavalli, e dire: "A proposito, vorrei che lei fosse presente alla Camera dei Lord, quando verrà discusso il progetto di legge di St. Jermyn, perché le case di lavoro sono una vera indecenza e i bambini devono andare a scuola. C'è bisogno di una legge che preveda l'assistenza e l'istruzione dei bambini poveri di Londra. Perciò si dia da fare e faccia votare tutti i suoi amici". Impossibile. Non posso fare una cosa simile... — Peccato. — Charlotte non alzò gli occhi dal suo lavoro. Le dispiaceva per lui. Sapeva quanto era difficile, se non impossibile, costringere la gente a pensare a cose non gradite, specialmente a quelle che generano disagio e turbamento, inducendo a dubitare dell'ordine naturale delle cose. Ma non gli avrebbe certo detto che lui non aveva nessun obbligo di occuparsene. E se anche gliel'avesse detto, non sarebbe riuscita a convincerlo. Aveva visto le strade di Seven Dials e ne aveva sentito l'odore, e non c'erano parole che avrebbero potuto cancellare quel ricordo dalla sua mente. — Peccato? — ribatté lui furioso. — Peccato? È tutto quello che riesci a dirmi? Ma non ti ha mai detto Thomas che razza di posti sono? È una situazione indescrivibile... il sudiciume e la disperazione ti prendono alla gola. — Lo so — disse lei, serena. — E ci sono posti ancora peggiori delle case di lavoro, posti in mezzo alle catapecchie che nemmeno Thomas si sentirebbe di descrivere. — Te ne ha parlato? — Sì, ma non mi ha detto tutto.
Dominic fece una smorfia e abbassò gli occhi sul ripiano bianco del tavolo. — È una cosa terribile. — Vuoi mangiare qualcosa? — Ripiegò la camicia e la mise via, poi ripiegò anche il tavolo da stiro. — C'è soltanto pane e minestra, ma se vuoi farmi compagnia mi farà piacere. Improvvisamente l'abisso si aprì e lui si rese conto di averle parlato come se entrambi fossero ancora a Cater Street, nello stesso stato di benessere. Aveva dimenticato che il suo mondo era diverso da quello di lei, quanto quello di lei era diverso da Seven Dials. Provò sul momento un forte senso di disagio per la propria mancanza di tatto. Osservò Charlotte che prendeva due piatti puliti dalla credenza e li metteva sul tavolo, poi il pane e infine il tagliere e il coltello. — Sì, grazie — rispose. — Volentieri. Charlotte tolse il coperchio dalla pentola sulla stufa e scodellò la minestra nei due piatti. — E Jemima? — chiese lui. Charlotte si mise a sedere. — Ha già mangiato. Che cosa pensi di fare a proposito della richiesta del signor Carlisle? Dominic ignorò la domanda. Sapeva quale sarebbe stata la risposta, ma per il momento non voleva pensarci. — Ho cercato di parlarne ad Alicia. — Prese una cucchiaiata di minestra. Era molto gustosa, e il pane era fresco e croccante. Non aveva mai immaginato che Charlotte sapesse fare il pane. Eppure doveva aver imparato. — È stato un errore. — Lo guardò fisso. — Non puoi descrivere a parole queste cose e aspettarti che la gente capisca e provi quello che provi tu. — Hai ragione... lei non ha capito. Non ha dato molto peso alla cosa, come se si fosse trattato di un qualsiasi argomento di conversazione. L'ho sentita estranea... E dire che credevo di conoscerla bene. — E anche questo è un errore. Sei tu che sei cambiato. Che cosa credi che pensasse di te il signor Carlisle? — Come? — Eri rimasto impressionato da quello che ti aveva detto? Non ha dovuto portarti a Seven Dials perché tu vedessi con i tuoi occhi? — Sì, ma questo è... — Dominic si interruppe, ricordando la propria riluttanza, il proprio disinteresse. Ma lui non era nessuno per Carlisle, mentre con Alicia... — Questo è... — Diverso? — Charlotte inarcò le sopracciglia. — No, non è diverso.
Voler bene a qualcuno non cambia i termini del problema. Una maggiore conoscenza potrebbe... — Si pentì subito di averlo detto. L'incanto era uno stato d'animo effimero e la familiarità aveva ben poco a che fare con esso. — Non volergliene — disse con calma. — Perché dovrebbe sapere queste cose o capirle? — Hai ragione, non c'è nessun motivo — ammise Dominic, e tuttavia sentì come un vuoto tra sé e Alicia e capì fino a che punto i sentimenti che nutriva per lei dipendevano dal colore dei capelli, dalla delicata linea delle guance, dal sorriso, dal fatto che fosse così sensibile alle sue attenzioni. Ma che cosa c'era dentro, nel profondo del cuore di Alicia, dove lui non poteva arrivare? Poteva esserci persino la semplice rimozione di qualcosa che si frapponeva tra lei e l'oggetto del suo desiderio, un piccolo movimento della mano con una boccetta di pillole... All'estremità di Resurrection Row c'era un cimitero: di qui l'origine del nome della strada. Una minuscola cappella sorgeva al centro. In una zona più ricca sarebbe stata semplicemente una cripta o una tomba di famiglia, ma qui voleva avere la pretesa di una vera cappella. Angeli di marmo si ergevano su alcune delle più pretenziose pietre tombali. Qua e là si scorgevano rare croci, in gran parte spoglie e deformate dal tempo. Alcune erano inclinate per effetto dei cedimenti del terreno provocati dai frequenti scavi. Sei o sette alberi scheletriti non erano stati rimossi. Non era mai un posto attraente, e in un'umida serata di febbraio aveva soltanto un pregio: quello di assicurare una certa tranquillità a una ragazza di diciassette anni, una domestica tuttofare come Dolly Jenkins, che stava cercando di accalappiare il figlio di un macellaio, con buone possibilità di riuscita. Era l'unico posto nel quale poteva concedergli sufficienti incoraggiamenti senza rischiare di perdere il proprio lavoro. Entrarono a braccetto dal cancello, bisbigliando e ridacchiando sottovoce: non era decente mettersi a ridere sguaiatamente in presenza dei morti. Dopo un po' sedettero, stretti su una delle pietre tombali. Lei lasciò capire che non avrebbe sdegnato qualche piccola dimostrazione di affetto e lui rispose con entusiasmo. Dopo una quindicina di minuti, la ragazza si rese conto che la situazione le stava sfuggendo di mano e che il giovanotto avrebbe potuto prendersi eccessive libertà e in seguito pensar male di lei. Lo allontanò e, con sua grande costernazione, vide una figura appollaiata su una delle altre pietre
tombali, con le gambe accavallate e un alto cappello a cilindro sulle ventitré. — Guarda, Samuel — sibilò al giovanotto. — C'è un vecchio seduto lì a spiarci. Samuel balzò in piedi, impacciato. — Sporco guardone!. — gridò. — Via, vattene, prima che te le suoni. La figura non si mosse: anzi, ignorò completamente le minacce di Samuel, senza alzare nemmeno la testa. Samuel si precipitò contro di lui. — Ti faccio vedere io — gridò. — Ti spacco il muso. Via di qui, ti ho detto. — Lo prese per la spalla e fece per sferrargli un pugno. Con suo grande orrore, l'uomo vacillò e scivolò di lato, mentre il cappello a cilindro rotolava per terra. La sua faccia al debole chiarore lunare appariva bluastra e il torace singolarmente piatto. — Dio Onnipotente! — Samuel lo lasciò andare e si allontanò a precipizio, inciampando nei suoi stessi piedi. Si rialzò di nuovo, tornò di corsa da Dolly e si aggrappò a lei. — Che cos'è successo, Samuel? Che cosa gli hai fatto? — Non gli ho fatto niente... È morto, Dolly... è morto come tutti gli altri qui dentro. Qualcuno è venuto a scavarlo fuori. La notizia fu riferita a Pitt la mattina seguente. — Lei non ci crederà mai — gli disse l'agente con voce stridula. — Intanto dimmi di che cosa si tratta. — Pitt era rassegnato. — Ne hanno trovato un altro. Lo ha trovato una coppietta, ieri sera. — Perché non dovrei crederci? — chiese Pitt stancamente. — Ormai credo a tutto. — Perché era Horrie Snipe — sbottò l'agente. — Come è vero che io sono qui... stava seduto su una pietra tombale nel cimitero di Resurrection Row col suo vecchio cappello a cilindro. È stato investito da un carro pieno di letame tre settimane fa e seppellito da quindici giorni... ed era lì, seduto su una pietra tombale, tutto solo alla luce della luna. — Hai ragione — replicò Pitt. — Non ci credo. Non voglio crederci. — Ma è lui, ispettore. Riconoscerei Horrie Snipe in qualsiasi posto. Era il più popolare ruffiano che ci sia mai stato in Resurrection Row. — Così sembra — osservò Pitt sarcastico. — Ma per questa mattina mi rifiuto di crederci.
7 Il lunedì Charlotte ricevette un biglietto con cui zia Vespasia la invitava ad andare da lei quella mattina stessa e a rimanere per il lunch e per una parte del pomeriggio. Non dava nessuna spiegazione, ma Charlotte la conosceva troppo bene per pensare che il messaggio non avesse uno scopo preciso. Un invito così improvviso, che indicava l'ora e la durata della visita, non era casuale. Charlotte non poteva ignorarlo: a parte le buone maniere, la curiosità la spingeva senz'altro ad andare. Portò Jemima dalla signora Smith, dall'altra parte della strada, che era sempre disposta ad averne affettuosa cura in cambio di qualche piccola indiscrezione sui vestiti, sui comportamenti e specialmente sulle eccentricità delle persone dell'alta società che Charlotte frequentava. Era notevole il prestigio di cui la signora Smith godeva nella strada come confidente di Charlotte. Ma era anche una persona di animo gentile e provava piacere e rendersi utile, specialmente con una giovane donna come Charlotte, che per effetto della sua educazione non era preparata ad affrontare la realtà di una vita come quella che lei invece ben conosceva. Poiché aveva largheggiato un po' troppo nelle spese domestiche, comprando pancetta affumicata per tre o quattro giorni di seguito, invece di farina d'avena o pesce come al solito, Charlotte fu costretta a prendere l'omnibus per arrivare quanto più possibile vicino a Gadstone Park e a proseguire a piedi nel nevischio, che si infittiva sempre di più, per il resto del percorso. Arrivò alla soglia della porta con i piedi bagnati e col naso tutto rosso: un'immagine molto diversa da quella che avrebbe voluto dare, presentandosi in casa di zia Vespasia. Ecco che cosa significava mangiare pancetta a colazione. La cameriera che la ricevette alla porta d'ingresso conosceva troppo bene le eccentricità della sua padrona per lasciar trapelare dall'espressione del volto quello che pensava. Cominciava a essere refrattaria a ogni specie di sorpresa. Accompagnò Charlotte nel salotto, lasciando che si accostasse il più possibile al caminetto, purché non prendesse lei stessa fuoco. Il calore era meraviglioso. Charlotte sentiva la vita rifluirle alle caviglie e poteva vedere il vapore sprigionarsi dagli stivaletti. Zia Vespasia apparve immediatamente. Diede un'occhiata a Charlotte, poi inforcò il suo occhialino. — Santo cielo, ragazza mia. Sei conciata come se fossi venuta per mare. Che diavolo hai combinato? — Fa' molto freddo, fuori — cercò di giustificarsi Charlotte. Si scostò
dal fuoco che cominciava a far sentire un po' troppo il suo calore. — E la strada è piena di pozzanghere. — E, a quanto sembra, tu ci hai camminato dentro. — Vespasia abbassò lo sguardo sui suoi piedi fumanti. Ebbe il tatto di non chiederle perché aveva camminato. — Devo trovarti subito qualcosa di asciutto. — Allungò una mano verso il cordone del campanello e lo tirò con forza. Charlotte era sul punto di dirle di non disturbarsi, ma era quasi istupidita dal freddo e se doveva rimanere lì per qualche tempo, tanto valeva prendere in prestito qualche indumento caldo e asciutto. — Grazie — disse. Vespasia le diede un'occhiata penetrante: aveva intuito quello che passava nella mente di Charlotte e aveva probabilmente capito tutto. Quando la cameriera tornò, le disse: — La signora Pitt, nel suo viaggio per venire qui, è stata disgraziatamente investita da un'ondata d'acqua, sollevata da una carrozza di passaggio, ed è tutta bagnata. Va' da Rose a dirle di tirar fuori per lei un paio di calze e stivaletti asciutti, e anche quel vestito da pomeriggio verde azzurro con ricami sulle maniche. Rose sa a quale mi riferisco. — Oh, Dio mio! — La ragazza rivolse a Charlotte uno sguardo di comprensione. — Quei maledetti vetturini non guardano mai dove vanno, signora. Quanto mi dispiace. La cuoca, l'altro giorno aveva appena fatto un passo fuori dalla porta che due di quei pazzi sono passati di furia, come se volessero rincorrersi, e l'hanno inzaccherata tutta. Bisognava sentirla quando è rientrata. Vado subito a cercarle qualcosa di asciutto. — Sgattaiolò fuori dalla stanza, con il fervore di chi è impegnato in un'opera di carità, augurandosi in cuor suo un eterno castigo per tutti i vetturini e in particolare per quelli più spericolati. Charlotte fece un largo sorriso. — La ringrazio, soprattutto per il suo tatto. — Non è proprio il caso — tagliò corto Vespasia. — Ci sarà un piccolo ricevimento questo pomeriggio. Niente di straordinario. — Fece un leggero gesto con la mano per dare più forza alla sua affermazione. — E vorrei che ci fossi anche tu. Temo che quella disgraziata faccenda non vada tanto bene. Charlotte non capì subito a che cosa alludesse. La sua mente corse a Dominic. Nessuno poteva davvero sospettare che lui... Vespasia notò l'espressione del suo volto e vi lesse dentro con tanta facilità che Charlotte arrossì, pensando che, se era ancora così trasparente,
chissà come doveva esserlo stata in passato. — Oh, mi dispiace — si affrettò a dirle. — Avevo sperato che la gente se ne fosse ormai dimenticata, ora che Lord Augustus è stato riseppellito. Sembra proprio che sia stato vittima di qualche pazzo che sta riesumando cadaveri un po' dappertutto. Ce ne sono stati altri due, sa... oltre a Lord Augustus e a quello della carrozza. Ebbe la soddisfazione di vedere gli occhi di Vespasia sgranati per la sorpresa. Le aveva rivelato qualcosa che non solo non sapeva, ma che non aveva nemmeno previsto. — Altri due? Non ne ho sentito proprio niente. Quando li hanno trovati? E chi sono? — Nessuno che lei possa conoscere. Il primo abitava vicino a Resurrection Row... Vespasia scosse il capo. — Mai sentita nominare. Sembrerebbe una strada non molto raccomandabile. Dove si trova? — A circa tre chilometri da qui. Sì, non è un posto molto piacevole, ma nemmeno una zona di slum. Soltanto una viuzza secondaria, dove c'è anche un cimitero... e non potrebbe non esserci, con un nome simile. È proprio lì che hanno trovato il secondo cadavere: nel cimitero. — Nel posto giusto — osservò Vespasia ironicamente. — Sì, nel posto giusto, ma non appollaiato su una pietra sepolcrale e con il cappello in testa. — Già — convenne Vespasia, con una smorfia di disgusto. — E chi era? — Un tale di nome Horatio Snipe. Thomas non ha voluto dirmi che lavoro facesse. Perciò immagino che fosse qualcosa di losco... peggio, credo, di un ladro o di un falsario. Suppongo che tenesse una casa di appuntamenti o qualcosa del genere. Vespasia la guardò accigliata. — Ma che dici, Charlotte? — sbuffò. — Però forse hai ragione. Comunque, non credo che tutto questo sarà di qualche aiuto. Il sospetto è una strana cosa. Anche quando si rivela del tutto ingiustificato, il suo odore continua a ristagnare nell'aria, come il lezzo di una cosa sgradevole di cui ci si sia ormai liberati. La gente dimenticherà persino i sospetti nutriti su Alicia e sul signor Corde... ma ricorderà sempre di averli sospettati. — Tutto questo è assolutamente ingiusto — ribatté Charlotte indignata. — E irragionevole. — Certo, ma la gente è ingiusta e irragionevole, senza rendersene conto e senza averne l'intenzione. Spero che vorrai fermarti per il ricevimento: è
la ragione principale per la quale oggi ti ho invitata qui. Tu hai una certa capacità di capire la gente. Non dimentico mai che avevi intuito quello che era realmente accaduto in Paragon Walk, prima di tutti noi. Forse tu riesci a vedere in tutto questo qualcosa che noi non... — Ma in Paragon Walk c'era stato veramente un assassinio — ribatté Charlotte. — Qui non c'è stato nessun delitto... o lei pensa che Lord Augustus sia stato assassinato? — Era un pensiero orribile e non lo aveva preso in considerazione, fino a quel momento. Era una provocazione, piuttosto che una domanda. Ma Vespasia non ne fu scossa. — Molto probabilmente è morto di morte naturale — replicò, come se stesse discutendo di qualcosa che accade tutti i giorni. — Ma bisogna anche considerare la possibilità che non sia stato così. Noi sappiamo della gente molto meno di quanto immaginiamo. Forse Alicia è una ragazza semplice come sembra, una simpatica e attraente ragazza, di buona famiglia a cui il padre ha procurato un matrimonio molto vantaggioso. E se quel matrimonio non era di suo gradimento, non ha avuto abbastanza presenza di spirito e senso di ribellione per opporvisi. "Ma è anche possibile che suo marito diventasse col tempo sempre più tedioso, e quando lei ha cominciato a rendersi conto che sarebbe stato così e che sarebbe potuto durare altri vent'anni, questo pensiero le è divenuto insopportabile. E poi, quando Dominic Corde è apparso all'orizzonte, e, allo stesso tempo, si è presentata l'opportunità di liberarsi facilmente del marito, lei l'ha colta all'istante. Era un'operazione che si poteva eseguire con grande facilità, anche solo con un piccolo movimento della mano: una goccia, due gocce di troppo, non di più. Nessuna prova, nessuna bugia sui suoi movimenti e sulle persone con cui si era trovata. Poteva quasi dimenticarselo, cancellarlo dalla memoria, convincere se stessa che non era mai accaduto. — Lei crede a tutto questo? — chiese Charlotte spaventata. Malgrado fosse seduta davanti al fuoco, ebbe di nuovo una sensazione di freddo. Fuori, il nevischio turbinava contro i vetri delle finestre. — No, non ci credo — rispose Vespasia. — Ma non ne escludo la possibilità. Charlotte rimase immobile. — Va' a cambiarti quegli stivaletti bagnati — le ordinò Vespasia. — Mangeremo qualcosa qui dentro e tu potrai parlarmi della tua bambina. Come l'avete chiamata? — Jemima — rispose prontamente Charlotte, alzandosi.
— Mi pareva che tua mamma si chiamasse Caroline. — Vespasia inarcò le sopracciglia con aria sorpresa. — Infatti — convenne Charlotte. Si avviò verso la porta e le rivolse uno smagliante sorriso. — E il nome della nonna è Amelia. Ma non mi piaceva nemmeno quello. Fu un ricevimento non formale, in cui la conversazione prevalse sulla musica, cosa di cui Charlotte si rammaricò, poiché si trattava di buona musica e lei aveva passione per il pianoforte. Non lo aveva mai suonato, a differenza di Sarah e di Emily, e il tocco delicato di quel giovane pianista le riportava alla memoria ricordi dell'infanzia e della mamma che cantava. Dominic fu sorpreso di trovarla lì, ma non notò l'eleganza del vestito, oppure era troppo discreto per fare un qualsiasi apprezzamento, sapendo che probabilmente aveva dovuto farselo prestare. Charlotte non aveva mai incontrato prima Alicia e la sua curiosità era andata crescendo sin da quando era arrivato il primo ospite, Virgil Smith. Come Vespasia aveva osservato, Virgil era un uomo straordinariamente semplice. Il suo naso era tutt'altro che aristocratico: sembrava fatto di cera molle piuttosto che di marmo, e piantato lì con mano distratta. I capelli pareva fossero stati tagliati con le forbici lungo l'orlo di una bacinella, ma il suo sarto doveva essere molto bravo. Sorrise a Charlotte con una cordialità che gli illuminò gli occhi e le parlò con un accento che a lei sarebbe piaciuto poter imitare, come sapeva fare Emily, per darne un'idea a Pitt. Ma era un'arte che non possedeva. Sir Desmond e Lady Cantlay non la riconobbero, o se la riconobbero fecero finta di niente. Quando qualcuno si vedeva cadere ai propri piedi un cadavere sulla strada, non ricorda certo le facce dei passanti, nemmeno quelle di chi è accorso in suo aiuto. La salutarono con il cortese distacco riservato alle persone con cui non si ha niente in comune, se non il posto in cui ci si incontra. Charlotte li osservò allontanarsi, chiedendosi soltanto se sospettassero Dominic o Alicia di aver commesso un assassinio. Nemmeno il maggiore Rodney e le sorelle mostrarono alcun interesse per lei e Charlotte bisbigliò qualche cortese banalità che le ricordò i tempi in cui, ancora ragazza, stava in piedi accanto alla madre e a Emily durante gli interminabili ricevimenti, facendo finta di essere attentissime alle ultime malattie di un'anziana signora o alle prospettive di fidanzamento per un'ereditiera. Si era già immaginata quale poteva essere l'aspetto di Alicia: carnagione
chiara e capelli ondulati, naturalmente, a differenza dei suoi. Statura media, spalle piuttosto piene tendenti alla pinguedine. Poi si rese conto che stava vagamente ricreando la figura di Sarah. Quando Alicia apparve, si rivelò del tutto diversa. Aveva la carnagione chiara e i capelli ondulati che aveva immaginato, ma era alta quasi quanto Charlotte, il suo corpo era assolutamente snello e le spalle quasi gracili. Ma, ciò che più contava, i suoi occhi avevano una luce completamente diversa. Non assomigliava per niente a Sarah. — Piacere di conoscerla — le disse Charlotte dopo un istante di esitazione. Non si era chiesta se le sarebbe piaciuta o no, ma fu sorpresa dal suo aspetto. Poiché Dominic era innamorato di lei, le aveva attribuito, dentro di sé, l'immagine di Sarah. Non era preparata a trovarsi di fronte una persona del tutto diversa. E aveva anche dimenticato che per Alicia lei sarebbe stata un'estranea, una persona priva di qualsiasi importanza, a meno che Dominic non le avesse parlato di Sarah e della loro relazione di parentela. — Piacere, signora Pitt — disse a sua volta Alicia, e Charlotte capì subito che Dominic non le aveva detto niente. Il suo volto non esprimeva curiosità. Alicia fece un passo indietro, notò Dominic e rimase perfettamente immobile per un momento. Poi si volse a Gwendoline Cantlay e si rallegrò con lei per il suo vestito. Charlotte stava ancora riflettendo sulle sue impressioni del momento quando si rese conto che qualcuno le stava parlando. — Mi dicono che lei è un'alleata di Lady Cumming-Gould. Si volse. La persona che le aveva parlato era un uomo magro, con sopracciglia molto arcuate e denti che apparivano piuttosto irregolari quando rideva. Charlotte si sforzò di capire che cosa avesse inteso dire. "Alleata?" Probabilmente aveva qualcosa a che fare con il disegno di legge a cui teneva tanto zia Vespasia, per tirar fuori i bambini dalle case di lavoro e accoglierli in una specie di scuola. Forse era lui che aveva trascinato Dominic a Seven Dials e gli aveva mostrato la casa di lavoro che lo aveva così profondamente turbato. Lo guardò con maggiore interesse. Poteva capire la preoccupazione di Thomas per quei problemi: il suo stesso lavoro lo poneva di fronte a quelle tragedie, a tutti quelli che ne erano vittime. Ma perché quell'uomo era così interessato? — Soltanto spiritualmente — ammise con un sorriso. Ora sapeva chi era e si sentì rassicurata. Forse in quella sala era l'unico che la faceva sentire meno frustrata. — Una sostenitrice, non utile quanto un'alleata.
— Penso che si sottovaluti, signora Pitt — ribatté lui. Charlotte si sentì ferita da quella condiscendenza. Il problema era troppo serio per liquidarlo con luoghi comuni e insulse adulazioni. Ne provò un acuto risentimento, come se lui non la considerasse capace di affrontare la verità. — Lei mi fa torto con i suoi complimenti — ribatté piuttosto bruscamente. — Io non sono un'alleata di Lady Cumming-Gould. Non ne ho i mezzi. Carlisle le rivolse un largo sorriso. — Accetto il rimprovero, signora Pitt, e la prego di scusarmi. Forse sono stato un po' precipitoso nel considerare un fatto che voleva essere soltanto un augurio. Sarebbe stato scortese da parte di Charlotte non accettare le sue scuse. — Se potrà fare in modo che diventi un fatto, ne sarò più che lieta — disse, raddolcita. — È una causa che merita l'impegno di tutti. Prima che lui potesse rispondere, ci furono altre presentazioni: Lord e Lady St. Jermyn. Le prime impressioni di Charlotte sulle persone che le venivano presentate erano spesso errate. Le capitava di non provare all'inizio nessuna simpatia per quelli che in seguito le sarebbero piaciuti, ma non avrebbe mai immaginato di sentirsi così a disagio in presenza di Lord St. Jermyn. La sua bocca aveva qualcosa che le ispirava ripugnanza. Non era brutto, tutt'altro. Ma aveva un modo di serrare le labbra che evocava in lei ricordi e visioni piuttosto sgradevoli. Udì la propria voce replicare qualche frase di circostanza e sentì gli occhi di Carlisle su di lei: avrebbe avuto tutto il diritto di rimproverarle l'insincerità di cui lei lo aveva appena accusato. Poco dopo Alicia si unì a loro con Dominic al suo fianco. Charlotte li osservò e constatò quanto stessero bene insieme: una coppia perfetta. Pochi anni prima, una constatazione simile l'avrebbe sconvolta. Ora non le procurava che una certa ansietà, al pensiero che quell'armonia potesse rompersi e che, dietro quella perfezione, non ci fosse niente di abbastanza solido per resistere a tutto quanto poteva minacciarne la rottura. Il discorso tornò al disegno di legge. St. Jermyn ne stava parlando con Dominic. — Ho saputo da Somerset che lei è un amico del giovane Fleetwood. Con lui al nostro fianco, potremmo avere delle ottime possibilità. Ha una considerevole influenza alla Camera, lei lo sa. — Non lo conosco molto bene. — Dominic era teso e stava per contraddirlo. Charlotte lo aveva già visto serrare il bicchiere tra le dita in quel modo a Cater Street: chissà quante volte era accaduto, ma non se n'era mai
resa conto. — Quanto basta — osservò St. Jermyn sorridendo. — Lei è un ottimo cavallerizzo e anche un fine intenditore di cavalli. Ed è quello che ci vuole. — Mi pare che anche lei abbia una bella scuderia. — Dominic tentava ancora di non lasciarsi coinvolgere. — Soltanto cavalli da corsa. — St. Jermyn fece un gesto con la mano. — Fleetwood preferisce invece un buon tiro a due e si diverte a guidarlo lui stesso. È questa la sua specialità. Ho sentito che lei lo ha battuto, una volta. — Sorrise storcendo la sua larga bocca agli angoli. — Ma non ci faccia l'abitudine. Non gli farebbe piacere essere battuto una seconda volta. — Io correvo per vincere, non per far piacere a Lord Fleetwood — ribatté Dominic con una certa asprezza. I suoi occhi guizzarono in direzione di Charlotte, come se intuisse quello che lei stava pensando. — È un lusso che non possiamo permetterci. — St. Jermyn era contrariato, ma cancellò subito il suo disappunto dal suo volto, un momento dopo che Charlotte lo aveva notato. Le parve che Dominic non se ne fosse nemmeno accorto. — Se vogliamo il sostegno di Fleetwood, non sarebbe saggio batterlo troppo spesso — concluse St. Jermyn. Dominic riprese fiato per replicare, ma Charlotte intervenne prima che potesse farlo. Dominic non era portato ad arrabbiarsi: anzi, era per natura accomodante. Raramente si irrigidiva su un argomento, ma nelle rare occasioni in cui gli accadeva, non cambiava mai idea. Sarebbe stato facile, ora, impegnarsi in una posizione e poi trovarsi nell'impossibilità di fare marcia indietro, quando si fosse pentito. — Io non credo che il signor Corde lo farà — disse Charlotte sforzandosi di sorridere a St. Jermyn. — Ma certamente Lord Fleetwood non potrà ignorare un uomo che lo ha battuto almeno una volta. Arrivare secondo, dopo di lui, difficilmente servirebbe a distinguerlo dagli altri o a suscitare il suo interesse. Dominic le lanciò uno dei suoi sorrisi e per un istante Charlotte si ricordò di quello che un tempo sentiva per lui. Poi tornò al presente e osservò St. Jermyn. — Già — convenne Dominic. — Vorrei che lui vedesse la casa di lavoro a Seven Dials, così come l'ho vista io. Non dimenticherebbe presto quello spettacolo. Alicia appariva perplessa, un po' accigliata. — E che c'è di tanto terribile in una casa di lavoro? — chiese. — Lei ha parlato di povertà, ma da quella
piaga nessuno potrà mai liberarci. Le case di lavoro assicurano almeno un po' di cibo e rifugio. Ci sono sempre stati ricchi e poveri, e anche se per un qualche miracolo riuscissimo a cambiare questa situazione, in breve tempo si ricreerebbe negli stessi termini di adesso, non è così? Se diamo del denaro a un povero, non cambiamo il suo stato per molto... — Lei ha ragione — osservò Carlisle sollevando un po' le sopracciglia. — Ma se noi diamo da mangiare ai bambini e li proteggiamo dalle malattie e dalla disperazione, potranno crescere e farsi adulti senza aver bisogno di rubare per vivere, e potremo così dar loro un certo grado di istruzione. E la prossima generazione non sarà più così povera. Alicia lo fissò, assorbendo l'idea e rendendosi conto che Carlisle parlava molto seriamente. — Dio, se l'aveste vista, quella casa di lavoro — esclamò Dominic. — Non stareste qui a parlarne così accademicamente. Vi precipitereste lì a fare qualcosa. — Diede un'occhiata di traverso a Charlotte. — Non è così? Un'espressione di pena passò sul volto di Alicia, che si allontanò quasi impercettibilmente da lui. Charlotte la notò e intuì subito quello che provava: un'improvvisa sensazione di isolamento, di essere tagliata fuori da qualcosa che per Dominic era molto importante. Charlotte lo fissò severamente e gli disse con voce chiara: — Chiunque farebbe qualcosa. Quell'esperienza ha avuto su di te un enorme effetto. Sei completamente cambiato. Ma, da quanto ho sentito dire, non mi pare che quello sia un posto dove si possa accompagnare Lady Fitzroy-Hammond. Mio marito non mi permetterebbe di andarci. Ma Dominic non volle sentir ragione, né afferrò l'allusione. — Tu non hai bisogno di andarci — ribatté con veemenza. — Tu sai già di quei posti e della gente che ci vive e la cosa ti sta a cuore. Ricordo che me ne hai parlato già qualche anno fa e che io non ho capito, allora, quello che volevi dire. — Non credo che tu prestassi molta attenzione alle mie parole — gli disse con tutta sincerità. — C'è voluto parecchio tempo perché cominciassi a crederci. Devi accordarne un po' anche agli altri. — Non possiamo. — Infatti, non abbiamo molto tempo, signora Pitt — intervenne St. Jermyn, alzando il bicchiere. — Il mio disegno di legge sarà discusso fra qualche giorno. Se vogliamo che venga approvato, dovremo assicurarci in anticipo il consenso della maggioranza dei Lord. Non c'è tempo da perdere. Corde, le sarei molto obbligato se affrontasse il problema con Fleetwo-
od domani o al più tardi dopodomani. — Domani, naturalmente — assicurò Dominic. — Bene. — St. Jermyn gli diede un colpetto sulle spalle, poi vuotò il bicchiere. — Su, Carlisle, sarà meglio ora andare a parlare con la padrona di casa. Lady Cumming-Gould conosce tutti e noi abbiamo bisogno di arrivare a quante più persone è possibile. Un'espressione di fastidio si dipinse per un momento sul volto di Carlisle, che si affrettò a seguire St. Jermyn. Passarono davanti alle signorine e al maggiore Rodney che teneva in mano un bicchiere e guardava ansioso al di sopra delle loro teste, come se cercasse qualcuno oppure ne temesse l'arrivo. Ci fu un momento di impacciato silenzio. Poi apparve Virgil Smith. Guardò Charlotte con aria incerta, il suo volto si illuminò e si rivolse ad Alicia. La sua non fu che un'osservazione banale, ma c'era nella voce di Smith una gentilezza che servì a fugare dalla mente di Charlotte i pensieri della povertà, dei disegni di legge in Parlamento e persino dei sospetti di assassinio. Era una cosa piuttosto patetica e probabilmente nessun altro se ne accorgeva, ma lei scoprì di colpo che Virgil Smith era innamorato di Alicia. Forse Alicia, che aveva occhi solo per Dominic, non se ne rendeva conto e forse lui non gliene avrebbe mai parlato. In quei pochi secondi, Charlotte si mise nei panni di Alicia, rivivendo la propria infatuazione per Dominic, riprovando le pene e le vane speranze, le stupide illusioni, pensando a tutte le qualità che credeva di vedere in lui e a quanto poco in realtà lo conoscesse. Con i suoi sogni aveva reso a tutti e due un pessimo servizio, attribuendogli virtù che Dominic non aveva mai preteso di avere. Nemmeno lei si sarebbe accorta di Virgil Smith, con il suo volto tagliato con l'accetta e i modi impossibili, e certamente non avrebbe mai saputo né voluto sapere che era innamorato di lei. La cosa l'avrebbe imbarazzata moltissimo. Ma forse sarebbe stata lei a perderci qualcosa. Si scusò e si allontanò per andare a parlare con Vespasia e con Gwendoline Cantlay e notò più di una volta un'espressione di disagio sul volto di Gwendoline che, riconoscendola vagamente, si sforzava di individuarla senza riuscirci. Si chiedeva se facesse parte del loro ambiente e se fosse il caso di comportarsi con lei come con gli altri. Con una punta di malignità, Charlotte lasciò che continuasse a chiederselo. Dirglielo non sarebbe stato una grande soddisfazione e avrebbe potuto mettere in imbarazzo zia Vespasia, alla quale poteva non importare niente che la gente sapesse che frequentava le mogli di poliziotti... ma avrebbe forse preferito scegliere lei
stessa le persone a cui dirlo e in che modo. Era tardi, un paio di ospiti se n'erano già andati e il tetro pomeriggio cominciava a cedere il posto al buio della sera, quando Charlotte, ritrovandosi relativamente sola, vicino alla porta della serra, scorse Alicia che veniva nella sua direzione. Aveva aspettato quel momento: infatti, se Alicia non si fosse decisa a farlo, l'avrebbe cercata lei stessa. Evidentemente Lady Fitzroy-Hammond aveva rimuginato a lungo sul modo migliore per attaccare discorso: Charlotte lo sapeva perché aveva fatto anche lei la stessa cosa. — È stato davvero un bel pomeriggio, non le pare? — disse come per caso, quando fu di fronte a Charlotte. — Molto gentile da parte di Lady Cumming-Gould organizzare il ricevimento in modo tale che potessi parteciparvi anch'io. Sembra che il lutto non finisca mai, e questo non fa altro che aggravare la pena. Non consente nessuna distrazione che sollevi la mente dalla solitudine e dai pensieri di morte. — Proprio così — convenne Charlotte. — La gente non si rende conto del peso che rappresenta la solitudine in aggiunta alla perdita subita. — Non sapevo che Lady Cumming-Gould fosse sua zia — continuò Alicia. — Be', non è del tutto esatto — precisò Charlotte con un sorriso. — È la zia di mio cognato, Lord Ashworth. — Poi si affrettò ad aggiungere quello che avrebbe voluto dirle sin dal momento della conversazione che avevano avuto con Lord St. Jermyn: — Mia sorella Emily ha sposato Lord Ashworth qualche tempo fa. Sarah, la mia sorella maggiore, prima che morisse, era sposata con Dominic. Ma sono certa che questo lei lo sapeva... — In realtà, era del tutto certa che non lo sapesse, ma voleva offrirle la possibilità di fingersi al corrente. Alicia mascherò la sua confusione con un lodevole sforzo che Charlotte, fece in modo di ignorare. — Sì, naturalmente — mentì. — Anche se in questi ultimi tempi Dominic è stato così preso da questa faccenda di Carlisle che non ho avuto molte occasioni di parlare con lui. Anzi, le sarei grata, se volesse dirmi qualcosa di più. Lei gode della loro confidenza, mi sembra, e io le confesso che, in proposito, sono terribilmente ignorante. Charlotte si sorprese a mentire: — In realtà, penso di godere della confidenza di zia Vespasia, che si interessa molto alla cosa. A quanto pare, Carlisle ne parla spesso con lei, forse nella speranza che riesca a convincere altri membri della Camera dei Lord a essere presenti per esprimere il loro
voto favorevole. — Lanciò un'occhiata ad Alicia e vide guizzare sul suo volto il ricordo dell'osservazione di Lord St. Jermyn. — Zia Vespasia conosce molta gente. Nemmeno io ho visto una casa di lavoro, naturalmente, ma da quanto mi dicono è una situazione così drammatica che bisognerebbe porvi urgentemente rimedio. E se questa legge assicurerà il mantenimento e l'istruzione ai bambini poveri della città e li proteggerà dagli effetti della convivenza con vagabondi di ogni sorta, io sarò la prima a sperare e a pregare che venga approvata. Alicia parve sollevata. — Oh, anch'io lo spero — replicò con molto calore. — Devo pensare se conosco qualcuno che possa essere d'aiuto. Qualcuno degli amici o dei familiari di Augustus, per esempio. — Davvero? — Charlotte non stava recitando, questa volta. Si sentiva legata sia a Dominic sia ad Alicia, perché erano due persone che poteva capire. Ma, a voler essere sinceri, quella legge era molto più importante di un semplice omicidio, qualunque ne fossero le conseguenze. Alicia sorrise. — Certamente. Mi darò da fare subito, appena arrivo a casa. — D'impulso tese la mano a Charlotte. — La ringrazio, signora Pitt. Lei è stata molto gentile con me. È come... se l'avessi sempre conosciuta. Mi auguro che non lo consideri un'impertinenza. — Lo considero il più grande complimento — ribatté Charlotte con molta sincerità. — Spero che continui a pensarla così anche in futuro. Alicia mantenne la parola. Appena arrivata a casa, la prima cosa che fece, dopo aver dato alla cameriera il mantello ed essersi messa un paio di scarpe asciutte, fu di andare nel suo studiolo per tirar fuori l'agenda con gli indirizzi. Prima di salire di sopra a cambiarsi per il pranzo, aveva già scritto quattro lettere, accuratamente elaborate. Verity era andata in visita da una cugina per qualche giorno e a tavola c'erano soltanto lei e la vecchia signora. Sentiva la mancanza di Verity, prima di tutto perché si trovava bene in sua compagnia, e poi perché avrebbe voluto parlarle del progetto di legge di cui era venuta a conoscenza e della signora Pitt, nei riguardi della quale era passata da un sentimento di intensa avversione, per l'amicizia che Dominic le dimostrava, a una simpatia altrettanto intensa. Charlotte era molto diversa da come Alicia se l'era immaginata. — Ti sei divertita al ricevimento? — le chiese la suocera infilzando con la forchetta un grosso pezzo di pesce e ficcandoselo tutto intero in bocca.
— Nessuno ha trovato niente da ridire sul fatto che tu fossi uscita a pochi giorni dal funerale di tuo marito? Probabilmente, sono tutti troppo cortesi per farlo. — Sono passate cinque settimane da quando è morto, mamma — rispose Alicia rimuovendo delicatamente la lisca di pesce. — Era una riunione alla buona, non un ricevimento formale. — Ma con la musica, però. Molto sconveniente. Tutte canzoni d'amore, immagino, perché tu potessi fare l'occhio languido a Dominic Corde e renderti ridicola. Non ti sposerà mai, lo sai. Non ne ha il coraggio. Pensa che tu abbia avvelenato Augustus. Il pieno significato di quello che la suocera aveva detto penetrò in lei piuttosto lentamente. La sua prima reazione all'insinuazione della vecchia signora era stata di rabbia. Soltanto mentre apriva la bocca per protestare si rese conto dell'enormità di quanto le aveva detto a proposito di Dominic. Era un pensiero orribile e tremendamente ingiusto. Dominic non avrebbe mai pensato una cosa simile di lei. — Non sarà in grado di provarlo, naturalmente — continuò la vecchia, con gli occhi scintillanti. — Non dirà niente... soltanto, un po' più freddo ogni volta che lo vedrai. Avrai certamente notato che non si è fatto vivo in questi ultimi giorni. Niente più passeggiate in carrozza... — Il tempo non lo permetteva — ribatté Alicia. — Il tempo non glielo ha mai impedito, prima. — Lady FitzroyHammond mandò giù un altro boccone di pesce, parlando con la bocca piena. — L'ho visto venire qui a Natale, quando le strade erano piene di neve. Non coprirti di ridicolo, ragazza mia. Alicia era troppo arrabbiata per controllare le proprie maniere. — La settimana scorsa, lei sosteneva che era stato Dominic a uccidere Augustus — sbottò bruscamente. — Se è stato lui, come fa a pensare ora che sia stata io? O forse lei pensa che l'abbiamo fatto tutti e due, ciascuno per conto proprio? In tal caso, dovrebbe essere felice di vederci sposati... vuol dire che siamo degni l'uno dell'altro. La vecchia signora la fissò, fingendo di avere la bocca troppo piena per parlare, mentre invece stava pensando a come risponderle. — Forse Dominic pensa che sia stata lei ad avvelenarlo — continuò Alicia, quasi eccitandosi all'idea. — Dopotutto, la digitalina è sua, non mia. Forse per questo Dominic ha paura di venire qui, a vivere sotto lo stesso tetto con lei. — E perché, di grazia, avrei dovuto avvelenare mio figlio? Non ho nes-
suna intenzione di sposare un damerino. — Non faccio fatica a crederlo — ribatté Alicia prontamente — dal momento che non ne ha la minima opportunità. — Fu spaventata dalla sua stessa reazione, ma era come se si fosse di colpo liberata da anni di buone maniere, ed era una sensazione meravigliosa, esaltante, come se galoppasse in sella a un veloce cavallo. — E tanto meno ne hai tu, di queste opportunità, ragazza mia. — Il volto della vecchia era rosso scarlatto. — E sei un'illusa, se speri di averne. Hai avvelenato tuo marito per niente. — Se ritiene che io sia capace di avvelenare qualcuno — Alicia la fissò diritto negli occhi — mi sorprende che lei mangi con tanta voracità allo stesso tavolo con me, esasperando fino a questo punto la mia ostilità. Non ha paura per se stessa? La vecchia signora si strozzò e il suo volto divenne livido. Si portò la mano alla gola. Alicia scoppiò in un'amara risata. — Se avessi avuto intenzione di avvelenare qualcuno, avrei avvelenato lei, in primo luogo, non Augustus. Ma io non faccio queste cose e lei lo sa benissimo, altrimenti se ne sarebbe preoccupata già da molto tempo. Avrebbe costretto Nisbett ad assaggiare tutto, prima di mettere qualcosa in bocca... anche se avrei volentieri avvelenato pure Nisbett, a pensarci bene. La vecchia signora ebbe un accesso di tosse. Alicia la ignorò. — Se ne ha avuto abbastanza di quel pesce — disse gelida — ordinerò a Byrme di servire la carne. Pitt non sapeva niente del ricevimento tenuto in casa di Lady CummingGould. Era deciso ad accertare l'identità del cadavere caduto dalla carrozza e appena arrivò il risultato dell'autopsia lo strappò dalle mani del fattorino. Se l'identità dello sconosciuto non era legata a un delitto o a uno scandalo, perché qualcuno avrebbe dovuto sobbarcarsi il macabro e pericoloso lavoro di disseppellirlo e lasciarlo sulla cassetta di una carrozza a nolo? La carrozza era stata rintracciata, ma si era scoperto soltanto che era stata rubata mentre il vetturino era andato a bere in una bettola vicina. Non era poi un fatto così fuori dell'ordinario, specialmente in una notte di gennaio, e Pitt era più che disposto a comprenderlo. Soltanto i poliziotti, i vetturini e i pazzi frequentavano di notte le strade con un tempo come quello. Lesse il foglio che aveva tolto dalla busta. La causa della morte era una delle più comuni: un colpo apoplettico. Era un modo ordinario e naturale
di morire. Non c'erano tracce di violenza sul corpo: tutto sommato, niente che fosse degno di nota. Un uomo sulla cinquantina, ben nutrito e ben curato, pulito e un po' incline alla pinguedine. Proprio l'aspetto, come aveva detto il custode dell'obitorio, che un Lord morto avrebbe avuto. Pitt ringraziò il fattorino e lo congedò. Poi chiuse il referto nel cassetto della scrivania, si calcò il cappello in testa, si avvolse la sciarpa al collo fino a coprire le orecchie e prendendo il cappotto dall'attaccapanni uscì dalla porta. Non c'era nessuna tomba aperta. Questo era l'aspetto più sinistro della vicenda. C'erano tre tombe e quattro corpi: Lord Augustus, William Porteous, Horrie Snipe e lo sconosciuto della carrozza. Dov'era la sua tomba? E perché il dissacratore aveva deciso di chiuderla di nuovo, con una tale cura che nessuno se ne accorgesse? Le altre tombe si trovavano tutte entro un perimetro piuttosto limitato. Avrebbe cominciato le sue ricerche nella stessa zona. Ovviamente, non poteva controllare tutte le sepolture recenti per trovarne una vuota... avrebbe dovuto consultare tutti i medici che avessero rilasciato certificati di morte per un colpo apoplettico, in un periodo di tempo compreso tra le quattro e le sei settimane precedenti. L'indagine si sarebbe ristretta fino a individuare uno o due casi per i quali qualcuno avrebbe potuto identificare i miseri resti, che giacevano ancora all'obitorio. Soltanto nel pomeriggio del giorno seguente, stanco, intirizzito dal freddo e con i nervi a pezzi, salì i gradini di pietra dello studio di un certo dottor Childs. — Il dottore a quest'ora non riceve — annunciò la governante bruscamente. — Dovrà aspettare. Sta prendendo il tè. — Non sono un paziente. — Pitt fece uno sforzo per controllarsi. — Sono della polizia e non intendo aspettare. — Guardò la donna negli occhi e continuò a fissarla finché non fu costretta ad abbassare lo sguardo. — Non so che cosa cerchi qui — replicò lei alzando le spalle. — Ma è meglio che entri. E si pulisca i piedi, mi raccomando. Pitt la seguì dentro e sorprese il dottore che si era tolto gli stivali e sedeva davanti al fuoco con una focaccina in mano e il mento sporco di burro. Pitt spiegò la ragione della sua visita. — Oh! — esclamò il dottore. — Porti un'altra tazza, signora Lundy. Prenda una focaccina, ispettore... mi sembra sfinito. Il maggiordomo del signor Dunn. Una morte improvvisa, anche se non so perché lo dico. Il poveretto sapeva di essere ammalato... I suoi stivali sono bagnati, ispettore.
Se li tolga e si asciughi le calze. Un tempo davvero insopportabile. Perché vuol sapere del povero Wilson? Una morte del tutto normale. Nessun parente e niente da lasciare in eredità, comunque. Un maggiordomo, un buon maggiordomo, mi dicono, ma un tipo assolutamente ordinario. Bene, si metta pure a suo agio. Prenda un'altra focaccina, ma attenzione al burro: cola dapertutto. Perché si interessa tanto a Wilson? — Inarcò le sopracciglia e guardò Pitt incuriosito. Pitt si sentì attratto da quell'uomo e anche dal fuoco. — È stato trovato un cadavere disseppellito sulla cassetta di una carrozza a nolo, davanti a un teatro, circa tre settimane fa... — Santo cielo... Ed era il povero Wilson? — Le sopracciglia del dottore si sollevarono quasi a toccare la linea dei capelli. — Ma perché mai qualcuno dovrebbe fare una cosa simile? È un caso di cui si occupa lei, vero? Grazie, signora Lundy, versi una tazza di tè all'ispettore. Grato, Pitt prese il tè e aspettò che la governante uscisse dalla stanza, cosa che fece con molta riluttanza. — Una donna terribilmente curiosa — osservò il dottore, scuotendo il capo, mentre la signora Lundy si chiudeva la porta alle spalle. — Ma a qualche cosa la curiosità serve... sa vita e miracoli dei miei pazienti, molto più di quanto loro stessi mi dicono. Non si può curare una persona, se si conosce soltanto una metà dei suoi mali. — Guardò il vapore sprigionarsi dai calzini di Pitt. — Non dovrebbe andare in giro con i piedi bagnati, ispettore. Potrebbe ammalarsi. — Sì, è un caso mio. — Pitt non poté fare a meno di sorridere. — E la cosa strana è che non c'è rimasta nessuna tomba aperta. Albert Wilson è stato seppellito, immagino... — Oh, certo che è stato seppellito. Non posso dirle dove, ma il signor Dunn sarà senz'altro in grado di indicarglielo. — Lo chiederò a lui, allora — disse Pitt, ma senza muoversi. Addentò un'altra focaccina. — Le sono molto obbligato. Il dottore allungò una mano per prendere la teiera. — Lasci perdere, ispettore. Dovere professionale. Gradirebbe dell'altro tè? Pitt andò dal signor Dunn ed ebbe la notizia che cercava. Ma era inutile, ormai, andare a cercare con quel buio. Trovò la tomba di Albert Wilson la mattina seguente e ottenne il permesso di aprirla. Verso le undici era lì a osservare i becchini, mentre tiravano via l'ultima zolla di terra nera dal co-
perchio della bara. Buttò giù le corde e rimase in attesa, mentre i becchini le infilavano sotto la bara e le legavano, poi si fece indietro, quando saltarono fuori dalla fossa e cominciarono a tirarla su. Era un lavoro da esperti: tutta una questione di equilibrio. A quanto pareva, la bara era piuttosto pesante. Finalmente, con un sospiro di sollievo, la adagiarono sull'erba bagnata ai margini della fossa. — Dio, come pesava — borbottò uno di loro. — Non mi è sembrato che fosse vuota. — Nemmeno a me — replicò l'altro, scuotendo il capo e fissando Pitt con aria di disapprovazione. Pitt non disse niente e si piegò a guardare le viti sul coperchio. Dopo qualche istante si frugò in tasca e ne trasse un cacciavite. In silenzio cominciò a lavorare girando intorno alla bara finché ebbe tutte le viti in mano. Le infilò in tasca e poi con la punta del cacciavite sollevò il coperchio. I becchini avevano ragione. La bara non era vuota. Il cadavere che vi giaceva dentro era magro e aveva folti capelli rossi. Aveva indosso una larga camicia bianca e le sue dita erano sporche di vernice stemperata con acqua, come quella che viene usata dai pittori. Ma fu la faccia che attirò l'attenzione di Pitt. Gli occhi erano chiusi, ma la pelle era gonfia, le labbra bluastre. Sotto la pelle si scorgevano innumerevoli, minuscole macchioline rosse come punte di spillo, dove i capillari erano scoppiati. Ma i segni più ovvi erano i lividi neri alla gola. Finalmente il cadavere di un uomo che era stato assassinato! 8 Troppe cose erano già accadute a Gadstone Park. Pitt non ebbe perciò difficoltà a scoprire l'identità del cadavere sepolto nella tomba di Albert Wilson. Si era fatto solo il nome di un artista... Godolphin Jones. Non ci sarebbe voluto molto per accertare se quello era il suo corpo. Rimise a posto il coperchio della bara e si alzò in piedi. Chiamò l'agente che aspettava in fondo al vialetto e gli ordinò di far trasportare immediatamente il corpo all'obitorio. Lui stesso si sarebbe recato a Gadstone Park per prendere il maggiordomo del pittore e portarlo con sé all'obitorio, perché desse un'occhiata al cadavere. Ringraziò i becchini e li lasciò confusi e disorientati a fissare la bara sporca di terra, mentre lui si avvolgeva sempre più stretta la sciarpa intorno al collo, si calcava il cappello sugli occhi per proteggersi il volto dalla pioggia battente e usciva nella strada.
Fu una triste faccenda che non prese molto tempo. Era una faccia caratteristica, malgrado il gonfiore e le macchioline rosse, e il maggiordomo non ebbe bisogno di guardarlo una seconda volta. — Sì, signore — disse tranquillamente. — Quello è il signor Jones. — Poi esitò. — Non mi... — deglutì a fatica. — Non mi pare che sia morto di morte naturale. È così? — Proprio così — convenne Pitt gentilmente. — È stato strangolato. L'uomo era impallidito. Il custode dell'obitorio corse a prendere il bicchiere con l'acqua. — Questo significa che è stato assassinato, ispettore? E che ci sarà un'inchiesta? — Sì — rispose Pitt. — Temo di sì. — Oh, Dio mio. — L'uomo si sedette sulla sedia che gli veniva offerta. — Che disastro... Pitt rimase in attesa che il maggiordomo si rianimasse. Poi uscirono insieme, ripresero posto nella carrozza e ritornarono a Gadstone Park. C'erano molte cose da fare. Fino a quel momento in nessuno degli eventi dei giorni precedenti era saltato fuori il nome di Godolphin Jones. A quanto sembrava, non aveva avuto nessun rapporto con Augustus FitzroyHammond o con Alicia o con Dominic Corde. Il suo nome non era stato menzionato in nessuno dei discorsi che erano stati fatti, nemmeno quando si era parlato del disegno di legge al quale zia Vespasia era così interessata. Nessuno aveva dichiarato di avere con lui rapporti che andassero al di là della sua attività professionale o dei contatti occasionali che si possono avere con una persona che abita in una casa vicina. Charlotte aveva detto che zia Vespasia giudicava i suoi dipinti un po' spenti e troppo cari, ma questo non poteva essere un motivo sufficiente per un'avversione personale e tanto meno per un assassinio. Se qualcuno non amava i suoi quadri, poteva semplicemente fare a meno di comprarli. Tuttavia Godolphin Jones aveva goduto di una certa notorietà e, a giudicare dalla sua casa, di cospicui mezzi. Bisognava cominciare proprio dalla casa. Probabilmente, era lì che era stato ucciso e bisognava partire di lì per arrivare all'ora e al giorno del delitto, e alle prove. Quanto meno, avrebbe scoperto quando Godolphin Jones era stato lì per l'ultima volta, se era stato visto partire, chi e quando era andato da lui. Spesso i domestici sapevano sul conto dei loro padroni più di quanto questi immaginassero. Un interrogatorio discreto e intelligente avrebbe potuto far saltar fuori molte informazioni.
E naturalmente si doveva effettuare una minuziosa perquisizione di tutte le sue cose. Pitt, assistito da un agente, si accinse al lungo, estenuante lavoro. Nella camera da letto non trovarono assolutamente niente. Era ordinata, piuttosto chiassosa per il gusto di Pitt, ma pulita, e per il resto niente di particolare. C'erano tutte le solite cose: il portacatino, lo specchio, i cassettoni per la biancheria e i calzini. I vestiti e le camicie erano tenuti invece in uno spogliatoio separato. C'erano parecchie camere per gli ospiti, vuote e disabitate da tempo. Neanche le stanze al piano terreno rivelarono niente di particolare finché non arrivarono allo studio. Pitt aprì la porta e guardò dentro. Non c'era nulla di pretenzioso in quella stanza: il pavimento era privo di tappeti, le finestre enormi occupavano la maggior parte di due pareti. C'erano pezzi di statue ammucchiati in un angolo e una sedia bianca da giardino. Una poltrona Luigi XV era ricoperta da un pezzo di velluto rosa e un'urna giaceva riversa sul pavimento. Sulla parete, al lato della porta, c'erano scaffali pieni di pennelli, colori, sostanze chimiche, olio di lino, alcool e involti di stracci. Di sotto, sul pavimento, c'erano alcune tele e nel centro della stanza un cavalletto con a fianco due tavolozze e un dipinto incompleto appoggiato ai pioli. Apparentemente, non c'era nient'altro, salvo uno scrittoio con serranda avvolgibile e una sedia da cucina dallo schienale diritto. — Artisti — osservò l'agente. — E lei pensa di trovare qualcosa, qui? — Lo spero. — Pitt entrò nella stanza. — Altrimenti, non ci rimarrebbe altro da fare che interrogare i domestici. Tu comincia di là. — Indicò dove e lui stesso cominciò a esaminare le tele. — Sissignore — rispose l'agente, arrampicandosi prontamente sull'urna e urtando la sedia, che si rovesciò e rotolò su un fianco rumorosamente, trascinando con sé un vaso di fiori secchi. Pitt si trattenne dal fare apprezzamenti. Sapeva già quale opinione l'agente avesse dell'arte e degli artisti. Sulle tele era stata già data una prima mano, ma non erano state usate. Ce n'erano soltanto due già cominciate, una con lo sfondo e l'abbozzo di una testa di donna, l'altra quasi completa. Le mise in posizione e indietreggiò di qualche passo per guardarle meglio. Come Vespasia aveva osservato, la pittura era un po' opaca, come se il pittore avesse usato troppi colori insieme, ma le proporzioni erano buone e la composizione gradevole. Non riconobbe la figura che era quasi completa né quella della tela che stava sul cavalletto, ma probabilmente il maggiordomo era in grado di identificarle,
e certamente lo stesso Jones doveva avere una lista dei suoi clienti. L'agente inciampò in un troncone di colonna e imprecò sottovoce. Pitt lo ignorò e si avvicinò alla scrivania. Era chiusa a chiave e fu costretto ad armeggiare per parecchi minuti con un pezzo di filo di ferro, prima di riuscire ad aprirla. Dentro c'erano poche carte, per lo più fatture per forniture di materiale. I conti relativi alle spese domestiche dovevano essere tenuti in qualche altro posto, forse dal cuoco o dal maggiordomo. — Non c'è niente qui, ispettore — disse l'agente, scoraggiato. — Non si riesce a capire se c'è stata o no una colluttazione, con tutta questa confusione. — Non apprezzava molto l'arte: non era un lavoro da uomo. Gli uomini dovevano fare un vero e proprio lavoro e le donne mandare avanti la casa, tenerla pulita e ordinata, ammesso che ne fossero capaci. — Vivono tutti in questo modo gli artisti? — Diede un'occhiata sprezzante alla stanza. — Non ne ho idea — rispose Pitt. — Vedi se c'è qualche traccia di sangue. Aveva una grossa contusione alla testa. Sull'oggetto con cui l'hanno colpito, qualunque esso sia, devono essere rimasti dei segni. — Poi riprese la sua perlustrazione della scrivania, tirando fuori un fascio di lettere. Vi diede una rapida scorsa. Per quanto poteva capire, erano prive di qualsiasi interesse, perché si riferivano tutte a commissioni di ritratti, a indicazioni delle pose desiderate, ai colori dei vestiti, a date opportune per le sedute. Successivamente, rinvenne un piccolo notes con una serie di numeri, che avrebbero potuto significare qualsiasi cosa, e a fianco a ognuno di essi il disegnino di un insetto e di un piccolo rettile: una lucertola, una mosca, due tipi di scarafaggi, un rospo, un bruco e parecchie altre piccole creature pelose e con le zampe. Ognuno dei disegni compariva almeno una dozzina di volte, salvo quello del rospo, che era ripetuto soltanto due volte e verso la fine. Se Jones avesse continuato a vivere, il rospo sarebbe riapparso ancora? L'agente scavalcò l'urna e la sedia e si avvicinò a Pitt, chiedendo con voce piena di speranza: — Trovato qualcosa? — Non lo so — rispose Pitt. — Non mi sembra granché, ma se riuscissi a capire... L'agente cercò di sbirciare al di sopra della spalla dell'ispettore, ma era troppo alta per lui e diede un'occhiata invece all'altezza del suo gomito. — Bah, non ci capisco niente — ammise dopo qualche secondo. — Era interessato a quelle cose? Alcuni gentiluomini lo sono... specialmente se non hanno niente di meglio da fare. Anche se per me il motivo per cui
qualcuno desidera sapere tutto sui ragni e sulle mosche rimane un mistero. — No. — Pitt scosse il capo perplesso. — Non sono disegni di un naturalista: ritornano tutti a intervalli regolari, e sono sempre gli stessi. Assomigliano di più a geroglifici. Una specie di codice. — A che scopo? — L'agente fece una smorfia. — Non sono lettere dell'alfabeto o cose del genere. — Se sapessi a che servono, saprei anche qual è la prossima mossa da fare — rispose Pitt sarcastico. — Questi numeri sono disposti in gruppi come se indicassero date o soldi o l'uno e l'altro. L'interesse dell'agente era ormai venuto meno. — Forse questo era un modo di tenere i conti per scoraggiare la curiosità della governante o di altri domestici — osservò. — Non c'è molto, di là. Soltanto un mucchio di cose che si vedono nei quadri. Pezzi di gesso dipinti in modo da sembrare di pietra, stoffe colorate e cose del genere. Nessuna traccia di sangue. E c'è una confusione tale che non si capisce se tutte quelle cose siano finite lì perché fuori uso o se è stato lui stesso ad ammucchiarle. A quanto sembra, gli artisti sono per natura disordinati. Forse faceva anche fotografie, perché là c'è una macchina fotografica. — Una macchina fotografica? — Pitt si raddrizzò. — Non ho visto nessuna fotografia. E tu? — No, ispettore, adesso che me lo dice, non ne ho viste. Pensa che le vendesse? — Difficilmente le avrebbe vendute tutte — rispose Pitt perplesso. — E non ne abbiamo trovata nessuna in tutto il resto della casa. Dove potrebbero essere? — Forse non l'ha mai usata, quella macchina fotografica — suggerì l'agente. — È là in mezzo a tutte quelle cianfrusaglie che metteva nei suoi quadri. Forse serviva soltanto a questo: faceva parte di un quadro. — Non mi sembra un oggetto da mettere in un quadro. — Pitt scavalcò cautamente la sedia, l'urna e i tronconi di colonne, finché arrivò alla macchina fotografica nera sul suo treppiede. — Ed è tutt'altro che nuova — osservò. — Perciò non era stata acquistata di recente, a meno che non l'avesse presa di seconda mano. Ma noi possiamo sapere dai suoi clienti se nel ritratto di qualcuno figura una macchina fotografica o se qualcuno l'abbia commissionata per un ritratto ancora da fare. — Non è un granché. — L'agente inciampò in un pezzo di velluto e bestemmiò a voce alta. Poi colse l'espressione di Pitt. — Chiedo scusa, ispettore — borbottò e si mise a tossire per l'imbarazzo e l'irritazione. — Ma
forse faceva la fotografia delle persone di cui avrebbe dipinto il ritratto. Così poteva ricordarsi com'erano, quando non posavano, non le pare? — E poi distruggeva le fotografie o le regalava? — rifletté Pitt a voce alta. — Può darsi. Ma, secondo me, le avrebbe preferite a colori. Dopotutto, un pittore lavora con i colori. Tuttavia, potrebbe anche darsi. — Cominciò a esaminare la macchina fotografica, provando a muoverne le varie parti. Non ne aveva mai adoperata una, ma qualche volta aveva visto i fotografi della polizia servirsene e aveva cominciato ad apprezzarne le grandi possibilità. Sapeva che l'immagine veniva impressa su una lastra, che poi doveva essere sviluppata. Armeggiò per un bel po', prima di riuscire a estrarre dalla macchina la lastra, e la tenne accuratamente avvolta in un panno nero e lontano dalla luce perché, non avendo nessuna esperienza, temeva di rovinarla. — E che cos'è quella? — chiese l'agente dubbioso. — Una lastra — rispose Pitt. — E c'è su qualcosa? — Non lo so. Devo farla sviluppare. Probabilmente non c'è niente, altrimenti non l'avrebbe lasciata dentro, ma potremmo avere fortuna. — Forse soltanto una donna che stava dipingendo — concluse l'agente. — Potrebbe essere stato assassinato proprio a causa di una donna che stava dipingendo — sottolineò Pitt. Il volto dell'agente si illuminò. — Che avesse una relazione? Be', potrebbe essere un'idea. Qualche libertà che si prendeva, mentre la donna posava? Che ne dice? Pitt gli lanciò un'occhiata canzonatoria. — Fa' venire i domestici, uno alla volta — gli ordinò — cominciando dal maggiordomo. — Sissignore. — L'agente obbedì, ma stava chiaramente rimuginando sulle molte possibilità che aveva appena intravisto. Non aveva molta simpatia per quegli uomini effeminati che guadagnavano un sacco di soldi imbrattando tele in un camiciotto da pittore per fare il ritratto a gente che non aveva altro a cui pensare. Ma tutto questo era molto più interessante degli abituali fattacci di cui si occupava ogni giorno. Non gli andava di avere a che fare con i domestici. Si allontanò con una certa riluttanza. Qualche istante dopo entrò il maggiordomo e Pitt lo invitò a sedere sulla sedia da giardino, mentre lui stesso prendeva posto nella poltrona dietro la scrivania. — Chi era la persona di cui il suo padrone stava facendo il ritratto, pri-
ma di partire? — gli chiese subito. — Nessuno, signore. Aveva appena finito quello di Sir Albert Galsworth. La risposta deluse Pitt: non solo non aveva mai sentito parlare di Galsworth, ma si trattava di un uomo, e non di una donna. — E che mi dice di quel dipinto sul pavimento? — chiese. — Quella è una donna. Il maggiordomo si avvicinò a guardarlo. — Non lo so, signore. A giudicare dai suoi vestiti, sembrerebbe una donna di un certo rango, ma come lei stesso può vedere il viso non è stato completato, perciò non sono in grado di dire chi potrebbe essere. — Non è venuta qui nessuna donna per posare, di recente? — No, signore, non che io sappia. Può darsi che qualcuna dovesse venire, ma avrà rimandato in attesa di un momento più opportuno. — E che cosa pensa di questo? — Pitt gli mostrò l'altra tela, che era quasi completa. — Oh, sì, signore. Quella è la signora Woodford. Non voleva saperne più del ritratto. Diceva che la ingrossava. Il signor Jones non l'ha mai più ripreso. — C'è stato un certo risentimento per questo? — Non da parte del signor Jones. Lui era abituato alla suscettibilità di certe persone. Un artista deve darle per scontate. — Non era disposto a modificare il ritratto per far piacere alla signora? — Evidentemente no. Penso che avesse già apportato delle modifiche per avvicinarsi in qualche modo all'idea che la signora aveva di se stessa. Se si fosse spinto troppo oltre, avrebbe compromesso la propria reputazione di artista. Pitt non lo contraddisse: sarebbe stato un discorso puramente accademico. — Questo lo ha mai visto prima? — Tirò fuori il notes e lo aprì. Il maggiordomo diede un'occhiata, ma il suo volto non tradì nessuna emozione. — No, signore. È una cosa importante? — Non lo so. Era anche fotografo, il signor Jones? Il maggiordomo inarcò le sopracciglia. — Fotografo? Oh, no, signore, lui era un artista. A volte dipingeva ad acquarello, a volte a olio. Fotografie mai. — E allora di chi è quella macchina fotografica?
Il maggiordomo parve allarmato. Non aveva notato quell'aggeggio. — Non ne ho idea, signore. Non l'ho mai vista, prima d'ora. — Potrebbe aver permesso a qualcuno di servirsi del suo studio? — Oh, no, signore. Il signor Jones era un tipo molto meticoloso. A parte ciò, se lo studio fosse stato usato da qualcun altro, avrei dovuto senz'altro saperlo. Non sono venuti estranei qui. Nessuno è entrato in casa, da quando il signor Jones... è partito. — Capisco. — Pitt era sconcertato. La situazione rischiava di diventare ridicola. La macchina fotografica doveva pur venire da qualche posto e appartenere a qualcuno. — Grazie — disse alla fine alzandosi di nuovo. — Mi farebbe la cortesia di fare una lista di tutti quelli che sono venuti qui per farsi fare il ritratto, cominciando dagli ultimi e risalendo fino a quando lei è in grado di ricordare, con l'indicazione il più possibile precisa delle date? — Sì, signore. Non ci sono conti del signor Jones su cui lei potrebbe verificarlo? — Se ci sono, non sono qui. Il maggiordomo si astenne dal fare commenti e si ritirò lasciando entrare il primo dei domestici. Pitt li ascoltò tutti, uno per uno, ma non apprese niente d'importante. Finì che era ancora presto e gli rimase abbastanza tempo per recarsi almeno in una delle altre case di Gadstone Park. Scelse l'ultima sulla lista dei ritratti che il maggiordomo aveva compilato: Lady Gwendoline Cantlay. Evidentemente, Lady Cantlay non aveva ancora sentito la notizia. Ricevette Pitt con sorpresa e una punta di irritazione. — Ma ispettore, non so che senso abbia continuare a ritornare su questo disgraziato argomento. Augustus è stato sepolto e non ci sono stati altri casi di dissacrazione di tombe. Le consiglierei di lasciare che la famiglia si riprenda come meglio può e di non tirare più in ballo la faccenda. Non le pare che abbiano già sofferto abbastanza? — Non ho nessuna intenzione di sollevare di nuovo questo argomento, signora — replicò Pitt con aria paziente. — A meno che non si renda necessario. Sono qui per una faccenda del tutto diversa. Lei conosceva il pittore Godolphin Jones, suppongo? Fu soltanto frutto della sua immaginazione o notò davvero l'irrigidirsi delle dita e un rossore improvviso montare alle guance di Lady Cantlay? — Mi ha fatto il ritratto — ammise lei, fissandolo. — Ne ha fatti tanti altri di ritratti e mi è stato vivamente raccomandato. È un artista molto no-
to, molto apprezzato... — Lo tiene in grande considerazione, signora? — Io... — lei trattenne il fiato — ...io non lo conosco abbastanza per dirlo. Devo basarmi sull'opinione che ne hanno gli altri. — Lo fissò con aria di sfida. Di nuovo serrò le mani sul grembo, gualcendo la stoffa del vestito. — Perché me lo chiede? Finalmente c'era arrivata. Pitt provò un'improvvisa sensazione di ansietà, come se la notizia che stava per dare potesse sconvolgerla più di quanto immaginasse. — Mi dispiace di doverglielo dire, signora — cominciò con un senso di imbarazzo per lui insolito. Si era trovato spesso in precedenza in circostanze simili e le parole non gli mancavano. — Ma il signor Jones è morto. È stato assassinato. Lady Cantlay rimase perfettamente impassibile, come se non avesse capito. — Il signor Jones è in Francia. — No, signora, mi dispiace, ma è qui a Londra. Il cadavere è stato identificato dal suo maggiordomo. Non c'è alcun dubbio. — Pitt la guardò, poi diede un'occhiata in giro nella stanza in cerca del cordone del campanello per chiamare una cameriera, nel caso che ci fosse bisogno di assistenza. — Ha detto che è stato assassinato? — chiese lei lentamente. — Sì, signora. Mi dispiace. — Perché? Chi avrebbe potuto volerne la morte? Lei lo sa? Ci sono indizi? — Era agitata, ora. Quella notizia, Pitt avrebbe potuto giurarci, era stata un colpo per lei, ma il suo atteggiamento era cambiato. Era spaventata e sapeva cosa la spaventava. Pitt avrebbe pagato per saperlo anche lui. — Sì, ci sono parecchi indizi — rispose, osservandone il viso, il collo, le mani che si aggrappavano ai braccioli della poltrona. Lei spalancò gli occhi. — Posso chiederle quali sono? Sapendoli, potrei forse esserle d'aiuto. Conoscevo un po' il signor Jones, naturalmente, dal momento che avevo posato per il ritratto. — Certo — convenne Pitt. — Ci sono ritratti non finiti in cui il maggiordomo non riconosce i soggetti. E poi c'è una macchina fotografica... La sua sorpresa fu genuina. — Una macchina fotografica? Ma lui era un artista, non un fotografo. — Esattamente. Eppure c'è motivo di ritenere che fosse sua. È molto improbabile che nel suo studio ci fosse la macchina fotografica di qualcun altro. Il maggiordomo è stato categorico: non ha mai visto nessuno usare lo studio del suo padrone.
— Non capisco — replicò semplicemente Lady Cantlay. — Nemmeno noi capiamo, signora, almeno fino a questo momento. Devo supporre che il signor Jones non le abbia scattato fotografie per poter lavorare su quelle quando lei non fosse stata disponibile? — No, mai. — Forse potrei dare un'occhiata al suo ritratto, se lo ha ancora? — Certo, se ci tiene. — Si alzò e lo precedette nel salottino, dove un grande ritratto di lei era appoggiato alla mensola del caminetto. — Mi scusi. — Pitt si avvicinò e cominciò a osservare attentamente il dipinto. Non gli piacque molto. La posa era buona, anche se un po' stilizzata. Riconobbe parecchi degli oggetti già notati nello studio del pittore, specialmente il troncone di colonna e un tavolino. Le proporzioni erano corrette, ma nei colori mancava una certa trasparenza. Sembravano tutti impastati con un sottofondo di ocra o di seppia, che dava persino al cielo un aspetto plumbeo. Il volto era senz'altro quello di Gwendoline: l'espressione abbastanza gradevole, ma priva di un qualsiasi fascino. Cominciò a esaminare lo sfondo ed era sul punto di procedere oltre quando notò nell'angolo inferiore sinistro un mucchietto di foglie nitidamente disegnate con uno scarabeo su una di esse, anch'esso nitido e stilizzato, simile a uno di quelli che aveva trovato nel notes almeno quattro o cinque volte. — Posso chiederle quanto le è costato, signora? — si affrettò a domandarle. — Non vedo che cosa questo abbia a che fare con l'assassinio del signor Jones — replicò lei con evidente freddezza. — E io le ho già detto che era un artista di grande reputazione. Pitt si rese conto di aver toccato un argomento proibito, in certi ambienti. — Sì, signora — convenne. — Lei me lo ha detto e lo stesso giudizio l'ho sentito ripetere da altri. Ho buoni motivi, tuttavia, per chiederglielo, sia pure soltanto per poter effettuare dei confronti. — Io non voglio che mezza Londra sappia quali sono le mie possibilità economiche... — Le sue possibilità economiche non mi interessano. Sono dati che servono soltanto alla polizia, e soltanto nel caso che il prezzo abbia una certa rilevanza. Preferirei saperlo da lei piuttosto che importunare suo marito o... Il volto di Lady Cantlay s'indurì. — Lei sta andando oltre i suoi doveri d'ufficio, ispettore. Ma non voglio che disturbi mio marito con questa faccenda. Ho pagato trecentocinquanta sterline per il quadro, ma non vedo
quale utilità questo possa avere per la polizia. È un prezzo del tutto normale per un artista come Jones. Credo che il maggiore Rodney abbia pagato pressappoco la stessa somma per il suo ritratto e per quello delle sue sorelle. — Il maggiore Rodney ha fatto fare due ritratti? — Pitt era sorpreso. Non avrebbe mai immaginato che il maggiore avesse tanta passione per l'arte, e che potesse permettersela. — Perché no? — chiese lei accigliata. — Uno per sé e un altro per le signorine Priscilla e Mary Ann insieme. — Capisco. La ringrazio, signora. Lei mi è stata di grande aiuto. — Non vedo come. Nemmeno lui lo sapeva, ma almeno c'erano altri posti dove cercare, e la mattina seguente sarebbe andato a trovare il maggiore Rodney e le sue sorelle. Si scusò per il disturbo arrecato e uscì di nuovo nella nebbia, che si stava infittendo, per tornare alla stazione di polizia e di lì a casa. Se Lady Cantlay era stata sorpresa della notizia dell'assassinio di Godolphin Jones, il maggiore Rodney ne fu davvero sconvolto. Si lasciò andare in una poltrona come un uomo che fosse stato lì lì per affogare. Rimase senza fiato e il suo volto si ricoprì di chiazze rosse. — Oh, Dio mio, che cosa spaventosa! Strangolato, ha detto? Dove l'hanno trovato? — Nella tomba di un altro uomo — rispose Pitt, ancora una volta incerto se suonare il campanello per chiamare un domestico. Era una reazione alla quale non era preparato. Rodney era un soldato e doveva aver visto la morte, morti violente e sanguinose, centinaia di volte. Aveva combattuto in Crimea e da quanto Pitt sapeva di quella guerra tragica e disperata, un uomo che fosse sopravvissuto a quel massacro doveva essere in grado di affrontare l'inferno stesso senza fare una piega. Rodney cominciava a riprendersi. — Che cosa terribile... Come ha fatto la polizia a sapere in quale tomba guardare? — Non lo sapevamo. Lo abbiamo trovato per caso. — Questo è assurdo. Non si può andare in giro a scavare tombe per vedere che cosa c'è dentro... — Certamente no, maggiore. — Pitt provò di nuovo una sensazione di imbarazzo. — Ci aspettavamo che la tomba profanata fosse vuota. Il maggiore Rodney lo fissò. — Noi avevamo il cadavere che avrebbe dovuto trovarsi in quella tomba — cercò di fargli capire Pitt. — Era l'uomo che in un primo momento ave-
vamo pensato fosse Lord Augustus... e che abbiamo trovato a cassetta di una carrozza a nolo, vicino al teatro... — Ah! — Il maggiore si raddrizzò impettito come se stesse sfilando a cavallo in una parata. — Capisco. Perché non me lo ha detto subito? Bene, temo proprio di non poterle essere di alcun aiuto. La ringrazio per avermi informato. Pitt rimase seduto. — Lei conosceva il signor Jones? — Sì, lo conoscevo, ma non avevo rapporti con lui. Non faceva parte del nostro ambiente. Un artista, lei capisce... — Le ha fatto il ritratto, non è così? — Oh, sì... lo conoscevo nella sua qualità di pittore. Non posso dirle niente sul suo conto. E non voglio che lei turbi le mie sorelle con discorsi di assassinii. Le informerò io stesso, quando lo riterrò opportuno. — Ha fatto fare il ritratto anche alle sue sorelle? — Sì, e con questo? Una cosa assolutamente normale. Molta gente si fa fare il ritratto. — Potrei vederli, se non le dispiace? — A che scopo? Non sono niente di speciale. Ma non ho difficoltà a mostrarglieli, se questo può indurla a lasciarci in pace. Povero diavolo... — Scosse il capo. — Peccato. Davvero una brutta morte. — Si alzò, piccolo, magro, impettito, e accompagnò Pitt in salotto. Pitt rivolse lo sguardo al ritratto, molto convenzionale, sulla parete in fondo alla stanza, al di sopra della credenza. A prima vista, non gli piacque. Era troppo sfarzoso, pieno di fregi metallici luccicanti, un bambino nel corpo di un vecchio che gioca a fare il soldato. Se l'intenzione fosse stata ironica, forse il quadro sarebbe riuscito, ma anche qui i colori erano opachi e un po' pasticciati. Pitt si avvicinò e il suo occhio corse, senza che se ne rendesse conto, all'angolo sinistro del quadro. C'era un bruco, totalmente estraneo alla composizione, ma abilmente mimetizzato nello sfondo, una piccola creatura dal corpo scuro, confusa in un'ombra variegata. — E quello delle sue sorelle? — Si fece indietro per guardare in faccia il maggiore. — Non riesco a capire perché vuol vederlo — ribatté il maggiore sorpreso. — È un comunissimo ritratto, niente di speciale. Tuttavia, se proprio ci tiene... — Sì, la ringrazio. — Pitt lo seguì nella stanza adiacente. Il quadro era appeso alla parete di fronte, tra due fioriere, molto più grande del primo.
La posa era piuttosto elaborata, lo sfondo appesantito da troppi oggetti, i colori un po' più vivi, ma con troppi rosa. Pitt guardò nell'angolo sinistro in basso e scorse lo stesso bruco, ma col corpo verde per mimetizzarlo nell'erba. — Quanto ha pagato per i due ritratti, maggiore? — chiese. — Abbastanza, ispettore — rispose il maggiore stizzito. — Non riesco a capire che cosa c'entri questo con la sua indagine. Pitt cercò di visualizzare le cifre nel notes a fianco del bruco, ma ne aveva visti tanti e non poteva ricordarli tutti. — Devo saperlo, maggiore. Preferisco chiederlo a lei personalmente piuttosto che scoprirlo per altre vie. — Al diavolo, ispettore, non sono affari suoi! Vada a chiederlo a chi vuole. Anche insistendo, Pitt sapeva che non l'avrebbe spuntata. Avrebbe cercato prima le cifre contrassegnate dagli scarabei, corrispondenti a trecentocinquanta sterline, poi avrebbe addizionato quelle contrassegnate dai bruchi. Avrebbe buttato lì il totale al maggiore per studiarne la reazione. Il maggiore sbuffò, soddisfatto della sua vittoria. — E ora, se ha finito... Pitt si chiese se era il caso di insistere per vedere le signorine Rodney, ma decise che non ne avrebbe cavato molto. Poteva andare a interrogare con miglior profitto l'altra persona che si era fatta fare il ritratto da Jones, e cioè Lady St. Jermyn. Si rassegnò al congedo del maggiore e un quarto d'ora più tardi, con un certo disagio, si trovò di fronte a Lord St. Jermyn. — Lady St. Jermyn non è in casa — annunciò gelidamente. — Nessuno di noi due potrà esserle di qualche aiuto in questa faccenda. La cosa migliore sarebbe di lasciar perdere tutto, ed è quello che le consiglierei di fare da ora in poi. — Non si può lasciar perdere un assassinio — ribatté Pitt con una certa asprezza. — Neanche volendolo. St. Jermyn aggrottò appena le sopracciglia per esprimere non tanto sorpresa quanto disprezzo. — Che cosa l'ha indotta così di punto in bianco a credere che Augustus sia stato ucciso? Temo che ci sia in lei un insano desiderio di ficcare il naso nella vita delle persone di un rango sociale superiore al suo. Pitt moriva dalla voglia di rispondergli per le rime: era come se si sentisse battere un martello in testa. — Le assicuro, signore, che il mio interesse nella vita degli altri è puramente professionale. — Cercò di dare alla propria voce il tono limpido e gradevole di quella di St. Jermyn, accarezzando
con distacco le parole. — Non ho nessuna predilezione né per la tragedia né per lo squallore. Preferisco che le afflizioni private rimangono tali, nei limiti in cui il dovere pubblico lo consente. E, per quanto mi risulta, Lord Augustus è morto di morte naturale... ma Godolphin Jones è stato sicuramente strangolato. St. Jermyn rimase perfettamente immobile: il suo volto impallidì e gli occhi si dilatarono leggermente. Pitt notò che le mani si stringevano l'una all'altra. Ci fu un momento di silenzio. — Assassinato? — chiese, guardingo. — Sì. — Pitt preferiva lasciar parlare St. Jermyn piuttosto che condurre l'interrogatorio in una maniera che avrebbe potuto anche facilitargli le risposte. Il silenzio era come un incoraggiamento a parlare. St. Jermyn posò gli occhi sul volto di Pitt e lo fissò, come se volesse cercare di prevenirlo. — Quando avete scoperto il suo corpo? — chiese. — Ieri sera. Di nuovo St. Jermyn rimase in attesa, ma Pitt non gli venne in aiuto. — Dove? — chiese infine. — Sepolto. — Sepolto? — La voce di St. Jermyn si elevò. — Assurdo. Che cosa intende dire per "sepolto"? Nel giardino di qualcuno? — No, sepolto regolarmente, in una bara, in una tomba, nel cimitero di una chiesa. — Ma che diavolo sta dicendo? — St. Jermyn si stava arrabbiando. — Chi si prenderebbe la briga di seppellire un uomo strangolato? Nessun dottore firmerebbe un certificato di morte per un uomo strangolato e nessun prete ne celebrerebbe il servizio funebre, senza il certificato. Lei sta dicendo soltanto sciocchezze. — Era deciso, ormai, a chiudere il discorso. — No, sto riferendo fatti concreti — replicò Pitt pacatamente. — E non sono in grado di darne una spiegazione. Posso dire soltanto che non era nella sua tomba. Era in quella di un certo Albert Wilson, morto per un colpo apoplettico e sepolto regolarmente. — Be', e allora che cosa ne è stato del corpo di questo... Wilson? — Era quello che è caduto giù dalla carrozza a nolo davanti al teatro — rispose Pitt, continuando a fissare in faccia St. Jermyn. Non riusciva a vederci altro che disorientamento e confusione. Di nuovo, per alcuni secondi, Pitt non disse nulla e rimase in attesa. L'altro lo fissò con occhi annebbiati e impenetrabili. Pitt cercò di spogliarlo di quella sua maschera di autorevo-
lezza e padronanza di sé per vedere l'uomo che c'era sotto... e fallì completamente. — Lei non sa chi lo ha ucciso, suppongo — disse St. Jermyn infine. — Chi ha ucciso Godolphin Jones? No, non ancora. — E non sa nemmeno perché è stato ucciso? Per la prima volta Pitt forzò un pò' la verità. — Questo è diverso. Sul perché abbiamo qualche idea. Il volto di St. Jermyn era ancora molto pallido e le narici si dilatarono appena, mentre respirava. — Oh! E quale potrebbe essere la ragione? — Sarebbe scorretto da parte mia parlarne prima di avere delle prove — Pitt eluse la domanda con un sorriso. — Potrei danneggiare qualcuno e i sospetti, una volta espressi, raramente vengono dimenticati, anche se in seguito se ne dimostra l'infondatezza. St. Jermyn esitò, come se volesse chiedere qualcos'altro, poi ci rinunciò. — Sì... sì, naturalmente — convenne. — Che cosa pensa di fare, adesso? — Interrogherò le persone che lo conoscevano meglio, sia sul piano professionale che su quello sociale — rispose Pitt, cogliendo al volo l'occasione che gli veniva offerta. — Lei non era uno dei suoi mecenati? St. Jermyn rispose con un sorriso, soltanto un impercettibile allentamento della tensione del volto. — Che parola, ispettore. Tutt'altro che un mecenate. Gli ho commissionato un solo quadro, il ritratto di mia moglie. — E le è piaciuto? Ne è stato soddisfatto? — È discreto. A mia moglie è piaciuto abbastanza ed è quello che conta. Perché me lo chiede? — Per nessuna ragione in particolare. Potrei vederlo? — Se proprio lo desidera, ma dubito che possa servirle a qualcosa. — Si voltò e si avviò, seguito da Pitt. Il quadro era appeso nell'atrio alla parete della scalinata e, confrontandolo con gli altri ritratti di famiglia, Pitt non fu sorpreso che non fosse molto in vista. Diede una rapida occhiata al volto e poi i suoi occhi corsero all'angolo a sinistra. L'insetto era lì, questa volta un ragno. — Allora? — chiese St. Jermyn con una punta di ironia nella voce. — La ringrazio. — Pitt discese la scala, fermandosi al suo fianco. — Le dispiacerebbe dirmi quanto lo ha pagato? — Probabilmente più di quanto vale — rispose St. Jermyn con noncuranza. — Ma a mia moglie piace. Personalmente, penso che non le renda giustizia. Lei che ne dice? Ma forse non può dirne niente, perché non conosce mia moglie.
— Quanto? — ripeté Pitt. — Circa quattrocentocinquanta sterline, se ricordo bene. Vuole la cifra esatta? Mi ci vorrebbe del tempo per controllare. Non è poi una spesa così importante. L'enorme differenza tra le loro rispettive condizioni economiche fece quasi sorridere Pitt. — La ringrazio — rispose, senza aggiungere alcun commento. St. Jermyn per la prima volta sorrise. — Questo favorisce le sue indagini, ispettore? — Potrebbe, nel contesto di altre indicazioni. — Pitt si diresse alla porta. — Grazie per il tempo che mi ha dedicato. Quando arrivò a casa, stanco e infreddolito, Pitt fu accolto dal buon odore della minestra e della biancheria asciutta che pendeva dal soffitto. Jemima era già addormentata e la casa era immersa nel silenzio. Si tolse gli stivali bagnati, lasciando che la calma atmosfera della casa penetrasse in lui, quasi fosse possibile avvertirla fisicamente come il calore. Per parecchi minuti Charlotte, dopo un fugace cenno di saluto, non disse altro. Quando alla fine Pitt si sentì di parlare, posò il piatto della minestra che lei gli aveva passato e la guardò dall'altra parte del tavolo. — Mi sto agitando come se sapessi che cosa faccio, ma in realtà non riesco a vederci nessun senso — disse con un gesto di rassegnata impotenza. — Chi hai interrogato? — chiese lei, asciugandosi con cura le mani e prendendo un panno per aprire lo sportello del forno e tirarne fuori il pasticcio di carne. La crosta era croccante e di un bel colore dorato, un po' più scura a un angolo, quasi un po' bruciata. Lui la osservò con un accenno di sorriso. Charlotte se ne rese conto. — Mangerò io quel pezzetto — disse prontamente. — Come mai si brucia all'angolo? — chiese Pitt ridendo. Charlotte lo fulminò con uno sguardo. — Se lo sapessi, farei in modo di evitarlo. — Versò nel piatto la verdura e osservò soddisfatta il vapore che si sollevava nell'aria. — Hai parlato con qualcuno per la morte di quel pittore? — Con tutti quelli che a Gadstone Park si sono fatti fare il ritratto da lui. Perché? — Così, me lo chiedevo... — Alzò il trinciante e lo tenne sospeso in aria sopra il pasticcio di carne, mentre rifletteva. — Noi una volta abbiamo fat-
to fare il ritratto della mamma e di Sarah. Tutti ne furono entusiasti. Dicevano che Sarah era bellissima e facevano apprezzamenti esagerati. Dicevano che c'era una delicatezza di tratti che faceva pensare a una rosa Bourbon. Per settimane, Sarah continuò a girare per la casa con la testa per aria, guardandosi di nascosto in tutti gli specchi. — Era davvero bella — replicò Pitt. — Anche se il paragone con una rosa Bourbon mi pare un po' eccessivo. Ma che cosa stai cercando di dirmi? — Be', Godolphin Jones faceva soldi dipingendo i ritratti della gente, il che in un certo senso è il massimo della vanità; avere il proprio viso immortalato. Forse Jones riusciva ad adulare tutti com'era accaduto con Sarah. E, se lo faceva, molti ne erano probabilmente lusingati, non ti pare? Di colpo Pitt capì dove la moglie voleva arrivare. — Pensi a una relazione sentimentale o anche a più di una? Una donna che immaginava di essere l'unica nella sua vita e che scopriva di essere solo una delle tante e che le dolci lusinghe del suo pennello non erano altro che parte del suo armamentario professionale? Oppure un marito geloso? — È possibile. — Charlotte abbassò il trinciante e lo affondò nel pasticcio di carne. Un denso sugo ne sprizzò fuori e Pitt dimenticò completamente l'angolo bruciato. — Ho fame — dichiarò. Lei gli sorrise soddisfatta. — Bene. Parlane con zia Vespasia. Se c'entra qualcuno di Gadstone Park, sono certa che lei lo sa. Ma anche se non lo sapesse, cercherebbe di scoprirlo per te. — Andrò da lei — promise Pitt. — E ora, se non ti dispiace, mangiamo e lasciamo perdere Godolphin Jones. Ma la prima persona che vide il giorno seguente fu Somerset Carlisle. Ormai, naturalmente, tutti in Gadstone Park sapevano della scoperta del corpo di Godolphin Jones e Pitt non poté contare sull'effetto sorpresa. — Non lo conoscevo molto bene — disse Carlisle. — Non avevamo molto in comune, cosa che suppongo lei sappia. E certo non avevo nessuna voglia di farmi fare un ritratto. — Se invece ne avesse avuto voglia — gli chiese Pitt lentamente, guardandolo bene in faccia — sarebbe andato da Godolphin Jones? Carlisle parve un po' sorpreso. — Ma questo che importanza ha? In ogni caso sono un po' in ritardo, ora. — Sarebbe andato da lui?
Carlisle esitò, prima di rispondere. — No — disse alla fine. — Non sarei andato da lui. Pitt se l'era aspettato. Charlotte gli aveva detto che Carlisle si era espresso in termini sprezzanti sul conto di Jones come pittore. Se ora avesse parlato bene, si sarebbe contraddetto. Pitt incalzò. — Un artista sopravvalutato, secondo lei? Carlisle lo guardò pacatamente. I suoi occhi di un grigio scuro erano limpidissimi. — Come pittore sì, lo considererei piuttosto sopravvalutato. Come uomo di mondo e come amico, forse no. Era una persona molto spiritosa, dal carattere accomodante, e aveva imparato la difficile arte di sopportare con molto garbo le insulsaggini della gente. Non è facile continuare a godere di un credito non del tutto meritato. — L'arte non è una specie di moda? — chiese Pitt. Carlisle sorrise, continuando a sostenere lo sguardo dell'ispettore. — Certo. Ma le mode sono spesso fabbricate. Il prezzo si alimenta da sé, lei lo sa. Si vende una cosa a un alto prezzo e si può vendere la successiva a un prezzo ancora maggiore. Pitt afferrò l'idea, ma ciò non gli dava la risposta alla domanda sul motivo per cui qualcuno avrebbe dovuto strangolare Godolphin Jones. — Lei ha accennato ad altre sue doti — disse cautamente. — Voleva intendere come uomo di mondo e come amico o forse qualcosa di più... come amante in una relazione o anche in più di una relazione, per esempio? Il volto di Carlisle rimase imperturbabile, quasi divertito. — Potrebbe valere la pena di indagare in tal senso. Con molta discrezione, naturalmente, se non vuole provocare un'ondata di risentimenti che si ritorcerebbero contro di lei. — Certamente — convenne Pitt. — La ringrazio. La discrezione cominciò con zia Vespasia. — L'aspettavo ieri — disse lei con una leggera sorpresa nella voce. — Da dove pensa di cominciare? C'è qualcosa che sa sul conto di quel poveretto? Da quanto ho sentito, non aveva nessun rapporto con Augustus, e Alicia era una delle poche bellezze, o presunte tali, a Gadstone Park, a cui Godolphin Jones non avesse fatto il ritratto. Per amor del cielo, si sieda, giovanotto. Mi fa venire il torcicollo a guardarla. Pitt obbedì. Ancora non osava prendersi la libertà di mettersi a suo agio, prima di essere invitato a farlo. — Era un buon pittore? — chiese. Avrebbe fatto molto conto della sua opinione.
— No — rispose Vespasia senza peli sulla lingua. — Perché? — Anche Charlotte è di questo parere. Lei lo fissò un po' di traverso, socchiudendo gli occhi. — Proprio così. E che cosa ne deduce? Lei sta cercando di dirmi qualcosa... — A suo parere, perché riusciva a chiedere e a ottenere compensi così alti? — chiese Pitt apertamente. — Ah! — Vespasia si appoggiò allo schienale della poltrona e le sue labbra si incresparono in un lieve sorriso. — I pittori che fanno il ritratto alle donne dell'alta società devono essere anche buoni corteggiatori. Anzi, soprattutto buoni corteggiatori. I più bravi possono permettersi di dipingere come vogliono, ma gli altri devono compiacere chi tiene i cordoni della borsa, chiunque esso sia. Se ne hanno l'abilità, possono blandire i loro clienti con il pennello: diversamente, devono farlo con la lingua. Alcuni fanno l'uno e l'altro. — E Godolphin Jones? Negli occhi di Vespasia passò un guizzo divertito. — Ha visto lei stesso i suoi quadri... dovrebbe sapere che li blandiva con la lingua. — Ritiene che andasse anche oltre le parole? — Pitt non sapeva se l'avrebbe offesa, formulando così sfacciatamente la domanda. Ma, d'altra parte, non era proprio il caso di essere reticenti con lei ed era ormai stufo di quella faccenda e troppo esasperato per procedere con cautela. Lei rimase silenziosa così a lungo che Pitt cominciò proprio a temere di averla offesa. Poi, alla fine, parlò soppesando con cura le parole. — Mi sta chiedendo se so di qualche signora che avesse una relazione con Godolphin Jones. Immagino che, se io non glielo dico, dovrà scoprirlo per suo conto. Tanto vale, allora, che glielo dica io: sarà senz'altro il modo più indolore. Sì, Gwendoline Cantlay aveva una relazione con lui. Niente di serio, nient'altro che un diversivo per sfuggire alla noia di un buon marito che si faceva sempre meno interessante. Certo, non una grande passione. E Gwendoline lo faceva con molta discrezione. — Sa se Sir Desmond ne fosse informato? Vespasia rifletté per un momento, prima di rispondere. — Forse lo immaginava, ma aveva il buon gusto di voltarsi dall'altra parte — rispose alla fine. — Faccio molta fatica a credere che possa aver ucciso per questa ragione quel povero ometto. Non si reagisce così, se non si è completamente fuori di sé. Pitt non riusciva a entrare nella logica di zia Vespasia: doveva accontentarsi del fatto che lei lo sapeva. Si chiese quale sarebbe stata la pro-
pria reazione, se avesse scoperto che Charlotte era coinvolta in una squallida vicenda del genere. Una cosa simile avrebbe mandato in pezzi tutto ciò che gli era più caro, avrebbe profanato e sconvolto tutto quanto di prezioso c'era in lui e lo avrebbe reso insensibile alle brutture che ogni giorno vedeva. Avrebbe persino immaginato di strangolare quell'uomo. Vespasia lo stava osservando e forse leggeva qualcosa di ciò che gli passava nella mente. — Non deve giudicare Desmond Cantlay con il suo metro — gli disse tranquillamente. — Ma indaghi in quella direzione, se proprio deve farlo. Suppongo che, dopo tanto tempo, non sia in grado di stabilire quando Godolphin Jones è stato ucciso. — No di certo: approssimativamente tre o quattro settimane fa, ma questo non è di nessuna utilità per ricostruire i movimenti di ciascuno allo scopo di provarne l'innocenza o la colpevolezza. Secondo me, è stato ucciso poco tempo dopo l'ultima volta in cui i suoi domestici lo hanno visto, e cioè tre settimane prima di giovedì scorso. Ma anche questo non è provato. Non sappiamo nemmeno dove il delitto è stato commesso. — A quanto pare, lei ne sa molto poco — osservò Vespasia accigliata. — Non vada in giro a raccogliere notizie e a seminare sospetti. Forse Desmond non ne sapeva niente. E, indubbiamente, dal momento che per Jones la seduzione era un ferro del mestiere, lui vi ricorreva regolarmente. Pitt aggrottò la fronte. — Può darsi. Ma avrebbe osato farlo anche con Lady St. Jermyn? — Rivide nella sua mente la severa testa della nobildonna striata d'argento. C'era una notevole dignità in lei. Sarebbe stato un artista davvero avventato quello che avesse tentato di ammorbidirla con esagerate adulazioni. Gli occhi di Vespasia si socchiusero appena, ma la sua espressione rimase impenetrabile per Pitt. — No — disse lui semplicemente. — E nemmeno con le signorine Rodney, immagino. — L'idea di una relazione con una delle signorine Rodney era semplicemente ridicola, ma sono poche le persone refrattarie alle lusinghe e Jones era fin troppo abile, quando voleva. — Dovrò rintracciare le sue altre vittime — convenne Pitt. — Ne ho una lista che mi ha dato il maggiordomo. — Avrebbe voluto farle ancora altre domande: lei doveva sapere qualcosa su cui taceva deliberatamente, ne aveva la vaga impressione. Voleva forse proteggere Gwendoline o qualcun'altro? Alicia, forse. O Verity? Non era il caso di insistere. L'avrebbe sol-
tanto offesa. Si alzò — La ringrazio, Lady Cumming-Gould. Le sono grato per il suo aiuto. Lei lo fissò sospettosamente. — Non sia ipocrita con me, Thomas. Io non le sono stata di nessun aiuto e lei lo sa. Non ho nessuna idea di chi possa aver ucciso Godolphin Jones, ma non le nascondo che ho un po' di simpatia per chiunque sia stato. In realtà, sono soltanto marginalmente interessata a questa faccenda. È un peccato che non sia rimasto decentemente sepolto nella tomba del maggiordomo. Il progetto di legge di St. Jermyn è molto più importante per me della morte di un piccolo, insignificante, cocciuto artista. Ha idea dell'effetto che quella legge potrebbe avere per la vita di migliaia di bambini in questa disgraziata città? — Sì, signora — rispose Pitt. — Sono stato nelle case di lavoro. Ho arrestato bambini affamati di cinque anni, già istruiti alla scuola del furto, ma ignoranti in tutto il resto. — Le chiedo scusa, Thomas. — La donna non era abituata a cedere in una discussione. Pitt lo sapeva. Le sorrise, un pieno di intelligenza e di onestà, e per un istante si trovarono in perfetta sintonia, come se appartenessero alla stessa classe. Poi tutto tornò come prima. Lei suonò il campanello e il maggiordomo accompagnò l'ispettore alla porta. Ma c'era qualcosa che lo tormentava, e anziché tirare fuori la lista del maggiordomo di Godolphin Jones, chiamò la carrozza e viaggiò per più di tre chilometri prima di scendere, pagare il vetturino e arrampicarsi per una tetra scala fino a una piccola stanza con una grande finestra esposta a mezzogiorno e un lucernario ancora più grande. Un ometto sciatto e trasandato con due enormi occhi lo fissò. — Salve, Froggy — lo salutò Pitt allegramente. — Puoi accordarmi qualche minuto? L'uomo lo guardò dubbioso. — Non ho niente che non dovrei avere e lei non ha nessun diritto di guardare. — Non sono venuto per guardare, Froggy. Voglio un tuo parere. — E non intendo dare informazioni su nessuno. — Un tuo parere artistico — Pitt scelse le parole — su un quadro che non è di provenienza furtiva. O, per essere più precisi, su un pittore. — Chi? — Godolphin Jones. — Lo lasci perdere. Non vale ed è maledettamente caro. Lei, ispettore,
dove va a prendere tutti quei soldi? Si è fatto corrompere? Lo sa quanto prende per un quadro? Quattrocento o cinquecento sterline, più o meno. — Sì, lo so, e non ti costringerò a dirmi come fai a saperlo. Perché riesce a farsi pagare tanto, se non vale? — Questo è un mistero. Non saprei cosa dirle. — Forse ti sbagli e Jones è un pittore che vale. — Mi sta offendendo, ispettore. Io conosco il mio mestiere. Non riuscirei a vendere un quadro di Jones neanche se regalassi una gallina per ognuno di essi. Quelli che vengono da me cercano un quadro da poter tenere per un bel po'. Poi, quando nessuno più lo cerca, lo rifilano a un collezionista che non faccia tante storie sulla sua provenienza. Nessun collezionista vuole un quadro di Jones. Lei mi sta chiedendo perché lo pagano tanto... Può darsi che lo facciano per vanità. Non capiscono niente di pittura, non hanno mai capito niente, e lei sta perdendo il suo tempo, se crede di capirne qualcosa. È gente diversa da lei e da me. Non sanno quello che fanno e perché. Ma posso dirle soltanto una cosa: i quadri di Jones non cambiano mai mano. Nessuno li vende perché nessuno li compra. Ora, la regola è questa: se vale la pena di comprare un quadro, in qualche posto e in qualche momento qualcuno lo venderà. — Grazie, Froggy. — Non c'è altro? — Grazie, è tutto. — Può servirle? — Non ne ho idea. Ma sono soddisfatto lo stesso. Al suo ritorno alla stazione di polizia, prima della fine della giornata, Pitt trovò il sergente che nei giorni precedenti lo aveva sempre accolto con la notizia del ritrovamento di un cadavere. Quando vide il volto di quello sciagurato di nuovo acceso per l'eccitazione, si sentì mancare. — Che cosa c'è, ora? — gli chiese in tono brusco. — Quella lastra, ispettore, quella lastra che abbiamo trovata nella casa del pittore strangolato... — E con ciò? — Lei l'ha mandata a farla sviluppare, ispettore. — Era tutto agitato. — Ah, già!... — Un'improvvisa speranza rianimò Pitt. — C'era qualcosa? Su, dimmelo, giovanotto, non startene lì impalato. — La fotografia di una donna nuda, nuda come un bambino... ma niente che avesse a che fare con un bambino, se capisce quello che voglio dire. — Dov'è? — chiese Pitt impaziente. — Dove l'hai messa?
— È nel suo ufficio, ispettore, in una busta gialla, sigillata. Pitt gli passò davanti di corsa e sbatté la porta. Con le mani tremanti prese la busta e la strappò. Nella fotografia era ritratta una donna, come l'agente aveva detto, senza l'ombra di uno straccio addosso, in una posa decisamente erotica. La faccia era molto sbiadita. Non l'aveva mai vista prima, né di persona né dipinta in un quadro. Gli era completamente estranea. — Al diavolo! — esclamò. Pitt passò il giorno seguente a cercare di scoprire l'identità della donna della fotografia. Se era una persona di un certo rango sociale, quella fotografia per se stessa poteva essere il movente di un assassinio. Ne diede una copia al sergente, dicendogli di vedere in tutte le stazioni di polizia del centro se qualcuno la riconosceva, e ne tenne un'altra copia per sé, con il corpo accuratamente nascosto, per accertare se fosse nota a qualcuno dell'alta società. Non occorreva che fosse una signora, poteva anche trattarsi di una cameriera che faceva un po' di soldi con quella specie di secondo lavoro, e che avrebbe perduto non solo il posto, ma anche qualsiasi speranza di un futuro impiego con tutte le conseguenti garanzie di sicurezza. Anche questo poteva essere stato il movente di un assassinio. Com'era naturale, ritornò da Vespasia. Lei esitò a lungo prima di rispondere, soppesando le parole con tanta cura che Pitt era quasi preparato a sentirsi rifilare una bugia. — Mi ricorda qualcuna che conosco — disse lentamente, con la testa piegata da un lato, continuando a osservare la fotografia. — L'acconciatura dei capelli non è quella giusta. Mi pare che fosse diversa, se è la persona a cui penso. E forse i capelli erano un po' più scuri. — Chi è — chiese Pitt, divorato dall'impazienza. Forse zia Vespasia aveva sulla punta della lingua il decisivo indizio relativo all'assassinio ed era lì irresoluta come una timida sposina. Lei scosse il capo. — Non so... mi sembra un volto familiare, ma non riesco a stabilire chi sia. Pitt sbuffò esasperato. — È inutile forzarmi, Thomas. Io sono una donna anziana... — Sciocchezze — ribatté lui bruscamente. — Se ha intenzione di addurre a pretesto una qualche forma di labilità mentale... l'accuserò di falsa testimonianza. Vespasia gli rivolse un pallido sorriso. — Non so chi sia, Thomas. Forse
la figlia di qualcuno che conosco, o la cameriera. Forse ho sempre visto quel volto sotto una cuffia di pizzo. I capelli cambiano tutto, lei lo sa. Ma se dovessi ricordarmene, le manderò qualcuno nello spazio di un'ora. Lei ha detto di aver trovato questa fotografia in casa di Godolphin Jones, nella sua macchina fotografica? Perché è così importante? — Diede un'altra occhiata alla foto che aveva ancora in mano. — Il resto della figura è forse sconveniente? O c'è un'altra persona? — È sconveniente — rispose Pitt. — Già... — Vespasia corrugò un po' la fronte e restituì la fotografia a Pitt. — Movente per un assassinio, allora. L'avevo immaginato. Poveretta. — Devo sapere chi è. — Capisco il suo desiderio — disse Vespasia con calma. — Ma non c'è bisogno di sottolinearlo. — Se tutti dovessero andare in giro ad assassinare i testimoni di situazioni scabrose... — Pitt si sentiva frustrato fino a perdere il controllo di sé. Era quasi sicuro, ora, che Vespasia gli nascondeva qualcosa: se non proprio una conoscenza diretta, almeno un forte sospetto. — Io non approvo l'assassinio, Thomas — lo interruppe guardandolo in faccia. — Se dovesse venirmi in mente chi è, glielo farò sapere. Pitt doveva accontentarsi. Sapeva benissimo che lei non avrebbe detto altro. Si accomiatò con tutta la cortesia di cui fu capace e uscì nella nebbia che si stava infittendo. Passò il resto della giornata con la fotografia in mano a interrogare la gente, ma nessun altro era disposto ad ammettere di aver conosciuto quella donna. Al cadere della sera, Pitt si ritrovò infreddolito, con le gambe e i piedi che gli facevano male e una vescica che si era formata sul tallone. Aveva fame e si sentiva depresso. Poi, quando la quarta carrozza passò via senza fermarsi e lo lasciò completamente solo sotto una lampada a gas in un alone di gelida nebbia, gli venne improvvisamente un'idea. Si era completamente dimenticato degli altri cadaveri, nella presunzione che avessero un interesse marginale. Erano tutti morti di morte naturale: solo Godolphin Jones era stato assassinato. Ma c'era forse tra loro qualche strano nesso? Horatio Snipe era stato un ruffiano. E se tra i suoi clienti ci fosse stato anche Godolphin Jones, che si riforniva da lui per i suoi appetiti o per i soggetti delle sue foto pornografiche? Probabilmente una sua particolare mania... Si precipitò in strada, urlando alla prima carrozza che vide. Il vetturino si arrestò con una certa riluttanza.
— Resurrection Row — gli gridò. L'uomo fece una smorfia, ma girò il cavallo e ritornò indietro, borbottando rabbiosamente qualcosa a proposito di oscurità e di cimiteri, e di quello che avrebbe voluto che accadesse a certi individui, se avessero preso a nolo una carrozza, senza avere i soldi per pagare. Alla fine della corsa, Pitt si precipitò fuori dalla carrozza, cacciando in mano il denaro allo spaventato vetturino, e si incamminò lungo il marciapiede malamente illuminato fino al numero 14, dove viveva la vedova di Horrie Snipe. Dovette bussare e gridare con quanto fiato aveva in gola, prima che la donna venisse ad aprire. Ho capito, ho capito — disse lei infuriata. Aprì la porta e lo fissò. Poi, quando lo riconobbe, la sua espressione cambiò. — Che cosa vuole? — chiese perplessa. — Horrie è morto ed è stato sepolto due volte. Dovrebbe saperlo. È stato lei che è venuto a dirmelo la seconda volta. È qui per informarmi che qualcuno lo ha tirato fuori di nuovo? — No, Maizie, è tutto a posto. Posso entrare? — Se proprio non può farne a meno. Che cosa vuole? Pitt si infilò tra lei e la porta. La stanza era piccola, ma c'era un bel fuoco che ardeva ed era molto più pulita di quanto si fosse aspettato. C'erano persino un bel paio di candelieri di peltro sulla mensola del caminetto e coprischiena di pizzo alle poltrone. — Allora? — chiese la donna, impaziente. — Non c'è niente qua dentro che non sia mio... se è a questo che sta pensando. — No, non è a questo che sto pensando. — Tirò fuori la fotografia. — La conosce, Maizie? Lei la prese con molta circospezione tra l'indice e il pollice. — E se la conoscessi? — Qui ci sono dieci scellini per lei — si affrettò a proporle Pitt — se mi dà il suo nome e mi dice dove posso trovarla. — Bertha Mulligan — rispose lei senza esitare. — È in pensione dalla signora Cuff al numero 137, in fondo a sinistra. Ma non la troverà a casa, ne sono certa. Comincia a lavorare suppergiù a quest'ora di sera. — E che lavoro fa? La donna sbuffò, disgustata per l'ingenuità di una domanda simile. — Sulla strada, naturalmente. In uno di quei caffè vicini ad Haymarket. Una bella ragazza, Bertha. — E la signora Cuff ha altre pensionanti?
— Se mi vuol far dire che ha una di quelle case, vada lei stesso a vedere. Io non parlo dei miei vicini, come spero che gli altri non parlino di me. E nemmeno del mio povero Horrie, quando era vivo... — Capisco. Grazie, Maizie. — E i miei dieci scellini? Pitt frugò in tasca e ne tirò fuori un pezzo di corda, un coltello, una stecca di ceralacca, tre pezzetti di carta, un pacchetto di caramelle, due chiavi e circa una sterlina in monete spicciole. Contò, non senza una certa riluttanza, dieci scellini per lei: era una promessa che aveva fatto nell'eccitazione della scoperta. Ma la mano di Maizie era tesa e non era possibile rimangiarsi la parola. Lei afferrò le monete, controllandole accuratamente una per una. — Grazie. — La sua mano si strinse sul bottino, come quella di un uomo morente, e lo nascose tra le pieghe della sua gonna. — Quella è Bertha, non c'è dubbio. Perché vuole saperlo? — La sua fotografia è stata trovata nella casa di un uomo morto — Pitt rispose. — Assassinato? — Sì. — Chi era? — Godolphin Jones, il pittore. — Poteva non averne mai sentito parlare. Forse non sapeva nemmeno leggere, e d'altra parte l'assassinio aveva suscitato scarso interesse, in quel quartiere. La donna non sembrò per nulla sorpresa. — Che stupida — osservò senza scomporsi. — Glielo avevo detto di non andare a posare per lui. Le conveniva rimanere dov'era. Ma lei no, voleva far fortuna. Affamata di soldi, era. Quella faccenda delle fotografie non mi è mai piaciuta. Procurano soltanto guai. D'istinto Pitt la prese per un braccio e lei tentò di divincolarsi. — Sapeva che posava per Godolphin Jones? — le domandò, tenendola ferma. — Certo che lo sapevo — ribatté lei. — Mi prende per una stupida? Lo so che cosa succede in quella sua bottega. — Bottega? Quale bottega? — La bottega di Jones al numero 47, naturalmente, dove lui scatta tutte quelle fotografie e le vende. È una cosa disgustosa. Posso anche capire un uomo che vuole una ragazza e non può averne una tutta per sé, come quelle che Horrie procurava. Ma provare gusto a guardare quelle fotografie è
come una malattia, secondo me. Un mondo nuovo si spalancò davanti agli occhi di Pitt, con tutte le sue possibilità. — Grazie, Maizie. — Le strinse la mano con tanta foga che lei ne fu addirittura allarmata. — Lei è una perla di donna, un giglio che cresce nell'immondizia. Possa il cielo ricompensarla. — Si girò e uscì esultante, a passo di carica nel buio pesto di Resurrection Row. 9 Alicia seppe della morte di Godolphin Jones da Dominic, che aveva trascorso un'intera mattinata con Somerset Carlisle a ripassare i nomi di quelli sul cui appoggio si poteva contare, quando il progetto di legge fosse stato presentato alla Camera dei Lord. La notizia, bisbigliata da un domestico all'altro, si era rapidamente diffusa in Gadstone Park. La ragazza di cucina di Carlisle si vedeva spesso con un cameriere di Jones ed era stata una delle prime a esserne informata. Dominic arrivò in casa dei Fitzroy-Hammond prima di mezzogiorno, ansante e sbiancato in volto, e fu accompagnato direttamente nello studiolo dove Alicia stava scrivendo delle lettere. — Che c'è? — chiese lei appena lo vide. Dominic non le prese le mani come al solito. — Hanno trovato il cadavere di Godolphin Jones questa mattina. È stato assassinato — rispose senza fare nessuno sforzo per risparmiarle lo sgradevole choc della notizia. Forse l'impegno comune con Carlisle e la casa di lavoro a Seven Dials avevano reso ogni riguardo ridicolo, quasi un'offesa contro la realtà. — È stato strangolato tre o quattro settimane fa — continuò — ed è stato sepolto nella tomba di qualcun altro... l'uomo che è caduto dalla carrozza e che si pensava fosse Augustus. È saltato fuori che era, invece, il maggiordomo di qualcuno. Alicia era sconcertata e confusa dalla rapidità con cui i fatti si succedevano l'uno dopo l'altro, tutti nuovi e terribilmente sgradevoli. Non aveva minimamente immaginato che Godolphin Jones potesse avere qualcosa a che fare con i cadaveri che erano stati dissotterrati. Infatti, sin da quando Augustus era stato di nuovo sepolto, aveva cercato di scacciare l'intera faccenda dalla sua mente. Dominic contava molto di più e, nel corso dell'ultima settimana, i suoi sentimenti per lui avevano perso un po' del loro smalto, offuscati da una
sensazione di infelicità o di ansietà che lei aveva cercato, alternativamente, di spiegare o di allontanare dalla sua mente. Ora si limitò a fissarlo. — Naturalmente, svolgeranno indagini anche qui in Gadstone Park. Alicia era ancora disorientata. Non capiva. — Perché? Perché? qualcuno di Gadstone Park avrebbe dovuto ucciderlo? — Se è per questo, non so nemmeno perché qualcuno avrebbe dovuto ucciderlo — ribatté Dominic asciutto. — Ma dal momento che non ci si può strangolare da soli, nemmeno per disgrazia, evidentemente qualcuno lo ha fatto. — Ma perché qui? — lei insistette. — Perché viveva qui e Augustus viveva qui e il corpo di Augustus è stato trovato qui. — D'un tratto si mise a sedere. — Mi dispiace, ma dovevo avvertirla, perché certamente Pitt verrà a trovarla. Lo conosceva... Godolphin Jones? — Alzò lo sguardo su di lei. — No, non proprio. L'avrò incontrato una volta o due. Frequentava il nostro ambiente. Mi sembrava un tipo abbastanza simpatico. Ha fatto il ritratto a Gwendoline e a Hester. E credo che lo abbia fatto anche al maggiore Rodney e alle sorelle. — E lo ha fatto anche a lei? — chiese Dominic aggrottando le sopracciglia. — No. In realtà, il suo lavoro non mi interessava molto. E Augustus non ha mai espresso il desiderio di avere un mio ritratto. — Si allontanò per accostarsi al caminetto. Pensava all'assassinio, ma non in relazione a qualcuno in particolare. Nessuno dei suoi conoscenti appariva implicato. Nessuno era minacciato da un'indagine della polizia. Si ricordò come lei ne era stata atterrita, quando si era trattato di Augustus, e il timore che altri potessero sospettare di lei o, ancora peggio, di Dominic. L'idea dell'assassinio le era stata del tutto estranea, a lei come a Dominic, e aveva sentito che si trovavano entrambi a dover fronteggiare un ingiusto sospetto da parte di gente la cui ignoranza o malafede, alla fine, sarebbe stata ampiamente provata. Poi la suocera aveva gettato il seme del dubbio nella sua mente. Aveva sostenuto che era stato Dominic a uccidere Augustus e lei non aveva avuto il coraggio e la convinzione necessari per respingere l'accusa. C'era qualcosa in Dominic, un infantile modo di stendere la mano per ottenere tutto quello che voleva, che l'aveva indotta a credere, sia pure per un solo istante, che potesse essere vero.
Fino a che punto lo conosceva? Si girò voltando le spalle al fuoco per guardarlo. Era come sempre attraente, con la sua bella testa e le sue spalle dritte, con i capelli che gli scendevano sul collo, folti, perfettamente ondulati sulla nuca. Il suo volto non era cambiato, le linee del suo sorriso erano le stesse. Ma che altro c'era? Quali erano i pensieri nascosti dietro l'espressione del suo volto? Li conosceva e amava anche quelli? Quando si guardava nello specchio, vedeva lineamenti regolari, bei capelli. Poi, avvicinandosi di più, nella piena luce del mattino, scorgeva i piccoli difetti, ma sapeva anche come camuffarli. Tutto sommato, era attraente, persino bella. Dominic riusciva a vedere qualcos'altro oltre quelle apparenze? Ne vedeva i difetti e tuttavia continuava a esserne innamorato oppure lo disturbavano e lo respingevano perché non era quello che aveva cercato, quello in cui aveva creduto? Tutto ciò che Dominic conosceva era il bel volto che lei gli mostrava, la sua parte migliore. E forse era tutta colpa sua. Si era preoccupata di nascondere le proprie debolezze e i propri difetti perché voleva che l'amasse. Si era mai chiesto Dominic se era stata lei a uccidere Augustus? Era per questo che negli ultimi tempi l'aveva un po' trascurata ed era stato così assorbito da quel progetto di legge di Carlisle, senza condividere quel nuovo interesse con lei? Avrebbe potuto aiutarlo. Come lui, e forse più di lui, aveva molte conoscenze. Se si fosse fidato, se avesse avvertito che quell'armonia in cui lei credeva era amore, avrebbe sentito il bisogno di confidarsi con lei, le avrebbe detto quale senso di timore o di pietà Seven Dials avesse suscitato in lui. Le avrebbe parlato del suo turbamento non in termini di giustizia sociale, ma con riflesso dei propri sentimenti. Dominic la stava osservando, ora, in attesa. — Credo che l'assassino di Jones non abbia niente a che fare con noi — osservò Alicia alla fine. — Se il signor Pitt viene qui lo vedrò, naturalmente, ma non sarò in grado di dirgli niente di particolare. — Gli sorrise. La sua agitazione era del tutto scomparsa. Tutti e due sapevano che cos'era successo e fu come una specie di liberazione, il silenzio dopo un crescendo musicale troppo prolungato, troppo forte. — Grazie per essere venuto. È stato molto gentile da parte sua parlarmene. E sempre preferibile avere una cattiva notizia da un amico piuttosto che da un estraneo. Dominic si alzò lentamente. Per un istante, lei pensò che volesse discutere, riprendere le fila del discorso, ma lui sorrise e per la prima volta si guardarono l'un l'altro senza fingere, senza l'illusorio accelerarsi del battito del cuore, senza agitazione, senza il respiro affannoso...
— Certo — convenne. — Forse la faccenda sarà risolta prima che possa divenire per noi motivo di preoccupazione. Ora devo andare a trovare Fleetwood. Il progetto di legge sarà discusso quanto prima, ormai. — Conosco parecchia gente alla quale potrei rivolgermi — si affrettò a informarlo. — Davvero? — Il volto di Dominic si illuminò. Jones era già stato dimenticato. — Pensa di parlargliene? Per qualsiasi informazione, si rivolga a Carlisle. Gliene sarà infinitamente grato. — Ho già scritto alcune lettere... — Splendido. Sa, penso proprio che possiamo farcela. Dopo che Dominic se ne fu andato, Alicia provò un acuto senso di solitudine, ma non erano la pena e l'ansia, come solitamente le accadeva, di sapere quando sarebbe tornato, la preoccupazione per tutto quello che aveva detto e fatto, il timore di essersi comportata scioccamente, con eccessiva freddezza e con eccessiva sfacciataggine, il bisogno di sapere che cosa pensasse di lei. Quello che provava era piuttosto simile al senso di leggerezza di una mattina d'estate, quando il cielo è completamente sereno e si ha davanti tutta una giornata e nessun dovere, nessuna idea di quello che bisognerebbe fare. La mattina dopo aver parlato con Maizie Snipe, Pitt ritornò in Resurrection Row, con un agente e un mandato di perquisizione per i locali al numero 47. Era proprio come si era aspettato: uno studio fotografico completo di tutti gli accessori necessari per foto pornografiche su carta patinata: luci colorate, pelli di animali, pezzi di stoffa dai colori vivaci, acconciature di piume, collane di coralli e un enorme letto. Le pareti erano ricoperte di fotografie riprese con molta abilità e fantasia, in pose tutte estremamente suggestive. — Accidenti! — esclamò l'agente senza fiato, non sapendo fino a che punto potesse esprimere la sua eccitazione. Aveva gli occhi lucidi e sbarrati. — Già — convenne Pitt. — Una fiorente attività, direi. Prima di toccare qualcosa, guarda attentamente dappertutto per vedere se ci sono tracce di sangue o segni di colluttazione. Potrebbe anche essere stato ucciso qui. Direi che ci sono centinaia di moventi appesi alle pareti o nascosti nei cassetti. L'agente rimase immobile, come spaventato dall'idea.
— Coraggio — lo incalzò Pitt. — Abbiamo molte cose da fare. Quando avrai guardato dappertutto, comincia a mettere ordine tra queste fotografie, per vedere quante facce diverse ci sono. — Oh, ispettore. Non riusciremo mai a identificarle tutte. Ci vorrebbero anni. E poi, chi ammetterebbe di riconoscersi in queste fotografie? La immagina lei una ragazza che dice: "Sì, quella sono io"? — Se la sua faccia è quella della fotografia, avrà poco da discutere, non ti pare? — Pitt indicò l'angolo opposto della stanza, facendo un gesto significativo con la testa. — Coraggio, al lavoro. — A mia moglie verrebbe un colpo, se sapesse quello che sto facendo. — Allora non dirglielo — ribatté Pitt bruscamente. — Ma l'avrò io un colpo, se non lo fai, e io sono un osso molto più duro di tua moglie. L'agente fece una smorfia e sbirciò di traverso le fotografie. — Non ne sia tanto sicuro, ispettore — ribatté, ma si diede da fare e dopo pochi minuti scoprì tracce di sangue sul pavimento e su una sedia rovesciata. — È qui che è stato ucciso — osservò, compiaciuto con se stesso. — Chi cerca trova. Penso che sia stato colpito con questa — e toccò la sedia. Fu soltanto dopo aver controllato ogni cosa e aver fatto le misurazioni che Pitt lasciò l'agente all'enorme lavoro di selezionare le fotografie per identificare le ragazze. Riservò per sé la controparte di quel traffico, e cioè i clienti. Naturalmente, Jones non era stato così imprudente da registrare i nomi delle persone suscettibili, che avrebbero reagito persino con la violenza, se fossero stati rivelati i loro gusti, ma Pitt sapeva almeno da dove cominciare a cercarli: e cioè dal notes con le cifre e i disegnini degli insetti, trovato nella scrivania in casa di Jones. Aveva notato quattro di quegli eleganti, piccoli segni convenzionali sui ritratti in Gadstone Park. Sarebbe andato a interrogare i proprietari di quei quadri. Forse erano in grado di chiarire almeno uno degli aspetti più misteriosi della faccenda: come mai avessero pagato prezzi così esorbitanti per l'opera di un artista che, nel migliore dei casi, era da considerare di modeste capacità. Cominciò da Gwendoline Cantlay e questa volta venne al sodo dopo qualche secco preliminare. — Lei ha pagato una considerevole somma di denaro al signor Jones per il suo ritratto, Lady Cantlay. La donna fu piuttosto guardinga, avvertendo qualcosa di più di una comune domanda. — Ho pagato il solito prezzo, signor Pitt, come penso lei potrà accertare se fa la medesima domanda ad altri.
— Il solito prezzo per il signor Jones — convenne Pitt. — Ma non il solito prezzo per un pittore piuttosto mediocre. Lady Cantlay aggrottò le sopracciglia, incredula. — Lei è forse un esperto d'arte, ispettore? — chiese con una punta di sarcasmo. — No, ma ho l'opportunità di sentire il parere degli esperti e, a quanto sembra, sono tutti concordi nel sostenere che Jones non valeva assolutamente il prezzo che si faceva pagare qui a Gadstone Park. Lei aprì la bocca per domandare qualcosa, poi si trattenne. — Forse l'arte è, dopotutto, una questione di gusto. Questa era una scena che Pitt aveva dovuto recitare tante volte e che non gli era mai piaciuta. I segreti erano quasi sempre legati a una certa vulnerabilità, a un tentativo di nascondere o di rimuovere una colpa. Ma non aveva alternativa. Nascondere la verità non faceva parte dei suoi doveri, anche se spesso avrebbe voluto che fosse così. — È certa, signora, che Jones non si facesse pagare qualcosa d'altro con il quadro... forse una certa discrezione? — Non capisco che cosa intende dire. — Era la risposta abituale e avrebbe potuto anticiparla lui stesso, parola per parola. Lady Cantlay avrebbe resistito quanto più a lungo possibile, nel tentativo di fargli dire apertamente quello che lui sapeva. — Lady Cantlay, lei non è stata un tempo legata al signor Jones più di quanto avrebbe voluto che si sapesse... specialmente, diciamo, da parte di suo marito? Il suo volto si accese e passarono parecchi penosi secondi prima che lei potesse decidere se continuare a negare o rispondere con uno scatto d'ira. Alla fine, rendendosi conto che l'ispettore era al corrente di tutto, cedette. — Sono stata una sciocca a lasciarmi trasportare dal fascino di un artista... a credere alle sue lusinghe. Ma era tutto finito, ispettore, già da qualche tempo. Sì, lei ha ragione. Gli ho dato l'incarico di farmi il ritratto, prima della mia... relazione. E alla fine l'ho ricompensato molto di più di quello che il ritratto valeva, per assicurarmi il suo silenzio. Diversamente, non lo avrei mai pagato tanto. — Esitò e Pitt rimase in attesa. — Le... le sarei obbligata se di questo non facesse parola con mio marito. Lui è all'oscuro di tutto. — Ne è proprio sicura? — Certo che ne sono sicura. Lui ne sarebbe... — si sbiancò improvvisamente in volto. — Godolphin è stato assassinato... Lei non penserà che Desmond... glielo assicuro. Le do la mia parola: lui non lo sapeva. Non po-
teva saperlo. La cosa si è svolta nella massima discrezione... soltanto quando andavo a posare per il mio ritratto... — Lady Cantlay non sapeva più che cosa dire per convincerlo e cercò disperatamente qualche elemento di prova. Pitt non poté fare a meno di provare una certa pena per lei. Non avevano niente in comune e il suo comportamento era stato frivolo e sconsiderato, ma scoprì che le credeva, e non aveva nessuna intenzione di esasperare i suoi timori. — La ringrazio, Lady Cantlay. Se suo marito non sapeva niente della relazione, non avrebbe avuto nessun motivo di prendersela con il signor Jones, per quanto ne sappiamo. Apprezzo la sua sincerità. L'argomento non sarà più ripreso. — Si alzò. — Buongiorno. Lei era troppo sollevata per rispondere altro che un debole, automatico "buongiorno". Pitt si recò subito dopo dal maggiore Rodney e qui fu accolto in una maniera del tutto diversa, che cancellò ogni traccia della gratificante disposizione d'animo con cui aveva lasciato la casa dei Cantlay. — Lei è davvero insolente, ispettore. — Il maggiore era furioso. — E non ho proprio nessuna idea di che cosa le stia passando per la testa. Qui siamo a Gadstone Park, non in uno dei suoi bassifondi. Non so a quali tipi di comportamento lei è abituato, ma noi sappiamo come comportarci, qui. E se insiste nell'insinuare che le mie sorelle abbiano avuto un qualche legame con quel disgraziato artista, la denuncerò per diffamazione. Mi ha capito, ispettore? Pitt riuscì faticosamente a dominarsi. L'idea di Godolphin Jones implicato in una romantica vicenda con l'una o l'altra delle due anziane zitelle, così prese dalle loro marmellate, era ridicola. Nascondendosi dietro quell'idea, il maggiore riusciva a eludere molto abilmente il vero problema. Pitt non lo riteneva capace di una strategia simile, ma non si poteva mai dire. — Non ho insinuato niente del genere, maggiore — disse con quanta calma poté, ma la sua pazienza era stata messa a dura prova. — In realtà, non ho mai pensato a una tale possibilità, sia perché non avrei ritenuto le sue sorelle capaci di indulgere per temperamento e per età a debolezze simili, sia perché non mi risultava che fossero state loro stesse a volere il ritratto. Ero convinto che fosse stato lei a commissionarlo. Il maggiore si trovò momentaneamente sbilanciato. Il motivo del suo risentimento era venuto meno proprio nel momento in cui credeva di aver trovato l'approccio giusto e stava per chiedere a Pitt di lasciare la casa.
Pitt fu pronto a sfruttare il suo vantaggio. — Le sue sorelle dispongono di beni propri? — chiese. Erano tutte e due nubili e non potevano ereditare, dal momento che avevano un fratello. Perciò la cosa era impossibile, e lui lo sapeva. Il maggiore si fece sempre più acceso in volto. — La nostra situazione finanziaria non la riguarda, ispettore — sbottò. — Direi che per lei il nostro potrebbe essere uno stato di ricchezza, ma per noi è semplicemente adeguato alla nostra condizione. Non ci piace ostentarli, ma i mezzi non ci mancano. Ed è tutto quello che sono disposto a dirle. — Ma lei non ha ordinato due grandi e costosi quadri al signor Jones, per i quali ha speso in tutto novecentosettantacinque sterline? Pitt aveva sommato le cifre a fianco ai bruchi ed ebbe la soddisfazione di vedere impallidire il volto del maggiore e il collo tendersi per la sorpresa. — Io... io voglio sapere da dove vengono queste informazioni. Chi glielo ha detto? Pitt sgranò gli occhi, come se la domanda fosse ridicola. — Il signor Jones registrava tutto, maggiore, con molta precisione: date e ammontare dei pagamenti. Non ho fatto altro che addizionare le somme versate e ho ottenuto il totale. Non ho avuto bisogno di disturbare nessun altro. Il corpo del maggiore si afflosciò. Rimase seduto come un bambino educato a tavola, gli occhi fissi, le mani al loro posto, ma vuoto dentro. Per un bel po' tacque e Pitt non era attirato dall'idea di dovergli tirar fuori il segreto per cui Jones lo aveva ricattato. Ma non aveva scelta. La polizia non disponeva di elementi sul giorno e sull'ora del delitto, né sull'arma, salvo la forza delle mani. Il che pareva escludere una donna, e certamente una donna dell'alta società. Forse una domestica abituata ai lavori manuali, come per esempio strizzare pesante biancheria bagnata, avrebbe avuto la forza necessaria. Per il momento, non rimaneva altro a Pitt che cercare di fare sulla verità quanta più luce possibile. Il maggiore era un uomo piccolo, insignificante, spento sia sul piano fisico che emotivo. Ma era stato un soldato. Aveva visto la morte e gli avevano insegnato a uccidere, aveva imparato a familiarizzarsi con l'idea stessa della morte e ad accettarla come parte di se stesso, a sapere che a volte poteva persino rientrare nei suoi doveri. Era il suo segreto di tale importanza da indurlo a strangolare Godolphin Jones e a seppellirlo nella tomba di Albert Wilson? — Perché ha pagato tanto per quei due ritratti, maggiore Rodney? — in-
calzò Pitt. Il maggiore lo fissò con occhi pieni di livore. — Perché quello era il prezzo che il pittore valeva — rispose gelido. — Io non sono un esperto d'arte. Era la cifra che tutti gli pagavano. Se era eccessiva, sono stato tratto in inganno. Come lo siamo stati tutti. Stando a quello che lei dice, Jones era un ciarlatano. Vorrà consentirmi di non accettare come definitivo il suo giudizio. — La sua voce era carica di sarcasmo e Pitt intuì che quel tono e quell'atteggiamento non erano abituali per lui. Il maggiore si alzò. — E con questo, ispettore, ho detto tutto quello che avevo da dirle. Le auguro una buona giornata. Non era il caso di insistere, e Pitt lo sapeva. Doveva scoprire in altro modo il segreto che si nascondeva dietro la sua reazione e ritornare quando avesse avuto più munizioni. Forse si trattava soltanto di una sciocchezza, qualcosa che Jones aveva appreso da un altro cliente, probabilmente qualche indiscrezione a proposito di una donna, e il suo senso dell'onore gli impediva di parlarne. Oppure era qualcosa di cui realmente si vergognava: una manifestazione di vigliaccheria in Crimea, una debolezza di altri tempi, un debito di gioco non pagato o una bravata da ubriaco. Per il momento doveva lasciar perdere. Nelle prime ore del pomeriggio si recò da St. Jermyn, ma non lo trovò perché era fuori, alla Camera dei Lord. Fu costretto a ritornare in serata, infreddolito, stanco e ormai piuttosto teso. Anche St. Jermyn fu piuttosto contrariato dal fatto di non poter rilassarsi e dimenticare le preoccupazioni della giornata con una bottiglia tratta dalla ricca collezione della sua cantina, prima di prepararsi per il pranzo. Fu gentile con Pitt, ma con un certo sforzo. — Le ho già detto tutto quello che so di quell'uomo — disse, avvicinandosi al caminetto. — Era un pittore alla moda. Gli ho ordinato il ritratto per far piacere a mia moglie. Può darsi che lo abbia incontrato nel nostro ambiente in un paio di occasioni: dopotutto abitava anche lui a Gadstone Park. Ma io vedo molta gente. Mi ricordo che aveva un aspetto piuttosto strano, una vistosa capigliatura — diede un'occhiata arcigna ai capelli arruffati di Pitt. — Ma si sa, gli artisti sono un po' eccentrici. Non tanto da dar fastidio, però. Mi dispiace che il poveretto sia morto, ma temo che frequentasse gente non molto raccomandabile. Forse si prendeva delle libertà con una delle sue modelle. Gli artisti spesso dipingono le donne delle classi inferiori, se trovano i colori o i lineamenti che a loro piacciono.
Immagino che queste cose lei le sappia meglio di me. Se fossi in lei, cercherei un amante o un marito geloso. — Non siamo riusciti a trovare ritratti di donne che non fossero dell'alta società — gli fece notare Pitt. — Non sembra che sia stato un pittore molto produttivo: in realtà, la sua attività d'artista era piuttosto limitata. Ma quel poco che produceva lo vendeva a prezzi molto alti. — Me lo ha fatto già notare l'altra volta. — St. Jermyn sembrava seccato. — Non ho niente da osservare in proposito. Secondo me, i ritratti dovrebbero piacere soltanto alle persone direttamente interessate. Raramente qualcuno se lo fa fare per rivenderlo. Di solito, quando non piacciono più, vanno a finire in un corridoio interno della casa o sulle scale. Diversamente, rimangono appesi dove sono stati collocati all'inizio. — Lei ha pagato una somma considerevole per il ritratto di sua moglie. St. Jermyn inarcò le sopracciglia. — Ha fatto la stessa osservazione, ispettore, l'ultima volta che è stato qui. A mia moglie il quadro piaceva, il che per me era più che sufficiente. Se l'ho pagato troppo, vuol dire che mi hanno imbrogliato. Ma la cosa non mi importa molto. E non vedo perché debba importare a lei. Pitt si era già inutilmente scervellato per cercare una ragione, una ragione qualsiasi, perché Jones avesse il potere di costringere St. Jermyn a comperare un quadro che non gli piaceva e a un prezzo eccessivo. Non doveva essere stato difficile esercitare una certa pressione su Lady Cantlay in cambio di una certa discrezione, e pensando alla rigida, nervosa figura del maggiore la cosa poteva apparire credibile, anche se non ne vedeva ancora la ragione. Un uomo di mezza età, che vive socialmente isolato con due sorelle nubili... Ma St. Jermyn era un personaggio del tutto diverso. Non era tipo da aver paura. Avrebbe saputo coprire le proprie imprudenze, se ne avesse commesse, e se se ne fosse preoccupato, cosa poco probabile. E non era stato commesso nessun altro delitto di cui Pitt fosse al corrente. Lord Augustus era morto di morte naturale, ma se anche non fosse stato così, non era possibile provarlo, e a quanto gli risultava non avrebbe implicato in alcun modo St. Jermyn. Tutti gli altri, Wilson, Porteous e Snipe, erano anch'essi morti di morte naturale e neanche loro avevano niente a che fare con St. Jermyn. — Se fosse stato un amante o un marito geloso a ucciderlo — disse Pitt lentamente — perché il suo corpo è stato trovato nella tomba di un altro uomo?
— Per nasconderlo, immagino — rispose St. Jermyn, spazientito. — Pensavo che questo fosse ovvio. Una fossa scavata di recente in qualsiasi parte di Londra, salvo che in un cimitero, avrebbe immediatamente richiamato l'attenzione. Non si va in un parco a scavare una fossa, e un cadavere sotterrato nel proprio giardino rappresenterebbe, se venisse scoperto, una prova schiacciante. Nella tomba di qualcun altro, scavata di recente, passerebbe del tutto inosservato. — Ma perché mettere il cadavere di Albert Wilson a cassetta di una carrozza a nolo? — Io davvero non lo so, ispettore. È compito suo scoprirne la ragione. Probabilmente, non c'era nessun motivo. Sembra una di quelle eccentricità di cui soltanto un artista potrebbe essere capace. È più verosimile che la tomba fosse già stata vuotata e che l'assassino abbia semplicemente colto la preziosa occasione, quando gli si è presentata. Pitt ci aveva già pensato per conto suo, ma continuava a sperare in un fatto nuovo: una svista, una parola sfuggita per errore, che gli offrisse una nuova linea da seguire. — Lord Augustus Fitzroy-Hammond conosceva il signor Jones? — chiese con tutto il candore di cui fu capace. St. Jermyn lo fissò freddamente. — No, che io sappia. E se lei vuole insinuare che Lord Augustus potrebbe avere avuto una relazione con una delle modelle di Jones, penso che la cosa sia del tutto improbabile. Pitt dovette ammettere, dentro di sé, che sarebbe stata una straordinaria coincidenza se Augustus dapprima avesse ucciso Jones e approfittato per nasconderlo di una tomba già aperta da qualcun altro, e poi fosse immediatamente morto anche lui, divenendo vittima a sua volta dello stesso profanatore di tombe. Fissò St. Jermyn e gli parve di leggergli sul volto la sua stessa incredulità e, insieme, una crescente impazienza a stento contenuta. — La ringrazio, Lord St. Jermyn — disse Pitt con una certa affettazione. — Le sono grato per il tempo che mi ha dedicato. — Dovere — replicò l'altro, molto asciutto. — Il domestico l'accompagnerà alla porta. Non c'era altro da fare che accettare la situazione con tutta la buona grazia possibile. Lasciò la bella stanza luminosa e seguì il domestico in livrea fin sulla soglia della porta e fuori nella fitta nebbia, che nascondeva ogni cosa. Raramente, nella sua vita, Dominic era stato così coinvolto ed eccitato
come lo era ora per il progetto di legge di St. Jermyn. Da quando aveva smesso di detestarlo, trovava sempre più piacevole la compagnia di Carlisle. Era un uomo colto, intelligente e, soprattutto, pieno di entusiasmo. Possedeva il raro dono di occuparsi delle spaventose condizioni delle case di lavoro senza perdere la fiducia che qualcosa si potesse fare per alleviarle, e la capacità di scoprire un certo umorismo, per quanto amaro, anche in quello che poteva sembrare uno stato disperato. Dominic faceva fatica a emularlo. Con trepidazione e un certo senso di disagio, aveva cercato di avvicinare Lord Fleetwood. La loro superficiale amicizia si era rafforzata molto più facilmente di quanto si fosse aspettato: aveva sempre un po' sottovalutato la propria carica di simpatia. Ma non era mai riuscito a portare la conversazione sulla tragica realtà delle case di lavoro. Ogni volta che cercava di parlarne, le parole suonavano vuote, come se parlasse con perfetta pronuncia una lingua che non capiva. Dopo alcuni tentativi, Dominic si rese conto dell'urgenza di sbloccare la situazione e confessò francamente a Carlisle di avere bisogno del suo aiuto. Perciò, la mattina dopo, in considerazione dell'influenza che Fleetwood avrebbe potuto esercitare alla Camera, Carlisle si trovò con Dominic e Fleetwood nel parco, e insieme si lanciarono in una scarrozzata a una velocità tale da mettere in fuga i pochi pedoni in giro e da fare scoppiare di rabbia o di invidia tutti gli altri in carrozza o a cavallo. Aveva guidato Dominic, e per quanto lo avesse fatto con un'avventatezza che non gli era abituale, questa volta non si curò minimamente dello scompiglio provocato dal loro passaggio. — Splendido! — esclamò Fleetwood estasiato, trattenendo il fiato. — Lei guida come un dio, Dominic. Giuro che non avrei mai immaginato che fosse così bravo. Se in primavera vorrà venire a guidare il mio tiro, lo considererò un vero favore. — Ma certo — assicurò prontamente Dominic, ma con la mente rivolta alle case di lavoro e allo scambio di un favore per un altro. Non voleva ora nemmeno porsi il problema di dove avrebbe trovato il coraggio di guidare in quel modo spericolato e a sangue freddo, con molte settimane di tempo per riflettere su tutti i possibili disastri che avrebbe potuto provocare. — Ne sarò lusingato — aggiunse. — Ottimamente — convenne Carlisle con una smorfia significativa, di cui Fleetwood non si accorse. — Lei ha un vero dono, Dominic. — Si rivolse a Fleetwood. Avevano entrambi il volto arrossato dal freddo e dalla
rapidità della corsa nel vento. — Ma lei ha un ottimo tiro, Lord Fleetwood. Ho visto pochissimi cavalli migliori dei suoi, anche se le sospensioni della sua carrozza andrebbero registrate. Fleetwood sorrise. Era un giovanotto simpatico, non bello, ma con un modo di fare che rivelava un'ottima indole. — L'hanno fatta ballare un po', è così? Non importa. Fa bene alla digestione. — Non pensavo alla digestione — rispose Carlisle con un sorriso — o alle ammaccature. Mi riferivo piuttosto alla stabilità della carrozza. Una carrozza ben bilanciata è molto più agevole per i cavalli, prende meglio le curve ed è meno facile che si rovesci. E se un cavallo è eccitabile, è molto difficile che la carrozza sfugga di mano. — Caspita, lei ha ragione — ammise Fleetwood amabilmente. — Mi ero fatto di lei un'idea sbagliata. Mi dispiace. Dovrò farla vedere la mia carrozza. Converrà metterla a punto. — Conosco un tale in Devil's Acre che riesce a equilibrare le sospensioni come se fossero le ali di un uccello in volo — buttò là Carlisle con aria indifferente, come se la cosa non lo riguardasse ma volesse essere soltanto un gesto gentile dopo una mattinata passata insieme. — In Devil's Acre? — ripeté incredulo Fleetwood. — Dove diavolo si trova? — Nelle vicinanze di Westminster — rispose Carlisle, senza aggiungere altro. Dominic lo guardò con ammirazione. Se anche lui fosse stato così disinvolto, probabilmente sarebbe riuscito a suscitare maggiore interesse in Fleetwood. Invece era stato tetro, troppo ossessionato dalla drammaticità e dall'orrore di quella situazione. Nessuno vuol sentire parlare di cose sgradevoli, tanto meno la mattina a colazione. Nelle vicinanze di Westminster? — ripeté di nuovo Fleetwood. — Lei vuol riferirsi a quell'orribile zona di slum? È così che la chiamano? — Sì, proprio così. — Le sopracciglia di Carlisle si arcuarono ancora di più. — Un lurido posto. — Che cosa l'ha spinto lì? — Fleetwood consegnò il cavallo allo stalliere e tutti e tre si diressero verso il pub, dove la colazione li aspettava. — Oh, una qualche ragione, non ricordo bene — rispose Carlisle con un gesto evasivo della mano, come se si trattasse di una faccenda che qualsiasi altro gentiluomo avrebbe capito al volo. — È un orribile zona di slum — ripeté ancora Fleetwood, quando furono dentro, seduti davanti a una ricca e gustosa colazione. — Come può esserci
in quei posti qualcuno in grado di registrare le sospensioni di una carrozza? Non c'è nemmeno spazio per farne passare una e tanto meno per provarla. Carlisle finì di masticare un boccone e lo mandò giù. — È un tale che ha fatto lo stalliere — rispose disinvolto. — Rubava al padrone... in ogni caso lo accusavano di farlo, e le cose si sono messe male per lui. Tutto qua. Fleetwood amava e capiva i cavalli. Provava una specie di cameratismo per quelli che ne avevano cura e che dovevano farlo per vivere. Passava molte ore a chiacchierare con i suoi mozzi di stalla. — Povero diavolo — disse alla fine, in tono comprensivo. — Forse gli farebbe piacere fare un lavoretto e guadagnarsi qualche scellino. Vediamo se riuscirà a equilibrare la mia carrozza. — Direi di sì. Conviene metterlo alla prova, se lei è d'accordo. È sempre in giro, bisogna prenderlo al volo. — Una buona idea. Se lei vuol essere così gentile, gliene sarò obbligato. Come posso trovarlo? Carlisle gli rispose con un largo sorriso. — In Devil's Acre? Non lo troverebbe mai da solo, in quell'angolo d'inferno. L'accompagno io. — La ringrazio. A quanto pare, non è un posto molto raccomandabile. — Be', sì — convenne Carlisle. — Certo che non è raccomandabile. Ma la necessità aguzza l'ingegno. C'è qualcosa nella teoria di Darwin sulla sopravvivenza del più idoneo, se per più idoneo si intende il più intelligente, il più forte, il più astuto, a parte considerazioni di carattere morale. Più idonei deve significare i più idonei a sopravvivere, non i più virtuosi, i più pazienti, i più caritatevoli o i benemeriti del resto dell'umanità. Dominic gli diede di colpo una pedata sotto il tavolo e vide la sua faccia storcersi per il dolore. Era spaventato all'idea di compromettere l'esito del loro piano, facendo del moralismo, e di perdere già da quel momento l'appoggio di Fleetwood. — In altre parole lei vuol dirmi che è il più veloce ad arrivare primo nella corsa e il migliore in battaglia? — chiese Fleetwood, mentre si serviva un'altra porzione di riso con pesce. — Non proprio. — Carlisle si trattenne a fatica dal fregarsi la caviglia, ma non guardò Dominic. — Soltanto i posti come Devil's Acre stimolano capacità particolari, perché senza di queste il povero non sopravvive. Le persone fortunate possono anche essere sciocche e inette e comunque cavarsela; gli sfortunati devono essere utili per qualcuno, altrimenti finiscono col perire.
— Tutto questo mi sembra un po' cinico — osservò Fleetwood con una smorfia — se mi è consentito esprimere la mia opinione. Mi piacerebbe, tuttavia, vedere quel tipo. Lei mi ha convinto che sa il fatto suo. Carlisle sorrise e il suo volto a un tratto si illuminò. Fleetwood rispose come un fiore che si apre ai raggi del sole. Ricambiò il sorriso e Dominic si trovò a essere partecipe di quel gioioso, sano cameratismo. Si sentiva un po' in colpa, perché sapeva che cosa c'era in serbo per Fleetwood, ma si rifiutò di pensarci, in quel momento. Era una buona causa, una causa necessaria. Sorrise anche lui con eguale calore e fissò l'amico con uno sguardo aperto. Devil's Acre era un posto raccapricciante. Le grandi torri della cattedrale di Westminster, con la loro magnificenza gotica perduta in una cappa di fumo e di nebbia, incombevano sulle case dei ricchi e degli uomini d'affari, ornate di portici e colonne, giù fin sulle più modeste abitazioni di commercianti e impiegati. Al di sotto di queste, c'era un mondo a sé, del tutto diverso, un mondo di casamenti quasi diroccati e infestati dai topi, in vicoli brulicanti di gente. Fannulloni, mendicanti e ubriachi ingombravano la strada. Carlisle procedeva come se in tutto ciò non ci fosse niente di strano. — Oh, Dio mio. — Fleetwood si strinse il naso e lanciò uno sguardo disperato a Dominic, ma Carlisle avanzava imperterrito. Se non volevano perderlo, dovevano stargli alle costole... guai a smarrirsi in un inferno simile. Carlisle, a quanto pare, sapeva dove andare. Si fece strada tra ubriachi che dormivano sotto un mucchio di giornali, con un calcio buttò da parte una bottiglia vuota e si arrampicò su per una scala di legno tutta sgangherata. I gradini scricchiolarono paurosamente sotto il suo peso e Fleetwood parve allarmato quando Dominic spinse anche lui sulla scala. — Pensa che reggeranno? — chiese, urtando col cappello contro la trave sulle loro teste. — Dio solo lo sa — rispose Dominic, seguendolo sulla scala. Comprendeva lo stato d'animo di Fleetwood, perché ricordava quello che lui stesso aveva provato in Seven Dial's dove, tutto sommato, era stato meno terrificante. Ma d'altra parte trovava motivo di rallegrarsi, perché condivideva l'ansia di Carlisle di cambiare quel mondo, di obbligare tutti quelli che lo ignoravano a guardarlo, a farne esperienza e a preoccuparsene. Dentro di sé provava un'emozione violenta. Fece i gradini a due a due e si precipitò dietro Carlisle, attraverso una successione di fetide stanze, dove famiglie
di dieci o dodici persone sedevano al debole chiarore di un lume a olio, intente a scalpellare, a lucidare, a cucire, a tessere, a incollare per mettere insieme ogni specie di articolo da vendere per pochi soldi. Bambini di appena tre o quattro anni sedevano legati alle loro madri con una cordicella, perché non si allontanassero. Ogni volta che uno di loro smetteva di lavorare o si addormentava, la madre gli dava un colpo in testa per svegliarlo e per rammentargli che chi non lavora non mangia. L'odore era spaventoso: un miscuglio di terra bagnata, di fumo e di esalazioni di carbone, di acque luride e di corpi non lavati. Attraversato tutto il casamento, uscirono in un umido cortile che un tempo doveva essere stato una scuderia, e Carlisle si fermò davanti a una porta e bussò. Dominic lanciò un'occhiata a Fleetwood: il suo volto era pallido, gli occhi esprimevano preoccupazione e spavento. Dominic intuì che l'amico avrebbe già da tempo tagliato la corda se avesse avuto la minima idea della strada da fare o del modo per ritornare nel mondo che conosceva. Doveva aver visto cose che non avrebbe immaginato nemmeno nei suoi peggiori incubi. La porta si aprì e un ometto magro e curvo sbirciò fuori. Una spalla gli cadeva da una parte, come se una gamba fosse più corta dell'altra. Non riconobbe subito Carlisle. — Ah, è lei? — disse infine. — Che cosa vuole questa volta? — Un po' della sua bravura, Timothy — rispose Carlisle con un sorriso. — Dietro pagamento, s'intende. — Bravura in che cosa? — chiese Timothy guardando sospettosamente oltre le spalle di Carlisle, Dominic e Fleetwood. — Non saranno sbirri? — Si vergogni, Timothy — ribatté Carlisle disgustato. — Quando mai mi ha visto con la polizia? — Che bravura? — chiese ancora Timothy. — Diamine, quella di registrare le sospensioni di una bella carrozza, naturalmente — rispose Carlisle con una strizzatina d'occhi significativa. — Sua Signoria qui presente — e indicò Fleetwood — ha un eccellente tiro a due e ottime possibilità di vincere qualche gara tra gentiluomini, se la sua carrozza viene bilanciata a dovere. Il volto di Timothy si illuminò. — Certo, è un lavoro che posso fare benissimo. Con un veicolo ben bilanciato è tutta un'altra cosa. E dov'è questa carrozza, allora? Me lo dica e io l'aggiusterò in modo che scorra liscia come l'olio. A pagamento, s'in-
tende. — Certo — lo rassicurò Fleetwood. — Holcombe Park House. Le scrivo l'indirizzo... — Non è necessario, capo... non so leggere. Basta dirmelo... io ricordo tutto. Leggere addormenta la mente, non è così? Alla lunga, non fa bene alla salute. Sono certo che quelli che scrivono tutto non ricordano nemmeno il loro nome... se pure campano abbastanza. Carlisle non si lasciava mai sfuggire un'occasione. Con la rapidità di un uccello che becca un insetto al volo, colse anche questa. — Ma è più facile trovare lavoro per quelli che sanno leggere e scrivere, Timothy — disse appoggiandosi alla porta. — Un lavoro regolare in uffici che chiudono la sera, quand'è ora di tornare a casa, una vera casa. Lavori che rendono abbastanza denaro per viverci. Timothy sputò. — Potrei morire di fame e di vecchiaia, ora, prima di imparare a leggere e a scrivere — replicò con aria disgustata. — Non capisco proprio perché mi viene a dire una cosa simile. Carlisle gli batté una mano sulle spalle. — È per il futuro, Timothy — disse con calma. — E per quelli che non hanno la sua capacità di bilanciare un calesse da corsa. — Ce ne sono migliaia che non sanno né leggere né scrivere — rispose Timothy, con uno sguardo torvo. — Lo so — ammise Carlisle. — E ce ne sono centinaia di migliaia che muoiono di fame. Uno ogni quattro, a Londra, credo... Ma le pare questa una buona ragione per rinunciare a mangiare abbastanza, se ce n'è la possibilità? Timothy fece una smorfia e rivolse lo sguardo a Fleetwood il quale fu all'altezza della situazione. — Un buon pasto, tutto quello che avrà voglia di mangiare prima di cominciare il lavoro — promise. — E a lavoro finito, una ghinea. Voglio fare una scommessa... cinque sterline, se vinco la prima corsa con la mia carrozza dopo che lei l'avrà registrata... — D'accordo — rispose Timothy prontamente. — Sarò da lei a mangiare stasera e comincerò a lavorare domani mattina. — Bene, potrà dormire nella stalla. Timothy si tolse il berretto bisunto in una specie di saluto, quasi per suggellare l'affare, e Carlisle si voltò per uscire. Fleetwood ripeté l'indirizzo con le istruzioni per arrivarci, poi si affrettò dietro Carlisle, prima di perderlo di vista e di ritrovarsi solo in quel posto
da incubo. Ripassarono di nuovo attraverso quell'orribile casamento e sotto una pioggia sottile uscirono fuori barcollando in un vicolo strettissimo, quasi all'ombra della cattedrale. — Dio mio... — Fleetwood si asciugò il volto. — Mi fa pensare a Dante e all'entrata dell'Inferno... Che cosa c'era scritto sopra la porta? — "Lasciate ogni speranza, o voi ch'entrate" — recitò Carlisle lentamente. — Ma come fanno, in nome di Dio, a sopportare una situazione simile? — Fleetwood si tirò su il bavero e si ficcò le mani in tasca. — È meglio che nelle case di lavoro — rispose Carlisle. — Almeno, così loro pensano. A me non sembra che ci sia molta differenza. Fleetwood si arrestò. — Meglio? — domandò incredulo. — Ma che cosa sta dicendo? Le case di lavoro assicurano un piatto di minestra e un tetto. Sono istituzioni caritatevoli. Carlisle cancellò dal suo volto ogni traccia di rabbia e chiese con voce dolce come il miele: — Ne ha mai visto una? Fleetwood fu sorpreso. — No — rispose sinceramente. — E lei? — Oh, certo. — Carlisle riprese a camminare. — Ho lavorato con molto impegno al progetto di legge di St. Jermyn. Ne avrà sentito parlare, suppongo? — Sì — rispose Fleetwood. — Sì, ne ho sentito parlare. — Non guardò Dominic e Dominic non osò guardare lui. — Immagino che gradirebbe il mio sostegno, quando verrà discusso alla Camera. Carlisle gli rivolse un sorriso smagliante. — Oh, sì, certo. Alicia aveva scritto a tutti quelli che le erano venuti in mente, ricordandosi anche dei parenti di Augustus che avevano fatto dei buoni matrimoni e con i quali non si sarebbe mai messa in contatto per qualsiasi altra ragione. Li trovava quasi tutti deprimenti, ma la causa per cui si batteva la induceva a passar sopra a tutto. Quando ebbe esaurito ogni possibilità e le lettere furono sigillate e spedite, decise di fare una passeggiata nel parco, malgrado il tempo cattivo. Si sentiva in una condizione di spirito che richiedeva un certo movimento per distendere il corpo e allargare i polmoni. Se non fosse stato del tutto ridicolo, si sarebbe messa a correre e a saltare come una bambina. Camminava a grandi passi, in una maniera che non si addiceva a una si-
gnora, godendosi la bellezza degli alberi brulli che si stagliavano contro le nuvole sfilacciate nel cielo. Nel parco tutto era silenzio; pesanti gocce di pioggia rilucevano cadendo dai rami. Non aveva mai pensato che il mese di febbraio potesse avere una sua attrattiva, ma ora si compiaceva dei suoi tenui colori, della sua rude semplicità. Si era fermata a guardare un uccello tra i rami, sopra la sua testa, quando le parve di udire qualcuno che parlava proprio dall'altra parte dell'albero. — Davvero? — La voce era così sommessa che non la riconobbe subito. Nessuno rispose. — Vieni a raccontarmi tutto, allora — continuò la voce. Di nuovo ci fu silenzio, salvo una specie di miagolio. — Oh, santo cielo, come mai? Tu sei una brava ragazza. — A quel punto riconobbe la voce. O almeno le parve di conoscerla. Era una voce mite, troppo americana per non essere quella di Virgil Smith. Ma con chi diavolo stava parlando? — Oh, mio Dio, come sei bella... Be', raccontami tutto, ora. Un terribile pensiero le passò per la mente: forse Virgil Smith stava facendo delle avances a una servetta o a una donna di malaffare. Che cosa orribile! E lei lo aveva sorpreso sul fatto. Come poteva allontanarsi, senza provocare un grosso imbarazzo per tutti e due? Rimase lì impalata senza muoversi. Ma a chiunque Virgil Smith stesse parlando, non c'era ancora nessuna risposta. — Tesoro mio... — Lui continuava a parlare dolcemente, sommessamente. — Tesoro mio, mia bellissima ragazza. Alicia non poteva continuare ad ascoltare una conversazione così personale. Riparandosi dietro il tronco dell'albero, fece un passo per riportarsi sul vialetto, dove avrebbe potuto fingere di non averlo notato. Ma mise il piede su un ramoscello secco che si spezzò rumorosamente. Virgil Smith si alzò di scatto e si avvicinò, enorme nel suo cappotto, massiccio come lo stesso albero. Alicia chiuse gli occhi, con il volto che le bruciava per il disagio che provava per lui. Avrebbe dato chissà che cosa per non essere stata involontaria testimone della vergognosa condotta di quell'uomo. — Buon giorno, Lady Alicia — disse Smith con la stessa voce sommessa che aveva udito prima. — Buon giorno, signor Smith — rispose Alicia, deglutendo a fatica. Doveva cercare di cavarsela con una certa disinvoltura. Era un americano e
aveva maniere discutibili, ma lei doveva sapere come comportarsi in qualsiasi situazione. Sbarrò gli occhi. Virgil Smith era di fronte a lei con un gattino maculato che si stirava e si raggomitolava tra le sue braccia. Notò gli occhi stupiti di Alicia e poi diede un'occhiata alla bestiola, accarezzandola delicatamente con la punta delle dita. Quando si rese conto che Alicia lo aveva sentito parlare al gatto, anche il suo volto si fece tutto rosso. — Oh! — esclamò un po' goffamente. — Non ci faccia caso, signora. Spesso io parlo con gli animali, specialmente con i gatti. Ho in particolare un debole per questa gattina. Alicia provò un enorme senso di sollievo. Si mise a ridere scioccamente, sentendo dentro di sé un'improvvisa, incontenibile felicità, e allungò la mano per accarezzare la micetta. Anche Virgil stava sorridendo, ora, con un'espressione di tenerezza. Per la prima volta Alicia riconobbe quell'espressione e capì che cosa voleva dire. Soltanto per un momento ne fu sorpresa. Poi le parve qualcosa di familiare, qualcosa di stupefacente e di bello, come l'aprirsi delle foglie al tenero sole della primavera. 10 Pitt rifletté su quale poteva essere una richiesta ragionevole su quanti uomini avrebbe potuto aspettarsi, e infine si rassegnò a chiederne tre per aiutarlo nell'enorme compito di selezionare e identificare le fotografie trovate nello studio di Godolphin Jones. Gli fu concesso un solo agente in più, oltre a quello di cui già disponeva. Li rispedì tutti e due in Resurrection Row con l'incarico di trovare un nome per ogni faccia, oltre all'occupazione e all'estrazione sociale, ma con la raccomandazione di mostrare della fotografia soltanto la testa e non il resto del corpo, di non fare domande e di non rivelare dove e in quali circostanze le fotografie erano state trovate. Su quest'ultima precisazione avevano particolarmente insistito i suoi superiori, dopo molte esitazioni e dopo essersi ripetutamente chiesti se non ci fossero altre vie per affrontare il problema. Un sovrintendente aveva persino avanzato l'idea che forse sarebbe stato consigliabile lasciare il caso insoluto e rivolgere la loro attenzione ad altri problemi. C'era, per esempio, un complicato caso di furto con scasso e sarebbe stato molto utile poter recuperare la refurtiva.
Pitt fece notare che Jones era stato un pittore della buona società e che non si poteva passare sopra all'assassinio di chiunque avesse vissuto in una zona come Gadstone Park. Altrimenti gli abitanti di altre zone dello stesso livello si sarebbero certamente preoccupati per la propria sicurezza futura. I suoi superiori non poterono non convenirne con lui, anche se lo fecero di malavoglia. Poi Pitt stesso ritornò a Gadstone Park per parlare con il maggiore Rodney. Questa volta non si sarebbe lasciato intimidire dalla sua collera o dalle sue proteste. Non poteva più permetterselo. Se l'assassino di Godolphin Jones avesse approfittato delle tombe profanate per nascondere o camuffare il proprio crimine, come St. Jermyn aveva suggerito, allora la morte di Lord Augustus sarebbe stata irrilevante. E non aveva senso continuare a cercare un nesso tra Albert Wilson, Horrie Snipe, William Wilberforce Porteous e Lord Augustus perché non ce n'era nessuno. Per quanto riguardava il movente e le modalità della sua esecuzione, l'assassinio di Godolphin Jones costituiva un caso totalmente a parte. La chiave andava ricercata nello studio pornografico di Resurrection Row o nel notes con i disegni degli insetti, o in entrambi. Il delitto poteva essere stato compiuto da una delle innumerevoli donne riprese nelle fotografie, oppure da qualcun'altra che Jones aveva tentato di ricattare, come aveva fatto con Gwendoline Cantlay. Ma sicuramente il numero delle relazioni che il pittore aveva avuto non doveva essere poi così elevato. A detta di tutti, non era un uomo particolarmente affascinante. Poteva essersi profuso in adulazioni e lusinghe, ma le belle donne della buona società c'erano abituate. Tutto considerato, Pitt giudicava piuttosto scarse le sue possibilità di avventure romantiche. Il ricatto doveva essere stato praticato anche in altre aree, il che lo riportò ancora una volta a Resurrection Row e alle fotografie. Era giunto ormai alla porta del maggiore Rodney. Il maggiordomo aprì e gli permise di entrare con l'espressione rassegnata di chi è costretto a far fronte a cose sgradevoli ma inevitabili. Pitt aveva provato lo stesso senso di rassegnazione quando il mal di denti lo aveva spinto dal dentista. Il maggiore lo ricevette con impazienza mal dissimulata. — Non ho nient'altro da aggiungere, ispettore Pitt — gli disse, già irritato. — Se non sa fare altro che continuare a tormentare il prossimo, ritornando sempre sullo stesso argomento, sarebbe meglio se si decidesse a passare il caso a qualcuno più competente. — L'assassinio è una faccenda sporca e fastidiosa — si limitò a replicare
Pitt. In piedi, sovrastava con la sua statura il maggiore, mettendolo in una situazione di inferiorità. Rodney indicò il sofà e gli disse di prendere posto. Lui stesso sedette su una sedia dallo schienale diritto, tutto impettito, rovesciando la situazione in maniera da poter guardare dall'alto l'ispettore, che era sprofondato nel sofà, con il soprabito aperto e la sciarpa slacciata. Il maggiore aveva in qualche modo riacquistato la padronanza di sé. — Bene, che c'è, allora? — chiese. — Le ho già detto che ho avuto scarsissimi rapporti con il signor Jones e le ho già mostrato i ritratti. Non riesco proprio a pensare a nient'altro. Non sono il tipo da occuparmi degli affari degli altri. Non do ascolto ai pettegolezzi e non permetterò mai alle mie sorelle di ripetere quelli che non possono fare a meno di sentire, dal momento che le donne sono portate a chiacchierare, specialmente di cose frivole. Pitt avrebbe voluto ribattere. Non faceva fatica a immaginare come Charlotte avrebbe reagito a un simile giudizio sulle donne. Ma il maggiore non lo avrebbe capito, e non era il caso di affrontare argomenti del genere. Non era un incontro tra amici, e non erano poi sullo stesso piano sociale: non toccava a lui fare delle riserve sulle convinzioni del suo ospite. — Giusto — replicò. — I pettegolezzi possono provocare gravi danni e in gran parte sono falsi, anche se spesso ho avuto modo di penetrare nella natura o nella personalità di qualcuno proprio ascoltando i pettegolezzi. Quello che una persona dice di un'altra può essere falso, ma il solo fatto che lo dica mi fa capire... — Che è una malalingua e non dice che menzogne — lo interruppe bruscamente il maggiore. — Non posso che provare disprezzo per lei o per un lavoro che la obbliga a indulgere a simili debolezze. — Fissò Pitt con uno sguardo feroce, come se volesse incenerirlo con la sua indignazione. — Proprio così — ribatté Pitt. — Quello che una persona dice può non rivelare niente sull'oggetto del suo discorso, ma molto sul suo conto. — Che cosa? — Il maggiore era sconcertato. Gli ci vollero parecchi secondi per assorbire il significato delle parole di Pitt. — Quando una persona apre la bocca può o non può tradirne un'altra, ma tradisce senz'altro se stessa — Pitt ribadì. Gli era venuto un pensiero nuovo, a proposito del maggiore Rodney e del suo atteggiamento nei riguardi delle donne. Il maggiore sbuffò. — Non mi sono mai occupato di queste sofisticherie. Sono stato un soldato, per tutta la mia vita. Un uomo che agisce e non per-
de tempo a parlare di quello che fa. Sarebbe stato meglio per lei entrare nell'esercito. Lì avrebbero fatto un uomo, di lei. — Osservò i suoi abiti, il modo in cui era seduto, e Pitt riuscì quasi a intravvedere sul volto del maggiore la figura del sergente istruttore, la piazza d'armi e il miracoloso cambiamento che poteva essere operato in un uomo. Sorrise dentro di sé, felice al pensiero che, per quanto lo riguardava, non sarebbe mai accaduto. — Naturalmente, ci sono tante lingue malefiche tra le donne — osservò, ammannendo al maggiore i pensieri che gli erano più graditi. — E l'ozio è padre di tutti i vizi. Il maggiore fu di nuovo sorpreso. Non si sarebbe mai aspettato una tale capacità di intuizione in un poliziotto, e tanto meno in Pitt. — Proprio così — convenne. — Questa è la ragione per cui faccio di tutto per tenere le mie sorelle occupate. Buone, sane faccende domestiche e, naturalmente, lo studio, nella misura in cui ne sono capaci, per la cura della casa, del giardino... — E per quanto riguarda le attualità e un po' di storia? — chiese Pitt portandolo delicatamente dove voleva. — Attualità? Non dica sciocchezze, ispettore. Le donne non hanno l'interesse né la capacità per tali cose. E un interesse del genere sarebbe oltretutto sconveniente. Vedo che lei non le conosce troppo bene. — Non molto — mentì Pitt. — Lei è stato sposato, maggiore? Il maggiore sbatté le palpebre. Non aveva previsto la domanda. — Sì. Mia moglie è morta tanto tempo fa. — Mi dispiace. È stato sposato per molto tempo? — Un anno. — Una vera disgrazia. — Tutto passato, ormai. Una crisi superata tanti anni fa. Non è stato come quando si è abituati a una persona. La conoscevo appena, in realtà. Io ero un soldato, impegnato a combattere per la mia regina e per il mio Paese. Il prezzo del dovere. — Proprio così. — Non fu necessario ostentare compassione. Sentiva come una molla scattare dentro di sé, mentre un'idea acquistava sempre più forma nella sua mente. — E le donne non sono sempre le compagne che un uomo spera — aggiunse. Il volto del maggiore assunse un'espressione meditabonda, mentre riandava alle passate delusioni. La realtà non era stata piacevole, ma la consapevolezza di averla superata gli procurava una certa soddisfazione, persino un senso di superiorità nei riguardi di quelli che dovevano ancora affron-
tarla. — Sono molto diverse dagli uomini — convenne. — Creature per lo più superficiali. Niente di cui parlare se non della moda, del loro aspetto e di altre sciocchezze simili. Sempre a ridere per un nonnulla. Un uomo non può sopportare tutto questo, a meno che non sia uno sciocco come loro. L'idea si era ormai cristallizzata nella mente di Pitt. Era il momento di metterla alla prova. — Molto strana la faccenda di quei cadaveri — disse, come per caso. Il maggiore sollevò la testa di scatto. — Cadaveri? Quali cadaveri? — Continuano a saltar fuori. — Pitt lo fissò. — Prima, l'uomo a cassetta della carrozza, poi Lord Augustus, poi Porteous e infine Horatio Snipe. — Colse un guizzo negli occhi del maggiore e un leggero movimento del pomo d'Adamo. — Lei conosceva Horrie Snipe, maggiore? — Mai sentito nominare. — Il maggiore deglutì. — Ne è sicuro? — Mette in dubbio la mia parola? — Diciamo la sua memoria, maggiore. — Pitt non lo faceva volentieri, ma doveva continuare, e più presto se ne fosse liberato, meno sarebbe durata la sua pena. — Era un ruffiano e lavorava nella zona di Resurrection Row, la stessa dove Godolphin Jones aveva il suo... studio fotografico. Questo forse le fa venire in mente qualcosa? — Lo fissò negli occhi, uno sguardo duro, franco, che non consentiva via d'uscita. Nessuna pietà per una falsa ignoranza. Il maggiore sbiancò in volto. Era brutto e patetico e la sua vista irritava Pitt più di quanto ne sarebbe stato irritato lui stesso. Non poteva tener conto della fragilità, dell'immaturità che trasparivano dal suo aspetto. Il maggiore non riusciva a trovare le parole. Non poteva ammettere di aver conosciuto Horrie Snipe e non osava più negarlo. — Era per questo che Godolphin Jones la ricattava? — chiese Pitt. — Sapeva delle donne di Horrie Snipe e le vendeva le fotografie? Il maggiore sospirò profondamente. Le lacrime cominciarono a scorrergli giù per le guance. Era furioso con se stesso per la propria debolezza e odiava Pitt perché ne era testimone. — Io... io non l'ho ucciso — disse tra un singulto e l'altro. — Giuro davanti a Dio che non l'ho ucciso. Pitt non ne aveva dubitato nemmeno per un istante. Il maggiore non lo avrebbe mai ucciso. Aveva bisogno di lui per i suoi sogni segreti, per le fotografie e le fantasie in cui poteva illudersi di affermare quel bisogno di
possesso che non avrebbe mai raggiunto nella realtà. Jones gli era doppiamente prezioso perché Horrie Snipe era morto poco prima di lui, lasciandolo privo delle sue fugaci, pazze avventure nel regno delle donne in carne e ossa. — No — disse Pitt tranquillamente. — Non penso che sia stato lei a ucciderlo. — Guardando dall'alto in basso quell'ometto impettito si alzò, ansioso di uscire nella nebbia e nel nevischio e di sottrarsi alla disperazione che regnava là dentro. — Mi dispiace che si sia dovuto parlare di questo. Non ci sarà più bisogno di tornarci sopra. Il maggiore alzò gli occhi pieni di lacrime. — E il suo... rapporto? — Lei non è una persona sospettata. È questo che io riferirò. L'ometto respirò profondamente. Non riuscì nemmeno a trovare la forza di ringraziarlo. Pitt uscì dalla casa del maggiore Rodney e si immerse nella nebbia con un senso di liberazione, quasi di calore. Ma quella non era una soluzione. Improvvisamente, il piccolo notes gli parve molto meno promettente. Non potendo frugare in tutti i salotti di Londra, non aveva modo di trovare gli altri quadri che raffiguravano gli insetti. E non c'era nessuna prova che tutti i proprietari di quei quadri fossero vittime di ricatti. Forse erano soltanto clienti per l'acquisto delle fotografie, e Godolphin Jones aveva scelto quel modo molto vantaggioso per farsi pagare profumatamente i suoi quadri. Esigere per la sua arte prezzi così esorbitanti era una doppia soddisfazione, perché riusciva a crearsi una reputazione professionale che la sua reale capacità non avrebbe mai potuto assicurargli. Pitt fu costretto ad ammirare almeno la sua ingegnosità. Ma gli acquirenti delle sue foto pornografiche sarebbero stati gli ultimi a volerlo morto. Non avrebbero soppresso la fonte dei loro rifornimenti, specialmente se si trattava di qualche cosa da tenere a ogni costo segreta e che forse era, a suo modo, una forma di dipendenza. C'era naturalmente un'altra possibilità: l'esistenza di un concorrente nello stesso traffico. Era un pensiero che non gli era venuto, prima. Il lavoro di Jones era buono: se non altro, aveva un occhio migliore di tanti fotografi di mestiere in cui Pitt si era imbattuto, anche se la sua esperienza in proposito era piuttosto limitata. Per sua scelta, non aveva mai lavorato nella squadra del buoncostume, ma capitava a tutto il personale di polizia di doversene occupare di tanto in tanto. E tutte le fotografie pornografiche che aveva visto in precedenza gli erano apparse patetiche e scontate, nella loro banalità:
nudi e ben poco d'altro. Quelle di Jones avevano almeno qualche velleità artistica, sia pure di un'arte decadente. C'era in esse qualche raffinatezza, un uso sapiente di luci e ombre, persino un certo spirito. Sì, poteva darsi che qualcun altro nello stesso campo di attività si fosse sentito tagliato fuori dal mercato e si fosse ribellato nell'unico modo che conosceva: un modo efficace e definitivo. Pitt passò il resto di quel giorno e tutta la giornata seguente a interrogare i suoi colleghi delle stazioni di polizia, nel raggio di cinque o sei chilometri di distanza da Gadstone Park o da Resurrection Row, per raccogliere ogni possibile notizia su tutti quelli che si occupavano al momento di foto pornografiche. Quando finalmente arrivò a casa la sera, dopo le sette, e trovò Charlotte che lo aspettava ansiosa, non fu in grado di darle alcuna spiegazione e, dentro di sé, le fu grato per non avergli chiesto niente. Il silenzio di lei era la migliore compagnia. Rimase seduto tutta la sera davanti al fuoco senza parlare. Charlotte, saggiamente, si occupò del suo lavoro a maglia, senza fare altro rumore che non fosse il leggero ticchettio dei ferri da calza. Pitt non voleva rivivere lo squallore di cui era stato testimone, la deformazione delle menti e delle emozioni fino al punto di trasformare tutti gli affetti in appetiti e da stimolare quegli stessi appetiti per un guadagno economico. Quanti poveri diavoli si aggrappavano a donne di carta, in preda a morbose fantasie. Soltanto libidine, menti malate e niente cuore. E non aveva appreso nulla di utile: nessuno sapeva di un concorrente che avesse avuto l'impulso o la fantasia di uccidere Godolphin Jones e di seppellirlo nella tomba di Albert Wilson. La mattina seguente si rimise all'opera senza sapere che altro fare, se non ritornare allo studio in Resurrection Row. I due agenti erano già lì, quando arrivò. Entrambi saltarono in piedi con le facce accese, quando l'ispettore aprì la porta. — Oh, è lei, signor Pitt? — uno dei due si affrettò a dire. — Mi chiedevo chi potesse essere. — C'è qualcun altro che ha la chiave? — chiese Pitt con un sorriso forzato, mostrando quella che aveva fatto fare per sé. — No, ispettore. Salvo noialtri, naturalmente. Ma non si sa mai. Qualcuno potrebbe aver avuto... — Non completò la frase: l'idea di un complice non era verosimile e un'occhiata al volto di Pitt gli disse che era fuori discussione. — Sì, ispettore. — E sedette di nuovo. — Abbiamo quasi finito di riordinarle — annunciò il suo collega con
una certa fierezza. — Secondo me, ci sono circa cinquantatré ragazze diverse. Molte di loro sono state riprese più volte. Non sono tante le donne, suppongo, che possono fare questo genere di cose. — E non per molto tempo — convenne Pitt con aria tutt'altro che divertita. — Qualche anno di marciapiede, qualche figlio, e non è più possibile spogliarsi davanti a una macchina fotografica. È spietato, quello strumento: non racconta nessuna consolante bugia... Conoscete qualcuna di quelle ragazze? La schiena dell'agente si irrigidì e le orecchie si fecero tutte rosse. — Chi, io, ispettore? — Professionalmente, voglio dire — Pitt tossì. — La tua professione, non la loro. — Ah! — L'altro agente si infilò un dito nel colletto. — Sì, ispettore, io ne ho viste un paio. Ho dovuto richiamarle. Le ho invitate ad allontanarsi e a rientrare a casa. — Bene. — Pitt accennò un sorriso. — Mettile da parte, con i nomi, se li ricordi. Poi dammi la fotografia meglio riuscita di ognuna di loro, così potrò cominciare a fare qualche controllo. — Le foto meglio riuscite, ispettore? — chiese l'agente spalancando gli occhi e inarcando le sopracciglia fin quasi a raggiungere la linea dei capelli. — Quelle in cui le facce sono più chiare — ribatté bruscamente Pitt. — Oh... sì, ispettore. — Tutti e due gli agenti ripassarono in fretta le fotografie e dopo pochi istanti gliene consegnarono una trentina. — Sono tutte quelle di cui finora siamo sicuri, ispettore. Finiremo di selezionarle per mezzogiorno. — Bene. Dopo di che potrete cominciare a fare il giro dei bordelli e anche delle camere ammobiliate. Io attaccherò da Resurrection Row, muovendomi verso nord. Voi potete andare nell'altra direzione. Tornate qui verso le sei e vedremo che cosa saremo riusciti a mettere insieme. — Va bene, ispettore. Ma che cosa dovremo cercare in particolare? — Un amante o un marito geloso, o meglio ancora una donna che avrebbe molto da perdere, se la gente scoprisse che ha posato per questo genere di fotografie. — Una donna della buona società, per esempio? — chiese l'agente, perplesso, prendendo una delle fotografie e guardandola di traverso. — Ne dubito — replicò Pitt. — Piuttosto una donna della classe media, ansiosa di fare qualche esperienza un po' spinta o, più probabilmente, una
della classe operaia a corto di quattrini o una domestica con qualche velleità. — Giusto, ispettore. Sbrighiamo questo lavoro e ci mettiamo subito in cammino. Pitt uscì in Resurrection Row per cominciare il suo giro. Nella prima casa di camere ammobiliate verificò la posizione di tre delle ragazze della lista. Erano tre belle prostitute di mestiere, contente di aver guadagnato un po' di soldi extra e piuttosto divertite da quella prestazione. Pitt era sul punto di andarsene quando per un impulso improvviso decise di mostrare loro le altre fotografie. — Oh no, caro — gli disse una biondona scuotendo il capo. — Non pretenderà che io vada in giro a fare i nomi della gente, vero? Quello che faccio io è un conto, ma parlare delle altre ragazze è tutt'altra cosa. — Finirò per trovarle in ogni caso — le fece notare Pitt. — Allora buona fortuna, caro — disse lei ridacchiando. — E si diverta a cercarle. Pitt non voleva dire niente dell'assassinio. Non ne aveva parlato nemmeno con la tenutaria della casa. Era un delitto da impiccagione e tutti lo sapevano. L'ombra della forca serrava persino le bocche più ciarliere. Se non sapevano niente, era tanto di guadagnato. — Sto cercando una certa ragazza — spiegò. — Posso trovarla soltanto eliminando tutte le altre. Lei lo fissò socchiudendo gli occhi di un bell'azzurro chiaro, pesantemente truccati. — Perché? Qualcuno ha reclamato? — No. — Pitt era sincero e si augurava che lei se ne rendesse conto. — Assolutamente no. Per quanto ne sappia, tutti i vostri clienti sono perfettamente soddisfatti. Lei gli rivolse un largo sorriso. — Allora ce l'ha una sterlina da spendere, caro? — No — rispose Pitt sorridendo. — Desidero sapere soltanto quante di queste battono regolarmente e non hanno niente in contrario che si sappia quello che fanno. La ragazza afferrò la situazione al volo. — Un tentativo di ricatto, è così? — Proprio così, ricatto. — Pitt era sorpreso della capacità di intuizione della ragazza. Non doveva più sottovalutarla. — Non mi piacciono i ricattatori. — Ce le faccia vedere un'altra volta, allora — replicò lei con una smor-
fia. Pitt gliene passò una, poi un'altra. Lei osservò attentamente la prima, poi allungò la mano per prendere la seconda. — Caspita! — Respirò profondamente — Che bel pezzo di ragazza. Non ha bisogno nemmeno della crinolina. Un sedere che non finisce mai. — Chi è? — Pitt si sforzò di rimanere serio. — Non lo so. Me ne dia un'altra. Ah, questa è Gertie Tiller. L'avrebbe fatto per una risata. Nessuno la ricatterà per questo. — Gli restituì la fotografia e Pitt la infilò nella tasca sinistra insieme alle altre che aveva scartato. — E questa è Elsie Biddock. Sta meglio nuda che vestita. E quest'altra è Ena Jessel. Anche se quelli non sono i suoi capelli. Dev'essere una parrucca. È maledettamente ridicola con tutte quelle piume. — È un tipo ricattabile? — Non so. Forse. Penso che sia una dilettante. Potrebbe provare con lei. Le dilettanti hanno paura, poverette. Cercano soltanto di arrotondare le entrate per pagare il fitto e mangiare. Pitt infilò la foto nella tasca destra. — E questa non la conosco. Un'altra foto per la tasca destra. — Questa è una mezza matta, una sciocchina. Nessuno penserebbe di ricattarla: non si spaventa di niente. Va con tutti. E l'altra è come lei. Insieme fanno una bella coppia... — Grazie. — Altre due sistemate. La ragazza esaminò gli altri soggetti, uno dopo l'altro. — Avrà molto da fare, mio caro. Mi dispiace. Conosco alcune di queste facce, ma non mi ricordo dove le ho viste e non so i nomi o altro sul loro conto. Sono tutte qui? — Mi è stata di grande aiuto. La ringrazio. — Sempre a disposizione. Potrebbe dire una buona parola per me ai poliziotti locali? Pitt sorrise. — Quanto meno si parla, meglio è — rispose. — Se non li provoca, fingeranno di non vederla. — Vivi e lascia vivere — commentò lei. — Arrivederci, caro, è capace di trovare l'uscita? — Proverò. — La salutò con un cenno della mano e ritornò in strada. La visita nelle altre tre case gli permise di cancellare un'altra dozzina di ragazze. La lista si riduceva rapidamente. Fino a quel momento nessuna di
loro poteva essere in qualche modo implicata nella faccenda. Alla fine della giornata, fra tutti e tre, avevano identificato e scartato tutte le ragazze delle fotografie, tranne una mezza dozzina. Il giorno seguente fu più duro, come Pitt aveva previsto. Avevano controllato quelle che lo facevano per mestiere. Ora cercavano le altre, quelle spinte sulla strada dalla povertà e dalla paura, quelle che se ne sarebbero vergognate. Era tra queste ultime che Pitt pensava di scoprire la persona il cui segreto si era fatto insopportabile fino al punto da sfociare in un assassinio. Aveva parlato agli agenti, probabilmente troppo a lungo, mettendo nelle sue parole tutta la carica di rabbia e di pietà che aveva accumulato. Se non provavano quello che provava lui, voleva dire che non erano in grado di intendere il senso delle sue parole. Se ne era reso conto nello stesso momento in cui ne stava parlando, e tuttavia aveva continuato cocciutamente. Verso le dieci e mezzo individuò due donne che di giorno lavoravano in una casa di sfruttamento, cucendo camicie con i bambini legati alle loro sedie, e di notte battevano il marciapiede per pagare l'affitto. Il loro padrone lo guardò di traverso, ma lui ribatté con rabbia che voleva soltanto trovare la testimone di un incidente e che, se non trovava collaborazione, avrebbe ordinato che il posto venisse messo sottosopra almeno due volte alla settimana alla ricerca di refurtiva. L'uomo chiese sarcasticamente come faceva Pitt ad avere quella fotografia, se la ragazza era soltanto la testimone di un incidente. Pitt non riuscì a trovare una risposta adeguata, perciò lo fissò e gli disse che quello era un segreto della polizia, e che avrebbe fatto bene a occuparsi dei fatti suoi se non voleva che i suoi rapporti con la polizia divenissero più stretti. Questo servì a ridurlo al silenzio e a fargli ammettere a denti stretti che almeno due di quelle donne lavoravano per lui, e che Pitt poteva parlare con loro, se proprio ci teneva. Ma doveva sbrigarsi, perché il tempo sprecato era denaro perduto e le donne non potevano rinunciare nemmeno a un soldo di quello che guadagnavano. I poliziotti potevano essere pagati per starsene lì a chiacchierare, ma loro no. Nel pomeriggio la stessa solfa: donne spaventate che si vergognavano di quello che facevano, timorose di essere smascherate e tuttavia incapaci di tirare avanti con quello che i padroni pagavano e terrorizzate dall'idea delle case di lavoro. Volevano a qualsiasi costo tenere i loro bambini lontani dalla disperazione istituzionalizzata delle case di lavoro. Avevano paura di
perderli, se fossero stati assistiti altrove, di non vederli mai, ignorando perfino se fossero sopravvissuti. Che cosa poteva significare spogliarsi per un'ora o due per soddisfare le voglie di uno sconosciuto che non avrebbero mai più rivisto, in cambio di un guadagno che sarebbe bastato per vivere un intero mese? Quando rientrò alla stazione di polizia alle nove di sera, con la pioggia che gli inzuppava i calzoni e gli stivali e gli scorreva giù per il collo, Pitt aveva scoperto soltanto due casi di un certo interesse. Il primo era una piccola cameriera ribelle e ambiziosa che sognava di diventare ricca e di aprire un negozio di moda. L'altro era un caso completamente diverso: una donna di circa trent'anni, navigata, molto bella, cinica, che se la cavava egregiamente nella fascia più redditizia del mercato. Non ebbe difficoltà ad ammettere che posava per le fotografie e sfidò Pitt a ravvisare un reato in quello che faceva. Se certi signori si dilettavano con quelle cose, era affar loro. Potevano permetterselo, e se Pitt era così sciocco da occuparsi della cosa, con molta probabilità avrebbe finito per scottarsi le dita, importunando gentiluomini di larghi mezzi, per non parlare del loro rango sociale. La ragazza abitava in una casa confortevole: non creava problemi, pagava l'affitto, e se c'erano dei gentiluomini che andavano a trovarla, che c'era di male? Pitt rientrò nel suo ufficio esausto e amareggiato. L'unica speranza che gli rimaneva era quella piccola, ambiziosa cameriera, e lei negava che ci fossero nella sua esistenza uomini a cui quella sua attività potesse interessare, salvo forse il suo padrone. Era naturale che fosse ansiosa, persino disperata, al pensiero di perdere il lavoro e un tetto sotto cui rifugiarsi. Gli agenti lo stavano aspettando. — Allora? — chiese Pitt, lasciandosi cadere pesantemente su una sedia, e si tolse gli stivali. I calzini erano così bagnati che si potevano strizzare. — Non molto — rispose uno dei due. — Soltanto quello che ci si poteva aspettare. Nessuna, secondo me, che sia capace di uccidere, e tanto meno di uccidere l'unico uomo che le pagava con una certa larghezza. Doveva essere come un Babbo Natale, per loro. L'altro agente si raddrizzò sulla sedia. — Anche per me la stessa cosa, ma ne ho scoperto un paio veramente esperte, in case dove non mi dispiacerebbe fare una capatina... magari anche abitarci. Chiunque va lì per divertirsi con loro deve avere un sacco di soldi. Pitt lo fissò, con un calzino bagnato in mano e con quelli asciutti ancora nel cassetto. — Gli indirizzi? — chiese.
L'agente glieli diede. Uno era lo stesso della donna con cui aveva parlato. L'altro era diverso, ma nella stessa zona. Tre prostitute che lavoravano in proprio. Era una coincidenza o si trattava di una casa di appuntamenti di un certo tono? Fino a quel momento, Pitt aveva avuto intenzione di rientrare a casa. Con una parte della sua mente era già là, i piedi asciutti, un piatto di minestra calda tra le mani e Charlotte che gli sorrideva. Gli agenti notarono il cambiamento nella sua espressione e si rassegnarono. Loro erano semplici poliziotti e lui era un ispettore: non c'era nient'altro da fare. Il guaio era che i bordelli lavoravano soprattutto di notte. Charlotte già da molto tempo si era rassegnata agli orari impossibili del marito, ma quella sera, quando vide che erano le undici e non era ancora rientrato, non riuscì più a fingere di non essere preoccupata. Chiunque poteva rimanere vittima di un incidente, chiunque poteva venir aggredito per strada. I poliziotti, in particolare, erano più esposti alle aggressioni, quando interferivano negli affari di gente che faceva della violenza un mestiere. Il corpo di una persona assassinata poteva essere buttato nel fiume, calato in una fogna o semplicemente abbandonato tra le catapecchie, dove non sarebbe stato mai più identificato. Chi avrebbe potuto distinguere un cadavere da un altro? Si era quasi convinta che qualcosa di terribile doveva essere accaduto quando a mezzanotte udì la porta aprirsi. Fece di corsa il corridoio e gli si buttò al collo. Pitt era completamente bagnato. — Dove sei stato? — chiese. — È mezzanotte. Sei ferito? Che cosa ti è successo? Pitt avvertì la paura che montava dentro di lei e ricacciò indietro la risposta che gli era venuta istintiva. La prese tra le braccia e la tenne stretta a sé, non pensando che in quel modo le bagnava il vestito. — A tener d'occhio un bordello di alta classe — rispose sorridendo tra i capelli di lei. — Ti sorprenderà sapere chi ho visto entrare. Charlotte si scostò da lui, ma tenendolo sempre per le spalle. — Perché ci sei andato? — chiese. — Di che cosa ti stai occupando, ora? — Sempre di Godolphin Jones... Non potremmo andare in cucina? Sono gelato. Si girò e lo precedette subito in cucina, dove gettò un altro pezzo di carbone nella stufa. Uno dopo l'altro, prese cappotto, sciarpa e cappello, poi gli stivali e i calzini. Per ultimo preparò il tè con il bollitore che era stato
sul fuoco tutta la sera. Cinque o sei volte si era alzata e aveva aggiunto un po' d'acqua, in attesa del suo ritorno. — Che c'entrava Godolphin Jones coi bordelli? — chiese, quando alla fine poté sedere di fronte a lui. — Non lo so. So soltanto che molte delle donne che fotografava lavorano anche nei bordelli. — Pensi che sia stata una di loro a ucciderlo? — Il suo tono era dubbioso. — È piuttosto difficile per una donna strangolare un uomo, se prima non l'ha drogato o stordito. E in ogni caso, perché avrebbe dovuto farlo? Non le pagava, forse? — Jones era un ricattatore. — Non le aveva ancora parlato di Gwendoline Cantlay o del maggiore Rodney. — I ricattatori spesso rischiano di essere uccisi. — Non ne sono sorpresa. Una di loro potrebbe avere avuto un'offerta di matrimonio o qualcosa del genere e pretendere che le sue fotografie venissero distrutte. Era un movente a cui Pitt non aveva ancora pensato. Le prostitute spesso si sposavano, quando erano ancora giovani, prima che la loro bellezza sfiorisse o che lentamente andassero alla deriva, passando da un bordello a un altro sempre più squallido e guadagnando sempre meno, o che le malattie si impadronissero di loro. — E perché tenevi d'occhio quel posto? — chiese lei. — Che cosa cercavi là dentro? — Prima di tutto, non ero sicuro che fosse un bordello... — Ma lo era? — Sì, o piuttosto una serie di appartamenti usati per lo stesso scopo: molto più lussuosi di un comune bordello e un po' più discreti. Charlotte fece una smorfia, ma non disse niente. — Pensavo di poter trovare il protettore. Poteva avere un ottimo movente per sbarazzarsi di Godolphin Jones. Forse il pittore interferiva nella loro attività, pagando tariffe più alte alle donne, senza passargli la percentuale. Charlotte lo fissò intensamente. I tegami luccicavano sopra la credenza, dietro di lei. A uno di essi mancava il manico. — È lì che troveremo l'assassino, penso. — Pitt si alzò stiracchiandosi, concedendo un po' di riposo ai suoi piedi, ora che si era liberato degli stivali. — Forse Gadstone Park non c'entra per niente. E non c'entrano nemmeno i profanatori delle tombe, se non per l'uso che ne è stato fatto... Andiamo a letto. È tardi e si farà presto giorno.
La mattina dopo, Charlotte gli servì il porridge con un'aria piuttosto seria, poi sedette di fronte a lui, senza prenderne per sé. — Thomas... Lui versò del latte nel porridge e cominciò a mangiare: non c'era tempo da perdere. Oltretutto, si erano alzati un po' tardi. — Che c'è? — Hai detto che Godolphin Jones era un ricattatore? — Sì, lo era. — Chi ricattava? Perché? — Non sono stati loro a ucciderlo. — Loro chi? Il porridge scottava e Pitt fu costretto ad aspettare. Si chiese se Charlotte non lo avesse fatto apposta. — Gwendoline Cantlay, per una relazione che aveva avuto con lui, e il maggiore Rodney, che era un suo cliente. Perché me lo chiedi? — Che senso aveva ricattare un protettore o un ruffiano? Voglio dire: di che cosa poteva aver paura? — Non lo so, non credo per paura. Per avidità, forse, o anche per rivalità professionale. — Assaggiò di nuovo il porridge con la punta del cucchiaio. — Hai detto che le case dove quelle donne lavorano si presentavano meglio dei soliti bordelli? — Sì, in effetti avevano un tono diverso. Case di tutto rispetto. Dove vuoi arrivare, Charlotte? Lei lo fissò. — Chi ne è il proprietario, Thomas? Pitt si fermò con il cucchiaio a mezz'aria. — Chi ne è il proprietario? — ripeté lentamente. Il pensiero prendeva corpo nella sua mente, mentre la fissava. — Qualche volta quelle case appartengono alla gente più strana — continuò Charlotte. — Ricordo che un tempo papà conosceva un tale che ricavava un bel reddito da un immobile affittato come casa di sfruttamento. Quando lo abbiamo scoperto, non abbiamo più voluto avere niente a che fare con lui. Pitt versò del latte sul resto del porridge che mandò giù in quattro o cinque cucchiaiate. Si infilò gli stivali ancora umidi, afferrò soprabito, cappello e sciarpa e uscì a precipizio dalla casa, come se fosse una nave in procinto di affondare. Charlotte non ebbe bisogno di spiegazioni. Gli ci vollero tre ore per scoprire chi era il proprietario di quegli appar-
tamenti e di altri sei destinati allo stesso uso. Edward St. Jermyn. Lord St. Jermyn si arricchiva con gli affitti di bordelli e con la percentuale degli incassi delle prostitute... e Godolphin Jones lo sapeva. Era quella la ragione per cui St. Jermyn aveva comperato quel ritratto da lui? E poi si era rifiutato di pagare. Questo era certamente un movente per l'assassinio. Ma poteva Pitt provarlo? Non si sapeva nemmeno il giorno in cui l'assassinio era stato commesso. Provare che St. Jermyn era stato in Resurrection Row avrebbe significato ben poco, Jones era stato strangolato, ma chiunque avrebbe potuto farlo. Non c'era nemmeno un'arma del delitto. Jones era un pornografo e un ricattatore: potevano esserci decine di persone con un buon movente per ucciderlo. St. Jermyn poteva sapere tutte queste cose, e Pitt non sarebbe mai riuscito nemmeno a ottenere un semplice mandato di arresto. Quello di cui aveva bisogno era un nesso più stretto, qualcosa che legasse insieme i due uomini più saldamente di quanto Jones fosse legato al maggiore Rodney o a Gwendoline Cantlay o a una qualsiasi delle donne delle fotografie. La più grande di quelle case era gestita da una donna, senza dubbio la tenutaria, che riscuoteva i soldi, gli affitti, le percentuali, e passava tutto a St. Jermyn o a un suo incaricato. Pitt era in strada ora che camminava speditamente. Sapeva dove andare e che cosa fare. Fermò una carrozza a nolo e diede al vetturino l'indirizzo e chiuse con forza la portiera. Poi si appoggiò comodamente allo schienale ed elaborò il suo piano di attacco. La via era vuota e la casa silenziosa. Dal cielo grigio cadeva nevischio misto a pioggia. Una cameriera apparve sui gradini dell'ingresso e poi sparì di nuovo. Poteva sembrare una delle tante case agiate, all'ora del lunch. Pitt licenziò la carrozza e salì su fino alla porta. Non aveva nessun mandato e non aveva sperato di ottenerne uno soltanto sulla base delle sue intuizioni. Ma credeva fermamente, e la sua convinzione acquistava sempre più la consistenza di una certezza, che St. Jermyn aveva ucciso Godolphin Jones perché il pittore sapeva qual era la fonte delle sue entrate. Era un movente più che sufficiente, tanto più che St. Jermyn aspirava a un alto inca-
rico governativo, col suo progetto di legge sulle case di lavoro. Pitt sollevò la mano e bussò con forza alla porta. Non gli piaceva quello che era in procinto di fare. Non èra il suo abituale modo di procedere. Ma, diversamente, non ci sarebbe stata nessuna prova, e lui non poteva lasciarsi scappare St. Jermyn, malgrado il suo progetto di legge, anche se pensava di rimandare la raccolta degli elementi decisivi di prova, nel caso li avesse trovati, a dopo che la legge fosse passata alla Camera. Un assassino, anche del calibro di St. Jermyn, non valeva tutti i bambini di tutte le case di lavoro di Londra. La porta fu aperta da una bella ragazza vestita di nero, con grembiulino e crestina di pizzo bianco. — Buongiorno, signore — disse con molta padronanza di sé. — Buongiorno — rispose Pitt con un sorriso forzato. — Posso parlare con la sua padrona, la signora che gestisce questi appartamenti? — Non ce n'è nemmeno uno libero — lo informò la ragazza, rimanendo immobile sulla soglia. — Lo credo — convenne lui. — Tuttavia, vorrei parlare con la sua padrona, se non le dispiace. Si tratta di problemi relativi al proprietario dello stabile. Forse è il caso che lei mi faccia entrare. Non è cosa di cui si possa discutere fuori della porta. La ragazza non era una sciocca. Sapeva quale uso si faceva della casa e immaginò quale potesse essere lo scopo della visita di Pitt. Immediatamente, si fece da parte per lasciarlo entrare. — Certo, signore. Se vuol seguirmi, vedrò se la signora Philp è in casa. — Grazie. — Pitt la seguì in una bella stanza, bene arredata, con un bel fuoco acceso nel caminetto. Dovette aspettare soltanto pochi minuti prima che la signora Philp apparisse. Era una donna formosa, forse un po' troppo, ormai, ma elegantemente vestita: persino a quell'ora, il suo volto era imbellettato e truccato come se fosse pronta per un ballo. Pitt non fece fatica a capire che si trattava di una prostituta di successo in fase calante, promossa al ruolo di direttrice. I suoi vestiti erano costosi, i gioielli molto vistosi, ma autentici. Lo fissò con uno sguardo duro e penetrante. — Non la conosco — disse, entrando e chiudendo la porta con uno scatto. — Lei è fortunata. — Pitt era ancora in piedi con la schiena rivolta al fuoco. — Non mi capita spesso di occuparmi di buoncostume, specialmente a questo livello. — Uno sbirro — ribatté la donna. — Lei non può provare niente e sa-
rebbe uno sciocco a tentarlo. I gentiluomini che vengono qui non gliene sarebbero grati. — Non ne dubito — convenne Pitt. — Non ho nessuna intenzione di far chiudere il locale. — E non si aspetti soldi da me. — Gli lanciò un'occhiata sprezzante. — Vada pure a riferirlo a chi vuole. Se ne accorgerà. — E non ho intenzione di andare a parlarne ad altri. — Allora, che cosa vuole? Lei vuole qualche cosa. Un po' di sesso a buon mercato, forse? — No, grazie. Soltanto una piccola informazione. — Se pensa che io le dica i nomi di quelli che vengono qui, è ancora più sciocco di quanto avessi pensato. Ricatto, eh? La farò buttare fuori e conciare in modo tale che nemmeno sua madre la riconoscerebbe. — Può darsi, ma non me ne importa niente nemmeno di quelli che vengono qui. — Allora che cosa vuole? Non sarà venuto qui soltanto per curiosità? — Godolphin Jones. — Chi? — chiese la donna, ma soltanto dopo un attimo di esitazione, una frazione di secondo, uno sbattere di palpebre. — Mi ha sentito bene. Godolphin Jones. Sono certo che lei la sa lunga su tutto ciò che riguarda la prostituzione, ma se si trattasse di assassinio? Se la sentirebbe di mettersi contro di me? Trovare le prove di un assassinio: questo è il mio mestiere. — Le macchie di belletto spiccarono sulle guance della donna. Senza quel trucco sarebbe stata ancora bella. — Non so niente di omicidi... — Godolphin Jones sapeva di questa casa e dei suoi traffici perché ha scattato fotografie ad alcune delle sue ragazze. — E con ciò? — Ricatto, signora Philp. — Non poteva ricattarmi. A che scopo avrebbe dovuto farlo? A chi avrebbe potuto dirlo? A lei? E lei che cosa può farci? Non riuscirà a farmi chiudere. Troppe persone ricche e potenti frequentano questa casa, e lei lo sa. — Non ricattare lei, signora Philp. Lei è quella che è e non pretende di essere qualcos'altro. Ma chi è il proprietario di questo stabile, signora Philp? La donna sbiancò in volto, ma non disse nulla. — A chi paga l'affitto, signora Philp? — la incalzò. — Qual è la percen-
tuale che lei prende dalle ragazze? Il cinquanta per cento? Di più? E quanto passa a lui, alla fine della settimana o del mese? La donna deglutì e lo fissò. — Non lo so. Non so come si chiama. — Bugiarda! È Lord St. Jermyn, e lei lo sa, come lo so io. Non darebbe un soldo a un padrone che non conosce. È troppo furba per fare una cosa del genere. Ci sarà un accordo preciso, anche se non esiste niente di scritto... Lei deglutì di nuovo. — E con ciò? — chiese. — E se anche fosse? Che cosa ci sarebbe di strano? Lei non può farci proprio niente. — Ricatto, signora Philp. — Ha intenzione di ricattarlo? St. Jermyn? Lei è un pazzo. — Perché? Potrei finire assassinato come Godolphin Jones? La donna sbarrò gli occhi e per un istante Pitt pensò che stesse per svenire. Dalla sua gola usciva una specie di rantolo. — E stata lei a uccidere Jones, signora Philp? La forza ce l'ha. È stato strangolato. — Diede un'occhiata alle sue spalle larghe e piene e alle braccia robuste. — Santa Madre di Dio... non l'ho ucciso io, no... — E chi lo sa? — Lo giuro. Non ho mai visto da vicino quel bastardo, salvo quando gli ho dato i soldi. Perché avrei dovuto ucciderlo? Io gestisco una casa, è il mio lavoro, ma giuro davanti a Dio che non ho mai ucciso nessuno. — Quali soldi, signora Philp? I soldi di St. Jermyn per tenerlo buono? Un'espressione furba le balenò sul viso. Poi scomparve per lasciar posto a una certa perplessità. — No, non ho detto questo. Per quanto ne so, erano soldi per tutta una serie di ritratti che Jones avrebbe fatto a St. Jermyn e ai suoi figli. Una mezza dozzina o anche di più. Jones pretendeva di essere pagato in anticipo, e questo era il posto più indicato per avere soldi in contanti. Erano gli incassi di parecchie settimane. St. Jermyn non avrebbe potuto prelevare una somma così grossa dalla sua banca. — Già — convenne Pitt. — Sono certo che non avrebbe potuto, né voluto. Ma vede, non abbiamo trovato quel denaro addosso a Jones o nel suo "studio" in Resurrection Row o in casa sua, né risulta versato in banca. — Che cosa intende dire? Che lo ha speso? — Ne dubito. A quanto ammontava? Le conviene dire la somma esatta. Una sola bugia e la arresto per complicità nell'assassinio. Lei sa che cosa significa: impiccagione. — Cinquemila sterline — rispose prontamente la donna. — Cinquemila,
lo giuro davanti a Dio. — Quando esattamente? — Il 12 gennaio a mezzogiorno. È stato qui e poi è tornato direttamente a Resurrection Row. — Ed è stato assassinato da St. Jermyn, che si è ripreso le cinquemila sterline. Penso che, se vado a verificare in banca... cosa che sarà facile, ora, con le sue informazioni, scoprirò che sono state depositate cinquemila sterline, il che proverà, al di là di ogni ragionevole dubbio, che Sua Signoria ha assassinato Godolphin Jones e anche perché lo ha fatto. La ringrazio, signora Philp, e a meno che lei non voglia pendere dalla corda in compagnia di St. Jermyn, si prepari a venire in corte e a riferire la stessa storia sotto giuramento. — Se lo farò, di che cosa sarò accusata? — Non di assassinio, signora Philp. E con un po' di fortuna, non sarà accusata nemmeno di tenere un bordello. Lei porta prove contro imputati nello stesso processo e potrebbe trovarci disposti a chiudere un occhio. — È una promessa? — No, io non prometto niente. Non posso farlo. Ma le assicuro che non le sarà mossa l'accusa di assassinio. Per il momento, non mi risulta che lei ne fosse informata, e non ho nessuna intenzione di svolgere indagini in proposito. — Non ne sapevo niente, Dio mi è testimone. — Questo lasciamolo decidere a Dio, come lei suggerisce. Buongiorno, signora Philp. Pitt si voltò e uscì dalla casa, lasciando che la cameriera gli aprisse la porta che dava sulla strada. Non nevicava più e un pallido raggio di sole filtrava attraverso l'aria umida. La prima cosa che Pitt fece fu quella di ritornare a Gadstone Park. Non in casa di St. Jermyn, ma in quella di zia Vespasia. Aveva bisogno soltanto di un elemento decisivo di prova, una dichiarazione della banca di St. Jermyn, dalla quale risultasse che il denaro era stato depositato lì o, alternativamente, di un mandato di perquisizione, anche se era molto improbabile che tenesse presso di sé una tale quantità di denaro liquido. Era una somma per guadagnare la quale molti uomini avrebbero impiegato una decina d'anni e un domestico di un certo livello una vita intera. Inoltre, se ci fosse stato un prelevamento, prima di effettuare il pagamento a Jones, o la vendita di qualche immobile, non sarebbe stato diffici-
le trovare tracce dell'uno o dell'altra. Come la signora Philp aveva detto, non avrebbe potuto disporre così su due piedi di una tale somma in contanti. E non avrebbe certamente fatto ricorso a un prestito. Ma prima di fare qualcosa di così drastico, Pitt voleva sapere da Vespasia quando, esattamente, il progetto di legge sulle case di lavoro sarebbe stato discusso in Parlamento. Se c'era un modo di rinviare quel suo ultimo, decisivo passo, l'avrebbe rinviato, almeno fino a quel momento. Vespasia lo ricevette senza il suo abituale, sarcastico umorismo. — Buongiorno, Thomas — lo salutò con una punta di stanchezza nella voce. — Devo pensare che si tratti di cose serie. Non credo che sia venuto qui per il lunch. — No, signora. La prego di scusarmi per l'ora inopportuna. Lei respinse le scuse con un leggero gesto della mano. — Bene, che cosa vuol sapere, questa volta? — Quando sarà presentato in Parlamento il progetto di legge di St. Jermyn? Lei era rimasta con lo sguardo fisso al fuoco. Si volse lentamente a guardarlo, con i suoi occhi stanchi ma luminosi. — Perché lo vuol sapere? — Credo che lei conosca già la risposta, signora — disse Pitt tranquillamente. — Non posso permettere che la faccia franca, lo sa. Vespasia si strinse nelle spalle. — Penso di no. Ma potrebbe aspettare almeno fino all'approvazione della legge? Per domani sera dovrebbe essere tutto finito. — Per questo sono venuto a chiederglielo. — Ma può aspettare? — Sì, penso di poter aspettare fino a domani sera. — La ringrazio. Pitt non si preoccupò di spiegare che lo faceva perché credeva in quella legge e ci teneva allo stesso modo di lei o di Carlisle, e certamente più dello stesso St. Jermyn. Pensò che Vespasia sapesse tutto questo. Si alzò per andarsene. Vespasia non avrebbe fatto niente, né avrebbe comunicato con St. Jermyn. Avrebbe aspettato. Pitt tornò alla stazione di polizia, chiese il mandato di perquisizione della casa di St. Jermyn e l'autorizzazione a verificare la sua situazione in banca e fece in modo di ottenere l'uno e l'altra troppo tardi perché potesse eseguirli quello stesso giorno. Rincasò verso le cinque e sedette davanti al fuoco a mangiare focaccine e a giocare con Jemima.
La mattina successiva si mise in movimento tardi e fece tutto con comodo. Prima che potesse raccogliere tutti gli elementi di prova che cercava e che si fosse fatto rilasciare un regolare mandato di arresto per St. Jermyn, si fece pomeriggio inoltrato. Prese con sé soltanto un agente e si recò alla Camera dei Lord, a Westminster, per aspettare in una delle anticamere che le votazioni fossero finite e le Loro Signorie cominciassero a uscire. La prima persona che vide fu Vespasia, con la testa eretta e in un vestito color grigio tortora e argento. Capì dai suoi lineamenti tirati, dall'andatura rigida, dagli occhi fissi, impenetrabili, che la legge non era passata. Troppo presto, troppo prematuro. Pitt avrebbe dovuto avere più senso comune, maggiore senso della realtà, anziché sperare. Eppure l'amarezza lo pervase quasi come un dolore fisico. Avrebbe continuato a battersi, naturalmente, e a suo tempo, in cinque, in dieci anni, avrebbero vinto. Ma lui lo avrebbe voluto subito: fra dieci anni sarebbe stato troppo tardi per salvare quei bambini. Dietro Vespasia c'era Somerset Carlisle. Quasi attirato dalla sofferenza che Pitt provava, si voltò e ne colse lo sguardo. Persino in un momento di disfatta c'era in Carlisle un'amara ironia, qualcosa che faceva pensare a un sorriso. Sapeva, come Vespasia, perché l'ispettore era lì? Pitt attraversò la folla dirigendosi verso di loro e avvertendo confusamente la presenza dell'agente che gli veniva incontro dall'altra parte. St. Jermyn era dietro Vespasia e Carlisle. Non mostrava nessun segno di contrarietà. Aveva combattuto una bella battaglia e ne sarebbe rimasto il ricordo. Forse era quello che realmente contava, per lui. Vespasia stava parlando a qualcuno, leggermente piegata da un lato. Pareva molto più vecchia di quanto gli fosse apparsa fino a quel momento. Forse presentiva che non sarebbe vissuta abbastanza per vedere la legge approvata. Dieci anni per lei erano troppi. Pitt si spostò di lato per vedere con chi stava parlando e si augurò che non fosse Lady St. Jermyn. Erano a pochi metri di distanza, ora. Poteva vedere l'agente che avanzava per tagliare a St. Jermyn ogni possibile ritirata. Pitt era quasi di fronte a loro. Vespasia si voltò e lo notò. C'era Charlotte al suo fianco. Si trovavano di fronte, ora, l'agente e Pitt davanti a St. Jermyn, Carlisle e le due donne. Per un momento si chiese se Charlotte non avesse saputo da molto tem-
po chi aveva ucciso Godolphin Jones. Poi scacciò via quel pensiero. In nessun modo avrebbe potuto saperlo. — Lord St. Jermyn... — disse con calma, guardandolo fisso negli occhi. St. Jermyn parve sorpreso. Poi, leggendo sul volto di Pitt la certezza, la spietata conoscenza della verità, tradì una certa paura. Rimaneva soltanto un punto oscuro nella mente di Pitt. St. Jermyn lo fissava con la consapevolezza della disfatta, ma con l'arroganza, l'odio e persino il disprezzo per lui, come se fosse stato battuto per puro caso, e non per la capacità di altri. E Pitt non riusciva a ravvisare in lui nessuna traccia della bizzarra immaginazione, del macabro senso dell'umorismo che sarebbero occorsi per collocare Horrie Snipe sulla sua stessa pietra sepolcrale, il vecchio Augustus nel suo banco di famiglia in chiesa, Porteous nella panchina di un parco e lo sfortunato Albert Wilson a cassetta di una carrozza a nolo. Doveva saperlo che la tomba di Wilson sarebbe stata alla fine trovata, con Godolphin Jones dentro. Non avrebbe potuto sperare di farla franca per sempre. E le sue ambizioni erano a lunga scadenza. Quel progetto di legge era soltanto il primo passo per una carriera che lo avrebbe portato lontano, ad alti incarichi. Il progetto di legge non aveva molta importanza per lui. Per quegli scambi di tombe ci sarebbe voluto un uomo pieno di entusiasmo, un uomo che ci tenesse tanto all'approvazione della legge da far ricorso a tutto il suo senso del macabro per rinviare l'arresto il tempo necessario per... Volse lo sguardo verso Carlisle. Naturalmente! St. Jermyn aveva ucciso Godolphin Jones... ma Carlisle lo aveva intuito, forse lo aveva anche temuto, e aveva seguito St. Jermyn e trovato il corpo. Era stato lui, dopo che St. Jermyn si era allontanato, che lo aveva seppellito nella tomba di Albert Wilson e aveva continuato a spostare i cadaveri, uno per uno, per confondere le idee a Pitt finché fosse stato necessario. Questo spiegava perché St. Jermyn era stato così sconcertato quando Godolphin Jones era saltato fuori dalla tomba di Wilson e non nel cimitero di Resurrection Row. Carlisle a sua volta lo stava fissando con un accenno di sorriso negli occhi. Pitt ricambiò in qualche modo quel sorriso e poi volse di nuovo lo sguardo su St. Jermyn. Si schiarì la voce. Non avrebbe mai potuto provare il coinvolgimento di Carlisle e non lo desiderava nemmeno.
— Edward St. Jermyn — disse con tono formale. — Nel nome della regina, l'arresto per l'omicidio volontario di Godolphin Jones, pittore, di Resurrection Row... FINE